Il Castello Sanseverino di Grumento Nova

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Il Castello Sanseverino di Grumento Nova

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la STORIA Quando i Grumentini dell’antica Colonia romana di Grumentum, per sfuggire agli assalti saraceni, si trasferirono intorno al 1030-1040 sul colle ove si trova oggi Grumento Nova, andarono ad occupare la cima più a nord delle tre alture che costituiscono detto colle ed ivi costruirono la Chiesa Madre e il primo nucleo di abitazioni del Borgo medioevale, chiamato in origine Casaletto. Successivamente (intorno al 1050-1060) i Normanni, scesi lungo il fiume Sele e le valli della provincia di Salerno (Principato Citra), occuparono la valle dell’Agri ed i centri abitati sparsi che erano sorti ad opera degli scampati alla distruzione definitiva di Grumentum da parte dei Saraceni, avvenuta nel 1031. Il Borgo originario venne conquistato dalla famiglia normanna degli Altavilla (Hauteville) e dal suo condottiero Roberto, conte di Montescaglioso. Egli costruì la sua residenza sul cocuzzolo centrale del colle, e tutto intorno sorse un altro piccolo agglomerato di abitazioni chiamato Borgo. Venne poi costruita una cinta muraria, con sette porte, che inglobò anche il Casaletto. L’intero borgo, così fortificato, prese il nome di Saponaria. Il nome compare la prima volta nella Bolla di Gisulfo del 1095. Nel 1080 Roberto d’Altavilla morì e parte dei suoi beni, fra cui Saponaria, Brienza e Polla, passò al figlio Guglielmo I. Questi però, come risulta da un documento del 1097, preferiva risiedere “intus castello Burgentie” (dentro il castello di Brienza) forse perché più confortevole di quello di Saponaria o più centrale rispetto al contesto dei feudi degli Altavilla. Ribellatosi Guglielmo I nel 1156 al Re di Sicilia Ruggiero II, Saponaria, insieme a Brienza, passò al Demanio regio. Nel 1267 il Feudo di Saponara fu concesso dagli Angioini ai Sanseverino e da questi in suffeudo a Gilberto di Fasanella. Nel 1318 tornò definitivamente ai Sanseverino, nella persona del Conte Iacopo I. Con l’affermarsi, nel contesto del Regno di Napoli, dei Sanseverino di Saponaria, il castello ebbe progressivi ampliamenti. Questi Feudatari conservarono la Contea per lunghissimo tempo sino alla caduta del Feudalesimo, con l’arrivo dei Francesi nel Regno di Napoli (1806). Questa famiglia ebbe momenti di vero splendore (quando il Conte Luigi divenne nel 1622 Principe di Bisignano, pri2

mo Principato del Regno di Napoli) ma anche di decadenza allorquando nel 1516 Girolamo fece avvelenare i tre figli di Ugo III Sanseverino, suo fratello, Conte di Saponara, per impossessarsi della Contea. Il più importante dei Feudatari del Borgo fu senza dubbio Carlo Maria Sanseverino divenuto nel 1670 Conte di Saponaria e VII Principe di Bisignano. Sposato con la siciliana Maria Fardella, Principessa di Paceco, fu anche Preside della Regia Udienza di Basilicata. Ebbe 5 figli fra cui la celebre poetessa Aurora Sanseverino, nota nell’Arcadia romana come Lucinda Cortesia (nonna di Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, il più famoso alchimista del ‘700). Carlo Maria, oltre alla costruzione del Parco per gli animali selvaggi e la Peschiera in contrada Giardino (lungo la S.S. 103), ampliò il Castello che con lui raggiunse la sua massima estensione e magnificenza. Egli fece costruire ex novo l’ampio Salone di corte, che si affacciava sul Largo dello steccato (oggi Largo Umberto I) detto così dalla lunga pertica di legno a cui venivano legati i cavalli del Principe. Questo Salone è l’unica parte ancora rimasta in piedi del Palazzo feudale. Abolito il regime feudale, essendosi i Sanseverino di Saponara gravati di debiti, vendettero nel 1853 i residui beni rimasti alla nobile famiglia del posto i Giliberti, nella persona del Gran Priore della cattedrale di S. Nicola di Bari Giulio Cesare Giliberti. Il terremoto del 16 Dicembre del 1857, oltre a fare più di 2.000 vittime nel borgo, fece crollare anche l’intero castello, risparmiando in parte solo il salone di Corte fatto costruire da Carlo Maria Sanseverino. Gli ultimi discendenti dei Giliberti, i fratelli Vincenzo ed Andrea, a causa dei debiti contratti nella nascente industria ferroviaria, vendettero tutti loro beni e i ruderi del castello nel 1903 vennero smembrati, per il tramite del Tribunale di Potenza, fra vari compratori. Negli anni 2003-2008, la struttura residua, ormai gravemente danneggiata anche dal recente sisma del 1980, è stata acquistata dall’Amministrazione comunale e Carlo Maria Sanseverino restaurata. (F. Solimena) 3

la STRUTTURA ARCHITETTONICA La sua forma, piuttosto irregolare, a causa di interventi sporadici effettuati in varie epoche, assunse fra il 1670 e il 1700 le dimensioni che si vedono nella planimetria sotto riportata. Il castello (colorato in giallo) si allunga dall’attuale Largo Umberto I, contrassegnato con la lettera A sino alla casa della famiglia Caputi. La parte iniziale del castello era costituita da un lungo Salone di corte (divenuto poi scuderia) con due alte torri alle estremità (vedasi a pag. 7 foto di R. Mallet scattata nel 1858). Ancora oggi si notano le attaccature della torre di sinistra.

Planimetria del castello tratta dai disegni dell’ing. Pagliuca di Potenza. (1859)

La stampa più antica che possediamo del castello feudale è quella del 1680 che si conserva all’Archivio di Stato di Vienna (riportata a fianco). Possediamo inoltre altre due stampe: una del 1703 dell’Abate Giovan Battista Pacichelli (nell’opera Il Regno di Napoli in prospettiva e l’altra del 1729 inserita nelle Memorie del Saponarese Bonifacio Petrone (detto Pecorone) musiciStampa viennese del 1680

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sta e cantore della Real cappella di Napoli (sottoriprodotte).

Stampa dell’abate Pacichelli (1703).

Stampa di Bonifacio Petrone di Saponara (1729).

Nel catasto onciario del 1749 leggesi: “L’illustre Luiggi Sanseverino, Conte di questa Città di Saponara possiede un palazzo sopra duecento stabili per uso di abitazione, con giardino adiacente”. (Testo originale nella pagina successiva) Ai fini di una corretta comprensione del monumento occorre tenere presenti alcuni elementi, primo fra tutti quello che in origine il piccolo castello fortificato si arroccava sullo sperone di roccia al di sopra del Salone. Ad 5

esso si accedeva attraverso una scalinata di cui sono rimaste le tracce in via Roma sulla destra, dopo il predetto Salone. In quest’ultimo, come accennato in precedenza, fatto costruire intorno al 1665, si entrava sempre da via Roma attraverso un ambiente quadrato (acquistato dalla famiglia Manduca) e da esso si saliva anche ai piani superiori. L’attuale ingresso fu fatto costruire dai Giliberti dopo il terremoto del 1857. Lo si evince da una foto di R. Mallet del 1858 (sottoriportata) che ritrae la cosiddetta Porta di Corte (posta al centro di Largo Umberto I) in cui non si intravede alcuna entrata nel Salone. Il lungo salone in origine non era una scuderia bensi il Salone di rappresentanza dei Sanseverino di Saponara che da non molto erano diventati Principi di Bisignano. Gli affreschi ivi contenuti mal si adatterebbero ad un rifugio per cavalli.

Porta di corte. Nella foto non si intravede alcun cenno dell’attuale ingresso al Salone di corte (Foto Mallet)

Il terremoto del 1857 ridusse ad un ammasso di rovine tutto il borgo di Saponara ed in particolare il Castello di cui fu risparmiato, solo in parte, il Salone e la sua torre di 6

sinistra, mentre quella a destra si sbriciolò completamente. (Vedasi foto sottostante). Occorre precisare che già all’epoca del terremoto il Salone era stato da tempo trasformato in scuderia e Resti del castello Sanseverino (R. Mallet) precisamente da Giuseppe Leopoldo Sanseverino, figlio di Carlo Maria e suo successore, poco prima della morte del padre (1702 ?). Non ne conosciamo il motivo. Forse perché Leopoldo soggiornava costantemente a Napoli o Bisignano in Calabria, per cui il Feudo di Saponara era diventato marginale rispetto agli interessi politici ed economici della casata. L’Abate Pacichelli che aveva visitato il Feudo di Saponara per scrivere la sua opera “Il Regno di Napoli in prospettiva” entusiasta affermava che “Esso (castello di Saponara) confacevole a trattenere con comodo i più graduati Baroni (es)sendo diviso in dodici quarti posti in piano, coi soffitti a oro, e con le pareti addobbate di ricchissime tappezzerie, e scelte pitture. Vi ha teatro leggiadro per Drami musicali o commedie, diverse officine… guardaroba di suppellettili preziose, carrozza e seggia di raccamo co’ rapporti di coralli, valutate trentamila scudi”. In quel Teatro leggiadro (che probabilmente trovavasi ove oggi è il Bar Mary) il Principe Carlo Maria, allorquando si era sposata la figlia Aurora, aveva fatto rappresentare una sua commedia musicale intitolata “Eliodoro”. Il castello era costituito da quattro piani, come si evince dalle tre stampe sopra riportate. Era sormontato da un’alta torre detta Guardaroba, da cui “si poteva pascere la vista nelle cerulee acque dello lonio” (F. P. Caputi). Il Pacichelli aggiungeva anche che nel castello vi era una “curiosa scuderia per sessanta cavalli da maneggio, riguarda7

ti ciascuno a parte negli specchi e illuminati da un Lampiero (lampadario) di argento”. Oggi cosa rimane del primitivo castello? Solamente il Salone di Corte (divenuto poi scuderia): ambiente lungo mt.32, largo mt. 7, alto mt. 7, 05, con quattro archi che collegano le pareti longitudinali e ne rafforzano la stabilità. Esso, come detto in precedenza, è pieno di pitture e stucchi molti rovinati. Il restauro degli affreschi, interni ed esterni, è stato eseguito, in modo abbastanza corretto, nel 2009 dalla Ditta Regoli-Radiciotti di Roma. Il progetto di ricostruzione della struttura, invece, non ha rispettato, nella parte orientale la impostazione originaria e al posto nella parete che, dalla documentazione appariva con un lineare ordine di finestre, è stato inserito un enorme finestrone con arco a tutto sesto. E’ stata creata, inoltre, una scala in cemento armato per mettere in comunicazione la struttura con il giardino sottostante, mentre il collegamento prima avveniva attraverso la torre di destra. Attualmente il Salone-scuderia si mostra al visitatore con 36 nicchie ove sono affrescati degli angeli che reggono con la mano destra degli specchi (anch’essi dipinti) di stile veneziano. A questi specchi alludeva il Pacichelli e non a specchi reali. Il popolo di Saponara aveva soprannominato questi angeli “Specchioni di Venezia”. Tre nicchie furono eliminate per far posto (come è ben visibile) al vano del nuovo portone della scuderia (sono rimaste solo due semi-nicchie). Nella 2^ e 5^ nicchia della parete frontale, rispetto all’ingresso della sala, vi sono affrescate due scritte, sicuramente successive, e forse riferentisi a due cavalle, “EU-

Seconda nicchia 8

Quinta nicchia

ROPA” (o EAROPA) e “BAGASCIA” (dal normanno Bagasse=fantesca). Fra alcune nicchie e al di sotto di esse vi sono i segni dei muretti che delimitavano le poste dei cavalli. Peccato che i restauratori abbiano fatto sparire i buchi, al centro delle nicchie, prima ben visibili (preziosa testimonianza storica), ove erano infisse le maniglie alle quali venivano legate le cavezze dei cavalli. Inoltre la Ditta responsabile della ricostruzione ha eliminato le tracce della porta, (situata alla sinistra della parete che fronteggia l’ingresso) attraverso la quale da via Roma si accedeva nel Salone-scuderia. A sinistra del portone d’ingresso appaiono due immagini allegoriche (vedasi sotto) di cui la prima (con compasso e squadra) rappresenta l’ASTRONOMIA, la seconda, con sacco di sementi e pantaloni contadineschi, l’AGRICOLTURA.

Astronomia

Agricoltura

Al centro della parete ove è affrescata l’allegoria dell’Agricoltura, compare una nicchia, molto più grande delle altre, ove era collocata (secondo le notizie di Bonifacio Petrone, detto Pecorone) “…una statua di marmo di rara bellezza, ritrovata tra le ruine di Grumento e che dicono di Dea di Gentili di quei tempi”. Nella parte superiore delle pareti (circa a tre quarti) erano affrescati numerosi medaglioni riproducenti i busti di poeti, musicisti ed artisti in genere. Ciò ci da la certezza che all’origine il Salone non fosse una scuderia. Sembrerebbe ben strano che in un ambien9

te riservato ai cavalli venissero affrescate tali immagini. (Vedasi foto appresso) Alcune figure geometriche, in alto, risultano tagliate dal cassettonato. Ciò dimostra che l’altezza del Salonescuderia era maggiore. Sulla facciata esterna sono affrescati (vedasi immagine in copertina): un doppio scudo attraversato da una banda rossa in campo bianco e due palafrenieri che tengono a bada due cavalli. Lo stemma uffiMedaglione con ciale dei Sanseverino era poeta o musicista uno scudo con fascia rossa in campo bianco. I due scudi (uno all’interno dell’altro) stanno a significare che i Conti di Saponara nel 1622 furono insigniti dal Re di Spagna Filippo III del titolo di Principi di Bisignano, il Principato più importante del Regno che era rimasto senza eredi maschi. La fascia rossa in campo bianco sta ad indicare l’episodio della battaglia del 1266 di Grandella (Benevento) contro lo svevo Manfredi (che ivi morì) in cui Ruggiero II Sanseverino, Conte di Marsico e Saponara, che guidava le truppe di Carlo D’Angiò, per incitare i suoi alla riscossa, durante un momento difficile della battaglia, alzò la sua spada a cui aveva appeso la sua camicia (il campo bianco) macchiata di sangue (la banda rossa). L’episodio diede origine allo stemma dei Sanseverino. I due palafrenieri e i due cavalli hanno indotto molti a pensare che quell’ambiente fosse stato da sempre una scuderia. Niente di più falso. E’ noto che Ugo I, Conte di Potenza e di Saponara, allorquando nel 1390 venne incoronato Re del Regno di Napoli Luigi II D’Angiò (figlio adottivo di Giovanna I) si presentò in piazza Plebiscito con tutti gli altri Sanseverino sfilando con 1800 cavalli a dimostrare la loro potenza anche nei confronti del Re. Da quel momento l’immagine del cavallo divenne una sorta di secondo stemma della famiglia Sanseverino. 10

Che l’affresco sopra l’attuale ingresso del Salone-scuderia non fosse stato fatto per una scuderia, è dimostrato anche dalla eccentricità di esso rispetto al portone. Gli affreschi del castello furono eseguiti dal pittore grumentino Giovanni Perrone (antenato dell’onorevole Francesco Perrone, Sottosegretario nel Governo Nitti) e dal pittore calabrese Altobella. Lo stemma tradizionale dei Sanseverino lo troviamo (nei documenti e nei testi, come quello del Pecorone) costantemente affiancato allo stemma medioevale del borgo di Saponara. Di quest’ultimo si conserva un esemplare in pietra nell’orto degli eredi Perrone in via Roma, che trovavasi insieme a quello dei Sanseverino, appeso al Sedile dei Nobili in piazza Arciprete Caputi. La tradizione riportataci dal Ramaglia dice che sotto allo stemma di Saponara vi era incisa la seguente scritta: “ILLA EGO QUAE ALATIS NITEBAR TURRIBUS OLIM” (IO SONO QUELLA FAMOSA (CITTÀ) CHE UNA VOLTA RISPLENDEVA CON TORRI ALATE). Una recente perizia che si sta eseguendo nella parte nord-est del castello al 1° piano, al di sopra del Salonescuderia, sta portando alla luce alcune piccole stanze, che erano state sepolte dal crollo dei solai e delle mura. Esse sono completamente stonacate e non vi è alcuna traccia della magnificenza dell’epoca. Oggi il Salonescuderia fatto costruire da Carlo Maria Sanseverino sembra tornato a nuova vita. Difatti in esso si tenStemma medioevale gono incontri, convegni di Saponaria culturali e rappresentazioni teatrali. Di recente, precisamente l’8 Maggio 2010, è tornata a risuonare in esso la musica di una commedia della poetessa e Principessa Aurora Sanseverino. 11

Aurora Sanseverino (1669-1726). Principessa e poetessa di Grumento.

Realizzato da: Amministrazione Comunale di Grumento Nova Testo e immagini:

Vincenzo Falasca - Presidente dell’IRSAB

(Istituto Ricerche Storiche Archeologiche Basilicata) Per gentile concessione gratuita dell’Autore TecnoStampa - Villa d’Agri (Pz) 2010 12