La composizione letteraria del Vangelo di Matteo [1 ed.] 9042942045, 9789042942042

Da sempre i commentatori hanno ritenuto che il Primo Vangelo presenti un progetto strutturale organico, declinandolo tut

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La composizione letteraria del Vangelo di Matteo [1 ed.]
 9042942045, 9789042942042

Table of contents :
INTRODUZIONE
SIGLE E ABBREVIAZIONI
GLOSSARIO DEI TERMINI TECNICI
STORIA DELLA RICERCAE PREMESSE DI METODO

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pontificia universitas gregoriana rhetorica biblica et semitica

Francesco Graziano LA COMPOSIZIONE LETTERARIA DEL VANGELO DI MATTEO

PEETERS

La composizione letteraria del Vangelo di Matteo

Francesco Graziano

La composizione letteraria del Vangelo di Matteo Rhetorica Biblica et Semitica XXII

PEETERS leuven – paris – bristol, ct 2020

SOCIETÀ INTERNAZIONALE PER LO STUDIO DELLA RETORICA BIBLICA E SEMITICA

Esistono molte associazioni che hanno come oggetto lo studio della retorica. La più conosciuta è la «Società internazionale per la storia della retorica»; ma ce ne sono anche altre. La RBS è la sola: • che si dedica esclusivamente allo studio delle opere letterarie semitiche, essenzialmente la Bibbia, ma anche di altre, fra cui i testi musulmani; • che di conseguenza si preoccupa di elencare e descrivere le leggi specifiche di una retorica che ha presieduto alla elaborazione di testi, la cui importanza non è per nulla inferiore a quella del mondo greco e latino del quale la civiltà occidentale è l’erede. Né bisognerebbe dimenticare che questa stessa civiltà occidentale è anche erede della tradizione giudaico cristiana, che trova la sua origine nella Bibbia, cioè nel mondo semitico. Più in generale, i testi che noi studiamo sono i testi fondatori di tre grandi religioni: giudaismo, cristianesimo e islam. Un tale studio scientifico, condizione previa per una migliore conoscenza reciproca, non farebbe che concorrere a un ravvicinamento tra coloro che proclamano di appartenere a queste diverse tradizioni. La RBS promuove e sostiene la formazione, le ricerche e le pubblicazioni: • soprattutto nel campo biblico, tanto del Nuovo quanto dell’Antico Testamento; • ma anche nel campo degli altri testi semitici, specie dell’Islam; • e perfino in autori nutriti con i testi biblici, come s. Benedetto e Blaise Pascal. La RBS accoglie e raggruppa prima di tutto ricercatori e professori universitari che, nelle diverse università o istituti, lavorano nel campo della Retorica Biblica e Semitica; incoraggia in tutti i modi gli studenti, soprattutto dottorandi, nell’apprendimento delle tecniche di analisi a lei proprie. Essa è aperta anche a quanti si interessano alle sue ricerche e intendono sostenerle. Società internazionale per lo studio della Retorica Biblica e Semitica Pontificia Università Gregoriana Piazza della Pilotta 4 — 00187 Roma (Italia) Per altre informazioni sulla RBS, vedi: www.retoricabiblicaesemitica.org.

ISBN 978-90-429-4204-2 eISBN 978-90-429-4205-9 D/2020/0602/25 A catalogue record for this book is available from the Library of Congress. © 2020, Peeters, Bondgenotenlaan 153, B-3000 Leuven, Belgium No part of this book may be reproduced in any form or by any electronic or mechanical means, including information storage or retrieval devices or systems, without prior written permission from the publisher, except the quotation of brief passages for review purposes.

Rhetorica Biblica et Semitica Molti pensano che la retorica classica, ereditata dai Greci attraverso i Romani, sia universale. Essa sembra infatti normare la cultura moderna, che l’Occidente ha diffuso su tutto il Pianeta. Ma è giunto ormai il tempo di abbandonare un tale etnocentrismo: la retorica classica non è unica al mondo. La Bibbia ebraica, i cui testi sono scritti soprattutto in ebraico ma anche in aramaico, segue una retorica ben diversa della retorica greco-latina. Bisogna dunque riconoscere che esiste un’altra retorica, la «retorica ebraica». Quanto agli altri testi biblici, dell’Antico e del Nuovo Testamento, che sono stati tradotti o composti direttamente in greco, essi obbediscono in gran parte alle stesse leggi. Si può dunque parlare non solo di retorica ebraica ma, più largamente, di «retorica biblica». Queste stesse leggi sono state inoltre riconosciute operanti nei testi accadici, ugaritici e altri, precedenti o coevi alla Bibbia ebraica, poi nei testi arabi della Tradizione musulmana e del Corano, successivi alla letteratura biblica. Occorre dunque ammettere che questa retorica non è solo biblica; e si dirà che tutti quei testi, che appartengono, a diverso titolo, alla stessa area culturale, dipendono della stessa retorica, che verrà chiamata «retorica semitica». Contrariamente all’impressione che il lettore occidentale inevitabilmente prova, i testi della tradizione semitica sono composti e ben composti, a condizione ovviamente di essere analizzati in funzione della retorica alla quale appartengono. Si sa che la forma del testo, la sua disposizione, è la porta principale che apre l’accesso al senso. Non che la composizione fornisca, direttamente e automaticamente, il significato. Quando tuttavia l’analisi formale permette di operare una divisione ragionata del testo, di definire in modo più oggettivo il suo contesto, di mettere in evidenza l’organizzazione dell’opera ai diversi livelli della sua architettura, allora si trovano riunite le condizioni che permettono d’intraprendere, su basi meno soggettive e frammentarie, il lavoro dell’interpretazione.

INTRODUZIONE

Perché uno studio sulla composizione letteraria del Vangelo di Matteo? Iin quale senso composizione «letteraria»? E perché si è scelto di privilegiare il metodo dell’analisi retorica biblico-semitica? Esaminare la composizione letteraria di un testo antico come il Primo Vangelo, per di più uno dei testi canonici della fede cristiana, ha significato anzitutto prendere veramente sul serio la forma nella quale ci è arrivato, nella quale si è dato e si dà tuttora oggi alla comunità credente e a chiunque ne scorra il testo, nel momento dell’incontro trasformante della lettura. È una forma che proviene dalla storia e dal mondo interiore degli uomini che ne sono divenuti gli autori e i redattori, ma anche dallo Spirito che abita questa storia e che per mezzo di essa si è espresso e, crediamo, continui efficacemente ad esprimersi. La sinergia dell’Uno e degli altri rende proprio questa forma, perciò, portatrice di un senso. «La forma è la porta del senso»1: un’espressione molto cara a P. Beauchamp e che tuttora illumina le disposizioni di quelli che si accostano ai testi biblici convinti che il momento dello studio della composizione del testo finale sia capitale per la sua interpretazione. Studiare la composizione del Vangelo di Matteo, non di una sua sola unità, ma cercando di vederne l’insieme complessivo, significa anche prendere responsabilità nei confronti della costruzione di una seria teologia biblica, che mentre abbraccia i testi nel loro sviluppo storico e diacronico, vada anche più avanti nel percepirne l’organicità e la completezza, superando il limite atomistico dell’analisi di piccole unità per tenere conto del dire di Dio (teo-logia) nel libro intero2. Ha voluto significare essenzialmente avere in giusta considerazione il momento in cui si deve attraversare la porta della forma finale del testo. Lo ripeto. Non solo sostare davanti ad essa, atomizzando magari ogni singolo particolare di fabbricazione, ma senza sforzarsi di contemplare, di comprendere e di passare (la Pasqua) attraverso le a volte ruvide pareti materiali della sua espressione. E neppure proiettarsi direttamente nell’oltre-la-porta, nella sua ermeneutica con la presunzione di poter navigare da soli, senza ascoltare veramente la carne del testo. Piuttosto si è tentato (certo in maniera probabilmente ancora del tutto provvisoria) di privilegiare questo momento dell’attraversamento della forma del testo biblico, che è il momento della sua composizione, del suo spazio letterario (ed 1

Prefazione a R. MEYNET, L’analisi retorica, 7. Cfr. le suggestioni e le sfide costruttive indirizzare alla metodologia in P. BOVATI, «Il centro assente», 110-112, il quale faceva riferimento a un’idea già segnalata dallo stesso Beauchamp. 2

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La composizione letteraria del Vangelo di Matteo

allora il senso di composizione «letteraria» vuole essere meno di stampo genetico e più di stampo contemplativo, di attenzione a «una letteratura» davvero speciale). Si potrebbe fare riferimento qui a una bella considerazione tratta da un’intervista a José T. Mendonça a proposito di traduzione del testo biblico (tradurre ha pure in qualche modo a che vedere con questo attraversamento della forma): «Il nostro sforzo non deve riguardare [solo] il lettore, trasformando il testo perché sia comprensibile, ma dev’essere quello di presentare il testo com’è, rispettando la forza di quel corpo, della sua natura e anche delle sue difficoltà»3. Certo, non si tratta di un lavoro inedito. Gli studi sulla composizione del Primo Vangelo, sviluppatisi a partire dalla ricerca storico critica delle Forme e della Redazione, sono fioriti sin dall’inizio del secolo trascorso4. Ecco perché la prima parte di questo studio riguarda interamente la disamina delle proposte fatte e una valutazione (si è desiderato che fosse la più attenta possibile) dei criteri utilizzati in questi studi: La questione che davvero interessa è quella dei criteri che supportano il contatto con il testo. L’apertura, non di rado, frammenta, attenua, diminuisce l’intensità in esso contenuta. Diventa perciò indispensabile ascoltare il testo, comprenderlo e rispettarlo nelle direttive che esso emana5.

Dunque, partendo dalla più tradizionale ipotesi dell’influenza marciana sul testo di Matteo, si è passati a considerare i primi sforzi della fivefold e della threefold structure (struttura a cinque o a tre sezioni). Per il primo modello era essenziale legare le unità narrative a quelle altamente significative dei cinque grandi Discorsi presenti nel tessuto del Vangelo (5–7; 10; 13; 18; 24–25). Il secondo, invece, guardava al libro come storia di Gesù, per cui vedeva nel testo tre punti di sviluppo essenziale, in seguito riconosciuto come trama narrativa (1,1–4,16; 4,17–16,20; 16,21–28,20). A partire da questi approcci (visionati tutti all’interno del primo capitolo), si è passati alla disamina dei modelli che cominciavano a privilegiare e a notare alcune strutture espressive proprie del modo di comporre degli antichi: si tratta dei modelli di struttura chiastica e di retorica classica (analizzati nel secondo capitolo). Un’ultima attenzione (nel terzo capitolo) è stata riservata alle proposte più recenti, che in parte hanno ripreso e sviluppato la tradizione. Alla fine della presentazione dei criteri finora utilizzati, si espone brevemente (nel quarto capitolo) lo strumento metodologico per l’analisi della composizione effettuata all’interno di questo volume6: la retorica biblico-semitica. Questo tipo di retorica (intesa come modo di esprimersi proprio di una cultura antica per veicolare un messaggio e un’intenzione),

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J. T. MENDONÇA, La lettura infinita, 177. Si prende qui come punto di riferimento inziale l’articolo di B.W. BACON, «The “Five Books”», del 1918. 5 J. T. MENDONÇA, La lettura infinita, 65. 6 In questo modo si viene a rispondere anche alla terza domanda che apre questa introduzione: Perché il metodo dell’analisi retorica biblica? 4

Introduzione

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intravista secoli prima da alcuni autori del mondo anglosassone7, ha riconosciuto che il campo della Scrittura biblica (non solo del più ovvio spazio veterotestamentario, ma anche per il Nuovo), sia quando narra, sia quando espone, come nella lirica della poesia e della preghiera, è intessuto secondo modalità espressive proprie, segue una dispositio particolare, in molta parte diversa da quella occidentale. La sua struttura essenziale è caratterizzata dalla binarietà o deuterosi (per utilizzare ancora un’altra felice espressione di Beauchamp): le cose sono dette almeno due volte. Più che stimolare la tensione appropriativa del pensiero questa caratteristica della retorica orientale invita alla riflessione, alla contemplazione dell’enigma che innesca la manifestazione della sua soluzione. Essa dà avvio a strutture compositive (fondate sul parallelismo e sul concentrismo) che si intravedono non solo per unità letterarie di breve taglia, ma addirittura per più grandi spazi di composizione come possono essere larghe sezioni del testo, fino al Libro per intero. Tale retorica, studiata per mezzo di molti esempi scritturistici, ha la sua trattazione metodologica nel Trattato di R. Meynet del 2008. La seconda parte dello studio cerca di raccontare e mostrare la scoperta delle grandi sezioni di cui è costituito il Vangelo di Matteo: per poterlo fare si è dovuto mettere in sospeso tutti gli altri risultati esegetici e ascoltare il testo in proprio, utilizzando semplicemente l’aiuto della metodologia. Questo ascolto che ha portato al riconoscimento della struttura compositiva del Libro (considerando anche gli studi effettuati su piccole e più larghe unità del testo matteano già svolti) è narrato in modo inconvenzionale nel quinto capitolo. A esso succede lo studio analitico delle sezioni del Libro evangelico (i capitoli VI–IX), fino alla visione organica e analitica dell’intero testo (nel finale, il capitolo decimo). Per poter svolgere al meglio e mostrare con attenzione le principali relazioni formali e logiche all’interno di ogni sezione riconosciuta del Vangelo, non si è potuto procedere nel modo convenzionale dei commentari della collana, fedeli all’impostazione del Trattato: la composizione del testo ha costituito giustamente la maggior parte degli sforzi, per cui il Contesto e l’Interpretazione sono attesi in un lavoro sistematico differente. Al termine dello studio di ogni sezione, però, un paragrafo finale cerca di delineare in sintesi le linee interpretative che la composizione mette in luce, citando anche sinteticamente la rete contestuale che echeggia dagli altri luoghi della Scrittura (l’intertestualità). Si tratta, quindi, di un lavoro preparatorio che vuole anticipare una vera e propria azione di interpretazione dei vari livelli compositivi (dal passo alla sezione) di cui il Primo Vangelo è costituito. Il lettore, così, sarà più vicino a uno svelamento di senso e potrà fare anche lui un pezzo di strada nel cogliere il messaggio globale8.

7 Si tratta soprattutto di Robert Lowth, John Jebb, Thomas Boys e John Forbes, considerati i fondatori dell’analisi retorica biblica (cfr. R. MEYNET, Trattato, 29-105). 8 Ci si è dovuti limitare a questa direzione per rispettare la natura stessa dello studio: il grosso lavoro dell’analisi compositiva.

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La composizione letteraria del Vangelo di Matteo

Sempre perché il lettore sia aiutato a orientarsi, ogni sezione ha al suo interno delle tavole di composizione che permetteranno di visionare il testo analizzato e di valutare la composizione e le relazioni tra le varie unità letterarie. La pubblicazione delle riscritture9 non è stata sempre semplice, proprio perché si trattava dello studio dei livelli superiori di composizione (che perciò riguardano una quantità più vasta di testo rispetto al passo o alle altre unità inferiori). Anche sulle traduzioni del testo biblico all’interno delle riscritture o del corpo del volume bisogna spendere qualche riga. Nei livelli più esterni, come la sezione, chi pratica l’analisi retorica biblico-semitica non si sente più vincolato alla resa letterale dei termini greci (o ebraici) e al loro preciso ordine sintattico (viene proposta a questi livelli di composizione una traduzione più vicina alle edizioni moderne, attente al linguaggio corrente dei lettori). Qui si è dovuto spessissimo fare la scelta di rimanere nell’adesione stretta al testo greco (perciò come se si trattasse delle riscritture dei passi, dove i termini sono resi il più possibile nel loro significato letterale). In questo modo, il lettore può notare relazioni che una traduzione più fluente non avrebbe permesso. Altre volte, si è deciso di rispettare o di lavorare sulle riscritture e sulle tabelle fatte dagli specialisti che già si sono confrontati con l’analisi retorica di alcune sequenze di Matteo10. All’interno del corpo del testo, invece, dove era necessario per l’esposizione dell’analisi svolta, i termini e le espressioni tradotte sono state accompagnate anche dalla loro traslitterazione dal greco originale. Infine, sul sito della RBS (www.retoricabiblicaesemitica.org) sarà possibile scaricare e stampare la tavola generale della composizione del Vangelo, di modo che il lettore sia aiutato da una mappa generale nella lettura e nell’orientamento (soprattutto per l’ultimo capitolo espositivo, il decimo). Il risultato che si è tentato di raggiungere è il riconoscimento di un textus, una veste finemente ricamata, portatore di significato in quanto luogo della memoria di Gesù. Una carne testuale che è divenuta un Deposito Vivo per la comunità credente, e questo «fino al compimento del tempo» (28,20). Ancora una volta, è bene ribadire che l’attraversamento della porta della forma che qui si propone serve per condurre a un momento decisivo, quello in cui il lettore credente è chiamato a entrare: Un’altra risposta allo sforzo ermeneutico è la concentrazione sul testo. Se il paradigma precedente era il terreno fertile della metodologia diacronica (tesa a illuminare le tappe precedenti al testo attuale, la sua genealogia), ora predominano i

9 Si tratta di tabelle che presentano il testo evangelico a un livello compositivo particolare (come può essere il passo, la sequenza o la sezione), mettendo in risalto la divisione delle unità significative e i rapporti retorici più importanti (Si veda: R. MEYNET, Trattato, 279-340). 10 In ogni modo, bisogna riconoscere in ogni sforzo di traduzione lo sbilanciamento del principio di entropia: nel passaggio da una lingua (antica) a un altra la resa dei termini e delle espressioni perde sempre un margine (spesso importante) di valore. Per i richiami contestuali (nel corpo del testo), si è preferito talvolta seguire il testo della versione italiana della Bibbia di Gerusalemme (CEI 2008), ma il più delle volte si è cercato di fare una traduzione propria.

Introduzione

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metodi di taglio sincronico11, che affrontano il testo come totalità, nella sua doppia componente discorsiva e narrativa. Il testo è inteso come base fondamentale di significato. Nasce da un autore, certo, ma è anche una realtà autonoma, che ha consistenza propria, è un sistema organico di forme di significato (verbali e non solo). Si può dire che nel testo tutto è semantico, significativo. Non solo le sue parti (la microstruttura), poiché il testo non è soltanto un elenco di frasi in successione, ma anche unità totale (la macrostruttura). Il senso si costruisce come una rete che regge la globalità degli elementi testuali. Inoltre, il testo riferisce un’esperienza umana nella sua complessità, creando un universo proprio, nel quale siamo invitati ad entrare12.

Matteo è essenzialmente un libro che parla di generazione attraverso l’insegnamento, e il pensiero e il cuore di chi scrive ora non può che andare con gratitudine e affetto a coloro che si sono fatti maestri, e perciò padri. A quelli incontrati nella vita: amici e padri nella fede. In particolare, a chi mi ha fatto scoprire la retorica biblico-semitica e mi ha fatto rinascere ancora una volta nell’incontro con la Parola di Dio, il padre R. Meynet. E a chi, insieme a lui, mi ha accompagnato con tanta pazienza e attenzione in questo lavoro, segnandolo anche con la propria offerta, il padre J. Oniszczuk. Lo raggiungano (erano passati davvero pochi giorni dal distacco terreno quando misi il punto alle bozze della Dissertazione in teologia biblica) la stima e l’affetto. Lo raggiungano lì dove con il Messia Emmanuele egli vive, nell’Alleanza Nuova ed Eterna verso la quale tutti siamo protesi, Israele e le Nazioni. Questo studio lo ricordi, sempre, come un discepolo-scriba che è riuscito a diventare come il suo Signore: «Per questo ogni scriba, diventato discepolo al Regno dei Cieli, è simile a un uomo padrone di casa, che estrae fuori dal suo tesoro cose nuove e antiche» (Mt 13,52).

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Si osa qui dire, però, che questo tempo di attenzione e forse di predominio sincronico non deve assolutamente disconoscere i momenti principali e fondativi di uno studio genetico del testo. 12 J. T. MENDONÇA, La lettura infinita, 31.

SIGLE E ABBREVIAZIONI

ABD AcChr Allen AncB AnGr AT AThR BDAG

BCR(B) BeO BECNT BEThL Bib BiBi(B) BIS BTB Bsac BZNW c. ca. cap. cc. CBi(B) CBQ CD cfr. CJJC CNT CP.NT CTJ d.C.

Anchor Bible Dictionary Academia Christiana. Madrid ALLEN, W.C., A Critical and Exegetical Commentary on the Gospel According to S. Matthew, ICC, Edinburgh 19473. Anchor Bible Commentaries Analecta Gregoriana Antico Testamento Anglican Theological Review ARNDT, W.F. – GINGRICH, F.W. – DANKER, F.W., A Greek-English Lexicon of the New Testament and Other Early Christian Literature, Chicago – London, 1975, 20003. Biblioteca di cultura religiosa. Brescia Bibbia e Oriente Baker Exegetical Commentary on the New Testament Bibliotheca ephemeridum theologicarum lovaniensium Biblica. Roma Biblioteca biblica. Brescia Biblical Interpretation Series Biblical Theology Bulletin Bibliotheca Sacra Beihefte zur Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft und die Kunde der älteren Kirche capitolo, all’interno del testo circa capitolo, all’interno delle intestazioni capitoli Collana Biblica. Bologna Catholic Biblical Quarterly Documenti della Genizah del Cairo confronta Collection Jésus et Jésus-Christ Commentaire du Nouveau Testament Commentario Paideia Nuovo Testamento Calvin Theological Journal dopo Cristo

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La composizione letteraria del Vangelo di Matteo

Davies – Allison

Deut. Ecclus. ed. EKK EncBib EtB ETL et al. etc. Exp. Fabris FAT2 FV GLAT GLNT gr. Gr. Hagner HTS IBC ICC ing. Interp. JBL JR JSNT JSNT.S JTS Lagrange LeDiv

ALLISON, D.C.J. – DAVIES, W.D., A Critical and Exegetical Commentary on the Gospel According to Saint Matthew I. Introduction and Commentary on Matthew 1– 7. II. Commentary on Matthew 8–18. III. Commentary on Matthew 19–28, ICC, Edinburgh 1988, 1991, 1997. Libro del Deuteronomio, in GLNT Libro del Siracide, in GLNT editore/i Evangelisch-Katholischer Kommentar zum Neuen Testament Enciclopedia della Bibbia Études bibliques Ephemerides theologicae lovanienses. Louvain et alii (ovvero: e altri) etcetera (ovvero eccetera) Expositor. London FABRIS, R., Matteo, traduzione e commento, Commenti biblici, Roma 1982. Forschungen zum Alten Testament 2. Reihe Foi et Vie BORBONE, P.G. – al., ed., Grande Lessico dell’Antico Testamento, I-X, Brescia 1988-2010. MONTAGNINI, F. – SCARPAT, G., ed., Grande Lessico del Nuovo Testamento, I-XVI, Brescia 1965-1992. (dal) greco Gregorianum HAGNER, D.A., Matthew. I. 1–13. II. 14–28, WBC 33, Dallas (TX) 1993, 1995. Hervormde teologiese studies Interpretation. A Bible Commentary for Teaching and Preaching International Critical Commentary (on the Holy Scriptures) inglese Interpretation. Richmond, Virginia Journal of Biblical Literature Journal of Religion Journal for the Study of the New Testament Journal for the Study of the New Testament. Supplement Series Journal of Theological Studies LAGRANGE, M.-J., Évangile selon saint Matthieu, EtB, Paris 19273. Lectio divina

Sigle e abbreviazioni lett. LNTS Luz

LV.F LXX m. Ḥag. Mello MesSal NA NAC Neot NICNT NRTh nt. NTD NTS p. pp. per es. ParDi PBT(R) PGC Radermakers

RB RBS RBSem ReBib ReBibSem repr. RevSR RhBib RhSem RivBib SBFLA Sipre Num. SpBi

letteralmente Library of New Testament Studies LUZ, U., Das Evangelium nach Matthäus, I-IV, EKK, 1/1-4, Zürich 1985, 1990, 1997, 2002; trad. italiana, Vangelo di Matteo, I-IV, CP.NT 1-4, Brescia 2006, 2010, 2013, 2014. Lumen Vitae. Édition française Septuaginta Mishnah Ḥagiga MELLO, A., Evangelo secondo Matteo. Commento midrashico e narrativo, SpBi, Magnano 1995. Il messaggio della salvezza NESTLE –ALAND, Novum Testamentum Graece, Stuttgart 199327, 201228. The New American Commentary Neotestamentica New International Commentary on the New Testament Nouvelle revue théologique. Louvain nota Das Neue Testament Deutsch New Testament Studies. London pagina pagine per esempio Parole de Dieu Piccola biblioteca teologica. Roma Pelican Gospel Commentaries RADERMAKERS, J., Au fil de l’évangile selon saint Matthieu, Heverlee - Louvain 1972; trad. italiana, Lettura pastorale del Vangelo di Matteo, Lettura pastorale della Bibbia, Bologna 19863. Revue Biblique Retorica Biblica e Semitica Rhetorica Biblica et Semitica. Leuven Retorica Biblica. Roma – Bologna Retorica Biblica e Semitica. Roma reprint/ristampa Revue des sciences religieuses. Strasbourg Rhétorique Biblique. Paris Rhétorique Sémitique. Paris – Pendé Rivista biblica Studii biblici franciscani liber annuus Sipre al Libro dei Numeri Spiritualità biblica

16 ss. StRBS StEv TG.T ThD TM trad. TU TWAT TWNT TynB v. vv. WBC 1Qsa

La composizione letteraria del Vangelo di Matteo versetti seguenti Studia Rhetorica Biblica et Semitica Studia Evangelica: papers presented to the International Congresses on New Testament Studies held at Christ Church. Oxford 1957-1973 Tesi Gregoriana. Serie Teologia Theology Digest Testo masoretico Traduzione Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur BOTTERWEK, G.J. – RINGGREN, H. – FABRY, H.-J., ed., Theologisches Wörterbuch zum Alten Testament, I-X, Stuttgart 1970-2000. KITTEL, G. – FRIEDRICH, G., ed., Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament, I-X, Stuttgart 19331979. Tyndale Bulletin versetto versetti World Biblical Commentary Appendice A (Regola della Congregazione) alla Serek hayyaḥad di Qumran

GLOSSARIO DEI TERMINI TECNICI 1. TERMINI CHE INDICANO LE UNITÀ RETORICHE Capita spesso, nelle opere esegetiche, che i termini «sezione», «passo», ma soprattutto «brano», «parte», non vengano utilizzati in modo univoco. Ecco l’elenco dei termini che indicano le unità testuali ai loro successivi livelli. I LIVELLI «INFERIORI» (O NON AUTONOMI) A parte le prime due (il termine e il membro), le unità dei livelli inferiori sono formate da una, due o tre unità del livello precedente. TERMINE

il termine corrisponde generalmente a un «lessema», ossia una parola che appartiene al lessico: sostantivo, aggettivo, verbo, avverbio.

MEMBRO

il membro è un sintagma, o gruppo di «termini» connessi tra loro mediante stretti rapporti sintattici. Il «membro» è l’unità retorica minima; può anche capitare che il membro comprenda un solo termine (il termine di origine greca è «stico»).

SEGMENTO

il segmento comprende uno, due o tre membri; si parlerà di segmento «unimembro» (il termine di origine greca è «monostico»), di segmento «bimembro» (o « distico») e di segmento «trimembro» (o « tristico»).

BRANO

il brano comprende uno, due o tre segmenti.

PARTE

la parte comprende uno, due o tre brani.

I LIVELLI «SUPERIORI» (O AUTONOMI) Sono tutti formati o da una o da più unità del livello precedente. PASSO

il passo – equivalente della «pericope» degli esegeti – è formato da una o da più parti.

SEQUENZA

la sequenza è formata da una o da più passi.

SEZIONE

la sezione è formata da una o da più sequenze.

LIBRO

infine il libro è formato da una o da più sezioni.

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La composizione letteraria del Vangelo di Matteo

È talvolta necessario ricorrere ai livelli intermedi della «sottoparte», della «sottosequenza» e della «sottosezione»; queste unità intermedie hanno la stessa definizione della parte, della sequenza e della sezione. VERSANTE

complesso testuale che precede o segue il centro di una costruzione; se il centro è bipartito, il versante corrisponde a ciascuna della due metà della costruzione.

2. TERMINI CHE INDICANO I RAPPORTI TRA LE UNITÀ SIMMETRICHE SIMMETRIE TOTALI COSTRUZIONE PARALLELA

figura di composizione in cui le unità in rapporto due a due sono disposte in modo parallelo: A B C D E | A’B’C’D’E’. Quando due unità parallele tra loro incorniciano un unico elemento, si parla di parallelismo per designare la simmetria tra queste due unità, ma l’insieme viene considerato (l’unità di livello superiore) come una costruzione concentrica: A | x | A’. La «costruzione parallela», è detta anche «parallelismo» (che si oppone a «concentrismo»).

COSTRUZIONE SPECULARE

figura di composizione in cui le unità in rapporto due a due sono disposte in modo antiparallelo o «a specchio»: A B C D E | E’D’C’B’A’. Come la costruzione parallela, la costruzione speculare non ha un centro; come la costruzione concentrica, gli elementi in rapporto si corrispondono a specchio. Quando la costruzione comprende soltanto quattro unità, si può parlare anche di «chiasmo»: A B | B’A’.

COSTRUZIONE CONCENTRICA

figura di composizione in cui le unità simmetriche sono disposte in modo concentrico: A B C D E | x | E’D’C’B’A’, intorno a un elemento centrale (questo elemento può essere un’unità di uno qualsiasi dei livelli di organizzazione testuale). La «costruzione concentrica», è detta anche «concentrismo» (che si oppone a «parallelismo»).

COSTRUZIONE ELITTICA

figura di composizione in cui i due fuochi dell’elisse articolano le altre unità testuali: A | x | B | x | A’.

Glossario dei termini tecnici

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SIMMETRIE PARZIALI TERMINI INIZIALI

termini o sintagmi identici o simili che indicano l’inizio di unità testuali simmetriche; l’«anafora» della retorica classica.

TERMINI FINALI

termini o sintagmi identici o simili che indicano la fine di unità testuali simmetriche; l’«epifora» della retorica classica.

TERMINI ESTREMI

termini o sintagmi identici o simili che indicano le estremità di un’unità testuale; l’«inclusione» dell’esegesi tradizionale.

TERMINI MEDI

termini o sintagmi identici o simili che indicano la fine di un’unità testuale e l’inizio dell’unità che gli è simmetrica; la «parola gancio» dell’esegesi tradizionale.

TERMINI CENTRALI

termini o sintagmi identici o simili che segnano i centri delle due unità testuali simmetriche.

Per maggiori dettagli, vedi R. MEYNET, Trattato di retorica biblica, Retorica Biblica 10, Bologna 2008.

REGOLE PRINCIPALI DI RISCRITTURA – all’interno del membro, i termini sono generalmente separati da spazi; – ogni membro è generalmente riscritto su di una sola riga; – i segmenti sono separati da una riga bianca; – i brani sono separati da una riga tratteggiata; – la parte è delimitata da due filetti; lo stesso vale per le sottoparti. – all’interno del passo, le parti sono incorniciate (salvo che non siano molto corte, come un’introduzione o una conclusione); le eventuali sottoparti sono disposte in cornici contigue; – all’interno della sequenza o della sottosequenza, i passi, riscritti in prosa, sono disposti in cornici separate da una riga bianca; – all’interno della sequenza, i passi di una sottosequenza sono disposti in cornici contigue. Per le regole di riscrittura, si veda il Trattato, cap. 5, 279-340 (sulla riscrittura delle tavole sinottiche, si veda cap. 9, 467-504).

PRIMA PARTE

STORIA DELLA RICERCA E PREMESSE DI METODO

Capitolo I I PRIMI PASSI DELLA RICERCA SULLA COMPOSIZIONE DEL VANGELO

La maggior parte dei ricercatori antichi e moderni ha ritenuto che il Vangelo di Matteo presenti un progetto strutturale accurato e compatto: «si ha l’impressione che l’autore metta insieme il suo Vangelo con la precisione di un orologio svizzero»1. Matteo sembra essere «fra gli evangelisti quello maggiormente preoccupato della struttura del suo libro»2. Introdursi perciò nella sua lettura o nel suo ascolto, ma soprattutto approfondire l’analisi di piccoli e grandi tratti del suo testo, permette di percepire un tessuto abbastanza organico e una sistemazione particolare ben ordinata delle sue unità3. Quando però molti di questi stessi ricercatori cercano di definire la strutturazione vera e propria del Vangelo, le difficoltà e la confusione mettono qualsiasi lettore a dura prova. Lo evidenziava già Rinaldo Fabris, nel suo commentario: Sulla struttura organica e sistematica del primo vangelo c’è in linea di massima un comune accordo tra gli studiosi e commentatori sia antichi sia moderni. Le divergenze incominciano tra i moderni quando si tratta di ricostruire la struttura o piano del vangelo di Matteo. La disparità delle ipotesi proposte dipende dalla diversità dei criteri assunti per queste ricostruzioni: criterio bio-geografico, storico-drammatico, 1

P.F. ELLIS, Matthew, 19. Il testo è citato in T.J. KEEGAN, «Introductory Formulae», 417. G. MICHELINI, «La struttura del Vangelo secondo Matteo», 313. Si tratta di un articolo recente, che focalizza in maniera sintetica ma ben articolata il panorama storico e tematico della ricerca sulla struttura del Primo Vangelo. È chiaramente convenzionale parlare di «Matteo» come autore del Vangelo. Allineandoci con la tradizione cristiana del I secolo d.C. che lo vede evangelista e produttore del Libro, non abbiamo scientificamente alcuna certezza, né storicamente alcun autografo. Matteo (o Mt) coincide in ogni caso con l’autore cristiano ispirato che sottende al Primo Vangelo canonico. 3 L’architettura attenta all’ordine e alla forma si intuisce sicuramente già nelle prime battute del Libro: la genealogia che apre il Vangelo (1,1-17) è presentata dallo stesso autore come successione bilanciata di tre periodi, con una particolare (e per alcuni aspetti problematica) scansione di «quattordici generazioni» per ognuno di essi (cfr. 1,17). Così, nella narrativa subito successiva, l’episodio del sogno di Giuseppe che riceve istruzioni dall’angelo su Maria e sul bambino prima della nascita (1,18-25) è ripetuto e amplificato poco dopo da altri due episodi della stessa natura, che determinano la fuga in Egitto e il ritorno in Israele (2,13-23). Ancora andando oltre, il lettore non mancherà di notare come a lunghe parti narrative succedono grandi (per importanza) e più lunghi Discorsi di Gesù. 2

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Storia della ricerca e premesse di metodo teologico-dottrinale, o tematico-letterario. Questo problema si complica per il fatto che interviene una seconda incognita o variante altrettanto discussa: il rapporto di Matteo da una parte con gli altri due vangeli sinottici, per la loro affinità e simmetria, Marco e Luca, e dall’altra con la tradizione evangelica per le parti non corrispondenti ai due suddetti vangeli. È interamente libero Matteo nell’organizzare il suo materiale oppure è vincolato e condizionato dalla struttura che questo ha già ricevuto nella tradizione precedente e negli altri vangeli?4

Il problema principale sembra dunque essere quello dei criteri utilizzati nella ricostruzione operata dagli esegeti moderni. È necessario infatti evidenziare come spesso questi criteri non abbiano portato soltanto a differenti risultati (con la pena di avere molta confusione sulla questione), quanto siano stati abbastanza discordanti nelle loro stesse premesse. In modo particolare, si sono misurati con un concetto fluttuante di struttura che può mutare da un ricercatore all’altro, come da una prospettiva (metodologica) all’altra. Di volta in volta, infatti, la struttura letteraria del Vangelo sarà ritenuta come organizzazione di materiali in possesso dell’autore o redattore finale5, che li ha correlati o compilati secondo una sua determinata intenzione; o ancora come il complesso architettonico dell’opera letteraria stessa (presa nel suo aspetto canonico finale), basato su evidenze formali oggettive che il testo stesso presenta e il cui gioco di interrelazioni va ricercato e analizzato; oppure ancora come un piano/profilo di esposizione o di crescita a base tematica; e infine come lo svolgersi di una trama (o intrigo), il cui sviluppo è segnato da quelle svolte che infittiscono e risolvono la storia narrata e conducono il lettore via via nel suo svolgimento, fino alla sua conclusione6. Evidentemente, man mano che cresceva, la ricerca ha potuto stabilire alcuni punti fermi, alcuni contributi capitali, o rilevare alcune caratteristiche strutturanti oggettive, dalle quali oggi non è più possibile (almeno) prescindere in un lavoro di ricostruzione della struttura letteraria dell’intero Vangelo. Resta però il fatto che questi diversi criteri assunti su un medesimo testo abbiano generato una svariata quantità di visioni, spesso senza essere abbastanza convincenti, tant’è che la questione della struttura letteraria del Vangelo rimane. Un primo importante passo, allora, sarà quello di soffermarsi sui più importanti di essi, per sottolineare i loro punti di forza, ma anche evidenziare le perplessità che hanno generato e tuttora generano negli specialisti. 4

Fabris, 15. J.-C. INGELAERE, «Structure de Matthieu», 10: «Diciamo subito che in questa frase, come nelle pagine che seguiranno, la parola “struttura” non è presa nel senso tecnico che gli conferiscono gli strutturalisti, quando intraprendono lo studio delle “strutture profonde” di un testo. Rimaniamo qui a ciò che costituisce per loro la “superficie” del testo, e intendiamo con “struttura” l’organizzazione dei materiali, la composizione d’insieme dell’opera, la sua costruzione» (trad. propria). 6 Così ancora si esprime D.L. Barr: «Il concetto di struttura è usato in vari modi; io lo userò per riferirmi al complesso architettonico dell’opera letteraria. In ciò differisce, da una parte, da un profilo (sia tematico sia attuale) e dall’altra, dalla trama» (cfr. D.L. BARR, «The Drama of Matthew’s Gospel», 349-350, trad. propria). 5

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L’altra variante cui Fabris accennava, e che pesa sulla direzione della nostra ricerca è l’evidenza inoppugnabile di una relazione, proprio a livello di strutturazione oltre che di formazione7, tra il Primo Vangelo e gli altri sinottici. In modo del tutto particolare, il Vangelo di Matteo risente direttamente, nella sua strutturazione, dell’organizzazione testuale del Vangelo di Marco. Ciò sembra essere un dato di fatto ormai consolidato e comprovato (il lettore se ne potrà rendere conto dalla lettura dei principali commentari al Vangelo). Perciò, il primo elemento su cui sembra importante soffermarsi è il fenomeno della cosiddetta strutturalità marciana del Vangelo di Matteo, (ovvero la sua dipendenza strutturale-narrativa dal secondo Vangelo canonico). Dopo questo incipit, sarà possibile carrellare i vari contributi e i vari criteri che hanno operato nelle analisi di strutturazione letteraria presentate dalla riflessione esegetica degli ultimi secoli. Lo studio fatto dai ricercatori è stato progressivo e comunicativo, per cui non è possibile visionarli solamente in maniera diacronica. Neppure si può evidentemente chiuderli in gruppi troppo chiusi, ognuno dei quali possa essersi espresso in un modello finito e autosufficiente, direttamente criticato o negato dagli altri8. In realtà, come è stato detto, gli studiosi erano in comunicazione, in parte criticando ma in parte anche integrando o sviluppando il proprio apporto a partire da ciò che era stato già scoperto e proposto. Per un’onesta illustrazione, perciò, i modelli veri e propri (e si potrebbe dire le proposte iniziali) saranno sempre accompagnati o seguiti dai loro sviluppi. I. LA STRUTTURALITÀ MARCIANA 1. MATTEO CHE COMPONE DA MARCO9 Lo studio della questione sinottica ha ampiamente evidenziato la complementarietà letteraria e genetica dei Vangeli. Confrontandoli in maniera dettagliata, tuttavia, emerge una maggiore vicinanza tra i primi due, tale da poter ipotizzare che il Vangelo di Matteo debba moltissimo a quello di Marco, e che anzi ne sia dipendente per una parte consistente della sua strutturazione, e molto 7

Si tratta tuttavia di toccare solo marginalmente in questa ricerca le questioni di Redaktionsgeschichte. Il nostro vero scopo consiste nel tentativo di ricercare una struttura letteraria del Vangelo, e perciò di fornire un’analisi della composizione (finale) del Libro piuttosto che della ricostruzione dei processi storico-genetici di tale composizione. 8 Storia della ricerca e studio dei modelli di struttura saranno perciò intessuti insieme, giacché ogni modello ha uno sviluppo e un’evoluzione determinati (che non può non essere presentato in cronologia) ma s’inserisce anche in una riflessione più estesa, che abbraccia anche quegli altri modelli che si presentavano ora come risposta, ora come critica, ora come proposta a quanto già era emerso. 9 Per la complessità della questione si fa riferimento alla sua trattazione in alcuni commentari significativi: Allen, 13-40; Lagrange, 32-77; X. LÉON-DUFOUR, «Le fait synoptique», 283-286; C.M. MARTINI, «Introduzione al vangelo secondo Matteo», 120-124. Una proposta più recente, che tiene conto della dipendenza marciana per risalire a una strutturazione del Vangelo di Matteo si può trovare in J.-C. INGELAERE, «Structure de Matthieu», 27-33. Infine, sulla storia della redazione del Vangelo: F. NEIRYNCK, «La redazione matteana e la struttura», 72-96.

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più di Luca. Per i ricercatori che prendono in considerazione questo dato come punto di partenza per la determinazione della composizione del Vangelo, «la struttura di Matteo sarebbe precisamente quella di Marco, con delle aggiunte»10. Evidentemente, questo fenomeno della strutturalità marciana poggia le proprie basi teoriche sulla Teoria Documentaria dei Vangeli e sugli studi particolari della critica letteraria tradizionale: Matteo avrebbe avuto accesso al Vangelo di Marco pressappoco nella versione in cui lo si può leggere oggi11, e avrebbe redatto il suo testo seguendo la composizione marciana, ampliandola e organizzandola assieme ad altre fonti scritte o provenienti dalla tradizione orale delle comunità. La più famosa di queste fonti, supposta dalla critica letteraria, è la celebre fonte Q, contenente i logia di Gesù: Matteo l’avrebbe sistemata in maniera personale, agglomerando tale materiale in discorsi di lunga taglia o inserendolo nel filo narrativo di Marco. A tutto questo, egli avrebbe aggiunto anche materiale di tradizione propria. In realtà, si tratta di un’esposizione molto sintetica di un problema ben più complesso: non mancano le ipotesi che designano l’autore del Primo Vangelo come il compilatore della stessa fonte dei logia, o la teoria di redazione secondo la quale l’attuale Vangelo in greco sia opera di un traduttore-editore che si sarebbe basato a sua volta su di un precedente prototipo aramaico, da cui per altro proverrebbero tutti gli ampliamenti riscontrati nel Vangelo canonico12. Ovviamente, per lo studio della Redaktionsgeschichte, che tenta di ricostruire la storia di composizione di un testo antico come il Primo Vangelo, soffermandosi su tutte le fasi del suo sviluppo, Matteo non sarebbe un vero autore, ma piuttosto è ritenuto e chiamato «editore/compilatore» del suo Vangelo13. 10 Lagrange, 24. Così anche Léon-Dufour: «I materiali di Mc sono stati quasi tutti integrati da Mt. Solo alcuni versetti, una quarantina su 675 all’incirca, sono stati omessi. A questi materiali, Mt ha aggiunto un gran numero di tradizioni supplementari. A volte, egli ha proceduto come Lc, inserendoli nelle pericopi di Mc: così Mt 12,30.33-45; 17,24-27; 19,10-12; 20,1-16; 21,28-32, etc.; più spesso, li ha raggruppati secondo i temi “compilando” la sua tradizione particolare nella tradizione marciana: così in 12,1-8.9-14; 14,22-33; 16,13-20; o componendo i grandi discorsi (10; 13; 18; 23–25) e l’insieme dei miracoli dei capitoli 8–9» (X. LÉON-DUFOUR, «Le fait synoptique», 283-284). 11 Lagrange, 31. 12 «Matteo dunque ordinò i discorsi in dialetto ebraico, e ognuno li interpretò come poté». È il famoso testo di Papia di Gerapoli, riferito da Eusebio di Cesarea (Storia ecclesiastica, III, 39,16) dal quale è stata ipotizzata la composizione di un primo vangelo in aramaico, in cui predominavano i detti di Gesù, e a cui è succeduta una seconda edizione greca. «La maggioranza degli esegeti ritiene che l’edizione greca del vangelo di Matteo, che sola ci è stata conservata, dipenda dalla versione di Marco, da una fonte antica chiamata Quelle (o Q) contenente solo delle parole di Gesù, e da documenti a lui propri (Sondergut matteano); taluni pensano che il vangelo di Marco sia stato a sua volta influenzato dalla prima redazione, aramaica, di Matteo. Sono delle ipotesi che gli studiosi cercano di verificare, per mezzo di minuziosi raffronti tra i vangeli sinottici» (Radermakers, 7). 13 Eppure, Lagrange stesso teneva a sottolineare: «Ora, non è il caso [...] di prendere Mt. per un compilatore. Il suo stile è, nel suo genere, così costante come quello di Mc. e molto più schematico» (Lagrange, 38). È bene ripetersi: per l’intento di questo studio (che cercherà di riconoscere la composizione letteraria finale del Vangelo) è pericoloso e probabilmente fuorviante

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Per quanto riguarda il piano della composizione, l’evangelista avrebbe lavorato secondo una certa libertà per i primi 13 capitoli del suo libro14 cercando di raggruppare insieme materiali connessi (per esempio i capitoli 8–9 sono un chiaro raggruppamento di racconti di miracoli che vogliono tratteggiare l’attività taumaturgica di Gesù). Queste «alterazioni» libere nell’ordine compositivo della prima metà del Vangelo (che comunque seguono il filo della tradizione sul ministero di Gesù in Galilea), non sarebbero certamente «arbitrarie né senza ragione, ma seguono lo schema sul quale l’editore ha costruito questa prima parte del suo Vangelo»15. È invece a partire da Mt 13 che egli avrebbe sostanzialmente ricalcato Marco, con qualche limitata interpolazione propria. Seguendo perciò la struttura di quest’ultimo (strutturalità marciana), anche per il Vangelo di Matteo le tappe cruciali della composizione finale sarebbero da valutare a partire dalla sfera delle azioni di Gesù. Si tratta di una consequenzialità strutturante di tipo biografico-geografico16: si seguiranno perciò i movimenti che Gesù compie dalla Galilea alla Giudea, nonché il dramma che si delinea man mano nel passaggio da Israele alla nuova comunità dei discepoli. Volendo riassumere, si potrebbe sintetizzare una composizione in sei sezioni. Nelle prime tre sezioni, Matteo avrebbe lavorato con maggiore autonomia, pur rispettando una certa fluidità desunta da Marco; nelle ultime tre invece avrebbe sostanzialmente ricalcato il suo ordine narrativo e compositivo17: utilizzare i sostantivi «autore», «editore» ed «evangelista» in maniera equivalente. È chiaro invece che per la Redaktionsgeschichte l’evangelista o l’autore del testo canonico è, il più delle volte, il suo editore finale. 14 Per altri, già a partire dal capitolo 12 l’influenza marciana si farebbe sentire maggiormente (cfr. J.-C. INGELAERE, «Structure de Matthieu», 28). 15 Allen, 14. L’editore avrebbe lavorato a partire da uno schema (intenzionale?) per la redazione del Vangelo, trattando con una certa ratio il materiale che lo ha preceduto. 16 Tra i commentari più recenti che adottano questo tipo di strutturazione del Vangelo i più rilevanti sono: R.T. FRANCE, The Gospel of Matthew (del 2007) e E. SCHWEIZER, Il Vangelo secondo Matteo (ed. italiana del 2001). 17 Oltre al piano presentato di seguito, altri modelli di strutturazione tradizionali, pur restando fedeli ai dati geografici e ai dati biografico-storici, permettono di giudicare il Vangelo di Matteo (un po’ alla stregua di quanto ha fatto Luca con la saga di Vangelo e Atti) nella prospettiva della storia della salvezza. Si può così pensare a una struttura basata sui soli movimenti di Gesù: Infanzia e preparazione (1,1–4,11) I. Gesù in Galilea (4,12–13,58) II. Viaggi di Gesù attraverso la Galilea, le regioni vicine e Gerusalemme (14,1–20,34) III. Gesù a Gerusalemme (21,1–27,66) Conclusione (28,1-20) Oppure, tenendo conto dell’importanza teologica di 19,1 (che segnerebbe un passaggio importante e decisivo dalla Galilea verso la Giudea e storicamente verso il compimento del piano preparato da Dio) sostenere una visione del Primo Vangelo proprio nella linea della historia salutis: I. Preistoria del Messia (1–2) II. Attività del Messia in Galilea (3-18) III. Attività del Messia in Giudea (19-25) IV. Condanna, morte e risurrezione del Messia (26–28)

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I.

Mt 1–2

Origini di Gesù: sue peregrinazioni da Betlemme a Nazareth

II.

Mt 3,1–4,11

Preparazione e investitura messianica

III.

Mt 4,12–13,58

Manifestazione e predicazione di Cristo in Galilea: prime tensioni

IV.

Mt 14,1–20,16

Preludio della fondazione della Chiesa alla periferia della Galilea, verso Gerusalemme

V.

Mt 20,17–25,46

Ministero e tensione drammatica a Gerusalemme

VI.

Mt 26–28

Passione e Resurrezione: mandato verso le Nazioni

2. IL CASO DEI «DOPPIONI» Lo studio del fenomeno della strutturalità marciana del Vangelo di Matteo evidenziò alcune forme di alterazione al testo di Marco che, al di là di una certa somiglianza nell’ordine, ponevano più di qualche problema18. È il caso particolare dei cosiddetti doppioni. Matteo tende infatti a ripresentare, o meglio a ripetere (nello scorrere del suo testo) alcuni versetti già battuti, e il più delle volte verbatim, ovvero parola per parola. Quando compie quest’operazione di doppiatura, l’editore farebbe riferimento in maniera stringente alla sua fonte (Marco), avendo già utilizzato lo stesso materiale nel suo precedente lavoro di redazione. Insomma, la doppiatura è dovuta o a una influenza diretta di Marco in entrambi i casi, con maggiore fedeltà per la seconda delle ripetizioni (e rimarrebbe dunque la questione del perché il Vangelo debba così ripetersi), o più spesso al fatto che l’editore abbia dovuto seguire strettamente la struttura di Marco a partire dalla seconda metà del suo Libro, non preoccupandosi così di ripetere dei versetti che egli aveva già utilizzato nella sezione precedente. Naturalmente, il lavoro di scrutatio dei doppioni operato dai ricercatori distinse da subito ciò che appariva una testimonianza di dipendenza dalla fonte da ciò che doveva essere una caratteristica propria del testo matteano: a) innanzitutto alcune ripetizioni tipiche, che avevano la funzione evidente di ritornello nello sviluppo compositivo del Vangelo (ad esempio la citazione di Os 6,6 in Mt 9,13 e 12,7: «Misericordia voglio e non sacrifici»; cfr. anche Mt 8,12 e 13,42.50); b) le cosiddette inclusioni, che inquadrano alcune piccole o grandi unità letterarie (per esempio la locuzione «perché di essi è il Regno dei cieli» che Questo tipo di modelli che fanno riferimento allo scenario teologico della historia salutis sono qui semplicemente sintetizzati. Si rimanda alla ricca biografia e alla trattazione di J.-C. INGELAERE, «Structure de Matthieu», 16-20. 18 Per una visione completa delle alterazioni che Matteo avrebbe apportato alla fonte di Marco si può fare riferimento ancora a Lagrange, 32-77 e ad Allen, 13-11. P. Bonnard giunge a parlare di reinterpretazione comunitaria delle fonti a partire dallo studio delle alterazioni di Matteo su Marco nei racconti della Passione (cfr. P. BONNARD, L’évangile selon Saint Matthieu, 8-9).

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inquadra bene le Beatitudini in 5,3-10; o il detto dei primi e degli ultimi che crea un’inclusione tra 19,30 e 20,16); c) «Matteo ha composto dei grandi discorsi, e i critici ammettono molto volentieri che egli vi abbia fatto figurare delle parole pronunciate in altre circostanze»19, per cui, in questi casi, non sarebbe stato strettamente costretto da Marco. Restavano tuttavia una serie di doppioni, una ventina in tutto, in cui il nesso con Marco sembrava abbastanza evidente. Perché Matteo, seguendo Marco, avrebbe ritenuto necessario ripetersi? Si trattava davvero soltanto di fedeltà alla fonte marciana che l’editore avrebbe dovuto seguire da un certo punto sine exceptione? Matteo non avrebbe tenuto in debito conto il fatto di aver già inserito nel testo il materiale ripresentato? In questa sede è possibile fare qualche esempio per mostrare la complessità della questione. Il primo è un logion di Gesù sullo scandalo provocato da un membro del corpo. Tale detto è pronunciato nel Primo Vangelo all’interno del Discorso della montagna (5,1–7,29: in 5,29-30), ed è ripetuto in seguito nel Discorso sulla vita fraterna (18,1-35: in 18,8-9). Nell’ultimo caso però, Matteo sembrerebbe aver ripreso più strettamente Mc 9,43.45.47: Mt 18,8-9 8

Mc 9,43-47

Se poi LA MANO TUA O IL PIEDE TUO scandalizza te, taglia (ekkopson) ESSO e getta da te: bello a te è (kalon soi estin)

43

ENTRARE NELLA VITA MONCO O ZOPPO CHE DUE MANI O DUE PIEDI AVENTE ESSERE GETTATO NEL FUOCO eterno.

MONCO ENTRARE NELLA VITA CHE LE DUE MANI AVENTE , NEL FUOCO

E se ti scandalizzasse LA MANO TUA,

taglia (apokopson) ESSA: bello è per te (kalon estin se)

inestinguibile. [44] 45

E se IL PIEDE TUO scandalizzasse te, taglia (apokopson) ESSO: bello è per te (kalon estin se) ENTRARE NELLA VITA ZOPPO CHE I DUE PIEDI AVENTE ESSERE GETTATO [46]

.

9

E se L’OCCHIO TUO scandalizza te, cava (exele) ESSO e getta da te: bello a te è (kalon soi estin) GUERCIO nella vita entrare

E se L’OCCHIO TUO scandalizzasse te, getta-via (ekbale) ESSO: bello per te è (kalon se estin) GUERCIO entrare nel Regno di Dio

CHE DUE OCCHI AVENTE ESSERE GETTATO

CHE DUE OCCHI AVENTE ESSERE GETTATO

del fuoco.

19

Lagrange, 50.

47

.

30

Storia della ricerca e premesse di metodo

Il logion sembra essere stato mantenuto intatto nella sua essenzialità: l’ordine della scansione «mano» (Mt 18,8; Mc 9,43), «piede» (Mt 18,8; Mc 9,45), «occhio» (Mt 18,9; Mc 9,47) è rispettato da Matteo, sebbene le prime due illustrazioni siano state economizzate, così che il caso della «mano» e del «piede» si trovano insieme. Anche l’ordine sintattico è osservato: per entrambi i casi, protasi e apodosi sono seguite da una comparazione sulla convenienza di perdere il/i membro/i citato/i pur di «entrare nella vita». A questo punto, alcune differenze sono ravvisabili piuttosto nella costruzione grammaticale e logica: il verbo «scandalizzare» (gr. skandalizō) è realizzato da Matteo all’indicativo presente (skandalizei se), mentre Marco ha preferito utilizzare il congiuntivo (skandalisēi se); così, è possibile notare una lieve differenza nella costruzione logica della prima parte della comparazione, al dativo per Matteo (kalon soi estin), all’accusativo per Marco (kalon se estin). Non mancano, tuttavia, differenze più vistose. Matteo utilizza imperativi sostanzialmente differenti da Marco (il verbo sinonimo ekkopson al posto di apokopson, e il verbo exele al posto di ekbale), e amplia l’apodosi con l’aggiunta di un secondo imperativo, «getta (via) da te». Inoltre, la fine prospettata per chi scandalizzando mantiene entrambi gli arti o gli occhi è realizzata in maniera diversa tra i due Vangeli: «nel fuoco eterno» (18,8) e «nella Geenna del fuoco» (18,9) per i due esempi di Matteo, «nella Geenna, nel fuoco inestinguibile» (9,43) o «nella Geenna» semplicemente (9,45.47) per Marco. Se confrontiamo insieme i doppioni interni al Vangelo stesso (Mt 5,29-30 e 18,8-9), si potrà invece notare un’affinità di composizione maggiore. L’ipotetica con cui ciascun esempio inizia presenta una struttura e una sintassi identica costituita dalla protasi sull’eventualità dello scandalo (ei + sostantivo + skandalizei se)20, e i due imperativi dell’apodosi che chiedono di estirpare la parte del corpo (exele/ekkopson auton/autēn) e di allontanarla (kai bale apo sou). Per Mt 5,29-30 tuttavia, «l’occhio destro» (5,29) precede «la mano destra» (5,30), mentre in Mt 18,8-9 l’ordine è esattamente il contrario: «la mano o il piede» (18,8), poi «l’occhio» (18,9). Questa differenza, a ben riflettere, è un dato tutt’altro che privo di significato: i doppioni sembrano richiamarsi a distanza secondo una struttura speculare (o inclusione), del tipo ABB’A’, «l’occhio (destro)» e «la mano (destra)», poi «la mano (o il piede)» e «l’occhio». Anche la spiegazione che segue ciascuna ipotetica, presenta un dato interessante. Il loro significato è evidentemente lo stesso, ma il modo in cui l’evangelista lo realizza in Mt 5 e in Mt 18 è contrastante, adempiuto ancora una volta secondo polarità opposte: nel primo caso, infatti, si tratta del «far perire» il membro che scandalizza, piuttosto che l’intero corpo (dunque il suo valore è negativo, focalizzato sul membro malato che deve essere estirpato), nel secondo invece, si tratta di «entrare nella vita» menomato, piuttosto dell’eventualità di perire nel fuoco eterno provvisti anche del membro che provoca scandali 20

Per Mc 9,43-47, invece l’ipotetica era realizzata da ean + sostantivo + skandalizē[i] se (congiuntivo).

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(dunque il valore è positivo, focalizzato sull’eventualità di rimanere con almeno un membro sano). Mt 5,29-30 – :: ::

29

SE IL TUO OCCHIO DESTRO ti scandalizza, :

Mt 18,8-9 8

– Se la tua mano o il tuo piede ti scandalizza :: :: :

+ ti conviene infatti + una delle tue membra,

+ meglio per te è +

:. piuttosto che tutto il tuo corpo :. sia gettato nella Geènna.

:. che due mani o due piedi avente :. essere gettato nel fuoco eterno

⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱

⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱ – 9 E SE IL TUO OCCHIO ti scandalizza

– 30 E se la tua mano destra ti scandalizza :: :: :

:: ::

monco o zoppo

:

+ ti conviene infatti + uno delle tue membra,

+ meglio per te è + guercio

:. piuttosto che tutto il tuo corpo :. vada via nella Geènna.

:. che due occhi avente :. essere gettato nella Geènna del fuoco.

Dall’analisi fatta, risulta perciò plausibile che, per almeno questo logion, Matteo sia stato più fedele a sé stesso che alla fonte da cui ha attinto per redigere la seconda metà del suo Vangelo21. In più, il modo in cui il doppione è stato «inserito» nel testo, sembra rispondere a una vera logica compositiva (conscia o inconscia): le cose sono state dette due volte, ma in modo differente ed evidentemente in richiamo (perché il lettore/ascoltatore possa riportare alla memoria la prima occorrenza). Una qualche forma di relazione letteraria sembra potersi istaurare tra le due unità di testo in questione, anche se a lunga distanza. Un altro esempio può essere preso direttamente dalla prima parte del Vangelo, quella in cui Matteo si sarebbe comportato con Marco secondo una maggiore originalità compositiva. Si tratta di due parti narrative conosciute solitamente come sommari: Mt 4,23 e 9,35. Mt 4,23 –

23

E GIRAVA (in) intera la Galilea

:: INSEGNANDO NELLE LORO SINAGOGHE :: E ANNUNCIANDO IL VANGELO DEL REGNO :. E CURANDO OGNI MALATTIA E OGNI INFERMITÀ nel popolo.

21

Così conclude anche Lagrange, 50.

Mt 9,35 –

35

E GIRAVA

tutte le città e i villaggi

:: INSEGNANDO NELLE LORO SINAGOGHE :: E ANNUNCIANDO IL VANGELO DEL REGNO :. E CURANDO OGNI MALATTIA E OGNI INFERMITÀ.

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Storia della ricerca e premesse di metodo

Anche qui, la somiglianza tra i doppioni è stringente. Mt 4,23 differisce soltanto nella mancanza del nome di «Gesù»22, nella geografia dei suoi movimenti (egli percorre «intera la Galilea», in maniera globale, piuttosto che «tutte le città e i villaggi» in 9,35), e nella precisazione delle infermità «nel popolo». Secondo la critica redazionale questi sommari sarebbero stati entrambi costruiti sulla base di due versetti marciani, precisamente Mc 1,39 e 6,6b: Mc 1,39: E ANDÒ PREDICANDO NELLE LORO SINAGOGHE in tutta la Galilea E I DEMONI SCACCIANDO. Mc 6,6b: E GIRAVA i villaggi all’intorno INSEGNANDO.

Sembra chiara la transizione ipotizzata da «andò predicando» (1,39) a «girava insegnando» (6,6b), come anche la menzione di «tutta la Galilea» (1,39) e «i villaggi all’intorno» (6,6b) da cui Matteo avrebbe sviluppato questi sommari. E tuttavia, anche in questo caso, il testo sembra piuttosto tessere una serie di richiami interni di carattere compositivo. Entrambi i sommari, infatti, si trovano alle porte di uno dei primi due Discorsi del Vangelo: Mt 4,23 precede il Discorso della montagna (Mt 5–7), mentre Mt 9,35 precede il cosiddetto Discorso sulla vita apostolica (Mt 10). L’occasione di tali discorsi è perciò dettata dal frutto e dalle conseguenze dell’attività pubblica e taumaturgica di Gesù, sintetizzate all’interno dei sommari, nei riguardi delle «folle» (4,25; 5,1; 9,36-37). Le cose sono dette due volte, ma uno sviluppo è disegnato dall’una all’altra: mentre in 4,23 Gesù ha inaugurato la sua missione messianica «nella Galilea» e le «folle cominciarono a seguirlo» (4,25), in 9,35 sembra nascere la necessità che il suo ministero si allarghi capillarmente in vista di «tutte le città e i villaggi» da cui le folle lo seguono, comunicandosi perciò ad altri collaboratori: Gesù girava TUTTE LE CITTÀ E I VILLAGGI, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il Vangelo del Regno e curando ogni malattia e ogni infermità. VEDENDO LE FOLLE, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «LA MESSE È ABBONDANTE, ma sono pochi gli operai! Pregate perciò il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe» (Mt 9,36-38).

Anche qui, il doppione ha una funzione interna al Vangelo stesso, demarcando sia la fine di un’unità letteraria (narrativa) e l’inizio di un’altra (un discorso ampio di Gesù), sia uno sviluppo di significato all’interno della narrazione stessa (a causa delle folle di tutte le città e i villaggi, Gesù deve comunicare il suo ministero ai discepoli, che lo porteranno ulteriormente avanti). Dopo uno studio serrato dei fenomeni di doppiatura, gli stessi critici hanno generalmente riconosciuto che nonostante Matteo segua il filo di Marco, tuttavia egli rimane in molti punti piuttosto fedele a sé stesso, e che anzi questo 22

Alcune varianti al testo di 4,23 riportano tuttavia proprio il termine «Gesù».

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fenomeno di doppiatura sia una creazione piuttosto originale, di indole compositiva perciò, adatta a tessere richiami nel suo libro: Si può così concludere da questo esame che, prima di redigere il suo libro, il Matteo aramaico (sic!) aveva già scritto molti degli episodi e delle parole di Gesù. Quando egli ha composto il suo Vangelo, e specialmente i suoi grandi Discorsi, egli ha attinto nei materiali già messi in bella copia per produrre un certo effetto, tranne che tornare ai fatti stessi23.

Le ripetizioni allora, analizzate nelle loro relazioni di affinità e di differenza, come si è tentato di mostrare nei due brevi esempi precedenti, potrebbero essere più degli indicatori formali che delle sviste redazionali. E di conseguenza, più che un fenomeno di doppiatura, si potrebbe parlare per molti di questi casi (seguendo un punto di vista più attento alla forma del Libro), di un fenomeno di deuterosi tipicamente biblica24. 3. ALCUNI PUNTI CRITICI E GLI SVILUPPI SUCCESSIVI25 Pur reputandolo un dato acquisito per l’esegesi critica del Vangelo, restano alcune perplessità riguardanti il fenomeno della strutturalità marciana così com’è stato compreso finora. La prima problematicità, di carattere strettamente formale, procede dallo studio stesso del fenomeno: come mai l’editore avrebbe redatto con una certa libertà il suo Vangelo fino al capitolo 13 (grossomodo), trattando con elasticità e originalità le sue fonti, mentre dal quattordicesimo capitolo in poi si sarebbe dovuto mantenere maggiormente fedele all’ordine compositivo di Marco? Nell’introduzione al loro commentario critico su Matteo, W.D. Davies e D.C. Allison26 cercarono di risolvere la questione con la cosiddetta teoria della strutturazione mista, precedentemente presentata anche da R.H. Gundry, nel suo commentario del 198227. Secondo questa teoria, l’editore del Vangelo avrebbe 23

Lagrange, 58. Un’analisi ponderata dei doppioni, che risente certamente della teoria del Matteo aramaico anteriore alla redazione greca del Vangelo, è ben presentata, con molte obiezioni alla dipendenza diretta da Marco, nelle pagine precedenti, 50-58. 24 Questo «ritorno della parola su se stessa», questo «c’è l’uno e l’altro», questo «dire le cose almeno due volte», diventa un vero e proprio fenomeno di «intelligenza» della struttura dei Libri biblici, un «principio espressivo e di strutturazione» della loro letteratura. Per un approfondimento: R. MEYNET, Trattato, 13-19; P. BOVATI, «Deuterosi e compimento», 20-34; come suo primo ideatore: P. BEAUCHAMP, L’uno e l’altro Testamento, I, 172-187. 25 Si indicano qui come esempio soltanto due celebri commentari che fondano la loro strutturazione e la loro analisi del Primo Vangelo sulla dipendenza marciana (rispetto a una bibliografia ben più vasta sull’argomento): D.R.A. HARE, Matthew (del 1993) e R. SCHNACKENBURG, The Gospel of Matthew (del 2002). Le teorie che tentano di spiegare motivazioni di dipendenza e utilizzo della fonte marciana sono davvero molte. La maggior parte di queste ritengono che il Vangelo di Marco fosse ormai abbastanza inadeguato per le nuove necessità e le nuove sfide. Per un approfondimento della questione si veda: D.C. SIM, «Matthew’s Use of Mark», 176-192. 26 Davies – Allison, I, 58-72, in particolare 71-72. 27 R.H. GUNDRY, Matthew: A Commentary, 10-11.

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semplicemente perduto la propria creatività redazionale a partire dalla seconda metà del suo libro, e spinto da editorial fatigue (ovvero da fatica e stanchezza editoriali), si sarebbe affidato quasi completamente a Marco. Matteo aveva già utilizzato gran parte delle sue fonti una volta redatto il Vangelo fino al Discorso parabolico del capitolo 13. Rimaneva ancora del materiale discorsivo per i suoi ultimi due grandi discorsi, quello del capitolo 18 e quello dei capitoli 24–25. Per il resto, «il serbatoio della tradizione è stato svuotato di molto», ed egli non poteva più «trarre da esso liberamente come prima»28. Dunque, l’editore ha dovuto cambiare modo di procedere nella composizione del Vangelo, con l’ovvia mortificazione della sua originalità: «egli scelse di mettersi in fila e di seguire il suo degno predecessore, Marco»29. Ne consegue che, nonostante un’apparente organicità del testo finale, l’assunzione di Marco per il restante versante del Vangelo avrebbe portato di fatto a una strutturazione mista: Matteo, semplice editore o compilatore, avrebbe ora lavorato in maniera originale con le sue fonti, ora sarebbe stato un discepolo pedissequo di Marco30. La seconda problematicità, in qualche modo collegata alla prima, riguarda le motivazioni intrinseche all’edizione di un altro Vangelo sulla base pressocché completa del precedente, probabilmente già conosciuto e in uso nelle comunità. Perché redigere un nuovo intero Vangelo a partire da uno già completo in sé? Perché Matteo avrebbe ritenuto necessario sviluppare una propria versione, tuttavia rimanendo strettamente collegato a quella già esistente e forse maggiormente autoritativa? Sembrerebbe trattarsi di una questione teologica (o quantomeno ecclesiologica) più che di carattere formale e letterario. Essa, però, è del tutto connessa alla composizione del testo, se accogliamo il principio per cui un autore (antico) debba comporre un libro a partire da motivazioni fondamentali e necessarie. Tutto questo permette di presentare qui due sviluppi successivi che si sono generati dalle ipotesi critiche della storia della redazione e che hanno tentato di illuminare ulteriormente lo sviluppo di Matteo da Marco. Nel 1950, G.D. Kilpatrick propose una teoria davvero interessante sulla formazione del Vangelo di Matteo, nel suo The Origins of the Gospel according to St. Matthew. Presupposti i dati della celebre teoria documentaria, Kilpatrick si proponeva di individuare i motivi reali delle alterazioni al testo di Marco nella redazione del Vangelo di Matteo, alterazioni che la critica letteraria aveva già individuato e che la critica della redazione aveva tentato insufficientemente di 28

Davies – Allison, I, 71 (trad. propria). Davies – Allison, I, 71 (trad. propria). 30 Nella struttura proposta da Davies – Allison, dopo un accurato studio sulle caratteristiche compositive della prima parte del Vangelo (1–13), i due studiosi appoggiano l’organizzazione generale secondo la scansione dei cinque grandi Discorsi (5–7; 10; 13; 18; 24–25). In questo modo, discorsi e materiale narrativo sono alternati in maniera regolare nel Libro (se ne farà un resoconto più dettagliato nel paragrafo successivo a proposito delle ipotesi di Sir B.W. Bacon). Seguendo il dato della strutturalità marciana, nella prima parte l’editore del Vangelo si sarebbe lasciato guidare piuttosto dall’intelligenza semitica dell’organizzazione in triadi per la sistemazione originale delle fonti che aveva a disposizione. Dal capitolo 14 in poi per il materiale narrativo avrebbe seguito invece Marco, con estrema fedeltà (Cfr. Davies – Allison, I, 61-72). 29

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spiegare31. Secondo lo studioso, infatti, era necessario volgere lo sguardo in un’altra direzione per comprendere questi punti critici, precisamente nelle circostanze vere e proprie di composizione del Vangelo e nella personalità autoriale dello stesso evangelista32. Kilpatrick sosteneva che il Vangelo di Matteo fosse un «revised Gospel Lectionary», una Vangelo-Lezionario, revisionato, modificato e sviluppato ad uso liturgico. Perciò, quelle caratteristiche che la teoria documentaria non riusciva a spiegare, o spiegava con difficoltà e riserve, sarebbero dovute a uno sviluppo e a un arricchimento liturgico della prima tradizione marciana, cresciuta fino alla sua forma finale nel Vangelo di Matteo33. Questa tendenza all’assimilazione e alla composizione di nuovi testi a partire da un lento sviluppo omiletico è ben attestata nella prassi sinagogale precedente e coeva, nella prassi delle stesse prime comunità cristiane (che dalla Sinagoga trassero gran parte dei loro usi) e dalla letteratura rabbinica ed ecclesiastica posteriore34. In definitiva, quando il materiale omiletico sviluppatosi dalle fonti già in uso nella comunità (comunemente riconosciute in Marco, Q, e il materiale proprio di Matteo) era davvero stabile, vario e numeroso, si ritenne necessario per il futuro 31 G.D. KILPATRICK, The Origins, 8. La medesima questione dei «doppioni» di Marco, esposta qui nel paragrafo precedente (vedi p. 28) è ampiamente visionata e presa in carico dalla ricerca. 32 G.D. KILPATRICK, The Origins, 1-2.59. 33 Nel suo quarto capitolo, l’autore ricostruisce una storia abbastanza plausibile per i «costumi liturgici» sviluppatisi nella Chiesa primitiva, e che avrebbe potuto condurre alla composizione del Primo Vangelo. All’inizio, assieme alla lettura delle Scritture e alla loro spiegazione cominciarono a essere narrate le tradizioni su Gesù. Presto però, nelle comunità cominciarono a circolare i primi documenti scritti, quali le lettere apostoliche e le pseudoepigrafe che vennero incorporate alla lettura cultuale. Assieme a esse cominciarono anche a formarsi e a circolare le prime tradizionifonti scritte su Gesù, tra cui Marco, Q e M (le tradizioni proprie di Matteo). Durante questo periodo di sviluppi della tradizione, e anche in seguito, l’omelia seguiva alla lettura cultuale. Essa cominciò a operare una certa interpretazione dei testi, e dunque gettava le basi per una nuova fase di sviluppo scritto. Nella misura in cui questi documenti (Marco, Q, M e altri) erano continuamente letti nella Chiesa (per circa vent’anni), anche la tradizione omiletica si fissava e permetteva che fossero compresi in una certa direzione. Alla fine di questo periodo, il Vangelo di Matteo venne finalmente alla luce come libro evangelico revisionato, incorporando convenientemente in un unico volume i documenti già scritti e i loro rimaneggiamenti-interpretazioni omiletici. Naturalmente lo sviluppo di questa tradizione aveva apportato modifiche ai testi precedenti (per esempio abbreviando dettagli inutili o aggiungendone altri per maggiore chiarezza, inserendo ripetizioni e formule atte a suscitare l’attenzione dell’uditore, o arricchendo la narrazione con citazioni della Scrittura che trovavano nel racconto dei fatti il loro compimento). Matteo disponeva dunque di un grande quantitativo di fonti, di cui si era opportunamente e interiormente appropriato per comporre il suo Vangelo, con l’intento di scrivere un libro ideale alla liturgia comunitaria. Tale Lezionario avrebbe alla fine superato gli altri documenti, alcuni dei quali, non più utilizzati, divennero obsoleti (G.D. KILPATRICK, The Origins, 68-71). 34 G.D. KILPATRICK, The Origins, 59-65. L’autore fa notare come questo processo di assimilazione in ambiente liturgico sia testimoniato all’interno delle stesse Scritture: la Lettera di Geremia (che possiede alcuni interessanti paralleli con il Targum di Jonathan su Ger 10,11) era probabilmente un’antica omelia contro l’idolatria, poi integrata essa stessa nella Scrittura che commentava, una volta accettata regolarmente nella prassi liturgica (Ibid., 62-63 con altri esempi).

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avere un prototipo unico e più accessibile per la liturgia35. A questo punto la tradizione omiletica passò nelle mani di Matteo, l’evangelista36, che gli diede una forma (quindi una composizione particolare) nel suo Vangelo completo. Un contributo come quello di Kilpatrick ha il merito di spiegare il dato della strutturalità marciana (inteso come una certa somiglianza e dipendenza nell’ordine), ma allo stesso tempo permette di superare quelle considerazioni sul Primo Vangelo che lo limitavano a lavoro di collezione o di redazione pedante del materiale-fonte precedente. L’evoluzione omiletica a partire della tradizione si era già organizzata superando le prime fonti scritte, aveva ancor meglio apportato modifiche e trasformazioni che sono proprie di una tradizione viva e dinamica, e ciò spiegherebbe le alterazioni in maniera più adeguata37. Si poteva cominciare a considerare Matteo alla stregua di un vero autore, il quale aveva davanti a sé un progetto compositivo, un’intenzione particolare e del materiale che ha potuto organizzare secondo certe proprie capacità espressive. Un secondo contributo rilevante fu quello di M.D. Goulder, che nel 1974 introdusse un apporto ulteriore alla questione con il suo Midrash and Lection in Matthew. Goulder riteneva di avere motivazioni sufficienti per dichiarare che Matteo avesse scritto un’espansione midrashica del Vangelo di Marco38. Come autore del suo Vangelo, egli non avrebbe avuto davanti a sé altra fonte se non Marco come matrice della sua composizione (ciò significa che l’ipotesi di Goulder, in modo molto arduo, non prendeva in considerazione la fonte Q e il materiale M), ma l’avrebbe reinterpretata e sviluppata in maniera del tutto

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Secondo Kilpatrick, Marco dovette sopravvivere per il suo carattere maggiormente didattico, mentre Q e M ormai non servivano più. Ciò spiega la loro scomparsa come documenti scritti e indipendenti. La composizione e la fortuna liturgica del Primo Vangelo ne spiegherebbe l’uso frequente nei Padri a scapito di Marco, il cui valore letterario e teologico sarà messo pienamente in luce solo a partire dalla rinascita e poi dal rinnovamento degli studi biblici. 36 A partire da questa prospettiva, l’autore del Primo Vangelo non sarebbe più un mero compilatore di fonti, ma sulla linea della tradizione originatasi acquisterebbe la dignità di vero e proprio evangelista-autore. 37 G.D. KILPATRICK, The Origins, 72-100 (con ampie liste di esempi). Sommariamente, la composizione liturgica avrebbe potuto spiegare la tendenza in Matteo (distaccandosi da Marco) ad abbreviare i dettagli inutili o ad aggiungere altri dettagli per motivi di chiarezza, la tendenza nel testo all’uso di antitesi e parallelismi, come di formule ripetute o dei cosiddetti fenomeni di doppiatura, la problematicità delle citazioni dell’Antico Testamento (ora vicine al testo dei LXX ora invece al testo ebraico o a una certa sua targumizzazione, fenomeno chiaramente originato dall’uso libero dei predicatori), e, infine, il fenomeno dell’allegorizzazione delle parabole (dal momento che la loro spiegazione-interpretazione diventava sempre più stabile nell’omiletica delle comunità per venire infine incorporata al Vangelo scritto). 38 M.D. GOULDER, Midrash, 4. Lo studioso parte dalla costatazione del metodo midrashico nel corpus stesso delle Scritture: il Libro delle Cronache ha lavorato sulle informazioni del Libro dei Re, realizzandole (ovvero commentandole e riscrivendole) in maniera midrashica. Il Vangelo di Matteo seguirebbe la stessa modalità del Libro delle Cronache: guardando al Vangelo di Marco, ne ha operato una propria riscrittura midrashica.

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propria, utilizzando il celebre procedimento ebraico39. A questo proposito, Goulder non manca d’identificare la stessa personalità dell’evangelista con uno scriba cristiano di provincia, un insegnante abbastanza addestrato nel metodo rabbinico e un buon conoscitore delle Scritture d’Israele40. Le evidenze di un tale tipo di lavoro di composizione risiederebbero in primo luogo nella forma stessa del libro: pur seguendo l’ordine compositivo e narrativo di Marco per gran parte del suo Vangelo, il libero e regolare fluire della composizione matteana sembra contraddire un lavoro di compilazione di unità preconfezionate. L’evangelista sarebbe un vero e proprio compositore, pur avendo pienamente rispettato e riverito l’autorevolezza della sua fonte. L’analisi del testo e la sua comparazione con il mondo midrashico, rivelano delle categorie che sono veramente indipendenti da Marco: l’immaginario della narrazione, il ritmo proprio dello stile, il linguaggio, l’uso caratteristico della Scrittura, le dottrine innovative che possono avere un riscontro soltanto nel pensiero rabbinico (primo tra tutti nello stesso Paolo), e infine una certa relazione del Vangelo e dell’organizzazione delle sue unità letterarie (o di recitazione) con il calendario delle feste ebraiche41. In più, gli sviluppi degli studi giudaici del secolo appena trascorso avevano finalmente messo in luce molti dei principi ermeneutici del mondo rabbinico. Alcuni di questi sembravano corrispondere in maniera adeguata ad aspetti dello stile e della realizzazione letteraria presenti in Matteo, di cui si potevano perciò apprezzare ufficialmente le qualità semitiche42. Un esempio di arricchimento e di rilettura midrashica nel Vangelo di Matteo è visibile nelle parabole del capitolo 13. Tra il materiale parabolico presente in Marco, infatti, il primo evangelista sembra dimenticare la celebre Parabola del seme che cresce spontaneamente (Mc 4,26-29), per altro capitale nella comprensione della dinamica di sviluppo del Regno di Dio. In realtà, Matteo avrebbe qui operato una propria riscrittura midrashica, trasformandola completamente nella Parabola della zizzania (Mt 13,24-30). Nella versione matteana, infatti, tutti gli elementi della precedente parabola sono conservati (la semina, la notte, la 39

È di questo avviso anche il più recente commentario di A. MELLO, Evangelo secondo Matteo, 19-25. L’autore fa esplicito riferimento al lavoro di Goulder, «un libro talmente originale da non essere stato facilmente recepito» (Ibid., 19, nt. 17). 40 M.D. GOULDER, Midrash, 10-21. 41 M.D. GOULDER, Midrash, 7-8. In un articolo più recente del 1999 (M.D. GOULDER, «Sections and Lections», 79-96), Goulder ha cercato di dimostrare in maniera abbastanza sommaria come le grandi feste ebraiche abbiano avuto un certo peso nella mente dell’autore per la composizione vera e propria del Vangelo. Perciò giunge anche lui a ipotizzare l’edizione di una sorta di Lezionario parallelo al calendario in uso nella sinagoga, che poteva perciò servire alla vita e alla liturgia della comunità cristiana (in particolare la tabella in Ibid., 83-85). 42 Una lista apprezzabile di queste caratteristiche si trova in M.D. GOULDER, Midrash, 24-27, con alcune prove tratte dal testo stesso del Vangelo di Matteo (caratteristiche che secondo l’autore non sarebbero presenti nel testo di Marco e di Luca). I primi tre principi appartengono allo stile interpretativo della scuola di Hillel (30 d.C.): qal waḥômēr («leggero e pesante»: cfr. Mt 7,11), ’abh wetôledôt («principio e casi»: cfr. Mt 5,17-48) e kelāl («sommario»; cfr. Mt 7,12).

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crescita fino a maturazione, la mietitura); allo stesso tempo, del nuovo è stato aggiunto, creando un spazio ermeneutico innovativo: egli ha dilatato allegoricamente l’orizzonte, specificato e sviluppato alcuni punti sospesi nel primo racconto, giungendo così a una nuova interpretazione43. Queste ipotesi di lavoro ebbero il merito di spostare definitivamente l’attenzione degli studiosi sulla prassi compositiva dell’evangelista. Non solo la configurazione del celebre Sitz im Leben (contesto vitale di sviluppo e composizione dell’opera letteraria) avvicinava notevolmente il libro a una comunità di stampo giudaico, ma più ancora le stesse caratteristiche interne al testo, il suo mondo letterario e interpretativo dicevano peculiarità tipicamente giudaiche che dovevano essere prese in debito conto, persino se si voleva efficacemente comprendere la relazione tra il primo evangelista e la sua principale fonte, il Vangelo di Marco44. II. SIR BACON E LA «FIVEFOLD STRUCTURE» 1. I «CINQUE LIBRI CONTRO I GIUDEI» E LA SCOPERTA DELLE PRIME TRACCE FORMALI DI COMPOSIZIONE

Il primo vero tentativo di definire una «struttura» compositiva per il Vangelo di Matteo, dev’essere ascritto agli studi di Sir B.W. Bacon45. Il suo doveva essere inizialmente un contributo per la discussione della teoria documentaria del XX secolo, ma alla fine si andò affermando come un vero e proprio modello di struttura, tuttora ampiamente seguito e discusso dagli esegeti. Il Vangelo di Matteo presenta al suo interno, in maniera innegabile, un’organizzazione ordinata di logia di Gesù, a cui l’evangelista (oppure una fonte precedente) ha dato consapevolmente la forma di Discorsi46. Ora, questo aspetto sistematico non è riscontrabile né in Marco, né in Luca (che metterebbe insieme i logia della fonte Q in due amplificazioni, annettendoli alla trama di Marco). Tali Discorsi sono facilmente riconoscibili per il modo in cui terminano. Il loro colophon (ovvero la loro chiusura), prende la forma di una formula stereotipata, 43

M.D. GOULDER, Midrash, 4-5.367-369. Vengono spiegate sotto questo punto di vista anche tutte le altre «alterazioni» al testo di Marco, così come Kilpatrick aveva fatto per il suo lavoro (Ibid., 32-46). 44 Una prospettiva differente (che non smette però di arricchire il quadro dell’indagine) si avverte nel contributo di B.R. Doyle, riguardante in particolare l’intenzione che ha presieduto alla composizione del Primo Vangelo. Secondo lo studioso, Matteo avrebbe alterato la sua fonte mirando soprattutto a sottolineare la realtà ecclesiologica del discepolato (cfr. B.R. DOYLE, «Matthew’s Intention», 34-54). 45 B.W. BACON, «The “Five Books”», 55-66; ID., Studies in Matthew. L’articolo è del 1918, mentre il grosso volume, che allarga quanto affermato in precedenza, è del 1930. 46 In Studies in Matthew, l’interesse principale dell’autore è trasferito su un’ipotetica fonte detta S (in inglese «Sayings», «i detti» di Gesù, di cui Q sarebbe solo una parte), che doveva avere già la forma di «discorsi estesi, connessi con un filo narrativo» (cfr. B.S. EASTON, «Professor Bacon’s Studies», 50)

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ripetuta secondo un modello fisso. Furono denominate formule di chiusura, evidenziandosi chiaramente in cinque punti precisi del Primo Vangelo: «E avvenne,

QUANDO TERMINÒ GESÙ

QUESTE PAROLE...»

(7,28)

«E avvenne,

QUANDO TERMINÒ GESÙ

di prescrivere ai dodici...»

(11,1)

«E avvenne,

QUANDO TERMINÒ GESÙ

QUESTE PARABOLE...»

(13,53)

«E avvenne,

QUANDO TERMINÒ GESÙ

QUESTE PAROLE...»

(19,1)

«E avvenne,

QUANDO TERMINÒ GESÙ

TUTTE QUESTE PAROLE...»

(26,1)

All’interno del libro venivano così definiti cinque grandi Discorsi di Gesù: il celebre Discorso della montagna (5,1–7,27), il Discorso sulla vita apostolica (o Discorso missionario, in 9,36–10,42), il Discorso parabolico (o in parabole, in 13,1-52), il Discorso sulla vita fraterna (o Discorso ecclesiale, in 17,22–18,35), e il Discorso della Fine dei giorni (o Discorso escatologico, in 23,1–25,46). In realtà, le formule di chiusura dei discorsi erano già state ampiamente indicate dagli specialisti che avevano preceduto Bacon47, ma non erano state riconosciute nella loro funzione essenziale per la struttura del Vangelo: più che una semplice «bella chiusura del discorso precedente», dovevano essere lette, a partire dalla loro struttura sintattica, come «un legame con cui il racconto che segue è agganciato»48. E tuttavia, proprio il materiale saldamente legato ai discorsi, di natura essenzialmente narrativa (e che Matteo prendeva ovviamente da Marco), veniva annesso da Bacon in modo del tutto contrario a quanto veniva da lui osservato. Egli preferiva collegare ciascuno dei Discorsi di Gesù non con il materiale cui era formalmente saldato attraverso la formula di chiusura, bensì con quello precedente. Tale operazione sembrava necessaria dal momento che il primo vero blocco narrativo, Mt 3–4, che costituiva un’introduzione al Discorso della montagna, non poteva essere legato a nessun altro discorso anteriore: In altre parole l’evangelista nell’inquadrare il suo lavoro aveva in mente non soltanto i cinque grandi discorsi che caratterizzano supremamente il suo lavoro come davvero una syntaxis tōn kyriakōn logōn (o logiōn), e che stanno in linea con la sua parola finale di comando “insegnando loro ad osservare proprio tutte quelle cose che vi ho comandato”; aveva anche in mente il racconto introduttorio che in ogni caso avvia appropriatamente al discorso e fornisce il suo collocamento storico, proprio come con i codici consecutivi del Pentateuco49. 47

Bacon stesso si appoggiava a studi precedenti, in particolare faceva riferimento al contributo di Sir J.C. Hawkins, nel volume Oxford Studies in the Synoptic Problem (1909): B.W. BACON, «The “Five Books”», 64. 48 B.W. BACON, «The “Five Books”», 65 (trad. propria). Le formule, infatti, costituiscono sintatticamente una subordinata temporale (la preposizione di tempo hote regge l’aoristo etelesen) che immette direttamente al racconto, avendo Gesù concluso il suo insegnamento. 49 B.W. BACON, «The “Five Books”», 65 (trad. propria).

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L’ultima occorrenza della formula stereotipata (26,1) era segnata da un termine-variante che sintetizzava l’intero gruppo dei grandi insegnamenti di Gesù («e avvenne, quando terminò Gesù tutte queste parole»), immettendo dunque nell’ultimo tratto narrativo del Vangelo, che prendeva la forma di un Epilogo. Se questa unità finale raccontava la morte e la risurrezione del Signore (Mt 26–28), era necessario riconoscere l’unità iniziale simmetrica come Prologo (1–2), che racconta la venuta di Gesù nella storia umana50. L’esito dell’analisi di Bacon fu la formulazione di cinque grandi blocchi, che per analogia con il Pentateuco ebraico potevano essere definiti come cinque Libri. Si trattava di una nuova Torah, opposta dialetticamente a quella mosaica: Prologo: Storie dell’infanzia

(1–2)

Libro I :. materiale narrativo :: Discorso della montagna * Formula di chiusura

(3,1–4,25) (5,1–7,27) (7,28-29)

Libro II :. materiale narrativo :: Discorso Missionario * Formula di chiusura

(8,1–9,35) (9,36–10,42) (11,1)

Libro III :. materiale narrativo :: Discorso in Parabole * Formula di chiusura

(11,2–12,50) (13,1-52) (13,53)

Libro IV :. materiale narrativo :: Discorso Comunitario * Formula di chiusura

(13,54–17,21) (17,22–18,35) (19,1)

Libro V :. materiale narrativo :: Discorso Escatologico * Formula di chiusura

(19,2–22,46) (23,1–25,46) (26,1)

Epilogo: Passione e Risurrezione

(26,2–28,20)

Questo modello di composizione può essere definito «teoria del Pentateuco», per la sua analogia con i cinque libri della Torah, oppure, come sarà dichiarato più esattamente e con più fortuna dagli studi sincronici successivi, «fivefold structure», giacché ipotizza una suddivisione in cinque unità letterarie, ciascuna comprendente una sezione narrativa e una discorsiva. Secondo Bacon, due furono le motivazioni che spinsero Matteo ad adottare una simile sistemazione del materiale letterario. Da una parte, con questa 50

B.W. BACON, «The “Five Books”», 65.

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composizione egli si sarebbe posto apertamente in contrasto al rifiuto giudaico della messianicità di Gesù: perciò il suo Vangelo assume le fattezze di una nuova Torah, compimento definitivo di quella mosaica. Dall’altra, e in continuità con questa prima motivazione, secondo il mandato di Cristo stesso, egli intendeva esporre e conservare l’insegnamento di Gesù come logia tou Theou, che i discepoli a loro volta consegnavano alla catechesi dei convertiti, così come Mosè aveva consegnato il primo insegnamento al popolo di Israele: «Andate dunque e fate discepoli [...] insegnando loro a osservare tutte quelle cose che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). Perciò, alla fine del Vangelo è posto il riferimento all’autorevolezza divina dei cinque discorsi, inseriti in ciascuno dei libri, prendendo la forma definitiva dei comandamenti di Gesù. Il contributo di Bacon rilevò indubbiamente l’importanza dei cinque discorsi e la funzione strutturale delle formule di chiusura come «corrispondenze di termini» che servono «spesso a determinare i limiti di unità corrispondenti»51. Da qui in poi, il modello della fivefold structure diventerà un punto di partenza imprescindibile per lo studio e la critica della composizione del Primo Vangelo. E tuttavia, si devono sollevare anche alcune questioni critiche non trascurabili. Anzitutto, sembra che un pregiudizio teologico sia soggiacente all’analogia con il Pentateuco e con Mosè: la teorizzazione di una direzionalità critica del Primo Vangelo nei riguardi del giudaismo, così come la tipologia mosaica onnipresente (asservita a questa funzione critica) sembrano spesso forzati, imposti più dalla volontà di Bacon che dalla composizione intenzionale di un autore. Da un punto di vista strettamente formale, poi, bisognerà chiedersi quale materiale narrativo sia realmente necessario collegare a ciascuno dei cinque Discorsi. Difatti, il materiale narrativo che precede sembrerebbe funzionare effettivamente da introduzione all’insegnamento. Come esempio, Mt 4,23-25 si chiude proprio sulle «folle» che «cominciarono a seguire» Gesù, espediente e collegamento formale che offre l’occasione per il Discorso della montagna: «Vedendo le folle, Gesù salì sul monte [...] avendo aperto la sua bocca, insegnava loro dicendo...» (5,1-2)52. Dall’altro lato, è vero che la formula di chiusura di ogni discorso, pur avendo un’evidente funzione di delimitazione, non è chiusa in se stessa, ma apre direttamente al materiale narrativo che segue, come Bacon aveva inizialmente intuito. Da un punto di vista sintattico ciascuna formula è costituita da un semitismo e da una subordinata temporale (kai egeneto + hote etelesen ho Iēsous) che precede una proposizione principale. Quest’ultima, poi, apre direttamente alla narrazione successiva. Così, in 13,53 la principale sorretta dalla formula di chiusura prepara a degli spostamenti significativi di Gesù: «E avvenne, quando terminò Gesù queste parabole (semitismo e subordinata, formula di chiusura), andò via di là (proposizione principale)». In 13,54 Gesù è subito a Nazareth «nella sua patria», poi in 14,13 51

T. BOYS, A Key to the Book of Psalms, 14. Allo stesso modo, Mt 9,35-38 potrebbe offrire la stessa occasione al Discorso sulla Vita Apostolica (10,1-42). 52

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«si ritirò in un luogo deserto, in disparte» e di nuovo in 14,23 «salì sul monte» (ancora «in disparte»). Da 14,34 egli si muove ancora notevolmente, prima «nella terra di Gennesaret», poi «si ritira nelle regioni di Tiro e Sidone» in 15,21 da cui tornerà, «presso il mare di Galilea» in 15,29 per inoltrarsi infine in 15,39 «nei territori di Magadàn». Al capitolo 16, dopo aver «abbandonato» la diatriba con farisei e sadducei giunge «nelle parti di Cesarea di Filippo» in 16,13, in particolare «su di un alto monte» dove avverrà la Trasfigurazione (17,1-9). Infine, in 17,22 i discepoli sono «radunati con lui in Galilea», ritornando in 17,24 a «Cafarnao»53. Riprendendo un’ulteriore problematica, Bacon riconosceva come primo materiale introduttivo al Discorso della montagna i capitoli 3–4 che non potevano essere accoppiati con alcun’altra affermazione di Gesù, e che sembravano distinguersi notevolmente dalle storie dell’infanzia dei capitoli 1–2: La prima di queste introduzioni narrative (Mt 3–4) non può, certamente, essere accoppiata con ciò che precede dalla formula «ora avvenne che quando Gesù ebbe finito queste parole, etc.», perché non ci sono precedenti affermazioni di Gesù. Al contrario l’ultima occorrenza (26,1) avvia a un Epilogo narrativo (26–28) che racconta la partenza di Gesù verso il suo trono celeste, come il Prologo (cc. 1–2) ha raccontato il suo avvento54.

Anche qui, bisognerebbe chiedersi se in 3,1 ci siano elementi letterari formali sufficienti per riconoscere una cesura che delimiti nettamente le due unità narrative (il Prologo e Mt 3–4)55, o se la sola semplice distinzione di contenuto tra infanzia di Gesù (1–2 o per lo meno 1,18–2,23) e inizio del suo ministero (3–4 o per lo meno 3,13–4,25) possa provare una vera distinzione compositiva

53 Questo aggancio con l’unità narrativa pare evidente anche per le proposizioni principali seguite alle altre formule di chiusura. In 19,1, Gesù «partì dalla Galilea e venne ai confini della Giudea»: tutta l’unità letteraria che segue è segnata dalla «salita verso Gerusalemme» (20,17.29), poi dall’ingresso di Gesù nella città (21,1) e dal ministero compiuto in modo particolare «nel Tempio» (21,12.23). Così in 26,1-2 è ben tracciata la narrazione successiva, la cui tematica principale sarà la Passione di Gesù: «…disse ai discepoli: “Sapete che fra due giorni avviene la Pasqua, e il Figlio dell’uomo è consegnato per essere crocifisso”». Nelle prime due formule (7,28; 11,1) la sintassi è la stessa, e la principale proietta evidentemente su ciò che sarà narrato (tra 7,28 e 8,1 le folle presenti al Discorso seguiranno Gesù nella discesa dal monte; in 11,1 il movimento di Gesù introduce a una unità di ulteriori spostamenti per la predicazione del Vangelo). Tuttavia, l’aggancio tematico e formale sembra meno chiaro e necessita di un approfondimento. A livello tematico, lo «stupore» suscitato dall’insegnamento di Gesù (7,28: il verbo è exeplēssonto) è dilatato alle opere messianiche della narrazione successiva (cfr. per esempio in 8,27 e 9,8); per Mt 11–12, invece, il ministero che Gesù si appresta a esercitare «nelle loro città» (11,1), sarà vivacemente contrastato lungo tutta l’unità narrativa appena aperta. 54 B.W. BACON, «The “Five Books”», 65 (trad. propria). 55 En de tais hēmerais ekeinais paraginetai Iōannēs, (3,1) arricchita dalla particella de, sembra segnare una cesura abbastanza decisa tra ciò che è narrato nei capitoli precedenti e l’«apparizione» del Battista. E tuttavia, già in Mt 3,13 un nuovo salto letterario è compiuto, giacché è «Gesù» che questa volta «appare», in evidente corrispondenza con lo stesso Giovanni, «dalla Galilea al Giordano per essere battezzato».

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tra un Prologo (molto lungo) e la prima sezione narrativa di uno dei cosiddetti «cinque libri contro i Giudei». 2. «FORMULE DI TRANSIZIONE» E RELAZIONI CON LE SEZIONI NARRATIVE Ritornando sui punti di forza e sulle debolezze del modello della fivefold structure, alcuni studiosi hanno progressivamente tentato di individuare il giusto rapporto tra unità letterarie narrative e discorsive. Nel 1972, Ph. Rolland56 riprese il lavoro iniziato da Bacon, capovolgendone il sistema di strutturazione: «Ci sembra preferibile considerare la formula di transizione ripetuta cinque volte come un trait d’union, e di unire a ogni discorso i racconti che lo seguono, piuttosto che quelli che lo precedono»57. In questo modo, Rolland cercò di mantenersi fedele allo statuto sintattico subordinante delle cinque formule: Prologo 1. Racconti dell’infanzia 2. Giovanni il Battista e Gesù

(1,1–2,23) (3,1–4,16)

Primo libretto 1. Introduzione e discorso 2. Sezione-racconto

(4,17–7,29) (8,1–9,34)

Secondo libretto 1. Introduzione e discorso 2. Sezione-racconto

(9,35–10,42) (11,1–12,50)

Terzo libretto 1. Discorso 2. Sezione-racconto

(13,1-58) (14,1–17,27)

Quarto libretto 1. 1. Discorso 2. Sezione-racconto

(18,1-35) (19,1–23,39)

Quinto libretto 1. 1. Discorso 2. Sezione-racconto

(24,1–25,46) (26,1–28,20)

Soltanto il Prologo era ancora necessario per giustificare la natura dei primi quattro capitoli (1,1–4,16), mentre il Vangelo complessivamente poteva rimanere strutturato in cinque «libretti»58. Da notare, per i primi due libretti, Rolland dovette inserire un piccolo polo introduttivo prima di ciascun discorso, 56

Ph. ROLLAND, «De la Genèse à la fin», 157-178. Ph. ROLLAND, «De la Genèse à la fin», 158 (trad. propria). 58 Riconoscendo questo rapporto di transizione delle formule di chiusura, la narrazione della Passione e della Resurrezione poteva essere considerata come la seconda unità del quinto libretto, piuttosto che come l’Epilogo dell’intero Vangelo. 57

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giacché si erano rese evidenti le connessioni formali tra 4,23 e 9,35. Quanto alle relazioni tra il Discorso missionario e l’unità successiva, non mancò di affermare: «È chiaro che il discorso missionario e i racconti che lo seguono sono stati composti l’uno in funzione dell’altro», dimostrandolo con un’intera tabella di relazioni sia a livello formale sia tematico59. Il redattore avrebbe avuto la finalità di dimostrare che il destino dei Dodici doveva necessariamente essere modellato su quello del Maestro60. E tuttavia, viene da chiedersi se anche nell’unità narrativa che precede il Discorso missionario (che per Rolland fa parte ancora del Primo libretto), non ci siano segni anticipatori in relazione diretta con il discorso stesso. I capitoli 8–9, infatti, sembrano prefigurare nelle azioni compiute da Gesù ciò che a loro volta i discepoli saranno chiamati a fare e a essere una volta inviati61. In altre parole, il mandato apostolico non è altro che un invito a ripetere e a imitare il ministero precedente esercitato da Gesù: «Strada facendo, predicate dicendo che il Regno dei cieli si è avvicinato. Guarite gli infermi [cfr. 8,5-13.14-15; 8,16; 9,2-7; 9,20-22], risuscitate i morti [cfr. 9,23-26], purificate i lebbrosi [cfr. 8,2-3], scacciate i demoni [cfr. 8,16; 8,28-32; 9,32-34]. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,7-8). Perciò, guardando in una sola direzione, non si poteva essere sempre certi di avere tutti gli indizi necessari al fine di affermare quale connessione ai discorsi fosse effettivamente la scelta migliore62. Inoltre, da un punto di vista d’insieme, è possibile verificare tutta una 59

Ph. ROLLAND, «De la Genèse à la fin», 164. In 12,24 i Farisei affermano di Gesù: «Costui non scaccia i demoni se non attraverso Beelzebùl, principe dei demoni»; ma Gesù aveva evidentemente anticipato ai discepoli, per il loro stesso ministero, un simile giudizio: «È sufficiente al discepolo che diventi come il suo maestro e il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più i suoi familiari» (10,25). 61 A scopo di precisione, già in 9,34 i Farisei avevano affermato di Gesù: «Egli scaccia i demoni per mezzo del principe dei demoni». 62 Anche per gli altri «libretti» Rolland riesce a rintracciare alcune connessioni formali e di contenuto che tuttavia possono suscitare più di qualche interrogativo. Per il Terzo libretto, lo schema compositivo principale sarebbe costituito dall’avvicinamento dei discepoli (uso del verbo proserchomai) a Gesù per domandare spiegazione di una certa parabola (nella sua analisi: 13,10.36; 14,15; 15,12.15; 17,10.19). In realtà non si tratta sempre, a livello contenutistico, dello svelamento di una parabola precedente (cfr. 14,15; 17,19), e neppure lo schematismo formale è ovunque rispettato (15,15; 17,10). Così pure nel Quinto libretto, di tono maggiormente escatologico, le relazioni formali più convincenti sarebbero esclusivamente tra il Discorso escatologico (Mt 24–25) e l’ultima pericope del Vangelo (28,16-20). Anche qui, però, bisognerebbe domandarsi se il discorso non intessa simmetrie importanti con la sezione-racconto che precede: per esempio, il capitolo 23 si chiude drammaticamente sulla distruzione del Tempio con il giudizio di Gesù («Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta», 23,38); allo stesso modo, la piccola unità che dovrebbe fungere da introduzione al discorso in 24,1-4a si apre con un giudizio molto simile («Non vedete tutte queste cose? In verità io vi dico: non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta», 24,2). Rolland ha valutato in modo più coerente lo statuto delle formule di chiusura, ma in molti punti della sua analisi le correlazioni di contenuto e le corrispondenze formali che legano ciascun discorso al materiale letterario successivo non sono pienamente convincenti, o forse peccano di unilateralità (per una visione completa: Ph. ROLLAND, «De la Genèse à la fin», 167-170). I Discorsi sembrano, in molte occasioni, lanciare connessioni tematiche e formali sia con le unità narrative precedenti che successive. Al fine del riconoscimento 60

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serie di altri sistemi di significazione che permettono di individuare relazioni importanti tra le sezioni-racconto e i discorsi, tanto per le sezioni che precedono questi ultimi, quanto per quelle che susseguono. In un’analisi successiva del 1978, D.W. Gooding fa decisamente un passo indietro nella direzione di Bacon, analizzando la possibilità di una maggiore coerenza di relazioni tra le sezioni-racconto precedenti e i discorsi del Vangelo. Di nuovo, anche tra queste unità, sono moltissime le connessioni tematiche e formali (come la ripetizione simmetrica), che non possono e non devono essere sorvolate: Tutti sono concordi sul fatto che temi importanti incontrati nella sezione narrativa dei capitoli XIV a XVII s’incontrano nuovamente nel discorso del capitolo XVIII. La sezione narrativa contiene la celebre dichiarazione propria a Matteo: «Ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (XVI,19). Il discorso contiene quest’altra espressione ugualmente celebre, questa volta ancora riportata dal solo Matteo: «Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo» (XVIII,18). In più, i tratti seguenti, riguardanti Pietro sono propri per Matteo: 1) il fatto che Pietro cammini sull’acqua (XIV, 28-31); 2) la domanda di spiegazioni aggiuntive riguardo al cibo impuro, attribuita da Marco a tutti i discepoli (VII,17), ma da Matteo a Pietro (XV,15); 3) la celebre frase: «Tu sei Pietro, e su questa pietra...» (XVI,18-19); 4) l’incidente della tassa per il Tempio (XVII,24-27); 5) la domanda: «Quante volte perdonerò al mio fratello, se egli avrà peccato contro di me?», che solo Matteo attribuisce a Pietro [...] Inoltre, uno dei temi principali del discorso è quello degli «scandali»: il verbo skandalizō vi è utilizzato tre volte (XVIII, 6.8.9) e il nome skandalon, tre volte (XVIII, 7); nella sezione narrativa il verbo appare tre volte (XIII,57; XV,12; XVII, 27), e il nome, una volta (XVI,23). Un po’ più di cinque capitoli contengono perciò dieci volte il verbo e il nome, mentre il resto del vangelo (ossia un po’ più di ventidue capitoli) non contiene che nove volte il verbo e il nome [...] È una prova evidente che il racconto e il discorso condividono delle tematiche importanti63.

In questa prospettiva (le due analisi sembrerebbero del tutto contraddittorie), le relazioni formali, sintattiche e di contenuto non potevano più giustificare una strutturazione rigida del modello in «cinque libretti», ma aprivano piuttosto l’analisi degli esegeti a una visione più complessa e organica della composizione del Primo Vangelo. Le varie relazioni letterarie e di contenuto andavano approfondite e comprese nel loro gioco d’insieme: da un lato, non si poteva dare la precedenza solo ad alcuni indizi, pregiudicandone altri, dall’atro essi non della struttura del Vangelo, perciò, sarà fondamentale cercare di capire che tipo di relazioni testuali tali connessioni giocano nell’intessitura del Vangelo. 63 D.W. GOODING, «Structure Littéraire», 228-235 (trad. propria). L’autore propone qui numerosi altri esempi che dimostrano una reciprocità forte anche tra le altre sezioni precedenti e ogni discorso (neppure il materiale narrativo che introduce al Discorso della montagna è risparmiato). Sebbene l’occasione scientifica del suo articolo sia la critica della strutturazione chiastica troppo rigida effettuata da M. Lohr nel 1961, il contributo di Gooding solleva nuovamente la questione del modo di interpretare le corrispondenze formali che si riscontrano nello studio sincronico delle unità che compongono un testo.

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potevano più soltanto giustificare una connessione di tipo lineare, ora del materiale precedente, ora del successivo, a una delle sezioni discorsive principali64. 3. DISCORSI COME «CONNETTORI»: LA STRUTTURA CONTINUA DI D.L. BARR65 Nel 1976, pochi anni dopo la pubblicazione dei risultati di Rolland, D.L. Barr riconsiderò l’ipotesi baconiana. In quello stesso periodo, infatti, prendeva piede una nuova metodologia di studio sincronico dei vangeli che poneva maggiore attenzione alla trama narrativa del libro e ai processi che ne determinavano il flusso drammatico: il narrative criticism. Questa metodologia, esigente nello studio della narrazione evangelica, finiva però per ignorare quasi completamente il ruolo strutturante dei discorsi nel Vangelo di Matteo66. Barr vi rispondeva difendendo l’obiettività della fivefold structure, ma revisionando alcune delle sue conclusioni. Sosteneva, infatti, di poter mettere da parte la spiegazione (o il pregiudizio teologico) che Bacon faceva dei suoi risultati sul Pentateuco, e di potersi basare, nell’esposizione del suo studio, «su caratteristiche letterarie puramente formali dell’opera, combinate con una nozione della sua trama – o movimento»67. I discorsi erano ben delimitati: alla fine, com’è noto, ognuno cede il passo e introduce alla sezione-racconto mediante la famosa formula stereotipata di chiusura; ma anche all’inizio tutta una serie di ricorrenze formali e lessicali faceva presumere un’introduzione immediata ai Discorsi. Essa è realizzata dal costante riferimento alle «folle» (gr. hoi ochloi), e/o dalla frase stereotipata riguardante i discepoli che «si avvicinarono» a Gesù (gr. prosēlthan autōi hoi mathētai). Quest’ultimo, il più delle volte, è raffigurato «seduto» (gr. kathizō/ kathēmai), nell’atto di insegnare. T.J. Keegan sarà più preciso nel suo studio a proposito di tali formulazioni di apertura definendole una vera e propria «terminologia distintiva» del Primo Vangelo, fornita intenzionalmente dall’evangelista per indicare la significatività strutturante dei discorsi all’interno della composizione del suo libro68. 64

Restano alcune perplessità se si considera il panorama dei commentari a Matteo. È riscontrabile infatti, per alcuni titoli anche recenti, ancora una certa propensione a prediligere ora lo schema baconiano di narrativa + discorso (cfr.; P.S. MINEAR, Matthew, 12-23; D.L. TURNER, Matthew; e sostanzialmente anche D.A. HAGNER, Matthew), ora invece l’ipotesi capovolta di discorso + narrativa (cfr.; M. CURTIS – E.P. SRI, The Gospel of Matthew, 21-23; e Radermakers, 11-15). 65 D.L. BARR, «The Drama of Matthew’s Gospel», 349-359. 66 Del modello proposto dal narrative criticism si occuperà il paragrafo successivo (vedi p. 63). 67 D.L. BARR, «The Drama of Matthew’s Gospel», 351. In questo tentativo, perciò, il modello della fivefold structure si proponeva di rispondere anche alle istanze della ricerca narratologica. 68 T.J. KEEGAN, «Introductory Formulae», 414-430. Sostanzialmente questa terminologia distintiva consiste: 1) nel fatto che Gesù «siede» (gr. kathizō/kathēmai), in qualità di maestro (in tre dei suoi discorsi: 5,1; 13,1-2; 24,3); 2) nella formula stereotipata «i discepoli si avvicinarono» (gr. prosēlthan autōi hoi mathētai), fatta eccezione per il Discorso missionario di Mt 10, dove

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L’intuizione fondamentale di Barr fu quella di percepire che entrambi gli indizi formali realizzavano una transizione continua, piuttosto che una divisione, tra le sezioni narrative e i discorsi. Perciò, non è affatto necessario giustificare la connessione ora con la sezione precedente, ora con quella successiva nel tentativo di raggiungere forzatamente la struttura di cinque libri o libretti. Il risultato è semplicemente «un’alternante sequenza di sezioni narrative e di discorso nel motivo: N-D-N-D-N-D-N-D-N-D-N»69. I cinque discorsi sono chiaramente definibili come connettori delle sezioni narrative: essi permettono di focalizzare l’attenzione del lettore o dell’ascoltatore sul significato dell’azione, e dunque servono a mettere direttamente in relazione le parti narrative tra loro (sono esse infatti a costituire la vera trama del Vangelo)70. In definitiva: La mia analisi mi porta a dire che Bacon era essenzialmente nel giusto nel discernere la struttura di Matteo con due importanti riserve. Primo, i discorsi non sono fratture. Funzionano per connettere le sezioni narrative, producendo perciò non cinque unità con un prologo e un epilogo ma piuttosto una successione di sei unità narrative interpretate con cura dalle cinque unità dei discorsi. Secondo, non vedo ragione di credere che la struttura del Vangelo sia un’imitazione della struttura del Pentateuco; è piuttosto un modo per spiegare la situazione cambiata della Chiesa in cui Matteo scrive71.

Il merito di questo arricchimento del modello fu quello di comprendere definitivamente il Vangelo come un textus, in cui le relazioni di forma e di contenuto intessono (piuttosto che distinguere) le sezioni in modo organico. Proprio lo studio serrato di ciò che differenzia e accomuna le varie unità letterarie del libro potrebbe permettere di camminare piuttosto bene nel discernimento della sua reale strutturazione. Tuttavia, l’ipotesi di Barr era ancora incompleta. Difatti, la sua analisi del testo di Matteo era confinata alla sola ricerca delle corrispondenze tematiche (e di poche corrispondenze lessicali) tra una sezione e l’altra del Vangelo72.

evidentemente è Gesù a chiamare i discepoli a sé; 3) nel riferimento costante alle «folle». Tuttavia, a partire dalla metà del Discorso parabolico (13,36) le «folle» tendono a cedere decisamente il passo ai soli «discepoli» di Gesù. In realtà, la terminologia distintiva di apertura dei Discorsi appare anche in altri tre passaggi particolari del Vangelo, che non assumono però lo stesso statuto dei cinque grandi discorsi (nel miracolo dei pani, in 14,15 e 15,29, e nell’Ultima Cena, in 26,17). 69 D.L. BARR, «The Drama of Matthew’s Gospel», 351 (trad. propria). 70 D.L. BARR, «The Drama of Matthew’s Gospel», 352: «La fine del discorso non rappresenta un’interruzione – cosa che un’accurata attenzione alla proposizione finale avrebbe mostrato, giacché è una metà frase che conduce il lettore nella narrazione successiva. I discorsi non sono divisori, ma connettori, che uniscono due sezioni narrative insieme» (trad. propria). 71 D.L. BARR, «The Drama of Matthew’s Gospel», 357 (trad. propria). 72 D.L. BARR, «The Drama of Matthew’s Gospel», 354-355. Una grande tabella mostra tutte le corrispondenze che uniscono le diverse sezioni (narrative e discorsive). E tuttavia, già il titolo della tabella riduce di molto il campo di studio e di verifica: Thematic Correlations within Matthew’s Gospel (Interlocking Ideas).

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4. TRA PUNTI DEBOLI E ASPETTATIVE Cos’è possibile guadagnare dal modello della fivefold structure per uno studio della composizione letteraria del Vangelo di Matteo? Certamente la scoperta delle formule di chiusura e del loro ruolo di transizione tra un’unità letteraria e un’altra ha una consistenza oggettiva, ma bisognerà valutare singolarmente il loro significato, dato il loro legame particolare con la proposizione principale dalla quale dipendono. Per esempio, sembra che in Mt 7,28-29 la principale con «le folle stupite dell’insegnamento» autoritario di Gesù (gr. epi tēi didachēi autou; poi ēn gar didaskōn autous), mantenga ancora un legame forte con il Discorso della montagna appena pronunciato, piuttosto che con l’unità narrativa successiva. In 5,1 infatti, Gesù è salito sul monte proprio dopo aver «visto le folle», e da lì ha cominciato a «insegnare» (edidasken, 5,2) ai discepoli. Questa bella simmetria apre e chiude oggettivamente l’intera unità del discorso: + «le folle» (5,1) .. «insegnava loro dicendo» (5,2) :: INSEGNAMENTO DI GESÙ (5,3–7,27) + «le folle» (7,28) .. «Era infatti insegnante loro con autorità» (7,29) Piuttosto, un passaggio vero e proprio all’unità successiva avviene in 8,1 dove Gesù «scendendo dal monte» e «seguito dalla folla» incontrerà «un lebbroso» (8,1-2)73. Questo meccanismo non è scontato per tutte le formule, alcune delle quali, come visto, si gettano direttamente nell’unità narrativa che segue e devono perciò essere ritenute come parte integrante di essa. Nonostante una certa chiarezza, resta da valutare coerentemente anche la natura e la struttura di alcuni dei discorsi riconosciuti da Bacon: se in 5–7, in 10 e in 24–25 (se non si considera 23,1-39 come parte di questo ultimo discorso) è Gesù che sostanzialmente parla dall’inizio alla fine, non si può non notare, invece, che per quanto riguarda il Discorso in parabole (13,1-52) e il Discorso sulla vita fraterna (18), l’insegnamento di Gesù sia interrotto da alcuni versetti di natura narrativa o dalle stesse domande sollevate dai suoi discepoli (cfr. 13,10.34-35.36; 18,1.21)74. 73 La corrispondenza più pertinente di 8,1 è con 4,25 dove «grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano». Dunque, è davvero possibile immaginare che il Discorso della montagna sia finemente incastonato tra due sezioni narrative che lo circondano. 74 A questo proposito T.J. Keegan nota come il Discorso in parabole sia segnato da un punto di svolta in 13,36 (dividendo in due non solo il discorso, ma probabilmente l’intero libro): Gesù «congedò la folla», a cui non parlerà più così apertamente (la folla è menzionata sia in 4,25 che in 7,28 e 9,36 ma scompare dal setting dei discorsi successivi), ed «entrò in casa», lì dove «i

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Allo stesso tempo, molte pericopi delle cosiddette sezioni-racconto contengono degli insegnamenti di Gesù e presentano perciò al loro interno anche il discorso diretto oltre che la forma indiretta della narrazione. Che cosa li definisce allora come sezioni prettamente narrative? In modo particolare, Gooding si domandava come mai i capitoli 11 e 23 fossero sostanzialmente ritenuti dei capitoli che raccontavano avvenimenti, mentre una grande porzione di versetti che li costituiscono sono effettivamente discorsi o risposte articolate di Gesù: I capitoli XIX a XXIII comprendenti 139 versetti di parabole, discorsi e di lunghe risposte a questioni, sono classificati come racconto, senza dubbio perché, nonostante comincino con delle risposte a questioni e terminino con un discorso chiaro e preciso, contengono anche, intercalati qua e là, 56 versetti che descrivono degli avvenimenti. Ma si vede come sia arbitrario classificare senza mezzi termini il capitolo XIII come un discorso, e i capitoli XIX a XXIII come una sezione narrativa. A dire il vero, i capitoli XIX a XXIII dovrebbero essere classificati essenzialmente come discorsi, con alcuni elementi di racconto. Ed è lo stesso, come abbiamo già notato, per la cosiddetta sezione narrativa dei capitoli XI e XII: lì si tratta soprattutto di argomentazione, insegnamento, di predicazione e, come J. Murphy-O’Connor osserva, questa sezione contiene quanto meno un discorso. Sarebbe molto più corretto classificarla come discorso o, almeno, come una combinazione di discorso e di avvenimenti75.

L’aiuto più pertinente per la ricerca, sollevato dal modello baconiano e dai suoi sviluppi, riguarda l’attenzione ai criteri che devono guidare nel riconoscimento della composizione del Primo Vangelo. Non è sufficiente riconoscere soltanto una certa scansione nel testo (sezioni discorsive e/o narrative, elemento che può essere messo per altro in discussione senza una certa oggettività di indizi). Non è di conforto neppure concentrarsi soltanto su di una serie di relazioni formali o di contenuto che sembrano suggerire una certa connessione delle diverse porzioni di testo (ora per formare un certo raggruppamento delle unità letterarie, ora quello opposto). A una lettura superficiale e unilaterale, infatti, si presenta continuamente la possibilità di interpretare in maniera contraria o molteplice i risultati raggiunti. Ora sarà possibile pensare che il Vangelo sia stato composto in una struttura di cinque libri, ora che parti narrative e discorsi siano legati tra loro secondo un gioco di rapporti concentrici (giacché ogni discorso è incorniciato dalle sue parti narrative), o alternanti (discorso-sezione narrativa o sezione narrativa-discorso), oppure che un unico filo di sviluppo, ripreso nelle varie sezioni, ne disegni il movimento complessivo (così per esempio, il tema del «giudizio finale» che è ripreso successivamente in discepoli gli si avvicinarono». Da qui in poi si aprirebbero un nuovo scenario e un’audience più ristretta per Gesù (cfr. T.J. KEEGAN, «Introductory Formulae», 423-424). 75 D.W. GOODING, «Structure Littéraire», 232 (trad. propria). Contro questa posizione reagirebbero i risultati della ricerca di Keegan (T.J. KEEGAN, «Introductory Formulae», 428), poiché la terminologia distintiva ampiamente dimostrata che caratterizza l’inizio dei cinque grandi discorsi, pur apparendo in altri passaggi del Vangelo di Matteo, non è mai riscontrata all’interno di Mt 11–12 e di Mt 19–23.

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7,22-27; 10,15-40; 13,49-50; 18,34 e finalmente in 25,34-46)76. Forse è davvero più efficace pensare che questi indizi di composizione, così come le altre relazioni all’interno del testo, siano significativi e determinino la struttura del Vangelo su vari livelli di organizzazione testuale (per esempio un insieme di passi che configurano una unità più complessa, e l’insieme di queste unità che vanno a costituire unità ancora maggiori fino a costituire il libro intero). Ma bisognerebbe tentare di comprendere come (e secondo quali criteri) tali livelli possano essere riconosciuti77 e qual è il gioco strutturante che essi ingaggiano tra di loro nella «crescita» del testo. III. LA «THREEFOLD STRUCTURE» E LA STORIA DI GESÙ NEL VANGELO DI MATTEO 1. APO TOTE ĒRXATO HO IĒSOUS: UNA STRUTTURA NARRATIVA PER IL VANGELO NELLA VISIONE DI J.D. KINGSBURY Nel 1975 J.D. Kingsbury presentava una nuova analisi della struttura di Matteo78. Egli reagiva alle strutture proposte fino ad allora, in modo particolare all’ipotesi di Bacon79. Certamente, riconosceva al suo lavoro (come a tutti quelli che hanno sviluppato il suo modello di strutturazione basato sui cinque discorsi) il merito di aver individuato una caratteristica letteraria e teologica nelle formule di chiusura, caratteristica tuttavia fuorviante per il riconoscimento dell’organizzazione letteraria dell’intero Vangelo. Prima di tutto, come già sottolineato, il preconcetto teologico del Pentateuco avrebbe forzato troppo la struttura secondo cinque unità: così facendo, infatti, Bacon dovette conferire alle narrazioni della Passione e Risurrezione, cruciali per il Vangelo stesso, lo statuto di Epilogo del libro80. In secondo luogo, sebbene le formule identifichino realmente i cinque 76

Questa serie di possibilità di letture e d’indizi è intravista e ampiamente dimostrata da D.W. GOODING, «Structure Littéraire», 235-238. 77 Infatti, se le relazioni formali o i livelli letterari del testo sfuggono a un riconoscimento reale e oggettivo, la composizione del libro dovrà cedere alla definizione (alquanto soggettiva) di struttura mista, giustificando una grande quantità di soluzioni (anche contraddittorie). 78 J.D. KINGSBURY, Matthew, 1-39. Nello stesso anno pubblica un articolo («Form and Message», 13-23) che riassume sostanzialmente la sua analisi, puntando maggiormente sul principio organizzatore del Vangelo: il compimento della storia della salvezza nella presenza storica e metastorica di Dio nel suo Figlio Gesù (Mt 1,23 con il riferimento all’«Emmanuele», risulterebbe essere perciò il punto significativo da cui tutta la narrazione evangelica è sviluppata). 79 J.D. KINGSBURY, Matthew, 1-7. L’autore concentra le proposte fino a quel momento avanzate (1975) in tre raggruppamenti, due in parte legati ad argomenti formali (nel primo tutte quelle analisi che riconoscevano la struttura evangelica secondo principi poco chiari per una comprensione globale dell’insieme, nel secondo tutti gli sviluppi dell’ipotesi baconiana), e un terzo i cui contributi cercherebbero di orientare la struttura evangelica secondo il concetto già citato di «storia della salvezza» (cfr. nt. 17 di questo capitolo, p. 27). 80 In più, Kingsbury riteneva che il concetto di «nuova Torah» cui Bacon puntava essenzialmente come principio organizzatore del Primo Vangelo (didattico e in tono di forte contestazione con la Legge giudaica), non fosse esatto, poiché lo stesso autore sintetizza più volte il contenuto del suo libro con il termine «Vangelo del Regno» (26,13; 24,14; come 4,23 e 9,35).

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discorsi principali, il carattere discorsivo di altre unità letterarie (come il capitolo 23 o il capitolo 11) potrebbero suggerire come in realtà il Vangelo ne contenga un numero maggiore. Infine, da un punto di vista formale, Kingsbury riconosceva un carattere connettivo (piuttosto che disgiuntivo) alle formule di chiusura, che segnalando la fine di un discorso danno allo stesso tempo accesso alla narrazione seguente, e sono perciò significative nel movimento temporale in avanti dell’opera. Complessivamente, non sembra dunque possibile puntare, almeno esclusivamente, su tali formule per l’organizzazione letteraria del Vangelo. Bisogna cercare altrove81: Perciò, il significato delle cinque formule ripetute, sul quale Bacon e altri hanno posto un così forte accento nel loro approccio alla struttura del Vangelo di Matteo, è sicuramente molteplice. È davvero un idioma matteano; serve per segnalare il termine dei cinque discorsi; richiama l’attenzione su Gesù, il Messia, le cui parole sono nello stato di rivelazione divina; e punta oltre sé stesso verso il concetto di storia della salvezza proprio di Matteo. Ma per tutto questo la formula non può essere forzata tematicamente, e né da un punto di vista letterario né teologico c’è causa sufficiente per considerarla il principio per cui il Vangelo è organizzato in cinque parti con prologo ed epilogo [...] dobbiamo chiederci se non ci sia un altro schema che si raccomandi meglio82.

A questo punto, Kingsbury dirige l’attenzione su altre due formule parallele all’interno del Vangelo. Tali formule distinguono efficacemente le sezioni narrative principali del testo: in 4,17 e in 16,21 Matteo avrebbe così segnalato in maniera chiara «l’inizio di una nuova fase nella “vita di Gesù”»83: apo tote

ērxato

ho Iēsous +

kēryssein...

(Mt 4,17)

apo tote

ērxato

ho Iēsous +

deiknuein...

(Mt 16,21)84

A queste due formule andrebbe aggiunto anche il titolo di apertura (Mt 1,1), che determina lo sviluppo di una sezione introduttiva precedente, riguardante

81

I criteri sottintesi all’analisi svolta da Kingsbury tendono a considerare il Libro di Matteo essenzialmente come una «storia (raccontata) di Gesù»: è ovvio, perciò, che egli prenderà in considerazione anzitutto quegli aspetti formali più significativi e cruciali per il movimento della narrazione. In questo modo, il modello che propone si legherà ai precedenti tentativi di catalogazione secondo il principio della «storia della salvezza» (prima, con, dopo Gesù) e, cosa più rilevante, costituirà un trait d’union con il successivo interesse dell’analisi narratologica al Vangelo. 82 J.D. KINGSBURY, Matthew, 7 (trad. propria). 83 J.D. KINGSBURY, Matthew, 8. 84 Rispettivamente: «Da allora cominciò Gesù a predicare» (4,17), e: «Da allora cominciò Gesù a mostrare ai suoi discepoli» (16,21). Si è preferita qui la traslitterazione greca per mostrare al lettore l’identità sintattica della prima parte della formula individuata da Kingsbury (la principale reggente l’infinitiva).

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origine e identità di Gesù: «Libro della generazione di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo»85. Perciò, a partire da 4,17 inizia una seconda sezione narrativa che sviluppa la predicazione di Gesù, mentre da 16,21 l’ultima grande sezione completa la narrazione con il viaggio di Gesù verso Gerusalemme e il compimento della sua Passione. Le due formule avrebbero anche loro il valore di sovrascritte o titoli, attraverso i quali l’autore ha segnalato l’inizio di ogni sezione caratteristica della sua opera, indicandone sinteticamente il suo contenuto. Come per la conclusione dei Discorsi, le formule erano già state notate in maniera occasionale da alcuni commentatori86, ma soltanto pochi avevano sottolineato come il loro ruolo fosse di natura strutturante87. Da un punto di vista strettamente letterario, Kingsbury descrive le formule in 4,17 e 16,21 come estremamente significative. Il sintagma apo tote («da allora» / «da quel momento in poi»), sebbene abbastanza frequente nella letteratura greca del periodo ellenistico, non è usato nel Nuovo Testamento che quattro volte, una in Luca (16,16) e tre volte in Matteo (4,17; 16,21 e anche in 26,16)88. Eppure, solamente in 4,17 e 16,21 appare come parte di una «formula fissa» che segni l’inizio di un nuovo periodo di tempo nella storia del personaggio89. In più, il verbo archomai reggente una proposizione infinitiva (in questo caso: ērxato + kēryssein o deiknuein) non è mai utilizzato dal primo evangelista (in contrasto con Marco) in modo pleonastico90. In definitiva, il parallelismo è significativo sia dal punto di vista formale (la corrispondenza tra le due formule è esatta, termine a termine), che letterario-sintattico (per il valore eccezionale che la costruzione rivestirebbe all’interno dell’opera e dello stile dello stesso Matteo). 85

Gli autori antichi non avevano gli strumenti metodologici moderni per determinare la strutturazione delle loro opere (ad esempio la delimitazione in capitoli, titoli o paragrafi). Avrebbero dovuto perciò inserire nel testo stesso alcuni indizi di organizzazione e di composizione (cfr. H.J.B. COMBRINK, «Structure of Matthew», 69). 86 J.D. KINGSBURY, Matthew, 7, nt. 38. I commentari citati erano preoccupati maggiormente alla critica della redazione del Primo Vangelo, e non conferivano perciò un particolare valore strutturante al parallelismo di 4,17 e 16,21 per l’architettura finale del libro. 87 F. NEIRYNCK, «APO TOTE ERXATO», 22, nt. 5 ha una lista di precursori ricavata dallo studio successivo di D.R. Bauer, il cui valore, però, ritiene di non poter accertare. In ogni modo, Kingsbury è stato sicuramente ispirato dai contributi precedenti di N.B. STONEHOUSE (The Witness of Matthew and Mark to Christ, cfr. J.D. KINGSBURY, «Form and Message», 18; e ID., Matthew, 7-8) e dall’articolo di E. KRENTZ, «The Extent of Matthew’s Prologue», 409-414 (ancora cfr. J.D. KINGSBURY, Matthew, 8). 88 In 26,16 apo tote denoterebbe un cambio di direzione solo per il personaggio di Giuda (cfr. J.D. KINGSBURY, Matthew, 8, nt. 44, ma c’è da chiedersi se non ci sia qui conseguentemente una svolta davvero importante anche per la vita di Gesù!); in Lc 16,16 il contrasto è tra il nuovo tempo in cui è predicato il Vangelo e il vecchio determinato da «Legge e Profeti». 89 J.D. KINGSBURY, Matthew, 8. 90 È utile notare anche la differente formulazione tra Mt 16,21 e il parallelo di Mc 8,31 per dare un certo rilievo all’ipotesi: apo tote ērxato ho Iēsous deiknuein tois mathētais autou hoti dei auton… (Mt 16,21); e: kai ērxato didaskein autois hoti dei ton hyion tou anthrōpou… (Mc 8,31). Marco utilizza una congiunzione piuttosto che un connettivo temporale più forte.

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Sintetizzando, il Vangelo appare strutturato secondo tre sezioni, ciascuna delle quali è introdotta dalla sua sovrascritta o titolo caratteristico (1,1; 4,17; 16,21). Ogni sezione è legata alla successiva dal cambiamento che ciascuna delle formule apporta nel movimento della storia di Gesù (inizio della predicazione / inizio dello svelamento del mistero della Pasqua) e nel contenuto che svilupperanno (ministero pubblico / morte e risurrezione): – 1,1: «Libro della genesi di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo» I. La Persona di Gesù Messia

(1,1–4,16)

– 4,17: «Da allora cominciò Gesù A PREDICARE e a dire...» II. La proclamazione di Gesù Messia

(4,17–16,20)

– 16,21: «Da allora cominciò Gesù A MOSTRARE ai suoi discepoli...» III. La Passione, Morte e Risurrezione di Gesù Messia

(16,21–28,20)

Di ogni larga sezione Kingsbury sviluppa un’analisi meticolosa, tentando di dimostrare non solo la coerenza di contenuto di ciascuna con il proprio titolo, ma anche le caratteristiche che ne realizzano l’organicità91. Per la prima sezione, il titolo 1,1 introdurrebbe «più immediatamente la genealogia del c. 1 e, più genericamente, il complesso di 1,1–4,16»92. Infatti, l’utilizzo topico del termine biblos suppone il richiamo al «libro delle generazioni» in Gen 2,4a e 5,1a (LXX)93, in cui se è riferito un racconto di tipo genealogico (in particolare Gen 5,2-32), soprattutto fa seguito un racconto successivo molto significativo ad esso strettamente connesso94. Da qui, i primi due capitoli sono chiaramente un’espansione di 1,1 poiché sviluppano concretamente come Gesù sia Figlio di Davide (e in particolare Figlio di Dio) attraverso i titoli che gli si attribuiscono nella narrazione («Emmanuele» in 1,23, «re» in 2,2, «comandante» e «pastore» in 2,6, fino al termine «mio figlio» sulla bocca di Dio nella citazione scritturistica di 2,15). Al c. 3, l’apparizione di Giovanni il Battista e il salto temporale che presenterà Gesù in età già adulta non segnano per Kingsbury una rottura così forte con i capitoli precedenti, quanto piuttosto l’inizio di una seconda sottosezione (3,1– 4,16), ben intessuta con la precedente per mezzo dell’approfondimento della tematica principale (Gesù come «Figlio») e di alcune corrispondenze formali, 91

J.D. KINGSBURY, Matthew, 12-25. J.D. KINGSBURY, Matthew, 11. 93 In Gen 2,4a: hautē hē biblos geneseōs ouranou kai gēs («questo è il libro delle generazioni di cielo e terra»); in Gen 5,1 hautē hē biblos geneseōs anthrōpōn («questo è il libro delle generazioni degli uomini»). 94 Più tardi, Bauer noterà che in particolare in Gen 5,1 il titolo e la genealogia servono per introdurre il personaggio di Noè e la sua posizione strategica di «agente della salvezza» all’interno della narrazione stessa (cfr. D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 75). 92

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sintattiche e grammaticali95. Anche un’ipotesi in senso contrario, che vedrebbe piuttosto 4,17 inserito nella prima sezione del Vangelo a causa della forte identità tra la predicazione di Giovanni (3,2) e quella di Gesù (4,17b)96 non regge per Kingsbury: difatti stilisticamente l’autore avrebbe dovuto utilizzare in 4,17a la congiunzione kai per legare il versetto a 4,12-16 (come ha invece realizzato in 26,16 dove il tradimento di Giuda è fortemente connesso con l’accordo dei «trenta stateri d’argento» preso con i sommi sacerdoti in 26,14-15). Anche in riferimento al contesto prossimo di questo versetto, il passaggio segnato da 4,17 sarebbe molto più forte, poiché da avvio al ministero pubblico di Gesù, cosa che in 4,12-16 non è stata ancora realizzata. Dunque: Le sottosezioni 1,1–2,23 e 3,1–4,16 sono intimamente correlate l’una all’altra per mezzo di struttura e contenuto: la particella de in 3,1 connette la pericope di Giovanni il Battista (3,1-12) con il racconto precedente; i viaggi «divinamente imposti» di Gesù precedenti alla sua pubblica manifestazione ai Giudei legano il c. 2 al c. 4 (cfr. 2,22-23 con 4,12-16); tutte le pericopi in 1,1–4,16 descrivono eventi nella «vita di Gesù (Giovanni)» che sono preliminari al ministero galilaico (4,17); e il tema della figliolanza divina di Gesù pervade tutti e quattro i capitoli. Con riferimento all’ultimo, Gesù Messia è, certamente, Figlio di Abramo, Figlio di Davide, e Re, ma prima di tutto egli è il Figlio di Dio, giacché le sue origini possono essere trovate in Dio [cfr. 3,17]97.

Per la seconda (4,17–16,20) e la terza sezione (16,21–28,20), oltre che a livello di contenuti, anche due indizi formali vanno a segnalarne l’unità. Infatti, in 4,17–16,20 è possibile notare la presenza di tre sommari corrispondenti che 95 L’analisi sintattica e contestuale porta Kingsbury a ipotizzare un’unità rigorosa tra 3,1 e i capitoli precedenti in generale, e in 3,1–4,16 in particolare. Il cambiamento temporale di 3,1 «in quei giorni» (gr. en tais hēmerais ekeinais) ha un valore escatologico più che di successione temporale, e indicherebbe il tempo segnato dalla Presenza di Dio in Gesù-Emmanuele (dunque iniziato già con la sua nascita nella sottosezione precedente); inoltre, è chiaramente riallacciato ai cc. 1–2 dalla particella greca de con funzione congiuntiva (questo valore della particella sarebbe provato dalla sua omissione in alcuni manoscritti, segno di un tentativo da parte degli scribi di dissociare 3,1 dai capitoli 1–2). Il primo passo (3,1-12) è legato al successivo (3,13-17) da almeno due indizi: lo stile simile nell’incipit (riferimento temporale – verbo paraginetai – nome del personaggio – luogo – verbo all’infinito in 3,13 e al participio in 3,1) e le parole gancio che appaiono in entrambi («Giovanni», «battezzare», «Giordano» e «Spirito»). In più, il carattere non ancora pubblico del Battesimo di Gesù, come il climax del tema del «Figlio di Dio» direttamente espresso dalla «voce» celeste (3,17), lo inseriscono tematicamente nella sezione di riferimento (1,1–4,16). Anche per 3,13-17 e 4,1-11 l’unità è garantita dagli stessi indizi (in particolare la sintassi nell’incipit di questi due passi: riferimento temporale – nome del personaggio – luogo – agente – aoristo passivo infinito per entrambi) e il tema del «Figlio» è ulteriormente approfondito nelle tentazioni subite da Cristo («Se tu sei Figlio di Dio...» in 4,4.6). Per ultimo, 4,12-16 è ben agganciato al passo precedente: il soggetto iniziale non è espresso («Gesù» è infatti sottinteso in 4,12), mentre la complementarietà delle informazioni geografiche in 2,23 (cui segue citazione) e in 4,13-14 (cui segue ancora una citazione) lo inserisce contestualmente nella sezione analizzata. 96 In entrambe: metanoeite ēggiken gar hē basileia tōn ouranōn. Per queste ipotesi, si tratta in particolare dell’inclusione riconosciuta da J.C. FENTON, The Gospel of St. Matthew, 51-52. 97 J.D. KINGSBURY, Matthew, 17 (trad. propria).

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sintetizzano il ministero di Gesù offerto a Israele: 4,23; 9,35 e 11,1. I primi due agganciano la prima sottosezione riconosciuta da Kingsbury (4,17–10,42), in cui Gesù si propone a Israele come Messia potente in parole (il Discorso della montagna) e in opere (i dieci prodigi narrati nei cc. 8–9), e invita i suoi discepoli a essere un prolungamento della sua missione (il Discorso missionario, Mt 10). L’ultimo, invece, più breve (11,1) da avvio a una seconda sottosezione più complessa (11,1–16,20) in cui viene progressivamente messo in atto l’indurimento e la risposta negativa di Israele, cui segue come soluzione alternativa la cura dei discepoli98 e l’apertura del ministero messianico ai pagani99. In 16,21–28,20, invece, il testo è segnato e sviluppato dalle tre predizioni della passione, che si concretizzeranno effettivamente nel racconto finale: sono rispettivamente proprio 16,21; 17,22-23; 20,17-19. A questo punto, Kingsbury è davvero meno analitico nella sua strutturazione (non c’è un vero e proprio riconoscimento delle sottosezioni che contraddistinguono quest’unità, né uno studio serrato delle loro caratteristiche come ha fatto per le precedenti): si sofferma principalmente a notare l’unità geografica data dal contesto del viaggio e del soggiorno a Gerusalemme. In più, il tema della cura per i discepoli è ulteriormente acutizzato. Delineatosi, come visto, nella seconda parte del Discorso in parabole (13,36), è qui davvero determinante: infatti sia il Discorso comunitario (Mt 18) che quello escatologico (24–25) non sono che rivolti a loro, i suoi discepoli. Alla fine dell’analisi sulla struttura del Vangelo, Kingsbury giunge alla domanda capitale posta dai suoi risultati: quale sia il rispettivo significato delle cinque formule di chiusura dei Discorsi e della duplice formula fissa (4,17 e 16,21), e quale relazione intercorra tra di esse. Mentre le prime indicherebbero semplicemente la fine di ogni grande discorso e l’ingresso nel racconto successivo, soltanto le ultime hanno il compito di dividere formalmente il Vangelo in tre parti, e perciò di evidenziarne una vera e propria struttura. Se, piuttosto, si dovesse dare la precedenza a un principio organizzativo basato sulle sole cinque formule, si dovrebbe altresì riconoscere che «7,28-29 separa 4,23-25 da 9,35; 11,1 e 19,1 separa 16,21, 17,22-23 da 20,17-19»100. Ciò significherebbe che i sommari e le predizioni della Passione, fondamentali giacché realizzano l’unità organica del racconto101, si trovano disgiunti. Dinanzi all’ipotesi di una rottura 98

In 13,16-17.36-52 Gesù volge la sua preferenza decisamente ai discepoli, così in 13,1823.36-43 spiega loro le parabole mentre in 13,11 è detto sommariamente che «i misteri del Regno» sono rivelati solo a loro. Ancora, solo i discepoli potranno comprendere l’identità di Gesù (16,1320), anche se la loro è per ora una «piccola fede» (14,28-33; 16,5-12; cfr. J.D. KINGSBURY, Matthew, 18-19). 99 Nella pericope della donna Cananea (15,21-28), l’idea della salvezza per le Nazioni risuona con chiarezza. 100 J.D. KINGSBURY, Matthew, 25 (trad. propria). 101 Per Kingsbury sommari e predizioni intessono con i loro motivi interni quasi capillarmente le due sezioni principali. Ne sono perciò il collante strutturale, imprescindibile. In 4,17–16,20 ricorre, per esempio, continuamente sia il motivo del verbo kēryssein (ripetuto oltre soltanto in 24,14 e 26,13 per designare la missione universale della Chiesa), sia quello del verbo didaskein

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dell’equilibrio strutturale della narrazione e della separazione dei segnali di organicità tra i due momenti principali del Vangelo, Kingsbury così conclude: «Sintetizzando, la nostra investigazione sia della formula ripetuta cinque volte sia della duplice formula prova che è l’ultima a indicare le più fondamentali divisioni del Vangelo di Matteo»102. 2. UN PASSO IN PIÙ: DAVID R. BAUER L’analisi proposta da Kingsbury sarà approfondita una decina di anni dopo da David R. Bauer, nel suo studio del 1988 mirato precisamente alla struttura letteraria del Vangelo: The Structure of Matthew’s Gospel. A Study in Literary Design. Proprio a partire da questo contributo bisogna segnalare la crescita di una sensibilità differente nei riguardi dell’investigazione della composizione dei Vangeli (sensibilità che si sarebbe ulteriormente diffusa tra gli studiosi). Si tratta di un vero e proprio cambiamento metodologico. È Bauer stesso a sottolineare, nelle prime pagine del suo lavoro, come tutti gli studiosi precedenti si fossero soffermati all’utilizzo della sola disciplina della critica della redazione per esaminare la composizione del Primo Vangelo. Perciò, il loro studio della letteratura matteana aveva condotto a differenti risultati esclusivamente a causa della differente enfasi ora riservata a un aspetto ora a un altro della critica letteraria utilizzata nel campo metodologico della Redaktionsgeschichte. La via per risolvere l’impasse sarebbe stata piuttosto una nuova attenzione alla forma finale del testo, e questo specificamente secondo due direzioni: 1) concentrandosi propriamente sul carattere letterario del testo così com’è, nella sua forma canonica definitiva, e 2) ponendo attenzione al modo in cui il lettore costruisce e risponde al testo che ha di fronte. In questo modo, il metodo propugnato da Bauer è definito «literary critical» (letterario-critico), distinguendosi dal metodo storico-critico diacronico, e caratterizzandosi perciò secondo un accento decisamente sincronico103. Per il carattere propriamente letterario del Vangelo, altri due importanti sviluppi metodologici saranno messi in evidenza dallo studioso. Innanzitutto, Bauer riconosce lo statuto strutturante di alcuni «aspetti retorici»104 di cui il (che sarebbe utilizzato esclusivamente in senso negativo nella terza sezione per delineare l’autorità di Gesù contestata), mentre il verbo therapeuein è il solo ad essere utilizzato ampiamente anche nella sezione 16,21–28,20. In questa sezione, invece, se è vero che il viaggio di Gesù verso Gerusalemme è il solo luogo in cui avvengono le predizioni, sarà soltanto a partire dal c. 21 fino al 28 che esse troveranno la loro effettiva realizzazione in evento. 102 J.D. KINGSBURY, Matthew, 25 (trad. propria). 103 In realtà, Bauer non considera del tutto superata la «critica letteraria» in quanto passo analitico diacronico che si concentra sugli indizi letterari che testimoniano un processo di costituzione del testo (processo di redazione). Anzi, è legittimo riconoscere che si tratti di un passo importante dell’investigazione esegetica. Allo stesso tempo, però, la metodologia sincronica permetterà di apprezzare e sondare il carattere letterario del testo finale, come il suo significato. 104 D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 13: «In particolare, dirigeremo la nostra attenzione su alcuni aspetti retorici del testo da cui saremo capaci di discernere la struttura del

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testo è cosparso e che puntano (in funzionalità) alla strutturazione dell’opera. Farvi attenzione, catalogarli e riconoscerli sarà una delle priorità per chiunque voglia discernere la reale struttura del libro. Inoltre, egli sembra finalmente dichiarare l’importanza delle relazioni tra tutte le parti che costituiscono un’opera letteraria, così come (ancor di più) la consapevolezza dell’esistenza di una gradazione complessa di unità letterarie, dalla più piccola fino all’ultima unità che costituisce il libro stesso: Qui il termine «struttura letteraria» è usato per riferirsi alla relazione tra parti costituenti una unità letteraria. L’unità letteraria finale in questo caso è il libro biblico, il Vangelo di Matteo. Il compito della ricerca della struttura letteraria è dunque duplice: a) determinare le principali unità e sotto-unità all’interno del Vangelo, e b) identificare le relazioni strutturali all’interno e tra queste unità. L’ultima è collegata all’unica forma strutturale che definisce la composizione del Vangelo di Matteo. Ciò che è l’onere di questo studio105.

A una tale introduzione metodologica segue un ulteriore paragrafo in cui Bauer elenca i fondamentali aspetti retorici (o relazioni compositive) su cui porre l’attenzione106. Essi sono: a) la ripetizione, ovvero la ri-occorrenza dello stesso termine o di simili, o di altri elementi affini (realizzando molto spesso enfasi nel testo); b) il contrasto, associazione di opposti o di dissimili; c) il paragone, come associazione o giustapposizione di cose che sono essenzialmente simili; d) la causalità (movimento dalla causa all’effetto) e la prova (movimento inverso dall’effetto alla sua causa); e) il climax, ovvero un movimento verso il più intenso, verso il culmine; f) il perno (ing. «pivot»), che comporta un capovolgimento o un cambiamento di direzione (spesso da un polo positivo a uno negativo); g) la particolarizzazione e la generalizzazione (spesso svolgendo il passaggio dall’una all’altra); h) la dichiarazione di scopo (come in Gv 20,31); i) la preparazione (o introduzione); j) la sintesi (o riassunto) di una unità letteraria; k) l’interrogazione (implicita o esplicita); l) l’inclusione, ovvero la ripetizione di uno o più elementi all’inizio e alla fine di una determinata unità (funzionando perciò come una parentesi formale);

Vangelo nella sua forma finale. Questi aspetti retorici, o ‘relazioni compositive’, sono specificamente e direttamente applicabili alla questione della struttura letteraria» (trad. propria). 105 D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 13 (trad. propria). 106 D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 13-20. Sempre secondo l’autore, queste relazioni possono essere espresse in maniera esplicita o implicita (per mezzo di asindeto e paratassi), e caratterizzarsi secondo le categorie di semplicità (da sole) e complessità (ovvero intessute insieme, correlate).

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Storia della ricerca e premesse di metodo

m) l’alternanza, che comporta un cambiamento o l’alterazione di certi elementi (schema: a, b, a, b, a...); n) il chiasmo, ovvero la ripetizione di elementi in ordine inverso107; o) l’intercalazione, ovvero l’inserzione di una unità letteraria nel bel mezzo di un’altra. Ancora più importante, dopo l’elenco sono fornite in modo generale le ragioni per cui non si può prescindere dall’analisi di tali categorie retoriche per il giusto discernimento della composizione di un qualsivoglia libro biblico108. Innanzitutto, molte di esse sono radicate in tutte le arti, e in senso più assoluto negli stessi processi del pensiero umano. In secondo luogo, è possibile riconoscerle nella letteratura biblica nel suo complesso. Terzo, effettivamente tutti questi elementi e le relazioni che intessono possono essere rinvenibili in tutte le unità letterarie «di varia dimensione e lunghezza: il libro, la sezione, la sotto-sezione, il segmento, il paragrafo, il verso, la frase»109. Infine, tali categorie sono estendibili a tutti i generi letterari della Bibbia e, perciò, di grande importanza per lo studio dei Vangeli: «Questa estensibilità è estremamente importante quando si affrontano i Vangeli, che non sono interamente narrativa nella forma. I Vangeli di Matteo e Giovanni specialmente, includono larghe sezioni o blocchi discorsivi»110. Tuttavia, al momento di concretizzare queste illuminanti innovazioni, Bauer risente completamente dell’impostazione di Kingsbury, e la segue a volte anche in maniera pedante. Il suo tentativo di strutturazione è il più delle volte un’analisi del fluire del racconto, e la sua analisi delle relazioni e delle retoriche del libro sono troppo spesso un’indagine dei soli motivi più che degli elementi retorici veri e propri: i primi due capitoli, sull’analisi della «ripetizione del paragone» e della «ripetizione del contrario» non sono altro che l’analisi delle relazioni tra Gesù e i discepoli da un lato (in senso complementare), e tra Gesù e i suoi nemici dall’altro (in senso di opposizione), lungo tutto il racconto di Matteo111. Il quinto capitolo del libro è il cuore dell’indagine vera e propria: qui la struttura dell’intero corpus letterario è scandita dalla relazione della «ripetizione 107

Qui Bauer fornisce prova di essere a conoscenza degli studi retorici di N.W. Lund (considerato come uno dei fondatori dell’analisi retorica biblica, cfr. R. MEYNET, Trattato, 92-104). 108 D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 19. 109 In realtà, nel seguito dell’opera Bauer non arriva mai bene a spiegare la scelta di questi termini per determinare le varie unità letterarie di riferimento. Qui si percepisce solo una certa gradazione dal più grande al più piccolo. In ogni modo, egli riconosce la necessità di una terminologia appropriata dei livelli letterari nello studio della composizione di un testo. 110 D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 19 (trad. propria). 111 Per esempio, quello che lui chiama «ripetizione del paragone» sarà l’indagine comparativa tra Gesù e i suoi discepoli sotto la lente ora dei rispettivi «ministeri», ora del «modo di vivere», ora del «linguaggio filiale» che il primo partecipa agli altri. Dopo una siffatta introduzione metodologica di ricerca, oltre che le simmetrie di contenuto, si sarebbero potute approfondire anche tutte le simmetrie linguistiche, semantiche e di composizione dei testi stessi, cosa in cui Bauer sembra manchevole (cfr. D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 57-72).

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della particolarizzazione», dall’utilizzo del «climax» e dalla «causalità»112. Bauer riconosce a questo punto la funzionalità della duplice formula di cambiamento su cui è fondata la threefold structure di Kingsbury: ognuna delle tre sezioni ha un’intestazione (1,1; 4,17; 16,21), sviluppata, o secondo il linguaggio retorico da lui utilizzato «particolarizzata» all’interno della sezione letteraria corrispondente (1,1–4,16; 4,17–16,20; 16,21–20,28), e che procede linearmente verso un climax. In più, dato il cambiamento che segnala ognuna delle due formule, ciascuna sezione sarà la causa dell’altra, fino alla fine del libro (28,20). Poche volte, tuttavia, egli si sofferma nel ricercare la strutturazione dei livelli sottostanti il libro, spingendosi al massimo fino alla sotto-sezione, quasi mai alla scansione o giustificazione dei singoli passi evangelici o, cosa più importante, delle loro relazioni all’interno di una sotto-sezione particolare113. Si potrebbe, seguendo l’indagine proposta dal libro, provare a delineare il progetto letterario del Vangelo da lui analizzato secondo questo schema: 1,1: Intestazione SEZIONE INTRODUTTIVA: La persona di Gesù Messia

(1,1–4,16)

4,17: Intestazione (formula di transizione: apo tote ērxato...) PRIMA SEZIONE: La predicazione di Gesù Messia

(4,17–16,20)

a. SOTTOSEZIONE: Gesù e i discepoli – sommario :: il ministero di Gesù – sommario :: il ministero dei discepoli – sommario

(4,17–11,1) (4,23) (5,1–9,34) (9,35) (9,36–10,42) (11,1)

b. SOTTOSEZIONE: La risposta di Israele – rifiuto (climax in 11,25-31) :: Discorso in parabole (passaggio ai discepoli) – rifiuto (climax in 16,13-20)

(11,2–16,26) (11,2–12,32) (13,1–52) (13,53–16,20)

16,21: Intestazione (formula di transizione: apo tote ērxato...) SECONDA SEZIONE: Passione, morte e risurrezione a. SOTTOSEZIONE: Viaggio verso Gerusalemme – primo annuncio della Passione – secondo annuncio della Passione – terzo annuncio della Passione 112

(16,21–28,20) (16,21–20,34) (16,21) (17,22-23) (20,17-19)

All’interno del corpus analizzato, ogni sezione del Vangelo (quindi il livello letterario sottostante il libro intero) è a sua volta scandita dal gioco ricorrente di queste relazioni: in sostanza, dunque, le categorie utilizzate sono la particolarizzazione, il contrasto e il paragone, la ripetizione, il climax e la causalità, spesso intessute insieme (poche volte si fa riferimento a tutte quelle che l’introduzione metodologica aveva presentato). 113 In realtà, si risente anche della mancanza di tavole o tabelle che possano aiutare il lettore a discernere il testo stesso del Vangelo e le relazioni che intercorrono tra le varie unità.

60 *

Storia della ricerca e premesse di metodo b. SOTTOSEZIONE: Ministero a Gerusalemme

(21,1–22,45)

c. SOTTOSEZIONE: Contro scribi e farisei

(23)

d. SOTTOSEZIONE: Discorso escatologico

(24–25)

e. SOTTOSEZIONE: Passione, morte e risurrezione :. climax del libro: Il mandato missionario

(26-28) (28,16-20)

La sezione introduttiva è chiaramente la particolarizzazione della sua intestazione (1,1): è presentata e sviluppata in modo intensivo l’identità di Gesù, che raggiunge il suo climax nella parola del Padre alla scena del Battesimo (3,17: «Questi è il Figlio mio, l’amato...»). La retorica del contrasto, invece, inizierebbe qui a delineare la contestazione che il Messia affronterà nelle sezioni successive, tentando di dare risposta alla domanda fondamentale: «Come le persone dovrebbero rispondere a questo Gesù, Figlio di Dio?»114. La prima sezione (4,17–16,20) è organicamente suddivisa in due sottosezioni simmetriche. La prima sottosezione (4,17–11,1), che presenta la predicazione di Gesù e dei discepoli, è causa diretta della seconda (11,2–16,20), dove il lettore apprende il progressivo indurimento e rifiuto di Israele. Come si evince dal tentativo di ricostruzione presentato nella tabella, la prima sottosezione è in analogia alla struttura di Kingsbury fortemente strutturata dai sommari (4,23; 9,35; 11,1), i quali disegnano rispettivamente due inclusioni corrispondenti115, inglobando a loro volta due piccole sotto-unità riguardanti il ministero di Gesù (5,1–9,34) e quello dei discepoli (9,36–10,42): «Matteo 4,17–9,35 è legata a 9,35–11,1 per mezzo della comparazione: una chiara analogia è disegnata tra il ministero di Gesù e quello dei suoi discepoli»116. Nella seconda sottosezione, le due sotto-unità che sviluppano il tema dell’indurimento di Israele sono ciascuna contraddistinte da un climax (narrativo) in 11,25-31 (la lode per i piccoli che accolgono la rivelazione del Figlio) e 16,13-20 (la confessione di Pietro a Cesarea di Filippo). Questi climax fanno ben comprendere che solo i discepoli, alla fine, sapranno riconoscere davvero la messianicità di Gesù. La confessione di Pietro, perciò, precede il passaggio da una sezione all’altra del libro: i discepoli hanno capito chi sia Gesù, ma non cosa comporterà un tale riconoscimento di identità. Il passaggio determinato dall’intestazione di 16,21 avrà il compito di chiarire lungo tutta la seconda sezione (16,21–20,28) questo argomento fondamentale, come la posta in gioco nella sequela messianica. 114

«Matteo presenta un contrasto definito tra quelli che accettano Gesù come il Cristo e quelli che lo rifiutano. Questa presentazione è trovata specificatamente nella pericope dei magi (c. 2), ma è anche strettamente legata al contrasto tra Dio e Satana in 3,13–4,11» (D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 82, trad. propria. Per una disamina delle questioni sull’organicità di questa sezione, precedentemente affrontate anche da Kingsbury, si veda Ibid. 83-84). 115 La prima inclusione è molto chiara (per le somiglianze tra 4,23 e 9,35). La seconda (9,35– 11,1) sembrerebbe semplicemente fare da occasione all’unità letteraria del Discorso missionario (cfr. D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 90-91). 116 D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 90 (trad. propria).

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Ora però, alla chiarezza espositiva manifestata per la prima sezione, corrisponde una certa imprecisione per la seconda. Anche qui, Bauer segue sostanzialmente (nella forma come nel contenuto) ciò che già Kingsbury aveva notato. Per di più, le sottosezioni non sembrano essere state identificate con dovuta chiarezza: la prima (16,21–20,34) è evidentemente contraddistinta dal tema del viaggio verso Gerusalemme e dai tre annunci della passione117, mentre le successive (davvero poco chiare) sono semplicemente ipotizzate in un passaggio sempre più intenso dell’una verso l’altra (21,1–22,45 è organizzato sul tema dell’«autorità» di Gesù; il c. 23 è segnato dal climax dei cosiddetti «guai» contro scribi e farisei; 24–25 è chiaramente un discorso sulla fedeltà dei discepoli negli ultimi tempi, e 26–28 è la realizzazione di tutto il percorso della sezione, perché il discepolo possa definitivamente immedesimarsi nell’identità messianica del Maestro). Il Vangelo raggiunge così il suo climax definito nel mandato missionario del Cristo Risorto (28,16-20), che completa in intensità i tre temi maggiori sviluppati lungo tutto il corso della storia: l’autorità di Gesù, il passaggio dal particolarismo di Israele all’universalismo delle Nazioni, e soprattutto il concetto della Presenza escatologica di Dio nella persona di Gesù, il «Dio con noi»118. In definitiva, Bauer non fa grandi passi in avanti, essendo rimasto molto vicino alla strutturazione di Kingsbury. Egli però ha arricchito il modello ed ha introdotto molti spunti metodologici per gli studi che seguiranno. Un ultimo contributo della sua indagine (ma anche qui sotto l’ombra del suo predecessore) riguarda la relazione tra i grandi discorsi e l’intelaiatura prettamente narrativa del Vangelo. A questo argomento egli riserva l’ultimo dei suoi capitoli119. I cinque grandi discorsi sono riconoscibili per l’ormai celebre formula di chiusura che non segna soltanto il termine di ciascuno di essi, ma anche la relazione di continuità con la narrazione successiva. D’altro canto, nonostante la mancanza d’indicatori all’inizio di ogni discorso120 è percepibile anche una certa continuità con la narrazione precedente, che fluisce in modo naturale in ognuno di essi. Terzo, e non meno importante, i discorsi sono complessivamente correlati al contesto narrativo circostante (per Bauer, il contesto precedente e successivo insieme). Per esempio, il Discorso della montagna è situato nel contesto dell’annuncio del Regno che «si è avvicinato» 117

«Il riferimento al viaggio verso Gerusalemme e la sua passione sono sviluppati o particolarizzati per mezzo del climax, che usa l’impalcatura geografica e il motivo della predizione e compimento per muovere il lettore verso gli eventi della morte e risurrezione di Gesù» (D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 108, trad. propria). 118 Il concetto del «Dio con noi» segna l’inizio e la fine del Vangelo (1,23; 20,28), dal momento che disegna una grande inclusione formale; ma appare chiaramente anche in 18,20 e in 26,29. Tuttavia, in 28,20 esso raggiunge un culmine di intensità, rimanendo definitivamente aperto verso il futuro: «L’attenzione qui non è tanto sulla fine, ma sulla durevole, continua presenza di Gesù» (D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 127, trad. propria). 119 D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 129-134. 120 Qui Bauer dimostra di non conoscere o di non prendere in considerazione la «terminologia distintiva» di T.J. KEEGAN, «Introductory Formulae», 414-430.

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(4,17), tema che riappare più volte all’interno del discorso stesso (per esempio in 5,3.10 e 6,10); la chiamata dei primi discepoli (4,18-22) e delle folle che seguono Gesù dalle regioni circostanti (4,23-25) ne determinerà l’audience (5,1-2; 7,28); e infine, il materiale che segue il discorso (cc. 8-9) è formalmente legato a esso per mezzo dell’inclusione dei sommari (4,23 e 9,35). Quest’unità contestuale, come visto, risponde anche all’unità retorica del materiale che costituisce 4,23–9,35 dipingendo Gesù come Messia di Israele potente in parole e in opere121. Il concetto di correlazione tra materiale discorsivo e narrativo che Bauer propone è dimostrabile anche dal fatto che una diversa quantità di materiale discorsivo è inserita all’interno del racconto vero e proprio, così come delle parti narrative sono presenti all’interno dei discorsi stessi (ne è un esempio il già citato 13,36 o la complessità dei capitoli 11–12 e 23). I cinque discorsi sistematici, tuttavia, sono «intenzionalmente voluti» dall’autore del Vangelo, perché egli vi fa direttamente riferimento, isolandoli da tutti gli altri logia di Gesù. Soprattutto in 26,1 egli accenna chiaramente a «tutte queste parole» per identificare tutti e cinque i discorsi precedenti122. Matteo, dunque, interrompe il movimento della storia per avvisare il lettore che Gesù è anche colui che ha dato istruzioni e comandi tuttora validi per la chiesa post-pasquale. Da un punto di vista strettamente formale, il tempo della narrazione se da un lato sembra essere interrotto o allargato notevolmente dall’insegnamento esposto, dall’altro si è assottigliato diventando il presente stesso del lettore: in questo modo Gesù è percepito come il Signore ancora vivo nella comunità e le sue parole sono pronunciate anche per l’oggi della lettura. I discorsi hanno infine il loro climax nel mandato finale, dove assieme alla presenza autorevole del Signore Risorto con i suoi «fino alla fine del tempo», c’è anche il compito di insegnare a «osservare tutto quello che vi ho comandato», riferendosi evidentemente proprio ai cinque discorsi che si sono susseguiti nella narrazione precedente. In questo modo, il Vangelo di Matteo, sebbene ritenuto una «storia di Gesù», è anche lo scrigno che contiene l’insegnamento sempre valido per la Chiesa, sempre in ascolto del suo Signore vivo: In termini di struttura letteraria, perciò, i discorsi funzionano per sottolineare il climax di 28,16-20. Qui il Cristo esaltato è ritratto come continuamente presente con la sua comunità «fino alla fine del tempo», continuando a dire parole d’istruzione, incoraggiamento e comandamento. È a questo punto culminante che Cristo incarica i suoi discepoli di fare discepoli, «insegnando loro a osservare tutto quello che vi ho comandato». Gli insegnamenti e i comandi di Gesù ai suoi discepoli che hanno una portata speciale nell’esistenza della Chiesa post-pasquale tendono a essere raggruppati in modo veramente definitivo in questi cinque grandi discorsi, come molti studiosi hanno osservato123. 121

D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 130. D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 132. 123 D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 133 (trad. propria). 122

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Avendo inizialmente presentato l’intenzione di fornire un’analisi letteraria del Primo Vangelo basata sul riconoscimento delle sue unità, delle relazioni che intercorrono ai vari livelli di strutturazione di queste ultime, come degli elementi retorici che le contraddistinguono, Bauer è divenuto in definitiva una sorta di ponte esegetico con la ricerca successiva. Le sue ipotesi porteranno l’analisi narrativa ad assumere completamente la threefold structure, diventando un modello imprescindibile per il riconoscimento della «trama» del libro di Matteo così come di quella fitta relazione che intercorre, a livello narrativo, tra il narratore/autore, il suo testo e il lettore. Proprio lui, il lettore di ogni tempo, diverrà il discriminante essenziale per la lettura sincronica successiva del Primo Vangelo, lui che sarà chiamato a ricostruire i punti essenziali della storia e dovrà accogliere o rifiutare, come gli stessi personaggi della storia, il messaggio del Vangelo nel suo mondo decisionale124. 3. IL NARRATIVE CRITICISM E LO SPOSTAMENTO SULLA «TRAMA» DI MATTEO I risultati di Bauer possono essere considerati come effetto di un turning point nella ricerca esegetica. Se da un lato egli faceva reggere il ponteggio della sua analisi sulle spalle solide della critica redazionale precedente (e quasi completamente su Kingsbury), dall’altro il suo lavoro rifletteva pure l’atmosfera affermatasi progressivamente agli inizi degli anni 80, che cominciava a guardare al Vangelo nella sua dimensione letteraria, oltre che come prodotto redazionale complesso: «Sembra già strano che, appena recentemente, il Vangelo di Matteo fosse letto come un catechismo, un lezionario, un manuale amministrativo, o un trattato apologetico o polemico ma non fosse riconosciuto per ciò che più obiettivamente è: una storia»125. Prendere in considerazione il fatto che i Vangeli fossero dei racconti portò la critica esegetica a valutare sensibilmente il mondo narrativo con le sue caratteristiche tecniche e metodologiche e a moltiplicare gli sforzi per la comprensione dei testi in questa direzione. I tentativi precedenti erano stati appropriati solo da un punto di vista storico-genetico, molto probabilmente, ma non avevano tenuto debitamente conto di colui che ha narrato, di come le storie siano raccontate e come esse comunichino con quelli

124

Bauer non fa mai un riferimento esplicito a questa metodologia, ma in tutto il suo libro il rimando continuo ai termini «lettore», «racconto», «autore/narratore» e «climax» finale sembrano effettivamente dirigere l’intenzione dell’indagine in questa direzione. 125 M.A. POWELL, «Toward a Narrative-Critical Understanding», 345 (trad. propria). Sullo statuto essenziale del Vangelo di Matteo bisognerà ritornare ancora a riflettere, probabilmente alla luce di sforzi e riflessioni successive. Sebbene sia innegabile che la predicazione di Gesù sia passata attraverso il canale privilegiato del racconto (lo è in generale della fede biblica che sceglie prevalentemente di raccontarsi per esprimersi), resta la domanda su cosa propriamente sia il Libro di Matteo, a cosa fosse destinato. Crediamo fortemente che a questa risposta è possibile giungere soprattutto attraverso la spinta determinante dello studio della composizione del libro. Essa dovrà tener conto degli indizi narrativi del testo, come anche di altri aspetti letterari propri, e alla fine dovrà sforzarsi di fare un ultimo passo, quello di una ermeneutica dell’intero Vangelo di Matteo.

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che le leggono126. La critica narrativa, allora, si propose di rivelare proprio le dinamiche del racconto, mettendo a fuoco «gli accorgimenti retorici che rivelano la prospettiva del narratore più che rivelare la prospettiva del redattore»127. Si tratta, quindi, di un cambiamento totale di coordinate, che potrebbe dirsi ritmato essenzialmente secondo queste modalità: a) i critici della narrazione sono interessati alla forza del narratore più che alle minuzie del redattore/autore: questo narratore è la voce che racconta, che esiste solo all’interno della storia stessa (di Matteo in questo caso) e che guida in maniera onnisciente il fluire degli avvenimenti; da questo punto di vista, egli è certamente espressione dell’autore (e tramite il narratore sarà effettivamente possibile accedere al suo pensiero), ma allo stesso tempo lo trascende sotto moltissimi punti di vista128; b) i critici della narrazione sono coinvolti meno nel comprendere la comunità a cui il Vangelo è indirizzato, ma molto di più nel delineare il lettore implicito che il racconto desidera e costruisce: egli è direttamente coinvolto nella storia attraverso la lettura e, a partire dalle arguzie di colui che scrive potrà essere condotto a una scelta e a una comprensione del racconto, quando avrà finito di leggere l’intera storia; c) infine, e forse più pertinente allo scopo di questa trattazione, i critici pongono un’attenzione maggiore alla struttura della trama («the plot’s structure») piuttosto che dell’opera letteraria nel suo complesso. La trama può essere allora definita sinteticamente come lo sviluppo della storia raccontata a partire dai suoi incidenti (o episodi): ecco perché lo studioso è ora interessato a tutto ciò che, a livello formale e tematico, tiene uniti e in relazione i vari episodi e segna i punti di svolta della narrazione. Così è pure comprensibile come la funzionalità letteraria dei cinque discorsi possa passare in secondo piano, rispetto a ciò che Kingsbury aveva evidenziato con le due formule di 4,17 e 16,21. Esse, infatti, segnavano un punto di svolta essenziale nella storia di Gesù, e dunque nello svolgimento degli episodi evangelici. In questo modo, i risultati della threefold structure potevano essere ben applicati alla prospettiva da cui la narratologia guarda il Vangelo: seguendo i principi dello stesso Aristotele129, il racconto matteano evolveva la sua trama con un inizio (o setting: 1,1–4,16), una complicazione (che è poi il corpus del libro: 126

R.C. TANNEHILL, «Disciples in Mark», 387. M.A. POWELL, «Toward a Narrative-Critical Understanding», 341. 128 Per esempio, da un punto di vista critico-redazionale Mt 15,1-20 potrebbe essere una risposta dell’autore al contesto delle controversie che la comunità intratteneva con il giudaismo dell’epoca riguardo al tema della purità rituale (Sitz im Leben); ma nella dinamica del racconto matteano, il narratore presenta drammaticamente la tensione dei «punti di vista» dei personaggi in scena (quello dei capi religiosi, di Gesù, dei discepoli e delle folle) su una questione così capitale anche per il proseguo della trama evangelica, cosa che fa percepire al lettore come sia differente il giudizio divino da quello meramente umano nei riguardi del concetto di «purità» (cfr. M.A. POWELL, «Toward a Narrative-Critical Understanding», 342). 129 Per Aristotele, ogni buona trama doveva avere i tre elementi essenziali dell’inizio, del medio e della fine (cfr. ARISTOTELE, Poetica, 7,2-7). 127

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4,17–25,46 e dove 16,21 segnava il cambiamento maggiore) e infine una risoluzione (26,1–28,20). Studiando il plot (trama) del libro, si è dovuto riconoscere come non tutti gli episodi siano di uguale importanza o segnalino sempre punti di svolta indispensabili alla narrazione: difatti, «alcuni sono più necessari alla trama che altri»130. Ecco perché, nel lavoro analitico sulla trama si andranno via via distinguendo eventi maggiori da eventi minori. I primi, definiti come nuclei (ing. «kernels») sono una conditio sine qua non per la trama, poiché la fanno avanzare generando una questione all’interno del racconto. Tale questione (o le differenti questioni che via via infittiscono la narrazione) sarà risolta solo nel proseguo della narrazione, in un avvicendarsi di nuclei fino alla risoluzione finale. Perciò, cancellare un solo nucleo significherebbe perdere il senso stesso del racconto. Al contrario, gli eventi minori sono definiti satelliti e hanno una funzione di arricchimento della narrazione: dunque non sono strettamente necessari ma comunque risultano utili, poiché alzano il livello della narrazione. Inoltre, essi sviluppano estrinsecamente i cambiamenti e le scelte fatte nei nuclei, riempiendo così la storia da un nucleo all’altro: Per esempio, il Discorso della Montagna occupa tre capitoli nel Vangelo di Matteo ed è d’immensa importanza per il ministero di Gesù, ma è solo un evento-satellite. Esso mette in pratica il programma annunciato all’inizio del ministero di Gesù. Al contrario, l’inaugurazione del ministero di Gesù (4,12-17) è un nucleo, sebbene occupi soltanto sei versetti. La ragione è chiara. L’inizio del ministero di Gesù è un nodo cruciale nel racconto. Altri eventi come il Discorso della Montagna sono dipendenti da lui e lo completano131.

Ora, il riconoscimento dei nuclei e dei satelliti, così come la delimitazione dei blocchi narrativi che essi andranno a costruire, seguirà delle procedure analitiche abbastanza differenti da quelle dei modelli precedenti di strutturazione, che si basavano esclusivamente su alcuni dati linguistici e tematici. Bisognerà accertarsi analiticamente come gli episodi funzionano all’interno di tutto il racconto: ciò significa che il riconoscimento non può che avvenire in modo «retrospettivo», dalla fine. Una volta giunti all’epilogo del racconto sarà possibile riconoscere quali eventi abbiano portato inesorabilmente verso quella determinata conclusione. Una siffatta analisi, tuttavia, correrebbe il rischio di cadere nella soggettività, dal momento che il reperimento della trama sembrerebbe essere affidato all’intuitività del lettore. In definitiva: [I critici della narrazione] provano a seguire il fluire della narrazione descrivendo le caratteristiche che preservano una continuità tra gli episodi. Sono alla ricerca di modelli retorici e provano a identificare i legami causali che forniscono il racconto 130 F.J. MATERA, «The Plot of Matthew», 237. Per la descrizione di «kernels and satellites» si possono considerare le pagine seguenti e lo studio di riferimento: S. CHATMAN, Story and Discourse, 53-56. 131 F.J. MATERA, «The Plot of Matthew», 238 (trad. propria).

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Storia della ricerca e premesse di metodo della sua logica particolare. Si chiedono quali dei diversi episodi segnino punti di svolta chiave nello sviluppo della trama. Analizzano lo sviluppo e la risoluzione del conflitto all’interno del racconto e tratteggiano la storia dei personaggi più significativi. Provano a delineare importanti connessioni tematiche come accoglienza/rifiuto e promessa/ compimento132.

Resta infine il dubbio (sia da un punto di vista teorico che sperimentale) che la strutturazione di una trama coincida propriamente con il reperimento di una strutturazione letteraria. Si tenterà di offrirne un’illustrazione quanto più chiara possibile nell’analisi di alcuni tra i contributi più importanti del narrative criticism applicato al Vangelo di Matteo133. 3.1 IL VANGELO COME «STORIA» SECONDO F.J. MATERA In un articolo del 1987, «The Plot of Matthew’s Gospel», F.J. Matera propose un primo studio della trama di Matteo, divenendo uno dei primi critici del racconto in esso contenuto134. Nonostante abbia desiderato mantenere la validità del lavoro diacronico della critica della redazione, tentò di considerare finalmente il Vangelo come una «storia», e conseguentemente di riconoscere a partire dalla sua fine tutti gli incidenti principali (i «nuclei») e secondari («i satelliti») che la strutturano. In questo modo, la sua analisi voleva «contribuire, in piccola parte, al continuo dibattito riguardante la struttura di Matteo»135. Il racconto è retto dai due principi del tempo e della causalità. Il primo di essi mette in luce il modo in cui all’interno della narrazione è percepita la totalità degli avvenimenti. Per il Vangelo di Matteo si tratta precisamente della vita di Gesù Cristo, che tuttavia si distende indietro, nelle promesse del passato che in Lui si compiono (è l’artificio narrativo costituito dal Prologo di 1,1-17, attraverso cui sono sintetizzate le promesse elargite ad Abramo e a Davide e attese in tutta la storia di Israele), e al futuro, nel punto omega della consumazione della salvezza da Lui inaugurata (la parusia prospettata nel mandato missionario in Mt 28,20). Il tempo del racconto coincide perciò con la storia della salvezza, intessuta di promessa e compimento, e ne costituirà una categoria essenziale. La causalità, invece, è il modo in cui il narratore connette gli avvenimenti (ed è qui perciò che giocano un ruolo capillare i «nuclei» e i «satelliti»). Per Matera i punti principali nella trama matteana sono tre: a) nell’apparizione di Gesù, Dio

132

M.A. POWELL, «Toward a Narrative-Critical Understanding», 344 (trad. propria). Anche per questo approccio si forniscono alcuni commentari e monografie più recenti e interessanti (di alcune di queste si specificano anche le pagine in cui la struttura del libro è presentata o analizzata): W. CARTER, Matthew. Storyteller, Interpreter, Evangelist (del 1996); R.B. GARDNER, Matthew, 22-23 (del 1991); D.E. GARLAND, Reading Matthew, 9-10 (del 1993); M. GRILLI, Scriba dell’Antico e del Nuovo, 10-12 (del 2011); R. PREGEANT, Matthew (del 2004). 134 Cfr. F.J. MATERA, «The Plot of Matthew», 233-253. 135 F.J. MATERA, «The Plot of Matthew», 234 (trad. propria). 133

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ha mantenuto le sue promesse a Israele; b) ma Israele ha rifiutato Gesù come Messia e Salvatore; c) di conseguenza, il Vangelo passa alle Nazioni136. Matera riconosce sei «nuclei» fondamentali da cui scaturiscono lo stesso numero di blocchi narrativi. Il primo e l’ultimo blocco hanno uno statuto particolare: il primo, infatti, segna l’inizio della storia (1,1–4,11), e il suo «nucleo» principale non è situato in apertura ma si trova piuttosto al suo interno (2,1a); l’ultimo, invece, segna il climax di tutto il racconto ed è un unico «nucleo» narrativo (28,16-20)137, non corredato da altri episodi satelliti138: I. L’arrivo del Messia

(1,1–4,11)

• primo nucleo: la nascita di Gesù

(2,1a)

• secondo nucleo: l’inizio del ministero

(4,12-17)

II. Il ministero del Messia a Israele: predicazione, insegnamento e guarigione • terzo nucleo: la domanda di Giovanni III. La crisi del ministero del Messia • quarto nucleo: la conversazione di Gesù a Cesarea IV. Il viaggio del Messia verso Gerusalemme • quinto nucleo: la purificazione del Tempio V. La morte e risurrezione del Messia • VI. Il grande mandato

(4,12–11,1) (11,2-6) (11,2–16,12) (16,13-28) (16,13–20,34) (21,1-17) (21,1–28,15) (28,16-20)

Un cambiamento di direzione importante, nella normale delimitazione della threefold structure, è dato dal modo in cui Matera riconosce e struttura il quarto nucleo narrativo. Si tratta di un unico episodio in 16,13-28, per cui 16,21 è notevolmente relativizzato e ridimensionato nella sua funzionalità (la confessione di Pietro si trova in questo modo ad essere connessa alla formula apo tote ērxato).

136

Il principio di causalità segue in linea di massima la scansione aristotelica di inizio, mezzo e fine, ed è ben manifestato, come già osservato, nella threefold structure i cui momenti essenziali sono proprio quelli dell’apparizione di Gesù, della sua offerta ad Israele e del dramma della Passione e Risurrezione. 137 Terminando il libro, il sesto nucleo segna anche un nuovo inizio (non scritto ma in fieri) che oltrepassa la trama ed entra nel mondo reale del lettore (il tempo dell’annuncio e della missione). 138 Nella tabella, i nuclei («kernels») sono puntati e numerati in tondo, mentre i blocchi narrativi che generano sono segnalati dalla numerazione romana.

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Storia della ricerca e premesse di metodo

3.2 I NUCLEI E I BLOCCHI NARRATIVI SECONDO W. CARTER In tempi più recenti, nel 1992, W. Carter riprese in mano il lavoro di Matera rispondendo con un nuovo articolo139. Anche lui perciò utilizzerà i criteri narratologici dei blocchi narrativi, dei nuclei e dei satelliti al fine di riconoscere la strutturazione della trama evangelica. Allo stesso modo, il punto di partenza dell’analisi è sempre quello privilegiato della fine del racconto: solo da lì, in modo retrospettivo, il lettore può riconoscere quali siano stati i punti di svolta della narrazione. Ma su questo punto, Carter ammette finalmente che ciascun lettore non è uguale a ogni altro: «I lettori valutano e classificano gli eventi in maniera differente e discordano nelle relazioni tra eventi»140. Per una valutazione critica dei meccanismi di strutturazione sarà allora necessario riconoscere con attenzione e articolare bene le ragioni che portano a ritenere un episodio come evento-nucleo (che dà vita a un blocco narrativo) e ciò che invece può essere valutato semplicemente come evento satellite. Questa accuratezza porta Carter a intervenire sulla proposta di Matera, con alcune modifiche importanti: • Primo nucleo: I. Dio inizia la storia di Gesù • Secondo nucleo: II. Gesù manifesta la presenza salvifica di Dio nel suo ministero pubblico di predicazione e guarigione • Terzo nucleo: III. Le azioni di Gesù rivelano la sua identità come agente incaricato da Dio, che necessita di una risposta dagli uomini, sollevando la questione se Israele lo riconoscerà come il Messia di Dio • Quarto nucleo: IV. Gesù insegna ai suoi discepoli che i disegni di Dio per lui comportano la sua morte e risurrezione, evento che modella anche il discepolato • Quinto nucleo: V. A Gerusalemme, Gesù si scontra ed è rifiutato dai capi giudei, e muore per mano loro • Sesto nucleo: VI. I disegni salvifici di Dio non sono sventati; Gesù risorto incarica i suoi discepoli di una missione universale 139

(1,18-25) (1,1–4,16) (4,17-25) (4,17–11,1) (11,2-6)

(11,2–16,20) (16,21-28)

(16,21–20,34) (21,1-27) (21,1–27,66)

(28,1-10) (28,1-20)

W. CARTER, «Kernels and Narrative Blocks», 463-481. Lo fa a partire da un’osservazione precedente di Chatman sul processo di riconoscimento dei nuclei e dei satelliti (cfr. W. CARTER, «Kernels and Narrative Blocks», 467). 140

I primi passi della ricerca sulla composizione del Vangelo

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Il primo nucleo narrativo non è identificato in 2,1a (che è piuttosto una frase participiale non conclusa), ma in 1,18-25, il primo vero passo della trama in cui è narrata l’azione di Dio che dà avvio alla storia di Gesù (per mezzo della concezione verginale di Maria «dallo Spirito Santo»). Perciò, i primi versetti del racconto (1,1-17), servono da «intelaiatura interpretativa» (e introduttiva) che pone la storia di Gesù in un contesto particolare, quello delle promesse per Israele. Anche Mt 4,12-16, che faceva parte di un nucleo fondamentale per i risultati di Matera, si trova agglomerato al primo blocco narrativo che qui termina. Esso tratta maggiormente il tema della presenza salvifica di Dio in Gesù, che è il tema principale del primo blocco, piuttosto che il tema della risposta di Israele alla sua predicazione. Il secondo nucleo narrativo è allora 4,17-25: qui c’è davvero una svolta nella narrazione, perché Gesù inizia effettivamente il suo ministero pubblico. Il blocco narrativo che esso genera è il secondo: Mt 4,17–11,1 con le parole e le opere del Messia. Nondimeno il passo 16,13-20 è ritenuto un evento satellite del terzo blocco narrativo per il suo valore riassuntivo che prepara la vera svolta di 16,21. Il nucleo successivo (che avvia il quarto blocco) è allora 16,21-28 dove Gesù cambia decisamente prospettiva, si rivolge ai discepoli e dischiude loro l’intento salvifico di Dio. L’ultimo evento nodale non è riconosciuto nel grande mandato, che per Matera coincideva anche con l’ultimo blocco narrativo del Vangelo (28,16-20): è piuttosto l’evento della Risurrezione il vero punto risolutivo della trama, aprendo il lettore a una nuova storia, che esubera la stessa trama evangelica per proiettarsi nel futuro dei discepoli di ogni tempo. Da questa prospettiva, si evince lo statuto di evento satellite per il grande mandato, dal momento che si tratta di una conseguenza dell’evento precedente. A partire da questa illustrazione dei risultati141, si deve riconoscere che Carter si avvicina con maggiore fedeltà alle acquisizioni della threefold structure: infatti due dei sei eventi cruciali (4,17-25 e 16,21-28) si aprono con la formula di passaggio riconosciuta da Kingsbury. C’è da dire, in ogni caso, che egli dirige l’attenzione anche su altri indizi di valore letterario, ritenendo anzi di poter affermare come ci siano punti di convergenza molto forti e significativi tra la trama così come è stata da lui analizzata e questi altri aspetti formali del Vangelo: Mentre la nostra messa a fuoco è stata sulla trama e sull’identificazione della sovrastruttura del Vangelo, è anche importante riconoscere che Matteo integri questa intelaiatura, e assicuri l’unità della sua opera, con una intera schiera di altri mezzi strutturali interni142.

141 Per un approfondimento delle argomentazioni, che per ovvi motivi di spazio non possono essere completamente integrate all’interno di questo capitolo: W. CARTER, «Kernels and Narrative Blocks», 473-480. 142 W. CARTER, «Kernels and Narrative Blocks», 480 (trad. propria).

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Per esempio, l’indizio del passaggio geografico dalla Galilea a Gerusalemme ha un suo ruolo funzionale, dal momento che divide la trama perfettamente in due parti: confrontandolo con la sua strutturazione, infatti, si nota come i primi tre blocchi narrativi si svolgano in Galilea, mentre gli ultimi tre verso e dentro Gerusalemme. Le due formule di passaggio individuate da Kingsbury (4,17 e 16,21), come già accennato, segnano due eventi-nucleo e danno perciò avvio ad alcuni blocchi narrativi. Si potrà notare, inoltre, come il secondo blocco narrativo venga concluso da una delle formule riconosciute da Bacon (11,1), mentre si potrebbe dimostrare (a detta di Carter) che le altre formule di chiusura dei discorsi segnino il legame tra eventi satellite143. Tutta una serie di altre caratteristiche formali molto utilizzate (come la ripetizione e l’inclusione) che erano state evidenziate già dalla ricerca precedente, potranno servire ora a enfatizzare un tema (come l’uso triplice di metanoeō/metanoia in 3,1-12), ora a tenere insieme un blocco narrativo (come l’inclusione tra 4,23 e 9,35), ora a unificare il Vangelo stesso (cfr. 1,23/28,20), informando e persuadendo il suo lettore144. 3.3 TRAMA E SOTTOTRAME NELL’ANALISI DI MARK A. POWELL Nello stesso anno, e in dialogo con i risultati precedenti, Mark A. Powell si soffermò meno al riconoscimento delle unità narrative, privilegiando piuttosto la complessità delle connessioni che costruiscono la trama principale del Vangelo. Il suo articolo145 è introdotto da una serrata critica delle ipotesi già esistenti, esemplificate in modo particolare nei contributi di R. Edward (1985)146, F. Matera (1987)147 e J. Kingsbury (1986) che si era nel frattempo adoperato ad analizzare la trama matteana a partire dagli aspetti formali che aveva già individuato148. Per Powell, lo studio di Edward aveva sviluppato un concetto molto 143

L’autore ritiene però di non poterlo dimostrare in sede di articolo. W. CARTER, «Kernels and Narrative Blocks», 481. 145 M.A. POWELL, «The Plot and Subplots», 187-204. 146 R. EDWARD, Matthew’s Story of Jesus. 147 F.J. MATERA, «The Plot of Matthew», 233-253. 148 J. KINGSBURY, Matthew as Story. Nel 1992, l’autore sintetizzava in un articolo i risultati nell’applicazione della critica narrativa a quanto aveva già teorizzato con l’apparizione di Matthew: Structure, Christology, Kingdom. Per lui, la trama di Matteo è essenzialmente la storia di un conflitto che trova il suo culmine nei racconti della Passione e Risurrezione. La strutturazione delle macrosezioni individuate e scandite dalla duplice formula di passaggio (1,1–4,16; 4,17– 16,20; 16,21–28,20) è perfettamente rispettata. Da un punto all’altro della trama, tuttavia, viene gradualmente prefigurato e preparato il conflitto con i capi religiosi, e in maniera complessiva con Israele, che si consumerà definitivamente nella croce. In questa trama conflittuale c’è tuttavia un’intenzione nascosta, che il narratore farà trapelare pienamente solo alla fine: è infatti soltanto apparente la sconfitta di Gesù e la vittoria dei capi, giacché è proprio attraverso tale sconfitta che i piani di Dio trovano il loro pieno adempimento. L’obbedienza filiale di Gesù apre al dono universale della salvezza: per tutte le Nazioni come anche per coloro che lo avevano rifiutato. La narrazione si costruisce perciò su una doppia prospettiva: quella degli oppositori e quella determinante di Dio, che alla fine il lettore dovrà fare propria (cfr. J. KINGSBURY, «The Plot of Matthew», 347-356). 144

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semplice di trama, facendolo combaciare semplicemente con la storia del personaggio principale, Gesù. Il secondo, F. Matera, aveva basato la sua complessa analisi delle unità narrative a partire dai principi di tempo e in particolare di causalità: non aveva tenuto in conto, tuttavia, la possibilità di una pluralità di altre connessioni che possono effettivamente avviare all’evoluzione di differenti sottotrame. Infine, Kingsbury aveva ben visto il carattere conflittuale della storia raccontata nel Vangelo, ma non aveva pure lui considerato la possibilità di una pluralità di livelli (le sottotrame appunto) che concorrono alla risoluzione complessiva di tale conflittualità, elemento così importante per la comprensione della narrazione stessa. Puntando perciò sulla caratteristica della pluralità delle trame e sulle connessioni che esse sviluppano, Powell arriva a identificare la trama principale del Vangelo che tratta evidentemente del conflitto tra il piano salvifico di Dio (che si concretizza nella missione di Gesù) e gli ostacoli opposti a questo da Satana. Tale trama è intessuta mediante relazioni tra altre due sottotrame, quella che sviluppa il conflitto tra Gesù e i capi religiosi da un lato, e quella che invece sviluppa la relazione tra Gesù e i suoi discepoli, dall’altro: «La trama principale è quella che fornisce la narrazione con la sua logica più intenzionale e il significato più profondo. Le sottotrame, d’altro canto, implicano sviluppi secondari che sono correlati al tema principale ma che possiedono anche una certa integrità in sé stesse»149. Da un punto di vista strutturale, il racconto del Vangelo è segnato da alcuni indizi letterari, primo fra tutti le formule di 4,17 e 16,21 che sono da considerare «espliciti indicatori del flusso narrativo dello stesso narratore» e che «servono a informare il lettore dei nuovi sviluppi più importanti all’interno del flusso narrativo complessivo»150. Tali indicatori distinguono le due sezioni principali della trama, in cui sono inseriti anche i materiali più importanti e significativi: i discorsi e la narrazione della Passione e Risurrezione. L’importanza di questi materiali è data dall’enorme differenza tra il tempo degli altri episodi narrati e quello di queste unità. Infatti, sembra che il tempo del racconto sia notevolmente rallentato e amplificato ogni volta che un discorso inizia; lo stesso avviene per il racconto della Passione: Primo, i grandi discorsi che Gesù dà sono degni di nota per la quantità di tempo del discorso dedicato a essi. Mentre Matteo di solito narra eventi con un’economia di dettagli, abbandona l’uso dei sommari nel riportare i detti e presenta il contenuto di questi eventi a un’andatura che chiede più tempo al lettore. Secondo, gli eventi della Passione di Matteo sono anche presentati in modalità che li fanno risaltare dal resto del Vangelo151.

149

M.A. POWELL, «The Plot and Subplots», 199 (trad. propria). M.A. POWELL, «The Plot and Subplots», 193 (trad. propria). 151 M.A. POWELL, «The Plot and Subplots», 194 (trad. propria). 150

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Insieme a queste due caratteristiche, Powell riconosce tre dichiarazioni di scopo esplicite nel testo evangelico, che danno ragione del vero principio di causalità del racconto: 1,21, dove l’angelo spiega la missione di Gesù a partire dal nome che gli sarà dato («egli infatti salverà il suo popolo dai loro peccati»); 9,13 che spiega perché Gesù inizi a predicare («Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori»); e infine 20,28 che spiega perché Gesù debba andare a Gerusalemme e subire la passione («Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti»). Queste tre dichiarazioni sono perciò strettamente connesse con le tre sezioni principali del Vangelo: 1,21 fa parte di 1,1–4,16; 9,13 è all’interno di 4,17–16,20 e 20,28 all’interno di 16,21–28,20. Le stesse dichiarazioni permettono di riconoscere la trama principale, ma anche di capire la realizzazione delle due sottotrame all’interno di essa. Il piano di Dio allora è di salvare «dai peccati» (1,21) e si concretizza nella presenza e nell’attività di Gesù (9,13 e 20,28). Le due sezioni principali del Vangelo sviluppano la trama in due direzioni: nella prima (4,17–16,20) è narrata la predicazione in parole e opere, che si manifesta in modo particolare nella chiamata dei peccatori; nella seconda (16,21–28,20) è narrato il modo in cui Gesù realizzerà questa salvezza, mediante la sua vita offerta in riscatto per Israele che lo rifiuta e per le moltitudini delle Nazioni che lo accoglieranno. La lotta tra il disegno di Dio e Satana è però tratteggiata solo sullo sfondo: le sottotrame allora renderanno palese la trama al lettore man mano che il racconto avanza, facendola ora progredire verso il suo scopo, ora tentando di bloccarla152. Così, se la prima sottotrama si focalizza sul conflitto tra Gesù e i capi religiosi di Israele, è possibile notare come nella prima sezione del racconto (4,17–16,20) questi ultimi si oppongano sempre più apertamente a Gesù, tentando di bloccare la sua missione, mentre nella seconda sezione (16,21– 20,28) diventino gli agenti della sua morte, e perciò anche inconsapevolmente della realizzazione del piano salvifico. Al contrario, la seconda sottotrama che sviluppa il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli è inversamente proporzionale alla prima: nella prima sezione del Vangelo i discepoli assistono al compimento della predicazione del Regno, mentre ne diventano un ostacolo inconsapevole nella seconda sezione, quando dovranno misurarsi continuamente con la difficoltà di entrare nella logica oblativa di Gesù. La passione diventa, ironicamente, il punto in cui la trama si capovolge: Gesù sembra essere stato sconfitto, ma la Resurrezione e il grande mandato (28,1-20) informeranno il lettore del compimento dei piani di Dio. Al contrario, l’epilogo di ciascuna delle sottotrame rimane aperto, poiché il lettore è di fatto rimandato oltre il racconto nel prevedere il modo in cui si comporteranno gli oppositori di Gesù (cfr. 28,11-15), e come affronteranno l’invito alla testimonianza i discepoli mandati dal Risorto (cfr. 28,16-20)153. 152

Sulle dinamiche tra trama principale e le due sottotrame: M.A. POWELL, «The Plot and Subplots», 199-204. 153 M.A. POWELL, «The Plot and Subplots», 204.

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4. PER UNA VALUTAZIONE DELLA THREEFOLD STRUCTURE: IL PASSAGGIO DALLA COMPOSIZIONE DEL TESTO ALLA TRAMA DEL RACCONTO

Non si può che guardare positivamente ai frutti che questo modello di strutturazione del Primo Vangelo ha apportato alla ricerca. In modo particolare, l’introduzione metodologica proposta da Bauer nel suo studio sulla composizione letteraria sembra aver imboccato la giusta direzione: l’approdo all’approccio sincronico che desidera guardare la carne del testo così come si presenta, l’interesse e la crescente attenzione per alcuni elementi retorici che evidentemente sono coinvolti nella forma del libro, la scoperta di differenti livelli di strutturazione, e infine l’intuizione di una certa relazione tra queste unità letterarie nei vari livelli di composizione, sono tutti criteri pertinenti alla ricerca della struttura letteraria di un’opera. Tuttavia, come si è potuto vedere, nonostante i risultati soddisfacenti, la direzione sembrerebbe soltanto intravista ma non pienamente intrapresa. Kingsbury, come lo stesso Bauer, resterebbero alquanto in superficie nel lavoro di riconoscimento della composizione del Vangelo. Soffermandosi sostanzialmente sulle tre principali sezioni del libro, e rimanendo molto imprecisi nel riconoscimento delle altre subunità, hanno contribuito maggiormente a dirigere l’attenzione sul flusso del racconto dal suo inizio alla sua fine (secondo le categorie aristoteliche). In questo modo, hanno abbracciato il Vangelo nella sua dimensione di narrazione, ma si sono divincolati quasi del tutto dal fatto concreto del testo e della sua forma complessa. Per le formule messe in evidenza da questo tipo di struttura (4,17 e 16,21), è evidente che si tratti di forme di parallelismo all’interno del Vangelo, ma bisognerà domandarsi che tipo di ruolo strutturante esse abbiano (e, se questo tipo di ruolo è influente sulla forma del Vangelo, a quale livello debba essere di fatto situato): Non si può biasimare la tecnica redazionale che conduce Kingsbury alla sua conclusione, e penso egli abbia trovato qualcosa di reale e interessante; ma non ha trovato la struttura del Vangelo di Matteo [...] Ciò che Kingsbury ha trovato e che egli quasi riconosce — è come Matteo pensò che dovesse essere strutturata “la vita di Gesù” — una struttura di cui Matteo è debitore di Marco154.

Non mancano perciò studi che tentano di dimostrare come queste formule non determinino tanto un passaggio formale da una sezione all’altra, ma piuttosto nella «storia» di Gesù155. Da un punto di vista formale invece, sembra necessario legarle alle pericopi precedenti (4,12-16 e 16,13-20) alle quali danno un carattere

154

D.L. BARR, «The Drama of Matthew’s Gospel», 350-351 (trad. popria). Oltre al già citato articolo di Barr, un contributo essenziale e molto approfondito da un punto di vista filologico ed esegetico è quello di F. NEIRYNCK, «APO TOTE ERXATO», 21-59, (il tipo di ricerca è affine alla critica redazionale) a cui si rimanda per la complessità della trattazione e lo spazio di discussione per essa necessario. 155

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di «pericope di apertura»156. Sembrano chiari, ad esempio, alcuni parallelismi di struttura tra 16,13-20 e 16,21-23 che portano a tenere insieme queste due unità letterarie (così anche la pericope successiva, Mt 16,24-28): in entrambe è Gesù che si rivolge ai discepoli (16,13.21), in entrambe Pietro interviene, e in maniera contrastante per ciascuna pericope (la confessione di 16,16 è in opposizione al tentativo di Pietro di dissuadere Gesù in 16,22), così come in entrambe Gesù risponde a Pietro (in 16,17-19 c’è la promessa del primato petrino, mentre in 16,22 un severo rimprovero). Queste caratteristiche di simmetria tra le due unità, basate sull’opposizione, fanno pensare a una loro relazione unitaria (costituendo probabilmente due pericopi in relazione tra loro nel livello di strutturazione superiore), piuttosto che essere divise per mezzo di 16,21 nel corpus di due sezioni differenti del libro. Tutto questo rende importante la valutazione di una serie di altri indizi, oltre che l’indiscussa particolarità stilistica e grammaticale di queste due formule matteane. Sebbene si corrispondano a distanza e costituiscano segni di uno sviluppo, sarà però anche il contesto prossimo (o la possibilità che qualcosa nel contesto le accomuni o le differenzi) a determinarne il ruolo strutturale. L’assolutizzazione di un criterio o di un indizio formale appena individuato può perciò precludere la strada che porta al riconoscimento di un’armonia di indizi strutturanti, e dunque alla reale composizione del libro. Ci sono ancora altre questioni che gettano più di qualche dubbio sulla piena validità del modello della threefold structure: a) i sommari (4,23-25; 9,35 e 11,1) e le predizioni della passione (16,21; 17,22-23; e 20,17-19) sarebbero per Kingsbury i veri agenti dell’organicità delle sezioni del Vangelo (al contrario dei cinque discorsi per i modelli della fivefold structure), ma in effetti potrebbero tenere insieme soltanto alcune parti di tali sezioni, essendo agglomerate le prime in 4,17–11,1 e le altre in 16,21–20,34; b) tenendo conto invece della significatività formale dei cinque discorsi, i sommari e le predizioni della passione potrebbero piuttosto svolgere un ruolo di cornice ai discorsi, come è evidente per 4,23-25 e 9,35 che incorniciano il Discorso della montagna (identificando perciò almeno tre unità letterarie tra loro in relazione), oppure 9,35 e 11,1 che incorniciano il Discorso missionario; di fatto, i discorsi e le unità letterarie che potrebbero rappresentare non costituiscono un rischio all’organicità di probabili sezioni del libro; c) è forse più difficile, se si dividono due sezioni del libro in 16,21, giustificare la separazione dei tre episodi petrini, materiale che è proprio di Matteo e nei quali Gesù è sempre proclamato Figlio di Dio: 14,25-33 la chiamata sulle acque; 16,13-16, la confessione petrina; e 17,24-27, il

156

F. NEIRYNCK, «APO TOTE ERXATO», 24.

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pagamento della tassa; queste unità, piuttosto, dovrebbero far parte di un’unica unità letteraria complessa ma organica157. Lo studio narrativo del Primo Vangelo, fortemente motivato da questo modello di struttura (cfr. Powell, Matera, Carter e Kingsbury), ha determinato il passaggio dall’analisi di una struttura letteraria al solo studio della struttura della trama. In questo modo, è chiaro che il criterio narrativo sia diventato l’unico criterio di riconoscimento: dalle unità letterarie si è passati al riconoscimento dei blocchi narrativi della trama, e dalla ricerca di elementi retorici strutturanti al riconoscimento di episodi necessari o episodi satelliti. Gli indizi o i risultati che possono fornire lo studio e la strutturazione della trama (o dell’intrigo) sono veramente utili ma non devono essere considerati univoci, mettendo da parte l’importanza di tutti gli altri elementi oggettivi e letterari presenti nel testo. Piuttosto, essi possono convergere in un fascio di indizi posti in collaborazione e in mutua valutazione. Solo per fare un esempio, potrebbe essere utile considerare il cambiamento tra tempo narrato e tempo narrante operato nei discorsi (già riconosciuto da Powell) come un argomento ulteriore nel riconoscimento del valore strutturante dei discorsi stessi. In questo modo, ci sarebbe un elemento in più che porta a considerare il Discorso della montagna come una sezione o una sottosezione del libro. Oppure, per lo stesso motivo, i capitoli che narrano la Passione e la Risurrezione di Gesù potranno essere considerati come un’unica unità di livello superiore composta di molti passi in relazione tra loro. In più, capovolgendo il modo di procedere, viene da chiedersi se non sarà piuttosto il riconoscimento di una struttura compositiva del libro, o di un’unità letteraria determinata più piccola, a costituire un aiuto prezioso anche per il riconoscimento degli eventi della narrazione in essi contenuti e per l’importanza che questi hanno all’interno dell’intrigo narrativo158. In questo modo, è possibile superare anche una certa soggettività latente al processo di riconoscimento dei nuclei e dei satelliti nella strutturazione dei blocchi narrativi, così come si è potuto notare dai differenti risultati ottenuti per ogni ricercatore. La fivefold e la threefold structure sono dunque i due maggiori modelli di strutturazione che hanno determinato la ricerca sulla struttura compositiva del Vangelo di Matteo per gran parte del suo cammino. In realtà, non sono mancati 157

D.L. BARR, «The Drama of Matthew’s Gospel», 350. Per altre obiezioni alla struttura di Kingsbury si veda: W.J.C. WEREN, «The Macrostructure of Matthew’s Gospel», 179-180. 158 A. WÉNIN, «Analyse rhétorique et analyse narrative», 210-214. L’articolo esprime la possibilità di riconoscere il dispiegamento della trama narrativa a partire anche dalla composizione di un’unità letteraria e dal riconoscimento dei suoi elementi formali (sviluppa questa possibilità in modo molto concreto a partire dallo studio di un testo: 1Sam 2,11b-18). L’autore sottolinea nelle sue riflessioni: «La struttura messa in evidenza mediante processi relativi all’analisi retorica si dimostra essere una buona guida per seguire le articolazioni dell’intrigo che presiede alla disposizione dei diversi quadri che formano questo episodio» (Ibid., 213, trad. propria). La possibilità di una convergenza di risultati è dunque reale: una buona composizione letteraria aiuta nel riconoscimento della significatività degli episodi della trama, anzi, spesso coincide con il lavoro narrativo, o lo consolida e lo sviluppa.

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alcuni tentativi di operare una sorta di compromesso tra le due proposte, integrandole159. Esimono tuttavia da questa presentazione già abbastanza dettagliata, che non si prefigge di argomentare e analizzare ogni ipotesi sul campo, ma solo i punti più importanti della ricerca finora sviluppata e la problematicità di alcuni criteri assunti. Neppure mancano, in tempi più recenti, i tentativi di riportare sulla cresta dell’onda esegetica ora l’uno ora l’altro modello di strutturazione, a volte anche sviluppando risultati interessanti. Di questi contributi più attuali, ma anche di altri modelli sviluppatisi a partire dall’approfondimento delle caratteristiche retoriche del Primo Vangelo, si tratterà nelle pagine che seguono.

159 Nel suo commentario a Matteo (1999), Craig S. Keener scrive a proposito della struttura letteraria del Vangelo: «Non è necessario scegliere tra queste due alternative più comuni; la struttura narrativa cronologica in tre sezioni e la struttura basata sui cinque discorsi non sono incompatibili» (C.S. KEENER, A Commentary, 37, trad. propria). A questa affermazione fa seguire anche un riferimento ad altri due ricercatori, le cui ipotesi non sono qui presentate per lo spazio che necessitano (cfr. D. SENIOR, What Are They Saying, 26-27; e: C.L. BLOMBERG, Matthew, 24-25).

Capitolo II I MODELLI CHIASTICI E RETORICI

L’attenzione alle caratteristiche letterarie proprie dei vangeli produsse un’altra serie di ricerche di strutturazione maggiormente impegnate nella valorizzazione e nella determinazione di quella art of writing maturata e impiegata dagli evangelisti-autori. Anche i ricercatori della fivefold e della threefold structure (in realtà gli stessi pionieri del narrative criticism) non poterono fare a meno di evidenziare alcune corrispondenze formali e tematiche, come alcune tecniche letterarie tipiche, alle quali cominciarono ad attribuire la qualifica di vere e proprie tecniche retoriche e compositive. In modo particolare, gli studi anglosassoni della prima metà del XX secolo si erano molto concentrati sulla metodologia di lavoro assimilata e sviluppata dagli evangelisti (e in questo caso Matteo) nella realizzazione delle loro opere. Il Vangelo di Matteo veniva ampiamente riscoperto nella ricchezza delle sue forme e del suo impianto compositivo. Man mano, la ricerca metteva in luce una grande capacità di sistemazione e di composizione, le cui radici affondavano nel vasto mare della produzione e della sensibilità letteraria dell’Antico Testamento. Proprio da questo grande bagaglio culturale e letterario, l’evangelista avrebbe attinto e assimilato una tecnica utilizzata con competenza e naturalezza nella composizione del suo Vangelo: Un’inconsapevole arte di scrivere deve esserci, ma in questo caso abbiamo a che fare con l’incoscienza di perfetta padronanza, quella facilità imprudente che è il risultato di modelli letterari accuratamente assimilati e una tecnica perfettamente padroneggiata. In altre parole, questi passi rappresentano campioni della più alta conquista letteraria1.

Nel 19312 e una trentina di anni dopo (rispettivamente nel 1959 e nel 1961)3 alcuni studiosi misero a fuoco dei lineamenti peculiari che avevano presenziato alla composizione letteraria del libro: si tratta soprattutto delle tecniche 1

N.W. LUND, «The Influence of Chiasmus», 405 (trad. propria). Si tratta dell’appena citato studio: N.W. LUND, «The Influence of Chiasmus», 405-433. 3 Nel 1959 appare l’articolo di J.C. Fenton sugli elementi retorici e compositivi dell’inclusione e del chiasmo (J.C. FENTON, «Inclusio and Chiasmus», 174-179), mentre nel 1961 C.H. Lohr presenta un interessante articolo sulle tecniche retoriche utilizzate dall’evangelista e provenienti dal retroterra orale semitico, con una buona e particolare rassegna di queste tecniche rinvenute anche nelle letterature occidentali (C.H. LOHR, «Oral Techniques», 403-435). 2

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dell’inclusione e del chiasmo, che sviluppavano simmetrie chiastiche e parallele. Infatti, il dato rilevante per la costituzione di un vero e proprio modello compositivo (alla stregua di quelli trattati nel capitolo precedente), è che tali studiosi notarono questa serie di simmetrie non solo per i singoli gruppi di parole, ma persino per unità maggiori di riferimento come i versi, le frasi, i paragrafi e le sezioni, fino a concepire un simile impianto addirittura per l’intero libro: Non solo le parole e i versi sono arrangiati in modelli chiastici, e neanche brevi sezioni con le loro sezioni corrispondenti segnano la piena portata del genere chiastico, ma anche l’intero Vangelo dall’inizio alla fine sembra acconsentire a un arrangiamento chiastico4.

Queste forme di composizione, che già segnavano ampiamente la letteratura veterotestamentaria, sono ora rinvenute pienamente nei vangeli, in particolare in quello matteano sentito come molto più vicino all’ambiente genetico ebraico. La scoperta delle strutture parallele e chiastiche nel Primo Vangelo si impose. I. LA TRADIZIONE ORALE, LE TECNICHE COMPOSITIVE E IL LORO AUTORE Nel suo articolo analitico Fenton si concentrò sulla presentazione dei molti fenomeni di inclusione e chiasmo all’interno del Vangelo di Matteo. Egli partì dal loro semplice riconoscimento all’interno di un insieme di parole, come è visibile in Mt 19,30 e 20,16 (inclusione) e in Mt 10,28 (chiasmo)5: : Molti PRIMI saranno ultimi

e molti ultimi, PRIMI

[…] PARABOLA DEGLI OPERAI ALLA VIGNA : Così saranno gli ultimi PRIMI

e i PRIMI, ultimi

: 10,28 E non abbiate-paura degli uccidenti IL CORPO :: ma non potendo uccidere: :: temete piuttosto il potendo e : e CORPO uccidere.

4

(19,30) (20,1-15)

esempio di inclusione

(20,16) a b b’ a’

esempio di chiasmo tra parole

N.W. LUND, «The Influence of Chiasmus», 407 (trad. propria). J.C. FENTON, «Inclusio and Chiasmus», 174-175. La ripetizione del detto sui «primi» e gli «ultimi» (scanditi anch’essi secondo un ritmo chiastico) incornicia la parabola degli operai alla vigna determinandone il tema (cfr. le ricche liste presenti nell’articolo). 5

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In maniera più determinante, perfino interi versi o frasi potevano essere riconosciuti secondo un arrangiamento chiastico, come per il caso di Mt 7,66: : 6 Non date le cose sante ai CANI :: e non gettate le vostre perle davanti ai porci, :: perché non le calpestino con le loro zampe : e poi SI VOLTINO PER SBRANARVI.

a (i cani) b (i porci) b’ (i porci: azione) a’ (i cani: azione)

Il chiasmo è chiaramente più sottile in questo versetto, giacché nel suo secondo versante non apparirebbero più soltanto i sostantivi («cani» e «porci»), ma delle azioni corrispondenti (i porci userebbero «calpestare con le loro zampe», mentre i cani attaccherebbero per «sbranare»)7. Infine, questo tipo di organizzazione è rinvenibile anche in unità molto più larghe, che Fenton definisce «paragrafi o gruppi di paragrafi»8, come per esempio in Mt 23,16-22, il terzo dei cosiddetti «guai» rivolti da Gesù a «scribi e farisei». In questo «paragrafo», nei versetti esterni il tema è quello del giuramento «per il tempio» (23,16-17.21), mentre in quelli interni «per l’altare» (23,18-19.20)9: v. 16: v. 18: v. 20: v. 21:

:: «Se uno giura : «E: se uno giura : «Dunque chi giura :: «E chi giura

per il tempio…» PER L’ALTARE…» PER L’ALTARE…» per il tempio…»

Fenton si spinse fino a ipotizzare (ma non ad analizzare) una struttura chiastica per l’intero progetto compositivo di Matteo: «il Vangelo stesso, preso 6

J.C. FENTON, «Inclusio and Chiasmus», 175-176. Anche qui è presentata una ricca lista di esempi giudicati adeguati dall’autore. Da notare, tra gli esempi l’autore riporta anche la preghiera del Padre Nostro (6,9-13) che sarebbe organizzata secondo una struttura chiastica riconoscibile (l’autore fa riferimento a un contributo non stampato cui non è però possibile accedere). Per la struttura concentrica del Padre Nostro: R. MEYNET, «La composizione del Padre Nostro», 1-20. 7 Così Lund nel suo studio neotestamentario sul chiasmo: N.W. LUND, Chiasmus in the New Testament, 32. Già John Jebb, nel suo contributo del 1820 aveva studiato questa ed altre strutture chiastiche nel Primo Vangelo (cfr. J. JEBB, Sacred Literature, 338; per una visione dei passi analizzati: 462-463), ma Fenton sembra non esserne a conoscenza. 8 J.C. FENTON, «Inclusio and Chiasmus», 176-177 (quattro esempi: 23,16-22; il Prologo matteano della genealogia in 1,1-17 costruito sui nomi di «Gesù Cristo, Davide e Abramo»; a lunga distanza: 4,23 e 9,35 con 10,1.7 e 28,20; infine, le quattro parabole in 13,37-50). Il terzo esempio è alquanto particolare, dato che è basato sulla sistemazione chiastica dei verbi «insegnare», «predicare» e «guarire» nei sommari (riferiti a Gesù evidentemente) e in due sezioni poste molto a distanza tra loro (riferite però entrambe ai discepoli: rispettivamente in 10,1.7 per «guarire» e «predicare» e 28,28 per «insegnare»). 9 Come Fenton stesso fa notare, la struttura chiastica a questo livello è più complessa, giacché potrebbe giocare anche sulle parole «tempio/oro», ««oro/tempio», come pure «altare/dono» e «dono/altare» (23,16-17.18-19). Inoltre, al v. 22 c’è un’estensione al giuramento «per il Cielo».

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per intero, è un grande chiasmo»10. Una prima simmetria per convalidare questa ipotesi può essere riconosciuta infatti tra gli stessi discorsi: il Discorso della montagna e quello escatologico trattano rispettivamente dell’entrare nel Regno dei Cieli e della sua consumazione finale, così come il Discorso missionario (Mt 10) e quello ecclesiale (Mt 18) trattano rispettivamente dell’invio (ad extra) degli apostoli e dell’accoglienza (ad intra) dei piccoli nella Chiesa. Al centro, il Discorso parabolico è a sua volta diviso in due parti (attraverso la cesura di 13,36 con l’ingresso «in casa» di Gesù, seguito dai discepoli). Ma è possibile rinvenire dei richiami chiastici anche tra la prima parte del Vangelo (nascita di Gesù) e la sua fine (rinascita nella Risurrezione), così come tra l’episodio del battesimo e delle tentazioni nel deserto e la prova del Getsemani con la scena della crocifissione. Infine, come già era stato ampiamente notato, tra inizio e fine del Vangelo è disegnata una grande inclusione basata sull’immagine del «Dio con noi» (formalmente in 1,23: «sarà chiamato Emmanuele», e in 28,20: «Io sono con voi tutti i giorni»)11. Lo studio analitico di Fenton rispecchierebbe le suggestioni già proposte da Lund nel 1931. Entrambi partono dalla constatazione di queste strutture e di questi arrangiamenti compositivi lungo tutto il Primo Vangelo, e non solo per piccole unità molecolari, ma fino al livello compositivo dell’intera struttura letteraria. In realtà, Fenton non era stato molto chiaro sulla caratterizzazione delle organizzazioni chiastiche, mentre Lund evidenziò chiaramente l’importanza, all’interno di queste strutturazioni, di un centro formale e tematico che serva da punto di svolta significativo: Ora, in una struttura chiastica il punto di svolta è nel centro. Non è raro avere idee poste sia nel centro e nelle due parti estreme di una struttura, quando ciò deve essere particolarmente sottolineato. L’enfasi può anche essere ottenuta ponendo tali idee in una posizione parallela nelle unità che costituiscono un raggruppamento12.

Da ciò scaturisce che si dovrebbe tenere presente, per lo sviluppo di una struttura chiastica o di una struttura a inclusione, tutta una serie di possibilità: innanzitutto quella semplice di un ordine inverso delle componenti (tipo: abb’a’), ma anche quella che comporta una unità particolare al centro (del tipo: ab x b’a’). In più, si dovranno tenere in conto anche le varie forme di parallelismo biblico, già identificate da R. Lowth nella sua opera dedicata alle forme della poesia ebraica antica (De sacra poesi Hebraeorum, 1753)13. 10

J.C. FENTON, «Inclusio and Chiasmus», 179. J.C. FENTON, «Inclusio and Chiasmus», 179. Riprende la questione all’interno dell’introduzione al suo agile commentario: J.C. FENTON, The Gospel of St. Matthew, 14-17. 12 N.W. LUND, «The Influence of Chiasmus», 410 (trad. propria): «Now, in a chiastic structure the turning point is in the centre. It is not uncommon to have ideas placed both in the centre and in the two extreme parts of a structure, when they are to be particularly emphasized. Emphasis may also be obtained by placing such ideas in a parallel position in the units which make up a group». 13 Il vescovo anglosassone determinerà le forme di parallelismo più diffuse nella metrica biblica: il parallelismo sinonimico, antitetico e sintetico. Per una buona disamina storica è possi11

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Anch’esse possono sottendere alle relazioni tra differenti unità letterarie di un medesimo libro, come nelle strutture particolari di queste. Fenton e Lund avevano perciò ben presentito per Matteo questo tipo di relazioni compositive, ma non hanno che lanciato la sfida per un’analisi più approfondita e adeguata. I loro contributi, tuttavia, profumano ancora di un certo interesse genetico e storico, giacché entrambi cercheranno di postulare la priorità di un documento matteano sugli altri due vangeli sinottici (lo stesso Marco da cui il Matteo greco avrebbe disposto gran parte del suo materiale). Un altro problema abbastanza coerente alla trattazione delle scoperte è il grado di consapevolezza che l’evangelista avrebbe avuto nel comporre la propria opera secondo queste forme che, come accennato, erano già ampiamente radicate nella cultura semitica di riferimento o nelle stesse modalità espressive della natura umana. Fenton parla a riguardo di alcuni fenomeni di «chiasmo accidentale o inconsapevole» nel Vangelo di Matteo (per esempio 10,39 e 16,25; oppure 19,30 e 20,16), e infine conclude: «Mi sembra, dopo aver analizzato le prove, che Matteo si sia compiaciuto nel far uso di questi metodi di organizzazione, e, all’occasione, li abbia consapevolmente ideati»14. Lund, al contrario, sostiene che le fonti stesse in possesso degli evangelisti fossero già sistemate secondo queste modalità espressive e che le avrebbero perciò trovate appropriate per la composizione della loro opera: Quando arriviamo allo stadio greco della trasmissione dei vangeli ci chiediamo naturalmente, perché anche un Vangelo greco dovrebbe contenere queste strutture? La risposta è che molto del materiale usato come fonte, se scritto o orale, era in questa forma. Gli scrittori stessi, se erano ebrei e avevano a cuore il loro retaggio letterario e culturale, devono aver trovato queste forme congeniali15.

La questione fu ulteriormente approfondita dal contributo di Charles H. Lohr, che nel 1961 pubblicò un articolo parecchio corposo sulle tecniche di composizione dei vangeli e in particolare del Vangelo di Matteo (di cui propone anche una struttura complessiva)16. La vecchia Critica della Forme avrebbe mancato di attenzione sufficiente all’interezza del processo compositivo, presa com’era dalle ricerche sul Gesù storico e sugli ipsissima verba, arrivando a ritenere che il

bile visionare i testi in: R. MEYNET, Trattato, 29-105 (il testo integrale dell’opera di Lowth, invece, è ormai a disposizione di tutti attraverso internet). 14 J.C. FENTON, «Inclusio and Chiasmus», 177-178 (trad. propria). 15 N.W. LUND, «The Influence of Chiasmus», 430 (trad. propria). Nel 1942 Lund pubblica e sintetizza il suo lavoro sui testi del Nuovo Testamento con il celebre: Chiasmus in the New Testament. A Study in Formgeschichte. Nell’analisi del fenomeno delle strutture compositive prese in esame, ad evidenziare un cambiamento di interesse dalla genetica delle forme appena menzionata (interesse catalizzato negli studi della Formgeschichte di quell’epoca) al loro significato prettamente letterario ed ermeneutico sta proprio la testimonianza della conversione editoriale della pubblicazione del 1992: Chiasmus in the New Testament. A Study in the Form and Function of Chiastic Structures. 16 C.H. LOHR, «Oral Techniques», 403-435.

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processo di formazione dei vangeli somigliasse a un grande movimento agglutinativo delle fonti che gli evangelisti avevano a disposizione. Lohr, invece, concepì tale processo in maniera più complessa e lo riconobbe costituito di tre tappe, tutte necessarie per la comprensione dell’intero fenomeno: 1) l’origine e la crescita delle fonti (secondo modalità che la critica aveva già sommariamente individuato); 2) la formazione di alcune unità ristrette, raggruppate secondo il principio di somiglianza (per forma, soggetto, parole chiave, etc.); infine 3) la composizione finale dei vangeli. In questa complessità, le tecniche orali di trasmissione e di composizione giocarono un ruolo determinante, in particolare alla fine del secondo stadio di trasmissione. A questo punto, infatti, gli evangelisti avevano verosimilmente una collezione di detti di Gesù e di racconti abbastanza corposa, ma per cui era necessario trovare una certa unità comprensiva ed espressiva: Per questo intento gli sono disponibili strumenti simili a quelli usati dai primi autori classici, di altrettanto grande antichità tra i Semiti, con cui la prima comunità giudaico-cristiana è familiare e che si aspettano che lui [l’evangelista] utilizzi nella sua esposizione della vita di Gesù17.

Perciò, l’intento di Lohr fu di indicare organicamente queste tecniche radicate nell’oralità della cultura semita e mostrare il loro ruolo nella composizione di un «insieme unificato e artistico», l’opera finale dell’evangelista. Nel suo articolo egli avanza secondo tre differenti sezioni di approfondimento, fino ad arrivare alla questione stessa della struttura compositiva del Libro: a) l’adattamento delle fonti allo stile stereotipato della tradizione orale (la ripetizione di formule, una certa fraseologia desunta dalla letteratura veterotestamentaria, la schematizzazione già operata nella narrazione marciana di cui Matteo disponeva, un certo motivo popolare di narrazione basato sul numero due); b) l’uso di vere e proprie tecniche per l’elaborazione dei temi e delle varie unità letterarie; c) gli stili di composizione (e le forme di strutturazione) che hanno presieduto alla determinazione dello stadio finale. Nella seconda sezione, le tecniche di composizione sono approfondite con ampi esempi e non senza un certo riferimento contestuale all’Antico Testamento ma anche alle altre letterature (come quella classica). Non si tratta solo delle già esplorate figure dell’inclusione e del chiasmo, che hanno la loro parte necessaria, ma anche di altri strumenti che giocarono un importante ruolo nell’organizzazione e nelle relazioni tra le varie parti/sezioni del vangelo:  il ritornello, utilizzato per connettere insieme una serie di versi (per gli antichi poeti) o unità letterarie (nel contesto evangelico), tra cui figurano in modo particolare le cosiddette formule di chiusura dei cinque grandi discorsi (7,28; 11,1; 13,53; 19,1; 26,1);  l’anticipazione, utilizzata per preparare l’audience (o il lettore) agli avvenimenti che si susseguiranno; ne sono un esempio il Prologo e le narrazioni 17

C.H. LOHR, «Oral Techniques», 404-405 (trad. propria).

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dell’infanzia (che anticipano i racconti della Passione), ma anche il detto in Mt 9,34 («Egli scaccia i demoni per opera del principe dei demoni»), che prepara immediatamente al tema dell’unità successiva, i capitoli 11–12, sul rifiuto di Gesù18;  la retrospezione, «attraverso cui la fase successiva della narrazione è legata a ciò che è accaduto prima»19 (ne sono un esempio generale alcuni sommari o frasi ripetute, o le citazioni di compimento profetico che appaiono come un chiaro riferimento al passato di Israele realizzatosi in Gesù): in Mt 15,30-31, il racconto dei miracoli presso il mare di Galilea ricorda e si collega all’intera sezione taumaturgica dei capitoli 8–9;  lo sviluppo tematico, che non solo garantisce unità tra sezioni letterarie indipendenti, ma determina un processo organico lineare delle sezioni successive, diventando un grande fattore di coesione retorica per l’intero libro; qui Lohr porta l’esempio della ripetizione del termine «Figlio dell’uomo» e del mondo concettuale che esso evoca: fortemente presentato e sviluppato a partire dalla sezione dei capitoli 14–17, disvela completamente il suo senso nei racconti della passione e risurrezione (26–28) portando a compimento il tema della salvezza nella morte e risurrezione del Cristo20. Questi strumenti tecnici di composizione sono stati utilizzati con profonda abilità letteraria, e qui Lohr è d’accordo con gli studi che lo hanno preceduto a proposito della loro grande significatività e presenza non solo nei livelli più bassi di espressione (l’ordine delle parole per esempio, o di versi o di singoli paragrafi o passi), ma anche in quelli superiori, come la strutturazione delle sezioni più larghe (ad esempio uno dei cinque discorsi) o all’interno delle relazioni che intercorrono tra più sezioni separate e corrispondenti, fino alla composizione del Vangelo preso nella sua interezza. Guardando il Vangelo di Matteo da questa prospettiva alta dei livelli superiori di organizzazione, le unità compositive vengono sviluppate secondo veri e propri principi di strutturazione: Lohr riconosce principalmente il raggruppamento di materiale simile21, la ripetizione di parole chiave che agganciano in unità alcune sezioni letterarie22, e infine l’arrangiamento strutturale della simmetria 18

In 12,24 infatti, il detto riappare sulla bocca dei farisei. C.H. LOHR, «Oral Techniques», 414 (trad. propria). 20 Per l’analisi: C.H. LOHR, «Oral Techniques», 418-419. 21 Ne sono ancora un esempio i detti del Signore raggruppati nei cinque discorsi principali, ma anche le unità narrative come quella dei miracoli di Mt 8–9. 22 Ne è un esempio la sezione 11–12, costellata di termini caratteristici volti a evidenziare la tematica principale del rifiuto. In questa sezione, secondo Lohr, diversi tipi di materiale sono stati messi insieme dall’evangelista nella sua composizione: una buona parte di materiale discorsivo, miracoli, episodi che terminano con un pronunciamento di Gesù, etc. Essi sono perciò sapientemente unificati attraverso l’uso della ripetizione di alcuni termini chiave che richiamano il concetto principale, come genea (11,16; 12,39.41.42.45), dynameis (11,20.21.23), sēmeion (12,38.39), krisis (11,22-24 e 12,18.20.36.41.42). A questi possono essere aggiunti dei sinonimi corrispondenti (come i verbi katakrinein e katadikazein, rispettivamente in 12,41 e 12,7.37), aggettivi (come ponēros, sapros, moichalis, akathartos, xēros, anydros), e persino l’uso di propo19

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concentrica, forma di strutturazione che non solo delimita e organizza in se stesse le grandi sezioni del libro, ma che le dispone in relazione reciproca all’interno del disegno compositivo finale23. La composizione concentrica, già notata a partire dai livelli più bassi di composizione (era il caso delle figure dell’inclusione e del chiasmo per un verso o un gruppo di versi), era ben conosciuta sia in ambiente classico sia in quello semitico. Straordinaria è la sua presenza persino nella poesia anglosassone medievale (Beowulf, infatti, sembrerebbe arrangiato secondo questo tipo di composizione), cosa che denota una naturalezza espressiva nella composizione orale e scritta prima ancora di postulare un contatto tra le varie arie culturali che l’avrebbero accolta nel loro bagaglio retorico24. E tuttavia, per quanto riguarda il caso della letteratura semitica, Lohr denuncia una certa lentezza negli studi biblici. Essi, infatti, non si sono ancora adeguatamente consacrati allo studio di queste e delle altre simmetrie letterarie presenti all’interno delle Scritture (rimanendo semplicemente reclusi al loro «uso nell’ordinamento di distici e strofe»), pur avendo giocato in esse un ruolo davvero determinante25. II. IL MODELLO CHIASTICO OR BETTER, LE STRUTTURE CONCENTRICHE26 1. IL PRIMO ARRANGIAMENTO CHIASTICO DEL VANGELO DI MATTEO È proprio di N.W. Lund il primo tentativo di riconoscere un arrangiamento chiastico per l’intera composizione del Vangelo di Matteo27, ma di questa sistemazione, oltre a una sommaria descrizione per ogni sezione presentata nella tavola grafica, lo studioso dichiara di operare un’analisi dettagliata soltanto per «una o due delle più larghe parti»28. La strutturazione è così riconosciuta:

sizioni, come l’avversativa kata che in costruzione con il genitivo appare qui ben sei volte, mentre nel resto del vangelo solo altre dieci (cfr. C.H. LOHR, «Oral Techniques», 422-423). 23 C.H. LOHR, «Oral Techniques», 425-426. 24 C.H. LOHR, «Oral Techniques», 424-426. 25 C.H. LOHR, «Oral Techniques», 426. 26 In un recente articolo che verrà analizzato in seguito (J.E. PATRICK, «Matthew’s Pesher Gospel», 46 nt. 14), sono stati segnalati questi contributi che definiscono una struttura chiastica del Vangelo di Matteo: Fenton (1959), Lohr (1961), Green (1968), Ellis (1974), Combrink (1983) e Mello (1999). Quasi tutti sono stati ampiamente visionati e criticati in questo capitolo o in quello che segue. Non è stato possibile avere accesso al lavoro di Ellis. 27 N.W. LUND, «The Influence of Chiasmus», 405-433; lo schema chiastico è sintetizzato nelle pagine 408-409. 28 N.W. LUND, «The Influence of Chiasmus», 409 (trad. propria). Alla fine, Lund si dedicherà soltanto all’analisi dettagliata della sezione E (da lui definita «part E»).

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A. 1,1-17: IDENTITÀ DI GESÙ, figlio di Abramo e di Davide B. 1,18–2,23: LA VENUTA DI GESÙ (salvezza per Israele e i Gentili) C. 3,1-17: Israele davanti a Gesù, al Giordano D. 4,1-11: tre grandi sfide lanciate a Gesù 29 E. 4,12–11,6: 30 E’. 11,7–14,12: D’. 14,13–20,28: tre grandi affermazioni risposte da Gesù31 C’. 20,29–23,39: Israele e i capi davanti a Gesù, nel Tempio32 B’. 24,1–25,46: LA VENUTA DI GESÙ (il vangelo predicato a tutti) A’. 26,1–28,20: IDENTITÀ DI GESÙ, figlio di Dio e Re di Israele

Il principale criterio che condusse Lund a una tale strutturazione proviene dalla constatazione della presenza di alcune «ruling ideas»33, idee o concetti a cui lo scrittore del Vangelo ha conferito una posizione particolare e strutturante all’interno della composizione letteraria dell’opera: innanzitutto nel «punto di svolta» di una struttura concentrica che, come già visto, risulta essere il centro. In realtà, Lund sosteneva di poter riscontrare la presenza di tali concetti dominanti non solo al centro di una unità riconosciuta, ma anche in due parti estreme di una determinata struttura, così da ottenere un effetto significativo da un punto di vista letterario e retorico. Allo stesso tempo, la relazione tra concetti dominanti poteva esprimersi anche in altre forme di simmetria, la più importante delle quali è sicuramente il parallelismo, facendo in modo che due o più unità letterarie andassero a costituire un insieme organico34. 29 In questa sezione, le «Parole» di Gesù sarebbero costituite dal Discorso della montagna (Mt 5–7), mentre le «Opere» sarebbero formate non solo dalla narrazione dei miracoli veri e propri dell’unità di Mt 8–9, quanto dalle stesse osservazioni fatte in apertura della sezione critica successiva (Mt 10–11), direttamente ricollegabili a tali opere. 30 Al contrario (per questo la sistemazione è definibile come chiastica), le «Opere» di questa sezione sono da riferirsi alla risposta contro le reazioni sollevate dai Farisei, alla figura di Giovanni e dei suoi discepoli, ma anche ad alcuni miracoli di Gesù presenti nella sezione di Mt 11–12. Tutte queste realtà contribuiscono ad autenticare l’identità di Gesù come Figlio di Dio e Figlio di Davide. Invece, le «Parole» di Gesù sono costituite dal Discorso in Parabole di Mt 13. 31 Secondo Lund, questa larga sezione comprenderebbe tre grandi affermazioni (espresse in una serie di passi) parallele alla natura delle tre tentazioni sataniche nella brevissima sezione D (4,1-11): Gesù sfama la folla con il pane (in 14,13-21 e 15,32-39); spiega la sua missione messianica ai discepoli e a Pietro, che non accetta la via della croce; infine, espone a più riprese lo statuto paradossale del discepolato che non passa per la notorietà e il potere di questo mondo. 32 Anche qui, alcune corrispondenze tematiche e formali legherebbero questa larga sezione evangelica alla piccola sezione corrispondente in C (3,1-11): le immagini dell’«albero» e della «scure posta alla radice» (3,10-17) che corrisponde a quella del «fico» e della sua maledizione (21,18-19); l’invettiva contro i farisei sia da parte di Giovanni sia di Gesù (in modo particolare la ripetizione del termine «razza di vipere» in 3,7 e 23,33); l’autorità di Gesù come «Figlio di Dio» (3,17 e in particolare 22,41-46), etc. 33 Si potrebbe tradurre con il termine di «concetti dominanti» della composizione del Vangelo. 34 Cfr. Anche C.H. LOHR, «Oral Techniques», 409-410. Per il primo caso, Lund maturerà nel suo Chiasmus in the New Testament una sistemazione di leggi per l’organizzazione dei testi biblici, tra cui figurano a riguardo la 3 e la 4 legge sulla distribuzione delle idee al centro e alle estremità: «3. Idee identiche sono spesso distribuite in modo tale da apparire alle estremità e al

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I concetti dominanti, per il Vangelo di Matteo, sarebbero essenzialmente sette: 1) la figura di Giovanni il Battista, la sua persona e la sua opera in relazione a quella di Gesù; 2) i capi dei Giudei, e il loro atteggiamento nei confronti di Gesù; 3) i titoli cristologici, che possono essere identici o diversi in ognuna delle unità parallele che formano struttura; 4) il compimento della profezia veterotestamentaria, spesso in posizione molto rilevante, giacché si potrebbe notare la presenza di una citazione scritturistica il più delle volte proprio al centro di una determinata struttura; 5) il segreto di cui Gesù copre se stesso; 6) la presentazione di un gruppo di oppositori che sono distaccati dalla sua persona e la rifiutano e 7) al contrario, la presenza di un gruppo recettivo che accoglie Gesù e il suo messaggio. Sostanzialmente, il lavoro di Lund è apprezzabile e segna l’inizio di un’analisi sempre più attenta e serrata. E tuttavia, la ricerca forzata del concentrismo lo ha portato molte volte a considerare come validi solamente alcuni indizi di strutturazione, per altro deboli, come possono essere le semplici concordanze tematiche (ed appunto concettuali) tra più passi. Per esempio, per la sezione E su cui si era soffermato, Lund riconobbe alcuni passi che svolgono il ruolo di cornice alle vere e proprie «Parole e Opere di Gesù», scanditi in questa maniera35: 4,12: 4,13-17: 4,18-22: 4,23-24:

Gesù apprende dell’arresto di Giovanni Geografia e messaggio: Israele, il Regno dei Cieli SCELTA DI QUATTRO DISCEPOLI SOMMARIO: L’OPERA DI GESÙ (INSEGNARE, PREDICARE, GUARIRE) […]

9,35–10,1: 10,2-4: 10,5-7: 11,2-6:

SOMMARIO: L’OPERA DI GESÙ (INSEGNARE, PREDICARE, GUARIRE) SCELTA DI DODICI DISCEPOLI Geografia e messaggio: Israele, il Regno dei cieli. Il discorso missionario (10,8–11,1) riguarda il metodo [sic!] Giovanni imprigionato apprende dell’opera di Gesù

Sostanzialmente, sono i richiami tematici a configurare l’andamento chiastico dei passi (basti pensare alla polarità Gesù-Giovanni tra i passi estremi, o quella tra i primi quattro discepoli chiamati e la scelta dei Dodici). Ma non si può non notare un certo squilibrio quando il Discorso Missionario (10,8–11,1) viene considerato con semplicità un’espansione di «metodo» della predicazione, centro, ma non altrove nel sistema. 4. Vi sono anche numerosi casi in cui le idee compaiono al centro di un sistema e alle estremità di un sistema corrispondente, ed è evidente che il secondo sistema è stato costruito per corrispondere al primo. Chiameremo questo tratto legge dello spostamento dal centro verso le estremità» (N.W. LUND, Chiasmus in the New Testament, 41; cfr. anche R. MEYNET, Trattato, 93-94). Per le forme di parallelismo, Lund si allineava ordinariamente a quelle già riscontrate da Lowth nell’analisi del Libro dei Salmi: si tratta, perciò, del parallelismo sinonimico, antitetico e sintetico. L’intero V capitolo di Chiasmus in the New Testament (pp. 94-136) sarà consacrato allo studio di alcune strutturazioni del Salterio. 35 N.W. LUND, «The Influence of Chiasmus», 415-417.

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parallelo a Mt 4,13-17 per il solo fatto che in entrambi il contenuto generale riguarda l’attività missionaria di Gesù prima e dei discepoli dopo. Si dovrebbe piuttosto considerare lo statuto speciale di questi versetti (si tratta di uno dei cinque discorsi), ma anche frugare maggiormente nei richiami prettamente formali e letterari, oltre che naturalmente tematici o concettuali. È più probabile che una convergenza di tutti questi indizi, o una buona collaborazione tra alcuni, possa mettere in una relazione appropriata più passi tra loro, ma anche nei livelli superiori le diverse unità letterarie del Vangelo. Una fragilità simile avviene anche quando Lund analizza i passi che formano nella sezione E le cosiddette «Opere di Gesù» (8,19–9,34), messe in parallelo con le «Parole di Gesù» che costituiscono il Discorso della montagna. Da questa unità letteraria sono anzitutto separati i versetti 8,2-17, che, sebbene parlino anch’essi di «Opere», tuttavia andrebbero a costituire per l’autore il centro vero e proprio dell’intera sezione. Ciò che rimane sembra apparentemente ben costruito36: 8,19-22: Uno scriba che crede e un altro discepolo 8,23-27: La tempesta: meraviglia: «Chi è mai costui?» 8,28-34: 9,1-8: Paralitico: la fede di altri; «Figlio, coraggio» 9,9-13: I FARISEI E UN DISCEPOLO DI GESÙ: MANGIARE; UN PROVERBIO 9,14-17: I FARISEI E I DISCEPOLI DI GIOVANNI: DIGIUNARE; UN PROVERBIO E DUE ILLUSTRAZIONI

9,18-26: 9,27-31: 9,32-33: 9,34:

La figlia di Giairo: la fede di un altro; «Figlia, coraggio» Il muto indemoniato: meraviglia: Farisei che non credono

«Non si è mai visto nulla di simile in Israele»

E tuttavia, anche qui le motivazioni che portano a mettere in relazione i passi sono quasi esclusivamente di contenuto. Come si può notare, sono davvero poche le ricorrenze formali che l’autore annota (si possono per esempio sottolineare i titoli messianici che aveva anticipatamente introdotto come «ruling ideas», cfr. 8,28-34 e 9,27-31)37. Ciò che conta maggiormente, Lund sostiene di poter ritrovare nella strutturazione proposta il famoso nesso retorico da lui stesso evidenziato tra il centro e almeno alcune delle parti estreme della composizione. E in effetti, «i Farisei» sono presenti nei due passi posti al centro, in disputa con 36

N.W. LUND, «The Influence of Chiasmus», 417-430. Bisogna riconoscere che anche nel suo lavoro di sintesi più matura, nelle righe che definiscono l’intento di Chiasmus in the New Testament, Lund indirizzerà la sua ricerca prevalentemente alla «disposizione chiastica delle idee» che «ricorre negli scritti del Nuovo Testamento» (N.W. LUND, Chiasmus in the New Testament, 28). E tuttavia, nella prima analisi dei testi dell’Antico Testamento non mancherà di segnalare vere e proprie ricorrenze formali legate al testo, oltre che ricorrenze o similitudini concettuali. Nella quinta legge, per esempio, parlerà precisamente di «termini» ricorrenti come i nomi divini nei Salmi o le citazioni scritturistiche per il Nuovo Testamento (cosa che similmente aveva già espresso ai numeri 3 e 4 della lista delle ruling ideas per il Vangelo di Matteo). 37

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Gesù (9,9-13 e 9,14-17), così come nell’ultimo passo (della misura di un unico versetto, che sarebbe di natura testuale discussa)38 sempre in posizione negativa. Al contrario, nel primo passo (8,19-22) lo scriba ha un’impressione molto positiva di Gesù e vorrebbe seguirlo (si giocherebbe perciò una relazione di contrapposizione tra questo e gli ultimi di 9,34). Ma per giustificare l’assenza degli «scribi» nei passi centrali, Lund deve forzare il riferimento alla fonte marciana (Mc 2,16) all’interno della quale essi sono effettivamente menzionati39. Allo stesso modo, i passi che figurano al centro dell’intera sezione (Mt 8,1-17: i primi tre miracoli e il sommario conclusivo) sono chiaramente riconosciuti da Lund in relazione tematica con i passi-cornice (in particolare i sommari di 4,23-24 e 9,35–10,1 che trattano proprio dell’attività taumaturgica di Gesù) e con 8,19–9,34 nel secondo versante della struttura concentrica40. Ma viene da chiedersi se sia possibile trovare al loro interno degli elementi che li mettano in relazione anche con il Discorso della montagna, nel primo versante da lui ipotizzato. Lund non lo precisa. Il centro rimane perciò un sommario molto generale che divide una parte didattica (il discorso), da quella controversa delle opere di Gesù, ricollegandosi ai sommari che incorniciano entrambi. 2. H.B. GREEN E LA STRUTTURA CHIASTICA A PARABOLA Nel 1968 H.B. Green riconsiderò la questione della dipendenza marciana di Matteo, proponendo una struttura chiastica del Vangelo particolarmente colorita41. Essendo Matteo un’edizione allargata di Marco, lo studioso volle sottolineare che la libertà dell’evangelista nel comporre la prima parte del suo Vangelo (Mt 1–11 sostanzialmente) come al contrario la ristrettezza con cui seguì fedelmente la sua fonte nella seconda parte (12–28), non siano soltanto fenomeni per uno studio storico-redazionale, ma che abbiano un valore e un significato ineludibili per la strutturazione letteraria del libro stesso. Per la prima parte del vangelo, alcune formule ormai guadagnate dalla ricerca potrebbero indicare una divisione dei materiali e perciò una scansione delle unità letterarie riconoscibili: 7,29 e 11,1 sono chiaramente le formule che decretano la fine dei primi due grandi discorsi di Gesù, mentre 4,23 e 9,35 sono sommari che si richiamano a vicenda e che segnano la transizione verso tali unità discorsive. 38

Il versetto 34 non appare in alcuni testimoni testuali. Lo nota lo stesso Lund, che fa intervenire la fonte aramaica (cfr. N.W. LUND, «The Influence of Chiasmus», 422). 39 La ripetizione di una contrapposizione dei «Farisei» tra il centro e l’ultimo passo potrebbe bastare per giustificare un aggancio all’interno del secondo versante della struttura. Per il primo versante, Lund avrebbe potuto ricercare anche un altro tipo di connessione, piuttosto che ricorrere a Marco. E tuttavia, viene da chiedersi se il solo riferimento alla contrapposizione (9,34 sic!), anche per il primo caso, non sia un elemento troppo debole per giustificare il nesso retorico tra centro ed estremità in una struttura concentrica. 40 Si tratterebbe di un esempio sommario di guarigioni, e tenderebbero a mettere in risalto la varietà delle malattie, dei luoghi e dei metodi con cui Gesù opera. Tale varietà è ampiamente trattata lungo tutta la sezione delle «Opere». 41 H.B. GREEN, «The Structure», 47-59.

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Aggiungendovi le narrazioni dell’infanzia di Gesù (1–2), due capitoli che potrebbero identificare una sezione vera e propria, ci si trova davanti a un primo disegno di composizione: rispettivamente le unità 1–2; 3–4; 5–7; 8–9 e 10. La prima parte è perciò costituita di cinque sezioni, che per l’autore, riprendendo alcune suggestioni della fivefold structure di Bacon, potrebbero davvero essere ricollegate ai cinque libri del Pentateuco42: le narrazioni dell’infanzia di Gesù corrisponderebbero tematicamente alla Genesi; i capitoli 3–4 concernenti la figura di Giovanni il Battista che attira Israele nel deserto e lo stesso Gesù che passa nelle acque del Giordano e vive le tentazioni portano un chiaro riferimento all’Esodo; il Discorso della montagna corrisponderebbe al Levitico, dove è concentrata la più vasta sezione normativa della Torah43; i capitoli 8–9, dove sono narrate le opere straordinarie di Gesù, riprendono pure la narrativa degli atti prodigiosi compiuti da Yhwh in Numeri; infine, il secondo discorso di Gesù che affida ai discepoli la missione, il capitolo 10 del Vangelo, acquisirebbe un carattere duplicativo simile al Deuteronomio, in quanto ripresa e ampliamento della prima legge messianica, espressa da Gesù nei capitoli 5–7. Dal capitolo 12 in poi Matteo avrebbe seguito la narrazione marciana44 come anche la sua colorazione tematica, giacché si tratta di una «narrazione del rifiuto»45 che mette in risalto il progressivo rigetto della messianicità di Gesù. Il criterio per la divisione delle unità letterarie qui è dunque completamente tematico. Green riconosce anche per questa parte cinque sezioni: 12,1–13,52; 13,53–18,35 (la scenografia è ancora quella della «Galilea delle Genti»); 19–23 (il rifiuto si delinea nella Giudea con climax nelle invettive del capitolo 23 contro «scribi e farisei», al Tempio di Gerusalemme); 24–25; 26–28 (qui il climax della Passione è nel rifiuto di 27,25 che sarà successivamente capovolto dalla Risurrezione di Gesù e dal grande mandato verso le Nazioni in 28,16-20, ritornando in Galilea)46. Se la prima parte poteva essere paragonata ai libri del Pentateuco, qui l’analogia con i Libri Storici che descrivono il progressivo rifiuto della regalità di Yhwh su Israele si fa notevolmente sentire. Perciò, Green sintetizza il tono delle due parti del Vangelo: «La prima parte è ideata per 42

H.B. GREEN, «The Structure», 50-51. Egli introduce la suggestione in questi termini: «Se infatti la teoria della corrispondenza con il Pentateuco deve essere presa del tutto in considerazione (e non è parte dell’intenzione di questo articolo insistervi), si adatterebbe realmente a queste divisioni della prima parte del Vangelo, molto meglio di come si sia mai adattata ai cinque discorsi» (trad. propria). 43 Qui alcuni insegnamenti di Gesù riecheggiano direttamente quelli del Levitico, come l’invito a essere «perfetti come il Padre» (5,48) essenziale nella teologia della Legge di santità (cfr. Lv 19,2: «Siate santi, perché Io, Yhwh vostro Dio, sono Santo»). 44 Per una sua giustificazione cfr. H.B. GREEN, «The Structure», 48. 45 H.B. GREEN, «The Structure», 51. 46 In Mt 27,25 il popolo risponde: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». È chiaro che l’atmosfera antigiudaica dei risultati esposti già da Bacon si fa notevolmente sentire. A livello geografico, invece, Green sottolinea il chiasmo giocato tra «la Galilea» e «la Giudea»: rifiutato da Israele, nel suo passaggio dalla Galilea a Gerusalemme, la missione di Gesù si apre ulteriormente con il grande mandato in Galilea, dove si prepara l’evangelizzazione di tutti i popoli.

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mostrare come Gesù abbia compiuto tutte le attese di Israele, la seconda per mostrare come Israele secondo la carne abbia rifiutato di riconoscere quel compimento e abbia respinto Gesù»47. Resta il capitolo 11, che Green riconobbe come cardine e centro dell’intera struttura letteraria48: difatti tale capitolo vanterebbe anzitutto elementi retrospettivi che lo collegano alla prima parte del Vangelo, come la figura del Battista in 11,2-15, o il riferimento ai «miracoli» di Gesù in 11,5 (cfr. 8–9); ma anche elementi che preparano il dramma della seconda parte, come l’invettiva contro «questa generazione» in 11,16-19 e il rimprovero contro le città che non si erano convertite nonostante il maggior numero di miracoli in 11,20-24. Infine, il climax dell’unità è ritrovato nel detto finale di 11,25-30, dove Gesù testimonia direttamente di se stesso: è «il climax non solo di questo capitolo, ma dell’intera presentazione della figura di Cristo che occupa la prima parte del Vangelo»49. Il risultato è una struttura che può essere rappresentata attraverso una parabola, con una crescita dalla prima unità letteraria (1–2) al centro del Libro, il capitolo 11, cui segue una decrescita con i capitoli del secondo versante del Vangelo che conducono al climax della Passione e del mandato ai discepoli. Oltre il centro, ciascuna unità del primo versante corrisponderebbe in questo modo a una rispettiva unità del secondo: 11 F 10 E 8–9 D 5–7 C 3–4 B 1–2 A

Ex 12–13,52 Dx 13,53–18,35 Cx 19–23 Bx 24–25 Ax 26–28

Purtroppo, anche l’esito dell’analisi di Green risente della povertà dell’utilizzo del solo criterio tematico, soprattutto nel momento in cui egli confronta le unità letterarie che si corrispondono all’interno della struttura chiastica che propone. Avendo confrontato la sezione C (Mt 5–7, il Discorso della montagna) e la corrispondente C’ (19–23, una unità maggiormente narrativa), Green vorrebbe dimostrare che molti passi della seconda unità creano un effetto di richiamo, 47

H.B. GREEN, «The Structure», 51 (trad. propria). Per l’autore questo capitolo, insieme al capitolo 23, è da considerare di natura discorsiva, giacché contiene in larga parte detti di Gesù che apparterrebbero alla fonte Q. Se i cinque discorsi sono rivolti ai discepoli (ma per raggiungere i lettori/ascoltatori), il discorso del capitolo 23 è rivolto agli «scribi e farisei», mentre quello del capitolo 11 è per una più larga audience (cfr. H.B. GREEN, «The Structure», 49). I discorsi non sarebbero dunque cinque, bensì sette. 49 H.B. GREEN, «The Structure», 54 (trad. propria). 48

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«per corrispondenza o per contrasto» con gli insegnamenti del Discorso50. Per esempio, Gesù risponde ai Farisei sulla tematica del divorzio (19,3) citando il medesimo insegnamento di 5,31; oppure la situazione del «giovane ricco» (Mt 19,16-22) dovrebbe essere chiaramente confrontata con gli inviti alla perfezione disseminati qua e là all’interno del primo discorso evangelico. Più di ogni altro richiamo, l’apertura del Discorso con le Beatitudini (5,1-12) sembrerebbe di fatto contrapporsi alla chiusura dell’unità simmetrica, con la lista dei «guai» contro «scribi e farisei» (23,13-36). Ora però, una serie simile di corrispondenze e richiami con il Discorso della montagna non sembra esclusiva dei capitoli 19–23, ma potrebbe in qualche modo riflettersi anche in altri sezioni del Libro come in tutto il resto della narrazione51. In realtà, una logica deve essere individuata nel riconoscimento delle relazioni tra le unità letterarie, come pure (ed è stato già suggerito) una multiforme qualità di relazioni che determina una multiforme gradualità di tali unità letterarie (un passo è in relazione a un altro all’interno del grado delle pericopi, ma sarà anche in relazione con un altro all’interno del grado delle sezioni, e così via). Inoltre, la determinazione del centro non può semplicemente essere basata su quella di concetti già assunti (e, per altro, segnati da pregiudizi di natura esegetica, quale la priorità di Marco come fonte; o teologica, come l’analogia con i libri dell’Antico Testamento per dimostrare il rifiuto di Israele), né può essere giustificata semplicemente dai soli criteri tematici che legano il centro sommariamente a ciò che precede e a ciò che seguirà (sebbene gli indizi di retrospettiva e di prospettiva debbano essere presi in un debito conto nella ricerca). L’analisi potrebbe dimostrare che per ogni unità letteraria di un libro (e non soltanto per quella definita come «centrale») ci siano relazioni di contiguità (non solo di tipo tematico ma anche formale) con le unità precedenti e successive. 3. UNA GRANDE STRUTTURA SIMMETRICA: CHARLES H. LOHR E LE TECNICHE ORALI NEL VANGELO DI MATTEO Considerando i risultati ottenuti dal suo studio sulle tecniche orali di composizione, C.H. Lohr ha giustamente tentato di mostrare come nella composizione totale di Matteo una serie di modelli retorici lavorassero non solo a livello dei distici e delle strofe, ma ben oltre, nelle unità letterarie più ampie che si corrispondono e costruiscono un piano di significati a livello complessivo52. Purtroppo, anche per lui come per Green precedentemente, il salto si rese 50

H.B. GREEN, «The Structure», 56-57. Si potrebbe fare accenno all’esempio già discusso del logion sullo scandalo provocato da un membro del corpo, che appare in 5,29-30 e 18,8-9 (cfr. p. 31). È Green stesso che fa notare la possibilità di echi tra questo discorso capitale e tutte le altre sezioni del Libro, anche se definisce poi le relazioni tra 5–7 e 19–23 più «sostanziali» delle altre. L’argomentazione di questa «sostanzialità» preponderante non è ben comprensibile (oltre ad un carrello di esempi riportati dallo studioso), cfr. H.B. GREEN, «The Structure», 57. 52 C.H. LOHR, «Oral Techniques», 403-435, già presentato nel paragrafo introduttivo di questo capitolo. 51

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abbastanza eccessivo: segmentato il Vangelo in larghe sezioni, oramai riconosciute, le appaiò in un rapporto chiastico molto semplice53. Se non altro, l’intuizione di Lohr fu qui di riconoscere un certo bilanciamento, che sembrava alquanto evidente, tra i materiali discorsivi e quelli narrativi. Al centro della struttura chiastica, perciò, si trovava il terzo discorso matteano, quello delle parabole del capitolo 13: «Il discorso che contiene le parabole del Regno è da considerarsi il perno centrale attorno al quale ruotano gli altri detti e atti di Gesù»54. 1–4 5–7 8–9 10 11–12 13 14–17 18 19–22 23–25 26–28

Racconto: Nascita e inizi SERMONE: BENEDIZIONI, ENTRARE NEL REGNO Racconto: Autorità e invito SERMONE: DISCORSO SULLA MISSIONE Racconto: Rifiuto da parte di questa generazione SERMONE: PARABOLE DEL REGNO Racconto: Riconoscimento da parte dei discepoli SERMONE: DISCORSO SULLA COMUNITÀ Racconto: Autorità e invito SERMONE: GUAI, VENUTA DEL REGNO Racconto: Morte e rinascita

L’analisi delle relazioni tra le varie unità letterarie è qui molto più densa ed efficace. Specialmente le relazioni tra i discorsi accoppiati risultavano chiare: per Mt 5–7 e 23–25 si trattava del come entrare nel Regno e poi come sarebbe avvenuto il Regno stesso (a livello formale era scandito dalla contrapposizione tra le Beatitudini e i «guai» per gli scribi e farisei); per Mt 10 e 18 invece, l’invio degli apostoli per la missione corrispondeva evidentemente all’accoglienza dei piccoli nella nuova comunità. Nell’analisi delle unità narrative, invece, Lohr si era soffermato effettivamente a registrare non solo quelle corrispondenze tematiche che già avevano tentato di evidenziare i suoi predecessori, ma anche alcune ricorrenze formali significative e oggettive. Per esempio, tra le unità narrative 8–9 e 19–22 egli registrò tutta una serie di corrispondenze e di ricorrenze di termini peculiari soltanto per quelle determinate sezioni, e che disegnavano perciò un rapporto di strutturazione: «le folle erano meravigliate del suo inse53 Qualche anno più tardi (1982) appare il contributo degno di nota di H.J.B. Combrink (H.J.B. COMBRINK, «The Macrostructure», 1-20) che persegue gli stessi risultati di Lohr. Secondo Combrink, è necessario fare distinzione tra i «mezzi» e il «messaggio» del libro. Perciò, due sono i livelli di lettura della composizione di Matteo. Dal punto di vista del messaggio, si tratta di una storia con una trama narrativa: in termini aristotelici, Mt 1,1–4,17 è il suo esordio; Mt 4,18–25,46 è il suo mezzo; e Mt 26,1–28,20 la sua fine. Dal punto di vista dei mezzi, Combrink raggiunge grossomodo gli stessi risultati di Lohr (cfr. la struttura chiastica a p. 16). Al centro della composizione (detta «macrostruttura») c’è il Discorso parabolico, mentre comunque all’interno della trama il punto di svolta accorrerebbe soltanto più in là, nella confessione di Pietro a Cesarea in 16,13-25 (cfr. anche H.J.B. COMBRINK, «The Structure of the Gospel of Matthew», 61-90). 54 C.H. LOHR, «Oral Techniques», 428 (trad. propria).

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gnamento» (in 7,28 e 22,33, entrambi con la ricorrenza del verbo ekplēssomai), o l’occorrenza delle formule di sequela (in 8,19.22; 9,9; 19,21.27.28 e non più nel resto del Vangelo), o la nozione di autorità (il termine exousia in 7,29; 8,9; 9,6.8; 21,23.24.27 e poi nel resto del Vangelo solo in 10,1 e 28,18), o la specifica corrispondenza della guarigione di due ciechi solo in queste sezioni, in 9,27-31 e in 20,29-34 (particolarità che per altro non presenta paralleli negli altri sinottici). In un secondo momento, egli tentò di spingersi anche nella dimostrazione di strutture chiastiche per le sezioni individuali, dunque nei livelli di organizzazione inferiore: secondo lo studioso, infatti, non solo la struttura complessiva si presentava come concentrica, ma la stessa composizione di ognuna delle sezioni riconosciute. Anche qui, per fare un esempio, Mt 8–9 presenterebbe una scansione di tipo 3 + 2 + 3 + 2 + 3, essendo composta da tre serie di tre miracoli separati dall’interpolazione di due blocchi di due passi, ciascuno dei quali incentrato sul tema del discepolato (8,18-22 e 9,9-17)55. E tuttavia, come la maggior parte degli esponenti delle strutture chiastiche, anche Lohr non aveva ancora immaginato la possibilità di una differente relazione tra le sezioni individuate, non avendo definito i criteri di riconoscimento delle differenti unità di organizzazione di un testo56. Per esempio, egli si era soffermato solamente ad analizzare i richiami tematici e formali tra i capitoli 8–9 e i capitoli 19–22 (entrambi di natura narrativa)57. In una struttura chiastica semplice è normale che una macro-unità debba essere pensata in relazione con la sua corrispettiva nella macrostruttura individuata tra sezioni narrative e discorsive (A B C D E F E’ D’ C’ B’ A’). Lohr non aveva tenuto in conto la possibilità che a un livello ancora intermedio tra le macro-unità del Vangelo (definite qui come sezioni ma evidentemente da ridefinire), la stessa sezione 8–9 potesse essere legata alla prima sezione narrativa (1–4), e al Discorso della montagna (5–7) che li divideva (costituendo perciò un livello intermedio costituito da sottosezioni: 1–4; 5–7; 8–9 che definiscono una sezione finale del Libro, Mt 1–9). In questo caso, a un livello testuale inferiore, la macro-unità intesse relazioni retoriche anche con quelle più vicine, mentre a livello superiore, con quelle più distanti (come in questo caso 19–22). Una simile attenzione al testo, fa percepire un tessuto retorico più complesso, da cercare con pazienza, come più volte è stato indicato.

55

Per lo studio delle sezioni individuali: C.H. LOHR, «Oral Techniques», 431-432. Si fa maggiore difficoltà nel seguire la scansione della sezione 19–22: qui la struttura è individuata basandosi specialmente sulla ricorrenza di alcuni termini (che non sarebbero utilizzate nella fonte di Marco) e sulla loro posizione simmetrica all’interno del testo. 56 Sembra ormai chiaro che i livelli di composizione dovrebbero giocare un ruolo importante per la comprensione dell’intero tessuto testuale. 57 C.H. LOHR, «Oral Techniques», 428-429.

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4. UN CONTRIBUTO RECENTE: GARY W. DERICKSON E LA FASE INTERMEDIA DEL REGNO SECONDO IL VANGELO DI MATTEO L’ultimo dei contributi per una struttura chiastica del Primo Vangelo è di Gary W. Derickson58. Egli poggiò la sua ricerca su quanto aveva già intravisto Lund. Nonostante i vangeli siano stati scritti in greco, le strutture chiastiche che si possono notare in Matteo vanno ben al di là delle taglie brevi (chiasmo a livello di termini o di brevi unità come i distici) verificabili nella letteratura greca59. Esse devono piuttosto essere paragonate a quelle analizzate nella letteratura veterotestamentaria, che conosce grandi strutture chiastiche, estendibili fino a livello dell’intero libro60. Ora, come per l’analisi di Lohr, anche in questo caso il Vangelo è proposto nella sua strutturazione complessiva, e in modo particolare, vengono fatte emergere le differenze tra le sezioni narrative e quelle discorsive: A. DIMOSTRAZIONE DEI REQUISITI DI GESÙ IN QUANTO RE B. Discorso della Montagna: CHI può entrare nel suo Regno C. Miracoli e istruzioni D. Istruzione ai Dodici: autorità e messaggio PER ISRAELE E. F. Parabole del Regno: il Regno è rinviato E’. D’. Istruzione ai Dodici: autorità e messaggio PER LA CHIESA C’. Miracolo e istruzione B’. Discorso al Monte degli Ulivi: QUANDO il Regno verrà A’. DIMOSTRAZIONE DEI REQUISITI DI GESÙ IN QUANTO RE

(Mt 1–4) (Mt 5–7) (Mt 8–9) (Mt 10) (Mt 11–22) (Mt 13) (Mt 14–17) (Mt 18) (Mt 19–23) (Mt 24–25) (Mt 26–28)

Per la giustificazione di questa struttura, lo studioso non impegna molto inchiostro: «non ogni elemento di ciascuna sezione ha un elemento equivalente nella sezione parallela», ma Matteo avrebbe inserito abbastanza «punti di contatto», tali da poter avvertire il proprio lettore e uditore delle relazioni tra le diverse unità, al fine di filtrare un messaggio teologico ben determinato61.

58

G.W. DERICKSON, «Matthew’s Chiastic Structure», 423-437. Il contributo è del 2006. Ad alcuni esempi tratti dai classici si era dedicato anche J. Jebb nel suo studio già citato: cfr. J. JEBB, Sacred Literature, 70-74. Lo stesso aveva argomentato (per tornare alle caratteristiche semitiche di composizione): «Alcuni sono pronti a ritenere che [il chiasmo] sia puramente classico; certamente compare di tanto in tanto presso gli autori greci e latini, ma è così frequente e così palesemente caratterizzato nella Santa Bibbia da potersi considerare a giusto titolo un ebraismo e, sono pronto a crederlo, come un tratto caratteristico della poesia ebraica» (Ibid., 65; trad. italiana in: R. MEYNET, Trattato, 50). 60 G.W. DERICKSON, «Matthew’s Chiastic Structure», 423. 61 G.W. DERICKSON, «Matthew’s Chiastic Structure», 426-428 (per la tabella contenente la struttura p. 428). 59

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Le cinque associazioni compiute sono descritte in maniera sommaria ma comunque adeguata:  Mt 1–4 e 26–28 provano entrambe come Gesù sia Messia di Israele; in entrambe un capo cerca di uccidere Gesù, evidentemente appoggiato dai leaders religiosi di Israele; in entrambe c’è un legame con la morte e la rinascita, giacché nella prima sezione Gesù vi sfugge attraverso l’esilio, mentre nell’ultima la affronta sconfiggendola definitivamente;  Mt 5–7 e 24–25 sono entrambi discorsi di Gesù sul Regno prossimo a istaurarsi; nel primo, il Discorso della montagna, sono presentate la qualità di colui che potrà entrarvi, mentre in quello al Monte degli Ulivi sono illustrate le modalità e soprattutto il tempo del suo arrivo definitivo;  Mt 8–9 e 19–23 contengono entrambe istruzioni che coinvolgono il tema del discepolato e l’arrivo del Regno, e presentano al loro interno dei racconti di miracolo; l’enfasi è tuttavia differente, giacché la prima sezione avrebbe uno spiccato interesse per questi ultimi, mentre la seconda piuttosto per le istruzioni;  Mt 10 e 18 sono specifiche istruzioni che Gesù detta ai Dodici, la prima delle quali riguarda la missione evangelizzatrice verso Israele, mentre la seconda più precisamente la vita della Chiesa;  Mt 11–12 e 14–17 sembrano avere maggiori punti di contatto, persino a livello formale, oltre che tematico; infatti fanno entrambe riferimento a «Giovanni il Battista» (11,2 e 14,2), contengono all’interno delle controversie con i Farisei (12,1-14 e 15,1-20), la «richiesta di un segno» (12,38-42 e 16,1-4), così come un passo ciascuno, di tono critico, sulla famiglia di Gesù (12,46-50 e 13,53-58)62. Il centro della struttura chiastica è evidentemente il Discorso in parabole, che presenterebbe al suo interno una composizione in due unità letterarie ben determinate (Mt 13,1-35 e 13,36-52): entrambe si introducono con un’ambientazione (13,1-3a e 13,36a), cui seguono delle parabole (13,4-9 e 13,24-33 per la prima parte; 13,44-50 per la seconda) accompagnate o che accompagnano un excursus (13,10-23 e 13,36b-43), e infine si concludono con un epilogo (13,3436 e 13,51-52)63. Perciò, seguendo la specificità semitica del centro della strutturazione chiastica, l’enfasi letteraria, ma soprattutto teologica, della composizione matteana si potrebbe focalizzare proprio sulle Parabole del Regno: in esse è narrato il momento della crisi del ministero di Gesù, del suo rifiuto da parte di Israele e di accoglienza da parte dei primi discepoli. Ecco perché, alla fine del suo lavoro di intuizione letteraria, Derickson impiegò gran parte dello spazio rimastogli per giustificare il senso teologico di questa struttura. Matteo avrebbe voluto evidenziare la fase intermedia del Regno di Dio nel tempo 62

È evidente che qui Derickson pecchi di precisione (o dà per scontato che il lettore conosca la fine del discorso in Parabole in 13,52): la sezione E inizierebbe allora con il passo in questione (13,53-58). 63 G.W. DERICKSON, «Matthew’s Chiastic Structure», 428 nt. 19. Qui l’autore segue un articolo precedente di Mark L. Bailey (cfr. M.L. BAILEY, «Guidelines», 173).

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storico del lettore del Vangelo: «Il Vangelo di Matteo comunica chiaramente il fatto che il Messia abbia ritardato l’arrivo del Regno. E Matteo ha scritto ai credenti giudei per spiegare il perché Gesù, in quanto Messia, non abbia ancora condotto nel Regno come promesso»64. Il centro del Vangelo, il capitolo delle Parabole, spiegherebbe allora il mistero nascosto di questo ritardo escatologico: l’ingresso dei Gentili nel piano di Dio, attraverso la Chiesa, fino al tempo in cui il Regno messianico promesso a Israele potrà essere definitivamente istaurato nel tempo e nello spazio65. III. IL MODELLO RETORICO GRECO: TRA TRAGEDIA E BIOGRAFIA Al di là dell’ormai ben condivisa opinione che Matteo sia il più ebreo dei vangeli, alcuni studiosi hanno cercato di indagare la possibilità di un’influenza greca nella composizione del libro. D’altra parte, per questi studiosi, il Sitz im Leben in cui si sarebbero sviluppate le tecniche orali o retoriche di composizione dei vangeli non poteva esaurirsi al solo contesto ebraico, pensato come un contesto totalmente chiuso e impermeabile. La cultura ellenistica si era necessariamente diffusa, e dunque aver avuto il suo peso e la sua influenza. Eppure, nel momento in cui questi stessi studiosi tentano di inserire il Vangelo nell’atmosfera culturale greca, l’indecisione prende piede sul genere letterario adeguato, oltre che sulla strutturazione letteraria degli scritti: vista come una storia (cosa già proposta dagli esponenti del modello narrativo), il Vangelo di Matteo potrà essere incamerato nelle strutture dell’antica biografia, oppure in quella della drammatizzazione teatrale, in particolare la tragedia. In realtà, alcuni dei contributi apportati in questo modello di riferimento raggiungono delle intuizioni esegetiche e letterarie degne di nota. Ne è un esempio l’articolo di B. Standaert presentato nel 1992 in occasione delle celebrazioni di Frans Neirynck66, con un’introduzione metodologica davvero interessante: L’importante, in questo genere di analisi, non è di offrire un piano che sia logico, analitico o armonioso, ma di percepire dietro la strutturazione individuata il tipo di comunicazione che l’autore desidera stabilire e intrattenere con i suoi destinatari. Quando si tratta di un testo antico, sarà importante individuare queste forme strutturanti parlando dei codici di composizione usuali all’epoca. Si farà perciò ricorso all’insegnamento retorico antico67.

Dunque, è ribadito il principio della necessità di portare alla luce le forme strutturanti sulla base dell’insegnamento elaborato e tramandato dai veri autori antichi, che ben sapevano scrivere e comporre (piuttosto che fare esclusivamente 64

G.W. DERICKSON, «Matthew’s Chiastic Structure», 435 (trad. propria). L’autore parla proprio di «Dispensational Eschatology», ma la trattazione teologica del tema esime dal nostro intento (cfr. G.W. DERICKSON, «Matthew’s Chiastic Structure», 435-437). 66 B. STANDAERT, «L’évangile selon Matthieu», 1223-1250. 67 B. STANDAERT, «L’évangile selon Matthieu», 1223 (trad. e corsivo propri). 65

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affidamento ai soli mezzi odierni di analisi dei testi). Anzi, «chi scrive», secondo l’autore, «eviterà le cesure troppo dure e ogni fredda giustapposizione di elementi separati. Scrivere è tessere e il risultato non sarà altro che un textus – una buona tessitura»68. Perciò, la composizione non è semplicemente un buon lavoro di organizzazione di materiali grezzi, e l’autore del libro ha davvero cercato di costruire un complesso organico e unificato, che smorzasse la disgregazione delle fonti anteriori in possesso. Gli stessi elementi formali che delimitano le unità letterarie, non sarebbero semplicemente demarcazioni che l’autore ha consapevolmente posto a cesura organizzativa (basti pensare al pensiero di Kingsbury a riguardo), quanto piuttosto dei veri e propri sforzi letterari di coesione, di tessitura appunto. Standaert è innovativo anche nel momento in cui tenta di ricapitolare la pratica compositiva degli antichi secondo tre modelli principali: 1) il modello drammatico; 2) il modello retorico; 3) il modello concentrico69. I primi due sono stati oggetto di numerosi trattati nell’antichità. Il terzo, per quanto io sappia, non è stato insegnato formalmente, ma fa parte di un’estetica abbastanza spontanea: all’epoca si amava palesemente ciò che è organicamente unificato, con delle aperture e finali che fanno inclusione. Notiamo che in quanto modello, lo schema concentrico sottende già gli altri due70.

Sottolineando la spontaneità delle costruzioni concentriche, Standaert sembrerebbe riconoscere lo statuto particolare di alcune strutture compositive. Ma la retorica di riferimento in cui le inserisce è ovviamente quella di stampo greco, e i criteri che lo guideranno alla scoperta della struttura compositiva di Matteo possono essere considerati alla fine esterni al testo di riferimento71. 1. MATTEO E MARCO: DA DRAMMA A BIOGRAFIA ANTICA Il punto di partenza dell’analisi di Standaert è la più volte citata opinione della priorità di Marco su Matteo: l’autore del Primo Vangelo avrebbe formalmente utilizzato questa fonte, non in maniera pedante, ma abbastanza personale. Infatti, alcuni elementi caratteristici del racconto di Marco sono notevolmente trasformati in Matteo (e non si tratta solo dell’ordine o dell’utilizzo di questo o quel racconto nella trama del vangelo), in tal misura che si può ben ipotizzare il cambiamento dell’identità stessa del nuovo vangelo: da storia drammatica (come potrebbe essere identificato Marco) a biografia. Testimonianze di questo cambiamento sono da rilevare nell’abbandono che Matteo fa della tensione drammatica voluta in Marco dalla centralità della confessione di Pietro, in Mc 8,27-30 (perciò già in Mt 14,33 Gesù è riconosciuto dai discepoli 68

B. STANDAERT, «L’évangile selon Matthieu», 1224 (trad. propria). Così anche nella sua tesi su Marco del 1978: B. STANDAERT, L’Évangile selon Marc, 37. 70 B. STANDAERT, «L’évangile selon Matthieu», 1224 (trad. propria). 71 Per una critica dei criteri esterni utilizzati dall’autore (applicabili anche per la composizione del Vangelo di Matteo) si veda: R. MEYNET, Il Vangelo di Marco, 10. 69

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chiaramente come «Figlio di Dio»), e nel cambio dell’apertura e della chiusura del racconto72. Resta quasi del tutto intatta la narrazione che procede dalla salita verso Gerusalemme fino alla consumazione della vita di Gesù nel dramma della Passione. Perciò, «se Matteo de-drammatizza, è per ottenere una narrazione che si allinea maggiormente al modello della biografia antica»73. Un altro indizio notevole di questo spostamento di prospettiva è l’elaborazione del dittico costituito da Mt 5–7 e Mt 8–9 (elaborazione posta dall’evangelista stesso), che risulterebbe essere una sintesi delle parole e delle azioni del protagonista74. Per Standaert, la conoscenza e il rispetto che Matteo avrebbe della sua fonte riguarderebbero anche la sua scansione retorica, fortemente convenzionale, costituita sostanzialmente da una narratio (Mc 1,14–6,13), in cui è presentata la persona di Gesù e il suo evento, cui seguirebbe poi una argumentatio di carattere più iniziatico (6,14–10,52), e che introduce il discepolo e il lettore/uditore alla sequela stessa del protagonista75: Quanto al modello retorico presente in Marco, Matteo l’ha riconosciuto e lo assume nella distribuzione delle due grandi parti: una narratio (fortemente arricchita e riorganizzata) va a preparare una argumentatio (qui molto più fedele al modello). Le modifiche che egli introduce possono essere qualificate con il procedimento della amplificatio e nel caso dello spostamento del discorso parabolico di Marco 4, con quello della digressio. I tratti caratteristici di una peroratio (pathos e ricapitolazione) sono riconoscibili alla fine della narratio in 12,25-4576.

La struttura matteana individuata da Standaert potrebbe perciò essere ricostruita sostanzialmente in questo modo: I.

II. 72

NARRATIO: PERORATIO:

Mt 1,1–12,24 Mt 12,25-45

* DIGRESSIO:

(Mt 12,46-50) + Mt 13,1-52 + (Mt 13,53-58)

ARGUMENTATIO:

Mt 14,1–28,20

Matteo inserisce in apertura i racconti dell’infanzia (Mt 1–2) raccordandoli alla storia di Israele, come loro compimento, e conclude smorzando notevolmente il clima drammatico marciano della tomba vuota attraverso il racconto della menzogna perpetuata dai sommi sacerdoti (Mt 28,11-15) e il mandato ai discepoli (Mt 28,16-20). 73 B. STANDAERT, «L’évangile selon Matthieu», 1230 (trad. propria). 74 Le componenti della biografia antica erano: l’elogio degli antenati, storie della nascita e dell’infanzia dell’eroe, ricordo della carriera, lista delle imprese, catalogo delle virtù, ritratto fisico, numerosi dettagli riferibili alla vita privata dell’eroe, evocazione delle reazioni di dispiacere e di dolore causate dalla sua scomparsa (cfr. B. STANDAERT, «L’évangile selon Matthieu», 1230 nt. 12). Già in questa semplice evocazione delle caratteristiche del genere letterario si può evincere una certa resistenza del Vangelo a queste categorie, alcune delle quali piuttosto esterne (se non addirittura estranee) al testo. 75 Per l’autore è questa la scansione generale anche del Vangelo di Marco: cfr. B. STANDAERT, «L’évangile selon Matthieu», 1230-1232. 76 B. STANDAERT, «L’évangile selon Matthieu», 1249 (trad. propria).

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La narratio è la parte dove Matteo ha notevolmente modificato l’ordine dei passi marciani e dove egli ha potuto maggiormente arricchire la presentazione dell’identità del protagonista: Abbiamo visto come la prima parte di questa grande sezione parallela a Mc 1–6 offra un dittico chiaramente ordinato di parole (5–7) e di azioni (8–9) di Gesù (inquadrato da una medesima notizia sintetica: 4,23 e 9,35). Ciò che segue (da 10 a 13), può essere considerato come un supplemento del «dossier Gesù»: oltre alla missione dei Dodici, con il discorso apostolico, notiamo l’importanza delle controversie e delle parabole77.

In questa sezione, sono agglomerate quasi tutte le citazioni scritturistiche (che non riappaiono fino alla fine della argumentatio) giacché Matteo ha voluto approfondire teologicamente l’identità e l’azione del protagonista, invitando il lettore a meditare e riflettere sul senso più profondo degli avvenimenti che si rispecchiano nelle Scritture di Israele. La narratio, perciò, mantiene il suo statuto, ma acquista anche una densità nuova che Marco non possedeva. La seconda parte, quella dell’argumentatio rispecchia invece la fedeltà alla fonte: non solo nell’ordine e nel ritmo narrativo, ma anche nello statuto interno, giacché, come per il Vangelo di Marco, essa mirerebbe a interpellare i discepoli o i lettori/uditori a entrare nel vivo della sequela di Cristo attraverso la prospettiva della comunità che Gesù sta preparando (Mt 18 e 24–25) e generando (Mt 26–28) nel suo epilogo a Gerusalemme. Una caratteristica del tutto particolare è, anche per Standaert, costituita dal Discorso parabolico (il capitolo 13) che, pur facendo parte integrante della prima parte del Vangelo, funge strutturalmente e contenutisticamente da «cerniera» tra un versante e l’altro del Libro, segnando il passaggio dalla presentazione all’argomentazione vera e propria. Da un punto di vista letterario, esso è inquadrato da due pericopi molto simili, riguardanti i familiari di Gesù (12,46-50 e 13,53-58). Al suo interno, le sette parabole che lo costituiscono segnano precisamente la sintesi di tutto il Vangelo matteano: gli inizi (la parabola dei semi con la spiegazione: 13,3-8 con 13,18-23), la fase intermedia che intenderebbe il tempo attuale (il buon grano e la zizzania con relativa spiegazione: 13,24-30 con 13,36-43), e infine il tempo del raccolto o del giudizio (13,39-43.47-48 con spiegazione in 13,49-50). In più, il terzo discorso ha al suo interno una demarcazione formale e tematica in 13,36 (dove Gesù si distacca dalle folle, entra «in casa» e parla decisamente ai soli «discepoli»), che diventa il punto di svolta dell’intera digressio: «Questa demarcazione offre una chiave per interpretare il seguito. A partire dal capitolo 14, il lettore/uditore deve entrare nel punto di vista dei discepoli e subire con loro tutto l’itinerario iniziatico esemplare che Gesù propone loro»78. Così, anche la domanda finale del discorso, in 13,52, acquista un valore riassuntivo, giacché il lettore che ha «compreso tutte 77 78

B. STANDAERT, «L’évangile selon Matthieu», 1236 (trad. propria). B. STANDAERT, «L’évangile selon Matthieu», 1237 (trad. propria).

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queste cose», può davvero introdursi alla fase successiva del racconto, per seguire il Maestro fino alla consumazione definitiva. Anche lo statuto particolare dei cinque discorsi è inserito nella tessitura compositiva di stampo classico: si tratterebbe ogni volta di amplificazioni che segnano ora la prima, ora la seconda parte del libro. Perciò, non dovrebbero costituire delle vere e proprie interruzioni al racconto dal momento che confluiscono in maniera naturale all’interno della narratio e della argumentatio, mentre le cosiddette formule di transizione sono state utilizzate dall’evangelista non per segnalare una cesura (la fine di un libretto per intenderla alla maniera baconiana) quanto piuttosto per unificarle nuovamente al racconto che riprende. Sempre rimanendo nell’orizzonte delle suggestioni aperte dalla ricerca precedente, è vero che i cinque discorsi potrebbero far pensare alla Torah e che Gesù possa così essere facilmente accostato alla figura di Mosè, diventandone in qualche modo il compimento escatologico. Questo sapore di «compimento» del libro matteano è ravvisabile, per Standaert, anche nell’apertura e nella conclusione del racconto, dove più di qualche richiamo accosta il Primo Vangelo all’inizio e alla fine della Scrittura della Prima Alleanza79, rivelando perciò un senso preciso della sua composizione, che deve essere preso in debita considerazione: Le molteplici citazioni scritturistiche, il ritornello alla fine dei cinque discorsi, la qualità di scrittura della sua [di Matteo] conclusione e la forza evocatrice delle sue prime parole, tutto questo allinea formalmente il suo libro (biblos-sepher, 1,1) sulla Torah e sui Profeti come unità letteraria. Questo allineamento così intenzionale si comprende meglio se si interpreta il suo libro come redatto per fare da ora in avanti parte integrante del corpo delle Scritture. Lo scritto composto da Matteo mira a chiudere la grande raccolta liturgica, letta nella comunità cristiana: da ora in avanti, con la Torah, i Profeti e gli Scritti, questo libro messianico sarà letto come supplemento e compimento80.

2. MATTEO E IL TEATRO GRECO: IN SCENA UNA TRAGEDIA In un articolo più recente, ma forse meno convincente rispetto agli studi di Standaert, alcuni autori hanno tentato di avvicinare il Vangelo di Matteo alla struttura della tragedia greca81: tutto questo supponendo che il formato teatrale greco avesse potuto fornire all’evangelista un mezzo letterario di composizione 79

Per la chiusura si tratta in modo particolare delle somiglianze tra il mandato del Risorto in 28,18-20 e il discorso del re Ciro che conclude la sezione degli Scritti sapienziali (2Cr 36,23); per l’apertura del racconto, Standaert fa riferimento in particolare alle genealogie sacerdotali del libro greco della Genesi (Gen 5,1ss.), ma anche al costante alternarsi, all’interno dei racconti dell’infanzia, delle due dimensioni del messianismo tradizionale, il particolarismo (Gesù designato come Messia di Israele) e l’universalismo (Gesù riconosciuto come Re per tutte le Nazioni; cfr. B. STANDAERT, «L’évangile selon Matthieu», 1245-1247). 80 B. STANDAERT, «L’évangile selon Matthieu», 1249-1250 (trad. propria). Riemergono, in questo modo, le ipotesi del Vangelo-lezionario di G.D. Kilpatrick e di M.D. Goulder (cfr. p. 34). 81 P.R. MCCUISTION – C. WARNER – F.P. VILJOEN, «The Influence of Greek Drama», 1-9.

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alquanto familiare per la sua comunità, nonché un format popolare per l’esposizione e l’accoglienza del suo messaggio82. Il modello tragico greco si prestava adeguatamente all’esposizione della storia di Gesù, terminando con una tensione crescente e un conflitto in cui il protagonista era apparentemente sconfitto e il suo messaggio ignorato. Sembrerebbe che il Vangelo di Matteo abbia perciò tutte le caratteristiche necessarie tali da avvicinarlo contestualmente alla composizione di una tragedia: a) la tragedia si riferiva normalmente a una leggenda eroica messa in scena all’interno di una vicenda riguardante una nobile famiglia (per Gesù si tratterebbe del ceppo della famiglia davidica); b) la tragedia, come il Vangelo di Matteo, hanno un carattere quasi-storico; c) la composizione della tragedia deve terminare con la caduta dell’eroe, spesso influenzata dal fato, dalle umane imperfezioni o dalla natura; all’interno del Vangelo matteano essa è alla fine ribaltata dall’evento della Resurrezione (anche se questo evento non è comunque totalmente accettato e accolto, cfr. Mt 28,11-15.17); d) l’avventura dell’eroe della tragedia comincia con la perdita di qualcosa di valore; per il Vangelo di Matteo Gesù sarà incaricato di recuperare «le pecore perdute della casa di Israele» (cfr. Mt 10,6 e 15,24); e) la tragedia è segnata da un conflitto (il quale determina l’unità dell’azione e si getta in un climax finale)83 realizzato per mezzo di alcuni personaggiantagonisti; in Matteo si tratterebbe precisamente di due gruppi di antagonisti, da un lato coloro che sono alleati ma che non comprendono appieno il significato della missione del protagonista (i discepoli), e dall’altro quelli che lo ostacoleranno apertamente fino a determinarne la fine84. Al di là delle somiglianze per cui sarebbe possibile accostare il Primo Vangelo all’intento e al messaggio pedagogico e religioso della tragedia greca85, 82

Come detto, la giustificazione di questo criterio di composizione affonderebbe le proprie radici nel contesto socio-culturale dell’epoca in cui l’autore scrive. Ma gli autori dell’articolo sono anche convinti che, al di là di tutto, non è strettamente necessario che l’intera comunità avesse familiarità con il modello culturale ed espressivo ellenistico. A tal riguardo scrivono esplicitamente: «È necessario solo per Matteo (o per l’editore/i) esservi familiare». (P.R. MCCUISTION – C. WARNER – F.P. VILJOEN, «The Influence of Greek Drama», 2, trad. propria). 83 P.R. MCCUISTION – C. WARNER – F.P. VILJOEN, «The Influence of Greek Drama», 9, in particolare la Figura 1. 84 P.R. MCCUISTION – C. WARNER – F.P. VILJOEN, «The Influence of Greek Drama», 7-8. 85 Se si tiene conto delle sorgenti del sentimento tragico (in modo particolare la tragedia attica del V sec. a.C.), i vangeli, in generale, possono essere guardati come un punto di incontro ermeneutico eccezionale (e un’occasione di dialogo) tra la fede giudaica e l’antica religiosità greca, così riflessiva davanti al mistero della morte dell’innocente e delle forze incombenti della necessità. Di per se stessa la tragedia nasce pure all’interno di manifestazioni religiose (il culto di Dionisio) promosse dallo stato per condurre il popolo alla riflessione su importanti valori educativi (in modo particolare: l’uomo davanti alla morte, alla sofferenza, al sacrificio per le ineluttabili forze esterne che lo soverchiano). Aristotele le conferiva un particolare potere catartico, ed elogiava la tragicità perfetta quando in scena veniva celebrata la caduta di un uomo giusto per una

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sembra però alquanto artificioso il tentativo di recuperare l’intera struttura del Libro a partire dai cinque elementi tipici del dramma greco: a) Prologo (che fornisce gli argomenti del racconto e lo sfondo di comprensione dell’opera), b) Parodos o Ode di apertura (di solito il canto di ingresso della tragedia)86, c) Episode (costituita da avvenimenti e soprattutto dialoghi o discorsi), d) Stasimon (come canto di riflessione degli episodi), e infine e) Exodos (canto di chiusura o uscita della tragedia). Matteo avrebbe strutturato la sua opera secondo cinque episodi che si concludono (come ogni episodio della tragedia si chiude con il proprio Stasimon), attraverso i cinque discorsi ben identificati87. Prologo e Parodos costituirebbero la prima sezione del Vangelo, con la genealogia inziale (1,1-17), i racconti dell’infanzia (Mt 1–2) e dell’investitura messianica di Gesù (Mt 3,1–4,11). Infine, il canto di chiusura sarebbe caratterizzato dal climax dei racconti della Passione che confluiscono nel grande crescendo del mandato finale in 28,18-2088. È evidente che il modello retorico greco, se non altro quello proposto da Standaert, tiene in considerazione dei criteri che fanno appello ancora al contesto di genesi dei vangeli. In modo particolare, molti passi potranno ancora essere fatti nell’approfondimento del contesto sociale di riferimento, e soprattutto delle mutue influenze letterarie generate dall’incontro-scontro tra la cultura semitica e quella classica. Bisognerebbe tuttavia dimostrare se e in che modo l’autore del Primo Vangelo avesse avuto piena familiarità con l’ordine di composizione letteraria tipico della classicità, e in particolare se avesse avuto l’intenzione di trarre dal genere letterario tipico della biografia antica. Fino a quel momento, si deve valutare con prudenza il criterio utilizzato dal modello retorico greco, ritenendolo ancora come un criterio esterno alla carne testuale in possesso: può essere effettivamente catalogata l’unità letteraria di Mt 1–13 come narratio di una biografia antica? Soltanto sulla base del suo riferimento a Marco? O per il solo

hamartia (un errore di comportamento, ma anche un peccato) dovuta alla cecità umana e alla sventura. Se perciò affianchiamo alla tragedia la vicenda del Cristo, sono molti i punti di contatto che possono arricchire sia la riflessione teologica e biblica (i vangeli sono i più tragici tra i libri del canone biblico) sia quella sul pensiero greco (il Cristo si impone nella sua vicenda tragica e si propone anche come compimento di molte delle principali vicende cantate da Eschilo, Sofocle ed Euripide). 86 Poteva essere a sua volta suddivisa in Strophē (svolta), Antistrophē (contro-svolta) ed Epode (dopo il canto). Si deve tenere in considerazione il fatto che la struttura della tragedia greca fosse giocata tradizionalmente sulla presenza di pochi attori individuali (all’inizio un solo hypokritēs, il personaggio recitante che era investito dell’interpretazione iniziale della vicenda, con il Prologo; successivamente affiancato da pochi altri attori) e del coro (o contrapposizione di coro e corifeo). 87 In questo modo, le formule di transizione dei discorsi segnerebbero il passaggio tra un episodio complessivo e l’altro. 88 P.R. MCCUISTION – C. WARNER – F.P. VILJOEN, «The Influence of Greek Drama», 4-5, in particolare la Tabella 1.

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fatto che presenta la persona di Gesù più o meno in accordo con la scansione utilizzata da questo genere letterario? All’interno poi di questa catalogazione effettuata da Standaert, sarebbe nuovamente necessario comprendere la composizione e le relazioni delle varie unità letterarie e dei vari livelli che lo studioso non ha direttamente analizzato nella sua trattazione (questione già sollevata per le strutture concentriche). Perciò, restano ancora da giustificare la composizione e le relazioni dei singoli passi all’interno della narratio e della argumentatio: sulla base di quali criteri formali o argomentativi riconoscerli? Quali relazioni intessono i passi tra loro?

Capitolo III LE SOLUZIONI PIÙ RECENTI

Nei capitoli precedenti sono stati ampiamente trattati i principali modelli di comprensione che si sono avvicendati nello studio della composizione del Primo Vangelo. Di essi, e di ciascuno dei loro esponenti più importanti, si è tentato di fornire e di valutare i criteri di analisi (sperando di aver svolto questo compito con onestà e umiltà intellettuale), rimandando sommariamente alla necessità di ritornare alla carne testuale del Vangelo, così come ci è giunta, per scoprire all’interno di essa, ovvero nel suo spazio letterario, le reali modalità di strutturazione. Bisogna tuttavia riprendere in mano questo tipo di valutazione, indirizzando l’attenzione anche alle proposte più recenti, che arricchiscono con il loro contributo la storia della ricerca. Negli ultimi decenni, infatti, sono apparse alcune indagini che hanno rivisitato o riproposto le analisi già compiute, ma con intuizioni nuove che si impongono e che è dunque doveroso riportare. I. EVIDENZE LETTERARIE E RITORNO AL MODELLO BACONIANO: C.R. SMITH È del 1997 l’articolo analitico di C.R. Smith che riprende in mano il modello della fivefold structure1. L’autore reagì non soltanto contro i limiti della Critica della Redazione, la quale avrebbe ridotto la composizione matteana al mero processo dei «cambiamenti che un evangelista compie nell’organizzazione dei materiali-fonte»2, ma anche nei riguardi dell’idea fondamentale del narrative criticism, che intende vedere il Vangelo matteano solo come storia ed evento di narrazione, in cui sarebbe perciò fondamentale riconoscere i punti di svolta che fanno avanzare una trama principale: Ma [il narrative criticism] non contribuirà probabilmente in maniera significativa alla questione della struttura se, come Powell sostiene, il suo servizio essenziale è stato di permettere che questo vangelo fosse riconosciuto per «ciò che più evidentemente è: una storia». Ciò perché se Matteo fosse «più evidentemente una storia», si tratterebbe di una storia piuttosto noiosa per i molti e lunghi tratti dove i discepoli fondamentalmente siedono attorno mentre Gesù parla3. 1

C.R. SMITH, «Literary Evidences», 540-551. C.R. SMITH, «Literary Evidences», 540 (trad. propria). 3 C.R. SMITH, «Literary Evidences», 540-541 (trad. propria). 2

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Il dato incontestabile della pesantezza4 e dell’organicità strutturale dei cinque discorsi non può essere in alcun modo sottovalutato, perfino quando questi vengano inseriti metodologicamente all’interno dell’intero racconto evangelico. Piuttosto che come compilazione di pericopi, o come scansione di episodi che in grado differente (i nuclei e i satelliti) fanno avanzare la trama, si dovrebbe guardare internamente il testo, focalizzarsi sulla forma letteraria finita di esso e sulle cosiddette evidenze oggettive del testo. Tra di esse, devono essere riconosciuti quei «marcatori di confine» all’interno delle unità testuali che lo stesso evangelista fornisce man mano che la sua opera progredisce5. Qui, Smith farebbe riferimento non solo alle ormai celebri formule di transizione che determinano il passaggio da uno dei cinque discorsi alle unità narrative seguenti (7,28; 11,1; 13,53; 19,1; 26,1), ma anche alla «terminologia distintiva» identificata precedentemente da Keegan, con cui sarebbero segnalate le introduzioni agli stessi discorsi6. Un’altra formula apparirebbe anche all’interno del Discorso parabolico (13,36), lì dove Gesù, dopo aver parlato alle folle e ai discepoli, «entra in casa» segnando un cambiamento interno allo sviluppo del Vangelo stesso: «da quel punto in avanti Gesù indirizza i suoi discorsi principali soltanto ai discepoli»7: I critici della narrazione dovrebbero osservare, in altre parole, che non sono solo gli «episodi» o gli «incidenti» a far avanzare la trama di Matteo; l’uso e il posizionamento di formule standard governano non solo la struttura del libro, che è costruita attorno a cinque discorsi contrassegnati all’inizio e alla fine, ma anche il suo sviluppo8.

La strutturazione che Smith propose rivisita precisamente quella inziale di Bacon: cinque libri determinati da uno dei cinque discorsi ciascuno, mentre la genealogia iniziale (Mt 1,1-17) e i racconti della Passione (26,1–28,20) costituirebbero il Prologo e l’Epilogo dell’intero Vangelo. All’interno di ognuno dei cinque libri, una sezione narrativa introduce ogni volta il discorso di riferimento. Ora però, il criterio che portò Smith a collegare ogni sezione narrativa precedente a uno dei discorsi è considerevolmente sganciato da quelle evidenze di tipo formale su cui ha tenacemente insistito (come ci si aspetterebbe dopo l’introduzione metodologica). Si tratta, infatti, di una caratterizzazione della struttura di tipo tematico e teologico: 4 È utilizzato qui il termine «pesantezza» in riferimento al valore e all’importanza dei discorsi per l’intero impianto del Vangelo. 5 C.R. SMITH, «Literary Evidences», 541 nt. 7 (trad. propria). Tali «marcatori» sono un fattore comune negli scritti antichi, come i testi biblici (basti pensare alle genealogie di Genesi o alle chiusure riconosciute per le cinque sezioni in cui si suddivide comunemente il Libro dei Salmi). 6 C.R. SMITH, «Literary Evidences», 542-544. L’unico caso in cui la terminologia distintiva non appare è nell’introduzione del Discorso missionario (cfr. p. 46 nt. 68). E tuttavia, in questo luogo sarebbe stata davvero inappropriata, dal momento che è piuttosto Gesù a chiamare i discepoli presso di sé per istruirli e inviarli (Mt 10,1). 7 C.R. SMITH, «Literary Evidences», 544 (trad. propria). 8 C.R. SMITH, «Literary Evidences», 544.

Le soluzioni più recenti

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INTRODUZIONE

Genealogia (1,1-17)

I. I FONDAMENTI

Primo racconto (1,18–4,25)

Primo discorso (5,1–7,29)

II. LA MISSIONE

Secondo racconto (8,1–9,38)

Secondo discorso (10,1-42)

III. IL MISTERO

Terzo racconto (11,1–13,9)

Terzo discorso (13,10-53)

IV. LA FAMIGLIA

Quarto racconto (13,54–17,27)

Quarto discorso (18,1-35)

V. IL DESTINO

Quinto racconto (19,1–23,39)

Quinto discorso (24,1–25,46)

CONCLUSIONE

Racconti della Passione (26,1–28,20)

Ogni libro svilupperebbe un tema specifico relativo al significato del Regno: perciò lo statuto complessivo dell’opera matteana sarebbe proprio quello di «Vangelo del Regno» (come è definito pure in 4,23; 9,35 e 24,14). Nonostante questo limite semplicistico di valutazione, Smith intravede però un fenomeno interessante all’interno delle sezioni, che lo fa protendere verso il sistema da lui rivisitato: proprio sullo sfondo delle corrispondenze tematiche poste a base del criterio di delimitazione delle unità maggiori, egli nota il carattere di transizione di alcuni elementi che occorrono all’interno delle «cuciture» delle sezioni (i confini), i quali creano una sorta di mediazione tra il tema della sezione precedente e quello che sarà sviluppato nella successiva, o viceversa9. Per esempio, il tema del compimento della Legge che caratterizzerebbe il primo libro, e in particolare il Discorso della montagna, ricompare immediatamente all’interno della sezione successiva, nel secondo libro. Qui infatti, il primo miracolo di Gesù, in Mt 8,1-4, è la purificazione del lebbroso a cui è richiesto di «presentare il dono prescritto da Mosè» (8,4: in adempiendo così alla Legge). Sono evidenziati anche alcuni elementi importanti che riappaiono non solo tra due unità contigue, ovvero nel semplice momento della transizione da un libretto all’altro, ma in altre unità anche distanti. Per esempio, il tema dell’exousia è fondamentale per il secondo libro, con cui per altro esordisce il Discorso missionario («Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro autorità sugli spiriti impuri, per scacciarli…», Mt 10,1). Tuttavia, è già anticipato in 7,29, in chiusura della sezione precedente, determinando così una cucitura tra l’una e 9

C.R. SMITH, «Literary Evidences», 549-550.

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l’altra e annunciando il suo sviluppo nella sezione successiva10. Contemporaneamente, la tematica e il termine stesso appaiono in maniera evidente e determinante anche nel proseguo del Vangelo, e in particolare nelle sue sezioni finali, in 21,23-27 e 28,18-2011. La lacuna fondamentale nel lavoro di Smith sembra essere il ritorno alla preminenza delle categorie di tipo tematico nel determinare la composizione dei cinque libri. Se per i discorsi, infatti, aveva premuto sulle evidenze oggettive e formali del testo al fine di giustificarne lo statuto strutturante interno, nel determinare il loro rapporto con le sezioni narrative che li precedono, egli ha guardato maggiormente all’affinità dei temi che via via si succedono nell’approfondimento del grande filo rosso del «Vangelo del Regno». In questo modo, l’errore baconiano si ripropone: Smith è stato costretto a definire una sezione letteraria importante come quella dei Racconti della Passione (ampia per altro come i discorsi stessi) semplicemente come epilogo conclusivo. Resta tuttavia pertinente l’aver osservato dei fenomeni di cucitura tra le sezioni, ovvero dei punti formali e assieme tematici di contatto tra la fine di una unità e l’inizio di un’altra, che possono essere anche ripresi successivamente, nelle unità più a distanza, facendo percepire così un tipo di organizzazione testuale progressiva ed una reale arte letteraria nella composizione del Libro. II. LA MACROSTRUTTURA LETTERARIA DI WIM J.C. WEREN Il ritorno alla lettura narrativa di Matteo è decretato dalla pubblicazione di un articolo abbastanza recente di Wim J. C. Weren12, che riprende i risultati già ottenuti (in particolare si pensi a Matera e Carter), cristallizzandoli in una nuova proposta di strutturazione. Il punto di partenza, secondo lo studioso, è sempre lo statuto del libro: si tratterebbe di una narrazione, ritornando perciò alla storia su Gesù. Il narratore concede al suo protagonista un grande spazio di libertà nel parlare: sia nelle unità vere e proprie dei cinque discorsi (che bisogna perciò mantenere nella loro referenzialità letteraria), sia nei dialoghi incorporati all’interno della narrazione di singoli episodi. Weren individua come criteri fondamentali della sua proposta alcuni «fenomeni testuali che hanno una funzione strutturante»13: le informazioni temporali e spaziali, ma soprattutto la peculiarità di alcuni episodi che 10 Mt 7,29: «Egli infatti insegnava loro come avente autorità (hōs exousian echōn), e non come i loro scribi». L’esempio fornito da Smith riguarda non solo il tema che intercorre tra due o più sezioni del Libro, ma anche l’elemento formale, in quanto termine (exousia) ripetuto all’interno del testo, in alcuni punti chiave della sua organizzazione. 11 Mt 21,23-27 è un passo essenzialmente centrato sul tema della exousia di Gesù (il termine vi appare chiaramente 4 volte). All’interno del grande mandato Gesù esprime e porta finalmente a compimento il tema: «Mi fu data ogni autorità (pasa exousia) in cielo e in terra» (28,18). 12 W.J.C. WEREN, «The Macrostructure of Matthew’s Gospel», 171-200. L’articolo, del 2006, compare del tutto nell’opera monografica del 2014: W.J.C. WEREN, Studies in Matthew’s Gospel, 13-41. 13 W.J.C. WEREN, «The Macrostructure of Matthew’s Gospel», 180.

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detengono, su vari livelli di strutturazione, lo statuto di «cardine» tra un’unità letteraria e un’altra14. Per quanto riguarda le informazioni temporali determinanti nel corso della narrazione, Weren riconosce un cambiamento sostanziale di tempo tra 2,23 e 3,1 (en de tais hēmerais ekeinais), così come tra 4,11 e 4,12 (dove avviene il vero passaggio alla vita pubblica per Gesù). I sommari di 4,23 e 9,35 indicherebbero ancora il ministero esercitato per un lungo periodo in Galilea, mentre in 11,2-24 il narratore ha presentato una revisione dell’operato del Battista e del Cristo, con un nuovo inizio temporale nella lode di Gesù per la rivelazione ai piccoli in 11,25 (en ekeinōi tōi kairōi apokritheis ho Iēsous eipen…). Infine, in 16,13-28 Gesù comincia a parlare di una fase cruciale della sua vita, che dovrà concludersi a Gerusalemme, ciò che è esposto nei Racconti della Passione. Di fianco alle informazioni temporali, è possibile riconoscere anche il valore strutturante di alcune informazioni topografiche. Qui, secondo un’attenta analisi, Weren sostiene di poter raggruppare le informazioni secondo tre motivi principali (li definisce appunto «tre ritornelli»)15. Il primo motivo, da ritrovare all’interno dell’unità riconosciuta in 1,1–16,20 è sancito dalla presenza del verbo anachōreō, utilizzato in sette casi per indicare movimento da un luogo all’altro (2,12-13; 2,14; 2,22; 4,12; 12,15; 14,13; 15,21). Alcuni tratti comuni rivelerebbero la peculiarità strutturante di questo uso verbale: a) lo spostamento è effettuato da Gesù o da persone a lui molto vicine; b) i personaggi in questione «si ritirano» in quanto percepiscono una minaccia; c) il nuovo luogo di indirizzo è quasi sempre nominato esplicitamente; d) in quattro casi, il motivo del «ritirarsi» è accompagnato da citazioni di compimento (2,15.23; 4,14-16; 12,18-21). Gli effetti di questi spostamenti hanno un grande valore nella trama, sia perché determinano un crescente allargamento del campo di azione del protagonista, sia perché rivelano che l’errare di Gesù è dettato da un piano divino che va lentamente a compiersi. Il secondo motivo, che inizia con l’episodio di Cesarea di Filippi (16,13-28), è determinato dal viaggio verso Gerusalemme e il più delle volte si concretizza nei cosiddetti annunci della Passione (perciò in 16,21; 17,22-23; 20,18-19; 26,2). L’ultimo motivo è da riscontrare negli eventi stessi di Gerusalemme e riguarda la risurrezione di Gesù rimandando, come anticipazione, all’incontro finale in Galilea (26,32; 28,7; 28,10). Queste informazioni temporali e spaziali costituiscono il tessuto narrativo del testo e aiutano il lettore a identificare alcune larghe sezioni e alcuni punti di svolta del racconto, che hanno un valore particolare all’interno della struttura. Come per i «nuclei» che erano stati individuati nella ricerca precedente, qui Weren riconosce i testi «cardine» (che molto spesso superano la lunghezza di un passo), i quali determinano la scansione delle varie unità del Libro. Tali testi non 14

Weren dirige la sua attenzione dagli episodi «nucleo» e «satellite» (ben evidenziata dagli studi già citati) alla ricerca di queste unità letterarie che fungono da «cardine» tra le altre. Esegue questa ricerca su tre livelli successivi di strutturazione, dal più esterno e generale a quello più interno e particolare (cfr. W.J.C. WEREN, «The Macrostructure of Matthew’s Gospel», 186-198). 15 W.J.C. WEREN, «The Macrostructure of Matthew’s Gospel», 183-186.

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giocano tutti il loro ruolo narrativo nello stesso livello di strutturazione, ma gradatamente da quello più esterno (quella che si potrebbe definire la vera e propria «macrostruttura» del Vangelo) ad almeno due livelli successivi, sempre più interni. In ogni modo, Weren non si spinge oltre il terzo livello di strutturazione, per un numero complessivo di 11 unità (5 delle quali hanno valore di cardine all’interno di uno dei livelli analizzati). Per essere davvero riconosciuti come testi cardine, tali unità devono avere al loro interno le caratteristiche necessarie di ricapitolazione (della sezione letteraria precedente) e di anticipazione (della sezione che seguirà). Il primo livello è quello dell’intero libro. Qui, Weren riconoscerebbe un’«apertura»16 e una «finale», entrambe collegate a un corpus centrale da un testo cardine (rispettivamente Mt 4,12-17 e 26,1-16): apertura 1,1–4,11

CARDINE

4,12-17

corpus 4,18–25,46

CARDINE

26,1-16

finale 26,17–28,20

Il corpus dimostra la propria organicità per il fatto di essere complessivamente segnato dalla presenza dei cinque discorsi, organizzati tra loro in maniera chiastica (come era stato ampiamente esposto anche dalle ricerche precedenti, seppure non di stampo narratologico). Mt 4,12-17 manterrebbe le sue caratteristiche retrospettive per i riferimenti topografici e per la menzione di «Giovanni il Battista» (4,12), mentre permetterebbe il passaggio all’unità successiva del corpus soprattutto mediante il riferimento al «Regno dei Cieli» che rimane l’oggetto principale dell’intero ministero di Gesù. Così pure Mt 26,1-16 svilupperebbe un carattere retrospettivo nei riguardi del corpus, in particolare con i cinque discorsi (dato il riferimento esplicito a «tutte queste parole», in 26,1) e con le predizioni della Passione (16,21; 17,22-23; 20,18-19). Aggiungendo che questi avvenimenti si risolveranno «dopo due giorni» (26,2), il testo cardine si proietta anche verso gli avvenimenti dell’unità successiva, che caratterizzano il finale di tutto il Libro. All’interno del secondo livello di analisi (quello del corpus vero e proprio), il testo cardine è riconosciuto in 16,13-28. Questo per alcune ragioni determinati: a) il testo è segnato dal passaggio topografico tra il primo motivo (l’errare di Gesù in Galilea determinato dal verbo anachōreō) e il secondo (il viaggio di Gesù verso Gerusalemme); b) la domanda di Gesù sulla sua identità è retrospettiva a quella già fatta dal Battista in 11,2; c) la confessione di Pietro e il riconoscimento della rivelazione divina sono già stati espressi in 14,33 (dai discepoli) e in 11,27 (da Gesù stesso); d) il termine «chiesa» in 16,18 ritornerà nel discorso successivo, in 18,17; e) il ruolo e le facoltà assegnate a Pietro 16 Per l’autore è fuorviante il termine utilizzato fino ad ora per identificare i primi due capitoli del Vangelo: il termine «apertura» piuttosto che Prologo, farebbe maggiore giustizia al racconto di questi episodi introduttivi del Vangelo (cfr. W.J.C. WEREN, «The Macrostructure of Matthew’s Gospel», 189).

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saranno riprese per i discepoli in 18,18; f) le istruzioni date ai discepoli in 16,21-28 saranno ripetute similmente in 20,17-2817. In questo modo, il corpus è evidentemente suddiviso in due sezioni: in Giudea 4,18–16,12

CARDINE

16,13-28

A Gerusalemme 17,1–25,46

L’ultimo livello è quello che analizza la struttura di queste due larghe sezioni del corpus (rispettivamente: in Giudea e a Gerusalemme). La prima sezione (4,18–16,21) sarebbe a sua volta determinata dal testo cardine di 11,2-30, un’unità piuttosto lunga che fungerebbe da «bilancio»18. Le due sotto-unità collegate da questo testo sono perciò 4,18–11,1 e 12,1–16,12. La prima riferisce da un lato le parole e le azioni di Gesù (per mezzo dell’ormai conosciuta inclusione di 4,23 e 9,35), e dall’altro quelle dei discepoli chiamati a continuare la sua opera (9,36–11,1). La seconda, invece, è organizzata in maniera concentrica, con il Discorso in parabole al suo centro, inquadrato a sua volta da due brevi passi sulla famiglia di Gesù (perciò: A: 12,1-45; B: 12,46-50; X: 13,1-52; B’: 13,53-58; A’: 14,1–16,12)19. Il tema di questa seconda sotto-unità interna, come anche le ricorrenze di cui è sengata, sono evidentemente riferite alla distinzione tra coloro che diverranno sempre più recettivi alla rivelazione di Gesù (i discepoli) e coloro che invece la rifiuteranno20. Perciò: A 4,18–11,1

CARDINE

11,2-30

A’ 12,1–16,12

La seconda sezione (17,1–25,46) mostra la medesima strutturazione della prima: anch’essa presenta due larghe sotto-unità, collegate per mezzo di un testo cardine, che Weren riconoscerebbe in 21,1-17 (la cui organicità è evidentemente desunta dall’unità temporale, poiché ciò che è narrato in questo testo compre l’intero arco di una giornata)21: 17 In definitiva, anche questo testo cardine mantiene nei tratti enumerati il proprio carattere retrospettivo e anticipatorio per le parti del corpus che delimita e mette in comunicazione. 18 Per i riferimenti testuali e le ricorrenze che permettono il collegamento tra l’unità cardine e le altre due sotto-unità cfr. W.J.C. WEREN, «The Macrostructure of Matthew’s Gospel», 193-194. 19 Da un punto di vista formale, si dovrebbe notare un certo squilibrio testuale nelle due parti, dal momento che la prima conterrebbe al suo interno due discorsi (il Discorso della montagna e quello missionario), mentre la seconda soltanto il Discorso parabolico. In questo modo, anche l’organicità del corpus determinata dalla strutturazione concentrica dei cinque discorsi viene rotta, trovandosi i primi tre tutti in questa sezione, mentre al centro di tutto il corpus si troverebbe il testo cardine di Mt 16,13-28. Ovviamente, questo aspetto è riscontrabile proprio nelle analisi narrative finora rivolte al Vangelo di Matteo, che distinguono nettamente l’analisi della trama da quella più propriamente letteraria, dipendente dalla carne testuale. 20 W.J.C. WEREN, «The Macrostructure of Matthew’s Gospel», 194-196. 21 Per quel che riguarda, invece, il carattere di ricapitolazione e anticipazione, le caratteristiche sono piuttosto deboli: Gesù è chiamato «Figlio di Davide» in 20,30-31 come in 21,9; la «folla» presente all’ingresso della Città Santa non sarebbe che quella che ha seguito Gesù nel suo viaggio;

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Storia della ricerca e premesse di metodo B 17,1–20,34

CARDINE

21,1-17

B’ 21,18–25,46

La prima sotto-unità della sezione è di struttura concentrica: infatti il Discorso ecclesiale (18,1-35) è inquadrato da due unità di carattere narrativo che dividono il viaggio verso Gerusalemme da Cesarea di Filippi a Cafarnao (17,1-27) e da Cafarnao fino a Gerico (19,1–20,34). La seconda sotto-unità racconta per intero l’intervento di Gesù a Gerusalemme secondo una scansione parallela: due brevi scene, quella del «fico sterile» (21,18-22) e della «distruzione del Tempio» (24,1-2)22 si alternano rispettivamente alle controversie nel Tempio (21,23– 23,39) e al Discorso escatologico (24,3–25,46). In questo modo, la struttura del Vangelo non è più concepita in modo rigido, e non è necessario trovare cesure letterarie così forti che determinino cambiamenti bruschi all’interno della trama (come poteva trattarsi per i «nuclei» e i «satelliti» precedenti): È stata mostrata troppa attenzione per cesure rigide, mentre una caratteristica tipica della composizione di Matteo è il relativo morbido fluire della storia. Le varie sezioni del Libro si sovrappongono in parte. Nei testi cardine, motivi che erano stati già collocati sono ripetutamente continuati, sebbene, allo stesso tempo, nuovi motivi vengano indicati i quali sono perciò sviluppati ulteriormente23. infine, i posti nominati come «il Monte degli Ulivi», il «Tempio» e «Betania» collegherebbero il testo cardine con la parte successiva (cfr. W.J.C. WEREN, «The Macrostructure of Matthew’s Gospel», 197). 22 Ovviamente, la loro complementarietà è resa dalla metafora del fico, che diverrebbe simbolo del sistema cultuale e della religiosità infruttuosi (il Tempio). 23 W.J.C. WEREN, «The Macrostructure of Matthew’s Gospel», 198 (trad. propria). Per uno schema riassuntivo molto adeguato della sua strutturazione: cfr. W.J.C. WEREN, Studies in Matthew’s Gospel, 41. È stata già di J.C. Ingelaere l’intuizione della significatività di unità testuali di raccordo che determinano un passaggio importante da una sezione all’altra del racconto matteano (J.C. INGELAERE, «Structure de Matthieu», 27-33; l’articolo è del 1979). Ingelaere camminava sul terreno della dipendenza marciana, ma ha utilizzato questo criterio narrativo delle pericopi definite di «chiusura-apertura» per la strutturazione dell’intero Libro: I. Il sentiero del Messia (1,1–4,16) A. Le origini di Gesù (1,1–2,23) B. I preliminari (3,1–4,16) Conclusione-apertura (4,12-17) II. La proclamazione del Regno (4,17–16,20) A. L’attività di Gesù e dei suoi (4,17–11,1) Introduzione: Gesù e i suoi discepoli (4,17-22) Proclamazione per mezzo dell’insegnamento (4,23–7,29) Proclamazione per mezzo delle guarigioni (8,1–9,35) Proclamazione per mezzo dei discepoli (9,35–11,1) Conclusione-apertura (11,1-6) B. Chi è Gesù? Incredulità e fede (11,2–16,20) Conclusione-apertura (16,13-23) III. La necessità della Passione (16,21–26,1) A. Portare la propria croce dietro Gesù (16,21–20,34) Conclusione-apertura (21,1-11)

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Con lo studio di Weren sono ritornati alcuni punti critici che lo studio della composizione proposto dal narrative criticism aveva già sollevato. Innanzitutto, il problema dello statuto del libro: lo stesso Smith aveva già reagito (in risposta a Powell) contro l’univoca valutazione del Primo Vangelo come «storia». Questa questione si ricollega a un’altra ugualmente importante: sebbene Weren riconosca la referenzialità dei cinque discorsi e la loro costruzione concentrica, la sua divisione del corpus a partire dall’unità cardine di 16,13-28 porta un certo squilibrio testuale nell’insieme, giacché i primi tre discorsi si collocherebbero nella prima parte della trama e gli altri due nella seconda24. In questo modo, una sorta di dualità di struttura deve essere presupposta: quella che riconosce un valore strutturante alla scansione discorso-narrazione (o perlomeno alla posizione concentrica dei cinque discorsi) e quella che tenta di riconoscere lo sviluppo della trama matteana25. Al di là dell’adeguatezza o meno di questa visione, lo squilibrio testuale evidenziato da Weren mette in risalto la differenza (cosa forse più importante per la valutazione del suo contributo), tra la struttura letteraria (del testo in sé) e la trama narrativa che questa struttura supporterebbe. III. IL VANGELO-PESHER DI J.E. PATRICK Ritornando allo sfondo culturale semitico e alle retoriche di composizione di questo ambiente, nel 2010 è apparso un articolo interessante di James E. Patrick26 sulla possibilità di vedere il Vangelo di Matteo come un Pesher, un racconto che interpreta il compimento di alcune parti della Scrittura, in questo caso il Libro di Isaia, nella persona di Gesù Messia27. Sin dall’inizio, l’autore ritiene di poter proporre un «approccio retorico alternativo» allo studio della struttura evangelica: il criterio di composizione dei pesharim28. Tale approccio sarebbe contemporaneo alla formazione dei vangeli stessi, dal momento che è B. Il re rifiutato ma vincitore (21,1–26,1) Conclusione-apertura (26,1-16) IV. La Passione e la Resurrezione (26,1–28,20) I cinque discorsi sono perciò situati nelle due sezioni interne del racconto (II e III), e sono definiti come «tempi forti» di queste sezioni. In particolare, l’esegeta tende a non determinare due sistemi differenti (quello narrativo e quello dei discorsi), ma piuttosto due registri, quello della storia di Gesù e quello della storia della Chiesa ancora in ascolto del Risorto (attraverso il suo insegnamento sempre attuale). In questa maniera, la dicotomia tra il tempo narrato e quello dei discorsi troverebbe il suo pieno senso teologico. 24 La strutturazione chiastica è perciò riconosciuta per i discorsi presi da soli nella loro referenzialità (volendoli escludere perciò dal loro legame con le altre unità), mentre da un punto di vista globale il centro (per lo meno narrativo) è stato spostato nel testo cardine. 25 Questa dualità era già stata realizzata in H.J.B. COMBRINK, «The Macrostructure», 1-20; H.J.B. COMBRINK, «The Structure of the Gospel of Matthew», 61-90. 26 J.E. PATRICK, «Matthew’s Pesher Gospel», 43-81. 27 Il termine ebraico pēšer significa «interpretazione». È utilizzato abbondantemente nella letteratura di Qumran dopo una citazione biblica per introdurre la sua interpretazione. Come vera e propria tecnica di interpretazione può essere affiancata all’esegesi midrashica. 28 J.E. PATRICK, «Matthew’s Pesher Gospel», 43.

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già stato impiegato nella stesura di alcuni testi del Mar Morto (ca. tra il 150 a.C. e il 70 d.C.), ma soprattutto del Documento di Damasco. Per alcuni testi di tipo biblico, come il commento ad Abacuc (IQpHab), l’approccio pesher è stato semplicemente utilizzato al fine di dimostrare il compimento di una data profezia negli avvenimenti storici inerenti alla comunità. Per il Documento di Damasco, Patrick cita direttamente l’articolo di Liora Goldman, il quale dimostrerebbe come l’approccio pesher ha fornito una vera e propria struttura organizzativa letteraria alla composizione dei testi29. In analogia con la dinamica narrativa dei «nuclei» e dei «satelliti», ogni unità letteraria riconosciuta da Patrick costituisce un pesher, un’interpretazione testuale di una determinata citazione scritturistica biblica che l’autore del Vangelo ritenne fondamentale per la sua opera. Dunque, all’interno di queste unità, la citazione scritturistica principale costituisce il nucleo-climax, l’anima stessa dell’unità letteraria: difatti, attorno ad essa è costruito tutto il racconto (in cui confluirebbero le varie tradizioni in possesso dell’evangelista). La citazione fornirebbe anche il «filo esegetico» del complesso: sarà così possibile notare in ogni altro passo del sistema creatosi (come per i «satelliti» del narrative criticism) un certo riferimento ad essa o al suo contesto più ampio (per esempio il capitolo del libro biblico da cui è estrapolata). Tutte le altre eventuali allusioni alla Scrittura, fatte dall’autore evangelico in quella determinata unità innescata dalla citazione principale, tendono a corroborare la tematica presentata, intessendo un vero e proprio «filo di grappoli esegetici»30. Per quanto riguarda il Vangelo di Matteo, Patrick si è proposto di dimostrare come esso «sia composto di dieci pesharim attinti dal Libro di Isaia che insieme dimostrerebbero complessivamente che Gesù di Nazareth “ha compiuto le Scritture dei profeti” (Mt 26,56)»31. Neppure il numero dieci è fuori da una certa contestualizzazione semitica. Probabilmente l’evangelista doveva conoscere le tradizioni rabbiniche cristallizzatesi nel testo del trattato di Aboth 5,1-4, secondo il quale l’intero cosmo fu creato da dieci Parole di Dio. In questo modo, utilizzando il rotolo di Isaia, 29 L. GOLDMAN, «The Exegesis and Structure of Pesharim», 193-202; per la questione: J.E. PATRICK, «Matthew’s Pesher Gospel», 60-62. 30 I criteri di organizzazione sono così sintetizzati dall’autore: 1) «il passo dal quale la citazione di Isaia è stata fatta sosterrà l’intera unità pesher, offrendo adeguata spiegazione per l’inclusione di ogni distinta tradizione»; 2) «differenti passi della Scrittura possono anche essere introdotti all’unità pesher come supporto del principale intento esegetico, uniti alla citazione primaria per mezzo di concetti o parole simili»; 3) «la predilezione di Matteo per i modelli numerologici e retorici può ulteriormente servire per spiegare la sua disposizione delle tradizioni all’interno di una unità pesher» (J.E. PATRICK, «Matthew’s Pesher Gospel», 62-63, trad. propria). In realtà, l’ultimo criterio è scarsamente visionato e dimostrato: Patrick espone qua e là qualche riferimento alla numerologia (il quattordici per la genealogia di 1,1-17 o il raggruppamento di dieci miracoli per Mt 8–9). 31 J.E. PATRICK, «Matthew’s Pesher Gospel», 62 (trad. propria). Lo studio sulle citazioni esplicite fatte nel Vangelo di Matteo porta l’autore a pensare verosimilmente che le comunità potessero accedere ai testi più importanti delle Scritture, in modo particolare che le comunità matteane dovessero possedere almeno una copia del Libro di Isaia.

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Matteo avrebbe voluto enfatizzare il tema della «nuova creazione» operata dal Messia, basata su dieci parole del libro profetico cui si riferiva. L’approccio compositivo acquista perciò anche un grande valore apologetico: Matteo ha così creato un documento valido per il contesto storico difficile in cui le comunità matteane si trovavano (nel loro dialogo con il mondo giudaico che non riconosceva Gesù come Messia di Israele). Il Vangelo è così composto di dieci unità-pesher, ciascuna riferita a una citazione esplicita del libro profetico: UNITÀ PESHER

nucleo

citazione

I.

Mt 1,1–2,23: «La vergine partorirà un figlio»

Mt 1,22-23

Is 7,14

II.

Mt 3,1–4,11: «La via del Signore nel deserto»

Mt 3,3

Is 40,3

III.

Mt 4,12–7,29: «Una grande luce in Galilea»

Mt 4,14-16

Is 9,1-2

IV.

Mt 8,1–11,1: «Si è caricato le nostre malattie»

Mt 8,17

Is 53,4

V.

Mt 11,2–12,45: «Ecco il mio Servo, proclamerà la giustizia»

Mt 12,17-21

Is 42,1-4

VI.

Mt 12,46–13,58: «Ascoltare e comprendere»

Mt 13,14-15

Is 6,9-10

VII.

Mt 14,1–16,12: uomini»

Mt 15,7-9

Is 29,13

VIII.

Mt 16,13–21,11: «Il re che viene in Sion»

Mt 21,4-5

Is 62,11

IX.

Mt 21,12–25,46: «Casa di preghiera o covo di ladri»

Mt 21,13

Is 56,7

X.

Mt 26,1–28,20: «Pastore colpito e rialzato»

Mt 26,31-32

Is 53,4-6

«Insegnando

tradizioni

di

Di ognuna delle dieci unità, Patrick ha esposto una serrata dimostrazione, collegando molti dei passaggi di ciascuna unità al contesto biblico di riferimento della citazione-nucleo32. Per esempio, per la prima unità (Mt 1,1–2,23) la citazione-nucleo (Mt 1,22-23) determina come criterio organizzativo delle tradizioni il tema della nascita divina dell’erede davidico. Tutto il materiale sarà organizzato in questa particolare prospettiva, a compimento della citazione profetica. Così, egli nota come la genealogia (1,1-17) che precede il passo contenente la citazione principale (1,18-25) sia stata inserita per mettere in 32

Per ovvi motivi di spazio, non sono analizzate tutte le unità, ma vengono presi in considerazione soltanto alcuni esempi. Per l’approfondimento: J.E. PATRICK, «Matthew’s Pesher Gospel», 62-81.

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risalto la discendenza davidica di Giuseppe, padre legale di Gesù. Analizzando il contesto prossimo della citazione all’interno del capitolo 7 di Isaia, sarebbe possibile identificare le interpretazioni che fanno da sfondo alla composizione dei passi successivi dell’unità: in Is 7,11 si parla della richiesta di «un segno…dall’alto» da cui potrebbe dipendere il riferimento alla «stella» che guida i magi al Cristo nato (Mt 2,2); in Is 7,16-19 si fa chiaro riferimento all’Assiria e all’Egitto come strumenti del giudizio divino, e perciò all’esilio di Israele che si ripete nella vicenda di Gesù (Mt 2,13-15); in Is 7,1-16 è disegnato il contrasto tra il vero erede davidico e i re che vorrebbero soppiantare il suo trono, cui farebbero eco nel racconto di Matteo le tradizioni sulle figure di Erode e Archelao che minacciano la vita di Gesù (Mt 2,13-23). Anche le altre citazioni dell’unità, quella di Mi 5,2-9 in Mt 2,6 e quella di Isaia 11,1-16 in Mt 2,2333 concorrono ad esaltare la tematica della citazione principale, facendo riferimento entrambe al davidide promesso. Matteo avrebbe perciò organizzato le tradizioni che aveva in mano ancorandole tutte al capitolo 7 di Isaia, lì dove non solo la citazione precisa (7,14), ma l’intero contesto del capitolo trova compimento nelle vicende storiche di Gesù. In altri luoghi, tuttavia, l’analisi è più sommaria, a volte anche forzata o poco chiara. Per esempio, il Discorso ecclesiale (Mt 18), inserito nell’ottava unità-pesher, svilupperebbe nell’immagine dei «piccoli», l’umiltà del re che entra in Gerusalemme (21,4-5; qui Patrick è costretto a collegare le citazioni di Is 62,11 e Zc 9,9, vedendo una lettura della prima alla luce della seconda), e avrebbe come contesto largo di riferimento Is 63,7-1434. Ma il tema della restaurazione del popolo da parte di Dio (centrale di questa pericope isaiana) non sembra essere un punto così forte per giustificare la relazione tra tutto il discorso di Mt 18 (che tratta più specificamente della misericordia tra gli uomini e della cura nella comunità a partire dalla sollecitudine divina; cfr. 18,21-35) e il contesto profetico a cui lo si vorrebbe collegare. L’analisi di Patrick è senz’altro originale e avvincente. La scoperta di un metodo semitico che possa fare da sfondo alla composizione dei vangeli come interpretazioni della Prima Scrittura sembra dirigere gli studi in una direzione interessante. Le stesse citazioni di compimento inserite così abbondantemente nella prima parte del Vangelo fanno comprendere che il contesto delle Scritture di Israele sia stato davvero importante per la composizione dei testi (e perciò secondo una certa misura anche per la loro strutturazione finale). Eppure, si tratta di un aspetto non totalmente determinante come l’analisi di Patrick vorrebbe supporre. Lo stesso studioso, pur evidenziando la predilezione di Matteo per la numerologia e la retorica, non spende quasi alcuna riga per sottolineare alcune evidenze letterarie che giocano nella composizione dell’intero Libro, e come 33

Non è molto chiaro il motivo per cui Patrick contestualizzerebbe la citazione di Mt 2,23 con Is 11. Molto probabilmente si tratta della semantica del «virgulto» (nēzer) in Is 11,1; in ogni modo, nella citazione di compimento si parla di «ciò che è stato detto per mezzo dei profeti» (al plurale). 34 In questo caso, anche se la citazione principale è in Is 62,11, il contesto prossimo dell’unità risulterebbe essere l’intera profezia di Is 62–63.

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esse possano raccordarsi alla metodologia da lui individuata. Per ogni unità è portata avanti soltanto la segnalazione dei contesti prossimi e più ampi del Libro di Isaia, i soli che avrebbero presieduto all’organizzazione di un materiale già esistente35. IV. UN’ALTRA ANALOGIA CON IL PENTATEUCO: P. VAN DER VEEN Di recentissima pubblicazione, nel 2018 appare una nuova proposta di strutturazione del Primo Vangelo che sembra per altro presentarsi come un concentrato di tutto il cammino finora compiuto nel mondo della ricerca. Si tratta di un articolo molto corposo di Peter van der Veen, apparso sul Calvin Theological Journal36. Van der Veen si riallaccia alla proposta originaria di Bacon (una struttura in 5 libri), con un cambiamento sostanziale: la sequenza dei 5 libri non prende avvio da Mt 3,1 con l’apparizione del Battista, ma piuttosto subito dopo il primo discorso di Gesù (il Discorso della montagna) che assume perciò uno statuto specialissimo nella composizione del Vangelo, assieme a tutto il materiale che lo precede. La nuova sequenza dei cinque libri deve essere applicata dunque ad un corpus differente, Mt 8–28: 1,1–7,27

OVERTURE

Discorso della montagna: Halakhah del Messia

7,28–10,42

Libro I

Prime istruzioni per la missione (a Israele)

A

11,1–13,52

Libro II

Discorso escatologico in parabole

B

13,53–18,35

Libro III

Discorso ecclesiale

C

19,1–25,46

Libro IV

Discorso escatologico con parabole

B’

26,1–28,20

Libro V

Seconde istruzioni per la missione (alle Nazioni)

A’

Secondo van der Veen, una simile sistemazione permetterebbe di rispettare alcune caratteristiche redazionali e narrative del Vangelo, determinando anche alcune conseguenze importanti, soprattutto da un punto di vista letterarioermeneutico e teologico. Anzitutto, le formule stereotipate che permettono il riconoscimento delle unità discorsive maggiori sono rispettate nel loro reale valore sintattico, lanciando l’inizio di una unità narrativa, oltre che segnalando lo statuto particolare di una grande unità in cui Gesù insegna. Ora però, la scansione narrazione + discorso si ripresenta in tutti e cinque i libri, al contrario della sistemazione baconiana che doveva riparare l’eccedenza dell’ultima unità narrativa dandole lo statuto di Epilogo del Vangelo (con all’interno una unità 35

In più, come alcune forzature nell’analisi farebbero notare, non è sempre facile riconoscere con sicurezza un riferimento, un’allusione o un collegamento preciso (e intenzionale) di ogni passo evangelico (o parte di esso) con un luogo dell’Antico Testamento (o nel caso di Patrick dello stesso testo di Isaia). 36 P. van der VEEN, «An Alternative Pentateuchal View», 65-98.

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così capitale come il Racconto della Passione). Difatti, nel quinto libro il (sesto) discorso di Gesù è riconosciuto nei pochi versi del grande mandato di 28,18-20 (i quali però richiamano e sviluppano il primo discorso di indole missionaria del capitolo 10), che assume così uno statuto davvero speciale, cosa che i modelli di strutturazione letteraria, ad eccezione dei tentativi del narrative criticism, non avevano ancora debitamente riconosciuto37. Anche un altro aspetto importante, tratto dalle proposte narrative precedenti, viene riportato alla luce dall’ipotesi di Van der Veen: il turning point del racconto evangelico, il primo annuncio che Gesù fa della sua Passione in 16,21 diventa effettivamente parte del centro strutturale dell’intera composizione (il terzo libro)38. Questa centralità è giustificata anche da un indizio di carattere letterario: infatti, solo fino a qui Gesù «si ritira» otto volte (si tratta della ormai celebre ripetizione del verbo anachōrein: 2,12.13.14.22; 4,12; 12,15; 14,13; 15,21), mentre da 16,21 in poi, egli va dirigendosi decisamente verso Gerusalemme, dove sarà compiuta la sua missione di salvezza. La strutturazione così ideata dei cinque libri garantisce, già a un colpo d’occhio complessivo, una strutturazione chiastica, considerando anche il discorso che ciascuno di essi contiene39. Mt 10 e Mt 28,18-20 si configurano entrambi come istruzioni per la missione, con un cambiamento sostanziale di indirizzo, dal momento che le prime caratterizzerebbero solo la missione verso Israele (10,6), mentre nelle seconde (per quanto brevi) Gesù stesso ritornerebbe sull’ingiunzione posta in precedenza, per indirizzare i discepoli verso una nuova tappa del ministero messianico, la proclamazione del Vangelo alle Nazioni. Qui van der Veen ritorna su un richiamo formale (riconosciuto precedentemente dall’esegesi)40, che creerebbe una simmetria letteraria pertinente tra l’inizio del primo discorso missionario e il climax finale dell’ultimo: Mt 10,5-6

Per la via delle Nazioni (ethnōn) non andate (mē apelthēte), e verso la città dei Samaritani non entrate (mē eiselthēte). PARTITE (poreuesthe) piuttosto verso le pecore perdute della casa di Israele.

Mt 28,19

ESSENDO-PARTITI (poreuthentes) dunque fate-discepoli tutte le Nazioni (ta ethnē) …

37

In quanto climax del Vangelo, e probabilmente degli stessi discorsi precedenti, l’argomentazione di van der Veen è comprensibile. Tanto più che lo stesso mandato rimanda retrospettivamente a «tutte le cose che comandai a voi» (Mt 28,20). 38 Viene praticamente risolta, secondo questa ipotesi di strutturazione, anche la dicotomia tra intreccio e composizione: il turning point dell’intera narrativa del libro si troverebbe nella sezione centrale del corpus del Libro. 39 E dunque, van der Veen ha saputo far coincidere le istanze della fivefold structure con la lettura narratologica del Vangelo, ed assieme a queste, anche con gli input forniti dagli studi letterari sulle strutturazioni chiastiche. 40 U. LUZ, The Theology of the Gospel of Matthew, 6.

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I discorsi del secondo e terzo libro sarebbero interamente di indole escatologica, contenendo per la maggior parte di essi delle parabole sulla consumazione finale della salvezza e sul giudizio del Figlio dell’Uomo (così 13,41; 24,27.30; 25,31-46). Qui l’autore del Vangelo inserirebbe anche un aggancio formale molto forte, attraverso una ripetizione quasi del tutto letterale tra 13,12 e 25,29 e formando così una vera e propria inclusione tra tutte le parabole dei cinque libri41: Mt 13,12

Chiunque infatti ha, chiunque però non ha,

sarà-dato a lui e sovrabbonderà, anche ciò che ha sarà-tolto da lui.

Mt 25,29

Infatti, a ogni avente, invece al non avente,

sarà-dato e sovrabbonderà, anche ciò che ha sarà tolto da lui.

Il libro centrale diventa dunque il punto di svolta della composizione, dove sono decisi i maggiori cambiamenti, fondamentali per la comprensione del filo teologico-letterario dell’intero Vangelo, che Peter van der Veen identifica nel compimento della Nuova Alleanza operato da Gesù nella sua prima missione in Israele e cui fa seguito la missione della comunità verso i gentili. Il discorso per la nuova comunità è situato proprio all’interno di questo libro (Mt 18), come maturazione finale dei vari punti di svolta (spesso drammatici) di cui è solcato l’intero cammino della sezione: la nascita della «chiesa» (16,18) in opposizione alla «sinagoga» da cui Gesù è costretto ad uscire (13,54); il ministero che si apre decisamente in direzione dei pagani (cfr. l’incontro con la donna cananea e la sua fede in 15,21-28); la posizione centrale ed unica che assume l’apostolo Pietro all’interno del libro, in vista della sua investitura futura. Al suo interno, la parabola sul perdono (18,23-34), l’unica parabola dell’unità, assume anch’essa un ruolo centrale (in particolare per la serie di parabole iniziate nel secondo libro e concluse alla fine del quarto), definendo la riconciliazione e il perdono come i tratti essenziali della nuova comunità escatologica42.

41

È lo stesso autore dell’articolo che mette in causa il carattere parabolico di alcuni detti di Gesù nel Discorso della montagna, ma l’inclusione tra Mt 13 e Mt 25 (il corpus dei cinque libri individuati) rimarrebbe comunque determinante, giacché il discorso inaugurale «non appartiene ai cinque libri» (P. van der VEEN, «An Alternative Pentateuchal View», 73 nt. 29). 42 L’autore riconosce ben 12 punti (di indole concettuale ma anche formale) che rendono questo terzo libro centrale per tutto il Vangelo di Matteo (cfr. P. van der VEEN, «An Alternative Pentateuchal View», 77-79). L’analisi di questi turning points è precedentemente corredata da un buono studio delle principali corrispondenze, le quali andrebbero a dimostrare una composizione chiastica tra i libri riconosciuti (Ibid., 74-76). La maggior parte di tali corrispondenze appare molto pertinente; altre sembrano più deboli, sebbene non del tutto infondate sul piano della somiglianza o dell’opposizione (per esempio l’ingresso di Gesù nell’area della morte nel passo della liberazione degli indemoniati Gadareni in 8,28 corrisponderebbe alla crocifissione tra i due malfattori in 27,45; o le perdite di sangue della donna emorroissa salvata in 9,20 corrisponderebbe nell’ultimo libro all’effusione del sangue stesso del Messia donato per la salvezza).

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Nell’unità narrativa che la precede, la prima sezione (detta «sezione dei pani»)43 sintetizza la dinamica complessiva della sezione, e la svolta decisiva del Vangelo: il cambiamento di indirizzo da Israele a tutte le Nazioni. In essa si susseguono pericopi che sviluppano la direttrice iniziata nel primo libro, con il mandato missionario per i Dodici. Anche qui, i richiami chiastici permettono di riconoscere il movimento letterario e narrativo: in modo particolare la simbologia dei numeri posta nei due racconti di moltiplicazione dei pani che identificherebbe nella prima Israele (i cinque pani simboleggerebbero la Torah e i due pesci i Profeti; i 12 canestri avanzati simboleggiano le tribù del popolo eletto e i 5000 sfamati rappresenterebbero il vecchio popolo a cui è stata donata nell’esodo la Torah di Mosè), mentre la seconda le Nazioni (i sette canestri simboleggiano la pienezza, ma anche il numero delle nazioni straniere che circondano Israele secondo Dt 7,1 mentre i 4000 sono tutti i popoli convocati dai 4 venti). Al centro, la pericope sul conflitto con i farisei e gli scribi di Gerusalemme e l’insegnamento sulla purità rituale e sui comandamenti manifesta il punto critico di svolta ma anche l’essenza della tematica. Si tratta infatti del nuovo insegnamento con cui Gesù compie il primo, aprendo l’Alleanza a tutti i popoli della terra: A

Libro I: istruzioni per la missione a Israele (10,1-42)

B

B’

Libro III: Moltiplicazione dei pani per i 5000 (Israele; 14,13-21) Tempesta nel mare, Pietro e la sua piccola fede; guarigioni in Israele; Gesù adorato come Figlio di Dio (14,22-36) Conflitto sulla purità rituale (15,1-20) La donna cananea e la sua grande fede; guarigione della figlia di una pagana; Gesù adorato come Figlio di Davide (15,21-32) Moltiplicazione dei pani per i 4000 (Nazioni; 15,32-39)

A’

Libro V: istruzioni per la missione per tutte le Nazioni (28,18-20)

C D C’

La sezione iniziale del Vangelo, quella che corrisponderebbe per van der Veen a una grande overture, si differenzia dal corpus dei cinque libri in quanto identifica tutta la missione iniziale di Gesù (iniziale in quanto principio causale e programmatico oltre che temporale e narrativo di tutto il Vangelo): a partire dalle sue origini genealogiche fino al suo primo discorso da cui scaturirà tutto il movimento di adempimento dei cinque libri. Il Discorso della montagna si caratterizza anzitutto come discorso di compimento della Torah (è definito dunque come Halakhah del Messia) e diventa insieme sorgente della prima missione di Gesù verso Israele e del successivo cammino che la nuova comunità sarà chiamata a realizzare per far entrare nella Nuova Alleanza tutti i popoli. 43

P. van der VEEN, «An Alternative Pentateuchal View», 79-82. La simbologia del pane, a livello complessivo, rivela come tematica della sezione l’insegnamento di Gesù, che compie l’antico.

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Anche alcuni aspetti formali convaliderebbero la divisione letteraria tra l’overture e i cinque libri. Infatti, a partire da 7,27 (perciò alla fine del discorso e non prima) la questione dell’autorità messianica di Gesù è posta e si estenderà fino alla fine dell’opera (8,27; 11,3; 14,27; 16,13.15; 17,5; 21,10.23; 22,42; 26,63; 27,11.54). Inoltre, da 8,20 (e perciò mai nell’unità iniziale di Mt 1–7) Gesù è chiamato con il titolo autoritativo «Figlio dell’Uomo» per ben 28 volte44. La struttura così argomentata porta lo studioso alla ricerca di una analogia tipologica con il Pentateuco (che egli definisce come approccio cumulativo, dovendo tener conto di più aspetti, oltre a quelli già messi in luce dalla fivefold structure, per essere efficace)45. Nell’overture iniziale, strutturata da van der Veen in cinque sezioni proprio a partire dal riconoscimento tipologico, Gesù stesso ricapitola i cinque libri della Torah: si pensi agli avvenimenti iniziali della sua vita che ricalcano i primi quattro libri della storia di liberazione di Israele, o allo stesso Discorso della montagna che appare come un compimento deuteronomico della prima Legge. Gesù è qui identificato come Re Messia che «compie ogni giustizia» (ogni comandamento della prima Scrittura; cfr. 3,15)46. Così in Mt 8–28 lo stesso Gesù, in quanto Re, cerca e genera un nuovo popolo che possa entrare nell’Alleanza rinnovata e compiuta e lo fa nuovamente in analogia ai cinque libri su cui la più antica era fondata: 8–10 si presentano come Genesi del nuovo popolo (reclutato attraverso i miracoli e l’invio dei dodici come primizia di un Nuovo Israele); 11–13 somiglierebbe all’Esodo per la tematica della libertà e il conflitto sul Sabato ripetuto due volte all’interno dell’unità; 14–18 con la nascita della nuova comunità e il passaggio centrale sulla purità rituale in Mt 15 ripresenterebbe il Libro del Levitico; 19–25, come Numeri, descrive il viaggio e il giudizio del popolo (nuovo e antico), ma questa volta nell’ingresso verso il Regno che va compiendosi; nei racconti della Passione e nel mandato alle genti in 26–28 il Messia rinnova l’Alleanza per il nuovo popolo da lui generato, in sintonia con quanto opera Mosè nel Libro del Deuteronomio. In questo modo la tipologia con il Pentateuco si propone nella vicenda di Gesù (overture) e nelle vicende dei discepoli (attraverso i cinque libri): due volte all’interno della strutturazione letteraria complessiva del Vangelo (le cinque sezioni dell’overture 44

P. van der VEEN, «An Alternative Pentateuchal View», 72. P. van der VEEN, «An Alternative Pentateuchal View», 94. Per lo studio analitico di questa analogia all’interno delle tue tavole del Libro (overture + i cinque libri) rimandiamo ai paragrafi finali dell’articolo (Ibid. 82-96). Si veda anche un'altra proposta di lettura tipologica del Vangelo di Matteo: P.J. LEITHART, «Jesus as Israel», 1-37. 46 La prima sezione (è l’autore ad utilizzare questo termine) è la genealogia di 1,1-17 in cui il Cristo è chiaramente generato (Genesi). Nella successiva, Mt 2,1-23 è narrato l’Esodo di Gesù (da Israele all’Egitto e dall’Egitto di nuovo a Israele), mentre l’evento del Battesimo in 3,1-17 diventa il compimento dell’investitura sacerdotale antica (Levitico). La quarta sezione, Mt 4,1-11 compara evidentemente le tentazioni con le prove nel deserto che il popolo vive nella narrazione di Numeri. Infine, 4,12–7,27 è contemplato da van der Veen come insegnamento dell’Alleanza messianica che riprende molti degli elementi letterari e tematici del Libro del Deuteronomio, contenente un lungo discorso di Mosè (anch’esso anticipato da una introduzione narrativa) prima dell’ingresso del popolo nella terra d’Israele. 45

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e i cinque libri successivi), rafforzando il senso finale del compimento dell’Antica Alleanza, e l’inaugurazione della Nuova aperta a tutte le Nazioni della terra. Per quanto l’approccio tipologico in direzione del Pentateuco in alcuni punti rimanga discutibile (le associazioni sono di stampo tematico, o spesso sono troppo deboli per poter strutturare un’argomentazione valida), rimane interessante la proposta metodologica che Peter van der Veen ha umilmente esposto nel suo articolo47. L’attenzione agli elementi formali del testo lo hanno portato a impostare una struttura in cinque libri, come la critica redazionale aveva già precedentemente proposto. Allo stesso tempo, egli ha ritenuto importante mantenere le potenzialità del metodo narratologico, un approccio secondo lui induttivo, il quale cercherebbe materialmente all’interno della narrazione il movimento dell’opera (ma abbiamo potuto contemplare il rischio della lettura soggettiva inerente allo studio narratologico finora esposto). Resta discutibile la scelta di isolare il Discorso della montagna dal resto del corpus dei cinque libri, come rimane dubitabile la scelta di legare le istruzioni più corpose e sviluppate di Mt 10 al mandato finale del capitolo 28 (sebbene rimanga per questi ultimi versetti del Libro un aspetto di climax-conclusione). Alcune istruzioni dello stesso discorso sulla missione, sembrano proiettarsi al di là del momento narrato (ovvero la missione dei dodici ad Israele nel momento in cui il ministero di Gesù non si è ancora concluso): basti pensare a Mt 10,18 dove Gesù prospetta la persecuzione per i suoi non solo «nelle sinagoghe», ma anche «davanti ai governatori e ai re», «per testimonianza per loro e per le Nazioni»48. In questo modo, anche la proposta più recente sembra sollevare la questione dei criteri utilizzati, e del modo in cui tali criteri operano nella lettura dei dati del testo: La questione della metodologia rimane ancora. Perché dovremmo in parte ritornare alla critica della redazione, mentre nelle ultime decadi il narrative criticism ha dato prova della sua fecondità? La risposta è che entrambi sono punti di inchiesta legittimi e che l’analisi narrativa non deve certo essere respinta. In ogni modo, poiché il narrative criticism è un approccio induttivo, il trattamento narrativo dei passaggi può determinare difficilmente strutture formali (deduttive) come cinque libri e chiasmi di notevole ampiezza.

47

È lui stesso, con molta onestà intellettuale, a invitare ogni ricercatore di una struttura per il Vangelo di Matteo alla prudenza e a ritenere il suo come un input che necessita di ulteriori chiarimenti e ricerche. Per esempio: «Luz conclude che, come risultato della connessione diacronica di Matteo con le sue fonti, una struttura [del Primo Vangelo] può solo essere parziale. Per questo, siamo consapevoli che la nostra lettura è sempre soggettiva e che la prudenza è richiesta» (P. van der VEEN, «An Alternative Pentateuchal View», 93). 48 Lo stesso autore riconosce con prudenza questa obiezione (come altre) per la sua strutturazione: «Come notato, l’evangelista ha posto materiale per il periodo post-pasquale nella seconda parte del discorso della missione nel capitolo 10» (cfr. P. van der VEEN, «An Alternative Pentateuchal View», 85, trad. propria).

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Una metodologia induttiva impone un legame continuo con l’esperienza del testo, a partire dalla quale costruire un proprio sistema di regolamento o di strutturazione. Ora, ogni metodologia, per quanto induttiva, rischia sempre di dimenticare che molti dei suoi criteri (sebbene sviluppati da una lunga esperienza sui dati raccolti) possono alla lunga risultare regole da cui dedurre un testo e perciò fargli una certa violenza49. Per questo, gli indizi narrativi dovranno sempre essere valutati all’interno della polifonia del testo (così come lo stesso van der Veen ha cercato di operare). Allo stesso tempo, ci chiediamo se alcune delle strutture formali che egli definisce «deduttive» non possano anche essere sperimentalmente e oggettivamente riconosciute in quanto fenomeni di quel determinato testo, diventando caratteristiche oggettive della sua composizione e della sua organizzazione. V. «NON C’È NIENTE DI NUOVO SOTTO IL SOLE» (QO 1,9) Anche le proposte contemporanee sembrano non discostarsi troppo dagli approcci di un intero secolo di ricerca scientifica e letteraria. I modelli che maggiormente si impongono sono quelli che fanno riferimento ora allo statuto particolare dei cinque discorsi e delle loro relazioni con le unità letterarie che li precedono o li seguono (Smith; van der Veen), ora alla visione del Vangelo come storia narrata di Gesù, che deve essere compresa perciò a partire dal suo intreccio (Weren), o insieme dal suo intreccio e da quegli indizi che proporrebbero una certa organizzazione del materiale narrativo e discorsivo (van der Veen), ora al tentativo di scoprire quegli elementi retorici e tradizionali che hanno presieduto alla composizione del libro (quelli classici, quelli semitici, quelli rabbinici desunti dall’interpretazione dell’Antico Testamento, come propone per esempio Patrick). In molti casi, i criteri esterni (insieme a una precomprensione del testo stesso) si sono imposti: è necessario affermare che il Vangelo di Matteo sia solo una storia narrata? Come non tenere in considerazione anche il suo carattere catechetico o predicativo? Il narrative criticism o l’impiego della retorica classica di Standaert, pur partendo da una presupposizione su cosa il Libro sia o da quale ambiente culturale provenga (Matteo come storia narrata o come opera influenzata dalla retorica di stampo ellenistico) in realtà non fanno che applicare 49 Una parte degli strumenti e della regolamentazione metodologica utilizzati dal narrative criticism provengono dall’applicazione e sperimentazione sulla letteratura di stampo occidentale, (il che non significa che questi non ineriscano anche al modo universale del narrare umano). Appare però interessante l’idea di poter incontrare il testo del Primo Vangelo nei suoi reali indizi narrativi (quelli cioè inerenti al suo mondo letterario specifico), partendo dagli sviluppi ormai compiuti nel campo della narratologia biblica, lì dove i ricercatori (a partire dall’invito più volte espresso nei contributi pionieristici di Robert Alter e Meir Sternberg) hanno di fatto prestato attenzione alle modalità tipiche dei libri biblici di realizzare il loro universo narrativo e letterario. Forse è in questa prospettiva che l’applicazione del metodo narrativo può dirsi realmente induttiva, fondata sull’esperienza del testo in particolare, e sensibile anche a una certa sistemazione o disposizione spaziale di quest’ultimo.

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(spesso in maniera evidentemente differente da studioso a studioso) una metodologia che non ascolta pienamente il testo nella sua vera polifonia letteraria interna, anche perché i loro presupposti non tengono in debito conto l’area geografico-culturale di espressione da cui il testo proviene. D’altro canto, anche quando i criteri interni sembrano guidare lo studio della composizione, alcune scelte sembrano rimanere alquanto arbitrarie. Per esempio, la fivefold structure ha messo giustamente in risalto l’impalcatura essenziale sviluppata dalla significatività dei cinque discorsi, ma resta alquanto insufficiente nella piena comprensione delle relazioni di questi con le altre unità letterarie del Vangelo: quale tipo di legami considerare? Quelli tematici o delle ripetizioni lessicali? O entrambi? Queste relazioni sono riconoscibili su un unico piano di significazione (le sole unità adiacenti ai discorsi)? O in un’unica direzione (un discorso è soltanto preparato o sviluppato nell’unità a cui sarebbe legato in maniera decisiva)? Quale valore hanno realmente le formule di chiusura dei discorsi? Anche l’analisi di Patrick, che sembra aver voluto rilanciare il carattere semitico del Primo Vangelo, in realtà distoglie lo sguardo dalla carne del testo per sintonizzarsi completamente sui soli richiami testuali della Scrittura che avrebbero guidato alla sua composizione, per mostrarne il definitivo compimento in Gesù. Tutto questo rivela una forma di pregiudizio teologico che spesso soggiace alla scelta univoca di un certo approccio (come per l’analogia della Torah con il Vangelo proposta da Bacon, dalla lettura tipologica di van der Veen, e dalla fivefold structure). Quello delle strutture concentriche (che Standaert aveva riconosciuto come terzo schema del modo di comporre dell’antichità) risulta un campo appena esplorato che ha messo in luce una tecnica acquisita e assimilata dagli autori dei vangeli. Si tratta di una tecnica biblica, più che classica, che ha man mano rivelato tutta una serie di formulazioni retoriche peculiari (non solo le strutture chiastiche ma anche le disposizioni parallele o speculari). Pochi però dei suoi esponenti (almeno per quanto riguarda gli studi sul Primo Vangelo) si sono spinti oltre il disegno di una macrostruttura chiastica, sviluppando un’adeguata comprensione della crescita del testo: le costruzioni riconosciute nei livelli più bassi di strutturazione (come può essere quella di un chiasmo in un verso, per arrivare fino alla struttura di una pericope) si compenetrano nella crescita e nella formazione di livelli di organizzazione sempre maggiori (le unità letterarie che comprendono più pericopi anzitutto), fino ad arrivare all’organizzazione di un intero Libro o di un’intera opera letteraria50. 50

Sembra opportuno citare l’introduzione a «I livelli di composizione» del Trattato di retorica biblica (il suo III capitolo) per offrire una spiegazione quanto più chiara e stabilita del fenomeno di organizzazione di un testo in livelli di composizione. L’autore crea in maniera adeguata la comparazione con le strutture linguistiche di base, gli enunciati linguistici: «Gli enunciati linguistici si organizzano in vari livelli. I fonemi, o unità distintive, si combinano per formare i monemi, o unità significative; così il monema /unità/ (“unità”) è formato dai fonemi vocalici /u/, /i/, /a/ e dai fonemi consonantici /n/, /t/. A loro volta i monemi si aggregano e formano i sintagmi (come “gli enunciati

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Resta dunque il testo su cui ogni modello di comprensione deve misurarsi, partire e compiersi, se non vuole rischiare di assumere come principio di composizione qualcosa che non gli appartiene affatto: L’avvertimento deve essere ascoltato. La struttura di un’opera non si lascia sempre percepire facilmente. Ciò è ancora più vero quando si tratta di un’opera antica, la cui logica e i cui principi di composizione non ci sono più familiari. Il pericolo è allora di fare violenza al testo imponendogli un quadro che gli è estraneo. In questo campo, l’esegeta deve accompagnare l’umiltà al rispetto attento del testo51.

linguistici”, o “in vari livelli”); i sintagmi formano le proposizioni, e le proposizioni i periodi. Parimenti, dal punto di vista della retorica, il discorso si organizza in vari livelli. Lo si è sempre saputo ed è evidente che da molto tempo a scuola s’insegna a scoprire “il piano” dei testi, distinguendo le loro grandi divisioni, poi, in ogni divisione, le rispettive parti e sottoparti. Non esiste, tuttavia, nessuna terminologia sistematica per designare i differenti livelli d’organizzazione dei testi; la ragione è semplicemente che non esiste un sistema o una teoria di detta organizzazione. Questa constatazione è valida soprattutto per la prosa. Per quanto riguarda la poesia occidentale, una certa gerarchia distingue tra verso e strofa; alcuni generi sono anche completamente determinati, come il sonetto, formato da quartine seguite da due terzine. Per quanto riguarda i testi “poetici” della Bibbia, Lowth distingueva, anzitutto, con il suo “parallelismo dei membri”, i due livelli elementari di composizione, quello del “membro” e quello del “periodo”: il distico, periodo formato da due membri, e il tristico, formato da tre membri. Esso notava inoltre un livello superiore, poiché analizzava anche dei “periodi a quattro membri” “formati da due distici” e dei “periodi a cinque membri”, dove spesso il membro dispari si trova intercalato tra due distici, riconoscendo così l’esistenza del “monostico”, senza, tuttavia, farne il nome […] Pochi ricercatori attuali hanno una visione chiara dei livelli successivi di composizione» (R. MEYNET, Trattato, 127-128; per la trattazione dei livelli da lui teorizzata si rimanda al capitolo metodologico successivo di questo libro, dove parte della citazione verrà riproposta). 51 J.C. INGELAERE, «Structure de Matthieu», 11 (trad. propria): «Certes, la mise en garde vaut d’être entendue. La structure d’une œuvre ne se laisse pas toujours appréhender facilement. Cela est d’autant plus vrai lorsqu’il s’agit d’une œuvre ancienne, dont la logique et les principes de composition ne nous sont plus familiers. Le danger est alors de faire violence au texte en lui imposant un cadre qui lui est étranger. En ce domaine, l’exégète doit allier l’humilité au respect attentif du texte».

Capitolo IV PREMESSE METODOLOGICHE PER LA RICERCA DELLA COMPOSIZIONE DEL VANGELO DI MATTEO

La presentazione dello Status Quaestionis deve aver fatto comprendere al lettore quale sia la complessità del campo di indagine, e come siano fitte le diramazioni di percorso in cui i diversi ricercatori hanno mosso i loro passi. Il bilancio finale dei criteri utilizzati ci riporta a prendere in considerazione come punto di partenza della ricerca il testo tout court del Primo Vangelo. È da lì, e precisamente dal testo finale (e non da una sua fonte o da un suo stadio di sviluppo), che si deve ogni volta cominciare se si vogliono scoprire i principi di organizzazione e quindi l’effettiva realtà della composizione letteraria del Libro. Ed è proprio questo il nostro intento principale, il contributo che umilmente si desidera offrire a un orizzonte certamente più vasto che la ricerca esegetica ha aperto: indagheremo sulla composizione retorica del Vangelo di Matteo1. 1

Sembra sia bene, a questo punto, concentrare il campo concettuale cui stiamo facendo riferimento. Nella disamina storico-esegetica precedente, infatti, abbiamo spesso parlato in maniera del tutto reciproca di «struttura letteraria», o «organizzazione testuale/letteraria» o di «composizione letteraria» (e di termini affini). All’interno del panorama esegetico (in realtà tanto sullo sfondo diacronico che sincronico) i termini possono risultare plurivalenti, giacché sono riferiti ad un oggetto e a un modo di indagine sempre diverso, a seconda del taglio metodologico che li assume. Per il significato che assumono all’interno dello studio della composizione retorica di un libro biblico (quello che è l’intento di questa ricerca), si può fare riferimento ad alcune chiare righe introduttive del Trattato di Roland Meynet: «I trattati di retorica classici comprendono tradizionalmente cinque parti: l’inventio, la dispositio, l’ornatus o elocutio, la memoria e l’actio. Per quanto concerne la retorica biblica, restringo il senso della parola “retorica” alla disposizione, cioè al modo di comporre degli autori biblici. La retorica biblica è puramente descrittiva e non prescrittiva; essa si limita, infatti, allo studio dei testi di un libro da lungo tempo concluso e fissato, essa non potrebbe in alcun modo editare delle regole del ben parlare o del ben scrivere, come lo farebbero e lo fanno ancora i trattati di retorica classica. Lo studio dei testi attenti ai “procedimenti semitici di composizione” era stato chiamato in francese analyse structurelle. Dalla mia prima pubblicazione, non ho voluto mantenere questa denominazione, per evitare la confusione con quella che all’epoca veniva chiamata analyse structurale, che in seguito è diventata “semiotica”. […] Ho detto che avevo rifiutato “analisi stilistica”. La stilistica, infatti si interessa essenzialmente delle figure di stile, all’ornatus del discorso, mentre la retorica, così come la concepisco io, si impegna a estrarre la composizione dei testi; ciò che le interessa è la struttura del discorso, l’architettura e non gli ornamenti o la decorazione. Inoltre, la stilistica studia le variazioni tipiche di un autore, ciò che lo distingue da tutti gli altri autori e permette di riconoscerlo tra tutti; la retorica, al contrario, estrae le leggi d’organizzazione dei testi comuni a tutto un popolo, a un’area

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Pur riconoscendo e valorizzando il carattere storico del Primo Vangelo (e la relazione intrinseca che uno studio della composizione debba assumere con tale carattere di un testo antico)2, è bene ribadire che il nostro sforzo punta alla scoperta della composizione letteraria del testo così come è pervenuto a noi oggi (la composizione del cosiddetto testo canonico), e questo per alcune motivazioni che superano anche il bilancio del percorso finora esposto. Anzitutto perché è questo testo, e non altri, ciò su cui dobbiamo e possiamo dirigere la nostra indagine effettiva (e ciò da cui può partire ogni altra indagine, evidentemente anche di tipo genetico); nondimeno, perché è questo testo il mediatore effettivo della comunicazione e del senso che l’autore (o la serie di autori) ha consegnato alla comunità e ai lettori che accolgono il libro nella storia. Infine, ma certamente non per ultimo grado di importanza, nell’orizzonte imprescindibile della fede in cui è stato scritto il testo canonico è portatore e comunicatore di un Senso essenziale, mediatore della Parola di Dio: ed è perciò nella sua carne testuale che si manifesta e ci raggiunge il mistero del Logos che si è fatto carne per abitare ed essere in relazione con gli uomini3. linguistica e culturale” (R. MEYNET, Trattato, 8-9). Da questo punto in poi, perciò, l’orizzonte di significazione del linguaggio utilizzato è quello dello studio della composizione retorica biblicosemitica dei testi. 2 Lo studio di composizione del testo finale, la scoperta della sua architettura retorica, non può certamente prescindere da alcune operazioni preliminari di studio storico-genetico: anzitutto l’impiego della critica testuale per la fissazione del testo stesso o la comprensione delle sue principali asperità; lo studio grammaticale e lessicografico legato alla lingua antica in cui esso è codificato, ma anche al contesto in cui il testo si è sviluppato. A questi passi introduttivi vanno aggiunti gli eventuali studi sociologici, archeologici, culturali e politici, tutte dimensioni imprescindibili di comprensione, dal momento che di essi il testo antico è necessariamente intriso (cfr. R. MEYNET, Leggere la Bibbia, 19-48). Si evince perciò un certo ordine cronologico nelle operazioni esegetiche anche per questo tipo di studio: «In primo luogo, ogni operazione metodologica considera pertinente il suo approccio a un particolare aspetto della “forma” testuale; si renderà perciò indispensabile una interazione fra le varie procedure esegetiche, disposte doverosamente secondo una ragionevole gerarchia. Per quanto concerne l’analisi retorica, essa non può aver luogo senza quella previa analisi della forma linguistica, che si manifesta nella critica testuale e nello studio filologico e lessicografico» (P. BOVATI, «Il centro assente», 109). Nonostante alcune contestazioni sul carattere metodologico dell’analisi retorica biblico-semitica, sembra necessario riflettere se lo studio dell’organizzazione testuale (secondo criteri adeguati al testo di riferimento) non debba essere piuttosto percepito come una delle «operazioni indispensabili» alla ricerca esegetica in generale. Questo legherebbe lo studio della composizione dei testi biblici tanto alle procedure delle più approfondite ricerche di stampo diacronico, quanto alle operazioni metodologiche di stampo sincronico (per una riflessione cfr. già R. MEYNET, Leggere la Bibbia, 169-177, con una prospettiva ermeneutica che apre ulteriori orizzonti di sviluppo). 3 Queste tre motivazioni non sono in realtà troppo slegate tra loro, se si pensa che l’oggetto scientifico della nostra ricerca sia «un libro di fede, scritto nella fede e nella fede accolto dalla comunità dei credenti» (B. COSTACURTA, «Esegesi e lettura credente», 740). La docente di teologia biblica continua la sua riflessione proprio in questi termini: «È questo d’altronde il primo postulato “scientifico” per un corretto rapporto con un testo scritto: sapere cosa è, per cosa è stato composto, e poi rispettarne la natura e l’intenzionalità attraverso un metodo investigativo ad esse adeguato […] Non si può leggere un testo di fede come fosse solo un brano di letteratura antica, uguale a quelli di tante culture similari. Né, all’inverso, si potrà assumerlo solo nella sua dimensione di

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Anche a livello cronologico, perciò, l’analisi della composizione del testo finale, così come sarà qui proposta, ha dovuto difatti precedere la visione e lo studio dello Status Questionis. Solo dando la priorità all’esperienza diretta del testo, infatti, era auspicabile anche la certezza di non essere stati suggestionati né influenzati dalla visione di altri nel tentare di individuare con i propri strumenti di ricerca gli elementi formali strutturanti e l’organizzazione dei diversi livelli di composizione. A cose fatte, si è potuto finalmente condividere e scoprire i guadagni come anche le criticità degli studi precedenti. Perciò, prima di procedere sarà utile sintetizzare ciò che di valido gli studiosi hanno finora messo in luce e quegli elementi che possiamo seriamente prendere in considerazione. È evidente che il Primo Vangelo sia fortemente caratterizzato dallo statuto particolare delle cinque grandi unità letterarie contenenti ciascuna un discorso organico di Gesù. Tali unità sono riconosciute per la formula stereotipata con cui l’autore del libro ha segnalato la fine dell’insegnamento messianico (cfr. hote etelesen ho Iēsous in 7,28; 11,1; 13,53; 19,1; 26,1). È tuttavia riduttivo per lo studio della composizione, definire tali segnali semplicemente come formule di chiusura dei discorsi: l’analisi della composizione delle unità vicine (e dunque la serie di relazioni formali che intercorrono tra di esse) potrà aiutare a decidere anche della loro funzione e della loro posizione all’interno del testo. Uno statuto particolare deve essere riconosciuto alla genealogia (Mt 1,1-17) che segna l’apertura del libro e ne costituisce perciò il Prologo (espediente per altro convenzionale nella letteratura antica, e in particolare per alcuni libri biblici e intratestamentari)4. Qui, la coda finale della triplice serie di quattordici generazioni (1,17) crea una cesura abbastanza palese con il racconto successivo della nascita di Gesù (1,18-25). Un altro tratto, che la ricerca ha ben messo in evidenza, è la simmetria a distanza (finora riconosciuta come una inclusione) tra i due sommari di 4,23 e 9,35. Questa somiglianza formale potrebbe indicare la conclusione di altrettante macro-unità letterarie che incorniciano il primo discorso. Il terzo discorso, quello parabolico (13,1-52 o 53), è chiaramente inquadrato da due pericopi molto simili a livello tematico e formale: si tratta di passi che riguardano la relazione familiare con Gesù (12,46-50 e 13,53-58).

rivelazione divina senza tener conto del fatto che essa è mediata da una composizione letteraria. È il difficile compito dell’esegesi biblica, chiamata a percorrere cammini interpretativi singolari, che restino fedeli all’assoluta e irripetibile particolarità della Scrittura come libro ispirato. Questa decisione ermeneutica sembra comportare alcune conseguenze fondamentali, e in primo luogo il fatto che oggetto di analisi e di studio dovrà essere lo statuto attuale del testo, nella sua redazione ultima» (Ibid., 740-741). 4 Davies – Allison, I, 151-155 citano l’uso di un «titolo» come annuncio del contenuto di molti libri biblici e apocrifi (cfr. C.A. EVANS, «The Book of the Genesis of Jesus», 62). Ma si deve qui menzionare anche una forma più esplicita e sviluppata di Prologo all’interno dello stesso canone biblico: si pensi al prologo che precede i capitoli del Libro del Siracide (Sir 1-35), come quello in apertura di Luca (1,14) e Atti (At 1,1-5).

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Storia della ricerca e premesse di metodo

Infine, tra gli argomenti più certi, in Mt 26,1 la formula stereotipata che segna la conclusione dell’ultimo discorso, quello escatologico, apre formalmente a un’unità letteraria ampia ma tradizionalmente determinabile (è anche l’ultima del Vangelo): si tratta dei Racconti della Passione e della Risurrezione che si concluderanno con il grande mandato di 28,16-20. Come si è notato dalla lettura dello Storia della ricerca, gli studiosi hanno evidenziato anche moltissime altre corrispondenze formali all’interno del testo, ma non è stato sempre possibile, o corretto, determinare la loro significatività per la composizione del Libro o delle singole unità di riferimento. E a questo punto che interviene lo studio analitico del testo che si vuole proporre. I. I CRITERI CHE HANNO PRESIEDUTO ALLA RICERCA DELLA COMPOSIZIONE Il presente studio, dunque, desidera mostrare i risultati della ricerca effettuata sull’intero libro del Vangelo di Matteo per mezzo dell’analisi retorica biblica e semitica5. Questo lavoro di analisi ha portato anche a una particolare visione del messaggio del Libro, partendo dal presupposto che il rispetto dei principi interni di composizione del testo porti anche alla contemplazione del suo vero senso. L’idea fondamentale che il rispetto della carne testuale e la ricerca della sua reale struttura compositiva debbano essere gli sforzi essenziali di ogni approccio analitico (per poter giungere soprattutto a una corretta visione ermeneutica), è presente già nei padri del metodo (i più importanti sono Robert Lowth, John Jebb, Thomas Boys, John Forbes e più tardi Nils Wilhelm Lund)6: Al contrario, la disposizione si può scoprire solo a forza di studio e di osservazione. In questi casi, la nostra conoscenza della forza e della portata di un brano dipende spesso dalla nostra conoscenza della sua disposizione; e solo quando siamo in possesso della sua disposizione siamo veramente in possesso del senso7.

Senza pretendere di aver compiuto un lavoro esaustivo e conclusivo (sarà necessario in molti luoghi aggiustare il tiro e successivamente presentare nel dovuto spazio tutti gli aspetti e l’analisi dei livelli di composizione in maniera organica)8, l’applicazione della metodologia qui utilizzata mira al riconoscimento delle tecniche retoriche di composizione tipiche del mondo semitico

5

Da questo punto in poi RBS. Si rimanda ancora alla parte storica introduttiva di R. MEYNET, Trattato, 29-105. 7 T. BOYS, A Key to the Book of the Psalms, 22 (corsivo proprio; cfr. R. MEYNET, Trattato, 63): «On the contrary, it [the arrangement] is only to be discovered, in many instances, by study and examination. In such cases, our knowledge of the force and purport of a passage often depends upon our knowledge of its arrangement; and it is not till we are in possession of the arrangement that we are really in possession of the sense». 8 Difatti, un lavoro completo di analisi dovrebbe presentare la composizione del Libro arricchendo lo studio dei livelli superiori almeno con quello dell’analisi e commento dei singoli passi che via via li compongono. Un tale lavoro, così come testimonia la stessa collana di studi in cui il contributo è pubblicato, prenderebbe le fattezze di un vero e proprio commentario biblico. 6

Premesse metodologiche per la ricerca della composizione

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di cui il testo è testimone. Questo punto è nuovamente decisivo, come ha affermato anche il documento della Pontificia Commissione Biblica a riguardo: Lo studio delle molteplici forme di parallelismo e di altri procedimenti di composizione semitici deve permettere di meglio discernere la struttura letteraria dei testi e di pervenire così a una migliore comprensione del loro messaggio9.

I principi e le regole della RBS sono stati completamente desunti dai testi e verificati (con un grande numero di esempi che ne dimostrano la validità) nel Trattato di retorica biblica di Roland Meynet, ed è a esso che si può fare costante riferimento per una più approfondita delucidazione metodologica10. È dovere, tuttavia, di questo capitolo che introduce all’analisi vera e propria del Libro di Matteo, mostrarne almeno le caratteristiche essenziali, che hanno guidato nel lavoro di ricerca e che permetteranno la comprensione dei suoi risultati. 1. UNA RETORICA DIFFERENTE, RIVELATIVA PIUTTOSTO CHE ARGOMENTATIVA L’analisi RBS si muove a partire dal riconoscimento nei testi di peculiarità pressocché stabili (sebbene in ogni singolo caso secondo una concretizzazione propria), che potremmo definire come la realizzazione delle leggi di organizzazione dei testi che qualificano la letteratura biblica (e non solo biblica), appartenente all’area culturale e linguistica semitica. In radice, è possibile definire anzitutto le caratteristiche essenziali di questa retorica: sono la binarietà (la letteratura biblica si esprime secondo modalità binarie, e le cose sono dette almeno due volte) e la paratassi (la giustapposizione degli elementi linguistici e logici, preferita alla subordinazione tipica del discorso argomentativo)11. Tali caratteristiche costituiscono la linfa vitale da cui 9

PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 38. È importante sottolineare come le leggi di composizione proprie della retorica biblica e semitica siano state desunte dall’osservazione diretta dei testi (soprattutto biblici ma anche quelli di aria semitica in generale). Anch’essa ha perciò un carattere induttivo: non esiste un antico trattato o un’opera pedagogica (al contrario del mondo classico) che abbia conservato e trasmesso la regolamentazione delle arti letterarie tipiche, e non sembra che fosse una preoccupazione dei popoli di questa area culturale esprimere in maniera riflessiva tali modalità di espressione. Scrive L. Alonso Schökel, parlando della poetica ebraica: «Gli israeliti seppero apprezzare i loro testi e libri non solamente come testi sacri, ma anche come testi letterari e poetici: la gelosa conservazione di leggende, racconti epici, canti lirici, l’imitazione di poemi e l’uso consapevole di procedimenti letterari mostrano che, per gli israeliti, questi testi avevano una importanza non solo religiosa, ma anche letteraria. In ciò non si differenziano da altri popoli. Ciò che mancò loro, fu piuttosto il supporto di una riflessione teorica e sistematica, attività che fu introdotta da Aristotele e dominò incontrastata nella nostra cultura occidentale. È possibile l’esistenza in Israele di scuole di poesia che, come accadde per altre scuole d’arte, custodivano e tramandavano regole pratiche della professione. Queste regole pratiche avrebbero costituito in embrione una poetica ebraica formulata dagli stessi ebrei. Se questa collezione di regole con le proprie definizioni è esistita, non ha lasciato tuttavia tracce identificabili» (L. ALONSO SCHÖKEL, Manuale di poetica ebraica, 11). 11 Per la trattazione di queste due caratteristiche con numerosi esempi si veda: R. MEYNET, Trattato, 13-24. 10

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Storia della ricerca e premesse di metodo

sgorga ogni altra complessità organizzativa evinta dai testi: dai rapporti tra gli elementi linguistici che rivestono una funzione retorica all’interno del tessuto testuale12, fino alle varie forme di strutturazione e di simmetria che l’autore ha utilizzato nella composizione delle varie unità13. Con binarietà, nella letteratura ebraica antica, non si vuole fare riferimento semplicemente a una ripetizione: «Una lettura attenta solo a ciò che è identico nelle due metà di un’unità di tipo binario non coglierà ciò che costituisce la punta del ragionamento, ciò che costituisce la stessa ragion d’essere della ripetizione»14. Le cose sono dette due volte, ma mai in maniera completamente identica, e neppure mai in modo completamente differente: il lettore dovrà cogliere ciò che nell’unità binaria costituisce l’elemento di relazione tra le due parti (nella loro somiglianza o nella loro differenza). Ecco perché la binarietà è anche la caratteristica che più di ogni altra dice l’anima della RBS, così differente da quella classica greco-romana. La composizione semitica mira alla concretezza piuttosto che alla dimostrazione; e allo stesso tempo lascia uno spazio vuoto ed enigmatico da riempire. Il lettore, perciò, avrà il compito di riflettere e interpretare (al contrario della retorica classica che dimostra con molti argomenti ed esempi un’idea astratta). Un solo esempio, tratto dal Vangelo di Luca (6,27)15, permetterà di comprendere in breve questa fenomenologia capitale della RBS: + 27b AMATE + FATE DEL BENE a

i vostri nemici coloro che vi odiano.

I due membri del distico riportato (la RBS lo definisce con più chiarezza bimembro) sembrerebbero affermare la stessa cosa. Eppure, un passaggio essenziale è disegnato da uno all’altro, anzitutto nella relazione verbale: «amare» ha 12

«Affinché degli elementi linguistici abbiano una funzione retorica, per poter fungere da segni di composizione, devono formare mediante la loro posizione nel testo, delle figure. A tal fine, devono essere in reciproco rapporto» (ciò che presuppone almeno una relazione duale; cfr. R. MEYNET, Trattato, 109). La caratteristica essenziale della binarietà riguarda l’intero mondo della comunicazione testuale, essendo un tratto peculiare (si potrebbe ardire anche spirituale) della cultura semitica. Ecco perché si estende non solo ai rapporti lessicali, ma oltretutto morfologici e sintattici. La stessa caratteristica (assieme alla paratassi) rende evidente le due polarità di relazione esistente tra gli elementi, l’identità e l'opposizione: «Gli elementi linguistici che fungono da segno di composizione sono molto più numerosi del solo vocabolario; si estendono infatti a tutte le altre componenti linguistiche, morfologia, sintassi, ritmo e discorso. I rapporti tra elementi linguistici non possono essere che di identità o di opposizione» (Ibid., 110. Cfr. anche l’intero capitolo sugli elementi linguistici, Ibid., 109-126). 13 Per le figure di composizione, con molti esempi: R. MEYNET, Trattato, 213-277. È evidente che tanto la struttura parallela, quanto quella speculare, presuppongano il rapporto tra due unità (o tra un numero di unità pari), mentre la struttura concentrica è realizzata almeno da due elementi che ruotino attorno a un terzo. 14 R. MEYNET, Leggere la Bibbia, 129. 15 L’esempio viene più approfonditamente illustrato in R. MEYNET, Trattato, 548-550 (proprio nel momento in cui l’autore cerca di indirizzare il proprio lettore verso la pratica dell’interpretazione a partire dalla peculiarità binaria della composizione biblica).

Premesse metodologiche per la ricerca della composizione

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un significato ancora generale per colui che legge/ascolta (per molti addirittura affettivo), mentre «fate del bene» è parecchio pratico, ne precisa il senso ed impegna: «si comprenderà che “amare” non è un affare di sentimenti, ma di atti concreti. Il secondo membro offre quindi un’informazione supplementare»16. Anche la paratassi esprime un’ulteriore differenza di questa retorica dalla più conosciuta di area occidentale: il fenomeno dell’espressione letteraria è determinato dalla giustapposizione degli elementi piuttosto che dalla loro subordinazione. Le relazioni logiche non sono realizzate da parole, segni verbali o espressioni subordinanti (per esempio «dato che», «ne consegue», «ora», «dunque», «perciò», «allora»¸ «quando», così come si possono trovare all’interno di un discorso) che indicano il fluire logico del pensiero: piuttosto sono rese dalla stessa disposizione delle unità o dalle riprese lessicali tra le unità letterarie simmetriche17. Ancora un breve esempio, su un’unità minima, può essere calzante (Sal 51,17): + 17 ADONAI, =e

LE MIE LABBRA LA MIA LINGUA

tu aprirai annuncerà

la tua lode.

Così spiega il Trattato: In quest’ultimo segmento, le «e» esprime linguisticamente che esiste un legame tra i due membri, ma questo coordinativo non dice nulla della natura di questo legame, non più di quando i membri sono giustapposti. Spetta al lettore comprendere che si tratta di un rapporto di conseguenza. Un semplice «allora» potrebbe esplicitarlo: «Adonai, le mie labbra tu aprirai, e allora la mia bocca annuncerà la tua lode», o, con una sfumatura diversa: «Adonai, quando tu aprirai le mie labbra, la mia bocca annuncerà la tua lode»18.

Tutto questo dà avvio a un certo modo di comporre completamente differente: la RBS è segnata soprattutto dalle disposizioni parallele e di tipo concentrico, per cui non è tanto l’argomentazione lineare a determinare la composizione della letteratura ebraica quanto piuttosto una serie di simmetrie che puntano alla corrispondenza (parallelismo) o alla coesione attorno a un perno, o punto di svolta (concentrismo). Le simmetrie che la RBS riconosce sono di due tipi, a seconda della porzione di testo in cui queste si esprimono: 1. le simmetrie totali, nelle quali tutti o la maggior parte «degli elementi di una porzione di testo hanno il loro corrispondente in un’altra porzione di testo, nello stesso ordine o nell’ordine inverso»19: sono la composizione

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R. MEYNET, Trattato, 549. Le suggestioni sono di R. MEYNET, Leggere la Bibbia, 129-130. 18 R. MEYNET, Trattato, 20. 19 R. MEYNET, Trattato, 213. 17

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Storia della ricerca e premesse di metodo parallela (del tipo a b a’ b’), la composizione speculare (del tipo a b b’ a’) e infine la composizione concentrica (del tipo a b | x | b’ a’)20; 2. le simmetrie parziali, che riguardano «soltanto un elemento o un gruppo ristretto di elementi che si corrispondono in due o più unità testuali nelle quali occupano una posizione pertinente per la composizione»21: i termini iniziali (termini identici o simili che segnano l’inizio di unità testuali simmetriche, e che corrispondono all’anafora greca), i termini finali (che segnano la fine di unità testuali simmetriche, e che corrispondono all’epifora greca), i termini medi (che segnano la fine di un’unità e l’inizio dell’unità che gli è simmetrica), i termini estremi (che segnano le estremità delle unità, e che corrispondono perciò all’inclusione), e i termini centrali (che segnano i centri di due unità testuali simmetriche)22.

Per distinguere questo tipo di composizioni l’analisi diviene serrata, obiettiva, ma allo stesso tempo fortemente contemplativa. Si colgono le relazioni d’identità e d’opposizione, le figure di forma e di significato fino a giungere alle più complesse figure di composizione che caratterizzano le varie unità letterarie di cui è composto il libro. Perciò, sarà proprio il Vangelo di Matteo (o in generale i libri biblici) nella sua dimensione letteraria a rivelare la propria composizione, nonché le modalità della sua espressione. In altre parole: la conoscenza delle caratteristiche espressive e delle leggi di organizzazione compositiva proprie delle letterature semitiche forniscono le coordinate del lavoro, ma il testo non è mai forzato da colui che lo analizza, dal momento che queste leggi lo aiutano semplicemente a trarre fuori, ad evidenziare la composizione testuale che è già avvenuta, (e che anzi può dar prova di elementi di originalità)23. Tutto questo sarà possibile nella misura in cui ci sia un occhio allenato all’attenzione e capace di fare il percorso inverso a quello che gli autori hanno effettuato nel loro lavoro di composizione. 20 Alla fine dell’analisi sul Vangelo di Matteo, si parlerà anche di una quarta figura di composizione, da poco individuata e verificata, la composizione a due fuochi o ellittica (cfr. R. MEYNET, «Une nouvelle figure», 325-349). 21 R. MEYNET, Trattato, 213. 22 «Il sistema proposto si ispira direttamente ai lavori dei ricercatori che, all’inizio del XIX secolo, hanno scoperto le simmetrie che caratterizzano i testi biblici: John Jebb che mise in luce l’esistenza di ampie simmetrie totali – “parallelismo diretto” e soprattutto “parallelismo inverso” – e Thomas Boys che evidenziò, inoltre, alcune simmetrie parziali – “termini inziali”, “termini finali” e “termini medi”» (R. MEYNET, Trattato, 214). Quelli che vengono indicati come «termini» nelle simmetrie parziali (e che il Trattato ha precedentemente definito come «un elemento o un gruppo di elementi») può corrispondere tanto a un lessema (o parola) quanto a un gruppo di essi. 23 Ciò significa anche che l’analisi di un testo non deve portare sempre a pacchetti preconfezionati di struttura, ma deve essere in perenne ascolto del dato testuale (diverso da tutti gli altri e concretizzazione originale di un dato modo di comporre). Il ricercatore sarà soltanto consapevole di come solitamente i testi sono organizzati, tenendo conto delle modalità e delle caratteristiche tipiche dell’espressività di questa area culturale.

Premesse metodologiche per la ricerca della composizione

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2. CI SONO DEI LIVELLI DI ORGANIZZAZIONE TESTUALE CHE SI COMBINANO Il modo con cui l’analisi RBS procede vuole essere minuzioso ed esigente: dalla definizione delle unità letterarie minime, i membri (formati da uno o più termini linguistici) e i segmenti (formati da uno, da due o da tre membri), via via fino a quelle superiori del passo (o più comunemente definita dagli esegeti come «pericope»), della sequenza (un insieme di passi), della sezione (un insieme di sequenze) e finalmente dell’intero libro. Mettere le mani in pasta per la RBS significa perciò incontrare il testo nella sua organizzazione complessa: Parimenti, dal punto di vista della retorica, il discorso si organizza in vari livelli. Lo si è sempre saputo ed è evidente che da molto tempo a scuola s’insegna a scoprire «il piano» dei testi, distinguendo le loro grandi divisioni, poi, in ogni divisione, le rispettive parti e sottoparti. Non esiste, tuttavia, nessuna terminologia sistematica per distinguere i differenti livelli di organizzazione dei testi; la ragione è semplicemente che non esiste un sistema o una teoria di detta organizzazione. Questa constatazione è valida soprattutto per la prosa. Per quanto riguarda la poesia occidentale, una certa gerarchia distingue tra verso e strofa; alcuni generi sono anche completamente determinati, come il sonetto, formato da due quartine seguite da due terzine […] Pochi ricercatori attuali hanno una visione chiara dei livelli successivi di composizione [dei libri biblici]. Albert Vanhoye è uno dei primi ad aver ponderato veramente il problema e ad aver adottato una terminologia coerente e univoca per designare le unità testuali dell’Epistola agli Ebrei nei suoi differenti livelli. Così distingue, in ordine decrescente: «parte», «sezione», «paragrafo», «suddivisione» e «piccolo paragrafo» (denominato anche «punto»)24. […] Sembra sia necessario invece cominciare con l’identificazione delle unità più piccole, per poi vedere come queste si combinano per formare unità di livello superiore, sempre più complesse25.

La realtà dei livelli di composizione e della loro mutua correlazione fa percepire la composizione del Vangelo come una struttura ben più complessa di quella finora ricercata, per esempio, dagli esponenti del modello chiastico che tentavano di analizzare in modo semplicemente lineare il libro rimanendo però fermi ad un livello chiuso e non comunicante di composizione (soprattutto lo studio del livello finale da cui discendeva quello delle sezioni principali di esso), senza immaginare in che modo da ogni livello scaturisse quello successivo, e

24

A. VANHOYE, La Structure de l’Épître aux Hébreux, 138-152; 244.247. R. MEYNET, Trattato, 127-128. I livelli di composizione riconosciuti dalla RBS si distinguono in «inferiori» e «superiori». I livelli «inferiori» di composizione sono il membro (uno o più termini), il segmento (uno, due o massimo tre membri: perciò unimembro, bimembro, trimembro), il brano (da uno a tre segmenti) e la parte (da uno a tre brani). A questo ultimo livello si è dovuto introdurre un grado intermedio, per spiegare alcuni casi di maggiore complessità testuale, il livello della «sottoparte», che possiede tuttavia lo stesso valore della parte. I livelli «superiori», invece, sono il passo (formato da una o più parti), la sequenza (uno o più passi), la sezione (una o più sequenze) e infine il libro (formato da una o più sezioni). Anche tra i livelli superiori è stato necessario introdurre dei livelli intermedi, dello stesso valore, definiti come «sottosequenza» e «sottosezione». Per una disamina approfondite della questione: R. MEYNET, Trattato, 127-211. 25

136

Storia della ricerca e premesse di metodo

come i livelli si rapportassero tra di loro nella struttura. Il Vangelo di Marco, per esempio, ha nel suo complesso una struttura concentrica26: Prologo:

Gesù è battezzato da Giovanni

A1: Gesù proclama

nel Giordano

1,2-13

un nuovo insegnamento

1,14-45

A2: Gesù annuncia

una nuova alleanza

2,1–3,6

A3: Gesù fonda

una nuova famiglia

3,7-35

GESÙ PRONUNCIA

4,1-34

A4: SUL LAGO DI GALILEA A5: Gesù guida A6: Gesù si rivela A7: Gesù riunisce B1 B2 B3

4,35–5,43

nuovo profeta

6,1-44

un nuovo popolo

6,45–7,30

il nuovo

IL NUOVO

ADAMO

Gesù è

il nuovo

C2: Gesù fonda C3: Gesù inaugura C4: SUL MONTE DEGLI ULIVI C5: Gesù conclude C6: Gesù è intronizzato C7: Gesù compie Epilogo:

un nuovo esodo

Gesù è

C1: Gesù promulga

IL DISCORSO DEGLI INIZI

Mosè

7,31–8,26 8,27–9,13

Elia

9,14-50

la nuova legge del servizio

10,1-52

il nuovo tempio per tutte le nazioni

11,1-25

la nuova filiazione con la sua risurrezione

11,27–12,44

GESÙ PRONUNCIA

13,1-37

IL DISCORSO DEL COMPIMENTO

la nuova alleanza nel suo sangue

14,1-52

nuovo re per tutti i popoli

14,53–15,20

la nuova filiazione con la sua morte

15,21-47

Gesù invia i suoi discepoli

a battezzarenel mondo intero

16,1-20

Le sezioni linearmente si corrispondono secondo lo schema a b | x | b’ a’ (disegnando perciò un chiasmo). Così, il Prologo (Mc 1,2-13) corrisponde all’Epilogo (Mc 16,1-20), la prima sezione A (1,14–7,30) corrisponde alla terza, la sezione C (Mc 10,1–15,47). Al centro si trova una sezione più piccola, con lo statuto di chiave di volta di tutto lo scritto27, la sezione B (Mc 7,31-9,50). 26 Per la composizione del Vangelo di Marco qui esposta: R. MEYNET, Il Vangelo di Marco, 546 (l’intera trattazione Ibid., 539-564). 27 È la prima delle leggi riconosciute da Lund: «Il centro segna sempre una svolta» (si veda: N.W. LUND, Chiasmus in the New Testament, 40).

Premesse metodologiche per la ricerca della composizione

137

Osservando bene, però, le relazioni all’interno delle sezioni estreme sono più complesse: infatti, a livello delle sottosezioni (le unità nei riquadri più scuri) il rapporto non è più semplicemente chiastico, ma parallelo. Le corrispondenze più forti, cioè, non saranno tra la prima sottosezione della sezione A (le sequenze A1, A2 e A3) e l’ultima della C (C5, C6 e C7) come vorrebbe una relazione di tipo chiastico lineare, bensì con la prima (C1, C2 e C3). Perciò, alla sequenza A1 (1,14-45), dove «Gesù proclama un nuovo insegnamento», corrisponde in simmetria la sequenza C1 (10,1-52), dove «Gesù promulga la nuova legge del servizio» (piuttosto che la sequenza C7, in un modello chiastico lineare semplice che non tiene conto dell’esistenza e dello sviluppo dei livelli letterari). Guardando alle parti discorsive presenti nel Vangelo, poi, l’analisi RBS ha mostrato come esse costituiscano perfettamente i centri di ognuna delle tre sezioni (rispettivamente le sequenze A4, B2 e C4), venendosi così a porre, in simmetria matematica, all’inizio, alla fine e al centro del complesso testuale. In un semplice rapporto chiastico lineare, ci si sarebbe forse limitati a osservare una sola faccia della medaglia: il discorso «dell’inizio», in cui sono descritti in maniera parabolica i primordi della venuta del Regno nel ministero di Gesù, corrisponde a quello escatologico del suo «compimento», pronunciato a Gerusalemme, prima della Passione (si pensi per esempio alla struttura articolata da C.H. Lohr)28. Ma in questo tipo più elaborato di concentrismo si noterà che l’inizio della predicazione di Gesù e il discorso che prospetta l’esito finale della sua missione sono articolati dal discorso centrale, fondato sulla sequela stessa del Cristo (per il tempo presente del discepolo), e questo tanto a livello concettuale quanto per altre ricorrenze formali che caratterizzano le sequenze29. Tutto questo fa percepire il carattere esigente della procedura metodologica: non si potrà essere totalmente sicuri di un certo progetto compositivo fintanto che non sarà analizzato tutto il libro nei suoi vari livelli di composizione. Paradossalmente, ciò di cui il ricercatore ha certezza non è che l’inizio e la fine del testo, del tutto determinabili. Per questo egli dovrà camminare nella ricerca secondo due direzioni: dal basso nel riconoscimento graduale dei livelli inferiori (i membri, i segmenti, i brani, le parti fino alla composizione di ogni passo); ma allo stesso tempo anche dall’alto, nel riconoscimento delle unità letterarie superiori quali la sequenza (o le sottosequenze), la sezione (o le sottosezioni), fino ad arrivare alla visione dell’intero Libro. Quest’ultimo procedimento, la visione dall’alto, permette di riconoscere ampie sezioni o sequenze del testo a cui è possibile dedicarsi, tenendo conto che le si dovrà tenere costantemente

28

Cfr. p. 82. Lo schema di Lohr aveva individuato probabilmente solo a livello concettuale la relazione tra il Discorso della montagna (5–7), quello escatologico ad esso contrapposto (23–25) e quello centrale che, essendo «perno» del Vangelo non era strettamente appaiato con alcuna altra macro-unità. Tale concetto che accomuna i tre discorsi è evidentemente quello del «Regno» (rispettivamente: «entrare nel Regno» e «venuta del Regno» per i primi due discorsi, «Parabole del Regno» per il discorso centrale). 29 Si veda per esempio le relazioni riconosciute in R. MEYNET, Il Vangelo di Marco, 551-552.

138

Storia della ricerca e premesse di metodo

aperte a correzioni, fino alla conclusione dell’analisi, finché non si è davvero certi del progetto compositivo dell’intera opera. 2.1 LE POSSIBILITÀ DI RELAZIONI ARTICOLATE TRA LE UNITÀ LETTERARIE Perciò, il riconoscimento dell’esistenza e della progressività dei livelli insieme a quello delle figure di composizione che la binarietà genera, spingono a considerare delle tipologie di relazioni formali e logiche ben più articolate di quelle che emergono da un chiasmo o da un concentrismo lineare. In questo campo di comprensione e di verifica fu per primo N.W. Lund a tentare di riconoscere delle leggi di organizzazione nelle strutture concentriche, che dessero ragione delle relazioni tra elementi di forma o di logica disegnate all’interno della composizione semitica, nonché del loro significato. Ciò permette ancora oggi al ricercatore di verificare e di evidenziare relazioni importanti tra unità spesso distanti/differenti, ma in relazione determinante all’interno di un sistema compositivo. Di seguito sono riportate le leggi di tratte dalla sezione storica introduttiva del Trattato30 :  Il centro segna sempre una svolta […]  Al centro vi è spesso un cambiamento nello svolgimento di un pensiero e un’idea antitetica è introdotta. Dopo di che, si riprende il primitivo sviluppo, che viene proseguito fino alla fine del sistema. In mancanza di una parola migliore, parleremo della legge del cambiamento al centro.  Idee identiche sono spesso distribuite in modo tale da apparire alle estremità e al centro, e non altrove nel sistema.  Vi sono anche numerosi casi in cui le idee compaiono al centro di un sistema e alle estremità di un sistema corrispondente, il secondo sistema essendo stato costruito chiaramente per corrispondere al primo. Chiameremo questo tratto legge dello spostamento dal centro verso le estremità31.  Alcuni termini presentano una chiara tendenza a gravitare intorno a certe posizioni all’interno di un sistema, come i nomi divini nei Salmi, le citazioni in posizione centrale nel Nuovo Testamento, o certi termini come «corpo» quando si riferisce alla Chiesa.  Unità di maggiore ampiezza sono di frequente introdotte e concluse con branicornice.  Vi è spesso un miscuglio di linee chiastiche e parallele all’interno della stessa unità.

30

R. MEYNET, Trattato, 93-94. L’opera di Lund, che raccoglie l’operato dei suoi predecessori anglosassoni, immettendo l’elemento originale dello sviluppo di queste leggi è ovviamente Chiasmus in the New Testament (cfr. le pp. 40-41; l’illustazione delle leggi con molti esempi prosegue nell’opera monografica). 31 Alla terza e alla quarta legge si è già fatto riferimento: cfr. p. 85 nt. 34.

Premesse metodologiche per la ricerca della composizione

139

L’analisi retorica biblico-semitica permette dunque di evidenziare questi segnali di cambiamento e di ritorno nel testo (indice della dimensione binaria propria della composizione), soprattutto nei testi di indole concentrica, ma non solo. Infatti, le leggi riconosciute da Lund (specialmente la seconda, la terza e la quarta) rendono attenti nell’inidividuare anzitutto la presenza (o meno) di una chiave di volta di una unità letteraria (il centro), quella in cui confluisce effettivamente tutto lo snodo che ne permette l’interpretazione. E, cosa altrettanto considerevole, il legame che spesso si istaura tra gli estremi e i centri di unità in sistema (si pensi ai passi all’interno di una sequenza o ai passi e alle sequenze nella visione di una sezione) diventa spesso un indizio fondamentale per il riconoscimento di unità di livello superiore, nonché per la comprensione del loro significato32. Questo è ancora uno dei contributi maggiori che la retorica biblico-semitica può fornire alla riflessione ermeneutica e teologica, sempre più attenta alla comprensione di insiemi più ampi e organici, che superano l’estensione di un versetto o di un singolo passo biblico33. 3. L’IMPORTANZA DELLA CONVERGENZA DEGLI INDIZI DURANTE LA RICERCA In un testo antico come il Vangelo di Matteo, dove emergono numerosi aspetti letterari (inerenti alla narrazione, lo stile, la teologia, la stilistica, le informazioni di tipo temporale e geografico…) non si possono prendere decisioni drastiche sulla composizione appoggiandosi su una sola serie di indizi strutturanti, ma si dovrà avere grande attenzione per tutti quegli elementi linguistici, formali e letterari che l’autore ha utilizzato. Tutti fanno parte integrante dell’arte di comporre espressa propriamente nell’opera letteraria. Da ciò si può ben comprendere che l’analisi RBS valuterà sia le informazioni cronologiche e geografiche spesso registrate, sia gli aspetti prettamente narrativi di alcune parti del testo, o quelle dialogiche (se si pensa ai cinque discorsi di Matteo o alle altre lunghe porzioni di testo in cui Gesù parla nonostante l’indole prettamente narrativa dell’unità), sia tutte quelle figure di composizione tipiche che l’autore aveva a disposizione per la stesura della sua opera, come anche il contesto scritturistico che può averla determinata e il modo in cui quest’ultimo agisce sulla composizione stessa. Il ricercatore è portato a valutare e a dare un giudizio sulla composizione delle varie unità a partire da questa convergenza di indizi formali, letterari e tematici, piuttosto che lasciarsi prendere da un solo punto di vista. In questo senso, la metodologia non propone un criterio esterno univoco di valutazione (si pensi per esempio al tipo di precomprensione operata sul testo dal narrative criticism o dalle letture di retorica classica, prediligendo soltanto la valutazione di alcune caratteristiche testuali a discapito di altre, in virtù dell’approccio con cui si accostava al testo), ma si mette in ascolto della polifonia delle informazioni, le valuta e cerca di coglierne le relazioni, 32

L’analisi delle sezioni del Primo Vangelo renderà testimonianza della validità della seconda e della quarta legge di Lund per la comprensione e il riconoscimento dei livelli superiori. 33 Su questo si veda ancora P. BOVATI, «Il centro assente», 109-112.

140

Storia della ricerca e premesse di metodo

organizzandole infine in una gerarchia e motivando le sue ragioni all’interno dello studio della composizione. Tutti questi aspetti, si potrebbe dire, non sono più valutabili da un punto esterno di visualizzazione, ma vengono riconosciuti in quanto modalità interne attraverso cui il testo si esprime. Vengono riconosciuti, perciò, come profondamente integrati al carattere semitico di composizione che abbiamo appena tentato di esporre. II. COSA È STATO GIÀ FATTO PER IL VANGELO DI MATTEO Naturalmente questo studio non ha la pretesa di possedere i tratti e la specificità propri di un commentario al Vangelo di Matteo. Un simile lavoro andrebbe concepito nelle caratteristiche del rigore esegetico e dello sbocco ermeneutico per tutti i principali livelli letterari di composizione del Libro34. Difatti, perché la RBS applicata al testo mostri tutta la ricchezza delle sue virtualità, sarebbe necessario partire dallo studio della composizione dei livelli inferiori (quanto meno l’analisi dovrebbe procedere dai passi o pericopi, che costituiscono le varie sequenze del Libro) risalendo gradatamente fino alla struttura finale. Come già detto, un lavoro simile troverebbe la propria giusta collocazione soltanto in un commentario biblico, all’interno del quale ogni sezione sarebbe presentata a partire dalle unità che la compongono: le pericopi, poi le sequenze e le sezioni (e se l’insieme delle sequenze lo richiedono, anche le possibili sottosezioni) fino al libro nel suo complesso, riservando per ciascuno di questi livelli tutte le necessarie operazioni di natura esegetica, dalla critica testuale allo sbocco interpretativo35. Oltre questa premessa, si dovrà tenere in considerazione quanto è stato già compiuto nel campo dell’analisi RBS per il Vangelo di Matteo: il territorio, infatti, non è del tutto inesplorato. Lo stesso Roland Meynet ha già individuato e realizzato lo studio di alcune sequenze del Libro: le quattro sequenze di cui sono formati i Racconti della Passione e della Risurrezione (I. 26,1-56; II. 26,57– 27,26; III. 27,27-61; e IV. 27,62–28,20) sono già apparsi in un volume, insieme a quelle degli altri due Vangeli di Marco e Luca36. Inoltre, in un volume introduttivo allo studio degli stessi Sinottici, Meynet ha riconosciuto ed analizzato la sequenza di Mt 19–20, che appare ben organizzata e risulta perciò guadagnata alla ricerca37. 34

Ritengo importante sottolineare questo aspetto della trattazione. Dobbiamo limitarci qui a uno studio che mostri essenzialmente la composizione retorica del Primo Vangelo. Da questa premessa è possibile comprendere l’ampio spazio che andava dedicato allo studio dello Storia della ricerca e all’analisi dei criteri finora assunti. 35 Per comprendere la natura sistematica di un commentario così concepito si vedano i commentari a Luca e Marco di R. Meynet, e prima ancora: P. BOVATI – R. MEYNET, Il libro del Profeta Amos. 36 R. MEYNET, La Pasqua del Signore, 21-75.179-206.279-303.363-389. 37 R. MEYNET, Una nuova introduzione, 42-102.126-137.145-178.226-255. Anche qui la sequenza è valutata insieme a quelle degli altri sinottici, in vista di una sinossi finale. In ogni modo

Premesse metodologiche per la ricerca della composizione

141

Resta da capire, per questa serie di sequenze, quale sia il loro statuto all’interno delle sezioni di cui faranno parte. Ad esempio, potrebbe essere appropriato domandarsi se i Racconti della Passione e della Risurrezione, nelle loro quattro sequenze riconosciute, costituiscano insieme un’intera sezione o piuttosto una o più sezioni (o sottosezioni) del Libro. E inoltre: se dovessero costituire un’unica unità composta di quattro sequenze, quale sarà la loro strutturazione organica (una composizione speculare o piuttosto parallela)?38 Per quanto riguarda i Discorsi del Vangelo di Matteo, due tesi di dottorato (una delle quali discussa sotto la direzione di R. Meynet) hanno analizzato rispettivamente il primo discorso, il Discorso della montagna (5,1–8,1), e il quarto discorso, il cosiddetto Discorso sulla vita fraterna (18,1-35): si tratta del contributo di Germano Lori, pubblicato già nel 201339, e quello di Nicoletta Gatti, la cui tesi dottorale pur essendo di indole pragmatica ha utilizzato l’analisi RBS nella ricerca preliminare della composizione del testo40. Per il Discorso parabolico (13,1-52) è apparso un articolo, non troppo recente, di Roberto Di Paolo che ne ha analizzato la struttura interna riconoscendola nel suo complesso: si tratta di due sequenze precedute da un’introduzione (i. 13,1-3a; I. 13,3b-23; II. 13,24-52), organizzate perciò in modo parallelo41. Lo stesso Roberto Di Paolo ha presentato una dissertazione sull’analisi retorica dei capitoli 11–12, riconoscendo una sezione costituita di tre sequenze (I. 11,1–12,14; II. 12,15-21; III. 12,22-50), organizzata in maniera concentrica42. Sempre suo è anche il tentativo di analisi dei capitoli 8–9 in una ricerca minuziosa che ha impegnato due dei Convegni Internazionali organizzati dalla

l’analisi intrapresa da Meynet, da capitolo a capitolo, procede dal livello dei passi per arrivare all’intera sequenza. 38 In effetti, tenendo per ora in conto l’ipotesi di un livello superiore composto da quattro sequenze, le uniche organizzazioni possibili sono la struttura speculare (a b b’ a’) o parallela (a b a’ b’). In alternativa, bisognerà considerare una di queste sequenze come parte di un’unità letteraria differente. 39 G. LORI, Il Discorso della montagna. Per una visione della composizione di quella che l’autore definisce una sezione si possono considerare le pagine finali, 204-222. Il ricercatore si è tuttavia dedicato sistematicamente all’analisi dell’intera unità letteraria a partire dal livello dei singoli passi fino a quello dell’intera sezione, potendo così essere abbastanza certi dei risultati ottenuti (rimane solo qualche dubbio sulla conclusione del Discorso in 8,1). 40 N. GATTI, Perché il «piccolo» diventi «fratello», 81-248. La studiosa non analizza però l’insieme (il livello finale) di quella che dovrebbe essere per lei una sequenza (18,1-35) costituita di tre sottosequenze: I. 18,1-10 (una sottosequenza della misura di un unico passo); II. 18,12-20 (una sottosequenza della misura di due passi: a. 18,12-14 e b. 18,15-20); III. 18,21-35 (ancora una sottosequenza della misura di un unico passo). 41 R. DI PAOLO, «Capire i misteri del regno dei cieli», 59-109. 42 R. DI PAOLO, Il Servo di Dio porta il diritto alle nazioni. Anche qui l’analisi procede dal livello dei passi fino allo studio dell’intera sezione (così definita dall’autore). Per la visione della sezione nel suo complesso si considerino le pp. 215-242.

142

Storia della ricerca e premesse di metodo

Società per lo Studio della retorica biblica e semitica43 alla scoperta di un’altra sezione (o sottosezione) del Libro, di natura concentrica anch’essa. Anche di queste larghe porzioni testuali bisognerà tuttavia valutare lo statuto interno, nonché la trama di relazioni che intercorrono tra i discorsi e le unità adiacenti. Per esempio, sarà necessario domandarsi se possiamo definirle ciascuna (sulla scia degli studiosi della fivefold structure) come singole sezioni del Libro (che perciò acquisiscono un certo statuto di indipendenza) o piuttosto come sottosezioni adiacenti che formano una sezione composta. Si tratta, dunque, di comprendere e indicare a quale livello tali unità testuali acquistano il loro reale significato: e difatti, per fare ancora un esempio sulla provvisorietà delle posizioni e sull’importanza di una comprensione reale delle relazioni tra le unità superiori del Vangelo, Gatti ha definito prudentemente 18,1-35 una sequenza, mentre Lori ha dovuto definire il Discorso della montagna una sezione, a causa della sua ampiezza testuale. Ma se davvero così fosse, pur essendo entrambi discorsi del Primo Vangelo, si dovrebbe pensare a una loro significatività su due livelli differenti di composizione. Il Discorso sulla vita fraterna, perciò, potrebbe andare a costituire una sezione del Libro soltanto insieme ad altro materiale che lo precede o che lo segue. La complessità e la problematicità qui esposte mostrano ancora come nell’analisi RBS si potrà davvero essere certi solo alla fine della ricerca sull’intero libro in esame. Tutto questo rende necessario lo studio che stiamo proponendo, per avere una risposta sulla composizione del testo nella sua totalità e per tentare di chiarire i gradi e le modalità di relazione delle unità all’interno del tessuto testuale. Alcuni lavori sono tuttora in fermento44 ma ci sono ancora molti punti bui che devono essere affrontati in toto: 14 capitoli su 28 non sono che la metà del libro45! E inoltre, è bene ribadirlo, si dovrà essere sempre pronti a mettere in discussione i risultati raggiunti, giacché (come detto) tali risultati sono parziali fintanto che l’analisi dell’intero Libro non sia compiuta. Perciò si è dovuto mettere tutto 43 R. DI PAOLO, «Mt 8,1-17 & 9,18-38», 129-145, per l’individuazione delle due sequenze estreme di quella che dovrebbe essere un’altra sezione del Libro, e: R. DI PAOLO, «Il Figlio dell’uomo ha potere di salvare i peccatori», 143-162, per l’intera sezione di costruzione concentrica (le sequenze sono allora: I. 8,1-17; II. 8,18–9,17; III. 9,18-38). I due articoli sono apparsi rispettivamente negli Atti del Terzo e del Quarto Convegno della Società RBS. 44 Nel momento in cui questo contributo viene pubblicato, alcuni colleghi si sono occupati o si stanno occupando di unità ancora incerte: si tratta dell’analisi compositiva del secondo discorso, Mt 10 (cfr. R. DI PAOLO, «Le maître et le disciple»), e dell’ampia porzione di testo che va da Mt 21 a Mt 25 (alcuni studi sono già apparsi: R. DI PAOLO, «Scoprirsi chiamati, pentiti, eletti», 73-93, su Mt 21,28–22,14; ID., «Il Figlio di Davide compie la Parola con autorità», 85-110, su Mt 21,1-27; ID., «Dio dona e ridona la vita ai suoi figli», 153-170, su Mt 22,15-40; ma l’ipotesi su Mt 21–22 è stata recentemente ripresa in considerazione; per l’inizio del Discorso escatologico: G. LORI, «I dolori del parto», 95-119, su Mt 24,1-31. 45 Durante lo studio preparatorio di questa dissertazione sono apparsi anche tre contributi dell’autore sui capitoli di Mt 1–4 e Mt 14–17: F. GRAZIANO, «Colui che viene dietro di me», 121-141; ID., «Il senso e le sue prospettive», 51-71; e : ID., «Il Messia apre l’Alleanza», 59-83.

Premesse metodologiche per la ricerca della composizione

143

in epochē, sospendere i dati acquisiti e giudicarli spesso come provvisori per confrontarsi direttamente con il testo totale di Matteo. Nel procedere, sono stati rispettati i due movimenti propri dell’analisi RBS per il riconoscimento dei vari livelli di composizione del Libro: in modo particolare l’analisi dall’alto, per individuare i livelli superiori, ma anche dal basso per cercare di riconoscere quelli inferiori (i passi) e di confermare le precedenti delimitazioni, in un continuo lavoro di osservazione, di dialogo e di verifica. I risultati sono stati confrontati solo alla fine con il panorama esegetico generale. Ed è normale che il lavoro sia tuttora provvisorio, probabilmente mancante in molti punti e soggetto a ulteriori miglioramenti, in vista di un lavoro sistematico definitivo. Per ora, l’esito di questi nostri sforzi è l’analisi della composizione letteraria del Vangelo di Matteo così come verrà raccontata e dimostrata.

SECONDA PARTE

LA COMPOSIZONE DEL VANGELO DI MATTEO ANALISI RETORICA BIBLICO-SEMITICA

Capitolo V IL RESOCONTO DI UNA SCOPERTA1

I. AFFINARE I PROPRI STRUMENTI DI LAVORO Quando iniziavo a studiare la composizione del Vangelo di Matteo per la ricerca di dottorato, come si è potuto constatare, il terreno era già stato in parte battuto. Bisognava adesso riguardare tutto per intero, senza alcuna precomprensione. Il ritornello metodologico faceva capolinea più volte: non si può esser certi dei risultati dell’analisi finché tutto il Libro non sia analizzato, dall’inizio alla fine. Il pericolo metodologico in cui incorrevo ripetutamente (oggetto di pazienza da parte di chi mi seguiva paternamente nella ricerca) era il passaggio frettoloso e diretto all’analisi dal basso2, senza considerare la preziosità di una analisi dall’alto che la accompagnasse e che mi facesse protendere per una prima ipotesi di composizione dei vari livelli di strutturazione. Intravisti infatti alcuni confini possibili tra i passi, il principiante di analisi retorica biblica corre subito alla segmentazione che porterà allo studio delle unità dei livelli inferiori. Ci si sofferma sempre troppo poco (o affatto) nel riconoscimento delle figure di composizione che possono segnare in modo rilevante il testo dall’alto, cosa che permette un primo discernimento sulla composizione di intere sequenze o di

1 Lo statuto di questo capitolo che introduce all’esposizione dei risultati di ricerca risente di una certa andatura autobiografico-narrativa. Difatti, racconta come è avvenuta l’analisi che ha portato alla scoperta della composizione retorica del Vangelo di Matteo nelle sue linee generali. Questo tipo di scrittura non è più tanto comune all’interno dei contributi scientifici. Di solito, il discorso in prima persona è riservato alla sola introduzione e conclusione di una monografia, a discapito però della ricchezza che proviene dal racconto di alcuni passi ed errori che il ricercatore compie durante il suo cammino. Nei libri si fruisce piuttosto di una presentazione finale dei risultati, che sono così portati all’attenzione del lettore senza poter conoscere il lavoro sotterraneo e spesso faticoso. Qui è sembrato piuttosto fondamentale farlo precedere ai risultati, proprio perché l’intento è quello di proporre e di mostrare l’utilità dell’analisi RBS. È doveroso anche sottolineare che una buona porzione del capitolo era già apparsa all’interno di un dossier per la rivista digitale Exercices de rhétorique, all’interno del quale comunicavo le prime scoperte fatte durante il periodo di ricerca del dottorato (cfr. F. GRAZIANO, «La composition de l’évangile de Matthieu»). 2 Si tratta delle operazioni di riconoscimento dei livelli inferiori (la segmentazione e l’identificazione delle unità minime, i termini e i membri, per poi passare al riconoscimento dei livelli successivi, fino a quello dei passi), svolte in maniera piuttosto lineare dall’inizio del Libro.

148

La composizione del Vangelo di Matteo

intere sezioni3. Per esempio, concentrandomi sui capitoli che precedevano il primo dei Discorsi, Mt 1–4, avevo ipotizzato frettolosamente la scansione di alcuni passi, gettandomi immediatamente nella segmentazione e nel riconoscimento dei livelli inferiori (dai singoli membri al passo intero): :. La genealogia di Gesù

1,1-17

: GESÙ GENERATO DALLO SPIRITO «un angelo del Signore appare in sogno» ...«Giuseppe»

1,18-25

:: Gesù adorato dai pagani

2,1-12

: GESÙ SALVATO DALLA MORTE «un angelo del Signore appare in sogno a Giuseppe»

2,13-23

. Ministero del Battista «GIOVANNI...

3,1-12 »

.. Gesù battezzato nel Giordano

3,13-17

.. Gesù tentato dal diavolo

4,1-11

. Ministero di Gesù «GESÙ

4,12-25 »

Il primo versetto del capitolo terzo sembra segnare una cesura con il testo che precede, trattando di un nuovo personaggio e di una nuova unità temporale: «In quei giorni appare Giovanni il Battista predicando NEL DESERTO DELLA GIUDEA» (3,1). In più, il versetto si presenta direttamente in rapporto con l’inizio del passo successivo (3,13-17) dalla costruzione formale molto simile (pensai si trattasse di termini iniziali tra due passi paralleli): «Allora appare Gesù DALLA GALILEA AL GIORDANO per essere battezzato» (3,13). I verbi della principale sono identici, mentre i loro soggetti si oppongono (Giovanni – Gesù); «nel deserto della Giudea» corrisponde a «dalla Galilea al Giordano», e «predicando» (participio avverbiale con valore finale) a «per essere battezzato» (infinito con valore finale). Inoltre, in Mt 3,1-12 e 4,12-25 è presente 3

Per lo studio dall’alto e dal basso e per il significato metodologico della necessità di far lavorare insieme queste due ali dell’analisi cfr. R. MEYNET – J. ONISZCZUK, Esercizi di analisi retorica biblica, 37-40.87-91. In realtà, lo stesso errore (dovuto probabilmente all’aspirazione di ottenere risultati affrettati) avviene anche nello studio dal basso: il rispetto della gradualità attraverso cui si possono identificare i vari livelli di composizione (in maniera separata gli uni dagli altri, nel riconoscimento del tessuto testuale) è spesso interrotto, e il ricercatore tenta di riconoscere immediatamente la struttura di un passo, senza passare troppo tempo nei livelli intermedi (quello dei brani e delle parti che lo costituiscono) o senza riflettere adeguatamente sulle relazioni formali e sulle simmetrie che caratterizzano ciascun livello, cosa di valore fondamentale per il raggiungimento della composizione finale.

Il resoconto di una scoperta

149

un’espressione che faceva pensare a un rapporto di identità a distanza: «Convertitevi: si è avvicinato infatti il Regno dei Cieli» (3,2; 4,17). Tutto questo (ma del resto si trattava di pochi elementi, per altro costituiti quasi esclusivamente dalla sola ripetizione di termini) mi spingeva a ipotizzare la struttura speculare di una sola sequenza (a b b’ a’): due passi estremi, sul ministero di Giovanni e di Gesù (3,1-12 e 4,12-25), incorniciavano altri due passi interni, che narravano una certa iniziazione di Gesù stesso (il suo Battesimo in 3,13-17 e le tentazioni nel deserto in 4,1-11). Per quel che riguardava i quattro passi precedenti, invece, era indiscutibile la composizione simmetrica di 1,18-25 e 2,13-23: Ora, la generazione di Gesù Messia fu così. Essendo promessa sua madre Maria a Giuseppe, prima di andare insieme, fu trovata avente nel grembo dallo Spirito Santo. 19 Giuseppe, suo marito, essendo giusto, e non volendola esporre, decise di rimandarla segretamente. 20 Mentre considerava queste cose, : «Giuseppe, figlio di Davide, NON TEMERE di prendere Maria tua moglie, infatti ciò che in lei è generato è dallo Spirito Santo: 21 partorirà un figlio, e CHIAMERAI il suo nome Gesù, egli infatti salverà il suo popolo dai loro peccati». 22 Tutto questo è avvenuto affinché fosse compiuto il detto dal Signore per mezzo del profeta che dice: 23 «Ecco la vergine avrà nel grembo, e partorirà un figlio, e CHIAMERANNO il suo nome Emmanuele, che è tradotto “con noi Dio”». 24 Alzatosi Giuseppe dal sonno, fece come gli ordinò l’angelo del Signore: prese sua moglie, 25 e non la conobbe, finché partorì un figlio e CHIAMÒ il suo nome Gesù. 18

[...] 2,13 Essendosi ritirati quelli, : «Alzato, prendi il bambino e sua madre, e fuggi verso l’Egitto, e resta là fino a quando ti dirò. Infatti, Erode intende cercare il bambino per ucciderlo». 14 Quello allora alzatosi, prese il bambino e sua madre, di notte, e si ritirò verso l’Egitto, 15 ed era là fino alla fine di Erode. Era affinché fosse compiuto il detto dal Signore per mezzo del profeta che dice: «Dall’Egitto CHIAMAI il Figlio mio». 16 Allora Erode avendo visto che fu ingannato dai magi, si adirò grandemente, e avendo mandato, massacrò tutti i bambini, quelli in Betlemme e (quelli) in tutti i suoi confini, dai due anni in giù, secondo il tempo che si era accertato dai magi. 17 Allora fu compiuto il detto per mezzo di Geremia il profeta che dice: 18 «Una voce in Rama è ascoltata, pianto e lamento grande: era Rachele che piange i suoi figlioli, e non voleva essere consolata poiché non sono (più)». 19 Essendo finito poi Erode, 20 : «Alzato, prendi il bambino e sua madre, e va’ verso la terra d’Israele: sono morti infatti quelli che cercavano la vita del bambino». 21 Quello allora alzatosi, prese il bambino e sua madre, ed entrò nella terra d’Israele. 22 Ma udito che Archelao regnava sulla Giudea al posto di suo padre Erode, EBBE TIMORE di andare là. , si ritirò verso le parti della Galilea, 23 e venne ad abitare nella città detta Nazareth, affinché fosse compiuto il detto per mezzo dei profeti: «Nazoreo SARÀ-CHIAMATO».

150

La composizione del Vangelo di Matteo

Anzitutto, colpiscono qui le espressioni identiche che presentano la visione onirica di Giuseppe: «ecco un angelo del Signore apparve/appare in sogno a Giuseppe» (1,20; 2,13.19), cui è possibile legare anche il participio «avvertito in sogno» (2,22). Nel primo passo compare pure una citazione di compimento, accompagnata dal versetto dell’Antico Testamento cui fa espressamente riferimento (1,22 con la citazione di Is 7,14), mentre nel secondo ben tre, per ognuna delle parti rispettivamente (2,15.17.23, le prime due citano Os 11,1 e Ger 31,15; l’ultima non fa riferimento ad alcun libro in particolare, ma «ai profeti»)4. Il verbo «temere», sempre riferito a Giuseppe, compare alla forma negativa in 1,20 e alla forma positiva in 2,22 (si trattava perciò di termini estremi tra i passi). Anche il verbo «chiamare» costella entrambi i passi (1,21.23.25 e 2,15.23) e, in modo del tutto particolare, costruisce due espressioni molto simili di significato importante: la prima riferita alla relazione che il bambino Gesù avrà con gli uomini («chiameranno il suo nome Emmanuele», in 1,23), la seconda più specificatamente alla sua relazione con Dio («Nazoreo saràchiamato», in 2,23). Tre ricorrenze del verbo «partorire» (1,21.23.25) sono in opposizione con tre termini appartenenti al campo semantico della morte: «per ucciderlo» (2,13), «massacrò» (2,16) e l’espressione participiale semitica «quelli che cercavano la vita del bambino» (2,20). Nel complesso, questo conflitto tra la vita e la morte si realizzava rispettivamente nei personaggi e nei ruoli di Giuseppe e di Erode (il primo salva Gesù dalla morte sia nel momento del concepimento sia dopo la nascita, l’altro vuole ucciderlo per difendere il suo diritto regale) e di Maria e Rachele (l’una partorisce, l’altra piange la morte dei propri figli). Da un punto di vista formale complessivo, era evidente un certo sviluppo e una certa opposizione disegnati da un passo all’altro: una citazione nel primo, ben tre nell’altro, in tutte le sue parti; una menzione dell’apparizione angelica nel primo, ben due nell’altro, rispettivamente nella parte centrale del primo passo e poi in quelle estreme dell’altro; infine, l’opposizione tra il campo semantico della vita e quello della morte. L’ipotesi del complesso faceva presagire una sequenza concentrica di tre passi5: GESÙ GESÙ, IL MESSIA, GESÙ

è generato

dallo Spirito

1,18-25

è adorato

dai magi

2,1-12

è salvato

dalla morte

2,13-23

4 La lunghezza e l’organizzazione dell’ultimo passo (Mt 2,13-23: contiene infatti ben tre scene che delineano l’esilio di Gesù) potrebbe far pensare più opportunamente a una sottosequenza finale formata di tre passi distinti (2,13-15; 16-18; 19-23). 5 In modo particolare, si poteva intuire il funzionamento della legge della svolta al centro (la cosiddetta I legge di Lund) e della legge del cambiamento al centro (II Legge di Lund). Per un’analisi significativa (che non conosce però gli strumenti della retorica biblica): V.A. PIZZUTO, «The Structural Elegance of Matthew 1–2», 712-737; per l’analisi retorica biblico-semitica: F. GRAZIANO, «“Colui che viene dietro di me è più forte di me”», 121-141.

Il resoconto di una scoperta

151

Il primo passo del libro (1,1-17), invece, poteva essere considerato come il Prologo dell’intero Vangelo: e difatti lo studio finale intrapreso avrebbe avvalorato questa ipotesi6. La prima sequenza era stata riconosciuta, una volta analizzata in tutti i suoi livelli inferiori (1,18–2,23). Ma cosa fare della seconda (3,1–4,25)? E del loro insieme nel livello di composizione successivo? Le due questioni, considerate soltanto nella prospettiva dell’analisi dal basso con scarsa attenzione a tutti gli indizi che avrebbe fornito anche una seria analisi dall’alto, non portavano da nessuna parte: sembrava ci si dovesse fermare a riconoscere due sequenze (o sottosequenze), in linea di massima senza alcuna relazione particolare tra loro (se non la semplice successione narrativa degli eventi). Oltretutto, la struttura di quella che sarebbe poi divenuta la prima sottosezione del Vangelo manifestava una simmetria davvero confusa (un dittico composto da una sequenza concentrica di tre passi cui succedeva una sequenza speculare di quattro). L’errore suggerito da una visione affrettata era stato quello di non considerare e stabilire oggettivamente a quale livello di composizione potessero giocare i rapporti formali già individuati nella seconda unità, ovvero se questi legassero strettamente i passi di 3,1–4,25 tra loro in un’unica sequenza (in particolare ciò che avevo notato in 3,1-12 e 3,13-17 e 4,12-25), o non ci fossero piuttosto elementi che potessero spingermi ad una visione differente della composizione. Ripartendo perciò dall’alto, mi resi conto dello statuto particolare del passo riguardante il ministero di Giovanni (3,1-12). Proprio questo era il punto: si trattava dell’unico passo in cui l’attenzione era radicalmente spostata da un soggetto all’altro. La narrazione su Gesù veniva sospesa in 2,23 per riprendere poi direttamente in 3,13. Il passo sul Battista, considerato nel suo contesto più prossimo (quello dei passi precedenti e successivi), determinava un passaggio o svolta dagli inizi biologici di Gesù all’inizio del suo ministero. Si poteva perciò pensare a un ruolo centrale di questo passo nel tessuto della sottosezione. Si trattava di un’unità indipendente, che nei livelli superiori di composizione doveva essere considerata come una sequenza a sé stante7. I suoi legami più evidenti con i passi successivi (quelli che avevo notato al primo colpo d’occhio) non determinavano la relazione tra i passi all’interno di un’unica sequenza, bensì tra le sequenze che costituivano un’unità superiore, e dovevano perciò essere sommati ad altri elementi non ancora presi in considerazione. Il risultato era sbalorditivo: il testo si presentava come una sottosezione concentrica, ben costruita. Due sequenze estreme più lunghe, raccontavano entrambe gli inizi di Gesù, l’una in senso tipologico (1,18–2,23) giacché gli avvenimenti della nascita e dell’esilio facevano rivivere al Messia bambino il passato di Israele «figlio» di

6 «I libri nell’antichità non avevano di norma dei titoli formali, ma erano spesso introdotti con una frase o con un prologo di qualche sorta» (C.A. EVANS, «The Book of the Genesis of Jesus», 62. Seguono alcuni esempi). 7 L’analisi successiva, affinata, la riconoscerà come una sequenza costituita di tre passi.

152

La composizione del Vangelo di Matteo

Dio, l’altra in senso prolettico (3,13–4,25) poiché presentava la novità del Regno negli inizi del ministero del Messia a Israele. Dopo un’analisi più attenta, notavo che le sequenze estreme riconosciute mostravano legami paralleli nei rispettivi passi simmetrici. Al centro, invece, Giovanni faceva come da spartiacque tra l’antico e il nuovo, chiudendo le attese della Legge e dei Profeti e lasciando il posto a Colui del quale «non era degno di togliere i sandali» (3,11). La composizione dell’insieme rivelava una retorica voluta: Giovanni, che come Nuovo Elia prepara la venuta del Messia, si trova al centro della storia della salvezza, apriva la porta alla novità del Regno di Dio8:

– Gesù UN FIGLIO

Giuseppe essendo giusto è generato dallo Spirito 1,18-25 salverà il suo popolo dai loro peccati

DOV’È IL RE?

E PROSTRANDOSI LO ADORARONO

• Gesù, IL MESSIA perseguitato, è adorato IL CRISTO GENERATO – IL BAMBINO

dalle Nazioni un’altra via

2,1-12

dalla morte

2,13-23

si ritirò verso le parti della Galilea, e venne ad abitare nella città detta Nazareth

– Gesù

è salvato

IL FIGLIO MIO – FIGLIOLI

confessare il loro peccati = Giovanni, il Nuovo Elia, prepara PADRE ABRAMO – FIGLIOLI

– Gesù

è unto

Convertitevi: si è avvicinato il Regno la Nuova Alleanza 3,1-12 la via del Signore compiere ogni giustizia dallo Spirito

3,13-17

IL FIGLIO MIO IL DIAVOLO GLI MOSTRA TUTTI I REGNI DEL MONDO

• Gesù, IL FIGLIO tentato, FIGLIO DI DIO

è vittorioso sul Maligno

4,1-11

si ritirò verso la Galilea, lasciata Nazareth, venne ad abitare a Cafarnao

Convertitevi: si è avvicinato il Regno

– Gesù

dalle tenebre per la via del mare

IL LORO PADRE

8

SE PROSTRANDOTI MI ADORERAI

salva

4,12-25

La figura di Giovanni come nuovo «Elia» avrà un ruolo determinante nella dinamica del Vangelo, cfr. 11,14; 17,9-13; 27,47.49.

Il resoconto di una scoperta

153

Le espressioni identiche in 3,2 e 4,17 («Convertitevi, si è avvicinato infatti il Regno dei Cieli») che mi facevano pensare inizialmente a due passi complementari di un’unica sequenza (3,1-12 e 4,12-25), tessono in realtà una relazione di opposizione all’interno della sottosezione, tra la sequenza centrale e l’ultima9: mettono in relazione attraverso questo legame non i due passi direttamente, ma la sequenza centrale (il ministero di Giovanni) con la terza (il ministero di Gesù). Ora, questa relazione così evidente tra le due ultime sequenze è echeggiata già all’interno della prima (determinando perciò uno sviluppo complessivo nella sottosezione). Infatti, i temi della conversione e della vittoria sul peccato sono già introdotti al momento dell’annuncio della nascita di Gesù: «egli salverà il suo popolo dai loro peccati» (1,21). E la chiamata alla conversione in vista dell’irruzione del Regno annunciata da Giovanni (3,2) ha come diretta conseguenza il battesimo e «la confessione dei peccati» di tutti quelli che giungono a lui nel deserto (3,5-6). Insieme all’evidente ripetizione tra 3,2 e 4,17, altri elementi meno vistosi agganciano le tre sequenze identificate, disegnando un chiaro sviluppo dalla prima all’ultima, passando per il centro. Imparando dai propri errori, la ricerca è andata avanti ed il mestiere, a poco a poco, è entrato nelle ossa. II. LA COMPOSIZIONE RETORICA DEL VANGELO DI MATTEO: LA SCOPERTA Proseguendo l’analisi dall’alto, e riconosciuti gli ultimi lembi di testo non ancora analizzati10, il piano della composizione retorica del Vangelo cominciava a venir fuori. Il Libro, nel suo insieme, presentava una bella struttura concentrica. Un Prologo della misura di un solo passo in apertura (1,1-17) e un Epilogo più lungo della misura di una sequenza di tre passi (27,62–28,10), incorniciano il corpus del Libro. Due sezioni estreme (che chiamai sezioni A e C) inquadrano una sezione centrale molto più sviluppata (la sezione B). Queste sezioni estreme si presentavano pure con una struttura concentrica. Ciascuna, infatti, è costituita 9

In realtà, il contesto di ciascuna sequenza disegna due concezioni differenti della venuta del Regno per Giovanni e per Gesù. Giovanni attende chiaramente una venuta definitiva ed escatologica, che nella persona del Messia introdurrà alla giustizia attraverso l’«ira» (3,7) e il «fuoco» (3,10.11.12). Gesù istaura un’irruzione salvifica del Regno, annunciando la buona notizia, insegnando e guarendo e chiamando alla sua sequela (cfr. 4,12-25). I due richiami, sebbene identici, hanno perciò un senso profondamente diverso (e in tale cambiamento di senso il centro ha innescato un passaggio all’interno della sottosezione): ciò non è completamente intuibile, poggiandosi sulla solo identità letteraria, non tenendo perciò in conto anche altri indizi di composizione. La tavola precedente mostra le relazioni formali più pertinenti tra le sequenze riconosciute. Al centro di ogni riquadro, preceduto da simbolo diacritico e seguito dai versetti, è situato il titolo dei passi delle sequenze estreme e della sequenza centrale individuata (che tuttavia non era stata ancora studiata nei suoi tre passi costitutivi al momento della prima scoperta). 10 La sequenza B1 (Mt 10,1-42) si mostrava con una certa evidenza. Le unità completamente misteriose erano Mt 13,53–17,27 (una sottosezione concentrica costituita di cinque sequenze) e Mt 21–25 (due sottosezioni: la prima inglobava anche i capitoli 19–20 già studiati, in una sottosezione concentrica costituita di tre sequenze, Mt 19,1–23,39, mentre l’altra andava a costituire la sottosezione centrale contenente l’ultimo dei discorsi).

154

La composizione del Vangelo di Matteo

da tre rispettive sottosezioni: due di natura narrativa, agli estremi, e una centrale contenente rispettivamente il Discorso della montagna (in A: Mt 5,1–7,29) e il Discorso escatologico (in C: Mt 24,1–25,46). In realtà, tali discorsi si dimostravano complementari tra loro oltre che per la loro posizione (il centro delle sezioni estreme del Libro), anche per alcuni aspetti formali caratterizzanti. Difatti, entrambi sono pronunciati «sul monte» (5,1: eis to oros; e 24,3: epi tou Orous tōn Elaiōn) e ciascuno di essi è segnato da termini iniziali molto simili: «ESSENDOSI SEDUTO (gr. kathisantos), gli si avvicinarono i suoi discepoli» (5,1) e «SEDUTOSI (gr. kathēmenou) [...] gli si avvicinarono i discepoli» (24,3). 1.478

PROLOGO 7.250

A1–A3:

sottosezione narrativa

A4–A8: DISCORSO INIZIALE

Sezione A 9.832

1,18–4,25 5,1–7,29

SUL MONTE

«sul monte...ESSENDOSI SEDUTO

23.629

Sezione B

1,1-17

gli si avvicinarono i suoi discepoli» 6.547

A9–A11: sottosezione narrativa

8,1–9,38

3.690

B1: Discorso sulla Vita Apostolica

10,1-42

7.200

B2–B4: sottosezione narrativa

4.952

B5–B6: DISCORSO IN PARABOLE

11,1–12,50 SUL MARE

13,1-52

«SEDEVA presso il mare» [...] «salito su una barca SEDETTE» 31.042

Sezione C

11.938

B7–B11: sottosezione narrativa

13,53–17,27

3.262

B12: Discorso sulla Vita Ecclesiale

18,1-35

17.004

C1–C3: sottosezione narrativa

7.969

C4–C6: DISCORSO ESCATOLOGICO

19,1–23,39 SUL MONTE

24,1–25,46

«sul monte degli Ulivi, SEDUTOSI, 36.264

gli si avvicinarono i discepoli» 11.291

2.251

C7–C9: sottosezione narrativa

EPILOGO

26,1–27,61 27,62–28,20

Invece la sezione B, al centro, appariva alquanto articolata: cinque sottosezioni ordinate in modo concentrico. Le sottosezioni estreme di B, le uniche

Il resoconto di una scoperta

155

costituite di un’unica sequenza rispettivamente (B1 e B12), contengono il secondo e il quarto Discorso (quello sulla Vita Apostolica in 10,1-42 e quello sulla Vita Ecclesiale in 18,1-35). Tali discorsi sono entrambi rivolti ai «(dodici) discepoli» (10,1.5; 18,1.3) e il contenuto riguarda strettamente la loro vita e il loro ministero: a proposito della missione evangelizzatrice il primo, mentre il secondo delinea i rapporti all’interno della comunità che si andava formando attorno a Gesù. Le sottosezioni successive sono invece di natura narrativa (si tratta di Mt 11–12 e di Mt 13,53–17,27). E finalmente, al centro della sezione e di tutto il Vangelo si trova il Discorso in parabole sul Regno (Mt 13,1-52). Ora, il discorso centrale della sezione B rispondeva simmetricamente ai centri delle sezioni estreme: anche qui, infatti, Gesù «SEDEVA» (gr. ekathēto), ma questa volta «presso il mare» (13,1-2: gr. para tēn thalassan), rivolto ora alle «folle» (13,1-2.34) ora ai «discepoli» (13,10.36). In più, le simmetrie riconosciute all’inizio di questi tre discorsi sembravano rivelare una sequenza logica e cronologica importanti dall’uno all’altro: in apertura del Vangelo si trova un discorso sulle esigenze della venuta del Regno, al termine uno sul suo compimento escatologico, mentre al centro un discorso enigmatico sulla sua crescita nello spazio («il campo è il mondo», 13,38) e nel tempo («la mietitura è la fine del tempo», 13,39)11. Le statistiche (conteggio e confronto dei caratteri, con spazi, accenti e spiriti esclusi, così come si doveva trovare nei manoscritti originali del Vangelo)12 mostrano, nel complesso, un equilibrio di massima per ogni sezione. Una differenza consistente appare nel secondo versante del Libro (dopo la sottosezione centrale B5–B6): la sezione C conta 36.264 caratteri (se la si paragona alla prima quasi il doppio); la sottosezione B7–B11 contiene 11.938 caratteri, rispetto ai 7.200 della sottosezione B2–B4. Anche le sottosezioni estreme della C contengono molto più testo delle sottosezioni estreme della A (17.004 e 11.291 per la C, 7.250 e 6.547 per la A). Le sezioni e le sottosezioni dopo il Discorso parabolico centrale contengono più testo, specialmente quelle narrative. D’altro canto, i Discorsi sono più brevi nel secondo versante, più ampi all’inizio. Il Discorso della montagna, infatti, è molto lungo rispetto a tutti gli altri (9.832 caratteri articolati in ben cinque sequenze); nelle sottosezioni estreme della sezione B, il Discorso sulla Vita Apostolica (B1: 3.960) è poco più lungo di quello sulla Vita Ecclesiale (B12: 3.262). Queste ultime due sottosezioni, in verità, mi sembravano avere un carattere del tutto speciale all’interno della sezione B: per questo, ritenni necessario ritornare ad approfondire e ad analizzare i loro rapporti con tutto il complesso compositivo. Tale operazione mi portò a rivalutare l’ipotesi di composizione e a riconoscere Mt 10 e Mt 18 come sezioni distaccate dalla sezione B, o meglio 11

Spesso, al centro di un’unità semplice (come il passo) o complessa (quella dei livelli superiori) si trova una domanda o un enigma (parabola o proverbio). Sull’argomento: R. MEYNET, Trattato, 413-431.450-471. 12 Nella tabella, tali conteggi si trovano nella prima colonna per ogni sezione e nella seconda rispettivamente per ognuna delle sottosezioni principali.

156

La composizione del Vangelo di Matteo

come sezioni di rilegatura. Tali sezioni (rinominate come sezioni B e D) vanno ad articolare nel tessuto compositivo le tre sezioni maggiori, ciascuna dunque composta di due sottosezioni narrative attorno a un sottosezione centrale contenente uno dei discorsi maggiori (rinominate perciò sezioni A, C, E). La riscrittura della tabella mostra l’ipotesi compositiva rivalutata: 1.478

PROLOGO 7.250

A1–A3: sottosezione narrativa A4–A8: DISCORSO INIZIALE

Sezione A 9.832

Sezione C

5,1–7,29

SUL MONTE

gli si avvicinarono i suoi discepoli» 6.547

3.690

1,18–4,25

«sul monte...ESSENDOSI SEDUTO

23.629

Sezione B

1,1-17

B:

A9–A11: sottosezione narrativa

8,1–9,38

Discorso sulla Vita Apostolica

7.200

C1–C3: sottosezione narrativa

4.952

C4–C5: DISCORSO IN PARABOLE

10,1-41

11,1–12,50 SUL MARE

13,1-52

«SEDEVA presso il mare» [...] «salito su una barca SEDETTE» 24.090 Sezione D 3.262

11.938

D:

17.004

C6–C10: sottosezione narrativa Discorso sulla Vita Ecclesiale

7.969

19,1–23,39 SUL MONTE

24,1–25,46

«sul monte degli Ulivi, SEDUTOSI,

36.264

gli si avvicinarono i discepoli» 11.291

2.251

18,1-35

E1–E3: sottosezione narrativa E4–E6: DISCORSO ESCATOLOGICO

Sezione E

13,53–17,27

E7–E9: sottosezione narrativa

EPILOGO

26,1–27,61 27,62–28,20

Se l’ipotesi reggeva, prendendo in considerazione anche il Prologo e l’Epilogo del Libro, mi trovavo davanti a una composizione concentrica settenaria. Il

Il resoconto di una scoperta

157

Vangelo, indirizzato a una comunità di stampo giudaico, composto secondo una retorica prettamente semitica, ricorda il segno più celebre dell’alleanza e della vita di Israele: il candelabro a sette braccia della Menorah. Questo tipo di costruzione non è affatto estranea alla letteratura biblica, ed è stata già più volte riscontrata nell’analisi retorica di diversi testi, tutti però di livello inferiore, ovvero dal passo alla sequenza13. Questa volta, secondo l’ipotesi di composizione, la struttura settenaria si manifesterebbe per un intero libro biblico. E tuttavia, bisognava dimostrare e argomentare lo statuto speciale delle sezioni B e D, differenti dalle sezioni maggiori più complesse e allo stesso tempo investite di un ruolo compositivo da verificare (il ruolo di unità di rilegatura o fuochi della composizione ellittica)14. Fu così che il lavoro di ricerca fu approfondito ulteriormente. III. LO STATUTO SPECIALE DI MT 10 E MT 18 1. LO STATUTO SPECIALE DELLE «UNITÀ DI RILEGATURA» Il Trattato di Retorica Biblica si riferisce con un esempio alla questione delle unità di rilegatura o cerniere, nel momento in cui affronta il problema del «contesto retorico» all’interno di una stessa unità compositiva (come può essere quella di un Libro o dei livelli che lo compongono). La RBS definisce questo tipo di contesto come intratesto: Dal momento che la composizione di un testo si organizza a diversi livelli, da quello del segmento a quello del libro – e anche al di là –, il contesto intratestuale deve essere esaminato a ciascuno dei livelli dell’organizzazione testuale. Il contesto di un membro è prima di tutto formato dal membro o dai due membri con i quali esso entra nella composizione di un segmento, bimembro o trimembro. Allo stesso modo il contesto di un segmento è costituito da uno o dai due segmenti con i quali esso forma un brano, e così di seguito. Questo tipo di contesto non è solamente di contiguità; è veramente di tipo compositivo. In effetti, per esempio, due membri contigui possono far parte di due segmenti diversi, come due passi in contatto possono appartenere a due sequenze distinte. Tuttavia, il contesto più stretto di un’unità testuale può essere anche costituito da un’unità che non gli è contigua ma che si trova a distanza15.

13 Il Salmo 67 e il Padre Nostro della versione matteana (6,9-13) presentano questo tipo di struttura: R. MEYNET, «Le Psaume 67», 3-17; ID.: «La composizione del Padre Nostro», 1-20. È così per lo stesso testo biblico che descrive la Menorah, Es 25: R. MEYNET, Quelle est donc cette Parole?, 135-137; G. PAXIMADI, E io dimorerò in mezzo a loro, 70. Cfr. anche la C7 di Luca in: R. MEYNET, Il Vangelo secondo Luca, 699. 14 La riflessione sulle unità di rilegatura e l’ipotesi di composizione del Vangelo di Matteo sviluppata da questa ricerca dottorale ha portato R. Meynet al riconoscimento di una figura di composizione ulteriore, quella detta «a due fuochi» (o «ellittica»). Tale figura di composizione è stata riscontrata in numerosi altri casi nei livelli superiori di organizzazione (passi, sequenze e sottosequenze). Per la questione si veda: R. MEYNET, «Un nouvelle figure», 325-349. 15 R. MEYNET, Trattato, 351 (corsivo proprio).

158

La composizione del Vangelo di Matteo

In questo modo il Trattato riconosce la possibilità che alcune unità compositive, anche se non contigue, possano e anzi effettivamente vadano a intessere un contesto di relazioni importanti e fondamentali (tra loro e con quelle che potremmo indicare come le unità che le distanziano). Tali relazioni le coinvolgono e determinano anche in senso «strutturale»16. Questa intuizione doveva essere verificata anzitutto nelle relazioni tra B e D, al fine di giustificare e comprovare il loro statuto compositivo particolare. Allo stesso tempo, bisognava considerare anche il loro ruolo all’interno del fluire della composizione letteraria, dovendo le due unità unire e determinare il succedersi delle altre17. In sintesi, per quanto riguarda questo particolare fenomeno, ci si doveva aspettare una doppia caratterizzazione:  a un primo grado, le unità di rilegatura, ma anche quelle rilegate, intesseranno dei rapporti significativi all’interno del loro proprio livello di intratestualità18;  complessivamente, invece, queste unità, proprio per il loro ruolo di cerniere retoriche tra più unità di composizione, intratterranno delle relazioni retoriche con le unità contigue, ma anche con quelle che sono a loro più distanti, come dei veri e propri ponti di comunicazione19. All’interno del Trattato un esempio importante è mostrato in Lc 6,27-38: Nel passo di Lc 6,27-38, il contesto più prossimo del versetto 31, tradizionalmente chiamato «la regola d’oro», è senza dubbio il versetto 36 (che ho chiamato «la seconda regola d’oro»), benché i due segmenti siano separati da una lunga parte che conta almeno quindici membri (32-35). Queste due regole articolano le tre parti principali del passo e sono dunque in rapporto stretto fra di loro, regolando, la prima i rapporti dei discepoli con gli altri uomini, la seconda quelli con Dio, Padre di tutti20.

Lc 6,31 e Lc 6,36, intessono perciò primariamente dei rapporti significativi tra loro:

16 «Effettivamente la nozione di contesto è strutturale più che materiale. È importante non confondere contesto con contiguità. Per chiarire, per esempio, il senso di un inizio, l’elemento che segue immediatamente non avrà spesso che un’utilità limitata, mentre invece la conclusione corrispondente, per lontana che essa sia, apporterà una luce decisiva» (cfr. R. MEYNET, Trattato, 350, il quale cita la Prefazione francese al suo commentario di Luca a cura di A. Vanhoye). 17 Bisognava anzitutto riconoscere quale fosse il contesto più stringente di significazione: B e D tra loro anche se a distanza, o piuttosto ciascuna di esse con le sottosezioni più prossime, come mi faceva pensare la prima ipotesi di composizione. 18 Ciò significa che le unità di rilegatura devono essere innanzitutto legate tra loro; così anche le unità che esse rilegano. 19 Roland Meynet utilizzerà il termine geometrico ancora più adeguato: «i fuochi di una ellisse» (cfr. R. MEYNET, «Une nouvelle figure», 325-349). 20 R. MEYNET, Trattato, 366 (corsivo proprio).

Il resoconto di una scoperta Lc 6,31

E come volete

159

che facciano per voi

GLI UOMINI

. Lc 6,36 come IL VOSTRO PADRE misericordioso

è.

Il primo è naturalmente misurato su «gli uomini», mentre il secondo su «il vostro Padre». La struttura formale dei due segmenti è molto simile, sebbene rovesciata: «come», il metro di paragone, appare all’inizio di 31, invece è nel secondo versante del segmento in 36. «Fate per loro similmente» corrisponde quindi a «diventate misericordiosi». A livello dell’intero passo21 è chiaro che i due segmenti di rilegatura articolino il primo i rapporti tra «gli uomini», il secondo quelli «con Dio». In modo particolare il v. 31 è agganciato alla prima parte del passo (27b-30) e alla prima sottoparte del passo centrale (32-34), dove appaiono «i vostri nemici» (27b), ma anche «coloro che amano voi» (32a), «coloro che han fatto del bene a voi» (33a), e «coloro dai quali sperate ricevere» (34b)22. Così, nel secondo versante del passo, il v. 36 ben articola l’ultima parte (37-38) dove si parla del perdono e dell’astensione dal giudizio (proprio come il Padre «è misericordioso»), ma anche l’ultima sottoparte del centro (35). Qui, infatti appare il termine «figli dell’Altissimo» (35e), chiaramente in corrispondenza con «il Padre vostro» (36)23. E tuttavia, si deve notare che alcuni termini dei segmenti di rilegatura appaiono anche nelle parti non direttamente a loro contigue: «fate» che si trova in 31, per esempio, appare anche nell’ultima sottoparte della parte centrale (35b), così come «i vostri nemici» è termine iniziale di questa sottoparte (35a). Invece l’imperativo «amate» (35a ma anche 27b e 32a), come «bene» (35b, ma anche 27b e 33a), sono dello stesso campo semantico degli aggettivi «misericordioso/i» (36). I segmenti di rilegatura, dunque, in questo esempio, intrattengono complessivamente dei contatti retorici anche (e in una certa misura si potrebbe dire significativamente) con le unità non direttamente contigue.

21

Per la tavola qui utilizzata (riportata nella pagina successiva) e l’analisi retorica del passo: R. MEYNET, Trattato, 366-367; ID., Il Vangelo secondo Luca, 264-273. 22 Si tratta, perciò, di tutti gli uomini nella loro complessità di relazioni: quelli facili da amare e ma anche quelli dediti al male. 23 Nella tavola, la differenza nello sfondo per i riquadri delle parti estreme e delle sottoparti centrali vuole mettere in evidenza il loro legame ora con la prima ora con la seconda unità di rilegatura (quella a loro più vicina).

160 27

La composizione del Vangelo di Matteo

Ma dico a voi che ascoltate:

: AMATE : 28 benedite

I VOSTRI NEMICI,

i maledicenti voi,

+ 29 A chi ti percuote – e a chi ti toglie

sulla guancia, il tuo mantello,

del bene pregate

FATE

agli odianti voi; per i calunnianti voi.

porgi anche l’altra anche la tunica non rifiutare.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------

+ 30 A chiunque – e a chi ti toglie 31

DA’

domanda, il tuo,

non richiedere.

E come volete

che facciano a voi

GLI UOMINI, FATE

+ 32 E – quale : infatti

per loro

se AMATE riconoscenza anche peccatori

similmente. COLORO CHE AMANO

VOI,

a voi coloro che li amano

spetta? amano.

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------

+ 33 E – quale : Anche

se FATE del bene a riconoscenza i peccatori

COLORO CHE HAN FATTO DEL BENE A VOI,

a voi lo stesso

spetta? fanno.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------

+ 34 E +

– quale : Anche : + 35 Ma +e +e – e sarà – e sarete : perché

se A COLORO DAI QUALI SPERATE

RICEVERE,

riconoscenza

a voi

spetta?

i peccatori

ai peccatori per ricevere

prestano l’equivalente.

AMATE

I VOSTRI NEMICI

FATE

del bene senza niente

sperare

la vostra retribuzione grande FIGLI DELL’ALTISSIMO, egli è benevolo

per gli ingrati e i malvagi.

36

Diventate misericordiosi come IL PADRE VOSTRO, misericordioso è.

– 37 E non giudicate – e non condannate

e non e non

sarete giudicati; sarete condannati.

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------

+ + 38 DATE

e e

: Una misura buona, pigiata, scossa, traboccante : poiché con la misura con cui misurate,

vi sarà rimesso; vi sarà DATO. nel vostro grembo; sarà rimisurato a voi».

DARANNO

Il resoconto di una scoperta

161

Infine, anche le parti rilegate, che costituiscono il corpus più ampio del passo, sono tra loro in relazione: non solo attraverso il gioco retorico che intessono con i segmenti 31 e 36, ma anche per alcune altre ricorrenze. Per esempio, il verbo «prestare» (34a.35c) e «rimettere» (37c) sono dello stesso campo semantico, mentre il verbo «dare» (30a.38tris) appare soltanto nelle parti estreme24. Un altro esempio del fenomeno di rilegatura può essere esaminato all’interno del Salmo 2225. In questo caso, non si tratta più di due segmenti, ma di due parti di rilegatura (ciascuna composta a sua volta di un solo brano): i versetti 12 e 20-22. La prima parte è della misura di un trimembro, mentre la seconda è più lunga, contenendo tre bimembri. All’interno del Salmo, entrambi costituiscono l’estrema invocazione di aiuto dell’orante e segnano il passaggio tra le sue tre parti principali. Sal 22,12

NON ALLONTANARTI da me! = poiché è vicina, = poiché non c’è COLUI-CHE-AIUTI.

Sal 22,20-22

Ma tu, Yhwh, NON ALLONTANARTI, mio soccorso, PER MIO AIUTO, PRECIPITATI! = AFFERRA =

la mia anima, l’unica mia.

= SALVAMI =e

RISPONDIMI!

,

La stessa preghiera, «non allontanarti» (12a e 20a) apre entrambe le parti. Nella seconda parte di rilegatura questo grido è ampliato dai verbi sinonimi: «precipitati» (20b), «afferra» (21a, economizzato in 21b), «salvami» (22a) e «rispondimi» (22b)26. Nella prima parte e nel primo bimembro della seconda parte appaiono due termini provenienti dalla stessa radice verbale: il participio sostantivato «colui-che-aiuti» (12c) e «per mio aiuto» (20b). Il sostantivo «sventura» (12b), ṣārâ, che viene dalla radice ebraica ṣrr, è stato utilizzato dall’autore in maniera poetica, indicando con un sostantivo astratto un contenuto molto concreto, la realtà dei «nemici»27. Costoro sono nominati nel segmento successivo: si tratta della «spada» (21a), del «cane» (21b), del «leone» (22a), e infine dell’«uro» (22b).

24

Così anche l’uso della forma negativa segna soltanto queste due parti estreme del passo. Per uno studio retorico del Salmo 22: F. GRAZIANO, «Il Salmo 22», 65-86; lo studio è aggiornato in R. MEYNET, Le Psautier. Premier livre, 271-288. 26 Per il problema testuale e grammaticale (la doppia possibilità di resa al passato e al perfetto precativo) di ʻănîtānî si veda R. MEYNET, Le Psautier. Premier livre, 272 (con ricca bibliografia). 27 M. DAHOOD, Psalms, I, 139-140, nt.12. 25

162 1

La composizione del Vangelo di Matteo

Al direttore. Su “la cerva dell’aurora”. Canto di Davide. 2 3

7

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Dio mio, chiamo il giorno e non rispondi, 4 Ma tu, Santo, siedi 5 In te confidarono i nostri padri, 6 Verso te gridarono e furono tratti in salvo,

Lontano dalla mia salvezza, le parole del mio ruggito. e la notte, e non c’è riposo per me. tra le lodi di Israele! confidarono e li portasti al sicuro. in te confidarono e non arrossirono.

Ma io sono un verme e non un uomo:

disdegnato dal mortale, disprezzato dal popolo. separano il labbro, scuotono il capo: lo afferrerà poiché si è compiaciuto di lui». facendomi confidare sul seno di mia madre. dal ventre di mia madre il mio Dio sei tu!

8

, 9 «Si è affidato a Yhwh, lo porterà al sicuro, 10 Poiché tu mi hai tratto fuori dal ventre, 11 Su te fui gettato dal grembo,

12 Non allontanarti da me! Poiché UNA SVENTURA è vicina, e poiché non c’è chi mi aiuti. 13 14

Mi hanno circondato , Hanno aperto su me la loro bocca, 15 Come acqua sono versato, È il mio cuore come cera, 16 Si è inaridito come coccio il mio palato,

mi hanno accerchiato. . sono allentate tutte le mie ossa; si è sciolto in mezzo alle mie viscere. e la mia lingua è incollata alla mia mascella.

Su polvere di morte Tu mi hai deposto! 17

Poiché mi hanno circondato , Hanno scavato le mie mani e i miei piedi, : 19 dividono tra loro le mie vesti,

18 posso

mi ha attorniato. contare tutte le mie ossa.

e sul mio vestito fanno cadere la sorte.

Ma tu, Yhwh, non allontanarti, mio soccorso, per mio aiuto precipitati! Afferra la mia anima, la mia unica! 22 Salvami , e rispondimi! 20 21

23 24

Racconterò il tuo Nome ai miei fratelli Chi teme Yhwh, lo lodi!

25 Poiché non disprezzò e non detestò E non nascose il suo volto da lui, 26 Da te la mia lode nell’assemblea numerosa, 27 Mangeranno gli abbassati e si sazieranno, loderanno Yhwh quelli che lo cercano,

in mezzo all’assemblea ti loderò. Tutto il seme di Giacobbe, lo glorifichi! E abbia timore di lui tutto il seme di Israele! L’UMILIAZIONE dell’abbassato. e al suo implorare verso di lui ascoltò. i miei voti compirò davanti a quelli che lo temono. vivrà il vostro cuore per sempre!

28 Ricorderanno

e ritorneranno a Yhwh e si prostreranno davanti a te 29 Poiché per Yhwh è la regalità 30 Mangeranno e si prostreranno davanti a lui si chineranno

tutti i confini della terra tutte le famiglie delle nazioni. ed egli è il governante sulle nazioni. tutti i potenti della terra tutti i discendenti nella polvere e chi la sua anima non fa più vivere.

31 Un

sarà raccontato del Signore alla generazione; al popolo partorito, poiché ha agito!

32

seme lo servirà, Verranno e annunceranno la sua giustizia

Il resoconto di una scoperta

163

Ora, sia «la sventura» menzionata in questa prima parte di rilegatura, sia i nemici che sono piuttosto menzionati nella seconda, appaiono insieme nella parte centrale della preghiera, dove l’orante è condotto sulla soglia della morte (16c). Egli è «versato come acqua» (15a), «sono allentate tutte le sue ossa» (15b), il suo «cuore è sciolto» tra le sue «viscere» (15cd) e il suo «palato» è «inaridito» (16), «le sue mani e i suoi piedi» sono stati «scavati» (17c), come le sue «ossa» (18a); egli è dunque spogliato di tutto (19). Coloro che gli procurano queste atroci sofferenze, attraverso il parallelismo poetico, sono «una banda di malvagi» (17b), visti come «giovenchi» (13ab), «un leone» feroce (14b), o «cani» che lo circondano (17a). La prima parte di rilegatura articola bene la prima parte, (dove il salmista sembra lasciato a sé stesso e cerca nella sua storia e nella storia del suo popolo le motivazioni per la speranza) e quella centrale (dove proprio la «sventura» è descritta in tutta la drammaticità dei suoi risvolti). La seconda parte di rilegatura, invece, sembra segnare il passaggio dai nemici che stanno dando la «morte» all’orante, così come sono stati appena descritti nella parte centrale, e la «risposta» ricevuta da Yhwh, celebrata poi nel canto di lode profetico espresso nell’ultima parte (cfr. v. 25). E tuttavia, non mancano dei legami tra la prima parte di rilegatura e il secondo versante del Salmo, come della seconda parte di rilegatura con il primo. In particolare, se in 12 il salmista poteva affermare che «una sventura» si stava «avvicinando» (12b), ed egli rimaneva senza «chi lo aiutasse» (12c), al centro della prima sottoparte dell’ultima parte del Salmo, egli può proclamare di essere stato «ascoltato» (25cd) e di essere stato tratto fuori dalla sua «umiliazione» (25ab)28. La seconda parte di rilegatura, invece, può ricordare nei suoi verbi di richiesta quello stesso agire salvifico che l’orante aveva già meditato nella prima parte del Salmo. I padri di Israele erano stati «portati al sicuro» (5b) e «tratti in salvo» (6a), così come egli alla sua nascita era stato «tratto fuori dal ventre», proprio da Dio (10a). Nell’ultima parte di rilegatura la preghiera acquista lo stesso tono: «afferra la mia anima» (21a), «salvami» (22a), «rispondimi» (22b). Quei nemici che nella prima parte lo schernivano e disprezzavano (7-8) con le medesime parole di salvezza («Si è affidato a Yhwh, lo porterà al sicuro, lo afferrerà poiché si è compiaciuto di lui», v. 9), sono ora trasfigurati nelle loro fattezze bestiali (21-22), pronti a farlo perire. Questi esempi già analizzati, dimostrano la plausibilità e la significatività del fenomeno di rilegatura all’interno dei livelli inferiori di composizione (quelli che vanno a costituire un passo). L’ipotesi che avevo davanti, e che andava del tutto verificata, era che Mt 10 e Mt 18, che sono della misura di una sezione o di una sottosezione, fossero unità di rilegatura per delle sezioni di un intero libro. Si trattava, cioè, dei livelli superiori di organizzazione, che avrebbero per altro determinato il senso della struttura dell’intero Vangelo.

28

I termini ebraici ṣārâ e‘enôt sono dunque sinonimi.

164

La composizione del Vangelo di Matteo

2. LA SCOPERTA DELLE SEZIONI B E D: RAPPORTI TRA LE UNITÀ DI RILEGATURA Il vantaggio di una sola sezione centrale composta di cinque sottosezioni (con i due discorsi più brevi di Mt 10 e Mt 18 alle estremità), rispetto a una struttura articolata da due sezioni di rilegatura che svolgono il ruolo di cerniere, è la semplicità. I due discorsi intermedi, della misura di una sequenza ciascuno29, risultavano possedere tuttavia una specificità propria, che li rendeva differenti dagli altri tre discorsi al centro delle sezioni maggiori del Vangelo. Si tratta, infatti, di istruzioni esplicitamente rivolte ai discepoli: in 11,1 è utilizzato il verbo diatassō con cui si indicano per l’appunto «ordini» o «disposizioni»30. Per entrambi, «i (dodici) discepoli» (10,1; 18,1) sono gli unici destinatari31. In Mt 10 sono «chiamati a sé» (10,1), mentre in Mt 18 «si avvicinarono a Gesù» (18,1) con la domanda sul più grande nel Regno che diventa occasione per fornire istruzioni sulle relazioni comunitarie (si tratta dunque di movimenti inversi all’inizio delle sequenze: il discorso missionario è voluto da Gesù, quello sulla vita fraterna è occasionato dai discepoli stessi)32. I passi delle due unità letterarie sono ben scanditi dall’espressione ricorrente «amen, dico a voi». Essa segna le sottosequenze estreme per Mt 10 (10,15.23; 10,42), mentre in Mt 18 è termine iniziale del primo passo (18,3), poi compare due volte nei passi della sottosequenza centrale (18,13.18). La terza sottosequenza contiene invece una parabola (la parabola è di per sé un enigma portatore di verità) che si conclude con un’espressione altrettanto autoritativa: «così (gr. houtōs che introduce una consecutiva) anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonate dai vostri cuori, ciascuno al proprio fratello» (18,35). Allo stesso modo, il passo centrale di Mt 10 contiene un’affermazione autoritativa da parte di Gesù sulla somiglianza e sulla partecipazione dei suoi inviati al suo stesso ministero, meglio ancora alla sua stessa dignità (10,24-25). 29

Mt 10 appare come una sequenza concentrica formata di cinque passi. Introdotta da 10,1-5a (dopo la lista dei «dodici» inviati da Gesù), si costituisce in tre sottosequenze: una molto breve al centro (24-25), mentre le sottosequenze estreme sembrano costituite ciascuna da due passi (I.: 5b-15; 16-23; e II.: 26-31; 32-42). Per lo studio della sequenza: R. DI PAOLO, «Le maître et le disciple». Mt 18 appare come una sequenza concentrica costituita di quattro passi: la sottosequenza centrale, questa volta sviluppata, conterrebbe due passi (I.: 12-14; II.: 15-20), mentre le sottosequenze estreme sono ciascuna della misura di un passo corposo (1-10 e 21-35). Per lo studio della sequenza: N. GATTI, Perché il «piccolo» diventi «fratello», 81-245. 30 Letteralmente la radice greca con il prefisso dia- fa pensare a «estensioni» (o «distribuzioni»): Gesù ha «stabilito» o «disposto» per i suoi un insegnamento e delle azioni da ripetere e compiere a loro volta nell’arco disteso della loro vita missionaria. 31 Per il Discorso della montagna (5–7) l’uditorio supposto è più vasto (cfr. 5,1 e 7,28), mentre il Discorso in parabole (13,1-52) è indirizzato primariamente alle folle (cfr. 13,2-3), concludendosi tuttavia in privato, con i discepoli (13,36). Il Discorso escatologico è il solo a somigliare sia ai discorsi maggiori (per la sua ambientazione esplicita sul monte e lo sviluppo del suo contenuto) che a questi rivolti ai soli discepoli (cfr. 24,3: è perciò occasionato da una domanda dei discepoli che «si avvicinarono a lui», come in 18,1). 32 Si può notare, come termini iniziali tra le due sequenze a distanza, il termine «primo», per Pietro (gr. prōtos, 10,2) che è complementare al «più grande» nella domanda dei discepoli (gr. tis…meizōn estin, 18,1).

Il resoconto di una scoperta

165

Notavo anche alcune espressioni gancio (termini medi) e alcune ricorrenze che connettevano l’ultima sottosequenza del Discorso sulla Vita Apostolica con la prima del Discorso sulla Vita Ecclesiale. In particolare, la costruzione simile sull’accoglienza dei discepoli e parimenti dei piccoli: «Chi accoglie voi ACCOGLIE ME, e chi ACCOGLIE ME accoglie colui che mi ha mandato», in 10,40 che ha un corrispettivo esatto in 18,5, «chi accoglie un solo bambino come questo nel mio nome, ACCOGLIE ME»33. Inoltre, «uno di questi piccoli in nome di discepolo» (10,42) cui è rivolta l’azione consueta dell’offerta d’acqua come segno di accoglienza, corrisponde a «uno di questi piccoli che credono in me» (18,6) su cui è focalizzato l’intero discorso di Mt 1834. Nel primo caso, si tratta evidentemente dell’accoglienza riservata ai discepoli predicatori del vangelo, nel secondo, in maniera ribaltata, di chi entra, attraverso la fede, nella comunità degli stessi. Anche l’ammonizione contro la paura nella testimonianza (10,26-31), nel Discorso sulla Vita Apostolica (il primo passo della terza sottosequenza), aveva un suo corrispettivo in quella contro lo scandalo nel Discorso sulla Vita Ecclesiale (18,5-9): entrambi, infatti, terminano con il riferimento alla «Geènna» e al suo «fuoco» (10,28; 18,8.9)35. Annotavo anche alcune corrispondenze forti, tra il centro di una sequenza e una o più delle sottosequenze estreme dell’altra36. Al centro di Mt 10 Gesù afferma che «un servo non è sopra il suo signore» (10,24), ed è perciò sufficiente «per il servo» diventare «come il suo signore» (gr. hōs, in 10,25). Nell’ultima sottosequenza di Mt 18, nella parte centrale del passo dove è esposta la Parabola sul perdono (18,23-34), si tratta proprio di un «servo malvagio» che «non ha avuto pietà del suo con-servo, così come» (gr. hōs) il suo «signore» «ebbe compassione» di lui (18,32-33; cfr. 18,27). Egli, perciò, non è riuscito a essere o a diventare come lui nella misura del perdono37.

33 Il verbo «accogliere» compare alla forma negativa anche nella prima sottosequenza di Mt 10 (in 10,14). 34 Il termine appare anche in 18,10 e nella sottosequenza centrale, in 18,14. 35 Mt 10,28: «E non temete dagli uccidenti il corpo, ma l’anima non potendo uccidere: temete invece di più colui che può sia l’anima sia il corpo perire nella Geènna»; Mt 18,9: «…Bello per te è con un occhio solo nella vita entrare piuttosto che due occhi avente essere gettato nella Geènna del fuoco». 36 In questo modo si riscontrava per questi sistemi la III e la IV Legge di Lund (cfr. R. MEYNET, Trattato, 93). 37 Si potrebbe pensare a una corrispondenza della sottosequenza centrale di Mt 10 (10,24-25) anche con la prima sottosequenza di Mt 18 (18,1-10): in 18,5-6 infatti, Gesù si identifica con «uno di questi piccoli che credono in me», ovvero con coloro che diventano suoi «discepoli». E difatti in 10,25 si prospetta proprio la configurazione del «discepolo» al suo «Maestro».

166

La composizione del Vangelo di Matteo B (Mt 10,1-42)

D (Mt 18,1-35)

Introduzione: I Dodici chiamati

10,1-5a

+ I discepoli inviati ad Israele

10,5b-15

…andate piuttosto ALLE PECORE PERDUTE della casa d’Israele Se qualcuno poi … non ascolta le vostre parole

+ I discepoli perseguitati ovunque testimonieranno

= I discepoli come i piccoli

18,1-10

CHI ACCOGLIE UN SOLO BAMBINO COME QUESTO ACCOGLIE ME

uno di questi piccoli

10,16-23

per dare testimonianza a loro e alle NAZIONI

+ Il Padre cerca lo smarrito = Il discepolo come il Maestro

10,24-25

È sufficiente per il discepolo diventare COME il suo maestro e per il servo COME il suo signore

18,12-14

Se un uomo ha CENTO PECORE e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e, essendo-andato, cerca QUELLA CHE SI È SMARRITA? Così non è volontà del Padre vostro che uno di questi piccoli si perda

+ Il discepolo cerca chi sbaglia 18,15-20 se ti ascolterà … se non ascolterà sia per te come quello delle NAZIONI e il pubblicano

+ Non avere paura di testimoniare

10,26-31

18,21-35

Non bisognava che anche tu avessi pietà del tuo con-servo, COSÌ COME io ho avuto pietà di te?

Uno di essi non cadrà a terra senza il Padre vostro

+ Non avere paura di seguire Gesù

= I discepoli come il Padre chiamati a perdonare

10,32-42

CHI ACCOGLIE VOI ACCOGLIE ME uno di questi piccoli

I due passi al centro di Mt 18, invece, mostravano molti punti di contatto con la prima sottosequenza del Discorso sulla Vita Apostolica. Nel suo primo passo, la pecora «che si è smarrita» (18,12, in gr. è il participio to planōmenon)

Il resoconto di una scoperta

167

risponde bene al mandato di Gesù per le «pecore perdute (gr. ta probata ta apolōlota) della casa di Israele» (10,6)38. Anche il verbo greco akouō («ascoltare»), contraddistingue sia il momento della correzione («se ti ascolterà», 18,15; «se non ascolterà», 18,16), sia quello della predicazione («se qualcuno non ascolta le vostre parole», 10,14)39. Il termine «fratello» è in opposizione semantica tra la prima sottosequenza di Mt 10 (si tratta del «fratello» di sangue, 10,21) e il secondo passo della sottosequenza centrale di Mt 18 (si tratta del «fratello» della comunità dei discepoli, 18,15bis)40. Infine, nei secondi passi di entrambe le sottosequenze compare un termine collegato alle «Nazioni» («per dare testimonianza alle Nazioni», in 10,18; e: «sia per te come quello dalle Nazioni e il pubblicano», in 18,17). Tra il centro di Mt 18, invece, e la terza sottosequenza di Mt 10 appare una corrispondenza forte sul volere di Dio. In 10,29 Gesù rassicura i suoi apostoli sulla Provvidenza di Dio: «E uno di essi [dei passeri] non cadrà a terra senza il Padre vostro». Così, al centro di Mt 18, lo stesso Gesù afferma che «non è volontà del Padre, che è nei cieli, che uno di questi piccoli si perda» (18,14). Questo ultimo termine, «il Padre», compare nel complesso delle due sequenze accompagnato da differenti apposizioni: «il Padre vostro» (10,20.29), o «il Padre vostro che è nei cieli» (18,14); o ancora «il Padre mio che è nei cieli» (10,32.33; 18,10.19), o semplicemente «il Padre mio celeste» (18,35). Anche il termine affine, «Regno dei cieli» compare nella prima sottosequenza del Discorso sulla Vita Apostolica (10,7), e nelle sottosequenze estreme del Discorso sulla Vita Ecclesiale (18,3.4.23). Infine, il nome di «Pietro» è l’unico ad avere una posizione preminente all’interno delle sezioni: proprio nella lista dei Dodici, all’inizio di Mt 10, e nella domanda alla fine di Mt 18. È lui infatti a chiedere, nell’ultima sottosequenza, la misura del perdono per «il proprio fratello» di fede. Si tratta così di termini estremi, e il suo personaggio, incornicia a distanza i due discorsi41.

38

Il verbo apollymi compare subito in 18,14, per concretizzare l’immagine della «pecora smarrita» con la realtà dei «piccoli» che potrebbero «perdersi/perire», perché «scandalizzati» (è il legame simmetrico con il passo della prima sottosequenza, 18,5-9). I due participi allora sono in una bella e significativa sinonimia: sia «le pecore di Israele», che hanno inciampato per l’inadempienza dei primi pastori (cfr. Ez 34), sia «le pecore» che potranno «smarrirsi», ovvero allontanarsi dalla chiesa perché sono inciampate nel disprezzo e nell’inadempienza dei suoi responsabili, sono oggetto della volontà salvifica di Dio. I nuovi pastori devono vigilare su questo pericolo, e correggerlo qualora si verificasse (come il pastore che lascia le «novantanove» per «andare a cercare» l’unica smarrita). 39 Anche «nel mio nome» (18,20) risponde a «a causa del mio nome» (10,22) nel Discorso sulla Vita Apostolica. In 18,17, invece, il verbo è il composto parakouō. 40 «Il mio fratello» (18,21) e «il proprio fratello» (18,35) segnano gli estremi della terza sottosequenza di Mt 18, ancora evidentemente riferiti ai discepoli. 41 Alla fine delle sottosequenze estreme di Mt 10 e alla fine di Mt 18 appare anche il termine «figlio», diverso di volta in volta nel genere e nel numero (gr. teknon in 10,21bis; 18,25). In 10,37 il sostantivo greco differisce: si tratta del termine hyios, in chiara complementarietà con il suo corrispondente femminile, thygatēr.

168

La composizione del Vangelo di Matteo

In questo modo, le due sezioni, per quanto non contigue, dimostravano una fitta rete di corrispondenze: risultavano perciò due unità contestualmente affini. 3. LE SEZIONI B E D NELLA LORO FUNZIONE DI ARTICOLAZIONE RETORICA Nel momento in cui la ricerca si è focalizzata sui rapporti che intercorrevano tra queste due unità letterarie e le altre sezioni, mi sono reso conto di come fosse difficile prendere una decisione oggettiva. Sia Mt 10 che Mt 18 presentavano moltissime e svariate relazioni formali con la sottosezione centrale (di cui potevano perciò fare parte integrante come sottosezioni estreme), ma anche, e in egual misura, con le sezioni estreme dell’intero Vangelo. Solo per fare un esempio, in Mt 9,34 (dunque nella sottosezione finale di A) i farisei sostengono che Gesù «mandi fuori i demoni per mezzo del capo dei demoni», cosa cui fa riferimento lo stesso Gesù in Mt 10,25 nelle istruzioni missionarie: «Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia»42. In alcuni casi, invece, oltre al semplice riferimento o alla ricorrenza di termini affini, si trattava di vere e proprie ripetizioni, naturalmente non inserite a caso ma con una certa logica. Un esempio, già presentato43, ricorreva tra il Discorso della montagna (centrale per la sezione A) e il Discorso sulla Vita Fraterna ed era stato motivo di studi di relazione tra il Primo Vangelo e la sua fonte, Marco, secondo le ipotesi principali della Redaktionsgeschichte. Qui per entrambi i casi (Mt 5,29-30 e Mt 18,8-9), la protasi dei due periodi costituenti ciascuno un brano nell’analisi retorica svolta, era di struttura e sintassi identica: nella sottosezione centrale di A, tuttavia, l’«occhio destro» precedeva «la mano destra», mentre in D «la mano e il piede» precedevano l’«occhio»: si trattava perciò di una valida relazione speculare a distanza, termini estremi tra le due unità letterarie. Ciò che di fatto cambiava notevolmente era l’apodosi che nel primo caso era costituita da un unico trimembro, mentre nel secondo da due segmenti bimembri. Il loro significato pur essendo identico, era reso in maniera tale da costituire un’opposizione: se per la prima sottosezione (nella sezione A) l’accento era posto sulla convenienza del far «perire» una delle membra del corpo (dunque con valore negativo), nel Discorso sulla Vita Ecclesiale si trattava piuttosto di «entrare nella vita» seppur sprovvisti di esso (valore positivo). La cosa che più colpiva era che una simile relazione formale, tutt’altro che trascurabile, intesseva un legame retorico tra il primo dei discorsi e Mt 18 piuttosto che con Mt 10 che si trovava invece nello stesso versante del Libro (ovvero nella sua prima metà): 42 Altri esempi: in 16,25, nella terza sottosezione della sezione C (centrale nel Vangelo), riappare l’insegnamento sul «perdere la vita per causa» di Gesù (cfr. 10,39); nella prima sottosezione della sezione E, in 19,14, Gesù riproporrà «i bambini» come modello dei «piccoli» che entrano nel Regno (cfr. 18,4). 43 Si tratta del paragrafo 1.2 sui doppioni matteani, all’interno del primo capitolo: «I primi passi nella ricerca» (vedi p. 28).

Il resoconto di una scoperta Mt 5,29-30

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– 29 SE IL TUO OCCHIO DESTRO ti scandalizza, :: :: : + ti conviene infatti :: una delle tue membra, :: piuttosto che tutto il tuo corpo sia gettato nella Geènna.

⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱

– 30 E se la tua mano destra ti scandalizza :: :: :

+ ti conviene infatti :: una delle tue membra, :: piuttosto che tutto il tuo corpo vada via nella Geènna. Mt 18,8-9

– 8 Se la tua mano o il tuo piede ti scandalizza :: :: : + bello per te è +

monco o zoppo

:: che due mani o due piedi avente :: essere gettato nel fuoco eterno

⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱⸱ – 9 E SE IL TUO OCCHIO ti scandalizza

:: ::

: + bello per te è + con un occhio solo :: che due occhi avente :: essere gettato nella Geènna del fuoco.

Orientai allora la ricerca sulla ricerca delle relazioni che Mt 10 e Mt 18 intessevano con tutte le sottosezioni centrali del Libro, e perciò con gli altri discorsi (dato che il loro materiale letterario era affine). Se ci fossero state molte relazioni e fenomeni di simmetria anche con le sottosezioni centrali delle sezioni estreme, oltre che con quella della sezione centrale, si sarebbe dovuta prendere la seria decisione di definire questi discorsi più brevi realmente come sezioni di rilegatura del Libro, definendole come sezioni a sé stanti. Fu quello che alla fine potei constatare.

170

La composizione del Vangelo di Matteo

3.1 LE SEZIONI B E D E I CENTRI DELLE SEZIONI ESTREME: UNO SGUARDO Nelle tabelle di seguito sono registrate le relazioni più significative che le due sezioni di rilegatura ipotizzate intrattengono con il Discorso della montagna, ovvero la sottosezione centrale di A: B (Mt 10,1-42) 1

A4–A8 (Mt 5,1–7,29) 22

« ...diede loro autorità sugli spiriti impuri PER SCACCIARLI»

«7, Molti mi diranno in quel giorno: ...e nel tuo nome NON SCACCIAMMO demoni?»

«8 ...gratuitamente riceveste, gratuitamente date»

«5,42 A chi ti chiede, dà»

«29 Due passeri non si vendono per un asse? Eppure, uno solo di essi non cadrà sulla terra senza il volere del Padre vostro. 30 Di voi anche i capelli della testa sono tutti contati. 31 Dunque, non temete: voi valete più di molti passeri» «19 ...non preoccupatevi di come o cosa direte» «9 Non procuratevi oro, né argento, né monete di rame nelle vostre cinture, 10 non bisaccia per la via, né due tuniche, né sandali, né bastone: »

«6,25 Per questo vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita cosa mangerete, né per il vostro corpo cosa vestirete. Non è la vita più del cibo e il corpo più del vestito? 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né raccolgono in granai . Non valete voi più di essi?»

«14 E se qualcuno non vi accoglie, né ascolta le vostre parole, usciti fuori da quella casa o da quella città, scuotete la polvere dei vostri piedi»

«7,26 Chiunque ascolta le mie parole e non le fa, sarà rassomigliato a un uomo stolto, che costruì la sua casa sulla sabbia»

«22 E sarete odiati da tutti ... 23 Quando poi vi PERSEGUITANO in una città, fuggite nell’altra»

«5,11 Beati voi quando vi insulteranno e vi PERSEGUITERANNO e diranno ogni male contro di voi mentendo »

Il resoconto di una scoperta

171

D (Mt 18,1-35)

A4–A8 (Mt 5,1–7,29)

«8 Se la tua mano o il tuo piede ti scandalizza, : meglio per te è entrare nella vita monco o zoppo che due mani o due piedi avente essere gettato nel fuoco eterno. 9 E se il tuo occhio ti scandalizza, : meglio per te è con un occhio solo nella vita entrare, che due occhi avente essere gettato nella Geènna del fuoco»

«5,29 Se il tuo occhio ti scandalizza, : ti conviene infatti che perisca una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30 E se la tua mano destra ti scandalizza, : ti conviene infatti che perisca uno delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada nella Gènna» (5,29-30)

«15 Se il tuo fratello pecca verso di te...» «21 Signore, quante volte peccherà il mio fratello verso di me e perdonerò a lui?»

«5,23 Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e là ti ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te...»

«30 Quello non volle, ma essendo andato, lo gettò in prigione » 34 « Essendosi adirato il suo padrone lo consegnò ai torturatori »

«5,26 In verità ti dico: non affatto uscirai di là »

«35 Così ANCHE IL PADRE VOSTRO CELESTE farà a voi, se non perdonate dai vostri cuori, ciascuno al proprio fratello»

«6, 14 Se infatti perdonate agli uomini le loro colpe, perdonerà a voi ANCHE IL PADRE VOSTRO CELESTE; 15 ma se non perdonate agli uomini, NEPPURE IL PADRE VOSTRO perdonerà le vostre colpe»

Notavo ovviamente, in tutte e tre le unità letterarie confrontate, anche la ricorrenza di «Regno dei cieli» e di «Padre mio (nostro – vostro) che è nei cieli (celeste)». In chiusura di Mt 10 e soprattutto nella sequenza centrale del Discorso della montagna appare il termine «ricompensa» (gr. misthos, in 10,41bis.42 e 5,12.46; 6,1.2.5.16), mentre tra Mt 18 e la seconda sequenza del Discorso notavo l’alternanza dei termini «pagano» e «pubblicano» (18,17 e 5,46-47)44. Così, nelle tabelle successive è possibile notare la serie di relazioni e che le due sottosezioni di rilegatura intessono con il Discorso Escatologico (24–25), che costituisce la sottosezione centrale dell’ultima sezione del Vangelo:

44

Anche in questo caso, i sostantivi telōnēs e ethnikos sono distribuiti in modo speculare (hoi telōnai…hoi ethnikoi in 5,46-47, e hōsper ho ethnikos kai ho telōnēs in 18,17).

172

La composizione del Vangelo di Matteo B (Mt 10,1-42)

7

« Strada facendo, PREDICATE dicendo che si è avvicinato il Regno dei cieli» «18 ...e sarete condotti davanti ai governatori e ai re a causa mia, in testimonianza per loro e per le nazioni»

E4–E6 (Mt 24,1–25,46) «24,

14

Questo vangelo del Regno SARÀ nel mondo intero in testimonianza per tutte le nazioni, e allora verrà la fine» PREDICATO

«17 Guardatevi dagli uomini: infatti ai sinedri e nelle loro sinagoghe vi flagelleranno...» «21 , e i figli insorgeranno contro i genitori e gli »

«24,9a Allora alla tribolazione e ... 10 e allora molti ne saranno scandalizzati e e si odieranno»

«22 SARETE ODIATI DA TUTTI PER IL MIO NOME. Ma chi avrà perseverato fino alla fine, sarà salvato».

«24, 9b E SARETE ODIATI DA TUTTE LE NAZIONI PER IL MIO NOME»

«40 Chi accoglie voi, accoglie me» Chi avrà dato da bere a uno di questi piccoli un bicchiere di acqua fresca soltanto perché è un discepolo, in verità io vi dico: non affatto perderà la sua ricompensa»

«25,40 E il re risponderà loro dicendo: “In verità io vi dico: in quanto avete fatto a uno di questi fratelli più piccoli di me, l’avete fatto a me» «25,45 Allora risponderà loro dicendo: “In verità io vi dico: in quanto non avete fatto a uno di questi più piccoli di me, non l’avete fatto a me»

«23 ...in verità io vi dico: non avrete affatto finito le città di Israele »

«24,34 In verità io vi dico: non affatto passerà questa generazione »

42

«24,13 Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato»

Il resoconto di una scoperta D (Mt 18,1-35) «5 E chi accoglie un bambino come questo nel mio nome, accoglie me» – uno solo di questi piccoli (18,6.10.14) – il fratello (18,15bis.21.35)

173

E4–E6 (Mt 24,1–25,46) 40

«25, E il re risponderà loro dicendo: “In verità io vi dico: in quanto avete fatto a uno di questi fratelli più piccoli di me, l’avete fatto a me» «25,45 Allora risponderà loro dicendo: “In verità io vi dico: in quanto non avete fatto a uno di questi più piccoli di me, non l’avete fatto a me»

«20 Dove infatti sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io in mezzo a loro»

«24,23 Allora se qualcuno vi dicesse: “Ecco il Cristo è qui”, o: “Qui (è)”, non credete [...] 26 Qualora dunque dicano a voi: “Ecco è nel deserto”, non uscite, “Ecco è in casa”, non credete»





Parabola su un servo malvagio (18,21-35)

 «28 ...e avendolo afferrato, lo soffocava» «33 Non dovevi anche tu AVER MISE45 RICORDIA del tuo con-servo , così come io HO AVUTO MISERICORDIA di te?»

Parabola del servo messo a capo della casa (24,43-51) Parabola dei servi e dei talenti (25,14-30)

«24,45 Chi dunque è il servo fedele e saggio che il signore stabilì sulla sua servitù domestica PER DARE LORO IL CIBO in tempo opportuno?» «24,49 …e iniziasse a battere i suoi conservi, mangiasse e bevesse con gli ubriachi...»

«23 Per questo, il Regno dei cieli è simile a un re che »

«25,19 Dopo molto tempo viene il signore di quei servi e »

– SERVO MALVAGIO (18,32)

– SERVO MALVAGIO (24,48; 25,26) – servo buono e fedele (25,21.23)

In Mt 10 in modo particolare, è menzionata la venuta del «Figlio dell’uomo» (10,23), centro di gravità di tutto il Discorso escatologico (24,27.30.37.39; 25,31)46. Come per il confronto con il discorso della prima sezione, anche qui

45 Il sostantivo syndoulos è utilizzato nel Vangelo solo all’interno della Parabola (18,28.29. 31.33) e in 24,49. 46 All’interno dell’ultimo discorso, l’immagine della «venuta» del Figlio dell’Uomo è resa attraverso il verbo erchomai (per es. 24,30; 25,31), ma anche attraverso il termine greco più

174

La composizione del Vangelo di Matteo

appare una particolare complementarietà tra «la ricompensa» (10,41bis.42), in chiusura di Mt 10, e il riferimento fatto due volte in 25,34.46 prima all’«eredità» che è propriamente «il Regno» preparato per i giusti, poi direttamente a «la vita eterna» in chiusura. Si tratta perciò di termini estremi per le due sottosezioni. Il termine «profeta» appare due volte alla fine di Mt 10 (v. 41bis), come due volte appare anche il termine «falsi profeti» nella prima sequenza del Discorso finale (24,11.24). Dalla visione d’insieme si evince una certa complementarietà tra le due unità (cosa che sarebbe stata più scontata, ancora una volta, soltanto nei confronti di Mt 18, facendo parte del medesimo versante del Libro): si tratta della testimonianza richiesta ai discepoli, la prima nel momento della predicazione del Regno, la seconda nel momento finale della sua storia. In particolare, risalta il rapporto di opposizione tra la «testimonianza per le nazioni», prospettato nel Discorso escatologico, e il primo indirizzo di Gesù per la predicazione dei dodici discepoli in Mt 10: essi, infatti, sono stati mandati dapprima «alle pecore perdute della casa d’Israele» (cfr. 10,6)47. Anche in Mt 18 è possibile riconoscere un riferimento esplicito alla ricompensa finale, vista però nella sua duplice veste: «entrare nella vita» (18,8.9), che nel Discorso escatologico corrisponde a «ricevere in eredità il Regno» (25,34) o «vita eterna» (25,46); ma anche «essere gettato nel fuoco eterno», «nella Geènna del fuoco», come pure «nel profondo del mare» nel caso di chi commetta lo «scandalo» (18,8.9.6), che corrisponde nel discorso dell’ultima sezione al «fuoco eterno» o al «supplizio eterno» (25,41.46). Proprio in apertura di entrambi (si tratta perciò di termini iniziali) è possibile notare la ricorrenza del verbo skandalizō (tre volte in 18,6.8.9; una sola volta in 24,10), accompagnato in Mt 18 anche dal sostantivo «scandalo/i» (18,7tris). In definitiva, per i due discorsi delle sezioni estreme del Vangelo, era possibile notare veri e propri agganci tematici, ricorrenze formali e simmetrie non solo ciascuno con il discorso di rilegatura più vicino (con cui costituiva uno dei due versanti dell’opera), ma anche (e soprattutto) con quello del versante opposto. Ciò significava che le relazioni evidenziate fin qui giocavano in maniera adeguata nel livello delle sezioni. E dunque, Mt 10 e Mt 18 potevano essere identificate come sezioni con uno statuto speciale, intessendo il corpo dell’intero Vangelo (sezioni che rilegano, come una cerniera, le altre tra loro piuttosto che come sottosezioni che intessono rapporti solo al livello della sezione centrale). Anche il risvolto ermeneutico risultava notevolmente arricchito. Per esempio, il tema della predicazione del Vangelo e le disposizioni richieste per i primi missionari, definiti nella sezione B, ricompaiono con uno statuto escatologico specifico di parousia (24,30.37.39; per la questione lessicografica si rimanda al capitolo sulla sezione E: nt. 60 a p. 288). 47 Tuttavia, anche in Mt 10, è attestata la testimonianza «per loro (i figli di Israele) e per le Nazioni»: su questo elemento sarà necessario ritornare.

Il resoconto di una scoperta

175

nella sezione finale del Vangelo (cfr. 24,9.13.14). Tali disposizioni erano state già universalmente dichiarate all’interno del Discorso della montagna (al centro della sezione A), quando Gesù proclamava la beatitudine della persecuzione e invitava alla fiducia nel Padre (cfr. 5,11.42; 6,25-26; 7,26). E al centro del Libro, ovvero all’interno del Discorso in parabole, l’evento stesso della predicazione del Regno è presentato enigmaticamente da Gesù (sarà il discepolo a decifrare il senso delle realtà e delle dinamiche esposte). Come il seme generosamente sparso trova le resistenze di differenti tipologie di terreno, ma è destinato a portare il frutto finale (13,3-9), così la Parola del Regno è portata e diffusa da coloro che sono inviati, perseguitata, ma destinata al successo della mietitura finale. Come il granello di senape o il levito nella pasta, la realtà del Regno necessita di un tempo di lenta crescita, ma di sicura maturazione (13,31-33). Le istruzioni sulla predicazione del Regno sono dunque particolarizzate (riguardo allo stile e all’indirizzo) nella sezione di rilegatura, sviluppate nei discorsi delle sezioni centrali. Alla fine del Vangelo, quando Gesù invia i suoi nella missione universale che terminerà solo al «compimento del tempo» (cfr. 28,20), il discepolo/lettore saprà di dover fare delle istruzioni particolari la chiave di lettura e di traduzione di tutto l’insegnamento dispiegato a riguardo da Gesù nel corso del suo ministero terreno. Così pure le esigenze (già manifestate dalla Torah) riguardanti l’amore per il prossimo, sono portate al loro compimento universale nel primo dei discorsi (per esempio: 5,23.29-30; 6,14-15)48, poi particolarizzate per la comunità nuova dei discepoli che seguono Gesù all’interno del Discorso sulla Vita Ecclesiale (Mt 18). Sarà essenzialmente sulla base di queste esigenze che il Figlio dell’Uomo esprimerà il proprio discernimento escatologico sugli uomini, quando si manifesterà «nella sua gloria» e «separerà gli uni dagli altri» (cfr. 24,43-51; 25,40.45). È tuttavia ancora nel discorso centrale che viene fornita la spiegazione della situazione presente, segnata dall’accoglienza di tutti nella realtà del Regno, sebbene solo alcuni vivano realmente questo amore insegnato dalla Torah e compiuto dal Messia, altri meno, altri affatto: tutti «sono raccolti», «buoni e cattivi» (13,47-50), fino alla «maturazione» del tempo finale (13,29-30. 40-43). Anche per questo secondo esempio, dunque, una progressione ermeneutica è dispiegata da un versante all’altro del Vangelo, con un momento di particolarizzazione in una delle due sezioni di rilegatura: il discepolo troverà in essa (Mt 18) quelle istruzioni valide fino alla fine, per saper vivere al meglio l’accoglienza, la cura e la custodia dei suoi fratelli. 48 Si deve ricordare che il Discorso della montagna è pronunciato davanti alle «folle» (5,1; cfr. 7,28), sebbene siano i discepoli ad «avvicinarsi» nel momento in cui Gesù siede per insegnare. Stupisce sempre l’universalità con cui Gesù chieda di inserire nella categoria del «prossimo» anzitutto il «nemico» (5,43-44), o il modo in cui Matteo renda come indirizzari del perdono «gli uomini» (gr. tois anthrōpois). In questa prospettiva, è chiaro che perfino la menzione del «fratello» nel primo discorso (5,21-26; si veda la semantica di contrasto in 43-48) possa indicare un contesto più allargato del solo campo familiare o correligionario (si veda Davies – Allison, I, 512-513). Il respiro del discorso, tenendo conto del contesto complessivo, è certamente universale.

176

La composizione del Vangelo di Matteo

3.2 LE SEZIONI B E D E IL CENTRO DEL LIBRO: UNO SGUARDO Un altro nesso di relazioni appariva, come anticipavo, tra queste due sezioni di rilegatura e il Discorso in parabole sul Regno, della sezione centrale (13,1-52). Questa sottosezione di per sé era abbastanza differente da tutte le altre studiate, essendo costituita soltanto di due sequenze. Pur essendo ciascuna di esse di natura concentrica, nell’insieme la sottosezione non lo è: si tratta, infatti, di una composizione parallela (e perciò priva di centro). Ora, il confronto tentato con le sezioni B e D mostrava una chiara connessione del Discorso sulla Vita Apostolica con la prima sequenza della sottosezione in questione (la C4: 13,1-23), mentre il Discorso sulla Vita Ecclesiale riportava quasi esclusivamente affinità con la sola seconda sequenza del discorso centrale (la C5: 13,24-52). Tra Mt 10 e la prima sequenza del Discorso in parabole spicca soprattutto il legame tracciato dalla tematica dell’ascolto della Parola predicata da Gesù e dai suoi discepoli: infatti, «se qualcuno non dà ascolto alle vostre parole» (10,14) ha tutta una serie di richiami in Mt 13,1-23. Il verbo «ascoltare» è qui ripetuto ben dodici volte (13,9.13bis.14.15.16.17tris.18.19.20.22.23). Di queste, tre volte alla forma negativa, inserendo un contrasto forte nella sequenza tra il gruppo dei «discepoli» che possono «ascoltare» la parabola del seme e comprenderla, e «le folle» che invece non riescono a entrare completamente nel mistero del Regno (cfr. 13,10-17, esso costituisce il passo centrale della prima sequenza), anzi che gli sono misteriosamente d’ostacolo, giacché non seguono Gesù da vicino. Questa dinamica di opposizione, ma anche il ruolo fondamentale dei discepoli che man mano si va affermando nel testo del Discorso in parabole, è chiara già nel primo passo della seconda sottosequenza di Mt 10: «Non abbiate dunque paura di loro, poiché non vi è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ASCOLTATE ALL’ORECCHIO, voi annunciatelo dalle terrazze» (Mt 10,26-27). E infatti, nel passo centrale di 13,1-23, proprio le folle, cui era applicata la profezia di Isaia, sono definite «dure di orecchi» e che «non ascoltano con gli orecchi» (13,15bis), mentre «gli orecchi» dei discepoli erano proclamati «beati», giacché potevano «ascoltare» il mistero della Parola del Regno dei Cieli (13,16). Da notare, altre due ricorrenze (di minor peso ma evidentemente singolari) si trovano nei passi estremi di B e proprio al centro della sequenza C4: si tratta del termine «profeta/i» e «giusto/i» (10,41; 13,17), come dei verbi sinonimi «ristabilire» (13,15) e «guarire» (10,1.8).

Il resoconto di una scoperta B (Mt 10,1-42) Introduzione: I Dodici chiamati

177

C4 (Mt 13,1-23) 10,1-5a

Introduzione: Gesù insegna presso il mare

13,1-3a

– Parabola del seminatore

13,3b-9

Guarire ogni malattia e infermità

– I discepoli inviati ad Israele

10,5b-15

Se qualcuno poi … NON ASCOLTA le vostre parole Guarite gli infermi…

Uscì il seminatore a seminare, e nel seminare esso, una parte cadde… Chi ha orecchi, ASCOLTI!

– I discepoli perseguitati ovunque testimonieranno

10,16-23

+ Il discepolo come il Maestro

10,24-25

(i discepoli similmente ostacolati mentre annunciano la Parola) Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua casa!

– Non avere paura di testimoniare

10,26-31

Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e QUELLO CHE ASCOLTATE all’orecchio, voi annunciatelo sulle terrazze

– Non avere paura di seguire Gesù

10,32-42

Chi accoglie UN PROFETA, in nome di prenderà la ricompensa del PROFETA …

PROFETA,

E chi accoglie UN GIUSTO, in nome di prenderà la ricompensa del GIUSTO

GIUSTO,

+ Il mistero delle parabole ai discepoli e non alle folle 13,10-17 ASCOLTANDO NON ASCOLTANO, né comprendono… ASCOLTANDO, ASCOLTERETE e non comprenderete… È ingrassato, infatti, il cuore di questo popolo, e con gli orecchi DURAMENTE ASCOLTARONO […] affinché …con gli orecchi NON ASCOLTINO …e io li ristabilisca Invece … beati i vostri orecchi PERCHÉ ASCOLTANO! MOLTI PROFETI e giusti desiderarono… ASCOLTARE ciò che ASCOLTATE e NON LO ASCOLTARONO

– Spiegazione della parabola

13,18-23

Voi dunque ASCOLTATE la parabola di colui che seminò Ciascuno ASCOLTANDO la Parola del Regno… (3 ostacoli) = Questo è COLUI CHE ASCOLTA la Parola e la comprende

178

La composizione del Vangelo di Matteo

In Mt 18 come nella seconda sequenza del Discorso in parabole, invece, spiccava un forte accento alla dimensione finale della predicazione, quella escatologica. In entrambi, per esempio, ricorre il termine «angeli» (13,39.41.49; 18,10), come il riferimento esplicito al castigo finale, reso da espressioni sinonimiche quali «li getteranno nella fornace del fuoco» (13,42.50), «essere gettato nel fuoco eterno» (18,8), «essere gettato nella Geènna del fuoco» (18,9; dunque la medesima costruzione resa dal verbo greco ballō cui segue il complemento di luogo)49. Anche il termine «scandalo» è ancora un termine gancio molto forte per le due unità letterarie: esso segna tutto il primo passo di Mt 18 (come verbo: 18,6.8.9; come sostantivo: 18,7tris) e appare nella spiegazione della Parabola della zizzania, in 13,41. Risaltava anche la complementarietà tematica tra «il più grande nel Regno dei Cieli» (18,4) e il «granello di senape» che diventa «più grande degli ortaggi» una volta cresciuto (13,32). Entrambi, all’inizio, sono in realtà i «più piccoli», adatti perciò a rappresentare il ribaltamento finale nel «Regno dei Cieli». Da notare, l’ultima sottosequenza di D contiene nel suo centro la Parabola sul perdono (18,23-34), con cui Gesù risponde alla domanda di Pietro. Si tratta di un’altra parabola del «Regno dei cieli», come tutte quelle che ritmano le sottosequenze estreme di C5 (13,24-30.31-32.33.44.45-46.47-50)50. Non mancano, tuttavia, alcuni legami per ognuna delle due sequenze del Discorso centrale con la sezione di rilegatura del versante opposto. Per esempio, anche nella seconda sequenza del Discorso parabolico appare l’invito di Gesù: «Chi ha ORECCHI, ASCOLTI» (13,43), e dunque appare un riferimento alla tematica dell’ascolto che contraddistingueva piuttosto la prima sequenza (C4) e il suo legame con la sezione B. Sempre in questa seconda sequenza del Discorso parabolico, nel passo centrale, è citato un versetto del Sal 78 (78,2): «Aprirò in parabole la mia bocca, esprimerò cose nascoste (il participio greco kekrymmena) dalla fondazione del mondo» (13,35)51. Un’eco particolare di questa citazione è rinvenibile proprio nella prima sezione di rilegatura (piuttosto che nella sezione D): «Non vi è nulla di nascosto (in gr. il predicato nominale krypton) che NON SARÀ CONOSCIUTO» (10,26)52.

49

In entrambe le sequenze appaiono altre espressioni sinonimiche, che fanno riferimento a una sorte finale drammatica: «mettetela (la zizzania) in fasci per bruciarla» (13,30); «i guasti (pesci) gettarono fuori» (13,48); «sia affondato nel profondo del mare» (per colui che scandalizza i piccoli del Regno, in 18,6). 50 A livello complessivo, dunque, le corrispondenze più pertinenti sono situate nelle sottosequenze estreme di entrambe le sequenze in esame. A livello lessicale, si deve notare ancora la ripetizione continua del termine «Regno dei Cieli». 51 Anche nella sequenza precedente, Gesù aveva parlato dei «misteri del Regno» (ta mystēria tēs basileias) che solo ai discepoli è dato di «CONOSCERE» (13,11). 52 Per entrambe le ricorrenze (13,11 e 10,26) si tratta del familiare verbo gr. ginōskō.

Il resoconto di una scoperta C5 (13, 24-52) + PARABOLA della zizzania

179 D (18,1-35)

13,24-30

+ I discepoli come I PICCOLI

18,1-10

Scandali/scandalizzare

+ PARABOLA del PIÙ PICCOLO che cresce

13,31-33

ESSERE GETTATO NEL FUOCO ETERNO ESSERE GETTATO NELLA GEÈNNA DEL FUOCO

– Il Padre cerca lo smarrito

– Gesù parla alle folle solo IN PARABOLE53

13,34-35

+ Spiegazione ai discepoli della zizzania

13,36-43

Scandali

18,12-14

– Il discepolo cerca chi sbaglia 18,15-20 + I discepoli come il Padre, chiamati al perdono

18,21-25

• PARABOLA sul perdono

LI GETTERANNO NELLA FORNACE DI FUOCO

+ Parabole per i discepoli

13,44-50

• PARABOLE del tesoro e della perla • PARABOLA della rete gettata in mare GETTERANNO QUELLI NELLA FORNACE DEL FUOCO

Conclusione Lo scriba-discepolo del Regno

13,51-52

Nella prima sezione di rilegatura appare per una volta il riferimento al «giorno del giudizio» (gr. en hēmerai kriseōs, 10,15), più comune ed importante nelle relazioni intessute tra la sezione D e la seconda sequenza (C5) del Discorso parabolico54. Infine, al momento della spiegazione della Parabola del seminatore (13,18-23), chi somiglia ai «terreni sassosi», cede per la tribolazione e la persecuzione e «subito è scandalizzato» (13,21). Ora, questo verbo, come visto, compare più spesso nel primo passo della sezione D (18,1-10). 53

Deve essere forse giustificata l’apparente opposizione concettuale tra i passi del centro: la citazione scritturistica in C5 è utilizzata dall’autore per spiegare l’aspetto enigmatico del discorso di Gesù, il quale può essere decifrato solo in una dimensione di sequela (è in questo senso più per i discepoli che per le folle), mentre la ricerca degli smarriti e dei peccatori è fatta tanto da Dio quanto dai discepoli responsabili per «i piccoli» che credono (18,12-20). Il primo passo della sottosequenza centrale di D (18,12-14) può essere pure riconosciuto nel suo statuto di paragone: ha perciò un carattere squisitamente parabolico (cfr. Lc 15,4-7). 54 Nel Discorso escatologico, tuttavia, non compare mai effettivamente l’espressione «giorno del giudizio», quanto piuttosto «quel/quei giorno/giorni», riferendosi comunque ai giorni della crisi escatologica e della parusia del Figlio dell’Uomo.

180

La composizione del Vangelo di Matteo

Osservando il modo in cui questo Discorso intesse le proprie relazioni con le sezioni di rilegatura, era chiaro che la sottosezione centrale di tutto il Vangelo sembrava delineare bene i due versanti per il Libro. Formalmente perciò, dal Prologo (1,1-17) alla prima sequenza della seconda sottosezione della sezione centrale (13,1-23) era tracciato il primo spazio del Vangelo, cui corrispondeva esattamente uno spazio opposto, dalla seconda sequenza di questa sottosezione (13,24-52), fino all’Epilogo (27,62–28,20). Sintetizzando i risultati dell’analisi, le tre sezioni più ampie (A; C; E; tutte costituite da tre sottosezioni, due estreme che incorniciano un discorso centrale), sono articolate all’interno del Libro mediante due sezioni di rilegatura costituite soltanto da discorsi (o istruzioni per la vita dei discepoli: la B e la D). Tali sezioni, dunque, si potrebbero definire anche come discorsi singolari (oltre che retoricamente come sezioni di rilegatura), dal momento che non sono corredati da sottosezioni cornice, come per A, C, ed E, ma soprattutto perché hanno uno statuto ermeneutico differente da quello dei discorsi presenti nelle grandi sezioni (la particolarizzazione dell’insegnamento di Gesù per la vita dei discepoli espressa precedentemente). Agli estremi del Vangelo, invece, si deve contemplare un’articolazione analoga, attraverso le due unità letterarie del Prologo (1,1-17) e dell’Epilogo (27,62–28,20). Come Mt 10 e Mt 18, anche queste due unità sono di natura e composizione differente dalle sezioni maggiori, non avendo affatto al loro interno uno dei discorsi ufficiali di Gesù. Di fatto, la prima apre il Vangelo riallacciandosi alla storia passata (le generazioni che hanno portato alla nascita del Messia nella storia sacra di Israele), mentre l’ultima rilancia lo stesso Vangelo nel futuro, attraverso il grande mandato rivolto dal Risorto ai suoi discepoli (che sarà compiuto solo al «compimento del tempo», cfr. 28,20). È in esse, perciò, che l’armonia del testo è dettata55 e che tutto il mistero della vita di Gesù sarà portato a compimento, per essere nuovamente consegnato ai discepoli, nel loro progressivo cammino diretto alle Nazioni e consumato solo alla fine dei giorni.

55

L’immagine è in analogia con il mondo della composizione musicale, dove all’inizio della scrittura sono poste in chiave le regole di lettura e la dimensione armonica del pezzo da suonare sino alla sua fine (salvo altri cambiamenti annotati nella partitura).

Capitolo VI LA SEZIONE A: IL MESSIA INAUGURA LA NUOVA ALLENAZA (Mt 1,18–9,38)

La prima sezione del Vangelo è costituita di tre sottosezioni, in composizione concentrica. Le due sottosezioni estreme sono in sostanza di carattere narrativo (1,18–4,25 e 8,1–9,38)1. Ciascuna di esse è a sua volta formata di tre sequenze, anch’esse ognuna di struttura concentrica2. La sottosezione centrale costituisce il cosiddetto Discorso della montagna, il primo dei cinque discorsi del Vangelo di Matteo (5,1–7,29), organizzato in cinque sequenze concentriche3. A1 – A3 A4 – A8 A9 – A11

Gesù

Il Discorso Gesù

1,18–4,25

INIZIA

OPERA

della montagna

5,1–7,29 8,1–9,38

Anche i dati quantitativi (il numero dei caratteri greci senza accenti né spazi) dimostrano un equilibrio di composizione: le sottosezioni estreme contano rispettivamente 7.250 caratteri e 6.547, mentre il discorso centrale, più ampio, 9.832 caratteri.

1

Il Discorso centrale è evidentemente un’unità strettamente didattica, caratterizzata quasi per intero dal discorso diretto (da 5,3 a 7,27). Nelle sottosezioni estreme si possono definire con rigore unità discorsive pertinenti (di Gesù) solo 8,10-12.18-22; 9,1-8.12-13.15-17.37-38. La caratterizzazione di unità narrative per queste sottosezioni estreme è piuttosto di natura convenzionale: serve per distinguerle (nella loro dinamica interna) dal discorso della sottosezione centrale dove predomina solo il discorso diretto di Gesù (così grossomodo anche nelle altre unità che contengono i cinque Discorsi) e l’azione narrata coincide con l’insegnamento stesso. 2 Per lo studio svolto (e già citato) sulle due sottosezioni estreme si potrà vedere: F. GRAZIANO, «Colui che viene dietro di me», 121-142 per Mt 1–4; R. DI PAOLO, «Mt 8,1-17 & 9,18-38», 129-146 e ID., «Il Figlio dell’Uomo ha potere di salvare», 143-163 per la terza sottosezione. 3 Per i particolari della composizione del Discorso della montagna: G. LORI, Il Discorso della montagna.

182

La composizione del Vangelo di Matteo I. INDAGINE GENERALE SULLA SEZIONE E CONVERGENZA DI INDIZI

A prima vista, non sembrano esserci connessioni evidenti che mettano in relazione le sottosezioni estreme: in A1–A3 si raccontano le origini di Gesù fino all’inizio del suo ministero messianico (i capitoli 1–2 erano stati riconosciuti dall’esegesi tradizionale come materiale proprio di Matteo, le sue Storie dell’infanzia di Cristo)4, mentre in A9–A11, sceso dal monte, Gesù prosegue il suo ministero, già sommariamente avviato in 4,12-25 (anche qui l’esegesi ha visto in 8–9 un agglomerato di storie di miracoli)5. In particolare, la ricerca finora sviluppata aveva più volte ipotizzato una connessione letteraria tra il Discorso della montagna e l’ultima sottosezione (Mt 8–9) riconoscendo in essi una sorta di dittico letterario sulle parole e sulle opere del Messia6. Da un punto di vista formale, tuttavia, non possono passare inosservate alcune simmetrie che annunciano e rinforzano la composizione retorica dell’intero complesso (1,18–9,38). Due espressioni identiche sono termini medi che incorniciano il Discorso: «lo seguivano folle numerose» (4,25; 8,1)7. Sono poste infatti l’una alla fine della prima sottosezione (alla fine di A3), e l’altra all’inizio della terza (in A9). Più pertinenti ancora, quelli che sono stati comunemente riconosciuti come i sommari in 4,23 e 9,35, costituiscono i termini finali per le sottosezioni estreme, segnandone simmetricamente la coda conclusiva (sono perciò alla fine di A3 e A11): 4,23

– E GIRAVA : INSEGNANDO nelle sinagoghe : e ANNUNCIANDO IL VANGELO :. e CURANDO :. e

9,35

ogni malattia ogni debolezza

– E GIRAVA Gesù : INSEGNANDO nelle sinagoghe : e ANNUNCIANDO IL VANGELO :. e CURANDO :. e

, loro DEL REGNO

nel popolo. , loro DEL REGNO

ogni malattia ogni debolezza.

Anche le notazioni di movimento, per quanto differenti e variegate, disegnano per l’intera sezione una convergenza «in Galilea». È qui che Gesù ancora fanciullo si stabilisce «nella città detta Nazareth» (2,21-23), dopo essere fuggito 4

Cfr. Fabris, 44-49; Hagner, I, 1-2; Luz, I, 138-144 (tutti con bibliografia sul tema). Cfr. Fabris 199-202; Hagner, I,195-196; Luz, II, 19-22 (tutti con bibliografia sul tema). 6 Tra i principali: D.R. BAUER, The Structure of Matthew’s Gospel, 130; B. STANDAERT, «L’évangile selon Matthieu», 1236. 7 In greco: ēkolouthēsan autōi ochloi polloi. 5

La sezione A (1,18–9,38)

183

da «Betlemme» in «Egitto» (2,14); ed è qui che egli inizia il suo ministero, «a Cafarnao» (4,13), dopo che «Giovanni fu consegnato» (4,12): tutto questo è annotato nella prima sottosezione (rispettivamente nelle sue sequenze estreme, A1 e A3). È sempre su un «monte» della Galilea che si svolge il Discorso della montagna, mentre all’inizio della terza sottosezione Gesù «disceso» da lì (8,1) ritorna nuovamente a «Cafarnao» (8,5). Si allontanerà dalla Galilea per giungere in territorio pagano (così in 2,13-15) nel pieno della terza sottosezione, ma questa volta nel territorio della Decàpoli, «all’altra riva» del mare di Galilea (8,18), «nel paese dei Gadarèni» (8,28; lo spostamento avviene nel primo versante della sequenza centrale A10). Da lì, farà ritorno «nella sua città», Cafarnao (9,1, ancora nella sequenza A 10) per continuare a girare «in tutte le città e i villaggi» della regione (9,35), alla fine della sezione stessa (nell’ultima sequenza A11). Un altro indizio che rinforza l’ipotesi della strutturazione letteraria della sezione riguarda la presenza e la posizione di alcuni personaggi. Le sottosezioni estreme terminano entrambe con un riferimento ai «discepoli» (o meglio ancora: alla tematica complessiva del discepolato) e alle «folle», rispettivamente. In 4,18-22 Gesù chiama due coppie di fratelli che «lo seguirono», mentre in 9,37-38 Gesù si rivolge «ai suoi discepoli» chiedendo di pregare il Padrone della messe perché «mandi fuori operai per la sua messe»8. Così pure in 4,25, la sottosezione termina con un riferimento alle «folle» che «seguirono» Gesù «dalla Galilea e dalle Decàpoli, e da Gerusalemme e dalla Giudea e da oltre il Giordano», mentre in 9,36 è Gesù stesso a provare compassione nel «vedere le folle» che erano «stanche e sfinite» al suo seguito. Anche il Discorso della montagna si apre e si chiude con la menzione di questi personaggi di particolare importanza per la sezione: in 5,1 Gesù «vede le folle» mentre, una volta posto a sedere sul monte, «si avvicinarono a lui i suoi discepoli»; alla fine, in 7,28, «le folle erano stupite del suo insegnamento». Nelle sequenze centrali delle sottosezioni estreme (A2 e A10), compaiono rispettivamente «Giovanni il Battista» (3,1.4) e i suoi «discepoli» (9,14): questo dato non è da sottovalutare nella composizione dell’insieme, dato che in entrambe le sequenze questi personaggi segnano un passaggio teologico e tematico importante9.

8

Nella sequenza centrale A10, Gesù si è misurato con altri discepoli sul tema della sequela (8,19.22.23); tra questi, figura anche Matteo che lo «seguì», in 9,9. Nel complesso della sezione, la figura del discepolo è perciò costruita sulle due direttrici principali della imitazione e del servizio. 9 Si tratta del passaggio dalla Prima alla Nuova Alleanza. In 4,11 Giovanni si definisce indegno di «sciogliere i sandali» di Gesù, riferendosi alla legge del levirato (cfr. Dt 25,5-10 e Rt 4,7-10) e definendo perciò Gesù come lo Sposo Messianico atteso; così, nella disputa con «i discepoli di Giovanni» sul digiuno, in 9,15, Gesù chiama i suoi «figli della stanza nuziale» e se stesso evidentemente come «lo Sposo» (9,15-16). Il personaggio di Giovanni è perciò compreso come uno spartiacque che segna il termine dell’antico patto e prepara ormai l’ingresso definitivo nel nuovo: Gesù è invece rappresentato come l’evento escatologico di Dio.

184

La composizione del Vangelo di Matteo

Nel Discorso della montagna, infine, Gesù chiede per i suoi discepoli una «giustizia superiore» a quella di «scribi e Farisei» (5,20): sono anch’essi personaggi importanti (nella polarità di opposizione) nelle sequenze centrali delle sottosezioni estreme. Infatti, in 3,7 sono «i Farisei» insieme a «i Sadducei» ad accorrere al battesimo di Giovanni e a ricevere la sua pungente invettiva sulla necessità di conversione, mentre in 9,3 «gli scribi» mormorano contro Gesù che riserva per sé l’autorità «sulla terra» riguardo al perdono dei peccati (9,6)10. II. LA COMPOSIZIONE DELLA SEZIONE A (1,18–9,38) 1. PRESENTAZIONE D’INSIEME DELLA SEZIONE Di seguito è riportata la tavola di composizione dell’intera sezione A, sezione di natura concentrica, con attenzione ai rapporti tra le sequenze che la costituiscono: SOTTOSEZIONE NARRATIVA: A1: Il Servo Gesù nasce

per il popolo e le Nazioni

A2: A3:

1,18–2,23 3,1-12

Il Servo Gesù

inizia

il suo ministero per il popolo e le Nazioni 11

3,13–4,25 5,1–7,29

INTRODUZIONE:

Gesù sale sul monte per insegnare

5,1-2

A4: Le Beatitudini

e la dignità dei discepoli

5,3-16

e il compimento della Torah

5,17-48

e il dono della Figliolanza

6,1-18

e il compimento dei Profeti

6,19–7,12

A8: Le opere di giustizia

e la fedeltà dei discepoli

7,13-27

CONCLUSIONE:

Gesù ha autorità nell’insegnare

7,28-29

A5: LA GIUSTIZIA SUPERIORE A6: LA GIUSTIZIA SUPERIORE A7: LA GIUSTIZIA SUPERIORE

SOTTOSEZIONE NARRATIVA: A9:

Il Servo Gesù

porta

le infermità del popolo e delle Nazioni 8,1-17

A10: A11:

8,18–9,17 Il Servo Gesù

espande

il suo ministero per il popolo e le Nazioni

9,18-38

10 Ancora, in 9,34 i «Farisei» ritengono che Gesù scacci i demoni con l’aiuto del «capo dei demoni», mentre in 2,4 «i capi e gli scribi del popolo» rispondono alla domanda di Erode sul luogo di nascita del Messia. Si tratta qui delle sequenze estreme della sezione (la prima e l’ultima). 11 Per la titolatura delle sequenze del Discorso si è seguito, in parte, quanto già studiato e svolto in G. LORI, Il Discorso della montagna, 221-222. Da questo punto in poi, si preferisce alla titolatura tradizionale del Discorso della montagna il titolo di Discorso della Nuova Alleanza per la dinamica stessa che la composizione presenta, e che si cercherà di rendere comprensibile dall’esito dell’analisi.

La sezione A (1,18–9,38)

185

Le sequenze delle due sottosezioni estreme si corrispondono in maniera parallela (perciò: A1-A9; A2-A10; A3-A11). Come detto, apparentemente non ci sarebbero evidenti connessioni: solo per fare un esempio, la prima sequenza della sezione, la sequenza A1, trattando della nascita e dell’esilio di Gesù, sembrerebbe non avere relazioni importanti con la prima sequenza della terza sottosezione, la sequenza A9, costituita sostanzialmente di racconti di miracolo (la guarigione di un lebbroso in 8,1-4; del servo di un pagano in 8,5-13 e infine della suocera di Pietro, cui segue un sommario di altre guarigioni in 8,14-16). In realtà, lo studio sinottico delle due sequenze, rivelerà una logica importante tra i passi di queste prime sequenze: il Messia e la sua storia entrano in un rapporto particolare ora con Israele, ora con esponenti delle nazioni pagane (rappresentate dai «magi» nella sequenza A2 e dal «centurione» romano nella sequenza A9). Per questo, oltre alle ricorrenze di singoli termini, bisognerà tenere in considerazione la presenza di simmetrie più articolate (corrispondenze di identità e opposizione tra sintagmi) e la coerenza delle relazioni logiche tra i passi. 2. RAPPORTI TRA LE SOTTOSEZIONI ESTREME (1,18–4,25 & 8,1–9,38) 2.1 RAPPORTI TRA LE PRIME SEQUENZE (A1 E A9) SIMMETRIE DI APERTURA E CHIUSURA Tra i primi passi delle sequenze (1,18-25 e 8,1-4), «come gli ordinò l’angelo del Signore» (1,24) corrisponde a «che ordinò Mosè» (8,4): il verbo per entrambe le occorrenze è infatti prostassein, che traduce «ordinare», «comandare» ed esprime evidentemente una disposizione divina (per rivelazione onirica la prima, direttamente dalla Torah di Mosè la seconda). Negli ultimi passi delle sequenze (2,19-23 e 8,16-17)12, invece, compaiono delle citazioni di compimento: nell’ultimo passo di A1 (2,23)13, e una citazione di chiusura in A9 (8,17). ESTREMITÀ E CENTRO  Tanto i magi, nel passo centrale di A1 (2,2.11), quanto il lebbroso, nel primo passo di A9 (8,2), «si prostrano» a Gesù14; i primi «gli offrono doni» (2,11), mentre al secondo è chiesto di «offrire il dono» (8,4) per la sua purificazione;

12

Entrambe le sequenze hanno una chiusura particolare: A1 infatti è costituita da una sottosequenza finale di tre passi (2,13-15; 16-18; 19-23), mentre A9 è conclusa da una coda finale, successiva alla costruzione concentrica dei tre racconti di miracolo (8,1-4; 5-13; 14-15 + 16-17). 13 In realtà, la sequenza A1, come possibile notare dalle riscritture, è solcata da quattro citazioni di compimento complessive (cfr. anche in 1,22; 2,15.17). 14 Il verbo greco utilizzato è proskyneō. Al contrario, Erode esprime un falso desiderio di venerazione del bambino nato (2,8), come si evince dal contesto successivo della sequenza.

186

La composizione del Vangelo di Matteo

SINOSSI DELLE SEQUENZE SEQUENZA A1 (1,18–2,23) 1,18 Ora, di Gesù Messia la generazione fu così. Essendo promessa sua madre Maria a Giuseppe, prima di andare insieme, fu trovata avente nel grembo dallo Spirito Santo. 19 Giuseppe, suo marito, essendo giusto, e non volendola esporre, decise di rimandarla segretamente. 20 Mentre considerava queste cose, ecco l’angelo del Signore in sogno gli apparve dicendo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere Maria tua moglie, infatti ciò che in lei è generato è dallo Spirito Santo: 21 partorirà un figlio, e chiamerai il suo nome Gesù, egli infatti salverà il suo popolo dai loro peccati». 22 Tutto questo è avvenuto affinché fosse compiuto il detto dal Signore per mezzo del profeta che dice: 23 «Ecco, la vergine avrà nel grembo, e partorirà un figlio, e chiameranno il suo nome Emmanuele, che è tradotto: “con noi Dio”». 24 Ora, ALZATO Giuseppe dal sonno, fece come gli ordinò l’angelo del Signore: prese sua moglie, 25 e non la conobbe, finché partorì un figlio e chiamò il suo nome Gesù. 2,1 Gesù generato in Betlemme di Giudea nei giorni del re Erode, ecco dei magi dall’Oriente si presentarono a Gerusalemme 2 dicendo: «Dov’è il partorito re dei Giudei? Infatti, abbiamo visto il suo astro nel suo sorgere e siamo venuti PER PROSTRARCI A LUI». 3 Avendo ascoltato il re Erode fu sconvolto e tutta Gerusalemme con lui. 4 E avendo-convocato tutti gli alti sacerdoti e gli scribi del popolo indagava da loro: «Dove è-generato il Messia?» 5 Quelli allora gli dissero: «In Betlemme di Giudea. Così infatti è scritto per mezzo del profeta: 6 “E tu Betlemme terra di Giuda, non sei affatto l’ultimo tra i principi di Giuda. Da te infatti verrà-fuori un capo che pascerà il mio popolo ISRAELE”». 7 Allora Erode avendo chiamato segretamente i magi, si accertò da loro il tempo dell’astro apparso, 8 e avendoli mandati a Betlemme disse: «Partiti, ricercate accuratamente sul . Qualora poi lo trovaste, annunciatelo a me, così anch’io venendo MI PROSTRI A LUI». 9 Quelli allora, avendo ascoltato il re, partirono. Ed ecco l’astro che videro nel suo sorgere li precedeva, finché giunto si fermò sul luogo in cui era . 10 Avendo visto l’astro provarono una gioia immensa. 11 Ed essendo entrati nella casa, videro con Maria sua madre e cadendo SI PROSTRARONO A LUI; avendo aperto i loro scrigni GLI OFFRIRONO DONI: oro, incenso e mirra. 12 Avvertiti in sogno di non ritornare da Erode, per un’altra via si ritirarono verso il loro paese. Essendosi ritirati quelli, ecco l’angelo del Signore appare in sogno a Giuseppe dicendo: «ALZATO, prendi e sua madre, e fuggi verso l’Egitto, e resta là fino a quando ti dirò. Infatti, Erode intende cercare per ucciderlo». 14 Quello allora ALZATO, prese e sua madre, di notte, e si ritirò verso l’Egitto, 15 ed era là fino alla fine di Erode. Era affinché fosse compiuto il detto dal Signore per mezzo del profeta che dice: «Dall’Egitto chiamai il Figlio mio». 16 Allora Erode vedendo che fu ingannato dai magi, si adirò grandemente, e avendo mandato, massacrò tutti i bambini, quelli in Betlemme e quelli in tutti i suoi confini, dai due anni in giù, secondo il tempo che si era accertato dai magi. 17 Allora fu compiuto il detto per mezzo di Geremia il profeta che dice: 18 «Una voce in Rama è ascoltata, pianto e lamento grande: era Rachele che piange i suoi figlioli, e non voleva essere consolata poiché non sono più». 19 Finito poi Erode, ecco l’angelo del Signore appare in sogno a Giuseppe in Egitto 20 dicendo: «ALZATO, prendi e sua madre, e va’ verso la terra di Israele: sono morti infatti quelli che cercavano la vita del ». 21 Quello allora ALZATO, prese e sua madre, e si inoltrò nella terra di Israele. 22 Ma udito che Archelao regnava sulla Giudea al posto di suo padre Erode, ebbe timore di andare là. Avvertito poi in sogno, si ritirò verso le parti della Galilea, 23 e venne ad abitare nella città detta Nazareth, cosicché fosse compiuto il detto per mezzo dei profeti: «Nazoreo sarà-chiamato». 13

La sezione A (1,18–9,38)

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SEQUENZA A9 (8,1-17) 8,1 Scendendo lui dal monte lo seguivano molte folle. 2 Ed ecco, un lebbroso avvicinandosi SI PROSTRAVA A LUI dicendo: «Signore, qualora tu voglia, puoi purificarmi».3 E stendendo la mano lo toccò dicendo: «Voglio, sii purificato»; e subito fu purificata la sua lebbra. 4 E dice a lui Gesù: «Vedi a nessuno di dirlo, ma va’ mostra te stesso al sacerdote e OFFRI IL DONO che ordinò Mosè, come testimonianza per loro». Entrando lui in Cafarnao gli si avvicinò un centurione supplicandolo 6 e dicendo: «Signore giace nella casa paralitico, terribilmente tormentato». 7 E dice a lui: «Io venendo lo curerò?». 8 E rispondendo il centurione disse: «Signore, non sono degno a che sotto il mio tetto entri, ma solo di’ una parola e sarà guarito . 9 E infatti io sono uomo sotto un’autorità, avendo sotto di me soldati, e dico a questo: “Va’”, e va, e a un altro: “Vieni”, e viene, e al mio schiavo: “Fa’ questo”, e lo fa». 10 Ascoltando Gesù si-meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «Amen, io vi dico: presso nessuno tanta fede in ISRAELE trovai. 11 Dico a voi che molti da Oriente e Occidente saranno giunti e siederanno-a-mensa con Abramo e Isacco e Giacobbe nel Regno dei cieli, 12 ma i figli del Regno saranno scacciati nella tenebra esteriore; là sarà il pianto e lo stridore di denti». 13 E disse Gesù al centurione: «Va’, come credesti avvenga a te. E fuguarito in quell’ora». 5

E andando Gesù nella casa di Pietro vide la sua suocera giacente e febbricitante. mano, e la lasciò la febbre e FU RIALZATA e lo serviva. 14

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E toccò la sua

Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati; e scacciò gli spiriti con parola e tutti quelli che stavano male curò, 17 cosicché si compisse la parola detta per mezzo di Isaia profeta che dice: «Lui stesso le infermità nostre prese e le malattie portò». 16

 il termine «servo» (gr. ho pais, 8,6.8.13) nel passo centrale di A9 risponde al termine «il bambino» (gr. to paidion) nel passo centrale di A1, ma anche nell’ultima sottosequenza (2,8.9.11; 2,13bis.14.20bis.21);  tra il passo centrale di A9 e l’ultima sottosequenza di A1 si nota la corrispondenza tematica tra l’espressione «là sarà pianto e stridore di denti» (8,12) riferito ai «figli del Regno», e il «pianto e lamento grande» di Rachele (2,18) per la morte dei «suoi figlioli». Complessivamente, nei passi centrali l’accento è posto sulla relazione del Messia con esponenti delle Nazioni (i magi e il centurione), mentre nei passi estremi Gesù è in relazione con la storia di Israele o con personaggi particolari del suo popolo15. Infatti, i «magi» per primi vengono «dall’Oriente» (2,1) per adorare il Messia, come i «molti» a cui Gesù si riferisce nel futuro «da Oriente e da Occidente» entreranno nel «Regno dei Cieli» (8,11). Ancora, è un pagano a riconoscere l’autorità di Gesù (cfr. 8,9), come la Scrittura lo designa al centro della sequenza A1 (il gr. hēgoumenos, «capo» in 2,6). Nei passi estremi di A1, invece, Gesù ripercorre la storia del suo popolo, condividendone appieno le vicissitudini (in particolare l’esilio e la Pasqua). Inoltre, all’inizio di A1, l’angelo lo indica come colui che «salverà il suo popolo dai loro peccati» (1,21), mentre alla fine la Scrittura lo indica come «Nazoreo» consacrato per la salvezza di 15

Il termine «Israele» appare in 2,20.21 e significativamente in 2,6 e 8,10 (opposti, al centro).

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Israele (2,23). Nei passi estremi della sequenza A9, Gesù purifica un lebbroso (8,3)16 e guarisce una donna del popolo (la suocera di Pietro). Anche nella conclusione finale, le guarigioni di «molti» altri malati e indemoniati che vengono portati a Gesù (8,14-16) avvengono, secondo l’evangelista, per compiere la profezia del Servo sofferente: egli infatti si sarebbe fatto carico delle «sofferenze e malattie» del popolo («nostre» in 8,17). Così, le prime parole dell’angelo (1,21) e quelle conclusive della Scrittura (8,17) sulla missione di Gesù creano un richiamo simmetrico tra le due unità (termini estremi)17. 2.2 RAPPORTI TRA LE SEQUENZE CENTRALI (A2 E A10) Il rapporto logico costitutivo di queste due sequenze centrali, differenti nella loro costituzione e lunghezza18, è quello della preparazione-compimento che s’intesse tra l’operato e la figura di Giovanni e quella di Gesù. Lo si deve notare, in particolare, nel confronto tra i passi posti al centro delle unità. SEQUENZA A2 (3,1-12) 3,1 In quei giorni appare GIOVANNI IL BATTISTA predicando nel deserto della Giudea 2 e dicendo: «Convertitevi: si è avvicinato infatti il Regno dei Cieli». 3 Questo infatti è il detto per mezzo del profeta Isaia che dice: «Una voce che grida nel deserto: preparate la via del Signore, fate diritti i suoi sentieri». Ora lui, GIOVANNI, aveva e la cinta fatta di pelle attorno alla sua vita; il suo cibo erano locuste e miele selvatico. 5 Allora si recavano da lui Gerusalemme e tutta la Giudea e tutto il circondario del Giordano, 6 ed erano battezzati da lui nel fiume Giordano CONFESSANDO I LORO PECCATI. 4

Vedendo molti dei Farisei e dei Sadducei venire al suo battesimo disse loro: «Prole di vipere, chi vi ha avvertiti di FUGGIRE DALL’IRA IMMINENTE? 8 Allora fate un frutto degno della conversione. 9 E non pensate di dire in voi stessi: “Abbiamo (per) padre Abramo!” Infatti, vi dico che Dio può da queste pietre alzare figlioli ad Abramo. 10 Ecco l’ascia presso la radice degli alberi è deposta: perciò ogni albero che non fa un frutto buono è tagliato e nel fuoco è gettato. 11 Io vi battezzo in acqua per la conversione, quello che viene dietro di me è più forte di me, di lui non sono degno di togliere i sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 12 Di lui il ventilabro è nella sua mano, e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel magazzino, ma la pula brucerà al fuoco inestinguibile. 7

16 La guarigione del lebbroso potrebbe perciò essere ritenuta come una prima forma di compimento delle parole dell’angelo: salvezza dal peccato e purificazione dalla lebbra sono, infatti, azioni liberatrici di prerogativa divina. Secondo la legislazione mosaica, il colpito da lebbra era escluso dalla comunione con Dio nel culto ed emarginato dal popolo (cfr. Lv 13–14). 17 Non mancano altre ricorrenze: il participio «alzato» (1,24; 2,13.14.20.21) riferito a Giuseppe in A1, «fu rialzata» (8,15) è riferito invece alla suocera di Simone in A9; la particella «ecco» (gr. idou) appare in 1,20.23; 2,1 e 8,2; infine, «nella casa» appare in 2,11 e in 8,6, mentre in 8,14 si tratta della «casa di Pietro», da cui scaturirà l’assemblea del nuovo popolo (cfr. 16,18). 18 Sebbene entrambe di natura concentrica, la sequenza A2 consta di tre passi, piuttosto brevi, mentre la sequenza A10 di ben sette passi ordinati in tre sottosequenze (ma con un solo passo nella sottosequenza centrale).

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SEQUENZA A10 (8,18–9,17) 8,18 Ora, vedendo Gesù folla intorno a sé ordinò di andare alla riva opposta. 19 E avvicinandosi uno scriba gli disse: «Maestro, seguirò te dovunque tu vada». 20 E dice a lui Gesù: «Le volpi hanno tane e gli uccelli del cielo nidi, il Figlio dell’uomo però non ha dove posare la testa». 21 Un altro poi dei discepoli [suoi] gli disse: «Signore, permettimi prima di andare e seppellire mio padre». 22 Gesù gli dice: «Segui me e lascia i morti seppellire i loro morti». 23 E salendo egli sulla barca, lo seguirono i suoi discepoli. Ed ecco, una tempesta grande avvenne nel mare, tanto che la barca era avvolta dalle onde, ma lui dormiva. 25 E avvicinatisi lo destarono dicendo: «Signore, salvaci, moriamo!». 26 E dice a loro: «Perché siete paurosi, pochi di fede?». Allora destatosi rimproverò i venti e il mare, e ci fu grande bonaccia. 27 Gli uomini si stupirono dicendo: «Di-che-natura è costui poiché anche i venti e il mare a lui obbediscono?». 24

E giungendo egli alla riva opposta, nella regione dei Gadarèni, andarono incontro a lui due indemoniati uscendo dai sepolcri, talmente pericolosi, che nessuno poteva passare per quella strada. 29 Ed ecco urlarono dicendo: «Che cosa fra noi e te, Figlio di Dio? Venisti qui prima del tempo stabilito a tormentarci?». 30 Ora, c’era lontano da loro una mandria di molti porci che pascolavano. 31 I demoni lo supplicarono dicendogli: «Se ci scacci, mandaci nella mandria dei porci». 32 E disse a loro: «Andate». E quelli, uscendo, se ne andarono nei porci; ed ecco tutta la mandria precipitò giù per il precipizio fino al mare e morirono nelle acque. 33 I mandriani fuggirono, e andati nella città annunciarono tutto e il fatto degli indemoniati. 34 Ed ecco tutta la città uscì incontro a Gesù e vedendo lo supplicarono che andasse via dai loro confini. 28

9,1 E salito sulla barca passò all’altra riva e venne nella propria città. 2 Ed ecco, gli portarono un paralitico su un lettuccio posto-a-giacere. E vedendo Gesù la loro fede disse al paralitico: «CORAGGIO, FIGLIO, SONO-PERDONATI I TUOI PECCATI». 3 Ed ecco, alcuni degli scribi dissero in se stessi: «Costui bestemmia!». 4 E vedendo Gesù i pensieri loro disse: «Perché pensate cose malvage nei vostri cuori? Cosa infatti è più facile, dire: “SONO-PERDONATI I TUOI PECCATI”, o dire: “Alzati e cammina?”. 6 AFFINCHÉ PERÒ SAPPIATE CHE IL FIGLIO DELL’UOMO SULLA TERRA HA AUTORITÀ DI PERDONARE PECCATI – allora dice al paralitico – : Alzato, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua!». 7 E alzato andò via a casa sua. 8 Vedendo le folle furono intimorite e glorificarono Dio che dà autorità tale agli uomini. 9,9 E passando Gesù di là vide un uomo seduto al telonio, chiamato Matteo, e dice a lui: «Segui me!». Ed alzatosi lo seguì. E avvenne, mentre lui stava a mensa nella casa, ecco venuti molti pubblicani e peccatori, stavano a mensa con Gesù e i suoi discepoli. 11 E vedendo i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché con i pubblicani e i peccatori mangia il vostro maestro?». 12 Egli sentendo disse: «Non hanno bisogno i sani di medico ma quelli che stanno male. 13 Andando ora imparate che cosa sia: “Misericordia voglio e non sacrificio”; non venni infatti a chiamare giusti ma peccatori». 10

Allora si avvicinano a lui I DISCEPOLI DI GIOVANNI dicendo: «Perché noi e i farisei digiuniamo [molto], ma i tuoi discepoli non digiunano?». 15 E disse loro Gesù: «Possono forse gli amici dello sposo essere in lutto per quanto con loro è lo sposo? Verranno però giorni quando sarà strappato da loro lo sposo, e allora digiuneranno. 16 Ora nessuno cuce una pezza di stoffa grezza su ; strappa infatti il riempimento suo dal vestito e peggiore squarcio avviene. 17 Né versano vino nuovo in otri vecchi; se no, si squarciano gli otri e il vino si versa e gli otri vanno perduti; ma versano vino nuovo in otri nuovi, e ambedue si conservano». 14

I CENTRI Nel passo centrale di A2, quelli che si recavano da Giovanni «erano battezzati da lui nel fiume Giordano confessando i loro peccati» (3,6). Ora, nel passo

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centrale della sequenza A10, Gesù è visto effettivamente concedere il perdono dei peccati all’uomo paralitico, portando a compimento quanto iniziato da Giovanni, e inaugurando così la Nuova Alleanza (cfr. Ger 31,33-34): «Sonoperdonati i tuoi peccati» (due volte in 9,2.5). L’avvenuta remissione è suggellata con un’espressione molto chiara che punta interamente al ruolo di Gesù: «il Figlio dell’uomo sulla terra ha autorità di perdonare i peccati» (9,6). Ora, il perdono concesso sulla terra si oppone a «l’ira imminente» (3,7) con cui Giovanni identificava in un primo momento il tempo messianico. Perciò, se Giovanni chiama a un battesimo di conversione in preparazione di un futuro escatologico incerto, il ministero di Gesù già lo realizza, ma nella misericordia19. ESTREMITÀ E CENTRI  La veste profetica di Giovanni (cfr. 2Re 1,8; Zc 13,4), «veste di peli di cammello» (3,4), risponde al «vestito vecchio» (9,16) su cui non è possibile applicare totalmente la novità portata da Gesù20.  Mentre da Giovanni, in senso generale, «si recavano Gerusalemme, tutta la Giudea e tutto il circondario del Giordano» (3,5), la sequela di Gesù è presentata in termini di totale radicalità: allo scriba che gli chiede di «seguirlo dovunque vada» (8,19), il Messia presenta le esigenze poco accomodanti del Regno; lui stesso chiederà a uno dei suoi discepoli di «seguirlo», «lasciando che i morti seppelliscano i loro morti» (8,22), come a «Matteo», che «alzatosi» lo seguirà lasciando il «telonio» (9,9)21. SIMMETRIE PARZIALI: TERMINI FINALI Non mancano altri aspetti formali e tematici:  Giovanni si proclama «indegno di togliere i sandali» al veniente Messia (3,11)22, mentre Gesù definisce i suoi discepoli (in opposizione ai «discepoli di 19

A queste corrispondenze formali, sempre nel campo semantico del perdono-salvezza, è possibile anche aggiungere, nelle sottosequenze estreme di A10, le espressioni affini in 8,25: «Signore, salvaci, moriamo!», sulla bocca dei discepoli, e la più adeguata espressione di Gesù in 9,13: «non venni infatti a chiamare giusti, ma peccatori», preceduta dalla citazione di Os 6,6. 20 Nell’enigma di Gesù (9,16-17) mentre si fa menzione degli «otri nuovi», non si parla che del «vestito vecchio» per identificare la vecchia alleanza, che Giovanni porta a compimento. Nella visione complessiva del Vangelo, infatti, Giovanni è «l’Elia che deve venire» (cfr. 17,10). Con lui allora termina il tempo profetico per introdursi nel tempo apocalittico della rivelazione del Regno: «le vesti candide come la luce» o «bianche come la neve» di cui è ricoperto Gesù nell’episodio della Trasfigurazione (17,2), o l’angelo alla tomba (28,3) sono il corrispettivo, si potrebbe presumere, del vestito nuovo di chi entra nel Regno di Dio e nella novità evangelica. 21 Il verbo akoloutheō segna i primi passi delle sottosequenze estreme di A10: «seguirò te» (8,19); «Segui me» (8,22 e poi 9,9 in riferimento a «Matteo»); e infine «lo seguirono i suoi discepoli» (8,23) e «lo seguì» (9,9 sempre in riferimento a «Matteo»). 22 Il rito dello scalzamento avveniva per il diritto di riscatto o la legge del levirato (Dt 25,7-10 e Rt 4,7-10): in questo modo Giovanni riconosceva Gesù come il vero proprietario di Israele e il vero Sposo messianico del popolo di Dio (cfr. nt. 9).

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Giovanni», che appaiono solo in questa sequenza, in 9,14)23 «gli amici dello sposo»24, che non possono digiunare se «con loro è lo Sposo» (9,15);  Alla fine delle due sequenze sono poste delle controversie: del Battista con «molti dei farisei e dei sadducei» che vedeva venire al suo battesimo di conversione (3,7) in A2, e di Gesù con «i farisei» in 9,11 e con «i discepoli di Giovanni» in 9,14 alla fine della sequenza A10, oltre a quella già citata con «alcuni degli scribi» nel passo centrale25. 2.3 RAPPORTI TRA LE SEQUENZE FINALI (A3 E A11) SIMMETRIE DI APERTURA E CHIUSURA  Nel primo passo di A3 Gesù è chiamato dalla voce al momento del Battesimo: «il Figlio mio» (3,17); così, nel primo passo di A11 il termine «figlia», al femminile, appare due volte: sulle labbra di «un capo» («la figlia mia» in 9,18), e su quelle di Gesù stesso nei riguardi della donna emorroissa («Coraggio figlia», in 9,22)26.  Le espressioni finali già evidenziate in 4,23 e 9,35 (i due sommari).  Le espressioni: «e usciva-via la sua fama verso l’intera Siria» (kai apēlthen hē akoē autou eis holēn tēn Syrian, in 4,24) nell’ultimo passo di A3, come: «e uscì questa notizia in tutto quel territorio» (kai exēlthen hē phēmē hautē eis holēn tēn gēn ekeinēn, in 9,26) con cui si chiude il primo passo di A11, sono pressoché identiche27: si tratta di termini medi a distanza.  Le «folle» (4,25 e 9,33.36) sono termini finali con cui si chiudono entrambe le sequenze. RIFERIMENTI INCROCIATI Un cambio brusco di corrispondenze logiche avviene negli ultimi due passi delle sequenze. Tali passi non si corrispondono più in maniera parallela (in sinossi) ma speculare (ogni passo centrale con il finale della sequenza opposta).

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In questo modo, il nome di «Giovanni» appare perfettamente solo nelle sequenze centrali dell’intera sezione (3,1.4 e qui, in 9,14 riferito ai suoi discepoli). 24 Il greco hoi hyioi tou nymphōnos, richiama il semitismo «i figli della sala di nozze». 25 Altre ricorrenze: il battesimo «in acqua» (3,11) e la morte dei porci «nelle acque» (8,32); così, anche la corrispondenza tematica tra la presunzione dei Farisei e dei Sadducei che accorrono al battesimo di Giovanni supponendo di avere «Abramo come Padre» (3,9) e il modo in cui Gesù definisce rimproverandoli i suoi discepoli durante la tempesta, «pochi di fede» (8,26). 26 In realtà, in greco il termine hyios e thygatēr hanno solo significato corrispondente (e perciò significante differente). Strette identità di termini si hanno tra il primo passo di A11 e il secondo passo di A3: il verbo «vivrà» (per entrambi il gr. zēsetai 4,4 e 9,18), come il verbo «prostrarsi» (proskyneō in 4,9.10 e 9,18). Nei passi centrali appare rispettivamente «Figlio di Dio» (4,3.6) e «Figlio di Davide» (9,27). 27 Si deve aggiungere, in 9,31, l’espressione finale del passo centrale: «diedero-notizia di lui (gr. diephēmisan auton) in tutto quel territorio».

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SEQUENZA A3 (3,13–4,25) 3,13 Allora appare Gesù dalla Galilea al Giordano da Giovanni per essere battezzato da lui. 14 Però Giovanni lo ostacolava dicendo: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?».15 Rispondendo allora Gesù gli disse: «Lascia per ora: così infatti è conveniente per noi compiere ogni giustizia». Allora lo lasciò. 16 Battezzato Gesù, subito salì dall’acqua. Ed ecco, gli furono aperti i cieli, e vide lo Spirito di Dio discendente come una colomba e veniente su di lui. 17 Ed ecco, una voce dai cieli che diceva: «Questi è IL FIGLIO MIO, l’Amato, in cui ho compiaciuto». 4,1 Allora Gesù fu condotto verso il deserto dallo Spirito per essere tentato dal DIAVOLO. 2 E avendo digiunato per quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3 E avvicinatosi, il tentatore gli disse: «Se sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4 Rispondendo, disse: «È stato scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni detto uscito dalla bocca di Dio”». 5 Allora IL DIAVOLO lo porta con sé verso la Città Santa, e lo pose sul punto più alto del Tempio. 6 E dice a lui: «Se sei Figlio di Dio, getta te stesso giù! È stato scritto infatti: “Agli angeli suoi comanderà per te e sulle loro mani ti solleveranno, perché non inciampi sulla pietra il tuo piede”». 7 Affermò a lui Gesù: «Ancora è stato scritto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». 8 Ancora IL DIAVOLO lo porta con sé verso un monte molto alto e gli mostra ogni regno del mondo e la loro gloria. 9 E gli disse: Ognuna di queste cose ti darò, se cadendo ti prostrerai a me». 10 Allora Gesù gli dice: «Vai via, Satana! È stato scritto infatti: “Al Signore tuo Dio ti prostrerai, e a lui solo renderai servizio”». 11 Allora IL DIAVOLO lo lascia. Ed ecco, degli angeli si avvicinarono e lo servivano. Avendo ascoltato poi che Giovanni fu consegnato, si ritirò verso la Galilea. 13 E avendo lasciato Nazareth, andò a dimorare a Cafarnao, vicino al mare, nei territori di Zàbulon e di Nèftali, 14 affinché fosse compiuto ciò che è detto per mezzo del profeta Isaia che dice: 15 «Terra di Zàbulon, e terra di Nèftali, per la via del mare oltre il Giordano, Galilea delle Nazioni! 16 Il popolo che abita nella tenebra vide una grande luce, e per gli abitanti in regione e ombra di morte una luce si è levata». 12

Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi! Si è avvicinato infatti il Regno dei cieli». 18 Camminando poi lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, detto Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete circolare in mare: erano infatti pescatori. 19 E dice loro: «Venite dietro di me, e vi farò pescatori di uomini». 20 Quelli allora, subito, avendo lasciato le reti, lo seguirono. 21 Essendo avanzato da lì, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, nella barca con Zebedeo loro padre, che riparavano le loro reti. E li chiamò. 22 Quelli allora, subito, avendo lasciato la barca e il loro padre, lo seguirono. 23 E GIRAVA IN INTERA LA GALILEA INSEGNANDO NELLE LORO SINAGOGHE, PREDICANDO IL VANGELO DEL REGNO E CURANDO OGNI MALATTIA E OGNI DEBOLEZZA NEL POPOLO. 17

24 . E gli presentarono quelli che stavano male, quanti erano afflitti da varie malattie e tormenti: indemoniati, epilettici, paralitici, e li curò. 25 E lo seguirono MOLTE FOLLE: dalla Galilea e dalla Decàpoli, da Gerusalemme e dalla Giudea, e oltre il Giordano.

 Nel passo centrale di A3, Gesù è messo alla prova dal «diavolo» (4,1.5.8.11), mentre è nell’ultimo passo di A11 che Gesù scaccia «il demonio» (9,33) da un muto, opera diffidata dai farisei: «Per mezzo del capo dei demoni [cioè il diavolo] scaccia i demoni» (9,34).  Nel terzo passo di A3 «lo seguirono» (4,20.22) due coppie di fratelli: «Simone detto Pietro e Andrea» (4,18) e «Giacomo di Zebedeo e Giovanni» (4,21); nel passo centrale di A11 due ciechi «lo seguirono» (9,27).

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SEQUENZA A11 (9,18-38) 9,18 Mentre egli diceva loro queste cose, ecco un capo venendo si prostrava a lui dicendo: «LA FIGLIA MIA è appena finita; ma venendo imponi la tua mano su di lei, e vivrà». 19 E alzatosi Gesù lo seguì con i suoi discepoli. 20 Ed ecco, una donna emorroissa durante dodici anni avvicinandosi dietro toccò il lembo del suo mantello; 21 diceva infatti tra sé: «Se solo toccherò il suo mantello sarò salvata». 22 Ma Gesù voltandosi e vedendola disse: «CORAGGIO, FIGLIA; la tua fede ti ha salvato». E fu salvata la donna a partire da quell’ora. 23 E andando Gesù nella casa del capo e vedendo i flautisti e la folla agitata 24 diceva: «Andate via, infatti la ragazza non morì, ma dorme». E lo deridevano. 25 Quando fu mandata fuori la folla, entrando afferrò la sua mano, e fu rialzata la ragazza. 26 . E partendo di là Gesù [lo] seguirono due ciechi gridando e dicendo: «Abbi pietà di noi, Figlio di Davide». 28 Andando nella casa si avvicinarono a lui i ciechi, e dice loro Gesù: «Credete che posso questo fare?». Gli dicono: «Sì, Signore». 29 Allora toccò i loro occhi dicendo: «Secondo la vostra fede avvenga a voi». 30 E si aprirono loro gli occhi. E rimproverò loro Gesù dicendo: «Vedete che nessuno lo conosca». 31 Essi però uscendo, . 27

Essendo usciti loro, ecco portarono a lui un uomo muto indemoniato. 33 E mandato fuori IL DEMONIO parlò il muto. E si meravigliarono LE FOLLE dicendo: «Mai apparve così in Israele». 34 I farisei però dicevano: «Per mezzo del CAPO DEI DEMONI manda fuori I DEMONI». 32

E GIRAVA GESÙ TUTTE LE CITTÀ E I VILLAGGI INSEGNANDO NELLE LORO SINAGOGHE, PREDICANDO IL VANGELO DEL REGNO E CURANDO OGNI MALATTIA E OGNI DEBOLEZZA. 36 Vedendo LE FOLLE si commosse di loro, poiché 35

erano stanche e sfinite come pecore non aventi pastore. 37 Allora dice ai suoi discepoli: «La messe è molta, ma gli operai pochi. 38 Pregate dunque il Signore della messe affinché mandi fuori operai nella sua messe».

 Ancora nel terzo passo di A3 «il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce» (4,16); Così nel passo centrale di A11 ai due ciechi «si aprirono gli occhi» (9,30). Questo cambiamento retorico non deve destare stupore: si tratta del cosiddetto fenomeno di chiusura. Al termine di una particolare unità di significazione (un passo, una sequenza, o una sezione come in questo caso), è possibile notare un cambiamento nel testo o uno spostamento formale e logico28. 2.4 ALTRE SIMMETRIE PARZIALI E RELAZIONI COMPLESSIVE La coesione compositiva è garantita anche da simmetrie parziali che segnano le sottosezioni estreme complessivamente, mettendole in relazione29.  Come visto, la prima sottosezione si conclude con l’annotazione: «lo seguirono molte folle» (4,25); la medesima è fatta in apertura della terza: «scendendo 28

Per i fenomeni di chiusura: R. MEYNET, Trattato, 636-637. Assieme allo spostamento delle relazioni logiche e formali tra gli ultimi due passi, si potrà notare per questa altra serie di sequenze la stessa fenomenologia incontrata nella struttura delle prime sequenze A1 e A9: infatti A3 termina con una sottosequenza più lunga, formata di tre passi articolati da due rilegature, mentre A11 è chiusa da un passo finale, sommario dei precedenti. 29 «Non è raro, dunque, che uno stesso testo contenga più simmetrie parziali. In tal caso queste si rinforzano a vicenda. Thomas Boys lo faceva notare già nel 1825» (R. MEYNET, Trattato, 274).

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dal monte, lo seguirono molte folle» (8,1). Si tratta di espressioni che svolgono il ruolo di termini medi: agganciano così le sottosezioni tra loro e incorniciano il Discorso (5,1–7,29).  Così, sempre alla fine della prima sottosezione e nella prima sequenza della terza, appaiono due espressioni quasi identiche sull’attività di Gesù: «e gli portarono TUTTI QUELLI CHE STAVANO MALE, quanti erano afflitti da varie malattie e tormenti: indemoniati, epilettici e paralitici, e li CURÒ» (4,24), e: «gli portarono molti indemoniati, e scacciò gli spiriti con la parola e TUTTI QUELLI CHE STAVANO MALE CURÒ» (8,16).  Ancora un certo numero di termini medi: in 4,14 e in 8,17 appaiono due citazioni di compimento che fanno riferimento entrambe al «profeta Isaia»; esse si distinguono in greco solo per la preposizione subordinante hina in 4,14 e hopōs in 8,1730. Alla fine del passo delle tentazioni, nella prima sottosezione, gli angeli «lo servivano» (4,11), così come alla fine della prima sequenza della terza sottosezione la suocera di Pietro, guarita dalla febbre, «lo serviva» (8,15)31. L’espressione «nelle tenebre» (4,16) è riferito al popolo in A3, mentre «nelle tenebre esteriori» (8,12) è riferito ai figli del Regno che non accolgono il Vangelo in A9. Così, «il Regno dei cieli» appare sulla bocca di Gesù rispettivamente in 4,17 e 8,11.  Nelle sequenze centrali di ciascuna sottosezione (A2 e A10), due espressioni simili fungono da termini centrali: nell’ultimo passo di A2 «vedendo molti dei Farisei e dei Sadducei» (3,7), riferito a Giovanni, e nel primo passo di A10, «vedendo Gesù folla intorno a lui» (8,18).  Non mancano alcuni termini estremi: «figlio di Davide» appare all’inizio della prima sottosezione (1,20) riferito a Giuseppe, e alla fine della terza (9,27) sulla bocca dei due ciechi, evidentemente riferito a Gesù; sempre nel primo versante della prima sottosezione e in chiusura della terza, si trovano due espressioni complementari, «da te infatti uscirà un capo che pascerà (verbo gr. poimanei) il mio popolo» (2,6), e: «vedendo le folle si commosse di loro, poiché erano stanche e sfinite come pecore non aventi pastore (sostantivo gr. poimena)» (9,36). Nel complesso, non mancano anche alcune ripetizioni di termini32: il verbo «alzarsi» (il verbo gr. egeirō 1,24; 2,13.14.20.21; 8,15; 9,5.6.7.25, poi il verbo teologico gr. anistēmi in 9,9), il titolo «Figlio di Dio» (4,3.6; 8,29), il termine «Israele» (2,6.20.21; 8,10; 9,33), ma soprattutto termini che contraddistinguono il campo semantico della sequela: «venite dietro a me» (4,19), «lo seguirono» (4,20.22), «a quelli che lo seguivano» (8,10), «lo seguirono i suoi discepoli» 30 La congiunzione hopōs è utilizzata anche in 2,23 per un’altra citazione («cosicché fosse compiuto il detto per i profeti»): insieme a 8,17 si trovano pericò alla fine delle rispettive prime sequenze (A1 e A9). 31 Il referente del pronome oggetto è evidentemente Gesù. Il verbo utilizzato in entrambe le sottosezioni è il gr. diakoneō, nel tempo imperfetto (diēkonoun in 4,11 e diēkonei in 8,15). 32 Alcune di queste ricorrenze sono già state citate in nota nei paragrafi precedenti.

La sezione A (1,18–9,38)

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(8,23); «lo seguì» (9,9), «seguimi» (8,22; 9,9), «Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli» (9,19), «i due ciechi lo seguirono» (9,27) 33. 3. RAPPORTI DELLE SOTTOSEZIONI ESTREME CON LA CENTRALE (5,1–7,29) 3.1 RAPPORTI TRA LE SEQUENZE CENTRALI DELLA SEZIONE: LA CENTRALITÀ DEL PADRE NOSTRO (6,9-13) I centri delle due sequenze estreme rivelano una serie di relazioni formali e logiche con la sequenza centrale del Discorso della montagna (A6: 6,1-18). In primo luogo, emerge il tema della remissione dei peccati, fulcro dell’Alleanza Nuova portata dal Messia. Come già osservato, nella prima sottosezione il perdono è solo preparato nel battesimo di Giovanni attraverso la «confessione dei peccati» (3,6), ma è nella terza che Gesù esercita effettivamente la sua «autorità sulla terra di rimettere i peccati» (9,6, e precedentemente in 9,2.5). Nella sequenza centrale del Discorso della montagna (per essere precisi nella sottosequenza centrale di A6, perciò nel pieno centro di tutta la sezione), coloro che ascoltano sono invitati dal Messia al perdono: da chiedere anzitutto al Padre in quanto suoi figli («e rimetti a noi i nostri debiti», in 6,12), nella condizione di poterlo donare loro stessi «agli uomini» (6,14-15). Cosa degna di nota, se nelle sottosezioni estreme appare il termine «peccato» (gr. amartiai/amartias, al plurale in 3,6; 9,2.5.6), in quella centrale sono utilizzati dei termini sinonimi: «debiti» nella preghiera del Pater (gr. ta opheilēmata in 6,12) e «colpe» nel passo finale della sottosequenza (gr. ta paraptōmata in 6,14.15). Inoltre, è proprio nella sottosezione centrale e nella terza (perciò dopo la svolta centrale) che appare l’espressione «perdonare i peccati/le colpe» (6,14.15; 9,6 e al passivo in 9,2.5), mentre nella prima sottosezione il verbo utilizzato è «confessare» (3,6)34. Un’altra ricorrenza importante è quella riguardante il «digiuno». Il verbo greco nēsteuō appare alla fine della sequenza centrale del Discorso («quando digiunate» e il participio «digiunanti» in 6,16; «quando tu digiuni» in 6,17 e il participio «digiunante» in 6,18) e alla fine della sequenza centrale della terza sottosezione («digiuniamo» e «non digiunano» in 9,14; «digiuneranno», al futuro in 9,15). Nella sequenza centrale della prima sottosezione questa tematica è indicata solo implicitamente dalla dieta del Battista, ancora al centro della sequenza: «il suo cibo era locuste e miele selvatico» (3,4). Anche in questo caso, a livello logico, un cambiamento decisivo avviene tra la dieta giovannea (continuata evidentemente dai suoi «discepoli» in 9,14) e il nuovo atteggiamento degli «amici dello sposo» con la pratica del digiuno insegnata da Gesù (9,15). 33

Da notare, nella terza sottosezione questi termini si trovano nella sequenza centrale (A10), precisamente nelle sottosequenze estreme, e poi solo alla fine; nella prima si trovano, soltanto nell’ultima sequenza A3. 34 Mentre in 1,21 il termine «peccati» è collegato al verbo «salvare», nelle parole con cui l’angelo indica la futura missione di Gesù.

196

La composizione del Vangelo di Matteo A3 (3,1-12)

A6 (6,1-18)

A10 (8,18–9,17)

In quei giorni appare Giovanni il Battista predicando nel deserto della Giudea 2 dicendo: «Convertitevi: SI È

[…] 9 Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, 10 VENGA IL TUO REGNO, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. 11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano, 12 e rimetti a noi I NOSTRI DEBITI come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, 13 e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male. 14 Se voi infatti perdonerete agli altri LE LORO COLPE, il Padre vostro che è nei Cieli perdonerà anche a voi; 15 ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà LE VOSTRE COLPE.

[…] 2 Ed ecco portarono a lui un paralitico su un lettuccio posto-a-giacere. E vedendo Gesù la fede loro disse al paralitico: «Coraggio, figlio, sono-perdonati I 3 TUOI PECCATI». Ed ecco alcuni degli scribi dissero in se stessi: «Costui bestemmia!». 4 E vedendo Gesù i pensieri loro disse: «Perché pensate cose malvage nei vostri cuori? Cosa infatti è più facile, dire: “Sono-perdonati I TUOI PECCATI”, o dire: “Alzati e cammina?”. 6 Affinché però sappiate che il Figlio dell’uomo sulla terra HA AUTORITÀ di perdonare PECCATI – allora dice al paralitico: Alzato, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua!». 7 E alzato, andò via a casa sua. 8 Vedendo le folle furono intimorite e glorificarono Dio che dà autorità tale agli uomini. […] 14 Allora si avvicinano a lui i discepoli di Giovanni dicendo: «Perché noi e i farisei DIGIUNIAMO [molto], ma i tuoi discepoli NON 15 DIGIUNANO?». E disse loro Gesù: «Possono forse gli amici dello sposo essere-inlutto per quanto con loro è lo sposo? Verranno però giorni quando saràstrappato da loro lo sposo, e allora DIGIUNERANNO. […]

1

AVVICINATO INFATTI IL REGNO DEI CIELI».

[…] 4 Ora lui, Giovanni, aveva la sua veste di peli di cammello e la cinta fatta di pelle attorno alla sua vita; IL SUO CIBO erano locuste e miele selvatico. 5 Allora si recavano da lui Gerusalemme e tutta la Giudea e tutto il circondario del Giordano, 6 ed erano battezzati da lui nel fiume Giordano confessando I LORO PECCATI. […]

16

E quando DIGIUNATE, non diventate malinconici come gli ipocriti: sfigurano infatti i loro volti affinché appaiano agli uomini DIGIUNANTI. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 17 Invece, quando tu DIGIUNI, profumati la testa e làvati il volto, 18 affinché tu non appaia agli uomini DIGIUNANTE, ma al Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

La sezione A (1,18–9,38)

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Ancora, all’inizio della sequenza centrale della prima sottosezione, il motivo per cui Giovanni annuncia la conversione è che «si è avvicinato il Regno dei Cieli» (3,2): ora, una delle prime richieste fatte a Dio nella preghiera insegnata da Gesù è proprio che «venga il suo Regno» (6,10)35. Nella sequenza centrale della terza sottosezione, invece, non sembrerebbe esserci alcun riferimento esplicito al «Regno di Dio». E tuttavia, il fatto che Gesù riservi per «il Figlio dell’Uomo» l’«autorità sulla terra di rimettere peccati» lo presuppone chiaramente (9,6)36. La centralità del Padre Nostro è evidenziata con maggiore intensità anche da alcune ricorrenze lessicali e logiche particolari, disseminate nei passi delle sottosezioni estreme, legandole così al passo centrale dell’intera sezione: «Padre Nostro»:

«padre Abramo» (3,9); «il loro padre» (4,21.22); «mio padre» (8,21); nella sottosezione centrale: 5,16.45.48; 6,1.4.6bis.8.14.15.18bis.26.32; 7,11.21

«che sei nei cieli»:

«gli furono aperti i cieli» (3,16); «una voce dai cieli» (3,17); «dei cieli» (genitivo in 3,2; 4,17; 8,11; nella sottosezione centrale: 5,3.10.12.16.19bis.20.45; 6,1; 7,11.21bis); in 6,14 l’espressione «il Padre celeste»

«sia santificato Nome»:

il

tuo

«venga il tuo Regno»:

«sia fatta la tua volontà»:

«chiamerai il (1,21.23.25)

suo

nome

Gesù/Emmanuele»

«il Regno» (3,2; 4,17; 8,11.12; nella sottosezione centrale: 5,3.10.19bis.20; 6,10.33; 7,21); «vangelo del Regno» (4,23; 9,35) «compiere ogni giustizia» (3,15); la sezione A è anche la più ricca di citazioni di compimento (1,22: 2,15.17.23; 4,14; 8,17): in esse è mostrato come la volontà di Dio contenuta nelle Scritture si realizza effettivamente nella vicenda di Gesù

«da’ a noi il nostro pane quotidiano»:

«pani» (4,3); «non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni detto uscito dalla bocca di Dio» (4,4)

«rimetti a noi i nostri debiti»:

«egli infatti salverà il suo popolo dai loro peccati»

35 In 3,2 il verbo greco è engizō, «avvicinarsi, approcciarsi», mentre in 6,10 l’imperativo aoristo proviene dal verbo erchomai. 36 Inoltre, nel terzo e nel quarto passo della sequenza centrale A10, Gesù compie delle azioni evidentemente legate all’avvento del Regno: la signoria sulla creazione (la tempesta sedata in 8,27: «Chi è questo che sia i venti, sia il mare gli obbediscono?») e sulle potenze del male (gli indemoniati Gadarèni in 8,29: «Cosa tra noi e te, Figlio di Dio? Venisti qui prima del tempo per tormentarci?»); nel settimo e nell’ottavo passo Gesù si definisce rispettivamente il «Medico» (9,12) e lo «Sposo» (9,15-16), due caratteristiche enfatizzate dalla letteratura profetica a proposito dell’avvento escatologico della regalità di Yhwh per il suo popolo (cfr. a riguardo: Is 57,14-19; Ger 30,8-24; Os 14,2-9 per l’immagine di Dio-Medico e Is 62,1-9 ed Os 2,16-25 per l’immagine di Yhwh-Sposo).

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La composizione del Vangelo di Matteo (1,21); «non sono venuto a chiamare giusti ma peccatori» (9,13), [oltre alle corrispondenze già citate tra i centri]

«non lasciarci entrare nella tentazione»:

in particolare: l’intero passo delle tentazioni nel deserto (4,1-11);

«ma liberaci dal male»:

in particolare: due episodi di esorcismo (8,28-34 e 9,32-34); il termine «indemoniati» (4,24; 8,16)

3.2 UNA PARTICOLARITÀ DELLA SEZIONE: «COMPIERE LEGGE E PROFETI» (5,17) Due logia particolari di Gesù sono posti rispettivamente all’inizio della seconda sequenza e alla fine della quarta sequenza del Discorso della montagna, richiamandosi a vicenda come termini estremi dell’unità di riferimento: 5,17

«Non crediate che io venni per abolire la Legge e i Profeti: non venni per abolire ma per compiere»

7,12

«Dunque tutte le cose che volete che vi facciano gli uomini, così anche voi fate a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti»

Alla luce di questi due richiami essenziali, e soprattutto dell’intero contenuto (cfr. la tavola a p. 184), il Discorso della montagna si presenta decisamente come discorso di compimento della Torah e dei Profeti, e Gesù come il suo interprete escatologico definitivo37. Nelle sottosezioni estreme si susseguono sei citazioni di compimento (sei delle dieci che solcano l’intero Libro: cfr. poi 12,17-21; 13,35; 21,4-5; 27,9) in cui compare il medesimo verbo greco plēroō38 di 5,17. Nella prima sottosezione, già 37

Per la tematica si rimanda a due approfondimenti monografici: M. GRILLI, Il Discorso della montagna; e: W.D. DAVIES, Capire il sermone sul monte. Le parole di Grilli chiariscono bene la risposta alla questione se sia esatto considerare il Discorso della Nuova Alleanza come una «nuova Torah» (e di conseguenza Gesù come un «Nuovo Mosè») che abroga la prima, o piuttosto come il suo compimento interpretativo definitivo: «É infondata pertanto la visuale che scorge nel Vangelo di Matteo un'impostazione da "Nuova Torah" o in Gesù il "nuovo Mosè" o nel monte delle beatitudini un "secondo Sinai", quasi che avessimo a che fare con una sostituzione o una correzione dell'antico. Matteo ha attinto dalla rivelazione antica e dalla nuova. La tradizione non è annullata, ma - con l'avvento di Gesù Messia - qualcosa di veramente nuovo è accaduto: la Torah antica ha trovato il suo interprete escatologico, che rivela l'originaria volontà di Dio nelle sue esigenze originarie e radicali. In questo senso la Torah non viene semplicemente riproposta, ma piuttosto inserita in un dinamismo storico-salvifico che vede nel momento presente "il compimento". Gesù è l'interprete escatologico della volontà di Dio, colui che ha la potestà di presentarsi asserendo: "Io vi dico". La vera novità del discorso rispetto al passato è dunque Gesù stesso» (M. GRILLI, Il Discorso della montagna, 181). 38 Il riferimento esplicito alle Scritture in questa sezione, non si esaurisce nelle sei citazioni di compimento: l’autore inserisce anche delle citazioni dirette come in 2,6 al centro della sequenza. Le citazioni di compimento, insieme ai riferimenti espliciti alla Scrittura non saranno più così numerosi nel resto del Vangelo: ciò costituisce perciò un elemento composizionale particolare della sezione A.

La sezione A (1,18–9,38)

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nella prima sequenza (A1), Gesù è generato dallo Spirito «perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta» (1,22-23 con la citazione di Is 7,14); nell’ultimo passo della prima sequenza, Giuseppe fugge in Egitto con «il bambino e sua madre» (2,14), «perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta» (2,15 con la citazione di Os 11,1). Così, alla strage dei bambini di Betlemme, l’evangelista sottolinea che «si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia» (2,17-18 con la citazione di Ger 31,15). In conclusione, della sequenza, Gesù va a vivere a Nazareth, «cosicché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti» (2,23). Sempre nella prima sottosezione, questa volta alla fine della terza sequenza A3, Gesù si stabilisce a Cafarnao, nel territorio di Zàbulon e Nèftali, «perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia» (4,14-16 con la citazione di Is 8,23–9,1). Nella terza sottosezione, invece, compare effettivamente una sola citazione di compimento, alla fine della prima sequenza (A9): «Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati, cosicché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia (8,16-17 con la citazione di Is 53,4). In realtà, la prima sezione del Vangelo non conosce solo questa modalità di riferimento alla Scrittura, di certo assolutamente significativa per indicare nella storia e nell’operato di Gesù il compimento risolutivo della Legge e dei Profeti39: altri riferimenti espliciti, o più indiretti fanno capolinea in tutte le sequenze delle sottosezioni estreme (2,6 nel passo centrale di A1; 3,3 nel primo passo di A2; 3,17 nel primo passo di A3 e 4,4.6.7.10 al centro di A3; 8,4 nel primo passo di A9; 9,13 al centro di A10; più allusivi 9,20 e 9,36 nei passi estremi di A11). Si prenderanno qui in esame quelli che non citano esplicitamente un passo del Vecchio Testamento40. Nel primo passo della terza sottosezione (A9) Gesù invia il lebbroso purificato dal «sacerdote», per «mostrarsi e offrire il dono che ordinò Mosè» (8,4), riferendosi perciò all’adempimento della prassi di Lv 13–14. In realtà, il passo si conclude con una motivazione di dubbia interpretazione: «per testimonianza per loro». Oltre alla crux interpretum sull’identificazione del pronome personale plurale («loro»: i sacerdoti o la gente che assiste alla purificazione del lebbroso), «la testimonianza» apre uno spazio interpretativo rilevante, dal momento che 39

Dice a riguardo Luz: «Se Matteo ha evidenziato, ovunque fosse possibile, con le formule di compimento citazioni bibliche che illuminavano eventi della storia di Gesù, e se lo ha fatto più di frequente nel prologo [per lui Mt 1–4], ciò significa che per lui l’idea del compimento dei profeti nella storia di Gesù ha un’importanza davvero fondamentale e programmatica […] Per Matteo πλερόω è importante anche al di fuori delle nostre citazioni: come Gesù ha “compiuto” con la sua vita le predizioni profetiche, così ha adempiuto la legge e i profeti anche per mezzo della sua totale ubbidienza (5,17; cfr. 3,15). Il compimento dell’intera Bibbia tramite la storia e l’operato di Gesù viene quindi sottolineato programmaticamente da Matteo» (Luz, I, 222-223). 40 In 2,6 «alti sacerdoti e scribi» nel palazzo di Erode citano Mi 5,1.3 (combinato con 2Sam 5,2); 3,3 cita Is 40,3; 3,17 sono le parole della «voce» al momento del Battesimo, che combina probabilmente tre testi insieme (Sal 2,7; Gen 22,2; Is 42,1); nel passo delle tentazioni sono citati Dt 8,3; Sal 91,11a.12; Dt 6,16.13); infine in 9,13 Gesù cita per gli avversari farisei Os 6,6.

200

La composizione del Vangelo di Matteo

potrebbe riferirsi tanto all’obbedienza di Gesù e del lebbroso a quanto prescritto da Mosè nel caso in cui il malato-emarginato fosse stato guarito, quanto al fatto sorprendente della guarigione stessa da parte del Messia. In questo ultimo senso, proprio purificando il lebbroso Gesù testimonia di portare a un compimento «superiore» (5,20; cfr. 5,17) la legislazione mosaica nella sua azione liberatrice, in quanto inviato divino41. Anche all’inizio dell’ultima sequenza della terza sottosezione (A11), il riferimento al «lembo del mantello» di Gesù (non presente in Mc 5,27), toccato dalla donna emorroissa (9,20), indicherebbe in maniera specifica la fedeltà e il compimento delle parole della Torah nella persona e nell’operato del Messia (compimento e fedeltà che diventano per la donna il punto di fede che la mette in relazione con Gesù stesso). Secondo il precetto in Nm 15,37-40, Yhwh ha indicato nell’abbigliamento del pio israelita il luogo in cui doveva risiedere il memoriale della Legge da compiere42: Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla agli Israeliti dicendo loro che si facciano, di generazione in generazione, una frangia ai lembi delle loro vesti e che mettano sulla frangia del lembo un cordone di porpora viola. Avrete tali frange e, quando le guarderete, vi ricorderete di tutti i comandi del Signore e li eseguirete; non andrete vagando dietro il vostro cuore e i vostri occhi, seguendo i quali vi prostituireste. Così vi ricorderete di tutti i miei comandi, li metterete in pratica e sarete santi per il vostro Dio»43.

A conclusione di questa stessa sequenza (9,36), Gesù «si commosse» al «vedere» le folle, chiedendo ai discepoli la preghiera perché «la messe è molta ma gli operai sono pochi» (9,37: la conclusione della sottosezione immette ad un nuovo punto di svolta dell’azione di Gesù, che chiamerà i «Dodici» a condividere la sua stessa missione in Mt 10). Ora, le folle che vanno a lui sono 41

Per alcune di queste questioni si veda: Davies – Allison, II, 16; Luz, II, 25-26. È forse problematico il fatto che Gesù abbia «toccato» il lebbroso (8,3), contraendo l’impurità cultuale (cfr. Lev 5,3). Il testo, in questa luce risulta allora rilevante anche nella questione del compimento che sarà sviluppata nel proseguo del Vangelo (in che modo Gesù compie la Torah?). 42 Questo riferimento è individuato in Mello, 171 e Fabris, 232, ma nessuno dei due punta alla questione del compimento dei comandamenti nell’operato di Gesù e all’incontro della fede della donna con la fedeltà del Messia alla Torah. In compenso, Mello fa notare l’enfasi dell’evangelista (al contrario di Mc 5,27 che parla solo del «suo mantello») nei confronti del «lembo» e la giustifica: «Solo in ambiente ebraico una tale precisione ha senso, perché si ha coscienza di cosa rappresentano le frange ai quattro angoli del mantello, ossia un memoriale dei comandi di Dio (Nm 15,37ss., che è il terzo brano dello Shema’)» (Mello, 171). 43 Sia in Mt 9,20-21, che in Nm 15,38-39 (LXX) il termine greco utilizzato per indicare «il lembo» o «le frange» è kraspedon. È particolare anche il fatto che sia la donna a «toccare» il lembo, mentre Gesù «vide lei»: in Nm 15 si tratta invece di «vedere» il lembo per ricordarsi della Legge ed eseguirla. Se il capovolgimento dei termini alla luce del loro contesto biblico fosse stato intenzionale, cosa avrebbe «visto» Gesù nella donna che ha toccato il lembo del suo mantello di pio israelita? Un richiamo a compiere i comandamenti nell’operare la piena liberazione della donna, per cui la reintegra con la parola dalla sua impurità? (cfr. 9,22) O nella fede riposta in Lui il compimento stesso dei comandamenti della Prima Alleanza?

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contemplate dal Messia di Israele «stanche e sfinite, come pecore non aventi pastore». Queste parole rievocano un elenco differenziato di luoghi biblici a cui potrebbero indirettamente alludere (Nm 27,15-17; 1R 22,17; 2Cr 18,6; Gdt 11,19; Sal 23; Ez 34)44. Per ora, sembra comunque fondamentale dirigersi anche in questo caso verso l’indirizzo del compimento. La figura del Pastore è evocata complessivamente nella Scrittura per indicare Dio, ma anche colui o coloro che in suo nome sono suscitati per pascere adeguatamente il popolo. In questo modo, un legame fondamentale è intessuto tra Dio, Gesù che nella sottosezione si è effettivamente mostrato pastore escatologico del popolo a cui è inviato, e coloro che saranno «mandati» in futuro per completare la sua opera45. Solo in questo ultimo caso, perciò, l’allusione al compimento della Scrittura in Gesù rimane sospesa e aperta al futuro, nella missione partecipata. Ricapitolando, il tema del compimento, con il suo riferimento a «Legge» e «Profeti», è manifestato interamente all’interno delle due sottosezioni che incorniciano il discorso46: A1 1,22-23 compie Is 7,14

A2 3,3 cita Is 40,3

A3 3,17 cita Sal 2,7/Gen 22,2 Is 42,1

2,5-6 cita Mic 5,1-3/2S 5,2 4,1-11 cita Dt 8,3; Sal 91,11a.12; Dt 6,16-13 2,15 compie Os 11,1 2,17-18 compie Ger 31,15 2,23 compie «i profeti» A9 8,4 «offerta prescritta da Mosè» 8,17 compie Is 53,4

44

4,15-16 cita Is 8,23–9,1

A10 9,13 cita Os 6,6

A11 9,20-22 «il lembo del suo mantello» 9,36-39 «come pecore non aventi pastore»

Allo stesso modo, l’ultima citazione di compimento della prima sottosezione (2,23) faceva riferimento a un compimento generale «dei profeti». 45 Cfr. Luz, II, 111. 46 Non è stato inserito tutto il probabile orizzonte contestuale delle sequenze: appaiono solo le citazioni di compimento (il verbo «compiere» in corsivo), dove il testo cita espressamente un luogo scritturistico, le allusioni che si ritengono importanti per il tema del compimento di «Legge e Profeti». Tra i passi, solo il Sal 91 citato in 4,6 fa parte degli Scritti.

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La composizione del Vangelo di Matteo

Questa particolarità è avvalorata ancor più dalla ricorrenza di un altro termine decisivo che appare nella prima sottosezione e segna in modo particolare il Discorso centrale: si tratta del sostantivo «giustizia» e della sua semantica47. In 3,15 Gesù aveva già precisato, al momento del Battesimo, di dover «compiere ogni giustizia», indicando così il disegno complessivo della volontà di Dio (cfr. 5,17)48. Ora, nel Discorso della montagna proprio questo termine appare quattro volte, sempre in riferimento alla volontà di Dio e al suo adempimento: 5,6

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

5,20

Dico infatti a voi: se la vostra giustizia non abbonderà più degli scribi e dei Farisei, non affatto entrerete nel Regno dei Cieli.

6,1

Guardatevi poi dal fare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere visti da loro: se no, ricompensa non avete presso il Padre vostro che è nei Cieli.

6,33

Cercate invece prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose saranno aggiunte a voi.

Alla luce di quanto rilevato, è comprensibile che uno dei fili rossi principali di questa sezione sia l’inaugurazione nella Nuova Alleanza che compie definitivamente la Prima (nell’esordio del ministero, nel suo insegnamento programmatico e nell’operato di Gesù). A motivo di questa specificità compositiva e contestuale, sembra opportuno qualificare il primo dei discorsi del Messia nel Vangelo di Matteo come Discorso della Nuova Alleanza. L’analisi dei capitoli successivi, e la ricerca biblica che seguirà in questo campo (alcuni ricercatori si sono già dedicati alla comprensione del Discorso e alla sua relazione con la Legge mosaica)49, potranno in futuro giustificare ulteriormente la validità di questa terminologia50. 47

Si veda in proposito: Luz, I, 239-241.Nella sezione il termine «giustizia» è utilizzato solo nella prima e nella sottosezione centrale (3,15; 5,6.10.20; 6,1.33). Nel resto del Vangelo appare nuovamente solo in 21,32 a proposito di Giovanni il Battista. 48 La simmetria attivata qui dal verbo plēroō sembra davvero pertinente: perciò «compiere ogni giustizia» (3,15) e «compiere la Legge e i Profeti» (5,17) sono in relazione. 49 Cfr. qui nt. 37 p. 198. 50 La «terminologia del (nuovo) patto» non è così esplicita in Matteo, se non nel passo della sezione finale, al momento della Cena (26,28). Tale reticenza è già evidenziata da Childs nella sua Teologia biblica: «Non è certo un caso perciò il fatto che la terminologia veterotestamentaria del patto come segno particolare del popolo di Dio nei Sinottici ricorra soltanto in rapporto alla morte di Gesù. Il testo più lungo è quello lucano: “Questa coppa che è versata per voi è il nuovo patto nel mio sangue” (22,20), mentre in Marco si ha soltanto: “Questo è il mio sangue del patto che è

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3.3 SIMMETRIE COMPLESSIVE TRA LE TRE SOTTOSEZIONI 51 TERMINI INIZIALI Alcune espressioni simili ricorrono nei primi versanti delle rispettive sottosezioni (le prime sequenze delle sottosezioni estreme e le prime sequenze della sottosezione centrale):  «gli offrirono doni» (riferito ai Magi in A1: 2,11) e «offri il dono che prescrisse Mosè» (riferito al lebbroso guarito in A9: 8,4) risponde all’insegnamento di Gesù nella seconda sequenza della sottosezione centrale (A5): «Se dunque offri il tuo dono» (5,23), e: «lascia là il tuo dono davanti all’altare e va’ prima, riconciliati con il tuo fratello, e allora essendo venuto, offri il tuo dono» (5,24);  «pianto e lamento grande» (riferito a Rachele nella citazione scritturistica in A1: 2,18), e «là sarà il pianto e lo stridore di denti» (riferito ai figli di Israele che non credono in A9: 8,12) risponde alla seconda beatitudine, per «quelli che piangono», nella prima sequenza della sottosezione centrale (A4: 5,4)52; versato per molti” (14,20). Tuttavia, poiché l'espressione “il nuovo patto” è già attestata in 1Cor 11,25 sembra quanto mai probabile il riferimento a Ger 31,31, ora però completamente riformulato nella terminologia cristologica del sangue versato dal Cristo come strumento del rapporto tra Dio e Israele basato sul nuovo patto» (B.S. CHILDS, Teologia biblica: Antico e Nuovo Testamento, 464; Matteo non è citato per la sua dipendenza da Marco). Il nostro studio considera la categoria della Nuova Alleanza veramente adatta nella descrizione della composizione e del messaggio evinti nell’analisi della prima sezione, ma anche dell’intero libro del Primo Vangelo. Ciò in misura maggiore, dal momento che sono del tutto fuorvianti le precedenti categorie di «Nuova Torah» e di «Nuovo Mosè» in riferimento a Gesù e in particolare al Discorso della montagna. Sebbene Matteo sembri tacere esplicitamente anche questo concetto teologico (si pensi per esempio al riferimento che Marco fa piuttosto in 1,27 sul «nuovo insegnamento»), non dovrebbe essere unicamente l’uso o la frequenza di un termine specifico ad affermare una linea interpretativa piuttosto che un’altra. L’analisi retorica biblico-semitica dimostra piuttosto come la composizione dei testi permetta una lettura organica e una visione globale degli stessi, come della filigrana intertestuale di cui sono costituiti o a cui rimandano. Ora, il primo discorso di Gesù in Matteo e la sottosezione delle opere subito successiva sembrerebbero indicare proprio quelle che il testo di Ger 31,31-34 definisce come caratteristiche essenziali dell'Alleanza Nuova promessa. Si tratta di una alleanza definitiva e non ulteriormente infrangibile da parte umana come quella precedente (31,32). Questa definitività è garantita da due modalità essenziali di compimento: l’interiorizzazione della Torah (che dunque non viene affatto abolita o sostituita con una «nuova», ma portata a compimento nella sua esecuzione a partire dal cuore dell’uomo, cfr. Mt 5,17-18) e la conoscenza di Yhwh attraverso il perdono (cfr. in particolare Mt 9,1-8). Nel Messia Gesù, Matteo dimostrerà che ad Israele prima, come alle Nazioni alla fine (ecco l’elemento di sviluppo e forse di rilettura della tradizione conservata in Ger 31, in cui questa alleanza è limitata alla «casa d’Israele» e alla «casa di Davide»), è aperto l’ingresso nella promessa di Dio. 51 La presentazione delle tavole per questi rapporti complessivi tra sottosezioni sarebbe stata di difficile presentazione tipografica. Dove possibile, si è scelto di presentare all’interno della trattazione il testo inerente al rapporto formale evidenziato. Il lettore potrà avvalersi comunque del testo biblico per rilevare direttamente le simmetrie analizzate. 52 Qui i termini greci sono affini ma non identici: si tratta di klauthmos, il «pianto» vero e proprio per le sottosezioni estreme, mentre nella beatitudine di 5,4 il termine greco è il participio sostantivato ho penthountes (dal sostantivo gr. penthos, che indica il «dolore» e «l’afflizione», utilizzata dall’autore probabilmente per tessere un riferimento con Is 61,2 seguenti). In questo modo,

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 tra la prima sequenza della prima sottosezione (A1), le espressioni ricorrenti «chiamare il suo nome Gesù/Emmanuele» (1,21.23.25) e «chiamai mio Figlio» (2,15) corrispondono, nella prima sequenza della sottosezione centrale (A4), alla sesta beatitudine: «Beati i pacificatori, perché loro saranno chiamati figli di Dio»53. A1

A4

pianto e lamento grande

quelli che piangono (si affliggono)

chiamerai/chiamò il suo nome Gesù chiameranno il suo nome Emmanuele chiamai IL FIGLIO

i pacificatori saranno chiamati FIGLI DI DIO

A5

A9 il pianto e lo stridore di denti

MIO

gli offrirono doni

se offri il tuo dono… prima riconciliati

offri il dono che prescrisse Mosè

ESTREMITÀ E CENTRI Alcune espressioni segnano i centri e gli estremi, nella relazione tra una delle sottosezioni estreme e la sottosezione centrale.  Nella terza sequenza della prima sottosezione (A3), Gesù cita la Scrittura contro la prima tentazione diabolica di procurarsi da solo il «pane»: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (4,4); la domanda centrale del Pater, al centro della sequenza centrale della sottosezione del discorso (A6) è ancora sul nutrimento ed ha ancora come soggetto Dio: «Da’ a noi oggi il nostro pane quotidiano» (6,11)54.  Nella sequenza centrale (A2) della prima sottosezione, Giovanni invita «Farisei e Sadducei» a «fare un frutto degno di conversione» (3,8), giacché «ogni albero che non fa frutto buono è tagliato e nel fuoco è gettato» (3,10); nell’ultima sequenza della sottosezione centrale (A8) Gesù invita a riconoscere i falsi profeti «dai loro frutti» (7,16): «Così ogni albero buono frutti buoni fa, invece una sfumatura semantica di opposizione è messa in rilievo: si tratta di modi e ragioni differenti per cui si soffre e si piange (per 5,4 si veda per esempio: Luz, I, 318-319). 53 Nella sequenza centrale della sottosezione del discorso, appare anche l’espressione già registrata «sia santificato il tuo Nome» (6,9). 54 Il Discorso della Nuova Alleanza si apre con un riferimento forte alla «bocca», evidentemente riferito a Gesù: «E avendo aperto la sua bocca (gr. kai anoixas to stoma autou), insegnava loro dicendo…» (5,2). In questo modo è posto un chiaro parallelismo tra «la bocca di Dio» da cui esce la Parola in 4,4 e «la bocca» di Gesù che insegna.

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l’albero guasto frutti cattivi fa» (7,17); e conclude in modo identico: «Ogni albero che non fa frutto buono è tagliato e nel fuoco è gettato» (7,19).  Il termine «gli uccelli del cielo» compare nel centro della terza sottosezione (A10: «Le volpi hanno tane e gli uccelli del cielo nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo»¸ in 8,20) e nella quarta sequenza della sottosezione centrale (A7: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi più di essi?», in 6,26).  Così anche «pochi di fede» (gr. oligopistoi) compare identico nella sequenza centrale della terza sottosezione (A 10: il monito di Gesù ai discepoli nel passo della tempesta sedata in 8,26) e nella quarta sequenza della sottosezione centrale (A7: nel secondo monito di Gesù a confidare nella provvidenza del Padre, in 6,30).  Il passo centrale della sequenza A10 (il perdono e la guarigione del paralitico) termina con il timore e la lode delle folle per aver «dato questa autorità agli uomini» (9,8); il Discorso della Nuova Alleanza termina con lo stupore delle folle, giacché Gesù «era insegnante loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi» (7,29). TERMINI FINALI Tra la sottosezione centrale e la terza sottosezione, alcune espressioni segnano le sequenze finali (A7–A8 e A11):  alla fine della terza sottosezione (A11) Gesù «apre gli occhi» (9,30) di «due ciechi» (9,27.28); l’«occhio» appare nuovamente nella quarta sequenza del Discorso della Nuova Alleanza (A7), nei passi estremi della prima sottosequenza (tre volte in 6,19-24 nel logion sulla lucerna del corpo, e sei volte in 7,1-5 in quello sulla pagliuzza e la trave)55.  il termine «pecore» appare in 7,15, nell’ultima sequenza della sottosezione centrale (A8), riferito evidentemente ai «falsi profeti» (che «vengono a voi in vesti di pecore, ma dentro sono lupi rapaci»), e alla fine della terza sottosezione (A11), in 9,36, riferito piuttosto alle folle che erano «stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore»; A7 occhio semplice/malvagio occhio malato che giudica

55

A8

A11 si aprirono loro gli occhi

FALSI PROFETI:

LE FOLLE:

lupi in veste di pecore

pecore senza pastore

Cfr. G. LORI, Il Discorso della montagna, 168-169.

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RICORRENZE DI TERMINI RILEVANTI Complessivamente, alcuni termini ricorrono con frequenza tra le sottosezioni:  anzitutto il termine «Regno», che è presente in tutto il discorso centrale (5,3.10.19bis.20; 6,10.33; 7,21), appare nella sequenza centrale e finale della prima sottosezione (A2: 3,2 e A3: 4,17.23) come nelle sequenze estreme della terza sottosezione (A9: 8,11.12 e A11: 9,35);  il termine «luce» segna la fine della prima sottosezione (due volte in 4,16, nella sequenza A3); appare poi alle estremità della sottosezione centrale, rispettivamente nella prima sequenza (due volte in A4: in 5,14.16 nel logion sui discepoli «luce» del mondo) e nella quarta sequenza (A7: «la luce che è in te», in 6,23);  il termine «folle», come si è potuto già verificare, svolge un ruolo determinante nel passaggio da una sottosezione all’altra: appare alle estremità della sottosezione centrale (5,1 e 7,28), poi alla fine della prima sottosezione (4,25) e all’inizio della terza (8,1); compare, inoltre, all’inizio della sequenza centrale della terza sottosezione (in A10 al singolare: «Avendo visto poi Gesù folla intorno a lui», 8,18) e alla fine dell’ultima (in A11 di nuovo al plurale: «avendo visto le folle ebbe compassione», 9,36). III. PER UNA DINAMICA DELLA SEZIONE A Alla luce dell’analisi svolta si può cercare di fare i primi passi verso l’interpretazione della sezione riconosciuta. Sinteticamente, sembra possibile evidenziare tre fili rossi che la costruzione concentrica ha messo in risalto. 1. GESÙ PORTA A COMPIMENTO LA PRIMA ALLEANZA E INAUGURA LA NUOVA Al centro della proclamazione del Regno che viene, così come era stato per il patto della Prima Alleanza (cfr. per es. Es 19–24), c’è sempre la Parola di Dio, annunciata, realizzata e insegnata attraverso un mediatore. È Gesù che, salito sul monte (5,1-2), ricalca la prima mediazione di Mosè, il quale si frappose tra la voce terribile di Dio (che si esprimeva attraverso «tuoni e lampi, il suono del corno e il monte fumante», cfr. Es 20,18-19) e il popolo. Da quel momento, l’insegnamento divino ha avuto bisogno di una catena di mediatori (cfr. la Torah orale) che lo traducesse e lo attualizzasse nella vita e nella storia. Ma è anche Gesù che, «aperta la bocca» supera Mosè stesso, diventando la voce autorevole e definitiva di Dio, poiché è «il Figlio, l’Amato, nel quale ha posto il suo compiacimento» (3,17)56. 56

La tipologia mosaica sembra allora pertinente, non solo per il discorso centrale, ma per la dinamica dell’intera sezione (per es. cfr. Dt 34,11 con i prodigi messianici della terza sottosezione). E tuttavia, il riferimento più adeguato è quello al «profeta come Mosè» promesso in Dt 18,15-19, che il Deutero-Isaia ha approfondito nella figura del Servo. Si potrebbero evidenziare tutti i legami logici della sezione con il testo di Is 42,1-9. In Gesù al momento del Battesimo, come

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Al centro della sezione, dunque, si trova l’insegnamento del Regno, il Discorso della Nuova Alleanza (5,1–7,29). Si tratta con ogni probabilità (è la simmetria finale delle sezioni estreme che sembra sottolinearlo), dello stesso «insegnamento» che Gesù non cessa di impartire nel suo girare «in tutta la Galilea» (4,23) e in «tutte le città e i villaggi» (9,35). Come in principio, esso ha la forma e il sapore dei comandamenti (5,19; 5,21 seguenti), ma allo stesso tempo, si tratta realmente di un definitivo insegnamento-rivelazione che getta luce sul volto tenero di Dio, il «Padre nostro che è nei cieli», e che manifesta perciò anche «la giustizia» vera richiesta per i suoi figli57. Proprio perché rivela una relazione di intimità filiale, questo insegnamento è «nuovo» nella misura del compimento, così come lo aveva atteso la profezia di Israele (si pensi proprio a Ger 31,31-34): la forza della Parola nel Discorso centrale non sembra più richiamare una coercibilità e una forza estrinseca, non è più Legge limitante, ma è interna, tocca profondamente il cuore nella sua dimensione di dono e responsabilità, indica la scaturigine dell’osservanza «nel segreto» (cfr. 6,3.6.18). Riguarda una relazione in cui urge «abbondare», entrare in quel «in più» dell’amore (cfr. 5,20.22.28.32.34.39.44; 7,13-14), perché profondamente filiale (5,48). Questo insegnamento rivela ora, a chi ascolta e legge, il proprio legame profondo con il Padre: si tratta del legame che lo porta a chiedere «il pane quotidiano» (6,11), a «cercare, innanzitutto, il Regno di Dio e la sua giustizia» (6,33), a domandare «il perdono dei peccati», «perdonando agli altri le loro colpe» (6,14-15). Alla fine del Discorso, le folle «erano stupite», perché Gesù insegnava «come uno che ha autorità» (7,28-29). Il suo insegnamento toccava, aveva forza di «porsi dentro» quelli che ascoltavano: «Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni – oracolo di Yhwh – porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore» (Ger 31,33)58. Questa nuova e radicale «autorità» è impiegata da Gesù anche per «perdonare i peccati» dell’uomo paralitico (9,6). Si traduce in un’opera e in una missione, come aveva annunciato l’angelo alla sua nascita (1,21). Perciò, si può dire che Gesù inaugura l’ingresso nella Nuova Alleanza, oltre che con l’annuncio e nel Servo, Dio «si è compiaciuto» (3,17) e su di lui Egli ha «posto lo Spirito» (3,16). Nel Discorso della Nuova Alleanza, come annunciato per il Servo, Gesù espone un insegnamento nuovo «che non abolisce, ma porta a compimento» il primo (cfr. Is 42,4 e Mt 5,17). Come il Servo, Gesù è venuto per «compiere» la giustizia» (3,15), per ristabilire l’alleanza stipulata con Israele (1,21-23) e illuminare le nazioni pagane (4,12-25). I gesti che compie sono segni che «aprono gli occhi» (6,22-23; 7,1-5; 9,27-31) della cecità fisica e spirituale, sono segni di liberazione «dalle tenebre» e dal male (8–9). In lui, come si potrà constatare all’interno del paragrafo, si risolvono «i primi fatti», ovvero la storia della Prima Alleanza (1–2), e «i nuovi» già sono preannunciati (cfr. Is 42,9) nel perdono dei peccati (3,1-12; 9,6). 57 Così sostanzialmente si conclude l’analisi retorica di G. LORI, Il Discorso della montagna. 58 In Ger 31,31.33 si parla di «giorni» o «quei giorni» indicando probabilmente un tempo escatologico di rivelazione. La sequenza centrale della prima sottosezione si apre proprio con una connotazione simile nell’annuncio di Giovanni: «In quei giorni apparve Giovanni» (3,1). Per la questione già evidenziata da alcuni commentatori cfr. J.D. KINGSBURY, Matthew, 28-31.

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l’insegnamento, anche con il suo operato (cfr. i verbi in 4,23 e 9,35)59. Il perdono dei peccati, in modo particolare, diventa il segno distintivo dell’adempimento dell’oracolo di Ger 31 e diviene anche la forza propulsiva di questo rinnovamento totale di Israele (cfr. Ger 31,34; Mt 1,21)60. Profetizzato dalla voce di Giovanni (al centro della prima sottosezione), rivelato e richiesto nel Discorso centrale, il perdono (e la guarigione con esso connessa) diventano azione e compimento nel ministero di Gesù (lungo tutta la terza sottosezione): il centro segna nella sezione una svolta importante, giacché ciò che era soltanto promesso, una volta rivelato, è eseguito prima di tutto da e in Gesù, il Servo di Dio che «ha preso le nostre debolezze e si è caricato delle nostre malattie» (8,17; cfr. Is 53,4). Da un versante all’altro della sezione Gesù è all’opera: precede e porta a compimento una storia ferita e infranta (1,18–4,25), poi dà inizio e aiuta a realizzare le virtualità del Nuovo Patto, risanando e portando l’uomo a entrare in esso, nel Regno dei Cieli (8,1–9,38). All’inizio della sezione, Gesù è concepito nel grembo dallo Spirito Santo perché «salverà il suo popolo dai loro peccati» (1,21). «Emmanuele», Dio con il suo popolo (1,23), riprende la storia di fallimento e l’alleanza infranta, e la ripercorre, vincendo contro le tentazioni del deserto e preparando un nuovo esodo dalle «tenebre» alla «luce»61. Disceso dal monte, dove ha pronunciato la Halakah per la Nuova Alleanza, come Mosè, egli sta e cammina in mezzo al suo popolo per guarirne le malattie e invitarlo alla sequela del Regno, in un’obbedienza nuova alla volontà del Padre62. Compie l’Alleanza: Gesù lo fa come Figlio di Dio ma anche in quanto figlio dell’uomo; come Sposo ma anche in quanto medico di chi è ferito; come Signore ma anche come mediatore in mezzo alle folle che lo raggiungono (cfr. 8–9).

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Così, nella terza sottosezione (Mt 8–9) perdono e guarigioni diventano i tratti distintivi del compimento dell’Alleanza insegnato da Gesù sul monte. Il contrasto con i discepoli di Giovanni, nella sequenza centrale, e il detto sul vecchio e sul nuovo (9,14-17), diventa emblematico del passaggio e dello sfociare della Prima Alleanza nella Nuova, realtà che orami fiorisce con la presenza di Gesù. 60 Sorge a riguardo la domanda se quello del paralitico non possa essere considerato come un racconto simbolico sulla paralisi di Israele, che non riesce più a «camminare nella via dei precetti del Signore» (Sal 119). Il perdono di Gesù, più necessario della guarigione, tenderebbe allora fortemente verso l’interpretazione del compimento di Ger 31: la guarigione è segno distintivo del perdono dei peccati, e l’autorità del Figlio dell’Uomo di perdonare in terra inaugura il tempo atteso dell’alleanza definitiva (cfr. Ger 31,31-32). 61 Perciò, la dinamica della prima sottosezione si traduce nell’azione di Dio, all’opera sin dal concepimento e dall’investitura messianica del suo Figlio, per liberare Israele dai fallimenti e dalle ferite del Primo Patto: «Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dall’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore» (Ger 31,32). 62 Nella terza sottosezione, allora, Gesù stesso obbedisce all’Alleanza compiendola nelle sue opere e aiutando gli uomini a compierla in maniera nuova (cfr. R. DI PAOLO, «Il Figlio dell’uomo ha potere di salvare i peccatori», 160-161).

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In virtù di questa condivisione con l’uomo, attraverso questo cammino in cui donerà la sua dignità e forza filiali, all’inizio del Discorso Gesù può domandare a coloro che lo seguiranno: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere belle e rendano gloria al Padre vostro che è nei Cieli» (5,16). E, alla fine di esso, egli può suscitare la risposta di chi lo ascolta, risposta seria e fedele della libertà umana: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei Cieli» (7,21). Gesù «compie ogni giustizia» (3,15), e aiuta l’uomo a entrare in questo compimento, giacché dal Vecchio al Nuovo, egli ha autorità di introdurre realmente in un’Alleanza che non può essere più infranta, perché con Lui è già obbedita, proposta e vissuta. 2. PER CHI È LA NUOVA ALLEANZA? All’inizio della vita del Messia sono «magi dall’Oriente» che vengono «per prostrarsi» al «nato re dei Giudei» (2,2). Sono loro a riconoscere nel «bambino di Betlemme» il Messia di Israele (2,5). Così, anche all’inizio della terza sottosezione è un pagano che riconosce in Gesù il «Signore», quel «capo» che ha autorità sulla malattia e sulla morte (8,9). E Gesù stesso dichiara che «molti verranno dall’Oriente e dall’Occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel Regno dei Cieli, mentre i figli del Regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre» (8,11-12). Per quanto Gesù indirizzi principalmente il suo ministero ai «figli del Regno», per ristabilire l’Alleanza del suo popolo con il Signore, sono tuttavia le Nazioni e gli ultimi che lo riconoscono ed entrano con lui nella luce che si è levata (4,12-25). L’apostolo Paolo arriverà a definire un «mistero» l’«ostinazione di una parte di Israele» che «è in atto fino a quando non saranno entrate tutte quante le Nazioni» (Rm 11,25). Ed era proprio del Servo di Yhwh e della Nuova Alleanza portata dalla sua persona (secondo la visione del Deutero-Isaia) innescare questo ingranaggio nella storia della salvezza: «È troppo poco che tu sia mio Servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Io ti renderò luce delle Nazioni, perché porti la mia salvezza fino alle estremità della terra» (Is 49,6). Gesù è «luce» nella «Galilea delle Nazioni» alla fine della prima sottosezione (4,15-16), Gesù aprirà gli occhi di «due ciechi» del popolo che lo riconoscono come «figlio di Davide», Messia di Israele (9,27-31), alla fine della terza. La stessa struttura compositiva, perciò, testimonia che proprio «la luce» accesa ai confini della terra promessa, in Galilea, lì dove le Nazioni sono in attesa e immersi nelle tenebre, è preludio di quel rinnovamento dell’Alleanza con lo stesso popolo eletto che è rimasto cieco, popolo di cui Gesù è anzitutto il Messia. Ora questa luce si leva sui primordi del suo ministero, sui pagani e sui figli di Israele che lo accolgono. E insieme, si leva da subito anche la voce di chi, come Erode o i Farisei, cerca di soffocare questa luce, gettando discredito sulle opere del Messia (cfr. 9,34): appena germogliata la salvezza, si apre subito anche la

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terribile possibilità di non entrare nell’alleanza del Regno, quando la libertà dell’uomo prepara da sola «il pianto e lo stridore di denti» (8,12). 3. VERSO LE FOLLE, MA SOPRATTUTTO PER I DISCEPOLI Con l’esordio della proclamazione del Vangelo, «una grande folla seguiva» Gesù «dalla Galilea, dalle Decàpoli» e persino «da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano» (4,25)63. Allo stesso tempo, il Messia chiamerà alcuni a seguirlo in maniera più esigente, «lasciando» tutto (4,20.22). Sono loro, «i discepoli», che si sono «avvicinati a Gesù» (5,1) nel momento in cui egli pronuncia il Discorso della Nuova Alleanza. Perciò proprio loro, in maniera del tutto particolare, saranno invitati dal Signore a divenire come «sale della terra» e «luce del mondo» (5,13.14). Sono ancora loro ad accompagnarlo nel cammino in mezzo al suo popolo, e persino a «seguirlo» nella traversata in territorio dei Gadarèni, in terra pagana (8,23). Alla fine della sezione, ancora un fenomeno di chiusura fa percepire un’apertura nuova del Vangelo: se prima del Discorso Gesù percorreva «tutta la Galilea» insegnando, annunciando il Vangelo e curando le infermità (4,23), ora, pur continuando il suo ministero (9,35), si rende conto che «la messe è abbondante, ma sono pochi gli operai» (9,37)64. Inizierà perciò a coinvolgere i suoi discepoli nella missione messianica che ha intrapreso. Se «vedendo le folle sentì compassione, perché erano… come pecore senza pastore» (9,36), all’inizio del Discorso missionario, nella sezione di rilegatura successiva, Gesù «chiama a sé i suoi dodici discepoli» per «dare loro potere sugli spiriti impuri» e «guarire ogni malattia e infermità» (10,1). Porterà così anche loro a compiere «ogni giustizia»: saranno servi come il Servo, chiamati per aiutare altri a entrare nel Regno dei Cieli che si è ormai avvicinato65.

63 Ancora secondo Ger 31,31, in un interessante intreccio di correlazioni la Nuova Alleanza è stipulata proprio «con la casa di Israele» (al nord) e «con la casa di Giuda» (al sud). 64 4,23 e 9,35 sono termini finali tra le sottosezioni. Ma i versetti successivi, 9,36-37, a questo punto, giocano un ruolo di chiusura nella sezione e segnano una novità importante nell’insieme, novità che si manifesterà solo nelle sezioni successive. 65 Questa intuizione è stata proposta durante il Quarto Convegno della RBS, nella discussione della conferenza di Roberto Di Paolo: cfr. R. DI PAOLO, «Il Figlio dell’uomo ha potere di salvare i peccatori», 161 nt. 33.

Capitolo VII LA SEZIONE C: IL MESSIA E L’ALLEANZA RIFIUTATI O ACCOLTI (Mt 11,1–17,27)

La terza sezione del Vangelo è costituita di tre sottosezioni, in composizione concentrica. La prima sottosezione (11,1–12,50) presenta una struttura concentrica di tre sequenze1, mentre la terza sottosezione, anch’essa concentrica, è più ampia, contando ben cinque sequenze2. Le due sottosezioni incorniciano, come per la sezione A, una sottosezione centrale contenente uno dei cinque Discorsi del Vangelo: si tratta del Discorso enigmatico in parabole (13,1-52). C1–C3 C4–C5 C6–C10

L’INDURIMENTO della generazione Il Discorso L’APERTURA

enigmatico di una generazione

11,1–12,50 13,1-52 13,53–17,27

Anche i dati quantitativi dimostrerebbero un apparente sbilanciamento compositivo: la prima sottosezione, infatti, conta 7.200 caratteri, mentre la terza, più lunga, ben 11.938 (4.738 in più). Il Discorso centrale, molto più breve, conta soltanto 4.952 caratteri.

1

Per lo studio già operato sull’intera sottosezione cfr. R. DI PAOLO, Il Servo di Dio porta il diritto alle Nazioni. 2 La sottosezione non era ancora stata contemplata dal basso. Una volta effettuata l’analisi, la sua presentazione è avvenuta all’interno di un articolo per il Quinto Convegno RBS: F. GRAZIANO, «Il Senso e le sue prospettive», 52. La sottosezione è scandita, nelle sue cinque sequenze, secondo questo schema simmetrico: I. C6: Incredulità: chi è Gesù? 13,53–14,12 II. C7: Gesù si mostra Figlio PER LE OPERE CHE COMPIE 14,13-36 III. C8: Gesù, il Figlio, È DONO PER TUTTI 15,1–16,12 IV. C9: Gesù confessato Figlio PER LE OPERE CHE COMPIRÀ 16,13–17,13 V. C10: Piccola-fede: chi è Gesù? 17,14-27

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La composizione del Vangelo di Matteo I. INDAGINE GENERALE SULLA SEZIONE E CONVERGENZA DI INDIZI

1. ALCUNI DATI DI NATURA PROBLEMATICA Il primo dato problematico appena considerato per il riconoscimento della sezione C sarebbe lo sbilanciamento letterario quantitativo delle sottosezioni estreme. Una tale problematicità, tuttavia, non risiede nel fatto in sé, giacché l’analisi retorica ha osservato pure in altri libri un simile sbilanciamento di natura quantitativa e organizzativa, ma non compositiva3. La regolarità della composizione, infatti, si mantiene inalterata nei rispettivi livelli di riferimento (è sempre in agguato la tentazione di confondere i livelli e le loro caratteristiche). Perciò, sebbene queste unità possano risultare differenti se comparate nel livello interno di ciascuna sottosezione (la prima contiene infatti tre sequenze, la centrale solo due, e l’ultima ben cinque, evidentemente più ampia), al livello superiore dell’intera sezione sarà necessario constatare che le tre sottosezioni sono organizzate in maniera concentrica, dimostrando prima la validità delle relazioni tra le sottosezioni estreme, e poi la loro coesione formale e logica con la sottosezione centrale contenente il Discorso. Ora, solo da questo punto di vista (quando cioè si constateranno le relazioni tra le sequenze delle sottosezioni) si potrebbe palesare, durante l’analisi, una certa difficoltà: non dovremo più prevedere corrispondenze di tipo lineare sequenza a sequenza tra le sottosezioni estreme, come è stato riscontrato per la sezione A, molto più regolare sotto questo aspetto4. Un altro dato problematico riguarda la sottosezione centrale5: essa, infatti, consta di due sequenze parallele, ed è perciò priva di concentrismo (si tratta di un caso di «centro assente»)6. Ciò ha un certo peso nella comprensione complessiva della sezione, ma soprattutto per la visione del Libro intero (giacché il suo centro è senza centro, e questo sicuramente per una valida ragione). Per la sottosezione centrale, si potrebbe anche sollevare qualche dubbio sul suo carattere puramente discorsivo (com’era evidente, invece, per il Discorso della Nuova Alleanza, dove Gesù non veniva mai interrotto fino alla fine). Per questo Discorso, infatti, è chiara la formula stereotipata che ne segna il termine (all’inizio della terza sottosezione, in 13,53: «E avvenne, quando terminò Gesù queste parabole, andò-via di là»), come la «terminologia distintiva» che ne evidenzia l’inizio7: l’occasione è fornita dall’avvicinamento della folla («si 3

La seconda sezione del Vangelo di Luca, per esempio, è costituita di tre sottosezioni: la prima contiene tre sequenze (B1–B3), la sottosezione centrale contiene ben quattro sequenze (B4– B7), e l’ultima sottosezione è costituita della sola sequenza, la B8 (cfr. R. MEYNET, Il Vangelo secondo Luca, 422). 4 Nella sezione A, infatti, ogni sequenza della prima sottosezione era in relazione parallela con una sequenza corrispettiva della terza. 5 Per lo studio del Discorso in Parabole: R. DI PAOLO, «Capire i misteri del regno dei cieli», 59-109. 6 P. BOVATI, «Il centro assente». 7 Cfr. T.J. KEEGAN, «Introductory Formulae».

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radunarono presso lui molte folle», in 13,2a), cui corrisponde l’atteggiamento tipico dell’insegnamento: egli «sedeva» (13,2d)8. Anche il versetto successivo indica chiaramente la natura del Discorso: «Egli parlò loro molte-cose con parabole, dicendo» (13,3a). Eppure, all’interno di questo Discorso (e a differenza di tutti gli altri, fatta eccezione per il Discorso sulla Vita Ecclesiale di Mt 18) Gesù deve interrompersi e riprendere per ben due volte, e in due contesti differenti. Una prima interruzione avviene in 13,10 (in C4), subito dopo la prima parabola del «seminatore» (13,3b-9): qui infatti, per la prima volta, «gli si avvicinarono i discepoli» per domandargli spiegazione del suo parlare alle folle in maniera enigmatica (ovvero per mezzo del genere distintivo della parabola)9. Alla risposta di Gesù (il passo centrale della sequenza C4, 13,10-17), segue la spiegazione della parabola fatta ai soli discepoli («Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore», in 13,18). All’inizio della sequenza successiva (la C5), è evidentemente di nuovo alle folle che Gesù racconta la Parabola della zizzania («Propose loro un’altra parabola, dicendo», in 13,24): nel passo centrale della medesima sequenza è chiaramente riferito dall’evangelista che «Gesù disse tutte-queste-cose in parabole alle folle» (13,34a). Una seconda interruzione avviene dopo i primi due passi della sequenza C5 (rispettivamente 13,24-30 con la Parabola della zizzania e 13,31-33 con le due Parabole del seme e del lievito). Ora, questa interruzione avviene su due livelli: dapprima l’evangelista stesso commenta con una citazione della Scrittura la prassi dell’insegnamento enigmatico (il passo centrale di 13,34-35); successivamente è Gesù che «avendo-lasciate le folle, venne in casa» (13,36ab), e lì nuovamente «gli si avvicinarono i discepoli» (13,36c) per chiedere spiegazione della «parabola della zizzania nel campo» (13,36d)10. Ancora una volta, dopo la spiegazione, Gesù riprenderà il Discorso (13,44) ma questa volta rivolgendosi evidentemente ai soli discepoli che sono «in casa» con lui. 8

L’espressione ricorre due volte nell’introduzione del Discorso: in 13,1, Gesù «sedeva presso il mare» (gr. ekathēto para tēn thalassan); in 13,2 invece, il verbo è all’infinito (nella subordinata), «cosicché sedeva, essendo-salito sulla barca» (gr. hōste auton eis ploion embanta kathēsthai). 9 «Sotto la parola greca si nasconde un termine ebraico, māšāl; infatti molto spesso la traduzione greca dei Settanta ha reso con parabolē il termine ebraico māšāl. Bisogna concludere che la parabola “è ebraico”, come diciamo: “Questo per me è cinese?” Cioè come dire che è qualcosa di incomprensibile? Eccoci più vicini alla verità di quanto la battuta potrebbe far credere. La parabola è certamente un discorso enigmatico, destinato a suscitare sorpresa, stupore, a invitare alla riflessione, o meglio ancora a richiamare alla saggezza» (R. MEYNET, Vedi questa donna?, 16). Per un approfondimento sul genere del māšāl, sulla sua ricchezza semantica e sulla funzione delle «parabole» evangeliche e matteane: R. MEYNET, Vedi questa donna?; A. ANDREOZZI, L’officina delle parabole, 25-51; GLAT, V, 424-428; GLNT, IX, 526-564; M. HERMANIUK, La Parabole Evangélique, 62-189.193-301.337-344. Da questo punto in poi, definite l’origine e la qualità semitiche della parabola evangelica, si preferirà chiamare la sottosezione centrale il Discorso enigmatico (sul Regno). 10 In realtà, il termine della parabola è al plurale: si tratta infatti delle «zizzanie del campo» (cfr. gr. tēn parabolēn tōn zizaniōn tou argou, 13,36).

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Il Discorso enigmatico, dunque, non è solo interrotto due volte da un punto di vista narrativo, ma si svolge anche in due luoghi differenti («presso il mare» prima, «nella casa» poi). E infine, a un più profondo livello di significazione, esso si sviluppa anche su due lunghezze d’onda differenti: quella delle «folle» da un lato e quella dei «discepoli» dall’altro. 2. ELEMENTI DI COESIONE DELLA SEZIONE Considerati questi punti problematici, non mancano però indizi che fanno convergere la ricerca per il riconoscimento e la coesione della sezione C. Anzitutto, a livello formale, è stato sottolineato il parallelismo tra i passi che incorniciano in maniera prossima la sottosezione centrale (12,46-50 e 13,53-58)11: si tratta di passi in cui appare in modo critico il rapporto di Gesù con la sua famiglia di origine (in particolare si noti la ripetizione di «sua madre» e «i suoi fratelli», in 12,46.47.48.49.50 e 13,55). […] 12,46 Mentre egli parlava ancora alla folla, ecco, SUA MADRE E I SUOI FRATELLI stavano fuori e cercavano di parlargli. 47 Qualcuno gli disse: «Ecco, TUA MADRE E I TUOI FRATELLI stanno fuori e cercano di parlarti». 48 Ed egli, rispondendo a chi gli parlava, disse: «Chi è MIA MADRE e chi sono I MIEI FRATELLI?». 49 Poi, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «ECCO MIA 50 MADRE E I MIEI FRATELLI! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me FRATELLO, SORELLA e MADRE». 13,1 Quel giorno Gesù uscì di casa e sedeva presso il mare. 2 Si radunarono attorno a lui molte folle, cosicché egli, salito su una barca, sedeva, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. 3 Egli parlò loro di molte cose con parabole, dicendo… […] 36 Poi avendo-lasciato la folla VENNE IN CASA; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». […] 51 «Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Si!». 52 Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto-discepolo del Regno dei Cieli è simile a un uomo padrone-dicasa che tira-fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». 53

E avvenne, quando terminò Gesù queste parabole, andò-via di là. 54 Venuto NELLA SUA PATRIA, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? 55 Non è costui il figlio del falegname? E SUA MADRE, non si chiama Maria? E I SUOI FRATELLI, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? 56 E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste-cose?». 57 Ed erano-scandalizzati di lui. Ma Gesù disse loro: «Non c’è profeta disprezzato se non NELLA SUA PATRIA E IN CASA SUA». 58 E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi […]

Tra questi passi molto significativi e la sottosezione centrale, si dovrà mettere in risalto l’uso di termini gancio che disegnano la polarità semantica dello stare 11

Lo avevano già fatto per esempio G.W. DERICKSON, «Matthew’s Chiastic Structure», 428; e B. STANDAERT, «L’évangile selon Matthieu», 1237.

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«in casa» o «fuori» di essa (o «uscirne). Per l’analisi retorica, allora, si tratterà sicuramente di termini medi. Un altro elemento caratteristico è da rinvenire nella ripetizione delle ormai celebri formule stereotipate (con le rispettive principali molto simili), che aprono entrambe le sottosezioni estreme. Si tratterà certamente di termini iniziali: 11,1

– E avvenne, :: QUANDO TERMINÒ Gesù :: di istruire i suoi dodici discepoli, :. PARTÌ DI LÀ .. per insegnare .. e predicare nelle loro città.

13,53

– E avvenne, :: QUANDO TERMINÒ Gesù :. ANDÒ-VIA DI LÀ.

queste parabole,

Questa corrispondenza è significativa anche da un altro punto di vista, quello geografico: infatti solo nelle sottosezioni estreme (dove le formule sono situate) Gesù sarà sempre in movimento, mentre nella sottosezione centrale egli starà fermo nello stesso luogo, ora «presso il mare» (13,1), ora «in casa» (13,36), ad insegnare. Un altro indizio di coesione letteraria deve essere intuito nelle citazioni scritturistiche particolarmente evidenti nella sezione. Si devono notare anzitutto due citazioni di compimento (seguite dai testi di Is 42,1-4 e del Sal 78,2 rispettivamente) che segnano la prima sottosezione (al suo centro, in 12,17-21) e la sottosezione centrale (si tratta del passo centrale della seconda sequenza del Discorso enigmatico, in 13,35). D’altro canto, tra la sottosezione centrale e la terza, sulle labbra di Gesù, appaiono due citazioni provenienti dal Libro di Isaia, entrambe riferite alla durezza di cuore del popolo (Is 6,9-10 e Is 29,13): nel passo centrale della prima sequenza del Discorso (in 13,14-15), e nella sequenza centrale della terza sottosezione (in 15,7-9)12. In questo modo, le due citazioni di compimento, da un lato, e i due riferimenti di Gesù, dall’altro, agganciano ciascuna sottosezione estrema a una delle due sequenze della sottosezione centrale. Ancora da un punto di vista prettamente geografico, le due sottosezioni estreme (non tenendo conto della sottosezione centrale dove, come visto, Gesù è fermo a insegnare) disegnano percorsi di polarità opposta. Nella prima sottosezione, infatti, Gesù è sostanzialmente in Galilea: in 11,1 si sposta «per inse12 Si noti per entrambi il commento fortemente critico di Gesù: «E si adempie per loro la profezia di Isaia la quale dicente…» (13,14); e: «Ipocriti! Bene profetizzò su di voi Isaia dicendo…» (15,7). Nella sezione, Gesù si riferirà solo altre due volte in maniera diretta alla Scrittura, in entrambi i casi per descrivere l’identità e la missione del Battista (cfr. 11,10 e 17,10-11).

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gnare e predicare nelle loro città». Dal contesto prossimo è comprensibile che le città siano ancora quelle dell’aria galilaica, giacché in 11,20-24 proprio nei riguardi dei centri abitati di questa zona, dove «aveva compiuto il maggior numero dei suoi prodigi», Gesù inveisce con un potente rimprovero: «Guai a te, Corazim! Guai a te, Betsaida» (11,21); e: «E tu, Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai» (11,23). L’accenno già evidenziato alla «casa» nella quale si trova alla fine della sottosezione (cfr. 12,46-47) e da cui esce all’inizio della sottosezione centrale (13,1), fanno intendere che Gesù sia rimasto in movimento nei pressi di «Cafarnao». Al contrario, nella terza sottosezione, Gesù lascia la zona convenzionale del suo ministero e compie alcuni movimenti «di uscita»13, ai confini della terra d’Israele. Nella sequenza centrale (C8) «si ritirò verso la zona di Tiro e Sidone», e lì compie la guarigione per la figlia di una donna «cananea» (15,21-28). Si deve affermare, a riguardo, che Gesù non debba essere entrato precisamente nel territorio pagano di Tiro, essendo la donna a sua volta «uscita da quei territori» per andargli incontro (15,22)14. Di nuovo, poi, sale sulla barca e si dirige «nella regione di Magadàn» dopo la seconda moltiplicazione dei pani (15,39)15. All’inizio della penultima sequenza (C9), si trova «nella regione di Cesarea di Filippo» (16,13), una regione ancora agli estremi confini di quella che era considerata terra di Israele. Solo nell’ultima sequenza (C10), egli è nuovamente «in Galilea» (17,22), e alla fine è di ritorno a «Cafarnao» (17,24)16. 13

È ancora in Galilea all’inizio della sottosezione: approda infatti a «Gennèsaret» dopo la notizia della morte di Giovanni e l’episodio della prima moltiplicazione dei pani, alla fine della seconda sequenza (14,34). 14 «Ciononostante, l’indicazione geografica rimane molto generica: è descritto un movimento in direzione di Tiro e Sidone, ma non è detto che Gesù raggiunga tali città. Al contrario, si dice che la donna era “uscita da quei confini”. Gesù e la donna si incontrano, per così dire, a metà strada tra terra d’Israele e territorio “cananeo”, cioè pagano; entrambi sono accomunati da un movimento di uscita. Eppure, è la donna che varca il confine, non Gesù» (Mello, 282). In direzione simile va Fabris, che riconosce in questo «ritirarsi» di Gesù (il verbo anachōrein è sempre usato in tale sfumatura) una svolta teologica: «Le due città nella tradizione biblica e profetica sono spesso associate come rappresentanti dei popoli pagani. Anche l’evangelo di Matteo conosce questo abbinamento e connotazione religiosa simbolica, Mt 11,21-22. Sul piano storico si potrebbe pensare ad uno spostamento di Gesù nelle zone nord-orientali della Galilea che confinavano con i territori delle due città già menzionate. Ma il primo evangelista vede nello sconfinamento di Gesù nella zona pagana un segno dell’apertura universale della sua missione» (Fabris, 357). Così anche l’analisi critica di Davies – Allison, che riconoscono questa zona ai confini della Palestina giudaica ancora abitata dalle tribù del Nord al tempo di Gesù, e vedono nella donna cananea un’analogia situazionale con l’episodio del centurione di 8,5-13, un pagano che cerca Gesù in terra giudaica (cfr. Davies – Allison, II, 545-548). 15 È assolutamente incerta la toponimia e la localizzazione del luogo. Anche il parallelo marciano (Mc 8,10) nomina un’imprecisa «Dalmanuta». Accolta la possibilità che «Magadàn» o «Dalmanuta» non sia da identificare con «Magdala» (ipotesi questa avvallata dalla maggior parte degli studiosi), rimane dubbia la sua localizzazione sulla riva est o ovest del Lago di Galilea, e di conseguenza la sua appartenenza alla provincia pagana o israelitica. Per uno studio: ABD, IV, 463; EncBib, IV, 832-835. 16 La città di Cafarnao, da cui è cominciato l’annuncio del Regno nella sezione A, si trova perciò agli estremi di questa nuova sezione centrale: cfr. 11,23 e 17,24.

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Si può congetturare un ulteriore indizio geografico molto particolare, posto al centro della sequenza centrale della terza sottosezione (C8): Gesù «giunse presso il mare di Galilea» e «salì sul monte» dove «si fermò» (15,29). Se il riferimento geografico è lo stesso della prima sezione (cfr. 4,14-17 e 5,1), si deve affermare che la seconda moltiplicazione dei pani e le guarigioni che avvengono al centro di questa sottosezione sono da situare sullo stesso monte del Discorso della Nuova Alleanza17. Un’ultima serie di indizi riguarda i personaggi. Anche in questo caso, si deve notare un cambiamento brusco tra i due versanti della sezione. Infatti, la prima sottosezione è quasi completamente segnata da controversie di Gesù nei confronti dei «farisei» (12,2.14.24) e di «alcuni scribi e farisei» (12,38). Anche la «folla» appare lungo tutta questa prima sottosezione18, mentre «i discepoli» vi compaiono significativamente soltanto alla sua chiusura19, nel momento in cui sono designati da Gesù come la sua vera famiglia: «Poi, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli. Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre”» (12,49-50). Proprio a partire dalla sottosezione centrale, «i discepoli» riceveranno un ruolo più importante delle folle20. Lo evidenzia la costruzione greca che li coglie nell’atteggiamento di accostarsi a Gesù per domandargli qualcosa: [kai/tote] + participio del verbo proserchomai [autōi] + hoi mathētai [autou] + costruzione con un verbo di parola. Questa sintassi particolare ricorre

17 Non è facile capire se con il termine to oros debba intendersi «il monte» particolare (e quale? Quello di 5,1 o quello di 14,23? O si tratta, anche per queste ricorrenze, del medesimo «monte»?), o piuttosto si debba pensare alla regione montuosa (e quindi a nessun monte preciso) della Galilea, a ridosso del lago. Bisognerà attendere un possibile riscontro a favore di questa ipotesi al momento dello studio dell’ultimo livello di composizione (cfr. il capitolo X, nt. 17 a p. 335), quando si dovranno verificare le relazioni tra le varie sezioni che compongono il Libro. Davies – Allison, II, 565-567 sembra optare per la suggestione esposta, anche se alla fine preferisce riferirsi alla categoria tipologica del monte Sion nei tempi escatologici; Mello invece pensa che il monte di 15,29 sia pressappoco lo stesso della prima moltiplicazione (14,23), sulla riva occidentale del lago di Galilea (cfr. Mello, 284). 18 Il termine ochlos, al singolare o al plurale, appare in 11,7; 12,15.23.46; confrontando la struttura della sottosezione appare perciò in tutte le sue rispettive sequenze (C1: 11,1–12,14; C2: 12,15-21; C3: 12,22-50). 19 I «discepoli» appaiono anche in 12,1-2, ma qui è piuttosto il loro comportamento a suggerire l’occasione della controversia di Gesù con i farisei a proposito delle «spighe colte di sabato». 20 Va notata, e probabilmente discussa, la situazione delle folle in 15,31. Esse «glorificavano il Dio d’Israele», facendo supporre che si tratti di una moltitudine pagana: «In conclusione, per Matteo non siamo nella Decàpoli (a differenza di Marco), non siamo sull’altra riva del lago. Siamo ancora (e sempre) sulla stessa riva occidentale, quella ebraica. Ma sono le folle che vengono dalla Decàpoli (cfr. 4,25), cioè dalle terre pagane, esattamente come la donna cananea gli era uscita incontro dal territorio di Tiro e Sidone. Anziché centrifugo, come in Marco, il movimento è centripeto: sono i pagani che vengono da Gesù» (Mello, 285). Fabris, invece, ritiene che si debba leggere qui l’adempimento di Is 29,22-23: Israele riconosce Dio nelle sue opere (Fabris, 361).

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inizialmente due volte nel Discorso centrale (13,10.36), poi lungo tutta la terza sottosezione (14,15; 15,12.23; 17,19)21. Tra i discepoli poi, nella terza sottosezione, spicca particolarmente la figura di «Pietro»: solo il Vangelo di Matteo (rispetto agli altri sinottici) accoglie proprio nella terza sottosezione ben tre episodi riguardanti il suo ruolo eminente nella nuova comunità: la traversata sulle acque in 14,28-31; la consegna del ministero petrino in 16,18-19 e infine, la questione della tassa per il tempio in 17,24-27. II. LA COMPOSIZIONE DELLA SEZIONE C (11,1–17,27) La natura problematica dello studio della sezione, esposto nel paragrafo precedente, obbliga a rendere ragione anzitutto delle relazioni tra le sottosezioni. Quindi, solo alla fine dell’analisi, si potrà riguardare e giustificare sinteticamente la prospettiva cavaliera della sezione così come è ora proposta: SOTTOSEZIONE NARRATIVA: C1: GESÙ rifiutato da questa generazione C2:

compie le opere del Messia

contestato da scribi e farisei

IL SERVO GESÙ

11,1–12,14

seguito da discepoli e folle 12,15-21

C3: GESÙ rifiutato da questa generazione C4–C5:

compie le opere di Dio

12,22-50

alle folle

13,1-52

e ai discepoli

SOTTOSEZIONE NARRATIVA: C6: Chi è GESÙ?

L’incredulità

C7: GESÙ si mostra Figlio di Dio C8:

IL MESSIA GESÙ

della carne e del sangue

13,53–14,12

per le opere che compie

14,13-36

contestato da farisei e scribi

seguito da discepoli e folle 15,1–16,12

C9: GESÙ riconosciuto Figlio di Dio

compirà la volontà del Padre

16,13–17,13

C10: Chi è GESÙ?

della Chiesa

17,14-27

La piccola-fede

L’analisi svolta tra le sequenze delle sottosezioni estreme ha messo in luce una grande ricchezza compositiva, concedendo una buona risoluzione all’apparente questione della difficoltà distributiva. Proprio al fine di mostrare questa ricchezza, lo studio analitico delle relazioni tra le sottosezioni estreme si concentrerà in un primo tempo sui rapporti paralleli tra le sequenze, ma subito dopo porrà in evidenza anche i rapporti incrociati di valore nel tessuto testuale, come quelli pertinenti tra le sequenze centrali e le estremità dei rispettivi sistemi. 21

Nel Vangelo, tale costruzione sintattica riapparirà ancora soltanto in 18,1 e in 18,21 riferita non a tutto il gruppo, ma a Pietro.

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Infine, saranno evidenziate le relazioni tra ognuna delle due sequenze del Discorso e le sottosezioni estreme stesse, nonché la particolarità del genere parabolico che emerge non solo al centro della sezione. 1. RAPPORTI TRA LE SOTTOSEZIONI ESTREME (11,1–12,50 & 13,53–17,27) 1.1 RAPPORTI PARALLELI a) Tra le sequenze del primo versante C1 e C6  Come visto, le sottosezioni hanno come termini iniziali le due delle formule stereotipate che segnano il passaggio dai Discorsi alle unità successive (11,1 e 13,53).  Il termine «nella loro sinagoga» (12,9 e 13,54) si trova alla fine della sequenza C1 e all’inizio della sequenza C6, segnando gli estremi dei versanti delle sottosezioni.  La prima sottosequenza di C1 (11,1–19), come i passi centrale e finale di C6 (14,1-2.3-12) sono incentrati sulla figura di «Giovanni il Battista»22 e sul suo rapporto particolare con l’operato di Gesù.  Il termine «prodigi» (11,20.21.23; 13,54.58; 14,2), che nella sequenza C1 è declinato anche come «il più dei suoi prodigi» (11,20)23, mentre in C6 come «molti prodigi» (13,58)24, è in entrambi i casi riferito alle azioni messianiche di Gesù. Ad esso possono essere affiancate «le opere del Cristo» (11,2) conosciute da Giovanni ed esplicitamente citate da Gesù stesso (11,5), e «le opere» della «Sapienza», alla fine della prima sottosequenza di C1 (11,19).  Proprio il termine «sapienza» è legato inizialmente all’azione di Dio sia mediante il ministero di Giovanni prima, sia di quello di Gesù dopo (cfr. 11,13-19); mentre nella terza sottosezione è riferito solamente all’insegnamento straordinario di Gesù (13,54).  Il termine «profeta» è riferito in due casi direttamente a Giovanni (nella sequenza C1: «Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, dico a voi, e molto-più che un profeta», in 11,9; poi in C6: «Erode…ebbe paura della folla perché lo considerava un profeta», in 14,5), mentre nel primo passo di C6 è utilizzato da Gesù in maniera critica nei riguardi di sé stesso: «Non c’è profeta disprezzato se non nella sua patria e in casa sua» (13,57).  All’inizio di C1 Gesù proclama beato «chi non è scandalizzato» di lui (11,6); nel primo passo di C6, invece, proprio i suoi concittadini «erano scandalizzati di lui» (13,57).

22

Il termine ricorre in 11,2.4.7.11.12.13.18; 14,2.3.4.8.10. In gr. hai pleistai dynameis autou (dunque attraverso l’uso del superlativo dell’aggettivo pollē). 24 In gr. dynameis pollas. 23

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La composizione del Vangelo di Matteo

SEQUENZA C1 (11,1–12,14) 11,1 E AVVENNE, QUANDO TERMINÒ GESÙ DI ISTRUIRE I SUOI DODICI DISCEPOLI, PARTÌ DI LÀ per insegnare e predicare nelle loro città. 2 E GIOVANNI avendo sentito nel carcere le opere del Cristo, avendo mandato per mezzo dei suoi discepoli 3 gli disse: «Sei tu colui che viene o un altro attendiamo?». 4 E rispondendo, Gesù disse loro: «Partendo annunciate a GIOVANNI ciò che udite e vedete: 5 i ciechi vedono e gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati e i sordi odono, i morti sono fatti risorgere e i poveri sono evangelizzati. 6 E beato è colui che non è scandalizzato di me!». 7 Mentre quelli partivano, iniziò Gesù a dire alle folle a riguardo di GIOVANNI: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8 Ma cosa siete andati a vedere? Un uomo in morbide vesti avvolto? Ecco, quelli che morbide vesti portano nelle case dei re stanno! 9 Ebbene, che cosa siete andati a vedere? ? Sì, dico a voi, e . 10 Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, io mando il mio messaggero davanti al tuo volto, colui che preparerà la tua via davanti a te. 11 Amen, dico a voi: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di GIOVANNI IL BATTISTA; però il più piccolo nel Regno dei Cieli è più grande di lui. 12 Ma dai giorni di GIOVANNI IL BATTISTA fino ad ora, il Regno dei Cieli subisce violenza e i violenti lo prendono con forza. 13 Tutti infatti i Profeti e la Legge hanno profetato fino a GIOVANNI. 14 E, se lo volete accettare, egli è Elia che deve venire. 15 Chi ha orecchi, ascolti! 16 A chi farò simile questa generazione? È simile a bambini seduti in piazza che, gridando gli uni agli altri, dicono: 17 “Suonammo per voi il flauto e non avete ballato, intonammo un lamento e non vi siete afflitti!”. 18 Venne GIOVANNI, che non mangia e non beve, e dicono: “Ha un demonio”. 19 Venne il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un uomo mangione e beone, amico di pubblicani e di peccatori”. Ma LA SAPIENZA è stata riconosciuta giusta dalle sue opere». Allora iniziò a rimproverare le città nelle quali erano avvenuti il più dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: 21 «Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se in Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che sono avvenuti in mezzo a voi, già da tempo, in sacco e cenere, si sarebbero convertite. 22 Ebbene, dico a voi: a Tiro e Sidone più sopportabile sarà nel giorno del giudizio che a voi. 23 E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli Inferi scenderai! Perché, se in Sodoma fossero avvenuti i prodigi avvenuti in mezzo a te, resterebbe fino ad oggi! 24 Ebbene, dico a voi: alla terra di Sodoma più sopportabile sarà nel giorno del giudizio che a te!». 20

IN QUEL MOMENTO rispondendo Gesù disse: «Lodo Te, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e hai rivelato queste cose ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così fu compiacimento davanti a Te. 27 Tutto è stato dato a me dal Padre mio; e nessuno conosce il Figlio se non il Padre, né il Padre uno conosce se non il Figlio e colui al quale voglia il Figlio rivelarlo. 28 Venite a me, voi tutti sfiniti e appesantiti, e io vi darò riposo. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, poiché sono mite e piccolo di cuore, e troverete riposo per le vostre anime. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». 25

12,1 IN QUEL MOMENTO Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi seminati e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a strappare le spighe e a mangiarle. 2 Vedendo ciò, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli fanno quello che non è lecito fare di sabato». 3 Ma egli disse loro: «Non leggeste quello che fece Davide, quando ebbe fame e quelli con lui? 4 Come entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che né a lui né a quelli con lui è lecito mangiare, se non ai soli sacerdoti? 5 O non leggeste nella Legge che di sabato i sacerdoti nel Tempio il sabato profanano e sono innocenti? 6 Ma dico a voi che qui vi è uno più grande del Tempio. 7 Se aveste conosciuto cosa è: “Misericordia io voglio e non sacrificio”, non avreste condannato gli innocenti. 8 Signore del sabato, infatti, è il Figlio dell’uomo». Andando via di là, andò NELLA LORO SINAGOGA; 10 ed ecco un uomo che aveva una mano inaridita. E interrogarono lui dicendo: «È lecito guarire di sabato?»; per accusarlo. 11 Ma egli disse loro: «Chi di voi, se ha una pecora sola e qualora cada questa di sabato nel pozzo, non l’afferra e la tira fuori? 12 Ora, quanto differisce un uomo da una pecora! Perciò è lecito in giorno di sabato fare del bene». 13 Allora dice all’uomo: «Tendi la tua mano». Egli la tese e fu-ristabilita sana come l’altra. 14 Ma i farisei andati fuori presero decisione contro di lui per farlo morire. 9

La sezione C (11,1–17,27)

221

SEQUENZA C6 (13,53–14,12) 13,53 E AVVENNE, QUANDO TERMINÒ GESÙ QUESTE PARABOLE, ANDÒ VIA DI LÀ. 54 Ed essendo venuto nella sua patria, insegnava loro NELLA LORO SINAGOGA così che la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono QUESTA SAPIENZA e i prodigi? 55 Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo e Giuseppe e Simone e Giuda? 56 E le sue sorelle, non sono tutte presso di noi? Da dove dunque gli vengono tutte queste cose?». 57 Ed erano scandalizzati di lui. Ma Gesù disse loro: «Non c’è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». 58 E non fece là molti prodigi, a causa della loro incredulità. 14,1 IN QUEL MOMENTO al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù. 2 E disse ai suoi cortigiani: «Questi è GIOVANNI IL BATTISTA. Egli è risorto dai morti e per questo i prodigi operano in lui!». Erode infatti avendo afferrato GIOVANNI lo aveva incatenato e lo aveva-gettato in prigione a causa di Erodìade, la moglie di suo fratello Filippo. 4 GIOVANNI infatti gli diceva: «Non ti è lecito averla!». 5 E volendolo uccidere, ebbe paura della folla perché . 6 Quando fu un compleanno di Erode, la figlia di Erodìade ballò nel mezzo e piacque tanto a Erode. 7 Per questo con giuramento le promise di darle quello che avesse chiesto. 8 Ella, essendo stata spinta da sua madre: «Dammi» – dice, – «qui su un vassoio, la testa di GIOVANNI IL BATTISTA». 9 Ed essendo rattristato il re, a motivo del giuramento e dei commensali comandò che le venisse data 10 e avendo mandato, decapitò GIOVANNI nella prigione. 11 La sua testa fu portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre. 12 Ed essendosi avvicinati, i suoi discepoli presero il cadavere e lo seppellirono, e essendo venuti informarono Gesù. 3

 Il verbo «danzare» (gr. orcheomai) appare in 11,17 (riferito alla generazione che non accoglie né Giovanni né Gesù), e in 14,6 (riferito all’inganno di Erodiade per far morire Giovanni).  Da un punto di vista linguistico e formale, è importante notare anche l’espressione «in quel momento» (gr. en ekeinōi tōi kairōi), che si trova termine iniziale nella sottosequenza centrale (ma anche finale) di C1 (11,25; poi in 12,1) e nel passo centrale di C6 (14,1). b) Tra le sequenze del primo versante C1 e C7 L’ultima sottosequenza di C1 (12,1-14) e la sequenza C7 della terza sottosezione condividono tra loro alcune corrispondenze importanti. Si tratta rispettivamente di una sottosequenza formata da due controversie sul sabato (12,1-8 e 12,9-14) e di una sequenza organizzata in cinque passi, il secondo e il quarto costituendo due segni di Gesù (14,15-21 e 14,24-33). Tanto nel primo episodio di controversia quanto nel primo segno della sequenza corrispettiva affiorano termini del campo semantico del cibo, mentre il secondo episodio di controversia come la fine della sequenza C7 contengono racconti di guarigione.

222

La composizione del Vangelo di Matteo C1 (12,1-14)

12,1 In quel momento Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi seminati e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a strappare LE SPIGHE e a mangiarle. 2 Vedendo ciò, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli fanno quello che non è lecito fare di sabato». 3 Ma egli disse loro: «Non leggeste quello che fece Davide, quando ebbe fame e quelli con lui? 4 Come entrò nella casa di Dio e mangiarono I PANI DELL’OFFERTA, che né a lui né a quelli con lui è lecito mangiare, se non ai soli sacerdoti? 5 O non leggeste nella Legge che di sabato i sacerdoti nel Tempio il sabato profanano e sono innocenti? 6 Ma dico a voi che qui vi è uno più grande del Tempio. 7 Se aveste conosciuto cosa è: “Misericordia io voglio e non sacrificio”, non avreste condannato gli innocenti. 8 Signore del sabato, infatti, è il Figlio dell’uomo».

C7 (14,13-36) 14,13 Avendo ascoltato questo, Gesù si ritirò di là su una barca verso un luogo deserto, in disparte. E le folle, avendo ascoltato, lo seguirono a piedi dalle città. 14 E sceso dalla barca, vide molta folla, ed ebbe compassione per loro e guarì i loro malati. Poi venuta la sera, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: «Il luogo è deserto ed è già passata l’ora; congeda le folle affinché essendo andate nei villaggi comprino per loro CIBI». 16 Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; date a loro voi da MANGIARE». 17 Quelli però gli dicono: «Qui non abbiamo se non CINQUE PANI e due pesci!». 18 Egli però disse: «Portatemeli qui». 19 E avendo ordinato alle folle di sedersi sull’erba, avendo preso I CINQUE PANI e i due pesci, avendo guardato su verso il cielo, recitò la benedizione, e avendo spezzato diede ai discepoli I PANI, e i discepoli alle folle. 20 Tutti MANGIARONO e furono saziati, e presero IL DI PIÙ DEI PEZZI: dodici ceste piene. 21 QUELLI CHE AVEVANO MANGIATO erano circa cinquemila uomini, senza donne e bambini. 15

E subito costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo verso l’altra riva, finché non avesse congedato le folle. 23 E avendo congedate le folle, salì sul monte, in disparte, a pregare. Poi venuta la sera, era solo là. 22

La barca intanto distava già molti stadi dalla terra, agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25 Alla quarta veglia della notte, egli venne verso di loro camminando sul mare. 26 I discepoli, però, vedendolo camminare sul mare, furono turbati dicendo: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27 Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Rassicuratevi, io sono, non temete!». 28 Pietro allora rispondendo a lui disse: «Signore, se sei tu, ordinami di venire verso di te sulle acque». 29 Egli poi disse: «Vieni!». ed essendo sceso dalla barca, Pietro camminò sulle acque e venne verso Gesù. 30 Ma, vedendo il vento forte, temette e cominciando ad affondare, gridò dicendo: «Signore, salvami!». 31 Subito poi Gesù, AVENDO STESO LA MANO, lo afferrò e gli dice: «Piccolo di fede, perché hai dubitato?». 32 Ed essendo saliti sulla barca, il vento cessò. 33 Quelli poi che erano sulla barca si prostrarono a lui dicendo: «Veramente sei Figlio di Dio!». 24

Andando via di là, andò nella loro sinagoga; 10 ed ecco un uomo che aveva una mano inaridita. E interrogarono lui dicendo: «È lecito guarire di sabato?»; per accusarlo. 11 Ma egli disse loro: «Chi di voi, se ha una pecora sola e qualora cada questa di sabato nel pozzo, non l’afferra e la tira fuori? 12 Ora, quanto differisce un uomo da una pecora! Perciò è lecito in giorno di sabato fare del bene». 13 Allora dice all’uomo: «TENDI LA TUA MANO!». Egli la tese e fu ristabilita sana come l’altra. 14 Ma i farisei andati fuori presero decisione contro di lui per farlo morire 9

34 E

compiuta la traversata, vennero sulla terra di Gennèsaret. 35 E la gente di quel luogo, avendolo riconosciuto, diffuse la notizia in quella intera regione; e gli portarono tutti i malati 36 e lo pregavano affinché toccassero solo il lembo del suo mantello. E quanti lo toccarono furono riportati in salute.

La sezione C (11,1–17,27)

223

 Nel primo passo della terza sottosequenza di C1, «i discepoli» di Gesù «ebbero fame e cominciarono a strappare le spighe e a mangiarle» (12,1); così gli stessi discepoli, all’inizio della sequenza C7, nel secondo passo, chiedono a Gesù di congedare la folla «perché essendo andate nei villaggi comprino per loro cibi» (14,15).  Il verbo «mangiare» (gr. esthiō)25 compare più volte nel passo della controversia sulle spighe (12,1.4bis), come nella moltiplicazione dei pani (14,16.20.21).  Ai «pani dell’offerta» in C1 (12,4), corrispondono i «cinque pani» moltiplicati in C7 (14,17.19bis)26.  Gli ultimi passi delle rispettive sequenze trattano, come detto, di guarigioni: in 12,13 la mano inaridita dell’uomo della sinagoga «fu-ristabilita sana come l’altra», mentre in 14,36 coloro che «toccavano il lembo del mantello» di Gesù «furono riportati in salute»27.  Anche nel quarto passo della sequenza C7 Gesù «avendo-teso la mano», salva Pietro dalle acque (14,31), come nel secondo passo della terza sottosequenza di C1, Gesù ha salvato l’uomo dalla mano inaridita ordinandogli: «Tendi la tua mano» (12,13)28. Alla luce di quanto rilevato, si può affermare che per la terza sottosezione la sequenza C6 tesse molte corrispondenze con le prime due sottosequenze di C1, mentre la sottosequenza C7 con la terza sottosequenza di C1. c) Tra le sequenze del secondo versante C3 e C9 Una serie di corrispondenze è riconoscibile tra i primi due passi della sequenza C3 (12,22-30) e i rispettivi primi due passi della sequenza C9 (16,13-23).  Nel primo passo di C3, le folle stupite si pongono la domanda sull’identità di Gesù, se egli sia «il Figlio di Davide» (12,23); così, nel primo passo di C9, Gesù stesso pone due volte ai suoi discepoli la domanda sulla sua identità: cosa la gente dice di lui (16,13) e cosa loro (16,15). È solo Pietro a rispondere in modo adeguato, risolvendo più profondamente la questione che le folle si erano poste nella sottosezione narrativa precedente: «Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente» (16,16)29. 25 A questo verbo va accostata anche la ricorrenza del verbo peinaō, «aver-fame», che appare due volte nella sequenza C1 (12,1.3). 26 Vanno aggiunti in C7 i termini brōmata (14,15), «cibi», e to perisseuon tōn klasmatōn (14,20), «il-di-più dei pezzi» avanzati dopo la moltiplicazione. 27 In entrambe le occasioni si tratta evidentemente del tatto: una guarigione della mano non più abile e sensibile da un lato, e la salvezza che procede dal tocco del lembo del mantello di Gesù dall’altro. 28 La costruzione è identica nel verbo e nel complemento: ekteinon sou tēn cheira (in 12,13) e ho Iēsous ekteinas tēn cheira (in 14,31). 29 Alla fine di questo passo, l’espressione viene nuovamente ripetuta: Gesù ordina ai discepoli di non dire a nessuno «che egli è il Messia» (16,20).

224

La composizione del Vangelo di Matteo C3 (12,22-30)

C9 (16,13-23)

22

Allora gli fu portato un indemoniato, cieco e muto, e lo guarì, cosicché il muto parlava e vedeva. 23 Tutte le folle erano stupite e dicevano: «CHE NON SIA COSTUI IL FIGLIO DI DAVIDE?»

16,13 Essendo venuto poi Gesù verso le parti di Cesarea di Filippo, interrogava i suoi discepoli dicendo: «GLI UOMINI CHI DICONO CHE SIA IL FIGLIO DELL’UOMO?». 14 Quelli poi dissero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri poi Elia, altri poi Geremia o uno dei profeti». 15 Dice loro: «MA VOI, CHI DITE CHE IO SIA?». 16 Rispondendo, Simon Pietro disse: «TU SEI IL MESSIA, IL FIGLIO DEL DIO VIVENTE». 17 Avendo risposto poi Gesù gli disse: «Beato sei, Simone figlio di Giona, poiché non lo rivelarono a te carne e sangue, ma il Padre mio quello che è nei Cieli». 18 E io a te dico: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli Inferi non prevarranno contro di essa. 19 Darò a te le chiavi del Regno dei Cieli, e , e ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20 Allora ordinò ai discepoli affinché non dicessero a nessuno CHE EGLI ERA IL MESSIA.

Ma i farisei, avendo ascoltato, dissero: «Costui non scaccia i demòni se non per mezzo di Beelzebùl, principe dei demòni». 25 Egli però, avendo saputo i loro pensieri, disse loro: «Ogni regno diviso in se stesso è in rovina e ogni città o casa divisa in se stessa non starà in piedi. 26 E se SATANA scaccia SATANA, è diviso in se stesso; come dunque starà in piedi il suo Regno? 27 E se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. 28 Se però io scaccio i demòni per mezzo dello Spirito di Dio, allora è giunto a voi il Regno di Dio. 29 O come può qualcuno entrare nella casa del forte e rapinare i suoi beni, ? E allora saccheggerà la sua casa. 30 Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde.

21

24

Da allora cominciò Gesù a mostrare ai suoi discepoli che egli doveva andare a Gerusalemme e patire molto a causa degli anziani e dei sommi sacerdoti e degli scribi ed essere ucciso e nel terzo giorno risuscitare. 22 E avendo preso lui, Pietro cominciò a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore! Questo non avverrà affatto a te». 23 Quello poi, essendosi voltato disse a Pietro: «Va’ dietro a me SATANA! Mi sei di scandalo, poiché non pensi le cose di Dio, ma le cose degli uomini»

 Nel secondo passo di C3, Gesù risponde al pensiero dei «farisei» che lo ritengono uno che opera nella potenza del «capo dei demoni» (12,25-30); in modo corrispondente, nel secondo passo di C9, ancora Gesù risponde a Pietro che vorrebbe allontanarlo dalla volontà di Dio, per farlo entrare nel modo di pensare degli uomini (13,21.23). In entrambe le controversie appare il termine «Satana» (12,26bis; 13, 23).  Si può sottolineare la ricorrenza del verbo «legare» (gr. deomai) in due espressioni particolari: la prima, rivolta all’opera liberatrice di Gesù («Come può entrare uno nella casa del forte e rubare i suoi beni, se prima non lega il forte?»,

La sezione C (11,1–17,27)

225

12,29), la seconda rivolta al ministero petrino («ciò che legherai sulla terra sarà legato nei Cieli», 16,19).  Similmente, nel secondo passo di C3, Gesù sostiene che se Satana fosse diviso (a causa dei suoi esorcismi), «come dunque starà in piedi il suo Regno?» (12,26)30; invece a Pietro, nel primo passo di C9, lo stesso Gesù promette che «le porte degli Inferi non prevarranno» sulla Chiesa edificata sul suo ministero apostolico e sulla sua fede (16,18)31. Una seconda serie di corrispondenze è rinvenibile nel confronto tra i passi centrali delle due sequenze. Al centro di C3 è situato un insegnamento di Gesù, che risponde al discredito sollevato dai farisei per la sua opera salvifica (12,31-37). Al centro di C9 è situato ancora un insegnamento di Gesù, questa volta riguardante le condizioni radicali per la sua sequela (16,24-28). C3 (12,31-37)

C9 (16,24-28)

12,31 «PER QUESTO DICO A VOI: ogni peccato e bestemmia sarà perdonato agli uomini, però la bestemmia dello Spirito non sarà perdonata. 32 E chi dicesse parola contro il Figlio dell’uomo, sarà perdonato a lui; chi però dicesse contro lo Spirito Santo, non sarà rimesso a lui, né in questo mondo né in quello veniente. 33 O fate l’albero buono, e il suo frutto sarà buono. O fate l’albero guasto, e il suo frutto sarà guasto: dal frutto infatti si conosce l’albero. 34 Razza di vipere, come potete dire cose buone, essendo malvagi? La bocca infatti parla dall’abbondanza del cuore. 35 L’uomo buono dal buon tesoro trae fuori cose buone, e l’uomo malvagio dal malvagio tesoro trae fuori cose malvagie. 36 MA IO VI DICO: di ogni detto vano che gli uomini diranno, RENDERANNO CONTO DI ESSO NEL GIORNO DEL GIUDIZIO; 37 infatti dalle tue parole sarai giustificato e dalle tue parole sarai condannato».

16,24 ALLORA GESÙ DISSE AI SUOI DISCEPOLI: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, alzi la sua croce e mi segua. 25 Chi infatti vuole salvare la propria vita, la perderà; Chi invece perde la propria vita per causa mia, la troverà. 26 Che vantaggio, infatti, avrà un uomo se il mondo intero guadagna, ma la propria vita rovina? O che cosa un uomo darà in cambio della propria vita? 27 Sta infatti per venire il Figlio dell’uomo nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, E ALLORA RENDERÀ A CIASCUNO SECONDO IL SUO OPERATO. 28 Amen, dico a voi: ci sono alcuni tra i presenti che non gusteranno affatto la morte, finché vedranno il Figlio dell’uomo che viene nel suo Regno».

 L’insegnamento al centro di C3 è rivolto ai farisei (cfr. 12,25): è a loro che Gesù «dice» la sua replica (12,31: «Per questo dico a voi», e 12,36: «Ma io vi dico»); al contrario, l’insegnamento al centro di C9 è espressamente «detto ai suoi discepoli» (16,24).

30

Mentre è invece il Regno di Dio che si impone negli esorcismi di Gesù (cfr. 12,28). Sulla tematica del «Regno che viene» nella persona e nella missione escatologica di Gesù, ancora due espressioni complementari, degne di nota, solcano la sequenza C3, alla fine della prima sottosequenza, e la sequenza C9, alla fine del suo passo centrale: «Se però nello Spirito di Dio io scaccio i demoni, allora è-arrivato a voi il Regno di Dio» (12,28), e: «Amen, dico a voi: ci sono alcuni tra i presenti che non gusteranno affatto la morte finché vedranno il Figlio dell’Uomo che viene nel suo Regno» (16,28). 31

226

La composizione del Vangelo di Matteo

 Le tematiche dei due insegnamenti appaiono complementari: riguardano entrambi il riconoscimento dell’opera del «Figlio dell’Uomo» (12,32; 16,27.28). E allo stesso tempo, il secondo risulta essere un approfondimento del primo: in C3, difatti, i farisei rischiano di non riconoscere «lo Spirito Santo» nell’opera di Gesù contro il male, e perciò di escludersi dal perdono e dalla salvezza (12,32); in C9, invece, il discepolo è invitato a seguire l’opera di Gesù in maniera determinante, «rinnegando se stesso» e «alzando la propria croce», dunque somigliandogli (16,24; cfr. 16,21). La condizione della sequela è «perdere la propria vita per causa» di Gesù: un tale prezzo rischia di far indietreggiare perfino il discepolo, cercando di salvare la propria vita, ma in realtà «perdendola» (16,25).  Entrambi gli insegnamenti guardano ad un orizzonte escatologico preciso, che risulta essere il «giorno del giudizio» (12,36), momento del ritorno del Figlio dell’Uomo, quando «renderà a ciascuno secondo il suo operato» (16,27).  A livello semantico (sempre all’interno della prospettiva escatologica), nel passo centrale di C3 si fa riferimento al «mondo/eone veniente» (12,32: gr. tōi mellonti), mentre in C9 il Figlio dell’uomo è annunciato nella sua parusia come colui che «sta per venire» (16,27: gr. mellei erchesthai)32. d) Tra le sequenze del secondo versante C3 e C10 La terza sottosequenza di C3 è invece in relazione con la sequenza C10, l’ultima dell’intera sezione:  Nel primo passo della terza sottosequenza di C3, Gesù definisce gli scribi e i farisei che vengono a chiedergli un segno come «generazione malvagia e adultera» (12,39; poi alla fine del passo, in 12,45, «questa generazione malvagia»); così, anche nel primo passo di C10 lo stesso Gesù definisce coloro che non hanno saputo ottenere la liberazione del giovane epilettico come «generazione incredula e perversa» (17,17).  Gesù espone ancora un insegnamento, nell’ultima parte del primo passo della sottosequenza di C3, contro l’incredulità di «scribi e farisei» che domandano «un segno» (12,38). Qui egli utilizza l’immagine dello «spirito impuro» che «esce dall’uomo», ma vi fa subito ritorno con «sette spiriti peggiori di lui» (12,43-45). Ora, proprio il primo passo di C10 racconta del ragazzo epilettico guarito nel momento in cui «il demonio uscì da lui» (17,18)33, e lo stesso Gesù

32 Alla fine del passo «il Figlio dell’Uomo» sarà contemplato «che viene nel suo Regno» (16,28). 33 Da un punto di vista formale, si deve tener conto anche della relazione tra questo episodio e la liberazione dell’«indemoniato cieco e muto» nella prima sottosequenza di C3 (cfr. 12,22 e 17,18). Inoltre, la domanda di Gesù nella prima sottosequenza di C3, «E se io scaccio i demoni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano?» (12,27), potrebbe essere complementare all’affermazione del padre del ragazzo epilettico in C10: «L’ho portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo» (17,16).

La sezione C (11,1–17,27)

227

spiegherà ai suoi discepoli che non erano riusciti «a scacciarlo» per lo loro «piccola fede» (17,19-20)34. C3 (12,38-50)

C10 (17,14-27)

Allora alcuni degli scribi e dei farisei gli risposero: «Maestro, vogliamo vedere da te un segno». 39 Quello però rispondendo disse loro: «Una generazione malvagia e adultera cerca un segno! E un segno non le sarà dato, se non il segno di Giona il profeta. 40 Come infatti era Giona tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, IL FIGLIO DELL’UOMO . 41 Gli uomini di Ninive sorgeranno in giudizio contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, più di Giona c’è qui! 42 La regina del Sud si alzerà in giudizio contro questa generazione e la condannerà, perché venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, più di Salomone c’è qui! 43 Quando poi LO SPIRITO IMPURO esce dall’uomo, erra per luoghi aridi cercando riposo, e non lo trova. 44 Allora dice: “Ritornerò nella mia casa, da dove sono uscito”. Ed essendo venuto, la trova vuota, spazzata e ordinata. 45 Allora parte e prende con sé altri SETTE SPIRITI PIÙ MALVAGI DI LUI, ed essendo entrati, abitano là; e l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima. Così sarà anche per questa generazione malvagia».

17,14

Mentre egli parlava alle folle, ecco sua madre e i suoi fratelli stavano fuori, cercando di parlargli. 47 Qualcuno gli disse: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori, cercando di parlarti». 48 Quello però, rispondendo a chi gli parlava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». 49 E avendo steso la sua mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! 50 Chiunque infatti fa la volontà del Padre mio quello che è nei Cieli, egli è per me fratello, sorella e madre».

24

12,38

46

34

Ed essendo venuti presso la folla, gli si avvicinò un uomo che gli si gettò in ginocchio 15 e dicendo: «Signore, abbi pietà di mio figlio, poiché è epilettico e soffre molto. Cade infatti molte volte nel fuoco e molte volte nell’acqua. 16 L’ho portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo». 17 E rispondendo Gesù disse: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando vi sopporterò? Portatelo qui da me». 18 E Gesù lo minacciò e IL DEMONIO uscì da lui, e da quell’ora il ragazzo fu guarito. 19 Allora i discepoli essendosi avvicinati a Gesù, in disparte, dissero: «Perché noi non potemmo scacciarlo?». 20 E lui poi dice loro: «Per la vostra piccola fede. Amen, dico a voi: se avete fede come un chicco di senape, direte a questo monte: “Spòstati da qui a là”, e si sposterà, e nulla vi sarà impossibile». [21 Questa razza di demoni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno]. Mentre erano radunati in Galilea, Gesù disse loro: «IL FIGLIO DELL’UOMO 22

23

, ». Ed essi furono molto rattristati. Essendo poi venuti loro a Cafàrnao, si avvicinarono quelli che prendevano le didramme a Pietro e dissero: «Il vostro maestro non versa le didramme?». 25 Dice: «Sì». Ed essendo venuto in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti sembra, Simone? I re della terra da chi prendono versamento o censo? Dai propri figli o dagli estranei?». 26 Avendo detto poi: «Dagli estranei», Gesù gli disse: «Quindi i figli sono liberi. 27 Affinché però non li scandalizziamo, essendo andato verso il mare, getta un amo e solleva il primo pesce che viene su; e avendo aperto la sua bocca vi troverai uno statere. Avendo preso quello, dà a loro per me e per te».

Si può perciò riconoscere l’opposizione tra l’incredulità totale della generazione che chiede a Gesù un segno nella prima sottosezione, e invece la «piccola fede» dei discepoli che non sono riusciti ancora a scacciare il demonio dal ragazzo, nella terza sottosezione. La prima «generazione», pur ricevendo la visita e l’azione messianica, cadrà in una situazione peggiore dell’altra, quella dei discepoli, che deve ancora crescere nella fede.

228

La composizione del Vangelo di Matteo

 Nel passo centrale della sequenza C10, molto breve, l’annuncio della resurrezione del «Figlio dell’Uomo» (17,22) «nel terzo giorno» (17,23), corrisponde, nel primo passo della sottosequenza di C3, all’unico «segno» che sarà concesso: «il Figlio dell’Uomo» che resterà nella terra «tre giorni e tre notti» (12,40).  Infine, gli ultimi passi delle sequenze trattano della familiarità con Gesù. Nel passo di C3 sono ovviamente «sua madre» e «i suoi fratelli» che lo cercano «stando fuori» (12,46), in un atteggiamento che sembrerebbe poco partecipe della sua missione. Nel passo di C10 è Gesù stesso che chiede a Pietro se sia plausibile o meno che «i figli» di Dio siano considerati come «estranei», non partecipi della libertà che scaturisce dalla loro dignità filiale (17,25-26). Questi termini possono perciò essere inseriti tutti nello stesso campo di significazione. e) Tra le sequenze centrali delle sottosezioni C2 e C8 All’inizio dell’unico passo centrale della sequenza C2, «molte folle seguivano» Gesù, ed egli «li guarì tutti» (12,15). Così, nel passo centrale della sottosequenza centrale di C8, «si avvicinarono a lui molte folle, recando con sé zoppi, ciechi, storpi, muti e molti altri», e Gesù «li guarì» (15,30)35. La guarigione delle folle è perciò al centro esatto delle rispettive sottosezioni. Si devono notare anche altre corrispondenze tra i due passi centrali:  le espressioni analoghe con cui si aprono («Gesù si ritirò di là», in 12,15 come la costruzione participiale «essendosi-allontanato di là», in 15,29);  l’opposizione significativa tra la richiesta di Gesù di non manifestare le guarigioni nella prima sottosezione («E ammonì loro, affinché non lo facessero manifesto», in 12,16) e la lode corale con cui si conclude invece il passo centrale della terza sottosezione («E glorificavano il Dio d’Israele», in 15,31). Anche i passi estremi che incorniciano il passo centrale delle guarigioni in C8 (15,21-28 e 15,32-39) sembrano corrispondere alla citazione scritturistica della sequenza C2. Infatti, il primo passo della sottosequenza in questione (15,21-28) tratta della guarigione della figlia di una donna pagana, una cananea, «nelle regioni di Tiro e Sidone» (15,21): ora, proprio come il Servo di Dio, (secondo la citazione del profeta Isaia in 12,18), Gesù ha compiuto un atto di «giustizia», sebbene nei confronti di un’esponente delle «Nazioni»36. 35 La sequenza C2 come la sottosequenza centrale di C8 presentano gli stessi termini iniziali: in 12,15 «Gesù, avendo saputo (della congiura contro di sé, cfr. 12,14), si ritirò di là (gr. anechōrēsen ekeithen)», mentre in 15,21 «Essendo uscito di là (gr. ekeithen), Gesù si ritirò (gr. anechōrēsen) nelle regioni di Tiro e Sidone». 36 Così l’analisi lessicografica in R. DI PAOLO, Il Servo di Dio porta il diritto alle nazioni, 135: «Il termine presente anche in 20, è krisij, krisis, “diritto”, traduzione dell’ebraico mišpāṭ, il cui significato spazia dal rendere giustizia, al processo penale, fino alla sentenza e quindi alla grazia e alla salvezza. Il valore della sentenza è per lo più quello della condanna. In questo passo “diritto” designa la sentenza, culmine decisivo dell’azione processuale, con la quale il giudice fa valere e impone il diritto degli oppressi. Questo significato ingloba anche la traduzione di krisis con “giustizia”».

La sezione C (11,1–17,27) C2 (12,15-21)

229 C8 (15,21-39)

[…] 

Gesù FA GIUSTIZIA a una cananea

15,21-28

15

Ma Gesù, avendo saputo, si ritirò di là. E seguivano lui MOLTE FOLLE e li guarì tutti. 16 , 17 affinché fosse compiuto il detto per mezzo del profeta Isaia: 18 «Ecco il mio Servo, che ho scelto, l’Amato mio nel quale si compiacque l’anima mia; porrò il mio Spirito su di lui e la giustizia annuncerà alle Nazioni. 19 Non contesterà né griderà, né ascolterà qualcuno nelle piazze la sua voce. 20 Una canna infranta NON SPEZZERÀ, e uno stoppino fumante NON SPEGNERÀ, finché non abbia portato a vittoria la giustizia. 21 E nel suo nome Nazioni spereranno.

29

Ed essendosi allontanato di là, Gesù venne presso il mare di Galilea, ed essendo salito sul monte, là sedeva. 30 E si avvicinarono a lui MOLTE FOLLE, recando con sé zoppi, ciechi, storpi, muti e molti altri, e deposero loro presso i suoi piedi, e li guarì; 31 così che la folla si stupiva nel vedere i muti parlanti, gli storpi risanati e gli zoppi camminanti e i ciechi vedenti. .



Gesù RINFRANCA la folla moltiplicando pani 15,32-39

[…]

L’ultimo, invece, tratta della seconda moltiplicazione dei pani37. Il passo qui è ancora una volta denso di significato: Gesù «ha-compassione della folla» (15,32), delicatezza che è propria del Servo di Isaia, il quale si prenderà cura dei deboli e degli oppressi (cfr. «Non spezzerà una canna infranta, e uno stoppino fumante non spegnerà», in 12,20)38. 37 Mello, 286 fornisce una suggestione particolare per il racconto della seconda moltiplicazione dei pani: da un lato i «sette cestini» avanzati (15,37), al contrario dei 12 della prima moltiplicazione, alluderebbero alle 70 Nazioni allora conosciute; dall’altro, nel secondo racconto Gesù non pronuncia la «benedizione» ebraica (il verbo greco eulogēsen in 14,19 vi alluderebbe con chiarezza), ma piuttosto «rende-grazie» (il participio greco eucharistēsas in 15,36), indicando probabilmente l’eucarestia cristiana aperta anche ai Gentili: «Non c’è dubbio che il gesto sia lo stesso, e identiche le parole pronunciate, ma la scelta (già operata da Marco) di due termini diversi, l’uno più prossimo al senso originario della berakhà ebraica, l’altro invece più proiettato verso quella che sarà in seguito l’eucarestia cristiana, dovrebbe essere un indizio abbastanza eloquente». 38 Questo sembra essere l’intento della citazione, nel contesto di guarigione in cui l’evangelista l’ha inserita: «I beneficiari di tale missione sarebbero quindi le “canne incrinate” e gli “stoppini fumiganti”, gli umili e i miseri, i cuori afflitti, che un solo gesto può spezzare, gli spiriti che la luce ha abbandonato e non fa più ardere. Gesù-Servo è quindi misericordioso verso le situazioni umane

230

La composizione del Vangelo di Matteo

In una visione più ampia, le due sottosequenze estreme di C8 trattano entrambe di questioni riguardanti la Torah ebraica: «le tradizioni degli antichi e il comandamento di Dio» per la prima (cfr. 15,2.3), «l’insegnamento di scribi e farisei» nella seconda (cfr. 16,12). Dunque, in C8 Gesù si pone ora in relazione critica con alcuni esponenti di Israele, ora in relazione positiva con esponenti dei Gentili e con le folle convenute presso di lui sul monte (cfr. 4,23–5,2): A. 15,1-11: sulla Torah orale: 1 : 15, Allora alcuni farisei e alcuni scribi […] SI AVVICINARONO a Gesù :. E gli dissero… = Questo popolo mi onora solo con le labbra B. 15,12-20: su ciò che rende impuro l’uomo [ai DISCEPOLI]: .. 12 Allora I DISCEPOLI SI AVVICINARONO per dirgli... = / 15,21-39: dell’Alleanza alle Nazioni C. 15,21-28: per una donna pagana: :: 22 Ed ecco una donna cananea […] :. Gridava… .. 23 Allora ESSENDOSI AVVICINATI I SUOI DISCEPOLI lo imploravano… = O donna, grande è la tua fede! X. 15,29-31: alle molte folle: = 30 E SI AVVICINARONO A LUI MOLTE FOLLE, recando con sé… – e deposero loro ai suoi piedi, e li guarì = 31… il Dio d’Israele. C’. 15,32-39: per tanta folla: .. 32 Poi Gesù AVENDO CHIAMATO A SÉ I SUOI DISCEPOLI . disse… = Ho compassione per la folla, poiché sono già tre giorni che rimangono con me… A’. 16,1-4: sul Segno dal cielo: 1 : 16, I farisei e i sadducei SI AVVICINARONO per metterlo alla prova :. e gli chiesero... = Una generazione malvagia e adultera pretende un segno B’. 16,5-12: sul lievito che guasta il pane [ai DISCEPOLI]: .. 5 Nel passare all’altra riva I DISCEPOLI... = /

in cui la vita è allo stremo e le possibilità di sopravvivenza sono ridotte al minimo» (R. DI PAOLO, Il Servo di Dio porta il diritto alle nazioni, 144-145).

La sezione C (11,1–17,27)

231

La sequenza C8 tesse al suo interno un gioco significativo di contrapposizioni tra l’atteggiamento di Israele e l’apertura alla fede delle Nazioni, simboleggiate dalla figura della «donna cananea» e di «sua figlia», e dalla folla che riceve la compassione di Gesù nel pane su cui «rese grazie». Viene allora da chiedersi se non si possa riconoscere una relazione altrettanto considerevole tra l’intero sistema di C8 (Gesù è in tensione con una parte del popolo di Israele mentre fa giustizia a esponenti delle Nazioni) e la breve sequenza corrispettiva C2. La citazione di Matteo sulla vicenda del Servo isaiano annuncia una verità della missione di Gesù che implica uno sviluppo necessario, uno sviluppo che albeggia già nella sequenza centrale parallela: la duplice missione del Servo intravista nel Libro del Deutero-Isaia è proprio quella di riportare Israele nella relazione con Yhwh, come di manifestarlo a tutte le Nazioni della terra. Il Servo è chiamato poco dopo in Is 42,6 «alleanza del popolo e luce delle Nazioni», mentre in Is 49,6 il profeta rivela che solo la sua missione universale di salvezza e di rivelazione ai pagani renderà pienamente realizzabile anche il ritorno (spirituale oltre che geografico) e la piena restaurazione del popolo eletto39. Da un punto di vista metodologico, si potrebbe obiettare che l’analisi dei rapporti paralleli sia stata svolta, in alcuni casi, tra una sequenza di una sottosezione e parte di essa per l’altra (per esempio solo una o più sottosequenze). In realtà, non c’è confusione tra questi livelli letterari che l’analisi retorico-biblica ha individuato: la sottosequenza, infatti, non è un livello inferiore a quello della sequenza, ma una differenziazione intermedia necessaria all’interno di esso40.

39

«È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce della Nazioni, per essere la mia salvezza fino alle estremità della terra» (Is 49,6). Nell’ottica di questo sviluppo di senso da una sottosezione all’altra non è allora del tutto casuale che l’evangelista abbia preferito l’interpretazione dei LXX per Is 42,4, al v. 21: «E nel suo nome Nazioni spereranno» (contro il TM: «E la sua Torah le isole attenderanno»; per lo studio delle fonti della citazione si veda: Luz, II, 309-313). Lo stesso Luz aveva compreso come questa scelta della fonte e del posizionamento della citazione di Is 42 all’interno del capitolo 12 (carico della tensione tra il Messia e Israele) dovesse introdurre un’apertura non ancora sviluppata pienamente nel racconto: «I vv. 20c.21 suggeriranno che questo giudizio del giudice divino potrebbe essere positivo per i gentili. I vv. 41 s. introdurranno poi una delimitazione negativa: per “questa generazione” le cose andranno diversamente. Il v. 18b è improvviso, perché finora Gesù non ha ancora affatto annunciato ai gentili la decisione salvifica di Dio, ma ha operato unicamente in Israele. Il v. 18d va quindi al di là del piano temporale della storia di Gesù ed è un segnale che ne indica proletticamente lo sbocco finale. Perciò il v. 18b verrà ripreso di nuovo con la fine della citazione (vv. 20d.21)» (Luz, II, 315). L’autore fa direttamente riferimento alla conclusione del Libro (28,20), ma l’analisi della sezione mostra già un passaggio rilevante tra i centri delle sottosezioni di C (cfr. F. GRAZIANO, «Il Messia apre l’Alleanza», 59-83). 40 R. MEYNET, Trattato,129: «È stato necessario introdurre due livelli intermedi, la “sottosequenza” e la “sottosezione”, la cui definizione è rispettivamente quella della “sequenza” e quella della “sezione”».

232

La composizione del Vangelo di Matteo

1.2 RAPPORTI INCROCIATI Le sottosezioni estreme sono ben intessute anche per mezzo di alcuni rapporti incrociati di tipo formale e tematico41. Si citano qui i più evidenti. a) Tra C1 (11,1–12,14) e C9 (16,13–17,13)  Il termine «Giovanni» (o «Giovanni il Battista»), oltre che nelle prime sequenze delle sottosezioni (C1 e C6)42, compare anche all’inizio e alla fine della quarta sequenza dell’ultima sottosezione (C9: in 16,14 e 17,13). A riguardo, si devono notare anche alcune espressioni simili, entrambe sulla bocca di Gesù, che creano tra le sottosezioni un richiamo evidente: «E, se lo volete accettare, egli è Elia che deve venire» (11,14), come: «Ma io vi dico che Elia già è venuto, e non lo riconobbero» (17,12).  Gesù proclama «Beato» chi «non è scandalizzato» di lui all’inizio della sezione (C1:11,6); in C9 «Simone, figlio di Giona» (16,17) per aver confessato e riconosciuto la sua identità messianica43.  Il confronto tra i personaggi di Giovanni il Battista, nella prima sottosezione, e Pietro, nella terza, fa emergere tra le sequenze la tematica della rivelazione. Nel secondo passo della sottosequenza centrale di C1, Gesù benedice il Padre perché «ha rivelato ai piccoli» (11,25) e subito dopo afferma che «nessuno conosce il Figlio se non il Padre, né il Padre uno conosce se non il Figlio e colui al quale voglia il Figlio rivelarlo» (11,27). Ora, è proprio nel primo passo della sequenza C9 che lo stesso Gesù definisce «beato» Simon Pietro, perché non gli è stata «rivelato» il mistero del Figlio da «carne e sangue», ma dal «Padre che è nei Cieli» (16,17)44. E se «il più piccolo nel Regno dei Cieli è più grande» di Giovanni (11,11), è a Pietro, «piccolo» perché non appoggiato sulla propria intelligenza e sulle proprie capacità, che Gesù «darà le chiavi del Regno dei Cieli», diventandone così il «più grande» (16,19)45.

41 Si tratta della ripetizione di alcuni termini o espressioni particolari, nella complementarietà dell’identità, del parallelismo o dell’opposizione. 42 Vedi sopra: p. 219. 43 Anche Simon Pietro, subito dopo, riceverà l’ammonimento da parte di Gesù, in 16,23: «Va dietro a me, Satana! Mi sei di scandalo, poiché non pensi le cose di Dio, ma le cose degli uomini». 44 Il parallelismo tra 11,25-30 e 16,17-19 è chiaramente riconosciuto da Fabris, 371; Mello, 296 e Radermakers, 244. 45 «Il simbolo delle chiavi nella tradizione biblica indica autorità e responsabilità» (Fabris, 372, cfr. nt. 10). In Is 22,22 «la chiave della casa di Davide» posta sulle spalle di «Eliakìm» indica la carica di primo ministro e amministratore della giustizia regale.

La sezione C (11,1–17,27)

233

SEQUENZA C9 (16,13–17,13)46 16,13 Essendo venuto poi Gesù verso le parti di Cesarea di Filippo, interrogava i suoi discepoli dicendo: «Gli uomini chi dicono che sia il Figlio dell’Uomo?». 14 Quelli poi dissero: «Alcuni GIOVANNI IL BATTISTA, altri poi Elia, altri poi Geremia o uno dei profeti». 15 Dice loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16 Rispondendo, SIMON PIETRO disse: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17 Avendo risposto poi Gesù gli disse: «Beato sei, SIMONE FIGLIO DI GIONA, poiché non lo rivelarono a te carne e sangue, ma il Padre mio quello che è nei Cieli». 18 E io a te dico: «TU SEI PIETRO, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli Inferi non prevarranno contro di essa. 19 Darò a te le chiavi del Regno dei Cieli, e ciò che legherai sulla terra sarà legato nei Cieli, e ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20 Allora ordinò ai discepoli affinché non dicessero a nessuno che egli era il Cristo. Da allora cominciò Gesù a mostrare ai suoi discepoli che egli doveva andare a Gerusalemme e patire molto a causa degli anziani e dei sommi sacerdoti e degli scribi ed essere ucciso e nel terzo giorno risuscitare. 22 E avendo presolo PIETRO cominciò a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore! Questo non avverrà affatto a te». 23 Quello poi, essendosi voltato disse a PIETRO: «Va’ dietro a me Satana! Mi sei di scandalo, poiché non pensi le cose di Dio, ma le cose degli uomini». 21

Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, alzi la sua croce e mi segua. 25 Chi infatti vuole salvare la propria vita, la perderà; Chi invece perde la propria vita per causa mia, la troverà. 26 Che vantaggio, infatti, avrà un uomo se il mondo intero guadagna, ma la propria vita rovina? O che cosa un uomo darà in cambio della propria vita? 27 Sta infatti il Figlio dell’uomo per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo il suo operato. 28 Amen, dico a voi: ci sono alcuni tra i presenti che non gusteranno affatto la morte, finché vedranno il Figlio dell’uomo che viene nel suo Regno». 24

17,1 E dopo sei giorni, Gesù prende con sé PIETRO, Giacomo e Giovanni suo fratello e li conduce in disparte, su un alto monte. 2 E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3 Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4 Rispondendo, PIETRO disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5 Egli stava ancora parlando, ed ecco una nube luminosa li adombrò. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questo è il Figlio mio, l’Amato: in cui ho compiaciuto. Ascoltatelo». 6 E avendo ascoltato, i discepoli caddero con la faccia a terra e temettero assai. 7 E si avvicinò Gesù, e avendoli toccati disse: «Alzatevi e non temete». 8 Alzando poi gli occhi non videro nessuno, se non lui, Gesù solo. E mentre scendevano dal monte, Gesù comandò loro dicendo: «A nessuno dite la visione, fino a che il Figlio dell’uomo dai morti non si alzi». 10 Allora i discepoli lo interrogarono dicendo: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». 11 Ed egli avendo risposto disse: «Elia viene e ristabilirà ogni cosa. 12 Ma io vi dico: Elia è già venuto e non lo riconobbero; ma fecero di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo sta per soffrire per opera loro». 13 Allora i discepoli compresero che parlava loro di GIOVANNI IL BATTISTA. 9

b) Tra C3 (12,22-50) e C6–C7 (13,53–14,36) Alcune relazioni formali tra queste sequenze costruiscono la tematica del riconoscimento e della vera accoglienza di Gesù.  All’inizio della sequenza C3, i farisei affermano contro Gesù: «Costui non scaccia i demoni se non per mezzo di Beelzebùl, principe dei demoni» (12,24). Anche Erode, non conoscendolo, afferma erroneamente di lui all’inizio della sequenza C6: «Questi è Giovanni il Battista. Egli è-risuscitato dai morti e per questo i prodigi operano in lui» (14,2). All’inizio della stessa sequenza, i 46

Per le questioni trattate qui e in seguito si è ritenuto valido riportare per intero la tavola di composizione di C9 (finora mostrata in parte). In questo modo il lettore potrà agilmente tornarvi.

234

La composizione del Vangelo di Matteo

concittadini di Gesù, nella sinagoga, restano scandalizzati e si domandano «da dove vengono questa sapienza e i prodigi» con cui egli parla e opera (13,54). Nell’ultima sottosequenza di C3, Gesù muove contro la «generazione cattiva e adultera» che non lo riconosce, ricordando come episodio positivo la vicenda della «Regina del Sud», che venne dagli estremi della terra per ascoltare la sapienza di Salomone» (12,42)47.  Come già si è potuto notare precedentemente, tra i passi che incorniciano la sottosezione centrale (l’ultimo della prima sottosezione e il primo della terza), appaiono i medesimi termini del campo semantico della famiglia: «madre» e «fratelli» (12,46.47.48.49.50; 13,55)48. 1.3 I CENTRI E LE ESTREMITÀ a) Tra la sequenza centrale C2 (12,15-21) e la sequenza C9 (16,13–17,13)  Nella sequenza centrale della prima sottosezione (C2), Gesù «ammonì» «tutti» quelli che aveva guarito, perché «non facessero manifesto lui» (12,15-16). Così, anche in una delle sequenze estreme della terza sottosezione (la C9), dopo la confessione di Pietro, egli «ordinò ai suoi discepoli affinché a nessuno dicessero che egli è il Cristo» (16,20), mentre «scendendo dal monte» della trasfigurazione, «comandò» di non dire ad alcuno «la visione fino a che il Figlio dell’Uomo dai morti non si alzi» (17,9).  Nella citazione della sequenza centrale della prima sottosezione (C2: 12,18) come nella stessa rivelazione sul monte, nella terza sottosezione (C9: 17,5), le parole che Dio pronuncia per il suo Servo e per Gesù trasfigurato si corrispondono: 12, 18

: Ecco : IL MIO AMATO,

il Servo mio

= porrò il mio Spirito = e la giustizia alle Nazioni 17,5

: Questi : L’AMATO,

è

= ASCOLTATE

lui!

che

ho-scelto, l’anima mia;

su di Lui, ANNUNCERÀ.

il Figlio mio, :

47 In realtà, nel passo della Trasfigurazione (17,1-9), nella terza sottosequenza di C9 (e perciò alla fine della terza sottosezione), Gesù potrebbe essere descritto come la Sapienza intronizzata tra la Torah (Mosè) e i Profeti (Elia che li chiude con il suo ritorno). La modalità con cui Gesù «fu trasfigurato» (17,2), infatti, ricorda la descrizione (in realtà si tratta di una interpretazione per eccesso) della Sapienza personificata in Sap 7,29: «Ella, in realtà, è più radiosa del sole e supera ogni costellazione, paragonata alla luce risulta più luminosa». I commentatori vi vedono un parallelismo con lo splendore del volto di Mosè dopo la rivelazione al Sinai, come recita anche Sipre Num. 140: «Il volto di Mosè era come il volto del sole» (così Davies – Allison, II, 696 e Mello, 306). 48 Di minore importanza, nella sequenza C1 e nella sequenza C6 appare anche la ricorrenza del termine «Inferi» (letteralmente, «Ade», in 11,23 e 16,18).

La sezione C (11,1–17,27)

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b) Tra la sequenza centrale C8 (15,1–16,12) e le sequenze C1 (11,1–12,14) e C3 (12,22-50)  La lunga lista degli infermi che Gesù guarisce nel passo centrale di C8 (15,30) corrisponde alla lista delle «opere» che Gesù rivendica come segno della sua messianicità di fronte alla domanda dei discepoli di Giovanni, all’inizio di C1 (11,5)49; in particolare, poi, il termine «cieco/ciechi» è ripetuto anche nella prima sottosequenza di C8 (15,14).  «Tiro e Sidone», nella regione dove Gesù si reca all’inizio della sottosequenza centrale di C8 (15,21), appare due volte nel detto contro le città di Corazìn e Betsàida, nella sottosequenza centrale di C1 (11,21.22).  Il «pane dei figli» nel primo passo della sottosequenza centrale di C8 (15,26), arricchito dal termine «pani» o «pane» nei passi successivi della seconda moltiplicazione (15,34.36), alla fine della stessa sottosequenza, e della discussione sul lievito dei farisei (16,5.7.8.9.10.11.12), nel passo finale di C8, corrisponde ai «pani dell’offerta» nella controversia sulle spighe strappate in sabato (12,4), nel primo passo della sottosequenza finale di C1.  La domanda all’inizio della sequenza C8, posta da «farisei e scribi» a Gesù, risponde alla critica mossa dagli stessi farisei sulla trasgressione del sabato, nella terza sottosequenza di C1: «Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi?» (15,2), e: «Ecco, i tuoi discepoli fanno ciò che non è lecito fare di sabato» (12,2).  Il verbo skandalizō («scandalizzare», «inciampare») compare nella prima sottosequenza di C8, quando i discepoli avvertono Gesù che «i farisei si scandalizzarono» della sua parola (15,12), e all’inizio della sequenza C1, quando Gesù proclama «beato», chi «non è scandalizzato» di lui (11,6).  Il verbo esthiō («mangiare») compare nell’ultimo passo della sottosequenza centrale di C8 («tutti mangiarono», in 15,37; il participio sostantivato «quelli che avevano mangiato», in 15,38)50, e nelle sottosequenze estreme di C1: «Venne Giovanni che non mangia e non beve…Venne il Figlio dell’Uomo che mangia e beve» (in 11,18.19); «i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a strappare le spighe e a mangiarle» (12,1); «come entrò nella Casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta che né a lui né a quelli con lui era lecito mangiare, se non ai soli sacerdoti?» (12,4bis).  L’insegnamento su «ciò che esce dalla bocca» (15,11.18) e che «proviene dal cuore» (15,18), nella prima sottosequenza di C8, era stato già annunciato nella sottosequenza centrale di C3: «la bocca infatti parla dall’abbondanza del cuore» (12,34).  Nell’ultima sottosequenza di C8 «farisei e sadducei» chiedono a Gesù «un segno dal cielo» (16,1), ma Gesù afferma loro che non sarà concesso «un segno, 49

In 11,5 non si parla degli «storpi», ma piuttosto dei «lebbrosi purificati», dei «morti resuscitati» e dei «poveri evangelizzati». 50 Il gr. hoi esthiontes.

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La composizione del Vangelo di Matteo

se non il segno di Giona» (16,4); questa esatta richiesta, con la risposta di Gesù, era già stata formulata nell’ultima sottosequenza della prima sottosezione (in C3), da parte di «scribi e farisei» (12,38.39); in entrambe Gesù aveva definito i suoi avversari allo stesso modo: «Una generazione malvagia e adultera ricerca un segno» (12,39; 16,4).  Nel primo passo della sottosequenza centrale di C8 la donna cananea invoca misericordia da Gesù, riconoscendolo «Figlio di Davide» (15,22); al contrario, le folle di Israele, sbalordite per la guarigione dell’indemoniato cieco e muto, si chiedono se «non sia costui il Figlio di Davide» (12,23). I numerosi richiami formali e le ripetizioni di termini identici o simili che si possono così rinvenire tra le sequenze centrali di una delle sottosezioni e le estremità dell’altra, rafforzano l’organicità dell’intera sezione, stando a quanto scoperto dai pionieri dell’analisi retorico-biblica, in particolare si ricorda qui la quarta Legge di Lund: Vi sono anche numerosi casi in cui le idee compaiono al centro di un sistema e alle estremità di un sistema corrispondente, il secondo sistema essendo stato costruito chiaramente per corrispondere al primo. Chiameremo questo tratto legge dello spostamento dal centro verso le estremità51.

1.4 LE SIMMETRIE PARZIALI RINVENUTE Si devono sottolineare ancora due simmetrie parziali che possono aiutare nella determinazione della struttura della sezione. Si tratta di termini estremi tra le sottosezioni analizzate:  all’inizio della prima sottosezione Gesù proclama beato chi «non è scandalizzato» di lui (11,6); alla fine della terza sottosezione, lo stesso Gesù compie il miracolo dello «statere» nella bocca del pesce, pagando così la tassa per lui e per Pietro, giustificando: «affinché non li scandalizziamo» (17,27)52;  nella prima sottosezione Gesù nomina «le case dei re» dove vivono quelli adagiati in morbide vesti (al contrario del Battista, in 11,8), mentre alla fine della terza sottosezione, Gesù domanda a Pietro se «i re della terra» chiedano tributi ai loro figli o piuttosto agli estranei (17,25). Sono state poi rilevate nella trattazione alcune simmetrie parziali determinanti: vengono ora sinteticamente riepilogate.  Le formule di chiusura del Discorso sulla Vita Apostolica (11,1) e del Discorso enigmatico (13,53), insieme alla loro proposizione principale («partì di là» e «andò-via di là») costituiscono i termini iniziali tra le sottosezioni estreme53.

51

R. MEYNET, Trattato, 93; si veda qui p. 138. Il verbo skandalizō appare anche all’inizio della terza sottosezione (13,57) e nella sua sequenza centrale (la prima sottosequenza di C8, in 15,12). 53 Vedi sopra: p. 219. 52

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 Così anche i passi che incorniciano il Discorso parabolico, entrambi sulla famiglia di Gesù (12,46-50 e 13,53-58), insieme alla relazione logica fondata sullo «stare fuori» o «in casa», svolgono il ruolo di punti gancio (si tratta perciò di passi che hanno la stessa funzione dei termini medi)54.  Anche al centro delle rispettive sottosezioni (la breve sequenza C2 e il passo centrale della sottosequenza centrale di C8) si trovano passi simili, con polarità inverse55: si tratta della doppia serie di «guarigioni», la prima avvenuta nel segreto per adempiere le Scritture (12,15-21), la seconda di respiro più universale, avvenute sul monte del lago di Galilea (15,29-31). Essi hanno la stessa funzione dei termini centrali di un sistema.  Infine, da un punto di vista tematico, bisogna ricordare i termini finali appartenenti al campo semantico della famiglia, «madre», «fratelli» (12,46.47. 48.49.50; alla fine della prima sottosezione), e «figli» (17,25.26; alla fine della terza)56: in entrambi questi passi si parla rispettivamente dell’estraneità dei parenti carnali alla missione di Gesù, e dell’estraneità apparente di Gesù nei confronti di Dio, dinanzi al dovere del pagamento della tassa per il Tempio. 2. RAPPORTI DELLE SOTTOSEZIONI ESTREME CON LA CENTRALE (13,1-52) 2.1 TRA LA SEQUENZA C4 (13,1-23) E LE SOTTOSEZIONI ESTREME Al centro della sequenza C4 la citazione del profeta Isaia termina sull’impossibilità di una guarigione profonda (il verbo gr. iaomai indicherebbe una forma di guarigione che ha radici profondamente spirituali, legate alla restaurazione della comunione con Dio)57 per «questo popolo» che si è evidentemente 54

Vedi sopra: p. 214. Vedi sopra: p. 228. La polarità di questi passi non sembra essere solo di opposizione, dal momento che in 15,16 Gesù chiede di non «fare manifesta» la sua identità, mentre in 15,31 la folla loda apertamente «il Dio d’Israele», ma anche di progressione, giacché, come visto, la citazione del Primo Canto del Servo si adempie davvero nella terza sottosezione attraverso l’opera di giustizia che Gesù compie in favore di Israele e delle Nazioni. 56 Vedi sopra: p. 228. 57 L’uso di questo verbo che Matteo ha desunto dalla citazione di Is 6,10 (LXX) è importante per la dinamica della sezione. Nei LXX, iaomai non identifica la sola guarigione fisica (come più strettamente il verbo therapeuō), ma può fare riferimento anche a un’esperienza di restaurazione spirituale dal peccato (e perciò si tratta di un significato figurativo, soprattutto nei profeti: Is 6,10, ma anche Ger 3,22; 17,14; 37,17; Zac 10,2): «Poiché l’indispensabile presupposto della vittoria sulla sciagura è il perdono dei peccati – legato alla penitenza e alla conversione – ne viene che il perdono è strettamente connesso con la guarigione […] iasthai diviene addirittura un termine tecnico per la concessione gratuita della guarigione da parte di Dio. Quando viene usato, per lo più il pensiero corre a una ferita da fasciare; perciò iasthai è unito con syntetrimmenos (Sal 146,3; Is 61,1) o syntrimma (Sal 59,4). Il problema, in questi passi, non è quello di eliminare delle carenze intellettuali, e neppure morali – queste ultime sono in parte il presupposto e in parte la conseguenza – ma di restaurare la comunione con Dio insieme al conforto che da essa discende e all’aiuto che ne deriva. In Ecclus. 28,3 iasis significa addirittura remissione. Iasthai nel senso di perdonare compare anche in Deut. 30,3: iasetai tas hamartias sou» (A. OEPKE, «iaomai», GLNT, IV, 691). In questo senso, appare nel passo tutta la drammaticità del rifiuto che le folle stanno 55

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indurito e non ritorna al Signore (13,14-15). Ora, proprio nelle sequenze centrali delle sottosezioni estreme (C2 e C8), Gesù invece «guarisce» fisicamente le «molte folle» che «lo seguono» (12,15) e poi quelli che gli vengono portati (15,30: questo è il significato più strettamente indicato dal verbo therapeuō)58. Nel Discorso centrale, il motivo della negazione della guarigione è l’incapacità di «guardare» (13,13bis.14bis) e di «ascoltare» (13,13bis. 14bis.15bis) procurata da «un cuore» che «si è ingrassato/indurito» (13,15a)59. C2 (12,15-21) 15

12, Ma Gesù, avendo saputo, si ritirò di là. E seguivano lui MOLTE FOLLE E LI GUARÌ TUTTI. 16 E ammonì loro, affinché non lo facessero manifesto, 17 affinché fosse compiuto il detto per mezzo del profeta Isaia: 18 «Ecco il mio Servo, che ho scelto, l’Amato mio nel quale si compiacque l’anima mia; porrò il mio Spirito su di lui e la giustizia annuncerà alle Nazioni. 19 Non contesterà né griderà, né ascolterà qualcuno nelle piazze la sua voce. 20 Una canna infranta non spezzerà, e uno stoppino fumante non spegnerà, finché non abbia portato a vittoria la giustizia. 21 E nel suo nome Nazioni spereranno.

C4 (13,10-15) 10

13, E essendosi avvicinati i discepoli gli dissero: «Perché in parabole parli A LORO ?». […] 13 Per questo parlo loro in parabole, poiché vedendo non vedono e ascoltando non ascoltano e non comprendono. 14 Ed è compiuta per loro la profezia di Isaia, quella che dice: «Con ascolto ascolterete, e non comprenderete, e vedendo vedrete e non contemplerete. 15 È ingrassato infatti il cuore di questo popolo, e con gli orecchi duramente ascoltarono e i loro occhi chiusero, affinché non contemplino con gli occhi e con gli orecchi non ascoltino e con il cuore comprendano, e ritornino e io li ristabilisca».

C8 (15,29-31) 29

15, Ed essendosi allontanato di là, Gesù venne presso il mare di Galilea, ed essendo salito sul monte, là sedeva. 30 E si avvicinarono a lui MOLTE FOLLE, recando con sé zoppi, ciechi, storpi, muti e molti altri, e deposero loro presso i suoi piedi, E LI GUARÌ; 31 così che la folla si stupiva nel vedere i muti parlanti, gli storpi risanati e gli zoppi camminanti e i ciechi vedenti. E glorificavano il Dio d’Israele.

rischiando di porre innanzi al Messia inviato e che la predicazione enigmatica di Gesù sta pienamente mettendo alla luce: «Il μήποτε finale va riferito sicuramente a Israele e non a Dio: Israele ha chiuso gli occhi e tappato le orecchie per evitare di capire e di ravvedersi. μήποτε constata la colpa d’Israele, non la predestinazione di Dio» (Luz, II, 397). 58 Il verbo usato in queste due occorrenze è invece therapeuō. In realtà, anche nei passi estremi della seconda sequenza della terza sottosezione (C7) Gesù guarisce dei malati. In 14,14 il verbo utilizzato è ancora therapeuō, Ma in 14,36 il verbo gr. diasōizō, è legato al tocco del «lembo del mantello», gesto che acquisisce un tono particolare (cfr. 9,20; anche qui: p. 200). Il «lembo» del mantello doveva infatti ricordare alla vista e al cuore dell’israelita la santità richiesta dall’ascolto e dall’obbedienza alla Parola di Dio (Nm 15,37-41; cfr. Mello, 275). Perciò, il Discorso enigmatico porrebbe nella dinamica del racconto una svolta nei rapporti delle «folle» con Gesù, una svolta che implica una possibilità di scelta e perciò anche di salvezza: se in 14,14 egli ancora «guarì i loro malati», in 14,36 sono «salvati» (diasōizō) prorpio quelli che aderiscono al «lembo» del suo mantello. 59 Il verbo greco pachynomai (al passivo), deve essere tradotto letteralmente come: «si-èingrassato il cuore di questo popolo» (ed è perciò impossibile penetrarvi). Il termine «cuore» compare anche all’inizio dell’ultimo passo di C4: «viene il maligno e ruba il seminato nel suo cuore» (13,19).

La sezione C (11,1–17,27)

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Anche all’inizio della sezione C, Gesù aveva chiesto ai discepoli di Giovanni di andare a riferirgli «le cose che ascoltate e vedete» (11,4; l’ordine dei verbi è invertito)60. Questa corrispondenza tra i centri disegna il rischio che le opere del Messia non siano comprese da chi le «ascolta e vede», perfino da colui che è stato mandato per «preparare la sua via» (11,10). Ancora da un punto di vista formale e logico, si devono notare alcuni agganci di termini tra la sequenza C4 e le due sottosezioni estreme, che sviluppano ulteriormente la tematica dell’indurimento e del rifiuto della parola e della persona di Gesù.  Nel primo e nell’ultimo passo della prima sequenza del Discorso enigmatico, il termine «frutto» compare alla fine della parabola del seminatore (13,8)61, mentre alla fine della sua spiegazione compare l’espressione «non-fruttuosa diventa» (gr. akarpos ginetai, riferito alla Parola, in 13,22) e il verbo «fruttifica» (gr. karpophorei, sempre riferito alla Parola, in 13,23). Nella sottosequenza centrale dell’ultima sequenza della prima sottosezione (C3), Gesù aveva esposto l’insegnamento enigmatico dell’albero e del suo «frutto» (il termine appare tre volte in 12,33). Si tratta di un aggancio tra estremità e centro: 12,33

O fate l’albero buono, e il suo frutto sarà buono. O fate l’albero guasto, e il suo frutto sarà guasto: dal frutto infatti si conosce l’albero.

13, 8

Un’altra [parte del seme] invece cadde sopra la terra buona, e dava frutto, uno cento, l’altro sessanta, e l’altro poi trenta.

13,22-23

Quello seminato sopra le spine, questo è colui che ascolta la parola ma le ansietà del tempo e l’illusione delle ricchezze strozzano la parola e infruttuosa diventa. 23 Quello seminato sopra la buona terra, questo è colui che ascolta la parola e la comprende, che davvero fruttifica e fa l’uno il cento, l’altro il sessanta, l’altro poi il trenta.

 Nel passo centrale di C4 la profezia di Isaia, citata nella spiegazione di Gesù, ha rivelato nel «cuore ingrassato» del popolo (13,15; cfr. Is 6,9) il reale ostacolo per la salvezza. Per contrasto, nella sottosequenza centrale di C1 Gesù si era definito «mite e piccolo di cuore» (11,29), mentre nella sottosequenza centrale di C3 egli si era espresso contro i farisei e il loro rifiuto, biasimando la malvagità del loro cuore: «Infatti dall’abbondanza del cuore la bocca parla» (12,34). L’insegnamento sulla malvagità delle intenzioni e delle parole vane che nascono dal cuore dell’uomo è ripreso e approfondito nella sequenza centrale della terza sottosezione (C8):

60 61

Sempre in 11,5 come in 15,31 viene riferita la guarigione fisica di coloro che sono ciechi. Il termine appare anche all’inizio di C5, in 13,26 (gr. karpon epoiēsen, «frutto fece»).

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La composizione del Vangelo di Matteo

13,15 (Is 6,9-10)

È ingrassato infatti IL CUORE di questo popolo, e con gli orecchi duramente ascoltarono e i loro occhi chiusero, affinché non contemplino con gli occhi e con gli orecchi non ascoltino e con il cuore comprendano, e ritornino e io li ristabilisca.

15,8 (Is 29,13)

Questo popolo mi onora con le labbra ma IL SUO CUORE dista lontano da me.

15,18

Ciò che esce dalla bocca proviene DAL CUORE, e questo rende impuro l’uomo.

15,19

Infatti, DAL CUORE provengono propositi malvagi, omicidi, adulteri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie.

2.2 TRA LA SEQUENZA C5 (13,24-52) E LE SOTTOSEZIONI ESTREME Il centro della seconda sequenza del Discorso enigmatico e i centri delle rispettive sottosezioni estreme si corrispondono per il loro comune riferimento alle «folle»62: nel Discorso centrale è spiegato nuovamente perché Gesù parli «loro» soltanto attraverso il genere delle parabole, mentre nei centri delle sottosezioni estreme, come si è già potuto ampiamente constatare, «molte folle» sono oggetto della sua azione taumaturgica63: C2 (12,15-21) 15

12, Ma Gesù, avendo saputo, si ritirò di là. E seguivano lui MOLTE FOLLE E LI GUARÌ TUTTI

[…]

C5 (13,34-35) 34

13, Tutte queste cose parlò Gesù in parabole ALLE FOLLE e senza parabola nulla parlava a loro, 35 cosicché fosse compiuto il detto per mezzo del profeta che dice: «Aprirò in parabole la mia bocca, esprimerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».

C8 (15,29-31) 29

15, Ed essendosi allontanato di là, Gesù venne presso il mare di Galilea, ed essendo salito sul monte, là sedeva. 30 E si avvicinarono a lui MOLTE FOLLE, recando con sé zoppi, ciechi, storpi, muti e molti altri, e deposero loro presso i suoi piedi, E LI GUARÌ […]

Nell’ultima sottosequenza di C5, alla fine della spiegazione della parabola della zizzania e della parabola delle reti gettate nel mare compare «la fine del tempo» (13,40.49). Nel racconto della prima parabola, nella prima sottosequenza di C5, era evidentemente identificata con il tempo della «mietitura» (13,30). 62

A partire dal Discorso enigmatico, Gesù tratterà con le folle nella terza sottosezione, ma non parlerà direttamente loro per un lungo tratto del Vangelo (fino a 23,1): «Egli guarisce i loro infermi, ma da qui in poi non parlerà più alle folle se non nel discorso contro gli scribi del c. 23 (nota al contrario Mc 6,34)» (Mello, 269). 63 Nella citazione di 13,35 «il profeta» (si tratta dell’orante del Sal 78,2) sostiene di «proferire cose nascoste» fin dalla creazione; questa espressione è complementare all’azione del Servo di Isaia «annunciare alle Nazioni la giustizia» (12,18; cfr. Is 42,1).

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Ora, nei centri delle sequenze estreme della prima sottosezione (C1 e C3) si faceva già chiaro riferimento a «il giorno del giudizio» in due logia di Gesù (11,22.24; 12,36)64: 11,21-24

Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se in Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che sono avvenuti in mezzo a voi, già da tempo, in sacco e cenere, si sarebbero convertite. 22 Ebbene, dico a voi: a Tiro e Sidone più sopportabile sarà che a voi. 23 E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli Inferi scenderai! Perché, se in Sodoma fossero avvenuti i prodigi avvenuti in mezzo a te, resterebbe fino ad oggi! 24 Ebbene, dico a voi: alla terra di Sodoma più sopportabile sarà che a te!

12,36-37

Ma io vi dico: di ogni detto vano che gli uomini diranno, renderanno conto di esso ; 37 infatti dalle tue parole sarai giustificato e dalle tue parole sarai condannato.

13,30

Lasciate che crescano entrambi ! E dirò ai mietitori: «Cavate prima la zizzania, e mettetela in fasci per bruciarla; il grano invece raccoglietelo nel mio magazzino».

13,40

Come dunque è raccolta la zizzania e nel fuoco è bruciata, così sarà .

13,49

Così sarà i malvagi di mezzo ai giusti.

! Usciranno gli angeli e separeranno

Nella terza sottosezione, nel passo centrale della sequenza C9, è presentata ai discepoli la venuta escatologica del Figlio dell’Uomo, con gli angeli di Dio: «Sta infatti il Figlio dell’Uomo per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo il suo operato» (16,27). Nei passi finali della sequenza C5, al momento della spiegazione delle Parabole della zizzania e della rete gettata in mare (13,36-43; 44-50), era prospettato uno scenario escatologico simile:  «Il Figlio dell’Uomo manderà i suoi angeli, e raccoglieranno dal suo regno ogni scandalo e coloro che fanno l’iniquità, e li getteranno nella fornace di fuoco, là sarà pianto e stridore di denti» (13,41-42);  «Usciranno gli angeli e separeranno i malvagi di mezzo ai giusti; e li getteranno nella fornace del fuoco, là sarà pianto e stridore di denti» (13,49b-50). Anche il logion sulla sorte finale dei giusti («Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro», 13,43; gr tote hoi dikaioi eklampsousin hōs ho hēlios en tēi basileiai tou patros autōn), nell’ultima sottosequenza di C5, corrisponde, sempre nella sequenza C9, alla trasfigurazione di Gesù: come per 64

Il termine affine «nel giudizio» (gr. en tēi krisei) compare anche all’inizio del passo centrale della terza sottosequenza di C3: «nel giudizio quelli di Ninive» (12,41) e «nel giudizio la regina del Sud» (12,42).

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La composizione del Vangelo di Matteo

loro, infatti «il suo volto brillò come il sole» (17,2; gr. kai elampsen to prosōpon autou hōs ho hēlios); e come i giusti entreranno nel Regno del «Padre loro» (essendone riconosciuti i legittimi eredi), così Gesù è già chiamato «Figlio mio» dalla voce nella nube (17,5). Alla fine del Discorso enigmatico, lo scriba divenuto «discepolo del regno» è paragonato a «un uomo padrone di casa, il quale tira fuori dal suo tesoro (gr. ekballei ek tou thēsaurou autou) cose nuove e antiche» (13,52). Egli è di fatti opposto ai «farisei» e a coloro che nella sequenza C3 «bestemmiano lo Spirito» (12,31-35). Per questi ultimi, invece, Gesù pronuncia il detto: «L’uomo buono dal buon tesoro tira fuori (gr. ek tou agathou thēsaurou ekballei) cose buone, e l’uomo malvagio dal tesoro malvagio tira fuori (gr. ek tou ponērou thēsaurou ekballei) cose malvage» (12,35). Infine, è possibile sottolineare la ricorrenza di alcuni termini significativi tra le sottosezioni:  «il più piccolo (gr. ho mikroteros) nel Regno dei Cieli» (C1: 11,11) corrisponde al «più piccolo (gr. ho mikroteron) di tutti i semi» (C5: 13,32), con cui il Regno stesso è paragonato;  i «campi seminati» (genitivo gr. tōn sporimōn) e le «spighe» (gr. stachyas; cfr. C1: 12,1) corrispondono a tutta una serie di termini del medesimo campo semantico, utilizzati nella Parabola della zizzania (C5: 13,24-30): il «grano» (gr. ho sitos, in 13,25.29.30), lo «stelo» (gr. ho chortos, in 13,26) e il «tuo campo» (gr. en tōi sōi argōi, in 13,27);  il «chicco di senape» (gr. kokkos sinapeōs) della parabola (C5: 13,31) appare anche nell’ultima sequenza della terza sottosezione, termine di paragone della fede carismatica richiesta da Gesù (C10: 17,20: «Se avete fede come un chicco di senape, direte a questo monte: “Spostati da qui a là”, e si sposterà, e nulla vi sarà impossibile»);  il «lievito» (gr. zymē) nascosto dalla donna con cui è paragonato il Regno dei Cieli in C5 (13,33) si oppone al «lievito dei farisei e dei sadducei» (16,6.11.12) che è il «loro insegnamento» (16,12), alla fine della sequenza centrale della terza sottosezione (C8);  infine, una richiesta dei discepoli, di significato molto simile, si trova tanto all’inizio della terza sottosequenza di C5, quanto alla fine della prima sottosequenza di C8, nella terza sottosezione: «Spiegaci (gr. diasaphēson hēmin) la parabola della zizzania nel campo» (13,36), sulla bocca dei discepoli, e: «Dacci il significato (gr. phrason hēmin) di questa parabola» (15,15), sulla bocca di Pietro65, per il detto su ciò che davvero «rende impuro l’uomo» (15,10-11)66.

65

Nel greco il verbo regge il complemento oggetto, come in 13,36. A livello complessivo, bisogna ricordare anche altre ricorrenze, forse meno importanti: «albero» (12,33tris e 13,32), «Signore» (al vocativo: 11,25; 13,27; 14,28.30; 15,22.25.27bis; 16,22; 17,4.15) e «Regno (dei Cieli)» (riferito sempre a Dio o a suo Figlio: 11,11.12; 12,28; 13,11.19.24.31.33.38.41.43.44.45.47.52; 16,19.28). 66

La sezione C (11,1–17,27)

243

2.3 ALCUNE RELAZIONI COMPLESSIVE PER L’INTERA SEZIONE A partire dal Discorso centrale, e lungo tutta la terza sottosezione, più volte «i discepoli si avvicinano» a Gesù per fargli una richiesta.  Nella sottosezione centrale questo avviene nel passo centrale della prima sequenza (C4: «Ed essendosi avvicinati i discepoli gli dissero», 13,10), e all’inizio della terza sottosequenza dell’unità subito successiva (C5: «Allora, avendo lasciato le folle egli andò in casa. E si avvicinarono a lui i suoi discepoli dicendo», 13,36).  Nella terza sottosezione, è possibile trovare la medesima costruzione all’inizio della seconda sequenza (C7: «Venuta la sera, gli si avvicinarono i discepoli dicendo», 14,15); poi nella prima sottosequenza della sequenza centrale (C8: «Allora, essendosi avvicinati i discepoli, gli dicono», 15,12) e all’inizio della sottosequenza centrale («Allora essendosi avvicinati i suoi discepoli, lo imploravano dicendo», 15,23); infine, anche nell’ultima sequenza della sottosezione (C10: «Allora, essendosi avvicinati i discepoli a Gesù, in disparte, dissero», 17,19). Come già sottolineato, espressioni analoghe non appariranno più nel resto del testo evangelico se non nella sezione successiva, quella contenente il Discorso sulla Vita Ecclesiale (in 18,1.21). Il dato è ancora più importante per la composizione e la coesione della sezione, come del Vangelo stesso, se si tiene presente che anche nelle sezioni precedenti un’espressione simile appare una volta sola, all’inizio del Discorso della Nuova Alleanza (5,1): qui però i discepoli non prendono mai la parola; a insegnare è soltanto Gesù, lungo tutto il primo dei Discorsi67. Al centro delle due sequenze che costituiscono il Discorso enigmatico si trova espressa la tematica della rivelazione68: nascosta alle folle e disponibile alla comprensione dei discepoli di Gesù (cfr. 13,11 e 13,34-35). Nella sottosequenza centrale della prima sequenza della sezione, Gesù loda il Padre per aver «nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti» e per averle «rivelate ai piccoli» (C1: 11,25). Nelle sottosequenze estreme di C9, nella terza sottosezione, è a Pietro che il Padre «ha rivelato» l’identità messianica di Gesù (16,17), mentre sul monte è Gesù stesso che rivela la sua gloria a tre discepoli (17,1-8).

67

Bisogna sottolineare anche l’attitudine di Gesù verso i suoi discepoli, che cambia a partire dal Discorso enigmatico (cfr. 13,11.51-52). Nelle unità precedenti si era rivolto direttamente a loro solo in 9,37 e li aveva «chiamati a sé» in 10,1 per dare le istruzioni del Discorso sulla Vita Apostolica (dunque tutta la seconda sezione). Nel secondo versante della sezione C, Gesù li «chiama a sé» in 15,32, e rivolge più volte a loro la parola per ammaestrarli (in particolare nella sequenza C9: cfr. 16,13.21.24; poi ancora 17,9-13 e 17,22). Anche nelle sezioni successive, e perciò a partire da questa sezione centrale del Libro, Gesù si rivolgerà preferibilmente ai discepoli; il Discorso escatologico finale è, come esempio capitale, esclusivamente rivolto a loro (cfr. 24,1-4). 68 Lo testimonia la sinossi alla pagina successiva.

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La composizione del Vangelo di Matteo C4 (13,10-17)

10

13, Ed essendosi avvicinati i discepoli gli dissero: « ». 11 Quello rispondendo disse loro: « I MISTERI DEL REGNO DEI CIELI, . 12 Ha chiunque ha infatti, sarà dato e sarà abbondantemente; chi non ha invece, anche ciò che ha gli sarà tolto. 13 , poiché vedendo non vedono e ascoltando non ascoltano né comprendono, 14 ed è compiuta per loro la profezia di Isaia, quella che dice: «Con ascolto ascolterete, e non comprenderete, e vedendo vedrete e non contemplerete. 15 È ingrassato infatti il cuore di questo popolo, e con gli orecchi duramente ascoltarono e i loro occhi chiusero, affinché non contemplino con gli occhi e con gli orecchi non ascoltino e con il cuore comprendano, e ritornino e io li ristabilisca».

C5 (13,34-35) 13,

34

, 35 affinché fosse compiuto il detto per mezzo del profeta dicendo: «Aprirò in parabole la mia bocca, proferirò COSE NASCOSTE dalla fondazione del mondo».

Collegato al tema della rivelazione, è inserito nella sezione quello della sua comprensione, altrettanto importante69. Alla fine del Discorso enigmatico, Gesù aveva chiesto ai discepoli: «Avete compreso (gr. synēkate) tutte queste cose?» (13,51)70. Allo stesso modo, nella sequenza centrale della terza sottosezione (C8), Gesù chiede nuovamente ai discepoli: «Ancora anche voi non siete capaci di comprendere (gr. asynetoi este)?» (15,16), al seguito della loro richiesta di spiegare l’enigma su ciò che esce dalla bocca dell’uomo e che lo rende impuro (cfr. 15,11.15)71.

69

A proposito della comprensione come elemento fondamentale della comunicazione nel Discorso di Mt 13: A. ANDREOZZI, L’officina delle parabole. 70 In 13,23, nella spiegazione della Parabola del seminatore, il terreno buono era proprio identificato con «colui che ascolta e comprende la Parola» del Regno, mentre in 13,19 il seme finito sulla strada è paragonato a «chiunque ascolti la Parola del Regno e non la comprenda». 71 Nella terza sottosezione il verbo syniēmi appare ancora in 16,12 quando i discepoli «comprendono» che il lievito da cui astenersi corrispondeva all’insegnamento di «farisei e sadducei», e successivamente in 17,13 quando i tre discepoli, scendendo con Gesù dal monte, «comprendono» che Gesù parlava di Giovanni, identificandolo con Elia. Nel Discorso enigmatico il verbo compare pure in 13,13.14.15, nella citazione di Isaia. È importante rilevare che le sue uniche occorrenze in tutto il Vangelo di Matteo siano esclusivamente in questa sezione, precisamente in queste due sottosezioni.

La sezione C (11,1–17,27)

245

2.4 «PARABOLE» AL CENTRO…E NELLE SOTTOSEZIONI ESTREME Il genere enigmatico della parabola domina in modo indubitabile la sottosezione centrale. Qui, le parabole vere e proprie si trovano tutte nelle sottosequenze estreme delle sequenze C4 e C572: C4 (13,3b-23) 

C5 (13,24-50)

parabola DEL SEMINATORE

13,3b-9



parabola



parabola

DELLA ZIZZANIA DEL CHICCO DI SENAPE





spiegazione della parabola del seminatore

13,10-17

13,31-32

parabola DEL LIEVITO

«Per questo parlo loro in parabole…»

13,24-30

13,33

«Tutte queste cose parlò Gesù in parabole, e senza parabola nulla parlava a loro…» 13,34 

13,36-43



spiegazione della parabole della zizzania parabola DEL TESORO NASCOSTO

13,44



parabola

13,18-23

DEL MERCANTE DI PERLE



13,45-46

parabola DELLA RETE IN MARE

13,47-50

Nella sequenza centrale della terza sottosezione (C8), Pietro si avvicina a Gesù chiedendo di «dare il significato di questa parabola» (15,15), riferendosi al detto enigmatico precedentemente rivolto alla folla, in 15,10-11): 15,10-11

Ascoltate e comprendete! Non ciò che entra dalla bocca rende impuro l’uomo, ma ciò che esce dalla bocca, questo rende impuro l’uomo!

In questo modo, la sezione stessa rende prova di come con il termine greco parabolē debba intendersi un genere non ristretto ai soli racconti parabolici, comunemente riconosciuti. Il genere è meglio rappresentato dal semitico māšāl, con cui si può fare riferimento, in senso più ampio, a ogni forma di enigma o di

72

Per motivi di chiarezza, nella tabella non sono i titoli a determinare i passi delle due sequenze, ma piuttosto gli elenchi puntati.

246

La composizione del Vangelo di Matteo

proverbio o di paragone (cfr. Pr 1,1-6). Tale forma enigmatica era tipica al tempo di Gesù nell’insegnamento rabbinico73. Questa ulteriore considerazione sul genere del māšāl permette di evidenziare la presenza di «parabole» (detti enigmatici), accompagnate dalla loro spiegazione, anche all’interno delle sottosezioni estreme narrative, e in modo abbastanza sorprendente proprio al centro e agli estremi del sistema. Si dovranno citare alcuni enigmi-paragoni proposti da Gesù nelle sequenze estreme della prima sottosezione (C1 e C3) e nella sequenza centrale della terza sottosezione (C8). Anzitutto, per le sequenze C1 e C374: 11,12-15

: Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora il regno dei Cieli subisce violenza e i violenti lo prendono con forza. = Infatti, tutti i Profeti e la Legge fino hanno profetato fino a Giovanni. E, se lo volete accettare, egli è Elia che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti! (cfr. 13,9)

11,16-19

: A chi farò simile questa generazione? È simile a bambini seduti in piazza che, gridando gli uni agli altri, dicono: «Suonammo il flauto per voi, e non avete ballato, intonammo un lamento e non vi siete afflitti». =Venne Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “Ha un demonio”. Venne il Figlio dell’Uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un uomo mangione e beone, amico di pubblicani e peccatori”. Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta dalle sue opere.

12,33-37

: O fate l’albero buono, e il suo frutto sarà buono. O fate l’albero guasto, e il suo frutto sarà guasto. Infatti dal frutto si conosce l’albero. = Razza di vipere! Come potete dire cose buone, essendo malvagi? Infatti, dall’abbondanza del cuore la bocca parla. L’uomo buono dal buon tesoro tira fuori cose buone, e l’uomo malvagio dal malvagio tesoro tira fuori cose malvage.

73 Anche a conclusione della stessa sottosezione centrale, in 13,51-52, alla domanda di Gesù sulla comprensione delle parabole segue il paragone sullo scriba-discepolo del Regno, il quale somiglia a un «uomo padrone di casa che tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». 74 L’insegnamento di Gesù è spesso per sua natura enigmatico, spesso metaforico. A questi potrebbero essere aggiunti dunque altri casi, sempre rintracciabili nelle sequenze estreme della sottosezione: 12,25-30; 12,43-45 e la domanda in 12,11 cui segue spiegazione.

La sezione C (11,1–17,27)

247

E infine all’interno della sequenza C8: 15,10-11

15,17-20

16,6 16,8-12

: Ascoltate e comprendete! Non ciò che entra dalla bocca rende impuro l’uomo, ma ciò che esce dalla bocca, questo rende impuro l’uomo! […] = Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e in una fogna è gettato? Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore, e questo rende impuro l’uomo. Dal cuore, infatti, provengono propositi malvagi, omicidi, adultèri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie. 20 Queste sono le cose che rendono impuro l’uomo; ma il mangiare con le mani non lavate non rende impuro l’uomo. : Guardatevi e fate attenzione al lievito dei farisei e dei sadducei. […] = Ma avendo conosciuto Gesù disse: «Perché discutete tra voi stessi, pochi di fede, che non avete pani? Non capite ancora né ricordate i cinque pani dei cinquemila, e quante ceste prendeste? 1Né i sette pani dei quattromila, e quante sporte prendeste? Come mai non capite che non vi dissi dei pani? State attenti invece al lievito dei farisei e dei sadducei». Allora compresero che non aveva detto di stare attenti al lievito dei pani, ma all’insegnamento dei farisei e dei sadducei.

3. VISIONE D’INSIEME DELLA SEZIONE Presentati i rapporti determinanti tra le sottosezioni, è ora possibile ritornare alla visione d’insieme, per fare un bilancio della composizione: SOTTOSEZIONE NARRATIVA: C1: GESÙ, rifiutato da questa generazione, C2: C3:

IL SERVO GESÙ, contestato e seguito,

C8: C9:

11,1–12,14 12,15-21

GESÙ, rifiutato da questa generazione,

compie le opere di Dio

12,22-50

INTRODUZIONE: C4: LA GENERAZIONE

Gesù parla in parabole e l’accoglienza della Parola

13,1-52 13,1-3a 13,3b-23

C5: LA CRESCITA CONCLUSIONE:

e il compimento del Regno I discepoli-scribi del Regno

13,24-50 13,51-52

della carne e del sangue

13,53–14,12

per le opere che compie

14,13-36

SOTTOSEZIONE NARRATIVA: C6: Chi è GESÙ? L’incredulità C7:

compie le opere del Messia

GESÙ si mostra Figlio di Dio IL MESSIA GESÙ, contestato e seguito, GESÙ, riconosciuto Figlio di Dio,

C10: Chi è GESÙ?

La piccola-fede

15,1–16,12 compirà la volontà del Padre

16,13–17,13

della Chiesa

17,14-27

248

La composizione del Vangelo di Matteo

Nelle sequenze estreme delle sottosezioni narrative progredisce la tensione tra il ministero di Gesù in Israele, in quanto suo Messia e salvatore, e la risposta spesso problematica o ostile di coloro ai quali egli è inviato. Questa tensione era appena venuta a galla nella sezione maggiore precedente (A: in Mt 8–9), prospettata per i discepoli e il loro futuro compito, all’interno del Discorso sulla Vita Apostolica (B: Mt 10). Ora, è Gesù stesso che a più riprese identificherà un gruppo preciso, che ha preso corpo e che gli muove apertamente battaglia, mettendo a repentaglio la comprensione del suo ministero messianico: si tratta di «questa generazione» così spesso definita come «malvagia e adultera»75. L’oggetto della contestazione riguarda evidentemente ciò che Gesù compie e insegna. Per il primo versante della sezione si tratta delle «opere», strettamente connesse alla sua messianicità (cfr. la lista in 11,2-6 ma anche «le opere della sapienza» cui si fa riferimento in 11,19; in 13,54 si tratta di «prodigi» e insieme di «sapienza»); mentre per il secondo versante si passa ad un aspetto più profondo, poiché gli avvenimenti sono più strettamente in relazione a Dio e al suo progetto definitivo, non ancora pienamente manifestato. Nella sequenza C3, per esempio, gli esorcismi, fatti nello «Spirito di Dio» sono ritenuti come provenienti dal «capo dei demoni» (12,24-30); invece lungo tutta la sequenza C9, è continuamente presentato ai discepoli il futuro rifiuto che Gesù dovrà accettare per poter realizzare completamente la volontà del Padre (in particolare la sofferenza e la croce, cfr. 16,21.24-28; 17,9). Nella terza sottosezione, più ampia, le sequenze estreme (C6 e C10), pur seguendo il filo rosso della tensione finora esposta, aggiungono un aspetto ulteriore a quanto è emerso nella prima sottosezione76. Queste due sequenze, infatti, mettono in luce il divario tra «l’incredulità» dei più vicini secondo la carne (13,53-58), o di chi si accosta alla persona di Gesù solo partendo dalla «fama» dei suoi miracoli (Erode in 14,1-2), e la nascita di una nuova realtà, «la sua Chiesa» (16,18), fondata sulla fede che si lascia «rivelare dal Padre» il mistero filiale di Gesù (16,17), e contro cui il male non prevarrà, anche se la compagnia di quelli che la compaginano è ancora «piccola-di-fede» (14,31; 17,20)77. Al centro delle sottosezioni estreme, le sequenze C2 e C8 presentano Gesù nei panni del Servo isaiano, decifrandone e dimostrandone la missione, nel suo impegnativo rapporto tra Israele che deve «ricondurre» e le Nazioni che deve «illuminare» (cfr. Is 49,1-6) con la «giustizia» (Is 42,1-4) attraverso la cura per 75

Da un punto di vista particolare, nelle sottosezioni estreme gli oppositori di Gesù sono principalmente «scribi e farisei» o «farisei e sadducei». Ma anche «le folle» hanno una polarità difficile da determinare. A esse Gesù sembra indirizzare la domanda posta proprio all’inizio della sezione: «A chi farò simile questa generazione?» (11,16; cfr. 11,7). 76 Si potrebbe così comprendere la composizione retorica più complessa di questa ultima sottosezione come fenomeno di «allargamento finale» (in questo caso, per il secondo versante di una sezione; cfr. R. MEYNET, Trattato, 636-637). 77 È molto eloquente, allora, il fatto che secondo la sequenza C10, i discepoli non siano stati ancora capaci di scacciare il demonio dal ragazzo epilettico (cfr. il passo 17,14-21).

La sezione C (11,1–17,27)

249

gli ultimi e gli affamati che ora si va realizzando nel suo ministero. Il passaggio che si è potuto sottolineare tra i centri di queste sottosezioni pare dunque importante: sebbene Gesù, come Messia di Israele, non sia mai sconfinato in pieno territorio pagano, una prima breccia nel muro di divisione è operata già nella guarigione della figlia della cananea (15,21-28) e nei miracoli presso il monte (15,29-31; 32-39): essa è un’ulteriore dimostrazione della futura apertura della salvezza per tutti i popoli (cfr. 28,19-20). Al centro di tutta la sezione, le due sequenze che costituiscono il Discorso enigmatico (C4 e C5), declinano il tema del rifiuto e dell’accoglienza nelle parabole proposte da Gesù alle folle e ai discepoli. Fondamentale, in questa sottosezione centrale, sarà la comprensione dei «misteri del Regno», espressi attraverso l’insegnamento. Ora, solo i «discepoli» che «si avvicinano» a Gesù e che perciò lo seguono, da questo punto in poi potranno avere accesso a tali «misteri» (13,11), perché li «comprendono»: salvati, potranno essere a loro volta fecondi come le piccole realtà che crescono bene o i personaggi che si arricchiscono nei māšāl di Gesù. Diverranno «scribi fatti discepoli» capaci di amministrare il tesoro prezioso che gli è stato donato (13,52). Al contrario, «le folle» dovranno fare i conti con il pericolo della durezza del loro cuore, che rende incapaci di «comprendere» e perciò di entrare nel riscatto promesso (13,15). III. PER UNA DINAMICA DELLA SEZIONE C In quanto sezione centrale, ma anche per la sua stessa composizione interna, la sezione C sviluppa e apre percorsi di senso di primaria importanza per il seguito del Vangelo. Il passaggio dal clima di contestazione degli oppositori di Gesù, nella prima sottosezione, alla nascita di una comunità disponibile, la Chiesa, nella terza, nonché il carattere enigmatico del Discorso centrale che disvela (per «chi ha orecchi», cfr. 13,9) il destino complesso del Regno annunciato, vanno a costituire il punto di svolta all’interno della dinamica narrativa e didattica delle sezioni evangeliche, così come sono state riconosciute durante la ricerca sulla composizione dell’intero Libro. 1. L’IDENTITÀ MESSIANICA DI GESÙ Nella prima sottosezione Gesù è chiaramente indicato come il Servo di Yhwh cantato da Is 42,1-4 (cfr. Mt 12,18-21). Il testo isaiano è qui esplicitamente citato78. Nella terza sottosezione, sul monte della visione, la «voce» del Padre vi farà nuovamente allusione (17,5), aggiungendovi l’invito autorevole: «Questi è il Figlio mio, l’amato, in cui ho compiaciuto: ascoltatelo». I due agganci contestuali, tuttavia, non svelano ancora del tutto l’identità del Messia, anzi sembrerebbero continuare a lasciare un velo voluto: la citazione esplicita in 12,18-21, 78

Nella prima grande sezione, in particolare con la proclamazione del Discorso della Nuova Alleanza, il lettore/ascoltatore aveva potuto percepire implicitamente un riferimento alla figura.

250

La composizione del Vangelo di Matteo

infatti, serve a giustificare l’atteggiamento reticente di Gesù («e ordinò loro affinché non lo facessero manifesto», in 12,16), dopo le guarigioni delle folle poste al centro della prima sottosezione; mentre per la Trasfigurazione si tratta di un’esperienza vissuta «in disparte» (17,1), di cui Gesù stesso chiederà che non si parli fino alla sua resurrezione (17,9). La sezione farà più volte riferimento anche ai «prodigi» e alla «sapienza» mostrati da Gesù, ma comunque l’esito finale delle grandi opere messianiche sembrerebbe non portare ad alcuna risonanza schiacciante. Gesù rientrerà con i discepoli nell’intimità della «casa» di Cafarnao alla fine della sezione (17,25), quasi concludendo del tutto il suo operato in Galilea (cfr. 19,1; 26,32). È lì (nella casa), ed è per loro (i discepoli) in particolare, che Gesù ha potuto rivelare «i misteri del Regno» (cfr. 13,10-18.36-43-51-52), e dunque il mistero stesso della sua identità («Beati invece i vostri occhi perché vedono, e i vostri orecchi perché ascoltano», 13,16). Ed è solo in questa atmosfera particolare di intimità e di fede che la sezione permette al discepolo di «comprendere» la persona del Messia a un livello autentico: egli è «il Figlio, l’Amato» (17,5), «il Figlio dell’uomo» chiamato a essere sovrano nella realtà finale del Regno di Dio (13,36-50; cfr. Dn 7,13-14), colui al quale «è stato dato tutto dal Padre», il solo che lo «conosce» e lo «rivela» (11,25-27). Il passo di 11,28-30, nella prima sottosezione, come lo splendore del volto e delle vesti del Trasfigurato in 17,2-3 nella terza sottosezione, accostano chiaramente il Messia Gesù alla figura Sapienza personificata, per altro riferendosi direttamente in 11,9 al «suo giogo» dolce e dissetante: Volgetevi a me, o stolti, pernottate nella mia scuola. Fino a quando resterete privi di ciò, mentre la vostra anima ne è tanto assetata? Ho aperto la bocca e ho parlato di essa. Acquistatevi la sapienza senza denaro. Sottoponete il vostro collo al suo giogo e la vostra anima porti il suo carico. Essa è vicina a quanti la cercano: chi vi si applica la trova (Sir 51,23-26)79.

Nella sottosezione centrale poi, per mezzo del genere parabolico, è il Regno a essere descritto ancora con le immagini desunte dal mondo sapienziale: come la Sapienza ricercata, esso è più prezioso di «oro» e «argento» (cfr. Pr 8,10; Sap 7,8-9), elementi costitutivi di un «tesoro nascosto» (Mt 13,44), e «vale più delle perle» (Pr 8,11; cfr. Mt 13,45-46). 2. COSA ACCADE DAVANTI ALLE «OPERE DEL MESSIA» (11,2) Gesù invita lo stesso Giovanni e i suoi discepoli, proprio nell’incipit della sezione, ad «ascoltare e vedere» quelle che il testo chiama «le opere del Messia» (11,2-6). Nel proseguo dell’intera sezione, più volte Gesù riconfermerà questi «prodigi», che sono sostanzialmente opere di guarigione e di consolazione per quanti si accosteranno a lui (11,28-30; 12,9-13.15-21.22; 14,15-21; 15,21-28; 79

Così anche Mello, 210 nel commento della pericope particolare di Mt 11,25-30. Si veda, per il contesto, anche Sir 24,1-34.

La sezione C (11,1–17,27)

251

15,29-31; 15,32-39; 17,14-18). Si tratta di quelle opere escatologiche attese per i tempi messianici. Esse, infatti, sono più volte annunciate e fatte oggetto di continue riletture nel Libro del profeta Isaia, fino ad ascriverle all’opera di un inviato finale (cfr. Is 61,1-3d): Udranno un giorno i sordi le parole del libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno. Gli umili si rallegreranno in Yhwh, i più poveri gioiranno nel Santo di Israele (Is 29,18-19)80.

E tuttavia, proprio a partire da queste opere, nasce nella sezione la possibilità di una separazione, di un capovolgimento: «E beato è colui che non è scandalizzato di me» (11,6). Una «generazione adultera e malvagia» (12,39; 16,4) prende piede tra gli uditori del Messia, tale che per essa è prospettata una colpa senza perdono: si tratta di un accecamento inguaribile (13,13), dell’ingrassamento del cuore (13,15; 15,18-20), della volontaria incomprensione della presenza dello Spirito nell’umile ma potente ministero del Servo del Signore (12,32). Per costoro, la liberazione che Gesù opera da ogni forma di male (e perciò anche l’effettivo ingresso nella dimensione della Nuova Alleanza) è capovolta in rovina: lo spirito impuro cacciato rende la loro condizione peggiore, «prendendo con sé altri sette spiriti più malvagi» di lui (12,45). Anche la sapienza del Regno, proposta da Gesù nella forma di enigmi da ascoltare e comprendere (13,34), diviene inaccessibile per colui che rimane cieco ed è destinato a «cadere in un fosso», insieme a tutti quelli che si metteranno a seguirlo (15,14)81. Allo stesso tempo, emergono però nella sezione strade alternative all’indurimento di una parte di Israele: da un lato la docilità e l’apprendistato dei discepoli di Gesù, dall’altro l’apertura della salvezza ad alcuni membri alle Nazioni che raggiungono Gesù. Con i primi Gesù «entra in casa» per rivelare la realtà della sua persona e del suo insegnamento. Verso gli altri, ai confini di Israele, egli si dirige per allargare le promesse fatte al popolo della Prima Alleanza (cfr. 15,24.28). In particolare, la terza sottosezione è ricca di questi spunti. Lo si può soprattutto ricavare dalla semantica relativa al cibo e al «pane» che intesse importanti relazioni all’interno dei passi delle sequenze di questa unità. Gesù chiede ai suoi di allontanarsi «dal lievito» di farisei e sadducei (16,12), e imbandisce due volte (e per due popoli diversi si direbbe) la mensa del «pane» del Regno (14,15-21; 15,32-38). Per coloro che lo accolgono, il Messia prepara il banchetto escatologico, prossimo ormai ad essere aperto a tutti:

80

Il contesto di Is 29 sembra essere una pista da approfondire per il senso dell’intera sezione: lì è anche ampiamente svelato il mistero dell’indurimento e dell’accecamento del popolo e dei suoi capi (l’autore cita direttamente Is 29,13 in Mt 15,8-9). 81 Il pericolo, nel Vangelo di Matteo, è reale e da non sottovalutare: persino i parenti e i compatrioti di Gesù corrono il rischio di non entrare nel Regno dei Cieli, né di comprenderne i misteri (così bisognerà guardare ai passi sulla famiglia di Gesù che incorniciano proprio il discorso centrale, cfr. 12,46-50; 13,53-58).

252

La composizione del Vangelo di Matteo

Preparerà Yhwh delle schiere per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte, il velo che copriva la faccia dei popoli e la coltre distesa su tutte le Nazioni (Is 25,6-7)82.

3. ACCOGLIERE E FAR CRESCERE IL REGNO: IL DISCEPOLO SCRIBA (13,52) Alla fine del Discorso enigmatico, la figura dello scriba e del discepolo sono unite nella conclusione di Gesù (13,52). Questa logion finale sembra importante, non soltanto per la fine della sottosezione di riferimento, e neppure per la sola sezione. L’immagine è davvero unica: presentata soltanto all’interno di questo Vangelo. Lo «scriba» è colui che «comprende» l’insegnamento messianico sul Regno (13,51), e allo stesso tempo è l’immagine più adeguata con cui Gesù definisce ora i suoi discepoli, quelli entrati con lui nella casa (13,36), quelli che lo seguiranno fino alla fine (28,16). Su di loro Gesù «stende la mano» (12,49) per indicare la vera relazione di intimità generativa che li fa diventare suoi consanguinei nel Regno, perché lo stanno «ascoltando» e perciò accogliendo secondo la vera volontà del Padre. A loro egli affida il pane moltiplicato, perché «i discepoli» a loro volta «lo diano» «alle folle» (14,19; 15,36). Tra di loro, nel proseguo della sezione, un posto del tutto particolare assumerà Simon Pietro: la terza sottosezione, infatti, conosce tre episodi che riguardano solamente lui (una tradizione che non ha pari negli altri vangeli). Si tratta dell’episodio del cammino sul mare in tempesta (14,28-33), della beatitudine e della consegna del primato (16,17-19)83 e della domanda sulla libertà dei figli a Cafarnao (17,24-27). In essi, Pietro emerge come figura emblematica del discepolo che cammina con il Messia e che Gesù prepara per continuare il suo operato, ma che allo stesso tempo è ancora «piccolo di fede» (14,31). La sezione si presenta come un punto di svolta anche per la figura del discepolo che via via affiora e si costituisce nel Vangelo di Matteo. Egli riesce a «comprendere» il «misteri» che riguardano il Regno: come non solo in esso sia necessario entrare, ma anche come piuttosto sia esso stesso a «venire» a prendere dimora in lui. Egli deve accoglierlo nella Parola come la terra accoglie il seme (13,3b-9), farlo crescere dentro di sé e diventare a sua volta luogo di crescita del 82 Il contesto di questo passo isaiano stupisce, in particolare per il riferimento al «monte» (cfr. Mt 15,29). Non bisogna sottovalutare che nella terza sottosezione sono due i racconti della moltiplicazione dei pani: forse anche per segnalare ulteriormente quanto non sia vero che l’intero popolo di Israele abbia rigettato il Messia e la sua opera. Il banchetto, infatti, è preparato tanto per le folle che provengono dal giudaismo, e dunque è tanto per il popolo eletto (cfr. 14,19: anablepsas eis ton ouranon eulogēsen kai klasas edōken tois mathētais tous artous, che implicherebbe la benedizione ebraica del pasto), quanto per il nuovo popolo in cui entreranno anche i pagani (cfr. 15,36: elaben tous epta artous kai tous ichthyas kai eucharistēsas eklasen kai edidou tois mathētais, che si riferisce piuttosto al rendimento di grazie, e perciò figura della futura eucarestia etnico-cristiana; cfr. Mello 286). 83 Non bisogna dimenticare la polarità di questi episodi: Pietro cammina sulle acque, ma affonda nel momento della paura (14,30); riconosce l’identità di Gesù e subito dopo non accetta il vero significato della sua missione (16,22-23).

La sezione C (11,1–17,27)

253

Regno per tutti quelli che sosteranno alla sua ombra (13,31-32)84. La dimensione di interiorità della Nuova Alleanza si rende perciò possibile e realizzabile nella sua persona. Seguendo e diventando vero familiare di Gesù, il discepolo è a sua volta fatto scriba. Egli scriverà quanto Dio aveva già donato nell’Antica Alleanza e allo stesso tempo ciò che ora germoglia in novità nell’insegnamento e nell’opera del Messia che è venuto a compiere Legge e Profeti. Lo scriverà «sulle tavole del cuore»85: del proprio ma anche di quello di altri (cfr. 2Cor 3,3; Ez 36,26-27), tutti quelli che in futuro verranno nella «Chiesa» del Messia. Divenuto discepolo del Regno, egli dovrà continuare l’opera di Gesù, dovrà preparare ancora il banchetto escatologico per il popolo antico, come per un popolo nuovo. Proprio «Pietro» sarà il «primo» (il gr. prōtos in Mt 10,2) alla scuola della Parola del Messia e la «pietra» su cui edificare una nuova comunità di fede (16,18). Gli episodi che lo riguardano mettono in luce il suo farsi discepolo di Gesù, ma allo stesso tempo il suo futuro ingaggio di scriba davvero particolare nella Chiesa. La nuova comunità sarà allora fondata sulla sua capacità di accogliere la rivelazione del Padre (e perciò di «ascoltarla» adeguatamente), sarà affidata alle sue cure di discepolo divenuto come il Maestro (in particolare il mandato rabbinico tipico di «legare e sciogliere»)86, sarà generata continuamente dalla sua libertà filiale87.

84

Questa dimensione del discepolo che diventa luogo del Regno e della sua fecondità perfino per gli altri (una dimensione generativa) è stata già fatta emergere per Lc 13,18-20 da R. MEYNET, Vedi questa donna?, 106-112. 85 Come visto la dinamica del «cuore» è importante per l’intera sezione. 86 Nella sezione successiva, tuttavia, lo stesso mandato è allargato a tutti i discepoli (18,18). Sul significato di «legare e sciogliere» come espressione della responsabilità di insegnare e interpretare correttamente la volontà di Dio si veda Fabris, 373. 87 Accomunandolo al gesto della tassa («dallo a loro per me e per te», in 17,27), sembra che Gesù renda partecipe pienamente anche Pietro della sua dignità filiale («Dunque i figli sono liberi», in 17,26). Si realizza allora l’icona dello scriba che «è simile a un uomo padrone di casa» (13,52), in quanto Pietro sta realmente diventando «come il suo Maestro» e «come il suo Signore» (cfr. il detto prolettico di 10,25).

Capitolo VIII LA SEZIONE E: IL MESSIA ADEMPIE LA NUOVA ALLEANZA NEL SUO SANGUE (Mt 19,1–27,61)

La quinta sezione del Vangelo (come le precedenti grandi sezioni del Libro) è organizzata in tre sottosezioni, secondo una composizione concentrica. La prima sottosezione riguarda il viaggio e il ministero di Gesù a Gerusalemme (19,1–23,39), mentre la terza contiene il Racconto della Passione (26,1–27,61), che a Gerusalemme si consuma. Ognuna di esse è formata da tre sequenze, anch’esse di composizione concentrica1. La sottosezione centrale costituisce il Discorso del Compimento del Tempo2: si tratta dell’ultimo grande discorso del Vangelo di Matteo (24,1–25,46), organizzato anch’esso in maniera concentrica3.

1 Riguardo allo studio già svolto (e già citato) per le due sottosezioni estreme si veda: per Mt 19–20, R. MEYNET, Una nuova introduzione, 42-102.126-137.145-178.226-255; sulla sequenza E2 (21,1–22,14), R. DI PAOLO, «Scoprirsi chiamati, pentiti, eletti», 73-93; ID., «Il Figlio di Davide », 85-110; lo studio di Di Paolo si è prolungato anche alla prima sottosequenza di E3 (22,15-40) in ID., «Dio dona e ridona la vita ai suoi figli», 153-170; infine, per il racconto della Passione (la terza sottosezione), R. MEYNET, La Pasqua del Signore, 21-75.179-206. 279-303.363-389. 2 Si è scelto questo titolo per il quinto Discorso poggiandosi sull’incipit di 24,1-4a: qui la domanda dei discepoli è diretta al segno della «parusia» e della synteleias tou aiōnos (24,3). Tale espressione può essere letteralmente tradotta come «com-pimento/fine dell’eone», e perciò del «tempo» umano (o del «secolo»). Si è preferito anche il sostantivo «compimento» a quello più apocalittico di «fine» giacché risultava appropriato per la visione d’insieme Vangelo: il Discorso iniziale sul monte (Mt 5–7), al centro della prima sezione, sanciva l’inaugurazione del Regno dei Cieli, e perciò della Nuova Alleanza aperta dal Messia, mentre questo discorso finale, al centro della quinta sezione, scruta il tempo escatologico ed apocalittico come «compimento» del tempo degli uomini, ma anche della stessa Alleanza cominciata nel Messia. Per ora, essa è suggellata nella sua croce (26–27), ma destinata a maturare (Mt 13) attraverso i discepoli per raggiungere tutte le Nazioni e tutti i tempi (Mt 28). In questo modo, i tre Discorsi delle sezioni più ampie tessono bene il filo rosso (teologico) dell’alleanza messianica: inizio della Nuova Alleanza nell’esistenza di Gesù Cristo e dei discepoli (Mt 5–7), sua maturazione nel campo del mondo (Mt 13), suo compimento nel tempo della parusia gloriosa del Messia (Mt 24–25). 3 Per uno studio del capitolo 24 (da cui prende avvio e tuttavia si discosta la presente trattazione) si veda: G. LORI. «I dolori del parto», 95-119.

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La composizione del Vangelo di Matteo Il Servo Gesù

E1–E3 E4–E6 E7–E9

Il Discorso Il Servo Gesù

SALE A GERUSALEMME

19,1–23,39

del Compimento del Tempo

24,1–25,46

MUORE A GERUSALEMME

26,1–27,61

I dati quantitativi dimostrano per questa sezione un certo equilibrio di composizione: le sottosezioni estreme contano rispettivamente 17.004 caratteri e 11.291 (dunque la prima è parzialmente più lunga dell’altra), mentre il discorso centrale, più breve, 7.969 caratteri. I. INDAGINE GENERALE SULLA SEZIONE E CONVERGENZA DI INDIZI Da un punto di vista formale, la sezione è solcata da numerosi indizi di coerenza che determinano anche il ritmo delle tre sottosezioni interne in cui è organizzata. Anzitutto, le due sottosezioni estreme cominciano con la celebre formula stereotipata di chiusura dei discorsi. Questa volta, anche se le proposizioni principali sono totalmente differenti4, le due subordinate temporali che realizzano tali formule sono pressoché identiche: 19,1

26,1

– 1 E AVVENNE, :: quando terminò .. partì

Gesù dalla Galilea

. e venne . oltre

verso i confini il Giordano.

della Giudea,

– 1 E AVVENNE, :: quando terminò :. disse

Gesù ai suoi discepoli

TUTTE

le parole queste,

le parole queste,

[…]

Si tratta, ogni volta, della conclusione di «le parole queste» (espressione che indicherebbe tanto in 19,1b quanto in 26,1b l’insieme del discorso precedente), ma nel secondo caso la narrazione è arricchita da un ulteriore tono sommario, dal momento che fa riferimento a «tutte le parole queste». Dunque, nell’ultima formula di chiusura (non si incontreranno più fino alla fine del Libro), l’evange4

In 19,1 la proposizione principale narra l’inizio del viaggio di Gesù dalla Galilea (dove fino ad ora aveva operato) verso la Giudea, e perciò verso Gerusalemme; in 26,1 Gesù comunica ai suoi discepoli l’imminenza della festa di Pasqua, durante la quale sarà crocifisso. In entrambi i casi, perciò, la principale collegata alla formula di chiusura contiene anche il tema dell’intera sottosezione.

La sezione E (19,1–27,61)

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lista ha voluto sintetizzare e sottolineare l’importanza e l’organicità delle intere unità discorsive precedenti. Alcuni esegeti hanno preferito una diversa delimitazione dell’ultimo dei Discorsi di Gesù nel Primo Vangelo, non riducendola ai soli capitoli 24–25. Questo perché anche il capitolo 23 sembrerebbe una lunga unità discorsiva, di tono parenetico, abbastanza vicina al contenuto dei capitoli successivi5. Si tratta, infatti, di una invettiva contro «gli scribi e i farisei» (23,2), che assume la potente venatura biblica dei «guai» in 23,13-33 e che trabocca in una catastrofica apostrofe in 23,34-39. Si deve ritenere perciò questo capitolo l’unità iniziale del Discorso del Compimento del Tempo (= Mt 23,1–25,46)? Oppure considerarlo come un discorso a parte, del tutto indipendente, posto a conclusione della prima sottosezione? Ora, una cesura evidente tra 23 e 24 è da riconoscere in 24,1-3, dove Gesù «essendo uscito dal Tempio se ne andava» (24,1), per spostarsi «sul Monte degli Ulivi» (24,3). Tale informazione geografica è arricchita dalla terminologia tipica di apertura dei Discorsi (in modo particolare, l’atteggiamento di Gesù, «seduto» per insegnare, e la notazione dell’«avvicinamento dei discepoli»). In più, i capitoli 24–25 sono segnati da indizi di più stretta unità compositiva, che fanno protendere per una loro netta indipendenza dal capitolo 23: a) l’unitarietà del discorso in 24–25 riguarda «la parousia» di Gesù e «la fine dell’eone» (24,3)6; 5 Bacon per primo aveva inserito l’intero capitolo 23 nel Discorso escatologico del V Libro (riconoscendo così l’unità 23,1–25,46), ma già uno dei suoi successori, Ph. Rolland, riconfigurando la prima teoria, aveva nettamente separato 19,1–23,39 da 24,1–25,46: si trattava, rispettivamente, della sezione racconto del IV Libretto e del Discorso iniziale del V (si veda qui la nt. 62 a p. 40). Bauer distingueva in 23 e 24–25 due sottosezioni all’interno di una delle tre unità letterarie maggiori del Vangelo: la prima sottosezione era un discorso contro scribi e farisei, la seconda invece un discorso sulla fedeltà dei discepoli negli ultimi tempi. Tra gli esegeti che hanno riconosciuto una struttura chiastica per il Vangelo, Green e Derickson hanno optato decisamente per l’integrazione del capitolo 23 all’unità narrativa che comincia nel capitolo 19, delimitando così il Discorso escatologico in 24–25. Il primo riconosce in 23 (invettive a scribi e farisei) il climax di tutta la sezione narrativa 19,1–23,39, il cui motivo fondamentale è il rifiuto messianico delineatosi in Giudea. Secondo Green, questa sezione evangelica sarebbe in relazione chiastica con quella contenente il Discorso della montagna (5–7), riconoscendo un richiamo formale rilevante tra le beatitudini per i discepoli (all’inizio della prima, in 5,1-12) e i guai per gli oppositori del Vangelo (alla fine dell’altra, in 23,13-33). Derickson, al contrario, appaiava in relazione chiastica 19–23 con 8–9, entrambe unità di indole narrativa, notando come il loro contenuto fondamentale fosse l’alternarsi di racconti di miracolo e istruzioni (riconoscendo perciò tra queste ultime il discorso fatto da Gesù in 23,1-39). È solo Charles H. Lohr che inserisce nuovamente il capitolo all’interno del Discorso escatologico (23,1–25,46) per il suo legame chiastico con il primo Discorso della montagna (Mt 5–7): a livello formale, dunque, la corrispondenza tra le beatitudini e i guai era divenuta per lui determinante (cfr. complessivamente in questo volume per gli autori citati: p. 40.59ss.89ss.92ss.94ss.). 6 Al contrario, il capitolo 23 è una denuncia o requisitoria contro «gli scribi e i farisei» (così Radermakers, 292; Fabris arricchisce il genere con tutte le gradazioni del tono profetico e parenetico: «monito, avvertimento, minaccia», cfr. Fabris, 481-482). Solo a conclusione si può individuare un effettivo riferimento alla «venuta» gloriosa finale. Ma anche in questo caso, Gesù denuncerebbe il mancato riconoscimento di Gerusalemme riguardo alla sua prima apparizione come Messia, riconoscimento che è ipoteticamente rimandato al futuro (23,39: «Infatti dico a voi:

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La composizione del Vangelo di Matteo

b) 24–25 è un lungo discorso fatto ai soli «discepoli» (24,1.3)7; c) un’inclusione tematica (termini estremi per la sottosezione centrale) è riconoscibile all’inizio e alla fine di 24–25; nella sua introduzione, infatti, i discepoli chiedono quale sia il segno «della parusia» di Gesù (24,3), mentre alla fine Gesù stesso narra cosa avverrà «quando il Figlio dell’Uomo verrà nella sua gloria» (25,31); d) il discorso di 24–25 è fatto fuori «dal Tempio» (24,1), e da «Gerusalemme» stessa (23,37), precisamente «sul Monte degli Ulivi» (24,3), mentre il discorso del c. 23 è ancora inserito negli eventi accaduti al suo interno, eventi che iniziano nella sequenza centrale della prima sottosezione (in 21,23 Gesù «entrò nel Tempio» e ve ne uscirà precisamente soltanto in 24,1). Proprio questo ultimo elemento rafforza notevolmente la convergenza degli altri, e fa protendere, già a un livello di analisi generale, verso l’indubbia integrazione del capitolo 23 alla prima sottosezione di riferimento. L’invettiva finale di Gesù nel Tempio sembra costituire quindi il climax di una contrapposizione sviluppatasi in tutta la prima sottosezione. Cominciato lungo il cammino in direzione di Gerusalemme (19,3), il confronto verbale risolutivo con gli oppositori di Gesù si consuma pienamente «nel Tempio» lungo le sequenze E2 (21,1–22,14) ed E3 (22,15–23,39)8. non affatto mi vedete da adesso finché non direte: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”»). Da un punto di vista formale, il «piccolo discorso» del capitolo 23 contiene piuttosto elementi che giustificano il suo legame e il suo statuto di chiusura della prima sottosezione. Proprio l’invocazione richiesta da Gesù per il suo avvento in 23,39 appare identica al momento del suo ingresso trionfale in Gerusalemme: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore», in 21,9 sulla bocca della «folla». In questo modo, le espressioni disegnano una polarità antitetica e si contraddistinguono come termini estremi della sottosezione. Invece, il riferimento alla desolazione/distruzione del Tempio (si badi a questa lieve differenza tra 23,38 e 24,2, quest’ultima arricchita dalla successiva spiegazione degli eventi escatologici distruttivi riguardanti il Tempio, almeno fino all’«abominio della desolazione» in 24,15) segna piuttosto un aggancio tra la fine della prima sottosezione e l’inizio di quella centrale (dunque si tratta di termini medi che designano anche il passaggio e lo sviluppo tematico tra le due unità). In questa luce possono essere rilette le osservazioni di Alberto Mello a introduzione del discorso sul Monte degli Ulivi: «Ma fa parte dell’immaginario apocalittico la descrizione in termini futuri di qualche tragedia storica che in realtà si è già consumata […] Nelle apocalissi sinottiche, lo spunto del discorso, la prima delle “cose ultime”, ma che in realtà si è già verificata, suscitando nei lettori un grande sconforto e un’ardente attesa di redenzione futura, è la rovina di Gerusalemme e la distruzione del Tempio. Perciò il discorso apocalittico di Matteo si articola, ancora più saldamente di Marco, con quanto precede, con la profezia della desolazione di Gerusalemme, e il lamento su di essa di Gesù. Un brano narrativo di transizione (24,1-3) assicura questo collegamento con la fine del capitolo precedente» (Mello, 410). 7 Al contrario, in 23,1 Gesù si rivolgeva «alla folla e ai suoi discepoli». 8 In 21,15 «i sommi sacerdoti e gli scribi» si sdegnano per le acclamazioni messianiche fatte nei riguardi di Gesù, mentre in 21,23, «i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo» domandano a Gesù «con quale autorità» operi e insegni. In 22,15 e in 22,34 «i farisei» cercano di mettere in difficoltà Gesù a proposito del tributo per Cesare e del più grande comandamento della Legge. Sarà perciò solo alla fine di questi scontri che Gesù si rivolgerà «alla folla e ai discepoli» (scomparsi dalla scena proprio a partire da 21,15) per metterli in guardia dall’ipocrisia e dalla durezza dei suoi oppositori (cfr. 23,2-3: «Sulla cattedra di Mosè sedettero scribi e farisei. Tutto ciò che vi dicono fate e osservate, ma non agite secondo le loro opere, dicono infatti e non fanno»).

La sezione E (19,1–27,61)

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La menzione del «monte degli Ulivi» affiora anche nelle sottosezioni estreme, ed è perciò importante sia da un punto di vista geografico (proprio perché appare in tutte e tre le sottosezioni) che formale (svolge la funzione termine gancio tra le sottosezioni stesse). Oltre a fare da scena al Discorso del Compimento del Tempo, in 21,1 è il punto da cui Gesù passa per entrare a Gerusalemme, mentre in 26,30 è il luogo dove si dirige con i discepoli dopo la celebrazione della cena pasquale, prima del tradimento. Anche la menzione del «Tempio» aggancia le tre sottosezioni tra loro, disegnando uno sviluppo tematico rilevante. Nella prima sottosezione, infatti, Gesù «scacciò tutti quelli che vendevano e compravano nel Tempio» (21,12) concludendo poi il suo monito profetico con la predizione della sua desolazione: «Ecco, vi sarà lasciata la vostra casa deserta» (23,38). Il Discorso centrale, come visto, è occasionato proprio dalla domanda sulla sorte del luogo santo della fede israelitica e sugli eventi della venuta finale del Figlio dell’Uomo (24,1-3). Nella terza sottosezione, invece, al momento culminante della dipartita di Gesù sulla croce, è «il velo del Tempio» (la cortina che isolava il Sancta Sanctorum) che «fu squarciato in due, da cima a fondo» (27,51)9. Ancora da un punto di vista geografico, nella prima sottosezione (E1: 19,1– 20,34) Gesù lascia la Galilea e comincia il suo itinerario finale verso Gerusalemme: «partì dalla Galilea e venne verso i confini della Giudea» (19,1). La prima sequenza, infatti, racconta proprio tutto quello che avviene «mentre saliva a Gerusalemme» (20,17)10. All’inizio della seconda sequenza (E2: 21,1– 22,14), Gesù è già nelle vicinanze di «Gerusalemme», «a Bètfage, verso il Monte degli Ulivi» (21,1). Da qui, Gesù entrerà due volte nella città santa, «trascorrendo la notte a Betania» (cfr. 21,17-18). Ma da 21,23 in poi Gesù sarà «nel Tempio» e non vi uscirà fino all’inizio della sottosezione centrale (24,1). Tutta la prima sottosezione narrativa, dunque, è completamente rivolta e realizzata a Gerusalemme, con il suo scenario principale nel Tempio. Nella sottosezione centrale, invece, Gesù è «sul Monte degli Ulivi», di fronte a Gerusalemme, ed è da lì che egli insegna il suo ultimo Discorso (cfr. 24,1-3). Il Tempio, come visto, è ancora l’occasione teologica della parola di Gesù, giacché i discepoli sono stimolati a chiedergli della sua distruzione in 24,3. Ma in realtà, la domanda dei discepoli parte da un’osservazione precedentemente fatta da Gesù stesso: «Non vedete tutte queste cose? Amen, vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta» (24,2).

9 Si deve notare, tuttavia, come i sostantivi utilizzati nelle tre sottosezioni per indicare il luogo sacro di Gerusalemme non siano identici, ma sinonimi: in 21,12 è utilizzato hieron (nella sezione appare in 21,12bis.14.15.23; poi in 24,1bis; poi solo in 26,55), mentre nella terza sottosezione, in 27,51, il sostantivo è naos (il termine è tuttavia attestato anche nella prima sottosezione: in 23,16bis.17.21.35; poi in 26,61; 27,5.40 e in nessun altro luogo del Primo Vangelo). In 23,38 è utilizzato un termine volto piuttosto a disegnare un certo distacco dagli interlocutori/oppositori di Gesù: si tratta di ho oikos hymōn, «la vostra casa». 10 Il participio presente greco anabainōn ha qui un chiaro significato temporale.

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La composizione del Vangelo di Matteo

Nell’ultima sottosezione, Gesù consuma il suo processo a Gerusalemme nella sequenza centrale (E8: 26,57–27,26): prima «dal sommo sacerdote Caifa» (26,57), poi dal «governatore Pilato» (27,2.11). Anche al centro della prima sequenza egli è «nella città» (cfr. 26,18) per la celebrazione della cena pasquale, ma alla fine, dopo l’inno, è uscito con i discepoli di nuovo «verso il monte degli Ulivi» (26,30). Nelle sequenze estreme dell’ultima sottosezione narrativa, dunque, Gesù è all’esterno della città. Proprio all’inizio, nella prima sequenza (E7: 26,1-56) si trova «a Betania, in casa di Simone il lebbroso» (26,6), e alla fine della stessa, uscito dalla città, consuma l’agonia interiore e il tradimento «in un podere chiamato Getsemani» (26,36). Nell’ultima sequenza (E9: 27,27-61), Gesù è crocifisso fuori dalla città santa (cfr. 27,32: «mentre uscivano»)11, nel luogo detto «Gòlgota» (27,33). Gli indizi temporali, assieme a quelli geografici, concorrono al riconoscimento dell’unità e della scansione della sezione. La prima sottosezione fa riferimento ai due giorni del ministero di Gesù all’interno di Gerusalemme (cfr. «al mattino», in 21,18). La terza sottosezione si apre con un interludio di due giorni prima della celebrazione della Pasqua. Gesù stesso vi fa riferimento all’inizio della prima sequenza: «Sapete che dopo due giorni avviene la Pasqua, e il Figlio dell’Uomo sarà consegnato per essere crocifisso» (26,2). Così, anche il racconto successivo della Passione si consuma nell’arco di due giornate (cfr. «al mattino presto», in 27,1)12: dalla «sera avvenuta» della cena pasquale al centro della prima sequenza (26,20), alla «sera avvenuta» della sepoltura alla fine del racconto (27,57), intercorrono perciò ancora due giornate13. Il Discorso del Compimento del Tempo (24–25), al contrario, ha un’unità temporale minima, sembra infatti avvenire nel giorno stesso in cui Gesù è «uscito dal Tempio» (24,1; cfr. 21,23–23,39), e concludersi nel momento in cui Gesù avvisa i suoi dell’imminenza delle feste pasquali, feste in cui sarà tradito e ucciso (26,1-2)14. Il suo contenuto corposo15, tuttavia, si proietta nei tempi escatologici che inizieranno con la morte di Gesù (raccontata proprio nella 11

Anche qui la sfumatura temporale è resa mediante il participio exerchomenoi. I due avverbi temporali, prōi (21,18) e prōias (27,1), al centro delle sottosezioni estreme, devono essere considerati come termini centrali per le due unità narrative estreme. 13 Il racconto della Passione è in questo modo intessuto di riferimenti temporali importanti: nella prima sequenza (E7) si svolgono gli avvenimenti della celebrazione della Cena: è infatti «il primo giorno degli Azzimi» (26,17), a «sera avvenuta» (26,20: termine iniziale della sottosequenza centrale). Nella sequenza successiva (E8) si consuma il processo di Gesù: qui l’avverbio temporale «al mattino presto» è ancora termine iniziale del passo centrale della sequenza (27,1). Ancora al centro della terza sequenza (E9) la morte di Gesù avviene «verso l’ora nona» (27,46) mentre si era fatto buio «dall’ora sesta […] fino all’ora nona» (27,45); la sepoltura, infine, nell’ultima sottosequenza di E9, si compie a «sera avvenuta» (27,57). 14 Presumibilmente, perciò, si tratta del medesimo giorno in cui Gesù è «uscito dal Tempio». 15 Da un punto di vista narrativo, perciò, si deve correttamente sottolineare come qui il tempo narrato (confrontato con le sottosezioni estreme) sia notevolmente ridotto, mentre quello narrante prende tutta l’ampiezza e la profondità del lungo discorso di Gesù, realizzando un effetto di apertura e allungamento del suo stesso contenuto (che riguarda proprio eventi futuri). 12

La sezione E (19,1–27,61)

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sottosezione seguente), fino alla sua «venuta nella gloria» (25,31) davanti a tutte le Nazioni (25,32). Infine, una considerazione globale sui generi e sulle tematiche che si susseguono all’interno della sezione, mettono ancora in luce una coesione piuttosto organica e spingono al riconoscimento e alla delimitazione dell’unità. Nella prima sottosezione come al centro del Discorso sul Compimento del Tempo si trovano delle parabole di Gesù16: per la prima sottosezione, in 20,1-15 la Parabola degli operai mandati alla vigna; in 21,28-31 la Parabola dei due figli mandati a lavorare nella vigna; in 21,33-44 la Parabola dei vignaioli omicidi e in 22,2-13 la Parabola degli invitati alle nozze; invece, per la sottosezione centrale, in 24,32-33 la Parabola del fico (arricchita da una serie di logia enigmatico-simbolici sull’importanza del «vegliare», cfr. 24,37-44), in 24,45-51 la Parabola del servo messo a capo dei domestici; in 25,1-13 la Parabola delle dieci vergini; e infine, in 25,14-30, la Parabola dei talenti17. Per queste unità particolari, si può notare che in entrambe le sottosezioni l’atmosfera determinante delle parabole è di tipo escatologico, spesso puntando all’immagine di una ricompensa o di una punizione. Il primo versante del Discorso, invece, ha molti punti di contatto con la tematica essenziale della terza sottosezione: infatti, la persecuzione che sarà scatenata contro i discepoli nel tempo futuro («Allora vi consegneranno alla tribolazione, e vi uccideranno e sarete odiati da tutte le Nazioni a motivo del mio nome», in 24,9)18, è preceduta da quella del Maestro, che si realizza e consuma nella sua Pasqua personale19. 16

Per alcune di queste, il riferimento al genere è esplicito (cfr. per esempio 21,33: «Ascoltate un’altra parabola»); per altre è il lettore che può riconoscerle come tali, o per il tono rappresentativo-comparativo tipico delle parabole di Gesù, o per il più essenziale tono simbolicoenigmatico che contraddistingue il genere semitico del māšāl, utilizzato nella sua predicazione (è utile ribadire come fosse già la LXX a tradurre il termine ebraico māšāl con il greco parabolē) Per la questione si rimanda alla trattazione già indicata ed esposta all’interno dello studio della sezione C (nt. 9 p. 213). 17 Non tutti sono concordi nel riconoscere nella sequenza di chiusura del Discorso, l’ultimo passo della sezione (25,31-46) il racconto di una parabola: Mello sostiene che «letterariamente, esso è piuttosto un ritorno alla descrizione della parusia» (Mello, 436-437), mentre Radermakers lo definisce «più esattamente mashal apocalittico», pur riprendendo la tematica della «venuta del Figlio dell’Uomo» già presentata all’inizio del Discorso (Radermakers, 313). 18 Delle 31 ricorrenze all’interno del Vangelo, il verbo paradidomi è molto significativo nel suo impiego nella sezione E, per designare l’offerta della vita di Gesù e dei suoi in un contesto di persecuzione e giudizio. Appare infatti ben 22 volte solo all’interno di questa unità letteraria: tolte le due occorrenze nella predizione della passione di 20,18-19 (nella prima sottosezione), 2 volte sarà riferito alla passione dei discepoli all’interno del capitolo 24 (24,9.10; in 25,14.20.22 altre 3 occorrenze sono inserite nella Parabola dei talenti) e ben 15 volte segnerà il cammino di Gesù verso l’offerta della Croce nei capitoli 26–27 (così: 26,2.15.16.21.23.24.25.45.46.48; 27,2.3.4.18.26). 19 Si potrebbe però tenere in considerazione anche la relazione tra l’ultimo versante del Discorso e la terza sottosezione nel suo insieme: in E6 (25,31-46) il Figlio dell’Uomo, ritornato nella sua gloria, giudica tutti i popoli; ora, nella terza sottosezione, si consuma invece il giudizio temporale di condanna e di morte per lo stesso Gesù.

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La composizione del Vangelo di Matteo II. LA COMPOSIZIONE DELLA SEZIONE E (19,1–27,61)

1. PRESENTAZIONE D’INSIEME DELLA SEZIONE La sezione E è di struttura concentrica: il Discorso del Compimento del Tempo, al centro, articola le due sottosezioni narrative nella quali la tensione tra Gesù e gli oppositori è portata la suo culmine nel confronto al Tempio di Gerusalemme, per consumarsi infine nella sua passione e morte sulla croce. SEZIONE NARRATIVA: E1:

Salendo a Gerusalemme,

il Servo Gesù è seguito dai discepoli

E2:

19,1–20,34 21,1–22,14

Nel tempio di Gerusalemme, il Servo Gesù ri-stabilisce Israele

E3:

22,15–23,39 24–25

E4:

IL TEMPO FINALE:

E5: E6:

PARABOLE DELL’ATTESA:

IL GIUDIZIO FINALE:

i discepoli contestati e condannati

24,1-31

DISCERNERE, VEGLIARE, SERVIRE

24,32–25,30

i veri discepoli giudicati e salvati

25,31-46

il Servo Gesù si dona ai discepoli

26,1-56

il Servo Gesù salva Israele e le Nazioni

27,27-61

SEZIONE NARRATIVA: E7:

A Gerusalemme,

E8: E9:

26,1–27,26 Sul Gòlgota,

Ognuna delle sottosezioni è costituita di tre sequenze. Tra le sottosezioni estreme, le sequenze si corrispondono in modo parallelo: ciò significa che la prima sequenza della prima sottosezione è in relazione prossima con la prima sequenza della terza sottosezione (E1 e E7), e così le sequenze centrali (E2 e E8) e le sequenze finali (E3 e E9) sono tra loro corrispondenti. Come si è potuto già notare per le altre sezioni analizzate, queste relazioni non sono subito evidenti e si devono perciò tenere in considerazione sia i rapporti formali strettamente intesi sia i fili di contenuto che si intrecciano all’interno delle sequenze stesse. Si procederà nella visione delle sequenze tra loro corrispondenti, a partire dallo studio delle sottosezioni estreme. Successivamente, saranno analizzati i rapporti particolari di queste ultime con la sottosezione centrale.

La sezione E (19,1–27,61)

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2. I RAPPORTI TRA LE SOTTOSEZIONI ESTREME (19,1–23,39 & 26,1–27,61) 2.1 RAPPORTI TRA LE PRIME SEQUENZE (E1 ED E7) SIMMETRIE DI APERTURA E CHIUSURA Come le due sequenze si aprono con la formula di chiusura dei Discorsi (19,1 e 26,1: si tratta perciò di termini iniziali), analogamente, si concludono con due espressioni in opposizione (si tratta di termini finali): in E1, infatti, i due ciechi guariti da Gesù «subito ri-videro e lo seguirono» (20,34), mentre alla fine di E7, nel Getsemani, «tutti i discepoli, avendolo lasciato, fuggirono» (26,56)20. ESTREMITÀ E CENTRO Al centro di E7 e nella terza sottosequenza di E1 (nel suo passo centrale: 20,24-28) appaiono due logia simili di Gesù che riguardano l’offerta della sua vita per la salvezza delle moltitudini: «questo è il mio sangue dell’alleanza, che è-versato per molti per il perdono dei peccati» (26,28), e: «il Figlio dell’Uomo non venne per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (20,28). Similmente, alla fine della sottosequenza centrale di E1 e alle estremità di E7, si riscontrano alcune predizioni della passione, fatte da Gesù: ruotano attorno al verbo «consegnare» (20,18-19; 26,2.45), e sono tutte riferite al «Figlio dell’uomo»21: 20,17-19

Mentre saliva a Gerusalemme. Gesù prese in disparte i dodici discepoli e nella via disse loro: «Ecco (idou), noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo SARÀ CONSEGNATO (paradothēsetai) ai sommi sacerdoti e agli scribi; e lo condanneranno a morte e lo CONSEGNERANNO (paradōsousin) alle Nazioni per schernirlo e flagellarlo e crocifiggerlo, e nel terzo giorno sarà risuscitato».

26,1-2

E avvenne, quando terminò Gesù tutte queste parole, disse ai suoi discepoli: «Voi sapete (oidate) che fra due giorni avviene la Pasqua e il Figlio dell’uomo È CONSEGNATO (paradidotai) per essere crocifisso».

26,45-46

Allora viene presso i discepoli e dice loro: «Dormite pure e riposatevi! Ecco (idou), l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo È CONSEGNATO (paradidotai) in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco (idou), COLUI CHE MI CONSEGNA (ho paradidous) è vicino».

20 La dinamica del «seguire»/«lasciare» sembra molto pertinente per queste due sequenze: il verbo akoloutheō appare in tutte le sottosequenze che compongono E1 (19,21; 19,28 e 20,34). 21 Meno evidente, ma sempre tra il centro e l’estremità delle due sequenze in sistema, all’inizio della sottosequenza centrale di E1 la questione della sequela dei discepoli (19,27-29) si oppone alla loro incapacità «di vegliare» «un’ora sola» con Gesù nell’orto (26,40) e alla loro «fuga» al momento della cattura del maestro (26,56), nella sottosequenza finale di E7.

264

La composizione del Vangelo di Matteo

LE PRIME SOTTOSEQUENZE (19,1-26; 26,1-19) 19, 1 E avvenne, quando terminò Gesù queste parole, andò-via dalla Galilea e venne verso i confini della Giudea, oltre il Giordano. 2 E lo seguirono molte folle e là egli le guarì. 3 E gli si avvicinarono dei Farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito a un uomo ripudiare la propria DONNA per qualsiasi motivo?». 4 Egli avendo risposto disse: «Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina 5 e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua DONNA e i due saranno verso una sola carne? 6 Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque, l’uomo non divida quello che Dio congiungerà». 7 Dicono a lui: «Perché allora Mosè ha ordinato di dare un libello di ripudio e di lasciarla?». 8 Dice loro: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi permise di lasciare le vostre DONNE, da principio però non è stato così. 9 Ma io vi dico che chiunque lascia la propria DONNA, se non per unione illegittima, e ne sposa un’altra, commette adulterio». Gli dicono i suoi discepoli: «Se questa è la causa dell’uomo con la DONNA, non conviene sposarsi». Lui poi disse a loro: «Non tutti com-prendono questa parola, ma è per coloro ai quali è dato. 12 Infatti, ci sono eunuchi che dal grembo della madre furono generati così, e ci sono eunuchi che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e ci sono eunuchi che fecero eunuchi se stessi a motivo del Regno dei Cieli. Colui che può com-prendere, com-prenda!». 10

11

13

Allora gli furono portati dei bambini, affinché imponesse le mani a loro e pregasse; . 14 ; di tali-a-loro, infatti, è il Regno dei Cieli». 15 E avendo imposto le mani a loro, partì di là.

Ed ecco, UNO si avvicinò a lui e disse: «Maestro, che cosa farò di buono affinché abbia vita eterna?». Quello poi gli disse: «Perché mi interroghi circa il buono? Uno è il Buono. Se poi vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». 18 Gli dice: «Quali?». Gesù poi disse: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non dirai falsa testimonianza, 19 onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso». 20 Dice a lui il giovane: «Tutte queste cose osservai; cosa ancora manca?». 21 Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, VENDI LE TUE SOSTANZE, E DALLE AI POVERI E AVRAI UN TESORO NEI CIELI; e vieni! Seguimi!». 22 Avendo ascoltato poi il giovane la parola partì rattristato; aveva infatti molti possessi. 16 17

Gesù allora disse ai suoi discepoli: «Amen, dico a voi: difficilmente un ricco entrerà nel Regno dei Cieli. 24 Ancora poi dico a voi: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno di Dio». 25 Avendo ascoltato i discepoli molto si stupirono dicendo: «Allora, chi può essere salvato?». 26 Gesù avendo(li) fissati disse loro: «Per gli uomini questo è impossibile, ma per Dio tutte le cose sono possibili». 23

 All’inizio di E1, il termine «donna» è ripetuto quattro volte nel primo passo della sottosequenza (19,3.5.9; 19,8 al plurale) e una sola volta nel secondo (19,10); ricorre nuovamente nella prima sottosequenza di E7 (26,7.10), nel passo centrale. In questo modo, colei che compie il gesto dell’unzione nei confronti di Gesù a Betania acquista una dimensione sponsale molto particolare, avvalorato dalla semantica del matrimonio nella prima sequenza della sottosezione22. 22 Si deve notare che nel passo dell’unzione è la donna a compiere un gesto di amore profondo nei riguardi di Gesù, è lei ad esprimere una donazione nei suoi confronti; nel passo della disputa sul matrimonio (19,1-9) invece è l’uomo ad essere chiamato in causa nel suo modo di relazionarsi con colei che ha unito a sé e da cui vorrebbe erroneamente allontanarsi.

La sezione E (19,1–27,61)

265

26, 1 E avvenne, quando terminò Gesù TUTTE queste parole, disse ai suoi discepoli: 2 «Voi sapete che fra due giorni avviene la Pasqua e il Figlio dell’uomo è consegnato per essere crocifisso». Allora i sommi-sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, chiamato Caifa, 4 e tennero consiglio per catturare Gesù con un inganno e ucciderlo. 5 Dicevano però: «Non nella festa, perché non avvenga un tumulto nel popolo». 3

Mentre Gesù era a Betània, in casa di Simone il lebbroso, 7 venne presso di lui UNA DONNA avente un vaso di alabastro, pieno di olio molto prezioso, e lo versò sul suo capo mentre giaceva a mensa. 8 9 Si poteva, infatti, VENDERE QUESTO PER MOLTO ED ESSERE DATO AI POVERI!». 10 DONNA? . 11 I poveri infatti avete sempre con voi, invece non sempre avete me. 12 Versando questo olio sul mio corpo, LEI lo ha fatto in vista della mia sepoltura. 13 Amen, dico a voi: ovunque sia annunciato questo Vangelo, nel mondo intero, si dirà anche ciò che LEI ha fatto, in memoria di LEI». 6

Allora UNO dei Dodici, quello chiamato Giuda Iscariota, essendo andato presso i sommi sacerdoti disse: «Cosa volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli poi gli fissarono trenta monete d’argento. 16 E da allora cercava un momento propizio affinché lo consegnasse. 14 15

Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli vennero presso Gesù dicendo: «Dove vuoi che prepariamo per te, per mangiare la Pasqua?». 18 Quello poi disse: «Andate nella città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua presso te con i miei discepoli”». 19 E i discepoli fecero come aveva ordinato loro Gesù, e prepararono la Pasqua. 17

 Nel penultimo passo della prima sottosequenza di E1 Gesù chiede al giovane: «vendi le tue sostanze, e dalle ai poveri e avrai un tesoro nei Cieli» (19,21); ora, tale affermazione è ripresa nell’obiezione dei discepoli riguardo all’unguento sprecato: «si poteva, infatti, vendere questo per molto e essere dato ai poveri» (26,9)23. Perciò, a livello tematico, sarà possibile riconoscere un legame significativo tra il primo e il quarto passo della sottosequenza di E1, e il passo centrale di quella di E7: la radicalità della donazione espressa nel matrimonio e richiesta al giovane per seguire Gesù, è realizzata a Betania nell’atto simbolico di amore offerto dalla donna per il Signore.  La stessa figura del giovane ricco, nella prima sottosezione, appare parallela a quella di Giuda nella terza: sono identificati entrambi dal pronome greco eis, «uno» in 19,16 e «uno dei Dodici» in 26,1424; in più, a rinforzare il parallelismo tra le due figure, il giovane «aveva molti possessi» (19,22) che gli impedirono di 23 Sebbene le espressioni sembrino essere in opposizione, il loro significato è completamente diretto alla persona di Gesù: nel primo caso, infatti, l’elemosina è fatta per «seguirlo» (19,21), con la finalità di aderire profondamente alla sua missione; nel secondo è Gesù stesso, per chiarire l’atto di profondo amore verso di lui da parte della donna, che afferma: «I poveri infatti li avete sempre con voi, invece non sempre avete me» (26,11). 24 Il termine «uno dei Dodici» appare anche nell’ultimo passo di E7, in 26,47.

266

La composizione del Vangelo di Matteo

seguire il Signore, ed il secondo sarà spinto a tradire Gesù proprio perché gli «fissarono trenta monete d’argento» per consegnarlo (26,15)25.  Nei passi centrali delle sottosequenze appare ancora una struttura dialogica molto simile tra i discepoli e Gesù. In E1 «i discepoli rimproverarono» coloro che portavano a Gesù i bambini (19,13); e ad essi Gesù risponde: «Lasciate i bambini, e non impedite loro di venire presso di me» (19,14). Similmente, in E7 gli stessi discepoli, vedendo lo spreco di profumo per l’unzione «si indignarono», obiettando: «Perché questo spreco?» (26,8). E ad essi nuovamente Gesù risponde: «Perché arrecate fastidi alla donna? Un’opera buona, infatti, ha operato verso di me» (26,10)26. LE SOTTOSEQUENZE CENTRALI (19,27–20,19; 26,20-35) 19,27 ALLORA AVENDO RISPOSTO PIETRO GLI DISSE: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque sarà a noi?». 28 E Gesù disse loro: «Amen, io vi dico: voi che mi avete seguito nella nuova-creazione, quando il Figlio dell’uomo siederà sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. 29 Chiunque lasciò case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi a causa del mio nome, riceverà il centuplo e vita eterna erediterà. 30

Molti poi dei primi saranno ultimi e gli ultimi, primi.

20,1 Infatti, il Regno dei Cieli è simile a un uomo padrone-di-casa che uscì alle prime luci dell’alba per salariare operai per la sua vigna. 2 Avendo concordato poi con gli operai per un denaro al giorno li mandò nella sua vigna. 3 Ed essendo uscito verso l’ora terza, ne vide altri che stavano nella piazza, inoperosi, 4 e disse a quelli: “Andate anche voi nella vigna; e quello che è giusto darò a voi”. 5 Quelli poi partirono. Ancora poi essendo uscito verso la sesta, e verso la nona, fece altrettanto. 6 Poi verso l’undicesima essendo uscito, trovò altri che se ne stavano e dice a loro: “Perché ve ne state qui l’intero giorno inoperosi?”. 7 Dicono a lui: “Perché nessuno ci ha salariati”. Dice a loro: “Andate anche voi nella vigna”. 8 , dice il signore della vigna al suo soprintendente: “Chiama gli operai e ridà a loro il salario, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9 Ed essendo venuti quelli dell’undicesima ora, ricevettero ciascuno un denaro. 10 Ed essendo venuti i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma ricevettero ciascuno un denaro anche questi. 11 Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone-di-casa 12 dicendo: “Questi ultimi un’ora soltanto fecero, e uguale a noi li hai fatti, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13 Ma quello avendo risposto a uno di loro, disse: “Amico, non sono ingiusto con te. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14 Porta-via il tuo e va’. Voglio però dare a quest’ultimo come anche a te: 15 o non è lecito a me fare ciò che voglio con le mie cose? Oppure il tuo occhio è malvagio perché io sono buono?”. 16

Così saranno gli ultimi primi, e i primi ultimi».

Mentre saliva a Gerusalemme, GESÙ PRESE IN DISPARTE I DODICI DISCEPOLI E NELLA VIA DISSE LORO: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi; e lo condanneranno a morte 19 e lo consegneranno alle Nazioni per schernirlo e flagellarlo e crocifiggerlo, e nel terzo giorno sarà risuscitato». 17 18

25

Nelle due sottosequenze Gesù è anche definito «Maestro», rispettivamente dal giovane (19,16) e poi da sé stesso, al momento di dare istruzioni sul luogo in cui i discepoli avrebbero preparato la cena pasquale (26,18). 26 Si noti, in particolare, la corrispondenza nelle due espressioni «presso di me» (pros me; 19,14) e «verso di me» (eis eme; 26,10) per i bambini e la donna, entrambe dirette a Gesù.

La sezione E (19,1–27,61) 26, 20

, sedeva-reclinato a mensa con i Dodici.

267 21

E MENTRE LORO MANGIAVANO,

DISSE:

«Amen, dico a voi: uno in mezzo a voi mi consegnerà». 22 Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a dirgli: «Forse sono io, Signore?». 23 Quello poi rispondendo disse: «Colui che intinge con me la mano nel piatto, questo mi consegnerà. 24 Il Figlio dell’uomo va-via, come è stato scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è consegnato! Bene era per lui se non fosse nato quell’uomo!». 25 Rispondendo, Giuda il traditore27 gli disse: «Forse sono io, Rabbì?». Gli dice: «Tu l’hai detto». Ora, mentre mangiavano, Gesù avendo preso il pane e avendo benedetto, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». 27 E avendo preso il calice e avendo reso-grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevete da esso tutti, 28 infatti questo è il mio sangue dell’alleanza, che è-versato per molti per il perdono dei peccati. 29 Io dico a voi: da adesso non berrò affatto da questo frutto della vite fino a quel giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel Regno del Padre mio». 26

E avendo cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. 31 Allora Gesù dice loro: «Tutti voi sarete scandalizzati per me in questa notte. È stato scritto infatti: Colpirò il pastore, e saranno disperse le pecore del gregge. 32 Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». 33 MA AVENDO RISPOSTO, PIETRO GLI DISSe: «Se tutti saranno scandalizzati per te, io non sarò scandalizzato mai». 34 Gli disse Gesù: «Amen, dico a te: in questa notte, prima che il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». 35 DICE A LUI PIETRO: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò affatto». Similmente dissero anche tutti i discepoli. 30

 All’inizio della sottosequenza di E1 (19,27) e alla fine della corrispettiva di E7 (26,33.35), «Pietro» prende la parola e si rivolge a Gesù. Le sue affermazioni sono analoghe. La prima, infatti, è una domanda sulle conseguenze della sequela: «Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque sarà a noi?» (19,27). Nella seconda, invece, Pietro esprime un desiderio di radicale fedeltà: «Se tutti saranno scandalizzati per te, io non sarò scandalizzato mai» (26,33)28.  Si deve notare anche un particolare parallelismo tra la parabola degli operai mandati a lavora nella vigna, narrata in E1 (20,1-14), e il racconto della Cena pasquale, di per sé costitutivo della sottosequenza centrale di E7 (26,20-35). Quest’ultima, come la retribuzione dei lavoratori della parabola, avviene di «sera» (opsias de genomenēs, identico in 20,8 e 26,20). Lo scenario della parabola è la «vigna» (ampelōn, 20,1.4.7.8) del «padrone di casa»; ad essa corrisponde «questo frutto della vite», da cui Gesù si astiene durante la Cena (l’espressione è significativa: ek toutou tou genēmatos tēs ampelou, in 26,29).

27

Anche qui Giuda è definito dal participio ho paradidous (lett. «colui che consegna»). In senso inverso, è bene notarlo, all’inizio della sottosequenza centrale di E7 (26,21) e alla fine della sottosequenza centrale di E1 (20,18-19), Gesù predice l’imminenza della sua passione e del tradimento di Giuda (la relazione formale è determinata, come si è già potuto verificare, dal verbo indicativo della tematica, il verbo paradidomi). 28

268

La composizione del Vangelo di Matteo

 Il verbo «dare» (gr. didōmi in 20,4.14 e 26,26.27)29, segna alla fine della parabola il momento della retribuzione e della discussione sul salario, mentre nel racconto dell’Ultima Cena il dono del «pane» e del «calice» nell’istituzione dell’eucarestia30. Perciò anche a livello logico, i passi centrali mettono in evidenza il dono gratuito (del «padrone di casa» in 20,1-14; di Gesù che dona il suo corpo e il sangue dell’Alleanza in 26,26-29), mentre in senso inverso i passi estremi parlano della ricompensa e del rinnegamento di coloro che hanno seguito il Signore (19,27-29 e 26,30-35) e della consegna di Gesù (20,17-19 e 26,20-25). LE SOTTOSEQUENZE FINALI (20,20-33; 26,36-56) 20,20 Allora venne presso di lui la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli prostrandosi e chiedendo qualcosa da lui. 21 Quello poi le disse: «Che-cosa vuoi?». Dice a lui: «Di’ affinché SIEDANO questi miei due figli uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo Regno». 22 Ma avendo risposto, Gesù disse: «Non sapete cosa chiedete. Potete bere che io sto per bere?». Gli dicono: «Possiamo». 23 Dice a loro: « infatti, lo berrete; però SEDERE alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me darlo, ma è per coloro i quali è stato preparato dal Padre mio». E avendo ascoltato i dieci si indignarono con i due fratelli. 25 Ma Gesù avendo chiamato a sé loro disse: «Sapete che i capi delle Nazioni dominano su di esse e i grandi fanno autorità su di loro. 26 Tra voi non sarà così; ma colui che voglia tra voi diventare grande, sarà vostro servitore 27 e colui che voglia tra voi essere primo, sarà vostro servo. 28 Come il Figlio dell’uomo non venne per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti». 24

E usciti loro da Gerico, molta folla lo seguì. 30 Ed ecco, due ciechi, seduti presso la via, avendo ascoltato che passava Gesù, gridarono dicendo: «Signore, figlio di Davide, abbi pietà di noi!». 31 LA FOLLA poi li rimproverò perché tacessero; ma essi gridarono di più dicendo: «Signore, figlio di Davide, abbi pietà di noi!». 32 Gesù fermatosi, li chiamò e disse: «Che-cosa volete che io faccia per voi?». 33 Gli dicono: «Signore, che i nostri occhi si aprano!». 34 Gesù essendosi mosso a compassione, toccò gli occhi loro e subito rividero e lo seguirono. 29

 In apertura di entrambe appaiono i «due figli di Zebedeo» (20,20; 26,37)31: si tratta perciò di termini iniziali.  Così anche all’interno dei passi finali di ciascuna sottosequenza appare «la folla», che rimproverava i due ciechi perché tacessero in 20,31, mentre in 26,47 si recava con spade e bastoni per prendere Gesù (si tratta qui di «molta folla»; in 26,55 il termine è invece al plurale).

29 All’interno della parabola, in 20,8, si registra anche l’utilizzo del verbo composto apodidōmi per indicare il riconoscimento dovuto al lavoro svolto, una sorta di restituzione degli sforzi impiegati: «Chiama gli operai e ri-dà loro il salario». 30 All’interno dei due passi, il verbo didōmi è corrisposto da airō per l’operaio malvagio («Porta-via il tuo [il denaro pattuito] e va’», in 20,14) e lambanō per i discepoli («Prendete, mangiate: questo è il mio corpo», in 26,26). 31 In 20,20 sono preceduti e presentati a Gesù dalla «madre», mentre al momento dell’agonia al Getsèmani, in 26,37, vengono presi in disparte assieme a «Pietro».

La sezione E (19,1–27,61)

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26,36 Allora Gesù viene con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e dice ai discepoli: «SEDETE QUI, fin che essendo andato là io preghi». 37 E avendo preso con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. 38 Allora dice loro: «La mia anima è molto triste fino alla morte; rimanete qui e vegliate con me». 39 Ed essendo andato un poco più avanti, cadde faccia a terra pregando e dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi-via da me ! Tuttavia, non come voglio io, ma come vuoi tu!». 40 E viene dai discepoli e li trova addormentati. E dice a Pietro: «Così, non foste forti un’ora sola di vegliare con me? 41 Vegliate e pregate, affinché non entriate in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». 42 Ancora per la seconda volta essendo andato pregò dicendo: «Padre mio, se non è possibile che passi-via senza che io lo beva, avvenga la tua volontà». 43 Ed essendo venuto ancora trovò loro addormentati, i loro occhi infatti erano appesantiti. 44 E avendoli lasciati, ancora essendo andato pregò per la terza volta, dicendo ancora la stessa parola. 45 Allora viene presso i discepoli e dice loro: «Dormite il tempo-rimasto e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo è consegnato in mano ai peccatori. 46 Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi consegna è vicino». E mentre ancora egli parlava, ecco venne Giuda, uno dei Dodici, e con lui MOLTA FOLLA con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. 48 Colui che lo consegnava diede loro un segno, dicendo: «Colui che bacerò, è lui; afferratelo!». 49 E subito essendo venuto presso Gesù disse: «Rallegrati, Rabbì!». E lo baciò. 50 Ma Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora facendosi avanti, misero le mani addosso a Gesù e lo afferrarono. 51 Ed ecco, uno di quelli con Gesù avendo steso la mano, estrasse la sua spada e avendo colpito il servo del sommo sacerdote, gli tolse l’orecchio. 52 Allora Gesù gli dice: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada periranno. 53 O reputi che io non possa invocare il Padre mio, che metterebbe accanto a me adesso più di dodici legioni di angeli? 54 Come dunque si compirebbero le Scritture, che così deve avvenire?». 55 E in quell’ora Gesù disse ALLE FOLLE: «Come contro un ladro siete usciti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel Tempio a insegnare, e non mi avete afferrato. 56 Ma tutto questo avvenne perché si compissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli avendolo lasciato, fuggirono. 47

 All’interno delle due unità sono da sottolineare le espressioni riguardanti il «calice» che Gesù sta per ricevere32. In E1, due volte, sono dirette ai figli di Zebedeo, dopo la richiesta di essere promossi ai seggi d’onore del Regno: «Potete bere il calice che io sto per bere?» (20,22), e: «Il mio calice, infatti, lo berrete» (20,23). In E7, ancora per due volte, affiorano invece sulle labbra oranti di Gesù: «Passi via da me questo calice» (26,39), e: «Se non è possibile che passi-via questo [calice] senza che io lo beva, avvenga la tua volontà» (26,42)33.  Gli «occhi» riaperti ai due ciechi, nel passo finale di E1 (20,33-34)34, si oppongono decisamente agli «occhi appesantiti» dei discepoli nella notte del Getsèmani, alla fine del primo passo della sottosequenza finale in E7 (26,43). 32 I primi passi delle due sottosequenze sono affini per il filo tematico che li attraversa: in 20,22 Gesù è cosciente di «stare per bere il calice» della Passione (to potērion ho egō mellō pinein), mentre in 26,36-46 lotta nella preghiera per accoglierlo. Anche il verbo kathizō, «sedere», è utilizzato nei due passi in riferimento ai «figli di Zebedeo»: nella richiesta di «sedere alla tua destra e alla tua sinistra» (20,21.23), ed in quella di Gesù di «sedere qui» mentre lui prega (26,36). 33 Per questa seconda occorrenza, il sostantivo to potērion è attestato in alcuni testimoni antichi (Q, il testo di maggioranza bizantino, i testimoni latini, il sirosinaitico e la Peshitta siriaca, i testimoni della tradizione medio-egizia e di quella boharica; con trasposizione di parola invece in D, f 13 e in alcuni manoscritti paleolatini). Nella sequenza E7, il termine era già apparso, nella sottosequenza centrale, al momento della Cena (26,27). 34 In 20,34 tuttavia il termine utilizzato è tōn ommatōn autōn (al contrario di ophthalmos).

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La composizione del Vangelo di Matteo

2.2 RAPPORTI TRA LE SEQUENZE CENTRALI (E2 E E8)35 SIMMETRIE PARZIALI  Il verbo greco krateō («afferrare») è utilizzato nell’ultimo passo della sequenza E2, per descrivere nella parabola delle nozze ciò che alcuni invitati fanno ai servi del re nel momento in cui sono chiamati al banchetto («altri poi avendo afferrato i suoi servi, li insultarono e gli uccisero», 22,6); proprio all’inizio della sequenza E8, il verbo è riferito allo stesso Gesù, preso dalle folle inviate con Giuda («Ora, quelli avendo afferrato Gesù, lo condussero da Caifa, il sommo sacerdote», 26,57)36.  La figura dei «sommi sacerdoti», o del «sommo sacerdote», in compagnia degli altri oppositori di Gesù, è individuabile in tutte le sotto unità che costituiscono le due sequenze. Per le sottosequenze di E2: «i sommi sacerdoti e gli scribi» (21,15); «i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo» (21,23); «i sommi sacerdoti e i farisei» (21,45). Per le sottosequenze di E8: «il sommo sacerdote» (26,57.63) e «gli scribi e gli anziani» (26,57); «tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo» (27,1); i «sommi sacerdoti e gli anziani» (27,3.12.20). ESTREMITÀ E CENTRO DELLE SOTTOSEQUENZE  Nell’ultimo passo della sottosequenza centrale di E2 e nel primo passo dell’ultima sottosequenza di E8, il participio del greco metamelomai («pentirsi») è utilizzato identico (gr. metamelētheis in 21,29 e 27,3). Nella sequenza E2, il verbo indica nel paragone di Gesù il pentimento del figlio che non volle andare a lavorare nella vigna, ma che alla fine decide di essere docile al volere del padre (21,29), e il pentimento mai avvenuto per i capi dei sacerdoti e per gli anziani, al contrario di quello dei pubblicani e delle prostitute (21,32)37. Nella sequenza E8, invece, allude al «pentimento» di Giuda per aver consegnato il maestro innocente (27,3). Ora, tale pentimento non sarà adeguatamente accolto dagli stessi sommi sacerdoti e anziani, che lo abbandonano al suo rimorso e al suo destino (27,4).

35

La sequenza E2 è stata ripresa con Roberto Di Paolo e attende una revisione definitiva da parte dello stesso. Per la sua composizione definitiva, perciò, si è in parte grati a questo studio. 36 La simmetria di aggancio è tanto più pertinente dal momento che si tratta dell’identico participio aoristo kratēsantes. Questa forma appare solo in queste due occasioni nel Vangelo. 37 Nella seconda ricorrenza, il verbo non è al participio, ma all’indicativo aoristo.

La sezione E (19,1–27,61) Mt 21,28-32 «Cosa vi sembra? [ai sommi sacerdoti e agli anziani del popolo, cfr. 21,23.27] Un uomo aveva due figli. Ed essendo venuto presso il primo disse: “Figliolo, oggi va’, lavora nella vigna”. 29 Quello poi avendo risposto disse: “Non voglio”. Ma dopo, ESSENDOSI PENTITO, partì. 30 Essendo venuto presso l’altro, disse similmente. Quello poi, avendo risposto, disse: “Io vado, signore”, e non partì. 31 Chi dei due fece la volontà del padre?». Dicono: «Il primo». E Gesù dice loro: «Amen, dico a voi: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio. 32 Giovanni infatti venne a voi nella via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avendo visto, NEMMENO VI PENTISTE dopo per credergli. 28

271 Mt 27,3-10

Allora Giuda – colui che lo tradì –, avendo visto che fu condannato, ESSENDOSI PENTITO, riportò le trenta monete d’argento ai sommi sacerdoti e agli anziani, 4 dicendo: «Peccai, avendo consegnato sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Te la vedrai!». 5 E avendo gettato le monete d’argento nel Tempio si ritirò, ed essendo andato si impiccò. 6 I sommi sacerdoti, avendo preso le monete d’argento, dissero: «Non è lecito gettarle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». 7 Avendo preso consiglio, comprarono con esse il “Campo del vasaio” per la sepoltura degli stranieri. 8 Perciò quel campo fu chiamato “Campo di sangue” fino ad oggi. 9 Allora fu compiuto il detto per mezzo del profeta Geremia dicendo: «E presero le trenta monete d’argento, il prezzo del prezioso, che fu valutato dai figli d’Israele, 10 e le diedero per il campo del vasaio, come mi ordinò il Signore». 3

 La medesima costruzione è realizzata tra 21,32 e 27,3: al participio del verbo eidon, segue propriamente il verbo metamelomai. Ora, da una parte, Giuda «avendo visto» (idōn) che Gesù era stato condannato, «essendosi pentito» (metamelētheis) riconsegnava il prezzo del suo tradimento; al contrario, i sommi sacerdoti e gli anziani «avendo visto» (idontes) il pentimento dei pubblicani e delle prostitute alla predicazione del Battista (come ora il pentimento del discepolo per la fine di Gesù), «nemmeno si pentirono» (oude metemelēthē) «per credergli» (né, si presume, accolsero adeguatamente la confessione/restituzione di Giuda, al fine di indicargli un cammino di riabilitazione; cfr. 27,4)38.

38 Il parallelismo messo in gioco da queste corrispondenze deve forse illuminare ulteriormente il personaggio di Giuda nella prospettiva matteana: al contrario degli altri evangelisti (e della stessa versione della morte del traditore attestata da At 1,18-19), il Primo Vangelo sottolinea un pentimento non adeguatamente sostenuto dai capi religiosi, in opposizione alla cura con cui Giovanni aveva indicato la conversione a chiunque gli si accostasse (cfr. Mt 3,7-12; anche Mt 14,4). In questo modo, nella dinamica della Passione matteana, tanto Giuda quanto le folle (cfr. 27,20.25) sono persuase e strumentalizzate dalle autorità religiose e politiche del sinedrio giudaico, che tradiscono la loro responsabilità di pastori e guide del popolo.

272

La composizione del Vangelo di Matteo

RAPPORTI TRA LE PRIME SOTTOSEQUENZE (21,1-17; 26,57-75) 21, 1 E quando fu vicino a Gerusalemme e venne verso Betfage verso il Monte degli Ulivi, allora Gesù mandò due discepoli 2 dicendo loro: «Andate verso il villaggio quello davanti a voi, e subito troverete un’asina legata e un puledro con essa: avendoli sciolti conduceteli a me. 3 E se qualcuno a voi dicesse qualcosa, direte che il Signore di loro ha bisogno: subito però manderà loro». 4 Questo poi è avvenuto affinché fosse compiuto il detto per il profeta dicendo: 5 «Dite alla figlia di Sion: «Ecco il tuo RE VIENE a te mite e CAVALCANTE su un’asina e su un puledro figlio di bestia da soma”». 6 Essendo andati allora i discepoli, e avendo fatto come ordinò loro Gesù, 7 condussero l’asina e il puledro e posero su di essi i mantelli, e SEDETTE sopra di essi. 8 La

molta folla stese i loro mantelli nella via, altri poi tagliavano rami dagli alberi e stendevano nella via. folle poi, quelle che lo precedevano e quelle che lo seguivano, gridavano dicendo: «OSANNA AL FIGLIO DI DAVIDE: Benedetto colui che viene nel Nome del Signore, OSANNA NELLE ALTEZZE!». 9 Le

10 11

Ed essendo entrato egli in Gerusalemme, tutta la città fu scossa dicendo: «Chi è questo?». Le folle poi dicevano: « , quello da Nazareth di Galilea!».

Ed entrò Gesù nel Tempio e SCACCIÒ tutti i vendenti e i compranti nel Tempio, e ROVESCIÒ i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei vendenti le colombe. 13 E dice a loro: «È stato scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera, voi invece la fate un covo di ladri!». 14 E vennero presso lui ciechi e zoppi nel Tempio, e li GUARÌ. 12

Avendo visto poi i sommi sacerdoti e gli scribi le meraviglie che faceva e i bambini, quelli gridanti nel Tempio e dicenti: «OSANNA AL FIGLIO DI DAVIDE!», furono indignati. 16 E dissero a lui: «Ascolti quello che dicono costoro?» Ma Gesù dice loro: «Si. Non avete letto che “Dalla bocca degli infanti e dei lattanti ti preparasti un inno?”». 17 E avendo lasciato loro, uscì fuori della città verso Betania e pernottò lì. 15

 Nel primo passo di E2 il seggio su cui Gesù entrerà trionfalmente in Gerusalemme è «un’asina e un puledro con essa» (21,2), su cui «sedette» (21,7). In questo modo, annota l’evangelista, si compie la profezia di Zc 9,9 (cfr. 21,5). Così, nel secondo passo di E8, Gesù risponde di se stesso al sommo sacerdote facendo riferimento alla visione del «Figlio dell’Uomo seduto alla destra della Potenza», visione descritta in Dn 7,13 (cfr. 26,64).  Il riferimento alla regalità di Gesù è espresso anche nelle acclamazioni messianiche della folla e dei bambini all’interno del Tempio («Osanna al Figlio di Davide», in 21,9.15 nei passi successivi), che si collegano bene alla domanda del sommo sacerdote: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se tu sei il Messia, il Figlio di Dio» (26,63)39. Un’ulteriore eco è rinvenibile nei gesti autoritativi che Gesù compie nel Tempio (21,12-14) nella prima sottosequenza di E2: «scacciò» coloro che commerciavano e «rovesciò» i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori (21,12), mentre al contrario ricevette coloro che non potevano accedere al cortile di Israele (all’interno del Tempio), «ciechi 39

Il titolo utilizzato nelle acclamazioni della folla (21,9) e dei bambini (21,15), «Figlio di Davide» risponde evidentemente a «Messia» nella domanda del sommo sacerdote (26,63).

La sezione E (19,1–27,61)

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e zoppi», per «guarirli» (21,14)40. Anche questi sono gesti di tono regale-escatologico che determineranno la reazione dei nemici di Gesù e il suo definitivo processo (cfr. 26,59-61): è infatti Yhwh che annunciava per il futuro ristabilimento di Israele di edificare una casa di preghiera anche per chi è ordinariamente escluso dal culto (gli eunuchi e gli stranieri), una casa di preghiera «per tutti i popoli» (Is 56,7-8). 26, 57 Ora quelli AVENDO AFFERRATO Gesù lo condussero da Caifa il sommo sacerdote, dove gli scribi e gli anziani si erano radunati. 58 Pietro poi lo seguiva da lontano, fino al cortile del sommo sacerdote; ed essendo entrato dentro sedeva con gli inservienti, per vedere la fine. 59 I sommi sacerdoti poi e l’intero sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, in vista di farlo morire; 60 ma non ne trovarono, pur fattisi avanti molti falsi testimoni. Dopo, essendo venuti due, 61 dissero: «Costui ha affermato: “POSSO DISTRUGGERE il Tempio di Dio e in tre giorni costruirlo”». Ed essendosi alzato il sommo sacerdote disse a lui: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». 63 Ma Gesù taceva. E il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci SE TU SEI IL MESSIA, IL FIGLIO DI DIO». 64 Dice a lui «Tu l’hai detto. Anzi dico a voi: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo SEDUTO alla destra della Potenza e VENIENTE sulle nubi del cielo». 65 Allora il sommo sacerdote stracciò le sue vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete ascoltato la bestemmia; 66 che ve ne pare?». Quelli poi avendo risposto dissero: «È colpevole di morte!». 67 Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono, altri poi lo colpirono, 68 dicendo: « MESSIA! Chi è che ti ha colpito?». 62

Pietro intanto sedeva fuori, nel cortile. E venne presso lui una serva dicendo: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». 70 Ma quello negò davanti a tutti dicendo: «Non so cosa dici». 71 Essendo uscito poi verso l’atrio, lo vide un’altra e dice agli uomini là: «Costui era con Gesù, il Nazareno». 72 E ancora negò, con giuramento: «Non conosco quell’uomo!». 73 Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «Veramente anche tu sei uno di loro: e infatti la tua parlata ti fa manifesto!». 74 Allora cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. 75 E Pietro si ricordò della parola di Gesù, avente detto: «Prima del cantare del gallo, tre volte mi rinnegherai». Ed essendo uscito fuori, pianse amaramente. 69

 Difatti, il rimprovero di Gesù a tutti quelli che vendevano e compravano («La mia casa sarà chiamata casa di preghiera. Voi invece la fate un covo di ladri», in 21,13), insieme ai gesti che lo precedono, sono ripresi e falsificati dall’accusa dei testimoni: «Costui ha affermato: “Posso distruggere il Tempio di Dio e in tre giorni costruirlo”» (26,61). Da un punto di vista linguistico, è importante notare come il verbo «distruggere» (26,61) sia complementare ai verbi «scacciò» e «rovesciò» (21,12), e anche in opposizione al verbo «guarire» (21,14, seguendo la logica dalle corrispondenze sopra menzionate)41. 40 Così D.A. HAGNER, Matthew 14–28, 601 che cita a riguardo Lv 21,18-19; 2Sam 5,8; 1QSa 2,5-22; CD 15,15-17 e m. Ḥag. 1,1). 41 Nei gesti che emergono nell’episodio della purificazione del Tempio (21,12-14) Gesù ha potuto effettivamente «distruggere e ricostruire» in senso simbolico l’istituzione corrotta del Tempio, casa in cui tutti dovrebbero avere un incontro salvifico con Yhwh (cfr. Is 56,7). Gesù ha così sconvolto il commercio profuso all’interno del cortile dei Gentili (finalizzato al culto ma a

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La composizione del Vangelo di Matteo

 Le folle che seguono Gesù rispondono agli abitanti di Gerusalemme sulla questione della sua identità riconoscendolo «profeta»: «Questi è il profeta Gesù, quello di Nazareth di Galilea» (21,11)42. Al contrario, coloro che sputano e schiaffeggiano Gesù lo insultano ironicamente: «Profetizza a noi, Messia! Chi è che ti ha colpito?» (26,68). Si tratta dei passi centrali delle sottosequenze.  Nei passi estremi, coloro che «gridavano dicendo» (21,9) e i bambini «gridanti nel Tempio» (21,15) si oppongono a Pietro che «cominciò a imprecare e a giurare» sconfessando Gesù (26,74). Allo stesso tempo, l’«inno» riferito dalle Scritture (21,16) che Gesù accoglie da parte dei bambini, si oppone a «una falsa testimonianza» (26,59) e al triplice «rinnegamento» di Pietro (26,59.75).  Al centro della prima sottosequenza di E2, Gesù è definito il «profeta, quello da Nazaret di Galilea» (21,11). Ora, proprio nel passo finale della prima sottosequenza di E8, Pietro rinnega le prime due volte di essere con «Gesù, il Galileo» (26,69) e con «Gesù, il Nazareno» (26,71)  Infine, è possibile riconoscere la complementarietà di due espressioni molto simili, che agganciano le due sottosequenze: «Ascolti quello che dicono costoro?», sulle labbra di coloro ritengono sacrileghe le acclamazioni dei bambini nei riguardi di Gesù (21,16), e: «Ecco, ora avete ascoltato la bestemmia», sulle labbra del sommo sacerdote, nel momento culminante della condanna di Gesù al processo (26,65). RAPPORTI TRA LE SOTTOSEQUENZE CENTRALI (21,18-32; 27,1-2) Se la sottosequenza centrale di E2 è costituita di tre passi in struttura concentrica (21,18-22; 23-27; 28-32), quella di E8 è davvero molto breve: si tratta di un passo di transizione della misura di appena due versetti (27,1-2). A livello sinottico, appare una chiara corrispondenza tra quest’ultimo e il passo centrale della sottosequenza di E2 (21,23-27).  Anzitutto si tratta dei medesimi oppositori di Gesù: i «sommi sacerdoti e gli anziani del popolo» (termini iniziali in 21,23 e 27,1)43.  Anche il loro atteggiamento di valutazione, reso dall’evangelista nella forma della cospirazione privata, sembra essere somigliante: alla domanda di Gesù e

detrimento dei timorati e dei malati, e in questo senso anche segno di inganno e di fallimento della missione mediatrice e testimoniale di Israele, cfr. Ger 7,1-15) e vi ha opposto la cura per i piccoli e per gli esclusi, che nella «casa di preghiera» attendevano di essere ristabiliti da Dio. Anche il cortile dei Gentili, oltre il quale stranieri e malati non potevano inoltrarsi, diventa luogo di salvezza e di preghiera. (cfr. R. DI PAOLO, «Il Figlio di Davide», 90-92). Sebbene le parole dei falsi testimoni siano accreditate dalla tradizione (Gv 2,18-19), tuttavia il Gesù di Matteo non le pronuncia in 21,12-14. Diventano, in senso narrativo, una falsificazione dei gesti da lui compiuti. 42 Il termine «profeta» è ripetuto poi in 21,26 e in 21,46. 43 In 27,1 il tono risolutivo precisa come si tratti di «tutti i sommi sacerdoti e gli anziani». Tuttavia, lungo le due sequenze, è vero che essi non sono i soli ad osteggiare Gesù. Infatti, appaiono assieme a «scribi» e «Farisei», ancora termini iniziali e medi nelle sottosequenze estreme di riferimento (cfr. 21,15.45 e 26,57; 27,3).

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prima di rispondere, «dialogavano fra loro stessi» (21,25); al mattino dopo il processo, «presero consiglio contro Gesù» (27,1)44. Mt 21,23-27

Mt 27,1-2

23

Ed essendo venuto egli nel Tempio, mentre insegnava, vennero presso di lui i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo dicendo: «CON QUALE AUTORITÀ FAI QUESTE COSE? E chi ti ha dato questa autorità?». 24 Avendo risposto Gesù disse loro: «Anch’io chiederò a voi una parola. Se mi rispondete, anch’io vi dirò CON QUALE AUTORITÀ FACCIO QUESTO. 25 Il battesimo di Giovanni da dove era? Dal cielo o dagli uomini?». Quelli poi dialogavano fra loro stessi dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, dirà a noi: “Perché dunque non avete creduto a lui?”. 26 Se poi diciamo: “Dagli uomini”, abbiamo paura della folla, tutti infatti considerano Giovanni come un profeta». 27 Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». Anch’egli disse loro: «Nemmeno io vi dico CON QUALE AUTORITÀ QUESTE COSE FACCIO».

27, 1 Avvenuto il mattino, TUTTI i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo presero consiglio contro Gesù COSÌ DA PORTARLO ALLA MORTE. 2 E avendolo legato, lo condussero e lo consegnarono a Pilato, il governatore.

 Un decisivo contrasto si realizza anche sul tema dell’autorità. Ora, infatti, nel passo centrale di E2 è messa in questione l’autorità (messianica) di Gesù (21,23.24.27), mente nel brevissimo passo centrale di E8 «tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo» prendono definitivamente autorità e potestà sulla sorte di Gesù, dal momento che decidono il modo di «portarlo alla morte» (27,1). RAPPORTI TRA LE SOTTOSEQUENZE FINALI (21,33–22,14; 27,3-26) Il contenuto dei passi estremi delle sottosequenze finali sembra del tutto eterogeneo: nella sottosequenza di E2 si tratta di due parabole affini (21,33-44; 22,1-14), mentre in quella di E8 di due episodi cruciali per il processo definitivo di Gesù (la morte di Giuda in 27,3-10 e la sentenza di Pilato in 27,15-26). Eppure, le due unità presentano numerose relazioni di tipo formale e logico.  Solo nei primi passi compaiono i verbi composti di didōmi («dare»): il padrone «diede-in-affitto» (gr. exedeto) la vigna ai contadini malvagi (21,33), ma saranno «altri contadini» che «ridaranno a lui i frutti» (gr. ekdōsousin, 21,41), e Gesù stesso concluderà che «il Regno di Dio sarà-dato (gr. dothēsetai) a una nazione che ne produca i frutti» (21,43); così è Giuda «colui che lo consegnò» (gr. ho paradidous auton, 27,3) che riconosce di «aver-consegnato (gr. paradous) sangue innocente» (27,4), mentre la citazione delle Scritture allude al 44

In entrambi i casi, infatti, i personaggi si radunano contro Gesù, che è di fatti estromesso dai loro ragionamenti: solo il lettore/ascoltatore viene a conoscenza del contenuto dei loro discorsi.

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La composizione del Vangelo di Matteo

fatto che «i sommi sacerdoti e gli anziani» «diedero» (gr. edōkan) le trenta monete per «il campo del vasaio» (27,10). 21,33 Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo padrone-di-casa, il quale piantò una vigna e la circondò con una siepe, scavò in essa una buca per il torchio e costruì una torre, e la diede-in-affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34 Quando poi si avvicinò il tempo dei frutti, mandò dei suoi servi ai contadini per prendere i suoi frutti. 35 Ma i contadini avendo preso i servi, uno lo bastonarono, un altro poi lo uccisero, un altro poi lo lapidarono. 36 Mandò ancora altri servi, più dei primi, e fecero a loro similmente. 37 Da ultimo poi mandò presso di loro il suo figlio dicendo: “Rispetteranno il mio figlio!”. 38 Ma i contadini, avendo visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo la sua eredità!”. 39 E avendo preso lui, LO CACCIARONO FUORI DALLA VIGNA e lo uccisero. 40 Quando verrà dunque il signore della vigna, cosa farà a quei contadini?». 41 Gli dicono: «Quei malvagi, li farà miseramente perire e la vigna darà in affitto ad altri contadini, i quali ridaranno a lui i frutti nel loro tempo». 42 Dice a loro Gesù: «Mai avete letto nelle Scritture: “LA PIETRA CHE RIGETTARONO I COSTRUTTORI, questa divenne come la testa d’angolo; dal Signore avvenne questa cosa, ed è meravigliosa ai nostri occhi?” 43 Per questo dico a voi: vi sarà tolto e sarà dato a una nazione che ne produca i frutti. 44 E chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e colui sul quale poi cadrà, lo stritolerà». 45

E avendo ascoltato i sommi sacerdoti e i farisei le sue parabole, capirono che di afferrarlo, ma ebbero timore delle folle, perché lo consideravano

LORO. 46 E cercavano

PARLAVA DI

.

22, 1 E avendo risposto, Gesù ancora disse con parabole a loro dicendo: 2 « è simile a , il quale fece nozze per suo figlio. 3 E mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, e non volevano venire. 4 Ancora mandò altri servi dicendo: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono uccisi e tutto è pronto. Su, alle nozze!”. 5 Quelli però andarono, uno AL SUO CAMPO, uno al suo commercio; 6 altri poi avendo afferrato i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7 Allora si adirò: e avendo mandato i suoi soldati, fece perire quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8 Allora dice ai suoi servi: “Le nozze sono pronte, ma gli invitati non erano degni; 9 andate dunque agli incroci delle strade e coloro i quali troverete, chiamate alle nozze”. 10 Ed essendo usciti per le strade quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni. E furono piene le nozze di commensali. 11 Essendo entrato poi per contemplare i commensali, vide là un uomo che non vestiva l’abito delle nozze. 12 E dice a lui: “Amico, come sei entrato qui senza avere l’abito delle nozze?”. Quello ammutolì. 13 Allora disse ai servi: “Avendolo legato piedi e mani, gettatelo nelle tenebre esteriori; là sarà il pianto e lo stridore di denti”. 14 Molti infatti sono chiamati, ma pochi eletti».

 Entrambi i primi passi si concludono con una citazione delle Scritture: «mai avete letto nelle Scritture» (21,42) sulla bocca di Gesù, corrisponde a «allora fu compiuto il detto per mezzo del profeta Geremia dicendo» (27,9), la citazione di compimento con cui l’evangelista commenta il destino ultimo delle «monete» per cui Giuda ha tradito il Signore.  Anche il contenuto delle citazioni è complementare: nel primo caso, Gesù fa riferimento, nella parabola, all’uccisione e al ripudio del figlio erede («lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero», 21,39) con il commento del Salmo 118,22 (in particolare l’immagine de «la pietra che rigettarono i costruttori», in 21,42); nell’episodio della fine di Giuda il riferimento è all’acquisto del «Campo del Vasaio» da parte dei veri responsabili della morte di Gesù, «per la sepoltura

La sezione E (19,1–27,61)

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27,3 Allora Giuda – colui che lo consegnò –, avendo visto che fu condannato, , riportò le trenta monete d’argento ai sommi sacerdoti e agli anziani, 4 dicendo: «Peccai, avendo consegnato sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Te la vedrai!». 5 E avendo gettato le monete d’argento nel Tempio si ritirò, ed essendo andato si impiccò. 6 I sommi sacerdoti, avendo preso le monete d’argento, dissero: «Non è lecito gettarle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». 7 Avendo preso consiglio, comprarono con esse il “CAMPO DEL VASAIO” PER LA SEPOLTURA DEGLI STRANIERI. 8 Perciò QUEL CAMPO fu chiamato “CAMPO DI SANGUE” fino ad oggi. 9 Allora fu compiuto il detto per mezzo del profeta Geremia dicendo: «E presero le trenta monete d’argento, IL PREZZO DEL PREZIOSO, CHE FU VALUTATO DAI FIGLI D’ISRAELE, 10 e le diedero per IL CAMPO DEL VASAIO, come mi ordinò il Signore». Poi Gesù fu fatto stare davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu ?». Gesù rispose: «Tu lo dici». 12 E mentre i sommi sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose niente. 13 Allora dice a lui Pilato: «Non ascolti QUANTE COSE DI TE CONTROTESTIMONIANO?». 14 E non gli rispose neanche una parola, così da meravigliare molto il governatore. 11

In ogni festa, il governatore era solito rilasciare per la folla un prigioniero, quello che volevano. Avevano allora un prigioniero famoso, detto [Gesù] Barabba. 17 Dunque radunati loro, Pilato gli disse: «Chi volete che rilasci per voi: Gesù Barabba o Gesù, detto Messia?». 18 Sapeva infatti che glielo avevano consegnato per invidia. 19 Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, molto ho patito per causa sua». 20 Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla affinché chiedessero Barabba, e invece Gesù facessero perire. 21 Avendo risposto poi il governatore disse loro: «Di questi due, chi volete che rilasci per voi?». Ma quelli dissero: «Barabba!». 22 Dice loro Pilato: «Cosa dunque farò di Gesù, detto Messia?». Tutti dicono: «Sia crocifisso!». 23 Quello poi disse: «Ma che male ha fatto?». Quelli però gridavano più forte dicendo: «Sia crocifisso!». 24 Avendo visto poi Pilato che non otteneva nulla, ma di più il tumulto aumentava, avendo preso acqua si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Sono innocente di questo sangue. Vedrete voi!». 25 E avendo risposto tutto il popolo disse: «Il suo sangue su di noi e sui nostri figli». 26 Allora rilasciò per loro Barabba. E poi Gesù avendo flagellato, consegnò perché fosse crocifisso. 15 16

degli stranieri» (coloro che sono fuori dall’eredità di Israele)45, commentato con la citazione scritturistica sul pastore rifiutato: «E presero le trenta monete d’argento, il prezzo del prezioso, che fu valutato dai figli d’Israele» (27,9)46. 45 La citazione, nel suo complesso, proviene da Zc 11,12-13. Ma Matteo (o la tradizione alle sue spalle) dimostra qui una particolare intelligenza delle Scritture, ritoccando e interpretando questo passo con l’ausilio del Libro di Geremia (in particolare: Ger 18,2ss.; 19,1ss.; 32,6-15; così P. BONNARD, L’Évangile selon Saint Matthieu, 394). L’ordine di Yhwh in Zc 11,13 («Getta nel tesoro questa bella somma con cui sono stato da loro valutato») presenta una variante, nel testo ebraico, che legge il termine «tesoro» (ebr. hôṣar) piuttosto come «vasaio/fonditore» (ebr. yôṣer), cosa che avrebbe potuto suggerire l’aggancio con i testi di Geremia e la sua stessa vicenda di profeta rifiutato (così Fabris, 560; cfr. anche Hagner, II, 813-816). L’acquisto del campo per la sepoltura degli stranieri dice (come l’espulsione del figlio ucciso nella parabola) il rifiuto e l’esclusione totale di Gesù da parte dei capi: «Gesù sarà scacciato dal tempio, fino all’ultimo spicciolo. “Il prezioso” era stato stimato al prezzo di uno schiavo dai figli d’Israele. Il poco denaro che è costato non può essere versato nel tesoro, ma deve essere gettato, come un coccio, nel Campo del vasaio. Questo salario irrisorio deve essere gettato non solo fuori del tempio, ma addirittura fuori della città: non deve avere più nulla a che fare con i figli d’Israele, ma essere consacrato alla sepoltura degli stranieri (7c), tombe talmente impure che diventano incapaci di contaminare» (R. MEYNET, La Pasqua del Signore, 193).

278

La composizione del Vangelo di Matteo

 Anche la logica di questi due primi passi è simile: alla «vigna» fittata (21,33) risponde il «campo» acquistato (27,7.8.10), mentre in entrambi i passi una congiura è messa in atto, senza alcuna cura per coloro i quali sono inviati ai «contadini» (21,34-39), o per Giuda che si rivolge «ai sommi sacerdoti e agli anziani» (27,3-4).  Nei passi centrali «i sommi sacerdoti e gli anziani» «cercano di afferrare» Gesù per ucciderlo, senza riuscirvi all’inizio (21,45-46), mentre «lo accusavano» davanti al governatore nel processo finale (27,12)47.  Il verbo «ascoltare» è riferito qui prima a loro (21,45), poi a Gesù stesso, nella domanda del governatore (27,13). In realtà, questo aspetto formale è ulteriormente arricchito dalla logica interna dei passi centrali: nel primo, i nemici di Gesù comprendono che «parlava di loro» (21,45), mentre davanti al governatore loro stessi «contro-testimoniano» in opposizione a Gesù (27,13). E così, l’apparente inazione dei sommi sacerdote e degli anziani che temono la reazione delle folle (27,46) si oppone al silenzio di Gesù durante il processo (27,11.12.14)48.  Negli ultimi passi ricorre il verbo apokteinō (riferito ai «servi» del re in 22,6) e il sinonimo apollymi (riferito a Gesù stesso in 27,20)49. In realtà, le due sottosequenze sono costellate di verbi e di riferimenti dello stesso campo semantico (21,35tris; 38-39.41; 22,6.7; 27,5.20.22-23.26bis), che nel complesso accostano la sorte di Gesù a quella di tutti gli inviati nelle parabole (immagine per indicare tutti gli inviati rifiutati nella storia di Israele) e a Giuda non accolto dai pastori del popolo.  Nel complesso della sottosequenza si devono notare ancora alcuni termini che si corrispondono: il «campo» (gr. argos) appare tanto nella Parabola degli invitati alle nozze (22,5), quanto nell’episodio delle monete riportate da Giuda (27,7.8.10); il termine «Re dei Giudei» riferito a Gesù nella domanda del governatore (nel passo centrale della sottosequenza di E8, in 27,11), risponde a «Regno di Dio» e «Regno dei Cieli» nelle parabole (nei passi estremi della sottosequenza di E2, in 21,43 e 22,2); Gesù è pure ritenuto «profeta» (nel passo centrale della sottosequenza di E2, in 21,46); infine, il participio amelēsantes («avendo-ignorato», 22,5) ha una opposizione nel participio metamelētheis 46

Le immagini del pastore rifiutato (in Zc) e del Vasaio (immagine per indicare Dio stesso nei testi di Geremia) sono utilizzate da Matteo nella citazione per fare riferimento a Dio (nella prima Scrittura) e a Gesù stesso (nell’avvenimento narrato): «Non è impossibile immaginare che Mt abbia detto che la citazione era di Geremia affinché si interpretasse il termine discusso, “tesoro” o “vasaio”, alla luce di Geremia secondo il quale il “vasaio” è Dio stesso […] Il peccato dei sommi sacerdoti comunque non impedirà che la profezia si realizzi, al contrario. È là, nel campo che porta al tempo stesso il nome del sangue di Gesù (8), e quello dell’autentico Vasaio (7b.10b), che gli stranieri troveranno una sepoltura per la salvezza» (R. MEYNET, La Pasqua del Signore, 192-193). 47 «I sommi sacerdoti e gli anziani» compaiono anche nei passi estremi della sottosequenza finale di E8 (27,3 e 27,20). 48 Il proseguo del racconto farà comprendere come l’iniziale ostacolo delle folle sarà aggirato proprio ricorrendo al governatore: in 27,20 i sommi sacerdoti e gli anziani riescono finalmente a «persuadere la folla» posta dinanzi all’usanza del rilascio del prigioniero. 49 Il verbo apollymi appare subito dopo, nella parabola di 22,1-14, riferito alla punizione del re.

La sezione E (19,1–27,61)

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(«essendosi-pentito»), riferendosi il primo alla non curanza degli invitati, il secondo invece al ritorno del cuore di Giuda, pentito dell’azione compiuta. I CENTRI DELLE SOTTOSEQUENZE Al centro di E2, è posta da sommi sacerdoti e anziani la domanda sulla autorità di Gesù. «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?» (21,23). Tale questione riecheggia proprio nei passi centrali delle sottosequenze estreme di E8, in cui è Gesù stesso ad alludere alla propria regalità: 21,23

Ed essendo venuto nel Tempio, mentre insegnava, vennero presso di lui i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo dicendo: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?»

26,63-64

E il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se tu sei il Messia, il Figlio di Dio». Dice a lui: «Tu l’hai detto. Anzi dico a voi: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’Uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo».

27,11

Poi Gesù fu fatto stare davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il Re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici».

 Nel passo centrale della terza sottosequenza di E2 «i sommi sacerdoti e i farisei cercavano di afferrarlo», ovvero di catturare Gesù con l’inganno e la violenza, evidentemente con l’intenzione di ucciderlo (21,45-46). Tuttavia, essi «ebbero paura delle folle» che consideravano Gesù «un profeta» (21,46): proprio in questo modo, infatti, le stesse «folle» lo avevano annunciato alla città di Gerusalemme, al momento del suo ingresso nel passo centrale della prima sottosequenza di E2 (21,10-11). Ora, questa intenzione malvagia si realizzerà al centro della sequenza E8, quando «tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo presero consiglio» contro Gesù «così da farlo morire» (27,1)50. 2.3 RAPPORTI TRA LE SEQUENZE FINALI (E3 E E9) TERMINI FINALI Alla fine di E3, Gesù afferma per Israele il riconoscimento della sua messianicità come condizione del suo futuro ritorno (23,39); invece, proprio nella 50

Lo sviluppo drammatico della violenza e della tensione, in realtà, appare pure nei passi contigui delle estremità di E2. Infatti, nel quinto passo della prima sottosequenza, «i sommi sacerdoti e gli scribi furono indignati» (21,15) per le parole di lode dei bambini nel Tempio (e si potrebbe pensare che sia proprio da qui che la tensione prende avvio). Nella parabola dei vignaioli omicidi, nel primo passo della terza sottosequenza, i contadini decidono di «uccidere» il figlio erede (21,38-39): come visto, subito dopo «i sommi sacerdoti e i farisei…capirono che parlava di loro» al momento in cui Gesù racconta questo particolare (21,45).

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La composizione del Vangelo di Matteo

sottosequenza finale di E9, dopo la morte, è riconosciuto «Figlio di Dio» dal «centurione» pagano e da «quelli che con lui facevano la guardia» sotto la croce (27,54). Entrambe le confessioni sono legate alla semantica della visione (l’aoristo secondo del verbo gr. horaō), come conseguenza del riconoscimento di fede, o piuttosto come sua condizione: 23,39

Dico infatti a voi: non affatto mi vedrete (ou mē idēte) da ora fino a quando direte: «BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE».

27,54

Il centurione poi, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, vedendo (idontes) il terremoto e le cose accadute, ebbero molto timore dicendo: «VERAMENTE COSTUI ERA FIGLIO DI DIO».

ESTREMITÀ E CENTRO Due espressioni simili fanno riferimento alla desolazione del «Tempio», l’una sulle labbra di Gesù (23,37-38), l’altra al momento della narrazione dell’evento subito succeduto alla sua morte (27,51): si trovano alla fine di E3 e nella sottosequenza centrale di E9. Perciò, l’evento del velo del tempio si presenta al lettore come compimento delle parole di Gesù. A livello prettamente formale, è chiaro che il parallelismo in gioco sia di tipo sintetico: la costruzione delle espressioni è davvero molto simile, ma nell’evento è designato un di più di senso, molto specifico. Nessun uomo, infatti, se non il sommo sacerdote nel giorno dell’espiazione (cfr. Lv 16), poteva oltrepassare «il velo» del Santo dei Santi e sostare al suo interno, dove era la Presenza del Signore (Es 26,31-35). 23,37-38

«Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi i mandati presso te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figlioli, nel modo che una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e non avete voluto! :: Ecco, LA VOSTRA CASA è lasciata a voi deserta».

27,50-51

Ma Gesù ancora avendo gridato a gran voce, lasciò lo spirito. :: Ed ecco, IL VELO DEL TEMPIO fu squarciato in due, da cima a fondo.

LE SOTTOSEQUENZE CENTRALI (22,41-46; 27,38-51A)  Tra le sottosequenze centrali, la richiesta nella citazione scritturistica, «siedi alla mia destra» (22,44), si oppone al dileggio dei passanti e delle autorità che domandano a Gesù di «scendere dalla croce» (27,40.42; in entrambi i casi si tratta dell’imperativo aoristo).  Anche il tema del «figlio di Davide», nella prima sottosequenza centrale (si noti 22,42.43) tesse una chiara corrispondenza con l’epiteto «Re d’Israele» (27,42) nella sottosequenza centrale di E9.

La sezione E (19,1–27,61)

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 Il termine «figlio» appare due volte in ciascuna sottosequenza: in 22,42.45 sulla bocca di Gesù, e in 27,40.43 sulla bocca dei presenti alla crocifissione51.  Il termine «nello Spirito» (22,43) riferito all’ispirazione divina discesa sul re Davide, risponde all’ultimo respiro donato da Gesù: «lasciò lo spirito» (27,50).  Infine, in entrambe le sottosequenze sono citati due salmi messianici del Libro del Salterio: nella prima si tratta di una citazione diretta del Salmo 110, per la questione posta da Gesù (22,44); nella sottosequenza centrale di E9, invece, il Salmo 22 echeggia sulle labbra degli oppositori (27,43; cfr. Sal 22,8-9), ma è pregato direttamente dallo stesso Gesù sulla croce (27,46; cfr. Sal 22,2)52. Mt 22,41-45 Essendosi congregati i Farisei, Gesù chiese loro dicendo: 42 «Cosa vi sembra circa il Messia? Di-chi è figlio?». Dicono a lui: «Di Davide». 43 Dice a loro: «Come dunque Davide, nello Spirito, lo chiama Signore, dicendo: 44 “Disse il Signore al mio Signore: finché ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi”? 45 Se dunque Davide lo chiama Signore, com’è suo figlio?». 46 E nessuno poteva rispondere a lui parola, né da quel giorno alcuno osò più interrogarlo. 41

Mt 27,38-51 Allora sono crocifissi con lui due ladri, uno a destra e uno a sinistra. 39 E i passanti lo insultavano, scuotendo le loro teste 40 e dicendo: «Tu, che distruggi il Tempio e in tre giorni lo costruisci, salva te stesso, se Figlio sei di Dio, e !». 41 Similmente anche i sommi sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: 42 «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il Re d’Israele; e crederemo a lui. 43 Ha confidato in Dio; lo liberi, ora, se lo vuole. Ha detto infatti: “Di Dio sono Figlio”!». 44 Poi allo stesso modo anche i ladri con-crocifissi con lui lo oltraggiavano. 38

––––––––––––––––––––––––––––––––––– Dall’ora sesta avvenne tenebra su tutta la terra, fino all’ora nona. 45

––––––––––––––––––––––––––––––––––– Verso l’ora nona poi, Gesù gridò a gran voce dicendo: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». 47 Alcuni poi dei presenti lì, avendo ascoltato, dicevano: «Costui chiama Elia». 48 E subito uno di loro correndo a prendere una spugna, avendola riempita di aceto, posta su una canna, gli dava da bere. 49 Poi i restanti dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». 50 Ma Gesù ancora avendo gridato a gran voce, lasciò lo spirito. 51 Ed ecco, il velo del Tempio fu squarciato in due, da cima a fondo. 46

51 In realtà, è possibile insistere sul tema della figliolanza-messianicità di Gesù anche tra questo passo centrale di E3 (22,41-46) e le sottosequenze estreme di E9. Infatti, il termine «Figlio» compare ancora nel primo passo della terza sottosequenza di E9, sulle labbra del centurione (27,54), mentre alla fine dei due passi della prima sottosequenza appare il termine «Re dei Giudei» (27,29.37), evidentemente in relazione con «figlio di Davide» (22,42). 52 André Wénin si è dedicato al riconoscimento del Salmo 22 come elemento determinante per la trama narrativa della crocifissione di Gesù in Matteo. Cfr. A. WÉNIN, «Le Psaume 22 et le récit matthéen», 59-78.

282

La composizione del Vangelo di Matteo

LE SOTTOSEQUENZE ESTREME (22,15-40; 23,1-39; 27,27-37; 27,51B-61) Come per la prima sezione A, anche qui le relazioni tra le sequenze finali non seguono una modalità completamente lineare. Difatti, si devono riconoscere anzitutto alcune relazioni incrociate: ovvero tra la prima sottosequenza di E3 e l’ultima di E9, come tra la prima di E9 e l’ultima sottosequenza di E3. 22, 15 Allora i farisei essendo andati, tennero consiglio affinché lo intrappolassero nella parola. 16 E mandarono a lui i propri discepoli, con gli erodiani, dicendo: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio in verità. E non ti preoccupa alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17 Dunque, di’ a noi cosa ti sembra: è lecito, o no, dare il tributo a Cesare?». 18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, disse: «Ipocriti, perché mi tentate? 19 Mostratemi la moneta del tributo». Quelli poi gli presentarono un denaro. 20 E dice a loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21 Gli dicono: «Di Cesare». Allora dice a loro: «Ridate dunque le cose di Cesare a Cesare e le cose di Dio a Dio». 22 E avendo ascoltato si stupirono, e avendolo lasciato andarono-via. In quel giorno vennero presso di lui Sadducei, che dicono non esserci RISURREZIONE, e lo interrogarono 24 dicendo: «Maestro, Mosè disse: Se uno muore non avendo figli, suo fratello sposerà la sua donna e susciterà una discendenza a suo fratello. 25 Ora, c’erano presso noi sette fratelli; il primo, essendo sposato morì, e non avendo discendenza lasciò la sua donna a suo fratello. 26 Similmente anche il secondo, e il terzo, fino al settimo. 27 Dopo tutti poi, morì la donna. 28 Nella RISURREZIONE, dunque, di chi dei sette sarà la donna? Tutti infatti ebbero lei». 29 Avendo risposto, Gesù disse loro: «Vi ingannate, non conoscendo le Scritture né la potenza di Dio. 30 Nella RISURREZIONE infatti né si sposano né sono sposati, ma sono come angeli nel cielo. 31 Circa poi LA RISURREZIONE DEI MORTI, non avete letto il detto a voi da parte di Dio dicendo: 32 “Io sono il Dio di Abramo, e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”? Non è il Dio dei morti, ma dei viventi!». 33 E avendo ascoltato le folle erano stupite dal suo insegnamento. 23

I Farisei poi, avendo ascoltato che fece tacere i Sadducei, si congregarono contro di lui 35 e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per tentarlo: 36 «Maestro, qual è il grande comandamento nella Legge?». 37 Quello poi rispose a lui: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, e con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38 Questo è il grande e primo comandamento. 39 Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40 In questi due comandamenti l’intera Legge dipende e i Profeti». 34

 Nel passo centrale della prima sottosequenza di E3 il termine «donna» compare come termine chiave della disputa con i Sadducei (22,24.25.27.28bis se si considera il pronome autēn alla fine del versetto); nel primo passo della terza sottosequenza di E9 appaiono invece le «molte donne» (27,55 e «tra queste» in 27,56) che assistono «da lontano» alla morte di Gesù53.  Il termine «resurrezione» (gr. anastasis) appare più volte nello stesso passo di E3 (22,23.28.30.31); nell’ultima sottosequenza di E9, nel suo primo passo, è invece utilizzato un termine sinonimo per indicare quella di Gesù (gr. tēn egersin

53

I nomi di alcune delle «donne» sono termini finali tra il primo (27,56) e il secondo passo (27,61) della sottosequenza finale di E9: si tratta di «Maria Magdalena» e «Maria», madre di Giacomo e di Giuseppe (in 27,56 figura anche «la madre dei figli di Zebedeo»).

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autou, in 27,53), e il suo verbo affine, «risuscitarono» (gr. ēgerthēsan, in 27,52), riferito invece ai «corpi dei santi» che ritornarono in vita dopo la sua morte54. 27, 51b La terra fu scossa e le rocce si spezzarono, 52 e i sepolcri furono aperti e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. 53 Ed essendo usciti dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. 54 Il centurione poi, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, vedendo il terremoto e le cose accadute, ebbero molto timore dicendo: «Veramente costui era Figlio di Dio!». 55 Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. 56 Tra queste c’era Maria Magdalena, Maria la madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo. Venuta la sera, venne un uomo ricco, da Arimatea, di nome Giuseppe; anche lui era discepolato a Gesù. Questi venuto presso Pilato chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse dato. 59 Giuseppe avendo preso il corpo, lo avvolse in un lenzuolo puro 60 e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si scavò nella roccia; e avendo rotolato poi una grande pietra alla porta del sepolcro, se ne andò. 61 Lì poi, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria Magdalena e l’altra Maria. 57 58

Il verbo «crocifiggere» (gr. stauroō) compare nell’ultimo passo dell’ultima sottosequenza di E3 («crocifiggerete», in 23,34), riferito a coloro che sono mandati a predicare il Vangelo e perseguitati; due volte lo stesso verbo compare nella prima sottosequenza di E9, evidentemente riferito a Gesù («per esserecrocifisso», in 27,31 e «dopo averlo crocifisso» in 27,35)55: Mt 23,34-39 Per questo ecco, io mando a voi profeti, e sapienti, e scribi: da questi ucciderete e CROCIFIGGERETE, e da questi flagellerete nelle vostre sinagoghe e perseguiterete di città in città; 35 perché venga su di voi tutto il sangue giusto versato sulla terra, dal sangue di Abele il giusto fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che assassinaste tra il Tempio e l’altare. 36 Amen, dico a voi: tutte queste cose verranno su questa generazione. 37 Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi i mandati presso te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figlioli, nel modo che una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e non avete voluto! 38 Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta! 39 Dico infatti a voi: non affatto mi vedrete, da ora fino a quando direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!». 34

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Mt 27,27-37 Allora i soldati del governatore avendo condotto Gesù nel pretorio, radunarono contro di lui tutta la truppa. 28 E avendo svestito lui, lo cinsero con una clamide scarlatta, 29 e avendo intrecciato una corona di spine, la posero sulla sua testa e una canna nella mano destra. E inginocchiandosi davanti a lui, lo schernivano dicendo: «Rallegrati, Re dei Giudei!». 30 E sputandogli, presero la canna e lo colpivano sul capo. 31 E quando lo schernirono, lo spogliarono della clamide e lo rivestirono con le sue vesti, e lo condussero via PER ESSERE CROCIFISSO. 27

Mentre uscivano poi, trovarono un uomo Cireneo, con nome Simone; questo costrinsero affinché portasse la sua croce. 33 Ed essendo andati nel luogo chiamato Gòlgota, che è detto «Luogo del cranio», 34 gli diedero da bere vino mescolato con fiele. E avendo gustato, non ne volle bere. 35 DOPO AVERLO CROCIFISSO, divisero le sue vesti tirando a sorte. 36 E seduti, gli facevano la guardia. 37 E posero sopra la sua testa il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il Re dei Giudei». 32

Si deve sottolineare allora un forte legame sviluppato dai concetti donna-risurrezione. Il verbo appare anche nella sottosequenza centrale (27,38), ma riferito ai «due ladri» (in 27,44 si tratta del participio di un verbo sinonimo, systauroō). 55

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La composizione del Vangelo di Matteo

Non mancano, tuttavia, alcune ricorrenze lineari, ovvero tra le sottosequenze corrispondenti. In particolare, tra le rispettive sottosequenze finali. 23, 1 Allora Gesù parlò alla folla e ai suoi discepoli 2 dicendo: «Sulla cattedra di Mosè sedettero gli scribi e i Farisei. 3 Tutto ciò che vi dicono fate e osservate, ma non agite secondo le loro opere, dicono infatti e non 56 fanno. 4 Legano carichi pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle degli uomini , ma essi non 5 vogliono muoverli con il loro dito. Tutte le loro opere poi le fanno per essere visti dagli uomini: allargano infatti i loro filatteri e allungano le frange; 6 amano poi il posto d’onore nei pasti, e i primi seggi nelle sinagoghe, 7 e i saluti nelle piazze, ed essere chiamati “rabbì” dagli uomini. 8 Voi, però, non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro. Tutti voi poi siete fratelli. 9 E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10 E neppure fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Messia. 11 Il più grande tra voi poi, sarà vostro servo; 12 chi invece si esalterà, sarà umiliato, e chi si umilierà sarà esaltato. Ma guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, che chiudete il Regno dei Cieli davanti agli uomini: voi infatti non entrate, e non lasciate entrare quelli che vogliono entrare. 15 Guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, che girate il mare e l’asciutto per fare un solo proselito e, quando lo è divenuto, lo fate figlio della Geènna il doppio di voi.16 Guai a voi, guide cieche, che dite: “Se uno giura per il Tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l’oro del Tempio, è obbligato”. 17 Stolti e ciechi! Cosa infatti è più grande: l’oro o il Tempio che santifica l’oro? 18 E: “Se uno giura per l’altare, non conta nulla; se invece uno giura per l’offerta sopra di lui, è obbligato”. 19 Ciechi! Cosa infatti è più grande: l’offerta o l’altare che santifica l’offerta? 20 Dunque, chi giura per l’altare, giura per esso e per tutto ciò che vi sta sopra; 21 e chi giura per il Tempio, giura per esso e per Colui che lo abita. 22 E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che è seduto su di esso. 23 Guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’aneto e sul cumino, e lasciate le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, e la misericordia, e la fedeltà. Queste invece bisognava fare, senza lasciare quelle. 24 Guide cieche, che filtrate il moscerino e invece ingoiate il cammello! 25 Guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, che purificate l’esterno del calice e del piatto, ma all’interno sono pieni di rapina e immondizia. 26 Fariseo cieco, purifica prima l’interno del calice, perché anche il suo esterno diventi puro! 27 Guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, che assomigliate a tombe imbiancate le quali all’esterno appaiono ammirabili, ma dentro sono piene di ossa di morti e di ogni impurità. 28 Così anche voi: all’esterno apparite giusti agli uomini, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità. 29 Guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate I SEPOLCRI DEI GIUSTI, 30 e dite: “Se fossimo vissuti nei giorni dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel sangue dei profeti”. 31 Così testimoniate, contro voi stessi, che siete figli di chi assassinò i profeti. 32 E voi riempite la misura dei vostri padri. 33 Serpenti, razza di vipere, come fuggite al giudizio della Geènna? 13

Per questo ecco, io mando a voi profeti, e sapienti, e scribi: da questi ucciderete e crocifiggerete, e da questi flagellerete nelle vostre sinagoghe e perseguiterete di città in città; 35 perché venga su di voi tutto il sangue giusto versato sulla terra, dal sangue di Abele il giusto fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che assassinaste tra il Tempio e l’altare. 36 Amen, dico a voi: tutte queste cose verranno su questa generazione. 37 Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi i mandati presso te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figlioli, nel modo che una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e non avete voluto! 38 Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta! 39 Dico infatti a voi: non affatto mi vedrete, da ora fino a quando direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!». 34

56

Probabilmente i «carichi pesanti e difficili da portare» di cui parla la terza sottosequenza di E3 (23,4) richiamano tematicamente «la croce» di Gesù che i romani «costrinsero» a «portare» all’«uomo Cireneo», nel secondo passo della prima sottosequenza di E9 (27,32).

La sezione E (19,1–27,61)

285

27, 51b La terra fu scossa e le rocce si spezzarono, 52 e I SEPOLCRI furono aperti e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. 53 Ed essendo usciti dai SEPOLCRI, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. 54 Il centurione poi, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, vedendo il terremoto e le cose accadute, ebbero molto timore dicendo: «Veramente costui era Figlio di Dio!». 55 Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. 56 Tra queste c’era Maria Magdalena, Maria la madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo. Venuta la sera, venne un uomo ricco, da Arimatea, di nome Giuseppe; anche lui era discepolato a Gesù. Questi venuto presso Pilato chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse dato. 59 Giuseppe avendo preso il corpo, lo avvolse in un lenzuolo puro 60 e lo depose NEL SUO SEPOLCRO NUOVO, che si scavò nella roccia; e avendo rotolato poi una grande pietra alla porta del SEPOLCRO, se ne andò. 61 Lì poi, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria Magdalena e l’altra Maria. 57 58

 Le «tombe imbiancate» a cui sono paragonati «scribi e Farisei» (23,27), insieme alla menzione delle «tombe dei profeti» subito dopo (23,29), corrispondono alla «tomba» di Gesù, luogo finale della sequenza E9 (27,61): il termine greco qui utilizzato è taphos.  A questo termine indicante le «tomba»/ le «tombe» è affiancato in parallelismo il sinonimo mnēmeion. È utilizzato due volte in 27,60 per indicare il «sepolcro nuovo» di Giuseppe di Arimatea, nel quale è deposto il Signore; in 27,52.53 è piuttosto il luogo in cui erano deposti i «corpi dei santi» risuscitati al momento della morte di Gesù; invece, nel passo centrale della terza sottosequenza di E3 appare dopo la menzione delle «tombe dei profeti», in 23,29, per indicare in corrispondenza «i sepolcri dei giusti»57. 2.4 ALTRE SIMMETRIE PARZIALI E RELAZIONI COMPLESSIVE Oltre agli indizi già indicati all’inizio dell’analisi della sezione, è possibile riconoscere, a conclusione di una visione analitica, alcune simmetrie parziali e relazioni complessive che rinforzano il legame tra le due sottosezioni di riferimento. TERMINI ESTREMI  Nella terza sottosequenza di E1, la madre dei «figli di Zebedeo» chiede che i suoi figli «siedano uno alla destra e uno alla sinistra» di Gesù (gr. eis ek dexiōn sou kai eis ex euōnymōn sou), nel suo «Regno» (20,21). Ma al momento della crocifissione, nella sottosequenza centrale di E9, saranno invece «due ladri» a essere crocifissi con lui, «uno a destra e uno a sinistra» (anche qui: eis ek dexiōn kai eis ex euōnymōn, 27,38).  All’inizio della sottosequenza centrale di E1, come alla fine della sottosequenza finale di E9, Pietro con i discepoli prima (19,27), ma anche «le molte donne» che «osservavano da lontano» gli avvenimenti dolorosi della 57

Per la resa lessicografica dei due termini si veda la discussione in BDAG 654-655.992.

286

La composizione del Vangelo di Matteo

morte del Signore (27,55), sono qualificati come coloro che «seguirono» Gesù (il verbo per entrambi è infatti il gr. akoloutheō): 19,27

Allora Pietro, avendo risposto, gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e TI ABBIAMO SEGUITO (ēkolouthēsamen soi); che cosa dunque sarà a noi?»

27,55

Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse AVEVANO SEGUITO (ēkolouthēsan) GESÙ dalla Galilea per servirlo.

 Nelle sottosequenze centrali di E1 e E9 compaiono «l’ora sesta» e «l’ora nona» (20,5; 27,45): sono nella parabola i due intervalli di metà giornata in cui il «signore della vigna» esce per dare lavoro agli operai, e le ore di buio in cui Gesù è sulla croce. TERMINI FINALI Alcuni sostantivi ricorrono come termini finali tra le sottosezioni: oltre ai già menzionati «sepolcro/i» (gr. mnēmeion, in 23,29; 27,52.53.60bis) e «tomba/e» (gr. taphos, in 23,27.29; 27,61), si deve citare anche il nome di «Gerusalemme», alla fine della prima sottosezione (23,37bis): esso è richiamato alla fine dell’intera sezione dal termine «città santa» (27,53). CENTRI Le due uniche citazioni di compimento presenti nelle sottosezioni si trovano nelle sequenze centrali: in 21,4-5 l’evangelista cita Zc 9,9 all’inizio della prima sottosequenza di E2; invece in 27,9-10, nella sottosequenza finale di E8, rilegge e reinterpreta Ger 32,6-15 insieme a Zc 11,12-1358:

58

Per l’accostamento dei testi cfr. Fabris, 560. In realtà, anche in E7 Gesù ha motivato la sua cattura con una formula di compimento, «perché si compissero le Scritture dei profeti» (26,56). Tuttavia, in questa occasione non ha citato esplicitamente un luogo della Scrittura o un suo passo, quanto piuttosto avrebbe rimandato interamente a una delle sue parti, i Profeti. R. Meynet, riferendo le parole al contesto immediatamente precedente («come contro un bandito siete usciti con spade e bastoni a prendermi», cfr. 26,55), ma anche a quello globale della sequenza di riferimento, vi coglie un’allusione alla fine del Quarto Canto del Servo del Signore (Is 53,13): «È stata consegnata alla morte la sua vita, e fra i criminali è stato annoverato; ed egli il peccato di molti portava, e a causa dei loro peccati è stato consegnato» (cfr. R. MEYNET, La Pasqua del Signore, 58.71).

La sezione E (19,1–27,61)

287

21,4-5

Questo poi è avvenuto affinché fosse compiuto il detto del profeta dicendo: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco il tuo re viene a te mite e cavalcante su un’asina e su un puledro figlio di bestia da soma”».

27,9-10

Allora fu compiuto il detto per mezzo del profeta Geremia dicendo: «E presero le trenta monete d’argento, il prezzo del prezioso, che fu valutato dai figli di Israele, e le diedero per il campo del vasaio, come mi ordinò il Signore».

ESTREMITÀ E CENTRO  «Tutto il sangue giusto versato sulla terra» (23,35-36) ed il «sangue» di Gesù condannato alla morte (27,25), appare rispettivamente alla fine della prima sottosezione e nella sequenza centrale della terza. Nella prima occorrenza Gesù sostiene che questo sangue «verrà su di voi/su questa generazione» (gr. eph’hymas e epi tēn genean tautēn), a conclusione dell’invettiva contro scribi e farisei; così, è il popolo persuaso da sommi sacerdoti e anziani a rispondere a Pilato invocando il sangue di Gesù «su di noi e sui nostri figli» (gr. eph’hēmas kai epi ta tekna hēmōn)59.  Nella prima sottosequenza di E8 (centrale nella terza sottosezione), l’immagine del «Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza» (26,64) concorda ancora con alcune espressioni simili, tutte poste alle estremità della prima sottosezione. Nella sequenza E1, infatti, si tratta del detto di Gesù riferito ai discepoli: «quando il Figlio dell’uomo siederà sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele» (19,28). Invece, al centro di E3, Gesù cita il salmo messianico: «Disse il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra finché ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi» (22,44).  Nella sequenza centrale della prima sottosezione (E2) e nella prima sequenza della terza sottosezione (E7) appare il termine greco particolare etaire («amico» o «compagno»), al vocativo: è riferito ora all’invitato della parabola che non porta l’abito nuziale (22,12), ora invece a Giuda che consegna Gesù attraverso la confidenza di un bacio (26,50). Bisogna infine sottolineare il compimento di due fili della narrazione sviluppata tra le due sottosezioni. Il primo collega il ministero di Gesù nel Tempio, ministero che si prolunga per tutta la prima sottosezione, al momento della sua cattura, evento che darà avvio alla sua dipartita. Al centro della prima sottosezione, infatti, Gesù «entrò nel Tempio» e «insegnava» (21,23); ed è lo stesso Gesù a sottolineare alla fine della prima sequenza della terza sottosezione (E7): «Ogni giorno sedevo nel Tempio a insegnare, e non mi avete afferrato. Ma 59

Sulla questione del «sangue» di Gesù e il suo rapporto con Israele nei capitoli 26–27 si veda: G. MICHELINI, Il Sangue dell’Alleanza.

288

La composizione del Vangelo di Matteo

tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti» (26,55-56). Il secondo aspetto, in maniera assai pertinente, riguarda l’intenzione dei suoi oppositori. Così, sempre nella sequenza centrale della prima sottosezione, i sommi sacerdoti e i farisei «cercavano di afferrare» Gesù, per metterlo a morte (21,46). Questo tentativo è progressivamente ripreso e sviluppato lungo le due sottosezioni estreme (in 22,15 in E3, poi in 26,3-5 in E7, poi ancora in 26,59-60 in E8), ma si realizza finalmente solo nella sequenza centrale della terza sottosezione, in 27,1: «tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo presero consiglio contro Gesù, così da farlo morire». 3. RAPPORTI DELLE SOTTOSEZIONI ESTREME CON LA CENTRALE (24,1–25,46) 3.1 GLI AGGANCI TRA LA SOTTOSEZIONE CENTRALE E LE SOTTOSEZIONI ESTREME Il Discorso del Compimento del Tempo (24,1–25,46) è ben intessuto all’interno della sezione E: si apre subito dopo la prima sottosezione narrativa, conclusasi in 23,39. Il breve passo che lo introduce (24,1-4a), infatti, è segnato da numerose simmetrie di richiamo con l’ultimo passo della sequenza E3. Tali simmetrie vanno a costituire i termini gancio tra le due sottosezioni di riferimento.  L’affermazione di Gesù fatta a «Gerusalemme», alla fine della prima sottosezione («Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta!», 23,38), è sviluppata, con altri termini, nella sua risposta ai discepoli all’inizio del Discorso («non affatto sarà lasciata qui pietra su pietra la quale non sarà distrutta», 24,2).  Anche la domanda sul «segno della tua parusia» (24,3), si oppone alla negazione fatta da Gesù alla conclusione della sequenza E3, che presenta la condizione del suo ritorno a Israele: «Non affatto mi vedrete, da ora fino a quando direte: Benedetto colui che viene nel Nome del Signore!» (23,39)60.  «Tutte queste-cose» (23,36; 24,2) e «queste-cose» (24,3), così come «Amen, dico a voi» (23,36; 24,2) e «Dico infatti a voi» (23,39), sono forme di identità che svolgono il ruolo di termini medi tra le sottosezioni61.  Così, il verbo participio «che lapidi» (participio gr. lithobolousa, in 23,37) e i sostantivi «pietra su pietra» (gr. lithos epi lithon, in 24,2) sono affini e ricoprono il medesimo ruolo di termini medi tra le unità letterarie. 60

L’espressione di Gesù in 23,39 si accorda bene con il significato tecnico e teologico del termine greco parousia, utilizzato in 24,3: «L’uso di parousia come termine tecnico si è sviluppato in due direzioni. Da un lato, la parola serviva come espressione sacra per indicare la venuta di una divinità nascosta, che faceva sentire la sua presenza per mezzo di una rivelazione del suo potere, o della quale tale presenza era celebrata nel culto. Dall’altro lato, parousia divenne un termine ufficiale per indicare una visita di una persona di alto rango, specialmente di re e imperatori che visitavano una provincia» (BDAG 780-781, trad. propria). 61 I destinatari di Gesù sono ovviamente ben distinti: nel Discorso sta parlando ai soli «discepoli», «in disparte» (24,3).

La sezione E (19,1–27,61)

289

E3 (23,34-39)

E4 (24,1-4a)

Per questo ecco, io mando a voi profeti, e sapienti, e scribi: di questi ucciderete e crocifiggerete, e di questi flagellerete nelle vostre sinagoghe e perseguiterete di città in città; 35 perché venga su di voi tutto il sangue giusto versato sulla terra, dal sangue di Abele il giusto fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che uccideste tra il Tempio e l’altare. 36 Amen, dico a voi: TUTTE QUESTE-COSE verranno su questa generazione. 37 Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e CHE LAPIDI i mandati da te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figlioli, nel modo che una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e non avete voluto! 38 Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta! 39 Dico infatti a voi: non affatto mi vedrete, da ora fino a quando direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».

24,1 Ed essendo uscito dal Tempio, Gesù se ne andava; e vennero presso i suoi discepoli per mostrargli le costruzioni del Tempio. 2 Ma egli, avendo risposto, disse loro: «Non vedete TUTTE QUESTE-COSE? Amen, dico a voi: non affatto sarà lasciata qui PIETRA SU PIETRA che non sarà distrutta». 3 Sedutosi poi egli sul Monte degli Ulivi, vennero presso di lui i discepoli, in disparte, dicendo: «Di’ a noi: quando ci saranno QUESTE-COSE e quale sarà il segno della tua parusia e della fine del tempo?». 4a E avendo risposto Gesù disse loro:

34

TRA LE SEQUENZE CONTIGUE DEL PRIMO VERSANTE (E3 ED E4)  Nella prima sottosequenza di E3 come nei passi estremi di E4 è possibile notare lo sviluppo del tema dell’inganno: da parte degli oppositori di Gesù nel tempo presente, e dai «falsi profeti» e «messia» negli ammonimenti sul tempo finale. All’inizio della prima sottosequenza di E3 «i Farisei» cercano di «intrappolare Gesù nella parola» (22,15), mentre alla fine «un dottore della Legge lo interrogò per tentarlo» (22,35)62; nella prima sequenza del discorso, invece, Gesù mette due volte in guardia dalle future figure che sorgeranno per «ingannare» i discepoli e le moltitudini (cfr. 24,5.11.24)63.  In modo particolare, il verbo «ingannare» (gr. planaō) compare ancora agli estremi della prima sequenza del discorso (24,4b.5.11.24) e nel passo centrale della prima sottosequenza di E3 (22,29), riferito agli altri oppositori di Gesù, i sadducei, nella controversia sulla resurrezione.  Ancora nella prima sottosequenza di E3, i due grandi comandamenti della Torah, espressione massima della volontà divina, contraddistinti dal verbo «amare» (il verbo gr. agapaō in 22,37.39), sono in opposizione con quanto è previsto nella prima sottosequenza di E4: «sarete odiati da tutte le Nazioni a causa del mio nome» (9), gli stessi discepoli «si consegneranno e odieranno a vicenda» (10), e infine l’«amore di molti si raffredderà» (il sostantivo gr. hē agapē in 24,12) a causa della disobbedienza e dell’iniquità dilagante. 62

Anche nella terza sottosequenza di E3 Gesù indica la natura ipocrita e mistificatrice di «scribi e Farisei», che «dicono e non fanno», traendo molti del popolo in errore (23,3ss.). 63 Perciò l’immagine dei «falsi profeti e dei falsi cristi» corrisponde, nel futuro escatologico, a quella di «scribi e Farisei» che si sono al momento arrogati la funzione di «maestro», e «padre», e «guida» del popolo.

290

La composizione del Vangelo di Matteo E3, prima sottosequenza

Tranello sul tributo

22,15-22

Allora i farisei essendo andati, tennero consiglio affinché lo intrappolassero nella parola 15

Controversia sulla resurrezione

22,23-33

29 Avendo

risposto, Gesù disse a loro: «VI INGANNATE, non conoscendo le Scritture né la potenza di Dio

Tranello sui comandamenti

22,34-40

35 e

uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per tentarlo 37 Quello

rispose a lui: «AMERAI il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, e con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38 Questo è il grande e primo comandamento. 39 Il

secondo poi è simile a quello: AMERAI il tuo prossimo come te stesso. 40 In questi due comandamenti l’intera Legge dipende e i Profeti.

E4 (24,4b-31) 24,4b «Guardate che nessuno VI INGANNI! 5 Molti infatti verranno nel mio nome, dicendo: “Io sono il Messia” e INGANNERANNO molti. 6 E starete per ascoltare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi, infatti deve avvenire, ma non è ancora la fine. 7 Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi: 8 ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori. 9 Allora vi consegneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e SARETE ODIATI da tutte le Nazioni a causa del mio nome. 10 E allora saranno scandalizzati molti, e l’un l’altro si consegneranno e ODIERANNO a vicenda. 11 Sorgeranno molti falsi profeti e INGANNERANNO molti; 12 e per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà L’AMORE di molti. 13 Ma chi avrà perseverato fino alla fine, questi sarà salvato. 14 Questo Vangelo del Regno sarà annunciato per il mondo intero, per testimonianza a tutte le Nazioni; e allora verrà la fine. 15 Quando dunque vedrete stare nel luogo santo l’abominio della devastazione, quello detto dal profeta Daniele – chi legge, comprenda –, 16 allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, 17 colui che si trova sulla terrazza non scenda a prendere le cose di casa sua, 18 e colui che si trova nel campo non torni indietro a prendere il suo mantello. 19 In quei giorni guai alle donne aventi in grembo e a quelle che allattano! 20 Pregate affinché la vostra fuga non avvenga d’inverno o di sabato. 21 Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale non è mai avvenuta dall’inizio del mondo fino ad ora, né mai più avverrà. 22 E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuna carne si salverebbe; ma, per gli eletti, quei giorni saranno abbreviati. 23 Allora, se qualcuno vi dirà: “Ecco, qui è IL MESSIA”, oppure: “È là”, non credeteci; 24 infatti sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e daranno grandi segni e miracoli, COSÌ DA INGANNARE, se possibile, anche gli eletti. 25 Ecco, io ve l’ho predetto. 26 Se dunque vi diranno: “Ecco, è nel deserto”, non uscite; “Ecco, è nelle camere”, non credeteci. 27 Infatti, come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la parusia del Figlio dell’uomo. 28 Dovunque sia il cadavere, lì saranno radunati gli avvoltoi. 29 Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole sarà oscurato, e la luna non darà più la sua luce, e le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte. 30 E allora apparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con molta potenza e gloria. 31 E manderà i suoi angeli, con una grande tromba, ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli.

La sezione E (19,1–27,61) E3, terza sottosequenza

E4 (24,4b-31)

Avvertimenti al popolo e ai discepoli contro gli scribi e i Farisei 23,1-12 Tutto ciò che vi dicono fate e osservate, ma non agite secondo le loro opere, dicono infatti e non fanno 3

10 E

neppure fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, IL MESSIA

«Guai» a scribi e Farisei ipocriti

23,13-33

– Contro l’ipocrisia verso (16-22) – Contro l’ipocrisia verso i profeti ASSASSINATI (29-33)

Avvertimento a «questa generazione» 23,34-39 – UCCISIONE di profeti, e sapienti, e scribi mandati, come i primi, da Abele fino a Zaccaria ASSASSINATO tra e l’altare (34-36) – Apostrofe contro Gerusalemme, che UCCIDE i profeti e lapida coloro che gli sono mandati (37-38)

39 «Dico

291

infatti a voi: Non affatto mi vedrete, da ora fino a quando direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».

24,4b «Guardate che nessuno vi inganni! 5 Molti infatti verranno nel mio nome, dicendo: “IO SONO IL MESSIA” e inganneranno molti. 6 E starete per ascoltare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi, infatti deve avvenire, ma non è ancora la fine. 7 Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi: 8 ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori. 9 Allora vi consegneranno alla tribolazione e VI UCCIDERANNO, e sarete odiati da tutte le Nazioni a causa del mio nome. 10 E allora saranno scandalizzati molti, e l’un l’altro si consegneranno e odieranno a vicenda. 11 Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; 12 e per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti. 13 Ma chi avrà perseverato fino alla fine, questi sarà salvato. 14 Questo Vangelo del Regno sarà annunciato per il mondo intero, per testimonianza a tutte le Nazioni; e allora verrà la fine. 15 Quando dunque vedrete stare l’abominio della devastazione, quello detto dal profeta Daniele – chi legge, comprenda –, 16 allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, 17 colui che si trova sulla terrazza non scenda a prendere le cose di casa sua, 18 e colui che si trova nel campo non torni indietro a prendere il suo mantello. 19 In quei giorni guai alle donne aventi in grembo e a quelle che allattano! 20 Pregate affinché la vostra fuga non avvenga d’inverno o di sabato. 21 Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale non è mai avvenuta dall’inizio del mondo fino ad ora, né mai più avverrà. 22 E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuna carne si salverebbe; ma, per gli eletti, quei giorni saranno abbreviati. Allora, se qualcuno vi dirà: “Ecco, QUI È IL MESSIA”, oppure: “È là”, non credeteci; 24 infatti sorgeranno FALSI MESSIA e falsi profeti e daranno grandi segni e miracoli, così da ingannare, se possibile, anche gli eletti. 25 Ecco, io ve l’ho predetto. 26 Se dunque vi diranno: “Ecco, è nel deserto”, non uscite; “Ecco, è nelle camere”, non credeteci. 27 Infatti, come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la parusia del Figlio dell’uomo. 28 Dovunque sia il cadavere, lì saranno radunati gli avvoltoi. 29 Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole sarà oscurato, e la luna non darà più la sua luce, e le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte. 30 E allora apparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con molta potenza e gloria. 31 E manderà i suoi angeli, con una grande tromba, ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli. 23

292

La composizione del Vangelo di Matteo

 Alla fine di E3, nella sua terza sottosequenza64, la persecuzione dei «profeti, sapienti e scribi» (23,34) e di quanti sono «mandati» da Dio (23,37), corrisponde al periodo di grande «tribolazione» in cui verseranno i discepoli di Gesù (24,9). In realtà, questi servi «mandati» si oppongono invece a quelli che verranno fintamente «nel nome» di Gesù (24,5), i «falsi messia e falsi profeti» della fine (24,24), che tenteranno di ingannare il mondo futuro.  Il verbo usato per indicare il rifiuto degli inviati è «uccidere» in entrambe le unità (gr. apokteinō, in 23,34.37; 24,9). Alla fine del passo centrale della terza sottosequenza di E3 compare anche il participio sinonimo phoneusantōn, per indicare «coloro che assassinarono i profeti» (23,31), mentre in 23,35 l’aoristo ephoneusate è utilizzato per il caso specifico di «Zaccaria, figlio di Barachia».  Il termine «Tempio» appare nel passo centrale della terza sottosequenza di E3 (gr. naos, in 23,16bis.17.21), come nella sottosequenza centrale di E4 compare il termine «luogo santo» (24,15)65.  Due espressioni sulla «visione» della parusia futura, segnano la conclusione di entrambe le sequenze: «Non affatto mi vedrete, da ora fino a quando direte: Benedetto colui che viene nel Nome del Signore!» (23,39) nell’apostrofe contro Gerusalemme; e: «vedranno il Figlio dell’Uomo venire sulle nubi del cielo con molta potenza e gloria» (24,30), nel racconto degli eventi finali66. TRA LE SEQUENZE CONTIGUE DEL SECONDO VERSANTE (E6 ED E7) Dall’altro versante, tra la fine della sottosezione centrale e l’inizio della terza sottosezione, è possibile notare una corrispondenza particolare tra l’unico passo di cui è costituita la sequenza E6 (25,31-46) e il passo centrale della sequenza E7, dove è descritta l’unzione operata dalla donna di Betania (26,6-13). Infatti, l’espressione di Gesù per la donna («Un’opera buona, infatti, ha operato verso di me», 26,10), corrisponde alla sentenza che il Figlio dell’Uomo pronuncerà, ora verso i giusti, ora verso i malvagi: «Tutto quello che avete/non avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete/nemmeno avete fatto a me» (25,40.45)67. Si tratta effettivamente, delle opere di misericordia rivolte ai «poveri», che i discepoli «avranno sempre» con loro (26,11), quei «fratelli più piccoli» nei quali Gesù si rispecchierà e si manifesterà pienamente solo al momento del giudizio:

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La tavola sinottica si trova nella pagina precedente. In 24,1bis, come visto, erano già comparse le «costruzioni del Tempio» che i discepoli mostrano a Gesù, ma il sostantivo greco, che appare due volte, è differente: si tratta del sinonimo to hieron. 66 Le due espressioni, oltre che per il significato, sono legate tra loro linguisticamente per l’uso del verbo «vedere» (horaō), rispettivamente al congiuntivo aoristo (23,39) e all’indicativo futuro (24,30), come del verbo «venire» (erchomai), per entrambe al participio. 67 In greco, i verbi utilizzati sono sinonimi, ma non identici: si tratta di ergazomai in 26,10 e del più comune poieō in 25,40.45. 65

La sezione E (19,1–27,61) E6 (25,31-46) 25, 31 Quando poi il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, allora siederà sul trono della sua gloria. 32 Davanti a lui saranno radunate tutte le Nazioni. E le separerà a vicenda, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33 e farà stare le pecore alla sua destra e invece le capre alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ereditate il Regno preparato per voi , 35 infatti ho avuto fame e MI AVETE DATO DA MANGIARE, ho avuto sete e MI AVETE DISSETATO, ero straniero e MI AVETE ACCOLTO, 36 nudo e MI AVETE VESTITO, fui malato e MI AVETE VISITATO, ero in carcere e SIETE VENUTI PRESSO DI ME ”. 37 Allora i giusti gli risponderanno dicendo: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e TI ABBIAMO DATO DA MANGIARE, o assetato e TI ABBIAMO DISSETATO? 38 Quando mai ti abbiamo visto straniero e TI ABBIAMO ACCOLTO, o nudo e TI ABBIAMO VESTITO? 39 Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e SIAMO VENUTI PRESSO DI TE?”. 40 E avendo risposto, il re dirà loro: “Amen, dico a voi: TUTTO QUELLO CHE AVETE FATTO a uno di questi miei fratelli più piccoli, L’AVETE FATTO A ME”. 41 Allora dirà anche a quelli alla sinistra: “Andate-via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42 infatti ho avuto fame e NON MI AVETE DATO DA MANGIARE, ho avuto sete e NON MI AVETE DISSETATO, 43 ero straniero e NON MI AVETE ACCOLTO, nudo e NON MI AVETE VESTITO, malato e in carcere e NON MI AVETE VISITATO”. 44 Allora risponderanno anch’essi dicendo: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e NON TI ABBIAMO SERVITO?”. 45 Allora egli risponderà loro dicendo: “Amen, dico a voi: TUTTO QUELLO CHE NON AVETE FATTO a uno di questi più piccoli, NEMMENO AVETE FATTO A ME”. 46 E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

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E7, prima sottosequenza Gesù annuncia la sua Pasqua 26,1-2

Le autorità decidono di uccidere Gesù 26,3-5

Mentre Gesù era a Betània, in casa di Simone il lebbroso, 7 venne presso di lui una donna avente un vaso di alabastro, pieno di olio molto prezioso, e lo versò sul suo capo mentre giaceva a mensa. 8 I discepoli, avendo visto, si indignarono dicendo: «Perché questo spreco? 9 Si poteva, infatti, vendere questo per molto ed essere dato ai poveri!». 10 Ma Gesù avendo conosciuto disse loro: «Perché arrecate fastidi alla donna? UN’OPERA BUONA, INFATTI, HA OPERATO VERSO DI ME. 11 I poveri , invece non sempre avete me. 12 Versando infatti questo olio sul mio corpo, lei lo ha fatto in vista della mia sepoltura. 13 Amen, dico a voi: ovunque sia annunciato questo Vangelo, nel mondo intero, si dirà anche ciò che ella ha fatto, in memoria di lei». 6

Giuda decide di vendere Gesù 26,14-16 Gesù annuncia la sua Passione 26,17-19

Come precedentemente per le sequenze contigue E3 ed E4, alcune ricorrenze significative si possono riscontrare complessivamente tra la sequenza E6 e tutta la prima sequenza della terza sottosezione (E7).

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La composizione del Vangelo di Matteo

 Nella sottosequenza centrale di E7, nel suo passo centrale, i verbi «mangiare» (26,21.26bis) e «bere» (26,27.29bis)68 contraddistinguono il gesto di Gesù nella Cena: in questo modo, egli per primo ha nutrito i suoi discepoli nella Cena Pasquale, memoriale dell’«alleanza», come i giusti avranno «dato da mangiare» e «dissetato» il Cristo nascosto, nel tempo della fame e della sete (25,35.37; poi al negativo per gli empi in 25,42)69: 25,35

Infatti, ho avuto fame e MI AVETE DATO DA MANGIARE, ho avuto sete e MI AVETE DISSETATO.

26,26-29

Ora, MENTRE MANGIAVANO, Gesù avendo preso il pane e avendo benedetto, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, MANGIATE: questo è il mio corpo». E avendo preso il calice e avendo reso grazie, lo diede loro, dicendo: «BEVETE da esso tutti, infatti questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati. Io dico a voi: da adesso NON BERRÒ AFFATTO da questo frutto della vite fino a quel giorno in cui lo BERRÒ nuovo con voi, nel Regno del Padre mio».

 Sempre in questo passo centrale, Gesù rimanda i suoi al «Regno del Padre» (26,29), lo stesso che invita a ereditare il Figlio dell’Uomo ai «benedetti dal Padre» suo (26,34), nella sequenza E6. Da notare, il Regno è preparato «fin dalla fondazione del mondo» per i giusti del racconto del giudizio (26,34), rimandando così al tempo dell’Origine, mentre il vino nuovo che sarà bevuto con i discepoli è rinviato al futuro escatologico, ovvero «fino al giorno» del suo avvento (26,29), il tempo finale.  In ultimo, nella terza sottosequenza di E7 gli «angeli» che Gesù rifiuta di domandare al Padre nel momento della sua cattura, per poter così adempiere le Scritture (26,53-54), appaiono alla fine dei tempi, all’inizio del racconto della sequenza E6 (25,31): 25,31

Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria e tutti gli angeli con lui, allora siederà sul trono della sua gloria.

26,52-54

Allora Gesù gli dice: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada periranno. O reputi che io non possa invocare il Padre mio, che metterebbe accanto a me adesso più di dodici legioni di angeli? Come dunque si compirebbero le Scritture, che così deve avvenire?».

68 Il verbo appare anche nella terza sottosequenza di E7, quando Gesù chiede al Padre di poter sfuggire al calice della Passione e della morte (26,42). 69 Per il verbo «bere», nella sequenza E7 (gr. pinō), corrisponde un verbo sinonimo in E6, «abbeverare», il greco potizō.

La sezione E (19,1–27,61)

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3.2 LE PARABOLE AL CENTRO: LA SEQUENZA E5 E LA PRIMA SOTTOSEZIONE a) Visione generale della sequenza centrale (E5: 24,32–25,30) La sequenza E5, centrale per il Discorso del Compimento del tempo è costituita di due sottosequenze parallele, i cui passi sono tutti di indole parabolica. I secondi passi di ciascuna sottosequenza sono corrispondenti, trattando entrambi la tematica del servizio. Al «signore» della casa che ha affidato la cura dei suoi «domestici» al «servo» (24,45.46.48.50), corrisponde «l’uomo che è partito» affidando ai suoi «servi» le sue «sostanze» (25,14), nella Parabola dei talenti (25,19.20.21bis.22.23bis.24.26). Al «servo fedele e saggio» che il signore troverà ad agire prudentemente nei confronti della sua casa (24,45), corrispondono i primi due servi della Parabola dei talenti, quello a cui ne sono dati «cinque» (25,15.16) e quello a cui ne sono dati «due» (25,15.17), definiti entrambi «servo buono e fedele» alla resa dei conti (25,21.23)70. Invece, al «servo» che potrebbe divenire infine «malvagio», ingannato dal ritardo del suo signore (24,48), corrisponde l’ultimo servo della parabola dei talenti, il «servo malvagio e pigro» (25,26), che per paura ha «nascosto il talento nella terra» (25,18.25). I due passi terminano anche con il medesimo ritornello di chiusura: «là sarà il pianto e lo stridore di denti» (24,51; 25,30). Meno chiaro potrebbe risultare lo statuto dei passi precedenti. Il primo passo della seconda sottosequenza, Mt 25,1-13, è chiaramente ancora una parabola del Regno: lo si evince dalla formula introduttiva molto simile a quelle che introducono tutte le parabole all’interno del Discorso enigmatico della sezione C («Allora il Regno dei cieli sarà simile», cfr. 25,1 e 13,31.33.44.45.47). Il primo passo della prima sottosequenza, Mt 24,32-44 è costituito invece da una serie di similitudini e di detti enigmatici (24,32-36; 24,37-42; 24,43-44) sulla «parusia del Figlio dell’uomo», che nel loro incipit vengono definiti dallo stesso Gesù (che indica una comparazione con la pianta di fico) «la parabola» da «imparare»71. Due espressioni sull’esigenza di vegliare dirigono i due passi sulla medesima tematica: «Vegliate, dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà» (24,42); e: «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora» (25,13). Perciò, l’«ora» e «il giorno» che nessuno conosce se non il Padre (24,36), e che non si può «immaginare» (24,44) nella prima sottosequenza, corrisponde bene al «mezzo della notte» (25,6) nella Parabola delle dieci vergini. Anche la divisione tra le «cinque sagge» e le «cinque stolte» (25,2) corrisponde al discernimento che sarà fatto al momento della venuta del Figlio dell’uomo, quando come ai «giorni di Noè» (24,37), «uno/a è-preso/a e l’altro/a lasciato/a» (24,40.41)72. 70

In entrambi i casi, inoltre, i servi trovati nella fedeltà e nella fecondità sono chiamati a partecipare maggiormente alla signoria e alla ricchezza del proprio signore (cfr. 24,47 e 25,21.23). 71 In greco il verbo imperativo è mathete, letteralmente «discepolare». 72 Sempre ai giorni di Noè, «si sposavano ed erano sposati» (24,38), prima di essere colti dall’intervento di Dio nel Diluvio. Ora, la Parabola delle dieci vergini paragona l’evento

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La composizione del Vangelo di Matteo

24, 32 «Dal fico, poi, imparate la parabola: quando già il suo ramo diventa tenero e le foglie spuntano, conoscete che l’estate è-vicina. 33 Così anche voi, quando vedete tutte queste-cose conoscete che è vicino, alle porte. 34 Amen dico a voi: non affatto passerà questa generazione finché tutte queste avvengano. 35 Il cielo e la terra passerà, invece le mie parole non affatto passeranno. 36 Circa poi a quel giorno e a quell’ora, nessuno li sa, né gli angeli dei Cieli né il Figlio, se non il Padre solo». 37 Come infatti i giorni di Noè, così sarà la parusia del Figlio dell’Uomo. 38 Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, si sposavano ed erano sposati, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, 39 e non si accorsero finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la parusia del Figlio dell’Uomo. 40 Allora due saranno nel campo: uno è preso e l’altro lasciato. 41 Due macineranno alla mola: una è presa e l’altra lasciata. 42 VEGLIATE DUNQUE, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43 Conoscete invece questo: se il padrone-di-casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la sua casa. 44 Per questo anche voi diventate pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo. Chi è dunque IL SERVO FEDELE E SAGGIO, che IL SIGNORE ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo nel tempo opportuno? 46 Beato quel servo che IL SIGNORE, essendo venuto, troverà a fare così! 47 Amen, dico a voi: lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 48 Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “IL MIO SIGNORE tarda”, 49 e cominciasse a percuotere i suoi con-servi e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, 50 IL SIGNORE di quel servo arriverà nel giorno in cui non aspetta e a un’ora che non sa, 51 lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà il pianto e lo stridore di denti. 45

25,1 Allora il Regno dei Cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono all’incontro dello sposo. 2 Cinque da esse erano stolte e cinque sagge; 3 infatti le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; 4 le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche olio in piccoli vasi. 5 Tardando lo sposo, si assopirono tutte e si addormentarono. 6 Nel mezzo della notte avvenne un grido: “Ecco lo sposo! Uscite all’incontro di lui!”. 7 Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8 Le stolte dissero alle sagge: “Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. 9 Risposero poi le sagge dicendo: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. 10 Ma mentre quelle andavano a comprare, venne lo sposo e le pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11 Dopo arrivano anche le altre vergini dicendo: “Signore, signore, aprici!”. 12 Ma egli avendo risposto disse: “Amen, dico a voi: non vi conosco”. 13 VEGLIATE DUNQUE, perché non sapete né il giorno né l’ora. Come infatti UN UOMO che, partendo per un viaggio, chiamò i propri servi e consegnò loro i suoi averi. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le possibilità di ciascuno; poi partì. Subito 16 essendo andato colui che aveva preso cinque talenti operò con essi, e ne guadagnò altri cinque. 17 Similmente anche quello di due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva preso un solo talento, essendo andato scavò la terra e vi nascose la moneta del suo signore. 19 Dopo molto tempo IL SIGNORE di quei servi viene e stabilisce i conti con loro. 20 Ed essendo venuto colui che aveva preso cinque talenti, portò altri cinque talenti, dicendo: “SIGNORE, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21 Disse a lui IL SUO SIGNORE: “Bene, SERVO BUONO E FEDELE, sei stato fedele nel poco, ti stabilirò su molto; entra nella gioia DEL TUO SIGNORE”. 22 Poi essendo venuto quello dei due talenti disse: “SIGNORE, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23 Disse a lui IL SUO SIGNORE: “Bene, SERVO BUONO E FEDELE, sei stato fedele nel poco, ti stabilirò su molto; entra nella gioia DEL TUO SIGNORE”. 24 Infine essendo venuto anche colui che un solo talento ha preso disse: “SIGNORE, conobbi che sei un uomo duro, che mieti dove non seminasti e raccogli da dove non spargesti. 25 E avendo paura, essendo andato ho nascosto il tuo talento nella terra: ecco hai il tuo!”. 26 Ma avendo risposto IL SUO SIGNORE disse a lui: “Servo malvagio e pigro, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo da dove non ho sparso; 27 bisognava dunque che tu ponessi le mie monete dai banchieri, ed essendo venuto, io avrei ricevuto il mio con interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Infatti a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, sarà tolto da lui anche quello che ha. 30 E il servo inutile gettatelo nelle tenebre esteriori; là sarà il pianto e lo stridore di denti”. 14 15

escatologico della venuta del Figlio dell’Uomo proprio all’incontro con «lo sposo» (25,1) e alle «nozze» (25,10). La stessa «porta», che è chiusa una volta che lo sposo e le sagge sono entrate alle nozze (25,10), corrisponde «alle porte», immagine che realizza la vicinanza del Figlio dell’uomo nella sua venuta (24,33) nel primo passo della prima sottosequenza.

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b) I rapporti con la prima sottosezione: la sequenza centrale (E2) L’indole parabolica di E5 corrisponde pienamente a quella del secondo versante della sequenza centrale della prima sottosezione (E2), costituita proprio di tre parabole: la Parabola dei due figli (21,28-32) alla fine della sottosequenza centrale (costituisce infatti il terzo passo dell’unità), collegata a «un’altra parabola» (21,33), quella dei vignaioli omicidi all’inizio della terza sottosequenza (21,33-44), e infine la Parabola degli invitati a nozze (22,1-14). In particolare, tra questa unità e la sequenza E5 è possibile notare alcune corrispondenze73.  Il termine «servo»/«servi» compare lungo tutte le sottosequenze di riferimento (21,34.35.36; 22,3.4.6.8.10; 24,45.46.48.50; 25,14.19.21.23.26.30)74; così anche i sostantivi «uomo» (21,28.33 e 22,2; 25,14), «padrone-di-casa» (21,33; 24,43) e «signore» (21,40; 24,45.46.48.50 e 25,11.18-24.26), cui è possibile accostare il sostantivo «re» (22,2.7.11.13) nella Parabola degli invitati alle nozze (22,1-14).  Sempre in quest’ultimo passo, il termine «nozze» (22,2.3.4.8.9.10.11.12)75 corrisponde a quello della Parabola delle vergini nella seconda sottosequenza di E5 (25,10), cui è da affiancare anche «lo sposo» (25,1.5.6.10), dello stesso campo semantico.  Tra i due passi, «l’abito» di cui uno dei commensali è privo (25,11.12), risponde all’«olio» che le cinque vergini stolte non hanno portato (25,3.4.8): si tratta di elementi essenziali per partecipare ai momenti della festa.  Il ritornello finale «là sarà il pianto e lo stridore di denti» compare identico alla fine della sottosequenza di E2 (22,13), come alla fine delle due sottosequenze di E5 (24,51; 25,30). Complessivamente, in tutte le parabole è possibile rinvenire una comparazione tra due tipologie differenti di personaggi, ora di polarità positiva, ora di polarità negativa (i «due figli» del padre in 21,28-32; i «contadini» e l’altra «nazione» in 21,33-44; le due tipologie di «servi» in 24,45-51 e 25,14-30; e infine «le cinque vergini stolte e le cinque sagge» in 25,1-13)76. Questa comparazione ha il suo esito in un capovolgimento negativo finale (cfr. 21,31-32; 21,43-44; 22,13; 24,51; 25,12; 25,30).

73

Nelle tavole (alle pagine che seguono) non è inserito l’ultimo passo della sottosequenza centrale di E2 (21,28-32). 74 In 22,13 il sostantivo sinonimo utilizzato è hoi diakonoi. 75 Le ultime due ricorrenze, al genitivo, sono riferite all’«abito» proprio per la festa nuziale (sul suo significato cfr. Mello, 384 e Fabris, 464-465). 76 In 21,28-32 il padre corrisponderebbe al «signore» delle altre parabole, come i «due figli», inviati alla vigna, ai «servi». La sinonimia non è perfetta, ed è anzi doveroso considerare la polarità semantica: in questo modo, la prima parabola indicata una intimità maggiore tra i personaggi e il passaggio semantico diventa anche indice del passaggio da una unità all’altra.

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La composizione del Vangelo di Matteo

E2, TERZA SOTTOSEQUENZA (21,33–22,14) 21, 33 Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo padrone-di-casa, il quale piantò una vigna e la circondò con una siepe, scavò in essa una buca per il torchio e costruì una torre, e la diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34 Quando poi si avvicinò il tempo dei frutti, mandò dei SUOI SERVI ai contadini per prendere i suoi frutti. 35 Ma i contadini avendo preso I SERVI, uno lo bastonarono, un altro poi lo uccisero, un altro poi lo lapidarono. 36 Mandò ancora ALTRI SERVI, più dei primi, e fecero a loro similmente. 37 Da ultimo poi mandò presso di loro il suo figlio dicendo: “Rispetteranno il mio figlio!”. 38 Ma i contadini, avendo visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo la sua eredità!”. 39 E avendo preso lui, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40 Quando verrà dunque il signore della vigna, cosa farà a quei contadini?». 41 Gli dicono: «Quei malvagi, li farà miseramente perire e la vigna darà in affitto ad altri contadini, i quali ridaranno a lui i frutti nel loro tempo». 42 Dice a loro Gesù: «Mai avete letto nelle Scritture: “La pietra che rigettarono i costruttori, questa divenne come la testa d’angolo; dal Signore avvenne questa cosa, ed è meravigliosa ai nostri occhi?” 43 Per questo dico a voi: a voi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a una nazione che ne produca i frutti. 44 E chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e colui sul quale poi cadrà, lo stritolerà». E avendo ascoltato i sommi sacerdoti e i farisei le sue parabole, capirono che parlava di loro. 46 E cercavano di afferrarlo, ma ebbero timore delle folle, perché lo consideravano un profeta. 45

22,1 E avendo risposto, Gesù ancora disse con parabole a loro dicendo: 2 «Il Regno dei Cieli è simile a un uomo re, il quale per suo figlio. 3 E mandò I SUOI SERVI a chiamare gli invitati , 4 e non volevano venire. Ancora mandò ALTRI SERVI dicendo: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono uccisi e tutto è pronto. Su, !”. 5 Quelli però avendo trascurato andarono, uno al suo campo, uno al suo commercio; 6 altri poi avendo afferrato I SUOI SERVI, li insultarono e li uccisero. 7 Allora il re si adirò: e avendo mandato i suoi soldati, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8 Allora dice ai SUOI SERVI: “ sono pronte, ma gli invitati non erano degni; 9 andate dunque agli incroci delle strade e coloro i quali troverete, chiamate ”. 10 Ed essendo usciti per le strade QUEI SERVI radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni. E furono piene di commensali. 11 Essendo entrato poi il re per contemplare i commensali, vide là un uomo che non vestiva . 12 E dice a lui: “Amico, come sei entrato qui senza avere ?”. Quello ammutolì. 13 Allora il re disse ai servitori: “Avendolo legato piedi e mani, gettatelo nelle tenebre esterne; là sarà il pianto e lo stridore di denti”. 14 Molti infatti sono chiamati, ma pochi eletti».

La sezione E (19,1–27,61)

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SEQUENZA E5 (24,32–25,30) 24, 32 «Dal fico, poi, imparate la parabola: quando già il suo ramo diventa tenero e le foglie spuntano, conoscete che l’estate è vicina. 33 Così anche voi, quando vedete tutte queste cose conoscete che è vicino, alle porte. 34 Amen dico a voi: non affatto passerà questa generazione finché tutte queste avvengano. 35 Il cielo e la terra passerà, invece le mie parole non affatto passeranno. 36 Circa poi a quel giorno e a quell’ora, nessuno li sa, né gli angeli dei Cieli né il Figlio, se non il Padre solo».37 Come infatti i giorni di Noè, così sarà la parusia del Figlio dell’Uomo. 38 Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, si sposavano ed erano sposati, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, 39 e non si accorsero finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la parusia del Figlio dell’Uomo. 40 Allora due saranno nel campo: uno è preso e l’altro lasciato. 41 Due macineranno alla mola: una è presa e l’altra lasciata. 42 Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43 Conoscete invece questo: se il padrone-di-casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la sua casa. 44 Per questo anche voi diventate pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo. Chi è dunque IL SERVO FEDELE E SAGGIO, che il signore ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo nel tempo opportuno? 46 Beato quel servo che il signore, essendo venuto, troverà a fare così! 47 Amen, dico a voi: lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 48 Ma se QUEL SERVO MALVAGIO dicesse in cuor suo: “Il mio signore tarda”, 49 e cominciasse a percuotere i suoi con-servi e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, 50 il signore di QUEL SERVO arriverà nel giorno in cui non aspetta e a un’ora che non sa, 51 lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà il pianto e lo stridore di denti. 45

25, 1 Allora il Regno dei Cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e . 2 Cinque da esse erano stolte e cinque sagge; 3 infatti le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé ; 4 le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche in piccoli vasi. 5 Tardando , si assopirono tutte e si addormentarono. 6 Nel mezzo della notte avvenne un grido: “Ecco ! Uscite all’incontro di lui!”. 7 Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8 Le stolte dissero alle sagge: “Dateci , perché le nostre lampade si spengono”. 9 Risposero poi le sagge dicendo: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. 10 Ma mentre quelle andavano a comprare, venne e le pronte entrarono con lui , e la porta fu chiusa. 11 Dopo arrivano anche le altre vergini e dicendo: “Signore, signore, aprici!”. 12 Ma egli avendo risposto disse: “Amen, dico a voi: non vi conosco”. 13 Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora. Come infatti un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò I PROPRI SERVI e consegnò loro i suoi averi. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le possibilità di ciascuno; poi partì. Subito 16 essendo andato colui che aveva preso cinque talenti operò con essi, e ne guadagnò altri cinque. 17 Similmente anche quello di due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva preso un solo talento, essendo andato scavò la terra e vi nascose la moneta del suo signore. 19 Dopo molto tempo il signore di QUEI SERVI viene e stabilisce i conti con loro. 20 Ed essendo venuto colui che aveva preso cinque talenti, portò altri cinque talenti, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21 Disse a lui il suo signore: “Bene, SERVO BUONO E FEDELE, sei stato fedele nel poco, ti stabilirò su molto; entra nella gioia del tuo signore”. 22 Poi essendo venuto quello dei due talenti disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23 Disse a lui il suo signore: “Bene, SERVO BUONO E FEDELE, sei stato fedele nel poco, ti stabilirò su molto; entra nella gioia del tuo signore”. 24 Infine essendo venuto anche colui che un solo talento ha preso disse: “Signore, conobbi che sei un uomo duro, che mieti dove non seminasti e raccogli da dove non spargesti. 25 E avendo paura, essendo andato ho nascosto il tuo talento nella terra: ecco hai il tuo!”. 26 Ma avendo risposto il suo signore disse a lui: “SERVO MALVAGIO E PIGRO, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo da dove non ho sparso; 27 bisognava dunque che tu ponessi le mie monete dai banchieri, ed essendo venuto, io avrei ricevuto il mio con interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Infatti a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, sarà tolto da lui anche ciò che ha. 30 E IL SERVO INUTILE gettatelo nelle tenebre esteriori; là sarà il pianto e lo stridore di denti”. 14

300

La composizione del Vangelo di Matteo

Anche nel primo passo della sottosequenza centrale di E2 (21,18-22) era già comparsa l’immagine del «fico» con le sue «foglie» (21,19), occasione per l’insegnamento sulla fede durante la preghiera: E2 (21,18-22)

E5 (24,32-36)

21,18 Al mattino presto poi, ritornando verso la città, ebbe fame.19 E avendo visto UN FICO sulla strada venne su di esso . E dice a esso: «Non più da te frutto avverrà per sempre». E fu seccato immediatamente IL FICO. 20 E avendo visto i discepoli si meravigliarono dicendo: «Come immediatamente fu seccato IL FICO?». 21 Avendo risposto Gesù disse loro: «Amen, dico a voi: se avete fede e non dubitate, non solo quello DEL FICO farete, ma anche se a questo monte direte: “Sollevati e gettati nel mare”, avverrà! 22 E tutte le cose che chiedete nella preghiera credendo, riceverete».

24,32 «DAL FICO, poi, imparate la parabola: quando già il suo ramo diventa tenero e , conoscete che l’estate è vicina. 33 Così anche voi, quando vedete tutte questecose conoscete che è vicino, alle porte. 34 Amen dico a voi: non affatto passerà questa generazione finché tutte queste avvengano. 35 Il cielo e la terra passerà, invece le mie parole non affatto passeranno. 36 Circa poi a quel giorno e a quell’ora, nessuno li sa, né gli angeli dei Cieli né il Figlio, se non il Padre solo».

Da notare, oltre al termine «foglie» che compare in entrambe le sottosequenze (21,19; 24,32), alla maledizione lanciata da Gesù perché non germogli più «frutto» (21,19)77, potrebbe ben corrispondere la «vicinanza» e la «venuta del Figlio dell’Uomo», frutto della piena maturazione degli avvenimenti escatologici78. c) I rapporti con la prima sottosezione: i centri delle sequenze estreme La presenza di passi di indole parabolica nella prima sottosezione non si esaurisce solamente alla sequenza E2. In realtà, anche al centro delle due sequenze estreme, ovvero in E1 e in E3, si devono segnalare delle corrispondenze importanti con la sequenza E5. Non è difficile intanto ricordare che al centro della sequenza E1 si trova proprio la Parabola degli operai mandati alla vigna (20,1-15)79. Qui le relazioni formali con le parabole di E5 sono facilmente riconoscibili, in particolare con la Parabola dei talenti (25,14-30).

77 Questa maledizione di Gesù ha un significato simbolico nella sottosequenza e nell’insieme della prima sottosezione, riferito alla sterilità di Israele e delle sue istituzioni (cfr. Mello, 370-371 che fa riferimento anche alla tradizione patristica con Vittore di Antiochia; Fabris, 447-448). 78 Tra le due unità, il verbo «avvenire» compare tre volte (21,19.21; 24,34); bisogna notare poi la ricorrenza della tipica espressione gesuana: «Amen, dico a voi» (21,21 e 24,34). 79 Si tratta, precisamente del passo centrale della sottosequenza centrale di E1 (19,27-19).

La sezione E (19,1–27,61) E1 (20,1-15) 20, Infatti il Regno dei Cieli è simile a un uomo padrone-di-casa che uscì insieme presto per salariare operai per la sua vigna. 2 Avendo concordato poi con gli operai per un denaro al giorno li mandò nella sua vigna. 3 Ed essendo uscito verso l’ora terza, ne vide altri che stavano nella piazza, inoperosi, 4 e disse a quelli: “Andate anche voi nella vigna; e quello che è giusto darò a voi”. 5 Quelli poi partirono. Ancora poi essendo uscito verso la sesta, e verso la nona, fece altrettanto. 6 Poi verso l’undicesima essendo uscito, trovò altri che se ne stavano e dice a loro: “Perché ve ne state qui l’intero giorno inoperosi?”. 7 Dicono a lui: “Perché nessuno ci ha salariati”. Dice a loro: “Andate anche voi nella vigna”. 8 Venuta poi la sera, dice il signore della vigna al suo soprintendente: “Chiama gli operai e ridà a loro il salario, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9 Ed essendo venuti quelli dell’undicesima ora, ricevettero ciascuno un denaro. 10 Ed essendo venuti i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma ricevettero ciascuno un denaro anche questi. 11 Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone-di-casa 12 dicendo: “Questi ultimi un’ora soltanto fecero, e uguale a noi li hai fatti, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13 Ma quello avendo risposto a uno di loro, disse: “Amico, non sono ingiusto con te? Non hai forse concordato con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e va’. Voglio però dare a quest’ultimo come anche a te: 15 o non è lecito a me fare ciò che voglio con le mie cose? Oppure perché io sono buono?”. 1

301 E5 (25,14-30)

Come infatti un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i propri servi e consegnò loro i suoi averi. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le possibilità di ciascuno; poi partì. Subito 16 essendo andato colui che aveva preso cinque talenti operò con essi, e ne guadagnò altri cinque. 17 Similmente anche quello di due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva preso un solo talento, essendo andato scavò la terra e vi nascose la moneta del suo signore. 19 Dopo molto tempo il signore di quei servi viene e stabilisce i conti con loro. 20 Ed essendo venuto colui che aveva preso cinque talenti, portò altri cinque talenti, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21 Disse a lui il suo signore: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti stabilirò su molto; entra nella gioia del tuo signore”. 22 Poi essendo venuto quello dei due talenti disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23 Disse a lui il suo signore: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti stabilirò su molto; entra nella gioia del tuo signore”. 24 Infine essendo venuto anche colui che un solo talento ha preso disse: “Signore, conobbi che sei un uomo duro, che mieti dove non seminasti e raccogli da dove non spargesti. 25 E avendo paura, essendo andato ho nascosto il tuo talento nella terra: ecco hai il tuo!”. 26 Ma avendo risposto il suo signore disse a lui: “Servo e pigro, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo da dove non ho sparso; 27 bisognava dunque che tu ponessi le mie monete dai banchieri, ed essendo venuto, io avrei ricevuto il mio con interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Infatti a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, sarà tolto da lui anche ciò che ha. 30 E il servo inutile gettatelo nelle tenebre esteriori; là sarà il pianto e lo stridore di denti”. 25,14

 Nella parabola di E1, ciascuno degli «operai» (20,1.2.8) riceve come salario del proprio lavoro «un denaro» (20,2.9.10), e non «di più» (20,10), come pensavano coloro che avevano sopportato maggiormente «il peso della giornata» (20,12). Nell’ultima parabola di E5, invece, ogni servo riceve «secondo la possibilità di ciascuno», chi «cinque talenti», chi «due», chi «uno» (25,15).  Alla fine della giornata, «il signore della vigna» chiede al suo soprintendente di conferire il salario agli operai, ma «incominciando dagli ultimi fino ai primi» (20,8); invece, nella Parabola dei talenti, «il signore» torna «dopo molto tempo» (25,19), ma i conti sono stabiliti secondo l’ordine in cui i talenti erano stati

302

La composizione del Vangelo di Matteo

affidati ai differenti servi80. È chiaro che queste procedure invertite abbiano un intento narrativo, giacché mirano in entrambi i casi a convogliare l’attenzione sulla svolta finale della parabola.  Le polarità tra le parabole sono perciò in opposizione: nella prima, infatti, emerge l’insondabile bontà del «padrone di casa» (20,1.11)81, equanime verso tutti quelli che ha chiamato. Tuttavia, non manca anche qui il ribaltamento finale della condizione dei primi chiamati, svantaggiati rispetto ai secondi, e resi manifesti nella loro condizione di «malvagi» (20,15; cfr. 25,26)82. Più difficile, invece, è riconoscere lo statuto enigmatico del passo al centro di E3. In esso, Gesù sviluppa un enigma sulla figliolanza del «Messia» attraverso due domande (22,42.45), alla seconda delle quali «nessuno poteva rispondere a lui parola» (22,46). Ora, all’interno della sequenza E5, il primo passo della prima sottosequenza (anch’esso possiede la natura enigmatica del māšāl, pur non costituendo un vero e proprio racconto parabolico come nel caso dei passi successivi), condivide con il passo centrale di E3 alcuni termini importanti: «Figlio» e «Figlio dell’Uomo» (22,42.45; 24,36.37.39.44), come «Signore» e «mio/vostro Signore» (22,43.44bis.45; 24,42) appaiono riferiti alla relazione particolare di Gesù con il Padre. Così anche il tempo dell’intronizzazione del Messia «alla destra» di Dio, «finché i suoi nemici» non siano completamente sottomessi (22,44) corrisponde bene al tempo finale della vittoria e della «parusia del Figlio dell’Uomo», narrata all’inizio della prima sottosequenza di E5 (24,37.39.44). Perciò, la citazione della Scrittura in 22,44 con cui Gesù mette in luce l’enigma sul senso della figliolanza davidica del Messia risponde bene all’immagine del «Figlio dell’Uomo» nell’insegnamento finale dato ai discepoli: egli è in modo chiaro «il Signore vostro» (24,42), il «Figlio» (24,36) a cui tutto è sottomesso, per cui «vegliare» (24,42) e «tenersi pronti» (24,44).

80

I sostantivi «ora» (20,3.9.12) e «giorno» (20,6) si oppongono anche al «giorno» e a «l’ora» escatologica della fine, presenti nel primo passo di E5 (24,36.42.43.44) 81 In 20,8 è il «signore della vigna». Il termine «padrone-di-casa» (gr. oikodespotēs) compare, in E5, soltanto nel primo passo della sequenza (24,43). 82 L’aggettivo utilizzato in entrambi i casi nei riguardi dei primi «operai» e del «servo» con un solo talento è ponēros. Ai primi operai non è stato fatto torto: essi, come gli ultimi, hanno ricevuto gratuitamente l’opportunità di guadagnare una giornata di lavoro. Il ribaltamento è allora rivelativo, dal momento che viene pienamente manifestata l’interiorità dei primi chiamati, abitata dalla gelosia e da una logica fondata unicamente su una giustizia di tipo retributivo.

La sezione E (19,1–27,61) E3 (22,41-46) 22,41

Essendosi congregati i Farisei, Gesù chiese a loro dicendo: 42 «Cosa vi sembra circa il Messia? Di-chi è FIGLIO?». Dicono a lui: «Di Davide». Dice a loro: «Come dunque Davide, nello Spirito, lo chiama Signore, dicendo: 44 Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra finché ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? 43

Se dunque Davide lo chiama Signore, com’è SUO FIGLIO?». 46 E nessuno poteva rispondere a lui parola, né da quel giorno alcuno osò più interrogarlo. 45

303 E5 (24,32-44)

24,32

«Dal fico, poi, imparate la parabola: quando già il suo ramo diventa tenero e le foglie spuntano, conoscete che l’estate è vicina. 33 Così anche voi, quando vedete tutte queste cose conoscete che è vicino, alle porte. 34 Amen dico a voi: non affatto passerà questa generazione finché tutte queste avvengano. 35 Il cielo e la terra passerà, invece le mie parole non affatto passeranno. 36 Circa poi a quel giorno e a quell’ora, nessuno li sa, né gli angeli dei cieli né IL FIGLIO, se non il Padre solo». 37 Come furono i giorni di Noè, così sarà la parusia del FIGLIO DELL’UOMO. 38 Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, 39 e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la parusia del FIGLIO DELL’ UOMO. 40 Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. 41 Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. 42 Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43 Cercate di capire questo: se il padrone-di-casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44 Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene IL FIGLIO DELL’UOMO.

3.3 I DISCEPOLI, COME IL MESSIA, PATISCONO E AMANO: LE SEQUENZE ESTREME E4 ED E6 E LA TERZA SOTTOSEZIONE Nelle sequenze estreme del Discorso del Compimento del Tempo (E4 e E6), l’era escatologica è descritta come un periodo drammatico di tensioni e di giudizio. Così, nella terza sottosezione Gesù stesso, in quanto Maestro e Guida dei suoi discepoli (cfr. 23,8.10), è consegnato alla tribolazione e alla passione così come nel futuro lo saranno i suoi. In ogni sottosequenza di E4 vi è un riferimento alla «tribolazione» (24,9.21.29), qualificata in particolare nel primo passo come passione dei discepoli «a causa del nome» di Cristo: «vi consegneranno» e «vi uccideranno», «sarete odiati», «si tradiranno e odieranno a vicenda» (24,9). Alcune di queste immagini ricompaiono nella terza sottosezione, tutte evidentemente riferite a Gesù, durante la sua personale passione: «consegnato» da Giuda ai capi di Israele (E7), e dai capi di Israele al governatore e alla morte (E8), «odiato» nei maltrattamenti e nelle derisioni da Israele e dalle Nazioni (26,67-68; 27,27-31), è finalmente «ucciso» sulla croce in E9.

304

La composizione del Vangelo di Matteo

SEQUENZA E4 (24,4B-31) 24,4b «Vedete che nessuno vi inganni! 5 Molti infatti verranno nel mio nome, dicendo: “Io sono il Messia”, e inganneranno molti. 6 E starete per ascoltare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi, infatti deve avvenire, ma non è ancora la fine. 7 Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi: 8 ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori. 9 Allora vi consegneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutte le Nazioni a causa del mio nome. 10 E allora saranno scandalizzati molti, e l’un l’altro si consegneranno e odieranno a vicenda. 11 Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; 12 e per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti. 13 Ma chi avrà perseverato fino alla fine, questi sarà salvato. 14 Questo Vangelo del Regno sarà annunciato per il mondo intero, per testimonianza a tutte le Nazioni; e allora verrà la fine. Quando dunque vedrete stare nel luogo santo l’abominio della devastazione, quello detto dal profeta Daniele – chi legge, comprenda –, 16 allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, 17 colui che si trova sulla terrazza non scenda a prendere le cose di casa sua, 18 e colui che si trova nel campo non torni indietro a prendere il suo mantello. 19 In quei giorni guai alle donne aventi in grembo e a quelle che allattano! 20 Pregate affinché la vostra fuga non avvenga d’inverno o di sabato. 21 Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale non è mai avvenuta dall’inizio del mondo fino ad ora, né mai più avverrà. 22 E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuna carne si salverebbe; ma, per gli eletti, quei giorni saranno abbreviati. 15

Allora, se qualcuno vi dirà: “Ecco, qui è il Messia”, oppure: “È là”, non credeteci; 24 infatti sorgeranno falsi messia e falsi profeti e daranno grandi segni e miracoli, così da ingannare, se possibile, anche gli eletti. 25 Ecco, io ve l’ho predetto. 26 Se dunque vi diranno: “Ecco, è nel deserto”, non uscite; “Ecco, è nelle camere”, non credeteci. 27 Infatti, come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la parusia del Figlio dell’uomo. 28 Dovunque sia il cadavere, lì saranno radunati gli avvoltoi. 29 Subito dopo la tribolazione di quei giorni, . 30 E allora apparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con molta potenza e gloria. 31 E manderà i suoi angeli, con una grande tromba, ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli. 23

 Sia al momento di massima tensione escatologica, sia al momento della crocifissione e morte di Gesù, lo «sconvolgimento» degli astri determina un tempo di grande «buio» sulla terra (24,29; 27,45).  Il «segno del Figlio dell’Uomo» (24,30) che compare nel cielo, può corrispondere alla «croce» su cui Gesù «lasciò lo spirito»83, così come «tutte le tribù della terra» che alla vista del segno «si batteranno il petto» (24,30)

83 La morte di Gesù può essere riconosciuta come un segno di rivelazione: nel momento in cui il Cristo «lascia lo spirito», subito «il velo del tempio», la cortina che divide dal Santo dei Santi, luogo della manifestazione di Yhwh e della sua stessa trascendenza presso Israele, «è squarciato», in modo che nessuno sia più escluso dall’accesso alla relazione con Lui. La possibilità di corrispondenza è rafforzata dall’interiezione greca presente in 27,51: kai idou, è tratta dalla seconda persona dell’imperativo aoristo di eidon, «vedere» o «osservare». Ora, nel Discorso del Compimento, proprio dopo il segno apparso nel cielo, tutte le nazioni «vedranno» il Figlio dell’uomo nella sua parusia finale, al momento di raccogliere tutti i suoi eletti.

La sezione E (19,1–27,61)

305

corrisponde, nel momento della morte di Gesù, alla confessione di fede del centurione pagano: «Veramente costui era Figlio di Dio» (27,54)84.

SEQUENZA E9 (27,27-61) 27,27 Allora i soldati del governatore avendo condotto Gesù nel pretorio, radunarono contro di lui tutta la truppa. 28 E avendo svestito lui, lo cinsero con una clamide scarlatta, 29 e avendo intrecciato una corona di spine, la posero sulla sua testa e una canna nella mano destra. E inginocchiandosi davanti a lui, lo schernivano dicendo: «Rallegrati, Re dei Giudei!». 30 E sputandogli, presero la canna e lo colpivano sul capo. 31 E quando lo schernirono, lo spogliarono della clamide e lo rivestirono con le sue vesti, e lo condussero via per essere crocifisso. Mentre uscivano poi, trovarono un uomo cireneo, con nome Simone; questo costrinsero affinché portasse la sua croce. 33 Ed essendo andati nel luogo chiamato Gòlgota, che è detto «Luogo del cranio», 34 gli diedero da bere vino mescolato con fiele. E avendo gustato, non ne volle bere. 35 Dopo averlo crocifisso, divisero le sue vesti tirando a sorte. 36 E seduti, gli facevano la guardia. 37 E posero sopra la sua testa il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il Re dei Giudei». 32

Allora sono crocifissi con lui due ladri, uno a destra e uno a sinistra. 39 E i passanti lo insultavano, scuotendo le loro teste 40 e dicendo: «Tu, che distruggi il Tempio e in tre giorni lo costruisci, salva te stesso, se Figlio sei di Dio, e scendi dalla croce!». 41 Similmente anche i sommi sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: 42 «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il Re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo a lui. 43 Ha confidato in Dio; lo liberi, ora, se lo vuole. Ha detto infatti: “Di Dio sono Figlio”!». 44 Poi allo stesso modo anche i ladri concrocifissi con lui lo oltraggiavano. 38

. Verso l’ora nona poi, Gesù gridò a gran voce dicendo: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». 47 Alcuni poi dei presenti lì, avendo ascoltato, dicevano: «Costui chiama Elia». 48 E subito uno di loro correndo a prendere una spugna, avendola riempita di aceto, posta su una canna, gli dava da bere. 49 Poi i restanti dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». 50 Ma Gesù ancora avendo gridato a gran voce, lasciò lo spirito. 51 Ed ecco, il velo del tempio fu squarciato in due, da cima a fondo. 45

46

La terra fu scossa e le rocce si spezzarono, 52 e i sepolcri furono aperti e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. 53 Ed essendo usciti dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. 54 Il centurione poi, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, vedendo il terremoto e le cose accadute, ebbero molto timore dicendo: «Veramente costui era Figlio di Dio!». 55 Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. 56 Tra queste c’era Maria Magdalena, Maria la madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo. Venuta la sera, venne un uomo ricco, da Arimatea, di nome Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. 58 Questi venuto presso Pilato chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse dato. 59 Giuseppe avendo preso il corpo, lo avvolse in un lenzuolo puro 60 e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si scavò nella roccia; e avendo rotolato poi una grande pietra alla porta del sepolcro, se ne andò. 61 Lì poi, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria Magdalena e l’altra Maria. 57

84

In realtà, tutta la scena del passo di 27,51b-56 potrebbe corrispondere alla scena futura della visione e della conversione dei popoli: «il centurione e quelli che facevano con lui la guardia» (27,54), come le «molte donne che avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo» (27,55), sono rivolti alla visione della croce.

306

La composizione del Vangelo di Matteo

Tra la sequenza finale della terza sottosezione e l’ultima del Discorso (E6) è invece possibile notare la corrispondenza tra coloro che sono «crocifissi» e condannati con Gesù al supplizio (27,38) e quelli che sono giudicati alla fine dei tempi, presso «il trono della gloria» del «Figlio dell’Uomo» (25,31-33)85: 25,32-33

27,38

Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà LE PECORE ALLA SUA DESTRA e le capre alla sinistra. Allora sono crocifissi con lui due ladri, UNO A DESTRA e uno a sinistra.

Inoltre, per quanto possa trattarsi di corrispondenze meno evidenti, Gesù è «afferrato» come un malfattore e messo in carcere nella sequenza E7 (26,50); poi «svestito» e «dissetato» con aceto sulla croce nella sequenza E8 (27,28.31.48)86. Perciò, nella terza sottosezione Gesù è davvero assimilato a quegli ultimi nei quali si identificherà il Figlio dell’Uomo al momento del suo ritorno per giudicare «le pecore» e «le capre» (25,35-40 per i primi, 25,41-45, per i secondi). Al centro della terza sottosezione, nella sequenza E8, Gesù confessa la sua messianicità davanti al sinedrio: «Anzi dico a voi: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e veniente sulle nubi del cielo» (26,64). Proprio nelle sequenze estreme di E4 ed E6, e precisamente a conclusione della prima e all’inizio della terza sequenza del Discorso, simili parole erano state anticipate dallo stesso Gesù: «e vedranno il Figlio dell’Uomo venire sulle nubi del cielo con molta potenza e gloria», in E4 (24,30), e: «Quando il Figlio dell’Uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria», in E6 (25,31). 3.4 RAPPORTI COMPLESSIVI TRA LE SOTTOSEZIONI Per concludere l’analisi, si riportano ancora alcune corrispondenze rintracciabili tra le sottosezioni. Anzitutto, sono sintetizzate alcune relazioni evidenti tra la prima sottosezione e la sottosezione centrale:  il tema della persecuzione presente in E4 («vi consegneranno alla tribolazione e vi uccideranno», in 24,9) era apparso anche all’interno delle parabole nella 85

In 25,31-33 c’è una chiara polarità (desunta dalla tradizione orientale) tra i due gruppi di personaggi, «le pecore», ovvero «i giusti» (25,37.46) sono alla «destra» del re, luogo di polarità positiva; invece «le capre», ovvero gli iniqui, sono alla «sinistra», luogo di polarità tipicamente negativa. Tale polarità, però, non è riscontrabile nel Vangelo di Matteo per i «due ladri» (come per Mc 15,32): sono entrambi, infatti, che «lo oltraggiavano» (27,44; cfr. la medesima neutralità per «i figli di Zebedeo», in 20,21.23). La tradizione sinottica, come è ben risaputo, non manca di testimoniare tuttavia una distinzione analoga anche tra i due ladroni: in Luca infatti, uno di loro, riconoscendo il male delle sue azioni e invocando la salvezza dal Cristo morente, ottiene da Gesù di «entrare in paradiso» con lui (Lc 23,39-43). 86 Il verbo utilizzato per l’oltraggio dell’aceto è proprio il medesimo di 25,35.37, il gr. potizō.

La sezione E (19,1–27,61)

307

sequenza centrale E2 (i contadini che «bastonarono», «lapidarono» e «uccisero» i servi mandati loro in 21,35; così anche i primi invitati alle nozze che «insultarono» e «uccisero» i servi mandati dal re, in 22,6);  se nel tempo della crisi, molti falsi profeti vengono «nel nome» di Gesù (24,5), e gli stessi discepoli saranno odiati e perseguitati «a causa del suo nome» (24,9), nella sequenza E1 Gesù, rispondendo a Pietro, promette la vita eterna a coloro che hanno lasciato tutto «a causa del suo nome», per seguirlo (19,29);  alla fine della sequenza centrale E2 Gesù afferma: «Molti, infatti, sono chiamati, ma pochi eletti» (E2: 22,14); il termine «eletti» è pure significativo nella prima sequenza del discorso centrale (E4: in 24,22.24.31);  al centro della sequenza E4, Gesù parla del futuro «abominio» all’interno del «luogo santo» (24,15); ora, al centro della prima sottosezione Gesù aveva scacciato «tutti i vendenti e compranti nel Tempio», e rovesciato «i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe», purificando «la casa di preghiera» (E2: 21,12-14);  «il trono della gloria» su cui siede «il Figlio dell’Uomo», appare in 25,31 (all’inizio di E6) e in 19,28 (all’inizio della sottosequenza centrale di E1);  sempre all’inizio della prima sottosezione e alla fine della sottosezione centrale si deve registrare la ricorrenza del termine «vita eterna», significativo nella logica d’insieme (19,16.29; 25,46). Invece, tra la sottosezione centrale e quella finale vanno evidenziate due corrispondenze importanti.  All’inizio della sottosezione centrale come della terza sottosezione si fa menzione dell’annuncio universale del Vangelo. In 24,14 (in E4), Gesù afferma che la fine non avverrà finché «questo Vangelo del Regno sarà annunciato per il mondo intero, per testimonianza a tutte le Nazioni». In 26,13 (in E7) lo stesso Gesù afferma che il gesto della donna di Betania sarà ricordato «in memoria di lei» «ovunque sia annunciato il Vangelo» (26,13).  L’invito a «vegliare» già presentato come simmetria strutturante tra i primi passi delle sottosequenze di E5, compare ancora due volte, nel primo passo dell’ultima sottosequenza di E7, all’inizio perciò della terza sottosezione:

308

La composizione del Vangelo di Matteo E5 (21,18-22)

E7 (26,36-46)

24,42 dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà.

26,37 E, avendo preso con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. 38 Allora dice loro: «La mia anima è molto triste fino alla morte; ». […]

25,11

Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. 12 Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. 13 dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.

E dice a Pietro: «Così, non foste-forti un’ora sola di con me? 41 , affinché non entriate in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole».

III. PER UNA DINAMICA DELLA SEZIONE E 1. «SONO GIUNTE LE NOZZE DELL’AGNELLO…» (AP 19,7C) Ognuna delle tre sottosezioni contiene un chiaro riferimento all’amore sponsale. Se è vero che l’Antico Testamento non conosce questa metafora per la persona del Messia87, tuttavia all’interno delle Scritture era divenuta simbolo dell’Alleanza Nuova ed eterna tra Dio e il popolo, dopo la rottura più volte realizzatasi della prima. Tale rottura, in particolare nella letteratura profetica, aveva rivestito i tratti della prostituzione e di una vera e propria fine della relazione matrimoniale, a motivo degli adulteri continui della sposa. Per la Nuova Alleanza, invece, la relazione sponsale di Dio è attesa come amore che redime: Non temere, perché non dovrai più arrossire; non vergognarti, perché non sarai più disonorata; anzi, dimenticherai la vergogna della tua giovinezza e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza. Poiché tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo d’Israele, è chiamato Dio di tutta la terra. Come una donna abbandonata e con l'animo afflitto, ti ha richiamata il Signore. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? – dice il tuo Dio. Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore. Ora è per me come ai giorni di Noè, quando giurai che non avrei più riversato le acque di Noè sulla terra; così ora giuro di non più adirarmi con te e di non più minacciarti. Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace, dice il Signore che ti usa misericordia (Is 54,4-10).

87

«Metafora ignota all’AT e al giudaismo, ma sviluppata in ambito cristiano: 2Cor 11,2; Ef 5,23ss.; Ap 19,7ss.; 21,2ss.; cfr. Mt 9,15» (Mello,431).

La sezione E (19,1–27,61)

309

Nella prima sottosezione, Gesù era stato messo alla prova sulla possibilità o meno del «ripudio» (19,3.7). Egli vi aveva giustamente opposto l’intenzione originaria del Creatore sulla coppia umana (19,4-6). Ma se è vero che l’unico motivo valido del ripudio nel suo insegnamento potrà ancora essere soltanto il caso di porneia (cfr. 19,9), l’intervento sponsale di Dio nel dono del suo Figlio supererà perfino questo aspetto. L’amore del Messia, per Israele e per le Nazioni che nel futuro entreranno nell’Alleanza, è capace di perdonare e di vincere l’infedeltà, dandosi in riscatto. Nella terza sottosezione, infatti, Gesù realizza quanto aveva più volte rivelato sull’intento finale della sua missione: egli dona la vita per stipulare l’«alleanza» attraverso «il suo sangue versato per molti per il perdono dei peccati» (26,28). Gesù Messia è veramente lo Sposo escatologico. Egli porta a piena maturazione il desiderio d’amore di Dio per il suo popolo. Anche nella minaccia che chiudeva la prima sottosezione, Gesù aveva apostrofato solo un abbandono momentaneo, finché Israele non avesse riconosciuto come «benedetto» colui che gli era stato inviato (cfr. Is 54,7: «Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore»). In senso pieno, il Messia è chiamato a rivelare l’amore di Dio per tutta l’umanità (di cui l’alleanza tra uomo e donna sarà per sempre un’immagine efficace): egli si offre per i «molti». Amore sponsale iniziato in immagine alle origini della creazione (19,4-6), ora suggellato per sempre sul legno della croce. 2. «... LA SUA SPOSA È PRONTA» (AP 19,7D): LE OPERE DEI GIUSTI DISCEPOLI In apertura della terza sottosezione, la «donna» di Betania di cui sarà perpetrata «memoria» (cfr. 26,6-13)88 non è forse un’icona offerta alla riflessione del discepolo (che legge/ascolta)? Non incarna forse proprio lei il giusto atteggiamento di risposta all’alleanza d’amore del Messia? Si tratterà della risposta di un popolo nuovo, ma anche di quello antico. Una volta contemplata la vita effusa dal Messia, il discepolo dovrà imparare a entrare alle nozze con il Crocifisso-Risorto, «versando» anch’egli tutto il suo amore per Lui nel servizio (cfr. 20,24-28; 24,45). Al centro della sezione, infatti, il Regno «sarà simile» all’incontro definitivo con lo Sposo (25,1-13). E tutto il Discorso del Compimento del Tempo è un insegnamento che prepara «i discepoli» a questo incontro nell’amore partendo dal tempo storico della loro vicenda personale, spesso messa alla prova. La parousia sarà la consumazione delle nozze per tutti quelli che avranno accolto questa Alleanza, stipulata dalla parte di Dio nell’abbandono del suo Figlio morente. Sono loro, come le cinque vergini sagge (25,10) e come i «servi fedeli» (24,45; 25,21.23), che hanno accolto l’invito (22,10) e sono stati perseveranti nell’amore (24,13) anche quando riconoscevano lo sposo nei diseredati 88

In R. MEYNET, La Pasqua del Signore, 62-75, tale gesto è formalmente e profondamente legato al dono di Gesù nel memoriale della Cena.

310

La composizione del Vangelo di Matteo

della terra (25,37-39). Il loro amore, modellato su quello del Messia, è divenuto tale da superare la prova di difficoltà, persecuzioni e lunghe attese. Ma c’è anche la situazione drammatica di quelli che si allontaneranno rattristati dalle esigenze di questo amore (19,22; 21,32), come di quelli che pur conoscendone i tratti di responsabilità e di grazia, non accoglieranno l’invito messianico e faranno di tutto per «uccidere il figlio e avere» per se stessi «la sua eredità» (21,33-44). Si tratta, nella prima sottosezione, di quella parte di Israele che non accoglie l’amore sponsale del Messia. Ma nel Discorso centrale si intravede il pericolo anche per quella «nazione che produca i frutti» del Regno (cfr. 21,43): nell’attesa del ritorno dello sposo anche l’amore dei discepoli potrà raffreddarsi (24,12), se questi non pongono come «pietra angolare» la vita, la parola e l’esempio di Gesù (21,42). Alla fine del tempo, davanti al Re-Sposo, il giudizio dei giusti e dei malvagi rivelerà con sorpresa che la fedeltà a Dio e al suo Messia è passata attraverso l’amore concreto per i fratelli: «Tutto quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me» (25,40). Le opere di giustizia sono dunque le opere dell’amore e della misericordia che Dio aveva già chiesto più volte al suo popolo (cfr. Is 58,6-11; Ez 18,7; Gb 31,32; Sir 7,32-35; e nel Vangelo stesso 21,34.36.41). Rivelato pienamente dalla croce del Messia, l’amore è allo stesso tempo nuovamente richiesto a coloro che lo hanno già assaporato: risplenderà fino alla fine nelle opere dei veri discepoli. 3. IL SANGUE DELL’ALLEANZA: IL SERVO «SQUARCIA» IL VELO DEL TEMPIO PERCHÉ VI ENTRINO TUTTE LE NAZIONI Come si è potuto ricordare nei capitoli precedenti, l’Antico Testamento ha maturato la visione di una Alleanza definitiva con Dio, passando per la necessità di rinnovare profondamente la Prima, e più in generale il cuore dell’uomo, incline alla disobbedienza (Ger 31,33-34). La terza grande sezione del Vangelo di Matteo, soprattutto nella sua ultima sottosezione contenente il Racconto della Passione, indica continuamente la piena maturazione di questa visione nell’evento della Croce di Gesù, attraverso le numerose allusioni all’ultimo dei quattro canti isaiani sul Servo, comunemente conosciuto come Il Canto del Servo Sofferente (Is 52,13–53,12). Questo testo, insieme a quello del Salmo 22, costituiscono la trama che dà il senso più autentico alla sofferenza di Gesù secondo il piano di Dio, sofferenza vissuta per riconciliare il cuore di Israele e aprire alla moltitudine delle Nazioni il cammino della salvezza (26,28; 27,54): Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti […] Il giusto mio Servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato sé

La sezione E (19,1–27,61)

311

stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli (Is 53,5.11c-12)89.

La piena conoscenza di Dio (cfr. anche Ger 31,34) è canalizzata nella passione del Servo, il perdono dei peccati si sostanzia ora nel passaggio della sua vita attraverso le angosce della morte. Morto Gesù, nella terza sottosezione, «il velo del Tempio fu squarciato in due, da cima a fondo» (27,51), segno dell’apertura della cortina che separava l’umanità dall’inaccessibile trascendenza divina. E subito dopo, è il «centurione» pagano a riconoscere nel Crocifisso il «Figlio di Dio» (27,54), segno della conoscenza irradiata dal Gòlgota per tutte le Nazioni della terra. È il primo segno di quanto germoglierà al «luccicare nel primo giorno dopo il sabato» (28,1), la primizia del loro futuro ingresso nell’Alleanza eterna: La discendenza degli stranieri che hanno aderito a Yhwh per servirlo e per amare il nome di Yhwh, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli (Is 56,6-7)90.

Dopo la Pasqua di Gesù, i discepoli saranno invitati a far entrare l’umanità in questa nuova relazione con Dio (28,19-20), ripeteranno nella comunità il memoriale della Cena, dissetando le Nazioni al calice della vita del Messia crocifisso e risorto, «il sangue dell’alleanza che è versato per molti, per il perdono dei peccati» (26,27-28).

89

Oltre al Quarto Canto e alla preghiera del Salmo 22 già intravista come sfondo biblico della crocifissione (cfr. A. WÉNIN, «Le Psaume 22 et le récit matthéen», 59-78), il testo riecheggia della teologia del Libro di Zaccaria (Zc 13,7 è citato in Mt 26,31; Zc 11,13 in Mt 27,9). In particolare, si potrà tenere in considerazione la lettura cristologica di Zc 12,10: «Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a me, colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito». 90 È proprio a questo passo isaiano che Gesù fa riferimento al suo ingresso nel Tempio, nella prima sottosezione (21,13).

CAPITOLO IX Un Prologo e un Epilogo1

I. PROLOGO ED EPILOGO NELLA LETTERATURA BIBLICA Anche alcuni libri biblici, come i loro coevi extrabiblici, sono segnati più spesso da un’introduzione, ma anche da una finale2. Per l’Antico Testamento, si potrebbe fare riferimento al Prologo di Ben Sira (Sir 1-35); per il Nuovo Testamento i prologhi più celebri sono quello lucano e quello che introduce la Prima Lettera di Giovanni3. Queste unità di introduzione, sebbene possano somigliare nella forma, si distanziano già notevolmente dai prologhi di fattura greca dove «gli oratori si distinguono da quelli che li hanno preceduti», ponendosi nettamente in antitesi con loro4. Anche il caso dell’epilogo è attestato nella letteratura neotestamentaria. Qui l’autore può dare un chiaro segno indicativo dell’unità letteraria finale, lasciando per esempio la narrazione e inserendo un post-scriptum, come per le due conclusioni nel Vangelo di Giovanni (20,30-31; 21,24-25)5. La maggior parte degli altri epiloghi evangelici restano però nel racconto, «affidando a uno o a più dei loro personaggi il compito di dire perché i racconti devono essere letti»6. 1

Questo capitolo è stato ampliato e approfondito in F. GRAZIANO, «Un Libro per generare discepoli», 129-152. 2 È stato già citato, per il Prologo, quanto sostenuto da C.A. EVANS, «The Book of the Genesis of Jesus», 62 (cfr. p. 129 e p. 151 nt. 6, ma anche Davies – Allison, 151-152). Come esempio di epilogo biblico per l’Antico Testamento, si veda quello che conclude il Libro di Giobbe (facilmente identificabile quanto meno per il passaggio dallo stile poetico a quello prosaico): si tratta di Gb 42,7-17. 3 Cfr. R. MEYNET, Il Vangelo secondo Luca, 23-28; per la Prima Lettera di Giovanni, 1,1-10 è riconosciuta come prima sezione: cfr. J. ONISZCZUK, La prima lettera di Giovanni, 23-55. 4 R. MEYNET, Il Vangelo secondo Luca, 26. 5 Si tratta, secondo Aletti, di un «peritesto» che indica al lettore la finalità stessa del progetto letterario che si va a concludere. Cfr. J.-N. ALETTI, «Les finales des récits évangéliques», 24-28. 6 J.-N. ALETTI, «Les finales des récits évangéliques», 28. L’autore cita, tra gli altri, il caso di Matteo (28,18-20), ponendo un’interessante lettura del compito della conclusione all’interno del racconto del Primo Vangelo (si crea un legame tra il Cristo resuscitato e la tradizione che va’ dagli Undici, ai nuovi discepoli tra le Nazioni, al documento matteano stesso che assume nel mandato del Risorto la sua autorevolezza e validità). Questa lettura, ovviamente attenta allo statuto narrativo degli ultimi versetti del Vangelo, non pensa però alla possibilità di una sezione più ampia per l’epilogo, in cui l’invito di Gesù potrebbe essere contenuto: quello degli interi eventi della domenica di Resurrezione (27,62–28,20).

314

La composizione del Vangelo di Matteo

Dal punto di vista dell’analisi retorica, è stata verificata la realtà di un Prologo non solo evidentemente per il Vangelo di Luca, ma anche per il Vangelo di Marco (dopo il titolo 1,1; cfr. 1,2-13)7: esso riguarda il precursore Giovanni e l’apparizione di colui che doveva venire secondo le parole di Isaia, il Cristo8. In realtà, il Vangelo di Marco contiene anche un’ultima sezione, della lunghezza di una sola sequenza, che costituisce il finale del libro (Mc 16,1-20)9. Una volta riconosciute all’interno della composizione dell’intero scritto, le due unità sono state considerate nei loro rapporti. Si è così potuto notare come mentre il Prologo si occupasse del «battesimo di conversione» amministrato da Giovanni al Giordano, in particolare poi a Gesù (1,2-13), l’Epilogo indirizzava l’attenzione del lettore sul mandato del Risorto fatto ai suoi di «andare in tutto il mondo e predicare il vangelo», e di «battezzare» nella fede (16,1-20)10. In questo modo, le due unità dimostravano di essere congiunte e di segnalare il filo rosso dell’intero tessuto evangelico, la sequela battesimale. Una volta analizzata l’organicità interna delle grandi sezioni del Primo Vangelo, appare chiaro come anche per Matteo si debba pensare a delle unità dell’inizio e della fine: è confermato dunque per la genealogia di apertura lo statuto di Prologo dell’intero Libro (1,1-17)11, mentre la sequenza finale dei racconti pasquali assumerà lo statuto di un Epilogo (27,62–28,20; si tratta di un’unità ben più ampia, formata di cinque passi)12. Con la forma propria della genealogia del Prologo è evidente che l’autore abbia voluto ben allacciarsi alla tradizione biblica, in particolare al primo libro della Torah, la Genesi13. All’interno di esso, infatti, appare per due volte l’espressione sēper tôledōt, «libro delle generazioni», riferito a un personaggio di cui si esponga la discendenza (5,1; 11,1)14. Si tratta di «Adamo» e di «Noè», i patriarchi antidiluviani. In realtà, nei capitoli introduttivi del libro della Genesi queste genealogie hanno una funzione mediatrice: da un lato, infatti, riassumono la narrazione appena conclusasi su un patriarca, per l’importanza del suo ruolo nell’intera storia delle origini; dall’altro però aprono direttamente la fase successiva, focalizzandosi sul nuovo personaggio. Difatti, la genealogia di Adamo (5,1-32), porta a «Noè» per raccontare gli eventi del diluvio, mentre quella di

7

R. MEYNET, Il Vangelo di Marco, 33-45. R. MEYNET, Il Vangelo di Marco, 44-45. Perciò la prima vera sezione del Vangelo di Marco (la sezione A) comincia direttamente con la predicazione di Gesù (in 1,14). 9 R. MEYNET, Il Vangelo di Marco, 525-537. 10 R. MEYNET, Il Vangelo di Marco, 540-541. 11 Una primissima analisi del Prologo in F. GRAZIANO, «Colui che viene dopo di me», 126-128. 12 L’unità è già stata riconosciuta e analizzata in R. MEYNET, La Pasqua del Signore, 363-389. 13 Una possibile lettura del genitivo geneseōs, in 1,1, potrebbe far protendere verso un riferimento esplicito al Libro della Genesi nella sua interezza. In questo modo, il Vangelo di Matteo potrebbe essere letto come «Libro della Genesi di Gesù Messia» (1,1), e perciò anche come l’inizio di un corpus nuovo delle Scritture cristiane. 14 In 2,4 si parla invece delle tôledôt haššāmayim wehā’āreṣ, «le generazioni dei cieli e della terra», riferendosi perciò al racconto precedente sulla creazione. 8

Un Prologo e un Epilogo

315

Noè (11,1-32) conduce ad «Abram», per narrare l’inizio del popolo eletto e delle promesse fatte alla discendenza del patriarca. In Matteo, la genealogia serve soprattutto a riallacciarsi alla storia della Prima Alleanza, in cui Gesù è pienamente inserito. Sin dall’inizio, tuttavia, l’attenzione non è rivolta che a lui, «Gesù Messia, figlio di Davide, figlio di Abramo» (1,1) e la catena delle generazioni si riverserà alla fine sull’unicità del suo sorgere: il Messia «è-nato» (un passivo teologico) da Maria, sposa di Giuseppe (cfr. 1,16). L’Epilogo, invece, è costituito dalla sequenza che annuncia per intero gli eventi dopo la morte di Gesù (già dal «giorno seguente, quello dopo la Parasceve», 27,62). Il mandato finale del Risorto, perciò, non ne è che il passo finale (28,16-20)15. II. IL PROLOGO (1,1-17) E L’EPILOGO (27,62–28,20) NEL VANGELO DI MATTEO 1. PRIMA ANALISI DELLE DUE UNITÀ Da un punto di vista logico complessivo, prima ancora che dalle possibili simmetrie rintracciabili nei testi, le due unità letterarie, sebbene di lunghezza differente16, si corrispondono17. Il Prologo tratta della storia che ha preceduto Gesù, collegandola alle promesse fatte ad Abramo e a Davide (1,1); l’Epilogo, al contrario, si proietta nel futuro, evidenziando la presenza escatologica del Messia fino alla consumazione finale (28,20). All’inizio del Prologo, il termine «generazione» (che può avere anche il senso lessicale di «genesi», in 1,1) corrisponde a «fino al compimento del Tempo» (28,20), in chiusura dell’Epilogo. Così, tutto il Libro di Matteo è incorniciato da 15

Perciò, l’Epilogo matteano non è solo attento al mandato del Risorto presso tutte le Nazioni (28,19) o preoccupato di rendere autorevoli «tutte le cose» che il Messia ha insegnato (28,20), ora contenute nelle sottosezioni discorsive del Libro che va a concludersi. In realtà, l’autore getta qui un importante ponte con il rifiuto dell’evento della Risurrezione presso «i sommi sacerdoti» e gli anziani del popolo (27,62-66; 28,11-15; si tratta di due passi paralleli), e con quello dell’accoglienza da parte delle «donne» e dei «discepoli/fratelli» a cui Gesù le invia (28,1-7; 8-10; 16-20). In questo modo, l’Epilogo si impegna anche con il futuro e con l’esito dell’adempimento delle promesse che erano state fatte a Israele (e che sembrano essere state bloccate dal rifiuto dei suoi capi). Una parte del popolo della Prima Alleanza rimane indurita, un resto tuttavia è divenuto lievito (come Abramo) di un popolo rinnovato e fecondo (28,10.19). 16 Il Prologo, della lunghezza di una sequenza di un solo passo, è costituito di 1.478 caratteri, mentre l’Epilogo ne contiene quasi il doppio, 2.251. Entrambi, però, sono di strutturazione concentrica: il passo centrale dell’Epilogo (28,9-10) è molto più corto della parte centrale del Prologo (1,2-16; costituita di tre sottoparti). Si potrebbe, a questo punto, considerare anche una visione differente delle unità letterarie che scandiscono la sequenza del Prologo. Si tratterebbe non di tre parti ma piuttosto di tre passi (1,1; 1,2-16; 1,17), considerando in maniera più adeguata lo status di ciascuno. Infatti, 1,1 potrebbe risultare come titulus; 1,2-16, è la genealogia scandita in tre unità (sarebbero allora le parti di un passo); infine, 1,17 è una conclusione che riassume «fino al Messia». 17 Da un punto di vista di «forma» come è intesa nel senso della Formsgeschichte è chiaro che le due unità sono di natura sostanzialmente differente: il Prologo, come detto, è una genealogia, ricalcata sulla tradizione biblica veterotestamentaria, mentre l’Epilogo è di indole narrativa.

316

La composizione del Vangelo di Matteo

questa inclusione significativa che lega la nascita di Gesù (fiorita a sua volta dalle promesse storiche di Dio fatte al suo popolo) alla Fine dei secoli, il momento non ancora realizzato della parusia del Figlio dell’Uomo.

PROLOGO (1,1-17) : 1, 1 Libro della GENERAZIONE di Gesù Messia,

figlio di Davide,

figlio di Abramo.

: 2 Abramo Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò GIUDA E I SUOI FRATELLI, 3 Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aràm. 4 Aràm poi generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn. 5 Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Iobèd da Rut, Iobèd generò Iesse, 6 Iesse generò il re Davide. :: Davide generò Salomone, da quella di Uria, 7 Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asàf, 8 Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia. 9 Ozia poi generò Ioatàm, Ioatàm generò Acàz, Acàz generò Ezechia. 10 Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amòs, Amòs generò Giosia, 11 Giosia generò IECONIA E I SUOI FRATELLI, alla deportazione di Babilonia. :.

12 Dopo la deportazione di Babilonia, Ieconia generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele. Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachim, Eliachim generò Azòr, 14 Azòr generò Sadòk. Sadòk poi generò Achim, Achim generò Eliùd, 15 Eliùd generò Eleazar. Eleazar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, 16 Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, = dalla quale Gesù, detto il Messia. 13

: 17 Tutte LE GENERAZIONI 18 dunque sono quattordici GENERAZIONI.

da Abramo

::

e da Davide quattordici GENERAZIONI.

fino alla deportazione di Babilonia,

:.

e dalla deportazione di Babilonia quattordici GENERAZIONI.

fino al Messia,

fino a Davide

Nelle unità centrali, i «fratelli miei» (28,10), termine con cui Gesù indica alle donne i suoi discepoli19, all’interno dell’Epilogo, ha due corrispettivi nella lista genealogica di 1,2-16. In 1,2 si tratta di «Giuda e i suoi fratelli», indicando così il patriarca da cui il Messia sarebbe nato, mentre in 1,11 si parla di «Ieconia e i suoi fratelli», l’ultimo dei discendenti regnanti di Davide, prima dell’«esilio di Babilonia». Si tratta dunque di termini centrali. La triplice serie di «quattordici generazioni» alla fine del Prologo (1,17), corrisponde al primo riferimento temporale che appare nell’Epilogo: qui si parla della presunta risurrezione di Gesù «dopo tre giorni» (27,63.64).

18 Il termine gr. hai geneai indica piuttosto l’insieme dei discendenti, ma può essere considerato dello stesso campo semantico di hē genesis, disegnando retoricamente l’aggancio temporale con la storia del Messia. 19 «Quelli che l’angelo aveva designato come i “discepoli” di Gesù, ecco che il maestro li chiama “fratelli”. Ed è la prima volta in tutto il vangelo che questo succede in maniera così chiara. La variante è altamente significativa» (R. MEYNET, La Pasqua del Signore, 388).

Un Prologo e un Epilogo

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EPILOGO (27,61–28,20) 27, 62 L’indomani poi, che è dopo la Parasceve, si riunirono i sommi sacerdoti e i Farisei presso Pilato 63 dicendo: «Signore, ci siamo ricordati che quell’ingannatore disse ancora vivente: “Dopo tre giorni risorgerò”. 64 Ordina dunque che sia vigilata la tomba fino al terzo giorno, affinché essendo venuti i suoi discepoli non lo rubino e dicano al popolo: “È risorto dai morti”. E sarà l’ultimo inganno peggiore del primo». 65 Disse loro Pilato: «Avete guardia: andate, assicurate come sapete». 66 Quelli poi essendo andati, vigilarono la tomba, avendo sigillato la pietra con la guardia. 28, 1 Dopo il sabato, al luccicare nel primo giorno dopo il sabato, venne Maria Magdalena e l’altra Maria a vedere la tomba. 2 Ed ecco: un terremoto grande avvenne. L’angelo del Signore, infatti, essendo sceso dal cielo ed essendo venuto, rotolò la pietra e sedeva su di essa. 3 Era poi la sua vista come folgore, e il suo vestito bianco come la neve 4 Dalla paura di lui le guardie tremarono e divennero come morte. 5 Avendo risposto poi l’angelo disse alle donne: «Non abbiate paura voi! So infatti che cercate Gesù il crocifisso. 6 Non è qui, è risorto infatti come disse: venite, vedete il luogo dove giaceva. 7 E velocemente essendo andate, dite ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco: vi precede in Galilea. Là lo vedrete”». 8 Ed essendo partite velocemente dal sepolcro con paura e gioia grande corsero per annunciare ai suoi discepoli. 9 [Come partivano ad annunciarlo ai suoi discepoli]20 ed ecco: Gesù incontrò loro dicendo: «Rallegratevi!». Quelle poi, essendo venute, afferrarono i suoi piedi e si prostrarono a lui. 10 Allora dice a loro Gesù: «Non abbiate paura: andate, annunciate AI MIEI FRATELLI che vadano in Galilea, e là mi vedranno». 11 Mentre loro partivano, ecco alcuni della guardia essendo venuti in città, annunciarono ai sommi sacerdoti tutte le cose accadute. 12 E essendosi riuniti con gli anziani, avendo poi preso consiglio, diedero ai soldati monete d’argento sufficienti 13 dicendo: «Dite: “I suoi discepoli essendo venuti di notte, lo rubarono, mentre noi dormivamo”. 14 E se fosse ascoltato questo presso il governatore, noi lo persuaderemo e vi faremo senza preoccupazioni. 15 Quelli poi avendo preso le monete d’argento fecero come furono ammaestrati. Ed è divulgata questa parola presso i Giudei fino al giorno di oggi.

Gli undici discepoli poi andarono nella Galilea sul monte dove ordinò a loro Gesù. 17 E avendolo visto si prostrarono, ma essi dubitarono. 18 E Gesù, essendo venuto presso, parlò a loro dicendo: «Fu data a me ogni autorità in cielo e sulla terra. 19 Essendo partiti dunque di tutte le Nazioni , battezzando loro nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando loro a custodire tutte le cose che vi comandai. Ed ecco: io con voi sono tutti i giorni, FINO AL COMPIMENTO DEL TEMPO. 16

È particolare che questa espressione temporale non sia più utilizzata verbatim altrove nella sequenza: per esempio, nel passo subito successivo (28,1-8) si parla dell’«alba del primo giorno della settimana», «dopo il sabato» (28,1). Il riferimento a una triplice unità temporale (tre serie di generazioni e tre giorni), dunque, potrebbe costituire un aggancio a distanza tra le due unità. Si tratta così di termini medi.

20

Alcuni manoscritti aggiungono questo stico per evidenziare maggiormente la cesura tra il v. 8 e il v. 9.

318

La composizione del Vangelo di Matteo

2. ALCUNI ASPETTI DISTINTIVI 2.1 «I FRATELLI» DI GESÙ L’aggancio tra il Risorto e quelli che egli chiama «miei fratelli» e Giuda, Ieconia e i loro rispettivi «fratelli» (1,2.11) deve avere una certa pertinenza nel complesso di relazioni tra le due unità. Gesù e i suoi discepoli, il Messia e coloro che continueranno la sua opera tra le Nazioni, sono contestualmente messi a fianco a due figure particolari dell’intreccio storico-salvifico di Israele21. In senso particolare, il primo è chiaramente il discendente più antico del Messia a cui «è dovuta l’obbedienza dei popoli», così come l’intravede la benedizione di Giacobbe fatta per i suoi figli: Un giovane leone è Giuda: dalla preda, figlio mio, sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come una leonessa; chi lo farà alzare? Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli (Gen 49,9-10).

Ieconia, invece, è l’ultimo dei discendenti effettivamente regnanti nella casa di Davide. Dopo di lui, la dinastia non sarà più ristabilita pienamente, fino all’apparizione del Messia: «Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici» (Is 11,1)22. In senso generale, il fatto che questi due personaggi della storia sacra di Israele siano ritratti assieme ai loro «fratelli» implica il riferimento a una discendenza ampia e futura: da «Giuda e i suoi fratelli» proviene l’intero popolo delle dodici tribù, «da Ieconia e i suoi fratelli»23 la sussistenza della discendenza davidica dopo l’esperienza dell’esilio babilonese. 2.2 TRE SERIE DI GENERAZIONI FINO ALLA NASCITA DEL MESSIA, TRE GIORNI PER ALZARLO DALLA MORTE

Alla fine del Prologo, l’autore presenta il ritmo della triplice serie di «quattordici generazioni» (1,17). L’opinione tradizionale punta sulla gematria, la somma del valore numerico delle tre consonanti che compongono il nome del re Davide. Seguendo la tradizione rabbinica è pure probabile qui un riferimento alle fasi lunari (di quattordici giorni ciascuna). Si tratterebbe allora delle tre fasi 21

Per lo studio della sequenza di Mt 27,62–28,20 ci sarebbe un riferimento anche alla figura di Giuseppe riconosciuto dai suoi fratelli, che si presenta come anti-tipo del Risorto a cui è stata data «ogni autorità in cielo e sulla terra» (28,18). Cfr.: R. MEYNET, Morto e Risorto, 50-52. 22 Sull’interpretazione del «tronco» e delle «radici» come figura di un albero apparentemente morto, cfr. J.D.W. WATTS, Isaiah 1–33, 170-171. 23 Luz, I, 147 nt. 1 fa notare come sia stato possibile che l’autore abbia confuso Ioiakin (che non aveva fratelli) con suo padre Ioiakim (questo ultimo realmente figlio di Giosia e fratello di Sedecia). La storia è qui drammatica dal momento che Sedecia verrà privato dei suoi figli e reso cieco, mentre la discendenza è continuata effettivamente attraverso il nipote, prigioniero e poi vassallo in Babilonia (cfr. 2Re 25,27-30).

Un Prologo e un Epilogo

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cosmico-generazionali della storia sacra di Israele, da Abramo al periodo messianico24, indicando così l’evolversi di un piano di salvezza divina. Allo stesso modo, i «tre giorni» necessari alla resurrezione di Gesù, citati una sola volta nel primo passo dell’Epilogo, devono essere considerati su di un piano prettamente teologico. Alla luce di Os 6,2 infatti, essi fanno riferimento ancora all’intervento salvifico di Dio, che è stato escatologicamente interpretato con la realtà stessa della risurrezione finale: «Dopo due giorni ci ridarà la vita, e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza». 2.3 «ESSENDO ANDATI, DUNQUE, FATE-DEI-DISCEPOLI» (28,19) Il verbo greco mathēteusate in 28,19 è particolare: nel Nuovo Testamento la ricorrenza di mathēteuō è attestata nel Vangelo di Matteo e, una volta sola, nel libro degli Atti (14,21)25. In Matteo appare qui e in altri due luoghi: in 13,52 si tratta dello «scriba» che è «fatto-discepolo» (o più letteralmente si potrebbe tradurre anche «è-discepolato») del Regno dei Cieli e che diviene «come un padrone di casa». In 27,57 è riferito a Giuseppe di Arimatea, che chiede a Pilato il corpo di Gesù per potergli riservare una degna sepoltura. Di lui, infatti, si dice che «era-discepolato» a Gesù (nel senso che «era diventato discepolo di Gesù»). Di queste occasioni del verbo all’interno del Vangelo si potrebbero sottolineare alcuni aspetti importanti:  l’agente reale del verbo negli ultimi due casi riportati è sempre di natura teologica, giacché si tratta ora del Regno dei Cieli (13,52 di cui lo scriba diventa discepolo), ora di Gesù (27,57 di cui Giuseppe era discepolo); solo in 28,19 sono proprio i discepoli che devono «fare-dei-discepoli di tutte le Nazioni»26;  il termine oikodespotēs (che appare nel contesto di 13,52) è utilizzato in Matteo quasi sempre per identificare o Dio o Gesù (cfr. 10,25; 13,27; 20,1.11; 21,33)27; invece, in 13,52 definendo lo scriba-discepolo il termine dimostra come egli sia diventato realmente uguale al suo maestro (10,24-25), e perciò un «padrone di casa»; 24 F. GRAZIANO, «Colui che viene dopo di me», 128: «Nella Melkita di Rabbi Yisma’el Merita (II sec. d.C.) nella nota su Es 12,2 è detto che “le Nazioni fanno conteggi con il sole, ma Israele con la luna”; anche il Sal 104,19 dichiara che Dio “ha fatto la luna per calcolare il tempo”. Secondo questo calcolo con Abramo si potrebbe indicare metaforicamente il primo novilunio cosmico che si compie nel primo Davide; da Salomone fino all’esilio la fase calante con la conclusione del mese lunare (Babilonia: il buio della morte), da Salatièl un inizio modesto, nebuloso, ma che matura con l’arrivo del Nuovo Davide, Cristo» (a sua volta da una suggestione in Luz, 155-156, nt. 4). 25 GLNT, 1238. Il verbo è completamente assente dalla versione LXX dell’Antico Testamento. 26 Per rendere bene il senso si è preferito non tradurre letteralmente qui, perdendo così il complemento oggetto della versione greca, «tutte le Nazioni» (cfr. la tavola della sequenza in R. MEYNET, La Pasqua del Signore, 384). Ovviamente i discepoli inviati dal Risorto non sono chiamati a fare-discepoli di se stessi, ma del Signore (perché sono di Gesù «tutte le cose» sulle quali dovranno «insegnare», cfr. 28,20). 27 In 24,43 è riferito ai discepoli di tutti i tempi, perché non si lascino sorprendere dalla parusia del Figlio dell’Uomo.

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La composizione del Vangelo di Matteo

 Giuseppe chiede il corpo di Gesù per poter seppellire il suo maestro in 27,57-60; la responsabilità della sepoltura è quasi sempre affidata ai parenti più stretti, quali il coniuge o i figli (questa mitzvah è attestata in Gen 23; 25,9 e Tob 6,15); ciò fa comprendere come nella logica del passo Giuseppe sia riconosciuto discepolo-figlio, come se avesse espresso, tramite il suo gesto, un’appartenenza filiale nei riguardi dello stesso Gesù. «Fare-dei-discepoli» in 28,19 potrebbe perciò esprimere una dimensione generativa. Potrebbe significare «generare» a Cristo nuovi figli da tutte le Nazioni. In questo modo, i discepoli diventano la generazione o la discendenza, nuova secondo l’ordine della resurrezione, del Messia intronizzato. E infatti, questi nuovi figli del Messia saranno generati dalla predicazione e dal «battesimo» amministrato dai primi inviati (28,19) rivivendo così ciascuno l’esperienza iniziale dello stesso Gesù al principio del suo ministero. Inoltre, i futuri discepoli saranno chiamati a «osservare tutto ciò» che il Messia aveva comandato e insegnato: ora, «osservare» è uno degli elementi essenziali della fenomenologia filiale, dal momento che incarna la relazione educativa di risposta del figlio al proprio genitore. Un tale significato del verbo nel contesto del Vangelo di Matteo fornisce un aiuto eccellente anche per la comprensione di un punto buio all’interno della serie di generazioni poste dal Prologo. Nel calcolo dell’ultima serie di «quattordici generazioni», infatti, il computo sembra forzato: da Ieconia al Messia ci sono solo tredici generazioni, e il lettore potrebbe domandarsi quale sia (e se ci sia) la quattordicesima. Leggendo alla luce di quanto sarà svelato pienamente solo alla fine del Libro, nel Messia Risorto è iniziata una quattordicesima generazione che non è più nell’ordine della carne, ma della fede (Gesù è allora il vero «discendente di Abramo», cfr. Gal 3,6-14). I discepoli di tutti i luoghi e di tutti i tempi, e quelli che a loro volta essi genereranno per mezzo del «fare-discepoli», sono i figli del Messia, la generazione messianica alzata da Dio (cfr. 3,9). Questa idea risponde bene alla visione finale del Servo di Yhwh secondo il libro di Isaia, contesto di spicco della cristologia matteana, la cui vita sembrava essere stroncata senza apparente possibilità di avere una discendenza, ma che è effettivamente realizzata alla fine dalla mano potente di Dio: «Quando offrirà sé stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo il volere di Yhwh» (Is 54,10). E in realtà, da un punto di vista formale, il Prologo stesso era ben intessuto dalla ridondante ripetizione del verbo «generare» (gr. egennēsen), che veniva rotta in 1,16 dal suo passivo, evidentemente teologico: Gesù è già nella carne una generazione di ordine diverso giacché «è-generato» da Dio (gr. egennēthē). Ora, dopo la Resurrezione, egli stesso «genererà» a sua volta per mezzo del «fare-discepoli» (28,19)28: germoglia la quattordicesima generazione, quella dei suoi discepoli. 28

In J.-P. SONNET, «De la généalogie au “Faites disciples”», l’autore aveva sorprendentemente raggiunto la medesima conclusione, incontrando il testo con la metodologia della lettura narrativa.

Un Prologo e un Epilogo

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2.4 “IMPASSE” ANTICHI E NUOVI NELLA STORIA DI ISRAELE In entrambe le unità letterarie si deve notare la presenza di alcune difficoltà che rendono problematica la missione e l’identità di Gesù nelle sue relazioni con il passato e con il presente di Israele. Nel Prologo si tratta dell’apparizione, nella lista genealogica, delle tre donne nella prima serie di generazioni (l’episodio di «Tamar», 1,3; la presenza delle pagane «Racab» e «Rut», in 1,5), del peccato di «Uria» nella seconda serie (1,6) e della damnatio memoriae in 1,829, e infine, dell’impasse della deportazione in Babilonia che fa sprofondare i discendenti davidici, e dunque la linea genealogica di Gesù stesso, nel mistero (1,12ss.). Nonostante queste difficoltà, alla fine della catena genealogica, Gesù «è-generato» da Maria (1,16) come vero Messia per Israele. È Dio che interviene in una catena di eventi spesso dominata dalla fallibilità umana, con una intromissione regale che autorizza la messianicità di Gesù e rende dignità alle stesse difficoltà della lista genealogica. Così, anche i primi passi delle sottosequenze estreme dell’Epilogo (27,62-66; 28,11-15) hanno un valore negativo nell’insieme della sequenza, giacché espongono il tentativo dei sommi sacerdoti di opporsi alla Risurrezione di Gesù, chiedendo a Pilato di preservare la tomba dall’«inganno» dei discepoli (27,64), e divulgando poi l’impostura stessa del trafugamento del corpo nel passo corrispondente (28,15). Anche qui, l’intervento di Dio genera qualcosa di nuovo. Il Risorto si rivolge alle donne e dà appuntamento «ai suoi fratelli» nuovamente in Galilea. In questo modo, il Vangelo è rivolto finalmente ai pagani (cfr. 10,6; 15,24), e allo stesso tempo il popolo eletto diventa una benedizione per tutti (Gen 12,3; Gal 3,14), attraverso quei figli di Israele che, ritornati ad essere discepoli, «si prostrano» davanti al Messia Risorto e «partono per insegnare» (28,19-20). III. RAPPORTI CON LE SEZIONI IMMEDIATAMENTE CONTIGUE 1. IL PROLOGO (1,1-17) E LA SEZIONE A (1,18–9,38) Tra il Prologo e il primo passo della sezione A ci sono degli agganci retorici abbastanza chiari: si potrebbe infatti pensare che 1,16 immetta direttamente alla prima sezione. Infatti, qui come all’inizio del primo passo della sezione A (1,18-25) appaiono i personaggi di «Giuseppe» e di «Maria», i genitori di Gesù. Il verbo «generare», che aveva distinto tutta la genealogia del Prologo, è in 1,16, come visto, trasformato in un passivo teologico, per descrivere la 29

«La seconda sottoparte segue la genealogia dei re di Giuda in 1Cr 3,10-14, con un’omissione importante, un gap che permette di rendere ragione della cesura strutturale tra i due brani. “Ioram” (8c), in realtà, non è il padre di “Ozia” (o Azaria come in 1Cr), e Matteo fa un salto di tre generazioni (il re Acazia, suo figlio Ioas e suo nipote Amazia). La spiegazione più plausibile è la damnatio memoriae, giacché Ioram aveva sposato la figlia di Acab (2Re 8,18), dirottando su di lui la maledizione per la vigna di Nabot (1Re 21,21)» (F. GRAZIANO, «Colui che viene dopo di me», 127; Luz, 149; il riferimento è alla maledizione di Es 20,5 per le tre generazioni del colpevole).

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La composizione del Vangelo di Matteo

generazione soprannaturale del Messia. Ora, il primo passo della sezione A affronterà precisamente questa questione: l’espressione introduttiva «fu trovata avente nel grembo dallo Spirito Santo» (1,18), come le parole dell’angelo a Giuseppe («infatti, ciò che in lei è-generato viene dallo Spirito Santo, 1,20)30 spiegano come sia avvenuta la generazione straordinaria di Gesù ad opera dell’azione divina: 1,16

: Giacobbe :. dalla quale

1,18-19

:. Di GESÙ CRISTO poi

GIUSEPPE, lo sposo di Maria, GESÙ, DETTO IL CRISTO. era così.

: Essendo promessa sposa sua madre Maria a GIUSEPPE, prima di convivere insieme, . : GIUSEPPE poi, il suo sposo, essendo giusto e non volendola ripudiare, decise di rilasciarla in segreto.

Queste corrispondenze lessicografiche ma anche tematiche svolgono il ruolo di termini medi tra le due unità letterarie immediatamente contigue. In realtà, già il titolo del Prologo (1,1), come il primo segmento che fa da introduzione al primo passo della sezione A (1,18a) erano in chiara corrispondenza: 1,1 1,18

Libro della figlio di Davide DI GESÙ CRISTO poi

DI GESÙ CRISTO,

figlio di Abramo. 31

era così.

 «Giuseppe» sarà ancora il personaggio principale nel terzo passo della sequenza A1 (2,13-23; cfr. 2,13-14.19-23), mentre «Maria» compare nuovamente nel suo passo centrale, in 2,11: «E essendo venuti nella casa, videro il bambino con Maria sua madre».  Il verbo greco gennaō appare ancora lungo il passo centrale di A1: in 2,1 e in 2,4 è ancora riferito a Gesù. Nel primo caso, si tratta del genitivo assoluto che apre il passo centrale della sequenza («Generato Gesù in Betlemme di Giudea», in 2,1); nel secondo, si tratta della domanda di Erode: «Dove il Messia è-generato?» (2,4)32. 30 Anche qui, come in 1,16 il verbo gennaō è alla forma passiva, indicando perciò una modalità teologica. 31 Alcuni manoscritti, Ireneo e Origene, ma soprattutto L, f 13 e 33 conoscono la variante greca gennēsis, al termine più comune che il v. 18 condivide con 1,1, hē genesis. 32 Va di nuovo notato come per entrambe le ricorrenze (sia nel participio che nell’indicativo presente di 2,4) il verbo sia alla forma passiva.

Un Prologo e un Epilogo

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 Proprio il termine «Messia», estremo per la sezione del Prologo (1,1 e 1,16.17), ricompare, oltre che all’inizio del primo passo contiguo della sequenza A1 (1,18) anche in 2,4. Non comparirà più fino alla sezione centrale del Vangelo, in 11,2 («le opere del Messia» di cui Giovanni sente parlare) e sulla bocca di Pietro, nella sua confessione in 16,16 (dunque le due sottosezioni estreme della sezione C).  L’espressione «figlio di Davide», determinante all’inizio del Prologo (1,1), ricompare agli estremi della sezione A: in 1,20, nel primo passo della sequenza A1, è evidentemente riferito a Giuseppe, il padre davidico del Messia («Giuseppe, figlio di Davide, non avere paura di prendere Maria tua moglie»); alla fine della sequenza A11, sulla bocca dei due ciechi, è invece una bella chiusura della sezione, che porta a compimento il riconoscimento di Gesù stesso come vero discendente di Davide: «…Due ciechi lo seguivano gridando: “Abbi pietà di noi, Figlio di Davide!”» (9,27)33.  Sempre nel titolo del Prologo (1,1), Gesù era anche dichiarato «figlio di Abramo». Ora, nella sequenza centrale A2 della prima sottosezione, Giovanni, davanti alla pretesa di Farisei e Sadducei di «avere Abramo per padre», sostiene che Dio ha potere di suscitare persino dalle pietre «figlioli ad Abramo»34.

33

Questi termini estremi per la sezione completano quindi il titolo del Prologo della sezione precedente, e spiegano in che modo Gesù sia effettivamente il figlio atteso di Davide. Il termine hyos, in realtà, compare molte volte in tutta la sezione A: 1,21.23.25; 2,15; 3,17; 4,3.6 nella prima sottosezione, sempre evidentemente riferito a Gesù; nel Discorso della Nuova Alleanza in 5,9.45; poi nella terza sottosezione in 8,12.20; 8,29 («figlio di Dio», riferito ancora a Gesù); 9,6 («Figlio dell’uomo», ancora evidentemente riferito a Gesù). 34 Il sostantivo qui non è hyos ma tekna. L’aggancio tuttavia è molto chiaro: si tratta della figliolanza nelle opere della fede. In 8,11 «Abramo» ricompare nuovamente, nella terza sottosezione, insieme ai giusti delle Nazioni che con lui (si potrebbe desumere come «suoi figlioli») siederanno alla mensa del Regno di Dio.

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La composizione del Vangelo di Matteo

2. L’EPILOGO (27,62–28,20) E LA SEZIONE E (19,1–27,61) Come per il Prologo, l’ultima sequenza della sezione E ha molti punti di aggancio con l’Epilogo del libro:

E9, TERZA SOTTOSEQUENZA (27,27-61) […] La terra fu scossa e le rocce si spezzarono, 52 e i sepolcri furono aperti e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. 53 E essendo usciti dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. 54 Il centurione poi, e QUELLI CHE CON LUI FACEVANO LA GUARDIA a Gesù, vedendo il terremoto e le cose accadute, EBBERO MOLTO TIMORE dicendo: «Veramente costui era Figlio di Dio!». 55 Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. 56 . Venuta la sera, venne un uomo ricco, da Arimatea, di nome Giuseppe; anche lui di Gesù. 58 Questi venuto presso Pilato chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse dato. 59 Giuseppe avendo preso il corpo, lo avvolse in un lenzuolo puro 60 e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si scavò nella roccia; e avendo rotolato poi una grande pietra alla porta del sepolcro, se ne andò. 61 Lì poi, sedute di fronte alla tomba, . 57

Come è possibile notare, alcune ricorrenze molto pertinenti segnano il passaggio tra l’ultima sottosequenza di E9 (27,51b-61) e la prima sottosequenza dell’Epilogo (27,62–28,8). Si tratta perciò di termini medi tra le due unità letterarie contigue.  Nell’ultimo passo di E9, Giuseppe di Arimatea «venuto presso Pilato» (58) chiede il corpo di Gesù; così anche all’inizio dell’Epilogo, «i sommi sacerdoti e i Farisei si riunirono presso Pilato» (62) per chiedere il picchetto di guardia alla «tomba».  Proprio questo termine (27,61.64.66; 28,1) e quello sinonimo di «sepolcro» (27,52.53.60bis; 28,8) sono ampiamente ripetuti come termini gancio tra le due sequenze.  Le donne, presenti alla morte di Gesù e protagoniste dell’annuncio della resurrezione, sono nominate alla fine dei due passi dell’ultima sottosequenza di E9 (27,56.61), come all’inizio del secondo passo dell’Epilogo (28,1)35.  Anche «quelli che facevano la guardia» (27,54) sono presenti sotto la croce, ma anche a custodia della tomba (in gr. è utilizzato il termine koustōdia in 27,65.66 e in 28,11; mentre in 28,4 come in 27,54, il termine hoi tērountes).  Mentre questi ultimi sono atterriti dal «timore» (27,54; 28,4), le donne sono invece invitate dall’angelo e da Gesù stesso a «non avere paura» (28,5.10), anzi a «rallegrarsi» (28,9). 35

Le donne alla morte di Gesù, come l’angelo alla sua resurrezione, sono «sedute/o» nei pressi della tomba (27,61), o sulla pietra rotolata via (28,2)

Un Prologo e un Epilogo

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EPILOGO (27,62–28,20) 27, 62 L’indomani poi, che è dopo la Parasceve, si riunirono i sommi sacerdoti e i Farisei presso Pilato 63 dicendo: «Signore, ci siamo ricordati che quell’ingannatore disse ancora vivente: “Dopo tre giorni risorgerò”. 64 Ordina dunque che sia vigilata la tomba fino al terzo giorno, affinché essendo venuti i suoi discepoli non lo rubino e dicano al popolo: “È risorto dai morti”. E sarà l’ultimo inganno peggiore del primo». 65 Disse a loro Pilato: «Avete guardia: andate, assicurate come sapete». 66 Quelli poi essendo andati, vigilarono la tomba, avendo sigillato la pietra con la guardia. 28,

Dopo il sabato, al luccicare nel primo giorno dopo il sabato, a vedere la tomba. 2 Ed ecco: un terremoto grande avvenne. L’angelo del Signore, infatti, essendo sceso dal cielo ed essendo venuto, rotolò la pietra e sedeva su di essa. 3 Era poi la sua vista come folgore, e il suo vestito bianco come la neve 4 Dalla paura di lui LE GUARDIE tremarono e divennero come morte. 5 Avendo risposto poi l’angelo disse alle donne: «NON ABBIATE PAURA VOI! So infatti che cercate Gesù il crocifisso. 6 Non è qui, è risorto infatti come disse: venite, vedete il luogo dove giaceva. 7 E velocemente essendo andate, dite ai suoi discepoli: “È risorto di morti, ed ecco: vi precede in Galilea. Là lo vedrete”». 8 E essendo partite velocemente dal sepolcro con paura e gioia grande corsero per annunciare ai suoi discepoli. 1

9 [Come partivano ad annunciarlo ai suoi discepoli] ed ecco: Gesù incontrò loro dicendo: «Rallegratevi!». Quelle poi, essendo venute, afferrarono i suoi piedi e si prostrarono a lui. 10 Allora dice a loro Gesù: «NON ABBIATE PAURA: andate, annunciate ai miei fratelli che vadano in Galilea, e là mi vedranno». 11 Mentre loro partivano, ecco alcuni della guardia essendo venuti in città, annunciarono ai sommi sacerdoti tutte le cose accadute. 12 E essendosi riuniti con gli anziani, avendo poi preso consiglio, diedero ai soldati monete d’argento sufficienti 13 dicendo: «Dite: “I suoi discepoli essendo venuti di notte, lo rubarono, mentre noi dormivamo”. 14 E se fosse ascoltato questo presso il governatore, noi lo persuaderemo e vi faremo senza preoccupazioni. 15 Quelli poi avendo preso le monete d’argento fecero come furono ammaestrati. Ed è divulgata questa parola presso i Giudei fino al giorno di oggi.

Gli undici discepoli poi andarono nella Galilea sul monte dove ordinò a loro Gesù. 17 E avendolo visto si prostrarono, ma essi dubitarono. 18 E Gesù, essendo venuto presso, parlò a loro dicendo: «Fu data a me ogni autorità in cielo e sulla terra. 19 Essendo partiti dunque di tutte le Nazioni , battezzando loro nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando loro a custodire tutte le cose che vi comandai. Ed ecco: io con voi sono tutti i giorni, fino al compimento del Tempo. 16

 Il «terremoto» avviene alla morte del Messia (27,51b.54), come al momento della sua vittoria su di essa (28,2).  Alla fine di E9, Giuseppe fa «rotolare una grande pietra alla porta del sepolcro» (27,60). Tale «pietra» è «sigillata» dalla guardia, nel primo passo dell’epilogo (27,66), e «rotolata» dall’angelo nel secondo passo (28,2)36.  Il verbo particolare mathēteuō appare in posizione finale per ognuna delle unità letterarie, in 27,57 riferito a Giuseppe, in 28,19 all’interno del mandato missionario del Risorto.

36

Anche il verbo egeiromai (come il sostantivo corrispondente egersis) è medio tra le due sequenze contigue (27,52.53.63.64; 28,6.7).

326

La composizione del Vangelo di Matteo

Alcuni agganci sono ancora riscontrabili all’interno dell’intera terza sottosezione di E, le tre sequenze del Racconto della Passione (26,1–27,61). I protagonisti dei primi passi delle sottosequenze estreme dell’Epilogo, come visto, sono ancora «i sommi sacerdoti» (27,62; 28,11). Essi sono i principali esecutori della morte di Gesù: «persuasero» la folla a chiedere Barabba per la grazia del governatore (27,20), come ora affermano di poter «persuadere» il governatore a favore delle guardie (28,14). Come per Giuda (26,15; 27,3.5), anche per loro gli stessi sommi sacerdoti garantiscono «monete d’argento» in forma di ricompensa per la loro disonestà (28,12). Alla fine della sottosequenza centrale di E7 (26,31-32), Gesù promette di «precedere in Galilea» i suoi discepoli; ora, è proprio questo l’annuncio che le donne sono invitate a fare, alla fine della prima sottosequenza dell’Epilogo, come nella sua breve sottosequenza centrale: 26,31-32

«Tutti voi sarete scandalizzati per me in questa notte. È stato scritto infatti: Colpirò il pastore, e saranno disperse le pecore del gregge. Ma, dopo che sarò-risorto, ».

28,7

«E velocemente essendo andate, dite ai suoi discepoli: È-risorto dai morti, ed ecco: ! Là lo vedrete».

28,10

«Non abbiate paura: andate, annunciate ai miei fratelli , e là mi vedranno!».

Per quanto riguarda l’intera sezione E, bisogna segnalare, oltre alle numerose ricorrenze di termini37, alcune corrispondenze abbastanza pertinenti per le relazioni tra le unità contigue:  nella prima sequenza E1, nell’ultimo degli annunci della Passione presenti nel Vangelo, Gesù aveva fatto riferimento alla sua resurrezione «dopo tre 37

Il sostantivo «angelo» (28,2) appare in più punti della sezione E (al plurale in 22,30; 24,31.36; 25,31.41; 26,53). Il suo aspetto escatologico, come «la folgore» (28,3) è lo stesso aspetto della venuta finale del Figlio dell’Uomo (24,27). In 28,9 Gesù «incontra» le donne (gr. hypēntēsen), come nella parabola delle dieci vergini esse escono «all’incontro con lo sposo» (25,1 in gr. exēlthon eis hypantēsin tou nymphiou). In 22,9 i servi sono chiamati ad «andare» (gr. poreuesthe) ai crocicchi delle strade per chiamare nuovi invitati alle nozze del figlio del re, proprio come in 28,19 sono mandati i discepoli a tutte le Nazioni. In 27,63 Gesù è definito dai sommi sacerdoti e dagli scribi come un «ingannatore» (gr. ho planos); ora, proprio nel Discorso centrale dell’ultima sezione, più volte Gesù aveva messo in guardia da «falsi profeti» e da «falsi messia» che avrebbero tentato di «ingannare» molti (il verbo gr. planaō in 24,4.5.11.24).

Un Prologo e un Epilogo

327

giorni» (20,19); ora, all’inizio dell’Epilogo, i sommi sacerdoti fanno riferimento espressamente a queste parole di Gesù (27,63-64)38, si tratta di termini iniziali tra le unità letterarie;  sempre all’interno di questa prima sequenza, la «madre dei figli di Zebedeo» si era accostata e si era «prostrata» a Gesù per chiedere il riconoscimento dei propri figli (20,20); alla resurrezione sono le stesse donne che «afferrarono i suoi piedi e si prostrarono a lui» (28,9)39;  i termini «tomba» e «sepolcro» appaiono termini finali della sequenza E3 (23,27.29), e termini inziali nell’Epilogo;  al centro della prima sottosezione di E si trova il passo molto significativo della domanda sull’«autorità» di Gesù, alla quale tuttavia egli non risponde (21,23-27); è solo alla fine dell’Epilogo che Gesù dichiara apertamente di aver ricevuto «ogni autorità in cielo e sulla terra» (28,18);  solo i discepoli possono «vedere» nell’oggi la gloria del Messia risollevato dalla morte ed esaltato su ogni autorità celeste e terrena (28,7.10.17); nella sezione E, invece, Israele «non vedrà» il Messia fino al momento del suo pieno riconoscimento (alla fine di E3, in 23,39); il riferimento è sicuramente al momento finale della parusia, quando tutti «vedranno» Gesù come il Figlio dell’Uomo innalzato alla destra di Dio, che viene con grande gloria a giudicare Israele e le Nazioni (24,30; 26,64);  all’inizio della sottosezione centrale di E (24,3), come alla fine del Vangelo stesso (28,20), appare il termine gancio «compimento del tempo»; sempre all’interno di queste due unità del Vangelo, appare il mandato di annuncio alle «Nazioni» (28,18-20), come la sua esecuzione futura prima della parusia: «Questo Vangelo del Regno sarà annunciato per il mondo intero, per testimonianza a tutte le Nazioni, e allora verrà la fine» (24,14). IV. COMINCIARE E CONCLUDERE IL LIBRO L’analisi delle relazioni tra Prologo ed Epilogo, come tra questi e le sezioni immediatamente a loro contigue, dimostra come le due unità costituiscano rispettivamente il germogliare e la maturazione finale di alcune linee ermeneutiche importanti all’interno del Vangelo. Gesù è stato presentato come «figlio di Davide» e «figlio di Abramo» al sorgere del Libro, con una lunga lista di nomi e di vicissitudini che vogliono ricordare le promesse ma anche gli inadempimenti della Prima Alleanza. La sezione subito successiva presenterà il Messia inaugurare la Nuova Alleanza in parole e in opere, compiendo e restaurando la storia precedente. La messianicità di Gesù è disegnata sin dai primordi come messianicità del tutto particolare: non è suscitata nell’ordine 38 Anche nel processo, come sotto la croce, gli avversari del Messia fanno riferimento alla distruzione e alla ricostruzione del Tempio «in tre giorni» (26,61; 27,40). 39 Il verbo krateō (spesso riferito direttamente a Gesù) è davvero ricorrente in tutta la sezione E (21,46; 22,6; 26,4.48.50.55.57).

328

La composizione del Vangelo di Matteo

della carne ed è chiamata a realizzare per Israele e per la casa di Davide una discendenza e un regno definitivo, in cui Dio opera il suo atto finale di salvezza. In Gesù il regno davidico e le promesse fatte ad Abramo (che puntavano non al solo Israele, ma a «tutte le famiglie della terra», cfr. Gen 12,3), realtà che incorniciano il patto di alleanza di Dio, saranno portate a compimento. Ma come? Il Racconto della Passione (e l’intera sezione E), conduce finalmente al «monte» fissato da Gesù dopo la Resurrezione. E da qui Gesù stesso rivela ai suoi di ogni tempo la necessità di «fare-dei-discepoli», generare facendo riferimento a «tutte le cose» dette e fatte dal Signore. Gesù è salito a Gerusalemme per compiere l’Alleanza nel suo sangue, ma essa dovrà ora ripartire dalla Galilea e, ogni volta, dall’attività degli stessi discepoli nel tempo. Certamente il Messia non è più tra i morti, piuttosto sarà con i suoi «fino al compimento del Tempo». Ma la sua presenza è ormai nel modo della «resurrezione» (Mt 22,29-30). Toccherà dunque a loro fare nella storia nuovi discepoli, attraverso la relazione pedagogica e spirituale del discepolato, e così in maniera stupefacente suscitargli una progenie nello Spirito. A livello formale il Prologo e l’Epilogo diventano dunque unità letterarie molto significative, diverse da tutte le altre che vanno a costituire il Vangelo di Matteo. In esse, in quanto unità dell’inizio e della fine, è lanciato e risolto in sordina lo scopo del Libro: colui che ascolta/legge e che riceve l’insegnamento del Messia sa che è in questione «una generazione» mancante (1,16), che una generazione ancora attende di essere sollevata nel piano di salvezza. Si tratta della generazione che il Messia porta alla luce attraverso la sua Passione (cfr. Is 54,10), e che la fine del Libro affida ai mandati (28,19-20)40. Il Primo Vangelo è anzitutto un cammino di generazione, attraverso cui il discepolo scopre di essere profondamente e attivamente immerso nella discendenza messianica, in Israele e, attraverso di esso, tra tutte le Nazioni. Il come e il quando di questa generazione lo scopre ogni volta lungo la lettura del testo, potrà «comprenderlo» come nuovo scriba-maestro (13,51-52), lungo tutta la dinamica del Libro messianico, il Vangelo di Matteo.

40

Cfr. J.-P. SONNET, «De la généalogie au “Faites disciples”».

CAPITOLO X Un libro nuovo per una Nuova Alleanza

I. SINTETIZZARE UNA VISIONE D’INSIEME PER IL LIBRO Visionate tutte le sezioni del Vangelo, il passo successivo sarà quello di presentare la composizione generale dell’intero Libro1. Il Vangelo di Matteo ha una composizione settenaria: si presenta cioè costituito di sette sezioni, con un’articolazione particolare. Come si è potuto dimostrare, infatti, due sezioni singolari di rilegatura (B e D: si tratta rispettivamente dei discorsi fatti ai «discepoli» sulla missione e sulla vita ecclesiale) legano tra loro le tre sezioni maggiori del Libro (A, C ed E), costituite ciascuna da tre sottosezioni. All’interno di ciascuna delle tre sezioni maggiori si trova un Discorso di Gesù (il Discorso della Nuova Alleanza in A, il Discorso enigmatico sul Regno in C e, infine, il Discorso sul Compimento del Tempo in E). Alle estremità del Libro, due sezioni, una di apertura molto breve e una di chiusura più lunga, costituiscono il Prologo e l’Epilogo. Queste due sezioni hanno il compito di annunciare e risolvere il filo rosso del Libro stesso: la Nuova Alleanza che compie la Prima, stipulata in Gesù Messia, è portata avanti dalla sua discendenza, i discepoli. A questo livello di composizione, si dovranno mettere in risalto le relazioni che le sezioni (nelle loro sottosezioni) hanno tra loro. Tali relazioni, in definitiva, riveleranno il movimento compositivo dell’intero Libro, e perciò la sua logica e la sua dinamica complessiva. Ancora una volta, è bene precisarlo, un simile lavoro non potrà essere svolto in maniera atomistica: si dovrà provare a sintetizzare (nel senso etimologico di «mettere insieme»), per mostrare le relazioni più pertinenti e determinanti per la composizione. In un secondo tempo, si potrà (si dovrà) riprendere i dati in maniera ancora più sistematica e riflessiva. II. IL PROLOGO E L’EPILOGO CON LE ALTRE SEZIONI DEL LIBRO Nel capitolo precedente, Prologo (1,1-17) ed Epilogo (27,62–28,20) erano stati analizzati nelle loro relazioni particolari, e successivamente nelle loro relazioni con le sezioni a loro più vicine (la sezione A per il Prologo; la sezione 1

Si tratta oramai dell’ultimo livello di composizione.

330

La composizione del Vangelo di Matteo

E per l’Epilogo). Si possono tuttavia notare alcune relazioni di composizione anche con le altre sezioni del Libro. 1. IL PROLOGO E LE ALTRE SEZIONI DEL LIBRO 1.1 GESÙ CRISTO, «FIGLIO DI DAVIDE» (MT 1,1) Nella sezione C, il titolo di hyios David per Gesù appare ancora due volte: a) nella prima sottosezione, nella domanda sulle labbra della folla, al momento della guarigione del muto indemoniato (C3: 12,23); b) nella terza sottosezione, sulle labbra della donna pagana (C8, nella sottosequenza centrale: 15,22). Nella sezione E, invece, appare nella prima sottosezione narrativa: a) alla fine della sequenza E1, come invocazione sulla bocca dei due ciechi all’esterno di Gerico (20,30.31)2; b) in E2, nella prima sottosequenza, sulle labbra della folla all’ingresso di Gerusalemme (21,9) e dei bambini all’interno del Tempio (21,15); al centro di E3 è Gesù che domanda ai farisei come il Messia possa essere «Figlio di Davide» in senso genealogico essendo tuttavia anche il suo «Signore» (22,41-46). Su questo punto, si dovrebbe notare uno sviluppo progressivo tra le sezioni. Innanzitutto, nei tre passi di guarigione: 9,27

Mentre Gesù si allontanava di là, DUE CIECHI lo seguirono gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!».

15,22

Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: Pietà di me, SIGNORE, Figlio di Davide!».

20,30.31

Ed ecco, DUE CIECHI, seduti presso la via, avendo-ascoltato che passava Gesù, gridarono dicendo: «SIGNORE, Figlio di Davide, abbi pietà di noi!». La folla poi li rimproverò perché tacessero; ma essi gridarono di più dicendo: «SIGNORE, Figlio di Davide, abbi pietà di noi!»

A partire dal secondo versante dalla sezione centrale, sulle labbra di una donna pagana (poi dai ciechi), Gesù è riconosciuto «Signore» e «Figlio di Davide». Questo movimento è arricchito dalle altre ricorrenze. Se in 12,23, infatti, la folla si domanda: «Che non sia costui il Figlio di Davide?», nell’ultima sezione, la stessa folla riconosce finalmente Gesù con lo stesso titolo, all’ingresso della Città Santa (21,9). Infine, è Gesù che risolve e rilancia la questione con la domanda fatta ai farisei3: 2 Alla fine di A11, in una bella simmetria, sono sempre due ciechi che invocano Gesù con lo stesso appellativo (9,27). 3 Alla fine del Libro, nell’Epilogo, sembra chiarito per colui che legge o ascolta il mistero dell’unione della signoria divina e della messianicità di Gesù: «E essendosi avvicinato, Gesù disse loro: “Fu data a me ogni autorità in cielo e sulla terra”» (28,18). Nel Prologo stesso, la linea messianica nella carne era stata bloccata in Giuseppe, «lo sposo di Maria». Era infatti già in questa

Un Libro nuovo per una Nuova Alleanza

331

Essendosi congregati i farisei, Gesù chiese loro dicendo: «Cosa vi sembra circa il Cristo? Di chi è figlio?». Dicono a lui: «Di Davide». Dice loro: «Come dunque Davide, nello Spirito, lo chiama SIGNORE, dicendo: “Disse il Signore AL MIO SIGNORE: Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama SIGNORE, come è suo figlio?». E nessuno poteva rispondere a lui parola, né da quel giorno alcuno osò più interrogarlo (22,41-46).

1.2 GESÙ CRISTO, «FIGLIO DI ABRAMO» (MT 1,1) «Abramo», e suo figlio «Isacco», appaiono soltanto una volta ancora, all’interno della sezione E, quando Gesù dimostra la realtà della Risurrezione indicando le parole di Dio a Mosè in Es 3,6 (E3: 22,32). Tuttavia, la scansione dei personaggi (Abramo, Isacco, Giacobbe), e la loro relazione particolare con Dio4, è la medesima del passo in A9, al momento della guarigione del servo del centurione (8,11): 8,11

Ora io vi dico che molti verranno dall’Oriente e dall’Occidente e siederanno a mensa con ABRAMO, ISACCO e Giacobbe nel Regno dei Cieli.

22,3132

Circa poi la risurrezione dai morti, non avete letto il detto a voi da parte di Dio: «Io sono il Dio DI ABRAMO, e il Dio DI ISACCO, e il Dio di Giacobbe? Non è un Dio dei morti, ma dei viventi».

Nel primo passo, si tratta delle moltitudini delle Nazioni che siederanno alla mensa nel Regno. Il contesto è evidentemente la benedizione che Dio estende a «tutte le famiglie della terra» per mezzo della discendenza di Abramo, secondo la promessa (Gen 12,3)5. Nel secondo passo, in maniera complementare, si tratta di coloro che entrano, come i patriarchi, nella risurrezione dai morti, uno stato di vita superiore alla morte, che non necessita più di discendenza naturale, ma della sola relazione vitale con Dio6.

prima unità, per mezzo del passivo divino, che il lettore comprendeva come Gesù, Figlio di Davide (1,1) «è stato generato» (1,16) per opera divina, entrando perciò nel mistero della signoria di Dio. 4 Il termine «Cieli» è un semitismo con cui si indica la realtà di Dio. 5 Nel logion di Gesù, in realtà, i «figli del Regno», cioè la discendenza di Abramo secondo la carne, sono «cacciati fuori» (Mt 8,12). 6 A questo punto, se il filo contestuale che si intreccia tra Prologo ed Epilogo e le due sezioni A ed E sulla tematica del «Figlio di Abramo» converge con quella altrettanto importante della «discendenza» (e della particolare discendenza o generazione del Messia), la tipologia di Isacco per Gesù potrebbe sembrare una pista davvero molto pertinente. J.-P. Sonnet sostiene che «il monte» fissato da Gesù Risorto, dove i discepoli «lo vedranno» (28,16) porti alla memoria biblica del lettore il monte dove Isacco è legato e sostituito dall’ariete (cfr. J.-P. SONNET, «De la généalogie au “Faites disciples”», 203-204). Si dovrà approfondire, perciò, il legame contestuale tra il sacrificio di Gesù e, soprattutto nella letteratura rabbinica, il significato del sacrificio di Isacco per Israele. Inoltre, l’intervento dell’«angelo» al momento della risurrezione (28,2), nella sezione finale, potrebbe ricordare l’intervento dell’angelo del Signore nel racconto di Gen 22. Si tratta davvero di una pista da approfondire per la teologia del Libro.

332

La composizione del Vangelo di Matteo

1.3 GESÙ E I SUOI «FRATELLI» (MT 1,2.11; 28,10) In senso significativo, i «fratelli» di Gesù appaiono in due passi simmetrici, alla fine e all’inizio delle sottosezioni estreme della sezione C (in C3: 12,46.47. 48.49.50 e C6: 13,55), che incorniciano il Discorso enigmatico sul Regno. Si può notare ancora la comparsa del termine (al singolare) all’interno della sezione D (18,1-35), ma in questo caso si tratta delle relazioni tra i «discepoli» del Signore. La fraternità si è definitivamente aperta a un senso messianico che supera la carne (18,15bis.21.35)7. 1.4 ALTRE RICORRENZE DI TERMINI E IL LORO CONTESTO Alla fine della sezione E, compaiono due personaggi che portano lo stesso nome dei genitori del Messia. Anche loro, come i primi, si occuperanno di lui ma nel momento finale della sua vita: in 27,57-60, «Giuseppe da Arimatea» è il discepolo che gli dà sepoltura (così come Giuseppe aveva difeso la vita del bambino al momento della nascita); «Maria Magdalena» è presente alla morte (27,55-56), alla tomba (27,61) e alla resurrezione del Signore (28,1). Il termine «generazione» è usato in tono critico lungo tutta la sezione C (11,16; 12,39.41.42.45; 16,4; 17,17). A riguardo, un passaggio ulteriore è delineato all’interno della sezione E, dove il termine appare due volte8: E3: 23,36

«Tutte queste cose ricadranno su QUESTA GENERAZIONE».

E5: 24,34

«Non passerà QUESTA GENERAZIONE prima che tutto questa avvenga».

L’ultimo logion, infatti, sembra si riferisca a «questa generazione» in termini escatologici: si tratta di una generazione presente al tempo di Gesù ma che si allarga fino alla fine del Tempo presente, quello della lettura, ma anche quello finale, «prima che tutto questo avvenga»9. 7

Nell’altra sezione di rilegatura, la sezione B, il termine è riferito esclusivamente ai fratelli di carne o ai parenti (10,2bis.21bis). Nel logion di 12,50 sembra importante ricordare e sottolineare che Gesù indichi il proprio discepolo, colui che «fa la volontà di Dio», come suo «fratello, e sorella e madre». 8 Il termine appare solo 13 volte nel Vangelo (in 10 versetti complessivi): 7 volte nella sezione C, 2 nella sezione E, 4 alla fine del Prologo (1,17). 9 La spiegazione di hē genea hautē in 24,34 è problematica. La retorica biblica (con il meccanismo fondamentale della binarietà) può suggerire un passaggio dalla generazione del Vangelo (che, come visto, è giudicata in senso piuttosto critico) a un’altra, che resta fino alla parusia del Figlio dell’Uomo. L’interpretazione esegetica tradizionale, invece, oscilla tra una lettura razziale e una temporale. Il primo senso vuole indicare il popolo d’Israele nella sua vocazione storica, piuttosto che la generazione contemporanea alle parole di Gesù. Israele, perciò, rimarrà in quanto popolo della Prima Alleanza fino alla parusia del Signore (questa interpretazione sembra restare nella linea espressa dal logion). Il secondo senso, invece, più letterale, si riferisce unicamente alla generazione contemporanea al Messia, e perciò vedrebbe la parusia come imminente o (per ovviare al probabile errore del Gesù storico) come realizzata/realizzantesi nel tempo (cfr. O. DA SPINETOLI, Matteo, 541, nt. 40 e 41 con numerosi riferimenti bibliografici sulle due proposte).

Un Libro nuovo per una Nuova Alleanza

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2 L’EPILOGO E LE ALTRE SEZIONI DEL LIBRO 2.1 «È RISORTO INFATTI COME DISSE» (28,6) La resurrezione è uno dei segni messianici del ministero stesso di Gesù (9,25; 11,5). Per primo Erode, in 14,2, al sentire le opere del Messia, sostiene che egli sia Giovanni risuscitato: «Questo è Giovanni il Battista. Egli è risorto dai morti e per questo le potenze operano in lui». Nell’Epilogo, le parole dell’angelo alla tomba fanno riferimento alle parole precedenti di Gesù a proposito della sua risurrezione. Esse sono collocate tutte nel secondo versante del Libro, dall’ultima sottosezione di C: 16,21

Da allora Gesù iniziò a mostrare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e molto patire da parte degli anziani e dei sommi sacerdoti e dagli scribi, ed essere ucciso e nel terzo giorno risuscitare.

17,9

E mentre loro scendevano dal monte, comandò a loro Gesù: «A nessuno dite la visione fino a che il Figlio dell’Uomo dai morti risorga».

17,22-23

Essendo radunati loro NELLA GALILEA, disse loro Gesù: «Il Figlio dell’Uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini, e lo uccideranno, e il terzo giorno SARÀ RISUSCITATO».

20,17-19

E salendo Gesù A GERUSALEMME prese i dodici discepoli in disparte e per la via disse loro: «Ecco, saliamo a Gerusalemme, e il Figlio dell’Uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi, e lo condanneranno a morte, e lo consegneranno alle Nazioni per schernirlo e flagellarlo e crocifiggerlo, e nel terzo giorno SARÀ RISUSCITATO».

26,31-32

Allora dice loro Gesù: «Tutti voi sarete scandalizzati per me in questa notte. È stato scritto infatti: “Colpirò il pastore, e saranno disperse le pecore del pastore”. Ma dopo IL MIO ESSERE RISORTO VI PRECEDERÒ IN GALILEA».

Si deve notare la distinzione netta tra le sezioni del Libro nello sviluppo di queste parole di Gesù: egli «inizia» a parlarne «in Galilea» nelle ultime due sequenze della sezione C; riprende il discorso in maniera più precisa nella prima sottosezione di E «salendo a Gerusalemme» (alla fine della sottosequenza centrale di E1); infine, annuncia di «precedere» i suoi nuovamente «in Galilea» nell’ultima sottosezione di E (ancora alla fine della sottosequenza centrale di E7)10. «L’angelo del Signore» (28,2.5) era già apparso al momento della generazione di Gesù (1,20.24) e della sua fuga dalla follia di Erode (2,13.19), nella

10

Si tratta perciò di simmetrie che agganciano le tre sottosezioni tra loro. In particolare, 17,22-23 e 20,17-19 sono termini medi che si oppongono a distanza.

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La composizione del Vangelo di Matteo

sezione A11. Il suo aspetto «come folgore e il suo vestito (gr. to endyma) bianco come la neve» (28,3) ricorda direttamente l’aspetto di Gesù al momento della Trasfigurazione, e le sue vesti (gr. ta himatia) «bianche come la luce» (C9: 17,2). Ancora alcuni elementi dell’Epilogo creano un chiaro legame, specialmente con la prima sottosezione della sezione A: «la gioia grande» con cui le donne corrono ad annunciare ai discepoli le parole dell’angelo (28,8) corrisponde alla stessa che provano i magi al rivedere la stella (2,10)12; il «luogo dove giaceva» (gr. ton topon hopou ekeito, in 28,6) che l’angelo invita a «vedere», corrisponderebbe allora al luogo dove si ferma la stella, «sopra, dove era il bambino» (gr. epanō hou ēn to paidion, in 2,10), «nella casa» dove i magi lo «videro» (2,11); infine sia le donne, sia i magi «si prostrarono», le une al CrocifissoRisorto (28,9), gli altri al bambino-Servo (2,11) 13. La paura che i presenti alla resurrezione provarono, come l’invito a «non temere» (28,4-5.8.10), era già tornato lungo tutto il Vangelo molte volte. In particolare, nei riguardi dei discepoli all’interno del Discorso sulla Vita Apostolica l’invito era esattamente a «non temere»: 10,26; (cfr. 28.31). Appare ancora, nella sezione C, rivolto nuovamente ai discepoli (14,26-27; 17,6-7), e in particolare a Pietro (14,30-31)14. 2.2 LA SIGNIFICATIVITÀ DELLA «GALILEA» La Galilea è il luogo dove Gesù va ad abitare dopo il suo esilio (2,22; 3,13), ma è soprattutto il luogo essenziale del suo ministero lungo tutta la sezione A (4,12.15.18.23.25; a «Cafarnao» in particolare 8,5; 9,1). È ancora in quella regione lungo tutta la sezione C, vivendo la crisi dell’accoglienza di Israele e la prima apertura del Vangelo alle Nazioni (cfr. 15,21-31; anche 17,22: si tratta di due momenti importanti, all’interno della terza sottosezione). A partire dalla sezione E, se ne allontana (19,1) annunciando però il suo ritorno al momento della risurrezione (26,32)15. Lo stesso «monte» su cui il Risorto incontra i suoi discepoli (28,16), oltre all’eco scritturistica con il monte genesiaco dell’oblazione di Isacco16, rimanda 11 Si tratta della sequenza A1. Gli «angeli» appaiono anche al momento delle tentazioni nel deserto, nella sequenza A3 (4,6.11). 12 Per entrambe le ricorrenze è utilizzato il termine greco chara megalē (sphodra in 2,10). Tuttavia, in 28,8 la «gioia grande» è accompagnata dalla «paura». 13 Il termine greco qui utilizzato, to paidion, è un diminutivo del sostantivo pais. Questo sostantivo può significare, oltre a «bambino», anche «servo», ed è utilizzato da LXX e dallo stesso Matteo (12,18) per riferirsi al Servo di Yhwh di Is 42,1. 14 Si potrebbe tenere presente anche il timore delle folle (9,8) e dei capi (21,26.46) nelle sezioni maggiori estreme, come anche la «paura» di Erode (14,5). 15 La Galilea è perciò menzionata in due punti che disegnano una simmetria: nelle sequenze iniziali delle due sottosezioni estreme. Il termine appare ancora due volte nella sezione E, sempre nelle sottosezioni estreme: 21,11 e 27,55. 16 Cfr. ancora nt. 6.

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al «monte» determinato o agli altri «monti» su cui Gesù è salito più volte, ancora nelle sezioni A ed E. In 5,1 egli «salì sul monte» per pronunciare il Discorso della Nuova Alleanza (5,1–7,29); poi ancora in 14,23 «salì sul monte in disparte per pregare»; in 15,29 è presso il mare di Galilea e, «essendo salito sul monte, sedeva là», luogo in cui avviene la guarigione delle folle e la seconda moltiplicazione dei pani; in 17,1 infine, «conduce Pietro, Giacomo e Giovanni su un monte alto», luogo in cui avviene la Trasfigurazione17. 2.3 IL GRANDE MANDATO (28,16-20) Il riferimento all’exousia di Gesù era già apparso alla fine della sottosezione centrale di A (7,29: «Infatti era insegnante loro come avente autorità, e non come i loro scribi»), come nella terza sottosezione (in 9,6.8 Gesù ha autorità di perdono)18. All’inizio della sezione B, egli concede «autorità sugli spiriti immondi per scacciarli e per guarire ogni malattia e ogni debolezza» ai «dodici discepoli» (10,1). Nella sezione E, all’interno della sottosequenza centrale di E2, Gesù stesso si rifiuta di rivelare ai sommi sacerdoti e agli anziani «con quale autorità fa queste cose» (21,23-27). In questo modo, l’autorità di insegnare e compiere le opere messianiche si trova alla fine della sottosezione centrale di A e all’inizio di B, mentre la domanda e la contestazione dell’autorità di Gesù sono poste nei centri dell’ultima sottosezione di A e nella prima di E. Si può sostenere, perciò, che queste due sfumature vengono finalmente risolte nell’affermazione decisiva del Risorto a conclusione dell’Epilogo. Come i discepoli sul monte (gr. edistasan in 28,17), anche Pietro «ha dubitato» nel momento in cui Gesù lo conduce a camminare sulle acque (gr. edistasas in 14,31)19. Alla fine del Libro, inoltre, nel mandato di «battezzare nel nome del

17 Si dovrebbe notare, per queste ricorrenze, come solo in 17,1 non sia utilizzato l’articolo greco determinativo. «Il» monte su cui Gesù ha parlato, ha pregato ed ha spezzato i pani, allora, potrebbe essere un monte ben preciso (28,16), lo stesso luogo per tutti gli avvenimenti indicati, o più semplicemente una «zona montuosa» della Galilea (cfr. GLNT 1353-1357). «Quando ora si reca “sul monte”, viene spontaneo pensare, data la formulazione, al medesimo monte di 14,23 o forse anche di 5,1. “Il monte” è il luogo della vicinanza di Dio (14,23; 17,1), talora anche il luogo “elevato” dell’esercizio del potere satanico (4,8) o divino (28,16) e il luogo dell’ammaestramento (24,3; 5,1). Il monte non ha un significato simbolico fisso» (Luz II, 548; ma cfr. anche Luz, I, 303 e IV, 496-497, in particolare nt. 3). Sebbene sia artificioso considerare to oros il medesimo sito geografico, la relazione formale generata spinge a contemplare e a mantenere un senso particolare di esso per l’insieme del Libro (la questione ha dato alla luce perfino un contributo che vede le «sette» montagne citate nel Vangelo come elementi retorici per la composizione d’insieme: cfr. A.Y. ITO, «Les Sept Montagnes de Jésus», 413-423). 18 Si tratta del passo centrale della sequenza centrale A10. 19 In entrambi i casi, infatti, il verbo greco utilizzato è distazō. Questo verbo appare solamente in questi due luoghi del Vangelo di Matteo.

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Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (28,19) ritorna un chiaro riferimento al Battesimo ricevuto da Gesù al Giordano da Giovanni (3,13-17)20. La promessa della presenza del Risorto disegna oramai una chiara inclusione con le parole della Scrittura al momento della generazione di Gesù. Da notare, in quell’occasione il verbo greco kalesousin era alla terza persona plurale, intravedendo perciò un futuro gruppo di persone, i discepoli presenti alla fine del Libro, ma anche quelli di tutti i tempi: 1,23

Tutto questo poi è accaduto affinché si compisse il detto dal Signore per mezzo del profeta che dice: «Ecco la vergine nel ventre avrà e partorirà un figlio, e chiameranno il suo nome Emmanuele», che è tradotto: CON NOI (È) DIO.

28,20

«Ed ecco, IO CON VOI SONO tutti i giorni, fino al compimento del Tempo»

Il «compimento del Tempo» (28,20), termine finale di tutto il Vangelo, è apparso ancora (oltre che nella sottosezione centrale di E), nella sottosezione centrale di C, nella sequenza C5 del Discorso enigmatico sul Regno (13,39. 40.49). Infine, il mandato di «insegnare a osservare tutte le cose che vi ho comandato» (28,20; in gr.: didaskontes autous tērein panta hosa eneteilamēn hymin) potrebbe più esplicitamente riferirsi ai Discorsi precedenti, che caratterizzano ciascuna sezione del Libro. In realtà, il verbo didaskō appare anche in altri punti: in particolare, alla fine della prima e dell’ultima sottosezione di A (in 4,23 e 9,35) e al centro della prima sottosezione di E (21,23). In 7,28 e in 19,1 appare il termine «parole» (gr. logous) per indicare le cose dette da Gesù nel Discorso appena concluso, mentre in 26,1 si trova il più completo e ricapitolativo «tutte queste parole» (gr. pantas tous logous toutous), che si collega direttamente a «tutte le cose» indicate in 28,20. In 13,3 Gesù «parlò di molte cose in parabole» (gr. polla en parabolais), elemento ripetuto nel passo centrale di C5 (13,34: «Tutte queste cose disse Gesù in parabole»; gr. tauta panta en parabolais). In apertura del Discorso sulla Vita Apostolica (10,5) e a conclusione di esso, nella sottosezione successiva (11,1), sono usati rispettivamente i verbi sinonimi parangellō e diatassō per indicarne le prescrizioni particolari di Gesù ai suoi (sono perciò verbi sinonimi di entellomai in 28,20). Tutte queste relazioni che fanno riferimento alla finale del Libro si trovano alla fine della sottosezione centrale di A, all’inizio della sezione B; ancora all’inizio delle tre sottosezioni di C rispettivamente, e all’inizio delle sottosezioni estreme di E. Occupano quindi gli estremi e i centri di unità simmetriche importanti. In questo 20

Anche in questo passo, infatti, è presente il segno trinitario della «voce» (Dio) che dichiara Gesù suo «Figlio amato» (3,17), e dello «Spirito di Dio» che scende «come colomba e viene» sullo stesso Gesù (3,16).

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modo, esse sono ben intessute e ripetute, fino all’Epilogo, dove sono ricapitolate e richiamate in causa per costituire l’insegnamento definitivo e autoritativo del Messia Risorto. III. RAPPORTI TRA LE SEZIONI MAGGIORI: A ED E 1. RAPPORTI PARALLELI TRA LE SOTTOSEZIONI21 Al centro della prima sottosezione di A si trova il «Battesimo di Giovanni il Battista» (3,7; cfr. A2: 3,1-12); allo stesso modo, nel passo centrale della sequenza E2, centro della prima sottosezione di E, Gesù chiede da dove venga il «Battesimo di Giovanni» (21,25; cfr. 21,23-27). Il passo successivo, sempre nella sottosequenza centrale di E2 (21,28-32), rimanda ancora alla richiesta di conversione pronunciata da Giovanni per «Farisei e Sadducei» (3,7-12): infatti Gesù biasima pure i capi che «non hanno creduto» a colui che è venuto «nella via della giustizia» (21,32)22. Nel passo centrale di E3, Gesù domanda ai farisei «di chi è figlio» il Messia (22,42), per rivelare la sua identità di «Signore» (22,44). Nella terza sequenza della prima sottosezione di A, da un lato la «voce» al Battesimo, nel primo passo, riconosce Gesù «il Figlio mio» (3,17), dall’altro, nel passo centrale, il diavolo per due volte tenta Gesù sulla sua identità: «Se sei Figlio di Dio…» (4,3.6). L’espressione «generazione di vipere» appare in A2, sulla bocca di Giovanni nei riguardi dei «Farisei e Sadducei» che vanno al suo battesimo (3,7); in E3, invece, sulla bocca di Gesù nei riguardi di «Scribi e Farisei» (23,33)23: si noti che in entrambe le occorrenze segue la domanda sulla fuga «dall’ira imminente» (in 3,7), e dal «giudizio della Geènna» (in 23,33). Alla fine della prima sottosezione di A, Gesù chiama due coppie di fratelli, che «avendo lasciato» le loro forme di sicurezze «lo seguono» (4,20.22). All’inizio della sottosequenza centrale di E1, proprio Pietro dichiara, con gli altri, di «aver lasciato tutto» e di «aver seguito» Gesù (19,27). In realtà, questo filo rosso della sequela è sviluppato in tutte le sottosezioni di A come di E. Nel passo precedente di E1, in 19,21, Gesù aveva chiesto al «giovane» (19,20) di «vendere» le sue sostanze e di «darle ai poveri», per avere «un tesoro nei Cieli», e di «seguirlo»; a questa richiesta tuttavia «il giovane partì rattristato» (19,22). Questo passo è in chiara corrispondenza con le condizioni della sequela in 8,18-23 (in A10, nella terza sottosezione di A), e in antitesi con la risposta di Matteo che al contrario del giovane lascia «il telonio» (9,9). Allo stesso tempo, 21 Per una maggiore chiarezza: si prenderanno in questo paragrafo in esame sostanzialmente alcune relazioni che la prima sottosezione di A intrattiene con la prima di E, così come l’ultima sottosezione di A con l’ultima di E. 22 A livello di termini, allora, c’è una corrispondenza tra il vocabolario della «conversione» (gr. metanoia, cfr. 3,8) e del «pentimento» (verbo gr. metamelomai, cfr. 21,29.32). 23 L’espressione ricorre anche in 12,34, alla fine della prima sottosezione di C.

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nella terza sottosezione di E (alla fine di E7), proprio i dodici, «avendo lasciato» Gesù nel momento della sua prova finale, «fuggirono» (26,56). Nella terza sottosezione di A, all’inizio della sequenza A9, «un centurione» (8,5) ottiene da Gesù, per la sua «fede così grande» (8,10) la guarigione del suo servo. Pure alla fine della terza sottosezione di E, è «il centurione» e «quelli che con lui facevano la guardia a Gesù» che confessano Gesù «Figlio di Dio» (27,54). In questo modo, la figura e la fede del pagano si trovano nella prima sezione e in chiusura del Vangelo, al momento fondamentale della crocifissione. In realtà, a un’attenta visione quello del rapporto tra Gesù e le Nazioni è un filo rosso che intesse le quattro sottosezioni narrative (tra A ed E) in maniera complessiva: in 2,1-12 i Magi riconoscono il «generato Re dei Giudei» (A1); in 4,12-17 Gesù è «luce» nella «Galilea delle Nazioni» (A3); in 8,11 egli stesso proclama che «molti da oriente e occidente verranno e siederanno con Abramo, e Isacco, e Giacobbe nel Regno dei Cieli» (A9); nelle parabole della sequenza E2 (cfr. 21,33-44 e 22,1-14) egli annuncia l’ingresso delle Nazioni nell’elezione; infine, in 26,28 Gesù istituisce il calice del suo «sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati» (E7). Nella sequenza centrale A10, Gesù fa riferimento ai «giorni quando sarà tolto lo sposo» (9,15). Questi giorni cominciano soltanto nella terza sottosezione di E: in 27,1 infatti, «avvenuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo presero consiglio contro Gesù per farlo morire» (E8). In 9,36, alla fine della sottosezione A, Gesù guarda le folle con compassione, giacché erano «come pecore non aventi pastore». Ora, proprio all’inizio dell’ultima sottosezione di E, in 26,31, lo stesso Gesù riprende l’immagine dalla Scrittura (Zac 13,7): «È stato scritto infatti: percuoterò il pastore, e saranno disperse le pecore del pastore» (E7)24. 2. RAPPORTI INCROCIATI TRA LE SOTTOSEZIONI25 Nel primo passo della prima sottosezione di A, l’angelo rivela a Giuseppe il significato del nome e della missione del Messia: «egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati» (A1: 1,21). Nella sottosequenza centrale della terza sottosezione di E, durante la Cena, le parole del Calice, come visto, chiariscono ulteriormente questa missione: «Questo è il sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati» (E7: 26,28)26. 24

Complessivamente, il Quarto canto del Servo (Is 52,13–53,12), contesto capitale per il Primo Vangelo, è annunciato esplicitamente sin dall’inizio della terza sottosezione di A (in 8,17: «Egli le nostre infermità prese e le malattie si caricò»; cfr. Is 53,4) e sarà ripreso lungo tutta la terza sottosezione di E, nei Racconti della Passione. 25 Al contrario, in questo secondo paragrafo, saranno esaminate le relazioni tra la prima sottosezione di A e l’ultima di E, come tra l’ultima di A e la prima di E. 26 Si tratta del passo centrale della sottosequenza centrale di E7. In A1, invece, del primo passo della sequenza. Si trovano, in ogni modo, entrambi nella prima sequenza delle relative sottosezioni. Il tema del perdono dei peccati legato alla missione e alla persona di Gesù appare complessivamente anche nelle altre sottosezioni: in 9,6, nel passo centrale di A10 Gesù dichiara di

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In 4,6-7, al centro della terza sequenza di A3, il diavolo forza la Scrittura per indurre Gesù a buttarsi giù dal pinnacolo: «È scritto: ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché non inciampi sulla pietra il tuo piede». Gesù «non mette alla prova» Dio né in questa occasione, né al momento della sua cattura, in 26,53-54, alla fine della sequenza E7, dove la tentazione sembra ripetersi: «O reputi che io non possa invocare il Padre mio, che metterebbe accanto a me adesso più di dodici legioni di angeli? Come dunque si compirebbero le Scritture, che così deve avvenire?». Una corrispondenza simile avviene ancora tra le parole del diavolo, nella prima e nella seconda delle tentazioni («Se tu sei Figlio di Dio […]», 4,3.6), e la richiesta del sommo sacerdote, nella prima sottosequenza di E8: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio» (26,63). Questa domanda è ancora più evidente sotto la croce, al centro della sequenza successiva, in E9: «Salva te stesso, se Figlio sei di Dio, e scendi dalla croce» (27,40). Come i magi, nel passo centrale della sequenza A1, cercano «il Re dei Giudei che è nato» (2,2), così anche Pilato, nel passo centrale della terza sottosequenza di E8, chiede a Gesù: «Sei tu il Re dei Giudei?» (27,11). La moglie di Pilato, nella medesima sottosequenza, riporta al marito il suo tormento a causa di Gesù, avvenuto «in sogno» (27,19). Ora, nella prima sottosezione di A, è Giuseppe a ricevere «in sogno», a riguardo di Gesù, ogni volta le istruzioni per poterlo salvare (1,20; 2,13.19.22)27. Tra la terza sottosezione di A e la prima di E appaiono i riferimenti nei confronti di «Mosè» e di quanto ha prescritto: in A9 Gesù chiede al lebbroso purificato di «presentare l’offerta prescritta da Mosè» (8,4); in E1 i farisei gli chiedono del «libello di ripudio» «ordinato» da «Mosè» (19,3.7-8); in E3, invece, sono i Sadducei ad addurre una prescrizione di Mosè per dimostrare che non c’è resurrezione (22,24: «Maestro, Mosè disse: “Se un uomo muore non avendo figli, suo fratello sposerà la sua donna e susciterà una discendenza a suo fratello»). Nella sottosequenza centrale di A10, Gesù con i suoi discepoli «sedevano a mensa» con «molti pubblicani e peccatori», destando lo scandalo dei farisei (9,10-11); così, nella sottosequenza centrale di E2, Gesù afferma che «i pubblicani e le prostitute», credendo a Giovanni e «pentendosi», si sono resi disponibili per la salvezza, e perciò «passano avanti nel Regno di Dio» (21,31-32).

avere «autorità sulla terra di perdonare i peccati». Nella terza sottosequenza di E1, in 20,28, Gesù dichiara di essere venuto «per servire e dare la sua vita in riscatto (in gr. l’accusativo lytron) per molti». A ben vedere, da un punto di vista formale e di logica, 9,6 e 26,28 trattano il tema del «perdono dei peccati», mentre 1,21 e 20,28 della «salvezza» del popolo e del «riscatto» per le moltitudini, le Nazioni. In ogni modo, lo sviluppo da una sottosezione all’altra sembra abbastanza chiaro. 27 Anche i magi, nel passo centrale di A1, sono «avvertiti in sogno di non tornare da Erode» (2,12). Il termine greco, per i differenti riferimenti, è lo stesso: kat’onar.

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3. ALTRE SIMMETRIE PARZIALI TRA LE SOTTOSEZIONI Alla fine della prima sottosezione di A, dopo che Gesù «guarì» coloro che erano segnati da varie forme di malattia, le «molte folle lo seguirono dalla Galilea e dalla Decàpoli, e da Gerusalemme e dalla Giudea e oltre il Giordano» (4,25). Per un movimento contrario, all’inizio della prima sottosezione di E, è Gesù che «venne nei confini della Giudea, oltre il Giordano», e anche lì «lo seguirono molte folle, ed egli li guarì là» (19,1). Così, alla fine della terza sottosezione di A, come all’inizio della prima sottosezione di E, rispettivamente in A11 e in E1, si trova la guarigione di «due ciechi» (9,27-31 e 20,29-34). Al momento del Battesimo, nel primo passo della sequenza A3, la voce dichiara di Gesù: «Questo è il Figlio mio, l’Amato» (3,17). Così alla fine della sequenza E9, il centurione e i presenti dichiarano del Crocifisso: «Veramente costui era Figlio di Dio» (27,54). Queste espressioni simili si trovano nella prima sottosezione di A e alla fine della terza sottosezione di E: sono termini estremi a distanza28. IV. DA UNA SEZIONE MAGGIORE ALL’ALTRA: LE SEZIONI A, C ED E 1. TRA LA PRIMA SOTTOSEZIONE DI C E LE ALTRE SOTTOSEZIONI NARRATIVE Nella prima sottosequenza di C1 (11,1-19), riappare la figura di Giovanni il Battista che fino ad ora aveva segnato la sequenza A2 (3,1-12), centrale per la prima sottosezione di A. Alla domanda di Gesù sull’uomo «vestito con abiti di lusso» (11,8) si oppone il reale aspetto di Giovanni in A2: «Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura attorno ai fianchi» (3,4). La Scrittura in A2 lo ha definito come «voce di uno che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore (gr. etoimasate tēn hodon kyriou), raddrizzate i suoi sentieri”» (3,3). Gesù, citando ancora la Scrittura, identifica Giovanni in C1 come «colui del quale è scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, colui che davanti a te preparerà la tua via» (11,10; gr. hos kataskeuasei tēn hodon sou emprosthen sou). La sottosequenza iniziale di C contiene anche un riferimento sintetico dell’operato di Gesù nella sottosezione precedente sui miracoli, la finale di A (A9–A11): «i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti resuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (11,5). L’autore le ha precedentemente definite «opere del Messia» (11,2). In realtà, la figura di Giovanni, e il suo «battesimo», ricompaiono nuovamente nella sottosequenza centrale di E2 (21,18-32), sequenza a sua volta centrale per la prima sottosezione di E: «Il Battesimo di Giovanni da dove era? Dal cielo o 28 Bisognerebbe qui riprendere anche quanto evidenziato nei rapporti e negli sviluppi che il Prologo e l’Epilogo hanno con le altre sezioni: nella prima sottosezione di A e alla fine di E appaiono infatti i personaggi di «Giuseppe» e «Maria», alla nascita del Messia (1,18-25), come di «Giuseppe da Arimatea» e «Maria Magdalena», alla sua morte (27,55-61).

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dagli uomini?» (21,25); e: «Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto» (21,32)29. Nella terza sottosequenza di C1 (12,1-14), come nella terza sottosequenza di A10 (9,9-17), due espressioni identiche si corrispondono, creando un legame forte tra le sottosezioni (si tratta di termini medi a distanza): 9,13

Andando imparate MISERICORDIA IO VOGLIO,

cosa significhi: E NON SACRIFICI.

12,7

Se aveste conosciuto MISERICORDIA IO VOGLIO, non avreste condannato

cosa significhi: E NON SACRIFICI, persone senza colpa.

Da notare, se la citazione scritturistica è identica, nella terza sottosezione di A Gesù chiede di «andare a imparare», mentre nella prima sottosezione di C egli stesso constata: «Se aveste compreso» (si tratta di una progressione cronologica al negativo dall’una all’altra)30. Nella breve sequenza centrale C2 (12,15-21), «molte folle seguirono» Gesù, «ed egli li guarì tutti» (12,15). Queste espressioni iniziali si ripresentano nelle sottosezioni estreme di A, rispettivamente alla fine di A3 (4,24-25: «[…] e guarì loro. E lo seguirono molte folle dalla Galilea e dalla Decàpoli, e da Gerusalemme e dalla Giudea e da oltre il Giordano»); e all’inizio di A9 (8,1: «Essendo sceso egli dal monte, lo seguirono molte folle»)31. All’inizio della prima sottosequenza di C3 (12,22-30), Gesù guarisce un indemoniato cieco e muto» (12,22), come alla fine della sequenza A11, «un indemoniato muto» (9,32-33). La guarigione, in entrambi i casi, suscita lo stupore della folla e la medesima reazione critica dei Farisei. Si tratta ancora di termini finali a distanza, posti nelle unità conclusive di ciascuna sottosezione:

29 Da un punto di vista formale, questi legami tra la prima sottosezione di C e le prime sottosezioni di A ed E sono alquanto pertinenti: si tratta rispettivamente di legami tra i centri di sottosezioni (A2 ed E2) e un’unità estrema dell’altra (C1), tutte nel primo versante di una delle sezioni maggiori del Libro. Ciò significa anche che Giovanni ha, nel Vangelo di Matteo, un ruolo alquanto significativo. 30 In 9,13: poreuthentes de mathete ti estin; in 12,7: ei de egnōkeite ti estin. 31 Così anche all’inizio della prima sottosezione di E, in 19,2: «E lo seguirono molte folle, ed egli li guarì là».

342

La composizione del Vangelo di Matteo A11, terzo passo (9,32-38)

Essendo usciti loro, ecco portarono a lui un uomo muto indemoniato. 33 E mandato fuori IL DEMONIO parlò il muto. E si meravigliarono LE FOLLE dicendo: «Mai apparve così in Israele». 34 : «Per mezzo del CAPO DEI DEMONI scaccia I DEMONI». 32

C3, prima sottosequenza (22,22-30) Allora gli fu portato un indemoniato, cieco e muto, e lo guarì, cosicché il muto parlava e vedeva. 23 TUTTE LE FOLLE erano stupite e dicevano: «Che non sia costui il Figlio di Davide?». 22

: «Costui non scaccia I DEMÒNI se non per mezzo di Beelzebùl, CAPO DEI DEMÒNI». 25 Egli però, avendo saputo i loro pensieri, disse loro: «Ogni regno diviso in se stesso è in rovina e ogni città o casa divisa in se stessa non starà in piedi. 26 E se SATANA scaccia SATANA, è diviso in se stesso; come dunque starà in piedi il suo Regno? 27 E se io scaccio I DEMÒNI per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. 28 Se però io scaccio I DEMÒNI per mezzo dello Spirito di Dio, allora è giunto a voi il Regno di Dio. 29 O come può qualcuno entrare nella casa del forte e rapinare i suoi beni, se prima non lega il forte? E allora saccheggerà la sua casa. 30 Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde.

24

Il passo centrale della sequenza C3 (12,31-37) corrisponde al passo finale della sequenza A2 (3,7-12). Per entrambi, si tratta del «frutto buono» o «malvagio» «dell’albero» (3,10; 12,33) e del «giudizio» (12,36) che incombe su di essi. Inoltre, nel passo di A2, Giovanni indica Gesù come colui che battezza «in Spirito Santo e fuoco» (3,11), mentre nel passo centrale di C3, è Gesù che parla della «bestemmia contro lo Spirito» che «non sarà perdonata» (12,31). Nella sequenza C1, alla fine della sottosequenza centrale (11,20-30), il «giogo» di Gesù, definito «dolce» e il suo «peso leggero» (11,30), si contrappone a quello di «scribi e Farisei», all’inizio della terza sottosequenza di E3 (23,1-39): essi infatti, «legano carichi pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle degli uomini, ma essi non vogliono muoverli neppure con il loro dito» (23,4)32. Ancora alcune espressioni segnano l’inizio e la fine delle sottosezioni di riferimento. All’inizio di C1, Gesù proclama beato «chi non è scandalizzato» di lui 32

Il «giogo» leggero di Gesù deve essere letto nella linea di significato propria della metafora agricola: potrebbe infatti richiamare l’immagine dello svezzamento del piccolo bue. Il giogo era appoggiato sulle sue spalle per abituarlo gradualmente al suo peso, ma era quasi completamente sollevato dal bue adulto che gli era affiancato. Al contrario, scribi e Farisei, caricano la fatica della Legge sulle spalle altrui, ma loro non fanno neppure il minimo sforzo per condividerne una parte del peso. L’immagine può essere completata, nell’aggancio retorico con la terza sottosezione di E, dalla figura di Simone di Cirene, il quale «è costretto a portare la croce di Gesù» (E9: in 27,32).

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(11,6). Così, alla fine della prima sequenza della terza sottosezione di E, egli dichiara che tutti i suoi discepoli «saranno scandalizzati» nella notte del tradimento (E7: in 26,31). Si tratta di espressioni che segnano l’inizio delle due sottosezioni di riferimento. In 11,1 e in 19,1 compare la formula di passaggio stereotipata che segna la fine di uno dei Discorsi e l’inizio di una unità narrativa33. Per entrambe poi, Gesù è in movimento da una regione all’altra. Si tratta di termini inziali tra la prima sottosezione di C e la prima di E: 11,1

PARTÌ DI LÀ

per insegnare e predicare nelle loro città.

19,1

ANDÒ VIA DALLA

GALILEA e venne nella regione della Giudea, al di là del

Giordano.

Ancora, in 11,1 Gesù si muove «per insegnare e predicare NELLE LORO CITTÀ». In 9,35, alla fine della terza sottosezione di A, «Gesù percorreva TUTTE LE CITTÀ e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il Vangelo del Regno, e guarendo ogni malattia e ogni debolezza». Si tratta, evidentemente, di termini medi tra le due sottosezioni34. 2. TRA L’ULTIMA SOTTOSEZIONE DI C E LE ALTRE SOTTOSEZIONI NARRATIVE All’inizio della terza sottosezione di C, compare nuovamente «Giovanni il Battista» (14,2.3.4.8.10): nel passo centrale di C6 (14,1-2) è Erode che ritiene Gesù essere «Giovanni il Battista» «risorto dai morti» (14,2), mentre nell’ultimo passo è narrata la storia del suo martirio (14,3-12). Tale figura, ormai cardinale per il Primo Vangelo, riapparirà ancora nella sequenza C9, alla domanda dei discepoli su «Elia che deve venire» (17,9-13)35. Gesù è riconosciuto «Figlio» all’interno della sequenza C7 (dai discepoli, in 14,33) e all’interno della sequenza E9 (dal centurione sotto la croce, in 27,54). Al contrario, all’inizio della terza sottosezione di E, sarà lo stesso Pietro a

33

A questa si può aggiungere 26,1 con cui comincia la terza sottosezione di E. La menzione del «Figlio di Davide» sulle labbra della folle e delle due coppie di «ciechi» (9,27; 12,23; 20,29-34), segnano anche la finale di altre tre sottosezioni: l’ultima di A e la prima di C e di E rispettivamente. 35 Complessivamente, si può guardare finalmente alla posizione di Giovanni nella composizione dell’intero Vangelo di Matteo: egli appare al centro della prima sottosezione di A (A2) e al centro della prima sottosezione di E (E2: in 21,23-27, il suo «battesimo»; quindi in 21,32); poi all’inizio della prima e della terza sottosezione di C (C1: 11,2 e C6: 14,3-12). Se si considerano anche i riferimenti meno diretti alla sua figura e a quella dell’Elia escatologico, compare anche nella terza sottosezione di A (A10: «i discepoli di Giovanni» in 9,14), e ancora alla fine della terza sottosezione di C (C9: 17,9-13), alla fine della terza sottosezione di E (E9: Gesù sembra chiamare «Elia» sulla croce, in 27,47). Giovanni e la sua missione sono dunque presenti in tutte le sottosezioni narrative delle sezioni maggiori del Vangelo. 34

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La composizione del Vangelo di Matteo

«rinnegare tre volte» Gesù, «prima del cantare del gallo» (E8: in 26,69-75; in E7 Gesù aveva annunciato a Pietro lo stesso rinnegamento, cfr. 26,34-35)36. Due passi molto affini sono presenti rispettivamente nella sequenza C7 (in 14,24-33) e nella sequenza A10 (in 8,24-27). In entrambi, infatti, Gesù è con i discepoli sulle acque; i passi riguardano concretamente la loro «poca fede»: dei discepoli insieme (8,26), e di Pietro in modo particolare (14,31). A10: 8,23-27 23

Salito sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. 24 Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva. 25 Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». 26 Ed egli disse loro: «PERCHÉ AVETE PAURA, POCHI DI FEDE?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia. 27 Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?».

C7: 14,24-33 24

La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25 Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26 Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27 Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 28 Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». 29 Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30 Ma, vedendo che il vento era forte, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31 E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «POCO DI FEDE, PERCHÉ HAI 32 DUBITATO?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33 Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

Da notare, se nella sottosezione di A i discepoli si chiedevano «chi fosse» Gesù (8,27), nella terza sottosezione di C, come visto, confessano apertamente che egli è il «Figlio di Dio» (14,33). Anche il breve passo centrale della sequenza C8 (15,29-31), sembra riprendere e riassumere l’intera prima sottosezione di A: Gesù «sale sul monte», attorno a lui si radunano «molte folle» (15,29-30, cfr. 5,1 e 8,1) ed egli guarisce molti malati (così nell’intera terza sottosezione di A). Come in 9,8 e in 9,33, anche qui le folle «stupiscono» nel «vedere» le guarigioni di Gesù, e «lodarono 36

La scena della confessione in C9 e quella del rinnegamento in E8, perciò, si oppongono. Nella prima sottosezione di A, al centro di A3 (4,10), Gesù aveva allontanato «il diavolo» con parole molto simili a quelle con cui allontana Pietro nel passo successivo alla sua confessione, in 16,23: «Va’ via, Satana!» (4,10; gr. hypage Satana); e: «Va dietro a me, Satana!» (16,23; gr. hypage opisō mou Satana).

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il Dio d’Israele» (15,31, cfr. 9,8: «glorificarono Dio che dà autorità simile agli uomini»)37. Alla fine della sottosezione (rispettivamente nelle sottosequenze estreme di C9: 16,13-23 e 17,1-13) Gesù è confessato da Pietro (16,16) e dalla «voce» del Padre (17,5). Quest’ultima confessione riprende evidentemente le parole della stessa «voce» al momento del Battesimo, in A3 (3,17)38, mentre le parole di Pietro ritorneranno nella sequenza E8, sulle labbra del sommo sacerdote: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio» (26,63). La «fede» è ancora una tematica fondamentale tra i passi centrali delle sequenze della terza sottosezione di A (A9–A11) e le estremità delle sequenze C7 e C1039:

A9–A11 (8,1–9,38)

C7 (14,24-33); C10 (17,14-20)

Avendo ascoltato Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «Amen, dico a voi: in Israele non ho trovato nessuno con UNA FEDE COSÌ GRANDE!» (A9: 8,10).

E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «POCO DI FEDE, perché hai dubitato?» (C7: 14,31).

Gesù, vedendo LA LORO FEDE, disse al paralitico: «Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati!» (A10: 9,2).

Allora i discepoli si avvicinarono a Gesù, in disparte, e gli chiesero: «Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?». Ed egli rispose loro: «PER LA VOSTRA POCA FEDE. Amen, infatti dico a voi: se avrete FEDE PARI A UN GRANELLO DI SENAPE, direte a questo monte: “Spostati da qui a là”, e si sposterà e nulla vi sarà impossibile» (C10: 17,19-20).

Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi SECONDO LA VOSTRA FEDE» (A11: 9,29)

Nella sottosezione di A la «fede» procura agli interlocutori di Gesù la guarigione, mentre nell’ultima sottosezione di C riguarda, negativamente, i discepoli. Ora, in E2, nella prima sottosezione di E, un altro logion sulla fede corrisponde molto da vicino a quello del primo passo di C10 (17,19-20). Si tratta di una simmetria che aggancia le due sottosezioni a distanza: Avendo risposto, Gesù disse loro: «Amen, dico a voi: se avete fede e non dubitate, non solo quello del fico farete, ma anche se a questo monte direte: “Sollevati e gettati nel mare”, avverrà! E tutte le cose che chiedete nella preghiera credendo, riceverete!» (21,21-22). 37 In realtà, anche in 13,53-58, all’inizio di C6, «la sapienza e i prodigi» di cui si parla nella sinagoga della «sua patria» sono chiaramente riferiti alle parole e alle opere apparse nella prima sezione del Vangelo. 38 Le parole della voce in 3,17 e 17,5 sono identiche («Questi è il Figlio mio, l’amato, in cui ho compiaciuto»): sul monte, tuttavia, si deve sottolineare l’aggiunta del comando per i discepoli, «ascoltatelo» (gr. houtos estin ho hyios mou ho agapētos en hoi eudokēsa akouete autou). 39 Per queste due sequenze, si tratta del quarto passo di C7 (14,24-33) e del primo passo di C10 (17,14-20).

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La composizione del Vangelo di Matteo

Agli estremi della terza sottosezione di C, nel primo passo di C6 (13,53-58) e nel terzo passo di C10 (17,24-27), ritorna il motivo dello «scandalo» (in 13,57 è il passivo eskandalizonto, in 17,27 è il congiuntivo attivo skandalisōmen). Il verbo, in realtà, appare anche nella sequenza centrale, la C8, in 15,12 nei riguardi dei Farisei (gr. eskandalisthēsan). Al centro di E7 (la sottosequenza 26,20-35), Gesù annunciava l’inciampo anche per gli stessi discepoli: «Tutti voi sarete scandalizzati per me questa notte» (26,31; gr. skandalisthēsesthe). Infine, ancora alcune espressioni segnano la fine e l’inizio delle sottosezioni di riferimento40: in 13,53 e in 19,1 la formula stereotipata di passaggio segna gli inizi della terza sottosezione di C e della prima di E. Si tratta evidentemente di termini iniziali. Ancora una volta, un movimento di Gesù è disegnato nella proposizione principale a cui tali formule sono legate: 13,53-54

Gesù ANDÒ VIA DI LÀ. Ed essendo venuto nella sua patria, insegnava loro nella loro sinagoga.

19,1

ANDÒ VIA DALLA

GALILEA e venne nella regione della Giudea, al di là

del Giordano.

V. I CINQUE DISCORSI DEL MESSIA E LA NUOVA ALLEANZA Giunti a livello del Libro, nella visione d’insieme, sarà utile guardare anche alla dinamica intessuta dai Discorsi. In particolare, servirà notare dapprima le relazioni tra i tre Discorsi posti al centro delle sezioni maggiori del Vangelo. In un secondo momento, si porrà l’attenzione sulla relazione che i due discorsi di rilegatura (le sezioni B e D) svolgono in relazione a questi tre discorsi come anche alle sezioni intere di cui fanno parte. 1. I DISCORSI ALL’INTERNO DELLE TRE SEZIONI MAGGIORI 1.1 L’INIZIO E LA FINE NEI DISCORSI Come già Keegan aveva fatto notare41, anche all’inizio dei Discorsi appare una terminologia distintiva particolare. Per l’analisi retorica biblico-semitica, si deve osservare come questa terminologia, ma anche altre caratteristiche poste all’incipit e alla conclusione delle unità discorsive, abbiano un certo peso nel riconoscimento della logica del Libro. 40 Altre ricorrenze formali sono già state analizzate al punto 2 di questo capitolo (cfr. p. 329): si tratta dell’invocazione della donna siro-fenicia in 15,22 che riecheggia quello dei «due ciechi» (9,27; 20,30-31), e degli annunci della Passione che si trovano all’interno delle sequenze C9–C10 (16,21;17,12.22) e in E1 (20,17-19). Al centro di C7, Gesù «salì sul monte, in disparte, a pregare» (14,23). Questa immagine è ripetuta drammaticamente nella prima sequenza della terza sottosezione di E (E7: in 26,36-46), nel Getsemani, al momento in cui «il Figlio dell’Uomo è consegnato in mano ai peccatori» (26,45). 41 T.J. KEEGAN, «Introductory Formulae».

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Nei tre Discorsi delle sezioni maggiori, Gesù compare sempre «seduto», postura abituale per i maestri durante il servizio sinagogale (5,1; 13,1.2; 24,3)42: nei due Discorsi delle sezioni estreme, egli è «sul monte», mentre nel discorso della sezione centrale è «presso il mare», poi «su di una barca». Viene a crearsi così una opposizione tra il primo e l’ultimo Discorso insieme e quello della sezione centrale43. Anche coloro ai quali i tre Discorsi sono rivolti si avvicendano secondo una progressione che procede da un versante all’altro del Libro. Nel Discorso della Nuova Alleanza, Gesù sembra rivolgersi contemporaneamente alle «folle» che ha «visto» venire da lui, e ai «suoi discepoli» (5,1)44. Nel Discorso enigmatico sul Regno sono all’inizio «molte folle» che «si radunarono» attorno a lui (13,2), ed è particolarmente per loro che egli «parla con parabole» (13,13). Tuttavia, nella seconda sequenza del discorso, in C5, «congedata la folla», sono i «discepoli» che «si avvicinarono a lui», «in casa», per chiedere la spiegazione della Parabola della zizzania (13,36). La restante parte del Discorso, infatti, è rivolta esclusivamente a loro. Infine, nel Discorso del Compimento del Tempo, Gesù è «in disparte» con «i discepoli» che si «avvicinarono a lui» ancora una volta (24,1.3). Dunque, è solo per essi che Mt 24–25 è pronunciato. Perfino la natura dei discorsi sembra seguire una certa logica di focalizzazione verso la figura dei discepoli. Il Discorso della Nuova Alleanza è un insegnamento. Il suo carattere didattico e programmatico lo rende il discorso fondante e fondamentale di Gesù nel Vangelo. Lo suggerisce ancora l’incipit (5,2): «E avendo aperto la sua bocca, insegnava loro dicendo (gr. edidasken autous legōn)». Nessuno degli altri Discorsi del Vangelo sarà specificatamente delineato da questo verbo, caratteristico dell’azione pedagogica e sapienziale del maestro. Il discorso centrale invece è di carattere enigmatico, intessuto quasi interamente dal genere peculiare della parabola (13,3a): «Egli parlò loro molte cose in parabole dicendo (gr. elalēsen autous polla en parabolais legōn)». L’ultimo, infine, è occasionato dai discepoli, ma allo stesso tempo è pronunciato in 42 Luz, I, 303. È chiaro che la semantica dei verbi utilizzati voglia stimolare anche l’attenzione necessaria. Il lettore o l’ascoltatore è così preparato per quello che dovrà seguire. In 5,1 il verbo greco è l’attivo kathizō, mentre in tutte le altre occorrenze è il medio kathēmai. 43 «È probabile che all’espressione anabainō eis to oros si ricolleghino associazioni all’ascesa di Mosè sul Sinai (Es 19,3.12; 24,15.18; 34,1 s.4) […] Chiaro è solo il riferimento alla storia di Israele: ora Dio – tramite Gesù – parlerà di nuovo, in modo decisivo, a Israele, come allora sul monte Sinai» (Luz, I, 303). Per i due Discorsi di A ed E sembra importante sottolineare questo carattere rivelativo legato al contesto della Prima Alleanza, che si realizza escatologicamente nella Nuova per mezzo di Gesù. Il Discorso enigmatico rivolto alle folle sul «mare» e poi ai discepoli «in casa» (13,36) sembra sviluppare il carattere divulgativo e insieme enigmatico della predicazione e dell’avanzamento del Regno. Il mare è il luogo della pesca (4,18), e indica probabilmente l’apertura universale del Regno di Dio ma, allo stesso tempo, la necessità di accoglierlo (13,10-17; 13,47-50). 44 Il pronome autous in 5,2 sembrerebbe riferirsi ai soli «discepoli» che in 5,1 «si avvicinarono» a Gesù. E tuttavia, alla fine del Discorso «le folle erano stupite del suo insegnamento» (7,28), cosa che rende evidente la loro partecipazione all’insegnamento appena pronunciato.

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La composizione del Vangelo di Matteo

privato, solo per loro: il carattere è ancora quello della rivelazione e della riservatezza (24,3; gr. kat’idian). Si tratterebbe allora di una somiglianza con il genere biblico dell’apocalisse, in cui la rivelazione è interpretata o mediata da un messaggero celeste e confidata a una persona sola o a un gruppo ristretto che ha il compito di custodire e testimoniare il messaggio divino. Tuttavia, gli ultimi due discorsi non mancano di sviluppare anche un carattere propriamente didattico, iniziato come visto nel primo: alla fine del Discorso enigmatico Gesù domanderà ai suoi discepoli se hanno «compreso tutte queste cose» (13,51), rivelando la grandezza dello scriba-discepolo, mentre al centro del Discorso del compimento, lì dove appaiono ancora le parabole, più volte Gesù ha invitato i suoi a «conoscere tutte queste cose/questo» (24,33.43). Sorprendente è anche la simmetria di progressione che caratterizza la fine di ciascun discorso. Alla fine del Discorso dell’Alleanza, «le folle erano stupite del suo insegnamento». Gesù qui è descritto come un maestro che ha «autorità», non come gli altri «scribi» del popolo (7,28-29). Perciò, alla fine del Discorso della Nuova Alleanza egli appare come uno scriba del tutto particolare, completamente sui generis. Il suo insegnamento delinea per lui un profilo maggiore di quello di uno scriba d’Israele: egli ha sancito l’insegnamento della Torah, non semplicemente commentandola, ma compiendola e interpretandola con autorità escatologica, manifestandola realmente come Parola definitiva e completa. Alla fine del Discorso enigmatico, Gesù si è rivolto ai suoi discepoli. Le folle non sono più presenti. Se loro hanno compreso il parlare in enigmi sul Regno, e ne hanno accolto la sfida, diventeranno a loro volta «scribi-discepolati al Regno dei Cieli», capaci di «tirare fuori cose nuove e cose antiche» (13,52)45, anzi, somiglieranno addirittura al «padrone di casa» (cfr. 10,25; 21,33; 24,43). I discepoli, al centro del Libro, sono dunque inseriti in una catena tradente che, iniziata da Mosè in quanto primo mediatore della Torah, si è compiuta in Gesù e proseguirà poi con loro nel futuro. Alla fine del Discorso sul Compimento, nessuna conclusione particolare sembra prospettarsi. Il racconto della Fine si chiude con «quelli alla sinistra» che vanno «al supplizio eterno», mentre «i giusti alla vita eterna» (25,46). Il lettore/ascoltatore ha però potuto comprendere come «i giusti» che riceveranno la benedizione finale del Regno proverranno da «tutte le Nazioni» e saranno propriamente quelli che hanno praticato la vera «giustizia», «dando da mangiare e da bere», «vestendo», «accogliendo», «visitando» i fratelli in umanità (25,35-36). Il Discorso, ovviamente, invita principalmente loro, i discepoli (presenti e futuri), a entrare in questa categoria: precedentemente, infatti, lo stesso Gesù li ha esortati a «perseverare fino alla fine» (24,13) e a «vegliare», non conoscendo «né il giorno, né l’ora» (24,42; 25,13). Se ascolteranno il maestro, e il suo messaggio escatologico, saranno loro i «benedetti dal Padre», quelli che hanno servito e atteso il loro Signore nell’amore. 45

Formalmente, allora, sia il discorso centrale, che quello della prima sezione, si chiudono con un termine finale identico: «scribi/scriba».

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Alla fine dell’ultima parabola del discorso centrale, il termine «giusti» era già apparso, anche lì con un senso prettamente escatologico. Erano paragonati allo sfolgorare del sole: «Allora i giusti splenderanno come il sole nel Regno del Padre loro» (13,43)46. Ora, in un altro libro della Prima Scrittura, di indole apocalittico, questa immagine ritorna con la medesima efficacia. Qui il giusto è mirabilmente affiancato alla figura del saggio, di «quelli che comprendono» e insegnano agli altri a vivere nelle vie del bene: Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. Coloro che comprendono risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre. Ora tu, Daniele, chiudi queste parole e sigilla questo libro, fino al tempo della fine: allora molti lo scorreranno e la loro conoscenza sarà accresciuta (Dn 12,2-4).

In LXX sono hoi synientes, «coloro che comprendono» (Dn 12,3): essi «avranno indotto molti alla giustizia», attraverso la loro «comprensione» (cfr. synēkate, in Mt 13,51!). La tradizione ebraica rivela un legame indissolubile tra il momento della recezione della saggezza e la sua pratica per mezzo della pratica delle opere di giustizia e dell’insegnamento. Si dovrebbe allora riflettere se anche per il Vangelo di Matteo i termini e le figure a cui guardano complessivamente la fine dei Discorsi non debbano agganciarsi tra loro, nella costruzione del senso finale del Libro. Ai «discepoli» in 13,51 veniva chiesto se avessero «compreso» le parabole e ricevevano il mandato per essere «scribi discepolati al Regno», saggi nelle cose «nuove e antiche» (13,52). Ora, in 25,31-46, sono rimandati alla realizzazione della vera giustizia, nell’attesa di splendere come astri, alla fine del Tempo. La figura del «discepolo», dello «scriba» e del «giusto» si rievocano; forse è ragionevole domandarsi se non debbano addirittura combaciare47. 1.2 RELAZIONI FORMALI TRA I DISCORSI DELLE SEZIONI ESTREME All’inizio del Discorso della Nuova Alleanza, sono proclamati beati «i perseguitati per causa della giustizia» (5,10-11). Allo stesso modo, nel Discorso del Compimento del Tempo, Gesù annuncia ai discepoli che «saranno consegnati alla tribolazione» e «uccisi», e «odiati da tutte le Nazioni a causa del suo nome» (24,9). Si tratta di termini iniziali a distanza per le due sottosezioni.

46 Nuovamente, la fine di questi altri due Discorsi è segnata dalla ripetizione di un termine identico: proprio i «giusti». In realtà, anche il Discorso della Nuova Alleanza aveva come elemento essenziale quello della pratica di una «giustizia più grande» (cfr. 5,20, ma anche 5,6.10; 6,1.33; il termine dikaiosynē apparirà ancora nel Vangelo intero solo due volte, in 3,15 e in 21,32). 47 Ritenendo Dn 12 un contesto biblico adeguato (consapevole o inconsapevole per l’autore del Vangelo) al fine della comprensione della dinamica discepolo-giusti-scriba, la figura dello scriba può essere ancora ripensata nell’immagine del «libro sigillato» che «molti» dovranno «scorrere» per «accrescere la conoscenza» (Dn 12,4).

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La composizione del Vangelo di Matteo

Alla fine del Discorso della Nuova Alleanza, Gesù chiede di «guardarsi dai falsi profeti» (7,15; il verbo gr. è prosechete), avvertimento che ricompare nella prima sequenza del Discorso del Compimento: «vedete che nessuno vi inganni» (24,4b; gr. blepete)48; e: «Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti», «infatti sorgeranno falsi messia e falsi profeti, e daranno grandi segni e miracoli, così da ingannare, se possibile, anche gli eletti» (24,11.24). Si tratta di termini medi tra le due unità. A livello tematico, ancora, si deve pure notare all’interno di questi avvertimenti l’opposizione tra il verbo «riconoscere» (7,20; gr. epiginōskō) e «ingannare» (24,4b.5.11.24; gr. planaō). Alla fine dell’ultimo Discorso, il Figlio dell’uomo ricompensa come «benedetti dal Padre» (25,34) coloro che sono intervenuti nel «dare da mangiare», nel «dissetare», «accogliere», «vestire», «visitare» il Cristo vivo nei «suoi fratelli più piccoli» (25,35-36.40). All’inizio della prima sequenza del Discorso della Nuova Alleanza, sono proclamati «beati» «gli affamati e gli assetati di giustizia» (A4: 5,6) contemplando in essi fame e sete per il compimento della volontà del Padre, mentre nella seconda sequenza Gesù invita direttamente ad «amare» i «nemici» (A5: 5,44; cfr. anche 5,43-48)49. Anche nell’ultima sequenza del Discorso della Nuova Alleanza appare una scena escatologica: nel giorno del giudizio Gesù stesso, in quanto «Signore», dichiarerà «operatori di iniquità» coloro che pur avendo commesso azioni di tipo carismatico («profetare nel suo nome», «scacciare i demoni», «compiere molti prodigi», cfr. 7,22), non hanno «fatto la volontà del Padre» (cfr. 7,21-27). Si tratta di tutta una serie di relazioni e corrispondenze che legano il primo discorso all’ultima sequenza del Discorso del Compimento del Tempo. Si devono probabilmente sottolineare anche la ripetizione di alcuni termini tra le sequenze dei due Discorsi: il verbo «ereditare», nella beatitudine dei «miti» (A4: 5,5) e nella ricompensa dei giusti alla fine dei tempi (E6: 25,34); il verbo «vedere» riferito a Dio nella beatitudine dei «puri di cuore» (A4: 5,8) e alla parusia del «Figlio dell’uomo» davanti a tutte le Nazioni (E4: 24,30); infine, una somiglianza tra il detto sulla «Legge» e sulla «Parola» di Gesù (disegnando perciò una relazione e uno sviluppo importanti tra esse)50 che rimangono e si compiono, pur «passando il cielo e la terra» (cfr. 5,18 e 24,35).

48

Appare subito dopo un verbo sinonimo: «guardate di non allarmarvi» (24,6; gr. horate). In questa sequenza torna più volte il termine «fratello» (5,22.23.24; in 5,47 al plurale), anche nella polarità opposta del «nemico» e del «malvagio» da «amare» (5,39.44). Questa relazione fa presumere che i «fratelli più piccoli» che i discepoli potranno servire, pur non accorgendosi della presenza del Signore in essi, siano davvero tutti gli uomini, i «più piccoli» del Messia. Si tratta di un’esigenza di amore da allargare in maniera universale, per comprendere in essi i più vicini, come «la propria donna» (5,31-32), ma anche i più lontani, quali il «nemico» (5,44). 50 In questa relazione tra le due unità, è dispiegato ulteriormente quel passaggio dalla Legge alla Parola della Nuova Alleanza che il Messia ha insegnato: questa parola è nuova, non annulla la prima, ma la «compie» (5,17). 49

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Alcune simmetrie legano invece il centro di una sottosezione con le unità estreme dell’altra, o viceversa.  Al centro del Discorso della Nuova Alleanza, nella sequenza A6, Gesù chiede di «entrare nella camera» e «chiudere la porta» per pregare il Padre «nel segreto» (6,6). Così, nelle prime sottosequenze di E5, Noè «entrò nell’arca» al momento del diluvio (24,38), come le vergini sagge «entrarono alle nozze» con lo sposo, «e la porta fu chiusa» (25,10).  All’inizio della sequenza A7, nel secondo versante del primo Discorso, il logion del «tesoro» da «accumulare in cielo» (piuttosto che «sulla terra», cfr. 6,19-20) risponde alla Parabola dei «talenti» alla fine della sequenza centrale E5 (25,14-30): lì proprio l’ultimo servo aveva cercato di nascondere il talento ricevuto «scavando la terra» (25,18).  Alla fine del Discorso della Nuova Alleanza, l’uomo «saggio», colui che «ascolta e mette in pratica le parole» di Gesù (7,24) e l’uomo «stolto», colui che «ascolta e non mette in pratica» (7,26), corrispondono al centro del Discorso del Compimento del Tempo al «servo fedele e saggio» (24,45) e al «servo malvagio (e pigro)» (24,48; 25,26), ma anche alle «vergini sagge e stolte» (25,2).  Sempre nella sequenza A8, l’albero che non dà frutto buono è «tagliato e gettato nel fuoco» (7,19). Così, anche per «il servo inutile» alla fine della sequenza centrale E5, si consuma la terribile condanna: «gettatelo nelle tenebre esteriori» (25,30). Complessivamente, nella logica delle due sottosezioni, è possibile notare una relazione di somiglianza davvero pertinente che è concentrata nei centri. Infatti, al centro (ma in generale per tutta quella che si può definire la corrente sotterranea) del Discorso della Nuova Alleanza si trova la relazione fondamentale padre-figli, che delinea e costituisce la relazione tra Dio e i discepoli del Regno (cfr. 6,7-15). Nelle parabole della sequenza centrale del Discorso del Compimento del Tempo, i servi che si dimostrano fedeli parteciperanno, al ritorno del loro signore, della sua stessa autorità e della sua stessa gioia, divenendo simili a lui (cfr. 24,47; 25,21.23). Passano anche loro dallo stato di servi a quello di eredi51. 1.3 RELAZIONI FORMALI CON IL DISCORSO DELLA SEZIONE CENTRALE Al centro della prima sequenza del Discorso enigmatico in riferimento ai «misteri del Regno» (13,11-12), come alla fine della sequenza centrale del Discorso del Compimento del Tempo in riferimento ai «talenti» (25,29), compaiono due logia molto simili di Gesù. Nell’originale greco, l’unica differenza degna di nota è nell’uso del pronome o del participio, indicando entrambi «chiunque/colui che ha/non ha»: 51

Sempre all’interno di E5, compare anche la relazione vergini-sposo (cfr. 25,1-13), anch’essa designando di per sé una dimensione generativa, quella delle nozze celebrate.

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La composizione del Vangelo di Matteo

13,12

Hostis gar echei, Hostis de ouk echei,

dothēsetai autōi kai perisseuthēsetai kai ho echei arthēsetai ap’autou

25,29

Tōi gar echonti panti Tou de mē echontos

dothēsetai kai perisseuthēsetai kai ho echei arthēsetai ap’autou

«La Parola del Regno» che è «ascoltata ogni volta» e «non compresa», nella spiegazione della Parabola del seme (13,19), corrisponde in modo più adeguato alla situazione di chi, come «un uomo stolto», «ascolta e non fa» l’insegnamento di Gesù (7,26)52. Questa «Parola del Regno» (cui la spiegazione della parabola allude) sembra dunque fare riferimento proprio all’insegnamento programmatico contenuto nel primo dei discorsi del Vangelo. La «tribolazione e la persecuzione a causa della Parola» (13,21) era già annunciata nelle beatitudini (5,10-11), e sarà poi ripresa nell’ultimo discorso, come destino per i discepoli (24,9). Così, «la preoccupazione del mondo» (gr. merimna tou aiōnos) e «la seduzione della ricchezza» (13,22), che soffocano la Parola, erano apparse all’inizio della sequenza A7 (6,19–7,12). Lì Gesù aveva chiaramente avvertito: «Non potete servire Dio e la ricchezza» (6,24); e: «Dunque, non preoccupatevi (gr. mē oun merimnēsēte) del domani» (6,34)53. Nella sequenza C5 (13,24-50), le parabole della seconda sottosequenza (13,36-50) hanno tutte un tono escatologico e sono perciò in chiara corrispondenza con quelle della sequenza E5 (24,32–25,30), ma anche con il racconto finale del Figlio dell’Uomo che costituisce la sequenza E6 (25,31-46). «Gli angeli» (13,39) che «raccolgono tutti gli scandali e tutti quelli che commettono l’iniquità» (13,41), e che «separano i cattivi dai buoni» (13,49), sono gli stessi che «raduneranno tutti gli eletti dai quattro venti» (24,31) e che appariranno con il Figlio dell’uomo quando «siederà sul trono della sua gloria» (25,31)54. Il «pianto e lo stridore di denti» appare nella sequenza C5 due volte (13,42.50), come alla fine delle due sottosequenze di E5 (24,51; 25,30), mentre il «gettare nella fornace ardente» (13,42.50) corrisponde al «gettare nelle tenebre esteriori» (25,30)55. Al contrario, «i giusti splenderanno come il sole nel Regno del Padre loro» (13,43), mentre alla fine del Discorso del Compimento del 52

Si tratta della conclusione del Discorso della Nuova Alleanza. Alla situazione dello «stolto» in riferimento a «queste mie parole» (7,26), si contrappone chiunque è come «un uomo saggio», il quale «ascolta e fa» (7,24). 53 Alla fine della sequenza C4 (13,3b-23) e all’inizio della C5 (13,24-50) compaiono i termini legati al campo semantico del fare frutto: «diventa infruttuoso» (13,22); «porta-frutto» (13,23); «frutto» (13,26). Questa semantica era apparsa già nel logion del riconoscimento dei falsi profeti a partire dai loro «frutti», in A8 (cfr. 7,15-20). 54 Il verbo che indica successivamente il raggruppamento delle Nazioni davanti al Re è reso al passivo: synachthēsontai (25,32). Ma è plausibile pensare che siano proprio gli angeli a compiere questo gesto escatologico finale. 55 Così, alla fine del Discorso della Nuova Alleanza, ancora riguardo ai falsi profeti che non danno un frutto buono, Gesù dice che l’albero «viene tagliato e gettato nel fuoco» (7,19).

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Tempo sono visti andare «alla vita eterna» (25,46), come «benedetti dal Padre» che «ereditano il Regno» (25,34). L’immagine della «fondazione del mondo» (13,35; gr. katabolē kosmou), al centro di C5, accompagna anche due momenti importanti nelle sequenze estreme dell’ultimo discorso: si tratta della «tribolazione» che «non è mai avvenuta dall’inizio del mondo fino ad ora» (24,21; ma in gr. ap’archēs kosmou); poi, alla fine, del «Regno preparato fin dalla fondazione del mondo» (25,34; gr. apo katabolēs kosmou)56. Nel centro della sequenza C5 del Discorso enigmatico compare un’espressione che contraddistingueva già il Discorso della Nuova Alleanza. L’incipit della citazione del Salmo 72, «Aprirò la mia bocca in parabole» (13,35) riprende esattamente l’inizio del Discorso della Nuova Alleanza: Gesù «avendo aperto la sua bocca insegnava loro» (5,2). E infine, il verbo «ascoltare» segna tutto il primo discorso (5,21.27.33.38.43 nella sequenza A5; poi in 7,24.26 nella sequenza A8), come il centro e il secondo versante della sequenza C4 (13,13bis. 14bis.15bis.16.17.18.19.20.22.23)57. 2. IL SENSO DEI DISCORSI NELLE SEZIONI DI RILEGATURA Nel capitolo V sono già state analizzate le relazioni formali e logiche che le sezioni B e D intessono con i tre discorsi delle sezioni maggiori58. Le due unità si qualificavano come singolari, giacché articolano, anzitutto da un punto di vista formale, le cinque sezioni tra loro (erano state definite «sezioni di rilegatura» in accordo al fenomeno evidenziato nel Trattato di retorica biblica). Anche da un punto di vista di significato B e D sembrano determinare il passaggio dalla prima sezione a quella centrale, e da questa all’ultima. È chiaro che nella sezione A Gesù, inaugurando la Nuova Alleanza in parole e in opere, prepari anche la missione dei discepoli che saranno designati a ripetere l’opera del Maestro: sono infatti chiamati nella prima sottosezione per essere fatti «pescatori di uomini» (4,19: poiēsō hymas alieis anthrōpōn); poi «si avvicinarono a lui sul monte» per ascoltare il Discorso della Nuova Alleanza (5,1); sono ancora presenti lungo tutta la terza sottosezione dei miracoli (8,10; 8,23; 9,11.14.19.37; in particolare si notino le esigenze della sequela in 8,18-22). La missione è infine partecipata nella prima sezione di rilegatura (B), con il mandato iniziale (10,5). Solo nella sezione E, tuttavia, si delinea lungo il cammino finale e durante gli eventi a Gerusalemme la formazione di un popolo nuovo che riceverà il dono definitivo dell’Alleanza nel sangue del Messia (cfr. 21,43; 26,27-28). Sono loro, i discepoli che seguono Gesù, che dovranno assicurare la cura e il servizio per questo popolo fino alla parusia (cfr. 20,25-28; 24,45-51). Una responsabilità così 56

Ancora una ripetizione tra le due unità: il termine «padrone di casa» conclude il Discorso enigmatico (13,52) e ricompare nella sequenza centrale del Discorso del Compimento (24,43). 57 Anche il termine «occhio» ricorre in 5,29.38bis; 6,22bis.23; 7,3bis.4bis.5bis (cfr. 13,15bis.16). 58 Cfr. p. 168.

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grave è ufficialmente affidata nella seconda sezione di rilegatura (D), dove è delineata l’essenza fraterna della vita del nuovo gruppo e la funzione dei più grandi nei confronti dei più deboli della comunità. La sezione C, invece, risulta essere l’unità letteraria in cui si gioca tutta la drammaticità della relazione tra Gesù e coloro ai quali è stato inviato: si tratta dell’esito del ministero di annuncio e cura da parte Gesù per Israele (11–12) e dell’apertura ormai prossima alle Nazioni (cfr. 15,1–16,12). Il Discorso enigmatico centrale sulla crescita e sullo sviluppo del Regno e della sua Parola annunciata, rivela allora il medesimo destino per l’annuncio e la cura futura esercitata dai discepoli (ai quali «i misteri del Regno» non restavano nascosti), chiamati a diventare «scribi fatti-discepoli del Regno», che «traggono fuori cose nuove e antiche» per tutti i popoli, in particolare dopo la risurrezione di Gesù e fino al «compimento del Tempo» (cfr. 13.52; 28,20). Le sezioni B e D si qualificano come «istruzioni» all’interno del Primo Vangelo, generate da Gesù in un certo momento del suo ministero presso Israele, ma che accompagneranno la comunità (e in particolare i responsabili che hanno il compito di insegnare) nella comprensione stessa della sua missione: continuare l’annuncio e perpetuare il servizio iniziato dal Messia. Una simile significatività dei discorsi delle sezioni di rilegatura è ulteriormente avvalorata dai richiami formali che legano queste sezioni singolari con le sottosezioni narrative che incorniciano i Discorsi centrali. All’interno della sezione B (10,1-42) sono evidenti alcuni rapporti di identità con le sequenze delle sottosezioni narrative, in particolare della sezione centrale. Nella prima sottosequenza di B (10,5c-23), Gesù inviava i suoi «alle pecore perdute della casa d’Israele» (10,6); ora, nella sottosequenza centrale di C8 (15,21-39), alla donna Cananea, egli stesso si definisce inviato esclusivamente al suo popolo perduto59: B (10,5b-6)

C8 (15,24)

«Nella via delle Nazioni non andate e nelle città dei Samaritani non entrate: rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa di Israele»

Egli allora, avendo risposto disse: «Non fui mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele».

Anche coloro che «non accolgono» e «non ascoltano» la predicazione dei discepoli (10,14-15) entrano nel medesimo destino di coloro che, nella sezione successiva (C), «non si sono convertiti» davanti alle «potenze» operate da Gesù (cfr. 11,20-24). Infatti, «le città» o «la casa» (10,14) che non accoglierà gli apostoli, come «Cafarnao» (11,23), luogo dove Gesù ha svolto gran parte del suo ministero (cfr. A9–A11), riceveranno una retribuzione più dura di «Sodoma» 59

Ciò significa anche che l’apertura di Gesù alla fede della donna pagana diventa preludio per l’apertura finale dei discepoli presso tutte le Nazioni (cfr. 24,9; 25,32; 28,19-20).

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(10,15), e «della terra di Sodoma e Gomorra» (11,24)60. L’esito del ministero del Maestro, perciò, così come si dispiega all’interno della sezione centrale, diventa il calco su cui le istruzioni per i suoi inviati sono state trasmesse. Nella sottosequenza centrale di B (10,24-25), Gesù compara il giudizio di condanna che riceveranno i suoi discepoli con quello che egli stesso ha sopportato: «Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più i membri della sua casa» (10,25). Infatti, già alla fine di A11 e poi alla fine di C3, i farisei avevano giudicato la sua potenza esorcistica operata «per mezzo del principe dei demoni, Beelzebùl» (cfr. 9,34 e 12,24). Infine, nella terza sottosequenza di B (10,26-42), come successivamente nella sequenza C9, appaiono le condizioni del vero discepolato, ripetute identiche per coloro che sono inviati nella prima predicazione, gli stessi che dovranno confrontarsi con lo scandalo della croce a Gerusalemme61: B (10,38-39)

C9 (16,24-25)

:: «Chi non e non SEGUE dietro di me, non è degno di me.

:. «Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, e MI SEGUA.

Chi troverà (per sé) la propria vita la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà».

Chi infatti vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà».

Anche all’inizio della prima sottosequenza di D (18,1-11) Gesù aveva definito «il più grande nel Regno dei Cieli» colui che «diventa come i bambini», ovvero «chiunque si farà piccolo» (18,1-4). Questo logion del più grande nel Regno e del suo accostamento alla figura dei «bambini/piccoli», sarà ampiamente ripreso nelle sottosequenze estreme di E1 (19,1-26 e 20,20-34): 19,14

Ma Gesù disse: «Lasciate i bambini e non impedite loro di venire presso di me; di quelli come loro, infatti, è il Regno dei Cieli».

20,26

Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore; e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’Uomo che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.

60

Si tratta di richiami tra la sezione B e la sottosequenza centrale di C1. È interessante notare le differenze nella prima parte dei due logia: nelle istruzioni sulla missione è utilizzato un pronome definito (il gr. hos), più generale rispetto all’ipotetica con il pronome indefinito in 16,24 (gr. ei tis thelei). Il logion in 10,38 conclude anche: «non è degno di me». Nella sezione B sembra si tratti maggiormente di un’esortazione di carattere gnomico. 61

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All’inizio della sezione centrale, tuttavia, Gesù aveva già proclamato «Giovanni il Battista» come «il più grande tra i nati di donna», ma anche «il più piccolo nel regno» risultava essere «più grande di lui» (11,11). Nella sottosequenza centrale di D (18,12-20), i discepoli ricevono da Gesù l’autorità di legare e sciogliere: «Amen dico a voi: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato nel cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto nel cielo» (18,18). Ora, questa autorità era stata data al solo Pietro nella sezione precedente, in C9 (16,19). È evidente che la differenza sia tutta nel passaggio alla forma plurale: Pietro resta colui al quale sono date «le chiavi del Regno», ma all’interno della comunità dei discepoli un’autorità simile avviene nel momento in cui i discepoli sono insieme62, per condividere l’exousia del loro Maestro, nel servizio alla fraternità. Queste simmetrie non sembrano generate per puro caso, pur essendo significative singolarmente all’interno delle unità di cui fanno parte. A livello del tessuto generale del Vangelo forniscono un’immagine e una funzione particolare dei discepoli. Le sezioni di rilegatura, infatti, sottolineano, nelle relazioni che innescano con le altre sezioni, l’importanza della partecipazione attiva di questi ultimi alla vita e alle opere del Messia, durante ma soprattutto dopo la sua esistenza terrena. A ben vedere, in alcuni punti dei discorsi delle sezioni B e D emerge una dimensione di atemporalità e universalità tali che li proietta fuori dall’ordine cronologico e narrativo in cui si succedono nel testo del Vangelo. In B, come visto, i discepoli sono mandati alle «pecore perdute» di Israele (10,6) e non finiranno di predicare alle «città di Israele finché venga il Figlio dell’Uomo» (10,23); allo stesso tempo, però, è prospettato un allargamento geografico nel loro «essere condotti davanti a governatori e re», «in testimonianza per loro e per le Nazioni» (10,18). Questo aspetto fa già pensare all’allargamento futuro della missione, così come è prospettato nel secondo versante del Vangelo, in 24,14 oltre che in 28,19-2063. Anche nella sezione D, Gesù indica una sua presenza metastorica nel futuro, ogni volta che i discepoli saranno riuniti «nel suo nome» e «legheranno o scioglieranno» insieme (cfr. 18,18-20)64. Queste caratteristiche spingono a considerare ancora una volta la singolarità delle due sezioni che articolano le altre. Una simile forma di atemporalità si gusterà pienamente solo nell’ultimo versante del Vangelo, in particolare nel Discorso sul Compimento del Tempo65 e nel mandato finale dell’Epilogo. 62

Lo chiariscono anche i versetti successivi (18,19-20), in particolare: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio Nome, lì sono io in mezzo a loro». 63 Si potrebbe guardare da questa angolatura anche 10,22 e 10,32-33, dove si parla di «tutti» (10,22: gr. apo pantōn) e degli «uomini» (10,32-33: gr. emprosthen tōn anthrōpōn). 64 Proprio 18,18 riprendeva le parole di 16,19 al solo Pietro. 65 Si potrebbe sollevare la questione a quali discepoli questo ultimo discorso escatologico, ma a ben riflettere anche quelli di B e D, e tutti gli altri, siano rivolti (solo a quelli a cui Gesù si rivolge nel Vangelo? Ma anche a quelli che ascoltano e leggono? Agli scribi-discepoli che generano altri discepoli nelle comunità?). In 25,32 sono menzionate «tutte le Nazioni» come riferi-

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Il Discorso sulla Vita Apostolica, allora, aggancia i discepoli nella partecipazione al ministero didattico e autoritativo del loro «maestro»: sono chiamati alla predicazione presso Israele, e, alla fine, presso tutti i popoli. Il Discorso sulla Vita Ecclesiale, invece, richiede che siano, «come il Signore», buoni amministratori, dediti al servizio in attesa del suo ritorno: dovranno farsi piccoli per servire i piccoli che credono ed entrano nella comunità nuova dei discepoli, pronti a dare la vita come il Figlio dell’Uomo, rendendolo presente ogni volta che si radunano66. Generati dal Maestro, i discepoli dovranno custodire tutte le caratteristiche del loro formatore, quelle che il loro padre ha consegnato nel lungo periodo di gestazione e apprendistato. Come figli condividono la dignità e l’esperienza di chi li ha generati; come fratelli sono chiamati a loro volta a generare e a educare altri discepoli67 (i piccoli che crederanno) imitando il loro Signore. Discepoli che diventano come il Maestro nell’annuncio della Nuova Alleanza. Servi che diventano come il padrone di casa, nell’amministrazione dei beni messianici. E la vita che il Signore ha offerto (cfr. le sezioni maggiori del Libro) continua a fluire e a fecondare altri, ogni volta che la comunità osserva e pratica quelle istruzioni che il Messia ha rivolto ai suoi (B e D). 3. LA DINAMICA DEI DISCORSI ALL’INTERNO DEL LIBRO Il lavoro analitico sulle sezioni del Libro aveva lo scopo di permettere il necessario passaggio attraverso la porta della forma del testo, per raggiungere il significato complessivo del Libro, significato che sembra finalmente emergere per il Vangelo di Matteo. Si tratta di un testo il cui tessuto l’analisi retorica biblico-semitica ha cercato di evidenziare, ascoltando e rispettando anzitutto i criteri interni che il Vangelo stesso ha dimostrato di serbare. All’inizio del Libro, nel Prologo che legava il Messia alla genealogia davidica e, prima ancora, abramitica, l’ultima serie di generazioni restava incompleta. Ciò faceva percepire al lettore attento un vuoto e una necessità di compimento, le cui modalità il Libro avrebbe progressivamente rivelato. Anche al Messia tocca generare (la sua è la quattordicesima generazione dopo l’esilio) certo secondo mento del Cristo glorificato. Non è forse il fatto stesso della testimonianza scritta (che si è voluta consegnare alla comunità dei lettori) che proietta e allarga il personaggio dei discepoli fino a inglobare quelli di tutti i tempi e di tutti i luoghi? 66 Si è voluto utilizzare, per questo paragrafo e per quello successivo, l’immagine posta dall’insegnamento al centro di B (10,24-25), perché sembrava descrivere in maniera davvero adeguata l’essenza della partecipazione dei discepoli, così come è definita rispettivamente nei due discorsi di rilegatura: partecipazione al mandato di predicazione e di insegnamento in B («il discepolo come il maestro»), partecipazione alla cura della casa del proprio signore in D («il servo come il padrone di casa»). 67 Si noti, a riguardo il passaggio importante delineato in 23,8 (non sono definiti «discepoli» in rapporto al «Maestro», ma «fratelli», facendo evidente riferimento a un ambito generativo). Sebbene saranno chiamati dal Risorto a «insegnare», i discepoli avranno sempre la prerogativa di «fratelli» tra di loro.

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modalità a lui proprie: egli stesso, difatti, «è-generato» (1,16.18.20) all’infuori delle normali condizioni biologiche, in un’apertura all’azione signorile di Dio sulla storia e sugli uomini. Alla fine, nell’Epilogo del Libro, sul monte che ricorda il compimento della promessa ad Abramo (Gen 22,17-18), Gesù invia i suoi a «fare discepoli tutte le Nazioni», ovvero a generare al Messia ancora altri discepoli tra tutti i popoli, forti della sua presenza «fino al compimento del Tempo»68. La generazione messianica, che realizza definitivamente la benedizione di Abramo, è fondata dal Risorto su condizioni particolari: i discepoli faranno altri discepoli «battezzando»69 e «insegnando a osservare tutte le cose» che il Messia «ha comandato» (28,19-20). Da questa prospettiva finale si può cogliere tutta l’importanza delle tre sezioni maggiori e, dopo un’adeguata «comprensione» (cfr. 13,51-52) anche della rilevanza letteraria delle due sezioni che le articolano, i discorsi prettamente rivolti al ministero futuro dei discepoli. Proprio nelle sezioni maggiori è contenuto quanto Gesù «ha comandato», istruendo e compiendo le sue opere messianiche: prima di tutto il Discorso della Nuova Alleanza, programmatico per l’intero Libro. Ma i misteri «del Regno» che già avvengono nella proclamazione della Nuova Alleanza, dischiuderanno pienamente il loro senso solo per quelli che seguiranno Gesù. È ciò che sembra rivelare il passaggio operato nella sezione centrale, espresso in particolare dal Discorso enigmatico sulla crescita della Parola del Regno fino alla maturazione apocalittica del suo Compimento finale. In questo modo, l’Alleanza (annunciata e rinnovata in tutto l’arco della missione di Gesù, fino alla sua morte «per molti») è consegnata ai discepoli perché fruttifichi nel mondo. Essa crescerà e maturerà attraverso di essi, e sarà definitivamente portata a compimento nella crisi finale della storia. Così, alla luce dell’organicità evidenziata nello studio delle sezioni, bisogna ritenere anche le sottosezioni narrative che accompagnano e incorniciano i discorsi centrali come ciò che Gesù «ha comandato» ai suoi70. Si tratta di un prolungamento organico delle sottosezioni centrali, in cui pure si trova il 68

J.-P. SONNET, «De la généalogie au “Faites disciples”», in particolare 201-205. Ritorna qui l’importanza della figura di Giovanni per la comprensione del Vangelo: il verbo baptizō, infatti, compare nel mandato finale (28,19) e precedentemente soltanto nel capitolo terzo del Vangelo, amministrato da Giovanni in una prospettiva escatologica di conversione. Il battesimo (che però Gesù amministrerà in «Spirito Santo e fuoco», cfr. 3,11) sarà anche il dono generativo futuro alle Nazioni nella prima predicazione dei discepoli (che sono strati istruiti all’evangelizzazione futura nella sezione B). Sono loro, i discepoli di Gesù, come Giovanni, a «preparare la via del Signore» (3,3), facendo entrare le Nazioni nella Nuova Alleanza. 70 È a questo punto che sembra piuttosto decisivo ritornare a riflettere sulla figura di Mosè, in particolare quella che si delinea all’interno del Libro del Deuteronomio, per il contesto dell’intero Primo Vangelo. Anche lì la coppia Yhwh-Mosè intesseva tutte le dinamiche della rivelazione e dell’insegnamento da trasmettere al futuro popolo (cfr. per esempio Dt 4,13-14: «Egli [Yhwh] vi annunciò la sua Alleanza, che vi comandò di osservare, ovvero le dieci parole, e le scrisse su due tavole di pietra. In quella circostanza, Yhwh mi ordinò di insegnarvi leggi e norme, perché voi le metteste in pratica nella terra in cui state per entrare per prenderne possesso»). 69

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deposito messianico (lo si poteva notare, per esempio, nelle simmetrie che legano B e D con tali sottosezioni): l’insegnamento messianico è corredato da azioni e parole che hanno accompagnato il ministero di Gesù in Israele e che restano fondanti per la futura missione. I discepoli, a loro volta, troveranno anche in esse tutto quello che devono imparare dal Maestro, fino ad assomigliargli completamente. Se è vero che le sezioni maggiori (nella loro interezza) contengono il deposito essenziale del Messia, come i primi discepoli continueranno a generargli figli per il Regno? Come formeranno altri discepoli da tutte le Nazioni? Come li aiuteranno a entrare in questo memoriale delle sue parole e delle sue opere, che costituisce la sorgente inesauribile della Nuova Alleanza promessa e realizzata dal Risorto? Le due sezioni singolari del Discorso sulla Vita Apostolica e del Discorso sulla Vita Ecclesiale costituiscono due momenti completamente affidati a loro, «ai discepoli» (10,1.5ab; 18,1.2-3). È in queste due sezioni che si apprende effettivamente come essi dovranno ogni volta realizzare la generazione e la formazione delle moltitudini che il Messia vorrà generare alla fede. È in queste due sezioni che il Maestro affida il compito di divenire «come lui», e di continuare a realizzare la sua presenza, in un’atmosfera particolare in cui ciò che ha detto e fatto viene continuamente riattualizzato e insegnato. Nella sezione B sono contenute le istruzioni sull’annuncio del Regno, momento in cui il Vangelo in parole ed opere (10,7-8) è riproposto perché produca la fede: la sezione allora insegna ai discepoli propriamente a generare attraverso l’annuncio e la testimonianza. Come Gesù, essi sapranno che questo ministero non è destinato al successo tout court perché deve ogni volta incontrare la libertà di Israele prima e delle Nazioni dopo, in una crescita che dipenderà ogni volta dal tipo di terreno che accoglie la Parola (13,18-23). Nonostante tutto, vedranno crescere e spuntare i frutti buoni, facendo entrare di volta in volta altri discepoli all’interno della comunità nuova del Risorto. Nella sezione D, sono invece fatti carico della cura dei «piccoli» che entrano nei «misteri del Regno» attraverso la fede. È contenuta in essa quell’atmosfera (si oserebbe ancora ripeterlo: gestativa) che farà crescere una comunità di «fratelli». Nella fraternità creatasi, i primi dovranno saper accogliere tutti, «buoni e cattivi» fino alla fine dei giorni (cfr. 13,47-50), comportandosi come «servi fedeli e saggi» (24,45), fino ad assomigliare al «signore», il «padrone di casa» (25,14-23), nella cura di «tutto quello che gli è stato dato dal Padre» (cfr. 11,27)71. 71

Le due sequenze del Discorso enigmatico sintetizzano e proiettano in qualche modo i discorsi contenuti nei rispettivi versanti. La C4 mostra in parabole la generazione per mezzo della predicazione della Parola (la sezione B). Ora, questa Parola coincide prima di tutto con il Discorso della Nuova Alleanza dove è contenuto in germe (sviluppato nelle sottosezioni narrative) tutto l’insegnamento del Regno proposto da Gesù. La C5, invece, mostra in parabole la crescita del Regno fino al momento della sua maturazione finale. In questo tempo i discepoli avranno il compito di testimoniare e prendersi cura dei «piccoli», i discepoli che entrano nella comunità

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La composizione del Vangelo di Matteo

È bene ripeterlo: si tratta di un «tesoro» davvero ricco quello delle sezioni maggiori che le due unità di rilegatura – o fuochi – mettono in movimento ogni volta che il discepolo continua il concepimento e la gestazione di coloro che il Signore ha generato offrendo se stesso per «salvare il suo popolo dai suoi peccati» (Israele: 1,21) e per «dare la vita in riscatto per i molti» (le Nazioni: 20,28)72. Il ruolo dei discepoli è dunque veramente fondamentale all’interno del Libro: sono loro i veri lettori impliciti, quelli attesi dal testo e che il testo addestra a generare. A loro sono dati «talenti» (25,14-30) che dovranno ogni volta rendere presenti e operanti nella storia, fino al ritorno del Figlio dell’Uomo73. Se Mosè era stato il mediatore della Prima Alleanza, nella Nuova i discepoli saranno chiamati a essere «scribi del Regno dei Cieli»: dovranno introdurre la Chiesa nel Regno a loro volta «tirando fuori dal loro tesoro» cose nuove e cose antiche, la sapienza dell’Antico come del Nuovo Patto da esso scaturito, ovvero tutto quello che il Signore ha insegnato compiendo la Legge e i Profeti. Cresciuti e curati dal Messia, dovranno prendersi cura a loro volta di tutti i «piccoli», in modo speciale degli «smarriti» (18,14). In questo modo, come «i giusti» del tempo finale, avranno raggiunto, nel loro servizio, tutti «i fratelli» più piccoli, aiutandoli a praticare la giustizia del Regno, rendendoli veri «figli» e «fratelli» del Signore, per «splendere come il sole nel Regno del Padre» (13,43). VI. IL FIGLIO DELL’UOMO IN MEZZO AI SETTE CANDELABRI… (AP 1,13) L’analisi retorica di Matteo ha messo in luce il suo carattere squisitamente didattico74. Nella tavola conclusiva è finalmente visibile la composizione letteraria del Primo Vangelo, scoperta utilizzando il metodo dell’analisi retorica biblico-semitica.

(la sezione D). Ora, questo tempo con la sua crisi finale è il tema principale dell’insegnamento apocalittico dell’ultimo dei Discorsi. Come anche Standaert aveva intuito, le sette parabole che costituiscono il Discorso enigmatico segnano precisamente la sintesi di tutto il Vangelo matteano (vedi il capitolo II, p. 99). 72 Cfr. R. MEYNET, «Une nouvelle figure», 325-349. 73 È chiaro che tra questi, l’autore del Primo Vangelo riservi un posto e un primato particolare a Simon Pietro (10,2), che in 16,19 appare come lo scriba (nel mandato di «legare e sciogliere») e l’amministratore (nel mandato delle «chiavi») più autorevole della Chiesa di Gesù (16,18). 74 Il Vangelo di Matteo come deposito della catechesi e come Vangelo didattico era già stato intuito in P.S. MINEAR, Matthew (del 1982), si veda in particolare le pp. 12-23.

Un Libro nuovo per una Nuova Alleanza PROLOGO:

GENEALOGIA

A1: Il Servo Gesù A2: A3: Il Servo Gesù INTRODUZIONE: A4: Le Beatitudini A5: LA GIUSTIZIA SUPERIORE A6: LA GIUSTIZIA SUPERIORE A7: LA GIUSTIZIA SUPERIORE A8: Le opere di giustizia CONCLUSIONE: A9: Il Servo Gesù A10: A11: Il Servo Gesù INTRODUZIONE: B: I discepoli

del Messia Gesù

1,1-17

nasce per Israele e le Nazioni inizia il suo ministero per Israele e le Nazioni

1,18–2,23 3,1-12 3,13–4,25

Gesù sale sul monte per insegnare e la dignità dei discepoli e il compimento della Torah e il dono della FIGLIOLANZA e il compimento dei Profeti e la fedeltà dei discepoli Gesù ha autorità nell’insegnare

5,1-2 5,3-16 5,17-48 6,1-18 6,19–7,12 7,13-27 7,28-29

porta le infermità di Israele e delle Nazioni

8,1-17 8,18–9,17 9,18-38

espande il suo ministero per Israele e le Nazioni Gesù chiama i Dodici per mandarli GENERANO DISCEPOLI

C1: GESÙ rifiutato da questa generazione compie le opere del Messia C2: IL SERVO GESÙ contestato e seguito C3: GESÙ rifiutato da questa generazione compie le opere di Dio INTRODUZIONE: C4: LA GENERAZIONE C5: LA CRESCITA CONCLUSIONE: C6: Chi è GESÙ? C7: GESÙ si mostra Figlio di Dio C8: IL MESSIA GESÙ contestato e seguito C9: GESÙ riconosciuto Figlio di Dio C10: Chi è GESÙ? INTRODUZIONE: D: I discepoli E1: Salendo a Gerusalemme, E2: E3: Nel tempio di Gerusalemme, INTRODUZIONE: E4: Il tempo finale: E5: LE PARABOLE DELL’ATTESA: E6: Il giudizio finale: E7: A Gerusalemme, E8: E9: Sul Gòlgota, EPILOGO:

DISCENDENZA

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10,1-5b 10,5c-42 11,1–12,14 12,15-21 12,22-50

Gesù parla con parabole sul mare e l’accoglienza della Parola del Regno e l’arrivo del compimento del Regno Gesù costituisce i discepoli-scribi del Regno

13,1-3a 13,3b-23 13,24-50 13,51-52

L’incredulità della carne e del sangue per le opere che compie compirà la volontà del Padre La piccola-fede della Chiesa

13,53–14,12 14,13-36 15,1–16,12 16,13–17,13 17,14-27

I discepoli chiamano Gesù per interrogarlo FANNO-CRESCERE FRATELLI

18,1 18,2-35

il Servo Gesù è seguito dai discepoli il Servo Gesù contesta scribi e farisei

19,1–20,34 21,1–22,14 22,15–23,39

Sul monte i discepoli interrogano Gesù sul Segno i discepoli contestati e condannati discernere, vegliare, servire i discepoli-giusti giudicati e salvati

24,1-4a 24,4b-31 24,32–25,30 25,31-46

il Servo Gesù è abbandonato dai discepoli il Servo Gesù salva Israele e le Nazioni

26,1-56 26,57–27,26 27,27-61

del Messia Gesù

27,62–28,20

362

La composizione del Vangelo di Matteo

Ogni sezione maggiore è scandita nelle sue relazioni interne: perciò, nelle sottosezioni estreme di A, C ed E, i rapporti tra le sequenze si riferiscono solo alla dinamica di ciascuna sezione, presa per sé stessa75. A livello complessivo, invece, la relazione tra le sezioni del libro è data dallo sfondo cromato, dai rientri e dalla nomenclatura. I colori e le cornici delle sezioni e delle sottosezioni permettono di riconoscere la differenza tra le sezioni maggiori e quelle di rilegatura, e tra tutte queste e il Prologo e l’Epilogo. Così, si può notare bene anche la funzione articolante dei Discorsi di rilegatura, le sezioni B e D, intermedie tra le sezioni maggiori76. Tra queste due sezioni singolari e l’apertura e chiusura del Vangelo, la tematica della generazione e della formazione dei discepoli risulta essere fondamentale: ecco perché i rientri dei loro riquadri di riferimento sono in simmetria. Sviluppano la corrente principale del Vangelo. Le sezioni maggiori, invece, costituendo i momenti fondamentali e il deposito essenziale dell’Alleanza avvenuta nel Messia Gesù possiedono un rientro differente. Allo stesso tempo, e per i motivi che l’analisi della composizione ha messo in luce, il Libro sembra chiedere un ascolto che squarci il narrato e il proclamato e raggiunga coloro che devono aprirlo ancora, scorrerlo e «comprendere» (13,51-52; cfr. Dn 12,4). Nella parola insegnata e agita dal Messia Risorto, l’Alleanza si rende ogni volta presente, e per mezzo dei discepoli che annunciano e vivono in fraternità, genera nuovi discepoli. Il Risorto, dunque, continua a essere presente nello e con lo Scritto, ogni volta che verrà letto e insegnato77. È infatti in quel «tesoro» che costituisce il Libro che i discepoliscribi ogni volta impareranno a prendere del nuovo e del vecchio per porgerlo a coloro ai quali sono mandati a insegnare. Il Libro affiancherà i discepoli. È esso stesso l’utero in cui saranno ogni volta gestati dall’Emmanuele. E così, da Israele (1,1-17) la benedizione sarà effusa su tutte le Nazioni (28,20). Questa è «la discendenza che vedrà» il Servo, il quale ha offerto se stesso in sacrificio (Is 53,10).

75

Si può così notare la relazione di parallelismo tra le sottosezioni estreme di ciascuna delle sezioni maggiori, così come sono state analizzate nei capitoli precedenti. 76 Nella tavola, si differenziano dalle sezioni maggiori e dalle piccole sezioni di apertura e chiusura per la cornice e per i rientri, mentre condividono il colore dello sfondo con le sottosezioni centrali delle sezioni A, C ed E, costituendo insieme i cinque Discorsi del Vangelo, e con le sezioni del Prologo e dell’Epilogo, tessendo con loro il filo rosso principale della generazione dei discepoli futuri. 77 Diviene allora non solo simbolica ma anche realmente pertinente l’immagine giovannea del «Figlio d’uomo in mezzo ai sette candelabri» (Ap 1,13), segno della presenza del Risorto in mezzo alle sette Chiese (a sua volta presa dal significato liturgico della Menorah templare, un segnomemoriale per Yhwh e per Israele della loro reciproca presenza e relazione). Nelle sette sezioni del Nuovo Libro composto dal primo evangelista, la Nuova Alleanza continua ad affluire fresca e viva. E Dio continua a essere presente ai discepoli per mezzo del Messia Gesù, Emmanuele, Figlio e Servo del Dio vivente. Egli rimane «con loro fino al Compimento del Tempo», nell’opera gestante del «fare discepoli» (28,19-20).

Un Libro nuovo per una Nuova Alleanza

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VII. … E LE COSE CHE DEVONO ACCADERE IN SEGUITO (AP 1,19) 78 1. IL COMPITO DELL’ANALISI RETORICA PER UN INTERO LIBRO All’inizio della ricerca c’erano ancora ampie sezioni del testo matteano che non erano state del tutto analizzate. Bisognava riprendere tutto da capo e mettere direttamente le mani nella pasta, nella carne del testo. A conclusione della ricerca, è possibile affermare ancora una certa inadempienza del cammino: non tutto è ancora stato fatto, non tutto è già portato a compimento. La composizione del Libro così com’è stata raggiunta, rispettando la scansione e la particolarità delle varie unità letterarie, dei livelli di composizione e delle loro mutue relazioni, solleva ancora numerose altre questioni. Da un punto di vista formale, per esempio, si potrebbe notare una relazione abbastanza evidente tra le sequenze delle sottosezioni estreme delle sezioni A ed E che fa pensare effettivamente anche a una scansione concentrica delle stesse nel livello finale del Libro. Nelle sequenze A1 ed E9, per esempio, oltre alla ripetizione delle figure di «Maria» e «Giuseppe», e di «Maria Magdalena» e «Giuseppe d’Arimatea» come personaggi che si prendono cura della nascita e della morte del Messia, si devono sottolineare ulteriori relazioni che sembrano piuttosto importanti:  Gesù è definito «Emmanuele», «Dio con noi» dalla Scrittura in 1,23; al contrario, in 27,46 è proprio lui che recita la Scrittura sulla croce, definendosi come l’«abbandonato» da Dio (il Salmo 22: si tratta di una relazione di opposizione);  i termini «Re dei Giudei» (2,2; 27,29.37) e «capo/re d’Israele» (2,6; 27,42) appaiono proprio in queste due sequenze estreme per tutto il Libro, generando una sorta di eco significativa;  alla figura dei «magi» (2,1) presenti alla nascita del Messia-Servo, potrebbe corrispondere ancora una volta quella del «centurione» e di «quelli che facevano la guardia con lui» sotto la croce di Gesù (27,54; figura per altro affiancata a molte altre all’interno del Libro): sono loro, rappresentati delle Nazioni, ad accogliere realmente la rivelazione fatta nella persona del Messia. Così, ancora tra la sequenza A10 e E2, nei loro rispettivi centri (cfr. 9,1-8 e 21,23-27), si tratta dell’«autorità» di Gesù, messa in discussione dagli «scribi» (9,3) e dai «sommi sacerdoti e anziani del popolo» (21,23). Sempre all’interno di queste due sequenze, è possibile notare la presenza di un passo concernente la 78

Il titolo di questo ultimo punto riprende il versetto 19 del passo sulla visione del Risorto in mezzo ai sette candelabri (all’interno del primo capitolo dell’Apocalisse). È difatti il Risorto stesso che ordina al veggente di «scrivere» non solo le cose che riguardano il «presente», ma anche quelle che sarà necessario che «avvengano in seguito». L’immagine metaforica di questa missione affidata all’autore del libro apocalittico sembrava perciò coerente con quanto si vuole proporre ora, alla fine del percorso di analisi. Verranno conclusivamente esposte le questioni cogenti che la ricerca ha messo in luce, ma anche i compiti che spettano ancora allo studio del Vangelo per mezzo dell’applicazione del metodo della retorica biblico-semitica, come agli orizzonti da essa dischiusi e ancora da approfondire.

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La composizione del Vangelo di Matteo

«fede» dei discepoli (8,24-27 e 21,18-22), come la relazione di Gesù e di Giovanni con i peccatori: «molti pubblicani e peccatori sopraggiunsero e se ne stavano a tavola con Gesù e i suoi discepoli» (9,10), e «i pubblicani e le prostitute passano avanti nel Regno di Dio», avendo creduto all’annuncio del Battista (21,31). Infine, come già notato in precedenza, non si può dimenticare la doppia guarigione dei «due ciechi» posta proprio alla fine della sezione A (in A11: 9,27-31) e all’inizio di E (E1: 20,29-34). Questa serie di relazioni dovrebbe presumere un lavoro di approfondimento, che faccia emergere meglio la logica e la dinamica generale delle sequenze, almeno quelle delle sottosezioni estreme delle sezioni maggiori del Libro. Molte di queste suggestioni avevano sviato l’analisi dei modelli chiastici, i quali non potevano adeguatamente riconoscere i livelli di composizione. Riconosciute le sezioni del Libro, e guardate le relazioni che si innescano tra loro, è possibile ora approfondire meglio se ci siano ulteriori rapporti davvero significativi per il livello finale di composizione. Un altro elemento da segnalare e che potrebbe essere oggetto di ulteriore ricerca è la simmetria quantitativa tra due sottosezioni del Vangelo, che si trovano ciascuna in un versante del Libro. Si tratta del Discorso della Nuova Alleanza (5,1–7,29) e della terza sottosezione di C (13,53–17,27). Queste sono infatti le uniche sottosezioni che nel Vangelo contengono cinque sequenze, e che generano una forma di scompenso quantitativo (che tuttavia non altera la composizione del Libro) tra i Discorsi (per il primo versante), e le sottosezioni estreme narrative (per il secondo). In ogni modo, guardando dall’alto la composizione del Vangelo, tali unità potrebbero disegnare una qualche forma di aggancio tra loro. L’analisi sistematica «dal basso» (a partire almeno dallo studio dei singoli passi che compongono le sequenze del Libro) potrà rendere ragione di questi risultati, ma anche approfondire le questioni qui sollevate, e dunque migliorarli. Bisognerà approfondire poi gli echi e i riferimenti contestuali che non sono stati analizzati adeguatamente e che occupano in un commentario esegetico di indole retorica biblico-semitica la cosiddetta rubrica del Contesto Biblico o più generalmente del Contesto. Alcuni temi principali sono già emersi nell’analisi e nella dimostrazione della composizione: il tema dell’Alleanza, e in essa in particolare il rapporto tra le cose nuove e le antiche; le figure del Servo di Yhwh e del profeta come Mosè (Dt 18,15) che più delle altre sembrano compiersi nella messianicità di Gesù; il rapporto del Cristo e Israele e della sua missione nei riguardi del popolo della Prima Alleanza e delle Nazioni; e infine ancora la figura essenziale dei discepoli, concepiti in particolare dal Primo Vangelo come i futuri «scribi» del Regno di Dio e i «giusti» del Tempo finale. Anche di questi il Contesto biblico, opportunamente visionato dai livelli inferiori fino a quelli

Un Libro nuovo per una Nuova Alleanza

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finali delle sezioni, potrà essere un opportuno campo di approfondimento e di risoluzione79. Non ultimo per importanza, resta il momento più alto di ogni vero lavoro esegetico: l’Interpretazione80. Si tratta di quella dell’intero Libro, ma a partire già dalle sue unità inferiori. Com’è emerso, non si tratta semplicemente di una storia di o su Gesù. Il Vangelo vuole insegnare come Gesù sia Messia e come egli abbia generato/generi ancora i suoi discepoli, inserendoli nelle definitive promesse della Nuova Alleanza. Egli compie questo attraverso un deposito didattico, un tesoro che, come per il primo patto, ha il sapore di insegnamento narrato. Il Vangelo, allora, vuole insegnare a insegnare, a «fare-dei-discepoli». Un deposito che la retorica biblico-semitica può ulteriormente aprire al lettore di oggi, accompagnandolo attraverso la porta della forma, per recepirne e sondarne con profondità il senso. 2. IN SINTESI: L’ATTESA DI UN COMMENTARIO BIBLICO Si prospetta perciò un cammino faticoso. Come è stato numerose volte precisato, il fine di questa trattazione sarebbe stato limitato alla manifestazione della composizione del Primo Vangelo, una composizione che non forzasse il testo ma tenesse conto delle sue reali fattezze. Bisogna ora attraversare per intero la strada dei livelli inferiori. Un simile lavoro, ovviamente, è atteso in un commentario. Solo all’interno del suo spazio letterario si potrà rianalizzare con completezza ogni sezione, a partire dai passi fino alle relazioni tra le sequenze che la costituiscono. Per ciascun livello, il Contesto e l’Interpretazione renderanno completo il lavoro di scavo dell’esegeta, portando alla luce finalmente le virtualità ermeneutiche tuttora nascoste, nutrendo e dissetando i lettori moderni del Vangelo di Matteo. La Parola del Maestro sarà ancora una volta consegnata, con l’aiuto fornito dalla comprensione della forma dei testi, perché altri scribi-discepoli possano trarre da essa «cose nuove e cose antiche», per generare ancora figli al Signore, fino al compimento dei secoli.

79 Bisognerà tuttavia far emergere anche tutte le possibili altre tematiche e tutti gli altri fili contestuali che abitano il Primo Vangelo. 80 In questa sede, infatti, si è potuto solo accennare, nei punti finali di ciascun capitolo, al significato (anzitutto in una dimensione teologico-biblica) di ciascuna sezione del Vangelo, come al senso e al messaggio dell’intero Libro. L’intento, infatti, era principalmente quello di mostrare e dimostrare le relazioni formali che giustificano e permettono il riconoscimento delle unità letterarie del Libro e dei suoi successivi livelli di composizione. Un commentario ha invece la possibilità di dispiegare per il lettore la ricchezza di significato che queste relazioni costruiscono.

CONCLUSIONE

L’analisi svolta si è resa in alcuni punti specifica, molte volte insistente. E come detto, non è ancora del tutto ultimata, con i suoi punti di debolezza e di provvisorietà. Il lettore può aver trovato alcune difficoltà nella lettura, soprattutto sperimentando in molti tratti la pesantezza delle dimostrazioni formali. Allo stesso tempo, però, avrà potuto anche apprezzare la ricchezza che emerge dalla composizione di ogni sezione, e poi del Libro intero. Tutto questo era necessario, come detto, al fine di attraversare la porta della carne testuale. Il Vangelo di Matteo si presenta composto di sette sezioni, con un concentrismo particolare, caratterizzato dai due fuochi che sono le sezioni di rilegatura, i discorsi sulla futura missione dei discepoli. Le sezioni sono ben articolate tra loro, fluiscono l’una nell’altra e allo stesso tempo intessono (proprio come nei bracci della Menorah) legami particolari e significativi tra alcune di loro. Un Prologo (1,1-17), costituito dalla genealogia di Gesù e un Epilogo (27,62– 28,20), costituito invece dal suo avvenire di Messia glorificato, lanciano e compiono la sfida e il motivo del Libro: il seme di Abramo e di Davide è giunto «fino al Messia» (1,17), ma deve andare oltre nel piano della salvezza. Anche il Messia dovrà generare. Gesù ha operato con la sua vita, in parole e opere, e soprattutto nell’offerta del suo sangue, la Nuova Alleanza. Essa, consegnata ai figli di Israele suoi discepoli, è però allargata a tutti i figli delle Nazioni, dal momento che il Messia non genera più secondo la carne, ma in maniera nuova per mezzo di quelli che sono inviati a «fare-discepoli» altri uomini, «battezzando e insegnando a osservare» quanto Egli ha lasciato loro. Le due sezioni di rilegatura, le sezioni B (10,1-42) e D (18,1-35) costituiscono i due bracci particolari della Menorah della composizione matteana: proprio in esse sono racchiuse le istruzioni che il Messia ha dato ai discepoli perché possano svolgere la loro missione specifica (generare e crescere figli al Messia e far così progredire la Nuova Alleanza fino al compimento finale). Esse hanno formalmente molti legami con le altre sezioni del libro e le articolano, nel passaggio dall’una all’altra. Le tre sezioni maggiori (A: 1,18–9,38; C: 11,1–17,27; E: 19,1–27,61) contengono ciascuna un Discorso sull’Alleanza1, incorniciate a loro volta da due 1 Alla luce di Ger 31, il Regno di Dio proclamato e realizzato da Gesù si comprende come esplicitazione delle promesse di tutta la Legge e i Profeti: l’Alleanza Nuova fondata sul perdono, sulla conoscenza universale di Dio e sulla fedeltà del partner umano. Nel Vangelo, il suo germogliare è costituito dal Discorso della Nuova Alleanza, il mistero della sua crescita nel

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La composizione letteraria del Vangelo di Matteo

sottosezioni. In queste ultime, inizia e matura ciò che è contenuto nel discorso, mediante la narrazione di episodi e di ulteriori detti di Gesù durante il suo ministero terreno. Come la prima sottosezione della sezione A contiene negli episodi del Messia Bambino, generato per «salvare il suo popolo dai loro peccati» (1,21), la ricapitolazione della storia di Israele, che è da lui per sempre assunta, così nell’ultima sottosezione della sezione E, il Racconto della Passione e della Resurrezione sancisce il compimento della missione di Gesù e l’allargamento della salvezza per tutte le genti, nell’effusione «del sangue dell’alleanza, versato per molti per il perdono dei peccati» (26,28). In questo modo, le sezioni interne si ricollegano formalmente al Prologo e all’Epilogo del Libro, ma anche significativamente all’Antica Alleanza e al futuro suscitato dalla Resurrezione. Si ricollegano al tempo delle promesse e al tempo nuovo della comunità in ascolto. Nel passaggio da una sezione all’altra, invece, si sviluppa ed è definitivamente custodito il deposito del Messia, la forza vitale del suo lascito. Nella sezione centrale, la sezione C, l’indurimento di una parte considerevole di Israele ha fatto emergere, già a partire dal Discorso centrale, come Gesù abbia affidato ai suoi tutte le virtualità del Regno, perché l’Alleanza da lui passi in maniera imparziale e accogliente a tutti quelli che vorranno accoglierla, fino al tempo della sua piena maturità, il tempo «della mietitura» (13,39). Dunque, le sezioni di rilegatura hanno la funzione di strutturare questo passaggio formale, ma anche di significato, da una sezione maggiore all’altra: il Discorso sulla Vita Apostolica (B) segna il passaggio della proclamazione del Regno dal Messia ai suoi, nella tensione presente e futura di chi vorrà e non vorrà accoglierlo (cfr. 13,18-23); il Discorso sulla Vita Ecclesiale (D), invece, getta i fondamenti della crescita, della perseveranza nel tempo e della responsabilità di coloro che succederanno al Messia entrando «nella casa» della sua sequela, conformandosi a lui in tutto, finanche al dono della vita (cfr. 13,31-33). Nel discorso centrale del Vangelo (l’unico senza centro, costituito di due sole sequenze), per due volte solo ai discepoli è dato di entrare nell’enigma della crescita dell’Alleanza eterna, il Regno, nel cuore degli uomini. Solo in questo clima gestativo costituito dalla relazione Maestro-discepolo l’Alleanza, promessa dai profeti, si rende nuovamente presente ed efficacemente operante. Ecco perché non è ancora un guadagno stabile ma dovrà protrarsi, meglio, dovrà vivamente tramandarsi nel tempo. L’immagine ricapitolatrice che la composizione del Vangelo torna ad indicarci è quella celebre dello «scriba diventato discepolo del Regno» (13,52). Essa pone luce su colui che, seguendo Gesù, ha «compreso» (13,51) tutto il Discorso enigmatico sul Regno, e infine lo svelamento della sua consumazione storica nel Discorso del Compimento del Tempo. Restano da precisare, a livello teologico, tutte le profondità, gli sviluppi e le tensioni che questa immagine veterotestamentaria assume nel Primo Libro del canone cristiano.

Conclusione

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deposito che il Libro stesso costituisce. A lui sarà possibile continuare la generazione messianica: egli prenderà «dal suo tesoro»2 quelle «cose nuove e cose antiche» che si riferiscono ora all’Antica Alleanza ora all’insegnamento stesso di Gesù che nel Libro è conservato. Egli sarà capace di farle diventare sempre nuove, attuali e vitali nelle varie condizioni in cui il Vangelo è proclamato e vissuto, «fino al compimento del tempo» (28,20). Certi della presenza del Signore, il Messia Emmanuele.

2 La metafora del «tesoro» è forse anche la più eloquente per parlare del contenuto e della sfida di Matteo: il suo Vangelo ha un carattere profondamente didattico ed è allo stesso tempo una memoria di Gesù e della storia salvifica di Dio con il suo popolo, che in Lui è compiuta. È un luogo prezioso da cui trarre, ogni volta, l’insegnamento efficace e operante nel cuore dei credenti.

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INDICE DEGLI AUTORI CITATI

Aletti: 313 Allen: 25, 27, 28 Allison: 14, 33, 34, 129, 175, 200, 216, 217, 234, 313 Alonso Schökel: 131, 371 Andreozzi: 213, 244 Aristotele: 64, 73 Bacon: 8, 34, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 45, 46, 47, 48, 50, 51, 70, 89, 106, 117, 124, 257 Bailey: 95 Barr: 24, 46, 47, 73, 75 Bauer: 52, 53, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 73, 182, 257 Beauchamp: 7, 9, 33 Blomberg: 76 Bonnard: 28, 277 Bovati: 7, 33, 128, 139, 140, 212 Boys: 9, 41, 130, 134, 193 Carter: 66, 67, 68, 69, 70, 75, 108 Chatman: 65, 68 Childs: 202 Combrink: 52, 84, 92, 113 Costacurta: 128 Curtis: 46 Da Spinetoli: 332 Dahood: 161 Davies: 14, 33, 34, 129, 175, 198, 200, 216, 217, 234, 313 Derickson: 94, 95, 96, 214, 257 Di Paolo: 141, 142, 164, 181, 208, 210, 211, 212, 228, 230, 255, 270, 274 Doyle: 38 Easton: 38 Edward: 70 Ellis; 23: 84 Eschilo: 102 Euripide: 102

Eusebio di Cesarea: 26 Evans: 129, 151, 313 Fabris: 14, 23, 24, 25, 182, 200, 216, 217, 232, 253, 257, 277, 286, 297, 300 Fenton: 54, 77, 78, 79, 80, 81, 84 Forbes: 9, 130 France: 27 Gardner: 66 Garland: 66 Gatti: 141, 142, 164 Goldman: 114 Gooding: 45, 49, 50 Goulder: 36, 37, 38, 100 Graziano: 142, 147, 150, 161, 181, 211, 231, 313, 314, 319, 321 Green: 84, 88, 89, 90, 91, 257 Grilli: 66, 198 Gundry: 33 Hagner: 46, 182, 273 Hare: 33 Hawkins: 39 Hermaniuk: 213 Hillel: 37 Ingelaere: 24, 25, 27, 28, 112, 125 Ireneo: 322 Ito: 335 Jebb: 9, 79, 130, 134 Keegan: 23, 46, 48, 49, 61; 106, 212, 346 Keener: 76 Kilpatrick: 34, 35, 36, 38, 100 Kingsbury: 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 58, 59, 60, 61, 63, 64, 69, 70, 71, 73, 74, 75, 97, 207 Krentz: 52 Lagrange: 25, 26, 28, 29, 31, 33 Leithart: 121 Léon-Dufour: 25, 26

382

La composizione letteraria del Vangelo di Matteo

Lohr: 45, 77, 81, 82, 83, 84, 85, 91, 92, 93, 94, 137, 257 Lori: 141, 142, 181, 184, 205, 207, 255 Lowth: 9, 80, 130 Lund: 58, 77, 78, 79, 80, 81, 84, 85, 86, 87, 88, 94, 130, 136, 138, 139, 150, 165, 236 Luz: 15, 119, 122, 182, 199, 200, 201, 202, 204, 231, 238, 318, 319, 321, 335, 347 Martini: 25 Matera: 65, 66, 67, 69, 70, 71, 75, 108 McCuistion: 100, 101, 102 Mello: 15, 37, 84, 200, 216, 217, 229, 232, 234, 238, 240, 250, 252, 258, 261, 297, 300, 308 Mendonça: 8, 11 Meynet: 3, 7, 9, 10, 11, 19, 33, 58, 79, 81, 86, 94, 97, 125, 127, 128, 130, 131, 132, 133, 134, 135, 136, 137, 138, 140, 141, 148, 155, 157, 158, 159, 161, 165, 193, 212, 213, 231, 236, 248, 253, 255, 277, 278, 286, 309, 313, 314, 316, 318, 319, 360 Michelini: 23, 287 Minear: 46, 360 Murphy-O’Connor: 49 Neirynck: 25, 52, 73, 74, 96 Oepke: 237 Oniszczuk: 11, 148, 313 Origene: 322 Papia di Gerapoli: 26

Patrick: 84, 113, 114, 115, 116, 117, 124 Paximadi: 157 Pizzuto: 150 Pontificia Commissione Biblica: 131 Powell: 63, 64, 66, 70, 71, 72, 75, 105, 113 Pregeant: 66 Radermakers: 26, 46, 232, 257, 261 Rolland: 43, 44, 46, 257 Schnackenburg: 33 Schweizer: 27 Senior: 76 Sim: 33 Smith: 105, 106, 107, 108, 113, 123 Sofocle: 102 Sonnet: 320, 328, 331, 358 Sri: 46 Standaert: 96, 97, 98, 99, 100, 102, 103, 124, 182, 214, 360 Stonehouse: 52 Tannehill: 63 Turner: 46 van der Veen: 117, 118, 119, 120, 121, 122, 123, 124 Vanhoye: 135, 158 Viljoen: 100, 101, 102 Vittore di Antiochia: 300 Warner: 100, 101, 102 Watts: 318 Wénin: 75, 281, 311 Weren: 75, 108, 109, 110, 111, 112, 113, 123 Yisma’el Merita: 319

INDICE Introduzione ................................................................................................. Sigle e abbreviazioni ................................................................................... Glossario dei termini tecnici .........................................................................

7 13 17

PRIMA PARTE: STORIA DELLA RICERCA E PREMESSE DI METODO I PRIMI PASSI DELLA RICERCA SULLA COMPOSIZIONE DEL VANGELO 23 I. La strutturalità marciana ...........................................................................

25

1. Matteo che compone da Marco ........................................................... 2. Il caso dei «doppioni» ......................................................................... 3. Alcuni punti critici e gli sviluppi successivi .......................................

25 28 33

II. Sir Bacon e la «fivefold structure» ..........................................................

38

1. I «cinque libri contro i Giudei» e la scoperta delle prime tracce formali di composizione ............................................ 2. «Formule di transizione» e relazioni con le sezioni narrative ............. 3. Discorsi come «connettori»: la struttura continua di D.L. Barr .......... 4. Tra punti deboli e aspettative ..............................................................

38 43 46 48

III. La «threefold structure» e la storia di Gesù nel Vangelo di Matteo .......

50

1. Apo tote ērxato ho Iēsous: una struttura narrativa per il Vangelo nella visione di J.D. Kingsbury ............................................................... 2. Un passo in più: David R. Bauer ......................................................... 3. Il narrative criticism e lo spostamento sulla «trama» di Matteo ......... 4. Per una valutazione della threefold structure: il passaggio dalla composizione del testo alla trama del racconto ..........

50 56 63 73

384

La composizione letteraria del Vangelo di Matteo I MODELLI CHIASTICI E RETORICI 77

I. La tradizione orale, le tecniche compositive e il loro autore ....................

78

II. Il modello chiastico or better, le strutture concentriche ..........................

84

1. Il primo arrangiamento chiastico del Vangelo di Matteo .................... 2. H.B. Green e la struttura chiastica a parabola ..................................... 3. Una grande struttura simmetrica: Charles H. Lohr e le tecniche orali nel Vangelo di Matteo ................................................ 4. Un contributo recente: Gary W. Derickson e la fase intermedia del Regno secondo il Vangelo di Matteo ................

84 88 91 94

III. Il modello retorico greco: tra tragedia e biografia ..................................

96

1. Matteo e Marco: da dramma a biografia antica ................................... 2. Matteo e il teatro greco: in scena una tragedia ....................................

97 100

LE SOLUZIONI PIÙ RECENTI 105 I. Evidenze letterarie e ritorno al modello baconiano: C.R. Smith ................ 105 II. La macrostruttura letteraria di Wim J.C. Weren ....................................... 108 III. Il Vengelo-Pesher di J.E. Patrick ............................................................

113

IV. Un’altra analogia con il Pentateuco: P. van der Veen ............................

117

V. «Non c’è niente di nuovo sotto il sole» (Qo 1,9) ...................................... 123 PREMESSE METODOLOGICHE PER LA RICERCA DELLA COMPOSIZIONE DEL VANGELO DI MATTEO 127 I. I criteri che hanno presieduto alla ricerca della composizione .................. 130 1. Una retorica differente, rivelativa piuttosto che argomentativa ........... 131 2. Ci sono dei livelli di organizzazione testuale che si combinano .......... 135 3. L’importanza della convergenza degli indizi durante la ricerca .......... 139 II. Cosa è stato già fatto per il Vangelo di Matteo ........................................

140

Indice

385

SECONDA PARTE: LA COMPOSIZIONE DEL VANGELO DI MATTEO ANALISI RETORICA BIBLICO-SEMITICA IL RESOCONTO DI UNA SCOPERTA 147 I. Affinare i propri strumenti di lavoro .........................................................

147

II. La composizione retorica del Vangelo di Matteo: la scoperta .................

153

III. Lo statuto speciale di Mt 10 e Mt 18 ......................................................

157

1. Lo statuto speciale delle «unità di rilegatura» ..................................... 2. La scoperta delle sezioni B e D: rapporti tra le unità di rilegatura ...... 3. Le sezioni B e D nella loro funzione di articolazione retorica ............

157 164 168

LA SEZIONE A: IL MESSIA INAUGURA LA NUOVA ALLEANZA (Mt 1,18–9,38)

181

I. Indagine generale sulla sezione e convergenza di indizi ............................ 182 II. La composizione della sezione A (1,18–9,38) .......................................... 184 1. Presentazione d’insieme della sezione ................................................. 184 2. Rapporti tra le sottosezioni estreme (1,18–4,25 & 8,1–9,38) .............. 185 3. Rapporti delle sottosezioni estreme con la centrale (5,1–7,29) ........... 195 III. Per una dinamica della sezione A ...........................................................

206

1. Gesù porta a compimento la Prima Alleanza e inaugura la Nuova ..... 2. Per chi è la Nuova Alleanza? .............................................................. 3. Verso le folle, ma soprattutto per i discepoli ......................................

206 209 210

LA SEZIONE C: IL MESSIA E L’ALLEANZA RIFIUTATI O ACCOLTI (Mt 11,1–17,27)

211

I. Indagine generale sulla sezione e convergenza di indizi ...........................

212

1. Alcuni dati di natura problematica ...................................................... 2. Elementi di coesione della sezione ......................................................

212 214

II. La composizione della sezione C (11,1–17,27) .......................................

218

386

La composizione letteraria del Vangelo di Matteo

1. Rapporti tra le sottosezioni estreme (11,1–12,50 & 13,53–17,27) ..... 2. Rapporti delle sottosezioni estreme con la centrale (13,1-52) ............ 3. Visione d’insieme della sezione ..........................................................

219 237 247

III. Per una dinamica della sezione C............................................................

249

1. L’identità messianica di Gesù .............................................................. 2. Cosa accade davanti alle «opere del Messia» (11,2) ........................... 3. Accogliere e far crescere il Regno: il discepolo scriba (13,52) ...........

249 250 252

LA SEZIONE E: IL MESSIA ADEMPIE LA NUOVA ALLEANZA NEL SUO SANGUE (Mt 19,1–27,61) 255 I. Indagine generale sulla sezione e convergenza di indizi ...........................

256

II. La composizione della sezione E (19,1–27,61) .......................................

262

1. Presentazione d’insieme della sezione ................................................ 2. I rapporti tra le sottosezioni estreme (19,1–23,39 & 26,1–27,61) ...... 3. I rapporti delle sottosezioni estreme con la centrale (24,1–25,46) ......

262 263 288

III. Per una dinamica della sezione E............................................................

308

1. «Sono giunte le nozze dell’Agnello...» (Ap 19,7c) .............................. 308 2. «... La sua sposa è pronta» (Ap 19,7d): le opere dei giusti discepoli ... 309 3. Il sangue dell’Alleanza: il Servo «squarcia» il velo del Tempio perché vi entrino tutte le Nazioni ............................................................. 310 UN PROLOGO E UN EPILOGO 313 I. Prologo ed Epilogo nella letteratura biblica ..............................................

313

II. Il Prologo (1,1-17) e l’Epilogo (27,62–28,20) nel Vangelo di Matteo ....

315

1. Prima analisi delle due unità ............................................................... 2. Alcuni aspetti distintivi .......................................................................

315 318

III. Rapporti con le sezioni immediatamente contigue .................................

321

1. Il Prologo (1,1-17) e la sezione A (1,18–9,38) .................................... 2. L’Epilogo (27,62–28,20) e la sezione E (19,1–27,61) ........................

321 324

IV. Cominciare e concludere il Libro ...........................................................

327

Indice

387

UN LIBRO NUOVO PER UNA NUOVA ALLEANZA 329 I. Sintetizzare una visione d’insieme per il Libro .........................................

329

II. Il Prologo e l’Epilogo con le altre sezioni del Libro ................................

329

1. Il Prologo e le altre sezioni del Libro .................................................. 2. L’Epilogo e le altre sezioni del Libro ..................................................

330 333

III. Rapporti tra le sezioni maggiori: A ed E ................................................

337

1. Rapporti paralleli tra le sottosezioni .................................................... 2. Rapporti incrociati tra le sottosezioni .................................................. 3. Altre simmetrie parziali tra le sottosezioni .........................................

337 338 340

IV. Da una sezione maggiore all’altra: le sezioni A, C ed E ........................

340

1. Tra la prima sottosezione di C e le altre sottosezioni narrative ........... 340 2. Tra l’ultima sottosezione di C e le altre sottosezioni narrative ............ 343 V. I cinque Discorsi del Messia e la Nuova Alleanza ................................... 346 1. I Discorsi all’interno delle tre sezioni maggiori .................................. 2. Il senso dei Discorsi nelle sezioni di rilegatura ................................... 3. La dinamica dei Discorsi all’interno del Libro ...................................

346 353 357

VI. Il Figlio dell’Uomo in mezzo ai sette candelabri... (Ap 1,13) ................

360

VII. ... E le cose che devono accadere in seguito (Ap 1,19) .........................

363

1. Il compito dell’analisi retorica per un intero libro .............................. 2. In sintesi: l’attesa di un commentario biblico .....................................

363 365

Conclusione .................................................................................................. Bibliografia ................................................................................................... Indice degli autori citati ..............................................................................

367 371 381

RHÉTORIQUE BIBLIQUE Collection dirigée par Roland Meynet et Pietro Bovati 1.

ROLAND MEYNET, L’Évangile selon saint Luc. Analyse rhétorique, Éd. du Cerf, Paris 1988.

2.

PIETRO BOVATI – ROLAND MEYNET, Le Livre du prophète Amos, Éd. du Cerf, Paris 1994.

3.

ROLAND MEYNET, Jésus passe. Testament, jugement, exécution et résurrection du Seigneur Jésus dans les évangiles synoptiques, PUG Editrice – Éd. du Cerf, Rome – Paris 1999.

RHÉTORIQUE SÉMITIQUE Collection dirigée par Roland Meynet avec Jacek Oniszczuk 1.

ROLAND MEYNET, L’Évangile de Luc, Lethielleux, Paris 2005.

2.

TOMASZ KOT, La Lettre de Jacques. La foi, chemin de la vie, Lethielleux, Paris 2006.

3.

MICHEL CUYPERS, Le Festin. Une lecture de la sourate al-Mâ’ida, Lethielleux, Paris 2007.

4.

ROLAND MEYNET, Traité de rhétorique biblique, Lethielleux, Paris 2007.

5.

ROLAND MEYNET, Appelés à la liberté, Lethielleux, Paris 2008.

6.

ROLAND MEYNET, Une nouvelle introduction aux évangiles synoptiques, Lethielleux, Paris 2009.

7.

ALBERT VANHOYE, L’Épître aux Hébreux. « Un prêtre différent », Gabalda, Pendé 2010.

8.

ROLAND MEYNET, L’Évangile de Luc, Gabalda, Pendé 20113.

9.

MICHEL CUYPERS, La Composition du Coran, Gabalda, Pendé 2012.

10. ROLAND MEYNET, La Lettre aux Galates, Gabalda, Pendé 2012. 11. ROLAND MEYNET, Traité de rhétorique biblique, Gabalda, Pendé 20132. 12. ROLAND MEYNET – J. ONISZCZUK, Exercices d’analyse rhétorique, Gabalda, Pendé 2013. 13. JACEK ONISZCZUK, La première lettre de Jean, Gabalda, Pendé 2013. 14. ROLAND MEYNET, La Pâque du Seigneur. Passion et résurrection de Jésus dans les évangiles synoptiques, Gabalda, Pendé 2013. 15. MICHEL CUYPERS, Apocalypse coranique. Lecture des trente-trois sourates du Coran, Gabalda, Pendé 2014. 16. ROLAND MEYNET, L’Évangile de Marc, Gabalda, Pendé 2014.

RETORICA BIBLICA collana diretta da Roland Meynet, Pietro Bovati e Jacek Oniszczuk

EDIZIONI DEHONIANE ROMA 1.

ROLAND MEYNET, Il vangelo secondo Luca. Analisi retorica, ED, Roma 1994.

2.

PIETRO BOVATI – ROLAND MEYNET, Il libro del profeta Amos, ED, Roma 1995.

3.

ROLAND MEYNET, «E ora, scrivete per voi questo cantico». Introduzione pratica all’analisi retorica. 1. Detti e proverbi, ED, Roma 1996.

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA 4.

ROLAND MEYNET, Una nuova introduzione ai vangeli sinottici, EDB, Bologna 2001.

5.

ROLAND MEYNET, La Pasqua del Signore. Testamento, processo, esecuzione e risurrezione di Gesù nei vangeli sinottici, EDB, Bologna 2002.

6.

TOMASZ KOT, La fede, via della vita. Composizione e interpretazione della Lettera di Giacomo, EDB, Bologna 2003.

7.

ROLAND MEYNET, Il vangelo secondo Luca. Analisi retorica, seconda edizione, EDB, Bologna 2003.

8.

GIORGIO PAXIMADI, E io dimorerò in mezzo a loro. Composizione e interpretazione di Es 25–31, EDB, Bologna 2004.

9.

ROLAND MEYNET, Una nuova introduzione ai Vangeli Sinottici, seconda edizione rivista e ampliata, EDB, Bologna 2006.

10. ROLAND MEYNET, Trattato di retorica biblica, EDB, Bologna 2008. 11. JACEK ONISZCZUK, La Prima Lettera di Giovanni, EDB, Bologna 2008. 12. ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, ed., Retorica biblica e Semitica 1. Atti del primo convegno RBS, EDB, Bologna 2009. 13. ROLAND MEYNET, Chiamati alla libertà, EDB, Bologna 2010. 14. ALBERT VANHOYE, L’epistola agli Ebrei. «Un sacerdote differente», EDB, Bologna 2010. 15. JACEK ONISZCZUK, La passione del Signore secondo Giovanni (Gv 18–19), EDB, Bologna 2011. 16. ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, ed., Retorica biblica e Semitica 2. Atti del secondo convegno RBS, EDB, Bologna 2011. 17. ROLAND MEYNET, La lettera ai Galati, EDB, Bologna 2012. 18. GERMANO LORI, Il Discorso della Montagna, dono del Padre (Mt 5,1–8,1), EDB, Bologna 2013.

RETORICA BIBLICA E SEMITICA Collection dirigée par Roland Meynet et Jacek Oniszczuk 1.

JACEK ONISZCZUK, Incontri con il Risorto in Giovanni (Gv 20–21), G&B Press, Roma 2013.

2.

ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, Esercizi di analisi retorica, G&B Press, Roma 2013.

3.

ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, ed., Studi del terzo convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, G&B Press, Roma 2013.

4.

ROLAND MEYNET, Luke: the Gospel of the Children of Israel, G&B Press, Roma 2015.

5.

ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, ed., Studi del quarto convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, G&B Press, Roma 2015.

6.

ROLAND MEYNET, Les huit psaumes acrostiches alphabétiques, G&B Press, Roma 2015.

7.

ROLAND MEYNET, Le fait synoptique reconsidéré, G&B Press, Roma 2015.

8.

ROLAND MEYNET, Il vangelo di Marco, G&B Press, Roma 2016.

RHETORICA BIBLICA ET SEMITICA 9.

ROLAND MEYNET, Les psaumes des montées, Peeters, Leuven 2017.

10. MICHEL CUYPERS, Le Festin. Une lecture de la sourate al-Mâ’ida, deuxième édition, Peeters, Leuven 2017. 11. ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, ed., Studi del quinto convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, Peeters, Leuven 2017. 12. ROLAND MEYNET, Le Psautier. Cinquième livre (Ps 107–150), Peeters, Leuven 2017. 13. JACEK ONISZCZUK, Incontri con il Risorto in Giovanni (Gv 20–21), 2° edizione, Peeters, Leuven 2018. 14. ROLAND MEYNET, Il vangelo di Marco, Peeters, Leuven 2018. 15. JACEK ONISZCZUK (†), «Se il chicco di grano caduto in terra non muore...» (Gv 11–12), Peeters, Leuven 2018. 16. ROLAND MEYNET, Le Psautier. Premier livre (Ps 1–41), Peeters, Leuven 2018. 17. MASSIMO GRILLI – † JACEK ONISZCZUK – ANDRÉ WÉNIN, ed., Filiation, entre Bible et cultures. Hommage à Roland Meynet, Peeters, Leuven 2019. 18. FRANCESCO GRAZIANO – ROLAND MEYNET, ed., Studi del sesto convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, Peeters, Leuven 2019. 19. ROLAND MEYNET, Le Psautier. Troisième livre (Ps 73–89), Peeters, Leuven 2019. 20. ROLAND MEYNET, Le Psautier. Deuxième livre (Ps 42/43–72), Peeters, Leuven 2019. 21. PIETRO BOVATI – ROLAND MEYNET, Il libro del profeta Amos. Seconda edizione rivista, Peeters, Leuven 2019.

22. FRANCESCO GRAZIANO, La composizione letteraria del Vangelo di Matteo, Peeters, Leuven 2020.