La banda dell’altro mondo

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GIULIO PERRONE EDITORE

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«Perché se è mai esistito un romanzo che trasuda America da ogni poro, quel romanzo è La banda

delfaltro mondo di Neal Barrett Jr. È, proprio come l'anima degli americani, un inesausto viaggio alla rincorsa di qualcosa di meglio che ti aspetta all'orizzonte».

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Lansdale

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un caldo pomeriggio texano, di quelli che stroncherebbero le gambe anche all'essere umano più freddoloso, quando Cindy Nance

comunica al giovane Doug Hoover i due grandi

segreti della vita. A Doug il primo piace un sacco. Il secondo, ovvero che i ragazzi crescono e vanno a lavorare, non è che lo solletichi particolarmente. Una serie di matrimoni falliti e di lavoretti insul­ si gli dimostrerà quanto fossero ver:e le parole di Cindy. Deluso profondamente da ciò che il pre­ sente gli riserva, cerca di catturare le gioie del pas­ sato, gli svaghi e i piaceri della giovinezza. Non c'è altra soluzione che lasciare moglie e lavoro e an­ darsene. Ma nulla va per il verso giusto finché non incontra SueJean, il sogno di una vita, e Royce, va­ gabondo per vocazione. La realtà sterza bruscamen­ te e i tre vengono catapultati in un altro mondo, in una serie di avventure rocambolesche che danno nuovo significato alla vita, alla morte e all'amore, in un vortice di emozioni pulp che fanno di que­ sto romanzo on the road un caleidoscopio di fol­ lie narrative. Nelle pagine di Neal BarrettJunior realtà e ma­ gia si confondono, creando un universo in cui tut­ to sembra possibile. Il sogno entra nella vita vera, il buio e la luce si mescolano in un lungo crepusco­ lo, le strade ti portano esattamente dove hai biso­ gno di andare. Il tono faceto ricorda quello di altri maestri texa­ ni- il premio Pulitzer Larry McMurty, per fare un nome - e la stravaganza sconfinata porta il lettore direttamente dalle parti di Thomas Pynchon.

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art diJ.·ection, cover & log·o design: Maurizio Ccccato IFIX

NEAL BARRETT }R. Nato a San Antonio, in Texas, è cre­ sciuto a Oklahoma City. Negli anni 'So ha pubblicato il romanzo Through

Darkest America e il sequel Dawn's Uncertain Light. Dagli anni '90 in poi si è concentrato meno sulla fantascien­ za e più sui gialli polizieschi, pur con­ tinuando a scrivere entrambi i generi.

È morto nel2014, all'età di 84 anni.

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© 2019 Giulio Perrone Editore S.r.l ., Roma l edizione Aprile 2019 Titolo originale: Tlu Hereafter gang Pubblicato in America da Mojo Press (1991) Diritti riseiVari. Nessuna pane di questo libro potrà essere riprodotta o tra­ smessa in alcuna forma o attraverso alcun mezzo (elettronico, meccanico, fotocopie, registrazioni, ccc) senza previo consenso scritto dell'editore. Progetto grafico, copertina c logo design: Maurizio Ccccato stampato presso Cimer, S.n.c., Roma ISBN 978-88-6004-491-4 www. g iulioperroncditore.com

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Ne al Barrett Jr.

La banda dell'altro mondo Traduzione di Seba Pezzani

GIULIO PERRONE EDITORE

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Come Neal Barrettjr. ha scritto uno dei classici della letteratura americana più sottovalutati

dijoe R. Lansdale

Secondo me, la letteratura americana, nella sua espressione mi­ gliore, ha uno stile molto naturale, un particolare senso dell'umori­ smo e l'infinita speranza che domani le cose possano andare meglio. Naturalmente il cinismo non manca, ma mantiene sempre un la­ to buffo, e anche quando è cupo e disperato somiglia comunque un viaggio a Disneyland con escursione sulla funivia per il Matterhorn, visita a una mostra di

It's a Small Hvrld e, a seguire, un pranzo al sacco

con tanto di biscottini. Poi, dal nulla, una bella rapina nei bagni pub­ blici e Topolino che ti prende a sberle con la zampa che ha amputato a Pluto.

A questo punto, il cielo si fa scuro e la gita al parco divertimenti si conclude con esplosioni devastanti e incendi che divampano sotto venti fu riosi, che non lasceranno altro che macerie e il cada­ vere di quel topo famoso, con ancora in mano la zampa di quel cane famoso. Nessun vincitore.

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Neal Barrettjr. è uno scrittore che, nella sua variegata opera, atùnge a questa duplicità: la speranza insieme alla più nera dispe­ razione. Anche Mark Twain certe volte rideva per non piangere, altre piangeva per non ridere perché, come diceva Twain, non c'è nulla da ridere in Paradiso. A intendere che il più delle volte non ridiamo che delle stesse miserie umane. Rifletteteci. È vero. Potreste anche trovare qualche eccezione, ma buona parte dell'umorismo ha a che fare con imbarazzi, sof­ ferenze e morti violente. Situazioni ancora più buffe se capitano a qualcun altro. I personaggi di Neal sono gli incolpevoli. Gente semplice con ambizioni semplici, sbattuta qua e là dalle tempeste della vita. Gente non di per sé ridicola, ma che, per le circostanze della vita, finisce in situazioni ridicole, o almeno ridicole all'occhio di un os­ servatore esterno. Neal una volta mi ha detto: «Sai che c'è che non va nei nostri libri?>>. «Cosa, Neal?>>. «Abbiamo una visione limitata delle cose)). Per lui era un complimento, dal momento che gli piacevano le storie sulle piccole cose: un racconto sul giardino sul retro o sul quarùere. Personaggi che sognano in piccolo, convinti di sognare in grande. Neal stesso, per molti versi, era uno di quegli incolpevoli. Lo sapeva, ma sapeva anche cogliere il ridicolo in quelle cose che, quando gli succedevano, ridicole non erano afTatto. Le prendeva e le inseriva in ciò che scriveva. Riconosco molte delle situazioni che poi ha inserito nei suoi numerosissimi racconti e romanzi, per­ ché me le aveva già raccontate. Anzi, in molti degli eventi bizzarri della sua vita ho avuto una parte anch'io. Eventi comuni che in qualche modo diventavano unici se era con te.

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Era proprio nel suo stile. Se andavi con lui da qualche parte, in un negozio, al ristorante, finivi sempre per vivere un'esperienza stravagante. Con lui, anche il momento più banale diventava una cosa dell'altro mondo. Era come se l'universo- o per lo meno la nostra percezione della realtà- potesse cambiare intorno a noi. Non era così, ma c'era qualcosa di particolare in quell'uomo, una sorta di potere magico che non sapeva nemmeno di possede­ re, perché per lui era del tutto naturale viaggiare tra i mondi, cam­ biare tempo e dimensione, strappare ogni trama e gettarla via. Quei momenti mi mancano. Potevi viverli solo con Neal. Questo romanzo, La banda dell'altro mondo, trasmette dawero la sensazione di stare con lui. Come Neal, il libro se la prende comoda. Non è un romanzo di grandi esplosioni e awenture strepitose. Chiamatelo pure realismo magico ma, in fondo, non è che l'aspetto tipico della nostalgia che si fa religione personale ma poi si scontra con la delusione di non essere arrivati, nella vita, !ad­ dove si era sperato. La banda dell'altro mondo è pieno di momenti così. È awolta in una nube di realtà nella quale saettano lampi di elettrica eccentricità. È un libro di personaggi fantastici. Come Doug Hoover, un uomo con una serie di matrimoni disastrosi alle spalle e un'intera vita di falli­ menti. Un uomo deluso che scopre che crescere e diventare adulto significa trovarsi un lavoro banale corredato da delusioni banali. Almeno fmché non incontra Suejean, la cameriera del fast food, dallo sguardo insolente, che profuma di Dr Pepper. È dolce e slan­ ciata, una figa pazzesca, proprio il suo ideale di donna, la scintillante restaurazione dei suoi sogni adolescenziali. In questo libro scoprirete cose sul barbecue texano, sui negozi di aeroplanini, una piena di nostalgia impossibile da arginare. In­ contrerete zar della mala, un proctologo, Unni impegnati nella pesca alla trota e, per stare certi di non allontanarci dai classici americani, fuorilegge del West.

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Ma, soprattutto, farete un viaggio nella fantasia insieme a Doug Hoover (alter ego di Neal), che non riesce a separarsi dai bei ricordi del passato. Che, a loro volta, non ne vogliono sapere di separarsi da lui. Alla fine, vengono rivelati i motivi delle sue bravate. Quasi tutti. Ma, come succede con le migliori bravate magiche, ce n'è una parte che rimane awolta nel mistero. Ottimamente scritto, con una splendida caratterizzazione, La banda dell'altro mondo incanta: è dawero un grande romanzo, un clas­ sico americano. È un'opera unica, con un suo pubblico di cultori appassionati, ma non ha mai ottenuto l'attenzione che meriterebbe di avere ovunque. Solo quei cultori e i recensori che l'hanno osan­ nato lo conoscono bene. Spero che questa edizione cambi le cose. Spero che questo libro diventi la scoperta letteraria che dovrebbe essere. Perché se è mai esistito un romanzo che trasuda America da ogni poro, quel romanzo è La banda dell'altro mondo di Neal Barrettjr. È, proprio come l'anima degli americani, un inesausto viaggio alla rin­ corsa di qualcosa di meglio che ti aspetta all'orizzonte. E quel "qualcosa di meglio" è dawero come l'orizzonte: più velocemente ti avvicini, tanto più velocemente si allontana. Chiedete ajay Gatsby. Eppure, a volte, ma solo a volte, si riesce a raggiungerlo. In questo libro, Neal Barrettjr. ci riesce.

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Capitolo l

Doug è al cinema con Erlene. Questo il sogno che si presenta all'alba di lunedì mattina, dopo la festa di sabato sera e una dome­ nica folle. Stanno guardando La donna del tenente.francese, che, da sve­ glio, a lui non era piaciuto. Pensa che a Meryl Streep farebbe bene un po' di Vitamina B. Ha occhiaie violacee da uccellino. Erlene dice che Meryl porta biancheria intima di seta che si può comprare soltanto in una particolare boutique di Parigi e che le piace sedersi nei caflè all'aperto tra una ripresa e l'altra. Doug immagina siano tutte cazzate. Sa da dove le pesca queste sue dritte sulle star. A Wl certo punto del film, Erlene si spoglia. Rimane con una calzamaglia di rete. Doug l'ha vista pubblicizzata sul retro di alcune riviste. Al­ l'improvviso alcuni marinai dai tratti slavi la ribaltano sulla poltrona e le fanno quelle cose che a lui piacciono tanto. Erlene non sembra neanche accorgersene. Finisce il suo secchiello di popcorn e una Sprite. Meryl Streep guarda il mare con aria nostalgica. Appena il film finisce, Doug si accorge che Erlene è morta. Dopo un momento di sconforto, è come se gli avessero tolto un peso di dosso. Al fune­ rale, Sunny D'Angelo gli passa una fialetta di vetro. Di nascosto

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Doug se ne versa il contenuto sugli occhi per simulare le lacrime. Una splendida ragazza lo sta guardando dall'altro lato della tomba. Ha occhi g�igi e svegli. Si capiscono al primo sguardo. Si incontre­ ranno quella notte stessa in un albergo esclusivo. È tardi quando Doug arriva. Come in un fùm di spionaggio le strade sono deserte e bagnate di pioggia. Nella stanza non c'è un fùo di luce, ma sa che la ragazza è li. Sente l'odore degli olii profumati che si è spalmata su cosce e capezzoli. Sono olii introvabili. Vietati alla vendita. Si ferma accanto al suo letto; lei solleva il suo piccolo piede per farselo baciare. Le dita sanno di chiodi di garofano e cuoio buono. Con un cenno lo invita a raggiungerla. In un orecchio gli sussurra le sue vo­ glie. Parla una lingua mai sentita, che però Doug capisce. Dall'ar­ madio e da sotto il letto sbucano sagome scure. Erano lì acquattate da quando lui aveva tre anni. Sapevano che si sarebbe scordato di lasciare la luce accesa. Lo trascinano sul pavimento e gli succhiano il respiro. L'odore di animale bagnato è lo stesso usato dalla ragazza per attirarlo nel suo letto. Sta per iniziare uno spot pubblicitario. Un uomo di colore affonda i denti in un Whopper. Doug avverte un terribile senso di perdita. Sa cosa ha mangiato l'uomo di colore. «Ehi, tesoro, non guardarmi» gli dice l'uomo. «È la tua vecchia quella che ti ha fatto fuori . . . ».

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Capitolo 2

Doug si svegliò dal sogno, in bilico tra paura e apprensione. Si sentiva come alienato. L'orologio accanto al letto segnava le 1 0.35 o forse no. Si sedette e poggiò i piedi sul pavimento. Il sole entrava caldo dalla finestra, proiettando strisce d'ombra sul letto, come nella squallida cella di un film. Erlene aveva messo l'aria condi­ zionata a palla. Tanto le bollette erano tutte pagate, se non la usa­ vano loro l'avrebbe di certo fatto qualcun altro, ripeteva. Si ricordò che era il giorno migliore della sua vita e si sentì me­ glio. Era intenzionato a portare a termine delle cose. Non c'era motivo per cui non potesse riuscirei. Il destino smazzava regolar­ mente mani vincenti. Un maestro di Rose Hill, North Carolina, un inetto che non sapeva neanche aprire una lattina senza fare danni, aveva vinto ottomila verdoni alla Ruota della Fortuna. Sca­ ricare Erlene e smettere di lavorare non poteva certo essere più difficile. Si trascinò sotto la doccia e si lasciò scorrere un po' d'acqua sulla faccia. Pensò al sogno. Voleva davvero che Erlene morisse? Imma­ ginava di no, ma doveva pur significare qualcosa. Nel sonno acca-

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dono delle cose, ma poi ti tocca scoprirne il senso. Non significano sempre ciò che credi. L'acqua lo aiutò a disuicarsi tra le sue emo­ zioni. Aveva guardato Erlene alle 6.30 della sera prima e l'aveva ta­ gliata fuori dalla sua vita. Così. Stavano guardando 60 Minutes. In quel momento erano ancora una coppia e, l'istante seguente, du­ rante uno spot pubblicitario della Preparazione H, non gliene sa­ rebbe importato nulla se fosse stramazzata al suolo. La comparsa di quel prodotto sullo schermo, in quel preciso istante, gli era sem­ brato un presagio, così come quello che accadde subito dopo: l'im­ magine della madre di Erlene che si sovrapponeva alla confezione gialla e blu. Sembrava un riuscito effetto speciale. Proprio quel pensiero gli ricordò dove, con ogni probabilità, si trovasse Erlene. Era l'ultimo lunedì del mese, il giorno in cui an­ dava in macchina a sud di Houston a trovare sua madre. Otta Cee Lamprey viveva in una casa mobile a nord di Clute. La casa mobile era un'enorme supposta di alluminio, montata su blocchi di ce­ mento. Era ferma lì dal 1958 e aveva sfidato uragani, inondazioni ed estati texane. Si trovava in una macchia di pini spogli: alberi agonizzanti per il bacio della Monsanto e della Dow e per l'alito petrolifero delle raffinerie del Golfo. Erlene diceva agli amici che Otta Cee era nel business dell'antiquariato, ma non era disposta a fornire ulteriori dettagli. Nel corso della prima e ultima visita a Clute, Doug aveva scoperto che il business dell'antiquariato era in realtà un tavolino da gioco piazzato davanti alla casa mobile. Sopra c'erano tre posaceneri del Ramada Inn di Freeport, un bicchiere degli Houston Oiler, una bottiglia di Dr Pepper con dentro dei fiori di plastica ormai squaglia ti dal sole. E una lampada a forma di un Paperino sbeccato sotto gli occhi. Paperino aveva l'aria sorpresa. Nient'altro. Solo quel tavolino ingombro di stronzate che la gente aveva buttato dal finestrino della macchina o scaricato alla Shell, sull'altro lato della strada. Doug non si intendeva di com­ mercio ma capì che la vecchia non si guadagnava certo da vivere

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in quel modo. Era chiaro che ogni tanto Erlene le allungava qual­ che soldo che a lui diceva di aver speso per qualcos'altro. Otta Gee apriva il negozio di antiquariato nei weekend in cui non pioveva. Durante la settimana, beveva birra e cazzeggiava dentro la casa mobile. Erlene non ne voleva sapere di entrarci. Ri­ maneva fuori su una sdraio rotta a chiacchierare con la madre. Non sarebbe entrata neanche se l'avessero pagata. Chiusi in quel posto c'erano quasi trent'anni di Lone Star e di scoregge da hot dog al chili e chissà che altro. Se gli dèi vogliono distruggerti, pri­ ma ti mandano a Clute, diceva Doug, facendo imbestialire Erlene. Per lui era davvero incredibile che una Rangerette di Kilgore dalle gambe lunghe e flessuose, una ragazza con occhi color whisky e una bocca morbida e imbronciata potesse essere schizzata fuori dal ventre di Otta Gee, flaccido come la pasta della pizza. Com'è possibile che una bambina era scivolata giù da quel tunnel degli or­ rori e ne era uscita carina come una violetta di campo? Aveva una sola risposta: il padre, scappato da tempo e mai più tirato in ballo. Doveva trattarsi di una specie di Apollo del Texas meridionale. Me­ tà Dio e metà camionista, sempre in giro a sbronzarsi. Il suo super­ sperma aveva inondato Otta Gee, strapazzato le sue uova marce e plasmato Erlene dal nulla. Chiunque fosse, si era fatto passare la sbornia e se l'era svignata. Doug era sposato con Erlene da quattro anni quando notò che quel tesorino iniziava a mostrare qualche sinistra somiglianza con Otta Gee. Cose da poco, all'inizio. Una volta andarono a vedere un film in cui un malato di mente con addosso una maschera da hockey spaccava la testa a un bel po' di adolescenti. Le scappò una risata sguaiata. Rise fino alle lacrime e Doug si mise a cercare altri segni. Le sbirciò nel naso e nelle orecchie alla ricerca dei peli di Otta Gee. Nulla. Ma non era una prova. Una donna disposta a scoparsi persino un dentista o uno strizzacervelli non si sarebbe di certo fatta fermare da un ciuffetto segreto di peli.

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Doug si asciugò, si strinse un asciugamano in vita e si lavò i denti. Non era affatto male. Un Clint Eastwood brutto. Magari un Charles Bronson bello. Un testone di capelli senza chiazze di grigio. Occhi scuri e sclere bianchissime. Aveva la sensazione che le rughe agli angoli della bocca gli conferissero carattere e matu­ rità. Prese il rasoio, lo posò e si guardò di nuovo. Si stupì di aver capito così in fretta. Non aveva bisogno di radersi. Poteva fare co­ me gli pareva. A partire da subito. Prese il rasoio, il pacchetto di lame, la crema da barba e buttò tutto nel secchio accanto al la­ vandino. Dannazione. Due settimane e sarebbe stato come Willie Nelson. Alito di Topo entrò a passo felpato nella stanza, incuriosita dal rumore. Con un balzo fu sulla tazza. «Me ne vado» le disse. «Non so dove, ma sarà meglio che vieni anche tu. Resta qui e ti farai gassare il culo». La gatta gli rivolse un'ottusa occhiata color am­ bra. Doug vi colse un moto di comprensione e una saggezza an­ cestrale. Non trovò mutande pulite e ne riciclò un paio dal fondo della pila. Lì dentro era già un estraneo. Vedeva quell'appartamento per quello che era. Si sentì depresso ma libero. Come aveva fatto a viverci frno ad allora? Le pareti erano di un verde ospedale. La moquette assomigliava a un cane orrendamente pezzato. Erlene era un portento a sistemare i mobili sempre un po' fuori asse, pro­ babile eredità di Otta Gee, e aveva ficcato fiori di plastica ovun­ que. Divani e sedie avevano un che da Target ispanico, o forse no. I giornali della domenica giacevano sparsi sul pavimento. Sul ta­ volino c'era il suo libro sulla storia delle Rengerette di Kilgore. C'erano cartoni di cibo da asporto, patatine fritte rinsecchite e salsa barbecue rappresa. Doug pensò che Robin Leach non ci avrebbe messo piede neanche morto. Erlene gli aveva lasciato il calle sul fornello. Lo buttò e se ne preparò un altro. Persino la più semplice consuetudine matrimo-

niale aveva assunto contorni perversi. Cercò di immaginarsi con lei a colazione. Cosa si sarebbero detti? Di cosa avrebbero parlato? Alito di Topo gli si strusciò su una gamba, gli apri una porzione di Nine Lives e gliela versò in un piatto. La gatta saltò sul bancone e gli scostò la mano. I gatti non pensano al cibo allo stesso modo dei cani, pensò Doug. I cani hanno paura di Dio e divorano tutto subito. Fuori dalla finestra della cucina il sole era incandescente. Un camion della spazzatura risaliva a fatica il vicolo dietro l'apparta­ mento. I cortiletti recintati erano deserti, a parte le griglie arrug­ ginite acquistate in un K-Mart e le piante da appartamento la­ sciate a morire all'aperto. Sarebbe stata una notte ideale per dare un'occhiata alla ragazza della l 04. Cazzo, era il sogno di ogni guardone ed era puntuale come il notiziario delle dieci. Aveva let­ to il suo nome sulla cassetta della posta e aveva fatto fmta di in­ crociarla per caso. Lei lo aveva fulminato con lo sguardo. Non le andava di conoscerlo. Eppure, Doug conosceva lei e il suo doc­ ciaschiuma alla fragola. Sbirciare dentro le finestre era un'abitu­ dine che aveva preso da giovane e non trovava alcun motivo per sbarazzarsene. Da ragazzo, a Waxahachie, si era fatto una mappa dettagliata di ogni finestra buona del paese. Le ore migliori per sbirciare, l'età della ragazza, la qualità delle tette e lo specifico fat­ tore di rischio. Se l'era annotato su un numero di Orphan Annie e l'aveva nascosto in una scatola, nell'armadio a muro. Ricordava ogni tesoro sepolto lì dentro. Un fumetto zozzo con Dagwood, Blondie e Mr Dithers. Un paio di mutandine rubate dallo stendino di Betty Allwood. Una foto di Cyd Charisse. Aveva lasciato il suo segno su una miriade di muri rivestiti di assi e di arbusti di cedro. Allora il pericolo erano i cani randagi che giravano in branco per la città. Adesso invece erano gli addetti alla sicurezza e le vene­ ziane. Si sentiva molto meglio di quanto avesse sperato. La domenica

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era stata persino peggio di sabato sera. Domenica: il momento del­ la verità. La spazzatura dissotterrata nella notte di sabato, quando tutti se n'erano andati, di certo non puzzava di meno il mattino dopo. Sabato avevano sparato alla cieca. Domenica, da sobri, era­ no pronti per un match per il titolo su hbo. Erlene si era chiusa a chiave in bagno e non faceva che strillare. Doug si era trascinato per tutta casa. Questo fmo al tardo pomeriggio. A quel punto, gli scontri verbali li avevano lasciati stremati e a corto di invettive. Si erano abbracciati e avevano pianto. Il loro era stato uno sfogo ne­ cessario, la cosa più saggia da fare. A quel punto erano pronti a mettersi a tavolino a risolvere le cose come due adulti. «Siamo stati già sposati entrambi» disse Doug. «Non siamo ra­ gazzini, Erlene. Le cose succedono, che tu lo voglia o no». «Sta' a sentire, Doug, non è successo un bel niente» disse Erlene. «Non ti fissare. Pete ha solo esagerato un po'. Sai com'è quando beve». «Intendevo solo dire che le cose possono succedere. Che po­ trebbero succedere. Se succedessero, capiremmo. Che le cose suc­ cedono». «Be', non è successo nulla». «Be', forse, non è successo nulla». . «Non ti succederà niente» gli disse. «Se non fai il cretino». Sopra il bancone c'era un cartello sul credito e un poster della Remington Arms con su un uomo che sembrava un orso. «Non sei così fuori posto come pensi» disse la ragazza picchiettan­ do sul pacchetto di sigarette per farne uscire una. «Hai ancora dentro la campagna. Te ne sei andato e l'hai lasciata a riposo, ma è ancora lì. Non ti sci mai liberato della tua anima campagnola. Billy, mi an­ drebbe un altro brandy con una Dr Pcppcr, quando hai tempo». «Prendo lo stesso» disse Doug. «Meglio di no» disse Billy dal buio. «Non ti servo. A lei sì, a te no». «Bene» disse Doug, ringalluzzito dal whisky. «Prendo un Lamborghini con una Seven Up». Billy lo guardò dritto in faccia. «Lamborghini è un marchio di macchine italiane. Qui non ci sono i fighetti di Plymouth Rock. Mettitelo in testa». gli disse stizzita. ((C'è la mia costosa roba da cowboy lì dentro». ((Pensi di riprenderti?». ((Sì, appena mi farò un drink». ((Questa l'ho già sentita». Il tempo di un drink e lei si era seduta sul letto e aveva iniziato a spogliarsi, si era sfll ata i pantaloni elasticizzati e la maglietta e li

aveva lanciati in un angolo. Le guardò le gambe da campagnola e pensò che fosse una di quelle tipe abituate alla corsa. Le offri un drink ma lei rifiutò. «Per un po' sono andata con un tizio che diceva di avere una concessionaria di pick-up Ford a Dallas. Un giorno, l'ho sorpreso che usciva da dove lavorava, una libreria nazista. Ed è stato lì che ho capito perché non si metteva mai una camicia bianca. E tu, che fai? Cioè, quando non fai il Tom Mix della situazione». Doug glielo disse. Di certo meglio che lavorare da McDonald's, commentò lei. «Ci sono stata per due settimane e mezzo. Hamburger e pata­ tine fritte non li posso più vedere. Mangio solo burro di arachidi e pere sciroppate». «Hai due tette che sembrano coni da due dollari» le disse Doug. «Mia madre lavorava in un Dairy Queem> gli disse, sedendo­ glisi sulle gambe. «In genere, ai ragazzi faccio un pompino giusto per approfondire la conoscenza. Con te, sto facendo un'eccezione. Prendilo come un complimento, se vuoi». «È quello che farò, penso». «Te la spasserai alla grande, credimi. Urlo, ho le visioni e, dove serve, sono snodatissima». ((Sei una meraviglia» disse Doug. ((Non sai quanto». La mattina, Doug le chiese dove si trovavano e saltò fuori che era­ no a Pasadena, in Texas, il buco del culo di Houston. Così si spiegava la moda da cowboy e la serie impressionante di bar da bifolchi mer­ daioli. Mentre uscivano per fare colazione, vide una coppia a bordo di un pick-up Chevy nuovo dalle gomme esageratamente grosse. Mamma, neonato al seno e papà in tuta mimetica. li papà entrò in un negozio per acquistare una confezione di birra da sei e una con-

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fezione di Doritos. Sulla rastrelliera delle armi c'era un fucile calibro 30-06 con un mirino buono a sparare al Voyager II. L'adesivo sul paraurti posteriore recitava: QUANDO

IL PASTORE jACK PARLA, GESÙ ASCOLTA

SUONA I L C LACSON SE TI PIACE LA PA SSERA TEXANA

>. «Se ho detto che lo faccio, lo faccio» disse Doug. «Non sono uno che fa parlare l'alcol al posto suo. Cos'è che ti ho detto esat­ tamente?». «l'vlerda». La cosa l'aveva irritata. «Ti chiami dawero Doug o come? Io sono Annie Beth Tonklin e immagino che non ti ricordi nemmeno questo, giusto?». «Certo che me lo ricordo» mentì. «E manterrò la mia promes­ sa, Annie Beth». «Bene». Si sporse dalla sua parte e gli diede un bacetto. «Non so un cavolo di quel lavoro, ma posso imparare. Sul serio, Doug, se vedo un altro panino con l'hamburger, vomito l'anima». Questa è la versione lunga per spiegare come, nel giro di una notte, Annie Beth Tonklin finì per diventare l'Audio Visual Annie, direttrice della "Produzioni audio e video", una sezione fasulla del non funzionante settore "Pubbliche Relazioni" della Clinton-Fevre Advertising, lnc., agenzia con il secondo fatturato del Sudovest. Doug passò il fme settimana al Cedar Grove Motel lnn a redigere la proposta, con l'aiuto di Sarah Dee. Sarah flirtò apertamente con Annie e pensò che la loro fosse un'ottima idea. Il settore audiovisivo a Doug era venuto in mente così, dal nulla, mentre sbatteva Annie sul letto come un pancake di IHOP. Nel pomeriggio, era uscito per

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comprare Dr Pepper, brandy, hot dog al chili e una bottiglia di te­ quila per Sarah Dee. Non aveva la minima idea di cosa fosse suc­ cesso mentre era via e non fece domande. L'intuizione che la Clinton-Fevre potesse avere "un enorme potenziale audiovisivo" era stata di Sarah Dee. La chiave era quel "potenziale". Significava che avrebbero potuto sputtanare quat­ trocento testoni per della merda audiovisiva di prima qualità senza doverla nemmeno usare. I dirigenti dell'azienda avrebbero potuto far venire un po' di clienti a dare un'occhiatina dopo pranzo e portarli via tutti impressionati. Il fatto è che l'attrezzatura audio­ visiva è fantasmagorica e, a parte volare, ti dà la sensazione di po­ ter fare qualunque cosa. La Clinton-Fevre avrebbe potuto inserire il nuovo settore nel suo elegante dépliant, promuovere il "servizio completo dell'agenzia" e continuare a mandare il lavoro fuori a un negozio affidabile. La Clinton-Fevre accolse la proposta in un istante. Doug fu lo­ dato per le capacità gestionali, il tempismo e la creatività. Nel cur­ riculum Annie Beth era stata a capo di una grossa azienda di pro­ duzione di Los Angeles. Per il momento, erano tutti felici. Tutti tranne Annie Beth. L'appunto sulla scrivania non sorprese afTatto Doug, ma non gli fece nemmeno piacere. I guai si stavano accumulando molto più rapidamente di quanto fosse in grado di gestirli. Era metà po­ meriggio e non se n'era ancora andato. E non aveva neanche af­ frontato Erlene. Sarebbe stata di pessimo umore dopo un giorno con Otta Gee. Sapeva cosa voleva Annie: andarsene. Doug sapeva di aver commesso uno sbaglio e lo sapeva anche Annie Beth. Era solo questione di tempo. Scese al piano di sotto con l'ascensore. Annie Beth gli si buttò in lacrime tra le braccia, deliziosa con la sua tuta viola e i tacchi a spillo.

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«Doug, tesoro,» miagolò «la bella vita mi sta mandando fuori di testa. Ho vestiti che neanche mi posso mettere fuori di qui. Al­ cuni non li so proprio portare. Non so nemmeno come indossarli. Ho più soldi di quanti posso spenderne e me ne sto seduta qui per tutto il santo giorno a leggere tascabili. A questa Lady Melanie Jane manca il fiato ogni volta che quel tizio le sbircia dentro il cor­ petto. Cos'è un corpetto, Doug? Deve essere una cosa zozza sennò lui non lo guarderebbe con tutta quella foga. Capisci cosa inten­ do? È da due anni che sono qui, tesoro. Mi manca il rumore dei camion. Starmene in una bettola con una valigia e un biglietto sempre pronti». Doug la strinse tra le braccia. «Annie Beth, cosa posso fare?». «Che cavolo ne so. Qualcosa». Tirò su col naso, appoggiata sulla sua spalla. «Se te ne vai tu, tesoro, io di certo qui non ci resto». «Alla faccia dei segreti». «l segreti con chi ti vuole bene, Doug?». Lo baciò sulla bocca. Fritos e Dr Pepper. «Questo non è il mio posto, tesoro, e ho capito subito che non è nemmeno il tuo. Ti chiederei di seguirmi sulla strada, ma né tu né io lo sopporteremmo». «Be', ce la siamo spassata» disse Doug. >.

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«Cosa?)). ((Dov'ero quando me ne sono andato?)). Suejean studiò un boccone appetitoso. (dn ufficio. In quel posto senza senso dove lavoravi)). ((Ci ero andato per salutare Sarah Dee. Almeno credo)). ((Eh già)). Doug posò il caffè. ((Caspita, devo averla scioccata. Mi dispiace. Quella donna ha già i suoi problemi. L'ho tirata per le lunghe, o me ne sono andato di schianto?)). Suejean lo guardò dritto negli occhi. (Nuoi proprio saperlo? Ci hai messo un po'. Hai dato battaglia. Attaccato a un sacco di tubi, macchinari e lucette, come in un epi­ sodio di A cuore aperto, okay?)). ((Cavolo! Scommetto che erano tutti tristi! Erlene avrà pianto e fatto le solite scene, Ham e Stew avranno provato rimorso per non essere stati più carini con me)). Suejean lo minacciò con la forchetta. ((Doug, non ho nessuna intenzione di darti corda)). ((Okay, okay. Volevo solo sapere)). ((Ne sono rimaste due. Vuoi quella rosa o quella viola?)). ((Va bene quella rosa)) rispose.

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Capitolo 37

Le cialde colorate non l'avevano saziato. Quando Suejean uscì di casa, Doug trovò in frigo roast beef, salsa di rafano e formaggio cheddar. Metà di un dolce alle banane. Era una bella giornata, così mise tutto in un piatto e si sedette sulla sedia a dondolo nel patio. I cani si divertivano a dare la caccia agli scoiattoli. Svariati gatti li guardavano con un senso di imbarazzo e superiorità, poi si sistemarono al sole per fare un pisolino. Doug osservò la scena e si mise a leggere una rivista del 1 945, Collier's. Poi la ripose e ini­ ziò a leggere John Carter di 1Harte. Poi gli venne voglia di crema sci­ roppata fredda e di fare un sonnellino mattutino. Il solo pensiero bastò a farlo sentire immediatamente riposato. Una gatta calico, una che non si ricordava di aver mai visto, si arrampicò sulla zan­ zariera e gli lanciò un'occhiata buffa. La nottata piena di sogni gli aveva sgombrato la mente dai pen­ sieri e lo aveva reso lucido e consapevole, in grado di guardare le cose con il giusto distacco. L'idea di tornare indietro non gli inte­ ressava e non lo turbava affatto. No grazie, ne aveva avuto già ab­ bastanza. Un solo disastro era più che sufficiente. Se sopravvivi a

un incidente aereo non hai nessuna fretta di comprare un altro biglietto e di andare da qualche altra parte. Suejean disse che lei l'aveva fatto più volte ma non approfondì mai la questione. La cosa non lo sorprendeva. Era il tipo da met­ tere le domande a stendere al sole per farle asciugare, quella ra­ gazza. Pensò a Royce, con la vaga speranza che potesse dirgli che quella situazione non aveva alcun senso. Royce era un vagabondo, ma sapeva riconoscere lo sballo solitario depresso quando lo tro­ vava. Sua madre era incredibile. E Doug sapeva perché. Era colpa di suo padre. Non la portava mai da nessuna parte. Se l'avesse fat­ to, non le sarebbe mai venuta voglia di candidarsi a est del paese. I cani si stancarono di dare la caccia agli scoiattoli e iniziarono ad abbaiare. Qualcuno bussò e Doug si diresse al cancello di in­ gresso. Fuori c'era un signore che sorrideva. «Doug Hoover?>> chiese. ). ((Non succederà)). ((Potrebbe succedere. Non sono me stesso. Per lo meno, non

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ancora, anche se ci ho sperato. Sono stanco dei film che riempio­ no la testa. Non mi importa se Ham Bayliss era un pitto. Non vo­ glio sapere se i greci avevano la 7Up. Sarebbe stato meglio lasciare Dean nel parco. Sarebbe stato meglio che il Kid non se ne fosse andato. Mi serve qui. Sarebbe stato meglio non dover pensare ai topolini». SuaJean si scostò, lo esaminò con distacco e con la testa leg­ germente inclinata. Si strinse il mento tra le mani e lo scrutò a fondo. «Doug, alzati» disse. >. «Non funziona così: non è che se qualcuno non ti piace signi­ fica per forza che in un'altra vita ti ha fatto del male» disse Sue Jean. «Se non Otta Gee allora Erlene» disse Doug, giocherellando con le uova. «Se poteva, ti pugnalava alle spalle». «Doug, smettila». ((Be', non è un crimine fare certi ragionamenti». ((Conoscendoti, dipende da dove ti portano». Sue jean posò i piatti sporchi sul pavimento e con una mano levò le briciole dalle lenzuola. ((Certo che eravamo due criminali famosissimi» disse Doug. ((Quasi quanto il Kid». ((Non esaltarti troppo». ((Era solo per dire . . . ». ((Evita». Doug sembrò sorpreso. ((Non dirmi che non ti ha mai fatto piacere il fatto che tutti ti conoscessero. Che hanno parlato di noi in un sacco di libri, film e programmi televisivi». Sue Jean spense la luce. ((Quello che ti sto dicendo, Doug, è che, se vuoi che il tuo viaggio là fuori fili liscio, sarebbe meglio non fmirci proprio sui libri. Ora dormi, tesoro. Hai avuto una not­ tataccia, lascia riposare la tua testa».

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Capitolo 52

La giornata era limpida e

lwninosa, il cielo estivo era slavato come vecchi jeans. Suejean riempì il cestino da picnic di costolette e pollo fritto, uova alla diavola e patatine, cetrioli sott'aceto e maionese e tutti gli avanzi che avevano in frigo. Doug infilò le bevande nella ghiac­ ciaia, birra Tres Equis e Beck's, Grapette e 7Up, Nehi Orange e un po' di Delaware Punch, oltre a cinque o sei bottiglie di Moet. Non entrò tutto nel bagagliaio e il resto lo mise sul sedile posteriore, ac­ canto a Dean che si lagnò che non c'era abbastanza posto e che non gli andava proprio di doversene stare tutto rannicchiato. Doug gli ri­ spose che ci sarebbe stato un sacco di spazio se non si fosse portato appresso tutte le sue torte. Dean ammutolì ma, appena partiti, iniziò il suo solito elenco di cittadine del Texas. . La Card procedette col suo solito ronzio piacevole e confor­ tante. Suejean era bella come una rosa. Il vento le sollevò l'abito leggero e le scompigliò i capelli. A Doug piaceva quel vestitino con le spalline sottili, che cadevano di continuo.

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«Dovresti venire su anche tu» disse Doug. «Sarà un vero spasso». «Manco per idea>> disse Suejean. «Sei tu che stai per compiere un passo importante, non io». «Non c'entra niente. Se uno vuole, può volare in qualsiasi mo­ mento». «lVIi basta che mi saluti con una mano. Sarò vestita di rosa, su una sdraio a bere 7Up». «Lo vedo che sei vestita di rosa». «Un tempo avevo un aereo tutto mio» disse Dean. «0 forse ne avevo due o tre. Posso comprarmi tutti gli aerei che voglio». ((Bene» disse Doug. Riconobbe il cartello con la scrittajagdstaffel l l e svoltò. C'erano auto parcheggiate ovunque. Alcune vicino agli hangar, altre lungo la strada, altre addirittura sulla pista. Doug si emozionò nel vedere gli aerei tutti allineati, alcuni dalle sagome tozze, altri più affusolati, sem­ bravano impazienti di staccarsi dal suolo. La gente si era radunata al­ l'ombra. C'erano sdraio e sedie a dondolo e tavoli stracolrni di cibo. Trovò un punto in cui parcheggiare. Cole Younger lo vide, lo salutò con una mano e gli corse incontro. Lo abbracciò, lo sollevò da terra e gli rivolse un sorriso a trentadue denti. . (iJesse, vecchio figlio di puttana» disse. ((Che piacere vederti, amico. Ho sentito dire che ti sei dato una raddrizzata. Che vai fie­ ro. A proposito: JesseJames o Doug Hoover?». ((Credo che mi terrò Doug» disse Doug. «AJesse mi devo ria­ bituare». E sorrise come un ebete. ((Mi è tutto chiaro, Cole. Tu , io, Frank e tutta la banda. Mi ricordo tutto». ((Sapevo che ci saresti riuscito, amico». ((La faccenda di Northfield ci ha dato il colpo di grazia. Quella rapina non avremmo dovuto nemmeno tentarla». ((Diciamo che te ne sei accorto un po' tardi». Cole rise e vide che Doug aveva portato un sacco di roba. ((Grande, proprio quello che ci serve. Altra roba da mangiare e bere. Ti do una mano».

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Doug gli passò le ceste. Cole guardò Dean con diffidenza. «Di' a quel tizio che non deve più toccare le mie rose» disse a Doug. ). «Credo che andrò a vedere gli aerei>). «Buona idea>). E si allontanò sculettando di proposito, sapeva che lui non le avrebbe scollato gli occhi di dosso. Doug sentì un brivido familiare camminando tra gli aerei, di fronte al vecchio e sgraziato Rumpler, al paffuto Albatros, a un Halberstadt fragile come un aquilone. Trovò il gioiello rosso fuoco di von Richthofen e fece scorrere una mano lungo le ali tozze del Fokker, sulla tela scaldata dal sole. Senti l'odore di grasso e di olio di ricino, in testa il rombo di un motore surriscaldato, vide un Roland dalla fusoliera tozza e argentata. Albert Bali lo attendeva lassù e, forse, c'era pure Billy Bishop. Il maggiore Mannock in quel momento doveva essere nei cieli di Ypres con il suo SE-5 che si stagliava contro il sole. Ottimi piloti inglesi, ma lui avrebbe do­ vuto abbatterli. Se quello è il tuo compito non puoi opporti.

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