Il senso della moda: forme e significati dell'abbigliamento 9788806181772, 8806181777

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Il senso della moda: forme e significati dell'abbigliamento
 9788806181772, 8806181777

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Piccola Biblioteca Einaudi

Nuova serie

Scienze sociali

324

Titolo originale

Saggi da: Oeuvres complètes, Editions du Seuil, Paris 1993-95, 3 voll.

Edizione curata e presentata da Eric Marty © 1993 Editions du Seulil per i testi estratti dalle Oeuvres complètes, vol. | © 1994 Editions du Seuil per i testi estratti dalle Oeuvres complètes, vol. 11 © 1995 Editions du Seuil per i testi estratti dalle Oeuvres complètes, vol. I| © 2006 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino | saggi Strip-tease 1, Storia e diacronia di moda, La fotografia di moda, Sul «Sistema della Moda», ll «Sistema della Moda», Conversazione intorno a un poema scientifico, Nascondere la donna, ll corpo illuminato, Strip-tease 2, sono stati tradotti da Lidia Lonzi | saggi Storia e sociologia del vestito, !! linguaggio del vestito, Il fenomeno vestimentario,

«Quest'anno è di moda il blu», Dal giotello al bijou, La fine

del dandismo, Tempo e ritmi dell’abbigliamento, Il match Chanel-Courrèges, La calza e l'idea, Un caso di critica culturale: gli hippies, ll corpo, ancora sono stati tradotti da Gianfranco Marrone Il saggio Frac turchino e gilet giallo è stato tradotto da Renzo Guidieri www.einaudi.it

ISBN 88-06-18177-7

Roland

Barthes

I| senso della moda

Forme e significati dell’abbigliamento A cura di Gianfranco Marrone

Piccola Biblioteca Einaudi Scienze sociali

Indice

p. VII XXV XXVII

Introduzione di Gianfranco Marrone

Nota bibliografica Fonti

Il senso della moda Strip-tease 1

Storia e sociologia del vestito Il linguaggio del vestito Il fenomeno vestimentario «Quest’anno è di moda il blu»

IOI

108

Dal gioiello al bijou La fine del dandismo Tempo e ritmi dell’abbigliamento Il match Chanel-Courrèges Storia e diacronia di Moda La fotografia di Moda Sul Sistema della Moda Il Sistema della Moda Conversazione intorno a un poema scientifico

La calza e l’idea Un caso di critica culturale: gli hippies Nascondere la donna Il corpo illuminato Strip-tease 2

Frac turchino e gilet giallo Il corpo, ancora

Introduzione

Vestendomi, io faccio bello ciò che sta per essere guastato dal desiderio. ROLAND BARTIHES



I. Îl vestito si dice in molti modi. Se ne parla in let-

’ teratura, al cinema, alla televisione, alla radio, nella con-

| versazione quotidiana, nella pubblicità, nelle riviste specializzate, nei cataloghi di moda, nei commenti giorna-

listici, nei discorsi riportati, nei sondaggi d’opinione, nei pettegolezzi. E l’abito stesso prende la parola nelle passerelle stagionali, nelle vetrine dei negozi, nelle stra-

de, nei salotti, in discoteca, in ufficio, al supermercato, in palestra, a casa propria. C’è un vestito parlato e uno

parlante che tendono a mescolarsi fra loro, rendendo talvolta indecidibile dove termini l’uno e cominci l’altro.

Ipotesi aristotelica che Roland Barthes sostiene espli-

citamente, quasi di passata, in un’intervista sul suo libro forse più impegnativo, il Sistema della Moda (cfr. infra,

p. 118). Opinione che egli stesso riafferma implicitamente, a più riprese, nel corso della sua opera, interamente cosparsa di riferimenti e analisi sui linguaggi e i significati sociali dell’abbigliamento, del costume, del vestiario, dell’abito, della moda - dunque del coprirsi e del denudarsi, dell’esibizionismo e della vergogna, dell’identità e dei suoi mascheramenti. Da qui l’idea per questo volume: intorno al centro vuoto del Sistema della Moda, edito a parte, ecco una serie di saggi, articoli, recensioni, digressioni, frammenti, enunciazioni, interviste, estr apola21om sul multiforme e poliglotta universo semantico vestimentario: universo che si forma e si riforma senza sosta, nel momento in cui

l’abito incontra il corpo, vestendolo e rivestendolo, co-:

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stituendolo come struttura di senso e, perciò, oggetto del desiderio.

2. Sono noti l’intento e i temi del Sistema della Moda. Per comprendere l’enorme importanza del fenomeno vestimentario nella vita quotidiana contemporanea, in que-

sto lungo e complesso volume del 1967 - frutto di un decennio di lavoro e parecchie stesure — Barthes non considera gli indumenti effettivamente portati dalla gente a seconda, per esempio, delle loro funzioni (coprirsi, rap-

presentare uno status, abbellirsi, sedurre), dei diversi momenti della giornata (lavoro/riposo/svago), delle oc-

casioni mondane (ricorrenze/routine/sport) o delle dimensioni d’esistenza (pubblico/privato/intimo), sulla base di scelte individuali più o meno creative o di codici sociali più o meno costrittivi. Molto diversamente, egli si dedica all’analisi delle maniere — tanto stereotipate nei temi quanto accurate nelle forme — in cui alcune importanti riviste, parlando della moda, la pongono in essere. Più che dei vestiti reali, Barthes sceglie di occuparsi di quelli ideali: appositamente creati anno per anno da alcuni piccoli gruppi specializzati (stilisti, opinionisti, critici) a fini eminentemente

commerciali, ammanniti

co-

munque da complesse e raffinate ragioni più estetiche, spesso, che strumentali. Lavorando su un paio di testate pubblicate in Francia nell’annata che va dal giugno del 1958 allo stesso mese dell’anno successivo, Barthes ricostruisce non le usanze quotidiane concrete, ma le mitologie sociali che posticciamente le sostengono, imponendo scelte di gusto e preordinando la loro ciclica, necessaria trasformazione. Nelle trecento fitte pagine d’analisi di quei fascicoli di «Elle» e «Jardin des modes», però, Barthes non esamina le numerose fotografie che pure ne riempiono le pagine, dunque i modi in cui i vestiti vengono rappresentati a una lettrice che, per poterli presumibilmente desiderare, deve innanzitutto vederli riprodotti (per esempio le inquadrature, i tagli dell’immagine, l’illumi-

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nazione, i colori, le pose, gli sfondi, le ambientazioni, i

contesti ecc.). Compiendo un’ulteriore restrizione di campo, l’autore decide di occuparsi esclusivamente delle didascalie che accompagnano tali fotografie, di quei brevi testi redazionali che, dicendo a parole quanto verrà visto nelle foto, sostanzialmente indirizzano lo sguardo, indicano quanto in quelle immagini ci sarà effettivamente da vedere, ciò a cui occorrerà prestare attenzio-

ne; insomma: i dettagli per cui quei vestiti dovranno essere considerati alla moda. Sorta di istruzione per l’uso della rivista, la didascalia è per Barthes il perno segreto ma efficace, interamente ed esclusivamente linguistico,

in cui si produce e si nasconde il senso della moda: quell’aura tanto capricciosa quanto necessaria che, trasformando un semplice capo d’abbigliamento in un oggetto quasi mitico, rende desiderabile al tempo stesso l’abito e chi lo indossa. Ne deriva la tesi centrale del libro: la moda è un mec-

canismo tipico dell’attuale società di massa, un mecca-

nismo esemplare dei diversi e numerosi modi in cui es-

sa tende a inoculare il desiderio alla gente, diffonden-

dolo e controllandolo a dismisura, sino a confondere

deliberatamente ragioni economiche e pulsioni sessuali, obiettivi commerciali e modelli d’erotismo. E lo strumento che mette in opera questo complesso meccanismo di costruzione e diffusione del desiderio, controllando-

lo con attenzione e rilanciandolo senza posa, è quello linguistico. E solo il linguaggio verbale, per Barthes, a permettere tutto ciò, a dispetto di quanti — apocalittici e integrati — sostengono che sia soprattutto l’immagine a costruire gli assetti dell’attuale società della cultura e delle comunicazioni di massa. La nostra, dice spesso Barthes, non è affatto una civiltà dell’immagine: è anzi,

forse più che in passato, una civiltà della scrittura. Di conseguenza, se il linguaggio verbale permea di sé gli altri sistemi di senso presenti nella cultura di massa — moda, ma anche pubblicità, giornalismo, televisione -, una

semiologia che intenda esaminarli non abbandonerà gli

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strumenti della linguistica in nome di modelli e catego-

rie a essi specifici; sarà semmai una sua estensione stra-

tegica, una «trans-linguistica» come studio dei discorsi che la lingua rende possibili e diffonde. Cosi, laddove Saussure pensava la semiologia come estensione della linguistica ad altri sistemi di segni, Barthes la immagina semmai come sua parte integrante. 3. L’importanza e l’originalità di queste tesi sono state direttamente proporzionali all’intensità del dibattito

che hanno suscitato, nonché al numero delle critiche che

hanno ricevuto. In un primo tempo, anche sulla base d’una deriva psicanalitica di stampo lacaniano che ha innescato, l’ipotesi barthesiana è stata accolta con un certo entusiasmo: e lo studio semiologico delle comunicazioni di massa è stato orientato dai modelli della linguistica strutturale, usati spesso in modo pedissequo e dunque poco produttivo. A poco a poco, però, i progressi della ricerca sulla significazione, unitamente alle trasformazioni e alle complessificazioni della società e della cultura di massa, hanno portato a una forte revisione della posizione di Barthes sulla moda e, conseguentemente,

sulla semiotica (ribattezzata cosi proprio per distinguer-

si dal Barthes del Sistema). Innanzitutto, s’è mostrato

come il ruolo delle immagini nelle riviste di moda sia tutt’altro che ancillare rispetto alle didascalie: non foss’altro perché i lettori di queste riviste sono diventati

progressivamente più competenti, più attenti al detta-

glio, pitù capaci di cogliere le istanze estetico-commerciali di moda, dunque meno bisognosi dell’ausilio dell’esplicitazione verbale (non a caso, le didascalie nelle pubblicazioni di quel settore sono oggi molto meno presenti, e pressanti, di quelle del periodo analizzato da Barthes). In secondo luogo, è stato rilevato come la moda non sia soltanto un sistema sincronico che, diceva

Barthes, cambia tutt’intero ogni anno, ma sia soggetto a trasformazioni progressive nel tempo e nello spazio:

non tanto sulla base delle decisioni arbitrarie del fashion

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group, come ancora si sostiene nel Sistema, ma anche e soprattutto in relazione alle istanze dei suoi consumatori, dei gusti degli individui e dei piccoli gruppi, delle esigenze identitarie delle «tribu» e delle subculture giovanili, delle usanze di strada, degli apporti più o meno esotizzanti delle culture e delle etnie non occidentali. Ciò porta, in terzo luogo, alla cancellazione dell’idea di un’unicità e di un’autoritarietà della moda, in nome della par-

cellizzazione e della complessa distribuzione sociale delle più svariate tendenze vestimentarie, spesso in netto

contrasto fra loro, fra le quali il consumatore opera il suo siyle surfing e le sue individuali ricomposizioni patchwork. Laddove Barthes pensava ancora la moda come una specie di imposizione unilaterale e arbitraria di segni vestimentari alla massa dei consumatori (che le riviste hanno il compito di motivare, a posteriori, in termi-

ni talvolta patetici), molti osservatori e studiosi del fenomeno rilevano oggi il contrario: i processi innovativi

nel campo dell’abbigliamento, del costumee delle ten-

denze vestimentarie hanno origine non nel mondo della produzione ma in quello dei consumi - il qualeha re-

gole e motivazioni sue proprie, chegli stilisti più attenti importano, risemantizzandole, nelle loro creazioni.

Analizzare l’universo della moda significa pertanto esaminare le pratiche vestimentarie concrete più ancora dei testi che, rappresentandole, le istituzionalizzano. Ciò comporta, dal punto di vista epistemologico, pensare a una semiotica sganciata dai modelli linguistici (o translinguistici, come amava chiamarli Barthes) e capace di trascendere i limiti preconfezionati di prodotti testuali di massa come le riviste o le trasmissioni televisive, creati appositamente per parlare e diffondere la significazione di moda. Si tratta d’una sociosemiotica alla

ricerca di categorie in grado di mettere a fuoco pratiche sociali concrete, vissuti individuali o di gruppo, modelli d’esperienza sensoriale: tutte quelle complesse configurazioni di senso che, pur ricorrendo a sostanze espres-

sive diverse (immagini, parole, gesti, odori, suoni ecc.),

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possiedono coerenti articolazioni interne di cui occorre rendere conto. Lo studio della significazione guadagna in questo modo una propria autonomia disciplinare e soprattutto una propria efficacia esplicativa: guardando ai racconti e discorsi socio-culturali profondi, oltre che ai testi che il mondo ci offre già come tali, riesce possibile comprendere il senso di molti processi che si agitano nel contemporaneo - con strumenti originali, complementa-

ri ma altri rispetto a quelli delle scienze sociali.

4. Inutile dunque continuare a leggere le opere semiologiche di Roland Barthes, e soprattutto relative alla moda e alla società di massa? Il libro che qui si presenta vuol dimostrare il contrario. Al di là della vulgata barthesiana, gli scritti di questo autore continuano ad agire da stimolo, sia per una più attenta comprensione della cultura e della società contemporanee, sia per la costruzione di una matura scienza dei linguaggi e della significazione. Per quel che riguarda, in particolare, il $istema della Moda, non è difficile accorgersi che, per Barthes, la scelta di studiare la moda non aveva nulla di

casuale; non si trattava cioè di un argomento come tanti altri possibili, ma di un tema concomitante e funzionale all’edificazione di una scienza delle significazioni. A rileggere il volume del ’67 salta agli occhi che il pro-

blema di Barthes non era tanto (come si ritiene comu-

nemente) quello di agganciare la moda vissuta alla sua declinazione scritta nelle riviste, e dunqgue indirettamente di situare la dottrina semiologica all’ombra di una più ampia scienza linguistica. Il suo intento di base era rintracciare le differenze tra la lingua e la moda, in quanto sistemi significanti appartenenti a livelli di pertinenza semiotica diversi. Per Barthes, la moda usa la lingua come sua materia dell’espressione per costruire un sistema semiotico di secondo grado - diremmo oggi un «tipo di discorso» (o un «sistema secondario di modellizzazione») — al cui interno si situano forme di vita, valo-

ri, organizzazioni plastiche, procedure retoriche e cosf

INTRODUZIONE

XIII

via. La semiologia di Barthes, ripensata dopo alcuni de-

cenni, non appare tanto come una translinguistica ma

come uno studio dei diversi tipi di discorso che circolano nella società — di cui la moda è un tipo al contempo mollo particolare e del tutto esemplare. Da qui una seconda possibile osservazione: la moda, a leggere fra le righe il libro barthesiano del ’67, più che

costituirsi in Sistema si estrinseca in un Processo. Si pen-

si ai complessi ingranaggi di denotazioni, connotazioni e metalinguaggi costruiti da Barthes in quel libro: ciò su

cui egli lavora non è la struttura dei sistemi significanti,

che si agganciano l’uno con l’altro costituendo architetture talvolta molto complesse, ma i passaggi da un sistema all’altro, le procedure di traduzione, e dunque di relativo tradimento, che si hanno fra loro: dall’abito in-

dossato durante una sfilata a quello rappresentato l’immagine della rivista, e da quest’ultimo a quello lato nella didascalia della rivista stessa; e poi ancora la didascalia alle pratiche concrete con cui si indossa

nelpardale si

mostra l’abito in questione. La moda, insomma, è l’ef-

fetto di senso complessivo di queste complesse operazioni di traduzione inter-semiotica e intra-discorsiva

attraverso cui si opera una continua risemantizzazione

dell’abito a fini che sono al tempo stesso estetici e so-

ciali, letterari e simbolici. Per Barthes la moda non è,

come si sostiene, il risultato di un passaggio dall’insignificante alla significazione; molto diversamente, essa si instaura a partire da sistemi e processi del mondo che sono già significanti: il suo compito è quello di trasformarli, di indirizzarli ai suoi obiettivi specifici, non di forgiare una significazione a partire da una materia fisica o sociale presunta asignificante. Allargando poi lo sguardo all’intera opera barthesia-

na, scopriamo, come dicevamo, una grande quantità di

altri luoghi dove si affronta la questione del costume e dell’abbigliamento, della moda e del vestito che si dicono appunto — come l’essere per Aristotele — in moltepli-

ci e svariate maniere. Troviamo spunti interessanti nei

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Miti d’oggi, dove un fenomeno come quello dello striptease viene letto in funzione, non del corpo erotico che tenderebbe a mettere in luce, ma della sua ricopertura immaginaria desessualizzante. La donna che si spoglia non perde i suoi abiti per recuperare un supposto stato edenico: semmai si traveste con un abbigliamento sedicente naturale, dove la pelle diviene vestito a sua volta, irrinunciabile, inviolabile. Tutto l’opposto di quanto accade nei testi sadiani — leggiamo nel Sade Fourier Loyola —, nei quali la donna denudata diventa una pura macchina per il godimento altrui, una cosa destinata al soddisfacimento di un sesso senza erotismo, dove paradossalmente quel che resta perennemente nascosto sono sempre gli organi genitali. Altra configurazione in Goethe, secondo quanto leggiamo in uno dei testi più noti del Barthes maturo, i Frammenti di un discorso amo-

roso, che si aprono con una riflessione sul nesso fra eros e vestito. Il celebre costume di Werther - frac turchino e gilet giallo — non è tanto l’abbigliamento rituale dell’innamorato nel momento in cui rimembra sconsolato il momento fugace dell’estasi; funziona anzi da pelle che riveste a livello immaginario il corpo collettivo di entrambi i soggetti coinvolti nella passione, isolandoli al tempo stesso dal mondo circostante. Scorrendo l’opera barthesiana, troviamo inoltre una fitta serie di saggi sull’abbigliamento, la maggior parte dei quali scritti tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, anteriori dunque alle varie stesure e alla definitiva redazione del Sistema. Si tratta di una decina di articoli che permettono di comprendere meglio il lavoro di Barthes sulla semiologia dell’abbigliamento, permettendo di ricostruire con una certa facilità la genealogia del Sistema della Moda: la progressiva acquisizione di un metodo d’analisi (la semiologia), l’invenzione di un oggetto teorico dalla complessa definizione (la moda).

INTRODUZIONE

XV

5. Per quel che riguarda la questione del metodo e della teoria semiologici, in questa serie di saggi Barthes arriva a poco a poco all’idea di una scienza delle significazioni come analisi dei segni socio-culturali dell’abbigliamento, distaccandosi progressivamente da una psicologia delle motivazioni alla Kiener (che ragiona in termini di protezione, pudore e ornamento), da una psicanalisi del vestirsi alla Fliigel (che riconduce le scelte vestimentarie a una spiegazione sessuale e la moda a una

nevrosi per procura), da un’etnografia descrittiva alla Kroeber o Leroi-Gourhan (che mette in relazione for-

me vestimentarie e parti del corpo o punti d’appoggio

dell’abito), da una storiografia alla Truman o Quicherat (che studia la trasformazione delle forme vestimen-

tarie in relazione alla successione delle epoche politiche e allo Zeitgeist relativo), da una sociologia alla Spencer

(poco incline all’idea di struttura e di segno). La scienza delle significazioni nasce insomma, in Barthes, non

da una generica volontà di rinnovamento filosofico, ma come esigenza di un metodo specifico per lo studio di un oggetto specifico. Studiare il vestito significa, dice Barthes, mettere in evidenza il suo carattere al tempo stesso sociale e storico, ma soprattutto strutturale e significante. Da questo punto di vista, il vestito è dotato di tutta una serie di caratteristiche analoghe a quell’altro sistema sociale che è la lingua. Esso infatti possiede un lato istituzionale e un altro individuale, un lato

significante e uno significato, un piano paradigmatico e uno sintagmatico, un livello diacronico e un altro sincronico. Dal che si coglie molto chiaramente come la semiologia di Barthes non sia una linguistica allargata ad altri sistemi di segni, sotto l’egida di quell’interpretante generale che è la lingua. Molto diversamente, essa è il luogo in cui l’analisi di sistemi sociali apparentemente molto di-

versi trova un punto di confluenza, rintraccia cioè, al di sotto delle variabili sostanziali, le invarianti formali.

Parallelamente, sul piano dell’oggetto, Barthes osserva

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come, a partire da un fenomeno apparentemente unico,

sia possibile moltiplicarne gli aspetti a seconda del punto di vista disciplinare che lo prende in carico, del criterio di pertinenza prescelto per descriverlo. Il vestito, dice Barthes, è come il linguaggio per Saussure: una massa eteroclita al cui interno è possibile trovare di tutto; aspetti fisici, tecnologici, economici, estetici, psicologi-

ci, sociologici ecc., studiati ognuno dalla rispettiva disciplina. Questa massa eteroclita non deve essere però diluita nei vari punti di vista disciplinari che possono esaminarla, per poi sparire come oggetto unitario. Il ve-

stito — come la lingua saussuriana — può invece trovare un punto di vista interno attraverso cui descriverne, per

cosf dire, lo specifico. E cosf come il linguaggio di Saussure si divide in langue e parole, per Barthes la nozione \ di vestito va divisa - riprendendo un’osservazione pre- | sente nei Principî di fonologia di Trubezckoj — in costume e abbigliamento: da una parte una realtà istituzionale e sistematica indipendente dai singoli soggetti; dall’altra una realtà individuale, un modo personale di vestirsi e di atteggiarsi, di indossare gli abiti, valoriz-

zandone e disvalorizzandone i singoli aspetti. Da questa distinzione deriva una serie di conseguenze. Innanzitutto emerge l’idea che la differenza tra costume e abbigliamento non è ontologica ma dipende dal criterio di pertinenza prescelto per distinguere i due campi: «la larghezza delle spalle — scrive per esempio Barthes - è un fenomeno di abbigliamento quando corrisponde esattamente all’anatomia dell’individuo che indossa un certo indumento; è un fenomeno di costume

quando la sua dimensione è prescritta da un gruppo a titolo di moda» (cfr. infra, p. 17). In secondo luogo, si af' ferma il principio per cui la relazione tra abbigliamento individuale e costume sociale è — come langue e parole -

idi relazione reciproca, in cui ognuno dei due elementi

non ha senso se è privo dell’altro. Ne consegue che tra questi due elementi si dà una necessaria intercambiabi-

lità, una trasformazione dell’uno nell’altro. Da un lato

INTRODUZIONE

XVII

il costume diventa abbigliamento in tutti quei casi in cui si tende a deformare parzialmente l’istituzione sociale: hon uso dei bottoni, usura dell’indumento, dimensioni

individuali dell’abito ecc. Dall’altro lato - cosa ancora più importante - l’abbigliamento diventa costume quando determinati usi individuali (es.: il cappotto poggiato

sulle spalle), istituzionalizzandosi, diventano significa-

tivi. In terzo luogo, si sostiene che, data la relazione tra [orma istituzionale del costume (con la sua doppia faccia

signi-ficante e significata) e sostanza individuale dell’abbigliamento, a perdere progressivamente di valore è l’indumento singolo. L’indumento - ripete espressamente Barthes — non significa niente, poiché «il costume è tina sorta di testo senza fine, nel quale bisogna imparare a delimitare le unità significative» (cfr. infra, p. 34). Cosi come nel caso della /angue verbale le singole parole perdono la loro apparente caratteristica di unità per rivelarsi entità di superficie, allo stesso modo nel costume l’«arLicolo» (prodotto della tecnologia o del mercato) non ha

alcun particolare valore significativo: a essere significanti saranno ora il singolo dettaglio ricavato per prova di commutazione (quello che nel Sistema della Moda diventerà la Variante, che si collega all’Oggetto e al Supporto)

ora un vasto insieme sintagmatico (la «tenuta»). A essere messo del tutto in secondo piano, insomma, è il con-

cetto stesso di lessico vestimentario: «la semiologia del vestito non è di ordine lessicale ma sintattico. Dato che la significazione non è né motivata naturalmente né co-

dificata da una grammatica ancestrale alla maniera del costume delle antiche società orientali, siamo costretti

a cercare l’unità significativa del vestito, non negli indumenti finiti, isolati, ma in vere e proprie funzioni, opposizioni, distinzioni o congruenze, del tutto analoghe alle unità della fonologia» (cfr. infra, p. 35). Per cui: «Il giorno in cui lo studio del vestito passerà, per cosf dire, dal lessico alla sintassi è probabile che la maggior parte dei “fenomeni” raccolti dalla psicologia del vestito diverranno inutili, perché insignificanti» (cfr. infra, p. 42).

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Già da queste osservazioni emerge chiaramente come le omologie tra il sistema linguistico e quello della moda non siano casuali: dettate per esempio dall’esigenza di esportare una griglia d’analisi sperimentata (la linguistica strutturale) su un campo di studi metodologicamente

carente (la sociologia del vestito). Entrambi i sistemi poggiano su forme e procedure comuni (langue/parole, sintagma/paradigma, significante/significato, sincronia/diacronia, stratificazione di pertinenze ecc.): neces-

sitano pertanto di un punto di vista comune che ne studi somiglianze e differenze. Ora, un tale punto di vista non può che essere quello del livello gerarchicamente superiore a entrambi i sistemi, che ne permetta una comparazione coerente: la significazione. Sia la lingua sia il vestito sono sistemi di significazione. Da qui l’esigenza di una prospettiva disciplinare unitaria che li integri, quella della semiologia come analisi di quel fenomeno generale che viene chiamato, appunto, significazione. Per Barthes, la semiologia è una metodologia della ricerca sociale; non una metodologia come le altre, un modello ad boc per cogliere nel modo migliore alcuni specifici fenomeni sociali. La semiologia è una teoria necessaria al

sociologo, poiché, prima ancora di definire che cos’è un segno o come funziona, essa indica il fatto che c’è il segno, nonostante tutti gli sforzi compiuti per nasconderne la presenza. Agli occhi di Barthes non può esserci sociologia senza semiologia e, viceversa, semiologia senza sociologia: se l’oggetto della ricerca sociologica sono i processi sociali in quanto segni e discorsi, l’oggetto della ricerca semiologica sono i segni e i discorsi in quanto processi sociali. L’edificazione della semiologia, per Barthes, è legata all’acquisizione della consapevolezza del carattere strutturato e significativo degli eventi sociali, nonché del carattere sociale dei sistemi e dei processi semiotici. Una volta posto il problema della cultura di massa, l’approdo semiologico si rivela per il sociologo tanto complesso quanto necessario.

IN'T'RODUZIONE

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6. Da dove proviene allora la differenza tra lo studio ociologico del costume e lo studio semiologico della moa ? Sinora abbiamo visto come Barthes parli ben poco ‘i moda e molto di costume. Per lui, da questo punto di vista, sociologia e semiologia sono la stessa cosa. Sin qui, li semiologia barthesiana analizza l’abito concreto, non le riviste che ne parlano. Da dove derivano, perciò, la not distinzione tra le due discipline e l’esigenza compleimentare di un’analisi delle riviste di moda che troverà,

come abbiamo detto, la sua puntigliosa realizzazione nel Vistema del ’67 ? La risposta di Barthes è al riguardo molt0 precisa: tale divisione tra le due discipline assume una

funzione tattica; non viene cioè, ancora una volta, rica-

vata da un principio teorico astratto, e meno che mai da ragioni istituzionali, ma deriva da un problema pratico di analisi, dall’esigenza di superare una difficoltà incontrata nel corso dell’analisi. Di che cosa si tratta? Un’analisi sociosemiotica del costume, abbiamo detto, deve costituire un inventario delle forme vestimen-

tarie attraverso la prova di commutazione: se cambiando i significanti cambiano i significati, siamo in presenza di tratti pertinenti sul piano dell’espressione; in caso

contrario, ci troviamo dinnanzi a elementi espressivi ri-

dondanti. Ma il costume, per essere realtà sociale, non può che essere un insieme di forme che rinvia a un sistema di contenuti. E il lavoro d’inventario dei tratti significanti non porta per nulla in modo automatico a un analogo inventario dei significati, per il semplice motivo - sa Barthes con Hjelmslev — che i due piani di ogni sistema semiotico non sono conformi. Îl problema allora è: come costruire un inventario di significati? come

procedere per prova di commutazione in senso inverso, modificando sperimentalmente tratti semantici per vedere se contemporaneamente si trasformano i tratti significanti ? come è possibile articolare un campo semantico per definizione aperto qual è quello dell’intera cultura vestimentaria ?

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Il problema è analogo a quello dell’analisi linguistica: come produrre sul piano del contenuto quanto s’è già fatto sul piano dell’espressione ? come produrre una semantica analoga alla fonologia? E nota la risposta che un semiologo come Algirdas Greimas ha dato nella Semantica strutturale: basta ritagliare il «campo semantico globale» nei micro-universi chiusi che contiene in sé, e procedere all’analisi delle articolazioni interne a ogni micro-universo; fatto ciò, sarà possibile comparare le forme dei vari micro-universi, evidenziandone identità

e differenze, idiosincrasie e pertinenze. La celebre idea della narratività come ipotesi interpretativa della cultura nel suo complesso è nata come risposta a un pro-

blema metodologico concreto. E la risposta di Barthes al problema pratico dell’inventario dei tratti semantici del costume è analoga a quella data da Greimas: occorre iniziare da micro-universi chiusi, e in particolare da quel micro-universo particolare - mitico dice Barthes, memore dell’esperienza dei Miti d’oggi — che è la rivista di moda. All’interno del micro-universo prodotto da queste riviste, infatti, i significati di moda vengono nomi-

‘’nati espressamente, manifestati in superficie. Trattandosi non del costume come istituzione sociale ma della moda come mito, dunque del vestito detto, i significati vestimentari vengono regolarmente esplicitati. Cosa che rende relativamente semplice il loro inventario. | Ne deriva una presa di distanza tattica della semiologia dalla sociologia. Nei saggi precedenti all’elaborazione del Sistema, Barthes parla espressamente dell’analisi delle riviste di moda come di un semplice inizio del lavoro sul costume: la mitologia del vestito deve essere la prima tappa — non l’unica - di una semiologia vestimentaria. Inoltre, lo sdoppiamento di punto di vista - non più ricerca sociale ma ricerca mitologica — porta (coerentemente col principio epistemologico sopra enuncia-

to) a una differenza tra oggetti d’analisi. La moda delle riviste non è per nulla il costume sociale: laddove quest’ultimo è il vestito dal punto di vista dell’istituzione

INTRODUZIONE

AXI

‘ollettiva, la moda è la sua utopia, la sua mitologizza-

si0ne mass-mediatica, un vestito onirico, artificiale, che, tra l’altro, riconduce l’indumento al suo valore lessica-

le. Nelle riviste di moda l’abito ricomincia a significare ‘ome capo singolo, si pone come oggetto di valore per uin soggetto anch’esso artificiale e utopico qual è la letiricc della rivista. Cosf, la scelta di lavorare sulla moda

delle riviste e non sul vestito indossato è una scelta melodologica cui segue, e non precede, l’idea della primarietà della lingua delle didascalie sull’immagine fotogralica. La moda non è fenomeno sociale ma mitologico; ha hisogno di un discorso che, parlandola, la produca: la rivista di moda è il luogo privilegiato di questo discorso; valorizzando l’abito come utopia, lo trasforma: dal campo del costume realmente indossato lo trasporta in quello onirico della moda. 7. L’importanza di questi saggi sulla moda non si esaurisce, però, in queste riflessioni generali d’ordine metodologico e teorico. In essi c’è molto altro, che non può essere circoscritto in una, pur fondamentale, genealogia

del Sistema della Moda — e che sarà presSoché assente in quel celebre volume, Per esempio, c’è una profonda attenzione al problema della temporalità. La moda, ricorda spesso Barthes, è un problema di ritmo, di cadenza nel tempo. Di modo che diviene per esempio interessante vedere, più che le commistioni tra stili vestimentari culturalmente diversi (quali possono darsi, per esempio, nelle etnie africane invase dal colonialismo europeo), in che termini questa commistione sia legata a una

serie di contrattempi: quello che sconvolge nelle società post-coloniali non è l’introduzione di nuove forme o nuovi colori vestimentari, ma l’inoculazione dell’idea

stessa di ritmo della trasformazione vestimentaria. Per

certi versi, dice Barthes, la moda interessa più gli stori-

ci che i sociologi: essa sfugge al determinismo della storia e vive ritmi propri, sganciati dalle trasformazioni politiche, economiche, artistiche. Barthes cita spesso l’an-

XNII

GIANFRANCO

MARRONE

tropologo Kroeber, il quale aveva mostrato come, al di sotto dell’apparente casualità, sussista una specie di legge generale che regola il cambiamento dei tratti vestimentari. Esisterebbero cosf, con Braudel, diverse «du-

rate» del vestito, percepibili a partire dalle diverse di-

stanze temporali che si prendono da esso; l’evento, la congiuntura e la struttura sono presenti anche nel vesti-

to, in modo indipendente rispetto alle durate di altri fe-

nomeni storici. La moda, dice Barthes, è la durata eve-

nemenziale del vestito: «noi siamo soggetti a una sorta di illusione ottica che ci fa attribuire grande importan-

za alla variazione annuale delle forme, benché, da un punto di vista storico, queste variazioni vengano rias-

sorbite nei grandi ritmi regolari» (cfr. infra, p. 80). In questi scritti c’è anche una trattazione della moda come forma di vita. In un saggio dedicato al passaggio dall’uso dei gioielli a quello della bigiotteria, Barthes spiega per esempio che, diversamente da quanto potrebbe sembrare, gioiello e bijou non sono termini opposti: il bijou non è il simulacro del gioiello, non serve a imitare l’idea di preziosità che è insista nella mitologia del gioiello. Il bijou è risucchiato da quel complesso processo della moda che ne fa al tempo stesso il semplice elemento di una complessa tenuta e il segno fondamentale del buon gusto (o del cattivo gusto). Il bijou è il dettaglio che fa la differenza, proprio perché deve segnalare di aver superato l’idea di valore esibito propria del _ gioiello. Il buon gusto è la segnalazione del non voler segnalare paradosso tipico della moda, che sopravvive grazie alla sua costitutiva opera di naturalizzazione dei segni. La nozione di gusto si collega alla questione, trattata spesso da Barthes, dell’abbigliamento maschile, il quale, a differenza della ricchezza esplicita del vestito femminile, bara con il suo essere un’apparente uniforme borghese. La semiotica del vestito maschile si comprende sulla base delle procedure sociali della distinzione (poi

studiate da Bourdieu) che fanno del gusto individuale

U TRODUZIONE

XXIII

i11 segno della differenza sociale. Dal tema della distin-10ne maschile discende anche la questione del dandismo ‘’ della sua apparente opposizione alla moda. Laddove il ‘landismo è una procedura istituzionalizzata di produsinne dell’eccentricità, la moda è una procedura di pro‘luzione dell’originalità standardizzata. Dandismo e mo‘la sono per Barthes, da questo punto di vista, due fac‘e della stessa medaglia, perché costruiscono il paradosso ‘li una moda che produce per tutti il desiderio collettivo della massima individualità. I] luogo forse più rilevante in cui Barthes lega la moda alle forme di vita è il saggio in cui ricostruisce le opposizioni significative tra lo stile di Chanel e la moda di (ourrèges. Lo «chic» della donna di Chanel rivela il fatl0 che essa ha già vissuto (direbbero i linguisti: rivela un

tratto di «terminatività»), ma persiste in questo suo vivere elegantemente nel mondo («duratività»). Il «nuo-

vo» di Courrèges insiste invece sulla giovanilità, sull’es-

sere sul punto di vivere («incoatività»). «La moda — scrive Barthes - non è soltanto ciò che le donne indossano; è anche ciò che tutte le donne (e tutti gli uomini) guar-

dano e leggono: le invenzioni dei nostri sarti piacciono

O irritano esattamente come un romanzo, un film, un di-

sco. Proiettiamo sui tailleurs di Chanel e sui calzoncini di Courrèges tutto il fermento di credenze, pregiudizi, sentimenti e resistenze, in breve tutta quella storia di se stessi che si chiama — con una parola forse un po’ troppo semplice - il gusto» (cfr. infra, p. 88). Il problema della moda come forma di vita si lega infine alla questione del corpo, affrontata in più occasioni. Barthes ricorda come il vestito renda significanteil corpo, dunque in qualche modo lo faccia esistere, lo valorizzi dandolo a vedere o - che è lo stesso - ricoprendolo. Il vestito non nasconde né mostra: allude; non op-

prime ma valorizza; non esibisce ma semantizza. Cosi,

per esempio, la gonna corta non denuda ma «imprime in noi l’idea di un’audacia»; non mostra il corpo ma signi-

fica, da un lato, una volontà di darsi e, dall’altro, una

XXIV

INTRODUZION

possibilità di entrare in contatto con esso. La minigon na racconta una storia. Ne deriva che, per Barthes, i corpo non è un’entità naturale che preesiste al vest1to,\ il quale poi ne mette in evidenza alcuni aspetti a scapito di altri. Possedendo una sua storia e una sua geografia, dunque una socialità costitutiva, il corpo si mette i relazione con la moda in maniere talvolta molto com: plesse, costruendo al tempo stesso la sua immagine e | sua dissoluzione. Se il corpo è rivestito, lo è nel senso letterale del ter mine, ossia vestito di nuovo. La moda, coprendo il cor po, lo pone come entità naturale dal quale prendere | distanze e al contempo rivelarlo. Se la moda racconta, | sue storie sono sempre, rispetto al corpo, miti di fonda zione, narrazioni che, culturalmente, pongono una Na.

tura al di là da esse. Se si dà travestimento del corpo, esso è sempre a partire da una Natura presupposta, suppost

essere prima, ma in effetti prodotta contemporanea mente alla sua negazione. È cosi che la retorica del corpo trova la sua origine semiotica. Ed è a partire da questo meccanismo profondo che può costituirsi l’impietoso universo immaginario dove l’uniforme simbolica di Werther può opporsi ai minuscoli indumenti pruriginosamente gettati da canto delle girls del Moulin Rouge,

trovandosi in sospettosa complementarità con i corpi al

tempo stesso denudati e nascosti nei boudoir sadiani. GIANFRANCO

MARRONE

Nota bibliografica. l'utte le opere di Roland Barthes sono state raccolte nelle (Euvres ampletes, a cura di Eric Marty, 3 voll., Seuil, Paris 1993-95. Il lavaro di Barthes sulla moda sta innanzitutto in Système de la Mode, ‘wnil, Paris 1967 [trad. it. di Lidia Lonzi, Sistema della Moda, Eiiuttidi, Torino 1970]. Le tesi barthesiane sulla semiologia e sul celeIne ribaltamento di Saussure stanno negli Eléments de séemiologie, in «(ommunications» 4, 1964 [trad. it. di Andrea Bonomi, Elementi li vemiologia, Einaudi, Torino 1966; nuova edizione con un’appen-

‘lice di testi inediti in italiano, a cura di G. Marrone, Einaudi, To‘i0 2002].

La discussione intorno alla moda nell’opera di Barthes, che inevitabilmente s’intreccia con una più generale e ampia riflessione intorno alla moda e all’abbigliamento come fenomeni sociosemiotici,

vomprende ormai numerosi interventi. Fra questi, in lingua italiana,

e possibile vedere: AA.vv., Moda: regole e rappresentazioni, a cura di R. Grandi e G. Ceriani, Angeli, Milano 1995; J. BAUDRILLARD, Lo wambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 1979 (ed. orig. 1976); l’. CALEFATO, Mass Moda, Costa & Nolan, Genova 1996; ID., Moda, corpo, mito. Storia, mitologia e ossessione del corpo vestito, Castelvec-

chi, Roma

1999; ID., Lusso, Meltemi, Roma 2003; ID., «... con una

seconda nascita, la scienza di tutti gli universi immaginati» :il «Sistema della Moda» di Barthes, in Semiotica : testi esemplari, a cura di G. Ma-

netti e P. Bertetti, testo&immagine, T'orino 2003; V. CODELUPPI, Che cos'è la moda, Carocci, Roma 2003; J.-M. FLOCH, Identità visive, An-

geli, Milano 1997 (ed. orig. 1995); J. KRISTEVA, Semiotiké. Ricerche per una semanalisi, Feltrinelli, Milano 1978 (ed. orig. 1969); JU. LOTMAN, La cultura e l’esplosione, Feltrinelli, Milano 1993; G. MARRONE, Il sistema di Barthes, Bompiani, Milano 1994; 1D., Compi sociali, Einaudi, Torino 2001; U. VvoLLI, Contro la Moda, Feltrinelli, Milano

1988; 1D. Fascino, Feltrinelli, Milano 1997; 1D., Block modes, Lupetti, Milano 1998. Cfr. inoltre: 0. BURGELIN, Le double système de la mode, in «L’Arc» (1974), n. 56; 1D., Barthes et le vétement, in «Com-

munications» (1996), n. 63; E. LANDOWSKI, Presences de l’autre, Puf,

Paris 1997. L’idea della moda di strada e dello style surfing sta in T.

IL SENSO DELLA MODA

Strip-tease 1

Lo strip-tease — almeno lo strip-tease parigino - pog-

ia su una contraddizione: desessualizzare la donna nel

inomento stesso in cui la si spoglia. Si può dire perciò vhe si tratta in un certo senso di uno spettacolo della pauì, o piuttosto del «Fammi paura», come se l’erotismo si arrestasse a una sorta di delizioso terrore di cui basta annunciare i segni rituali per provocare l’idea di sesso e insieme la sua esorcizzazione. Solo la durata del denudamento pone il pubblico come voyeur; ma come in qualunque spettacolo mistificante, lo scenario, gli accessori e gli stereotipi vengono a contrastare la provocazione iniziale del proposito e finiscono per inghiottirla nell’insignificanza: si ostenta il male per meglio ostacolarlo ed esorcizzarlo. Lo strip-tease {rancese sembra procedere da quella che, in queste stesse pagine, ho chiamato l’operazione Astra, procedimento di mistificazione che consiste nel vaccinare il pubblico con una punta di male per poi meglio immergerlo in un Bene Morale, ormai immunizzato: alcuni atomi di

erotismo, designati dalla situazione stessa dello spetta-

colo, sono infatti assorbiti in un rituale rassicurante che

cancella l’elemento carnale con tanta certezza quanto il vaccino o il tabti bloccano e frenano la malattia o l’errore. Si avrà cosi nello strip-tease tutta una serie di coperture apposte sul corpo della donna via via che ella finge di spogliarlo. L’esotismo è la prima di queste distanze, perché si tratta sempre di un esotismo stereotipato che allontana il corpo nel favoloso o nel romanzesco: cinese

4

IL SENSO

DELLA

MODA

munita di una cannuccia da oppio (simbolo obbligato del-

la sinità), vamp ondulante dal bocchino gigantesco, sce-

nario veneziano con gondola, vestito èà paniers e cantore

di serenate, tutto ciò mira a porre la donna, sin dall’ini-

zio, come oggetto travestito; il fine dello strip non è pid allora quello di portare alla luce una profondità segreta, ma, attraverso l’eliminazione di un vestimento barocco

e artificiale, di significare la nudità come abito naturale della donna, che equivale a ritrovare in fondo uno stato perfettamente pudico della carne.

Gli accessori classici del varietà, mobilitati senza ec-

cezione, allontanano anch’essi in ogni momento il corpo svelato, lo respingono nel comfort avvolgente di un

noto rituale: le pellicce, i ventagli, i guanti, le piume, le

calze a rete, in una parola tutta la sfera dell’abbigliamento, inducono incessantemente a reintegrare nel corpo vivente la categoria degli oggetti di lusso che circondano l’uomo di un magico scenario. Piumata o inguantata, la donna si impone qui come elemento stereotipato di varietà, e spogliarsi di oggetti cosf rituali non ha nulla di un nuovo denudamento: la piuma, la pelliccia e il guanto continuano a impregnare la donna della lJoro magica virtti anche una volta tolti, le costituiscono come il ricordo avvolgente di un lussuoso guscio, perché è una legge evidente che tutto lo strip-tease sia già presente nella natura dell’abbigliamento iniziale: se questo è improbabile, come nel caso della cinese o della donna impellicciata, il nudo che gli succede resta anch’esso irreale, liscio e chiuso come un bell’oggetto sfuggente, astratto per la sua stessa stravaganza dalla consuetudine umana: la significazione profonda del sesso di diamante o di scaglie è il fine stesso dello strip-tease: quell’ultimo triangolo, per la forma pura e geometrica, per la materia brillante e dura, spranga il sesso come una spada di purezza e respinge definitivamente la donna in un universo mineralogico, la pietra (preziosa) costituendo qui il tema irrefutabile dell’oggetto totale e inutile. Contrariamente al pregiudizio corrente, la danza, che

.I'RIP-TEASE 1

5

ivcompagna lo strip-tease in tutta la sua durata, non è per niente un fattore erotico. Probabilmente è addirittura il contrario: l’ondulazione debolmente ritmata serve a scongiurare il timore dell’immoralità: non solo dà illo spettacolo la cauzione dell’Arte (le danze del varietà

0no sempre «artistiche»), ma soprattutto costituisce la

chiusura ultima, la più efficace: la danza, fatta di gesti rituali, vista mille volte, agisce come un cosmetico di mo-

vimenti, nasconde la nudità, sommerge lo spettacolo sotl la velatura di gesti inutili e tuttavia primari, perché il

«enudamento è relegato al rango di operazioni parassi-

Iarie, compiute in una lontananza improbabile. Cosi si vedono le esperte dello strip-tease avvilupparsi in un agio iniracoloso che le veste incessantemente, le distanzia, dà

loro l’indifferenza glaciale delle abili professioniste, rilugiate con alterigia nella certezza della loro tecnica: la

loro scienza le veste come un abito.

Tutto ciò, tale minuziosa esorcizzazione del sesso, può verificarsi a contrario nei «concorsi popolari» (sic) di strip-tease per dilettanti: in questi, delle «esordienti» si svestono davanti ad alcune centinaia di spettatori senza ricorrere o ricorrendo malamente alla magia, il che ristabilisce incontestabilmente il potere erotico dello spettacolo: qui, in partenza, molte meno cinesi o spagnole, niente piume o pellicce (rigidi abiti a giacca, mantelli da città), pochi travestimenti originali; passi goffi, danze insufficienti, la ragazza insidiata continuamente dall’immobilità, e soprattutto una difficoltà «tecnica» (resistenza dello slip, del vestito, del reggiseno) che dà ai gesti del denudamento un’importanza inattesa, rifiutando alla donna l’alibi dell’arte e il rifugio dell’oggetto, costringendola in una condizione di debolezza e spaurimento.

Tuttavia, al Moulin Rouge, si delinea un’esorcizza-

zione d’altra sorta, forse tipicamente francese, esorciz-

zazione che del resto mira più ad addomesticare l’erotismo che ad abolirlo: il presentatore tenta di dare allo

strip-tease uno statuto piccolo-borghese rassicurante. In

6

IL SENSO DELLA MODA

primo luogo lo strip-tease è uno sport: c’è uno Strip-tea-

se Club, che organizza sane competizioni le cui laureate escono coronate, ricompensate da premi edificanti (un

abbonamento a lezioni di educazione fisica, un romanzo, che può solo essere il Voyeur di Robbe-Grillet), o uti-

li (un paio di calze di nailon, cinquemila franchi). E poi,

lo strip-tease è assimilato a una carriera (esordienti, se-

miprofessioniste, professioniste), cioè all’esercizio onorato di una specializzazione (le stripteaseuses sono operaie qualificate); si può perfino dar loro il magico alibi del lavoro: la vocazione: una data ragazza è «sulla buona strada» o «sulla via di tener fede alle promesse», o al contrario «fa i suoi primi passi» nell’arduo cammino dello strip-tease. Infine, soprattutto, le concorrenti sono socialmente a posto: una è commessa, un’altra segretaria (ci sono molte segretarie allo Strip-tease Club). Lo striptease, qui, reintegra la sala, si familiarizza, s’imborghesisce, come se i francesi, a differenza dei pubblici americani (almeno a quanto si dice), e seguendo una tendenza irreprimibile del loro statuto sociale, non potessero concepire l’erotismo se non come una proprietà domestica,

consacrata dall’alibi dello sport settimanale molto più che dallo spettacolo magico: è cosf che in Francia si nazionalizza lo strip-tease.

Storia e sociologia del vestito*

Sino all’inizio del x1x secolo non c’è stata, in senso stretto, nessuna storia del costume, ma soltanto studi

d’archeologia antica o inventari di abiti ricostruiti sulla base delle loro qualità!. In origine, la storia del costume è stata un fenomeno essenzialmente romantico, ora per fornire agli artisti (pittori o uomini di teatro) gli elementi figurativi del «colore locale» necessario alle loro opere, ora per stabilire un’equivalenza tra la forma vestimentaria e lo «spirito generale» di un tempo o di un luogo (Volkgeist, Zeitgeist, Spirit of the Time, carattere morale, atmosfera, stile ecc.). I lavori propriamente scientifici sul costume sono apparsi verso il 1860; sono studi di eruditi, di archivisti come Quicherat, Demay o Enlart’, ge-

neralmente medievisti; il loro obiettivo principale era quello di trattare sia il costume (in quanto somma di capi d’abbigliamento) sia il singolo indumento come una sorta di evento storico di cui occorreva innanzitutto datare l’apparizione e darne l’origine circostanziale. Questo tipo di lavori prevale ancor oggi, nella misura in cui continua a ispirare le innumerevoli divulgazioni storiche *_Hlistorie et sociologie du vétement, in « Annales», luglio-settembre 1957, n. 3. ! È possibile trovare una lista di questi lavori (divisi per secoli) in r. co-

LAS, Bibliographie générale du costume et de la mode, 2 voll., Librairie Colas,

Paris 1932-33, t. II, pp. 1412 sgg., e in C. ENLART, frangaise, Picard, Paris t916, t. III, p. xx1.

Manuel d’archéologie

2 . QUICHERAT, Histoire du Costume en France, Hachette, Paris 1875; c. ENLART, Manuel d’archéologie frangaise cit.; G. DEMAY, Le Costume au moyen dge, d’après les sceaux, Dumoulin et Cie, Paris 1880.

8

IL SENSO DELLA MODA

che si moltiplicano parallelamente allo sviluppo del mito commerciale della moda. La storia del costume non

ha beneficiato del rinnovamento degli studi storici so-

pravvenuto in Francia da una trentina d’anni: le manca

la dimensione economica e sociale della storia, le man-

cano i rapporti tra vestito e fenomeni di sensibilità (definiti da Lucien Febvyre), le manca l’esigenza di una comprensione ideologica del passato (postulata dagli storici marxisti), le manca insomma tutta la prospettiva istituzionale relativa al costume; lacuna tanto pit paradossale quanto pit il vestito è, se si vuole, un oggetto al con-

tempo storico e sociologico. Cosi, le insufficienze delle storie del costume sino a

oggi pubblicate sono innanzitutto le stesse di qualsiasi storia storicizzante. Ma lo studio del vestito pone un problema epistemologico particolare, che qui si vorrebbe quanto meno indicare: è il problema posto dall’analisi di qualsiasi struttura, a partire dal momento in cui

essa deve essere colta nella sua storia, senza tuttavia far-

le perdere la sua costituzione di struttura: il vestito è certamente, in qualsiasi momento della storia, quell’equili-

brio di forme normative il cui insieme, tuttavia, è co-

stantemente in divenire. Le storie del costume hanno risolto questo problema

nella confusione. Dovendo lavorare su forme, esse han-

no cercato di inventariare differenze: alcune interne al

sistema vestimentario stesso (cambiamenti di linea); altre, esterne, mutuate dalla storia generale (epoche, pae-

si, classi sociali). L’insufficienza delle risposte è generale, tanto a livello dell’analisi quanto a quello della sintesi.

Sul piano della differenziazione interna, nessuna storia del costume si è finora preoccupata di definire quale potrebbe essere, in un dato momento, un sistema vestimentario e l’insieme assiologico (costrizioni, interdizioni, tolleranze, aberrazioni, fantasie, congruenze ed

esclusioni) che lo costituisce; gli archetipi che ci vengo-

no mostrati sono puramente grafici, rientrano cioè nel-

Sl'ORIA

E SOCIOLOGIA

DEL

VESTITO

Ò

l'ordine estetico, non sociologico’; inoltre, a livello del

singolo indumento, nonostante la serietà degli inventari, l’analisi resta confusa. Da un lato, la soglia qualitativa a partire dalla quale un indumento cambia forma o lunzione è raramente precisata; in altri termini, l’ogget-

lo della ricerca storica rimane ambiguo: quando un indumento cambia veramente; come dire: quando si può parlare effettivamente di storia‘? Dall’altro lato, la posizione del singolo indumento sull’asse orizzontale del

corpo (gradi d’esteriorità) è analizzato in maniera trop-

po vaga, di modo che il complesso gioco di biancheria, abiti e soprabiti non è mai analizzato nella sua legalità”. La differenziazione esterna può sembrare pit solida, poiché riceve l’ausilio di una Storia generale alla quale siamo abituati. Tuttavia, anche a questo livello l’insuflicienza è notevole, altrettanto significativa delle difficoltà epistemologiche appena segnalate. Geograficamente, le storie del costume non hanno tratto alcun giovamento dalla legge che gli studiosi hanno stabilito a

proposito dei fenomeni di folklore: ogni sistema è regionale o internazionale, mai nazionale‘; infatti, il mo-

do in cui il costume viene ricostruito geograficamente viene sempre legato alla moda della leadership aristocratica, anche quando questa leadership è stata rimpiazzata a livello politico o, per quel che riguarda la Francia, a li-

vello europeo. Socialmente, del resto, le storie del co-

stume si occupano quasi soltanto del costume regale o ’ 1 disegni migliori, dato che si presentano apertamente come schemati-

ci, sono quelli di N. TRUMAN, Historic Costuming, Pitman, London

* La storia della lingua in questo caso ci un capo pùò cambiare nome senza cambiare può cambiare funzione senza cambiare nome. stito è ancora molto frammentaria (cfr. A. J.

1936.

soccorre debolmente: non solo funzione, ma, al contrario, esso Del resto, la lessicologia del veGREIMAS, La Mode en 1830, tesi

dattiloscritta, 1949 [ora Puf, Paris 2000], e E. R. LUNDQUIST, La Mode et son

vocabulaire, Gòteborg 1950). ’ ° Sarebbe il caso di inventariare tutti gli spostamenti dei capi. Potrebbe derivarne una legge, secondo la quale il capo interno sembra costantemente spingersi verso l’esterno. Sinora, soltanto gli psicanalisti se ne sono occupati. ’

6 A. VARAGNAC, Définition du Folklore, Soc. d’ed. géogr., maritimes et co-”

loniales, Paris 1938, p. 21.

IO

IL SENSO

DELLA

MODA

aristocratico; non solo la classe sociale viene ridotta a

una «immagine» (il signore, la dama ecc.) privata del suo contenuto ideologico’, ma, per di pitù, al di là delle clas-

si improduttive il costume non è mai stato messo in re-

lazione con il lavoro svolto da chi lo indossa: viene cosi passato sotto silenzio tutto il problema della funzionalizzazione del vestito. Infine, storicamente, la periodizzazione è costruita in modo troppo ristretto. Sono note

le difficoltà poste da qualsiasi periodizzazione storica*?; Lucien Febvre ha proposto di sostituire all’uso di una doppia datazione (iniziale e finale) l’uso di una sempli-

ce datazione centrale; questa regola sarebbe ancora più

auspicabile nella storia del costume, poiché il momento dell’inizio e della fine di una moda vestimentaria (nel senso pid ampio del termine) non è sempre ben definito nel tempo. In ogni caso, se pure è possibile datare l’apparizione di un indumento pressappoco in certo anno, ritrovandone l’origine circostanziale, è del tutto abusivo confondere l’invenzione di una moda con la sua ado-

zione, ed è ancora pit abusivo assegnare a un indumento una fine rigorosamente datata; tuttavia gli storici del costume fanno più o meno questo, affascinati Hiella maggior parte dei casi dal prestigio cronologico di un regno o dalla singola porzione politica di quel regno. Il Re resta magicamente investito di una funzione carismatica: lo si considera, per essenza, come il Portatore del Vestito.

Queste sono le principali lacune delle descrizioni differenziali presenti nelle storie del costume. Ma si tratta di insufficienze che una visione un po’ più ampia della storia potrebbe correggere. Il problema è invece più gra’ L’apparizione dell’inganno vestimentario, alla fine del xv secolo, può essere compreso solo se lo si collega organicamente a una trasformazione ideologica della funzione dell’«apparire» sociale; lo stesso J. QUICHERAT (Histoire du Costume en France cit., p. 330) non ha esitato a metterlo in rapporto con la nascita del capitalismo; ma questo genere di osservazione è niswlto raro. ® L. FEBVRE, Le problème des divisions en bistoire, in «Bulletin du Centre

International de Synthèsc historique», dicembre 1926, n. 2, pp. 10 sgg.

STORIA

E SOCIOLOGIA

DEL

VESTITO

II

ve, in quento pitù specifico, per quel che riguarda l’erro-

re fondamentale di tutte le storie del costume, ossia il

fatto di confondere senza alcuna precauzione metodologica i criteri interni e i criteri esterni di differenziazione. L’indumento è sempre implicitamente concepito come il significante particolare di un significato generale che gli è esterno (epoca, paese, classe sociale); ma, senza alcun preavviso, lo storico si occupa ora della storia

del significante (evoluzione delle linee) ora quella del si-

gnificato (regni, nazioni). Tuttavia, queste due storie non seguono necessariamente lo stesso tempo. In primo luogo, per il fatto che la moda può senz’altro produrre un proprio ritmo”: c’è una relativa indipendenza dei cambiamenti di forma rispetto alla storia generale in cui si inscrivono, nella misura stessa in cui la moda dispone di un numero /inito di forme archetipe; il che implica, alla fin fine, una storia parz1almente ciclica'. In secondo luo-

go, perche la storia è composta, per definizione, da un «tempo sociale a mille velocità e a mille lentezze» (Brau-

del). Di conseguenza, i rapporti tra il significante e il si-

gnificato vestimentari non possono mai essere dati in

modo semplice e lineare.

E necessario aggiungere che le «Psicologie» del ve-

stito, diffuse nel mondo anglosassone, non sono per noi di grande aiuto? Esse infatti lasciano intatta la maggiore difficoltà metodologica: quella di mescolare una storia e una sociologia del costume. Si è molto discusso sulle motivazioni dell’abbigliamento, soprattutto dal punto di vista f110genet1co cosa che ricorda le discussioni spesso vane sull’origine del linguaggio. Perché l’uomo si veste ? È stata soppesata la rispettiva importanza dei tre

” Sulla regolarità profonda dei ritmi della moda, cfr. J. RICIHHARDSON e A. 1.. KROEBER, Three Centuries of Women's Fashions, a quantitative Analysis, Univ. of California Press, 1940. '° Îl ritorno di certe forme a distanza di secoli ha indotto alcuni autori a collocare il costume nella prospettiva di una sorta di antropologia universale. Cfr. a questo proposito R. BROBY-JOHANSEN, Kropp och Klader, Copenaghen 1953, € B. RUSOFSKY, Are Clotbes modermn?, Paul Theobald, Chicago 1947.

I2

IL SENSO

DELLA

MODA

seguenti fattori: protezione, pudore, ornamento'!. Sof-

fermandosi soprattutto sul rapporto fra ornamento e pro-

tezione, e citando l’autorità di alcune osservazioni et-

nografiche (certi popoli a clima rigido, come gli indigeni

della Terra del Fuoco, pensano a ornarsi, non a proteggersi) o di alcuni tratti della psicologia infantile (il bam-

bino si agghinda e si traveste, non si veste), è stato pos-

sibile stabilire che il movente dell’ornamento, fosse di

_ gran lunga il più 1mportante si è anche voluto riservare il termine «vestito» a ciò che riguarda la protezione e il termine parure a ciò che riguarda l’ornamento. Sembra che tutte queste discussioni siano vittime di un’illusione «psicologica»: quella di voler definire un fenomeno sociale qual è il vestito attraverso la somma di un certo numero di istinti concepiti su un piano strettamente individuale, semplicemente «moltiplicati» sulla scala del gruppo: problema che la sociologia vuole appunto superare" Infatti, ciò che deve interessare lo studioso, storico

o sociologo, non è il passaggio (illusorio) dalla protezione alla parure, ma la tendenza di qualsiasi «copertura» corporale a inserirsi in un sistema formale organizzato, normativo, consacrato dalla società. I primi soldati romani che si sono gettati sulle spalle una coperta di lana per proteggersi dalla pioggia compivano

un atto di pura protezione; ma non appena materia, forma e uso sono stati, non tanto abbelliti, ma semplice-

mente regolamentati da un gruppo sociale definito (per esempio, di schiavi della società gallo-romana intorno al 11 secolo), il capo d’abbigliamento s’è.integrato nel sistema, l’indumento è diventato costume (penaula) sen-

'! Per questa discussione, cfr. soprattuttoJ. C. FLÙGEL, The Psychology of

Clothbes, Hogarth Press, London 1950, cap. 1 [trad. it. F. Angeli, Milano 2004], e t1. e M. 1HILER, Bibliograpby of Costume, 1Ì. W. Wilson Co., New York 1939*, prefazione. Sul motivo del pudore, oltre alle opere citate, cfr. p. BINDER, M4u/fs and Morals, G. G. IHarrap, London 1953, e E. PETERSON, Pour une théologie du vétement, Ed. de l’Abeille, Lyon 1943. l2 G. GURVITCH, La vocation actuelle de la Sociologie, Puf, Paris 1950, cap. 1.

STORIA

E SOCIOLOGIA

DEL

VESTITO

13

za che si potesse trovare in questo passaggio nessuna

traccia di finalità estetica. A fondare il costume non sono le variazioni della sua quota utilitaria e decorativa, ma l’ appropr1az1one di una forma o di un uso da g_1g15

Che una donna metta un f10re tra i capelli ri-

mane un fenomeno di parure puro e semplice, mentre il contesto d’uso (corona da sposa) e la collocazione (fio-

re all’orecchio nel costume gitano) sono state regola-

mentate dal gruppo sociale stesso: è soltanto allora che il fenomeno di parure diventa fenomeno di costume. Questa sembra una prima verità. Si è visto tuttavia che i lavori dedicati al costume, siano essi storici o psicologici, non hanno mai realmente inteso il costume co-

me sistema, ossia come una struttura i cui elementi, di

per sé privi di valore, risultano significanti solo in quanto legati da un insieme di norme collettive. Certo, sono state individuate alcune linee e certe forme archetipe, soprattutto sul piano grafico. Ma il sistema non ha nulla a che vedere con una Gestalt; esso è essenzialmente definito da legami normativi che giustificano, obbliga-

no, interdicono o tollerano, in una parola regolano l’assortimento degli indumenti su un concreto individuo

che li indossa, colto nella sua natura sociale e storica: è

un valore. Dunque, l’indumento deve.essere descritto espressamente a livello della società, non in termini di forme estetiche o di motivazioni p31colog1che ma in termini di istituzione; lo storico e il sociologo non devono

limitarsi a studiare gusti, mode o comodità; devono semmai inventariare, coordinare e spiegare le regole di as-

sortimento o di uso, le costrizioni e le interdizioni, le licenze e le deroghe; devono inventariare, non «immagini» o tratti di costume, ma rapporti e valori; è questa

la condizione preliminare a qualsiasi relazione fra il ve-

’ E evidente che piùd la fabbricazione è standardizzata, più il sistema vestimentario è forte. Cfr. a questo proposito le osservazioni di G. FRIEDMANN sulle industrie dove si fabbricano gilè e giacche, in Le Travail en miettes, Gal-

limard, Paris 1956, pp. 29 sgg.

I4

.

IL SENSO

DELLA

MODA

stito e la storia: sono proprio questi legami normativi a

essere in ultima istanza veicoli di significazione. Il costume è essenzialmente un fenomeno di ordine assiolo-

gico. Probabilmente, le difficoltà dei nostri autori nel trat-

tare il costume come sistema possono essere spiegate dal fatto che non è facile seguire l’evoluzione di una struttura nel tempo, la successione continua di equilibri, i cui elementi si modificano in modo ineguale. Questa difficoltà è già stata incontrata, e in parte risolta, almeno da un’altra scienza: la hngu1st1ca Da Sag_ggure in po1 sappiamo che il linguaggio, cosf come il vestito, è al contempo sistema e storia, atto individuale e istituzione collettiva. Linguaggio e vestito sono, in qualunque momento della storia, strutture complete, organicamente

costituite da una rete funzionale di norme e di forme; la

trasformazione o lo spostamento di un elemento possono modificare l’insieme, produrre una nuova struttura: abbiamo a che fare con equilibri sempre in movimento,

con istituzioni in divenire. Senza qui voler entrare nel-

la querelle dello strutturalismo, è impossibile negare l’identità del problema centrale. Il che non vuol dire che questo problema possa ricevere soluzioni identiche in entrambi i casi. Dalla linguistica contemporanea ci possiamo quanto meno attendere che fornisca allo studio

del costume alcuni schemi, materiali e termini di rifles-

sione già elaborati da una cinquantina d’anni. Occorre dunque esaminare rapidamente l’incidenza metodolog1ca dei modelli saussuriani sullo studio del vestito". “

F. DE SAUSSURE, Coaurs de linguistique géneérale, Payot, Paris 1916 [trad. it. Corso di linguistica generale, Laterza, Bari 1967]. Si preferirà qui la formulazione saussuriana dello strutturalismo rispetto a quella, più ristretta, dei suoi epigoni della scuola di Praga; quella di Saussure è una formulazione più storica, molto pit vicina al durkheimismo. Quanto alla possibilità di estrapolare il saussurismo a vantaggio di discipline diverse dalla linguistica, questa possibilità è già implicita nel saussurismo stesso, che è fondato su un postulato epistemologico generale.

STORIA

E SOCIOLOGIA

DEL

VESTITO |

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I. «Langue» e «parole», costume e abbigliamento. È noto che per Saussure il l1nguagg10 umano può es‘sere stugdiato,.sotto due a.spett1 queflo della langue e quel

lo della parole. La langue è un’istituzione sociale, indi-

‘pendentedall’individuo, è una riserva normativa alL;n-\ terno della qualeΰ individuo pone la propria parole; è +

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«un sistema virtuale che si attualizza solo dentro e at-

traverso la parole». La garole è un atto individuale,

«una:

manifestazione attualizzata della funzione del hnguag gio», intendendo il termine «linguaggio» come un termine generico che comprende la langue e la parole”. Ora, riguardo al vestito; sembra estremamente utile d13t1nguere analog_amente una realtà, che proponiamo di chiamare «costume», corrispondente alla /angue di Saussure,

e.una seconda realta, che proponiamo di chiamare « gb.,,,.

bigliamento», corrispondente alla parole di Saussure. La prima è una realtà istituzionale, essenzialmente sociale, indipendente dall’individuo, una sorta di riserva siste-

matica, normativa, all’interno della quale il singolo or-

ganizza la propria tenuta; la seconda è una realtà individuale, vero e proprio atto del «vestirsi», attraverso il quale l’individuo attualizza su di sé l’istituzione generale del

costume. Costume e abbigliamento formano un insieme

generico, al quale proponiamo di riservare ormai il nome

‘di «vestito»:{corrispondente al «linguaggio» di Saussure). Bisogna ovviamente evitare di spingere l’analogia in maniera sconsiderata. Soltanto un’opposizione funzio‘ nale dei due piani può avere una validità metodolog1ca Essa è stata intravista proprio a proposito del vestito da Trubeckoj, che ha stabilito un parallelo fra i compiti della fonetica e della fonologia e quelli della descrizione vestimentaria"‘. L’opposizione costume/abbigliamento - può '3 S. ULLMANN, Preécis de séemantique frangaise, Puf, Paris 1952, p. 16.

16 N. S. TRUBECKO], Fondamenti di fonologia, 1939 [trad. it. Einaudi, To-

rino 1971].

16

IL SENSO DELLA MODA ......

rgtter1zzando fortemente il costume come un ’istituziane, e separando questa istituzione dagli atti concreti e_ 1nd1v1duah con i quali, per cosi dire, essa si realizza, rie- _ sce possibile ricercare e mettere in luce le componenti sociali del costume (gruppi d’età, sesso, classi, gradi di cultura, localizzazioni), mentre l’abbigliamento resta un

fenomenompirico, essenzialmente sottomesso a un approccio fenomenolog1co il grado di disordine o di sporcizia di un vestito indossato, per’esempio, è un fenome-

no di abbigliamento, non ha valore sociologico, a meno che disordine e sporcizia funzionino come segni intenzionali (in un costume di scena); viceversa, un fenomeno apparentemente poco importante, come il marchio che in una determinata società differenzia l’indumento delle donne sposate da quello delle donne non sposate, è un fenomeno di costume, e ha quindi un forte valore sociale.

è costituito dal modo perIl fenomeno di abbigliamenta sonale con cui un individuo indossa (o mal indossa) il co-

stume che gli viene proposto dal suo gruppo di apparte-

nenza. Esso può avere un significato morfologico, psico-

logico o circostanziale, ma non sociologico” fenomeno Il co_jme…nlngget!;o di propr10 della ricerca socfìèg_1_c_:g Q storica. E abbiamo già avuto modo di segnalare P 1mportanza della nozione di «sistema vestimentario »'*

!1 A titolo d’ipotesi di lavoro, proponiamo di classificare i fenomeni di abbigliamento nel seguente modo: r) dimensioni individuali del vestito, in funzione della taglia di chi lo indossa; 2) grado e particolarità dell’usura, del disordine o della sporcizia; 3) carenza parziale, assenza di capi; 4) non uso (bottoni non abbottonati, maniche non infilate ecc.); 5) protezione pura, non formalizzata (vestito improvvisato); 6) scelta dei colori (a eccezione dei colori ritualizzati: lutto, matrimonio, uniformi, tartan ecc.); 7) derivazioni cir-

costanziali d’uso di un capo; 8) gesti d’uso non stereotipati, propri di chi lo indossa; 9) anomalie o deroghe al fenomeno di costume. !8 È possibile proporre le seguenti precisazioni: - Capi: 1) Forme, sostanza o colori formalizzati o ritualizzati; 2) usi circostanziali (issi; 3) gesti stereotipati; 4) modalità consacrate del modo di indossare un abito; 5) distribuzione degli elementi accessori (tasche, bottoni ecc.).

STORIA

E SOCIOLOGIA

DEL

VESTITO

I7

Fenomeni di costume e fenomeni di abb1ghamento

possono talvolta apgareìîtemente coincidere, ma non è difficile ristabilire ogni volta la distinzione: la larghezza delle spalle, per esempio, è un fenomeno di abbigliamento quando corrisponde esattamente all’anatomia dell’individuo che indossa un certo indumento; è un feno-

meno di costume quando la sua dimensione è prescritta da un gruppo a titolo di moda E evidente che tra l’abbigliamento e il costume c’è un movimento incessante, uno scambio dialettico, che è stato definito - a proposito della langue e della parole — come una vera e propria prassi”. Per il soc1ologo la cosa più importante è senz’altro il passaggm dall’abbigliamento. al costume. Questo passaggio può essere colto nell’allargamento numerico dei fenomeni di abbigliamento (all’esplicita condizione che questo allargamento possa esser definito come un fenomeno di adozione), o ancora nell’iniziativa tecnologica del fabbricante di vestiti o della sua impresa. Per esempio, il fatto di portare il cappotto sulle spalle, con le maniche pendent1 diventa un fenomeno di costume nel momento in . cui: 1) una comunità ne fa una marca distintiva imposta a tutti i suoi membri (Fratelli delle scuole cristiane); 2) il fabbricante dota i cappotti confezionati

di flange interne per passare le braccia e trattenere il capc potto senza blsogno di infilare le maniche (sistema inglese). Occorre notare che un fenomeno d’abbigliamento inizialmente costituito da uno stato degradato del costume può trasformarsi di nuovo in fenomeno di costume secondario, a partire dal momento in cui la degradazione funziona come segno collettivo, come valore: per 1L - Sistemi di assortimento: 1) sistema globale apparente («tenuta»); 2) si-

stema parziale che forma un’unità d’uso o di significazione; 3) incompatibi-

lità dei capi; 4) congruenza dei capi; 5) gioco di apparizione dell’esterno e del-

l’interno; 6) fenomeno di abbigliamento ricostruito artificialmente a fini si-

gnificativi e all’uso di un gruppo (costumi di teatro, cinema ecc.).

9 Cfr. A. J. GREIMAS, L'actualité du saussurisme, in «Le francais moderne», luglio 1956 [trad. it. L’attualità del saussurismo, in Miti e figure, Esculapio, Bologna 1995].

I18

IL SENSO

DELLA

MODA

esempio, il costume può implicare in origine l’uso di tutti i bottoni della camicia; poi, un certo abbigliamento eviterà di abbottonare i due bottoni superiori; questa ca-

renza ridiventerà essa stessa un fenomeno di costume, a

partire dal momento in cui verrà costituita a norma da un gruppo determinato (dandismo). € La moda èsempre un fenomeno di costume; ma la sua origine può rappresentare l’uno o l’altro movimento. ‘Talvolta la moda è un fenomeno di costume elaborato artificialmente da alcuni specialisti (per esempio, l’alta sartoria), talaltra essa si costituisce attraverso la_propagazione di un semplice fenomeno di abbigliamento. riprodotto su scala collettiva per ragioni diverse”. Sembra che nell’epoca attuale il primo proced1mento (dispersione del fenomeno di costume in fenomeno di abbigliamento) sia soprattutto frequente nella moda femminile, mentre il secondo (allargamento di un fenomeno di abbigliamento in fenomeno di costume), se stiamo attenti ai dettagli del vestito, si trovi soprattutto nella moda maschile (è ciò che potremmo chiamare la «brumellizzazione» della moda).

Bisognerebbe studiare questa serie di fenomeni con grande attenzione. Ma ciò che sin d’ora è possibile prevedere.è Chfiil_rgppg:to,fra abbigliamento e costume è

diord1ne semantico: la s1gmf1caz1one del vestito cresce

progressivamente nel passaggio dall’abbigliamento al costume: l’abbigliamento è debolmente 31gn1f1cat1vo esprime pid che notificare; il costume invece è fortemente significante, costituisce una relazione intellettuale, notificatrice, tra l’indossatore e il suo gruppo. 0 La mannequin o la cover-girl rappresentano una sintesi molto stretta {ra un fenomeno di abbigliamento e un fenomeno di costume: nel vestito di collezione ci sono infatti tracce dell’abbigliamento (dimensioni dell’indossatorc), ma queste tracce sono infime, poiché la finalità stessa dell’abbigliamento è in questo caso quella di presentare un costume.

STORIA

2.

E SOCIOLOGIA

DEL

VESTITO

IO

Diacronia e sincronia.

Abbiamo già segnalato che bisogna d1_s__t1__guere nel co-

stume il piano sincronico (o sistematico) dal piano dia-

cronico (o processualel Anche in questo caso, il proble-

ma magg10re è quello di cogliere; in una vera e propria

sintesi dialettica, il rappotto del sistema con il processo.

’George H. Darwm _ nipote di Charles Darwin, ha in

qualche modo intuito questo problema nel momento in

una specie*!, In effetti, il problema non può essere risolto sino a che non si è definito il sistema attraverso criteri interni, cosa che gli storici del costume non hanno ancora fatto. La linguistica, dal canto suo, sta attualmente lavorando per chiarire i rapporti fra la sincronia

e la diacronia, senza ancora esserci del tutto riuscita; a maggior ragione la scienza del costume, che non è ancora costituita, è ben lontana dall’essersi anche semplice-

mente accostata ai dati relativi alla questione. E possibile comunque proporre due precauzioni metodologiche per questo sforzo di spiegazione finale, al contempo strutturale e storico, ispirandosi già da adesso all’esperienza della linguistica. Bisogna innanzitutto accettare di ammorbidire la nozione di sistema, e pensare le strutture più in termini di tendenze, forse, più che in termini di rigorosi equilibri; il costume vive in stretta simbiosi cop.il suo ambiente storico,

molto p1u pi

della lingua; episodi storici violenti (guerre, esod1, rivo-

luzioni) possono rompere_rapidamente.un sistema; ma

anche, diversamente dalla lingua, la ricostituzione del sistema è molto più veloce. Sarà inoltre consigliabile non

reintrodurre, nel divenire delle forme vestimentarie, de-

!! G. H. DARWIN, Development in Dress, in «Macmillan’s Magazine», set-

tembre 1872.

20

IL SENSO

DELLA

MODA

terminismi esterni, prima di aver censito tutti i fattori

interni che, nel sistema stesso, preparano quanto meno

una parte della sua evoluzione” 3- Sigm'fz'cato e significante.

\Saussure ha postulato, come si sa, una scienza delle

g_g_1f1caz10111 sotto il nome di «sem1olog1a» di cui la se-

mantica hngu15,t_1.ca non sarebbe che una parte. Va da sé ‘che il vestito — irriducibile a una funzione protettiva e ornamentale - è un. campo semiologico privilegiato: possiamo dire che a fondare. il vestito come fenomeno so“ciale totale è la sua funzione significante. R1prendeìào Je osservazioni di M. I. Meyerson sul segno”, distinguiamo, peril vestito, tra fenomeni indiziari e fenomenisignificanti (o di not1f1caz1one)

i

a) Fenomeni indiziari. L’indice si produce al di là di ogni intenzione o comportamento mirante a uno scopo.

Îl rapporto che molti storici hanno stabilito tra il costume e lo «spirito» di un’epoca, se avesse una validità

scientifica (cosa che ancora non è), sarebbe di ordine in-

diziario. È possibile trovare fenomeni indiziari più seri negli studi di un certo numero di autori anglosasson1

dove l’ 1ndurnentQ è trattato come indice di un’interio-

rità. Queste ricerche hanno seguito due direzioni. Una direzione propriamente psicologica (negli Stati Uniti), nel senso della psicologia delle scelte e delle motivazioni: si è cercato di precisare la gerarchia dei motivi nelle scelte vestimentarie, con l’ausilio di questionari e di test’‘ ma si tratta in questo caso, a dire il vero, di indici ristretti ?? É ciò che hanno cercato di fare in fonologia A. HAUDRICOURT e A. JUILLAND (Essai pour une bistoire structurale du phonétisme frangais, Klincksieck, Paris 1949). ‘’ Les fonctions psychologigques et les ceuvres, Vrin, Paris 1948, cap. 11.

" Si troverà la bibliografia (già antica, per il vero) sulle inchieste e i questionari di psicologia delle motivazioni sul vestito in E. YOUNG BARR, A Psychological Analysis of Fashion Motivation, New York 1934.

STORIA

E SOCIOLOGIA

DEL

VESTITO

21I

che la psicologia in questione non ha mai cercato di mettere in relazione con una totalità psichica o sociale. La seconda direzione di queste ricerche sulla psicologia del vestito è di ispirazione psicanalitica, nel senso ampio del termine. Chiunque può facilmente intuire tutto ciò che l’interpretazione psicanalitica può sostenere su un og-

getto culturale, le cui implicazioni erotiche sono probabili e il cui carattere formale si presta facilmente a letture simboliche; questi tentativi di spiegazione non possono essere giudicati senza giudicare globalmente la psicanalisi. E non è il nostro intento. Ma, anche restando al di fuori del postulato psicanalitico, sembra che

le analisi di questo genere siano.malto.pit feconde quando si tratta di descrivere quel che potremmo chiamare

le espressioni di personalità (se/f expression, self-bodility, classificazione di Flugel?”) piuttosto che nella sim-. bolizzazione propriamente detta, le cui «scorciatoie» appaiono

soggette a cauzione’’.

Da un punto di vista.

metodologico, quel che risulta.interessante nell’inter-

pretazione psicanalitica è chela nozione di indice è ambigua: la forma vestimentaria è.veramente. un..indice.? viene prodotta al di là di qualsiasi intenzione ? Nella

prospettiva psicanalitica, c’è sempre una scelta (incon-

scia) del costume da parte di una collettività o dell’abbigliamento da parte dell’individuo che lo indossa; l’indumento è sempre dato come oggetto di una possibile decifrazione da parte di un lettore (gruppo, super-io o analista). L’indumento è, per lo psicanalista, una signi’5 Fliigel distingue nove tipi di vestito secondo la psicologia dell’indossatore: 1) rebellious type; 2) resigned type; 3) unemotional type; 4) prudish type; 5) duty type; 6) protected type; 7) supported type; 8) sublimated type; 9) selfsatisfied type (The Psychology of Clothes cit., pp. 96 seg.). ’ E possibile cogliere questi due aspetti della spiegazione psicanalitica nell’analisi dell’inamidatura (ibid., p. 17) come modo di estensione della personalità e come simbolo fallico. Al di là della prospettiva psicanalitica, il ve-

stito occidentale non presenta mai simboli (uno dei rari esempi sarebbe il bi-

partitismo medievale, simbolo di divisione psichica). Il vestito è fondato interamente su un ordine di segni, non di simboli;, in altre parole, in esso non c’è nessun legame di motivazione fra significante e significato.

22

IL SENSO

DELLA

MODA

ficazione pit che un indice: la nozione di censura prepara quella di controllo in ps1colog1a sociale, cosi come la nozione di sublimazione non è che la versione psicanalitica del processo di razionalizzazione. Le equivalenze rivelate dalla psicanalisi sono più dei fenomeni d’espressione che non degli indici.

B)

.Fenomeni di significazione o di notificazione. Tra i

fenomeni indiziari e i fenomeni di notificazione possono esserci senz’altro limiti mobili, oscuri: un fenomeno

di notificazione può derivare da un fenomeno indiziario

anteriore: l’indumento. maschile.sportivo (d’origine inglese) è stato in un primo momento l’indice di un biso-

gno di liberazione, del corpo; in un secondo momento,

però, distaccatosi dalla sua funzione e divenuto costu-

me (giacca di tweed), esso ha significato, ha notificato

un bisogno ormai più consacrato che sentito. In termini generali, lo studio.deifenomeni di significazione vestimentaria dipende strettamente dall’attenzione con la quale il costume come sistema sincronico sarà stato analizzato. I fenomeni notificatori possono e devono sem-

pre, infatti, definirsi in termini assiologici: il sistema in

quanto tale non è che una forma, può non significare nul-

la, salvo ricorrere a considerazioni extra-sociologiche (fi-

losofia della storia o psicanalisi). E il grado di partecipazione al sistema (sottomissione totale, scarti, aberra-

zioni) a essere significativo; il valore del sistema (ossia il suo essere valente per) può essere colto solo a livello delle sue consacrazioni o delle sue contestazioni. L’indumento è .infatti.il significante di un solo significato principale, che è il modo o il grado di partecipazione di colui (gruppo o individuo) che lo indossa. Va da sé che < questo s1gn1f1g;ajggenerale si.distribuisce in un

certo numerodi concetti o di significati secondari che variano secondo.insiemi più p meno ampi, più o meno formalizzati che provvedono a segnalarli. Un certo costume può notificare concetti apparentemente. psicolo-

gici o soc1opsmolog_1 nspettab1hta giovanilità, intellettualità, lutto ecc. Ma quel che viene notificato, me-

STORIA E SOCIOLOGIA DEL VESTITO

23

diante questo passaggio intermedio è essenzialmente il ————



v0

vive. Éenomeni storici violenti.ppossono turbare, i ritmi della moda, condurre a nuovi sistemi; essi modificano il regime di partecipazione, ma non spiegano per nulla le nuove forme. L’indumento del lutto è stato talvolta bian-

co, talaltra nero. Una simbologia dei colori può avere un

interesse storico; solo che il fenomeno sociale non è il colore del lutto, ma il modo di partecipazione sociale che esso implica. Ritroviamo qui la distinzione strutturalista tra fonetica e fonologia: la storia può interessarsi all’evoluzione del colore funebre, ma la sociologia, come la fonologia, si occupa essenzialmente di valori oppositivi e socialmente significanti”’. Il vestito è, in senso pieno, un «mo-

ta dei comportamenti collettivi prevedibili, ed è essenzialmente a questo livello che esso diviene 31gn1f1cante Del resto, la nozione di significato vestimentario deve essere studiata con molta accortezza. Come ha sottolineato Meyerson,

questa nozione è un limite;

nella

realtà, abbiamo a che fare con «complessi significativi» il cui modo di equivalenza può essere libero. Certi fenomeni di costume possono apparire «insignificanti» in sé; bisogna allora accostarsi alla funzione sociale e globale del fenomeno censito, e soprattutto alla sua storia: il modo di presentazione dei valori vestimentari (forme, colori, disposizioni di linee ecc.) può infatti dipendere da una storia interna al sistema. Le forme possono seguire la storia generale in un libero contrappunto: certe forme possono non essere altro che «prodotti», i termini di un’evoluzione intrinseca, e non a ogni costo «segni»; è possibile che si dia un’arbitrarietà storica e una certa insignificanza del vestito, un «grado zero» — come dicono gli strutturalisti — dei segni vestimentari. ‘7 Ovviamente il gioco dei segni vestimentari dipende strettamente dallo status dell’indossatore come indice del suo livello di vita.

-

dello sociale», una 1:îimagme più.o.meno. stane archz,za-

24

IL SENSO DELLA MODA

Concludendo non sarà inutile sottolineare che la stoessa propone ‘infatti allo studioso i problemi essenzmh di ogni analisi culturale, laddove la cultura è al contempo sistema e processo, istituzione e atto 1ndnp_;j le, riserva espressiva e ord1ne significante. A questo titolo, la storia del costume è evidentemente tributarj non soltanto delle altre scienze dell’uomo ch€.]fl—

condano, ma anche dello stadio epistemologico della

scienza soc1ale nel suo insieme. Nata all’interno della scienza storica, essa ne ha seguito da lontano lo sviluppo e si ritrova dinnanzi alle sue stesse difficoltà; e tra tutte le ricerche culturali, essa è stata sinora la più trascurata, abbandonata soprattutto a compiti di volgarizzazione aneddotica. La storia del costume testimonia a suo modo della contraddizione di.ogni scienza della cultura: ogni fenomeno culturale è al contempo prodotto della storia e resistenzalla,5j;ona L’indumento, per esem-

pio, è a ogni momento un equilibrio processuale, al contempo costituito e disfatto da determinismi di natura, funzione e ampiezza variabili, gli uni interni, gli altri esterni al sistema stesso. Lo studio del costume deve preservare senza sosta .lè..plkl[flfità.dì.q.ueste determina-

zioni. La precauzione metodologica principale è, in questo caso, ancora una volta quella di non postulare affrettatamente una equivalenza diretta tra la sovrastruttura (il vestito) e l’infrastruttura (la storia). L’epistemologia

attuale si arrende sempre pitù alla necessità di studiare la totalità dei fenomeni storico-sociali come un insieme di passaggi intermedi e di funzioni: noi crediamo che per il vestito (come per la lingua) questi passaggi intermedi e queste funzioni siano di natura assiologica, valori che testimoniano il potere creatore della società su se stessa.

Îl linguaggio del vestito*

. A prima vista l’indumento umano è un soggetto di ricerca o di riflessione molto bello: è un fenomeno completo, il cui studio richiama al contempo una storia, un’economia, un’etnologia, una tecnologia e forse anche — lo vedremo tra breve — una hngu1st1ca Ma soprattutto, in quanto oggetto legato dell’apparire, il vestito lusinga la curiosità tutta moderna per la p31colog1a sociale, poiché invita a superare i limiti ormai logori che separano l’individuo e la società. Quel che infatti ci interessa del vestito è proprio il fatto che esso sembra partecipare alla pid grande profondità e alla più grande socialità. Possiamo immaginare che gli studiosi interessati ai più recenti metodi della riflessione sociale — psicanalisi, marxi-

smo, strutturalismo - debbano naturalmente interessarsi al vestito, nonostante esso sia a prima vista un oggetto

banale, e partecipi per ciò stesso a quell’osservazione dell’evidenza che segna oggi, come un salutare tormento, le nostre ricerche più acute. Tuttavia, nonostante quest’interesse .ideale, le realizzazioni sono.povere. Se ci si rifà alla b1bhograf1a sulP argomento, abbondante ma anarchica', il vestito è un soggetto deludente. Nel momento stesso in cui sembra *_Langage et vetement, in «Critique», marzo

1959, n. 142. Questo arti-

colo prende spunto dai volumi: J. C. FLÙGEL, The Psychology of Clothes cit.; I, KIENER, K/eidung. Mode, und Mensh, Reinhardt, Minchen 1956; 11. H. HAN-

SEN e altri, [Histoire du Costume, Flammarion, Paris 1956; N. TRUMAN, Historic Constuming, Sci Isaac Pitman and Son, London

1936.

! Cfr. R. coLAS, Bibliographie géncerale du costume et de la mode cit.; 1. e

M. IHILER, Bibliography of Costume cit.

26

IL SENSO DELLA

MODA

invocare un’epistemologia sintetica, esso tende.a svania re: talvolta spettacolo pittoresco (in innumerevoli albu_gn di volgar1zzaz1one) talaltra valore psicologico, epperò mai — ancora — vero e proprio oggetto sociologico. Le migliori riflessioni che il vestito ha suscitato restano ancora incidentali: sono quelle degli scrittori e dei filosofi, le uniche forse a non sottostare al mito del futile’. Ma se abbandoniamo il piano dell’aforisma per abbordare quello della descrizione sociologica, c’è nella definizione stessa del vestito una difficoltà di metodo che vorrei cercare di precisare, con l’ausilio della breve storia dei lavori che a esso sono stati dedicati nel corso del tempo. Questa storia è relativamente recente. Certo,

già

dal R1nasc1mento ci sono opere sul vestito: si tra_;_tioga studi di ispirazione archeologica (sul costume antico, per esempio) o di inventari di abiti compilati a partire dalle d1verse cond1z1on1 soc1ah questi inventari sono veri e zioso i 31stem1. vestimentari agl1 stati antropologici (sesso, età, stato civile) o sociali (borghese, nobile, contadi-

no ecc.); ma è evidente che questa sorta di lessico del vestito è possibile soltanto in una società fortemente gerarchizzata, nella quale la moda partecipa a un vero e proprio rituale sociale’. Vorrei segnalare a questo riguardo un’opera significativa, dato che rappresenta uno stato immaginario e quasi superlativo di questo lessico vestimentario: si tratta dei Costumi grotteschi di Larmessin (xv1I secolo). Larmessin prevede per ogni professione un abito, i cui elementi derivano dagli strumenti stessi del mestiere e sono armonizzati in una sorta di linea generale, di Gestalt significante (procedimento che non può non ricordare le pitture di Arcimboldo): si tratta di una sorta di sfrenato pan-simbolismo, creazione al ’ Tra gli altri, Carlyle, Michelet, Balzac. ’ Le migliori osservazioni etnologiche a questo proposito sono quelle di Granet sull’antica Cina.

!l

L.INGUAGGIO

DEL

VESTITO

27

Irmpo stesso poetica e intellettuale nella quale la pro-

lessione viene rappresentata mediante una sua essenza iImmaginaria: forme distese per il pasticciere, serpenti-

iv per lo speziale, a mo’ di freccia ivtondate e bitorzolute per il vasaio lintasticheria, l’indumento finisce pletamente l’uomo, il lavoratore è

per l’artificiere, are cosi via: in questa per assorbire comanatomicamente as-

‘imilato ai suoi strumenti, di modo che a essere descritl poeticamente è una vera e propria alienazione: i la-

voratori di Larmessin sono robot ante litteram. Una vera e propria storia del costume comincia soltanl0 con il Romanticismo, soprattutto presso gli uomini di icatro: dal momento in cui gli attori vogliono interpretare i loro ruoli in costumi d’epoca, i pittori e i disegnatori iniziano a ricercare sistematicamente la verità storica delle apparenze (vestiti, scenari, mobili e accessori), ossia proprio tutto ciò che ha a che vedere con il costume*. Quel che si comincia a ricostruire sono essenzialmente dei ruoli, al punto che la realtà ricercata è in fondo di ordine eminentemente teatrale: si ricostituiscono apertamente dei miti (re, regine, signori). La prima conseguenza di questo

atteggiamento. è che l’indumento. viene colto in uno stato, per cosf dire, antolog1co diviene l’attributo di una razza precisa, selezionata in vista del dramma romantico, come se il popolo non fosse mai stato vestito. La second_a conseguenza — forse più grave sul piano del metodo - è che tutta l’attenzione del pittore verte sul pittoresco pid

che sul principio, sull’accessorio pit che sul sistema. For-

se, paradossalmente, le agevolazioni del disegno finiscono per nuocere alla storia del costume: la rappresentazione grafica, proprio perché spontanea, allontana qualsiasi sforzo speculativo, e si attualizza immediatamente una generalità mal stabilita. È per questa ragione che, secondo me, le migliori illustrazioni di quel periodo, dal punto di vista metodologico, sono i disegni apertamente schemati-

* Si veda la voce Costume del Felibien (1676): « Verità degli usi, vestiti, etc. riprodotta nelle opere d’arte».

28

IL SENSO DELLA MODA

ci, quelli che pretendono di pervenire a uno stato principale e, per cosf dire, astratto del sistema vestimentario di un’epoca data — come per esempio quelli di N. Truman in Historic Costuming.

AI di là dei pittori di teatro, c’è tuttavia nella prima metà del xIX secolo una letteratura molto interessante sul vestito: quella delle fisiologie. È noto il florilegio di queste brevi monografie, di tono generalmente faceto, consacrate ai soggetti più vari di quella che chiameremmo oggi la vita quotidiana, dall’Impiegato d’ufficio al Tabacco. In quel periodo ci sono molte fisiologie del ve-

stito (il corsetto, la cravatta, la camicia, il guanto, il cappello). L’interesse di queste dissertazioni è soprattutto

di ordine sociologico: il grande movimento di uniformizzazione e di democratizzazione del costume maschi-

le avviato dalla Rivoluzione, alimentato formalmente dal

ricorso all’austerità del costume quacchero, comporta una revisione generale dei valori vestimentari. Apparentemente declassato, l’indumento segnala le distinzioni sociali attraverso un valore nuovo: quello, molto preciso, della distinzione. Da qui il ruolo di queste fisiologie d’ispirazione dandy: insegnare all’aristocratico a di-

stinguersi dal proletario o dal borghese attraverso una

certa maniera di portare un vestito che, dal canto suo, è ormai fortemente indifferenziato; come dice una di queste fisiologie, la cravatta ha rimpiazzato la spada. C’è in tutti questi opuscoli l’abbozzo di un’assiologia del vestito.

Nella seconda metà del xIx secolo, la visione romantica cede il posto alle ricerche archeolog1che il costume viene descritto dagli eruditi, la maggior parte dei quali medievisti’, indumento per indumento, secondo una me-

todologia che si rifà alle distinzioni tradizionali della storiografia (ossia, per regni). In questo caso, dato che la ri° Cfr. soprattutto: J. QUICHERAT, Histoire du Costume en France cit.; C. EN-

LART, Manue!l d'archéologie frangaise cit.; G. DEMAY, Le Costume au Moyen dgpe, d’après les sceaux cit.

Il

LINGUAGGIO

DEL

VESTITO

20

‘cerca sul vestito acquista una certa importanza scienti-

lica, le carenze metodologiche diminuiscono: questi stu‘iosi stabiliscono scrupolosamente la storia di un singol indumento, ma non quella dei sistemi; grazie a loro,

iamo oggi in grado di stabilire all’incirca in quale anno

iI certo indumento è apparso — ma già un po’ meno quan-

‘lo è scomparso, dato che i processi di inaugurazione son0 sempre molto pitù marcati di quelli di cancellazione; sappiamo anche, nella maggior parte dei casi, quale è staIa la causa contingente di una moda; ma conosciamo male il processo delle strutture. Infatti, una struttura vestimentaria non è una somma di indumenti singoli, nella

quale alcuni di essi si trovano a cambiare a causa di cir-

costanze esterne. In questo come in altri casi, una strut-

tura si definisce mediante una legalità (quel che è perimesso e quel che non lo è) e per il gioco stesso di questa legalità. Lo storicismo non accede con facilità alle descrizioni vestimentarie: a suo avviso l’indumento è solo un evento, e l’unico problema è quello di datarlo. Il ri-

sultato è che il costume storico appare come una colle-

zione di 1ndumenflpossù.th…e…non come un assortimen-

to raccomandato; in breve, si censiscono fenomeni e.n9n valori.

Problema ulteriormente complicato dalle celebri incertezze della periodizzazione storica‘. Una prima possibilità sarebbe quella di descrivere dei regni, come se il

re fosse l’indossatore esclusivo del vestito, il suo fonda-

tore rituale; ma significherebbe introdurre l’anarchia nel sistema vestimentario stesso, poiché l’unità temporale di un sistema non è necessariamente quella della storia politica. Una seconda possibilità è invece quella di descrivere permanenze e trasformazioni globali; ma si tratterebbe di assumere un atteggiamento strutturalista del tutto avulso da ogni storicismo. Si tratta di una difficoltà irrisolta: a dir il vero, non è possibile lagnarsi con ° L. FEBVRE, Le problème des divisions en bistoire, in «Bullettin du Centre

international de synthèse historique», dicembre 1926, n. 2.

30

IL SENSO DELLA MODA

gli storici, se si pensa che in una scienza vicina, la linguistica, nonostante sia stata praticata da generazioni di

studiosi, è stato appena sfiorato il problema temibile dei rapporti tra la sincronia e la diacronia’. Tuttavia, sotto forma di volgarizzazioni storiche, un

certo numero di opere illustrate tende, verso la fine del x1Ix secolo, a porre l’indumento in relazione a una realtà esterna ‘alla sua forma, ossia a postulare una trascendenza

del costume. Questi confront1 suppongono una sorta di

equivalenza tra una forma e altre forme (per esempio, tra due «stili», quello del vestito e quello di una architettura o di un mobilio)®, o tra una forma e lo spirito del tempo, il carattere morale di un’epoca o l’aria di una civiltà. Alcuni di questi tentativi non oltrepassano, a dire il vero, i limiti di una tautologia: si inferisce arbitrariamente dal vestito uno «stile», si mette questo stile in rapporto con altri stili altrettanto arbitrari e, per finire, ci si meraviglia della parentela delle loro forme. E noto però che una forma non significa nulla in sé (salvo a ricorrere a una simbolica universale di tipo freudiano), per la semplice ragione.che.le forme sono in numero finito e i sensi in numero infinito: in ogni ordine formale primario, solo le funzioni, non le sostanze, possono essere

significative. Di conseguenza, sembra abbastanza im-

probabile. vedere

in.un certo sistema vestimentario sia

un fenomeno puramente storico, accaduto una sola volta, sia un fenomeno puramente antropologico, dato in eterno; le due postulazioni sono esistite nella storia del costume; alcune volte certi autori si sono ingegnati a localizzare storicamente gli stili; altre volte altri autori si sono sforzati, non meno vittoriosamente, di riportare le

variazioni vestimentarie ad alcune forme semplici, instancabilmente ripetute nella storia umana: per gli uni, l’hennin esprime la freccia gotica in un modo pressoché 7 A. IHAUDRICOURT e A. JUILLAND,

Essai pour une bistoire structurale du

phonetisme frangais cit. * L’opera più convincente a questo proposito è senz’altro quella di Hansen.

Il. LINGUAGGIO

DEL VESTITO

31I

irreversibile; per gli altri, quel che è significativo nella storia del vestito è che sia possibile ritrovare qualcosa come i moderni bikini negli affreschi di Pompei. 3.

Discutendo queste ipotesi, sorge a poco a poco li-

dea di una vera e propria semiologia del vestito. Occor-

re mettere l’indumento in relazione a qualche altra co-

sa. Ma che cosa? e come? All’epoca storicista succede,

srosso modo, un’era psicologica. Il termine di riferi-

mento, in questo caso, non è più lo stile o lo spirito di

un’epoca, ma la psiche dell’individuo che indossa il ve-

stito: si presume che l’indumento esprima una profondità psichica. Da qui due fondamentali orientamenti. In-

nanzitutto un gruppo di lavori già antichi, del resto di

modeste pretese, dato che si tratta più che altro di questionari sottoposti a gruppi di studenti di alcune università americane. Tutti questi lavori prendono le mosse da una psicologia delle motivazioni: lo scopo è quello di definire e di classificare i motivi personali che porta-

si distinno all’acquisto di un vestito. Queste ricerche operati periodiguono appena dai.sondaggi di_mercato camente dalle organizzaziani professionali dell’abbiglia-

dei negozi, mento: ruolo della pubblicità, della vicinanza vetrine delle dell’attrazione amicali, delle «confidenze»

ecc.; gerarchia delle qualità richieste all’oggetto acquistato (solidità, gusto, accordo con la moda, comfort ecc.).

Come si vede, si tratta a mala pena di una psicologia, in

qualche modo di una psicologia rudimentale che non co-

nosce nessuna delle possibilità insite nell’analisi feno-

menologica o psicanalitica; la nozione centrale di questa

psicologia è l’espressione.disé, come se la funzione.fon-

damentale del_vestito. fosse. quella.di assemblare e_.sali-

dificare l’io rispetto a una collettività divoratrice: e ci accorgiamo come ci sia in questa interpretazione un’inflessione tipicamente americana”. ? Una bibliografia di questi lavori americani si trova in E. YOUNG BARR, A

Psychological Analysis of Fashion Motivation cit.

32

IL SENSO

DELLA

MODA

Il secondo orientamento di queste psicologie del vestito è di ordine psicanalitico. A questo r1guardo segnalerei innanzitutto, benché sia d’ispirazione più gestaltista che psicanalitica, il recente libro di Kiener. Kie-

ner tenta di mettere il vestito in relazione a una sorta di

spirito del corpo umano, come se la forma anatomica fondasse l’indumento attraverso una serie di passaggi intermedìi e di distanze, il cui senso varia con la storia. Ma

se si eccettuano gli studi propriamente psicopatologici sul travestitismo, l’opera classica in materia di psicanalisi del vestito è quella di Fliugel. Il suo classicismo risiede d’altronde più sull’ampiezza delle informazioni che sulla finezza delle analisi. Si tratta di un’opera fortemente eclettica, che utilizza i concetti analitici tradizionali all’interno di un quadro «psicologico» (motivi del pudore, della protezione, dell’ornamento); la simbologia proposta resta sommaria, strettamente analogica (per esempio, l’inamidatura è presentata come simbolo fallico). Nonostante questi limiti, c’è forse in Fligel l’abbozzo di due interessanti ipotesi. La prima è che l’indu-

mento è un compromesso frala paura e il desiderio della nudità, motivo per cui esso parteciperebbe al processo stesso della nevrosi, al tempo stesso manifestazione e mascheramento; c’è in questo probabilmente l’intuizione della natura d1alett1ca del vestito, che è un rinvio in-

finito e circolare dell’indossatore al gruppo e del gruppo all’indossatore. La seconda ipotesi interessante proposta da Fliigel è quella secondo la quale la censura analitica corrisponde. grosso-modo-alla nozione sociolo-

gica di controllo_sociale; in altri termini, il vestito sa-

rebbe meno.un-.indice (un sintomo) che una comunica-

zione. Siamo cosf condotti - al termine di questo breve panorama di storia del costume - a porre il vestito in termini di significazione. Tutta una letteratura, d’ispirazione e qualità diverse, ci prepara all’idea del vestito come un qualcosa valente per. Ed è stato per primo comunque uno strutturalista, Trubeckoj, a indicare apertamente la natura linguistica del vestito.

IL LINGUAGGIO DEL VESTITO

, i

33

.

-

4. In un’osservazione incidentale dei Fondamenti di fonologia", Trubeck01 suggerisce di applicare al vestito la distinzione saussuriana tra langue e parole. Come la lingua, il costume sarebbe un sistema istituzionale astratto, definito per le sue funzioni, dal quale l’individuo che lo indossa estrarrebbe il proprio abbigliamento, attualizzando ogni volta una virtualità normativa. Trubezckoj

cita come fenomeno di abbigliamento (ossia di paro/le) le

dimensioni individuali di un vestito e il suo grado di usura o di sporcizia; mentre come fenomeno di costume (os-

sia di langue) la differenza, per quanto infima, tra l’in-

dumento.delle.fanciulle-e- quella…delle… donne sposate in una determinata società. Per quel che mi riguarda, suggerirei di sviluppare questa opposizione nel seguente mo-

:do. I fenomeni di abbigliamento (di parole) comprende-

‘ rebbero: le dimensioni individuali del vestito, il grado ‘ di usura, di disordine o di sporcizia, le carenze parziali

| di 1ndument1, le carenze d’uso (bottoni non abbottona-

| ti, maniche non infilate ecc.), i vestiti improvvisati (pro‘ tezioni di circostanza), la scelta dei colori (salvo i colori

‘ ritualizzati: lutto, matrimonio, tartan, uniformi), le de-

‘ rivazioni circostanziali di impiego di un indumento, i ge‘sti d’uso tipici dell’indossatore. I fenomeni di costume (di langue), sempre astratti, giustificabili soltanto mediante una descrizione verbale o schematica'',

com-

prenderebbe;;o le forme, le sostanze e i colori ritualizzati, gli usi fissi, i gesti stereotipati, la distribuzione regolata degli elementi accessori (bottoni, tasche ecc.), 1[° sistemi apparenti («tenute»), le congruenze e le incom-/,

patibilità degli indumenti fra loro, il gioco regolato de-|-gli indumenti interni e di quelli esterni e, per finire, i fe-: nomeni di abbigliamento ricostituiti artificialmente per !0 N. S. TRUBECKOJ, Fondamenti di fonologia cit. !1 La fotografia di moda pone un problema metodologico interessante: in termini saussuriani, essa rappresenta una sorta di confusione ideale tra l’abbigliamento e il costume - come del resto il vestito delle presentazioni di collezione.

34

IL SENSO

DELLA

MODA

scopi significativi (costumi di teatro e di cinema). Cre-

do che questa applicazione della distinzione saussuriana al vestito sia preziosa; essa permette alla ricerca vestimentaria di padroneggiare costantemente il carattere istituzionale e soc1olog1co del propr1o oggetto; e sui fenomeni che sembrano a prima vista ambigui, poiché partecipanti confusamente al costume e all’abbigliamento, propri nello stesso tempo all’individuo e alla società, essa getta una luce precisa: avendo chiaro il senso esatto dei limiti per cui le proporzioni di un vestito cessano di essere fenomeni di abbigliamento per diventare fenomeni di costume, Richardson e Kroeber hanno potuto

stabilire — in un’opera ben nota agli strutturalisti — la regolarità dei ritmi della moda nel vestito femminile lungo tre secoli”, Infine, la distinzione saussuriana permette di descrivere con esattezza tutti i movimenti propriamente dialettici che regolano gli scambi incessanti tra il

vestito istituzionale e il vestito indossato: come i fenomeni di costume divengono fenomeni di abbigliamento

(è il caso della moda femminile, diffusa nell’abbigliamento a partire da veri e propri modelli); come i fenomeni di abbigliamento divengono a loro volta fenomeni di costume (è il caso degli usi individuali ripresi collettivamente per imitazione: per esempio i fads e i crazes frequenti nel dandismo). Una volta stabilita la distinzione tra abbigliamento e costume, che cosa, all’interno del costume, significa? A

priori, il costume è una sorta di testo senza fme nel quale

bisogna imparare a delimitare le unità significative - cosa alquanto difficile. La tecnologm in questo caso, offre un aiuto assai debole: l’unità di fabbricazione o di ac-

quisto, ossia ciò che si chiama «articolo» (una camicia, un abito, una giacca), non è necessariamente un’unità si-

gnificante. È evidente che la significazione non è localizzata in un oggetto finito, ma può essere relegata in un dettaglio infimo o in un insieme molto complesso. A par-

12 ), RICHARDSON € A. L. KROEBER, Three Centuries of Women’s Fashions cit.

Il. LINGUAGGIO DEL VESTITO

35

le i casi di flagrante eccentricità, l’indumento non signilica niente. Inoltre, già da parecchio tempo il nostro ve-

stito non rappresenta più nessun rapporto analogico tra

significante e significato, salvo a ricorrere a una simbologia universale di tipo inconscio. Una delle ultime analogie presenti nel vestito occidentale è stata, nel Medioevo, il costume bipartito dei folli, simbolo della divisione psichica. Dopo di che, le forme sembrano avere seguito un’evoluzione propriamente interna, distaccata

da ogni riferimento simbolico (è un altro degli insegna-

menti di Richardson e Kroeber). Da un lato, ci sono i si-

gnificati (per esempio: giovanilità, intellettualità, rispet-

tabilità, bohème ecc.); dall’altro ci sono i significanti (in fin dei conti forme astratte, si potrebbe dire aniconiche,

estremamente mobili, arbitrarie), senza però che il legame dei significati e dei significanti, ossia la significazio-

ne, perda il suo carattere normativo, comminatorio, terroristico.

Il che vuol dire probabilmente che la semiologia del vestito non è di ordine lessicale ma sintattico. Dato che la significazione non è né motivata naturalmente né codificata da una grammatica ancestrale alla maniera del costume delle antiche società orientali, siamo costretti a cercare l’unità 31gn1f1cat1va del vestito, non negli indumenti finiti, isolati, ma in vere e proprie funzioni, opposizioni, distinzioni © congruenze, del tutto ‘analoghe alle unità della fonologia. Dunque, al modo della fonologia, occorre sottomettere il continuum vestimentario a una serie di prove di commutazione, in modo da

estrarre da esso unità effettivamente significative (o semi); per esempio, in termini approssimativi: munire una

giacca di bottoni di cuoio vuol dire attribuirle un senso nuovo? E probabile che le opposizioni semplici (bottoni di cuoio/altri bottoni) siano debolmente significanti; ad accedere a un pieno statuto 51gn1f1cante sono invece le «varianti combinatorie», vere e proprie funzioni di funzioni (per esempio: tweed/bottoni di cuoio/taschino). Naturalmente, certe assenze di elementi possoano .gioca‘



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e

36

IL SENSO DELLA MODA

re un ruolo pienamente significante. (per esempio, l’assenza della cravatta): il segno vestimentario conosce un grado zero, non è mai ‘nullo. [nversamente, b1sognereb be imparare a decifrare l° accumulo di 31gn1f1cant1c’è nella maggior parte dei vestiti una ridondanza di s1gn1f1— canti, il cui esame potrebbe introdurre uno studio strutturale del gusto. Questo censimento degh elementi 51gn1f1cant1 dell’indumento, proposto qui in termini del tutto 1potet1c1 non è stato ancora intrapreso. Forse il compito è prematuro (sarebbe necessario un vasto apparato informativo, non fosse che per censire tutti i «testi» vestimentari: osservazioni, spogli, aggiornamenti continui che po-

trebbero essere condotti soltanto da una équipe). Forse si potrebbe cominciare da analisi più approssimative, sul-

le quali vorrei adesso dire qualcosa. La difficoltà mag-

giore, nella decifrazione analitica dell’indumento «corrente», è proprio di natura sintattica: il 31gn1f1cato viene dato sempre mediante i significanti «in atto»; la 31gn1f1cazmne un tutto indissolubile che tende a svanire nel momento stesso in cui la si divide. Esiste però un indumento artificiale nel qualei significati sono_a priori separati dai significanti: è il vestito di moda, quello che viene proposto sotto forma grafica o descrittiva nei giornali e nei periodici”. In questo caso, il s1gmf1cato è dato espllc1tamente anteriormente persino al significante; viene zominato (un abito d’autunno, un tailleur

delle cinque pomeridiane ecc.); è come se ci trovassimo a leggere un testo molto complesso, costituito da norme sottili, ma del quale si avrebbe al contempo la fortuna di possedere la chiave: la moda scritta o grafica conduce felicemente il semiologo a uno stato lessicale dei segni vestimentari. Forse, si tratta di una lingua elaborata, di una

logotecnica i cui significati sono largamente irreali, onirici. Ma non importa, poiché ciò che in essa si ricerca è ? Un altro indumento artificiale che presenta una preziosa disgiunzione tra significati e significanti è quello liturgico.

IL LINGUAGGIO DEL VESTITO

37

innanzitutto un campo sufficientemente grossolano, suf-

ficientemente truccato grazie al quale risulta possibile veder funzionare la significazione, per cosi dire, al rallentatore, nella scomposizione dei suoi tempi. La semiologia della moda stampata deve permettere di el1mmare

onestamente un’ipotesi temibile che 1mbarazza Ogni. se-

miologia di primo grado l’oggettivazione indotta dei significati. Al contrario, essendo la moda scritta un sistema semiologico di secondo grado diviene non soltanto legittimo ma anche necessario separare il significato dal significante, e dotare il significato del peso stesso di un oggetto. In altri termini, r1prendendo una definizione che ho abbozzato in uno scritto precedente", la moda stampata funziona, semiologicamente parlando, come una vera e propria mitologia del vestito; dato che al suo interno il significato vestimentario viene oggettivato, solidi-

ficato, la moda è mitica. Mi sembra pertanto che questa. mitologia del vestito (ma si potrebbe dire anche la sua

utopia) debba essere la prima tappa di una linguistica ve-

stimentaria.

'

1 [l mito oggi, in Miti d’oggi, Einaudi, Torino 1974.

Il fenomeno vestimentario”

L’ho indicato in questa stessa sede': a parte le storie

del costume, numerose ma ripetitive, le opere d’insieme

sul vestito sono rare. Essendo il vestito un soggetto immenso, poco esplorato e con il perenne rischio della futilità, siamo portati a carpire con avidità tutto ciò che,

mostrando una certa serietà, annuncia un qualche sfor-

zo verso l’unità. Queste intenzioni non mancano al la-

voro di F. Kiener’; ma dubito che esso porti qualcosa di realmente nuovo a chi abbia già letto l’opera sinora ineguagliata — nonostante la sua parzialità, o forse proprio per questo - di Fligel’. Per comprendere le timidezze di Kiener, bisogna ricordare il partito preso di Fligel. Questo si situa apertadei simboli freudiani per descrivere l° 1ndumento umano come l’espressione amb1gua al contempo maschera e ma-

nifesto, della persona inconscia. Anche se rifiuta la sim-

bologia freudiana, il suo lavoro resta doppiamente prezioso: innanzitutto perché ha assemblato l’essenziale dei fenomeni vestimentari, ricavandoli dalla storia, dal folk-

lore, dalla letteratura o dall’attualità, ordinando quindi ciò che tutti più o meno sanno (e sta proprio qui una sot-

tile difficoltà di ogni lavoro sul vestito: dare valore di fatto a ciò che, a forza d’essere vissuto, appare insignifi* _ Pour une sociologie du vétement, in

«Les Annales», marzo-aprile 1960.

! Storia e sociologia del vestito (cfr. qui, pp. 7-24).

? F. KIENER, K/lcidung, Mode, und Mensh cit.

’. c. FLÙGEL, The Psychology of Clothes cit.

IL FENOMENO VESTIMENTARIO

39

cante); in secondo luogo perché ha esplicitamente conce-

pito il vestito

come qualcosa valente per, ossia come una

significazione (il cui significato è la psiche profonda); per la prima volta, l’indumento viene liberato dal triangolo

delle motivazioni (protezione, pudore, ornamento) in cui

era stato racchiuso, e accede allo statuto di messaggio, di

elemento di un sistema semiologico: in questo senso, e

malgrado la sua obbedienza strettamente anaht1ca Fiugel fa del vestito più una comunicazione che un’espressione.

Come Fliùgel, Kiener comincia con il discuterele antiche motivazioni (protezione, pudore, ornamento), di

cui trattiene ecletticamente certi elementi. Ma il suo proposito pr1nc1pale è quello di porre l’indumento come espressione del corpo*, come qualcosa che riceve dal corpo i suoi modi d’essere successivi; il che lo conduce a ordinare l’essenziale del suo libro su un piano puramente anatomico” (testa, tronco, bacino, gambe ecc.) e a passare in rassegna, a proposito di ciascuna di queste parti, tutti

i «motivi» che gli uomini hanno avuto per coprirle.in mo-

do diverso; il suo tentativo ricorda un po’ la grande descrizione della lingua francese intrapresa da Damourette e Pichon: lo stesso progetto enciclopedico, le stesse qua-

lità (abbondanza di rilievi, finezza delle analisi di detta-

glio), stesse mancanze (disordine sotto l’ordine apparente, confusione perpetua fra diacronia e sincronia).

Questo postulato naturalista pone Kiener in ombra rispetto a Fliigel. Certo, i suoi materiali sono abbondan-

ti, ricavati dalle fonti più varie (miti, storia, folklore, detti, leggende, battute, fantasie, aneddoti), mescolati,

di modo che l’analisi è perennemente minacciata dalla

confusione - e dalla banalità, persino, dato che tutto è

dato come «dettaglio» e nulla accede allo statuto di fe-

* Kiener ricollega la sua ricerca alla «scienza dell’espressione» (Ausdruckskunde). ’ A. Leroi-Gourhan, dovendo descrivere il vestito dal punto di vista tecnologico, ha opportunamente adottato una classificazione fondata non sulle parti del corpo ma sui punti d’appoggio del singolo indumento (Milieu et techniques, Albin Michel, Paris 1950).

40

IL SENSO

DELLA

MODA

nomeno esemplare. Ma è soprattutto il principio di in-

terpretazione a essere difettoso. Kiener si autoinserisce

in una «psicologia» (senza d’altronde precisare quale). Sfortunatamente, man mano che il corpo e l’indumento vengono messi in relazione, questa psicologia svanisce, _ per una sorta di gioco di prestigio La psicologia freu-_ sa ha quanto meno il merito di essere suff1c1entemg:n.te_ strutturata per fondare un’ipotesi di lavoro che si rivela molto spesso feconda. Viceversa, riconducendo costantemente il vestito a una sorta di «senso naturale» del corpo umano, Kiener viene ricondotto suo malgrado a livello dei truismi: la maggior parte delle sue analisi costituisce delle vere e proprie tautologie, dove il corpo è il corpo, un po’ alla maniera dell’antica grafologia, la quale sosteneva che una scrittura molle rivela un carattere molle. Dire, per esempio, che si sceglie un vestito corto perché è pratico, non ha alcun interesse, a meno di non sottomettere la nozione di pratico a un ’analisi storica e 1deolog1ca che ne manifesti la relatività: quel che infatti ci interessa non è la diversità dei vestiti ma la relatività dei valori che essi significano. C’è in tutto ciò una sorta di essenzialismo latente che fa degenerare la spiegazione: Kiener ricorre a una serie di essenze che ricordano molto da vicino la «virtéi dormitiva» dell’oppio (essenza della Donna, «spirito del tempo», «impulso a vivere», «bisogno di cambiamento», «propensione allo sviluppo» ecc.). Certo, non tutto è cosi semplicista nel libro di Kiener: per esempio, ha presentito, se non proprio sfrutta-

to, le p0531b111ta di un’analisi fenomenologica del vestito, di ciò che chiama il R/leider-Ich, l’Io-Vestito (anche se gran parte delle sue osservazioni sull’estensione del-

l’io e sull’erotismo vestimentario si trovano già in Flù-

gel)‘. D’altra parte, il suo senso enciclopedico e il suo gu‘ Quando Kiener definisce l’ornamento come un «ruolo» (io sono ciò che

faccio di me) avvia un’ipotesi di lavoro molto ricca, che potrebbe riprendere

IL FENOMENO

VESTIMENTARIO

41

sto per i fenomeni minuti, per i dettagli contraddittori (effettivamente, la storia del costume è una sequenza di

«ribaltamenti»), danno al suo lavoro una sorta di di-

mensione relativista. Ma a prezzo di una contraddizione mal risolta: da una parte Kiener ricorre incessantemente e anarchicamente alla storia (senza però tenere in

debito conto le distinzioni sociali), di modo che il vesti-

to, nella sua diacronia, diviene una sequenza monotona di rotture, una successione disordinata di contrari; dall’altra parte, il suo progetto, e il piano stesso della sua opera, postulano un’antropologia «naturale», una sorta di essenza psicologica del corpo umano che, se fosse vera, dovrebbe logicamente richiamare un vestito universale, quanto meno debolmente o per nulla cangiante, come accade nella nostra storia: se il collo è una parte del

corpo che deve essere protetta, come è possibile che so-

no esistite tutte le forme possibili di abbigliamento o di denudazione di esso ? C’è qui una contraddizione fra la storia e la «Natura», uno iato tra la precisa finalità dell’organo e la diversità delle esperienze vestimentarie che la sola legge dell’eterogeneità (che Kiener riprende da Wundt) non basta a giustificare”.

Insomma, quel che è preziosoin questo libro.è il det-

taglio: occorre, per un censimento storico e antropologico dei fenomeni vestimentari, una grande cultura, derivante dalle fonti più varie. Molte analisi p1rzmh di K1e-

ner sono, non solo brillanti, ma addirittura eccitanti, in

quanto portano a porre problemi che, trepassano di gran lunga il dettaglio. ciò di cui noi abbiamo maggiormente riguardo sono dei saggi sistematici che

dal canto loro, olSfortunatamente, bisogno a questo cerchino di pren-

certi sviluppi della fenomenologia (indicazioni in merito si trovano nel SaintGenet di Sartre) o della psico-patologia (penso soprattutto a R. KUHIN, Phénomoenologie du Masque à travers le test de Ronsach, Desclée de Brouwer 1957). Altra notazione interessante di Kiener è quella a proposito del «ruolo» intellettuale dell’indoassatore di occhiali. ’ La legge dell’eterogeneità è pressappoco questa: il risultato di un’azione ha sempre degli effetti secondari ai quali, al momento in cui si poneva lo scopo dell’azione, non si era pensato.

42

IL SENSO

DELLA

MODA

dere in considerazione il vestito come una struttura, non

come una collezione anarchica di eventi minimi. Dubi-

to, del resto, che la nozione stessa di fenomeno resista a

una operazione di strutturazione. Infatti, quel che inte-

ressa negli elementi del vestito è essenzmlmente il Joro

legame; ciò di cui abbiamo bisogno è una descrizione pit _ funzionale che sostanziale. Ora, l’esempio della linguistica (e soprattutto della fonologia) suggerisce che non si può descrivere una realtà come una struttura senza modificare l’idea stessa dei fenomeni che concorrono.al-_ la funzione: i «fenomeni» fonologici differiscono molto _ dai «fenomeni» fonetici. Il giorno in cui lo studio del vestito passerà, per cosf dire, dal lessico alla sintassi è pro-

babile che la maggior parte dei «fenomeni» raccolti dal-

la psicologia del vestito diverranno inutili, perché insignificanti.

«Quest’anno è di moda il blu»*

Quando leggo in una rivista di moda che l’accessorio fa la primavera, che questo tailleur (la cui fotografia mi viene presentata) ha un aspetto giovane e morbido, o ancora che quest’anno è di moda il blu, non posso rifiutare a queste proposizioni una struttura semantica: in

tutti i casi, quali che siano gli orpelli metaforici dell’e-

nunciato, si tratta di impormi una relazione di eqguivalenza tra un concetto (la primavera, la giovinezza, la moda di quest’anno) e una forma (l’accessorio, questo tail-

leur, il blu), tra un significato e un significante.

Non si tratta ovviamente di una significazione rigo-

rosa: la relazione non è né necessaria né sufficiente. Se mi suggeriscono che per il tè danzante a Juan-les-Pins, scollo a barca o che per le colazioni festive a Deauville, il delicato canezou, è in gioco una relazione doppiamente debole: il tè danzante non obbliga allo scollo a barca né il canezou alla colazione in Normandia. C’è tuttavia tra i due termini della mia relazione un’affinità espressiva, il germe di una tautologia: l’uno richiama l’altro, di modo che la relazione è di ordine citazionale. Posso quanto me-

no riconoscere che c’è tra i due termini una significazione; tutto accade comese Ja_rivista di moda legasse un certo campo (feste diurne, freschezza normanna) aun altro campo (stoffe calde e leggere forma sinuosa ed ele-

gante) con un procedimento elementare di significazioru

rnv

b «Le bleu est à la mode cette année». Note sur la recherche des unités signifiantes dans le vetement de mode, in « Revue francaise de sociologie», I, apri-

le 1960, n. 2.

.

44

IL SENSO

DELLA

MODA

ne. Non sono ancora certo che l’indumento significhi; sono comunque spinto ad applicare su di esso un meto-

do d’analisi linguistica: è la conformità del metodo al suo

-1

oggetto che mi proverà la natura significante del vestito di moda'!, non la coscienza più o meno alienata di chi lo

-

usa.

2. La retorica della rivista di moda si adopera a_attivamente per mascherare il carattere semantico delle relazioni che la rivista stessa propone. Da un lato, essapresenta i s1gn1f1cat1 (la moda, la morbidezza, la pr1mavera)

come qualità inerenti le forme che cita, suggerendo che c’è una sorta di causalità fisica tra la moda e il blu, l’accessorio e la primavera’. Da un altro lato, essa r1condu— ce il significato a una semplice funzione utilitaristica (ur (un cappotto per il viaggio). Causalità o finalità, la fraseologia della rivista di moda tende sempre a trastormare sur-

r_ett121ame…r.l.,tf:.lo.…stat.ul;oll.ngulstmo. del vestitoin uno statuto naturaleo utilitaristico, a investire nel segno un effetto o una funzione; nei due casi, si tratta di trasformare

una relazione arbitraria in una proprietà naturale o in

un’affinità tecnica, ossia di dare alla creazione di moda

la garanzia di un ordine eterno o di una necessità empirica. La rivista di moda, a dir il vero, usa di continuo

funzioni-segno: la funzione non può essere separata dal ! Mi riferisco in questo caso, non al vestito indossato (anche se di moda), ma unicamente al vestito femminile che viene presentato, verbalmente o gra1 ficamente, nelle pubblicazioni di moda. Sarebbe possibile definire questo ve| stito come una «utopia». —— “ Poiché è una delle congiunzioni preferite nella letteratura di moda. C’è



!

una simmetria curiosa tra l’andamento della rivista di moda, che tende a con-

vertire un’equazione in causalità, e quello della logistica, che rifiuta di vedere in connettivi come poiché e affinché dei fattori di verità, scartandoli dal calcolo logico in quanto - cosa che viene appunto sfruttata dalla rivista — troppo empirici. Se ci si pone in un ordine puramente semiologico, la vanità di ogni relazione causale (o finale) tra il significante e il significato apparirà molto chiaramente in questo esempio (inventato): si pensi

a un’immagine pub-

blicitaria di una certa marca di pipe, provvista di una scritta che recita: «Sono calmo, sono forte, fumo la pipa». Le due causalità inverse hanno la medesima forza d’impatto: sono calmo poiché fumo la pipa; fumo la pipa poiché sono calmo. Si tratta di una relazione semantica.

«QUEST’ANNO È DI MODA IL BLU»

45

suo segno. Un impermeabile protegge dalla pioggia, ma

anche, in modo indissolubile, notifica la sua natura di

indumento da usare al momento della pioggia. È questo, pertanto, lo statuto fondamentale del vestito: un indumento puramente funzionale non è concepibile che al di fuori di qualsiasi società: dal momento in cui un indumento viene confezionato, esso raggiunge fatalmente una semiologia.

{

|/

Îl nostro primo compito è dunque quello di ridurre la fraseologia della rivista di moda (il che non vuol dire che non sarà necessario, successivamente, reinterpre-

tarla; ma, a quel punto, a titolo esclusivamente mitologico). Quel che apparirà sono relazioni semplici, a partire da un unico modello (cosa che ne permette la collazione), tra alcuni significanti e alcuni significati. Queste relazioni sono semplici, ma non per questo «pure»; i si-

gnificanti appartengono sempre a un ordine fisico che è

il continuum vestimentario, il frammento di spazio corporale occupato dall® 1ndumento (un tailleur, una piega,

una clzp, dei bottoni dorati ecc.), mentre i 31gn1f1cat1 (ro-

mantica, disinvolta, cocktail, campagna, sci, ragazza

ecc.) sono dati fatalmente mediante un ordine scritto,

attraverso tutta una letteratura (la quale, anche se è cattiva letteratura, non cambia per questo il suo statuto)’. Ciò porta a dire che, in ultima analisi, il significante e il significato del vestito di moda.non appartengono allo stesso linguaggio. È in gioco una distorsione capitale che apparenta la moda a quelle strutture staccate, raddoppiate che ho cercato di analizzare in un precedente saggio’. Ora, dal punto di vista di un metodo rigoroso, la duplicità del sistema, stabilito per cosi dire a cavallo ’ E senz’altro vero che il significante è molto spesso fornito di una descrizione verbale; ma questa descrizione non è che il sostituto dell’immagine (prova ne sia l’importanza delle fotografie e dei disegni che la parola si limi-

ta a raddoppiare); il significato, invece, non esiste mai senza l’ausilio del lin-

guaggio articolato. * Miti d’opgi cit.

\.

46

IL SENSO DELLA MODA

tra un linguaggio (le forme vestimentarie) e un metalip-

guaggio (Ia letteratura di moda), obbliga a una doppia de-

scrizione. Lo studio dei significati (per esempio, del mondo utopico che essi suggeriscono) riguarda una mitologia generale della moda. Lo studio dei significanti vestimentari, al contrario, riguarda una semiologia nel senso stretto del termine. Trascurerò in questa sede la prima direzione di ricerca, per occuparmi esclusivamente della seconda, considerando i significati soltanto in relazione al posto che occupano all’interno dei segni vestimentari. 4. Nella maggior parte degli altri sistemi di comunicazione, la relazione significante non è data in forma analitica: il sistema propone una catena di significanti

senza #ominare in altro modo i loro significati: un di-

scorso propone una serie di parole, non il senso di ciascuna parola; se il decifratore di una lingua non conosce quella lingua e non dispone del suo lessico, deve lavorare per accostamenti pazienti, comparando i segmenti della catena parlata e manipolandoli in maniera quasi spe-

rimentale (prova di commutazione).

Nel vestito, l’autonomia dei significati, isolati, stac-

cati dal significante e innalzati sino al cielo sublime del-

Ja letteratura di moda, costituisce un’economia meto-

dologica considerevole. Visto che i significanti mi ven-

gono dati da un lato e i significati da un altro, è come se

mi si desse al contempo un testo e il suo lessico: mi sarà sufficiente (in linea di principio) partire dai segni, per definire immediatamente i s1gmf1cant1 ossia per isolarli. Se mi si dice che quest’anno è di moda il blu o che la camelia fa ottimista, ne concludo che il colore e l’ornamento sono verosimilmente classi di significanti, unità significanti. In seguito, mi basterà cercare quali siano, all’interno

di ciascuna unità, i tratti la cui opposizione genera la significazione (blu/rosso?, blu/bianco?, clip/fiore ?, camelia/rosa ?) per cogliere l’intera struttura significante del vestito. E possibile riconoscere in questo programma le

«QUEST’ANNO È DI MODA IL BLU»

47

due fasi dell’analisi strutturale: in primo luogo, l’inventario delle unità significanti; in secondo luogo, il ritrovamento del paradigma delle opposizioni pertinenti a

ciascuna unità; segmentazione sistematica (spaziale) da

una parte, costruzione sistematica dall’altra. Mi limiterò in questa sede al primo punto, trattando soltanto l’inventario delle classi formali. 5. E evidentemente pidù facile far rientrare nel mio inventario le relazioni interamente verbalizzate, ossia quelle in cui il significante è un commento dell’immagine e non l’immagine stessa, poiché in queste relazioni il significante e il significato appartengono - quanto meno praticamente — al medesimo linguaggio. Sfortunatamente, molto spesso la rivista di moda mi fornisce relazioni

dove il significante è puramente grafico (questo tailleur disinvolto, quest’abito elegante, i/ languido due-pezzi); in tale caso, non ho alcun mezzo - se non intuitivo - per decidere ciò che, in questo tailleur, in quest’abito e nel due-pezzi significa la disinvoltura, l’eleganza o la langui-

dezza: il dimostrativo (questo, il)° rinvia in questo caso a una forma generale, ed è proprio ciò che mi defrauda di

quella precisione analitica necessaria per isolare il segno vestimentario. Dinnanzi a queste relazioni — che potremmo chiamare relazioni dimostrative — mi trovo un po’ nel ruolo del decrittatore che deve scoprirele unità significantidi un

messaggio continuo: il solo metodo, per lui, è quello di individuare delle ripetizioni: a forza di veder ritornare

una certa zona del messaggio identica a se stessa, egli rie-

sce a individuare in essa un medesimo senso. Lo stesso vale per il vestito di moda: a forza di vedere, in una collezione di fotografie, un certo tratto accompagnare il ° Ovviamente, questo genere di dimostrativi non saranno presenti nelle

grammatiche classiche..Un commento più utile è invece quello che J. DAMOURETTE e E. PICHON (Dèes mots èà la pensec: essai de grammaire de la langue frangaise, D’ Artrey, Paris 1911-27) propongono nel capitolo dedicato a quel che essi chiamano l’assetto presentativo del sostantivo nominale.

48

IL SENSO DELLA MODA

concetto di disinvoltura, posso concludere che quel tratto significa la disinvoltura, o .quanto meno - unica cosa

che mi interessa per il momento

nità di significazione.

- che è presente un’u-

6. A questa difficoltà se ne aggiunge un’altra. Quando leggo che una mczglza in seta bianca con lo scollo quadrato fa elegante mi è impossibile — se non ricorrendo di nuovo all’intuizione — dire quale di questi quattro tratti (maglia, seta, bianco, scollo quadrato) serve da signi-

ficante al concetto di elegante: a essere portatore di significazione è solamente un tratto? o, al contrario, alcuni elementi di per sé insignificanti si mettono a significare solo nel momento in cui li si combina insieme? Ancora una volta, a darmi una risposta è il metodo paziente dei residui stabili: potre1 in tal modo apprendere

che, per esempio, la seta è una materia obbligatoria le-

gata al dominio dell’elegante o che, diversamente, il sen-

so sorge solo a livello dell’associazione materia-colore. In ogni caso, mi sarà utile notare che la maglia, la seta,

il bianco e la quadratura dello scollo possono essere trat-

ti significanti, e soprattutto sarà utile prevedere l’esistenza di un quinto tratto, sufficientemente significante, dato dalla combinazione dei primi quattro. _m321one se la lettura di altri messagg1 mi persuade che

la maglia è molto raramente.il significante del concetto

elegante, e che spesso serve per saturare un significato contrario (per esempio, sportivo), ne concluderò che la relazione che mi viene proposta è volontariamente paradossale: un certo numero di tratti (seta, bianco, scollo quadrato) servono a dzsordmare la 31gmf1cazmne abituale della maglia. Si tratta in questo caso di un feno-

meno di regolazione molto importante nella grammatica della moda. Ma la novità che questo fenomeno mi apporta è che la maglia non è qui un significante: essa è un oggetto preso di mira dalla significazione.

«QUEST’ANNO È DI MODA IL BLU»

49

In linea di principio, si deve poter sempre definire in uina significazione di moda l’oggetto che essa prende di mira. Cosa particolarmente facile nei casi — purtroppo molto rari — in cui la significazione agisce per cosi dire

: distanza, laddove cioè il tratto che la sostiene è fisica-

inente separato dall’indumento che essa prende di mira.

l’er esempio, in una proposizione come le bluse stampa-

te danno alla gonna un'’aria romantica, il significante (le

bluse stampate) è assolutamente discontinuo con l’ogget-

to preso di mira dalla significazione (la gonna). Nel caso della maglia di seta bianca, la distinzione è ancora più difficile, poiché i significanti sono in qualche misura incorporati nell’indumento che fanno significare. Infine, molto spesso accade che l’oggetto stesso della significazione non venga notificato: la significazione sta nell’in-

sieme, nella tenuta, nella to/etta, nell’intera persona ve-

stita: e dal momento che l’intenzione significativa è generalizzata, non la si precisa in nulla di particolare. Îl termine materiale della relazione, del resto, mescola spesso funzioni diverse. Quando mi si parla di un conpleto-giacca per le giornate fresche, sono indotto a vedere nel completo-giacca un significante e nello stesso tempo l’oggetto della significazione. Di pit: questo termine contiene un altro scomparto: esso è anche il supporto della significazione. Ecco una nuova importante nozione.

La si coglie chiaramente in un esempio — raro — in cui i tre «scomparti» sono perfettamente dissociati: un cardigan sportivo con il collo chiuso. Dispongo in questo caso di tre nozioni distinte: l’oggetto di una significazione (il cardigan); il supporto della significazione (il collo); il significante propriamente detto (la chiusura del collo). I supporti della significazione hanno una grande importanza nel lessico della moda; talvolta, effettivamente, es-

si restano indefiniti (il blu è di moda); ma la maggior parte delle volte la rivista tende a precisarli; essa è in qualche modo obbligata a farlo in tutti quei casi — molto numerosi — in cui la significazione sorge soltanto a livello

del «dettaglio» (una collana, la forma di una scollatura,

5o

IL SENSO

DELLA

MODA

la lunghezza delle maniche, il luogo di un taglio ecc.): per definizione, il dettaglio è parassita dell’indumento: l’indumento sostiene la significazione senza partecipare a essa, sia che la « presenti» sia che la riceva: esso è o oggetto o supporto della significazione. E siccome il supporto della significazione viene espresso molto più frequentemente dell’oggetto della significazione, è suffi-

ciente inventariare il primo,

salvo notare i casi poco

numerosi in cui il supporto della significazione è diverso dall’oggetto che essa prende di mira. Teoricamente, che cos’è un supporto di significazione ? Pensiamo alla lingua. La lingua, da quel che per lo

più sembra, non conosce nessun supporto di significazione: la parola non sostiene il senso poiché essa è il sen-

so: non è possibile scindere il senso di una parola dal materiale (sonoro o grafico) che essa veicola: la linguistica strutturale è stata edificata proprio a partire dalla presa di coscienza di questo legame indissolubile. C’è tuttavia un piano in cui la lingua raddoppia il discorso e trasforma la catena verbale.in semplice supporto del senso; è il piano di ciò che in altra sede ho chiamato scrittura. Nella scrittura letteraria, per esempio, il discorso ha certamente un senso letterale, e a questo livello esso impedi— sce qualsiasi d1330c1a210ne dell’oggetto dal senso: è pienamente una lingua; ma questo stesso discorso supporta una significazione supplementare, che non è quella delle parole che usa, e il cui significato è precisamente la Letteratura: scrivendo una poesia, io dico certe cose, ma

nello stesso tempo notifico la Poesia.

E pressappoco il caso del vestito di moda, benché qui il senso letterale faccia nella maggior parte difetto, lasciando esistere soltanto il senso mitologico. Nel linguaggio vestimentario, il supporto della significazione è insomma una sorta di senso atrofizzato, vestigia inerti,

domestiche, di un mondo in cui a maglia significhereb be letteralmente la comodità e il calore, ossia il contrario assoluto dell’eleganza. Dunque, proprio perché il ve-

stito di moda ha a che fare con,un sistema doppio, stac-

«QUEST” ANNOÈ DI MODA

IL BLU»

SI

cato, in cui sensi supplementari, secondi, si appoggiano su sensi primi, a poco a poco devitalizzati, esso ha bisogno di questi supporti della significazione, sconosciuti alle semiologie semplici. 8. Una relazione completa deve pertanto fornirmi almeno tre informazioni: un significante, un significato e un supporto di 51gn1f1caz1one Siccome queste relazioni sono molto numerose nelle riviste di moda, posso arrischiarne una lettura conformemente al modello seguente: SIGNIFICATO |

lecinque

SIGNIFICANTE(1) |

!

:

SUPPORTO

DELLA

stoffa di raso

Ì

SIGNIFICAZIONIE

(o oggetto preso di mira da essa) abito

| |

ESPRESSIONE DELLA SIGNIFICAZIONE

(fraseologia)

1

=

«dare un 'aria di...» ’ «Elle», n. 611. | Riferimento:

Posso classificare queste. letture-in-due.--modi: per significati o per significanti. Si tratterebbe di un’opzione

discutibile‘ se avessi a che fare con un materiale molto vasto, d’importanza statistica, analogo per esempio a

quello della linguistica. Ma siccome la lettura riguarda modelli puramente qualitativi, posso facilmente tentare entrambe le classificazioni. La prima mi fornirà tutti i «morfemi» di uno stesso swrnf1cato saprei per esempio che i significanti di yomanticàsono: la mussolina, il pizzo, la batista, il ricamo, la rensa, l’organza, le balze, le velette e le strisce; sono cosf nella situazione di un lin-

‘ Non è certamente la stessa cosa descrivere una struttura a partire dai si-

gnificati o a partire dai significanti. I significanti in qualche modo derivano dai significati o c’è, al contrario, un’organizzazione endogena dei significanti? B. MANDELBROT ha mirabilmente posto il problema in Logique, langage et théorie de l'information, Puf, Paris 1957, p. 63.

52

IL SENSO

DELLA

MODA

guista che fa l’inventario delle differenti marche del plu-

rale (-s, -ent, leur ecc.)'. Ma cosf come la s è nello stesso

tempo marca del numero e della persona (tu chantes), l’organza è il significante attestato dell’aria romantica e del-

l’abito da casinò. Eccomi rinviato a un contesto, sia esso spaziale (la frase, l’insieme dell’indumento) o associativo (le opposizioni, per esempio, tra -s e -ez, tra l’organza e la flanella).

Conviene allora stabilire prima le classi omogenee dei s1gn1f1cant1 senza curarsi per il momento della loro sostanza, ossia dei loro 51gn1f1cat1 il 51gn1f1cato interverrà

nuovamente nel momento in cui si tratterà di stabilire,

all’interno di ciascuna di queste classi, le variazioni pertinenti. Quel che in primo luogo occorre individuare sono i principali «morfemi» generici dell’indumento di moda (ai quali riservo la casella intermedia della mia scheda)®: se accumulo tutti i significanti del tipo «stoffa di raso», farò rapidamente apparire il «vestema» generale materiale, all’interno del quale, attraverso una serie di analisi ulteriori, posso sperare di scoprire un vero e proprio paradigma (del quale non posso prevedere il «numero»)’ che opporrà in modo pertinente il tessuto satinato al tweed (= mattina).

9. Quel che cerco di mettere in luce sono funzioni. Spesso, la rivista di moda mi fornisce soltanto un lessi-

co univoco (che chiamerò /lessico assoluto), nella misura

in cui esso tende, per vocazione mitologica, a presenta-

re i segni come essenze immutabili; mi dichiarerà, per

esempio, che l’alpaca significa estate e che il pizzo significa mistero, come se si trattasse di identità eterne, «ve-

re», quale che sia la tabella generale delle altre signifi7 Si tratta, ovviamente, di plurali della lingua francese [N.d. T.j. * Per questi morfemi vestimentari proporrei il nome di «vestemi», in ana-

logia con i «mitemi» di Claude Lévi-Strauss. ° Non avendo ancora esaurito l’inventario delle opposizioni, non so an-

cora se esse sono binarie o complesse.

«QUEST’ANNO È DI MODA IL BLU»

53

cazioni: più la sua leggeè arbitraria, più è imperativa. Ma non voglio accontentarmi di un lessico assoluto, nel quale non posso stabilire opposizioni significanti. La questione è fondamentale, poiché se mi accontento di equazioni semplici (alpaca = estate), sarò portato a sostanzializzare la significazione e a perdere di vista il carattere mitologico del significato; non appena, viceversa, riesco a disperdere il lessico assoluto della moda in tabelle di opposizioni relative, rispetto la struttura raddoppiata del linguaggio di moda, rinviando il significato nel suo cielo mitologico. 10. Fortunatamente, del resto, la rivista di moda abbandona talvolta il suo lessico assoluto e _mi fornisce essa stessa, già pronte, alcune tabelle di opposizioni. È il caso che chiamerò delle variazioni concomitanti dei segni: un cambiamento. di significato comporta.espressamente un cambiamento di significante, di modo che dispongo quanto meno di quattro termini (due significati e due significanti) legati tra loro da una sorta di proporzionalità'. Si prenda un cappello in velluto di seta grezza (supporto di significazione); per il pomeriggio (significato 1) esso è ornato da due guarnizioni di paglia (significante 1); per la sera (significato 2), invece, esso è ornato da tre bottoni di giaietto (significante 2): | |

|

pomeriggio .

guarnizioni

Ì {

sera

bottoni

cappello di velluto di seta grezza

|

per...

!° La proporzionalità è una nozione poco compatibile con il carattere di-

scontinuo dei significanti: ma i significati, invece, sono spesso quantificati: insieme piuùu o meno elegante, fantasia crescente ecc.

54

IL SENSO DELLA MODA

Generalmente, la variazione riguarda un’opposizione

contraddittoria d1 significati (sobrio/divertente); ma può_

anche estendersi a una scala di stati (poco elegante/elegante/molto elegante), di momenti (colazione/cenafcocktail|le cinque]le dieci) o di circostanze (gran ballo/ballo all’aperto|/ballo przvato/ba/lo a casa propria). Sì assiste in tutti questi casi al significante che circoscrive, in qualche modo, da vicino una variazione infima di significato, e a significati graduali (pid o meno elegante) che si accompagnano a significanti violentemente discontinui (abiti provvisti o non provvisti di giacca). Queste relazioni sono preziose, poiché forniscono nel-

lo stesso tempo il «vestema» e il suo paradigma, rivelando

sia l’unità sintagmatica sia l’opposizione paradigmatica che tale unità implicitamente supporta. Si prenda un cardigan

disinvolto o sportivo , a seconda se il collo è aperto o chiuso (il

collo è il supporto della significazione, il cardigan l’oggetto preso di mira da essa). Non soltanto sono immediata-

mente assicurato del fatto che esiste un «vestema» (z0do di indossare un vestito o, per abbreviare, port.)!!, ma so an-

che che il paradigma implicato in questo «vestema» comprenderà quanto meno l’opposizione aperto/chiuso" I1. Bisogna approfittare di queste mitanti dei segni per ricordare ancora colare del linguaggio di moda, nelle differenze con il linguaggio articolato: colato è un sistema semplice (salvo a

variazioni concola struttura partisue somiglianze e il hnguagg10 articonsiderare i suoi

aspetti stilistici, le sue «scritture»), mentre il vestito di mo-

!! Îl modo di indossare un vestito può essere inserito in un inventario strut-

turale soltanto se si tratta di un comportamento istituzionalizzato: ritroviamo

qui la distinzione saussuriana tra langue e parole; cosi come la linguistica si interessa soltanto al fenomeno della /angue, la semiologia del vestito si occupa soltanto dei tratti normativi. Il vestito di moda ha appunto il vantaggio di essere un vestito istituzionalizzato allo stato puro - proprio perché non è indossato. '2 E possibile già prevedere, per questa opposizione, un termine neutro

(né aperto né chiuso): è l’accostato (di certi cappotti). Ma siccome di fatto ac-

costato è presente in una opposizione con arrotolato, si avrà una relazione a

quattro termini: arrotolato/chiuso/aperto/accostato.

«QUEST’ANNO È DI MODA IL BLU»

55

da è un sistema doppio: renderò conto di questa differena comparandoli entrambi a un terzo sistema semiologico, estremamente grossolano, ma che ha il vantaggio di essere, a seconda dei casi, doppio o semplice: il semaforo. In questo frammento di segnaletica stradale, dispon-

o di tre segni: rosso, verde, arancione. Se nessuno mi

dice quali sono i loro rispettivi significati, avrò bisogno di registrare un certo numero. di volte le. risposte della realtà a questi stimoli misteriosi, per comprendere che il rosso è un divieto, il verde una libertà e l’arancione un

allarme: si tratta pertanto di un sistema primo, analogo al linguaggio articolato (il messaggio viene decodificato solo grazie a un apprendistato). Al contrario, se il mio

istruttore mi dice espressamente che il rosso significa

«divieto di passare», ho già a che fare con un sistema se-

condo, per il quale la parola assolve il compito di mediatore; tuttavia, se l’istruttore non mi dice nulla degli altri

segnali (0 me ne parla soltanto in un secondo momento), sarò portato a considerare il rosso come il colore naturale,

essenziale, eterno, del divieto; consumerò in questo caso

una significazione artificialmente privata di ogni struttu-

ra funzionale: è il caso del lessico assoluto (alpaca = esta-

te), del quale ho già detto che rappresenta la forma normale della comunicazione vestimentaria. Ma se il mio istruttore mi spiega che i tre significati (divieto, libertà, allarme) sono legati funzionalmente a tre colori di cui mi basta osservare le opposizioni per comprendere il messaggio, sarò in possesso di un sistema la cui struttura funzionale è finalmente palese — anche se questo sistema è anch’esso legato alla parola: mi importerà poco (salvo per ragioni fisiche di visibilità) che i colori significanti siano il rosso, il verde e l’arancione: ricaverò una lettura del si-

stema informativo che mi viene proposto dal puro gioco delle opposizioni: come è appunto il caso delle mie variazioni concomitanti".

' In che misura il verde è il contrario del rosso? Diremo che l’esistenza di un terzo termine, o termine neutro (né verde né rosso), rinforza la pola-

rità tra i primi due.

56

IL SENSO DELLA MODA

Ognunadi queste classi costituisce una sorta di unità-sintagmatica (quelle che Saussure chiamava le unità concrete); esse sono di ordine spaziale, sono «pezzi» di vestito. Ecco una prima lista di queste classi di vestemi: - Materiale - Colore

Dettagli — Colli

— Motivo

— Maniche — Tasche - Taglia

Indumenti (definiti mediante il

loro punto d’appoggio) - Testa

— Spacchi

- Attacchi

- Collo — Spalle - Fianchi

— Pieghettature — Bordure - Impunture

— — —

- Ornamenti

Spalle-Fianchi (abito unito) Mani Piedi Port. Associazione di elementi

Naturalmente, ognuna di queste classi solleva dei pro-

blemi, richiede delle spiegazioni. Ma siccome si tratta,

in questa sede, di abbozzare soltanto un itinerario metodologico, mi limiterò a commentare due soli punti di

questo inventario.

13.

Insisterò di nuovo su un principio di fondo: que-

ste classi non provengono per nulla da considerazioni logiche o intuitive del vestito femminile. Non ho cercato di classificare i differenti elementi (o tratti) di questo vestito secondo le divisioni che l’estetica, l’anatomia, la tecnica, il mercato, la terminologia o semplicemente l’u-

so possono suggerirmi; a designarli come unità è soltanto il potere significante di una certa zona o di un tale ac-

cidente dell’indumento, e a costituire la classe formale

«QUEST’ANNO È DI MODA IL BLU»

57

è la collezione di queste unità morfologicamente identi-

che. Ne consegue che queste classi sono nello stesso tem-

po molto vicine e molto lantane da una classificazione del vestito come può immaginarla il senso comune. Molto vicine, perché - non è inutile ricordarlo nel corso di un programma risolutamente «formalista» — le significazioni del vestito (di moda) sono evidentemente legate

— in un certo qual modo'* — a una pratica vestimentaria,.

di modo che è possibile ritrovare nel vestito come insieme significante la matrice tecnica al quale esso si trova sottomesso (il fatto che una certa impuntura sia un segno non abolisce la sua funzione strumentale). Molto lontane, perché un vestito non.si.vende. (volendo considerare la divisione corrente del vestito in articoli) a seconda di quel che significa: non ci sono nei grandi magazzini reparti di «significanti»'’. Possiamo avere un’idea di questa ambiguità se consideriamo il «vestema» generale indumento (definito dal suo punto d’appoggio)'’.

L’ 1nè1_1gnto e l’articolo appartengono al medesimo or-

la tassonom1a commerciale distingue gli art;coh at1;;a-

verso una complessa combinazione di elementi diversi (posto sull’asse orizzontale e sull’asse verticale del corpo, funzione utilitaria, forma degli sproni, esistenza di un «dettaglio» caratteristico ecc.), io ho bisognodi in-

dicare nell’indumento soltanto.ciò.che.lo fa significare, ossia ciò che lo oppone ad altri significanti: sia esso l’esistenza pura e semplice dell’indumento o un qualche "" I legami tra la matrice tecnica del vestito e l’organizzazione dei suoi significanti si ricollega al problema posto nella nota 6. 15 Sarcbbe di un certo interesse comparare l’organizzazione dei significanti di moda alla classificazione degli articoli vestimentari nel catalogo di un grande magazzino. Il problema di queste tassonomie è stato affrontato da B. MANDELBROT, Logique, langage et théeorie de l’information cit., p. 57, sulla linea di Zipf e IHHerdan. '° I] criterio del punto d'appoggio per definire un capo d’abbigliamento proviene dall’etnologia (A. LEROLI-GOURIIAN, Milieu et techniques cit., pp. 208 sgg.). Il che non gli impedisce di coincidere, anche se in modo approssimativo, con il criterio della significazione (il quale considera soltanto il vestito occidentale).

58

IL SENSO DELLA MODA

suo dettaglio”. Ne consegue che le unità significanti sono spesso o più grandi o pié p1ccpîdefl articolo commerciale: è possibile che ci sia significazione al livello molto géhnerale, per esempio, dell’indumento esterno appoggiato sulle spalle (cappotto, cappa, impermeabile o

giacca da tailleur) o a livello di un dettaglio infimo (portare il colletto sollevato o meno); inversamente, un arti-

colo (una giacca, una gonna) può essere privo di qualsiasi significazione. Îl primo compito di una lettura del vestito di moda — ma anche il più ribelle, dato il carattere commerciale della sola terminologia che attualmente possediamo - è dunque di spezzare la nozione di articolo per arrivare a cogliere l’elemento semiogeno nella sua estrema mobilità.

14. Îl secondo commento di ordine generale che vorrei dare alla tavola delle classi formali è il seguente: a «provare»il vestema è il fatto che esso si trova fatal-

mente a cavallo tra due piani strutturali: quello del sin-

tagma e quello del sistema, Da una parte, esso è certamente una fetta della catena vestimentaria, un peézzo concreto di spazio, il frammento di una continuità. D’altra parte, se il vestema occupa questo spazio, è — per cosi dire — per sloggiare da esso tutti gli altri tratti con-

correnti ai quali il vestema stesso si oppone. Per ritor-

nare all’esempio dell’indumento appoggiato sulle spalle, da un lato esso è certamente un frammento dello spazio vestimentario, confina con l’indumento appoggiato sui fianchi, intrattiene con gli altri indumenti rapporti di solidarietà, di selezione o di semplice combinazione (per riprendere la classificazione di Hjelmslev-Togeby), i quali sono puri rapporti sintagmatici: una volta posti il punto d’appoggio e la

«vena»"®, è possibile avere una sola

‘7 E possibile prevedere, a livello dell’indumento, una opposizione: esistenza/carenza. Se indichiamo con S l’indumento che si appoggia sulle spalle, in certe condizioni si avrà: S + (donne) S- (uomini). !8 Una delle difficoltà dell’analisi strutturale del vestito è legata alla sua natura bidimensionale. Gli indumenti sono disposti al contempo su un asse

«QUEST’ANNO È DI MODA IL BLU»

59

unità. Da un altro lato, all’interno della stessa classe indumento appoggiato sulle spalle si apre_un intero. paradigma, nel quale ogni termine ha senso solo perche esclude tutti gli altri. Una giacca a vento è un’unità sintagmatica nella misura in cui confina con un indumento appoggiato sui fianchi (gonna o pantaloni); è un’unità sistematica nella misura in cui si oppone a un altro indumento appoggiato sulle spalle appartenente alla stesa vena, l’auto-coat per esempio. Cosi, il vestema ha sempre una doppia realtà: estensiva, poiché è provvisto di una situazione concreta (topolog1ca) intensiva, poiché raggiunge un paradigma virtuale di opposizioni. 15. Î segni di cui ho parlato sino a questo momento rinviavano sempre a un significato esplicito: è appunto — come ho detto - il vantaggio del vestito di moda, quello di dare i suoi significati nel metalinguaggio di una let-

teratura. Questi significati non sono molto numerosi e

il mondo che costruiscono è piccolo"”. Tuttavia, anche se si ricorda che un significato ha quasi sempre molteplici significanti, il vestito di moda dà l’impressione di un’abbondanza sorprendente di forme. Come mai? Occorre a questo proposito riflettere su un insiemedi tratti dei quali la rivista di moda non dà i relativi significati, quanto meno in modo esplicito: il significato resta per cosi dire «nell’aria». Si descriverà per esempio un abito-blusa mediante la successione dei suoi tratti (popeline a pois bianchi su fondo giallo pernod, scollatiura e ta-

orizzontale e su un asse verticale, si sovrappongono per spessore o per altezza. Ho convenuto di chiamare «strati» le sovrapposizioni verticali degli in-

dumenti (per esempio: cappello, sciarpa, giacca, gonna, scarpe) e «vene» le

sovrapposizioni orizzontali (per esempio, per gli uomini: maglieria intima, camicia, giacca, cappotto). Ma il problema si complica perché: 1 ) certe vene appaiono parzialmente (camicie con la scollatura); 2) le vene non sono stabili (cosa che prova la necessità di distinguere l’indumento dall’articolo): una giacca può essere esterna (sopra una camicia) o interna (sotto un cappotto).

Nondimeno, un indumento è interamente definito per lo strato (punto d’appoggio) al quale appartiene e la vena di cui fa parte (interna, esterna, mista). 19 È probabile che i significati stessi si organizzino in grandi funzioni del tipo città/campagna, elegante[sportivo, giorno/sera ecc.

60

IL SENSO DELLA MODA

to. Ma si tratta soltanto di un’apparenza: in questi casi, molto frequent1 in cui la rivista descrive senza commentare, c’è un significato che occorre sempre ristabilire, e questo significato è la moda come tale”; cosf, queste equazioni apparentemente difettive sono significazioni piene: niente di ciò che viene detto è insignificante. La moda è dunque un significato come gli.altri. La sola differenza è che gli altri significati sono eplsod1c1 e sempre nominati. Il significato moda, invece, è permanente; lo trov1amg_;_c_>_t_t_o tre forme: espressamente nominato (il blu è di moda); sostenuto da 51gn1f1cat1 contingenti che faono.da mediatori (accessorio = primavera [= moda])*!; né nominato né mediato ma implicito (un

vestito in popeline pernod ecc.). È un significato universale; si potrebbe dire, riprendendo l’espressione dalla logistica””, che per tutte le equazioni, implicite e no, del linguaggio vestimentario, la moda costituisce il percorso di significazione. I16. Ne consegue che letteralmente, ossia all’interno di quel meta11nguaggq_sggtto…nel quale la rivista di morivela attraverso un significante un1co al contempo necessario e sufficiente, che chiamerò il notabile: ogni tratto che viene notato, ogni forma che viene rilevata, ogni frammento vestimentario, nel momento in cui è citato,

rinvia al 31gn1f1cato moda. Posso dunque - e devo - trattare tutto ciò che viene detto attraverso la rivista di moda come un tratto virtuale di 51gn1f1cazmne costituire

‘° Naturalmente, la moda deve sempre essere intesa nel suo senso temporale: blazer = primavera quest’anno. !! ]n modo pivt ristretto un significato «psicologico» può esso stesso essere il mediatore di un significato circostanziale: cosi cappotto = viaggio grazie alla mediazione di a proprio agio. 2 R. BLANCHÉ, Introduction è la logique contemporaine, Colin, Paris 1957, p. 138.

«QUEST’ANNO È DI MODA IL BLU»

61

queste notazioni in materiale significante e incorporarle nelle mie classi formali: esse vi si sistemano, del resto,

issai bene, e ciò che viene rilevato dei puri significanti di moda coinciderà pressappoco con ciò che viene rilevato dei significanti più particolari. E possibile in tal modo assicurarsi un inventario molto ampio ma tuttavia omogeneo. 17.

Questo inventario (di forme significanti) può es-

sere esaustivo ? Bisogna innanzitutto ricordare che, se l’oggetto della ricerca è puramente sincronico, lavoreremo su tratti e forme attestate nel corso di un anno”. Inoltre, quel che si rileva sono modelli, non mezzi: dal momento in cui un tratto viene registrato, non è più ne-

cessario contabilizzare il numero di volte in cui esso si presenta: un tratto frequente non è più significante di un tratto raro: non è la quantità di una forma a renderla significante, ma la relazione che essa instaura con altre forme. Ne consegue che, dopo un certo tempo, l’i delle forme 51gn1f1cant1 viene saturato; prat1camente non lo è mai del tutto; ma se la struttura generale è stabilita in modo corretto, una qualsiasi forma non è mai del tutto imprevedibile. È certamente possibile incontrare un segno nuovo; ma se le classi formali sono ben

stabilite, possiamo constatare che esso partecipa, senza alcuna violenza, a qualcuna di esse — o a molte nello stesso tempo. I18. Cosf, il «rinnovamento» della. moda. tende essenz1almente alla novità apparente delle combinazioni,

non alla novità dei tratti. 1 «vestemi» sono in numero

! Tra la sincronia stretta (la moda di un anno) e la diacronia larga, come

è stata studiata da Richardson e Kroeber, c’è forse una micro-diacronia che

tenterebbe di strutturare le variazioni di un «vestema» nel corso di qualche anno: per esempio la lunghezza della gonna. Questa micro-diacronia è possibile poiché i significanti di moda provengono da una regola e non da un uso (al contrario della lingua).

62

IL SENSO DELLA MODA

finito (e probabilmente poco elevato)**, e il numero com-

plessivo delle loro combinazioni è anch’esso, di conseguenza, tale; numero che può essere ulteriormente ridotto, dato che certe combinazioni sono impossibili in virtu di certe regole di incompatibilità. Infatti, l’ab-

bondanza delle forme, sulla quale viene edificata tutta la mitologia della moda («capriccio», «gusto», «invenzione», «intuizione», «rinnovamento inesauribile» ecc.) è un’illusione; illusione legata al fatto che, essendo la sin-

cronia molto breve, il gioco delle combinazioni deborda

facilmente - anche soltanto d’un poco - la memoria uma-

na di queste forme. Ma sarebbe sufficiente costruire una

memoria matematica (sotto forma di una macchina che

fa la moda)” perché la moda, anche in una scala microdiacronica, appaia come un ordine di forme limitate ed essenzialmente computabile: verità sorprendente per un mercato fondato interamente sull’esaltazione di un’incessante neologia, ma assai utile per comprendere come un’ideologia capovolga il reale. ’1 Ricordo che ho trattato in questa sede classi di «vestemi», non «vestemi» come tali, il cui inventario dipende da un’analisi sistematica. 5 Se la linea risulta dal trattamento di un certo numero di «vestemi», essa si apparenta in termini cibernetici all’idea di una macchina, «lungo calcolo su una sequenza di operazioni differenti (fonemi)» (B. MANDELBROT, Logi-

que, langage et theorie de l'information cit., p. 44).

Dal gioiello al bijou*

Per molto tempo, secoli o forse millenni, il gioiello è stato essenzialmente una sostanza minerale: diamante o metallo, pietra preziosa od oro, esso veniva sempre dalle profondità della terra, da quel cuore a un tempo oscuro e rovente di cui conosciamo soltanto i prodotti induriti e raffreddati. In breve, proprio perla sua origine, il gioiello era un oggetto infernale, proveniente, attraverso percorsi costosi e spesso insanguinati, da quelle caverne sotterranee in cui l’immaginazione mitica dell’umanità ha posto insieme i morti, i tesori e le colpe. Estratto dall’inferno, il gioiello ne è diventato il simbolo, ne ha assunto il carattere fondamentale: l’inumanità. In quanto pietra (i gioielli erano in gran parte costituiti da pietre), esso era soprattutto «durezza». La pietra ha sempre rappresentato l’essenza stessa della cosa, dell’oggetto inanimato: la pietra non è né vita né morte, è inerzia, ostinazione della cosa a non essere altro che

se stessa: è immobilità infinita. Ne consegue che la pietra è imperturbabile: il fuoco è crudele, l’acqua è subdola, la pietra è la desolazione di chi non è mai vissuto né mai vivrà, di chi resiste testardamente a ogni animazione. Per molto tempo il gioiello ha tratto dalla propria origine minerale questo primo potere simbolico: denotare un ordine inflessibile come quello delle cose. Inoltre, l’immaginazione poetica dell’umanitàha potuto concepire pietre sottoposte.all’usura, pietre nobili, -









g

“_ Des joyaux aux bijoux, in «Jardin des arts», aprile 1961, n. 77.

64

IL SENSO DELLA MODA

venerabili, vive malgrado tutto, perché capaci di invecchiare. Ma il diamante, quintessenza della pietra, è al di 1à del tempo, 1ndeper1b11e incorruttibile, la sua limpidezza è l’immagine morale della virtd p1u micidiale: la purezza. Sostanzialmente, il diamante è puro, pulito, quasi asettico. È benché esistano purezze tenere, frag1li (come quella dell’acqua, per esempio), vi sono anche purezze sterili, fredde, taglienti. La purezza, infatti, è vita, ma fc_>rse è anche - al contrario — infecondità; e il diamante è come il figlio sterile della terra profonda improduttivo, impotente a trasformarsi in marciume, in Pmus, dunque in germe. C1ononostante il diamante seduce; duro, limpido, possiede una terza qualità simbolica: brilla. Eccolo allora inserito in un nuovo tema magico e poetico, quello di una sostanza paradossale contemporaneamente ignea e fred-

da: è fuoco ed è anche ghiaccio. Fuoco freddo, brillante tagliente, ma senza esito: quale simbolo m1ghore del diamante per rappresentare l’ordine mondano delle vanità, della seduzione senza contenuto, dei piaceri senza ve-

rità! Per secoli l’umanità cristiana (ben pitù di noi) ha

sofferto vivamente dell’opposizione tra il mondo e la solitudine; per il suo fuoco e la sua freddezza il diamante era il mondo, quell’ordine aborrito e affascinante fatto di ambizioni, lusinghe e delusioni, che tanti moralisti hanno condannato - forse per meglio descriverlo. E l’oro, con cui pure si facevano i gioielli ? Benché proven1ente — essendo in primo luogo minerale o pep1— ta — dalla terra e dall’inferno, l’oro è una sostanza più

intellettuale che simbolica; può affascinare solamente al-

l’interno di economie fondate sulle merci; ha poca realtà poetica; lo si evoca solo per sottolineare quanto la me-

diocrità della sua sostanza (un metallo sbiadito e giallastro) contrasti con l’ampiezza delle sue possibilità. Ma

come segno, che forza! E proprio il segno per eccellenza, il segno dei segni: è il valore assoluto, dotato di tutti i poteri, compres1 quelli un ternpo ‘detenuti dalla magia: non può forse appropriarsi di tutto, beni e virtà, vi-

DAL GIOIELLO AL BIJOU

65

te e corpi? Non può convertire tutto nel suo contrario, abbassare, elevare, avvilire, glorificare ? Il gioiello ha

condiviso a lungo questo misura in cui ben presto lizzato per.le monete, né s{ escluso da ogni ordine

potere dell’oro. Di pit: nella l’oro puro non è stato più utiper oggetti d’uso, venendo copratico, esso — la cui funzione

si è come ripiegata su se stessa — è diventato oro super-

lativo, ricchezza assoluta: il gioiello diviene allora il concetto stesso del prezzo: lo si indossa come un’idea, quella di un potere terribile, a cui basta essere visto per essere dimostrato Non c’è dubbio che in fondo il gioiello sia stato a lungo un segno di ultrapotenza, cioè di virilità (solo recentemente, infatti, sotto l’influenza puritana del vestito

quacchero, che è all’origine del nostro abito maschile, gli uomini hanno smesso di portare gioielli). Perché, allora, il gioiello è stato da noi cosf costantemente associato alla donna, ai suoi poteri e ai suoi malefici ? Îl fatto

è che l’uomo ‘ha ] ben presto delegato.alla donna l’esposi-

zione della propria ricchezza (alcuni sociologi spiegano cosf l’origine della moda): la donna testimonia poeticamente la ricchezzae la potenza del marito. Solo che, come sempre nella società umana, la motivazione di base

è stata rapidamente investita di significati, simboli ed effetti inattesi. Cosi, la primitiva esposizione della ricchezza si è intrecciata con tutta una mitologia della donna: mitologia, d’altronde,

ancora una volta infernale,

dato che la donna si perde per il possesso dei gioielli e l’uomo si danna per la donna, la quale indossa quegli stessi gioielli per cui si è venduta: attraverso la catena dei gioielli, la donna si dà al diavolo, l’uomo si dà alla

donna, divenuta essa stessa pietra preziosa e dura. È non bisogna credere che una tale simbologia, a un tempo prosaica e spirituale ossia ingenua, appartenga solamente

ai tempi barbari del nostro Occidente. Tutta la società del Secondo Impero, per esempio, si è inebriata ed è impazzita a causa del potere dei gioielli, di quella sorta di conduttibilità alla colpa, per molto tempo ritenuta quasi

66

IL SENSO DELLA MODA

una proprietà fisica dei diamanti e dell’oro. Nandè di Zola è davvero il canto grandioso e furioso di una società che si annienta in una doppia distruzione o, per cosf dire, divorazione: la donna è contemporaneamente mangiatrice di uomini e di diamanti. Ancor oggi questa mitologia non è del tutto scomparsa: esistono grandi gioiellieri, un mercato mondiale dei diamanti, furti di gioielli celebri. Ma il tema infernale è visibilmente in declino. Innanzitutto perché la mitologia della donna è cambiata: nel romanzo, nel cinema, la donna è sempre meno fatale, non distrugge più

l’uomo; non è pit possibile considerarla immobile, ina-

nimata, farne un oggetto prezioso e pericoloso: ha raggiunto l’ordine umano. Inoltre, i gioielli, i grandi mitici gioielli non si portano quasi pit: sono valori storici, aset-

quanto dire — non conosce più il gioiello, ma soltanto il bjou — La moda, come sappiamo, è un hnguagg10 attraverso essa, attraverso il sistema di.segni.che la costituisce, per quanto fragile appaia, la nostra società - e non solamente quella femminile — mostra, comunica il proprio essere, dice ciò che pensa del mondo. Cosi come il gioiel. lo della società antica esprimeva in fondo la sua natura essenzialmente teolog1ca allo stesso modo il bijou di oggi — quello che vediamo nei negozi e nelle riviste di moda segue, esprime, significa il nostro tempo: venuto dal mondo ancestrale della colpa, si può dire con una battuta che il bijou sìi è laicizzato.

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tici, imbalsamati, separati dal corpo femminile, condannati a stare in cassaforte. In breve, la moda - ed è

Questa secolarizzazione ha toccato innanzitutto, e più

visibilmente, la sostanza stessa dei bijoux: essi non sono più fatti soltanto di pietre o di metallo, ma anche di materiali fragili o teneri, come il vetro o il legno. Inoltre,

non esibiscono pit in modo uniforme un prezzo per cos{ dire disumano: se ne vedono in metallo volgare o in vetro poco costoso; e quando imitano materiali prezio-

si, oro o perle, lo fanno senza vergogna. L’imitazione,

DAL GIOIELLO AL BIJOU

67

caratteristica della civiltà capitalista, non è più un modo ipocrita di mostrarsi ricchi a buon mercato; essa si mostra chiaramente, non mira a ingannare, ma solo a

mantenere le quahta estetiche della materia imitata. In

breve, c’è una liberazione generale del bijou; la sua de-

finizione si allarga, si tratta ormai di un oggetto — se cos{ si può dire — privo di pregiudizi. Vario nelle forme e nei materiali, infinitamente utilizzabile, non più sog-

getto alla legge del prezzo alto né a quella di un uso particolare, festivo, quasi sacralizzato: il bijoy è diventato

democratico. Taledemocratizzazione, ben inteso, viene compensata da un nuovo valore di controllo. Finché la ricchezza regolava la rarità del gioiello, questo poteva essere valutato solo in base al prezzo (della materia e della lavo-

razione); ma nelle nostre società democratiche, e tuttavia

ancora differenziate, quando una cosa diventa quasi alla portata di tutti, quando l’opera diventa prodotto, bisogna che sia sottoposta a una discriminazione d’ordine diverso: quella del gusto, di cui proprio la moda è giudi-

ce e custode. Oggi abbiamo dunque bijoux di cattivo gusto; e, paradossalmente, il cattivo gusto di un bijou è in-

dividuato proprio nell’ostentazione di ciò che un tempo ne fondava il prestigio e la magia: il prezzo. Non solo i bijoux troppo ricchi e carichi sono screditati, ma al contrario, perché un bijou costoso sia di buon gusto, biso-

gna che la sua ricchezza sia discreta, sobria, visibile so-

lo agli intenditori. In che consiste dunque il buon gusto per un bijou di oggi? Semplicemente nel fatto che, per quanto poco costi, esso deve essere pensato in relazione all’insieme dell abb1ghamento, sottoposto a quel valore essenzialmente funzionale che è lo stile. La novità, se si vuole, sta nel fatto che il bijou non è più solo: è un termine di quel rapporto che lega contemporaneamente il corpo, il vestito, gli accessori e la circostanza; fa parte di un insieme, e quest’insieme non è più fatalmente cerimoniale. Il gusto può essere ovunque - al lavoro, in campagna, al matti-

68

IL SENSO DELLA MODA

no, in inverno - e il bijou lo segue; non si tratta più dell’oggetto singolare, folgorante, magico, concepito per ornare, cioè per far valere la donna; più umile e più attivo, il bijou fa ormai parte del vestito, sullo stesso piano di una stoffa, di un taglio, di un qualsiasi altro accessorio. Ora, proprio le sue ridotte dimensioni, il suo carattere di finitezza, la sua stessa materia, estranea alla

morbidezza dei tessuti, fanno rientrare il bijou in quella parte della moda che ormai costituisce l’anima dell’economia generale del vestito: il dettaglio. Era fatale che, concependo il gusto come il prodotto di un delicato insieme di funzioni, la moda accordasse un potere sempre maggiore alla semplice presenza di un elemento, per minimo che fosse, indipendentemente dal-

la sua importanza fisica. Da qui l’estremo valore, nella moda attuale, di tutto ciò che, pur essendo di dimensioni ridotte, modifica, armonizza, anima la struttura

di un vestito, e che viene appunto chiamato (ormai con molta deferenza) un nonnulla. Il bijou è un nonnulla,

ma da questo #onnulla emana una grande energia: spesso poco costoso, venduto nei normali negozi e non più

nei templi della gioielleria, di materiali vari, d’ispira-

zione libera (spesso anche esotica), dunque deprezzato

nella sua essenza fisica, il bijou — anche il più modesto rimane l’elemento vitale di una toletta, perché ne sottoscrive la volontà di ordine, di composizione,

cioè

d’intelligenza. Analogo a quelle sostanze metà chimiche e metà magiche, tanto più efficaci quanto più infinitesimale è la loro quantità, il bijou «regna» sul vestito non perché è prezioso in sé, ma perché concorre in maniera decisiva a renderlo significante. Ad essere prezioso è ormai il senso di uno stile, e questo senso dipende non dai singoli elementi, ma dal loro rapporto. E, all’interno di tale rapporto, è proprio il termine staccato (una tasca, un fiore, una sciarpa, un bijou) quello che detiene il potere ultimo di significazione. Verità, questa, non solo analitica ma anche poetica: il lungo percorso che, attraverso i secoli e le società, conduce

DAL GIOIELLO AL BIJOU

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dal gioiello al bijou è lo stesso itinerario che ha trasformato le pietre fredde e lussuose dell’universo di Baudelaire nei gingilli, bijou e nonnulla nei quali Mallarmé ha saputo racchiudere tutta una metafisica del nuovo potere dell’uomo di rendere significanti le cose più infime.

La fine del dandismo”

Per molti secoli, ci sono stati tanti vestiti quante clas classi sociali. Ogni rango aveva il suo abito, e non c’eraalcun imbarazzo nel considerare il modo di vestire come un vero e proprio segno, dato che la disparità di stato sociale era considerata naturale. Da una parte, il vestito era sottoposto a un codice assglutamente convenzionale ma, d’altra parte, questo codice rinviava a un ordine naturale ‘o9,.meglio.ancora, divino. Cambiarsi d’abito si-

gnificava cambiare al tempo stesso modo d’essere e c_l_g_s— se sociale; l’uno e l’altra si confondevano. Nelle com-

medie di Marivaux, per esempio, il gioco dell’amore coincide al contempo con il quiproquo delle identità, con il mutamento delle condizioni sociali e con lo scambio dei vestiti. Esisteva dunque una vera e propria grammatica del vestito, che non poteva essere trasgredita senza minacciare, non soltanto alcune convenzioni del gusto, ma soprattutto un ordine profondo del mondo: quanti intrighi, quante peripezie della nostra letteratura classica si basano sul carattere francamente segnaletico del vestito! Sapp1amo che subito dopo la Rivoluzione il vestito

maschile è mutato profondamente, non solo nella forma (derivata essenzialmente dal modello quacchero), ma nel-

lo spirito: l’idea di democrazia ha prodotto un vestito teoricamente un1f…_.£mf: Sottoposto non più alle dichia-

rate esigenze dell . apparire ma a quelle del lavoro e del‘’

a n

LNAAOT

TTI A

*_Le dandysme et la mode, in « United States Lines Paris Review», luglio

1962, numero monografico sul « Dandismo».

LA FINE

DEL

DANDISMO

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l’eguaglianza: il vestito moderno (l’abito maschile è praticamente ancora quello del x1x secolo) è in linea di principio un vestito pratico e dignitoso: deve essere adattato a qualsiasi situazione lavorativa (purché non manuale) e attraverso la sua austerità, o quanto meno la sua sobrietà, esso deve ostentare quel cant morale che ha caratterizzato la borghesia del secolo scorso.

Tuttavia, la separazione delle classi sociali non è stata per nulla cancellata: il nobile, vinto in politica, detiene ancora un notevole prestigio, sebbene limitato all’ar-

te del vivere; e il borghese deve anch’egli difendersi, non tanto dall’operaio (il cui costume resta del resto marca-

to), ma dall’ascesa delle necessario.che.il vestito, mità teqrica assegnatagh ro: b1sogna essere capaci

classi medie. Diviene pertanto per cosi dire, bari con l’unifordalla Rivoluzione e dall’ Impedi mantenere, entro un tipo or-

mai universale, un certo numero di. differenze. foxrmali,

incaricate di manifestare l° opposizione fra le classi sociali. Proprio in questo momento compare, nell’abbigliamento una nuova categoria estetica, destinata a sopravvivere per lungo tempo (ancor oggi il vestiario femminile ne fa grande uso; basta apt1re una rivista di moda per rendersene conto): il dettaglia. Se non si può più cambiare il tipo fondamentale del vestito maschile senza attentare al principio della democrazia e della laboriosità,

è il dettaglìo (« nonnulla» «non so che», « maniera» ecc. )

nodo di una cravatta, la stoffa di una camicia, i botton1v

di un gilè, la fibbia di una scarpa per indicare le più sottili differenze sociali. Nello stesso tempo, non essendo più possibile — a causa della regola democratica — manifestare la propria superiorità di stato sociale, la si maschera e la si sublima con un nuovo valore: il gusto o, ancor meglio (e la parola è fortemente ambigua), la dzstmzione. i L’uomo distinto è colui il quale si sepam,.dall.’uomo volgare con determinati mezzi, il cui volume è modesto

72

IL SENSO

DELLA

MODA

ma la cui forza — in qualche modo energetica — è molto grande. Dato che, da un canto, egli vuol farsi riconoscere solo dai suoi 51m111 e, d’altro canto, tale r1conosc1gm_ento è basato essenz1almente su,certi.. dettagh possiamo dire che l’uomo distinto aggiunge all’uniforme del secolo.alcuni segni discreti (al contempo poco visibili e discontinui), che non sono pitù i segni spettacolari di una posizione assunta palesemente, ma semplici segni di connivenza. La dzstmzzone, infatti, conduce la segnaletica del vestito a una via semiclandestina: da una parte il gruppo al quale essa si dà a leggere è molto ridotto; da un’altra i segni necessari per questa lettura sono rari e difficilmente percepibili senza qualche conoscenza della nuova lingua vestimentaria.

Il dandy per limitarci al vestito, dato che il dandismo non è solo un comportamento vestimentario- è colui il quale ha deciso di radicalizzare il vestito dell’uomo aa

l

ta la distinzione alle sue estreme conseguenze. l’essenza del dandy non è pit sociale ma metafisica; il dandy non oppone la classe superiore a quella 1nfer1ore ma l’indi_v1duo al volgare; l’individuo non è per lui un’idea generale: è se stesso, pur1f1cato da ogni possibile comparazione, al punto che a rigore, soltanto lui - come Narciso — sa leggere il suo proprio abbigliamento. Il dandy professa che la sua essenza, come quella degli dèi, può essere interamente. p.tesente in_un nonnulla: il «dettawg_h_q» vestimentario non è pitù, per lui, un oggetto concreto, per quanto minuto: esso diviene invece un modo,

spesso sottilmente sviato, di frammentare il vestito, di «deformarlo», di sottrargh qualunque valore, dal momento che si tratta di valori condivisi. Far indossare l’abito nuovo al maggiordomo, bagnare i guanti per farvi aderire perfettamente la forma della mano: ecco alcuni comportamenti che rivelano quest’idea, non più soltanto selettiva, ma profondamente creativa: gli effetti di una forma devono essere pensati, il vestito non è un ogget-

to a cui si cede ma un oggetto che si tratta.

LA FINE

DEL

DANDISMO

73

Îl dandismo non è dunque soltanto un’etica (sulla qua-

le, dopo Baudelaire e Barbey, si è scritto molto) ma anch_e una tecnica. L’unione dell’una e dell’altra crea il dandy; dove è evidentemente la seconda a farsi garante della prima, come in tutte le filosofie ascetiche (di tipo indt, per esempio) nelle quali il comportamento fisico è la via d’accesso al pensiero; e poiché in questo caso il pensiero consiste in una visione affatto singolare di se stessi, il dandy è condannato a inventare senza sosta tratti distintivi infinitamente nuovi. Se in certi casi usa la ricchezza per distaccarsi dai poveri, in altri va in cerca dell’usura per prendere le distanze dai ricchi. È sempre la funzione del « dettagho » che gli consente di rifuggire dalla massa senza mai esserne raggiunto; la sua singola-

rità è assoluta nell’essenza ma moderata nella sostanza,

poiché il dandy non deve mai cadere nell’eccentricità, in quanto tale facilmente imitabile. In linea di principio il dettaglio consentiva di rende-

re «altro» il proprio vestito.

ÎI modi di portare un ve-

stito sono infatti l1m1tat1 e se non intervengono alcuni dettagh di manifattura, le innovazioni della tenuta si

esauriscono ben presto. E quel che è successo quando il

vestito masch11e diventato in modo evidente industriale: pr1vato di ogni ricorso all’artigianato, il dandy ha dovuto rinunziare a un abbigliamento assolutamente singolare, poiché non appena una forma viene standardizzata, anche se ha l’aspetto lussuoso, non è mai unica. C031 la confezione ha dato il primo. colpo. mor-

tale al dandmmo “Ma ciò che l’ha definitivamente rovinato è probabilmente la nascita delle boutiques. Le bou-

tiques diffondono vestiti e.accessori sottratti alle leggi

della massa; ma non appena questa sottrazione viene in; serita in un circuito commerciale, anche se di lusso, essa d1venta immediatamente normativa; comprando una camicia, una cravatta o un fermapols1 da X o da Z, ci si conforma a un certo stile, e si rinuncia a quals1am invenzione personale (potremmo dire: narcisistica) della singolarità. Per un’esigenza fondamentale, il dandismo

74

IL SENSO

DELLA

MODA

era una forma di creazione: il dandy concepiva il suo .abito esattamente come un artista moderno crea Una composizione a partire da materiali comuni (per esempio nel collage); come dire che, in definitiva, un dandy non poteva comprare il suo vestito. Ridotto a libertà d’ acquisto (e non di creazione) il dandismo è morto: comprare l’ultimo modello di scarpe italiane o il più recente tweed inglese è un atto eminentemente volgare, nella misura in cui presuppone una conformità alla moda. La moda è in effetti imitazione collettiva di una novità regolare anche quando pone come propr10 alibi l’espressioné di un’individualità o, come si direbbe oggi, di una «personalità», si tratta sempre di un fenomeno di massa, al quale i sociologi si sono spesso interessati, trovandovi l’esempio privilegiato di una dialettica pura tra l’individuo e la collettività. La moda, del resto, è diventata oggi una faccenda di tutti, come prova lo ‘straordinario sviluppo della stampa femminile specializzata. La moda è un’istituzione, e nessuno può pitù credere che es-

sa possa distinguere: solo il démode è una nozione distin-

tiva; in altre parole, dal punto di vista della massa, la

moda viene sempre percepita attraverso il suo contrario:

la moda è la salute, la morale, di cui il démodé è la ma-

lattia, o la perversione Assistiamo cosf a un paradosso: la moda ha distrutto qualsra31 singolar1j:a….pazz…sata.fleLvestrto prendendo tirannicamente in carico ogni singolarità istituzionale. Non è il vestito in se stesso a essersi burocratizzato (come per esempio nelle società senza moda) ma, più sot-

tilmente, ogni progetto di singolarità. Inoculare, attraverso la moda, un po’ di dandismo a ogni vestito contemporaneo ha significato uccidere fatalmente il dandismo, dato che, per essenza, esso è condannato a essere

radicale o a non essere del tutto. Non è la socializzazione generale del mondo (come si potrebbe immaginare in una società dall’abbigliamento rigorosamente uniforme, al modo dell’odierna società cinese) a uccidere il dandi-

smo; è semmai l’intervento di una potenza intermedia-

LA FINE

DEL

DANDISMO

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ria tra l’individuo assoluto e la massa totale: la moda è stata in qualche modo incaricata di trafugare e di neutralizzare il dandismo; la società democratica moderna

ha costituito con essa una sorta di organismo di perequazione, destinato a stabilire un equilibrio automatico tra l’esigenza di singolarità e il diritto di ognuno a soddisfarla. Si tratta ovviamente di una contraddizione in termini: la società moderna l’ha resa possibile sottoponendo l’innovazione vestimentaria a una durata perfettamente regolare: sufficientemente lenta da poter essere seguita, sufficientemente veloce da accelerare i ritmi d’acquisto, e ristabilire tra gli uomini una distinzione delle ricchezze.

Con ogni probabilità, per quel che riguarda il vestito

femminile, il numero elevato di elementi (di unità, pò-

tremmo dire) che lo compongono permette ancora una ricca combinatoria e di conseguenza un’individuazione autentica della tenuta. Ma abbiamo visto che - senza parlare di quei tratti psicologici (probabilmente natrcisisti e omosessuali) che hanno fatto di esso un fenomeno essenzialmente maschile — il dandismo ha potuto esiste-

re soltanto_in quell’epoca effimera in cui.l’abito. era uniforme nel tipo ma diverso nei dettagli. La moda ma-

schile - sebbene pit lenta e meno radicale di quella fem-

minile — consuma anch’essa la variazione dei dettagli pur senza toccare, per lunghissimi anni, il tipo fondamentale di vestito: essa priva quindi il dandismo al contempo dei suoi limiti e del suo alimento principale: è EFBÎ)?ÎÉ)%@\ moda ad avere ucciso il dandismo.

Tempo e ritmi dell’abbigliamento”*

1. La moda consiste nell’imitare ciò che, in un primo

momento, si presenta come inimitabile. Questo meccanismo, apparentemente paradossale, interessa la socio-

logia, in quanto essa studia soprattutto le società moderne, tecnologiche e industriali. La moda è infatti un

fenomeno storicamente legato a questo tipo di società. Occorre segnalare che esistono popoli e società senza moda; per esempio, l’antica società cinese, dove il vestito era strettamente codificato in modo quasi immutabile. L’assenza di moda corrispondeva al totale immobilismo della società. Per le società senza scrittura la moda pone un problema molto interessante, benché non molto studiato.

Questo problema appartiene alla sociologia che studia gli incontri fra le culture: in paesi giovani come quelli africani il vestito tradizionale di tipo indigeno (un vestito immobile poiché si sottrae alla moda) si scontra con

il fenomeno della moda venuto dall’Occidente. Ne risultano dei compromessi, in particolare per il vestito femminile. I grandi patterns, i grandi modelli, le grandi forme del vestito indigeno sono spesso mantenuti sia nella linea del vestito sia nei tipi di colore e di disegno, ma sono sottomessi ai ritmi della moda occidentale, come

dire a una diffusione annuale della moda e al rinnovamento dei dettagli. L’interesse di questo fatto consiste nell’incontro tra il fenomeno della moda e una cultura vestimentaria che non era fondata su di essa. Sembra si * _ La mode et les sciences bumaines, in «Echanges», agosto 1966.

TEMPO

E RITMI

DELL’ABBIGLIAMENTO

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possa concludere che la moda non è legata all’una o all’altra forma particolare di vestito, essa è piuttosto e unicamente un problema di ritmo, un problema di cadenza nel tempo. 2. La moda pone agli storici un problema pitù arduo e paradossale che non ai sociologi. L’opinione pubbhca intrattenuta e orientata dalla stampa, dai cronisti ecc., si rappresenta la moda come un fenomeno essenz1almente capriccioso, dovuto alla capacità inventiva di un qualche sarto. Per l’opinione pubbhca la moda si situa ancora in una m1tolog1a della creazione libera, che sfugge a ogni sistema e a ogni regola; è il mito, in definitiva abbastanza romantico, della profusione creatrice, spontanea. Non si dice forse che i sarti fanno tutto con niente ? Alcuni storici o, più esattamente, etnologi si sono occupati di questo aspetto creativo della moda. Kroeber, noto etnologo americano, ha condotto uno studio ampio e approfondito del vestito femminile da sera, in Occidente, nell’ arco «di circa tre secoli, ‘Basandosi su ripro-

duzioni di incisioni. Egli ha ùnificato le dimensioni di

queste tavole, in origine molto diverse, e ha potuto cos{ studiare le costanti dei tratti di moda: studio che non è né intuitivo né approssimativo, ma preciso, matemati-

co e statistico. Kroeber ha ridotto il vestito.femminile a_

un certo numero di tratti: lunghezza e ampiezza della

gonna, amp1ezza e. profondità della.scollatura, altezza della vita'. Egli ha mostratoin modo certo che la moda

è un fenomeno. pro[andamente…mgolane, che non si situa a livello delle variazioni annuali, ma sulla scala della storia. Praticamente, da trecento anni l’abbigliamen-

to femminile è sottomesso in modo preciso a un. ’oscilla-

zione penod1ca le forme ragg1ungono i termini estremi

delle loro variazioni ogni cinquant’anni. Se, in un dato ® momento, le gonne sono lunghe al massimo grado, cin-

quant’anni più tardi esse saranno corte al massimo gra- ; ' ]. RICHARDSON € A. L. KROEBER, Three Centuries of Women's Fashions cit.

78

IL SENSO DELLA MODA

do; cosi, le gonne ritorneranno lunghe cinquant’anni dopo essere state corte e cento anni dopo essere state lunghe.

Allo stesso modo, Kroeber ha mostrato alcune.concomitanze regolari, per esempio, tra la variazione della lunghezza della gonna e la larghezza della scollatura, perché alcuni tratti sono legat1 al ritmo della moda. Lo storico si trova qui di fronte a un problema appassionante, quello di un sistema culturale particolare che sembra sfuggire al determinismo della storia. Cosîì, l’Occidente ha ì conosciuto, in trecento anni, vari cambiamenti di regime, varie evoluzioni, sconvolg1ment1 1deolog1c1 ‘affettivi, re11g1051 ecc.; ora, nessuno di questi 1mportant1 avvenimenti storici ha avuto effetto sui contenuti o sui riti della moda. La Rivoluzione francese non ha realmente sconvolto questo ritmo. Nessuno può ragionevolmente stabilire il minimo rapporto tra la vita alta e il consolato; tutt’al più, i grandi avvenimenti sto-

rici possono affrettare o ritardare i ritorni assolutamente regolari della moda ANAO

AA

-

3. Il vest1to masch1]e ha una storia un po’ diversa da quella del vestito femminile. L’attuale vestito maschile di tipo occidentale si-costituisce nella sua forma genera-

le (basic pattern) all’inizio del xIx secolo, sotto l’influen-

za di due fattori. Il primo è un fattore.formale venuto dall? ‘Inghilterra: il vestito maschile ha per origine il .costume quacchero (giacca abbottonata, stretta, di colori neutri). Il'secondo fattore è di ord1ne4deolog1co La de-

mocratizzazione della società porta con sé la promozione dei valori del lavoro rispetto a quelli dell’ozio, e sviluppa negli uomini un’ideologia di autorispetto di origine inglese. Nell’anglomania della fine del Settecento, il controllo di sé si incarna in Francia in questo vestito maschile dall’archetipo austero, costretto, chiuso. Questo

costume fa scomparìre le differenze di classe. Prima, le società avevano un vestito assolutamente codificato, ‘molto diverso a seconda che si appartenesse al-

TEMPO

E RITMI

DELL’ABBIGLIAMENTO

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l’aristocrazia, alla borghesia o al mondo rurale. In seguito, la molteplicità degli abbigliamenti maschili scompare a vantaggio di un solo vestito, che è fattore di democratizzazione. Ma, come la soppressione delle classi sociali si rivela illusoria (poiché queste classi continuano a esistere), cosf gl1 uomini appartenenti alle classi superiori sono costretti, per distinguersi dalla massa, a variare i dettagli dei loro vestiti, non potendo più cambiarne la forma. Essi elaborano quella nuova nozione, per niente democratica, che — con un termine felicemente ambiguo - si chiama distinzione. Si tratta di distinguersi socialmente; distinguendosi socialmente, si era, e si è, «distinti». Da qui il dandismo: una scelta estremamente raffinata dei dettagli. Un uomo dell’Ottocento, non potendo pit modificare la forma della pro-

pria giacca, si distingue dalla massa grazie al modo di annodare la cravatta o di portare i guanti.

Da allora, il vestito maschile non ba effettive mutazioni. Ma attualmente si delinea un fenomeno nuovo: la costituzione di una vera e propria moda dei giovani. Un tempo, il giovane, e anche il bambino, non portavano abiti specifici: 1 bambini erano vestiti come gli adulti, ma in scala ridotta. In seguito, è apparso un particolare abbigliamento per i bambini, e in seguito ancora una mo-

da giovanile. Questa è divenuta alquanto imperativa,

persino imperialista; al punto che, attualmente, occorre studiare la moda maschile a livello della moda degli adolescenti. In questo campo esistono fenomeni microsaciologici, micro mode che cambiano pressappoco ogni due anni. Ci sono stat1 i blue-jeans, i blousons noirs, i giubbotti di cuoio; ora c’è la moda dei rockers: giacca attillatissima alla maniera di Alfred de Musset, capelli molto lunghi... Questa moda maschile si vede solo tra i giovani, tra i minori. 4. Il vestito — non parlo della moda — ha tre durate, tre ritmi, tre storie. Una delle scoperte della scienza sto-

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IL SENSO DELLA MODA

rica contemporanea è stata quella di constatare cheil tempo storico non puo essere concepito come 11_ne_agg__g unico, perche a storia è fatta di vari tempi di durata differente che si sovrappongono. Ci sono avvenimentfi_as:

solutamente puntuah ci sono situazioni che duraggpm

a lungo, e che si chiamano «congiunture»; ci sono infine le strutture che durano un tempo ancora più lungo

Il vestitoconosce questi tre tempi. Îl tempo pit lun-

go è occupato dalle forme archet1pe del vestito in una civiltà data. Per secoli, e in una determinata area geografica, gli uomini orientali hanno indossato, e in parte indossano ancora, qualcosa di simile a quel che per noi è il vestito da donna in Giappone indossano il kimono, in Messico il_poncho ecc. Si tratta del basic pattern, modello di base di una civiltà. All’interno di questo tempo hanno luogo variazioni medie ma ‘ perfettamente regolari”. Îl terzo tempo, pit breve ancora, potrebbe chiamarsi il tempo delle micro mode. Esso si manifesta soprattutto nella nostra attuale civiltà occidentale, dove la mo-

da cambia in linea di principio ogni anno. In realtà, queste variazioni annuali occupano molto più la stampa e il commercio di quanto non colpiscano il modello generale. Noi siamo soggetti a una sorta di illusione ottica che ci fa attribuire grande importanza alla variazione an-

nuale delle forme, benché, da un punto di vista storico, queste variazioni vengano riassorbite nei grandi ritmi re-

golari. Un problema potrebbe porsi un giorno se si modifi-

casse il ritmo bisecolare, perfettamente regolare, della

moda. Il vestito da donna dovrebbe normalmente raggiungere in dieci o vent’anni una fase estrema di accorciamento, attraverso apparenti ritorni alla lunghezza, per poi ricominciare un ciclo di allungamento attraverso apparenti ritorni al corto. Si può immaginare che questo ritmo sia turbato e che le gonne restino corte. Sarà in’ Îl termine francese è robe [N.d. T]. ’ Variazioni osservate anche da Kroeber e Richardson.

TEMPO

E RITMI

DELL’ABBIGLIAMENTO

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teressante fare uno studio di questo fenomeno e mettere in rapporto questo turbamento del gran ritmo della moda con qualcosa che appartiene alla storia della civiltà attuale. Se il ritmo di Kroeber è perturbato, la causa sarà forse dovuta a un fenomeno di massificazione e di mon-

dializzazione della cultura, del vestito, del cibo, a una

sorta di uguagliamento degli oggetti culturali, di mescolanza talmente intensa che il ritmo della moda ne risulterà cambiato. Una nuova storia della moda avrà inizio. a_

e

suno.. L’espressione «una moda proveniente dall’America» è molto ambigua, perché è vera e falsa nello stesso tempo. Il cambiament :nto, presupposto dall’intrusione di una moda, non ha origine; esso è interno alla legge formale che regge lo spirito umano e la rotazione. dellg forme nel mondo. È possibile, di contro, situare le origini del contenuto di una moda, ossia il « prestito» di una forma o di un dettaglio che esistono già, come la pettinatura di un attore o di un’attrice, o il modo di indossare un abi-

to. Da tale questione delle origini deriva la nozione di dominio della moda; ma questo soggetto è tanto complicato quanto secondario, e non interessa direttamente la sociologia. Qualcuno vuole far dire ai sociologi che la moda dei capelli lunghi presso i giovani è dovuta ai Beatles. E esatto; ma sarebbe errato voler ricavare da questo legame tutta una caratterologia del giovane moderno, inferendo induttivamente i tratti caratteriali della femminilizzazione e della mollezza a partire dai capelli lunghi. Se i capelli sono diventati lunhghi, è perché prima erano corti. Riassumo cosf, in modo un po’ brutale, il mio pensiero, dato che sono fautore di un’interpretazione formalista del fenomeno della moda. C’è un po’ di frode nel riempire un fenomeno con dei contenuti che sembrano naturali senza in realtà esserlo. Le persone che scrivono sul vestito sono sempre tentate di instaurare

32

IL SENSO DELLA MODA

questo genere di rapporti psicologici. Fare variazioni sulla femminilizzazione del vestito mi sembra illusorio. Non ci sono tratti naturalmente femminili nel vestito; ci so-

no solo rotazioni, riprese regolari di forme. 6.

Ciò che attraverso il vestito viene messo in causa

è una certa significazione del corpo, della persona. Già Hegel diceva che il vestito rende il corpo significante, e che di conseguenza permette di passare dal semplice sensibile alla significazione. Anche gli psicanalisti si sono preoccupat1 del senso dell’ abb1ghamento Fliigel ha condotto un’analisi del vestito’, mostrando, a partire da pre-

supposti freudiani, che l° abb1ghamento funzionava per. l’uomo come una sortadi nevrosi, perché nasconde e mo-

stra il corpo nello stesso tempo, esattamente come la nevrosi maschera e scopre - elaborando sintomi o simboli — ciò che una persona non vuol dire. Il vestito sarebbe in qualche modo analogo al fenomeno che rivela i nostri sentimenti quando arrossiamo per pudore; il nostro viso arrossisce, noi nascondiamo il nostro disagio nel momento stesso in cui lo mostriamo. Il vestito riguarda tutta la persona, tutto il corpo, tutti i rapporti dell’uomo con il suo corpo, cosf come i rapporti del corpo con la società; questo spiega perché i grandi scrittori si sono, spesso preoccupati dell’abbighamento nelle loro opere. Su questo tema troviamo pagine molto belle in Balzac, Baudelaire, Poe, M1chelet Proust; costoro presentivano che il vestito è un elemento che impegna in qualche modo tutto l’essere di una persona. Da un punto di vista filosofico, Sartre tratta questo argomento quando, mostra che 11 vestito permette all’uomo di «assumere la sua libertà», di costituirsi come ciò che ha scelto di essere, anche se ciò che ha scelto di essere rappresenta ciò che gli altri hanno scelto al suo posto: la società ha fatto di Genet un ladro, e Genet si ‘ J. C. FLÙGEI., The Psychology of Clothes cit.

TEMPO

E RITMI

DELL’ABBIGLIAMENTO

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sceglie dunque ladro. Il vestito è molto vicino a questo

fenomeno; sembra che abbia suscitato l’interesse di scrit-

tori e filosofi a causa del suo rapporto con la personalità,

in quanto scambio di costituzione: da un lato, la perso-

nalità fa la moda, la quale a sua volta fa il vestito; ma, da un altro lato, il vestito fa la personalità. Certamente

tra questi due clementi c’è una dialettica. La risposta profonda dipende dalla filosofia praticata da ciascuno. 7. Nel Settecento sono stati scritti numerosi libri sul vestito. Si trattava di opere descrittive, ma fondate esplicitamente e in modo del tutto cosciente sulla codifica-

zione del costume, come dire sulla relazione tra certi ti-

pi di abbigliamento e certi mestieri, certe classi sociali, certe città, certe regioni. Il vestito era percepito come

una sorta di lingua, di grammatica; se ne cercava il codice. Cosf, si constatava che il vestito partecipa a quell’attività molto vivace che consiste nel dare un senso agli oggetti. In ogni tempo, il vestito è stato soggetto a co-

dificazione. Ciò induce a rivedere un punto di vista tradizionale, apparentemente sensato, il quale vuole che l’uomo abbia inventato il vestito: la protezione contro le intemperie, il pudore per nascondere la propria nudità, l’ornamento per farsi notare. Questo è valido. Ma bisogna aggiungere un’altra funzione che mi pare più importante: la funzionedi significazione. L’uomo si è vestito per esercitare la propria attività significante. Indossare un vestito è fori£àméfftàlfriénfè un atto di significazione, al di là dei motivi di pudore, di ornamento e di protezione. È un atto di significazione, dunque un atto profondamente sociale, istallato nel cuore stesso della dialetti-

ca delle società.

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Il match Chanel-Courrèges* LE

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Se apriste oggi una storia della nostra letteratura, dovreste trovarvi il nome di un nuovo autore classico: Coco Chanel. Chanel non scrive con carta e penna (se non

nei mormneénti d’ozio) ma con stoffa, forme e colori; il che non 1mped13ce che le si attribuisca comunemente l’autorità e la brillantezza di un autore del grand siècle: ele-

gante come Racine, giansenista come Pascal (che cita

spesso), filosofo come La Rochefoucauld (che imita, fornendo al pubblico alcune massime), sensibile come Mme

de Sevigné, frondista, infine, come la Grande Made-

moiselle, della quale riceve il soprannome e la funzione (si pensi alle sue recenti dichiarazioni di guerra ai sarti). Chanel, si dice, evita alla moda di sconfinare nella bar-

barie e la colma di tutti i valori dell’ordine classico: ra-

gione, naturalezza, permanenza, gusto di piacere e non di stupire; Chanel è molto amata dal «Figaro», dove occupa insieme a Cocteau i margini della buona cultura mondana. Che cosa si può opporre di estremo al classicismo se non il futurismo ? Courrèges, si dice, veste le donne del 2000, che sono le ragazzine di oggi. Mescolando come

in ogni leggenda, il carattere della persona e lo stile delle opere, Courrèges viene gratificato di favolose qualità di innovatore assoluto: giovane, tempestoso, galvanico, virulento, pazzo per lo sport (e del p1u rude: il rugby), amante del ritmo (la sua collezione è stata presentata al suono di jerk), temerario fino alla contrad“_ Le match Chanel-Courrèges, in «Marie Claire», settembre 1967, n. 181.

IL MATCH CHANEL-COURRÈGES

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dizione, poiché inventa un abito da sera che non è un

qbito (ma dei calzoncin1) la tradlzlone 1l buon senso e

eroe — sono in lui dominati, e semmai appaiono con discrezione in qualche angolo della sua vita privata: ama passeggiare sulle rive del torrente del suo paese natale, disegna come un artigiano e manda l’unico abito nero della sua collezione alla madre, a Pau. Tutto ciò dà l’i‘impressione che qualcosa d’importante separi, a tutti i livelli, Chanel e Courrèges — qualcosa forse di più profondo della moda, o almeno di cui la mo-

da è soltanto la circostanza di apparizione. Che cosa?

Le creazioni di Chanel contestano l’idea stessa.di mo-

da. La moda (cosf come la concepiamo oggi) si basa su un sentimento violento del tempo. Ogni anno, la moda d13trugge ciò che aveva adorato e adora ciò che d13trug gerà; la moda sconfitta dell’anno passato potrebbe rivolgere alla moda vincente dell’anno in corso quella frase ostile che i morti trasmettono ai vivi e che è possibile leggere su certe tombe: «Ero ieri ciò che sei oggi, sarai domani ciò che sono oggi». L’opera di Chanel non partecipa — o partecipa poco — a questa vendetta annuale.

Chanel lavora sempre sullo stesso rr_gg__d_gl_lo che si Timjta

a «variare», di anno in anno, come si «varia» un tema

1n musica; la sua opera dice (e lei stessa lo conferma) che

c’è una bellezza «eterna» della donna la cui immagine unica ci sarebbe trasmessa dalla storia dell’arte; Chanel respinge con 1nd1gnaz1one i materiali deper1b1h la carta, la plastica, con cui in America si tenta talvolta di fare gli abiti. La cosa stessa che nega la moda, la durata, viene trasformata da Chanel in qualità preziosa. Ora, nell’estetica del vestito c’è un valore molto particolare, persino paradossale, che riunisce la seduzione e la durata: è lo chic; lo chic sopporta o addirittura esige, se non l’usura del vestito, quantomeno il suo uso: lo

chic ha orrore di tutto ciò che appare come nuovo (il

dandy Brummell, si ricorderà, non indossava mai un abito senza prima averlo fatto un po’ invecchiare sulle spal-

86

IL SENSO DELLA MODA

le del suo domestico). Lo chic, sorta di tempo sublima-

to, è il valore chiave dello stile di Chanel. I1 modelli di Courrèges non hanno invece questa ossessione: molto freschi, colorati o anche coloriti, in loro dominail bianco, sorta di nuovo assoluto; questa moda volontariamente molto giovane, con riferimenti collegiali, talvolta infantili, persino da neonato (calzini e scarpette da bebè) per la quale anche l’inverno è una stagione assolutamente chiara, è continuamente nuova, senza com-

\ plessi, poiché veste esseri nuovi. Da Chanel a Courrèges ‘cambia la « ‘grammatica» del tempo: lo chic inalterabile

di Chanel ci dice che la donna ha già vissuto (e sa vive-

re); il nu0ovo ostinato di Courrèges ci dice che essa sta

per vivere,

I

Tl tempo, dunque, che è stile per l’una e 0da per l’altro, separa Chanel e Courrèges. È cosi anche una certa idea di corpo. Non è un caso che l’invenzione specifica di Chanel, il tailleur, sia molto vicino al vestito da uo-

mo. L’abito maschile e il tailleur chaneliano hanno un ideale comune: la «distinzione». La «distinzione» era nell’Ottocento un valore sociale; in una società da poco democratizzata, in cui agli uomini delle cosiddette classi superiori era vietato ostentare il proprio denaro - cosa sempre permessa per procura alle loro mogli -, era permesso «distinguersi» comunque, grazie a qualche dettaglio discreto. Lo stile di Chanel raccoglie, filtra, femminilizza questa eredità storica, rivelandosi proprioin

tal modo paradossalmenféìa_tato Esso corrispondea

quel momento abbastanza breve della nostra storia (quello della giovinezza di Chanel) in cui una minoran-

za di donne ha avuto accesso finalmente al lavoro, al-

l’indipendenza sociale, e ha dovuto trasporre nel proprio abbigliamento qualcosa dei valori maschili, a cominciare da questa famosa «distinzione», unico lusso rimasto agli uomini uniformati dal loro lavoro. La donna di Chanel non è la fanciulla oziosa, ma una giovane donna che affronta un lavoro d13cretq e vago; lavoro di cui essa lascia leggere nel suo tailleur morbido, al contempo

Il. MATCH CHANEL-COURRÈGES

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pratico ed elegante, non il contenuto (non è un’uniforimc) ma la compensazione: una forma superiore di divertimento, la crociera, lo yacht, il wagon-lit, insomma il viaggio moderno e aristocratico, cantato da Paul Mo-

rand e Valéry Larbaud. Cosf, di tutte le mode, lo stile di (hanel è forse, paradossalmente, il più sociale, perché

ciò che combatte e respinge non sono, come si crede, le provocazioni futuriste della moda giovane, ma piuttosto le volgarità del vestito piccolo-borghese: Chanel dunque rischia di essere più efficace proprio nelle società poste

dinnanzi a un bisogno nuovo di promozione estetica — co-

me per esempio a Mosca, dove infatti si reca. C’è tuttavia una contropartita allo stile di Chanel: un certo oblio del corpo che si direbbe del tutto rifugiato,

assorbito, nella «distinzione» sociale del vestito. Non è

colpa di Chanel: dai tempi del suo debutto è apparso qualcosa di nuovo nella nostra società, qualcosa che i nuovi sarti tentano di tradurre, di codificare: è nata una

nuova classe che i sociologi non avevano previsto: la giovinezza. Dato che il corpo è il suo unico bene, la giovi-

nezza non è né volgare né «distinta»; semplicemente è.

Guardatela donna di Chanel: è possibile cogliere-il.suo ambiente, le sue occupazioni, i suoi divertimenti, i suoi viaggi; guardate quella di Courreges non ci si ch1&:de che cosa faccia, chi siano i suoi genitori, quali siano i suoi antenati: essa è giovane, necessariamente, e tanto basta. Al contempo astratta e materiale, la moda di Courrèges sembra essersi data una sola funz1one quella di fare del vestito un segno assolutamente ch1aro di tutto il corpo. Un segno non è necessariamente un’esposizione (la moda è sempre casta); si dice forse troppo spesso che la gonna corta «mostra» il ginocchio. Le cose sono forse più

complicate. Probabilmente ciò che interessa a un sarto

come Courrèges non è lo strip-tease tutto materiale di cui

ci si indigna: è semmai il fatto di dare al vestito femminile quell’espressione allusiva che ci rende il corpo del tutto vicino senza mai esibirlo; il suo scopo è di con-

durci a un rapporto nuovo con i corpi giovani che cicir-

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IL SENSO DELLA MODA

condano, suggerendoc1 — attraverso un gioco di forme,

colori e dettagh (che è appunto l’arte del sarto) - che

noi potremmo entrare in confidenza con essi. Tutto

Courrèges è in quel condizionale, la cui posta è il corpo femminile: condizionale che si ritrova negli abiti molto corti (che non denudano nulla ma imprimono in noi l’idea di un’audacia), nella trasparenza fiorita dei calzoncini da sera, nei nuovi abiti da ballo a due pezzi, leggeri come biancheria intima, in questa moda senza «legami» (in senso proprio e figurato) in cui il corpo sembra costantemente vicino, familiare e seducente, facile e onesto.

Cosi, abbiamo da una parte la tradizione (con i suoi rinnovamenti interni) e dall’altra l’innovazione (con le sue costanti implicite); da un lato il classicismo (anche

se sensibile), dall’altro il modernismo (anche se familiare). Bisogna credere che la nostra società abbia bisogno di questo duello, poiché essa si ingegna - almeno da qualche secolo — ad allargarlo a tutti i campi dell’arte, e sotto un’infinita varietà di forme; e se esso esplode oggi nella moda, con una nitidezza eccezionale, è perché la moda è anch’essa un’arte, allo stesso titolo della letteratura,

della pittura, della musica. Di più, il match Chanel-Courrèges ci insegna — o ci conferma — questo: oggi (grazie al formidabile sviluppo dei mezzi di diffusione come la stampa, la televisione e lo stesso cinema) la moda non è soltanto. ciò che ledonne indossano; è anche ciò che tutte le donne (e tutti itti gli uomini) guardano e leggono: le invenzioni dei nostri sarti piacciono o irritano esattamente come un romanzo,

un film, un disco. Proiettiamo sui tailleurs di Chanel e

sui calzoncini di Courrèges tutto il fermento di creden-

ze, pregiudizi, sentimenti e resistenze, in breve tutta

quella storia di se stessi che si chiama — con una parola forse un po’ troppo semplice - il gusto. Questo potrebbe suggerire un certo modo di consi-

derare il match Chanel-Courrèges (almeno se non avete

l’intenzione di acquistare uno Chanel o un Courrèges).

IL MATCH CHANEL-COURRÈGES

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Una volta inseriti in questa grande cultura di tutti i giorni, alla quale partecipiamo attraverso tutto ciò che leggiamo e vediamo, lo stile Chanel e la moda Courrèges formano un’opposizione che è molto meno la materia di una scelta di quanto non sia l’oggetto di una lettura. I nomi di Chanel e Courrèges sono come le due rime necessarie di uno stesso distico o come le opposte prodezze di una coppia di eroi senza le quali non ci sarebbe una bella storia. Se vogliamo tenere insieme in modo indissociabile queste due facce di uno stesso segno - quello del nostro tempo -, faremo allora della moda un oggetto veramente poetico, costituito collettivamente per dar-

ci lo spettacolo profondo di un’ambiguità, e non l’imbarazzo di una scelta inutile.

Storia e diacronia di Moda

I cambiamenti di Moda appaiono regolari se si consi-

dera una durata storica rdat1vamente lunga e 1rreg6Î

anarchicada vicino, la MOsemÉra a cosf disporre di due

durate: una propriamente storica, l’altra che si potrebbe dire memorizzabile, perché mette in gioco la memoria possibile di una donna circa le Mode che hanno preceduto la Moda dell’anno. La prima durata, o durata storica, è stata in parte studiata da Kroebeg”. Questo autore ha scelto nell’abito da sera femminile certi tratti, e ne ha misurato la variazione su una lunga durata. Questi tratti sono: 1) la lun-

ghezza della gonna; 2) l’altezza della vita; 3) la profon-

dità del decolleté; 4) la larghezza della gonna; 5) la lar-

ghezza della vita; 6) la larghezza del décolleté. I tratti di Kroeber corrispondono facilmente a certi tratti del sistema che qui è stato descritto’. La differenza è che, lavorando su disegni, e non su un linguaggio, Kroeber ha potuto procedere a misurazioni reali, prendendo per principale punto di riferimento la statura del corpo umano (dalla bocca all’alluce). Kroeber ha dimostrato due

cose: da un lato che la storianon interviene nelproces-. so di Moda salvo accelerare debolmente certi mutamenti_ ‘ nel caso di grand1 sconvolgimenti storici; ad ogni modo ! J. RICHARDSON € A. L. KROEBER, Three Centuries of Women’s Fashions cit.

1) Abito + lunghezza; 2) Vita + posizione verticale; 3) Scollatura + lunghezza; 4) Gonna + larghezza; 5) Vita + aderenza; 6) Scollatura + larghezza.

STORIA

E DIACRONIA

DI MODA

9I

la storia non produce delle forme, non si può mai spiegare analiticamente uno stato di Moda, non c’è rapporto analogico fra il Direttorio e la vita alta; e dall’altro,

che il ritmo.del.cambiamento.di Maoda nog.solo, era ze-

golarg,(l amplitudine è di circa un mezzo- -secolo, l’oscil-

Tazione completa di un secolo), ma tende anche a | far alternarg_l;;,foxm:: secqudo un ___o_rd1ne razionale: per ESem-

pio rlarghezza la della gonna e la1aréEE?za della vita sono sempre in rapporto inverso: quando l’una è stretta l’altra è larga. Insomma, allascala di una durata un po. lun-

ga, la Moda è un fenornen_g[, ardinato; e quest’ordine Îa

Moda lo deve a sé sola: la sua evoluzione da una parte è discontinua, non procede che per soglie distinte’, e dall’altra endogena, poiché non si può dire che vi sia un rapporto genetico fra una forma e il suo contesto storico‘. Tale è la dimostrazione di Kroeber. Vuol dire che la storia non ha alcuna presa sul processo di Moda ? La storia non può agire analogicamente sulle forme, ma può benissimo agire sul ritmo di “ queste, per turbarlo o cambiaflo. Ne consegue che, paradossalmente, la Moda può conoscere solo una storia molto lunga o una storia nulla; giacché, finché il suo ritmo resta regolare, la Moda resta esterna alla storia; cambia, ma i suoi cambiamenti

sono alternativi, puramente endogeni: non si tratta allora che di una semphce diacronia’; per intervenire nella Moda, la storia deve modificare 1l suo ritmo, cosa che ’ Questa discontinuità si accorda con la natura semiologica della Moda («il linguaggio è nato necessariamente tutto d’un tratto. È impossibile che le cose abbiano cominciato a significare progressivamente». C. Lévi-Strauss, introduzione a M. MAUSS, Sociologie et anthropologie, PUF, Paris 1950 [trad. it. Teoria generale della magia e altri saggi, Einaudi, Torino 1966, p. 1.]. * Certi storici del costume si sono sforzati tuttavia di stabilire un rapporto analogico fra la forma di un indumento e lo stile architettonico di un’epoca (in particolare: H. H. HANSEN, Heistoire du costume, Paris 1956 e J. LAVER, Style

in Costume, London 1949). ’ La parola diacronia può impressionare degli storici; ma ci vuole pure un termine speciale per designare un processo storico e astorico insieme; si potrebbe anche parlare, come i bloomfieldiani, di meta-cronia, per indicare un

processo discontinuo (cfr. A. MARTINET, Economia dei mutamenti fonetici, Einaudi, Torino 1968, p. 10).

92

IL SENSO

DELLA

MODA

non sembra possibile se non a una storia di durata molto lunga‘. Per esempio, se i calcoli di Kroeber sono esatti, la nostra società pratica lo stesso ritmo di Moda da più secoli: è quindi solo quando questo ritmo cambierà che la spiegazione storica dovrà intervenire;, e poiché il ritmo dipende dal sistema (lo stesso Kroeber ne ha dato un abbozzo), l’analisi storica dovrà fatalmente passare per l’analisi sistematica. Si può immaginare, per esempio — ma

è solo una supposizione dimostrativa, poiché si tratta

dell’avvenire dell’indumento -, che il ritmo di Moda (quello che conosciamo da alcuni secoli) sia bloccato, e

che al di fuori di minute variazioni stagionali l’indumento non cambi da molto tempo; la storia dovrà allora render conto, non del sistema in sé, ma della sua nuo-

va permanenza; forse si scoprirà che 1l cambiamentodi. ritmo è il segno di un: N,_g nuova società,definita d auntem-

po dalla sua economia e da la sua .ideologia, (la società

«mondiale» per esemp1o) 1rg_;aermeabfl;: ai grand…j;gn.

storici dell’indumento, proprio nella misura in cui avrà solidamente istituzionalizzato la Moda annuale, dalle variazioni tutto sommato modeste poiché non alterano il «tipo fondamentale» del nostro vestire occidentale. Ecco un altro esempio possibile: quello delle antiche società africane in via di sviluppo: queste società possono benissimo conservare il loro costume antico e tuttavia sottoporlo a variazioni di Moda (cambiamento annuale dei tes-

suti, degli stampati, ecc.): si ha allora la nascita di un ritmo nuovo. A questa dura;g storica, fatta di un ritmo stabile, bisogna opporre, si è detto, una durata molto più corta, quella delle ultime variazioni stagionali della Moda, e che si potrebbe chiamare microdiacronia. Questa se-

conda durata (ben inteso interna alla prima) deve la sua_

‘individualità al carattere annuale della Moda è quindi ° Il ritmo è soggetto alla storia, ma questa storia è una storia lunga; come oggetto culturale l’indumento appartiene alla lunga durata analizzata da F. BRAUDEIL. (Histoire et sciences sociales: la longue durée,

n. 4, ottobre-dicembre 1958, pp. 725-53).

« Annales»,

13 année,

STORIA

E DIACRONIA

DI MODA

03

caratterizzata da una variabilità apparentemente molto intensa. Sulle implicazioni economiche di questa variabilità, che non potrebbero del resto esaurirne la spiegazione, non ci sono segreti: la Moda è alimentata da certi gruppi di produzione per precipitare il rinnovamento del vestire, troppo lento se dipendesse dalla sola usura; questi gruppi sono chiamati appunto, negli Stati Uniti,

accelerators’. Per l’indumento portato, la Moda ì si può infatti definire con il rapporto fra due ritmi: un ritmo di

usura (u), costituito dal tempo naturale di rinnovamet-

to di un capo o di un corredo, sul piano esclusivo dei bi-

sogni materiali*; e un ritmo d1 acqursto( ), costituito dal

tempo che separa due aacqu15t1 dello stesso capo o dello

stesso corredo. La Moda reale è, se si vuole a/u. Seu=a,

se l’indumento.si acquista.io. quani.o… sx.usa,.non…rfcîM5-

da; se u > a, se 1 indumento si consuma pitù di quanto non si acqu1st1 c’è pauper1zzazmne se a > U, se si compra più che consumare, c’è Moda, e più il ritmo di acquisto supera il ritmo d1 usura _ più forte. e…Lassoggetta-

mento alla moda”. Lasciando da parte l’indumento reale, il ritmo del l’indumento scritto è certo 1mplacab11mente annuale"

il rinnovamento delle forme, da un anno all’altro, sembra farsi in modo anarchico. Da che cosa dipende que-

st’anarchia ? Probabilmente da questo: il sistema della Moda eccede di molto la memoria umana. Anche - e so’ Contrariamente al mito elaborato intorno all’Alta Moda, è del tutto pos-

sibile che sia la Confezione media ad avere un ruolo determinante nell’accelerazione degli acquisti di vestiario. ® Ipotesi evidentemente del tutto astratta: non c’è bisogno «puro», specialmente astratto dall’intenzione di comunicare. ’” Talvolta la Moda scritta può fare della stessa usura un valore (cioè un significato): «Lo chic di un capo di cuoio aumenta con l’invecchiamento come il valore dei vini» («Vogue»). !° Perché il ritmo della Moda femminile è molto più rapido di quello della Moda maschile ? « L’indumento dell’uomo, uniformato, non si presta bene a segnalare lo standing finanziario. Questo ruolo è devoluto all’indumento della donna, grazie alla Moda del quale l’uomo esprime in maniera indiretta il proprio status economico» (K. YOUNG, Handbook of Social Psychology, London 1951*, p. 420).

94

IL SENSO DELLA MODA

prattutto - all’interno di una micro-diacronia, non è sensibile nessuna legge di mutamento. Certo, da un anno all’altro, la Moda può procedere per contrari, facendo alternare i termini semplici di una stessa variante: i morbidi crespi di seta vengono a sostituire i rigidi taffetas: si fanno «ruotare» i termini della variante di morbidezza. Ma al di fuori di questo caso privilegiato, la regolarità dei «giri» tende a imbrogliarsi sotto l’azione di due cause principali: una connessa con la retorica, l’altra con il sistema stesso. Nella Moda scritta la lunghezza delle gonne, per esempio — tratto che il senso comune riceve come il simbolo stesso del cambiamento di Moda - è incessantemente oscurata dalla fraseologia; oltre al fatto che i leaders dell’Alta Moda propongono spesso, per uno stesso anno, lunghezze diverse, la retorica mescola continuamente degli apprezzamenti verbali (lungo, più lungo) e delle misure centimetriche; giacché se la lingua facilita il processo di significazione sul piano sincronico, permettendo un buon ritaglio significante dell’indumento, sul piano diacronico toglie rigore ai paragoni: è più facile paragonare delle misure (come ha fatto Kroeber) che del-

le parole. D’altra parte, sul piano sistematico, la Moda può benissimo abbandonare una variazione paradigmatica semplice (morbido-rigido) e passare bruscamente,

cambiando di anno, alla notazione di un’altra variante;

una sincronia infatti non è mai nient’altro che un insieme di tratti scelti!!: si può notare la morbidezza di un supporto e cambiare la sua variante: questo basta a pro-

durre una nuova Moda. Numericamente, le combina-

zioni di un supporto, e delle varianti a cui può prestarsi, dipendono dalla ricchezza di questo supporto: se si !! Esempio dei tratti scelti per il «flou-look» 1958: «Chemisier blusante, cardigan e gonna morbida, polsi che escono dalle maniche della giacca, collo schiacciato e molto aperto su delle collane, vita disinvolta segnata da una cintura molle, cloche di gros-grain posata all’indietro». Ecco i tratti mobilitati per questo enunciato: blouse + flessione + chiusura; gilet + specie; gonna + morbidezza; collo, collana + emergenza; collana + moltiplicazione; vita + marca; cin-

tura + morbidezza; cappello + specie + orientamento; materiale + specie.

STORIA

E DIACRONIA

DI MODA

95

ammette che un supporto si presti in media a 17 varianti,

già non sono meno di alcune centinaia le variazioni sistematiche possibili a ogni Moda, poiché abbiamo rilevato una sessantina di generi-supporti. Aggiunta alle variazioni interne di una stessa variante, la libertà di com-

binazione fra supporti e varianti è cosi grande che rende difficile ogni previsione della Moda. In verità questo importa poco. Ciò che è interessan-

te è che, se la previsione di Moda è illusoria, la sua strutturazione non lo è", Bisogna ricordare a questo punto che più si generalizza un indumento, più i suoi cambiamenti appaiono leggibili: generalizzazione temporale la quale fa si che una lunga durata (come quella di Kroeber) sembri molto pit ordinata delle micro-diacronie in cui viviamo; generalizzazione formale anche, poiché, se si potessero paragonare delle silhouettes (cosa che la Mo-

da scritta non consente), si coglierebbe senza fatica il «ruotare» dei tratti di moda"”, la cui attualizzazione è azzardata, ma non la riserva, che è invece interamente

strutturata. In altre parole laModa si struttura al livel- } lo della sua storia: si destruttura.al solo livello che per-

cépiamo di essa: l’attualità. ri ‘"“Cosi la confusione della Moda non dipende dal suo statuto ma dai limiti della nostra memoria; il numero dei

tratti di Moda è elevato, non infinito: una macchina per fare la Moda è del tutto concepibile. Naturalmente la struttura combinatoria della Moda è trasformata miti-

camente in fenomeno gratuito, in creazione intuitiva, in

12 Stesso problema per la lingua, più semplice in ragione del numero ridotto delle unità differenziatrici, più complesso anche in ragione della doppia articolazione. Lo spagnolo d’America non comporta che 21 unità differenziatrici, ma un dizionario di questa stessa lingua contiene 100 000 elementi significanti diversi. L’errore sarebbe quello di credere che il sistema escluda l’aleatorio; tutt’al contrario, l’aleatorio è un fattore essenziale di ogni sistema di segni (cfr. R. JAKOBSON, Saggi di linguistica generale, l’eltrinelli, Milano 1966, p. 67).

'} EÈ quello che ha fatto un eccellente storico del costume, N. Truman (Historic Costuming cit.). Questa generalizzazione corrisponde al basic-pattern di Kroeber (l’inspiration fondamentale, secondo l’espressione di J. Stoetzel), che l’indumento segue per un certo periodo.

96

IL SENSO DELLA MODA

rigoglio incontenibile, quindi vitale, di forme nuove: la

Moda, si dice, ha orrore del sistema. Una volta di più, il

mito rovescia perfettamente il reale: la Moda è un ordine di cui si fa un disordine. Come si opera questa conversione del reale in mito ? Mediante la retorica di Moda. Una delle funzioni di questa retorica è confondere il ricordo delle Mode passate in maniera da censurare il numero e il ritorno delle forme; per far questo dà incessantemente al segno di Moda l’alibi di una funzione (cosa che sembra sottrarre la Moda alla sistematica di un linguaggio), scredita i termini della Moda passata, euforizzando quelli della Moda presente, gioca sui sinonimi, fingendo di prenderli per sensi diversi', moltiplica i significati di uno stesso significante e i significanti di uno stesso significato'’. Insomma il sistema è sommerso sot-

to la letteratura, il consumatore di Moda sprofondato in un disordine che è presto un oblio, poiché gli fa vedere l’attuale sotto le speci di un nuovo assoluto. La Moda fa _

mdubb1amente parte.di tutti i fatti di neomania chesono

apparsi nella nostra civiltà probabflmente con la nascita del capitalismo": il nuovo è, in un modo affatto istituzionale, un valore che si compxa‘7 Ma il nuovo di Moda sembra avere nella nostra società una funzione antropologica ben definita, dipendente dalla sua ambiguità: a un tempo imprevedibile e sistematico, regolare e sconosciuto, aleatorio e strutturato, congiunge fantasticamente

l’intelligibile senza di cui gli uomini non potrebbero vivere e l’imprevedibilità associata al mito della vita'® 4 «En 1951, promotion des lainages velus, en 1952, promotion des lainages poilus». Ora, secondo Littré, poilu e velu significano entrambi: coperto di peli. 15 «Il satin trionfa, ma anche i velluti, i broccati, i failles, i nastri».

16 Nel Rinascimento, quando si ha un nuovo costume, ci si fa fare un nuo-

vo ritratto.

'7 La Moda è uno di quei fenomeni di nutrimento fisico di cui R. Ruyer ha fatto l’analisi (La nutrition psychologique et l’economie, «Cahiers de l’Institut de Science économique appliquée», n. 55, pp. 1-10). !8 Congiungendo il desiderio di comunanza e il desiderio d’isolamento la Moda è, secondo il termine di J. Stoetzel, l’aventure sans risque (La psycholo-

gie sociale cit., p. 247).

La fotografia di Moda

La fotografia del significante di Moda (cjoè

dell’in-

dumento) pone problemi di metodo che ne hanno fatto

scartare immediatamente l’analisi. La Moda tuttavia (e

questo sempre di piùt) non fotografa solo i suoi signifi-

canti, ma anche i suoi significati, nella misura in cui, per lo meno, dipendono dal «mondo» (insiemi A). Diremo

qui una parola su questa fotografia dei significati mondani della Moda, in modo da completare le osservazionirelative alla retorica del 31gn1f1cato Nella fotografia è_M_Q,d.fl.,, n

iamente

fotografato sotto le speci di uno sg;ga;;o,di uno sfondo

o di una scena, insomma di un teatro. IlLteatro della Mo-

da,_e_,g_mp.re tematico: un’idea (o p1u esattamente una parola) è variata attraverso una serie di esem pi o analogie. Per esempio sul tema Îvanboe, lo scenario sviluppa qualche variazione scozzese, romantica e medievale: rami di arbusti spogli, vecchi muri di un castello in rovina, postierla bassa in un fossato: è la gonna di tartan. Il mantello da viaggio, per i paesi nebbiosi a freddo umido? La gare du Nord, la Flèche d’Or, i docks, dei resti di lamiere, un ferry- boat. La risorsa d1.… gnificanti è un procedimento molto rudimentale;.L:assoCIazIONE, dw 1dèe Sole chiamac.cactus notti nere chiama

statue di bronzo, ‘mobair chiama pecore, pellzccza chiama belve e belve chiama gabbia: sì mostrerà una donna impellicciata dietro a grandi sbarre. I reversibili ? delle carte da gioco, ecc. Il teatro del senso può assumere in questi casi du;;,,,f.g —



_

il« boet1co» è associazione di idee: la Moda cerca allora P'

t abuO

s priaar D

98

IL SENSO DELLA MODA

di manifestare delle associazioni di sostanze, di stabili-

re delle equivalenze plastiche o cenestesiche: associerà,

per esempio, a maglia, l’autunno, i greggi di pecore, il

legno di un carretto contadino;in queste catene poeti-

che il significato. è sempre. presente (l’autunno, il week-

end campagnolo), ma diffuso attraverso una sostanza

omogengea, fatta di lana, di legno, di freddolosità, concetti e materie mescolati; si direhbe che la Moda miri a ritrovare una certa omocromia degli oggetti e delle idee, che la lana si faccia legno e il legno comfort, come il kallima della Sonda appeso a un ramo prende la forma e il colore di una foglia secca. In altri momenti (e forse sempre pit spesso), il tong, associativo si fa divertente, l’associazione di ideedà nel semplice gioco di parole; per significare un punto di vista obbiettivo sulla Moda si punta un obbiettivo fotografico su una fila di modelli; per la linea « Trapezio» i modelli sono installati su trapezi, ecc.

Ritroviamo in questi due stili la grande opposizione del-

la Moda fra il serio (inverno, autunno) e l’allegro (primavera, estate)!,

'

In questo scenario significante, una donnasembraxi—

vere: l’indossatrice. Sempre pitù, alla presentazione inerte del significante il giornale sostituisce un indymento

in atto*: il, soggetto.è dotato di una certa virtt transiti-

va; almeno ostenta i segni spettacolari di una certa transitività: è la «scena». La Moda dispone in proposito di tre stili. Uno è obbiettivosletterale;il viaggio è una donna curva su una carta stradale; visitare la Francia è appoggiare il gomito su un vecchio muro di Albi; la maternità è sollevare una bambina e baciarla. Il secondo.sti-. le è romantico, muta la scena.in dipinto; la festa bianca ! Quello che bisognerebbe ritrovare, ma chi ce lo insegnerà ?, è il momento in cui l’inverno è diventato un valore ambiguo, convertito a volte in mito

euforico dello stare in casa, dell’agio, della dolcezza.

’ In verità, ed è qui tutta la stranezza della fotografia di Moda, è la donna che è un atto, non l’indumento; per una curiosa distorsione, totalmente

irreale, la donna è colta al vertice di un movimento, ma l’indumento che por-

ta resta immobile.

l A FOTOGRAFIA DI MODA

99

v una donna in bianco davanti a un lago cinto da prati verdi, in cui nuotano cigni («apparizione poetica»); la notte è una donna in abito da sera bianco, le braccia in-

lorno a una statua di bronzo. La vita riceve la cauzione

dell’Arte, di un’arte nobile, sufficientemente enfatica

per lasciare intendere che gioca alla bellezza o al sogno. ILterzo.stile della scena vissuta. è la parodia; la donna è volta in una posizigne. bufja megho€uffonesca ©) la sua —

——_—— e

t

la smorfia,gioca agli accessori fuori moda (una vecchia

Uto), si issa su un vecchio basamento come una statua,

ammonticchia sei cappelli sulla testa, ecc.: in breve si fa irreale a forza di parodia; è lo «strambo»’. A che cosa servono questi protocolli (poetico, romantico, «strambo») ? Probabilmente, il paradosso è solo apparente, a rendere irreali i s1gmf1mt1 di Moda, La risor; i.stili è sempre, infatti, una.certa enfasi: mettendo per cosi dire i suoTéfgmf1cat1 fra virgolette, la Moda prende le sue distanze nei confronti del proprio lessico*; e con ciò stesso, con l’irrealtà del proprio significato, la Moda realizza tanto più il proprio significante, vale a dire l’indumento; con questa economia compensatoria, ri-

conduce la messa a fuoco del lettore di Moda da un fondo eccessivamente

ma

inutilmente

significante

sulla

realtà del modello, senza però bloccare quest’ultimo nell’enfasi che, come un accesso, fissa ai margini della scena. Ecco due giovani donne in confidenza; questo. significato (la fanciulla sentimentale, romantica), la Moda lo segna, dotando una di una grande margherita; ma ’ Non abbiamo potuto, nel quadro del presente lavoro, datare l’apparizione dello «strambo» di Moda (che deve forse molto a un certo cinema). Ma è sicuro che ha qualcosa di rivoluzionario nella misura in cui sconvolge i tabti tradizionali della Moda: l’Arte e la Donna (la Donna non è un oggetto comico). * Questa enfasi voluta si serve di certe tecniche: lo sfocamento eccessivo

di uno sfondo (rispetto alla nettezza dell’indumento), maggiorato come un sogno fotogenico; il carattere improbabile di un movimento (un salto colto nel suo massimo); la frontalità del modello che, malgrado le convenzioni della posa fotografica, vi guarda negli occhi.

IOO

IL SENSO

DELLA

MODA

con ciò.stesso il significato, il.mondo, tutto,ciò che non è l’indumento, è esorcizzato, liberato da ogni naturalismo: di plausxb11e non resta che l’indumento. Questo esorcismo è particolarmente attivo nel caso dello stile «strambo»: la Moda finisce per realizzarvi, anche quando comporta dei significati mondani, quella de-cezione del senso di cui si è visto che definiva la Moda degli insiemi B: l’enfasi è una distanza, quasi quanto la neg3-

zione; opera quella sorta di choc coscienziale che dà re pentinamente al lettore di segni il senso di decifrare un mistero; dissolue.il mito dei significati innocenti, nel momento.stesso.in cui lo produce tenta di sost1tu1re 1l pro-

prio artificio, cioè la propria cultura, alla falsa natura delle cose; non sapprime il senso; lo mostra a dito.

Sul Sistema della Moda”* i —) { ,')\ )

*

Quando, come e perché Lei ha concepito questo libro molto particolare: il Sistema della Moda ? Il progetto del Sistema della Moda prende posto nella mia vita esattamente all’indomani della postfazione ai Miti d’oggi, in cui avevo scoperto — o creduto di scoprire — la possibilità di un’analisi immanente dei sistemi di segni diversi dalla lingua. Da quel momento ho avuto il desiderio di ricostruire passo a passo uno di questi sistemi, una lingua parlata da tutti e al tempo stesso a tutti sconosciuta.

Cosi ho scelto l’abbigliamento. Scrittori come Balzac, Proust o Michelet avevano già postulato l’esistenza di una sorta di linguaggio del vestire, ma bisognava cercare di dare un contenuto tecnico, e non più metaforico, a quelli che troppo facilmente si chiamano «linguaggi» (linguaggi del cinema, della fotografia, della pittura, ecc.). Da questo punto di vista Labbigliamento.è unodi …etfil

di comunicazione, come l° al1mentaz1one

i gesti, i comportamenti, la conversazione, che mi dà sempre una gioia profonda interrogare perché, da un lato, possiedono un’esistenza quotidiana,s.rappresentano

‘ per me una p&51bllàtg@ CONOsSCENZa:di-pieaLesso.al.li-

vello più 1,mmed1ato in quanto mi.ciinvesto nella.mia vi-

ta.personale.. e.dall’'altro. possiedono, uo’esistenza . intellettuale. e si offrono a un analisi mstemataca attraverso

strumenti formali,

* «Les Lettres frangaises», marzo 1967. Intervista a cura di Raymond Bellour.

102

IL SENSO

DELLA

MODA

Nella sua premessa lei evoca una serie di trasformazioni che hanno portato il suo progetto alla forma compiuta. Ma scrive anche: «Questa avventura, bisogna riconoscerlo, era già datata». Che cosa intende con questo, e quali sono le tappe che le hanno permesso di approfondire e insieme superare l’intuizione metodologica che chiude i Miti d’oggi ? Sono partito da un progetto, certo decisamente se-

miologico, ma che nella mia mente restava tuttavia su

un terreno sociologico. Cosf ho creduto, in una prima

tappa, che mi sarei messo ad analizzare la lingua dell’abbigliamento reale, portato da tutti; ho persino fatto delle prime indagini. Ma mi sono presto accorto che questo tipo d’investigazione sociologica non poteva andare a buon fine salvo lavorare su un modello, nel senso strutturale, a cui venissero riportate le osservazioni fornite

dalla società reale. Mi sono quindi interessato, in un secondo momento, all’abbigliamento quale viene proposto nelle pubblicazioni di moda. Ed è cosi intervenuto un nuovo dubbio metodologico (mi ricordo di una conversazione con Lévi-Strauss su questo punto): mi sono fat-

to la convinzione che non si potevano studiare in un solo movimento dei sistemi misti, vale a dire un oggetto in cui entrano, insieme, tecniche di fabbricazione, imma-

gini (sotto forma di fotografie) e parole scritte. Bisognava separare l’analisi. dei.sistemi.secando.la-logo.sostanza propria.

Cosi è passato dalla moda reale alla moda scritta, o più precisamente «descritta». Dalla moda reale alla moda scritta . S{. Quest’ultima scelta, che ha un costo sul piano dell’universalità del lavoro poiché lo studio viene in tal modo limitato a un territorio apparentemente piccolo, ha

SUL «SISTEMA

DELLA MODA»

103

rafforzato in me una profonda convinzione: cioè che la semiologia è fondamentalmente tributaria del linguaggio, che vi è linguaggio in tutti i linguaggi. Al limite, potrei sostenere che, nella sua complessità, la sola che c’interessa, la.moda esiste soltanto attraverso il discorso che

si fa sulla moda, senza di cui la si può riportare a una sin-

tassi molto rudimentale, non pitù ricca di quella del codice stradafe% minigonne se ne vedono pochissime; sul piano della realtà è solo un’infatuazione molto particolare, quasi eccentrica; ma questa caratteristica rara è ra-

pidamente diventata l’oggetto di un discorso generale, pubblico, e solo allora ha acquistato una vera consistenza sociale e semiologica: quello che viene detto si riversa in certo modo istantaneamente (direi quasi: prelimi-

narmente) su quello che viene portato e visto. Credo che questa restrizione metodica del mio progetto corrisponda grosso modo all’evoluzione della semiologia in questi ultimi cinque anni: gli insiemi di oggetti un po’ complessi non significano al di fuori del linguaggio stesso. In questo modo lei finisce per rovesciare la proposizione saussuriana quando afferma: non è la linguistica che è una parte della semiologia ma la semiologia che è una parte della linguistica. E in quanto riflette questo insieme di problemi e segna i termini di un’evoluzione che questo libro, suppongo, le sembra costituire «gid una certa storia della semiologia». S{. Questo libro corrisponde a una semiologia «de-

buttante». Per esempio utilizza ancora in maniera insi-

stente uno schema e un lessico saussuriani (segno, significante, significato). So, per mia diretta partecipazione, che da cinque anni, data in cui questo libro è stato elaborato, il saussurismo è stato «completato» (anzi contestato) da una nuova linguistica, rappresentata principalmente da Chomsky, ma anche da certe analisi di Jakobson e di Benveniste, una linguistica meno tassonomica,

104

IL SENSO DELLA MODA

giacché non mira più tanto alla classificazione e all’analisi dei segni quanto alle regole di produzione della parola. Ho seguito questa evoluzione, soprattutto per quanto riguarda l’analisi linguistica della letteratura. Ma se mantengo le categorie saussuriane per l’abbigliamento di moda scritto è perché mi sembrano appunto atte a definire e ad analizzare oggetti reificati e mitizzati dalla cultura di massa. Al livello della parola letteraria il significato è sempre indietro rispetto al gioco dei significanti, ma quando si tratta di oggetti sociali si ritrova immediatamente l’alienazione ideologica nell’esistenza stessa di un significato pieno, reperibile, nominabile. Il significato pieno sarebbe dunque il significante dell’alienazione ? Si potrebbe dire cosf, se l’immagine quand’anche utopistica che possiamo avere della disalienazione non di-

struggesse, in ultima istanza, l’antinomia stessa di si-

gnificante e significato.

Lei insiste molto, e non è pit l’introduzione ma la

conclusione del suo libro, in certo modo la sua ul-

tima invocazione, sulla posizione dell’autore, del semiologo, davanti, o meglio, come lei precisa, dentro all’universo sistematico che costituisce l’universo della sua inchiesta. Sembra d’altra parte che la stessa possibilità di «lettura» propria a un’opera di quest’ordine sia legata a un’architettura che tende a far scomparire «l’analista nel sistema» nel momento stesso in cui è il segno pitù sicuro della sua presenza.

Il mio libro è un itinerario, un viaggio paziente, quasi meticoloso, compiuto da un uomo ingenuo che cerca di vedere come è costruito il senso, come gli uomini lo costruiscono, in questo caso il senso del vestire di moda: si costituisce cosif una scoperta dei luoghi, un itinerario della topica del senso. E tuttavia questo itinerario

SUL

«SISTEMA

DELLA

MODA>»

105

non si presenta come un viaggio personale ma come una

grammatica, una descrizione dei livelli di significazione, delle unità e delle loro regole di combinazione, insomma come una sorta di sintassi della descrizione. Il libro avrà la sua giustificazione se, essendo esso stesso un og-

getto composito, arriverà a far nascere, in maniera in certo senso omologica, sotto gli occhi del lettore, un og-

getto nuovo, che è l’abbigliamento di moda scritto.

La descrizione, che non ha nessun rapporto con la visione... La mancanza di illustrazioni risponde a un’intenzione deliberata? Il mio lavoro verte essenzialmente — al di là della moda - sulla descrizione. Ho volutamente rifiutato di ricorrere all’immagine, all’illustrazione, perché credo - e penso tanto alla letteratura quanto alla moda - che la descrizione non abbia alcun rapporto con la visione. Si dice sempre che le descrizioni fanno vedere; penso che non facciano vedere affatto; sono dell’ordine dell’intelligibile puro e, con ciò stesso, eterogenee a ogni imagerie,

che può solo disturbarle, alterarle.

Si situa cosf in una prospettiva inversa a quella di

Lévi-Strauss, che considera il documento icono-

grafico come interno al suo procedimento e gli dà una parte relativamente importante nell’immaginazione logica dei suoi libri. Il mio. oggetto è,. pienamente; la scrittura. fare della strittura la semplice «traduzione» gine o della parola, né fare della scrittura un altri oggetti di trasmissione, di traduzione. — non dico la parola — è un sistema che basta

Non si può dell’immaoggetto fra crittura a se stesso,

ed è forse quanto. fa s{ che susciti.un4interrogazione ineSfl.l.lul'&bi:l€ .

O

106

IL SENSO DELLA MODA

Cosi la descrizione di moda le sembra più vicina del mito alla letteratura?

La letteratura di moda è.una cattiva.letteratura, ma è pur, sempre una scrittura. Che cosa pensa in questo senso del principio dell’estetica surrealista che reclamava la promozione della fotografia all’interno della parola letteraria proprio per strangolare l’uso della descrizione in quanto tale? A me sembra legato a quel rapporto d’inclusione e di esclusione del mito rispetto alla letteratura, se si pensa da un lato all’importanza teorica accordata da Breton e all’oggetto e al pensiero mitologico, e dall’altro al privilegio riconosciuto al surrealismo da Lévi-Strauss nei risveglio della passione moderna per il mito. Per distruggere la descrizione ci sono altri mezzi che soppiantarla. Il compito rivoluzionario della scrittura

non è di soppiantare ma di trasgredire. Ora, trasgrediîire, è riconoscere e al tempo stesso invertire; bisogna pre-

sentare l’oggetto da distruggere e uello stesso tempo negarlo; la scrittura è proprio ciò che permette questa contraddizione logica. Votandosi a una pura distruzione del linguaggio (mediante irruzione delle immagini o radicale disarticolamento del senso), il surrealismo - quali che

siano state la giustezza delle sue intenzioni e l’importanza del suo ruolo anticipatore — è rimasto dalla parte di una logica unitaria, che contraddiceva senza trasgre-

dire (nel senso che dirò): il contrario non è l’inverso. Il

contrario distrugge, l’inverso dialoga e nega. Solo, mi sembra, una scrittura «invertita», che presenti insieme

il linguaggio corretto e la sua contestazione (diciamo pure, per rapidità: la sua parodia), può essere rivoluziona-

ria. Quanto al mito, la scrittura non lo esclude, ma nep-

pure lo rispetta: molto più dell’immagine essa può al tempo stesso offrirlo e contestarlo.

SUL

«SISTEMA

DELLA

MODA»

107

Questo gioco analogico che lei implicitamente stabilisce fra la moda e la letteratura trova un’eco diretta nell’orientamento duplice del suo lavoro, dato che proprio recentemente lei ha pubblicato un testo importante in apertura del numero speciale di «Communications» dedicato all’analisi strutturale del racconto’, che sembra stare ai Saggi critici come

il Sistema della Moda sta ai Miti d’oggi malgrado tutto lo scarto che c’è tra un articolo e un libro. Il Sistema della Moda cost1tu1$;e Un.tentativo.«di.se-

miologia applicata a Un oggetto preciso, analizzatoin ma-

niera esaustiva. Îl testo sul racconto.obbedisce unicaAL *

mente a un intento d1datt1co propedeut1co direi; esso è strettamente legato all’attività di un gruppo di ricerca riunito nell’ambito dell’École des hautes études e del Centre d’études des communications de masse. Si tratta essenzialmente di promuovere e di appoggiare delle ricerche: è assolutamente indispensabile, ovviamente, che ad esso facciano seguito analisi concrete che lo riprendano e lo correggano. Il numero che intende semplicemente introdurre partecipa largamente di uno strutturalismo della classificazione, o, se preferisce, della co-

sa enunciata, del contenuto. Manca all’insieme — perché non era nelle nostre possibilità attuali — una linguistica della scrittura: è in questo che il mio testo non studia né ha veramente di mira la letteratura contemporanea, anche se prende posizione sulla letteratura.

' Editions du Scuil, Paris 1966 [trad. it. Bompiani, Milano 1968]. Si veda l’articolo di Pierre Daix, Sartre est-il dépassé? [Sartre è superato?] in «Les lettres frangaises», nn. 1168 e 1160.

Il Sistema della Moda*

Roland Barthes, lei ha appena pubblicato un’opera

il cui titolo, Sistema della Moda, è in qualche mo-

do ingannevole, se non provocatorio. Si crede trovarvi un commento incisivo, come quelli dei Miti d’oggi, oppure un’analisi d’ispirazione sociologica. Niente affatto. Si tratta in realtà di un’opera scientifica, molto austera, e di cui molte pagine mi hanno fatto ricordare, non senza contrarietà lo confes-

so, i manuali d’algebra o le analisi grammaticali della mia infanzia! Comincerò col dire che il titolo della mia opera non è una provocazione, non essendo tanto il mio progetto quello di apportare un punto di vista nuovo riguardo alla moda quanto di costituire un lavoro di ricerca. Questo lavoro del resto fa parte di un insieme di ricerche attuali in pieno sviluppo che vengono raggruppate sotto il nome di «strutturalismo». Si tratta di un movimento di

pensiero e d’analisi. che.si. sforza di ritrovare, mediante

certi metodi estremamente precisi, la struttura degli .oggetti sociali, delle immagini culturali, degli stereotipi, tanto nelle società arcaiche quanto nelle nostre moderne società tecnologiche. Per parte mia, mi sono dedicato a quei fenomeni della nostra società che sono, e qui devo ricorrere a un termine abbastanza vago, degli insiemi utilitari: gli alimenti, si tratta di nutrirsi, le case, si tratta di“alloggia-

* _ «France-Forum», 5 giugno 1967. Intervista a cura di Cécile Delanghe.

IL «SISTEMA DELLA MODA»

109

re, le strade delle città, si tratta di circolare, e la moda, si tratta di vestirsi.

Avrebbe insomma potuto edificare un «sistema dell’alloggio» o un «sistema della nutrizione», come ha edificato quello della moda ? Se sappiamo da sempre che questi «oggetti» hanno

funzioni ben precise.e diverse,.oggi si è convinti che es-

si costituiscano. anche, per gli uomini, dei mezzi di co-

municazione, dei.veicoli di.significazione. È stato Saussure, per primo, che ha postulato l’esistenza di una scienza generale dei segni; pensava che la linguistica fosse solo

una parte di questa scienza. Questo postulato è stato ri-

preso in seguito grazie allo sviluppo della linguistica, scienza del linguaggio umano, scienza oggi anche ben costituita, che serve da modello allo strutturalismo. Si tratta di apph,care i concetti e le regole di descrizione della linguistica a delle collezioni di oggetti chenon sono più linguaggio articolato, e di sottoporre queste collezioni a un’analisi che potrebbe essere quella che si fa subire a una lingua quando si vuole conoscerne la grammatica. Per quanto concerne la moda, lei ha volutamente limitato la sua analisi ad articoli dedicati all’abito femminile quali si possono leggere nelle riviste femminili specializzate, quindi alla descrizione scritta della moda. Ora, per la donna, e qui parlo a nome delle migliaia di lettrici a cui sono destinate quelle pagine di moda, niente è pit parlante, più convincente, dell’immagine; il testo, la didascalia, se l’accompagnano, non costituiscono molto più di un in-

vito a guardarla meglio. Adduco a conferma che nessuna donna comprerà un vestito senza averlo provato, in altre parole senza essere andata al di là della persuasione puramente verbale.

IIO

IL SENSO

DELLA

MODA

Non rifiuto assolutamente una straordinaria ricchezza al vestito portato. Mi sono limitato alla sua descrizione scritta, per ragioni tanto di metodo che di sociologia. Ragioni di metodo: in realtà la moda mette in gio-

co più sistemi di espressione: la materia,la fotografia, il

linguaggio; e mi era impossibile fare un’analisi rigorosa di un materiale molto misto; mi era impossibile lavorare con sottigliezza se passavo indifferentemente dalle immagini alle descrizioni scritte e da queste alle osservazioni che avrei potuto fare io stesso per strada. Dato che il procedimento semiologico consiste nel ritagliare un oggetto in elementi e ripartire questi elementi in classi formali generali, avevo interesse a scegliere il materiale più puro, pit omogeneo possibile. E poi ero giustificato in questa scelta dal fatto che oggi le riviste di moda hanno una diffusione veramente massiccia, fanno parte della cultura di.massa. Questo è attestato da tutte le statisti-

che. Di conseguenza l’abbigliamento descritto dai giornali di moda, che a confronto dell’abbigliamento della

strada sembra forse meno reale, meno interessante, ac-

quista nuove dimensioni in quanto proiezione dell’immaginario collettivo. Veicola immagini, stereotipi, una

grandissima ricchezza di elementi, non reali, è vero, ma

di tipo utopistico. In questo, s’incontra col cinema, coi fumetti o anche col romanzo popolare. In ultima anali-

si, sotto la fraseologia della rivista di moda si nasconde

un’immagine stereotipata della femminilità.

E per descrivere quest’immagine lei abbandona eccezionalmente l’astrazione e l’analisi puramente formale. Perché quest’infrazione, se cosf posso dire, al progetto che si era prefisso ?

L’ho fatto molto più per_ dimostrare in quale casella

del sistema poteva prendere posto unà descrizione del genere che non per la descrizione in sé, a mio avviso superflua. Leggendo infatti un giornale di moda, o legan-

do insieme i ricordiì di tutte le letture che ne ha fatto,

ugnuno sa bene l’immagine tipo della donna proiettata “'

traddittoria, bisogna pur riconoscerlo, dato che questa

= ne

III

u

MODA>»



DELLA

T

Il. «SISTEMA

donna dev’essere tutto jn una.volta.al fine.di rappresen- :

Lare.il piti gran numero di lettrici possibili. Segretaria di : direzione, può però assistere a tutte le feste dell’anno e della giornata. Parte ogni settimana per il week-end e viaggia tutto il tempo, a Capri, alle Canarie, a Tahiti, e nondimeno a ogni viaggio va nel Mezzogiorno. E ap-

passionata di tutto in una sola volta, da Pascal al cooljazz. Non conosce né l’adulterio né la relazione; viaggia solo col marito; delle sue difficoltà economiche non parla mai. Insomma, è nello stesso tempo quello che la lettrice. è e_quello che.sogna.di.essere. In questo la moda s’incontra con tutta la letteratura per giovinette di un

tempo; è,il linguaggio della madre che «preserva» la fi-

glia da ogni contatto con il male.

Crede veramente che la lettrice percepisca questi segni molteplici che le vengono inviati ? E possibilissimo che vi trovi di che alimentare la propria immaginazione; ma i giornali di moda, come gli altri, sono anche delle imprese commerciali, e non possono dimenticare che salvo qualche eccezione le donne non vanno cosf lJontano quanto essi lasciano sup-

porre. Una casa di confezioni ha posto delle domande a centinaia di ragazze: non è ancora stato

completato lo spoglio dei questionari, ma ci si può già fare un’idea abbastanza precisa dell’insieme delle risposte; le ragazze si vestono a «un palmo» dal ginocchio; quando fa freddo non portano quegli «adorabili» cappottini di pelliccia a buon mercato, ma semplici cappotti di lana; per ballare, un abito, e non un «pigiama da sera», ecc. È come un con-

tratto di sordità.

La lettrice di moda è un po’ nella situazione di due interlocutori; quando dialogano capiscono molto bene quel-

II2

IL SENSO

DELLA

MODA

lo che si vogliono dire; nello stesso tempo però non fanno un’analisi grammaticale delle loro parole. Allo stesso

modo la lettrice di.moda.non.è.consapevole dei mecca-

nismi che producono.guei segni, però.liriceve. Questi se-

gni, del resto, sono estremamente vari; certo sappiamo tutti che attraverso l’abbigliamento scambiamo. informaz19n1 abbastanza elementari, non solo sulla nostra po-

sizione sociale o professionale, sulla nostra classe di età, ma anche su un dato uso sociale, una data cerimonia, una

data occupazione: « Un abito per la sera, per lo shopping, per la primavera, per la studentessa, per la ragazza disinvolta...» D’altro canto la moda si sforza di far corrispondere all’abito descritto quello che noi vogliamo esprimere di noi stessi, il ruolo complesso.che.vagliamo rap-

presentare _ nella società; per esempio l’adolescente che

segue in ogni particolare la moda attuale degli adolescenti, la

«moda militare», comunica con ciò stesso a tut-

ti quelli che lo circondano un’informazione, e precisamente che intende essere riconosciuto come appartenen-

te a un certo . gruppo, con la sua mentalità e i suoi valori. Secondo lei in un abbigliamento si possono leggere, da un lato, dei significati generali che lei qualifica come elementari, dall’altro, dei significati di cui si approprierebbe l’individuo. Quest’ultimo aspetto della questione ha dovuto porle un problema tecnico. Dato che il suo progetto è stato quello di fare un inventano delle unità semiologiche contenute negli articoli di moda, sembra difficile, a un profano come me, situare l analisi al livello dell individuo.

È l’illusione che tutti noi abbiamo davanti agli individui, e di questa credenza o di questa illusione, s’intende, abbiamo bisogno per vivere. Ma in realtà, dal momento in cui si studiano dei fatti abbastanza numerosi e si adotta nei loro confronti un atteggiamento scienti-

fico, nAn.c-è nessun individuo.che-resista.a-una-possibilità di.classificazione. Stanno a dimostrarlo i test di psi-

Il. «SISTEMA

DELLA MODA»

II3

cologia. Allo stesso modo ci si accorge che gli ugmini possono.attribuire qualungue.senso a qualunque.forma; non esiste un rapporto stabile tra forma e contenuto. Si prenda ad esempio la gonna corta; oggi si dice che è erotica; ima cinquant’anni fa lo stesso qualificativo era usato proprio per la gonna lunga. Oggi si razionalizza la brevità della gonna mediante un fattore di erotismo. E ppure spesso si sente dire che la moda attuale è il segno di una rivoluzione, o piuttosto di un’evoluzione della donna. Le gambe da amazzone sotto una tunica corta, è più che un’altra silhouette, è quasi

un’altra donna. E tutta una femminilità fatta di ombre e di misteri che si dilegua. Gli attributi classici

dell’abbigliamento, certe pellicce, certi gioielli, cer-

te pelli, oggi sono fuori moda. Un sembra segnare la fine di un’epoca: ci si riferisce più o meno volentieri dello ricco, è il modello giovane. La

altro fatto che il modello a cui non è più il mogonna corta non

è scesa nelle strade, ci è nata, a Londra.

Non credo che questa moda corrisponda a nessun fenomeno di ordine sociologico. Credo che tutte.le ragio-

nicon.cui.pggi pretendiamo spiegare o giustificareun

abblgllament.o.smnp…p&e…udo…nagmn.l La trasformazione di un ordine di segni in un ordine di ragioni è nota altrove sotto il nome di razionalizzazione; in altre parole, sirazionalizza-a.posteriori.un.fatto. prod.otto&pzt…flvicompletamente-divessire-pes.motivi.formali. Stabilendo la psicoanalisi del vestire, Flugel ha dato alcuni esempi di questa conversione sociale del simbolo in ragione: la scarpa lunga e appuntita non è capita, dalla società che l’adotta, come un simbolo fallico, bensf il suo

uso viene attribuito a semplici ragioni igieniche. Prendiamo un esempio che deve meno alla simbolica psicoanalitica: verso il 1830, l’inamidatura della cravatta era giustificata da vantaggi di comodità e d’igiene. Si vede perfino apparire, in questi due esempi, una tendenza che

II14

IL SENSO

DELLA

MODA

non è forse accidentale a rendere la ragione del segno nell’esatto contrario della sua disposizione fisica: il disagio si trasforma in comodità. Quello che va dunque sottolineato è che se effettivamente il vestire.è sempre costruito come un sistema generale di segni, le.sigoificazioni di questo sistema.non .sono. stabili; evolvono e passano secondo la storia.

Se lei avesse scritto quest’opera cinquant’anni fa,

la sua analisi sarebbe stata dunque identica ?

Assolutamente. Non ho descritto una moda particolare; ho precisamente avuto cura di fare un inventano formale che perciò ignora il contenuto della moda. La moda è una combinatoria che ha un’infinita riserva di elementi e di regole di trasformazione. L’insieme dei tratti di moda è attinto, ogni anno, da un insieme di tratti che ha le sue restrizioni e le sue regole come la grammatica. E se la, moda a no9i,appare imprevedibile, è perché ci collochiamo al livello. della memoria umana. Ma se si sposta la scala di osservazione, se invece di collocarci alla scala di qualche anno, ci si colloca a quella di

quaranta o cinquant’anni, si osservano fenomeni.di una

grandissima regolarità. Un etnologo americano, A. L. Kroeber, lo ha dimostrato in un modo assolutamente

inoppugnabile: il ritmo di mutamento della moda è non

solo regolare (l’ampiezza è di circa mezzo secolo, l’oscillazione di un secolo), ma tende a fare alternare le forme

secondo un ordine razionale; la larghezza della gonna, per esempio, e quella della vita, sono sempre in un rapporto inverso; quando una è stretta, l’altra è larga. Insomma, alla scala di una durata un po’ lunga, la moda è.un fenomeno ordinato, e quest’ordine lo deriva da se stessa.

Qui comunque la fermo; perché sembra proprio che oggi soffi un vento di follia sulla moda, a cominciare dai vestiti di metallo fino alla moda cosmonautica, passando dalla moda gruyère, un vento di follia

IL «SISTEMA

DELLA

MODA»

IIS

che non somiglia a nessun altro. E tutto possibile, le stravaganze della moda sono tali che si avrebbe quasi voglia di chiudere gli occhi, per non vedere assolutamente pit nulla. Riprendo ancora una volta l’esempio della minigonna; non vedo quasi altra epoca che la preistoria per ritrovare l’orlo cosf in alto. E tutto relativo e, in un certo senso, l’esempio della minigonna dà ragione a quella sorta di previsione dei grandi ritmi della moda. Bisogna infatti considerare non le dimensioni in sé ma solo quelle relative di una gonna. E si sarebbe potuto perfettamente prevedere il fenomeno attuale, cioè che le gonne sarebbero arrivate oggi allo stadio pit corto possibile, in rapporto a un altro polo di lunghezza, anch’esso relativo, che è stato raggiunto cinquant’anni fa, verso il 1900. In altre parole, la minigonna ci sembra cortissima, senza dubbio, ma l’analista rile-

va solo questo fatto: è non cortissima, ma la più corta possibile in rapporto all’intero ciclo. Certo la storia costituisce sempre una forza che conserva la sua libertà e prepara qualche sorpresa; ma normalmente, se il ritmo della moda continua a essere regolare, le gonne dovrebbero, a partire da oggi, ricominciare ad allungarsi gradatamente, attraverso variazioni stagionali. Diciamo che

nell’anno 2020 o 2025, le gonne dovrebbero essere di nuovo lunghissime. Ecco distrutta una visione della moda a lungo condivisa da molti pensatori e poeti, visione che ne fa il terreno di elezione della libera creazione, del capriccio e della frivolezza; uno dei meriti della sua opera è di demistificare questa visione; ciò non toglie che questa demistificazione sia un pochino deludente... Non nego assolutamente ai sarti la libertà di creazione e d’invenzione che possono impiegare nei loro mo-

delli. Solo che, dal momento in cui la moda viene in-

grandita alla sua dimensione storica, quello che si scopre è una profondissima regolarità.

Conversazione intorno a un poema scientifico*

In quale insieme di preoccupazioni e di ricerche le si sono presentate le sue analisi della moda? L’insieme di quanto ho scritto finora si può caratterizzare mediante una certa diversità degli oggetti, poiché ho parlato sia di letteratura che di miti della vita quotidiana o di pubblicità, ma anche mediante un’unità del soggetto, poiché sin dal mio primo saggio, che era Il grado zero della scrittura, sono stato sempre preoccupato dal problema della significazione degli oggetti culturali — accordando evidentemente un privilegio immenso a quel particolare oggetto culturale che è la letteratura. All’inizio ho condotto questa ricerca sulla significazione con una certa cultura linguistica, è chiaro, ma, fino alla postfazione dei Miti d’oggi, senza aver realizzato che lo studio delle significazioni seconde poteva essere l’oggetto di una scienza scaturita essa stessa dalla linguistica o, in ogni caso, di un approccio veramente metodico. Da quel momento ho creduto di constatare che era possibile condurre una riflessione sistematica, ispirata da un metodo esplicito, su questi problemi della significazione degli oggetti quale già esiste, e che è la linguistica. Quanto al posto di una ricerca di questo genere nell’insieme delle scienze umane contemporanee, lei sa che,

parallelamente a questo progetto personale (concepito in un momento in cui la linguistica non era ancora il mo* «Sept Jours», 8 luglio 1967. Intervista a cura di Laurent Colombourg.

(ONVERSAZIONE

SU UN

POEMA

SCIENTIFICO

II7

‘ello prestigioso che poi è diventata per tanti ricercatori), c’è stato uno sviluppo considerevole dell’interesse prestato alla linguistica, un allargamento del campo di ipplicazione del metodo linguistico grazie agli sforzi conpiunti e insieme indipendenti di alcune menti - fra le quali, in un posto di prim’ordine, bisogna annoverare s’intende Claude Lévi-Strauss. È quindi in questa sorta di rinnovamento di una parte delle scienze umane al contatto della linguistica che questo libro va collocato. Sulla soglia della sua opera, il lettore incontra va-

rie affermazioni fondamentali, che interessano il

linguaggio: «Il linguaggio umano non è soltanto il modello del senso, ma anche il suo fondamento»,

oppure: «La vera ragione vuole che si vada dalla parola istituente al reale che essa istituisce», o ancora la formula secondo cui la parola è «il raccordo fatale di ogni ordine significante». Queste tesi, la cui portata appare considerevole e che forse non sono evidenti, non richiedono un commento ?

Prima di tutto una spiegazione di ordine contingente, che riguarda la storia stessa del libro: all’inizio ho concepito lo studio dell’abbigliamento reale, portato dalle donne per strada o in casa, e mi proponevo di applicare a questo abbigliamento, che è un oggetto perfettamente reale, un metodo di analisi per sapere in che modo significasse. Perché si sa che effettivamente il vestire non serve soltanto a proteggerci, ad abbellirci, ma anche a scambiare delle informazioni, e che quindi, con tutta evidenza, vi è in esso un linguaggio che si deve presta-

re, in teoria, a un’analisi di tipo linguistico, benché la

materia non sia il linguaggio articolato. E successivamente, a poco a poco, sormontando del resto un certo numero di difficoltà reali, dipendenti dalla tecnica stessa del senso, mi sono accorto che il linguaggio del vesti-

re reale esiste, certo, ma è estremamente sommario e po-

vero. Comprende a fatica alcuni contenuti, e i signifi-

118

IL SENSO DELLA MODA

canti stessi, malgrado l’evidente diversità delle forme del vestire, sono molto poveri, il codice dell’abbigliamento reale esiste, ma in fondo non è né pitù ricco né, probabilmente, più interessante del codice di segnalazione stradale per automobilisti. Questa povertà e rarità del codice reale sono in contraddizione con quello che d’altra parte sappiamo sulla ricchezza delle rappresentazioni collettive, sull’estrema proliferazione dei sensi all’interno della società, e anche, del resto, sull’importanza effettiva dell’abbigliamento nel mondo. E questa distanza tra un codice.reale molto povero.e.un.mondo culturale. molto. ricco che mi.ba indotto.a capovolgere il mio proposito, e a pensare..che

l’abbigliamento non fosse.realmente significante se. non

nella misura in cui era preso a carico dal linguaggio umano. Noi parliamo il nostro abbigliamento in molti modi,

non solo perché è un oggetto di conversazione, ma so-

prattutto perché è un oggetto di pubblicità, di commento, di catalogo. Il linguaggio articolato investe a ogni istante l’abbigliamento, e questo va perfino più lontano, nella misura in cui non c’è pensiero né interiorità senza

linguaggio: pensare l’abbigliamento è già mettere del linguaggio nell’abbigliamento. Per questo è impossibile pensare un oggetto culturale al di fuori del linguaggio articolato, parlato e scritto, in cui è immerso. Cosf la linguistica non appare più come una parte della scienza generale dei segni: bisogna capovolgere l’affermazione e dire che la linguistica è la scienza generale dei segni, che si diversifica poi in semiotiche particolari secondo gli og-

getti che il linguaggio umano incontra.

Nel suo libro lei distingue lo stile, in quanto per-

sonale, e la scrittura, in quanto collettiva, e fa l’a-

nalisi della scrittura della moda. Ma allora chi parla in questi testi anonimi delle riviste di moda? Si può dire che sia la società a parlare la scrittura della moda?

U'ONVERSAZIONE

SU UN

POEMA

SCIENTIFICO

119

Si può dire che sia la società nel suo insieme a parlare le forme della lingua del vestire, e solo un piccolo gruppo ne parli i contenuti. Il codice generale dei termini e delle relazioni da cui origina il linguaggio che la moda parla sull’abbigliamento è prodotto dalla società e ha

i produttori di m9da o i redattori di riviste, parla questa linguagenerale.della.moda e.la riempie di contenuti.particalari. Ma io non ho studiato i contenuti, sono rima-

sto al livello di un’analisi interamente formale. Ho studiato la lingua della moda nel senso proprio del termine langue, vale a dire come sistema astratto, esattamente

come, in una lingua, si studierebbe il nome, l’aggettivo, il verbo, l’articolo, le subordinate, ecc., senza occupar-

si affatto di frasi particolari. Non ho studiato una data moda, ma la moda, in quanto sistema puramente forma-

le di relazioni.

Al lettore che di fronte a queste analisi strutturali e formaliste avesse l’impressione che, dopo i Miti d’oggi, più impegnati, più moralisti, qualcosa si è perso nell’opera di Roland Barthes, che cosa risponderebbe ? In primo luogo che niente si perde definitivamente: l’insieme dei lavori di una vita non si ferma, e sappiamo che, per realizzare in un’opera una certa totalità, bisogna accettare di spicciolare questa totalità in momenti successivi che spesso sembrerebbero contraddirsi, o in ogni caso, appunto, perdersi e abbandonarsi. Avevo bi-

sogno, in questo momento della mia vita, di andare fino in fondo, con una sorta di radicalismo, a un progetto si-

stematico e sistematicamente formalista. Perché appun-

C — _ v —

re-contenuti particolari, allora, s’intende, restringiamo

l’emissione del messaggio e si può benissimo dire, in realtà, che soltanto.un.gruppo.della società, per. esempio

-

cui è formale. E.la.società-intera-che.elabora.la Jangue della-moda. Ma .se.ci.serviamo della langue.-per -enuncia-

LA

quasi carattere di universalità, proprio nella misura in

120

IL SENSO

DELLA

MODA

to soffrivo troppo di facilitazioni apportate dall’idea, nel senso della scoperta di contenuto. Ma il mio progetto procede, e adesso passerò a qualcos’altro. Secondariamente, voglio dire anche che l’attacco al mondo è certo molto pit diretto in un lavoro come quello dei Miti d’oggi che in un lavoro formale. Ma si può attaccare il mondo, e l’alienazione ideologica del nostro mondo quotidiano, a molti livelli: Sistema della Moda contiene anche un’affermaziane.etica sul.mondo, la stessa del resto che in Miti d’oggi, vale a dire che c’è un ma-

leyun.male.sociale, ideglogico, associato ai sistemi di se-

gni che.non si dichiarano francamente . come . sistemi di segni.-.Invece di riconoscere che la cultura è un sistema immotivato di significazioni, la società borghese dà sempre i segni come giustificati dalla natura o dalla ragione. In questo senso è la stessa dimostrazione che viene data nei Miti d’oggi e in Sistema della Moda — a proposito, è vero, di un oggetto che ha apparenza pitù futile degli avvenimenti politici o dei fatti sociali che coinvolgono di pitù l’emozione collettiva. Appunto, non ci si può sottrarre all’impressione che non ci sia proporzione fra l’oggetto di questo libro

(1 testi delle riviste di moda) e il metodo messo in

opera. La semiologia sarebbe forse condannata, per essere rigorosa, a oggetti insignificanti, futili o modesti ?

No certo! Sul piano contingente dirò in primo luogo che ho voluto dare una dimostrazione di metodo. Poco importava l’oggetto, quindi; più l’oggetto era esiguo e futile, più era facile possederlo e far risaltare il metodo di cui non è che il supporto. Secondariamente, su un piano pit profondo, dirò che Sistema della Moda siì può anche concepire come un progetto poetico, consistente ap-

punto nel costruire un oggetto intellettuale con nulla, o con ben poco, nel fabbricare sotto gli occhi del lettore,

mano a mano, un oggetto intellettuale che emerga pro-

UONVERSAZIONE

SU UN

POEMA

SCIENTIFICO

I21I

pressivamente nella sua complessità, nell’insieme delle sue relazioni. In maniera che si possa dire (sarebbe sta-

lo l’ideale, se il libro fosse riuscito): all’inizio non c’è

niente, l’abbigliamento di moda non esiste, è una cosa estremamente futile e senza importanza, alla fine c’è un uggetto nuovo che esiste, ed è l’analisi che lo ha costituito. E in questo che si può parlare di progetto propriamente poetico, cioè che fabbrica un oggetto. Si poirebbero ritrovare degli esempi o dei precedenti prestipiosi di una sorta di filosofia del nulla, dell’interesse che ’è a lavorare sul nulla del mondo. Non solo perché i temi del vuoto, o del decentramento delle strutture sono

lemi importanti del pensiero attuale, ma anche, per quanto concerne la moda, perché un uomo come Mallarmé ha fatto esattamente quello che io avrei voluto ri-

lare. «La Dernière Mode», la rivista che lui stesso ha diretto e redatto, era in fondo una sorta di variazione, a

suo modo appassionata, sul tema del vuoto, del nulla, di quello che Mallarmé chiama «il ninnolo». Se si crede che ci sia una passione storica della signilicazione, se c’è veramente un’importanza antropologi-

ca del senso — e questo non è un oggetto futile -, ebbene, questa passione del senso si inscrive esemplarmente a partire da oggetti vicinissimi al nulla. Dovrebbe far parte di un grande movimento critico: da un lato sgonfiare gli oggetti apparentemente importanti, dall’altro mostrare come gli uomini facciano del senso con nulla. l; un po’ in questa prospettiva che ho collocato il mio lavoro, se non i miei risultati...

La calza e l’idea”

Nella grande Encyclopédie francaise des sciences, des arts et des meétiers, pubblicata nel xv11 secolo, c’è un articolo celebre dove, malgrado l’apparente modestia dell’argomento, prorompe il nuovo spirito del tempo. L’articolo parla della macchina per fare le calze. I] testo è redatto da Diderot in persona. Da cosa de-

riva tutto questo interesse ? Innanzitutto, ovviamente,

dal fatto che la macchina per calze esprime molto bene il tema progressista della nostra civiltà tecnologica, il quale ha avuto inizio appunto nel xv1r secolo: da un lato i bisogni della vita quotidiana, colti a partire da un umile articolo vestimentario; dall’altro il potere della tecnica, che permette agli uomini di soddisfare questi bisogni, impiegando un minor tempo e un minor lavoro

che in precedenza. Cosf, la nuova macchina per calze simbolizza il rovesciamento della vecchia legge contabile della «fatica», scotto inevitabile — si pensava - d’ogni esistenza.

Non è tutto. Quel che rende la macchina per calze veramente ammirevole agli occhi di Diderot è il fatto che essa possiede una sorta di perfezione intellettuale. « Possiamo guardarla — scrive — come un solo e unico ragionamento di cui la realizzazione del prodotto è la conclusione; regna fra le sue parti una cosf perfetta dipendenza reciproca, che sopprimerne una soltanto, o alterare la forma di un’altra apparentemente inutile, significherebbe danneggiare l’intero meccanismo». La macchina * Pubblicato per la prima volta in lingua italiana in Billi, Firenze 1967.

LA CALZA E L’IDEA

123

per calze illustra in tal modo la perfezione che ci si aspetla da ogni intelligenza: la solidarietà deduttiva delle idee, la necessità delle loro forme. Certo, dopo Diderot l’u-

inanità non ha mai cessato d’inventare macchine nuove,

sempre più complesse, che sembrano oltrepassare i limili dell’intelligenza, di cui pure sono al tempo stesso il modello e la copia. E anche la macchina per calze è mol-

lo cambiata. Tuttavia, il simbolo permane, e sussiste il

medesimo stupore: una calza femminile — la cosa più fine, più leggera che esista, liscia come la pelle che pro-

tegge ed esalta, simbolo stesso della creazione sovrannaturale perché non ha in sé, come la tunica dei santi, hessuna cucitura - può essere la conclusione (è il termine di Diderot) di un ragionamento la cui cornplessità si-

mile alla sorpresa derivante d’un’idea intelligente, si inscrive nel lampo. di quei pochi secondi necessari a pro-

gduxla.

Un caso di critica culturale: gli hippies”

La città in cui sono scritte queste righe è un piccolo

luogo di riunione degli hippies, soprattutto inglesi, americani e olandesi. Per tutta la giornata essi occupano una piazza molto animata del centro storico, mescolati (ma non amalgamati) con la popolazione locale, la quale — per tolleranza naturale, per divertimento, per abitudine o per interesse — li accetta, li accoglie, li lascia vivere, sen-

za comprenderli ma senza meravigliarsi. Questa riunione non ha certo la densità e la vastità dei grandi raduni di San Francisco e di New York; ma poiché qui l’«hip-

pismo» si trova al di fuori del suo contesto abituale (quello di una società ricca e moralista), il suo senso ordinario

finisce per frammentarsi. Trapiantato in una cittadina molto povera, spaesato, non per esot13mogèogmhc;o ma per esotismo.ecaqnamico.e. sociale (che è molto più segregante), l’hippy diventa gui una figura contraddittoria (non soltanto contraria). Éd è questa sua contraddizione a interessarci, poiché, per quel che riguarda la contestazione, mette in causa il rapporto stesso fra il politico e il culturale. Questa contraddizione è la seguente. Qppositivo, l’hippy.prende in contropiede-i-prineipali-vatoridell’arte di vivere occidentale (borghese, neo-borghese, piccolo-borghese): egli sa bene che quest’arte di vivere è un’arte del consumare, ed è proprio questo consumo dei beni che vuole sovvertire. Per quanto riguarda il cibo, l’hippy viola le costrizioni degli orari e del menu (mangia poco, *_Un cas de critique culturelle, in «Communications», novembre 1969, n. 14.

UN CASO

DI CRITICA

CULTURALE:

GLI HIPPIES

125

dove capita e quando capita) e quelle dei pasti indivi-

duali (un nostro pasto collettivo è in effetti una somma-

loria di pasti individuali: cosa che ultimamente viene simbolizzata dall’uso di quelle piccole tovaglie di stoffa o di paglia che delimitano, col pretesto dell’eleganza, il campo nutritivo di ciascun convitato; gli hippies, invece, praticano — per esempio a Berkeley — l’uso del calderone collettivo, della minestra comunitaria). Per quel che ripuarda l’alloggio, stesso collettivismo (una camera per

imolti), al quale si aggiunge il vagabondaggio, che viene

simboleggiato dal borsetto, la bisaccia che lasciano penzolare sulle gambe. Il vestito (ma si dovrebbe dire il co-

stume) costituisce com’è noto il segno specifico, la scel-

la più marcata degli hippies; rispetto alla norma occi-

dentale, la sovversione si esercita in due direzioni, talvolta combinate fra loro: sia nel senso di una fantasia sfrenata, che oltrepassa i limiti del convenzionale in modo da formare un segno chiaro della trasgressione in quanto tale (pantaloni di broccato, mantelli di tappezzeria,

lunghe camicie da notte bianche, piedi nudi); sia nel sen-

so del prestito indiscreto dei costumi locali: gellabe, boubou, tuniche indt, comunque disintegrati grazie a qual-

che dettaglio aberrante (collane, girocolli di velo multicolore ecc.). La pulizia (l’igiene), il più importante valore americano (almeno miticamente), è contraddetto in mo-

do spettacolare: sudiciume dei corpi, dei capelli o dei vestiti, stoffe che strofinano per terra, piedi impolverati, bambini biondi che giocano nelle pozzanghere (tuttavia,

un certo non so che continua a distinguere il sudiciume

autentico, quello di una povertà molto antica che deforma i corpi e le mani, dal sudiciume finto, vacanziero, diffuso come una polvere, non marcato come un’impronta). Infine, a causa dei capelli lunghi e degli ornamenti (collane, anelli, orecchini) portati dai ragazzi, i sessi si confondono, non tanto nel senso di un’inversione quan-

to di una cancellazione: a esser ricercato, attraverso l’oscillazione continua dei tratti ordinariamente distintivi,

è il neutro, la sfida all’antagonismo «naturale» dei sessi.

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IL SENSO DELLA MODA

AI di là dei controvalori «interiori» investiti nel movimento hippy (pratica della droga, assenza dal mondo, perdita dell’aggressività), sul piano fenomenico è assolutamente chiaro che i comportamenti degli hippies vogliono radicalizzare una reazione: il vestito, l’alloggio, il cibo, l’igiene, la sessualità sono in questo caso trasformati in forze reattive: parola da prendere nel suo senso propriamente nietzschiano. Per quanto paradossale possa sembrare, l’hippy (se solo mettesse un po’ più d’intelligenza nella sua avventura e nella sua ricerca) potrebbe essere una delle prefigurazioni del superuomo, quella che Nietzsche assegnava all’ultimo nichilista, colui che tenta di generalizzare e di spingere i valori reattivi fino al punto da impedire che essi possano essere recuperati da una qualche positività; è noto che Nietzsche ha indicato due incarnazioni storiche di questo nichilismo: Cristo e Buddha; ed entrambi sono, in effetti, due

sogni hippy: l’hippismo è rivolto verso l’India (che di-

venta la Mecca del movimento), mentre molti giovani

hippies (troppi perché questo non abbia significato) cercano di assumere le sembianze di Cristo — anche se si tratta di simboli, non di credenze (l’autore di queste righe ha visto una folla attorniare e minacciare con una veemenza tipicamente orientale un giovane Cristo dai

capelli lunghi, con il viso pallido, accusato di aver ruba-

to una radio; cosa per nulla certa, ma in ogni caso giu-

stificabile alla luce del codice locale del furto: sembrava un vero e proprio quadro evangelico, una pia oleografia degna di ornare il vestibolo di un pastore). Questo è uno dei sensi (direzione e significato) del fenomeno hippy. Questo senso tuttavia (e sta qui la contraddizione di cui si è parlato all’inizio) è recuperato dal contesto in cui la realtà lo costringe a svilupparsi. Negli Stati. UnitiJa contestazione culturale dell’hippy è effettiva (potremmo dire, diretta) perché urta giustamente (nei punti sensibili) la buona coscienza dei ricchi, proprietari della mo-

rale e dell’igiene; l’hippismo è allora una tappa giustificata (anche se un po’ breve) della critica culturale, poiché

UN

CASO

DI CRITICA

CULTURALE:

GLI HIPPIES

1/

indica con esattezza il vuoto proprio all’American W'ay

of Life. Ma, al di fuori del suo contesto orlg‘1ln}arm la pro

testa h1ppy incontra un avversario ben più temibile «l« |

conformismo americano, quantunque favorito dal servi zio d’ordine dei campus: la povertà (1à dove l’economia timidamente dice «paese in via di sviluppo», la cultura e l’arte di vivere dicono francamente «povertà»). a po vertà capovolge la scelta hippy in copia caricaturale del l’alienazione economica; e questa copia, ostentata con leggerezza, si riempie di un’irresponsabilità positiva. Molti dei tratti inventati dagli hippies contro la loro società d’origine (che è una società della ricchezza) sono

gli stessi che caratterizzano la povertà, non più a titolo di segno, ma - ben piùt severamente - a titolo di indice o di effetto: i pasti parchi, le case in comune, i piedi nudi, la sporcizia, gli stracci non sono perciò forze che servono a lottare simbolicamente contro la pletora dei bceni, ma forze effettive contro le quali bisogna lottare; i simboli (di cui gli hippies fanno un consumo sfrenato) non sono pitd dunque sensi reattivi, forze polemiche, armi di una critica diretta a una società opulenta, che riassorbe a parole l’eccesso di cibo e lavora per convetrtire i propri significanti in natura lussuosa; passati dal lato della positività i simboli ji…o

non pitigz'oco forma

ma inferiore del narcisismo culturale 1__1___ contesto, pc i

i

buona regola linguistica, capovol CJLS.C&S.Q……€ l c01;11