Il mondo prima della storia. Dagli inizi al 4000 a. C. 8860302722, 9788860302724

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Il mondo prima della storia. Dagli inizi al 4000 a. C.
 8860302722, 9788860302724

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Il mondo prima della storia Dagli inizi al 4000 a.C.

Edizione italiana a cura di Telmo Pievani

Kc§xello Corfm Editore

Controfrontespizio. Lo scheletro del "ragaz20 del Turkana" (vissuto 1,6 milioni di anni or sono), che secondo le stime da adulto sarebbe stato alto più di un metro e ottanta centimetri. (Fotografia di Denis Finnin, per gentile concessione dell'American Museum of Naturai History, New York.)

www.raffaellocortina.it

^loGl loo'^ Titolo originale The Worldfrom Beginnings to 4000 BCE ©2008 lanTattersall Published by arrangement with Oxford University Press Traduzione Simonetta Frediani ISBN 978-88-6030-272-4 © 2009 Raffaello Cortina Editore Milano, via Rossini 4 Prima edizione: 2009

Stampato da Arti Grafiche Franco Battala Zibido S. Giacomo (Milano) per conto di Raffaello Cortina Editore

Ristampe 0 1 2 3 4 5 6 7 2009 2010 2011 2012 2013 2014

INDICE

Kiii^iaxiamenti

IX

I. I processi dell'evoluzione

1

2.l'ossili e antichi manufatti

25

5. Kitti in piedi

47

4. La comparsa del genere Homo

71

5. Sempre piìj dotati

93

6. Le origini degli esseri umani moderni

117

7. Vita stanziale

145

Cronologia

165

Letture consigliate

169

Siti web

175

Indice analitico

179

VII

KINCRAZIAMENTI

li un privilegio essere invitati a partecipare a una collana destinata al pubblico forse piià importante che esista. Ringrazio Anand Yang e Bonnie Smith, curatori della collana "The New Oxford World of History", per avermi offerto questa opportunità, e Nancy Toff, Nancy Kirsch, Martin Coleman, Jane Slusser e i loro colleghi della Oxford University Press per aver guidato il progetto in modo così efficace. Ken Mowbray e Gisselle Garcia, dell'American Museum of Naturai History di New York, sono stati indispensabili. Questo volume non contiene note bibliografiche ma ai lettori sarà evidente, spero, che nel corso degli anni ho beneficiato di idee e intuizioni di molti colleghi generosi. A tutti va il mio ringraziamento (loro sanno chi sono).

IX

1 I l'K()(;i:SSI D E L L ' E V O L U Z I O N E

I Vr gli esseri umani è impossibile comprendere appieno se sk'ssi () la propria lunga storia preumana senza sapere qualcos;i del processo (o, meglio, dei processi) che hanno portato la nosira straordinaria specie a diventare quella che è. Come (t|uasi) tutti sanno, si tratta dell'evoluzione. Anche se la maggior parte di noi ha almeno una vaga idea di che cosa sia l'evoluzione, pochi si rendono pienamente conto della quantità di Fattori di solito implicati nei processi evoluzionistici che diedero origine alla varietà dell'odierno mondo vivente. Infatti, l'evoluzione non è, come spesso crediamo, un processo semplice e lineare, ma un evento disordinato in cui entrano in gioco molte cause e influenze diverse. La biologia evoluzionistica è una branca della scienza e spesso la nostra visione della natura della scienza è imperfetta. Molti di noi considerano la scienza come un sistema di credenze tipicamente assolutistico. Pensiamo un po' vagamente che la scienza si sforzi di "dimostrare" la correttezza di questa o quell'idea sulla natura e che gli scienziati siano modelli di oggettività in camice bianco, freddi e distaccati. Per molti versi, tuttavia, l'idea che alcune credenze siano "scientificamente dimostrate" è un ossimoro. A dire il vero, la scienza non si propone di fornire prove definitive di alcunché. Piuttosto, è un mezzo per comprendere il mondo e l'universo intorno a noi, un mezzo che si corregge di continuo da sé. In poche parole, la caratteristica vitale di ogni idea scientifica non è che si possa dimostrarne la verità, bensì che, quanto meno poten1

IL MONDO PRIMA DELLA STORIA

zialmente, si possa mostrarne la falsità (il che non è possibile per qualsiasi genere di asserzioni). La scienza ha compiuto grandi passi in avanti negli ultimi tre secoli, procurando all'umanità straordinari benefici materiali. Questo progresso si è realizzato non solo grazie a una notevole serie di intuizioni sul funzionamento della natura, ma anche mediante il controllo sperimentale di tali intuizioni - o di alcuni loro aspetti - e al rifiuto di tutte quelle che alla fin fine non superano un esame severo e scrupoloso. La scienza è quindi intrinsecamente un sistema di conoscenze prowisorie, piià che assolute. A differenza della conoscenza religiosa, che si basa sulla fede, la conoscenza scientifica "si fonda" sul dubbio ed è per questo che sono due tipi di conoscenza complementari piuttosto che contrastanti. La scienza e la religione si occupano di due tipi di conoscenza intrinsecamente differenti e rispondono a esigenze altrettanto importanti, ma del tutto diverse, della psiche umana. E chiaro, quindi, che dichiarare con disprezzo che "l'evoluzione è solo una teoria" equivale a respingere l'intera base della scienza stessa, a cui il nostro tenore di vita e la nostra longevità senza precedenti devono tanto. L'evoluzione, infatti, è una teoria ben corroborata tanto quanto ogni altra teoria scientifica. Allo stesso tempo, tuttavia, è una teoria generalmente poco compresa. E comune considerare erroneamente l'evoluzione come una semplice questione di cambiamento nel tempo: una storia di miglioramento pressoché inesorabile nel corso dei secoli, in cui tempo e cambiamento sono quasi sinonimi. Ma la vera storia è molto più complicata - e molto più interessante. N e l 1 8 5 9 , l ' a n n o d e l l a p u b b l i c a z i o n e di E origine delle specie per selezione naturale, il l i b r o r i v o l u z i o n a r i o d e l n a t u r a l i s t a i n g l e s e C h a r l e s D a r w i n , il c o n c e t t o d i e v o l u z i o n e e r a n c H ' a r i a . I g e o l o g i e gli a r c h e o l o g i e r a n o c o n s a p e v o l i c h e la T e r r a e l ' u m a n i t à a v e v a n o s t o r i e b e n p i ù l u n g h e di 6()()() a n n i , il v a l o r e ri c a v a t o s o m m a n d o le " g c n c a l o j ^ i c " desc-rille nel V i - c c h i o ' I c s l a m c n t ( ì ; già nel Ì(S(N, inollri-, il n a i u n i l i s l a Iranccsi- K-aii l i a p i i sle tk'

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a v e v a s c a i h i l o Piilra < Icll.i n.ilni a

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I PROCESSI DELL'EVOLUZIONE

tabile delle specie viventi e proposto una visione della storia della vita in cui specie ancestrali davano origine a specie nuove e diverse. L'intuizione di Lamarck derivava da studi accurati di molluschi fossili, che scoprì di poter ordinare in serie nel corso del tempo, con una specie che cedeva gradualmente il passo a un'altra. Ma la sua audacia si era spinta oltre: in un'epoca in cui la fede nella verità letterale della Bibbia regnava sovrana, Lamarck era persino disposto a considerare l'ipotesi che gli esseri umani avessero avuto origine mediante un processo analogo, da antenati simili a scimmie che avevano adottato la postura eretta. Si trattava di intuizioni brillanti; ma Lamarck era troppo in anticipo rispetto al suo tempo perché i contemporanei le potessero davvero apprezzare. Per di più, anche la storia lo ha trattato duramente, soprattutto per come spiegò la trasformazione di una specie in un'altra. Lamarck era convinto che le specie dovessero essere in armonia con il proprio ambiente, ma i suoi studi paleontologici gli avevano insegnato che gli ambienti sono instabili nel corso del tempo. Quindi, anche le specie dovevano essere in grado di cambiare. Lamarck ne concluse che tale capacità doveva essere stata raggiunta grazie a cambiamenti del comportamento. Come molti altri all'epoca, credeva che, durante la vita di ciascun individuo, questi comportamenti nuovi avrebbero provocato cambiamenti de la sua struttura e che tali cambiamenti sarebbero stati trasmessi dai genitori alla prole. Era questo processo, pensò, a dare origine alle forme di cambiamento osservate nella documentazione fossile. La maggior parte dei colleghi di Lamarck (giustificabilmciìic) attaccò con ferocia l'idea di eredità delle caratteristiclic :icc|uisite, con la conseguenza che il bambino dell'evolu/ionc in bullato via con l'acqua sporca di un erroneo meccaniMiio (li caiiibianiciilo. Ma Lamarck aveva spalancato una pori.i ( 111- mai più si sari-bhc pollila richiudere. Per la verità, an( lic pi ima clic I .amarck uscissi- allo scopcrlo con le sue idee, I .iMiiii;, I )ar\vin, iioiiiio di ( !lial'Ics c nomo dal sapere enci( l()|)C(li< (». .ivcv.i piiMilii .li») iiii'opcia ( lic ;ii)licipava alciini

IL MONDO PRIMA DELLA STORIA

elementi del pensiero del nipote, benché mancasse l'idea fondamentale della selezione naturale. E già nel 1844 l'enciclopedista scozzese Robert Chambers aveva sostenuto (anonimamente) che tutte le specie si sono sviluppate in base a leggi naturali, senza bisogno di un creatore divino. Alla metà dell'Ottocento, quindi, gli intellettuali occidentali erano subliminalmente preparati all'asserzione esplicita che tutte le forme di vita si sono evolute da un antico antenato comune. Charles Darwin coltivò questa idea per due decenni, piij o meno dal suo ritorno da un viaggio di cinque anni (1831-1836) intorno al mondo sul brigantino della Marina britannica Beagle. Tuttavia, era riluttante a pubblicare le sue idee sull'evoluzione in un clima intellettuale ancora dominato dalle credenze bibliche sulle origini della Terra e degli esseri viventi. Darwin rimase perciò fortemente turbato quando, nel 1858, ricevette da Alfred Russel Wallace, un suo collega piij giovane, un manoscritto intitolato Sulla tendenza delle varietà a discostarsi indefinitainente dal tipo originale, con una richiesta di aiuto per farlo pubblicare. Wallace era un naturalista privo di mezzi, che si guadagnava da vivere raccogliendo campioni animali e vegetali in luoghi remoti e disagevoli; le idee espresse nel manoscritto gli erano venute in mente durante un attacco di febbre malarica che lo aveva colpito a Ternate, un'isola delle Indie Orientali olandesi che oggi fa parte dell'Indonesia. Queste idee erano a tutti gli effetti identiche a quelle che stavano maturando da anni nella mente di Darwin. Chi dunque aveva la priorità sulla concezione dell'evoluzione? Il dilemma morale venne risolto con la presentazione congiunta alla Società Linneana di Londra, nel luglio 1858, dell'articolo di Wallace e di alcuni manoscritti antecedenti di Darwin. A quel punto, Darwin iniziò a scrivere notte e giorno; la sua grande opera fu pubblicata un anno piij tardi, suggellando la sua identifìcazionc da park' ilei pubblico con l'evoluzione per selezione naliirale. TI c o n c e t t o ( ( ì n i l a m c n l a l c nei c o n l r i h i i l i di Walhux- e di D a r w i n era clic la valichi (lell:i vil;i nel n i o n d o d i

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s;il(), c o m e p n r e lo S( lienia di .s()nii|'Ji;in/e li;i le Ioimh' di \il;i,

I PROCESSI DELL'EVOLUZIONE

sono il risultato della discendenza ramificata da un unico antenato comune. L'espressione succinta con cui Darwin riassumeva il processo dell'evoluzione era "discendenza con modificazione". E così formulata, anzi, questa è l'unica spiegazione della varietà della vita che preveda effettivamente ciò che osserviamo in natura. Nessuno l'ha mai contestata per vaKde ragioni scientifiche (e solo persone mosse da motivazioni religiose hanno mai sostenuto di averlo fatto). In sostanza, da allora tutte le fragorose dispute scientifiche sul tema dell'evoluzione hanno riguardato i suoi meccanismi, non la sua capacità di spiegare ciò che vediamo nel mondo vivente attorno a noi. I meccanismi, d'altro canto, rappresentano tuttora un problema dibattuto. Darwin e Wallace erano entrambi osservatori della natura perspicaci e di grande esperienza, pienamente consapevoli della complessità delle interazioni tra gli organismi viventi. Per entrambi, inoltre, la selezione naturale (l'espressione è di I )arwin) era il processo evoluzionistico fondamentale. Prendiamone in esame il funzionamento. Come osservarono i due IPluralisti, ogni specie consiste di individui che differiscono lcj',gcrmente l'uno dall'altro. In ciascuna generazione, inoltre, sfiiipre più individui sopravvivono fino a raggiungere la maiiii iià e a riprodursi. Quanti arrivano fino a quel punto sono i "pili adatti" per quanto riguarda le caratteristiche che garantir o n o la loro sopravvivenza e il successo della loro riproduzioiir. Se tali caratteristiche vengono ereditate, e per la maggior I >;ii U' lo sono, allora a ogni generazione successiva i tratti che l',.ii;iiiiisc()no una maggior fitness saranno sempre più rappre•.(•I 11 ali, poiché i meno adatti vengono sconfitti nella lotta per l.i I iprodti'/ione. in tal modo, l'aspetto di ogni specie cambierà iii-l idiso ck'l tempo, poiché ognuna raggiunge un "adattaiiiciiio" iiiij'Jiore alle condizioni ambientali in cui gli individui pili .uliiiii si ripiodiicono con esiti migliori. Quindi, la selezioni IMI nule noti È altro file la combinazione dei più vari fattori .Hill(ii'iit.ili che eonlribiiiseoiìo al successo riproduttivo diffei< ii/i,il(- (le;'Ji individui. Se M I i d e i l e u n p o i o , la scesso di trascrizione. Ogni tanto un gene non viene copiaio in modo corretto dagli originali dei genitori durante il prorcsso di riproduzione. Questi cambiamenti, noti come mutazii )ni, possono avere effetti di vario genere e importanza (e per LI maggior parte sono decisamente svantaggiosi), tuttavia sono l'origine delle nuove varianti che rendono possibile il camliLiincnio evolutivo. Oggi sappiamo che la molecola dell'eredi i.ir l'acido deossiribonucleico ( D N A ) . I Ina v o l t a chiariti i concetti fondamentali del cambiamento /M iM-iico, ai })rimi del Novecento la biologia evoluzionistica .ibboiidiiva di teorie rivali sul funzionamento del processo '.ii'sso. ( ionio si p u ò immaginare, veniva esplorata ogni possihilii.i, T u l l i t'ji s c i r i i / i a l i convenivano, però, che le linee di di.< t ndi-n/ii tk'j'Ji orj'.anisini tendono a mostrare cambiamenti fili I p i c M i n i i b i l n u ' i i k ' j',i'nrtic-i - nel c o r s o del tempo. Ma coiiH f' Ah u n i . i i i n b n i v a n o il c a m b i n n i e i i t o a c i ò che chiamarono l»i( ',Monc (Il i i i i i i . i / i o i u ' " ni Ali

il l a s s o di p r o d i i ' / i o n c di i n u t a z i o -

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IL MONDO PRIMA DELLA STORIA

cosiddetti "sport", ovvero individui che presentano mutazioni significative rispetto ai propri genitori. Un altro gruppo di biologi sosteneva che gli organismi hanno tendenze innate al cambiamento. Le evidenti discontinuità che si possono osservare in natura preoccupavano in qualche misura quasi tutti i biologi, ma sulle prime soltanto una minoranza individuò nella selezione naturale il motore del cambiamento evoluzionistico. Tra gli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento da questo animato processo di esplorazione cominciò a emergere un qualche consenso, poiché i naturalisti, i genetisti e i paleontologi convergevano su una teoria unitaria dell'evoluzione, nota con il nome grandioso di "sintesi evoluzionistica". Gli esponenti di ogni singola disciplina offrirono contributi diversi. I genetisti misero a disposizione la conoscenza appena acquisita dei meccanismi di interazione tra i geni nella riproduzione delle popolazioni, delle modalità di trasmissione dei geni e della loro occasionale modifica da una generazione all'altra.

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C a m b i a m e n t o anatomico

Figura 1.1 Vi sono due concezioni fondamentali del processo dell'evoluzione. Le frecce a sinistra rappresentano il processo di "gradualismo tìletico", mediante il quale una certa specie, nel corso del tcmiio, si irasloniia gradualmente in un'altra sotto la mano conduttrice, per così dire, della sc-lr zione naturale. Per contro, secondo la concc'/.i(ìne doj'Ji f(|uilil)ri ptiiilcj'j'ja ti (a destra), il cambiamento è episodico; le spi-cic som» cssi n/ialiiu-nic t u tità stabili che ilanno origine a nuove specie m-l iOI MMIÌ t VCIIK di (liii.iia ic lativamente bn-ve. (l'ij'.uia iralla d.i hin 'raiii-is.ill, l/. Quando venne [orninlala l:i sinii-si (•vi ini;ii i.i n('irNI i< • l ' K I M A I »l I I A S U tUI \

vissero in un determinato ambiente. In altre parole, i (ossili elie troviamo in un luogo particolare non sono necessariamenle un campione rappresentativo degli animali vissuti negli immediati dintorni. A volte, anzi, le ossa fossili esibiscono segni che dimostrano che esse furono trasportate dall'acqua lontano dal luogo in cui erano morti gli animali che le possedevano, quindi fossili trovati vicini non sono necessariamente di animali che vissero insieme. In realtà, le collezioni di ossa fossili trovate nello stesso bacino sedimentario possono benissimo rappresentare parecchi ambienti, o quanto meno microambienti, diversi. Per di pili, nel processo di selezione possono entrare in gioco altri fattori oltre il trasporto da parte dell'acqua. Le iene, per esempio, che hanno l'abitudine di trasportare le carcasse dentro le proprie tane, hanno una notevole influenza sui tipi di fossili che troviamo. Molti fossili di ominidi sono stati trovati in siti che in seguito sono risultati essere tane di iene - e così pili di una volta questi cumuli di ossa, prima che se ne riconoscesse la vera natura, hanno ricevuto interpretazioni fantasiose. Per citare un esempio, quando venne trovato un cranio di Homo neanderthalensis in un'antica tana di iene nella grotta Guattari in Italia, nel 1939, inizialmente si pensò che fosse stato staccato dal corpo e posto intenzionalmente al centro di un cerchio di pietre e ossa animali in base a un qualche bizzarro rituale ominide. I leopardi, che hanno la tendenza ad ammassare le prede su alberi particolari, a quanto pare hanno avuto un ruolo altrettanto significativo nell'accumulo di fossili ominidi, specie in epoche precedenti, in Africa. E importante tenere a mente altresì che la documentazione fossile così come la conosciamo è una rappresentazione piuttosto parziale della vita nelle ere passate. Ciò che abbiamo ritrovato della documentazione della vita antica è stato in gran parte condizionato dagli accidenti geologici. In primo luogo, non è affatto facile diventare un fossile; una volta fossilizzati, bisogna essere straordinariamente fortunati per riuscire ad arrivare al banco di lavoro del paleontologo. Le rocce che contengono fossili ominidi affiorano alla superficie della Terra in modo decisamente irregolare, quindi ciò che abbiamo è un campione 36

I ( f . M l I I ,\N IH MI M A N H I A l I I

mollo sclcllivo (li'i noslii pririiisori, 1^:1 ronscgiiciiza è clic il processo (li l icoslni/ionc della nostra storia biologica è un po' (oiiic coMiporic III) puzzle avcntlo st)lo una parte delle tessere - e senza conoscere l'immagine completa! Anzi, si è stimato che nei lossili conosciuti forse è rappresentato soltanto il 3 per cento di tutte le specie di primati mai esistite. Ne discende che è particolarmente importante analizzare nei modi appropriati i fossili a disposizione. Se, per esempio, partiamo dal presupposto erroneo che l'evoluzione sia essenzialmente un processo di regolazione fine nell'ambito di linee di discendenza di organismi che si succedono nel corso del tempo come gli anelli di una catena, probabilmente siamo spinti ad ammassare tutti i fossili ominidi in quella catena, come anelli consecutivi. Portando il ragionamento all'estremo, una volta determinata la presunta catena a cui appartiene il fossile, la sua posizione nell'evoluzione è determinata essenzialmente dalla sua età, un po' come se si trattasse di unire un insieme di puntini. Inoltre, se la maggior parte degli anelli della catena è comunque mancante, i difetti fondamentali di questo tipo di schema possono non essere facilmente individuabili. La paleoantropologia si è trovata per anni in questa situazione e tutto il settore si sta ancora riprendendo dai suoi effetti. Determinare le specie di appartenenza dei fossili non è facile e non lo è nemmeno il passo successivo dell'analisi, ovvero stabilire per ogni specie quali siano le specie piiì strettamente imparentate. Ogni organismo possiede una gran quantità di caratteristiche, ma non tutte sono altrettanto utili per determinare le parentele. Le caratteristiche "primitive", ereditate da un remoto antenato comune, possono influenzare in grande misura la somiglianza complessiva che osserviamo tra due creature, ma non sono particolarmente utili per determinare le parentele nell'ambito di grandi gruppi i cui membri lanno tutti uno stesso antenato. Per quest'ultimo compito è necessario prendere in considerazione le cosiddette caratteristiche derivate, che sono state ereditate da forme ancestrali comuni più recenti. La condivisione di caratteristiche derivate che non compaiono in altre specie è l'indizio fondamentale

37

IL MONDO PRIMA DELLA STORIA

per capire quali coppie di forme sono più strettamente imparentate le une alle altre. Fin qui tutto bene, anche se l'intero processo può essere reso più complicato dall'acquisizione indipendente di caratteristiche simili, che può non essere rara tra forme simili strettamente imparentate e quindi geneticamente simili. Quando si cerca di determinare con precisione il tipo di parentela, tuttavia, emerge un problema reale. Esistono due tipi diversi di parentela: quella tra una specie ancestrale e la sua discendenza e quella tra due specie che discendono da uno stesso antenato. Queste diverse categorie di parentela hanno implicazioni decisamente differenti per le storie evoluzionistiche, ma distinguerle è difficile, anche in linea teorica, specie per quanto riguarda l'ascendenza e la discendenza. La ragione è che un antenato deve ovviamente essere primitivo in tutte le sue caratteristiche rispetto all'ipotetico discendente; ma quando una forma è primitiva in tutto, non avremo a disposizione nessuna caratteristica derivata per collegarla al suo presunto parente!

Cladogramma

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Alberi evoluzionistici

Figura 2.4 Esistono due tipi di rappresentazioni delle parentele evoluzionistiche: a sinistra, un cladogramma, un diagramma ramificato che mostra il grado di parentela tra forme viventi diverse con un antenato comune; a destra, un insieme di alberi evoluzionistici, che sono rappresentazioni dell'ascendenza e della discendenza tra queste forme. Poiché l'ascendenza è una condizione meno controllabile della semplice parentela di discendenza da un antenato comune, riguardo agli alberi il margine di discussione c più ampio. Tutti gli alberi a destra sono compatibili con il cladonniiniiia sinislni. (Illustrazione tratta da lan Tattcrsall, Niles l'-ldicdj'.c, "I'ìk i, ilicoiy nnd l:in tasy in human paleontology", in Aincriani Scifiilisl, fi V I ' ' / / . |>|) .'d i .'II )

FOSSILI E ANTICHI MANUFATTI

Tale questione potrebbe vagamente ricordare il problema di stabilire quanti angeli possano ballare sulla punta di uno spillo, ma in realtà ha una conseguenza molto importante per chi cerca di ricostruire le storie evoluzionistiche. Infatti, sebbene un'ipotesi di generica parentela - l'ipotesi che il legame di parentela tra due specie sia piìi stretto di quello che ciascuna delle due ha con qualsiasi altro membro del gruppo più ampio - possa essere controllata sulla base di caratteristiche derivate comuni, con le questioni di ascendenza e discendenza non si può procedere nello stesso modo. Pertanto, quando si passa dal diagramma ramificato, detto cladogramma, che mostra le parentele generalizzate, alla formulazione pili complessa, nota come albero filogenetico, che indica le specifiche ascendenze e discendenze, ci si allontana dal regno della scienza controllabile per entrare nel dominio della speculazione, per quanto fondata. Quando ci si spinge oltre, al fine di generare ciò che si chiama scenario, aggiungendo all'albero tutto ciò che si sa o si pensa di sapere sull'ambiente, sull'adattamento e così via, ci si allontana ancora di piià dalla scienza controllabile. Ovviamente, uno scenario ben sviluppato è uno dei tipi pili interessanti (li storia evoluzionistica e senza scenari la paleoantropologia sarebbe piuttosto noiosa. Ma se uno scenario non si basa su c'Iadogrammi e alberi specifici, gli altri scienziati non potranno valutarlo; il problema è che non di rado i paleoantropologi hai ino iniziato troppo precipitosamente dalla parte piià difficili-, passando direttamente a scenari completi. Ne è derivata ima tciulenza a ridurre la discussione all'interno del settore a una sorta di gara tra narratori di storie. I /interesse intrinseco degli scenari, com'è ovvio, resta il fatto clic riportano in vita i fossili, conferendo nuovamente alle ossa ormai inorte le caratteristiche che un tempo le avevano tiniiiiaic. !•', se la paleoantropologia non si occupa di forme di villi del passato, non è paleoantropologia. Le collezioni fossili, micipu-i.Ite nel modo concito, forniscono informazioni preziose Mill'epoi a, su;>li amlìicnti c sulle specie concorrenti che Mfiii ni)'.iiiiMii / / ì i c < / i \ k d i l d l ì h d , n o m e d a t o a d alcuni frammenti fossili prov c i i i e i i i i ( l a sili e l i o p i c i d a l a l i I r a '5,8 e 5,2 m i l i o n i di anni orso-

IL MONDO PRIMA DELLA STORIA

no. I frammenti di Ardipithecus kadahha comprendono l'osso di un piede che si ritiene indichi il bipedismo. Anche se fosse vero, tuttavia, dovremmo stare attenti a concludere che Ardipithecus era bipede nell'accezione comune. Chi ha descritto Ardipithecus ramidus, una specie posteriore di Ardipithecus (risalente a circa 4,4 milioni di anni or sono), avverte chiunque voglia tracciare un'analogia con il suo modo di camminare che dovrebbe "esaminare attentamente la scena del bar in Guerre stellari'. Il materiale fossile òì Ardipithecus ramidus comprende anche denti che sono piuttosto atipici per gli ominidi. Si è detto, tuttavia, che rappresenta un bipede eretto perché comprende anche un frammento della base craniale che pare indicare un'inclinazione in avanti del foramen magnum. Che cosa ne possiamo ricavare? Abbiamo una raccolta molto eterogenea di materiale di presunti antichi ominidi del periodo che va da più di 6 a 4,4 milioni di anni or sono e il fatto che Ardipithecus sia stato confrontato agli scimpanzé e Sahelanthropus ai gorilla potrebbe essere significativo. Ma se queste forme, tutte o alcune, sono davvero ominidi, vuol dire che sin dall'inizio la storia della famiglia umana non è stata il ungo, faticoso e costante passaggio dalla primitività alla perfezione tanto caro ai fautori della sintesi evoluzionistica. E stata, piuttosto, una storia di sperimentazione evoluzionistica, un processo di esplorazione dei vari modi di essere ominidi, che evidentemente sono parecchi. È una lezione importante da imparare. Il fatto che Homo sapiens sia l'unica specie ominide esistente oggi suUa Terra induce facilmente a presumere che la nostra eccellenza solitaria sia storicamente lo stato naturale delle cose - il che è chiaramente falso. Da che cosa fu messo in moto il processo di sperimentazione evoluzionistica? Gli episodi di diversificazione all'interno di gruppi di organismi, la cosiddetta radiazione adattativa, spesso sono stimolati da cambiamenti dell'ambiente. La racliazioiic ominide, a quanto pare, non fu un'eccezione. Per onni parU" del Miocene, che terminò all'incirca 5,2 milioni di anni or so no, il continente africano, in cui ebbe origine la lanii/'Jia di-j-li ominidi, era per lo più coperto da loit-sk- di vario j'.fni-n-. In

RITTI IN PIEDI

queste foreste aveva prosperato una multiforme varietà di primati ominoidi, cioè membri del gruppo da cui emersero gli antenati degli esseri umani e delle scimmie antropomorfe. AU'incirca 10,5 milioni di anni or sono, il raffreddamento dei poli e la diminuzione stagionale delle precipitazioni verso l'equatore iniziò a influire sulla copertura forestale africana, causando la graduale eliminazione di fitte foreste e la conseguente diffusione di terreni boscosi più aperti e di aree erbose. Insieme a questo cambiamento, la varietà degli ominoidi del Miocene che vivevano nelle foreste iniziò a diminuire e probabilmente non è una coincidenza che la famiglia degli ominidi abbia iniziato ad affermarsi proprio quando habitat più aperti stavano diventando una parte significativa del paesaggio africano. E chiaro, tuttavia, che gli ominidi non emersero semplicemente dalle foreste passando alla savana aperta in un colpo solo (non avrebbero proprio potuto farlo, poiché le classiche savane prive di alberi come Serengeti erano ancora molto di là da venire). Si può dire, piuttosto, che iniziò per loro un lungo periodo di esplorazione delle possibilità offerte dai nuovi habitat in espansione, i margini delle foreste e i terreni boscosi. I fossili di altri mammiferi ritrovati insieme a quelli dei primi ominidi sembrano confermare questa preferenza per gli ambienti dei terreni boscosi, che hanno una propria comunità animale caratteristica, anche se i fossili ominidi sono stati trovati in contesti che indicano sia foreste relativamente fitte sia situazioni piuttosto aperte. Forse fu l'esplorazione di svariati habitat il fattore responsabile dell'evidente varietà dei primi ominidi. 11 più antico ominide di cui sappiamo con certezza che camminava eretto, quanto meno sul terreno, h Australopithecns (lììiuncmis, una specie nota grazie a un piccolo campione (li I ossi li provenienti dai siti di Kanapoi e della baia di AUia, lu'l Kcnia settentrionale. Quasi tutti questi fossili risalgono a mi periodo compreso tra 4,2 e 3,9 milioni di anni or sono e lino (li ossi consiste di alcuni pezzi di tibia che mostrano chiari scj'.iii (li |)osiiirii Clelia. (,)iiaiido le antropomorfe camminano .1 ((ii.iiiIO /;ii 111)1-, }'\ \ .11 li inlcrioi i rinianj^oiìodritti dalleartico-

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OT

H. floresiensis ' H. neanderthalensis

H. erectus

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H. maurìtanicus

H. habilis

K. rudolfensis

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2-

H. ergaster

Au. afncanus ,,••* I

P. aethiopicus

Au. Rarhi

3-

Au. bahrelghazali K.plat>ops

Au.afarensis:

4-

Au. anamensis

Ar. ramidus

5-

Ar. kadabba 0 . tugenensis

S. Ichadensis

Figura 3.2 Albero degli ominidi. Un ipotetico albero filogenetico della l:imiglia Hominidae, che contiene la maggior parte delle specie ominidi riconosciute di recente dagli studiosi. Le linee tratteggiate rappresentano pos sibili rapporti di ascendenza e discendenza, mentre le linee coiiliniic- colkgano i reperti che attualmente sono i piij vecchi e i più giovani di ciasc iin;! specie. Il tempo è rappresentato sull'asse verticale; l:i dis|)osi/.ioMc ori/ zontale è arbitraria. (Copyright lan Tattersali.)

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RITTI IN PIEDI

lazioni delle anche fino a terra, come le gambe di un tavolo. Va bene quando il peso è sostenuto dai quattro arti, ma è un po' svantaggioso quando cercano di camminare su due gambe poiché a ogni passo avanti devono ruotare la gamba esterna attorno al proprio centro di gravità, facendo dondolare il corpo di lato. Per contro, in un bipede eretto come noi la coscia è inclinata verso l'interno dalla giuntura femorale al ginocchio. In tal modo, a ogni passo il peso del corpo viene trasmesso direttamente in avanti mentre i piedi si muovono l'uno vicino all'altro, senza scomodi movimenti laterali. Parte dell'apparato necessario per questo movimento sta nell'articolazione del ginocchio, la cui superficie è orientata ortogonalmente all'asse longitudinale della tibia, non con un'inclinazione laterale come nelle antropomorfe. Nella tibia di Australopithecus anamensis la parte che contribuisce all'articolazione del ginocchio è orientata come nella tibia umana, un'indicazione abbastanza sicura di postura eretta. L'articolazione della caviglia mostra altri segni equivalenti. Nei fossili frammentari che conosciamo, Australopithecus anamensis è abbastanza paragonabile a Australopithecus afarensis, la più famosa di tutte le numerose specie di antichi ominidi bipedi. Il fossile pili famoso che rappresenta quest'ultima specie, e che forse è il fossile ominide più famoso di tutti i tempi, è lo scheletro parziale, seppur insolitamente completo, di "Lucy", un individuo minuscolo (e pertanto presumibilmente di sesso femminile) che visse 3,18 milioni di anni or sono. Scoperta alla metà degli anni Settanta a Hadar, ili lùiopia, Lucy è uno dei molti fossili presumibilmente appartenenti a questa specie che sono venuti alla luce in luoghi Ioli (ani dall'Etiopia come la Tanzania e forse il Ciad, che ris:ilj;()ii() a un periodo compreso tra 4 e 3 milioni di anni or sono. Tra ijiiesti altri fossili vi sono due crani abbastanza compiei i, irovati in depositi di 3 milioni di anni a Hadar, oltre a «i,ss:i posu raninli clic integrano bene le informazioni che abb u i n o I i(';iv:iio ( l : i l l : i s k ' s s a i.ncy. Un reperto notevole, provenu n i c (l.i n i n i M i . i h » di milioni di anni di l ladar, è la "pri-

Il M* i n i I) I l ' K I M A I )| I I A M < iKIA

ma famiglia", i resti Iramiin'iilari di Ih'ii ircdic i individui rluprobabilmente morirono insieme durame ima calastrole iia turale come un'inondazione improvvisa. Grazie a questo insieme di fossili, abbiamo un'immagine piuttosto buona dell'aspetto òìAustralopithecus afarensis e una gran quantità di informazioni su cui basare le nostre ipotesi sul modo di muoversi di queste creature (il che, naturalmente, non significa che tutti i paleoantropologi siano d'accordo sulla questione!). Le dimensioni delle ossa degli individui adulti differiscono in modo particolarmente notevole e ciò implica che i maschi erano molto più grandi delle femmine. E probabile che Lucy superasse di poco il metro d'altezza, mentre i maschi forse erano più alti di una trentina di centimetri. Le stime del peso corporeo variano; i maschi forse arrivavano a pesare 45 chili e le femmine probabilmente non superavano i 27 chili. La prima caratteristica che si può notare nello scheletro di Australopithecus afarensis è il bacino ampio e basso, che a prima vista sembra avere proporzioni simili al nostro. Il contrasto con il bacino lungo e stretto delle antropomorfe quadrupedi è senz'altro molto marcato. Il bacino ^ì Australopithecus afarensis non è il bacino di un quadrupede che aveva i visceri sospesi come su un'amaca al di sotto della colonna vertebrale. Gli organi erano invece sostenuti dal basso dalla cavità ossea del bacino (seppur non nel modo efficace caratteristico di Homo sapiens). Il bacino ampio e poco profondo è quindi segno di postura eretta, anche se non permette di capire se tale postura fosse adottata soprattutto sugli alberi o sul terreno. Per quanto riguarda la locomozione, il bacino delle antropomorfe ha una forma che dà ai muscoli della coscia il massimo vantaggio meccanico quando l'anca è flessa. Per contro, la struttura dell'anca umana è tale da accentuare la velocità e la gamma dei movimenti possibili, specie quando la gamba è stesa in avanti. Il bacino di Australopithecus afarensis sta chiaramente sul versante umano di questa linea di demarcazione, ma non è identico al nostro. Per esempio, la giuntura femorale, con la testa del femore che ruota nella cavità dell'osso iliaco, ha una superficie piuttosto piccola, che concentra (più che

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(lilloiulcn', ( oiiir iicj'Ji c s s c i i i i n i j i i i ) hi loi/a ^(.'iicialn qiiaiitlo il piede- loi ( a il lei r e n o su m i si (•aiiiiiiiiia. il bacino stesso è iiok'voliiicnu' am|)i{) e svasalo, con molti dettagli anatomici clic non lianiio ugnali in ncssnna Forma vivente. Pochi contestcrchhcro railermazione che il bacino òì Australopithecus afarcnsis mostra nna radicale riorganizzazione nella direzione della postura eretta se lo si confronta con la condizione presumibilmente pili ancestrale delle antropomorfe, tuttavia la combinazione delle sue caratteristiche lascia un ampio margine di discussione per quanto riguarda le precise modalità di deambulazione della specie. Se forse la giuntura femorale di Australopithecus afarensis lascia senza risposta molti interrogativi, l'articolazione del ginocchio è invece piìi conclusiva. In Lucy e nei suoi simili era chiaramente l'articolazione di un bipede eretto, i cui femori convergevano dalle anche verso le ginocchia, proprio come i nostri e quelli di Australopithecus anamensis. Lo segnala in modo evidente il caratteristico angolo formato tra la superficie orizzontale dell'articolazione del ginocchio e l'inclinazione verso l'interno dell'asse del femore. La tibia andava dritta da. le ginocchia ai piedi, che rimanevano vicini durante la deambulazione. Nel complesso, tuttavia, le gambe erano più corte delle nostre in proporzione alle dimensioni del corpo e le ossa dei piedi di questi primi ominidi non narrano una storia semplice. La parte posteriore del piede è relativamente piccola, come la nostra, e condivide con esseri umani posteriori alcune caratteristiche che indicano una limitata capacità di muoversi al di là dello schema longitudinale. Davanti alla caviglia, per contro, il piede era più lungo del nostro, specie verso la punta, dove le ossa delle dita si possono descrivere come particolarmente simili a quelle delle antropomorfe. Che cosa si può dire del resto del corpo? Le ossa del braccio di Australopithecus afarensis presentano alcune caratteristiche umane e altre tipiche delle antropomorfe, e le braccia sono più lunghe delle nostre in confronto alle gambe, anche se la disparità sembra essere dovuta per lo più alla scarsa lunghezza delle gambe. Le spalle sono strette e la gabbia toracica è molto di-

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Il, M( )NI)( 1 l'KIMA DI I.I.A SK >KI/\

versa dalla nostra. Invccc ili avere una forma essenzialmente cilindrica osservata dal davanti, è decisamente a cono invertito, come la gabbia toracica delle antropomorfe. Vista dall'alto, tuttavia, ha uno spessore ridotto, come la nostra, invece di essere profonda come quella di un quadrupede. La spina dorsale è composta di vertebre con lunghe proiezioni per l'attacco dei muscoli, che indicano una muscolatura relativamente massiccia. I muscoli di questa regione del corpo sono importanti nella locomozione tanto fra i quadrupedi quanto tra i bipedi, comunque, quindi non è una caratteristica utile per determinare il tipo di postura. Troviamo invece un indizio rivelatore nelle parti centrali delle vertebre della schiena, che reggevano il peso. In Australopithecus afarensis sono piccole rispetto al.e nostre (e a quelle delle antropomorfe); ma almeno in una specie affine le vertebre Figura 3.3 Lo scheletro di "Lucy" indicano che la spina dorsale

(vissuta 3,18 milioni di anni or sono), alta poco più di un metro. (Per gentile concessione dell'American Museum or Naturai History.)

(vista di fianco) presentava la ^ ^ ^ ^ ^ ^^e è un'altra ^^

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caratteristica delia nostra posizione eretta. Qual è allora il significato conclusivo di tutti questi indi-

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locomozione eli Auslnilopithecus

iiliiiriisis:' L';ii|',oiiu'iilo c Sialo aiìipiamentc dibattuto: alcuni |)!ilfO!iiiiroi)olo};i iiiL'itoiio in rilievo l'evidente specializzazione a lavoiv del hipedismo che si può osservare in tutto lo scheleI IO, mentre altri danno più importanza alle caratteristiche legate a un passato arboricolo. A quanto pare, tuttavia, sta emergendo un accordo fra tali posizioni estreme. I ricercatori hanno riferito che, in particolare in ambienti relativamente aperti, gli scimpanzé tendono a tenere il torso dritto mentre vanno in cerca di cibo sugli alberi e molti ritengono che gli ominidi si siano evoluti da specie che facevano altrettanto con frequenza anche maggiore. Sul suolo gli scimpanzé camminano poggiando a terra le mani in modo che il peso della parte superiore del corpo sia retto daEe nocche e così sono riusciti a conservare le lunghe mani, assai utili per afferrare i rami. Quando le foreste africane iniziarono a frammentarsi, gli ominidi ancestrali, che quasi certamente erano predisposti a tenere il corpo dritto in ogni caso, imboccarono un'altra strada, camminando ritti su due gambe mentre si spostavano sul terreno. Ne derivarono animali che sugli alberi non erano agili quanto le scimmie antropomorfe e sul terreno non erano efficienti quanto noi. Ciò nonostante, l'adattamento del genere "botte piena e moglie ubriaca" di Australopithecus afarensis evidentemente fu utile a questa specie e ai suoi parenti, perché si conservò come complesso anatomico stabile per diversi milioni di anni. E chiaro che questi primi ominidi erano piuttosto a proprio agio nelle aree forestali marginali, sempre piìj diffuse, che offrivano allo stesso tempo le risorse delle grandi foreste e dei terreni boscosi più aperti. È evidente che di tanto in tanto si avventuravano completamente allo scoperto, come mostra la pista di orme fossili di bipedi di 3,5 milioni di anni or sono che si è conservata in modo straordinario a Laetoli, in Tanzania. Una delle ipotesi interessanti che ne sono scaturite è che, nel corso di quella remota epoca, gli ominidi abbiano cominciato a essere onnivori sfruttando le proprie capacità di arboricoli per rubare le carcasse di antilopi che i leopardi - abitanti dei terreni boscosi e della savana - avevano l'abitudine di na-

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Il M< INI II I rUIMA I II I I

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scontlere sugli alberi proprio pcrclic non vi-nissi-ro iiil);iic' mentre i loro possessori pattugliavano il territorio. Sap|)iaiii() che gli scimpanzé cacciano le scimmie e le piccole antilopi, quindi non abbiamo motivi per supporre che i primi ominidi non fossero a conoscenza dei vantaggi di un'alimentazione altamente proteica. Di conseguenza, sin dai primi tempi della loro scoperta, i nostri antichi antenati sono stati visti come cacciatori, con un'innata propensione alla violenza. Dopo tutto, nel corso della storia gli esseri umani sono sempre stati valenti cacciatori e anche gli scimpanzé di tanto in tanto cacciano; non ne segue che erano dedite alla caccia anche le prime "antropomorfe bipedi"? Non necessariamente. Nell'ultimo mezzo milione di anni dell'evoluzione umana la caccia ha avuto senza dubbio un'importanza critica nello stile di vita degli ominidi; ma prima di allora la situazione è molto meno facile da interpretare. I primi autori ipotizzarono che gli antichi fossili ominidi e le ossa animali rinvenute in uno stesso sito fossero rispettivamente i resti dei cacciatori e delle loro vittime. Negli anni Ottanta, tuttavia, il paleontologo Bob Brain fece notare come fosse più verosimile che l'insieme dei reperti rappresentasse i resti delle prede di leopardi o iene. Di fatto, Brain ha trovato un cranio di australopitecino che mostra segni di perforazione che quasi certamente furono lasciati dai canini di un leopardo. Inoltre, gli antropologi Donna Hart e Bob Sussman, in Man the Munteci (2005), sostengono che il fatto di essere specie predate modellò i primi ominidi molto piià di quanto avrebbe mai potuto fare il fatto di andare saltuariamente a caccia di lepri, Hart e Sussman sottolineano che i primi ominidi, scendendo a terra quando il loro precedente habitat forestale iniziò a frammentarsi, dal punto di vista ecologico erano edge species, specie di confine che prosperarono nelle aree in cui la foresta lasciava il posto a terreni boscosi ed erbosi. Oggi, tra i primati le edge species di maggior successo non sono le antropomorfe, bensì i macachi asiatici, generalisti adattabili che vivono in grandi gruppi e per andare alla ricerca del cibo di solito si dividono in gruppetti piìi piccoli. Hanno un comportamento

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lli-ssilnlc i" s o n o t u i i i i v ' o i i , i n o l i l e u - n c l o i i o a l o n i i i r c a l l a c a s a hasi- oj'.iii i i o l U ' . S o n o ÌIIICIK' .soj;^c'lli a livelli m o l t o a l t i d i p r e cia/ioiu-, il t iu- ha m i a l o i K- i l i l l i i c i i z a s u l l ' o r g a n i z z a z i o n e e s u i m o v i i i i i ' i i l i ilei g r u p p i .

I^ir essendo nostri parenti pili stretti dei macachi, le antropomorfe di oggi hanno un adattamento molto diverso da quello dei primi ominidi, e Hart e Sussman ne concludono che dal punto di vista ecologico potrebbe essere più ragionevole l'analogia con i macachi. La loro proposta è che forse i primi ominidi vivevano in gruppi di dimensioni variabili e composti da individui di entrambi i sessi, che si dividevano nel corso delle attività diurne, ma si ricomponevano di notte in case base ben protette, dormendo sulle rocce e sugli alberi, una preferenza che è in buon accordo con le loro caratteristiche anatomiche. Secondo Hart e Sussman, i primi ominidi erano onnivori e mangiavano frutti, erbe, radici e a volte insetti e lucertole. Come nei macachi, le femmine formavano il nucleo sociale del gruppo, che era sempre vulnerabile dai predatori. I maschi, che riproduttivamente valgono meno, facevano da sentinelle e può essere stata proprio la minaccia della predazione nel loro nuovo habitat a dar forma a molti dei comportamenti dei nostri remoti antenati, piccoli e relativamente indifesi. E un'ulteriore ragione per credere che i primi ominidi, anche se forse sul terreno preferivano muoversi sugli arti posteriori, non si fossero del tutto staccati dagli alberi. Anzi, è molto probabile che di notte questi animali dal corpo piccolo e in larga misura indifesi si rifugiassero regolarmente nella relativa sicurezza offerta dagli alberi, dalle rocce e da altri luoghi accessibili solo ad animali capaci di arrampicarsi. L'interrogativo mai risolto sul motivo del bipedismo il piìi delle volte è stato posto in termini funzionali immediati, non in relazione alla struttura della forma ancestrale da cui ebbero origine i primi bipedi ominidi. I paleoantropologi hanno regolarmente cercato di individuare il "vantaggio" che assicurò agli ominoidi bipedi il trionfo finale negli habitat non forestali. Alcuni hanno ipotizzato, per esempio, che il fattore principale fu la liberazione delle mani consentita dal bipedismo. Se

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gran nuicchio di spccir nuovi', un po' ;i

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passo al riconoscimento clic })rol)al)ilnìcnlc «.'Ji anslralopilcci ni, nel corso del loro lungo mandalo sulla Terra, liirono cariilterizzati da uno schema ramificato di discendenza mollo più complesso.

Gli studiosi hanno ancora visioni contrastanti delle relazioni tra questi primi ominidi. AI momento, però, a molti va 3ene considerare Australopithecus anamemh come una specie "genitrice", che molto probabilmente diede origine in modo abbastanza diretto al nostro vecchio amico Australopithecus afarensis, i cui reperti risalgono al periodo compreso all'incirca fra 4 e 3 milioni di anni or sono. Un frammento di mandibola di circa 3,5 milioni di anni trovato in Ciad è stato chiamato Australopithecus bahrelghazali, ma molti studiosi lo considerano una versione dell'Africa centroccidentale di Australopithecus afarensis. Se la distinzione tra le forme robuste e gracili è corretta, il divario iniziò a svilupparsi poco prima di 3 milioni di anni or sono. Australopithecus africanus è l'esempio classico delle forme gracili e si trova in siti deirAfrica centromeridionale di difficile datazione, ma che probabilmente risalgono al periodo compreso tra poco più di 3 e poco meno di 2 milioni di anni or sono.

Figura 3.5 In contrasto con il cranio di Homo sapiens, l'essere umano moderno (a sinistra), con la scatola cranica a forma di pallone e la faccia piccola, il cranio dello scimpanzé (a destra) e quello Australopithecus (al centro) hanno entrambi una scatola cranica piccola e musi grossi e sporgenti. (Fotografia di Ken Mowbray, American Museum of Naturai History.)

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comporre, con i Iraiiiiiiciili liiscinli i l i i l proccssodi l.ivoi.i/ioin-, interi ciottoli di tipi di roccia clic non sono | ) i i ' S f i i i i in'lla /.oiia. L'unica spiegazione della presenza di questi ciouoli nei sili è che vi siano stati portati dagli ominidi macellatori. Li una evidenza pili che sufficiente del fatto che i primi artefici di utensili selezionavano i materiali grezzi adatti e li trasferivano da un luogo all'altro in previsione di situazioni in cui avrebbero avuto bisogno degli utensili. Gli scimpanzé moderni praticano la caccia di piccoli mammiferi in modo cooperativo, ma di norma lo fanno solo quando se ne presenta l'occasione. Gli antichi ominidi artefici di strumenti evidentemente si armavano in previsione dello smembramento di un animale che avrebbero cacciato intenzionalmente o di una carcassa che avrebbero trovato per caso. Avevano la capacità di prevedere. In un senso rudimentale, erano pianificatori. Chi furono, dunque, i primi costruttori di utensili litici? I fossili di Homo habilis di Olduvai hanno solo 1,8 milioni di anni all'incirca e ora gli archeologi hanno individuato diversi luoghi in Africa orientale in cui antichi ominidi abbandonarono utensili di pietra rudimentali nel periodo compreso tra 2,5 e 2 milioni di anni or sono. In alcuni di questi siti sono state trovate anche le ossa di animali smembrati, ma nessuno conteneva anche fossili ominidi. Il caso che più vi si avvicina è forse un sito di 2,5 milioni di anni a Bouri, in Etiopia, dove sono state trovate ossa animali che presentavano segni di tagli non lontano da frammenti fossili di australopitecini, identificati come appartenenti alla specie Australopithecus garbi. Naturalmente, questa associazione non è in accordo con il modello dell'"uomo, il costruttore di utensili" che motivò Louis Leakey a chiamare Homo babilis il suo nuovo ominide. Forse, però, contribuisce a spiegare perché tutti i potenziali candidati al titolo di primo artefice di strumenti litici si possono far rientrare a fatica in un'idea coerente del genere Homo. La documentazione fossile degli ominidi del periodo che va da 2,5 a 2 milioni di anni or sono è piuttosto scarsa, ma al momento è possibile sostenere che in realtà nessuno dei fossili ominidi - tutti frammentari - che sono stati segnalati relativa76

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inciilc .1 l.ili- |)i-i lodo (lo\ irl»l»c fsscic ;ilIrihiiilo al genere clic (oinpn-iulc l;i iioslia .spt-cir, llo/z/o sdjìicns. Si })iiò persino pensare elu' iieanelK- lo slcsso ììou/o hahilis di Olduvai rientri nel j'eiieie, anche se a^li inizi Leakey era convinto che i framnienli craniali indicassero un cervello un po' pili grosso del cervello caralleristico degli australopitecini. ( loniunqiie lo si voglia classificare, tuttavia, in effetti è probabile che i primi costruttori di utensili avessero le dimensioni coi-pt)ree degli australopitecini, un corpo piccolo e un cervello |)iiittosto modesto. Evidentemente, non occorreva un cervello grosso per costruire strumenti di pietra. A pensarci, non si può dire che non sia plausibile. Qualsiasi innovazione comportamentale deve avere origine in un singolo individuo, che deve appartenere a una specie preesistente e non può essere troppo diverso dai suoi genitori. Le innovazioni di ogni genere devono emergere nell'ambito di una specie, semplicemente perché non possono farlo in altra sede, ed è per questo che non vi sono ragioni per associare le novità comportamentali all'emergere di nuove specie. Non possiamo usare la comparsa in scena di nuove specie per spiegare nuovi comportamenti, lid è vero anche il contrario: non vi è ragione di prevedere che le nuove specie manifesteranno sempre comportamenti radicalmente nuovi. Ciò è senz'altro vero nel caso dei primi ominidi che avevano dimensioni corporee dimostrabilmente simili alle nostre: i primi "autentici" Homo. E chiaro che, stando a come li immaginiamo oggi, i "primi Homo'' sarebbero sembrati molto diversi da noi mentre andavano in giro per l'ambiente. Il primo tipo di essere umano che in qualche modo riconosceremmo come "uno di noi", quanto meno da lontano, è la specie che oggi il più delle volte è chiamata Homo ergaster (e in qualche caso ''Homo erectus africano"). Ecco finalmente un essere, reso famoso soprattutto da uno scheletro miracolosamente conservato (noto come "ragazzo del Turkana") venuto alla luce nel Turkana occidentale, nel nord del Kenia, che essenzialmente ha la nostra conformazione, quanto meno dal collo in giià. Una tale struttura non è affatto prefigurata nella documentazione fossile degli ominidi

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Il M< Il II H t l ' K I M A I H I I A M < »IU \

- anche se bisogna riconoscere che le ossa posicraiiiali lossili sono rarissime e, se isolate, di diffìcile interprela/ioiie. Per la verità, è estremamente raro trovare uno scheletro, anche incompleto, dello stesso individuo ominide fossile - specie di tempi molto remoti (la maggior parte della documentazione) - anteriore alla pratica innovativa di seppellire i morti, che ha poche decine di migliaia di anni. Il fatto che lo scheletro del "ragazzo del Turkana" - noto tecnicamente con il suo numero di catalogo del Kenya National Museum, KNM-WT15000 (si veda il controfrontespizio) - si sia conservato è il risultato di un'incredibile concatenazione di circostanze. Al momento della sua morte, il luogo in cui è stato ritrovato probabilmente faceva parte di un'estesa palude nell'alveo di piena di un antico fiume. Non sapremo mai per quali motivi questo adolescente solitario si trovasse in un folto di canne e cespugH tra acque basse e stagnanti. Comunque sia andata, il ragazzo morì e cadde a faccia in giìj nella palude, nascosto alla vista di tutti i saprofagi volatili, acquatici e terricoli che avrebbero smembrato e masticato il suo corpo, se fosse finito in quasi qualsiasi altro posto. Il pesante carico di sedimenti dell'acqua, combinato con la sua relativa immobilità, garantì che il corpo del ragazzo restasse indisturbato e venisse rapidamente coperto dai sedimenti protettivi in cui le sue ossa si fossilizzarono. In tal modo i suoi resti sfuggirono al destino che quasi invariabilmente attendeva i morti in un paesaggio come l'antico bacino del Turkana: la dispersione delle parti del corpo e delle ossa e la loro distruzione completa o parziale da parte degli animali saprofagi e degli agenti atmosferici. Questo miracolo di sopravvivenza post mortem ci offre uno dei rari esempi provenienti dalla documentazione fossile dei primi umani in cui possiamo vedere chiaramente la relazione tra le diverse parti del corpo - in particolare il cranio e le ossa degli arti - di un singolo individuo. Questi resti mostrano che in effetti Homo ergaster, per quanto ne sappiamo a differenza di tutti i suoi contemporanei, aveva uno scheletro corporeo moderno. E del tutto evidente che la nostra linea di discendenza non acquisì la sua struttura alta e insolita di vigoroso cammi-

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liiii/'Jic cpoclu'iik'iIìmiìIc

processo gradinile di selezione ii:il iiiiik'. L'esempio del ragazzo dclTurkana suggerisce invece che lale striillura venne acquisita nel corso di un episodio di durala relativamente breve, con tutta probabilità a causa di un'alterazione minore di un gene regolatore che ebbe un effetto a cascata sulla struttura di tutto il corpo. Gli ominidi precedenti erano di bassa statura, non superavano i 120-150 centimetri. Il ragazzo del Turkana, per contro, che morì quando aveva pressappoco otto anni, era alto all'incirca 160 centimetri e si stima che da adulto sarebbe arrivato più o meno a 183 centimetri. Alto, snello e con le gambe lunghe, questo individuo era chiaramente adatto a vivere nell'aperta savana, lontano dai margini ombreggiati delle foreste in cui sembra che gran parte dei suoi remoti progenitori sia stata confinata. Anzi, la struttura e le dimensioni corporee del ragazzo sono sorprendentemente simili a quelle degli esseri umani che vivono oggi in ambienti tropicali simili, dove uno dei problemi importanti è la dispersione da parte del corpo del calore in eccesso. E con fossili come il ragazzo del Turkana che possiamo finalmente avere la ragionevole certezza che gli ominidi avessero perso il folto manto pilifero senza dubbio posseduto dall'antenato comune agli ominidi e alle antropomorfe. La riduzione dei peli a livelli irrilevanti e la proliferazione delle ghiandole sudoripare quasi certamente andarono di pari passo, come parte del meccanismo di dispersione del calore nel corpo degli ominidi. Molto semplicemente, non sappiamo quanto fossero pelosi i primi bipedi. Poiché sembra che trascorressero la maggior parte della vita all'ombra, quanto meno parziale, è probabile che non avessero perso del tutto il pelo, mentre la pelle di ominidi come il ragazzo del Turkana quasi certamente era priva di peli. Ed è quasi certo anche che fosse scura, dato che gli effetti altamente nocivi dei raggi del sole tropicale sono mitigati da una grande abbondanza di melanina, un pigmento scuro che ne ostacola la penetrazione. Come si poteva prevedere, il ragazzo del Turkana presenta alcune caratteristiche ossee che lo differenziano da Homo saiiMlon'nel i u i m m I i

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iiii.i lei in)l(t|',i;i lilii'ii imlisliiij;iiil)ik' ^la iiiili'//al;i dai suoi piiriirsori arcaici, csscn-

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'/ialiiiciilc clairiiii/,i() tlciriiso eli slriiiiicnli. PurLioppo, esisLono pochi sili archcolo^ici di questo periodo critico ed è impossibile associare lipi specifici di strumenti litici a qualche tipo particolare di ominidi. Ma questa situazione rafforza l'idea che non tiovremmo aspettarci che nuovi tipi di ominidi si accompagnino necessariamente a nuovi tipi di espressioni culturali, come per esempio un insieme di strumenti migliore. Com'è ovvio, gli utensili di pietra sono solo indicatori di comportamento molto indiretti e occupano una posizione centrale nelle nostre interpretazioni degli schemi di attività dei primi ominidi soltanto perché si conservano estremamente bene, tanto da costituire un'alta percentuale di tutta la documentazione archeologica del Paleolitico. Ciò nondimeno, al momento abbiamo pochi motivi per concludere che al principio il tipo fisicamente nuovo di ominide rappresentato da Homo ergaster si comportasse in maniera radicalmente diversa dai suoi precursori. E comunque da giudicare probabile che Homo ergaster possedesse un potenziale cognitivo molto superiore a quello dei suoi predecessori - un potenziale che una scoperta tecnologica adeguata avrebbe potuto sfruttare. E in effetti, intorno a 1,5 milioni di anni or sono (forse un po' prima). Homo ergaster iniziò a fabbricare tutto un insieme nuovo di strumenti litici. I suoi precursori, a giudicare dalle apparenze, ricercavano un unico attributo particolare: un bordo affilato e tagliente. Chiaramente non si curavano dell'aspetto preciso delle schegge prodotte; il punto importante era che si potessero usare per tagliare. Per contro, quando Homo ergaster era in già in circolazione da un bel po', i fabbricanti di utensili, pur continuando a produrre semplici schegge di pietra del vecchio tipo, iniziarono anche a costruire strumenti più grandi modellando tutti e due i lati di una pietra fino a ottenere una forma simmetrica e regolare. Questo nuovo genere di strumento per cui era necessario un lungo lavoro, 1'"ascia a mano acheuleana" (da Saint-Acheul, in

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Francia, dove venne dose ri ti a per la prima v()lla),ave\'a ima loi ma a mandorla e chiaramente era realizzata seguendo mia sagoma che il costruttore doveva avere in mente prima di iniziare a modellare la pietra. Appena la nuova tecnologia si consolidò, questi utensili iniziarono a essere prodotti in quantità enormi. Qualche volta, di fatto, venivano sfornati in un numero di gran lunga superiore a quello che si può immaginare necessario per scopi pratici. Inoltre, benché le asce a mano (e le loro varianti, gli arnesi dalla punta aguzza e le mannaie) fossero molto pratiche e funzionali (l'ascia a mano è stata soprannominata "il coltellino svizzero del Paleolitico"), è difficile non avere l'impressione che, quanto meno di tanto in tanto, i fabbricanti di asce a mano ripetessero semplicemente uno schema di comportamento piuttosto compulsivo e stereotipato. Che cosa implica questo nuovo genere di strumenti riguardo al tipo di coscienza posseduto dai suoi artefici? E chiaro che le asce a mano marcarono una sorta di salto cognitivo da parte di coloro che le costruirono (non è affatto evidente che prima o poi qualcuno avrebbe inventato questi strumenti), tuttavia è difficile capire che cosa ciò significhi esattamente per il resto del repertorio comportamentale. Esistono poche indicazioni indipendenti, per esempio, del fatto che i primi acheuleani cacciassero animali più grandi o piìi difficili da catturare di quanto facessero i loro predecessori. Fino all'epoca di Homo ergaster, tutti i membri della famiglia ominide erano rimasti confinati in Africa. Per quanto riFigura 4.2 Un moderno fabbricante di utensili stringe nella mano la copia appena realizzata di un'ascia a mano acheuleana. Gli strumenti litici di questo tipo cominciarono a essere fabbricati in Africa più di 1,5 milioni di anni or sono e sono i primi che corrispondono a un "modello formale" che l'individuo aveva in mente prima di creare lo strumento. (Per gentile concessione di Kathy Schick e Nicholas Toth, Stone Age Institute.)

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1.11(1,1 il |u-i lodo |)i('( (-(Iciiic ,1iiiilioiii (li anni or sono, non rsisloiio S('|',ii;il.i/ioiii ( icdihili ili (ossili oiiiiiiidi in ncssun'alli;i |);iilc del mondo. M;i };li (.'ss(.'ri nniani con un corpo di dilìKusioni niodcM iK.', una volta comparsi sulla scena, a quanto pare non solo abl:>andonarono rapidamente il continente in cui erano nati, ma riuscirono a spingersi fino all'Asia orientale in un intervallo di tempo notevolmente breve. Alcune datazioni recenti, per esempio, indicano che gli ominidi erano presenti sull'isola indonesiana di Giava già 1,8-1,6 milioni di anni or sono, anche se tali date sono state contestate, specie la piij antica. Giava è un luogo emblematico negli annali della paleoantropologia, poiché è lì che, alla fine dell'Ottocento, si scoprirono i primi resti di ominidi veramente antichi. A quell'epoca i fossili ominidi noti erano ben pochi e tutti erano molto meno antichi dei reperti di Giava. La nuova forma, denominata Homo erectus in riconoscimento della sua postura eretta, assunse inevitabilmente un ruolo fondamentale nelle interpretazioni dell'evoluzione umana. Oggi appare meno probabile di allora che Homo erectus rappresenti uno "stadio" fondamentale dell'evoluzione umana tra gli australopitecini e i neandertaliani. In effetti, è molto probabile che fosse una specie locale evolutasi in Asia orientale successivamente all'arrivo in quelle regioni della sua progenitrice, forse Homo ergaster o ur\ 2\tYdi specie simile. Ciò nonostante, molti studiosi autorevoli continuano a inchinarsi alla tradizione e fanno rientrare nella specie Homo erectus una gran varietà di ominidi africani, asiatici ed europei, compresi quelli che in questo libro sono citati come Homo ergaster - una complicazione di cui deve essere informato chiunque cerchi di orientarsi nella letteratura sull'evoluzione umana. In ogni caso, rimuovere Homo erectus dalla sua posizione fondamentale nell'albero dell'evoluzione umana di certo non lo rende meno interessante, poiché se si accettano le date più antiche questa specie è rimasta sulla Terra piia di ogni altra specie ominide conosciuta. I pili famosi esemplari noti di Homo erectus giavanese probabilmente risalgono a un periodo compreso all'incirca tra un milione e 700.000 anni or sono, ma

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un campione di crani che in generale è attribuito a questa specie è stato datato a soli 40.000 anni or sono. Tale data, probabilmente non per pura coincidenza, è vicina alla data del probabile arrivo di Homo sapiens nell'arcipelago indonesiano. Possiamo quindi iniziare a ipotizzare che la nostra specie abbia avuto un ruolo nella scomparsa definitiva di un altro ominide, Homo erectus, che forse resistette nella sua enclave in Asia orientale per più di un milione e mezzo di anni. Anche qualche fossile piuttosto frammentario proveniente dalla Cina, e alcuni rudimentali strumenti litici del sito pakistano di Riwat che sono chiaramente opera di ominidi, sono stati datati a 1,8-1,6 milioni di anni or sono. Ma i gioielli della corona della prima espansione umana fuori dall'Africa sono senza

Figura 4.3 I crani di due antichi Homo. A sinistra, il cranio del "ragazzo del Turkana", che ha 1,6 milioni di anni e generalmente è attribuito alla specie Homo ergaster. Anche se dal collo in giù le proporzioni del corpo di questo giovane erano essenzialmente moderne, per molte caratteristiche la testa era arcaica. Il volume cerebrale era poco piiì della metà di quello del cervello umano medio di oggi e la faccia sporgeva in avanti rispetto alla bassa scalola cranica. A destra, uno dei crani di ominidi di 1,8 milioni di anni oi- sono i io vati nel sito di Dmanisi, nella Repubblica della Georgia. Gii ominidi di Dmanisi sono la testimonianza più antica della presenza di oniiniili Inori dall'Africa. A quanto pare, avevano un cervello modeslo (600 /SO ce) r nn corpo piuttosto piccolo e possedevano soltanto gli utensili liiici pin indi mentali, (Copyright fotografia Jeffrey Schwartz, a sinisira; per j-cniilc (on cessione di David Lordkipanidze, a desi r;i.)

LA COMPARSA DEL GENERE

HOMO

dubbio i crani portati alla luce negli ultimi anni del secolo scorso nel sito di Dmanisi, nella regione tra il Mar Nero e il Mar Caspio che oggi appartiene alla Repubblica della Georgia. Questi esemplari magnificamente conservati, che al momento attuale sono datati a 1,8 milioni di anni or sono, sono una testimonianza eccezionale della migrazione dei primi ominidi al di fuori dell'Africa. Finora a Dmanisi sono stati ritrovati cinque crani. Una caratteristica curiosa dei reperti è che non sono tutti simili, anzi, formano un gruppo insolitamente eterogeneo. E nessuno presenta forti somiglianze con qualche cranio di ominide dello stesso periodo trovato in Africa. Eppure, l'origine ultima di ciascuno di questi esemplari è senza dubbio l'Africa e in effetti molti studiosi sono convinti che sia possibile inferirlo dalle loro caratteristiche anatomiche. Ma che cosa offrì agli ominidi la possibilità di fare questa prima mossa al di fuori del continente in cui erano nati? I fossili di Dmanisi restringono la gamma delle possibilità. Secondo alcuni studiosi, il fattore critico che diede il via alla mobilità di Homo ergaster e di altre specie simili fu un miglioramento della tecnologia. Tuttavia, come emerge con chiarezza da una documentazione peraltro palesemente incompleta, l'invenzione dell'ascia a mano, il primo segno che abbiamo di un miglioramento tecnologico, arrivò non solo quando Homo ergaster era comparso da tempo sulle scene, ma anche molto tempo dopo la diaspora stessa. Per di più, gli strumenti litici li trovati a Dmanisi sono estremamente rudimentali, non più l aKinati degli utensili associati a Homo habilis. Quindi, se gli siriimenti litici sono in qualche misura un riflesso di altri :is|)clt i della tecnologia che non si sono conservati, ne dobbiamo coiichidere che non fu una nuova abilità tecnologica a rendere |)()ssibilc l'espansione al di fuori dell'Africa. Secondo iiiùili r:i ipoicsi, a essere determinante fu un aumento delle dimensioni del cervello e dell'intelligenza generale associata. An( he (|nesi:i ipolesi, però, non è suffragata dai fossili di I )m.inisi. elle liiinno miti un cervello piuttosto piccolo, da 600 ti /.so ( eniimeiii «ubici di volniiie. Sono valori ben al di sotto I II I \ nliimc ( eiebi.ile del i ii|>,;i//(> del Tnrkann, ma il j-)iù alto si M'

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avvicina ai valori inferiti da alcuni crani un poco più antichi di individui adulti, trovati in Kenia, che potrebbero rappresentare lo stesso suo gruppo. Che cosa permise ai primi ominidi di trasferirsi fuori dal continente natio, se non furono né un cervello più sviluppato né una tecnologia migliore? A quanto pare, deve essere stata la oro nuova struttura fisica. Gli esseri umani moderni sono stati giustamente descritti come "macchine camminanti", per quanto strano possa sembrare ai membri delle sedentarie società occidentali. Nel corso della storia, gli esseri umani di tutto il mondo hanno regolarmente percorso enormi distanze a piedi per svolgere le proprie attività normali. Ciò è vero in particolare per i cacciatori-raccoglitori e i nomadi. Un veterano della caccia ai fossili che lavora da anni nei calanchi desertici dell'Etiopia ha raccontato come si stupì la prima volta che gli uomini delle tribù locali Afar, avendo saputo dell'arrivo dei paleoantropologi nella loro regione, camminarono per 40 chilometri sotto un sole cocente, su piste accidentate o addirittura inesistenti, per salutarli e scambiarsi cordialità per mezz'ora, per poi ripercorrere altri 40 chilometri per tornare indietro. Non è la velocità a rendere speciale questa marcia - tutt'altro, anche se un passo di marcia svelto e sostenuto è utile ai cacciatori-raccoglitori. La pura e semplice resistenza, la capacità di continuare a camminare per ore e ore, è una delle caratteristiche che contraddistingue gli esseri umani come specie e come cacciatori di un genere insolito. Per quanto è possibile accertare, tutte le specie dei "primi Homo" probabilmente avevano un corpo di dimensioni arcaiche (simile a quello degli australopitecini) e conservavano capacità tipiche degli arrampicatori che avrebbero necessariamente compromesso quella di percorrere a piedi lunghi tratti sul terreno. Sembra che queste creature siano state felici di rimanere, per milioni di anni, nei terreni boscosi e ai margini delle foreste, con occasionali incursioni in foreste più fitte e in praterie più aperte. E senza dubbio è significativo clic hi lìroprio quando la struttura corporea di qucslc lonm* mcnicln' cedette il passo airanatoiììia moderna del ra/';i//«> del Tiiik:iii;i sr.

LA COMPARSA DEL GENERE

HOMO

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AFRICA V r ^ V.

n.-^

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Oceano Indiano

Oceano Atlantico \

FUORI DALL'AFRICA —

1,8-1,6 miiioni di anni fa

—— 1 milione di anni fa

- - 500.000 anni fa - - 70-40.000 anni fa

l,SOOkm

Figura 4.4 Fuori dall'Africa. È chiaro che i primi ominidi lasciarono il conliiicnte africano nativo in diverse ondate. La cartina mostra le diaspore più importanti; la prima avvenne all'incirca 2 milioni di anni fa e portò i primi bipedi fino al Caucaso (Dmanisi, 1,8 milioni di anni fa), indi per tutta l'Asia ( filtrale (strumenti litici di Riwat, 1,6 milioni di anni fa) e forse nella Cina meridionale e a Giava già 1,8-1,6 milioni di anni fa. Le evidenze archeologici ic della presenza di ominidi in Europa intorno a 1 milione di anni fa e i fossili di ominidi trovati a Atapuerca, in Spagna, e a Ceprano, in Italia, risalenti ')()()-800.000 anni fa, testimoniano una seconda ondata di emigrazione dall'Ali ica. Una terza ondata seguì l'origine di Homo heidelbergensis in Africa, .ill'incirca 600.000 anni fa, e si diffuse rapidamente in Europa e forse sino al\.\( lina. Infine, in Africa, in un periodo compreso tra 200.000 e 150.000 anni l;i, chhc origine Homo sapiens come entità anatomicamente riconoscibile. Airiiicirca 80.000 anni fa questa specie aveva già iniziato a manifestare comiKii iiiiiicnti simbolici moderni, e intorno a 50.000 anni fa era ormai uscita 11,1 II'Europa e si era diffusa verso est, fino in Australia; dopo un'occupazione loisi- cllimcra del Mediterraneo orientale, non più tardi di 90.000 anni fa (sfii/.:i lasciare alcuna prova di capacità cognitive simboliche), penetrò in I 'iir()|);i iiiiorno a 40.000 anni fa. A quel punto, la specie manifestava tutto il I il t i) icpcriorio della coscienza simbolica moderna. (Adattamento di un'illii-.irMzioiic iiail;i da lan Tattersall, " O u t of Africa again... and again", in Sanilìlìi Aimriain. 276,4, 1997, i)p. 68-73.)

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che i primi ominidi uscirono non solo dal proprio habitat ancestrale, ma anche dal proprio continente ancestrale, impegnandosi in tal modo a vivere in aperta campagna. Una volta emancipatisi dai margini forestali, gli ominidi si ritrovarono liberi di vagare in lungo e in largo più di quanto avessero mai potuto fare in precedenza. Ed evidentemente sfruttarono appieno tutte le possibilità offerte dalla nuova condizione. Quando un organismo si sposta in un nuovo ambiente, spesso ne consegue un fenomeno noto come "radiazione adattativa", con nuove specie che hanno origine in luoghi diversi ed esplorano tutte le nuove possibilità ecologiche a disposizione. Sembra senz'altro che un fenomeno di questo genere sia accaduto in Asia orientale, con la comparsa di Homo erectus. A quanto pare, inoltre, si realizzò anche in Europa, benché questo continente offrisse ambienti piiì difficili durante il Pleistocene. Gli emigranti che una volta abbandonata l'Africa si erano diretti verso est potevano proseguire per lunghi tratti rimanendo sempre nella zona subtropicale, mentre quelli che avevano proseguito verso nord e nordest si trovavano presto ad affrontare catene montuose importanti e condizioni climatiche avverse. Probabilmente è per questo che, benché in regioni asiatiche tropicali e persino nel Caucaso siano stati trovati fossili ominidi risalenti a quasi 2 milioni di anni or sono, non esistono reperti fossili di ominidi dell'Europa centrale e occidentale anteriori a 800.000 anni or sono - ed esistono poche tracce archeologiche indiscutibili più antiche di circa 1 milione di anni. Anche dopo queste date, per di più, agli inizi la documentazione è abbastanza scarsa. Un sito noto come la Gran Dolina, nella Sierra di Atapuerca, nel nord della Spagna, ha restituito ossa incomplete di antichi ominidi, dell'età di 780.000 anni, che sono molto peculiari e sono state attribuite alla nuova specie Homo antcccssor ("uomo pioniere"), anche se forse sarebbe stato meglio attribuirle a Homo mauritaniciis ("uomo della Mauritania") poiché probabilmente appartengono a questa spc"c ic\ scoparla nell'Africa del nord già alla metà di'l strolo scorso. ( ili sitidio si che hanno cllclliialo gli scavi drlhi ( iiaii I )oliii;i l i . i n n o ipo .SS

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HOMO

tizzato che questi nuovi ominidi fossero antenati sia dei neandertaliani sia della linea di discendenza che ha portato alla nostra specie, Homo sapiens. Ma è altrettanto verosimile che quei resti rappresentino i membri di un antico tentativo, che non ebbe successo, di colonizzare il difficile terreno dell'Europa. Non si è ancora arrivati a una decisione definitiva, ma un aspetto innegabilmente interessante degli ominidi della Gran Dolina è che forse furono vittime del cannibalismo - se fosse vero, sarebbero i piij antichi ominidi a vantare questa oscura particolarità. Le ossa di ominidi della Gran Dolina furono spezzate esattamente come quelle di altri mammiferi che furono macellati e divorati in quello stesso sito. Per di piìi, le ossa tanto degli ominidi quanto degli altri mammiferi mostrano i segni prodotti dagli utensili - utensili molto rudimentali, dell'antico Modo 1 - usati per smembrarli. Evidentemente, le ossa animali e umane furono trattate esattamente nello stesso modo, per cui l'ipotesi del cannibalismo va presa in considerazione. Una scatola cranica forse leggermente più vecchia proveniente dal sito di Ceprano, in Italia, è una buona prova della presenza di ominidi in un'altra parte dell'Europa meridionale a l'incirca nello stesso periodo, anche se molto probabilmente l'esemplare italiano rappresenta una specie diversa da quella di Atapuerca: un'ennesima indicazione del fatto che gli ominidi di questo periodo stavano vigorosamente indagando e sfruttando le varie possibilità offerte loro dalla mossa di lasciare l'Africa. Quando parliamo di migrazione al di fuori dell'Africa, è importante evitare di dare l'impressione che si trattasse di viaggi di esplorazione intenzionale delle zone più remote del mondo. Un punto ancora più importante da tenere a mente è che sarebbe sciocco presumere - essendo la situazione a cui siamo al^iluati oggi - che la presenza di un solo ominide sulla Terra sia una siuiazionc normale. Più che indicare che cosa sia nornialc per ,li oininitli in ^^cncralc, verosimilmente rivela che noi abbiamo i|n:ilflu' faraiU'iisiica particolarmente insolita, l ' i l o (l.irsi hcnis'.imo ( lu- ini/inimcnic in Africa in tinahinque M')

Il M( ) l l l ) i t l ' I U M A l>l I I A S M iKI \

periodo la prcscMiza di molle spccic ominidi lossi' l:i nomili. I', anche se nel periodo successivo a circa 2 milioni di anni oi" sono solo alcune di queste erano dotate della nuova struilura fisica, possiamo presumere che almeno sporadicamente [ossero in una certa misura in competizione. E probabile che gli ominidi siano sempre stati pochi, poiché anche nell'ambiente più favorevole lo stile di vita dei cacciatori-raccoglitori richiede un territorio piuttosto ampio per sostenere ogni individuo (quanto fosse produttiva la caccia degli ominidi in questo stadio, com'è ovvio, è tutto da vedere). Ma quando si adotta un nuovo stile di vita in un territorio nuovo e ricco (come poteva essere tanto un nuovo ambiente africano quanto il resto del mondo), la popolazione avrà sempre la tendenza a espandersi. Tale tendenza sarà particolarmente marcata ai margini dell'area di distribuzione della popolazione; inoltre, anche se in media le popolazioni si diffondono verso l'esterno solo di un paio di chilometri all'anno, per popolare un intero continente non sarebbe necessario un periodo molto lungo (in termini geologici). Probabilmente, quindi, gli ominidi arrivarono a occupare l'Asia, e in seguito l'Europa, mediante un lento processo di espansione della popolazione, non per un processo di esplorazione deliberata. Oltre a ciò, avvenendo in un periodo di mutamenti dell'ambiente e delle caratteristiche geografiche, questa dispersione fu episodica ed è verosimile che le espansioni locali, invece di portare alla colonizzazione di un nuovo territorio, il più delle volte finissero per fallire. Di fatto, è provato che anche in tempi relativamente recenti l'intera popolazione umana ancestrale attraversò uno o più "colli di bottiglia", episodi che ridussero in misura drammatica le sue dimensioni. Forse, in effetti, siamo molto fortunati a essere vivi oggi. Vale la pena notare che questo quadro è in buon accordo con l'idea che non vi fu un'unica diaspora degli ominidi dall'Africa. Da quando la comparsa di Homo ergaster segnò per ..a prima volta il successo del corpo moderno degli ominidi, dotato di una nuova mobilità, l'irresistibile impulso a viaggiare dei nostri simili e infine di noi stessi si è imposto più e più

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SEMPRE PIÙ DOTATI

In contrasto con la ricchezza della documentazione fossile africana relativa al periodo anteriore a circa 1,5 milioni di anni or sono, le evidenze della successiva evoluzione degli ominidi in quel continente diventano notevolmente piìi rare. Ciò è dovuto soprattutto ad accidenti geologici, ma anche al fatto che le attenzioni di un gruppo piuttosto piccolo di paleoantropologi si sono distribuite su un continente di dimensioni enormi, perciò si può presumere che gran parte dei reperti non sia ancora venuta alla luce. Allo stesso tempo, per quanto riguarda il periodo dell'evoluzione degli ominidi posteriore a quella data, tradizionalmente hanno avuto più rilevanza, sia per ragioni storiche sia per la quantità e l'intrinseca importanza, i reperti asiatici ed europei. Ciò malgrado, il resoconto della fase dell'evoluzione umana successiva all'uscita dall'Africa deve logicamente iniziare da quello stesso continente, dove nel 1976, nel sito etiopico di Bodo, si è trovato un cranio molto particolare. Questo cranio vanta un volume cerebrale di circa 1250 centimetri cubici, un valore decisamente maggiore rispetto a tutti i crani attribuiti a Ho?no ergaster e pari ai valori massimi di Homo erectus. Per struttura, inoltre, somiglia a una specie, Homo heidelbergensis, che in precedenza era nota più che altro grazie a reperti europei. Homo heidelbergensis, "l'uomo di Heidelberg", fu descritto nel 1908 sulla base di una mandibola magnificamente conservata venuta alla luce in una cava di ghiaia nei pressi di Mauer, un villaggio tedesco non lontano dalla città da cui ha preso il

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nome la specie. Questa mandibola era diversa da tutte quelle trovate in precedenza (all'epoca erano noti soltanto i neandertaliani, Homo erectus e vari Homo sapiens antichi) e non fu senza apprensione che i suoi scopritori attribuirono questo curioso esemplare a una nuova specie. La robusta mandibola di Mauer possiede rami ascendenti (le parti che salgono verso l'articolazione) notevolmente bassi e larghi e l'ampiezza verticale del corpo (la parte che ospita i denti) è massima nella parte anteriore e diminuisce marcatamente ai lati. Ritrovamenti successivi hanno rivelato che queste particolarità dell'esemplare di JMauer sono piuttosto insolite; tutto un insieme di altre caratteristiche, tuttavia, lo collega a un gruppo di fossili molto più rappresentato, proveniente dal sito francese di Arago. Di circa 400.000 anni di età, quest'ultimo gruppo appartiene per lo piti allo stesso intervallo di tempo in cui cade la stima migliore della mandibola di Mauer (circa 500.000 anni). Nel sito di Arago sono stati trovati non solo un gran numero di mandibole e un bacino incompleto, ma anche uno scheletro facciale quasi completo e un osso parietale (che forma la parte superiore e la sommità del cranio) appartenenti allo stesso individuo. Il cranio di Arago, a sua volta, ricorda un certo numero di crani ben conservati provenienti da siti di tutto il mondo, tra cui non solo l'esemplare di Bodo, ma anche alcuni crani trovati a Petralona (Grecia), a Kabwe e a Saldanha (Africa meridionale) e a Dali e a Jinniushan (Cina). Purtroppo, nessuno di questi crani è ben datato, ma plausibilmente appartengono tutti al periodo compreso tra 500.000 e 200.000 anni or sono. In questo gruppo di fossili si possono senz'altro osservare varie differenze. Per esempio, il cranio di Bodo ha un'apertura nasale larga ma posta in basso, mentre quella tlcl cranio di Kabwe, proveniente dall'attuale Zambia, è assai più piccol;! ed è posta piij in alto. La parte anteriore del cervello c- mollo pili sporgente rispetto agli occhi nei crani di Bodo t- di Ai mj'o che negli esemplari di Kabwe e di Petraloiiii. I,;i loiiii;i di-ll.i parte posteriore del cranio è piudosio variabile. oibii»oculari hanno conforma/ioni letH^i-riiK-iiu- divcisc. Airinici m» 'M

SEMPRE PIÙ DOTATI

del gruppo vi è inoltre una grande variazione nel grado di sviuppo dei seni craniofacciali (le cavità della struttura ossea), in particolare del seno frontale (quello sopra gli occhi, dove si avverte la sensazione di "congelamento del cervello" quando si beve una bibita gelata troppo rapidamente). Nel complesso, tuttavia, questi fossili formano un gruppo relativamente omogeneo; per il momento, quanto meno, è abbastanza sensato considerare Homo heidelbergensis come una specie, probabilmente di origini africane, che ebbe un grande successo e si diffuse in tutto il Vecchio Mondo (l'Africa più l'Europa e l'Asia). Questa specie era dotata di un cervello relativamente voluminoso, anche se non proprio paragonabile alla media moderna. La faccia è grande e prognata, e sta al di sotto di caratteristici rilievi sovraorbitali sporgenti, che hanno uno spessore maggiore in corrispondenza del centro di ciascuna orbita oculare e la superficie anteriore ripiegata all'insìi verso i lati. La mandibola è lunga e non ha nulla di simile a un mento. Un punto interessante è che, nei casi in cui la base del cranio di Hojno heidelbergensis si è conservata (l'esemplare migliore, forse, è il cranio di Bodo), presenta una caratteristica curvatura verso il basso davanti al foramen magnum, il foro attraverso il quale il midollo spinale si infila nella colonna vertebrale dalla base del cervello. È importante, poiché la base del cranio non è soltanto il fondo della scatola cranica, ma è anche la sommità del tratto vocale, lo spazio in cui formiamo i suoni che emettiamo parlando. Il linguaggio è forse il bene piìi straordinario posseduto da / lonzo sapiens fra tutte le creature viventi; se vogliamo comprcMulcre a fondo come sono emerse varie caratteristiche che liiiniio solo gli esseri umani moderni, è importante scoprire ( ( i i i i i k I o c come i nostri antenati acquisirono la capacità di parli n-. Il lini li, aiìche se la capacità di produrre i suoni del linl',ii;i|',}',i() piirlalo può esistere indipendentemente dal linguagl'.iit, (|iK-,si(), nel modo in cui Io conosciamo e lo usiamo, non si ' . . I l e ! )!)(• m.ii poi I l i o sviliippMiv indipendentemente dalla capa< ii.i (Il |t.iil:iic Le \il)r:i/ioiii ioiulaiiicntnli che moduliamo per ( il .Ih I Minili ( In-1livelli.Ilio le pillole clif |)ronunciamo sono I.

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prodotte nella gola, con le corde vocali. (,)ik'sU' vihra/ioni so no però modificate, più in alto nella gola, dai nmscoli chi' cir condano la faringe, una cavità a forma di iml)u(o clic sia al di sopra della laringe, che contiene le corde vocali. Nelle antropomorfe (e nei neonati umani) la laringe si trova in alto nella gola e la base del cranio è piatta. Di conseguenza, la faringe è piccola e i suoni non possono essere modificati di molto. Durante lo sviluppo del bambino, tuttavia, la base del cranio si incurva verso il basso e la laringe si abbassa, diventando lunga e consentendo quindi la produzione di una maggior varietà di suoni. Almeno in parte, questa è la chiave della notevole ginnastica vocale che realizziamo ogni volta che pronunciamo una frase. Né le antropomorfe né i neonati umani possono produrre la gamma di suoni necessaria e il contorno della base del cranio sembra proprio un indicatore abbastanza attendibile della capacità potenziale del tratto vocale di produrre i suoni necessari per parlare, benché abbia un ruolo anche il fatto che la faccia sia corta. Considerando la curva che si osserva alla base del cranio di Bodo, sembra possibile che gran parte di questo potenziale fosse presente in Homo heidelbergensis, ben 600.000 anni or sono. Questa specie, tuttavia, aveva ancora una faccia prognata, che non può produrre dimensioni equilibrate della faringe e della cavità orale, quindi è poco probabile che tutto l'apparato vocale umano fosse già presente in Homo heidelbergensis e null'altro indica che questi ominidi parlassero realmente. La comparsa di Homo heidelbergensis, come quella di specie ominidi precedenti, non è accompagnata da qualche cambiamento rilevante dell'attrezzatura tecnologica. I sedimenti da cui è stato estratto il cranio di Bodo contengono soprattutto manufatti del Modo 1, benché siano stati documentati anche utensili del Modo 2 (asce a mano). A questo punto non vi è molto altro da dire sullo stile di vita dell'ominide di Bodo e dobbiamo prendere in esame l'Europa per una documentazione migliore del comportamento di Homo heidelbergensis. Si dà il caso che tale documentazione sia straordinaria, anche se per lo piiì è limitata a pochi siti francesi e tedeschi.

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( liMt (Il i|iicsli f l.i ( .iv;i (Il Ai;i/',o. lu'lhi lT;itii Ì;i lii(,'li(li()liillc, 111 cui soiiosiiili irovMii i v;ii i lossili ili / lo/z/ohc/'Jcihcrfi^a/sischc ci C(>ns(.'i)i()n() Ji coIIc^miv la niaiiilibola di 1 leiclelberg a un (.'sciìipiare con una iaccia. A Arago i [ossili ominidi erano mescolati a ossa animali spezzate e a manufatti grossolani di Modo I e seml)ra proprio che questo sito fosse un posto in cui, quanto meno periodicamente, gli ominidi si radunavano e svolgevano attività quotidiane, compresa la macellazione degli animali. Un'idea migliore di come fosse la vita quotidiana di questi ominidi, comunque, è fornita dalla località di Terra Amata, un po' pili a est di Arago sulla costa francese del Mediterraneo. Gli studiosi ritengono che questo sito, datato a 350.000 anni or sono e quindi un po' più giovane di Arago, rappresenti un accampamento sulla spiaggia che veniva occupato stagionalmente da cacciatori dell'Era Glaciale. Gli utensili di pietra, le ossa animali e i depositi di cenere testimoniano le attività degli antichi omi-

Figura 5.1 Probabilmente, 400.000 anni or sono Homo heidelbergensis costruiva strutture a capanna come quella illustrata. Questi rifugi, costruiti su un'antica spiaggia a Terra Amata, nella Francia meridionale, potevano raggiungere una lunghezza (di quasi 8 metri. Lo spaccato mostra un interno contenente un focolare circolare e strumenti di pietra. (Illustrazione di Diana Salles, basata su un'idea di Henry de Lumley e tratta da Jan Tattersall, The Last Neanderthal, Westview Press, Boulder, CO, 1998.)

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Il M( >NI« i j ' U l M A DI I I A M I "HI \

nidi e il sito conserva i segni di sIimIIiiix- cIk' verosimilini'IIU' erano rifugi. Insieme a caratteristiche simili del silo tedesco di Bilzingsleben, datato a 350.000 anni or sono, si traila delle più antiche strutture artificiali documentate. Nella ricostruzione fatta dagli archeologi che hanno realizzato gli scavi di Terra Amata, il rifugio che meglio si è conservato era una capanna ovale, fatta di fusti di alberelli conficcati al suolo e intrecciati sulla sommità per formare il tetto, rafforzata da pietre tutto intorno al perimetro. Se tale struttura fosse ricoperta di pelli animali per renderla resistente all'acqua è materia di speculazione, anche se i responsabili dello scavo sono contrari a questa ipotesi. All'interno della capanna, dove l'anello di pietre di rinforzo si interrompe per consentire l'entrata, si nota che è stata scavata una depressione poco profonda che contiene cenere, ossa animali e pietre bruciate, segno evidente che si tratta di un focolare che un tempo servì a cuocere pezzi di carne. E una delle prime evidenze di domesticazione del fuoco, una conquista di cui si trovano regolarmente i segni solo nel periodo posteriore - non contando un paio di segnalazioni di possibili casi di uso del fuoco da parte degli ominidi già 1,6 milioni di anni or sono e il fatto che in un sito nell'attuale Israele il fuoco fu usato regolarmente nel corso di un lungo periodo di occupazione all'incirca 790.000 anni or sono. Gli utensili di pietra trovati a Terra Amata colpiscono un poco di pili rispetto a quelli di Arago; oltre a schegge di vario tipo, il gruppo è composto da asce a mano e mannaie rudimentali. Un punto interessante è che gli strumenti acheuleani sembrano essere arrivati piuttosto tardi in Europa - e in Asia orientale ci arrivarono a malapena. Prima di una recente segnalazione in Cina, le asce a mano erano state trovate solo sporadicamente a est della cosiddetta linea di Movius, una divisione concettuale, notata per la prima volta dall'archeologo di Harvard Hallam Movius, che separa l'Asia orientale e la maggior parte dell'Asia meridionale dal resto del mondo. Ma una volta arrivate in Europa le asce a mano compaiono in modo regolare negli insiemi di utensili, quanto meno localmente, fino a quando vengono soppiantate da un nuovo metodo, il cosid-

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E dal collo in ^iù? I,a situazioni- e idi-niica. Womo ncdu derthalensis, pur essendo conlorniaio secondo lo su-sso progetto di base di Homo sapiens, presenta nondiincno nniiicrose differenze rispetto a noi. Alcune di queste dillercn/e sono davvero notevoli. Il bacino neandertaliano, per esempio, è ampio e assai svasato. Le clavicole sono molto lunghe e la gabbia toracica, che in alto è stretta, scendendo si allarga notevolmente. Dove l'ampia estremità inferiore della gabbia toracica incontra il bacino svasato la vita è quasi impercettibile. Le ossa degli arti hanno pareti spesse, tendono a essere un po' ricurve e alle estremità hanno superfici articolari ampie, notevolmente pili larghe del corpo dell'osso. Come prima, si potrebbero citare numerosi altri dettagli, ma il fatto fondamentale è che i neandertaliani avevano una forma del corpo molto diversa da quella degli esseri umani moderni. Di conseguenza, era diverso anche il loro modo di camminare, poiché le peculiarità del bacino e del torso ne influenzavano anche l'andatura. Con tutta probabilità, gli antichi esseri umani che arrivarono per la prima volta nel territorio dei neandertaliani rimasero colpiti dall'aspetto "così vicino eppure così lontano" di questi ominidi che ovviamente erano dei parenti, ma altrettanto ovviamente erano diversi da loro. Qual è esattamente la relazione di parentela tra i neandertaliani e Homo sapiens} I paleoantropologi hanno avuto la tendenza a non esaminare la questione troppo a fondo, preferendo spesso considerare questi ominidi semplicemente come una delle forme che hanno portato a noi, oppure come una variante estrema di Homo sapiens così come lo conosciamo noi. Ma se riteniamo che Homo neanderthalensis sia una specie distinta, dobbiamo domandarci da dove provenga questo particolare tipo di ominidi. Per arrivare alla risposta, dobbiamo considerare il fatto che i neandertaliani vissero insieme ad altre specie. I più antichi fossili neandertaliani noti risalgono forse a ben 200-250.000 anni or sono, però sono rari e la documentazione neandertaliana diventa notevole solo quando ci avviciniamo a tempi piìi recenti. Li Europa, tuttavia, è stata trovata una manciata di fossili ominidi risalenti all'intervallo tra la

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Figura 5.3 II confronto tra la ricostruzione di uno scheletro neandertaliano (a sinistra) e lo scheletro di un essere umano moderno mette in luce molte differenze, tra cui la gabbia toracica a forma di tronco di cono e il bacino ampio e svasato dei neandertaliani. Anche se il cervello neandertaliano aveva all'incirca le stesse dimensioni del nostro, era contenuto al di sotto di una volta cranica di forma molto diversa e la faccia era notevolmente differente dalla nostra per dimensioni e struttura. (Fotografia di Ken Mowbray, American Museum of Naturai History.)

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Il M( tf llM I|'I;IMA h i I I ' \ M t IHI \

comparsa eli Ilo/W) hcidclhcr^cnsis, j^iossoiinulo "ìil)().()()() anni or sono, e il momento in cui compare il primo neamlei inliano.

E interessante notare che i fossili di quel periodo hanno tutti qualche caratteristica che noi associamo ai neandertaliani - ma non tutte. Sembra, infatti, che i neandertaliani facessero parte di un gruppo piìi ampio di specie ominidi che si diversificarono in Europa dopo la comparsa di Ho^no heidelbergensis, e forse anche di Homo antecessor, in quel continente. E un classico esempio della "radiazione adattativa" che si verifica tipicamente quando un nuovo tipo di animale invade con successo un nuovo territorio - tale era l'Europa occidentale per gli ominidi. Ancora una volta, vediamo che la diversificazione locale è stata un elemento importante nella storia dell'evoluzione degli ominidi, così come di molti altri tipi di animali. A questo proposito, l'esempio principale è forse un cranio di 225.000 anni che è stato ritrovato a Steinheim, in Germania, nel 1933. Pur essendo stato un po' deformato dopo il seppellimento, questo esemplare somiglia ai crani neandertaliani, tra le altre cose, per la forma della fronte, la larga apertura nasale, la forma delle orbite oculari, la (piccola) fossa soprainiaca e un accenno di proiezioni mediali nel naso. Tuttavia, ne Figura 5.4 L'esemplare meglio conservato tra tutti i crani ominidi di Sima de los Huesos (pozzo delle ossa) a Atapuerca, in Spagna, ha circa 500.000 anni, i ^ c h e se per molti versi pare simile a un cranio neandertaliano, le differenze nella forma della scatola cranica e nelle aree inferiori della faccia indicano che appartiene a una specie diversa. (Fotografia di Ken Mowbray, American Museum of Naturai History.)

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M.Mi'in n n i m ti \i i

(lilliTisfc, Ini II'iillrccosc, poiclió li:i mi iiMvclk) ivhuivaniciuc piccolo l'non lui ik' la seni ola cranica con le pareli arrotondate né la Iaccia rigonfia die si osservano nei neandertaliani. Così molli lianno visto caratteristiche "preneandertaliane" in questi esemplari, mentre pochi sostengono che si tratti realmente di neandertaliani. L'interpretazione migliore, a quanto pare, è che il cranio di Steinheim rappresenti una specie che aveva in comune un antenato recente con i neandertaliani: comunque quel cranio apparteneva a una specie distinta. Un altro esempio di diversificazione è fornito dalla sorprendente serie di fossili ominidi, di circa 500.000 anni, trovati nello straordinario sito di Sima de los Huesos (pozzo delle ossa) a Atapuerca, in Spagna. Là, al termine di un profondo condotto che si apre all'interno di un'ampia grotta, sono stati trovati i resti incompleti di almeno ventotto individui. Questi ominidi possiedono caratteristiche molto particolari, tuttavia hanno i rilievi sovraorbitali, il grosso naso e altre caratteristiche simili a quelle neandertaliane. Allo stesso tempo, non hanno le proiezioni mediali, la faccia rigonfia e le particolari caratteristiche della parte posteriore del cranio che distinguono i neandertaliani. Per contro, nessun altro fossile europeo contemporaneo presenta caratteristiche tipiche dei neandertaliani. In questo contesto piij ampio, i neandertaliani non sembrano far parte di una linea ominide europea isolata, ma iniziano invece a inserirsi in un normale scenario di sperimentazione evoluzionistica seguito alla prima incursione di successo degli ominidi in Europa. Quali che furono le ragioni, a emergere trionfanti da questo processo di diversificazione furono i neandertaliani. Il che farebbe pensare che forse per mano loro le specie parenti rivali subirono lo stesso destino che attendeva i neandertaliani quando alla fine sulla scena europea comparve Homo sapiens. L'idea che i neandertaliani facessero parte di una radiazione europea di ominidi distinta dalla radiazione che in Africa diede origine a Homo sapiens è in buon accordo con le nuove emozionanti informazioni che ha iniziato a fornire la documentazione molecolare. Negli ultimi anni i biologi molecolari

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sono riusciti a estrarrc Iraiiiiìiciili ili DNA miiocomlnali- (mil) NA) da alcune ossa di tardi ncandcrlaliaiii, oilciicinlo risnilali istruttivi. Il DNA mitocondriale non è uguale al DNA nucleare, che sta nel nucleo delle cellule del corpo e costituisce i cromosomi: pur rimanendo all'interno della membrana esterna della cellula, l'mtDNA si trova all'esterno del nucleo, in un organello cellulare chiamato mitocondrio, spesso descritto come la "centrale elettrica" della cellula poiché è fondamentale per l'estrazione dell'energia contenuta nelle sostanze nutritive.

I mitocondri hanno un proprio DNA perché le cellule complesse di cui è composto il nostro corpo si sono formate originariamente un paio di miliardi di anni or sono in seguito alla "cattura" di un certo tipo di semplice organismo unicellulare - l'antenato dei mitocondri - da parte di un altro organismo, il progenitore del resto della cellula. Questa simbiosi di componenti provenienti da due diverse linee evolutive di organismi doveva rivelarsi molto vantaggiosa, poiché queste cellule complesse sfruttavano il carburante in maniera fino a venti volte piìj efficiente rispetto ad altri tipi di cellule. Gli scienziati che studiano le storie biologiche delle popolazioni umane moderne trovano particolarmente interessante l'mtDNA per due ragioni. Anzitutto, accumula cambiamenti (mutazioni) molto pili rapidamente di quanto faccia il DNA nucleare, il che significa che è possibile scoprire eventi evoluzionistici molto recenti. In secondo luogo, viene trasmesso esclusivamente dalla madre, poiché i mitocondri degli spermatozoi non entrano nella cellula uovo fecondata. Ciò significa che l'mtDNA viene trasmesso intatto da una generazione all'altra invece di essere rimescolato come il DNA nucleare quando si combinano i genomi dei due genitori. Di conseguenza, tutti i cambiamenti di questo tipo di DNA devono essere il risultato di mutazioni, quindi è molto semplice usare l'mtDNA per ricostruire le linee di discendenza femminili nell'ambito di una specie, oltre che per istituire confronti fra specie diverse. Confrontando un breve tratto di mtDNA estratto dall'esemplare neandertaliano originario (grotta di Feldhofer) con esemplari ottenuti da scimmie antropomorfe e da una gran varietà

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(Il cssni lini.UH niodciiii di dillo il iiioiulo, i ricvrcatori sono j'iiiiili :i un cerio niiim-ro di conclusioni. In primo luogo, la sec|iK'nza tli DNA oitcnula tlail'cscmplare ncandertaliano era hcii tlivcrsa da quelle di lutti gli esemplari umani moderni, pur essendo più simile a questi che alle antropomorfe. Presentava 27 differenze rispetto a noi, da confrontare con le 8 differenze che in media separano i membri delle popolazioni umane moderne di diverse regioni del mondo - e alle 53 che distinguono VHomo sapiens medio da uno scimpanzé. Per di più, l'mtDNA del neandertaliano, che pure era vissuto in Europa, non era piiì simile a quello degli europei moderni che a quello di qualsiasi altra popolazione moderna. E chiaro che l'esemplare neandertaliano si distingueva nettamente da tutte le linee evolutive degli esseri umani moderni e non mostrava quel genere di somiglianze strette con gli europei che ci si aspetterebbe se gli esseri umani europei ancestrali e i neandertaliani si fossero incrociati. Nulla di tutto ciò dimostra in maniera conclusiva che i neandertaliani appartenessero alla specie distinta Homo neanderthalensis, ma tutto punta in maniera molto decisa in quella direzione. Sulla base delle differenze osservate nell'mtDNA, i ricercatori hanno ricostruito un albero delle parentele tra le varie popolazioni umane moderne prese in esame. L'analisi ha indicato che il pool genetico degli esseri umani moderni ha un'origine africana. Sempre in base a questi dati, i ricercatori hanno stimato che l'ultimo antenato comune ai neandertaliani e agli esseri umani moderni visse tra 690.000 e 550.000 anni or sono. Tale stima è in buon accordo con le informazioni fornite dalla documentazione fossile; infatti, anche se i neandertaliani riconoscibili come tali iniziano a comparire soltanto 200.000 anni or sono, il raggruppamento piià ampio a cui appartenevano ha radici molto piiì antiche. Successivamente all'analisi del DNA di Feldhofer, è stato estratto l'mtDNA di parecchi altri esemplari di neandertaliani, ottenendo in generale risultati simili (anche se tra i singoli individui vi è una prevedibile variazione) e quindi dimostrando che i risultati iniziali di Feldhofer non erano solo un fuoco di paglia.

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Nessuno sa quaiiU) losscro grandi i ^riiplii in mi vivi-vano i neandertaliani; comunque, in l)ase alle dimensioni dei sili in cui si sono trovati reperti fossili e di quelli archeologici sembra die le unità sociali di norma fossero abbastanza piccole, probabilmente composte da non più di 15-30 individui di entrambi i sessi e di tutte le età. Questi piccoli gruppi vagavano per vaste regioni scarsamente popolate, accampandosi in un posto per brevi periodi e rimettendosi in moto quando le risorse locali erano esaurite. L'insieme di queste risorse variava da un periodo all'altro in seguito ai cambiamenti climatici e da un luogo all'altro, poiché i gruppi si trasferivano dalle valli agli altipiani, e viceversa. Alcuni studiosi hanno fatto notare che, a differenza dei tropici, dove le risorse vegetali erano relativamente costanti tutto l'anno, nell'Europa dell'Era Glaciale il cibo vegetale che poteva sostenere gli ominidi doveva essere relativamente scarso e influenzato in misura maggiore dai cambiamenti stagionali. Per tale ragione, molti archeologi si stanno convincendo che la carne costituisse una componente assai importante dell'alimentazione dei neandertaliani. Se fosse vero, anche questo implicherebbe tecniche di caccia piuttosto sofisticate - qualcosa che in apparenza potrebbe essere implicato anche dalle lance di Schoeningen. La tesi che i neandertaliani fossero prevalentemente carnivori è suffragata dai pochi studi dei segni di usura sui loro denti e delle caratteristiche chimiche delle loro ossa (anzi, i risultati di uno studio indicano che i neandertaliani esaminati erano stati cacciatori specializzati nella cattura di mammiferi di dimensioni enormi, come il rinoceronte lanoso e il mammut). Una certa frequenza di incontri ravvicinati con animali ostili, inoltre, potrebbe giustificare la somiglianza che qualcuno ha fatto notare tra le tracce delle fratture guarite che si osservano negli scheletri neandertaliani e le tipiche tracce dei traumi subiti da chi si esibisce in un rodeo. D'altro canto, gli unici esseri umani moderni che storicamente dipendevano soprattutto dalle proteine e dai grassi animali possedevano tecnologie altamente specializzate per la cattura delle prede; ma gli strumenti dei neandertaliani non attestano in maniera evidente un tale possesso.

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l'oiM-, |>ci(», .iii( ()i;i pili impoilimlr ilclli- s|)tri:ili/,/,;izi()iii (lei ii(';iii(liTi;ili;ini c hi loro iiok'volc ;nl;ill;il)ililà. I ncandcitalinni sopnivvisscro a iiimicrosi canilMamcnti climatici nel corso (li un periodo csirciiiamcntc lungo e in un'area enorme e lopogralicanicnte assai varia. Non avrebbero potuto avere lauto successo se i loro schemi di comportamento non fossero stati molto flessibili e infatti ci sono evidenze convincenti di questa loro flessibilità. In una località italiana i depositi portati alla luce dagli archeologi in una grotta testimoniano un'occupazione neandertaliana datata a 120.000 anni or sono, quando il clima era relativamente caldo, e altre risalenti a un periodo compreso tra 50.000 e 40.000 anni or sono, quando il clima era molto piià freddo. L'occupazione piiì antica sembra essere stata piuttosto breve e i resti animali sono soprattutto crani di individui vecchi. Queste osservazioni sono state interpretate come un'indicazione del fatto che i neandertaliani raccolsero resti di carcasse di animali vecchi, morti per cause naturali. I resti delle occupazioni più recenti consistono di molte parti diverse del corpo di animali giovani e l'interpretazione è che i neandertaliani impiegassero tecniche di caccia d'appostamento per procurarsi carcasse intere, nel corso di soggiorni piìi lunghi nei dintorni. Sono conclusioni del tutto ragionevoli, ma è impossibile stabilire se le differenze siano dovute al miglioramento delle tecniche di caccia nel corso del tempo o se riflettano semplicemente le reazioni al mutamento delle condizioni climatiche. L'organizzazione sociale dei neandertaliani rimane un mistero, anche se lo studio di un sito francese ha indotto a ipotizzare che i maschi e le femmine vivessero per lo pila separati. La verità è, molto semplicemente, che non ne sappiamo nulla. I neandertaliani controllavano il fuoco, come avevano fatto per qualche tempo i loro predecessori, ma le evidenze a questo riguardo provengono per lo più non da focolai intenzionalmente costruiti e marcati da pietre, ma da semplici depositi di cenere. E anche quando costruivano un focolare, possiamo essere abbastanza certi che i neandertaliani non cantavano e non si raccontavano storie intorno al fuoco, poiché è quasi certo

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che non possctlcsscro linguaggio. Il lini',na}',}',io i- (in'alIivila simbolica e i neanclertaliani non hanno lascialo li accc di manufatti simbolici (incisioni, notazioni, statuette, e così via) simili a quelli che caratterizzarono i loro successori, i Oo-Magnon. Cro-Magnon è il nome che diamo ai primi Homo sapiens che occuparono l'Europa (ha origine da un riparo sottoroccia, "ero" in dialetto locale, nella Francia sudoccidentale, dove furono trovati i primi resti di questi ominidi). Ciò nonostante, possiamo avere pochi dubbi sul fatto che i neandertaliani possedessero qualche forma di comunicazione vocale sofisticata, presumibilmente integrata da un ampio repertorio di gesti. Un punto importante è che, prima di 50.000 anni or sono, i neandertaliani inventarono la tradizione di seppeUire i morti. Va detto, però, che le sepolture dei neandertaliani erano occasionali e assai semplici, senza il corredo di suppellettili e oggetti personali che poi caratterizzò le inumazioni dei CroMagnon (che tuttavia, a quanto pare, iniziarono soltanto molto tempo dopo le loro prime incursioni in Europa). Com'è ovvio, la sepoltura intenzionale dei morti quasi certamente non aveva per i neandertaliani il significato che ha per la maggior parte degli esseri umani moderni, con le sue implicazioni di spiritualità e vita futura; tuttavia indica un certo grado di empatia nei confronti dei defunti. Inoltre, i resti trovati nel sito iracheno di Shanidar di un individuo che sopravvisse fino a un'età avanzata (forse 40 anni) pur essendo gravemente svantaggiato da un braccio inerte, forse dalla nascita, indicano che gli individui in queste condizioni ricevevano per tutta la vita il sostegno del gruppo. Alcuni studi recenti relativi ad altri siti hanno raggiunto conclusioni simili. Esistono molti modi di essere ominidi e quasi certamente quello dei neandertaliani era diverso dal nostro. Ciò malgrado, è evidente che i neandertaliani erano esseri complessi, che avevano modi particolari e sofisticati di interagire con il mondo circostante e di percepirlo. La documentazione dell'evoluzione degli ominidi nella tarda Era Glaciale è migliore in Europa e sulle coste orientali del Mediterraneo (nel Levante, in particolare nell'attuale Israele)

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(Il ( j i i . i i i l o M . i n e l le;,lo d e l i i i o i i d o . Ki'Sli lossili eli /1()///() hcidc'lì>cnu'//\/\ s o n o v c i H i i i :ill:i liicc in vari sili clcirAlricameridionale c (IcH'Asia originale poslcriori all'epoca di Bodo (circa 6()().()()() anni or sono), ma per la maggior parte non hanno ancora ricevuto una datazione definitiva e nessuno è accompagnato da indicazioni dello stile di vita simili a quelle trovate in l'rancia e in Germania. Nell'Asia orientale, a quanto pare. Homo erectus, o qualcosa del genere, sopravvisse sull'isola di Giava fino a circa 40.000 anni or sono, il periodo in cui possiamo supporre che vi sia arrivato Homo sapiens. Nella Cina continentale, d'altro canto, sembra che Homo erectus sia stato rimpiazzato da Homo heidelbergensis, o da un'altra forma equivalente, molto prima della comparsa di Homo sapiens. In Africa, a parte l'esemplare di Bodo, Homo heidelbergensis non è ben datato. In ogni caso, sembra che in generale a Homo heidelbergensis sia subentrato un assortimento piuttosto eterogeneo di ominidi rappresentati dai crani trovati in località molto distanti tra loro: Florisbad in Sudafrica, Ngaloba in Tanzania e Guomde in Kenia. Per minimizzare il numero dei nomi delle specie, riconoscendo al contempo le numerose differenze che presentano con la nostra specie vivente, molti paleoantropologi hanno preso l'abitudine di raggruppare tutti gli esemplari sotto la denominazione ''Homo sapiens arcaico". Ma si tratta, più che altro, di una categoria di convenienza, che per di piiì ha sortito l'increscioso effetto di mascherare uno schema di discendenza 3en più complesso di quello lineare implicato dal termine "arcaico". Di conseguenza, quale fosse in effetti lo schema è ancora poco chiaro; ed è un peccato, perché fu quasi certamente tra gli ominidi africani di questo periodo che alla fine emerse il vero Ho?m sapiens. Sul fronte della tecnica: con tutta probabilità la tecnologia degli strumenti su nucleo preparato venne escogitata in Africa e a quanto pare è sempre in questo continente che furono inventati, piij di 250.000 anni or sono, gli strumenti dotati di una lama lunga e sottile come queUi fabbricati dai Cro-Magnon. Com'è ovvio, quando si riflette sulle tecnologie occorre

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tenere presente che la storia tlcll'innova'/.ionr c dc'llo svilii|>|)(» tecnologicononèstatapiùlinearecli quella degli ominidi sles si. Le invenzioni sono comparse, sono svanite e sono siale sostituite da forme apparentemente più arcaiche, per poi ricomparire in epoche successive. Di fatto, è assai probabile che la nostra evoluzione culturale sia stata ancora più complessa e tortuosa dell'evoluzione fisica degli ominidi - come forse è prevedibile, dato che le tradizioni culturali, oltre a essere tramandate da una generazione all'altra, possono essere trasmesse lateralmente fra contemporanei.

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6 LI-: ( )KK}1N1 D E G L I E S S E R I U M A N I MODERNI

Homo sapiens è una specie eccezionale sotto vari profili. Uno di questi è la storia intricata delle sue popolazioni, derivante da una diffusione iniziale estremamente rapida che in seguito si combinò con una mobilità senza precedenti. Oggi, grazie alla straordinaria adattabilità ecologica raggiunta grazie alla capacità di reagire alle richieste dei nuovi ambienti con l'uso della tecnologia, masse di Homo sapiens occupano praticamente tutte le regioni abitabili del Globo. Sembra, però, che ai tempi dei rigori climatici delle ere glaciali la popolazione della nostra specie (senza dubbio come quella dei suoi precursori) fosse estremamente ridotta e frammentata, quindi nelle condizioni ideali per l'adattamento locale e l'innovazione evoluzionistica. L'analisi del DNA mitocondriale (mtDNA) umano di individui appartenenti a comunità di tutto il mondo fa pensare in modo convincente proprio a una storia di questo genere. Sorprendentemente, la quantità totale di variazione dell'mtDNA rilevata fra i miliardi di esseri umani di tutto il mondo è inferiore a quella registrata fra le popolazioni locali di scimpanzé in Africa. E una forte indicazione del fatto che la popolazione umana ancestrale non molto tempo fa attraversò un collo di bottiglia che la ridusse a poche migliaia - forse addirittura a poche centinaia - di individui. A partire da questa minuscola popolazione Homo sapiens aumentò piuttosto rapidamente fino a diventare il colosso che oggi domina il mondo, adattandosi, come prevedibile, alle condizioni locali ogni qual volta colonizzava una nuova regione. E per questo motivo che sia-

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di questo processo In c|ii;isi t T r i i i n i c i i U ' hi seniplue ci'escii.'i della popolazione più che l'esplorazione iiileiizionaK' di aln i territori) al di fuori dell'Africa, poi in tutto il coniiiienie euroasiatico e sino in Australia, e infine nel Nuovo Mondo e nelle isole del Pacifico. Con tutta probabilità questa proliferazione non fu un fenomeno uniforme che si realizzò in maniera costante e regolare in tutte le direzioni; deve invece essersi verificata sporadicamente quando se ne presentava l'opportunità, con frequenti false partenze, mini-isolamenti e reintegrazioni di gruppi che si erano staccati. L'impressionante (seppure superficiale) varietà fisica dell'umanità contemporanea riflette tale passato così movimentato. In questa storia di diffusione, le popolazioni locali svilupparono varie differenze fisiche, oltre a quelle linguistiche e ac altre di natura culturale. Alcune di queste variazioni fisiche furono necessariamente controllate da fattori ambientali, altre da fattori puramente casuali. E chiaro, per esempio, che in linea di massima le variazioni del colore della pelle sono risposte alle variazioni della radiazione ultravioletta ambientale. La melanina, il pigmento scuro della pelle, protegge dagli effetti altamente nocivi della radiazione ultravioletta (uv) e le gradazioni pili scure del colore della pelle si trovano alle latitudini basse, dove tale radiazione è piià forte. Per contro, lontano dall'equatore la carnagione tende a essere più chiara, per consentire alla radiazione UV, lì piij scarsa, di penetrare nella pelle e promuovere la sintesi di sostanze necessarie, come la vitamina D, In maniera analoga, le popolazioni che vivono in regioni calde e secche tendono a essere piij alte e piij snelle di quelle che vivono in climi molto freddi, plausibilmente perché hanno bisogno di disperdere calore e non di trattenerlo, come capita con una forma del corpo piià arrotondata. D'altro canto, nessuno sa perché alcune popolazioni abbiano labbra pili sottili o nasi pili stretti di altre, o perché molti asiatici abbiano una piega cutanea in più sopra le palpebre. Queste variazioni senza conseguenze probabilmente sono proprio risultati del caso. L e varie i n t e r p r e t a z i o n i dei dati relativi all'mtDNA generan o storie c h e s p i e g a n o in m o d o diverso la d i f f u s i o n e di

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\ii/i/ \,i(>/ sapiens non è un animale puramente razionale, poiché le nuove e rivoluzionarie capacità della nostra specie sono semplicemente nuovi strati al di sopra di una base molto pii^i antica. l'I probabilmente, nonostante il nostro curriculum, dovremmo essere grati che sia così. Infatti, anche se è vero che un Homo sapiens perfezionato in modo meccanico non conoscerebbe l'odio, la gelosia e la cupidigia, presumibilmente sarebbe anche privo di amore, generosità e speranza. Allora, che cosa avvenne esattamente quando, circa 40.000 anni or sono, i Cro-Magnon, che chiaramente disponevano di inguaggio, entrarono nel dominio dei neandertaliani che presumibilmente ne erano privi? Coloro che vogliono considerare Homo neanderthalensis semplicemente come una variante di Homo sapiens sosterrebbero che la scomparsa della morfologia caratteristica dei neandertaliani nel giro di una decina di millenni dall'arrivo dei Cro-Magnon fu dovuta a una'inondazione" genetica subita dai neandertaliani da parte degli immigranti, poiché i locali, pochi e sparpagliati, si incrociarono con il getto continuo, se non con il torrente, degli stranieri in arrivo. Ma le dimensioni delle differenze fisiche tra i due gruppi indicano in maniera decisa che le cose andarono altrimenti. Può darsi che durante il periodo relativamente breve in cui le due specie condivisero il continente europeo vi siano stati casi di ciò che delicatamente potremmo chiamare la "promiscuità sessuale del Pleistocene", ma è altamente improbabile che si siano avute integrazioni significative su larga scala dei due pool genetici. Ma se è vero che i due tipi diversi di ominidi non si incrociarono combinandosi in una sola entità più ampia, che cosa accadde? Vi sono due possibilità principali e probabilmente tutte e due ebbero una parte nella vicenda. Due ominidi che vivevano nella stessa zona si ritrovavano quasi certamente in competizione. Poteva darsi che tale competizione fosse puramente economica, con le due specie che si evitavano fisicamente, ma usavano le stesse risorse. In questo caso, la scom138

I I • >H|i .IMI I II I .1 I I '.M l'I IIMAI II M( >1 )| Kfll |>;ii:..i (lei i k m i m I c i I.ili.mi m i | ' , | ' , c i li c i »l u' st'liiplicviiiciilc clic nella (•«mipcii/,i()iic cl)l)c III iiicj'Jio / !();//() sdjyicns, che sfruttava i|iicsic risorse in modo più eHicienie. Di recente, è stata avan'/alii ri|)olcsi che dal punto eli vista economico i Cro-Magnon lossei-o più generalisti dei neandertaliani, che erano specializzati nella caccia della megafauna; questa caratteristica poneva senz'altro i nuovi arrivati in posizione di vantaggio. Allo stesso lempo, tuttavia, pare probabile anche che le due popolazioni si ritrovassero in conflitto fisico almeno di tanto in tanto e in certi luoghi. Anche se (o forse perché) la caratteristica dei Cro-Magnon che ci colpisce di più è la loro creatività, queste persone, come noi, avevano senza dubbio anche un lato oscuro. Ed è senz'altro possibile che tale aspetto si sia manifestato nella scomparsa dei neandertaliani. Nella storia documentata di Homo sapiens non si è visto spesso un trattamento benevolo dei locali da parte degli invasori e probabilmente la natura umana non è cambiata neanche un po' dai tempi dei Cro-Magnon. Comunque, quale che fosse l'esatta natura dell'interazione, è altamente improbabile che i neandertaliani siano stati costretti a cedere il proprio mondo a Homo sapiens a causa di qualche loro svantaggio fisico. Quasi certamente, il fattore decisivo fu l'equipaggiamento mentale dei nuovi arrivati, la loro maniera di vedere il mondo e di interagire con esso, una maniera che non aveva precedenti. Gli archeologi hanno individuato alcune culture locali di breve durata che potrebbero indicare qualche tipo di scambio culturale tra i neandertaliani e i Cro-Magnon. In diversi siti francesi e spagnoli risalenti a 36-32.000 anni or sono (cioè alla prima fase della presenza dei Cro-Magnon), sono stati trovati strumenti di un'industria nota come Chàtelperroniano, che ha equivalenti anche in Italia e nell'Europa centrale. In tutte le sue varianti, lo Chàtelperroniano presenta elementi della tradizione mousteriana (neandertaliana) di lavorazione della pietra e anche di quella aurignaziana (Cro-Magnon). Gli strumenti litici chàtelperroniani per metà sono costituiti da schegge realizzate con la tecnica del nucleo preparato detta Leval139

IIM( )Nli< il'KIMA IM I I.ASK HU \ ois, che veniva usata dai ncaiicicrtaliani, ma c'oiiiprciuloiK» anche utensili litici caratteristici delle tradizioni dei ( irò Ma gnon. Agli chàtelperroniani, inoltre, vengono anche aiirihniii oggetti di osso e di avorio, in particolare (però in modo pini tosto controverso) gli ornamenti personali del sito francese di Arcy-sur-Cure, tra cui un ciondolo modellato con cura. Chi costruì i manufatti chàtelperroniani? Insieme a materiali di questa cultura si sono trovati resti umani soltanto in due siti, e sono resti di neandertaliani. Se gli chàtelperroniani erano quindi neandertaliani, come si procurarono gli ornamenti personali? Avevano imparato dagli invasori Cro-Magnon a lavorare l'osso e l'avorio? Si erano procurati gli oggetti dai Cro-Magnon grazie a uno scambio? A un furto? Con la forza? Un neandertaliano di talento finito per caso in un accampamento dei Cro-Magnon era riuscito a capire come fabbricare lui gli strani oggetti lasciati dagli occupanti? Le possibilità sono infinite e probabilmente non sapremo mai per certo quale sia la verità, anche se il fatto che lo strumentario chàtelperroniano comprenda manufatti di stile Cro-Magnon come bulini (utensili per forare) potrebbe implicare qualche episodio di apprendimento per contatto diretto. In ogni caso, Figura 6.4 Anche se, probabilmente, sono tutti opera di neandertaliani, grossomodo la metà degli strumenti trovati nei siti chàtelperroniani è costituita da lame, piccole strisce di pietra di lunghezza doppia rispetto alla larghezza. Gli strumenti di questo genere sono pili comunemente associati ai Cro-Magnon. (Fotografia di Alain Roussot.)

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I I I ilMi .11 Jl I >1 1.1 I I '.M 1(1 UMANI M( ihl KI II (|ii.il(' ( lic M.i 1.1 sii.i l's.iii.i ii;iim;i, riiik-razionc Ira (h"C)-Maj'.iioii r iKMiuk'i laliaiii chhi- vila piiillosto l)rcve, così come lo ( lliaicipi'i roniaiio sicsso. In due siti Francesi gli chàtelperroiiiaiii e^li auri^naziani si alternano negli strati archeologici nel corso (li un breve intervallo temporale; le culture, comunque, l esi ano distinte e lo schema generale in tutta Europa indica la sostituzione abbastanza repentina del Mousteriano da parte dell'Aurignaziano. Se ne può concludere che, comunque abbiano interagito / lomo neanderthalensis e Hojno sapiens in Europa, il risultato finale è chiaro: nell'arco di un periodo relativamente breve, i neandertaliani scomparvero per sempre. Le datazioni dei fossili, inoltre, indicano che in Asia orientale, piìj o meno nello stesso periodo, stava accadendo qualcosa di simile a Homo erectus - come presumibilmente anche a molti ominidi di varie altre parti del mondo. Per esempio, non si è ancora chiarito lo strano fenomeno di Homo floresiensis, un ominide di bassa statura e con un cervello piccolo identificato non molto tempo fa sull'isola indonesiana di Flores, dove sembra che sia sopravvissuto fino a 20.000 anni or sono. Se si tratta davvero di una specie isolana di ominidi nani che affonda le sue radici molto indietro nel tempo, anch'essa, molto probabilmente, incontrò la morte per mano di Homo sapiens. Tornando all'estremità occidentale del continente euroasiatico, nella cultura mousteriana dei neandertaliani è stato individuato un certo numero di varianti. Nel complesso, tuttavia, la produzione tecnologica dei neandertaliani continuò a essere piuttosto uniforme per tutto l'enorme intervallo temporale e in tutti i vasti territori che occuparono. Non si può dire la stessa cosa della produzione dei Cro-Magnon. Con l'arrivo di Homo sapiens in Europa, il ritmo del cambiamento tecnologico accelerò in maniera spettacolare. In ogni valle, a quanto pare, le popolazioni locali sviluppavano le proprie tradizioni locali e forse parlavano un proprio dialetto. Nel corso del Paleolitico superiore, l'epoca di maggior prosperità per i Cro-Magnon (all'incirca tra 40.000 e 10.000 anni or sono), gli archeologi riconoscono quattro principali tradizioni culturali 141

Il M( I N I " • l ' H I M A I H I I A S U »l(l \

in Europa, ciascuna coiilrasscgiiala da cs|)ivssi()iii < m i : i U i t ì s i ì che e indicata con il nome del sito tlel j)rinio rilrovanicnlo. Ciascuna tradizione durò per un periodo più o ment) l^reve a seconda della località, ma a grandi linee possono essere descritte come segue. L'Aurignaziano, portato in Europa dai primi Cro-Magnon all'incirca 40.000 anni fa, produsse la maggior parte delle innovazioni citate: i primi esempi di pittura rupestre, musica, scultura, incisione, notazione, e così via. Intorno a 28.000 anni or sono la cultura aurignaziana scomparve e fu sostituita da una cultura nota come Gravettiano, che produsse le prime forme di arte ceramica, abitazioni complesse, sepolture elaborate e sculture su pareti di roccia, ed è famosa per le statuette di "Venere" (rappresentazioni femminili solitamente con seni e ventre di proporzioni esagerate) realizzate in molti materiali diversi. All'incirca 22.000 anni or sono, in alcuni luoghi a Gravettiano subentrò il Solutreano, che molti considerano il punto culminante della lavorazione della selce nell'Età della Pietra, con le sue punte a forma di "foglia di alloro", lunghe, aggraziate e di squisita fattura, in gran parte troppo delicate per aver avuto un uso differente da quello cerimoniale. Alcune opere rupestri solutreane, non diversamente da quelle aurignaziane precedenti, mostrano una padronanza della forma non meno raffinata di quella raggiunta in qualsiasi altra opera successiva. La fase finale dell'era del Paleolitico superiore fu il Magdaleniano, che durò all'incirca da 18.000 anni or sono (il momento piìi freddo dell'ultimo periodo glaciale) a 10.000 anni or sono, quando il clima iniziò a riscaldarsi e le enormi calotte glaciali artiche iniziarono a sciogliersi. Il periodo magdaleniano testimoniò la massima fioritura dell'arte dell'Era Glaciale in relazione sia alle pitture rupestri sia all'"arte portatile" (piccole incisioni o sculture su pezzi di zanna, osso o corno). Questo periodo vide anche lo sviluppo di alcune delle più sofisticate tecnologie di caccia e di raccolta di tutta l'Europa, con la grande diffusione dei propulsori per scagliare lance e, proprio alla fine del periodo, l'invenzione dell'arco e della freccia. Comunque, anche se forse il Magda142

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II II I II I .1 I I .M l ' I U M A N I M i II II K N I

K-iii;iii(> In r.i|»nj'('(» (Ielle » 1 II A MI »HIA gelato, in questi coiigelalori nnliinili, si polcvii loiist-ivurc Li carne per settimane o mesi, avendo così a disposi/ione il so stentamente anche quando i branchi di renne e di altri erl^ivori da cui dipendevano si erano trasferiti lontano. E anche possibile, per quanto non dimostrato, che per lo meno in certi momenti e in certi luoghi i cacciatori del Paleolitico superiore mantenessero relazioni molto strette con i branchi di animali da cui dipendevano - forse, un po' alla maniera dei lapponi e di alcuni popoli siberiani in tempi recenti, che addomesticano in parte i branchi di renne e si spostano insieme a loro quando migrano verso nuove zone di pascolo. Per di più, nelle culture del Mesolitico (il periodo intermedio dell'Età della Pietra), che seguirono alle società del Paleolitico superiore nelle nuove e più difficili condizioni ambientali postglaciali, forse vanno comprese alcune delle società di cacciatori-raccogHtori più sviluppate che siano mai esistite. E probabile che per i popoli del Mesolitico fosse piuttosto abituale stabilirsi stagionalmente in luoghi adatti a occupazioni specializzate come la pesca. Benché esistesse già, quindi, una tendenza all'ampHamento dei periodi di residenza nei vari luoghi, l'esistenza davvero stanziale dovette attendere la rivoluzionaria invenzione, un po' più di 10.000 anni or sono, della coltivazione delle piante e, forse un poco dopo, dell'addomesticamento completo degli animali. I cambiamenti ambientali derivati dalle oscillazioni climatiche alla fine dell'ultima Era Glaciale ebbero un'influenza notevole sulle popolazioni di Homo sapiens, che a quel punto erano ormai disseminate in tutto il Vecchio Mondo. Come si può prevedere, la reazione di Homo sapiens a tali cambiamenti fu completamente diversa dalle reazioni delle specie ominidi precedenti che senza dubbio avevano affrontato oscillazioni climatiche simili. Un'area piuttosto influenzata dal cambiamento climatico del tardo Pleistocene fu il Levante (la regione che costeggia il Mediterraneo orientale) e i territori a nord e a est del Levante, in particolare le regioni che oggi corrispondono all'Iraq e alla Turchia. Spesso quest'area più estesa, che forma un arco che sale verso nord da Israele attraverso la Siria fino alla

\ 11 \ M,\N/I.\I I Tiik lii.i r poi S(cikIc vriso l'I i ;i(| e l'I i ;in, e ciliniililla "nic/,/,alun:i li-I lili-". In i|iu'sl() vaslo imilorio, a t|iiaiU() pare le persone che avevano (inilo |)er dipc-iulere per il proprio sosLentanieiiLo dalla raccolla di cereali selvatici (e ancor prima dai semi delle graminacee selvatiche; uno spostamento dell'alimentazione verso i cereali è attestato da un sito israeliano di ben 23.000 anni or sono) alla fine del Pleistocene si ritrovarono ad affrontare estati più lunghe e piij calde, e una crescente aridità, che riducevano la produzione naturale di queste risorse vitali. Per compensare la situazione, grossomodo tra 11.000 e 10.000 anni or sono, i popoli della mezzaluna fertile iniziarono un processo di coltivazione e di selezione artificiale. Seminavano le varietà di cereali selvatici, come il farro e il farro piccolo (antichi tipi di grano), che perdevano una minor quantità di semi durante la mietitura e generavano questi semi in raggruppamenti concentrati. I primi coltivatori di cereali applicavano un altro livello di selezione scegliendo i semi degli individui piij vigorosi e produttivi delle loro specie preferite. Agli inizi, queste semine venivano fatte per integrare la raccolta di cereali selvatici e solo piìJ tardi divennero un sostegno fondamentale. Può ben darsi che la radicale innovazione nella vita sociale ed economica degli esseri umani preannunciata da questo sviluppo sia stata stimolata dal cambiamento climatico; però, fu resa possibile dalla convergenza di un certo numero di fattori non collegati, tra cui le innovazioni sociali e tecnologiche, oltre alla disponibilità nella zona di specie adatte a essere addomesticate. Nella mezzaluna fertile, oltre al grano, si iniziò ben presto a coltivare anche l'orzo e legumi quali le lenticchie e i ceci. Pochi chilometri più a nord del piij noto sito neolitico di Gerico, nella valle del Giordano, si trovano i resti di Netiv Hagdud, un villaggio di agricoltori che fu occupato all'incirca tra 9800 e 9500 anni or sono. Portato alla luce negli anni Ottanta del secolo scorso, Netiv Hagdud offre una possibilità unica al mondo di gettare uno sguardo sulla fase iniziale dell'agricoltura nella mezzaluna fertile. Il sito ha una superficie di poco meno di due ettari e conserva i pavimenti e le fondamenta di un 147

Il M( Il :i H » l'i;ii\l \ I II I I \ Mi i|'I \ certo niiincro di piccole- ahihi/ioni ;i l);isr i|ii;uli;il.i od ovalifatte di mattoni di lango crudi. M dillicile ca|)ir(.- coiiu- vcnissc ro usate esattamente queste strutture dai loro ahiiaiili, ma si stima che il villaggio ospitasse dalle venti alle trenta laiiiiglie, per un totale di 100-200 persone. Se la stima è corretta, Netiv Hagdud era un villaggio di dimensioni medie per l'epoca, con una popolazione pari, grossomodo, alla metà di quella di Gerico, ma considerevolmente più numerosa di quella di altri insediamenti dello stesso periodo. Un'accurata analisi delle ossa animali e dei frammenti vegetali portati alla luce a Netiv Hagdud indica che i suoi abitanti raccoglievano un'ampia gamma di risorse dall'ambiente produttivo locale: più di cinquanta specie di noci, frutti e altre parti di piante, più invertebrati, pesci, rettili, uccelli e mammiferi di varie dimensioni - i più grandi erano le gazzelle di montagna, una delle prede preferite. Raccoglievano grandi quantità dei cereali selvatici che abbondavano nei dintorni, ma una parte dei resti di orzo che hanno lasciato mostra i segni di un primo stadio di addomesticamento. Ciò indica che gli abitanti di Netiv Hagdud, pur continuando a essere molto attivi come cacciatori e raccoglitori, avevano iniziato a praticare la coltivazione artificiale già 9800 anni or sono, forse in risposta a un raffreddamento climatico che ridusse la produttività delle piante nell'ambiente naturale. In ogni caso, questo sito indica chiaramente che in un ambiente naturale abbastanza ricco gli esseri umani hanno la possibilità di vivere un'esistenza stanziale davvero permanente senza possedere tecniche elaborate di addomesticamento delle piante - né tecniche zootecniche di qualsiasi tipo. Sembra che diverse strutture del sito fossero usate come sili per lo stoccaggio di granaglie. A quanto pare, inoltre, anche in questa fase iniziale di coltivazione delle piante, quando i cereali coltivati fornivano soltanto una piccola percentuale dell'insieme complessivo dei viveri, durante la stagione di raccolta si mietevano eccedenze da consumare in altri periodi dell'anno. Molto lontano da Netiv Hagdud, in Cina, circa 7000 anni or sono si coltivava il riso e ancor prima in Africa si era iniziato 148

\ I M . I \i ; I VI I .1 ( nliiv.iic il srjl M • l'KIMA hi I I \ Mt iKIA molti studiosi st)ii() atiralti in niotlo aiiloiiiMlico dalli' losid dette spiegazioni diiiusioniste, secondo le c|nali le imiova/.ioiii appunto si diffonderebbero invariabilmente da un unico luogo d'origine attraverso le esplorazioni o il contatto culturale. Oggi è sempre più chiaro che tali spiegazioni non consentono di descrivere con precisione i primi sviluppi dell'agricoltura. E accaduto spesso che invenzioni simili venissero realizzate piij o meno simultaneamente in luoghi diversi una volta presenti le condizioni giuste e gli archeologi hanno individuato sette o otto "epicentri agricoli" di sviluppo indipendente dell'agricoltura e dell'allevamento nella prima parte del periodo noto come Olocene, o "epoca recente". Così è stato battezzato il periodo della storia geologica in cui viviamo, i circa 12.000 anni a partire dalla fine dell'ultima Era Glaciale - anche se, nonostante il nome diverso, nessun dato indica che siamo davvero usciti dal ciclo di condizioni alterne, fredde e più miti, del Pleistocene. I centri di origine dell'antica agricoltura, o quanto meno dell'addomesticamento delle piante, sono la mezzaluna fertile, una striscia lungo i margini meridionali del Sahara, due val-

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CENTRI DI ORIGINE DELL'AGRICOLTURA 12.000-7000 ANNI FA

2.000ml 3.000 km

Figura 7.1 I centri di origine dell'agricoltura. Gli studiosi ritengono che l'agricoltura sia stata inventata in maniera indipendente in queste sette zone del mondo, dopo la fine delle ere glaciali, tra 12.000 e 7000 anni or sono.

150

\ Il AMAN. lAI I Il lliiviiili I I I ( iiii.i, iiiiii ic|'i«)iu' «K'irAmcricii a'iìlnilc, una del Sud Aiiicrica e la Nuova ( ìiiinca. In ciascuna di queste aree vennero addoinesiicaie particolari varietà locali di piante e animali: per esempio, pecore, capre e orzo nel Vicino Oriente; l iso e bufali d'acqua in Cina; lama, mais e fagioli in America centrale; banane, canna da zucchero e taro in Nuova Guinea. (^)ual era l'imperativo alla base di queste innovazioni? A parte la reazione alle condizioni climatiche, l'addomesticamento degli animali aveva molti altri vantaggi, tra cui il fatto che spesso il bestiame vale pili da vivo che da morto, poiché alcuni animali forniscono risorse - latte, lana e lavoro, per esempio che possono essere continuamente sfruttate. Per quanto riguarda le piante, nelle annate buone molte varietà coltivate possono fruttare cinquanta volte la quantità di semi piantata e le eccedenze risultanti dischiudono nuove e ampie possibilità economiche. Gli esseri umani sono notevolmente ingegnosi e, una volta nato il nuovo modo di affrontare il mondo, era solo una questione di tempo prima che iniziassero a esplorare le occupazioni economiche e gli stili di vita radicalmente inediti che le nuove capacità cognitive avevano reso possibili. Nell'Ottocento l'archeologo inglese Sir John Lubbock propose di suddividere l'Età della Pietra in due periodi distinti: il Paleolitico e il Neolitico. Il Paleolitico è il periodo in cui gli strumenti litici erano interamente realizzati scheggiando le pietre con un percussore duro o morbido, o frantumandole su un'incudine. Questa tradizione di fabbricazione degli utensili, iniziata circa 2,5 milioni di anni or sono, in alcuni luoghi durò soltanto fino alla fine dell'ultima Era Glaciale, circa 10.000 anni or sono, mentre in altri (come le zone montagnose della Nuova Guinea) sopravvisse fino al Novecento. Lubbock definì il Neoitico, il periodo successivo, come quello in cui, anche se forse si preparavano i pezzi grezzi degli strumenti di base scheggiando o battendo la pietra, gli strumenti venivano regolarmente rifiniti affilandoli e levigandoli fino a raggiungere forma regolare. In Inghilterra, patria di Lubbock, l'approccio neolitico alla fabbricazione degli utensili fu introdotto piuttosto tardi. 151

Il

M t >NIM i l ' K i M A I H I I . A ' . K H(IA

quasi mille anni dopo clic };li aj'.ricolloi i l'caiio (iiialiiiciiU' i in sciti a capire, all'incirca 6700 anni or sono, come adallarc le pratiche agricole alle condizioni prevalenti neH'lùiropa leniperata - un ambiente in generale meno propizio all'agricoltura delle regioni meridionali piij soleggiate e più calde. Ma molto più a est e a sud, i primi segni degli stili neolitici di produzione di strumenti risalgono sostanzialmente a un periodo molto più antico, alla fine dell'ultima Era Glaciale, quando nella mezzaluna fertile si stavano affermando l'agricoltura e a vita stanziale. Anzi, oggi in generale si riconosce che la definizione del Neolitico di Lubbock, basata sugli strumenti litici, è più utile quando la si estende ben al di là della produzione di strumenti di pietra levigati, per comprendere anche la più ampia rivoluzione degli stili di vita introdotta dall'invenzione dell'agricoltura. Il Neolitico, quindi, iniziò in momenti diversi a seconda dei luoghi. E localmente fu caratterizzato da combinazioni differenti di innovazioni tecnologiche, economiche e sociali, in base a uno schema imposto sia dalle variazioni negli ambienti locali sia da circostanze storiche. Nel Vecchio Mondo, per esempio, l'introduzione neolitica della tessitura sembra essere poFigura 7.2 Queste teste d'ascia in pietra levigata, provenienti da Nooan, nel County Giare, Irlanda, sono prodotti tipici dei primi agricoltori neolitici irlandesi. Forgiate circa 5000 anni or sono, erano probabilmente usate per spaccare la legna. La loro introduzione in Irlanda innescò una deforestazione di vaste proporzioni. (Per gentile concessione del National Museum of Ireland, Dublin.)

152

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•.leiloie .ill.i piini.i piodii/ioiic di viisclliiiiie, iiìciilrc in Sud Anici ii":i si-niKni si;i :icc;uliiU) il coni rario. In realtà, qualche innova/ioni- del Neolitico In la rinascita o la riscoperta di una ii'cnolo^Ua precedeiUe. Nel Vicino Oriente, per esempio, uno (K'i primi sviluppi del Neolitico fu l'introduzione in luoghi diversi della produzione di vasellame cotto in un forno, come ciotole e vasi. La tecnologia della ceramica era già stata usata, ma solo per oggetti simbolici, quasi 20.000 anni prima a Dolni Vestonice, il sito ceco in cui sono stati trovati anche aghi finemente modellati. Proprio all'inizio del Neolitico compaiono pestelli e lastre di pietra per macinare i semi di orzo e di farro. I prodotti tessili compaiono assai presto in Sud America, dove vennero sviluppati indipendentemente dalla produzione di reti che è stata documentata nella Repubblica Ceca, datata a circa 26.000 anni or sono. E possibile che le reti ceche fossero utilizzate per la caccia, però nella maggior parte delle nuove tecnologie del Neolitico gli strumenti erano legati a una vita sedentaria e basata sull'agricoltura. La rivoluzione del Neolitico, per quanto profonda, in alcuni luoghi fu una fase relativamente breve della storia umana. Prima che Lubbock pubblicasse I tempi preistorici e l'origine dell'incivilimento (1865), gli archeologi avevano già definito una sequenza di fasi tecnologiche in Europa, dall'Età della Pietra all'Età del Bronzo e all'Età del Ferro, basata sull'introduzione di nuovi materiali nel repertorio culturale. Il Neolitico arrivò in Gran Bretagna solo 6000 anni or sono, alcuni millenni dopo la sua comparsa nel Vicino Oriente, ma all'incirca 4200 anni or sono era già stato sostituito dalla tecnologia dell'Età del Bronzo. Lo schema di cambiamento estremamente episodico, persino monotono, che aveva caratterizzato la scena tecnologica per quasi tutto il Paleolitico era stato completamente superato. L'adozione di un'esistenza stanziale basata sull'agricoltura ebbe come conseguenza diretta importanti cambiamenti della struttura delle società umane e dei tipi di tecnologie da queste usate, anche se la reazione precisa alla nuova situazione variò da una regione all'altra. Il cambiamento dello stile di vita da nomade a stanziale è documentato nel modo migliore nell'a153

Il Mt >NI >" • l'KIMA hi I I A M« MUA

rea della niezzaliiiia lerlile, dove seiiihi a, inoli re, clic sia avvenuto perla prima volta. Gran parie dei sili archeologici levali tini risalenti a 12-10.000 anni or sono ò stata attrihiiiia alla cultura natufiana. Le popolazioni natufìane probabilmente erano solo semisedentarie nella maggior parte dei luoghi, ma alcuni dei loro siti sono piuttosto grandi e ospitano resti di strutture considerevoli, le cui fondazioni calcaree suggeriscono un'idea di permanenza. I natufiani avevano anche uno strumentario considerevole che comprendeva microliti {ovvero pietre minuscole) che chiaramente venivano fissati a un manico per formare un utensile composito, quale quello per mietere i cereali. Altri strumenti natufiani erano mortai e pestelli usati per frantumare noci o per macinare e schiacciare granaglie, e strumenti d'osso come arpioni, ami da pesca, aghi e punteruoli. Le incisioni su alcuni blocchetti di argilla trovati in siti simili di questa stessa regione sembrano attestare che si usavano anche stuoie e canestri intrecciati. Questa vasta gamma di tecnologie dovrebbe indicare che i natufiani disponevano già di un'ampia e flessibile schiera di risorse; un'economia di questo genere, tuttavia, è un precursore assai plausibile di uno stile di vita agricolo molto più specializzato, e quasi certamente lo fu. Anzi, sembra che la tendenza dello stile natufiano a rimanere nello stesso luogo per periodi prolungati, associata a uno sfruttamento intensivo delle risorse naturali per periodi prolungati, possa essere stata un requisito indispensabile per l'adozione di uno stile di vita pienamente stanziale. Nel periodo compreso all'incirca tra 10.500 e 8500 anni or sono troviamo nella mezzaluna fertile un numero di siti che rappresentano il "Neolitico preceramico". In questo periodo nella regione vennero addomesticati vari animali e vegetali. Le prime evidenze dell'addomesticamento di animali e di piante in uno stesso luogo provengono da siti quali Ganj Dareh, in Iraq, un piccolo insediamento in cui si allevarono capre e si coltivarono cereali circa 9000 anni or sono, e Abu Hureyra, in Siria. Quest'ultimo sito è particolarmente interessante poiché attesta un'occupazione continua nel corso di tutto il periodo di transizione: dalla caccia e raccolta, tra 11.500 e 11.000 anni or 154

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siiraim-nio di vcgclali c animali - ancora integrato dalla caccia c dalla raccolta - n o n i)iù tardi di 9000 a n n i or sono.

1 )urantc quasi tutto il periodo troviamo semplici abitazioni l ai te di legno e di canne, ma subito dopo {anche a Abu Hureyra) iniziano a comparire villaggi di dimensioni notevoli, con abitazioni di mattoni di fango crudi composte da molte stanze c dotate di strutture specializzate quali forni e focolai. A volte questi spazi avevano pareti decorate e contenevano grandi sculture, come quelle risalenti a 8500 anni fa scoperte a ^atal Hiiyiik, in Turchia. Numerosi uomini seppelliti in questo sito presentano fratture all'avambraccio sinistro (con il quale gli individui destrimani reggono uno scudo) e ciò indica una certa quantità di violenza organizzata fra comunità. Una ricorrente violenza è implicata anche dalla struttura chiaramente difensiva delle costruzioni stesse, che erano raggruppate da

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Homi (lùio|)i:i), /(>; Aliiea

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Bovini, iuldonicslicaiiicnto elei, 149,157 Brain, B o b , 6 0

bufali d'acqua, addomesticamento dei, 151 Cacciatori-raccoglitori contrapposizione tra agricoltori e, 161-162 crescita della popolazione e, 163 cultura magdaleniana, 143 ed evoluzione, 86 fabbricazione di strumenti, 100-101

Homo neanderthalensis, 111112 NetivHagdud, 147-148 Paleolitico, 145-146 stile di vita, 90 Campo magnetico, 29,32-33 Cani, addomesticamento dei, 149,167 Canna da zucchero, 151 Cannibalismo, 89,166 Capre, addomesticamento delle, 149,151,156-157,167 Caratteristiche derivate, 37,39 Carbonio, 28-29 Carote estratte dai fondali oceanici àÀVOcean Drilling Program (ODP), 32-33,32, 35 gatalHùyuk (Turchia), 155,156, 161 Catarrhini, 46 (^ayònù (Turchia), 156 Ceci, 147 Ceprano (Italia), 87,89; vedi anche Europa

A N A I I I l( t )

Celiiinic;!, 12'). l'>S, U)7 ( iliiiiiibeis, K()lK>r(,4 Clic'sowanja (Kcnia), 165; vedi anche Africa Ciad, 49,50,55,68,165 Cina coltivazione del riso, 167 "epicentri dell'agricoltura", 150 Homo heidelbergensis, 115 "società complessa", 158-159 uomo di Pechino, 123,166 vedi anche ksìsi Citosina (c), 11 "Civiltà", 161 Cladogramma, 38,39 Classificazione zoologica, 44,46 Clavicole, 106 Clima agricoltura, comparsa della, 146-148,150 campo magnetico, 32-33 cultura magdaleniana, 143 e australopitecini, 70 e documentazione fossile, 26 Homo neanderthalensis, 113 sapiens, 117-118,146 impatto sull'evoluzione, 14-16 Miocene, 52-53 Pleistocene, 31,33,35,88 vedi anche Era Glaciale Cognizione agricoltura, comparsa della, 151 ascia a mano su scheggia, 98-99 Cro-Magnon, 128 e tecnologia, 131-132 fabbricazione di strumenti e, 75-76,81-84 Homo ergaster, 80-81 sapiens, 133-135 Colore della pelle, 120 Commercio, 131,140 Continuità regionale, 122-123

181

INI III I ANAI 11 II I I

Coscienza, 82,87, 135 Cranio di Bodo, 94-96 di Sima de los Huesos, 108, 109,166 Crescita della popolazione, 120, 163 Cresta sagittale, 50-51,69 Cro-Magnon arrivo in Europa, 126-127 cambiamento climatico e, 143 cognizione, 128,130 cultura magdaleniana, 142-143 fabbricazione di strumenti, 115-116 Homoneanderthalensis, 139-141 potenziale linguistico, 114, 136-139 riti di sepoltura, 114,129-131, 166 strumenti chàtelperroniani, 139-141,140 tecnologia aurignaziana, 127128 tecnologia dei, 130-131 Cromosoma Y, 121,122 Cultura gravettiana, 142 magdaleniana, 142-143 natufiana, 154 olmeca, 160 solutreana, 142

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