Una strana scienza. Materiali per una storia critica della termodinamica

Il testo ripercorre storicamente le fasi della genesi della termodinamica, mostrandone didatticamente la ricchezza delle

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Una strana scienza. Materiali per una storia critica della termodinamica

Table of contents :
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Introduzione
CAPITOLO PRIMO La genesi della macchina a vapore
1.1 Un nuovo combustibile
1.2 La 'forza' dell'atmosfera
1.3 Motori atmosferici sperimentali
1.4 L'amico del minatore
1.5 La macchina di Newcomen
1.6 La costruzione delle prime macchine
1.7 I concetti della meccanica energetica e la macchina a vapore
Note
CAPITOLO SECONDO L'opera di James Watt
2.1 Cenni biografici
2.2 La logica della scoperta del condensatore separato
2.3 Il brevetto del 1769
2.4 Sviluppi industriali
2.5 Dall'energia idraulica al vapore
2.6 La macchina rotativa
2.7 L'unità di potenza
Note
CAPITOLO TERZO Scienza e tecnologia al tempo di Carnot
3.1 L'ipotesi del calorico
3.2 Una concezione alternativa
3.3 La fisica dei gas
3.4 La competizione sul calorico
3.5 Il trionfo della teoria del calorico
3.6 Carnot e la meccanica ingegneristica
3.7 Le macchine a fuoco nei primi due decenni dell'Ottocento
Note
CAPITOLO QUARTO La teoria di Carnot
4.1 Cenni biografici
4.2 La logica delle "Réflexions"
4.3 L'analogia idraulica
4.4 Una macchina termodinamica perfetta
4.5 Il principio di Carnot e la termodinamica
4.6 Progettualità tecnologica
4.7 La riscoperta delle "Réflexions" da parte di Clapeyron
Note
CAPITOLO QUINTO Verso una nuova scienza del calore
5.1 Calore e lavoro: il punto di vista dei tecnici
5.2 La teoria ondulatoria del calore
5.3 La "correlazione delle forze fisiche"
5.4 Sadi Carnot: un precursore della scoperta della conservazione dell'energia
5.5 Le ricerche di J. P. Joule
5.6 Trasformazioni energetiche e fenomeni del 'vivente'
Note
CAPITOLO SESTO La termodinamica classica
6.1 Una breve sintesi
6.2 Filosofia naturale e termodinamica
6.3 Joule e Carnot: due teorie alternative?
6.4 Le leggi della termodinamica
6.5 L'energia si degrada
6.6 Il valore di una trasformazione
6.7 L'entropia
Note
CAPITOLO SETTIMO Una strana scienza
7.1 Una 'alternativa' alla macchina a vapore
7.2 La macchina di Stirling
7.3 La termodinamica di Rankine
7.4 Il ciclo Stirling analizzato da Rankine
7.5 L'energetica e il II principio
7.6 Una strana interpretazione 'molecolare' dell'entropia
7.7 Il II principio della termodinamica e il modello energetico ereditato dall'Ottocento
Note
Indice

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I NUOVI TESTI

FELTRINELLI ECONOMICA

CESARE MAFFIOLI

UNASTRANA SCIENZA MATERIALI PER UNA STORIA CRITICA DELLA TERMODINAMICA

I Nuovi Testi - Scienza e politica a cura di Marcello Cini Cesare Maffioli Una strana scienza Materiali per una storia critica della termodinamica Questo libro è il resoconto di una "scoperta" didattica che ha affascinato l'autore: la comprensione della ricchezza delle tematiche che percorrono una classica disciplina scientifica, qual è la termodinamica, ottenuta grazie ad una ricerca storica condotta sui testi originali e sul complesso dei fattori che hanno influenzato la genesi di tale scienza. Solo recentemente si è compresa la necessità e l'importanza di ricerche storiche precisamente finalizzate alla didattica e ai suoi problemi. Si tratta di un nuovo modo di fare storia della scienza, in cui si fondono le conoscenze degli studi specialistici con le problematiche specificamente didattiche. Due temi fondamentali vengono in particolare discussi ed analizzati nel presente volume: il ruolo avuto dalle tecnologie energetiche nell'influenzare la genesi della termodinamica e l'eventuale presenza, nella stessa struttura teorica della scienza dell'energia, di concezioni e di formulazioni alternative esprimenti modalità potenzialmente diverse di rapportarsi alla natura da parte dell'uomo.

Cesare Maflloll si è laureato in fisica nel 1970 ali' Università di Pavia ed attualmente è professore di ruolo di fisica e laboratorio presso riTI "M. Curie" di Milano. Si interessa di storia della scienza e della tecnologia, e dei problemi legati al rinnovamento della didattica delle scienze. IO coautore di alcuni articoli, pubblicati dalla rivista "Sapere", relativi alla proposta di storicizzazione dell'insegnamento delle materie scientifiche. In prima di copertina: copia di una vecchia xilografia mostrante una macchina di Stirling a doppio effetto, 1827 c. (da E. GALLOWAY, The Steam Engine, Londra 1830).

L. 3.500 ( ... )

I NUOVI TESTI I

197 I

SCIENZA E POLITICA A

CURA DI MARCELLO CINI

Della scienza si è parlato e si continua a parlare in molti modi: fino a qualche anno fa come di una chiave che avreb­ be aperto all'umanità le porte del paradiso terrestre, piu re­ centemente come di una possibile salvezza dalle strette del ricatto energetico, ieri come etica della necessità, oggi co­ me una necessità dell'etica. In ogni caso importava nascon­ dere l'intreccio tra scienza e profitto: negare che la scienza sia strumento modulabile per il potere della classe domi­ nante, arma teleguidabile del comando imperialista. Ma Vietnam, rivoluzione culturale cinese, maggio francese, autunno caldo italiano hanno scoperto quell'intreccio, rove­ sciata questa negazione. Cosi come il rifiuto della delega e la domanda di partecipa­ zione, l'affermazione della soggettività operaia e la lotta al­ l'organizzazione capitalistica del lavoro hanno posto le pre­ messe per una critica di massa del feticcio scientificista. Una critica di classe all'ideologia del capitale che cerca di attribuire alla scienza, mero prodotto di attività lavorative degli uomini, un ruolo speciale oggettivo che è, invece, del plesso dei rapporti di potere che tra quegli uomini si pon­ gono. Una critica come pratica sociale per l'appropriazione da parte della classe rivoluzionaria delle capacità di controllo del rap­ porto uomo-natura nel quadro di finalità sociali alternative. È a questa critica, severa e costruttiva insieme, che "Scienza e politica" apre uno spazio ulteriore. Volumi già pubblicati: AA.VV., Scienza e potere O. VARSAVSKY, Lo scienziato e il sistema nei paesi sotto­ sviluppati. Prefazione di G.B. Zorzoli AA.VV., L'ape e l'architetto. Paradigmi scientifici e materia· lismo storico. Introduzione di Marcello Cini A. JAUBERT e J,M. LEVY-LEBLOND, (Autolcritica della scienza SCIENCE FOR THE PEOPLE (a cura di), Scienza e popolo in Cina P.M. MANACORDA, Il calcolatore del capitale. Un'analisi mar­ xista dell'informatica H. ROSE e S. ROSE (a cura di), Ideologia delle scienze natu­ rali. Prefazione di Marcello Cini G. BERLINGUER, Il dominio dell'uomo B. MORANDI, La merce che discute. Le 150 ore e l'ingresso dei lavoratori nella media superiore e nell'università S. GEORGE, Come muore l'altra metà del mondo. Le vere ragioni della fame mondiale M.T. KLARE, Guerra senza fine. Strategie e tecnologie del­ l'attuale programma militare statunitense

CESARE MAFFIOLI

UNASTRANA SCIENZA MATERIALI PER UNA STORIA CRITICA DELLA TERMODINAMICA

FELTRINELLI ECONOMICA

Prima edizione: ottobre 11779 Copyright by

©

Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano

Introduzione

Questo libro è il resoconto di una 'scoperta' didatti­ ca che mi ha affascinato: la comprensione della ric­ chezza delle tematiche che percorrono una classica di­ sciplina scientifica, qual è la termodinamica, ottenuta grazie ad una ricerca storica condotta sui testi origi­ nali e sul complesso dei fattori che hanno influenzato la genesi di tale scienza. L'utilizzazione in chiave didattico-pedagogica della storia della scienza è probabilmente vecchia come la scienza stessa ma solo recentemente, a partire dall'Har­ vard Project Physics, si è compresa la necessità e l'im­ portanza di ricerche storiche precisamente finalizzate alla didattica e ai suoi problemi. Si tratta di un modo nuovo di fare storia della scien­ za in cui si fondono le conoscenze degli studi speciali­ stici con le problematiche specificamente didattiche. L'oggetto d'indagine non può quindi venire eccessiva­ mente dilatato: molto meglio approfondire un caso par­ ticolarmente significativo su cui effettuare un autentico lavoro di ricerca piuttosto che proporre agli studenti un generico corso di storia della scienza. L'analisi della storia della termodinamica, condotta secondo questo progetto, mette in evidenza alcuni note­ voli limiti dell'approccio didattico tradizionale. In effetti, la presentazione per blocchi 'logici' di una disciplina rimuove spesso i fattori chiave che ne hanno sollecitato ed influenzato la genesi. Ciò comporta inevi­ tabilmente non solo la presenza di un certo livello di dogmatismo e di schematismo ma anche la rinuncia ad alcuni preziosi 'sussidi' didattici. La nascita della termodinamica è ad esempio connes­ sa ai problemi energetici posti dalla rivoluzione indu­ striale ed alle prime analisi teoriche delle macchine 'a 5

fuoco' compiute dagli scienziati-ingegneri della fine del Settecento e dei primi decenni dell'Ottocento. Niente di ciò tuttavia traspare dai libri di testo tra­ dizionali e cosi si perde l'occasione di introdurre la ca­ lorimetria discutendo delle ricerche di Watt o di parlare del ciclo di Camot anche a studenti che non possiedo­ no gli strumenti matematici per analizzarlo in termini rigorosamente quantitativi. Non tutti i materiali storici presentati in questo li­ bro sono immediatamente traducibili ed applicabili alla didattica. Ciò dipende sia dal livello di approfondimen­ to, spesso superiore a quello solitamente raggiunto nelle scuole secondarie, che dagli obiettivi non esclusivamen­ te 'applicativi' di questa ricerca. Due temi fondamentali vengono particolarmente di­ scussi ed analizzati: il ruolo avuto dalle tecnologie ener­ getiche nell'influenzare la genesi della termodinamica e l'eventuale presenza, nella stessa struttura teorica della scienza dell'energia, di concezioni e formulazioni alter­ native esprimenti, pur in forma contraddittoria ed in­ compiuta, una tensione progettuale e modalità potenzial­ mente diverse di rapportarsi alla natura da parte del­ l'uomo. La termodinamica possiede in effetti, sia da un punto di vista storico che epistemologico, alcuni elementi di singolarità che la contraddistinguono da altri campi del­ la fisica. Il premio Nobel P. W. Bridgman, nel libro The Na­

ture of Thermodynamics (1941), a questo proposito cosi si esprimeva: Credo non vi siano dubbi sul fatto che la maggior par­ te dei fisici sono messi lievemente a disagio dalla termodi­ namica. Essi sospettano della sua pretesa generalità,... e trovano molto piu congeniale l'approccio della meccanica statistica, che raggiunge i dettagli di quei processi micro­ scopici che nei loro grandi aggregati costituiscono l'oggetto della termodinamica... Credo si debba riconoscere che le leggi della termodinamica hanno qualcosa di diverso dal­ la maggior parte delle altre leggi della fisica. Attorno ad es­ se aleggia qualcosa di piu palpabilmente verbale - si sen­ te di piu la loro origine umana. *

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Senza lo stimolo diretto dell'esperienza di storicizza­ zione dell'insegnamento della fisica, che da anni viene sviluppata all'ITI 'M. Curie' di Milano, questo libro si­ curamente sarebbe stato diverso. Le lunghe discussioni con l'amico e collega Francesco Romano mi sono in particolare state utilissime, sugge­ rendomi nuovi spunti di ricerca ed indicandomi la so­ luzione di molti problemi didattici. Ringrazio anche tutti gli amici che con i loro consi­ gli ed i loro commenti hanno contribuito a migliorare la stesura del presente volume.

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CAPITOLO PRIMO

La genesi della macchina a vapore

La macchina a vapore nacque per rispondere alle sempre maggiori esigenze di drenaggio e di prosciuga­ mento dei pozzi delle miniere. Sin verso la fine del Settecento rimase una semplice pompa per sollevare acqua: l'energia motrice degli opi­ fici durante la prima fase della rivoluzione industriale sarà ancora fornita dalla forza muscolare degli uomini e degli animali da tiro o dalle cadute d'acqua. Tuttavia essa non mancò di suscitare l'ammirazione e lo stupore dei contemporanei: per la prima volta nella storia infatti l'agente motore veniva creato artificial­ mente. Ne L'architecture hydraulique (Parigi 1737-39) B. Fo­ rest de Belidor ad esempio scrisse : Voilà la plus merveilleuse de toutes les Machines; le Mécanisme ressemble à celui des animaux. La chaleur est le principe de son mouvement; il se fait dans ses différents tuyaux une circulation, comme celle du sang dans les veines, ayant des valvules qui s'ouvrent et se ferment à propos; elle se nourrit, s'évacue d'elle-méme dans des temps réglés, et lire de son travail tout ce qu'il lui faut pour subsister.

Il confronto proposto da Belidor è curioso ed interes­ sante : mostra come nel Settecento lo schema circolare della filosofia meccanicistica tendesse ad essere genera­ lizzato ad ogni fenomeno, anche ad un prodotto dell'arte umana qual era la macchina a vapore, e contemporanea­ mente permette di sottolineare sin d'ora il grande cam­ biamento concettuale di cui saranno protagonisti i fon­ datori della termodinamica. Fra la fine del Settecento e la prima metà dell'Ottocento la cosmologia ciclica e reversibile ereditata dalla meccanica seicentesca verrà infatti gradualmente sostituita da una concezione evo9

lutiva e progressiva del mondo naturale, spesso conce­ pito proprio come una gigantesca macchina a vapore in cui la produzione dell'energia meccanica era piu che compensata dalla degradazione subita dall'energia ter­ mica. 1.1.

Un nuovo combustibile

Nel XVII secolo si realizzò in Inghilterra non solo una grande rivoluzione politica ma anche una grande ri­ voluzione energetica : il legno venne cioè sostituito dal carbone quale combustibile base. Lo sviluppo economico accelerato richiedeva infatti quantità sempre maggiori di legname e le foreste inglesi si andavano spogliando con un ritmo impressionante. Il legno non era indispensabile solo per riscaldare le abitazioni e quale materiale strutturale da costruzione, ma per i processi industriali piu svariati : le ferriere ri­ chiedevano ad esempio carbone di legna per gli altifor­ ni cosi come le vetrerie, ed una miriade di altri prodotti necessitavano del legno e degli alberi. La spoliazione dei boschi, la scarsità del legname ed i prezzi crescenti imposero il carbone minerale quale nuovo combustibile. Ciò richiese anche notevoli accorgimenti tecnici per­ ché in una serie di produzioni il combustibile andava mescolato al materiale base, la cui qualità poteva cosi venire alterata dai gas e dalle impurezze contenute nel carbone. L'uso del nuovo combustibile venne anche ostacolato da una serie di agitazioni ecologiche ante litteram e dal disprezzo che aveva circondato il carbone fra tutti gli strati sociali sino a quell'epoca. Sembra d'altra parte che il problema dell'inquina­ mento atmosferico fosse già abbastanza serio nella Lon­ dra della metà del Seicento, tanto che J. Evelyn, uno dei primi membri della Royal Society, in un libello scrit­ to nel 1661 arrivò a proporre di allontanare tutte le bot­ teghe artigiane e le manifatture dal centro di Londra per liberarla dalle " colonne e dalle nuvole di fumo che vengono (da esse) vomitate ... rendendo (la città) in alcu­ ni momenti simile all'immagine di Troia saccheggiata dai Greci.. . " ! 1 Vi sarà tuttavia anche chi, come D. Defoe, per difendere il carbone dall'accusa di essere stato un veico10

lo della diffusione della pestilenza che afflisse Londra nel 1665, arrivò a sostenere i benefici effetti dei fumi della combustione del carbone, i quali lungi· dall'inqui­ nare l'aria servirebbero viceversa a purificarla ed a pur­ garla!' Lo sviluppo economico che precedette e segui la ri­ voluzione inglese del 1640-1660 generò dunque una gran­ de domanda di carbone e di altri minerali_ Le pompe azionate dai cavalli erano d'altra parte non solo molto dispendiose ma possedevano precisi limiti fi­ sici; estendersi oltre certe profondità o scavare in pros­ simità di falde acquifere sotterranee diventava cosi pra­ ticamente impossibile. Le specificazioni dei brevetti registrati in quegli anni a Londra sono d'altronde significative: secondo il Nef nei trent'anni che precedettero la rivoluzione 1 brevetto su 9 riguardava nuovi metodi di drenaggio, percentuale che sali ulteriormente negli anni della restaurazione ( 1660-1688 ).' Questa strozzatura verrà superata nel secolo succes­ sivo solo grazie alla macchina a vapore, utilizzante la re­ cente scoperta scientifica della pressione atmosferica e del vuoto. 1 .2. La 'forza' dell'atmosfera L'agente motore delle prime macchine a vapore ... non era il vapore! Quest'ultimo serviva a spazzare via l'aria dai reci­ pienti ed a produrre un parziale vuoto mediante la sua repentina condensazione. Il 'motore' era la frazione della pressione atmosferi­ ca non piu bilanciata a causa della depressione creatasi entro i recipienti. L'idea che l'aria abbia un peso esercitante una pres­ sione in modo simile all'acqua e agli altri liquidi è oggi parte del senso comune. Nel Seicento era viceversa rivoluzionaria: sino ad al­ lora i fenomeni connessi con la pressione atmosferica, come il fenomeno dell'aspirazione, erano stati spiegati assumendo con Aristotele che la natura avesse 'orrore del vuoto'. L'impossibilità del vuoto era d'altra parte uno dei 11

' cardini della teoria dei luoghi naturali (il vuoto abolisce le differenze qualitative) e della concezione aristotelica del moto! La fonnulazione del principio d'inerzia da parte del­ la nuova scienza meccanica seicentesca ebbe perciò qua­ le importantissimo effetto collaterale quello di rendere logicamente possibile il vuoto. Anche la tecnologia sarà in proposito detenninante. Agli inizi del Seicento era ben noto che una pompa a­ spirante non poteva sollevare l'acqua oltre un certo limi­ te di profondità: Galileo accennò esplicitamente a que­ sto fenomeno in una lettera del 1630 indirizzata all'inge­ gnere genovese G. B. Baliani e ne riparlò nei Discorsi intorno a due nuove scienze.' Il passo decisivo fu compiuto nel 1643-44 da E. Torri­ ceIIi che ideò un esperimento per studiare in laboratorio lo stesso effetto. Si tratta del notissimo esperimento barometrico che vie­ ne proposto in ogni corso di fisica elementare: Torricelli riempi di mercurio un tubo di vetro lungo circa 1 metro ed aperto ad una estremità, che viene immersa in una bacinel­ la di mercurio. Ritirando il dito, in modo da permettere la libera comunicazione tra il mercurio nella bacinella e quel­ lo nel tubo, quest'ultimo scendeva solo di una ventina di centimetri. Nel tubo si manteneva cioè una colonna di "ar­ gento vivo" di circa 75 cm di altezza, sopra la quale vi era uno spazio libero d'aria che verrà chiamato "vuoto torri· celliano".6

L'interpretazione dell'esperimento di Torricelli che si affermò è quella che ancor oggi si legge nei testi di fi­ sica : la colonna di mercurio è equilibrata da una ipote­ tica colonna d'aria alta quanto l'atmosfera stessa. L'altezza della colonna barometrica pennette anzi di misurare la pressione atmosferica e di detenninare la massima altezza di sollevamento dell'acqua mediante a­ spirazione : poiché il mercurio pesa circa 1 4 volte piu dell'acqua, si ottiene evidentemente che la massima al­ tezza di sollevamento è circa 0,75 x 14 10,5 metri: Chi contribui allo sviluppo e alla diffusione di tale interpretazione fu in particolare B. Pascal, che ne elabo­ rò una teoria completa in connessione con le leggi della idrostatica. Egli sottolineò che viviamo al fondo di un oceano di aria il cui peso preme contro ogni parte della superfi=

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cie terrestre: salendo su un' alta montagna la pressione atmosferica dovrebbe quindi diminuire. Questo fatto venne effettivamente provato dal cogna­ to di Pascal che. partendo da Clennont Ferrand e salen­ do sul Puy de Dome. verificò un abbassamento di circa 8 cm della colonna di mercurio! Era arduo spiegare tale fenomeno mediante la con­ cezione aristotelica : si dovrebbe in effetti ipotizzare che la natura aborre il vuoto in misura maggiore ai piedi di un monte che sulla cima! Dopo la scoperta di Torricelli il vuoto e la "forza del­ l'atmosfera" diverranno. in pochi decenni. oggetto di in­ dagine scientifica e tecnologica oltre che di curiosità po­ polare. Un ricco magistrato di Magdeburgo. Otto von Gueri­ cke. riusci a costruire una pompa pneumatica con la qua­ le poteva estrarre l'aria da recipienti anche di notevoli dimensioni. Cosi provò. mediante alcuni spettacolari e­ sperimenti. che se la pressione atmosferica non era piu equilibrata risultava facile sollevare grandi pesi o ren­ dere 'inseparabili' due emisferi di rame (i due emisferi sosterranno la trazione di due gruppi di 8 cavalli ciascu­ no ! )! In seguito alle ricerche sulla pressione atmosferica e sul vuoto nacque anche la fisica dei gas. Il principale protagonista sarà Robert Boyle. che in­ terpretò i suoi famosi esperimenti con la macchina pneu­ matica supponendo che l'aria fosse costituita da minu­ scole molle compresse. Quello che intendo ... - scrisse Boyle - è che la nostra aria consiste - o almeno. contiene in abbondanza - di par­ ticelle di una natura tale che. quando esse sono piegate o compresse dal peso della parte sovrastante dell·atmosfera. o da qualsiasi altro corpo. cercano. per quanto è loro possi­ bile, di liberarsi da tale pressione. premendo contro i cor­ pi contigui che le tengono piegate e. appena tali corpi sono allontanati.... si dispiegano istantaneamente e si estendono completamente per quel tanto che i corpi contigui. che op­ pongono resistenza. lo permettono. provocando in tal modo un'espansione dell'intera massa d'aria...'o

L'aria quindi è dotata. secondo Boyle. di una precisa elasticità. che rende conto della stessa pressione atmo­ sferica. Siamo cosi giunti al concetto generale di pres13

sione di un gas: è tuttavia storicamente inesatto attri­ buire a Boyle la legge PV costo Lo scienziato britannico, per controbattere alle obie­ zioni sollevate contro i suoi esperimenti sull'elasticità dell'aria da alcuni filosofi inglesi seguaci dell'aristoteli­ smo, pubblicò due anni dopo un secondo libro in cui era tra l'altro riportato un insieme di misure dei volumi oc­ cupati da un campione d'aria a diverse pressioni. Queste misure confermavano l'ipotesi, formulata in precedenza da altri ricercatori, che pressione e volume fossero fra loro inversamente proporzionali ma Boyle evitò di trarre esplicitamente tale conclusione. Il suo problema era anzitutto quello di mostrare la congruenza scientifica della scoperta qualitativa del vuoto e della pressione dell'aria." =

1.3. Motori atmosferici sperimentali La concezione della scienza che alla metà del XVII secolo si andrà affermando nei paesi dell'Europa nord­ occidentale, percorsi dai fermenti intellettuali della ri­ forma religiosa, avrà connotati tipicamente utilitaristici. Tale concezione sarà alla base stessa della costituzio­ ne della Royal Society of London. Nello schema preli­ minare dello statuto della nuova società scientifica gli scopi del sodalizio vengono in effetti cosi definiti: "Mi­ gliorare la conoscenza delle cose naturali, e di tutte le arti utili, Manifatture, Meccanica pratica, Macchine ed Invenzioni, mediante esperimenti".1l Con vero spirito calvinista molti scienziati riteneva­ no che le conoscenze andassero applicate alla produzio­ ne e ai commerci, per maggior gloria di Dio e per il benessere dell'umanità.B È abbastanza naturale quindi che si cercasse di uti­ lizzare la straordinaria forza mostrata dall'atmosfera per costruire un motore rivoluzionario, sulla strada per al· tro gi à indicata da O. von Guericke. I primi tentativi avranno un carattere semiutopisti. co coerentemente, in un certo senso, con le utopie social· religiose che li avevano stimolati. Tra i promotori vi sarà anche il grande scienziato olandese C. Huygens, che costruf un motore atmosferico a scoppio, azionato cioè dall'esplosione di una piccola 14

quantità di polvere da sparo posta nel fondo di un ro­ busto cilindro. Il sollevamento del pesante pistone, grazie ad oppor­ tune aperture nella parte superiore del cilindro, provo­ cava l'uscita dei gas. L'effetto combinato della pressione atmosferica e del peso riportava il pistone nella posizione originaria. La macchina di Huygens non ebbe alcuno sviluppo pratico: essa comunque rimane il capostipite di tutti i successivi motori atmosferici.* Un assistente dello scienziato olandese, Denis Papin, si propose di migliorare il progetto del maestro sosti­ tuendo l'espansione del vapore all'esplosione della polve­ re da sparo, e producendo il vuoto mediante il raffred­ damento e la condensazione del vapore stesso. Costrui diversi modelli sperimentali : la macchina descritta negli Acta Eruditorum di Lipsia del 1690 consiste di un unico recipiente cilindrico, che combina le funzioni di caldaia, cilindro motore e condensatore. Una piccola quantità di acqua era introdotta sul fon­ do del cilindro ed il pistone veniva abbassato e posto in contatto con essa. Il fuoco sotto il fondo produceva una parziale vapo­ rizzazione e il sollevamento del pistone. Ritirando la fiam­ ma, il vapore lentamente ricondensava, permettendo cosi alla pressione atmosferica di forzare il pistone verso il basso (si noti che Papin, mediante un apposito foro nel pistone, aveva in precedenza provveduto ad espellere l'aria contenuta nel cilindro). Lo scienziato francese affermò che la sua invenzione poteva servire non solo per il drenaggio dell'acqua delle miniere ma anche ... per lanciare bombe e per guidare i vascelli contro il vento e le maree! Anche in questo caso però, malgrado le speranze di Papin e l'interesse suscitato dalla sua invenzione, non si andò al di là dei 'giocattoli' da laboratorio.

* Lo stesso motore di Otto e Langen del 1866, venduto in cen­ tinaia di esemplari dalla Gasmotorenfabrik Deutz, prima della co­ struzione del motore Otto a 4 tempi, funzionava esattamente sulla base del principio di Huygens. L'unica differenza era il combusti­ bile : invece di polvere da sparo si usava ora gas illuminante!

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1 .4. L'amico del minatore La prima macchina a vapore effettivamente funzio­ nante venne costruita dal capitano del genio Thomas Savery alla fine del Seicento. Savery era socio della Royal Society ed è possibile che, attraverso la società londinese o nei suoi viaggi sul continente, avesse avuto sentore dei tentativi di Huy­ gens, di Papin e di altri scienziati, volti all'applicazione pratica della scoperta del vuoto. Huygens e Papin d'altra parte erano anch'essi mem­ bri della Society, ed anzi Papin, costretto ad emigrare prima in Inghilterra e poi in Germania a causa delle persecuzioni religiose, fu impiegato in qualità di speri­ mentatore presso la società scientifica londinese dal 1683 al 1687. L'obiettivo di Savery era però piu definito e circostan­ ziato di quelli degli scienziati continentali : la sua inven­ zione doveva servire anzitutto per sollevare l'acqua dal­ le miniere. L'ingegnere inglese la chiamò non a caso "The Miner's Friends":

Per il prosciugamento delle miniere di carbone e di al­ tri minerali !'impiego della mia macchina si raccomanda da sé - si legge in un libretto pubblicato da Savery nel 1702 essa solleva l'acqua cosi facilmente ed a buon mercato che io penso per certo che in pochi anni, per suo merito, la nostra produzione mineraria, che non è piccola parte della ricchezza del nostro regno, potrà essere raddoppiata se non triplicata (SiC!).t4

-

L'idea di costruire un motore atmosferico, benché nata e sviluppata inizialmente nei paesi dell'Europa con­ tinentale, venne quindi concretizzata solo in Inghilter­ ra, in stretta connessione con l'attività mineraria. Tuttavia la pompa di Savery si rivelerà scarsamente applicabile nelle miniere e verrà utilizzata soprattutto per il rifornimento dell'acqua di case signorili e giardi­ ni. Essa possedeva infatti limitate capacità di solleva­ mento (max 25-26 metri ) ed era abbastanza pericolosa perché utilizzava vapore ad alta pressione. Malgrado fosse di semplice fattura Savery incontrò inoltre parec­ chie difficoltà con gli artigiani che la costruivano. Consisteva di una caldaia che produceva vapore alla pressione di circa 3 atmosfere, di un recipiente in cui veniva immesso il vapore e poi condensato mediante un 16

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Fig. 1 . Macchina di Savery con i miglioramenti introdotti nel 1718 da Desaguliers. (Fonte: J. T. DESAGULIERS, A Cour­ se oi Experimelltal Philosophy, Londra 1744.)

getto di acqua fredda, ed infine di una serie di tubi e di valvole che, opportunamente azionate, garantivano la aspirazione dell'acqua entro il recipiente e la successiva mandata verso l'alto. Per riuscire ad aspirare l'acqua nel recipiente, grazie al parziale vuoto creato dal getto freddo, quest'ultimo andava posto in profondità, a circa 7-8 metri dal pelo li­ bero dell'acqua nel pozzo. A questo punto l'operatore chiudeva la valvola del tu­ bo di aspirazione ed apriva quella del tubo di mandata e il rubinetto del vapore : il getto di vapore ad alta pres­ sione spingeva cosi l'acqua verso l'alto (si veda la fig. 1 ). Si aveva però un grande spreco di vapore perché il getto caldo, venendo a diretto contatto con l'acqua fred­ da, si condensava finché l'acqua stessa non era suffi­ cientemente riscaldata. La macchina di Savery non in­ contrò grande successo : una sua versione modificata verrà tuttavia applicata durante la prima fase della ri­ voluzione industriale.I' Dell'originale progetto di Savery era mantenuta solo la fase di aspirazione, cosi si poteva utilizzare vapore a pressione atmosferica e si evitavano gli sprechi sopra ri­ levati. La macchina era accoppiata ad una ruota idraulica che forniva l'energia motrice per l'opificio : questa so­ luzione verrà sperimentata nella zona di Manchester, re­ gione in cui verso la fine del Settecento, a causa dell'in­ tenso sviluppo industriale, si manifestò una crisi di e­ nergia idraulica (cfr. piu avanti, par. 2.5).

1.5. La macchina di Newcomen La prima vera macchina a vapore, applicata su lar­ ga scala e dotata di un effettivo output socio-economi­ co, venne inventata agli inizi del Settecento da Thomas Newcomen, un fabbro e mercante di ferramenta del Devon. Newcomen fu probabilmente sollecitato ad effettuare le sue ricerche dall'entità delle spese, sostenute dai pro­ prietari delle miniere di rame e di stagno della sua zo­ na, per il maneggio dei cavalli, ed è pure probabile che fosse a conoscenza dei tentativi di Papin. In ogni caso la macchina di Newcomen tradusse in

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pratica l'idea di Papin anche se richiese modifiche e cambiamenti sostanziali, come si deduce dalla figura.

Fig. 2. Principio di costruzione e di funzionamento della macchina di Newcomen. (Fonte: T. TREDGOLD, The Steam Engine, Londra 1827.)

Non siamo piu in presenza di un modellino da gabi. netto scientifico ma di una macchina industriale, che può sostituire diecine di cavalli. Il sistema di pompaggio, mediante lunghi alberi che scendono nel pozzo e che muovono alternativamente uno o piu pistoni dotati di opportune valvole, è identico a quello da secoli in uso nelle miniere : la fonte di energia è però completamente 19

diversa. Il vapore è prodotto a pressione leggermente superiore a quella atmosferica nella caldaia posta diret­ tamente sotto il cilindro. Il primo getto di vapore serve a spazzare via tutta l'aria contenuta nel cilindro, che esce da un piccolo beccuccio laterale non mostrato in figura. Per capire il funzionamento della macchina è im­ portante tenere presente che l'intero sistema era sbilan­ ciato dal lato della pompa, sia mediante un opportuno contrappeso come illustrato in figura sia a éausa del peso stesso dell'apparato di pompaggio. Per produrre la forza motrice di sollevamento si creava un parziale vuoto entro il cilindro mediante un getto di acqua fredda: la pressione atmosferica ester­ na non era piu equilibrata dalla pressione interna del vapore e forzava cosi il pistone a scendere. La successiva ammissione di vapore riproduceva lo equilibrio delle pressioni, e il pistone saliva a causa del contrappeso dal lato della pompa. L'ammissione del vapore e dell'acqua di condensazio­ ne era comandata manualmente, almeno nei primi mo­ delli, il che richiedeva una notevole abilità da parte del­ l'operatore (la macchina eseguiva 10-15 corse al minuto). Una piccola disattenzione provocava infatti grossi guai : un ritardo nell'ammissione del vapore rischiava ad esempio di far battere violentemente il pistone sul fondo del cilindro ! Nella figura si nota che l'acqua di condensazione vie­ ne da un serbatoio posto sotto il bilanciere, rifornito mediante una pompa supplementare azionata dal movi­ mento stesso del bilanciere. La quantità di acqua richiesta per una buona conden­ sazione era notevole : dai lO ai 15 kg per corsa, secondo le dimensioni del cilindro, il che equivaleva a 100-300 li­ tri di acqua al minuto! Questa grande quantità di acqua di condensazione stupi i primi costruttori ed ingegneri, e lo stupore au­ mentò quando ci si accorse che il vapore contenuto nel cilindro non superava il 1/2 kg e che l'acqua di con­ densazione usciva, mediante il tubo posto nella parte inferiore del cilindro, tiepida se non calda. La condensa­ zione di 1/2 kg di vapore riscaldava cioè di 20-30°C una massa d'acqua fredda venti-trenta volte maggiore! Queste osservazioni non si tradurranno in precise in­ ferenze scientifiche, né inizialmente supereranno il sem­ plice stadio qualitativo.16 Nessuno all'epoca di Newco20

men aveva ancora effettuato precise misure sulla densi­ tà del vapore d'acqua, cosi che la quantità di vapore ne­ cessaria a riempire il cilindro non era ben conosciuta. Sarà d'altra parte proprio la macchina a vapore a sollecitare le prime indagini sperimentali sull'argomento. Solo mezzo secolo piu avanti però, grazie alla nascita della scienza quantitativa del calore e agli studi di J. Watt, si arrivò a spiegare scientificamente lo strano fe­ nomeno osservato nella macchina di Newcomen, postu­ lando che il vapore contenesse una grande quantità di calore 'latente' che cedeva all'atto della sua condensazio­ ne ( cfr. piu avanti, par. 2.2).

1 .6. La costruzione delle prime macchine La macchina di Newcomen, contrariamente a quella di Savery, usava vapore a pressione atmosferica, era quindi piu sicura, meno pericolosa. Poteva inoltre esse­ re posta all'imboccatura del pozzo, non correva cioè il rischio di allagamenti. L'altezza di sollevamento consentita era infine molto maggiore: allargando opportunamente il diametro del cilindro ed aumentando cosi l'area del pistone si otte­ neva automaticamente una maggior forza motrice che permetteva di sollevare una colonna d'acqua piu pesante. Non a caso nel Settecento vi sarà un rapido incre­ mento delle dimensioni e delle potenze della macchina di Newcomen : si arriverà a cilindri di 80 X 200 cm, ed a potenze di circa 80 cavalli ! La principale difficoltà costruttiva incontrata era quella di gettare, forare ed alesare i grandi cilindri di ghisa, tanto che per lungo tempo si preferi costruire i cilindri di ottone, malgrado l'alto costo. Le altre parti della macchina erano viceversa all'al­ tezza dell'abilità artigianale. I calderai ad esempio, abi­ tuati a costruire grandi recipienti di rame per i birrai ed i tintori, costruirono facilmente anche le prime cal­ daie. In piu c'era il duomo, indispensabile per racchiu­ dere il vapore, che veniva fatto di piombo dagli idrau­ lici." La macchina era in buona parte costruita e montata sul posto; malgrado l'alto prezzo essa si diffuse rapida­ mente. Secondo il grande ingegnere inglese J. Smeaton alla 21

epoca del brevetto di Watt nel solo distretto carboni­ fero di Newcastle erano installate circa 100 macchine, e altre vennero installate nel distretto di Coventry, nelle · miniere di rame e di stagno della Cornovaglia, nelle mi­ niere di piombo del Derbyshire e del Cumberland ... Il successo sarà internazionale: tutti i centri minera­ ri del continente si accapparrarono rapidamente la nuo­ va 'meraviglia', ed è ad una delle prime macchine mon­ tate in Francia che Belidor si riferisce nel passo citato all'inizio di questo capitolo e tratto dalla sua Architec­ ture hydraulique, pubblicata nel 1737. Si aveva a che fare, comunque, ancora con una mac­ china molto rozza: basta pensare che la tenuta del pi­ stone era realizzata mediante una guarnizione di cuoio o di canapa. Anche questa in genere non bastava ed al­ lora si lasciava uno strato d'acqua sopra il pistone!

1.7. I concetti della meccanica energetica e la macchina a vapore Sino a Watt la macchina a vapore verrà considerata come uno dei tanti motori meccanici esistenti: il rico­ noscimento qualitativo che nel calore stava la causa del movimento non poteva ancora modificare i criteri della progettazione, desunti esclusivamente dalla meccanica ingegneristica. Il principio base era quello archimedeo della leva : il bilanciere in effetti altro non era che una leva di I ge­ nere con fulcro centrale, come nelle bilance appunto. Le due forze si dovevano cosi uguagliare: da un la­ to il peso della colonna d'acqua piu quello degli alberi e degli stantuffi della pompa, dall'altro la forza motri­ ce dovuta alla frazione di pressione atmosferica non e­ quilibrata. A causa dei difetti della condensazione e degli attri­ ti si assumeva che la pressione motrice fosse di 1/2 atm, circa 0,5 kg/cm2, e quindi si dimensionava l'area del pi­ stone in modo che il carico da sollevare fosse minore, o al piu uguale, deUa metà dell'area del pistone stesso.* .

kg

A

.

cm2 = -2- kg. Nel • A cm2 calcoli originali , usando le libbre ed i pollici quadrati, il fattore di proporzionalità era diverso, ma il principio era identico. * Fmo".

22

=

pmo" .



(Area

Pistone)

=

0,5

Lo scopo della macchina non era tuttavia quello di 'bilanciare' ma quello di sollevare la colonna d'acqua: la meccanica ingegneristica stava a quell'epoca elaborando il concetto adeguato, il concetto cioè di lavoro, dato dal prodotto del peso da sollevare per l'altezza di solleva­ mento o piu in generale dal prodotto 'forza X spostamen­ to'. La genesi del concetto di lavoro è contorta : la mec­ canica teorica gli preferi il concetto di impulso, dato dal prodotto 'forza X tempo'. L'origine del concetto di lavoro è tuttavia rintraccia­ bile nella stessa meccanica rinascimentale e, in partico­ lare, nei primi lavori di Galileo : nelle Meccaniche, scrit­ te durante il periodo padovano, Galileo ad esempio e­ nuncia con molta chiarezza il principio che in ogni mac­ china, anche nella piu perfetta, ciò che si guadagna in forza si perde sempre inevitabilmente in spostamento." In termini moderni ciò equivale a dire che il prodot­ to F s è una costante del moto, è una grandezza che si conserva. Lo scienziato pisano non assegnò tuttavia alcun par­ ticolare significato concettuale al prodotto F . s, né lo uti­ lizzò per misurare l'effetto delle macchine. Questo passo venne compiuto entro le ricerche sulle ruote idrauliche, sia a livello teorico che sperimentale, da una serie di autori francesi ed inglesi del Settecento." Poiché era sempre possibile simulare il carico me­ diante un peso da sollevare, si defini effetto utile della ruota il prodotto P . h, ovvero in termini moderni il la­ voro compiuto. Da questi autori, e in particolare da Smeaton, è an­ che definito correttamente il concetto di potenza: "L'in­ nalzamento di un peso, relativamente all'altezza a cui può essere sollevato in un dato tempo, è la piu appro­ priata misura della potenza . "20 La potenza è cioè data dal lavoro compiuto nell'uni­ tà di tempo. Una ruota idraulica, d'altra parte, non era mai per­ fetta : c'erano perdite di energia utilizzabile dovute all'ur­ to dell'acqua sulle pale o nei cassetti, agli attriti inter­ ni, all'impossibilità di trasmettere integralmente l'ener­ gia posseduta dall'acqua alla macchina, ... n principale problema era quindi quello di definire le condizioni per ottenere il massimo effetto a partire da una data caduta d'acqua. Riprenderemo questo argomento piu avanti : qui pre.

. .

23

me però sottolineare che ciò comportò lo sviluppo del concetto di efficienza o di rendimento, Effetto utile 1) = Lavoro in ingresso

Nel caso della macchina a vapore tuttavia mentre l'effetto utile era chiaramente dato dalla quantità d'ac­ qua sollevata ad una certa altezza il lavoro in ingresso non era di tipo meccanico, non si aveva cioè niente di equivalente ad una caduta d'acqua come nel caso delle ruote idrauliche. Si impose quindi, in assenza di una qualsiasi teoria termodinamica, una valutazione economica della resa della macchina data dal lavoro compiuto in rapporto ad una certa quantità di carbone bruciato. Gli ingegneri inglesi usarono a questo proposito mi­ surare la resa delle macchine in milioni di libbre d'ac­ qua sollevate all'altezza di 1 piede mediante il consumo di 1 bushel di carbone ( circa 38 kg). La resa delle prime macchine di Newcomen era di 4,7 milioni e venne elevata a circa 9 milioni da J. Smeaton. Egli usò lo stesso metodo sperimentale che aveva in precedenza efficacemente applicato nel caso delle ruote idrauliche: costrui un modello di macchina di Newco­ men e, alterandone di volta in volta un elemento, ne ve­ rificò le migliori proporzioni e quantità. Si accorse cosi con un certo stupore che per ottenere la massima poten­ za e la resa ottimale non tutto il vapore entro il cilindro andava condensato: un eccessivo raffreddamento infatti rallentava la macchina e diminuiva la resa sia a causa della notevole quantità di acqua di iniezione richiesta sia a causa dello spreco di vapore necessario a riscaldare le pareti fredde.21 Smeaton non trasse però alcuna conclusione partico­ larmente rivoluzionaria da questa osservazione : il suo metodo evolutivo, basato sul paziente studio dei parti­ colari della macchina e sull'utilizzazione dei concetti del­ la meccanica energetica, non era adeguato ai grandi e ra­ dicali cambiamenti che viceversa s'imponevano. L'innovazione fondamentale apportata da Watt richie­ deva ipotesi radicalmente nuove sul calore e sulla forza del vapore, la macchina doveva cioè essere considerata come un motore termico. È solo con Watt quindi che na­ sce la termodinamica. 24

Note 1 J. U. NEI', The Rise of the British Coal Industry, Londra 1932, voI. I p. 157. In questo classico lavoro viene analizzata con grande dovizia di particolari la crisi energetica del XVII secolo. Dello steso so autore cfr. anche : La storia della tecnologia (a cura di C. Sin­ ger e altri) val. I II, Boringhieri, Torino 1963, pp. 77-93; "Le Scien­ ze", febbraio 1978, p. 96. 2 D. DEFoB, A Journal uf the Plague Year, Penguin, London 1975, p.229 . 3 J. U. N EI' . , o p . cit., nota l, p . 255 . 4 Cfr. ad esempio : S. SAMBURSKY, Il mondo fisico dei greci, Fel­ trinelli, Milano 1973, pp. 108-112; M. JAMMER, Storia del concetto di spazio, Feltrinelli, Milano 1974, pp . 26-32. 5 Opere di Galileo Galilei, a cura di F. Brunetti, UTET, Tori­ no 1964: cfr. , val. I, p. 933 e voI. I I , pp. 584-6. • Torncelli comunicò la sua scoperta in una serie di lettere scritte nel giugno 1644 a M. Ricci : cfr. Opere scelte di Evangelista Torricelli, a cura di L. BELlDNI , UTET, Torino 1975, pp . 656·65. 7 In realtà è leggermente minore poiché la densità relativa del mercurio è 13,6: se l'altezza della colonna barometrica 'normale' è 0,76 m, si ha 0,76 . 13,6 = 10,336 m quale max altezza di sollevamento per aspirazione. Viceversa la pressione atmosferica 'normale' vale :

p.'m

=

Peso colonna Hg

(peso specifico Hg) . Volume

Area di base

Area di base

P ·A·h



=

13600

kgjm3• 0,76

m

=

10.336

kgjm2

=

1,0336

kgjcm2

atm equivale quindi ad una pressione di poco piu di 1 kg esercita· to su ogni centimetro quadrato. 8 B. PASCAL, Trattati sull'equilibrio dei liquidi e sul peso della massa d'aria, Boringhieri, Torino 1968, in parto pp. 163-76. 9 D . S. L. CARDWBLL, Tecnologia, scienza e storia, II Mulino, Bo­ logna 1976, pp. 8S-90. IO Opere di Robert Boyle, a cura di C. PIGHI!TII , UTET, Torino 1977, p. 761 . Il S . G. BRUSH, The Kind o f Motion w e Cali Heat, North Hol­ land, Amsterdam, ecc. 1976, val. I, pp . 10-12. 12 Science and Society 1600·1900, ed. da P . Mathias, Cambridge UP, 1972, p. 61. 13 Sui rapporti tra scienza e protestantesimo cfr. C. Hru.. Le ori­ gini intellettuali della rivoluzione inglese, II Mulino, Bologna 1976. Una diversa interpretazione è viceversa proposta da P. M. RATrANSI nel volume citato nella nota precedente. " Passo riportato da : A. BARACCA - R. RlGATrI, Aspetti dell'inte­ razione fra scienza e tecnica durante la rivoluzione industriale del XVIII secolo in Inghilterra, parte I I , in " I I Giornale di Fisica " , 15 (1974), p. 208. IS A. E. MUSSON - E. ROBINSON, Scienza e tecnologia nellarivolu­ zione industriale, II Mulino, Bologna 1974, pp. 261-70. ,. Uno dei primi ingegneri-scienziati che osserverà lo strano fe­ nomeno fu H. Beighton nel 1719: cfr. J. FAREY, A Treatise on the Steam Engine, voI. I, Londra 1827, p. 313 . 17 J . FARBY, op. cit., nota 16, p . 2 90 . II trattato d i Farey contie-

25

ne una miniera di infonnazioni sulle prime macchine a vapore, ed la principale fonte usata dagli storici. Recentemente ne è stata proposta una ristampa anastatica, dagli editori Newton Abbot, Da­ vid & Charles, di Londra. 18 Opere di Galileo Galilei, ed. cit . , nota S, voI . I, pp. 141-3; 153-5. l' Cfr. ad es . : A. PARENT, Sur la plus grande perfection possible des machines, "Hist . et Mém. de l'Acad. des Sciences" (1704) p. 323 ; CHEv. DEPARCIEUX, ibidem, (1754), p . 603 ; J. SMEATON, An Expe­ rimental Enquiry concerning the Natural Powers of Water and Wind to turn MilIs ... " Philosophical Transactions of the Roy. Society ", 51 (1759) , p. 100. '" J. SMEATON, ibidem, p. 105 ; cfr. anche A. BARACCA - R. RIGATTI, op. cit., nota 14, parte I, " Il Giornale di Fisica " , 15 (1974), p. 144. 2 1 D. S. L. CARDWELL, op. cit., nota 9, pp. 127-8.

è

Z6

CAPITOLO SECONDO

L'opera di James Watt

La classica scoperta del condensatore separato non sarà solo una rivoluzionaria innovazione tecnologica. Con l'opera di Watt prese l'avvio un nuovo modo di concepi­ re i fenomeni termici, si iniziarono cioè a studiare le connessioni tra calore ed energia meccanica. Malgrado ciò la quasi totalità dei testi scolastici di fisica e di termodinamica ignora la scoperta di Watt e tantomeno cerca di utilizzarla didatticamente.' Non si tratta solo di un semplice ritardo dell'applica­ zione didattica degli studi storici quanto di una profon­ da e sottile discriminazione nei confronti dell'attività pratica-manuale e della stessa tecnologia, attività che vengono spesso considerate forme subalterne e subordi­ nate, prive di un'effettiva autonomia conoscitiva e con­ cettuale. In verità c'è un altro 'difetto' che vieta alle ricerche di Watt, malgrado la grande fama del loro autore, l'ono­ re della citazione nei testi di fisica: come ha recente­ mente sottolineato lo storico americano della scienza Ste­ phen Brush, il posto nei testi scientifici è in genere assi­ curato solo ai pochi fortunati i cui nomi vengono con­ nessi con la scoperta di leggi quantitative e di costanti fondamentali di natura. Coloro che scoprono un fatto o un concetto qualita­ tivo, benché facciano ricorso ad originali metodi speri­ mentali come è il caso di Watt, corrono viceversa facil­ mente il rischio di essere dimenticati.2 Anche in questo caso il problema non riguarda tanto i curatori dei libri di testo quanto un piu generale mo­ dello scientifico che considera degni di attenzione solo gli aspetti quantitativi e matematizzati, ed evita cosi di mettere in evidenza le parti qualitative dei fenomeni na­ turali e della stessa attività scientifica, senza le quali per TI

altro lo stesso ricorso alla quantificazione sarebbe quasi sempre privo di senso.

2.1. Cenni biografici James Watt è diventato ormai il simbolo di un'intera epoca storica, quella, per usare le parole di un suo bio­ grafo, della "civilizzazione tecnico-scientifica".J I contemporanei l'avevano già perfettamente compre­ so: subito dopo la morte di Watt iniziò una sottoscrizio-' ne per un monumento, che verrà posto a Westminster accanto a quello di Newton. Lo stesso Carnot, nelle prime pagine delle Riflessioni sulla potenza motrice del fuoco, tributò indirettamente un grande omaggio a Watt quando scrisse che " la di­ struzione della marina sarebbe forse meno funesta per l'Inghilterra di quella delle sue macchine a vapore". Watt non fu però soltanto un fautore della potenza ma anche della efficienza, non fu solo un abile industriale ed af­ farista ma anche un 'filosofo' timido e taciturno. Lo stesso M. Boulton, l'industriale di Birmingham con cui Watt fondò la famosa ditta per lo sfruttamento pra­ tico della sua invenzione, malgrado una volta stupisse un visitatore dicendo che egli vendeva "tutto ciò che il mondo desiderava possedere, e cioè Potenza", sarà mol­ to diverso dal classico imprenditore della rivoluzione in­ dustriale 'à la Arkwright'. La sua fabbrica era non solo la pili grande manifat­ tura d'Inghilterra dell'epoca, un modello di organizza­ zione aziendale ed una tappa obbligata per molti visita­ tori stranieri, ma anche un centro di ricerca scientifica e tecnologica. II ruolo di promozione culturale e scientifica di Boul­ ton è testimoniato dalla Lunar Society, una delle pili in­ teressanti società scientifiche informali che fiorirono nel­ la prima fase della rivoluzione industriale, oggetto di studi e di ricerche da parte di molti storici della scienza e della tecnologia.' Birmingham fu però soltanto la 'seconda patria' di Watt. La sua storica scoperta maturò in Scozia e deve mol­ to al fervore culturale ed intellettuale che contraddistin­ se questo paese nella prima metà del Settecento. :t W, dove con W s'intende il lavoro associato ad M. Facciamo ora funzionare M da pompa di calore ed ac­ coppiamola ad M', funzionante da motore, che fornisce il lavoro W necessario a riportare il calore al serbatoio cal­ do. Dopo un ciclo completo si ottiene un risultato assurdo, a meno di ammettere la possibilità di creare potenza mo­ trice dal nulla, a meno cioè di ammettere la possibilità del moto perpetuo di la specie. Il calore è stato infatti riportato al serbatoio caldo men­ tre non tutto il lavoro prodotto da M' è stato consumato durante tale operazione: il risultato complessivo è quindi quello di aver creato dal nulla il lavoro W' - W. Carnot postulò l'impossibilità del moto perpetuo anche nel caso di motori termici. Di conseguenza l'ipotesi di par­ tenza era falsa, si aveva necessariamente W' !f W.*

La reversibilità implica quindi la massima efficienza : non esiste cioè alcuna macchina M', indipendentemente dal particolare mezzo utilizzato per realizzare la poten­ za motrice del calore, dotata di un rendimento maggio­ re della macchina a vapore M idealizzata da Carnot.'2 Non era tuttavia agevole definire con esattezza la " massima potenza motrice" e la "massima efficienza". In mancanza di precise relazioni quantitative Sadi * Il prmclplo dell'impossibilità del moto perpetuo era quasi uni­ versalmente accettato negli ambienti scientifici. Lazare Carnot, nel suo Saggio sulle macchine in generale, non si stanca ad esempio di mettere in guardia artigiani e meccanici dai sogni chimerici e sot­ tolinea come l'impossibilità di costruire un perpetuum mobile fos­ se una conseguenza del principio galileiano secondo cui " si perde sempre in tempo o in velocità ciò che si guadagna in forza " . L'im­ possibilità del moto perpetuo non era tuttavia quasi mai stata uti­ lizzata al di fuori della meccanica.

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Carnot si limitò a specificare qualitativamente le condi­ zioni del massimo rendimento. Poiché ogni ristabilimento dell'equilibrio termico po­ teva produrre lavoro utile seguiva che ogni passaggio spontaneo di calore, ogni conduzione termica irreversi­ bile, doveva essere considerata come una perdita di e­ nergia potenzialmente utilizzabile per compiere lavoro meccanico. D'altra parte, nel caso di una macchina termica ope­ rante tra due serbatoi di calore mediante le successive dilatazioni e compressioni di un fluido, ogni produzio­ ne di lavoro meccanico corrisponde ad una dilatazione del fluido operatore contro una pressione esterna. Condizione necessaria per ottenere il massimo rendi­ mento era dunque che ogni variazione di temperatura del fluido fosse causata da un cambiamento di volume, fosse cioè conseguenza di una trasformazione adiaba­ tica.* Si dovranno inoltre evitare tutti i contatti termici tra corpi a diversa temperatura. Cosi nella macchina idea­ lizzata da Carnot si supponeva esplicitamente che il va­ pore fosse generato esattamente alla temperatura del ser­ batoio caldo A ed inoltre si supponeva che la liquefa­ zione avvenisse alla stessa temperatura del serbatoio B. Carnot suppose quindi qualcosa di praticamente ir­ realizzabile, anche se logicamente possibile, e cioè l'esi­ stenza di flussi di calore fra il serbatoio A e il fluido, e fra quest'ultimo ed il serbatoio B, senza alcuna diffe­ renza finita di temperatura! Si deve notare, per altro, che se tali condizioni non sono rispettate non si ha al­ cuna reversibilità. Se ad esempio c'è una differenza fi­ nita di temperatura fra il corpo caldo A ed il vapore, quando si invertono le operazioni il vapore non sapen­ do a chi cedere il proprio calore di condensazione (per­ ché a temperatura minore di A) non riesce a liquefarsi. Continuando la compressione adiabatica si raggiunge­ rebbe ovviamente la temperatura richiesta e la lique* Rimuovendo il vincolo dei due serbatoi, permettendo cioè che il fluido scambiasse calore con tante sorgenti ausiliarie a tempera­ ture comprese fra quella massima e minima, la condizione non è piu valida. Nel ciclo Stirling reversibile, che è un ciclo di massi­ ma efficienza, le variazioni di temperatura del fluido (un gas) avven­ gono ad esempio a volume costante : interviene un rigeneratore perfetto che immagazzina il calore ceduto dal gas durante il suo raf­ freddamento e glielo ricomunica durante il riscaldamento.

87

fazione avrebbe luogo, al prezzo però di consumare una quantità di lavoro maggiore di quella ottenuta durante il funzionamento diretto. Le condizioni di Carnot per il massimo rendimento implicano quindi a loro volta la reversibilità : massima efficienza e reversibilità sono sinonimi nella termodina­ mica classica. La reversibilità deve tuttavia essere intesa non dal semplice punto di vista del fluido operatore ma dal punto di vista del sistema complessivo, dato dal fluido piu l'ambiente esterno con il quale il primo scambia ca­ lore e lavoro. Non è tanto la possibilità di ripercorrere a ritroso gli stati precedentemente attraversati dal fluido che ren­ de importante la reversibilità - ha scritto il premio No­ bel P. W. Bridgman - quanto la completa recuperabili­ tà della situazione iniziale resa possibile dai processi re­ versibili di massima efficienza. 13 Una trasformazione reversibile, come si vedrà meglio discutendo dell'entropia, non degrada quindi irrevocabil­ mente l'ambiente, e permette in linea di principio di ri­ tornare alla situazione di equilibrio iniziale. Come noto la natura e la vita non propongono feno­ meni, in cui la energia termica intervenga in modo de­ terminante, perfettamente reversibili. Se cOSI fosse si potrebbe ritornare indietro nel tempo o, meglio, tutto sarebbe in uno stato di quiete e di uniformità perché la reversibilità presuppone trasformazioni infinitamente lente, successioni di infiniti stati di equilibrio infinita­ mente prossimi uno all'altro. Le trasformazioni reversibili sono quindi trasforma­ zioni ideali, irrealizzabili in pratica. Tuttavia la lezione della reversibilità può essere molto utile per orientare i nostri approcci alla natura e le nostre tecnologie ener­ getiche. L'argomento verrà ripreso nell'uLtimo capitolo ma già adesso è possibile fornire una esemplificazione di questo discorso. Camot immaginò di sostituire il focolare e la caldaia con un unico serbatoio caldo A a temperatura uniforme per almeno due ragioni: una di queste era il grande sal­ to termico ( oltre IOOO °C) esistente fra la temperatura della fiamma e quella del miscuglio acqua-vapore in cal­ daia, salto termico inutilizzato per compiere lavoro e 88

principale causa di perdita di efficienza della macchina a vapore. La seconda ragione, piu sottile, era data dalla natura stessa della combustione, fenomeno intrinsecamente ir­ reversibile che andava quindi eliminato ideando una macchina termica reversibile. Se si riflette alle caratteristiche sopra enunciate del­ le trasformazioni reversibili si comprende d'altra parte intuitivamente che ciò che rende irreversibile la reazio­ ne tra il combustibile e l'ossigeno è anzitutto la 'vio­ lenza' e la 'rapidità' della reazione stessa. Se viceversa si fosse in grado di realizzare e di con­ trollare mediante appropriati dispositiVi una combustio­ ne piu lenta e graduale, molecolare ( il termine è impro­ prio ma rende !'idea), ci si avvicinerebbe notevolmente all'ideale della reversibilità, e s i potrebbero cosi svilup­ pare convertitori di energia piu efficienti e meno inqui­ nanti degli attuali. Di grande interesse sono ad esempio le ricerche sul­ le 'pile a combustibile', tipo le celle ad idrogeno ed os­ sigeno e quelle a carbone ed ossigeno, dove l'energia del­ la reazione chimica è convertita in energia elettrica con efficienze doppie di quelle realizzabili con i motori a com­ bustione interna." 4.3. L'analogia idraulica Il concetto di scambio termico a temperatura costan­ te, proposto per rispettare le condizioni del massimo rendimento e per garantire la reversibilità di funziona­ mento della macchina, era probabilmente stato conce­ pito da Camot tenendo presenti gli aforismi per la mas­ sima efficienza delle ruote idrauliche elaborati dai sa­ vants francesi nella seconda metà del Settecento : en­ trata dell'acqua senza urti ed uscita con velocità nulla.15 L'esempio delle due ruote di Déparcieux, una motri­ ce e l'altra di svuotamento, permetteva anche di inferi­ re le relazioni esistenti tra massima efficienza, reversibi­ lità e recuperabilità, come si è accennato nel par. 3.6. L'analogia fra macchine termiche e macchine idrauli­ che sarà d'altra parte proposta esplicitamente dalld stesso Camot : Tenendo presenti i concetti sinora stabiliti possiamo, ab­ bastanza correttamente, confrontare la potenza motrice del 89

calore con quella di una caduta d'acqua. In entrambi i ca­ si vi è un massimo che non si può superare, quale che sia la macchina idraulica da un lato e la sostanza su cui agi­ sce il calore dall'altro. La potenza motrice di una caduta d'acqua dipende dalla sua altezza e dalla quantità di liqui­ do; anche la potenza motrice del calore dipende dalla quan­ tità di calorico impiegato e da ciò che si potrebbe chiama­ re, da ciò che in effetti chiameremo, l'altezza della sua ca­ duta, cioè dalla differenza di temperatura dei corpi tra i quali si realizza lo scambio di calorico.'· � possibile illustrare visivamente l'analogia idraulica mediante il seguente schema (fig. 8): se r ba t o i o

se r b a to i o a l te z z a

tempo

h,

t,

c a lo r i c o

acqua

L a v o ro

Lavoro

u t i le

u t i le

c a l o r i c o.

acqua

s e r b a to i o

s e r ba t o i o

a i t ez z a

tempo

h2

t2

Fig. 8. L'analogia fra macchine termiche ed idrauliche.

L'analogia idraulica mostra chiaramente come la ne­ cessità del serbatoio freddo, ovvero l'impossibilità di co­ struire una macchina termodinamica avendo a disposi­ zione un'unica sorgente di calore a temperatura unifor­ me ( enunciato di Kelvin del II principio della termodi­ namica ), non caratterizzi unicamente le trasformazioni di calore in lavoro. Anche una qualsiasi macchina idraulica non può fun­ zionare con un unico serbatoio ad un livello uniforme, e richiede necessariamente un secondo serbatoio in cui scaricare l'acqua. 90

Un analogo discorso potrebbe essere fatto per i mo­ tori elettrici, che per funzionare richiedono necessaria­ mente due 'sorgenti' di elettricità a diverso potenziale, e per altre forme di conversione di energia (chimica in meccanica, ad esempio). L'impossibilità del motore monotermo sancita dallo enunciato di Kelvin del II principio non mette quindi af­ fatto in evidenza il carattere particolare dell'energia ter­ mica rispetto alle altre forme di energia termodinamica­ mente piu 'pregiate' (meccanica, elettrica, ... ). Discuten­ do nel capitolo conclusivo dell'energetica e del II prin­ cipio della termodinamica riprenderemo ed approfondi­ remo questo discorso che è stato qui solo accennato. L'analogia idraulica perde largamente di significato in termodinamica, dove si dimostra che necessariamente parte del calore assorbito dalla sorgente calda è conver­ tito in lavoro, e non esiste quindi piu sotto forma di ca­ lore alla fine del ciclo. L'analogia tra macchine a fuoco e motori idraulici era d'altra parte problematica anche entro la teoria del ca­ lorico, appena si affrontava in termini quantitativi il di­ scorso. Sarà lo stesso Carnot ad osservare nelle Réfle­ xions che, mentre la massima quantità di lavoro rica­ vabile da una data caduta d'acqua era semplicemente proporzionale all'altezza della caduta, essendo data da mg (h, hz) , nel caso di una caduta di calorico niente a priori poteva garantire che la massima quantità di lavo­ ro fosse analogamente data da Q . (t, - t,). L'analogia idraulica suggeriva ad esempio che il la­ voro prodotto da una macchina termica perfetta operan­ te fra 1 00 °C e 50 °C fosse identico a quello della stessa macchina operante fra 500 e 00 C. Carnot tuttavia dimostrerà che il lavoro in quest'ul­ timo caso era maggiore, e cioè che il rendimento della macchina, a parità di salto termico, era maggiore nei gradi inferiori della scala termometrica. Questo risultato è corretto ma la dimostrazione for­ nita da Sadi Carnot non lo era affatto, essendo fondata sull'assioma della conservazione del calore e sull'errata ipotesi, suffragata dai dati sperimentali di Delaroche e Bérard, della diminuzione dei Cp dei gas con l'aumentare della loro d�nsità. In questo, come in molti altri casi nella storia della scienza, un risultato corretto (che poneva in discussione -

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le inferenze quantitative deducibili dall'analogia idrauli­ ca) è cOSI ottenuto sommando due errori che si 'elido­ no' vicendevolmente ! ,7 4_4_ Una macchina termodinamica perfetta Nella macchina a vapore idealizzata da Camot man­ cava ancora un elemento fondamentale, la ciclicità. Per ricominciare una nuova serie di operazioni era indispensabile riportare il condensato alla temperatura del corpo caldo A: durante questo processo interveniva però necessariamente un contatto diretto fra il corpo caldo ed il condensato, inizialmente alla temperatura del corpo freddo B, interveniva cioè un flusso irreversi­ bile di calore.* La macchina a vapore di Camot non era quindi anco­ ra sufficientemente . idealizzata! Nelle Réflexions è tut­ tavia descritta una seconda macchina, utilizzante un gas (l'aria) quale fluido operatore, perfettamente ciclica e reversibile. Essa compie il classico ciclo descritto in ogni testo di termodinamica: il riferimento alla descrizione originale è comunque di notevole interesse didattico, perché per­ mette una comprensione qualitativa del ciclo di Camot senza alcun bisogno di ricorrere alle leggi della termodi­ namica e allo stesso diagramma (V, P) o (S, T) del ciclo. . _

Da un punto di vista logico il problema affrontato e risolto da Camot era il seguente: immaginare una serie di operazioni, reversibili e cicliche, compiute su un cam­ pione di gas in modo da ottenere il massimo lavoro uti­ le da una data caduta di calorico. Si dovevano rispettare * Carnot si accorse di questa possibile obiezione ma fu inca­ pace di rispondervi correttamente. A sua parziale giustificazione si deve osservare che nessuno a quell'epoca ragionava in termini d i cicli, l 'idea di ciclo termodinamico fece anzi la sua comparsa pro­ prio con Carnot . Per realizzare un ciclo perfettamente reversibile a vapore era d'altra parte necessario staccarsi radicalmente dalla pratica tecnologica : si doveva infatti immaginare di non liquefare integralmente il vapore in contatto con il corpo B e continuare la compressione del miscuglio acqua-vapore in modo adiabatico. Questa operazione è tecnicamente cosi complicata che ancor oggi si prefe­ risce completare il processo di condensazione e pompare l 'acqua in caldaia sotto forma di liquido omogeneo."

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le condizioni stabilite da Camot: il gas doveva scambia­ re calore con i due corpi A e B a temperatura costante, e le variazioni di temperatura dovevano essere esclusi­ vamente conseguenza di variazioni di volume. Il raffreddamento del gas andava cioè realizzato me­ diante un'espansione adiabatica. Per riportare il fluido alle condizioni iniziali lo si comprimeva prima isoter­ micamente in contatto con il serbatoio freddo, e poi adiabaticamente ( riscaldamento adiabatico) . Si noti in particolare quest'ultima fase del ciclo : sembra in effetti a prima vista paradossale che per ottenere il massimo lavoro utile si debba consumare parte di questo lavoro comprimendo adiabaticamente il gas ! Il lavoro complessivo del ciclo era positivo perché la pressione media del gas durante l'espansione era maggio­ re che non durante la compressione : l'espansione infatti avveniva a temperatura piu alta. Il ciclo di Camot è quindi composto da due trasfor­ mazioni isoterme e da due adiabatiche : durante l'espan­ sione isoterma il gas è in contatto con la sorgente cal­ da ed assorbe calore, che poi cede durante la successiva compressione isoterma, quando è portato in contatto con la sorgente fredda. Può stupire che un corpo assorba calore senza riscal­ darsi o lo ceda senza raffreddarsi: si deve però ricorda­ re che nel primo caso il gas compie lavoro utile dila­ tandosi e nel secondo riceve il lavoro di compressione. Carnot non poteva supporre che il calore si conver­ tiva in lavoro o viceversa e si limitò alla fenomenologia sperimentale. Per realizzare un'espansione a temperatura costante era ad esempio necessario, secondo Carnot, fornire dal­ l'esterno il "calorico dovuto al cambiamento di volume" per evitare che il gas si raffreddasse come quando la espansione avveniva in modo adiabatico. Durante la com­ pressione, per evitare che il gas si riscaldasse, si doveva al contrario levargli passo passo il calorico reso sen­ sibile dalla diminuzione di volume. Per compiere la serie ciclica di operazioni sul gas ( aria) Camot immaginò di avere a disposizione una ca· pacità cilindrica estensibile, dotata di un pistone e di pareti laterali perfettamente isolanti e di una base per­ fettamente conduttrice. Il pistone scorreva senza il minimo attrito ed inol­ tre la base poteva essere messa in contatto con le due 93

sorgenti di calore A e B, oppure essere resa isolante mettendola su un opportuno corpo impermeabile al ca­ lore. Per seguire la serie di operazioni proposta da Camot si faccia riferimento alla figura 9, tratta dal testo ori­ ginale : l° Si ponga la base del cilindro sul corpo A : l'aria con­ tenuta nel volume a b c d si pone in equilibrio tennico con la sorgente calda. 2:' Si immagini ora di ridurre lentamente la pressione agente sul pistone dall'esterno, in modo da pennettere al pistone di sollevarsi da c d ad e f ( si suppone che la pres­ sione esterna sia uguale a quella interna, a meno di quan­ tità infinitesime). II corpo A durante l'espansione fornisce il calore ne­ cessario per mantenere costante la temperatura del fluido. 3° Si allontani ora il corpo A e si isoli tennicamente il cilindro. Se la pressione esterna è ancora gradualmente ridotta segue che il pistone continua ad innalzarsi e il gas dimi­ nuisce di temperatura. Carnot suppose che quando il pisto­ ne era giunto in g h l 'aria si era raffreddata sino alla tem­ peratura del corpo B. 4° Contatto della sorgente fredda B con la base del ci­ lindro e contemporaneo inizio della compressione che ri­ porta lentamente il pistone nella posizione iniziale e f. La compressione è isotenna perché l'aria cede il calorico, li­ berato dalla sua diminuzione di volume, al corpo B. S° La sorgente fredda è ora allontanata e l'aria racchiu­ sa nel cilindro è nuovamente isolata dal punto di vista de­ gli scambi di calore con l'esterno. La compressione del gas è continuata sinché non rag­ giunge la temperatura della sorgente calda (quando il pio stone è arrivato in i k) . 6° Nuovo contatto di A con la base del cilindro e con­ temporanea graduale riduzione della pressione esterna. II pistone si innalza da i k ad e f e la temperatura del gas durante l'espansione rimane uguale a quella della sor­ gente calda. 7° Si ripetono poi nell'ordine le operazioni descritte in 3, 4, S, 6 e cosi via.'"

Le due fasi iniziali non sono quindi parti integranti del ciclo e servono solo durante la prima serie di ope­ razioni. Il loro ruolo è quello di costituire le opportune condizioni iniziali in modo da chiudere il ciclo senza far ricorso ad alcuna ipotesi supplementare. L'assioma 94

della conservazione del calore non viene infatti utiliz­ zato da Camot, contrariamente a Clapeyron ed a Kel­ vin che per chiudere il ciclo supporranno esplicitamen-

h

9 e

d

c

k b

a

, � Fig. 9. La macchina ad aria di Camot. (Fonte: S. CARNOT, Réflexions sur la puissance motrice du feu, Parigi 1824.)

te di arrestare la compressione isoterma quando il ca­ lore ceduto dal gas alla sorgente fredda B era esatta­ mente uguale a quello precedentemente assorbito dalla sorgente calda A.'1Jl

4.5. Il principio di Carnot e la termodinamica Il ciclo di Camot a gas, costituito dalla serie di ope­ razioni (3, 4, 5, 6) , possedeva massima efficienza perché non c'era alcun inutile ristabilimento dell'equilibrio ter­ mico.* * Il tennine voro meccanico ' .

'inutile '

va

inteso

come :

'senza

produzione

di

la·

95

Il ciclo era anche perfettamente reversibile : compien­ do le operazioni in ordine inverso si realizzava la serie di operazioni (6, 5, 4, 3) durante la quale del calore ve­ niva assorbito dalla sorgente fredda e comunicato alla sorgente calda. In questo caso l'espansione avveniva a pressioni minori della compressione ed il lavoro com­ plessivo del ciclo era negativo : una pompa di calore richiede infatti una certa quantità di energia meccani­ ca per poter funzionare. Sadi Carnot è ora in grado di riproporre la dimostra­ zione logica della massima efficienza del suo dispositivo già data in occasione della macchina idealizzata a vapo­ re, dimostrazione in questo caso del tutto corretta per­ ché la macchina a gas è effettivamente reversibile (cfr. per la dimostrazione il par. 4.2.). Sebbene Carnot avesse scelto l'aria atmosferica qua­ le mezzo per sviluppare la potenza motrice di una cadu­ ta di calore era evidente, egli disse, " che identici ragio­ namenti sarebbero possibili per ogni altra sostanza gas­ sosa, e anche per ogni altro corpo suscettibile di cam­ biare temperatura mediante contrazioni e dilatazioni succesive". Valeva quindi la seguente proposizione ge­ nerale, o principio di Carnot: La potenza motrice del calore è indipendente dagli agen­ ti impiegati per realizzarla; la sua quantità è unicamente fissata dalle temperature dei corpi tra i quali si compie, in ultima istanza, il trasferimento del calorico."

Sadi Carnot cercò anche di verificare, sulla base dei dati sperimentali disponibili, che cicli semplificati pro­ ducevano identiche quantità di lavoro indipendentemen­ te dal fluido impiegato (aria, vapore d'alcool, vapore d'acqua) .* L'accordo tra i diversi cicli era discreto ma insuffi­ ciente per parlare di verifica sperimentale della propo­ sizione generale di Carnot. Il nuovo principio scientifi­ co, come sottolineerà lo stesso Carnot, per essere al ri* Carnot considerò un ciclo semplificato, costituito solo da due isoterme poste ad lo di 'distanza ' . Dalla caduta di 1000 kcal si ot­ tenevano nei tre casi (aria, alcool , acqua) rispettivamente 1395 kgm , 1230 kgm e 1 1 12 kgm. I tre cicli non erano tuttavia identici per­ ché, in mancanza di dati sperimentali confrontabili , Camot era stato costretto a porli a tre temperature diverse : 1 oC, 78 ,7 °C (tem­ peratura di ebollizione dell'alcool) e 100 oC per l'isoterma a tempe­ ratura superiore.

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paro da ogni dubbio ed incertezza richiedeva nuove ve­ rifiche, tenendo in particolare presente che era fondato su un'ipotesi di solidità non certo incrollabile ( il ca­ lorico)!2 La proposizione generale di Camot è tuttavia perfet­ tamente corretta ed indipendente dalla teoria del calori­ co, almeno nella forma qualitativa sopra enunciata. Questo principio costituisce il diretto precursore ed antecedente della seconda legge della termodinamica. Quando Carnot cerca di determinare le relazioni quan­ titative esistenti fra la potenza motrice del calore e le temperature delle sorgenti tra cui opera la macchina si notano però delle precise contraddizioni con la termo­ dinamica. Passando cioè da uno stadio qualitativo ad uno quan­ titativo, lo scienziato francese si trova costretto a fare un uso determinante dell'assioma della conservazione del calore. Ragionando entro lo schema del calorico, e forzando il pensiero di Camot ed il metodo da lui segui to nel derivare la relazione matematica esistente fra tempera­ tura della sorgente calda (la sorgente fredda era per i­ potesi a O °C ) e lavoro prodotto dalla macchina, non ri­ sulta ad esempio chiaro se la potenza motrice ricava­ bile da una data quantità di calore sia effettivamente limitata. Si può ritenere che elevando indefinitamente la tem­ peratura della sorgente calda aumenti anche indefinita­ mente la potenza motrice della macchina! * In questo caso dunque l'assenza del principio d i con­ servazione dell'energia si ripercuote sullo stesso princi­ pio di Camot, e mostra la distanza che ancora lo sepa­ ra dalla termodinamica. Resta il fatto, costituente un vero e proprio rompica­ po, che la teoria di Camot, benché fondata su false pre­ messe, contiene alcuni risultati straordinariamente cor­ retti, tra cui appunto la prima formulazione del princi­ pio del massimo rendimento. Si è già accennato ad una parziale e generica spie­ gazione, allo scarto cioè esistente tra formulazioni qua* Carnot, sia chiaro, non affennò niente di simile . Le relazioni matematiche proposte potevano però indurre in tale errore grosso­ lano se si dimenticava che le ipotesi utilizzate avevano senso spe­ rimentale solo in limitati intervalli di temperatura.23

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litative e la definizione di un quadro generale di carat­ tere quantitativo. Per approfondire il problema si deve sottolineare che, da un punto di vista logico, la struttura della teoria di Carnot è analoga a quella della termodinamica. Entrambe le teorie, benché non equivalenti, sono in­ fatti caratterizzabili mediante due funzioni di stato, una funzione del lavoro ed una del calore, e due leggi fon­ damentali.* Le due teorie permettono di trattare analoghi proble­ mi, anche se i risultati possono essere alquanto diversi (in particolare nel caso di trasformazioni irreversibili ). Ciò dipende dal fatto che la teoria di Carnot è in contraddizione con il principio di conservazione della energia. Facendo uso della teoria di Carnot si può ad esempio concepire un ciclo di operazioni il cui unico risultato è la distruzione di una certa quantità di lavoro (è !'inverso del moto perpetuo di 1" specie). Consideriamo infatti il seguente processo in due fasi : 1. Estrarre il calore Q da un corpo freddo e comunicar· lo ad un corpo caldo mediante una pompa di calore di Carnot che consuma contemporaneamente il lavoro W. 2. Porre in contatto termico i due corpi sinché il calo­ re Q è ripassato al corpo freddo.

Il risultato finale è la distruzione della quantità di lavoro W, senza alcuna compensazione. L'energia mecca­ nica quindi, secondo la teoria di Carnot, si può distrug­ gere in modo assoluto ed irrevocabile, senza cioè la contemporanea produzione di qualche altra equivalen­ te forma di energia ! ** Quando intervengono solo trasformazioni reversibili ( quando cioè non si considerano fenomeni tipo la con­ duzione termica, la produzione di calore per attrito, la espansione libera dei gas, ..) si ha però una stretta ana­ logia e corrispondenza tra le espressioni analitiche dedu• In termodinamica l 'energia è la funzione del lavoro e l 'en­ tropia quella del calore . • • Non è chiaro se Carnot fosse pienamente consapevole di que­ sta caratteristica della sua teoria : certo è che nelle note manoscritte affermò esplicitamente che la potenza motrice non poteva né es­ sere creata né andare distrutta (cfr. il prossimo capitolo, par. 5 .4). Questa caratteristica si poneva per altro in netta contraddizione con il principio fondamentale elaborato dagli ingegneri francesi per ana­ lizzare le macchine e i dispositivi meccanici, e cioè il principio di conservazione del lavoro.

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cibili dalle leggi della termodinamica e dalla teoria di Camot, come ha mostrato il fisico danese P. Lervig.24 1:. l'identica struttura logica delle due teorie che spie­ ga quindi il fatto apparentemente paradossale di un li­ bro quale le Réflexions, sviluppato a partire da un'ipo­ tesi del tutto errata, ma che tuttavia contiene alcuni ri­ sulrt:ati straordinariamente corretti.* Si può inoltre mo­ strare che spesso l'assioma della conservazione del calo­ re non interviene in modo determinante : alcuni risulta­ ti si basano cioè solo su assunti fenomenologici e risul­ tano quindi indipendenti da particolari ipotesi sulla na­ tura del calore. Un esempio è fornito da alcuni teoremi di fisica dei gas, dedotti nelle Réflexions a partire dal principio del massimo rendimento. Camot considerò un ciclo a gas semplificato costitui­ to solo dalle due fasi isoterme : per evitare contatti fra corpi a diversa temperatura il salto termico doveva quindi essere molto piccolo, cosi da poterlo trascurare. Ci si può ancora riferire alla fig. 9 dove però i due corpi A e B sono a temperature solo leggermente diver· se fra loro ed in cui le operazioni si riducono alle se­ guenti : 1. Innalzamento del pistone da c d ad e f (la base del cilindro è posta sul corpo A). 2. Compressione isoterma che riporta il pistone in c d (la base del cilindro è ora posta sul corpo B) .

Supponiamo di far compiere il ciclo a due gas di na­ tura chimica diversa. Inizialmente i gas hanno identica pressione ed identico volume. Espandendosi a tempera­ tura costante essi, per la legge di Boyle, continueranno ad avere uguale pressione per identici volumi. Poniamo ora i gas in contatto con il corpo B : il leggero raffred­ damento causa una piccola riduzione di pressione, iden­ tica nei due casi per la legge di Gay-Lussac. Anche il lavoro negativo di compressione risulterà * Esiste una seconda spiegazione della correttezza di alcuni ri· sultati dedotti da Carnot, e cioè di quelli in cui venivano analizzati solo cicli reversibili infinitesimi. l! stato infatti dimostrato che la teoria di Carnot è una sorta di 'prima approssimazione' della ter­ modinamica e risulta del tutto corretta quando viene applicata ai processi reversibili infinitesimi. Cfr. il saggio di U . Hoyer nell 'op. eit. in nota 6, p. 221 .

99

cosi identico e di conseguenza i due cicli produrranno uguale potenza motrice. Per il principio di Camot de­ vono perciò aver utilizzato identiche quantità di calore. Si può quindi affennare che " il calore assorbito o ce­ duto da un gas durante un'espansione od una compres­ sione isotenna è indipendente dalla sua natura chimi­ ca".25 Facendo ricorso ad analoghi ragionamenti Camot riu­ sci anche a dimostrare che la quantità di calore assor­ bita o ceduta a temperatura costante era proporziona­ le al logaritmo del rapporto di espansione o di com­ pressione, cioè si aveva Q

=

costo 19

(VVfI� ) lDIZ

Il risultato è corretto perché è stato dedotto facendo ricorso solo alle leggi dei gas ed al principio di Camot, senza dipendere in modo detenninante dall'assioma del­ la conservazione del calore. Nelle Réflexions è contenuto un altro risultato di gran­ de importanza relativo alla fisica dei gas : secondo Car­ not la differenza fra il calore specifico a pressione co­ stante e quello a volume costante era identica per tut­ ti i gas, ovvero Cp - Cv = numero indipendente dalla na­ tura chimica dei gas.* Questo risultato venne però dedotto facendo un uso detenninante della teoria del calorico e dell'assioma del­ la conservazione del calore. Da un punto di vista storico il fatto interessante è tuttavia che Camot ragioni in ter­ mini di Cp Cv, mentre Laplace e la fisica dell'epoca ragionavano viceversa in tennini di� . La cosa non è banacv le ed aiuta a comprendere lo scarto esistente fra ragio­ namenti puramente calorimetrici e ragionamenti termo­ dinamici.** La differenza essenziale fra Cp e Cv è infatti che nel primo caso il calore serve anche a produrre il lavoro di espansione p. b. V compiuto dal gas. -

* Carnot si riferisce ai calori specifici per unità di volume. pro­ porzionali cioè ai calori specifici molari. ** Questa considerazione deve anzi essere tenuta presente per capire le cause della fredda accoglienza riservata dalla comunità scientifica francese alle Réflexions: non solo l'opera di Carnot era in contraddizione con la meccanica ingegneristica ma lo era per molti aspetti anche con la fisica laplaceana !

100

Carnot, essendo orientato verso l'analisi dei processi di produzione di potenza motrice mediante il calore, tra­ sferisce il suo metodo tennodinamico anche in calorime­ tria e nello studio teorico del comportamento dei gas. Di conseguenza, malgrado stia ancora ragionando in termi­ ni di conservazione del calore e non di mutua converti­ bilità tra calore e lavoro, è prevalentemente a Cp Cv che rivolge la sua attenzione.* -

4.6. Progettualità tecnologica

Nella parte finale delle Réflexions Carnot analizza cri­ ticamente la direzione complessiva dello sviluppo delle tecnologie energetiche.26 Si tratta di un vero 'manifesto' tecnologico in cui, pur giustificando la corsa verso le alte pressioni del vapore, si opta nettamente in favore delle macchine ad aria cal­ da e, in particolare, dei motori a combustione interna.** Coerentemente con la tradizione di Watt, quindi, fra potenza ed efficienza Carnot sceglie senza ambiguità il secondo tennine. Cosa si intende però per efficienza? Sinora se ne è parlato generalmente in un unico senso, e cioè in quello dell'ottimizzazione dei fattori di produzione entro date condizioni esterne considerate invariabili. Quindi efficien­ za quasi sempre solo 'a posteriori' una volta definito un particolare metodo per ricavare, secondo la tenninologia di Carnot, la potenza motrice del combustibile. È possibile tuttavia anche considerare 'a priori' l'effi­ cienza, considerarla cioè come il fattore chiave della pro­ gettazione, cui subordinare la scelta delle particolari tec­ nologie atte a conseguire un detenninato scopo. L'obiettivo dell'efficienza presuppone in questo caso il confronto tra le diverse alternative praticabili, confron­ to che non è mai esclusivamente tecnico. In sintesi conduce ad un diverso modo di valutare la massima efficienza, che implica da un lato la stessa cri­ tica dei vincoli sociali ed economici esterni e dall'altro • Carnot spiegò questa differenza con la necessità di fornire, durante il riscaldamento a pressione costante, oltre al calorico sen­ sibile anche il calorico di volume . •• Discutendo del Pireoloforo dei cugini Niepce Carnot inoltre adombra l'idea del motore ad accensione per compressione, idea che verrà sviluppata alla fine del secolo da Rudolf Diesel. 101

un ampliamento dei criteri che guidano la scelta di una particolare tecnologia, criteri che oltre ad essere tecnico­ economici debbono comprendere anche considerazioni di ordine ambientale e sociale. Sarebbe evidentemente una indebita forzatura quella di attribuire a Carnot un simile progetto, figlio della moderna crisi petrolifera molto piu che del periodo d'oro dell'industrializzazione in cui si collocava il nostro autore. Leggendo Carnot appare tuttavia abbastanza chiara­ mente la commistione e l'ambiguità esistente fra pensie­ ro tecnocratico (del quale il giovane ingegnere francese era ampiamente partecipe) ed una concezione piu dina­ mica, fondata sul confronto di alternative, tipica delle correnti minoritarie e semi-utopistiche. Carnot, ad esempio, rispetto alla macchina a vapore pensava che questa tecnologia, benché solidamente sta­ bilita, dovesse in prospettiva lasciare il passo alle mac­ chine ad aria, rappresentanti nel 1824 dei tentativi mar­ ginali in relazione al complesso delle ricerche tecnologi­ che ! * L a supremazia teorica dell'aria rispetto a l vapore di­ pendeva, a suo giudizio, essenzialmente dalla facoltà di rendere utilizzabili salti termici maggiori. In una macchi­ na a vapore si aveva un grande spreco dato dalla cadu­ ta inutilizzata di calorico fra la temperatura della fiam­ ma ( 1500-2000 °C) e quella del vapore in caldaia ( 1 00-1500). Per ottenere vapore saturo a temperature maggiori si dovevano infatti controllare pressioni rapidamente cre­ scenti, con il rischio di esplosioni, come mostrato dalla tabella di pagina 103. La tabella mostra che la corsa verso le alte pressio­ ni aveva significato anche per l'efficienza. Carnot sotto­ lineò a questo proposito, attribuendo il merito della sco­ perta all'amico Nicolas Clément, che per mettere a pro­ fitto la maggiore caduta di calorico resa disponibile dall'alta pressione era indispensabile che mediante la estensione del suo volume il vapore raggiungesse tempe­ rature sufficientemente basse, solo di poco superiori a quelle del condensatore.** * Le ricerche sulle macchine ad alcool saranno invece criticate da Carnot: il ridotto punto di ebollizione dell'alcool rispetto all"ac­ qua contribuiva infatti non ad aumentare ma a ridurre l'efficienza della macchina ! ** Nelle turbine delle moderne centrali terrnoelettriche si utiliz­ za vapore surriscaldato a pressione di circa 200 atmosfere e tempe-

102

Tabella 1. Pressione e temperatura del vapore d'acqua saturo P

t

l 5 lO 20 30

99,6 151,8 179,9 212,4 233,8

--P

t

50 80 100 150 200

263,9 295,0 311,0 342,1 365,7

Unità di misura: p t

= =

bar (0,987 atm)

"C

(Fonte: MATHEW e ROGERs, Thermodynamic and Transport Properties of Fluids - SI Units, Oxford 1976.)

Ragionando a partire dalla tabella, in termini gros­ solani ma intuitivi, e cioè supponendo che il lavoro pro­ dotto sia proporzionale alla pressione e l'efficienza alla temperatura, si comprende tuttavia facilmente come la progressione fra potenza ed efficienza non sia affatto equilibrata. Il vapor d'acqua, alla luce della teoria di Carnot, favorisce quindi un grande aumento della po­ tenza, mediante la corsa verso le alte pressioni, ma è molto piu 'riottoso' nei confronti del rendimento. Per l'aria, e per ogni altro gas, non esiste viceversa un rapporto necessario fra la pressione e la tempera­ tura, intervenendo anche il volume a modificare tale rapporto. Per stabilire la relazione (P, t) nel caso dell'aria è quindi necessario specificare anche le trasformazioni di volume. Consideriamo ad esempio il semplice caso di un riscaldamento a volume costante, come si realizza nel ciclo Stirling. Supponiamo che il gas sia inizialmente a O·C ed a pressione atmosferica : dalla legge di Gay-Lussac p

=

p

.

(

1 +

2;3)

si deduce che ad una temperatura di 1092·C fluido esercita una pressione di sole 5 atmosfere.

il

ratura di 540 -C. La densità del vapore all'ingresso è 100 volte mag­ giore di quella del vapore ordinario e l'aumento di volume per espansione, tra la prima fila di palette della sezione ad alta pres­ sione e l'ultima fila di palette della sezione a bassa pressione, è di circa 1000 volte ! La potenza erogata è dell'ordine di 250-300 MW (01tre 300.000 CV ! ) e l 'efficienza raggiunge il 45%.

103

I gas sembrano dunque favorire, al contrario del va­ pore, il conseguimento di buone efficienze senza la ne­ cessità di ricorrere a tecnologie dure, indispensabili quando si devono controllare pressioni elevate. Tuttavia essi sembrano piu 'riottosi' nei confronti del­ le grandi potenze : questo fatto non è da sottovalutare perché mostra quanto fosse impari, in un'epoca in cui era la potenza a guidare lo sviluppo delle tecnologie e­ nergetiche, la lotta per la sopravvivenza delle prime macchine ad aria calda, tipo la macchina inventata dal reverendo Robert Stirling.* Il riscaldamento eccessivo della superficie esterna dei cilindri, indispensabile per ottenere pressioni sufficienti a competere con il vapore, le rendeva ad esempio in po­ co tempo inutilizzabili (i fondi dei cilindri in contatto diretto con le fiamme e i fumi prodotti dalla combustio­ ne si rompevano ). Il XIX secolo rimase quindi l'epoca del vapore : i mo­ tori a combustione interna non decollarono che sul fi­ nire del secolo mentre le ricerche sulle macchine ad aria calda falliranno o resteranno marginali. Nel capitolo conclusivo di questo lavoro riprenderò l'argomento degli sviluppi delle tecnologie energetiche nell'Ottocento, analizzandoli da un punto di vista piu generale. 4.7. La riscoperta delle "Réflexions " da parte di Clapeyron Il lavoro di Carnot passò senza lasciare traccia negli ambienti scientifici.** Le idee delle Réflexions non rimasero però completa* Per ottenere buone potenze dal ciclo Stirling si può tuttavia, come nei modelli sperimentali oggi allo studio, riscaldare a volu­ me costante del gas compresso. Supponiamo ad esempio, abbastan· za realisticamente, che il fluido operi fra 273 oC e 819 oC, ovvero fra 546° e 1092 oK, e che la sua pressione prima del riscaldamento sia di 15 atm. In questo caso si ottiene una pressione massima di 30 atmosfere . •• Dulong, ad esempio, pubblicò nel 1829 un teorema in parte analogo a quello enunciato da Camot relativo al calorico di volume isotermo dei gas, ricavandolo è vero con un metodo completamente diverso ma dimenticandosi di citare il lavoro di Camot. Il fatto pa­ radossale è che, come si ricava dai verbali delle sedute dell'Acca­ demia delle Scienze, Dulong era presente quando le Réflexions ven­ nero presentate nel giugno 1824 agli accademici . Ed è accertato che il relatore menzionò i teoremi di fisica dei gas ricavati da Camot I

104

mente isolate : esse erano parte di una piu larga cor­ rente di pensiero che, malgrado fosse ancora minorita­ ria e priva di grandi appoggi accademici, non era per questo meno vitale. I portatori di tale concezione erano in genere ex poli­ tecnici ed ex sansimoniani che, negli anni compresi fra il 1825 ed il 1850, si applicarono con fervore quasi religio­ so allo sviluppo delle ferrovie e della navigazione a va­ pore, all'invenzione di macchine e motori di vario tipo, e all'insegnamento tecnico-scientifico. Alcuni tra i principali protagonisti di questo proces­ so conobbero ed apprezzarono le indicazioni contenute nelle Réflexions: oltre a Clapeyron si può ad esempio ci­ tare un altro pioniere delle ferrovie francesi, M. Séguin, ed anche F. Reech, direttore di ricerca sulle motrici ma­ rine nel porto di Lorient ed uno dei maggiori termodi­ namici francesi.n Un centro di diffusione delle idee di Carnot sarà il corso di Clément al Conservatorio delle Arti e Mestieri : diversi ex allievi di Clément applicarono praticamente le prescrizioni di Carnot sia cercando di costruire macchi­ ne ad aria calda che motori a combustione interna nei quali l'aria veniva compressa prima dell'accensione. Si è già accennato infine alla scuola mineraria di St. Etienne dove Clapeyron scopri una copia delle Réflexions ed imparò cosi ad apprezzare le idee di Carnot. Clapeyron era tornato in Francia nel 1 83 1 , dopo un lungo soggiorno a Pietroburgo dove aveva insegnato alla scuola dei lavori pubblici assieme ad altri ingegneri fran­ cesi. Durante tale soggiorno egli probabilmente venne a co­ noscenza del principio di funzionamento del diagramma indicatore, utilizzato dai tecnici britannici che installa­ vano in Russia le macchine a vapore di Watt. Il diagramma indicatore, inventato da Southern nel 1796, era un segreto gelosamente custodito dalla ditta di Watt.* Serviva per rilevare il ciclo reale delle macchine e di­ mensionarle cosi in funzione del lavoro da compiere, so­ prattutto quando il lavoro non era schematizzabile nel so­ lito peso sollevato ad una certa altezza. L'indicatore consi­ steva di un apparecchio applicato direttamente al pistone: un pennino registrava, in verticale, le pressioni con conti* Il primo libro che descrive il diagramma indicatore è il trat­ tato di J. Farey del 1827.

105

nnità mentre la tavoletta sulla quale era fissato il foglio si muoveva in sincronia con la corsa del pistone. La composi­ zione dei due moti forniva il ciclo reale: le ascisse del dia­ gramma essendo proporzionali alla lunghezza della corsa lo erano anche ai volumi, mentre le ordinate erano propor­ zionali alle pressioni. Il diagramma risultante rappresentava quindi il ciclo della macchina nel piano (V, P).28

Una delle principali innovazioni proposte da Clapey­ ron nel Mémoire sur la puissance motrice de la chaleur sarà la descrizione dei cicli di Carnot a gas ed a vapore mediante rappresentazioni grafiche nel piano (V, P) . Il metodo di Watt e Southern entrava cosi nella scienza, di­ ventando parte integrante dei successivi sviluppi della termodinamica. . Clapeyron non rifece però l'errore, compiuto da Car­ not nel caso della macchina a vapore idealizzata, di com­ pletare la liquefazione alla temperatura del corpo B : e­ gli propose infatti di chiudere anche il ciclo a vapore me­ diante una compressione adiabatica in modo da rispetta­ re rigorosamente le prescrizioni suggerite da Carnot per ottenere il massimo rendimento e la perfetta reversibi­ lità. Come si nota dalla fig. lO le due isoterme a b e c d sono rappresentate da tratti orizzontali: la pressione non diminuisce aumentando o diminuendo il volume a causa della produzione di nuovo vapore durante l'espansione a b e della condensazione durante la compressione c d. Il tratto curvilineo b c corrisponde alla espansione adia­ batica: la pressione in questo caso diminuisce perché il cilindro è isolato termicamente e non può di conseguen­ za venire prodotto nuovo vapore. Le linee tratteggiate corrispondono alla pratica reale della macchina a vapore : in una macchina perfetta però l'espansione deve essere condotta finché il vapore non si è raffreddato sino a raggiungere la temperatura del cor­ po B. Solo a questo punto inizia la compressione isoter­ ma c d: il vapore si condensa e cede il proprio calore di condensazione alla sorgente fredda B. Clapeyron suppose, coerentemente con la teoria del calorico, che il contatto con il corpo B si interrompeva quando tutto il calorico assorbito da A era stato comu­ nicato a B. H ciclo si conclude infine mediante la compressione adiabatica d a del miscuglio acqua-vapore che riporta il fluido nelle condizioni di partenza (cfr. fig. lO). 106

Anche il ciclo della macchina a gas di Carnot è facil­ mente rappresentabile nel piano (V, P). Le isoterme a b e c d sono date da segmenti curvili­ nei di iperboli equilatere, coerentemente con la legge di Boyle. p

c

v p

a

� d

c

v

Fig. 10. La rappresentazione grafica di Clapeyron dei cicli di Camot a vapore ed a gas.

Le adiabatiche b c e d a sono rappresentate da curve piu pendenti perché in questo caso l'espansione non è piu sostenuta dalla 'iniezione' di calore dall'esterno e, vice­ versa, il calore prodotto dalla compressione non è piu 'scaricabile' all'esterno. Nella memoria del 1834 Clapeyron non si limitò a pro­ porre la forma moderna dei cicli di Carnot, ma compi 107

un'opera di vera e propria traduzione matematica delle Réflexions. Poiché risulterebbe troppo lungo entrare nei dettagli di tale lavoro di matematizzazione mi limiterò a riassumere un tipico ragionamento. Uno degli strumenti d'indagine utilizzato da Clapey­ ron era ad esempio un ciclo reversibile in cui il gas ope· rava fra due sorgenti a temperature t" e ( t-dt )o. Poiché il ciclo è infinitesimo le sue isoterme ed adia­ batiche si possono considerare, a meno di termini di or­ dine superiore, segmenti rettilinei : il ciclo si riduce cosi al parallelogramma a b c d (cfr. fig. Il). p

a

e

t

9

h

v

11. Ciclo infinitesimo a gas. (Fonte: E. CLAPEYRON, Mé­ moire sur la puissance motrice de la chaleur, s.1. 1834.)

Fig.

Si può facilmente dimostrare che il lavoro prodotto da un qualsiasi ciclo chiuso è proporzionale all'area rac­ chiusa dal suo diagramma nel ,piano (V, P) . Nel nostro caso il lavoro è dato quindi, assumendo opportune unità di misura, dall'area del parallelogram­ ma a b c d, che vale eg . bn = dv . dp. Se dQ rappresenta il calore assorbito durante l'espan­ sione isoterma a b, si può esprimere l'efficienza del ciclo

108

con un'espressione del tipo dt dv . dp - -C dQ dove C è una funzione incognita il cui inverso l/C equi­ vale al lavoro prodotto dal passaggio di una unità di ca­ lore tra due sorgenti a temperature t" e (t-1)0 Questo lavoro, per il principio di Camot, è indipen­ dente dal particolare fluido impiegato e dipende solo dal­ le temperature delle sorgenti. Poiché nel ciclo a b c d in questione tali temperature differiscono solo di una quantità infinitesima d t segue che l/C è una funzione universale che dipende solo dalla temperatura t. Anche il suo inverso C, chiamato funzio­ ne di Carnot, dipenderà solo dalla temperatura t: nel 1850 il fisico tedesco Rudolf Clausius identificherà C con 273 + �, cioè con la temperatura assoluta!' L'efficienza del ciclo infinitesimo di Camot risulta co­ si proporzionale al salto termico ed inversamente pro­ porzionale alla temperatura assoluta della sorgente cal­ da: come si vedrà nei prossimi capitoli questo risultato vale anche nel caso di salti termici finiti, è cioè del tutto generale.

Note 1 Détermination expérimentate du Zéro absolu de la chateur et du calorique spécifique des gaz; par MM. Desormes et CUment, ma· nufacturiers, " Joumal de Physique" , 89 (1819), p. 322. 2 S. G. BRUSH, The Kind of Motion we Cali Heat, North Holland,

Amsterdam. . . 1976, p. 551 . L'idea era che la Terra fosse inizialmen­ te una sfera incandescente che andava continuamente raffreddandosi. 3 J. B. FoURIER, Théorie analitique de la chateur, Parigi 1822, p . XVI . 4 W . H . G . ARMYTAGE, The Rise o f the Technocrats. A Social History, London-Toronto 1969, pp . 68-75. A. Comte, il fondatore del positivismo, nel 1825 scrisse ad esempio che la classe degli ingegne­ ri costituiva l'agente diretto e necessario dell'unione tra scienziati ed industriali, unione senza la quale non poteva iniziare il nuovo sistema sociale da lui preconizzato. 5 G. ISRAEL - P. NEGRINI, La rivoluzione francese e la scienza, par­ te I l , " Scientia", 108 (1973), p. 368. 6 Cfr. il saggio di R. TATON in : AA.VV., Sadi Carnot et l'essor de la thermodynamique CNRS, Paris 1976, p . 35. 7 Cfr. ad esempio il saggio di J. HERIVEL contenuto nell'opera citata in nota 6, pp. 81-92 .

109

• Molto probabilmente quindi Carnot non mori di colera come cfr. il saggio di A. BIREMBAUT nel­ l'opera citata in nota 6, pp. 53-80. 9 Cfr. il saggio su Clapeyron, sempre nell'opera cito in nota 6, p. 191. IO G. A. HIRN, Exposition analytique et expérimentale de la théo­ rie mécanique de la chaleur, Parigi 1875, voI. I, pp. 54-76. Il S. CARNOT, Réflexions sur la puissance motrice du feu, Blan­ chard, Paris 1953, pp. 12 e 16. 12 Ibidem, p. 22. Il P. W. BRlDGMAN, The Nature of Thermodynamics, Harper Tor­ chbooks, New York 1961, p. 122. 14 Le ricerche sulle celle H ,/O, sono parte dei programmi di sfruttamento dell'energia solare. Si pensa infatti di produrre l'idro­ geno decomponendo l'acqua mediante l'energia dei raggi solari (o per elettrolisi grazie ad una conversione diretta dell'energia della radiazione in energia elettrica o mediante opportuni cicli termochi­ mici in cui l'energia solare serve per realizzare le temperature di attivazione delle reazioni di decomposizione). Nella cella H,/O, l'i­ drogeno poi si ricombina con l'ossigeno producendo energia elet­ trica ed acqua. Anche le celle a carbone ed ossigeno sembrano piut­ tosto interessanti : l'anidride carbonica e l'anidride solforosa prodot­ te dalla reazione con l'ossigeno tuttavia permarrebbero. Cfr.: Salar Energy, a cura di H. MEssm. - S. T. BUTLER, Pergamon Press, Oxford 1975, pp. 185-203; G. B. ZORZOU, Vivere con il sole, Bompiani, Mila­ no 1978, pp. 81-3 . 15 D. S . L. CARDWBIL, Power Technologies and the Advance of Science, 1700-1825, "Techn. and Culture", 6 (1965), p. 188. 16 S . CARNOT, op. cit., nota li, p . 28. 17 I dubbi di Carnot sulla generalizzabiIità dell'analogia idrauli­ ca a livello quantitativo vengono espressi già a pp. 28-29 delle Ré­ flexions. Il discorso verrà poi ripreso a pp. 69-73 ed in una lunga nota a piè delle pagine 73-79, nota in cui Camot cercò di determina­ re l'espressione algebrica del lavoro prodotto da una macchina per­ fetta in funzione delle temperature delle sorgenti. A dimostrazione della distanza che separa la teoria di Carnot dalla termodinamica si può notare che il risultato corretto enun­ ciato nel testo era contraddetto quando si ammetteva la costanza dei calori specifici dei gas alle diverse pressioni e densità (e alle di­ verse temperature). In questo caso l'analogia idraulica era rivalutata perché si ot­ teneva che la potenza motrice aumentava in modo direttamente pro­ porzionale con la temperatura (in OC) della sorgente calda, mentre la sorgente fredda era considerata ad una temperatura fissa di ri­ ferimento (O OC). Estrapolando per assurdo questo risultato verso temperature sempre piu alte si otterrebbe cosi che secondo Carnot non era del tutto inconcepibile che un'unità di calore potesse produrre potenze motrici illimitate! 1. S. TURTON, Macroscopic Thermodynamics, Wiley, London 1974, p. 132. 19 S. CARNOT, op. cit., nota li, pp. 32-4. 20 E. ClAPEYRON, Mémoire sur la puissance motrice de la chaleur, " Journal de l'ecole Polytechnique", 14 (1834), pp. 153-191 : cfr. in parto pp. 157-8; Opere di Kelvin, a cura di E. BEllONE, UTET, To­ rino 1971, pp. 145-6; cfr. infine il saggio di M. J. KI.E:rN, contenuto nell 'op . cit., in nota 6, p. 213 .

è detto nelle diverse biografie :

18

1 10

21 S. CARNOT. Op. cit .• nota 1 1 . p. 38. Carnot nota subito dopo come vada evidentemente inteso che "ciascuno dei metodi impiega­ ti per sviluppare la potenza motrice raggiunga la massima perfezio­ ne possibile " . 22 Ibidem. p. 89. 2J Mi riferisco alle relazioni matematiche contenute nella nota a piè delle pp. 73-79 delle Réflexions (si veda anche la nota 17); cfr. inoltre C. TRUESDELL - S. BHARATHA. The Concepts and Logic of Clas­ sica/ Thermodynamics as a Theory of Heat Engines. Springer-Verlag. New York ecc. 1977. pp. 86-87. In questo libro è dimostrata la ri­ gorosa non equivalenza del principio di Camot e del Il principio della termodinamica. Non è quindi corretto affermare. come spesso si fa. che " Camot scopri la Il legge della termodinamica senza co­ noscere la l legge ". 24 P. LERVIG. On the Structure of Carnot's Theory of Heat. "Ar­ chives for Hist. of Exact Sciences ". 9 ( 1972). p. 222 ; cfr. anche dello stesso autore il saggio contenuto nell·op . cito in nota 6. p. 199. 2S S . CARNOT. op. cit .• nota 11. pp. 39-42. 26 Ibidem. pp. 89-1 18. TI P. REooNDI. Sadi Carnot et la recherche technologique en Fran­ ce de 1825 à 1850. "Revue d·Hist. des Sciences." 29 (1976). p. 243. 28 Per maggiori informazioni sulla scoperta del diagramma indi­ catore cfr. : R. L. HIU.5 - A. J. PACEY. The Measurement of Power in Early Steam - driven Texile Milis. "Tecbn. and Culture ". 13 (1972). p. 25; A. BARACCA - R. RIGATrI. Aspetti dell'interazione fra scienza e tecnica durante la rivoluzione industriale. Parte Il. "Il Giornale di Fisica". 16 (1974). p . 206. 29 R. CLAUSIUS. On the Moving Force of Heat . . .• Parte Il. "Phi­ losophical Magazine". S. 4. 2 (1851). pp. 104-6.

111

CAPITOLO QUINTO

Verso una nuova scienza del calore

Camot aveva una concezione unitaria dei rapporti fra scienza e tecnologia: nella sua 'tennodinamica' non esi­ steva alcuna frattura tra aspetto razionale-conoscitivo ed aspetto tecnico-applicativo. Questa frattura, a sua volta parte di un processo piu generale che porterà alla separazione tra fisica ed inge­ gneria, fra scienza teorica e sperimentale, iniziò a pro­ filarsi poco dopo la fondazione della tennodinamica e verrà poi codificata dalla meccanica statistica e dalle posizioni apertamente fenomenologiche della 'scuola e­ nergetica'. Negli anni cruciali che prepararono la nascita della scienza dell'energia, e cioè fra il 1825 ed il 1850, il pa­ norama è viceversa ancora abbastanza unitario. Alla na­ scita della tennodinamica contribuirono ricerche in cam­ p i estremamente differenziati, mescolate a volte a con­ cezioni di carattere 'metafisico' : anche se non si trattò di un evento interdisciplinare vi fu comunque un'effetti­ va multidisciplinarità. In questo capitolo verranno passate brevemente in rassegna le ricerche e le idee che saranno protagoniste di tale processo di transizione. Piu propriamente si trat­ tò anzi di una rivoluzione scientifica : i canoni e l'orto­ dossia newtoniana-Iaplaceana vennero infatti radical­ mente posti in discussione dalla nuova prassi scientifica che si affennò nel secondo quarto dell'Ottocento, anche se molto spesso in nome della tradizione, rivendicando cioè la continuità con l'opera newtoniana. 112

5.1. Calore e lavoro : il punto di vista dei

tecnici

Il primo princIpIO della termodinamica sancisce la equivalenza fra calore e lavoro: calore e lavoro non so­ no che forme di esistenza di una grandezza fisica piu ge­ nerale, chiamata energia. Equivalenza significa possibilità di mutua conversio­ ne: del lavoro può essere prodotto mediante il 'consu­ mo' di calore, e viceversa. Il rapporto di conversione non è arbitrario: esiste un preciso fattore, dipendente dalle unità di misura scelte, che permette di effettuare il bi­ lancio energetico dei vari flussi di energia termica e mec­ canica.* Se si ha reciproca conversione fra calore e lavoro meccanico l'espressione 'quantità di calore in un corpo' perde largamente di significato: tale quantità è infatti modificabile mediante 'flussi di lavoro'. Non ha piu sen­ so inoltre parlare di 'conservazione del calore'. L'idea del calore quale 'forma di energia' rappresentò cosi la fase conclusiva della parabola del calorico. Appare di conseguenza piuttosto strano leggere nelle pagine di un convinto sostenitore dell'assioma della con­ servazione del calore, qual era Clapeyron, la seguente formulazione dell'idea di equivalenza: ...una quantità di azione meccanica ed una quantità di ca­ lore che può passare da un corpo caldo ad un corpo fred­ do sono grandezze della stessa natura ed è possibile sosti­ tuirle l'una con l'altra; lo stesso accade in meccanica, dove un corpo in grado di cadere da una certa altezza ed una massa che si muove con una certa velocità sono quantità dello stesso ordine, trasformabili vicendevolmente... '

Per Clapeyron sembra quindi non esserci contraddi­ zione fra la conservazione della quantità di fluido calo• Per passare dalle unità tenniche a quelle meccaniche ad esempio scrivere:

(

quantità di energia

)

unita' meccaniche

=

(

qUantità di energia

)

unita' termiche

·

(

si

deve

fattore di conversione

)

Se si usa il kgm quale unità di misura del lavoro e la kcal quale unità di misura del calore, il fattore di conversione (che si chiama 'equivalente meccanico della kcal') vale J 426,7 kgmjkcal. In altri tennini convertendo in calore (per frizione, ad esempio) una

=

quantità di lavoro pari all'innalzamento di 426,7 kg all'altezza di un metro e comunicando questo calore ad un kg di acqua si produce un aumento di temperatura di 1 -C.

113

rico e l'equivalenza-trasformazione di 'azione meccani­ ca' e 'calore'! Il fatto non era tuttavia cosi singolare: analoghe con­ siderazioni erano da tempo state sviluppate da altri scienziati-tecnologi che ragionavano entro lo schema del calorico. Nel 1805 W. H. Wollaston sottolineò ad esempio che in una macchina a vapore, indipendentemente dal ritmo di funzionamento, doveva esistere un preciso rapporto fra la quantità di lavoro prodotto e la quantità di car­ bone consumata. Lo scienziato britannico andava cosi contro corrente, violando il senso comune e la 'sana' empiria dei tecnici: ogni motore reale è infatti caratterizzato da una curva di rendimento in funzione della velocità e/o del carico, curva che possiede un ben definito massimo per un preciso valo­ re di tale velocità (e/o carico) . La resa di una macchina a vapore dipendeva dunque dal ritmo di funzionamento, come verrà fatto notare a Wollaston da molti ingegneri. Nel dibattito intervenne, in difesa di Wollaston, anche un autorevole collaboratore di Watt e di Dalton, Peter Ewart. Ewart distinse la resa os­ servata praticamente dal caso ideale, in cui non esisteva­ no imperfezioni di sorta. In una macchina a vapore ideale secondo Ewart alla totalità del calore prodotto doveva ne­ cessariamente corrispondere una quantità massima di la­ voro meccanico, indipendentemente dal ritmo di funziona­ mento della macchina stessa.'

Nel caso di Wollaston e di Peter Ewart siamo quindi in presenza dell'idea qualitativa di equivalenza tra calo­ re e lavoro, derivata per astrazione dall'osservazione del funzionamento delle macchine a vapore reali. Anche Car­ not pensava alle macchine termiche come a dispositivi di trasformazione energetica. Nelle Réflexions, opera fondata sulla teoria del calo­ rico, è addirittura contenuta una grossolana stima del­ l'equivalente meccanico, o piu esattamente della "poten­ za motrice di 1 kg di carbone".l Che una sorta di teoria semiquantitativa dell'equiva­ lenza potesse germogliare nell'angusto giardino del calo­ rico è, per altri versi, indicato dalla singolare proposta fatta nel 1 8 1 1 da J. N. P. Hachette, stimato professore dell'�cole Polytechnique. Egli propose infatti di misura­ re tutti i fenomeni naturali mediante la nuova unità di­ namica, il kgm!4 1 14

Questa proposta non esprimeva alcuna nuova conce­ zione del calore quanto piuttosto il desiderio di fare del­ la meccanica energetica, fondata sul concetto di lavoro, la scienza guida. Essa rimane comunque significativa: Mayer, Joule e lo stesso Camot quando calcolarono l'equivalente mec­ canico del calore non fecero che tradurre in pratica la proposta di Hachette. Alcuni tecnici arrivarono inoltre a concepire le mac­ chine a vapore come effettivi apparecchi di conversione di calore in lavoro, non sulla base di precise misure spe­ rimentali ma di intuizioni e convinzioni a priori in sin­ tonia con la filosofia romantica. L'ingegnere danese Ludwig Colding, da buon allievo di Oersted, dedusse ad esempio l'idea della conversione calore-lavoro dalla piu generale concezione filosofica del­ l 'unità delle 'forze' della natura, tipica della Naturphi­ losophie. Secondo Colding le forze naturali erano spirituali ed immateriali, e di conseguenza anche immortali e indi­ struttibili o, piu prosaicamente e modernamente, conser­ vative.' Anche l'ingegnere francese Marc Séguin che tra il 1826 ed il 1832, in società con il fisico Biot, costru! la prima linea ferroviaria francese, la St. Etienne-Lione, sarà in­ fluenzato dalla dottrina dell'identità delle forze. A suo giudizio "fra il calorico ed il movimento esiste­ va un'identità di natura, i due fenomeni non erano cioè che la manifestazione, in forma diversa, di un'unica cau­ sa"! Nel Traité sur l'Influence des Chemins de Fer pubbli­ cato da Séguin nel 1839 si legge per altro una chiara for­ mulazione qualitativa del principio di equivalenza e di conversione del calore e del lavoro: mi sembra piu naturale il supporre che una certa quanti­ tà di calorico svanisca nell'atto stesso della produzione del­ la forza o potenza meccanica, e reciprocamente: e che i due fenomeni siano collegati fra loro da condizioni che danno ad essi relazioni invariabili!

La cosa interessante è che in Séguin il dinamismo fi­ sico è strettamente collegato al dinamismo tecnologico che caratterizzava l'epoca delle ferrovie : 115

Il sistema generale delle macchine che hanno il vapore per principio di movimento, e per conseguenza delle mac­ chine locomotive - scrisse Séguin nel primo capitolo del Traité è sul punto di subire una rivoluzione. Ogni gior­ no le basi sulle quali si edifica il nuovo sistema vengono meglio studiate ed acquistano maggior consistenza. -

Sembra dunque che, nel caso di molti tecnici e scien­ ziati francesi, lo spirito romantico si sia fuso con i pro­ getti utopistici del movimento sansimoniano e, succes­ sivamente, con i principi della filosofia 'positiva' di Comte. Ciò fu accompagnato da una forte reazione, in campo strettamente scientifico, nei confronti della metodologia laplaceana. Il problema non era piu quello di fornire un modello in termini corpuscolari da cui dedurre le leggi governanti i fenomeni quanto piuttosto quello di descri­ vere la dinamica delle forze naturali e di ricercarne le correlazioni reciproche. Questa reazione coinvolse ovvia­ mente anche una delle principali creature 'inosservabi­ li' della fisica laplaceana, e cioè il calorico. Dopo il 1830 ben pochi scienziati francesi si dichiararono apertamen­ te a favore del calorico ed utilizzarono i modelli elabo­ rati da Laplace quale base delle loro ricerche. Il calorico quindi sopravvisse sino alla metà del seco­ lo essenzialmente per forza d'inerzia e per la mancanza di un'alternativa di carattere generale.' 5.2. La teoria ondulatoria del calore La crisi del calorico, rafforzata dal progressivo disin­ teresse dei chimici a causa degli sviluppi della teoria elet­ trochimica e della teoria atomica,* non fu tuttavia priva in assoluto di alternative. Molti scienziati fra il 1830 ed il 1850 sostituirono in­ fatti la teoria materiale del calore con una concezione * La teoria elettrochimica di Berzelius attribuiva ad esempio il calore di combustione all'elettricità, e cosi poneva in forse uno dei principali successi dell'ipotesi materiale" La teoria atomica, dal canto suo, e la legge delle proporzioni definite e costanti andavano direttamente contro la chimica insegnata da Berthollet, che riteneva che gli elementi si combinassero fra loro secondo proporzioni va­ riabili (in peso). Indirettamente contribui quindi a screditare la scienza laplaceana e la stessa teoria del calorico.

116

ondulatoria dei fenomeni termici, e cioè con un'ipotesi di carattere dinamico. '· La teoria ondulatoria del calore si diffuse in conse­ guenza del trionfo riportato fra il 1815 ed il 1825 dalla spiegazione della luce in termini ondulatori sulla spiega­ zione alternativa, di derivazione newtoniana, che consi­ derava la luce costituita da piccoli corpuscoli emessi dai corpi luminosi e propaganti si rettilineamente. Anche in questo caso si trattò di una cocente sconfit­ ta per la scienza laplaceana: Laplace, infatti, non solo era un deciso sostenitore della teoria corpuscolare della luce ma l'aveva anche sviluppata originalmente, appli­ candola al fenomeno della rifrazione nei cristalli. La teoria ondulatoria della luce era, dal canto suo, stata sviluppata in Inghilterra da T. Young e verrà ri­ proposta nel 18 15-16 da A. Fresnel in Francia, che riusci a fornire la corretta spiegazione dei fenomeni di diffra­ zione in termini di interferenza delle onde secondarie e­ messe da quella parte del fronte d'onda originario non 'bloccata' dallo schermo.ll Fresnel verrà sostenuto, nella battaglia contro Lapla­ ce ed il suo entourage, da un gruppo di giovani scienzia­ ti di notevole prestigio ( Petit, Arago, Ampère) . Nel 1818 l'Accademia delle Scienze propose una competizione sul­ la diffrazione della luce che verrà vinta dalla memoria presentata da Fresnel grazie ad ... una obiezione di Pois­ son, grazie cioè ad uno dei piu convinti assertori della teoria corpuscolare! Poisson faceva parte della commissione esaminatrice e fece scetticamente notare che, secondo la teoria di Fre­ snel, al centro dell'ombra prodotta da un piccolo disco circolare su uno schermo perpendicolare ai raggi lumi­ nosi si sarebbe dovuto osservare un puntino luminoso. Fu effettuato un esperimento ad hoc e il puntino lumi­ noso apparve proprio dove previsto dai calcoli di Pois­ son ! Un ulteriore successo della teoria di Fresnel sarà la spiegazione in termini ondulatori del fenomeno della po­ larizzazione della luce.* CosI dopo il 1825 tutti gli scienziati abbandonarono • A tale scopo Fresnel suppose che le onde luminose non fos· sero longitudinali, come le onde sonore nell'aria, ma trasversali : per trasmettere onde trasversali l 'etere doveva però essere rigido, proprietà tipica dei solidi !

117

la concezione corpuscolare della luce ed accettarono la teoria ondulatoria. Ciò ebbe notevoli conseguenze sulla teoria del calore, e in particolare influenzò le ricerche sul calore radiante. Nel 1800 W. Herschel aveva mostrato che non solo i raggi solari trasmettono calore ma che l'effetto termi­ co sembrava piu marcato per la luce dell'estremo rosso che per quella dell'estremo violetto. Vi erano, anzi, dei raggi invisibili oltre l'estremità rossa dello spettro lu­ minoso che trasmettevano calore e che apparentemente venivano riflessi e rifratti come la luce ordinaria.ll Queste ricerche sul calore radiante vennero riprese e sviluppate negli anni '30 da Macedonio Melloni, median­ te accurati esperimenti resi possibili dal 'termomoltipli­ catore' inventato da un altro scienziato italiano, Leopol­ do Nobili. Il termomoltiplicatore sfruttava un effetto scoperto dal tedesco T. J. Seebeck nel 1822: collegando le due estremità di una sbarretta di bismuto ad un filo di rame e scaldando una delle giunzioni si otteneva una piccola corrente elettri­ ca nel circuito. La corrente aumentava, anche se non in mo­ do esattamente proporzionale, con la differenza di tempe­ ratura fra le due giunzioni. Tarata opportunamente, la pila termoelettrica può dunque servire da termometro ed è, a tale scopo, usata ancor oggi in molte applicazioni industria­ li. Per misurare l'effetto termico delle radiazioni (visibili e non) era quindi sufficiente, dopo aver tarato il termomolti­ plicatore, focalizzare i raggi contro una giunzione bimetal­ lica racchiusa in un bulbo di vetro opportunamente anne­ rito. Per 'moltiplicare' la corrente elettrica prodotta, cosi da poter osservare gli effetti di radiazioni di piccola po­ tenza, bastava per altro disporre in serie tante giunzioni identiche.

M. Melloni con il termomoltiplicatore non si limitò a confermare le precedenti osservazioni di Herschel ma scopri nuovi fenomeni, quali la polarizzazione e l'inter­ ferenza del calore radiante, che sembravano confermare l'idea dell'identità dei raggi calorifici e dei raggi lumi­ nosi. Questa idea verrà fatta propria dallo stesso Melloni solo negli anni '40 ma, contemporaneamente, iniziò a dif­ fondersi una piu generale concezione ondulatoria dei fe­ nomeni termici. In alcuni scienziati questa concezione coesistette con quella materiale, mentre altri la conside­ rarono esplicitamente alternativa ed antagonista del ca118

lorico. Il 'manifesto' della teoria ondulatoria del calore, malgrado le cautele metodologiche ivi contenute, è co­ stituito da una famosa memoria di Ampère intitolata No­ te sul calore e sulla luce considerati quali risultati di movimenti vibratori." Lo scienziato francese attribuisce il fenomeno del suo­ no alle vibrazioni molecolari, mentre la luce ed il calore sono causati dalle vibrazioni atomiche e dalla loro pro­ pagazione nell'etere ( un unico etere) . Ampère, quasi di sfuggita, contesta uno dei cardini del calorico di La­ pIace : nella misura in cui si ammette che i fenomeni del calore sono prodotti da vibrazioni - scrive il nostro autore - ri­ sulta contraddittorio attribuire al calore la forza repulsiva necessaria agli atomi per vibrare."

Lo scienziato francese affronta poi il problema della diversità fra i due principali tipi di propagazione del ca­ lore : quella nello spazio vuoto che avviene per onde e quella nella materia ( che avviene per contatto ) descritta dalle leggi della conduzione termica di Fourier. La contraddizione è risolta da Ampère facendo ricor­ so ad un modello della struttura atomica costituito da diapason all'unisono vibranti in un fluido di densità infe­ riore (l'etere ) ( come si nota malgrado la reazione feno­ menologica si ricorre ancora a modelli, fondati però su analogie macroscopiche e non su ipotetiche forze a di­ stanza fra i corpuscoli) . Il linguaggio è quello della meccanica energetica: i diapason possiedono sia una forza viva "esplicita" ( ener­ gia cinetica) che " implicita" ( energia potenziale). Ampè­ re inoltre postula il principio di conservazione della for­ za viva totale ( principio di conservazione dell'energia meccanica). Se i diapason vibrassero nel vuoto continuerebbero indefinitamente a vibrare con identica forza viva. Se vi­ ceversa sono posti in un fluido e solo una parte di essi vibra all'inizio, in poco tempo anche gli altri diapason verrebbero posti in vibrazione grazie al trasferimento di energia permesso dal fluido (onde materiali). Ampère sostenne che il flusso di energia fra il primo gruppo di diapason, inizialmente in vibrazione, e il se­ condo gruppo di diapason, inizialmente fermi, era pro­ porzionale alla differenza delle rispettive forze vive. 119

Nella teoria di Fourier della conduzione termica il flusso di calore è proporzionale alla differenza di tempe­ ratura. Se quindi si ammette, in sintonia con la teoria cinetica, che il calore è equivalente all'energia trasmes­ sa dai diapason e che le temperature delle due regioni fra cui si ha la conduzione di calore sono proporzionali alle forze vive dei due gruppi di diapason, otteniamo una perfetta descrizione della legge di Fourier in termi­ ni ondulatori!*

5.3. La "correlazione delle forze fisiche" La teoria ondulatoria del calore costitui cosi una sor­ ta di ponte fra la teoria del calorico e la teoria dinamica del calore, tanto da influenzare direttamente alcuni de­ gli scopritori del principio di conservazione dell'energia. Era comunque l'intero quadro delle scienze fisiche ad es­ sere in movimento, e ciò contribuiva a modificare le stes­ se concezioni epistemologiche e filosofiche. Il dinamismo fisico della filosofia tedesca della natu­ ra e la predilezione accordata dal positivismo alle ricer­ che sperimentali erano cioè in buona misura una conse­ guenza dei cambiamenti intervenuti, o che stavano inter­ venendo, nella pratica scientifica. Basta ricordare il grande impulso dato alle ricerche elettriche di carattere sperimentale dalla pila di Volta, ricerche che per altro misero in evidenza una notevolis­ sima messe di correlazioni insospettate fra i fenomeni. In pochi decenni si scoprirono legami diretti ed indi­ retti fra fenomeni chimici, termici e luminosi ed i feno­ meni elettrici. La filosofia della natura ebbe a sua volta un ruolo autonomo ed originale in alcune di queste ricerche. L'esempio piu conosciuto e significativo è la scoperta dell'elettromagnetismo da parte di Oersted ( 1820) , sco­ perta in cui le convinzioni a priori sull'identità delle for­ ze naturali giocarono un ruolo decisivo. L'ago magnetico era deviato in direzione perpendicolare a quella del filo dove passava la corrente elettrica, e ciò pareva indicare che lo spazio attorno al conduttore fosse soggetto a mo­ dificazioni non certo riconducibili al meccanismo della * Nella memoria di Ampè re questo passaggio conclusivo non però esplicitato.

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è

azione a distanza della tradizione newtoniana-coulom­ biana. Ampère per la verità riusci a reinterpretare la scoper­ ta di Oersted in termini di azione a distanza, al prezzo però di introdurre una ipotesi sul magnetismo che veni­ va concepito come risultato di minuscole correnti elettri­ che coerenti circolanti in ipotetiche spire microscopiche. Faraday scopri a sua volta poco tempo dopo che il mo­ to di un magnete induceva una corrente elettrica in una spira metallica posta nelle vicinanze e reinterpretò l'i­ potesi di Ampère nell'ottica del dinamismo fisico di Oer­ sted!15 La scoperta dell'elettromagnetismo non era quindi facilmente riducibile al meccanismo dell'azione a di­ stanza, favoriva l'emergere di concezioni alternative (la teoria del campo) e finiva con l'innestarsi nel filone ro­ mantico della mutua convertibilità delle forze. Le suc­ cessive ricerche di elettrochimica non fecero che raf­ forzare in Faraday l'idea della connessione esistente fra i diversi fenomeni naturali : nel 1 834 concluse ad esempio una serie di conferenze illustrando sperimen­ talmente nove casi di relazioni fra " affinità chimica, e­ lettricità, calore, magnetismo ed altre potenze della ma­ teria", in cui ogni " potenza" o forza naturale era pro­ dotta a partire da un'altra, ovvero esse venivano con­ vertite l'una nell'altra.16 Siamo tuttavia ancora lontani dal prinCIpIO di con­ servazione dell'energia e dal suo nucleo quantitativo, rappresentato dalla legge d'equivalenza e dalla misura del fattore di conversione J. Sarà d'altra parte inne­ standosi su questo filone che inizieranno le ricerche di Joule sui diversi fenomeni di conversione che condur­ ranno alla prima accurata determinazione sperimenta­ le dell'equivalente meccanico del calore. L'idea qualitativa della reciproca conversione dei fe­ nomeni naturali può rivelarsi ancor oggi molto utile per favorire un corretto approccio didattico allo studio del­ l'energia. Molti dei fenomeni di conversione scoperti nel­ la prima metà dell'Ottocento possono infatti essere fa­ cilmente ripresi sperimentalmente in ogni laboratorio scolastico ed analizzati da un punto di vista semiquan­ titativo. La stessa semplice osservazione e descrizione verbale delle operazioni che rivelano l'esistenza di con­ nessioni-correlazioni fra le varie forme di energia è uti121

le per cominciare ad afferrare la generalità del concetto di energia. Per comprendere la tortuosa genesi dell'e­ nergia ovviamente non è sufficiente riprodurre gli espe­ rimenti piu significativi : andrebbe anche ricostruito il clima intellettuale che sollecitò queste scoperte e l'ese­ cuzione degli esperimenti dovrebbe essere accompagna­ ta dalla lettura delle memorie originali. 5.4. Sadi Carnot : un precursore della scoperta della conservazione dell'energia

Compiamo ora un piccolo passo indietro, ritornando a Carnot ed alla sua opera. Sadi Carnot mori nel 1832 all'età di trentasei anni in una clinica per malattie men­ tali proprio nel periodo in cui a Parigi imperversava una epidemia di colera ( da qui la pietosa bugia della morte per colera). Nel 1878, ben quarantasei anni dopo, il fra­ tello consegnerà all'Accademia delle Scienze oltre al ma­ noscritto delle Réflexions anche ventotto foglietti, sicu­ ramente redatti fra il 1824 ed il 1832, trovati fra le carte di Sadi Carnot dopo la sua morte. Questi foglietti sono di eccezionale interesse per la storia della scienza, in quanto dimostrano come Carnot avesse ormai abbandonato la teoria del calorico e fosse alla ricerca di una concezione alternativa. La loro lettu­ ra mostra inoltre come il giovane scienziato francese fos­ se praticamente arrivato al principio di equivalenza di calore e lavoro, senza però possedere una coerente con­ cezione della struttura della materia. Le " note manoscritte" sono redatte in un linguaggio estremamente chiaro e sintetico: vale quindi la pena di riportare integralmente alcuni dei passaggi piu signifi­ cativi per illustrare la problematica di Carnot ed il tipo di conclusioni cui era giuntoP 1. Quando un'ipotesi non è piu sufficiente per la spie­ gazione dei fenomeni deve essere abbandonata. t:. il caso in cui si trova l'ipotesi secondo la quale si considera il calo­ rico come una materia, come un fluido sottile. (p. 127) 2. II calore non è altro che potenza motrice, o meglio, che movimento che ha cambiato forma, è un movimento. Dovunque c'è distruzione di potenza motrice nelle parti­ celle dei corpi c'è contemporaneamente produzione di calo­ re in quantità esattamente proporzionale alla potenza mo­ trice distrutta; e reciprocamente dovunque si ha distruzio122

ne di calore c'è produzione di potenza motrice. Si può dun­ que enunciare quale tesi generale che la potenza motrice è in quantità invariabile nella natura... (p. 134) 3. Questo principio (enunciato sopra, N.d.T.) si deduce esclusivamente dalla teoria meccanica; non può infatti mai esserci perdita di forza viva... se i corpi agiscono gli uni sugli altri senza toccarsi immediatamente, senza un vero e proprio urto; d'altra parte tutto ci conduce a ritenere che le molecole dei corpi siano fra loro sempre a qualche di­ stanza, che non si tocchino cioè direttamente; ... (p. 135) 4. Secondo alcune idee che mi sono formato sulla teoria del calore, la produzione di una unità di potenza motrice richiede la distruzione di 2,70 unità di calore. (p. 135)* 5. Oggi si considera generalmente la luce come il risul­ tato di un movimento di vibrazione del fluido etereo. La luce produce del calore o quantomeno accompagna il calo­ re radiante e si muove con la sua stessa velocità. Il calore radiante è dunque un movimento di vibrazione; sarebbe ri­ dicolo supporre che è un'emissione dei corpi mentre la lu­ ce che l'accompagna non sarebbe che un movimento. (p. 129) 6. Un movimento (quello del calore radiante) potrebbe produrre un corpo (il calorico ) ? Senza dubbio no, esso non può produrre che un movimento. Il calore è dunque il ri­ sultato di un movimento. Allora è evidente che esso possa prodursi mediante il consumo di potenza motrice e che (vi­ ceversa) possa produrre questa potenza... Ma sarebbe dif­ ficile spiegare perché, nello sviluppo della potenza motrice del calore, è necessario un corpo freddo, perché non si può produrre del movimento semplicemente consumando il ca­ lore di un corpo riscaldato. (p. 130) 7. Se il calore è dovuto al movimento vibratorio come spiegare il passaggio dallo stato solido o liquido allo stato gassoso? Come spiegare il calore prodotto dalla compres­ sione dei gas ? (p. 131) 8. Quando si produce della potenza motrice mediante il passaggio di calore dal corpo A al corpo B, la quantità di calore che arriva a B (se non è uguale alla quantità che è stata assorbita da A, se cioè una parte è stata realmen­ te consumata per produrre potenza motrice) è indipendente dal corpo impiegato per realizzare la potenza motrice? Ci sarebbe la possibilità di consumare una maggiore quantità di calore per la produzione di potenza motrice e di fame arrivare di meno al corpo B? Si potrebbe addirittura consu* L'unità di calore era la kcal mentre l'unità di lavoro era la cosiddetta dynamie = 1000 kgm. L'equivalente meccanico della kcal valeva dunque secondo Carnot 1000/2,70 = 370 kgm/kcal . Si tratta di un valore in discreto accordo con quello accettato modernamente (426,7), che si avvicina di pill al valore corretto dei valori proposti da Colding (350) e da Mayer (365). 18

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marlo integralmente senza farne arrivare al corpo B? Se ciò fosse possibile si potrebbe creare della potenza motrice senza combustibile, mediante la semplice distruzione dèl calore dei corpi. (pp. 131-132) 9. Se, come la meccanica sembra provarlo, non può aversi una vera e propria creazione di potenza motrice, non può aversi neppure distruzione di questa potenza... Non può dunque esserci un vero e proprio urto dei corpi. (p. 132) lO. Ma come concepire delle forze agenti sulle moleco­ le, se esse non sono mai in contatto fra loro, se ciascuna di esse è perfettamente isolata? Supporre un fluido sottile in­ terposto non farebbe che spostare la difficoltà, poiché que­ sto fluido sarebbe necessariamente costituito da molecole. (p. 134)

Questi passi sono affascinanti : è raro, nella storia del­ la scienza, che le intuizioni, i problemi, il cammino tor­ tuoso seguito durante l'elaborazione di una nuova con­ cezione vengano trascritti, registrati. L'articolo o il sag­ gio scritto per la pubblicazione non può riportare que­ sto complesso processo. A volte ciò è parzialmente descritto nella corrispon­ denza privata dello scienziato o nel suo quaderno di ap­ punti ma è difficile trovare, in pochissimi foglietti come nel caso di Camo t, uno spaccato cosi fedele dei proble­ mi cruciali, degli ostacoli che si frapponevvano alla sco­ perta della conservazione dell'energia. Apparentemente il principio è enunciato nei passi contrassegnati con i numeri 1 (l'ipotesi del calorico de­ v'essere abbandonata) e 2 (la potenza motrice è in quan­ tità invariabile nella natura) mentre nel passo 4 è per la prima volta proposto un preciso valore dell'equiva­ lente meccanico dell'unità termica. Il passo 3 sembra a sua volta rafforzare !'idea della conservazione, ma pone subito il problema della costituzione intima della mate­ ria : è compatibile la conservazione della forza viva con l'esistenza di urti a livello molecolare? (Cfr. anche il pas­ so 9.) La cosa appare singolare: una delle idee fonda­ mentali della teoria cinetica è infatti proprio quella del­ l'esistenza di urti casuali fra le molecole di un gas, sen­ za che ciò violi il principio di conservazione dell'ener­ gia. Si deve però postulare che le molecole, ad esempio di un gas monoatomico, siano equivalenti a sferette mi­ croscopiche perfettamente elastiche : solo cosi durante gli urti l'energia cinetica complessiva delle molecole non cambia. 124

Un atomo perfettamente elastico è tuttavia una con­ traddizione di termini. L'elasticità implica la possibili­ tà di deformazioni, richiede una qualche struttura inter­ na: un 'atomo elastico' perde dunque lo status di 'ultimo livello' della materia ... Cosi, da Newton in poi, si pensa­ va quasi sempre ai costituenti della materia come a par­ ticelle perfettamente 'dure' ed 'anelastiche'. La loro col­ lisione avrebbe quindi comportato dissipazioni di ener­ gia meccanica per 'frizione' e anche possibili cambiamen­ ti di massa delle molecole ( due particelle dopo un urto anelastico procedono unite ). La conservazione della for­ za viva entro tale schema era dunque concepibile se e solo se le molecole restavano tra loro sempre distanzia­ te ( cfr. i passi 3 e 9 di Camot) .* Ciò introduceva un ulteriore problema, quello del ti­ po di forza in grado di mantenere le molecole ad una certa distanza fra loro (passo 10). Non poteva ovviamen­ te essere una forza di contatto, né sarebbe servito postu­ lare l'esistenza di un qualche nuovo fluido sottile per­ ché anch'esso non poteva che essere particellare... Né l'idea di una forza ad hoc agente a distanza sembrava una via d'uscita accettabile perché riconduceva alla fisi­ ca di Laplace che si voleva superare.** Sadi Camot si trova in una impasse da cui non sem­ bra fosse, a quell'epoca, in grado di uscire, accentuata dall'ulteriore problema dei cambiamenti di fase e del ca­ lore adiabatico (passo 7). Senza il calorico e senza una concezione dinamica della materia era infatti indubbia­ mente arduo spiegare, ad esempio, il calore di evapora­ zione.'· Camot, d'altra parte, comprese perfettamente il si­ gnificato generale dell'affermazione della teoria ondula* La contraddizione non verrà risolta ma accantonata dalla teo­ ria cinetica, che riusci a progredire solo ignorando questo problema. Il modello di un gas proposto dalla teoria cinetica è di natura piu matematica che meccanica, e viola apertamente il senso comune. Si postulano infatti delle molecole elastiche e rigide ad un tempo, concependole alla stregua di punti matematici . ** Si deve osservare che già Lazare Carnot considerava "oscuro e metafisico" il concetto di forza a distanza. La sua teoria mecca­ nica non era fondata sul concetto di forza, ma su quello di movi­ mento trasmesso a causa di impulsi e di urti diretti fra i COrpLI' Questa concezione era indubbiamente parte del senso comune dei tecnici : Sadi Carnot la trasferisce a livello microscopico mostrando cosi la sua scarsa predisposizione a ragionare di fisica in termini di teorie matematiche astratte.

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tori a della luce ed è nei termini di una concezione vi­ brazionale del calore che sviluppa le sue considerazioni sull'equivalenza tra calore e lavoro (passi 5 e 6). I passi 6 e 8 pongono infine la questione del rapporto fra la teoria elaborata nelle Réflexions e il principio di equivalenza. Si tratta dello stesso problema alla base della fondazione della termodinamica, posto da Kelvin nel 1849 e risolto l'anno successivo da Clausius. Camot ribadisce sostanzialmente la correttezza del suo principio ( cfr. il par. 4.5 ) e sottolinea che se un mo­ tore potesse funzionare senza il corpo freddo B sarebbe possibile produrre potenza motrice consumando calore ma non ... combustibile, realizzare cioè un moto perpetuo di 2" specie.* Anche in questo caso però non va oltre : la contrad­ dizione fra le due leggi della termodinamica è accennata ma non risolta. Nelle note manoscritte di Camot è quindi sintetizzata larga parte della problematica che condurrà alla termo­ dinamica. È anche espresso con chiarezza il programma speri­ mentale da seguire per verificare l'idea della mutua con­ versione di calore e lavoro: Camot infatti si proponeva di eseguire una serie di esperimenti di frizione dell'ac­ qua, di compressione dell'aria, di percussione di pezzi metallici, ... misurando attentamente il lavoro consumato e il calore prodotto. Si proponeva anche di riprendere in forma modificata l'esperimento di Rumford sulla per­ forazione di un metallo nell'acqua e l'esperimento di Gay-Lussac sul rientro dell'aria in un recipiente vuoto, o comunque a pressione inferiore. Disegna anzi lo schiz­ zo di un dispositivo ad hoc e commenta, con grande acu­ me teorico: Se fosse riconosciuto che i gas non cambiano di tempe­ ratura quando si dilatano senza produrre potenza motri­ ce, quando sottoposti ad esempio ad una pressione costan* Se il corpo freddo non fosse indispensabile si potrebbe co­ struire un motore che trasforma in lavoro il calore estratto dall 'am­ biente circostante. Poiché le riserve di calore contenute nel suolo, nell'acqua e nell'atmosfera sono elevatissime e sostanzialmente rin­ novabili segue che una tale macchina, a tutti gli effetti pratici, sa­ rebbe equivalente ad un perpetuum mobile : una nave ad esempio potrebbe attraversare l'oceano ricavando dal calore contenuto nel­ l'acqua la potenza motrice necessaria I

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te sfuggono in un altro recipiente a pressione minore, ma ugualmente costante, seguirebbe che: 1. il consumo di potenza motrice produce del calorico 2. la quantità prodotta è precisamente quella sviluppata dal gas durante la sua riduzione di volume. (p. 137)

Larga parte di questi esperimenti verranno ripresi dagli scopritori del principio di conservazione dell'ener­ gia e in particolare da Joule. L'ultimo che ho citato pre­ senta inoltre una chiara analogia con quelli effettuati nel 1852-54 da Joule e Kelvin facendo espandere l'aria attra­ verso un setto poroso da una zona ad alta pressione ad una zona a bassa pressione, con lo scopo esplicito di ve­ rificare l'accuratezza sperimentale " dell'ipotesi di Mayer" ( dell'ipotesi cioè che riteneva che l'energia interna dei gas fosse funzione solo della temperatura) .* Solo attorno al 1850, con Clausius e Ke1vin, solo dopo la scoperta del principio di equivalenza e di mutua con­ versione di calore e lavoro, si profilerà un serio tenta­ tivo di ricomposizione unitaria dei due grandi filoni evi­ denziati da Carnot rispettivamente nelle Réflexions ( macchine termiche e principio del massimo rendimen­ to) e nelle, purtroppo sconosciute, note manoscritte ( ca­ lore quale risultato dei moti molecolari e principio di equivalenza). Joule e Kelvin durante gli anni '40 emblematizzano molto bene questa scissione fra le due tradizioni da cui prenderà corpo la termodinamica. Joule ad esempio era critico nei confronti della teo­ ria di Carnot-Clapeyron perché quest'ultima ammetteva la possibilità della distruzione di potenza motrice ma contemporaneamente commise piu volte l'errore di con­ siderare equivalenti identiche quantità di calore rispetti­ vamente ad alta ed a bassa temperatura, non comprese cioè il punto di vista del II principio della tennodina­ mica. Kelvin dal canto suo, pur apprezzando la teoria di Joule, riteneva che la fisica matematica francese e la * Per la verità Joule e Kelvin osservarono una piccola diminu­ zione di temperatura tanto che questo effetto verrà ripreso da Un­ de per liquefare l 'aria. Si doveva quindi ammettere che durante l'espansione parte dell'energia cinetica delle molecole (calore) si era trasfonnata in lavoro intennolecolare, in energia potenziale intermo­ lecolare, necessario per vincere le deboli forze di coesione esistenti fra le molecole stesse.

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teoria di Carnot fossero inscindibilmente legate al calo­ rico e non seppe liberarsi dall'assioma della conservazio­ ne del calore che verso la fine del 1850, non comprese cioè il punto di vista del I principio. 5.5. Le ricerche di J. P. Joule Joule non fu semplicemente uno sperimentatore, un "metrologist", come ebbe a definirlo lo storico america­ no G. Sarton.21 Il suo contributo trascende l'aspetto esclusivamente tecnico-sperimentale: egli infatti fu un attivo 'propagan­ dista', anche e soprattutto attraverso le sue ricerche spe­ rimentali, della nuova concezione dinamica del mondo fi­ sico che accompagnò la nascita del concetto di energia. James P. Joule nacque nel 1818 a Salford (Manche­ ster) , in un ambiente impregnato dalla filosofia industria­ lista e dal culto del progresso tecnologico : all'età di dodici anni poteva ammirare ed applaudire, a poche mi­ glia da casa, uno dei frutti di questo progresso, la pri­ ma ferrovia passeggeri del mondo che collegava Liver­ pool con Manchester. La città possedeva un'importante società scientifica ed un istituto tecnico (il Manchester New College) in cui aveva insegnato anche il grande chimico J. Dalton. Jou­ le frequentò sin da giovanissimo i membri della Man­ chester Literary and Philosophical Society e lo stesso Dalton, che gli dette lezioni private di chimica per piu di due anni. Le prime ricerche di Joule riguardarono l'elettricità, soggetto allora di moda e che prometteva rivoluziona­ rie applicazioni. Faraday nel 1821 aveva embrionalmente realizzato un motore elettrico facendo ruotare una sbarretta magne­ tica, che galleggiava in una bacinella di mercurio, me­ diante il passaggio di corrente in un filo disposto ver­ ticalmente che pescava nella bacinella stessa. Nel 1 825 W. Sturgeon, avvolgendo attorno ad una sbarra di ferro dolce del filo metallico le cui estremità venivano connesse ad una batteria, costrui il primo elet­ tromagnete. Le attrazioni magnetiche cosi prodotte erano molto piu intense di quelle ottenibili con le normali calamite : con l'ausilio dell'elettromagnete Wheatstone nel 1837 riu128

sci a realizzare la prima trasmissione a distanza di se­ gnali elettrici. Jou1e voleva costruire un motore elettrico che riu­ scisse a competere con la macchina a vapore, sognava di costruire cioè una macchina elettromagnetica cosi ef­ ficiente da divenire il motore industriale del futuro. La sua fede nell'elettricità era tale da arrivare a scrivere, in una lettera a Sturgeon del maggio 1839, " the cost 01 working the engine may be reduced ad infinitum" F ' Jou1e si riferiva ad una macchina elettromagnetica, azionata da una serie di batterie chimiche, da lui co­ struita ed analizzata in termini di lavoro meccanico com­ piuto (la 'forza elettrochimica' del dispositivo era cioè stimata mediante il concetto di lavoro, applicando in mo­ do originale il suggerimento di Hachette). Lo sviluppo di questo programma di ricerca tecno­ logica condusse Joule a studiare le forze elettromagneti­ che ed a smorzare le sue iniziali speranze!' In una conferenza alla Victoria Gallery di Manchester, tenuta nel febbraio 1841, Joule ammise che la resa delle macchine a vapore della Cornovaglia era per il momen­ to molto migliore di quella realizzabile con le migliori macchine elettromagnetiche da lui costruite.* In questa fase intervenne un significativo cambiamen­ to nel programma di ricerca di Joule : l'aspetto utilita­ ristico passò in secondo piano e prevalse l'aspetto cono­ scitivo, l'analisi quantitativa della conversione delle di­ verse forze naturali. La macchina elettromagnetica venne cosi concepita come un mezzo per convertire, attraverso l'elettricità, la 'forza chimica' della batteria in lavoro meccanico ed an­ che come un tramite di conversioni indesiderate di 'for­ za elettrica' ( derivante sempre dalla batteria) in calore. Il calore diventa anzi, con il lavoro meccanico, il ter­ mine di riferimento privilegiato nella catena delle con­ versioni energetiche!' Joule misurò infatti gli effetti termici della corrente * Il confronto era in tennini di resa economica (duty) : brucian­ do una libbra di carbone in una 'Cornish engine' si riusciva a compiere un lavoro quintuplo di quello ottenibile con un motore elettrico mediante il consumo di una libbra di zinco degli elettrodi delle batterie, e poiché lo zinco era per giunta piu caro del carbo· ne . . . seguiva la sconfortante conclusione tratta da Joule dopo 3 an­ ni di ricerche sui motori elettrici.24

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elettrica, il calore prodotto da una batteria, quello svi­ luppato durante l'elettrolisi, . .26 Per la verità in questi anni Joule sembra ancora pre­ diligere l'idea di Berzelius dell'origine elettrica del calo­ re di combustione, idea che verrà poi criticata nel 1843 nella memoria in cui per la prima volta forni una stima sperimentale dell'equivalente meccanico dell'unità termi­ ca britannica. Si tratta della relazione al congresso di Cork della British Association for the Advancement of Science,* in cui Joule descrisse una serie di esperimenti di conver­ sione di energia meccanica in calore, tramite le correnti elettriche indotte in una bobina ruotante fra le espan­ sioni di un elettromagnete ed immersa in un cilindro pieno d'acqua, effettuati allo scopo di confrontare fra loro il calore prodotto ed il lavoro meccanico consuma­ to per mantenere in rotazione il cilindro.l7 Nella memoria immediatamente precedente ( gennaio 1843) che trattava del calore sviluppato durante l'elettro­ lisi era d'altra parte già chiaramente sottolineato il nes­ so fra le ricerche del 1840-41 che porteranno alla sco­ perta del cosiddetto effetto Joule ed il calcolo dell'equi­ valente meccanico del calore: .

Sia la potenza meccanica che quella termica di una cor­ rente - aveva scritto il nostro autore - sono [ ... ] proporzio­ nali alla sua intensità [ ... ] e dunque sono proporzionali fra loro.

Anche l'adesione alle concezioni atomistiche di Dalton, benché connessa alle idee elettrochimiche di Berzelius, finirà col condurlo (attraverso una versione modificata dell'ipotesi di Ampère sul magnetismo : Joule pensava in­ fatti ad atmosfere di elettricità ruotanti attorno agli atomi) ad una concezione dinamica del calore, il quale altro non era, secondo il giovane ricercatore britannico, che l'effetto macroscopico dei movimenti vibrazionali e/o rotazionali delle particelle costituenti la materia.28 La relazione letta a Cork non fece alcuna particola­ re impressione sugli scienziati britannici e passò quasi inosservata. * L'Associazione per il Progresso della Scienza era stata fondata nel 1831 per rispondere al grave stato di crisi e di dilettantismo in cui versava la Royal Society e, in parte, anche sotto lo stimolo del successo avuto dai primi congressi degli scienziati tedeschi.

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Joule, sempre pili convinto della correttezza della teo­ ria dinamica, produsse fra il 1 843 ed il 1850 una ecce­ zionale serie di esperimenti a partire da vari fenomeni di conversione diretta di lavoro meccanico in calore (di grande interesse sono in particolare quelli sul calore adiabatico dei gas ed i classici esperimenti sul calore generato per frizione mediante il rapido movimento di una ruota a palette). Nelle memorie di Joule non c'è però solo la descri­ zione (quasi pignola) degli apparati utilizzati, né l'auto­ re si limita a riportare le misure effettuate e le inferenze di carattere generale che vengono dedotte. Pili volte è esplicitamente formulata l'idea che il ca­ lore altro non sia che una forma di movimento e spes­ so traspaiono le concezioni filosofiche e religiose di Jou­ le, in particolare l'idea che i grandi agenti della natura non potevano andare distrutti se non dall'intervento di­ retto di Colui che li aveva creati (da qui la critica so­ pra ricordata alla teoria di Carnot ! ).29 Dopo un decennio di rifiuti la Royal Society si de­ cise infine a pubblicare nel 1 850 ( su presentazione di Fa­ raday) la memoria che concluse questo ciclo di ricerche di Joule. Il titolo era On The Mechanical Equivalent on Beat: sulla base di nuovi ed accuratissimi esperimenti con la ruota a palette Joule propose in questa memoria il va­ lore definitivo di 772 ft lbjbtu. Il lavoro di 772 libbre per piede era cioè equivalente e trasformabile nella quantità di calore capace di innal­ zare di 1 °F la temperatura di 1 libbra d'acqua (presa fra 55 e 60 °F).* L'affermazione della teoria dinamica del calore è tut­ tavia difficilmente circoscrivibile e/o riducibile alla dia­ lettica teoria-esperimento interna alla scienza del calore. Non sarà cioè esclusivamente la raffinatezza sperimenta­ le di Joule a convincere gli scienziati raccolti attorno al­ la Royal Society. Era l'intero quadro delle scienze fisi­ che ad essere soggetto a profondi mutamenti, tanto che alcuni storici pensano all'Ottocento come alla sede di una seconda rivoluzione scientifica che ha anticipato radicali cambiamenti intervenuti nel nostro secolo.'" re

*

di

772 ft Ib /btu corrispondono a 423 ,5 kgm/kcal : rispetto al valo· J oggi accettato (426,7) lo scarto è solo dello 0,75 % .

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Si sta cioè rovesciando l'immagine tradizionale che presentava l'Ottocento come un secolo privo di grandi svolte e rotture, in cui ogni sviluppo scientifico sem­ brava riducibile ed interpretabile mediante un'unica ca­ tegoria, quella di meccanicismo. Verso la metà del secolo scorso milioni di persone erano d'altra parte ormai convinte di stare vivendo in un'epoca straordinaria ed eccezionale, caratterizzata da un progresso tecnico-materiale senza precedenti." Il peso esercitato da tale diffusa convinzione sugli sviluppi delle scienze ottocentesche è difficilmente quanti­ ficabile ma sicuramente anch'essa contribui in modo de­ terminante a mettere in discussione le concezioni sta­ tiche, ripetitive e deterministiche ereditate dalla prima rivoluzione scientifica. 5.6. Trasformazioni energetiche e fenomeni del 'vivente' La scoperta della conservazione dell'energia esemplifi­ ca bene il cambiamento che interviene nella fisica della metà dell'Ottocento e contemporaneamente mostra il ca­ rattere unitario della seconda rivoluzione scientifica. La conservazione dell'energia fu infatti largamente il risultato di una linea di ricerca alternativa e nello stes­ so tempo complementare di quella termodinamica, e cioè della linea 'fisiologica' di Liebig, Mayer ed Helmholtz. Termodinamica e biologia, calore e vita, erano per la verità campi da sempre intimamente connessi : le origi­ ni della scienza del calore sono ad esempio da ricercare in larga misura nella storia della medicina mentre, d'al­ tro lato, l'idea di Lavoisier che la respirazione non fos­ se altro che una particolare forma di combustione fu de­ terminante per gli sviluppi della fisiologia.* • La conclusione di una serie di esperimenti sul calore anima­ le effettuati da Lavoisier e Laplace con il loro calorimetro a ghiac­ cio era infatti la seguente : 1/ La respirazione è dunque una combu­ stione, in verità molto lenta, ma altrimenti del tutto simile a quel­ la del carbone ; essa si fa entro i polmoni senza sviluppare della lu­ ce sensibile perché la materia del fuoco, divenuta libera, è assor­ bita dall'umidità di questi organ i . Il calore sviluppato durante tale combustione si comunica al sangue che attraversa i polmoni e co­ si si diffonde in tutto il sistema animale [ . . . ] riparando la perdita continua di calore che noi subiamo a causa dell'atmosfera e dei corpi vicini " .32

132

Si aveva tuttavia un'apparente discrepanza nella teo­ ria di Lavoisier della respirazione: l'ossidazione del car­ bonio analizzata nei carboidnliti trasportati dal sangue non era infatti sufficiente a spiegare l'ammontare di 'ca­ lore animale' prodotto." Ciò permise per oltre mezzo secolo ai fisiologi di ri­ tenere che l'ammontare mancante derivasse dall'interven­ to di una ipotetica forza vitale che caratterizzava gli or­ ganismi viventi e scompariva al momento della morte. L'idea dell'esistenza di una Lebenskraft, che compor­ tava una separazione di principio fra fenomeni del vi­ vente e processi inorganici, sarà una delle questioni cen­ trali della biologia della prima metà dell'Ottocento. In effetti, come osservò Berzelius, sembrava esserci una differenza di fondo fra i corpi dotati di vita e gli altri : mentre i primi avevano una storia ( nascevano, si sviluppavano e morivano) i secondi continuavano ad esistere in forma immutata.l< Helmholtz, e con lui molti altri giovani fisiologi te­ deschi della metà dell'Ottocento, si contrapporrà netta­ mente all'idea dell'esistenza di un principio o forza vi­ tale distinto dai principi e dalle forze agenti nel mondo inorganico. A suo giudizio non aveva senso supporre la esistenza di forze non misurabili sperimentalmente che per giunta venivano distrutte dalla morte dell'organismo. Se una qualche forza vitale, agente a fianco delle forze chimico-fisiche, fosse parzialmente responsabile del ca­ lore animale seguirebbe infatti che la vita era una sorta di realizzazione del moto perpetuo. Cosi la legge di conservazione della forza elaborata nel 1847 da Helmholtz rappresentò un tentativo di fornire una risposta, dal lato della fisica e della chimica, alla problematica delle 'forze vitali'. Prima di analizzare l'opera di Helmholtz dobbiamo però rivolgerci ad un altro grande medico-scienziato te­ desco, e cioè a Robert Mayer. Il contrasto fra i due è notevolissimo: Mayer non aveva alcuna predisposizione per i ragionamenti fisico­ matematici, era un medico che fondava le sue osserva­ zioni ed analisi scientifiche sulle convinzioni filosofiche derivategli dalla Naturphilosophie e dalla dottrina del­ l'unità delle forze naturali. Il ricorso all'intuizione e alle concezioni a priori si rivelerà indispensabile a Mayer per formulare le sue idee sulla conservazione dell'energia. 133

Mayer si era laureato in medicina a Tubinga nel 1838. Nel 1840 si imbarcò, in qualità di medico di bordo, su una nave da guerra olandese diretta a Giava. Operan­ do dei salassi nei climi tropicali egli si accorse che il sangue venoso estratto era stranamente simile a quello arterioso, di colore cioè rosso brillante. La cosa incre­ dibile è che Mayer riterrà tale osservazione una prova dell'esistenza della conversione di calore animale in la­ voro muscolare !'s Si tratta indubbiamente di un salto concettuale in­ spiegabile senza le convinzioni a priori del medico tede­ sco sull'unità e l'identità delle forze: il fenomeno osser­ vato da Mayer era infatti semplicemente attribuibile, sulla base della letteratura scientifica allora disponibile, alla diminuzione dell'intensità del processo di ossidazio­ ne tipica dei climi caldi, causata dalla minore dispersio­ ne di calore corporeo. Ma evidentemente questo per Ma­ yer risultava irrilevante: il suo problema era quello di identificare correlazioni ed unità fra le diverse forze na­ turali. Ritornato in Germania egli cercò di dare un fon­ damento fisico alle sue idee e, dopo un tentativo infrut­ tuoso con Poggendorff e gli "Annalen der Physik", riu­ sci a farsi pubblicare un articolo sugli "Annalen der Chemie und Phannacie" di Liebig e W6hler. In questa memoria Mayer cercò di specificare la natura delle forze: Le forze sono cause: si può quindi applicare loro, in fonna piena, il principio secondo cui causa aequat effectum. Se una causa c ha un effetto e, allora si ha che c e; e se, a sua volta, e è la causa di un secondo effetto f, allora si ha che e f, e cOSI di seguito con c e f ... c. In una catena di cause ed effetti, un tennine od una parte di es­ so non può mai annullarsi, come risulta con chiarezza dalla natura stessa di un'equazione. Chiameremo questa prima proprietà di tutte le cause la loro indistruttibilità. >6 =

=

=

=

=

La seconda proprietà era la reciproca convertibilità, cosicché Mayer definf le forze come "oggetti indistrutti­ bili, convertibili ed imponderabili (sic!) . Sembra vecchia metafisica scolastica ma il nostro au­ tore l'applicherà in modo creativo a casi fisici concreti : la trasformazione di energia potenziale in energia cine­ tica durante la caduta di un grave, e la conversione di lavoro meccanico in calore. In conclusione della memoria egli propose il valore di 365 kgmjkcal quale equiva­ lente meccanico del calore. Solo nel suo libro del 1845 134

( cit. in nota 35) egli specificò tuttavia la serie di calcoli che gli avevano permesso di ottenere tale risultato. Mayer, malgrado formulasse in quest'ultimo suo lavo­ ro una corretta teoria del metabolismo in termini ener­ getici e malgrado pubblicasse nel 1848 un altro scritto di notevole valore sulla "dinamica dei cieli", rimase larga­ mente isolato e quasi sconosciuto negli ambienti scien­ tifici della Germania. Soltanto dopo la fondazione della termodinamica la sua opera iniziò ad essere stimata per il suo giusto valore, e cioè come una geniale anticipazio­ ne della legge dell'energia.* Hermann von Helmholtz fu viceversa una delle figu­ re piu rappresentative della scienza ottocentesca, un clas­ sico esempio di professore universitario mitteleuropeo, capace di unire la specializzazione in diversi campi del sapere ad una solida cultura filosofica. Helmholtz, laureatosi in medicina a Berlino nel 1842, faceva parte di un gruppo di giovani ricercatori che negli anni '40 si raccolsero attorno a J. Miiller e che di­ venteranno fra i maggiori fisiologi tedeschi dell'Ottocen­ to (Briicke, du Bois-Reymond, Virchow,... ). All'ordine del giorno era il problema del 'calore ani­ male'. Liebig infatti aveva posto la questione delle for­ ze vitali in una forma piu concreta chiedendosi se il calore corporeo derivasse esclusivamente dai processi chimico-fisici connessi alla respirazione ed alla nutri­ zione.37 Il gruppo dei giovani allievi di J. Miiller, benché co­ stituito da convinti fautori del riduzionsimo, era per al­ tro anch'esso partecipe della tradizione del vitalismo. Ciò comportava una situazione ambigua in cui il significato dei termini 'forze vitali' e 'Kriifte' non era univocamen­ te precisato e definito." Accadeva cosi che Liebig, Miiller, e gli stessi scritti di Helmholtz (in particolare una memoria del 1843 ) fossero interpretabili sia in un'ottica riduzionista che in un'ot­ tica vitalista! Fra il 1843 ed il 1848 Helmholtz fece l'assistente medi­ co di un reggimento di ussari di stanza a Potsdam : in * Alla fine dell 'Ottocento Mayer assurse addirittura, in partico­ lare tra i fautori dell'energetica, a simbolo della corretta meto­ dologia scientifica per la sua avversione al ricorso di ipotesi sulla natura del calore. Verrà definito dal filosofo tedesco E. Diihring il " Galilei del XIX secolo " !

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questi anni riuscf a dedicare buona parte del tempo ai suoi interessi scientifici che sfoceranno nella grande me­ moria del 1847 in cui è espressa la prima, generale for­ mulazione del principio di conservazione dell'energia. Per comprendere la genesi di questa memoria di gran­ de interesse ci sono due lavori pubblicati da Helmholtz nel 1845 : un articolo sul metabolismo durante l'attività mu­ scolare e la redazione della voce Wiirme, physiologisch per un'enciclopedia medica. Nell'articolo sul metaboli­ smo il giovane medico militare fece il resoconto di al­ cune esperienze da lui condotte che mostravano come esistessero precise trasformazioni chimiche durante le contrazioni muscolari. La redazione della voce sul calo­ re fisiologico lo stimolò viceversa a compiere una rasse­ gna delle principali ricerche in corso. Helmholtz sosten­ ne la tesi secondo cui le sostanze fornite al corpo duran­ te la respirazione e la nutrizione provvedevano all'intero ammontare del calore vitale ed entrò nel merito delle di­ scussioni dei fisici sulla natura del calore : Recentemente, specialmente attraverso la totale corri­ spondenza delle leggi del calore radiante e di quelle della luce, non solo la somiglianza ma la stessa identità di en­ trambi gli agenti è diventata probabile, e siamo stati con· dotti ad una teoria ondulatoria del calore cosi come ad una teoria ondulatoria della luce. Si è trovato inoltre che del calore può essere generato mediante varie altre forze naturali... Del calore è ad esempio liberato dall'annichi­ lazione di forza meccanica durante la frizione di solidi con­ tro solidi, o solidi contro fluidi; o dall'egualizzazione della tensione elettrica, che a sua volta può nuovamente essere prodotta mediante strofinio od il moto di magneti... Scompare cosi la possibilità di una teoria materiale, in quan· to la conservazione del calore dovrebbe essere la principa­ le conseguenza di tale teoria, e siamo condotti a ritenere che il calore e la luce siano moto.39

Già nel 1 845 dunque Helmholtz collegava il partico­ lare problema del metabolismo e delle origini del calore animale al problema piu generale della natura del calo­ re e delle relazioni fra le varie forme di energia.* Questo articolo rappresenta il trait d'union fra la pro* Si noti come a quell'epoca fosse ancora possibile che in un· enciclopedia medica comparissero informazioni sulle contemporanee ricerche di fisica teorica. Evidentemente il processo di specializza­ zione scientifica era ancora alquanto ridotto.

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blematica esclusivamente fisiologica delle prime ricerche e la memoria del 1847 Sulla conservazione della forza.'" L'utilizzazione del termine Kraft mostra tuttavia co­ me il concetto di energia non fosse ancora completamen­ te chiarificato tanto che Helmholtz parlava di "forze" in un duplice senso, significando a volte la forza newto­ niana a volte il lavoro e la forza viva. L'energia era cioè un concetto ancora 'fluente', anco­ ra alla ricerca di una definita e precisa sistemazione." Nella memoria del 1847 vengono riprese da Helmholtz, all'interno della nuova ottica della conservazione della forza-energia, molte delle ricerche accennate in questo capitolo. L'opera di Joule viene in particolare valutata e compresa per il suo giusto valore. Il giovane medico tedesco cita inoltre altri classici la­ vori di elettromagnetismo, elettrochimica e termoelettri­ cità mostrando che la legge della conservazione della energia "non contraddice ad alcuno dei fatti finora noti alle scienze della natura; ed è, invece, convalidata da un numero sorprendente di tali fatti". La filosofia del nostro autore è profondamente diver­ sa da quella di Mayer, anche se entrambi sostengono la idea della conservazione della forza. Helrnholtz è larga­ mente influenzato dalle concezioni di Kant e cerca di ri­ condurre, coerentemente con la filosofia meccanicistica settecentesca, lo studio dei vari fenomeni naturali a quello di forze centrali attrattive o repulsive, dipendenti solo dalla distanza. Per Mayer la meccanica non posse­ deva alcuno status privilegiato mentre per Helmholtz essa era al contrario il fondamento dell'intero edificio naturale. Sarà la meccanica della 'forza' e non quella del 'lavoro' e fornire il principale punto di riferimento di Helmholtz, che aveva letto i trattati di Eulero, D'Alem­ bert e Lagrange ma non quelli dei professori dell'École Polytechnique e della tradizione ingegneristica. Il medi­ co tedesco scopri tale tradizione in forma mediata, at­ traverso le ricerche di Joule e la lettura di Clapeyron. Egli non era dunque completamente estraneo alla logi­ ca ingegneristica come è sottolineato ad esempio dal ten­ tativo, presente nel suo scritto del 1847, di dimostrare l'equivalenza dell'ipotesi delle forze centrali e del princi­ pio dell'impossibilità del moto perpetuo. Per Helrnholtz anzi il principio dell'impossibilità del perpetuum mobile andava introdotto in tutti i rami della scienza della na137

tura nella nuova forma rappresentata dal principio di conservazione dell'energia.

Note l E . CLAPIlYRON. Mémoire sur la puissance motrice de la chaleur. "Journal de l'�cole Polytechnique ". 14 (1834). p. 162. 2 D. S. L. CARDWElL. From Watt to Clausius. Heinemann. London 1971 . pp. 162-3. 3 S. CARNOT. Réflexions sur la puissance motrice du feu. Blan­ chard. Paris 1953. pp . 1 13-7. Secondo Carnot la combustione di 1 kg di carbone avrebbe potuto al piu produrre una potenza motrice di 3 .920.000 kgm. Dalla combustione si ricavavano circa 7000 kcal : l 'e­ quivalente meccanico era dunque 3 .920.000/7000 = 560 kgm/kcal. La resa della macchina di Woolf installata a Wheal Abraham era stata nel 1816 di 195 .000 kgm per kg di carbone bruciato : Sadi Carnot con­ cluse che solo 1/20 dell'energia chimica disponibile era stata effet­ tivamente utilizzata per compiere lavoro. 4 J. N. P. HACHIITTE . Traité élémentaire des machines. Parigi 1 8 1 1 . p p . XIV. XV. 5 A. L. CaLDING. On the History ot the Principle of the Conser­ vation ot Energy. " Philosophical Magazine " . S. 4. gennaio 1864. p . 56. Colding effettuò anche alcuni esperimenti d i conversione d i la­ voro in calore e nel 1843 propose il valore di 350 kgm quale equi­ valente meccanico della kcai. 6 M. SIlGUIN . Note à l'appui de l'opinion émise par M. Joule sur l'identité du mouvement et du calorique. " Comptes Rendus de I·Ac . des Sc . .. . 25 ( 1847). p. 420. 7 M. SJlGtnN. Dell'influenza delle strade di ferro e dell'arte di costruirle e di disegnarle. Milano 1840. pp. 252-3 ; l'opera di Séguin è brevemente analizzata in : J. D. BI!RNAL. Science and Industry in the nineteenth Century. London 1953 (nel II capitolo). 8 R. Fax. The Calorie Theory of Gases from Lavoisier to Re­

gnault. Oxford UP. 1971 . Cfr. il cap. 7 dedicato al declino della teo­ ria del calorico e della scienza laplaceana. 9 J. I. SoLOV·BV. L'evoluzione del pensiero chimico dal '600 ai giorni nostri. Mondadori. Milano 1976. p. 187. IO S . G. BRUSH. The Kind of Motion we Cali Heat. North Hol­ land. Amsterdam 1976. pp. 303-34. E. WHIlTAKER. A History ot the Theories of Aether and Elec­ tricity. voI. I. Humanities Press. New York 1973. pp. 107-8. 12 Ibidem. p. 99. A. M. AMPàul. "Annales de Chimie et de Physique" 58 ( 1835) . p. 432. Questo scritto era stato pubblicato. in una versione legger­ mente modificata. nel 1832. dalla Bibliothèque universelle di Gi­ nevra. Ibidem. p. 437. 15 E. BI!LLONI! . I modelli e la concezione del mondo nella fisica moderna da Laplace a Bohr. Feltrinelli. Milano 1973. pp. 101-8 ; M. LA FORGIA. L'esperienza di Oersted tradotta nelle teorie di Ampère e di Faraday. Nota interna n. 691 dell·Istit. di Fisica dell'Università di Roma ( 1977) .

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16 T. S. KUHN. Energy conservation as an exemple 01 simu/ta· neous discovery. in : M. ClAGETT (a cura di). CriticaI Problems in the History of Science. Madison 1959. p. 321 . Questo saggio è ormai un classico della storiografia della scienza : in esso vengono sottolinea­ ti tre fattori che hanno condotto alla scoperta della conservazione dell'energia (le macchine. i processi di conversione e la Naturphilo· sophie). La figura di Faraday è brevemente analizzata a pp. 327·8 e a p. 338 . assieme a quella di William Grove. un altro scienziato spe· rimentale inglese che divulgò la concezione della " correlazione delle forze" . 17 S. CARNOT. Notes sur les Mathématiques. la Physique et autres sujets, in appendice all'edizione Blanchard del 1953 delle Réflexions. pp. 125-51 . I passi citati non seguono esattamente l'ordine dell'e­ diz. Blanchard : fra parentesi è riportata la pagina da cui sono tratti. 1 8 Sono state proposte diverse ipotesi sul metodo seguito da Car­ not per ricavare il valore di J = 370 kgm/kcal. :t! stato in parti­ colare dimostrato che era possibile dedurre questo valore mediante l 'utilizzo dei dati numerici relativi all'aria contenuti nelle Réflexions : cfr. : " Comptes Rendus de I·Acad. des Sciences". 168 ( 1919) a p. 268 ed a p. 549. 19 L. CARNOT. Principes londamentaux de l'équilibre et du mou­ vement . Parigi 1803. pp. XI. XII . '" Si veda il saggio di E. MBNoozA contenuto nel volume Sadi Carnot et l'essor de la thermodynamique. CNRS. Pans 1976 : in par­ ticolare pp. 174-5. 21 G. SARroN. " Isis " . 1 3 (1929). p. 21. Anche Bernal. nell ·op . cito in nota 7. p. 58. sembra pensare che Jou1e scopri la natura 'mecca­ nica' del calore semplicemente producendo misure sempre pia ac­ curate di diversi processi di conversione. Insomma secondo l'imma­ gine tradizionale Joule fece anzitutto degli esperimenti i cui risul­ tati lo convinsero (a posteriori) dell 'equivalenza di calore e lavoro. In realtà Joule era chiaramente partecipe di concezioni a priori sul­ la natura del calore : cfr. Y. ELKANA. La scoperta della conserva­ zione dell·energia. FeltrineIIi. Milano 1977 (in particolare l'articolo in appendice). zz Scientific Papers 01 l. P. loule. Londra 1884. voI. I. p. 14 . 23 Ibidem , pp. 25.6. Ibidem. pp. 47-8. zs A. ROSSI. L'esperimento di loule . . . . Nota interna n . 691 del· I ·Istit. di Fisica dell'Università di Roma (1977). 116 Cfr. le memorie di Joule riportate negli Scientific Papers a pp. 60. 81 e 107. Cfr. anche la biografia di Joule contenuta in : J. G. CROWTHER. British Scientists of the nineteenth Century. London 1962. in particolare pp. 166-73. Z7 J. P. JOUI.E . On the Calorific Effects of Magneto-Electricity. and on the Mechanical Value of Reat. " Philosophical Magazine". S. 3 . 2 3 ( 1843), p p . 263. 347. 435 ; Scientific Papers o f l. P . loule. p . 123. Z8 Scientific Papers 01 l. P. loule. cfr. ad esempio voI. I. pp. 5 1 -3 . 123. 187. 273-4. Nel 1848. dopo aver Ietto un libro di Herapath. Joule modificò le sue convinzioni ed accettò la teoria cinetica dei gas fondata su moti rettilinei delle molecole : cfr. S. G. BRUSH. op. cit . • nota lO, p . 161 . Z9 Ibidem. pp. 188-9. Cfr. anche p. 265 dove è riportato il reso­ conto di una conferenza tenuta da Joule nel 1847 in cui egli espri­ me con grande chiarezza la sua concezione del mondo. 30 S. G. BRUSH. op. cit .• nota lO. pp. 35-48 ; E. BELLONE . Il mondo

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di carta. Ricerche sulla seconda rivoluzione scientifica, Mondadori , Milano 1976. 31 J. B. BURY, Storia dell'idea di progresso, FeltrineIli, Milano 1964, in parto il cap. 18, " I l progresso materiale : la Mostra del 185 1 " . 32 Mémoire s u r l a chaleur. Par M .rs Lavoisier et d e Laplace, "Hist . et Mém. de l'Acad. des Sciences" (1780), p. 406. 33 Y. ELKANA, op. cit., nota 21, p. 136. 34 Ibidem, p. 140. 3S R. MAYEK, Die Mechanik der Wiirme, Leipzig 191 1 , pp. 6().61 . la descrizione delle osseIVazioni effettuate a Giava è riportata al­ l'interno di un lungo saggio intitolato Il movimento vivente nelle sue connessioni con il metabolismo pubblicato da Mayer a sue spe­ se nel 1845 . Si veda anche E. FARBER, The Color o{ Venous Blood, " lsis " , 45 (1954), p. 3 ; T. S. KUHN, op. cit., nota 16, p. 337. 36 In appendice all'articolo di G. SARroN, cito in nota 21, è ripro­ dotto lo scritto di Mayer dagli "Annalen der Chemie" del 1842 e la sua traduzione inglese. Parziali traduzioni italiane della memoria di MAYEK, intitolata Osservazioni sulle forze della natura inorganica, si trovano in : A. BARACCA - R. LIvI, Natura e Storia, D'Anna, Messina­ Firenze 1976 ; E. BELI.ONB, Le leggi della termodinamica, Loescher, To­ rino 1978. 37 L. KOENIGSBERGER, Hermann von Helmholtz, Dover, New York 1965, pp. 25-31 . ,. Y. ELKANA, op. cit . , nota 21, pp . 141-5 . 3' Questo passaggio tratto dalla voce Wiirme, physiologisch re­ datta da Helmholtz per un'enciclopedia medica tedesca è riportato da : S. G. BRUSH, op. cit. , nota lO, p. 326 . .. Opere di Hermann von Helmholtz, a cura di V. Cappelletti, UTET, Torino, 1967, pp. 39-109. 41 Y. ELKANA, Helmholtz "Kraft " : An Illustration o{ Concepts in Flux, in Histor. Studies in the Phys. Science (a cura di R. McCORM­ MACH) , Philadelphia 1970.

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CAPITOLO SESTO

La termodinamica classica

In un articolo pubblicato nel 1878 sulla rivista "Natu­ re " J. C. Maxwell defini la termodinamica come la ricerca delle proprietà dinamiche e termiche dei corpi, interamente dedotta da quelle che vengono chiamate la pri­ ma e la seconda legge della termodinamica senza far ricor­ so ad alcuna ipotesi sulla costituzione molecolare 1 ...

Da questa definizione, sostanzialmente ripresa nei te­ sti moderni, traspare una sistematicità che la termodina­ mica era lontana dal possedere durante gli anni agitati della sua genesi. La soluzione di separare termodinamica macroscopica e scienza molecolare andava ad esempio contro lo spiri­ to delle ricerche di Rankine e di Clausius, si contrappo­ neva cioè al tentativo di mantenere una unità fra le ri­ cerche teoriche sulla costituzione intima dei corpi e le leggi fenomenologiche, utili ed indispensabili per le ap­ plicazioni. Nel 1878, quando Maxwell scrisse il passo so­ pra citato, non si era d'altra parte ancora raggiunto un accordo nella comunità scientifica sul ruolo da assegnare alle due leggi della termodinamica e sul loro significato. Contrariamente alla legge di conservazione dell'energia la seconda legge, conosciuta anche come legge della dis­ sipazione dell'energia o come legge dell'aumento dell'en­ tropia, non entrò agevolmente nel corpo della scienza e fu al centro di accese discussioni. Questo diverso tratta­ mento viene spesso fatto risalire a motivi di natura psi­ cologica: la prima legge, connessa all'idea di 'permanen­ za delle cose', appare infatti piu ovvia ed intuitiva della seconda legge che, elevando l'irreversibilità allo status di principio naturale, comporta la rinuncia a quelle ca141

ratteristiche di simmetria e di circolarità attribuite al­ l'universo sin dai tempi piu antichi.1 Le idee di progresso e di evoluzione si andavano d'al­ tra parte affermando e generalizzando anche nelle scien­ ze naturali, a partire dalle speculazioni dei geologi sul­ l'età della Terra, già prima della formulazione del II prin­ cipio della termodinamica. Né, come si è visto, l'idea di conservazione dell'ener­ gia verrà accettata cosi agevolmente come viceversa ap­ parirebbe dalla schematizzazione sopra citata, anche se si potrebbe osservare che molte delle resistenze dipese­ ro dal fatto di dover spostare dal novero delle idee scien­ tifiche un'altra 'cosa' dotata di permanenza, e per di piu di materialità, qual era il calorico. L'incomprensione del II principio e la sua scarsissi­ ma utilizzazione a livello tecnologico non dipesero, co­ munque, solo dalla sua novità filosofica. È sufficiente a questo proposito sottolineare come, an­ cor oggi, la cultura scientifico-tecnologica privilegi gli a­ spetti quantitativi (cultura dell'energia) rispetto a quel­ li qualitativi, rispetto cioè alla ricerca di alternative ra­ zionali che riducano lo spreco e la degradazione delle ri­ sorse naturali, pur mantenendo e migliorando gli attua­ li standard di vita (cultura dell'entropia). Ciò non riguarda evidentemente soltanto l'assetto di una particolare disciplina scientifica: è un'espressione del modello di sviluppo che si è consolidato nei paesi indu­ strializzati da oltre un secolo e delle difficoltà, anche a livello tecnico-scientifico, che si devono superare per riu­ scire a rendere credibile e realistica una diversa pro­ spettiva. 6.1. Una breve sintesi*

La termodinamica classica si occupa della descrizio­ ne del 'mondo macroscopico' ma, non potendolo studia­ re come un tutto, è costretta ad isolarne certe parti per sottoporle a controllo sperimentale, parti denominate " sistemi termodinamici". Ci sono fondamentalmente tre * In questo paragrafo vengono brevemente sintetizzate le prin­ cipali caratteristiche della termodinamica. Ho consultato a questo proposito i seguenti testi : P. W. BRIDGMAN, The Nature ot Thermo­ dynamics ; E. FIlRMI, Termodinamica ; A. KATCHALSKY-P. F. CORRAN , Non equilibrium Thermodynamics in Biophysics ; M. W. ZIiMANSKY, Calore e Termodinamica.

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tipi di sistemi termodinamici connessi con tre diversi metodi di isolamento : 1. Sistemi adiabatici, racchiusi da pareti che impediscono sia scambi di energia termica che di materia. Un sistema adiabatico può solo ricevere o cedere lavoro. 2. Sistemi chiusi, circondati da pareti permeabili al ca­ lore e parzialmente o totalmente mobili, cosi da poter scam­ biare sia energia meccanica che energia termica con l'ester­ no, impedendo però contemporaneamente i trasferimenti di materia . 3. Sistemi aperti, racchiusi da pareti che permettono sia scambi di energia che di materia con l'ambiente esterno .

La termodinamica classica, avendo a che fare con un orizzonte fenomenologico costituito prevalentemente da gas e da vapori racchiusi entro un cilindro dotato di una parete mobile (il pistone), si occupò anzitutto dei siste­ mi adiabatici e dei sistemi chiusi. Solo in un secondo tempo verrà sviluppato il forma­ lismo adeguato allo studio dei sistemi aperti.* Per descrivere un sistema si usano in termodinamica dei parametri di stato di carattere macroscopico, che possono essere sia interni al sistema che esterni. Ogni funzione determinata univocamente da tali parametri si chiama funzione di stato. Si postula inoltre che quando il sistema è in equilibrio i parametri interni siano com­ pletamente determinabili mediante quelli misurati ester­ namente al sistema stesso, ovvero che in una situazione di equilibrio sia sufficiente la conoscenza dei parametri esterni per descrivere in modo esauriente lo stato di un sistema. La termodinamica, la scienza delle trasformazioni e­ nergetiche, viene cOSI concettualmente ridotta . ad una termostatica! L'impasse è superata ricorrendo al concetto di tra­ sformazioni reversibili, quasi-statiche, concepite quali successioni di infiniti stati di equilibrio infinitamente prossimi uno all'altro. La I legge della termodinamica è sostanzialmente la specificazione del principio di conservazione dell'energia allo studio dei sistemi termodinamici. Afferma che: * I sistemi aperti sono tipici della chimica e soprattutto della biologia : un organismo vivente (una cellula ad esempio) scambia in­ fatti sia materia che energia con l'esterno.

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Il guadagno di e­ nergia interna di un sistema in un qualsiasi inter­ vallo di tempo

Lavoro ricevuto dal sistema dal­ l'esterno in tale intervallo

Calore ricevuto dal sistema dal­ + l'esterno sempre in questo inter­ vallo di tempo .

Questa equazione presuppone in termini operativi che si possano misurare i flussi di calore e di lavoro che at­ traversano le pareti del sistema in un dato tempo e de­ finisce il 'guadagno di energia interna' come somma di tali quantità. Due grandezze fisiche sono però addizio­ nabili solo se esprimibili mediante una identica unità di misura: le ricerche di Joule sull'equivalente meccanico del calore garantivano questa possibilità. Il contenuto del I principio non è in ogni caso riducibile all'idea del bilancio energetico. Secondo tale principio il guadagno di energia interna dipende esclusivamente dallo stato iniziale e dallo stato finale del sistema: esiste cioè una funzione di stato indi­ cata con il simbolo U ( l'energia interna) le cui variazio­ ni sono indipendenti dal particolare processo seguito dal sistema nel passare dallo stato iniziale allo stato finale. D'altra parte, secondo la termodinamica né Q né L sono funzioni di stato : calore e lavoro sono soltanto due modi mediante i quali si può variare l'energia inter­ na di un corpo. Non ha piu senso, in termodinamica, parlare di con­ servazione del calore e di quantità assoluta di calore contenuta in un corpo : il calore non è altro che quella particolare forma di energia trasferibile grazie ad una differenza di temperatura e generabile mediante la con­ versione di una equivalente quantità di energia di altra specie ( meccanica, chimica, elettrica, ... ). Esiste però an­ che in termodinamica una funzione del calore ( e della temperatura) le cui variazioni sono indipendenti dal pro­ cesso seguito nel passare da uno stato all'altro. Questa funzione è l'entropia di Clausius, indicata con il sim­ bolo S, il cui differenziale è legato al calore scambiato reversibilmente dal sistema con una sorgente esterna dalla relazione dS = (d Q)", T dove T rappresenta la temperatura assoluta a cui avvie­ ne tale scambio. A differenza dell'energia, la nuova gran144

dezza introdotta da Clausius permette di caratterizzare alcuni tratti fondamentali delle trasformazioni irreversi­ bili. Queste trasformazioni creano infatti dell'entropia (nel complesso costituito dal sistema piu l'ambiente e­ sterno con cui il sistema scambia calore e lavoro) ridu­ cendo contemporaneamente la quantità di energia uti­ lizzabile per compiere lavoro. D'altra parte poiché ogni trasformazione fisica reale è connessa con dei processi irreversibili segue che du­ rante ogni trasformazione reale si verifica un aumento di entropia nell"universo' costituito dal sistema piu lo ambiente esterno. L'entropia non è quindi una grandezza conservativa ma evolve nel tempo, nel senso che gli stati attraversati dal complesso 'sistema + ambiente' sono caratterizzati da valori via via crescenti di S. È stato anzi proposto di utilizzare l'entropia quale mi­ sura dello scorrere del tempo; gli aumenti dell'entropia di un universo completamente isolato scandirebbero il progredire della 'freccia del tempo'. La termodinamica è quindi fondata su due principi, uno conservativo e l'altro evolutivo, e su due concetti, l'energia e l'entropia. 6.2. Filosofia naturale e termodinamica La termodinamica classica appare cosi una costruzio­ ne logicamente ben fondata e coerente, tanto da venire spesso paragonata alla geometria euclidea per le sue ca­ ratteristiche di armoniosità e di completezza. Storicamente tuttavia questa sistemazione logica sa­ rà in buona misura un prodotto successivo all'opera dei suoi fondatori, che lasciarono una scienza ancora in par­ te contraddittoria, in cui coesistevano formulazioni e svi­ luppi alternativi. Ciò appare subito esaminando i lavori di William Thomson, meglio conosciuto come lord Kelvin, e con­ frontandoli con quelli di Rudolf Clausius e di William Macquorn Rankine.* * Si tratta appunto dei tre principali fondatori della tennodi­ namica. William Thomson fu uno degli scienziati piu prestigiosi del­ la seconda metà dell'Ottocento : nel 1846, a soli ventidue anni , ot­ tenne la cattedra di filosofia naturale a Glasgow, avendo alle spal­ le già una ventina di pubblicazioni ed un periodo di tirocinio spe·

145

Kelvin colse per cosi dire ante litteram la contraddi­ zione fra le due leggi della termodinamica quando nel 1849 pose il problema del disaccordo fra la teoria di Joule e quella di Camot. L'antinomia verrà superata l'anno successivo per me­ rito di Clausius ma ciò non toglie che rimase, ed è ri­ masta sino ad oggi, una certa divergenza fra i due pos­ sibili approcci alla termodinamica. Kelvin fu essenzial­ mente un teorico del II princicipio e dell'irreversibilità, al contrario ad esempio di Rankine che cercò di ridurre il II principio della termodinamica alla legge di conser­ vazione dell'energia (cfr. i paragrafi 7.3 e 7.5). La termodinamica di Kelvin non riusci d'altra parte a risolvere il problema della 'quantificazione' dell'irreversi­ bilità, che verrà in parte (anche se non completamente) risolto da Clausius mediante il ricorso al concetto astrat­ to di entropia, definibile esclusivamente lungo percorsi reversibili. Le concezioni cosmologiche di Kelvin, ed in partico­ lare l'idea dell'esistenza di un'inesorabile tendenza alla degradazione energetica dell'Universo, saranno a loro vol­ ta poste in discussione da Rankine che immaginò un processo cosmico capace di riconcentrare la radiazione diffusa negli spazi interstellari, e cioè un processo agen­ te su scala universale che permetteva continuamente di risalire la "china dell'entropia", per usare un'espressione coniata da Jacques Monod" L'idea della degradazione energetica dell'Universo non era che la generalizzazione, nel linguaggio della termodi­ namica, delle speculazioni dei naturalisti e dei geologi del XVIII secolo sul progressivo raffreddamento del glo­ bo terrestre. La stessa necessità di dover postulare l'esi­ stenza di un mezzo meccanico per la trasmissione delle onde luminose e dei raggi calorifici (l'etere) verrà nel secondo quarto dell'Ottocento connessa con la problema­ tica dell'irreversibilità e della tendenza universale verso un livello di uniformità e di morte. Nel Bridgewater treatise ( 1 833 ) W. Whewell sottolineò ad esempio come l'etere cosmico comportasse necessariamente l'esistenza rimentale nei laboratori di Regnault a Parigi . Egli rappresentò la classica figura dello scienziato vittoriano, ancora scarsamente spe­ cializzato e legato alle esigenze industriali (Kelvin fu ad esempio il primo professore britannico ad introdurre nelle università la pra­ tica del laboratorio per gli studenti).'

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di una forza ritardatrice, che si opponeva ad ogni moto celeste, la quale per quanto piccola finirà col distrugge­ re ogni forma di movimento e di conseguenza la stessa vita sul nostro pianeta.' C'era d'altra parte una stridente contraddizione fra l'idea della dissipazione dell'energia e la regolarità-cicli­ cità dell'Universo postulata dalla fisica laplaceana, fisica che aveva fornito il principale quadro di riferimento nel periodo della formazione scientifica del giovanissimo Wil­ liam Thomson, che frequentò l'università di Glasgow e poi uno dei piu prestigiosi college di Cambridge. Per la verità le prime ricerche teoriche del giovane scienziato britannico riguardarono proprio un fenomeno essenzialmente irreversibile, riguardarono cioè la teoria di Fourier della conduzione termica, ma non gli appari­ ranno inizialmente in contrasto con la dinamica rever­ sibile newtoniana-laplaceana. In una di queste memorie Kelvin mise ad esempio in evidenza la non simmetria dell'equazione di Fourier ri­ spetto allo scorrere del tempo, ma non attribui a tale stranezza, rispetto alla simmetria temporale dell'equa­ zione del moto di Newton, quello status di crucialità che avrebbe in seguito assunto" Sarà il confronto fra la teoria di Carnot e quella di Joule che lo costrinse a fare i conti con questa proble­ matica. Durante il suo soggiorno parigino presso i la­ boratori di Regnault W. Thomson ebbe l'opportunità di leggere la memoria di Clapeyron, che per la verità era già stata tradotta in inglese, ed imparò cosi che la con­ duzione del calore, se opportunamente 'imbrigliata' en­ tro una macchina termica reversibile, era equivalente ad una 'azione meccanica' e produceva il massimo di poten­ za motrice estraibile a quelle date condizioni. Nel 1 847, al congresso di Oxford della B ntish Asso­ ciation, fece la conoscenza con ... la concezione alternati­ va di Joule. Lo scienziato di Manchester era da tempo un deciso critico della teoria di Carnot che, a suo giudizio, trasformava l'innocente conduzione di calore in un pro­ cesso che annichilava energia, distruggendo una poten­ zialità di compiere lavoro. Ciò era in contrasto, come è già stato sottolineato nel par. 5.5, sia con le ricerche sperimentali di Joule sull'equivalenza e reciproca conver­ sione di lavoro meccanico e calore che con le sue con­ vinzioni religiose. Secondo Joule solo Dio aveva la fa­ coltà di distruggere energia: cosi la teoria di Carnot 147

risultava in contraddizione sia con le leggi naturali che con la teologia ...7 Kelvin, pur intuendo l'importanza delle ricerche di Joule e la forza delle sue argomentazioni, non poteva accettarle integralmente perché avrebbero comportato una radicale revisione di tutta la scienza del calore che aveva mostrato, in un notevolisimo numero di casi, di essere in ottimo accordo con l'esperienza e di essere ano cora dotata di notevoli capacità predittive. Anche in Kelvin avevano d'altra parte un notevole peso gli argomenti biblici e religiosi: egli era stato for­ mato secondo la tradizione teologica volontarista che presupponeva l'esistenza di un attivo intervento di Dio nella natura, sia attraverso le leggi naturali da lui crea­ te che attraverso atti eccezionali non alla portata del­ l'umana comprensione. L'insieme della problematica avvolgente, per cosi di­ re, William Thomson non era dunque ridotta al conflit­ to fra la teoria di Carnot e quella di Joule : riguardava da un lato il problema della salvaguardia della tradi­ zione ereditata dalla fisica matematica francese e dall'al­ tro questioni di filosofia naturale e concezioni del mon­ do in cui interveniva la stessa educazione religiosa rice­ vuta dal giovane scienziato.' 6.3. Joule e Carnot : due teorie alternative? Kelvin, malgrado apprezzasse le ricerche di Joule, rimase un assertore dell'ormai parzialmente screditata teoria del calorico sin verso la fine del 1850. Nell'opera del giovane professore di filosofia natura­ le vediamo operante quella dialettica conservazione-cam­ biamento tipica di molte grandi figure della storia della scienza. Il suo conservatorismo non mancava infatti di buone ragioni: rinunciando al calorico non si correva ad esem­ pio il rischio di buttare a mare !'intero patrimonio teo­ rico e sperimentale ereditato dalla fisica del calore fran­ cese? D'altra parte la teoria di Joule non sembrava affatto sufficiente a rifondare su basi certe e sicure la scienza del calore. Kelvin era troppo legato, attraverso Regnault, Clapeyron e Carnot, alla tradizione ingegneristica per 148

poter accettare in modo acritico una teoria che, san­ cendo l'equivalenza delle varie forme di energia, sem­ brava asserire che uguali quantità di calore erano del tutto equivalenti, indipendentemente dalla loro dispo­ nibilità reale, indipendentemente cioè dalla temperatura della sorgente. Per un ingegnere ciò risultava manifestamente assur­ do : c'era infatti una bella differenza fra il calore 'utile' immagazzinato nella caldaia e quello viceversa 'inuti­ le' scaricato nel condensatore. La teoria di Carnot, fondata sull'assioma della con­ servazione del calore, continuava d'altra parte a rivelar­ si particolarmente feconda. Un esempio è costituito dalla scoperta della diminuzio­ ne del punto di fusione del ghiaccio con l'aumentare della pressione. Il fenomeno fu teoricamente previsto nel 1849 da James Thomson (fratello di William e professore di inge­ gneria a Glasgow) per sfuggire ad una curiosa contraddizio­ ne della teoria di Carnot che, applicata ad una 'ice engi­ ne' reversibile, condurrebbe altrimenti al moto perpetuo. Era cioè possibile immaginare una macchina che converti­ va acqua in ghiaccio a (lo senza passaggi di calore fra sor­ genti a diversa temperatura e senza consumo di lavoro mec­ canico . Poiché l'acqua congelandosi si dilata ciò implicava l'assurda possibilità di ottenere lavoro utile dal nulla! Se viceversa il punto di congelamento si abbassa con la pres­ sione, la produzione di lavoro è accompagnata da un pas­ saggio di calore (il calore di solidificazione) e l'assurdo è cosi rimosso" Un esempio ancor piu significativo è la scoperta, collega­ ta al principio di Carnot, dell'esistenza di una scala termo­ metrica assoluta (e cioè indipendente dalle particolari proprietà del fluido termometrico utilizzato) effettuata da Kelvin nel 1848.1• Come si ricorderà, secondo il principio di Carnot, il la­ voro prodotto dalla caduta di una data quantità di calore entro una macchina reversibile era solo ed esclusivamente funzione della temperatura delle sorgenti. Si poteva anche dire, rovesciando con Kelvin i termini del discorso, che tale lavoro (massimo) forniva una misura della temperatu­ ra del corpo caldo, indipendente per il principio di Carnot dal fluido operatore, quando il corpo freddo era ad una cer­ ta temperatura fissa di riferimento (poteva ad esempio es­ sere una data quantità di ghiaccio in fusione, a O cC) .

Nel 1849, essendo riuscito ad entrare in possesso di una copia delle Réflexions, William Thomson scrisse un 149

importante Resoconto della teoria di Carnot. Il contra­ sto Joule-Carnot è qui problematizzato ed esplicitato, e posto entro la piu ampia cornice del conflitto esistente fra la conduzione del calore e la dinamica reversibile. Il centro del problema è infatti l'antinomia della con­ duzione del calore: come caratterizzare la radicale dif­ ferenza che esiste fra la conduzione totalmente irrever­ sibile (!'innocente passaggio spontaneo di calore dalle regioni calde a quelle fredde) e quella totalmente rever­ sibile (entro una macchina di Carnot) ? Quando l''' azione tennica" viene cosi consumata nella conduzione di calore attraverso un solido - scrisse Kelvin in una nota a piè di pagina del suo Resoconto della teoria di Carnot che succede dell'effetto meccanico che essa do­ vrebbe produrre? Nulla può esser perduto durante le ope­ razioni della natura; nessuna energia può essere distrutta. Ma allora qual è l'effetto prodotto in luogo dell'effetto mec­ canico che è andato perduto? Una perfetta teoria del calore richiede imperativamente una risposta a questa domanda; eppure nessuna risposta può esser data nell'attuale stato della scienza. Il -

Questo passo esprime chiaramente la confusione con­ cettuale ancora esistente: Kelvin parla di "azione termi­ ca" consumata, di effetto meccanico andato perduto e contemporaneamente accetta il rilievo 'teologico' di Jou­ le che nessuna quantità energia può essere distrutta. Il termine 'energia' non ha evidentemente qui lo stesso nostro significato. In particolare il calore non viene an­ cora concepito come una forma di energia. Kelvin si di­ batte nella contraddizione fra quantità e qualità della energia termica, o se si preferisce nel conflitto fra ener­ gia ed entropia associato alla conduzione del calore: la prima si conserva, anche nella particolare forma ener­ getica, mentre la seconda aumenta rendendo inutilizza­ bile la quantità di calore trasmessa (l'utilità è legata al­ la possibilità di convertire parzialmente il calore ad alta temperatura in energia meccanica). Una rigorosa formulazione del II principio della ter­ modinamica richiedeva dunque necessariamente il prin­ cipio di conservazione dell'energia: solo comprendendo che cosa si conservava era possibile stabilire che cosa, viceversa, si modificava irreversibilmente.

150

6.4. Le leggi della termodinamica Nella sua memoria del 1849 sulla teoria di Camot William Thomson pose il problema della fondazione del­ la termodinamica. Era sufficiente sviluppare e modifica­ re la vecchia concezione oppure andava cercata una base interamente nuova per la scienza del calore? La sfida verrà raccolta dal fisico tedesco R. Clau­ sius che, in una memoria letta nel febbraio 1850 all'Ac­ cademia delle Scienze di Berlino, indicò la via per una corretta soluzione del problema. Clausius riteneva senz'altro valida l'ipotesi dinamica di Joule: il calore non è un fluido materiale e consiste del movimento delle minuscole particelle che costitui­ scono i corpi, è energia cinetica molecolare. Il fisico tedesco non pensava d'altro lato necessario scartare la teoria di Camot : ... la nuova teoria - disse Clausius - non e In OPpOSIZIO­ ne al principio fondamentale di Camot ma contraddice sol­ tanto l'asserzione ausiliaria secondo cui non si perde calo­ re: in effetti, nella produzione di lavoro, può benissimo ac­ cadere che, nello stesso tempo, una certa quantità di calo­ re venga consumata ed un'altra trasferita da un corpo cal­ do ad uno freddo, e che entrambe le quantità di calore sia· .no in relazione definita rispetto al lavoro che è stato fatto. 12

Secondo Clausius in una macchina di Camot solo una parte ( Q2) del calore assorbito dalla sorgente calda a tem­ peratura T. ( Q.) era trasferita, durante un ciclo comple­ to di operazioni, alla sorgente fredda a temperatura T2, mentre la differenza Q. Q2 > O veniva contemporanea­ mente convertita in lavoro. Il principio di Camot è ancora perfettamente valido : Clausius dimostrò che se esistesse una ipotetica macchi­ na dotata di un rendimento maggiore della macchina di Camot operante fra le stesse temperature allora abbi­ nando quest'ultima, funzionante da pompa di calore, al­ la prima si otterrebbe un risultato assurdo, un continuo flusso di calore dal corpo freddo al corpo caldo senza alcun consumo di lavoro.* -

* Si noti che Clausius non utilizza nella dimostrazione per as · surdo l'assioma dell'impossibilità del perpetuum mobile ma, ben­ ché solo implicitamente , un particolare enunciato del Il principio :

151

Non ci si deve tuttavia lasciar ingannare dall'appa­ rente semplicità della soluzione indicata da Clausius : nessuno aveva, ad esempio, ancora verificato che parte del calore comunicato al fluido operatore si convertiva effettivamente in lavoro. L'ipotesi di Clausius inoltre apriva nuovi e fonda­ mentali problemi. Che relazione esisteva, ad esempio, tra le quantità di calore in gioco e le temperature delle sorgenti ? Tra la nuova immagine del calore quale vis viva molecolare e la termodinamica? Nella memoria del 1850 Clausius non approfondi tali questioni e si limitò a sottolineare il contrasto esistente fra alcune nozioni ancora quasi universalmente accolte (l'idea che il calore fosse esprimibile mediante una fun­ zione di stato, ad esempio) e la nuova teoria del calore, ed a proporre alcune notevoli deduzioni tecniche. La prima organica e generale sistemazione della nuo­ va scienza è rappresentata da uno scritto di Kelvin del 1851, significativamente intitolato La teoria dinamica del calore, che verrà poi completato dall'autore negli anni seguenti mediante nuove parti ed appendici. In questa fondamentale memoria William Thomson attribui a Joule ed a Carnot-Clausius il merito della sco­ perta delle due leggi della termodinamica che vengono cosi enunciate: Proposizione I (Joule ) . Quando quantità eguali di effet­ to meccanico vengono prodotte, con qualsiasi mezzo, a par­ tire da sorgenti puramente termiche, oppure vanno perdu­ te in effetti puramente termici, vengono distrutte o gene­ rate quantità eguali di calore. Proposizione II (Carnot e Clausius). Se una macchina è tale che, quando vien fatta lavorare alla rovescia, le opera­ zioni di tipo fisico e meccanico in tutte le parti dei suoi movimenti sono rovesciate, allora essa produce tanto effet­ to meccanico quanto quello che può esser prodotto, da una data quantità di calore, con una macchina termodinamica qualsiasi che lavori fra le stesse temperature di sorgente e refrigeratore'" .. r;; impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia un trasferimento di calore da un corpo ad una data tempera­ tura ad un altro a temperatura maggiore " . Nella teoria dinamica del calore, in cui si ipotizzava che ad ogni produzione di lavoro cor­ rispondesse la conversione di un 'equivalente quantità di energia di altra forma, non aveva infatti piu senso vietare esplicitamente la possibilità di costruire un moto perpetuo di I specie."

152

Kelvin sottolineò come la prima propOSIZiOne fosse valida solo nel caso in cui il sistema era riportato nello stato iniziale. Nel caso generale bisognava evidentemente tener con­ to anche degli 'effetti meccanici interni', ovvero delle variazioni dell'energia interna del sistema. La seconda proposizione verrà dimostrata da Kelvin a partire dal solito ragionamento per assurdo di Carnot, ri­ correndo però ad un postulato diverso da quello di Clau­ sius. Si tratta del ben noto 'enunciato di Kelvin del se­ condo principio', che sancisce l'impossibilità del moto perpetuo di II specie : È impossibile, ricorrendo ad operazioni materiali inani­ mate, derivare effetto meccanico da una qualsiasi porzione di materia raffreddandola al di sotto della temperatura del piu freddo fra gli oggetti circostanti. 1S

Il principio di Carnot del massimo rendimento ha co­ si assunto lo status di legge fondamentale di natura, di­ ventando con Clausius e con Kelvin il II principio della termodinamica. Il fisico americano P.W. Bridgman, un po' paradossal­ mente, si è chiesto il motivo di tanto interesse della na­ tura nei confronti degli sforzi umani di realizzare una macchina perfetta.'6 È forse la prima volta infatti che una legge fonda­ mentale di natura è dedotta in modo cosi diretto da con­ siderazioni sul funzionamento di macchine che, benché materialmente non costruibili, evidenziano pur sempre scopi ed interessi essenzialmente umani. Il caso della termodinamica è dunque esemplare dal punto di vista gnoseologico perché mostra come la pras­ si umana, e in particolare la prassi tecnologica, sia un fattore attivo che promuove e stimola direttamente e in modo originale la conoscenza scientifica della natura. Questa affermazione non va tuttavia considerata uni­ lateralmente: come si è visto senza un'autonoma atti­ vità di ricerca teorica e senza il contributo degli svilup­ pi scientifici che contemporaneamente intervenivano in altre regioni del sapere la scienza dell'energia non sa­ rebbe nata, almeno nella forma che noi conosciamo. La termodinamica non deve perciò tutto o quasi alla pras­ si, e tantomeno alla prassi della macchina a vapore. Questa interpretazione, benché in forma meno sche­ matica, è stata proposta negli anni '30 da alcuni storici 153

della scienza britannici ed è stata recentemente ripresa in chiave diversa da Georgescu-Roegen, un economista romeno impegnato in una seria battaglia culturale affin­ ché la scienza economica rinunci agli schemi circolari desunti dalla filosofia meccanicistica ed assuma tra i propri fondamenti, utilizzando a questo proposito il con­ cetto di entropia, il problema delle risorse naturali e quello connesso dello spreco e della degradazione am­ bientale. Lo studioso romeno ha ad esempio definito la termo­ dinamica una "fisica del valore economico", slogan che, per quanto stimolante ed in sintonia con le sue ricerche, dimentica come la scienza dell'energia non fosse esclu­ sivamente o prevalentemente determinata da problemi ed interessi di natura economicaP Georgescu-Roegen coglie tuttavia nel segno quando in­ dica una specificità economica della termodinamica ri­ spetto ad altri settori della fisica o piu in generale delle scienze della natura nel loro complesso. Uno studio comparato degli sviluppi della termodina­ mica e del modello energetico che si è imposto nell'Ot­ tocento nei paesi industrializzati sarebbe a questo pro­ posito di grande interesse ed attualità. Nel prossimo capitolo, attraverso l'analisi di qualche caso particolare, cercherò di indicare una possibile linea di ricerca. 6.5. L'energia si degrada Il calore è una forma di energia affatto particolare, la cui presenza contraddistingue i processi irreversibili. Ogni trasformazione reale irreversibile si può infatti rappresentare e scomporre mediante una serie di trasfor­ mazioni reversibili piu un processo tipo la conversione di lavoro meccanico od elettrico in calore ( effetto Jou­ le) o la conduzione del calore da un corpo ad un altro a temperatura inferiore ( effetto Fourier) . In entrambi i casi si perde o l'effettiva disponibilità di lavoro o la potenzialità a compiere lavoro : ciò si esprime dicendo che l'energia, pur conservandosi, si è coritemporaneamente degradata. La degradazione dell'energia è un processo naturale indipendente dall'uomo e dall'attività umana anche se quest'ultima, in particolare dopo la rivoluzione industria­ le, non è priva di relazioni con tale processo, quanto154

meno a livello del sistema termodinamico costituito dal­ la biosfera. La "liberazione di Prometeo", riprendendo l'immagine usata da David Landes per caratterizzare l'epoca del­ l'industrialismo, ha infatti accelerato e modificato il processo di degradazione energetica della biosfera, facen­ dogli assumere forme e modi artificiali sempre piu preoc­ cupanti. Kelvin con la sua cosmologia della dissipazione del­ l'energia era quindi in un certo senso portavoce sia del dinamismo che delle segrete ansie ed inquietudini carat­ terizzanti l'epoca vittoriana e la stessa ideologia 'otti­ mistica' dell'industrialismo e del progresso.* Non si pensi, d'altro lato, che l'idea della dissipazione dell'energia fosse una semplice conseguenza della 'Teoria dinamica del calore' elaborata da Kelvin. Essa è, al con­ trario, strettamente intrecciata alla genesi dell'opera fon­ damentale dello scienziato britannico, anche se ciò non appare tanto dalla lettura del testo stampato ma soprat­ tutto da una serie di appunti annessi al manoscritto. In alcuni passaggi del manoscritto della Teoria dinamica del calore è, ad esempio, proposta una chiara relazione fra irreversibilità e progressività della natura. Ogni cosa nel mondo materiale è progressiva - scrisse Kelvin -. Il mondo materiale non può ritornare in un qual­ siasi stato precedente senza che le leggi manifestate all'uo­ mo vengano violate, senza cioè un atto creativo o un atto dotato di un simile potere ... 18

Sarà la geofisica a suggerire a W. Thomson l'idea della progressività della natura anche se la famosa im­ magine della marche naturelle de la chaleur, usata da Fourier per illustrare l'unidirezionalità della conduzione termica, non può non aver influenzato il giovane scien­ ziato britannico che, come si ricorderà, era un profondo conoscitore ed ammiratore dello scienziato francese. Tale unidirezionalità, nella nuova accezione del calore come vis viva molecolare, si poteva infatti interpretare alla stregua di un processo cosmico di diffusione del moto da stati di precedente maggior concentrazione. Il moto si poteva riconcentrare solo localmente gra* L 'uso da parte di Kelvin del termine " dissipazione " . tipico del­ la morale vittoriana. è per altro significativo : attribuisce una con­ notazione morale negativa ad un processo naturale !

155

zie ad energia diffusa da altre fonti: cosi ad esempio la ciclicità e la reintegrazione dei processi naturali osser­ vata nella biosfera era esclusivamente opera della radia­ zione diffusa dal Sole, che è il 'motore primo aristote­ lico' dei nostri cicli naturali. Nel complesso è comunque la degradazione, la diffu­ sione del moto, che prevale. La conclusione tratta da Kelvin nel manoscritto della Teoria dinamica del calore è drastica: "La permanenza delle presenti forme e circo­ stanze del mondo fisico è limitata". Questa affermazione è per altro preceduta dalla cita­ zione delle prime parole di un salmo biblico, salmo che si noti attribuisce a Dio la caratteristica della perma­ nenza ed al mondo quella della transitorietà.'• Kelvin cioè integra la cosmologia dedotta dalla ter­ modinamica con la cosmologia biblica, ed anzi usa que­ st'ultima a sostegno di una teoria non ancora comple­ tamente matura dal punto di vista scientifico. Trattare l'irreversibilità e la dissipazione dell'energia in termini rigorosamente quantitativi era infatti un pro­ blema complesso che Kelvin non sarà in grado di risol­ vere pienamente neppure nella comunicazione dell'apri­ le 1852 alla Royal Society di Edimburgo, comunicazione in cui propose esplicitamente la tesi che nel mondo ma­ teriale esiste una tendenza universale verso la dissipa­ zione di energia meccanica.'· Vorrei cercare di mostrarlo ricostruendo piuttosto li­ beramente l'analisi proposta dallo scienziato britannico relativa alla dissipazione dell'energia in una macchina a vapore a condensazione. Supponiamo di convertire per effetto Joule il lavoro W nel calore Q" ceduto ad una sorgente a temperatura T" e cerchiamo di valutare l'energia cosi dissipata. Se T, è la piu bassa temperatura dei corpi a disposizione allora l'energia dissipata, non piu utilizzabile per com­ piere lavoro, è semplicemente uguale a W. Se viceversa esiste una sorgente fredda, a temperatu­ ra T2 < T" allora è possibile riconvertire una parte del calore Q, in lavoro mediante una macchina di Carnot. Questa frazione verrà evidentemente W = Q, - Q2 e solo la quantità di energia meccanica W - W dovrà con­ siderarsi dissipata. Cerchiamo ora di specificare tale quantità, esprimendo il rendimento 1'] della macchina di 156

Carnot in funzione della temperatura delle sorgenti. Co­ me noto il rendimento di una qualsiasi conversione e­ nergetica è dato dalla frazione di energia effettivamente convertita, cioè nel nostro caso da 1) =

Vi (1"

=

0, - 0,

O,

=

O,

1 - (1"


O poiché in tal caso sarebbe sufficiente eseguire le operazioni in sen­ so inverso per ridursi al caso precedente ed incontrare un'analoga impossibilità. Si ha quindi necessariamente O N(c:icl o rev) =

Nel caso di un ciclo irreversibile resta al contrario valida solo la prima parte della dimostrazione, perché non è possibile eseguire le operazioni in senso inverso. Si ha quindi N (cicl o irrev)

� ( OnT) ;",.

--

i

(dO) ;",.

-T-

� O

� O � O

dove la seconda e la terza disuguaglianza rappresentano la specificazione della prima, mediante il formalismo en­ tropico, ai casi rispettivamente di un numero finito di sorgenti o di una loro distribuzione continua." È per altro facile capire il significato della prima di­ suguaglianza mentre viceversa risulta meno agevole at­ tribuire un significato intuitivo alle disuguaglianze lega­ te al formalismo entropico. Le irreversibilità presenti nel ciclo equivalgono infat­ ·ti a trasformazioni energetiche 'non compensate' che lo

.

" La .. disuguaglianza di Clausius " nei

generalmente scritta in

forma

opposta :

testi di termodinamica è dQ

J;; J"'

T

� o.

Ciò dipende dalla diversa convenzione sui segni seguita.lO Il valore N di un ciclo irreversibile è tuttavia essenzialmente positivo ; cosi; quando ci si pone dal punto di vista del fluido operatore, si deve scrivere N( c i c iO i rrev) =

166

-

sbilanciano, facendo prevalere le trasformazioni favorite in natura tipo effetto Joule od effetto Fourier. Cosi ri­ sulta del tutto evidente che debba essere N(ciclo imv . ) 2: O mentre viceversa, con il formalismo entropico, si perde proprio questa connessione esistente fra aumento di en­ tropia e presenza di trasformazioni energetiche non com­ pensate. In particolare, definendo l'entropia come una funzio­ ne di stato, non è affatto agevole capire come mai deb­ ba aversi creazione di entropia durante un ciclo irre­ versibile. Se il sistema è riportato alla fine del ciclo nello sta­ to di partenza non può evidentemente esserci alcuna va­ riazione dell'entropia del sistema. Ciò che aumenta è in realtà l'entropia delle sorgenti ma è proprio tale fatto che viene parzialmente celato dalla definizione di entro­ pia come funzione di stato. È tuttavia possibile concepire l'entropia non piu co­ me una semplice funzione di stato ma come una varia­ bile legata all'evoluzione complessiva dell'insieme costi­ tuito dal sistema e dalle sorgenti, che in termodinamica si chiama 'universo'. È facile mostrare che N equivale proprio alla varia­ zione di entropia dell'universo, almeno nel caso parti­ colare di trasformazioni cicliche. Vale la pena a questo proposito di riprendere un problema affrontato da Clausius nel 1856, analogo a quel­ lo messo in evidenza da Kelvin nel suo scritto sulla dis­ sipazione dell'energia.31 Per valutare la perdita di energia utilizzabile causa­ ta dai processi irreversibili presenti in una macchina a vapore Clausius, contrariamente a Kelvin, non calcolò il calore " sprecato in modo assoluto ed irreparabile", ma il lavoro prodotto dalla macchina durante un ciclo e lo confrontò con quello massimo potenzialmente produci­ bile in quelle date condizioni. Lo scienziato tedesco utilizzò la convenzione sui se­ gni 'dal punto di vista del fluido': si aveva dunque che

f��- = - N,

dove N era un numero positivo esprimente il valore di tutte le trasformazioni non compensate.

167

Clausius, per semplicità, suppose che durante il ci­ clo il miscuglio acqua-vapore cedesse calore all'ambien­ te ad un'unica temperatura T. e, viceversa, lo acquistas­ se da sorgenti esterne a diverse temperature T. Si può allora cosi scomporre l'integrale esteso al ciclo :

[

.

O

dT

Q

+

�:

= -N

.

dove Q. rappresenta il calore (negativo) ceduto dal flui­ do mentre Q, rappresenta la totalità del calore acquista­ to alle diverse temperature. Risolvendo rispetto a Q. si ottiene : O ' d - T. N Q. = - T •

.

.

[



.

[0,

Ricordando la convenzione sui segni adottata si ha, d'altra parte, che il lavoro prodotto durante il ciclo è W = Q, + Q. = Q, - T. ·

dQ -- - T. N . T

.'

.

Se la macchina fosse reversibile il lavoro prodotto sa­ rebbe il massimo a quelle date condizioni e si avrebbe inoltre N = O. Si può dunque concludere con Clausius che il prodotto T. · N(" cl. 'm,,) misura la quantità di energia resa inutilizzabile dalle irreversibilità presenti nel ciclo reale della macchina a vapore. Questo risultato è per altro generalizzabile : si può infatti dimostrare che, se T. è la temperatura assoluta della sorgente piu fredda che si ha a disposizione, il pro­ dotto T. · l1 S(u.oi""'.) rappresenta sempre la quantità di energia divenuta inutilizzabile per compiere lavoro." C'è tuttavia un punto delicato che è importante met­ tere in evidenza : adottando la convenzione sui segni tra­ dizionalmente in uso nei testi di termodinamica, e cioè considerando positivamente le quantità di calore rice­ vute dal fluido e negativamente quelle cedute all'esterno, appare del tutto naturale indicare nel formalismo entro-

168

pico con T la temperatura assoluta del fluido nell'istan­ te in cui scambia la quantità di calore dQ. Quando lo scambio di calore è reversibile non ci sono problemi perché necessariamente anche la sorgente in contatto termico con il fluido deve avere un'identica temperatu­ ra T. Quando viceversa si hanno flussi di calore irrever­ sibili allora in genere intervengono differenze finite di temperature fra la sorgente ed il fluido che possono es­ sere dell'ordine delle diecine, ma anche delle centinaia se non delle migliaia di gradi. Evidentemente ciò corrisponde a fortissime degrada­ zioni di energia, a grandi quantità di energia rese inu­ tilizzabili per compiere lavoro. Nel caso della macchina a vapore analizzato da Clau­ sius, ad esempio, ad una temperatura della fiamma nel focolare dell'ordine di 1500-2000 °C corrispondeva una temperatura del miscuglio acqua-vapore in caldaia del­ l 'ordine delle centinaia di gradi (ai tempi di Clausius si operava con vapore ad alta pressione avente, in caldaia, temperature non superiori a 180 °C) . Sembrerebbe logico che questa notevolissima degra­ dazione fosse al centro dell'attenzione ma, come lo stes­ so Clausius ebbe a sottolineare, con la convenzione adot­ tata si valutavano solo le perdite di energia utilizzabile causate dalle irreversibilità inerenti al funzionamento della macchina e non quelle causate da irreversibilità 'esterne'! Il problema dello scienziato tedesco era e­ sclusivamente quello di applicare il nuovo formalismo all'analisi della macchina a vapore, e da questo punto di vista la sua scelta appare giustificata. Se tuttavia si vuole utilizzare il formalismo termo­ dinamico per determinare il modo piu razionale ed effi­ cace di sfruttare l'energia potenziale chimica del com­ bustibile allora è senz'altro piu corretto porsi dal pun­ to di vista delle sorgenti e dell'ambiente invece che da quello della macchina. Il senso della ricerca di Carnot era d'altra parte inti­ mamente connesso all'idea di arrivare a stabilire una procedura generale che permettesse di confrontare la 'razionalità' delle diverse alternative tecnologiche. Questo aspetto di progettualità è viceversa assente in Clausius che, come molti suoi contemporanei, ritene­ va probabilmente la macchina a vapore e la corsa ver­ so le alte pressioni l'unica alternativa possibile. 169

Note I The Scientific Papers al J. C. Maxwel/, Cambridge 1890, voI . II , pp. 664-5. 2 Nel classico trattato di termodinamica di Lewis e Randall (1923) ad esempio si sottolinea che la I legge venne " universalmen­ te accettata appena eSsa fu enunciata ; non perché l 'evidenza speri­ mentale in suo favore fosse, all'epoca, schiacciante, ma piuttosto perché sembrava ragionevole e in accordo con l 'intuizione comune. Il concetto di permanenza delle cose è posseduto da tutti : è stato persino esteso dal mondo materiale a quello spirituale. L'idea che, anche se gli oggetti sono distrutti, la loro sostanza, in qualche mo­ do, si salvi, ci è stata offerta già dagli antichi e, nella scienza mo· derna, l 'utilità di questo modo di pensare è stata apprezzata ap­ pieno . . . La seconda legge della termodinamica . . . incontro un diverso destino, perché non sembrava andare d'accordo, in alcun modo semplicemente riconoscibile, con il pensiero e i pregiudizi esi­ stenti. Le varie leggi di conservazione erano state adombrate, molto prima della loro accettazione ufficiale, nel corpo del pensiero scien­ tifico. La seconda legge, invece, arrivò come una novità estranea al pensiero tradizionale, con implicazioni di grande portata nella co­ smologia generale". Ho ripreso questo passo da : C. BERNARDun , Pas­ saggio a una cultura dell'entropia, "Rinascita" , n. 11 ( 1978), p. 33. J. G . CROWTHER, British Scientists of the nineteenth Century, London 1962, pp . 204·7. 4 J. MONOD, Il caso e la necessità, Mondadori, Milano 1974, p. 123 . Monod si riferisce in particolare agli organismi viventi e al proces­ so di evoluzione selettiva, che paragona ad una specie di macchina per risalire il corso del tempo. Gli esseri viventi riescono tuttavia a mantenere un debole livello di entropia, ed un alto livello di or­ ganizzazione, solo a spese dell 'ambiente esterno che viene degradato. L'entropia di un organismo vivente può diminuire solo grazie ad un contemporaneo aumento di entropia dell'ambiente : la freccia del tempo non viene quindi invertita dall 'evoluzione e dai fenomeni del vivente ! Cfr. a questo proposito anche : E. ScHRtiDrNGER, Che cos'è la vita, Sansoni, Firenze 1978, pp. 171-81 ; F. JACOB, La logica del vi­ vente, Einaudi, Torino 1971 , pp. 229-40 ; N. GEORGESCU-ROEGllN , The En­ tropy Law and the Economie Process, Harvard UP, Cambridge (Mas­ sachusetts) 1971 , pp. 187·95. 5 S. G. BRUSH, The Kind of Motion we Cali Heat, North Holland, Amsterdam ecc. 1976, pp. 551·62 ; CRosBm SMITII , Natural philosophy and thermodynamics : WiI/iam Thomson and "The Dynamical Theo­ ry of Heat ", "British Journ. for the History of Science " , 9 ( 1976), p. 293 . • Opere di Kelvin, a cura di E. BElLONE, UTET, Torino 1971 , p . 99. 7 Scientific Papers of l. P. Joule, Londra 1884, pp. 188·9. • CROsBm SMITII , op. cii . , nota 5 . 9 Sarà l o stesso William Thomson a confermare l e previsioni teoriche del fratello sull'abbassamento del punto di fusione del ghiaccio con l'aumentare della pressione. Come si nota dalla tabella, riportata in un articolo di Kelvin del gennaio 1850, l'accordo fra i dati sperimentali e le previsioni teori­ che era quasi perfetto, tanto che lo stesso William Thomson ammise il concorso di una certa dose di fortuna. Cfr. : W. THoMsoN (KELVIN), Mathematical and Physical Papers, Cambridge 1 882, voI . I, pp. 156-69.

3

170

Pressione (atm)

Diminuz. della temperatura ossezvata (oF)

Diminuz. della temperatura prevista

Differenze

8,1

0 , 106

0,109

- 0,003

16,8

0,232

0,227

+

0,005

IO

Opere di Kelvin cit.. nota 6. pp. 1 13-127. Ibidem. p. 136. 12 R. CUUSIUS. Ueber die bewegende Kratt der Wiirme . . . . "Anna­ len der Physik" . 79 ( 1850). p. 372. La traduzione di alcuni brani si­ gnificativi di questa e di altre memorie di Clausius è contenuta in : E. BElloNE . Le leggi della termodinamica da Boyle a Boltzmann. Loescher. Torino 1978. 13 l! lo stesso Clausius a spiegarcelo in un testo universitario scritto in seguito : R. CUUSIUS. Théorie mécanique de la chaleur ; Parigi-Mons 1888. voI. I. p. 457. Opere di Kelvin. cit . . nota 6. p. 191 . 15 Ibidem. pp. 192-3. 16 P. W . BRIDGMAN . The Nature ot Thermodynamics. Harper Torch­ books. New York 1961 . p. 4. 17 N. GOORGESCU-ROEGEN. op. cit . . nota 4. p. 276. Questo passo estratto dal manoscritto della Teoria dinamica del calore è riportato da S. G. BRUSH. op. cit .• nota 5. p. 572. Kel­ vin derivò ! 'idea della progressività della natura con tutta proba­ bilità dal dibattito che coinvolse i naturalisti britannici negli anni '40. Alcuni di essi. tra cui il tutore di William Thomson a Cam­ bridge. proponevano appunto l 'idea che la Terra andasse progressi­ vamente modificandosi. Cfr. sempre l 'op . cito di STEPHEN BRUSH. pp. 558-61 . IO CROSBIE SM ITH. op. cit .• nota 5. p. 312. Si tratta del salmo 102. versetti 26 e 27 : " In principio tu hai fondato la terra. i cieli sono opera delle tue mani . Essi periranno. ma tu rimani. tutti si logorano come una veste . . . " Kelvin nell'appunto manoscritto si li­ mitò a condensare i versi biblici scrivendo : "La terra si logorerà, ecc . La permanenza delle presenti forme e circostanze del mondo fisico è limitata" . Anche in Isaia (51 ,6) è ripresa l'immagine della terra che si logorerà come una veste. lO Km.VIN, La tendenza universale della natura verso la dissipa­ zione dell'energia, cit., nota 6, p. 330. 21 Opere di Kelvin cit ., nota 6, p. 262. 22 Si veda ad esempio : E. FERMI, Termodinamica, Boringhieri. Torino 1972, pp. 50-1 . 23 Opere d i Kelvin cit ., nota 6. p . 332. 24 Si veda : E. E . DAUB , Entropy and Dissipation, " Historical Stu­ dies in the Physical Science" (a cura di R. McCoRMMACH) . Pennsylva­ nia UP, Philadelphia 1970, pp. 342-6. 25 I moderni sviluppi della termodinamica dei processi irrever­ sibili hanno tuttavia reso possibile sostituire le disuguaglianze della termodinamica classica con eguaglianze, ed hanno condotto ad una descrizione quantitativa dei processi irreversibili. Si tratta per altro di sviluppi relativamente recenti che risalgono agli anni dell'imme­ diato dopoguerra : è tuttavia significativo che i primi passi verso una termodinamica dei processi irreversibili siano stati compiuti proprio da Kelvin con le sue ricerche teoriche sui fenomeni termoIl

14 18

171

elettrici. Si veda : A. KATCHALSKY - P. F. CURRAN , Non equi/ibrium Thermodynamics in Biophysics, Han'ard UP, Cambridge, Massachu­ setts, 1967. :IO R. CUUSIUS, Ueber eine veriinderte Form des zweiten Haup­ satzes der mechanischen Wiirmetheorie, "Annalen der Physik " , 93 (1854), pp. 481-506. TI Clausius ad esempio utilizzò un ciclo a gas a 3 sorgenti men­ tre in questa ricostruzione il ragionamento dello scienziato tedesco è sviluppato a partire da un normale ciclo di Carnot a 2 sorgenti. Per una ricostruzione leggermente piu complessa ma piu aderente all'originale si veda il seguente articolo in corso di pubblicazione : C. MAFFIOU, La genesi del concetto di entropia, "II Giornale di Fi­ sica " . Anche i simboli NA e d NH qui utilizzati non sono presenti nello scritto di Clausius, che indicò semplicemente con N il valore della trasformazione di un ciclo chiuso. 28 L'idea di utilizzare una rete di cicli di Carnot per analizzare un qualsiasi ciclo reversibile risale allo stesso Clausius : si veda l 'o­ pera citata in nota 13, alle pp. 109-16. Recentemente questa idea è stata per altro ripresa in un testo di termodinamica a livello uni­ versitario che sviluppa la materia seguendo, in modo logicamente rigoroso, l 'approccio storico originale : C. TRUESDELL - S. BHARATHA, The Concepts and Logic of Classical Thermodynamics as a Theory of Heat Engines, Sprlnger-Verlag, New York ecc . , 1977. 29 R. CUUSIUS, Ueber verschiedene fur die Anwendung bequeme Formen der Hauptgleichungen der mechanischen Wiirmetheorie, "An­ nalen der Physik " , 125 ( 1 865). p. 330. '" Si veda ad esempio : E. FERMI, op. cit., nota 22, pp. 54-6. 31 R. CUUSIUS, Ueber die Anwendung der mechanischen Wiirme­ theorie auf die Dampfmaschine, "Annalen der Physik " , 97 (1856) , p. 441 . 32 Si veda ad esempio : M. W. ZEMANSKY, Calore e Termodina­ mica, Zanichelli, Bologna 1970, pp. 213-5.

172

CAPITOLO SETTIMO

Una strana scienza

Ogni scienza ha, ovviamente, dei rapporti con il com­ plesso delle forme di vita caratterizzanti l'epoca in cui è stata concepita e si è sviluppata. Si tratta tuttavia di rapporti generalmente alquanto indiretti e mediati, che non intervengono in modo appa­ rente al livello della definizione formale dei concetti e delle leggi scientifiche, che non condizionano cioè espli­ citamente la struttura teorica delle diverse discipline. Nella termodinamica, viceversa, si sente in modo piu chiaro e distinto il pulsare dell'attività umana. Il suo fa­ scino, ciò che la caratterizza e la rende strana, è quindi come ha sottolineato Bridgman la palpabile presenza, anche al livello della struttura teorica, di rapporti, pro­ blemi ed interessi umani. Verranno ora analizzati, ad ulteriore riprova di ciò, alcuni sviluppi alternativi, presenti nelle tecnologie e­ nergetiche e nella termodinamica dell'Ottocento. Non si tratta di semplice curiosità storica o di rin­ correre una 'moda' quanto di mostrare attraverso alcu­ ni esempi come le sintesi scientifiche e tecnologiche che si impongono e vengono trasmesse (nel nostro caso la 'termodinamica classica' e i motori termici) spesso non sono effettivamente tali, non riuscendo a comprendere la ricchezza e la complessità degli sviluppi e delle alter­ native proposte. 7.1. Una 'alternativa' alla macchina a vapore La corsa verso le alte pressioni del vapore verrà 0stacolata per lungo tempo da problemi di sicurezza: al173

cune terribili esplosioni delle caldaie avevano infatti con­ sigliato di procedere cautamente. Sino alla metà dell'Ottocento i motori industriali e marini saranno cosi sostanzialmente del tipo di Watt, a bassa pressione, mentre l'alta pressione ( max lO atmo­ sfere ) sarà viceversa utilizzata per le operazioni di pom­ paggio (le Cornish engines) e nelle locomotive. Gli standard di precisione permessi dalle nuove mac­ chine utensili esposte alla Great Exhibition di Londra del 1851 e la produzione di acciaio di qualità migliore, oltre ad una piu accurata progettazione, modificarono però rapidamente la situazione a favore dell'alta preso sione. Anche la nascita della termodinamica favori indi­ rettamente questo processo : quando gli ingegneri im­ pararono a valutare l'efficienza delle macchine a vapore nei nuovi termini permessi dalla scienza dell'energia, ci si accorse che essa non superava il 5 % , cifra che costitui un vero shock e che stimolò sia le ricerche sui motori alternativi sia gli sviluppi della tecnologia delle alte pres­ sioni! La termodinamica sollecitò inoltre una serie di tec­ niche complementari all'adozione dell'alta pressione, in particolare la ripresa dell'idea di Woolf della doppia e della tripla espansione accompagnata dal rivestimento dei cilindri con camicie di vapore e dal surriscaldamen­ to del vapore in serpentine a contatto con i fumi caldi della combustione, tecniche che favoriranno notevoli au­ menti dei rendimenti. Questi perfezionamenti vennero introdotti nelle motrici marine costruite a Glasgow, de­ stinate ad azionare i grandi bastimenti transoceanici, grazie alle indicazioni di Rankine. È per altro evidente l'interesse economico di tali ri­ cerche : un ridotto consumo di carbone garantiva infatti una maggiore autonomia di navigazione e/o un maggiore volume utile nelle stive. L'alta pressione era tuttavia sempre piu richiesta soprattutto per ragioni di potenza : solo macchine a pressioni sempre piu elevate potevano infatti fornire l'energia meccanica sempre maggiore in­ dispensabile per lo sviluppo della grande industria, in­ dispensabile ad esempio per azionare i giganteschi mac­ chinari dell'industria pesante. C'era comunque anche l'esigenza di potenze piu ri­ dotte e di una maggiore flessibilità di utilizzazione ( le macchine a vapore erano alquanto 'rigide' e scarsamente 174

adatte agli usi discontinui), esigenza legata allo sviluppo delle piccole unità produttive. Sarà in questo campo che inizieranno ad aprirsi un varco i motori termici utilizzanti fluidi alternativi sino ad arrivare al famoso motore Otto " silenzioso" del 1 876, il capostipite dei moderni motori a combustione in­ terna.2 Alcune di queste ricerche interesseranno troppo da vi­ cino la termodinamica per passare sotto silenzio: è il caso in particolare delle macchine ad aria calda di Stir­ ling e di Ericsson.* Dal punto di vista tecnologico queste macchine non raggiunsero mai lo stadio della maturità: l'inconvenien­ te tecnico piu grave derivava dalla rottura dei fondi dei cilindri a contatto con i prodotti della combustione.** Il problema fu tuttavia aggravato, sino a diventare praticamente insuperabile, dalla volontà-necessità di met­ tere alla prova le macchine ad aria calda su un terreno che non era il loro, inseguendo la logica del gigantismo e delle potenze elevate inerente agli sviluppi delle mac­ chine a vapore ad alta pressione. Ciò è particolarmente evidente nell'ultimo, spettaco­ lare tentativo di John Ericsson, un capitano di marina di origine svedese, che nel 1 852-54 montò una delle sue macchine ad aria calda su un bastimento transoceani­ co di 2200 tonnellate. La macchina era dotata di 4 enormi cilindri, di 4,20 X 1 ,80 (metri ! ) , e secondo Ericsson avrebbe dovuto ga­ rantire una potenza massima di 600 HP ed economie di carbone di 2/3 rispetto alle usuali motrici marine del­ l'epoca. Durante alcune prove ufficiali la potenza non superò viceversa i 300 HP e l'economia di carbone si ridusse ad 1/3. La massima velocità della macchina era di 9 giri • La macchina di Stirling e la macchina di Ericsson storicamen­ te saranno comunque del tutto marginali. né riusciranno a modifi­ care minimamente il quadro tecnologico complessivo, tanto da non essere neppure citate nella classica Storia della tecnologia di C. Sin­ ger e altri. II loro interesse deriva dal dibattito scientifico-tecnolo­ gico che sollevarono e dal rappresentare emblematicamente il con­ flitto fra potenza ed efficienza. ** Nel 1856, grazie all'acciaio prodotto dal convertitore Bessemer. il problema delle rotture dei fondi dei cilindri sarebbe probabilmen­ te stato risolvibile. A quell'epoca tuttavia le ricerche sulle macchi­ ne di Stirling e di Ericsson (con rigeneratore) erano state abban­ donate definitivamente. 175

al minuto : essa azionava due grandi ruote a pale che permettevano alla nave di raggiungere la velocità di 12 nodi.' Malgrado le prove ridimensionassero le speranze del tecnico svedese di rivoluzionare i trasporti transoceani­ ci, cionondimeno esse misero in evidenza la competitivi­ tà della "calorie engine" di Ericsson rispetto alle motri­ ci a vapore. Il surriscaldamento dei fondi dei cilindri era però tale che in poco tempo si ruppero, determinando il com­ pleto fallimento dell'ambizioso (e largamente propagan­ dato) progetto di Ericsson e, purtroppo, sconsigliando ulteriori investimenti in ricerche che assorbivano molto denaro senza fornire alcuna garanzia di successo. Cosi anche i precedenti modelli sperimentali costrui­ ti da Robert Stirling e dal fratello James non sopravvis­ sero ai loro autori, malgrado Rankine avesse dimostra­ to che le macchine ad aria calda dotate di un perfetto rigeneratore possedevano efficienza ( teorica) uguale a quella della macchina di Carnot.4 7.2. La macchina di Stirling La prima macchina ad aria calda, a combustione e­ sterna, dotata di rigeneratore venne brevettata nel 1816 da Robert Stirling, un giovane dottore in teologia. La macchina di Stirling possedeva alcune caratteri­ stiche rivoluzionarie : il fluido operatore effettuava un ciclo chiuso, era cioè alternativamente riscaldato e raf­ freddato, compresso e dilatato senza alcuna fase di aspi­ razione e di scarico ( come viceversa si ha nei motori a combustione interna) . Queste operazioni venivano eseguite in un unico ci­ lindro, mediante l'ausilio di un pistone supplementare a­ gente in modo indipendente dal pistone motore ( cfr. la figura 12). Il cilindro era riscaldato esternamente nella parte su­ periore dai fumi caldi della combustione e raffreddato in­ feriormente da una camicia di acqua fredda o anche so­ lo dall'aria atmosferica. Il pistone supplementare era cavo (veniva in genere parzialmente riempito di polvere di mattoni ) ed occupa­ va piu di metà del volume del cilindro : Stirling lo chia­ merà "plunger dispIacer", ovvero stantuffo di spostamen-

176

Fig. 12. Sezione della macchina di Stirling tratta dal bre­ vetto del 1816. (Fonte: T. FINKELSTEIN, Air Engines, " The Engineer", 207, 1959.)

to (in figura è indicato con 9 mentre il pistone motore è indicato con 2» . La sua funzione era triplice : - trasferire alternativamente l'aria operatrice dalla zona calda superiore alla zona fredda inferiore (indicate ri­ spettivamente con 7 ed 8) ; - separare termicamente le due zone, in modo da ridurre la conduzione del calore; - portare in un incavo centrale il rigeneratore.

Il movimento dello stantuffo 9 verso l'alto forzava l'aria calda della zona superiore a trasferirsi nella zona inferiore, trasferimento reso possibile da un diametro dello stantuffo leggermente piu piccolo di quello del ci­ lindro. Avvolgendo nell'incavo centrale una matassa di fili metallici, in modo da costringere il gas a passare fra un filo e l'altro, si realizzava una grande superficie di scambio termico ed i fili si riscaldavano a spese della aria calda che si raffreddava. 177

In seguito il rigeneratore venne costruito in forma di­ versa e non sarà piu inserito nel pIunger dispIacer, ma il principio rimase immutato: il rigeneratore doveva as­ sorbire calore dal fluido caldo che lo attraversava, im­ magazzinare questa quantità di calore e ricomunicarla al fluido quando quest'ultimo era forzato a passare nuo­ vamente nella zona calda. La corretta forma del ciclo Stirling ideale nel piano (V, P) sarà per la prima volta proposta da Rankine nel 1854 (40 anni dopo il brevetto originale ) : il ciclo è co­ stituito dalle due isoterme a b e c d e dalle due isovolu­ miche (isocore) b c e d a lungo cui interviene il rigene­ ratore ( cfr. fig. 13). p

a

Q c

V Fig. 13. Ciclo Stirling ideale (R indica il rigeneratore) .

Supponiamo che inizialmente il gas si trovi nello stato a, ovvero in uno stato di compressione nella zona calda 7 del cilindro. Il fluido quindi preme contro lo stantuffo ed il pistone con una forza maggiore di quella esercitata sulla superficie esterna dalla pressione atmosferica (a cui an­ drebbero aggiunte le diverse 'resistenze' al moto) e cosi il pistone motore, unitamente allo stantuffo di spostamento, è forzato verso il basso finché non si raggiunge l'equilibrio fra la pressione interna e quella esterna.* L'espansione è * Pill precisamente, poiché il ciclo Stirling ideale è reversibile, pressione interna e pressione esterna dovrebbero sempre essere ugua-

178

rappresentata idealmente dal tratto di isoterma a b : i pro­ dotti della combustione che avvolgono la parte alta del ci­ lindro forniscono evidentemente il calore convertito nel la­ voro di espansione. Tramite un impulso comunicato dal vo­ lano si fa ora salire il plunger displacer, mentre il pisto­ ne motore resta fermo. L'aria calda attraversa cosi le ma­ glie del rigeneratore e lo riscalda, cedendogli il calore Q. Sul grafico ciò corrisponde idealmente al tratto b c : infatti il volume a disposizione del gas non è stato modificato mentre la temperatura e la pressione sono diminuite. La pressione esterna è ora maggiore di quella interna e il pi­ stone motore è forzato a muoversi verso l'alto (in pratica ciò si realizzava grazie aI moto del volano) , comprimendo isotermicamente il gas racchiuso fra il pistone e lo stan­ tuffo (tratto c d sul grafico).* Non rimane ora che ripor­ tare il gas nelle condizioni iniziali di temperatura e di pres­ sione per completare il ciclo. A questo scopo lo stantuffo cavo si muove verso il baso so e forza l'aria a passare, sempre attraverso le maglie de' rigeneratore, nella zona calda superiore . Se il rigeneratore fosse perfetto il calore Q precedentemente immagazzinato dovrebbe essere integralmente ricomunicato al fluido e ciò, come si vedrà, è in teoria sufficiente a riscaldare il gas a volume costante sino alla temperatura iniziale. Sul grafico si ha in corrispondenza l'isocora d a : iI volume del gas non varia perché il pistone resta fermo.5

Per piu di trent'anni Robert e J ames Stirling dedi­ carono i loro sforzi al perfezionamento della macchina, ne brevettarono e costruirono diverse varianti, dotate di piu cilindri, con il rigeneratore disposto in modo diver­ so, costituito da reticoli di fili e di tubi metallici. Questi modelli avevano in genere rese molto interes­ santi, migliori di quelle delle macchine a vapore, ma do­ po pochi mesi di funzionamento le parti riscaldate, a contatto con le fiamme ed i fumi della combustione, si fessuravano e si rompevano. Le prime macchine ad aria erano comunque del tutto li, a meno di quantità infinitesime. Nel ciclo reale descritto dalla macchina di fig. 12 non era però cosi, né l 'espansione poteva essere spinta sino a raggiungere la pressione atmosferica. In una macchina di Stirling di 45 HP installata nel 1843 in una fonderia di Dundee le pressioni minima e massima dell'aria operatrice erano rispettiva­ mente di lO e 15 atmosfere, mentre le temperature andavano da circa 4()0 ad oltre 300 -C. • Durante la compressione il calore prodotto era ceduto ad un refrigerante esterno, che poteva essere ad esempio dell'acqua circo­ lante in un 'intercapedine ricavata nella parte inferiore del cilindro.

179

subalterne alla macchina a vapore, sia a livello tecno­ logico-costruttivo che a livello teorico. Per i contemporanei il principale vantaggio delle mac­ chine ad aria era la sicurezza: con l'aria calda, anche operando a pressioni elevate, non si correvano infatti i rischi delle esplosioni distruttive che accompagnarono gli iniziali sviluppi dell'utilizzazione del vapore ad alta pres­ sione. La nascita della termodinamica sembrò di buon au­ spicio per la nuova tecnologia : Kelvin apprezzò ad e­ sempio la macchina di Stirling e la defini "un eccellente esordio nel settore delle macchine atmosferiche"" Anche J oule, qualche anno dopo, si interessò delle macchine ad aria calda e progettò un motore di nuova concezione, a ciclo aperto e dotato di compressore : il ci­ clo Joule è costituito da una coppia di isobare e da una coppia di adiabatiche, ed è ora il ciclo standard dei mo­ tori a reazione usati nei j et.7 C'è infine da considerare l'opera di vera e propria promozione della tecnologia delle macchine ad aria in­ trapresa da Rankine negli anni '50 : lo scienziato scoz­ zese elaborò una teoria termodinamica completa delle macchine termiche, in cui le macchine ad aria veniva­ no per la prima volta analizzate secondo i dettami della scienza dell'energia.

7.3. La termodinamica di Rankine

William J. Macquorn Rankine era una figura comples­ sa e singolare, che riuniva la praticità dell'ingegnere al­ l'astrattezza del fisico teorico, spaziando dalla termodi­ namica tecnica alle proposte metodologiche volte a ri­ strutturare i criteri ed i canoni del metodo scientifico. La termodinamica di Rankine è complicata e per mol­ ti versi complementare, se non alternativa, a quella di Kelvin e di Clausius. Non è sempre agevole attribuire un chiaro significato alla terminologia ed alle definizioni in. trodotte dallo scienziato scozzese e seguirne gli intricati sviluppi matematici : in Rankine infatti l'intuizione spes­ so sostituisce il rigore formale, anche se le equazioni conclusive risultano in genere del tutto corrette. In una importante memoria letta nel febbraio 1850 alla Royal Society di Edimburgo egli proporrà la cosid-

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detta " ipotesi dei vortici molecolari"*, dalla quale dedus­ se una serie di originali risultati, tra cui le equazioni connesse al I principio della termodinamica! Secondo Ranldne la materia consisteva di un aggre­ gato di strutture elementari, formate da un nucleo cen­ trale attorno a cui c'era un'atmosfera gassosa in rapI­ da e vorticosa rotazione. La vibrazione dei nuclei ( con­ cepiti come centri di forza che interagivano fra loro e con la propria atmosfera) era responsabile della tra­ smissione della luce e del calore radiante, mentre l'ener­ gia cinetica di rotazione e di vibrazione delle atmosfere equivaleva al calore sensibile contenuto nel corpo. L'ipotesi di Rankine spiegava agevolmente i fenome­ ni dell'assorbimento e dell'emissione della luce e del ca­ lore radiante che si potevano concepire come un trasfe­ rimento del moto dai nuclei alle atmosfere e viceversa. Secondo lo scienziato scozzese, infine, la pressione di un gas dipendeva dalla forza centrifuga delle atmosfere ruotanti e, di conseguenza, la temperatura era anch'essa funzione del quadrato della velocità di rotazione dei vortici. Cosi l'equilibrio dinamico dei vortici determinava lo equilibrio termico e dinamico a livello macroscopico : le equazioni termodinamiche non erano che una conseguen­ za dedotta da Rankine traducendo in linguaggio mate­ matico queste idee, in particolare definendo in termini analitici le condizioni di equilibrio dei moti vorticosi. Lo scienziato scozzese si chiese ad esempio quali fos­ sero le trasformazioni subite da una certa quantità di calore comunicata ad un fluido: ricavò un'equazione generale da cui risultava che una parte di tale calore contribuiva alla dilatazione del fluido, parte che a sua volta si suddivideva in lavoro esterno W e in lavoro interno I (necessario a vincere le forze intermolecolari) , mentre una seconda parte contribuiva al riscaldamento del fluido, restava cioè sotto forma di calore sensibile! * Rankine sottolineò che le sue ricerche sull'ipotesi dei vortici molecolari erano iniziate nel 1842 e. dopo averle interrotte per man­ canza di dati sperimentali, si era deciso a riprenderle in conseguen­ za della pubblicazione degli esperimenti di Regnault sui gas e sui vapori. L 'ipotesi di Rankine non era comunque interamente origi­ nale : come egli stesso ricordò, già Franklin , Epino, Mossotti, H . Davy, Joule (e potremmo aggiungere Ampère) avevano sviluppato questo o quel tratto della sua ipotesi. Ciò che la rendeva originale era l 'idea di dedurne algebricamente tutte le conseguenze e di con­ frontarle con la problematica del I principio.

181

Applicando l'equazione al caso di cicli chiusi si de­ duceva poi facilmente che la somma algebrica delle quan­ tità di calore e di lavoro scambiate con l'esterno, e mi­ surate mediante un'identica unità di misura, doveva ne­ cessariamente annullarsi. In altri termini "Q + W" è la variazione di una funzione di stato, che verrà in seguito chiamata da Kelvin "energia interna". Nell'aprile 1851 Rankine aggiunse alla memoria del 1850 una nuova sezione, relativa al principio di Carnot e all'efficienza delle macchine termiche. In questa sezione cercò di dedurre il principio di Carnot dalle equazioni sulle trasformazioni energetiche, anticipando cosi una delle principali caratteristiche del­ la 'scienza energetica', che non riconoscerà al II princi­ pio della termodinamica una effettiva autonomia ed in­ dipendenza.'· Ottenne per altro l'espressione corretta di 1')Carnot in funzione delle temperature delle sorgenti (anticipando cosi largamente Kelvin e Clausius) ed introdusse, svi­ luppando il formalismo dei vortici molecolari, una fun­ zione matematica Ip, chiamata "termodynamic function". Le successive ricerche di Rankine lo condurranno al problema, specificamente ingegneristico, di tradurre la termodinamica in linguaggio tecnico, individuando dei metodi adeguati all'analisi delle macchine termiche e al­ la progettazione. Questo problema verrà risolto in modo brillante ed originale sviluppando geometricamente l'idea del dia­ gramma indicatore di Watt, ora chiamato " diagramma dell'energia", e ricorrendo analiticamente alla funzione termodinamica Ip, definita in modo sostanzialmente ana­ logo all'entropia di Clausius ma applicata direttamente allo studio dei cicli." Rankine anticipò cioè molte delle idee sviluppate da J. Willard Gibbs 20 anni dopo, anche se evitò di intro­ durre esplicitamente il diagramma dell'entropia." L'idea di rappresentare i cicli e le trasformazioni ter­ modinamiche nel 'piano ,termico' (S, T) non sarà per al­ tro esclusivamente di Gibbs: non a caso, a dimostrazione dell'assonanza sopra ricordata fra la termodinamica di Rankine e quella di Gibbs, gli ingegneri scozzesi della scuola di Rankine applicheranno un analogo metodo gra­ fico, il diagramma (�, Ip), all'analisi dell'efficienza delle macchine a vapore ad alta pressione."

182

7.4. Il ciclo Stirling analizzato da Rankine Facendo ricorso al diagramma (S, T) si dimostra fa­ cilmente che l'efficienza di un ciclo a gas rigenerativo, tipo il ciclo Stirling, è identica a quella del ciclo di Carnot. La dimostrazione originale si deve a Rankine, anche se lo scienziato scozzese utilizzò esclusivamente il diagramma (V, P) e il formalismo della " thermodyna­ m ic function". L'estrapolazione non è comunque arbitraria: le equa­ zioni proposte da Rankine nel 1854 sono infatti diret­ tamente traducibili ed interpretabili con il diagramma dell'entropia. Il ciclo di Carnot nel piano termico si riduce ad un rettangolo: le due adiabatiche reversibili sono necessa­ riamente isoentropiche, perché lungo tali curve d S = = (dQ),ev/T = O, e di conseguenza sono rappresentate dai due segmenti verticali b c e d a, mentre le due isoterme sono rappresentate dai segmenti orizzontali a b e c d (cfr. fig. 14a). T

��D: Id

I

I

s Fig. 14a. Ciclo di Camot nel piano tennico (S, T).

La figura suggerisce che durante il ciclo la quantità di entropia Q,/T, = Q,/T, sia stata trasferita dalla sor­ gente calda alla sorgente fredda. Non si ha quindi ca­ duta di calorico, come pensava Carnot, ma di entropia.* * 1:. stato anche proposto di leggere le Réflexions sostituendo al vocabolo "calorique" il termine " entropia" . In questo modo la maggior parte delle affermazioni di Camot risulta perfettamente cor-

183

L'area del ciclo è Q, - Q2 : infatti l'area sottesa dal

�: . �: . .

tratto a b è (Sb - S.) . T, = dal tratto d

c

è ( S, - S d)

D'altra parte,

a

T, = Q, e l'area sottesa

T2 =

meno

T2

= Q2 .

dell'equivalente

di

Joule,

r a:..._ .____...., b T

h

- - - - - -

-

I I I

� I I I

k

- - - - - - - -

c

Fig. 14b . Ciclo Stirling nel piano termico ( S, T).

Q, - Q2 = W. L'efficienza 1] = W/Q, del ciclo di Carnot si può cosi esprimere mediante il rapporto fra due aree : 'l1Carnot =

(Areadalracchiusa ) ciclo ( Areadasottesa ) a b

(T, - T2 ) (Sb - S.) T, (Sb - SJ

T, - T2 T,

Nel ciclo Stirling le adiabatiche-isoentropiche sono sostituite da due isocore in cui, intervenendo il rigene­ ratore, ci sono scambi di calore con sorgenti esterne : l'entropia del gas diminuisce durante la fase di raffred­ damento ed aumenta durante la fase di riscaldamento (sempre a volume costante ). Il problema è se un rigeneratore perfetto può ren­ dere le isocore del ciclo Stirling curve di massima effi­ cienza come le adiabatiche del ciclo di Carnot. Secondo Rankine era a tale scopo indispensabile, ol­ tre alla reversibilità degli scambi di calore fra il fluido retta, ad eccezione di alcuni passaggi che la sostituzione rende pri· vi di significato.

184

ed il rigeneratore, che le due isocore fossero "curve di ugual trasmissione di calore". Era cioè indispensabile che le quantità di calore e· messe od assorbite dal gas, rispettivamente lungo b c e d a, fossero uguali. Rankine lo dimostrò sia graficamente che analitica­ mente : osservando la figura è per altro intuitivo che, poiché le isocore b c e d a hanno identica forma, esse de­ vono anche essere " curve di ugual trasmissione di ca­ lore ".* Risulta di conseguenza che

1)Stidlnl

=

( AreadalraCChiuSa ) ciclo ( Area sottesa ) da a b

(TI - T,) (Sb - SJ TI (Sb - Sa)

TI - T,

= - TI

esattamente come per il ciclo di Carnot. Se le due cur­ ve lungo cui interviene il rigeneratore hanno la stessa forma si ha infatti che b. S (T) = Sk - Sh = Costante = Sb - Sa. L'area del ciclo Stirling è dunque uguale a quella del­ l'analogo ciclo di Carnot e poiché, per costruzione, l'area sottesa da a b è uguale nei due casi anche le rispettive efficienze 11 saranno identiche. Il rigeneratore rende cioè le isocore del ciclo Stirling curve di massima efficienza come le adiabatiche. Qual era allora, si chiese Rankine in conclusione del suo ragionamento, il vantaggio del rigeneratore? Non cer­ to quello di elevare il rendimento di una macchina ter­ mica oltre il massimo stabilito da Carnot, quanto quello di permettere di progettare un ciclo di massima efficien­ za senza necessariamente ricorrere alle due adiabatiche. Apparentemente non è molto ma in realtà si tratta • Le aree sottese da b c e d a sono infatti proporzionali alla quan­ tità di calore rispettivamente ceduta ed assorbita dal rigeneratore : se le due curve hanno identica forma queste aree saranno neces­ sariamente uguali.

185

di un risultato di notevolissima importanza: in un ciclo di Camot per avere buoni rendimenti 1] ( rispetto al I principio ) è infatti indispensabile una grande espansio­ ne adiabatica che raffreddi il gas almeno di qualche cen­ tinaio di gradi. Procedimento molto complicato da realizzare perché richiede cilindri troppo grandi e/o rapporti di compres­ sione troppo elevati. Il rigeneratore, viceversa, permette di raffreddare il fluido di centinaia di gradi senza alcuna espansione, tra­ sformando una isovolumica in una curva di massima ef­ ficienza! 14 Sia il ciclo di Camot che il ciclo Stirling ideali so­ no evidentemente irrealizzabili in pratica, tuttavia que­ st'ultimo è piu adatto ad essere sperimentato e provato: mediante un'opportuna progettazione è infatti possibile costruire macchine di Stirling piccole e compatte, dotate di elevatissime efficienze termodinamiche. Dopo quasi 150 anni di silenzio la macchina di Stirling è attualmen­ te al centro di molti programmi di ricerca e sviluppo; già nell'immediato dopoguerra i ricercatori dei laborato­ ri Philips di Eindhoven erano infatti riusciti a costruire degli interessantissimi modelli sperimentali di motori Stirling dotati di un nuovo tipo di rigeneratore ad altis­ simo rendimento. Questi motori rimangono forse il solo esempio pra­ tico di macchina termica ideale : è infatti possibile farli funzionare anche da pompe di calore e da frigoriferi, sono cioè motori effettivamente reversibili! Anche i dati sull'efficienza, benché non del tutto no­ ti, appaiono sorprendenti : piccole macchine ad aria cal­ da di qualche diecina di HP hanno infatti realizzato effi­ cienze termodinamiche (del ciclo termodinamico, trascu­ rando cioè le perdite di rendimento dovute alla trasmis­ sione meccanica) analoghe, se non superiori, a quelle delle gigantesche turbine a vapore di centinaia di mi­ gliaia di HP installate nelle centrali termoelettriche ! 15 Con ciò non si vuoI certo dire che "il piccolo è sem­ pre bello" ma, piu semplicemente, sottolineare come i dettami dell'economia di scala non sempre sono cosi fer­ reamente validi come generalmente si crede. Gli inventori delle prime macchine ad aria calda do­ tate di rigeneratore erano tuttavia ben lontani dal com186

prendere le potenzialità ed i limiti dei loro dispositivi. Alcuni arrivarono a sostenere che la combustione ester­ na aveva solo una funzione accessoria, e cioè quella di permettere il recupero di tutte le accidentali perdite di calore. Pensavano che, eliminando le perdite per condu­ zione ed irraggiamento ed avendo a disposizione un rige­ neratore perfetto, l'economia di combustibile sarebbe sta­ ta illimitata! Ciò comportò un'errata progettazione delle macchine ed un errato indirizzo di ricerca per arrivare a risolvere il problema delle rotture delle parti dei cilindri in con­ tatto quasi diretto con le fiamme. Se infatti la combustione era meramente accessoria la questione centrale diventava quella di progettare in modo piu accurato i diversi componenti in modo da ri­ durre le perdite di calore. In tal modo, cosi sembravano ragionare gli Stirling ed Ericsson, anche il problema del surriscaldamento dei cilindri si sarebbe risolto ! Rankine, al contrario, aveva pienamente compreso qual era il punto cruciale che pregiudicava il successo delle macchine ad aria tanto da progettare (e brevettare con J.R. Napier) un ingegnoso sistema che aumentava la superficie di riscaldamento del gas, senza per altro che essa restasse sempre in contatto diretto con la sorgente calda. Il gas entrava nei tubi del 'riscaldatore' solo quando si espandeva, cioè solo quando era effettivamente neces­ sario il calore ad alta temperatura. In una comunicazione al convegno di Liverpool del· la British Association (settembre 1854) Rankine sintetiz­ zò i principali risultati, teorici e pratici, da lui ottenuti ma sottolineò anche come la potenzialità delle macchi­ ne ad aria con rigeneratore non erano probabilmente sufficienti a convincere i "practical men" ad abbandona­ re le ben corroborate qualità del vapore.16

7.5. L'energetica e il II principio Rankine contribui anche a precisare ed a generaliz­ zare la portata della legge di conservazione dell'energia, tanto da arrivare a proporla quale cardine di tutte le scienze fisiche. Secondo lo scienziato scozzese la convertibilità di tut­ te le diverse forme di energia dell'universo era una leg187

ge induttiva, fondata sull'esperienza che quotidianamen­ te si era andata accumulando. Esistevano due tipi fondamentali di energia: la forza viva della materia in movimento, il calore termometri­ co, il calore radiante, la luce, l'azione chimica e le cor­ renti elettriche erano esempi di energia " attuale o sen­ sibile", mentre le energie meccaniche della gravitazio­ ne, l'elasticità, l'affinità chimica, l'elettricità statica ed il magnetismo erano esempi di energia "potenziale o la­ tente".17 Secondo la legge di conservazione dell'energia d'al­ tra parte "la somma di tutte le energie dell'universo, at­ tuali e potenziali, è invariabile". La convertibilità e la conservazione dell'energia si po­ teva anche esprimere in altro modo, definendo l'ener­ gia una "capacità di compiere lavoro " trasformabile e trasferibile, ed affermando che "ogni tipo di energia può fornire i mezzi per eseguire qualsiasi tipo di lavoro " : secondo l o scienziato scozzese anche questo assioma era stato derivato per via induttiva, grazie in particolare agli esperimenti di Joule. Per altro, scrisse Rankine, "è la verità di questo as­ sioma che rende possibile la scienza dell'energetica"." La scienza energetica era portatrice di una precisa concezione metodologica ed epistemologica, di carattere marcatamente fenomenologico ed empirista : Rankine la elaborò nel periodo in cui sviluppava la sua termodina­ mica tecnica ed è piu che probabile che il progetto di trattare la termodinamica da un punto di vista strumen­ tale ed ingegneristico si sia in questa fase saldato ed ar­ ricchito con le idee generali dell'energetica. Non a caso l 'ipotesi atomistica dei vortici viene ora drasticamente ridimensionata : nei Lineamenti della scienza energetica ( 1855 ) Rankine infatti sottolineò che il metodo ipotetico doveva considerarsi un semplice stru­ mento di ricerca (benché indispensabile in una fase pre· liminare) mentre l'espressione piu matura della scienza era a suo giudizio il metodo astrattivo o induttivo che permetteva, mediante la generalizzazione delle proprie­ tà comuni alle varie classi di fenomeni, di definire un insieme di principi derivato solo dai fatti, e libero di conseguenza dalle incertezze connesse con le teorie ipo­ tetiche." L'energetica, considerando esclusivamente la conver188

tibilità delle forme di energia e non attribuendo ai limi­ ti fisici inerenti a tali conversioni un significato generale ed universale, è in netto contrasto con le concezioni de­ ducibili del II principio della termodinamica. Non a caso Rankine cercò di contestare, in una bre­ ve memoria letta nel settembre 1852 alla British Asso­ ciation di Belfast, le conclusioni cosmologiche tratte da Kelvin a partire dalla teoria della dissipazione dell'ener­ gia. Lo scienziato scozzese infatti ipotizzò l 'esistenza di un processo cosmico di riconcentrazione del calore radian­ te diffuso negli spazi interstellari, processo che permet­ teva di ricostituire continuamente riserve di energia 'pregiata' (calore ad alta temperatura, energia chimi­ ca, ... ) nei " fuochi" in cui i raggi venivano riconcentrati, sdrammatizzando cosi l'idea dell'inesorabilità della degra­ dazione energetica ! '· Gli sviluppi moderni del formalismo dell'energetica hanno tuttavia permesso di approfondire, consideran­ dola in una nuova luce, la stessa problematica dell'irre­ versibilità. Mi limito a sintetizzare una critica all'enunciatù di Kelvin del II principio che mette in evidenza, in modo particolarmente brillante ed originale, la relazione esi­ stente fra irreversibilità ed energia termica.* Kelvin, come si ricorderà, aveva dimostrato il prin­ cipio di Carnot del massimo rendimento fondandosi su un assioma che affermava l'impossibilità del motore mo­ notermo, derivante effetto meccanico da una sola sor­ gente di calore a temperatura uniforme. Questa impossi­ bilità, come acutamente sottolinea M. Dodè, non è tut­ tavia tipica dei motori termici : non esiste infatti alcun motore idraulico, elettrico, chimico, ecc. capace di fun­ zionare avendo a disposizione un'unica 'sorgente' a poten­ ziale uniforme. In ogni processo di conversione reversibile si parte da energia a due sorgenti e si ottiene un'altra forma di energia sempre a due sorgenti : si ha cioè una perfetta simmetria. * Le considerazioni che seguono sono in buona misura deriva­ te dalla lettura di M. DoDÈ, Le deuxième principe de la thermody­ namique, Sedes, Parigi 1965 .

189

Un esempio è la conversione di energia gravitazio­ nale in energia elettrica che si verifica in un impianto idroelettrico. L'acqua in caduta non può essere distrut­ ta : dopo aver fatto girare le pale della turbina deve necessariamente essere scaricata in un secondo serbatoio ad altezza inferiore di quello da cui proviene ( la diga). Il motore idraulico dunque possiede due sorgenti. An­ che la quantità di elettricità, come la massa, è invaria­ bile; la dinamo associata alla turbina può cosi produrre energia elettrica solo trasportando cariche elettriche da una sorgente a basso potenziale (la Terra) ad una se­ conda a potenziale maggiore (la linea ad alta tensione ). Il recettore elettrico, come il motore idraulico, ha quindi due 'sorgenti' a diverso potenziale. La simmetria della conversione dell'energia gravita­ zionale in energia elettrica implica la reversibilità della conversione stessa (è possibile riportare l'acqua dentro la diga facendo girare l'impianto al contrario) e un'effi­ cienza massima. Tale simmetria dipende dal fatto che le grandezze e­ stensive associate all'energia gravitazionale (la quantità di acqua) e all'energia elettrica (la quantità di elettri­ cità) si conservano.* Anche in un processo di conversione di energia ter­ mica in meccanica si può partire da energia a due sor­ genti ed ottenere esclusivamente energia a due sorgenti (ciclo di Carnot, ciclo Stirling, ...) . In questo caso il processo è reversibile e di massima efficienza, e la grandezza estensiva associata all'energia termica ( l'entropia) si conserva. Quando però interven­ gono processi irreversibili l'entropia aumenta, il che comporta una rottura della simmetria. Ogni processo ir­ reversibile è infatti accompagnato dalla conversione di energia a due sorgenti in energia termica ceduta ad una * I fondatori dell 'energetica avevano sottolineato come le va· riazioni di energia si presentino sempre sotto forma di prodotto di due fattori. che appartengono a due distinte categorie : 1) la cate· goria delle grandezze intensive (pressione di un gas. potenziale gra­ vitazionale. elettrico. chimico. temperatura assoluta • . . . ) ; 2) la cate· goria delle grandezze estensive (volume del gas. massa. quantità di carica elettrica. numero di moli. entropia • . . . ). Le grandezze esten­ sive rappresentano una quantità direttamente associata alla mani­ festazione energetica mentre le grandezze intensive. o fattori di ten­ sione. rappresentano la tendenza alla variazione della grandezza esten­ siva che è loro associata.

190

unica sorgente (effetto Joule e/o effetto Fourier). È questa possibilità, come rileva M. Dodè, che contraddi­ stingue il calore dalle altre forme di energia: Cosi non è quello che il secondo principio proibisce (il motore monotermo) ma ciò che autorizza (il recettore mo­ notermo) che costituisce la particolarità dell'energia termi­ ca. 1;'. la possibilità di cedere dell'energia a un serbatoio di calore, quando si ha a disposizione solo questo serbatoio, che costituisce la causa e il segreto dell'esistenza dei feno­ meni irreversibili: tale possibilità spezza la simmetria della trasformazione e rende ogni ritorno indietro impossibile.'1

7.6. Una strana interpretazione 'molecolare' dell'entropia

"La verità della II legge ( della termodinamica)", ebbe a scrivere J.C. Maxwell nel 1878, "è di natura statistica e non matematica ... "" L'irreversibilità dei fenomeni naturali era secondo Maxwell di origine probabilistica, derivava cioè dall'esi­ stenza di milioni di esseri identici ( le molecole) che si muovevano a caso entro gli oggetti d'indagine e dalla impossibilità di osservare le singole molecole. Per illustrare questo concetto lo scienziato britanni­ co propose un famoso esperimento mentale : supponia­ mo, disse, che esista un essere intelligente di dimensio­ ni confrontabili a quelle delle molecole, in grado di ana­ lizzarne masse, velocità e traiettorie, e di operare a li­ vello microscopico senza interferire con i loro moti. Un essere di questo tipo, che verrà chiamato " demo­ ne di Maxwell", potrebbe modificare il corso naturale de­ gli eventi, ed eliminare le irreversibilità. Azionando opportunamente un minuscolo portello di massa trascurabile, che pone in comunicazione due re­ cipienti contenenti dell'aria atmosferica ad identica tem­ peratura e pressione, il demone potrebbe ad esempio se­ lezionare e separare in un recipiente le molecole 'calde', piu veloci, lasciando nell'altro le molecole 'fredde', piu lente. Si realizzerebbe cosi un salto termico a partire da una distribuzione uniforme di temperatura, senza alcu­ na interazione con l'esterno, violando il II principio del­ la termodinamica. 191

L'esperimento mentale di Maxwell non può tuttavia considerarsi una prova "della verità probabilistica" del­ la seconda legge, e anzi, a ben guardare, mette in evi­ denza le difficoltà del programma statistico, almeno nel­ la sua versione maxwelliana.23 L'interpretazione probabilistica o statistica della se­ conda legge era stata preceduta da un approccio diver­ so, ad opera di Clausius, in cui piu semplicemente si cercavano di estendere i concetti termodinamici in mo­ do da tener conto delle variazioni di configurazione mo­ lecolare!' Per Clausius era un naturale sviluppo della sua ter­ modinamica, se non addirittura il punto piu alto da lui raggiunto, perché permetteva di fornire una spiegazio­ ne in termini meccanico-molecolari dell'entropia e della seconda legge. Si tratta in ogni caso di un tentativo sin­ golare, che si colloca a metà strada fra la termodinami­ ca classica macroscopica e la meccanica statistica mi­ croscopica. Sarà inoltre aspramente criticato dagli scienziati bri­ tannici, in particolare da P.G. Tait, portavoce di Kelvin nella sua polemica contro Clausius, e da Maxwell. Dal punto di vista della termodinamica classica, cosi come è presentata nei testi moderni, la loro critica ri­ sulta perfettamente fondata: Clausius infatti aveva compiuto un'operazione 'scorretta' dividendo l'energia in­ terna U in una parte termica H (calore interno) ed in una parte meccanica I (lavoro interno ), senza poter in­ dicare un metodo di misura indipendente delle variazio­ ni di H e delle variazioni di I. Anche l'entropia era sta­ ta divisa dallo scienziato tedesco in due funzioni piu ele­ mentari, aventi un significato intuitivo a livello moleco­ lare ma prive di significato sperimentale. La ricerca di Clausius anticiperà tuttavia un risultato della meccani­ ca statistica, scienza in cui l'energia interna è effettiva­ mente suddivisa in una parte dipendente dall'energia ci­ netica delle particelle e in una parte dipendente dalla configurazione molecolare ( energia potenziale intermole­ colare). Il problema affrontato da Clausius nella sua memo­ ria del 1862 ( citata in nota 24) era in un certo senso quello di estendere il formalismo del valore d'equiva­ lenza al caso delle trasformazioni di stato, che contra192

riamente ai cicli chiusi comportano un cambiamento di configurazione molecolare.* A tale scopo introdusse una nuova grandezza, la di­ sgregazione Z esprimente intuitivamente il grado di di­ spersione della struttura molecolare, le cui variazioni �Z fornivano il valore di equivalenza cercato dei cam­ biamenti strutturali. Per arrivare a stabilire la forma matematica della nuova grandezza Clausius osservò che ogni cambiamen­ to di struttura molecolare era in genere associato sia ad un lavoro esterno W che ad un lavoro interno I, indispensabile per modificare la distribuzione spaziale delle molecole quando le forze di coesione non erano nulle. Chiamando L il lavoro totale I + W si poteva co­ si definire la disgregazione:

disgregazione Z

\ /

dZ

=

Zb - Z.

(dL), .. T =

J

b

�W_

--.:..--.:..:::...

.

T

Per giustificare questa definizione si osservi che è ad esempio abbastanza ragionevole e intuitivo supporre il lavoro totale direttamente connesso alle variazioni di disgregazione, almeno nel caso di un'espansione isoter­ ma. Clausius inoltre propose quale legge generale che L fosse proporzionale alla temperatura assoluta T a cui avveniva il cambiamento di configurazione. Questa leg­ ge era verificata in alcuni casi particolari (dilatazione dei gas, azioni termoelettriche, ... ) e venne proposta dal­ lo scienziato tedesco anche per garantire una continui­ tà formale con le espressioni dei valori di equivalenza delle trasformazioni energetiche.** * Nella memoria del 1854 in cui aveva introdotto il concetto di valore d 'equivalenza di una trasformazione Clausius si era vicever· sa limitato a considerare cicli chiusi , in modo da evitare il proble· ma delle variazioni di configurazione molecolare . Il simbolo N indi· cava cosi esclusivamente il valore di una o piu trasformazioni ener· getiche . •• La scarsa conoscenza delle forze intermolecolari rendeva in ogni caso abbastanza problematica la validità di tale 'legge generale'.

193

Infatti mentre il valore di una trasformazione ener­ getica era della forma Q/T, il valore di un cambiamen­ to di configurazione, di una trasformazione di stato, era con le convenzioni adottate della forma L/T. Tra i due valori c'era per altro uno stretto legame : le variazioni di disgregazione compensano infatti esatta­ mente il valore delle trasformazioni energetiche nel caso di qualsiasi trasformazione reversibile ( aperta).lS Consideriamo ad esempio l'espansione isoterma rever­ sibile a b di un gas perfetto, illustrata in fig. 15. p

-

T

- -

v

Fig. 15. Espansione isoterma reversibile di un gas perfetto.

Durante l'espansione la quantità di calore Q, comu­ nicata al gas da una sorgente ad identica temperatura assoluta T, si converte nel lavoro W. A meno dell'equi­ valente di Joule si ha quindi Q = W. La trasformazione energetica è del tipo B (cfr. il par. 6.6) e il suo valore è NB =

-



. Questa trasformazio­

"

ne è associata al cambiamento di stato fisico subito dal gas, il cui valore di equivalenza è Zb - Z. = =

�{ .

194

dW =

� �, =

1.b (�)....

poiché in un gas perfetto il lavoro interno è nullo e, di conseguenza, il lavoro totale si riduce al lavoro e­ sterno di espansione W. In conclusione si ha N'o'ale = No + (Zb - Za) = 0, co­ me deve essere perché l'entropia dell'universo si con­ serva durante qualsiasi trasformazione reversibile. Se viceversa il gas fosse soggetto ad un'espansione iso­ terma irreversibile da a a b, quale l'espansione libera di Gay-Lussac, non si avrebbe alcuna trasformazione energetica del tipo B (non si avrebbe cioè alcuna con­ versione di calore in lavoro) e il valore totale dell'in­ tera trasformazione si ridurrebbe all'aumento della di­ sgregazione (Zb - Z.).* Siamo ora in grado, mediante il concetto di disgrega­ zione, di interpretare l'entropia in termini molecolari. Si deve ricordare, a questo proposito, che secondo Clausius un elemento differenziale di calore dQ comu­ nicato ad un corpo si suddivideva in una parte termica dH (H è il contenuto di calore del corpo, o calore in­ terno) e in una parte meccanica dL, comprensiva sia del lavoro interno dI che del lavoro esterno dW. È quindi possibile porre dS =

(dR)...

(dO) ,ev T- -

[

-

_

Sb - S• -

b (dO),e.

_

-

T

. . •

T b (dR)rev

. .

-

f.b

[

(dR )... T

(dL)rev

+

T

T

· +

+ dZ

(Zb - ZJ

Poiché sia S che Z sono funzioni di stato, anche ( dH)... . . . . --- deve esprImere le VarIazIonI d'l una funz'lOT

' ne di stato, indicata da Clausius nella memoria del 1865, in cui introdusse formalmente il concetto di entropia, con il simbolo y.'6

* Nel caso di un 'espansione irreversibile di Gay-Lussac infatti l 'entropia dell'universo aumenta : la produzione di entropia corri· sponde per altro all'aumento della disgregazione che vale (il calcolo si effettua supponendo l 'espansione reversibile) :



-

Z.

=

fb

(dL),e. T

-

-

.

=

1

--or

fb

p dV

.

=

nR I g

Vb-;

-v

195

In quest'ultima memoria lo scienziato tedesco arri­ verà cosi a scrivere

Sb - S.

=

(Yb - Ya)

+

(Zb - Za)

+

n R 19 v:-

Clausius cioè considerava l'entropia S quale somma di due funzioni Y e Z : le variazioni di entropia equival­ gono, a suo giudizio, alla somma di due valori di equi­ valenza, del valore della trasformazione del contenuto di calore del corpo e del valore della trasformazione della configurazione molecolare. Il significato molecolare dell'entropia è ora apparen­ temente ovvio ed intuitivo : Y è infatti esclusivamente funzione di T ed è quindi legata all'energia cinetica me­ dia delle molecole, mentre viceversa Z dipende dalla configurazione molecolare. Nel caso di un gas perfetto, ad esempio, si ha che per una qualsiasi trasformazione reversibile a b

Sb - Sa

=

n Cv 19

Tb L

Vb

Il primo termine corrisponde evidentemente alla va­ riazione del contenuto di calore del gas mentre il se­ condo alla variazione di disgregazione. Nel caso generale compaiono però termini incrociati, rendendo l'interpretazione molecolare proposta da Clau­ sius molto meno intuitiva e soddisfacente. Un esempio della delicatezza dell'interpretazione del­ la disgregazione è costituito dalla fusione del ghiaccio, semplice processo isotermo in cui l'aumento di disgrega­ zione è accompagnato da una diminuzione di volume !

7.7. Il II principio della termodinamica e il modello energetico ereditato dall'Ottocento. Bridgman scrisse nel 1941 che la termodinamica gli sembrava una scienza ancora da completare e da appro­ fondire criticamente. Il fisico americano, che nel 1946 ricevette il premio Nobel per le sue ricerche termodina­ miche nel campo delle alte pressioni, sarà buon profe­ ta: la termodinamica dei processi irreversibili è infatti oggi uno dei settori di punta della ricerca teorica, par­ ticolarmente in biofisica.27

196

Le stesse potenzialità applicative della termodinami­ ca classica non erano per altro ancora state pienamen­ te analizzate e comprese_ Il II principio, come si è già accennato, verrà in par­ ticolare scarsamente utilizzato e giudicato un principio 'filosofico' troppo astratto e generale per avere un ruo­ lo significativo nella pratica tecnologica_ Cosi è ad esempio invalso il metodo di valutare l'effi­ cienza di una qualsiasi conversione energetica facendo esclusivamente ricorso al I principio, limitandosi cioè a considerare le diverse quantità di energia in gioco_ Questo metodo è del tutto insufficiente quando du­ rante la conversione energetica intervengono in modo essenziale dei processi irreversibili, cioè delle trasforma­ zioni di energia a due sorgenti in energia termica co­ municata ad un unico serbatoio di calore a temperatu­ ra uniforme. Il metodo tradizionale anzi cela l'esistenza delle degradazioni energetiche, ed ha permesso cosi la conservazione e la diffusione di tecniche e di tecnologie scarsamente efficienti. Per analizzare quantitativamente gli sprechi di ener­ gia utilizzabile non è al concetto di energia tout court che si deve ricorrere ma a quello di entropia, e cioè alla problematica introdotta da Carnot, Kelvin e Clausius. Gli esempi di degradazione energetica, artificialmente indotta dall'uomo, sono inoltre cosi numerosi e diffusi da apparire quasi 'naturali' : ogni qual volta il calore ad alta temperatura della fiamma è impiegato per ri­ scaldare corpi a bassa o a moderata temperatura (come accade negli impianti tradizionali di riscaldamento de­ gli edifici e in molti processi industriali ) si ha una no­ tevole produzione di entropia, che in genere assume la forma di scarichi inquinanti l'ambiente, ed un contem­ poraneo spreco di energia utilizzabile, e cioè di -- risorse naturali. B. Commoner ha in proposito ricordato come solo a partire dal 1974 ( 150 anni dopo la pubblicazione delle Réflexions sur la puissance motrice du feu di Sadi Car­ not ! ) sia stato intrapreso negli Stati Uniti "il primo sforzo organico per dimostrare in che modo è possibi­ le usare il II principio per misurare e massimizzare il rendimento dell'energia nei trasporti, nei processi indu­ striali e nel riscaldamento domestico".28 197

Per la verità nell'Ottocento non mancarono i tenta­ tivi di proporre tecnologie o valutazioni dell'efficienza fondate sul II principio, anche se spesso furono tenta­ tivi di conservazione piu che di innovazione. Un esempio è costituito dalla 'dimostrazione' della competitività della macchina a vapore nei confronti dei motori a scoppio prodotti negli ultimi due decenni del secolo. La macchina a vapore era 'sfavorita' dal metodo tra­ dizionale di valutare l'efficienza in termini di bilancio energetico: le gigantesche macchine ad alta pressione di migliaia di cavalli avevano rendimenti TI dell'ordine del 10%, mentre i primi piccoli motori a quattro tempi ( ci­ clo Otto ) sembra che già allora raggiungessero efficien­ ze del 14%.29 Non era però il ciclo Rankine ad essere piu inefficien­ te del ciclo Otto, ma la macchina a vapore nel suo com­ plesso, intesa come un convertitore dell'energia potenzia­ le chimica del combustibile in energia meccanica. Dal punto di vista termodinamico anzi il ciclo Otto era alquanto piu inefficiente del ciclo Rankine, cioè sfrut­ tava in modo meno efficace il salto termico a disposi­ zione. Per comprenderlo si può sintetizzare il ragionamen­ to seguito in un breve articolo teorico, scritto nel 1890 in difesa delle macchine a vapore.'" In questo articolo si proponeva di valutare l'efficienza delle macchine termodinamiche non piu in termini 'assolu­ ti', e cioè rispetto alle quantità di energia in ingresso e in uscita, ma in termini 'relativi' e cioè rispetto alla massi­ ma quantità di energia meccanica producibile a quelle da­ te condizioni in una macchina di Carnot. Se una macchina produceva il lavoro W, a partire dalla quantità di calore Ql ed operando fra le temperature TI e T, (temperature asso­ lute massima e minima del fluido operatore) , la sua effi­ cienza 'relativa' era W W E - WCornot TI - T, QI TI ---

-

-----

In questo modo, oltre ad eliminare l'incongruenza rap­ presentata da una macchina perfetta avente efficienza 1} mi­ TI - T, nore di 1 (1}Co",o t --- < 1) , si verificava facilmente che TI =

198

l'efficienza relativa del ciclo Rankine era piu che doppia di quella del ciclo Otto.*

Il risultato è paradossale : la macchina a vapore è pili efficiente dei motori a combustione interna solo a condizione di trascurare il salto termico inutilizzato fra la fiamma e il vapore in caldaia. Sostituendo infatti, nel calcolo in nota, alla temperatura T, del vapore quel­ la della fiamma (T, 2000 oK) l'efficienza relativa del ci­ clo Rankine scende a 0,12. Qualche indicazione comunque la fornisce : mostra ad esempio come nei motori a combustione interna ven­ ga sprecata una parte notevole dell'energia potenzial­ mente utilizzabile e sottolinea che la macchina a vapo­ re a pistoni, disponendo di modesti salti termici, potreb­ be ancor oggi essere convenientemente utilizzata. =

La definizione sopra riportata di efficienza relativa al­ lo standard di Camot non mette tuttavia in evidenza tut­ te le potenzialità connesse al metodo di valutare le con­ versioni energetiche rispetto al II principio. È possibile generalizzarla confrontando una partico­ lare alternativa tecnologica, proposta per realizzare un certo risultato, con il metodo teoricamente pili efficien­ te per raggiungere tale obiettivo. Se indichiamo con Emi" la minima quantità di energia necessaria per realizzare lo scopo prefisso e con E la quantità di energia realmente necessaria, all'interno del* Assumiamo, per il ciclo Rankine e dati : ciclo Rankine T, = 400 °K ( 127 0C) T2 = 330 0K ( 57 °C)

T, T2

ciclo Otto

= =

il

ciclo

Otto,

11

W

11

1200 0K 400 °K

=Q= I =

-O-

Si ha rispettivamente :

ERaDklne

EOliO

=

W

=

Q,

--Tl _ T1 T,

W

---;;; -"'T'"",T2 Q, --T,

=

=

0,1 0,175

OT 0,15

=

=

W

I

=

i seguenti 0,1 0,15

0 , 57 ;

0 ,227

199

la particolare e concreta alternativa, si definisce efficien­ za rispetto al II principio il rapporto

Applichiamo questa definizione ad un caso a tutti fa­ miliare, alla valutazione dell'efficienza di un normale im­ pianto di riscaldamento di un ed1ficio (si tratta di un esempio ormai 'classico', largamente citato nella lette­ ratura) . Il metodo teoricamente piu efficiente è l'utilizzazione di una macchina di Carnot funzionante da pompa di ca­ lore. Cosi se si deve comunicare ad una sorgente calda a 47 °C (T, 320 oK), posta all'interno dell'edificio, una certa quantità di calore O, avendo a disposizione una sorgente fredda a 7 °C (T, 280 °K) , l'acqua di un lago ad esempio, si ha che la minima quantità di energia ( mec­ canica) necessaria per effettuare tale operazione vale =

=

Emi.

=

W

=

O,

T, - T, T,

=

O,

320 - 280 320

=

0,125 O,

Emi. è cioè 8 volte inferiore alla quantità di ener­ gia ( termica) comunicata alla sorgente calda. Supponia­ mo ora che l'edificio sia riscaldato con un normale im­ pianto a caldaia e termosifoni. L'efficienza rispetto al I principio dell'impianto è in O, . genere pIuttosto b uona e val e 1) 0,6 + 0,7; l'e=

E

=

nergia chimica del combustibile bruciato in caldaia è cioè circa 1 ,6 volte maggiore del calore O, comunicato ai termosifoni ( E

1 ,6 O,) . 1) Se tuttavia valutiamo l'efficienza dell'impianto di ri­ scaldamento rispetto al II principio della termodinami­ ca ci si rende conto dell'esistenza di un gravissimo spre­ co, che non è affatto messo in luce dal metodo tradizio­ nale di valutare l'efficienza facendo ricorso al I prin­ cipio. Si ottiene infatti =

Eimpianto riscald.



=

=

Ernill

--r

==

0,125 O, 1 ,6 O,

=

0,Q78

Uno dei principali obiettivi di una corretta politica di risparmio di combustibile dovrebbe dunque essere 200

rivolto a modificare radicalmente il metodo di riscalda­ mento degli edifici : anche le pompe di calore possono forse rivelarsi interessanti, a complemento ed integra­ zione degli altri indirizzi di ricerca (l'utilizzazione della energia solare ed il miglioramento dell'isolamento ter­ mico) .* Le pompe di calore verranno costruite, su scala com­ merciale, solo dopo la II guerra mondiale, benché Kel­ vin già nel 1852 avesse proposto in una breve nota di riscaldare "meccanicamente" gli edifici.n I motivi di questo ritardo sono probabilmente sia di ordine tecnico-economico che psicologico-culturale. Il confronto con la tecnica della refrigerazione meccanica è significativo: quest'ultima si sviluppò infatti rapida­ mente nella seconda metà dell'Ottocento, tanto che C. von Linde riuscirà a liquefare l'aria prima della fine del secolo.33 Le due tecniche sono analoghe, benché lo scopo sia diverso. In entrambi i casi un particolare fluido evapora a bassa pressione, cosi da raffreddarsi e da estrarre ca­ lore alla sorgente fredda, viene poi compresso meccani­ camente e in seguito condensato, cosi da riscaldarsi e da cedere calore alla sorgente calda (si confronti il ciclo in­ verso di Carnot a vapore, descritto nel par. 4.2). Nel caso del riscaldamento c'era però una valida al­ ternativa disponibile dai primordi dell'umanità, il fuo­ co, mentre la refrigerazione meccanica era priva di al­ ternative. Vorrei, per concludere, proporre alcune brevi consi­ derazioni sul modello energetico ereditato dall'Ottocen­ to, ed in larga misura ancor oggi seguito ed applicato. Alla fine dell'Ottocento la macchina a vapore restava il motore di gran lunga piu diffuso ed adottato ma i suoi rivali stavano ormai per sopravanzarla. Oltre ai motori a scoppio era infatti scesa in campo * Con le pompe di calore attualmente in commercio sono ne­ cessarie, secondo i salti termici e le sorgenti a disposizione, quan· tità di energia meccanica (od elettrica) molto variabili, ma in ge­ nere sempre minori della quantità di calore comunicata all'ambien­ te. Nel calcolo andrebbero però aggiunte, quando l 'energia mecca­ nica od elettrica deriva a sua volta da una sorgente termica (com­ bustibile), le ineflicienze di questo processo di conversione 'a mon­ te ' . La loro convenienza ed applicabilità andrebbe quindi valutata caso per caso ,3 1

201

anche l'elettricità, sull'onda della scoperta di Edison, e si stavano costruendo le prime centrali elettriche. I motori a combustione interna, che erano stati ini­ zialmente concepiti quali motori industriali, si diffonde­ ranno soprattutto nel settore dei trasporti. Il processo sarà contemporaneo a quello di sostitu­ zione del carbone con il petrolio, sostituzione dettata essenzialmente da considerazioni economiche.* Nel campo delle alte potenze il vapore continuerà tuttavia a regnare sovrano, grazie alla turbina a vapore costruita nel 1884 dall'ingegnere inglese C. Parson. Le navi di piccolo-medio tonnellaggio verranno ad esempio equipaggiate con motori diesel, a preferenza delle motri­ ci a vapore, ma gli enormi transatlantici degli inizi del Novecento richiedevano potenze troppo elevate che solo le turbine a vapore erano in grado di fornire. Gli sviluppi della corsa verso le alte potenze furono in questa fase largamente associati all'elettrotecnica : il binomio turbine a vapore ( o idrauliche) ed elettricità permise infatti di accentrare la produzione di energia in impianti di potenze sempre maggiori mentre la distribu­ zione era assicurata dalla rete elettrica. L'energia diventava cosi un bene diffuso, usufruibile anche dalle piccole utenze industriali che non potevano permettersi le macchine a vapore ad alta pressione, ma al prezzo di una ancor piu grande concentrazione eco­ nomica e finanziaria ( oltre che tecnica). Alla fine dell'Ottocento non tutti però concordavano con il modello degli impianti di elevata potenza : a mol­ ti appariva piu razionale costruire piccole centrali elet­ triche, diffuse sul territorio ed adeguate agli usi locali. Il dibattito riguarderà anche la scelta fra corrente con­ tinua e corrente alternata. Le grandi centrali ponevano evidentemente il problema della distribuzione dell'ener­ gia su lunghe distanze: si trattava non solo di costruire una rete elettrica che coprisse un vasto territorio ma anche di adottare una soluzione tecnica che permettesse il trasporto di grandi quantità di energia elettrica a lun* Il carbone richiedeva ad esempio gru, vagoni, locomotive, car­ ri e cavalli per il suo trasporto ed un esercito di fuochisti per ali­ mentare le caldaie (in una nave da guerra della fine dell'Ottocento metà dell'equipaggio era costituito dai fuochisti ! ) , mentre il petro­ lio necessitava solo di tubi e di pompe, e di una limitata quantità di lavoro specializzato."

202

ghe distanze senza eccessive dissipazioni per effetto Joule. La soluzione sarà, come noto, quella di produrre cor­ rente alternata e di trasportarla su linee ad alta tensio­ ne, mediante l'utilizzazione di trasformatori che rende­ vano possibile elevare o ridurre facilmente la grandezza intensiva associata all'energia elettrica. I sostenitori della corrente continua, tra cui anche Kelvin ed Edison, evidentemente non potevano conce­ pire un modello di produzione centralizzato dell'energia elettrica perché la tensione della c.c. era molto piu dif­ ficilmente modificabile di quella associata alla c.a .. Essi tuttavia fecero notare che la c.c., contrariamen­ te alla c.a., poteva venire facilmente accumulata in mo­ do da rispondere alle necessità dell'utenza nelle varie fasi della giornata senza essere costretti a modificare il ritmo di marcia dell'impianto.'s La vittoria della c.a. e degli impianti centralizzati di potenza sarà dovuta ad un misto di esigenze tecniche ed economico-finanziarie : i primi grandi impianti idroelet­ trici ad esempio favorirono la corrente alternata e l'alta tensione, mentre la tendenza alla concentrazione finan­ ziaria e la nascita delle potenti società elettriche non potranno non ostacolare le soluzioni decentrate." Sarà l'epoca dell'elettrotecnica piu che della termodi­ namica : un uso razionale della scienza dell'energia a­ vrebbe in effetti se non sconsigliato il gigantismo quan­ tomeno favorito soluzioni miste in cui alle grandi centra­ li, soprattutto idroelettriche, si potevano accompagnare le unità locali, fra loro autonome ed indipendenti. Nei piccoli impianti è infatti non solo possibile pro­ durre energia elettrica in modo quasi altrettanto effi­ ciente che nelle grandi centrali ( si possono utilizzare i cicli termodinamici 'ad aria') e si eliminano parte delle perdite di trasmissione, ma risulta anche piu agevole utilizzare il calore residuo. Nell'Ottocento tuttavia, benché fossero elaborate al­ cune delle principali tecniche di recupero del calore, non si parlava di sistemi ad energia totale e di cogenerazio­ ne di energia elettrica e calore. L'energia termica era considerata una componente secondaria del sistema energetico, l'enfasi era quasi e­ sclusivamente posta sulla produzione di lavoro mecca­ nico. Il nostro sistema energetico appare cosi fondato su 203

criteri elaborati in relazione ad una struttura dei consu­ mi, ad una disponibilità di combustibile e ad un livello di degradazione ambientale largamente diversi dagli at­ tuali. Paradossalmente ciò tuttavia rende attuale la 'vec­ chia' ricerca di tecnologie alternative o, se si preferi­ sce, la componente progettuale della scienza.

Note 1 L. BRYANT, The Rale of Thermodynamics in the Evolution of Heat Engines, "Techn. and Culture" , 14 (1973), p. 159. 2 Il panorama delle ricerche ottocentesche nel campo dei picco­ li motori e dei fluidi alternativi risulta imponente e complesso. Si vedano a questo riguardo i seguenti lavori : H. S . H . Smw, Small Motive Power, "Minutes of Proceed. of the Inst. of Civil Engineers", 62 (1880), pp. 290-333 ; G. H. BABalCK, Substitutes for Steam, "Trans. of the American Soc. of Mechanical Engineers" , 7 (1886), pp. 68(). 741 ; T. FINKELSTEIN, Air Engines, " The Engineer", '}J}7 (1959), pp. 492, 522, 568, 720. 3 T. FINKELSTEIN, op. cit. , nota 2, pp. 495·6. • Una interessante ricostruzione storica delle ricerche di Stiro ling e di Ericsson è proposta in : E. E. DAUB, The regenerator prin­ ciple in the Stir/ing and Ericsson hot air engines, "The British Joum . for the Hist. of Science ", 7 ( 1 974), p. 259. 5 Alcuni estratti del brevetto originale di Robert Stirling sono contenuti nel seguente articolo : J. U!sLIE, On the Principle of the Calorie, or Heated Air Engines, " Minutes of Proceed. of the Inst . of Civil Engineers ", 12 (1853), p. 563. Una macchina di Stirling perfezionata era stata descritta da Ja­ mes Stirling nel 1845 sempre all'Institution of Civil Engineers : cfr. M.P.I .C.E. , 4 (1845), p. 348. La prima analisi scientificamente corretta e completa delle mac· chine ad aria calda con rigeneratore venne effettuata, come si è accennato nel testo, da RANKINE : cfr. il suo Manual of the Steam Engines and others prime Movers, Londra 1859, pp. 344 sgg. • Opere di Kelvin, a cura di E. BEllDNE, UTET, Torino 1971 , p. 173 . Già nell'aprile 1847, in una brevissima comunicazione alla Philosophical Society di Glasgow, Kelvin aveva posto in relazione la teoria di Carnot con la macchina di Stirling : cfr. Mathematical and Physical Papers , voI. 5, Cambridge 1911, p. 38. 7 The Scientific Papers of l. Prescott loule, Londra 1884, p. 331 . 8 W. J. M. RANKlNE, On the Mechanical Action of Heat, especial­ I" in Gases and Vapours, in " Miscellaneous Scientific Papers " , Lon­ dra 1881 , p. 234. 9 Ibidem, p. 243 e p. 30l . lO Ibidem , pp . 300-3 . 11 Le idee fondamentali della termodinamica tecnica di Rankine vennero proposte nel gennaio 1854 , in una memoria letta alla Royal Society di Londra dal titolo On the geometrical representation of the expansive action of heat, and the theor" of thermodynamic en-

204

gines. Questa memoria è riportata a p. 339 dei "Miscellaneous Scien­ tific Papers " di Rankine. 12 The Scientific Papers of J. W. Gibbs, Dover, New York 1961, pp. 1-32. Il Si tratta del diagramma (O,