Introduzione alla filosofia della tecnica. Una prospettiva fenomenologico-evoluzionistica. Nuova ediz. 9788855292160, 9788855292177

Che cos'è la filosofia della tecnica? Quali problemi si pone e con quali metodologie? In questo breve testo, Bernha

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Introduzione alla filosofia della tecnica. Una prospettiva fenomenologico-evoluzionistica. Nuova ediz.
 9788855292160, 9788855292177

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Bernhard Irrgang

Introduzione alla filosofia della tecnica Una prospettiva fenomenologico-evoluzionistica

Umweg

Collana diretta da:

Federica Buongiorno, Roberto Esposito, Libera Pisano, Christoph Wulf

Umweg | 10

Bernhard Irrgang Introduzione alla filosofia della tecnica Una prospettiva fenomenologico-evoluzionistica

Traduzione dal tedesco di Federica Buongiorno

© 2021, INSCHIBBOLETH EDIZIONI, Roma. Proprietà letteraria riservata di Inschibboleth società cooperativa, via G. Macchi, 94 - 00133 - Roma www.inschibbolethedizioni.com e-mail: [email protected] Umweg ISSN: 2499-6041 n. 10 - febbraio 2021 ISBN – Edizione cartacea: 978-88-5529-216-0 ISBN – Ebook: 978-88-5529-217-7 Copertina e Grafica: Ufficio grafico Inschibboleth Immagine di copertina: Sabrina Bartolozzi, Mechanical Bird.

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Filosofia della tecnica: la prospettiva di Bernhard Irrgang Introduzione di Federica Buongiorno

Tra le tradizioni filosofiche più solide nel panorama accademico tedesco figurano, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, gli studi di Technikphilosophie. Sebbene una definizione stringente di cosa sia “filosofia della tecnica” possa risultare difficile da delineare, lo sviluppo storico di questo settore di studi ha assunto sin dall’inizio in Germania contorni nettamente disciplinari, configurando un ambito di ricerca definito, con metodologie e ordini di problemi specifici e una costante (auto)riflessione sullo statuto e sui compiti stessi della filosofia nell’epo­ ca del capitalismo tecnologico1. 1. Una tradizione altrettanto forte in filosofia della tecnica/ della tecnologia è riscontrabile, all’interno del panorama europeo, nei Paesi Bassi: anche qui si rileva l’istituzionalizzazione della filosofia della tecnica presso le numerose Uni-

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La storica centralità dell’insegnamento filosofico nell’Università tedesca e la sua tradizionale osmosi con il tessuto economico e sociale e con le sue richieste, specialmente nel periodo della Ricostruzione post-bellica e a seguito della Riunificazione, ha condotto alla fondazione sistematica di Università tecniche, nelle quali l’insegnamento e lo studio di discipline scientifiche tecniche si è accompagnato e integrato alla riflessione teorica e filosofica2: in molti casi, Istituti di versità tecniche presenti nel Paese, dove è particolarmente forte – diversamente che in Germania – l’orientamento fenomenologico e “post-fenomenologico” sviluppato sulla scia delle ricerche del filosofo della tecnica americano Don Ihde, riprese e ulteriormente elaborate, in particolare, da Peter-Paul Verbeek presso il “Design Lab” da questi fondato e diretto all’Università tecnica di Twente. Cfr. https://post­phenomenology.org/ (visitato il 02-09-2020). 2. Esistono, a oggi, quindici Università tecniche in Germania, la più grande delle quali per numero di immatricolazioni (la Rheinisch-Westfälische Technische Hochschule Aachen) conta circa 46 mila studenti iscritti. Istituti di Filosofia, Dipartimenti o corsi di studi in filosofia sono presenti presso le Università tecniche di Monaco, Berlino, Dortmund, Dresda, Darmstadt, presso il KIT di Karlsruhe, a Braunschweig, Kaiserslautern, Chemnitz, Amburgo e Cottbus. Cfr. https://www.studis-online.de/Hochschulen/ TU/ (visitato il 02-09-2020).

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Filosofia sono stati creati presso tali Università, centralizzando le cattedre di Technikphilosophie, le quali svolgono ricerche (sia fondamentali che interdisciplinari) per lo più nei due macro-ambiti della teoria della scienza, nelle sue molteplici declinazioni, e dell’etica applicata. Una prima generazione di filosofi della tecnica, che ha contribuito all’elaborazione e alla definizione della Technikphilosophie come disciplina autonoma, ha compreso, tra gli altri, Max Bense (1910-1990), Hans Poser (1937), Gernot Böhme (1937), Walther C. Zimmerli (1945), Rafael Capurro (1945) e Günter Ropohl (1939-2017). Lo sviluppo progressivo della disciplina ha portato a una strutturazione delle ricerche in ambiti specifici, pur connessi tra loro, quali la filosofia della scienza (Gregor Schiemann, Brigitte Falkenburg), la filosofia della natura (Lothar Schäfer, Ernst Oldemeyer), la filosofia dei media (approfondita, sulla scia dell’insegnamento di Friedrich Kittler, da Sybille Krämer, Gerhard Gramm e altri), e in misura minore la fenomenologia (sulla scorta del pensiero di Hans Blumenberg). In questo panorama variegato, la figura di Bernhard Irrgang (1953) assume un rilievo particolare, sia per la peculiarità della sua formazione – al

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crocevia tra filosofia e teologia, una combinazione non inusuale nei percorsi di studi accademici in Germania, ma dagli esiti sorprendenti se declinata in Technikphilosophie e, in particolare, nell’etica applicata –, sia per la straordinaria ampiezza della sua ricerca che ha toccato, con esiti ugualmente innovativi e pioneristici, campi molto vari (dalla teoria culturale e antropologica della tecnica alla teoria evoluzionistica applicata all’intelligenza artificiale e alla cibernetica; dalla tecnologia genetica e informatica alla biomedicina e biotecnologia; dalla bioetica alla robotica; per giungere sino all’elaborazione di una metaepistemologia della tecnologia iper-moderna). Il primo interesse filosofico di Irrgang, oggetto della sua tesi di dottorato (conseguito a Würzburg nel 1982), ha investito la teoria della scepsi e dell’Illuminismo3; un tema che attraverserà, in maniera più o meno esplicita, l’intera sua elaborazione, assumendo i contorni di una cautela epistemologica esercitata sui fondamenti metodologici della stessa Technikphilosophie. Nel 1991 Irrgang consegue, tra Würzburg e Monaco,

3. Cfr. B. Irrgang, Skepsis in der Aufklärung, Haag + Herchen, Frankfurt a.M. 1982.

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un secondo dottorato in teologia con una tesi su Christliche Umweltethik, cui segue, nel 1996 a Bamberg, l’abilitazione alla docenza universitaria con una dissertazione su Forschungsethik, Gentechnik und neue Biotechnologie4: quest’ultima opera si concentra su uno dei temi più cari a Irrgang, ossia le implicazioni tecnologiche eticamente rilevanti nel corrente sviluppo della genetica e della biotecnologia. Tra il 1982 e il 1993 Irrgang è stato alternativamente attivo presso gli Istituti di Filosofia o di Teologia delle Università di Würzburg, Braunschweig, Monaco e Siegen, fino all’assunzione della cattedra di Technikphilosophie presso l’Università tecnica di Dresda nel 1993, dove ha svolto la sua intera carriera – ricoprendo, negli anni, numerosi incarichi di rilievo nazionale e internazionale presso istituzioni, centri di ricerca, comitati sia ministeriali che indipendenti, sino al pensionamento avvenuto nel 2019.

4. Cfr. B. Irrgang, Forschungsethik, Gentechnik und neue Biotechnologie. Entwurf einer anwendungsorientierten Wissenschaftsethik unter besonderer Berücksichtigung von gentechnologischen Projekten an Pflanzen, Tieren und Mikroorganismen, Hirzel-Wissenschaftliche Verlagsgesellschaft, Stuttgart-Leipzig 1997.

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La proposta filosofica di Irrgang punta, nel testo che qui presentiamo come in tutta la sua produzione5, all’elaborazione di un’ermeneutica della tecnica basata sulla combinazione tra prospettiva fenomenologica (riprendendo e riformulando alcune nozioni fondamentali, come quelle di Lebenswelt, Gestell, Alltäglichkeit, Berechenbarkeit) e teoria della conoscenza implicita (tacit knowledge), derivata dall’opera di Michael Polanyi. Questi riferimenti vengono applicati criticamente alla tendenza evoluzionistica che sostiene lo sviluppo della tecnica iper-moderna, con particolare riferimento alle questioni legate al design industriale e alle sue implicazioni economiche, sociali, etiche e politiche. La filosofia della tecnica è una disciplina recente, che vanta appena 130 anni di storia: prima della contemporaneità, il tema delle capacità tecniche e della loro esecuzione pratica, del loro successo (o fallimento) e delle loro finalità, era rimasto sostanzialmente marginale sul piano filosofico, come un aspetto inerente alla dimensione della 5. Per un elenco completo delle pubblicazioni di Bernhard Irrgang e ulteriori informazioni relative alla sua attività scientifica e accademica, cfr. il suo sito personale: http:// bernhard-irrgang.eu/ (visitato il 15-10-2020).

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vita quotidiana poco significativo sul piano teorico. Ma proprio la quotidianità nel suo orizzonte di immediata evidenza e scontatezza è stata riappropriata criticamente dalla fenomenologia al discorso filosofico: Lebenswelt (Husserl) e Alltäglichkeit (Heidegger) diventano, anzi, le due categorie significative fondamentali ai fini della comprensione del mondo. La “questione della tecnica” è rientrata di diritto in questa riconsiderazione, giacché proprio la tecnica è diventata uno dei fattori dominanti nella vita quotidiana del genere umano in una misura assolutamente impensata nelle epoche precedenti. Inizialmente (nell’antichità premoderna) associata, come ripercorre Irrgang nel testo, alla nozione di “arte” o “artigianato”, la tecnica descrive le misure, i processi e i metodi attraverso cui l’uomo produce oggetti mediante l’appropriazione delle leggi e delle risorse naturali, che vengono così rese disponibili per la produzione. L’ermeneutica della tecnica proposta da Irrgang punta a comprendere la tecnica in riferimento alle tradizioni tecniche e alle manifestazioni che queste hanno assunto storicamente. In quest’ottica, la tecnica presenta almeno tre forme significative sul piano conoscitivo: 1) conoscenza delle capacità costruttive e produttive di arte-

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fatti tecnici; 2) conoscenza della struttura, della funzione e dell’efficacia degli artefatti tecnici; 3) conoscenza delle capacità di utilizzo, pratica, appropriazione e applicazione degli artefatti tecnici. La nozione di conoscenza tacita integra questo approccio inserendo la comprensione dello Umgehen con la tecnica nell’orizzonte di un’analisi rivolta alle possibilità di applicazione dei processi e degli strumenti naturali, largamente basata su schemi e stratificazioni storicizzati e abitualizzati. Per questo, è necessario che l’interpretazione degli artefatti tecnici sia sempre ancorata al contesto della loro applicazione sociale e significatività culturale, nonché alle forme (più o meno) istituzionalizzate del loro manifestarsi. Tradizionalmente, l’interazione tra uomo e tecnica è stata compresa attraverso i concetti di lavoro e di produzione: Irrgang si sofferma, tuttavia, sulla circostanza per cui la high technology ha profondamente modificato questi concetti e, con essi, la società di riferimento. I mega-sistemi tecnici (soprattutto quelli finalizzati all’approvvigionamento di energia, all’Information Technolo­ gy e alla produzione di generi alimentari) hanno trasformato radicalmente la vita quotidiana delle società industriali. Le attività tecniche quotidia-

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ne ci permettono ormai di affrontare le contingenze più varie, di garantire e di soddisfare la nostra sopravvivenza grazie – in primo luogo – alla conoscenza implicita di alcune forme di uso e di rapportamento alla tecnica, alla tradizione ereditata e, più occasionalmente, all’invenzione e all’innovazione tecniche. La nostra Lebenswelt è ormai un sistema complesso e integrato caratterizzato dall’interconnessione e dagli effetti reciproci esercitati dal commercio e dall’artigianato, in seguito dall’industria e dalla produzione automatizzata, dalle scienze tecniche e dalla tecnologia in espansione, dalla ricerca empirica e dalle istanze politiche, economiche e sociali: una tale complessità, sottolinea Irrgang, non può essere esaurita dal solo discorso accademico ed esperto, se non a un livello preliminare e preparatorio. L’ermeneutica della tecnica deve coinvolgere, ossia interrogare, l’opinione pubblica specialmente nelle questioni legate allo sviluppo del design degli artefatti. In questo senso, l’ermeneutica della tecnica si configura non come, essa stessa, una prassi tecnica, ma come la sua penetrazione linguistica, come una riflessione e un chiarimento di tipo teoretico-operativo: essa ricerca fondamentalmente un linguaggio adeguato alla tecnica.

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Una riflessione metodologica di questo genere è quanto di più urgente vi sia per una filosofia consapevole della (propria) contemporaneità: la digitalizzazione del mondo della vita e l’ibri­dazione di scienza e tecnica stanno facendo emergere una seconda modernizzazione il cui epicentro è dato dalla rivoluzione micro-­elettronica, che sta colonizzando progressivamente la Lebenswelt nella sua totalità. Non potendo più contare – dopo la grande svolta della teoria quantistica e in seguito alle acquisizioni apportate, in teoria della scienza, dal pensiero di Gödel e di Kuhn – sulla funzione salvifica di una scienza che sarebbe capace di risolvere ogni problema, si è reso chiaro che proprio la scientificità in quanto tale manca di una comprensione esatta di sé: è a tale comprensione che mira, in ultima analisi, la filosofia della tecnica di Bernhard Irrgang.

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Premessa

La filosofia della tecnica1 è nata come una disciplina relativamente nuova sulla scia della rivoluzione industriale. Essa riflette sugli aspetti pratici e teoretici della prassi tecnica, del sapere tecnologico e dell’abilità2 tecnica. La tecnica è tematizzata come una componente eccezionale delle culture umane sin dall’inizio della storia dell’umanità ed è considerata nella sua interazione con altri fattori culturali come, ad esempio, l’economia, la religione o la morale. Viene 1. Cfr. B. Irrgang, Art. Technikphilosophie, in P.H. Breitenstein - J. Rohbeck (a cura di), Philosophie. Geschichte, Disziplinen, Kompetenzen, Springer, Stuttgart-Weimar 2011, pp. 335-344. 2. Il termine usato dall’Autore è das Können: nel prosieguo del testo, il termine sarà tradotto – a seconda del contesto – con “abilità” o con “potere” [N.d.T.].

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mostrato e analizzato criticamente il significato della tecnica per l’orientamento pratico (cambiamento dei valori) e per la conoscenza teoretica nell’agire e nel pensare umani (conoscenza umana di sé). La parola “tecnica” deriva dal concetto greco techné o technikosé (artigianale, abile, competente) e indica un sapere procedurale individuale o corporativo, nonché i suoi prodotti. Inizialmente equivalente al concetto di “arte” (in latino ars), la tecnica comprende disposizioni e procedimenti con l’aiuto dei quali gli uomini, sfruttando le leggi di natura, l’energia e le materie prime, producono cose che servono al fabbisogno (necessità) e all’uso (perseguimento di scopi) umani. Nel Rinascimento il concetto di tecnologia si riferisce ancora a una terminologia linguistica, ma successivamente passa a indicare il campo della conoscenza procedurale e della dottrina tecnica della produzione. La tecnica viene compresa storicamente come abilità o competenza nell’agire tecnico (artista, medico, architetto, contadino, artigiano, coltivatore). La filosofia antica interpreta la meccanica come movimento contro natura e come una sorta di beffa nei confronti della natura: è così formulata un’opposizione tra natura e tecnica. A partire dalla modernità,

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la natura viene interrogata sperimentalmente – con l’aiuto della tecnica – fin nelle sue leggi. Il Rinascimento è contrassegnato dal primo sviluppo dell’ingegneria e delle scienze tecniche. Negli Stati Uniti i concetti di “tecnica” e “tecnologia” sono considerati pressoché coincidenti. La tecnica indica l’abilità tecnica e gli artefatti da questa derivanti, così come il loro utilizzo (in modo simile ad Aristotele). La tecnologia indica il sapere tecnico e la dottrina del sapere tecnico (intorno a processi dell’agire e a circuiti funzionali), nonché le macchine e strutture tecnologiche che ne derivano3. Le due forme si sovrappongono ed esistono oggi l’una accanto all’altra. L’insieme di tecnica e tecnologia contrassegna il mondo tecnico. Nella tradizione tecnica europea si segnala la tendenza alla razionalizzazione nel tentativo di rendere le attività tecniche calcolabili. Non da ultimo, la pressione economica allo sfruttamento funzionale dei prodotti tecnici ha innalzato le pretese di efficienza verso forme ulteriori di configurazioni tecniche culturalmente codifica-

3. Cfr. B. Irrgang, Philosophie der Technik, WBG, Darm­ stadt 2008.

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te. L’approccio prediletto nell’interpretazione dell’agire tecnico consisteva nella matematizzazione e razionalizzazione delle attività tecniche. La razionalizzazione matematica del riferimento alla tecnica – per esempio nella meccanica – costituisce un’ermeneutica specifica, che va di pari passo con la mancata considerazione dell’ese­ cuzione fisica [leiblich] quale presupposto di tecnica e sapere implicito. Si offre, come alternativa, il concetto pragmatico di abduzione4: si tratta, in tal caso, di una generalizzazione indotta tecnicamente, che diventa un’acquisizione condivisa generalmente. Si suggerisce, così, un diverso modello per la valutazione della razionalità dell’agire tecnico. Meno formalistico è il concetto del sapere tecnico (delle competenze tecniche), della sua isti­ tuzionalizzazione in un regolamento tecnico tra4. Cfr. J. Dewey, Rifare la filosofia, tr. it. di S. Coyaud, Donzelli, Roma 2008; Id., Esperienza e natura, a cura di P. Bairati, Mursia, Milano 2014; C.S. Peirce, Pragmatism as a Principle and Method of Right Thinking, a cura di P.A. Turisi, State University of New York Press, Albany 1997; I. Riemer, Konzeption und Begründung der Induktion. Eine Untersuchung zur Methodologie von Charles S. Peirce, Königshausen & Neumann, Würzburg 1986.

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mandato quantomeno in laboratorio e della sua abitualizzazione, ad esempio in regole tecniche empiriche. La formulazione di regole funziona, qui, come un’astrazione dagli schemi corporei e costituisce una prima forma di teorizzazone. Il “testo” dell’ermeneutica tecnica è la struttura delle azioni tecniche (della prassi tecnica), che è caratterizzato soprattutto dal sapere implicito. Scopo fondamentale di una fenomenologia della tecnica deve perciò essere quello di superare la limitazione della ricerca fenomenologica all’ambito della scienza e di mettere a fuoco la tecnica come azione (prassi). Al fine di rendere comprensibili le attività tecniche nella loro complessità, l’interpretazione della loro struttura va connessa alla questione della legittimità dell’agire tecnico. Ogni agire deve affrontare la questione della sua legittimità, non solo (ma certo soprattutto) quando le conseguenze sono dannose. La modellizzazione ermeneutica di un sapere tecnico deve implementare la riflessione sulle possibili configurazioni delle condizioni di base per lo sviluppo dell’agire tecnico. Si tratta di modelli che permettono un accordo discorsivo sull’agire tecnico e sulla sua valutazione e che devono aiutare a stimare l’accettabilità di determinate forme dell’agire tecnico (della prassi tecnica).

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I La filosofia della tecnica tra epistemologia trascendentale e antropologia evoluzionistico-­ cognitiva: pratica del comprendere1 e sapere implicito*

La questione delle condizioni epistemologiche della ragione tecnico-strumentale, ovvero delle condizioni di possibilità trascendentali dell’agire e del fare tecnico, implica una risposta basata sull’analisi integrata di comprendere tecnico, sapere tecnico e agire tecnico-strumentale. Per quanto mi è dato sapere, il concetto del com* L’espressione tedesca impiegata dall’Autore, tradotta con «pratica del comprendere», è verstehender Umgang, con chiaro riferimento al vocabolario heideggeriano in Essere e tempo – al centro del presente paragrafo. Umgang è di norma reso come “avere a che fare”, “commercio”, “pratica”, a indicare «il modo eminentemente pratico in cui l’Esserci si rapporta “innanzi tutto e per lo più” al mondo» (M. Heidegger, Essere e tempo, tr. it. di P. Chiodi, a cura di F. Volpi, Longanesi, Milano 2011, Glossario: Umgang, p. 606). Nel prosieguo del testo il termine verrà tradotto di preferenza con “pratica” [N.d.T.].

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prendere strumentale non è stato ancora analizzato esplicitamente2: esso può trovare precisazione in riferimento all’analitica esistenziale della cura in Martin Heidegger, non da ultimo con l’obiettivo di chiarire le condizioni di possibilità del comprendere tecnico nel contesto del mondo della vita. Secondo l’analitica heideggeriana del Dasein, l’uomo presenta l’inclinazione «a cadere in quel mondo che gli appartiene e […] dentro la propria tradizione»3. Sullo sfondo vi è chiaramente il giudizio storico-filosofico – risalente a Socrate e Platone – sulla strumentalità. Il bios theoretikos non si occupa dei problemi della quotidianità – e quando pure se ne occupa, lo fa al prezzo del corrompimento, che implica una perdita del senso autenticamente filosofico della vita. Ma è ancora possibile mantenere a buon diritto questo giudizio millenario dinanzi alla sempre più estesa tecnologizzazione del mondo della vita?

2. Ho tentato un’interpretazione del suo significato sistematico in B. Irrgang, Technische Kultur. Instrumentelles Verstehen und technisches Handeln, in Id., Philosophie der Technik, vol. I, Schöningh, Paderborn et al. 2001. 3. M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 35.

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La svolta decisiva nell’interpretazione della tecnica consiste nel fatto che quest’ultima acquista una funzione conoscitiva persino sotto il riguardo metafisico: «Affinché il conoscere, in quanto osservazione di semplici-presenze che le determina, sia possibile, occorre prima una deficienza dell’avere-a-che-fare col mondo prendendosene cura», che si ottiene con la «sospensione di ogni manipolazione, di ogni uso […]», e questo è uno specifico modo dell’«apprensione»4. L’ente fenomenologicamente pre-tematico, ossia «ciò che viene usato, prodotto […]», diviene manifesto in questo «prendersi cura»5. Le cose, i pragmata nel senso originariamente aristotelico, sono ciò con cui si ha a che fare nella prassi (praxis) che si prende cura, ovvero “mezzi”. Utilizzabilità, idoneità, impiegabilità, maneggevolezza costituiscono una totalità dei mezzi, la struttura della finalità (Um-zu)6. Mediante la ricostruzione di una «cosa d’uso» a partire da una «cosa naturale» attribuiamo valore alle cose7, che ri-

4. Ivi, p. 83. 5. Ivi, p. 89. 6. Cfr. ivi, p. 91. 7. Cfr. ivi, p. 126.

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cevono il marchio dello spirito. L’essere dell’utilizzabile ha il carattere della «familiarità senza sorprese»8. «Il dis-allontanare proprio della quotidianità dell’Esserci secondo la visione ambientale preveggente scopre l’essere-in-sé del “vero mondo”, dell’ente presso il quale l’Esserci, in quanto esistente, è già da sempre»9. L’uomo, che si trova a vivere nel commercio strumentale con l’utilizzabile, scopre così una via verso se stesso che va denominata filosoficamente, il commercio strumentale con la realtà. «La disposizione dell’insieme dei mezzi di un mondo deve essere preliminarmente data all’Esserci»10. Il “Ci”, che sta di fronte all’Esserci come un «enigma inesorabile»11, richiede una soluzione: comprendere è aprire. Nella comprensione si dà l’apertura del Ci. Allo sviluppo del comprendere Heidegger dà il nome di “interpretazione” (Auslegung)12. L’interpretazione si fonda su una precognizione: il dato di fatto del circolo del com8. Ivi, p. 132. 9. Ivi, p. 135. 10. Ivi, p. 138. 11. Ivi, p. 169. 12. Cfr. ivi, p. 183.

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prendere non va eliminato. Anche il linguaggio affonda le sue radici, in quanto fenomeno, nella costituzione esistenziale dell’apertura. A mio avviso, il concetto del comprendere strumentale non è impiegato esplicitamente da Heidegger; d’altronde, nella mia interpretazione, questo concetto si orienta piuttosto alla concezione storico-filosofica di Edmund Husserl – sebbene Heidegger si discosti da Husserl nell’interrogazione del concetto di ragione subordinata e concepisca la ragione tecnico-strumentale con una certa vividezza, come ciò che per prima abilita al commercio (alla prassi) tecnico-comprendente con gli artefatti e con la natura. Tuttavia, l’apertura strumentale delle cose è implicitamente equiparata a tutte le altre forme del comprendere, nella misura in cui il comprendere strumentale non si assolutizza esso stesso, ma apre piuttosto alla riflessione filosofica. La mia ipotesi è che in Heidegger la forma strumentale dell’apertura della realtà preceda tutte le altre forme e possa addirittura plasmarle. La comprensione di una cosa, di uno stato di cose o di una situazione si realizza nell’uso: comprendiamo noi stessi e gli oggetti in quanto usiamo le cose che incontriamo. L’analitica esistenziale mira all’accertamento del senso, all’in-

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tenzione di una situazione, ovvero a contesti d’azione più ampi. Essa elabora il significato nel senso di un contenuto d’uso e un contenuto d’esperienza, che racchiudono un campo semantico complessivo attraverso il quale è possibile comprendere una data situazione. Secondo Heidegger io non comprendo una cosa isolata, ma un intero. Nell’uso comprendente di una cosa io comprendo al tempo stesso le altre cose che appartengono a quella situazione, e neppure queste altre cose sono presenti come singole. Le altre cose di una situazione sono comprese contestualmente, in modo non tematico. L’uso di una cosa è chiamato da Heidegger Um-zu. La cosa utilizzata significa “prendersi-cura-di”: si comprende un’altra cosa, che deve a sua volta essere utilizzata. L’analitica esistenziale procede dall’idea che le cose debbano essere considerate secondo un ordine – l’ordine della relazione, che comprende la modalità di un intero relativo. Nell’intero emerge una frammentazione del comprendere: il mondo è l’orizzonte ultimo, a partire dal quale si apre l’ente e si comprende anche che le cose hanno un mondo. Il mondo è un progetto: nel comprendere progettante si costituisce un mondo. Se vogliamo comprendere delle situazioni, dobbiamo aver compreso

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l’orizzonte di queste situazioni, vale a dire: la conoscenza o il coglimento della situazione sono preceduti da una conoscenza, da un coglimento del mondo. Per poter comprendere l’utilizzo di cose in determinate situazioni, va compresa anticipatamente la totalità del mondo. Il sapere pratico è il risultato di un agire comprendente e di un comprendere strumentale, concernente il modo in cui è possibile ottenere qualcosa di determinato. Il sapere pratico è un sapere circa il modo in cui determinate azioni possano risultare efficaci con o senza utilizzo di strumenti. Si tratta, in primo luogo, di evitare incidenti e si presuppone, senza bisogno di alcuna riflessione, il controllo preciso di un attrezzo. Perciò non si tratta di un puro sapere formale, di un sapere puramente visuale. Si tratta piuttosto di un sapere nell’accezione del sensus communis, ovvero di un senso nel quale confluiscono tutti gli altri sensi. Per poterlo intendere con precisione, si rende innanzitutto necessaria una distinzione tra sapere tecnico-pratico, scienza empirica e filosofia della tecnica ermeneutico-riflessiva. Il sapere pratico è una combinazione di esperienza nell’avere-a-che-fare con oggetti singoli e un sapere intorno alle strutture dell’avere-a-che-

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fare nel senso del “se-allora”. Tale sapere è implicitamente di tipo causale, ma si riferisce a singoli contesti d’applicazione e si rivela nella pratica di utilizzo di cose naturali e artefatti. La pratica utilizzante determinati artefatti dà alla tecnica un fine nel senso di un modello. In secondo luogo, tale pratica procura un sapere pratico intorno ai mezzi, specificamente intorno agli strumenti e alle modalità di procedimento come presupposti per la realizzazione di un determinato artefatto. Ha così luogo una certa generalizzazione nel senso di regole empiriche: ciò risulta evidente nell’espressione quotidiana che si usa per valutare il successo nell’applicazione di un determinato procedimento tecnico, quando si dice “a lume di naso”, ossia si fa cenno all’accostamento di parametri esatti e sapere pratico quotidiano13. In riferimento al reale impiego della tecnica si dice spesso, invece di ricorrere all’esatta misurazione geometrica, “a occhio e croce”14. 13. “A lume di naso” traduce l’espressione Pi mal Daumen, che in tedesco contiene un riferimento al pi greco (ossia un parametro esatto) e al termine Daumen (“pollice”), ricorrente in espressioni fraseologiche di uso informale e non scientifico [N.d.T.]. 14. L’Autore ricorre di nuovo al termine tedesco informale Daumen (über den Daumen gepeilt) [N.d.T.].

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Il sapere implicito si fonda sul sapere costruttivo e pratico nel mondo della vita, riferito ad artefatti e procedimenti tecnici. Si basa sui fenomeni del provare, cercare, trovare e adattare, dunque anche del produrre risultati. Il sapere pratico si fonda sulla comprensione dell’utilizzo, sulla comprensione implicita nell’uso. Può trattarsi dell’esperienza strumentale realizzata nell’uso; ma anche l’esperienza corporea nel senso della husserliana esperienza nel mondo della vita rientra in questo sapere implicito. Un’iniziale esperienza strumentale dischiude un determinato percorso, nel quale possono compiersi esperienze ulteriori. Le tradizioni tecniche del comprendere pratico sono le prime forme del comprendere nel senso del saper-utilizzare. Il concetto del comprendere pratico non è orientato all’immagine, bensì è caratterizzato da efficacia e successo. Posso certamente rappresentarmi in immagini gli scopi da raggiungere: l’esito preso di mira può stare immaginativamente dinanzi ai costruttori, come per esempio nei quaderni di schizzi degli ingegneri rinascimentali. Tuttavia, la funzionalità non si identifica con la figuratività, e la priorità stessa dell’efficacia – il necessario know-how – non si può rappresentare in immagini, poiché esibisce la struttura del

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sapere implicito. Comprendere un artefatto significa utilizzarlo nel modo utile e richiesto. A tal fine è necessario ricorrere a una tradizione del sapere implicito di tipo non-linguistico, che si manifesta nella triade: osservare, fare da sé (ovvero provare), ripetere. Comprendere attraverso l’azione implica un’abi­ lità, una facoltà, un controllo del processo in questione. Tuttavia il sapere implicito non è un sapere dominante, in quanto a essere dominata è la propria abilità. La struttura del sapere implicito si può rappresentare nell’atto di piantare un chiodo. Il processo consiste nella connessione di due termini del sapere: il sapere relativo al punto nel quale il chiodo deve essere piantato (fine) e il sapere relativo a come vada utilizzato il martello per raggiungere quello scopo. Gli occhi si concentrano sulla testa del chiodo. Per raggiungere lo scopo è però più importante avere la capacità di vibrare il martello nel modo giusto. Il sapere implicito si riferisce al modo di utilizzare il martello, che tuttavia non siamo in grado di indicare in modo matematicamente esatto. Non ne sappiamo dunque esplicitamente, né si deve saperlo esplicitamente per raggiungere l’obiettivo: se ci concentriamo troppo sul movimento del martello, rivolgendo a esso il nostro sguardo,

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finiamo immancabilmente per colpire il dito che regge il chiodo. Un’ermeneutica del comprendere strumentale interpreterà il processo complessivo come fusione di orizzonti, come fusione di un orizzonte del sapere esplicito riferito al raggiungimento dello scopo (chiodo piantato) e alla situazione o all’ambiente circostante il chiodo con un orizzonte di sapere implicito relativo al peso, alla fattura, alla conduzione del martello: nel sapere implicito confluisce l’esperienza sedimentata nell’avere-a-che-fare col martello – con o senza istruzione per mezzo della tradizione. L’approccio fenomenologico sottolinea il milieu culturale dello sviluppo tecnico. La filosofia della tecnica fenomenologica indaga le relazioni tra uomo e tecnica: l’ermeneutica culturale della tecnica è l’ermeneutica di una prassi. Il contesto pratico, nel quale si trovano chiodo e martello, implica una relazione incarnata15. La pratica tecnica implica un mondo: per Heidegger ciò significa trattare il mondo come una risorsa16.

15. Cfr. D. Ihde, Technology and the Lifeworld. From Garden to Earth, Indiana University Press, Bloomington-­ Indianapolis 1990, p. 32. 16. Cfr. ivi, p. 34.

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Il concetto husserliano di prassi si colloca in un contesto culturale più ampio: la Fenomenologia della percezione di Maurice Merleau-Ponty (1945) distingue tra micro-percezione e macropercezione e approfondisce l’analisi di Husserl. La micro-percezione è sempre percezione cinestetica17: bisogna distinguere tra sguardo naturale e sguardo mediato tecnicamente. La percezione temporale trasforma il mondo della vita, l’orologio modifica il tempo sociale. La percezione del tempo attraverso l’orologio è una percezione ermeneutica, un’interpretazione data insieme allo strumento. Allo stesso modo si è giunti, attraverso la navigazione, a una trasformazione della percezione spaziale18. Le mappe geografiche e le mappe nautiche possono essere a loro volta comprese come percezione ermeneutica. La fenomenologia della tecnica muove da una molteplicità dei possibili usi degli artefatti tecnici19: in particolare, essa descrive la trasformazione riflessiva della percezione mediante la tecnica20.

17. Cfr. ivi, p. 39. 18. Cfr. ivi, p. 65. 19. Cfr. ivi, p. 69. 20. Cfr. ivi, p. 72.

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Nel sapere riferito all’uso non si produce alcuna attenzione esplicita al medium tecnico. Si pensi alla tesi di Heidegger successiva alla Kehre: la tecnica precede la scienza. Si è sviluppato un modo di vedere il mondo come un fondo a disposizione (Bestand), come una risorsa. Inoltre, il metodo sperimentale va considerato come uno strumento: la fisica, intesa come sapere fondamentale, dipende da strumenti. L’analisi di Heidegger va connessa alla visione tecnico-­ pragmatica di Dewey circa la ricerca di nuove conoscenze. Il suo strumentalismo concepisce la conoscenza come soluzione di problemi21. Le culture umane non sono pre-tecniche: va qui considerata una modalità molto diversa dell’incorporazione delle tecniche all’interno delle culture e delle pratiche di vita22. La tecnica trasforma l’ambiente, ma è anche incorporata culturalmente. In questa misura la tecnica è più antica di scienza e filosofia. È impossibile comprendere un dispositivo tecnico senza una precedente esperienza pratica.

21. Cfr. D. Ihde, Philosophy of Technology. An Introduction, Paragon House, New York 1993, pp. 40-43. 22. Cfr. ivi, p. 49.

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Quando leggo il valore di un termometro, devo già sapere che cosa significa il valore 0°: a tal fine devo disporre di un sapere metrico implicito del sistema Celsius e di una esperienza corporea dell’acqua in congelamento. Il sapere pratico permette una capacità d’azione come sviluppo ulteriore dell’abilità comportamentale cognitiva e senso-motoria, sullo sfondo di una coscienza corporea e umana di sé e del linguaggio. Con la capacità d’azione entrano in gioco questioni relative alla normatività epistemica. Pertanto, il sapere pratico umano è intriso di cultura. L’esperienza per cui la descrizione dei processi evolutivi richiede – accanto al nesso causale – un contesto condizionale, deriva in ultima analisi dall’agire umano basato sul comportamento, che nell’uomo si sviluppa ulteriormente nell’abilità di agire. Da un punto di vista filosofico, nel modello della causazione di Anassimandro e nel solco della domanda kantiana circa le condizioni di possibilità, questo principio d’azione è considerato un principio conoscitivo, quale nesso “se-allora”. Il sapere sperimentalestrumentale è un ibrido tra la dimensione causale e quella epistemologica. Il comprendere è, in ultima istanza, il risultato di un’attività cognitiva e non una pura osservazione. La prospettiva cau-

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sale e quella trascendentale rappresentano due sistemi interpretativi distinti nel mondo della riflessione – bottom up e top down nella reciproca interazione. La scepsi è un pensiero che si svolge nella cornice di prospettive interpretative opposte e si dirige contro la metafisica come positivismo o materialismo. La riflessione scettica-antiscettica implica la coesistenza di prospettive diverse23: dobbiamo pertanto riconsiderare in chiave ermeneutico-­scettica il modo classicamente metafisico di interpretare disposizioni e abilità, e rielaborarle daccapo. Vanno distinte una molteplicità di posizioni in sé articolate: il prospettivismo del punto di vista dell’osservatore, del punto di vista del partecipante e il prospettivismo dell’empatia. L’idea della totalità del sapere (come potenziale) fonda un certo contesto epistemologico quale concetto (ipotetico) dell’unità sistematica della natura. In virtù della possibilità 23. Cfr. B. Irrgang, Skeptisch-kritische Epistemologie, kontextbezogene Selbstorganisation des Verstehens und positional-perspektivische Metahermeneutik, in M. Funk (a cura di), ‘Transdisziplinär’ und ‘Interkulturell’. Technikphilosophie nach dem Zeitalter philosophischer Kleinstaaterei, Königshausen & Neumann, Würzburg 2015, pp. 463-531.

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di un orizzonte universale del sapere, il concetto paradossale-­contrastivo di un’armonica prospettiva sul mondo punta solo anticipatamente al suo possibile perfezionamento. Il motivo che determina la possibilità delle prospettive sul mondo risiede nel duplice orientamento del mondo stesso e consiste da ultimo nell’uomo. Il carattere prospettico della differenza tra strutture superficiali (coglibili fenomenalmente) e strutture profonde (l’oggetto della tecno-scienza e della technoresearch) fonda, in ultima istanza, una metodologia fenomenologica e una ermeneutica che devono superare la svolta empirica e linguistica del XX secolo. Tali metodologie trasformano anche la problematica trascendentale, ad esempio la distinzione kantiana tra quid facti e quid iuris24. La struttura, dall’apparenza paradossale, dell’argomentazione riflessiva o riflettente secondo il modello fondamentale dell’argomentare scettico-­ antiscettico ammette una risoluzione soltanto ricorrendo a una meta-ermeneutica della prospetticità. La prospetticità si sottrae alle logiche che operano in modo binario (per esempio alla concezione autopoietica o alla teoria sistemica di 24. Cfr. ibidem.

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Luhmann). Si rende indispensabile una meta-­ ermeneutica dell’interpretare riflettente, che risolva i paradossi e sostanzi il nostro pensiero logico quando questo è chiamato a concettualizzare la realtà e non può o non vuole farlo in maniera univoca. A questa risoluzione, infatti, non serve una logica – che non sarebbe idonea a ciò –, bensì una meta-ermeneutica della prospetticità. Il common sense non va ricostruito sulla base dell’osservazione, ma piuttosto del sapere pratico. Nel sonno viene disattivata la prospetticità riferita a domini oggettuali, al fine di chiarire e riorganizzare il proprio punto di vista. La definizione di quest’ultimo è dunque un processo altamente dinamico, nel quale vengono diversamente riorganizzate la memoria implicita (che archivia il sapere) e quella procedurale (senso-motoria), così come il sapere che su di esse si fonda. Il sonno serve quindi da reset cerebrale per la propria organizzazione neuronale, non però come ristabilimento di uno stato precedente, bensì nella forma di una nuova organizzazione della capacità di apprendimento e di esperienza. La formazione del punto di vista è un processo costituito sulla base della storia vitale del soggetto, un processo che non ammette più una costituzione identitaria, teoretica nel senso idealistico.

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L’ermeneutica filosofica classica o convenzionale è anacronistica; d’altro canto, il crescente sapere neurobiologico intorno agli stati mentali ha valorizzato in modi nuovi il fenomeno dell’esperire e del comprendere. La teoria dello spirito, che sta attraversando un mutamento dettato dalle conoscenze scientifico-naturali, influenza anche la teoria del comprendere e, con essa, la filosofia della scienza. Su questa base si potrebbe intraprendere il tentativo di ricostruire innovativamente la classica ermeneutica del comprendere nel contesto della teoria contemporanea dello spirito (Geist)25. L’ermeneutica classica ha vincolato il concetto di spirito a quello di formazione: la moderna teoria del comprendere dovrà essere valorizzata in modo innovativo nella cornice teorica della semantica e della teoria dello spirito contemporanee. Il comprendere come elaborazione d’immagini e la comprensione delle azioni divengono nuovi campi tematici per l’ampliamento pratico dell’ermeneutica26.

25. Cfr. W. Detel, Geist und Verstehen. Historische Grundlagen einer modernen Hermeneutik, Klostermann, Frankfurt a.M. 2011, pp. 9-12. 26. Cfr. ivi, pp. 20 ss.

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D’altro canto, una teoria del comprendere nell’orizzonte di una filosofia dello spirito deve dare prova della sua capacità di collegarsi alla tradizione filosofica. Gli aspetti spirituali e quelli naturali della vita umana presentano proprietà specifiche: le scienze dello spirito si concepiscono come scienze interpretanti, comprendenti. A seguito delle acquisizioni del XX secolo, l’interpretabilità dei testi va posta radicalmente in questione. L’apertura interpretante del mondo [Welterschließung]27, in quanto metodo nel quale il comprendere viene per lo più correlato alla rappresentazione, potrebbe acquistare una nuova attualità e permettere di tematizzare l’uni­ versalità dell’ermeneutica filosofica su un nuovo piano. Gli sforzi volti a ridurre la distanza tra scienze naturali ed ermeneutica, il ripiegamento dell’opposizione tra spiegare e comprendere ne offrono interessanti esempi. Nel caso dell’ermeneutica, la riuscita si mostra nell’esecuzione: qui si fanno evidenti gli aspetti pratici di una nuova ermeneutica. La nuova teo­

27. Il termine è di ascendenza heideggeriana e sta a indicare il livello prospettico e interpretativo qui in questione [N.d.T.].

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ria dello spirito, che si delinea progressivamente, comprende lo spirito come attività. La teoria moderna dello spirito concepisce quest’ultimo come un insieme di stati, per lo più propri del cervello, dotati di proprietà spirituali o mentali. Tali proprietà vengono spesso intese come proprietà funzionali, nel senso di una funzionalità effettiva. L’ermeneutica si basa su una descrizione dei contenuti semantici di segni naturali o artificiali, tra i quali possono darsi molte presentazioni. Lo schiudersi dello spirituale all’interno del corporeo (anche nel senso di processi di comprensione, che stanno alle radici dello spirituale e che nell’ambito della cultura umana – e non da ultimo nella scienza così come nella tecnica – hanno per ora raggiunto il loro culmine quanto a evoluzione biologica e culturale) potrebbe riuscire grazie a una posizione interpretativa paradossalmente naturalizzante28. Lo spirito umano ha colto l’astratto a partire dalle stelle o dal cosmo, dall’orizzonte mondano o dal calendario, vale a 28. Cfr. al riguardo B. Irrgang, Philosophie der Technik, cit.; Id., Skeptisch-kritische Epistemologie, kontextbezogene Selbstorganisation des Verstehens und positional-perspektivische Metahermeneutik, cit.

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dire da ritmi e ordini di tipo individuale o superindividuale. Si pensi, qui, alla connessione tra le Pleiadi e il miele di Lesbo29, oppure allo straripamento del delta del Nilo nell’ingresso del fiume in Egitto30. Si è giunti a una correlazione tra cicli cosmici e cicli vitali, enucleata nel succedersi dei segni zodiacali nel firmamento e che da ultimo ha reso possibile anche l’astrologia. Col calendario si è stabilito un sistema di orientamento cosmico, che ha permesso di connettere gli schemi di sviluppo ciclici, annuali – come possibilità di classificazione in base alla costellazione dei segni 29. L’Autore fa riferimento al noto poema di Saffo, Tramontata è la luna (fr. 168b Voigt; tradotto in italiano, tra gli altri, da Salvatore Quasimodo), in cui vi è un riferimento astronomico al complesso delle Pleiadi, appartenenti alla costellazione del Toro, anticamente associate ai cambiamenti stagionali e in particolare ai tempi propizi alla coltivazione e alla navigazione [N.d.T.]. 30. L’Autore si riferisce allo straripamento annuale del Nilo in Egitto: «il Nilo straripa regolarmente ogni anno dal 13 di giugno fino al 17 di settembre; epoca in cui comincia la sua decrescenza. La fertilità dell’Egitto dipende dall’inondazione del Nilo […]. Quando l’inondazione è di 16 cubiti la gioja è universale in tutto l’Egitto, perché in tal caso la raccolta sarà abbondante» (C.A. Vanzon, voce Nilo, in Dizionario universale della lingua italiana, vol. VIII (N-O), Barcellona, Palermo 1842, p. 593) [N.d.T.].

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zodiacali nel firmamento – con lo scorrere delle stagioni, permettendo così un orientamento culturale e religioso. Questo genere di correlazioni ha reso possibile una comprensione nel senso di uno spirito umano-corporeo31. Il sapere e il comprendere pratici stanno a fondamento della cultura, dapprima come: 1)  cultura materiale della sopravvivenza; 2)  cultura narrativa (comprensiva di espressione mimica, gesti e segni linguistici, musica, danza e linguaggio verbale); 3)  cultura della tecno-scienza e del sapere; 4)  dottrina del numinoso e della potenza del religioso; 5)  cultura della capacità di orientamento (cosmo, orizzonte mondano) e della riflessione. Secondo la mia interpretazione, lo psichico e lo spirituale non si identificano con i processi cerebrali, ma sono un prodotto di questi ultimi, coi quali entrano in relazione. Il senso, dunque, non 31. Cfr. al riguardo B. Irrgang, Gehirn und leiblicher Geist. Phänomenologisch-hermeneutische Philosophie des Geistes, Steiner, Stuttgart 2007; Id., Der Leib des Menschen. Grundriss einer phänomenologisch-hermeneutischen Anthropologie, Steiner, Stuttgart 2009.

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è un fenomeno direttamente riducibile a processi cerebrali, sebbene questi ultimi rendano possibile il comprendere cognitivo, esattamente come il saper camminare. Il comprendere presuppone il saper maneggiare, e viceversa. Dal comprendere derivano la comprensione razionale e il saper agire in modo pianificato32. La cultura si basa soprattutto sulla memoria e sul linguaggio verbale umani, sull’astrattezza e la capacità di pensiero generalizzante. Il darwinismo neurale si occupa dell’evoluzione della cognizione e del comportamento cognitivo: si tratta, qui, dell’evoluzione delle cellule sensoriali, del sistema nervoso centrale e del cervello. Si tratta anche, però, dell’evoluzione degli apparati motori nei diversi media rappresentati dall’acqua, dalla terra e dall’aria. Una spinta all’evoluzione della cognizione e del cervello fu data, circa 550 milioni di anni fa, dalla modalità di vita predatoria come nuova forma della nutrizione, basata non più sulla fotosintesi ma sul consumo di altri esseri viventi. Per il controllo senso-motorio il cervello ha dovuto costruire competenze mnemoniche, che rendono possibi32. Cfr. al riguardo B. Irrgang, Philosophie der Technik, cit.

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le la comprensione. Dalla vita si è sviluppata così l’esperienza. Il darwinismo neurale comprende il comportamento come una prestazione d’adattamento, che procede assai più velocemente della fissazione genetica di caratteristiche o proprietà fisiologiche ed etologiche. Sia negli animali che negli uomini la capacità di comportarsi o di comprendere cognitivamente si sviluppa, a partire da competenze cognitive, nelle diverse fasi della capacità di ricordare – quindi come forme della memoria, come forme comunicative e infine come comportamento sociale; è questo che, negli uomini, dischiude anche le forme dell’evoluzione culturale33. L’iniziatore del darwinismo neurale è stato Gerald Edelman, il quale ha ricercato una via d’accesso al neurodarwinismo connettendo la teoria dell’evoluzione, della concettualizzazione dello 33. Cfr. al riguardo B. Irrgang, Kognitives Verhalten als Wurzel des Verstehens und impliziten Wissens. Eine hermeneutisch-epistemologische Interpretation Evolutionärer Erkenntnistheorie, kognitiver Ethologie und des Neurodarwinismus, in H.-U. Lessing - K. Liggieri (a cura di), Das Wunder des Verstehens. Ein interdisziplinärer Blick auf ein außerordentliches Phänomen, Alber, Freiburg-­München 2018, pp. 267-283.

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sviluppo embrionale e dell’apprendimento infantile a una teoria dei fenomeni mentali, che tenta di integrare la prospettiva in prima, in seconda e in terza persona. Le risposte di Edelman e di Giulio Tononi si basano sull’assunto che la coscienza risulta dall’organizzazione materiale di certi organismi e sottolineano espressamente che il cervello da solo non basta a spiegare il sorgere della coscienza. I due sono infatti convinti che le funzioni cerebrali superiori presuppongano necessariamente interazioni tanto col mondo quanto con altri esseri umani34. Diventa importante, così, comprendere in quale modo sorgano le qualità del vissuto. Nessuna descrizione, per quanto ampia e dettagliata possa essere, sarà mai in grado di rappresentare in modo completo l’esperienza soggettiva. Il darwinismo neurale cerca di spiegare l’origine dello spirito. Il neurodarwinismo presuppone una teoria che tenta di spiegare l’evoluzione, lo sviluppo, la struttura e la funzione del cervello sulla base di principi selettivi. La teoria della selezione

34. Cfr. G.M. Edelman - G. Tononi, Un universo di coscienza. Come la materia diventa immaginazione, Einaudi, Torino 2000.

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dei gruppi neurali consiste in tre assunti principali: 1)  Selezione dello sviluppo: a partire da uno stadio embrionale molto precoce, l’ulteriore stabilirsi di contatti sul piano delle sinapsi avviene in larga misura per selezione somatica. Queste ramificazioni garantiscono una variabilità straordinariamente alta in termini dei possibili modelli di connessione e procurano un immenso e variegato repertorio di circuiti neurali. La conseguenza è che i neuroni all’interno di un gruppo sono connessi in modo  più  stretto dei neuroni in gruppi diversi. 2)  Selezione dell’esperienza: a questa fase iniziale si sovrappone un processo di selezione sinaptica all’interno del repertorio di un singolo gruppo neurale, che va ricondotto alle esperienze comportamentali e che ha luogo durante l’intera vita. 3)  Reentry: alla correlazione tra eventi selettivi all’interno di diverse mappe cerebrali si arriva attraverso il processo dinamico di Reentry. Le interazioni rientranti fanno sì che un animale dotato di un sistema nervoso altamente variabile e specializzato sia in

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grado, anche senza l’aiuto di un omuncolo o di un software informatico, di suddividere – all’interno di un mondo non provvisto di concetti – tra oggetti ed eventi. Questo processo porta alla sincronizzazione delle attività dei gruppi neurali in mappe cerebrali, connettendole in circuiti che permettono il sorgere di output temporalmente coerenti. Il fenomeno di Reentry costituisce, così, il meccanismo centrale per la coordinazione spaziale e temporale di eventi senso-motori differenti35. Il darwinismo neurale prova a pensare e a concettualizzare l’auto-organizzazione dello sviluppo biologico e neurale, quale fondamento del comportamento cognitivo e reattivo in contrapposizione agli influssi esterni, in modo molto più radicale di quanto consenta il tradizionale paradigma naturalizzante. La naturalizzazione va intesa in questo senso: il fenomeno dell’emergenza conduce a proprietà sistemiche completamente nuove e qualitativamente distinte fino al punto in cui l’evoluzione biologica sfocia nella prassi umana, caratterizzata da valutabilità 35. Cfr. ivi, pp. 115-117.

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morale e sviluppo culturale (naturalizzazione culturalista). Tra le scimmie e l’uomo ha avuto luogo un radicale salto evolutivo: in ultima analisi, l’evoluzione biologica non si fonda soltanto su piccoli progressi cumulativi, ma include una fase rivoluzionaria, capace di condurre a risultati ampiamente imprevedibili. Senza una sorta di esperienza, che per prima fonda il comportamento, l’auto-organizzazione delle forme di vita mobili non sarebbe comprensibile né pensabile. In base alle nostre conoscenze, tuttavia, l’esperienza presuppone un cervello. Una forma di vita predatoria e quindi schemi ecologici nel senso del nesso predatorepreda non sono possibili in assenza di cervello. L’esplosione cambriana presupponeva proprio questo salto evolutivo, che ha reso possibili apparati cerebrali in grado di integrare le cellule sensoriali e dotati di capacità di memorizzazione, le quali – da ultimo – hanno prodotto il comportamento cognitivo e con esso il punto d’avvio dei processi di comprensione. Mentre la teoria della conoscenza evoluzionistica tenta di ricostruire l’evoluzione del comportamento cognitivo a partire dall’essere umano, il darwinismo neurale percorre la via inversa. Il com-

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pito di un’ermeneutica critica potrebbe essere formulato integrando, con la necessaria cautela scettica, entrambe le vie. La domanda sulle possibilità della comprensione ha chiaramente effetti di vasta portata. Il punto di vista dell’osservatore può essere interpretato come punto di vista matematico, come accade attualmente nella modellizzazione scientificonaturale, particolarmente in quella fisica. La modellizzazione scientifico-naturale presuppone un’epistemologia filosofica, e viceversa: la sua metodica è ovviamente distinta e presuppone altri piani di comprensione da quelli richiesti ogni volta dalle altre discipline. Se non escludiamo completamente la prospettiva in prima e in seconda persona dalla modellizzazione scientifica, possiamo desumere i processi di comprensione a partire da forme comportamentali cognitive e linguistico-verbali. Ciò è richiesto dalla questione dello spirito e della sua realtà, nel senso che lo spirito in quanto spirito non è osservabile, ma osservabile è soltanto la realtà come effetto di processi spirituali. I metodi convenzionali delle neuroscienze non permettono ancora di comprendere il comportamento cognitivo degli animali: ciò è e resta difficile, perché qui non

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disponiamo di una visione nella prospettiva in prima e in seconda persona36. La costruzione tecnica consapevole presuppone certamente il sapere tecnico, forse persino un sapere normativo e regolativo, ma il presupposto assolutamente fondamentale è la specifica prassi tecnica. Prima che si potesse formare una prassi costruttiva, vi era una prassi produttiva di artefatti tecnici. Tuttavia, non sono soltanto le idee costruttive – la cosiddetta logica propria della tecnica – a determinare la costruzione, ma anche rappresentazioni e condizioni socio-culturali o economiche, che fondano i percorsi tecnici di tipo culturale o anche nazionale. Creazioni culturali di lunga durata possono influenzare lo sviluppo tecnico fin nella costruzione culturale o stilistica nazionale. Per la nostra modalità d’accesso al costruire tecnico è centrale la tesi di Michael Polanyi sul “sapere implicito” (nell’ori­ ginale: tacit knowledge), sul quale si costruisce ogni altro sapere tecnico esplicito37. Polanyi descrive una concezione dinamica del sapere, che

36. Cfr. B. Irrgang, Kognitives Verhalten als Wurzel des Verstehens und impliziten Wissen, cit. 37. Cfr. B. Irrgang, Technische Kultur, cit.

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si costituisce nell’azione e che è pertanto connesso all’attività dell’ingegnere o del collettivo tecnico. Il riferimento al problema tecnico concreto e singolo ha luogo sullo sfondo di un (implicito) sapere tecnico (tacit knowledge) con l’ausilio di mezzi tecnici. Il concetto di tacit knowledge indica, quindi, qualcosa come una conoscenza tacita di cui si dispone, che si domina perfino, ma che non si può rendere completamente verbale o addirittura cosciente, esplicita. Questo sapere pratico dipende da schemi e paradigmi che non vengono per lo più esplicitati38: tuttavia, possono essere compresi, tematizzati e criticati nel contesto di un sapere pratico riflesso39. È possibile indicare le seguenti vie d’accesso al tema tacit knowledge:

38. Sul concetto di comprensione strumentale, si veda B. Irrgang, Praktische Ethik aus hermeneutischer Perspektive, Schöningh, Paderborn et al. 1998, pp. 75-120; sul fare tecnico, si veda N.A. Corona - B. Irrgang, Technik als Geschick? Geschichtsphilosophie der Technik, Röll, Dettelbach 1999, pp. 166-212. 39. Cfr. B. Irrgang, Technische Kultur, cit.

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1) Nella sua opera The Tacit Dimension del 1966 Michael Polanyi suggerisce di trattare il fenomeno del sapere implicito (tacit knowledge) a partire dal fatto che sappiamo di più di quanto siamo in grado di esprimere. Si tratta di un sapere personale, incorporato, che può essere sciolto dalla sua incorporazione soltanto distruggendolo o modificandolo radicalmente. Ciò è stabilito da Polanyi in base ai fenomeni del conoscere e riconoscere i tratti facciali. L’apparenza esteriore delle cose non viene conosciuta teoreticamente, ma si produce in esercizi pratici. Questi sono i risultati della psicologia della Gestalt. Si ha realmente comprensione di una teoria quando si sa applicarla: il sapere pratico è il risultato di un agire comprendente e di un comprendere strumentale – un sapere relativo al modo in cui è possibile raggiungere qualcosa di determinato. Ciò presuppone di padroneggiare con precisione un dispositivo, senza alcuna riflessione: perciò, nel caso del sapere pratico non si tratta di un puro sapere gestaltico, di un sapere puramente visuale. Il sapere pratico è la combinazione di un’espe­rienza nel rapporto con il singolare e di un sapere intorno alle condizioni strut-

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turali nel senso del “se-allora”. Tale sapere è di tipo implicitamente causale (causalità del “come-se”), ma si riferisce a singoli contesti d’uso. In ciò risiede una certa generalizzazione nel senso di regole empiriche: comprendere qualcosa attraverso l’azione implica una capacità tecnica, un’abilità tecnica, un saperdominare il processo in questione. 2) Anche Eugene S. Ferguson identifica il sapere tecnico con un sapere pratico implicito. Egli sottolinea la dimensione ottica come punto di partenza di questo potere e sapere pratico. Decisivi per la soluzione di un problema tecnico sono i cosiddetti schemi: prima che venga pensato qualcosa di tecnico, esiste un pensiero come rappresentazione chiara o come abbozzo di una possibilità40. Le esperienze fatte rapportandosi ad artefatti, i quali vengono trasformati dagli artigiani, costitui­ scono il fondamento dell’abbozzo. L’ingegnere abbozza, aiutandosi con disegni, degli

40. Cfr. E.S. Ferguson, Das innere Auge. Von der Kunst des Ingenieurs, Birkhäuser, Basel-Boston-Berlin 1992, p. 16 (ed. or., Engineering and the Mind’s Eye, The MIT Press, Cambridge [MA]-London 1992).

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artefatti tecnici. Si tratta, qui, di un sapere figurativo, che può essere colto e disegnato dall’“occhio interno” del tecnico: i problemi tecnici sono colti e tracciati in forma figurativa. Da oltre cinquecento anni gli ingegneri utilizzano disegni per mostrare agli artigiani la loro idea: l’innovazione tecnica comincia con una rappresentazione di una macchina finita, di un fabbricato finito o di un apparecchio finito41. I disegni incarnano informazioni figurative, non linguistiche, e rendono inoltre possibile che parti di macchine siano prodotte in officine diverse. Tuttavia, non tutti i problemi delle scienze tecniche si possono cogliere adeguatamente in forma figurativa. 3) Huber e Stuart Dreyfus distinguono cinque stadi nell’acquisizione delle abilità tecniche. Esse vanno innanzitutto imparate. I bambini e talvolta anche gli adulti imparano provando e sbagliando, spesso imitando i più abili. In questo modo i bambini imparano a camminare e gli adulti a guidare. Normalmente, gli adulti acquisiscono nuove abilità con l’aiuto di istruzioni verbali o scritte. Si possono 41. Cfr. ivi, p. 18.

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distinguere i seguenti stadi: 1) principiante; 2) principiante avanzato; 3) competenza; 4)  abilità; 5) essere esperto42. Compiere il passaggio dal livello 1) al livello 5) rappresenta un progresso dal comportamento analitico di un soggetto distanziato, che scompone il suo ambiente in elementi riconoscibili e che segue delle regole, a un’abilità partecipativa, che si appoggia sulle esperienze concrete precedenti e su un sapere consapevole delle similitudini tra situazioni nuove e pregresse. In ciò non va negato che, in un importante stadio iniziale dell’acquisizione di abilità, i bambini e gli adulti attraversano anche uno stadio in cui devono seguire delle regole. Tra il razionale e l’irrazionale esiste una zona estesa dell’a-razionale, per così dire43. L’agi­re competente è razionale: il passaggio è contrassegnato dall’abilità. Gli esperti,

42. Cfr. H.L. Dreyfus - S.L. Dreyfus, Künstliche Intelligenz. Von den Grenzen der Denkmaschine und dem Wert der Intuition, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, pp. 41-59 (ed. or., Mind over Machine. The Power of Human Intuition and Expertise in the Era of the Computer, Free Press, New York 1986). 43. Cfr. ivi, p. 61.

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dunque, agiscono a-razionalmente nel senso di Dreyfus, ossia razionalmente, ma non in modo completamente ricostruibile. Hubert Dreyfus ha recentemente introdotto un sesto e un settimo livello di competenza nel concetto di apprendimento corporeo, mediante i quali appare possibile un nuovo accesso all’educazione. Si tratta del training all’esecuzione di determinate azioni. Il competente è in grado di confrontarsi anche con l’incertezza. L’informazione contestualizzata è la base organizzativa di queste attività. In quanto esperto, l’uomo emotivo, incarnato, può imparare da più maestri: il sesto e il settimo livello (padronanza e sapere pratico) lavorano interamente con queste forme del sapere44. Per lo sviluppo di queste tecnologie va stabilito anche uno stile culturale generale: vi sono piani differenti di competenza e abilità. Nell’analisi della costruzione tecnica artistica e scientifica si passa da un sapere implicito, fondato sulle esperienze sedimentate, a un sapere esplicito, documentabile, scientificamente accertato e anche archiviabile. La tesi a sostegno del 44. Cfr. H. Dreyfus, On the Internet. Thinking in Action, Routledge, London-New York 2001.

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sapere implicito si fonda sul fatto che molteplici aspetti del comprendere e dell’abilità – tanto delle organizzazioni quanto delle persone – non possono essere colte in parole. Questi aspetti si basano sull’immedesimazione, sull’interiorizzazione, da ultimo sull’inseparabile intreccio tra sapere e realizzazione tecnica nel rapporto – fisicamente costituito – dell’uomo con gli artefatti tecnici. Nel sapere pratico il riconoscimento e la soluzione dei problemi sono riferiti l’uno all’altra e sono interdipendenti. La trasmissione del sapere, quindi, è concepita come un fenomeno personale di tipo culturale e non si ottiene esclusivamente attraverso strumenti didattici. Sapere di sfondo, autorità e tradizione sono imprescindibili per il sapere implicito. Con la filosofia illuministica e la rivoluzione industriale comincia la crisi della “cultura tecnica”: si guarda innanzitutto alla matematica come programma ausiliario per la prassi, utile solo se si conosce anche la prassi di riferimento. Successivamente, alla cultura tecnica è contrapposta la comprensione scientifica: il vecchio canone è morto, si propugna una nuova via – la scientificità – che non si richiama a modelli o alla tradizione. Il classico modello tecnico-scientifico come sistema di prescrizioni è distante dalla prassi tecni-

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ca esattamente come la tradizionale teoria della scienza è lontana dalla prassi scientifico-naturale. In una filosofia del sapere pratico-tecnico il filosofo non riflette sulla propria competenza tecnico-pratica, ma sulle altrui interpretazioni dell’abilità tecnica. La modellizzazione teorica della competenza tecnica sopravanza quest’ultima nell’attività costruttiva. La comprensione di una prassi costruttiva è il fondamento di un’epistemologia delle scienze tecniche. Una prassi costruttiva non può essere descritta unicamente sul piano del sapere: solo attraverso la ricostruzione della sua genesi sorge la possibilità di cogliere la sua struttura fondamentale. È dunque necessaria una trasformazione delle scienze tecniche, che tenga in considerazione il fatto che questa epistemologia di una prassi tecnica implica un discorso, una riflessione sulle pratiche non discorsive. La prassi tecnica si fonda in primo luogo su una “conoscenza tacita”, che può esser resa esplicita soltanto fino a un certo grado. Il sapere implicito è spesso un sapere nel mondo della vita, ossia incorporato nel mondo della vita: in particolare, perciò, può essere ricostruito e descritto mediante il processo dell’acquisizione di sapere come esperienza comune. Tacit knowl-

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edge è un sapere nascosto, implicito, non ancora espresso, e forse non completamente esprimibile e descrivibile. Da questo sapere va distinta la embodied knowledge nel senso di un sapere interiorizzato, di una esperienza corporea ed esistenziale. La terza dimensione del sapere implicito è quella della living knowledge: questa indica il portatore della conoscenza, ovvero dell’abilità, nella forma di un individuo, di un team o persino di una organizzazione, che anima di volta in volta il portatore come un intero. Il sapere implicito indica il sapere intuitivo o creativo e comprende i fenomeni del sapere in rapporto al suo essere implicito, inconscio e vago. L’apertura di disposizioni, l’interpretazione delle competenze, la modellizzazione del sapere implicito e del saper-agire sono compito di una teoria scientifica dell’agire tecnico sulla base del sapere implicito. Si tratta di implicazioni pragmatiche: siamo in grado di produrre qualcosa di determinato. In modo pragmaticamente conseguente, è necessario un approccio euristico, riferito ad analogie, a conclusioni basate sulla considerazione di casi, a un apprendimento esemplare e a percorsi di ricerca imprecisi. Il punto di vista di una teoria della conoscenza interpretata culturalmente in senso evoluzioni-

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stico45 conduce a una concezione dell’evoluzione tecnica come correlazione tra prassi tecnica e sapere tecnico. Il sapere implicito è un tipo di sapere che non si dà nel senso classico della comprensione del sapere, sebbene abbia un significato costitutivo per il sapere tecnico e quindi per le scienze tecniche. Tale sapere enfatizza l’incorporazione culturale e fisica del sapere ingegneristico e, con ciò, la porzione soggettiva del sapere tecnico degli esperti. L’esperto agisce e non conosce sempre in base a regole, bensì in base ai casi e alle situazioni considerate. La fiducia è un contrassegno dell’incertezza, della competenza e del sapere implicito. Là dove domina la certezza (controllo) non è indispensabile la fiducia. Competenza e sapere implicito sono particolarmente richiesti nella ricerca interdisciplinare. Qui sono centrali i meccanismi di formazione della fiducia. Il sapere implicito è efficace nella visualizzazione di grandi quantità di informazioni: si tratta di un sapere contestualizzato, incarnato e incorporato. Al fine di indagare il 45. Cfr. B. Irrgang, Lehrbuch der Evolutionäre Erkenntnistheorie, Reinhardt, München-Basel 1993; Id., Technische Praxis. Gestaltungsperspektiven technischer Entwicklung, Schöningh, Paderborn et al. 2002.

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contesto pratico, ovvero il campo d’azione, non si può partire dalla separazione tra contesto e prassi, bensì dal fatto che assieme alla prassi è prodotto e modificato nel contempo il contesto del campo d’azione46. Le scienze tecniche si occupano, in quanto scienze dell’azione, di fornire istruzioni per l’azione e del sapere tecnico, ma soprattutto della struttura e delle funzioni degli artefatti tecnici. La prassi tecnica e tecnologica rimane sottoesposta. La nuova epistemologia tenta di connettere i due aspetti. La tecnologia si articola in primo luogo nel concetto di arte del descrivere, disegnare e mostrare, e nel concetto di scienza, che elabora causalità e funzionalità. Per la formulazione della tecnologia in rapporto alla sua incorporazione culturale sono centrali modelli e paradigmi, concepiti come epocali, atti all’orientamento di base di queste istruzioni pratiche. Mi riferisco, in termini di epistemologia della prassi tecnica e del sapere tecnico, alla teoria della scienza di Larry Laudan: questi indaga il ruolo svolto dai 46. Cfr. B. Irrgang, Technologische Entwicklungspfade: Innovation und Folgelasten. Macht und Ohnmacht angewandter Ethik bei der Einbettung nutzerfreundlicher Technologie, Königshausen & Neumann, Würzburg 2016.

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valori cognitivi nell’elaborazione della razionalità scientifica e sviluppa una teoria scientifica dei problemi e del progresso scientifici. Il suo intento è approfondire la posizione di Thomas Kuhn. Nel processo di avanzamento scientifico sono cruciali le norme scientifiche, che tuttavia non sempre possono essere rese esplicite: si tratta di un accordo esercitato fattualmente, di norme comunemente condivise, in cui il consenso scientifico è un sottoprodotto di un precedente lavoro metodologico e assiologico. Dobbiamo perciò sviluppare un modello triadico della giustificazione, che muova da una specie di procedimento della giustificazione in base a feedback. Il circuito consiste in ciò: i metodi sono giustificati dalle teorie, le teorie necessitano a loro volta di metodi. I metodi mostrano la loro realizzabilità in rapporto a scopi scientifici; gli scopi scientifici giustificano a loro volta i metodi. Teorie e scopi devono armonizzarsi reciprocamente47: non è dato un piano assolutamente fondamentale.

47. Cfr. L. Laudan, Science and Values. The Aims of Science and their Role in Scientific Debate, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1986, p. 63.

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Il progresso tecnico e quello scientifico non sono però identici. La soluzione di problemi è, nelle singole discipline tecniche, il punto d’avvio decisivo. Diversamente che nella scienza naturale, è necessario considerare le innovazioni e il mercato. Un’ulteriore e centrale domanda è quella sull’equivalente della comunità scientifica: come si presenta una comunità dei ricercatori tecnicoscientifici? Non vanno inclusi anche l’industria e le sue forme produttive, o anche – in virtù della tecnicizzazione della quotidianità – i potenziali utenti? Accanto alla giustificazione epistemica, che è trattata nel contesto della scienza tecnica, si dovrebbe prendere in esame la dimensione economica, che verifica la producibilità e vendibilità degli artefatti tecnici così come la loro usabilità (sicurezza), in quanto esamina la funzionalità e l’accettabilità dei prodotti48. La nuova epistemologia della scienza tecnica, dunque, dovrebbe integrare all’interno di quest’ultima – accanto alla giustificazione epistemica – anche le domande relative alla garanzia economica e alla giustificazione pratica.

48. Cfr. B. Irrgang, Technologische Entwicklungspfade: Innovation und Folgelasten, cit.

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Ciò richiede un’epistemologia pragmatica della prassi tecnica e tecnologica. Con la scientifizzazione delle scienze tecniche è sorto il bisogno di garanzia epistemica: si è giunti a una riduzione della tacit knowledge, perlomeno nella auto-­ descrizione operata dagli ingegneri. L’auto-descrizione dei tecnici e la descrizione esterna da un punto di vista sociale, però, vanno nettamente distinte. Dato il riferimento pratico delle scienze tecniche, entrambe le prospettive sono legittime e non possono essere giocate l’una contro l’altra: le questioni relative all’accettabilità diventano così l’oggetto delle scienze tecniche. La finalità delle scienze tecniche come scienze dell’azione si manifesta in particolare nel fatto che, in esse, devono essere poste anche domande relative allo sfruttamento dell’ambiente, alla sostenibilità sociale e all’accettabilità. L’utilizzo e il valore d’uso sono codificati culturalmente: in questa misura, le questioni relative alla giustificazione (sia di tipo epistemico che sociale) chiamano specificamente in causa le scienze culturali. Anche Ernst Cassirer muove dal primato della tecnica nella costruzione della nostra cultura presente. L’intera energia creativa della nostra cultura attuale si concentra, in misura maggiore o minore, su questo punto: lo sviluppo incompa-

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rabile conosciuto nell’ultimo secolo dalla tecnica conduce all’evidenza per cui a tale sviluppo corrisponde anche un peculiare rivolgimento del pensiero. Determinate teorie gnoseologiche, che definiscono le verità teoretiche come un puro caso particolare di utilizzo, sono assurte in primo piano: la connessione tra positivismo, empirismo e tecnica si manifesta nel principio di economia di Mach. L’impiego della tecnica contempla dei presupposti precisi: la domanda circa il fondamento di validità riguarda però tutti i principi formali spirituali. La tecnica non è ancora veramente ordinata all’interno del circolo dell’auto-riflessione filosofica di tipo trascendentale49: perciò Cassirer rivolge la domanda trascendentale circa il fondamento di validità anche alle formazioni tecniche. Per poter assegnare un posto alla tecnica nel complesso della cultura e della filosofia sistematica, si deve considerare che attraverso la tecnica il processo di creazione viene non solo ampliato ma anche intensificato e strutturato. Si devono pertanto interrogare le 49. Nel seguito, ci si riferisce a E. Cassirer, Forma e tecnica, in Id., Tre studi sulla “forma-formans”. Tecnica – Spazio – Linguaggio, tr. it. a cura di G. Matteucci, CLUEB, Bologna 2003, pp. 51-93.

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condizioni di possibilità dell’agire tecnico e della creazione tecnica. Cassirer connette dunque, entro il piano di riflessione filosofico-trascendentale, la questione circa le condizioni di sviluppo della creazione tecnica (design) con la questione della legittimità. Il metodo filosofico-trascendentale tradizionale devia la conoscenza scientifica dal riferimento oggettuale: resta da domandare se ciò sia ugualmente possibile nel caso di una riflessione filosofico-trascendentale sull’agire tecnico. Ad ogni modo, non si dovrebbe partire dall’esistenza delle opere tecniche, ma dalle forme dell’agire tecnico. La domanda sul senso della creazione tecnica richiede una riflessione metodica: la tecnica non è un mezzo di descrizione, ma di impossessamento della realtà – il che smentisce un parallelismo troppo stretto tra linguaggio e strumento. Il tipo di volontà e di realizzazione tecnica compare per la prima volta nella magia: ogni azione viene anticipata magicamente nella rappresentazione. Così, nella magia è già presente, in nuce, una configurazione del mondo. Il comportamento tecnico si dischiude nel doppio processo dell’afferrare e del distanziarsi: la scoperta della natura, implicita in ogni comportamento tecnico, in ogni utilizzo di strumenti, per

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quanto elementare, si mostra nella plasticità. La cesura tra comportamento animale e comportamento umano si osserva precisamente nell’utilizzo di strumenti: persino nell’uso primitivo di strumenti, e ancor di più nell’agire tecnologico, sono collaudate nuove forme di controllo sul mondo. Ma da questo agire al sapere intorno a questo agire c’è un’ulteriore distanza. Dove ogni attività umana punta a catturare il mondo, lì l’uomo non riesce ancora a comprendere il mondo in quanto tale. La filosofia della tecnica deve in primo luogo prescindere dallo scopo e analizzare i mezzi. Nel contesto del sapere tecnico è stato sviluppato un concetto di causalità che ha avuto dapprima la forma blanda dell’associazione. In questo senso, la magia è una sorta di fisica sperimentale: lo strumento può essere qualcosa di indipendente, di sciolto dall’uomo, di già esistente. In questo caso, tuttavia, ci si deve chiedere se si tratti ancora di uno strumento. Nell’azione sorge per l’uomo l’idea della causalità obiettiva, e si apre così – anche nella teoria – una visione di principio nuova. Il linguaggio e lo strumento non vengono intesi come creazioni dello spirito umano, ma come potenze estranee e superiori, che dischiudono un pandemonio mitico. La

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tecnica mette in moto il processo di trasformazione dell’oggettuale, che è il senso proprio del fare tecnico. Si pone tuttavia la questione se l’apertura del mondo oggettuale non rappresenti al tempo stesso e necessariamente l’alienazione della propria essenza umana, in quanto tale apertura consegna e sottomette l’uomo alla dura legge delle cose. I critici della tecnica come Ludwig Klages lamentano gli effetti nocivi dello spirito tecnicorazionale, al quale non possono essere contrapposte con facilità le conseguenze positive della tecnica come somma dei piaceri, dal momento che la tecnica viene distorta nella trattazione puramente funzionale. È l’arte a potersi comprendere come autentica forza creatrice dell’uomo e a potersi praticare come ampliamento dell’umanesimo fondato esteticamente. Il metro di valutazione dell’agire tecnico si ottiene implicitamente, perciò, a partire dalla creazione artistica: questa trattazione impoverisce l’analisi dell’agire tecnico, in quanto la funzione dell’utilità non viene adeguatamente considerata. Un’analisi puramente culturalista dell’agire tecnico ne impoverisce l’interpretazione; tuttavia, tecnica e arte hanno nell’“impulso materiale” [Stofftrieb] un oggetto in comune. Perciò Cassirer si esprime

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contro la concezione che vede nella tecnica uno sforzo indirizzato puramente all’esterno; d’altro lato, il sapere dell’Io sembra essere connesso in modo del tutto particolare alla forma dell’agire tecnico – come è mostrato dal principio di proiezione organica di Ernst Kapp. Karl Marx ha esposto la legge di emancipazione dai limiti organici: la tecnica non è soltanto imitazione della natura, ma anche ottenimento di un effetto secondo le proprie leggi. Ciò si manifesta particolarmente nella macchina: in quanto l’uomo accetta il rischio di liberarsi dalla tutela della natura, egli rinuncia a ogni sollievo che l’immediata prossimità alla natura reca in sé. La tecnica diventa, così, un puro fine espressivo. Non appena tra l’uomo e la sua opera si inserisce lo strumento, non si può più parlare di un puro impulso espressivo; piuttosto, esiste il pericolo di una solidarietà dell’uomo con il suo strumento. La tecnica moderna minaccia il nesso tra lavoro e opera, la macchina assume ora su di sé il completamento dell’opera. Ma se la tecnica non conduce all’emancipazione, bensì alla schiavitù, essa diviene oggetto di condanna. La tecnica si presenta come implicazione di invenzione e osservazione della natura, quale si

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manifesta in particolare nella rinascita dell’ingegneria – in Leonardo da Vinci, per esempio. Per Cassirer l’attività teoretica e quella tecnica non sono in contatto reciproco solo esternamente, ma sono – nel fondo e nel principio della loro produttività – imparentate tra loro. Esse sviluppano una visione della natura in cui la corrispondenza tra immagine e realtà non è data immediatamente, ma va ricercata e prodotta progressivamente, come già mostrato da Kant. Tanto nella tecnica quanto nella teoria si tratta di produrre determinate formazioni. Il compito della filosofia della tecnica è di analizzare lo sviluppo del mondo delle forme tecniche e della forma artistica secondo la loro specificità. Particolarmente interessante è l’implicazione costante di motivi tecnici e artistici. Inoltre, andrebbe ancora chiesto se l’asservimento mediante la tecnica derivi dal principio di validità della tecnica o dall’ordine economico. L’analisi delle condizioni di possibilità del fare tecnico mostrerà che il riferimento oggettuale – la questione del riferimento alla natura o alla tecnica – non gioca il ruolo decisivo, che è invece giocato dal tipo di riferimento attivo nell’agire tecnico. Quest’ultimo è contrassegnato innanzitutto dall’intento dell’utilizzo e dalle possibilità

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di utilizzo. L’analisi dell’agire tecnico deve quindi verificare, volta per volta, le corrispondenti condizioni di consistenza dell’agire tecnico e della costruzione tecnica, le quali vanno elaborate in connessione con la realizzabilità dell’agire tecnico. Questo va poi distinto, come innovazione tecnica, dalla normale attività tecnica nel senso dell’uso della tecnica. In entrambi i casi, però, si tratta di un agire tecnico, che si realizza in un intento di utilizzo. L’analisi cassireriana delle condizioni di possibilità della creazione tecnica ha tematizzato una questione dirimente, entro la quale possiamo analizzare l’agire tecnico. Nel fare ciò vanno prese specificamente in esame le condizioni culturali generali entro le quali s’inscrive l’agire tecnico.

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II Prassi tecnica e potere tecnico: artefatti e strutture tecnici, il loro sviluppo e il loro potenziale di rischio

La filosofia della tecnica come fenomenologia ed ermeneutica delle installazioni tecniche e dell’agire tecnologico non conduce a una conoscenza essenziale della tecnica nel senso di un’ontologia reale. Una fenomenologia ermeneutica orientata pragmaticamente comprende se stessa come una guida alla comprensione dell’agire tecnico. Non offre una dottrina della costruzione tecnica, ma istruisce piuttosto all’apprendimento della costruzione tecnica nella sua strutturazione in termini di design – a partire, dunque, dal processo del costruire1. Essa insegna a comprendere la tecnica nell’uso quotidiano: ciò implica una comprensione ri1. Cfr. B. Irrgang, Von der technischen Konstruktion zum technologischen Design. Philosophische Versuche zur Theorie der Ingenieurpraxis, Lit, Münster 2010.

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flessa delle attività tecniche di tipo specifico e generico, ma anche a un concomitante abbozzo ragionato dell’esecuzione delle azioni progettate. Nell’agire tecnico, così, la realtà viene sempre indirettamente tematizzata e presupposta: il riferimento dell’agire tecnico al mondo, perciò, è tematizzato fenomenologicamente solo in maniera indiretta. Nella tecnica moderna la struttura di black box propria degli schemi corporei del lavoro manuale migra negli schemi strutturali delle installazioni tecniche. Si devono perciò distinguere un comprendere e un sapere pratico professionale e uno profano – anche se i confini sono talvolta labili e vengono determinati dal contesto. Comprendere in senso profano la prassi informatica non significa saper programmare i computer: tuttavia, anche la programmazione dei computer si colloca in una tradizione routinizzata ed è perciò dipendente da un determinato sapere pratico. Per poter scrivere nuovi programmi, il programmatore deve basarsi su questa tradizione: in altre parole, anche se in rapporto agli artefatti e ai media tecnici vanno distinte una prassi professionale e una profana, lo stesso professionista deve imparare a comprendere praticamente, in un certo senso, il suo medium tecnico, al fine di

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poter agire tecnicamente. Tuttavia, diversamente dal profano, egli è largamente in grado di utilizzare, nel suo agire tecnico, strumenti metodici e matematici. Nella misura in cui, però, i mezzi e i prodotti tecnici restano sempre – nella loro struttura, non nel loro utilizzo – impenetrabili, si appiana anche la distinzione tra un uso della tecnica profano e uno professionale. Attraverso il rinvio e l’implicazione di fenomenologia della tecnica (agire tecnico come ampliamento dello schema corporeo) ed ermeneutica della tecnica (prassi del comprendere riferita a dispositivi tecnici sullo sfondo di una tradizione tecnica) diventa possibile comprendere tanto le azioni tecniche quanto il sapere tecnico. L’uso, la pratica o lo sfruttamento di un oggetto tecnico producono un sapere implicito e in seguito uno esplicito, offrendo il fondamento per l’istruzione d’uso tramandabile. La prassi, fenomenologicamente descrivibile, riferita all’oggetto tecnico e la tradizione o l’insegnamento da dischiudere ermeneuticamente consentono di rivelare la struttura interpretativa dell’“agire tecnico” e forniscono la cornice metodica per l’interpretazione dello sviluppo storico della tecnica. Non si tratta di un concetto di progresso, giacché l’agire tecnico può anche fallire: perciò

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i fattori di sviluppo non vanno intesi nel senso di un costante incremento della complessità, ma si perviene anche a occasionali riduzioni della complessità2. Per imparare a comprendere la tecnica nel suo fondamento nel mondo della vita, ma anche nella sua dinamica di sviluppo, suggerisco di concepire in modo innovativo l’agire tecnico, ossia nella prospettiva del sapere pratico implicito. I concetti di mondo della vita tecnico e di quotidianità tecnica si illuminano a vicenda, così da sottolineare il coefficiente di contingenza del mondo della vita quotidianamente caratterizzato dalla tecnica. Questa dimensione quotidiana dell’agire tecnico costituisce una routine e una tradizione, essenzialmente determinata dall’uso della tecnica. Hans Blumenberg vede nel concetto husserliano di mondo della vita un ritorno della categoria di natura e di una tarda filosofia della vita: Husserl è intimamente convinto che un mondo sia ancora raggiungibile, anche se dobbiamo partire dall’esperienza per cui viviamo in qualcosa di più di un mondo e l’ovvietà della realtà quotidiana della nostra esperienza non è 2. Cfr. B. Irrgang, Technische Kultur, cit.

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più valida3. Perciò, la caratterizzazione dell’agire tecnico nel suo contesto non può prescindere dal concetto di mondo quotidiano come organizzazione della sopravvivenza, come tradizione e invenzione, successo e fallimento, e come superamento della contingenza. Albert Borgmann considera la filosofia della tecnica come una meta-teoria in un senso del tutto analogo alla mia concezione di ermeneutica della tecnica. Lo sguardo epistemologico vede nella tecnica un metodo d’indagine del mondo: l’analisi strumentale della tecnica non costituisce la teoria propria della tecnica. Borgmann descrive l’aspetto pratico dell’agire tecnico sia come un sapere, un processo e un prodotto, che in termini di produzione e consumo. Per lui la tecnologia è un agire tecnico sostenuto scientificamente4. Il carattere della tecnologia diventa più chiaro ricorrendo all’esempio della fermentazione: i processi di fermentazione non

3. Cfr. H. Blumenberg, Le realtà in cui viviamo, tr. it. di M. Cometa, Feltrinelli, Milano 1987, p. 3. 4. Cfr. A. Borgmann, Technology and the Character of Contemporary Life. A Philosophical Inquiry, The University of Chicago, Chicago-London 1984, pp. 10-16.

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sono visibili, ma millenni fa era già possibile un rapporto con il non-visibile, sebbene non fosse disponibile una spiegazione scientifica di tali processi. Oggi una spiegazione scientifica dello sviluppo dell’alcool e della produzione di un determinato vino è ovviamente possibile, fattualmente data e riferita alle leggi di natura. Lo sviluppo dei colori e dei sapori del vino non è tecnicamente possibile in assenza di una conoscenza precisa della natura. I criteri che fissano il successo di scienza e tecnica sono diversi. La scienza mira alla rappresentazione di un sapere il più possibile esatto circa le più piccole strutture. L’accesso strumentale della tecnica, invece, non può distinguere nettamente tra visione quotidiana e visione scientifica. Il sapere scientifico è una condizione necessaria della tecnologia moderna, ma non è sufficiente per la fondazione della tecnologia. Inoltre, nella scienza si presentano discontinuità e cambiamenti di paradigma che non compaiono in egual misura nella tecnica e nella tecnologia. La tecnologia è la prassi di riferimento al mondo oggi più comune. Bacon e Descartes hanno dato voce alla promessa della tecnica: si tratta del programma di dominio sulla natura e di liberazione dalla fatica (Campanella), nonché di un miglioramento e

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di un’ampia soddisfazione delle esigenze di vita. La tecnica implica, accanto al controllo di natura e cultura, una promessa di libertà e benessere5. Diversamente dalla scienza, la tecnica si riferisce piuttosto, secondo Borgmann, a superfici: essa non si occupa della microstruttura delle cose. Si può usare con successo un’automobile senza conoscerne le singole parti. Piuttosto, molte rappresentazioni di tipo tecnico sono plasmate anche in senso tradizionale da superfici; tuttavia, si arriva in misura crescente a un assorbimento della cultura tradizionale da parte della tecnologia. In base a questa comprensione del carattere pratico delle superfici vanno riconsiderate anche le distinzioni tra mezzi e scopi, così come tra produzione e consumo6. La liberazione tecnologica ha prodotto un’utilità negativa: la liberazione da fame, malattia, analfabetismo e disagi di ogni sorta non va trascurata. Sono sopraggiunti altri mali, per esempio l’incremento delle morti per cancro. La tecnologia, tuttavia, non ha reso la nostra vita ricca in un senso positivo: il consumo di beni non dà alcuna risposta alla richiesta di una 5. Cfr. ivi, pp. 38-41. 6. Cfr. ivi, p. 66.

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buona vita – come si osserva nello svago e nel tempo libero tecnologici7. La tecnologizzazione dell’ambiente domestico si è accompagnata alle parole d’ordine “liberazione” e “arricchimento”: ma l’alimentazione industrializzata e gli elettrodomestici hanno portato un’utilità soltanto negativa. La famiglia è diventata sempre più luogo del consumo: la tecnologia ha minato l’autorità genitoriale e portato a problematiche educative8. Gli effetti collaterali indesiderati dell’atteggiamento tecnico, che ha diffuso la difesa dall’iniquità della natura, sono sfociati nella liberazione dai tabù e nella distruzione della tradizione. L’invenzione tecnica come utilità tecnica entro il paradigma pratico conosce sempre momenti di verifica: in una tale concezione la simulazione implica dei limiti di principio. Questa messa alla prova non può mai essere completamente calcolata in anticipo, anche se determinate possibilità possono essere escluse anticipatamente, sulla base di un calcolo, come praticamente irrilevanti. L’agire tecnico non rappresenta una prassi cieca riferita alla natura o agli artefatti: 7. Cfr. ivi, p. 127. 8. Cfr. ivi, p. 137.

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esso non è diretto in modo casuale, ma da un processo pianificato, perlomeno euristicamente indotto, del cercare e del trovare. Tracciare, mostrare, verificare e imitare – sono questi gli elementi centrali dell’agire tecnico. Errore e possibilità d’innovazione rinviano l’uno all’altra. In ciò, la verifica pianificata e razionale sta a indicare anche una verifica responsabile, e non un tentare a ogni costo. La concezione del comprendere strumentale è parte di un’idea più ampia del comprendere, che abbraccia perlomeno tre componenti: 1)  comprendere strumentale: know-how, sapere pratico, esperienza comprovata del saper-usare, spiegazioni del “come-è-possibile”; 2)  comprensione del senso: interpretazione di simboli e azioni, spiegazioni della “finalità”; 3)  comprensione teoretico-scientifica: comprensione del “perché”, spiegazioni del “perché”, chiarimenti. In tutto ciò vanno tenuti in considerazione i seguenti elementi9:

9. Cfr. B. Irrgang, Technische Kultur, cit.

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1) l’analisi situazionale, che indaga le strutture rilevanti e i fattori-chiave dell’azione corrispondente; 2) l’analisi motivazionale, dapprima come analisi degli interessi e dei bisogni degli agenti in questione nel senso di un’analisi causale e, in secondo luogo, come realizzazione di un impegno morale nel senso di una motivazione “allo-scopo-di”, ma anche di un compito tecnico; 3) l’abbozzo dell’azione è, nella sua tipica, il solo passaggio atto a poter eseguire una valutazione differenziata e dettagliata. Nell’interpretazione dell’abbozzo dell’azione gioca un ruolo particolare l’analisi delle finalità. Vanno ricavate opzioni di azioni alternative; 4) analisi dei mezzi e analisi degli scopi, che possono seguire da questi mezzi, vanno messe in rapporto a seconda delle modalità d’uso dei mezzi corrispondenti (aspetti relativi all’uso, aspetto pratico); 5) analisi delle conseguenze strettamente connesse all’abbozzo dell’azione. Si deve distinguere tra l’autopoiesi dell’agire e i modelli cibernetici della prassi collettiva (come

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la teoria dell’attore-rete di Latour10): l’azione/ prassi è incorporata in un contesto situazionale, in primo luogo nel mondo quotidiano. Non c’è però alcun mondo quotidiano che non sia già impregnato dai risultati dell’agire tecnico. Per comprendere la razionalità dell’agire tecnico (della prassi tecnica) nella sua logica di sviluppo (incarnata in percorsi di sviluppo), non si partirà da un concetto di progresso né da un concetto di genere (umanità) o da un concetto generale (società), bensì da un costrutto interpretativo, dall’agire tecnico (prassi) e dai percorsi di sviluppo che si costruiscono su di esso. La strutturazione dell’agire tecnico nella sua modellizzazione deve mostrare in che modo forme razionali distinte della prassi riferita ai media tecnici entrino nel campo dell’agire tecnico: si deve ricostruire la storia della tecnica come un intreccio di diversi tipi di agire tecnico nella loro connessione con l’agire economico, sul-

10. Cfr. B. Irrgang, Roboterbewusstsein, automatisiertes Entscheiden und Transhumanismus. Anthropomorphisierungen von KI im Licht evolutionär-phänomenologischer Leib-Anthropologie, Königshausen & Neumann, Würzburg 2020.

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lo sfondo di condizioni generali di tipo socio-­ culturale11. Il termine “prassi” è derivato dai due verbi “percorrere” e “eseguire”, ovvero “fare” o “compiere” (dal greco prassein, prattein). Sono molteplici i luoghi in cui la parola significa percorrere, attraversare, seguire, percorrere fino alla fine una strada, un percorso; oppure, in cui è associata al successo di un’azione, cioè significa portare a termine qualcosa, ottenere o provocare qualcosa, causare o imporre qualcosa, raggiungere o ottenere un successo. Nella tradizione socratica, in particolare, “agire bene” e “benessere” assumono lo stesso significato12. In Aristotele diviene visibile, a partire dal nesso stretto tra prassi e modo di vivere, una dimensione di significato nuova ed eccentrica rispetto all’uso nel contesto biologico. La prassi diventa una categoria specificamente umana, ossia morale; al tempo

11. Cfr. B. Irrgang, Technische Praxis, cit.; Id., Technologische Entwicklungspfade: Innovation und Folgelasten, cit. 12. Cfr. G. Bien, Art, Praxis, praktisch, in «Historisches Wörterbuch der Philosophie», VII, 1989, pp. 1277-1287: p. 1277.

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stesso, si tratta di una categoria fondamentale specificamente antropologica13. Una concezione della prassi tecnica deve superare la distinzione aristotelica tra produzione (poiesis) e prassi (azione). Il sapere pratico, in questo senso, sorge nella pratica riferita a singolarità concrete: tale pratica è il presupposto dell’elemento pratico nel senso proprio. Pertanto, il sapere pratico non può essere insegnato teoreticamente: comprendere l’essenza della prassi in contrapposizione alla teoria è caratteristico di una determinata tradizione. La prassi tecnica va concepita come agire tecnico comunitario: particolarmente importante è il successo o il fallimento dell’agire tecnico come una prassi tecnica comunitaria. È necessario affinare, contro la smania di potere, la coscienza della fallibilità. Con il passaggio dall’agire tecnico a quello tecnologico cresce la potenza della tecnica, non da ultimo attraverso la connessione sistemica: mediante questa, e il potenziale retroattivo in essa implicito, aumenta potenzialmente il rischio di catastrofi indotte tecnicamen-

13. Cfr. ivi, pp. 1280 ss.

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te14. Seveso, Bhopal, Harrisburg, Chernobyl e Basilea hanno reso evidenti, in modo realistico e immediato, le potenziali criticità del mondo tecnico15. Crisi dalla forza esplosiva dirompente sono oggi visibili ovunque nel nostro mondo industrializzato: le crisi causate dall’uomo hanno soppiantato quelle naturali, i cui tempi sembrano ormai passati. La crisi energetica, la crisi ambientale, la crisi delle materie prime – che si va delineando –, le crisi economiche, le problematiche della disoccupazione; tutte queste crisi sono, oggi, problemi strutturali causati dall’uomo, problemi sistemici che generano angoscia, critiche e gravi questioni di accettazione sociale16. Nel complesso, attraverso la prassi tecnica sorgono degli spazi d’azione tanto per i costrut-

14. Cfr. B. Irrgang, Technik als Macht. Versuche über politische Technologie, Kovač, Hamburg 2007. 15. Le città nominate dall’Autore sono sedi di altrettante catastrofi ambientali e/o disastri tecnologici avvenuti tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, che coinvolgevano spesso centrali nucleari [N.d.T.]. 16. Cfr. H. Lenk, Macht und Machbarkeit der Technik, Reclam, Stuttgart 1994, p. 35.

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tori quanto per gli utilizzatori della tecnica. Il superamento della “sgobbata” – vale a dire dei procedimenti tecnici connessi a fatiche disumane – e un’umanizzazione dei fini dell’agire tecnico sono compito di una prassi tecnica come forma dell’ethos. La prassi tecnica indica, così, che l’agire tecnico deve diventare un progetto culturale, non un letto di Procuste dello sviluppo tecnico in compartimenti stagni. La tecnica irrigidita, le istituzioni prive di flessibilità, gli utenti non creativi e non liberi distruggono ovviamente la prassi tecnica, la forma di vita degli uomini che agiscono tecnicamente. Ma il fallimento delle azioni è palese proprio come lo è il fallimento di determinate forme della prassi: ciò investe, evidentemente, anche le azioni tecniche e le forme tecniche della prassi. Proprio qui si manifesta l’orizzonte moralmente rilevante dell’agire tecnico nel contesto di una forma di vita pratica, che si fonda in particolare sulla produzione – produzione nel senso, però, di un contesto di vita più ampio. La costruzione di fabbricati, artefatti, apparecchi, strumenti, ecc. non va ogni volta compresa come fine in sé, ma è integrata all’interno di un contesto culturale, è parte del processo di civilizzazione, all’interno del quale l’umanità si va progressivamente libe-

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rando dalle sue condizioni naturali (soprattutto quelle di tipo restrittivo). La prassi tecnica come forma di vita intende questo processo nel senso di un invito e un compito morali. Il sapere quotidiano come sapere non-questionato e tuttavia sfondo costantemente dubitabile è rappresentato in particolare dal mondo della vita, ma abbraccia anche la conoscenza dei beni e dei valori che possono essere realizzati mediante l’agire tecnico17. Nell’atteggiamento del mondo della vita, il passaggio da norme tecniche a norme etico-morali è fluido: così, alla soddisfazione dei bisogni attraverso il lavoro nel senso dell’agire tecnico è attribuito anche un valore etico, sebbene il valore dell’agire tecnico nel senso del lavoro sia innanzitutto funzionale. La prassi tecnica concepisce la cultura come natura lavorata. La filosofia della cultura di Gehlen intende la cultura come elaborazione e considerazione di una forma della prassi, per esempio di una prassi tecnica in rapporto allo sviluppo culturale e civile complessivo. La prassi tecnica è incorporata in una comprensione dello sviluppo delle culture,

17. Cfr. B. Irrgang, Praktische Ethik aus hermeneutischer Perspektive, cit.; Id., Gehirn und leiblicher Geist, cit.

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delle visioni del mondo e delle rappresentazioni religiose, delle norme e dei valori, dunque nel contesto di processi di trasformazione delle rappresentazioni culturali ed etiche del mondo. È necessario muovere da un sapere pratico implicito riferito ai simboli e ai dispositivi: l’ultimo aspetto non gioca praticamente alcun ruolo nell’antropologia culturale. Vanno qui riconsiderate criticamente le insufficienze dell’antropologia culturale: è a tal fine che ho introdotto il concetto di prassi tecnica. La prassi tecnica è plasmata dal sapere pratico e dalle immagini e dagli ideali culturali. La tecnica è stata sempre messa in relazione soltanto con i valori vitali: il contributo della tecnica alla religione (ad esempio templi, cimiteri), all’arte (strumenti, materie prime, attrezzi per la lavorazione, apparecchi, ecc.), così come alla scienza (strumenti, salvataggio e trasmissione delle informazioni) non è stato considerato in alcun modo. La non considerazione della tecnica nell’antropologia culturale si è resa evidente nel mancato studio della cultura materiale18. 18. Cfr. B. Pfaffenberger, Social Anthropology of Technolo­ gy, in «Annual Review of Anthropology», vol. 21, 1992, pp. 491-516: p. 491.

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L’antropologia sociale indaga la cultura alle spalle dell’artefatto; l’antropologia della tecnica e la cultura materiale, però, non sono state esaminate a sufficienza nell’antropologia sociale. Un campo di ricerca di enorme interesse sarebbe, in questo ambito, la relazione tra sviluppo tecnologico ed evoluzione culturale, e il loro condizionamento reciproco: potrebbe giocarvi un ruolo centrale il concetto di sistema socio-tecnico. In questo concetto potrebbero essere integrati i dati antropologici di una comprensione preindustriale della tecnica. Si tratta dell’accertamento della funzione svolta da un artefatto: l’interpretazione standard della tecnica muove dalla necessità come madre dell’invenzione; la richiesta o il bisogno rappresentano delle sfide per l’inventore. I diversi livelli di penetrazione della natura sfidano a nuove invenzioni. Così, l’età tecnologica parte da diversi livelli di sviluppo: a partire dalla rivoluzione industriale l’uomo avrebbe abdicato la propria creatività culturale alle macchine19. La tecnica è vista come distruttrice e creatrice: essa aumenta l’adattamento nel rapporto con la 19. Cfr. ivi, pp. 492-494.

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vita quotidiana. La tesi dello sviluppo tecnologico spinto dai bisogni è sostenuta dall’antropologia sociale, che analizza la funzione dell’artefatto e il suo significato sociale. La tecnica aumenta l’adeguatezza evoluzionistica dell’uomo: in ciò lo sviluppo tecnologico dipende dall’evoluzione culturale. Lo si può vedere nell’utilizzo della ruota, che fu dapprima impiegata nelle cerimonie religiose, poi in guerra e infine nel trasporto. In Sudamerica, per via delle condizioni geografiche generali, in un primo momento essa non fu affatto introdotta. Per l’antropologia sociale l’indagine dello sviluppo del lavoro è più importante di quella degli strumenti tecnici. La coordinazione sociale del lavoro in connessione con la tecnologia non va interpretata puramente come controllo della natura: qui bisogna riferirsi al concetto di sistemi socio-tecnici introdotto da Thomas Hughes. Il contesto sociale, economico, giuridico, scientifico e politico, proprio della tecnologia, è importante per la descrizione di qualsiasi innovazione: è centrale, infatti, la necessaria integrazione di tutti questi fattori20. Il determinismo tecnico suppone che uno strumento ammetta soltanto una forma di utilizzo tecnico. 20. Cfr. ivi, pp. 495-498.

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Le tradizioni, anche quelle di tipo tecnico, sfociano in istituzioni – come ha riconosciuto Arnold Gehlen. La natura geneticamente preformata dell’uomo si ritrova solo a fatica nella varietà delle stratificazioni culturali; vanno tuttavia ammesse delle predisposizioni istintive agli impulsi etici, nel senso di regolatori sociali21 che si fondano soprattutto sull’istinto alla reciprocità. Le istituzioni producono un distanziamento dell’uomo da se stesso e permettono la libertà da sé: esse dispongono alla libertà di movimento, ma entro strutture limitate. Si arriva così a norme consolidate, che implicano il diritto. L’Illuminismo è l’emancipazione dello spirito dalle istituzioni; tuttavia, ciò non ha agito positivamente ai fini del controllo della società e della tecnica, e non da ultimo ha condotto all’ipertrofia morale. Così ridotta, la morale può avere esiti aggressivi: tuttavia, in fin dei conti, la morale non è una questione di coscienza, ma di istituzioni. Le istituzioni esonerano (entlasten) mediante l’introduzione di regole reciprocamente vincolanti: esse però producono esonero soltanto quando 21. Nel seguito, l’Autore cita indirettamente da A. Gehlen, Morale e ipermorale. Un’etica pluralistica, a cura di A. Fadini, tr. it. di A. Bernini, Ombre corte, Milano 2001 [N.d.T.].

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regolano universalmente l’agire sociale. Con ciò la responsabilità diventa un requisito funzionale, che le istituzioni richiedono a ogni singolo individuo. L’appiglio per un’interpretazione etica e responsabile delle istituzioni è la divisibilità teo­ rica della responsabilità, sia in termini di azioni che di competenze. La struttura interna dell’istituzionalizzazione non è illuminabile con la categoria della responsabilità: in ciò la formalizzazione della responsabilità in uffici è stata l’impulso per l’evoluzione istituzionale. Essa fa sì che più persone possano cooperare in un unico contesto di responsabilità. Il know-how comprende un sapere su ciò che è necessario fare, ovvero sullo how to do, su come agire e fare. Il racconto della prassi quotidiana fonda così una determinata arte del pensare22, in cui è importante l’armonizzazione di diverse pratiche. La corporeità si costituisce nel rapporto con apparati e strumenti, che implicano il passaggio da un corpo a un altro. Si dovrebbero interrogare le intonazioni del corpo; contro l’ideologia dei libri dell’Illuminismo e una sorta di 22. Cfr. M. de Certeau, The Practice of Everyday Life, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London 2011.

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modernizzazione mediante la scrittura, va tenuto fermo che la prassi stessa non è completamente afferrabile. Un artefatto tecnico, perciò, è o uno strumento oppure un costrutto tecnico o un prodotto. Come altra possibilità, un artefatto è un mezzo tecnico oppure un medium. Teoricamente si può distinguere tra lo strumento stesso e il suo uso, ovvero la sua applicazione, ma l’artefatto tecnico in quanto tale può essere valutato soltanto nel contesto del suo utilizzo. Si può stabilire se uno strumento o un costrutto funziona o meno soltanto quando si prova a usarlo con o senza successo. Ed è allora che le distinzioni chiare e nette iniziano a confondersi nella prassi. La fonte del potere tecnico è lo sviluppo tecnologico23. Su impulso del confronto con la teoria critica della tecnica, si deve ora ricercare il luogo sistematico del potere connesso alla tecnica. Aristotele distingue l’agire tecnico come (1) uso di mezzi e prodotti tecnici, per esempio il timoniere che usa il timone, e (2) come agire tecnico del costruttore navale, che produce il timone. Si 23. Cfr. B. Irrgang, Technischer Fortschritt. Legitimitätsprobleme innovativer Technik, Schöningh, Paderborn et al. 2002; Id., Technologische Entwicklungspfade: Innovation und Folgelasten, cit.

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richiede a tal fine una scienza del materiale che viene utilizzato nella produzione: così, Aristotele distingue la costruzione di un mezzo tecnico dal suo uso e stabilisce che un esperto sapere d’uso non presuppone in nessun caso un sapere relativo alla costruzione. Aristotele non discute il caso per noi interessante: se, cioè, un sapere relativo alla costruzione presupponga almeno un certo sapere relativo all’uso futuro. Tuttavia, non è implausibile supporre che il sapere relativo alla costruzione e quello relativo all’uso non si dissocino, in quanto costruzione e uso si condizionano a vicenda. Si deve pertanto muovere da una doppia origine del potere tecnico: vi è un potere [Macht] del saper-produrre [Herstellen Können] e uno del saper-usare [Gebrauchen Können]. La radice comune si trova nella capacità di rapportarsi alla tecnica, nella capacità di usare mezzi tecnici, per mezzo della quale è possibile sviluppare il potenziale dei mezzi tecnici24. La controversia sulla tecnica è, nel suo cuore, una controversia sul dominio e sul potere. Il dominio è la prassi del potere. Ogni gestore di una tecnica esercita inevitabilmente, che lo voglia o 24. Cfr. B. Irrgang, Technik als Macht, cit.

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no, un dominio, in quanto dispone delle proprietà che gli sono offerte dalla strumentazione tecnologica. Con l’esercizio o il non-esercizio di una tecnica, egli decide sugli effetti collaterali. Il potere, pertanto, è sensatamente determinabile soltanto in rapporto a scopi conflittuali di diversi individui o unità sociali25. Il potere della tecnica si modifica nel passaggio dalla modernità tecnica alla iper-modernità tecnologica, dalla tecnologia basata sulla scienza alla technoresearch. La tecnica moderna si contraddistingue per i suoi fondamenti scientifico-naturali, la tecnologia ipermoderna integra la ricerca. Questa diversità nella comprensione del fare tecnico ha, come suo precipitato specifico, la scomparsa del concetto di arte. L’ingegneria meccanica dal XVI al XVIII secolo comprende ancora l’arte della fabbricazione del mulino. Col Progetto Manhattan26 la

25. Cfr. K. Kornwachs, Information und Kommunikation. Zur menschengerechten Technikgestaltung, Springer, Berlin et al. 1995, pp. 15-16. 26. Si tratta del nome in codice attribuito a un progetto di ricerca e sviluppo in ambito militare, condotto durante la Seconda guerra mondiale dagli Stati Uniti (con l’appoggio di Regno Unito e Canada) e finalizzato alla realizzazione delle prime bombe atomiche [N.d.T.].

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fisicalizzazione della tecnica ha conosciuto il suo apice: come oggi sappiamo, questo scenario è fallito sul piano politico, economico e militare. La grande catastrofe fu evitata, a Harrisburgh, non grazie alla ricerca scientifico-naturale bensì “fiutando” empiricamente i possibili scenari nocivi. La potenzialità tecnica indica che la prassi umana e gli artefatti tecnici – sia come opere che come mezzi – sono intrecciati tra loro e si costituiscono e influenzano reciprocamente in processi retroattivi. Né la sola potenzialità degli artefatti tecnici, né il solo potere umano offre l’orizzonte per un’adeguata comprensione della tecnologia. L’intreccio di agire umano e artefatti tecnici circoscrive la prassi tecnica, che diventa tecnologia nella misura in cui si cerca di penetrarla e di riconsiderarla concettualmente e, in seguito, di insegnarla. La dimensione epistemologica è di centrale importanza per la comprensione filosofica: perciò, in una tecnologia filosofica gioca un ruolo centrale la dimensione epistemologica (o meta-tecnologica). L’interesse primario della filosofia nei riguardi della tecnica e del suo uso è un interesse primariamente tecnologico: l’elemento decisivo delle tecnologie è il loro essere vincolate a prassi tecnologiche altamente concentrate e alla loro capacità di incorporarsi

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in contesti sociali e culturali (vale a dire, contesti d’uso). Il momento dirompente della tecnica conduce al fatto che i percorsi di sviluppo, quali risultati di prassi tecnologiche, conoscono una modificazione percepibile del loro orientamento: c’è una corrispondenza tra potenzialità tecnica e cambiamento all’interno del paradigma. Un paradigma tecnologico si determina in un duplice senso: a partire dalla potenzialità tecnica del saper-usare e a partire dalla struttura degli artefatti tecnici, poiché entrambe le dimensioni appartengono alla potenzialità della tecnica. Vanno distinti, inoltre, il potenziale costruttivo e quello distruttivo della tecnica27. Con le due guerre mondiali del XX secolo la scientifizzazione della tecnica è diventata un trend. Rilevante non era solo l’esperienza riprodotta sperimentalmente in laboratorio, ma anche quella conquistata, unica e personale. Questo sapere pratico eccede l’ambito tecnico nel senso più stretto. La scienza tecnica abbraccia, così intesa, tipi di sapere dal carattere interamente sociale, politico e culturale. Concetti 27. Cfr. B. Irrgang, Philosophie der Technik, cit.; Id., Technologische Entwicklungspfade: Innovation und Folgelasten, cit.

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come esperienza, know how, tacit knowledge indicano un fenomeno che nella storia della tecnica s’incontra a ogni piè sospinto: ciò vale soprattutto per la tecnologia su larga scala – per esempio, per la costruzione e la gestione di impianti grandi e complessi, in cui sono rilevanti le proprietà dei materiali a lungo termine, le interazioni tra le varietà dei componenti sono difficilmente valutabili e anche le possibilità di guasti sono rare e dapprima soltanto ipotetiche28. Nella tecnica non c’è soltanto la tendenza verso il grande e il complesso. Gli storici contemporanei hanno stabilito una connessione tra l’ascesa economica tedesca nel­ l’alta industrializzazione e il sistema tedesco di educazione tecnica e scientifico-naturale29. Il crescente orientamento scientifico della tecnica vale comunemente come un contrassegno della modernità. Fino alla seconda metà del XIX secolo le scienze avevano offerto, nell’essenziale, 28. Cfr. J. Radkau, Technik in Deutschland. Vom 18. Jahrhundert bis zur Gegenwart, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1989, pp. 41-43. 29. Cfr. W. König, Technikwissenschaften. Die Entstehung der Elektrotechnik aus Industrie und Wissenschaft zwischen 1880 und 1914, Wiley, Amsterdam 1995, p. 189.

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delle descrizioni del mondo; ora esse cominciano a contribuire sostanzialmente all’arredo del mondo mediante artefatti e, al tempo stesso, a garantire una promessa di sicurezza30. Il paradigma della presunta infallibilità degli enunciati fondati scientificamente ha permesso che nelle lacune aperte nell’apologia e nella legittimazione di una nuova tecnica crescesse un sapere scientifico apparentemente obiettivo, universalmente valido, come prova della verità di una tecnica sostenuta dall’autorità della scienza “obiettivamente esatta”, che si realizza, per così dire, per necessità materiale. Dalla fiducia nel progresso della scienza come fondamento della moderna credenza nel progresso si sono potuti così derivare risultati e sistemi di conoscenze scientifico-naturali e tecnico-scientifiche a compensazione di tutti questi deficit di legittimazione31. L’auto-descrizione ingegneristica e la descrizione esterna si dissociano: infatti, 30. Cfr. Th. Hänseroth, Die Konstruktion “verwissenschaftlichter” Praxis. Zum Aufstieg eines Paradigmas in den Technikwissenschaften des 19. Jahrhunderts, in Id. (a cura di), Wissenschaft und Technik. Studien zur Geschichte der TU Dresden, Böhlau, Köln 2003, pp. 15-36: p. 16. 31. Cfr. ivi, pp. 22-24.

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l’accertamento epistemico non va confuso con la sicurezza tecnica. Quanto più autonomi diventavano strumenti e macchine, tanto più essi rappresentavano il sapere tecnico (più tardi, il sapere frutto di ricerca) in essi incorporato. Così, nel corso della storia della tecnica, è sorta – accanto alla competenza tecnica del tecnico – la competenza tecnica dei mezzi tecnici, sebbene sempre in una più o meno forte dipendenza dalla competenza tecnica dei tecnici. Si tratta di un sapere degli utilizzatori, di un sapere pratico; il significato degli artefatti tecnici nella loro incorporazione culturale supera la determinatezza funzionale dell’artefatto tecnico. Scopo della strutturazione e produzione costruttiva di un fabbricato è la soddisfazione ottimale di tutte le esigenze avanzate nella singola parte e nella costruzione complessiva, così come la garanzia di una sicurezza ottimale tenuto conto delle condizioni ambientali.

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III La tecnologia come sapere procedurale e pratico tra arte e scienza

Per quale motivo una nuova tecnologia diventa così rapidamente ovvia per noi? La domanda investe il nucleo dell’innovazione tecnica. Diventa per noi ovvia soltanto una tecnologia con la quale la tessitura tecnologica del nostro mondo della vita è già compatibile1. Il mito di Prometeo implica che la tecnica trasformi alla radice il mondo della vita. Questo è un puro e semplice pregiudizio filosofico sulla tecnica, poiché la stessa tecnica è la radice del mondo della vita e non il suo occhio disarmato. Così, la tecnologizzazione non significa il rivoluzionamento del nostro mondo della vita, ma la sua crescente apertura2.

1. Cfr. B. Irrgang, Technologische Entwicklungspfade: Innovation und Folgelasten, cit. 2. Cfr. E. Cassirer, Forma e tecnica, cit.

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Il nostro mondo della vita è costituito in modo senso-motorio, tecnico e linguistico: il problema, perciò, sembra risiedere principalmente nel fatto che la tecnica soppianta e distrugge sempre più le potenzialità umane. D’altro canto, essa produce nuove competenze e nuove potenzialità, o ne suscita di tali che l’uomo impara da esse, attraverso la tecnica, una nuova abilità. La tecnica in quanto tale non è stata inventata dall’uomo: essa vive già da sempre in un mondo della vita contrassegnato tecnicamente. L’uomo non ha neppure inventato il linguaggio: tecnica e linguaggio sono parti di uno sviluppo biologico-culturale, che si è costituito attraverso gli uomini, ma che è anche costitutivo degli uomini. Tecnica e linguaggio sono gli orizzonti del mondo della vita, nei quali hanno luogo invenzioni e innovazioni – o nei quali, piuttosto, esse possono accadere. Le scienze tecniche sono tradizionalmente considerate in base a una distinzione e a un confronto con le scienze naturali, e la tecnica è trattata occasionalmente come scienza naturale applicata. In questo modo si prende in considerazione un fattore importante, almeno nella moderna tecnica europea, per un’interpretazione scientifica della tecnica; altri importanti fattori, però, vengono a mancare. Günther Ropohl distingue, a par-

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tire dalla fine del XVIII secolo3, tra paradigma tecnologico e paradigma scientista nelle scienze tecniche. Il programma scientista della tecnica va ricondotto a Francis Bacon e ai successivi filosofi dell’Illuminismo, i quali sottolineavano l’uti­lità pratica delle scienze naturali e analizzavano preferibilmente gli artefatti tecnici e i sistemi materiali tecnici all’interno del paradigma scientificonaturale. Il paradigma scientista si fonda su una comprensione ridotta della tecnica come teo­ ria della scienza orientata in senso scientifico-­ naturale, secondo la formulazione elaborata per primo da Christian Wolff nella sua Logik4. Il paradigma tecnologico si orienta sui concetti di lavoro e di prassi tecnica, sulla strutturazione del sistema umano dei bisogni e risale a Johann Jacob Beckmann, a Gottinga, nel passaggio dal XVIII al XIX secolo. In primo piano sta, qui, l’incorporazione socio-economica di lavoro e tecnica. La prassi di costruzione tecnica, che non deve essere forzatamente subordinata al concetto di lavoro, rimanda alla tradizione dell’arte e del saper-fare. L’indagine che qui propongo intraprende il ten3. Cfr. G. Rophol, Technologische Aufklärung. Beiträge zur Technikphilosophie, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1991. 4. Cfr. B. Irrgang, Technische Kultur, cit.

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tativo di porre in relazione reciproca – mediante un’analisi fenomenologico-ermeneutica dell’agire tecnico e della prassi tecnica – sia l’“arte” che la “tecnica” quali orizzonti di un’interpretazione scientifico-filosofica (epistemologica) delle scienze tecniche e della tecnica come prassi tecnica. Da ultimo, si dovrà abbozzare una teoria della tecnologia nella quale sia preso in considerazione il mutamento fondamentale nella comprensione della tecnica come tecnologia. Nella caratterizzazione della tecnica, la teoria scientifica tradizionale del sapere tecnico ha ampiamente trascurato l’aspetto del sapere pratico e del sapere implicito, che fonda il carattere di arte del potere (e del sapere) tecnico. Un concetto ermeneutico del sapere e del comprendere tecnici parte da questo sapere implicito e sviluppa sulla sua base una comprensione dell’agire tecnico, basata su una fenomenologia dell’uso di strumenti e della pratica riferita ai processi naturali impliciti nel comprendere strumentale, inteso come sapere pratico implicito5. L’importanza 5. Cfr. ibidem; B. Irrgang, Konzepte des impliziten Wissens und die Technikwissenschaften, in G. Banse - G. Ropohl (a cura di), Wissenskonzepte für die Ingenieurpraxis. Technikwissenschaften zwischen Erkennen und Gestalten, Verein

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primaria non spetta all’analisi dello strumento, bensì a quella del risultato che può essere raggiunto mediante un agire strumentale. S’indaga il modo in cui si realizza un effetto desiderato. L’interpretazione del sapere tecnico implicito supera così l’analisi esistenziale di Martin Heidegger, rivolta al riferimento tecnico al mondo materiale6. Il programma scientista delle scienze tecniche e della tecnologia sfocia in una visione positivistica della tecnica e della prassi tecnica e implica una naturalizzazione di tecnica, tecnologia e prassi tecnica. Il mio intento è di mettere in parallelo – a partire dalla critica del positivismo elaborata dalla fenomenologia – un’analisi costitutiva d’ispirazione fenomenologico-empirica del rapporto tra prassi tecnica e mezzi tecnici (costituzione oggettuale dell’agire tecnico secondo Cassirer) e un modello storico-filosofico empiricamente sottinteso. Le strutture della prassi tecnica

Deutscher Ingenieure, Düsseldorf 2004, pp. 99-112; Id., Gehirn und leiblicher Geist, cit., Id., Von der technischen Konstruktion zum technologischen Design, cit. 6. Cfr. B. Irrgang, Technische Kultur, cit.; Id., Konzepte des impliziten Wissens und die Technikwissenschaften, cit.

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devono essere elaborate nel loro rapporto con decorsi di azione operazionalizzabili, i quali sono stati implementati in mezzi tecnici secondo i tre paradigmi seguenti: prassi riferita (1) a schemi d’azione, (2) a macchine (e agli schemi d’azione in esse implementati), (3) a strutture e sistemi tecnici connessi in rete. Parallelamente si delinea la prassi riferita a risorse e mezzi tecnici visibili, invisibili ed elementari, la quale rende sempre più necessario il sostegno scientifico del sapere tecnologico (technoscience e technoresearch). La prassi tecnica si compone di forme dell’agire tecnico istituzionalizzate comunitariamente, ovvero socialmente: essa si sviluppa, da un punto di vista storico-culturale, in diversi tipi dell’agire tecnico, che realizzano in maniere differenti lo schema “scopo-mezzo” e lo intendono nel senso di un confluire di scopi tecnici e media tecnici. L’intelligenza nella scelta degli scopi tecnici e nella scelta dei media tecnici presuppone una prassi comunicativa e discorsiva e inquadra la tecnica al suo interno. In una società fondata sulla divisione del lavoro e dotata di sistemi tecnici complessi, progettisti, costruttori e utilizzatori sono spesso distinti; tutti e tre, d’altronde, si trovano all’interno di sistemi connessi. Vanno

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prese in considerazione le categorie di progresso, di messa a disposizione di potenze e di attuabilità come forme del nostro pensiero, del nostro agire tecnico e della nostra forma di vita specificamente indotta dalla tecnica: la teoria dell’azione tecnica andrebbe trasposta in una teoria modale della tecnica7. Nello spazio di possibilità di una prassi tecnica, la tecnica assume un peso autonomo, in quanto i mezzi tecnici vengono distinti dai loro risultati. In una concezione di realismo strumentale, entrambi hanno una certa autonomia e una certa potenzialità tecnica. La fondazione pratica della tecnica indica che la filosofia della tecnica d’ispirazione ermeneutico-fenomenologica rientra solo in senso ampio nell’interpretazione antropologica della tecnica. Tale filosofia della tecnica mette al centro la costruzione di strutture tecniche (ad esempio infrastrutture, sistemi tecnici su larga scala, ecc.), come anche le tradizioni tecniche nel senso di giochi tecnici e di prassi abitudinarie tecniche. I percorsi di svilup-

7. Cfr. H. Poser, Perspektiven einer Philosophie der Technik, in «Allgemeine Zeitschrift für Philosophie», vol. 25, n. 1, 2000, pp. 99-118: p. 111.

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po sono forme della prassi che si sviluppano e si manifestano in strutture tecniche. Le strutture tecniche non sono così facilmente modificabili come le forme tecniche della prassi. Il tentativo di trovare qualcosa di naturale, di non-tecnico nella corporeità quale fondamento della prassi tecnica è destinato al fallimento. La corporeità non è qualcosa di naturale nella misura in cui la soggettività umana si manifesta come presupposto fondamentale della prassi umana già nella corporeità umana8. Vi è una precomprensione dei mezzi tecnici dei quali potremmo servirci. Possiamo disporre in misura crescente di cose tecniche, senza tuttavia averle comprese o doverle comprendere. Nondimeno, siamo in grado di comprendere una parte non trascurabile della tecnica, della quale possiamo servirci (per lo meno alcuni di noi, in virtù della divisione del lavoro); ciononostante, a volte, la comprendiamo senza conoscere precisamente le tecniche a fondamento. Se consideriamo l’allevamento e la biotecnologia, in tempi passati 8. Cfr. Irrgang, Von der technischen Konstruktion zum technologischen Design, cit.; Id., Technologische Entwicklungspfade: Innovation und Folgelasten, cit.

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vi erano già ambiti nei quali eravamo in grado di servirci della tecnica, in cui l’abbiamo più o meno compresa, senza averne però avuto un sapere scientifico preciso e sufficiente. L’elemento proprio della tecnica non è il sapere scientifico, ma sono gli artefatti tecnici con i quali possiamo avere a che fare. Il poter-avere-a-che-fare-con e il comprendere gli artefatti tecnici non sono una scienza (malgrado la teoria dei sistemi, la valutazione delle conseguenze della tecnica, il sapere tecnico, la scienza tecnica, ecc.), ma costituiscono un’arte. Nel concetto dell’“avere-a-che-fare” [Umgang] i vincoli sociali propri della tecnica si realizzano in misura assai più consistente che in una scienza. La non prevedibilità del comportamento della tecnica moderna e la sua conseguente indeterminatezza non sono però assolutamente limitate ad essa: il concetto ideale di azione presuppone una completa libertà iniziale e un completo controllo finale. Ma questo tipo d’azione si rinviene molto raramente nella prassi tecnica: esso resta limitato a un agire etico, sebbene la purezza in questo senso richieda un che di sovraumano. L’agire strumentale e strategico avviene spesso in condizioni di incertezza e richiede così un’eti­

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ca diversa da quella convenzionale9. La routine scorre in modo controllato, l’agire innovativo invece non scorre per forza in modo altrettanto controllato. In virtù di certe disposizioni acquisiamo nell’azione determinate competenze: esse vengono attualizzate, ampliate e migliorate delle abilità presenti. In questo contesto si utilizza il concetto di dispositivo tecnico: esso contrassegna la cornice di disponibilità, il potere di comando, l’autorità ordinante e l’ambito di possibilità della prassi tecnica. Nelle strutture di sfondo delle pratiche sono installate delle legittimazioni implicite. Le condizioni istituzionali generali delle prassi stabiliscono dei ruoli nell’agire collettivo; i dispositivi descrivono la disponibilità tecnica e i ruoli tecnici. Nella modernità europea l’innovazione diventa l’elemento trainante dello sviluppo tecnico. Si cerca di fondarla scientificamente, tuttavia essa rimane un’arte. La razionalità della prassi tecnica consiste nel suo carattere di arte, anche se la funzione dei mezzi e delle opere tecnici può 9. Cfr. B. Irrgang, Hermeneutische Ethik. Pragmatischethische Orientierung in technologischen Gesellschaften, WBG, Darmstadt 2007.

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essere descritta scientificamente. Le scienze della tecnica hanno modellato in maniera nuova la tecnica moderna a partire dalla sua funzione. La tecnologia, di contro, è la strutturazione della prassi tecnica: l’ermeneutica della tecnica pone la questione di senso tanto per la prassi tecnica quanto per gli artefatti tecnici. Le invenzioni si limitano alle costruzioni tecniche: tra la funzionalità tecnica e l’uso innovativo di un artefatto tecnico non vi è alcun nesso necessario. Per ogni invenzione, e ancor più per ogni innovazione, un tale nesso deve essere innanzitutto prodotto. Di regola, si tratta di un campo di potenzialità, a partire dal quale la routine incontra un certo ventaglio di connessioni. Le innovazioni non cadono dal cielo. È possibile ricostruire il ragionamento tecnicamente logico che sta a fondamento di una innovazione, le implicazioni pragmatiche connesse dall’innovazione alla routine dalla quale proviene, il contesto genetico delle innovazioni. A partire dalla modernità, tecnica e technoscience si accostano alla realtà in maniere molto simili. Il paradigma generale dello stato dell’arte ingegneristica rappresenta la migliore prassi ingegneristica ed è lo standard pratico più ragionevole, sul cui sfondo va valutato il singolo ingegnere. Si tratta, qui, di uno standard relati-

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vo. Una volta che l’ingegnere abbia assolto al suo compito10, si richiede una speciale attenzione al fine di valutare il suo operato sullo sfondo dello stato dell’arte dominante. Cos’è lo stato dell’arte? La regola dell’ingegneria mira in ogni circostanza a ricercare un’euristica consultabile al fine di poter confrontare lo stato personale dell’ingegnere con lo stato dell’arte o con la migliore prassi ingegneristica11. La tassonomia dell’euristica ingegneristica comprende: 1) delle regole empiriche e degli ordini di grandezza; 2) dei fattori di sicurezza; 3) dei criteri euristici che definiscano l’atteggiamento dell’ingegnere rispetto alla sua opera; 4) dei criteri euristici che gli ingegneri tengono fermi allo scopo di accettare il rischio entro limiti accettabili; 5) delle regole empiriche significative per la dislocazione delle risorse.

10. Cfr. B.V. Koen, Definition of the Engineering Method, American Society for Engineering Education, Washington (D.C.) 1985, pp. 31-35. 11. Cfr. ivi, pp. 39-42.

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Il compito di fornire delle risposte quando richiesto e la circoscrizione del suo lavoro entro i limiti di problemi risolvibili sono centrali per l’ingegnere; questi è, dunque, generalmente ottimista e convinto che un problema, che non sia stato già risolto diversamente, sia risolvibile e cerca di gestirlo con il minimo dispendio. Nel caso in cui sia membro di un team, riceve gli onori solo anonimamente. Decisivi sono i criteri euristici di controllo del rischio: dapprima vengono apportate piccole modifiche nel contesto dello stato dell’arte, così da minimizzare i rischi12. L’arte ingegneristica non è riducibile a una semplice procedura di tentativo ed errore: in effetti, essa è un’attività finalizzata alla risoluzione di problemi. Tuttavia, questa definizione neutrale dell’arte ingegneristica come attività finalizzata non è di grande aiuto, in quanto essa è caratteristica di ogni agire umano13. L’utilizzo di criteri euristici ingegneristici focalizza l’attenzione sul punto significativo14.

12. Cfr. ivi, pp. 45-51. 13. Cfr. ivi, pp. 65-67. 14. Cfr. ivi, p. 72.

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La tecnologia iper-moderna è una tecnologia basata sulla ricerca e orientata all’innovazione. Si è sempre cercato di parlare di rivoluzioni tecniche – della rivoluzione neolitica, della rivoluzione metallurgica, dell’urbanizzazione, della meccanizzazione, della rivoluzione industriale, della rivoluzione tecnologico-scientifica e delle rivoluzioni della ricerca tecnologicamente orientata all’innovazione. Quand’anche il concetto di rivoluzione rappresentasse, nell’ambito delle scienze, una categoria interpretativa adeguata, esso non è adeguato alla descrizione epocale, perché suggerisce successione laddove è l’integrazione a contenere il potenziale descrittivo davvero significativo. Le tecnologie non si alternano, ma si completano a vicenda e diventano perfino capaci – nella cornice di nuovi paradigmi e orizzonti tecnologici – di integrare forme convenzionali della tecnologia. La potenzialità tecnica non è un concetto astratto, ma deve potersi determinare concretamente in base a percorsi tecnici di sviluppo15. Paradigmatiche sono quelle tecnologie in grado di

15. Cfr. B. Irrgang, Technologische Entwicklungspfade: Innovation und Folgelasten, cit.

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condensare prassi tecniche in una forma di vita guidata e fondata tecnologicamente. Il paradigma fondamentale delle tecnologie è però l’interconnessione, e non già sin dall’inizio la divisione del lavoro. In tal senso, la tecnologia è qui intesa come interconnessione di prassi tecniche: si tratta dello sviluppo di strutture delle prassi tecniche e dei sistemi tecnici16. Inizialmente le dottrine tecnologiche delle arti tecniche consistono in routine tecniche, che vengono dapprima messe per iscritto nei disegni di costruzione, ecc., confluendo poi nei manuali. Vi sono pratiche tecniche costruttive e utilizzatrici; si deve distinguere tra tecnologie implicite (trasmissione orale, routine e tradizioni) e tecnologie esplicite (messa per iscritto e disegni tecnici di costruzione). La distinzione tra tecnologia e scienza risiede nel fatto che nella scienza valgono soltanto conoscenze causali, nella tecnologia anche forme di sapere pratico. Vanno differenziate: 1) la tecnologia studiata scientificamente (technoresearch); 2) la scienza che rende possibile la tecnologia (technoscience); 3) la formazione ibrida di scienza e tecnologia; 4) le moderne tec16. Cfr. B. Irrgang, Philosophie der Technik, cit.

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nologie chiave. Non si danno rivoluzioni tecnologiche nel senso di Kuhn; non ci sono neanche cambiamenti di paradigma, bensì integrazioni di paradigmi. L’analisi della struttura delle arti tecniche deve comprendere la connessione come elemento strutturale delle stesse. Con la filosofia dell’Illuminismo e la rivoluzione industriale comincia la crisi della “cultura dell’arte” tecnica. In primo luogo, la matematica viene intesa come programma ausiliario della prassi, che aiuta laddove è nota la prassi stessa; in seguito, la cultura artistica viene contrapposta alla comprensione scientista. Il vecchio canone è morto, si propugna una nuova via, ovvero la scientificità, che non si richiama a modelli o alla tradizione. I saperi esperienziali decaduti vanno sostituiti dinanzi alla novità e si cerca una nuova strategia di legittimazione, una nuova apologia della tecnica. La tradizionale prova di legittimità avveniva in virtù dell’abilità, ma per ponti e ferrovie non vi era inizialmente alcuna prova d’esperienza. Si ricercò, dunque, la scienza come istanza di legittimazione: la prova di verità di una tecnica presuntivamente obiettiva subentrò al posto dell’arte. Il dibattito sul vincolo materiale è sorto sullo sfondo dell’ascesa del positivismo anche nelle scienze ingegneristiche.

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L’uso riunisce l’elemento strutturale e quello funzionale, anche quando sono eterogenei. L’oggetto tecnico è prodotto per adattamento: in tal senso vi è un’evoluzione tecnica naturale. La stabilità è l’elemento caratteristico degli oggetti tecnici17. Il mezzo o i mezzi (o la tecnica come insieme dei mezzi) costituiscono il tema centrale e proprio della filosofia. Tali concetti dei mezzi, come insieme di possibilità reali dei mezzi, possono essere esemplificati nell’uso soltanto nelle loro tracce (riuscita, mancata riuscita, sorpresa, e così via). Così intesi, i mezzi sono un fondo a disposizione (Bestand): dietro di essi si nasconde, come in tutti i concetti, una regola dell’identificazione, che possiamo cogliere come intenzione. In vista della valutazione dei mezzi, troviamo idealmente due linee argomentative di diagnosi culturale completamente contrapposte in rapporto allo sviluppo della tecnica moderna come totalità del nostro disporre di mezzi. Da una parte si sottolinea che nel corso dello sviluppo delle tecniche artigianali – dalla tecnica meccanica alle tecniche

17. Cfr. G. Simondon, Du mode d’existence des objets techniques, Aubier, Paris 1969.

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sistemiche – si è verificato un progressivo distacco dei mezzi dai concreti vincoli finalistici, così che la tecnica svilupperebbe in misura sempre crescente strumenti e macchine universali. La linea argomentativa contrapposta, qual è esposta dai difensori di una critica culturale pessimistica della tecnica, enfatizza invece che nel corso di questo sviluppo le categorie tecniche diventano dominanti. Nella tecnica moderna manca l’espe­rienza resistente dei mezzi, che questi attivano quando non possono essere applicati con successo18. Le installazioni e le infrastrutture tecnologiche si distinguono dal loro uso: l’interpretazione mediale della stessa tecnica iper-moderna trascura la materialità spesso brutale che sta dietro alla tecnica. La tecnica è, in ciò, più dominabile della prassi che vi è dietro. Vi è una ripartizione e auto-regolazione interna dei compiti. L’individualità della tecnica è un’imitazione dell’individualità degli uomini. L’uomo concepisce le regole di prudenza al fine di conservare l’oggetto tecnico e di mantenere il soddisfacimento degli scopi e delle funzioni. L’individualità umana vie18. Cfr. Ch. Hubig, Mittel, Transcript, Bielefeld 2002.

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ne a poco a poco screditata come una funzione tecnica, utile a costruire individui tecnici. Con ciò, l’oggetto tecnico deve essere integrato in un insieme funzionale19. Da sempre le invenzioni sono derivate da uno sforzo sistematico degli ingegneri coinvolti: dunque non si tratta, in questo incremento di sapere, di invenzioni geniali o di scoperte casuali che hanno provocato cambiamenti drammatici nella prassi tecnica, bensì di sforzi quotidiani per produrre una ricchezza di ricerche sistematiche e per condensare i risultati in dati utilizzabili. La migliorata formazione degli ingegneri e la diffusione dei regoli calcolatori, quindi dei calcolatori elettronici, hanno però reso superflue molte operazioni basilari. Ciò che dapprima sembrava un mero sapere proporzionale, si è rivelato così un sapere esperienziale codificato, innalzato poi a norma20. Gli stratagemmi dei costruttori li rendono capaci, nei casi normali (ma anche al di là delle usuali impostazioni del problema), di pervenire a costruzioni funzionanti. Il processo di costru-

19. Cfr. ibidem. 20. Cfr. G. Mildenberger, Wissen und Können im Spiegel gegenwärtiger Technikforschung, Lit, Berlin-Münster 2006.

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zione è presentato in modo sempre più omologato: dopo l’analisi rivolta all’impostazione del problema, si ricercano i principi procedurali sistematicamente possibili e, infine, si valutano le principali varianti risolutive. Decisiva è però la valutazione al termine di ogni passaggio, la quale – tuttavia – non è mai completamente vincolante; infatti, si possono sempre trovare dei criteri che fanno emergere una soluzione migliore. I percorsi attraverso cui vengono trovate soluzioni e formulati giudizi fondati sono esplicitabili e vincolanti soltanto in piccola parte. Le teorie fenomenologiche hanno spesso, per i creatori di tecnologia, un valore rilevante: esse andrebbero accolte come forme autonome del sapere tecnico. Queste teorie fenomenologiche hanno sì un carattere esplicativo minimo o una minima qualificazione scientifica corrispondente, tuttavia sono irrinunciabili per la prassi21. La competenza speciale degli artigiani va di pari passo, chiaramente, con un particolare controllo del corpo e una percezione specificamente educata. Inoltre, una parte delle abilità artigiane è sostituibile mediante strumenti formati apposi21. Cfr. ibidem.

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tamente. Ciononostante, un bravo artigiano non si esaurisce completamente nelle sue abilità: egli si distingue per il fatto di saper reagire flessibilmente a circostanze contingenti. La conoscenza tacita diventa sempre più una capacità di giudizio educata e altamente sviluppata. La triade di abilità, esperienza e capacità di giudizio costitui­ sce il cuore della modellizzazione basata sulla conoscenza tacita. In quest’ultima, esperienza e sapere tecnico vengono pertanto riferiti l’una all’altro. Il concetto di esperienza qui presentato consente di interpretare liberamente il ricorso a teorie come sapere di sfondo22. Gli albori della tecnica moderna furono in larga misura i tempi dei grandi esperti pratici, che si appoggiavano variamente a esperienze pluriennali e regole artigianali, nonché a un certo senso dell’attuabile, e ai quali le trattazioni teoriche e la formazione accademica apparivano superflue. I problemi di una teoria scientifica generale delle scienze tecniche comprendono tre ambiti problematici: tecnica e sapere, tecnica e abilità (Können), tecnica e invenzione. Una teoria delle scienze tecniche deve superare l’unilateralità, 22. Cfr. ibidem; B. Irrgang, Technische Kultur, cit.

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cioè, da un lato, la riduzione ai sistemi materiali, dall’altro, quella alle scienze naturali. I metodi sono principi e istruzioni regolari utili a coloro che elaborano i problemi scientifici per realizzare operazioni spirituali (e pratiche) finalizzate alla conoscenza o alla creazione. Il loro ottenimento è possibile, nell’essenziale, in tre modi diversi: 1) Un problema scientifico concreto è risolto metodologicamente “a tentoni”, in modo più o meno intuitivo. In seguito il procedimento metodico viene ricostruito o riprodotto. Il metodo che ha successo nel caso concreto viene generalizzato. 2) I metodi provati in determinati ambiti oggettuali vengono esaminati, confrontati, astratti, generalizzati, classificati. Si ottengono, per un ambito oggettuale, sistemi metodici tipici, validi generalmente. Tuttavia, la loro applicazione richiede – a causa del loro alto grado di astrazione – una concretizzazione nell’oggetto d’indagine in due direzioni: da un lato, si deve distinguere quali metodi vanno impiegati in determinati casi e, dall’altro, il procedimento metodico va concretizzato e dettagliato in modo corrispondente all’oggetto d’indagine.

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3) Si possono derivare principi metodici generali a partire da una teoria che comprenda le leggi e i principi generali del creare umano. Se si includono, nel contempo, le specificità dell’oggetto di un ambito scientifico, si ottengono principi metodici che sono tipici di questo ambito scientifico. Essi regolano il procedimento metodico e soddisfano la funzione di metateoria23. Le scienze tecniche appartengono a quel gruppo di saperi il cui scopo conclamato consiste nell’anticipare il nuovo attraverso piani, direttive, prescrizioni, regole e progetti, i quali guidano efficacemente l’azione umana che si realizza in rapporto a essi e la conducono a un dominio effettivo delle “datità” del mondo della vita. La scienza tecnica, quindi, può essere intesa come sinonimo di scienza ingegneristica. A tutti i tipi di invenzioni è comune il fatto di portare fondamentalmente a coincidenza un’idea di funzione e la conoscenza di un potenziale tecnico. L’attività costruttiva tecnica può essere struttu23. Cfr. G. Banse et al. (a cura di), Erkennen und Gestalten. Eine Theorie der Technikwissenschaften, Sigma, Berlin 2006, pp. 15-20.

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rata, ma la risoluzione tecnica di problemi resta un’attività sottoposta a rischi. L’euforia per la scientifizzazione delle scienze tecniche ha centralizzato l’idea della calcolabilità: nel corso del secolo si è sviluppata, nelle scienze tecniche, l’aspettativa di razionalizzazione universale. Gli stadi preliminari, confusi della generazione di idee sono stati, di regola, ignorati24. Le regole tecniche si riferiscono alle relazioni mezzo-scopo. La tecnica è, con ciò, la ricerca di regolarità e si basa su una deduzione pragmatica della migliore strategia esplicativa, là dove il criterio autentico è la conferma nella prassi. L’affidabilità delle funzioni tecniche va fondata, quindi, tanto nella teoria quanto nella prassi. Una teoria tecnologica o tecnico-scientifica consiste di regole tecniche tra loro connesse e implica la questione della coerenza di questi regolamenti. Vanno distinte (1) una teoria strutturale dell’artefatto teorico (knowing that) e (2)  una teo­ ria operativa della prassi ad esso riferita (know how). Entrambe le dimensioni risultano importanti per una scienza tecnica complessiva. Il rapporto del sapere tecnico con il sapere tecnico24. Cfr. ivi, pp. 133-137.

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scientifico consiste, nella teoria oggettuale, nel riferimento alla metateoria. Quest’ultima deve connettere reciprocamente, in particolare, la dimensione metodologica del problema e la sua dimensione sociale. Si tratta, qui, della comprensione tanto degli artefatti tecnici quanto del loro uso: quest’ultimo è particolarmente importante, poiché tale dimensione è stata sinora trascurata nelle scienze tecniche. Sono importanti, quindi, entrambe le dimensioni: 1) valori di verità del sapere tecnico e della scienza tecnica; 2) valori d’uso degli artefatti tecnici. Invenzione, accumulazione, scambio e adattamento sono i fattori trainanti dello sviluppo tecnico-culturale. L’assunzione di prassi tecniche estranee rappresenta ancor di più una fonte d’invenzioni: essa è un processo nel quale molte invenzioni diverse provenienti da fonti distinte vengono unificate in una base culturale comune. Lo scambio accelera lo sviluppo culturale. In alcuni casi le relazioni sono molto strette, in altri vi sono punti di contatto assai blandi. Il sistema di tutte queste relazioni reciproche costituisce l’organizzazione della cultura. Invenzioni in un ambito culturale possono quindi verificarsi in tre modi: come scoperta originale, mediante assunzione da un’altra sfera culturale, e per adatta-

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mento a invenzioni in un ambito culturale limitrofo. Questi adattamenti non avvengono subito, ma con un certo ritardo, così che si può parlare di uno slittamento delle fasi culturali. La condensazione degli ambiti culturali mostra molteplici gradazioni: in questo senso, l’adattamento può essere un processo estremamente difficile, che può richiedere la formazione di istituzioni sociali completamente nuove. Il processo di adattamento può anche essere troppo difficile e portare a una completa disorganizzazione. Negli uomini l’adattamento indica appunto l’adattarsi all’ambiente, più che la sopravvivenza o la morte di una quantità di esemplari. Adattamento significa proprio l’adattarsi alle istituzioni e alle usanze sociali. Spesso questi adattamenti (derivati o indiretti) agli elementi tecnici del nostro ambiente non vengono riconosciuti: diversamente dall’ambiente naturale, l’ambiente tecnico è una massa gigantesca in rapido movimento. Perciò non è sorprendente che la nostra società, con le sue molteplici istituzioni e organizzazioni, affronti – nell’adattamento al vorticoso ambiente tecnico – un compito pressoché irrisolvibile25. 25. Cfr. W.F. Ogburn, Kultur und sozialer Wandel. Ausgewählte Schriften, Luchterhand, Neuwied-Darmstadt 1969.

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C’è un’intera serie di motivi per cui spesso vi è una grande distanza tra gli sviluppi tecnici e i cambiamenti sociali da essi causati. Il contatto tra le istituzioni sociali della tecnica non ha luogo in modo diretto, ma è mediato da una grande quantità di membri intermedi, diversi a seconda delle circostanze. Uno schema di sviluppo giustamente molto diffuso consiste nel fatto che la trasformazione tecnica influisce dapprima sull’organizzazione economica, che in un secondo momento causa la trasformazione di un’istituzione sociale come la famiglia o il governo. I cambiamenti dell’istituzione governante trapassano quindi nel terzo elemento dell’articolata gradazione costituita da tecnica, industria, istituzione governante, filosofia sociale. L’interpretazione economica della storia è, in realtà, un’interpretazione tecnica della storia. I governi si trasformano solo molto lentamente. La resistenza di una struttura sociale contro ogni cambiamento è un fenomeno ampiamente diffuso, che può essere definito come inerzia culturale. Più a lungo dura il rallentamento, più alti saranno i costi del risultato finale, più percepibili saranno le lacune e maggiori gli adattamenti mancati. Innovazione significa il miglioramento delle vecchie abilità umane e lo sviluppo di nuove abilità

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e della loro organizzazione sociale. L’innovazione tecnologica significa crescita del potere della tecnologia umana, significa stabilire nuovi e migliorati prodotti e servizi. Gli effetti dell’innovazione tecnologica sugli uomini e sul loro ambiente sono stati tanto buoni e utili quanto distruttivi. La crescente abilità di stabilire tecnologie energetiche e di realizzarne il trasporto hanno liberato l’uomo dalle forze limitate dei muscoli animali. Ma le medesime tecnologie hanno al contempo avvelenato la sua aria, la sua acqua e la sua terra. L’uso umano dell’innovazione tecnologica finalizzata al dominio sull’ambiente fisico ha portato a un mondo in continuo mutamento e a una crescente complessità delle proprietà sociali e fisiche. L’innovazione è un processo in sé interconnesso, nel quale molte attività abbastanza creative – dalla ricerca ai servizi – e tra loro collegate servono in modo integrato alla realizzazione di uno scopo comune. Il processo d’innovazione non è soltanto sviluppo tecnico, ma dev’essere anche un’impresa sociale. L’innovazione tecnologica è il processo della percezione o della produzione di un sapere rilevante e della sua trasformazione in prodotti e servizi nuovi e sperimentati, per i quali gli uomini sono disposti a pagare. Il processo d’inno-

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vazione va distinto dall’organizzazione di questo stesso processo: affinché le innovazioni siano valutabili26, sono richieste delle unità di misura della loro efficacia.

26. Cfr. J.A. Morton, Organizing for Innovation. A Systems Approach to Technical Management, McGraw-Hill, New York 1971.

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IV Conclusione: la tecnologia science based iper-moderna e una nuova forma di ingegneria per il XXI secolo

Il moderno carattere artistico nella produzione di artefatti tecnici si basa su un’ingegneria science based e sul design individuale di prodotti. La costruzione tecnica abbandona la base del mesocosmo e del mondo della vita per diventare una struttura fondamentale di tipo atomomolecolare. Grazie a fenomeni-limite come la fisica quantistica, i nano-oggetti e le biotecnologie trasformative, la tecnologia iper-moderna realizza nuove e finora sconosciute strutture di superficie. La digitalizzazione, la nano- e la biotecnologia sono promosse e contrassegnate quali nuove forme dell’industrializzazione. Quest’ultima suscita la fiducia e in certa misura l’illusione della prosecuzione delle tecnologie note con mezzi solo leggermente modificati: si ritiene che la tecnologia iper-moderna, nella sua sintesi e convergenza, realizzerà sempre più nei prossimi

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decenni una trasformazione radicale verso una tecnologia post-industriale. Reputo ciò un falso assunto: infatti, proprio queste tecnologie possono – nella loro convergenza – agire ed essere usate come trasformatori culturali. La convergenza tra tecnologie trasversali di intelligenza artificiale e digitalizzazione, nanotecnologie e biotecnologia trasformativa bionica hanno per di più il potenziale di poter realizzare da ultimo – oltre a cambiamenti culturali – anche una trasformazione della struttura e dell’ordine economici, che potrebbe porre fine alle aberrazioni del capitalismo nella modernità tardo-industriale. Il design tecnologico iper-moderno – al crocevia tra intelligenza artificiale, CAD1 e biotecnologie trasformative – tramuterà la cultura e la civilizzazione umane in misura ancora più estesa del design industriale; tale cultura sarà, sperabilmente, più integrata sul piano ecologico e socialmente più equa. Ciò però non accadrà da sé: dobbiamo lavorare per preparare la nostra civilizzazione in questo senso. La connessione tra nanotecnologia orientata bionicamente e la biotecnologia trasformativa 1. Computer Aided Drafting/Design [N.d.T.].

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è in grado di produrre un cambiamento nelle risorse. La nanotecnologia che permane nella modalità dell’industria 4.0 è, però, meno lungimirante: in gioco è la tecnologia integrativa finalizzata a una responsabilità a lungo termine. La modernità industriale è divenuta vittima del suo stesso successo e si è fatta guidare dal paradigma dell’automazione nella forma di una razionalizzazione burocratica. Il fattore decisivo nell’interazione uomo-macchina è l’uomo, che non è una macchina né un cyborg. Nell’interazione uomo-macchina non è la macchina a essere creativa, bensì l’uomo. La tecnologia iper-moderna è design, agisce dando forma, e non va intesa – come nella modernità industriale – quale proliferazione orientata al profitto. Responsabilità a lungo termine e utilitarismo a breve termine sono in contrasto. La nanotecnologia e il CAD aumentato bionicamente possono avviare un cambiamento delle risorse. Oggi la nanotecnologia non gioca ancora un ruolo trasformativo: soltanto con un orientamento nuovo, bionico, ci si può aspettare un contributo alla trasformazione verso la tecnologia iper-moderna. Quest’ultima consiste nella trasformazione dell’automazione, della razionalizzazione, della meccanizzazione (tutte contras-

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segni della modernità industriale) in un design creativo, non realizzato dalle macchine, bensì da un essere umano aumentato dall’intelligenza artificiale, anche mediante nano-CAD. Tale design non si orienta alla costruzione tecnica della classica ingegneria edile, che opera meccanicamente, ma a una comprensione evoluzionisticogenetica del design, che sorge istanziando le condizioni generali di auto-organizzazione in modo abile e appropriato. Anche un design decentrato, creativo sia in senso civile e sociale che in senso scientifico e culturale, espressione di un nuovo individualismo socialmente e culturalmente integrato sulla base di innovazioni sociali, può diventare il modello di una nuova e trasformata tecnologia di tipo iper-moderno. Il perno centrale per una cultura orientata all’intelligenza artificiale è l’antropologia evoluzionistica, derivante dalla sociobiologia, dalla etnoarcheologia e dalla paleo-genetica molecolare2. Con il nuovo, sinergetico e complesso technodesign, il paradigma dell’auto-organizzazione su­ bentra – anche nel design – al posto della co2. Cfr. B. Irrgang, Gehirn und leiblicher Geist, cit.; Id., Der Leib des Menschen, cit.; Id., Roboterbewusstsein, automatisiertes Entscheiden und Transhumanismus, cit.

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struzione tecnica tradizionalmente prescrittiva. Il fanatismo del controllo – in tutte le sue forme tecnocratiche – proprio dell’atteggiamento cibernetico classico viene sostituito, nella scienza tecnica, da una concezione più flessibile della costruzione, che deve condurre anche a un ripensamento della technoresearch. Sorge una nuova forma di tecnologia e di ricerca, ovvero di scienza, ad essa idonea. L’epistemologia di questo metodo tecnologico di costruzione e di ricerca scientifica rende però chiaro che, nelle singole scienze tecnologico-empiriche, la technore­search trasforma anche i domini filosofici apparentemente ultimi dell’epistemologia. Si producono così i concetti di una scienza naturale dell’intelligenza e della creatività, nonché di una fisica sociale della morale. L’intelligenza artificiale è una scienza singola, come tutte le forme delle cosiddette scienze cognitive. Vi sono già pretese secondo cui al di fuori delle singole scienze non dovrebbe darsi assolutamente niente di indagabile e ricercabile scientificamente: ad ogni modo, io non peroro il compito dell’epistemologia filosofica, quanto quello della sua trasformazione. Tale trasformazione oltrepassa una riflessione scientifico-spirituale sull’ulteriore sviluppo del­ l’intelligenza artificiale e della technoresearch.

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La soluzione non può consistere nel prescrivere la digitalizzazione e i metodi scientifico-­ naturali a tutte le scienze spirituali e culturali, ma nell’intraprendere una naturalizzazione e una tecnologizzazione anche delle attività scientifiche umane. L’ultima retrovia filosofica rimane un auto-riferimento scettico sviluppato metodicamente e appreso praticamente, volto a una fondazione metodologica di una conoscenza delle nozioni delle singole scienze, tanto nel campo del common sense e delle singole scienze, quanto nella riflessione filosofica. La filosofia dovrebbe svolgere una funzione integrante per le riflessioni metodiche delle singole scienze e, con ciò, rimanere obbligata alla trattazione meta-­ scientifica. La cibernetica valeva come metascienza e come meta-tecnologia per le singole scienze interpretate operazionalmente; tuttavia, se il suo stesso carattere scientifico viene messo in questione, essa richiede sempre un’autoriflessione scettico-argomentativa su se stessa. La cibernetica non è fondabile nella cibernetica, né in una cibernetica di secondo ordine, ma scade nel trilemma di Münchhausen3. 3. Cfr. H. Albert, Traktat über kritische Vernunft, Mohr, Tübingen 19804.

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Il mio tentativo consiste nel comprendere la trasformazione della modernità industriale in una civiltà tecnologica iper-moderna orientata alla sostenibilità. Vorrei ora caratterizzare questo mio metodo a partire da una prospettiva leggermente diversa. La costruzione tecnica orientata alla causalità, sino alla modernità industriale, va distinta dal metodo del design sinergetico e tecnologico. Quest’ultimo genera quella forma di complessità che sorge – allorché i corrispondenti fattori d’incorporazione dei processi di auto-organizzazione sono dati oppure prodotti tecnicamente – dalla separazione, dalla differenziazione, dalla polarizzazione e dal caso, dall’auto-­organizzazione del nuovo nell’evoluzione sia del vivente che del pensiero artificiale e naturale. Il nuovo principio, che segue al vecchio pensiero causale, è rappresentato dalle correlazioni, che possono essere comprese – in particolare – anche attraverso algoritmi e digitalizzazione. Interpreto le correlazioni come azione reciproca, come una forma di causalità trans-classica, che compare soprattutto nelle correlazioni tra microstrutture e strutture di superficie, nella modellizzazione o nei processi di auto-organizzazione; ad esempio, nelle correlazioni tra geni e proteine o geni come

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campi di trascrizione della morfogenesi, quali si presentano nell’embriologia. Simili correlazioni compaiono anche nella filosofia della mente tra i processi bioelettrici e biochimici del cervello e il mentale. Il nuovo techno-design lavora dunque su tre dimensioni della causalità, invece che su una, ossia: 1) sulla dimensione della causalità effettiva; 2) sulla dimensione della causalità di campo; 3) sulla dimensione della causalità interagente e correlativa, incorporata in modo auto-organizzante. La filosofia europea ha seguito per duemilacinquecento anni il modello del logos, della ragione e della razionalità. Questa storia sembra volgere al termine. Matematica, calcolabilità e algoritmo entrano al suo posto in connessione con un paradigma strumentale e intellettuale del design, da alcuni ancora inteso come un costruttivismo di tipo teoretico o strumentale. Matematica e algoritmo, tuttavia, sono una forma del poteravere-a-che-fare-con qualcosa. La iper-modernità è attivata da una connessione tra technoresearch e data-science: si tratta di una ricerca applicata che si serve di computer e intelligenza artificiale e di nuove forme del techno-design, quali ho descritto in questa Introduzione. Entro il paradigma di una cibernetica sinergetica,

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questa ricerca potrebbe essere chiamata anche “techno-design generativo”. Al suo riguardo, i fondamenti teoretico-scientifici ed epistemologici dell’intelligenza artificiale, dell’informatica e della cibernetica risultano sinora del tutto insufficientemente chiariti e compresi, e neppure ponderati nei loro possibili effetti sociali e culturali. La technoresearch, quindi, accelererà la formulazione della cibernetica dello sviluppo in ambiti specializzati: tra questi rientrano la eco-cibernetica, la evo-devo-cibernetica4, la geo-cibernetica, la socio-cibernetica, la tecnocibernetica e la neuro-cibernetica. La cibernetica interpretata algoritmicamente dovrà fare i conti con la non-calcolabilità propria della complessità, con la sua indeterminatezza, implicando una riflessione epistemologica su questo processo. Caratteristica del techno-design generativo iper-moderno è la connessione tra intelligenza artificiale e cibernetica sinergetica. A rendere plausibile, o addirittura più o meno inevitabile, la trasformazione della modernità industriale nella civiltà altamente tecno-

4. Cibernetica applicata alla biologia evolutiva e dello sviluppo (Evolutionary Developmental Biology) [N.d.T.].

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logica, propria dell’iper-modernità, non è stato soltanto, però, il nuovo metodo del design sullo sfondo dell’intelligenza artificiale e dell’integrazione delle nano e biotecnologie; piuttosto, è stata l’eredità socio-ecologica e politico-economica della modernità industriale ad averci spinto sulla via trasformativa e a far emergere, in modo inevitabile, un cambiamento strutturale nell’antropocene. La percentuale antropogena del cambiamento climatico gioca un ruolo sin dalla sedentarizzazione dell’uomo, soprattutto in correlazione alla popolazione in crescita come conseguenza di questa prima rivoluzione tecnologica nella storia dell’umanità (a prescindere forse, inizialmente, dall’invenzione e dell’uso degli strumenti nell’età della pietra). La sedentarizzazione ha portato all’allevamento del bestiame e alla coltivazione delle piante, all’agricoltura, all’urbanizzazione e, più tardi, alla rivoluzione industriale e alla seconda rivoluzione tecnologica. Il clima terrestre, che prima della stanzializzazione era ancora un fattore evolutivo naturale (inizialmente anche nella rapidissima evoluzione – soprattutto cognitiva – dell’uomo), è stato progressivamente trasformato dalla tecnologia, con effetti di surriscaldamento – sebbene anche in tempi passati le culture e le civiltà siano state

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spesso cancellate da catastrofi naturali, anche di tipo climatico. Dopo un intervallo tra il tardo Medioevo e il XIX secolo, i problemi ecologicosociali sul finire della società industriale e del XX secolo sono cresciuti in misura tale da non sembrare più risolvibili. La nuova cultura della digitalizzazione e del nuovo techno-design non ha alleggerito, ma radicalmente aggravato la situazione ecologico-sociale per moltissimi uomini nell’epoca delle forme capitalistiche neoliberali. Si pone così, nel 2021, la questione di una nuova svolta geo-strategica – sia tecnologico-scientifica che socio-culturale – mediante nuove forme delle strutture tecnologiche e culturali climaticamente rilevanti. Tuttavia, la sola svolta tecnologica non è in sé sufficiente, quand’anche fosse in grado di apportare un cambiamento delle risorse in direzione dello sfruttamento di materie prime rinnovabili e l’introduzione di un’economia circolare. Appare inevitabile una trasformazione della forma economica, delle forme ed entità culturali e sociali proprie del rapporto con la società e la natura – tanto più che anche la scienza si è trasformata. Potremmo tentare di introdurre, a fronte del cambiamento scientifico e tecnologico, anche delle riforme economiche e culturali, così come già una volta era sta-

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to richiesto dalla cultura illuministica all’inizio della modernità industriale. Technoresearch e data-science sono subentrate al posto della big science; le scienze di laboratorio e i metodi basati su dati giungono a una nuova sintesi. Allo stesso tempo, lobbismo e corruzione (così come le forme di governo autoritario, grazie alla loro esorbitante potenza economica) distruggono le democrazie. Certamente i Big Data, nel contesto di technoresearch e data-science, vanno distinti rispetto al loro utilizzo nell’economia e nell’arena politica; tuttavia, l’analisi metodica all’interno del singolo ambito scientifico richiede una riflessione filosofica sulle sue radici, in grado di fondare una riflessione sulle analisi metodiche delle singole scienze e di stabilire un riferimento al mondo della vita, il quale viene trasformato dalla tecnologia e dalle scienze così come dall’economia turbo-capitalistica. La filosofia della tecnica come meta-epistemologia dei principi tecnico-scientifici e scientifico-epistemologici delle singole scienze può essere pratica in due modi, analogamente alla suddivisione già verificatasi nel XVIII secolo tra un approccio fisicalista (il paradigma di Christian Wolff) e un approccio tecnologico (il paradigma di Johann Jacob Beckmann). In ra-

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gione della mia preferenza per un’antropologia evoluzionistico-­cognitiva, la scelta è ricaduta sul concetto tecnologico. All’inizio del XXI secolo, una meta-epistemologia filosofica della scienza tecnologizzata iper-moderna ha a disposizione tre opzioni: 1) la cibernetica fisicalista classica come teoria della retroazione che consente l’auto-riproduzione (automazione); 2) la cibernetica sinergetica come metodologia della biologia evoluzionistica (evo-devo, con incorporazione dell’ecologia); 3) la cibernetica biosistemica come epistemologia della morfogenesi. L’ultimo orientamento è, secondo il mio parere, il punto d’avvio più indicato per una meta-epistemologia filosofica delle diverse forme di intelligenza artificiale, in grado di offrire una sintesi per la convergenza delle high-technologies di tipo quantistico e biotecnologico, caratterizzanti la scienza tecnologizzata iper-moderna. Sto affrontando questi temi in un’ampia monografia in lavorazione, le cui riflessioni fondamentali potrebbero a loro volta essere presentate, fra non troppo tempo, nella forma di una breve sintesi in lingua italiana.

Indice

Filosofia della tecnica: la prospettiva di Bernhard Irrgang Introduzione di Federica Buongiorno

p. 9

Premessa

p. 19

I.  La filosofia della tecnica tra epistemologia trascendentale e antropologia evoluzionistico-­cognitiva: pratica del comprendere e sapere implicito

p. 25

II.  Prassi tecnica e potere tecnico: artefatti e strutture tecnici, il loro sviluppo e il loro potenziale di rischio

p. 77

III.  La tecnologia come sapere procedurale e pratico tra arte e scienza

p. 107

IV.  Conclusione: la tecnologia science based iper-moderna e una nuova for­ ma di ingegneria per il XXI secolo

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Bernhard Irrgang (1953), già Professore di Technikphilosophie presso la Technische Universität Dresden (Germania), è un filosofo della tecnica tedesco. Si è formato in filosofia e in teologia, ottenendo il doppio dottorato in queste discipline, presso le Università di Würzburg, Passau e Monaco. Dal 1993 al 2019 è stato Professore di Technikphilosophie presso la TU Dresden. Ha pubblicato lavori seminali nel campo della tecnoscienza, dell’intelligenza artificiale e della tecnologia iper-moderna. Tra i suoi libri più rinomati, si segnalano: Skepsis in der Aufklärung (1982), Philosophie der Technik (in 3 voll., 2001-2002), Hermeneutische Ethik. Pragmatisch-­ ethische Orientierung in technologischen Gesellschaften (2007), Handling Technical Power. Philoso­ phy of Technology (2014).

Federica Buongiorno (1985) è post-doc fellow presso l’ICI (Institute for Cultural Inquiry) di Berlino (Germania): la sua ricerca si colloca nel campo della fenomenologia e della filosofia della tecnologia, con particolare attenzione alle pratiche di soggettivazione digitali. Ha conseguito il Dottorato di ricerca in Filosofia nel 2013 presso l’Università “Sapienza” di Roma con una tesi sul precategoriale nel primo Husserl. Ha svolto attività di ricerca presso l’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli (2012-2013), la Freie Universität di Berlino (2014-2017), l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli (2017) e la Technische Universität Dresden. È membro del comitato di redazione di svariate riviste filosofiche («Azimuth», «Lo Sguardo», «Philoso­phy Study»), co-direttrice della collana di filosofia “Umweg” (Inschibboleth Edizioni) e collabora come traduttrice con diverse case editrici italiane. Nel 2017 ha ottenuto l’Abilitazione scientifica nazionale come professore di seconda fascia nel settore di Filosofia teoretica.

Umweg Collana di Filosofia Contemporanea Diretta da: Federica Buongiorno, Roberto Esposito, Libera Pisano e Christoph Wulf

1. Antonio Lucci, Umano Post Umano. 2. Andreas Arndt, Immediatezza. 3. Peter Trawny, Medium e rivoluzione. 4. Luca Viglialoro, Arte e negazione. Sull’estetica di Schopenhauer. 5. Peter Sloterdijk, Negare il mondo? Sullo spirito dell’India e la gnosi occidentale. 6. Juliane Rebentisch, La moralità dell’ironia. Hegel e la modernità. 7. Ferdinand Fellmann, Fenomenologia ed espressionismo. 8.  Francesco Saverio Trincia, Per una fenomenologia della passività. Osservazioni comparative su logica e fondazione passiva in Husserl.

9. Paola-Ludovika Coriando, Metafisica e ontologia nella filosofia occidentale e buddista. 10. Bernhard Irrgang, Introduzione alla filosofia della tecnica. Una prospettiva fenomenologico-­ evoluzionistica.

Umweg Che cos’è la filosofia della tecnica? Quali problemi si pone e con quali metodologie? In questo breve testo originale, Bernhard Irrgang – uno dei massimi filosofi della tecnica tedeschi – offre una via d’accesso peculiare alla Technikphilosophie da un punto di vista fenomenologico ed evolutivo. Muovendo dal confronto con Heidegger e con la sua concezione della tecnica, l’Autore ripercorre la nozione classica del potenziale (e dei limiti) del sapere e del fare tecnologici. Irrgang propone una cornice teorica fondata sulla connessione – operata attraverso la nozione di sapere implicito – tra teoria della conoscenza evoluzionistica e neo-darwinismo, al fine di elaborare una “ermeneutica critica” in grado di comprendere concretamente gli artefatti e le strutture tecniche, il loro sviluppo a partire dalla contemporaneità, nonché il loro potenziale di rischio nell’attualità.

ISBN ebook 9788855292177 € 7,00

Collana diretta da Federica Buongiorno Roberto Esposito Libera Pisano Christoph Wulf ISSN: 2499-6041