Guida ai super robot. L'animazione robotica giapponese dal 1972 al 1980
 8862883293, 9788862883290

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Odoya Library 238

Jacopo Nacci

Guida ai Super Robot L’animazione robotica giapponese dal 1972 al 1980

O D O YA

2016 Casa editrice Odoya srl L’opera è concessa in licenza Creative Commons, CC (Attribution-No Derivative Works 3.0 Unported)

Impaginazione e copertina: Mauro Cremonini Redazione: Licia Ambu isbn: 978-88-6288-329-0 Ricerca iconografica a cura di Jacopo Nacci e Odoya srl Immagine di copertina e frontespizio: Cristian Giuseppone (Zer013) Odoya srl Via Benedetto Marcello 7 – 40141 Bologna www.odoya.it

Sommario

Avvertenza Introduzione

11 13

Capitolo 1

I giganti e il sogno Tetsujin 28

1.1 L’era arcaica Astroganger 1.2 Giganti di metallo pilotabili 1.3 La tecnica e il sogno

15 15 16 19 19 22

Capitolo 2

Japanium

Mazinger Z

2.1 Dominio della tecnica 2.2 La dimensione storico-politica dell’anime super-robotico

25 25 27 30

Capitolo 3

Quando si spalanca l’abisso del passato

Great Mazinger contro Getter Robot Getter Robot G

35 35 36 38 40 42 43 45 47 48

Great Mazinger contro Getter Robot G

49 51

Mazinger Z contro Devilman Getter Robot

3.1 Nuovi eroi 3.2 Nemici antichi

Mazinger Z contro il Generale Oscuro Great Mazinger

3.3 Tetsuya e Jun: lo spessore umano 3.4 Il militarismo come condizionamento mentale

Capitolo 4

La campana, la pietra e il dragone Jeeg

4.1 Madri che lavorano e campane di bronzo 4.2 Di cosa liberarsi 4.3 Nagai e la poetica della contaminazione

53 53 56 59 61

Capitolo 5

Di orfani, di alieni, di mondi 5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6

Raideen

Il dio-macchina dall’abisso del tempo Da Mazinger Z ai buchi neri Di varchi e allucinazioni Di guardiani del varco e mediatori di mondi Dall’amico immaginario al mediatore di mondi Ciclicità eterna e incremento dell’abisso

63 63 66 68 72 75 80 81

Capitolo 6

A space romance: Ufo Robot Grendizer Gattaiger Grendizer

6.1 La poetica del cosmo

Grendizer contro Great Mazinger 6.2 Vegatron e peso del mondo 6.3 Un cuore pensante: il caso Hikaru Makiba

Grendizer, Getter Robot G e Great Mazinger contro il dragosauro

85 85 87 90 93 94 97 99

Capitolo 7

Squadre, imperi e pacifismi: la politica del 1976 Gaiking

7.1 Gaiking: the super side 7.2 Gaiking: the real side Godam 7.3 Variazioni dell’abisso Groizer X 7.4 Sindrome d’assedio e bombardieri del Pacifico Diapolon 7.5 I dazaniani sognano spade giapponesi? 7.6 Il sole di lava e l’ansia di pacificazione 7.7 Di imperi, sol levanti ed energie Combattler V

101 101 103 105 108 109 111 113 115 118 120 122 124

Capitolo 8

Di qua dal varco: le psicologie delle squadre

8.1 8.2 8.3 8.4 8.5

Esplosione e concentrazione: il trio e la cinquina Entourage ed equipaggi: dall’abisso al real La divisione degli elementi: lo smilzo, il grosso, la ragazza e il ragazzino Shuriken dall’ombra: fenomenologia dello smilzo L’ombra del leader: lo smilzo come anti-abisso

127 127 131 133 135 138

Capitolo 9

Eroine, persefoni e madri abissali: i ruoli femminili nel 1976 9.1 9.2 9.3 9.4 9.5 9.6

141 141 Eroine generose ed eroi riluttanti 143 Gackeen 148 Ognuno al posto suo 150 L’amore a comando: il caso Gackeen 152 Il femminile demoniaco: generali, imperatrici, sirene, persefoni 156 Una finta madre, una regina del serpente, una terrificante madre abissale 158 Una mappatura comparata di Blocker Gundan e Groizer X 160 Mechander 163 Blocker Gundan

Capitolo 10

Dalla cosmogonia dell’abisso alle storie Daikengo

10.1 Più intreccio e meno mitologia Ginguiser Balatack 10.2 Due derive post-super-robotiche: Ginguiser e Balatack Danguard 10.3 I due abissi di Danguard 10.4 Il veterano, il nazi e il biondo maledetto Voltes V 10.5 Voltes V: l’antieroe tragico e la dialettica della storia Daimos 10.6 Il maschio collaborativo: General Daimos 10.7 La cosa morale: il guerriero d’acciaio e il nume

165 165 167 169 170 171 173 174 177 179 181 184 186 188

Capitolo 11

Zambot 3: l’abisso del nulla Zambot 3

11.1 Il soggetto Kappei 11.2 Il nemico peggiore di tutti i tempi 11.3 L’ordine gaizok 11.4 Il discorso gaizok 11.5 Invasione del corpo e invasione della mente: la biopolitica dell’abisso

193 193 196 199 201 204 208

Capitolo 12

Perseguitare l’abisso: il caso Daitarn 3 Daitarn 3

12.1 Il cielo rovesciato 12.2 Lo spettacolo 12.3 Stile e gigantismo 12.4 Banjō come abisso di Banjō 12.5 Banjō come gaizok 12.6 Perseguitare l’abisso 12.7 Androidi, cyborg, cloni: l’imitazione e lo specchio

211 211 213 214 217 219 221 223 226

Capitolo 13

Le soluzioni dell’abisso Daltanious

13.1 Il soggetto Kento 13.2 Il cuore e la spada 13.3 Non venga il tuo regno 13.4 L’impero e l’ombra Baldios 13.5 Baldios. Perdere contro l’abisso God Sigma 13.6 Una presa di coscienza

229 229 232 235 236 239 241 246 249 251

Capitolo 14

Crepuscolo degli dèi 14.1 Capitalismo, cospirazioni e polizia Gordian 14.2 Prolegomeni a ogni metafisica futura Ideon 14.3 Un’idea del bene Gundam 14.4 Newtype

255 255 257 259 262 264 266 270 273 277

Note Autori e staff in ordine di analisi Glossario Cronologia delle opere Ringraziamenti Indice dei nomi

279 285 287 291 293 295

Trider G7 New Tetsujin 28

a B.

Avvertenza I nomi dei robot sono scritti in tondo quando ci si riferisce ai robot, in corsivo quando ci si riferisce alla serie: Mazinger Z è il robot, Mazinger Z il manga o l’anime. Agli anime e ai manga ci si riferisce nominando il protagonista robotico: Muteki chōjin Zanbot 3 diventa Zambot 3 o Zambot. Nelle schede delle serie viene comunque riportato il nome esteso. I personaggi sono chiamati con i loro nomi originali translitterati nella versione più diffusa, storica o conosciuta. Dalle translitterazioni più diffuse, storiche o conosciute, ci si è tuttavia discostati laddove lo si sia ritenuto necessario, come nei casi della marchesa Janus/Yanus in Great Mazinger e di Labi/Rabi in Diapolon. Se un personaggio, un robot o un anime è conosciuto in Italia con un nome diverso dall’originale (per esempio Actarus piuttosto che Daisuke Umon) sarà riportato tra parentesi il nome italiano quando il personaggio, il robot o l’anime viene citato per la prima volta. In generale, su tutto, si è deciso caso per caso, cercando il miglior compromesso tra coerenza e buon senso. Le schede sulle serie tengono conto della versione anime e non sono inserite in ordine strettissimamente cronologico, quanto connesse all’argomento di volta in volta trattato. Viene comunque fornita in appendice una cronologia delle prime trasmissioni televisive giapponesi, nella quale, accanto a ogni voce, sarà indicata la pagina in cui compare la relativa scheda. Questa è una guida alle opere, non agli autori, ma per quanto riguarda le poetiche evidenti di autori fondamentali ci si concede a volte il lusso di contemplare un eventuale percorso interpretativo complessivo. In ogni caso si interrogano i testi e non gli autori, quindi non si tiene conto della volontarietà o involontarietà, della consapevolezza o inconsapevolezza delle implicazioni delle scelte narrative. È possibile che alcune interpretazioni qui fornite abbiano radici nello sguardo occidentale e personale dell’autore. Tuttavia, fatto salvo il buon senso, le opere veicolano senso, e non smettono di veicolarlo quando a osservarle è un occidentale, tanto più che le caratteristiche su cui ci si concentra sono quelle coinvolte nell’universale esperienza umana della percezione delle cose. E per il resto pazienza: ogni sguardo è personale.

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Guida ai super robot

Chi scrive è contrario ai corsivi che non abbiano un puro valore enfatico o non indichino il titolo di un’opera: i corsivi sulle parole straniere, così come le virgolette, danno sempre l’idea di un certo provincialismo; insomma, se quella parola la usi, entra di diritto nella tua lingua. Tuttavia anime (intendendo con questo termine i cartoni animati giapponesi) sarà scritto in corsivo per non confonderlo con il plurale di “anima”. E dato che chi scrive odia le asimmetrie ancora più di quanto odii i corsivi non enfatici, manga, tokusatsu, kaijū eiga, super sentai, kyodai hero e live action saranno ugualmente scritti in corsivo (un glossario di questi termini si trova in fondo al libro). Anime e manga non sono i soli prodotti legati ai super robot: di primaria importanza è il mercato dei modellini. L’esplosione del genere super robot fu talmente intrecciata al mercato dei modellini che spesso i robot venivano commissionati agli autori dalle case di produzione di giocattoli, anche se poi queste non avevano pressoché alcuna voce in capitolo sulle storie. Per questa parte della questione si veda la Japanese Animation Guide, commissionata dall’Agenzia per gli affari culturali del Giappone e liberamente scaricabile all’indirizzo: http://mediag.jp/project/project/images/JapaneseAnimationGuide.pdf

INTRODUZIONE Per quale motivo questa guida ai super robot giapponesi prende le mosse dal 1972? Perché prima del 1972 non esiste un genere “super robot”. Certo, la fantascienza giapponese aveva già conosciuto i robot. Ma il super robot è una figura specifica, a sé stante, che si afferma solo a partire dal 1972, cioè da quando inizia a essere protagonista di una produzione animata che dà vita a un genere. L’anime del 1972 che fonda il genere super robot è Mazinger Z. E va bene, ma per quale motivo questa guida si conclude con il 1980? I cartoni e i fumetti di robottoni esistono anche oggi. Vero, ma l’anime super-robotico sviluppa un suo tema centrale, e l’evoluzione di questo tema trova una forma di compimento narrativo con due opere del 1980: God Sigma e Baldios. Non solo: dopo il 1979-1980 l’anime robotico introduce diversi gradi di un realismo prima impensabile; questo accade sia per una sua evoluzione interna e sia in conseguenza dell’uscita di Mobile Suit Gundam, considerata la prima serie di genere real robot. Dopo Gundam è difficile pensare l’anime robotico come lo si pensava prima; è per questo motivo che oggi distinguiamo tra super robot e real robot: quel “super” indica un’impronta mitologica e soluzioni narrative che tendono al fantastico, assenti dalla narrativa di guerra pura dei real robot. Ogni apparizione del super robot successiva agli anni Settanta non potrà che risultare accompagnata da spirito rievocativo, o da distanza ironica, o da necessità di giustificare nella storia, in termini magici o teologici, ciò che negli anni Settanta era raccontato con l’immediatezza del sogno. Ma allora ci sono dei tratti tipici delle storie di super robot che hanno tutte le storie di super robot e che hanno solo quelle? Ci sono tratti e temi tipici, ma non tutti appartengono a tutte le storie super-robotiche, e alcuni appartengono anche a storie non super-robotiche (per

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Guida ai super robot

esempio ai manga di Mitsuteru Yokoyama come Giant Robot o Babil Ni-Sei e alle serie dei tecnocombattenti della Tatsunoko, come Kyashan, Gatchaman, Tekkaman o Polymar). Quello che possiamo dire è che c’è una galassia narrativa che inizia a formarsi nel 1972, scopre una sua vocazione intorno al 1975, vede la canonizzazione di una particolare struttura narrativa nel 1976, si precisa nel 1977 rielaborando con maggior rigore le tracce classiche o divergendone consapevolmente, e chiude la sua parabola alla fine degli anni Settanta portando a compimento con soluzioni narrative diverse i suoi temi più caratteristici, se vogliamo il suo nucleo tematico centrale. Questa guida prende in considerazione solo gli anime? Sì. La produzione robotica dell’epoca è soprattutto animata, e benché esistano storie che hanno avuto anche versioni manga, precedenti o successive alla versione animata, non esistono manga super robotici maggiori che non siano stati trasposti in anime. Va tuttavia segnalato che i personaggi degli anime creati da Gō Nagai e dal suo staff sono protagonisti di versioni manga, a volte più d’una per lo stesso protagonista, che raccontano storie spesso molto diverse dalla corrispettiva versione animata. Ma insomma, cosa sono questi super robot, e quali sarebbero questi temi tipici, questo nucleo tematico centrale? Non resta che iniziare il viaggio.

1 I GIGANTI E IL SOGNO Tetsujin 28 Titolo originale: Tetsujin 28-gō TCJ Video Center. 97 episodi. 20 ottobre 1963 - 25 maggio 1966 Titolo italiano: non disponibile

U

ltimi giorni della Seconda guerra mondiale: il dottor Shikishima e il dottor Kaneda lavorano a un’arma segreta che possa salvare il Giappone dalla disfatta. Al ventottesimo tentativo riescono finalmente ad assemblare un gigantesco robot perfettamente funzionante e controllabile tramite un telecomando. Il colosso viene battezzato Tetsujin 28. Ma è troppo tardi: la guerra è persa. Il dottor Kaneda morirà di scompenso cardiaco, e il robot verrà affidato a suo figlio Shōtarō, un ragazzino di dodici anni. Cominciano così le avventure di Shōtarō e Tetsujin, che combatteranno per la giustizia salvando diverse volte il mondo da scienziati malvagi e organizzazioni criminali, ma anche da extraterrestri ostili.

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1.1 L’era arcaica Il classico robottone giapponese, con le sue caratteristiche tipiche, è ormai un personaggio stabile dell’immaginario collettivo: è un gigante di metallo di notevole potenza distruttiva; è pilotato dall’interno dall’eroe della storia; quando l’eroe attiva specifiche armi ne grida il nome; l’eroe e il robot difendono la Terra da un nemico che vuole conquistarla; questo nemico invia sulla Terra diversi mostri, anch’essi giganteschi, che puntualmente il robot annienta; i mostri vengono mandati sulla Terra uno dopo l’altro, uno per ogni episodio. A ben guardare, più che con un concetto semplice, abbiamo a che fare con un complesso di elementi diversi, alcuni relativi alla natura del personaggio, altri ai temi della storia, elementi spesso indipendenti l’uno dall’altro dal punto di vista strettamente logico, ma che diamo per scontato di trovare insieme per via dell’abitudine che abbiamo fatta a un certo filone narrativo: l’animazione super-robotica.1 Per arrivare a questo canone se ne è fatta di strada. Diamo un’occhiata alla galleria di colossi di ferro che compaiono nel fumetto giapponese prima della nascita di Mazinger Z (1972). Il primo gigante di ferro in cui ci imbattiamo è il protagonista di una vignetta propagandistica di Ryūichi Yokoyama (da non confondere con Mitsuteru Yokoyama) che compare sulla rivista Manga nel 1943: Il guerriero della scienza appare a New York. Ryūichi Yokoyama, Il guerriero della scienza appare a New York.

1 – I giganti e il sogno

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Tredici anni dopo, nel 1956, esce il primo fumetto seriale che veda protagonista un robot gigante: Tetsujin 28-gō di Mitsuteru Yokoyama, trasposto in anime nel 1963. Tetsujin è controllato con un telecomando da un essere umano, un ragazzino, Shōtarō. In Tetsuwan Atom (Astro Boy in Italia), il capolavoro di Osamu Tezuka che uscirà in manga dal 1952 al 1968 e che vedrà diverse trasposizioni animate e live, il piccolo androide se la deve vedere spesso con robot giganti,2 ma soprattutto nel 1959 Tezuka inventa il Majin Garon, un robot proveniente dallo spazio; il Majin Garon ospita all’altezza del cuore un ragazzino androide che gli funge da chiave di attivazione, e viene inviato a testare la bontà dei terrestri. Poi c’è Numero 13 (13 gō Hasshin seyo, 1959) di Yoshiteru Takano, controllato esternamente, e che rispetto a Tetsujin vive avventure più in linea con la tradizione del fantastico. Nel 1962 torna Yokoyama con Tetsu no Samson: la fonte di energia di Samson è un meteorite che porta nel petto, e viene pilotato mediante un orologio da polso; il gigante se la dovrà vedere, tra gli altri, con Tsumamina no.1, forse il primo robot terrestre pilotato dall’interno, da una cabina posta nel petto. Nel 1965 abbiamo il primo gigante di metallo trasformabile in astronave: Magma Taishi di Osamu Tezuka, protagonista di un manga trasposto in tokusatsu l’anno successivo (tokusatsu significa “effetti speciali”, è il nome generico dei live action fantascientifici). Magma è un gigante di metallo senziente e non pare ascrivibile alla categoria dei robot. Di Yokoyama è il primo robot alieno controllato da un terrestre, Midori no Maō (1965): scoperto in Amazzonia, in una piramide, Maō era stato inviato a recuperare alcuni esploratori alieni naufragati sulla Terra in epoca preistorica, ed è controllato telepaticamente dal giovane orfano Wataru tramite un grosso anello da indossare in testa (del tutto simile a come viene spesso rappresentato quello del leggendario scimmiotto Son Gokū). Sempre nel 1965, in un episodio del manga Mutant Sabu di Shōtarō Magma Taishi, una copertina del manga.

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Il robot con la cabina nella testa che compare in Mutant Sabu di Ishinomori.

Ishinomori, il giovane protagonista affrontava un robot gigante pilotato da un umano e la cabina di pilotaggio si trovava nella testa del robot.3 Nel 1967, in un episodio del tokusatsu Ultraseven, vengono inviate a conquistare la Terra quattro navette aliene che possono unirsi formando il robot gigante King Joe. Sempre nel 1967 Yokoyama crea Giant Robot, un gigante a motore nucleare costruito dall’organizzazione Big Fire per conquistare il mondo, che per errore cade nelle mani di Daisaku Kusama, il quale ne diventa il pilota, dato che Giant Robot riconosce come suo unico signore la persona cui appartiene la prima voce che sente: infatti è controllato tramite messaggi vocali. In Giant Robot compaiono per la prima volta tre robot con specifiche ambientali diverse: se il GR1 è progettato per combattere a terra, il GR2 e il GR3 sono pensati per il cielo e il mare. Finalmente, nel 1969 Yokoyama dota il suo Muteki Gouriki di una cabina di pilotaggio inserita nella testa e persino di pugni a razzo, tuttavia nel 1971, in Babil Ni-Sei, torna a far muovere il gigantesco Poseidon in base alle indicazioni esterne del giovane protagonista. Un anno dopo, il 4 ottobre 1972, due giorni dopo l’uscita del manga di Mazinger Z, fa la sua comparsa in tv Astroganger, un anime della Knack Productions ideato da Tetsuhisa Suzukawa: Ganger è senziente e forgiato dal metallo vivo, e ospita nel suo petto il piccolo Kantarō; Ganger è infatti un dono della madre aliena di Kantarō, scappata sulla Terra durante la devastazione del suo pianeta e morta per i postumi dei raggi da cui fu colpita in quell’occasione.4 Ognuno dei giganti di metallo di questa valanga ha qualcosa che ci rimanda alle categorie che conosciamo: c’è quello pilotato dall’interno, c’è quello che combatte gli alieni, c’è quello giusto che compare una volta sola. Poi ci sono temi che i frequentatori più assidui del genere riconosceranno: c’è il robot che viene dallo spazio, c’è il pilota orfano, c’è perfino un orfano di ascendenza aliena. Eppure sentiamo che a ognuno di questi robottoni manca qualcosa per essere davvero un super robot, come se avessimo bisogno che determinate caratteristiche comparissero tutte assieme, e stabilmente.

1 – I giganti e il sogno

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Astroganger Titolo originale: Asutorogangā / Astroganger Knack Productions. 26 episodi. 4 ottobre 1972 - 28 marzo 1973 Titolo italiano: Astroganga / Astroganger

I

blaster, un popolo formato da individui pressoché indistinguibili tranne per il numero gerarchico sulla fronte, sopravvivono distruggendo un pianeta dopo l’altro per depredarlo dell’ossigeno. Durante un attacco dei blaster al pianeta Kantharos, una scienziata di Kantharos, Maya, ingegnere del centro di ricerca nella fonderia di metalli speciali, riesce a fuggire sulla Terra, recando con sé un blocco di metallo vivente. Maya sposa un terrestre e i due hanno un figlio: Kantarō (Charlie in Italia). Purtroppo Maya muore a causa dei postumi dei raggi dei blaster quando Kantarō è ancora piccolo. Ma prima che ciò accada lei e il marito hanno depositato il blocco di metallo a ridosso della bocca di un vulcano sottomarino. È così che nasce e cresce Ganger, gigante senziente di metallo, nel petto del quale il piccolo Kantarō potrà trasfondersi sotto forma di scintilla di energia ogni volta che vuole, senza che con ciò le due personalità si mescolino. Inizia la lotta di Ganger e Kantarō contro i blaster, che terminerà nello spazio, con l’estremo sacrificio di Ganger e il ritorno di Kantarō sulla Terra.

1.2 Giganti di metallo pilotabili Assodato che due caratteristiche essenziali del super robot sono la natura artificiale e il gigantismo, cerchiamo di capire cos’altro ci manca per avere un robottone classico. Innanzitutto dovremmo distinguere tra l’automa e l’eteroma: il primo

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si muove da solo, il secondo è mosso. In particolare l’automa può muoversi da solo grazie a un mero meccanismo cibernetico o perché è dotato di coscienza e volontà; certo è difficile capire dove sta il confine: basta guardare la varietà degli esseri viventi; tuttavia questa distinzione non dovrebbe interessarci dato che il tipico super robot che tutti conosciamo è un eteroma, infatti si muove solo per l’intervento di qualcuno, e dunque non può che essere incosciente. O no? No. Molti super robot dell’era classica che non ci sogneremmo mai di escludere dalla categoria, come Raideen, Daikengo, Balatack e Ideon, mostrano la strana particolarità di essere eteromi anche se sembrano possedere un barlume di coscienza. Per non parlare di super robot indubbiamente eteromi e non coscienti che presentano un particolare assolutamente inspiegabile: le espressioni facciali di Boss Robot, Daitarn, Trider e talvolta di Daltanious (Daimos ha un pilotaggio analogico che potrebbe spiegare l’espressione facciale). Potremmo allora decidere che l’incoscienza non è una caratteristica discriminante, e che lo è solo il fatto di essere mossi dall’interno da un agente che non coincide con loro stessi. Così dovremmo esserci. E invece no. Jeeg e Gackeen non solo sono coscienti: si muovono per volontà propria, il secondo addirittura con due volontà unite; in loro l’agente

1 – I giganti e il sogno

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coincide con loro stessi. Sono super robot? Assolutamente sì. Allora potremmo dire che i super robot accolgono comunque delle persone al loro interno, sia che queste persone li pilotino da una cabina (e già questo esclude dalla categoria pressoché tutti i giganti di 1.1 tranne il Muteki Gouriki), sia che infondano la propria essenza nella macchina. E invece no: Balatack, del 1977, è guidato dall’esterno, mediante comandi espressi verbalmente e telepaticamente che il robot sembra addirittura processare con una sorta di mente. A rigor di logica Balatack dovrebbe essere più lontano dal concetto di super robot di almeno la metà dei proto-super robot della carrellata esibita in 1.1. Perché allora Balatack è contemplato nella nostra guida mentre Muteki Gouruki no? Perché Balatack esce nel 1977 e si appoggia a un immaginario che il pubblico ha imparato a conoscere e che è in voga proprio in quegli anni, un immaginario di cui alcuni degli stessi super robot senzienti e autonomi o eteronomi e semisenzienti che abbiamo nominato prima sono pietre angolari: se li eliminassimo, la categoria ne uscirebbe decimata e impoverita all’inverosimile, e avvertiremmo un confine davvero arbitrario tra chi è rimasto dentro e chi è finito fuori. Potremmo forse parlare oggi di super robot senza Jeeg? Senza Daikengo? Senza Daltanious? Sembra un’assurdità. Detto in altri termini: Balatack, così come Jeeg, Daitarn e tutti gli altri anime prodotti dopo il 1972, sanno che esiste l’anime super robotico, e ne rappresentano una consapevole deviazione, una volontaria violazione delle regole. Questo non vale per Tetsujin 28-gō, Midori no Maō e Muteki Gouruki, nati prima, sporadicamente, sperimentalmente e fuori dal filone di riferimento. Il fatto è che non abbiamo criteri indefettibili e confini millimetrici per poter stabilire con la massima precisione cosa è un super robot, possiamo solo affidarci allo spirito di un’epoca, il che significa fare i conti con delle somiglianze di famiglia e prendere in considerazione non soltanto le caratteristiche del gigante di metallo ma anche, se è il caso, alcune costanti narrative. In che senso? Facciamo un passo indietro. Astroganger non sembra possedere dal punto di vista tecnico nessun vantaggio sui suoi arcaici predecessori. Infatti Ganger è

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una massa di metallo senziente e parlante, e non è ben chiaro come sia organizzato internamente, ma soprattutto il ragazzo non ne è il pilota: Kantarō viene assorbito nel petto di Ganger stabilendo con lui una sorta di connessione emotiva, nella quale le due coscienze non si mescolano, ma senza la quale il gigante di metallo sembra essere più imbranato e avere meno forza e meno volontà. Eppure Astroganger viene spesso riconosciuto insieme a Mazinger Z come alfiere dell’alba dell’era super-robotica. E ci sono ottime ragioni. Ciò che Astroganger fa con qualche anno di anticipo rispetto al cuore del filone super-robotico è portare in scena la condizione di semi-orfano e semi-extraterrestre di un ragazzo il cui genitore alieno ha vissuto sul proprio pianeta la catastrofe che al momento della storia si sta abbattendo sulla Terra e contro la quale Ganger si batte sconfiggendo in ogni episodio un mostro inviato dagli invasori. Adesso può sembrare strano, ma più avanti, proprio grazie a questi motivi strettamente narrativi, Astroganger ci sembrerà in grado di accreditarsi uno statuto super-robotico ragionevole quanto quello di altri colleghi più tecnologici, non senzienti e pilotati da indomiti eroi dello spazio. Ora è il momento di cominciare davvero. Facciamo solo un ultimo, minuscolo passo indietro: al 1965 e a quell’episodio di Mutant Sabu di Ishinomori nel quale un umano pilotava un robot da una cabina situata nella testa del colosso, una cosa mai vista. Con Ishinomori, proprio dal 1965, lavorerà per tre anni, in qualità di assistente, un giovane fumettista, che si farà chiamare con il nome d’arte di Gō Nagai. Mazinger Z di Gō Nagai esce in versione manga il 2 ottobre 1972, e il primo episodio della versione anime, prodotta dalla Toei Animation, sarà trasmesso il 3 dicembre 1972.

1.3 La tecnica e il sogno La carrellata di proto-super robot vista prima e il mondo di film e telefilm pullulanti di giganti in latex e mostri di gomma sono il brodo primordiale dal quale, all’inizio degli anni Settanta, emerge la forma definita del super robot. Rispetto a molti colossi arcaici dei manga, alla natura quasi alchemica di Ganger, alle situazioni dei live action5 – nei quali diversi esseri di natura indefinibile e gli stessi limiti degli effetti speciali alimentano la sensazione di imprecisione o ambiguità tecnologica – Mazinger Z di Gō Nagai introduce una nuova consapevolezza dell’era della tecnica, una razionalizzazione, una riduzione del gigante di ferro a macchina scientifica, inerte e controllabile, progettata e costruita

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dalla scienza dell’essere umano: tutto ciò è intuibile immediatamente dal tenore della storia, dalle soluzioni narrative e da una serie di accorgimenti estetici, primo fra tutti l’assenza delle pupille nel robot, una caratteristica non così diffusa precedentemente e che da questo momento si imporrà come standard. L’assenza delle pupille rappresenta l’espulsione dell’ultimo tratto magico. Il super robot, dunque, nasce ponendo al centro la questione della tecnica. Tuttavia, proprio mentre si svolge questa operazione, che potrebbe essere letta come il frutto di una inedita volontà di realismo e l’indizio di una maggiore dimestichezza con le questioni tecnologiche, assistiamo al sorgere di caratteri irrazionalisti nuovi, diversi dalle ingenuità delle opere precedenti, caratteri irrazionalisti più sottili e più subdoli: con il Mazinger Z di Nagai, il robot assume tratti estetici demoniaci, come se la sua riduzione a macchina e il controllo potenzialmente totale che su di essa può essere esercitato non facessero che nascondere ancora di più una sua natura minacciosa. Insomma, mentre si riconduce il robot al suo statuto di oggetto inanimato, emerge un’angoscia nuova, ed emerge proprio da questa riduzione del robot a oggetto: è sufficiente guardare la sequenza in cui il Mazinger sale dalla piscina, quando ancora l’Ho-

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ver Pilder non si è agganciato, per rendersi conto che, fondando il super robot classico, Nagai scopre qualcosa di perturbante. Forse dobbiamo prendere seriamente in considerazione la possibilità che con Mazinger Z Nagai faccia qualcosa di più dell’introdurre qualche peculiarità che farà canone, e che sia questo qualcosa di più a dare vita al genere dei super robot: è qualcosa che vive nelle tavole secche e furiose del suo manga, nei cieli lisergici e nelle inquadrature dell’anime, nelle forme minacciose del suo robot e nella mostruosità dei suoi nemici, nelle continue allusioni sessuali, nella violenza che innerva ogni sua visione, nella suggestione terrificante del metallo e della tecnica. È qui che Gō Nagai fa sorgere qualcosa di potente, di primordiale, quasi terrorizzante, che si sintonizza immediatamente con l’inconscio e l’immaginario di chi assiste alle sue apocalissi. Se dunque il super robot nasce ponendo la questione della tecnica, è in questo modo che la pone. Perché la questione della tecnica non è una questione meramente tecnologica, l’anime super-robotico non ci dirà come funziona realmente un robot gigante: ci parlerà del nostro rapporto con la tecnica in generale, della nostra tendenza a controllare e manipolare le cose, di come la tecnica possa trasformare noi stessi in cose, perché ne abbiamo troppa fame o perché capitiamo nelle mani di chi ne ha troppa fame, di come i soggetti possano tragicamente diventare oggetti. Per farlo spalancherà un varco su un mondo popolato da un passato che torna per fare di noi cose morte, automi, mezzi: perché il nostro stesso passato, ciò che siamo stati, a volte dispone di noi come fossimo oggetti; perché la parte di noi che vorremo lasciarci indietro non vuole morire, vuole uccidere noi, la nostra evoluzione, inchiodarci per sempre a lei. E l’unico modo di difendersi dal passato mortifero che abita l’abisso al di là del varco sarà affidarsi a un guardiano figlio della tecnica, un mediatore di mondi, e quindi una creatura divina. È per questo che, proprio mentre nasce mettendo in scena apertamente la tecnologia, l’anime di super robot già si distingue per qualità mitologiche: racconta per simboli, astrazioni, visioni, richiede allo spettatore una sospensione del pragmatismo e dell’incredulità, non tanto per il tipo di tecnologia escogitata, quanto per il modo in cui l’esistenza di questa creatura tecnologica si dispiega nel mondo in cui la sua storia è ambientata. Il suo modo di stare in quel mondo, come quella creatura è percepita, che effetti crea: qui sta la differenza tra il super robot e il real robot.

2 JAPANIUM Mazinger Z Titolo originale: Majingā Z / Mazinger Z Toei Animation. 92 episodi. 3 dicembre 1972 - 1º settembre 1974 Titolo italiano: Mazinga Z

E

splorando l’isola di Bardos, nell’Egeo, il dottor Jūzō Kabuto e il dottor Hell (Inferno, nell’adattamento storico italiano) rinvengono ciclopici manufatti che testimoniano di un’antica tecnologia bellica risalente ai micenei. Intuendo che Hell è intenzionato a servirsi di quella tecnologia per scopi di potere, Kabuto costruisce Mazinger Z: un robot gigante in superlega Z, una lega a base di japanium, un elemento che Kabuto ha scoperto sotto il monte Fuji. Mazinger Z è dotato di un motore a energia fotonica, una risorsa più pulita dell’energia atomica, e che viene ottenuta dal trattamento del japanium. Il Mazinger Z è pilotabile mediante una navetta, l’Hover Pilder, che si incastona nella testa del robot.

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Nel frattempo Hell se ne sta rintanato nella sua fortezza a Bardos insieme al suo subalterno, il barone Ashura, un individuo ottenuto da due metà umane, e al suo corpo militare, le Maschere di ferro, dei cyborg dal cervello manipolato; qui Hell costruisce bestie meccaniche sulla base della tecnologia micenea e trama la conquista del mondo. Se riuscisse a impossessarsi del japanium i suoi mostri diverrebbero invincibili. La sua prima mossa è inviare Ashura e le Maschere di ferro ad assassinare Jūzō Kabuto. Ashura uccide prima Rumi, collaboratrice domestica di casa Kabuto, poi rintraccia il rifugio dello scienziato e lo fa saltare in aria. Ma prima di morire schiacciato dalle rovine della sua villalaboratorio, Jūzō Kabuto viene trovato dai suoi due nipoti, i figli del suo defunto figlio Kenzō: il maggiore, Kōji (Ryo nell’adattamento italiano) e il minore, Shirō. Kabuto fa in tempo a lasciare il Mazinger Z ai due ragazzi. Il sedicenne Kōji viene così in possesso dell’unica arma in grado di battere le bestie meccaniche di Hell, ma ora la prospettiva dei due ragazzi, che già avevano perso i genitori in un incidente, è quella di ritrovarsi soli al mondo. Fortunatamente entrano subito in contatto con un collaboratore del nonno, il dottor Yumi, che dirige l’Istituto di ricerche sull’energia fotonica, e con sua figlia Sayaka, che pilota il robot Afrodite A. All’Istituto lavorano anche i tre assistenti di Yumi: il dottor Nossori, il dottor Sewashi e il dottor Morimori, che si occuperanno soprattutto delle riparazioni del Mazinger. Morimori inventerà l’Iron Cutter, la doppia lama laterale che andrà a potenziare il pugno a razzo di Mazinger. Purtroppo il simpatico scienziato morirà in un agguato nella seconda metà della serie. Kōji impara faticosamente a controllare la potenza di Mazinger Z, e la storia racconta i ripetuti scontri tra il gigante di japanium e i mostri di Hell. Nel corso della serie lo spettatore fa la conoscenza di Boss, la spalla comica che più avanti sarà dotata del goffo robot Boss Borot, costruito dai tre assistenti di Yumi e pilotato da Boss insieme ai suoi compari-schiavi Nuke e Mucha; il Mazinger viene reso in grado di volare con il Jet Scrander, un razzo alato che si aggancia sulla schiena del robot, e nella seconda metà della serie l’Hover Pilder, dotato di eliche, viene sostituito dal più pratico Jet Pilder; l’Afrodite A di Sayaka viene rimpiazzata dalla più potente Dianan A, alla cui testa la ragazza accede con una moto che funge da cabina di pilotaggio, la Scarlet Mobile (come Afrodite, però, anche Dianan non è munita di mezzi per volare). Anche sul fronte nemico assistiamo a diversi cambiamenti nel corso della serie: compare un nuovo scagnozzo di Hell, il conte Blocken, il nazista che si tiene la testa in mano, e con il quale Ashura entra in competizione; assieme a Blocken arrivano la sua divisione militare, le Croci di ferro, e la Ghoul (Guru in Italia), la sua fortezza volante; Hell sposta la sua base sull’Isola Inferno, a largo della penisola di Izu; il folle scienziato stipula poi un accordo con un personaggio persino più pericoloso di lui, l’arciduca Gorgon, un rappresentante del popolo miceneo del sottosuolo: Gorgon fornirà a Hell mostri più potenti, le bestie meccaniche mistiche. Mentre ci si avvia al finale di serie, il barone Ashura, frustrato dai ripetuti fallimenti, attacca l’Istituto con la sua fortezza sottomarina Budō, ma muore per le ferite riportate nello scontro con Mazinger; in compenso Hell

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si dota di un nuovo scagnozzo, il visconte Pigman, l’uomo ottenuto innestando un corpo di pigmeo su quello di un masai, che però dura appena quattro episodi e viene ucciso. Siamo ormai al finale di serie. Mazinger, Dianan e Boss attaccano l’Isola Inferno: tuttavia Mazinger è trascinato sul fondale marino da una bestia meccanica e Kōji sviene; il ragazzo è allora preda di allucinazioni: si vede braccato dal suo stesso robot, finché nei suoi pensieri non irrompono il nonno e i genitori, che lo incitano a fare affidamento su Mazinger Z, unico garante della pace. Kōji si riprende, la bestia meccanica lo insegue fuori dall’acqua e il Mazinger la elimina. Sull’isola, Dianan se la sta vedendo con un’altra bestia meccanica, che ha già messo fuori combattimento Boss. Mazinger interviene, e mentre è ancora impegnato con il mostro, Hell gli scatena addosso carri armati e missili, ma non c’è niente da fare, Mazinger Z distrugge tutto. Tutto questo mentre Gorgon non fa nulla per aiutare Hell e Blocken, che si vedono costretti a salire in fretta e furia sulla Ghoul e tentano di lasciare l’isola. Ma Kōji intende chiudere la questione una volta per tutte, insegue in volo la Ghoul e la distrugge, uccidendo anche Hell e Blocken. La guerra è finita. Tuttavia nell’ultimo episodio, mentre gli eroi festeggiano, i micenei guidati dall’Imperatore delle tenebre e dal suo esecutore, il Generale Oscuro (il Generale Nero del Grande Mazinga italiano), attaccano con due mostri meccanici. Boss, Dianan e Mazinger vengono praticamente spazzati via. È allora che dalla Fortezza delle scienze un redivivo Kenzō Kabuto, figlio di Jūzō e padre di Kōji e Shirō, interviene inviando il pilota Tetsuya Tsurugi a bordo del Great Mazinger, un robot in NewZ che sbaraglia i nemici. Al termine dell’episodio, Kenzō rivela a Yumi la sua identità: racconta di come, dopo un terribile incidente, suo padre Jūzō lo abbia salvato trasformandolo in cyborg; il corpo di Kenzō Kabuto è ora interamente metallico, solo la testa, con la pelle ricucita, ha un aspetto umano, e l’unico organo originale che il dottore ancora conserva nel suo corpo è il cervello. Kabuto prega Yumi di non rivelare la sua identità a Shirō e Kōji. Mazinger Z si chiude con Kōji e Sayaka in viaggio di studi verso l’America. Da questo momento a occuparsi del nemico sarà il Great Mazinger.

2.1 Dominio della tecnica Con Mazinger Z diventa fondamentale il tema della tecnica, o, potremmo dire, del dominio della tecnica, inteso sia come padronanza della tecnica, sia – al contrario – come dominio sull’umano da parte della tecnica o dominio esercitato mediante la tecnica. Dato che la tecnologia è il simbolo principale della tecnica, Mazinger Z introduce l’ambiente più consono al tema: la base, vero e proprio castello dello scienziato, e spesso degli eroi. Protetta all’occorrenza da una barriera di energia, la base ospita in modo permanente il robot

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Mazinger Z con il Jet Scrander; Koji Kabuto.

e i suoi moduli, e diviene da questo momento l’ambiente centrale dell’anime super-robotico: è l’alcova del gigante di metallo ed è l’unico spazio in cui la tecnica sembra realizzarsi senza presentare un aspetto negativo; non a caso, è anche l’unico spazio dove il super robot è inattivo. Per il super robot, infatti, le cose non sono così limpide. Prima di morire, Jūzō Kabuto dice al nipote che, con Mazinger Z, Kōji potrà trasformarsi in un dio o in un demone.6 Subito dopo, un avventato Kōji sale sul robot e, non riuscendo a controllarlo, rischia di uccidere il fratellino Shirō: all’eroe si chiede attenzione e disciplina, perché ha il gravoso compito di divenire l’umanità, la testa, la ghiandola pineale del robot, imparando a dirigerne la potenza.7 Questa funzione cerebrale dell’eroe si riflette in un suo rapporto con il super robot che è molto più immediato di quanto si potrebbe pensare: non solo, come è noto, il pilota subisce in prima persona gli attacchi che colpiscono il robot (il che è anche spiegabile in termini fisici: i colpi ricevuti sbalzano, e i raggi si propagano), ma al pilota si richiede esplicitamente forza fisica e mentale, come in Getter

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Robot. Inoltre moltissimi eroi delle saghe super-robotiche praticano uno sport con risultati notevoli, e non è raro che vi sia una corrispondenza mimetica tra la preparazione sportiva dei protagonisti e i movimenti richiesti al robot o le strategie da usare in battaglia; spesso questa preparazione sportiva aiuta a sviluppare la capacità di concentrazione richiesta al pilota. Se dunque l’eroe disciplina se stesso per dominare la tecnica, dal canto suo il nemico non solo è animato dalla fame di potere – e la tecnica è la suprema forma di potere – ma appare invaso dalla tecnica, anche visivamente: l’ermafrodita Ashura, il decapitato Blocken, il raddoppiato Pigman sono umanoidi generati dalla manipolazione dei cadaveri, e i micenei sopravvissuti nel sottosuolo si sono irrimediabilmente trasformati in una gerarchia oscura di mostri semi-antropomorfi con parti meccaniche e organi duplicati e spostati.8 Per non parlare delle bestie meccaniche: giganteschi schiavi fatti di metallo e istinti primordiali. La tecnica è dunque presente su entrambi i fronti della guerra, auspicabilmente dominata o tragicamente dominante, in una contrapposizione che in Mazinger Z appare schiettamente nippocentrica: da una parte il japanium estratto dal Fuji e l’energia fotonica, l’energia pulita che promette un superamento dell’energia atomica; dall’altra un Occidente la cui storia – dalla civiltà micenea al Terzo Reich – è ricompresa sotto il segno della sfrenata volontà di potenza europea che si traduce nell’abuso della tecnica. E qui è subito necessaria una digressione. Se infatti in Mazinger Z l’aspetto demoniaco della tecnica sul versante dei buoni si riduce al volto minaccioso del robot, altrove il rapporto tra la tecnica e l’eroe è molto meno pacifico, e talvolta la padronanza dei mezzi si rovescia in un dominio da parte dei mezzi: in Kyashan (1973), Tetsuya Azuma rinuncia alla sua umanità, e plausibilmente ad avere rapporti sessuali con Luna, per combattere gli androidi; in Great Mazinger (1974) Tetsuya Tsurugi viene condotto alla cabina di pilotaggio viaggiando dentro un sarcofago trasparente che definire claustrofobico sarebbe eufemismo; in Raideen (1975), Akira dirige i movimenti del robot anche mediante delle protesi meccaniche che gli serrano le braccia e contemporaneamente lo costringono al suo posto (ed è significativo, in quest’ottica di passività, che almeno nella prima parte della serie Akira entri di schiena nel corpo del gigante); per incorporarsi in Tekkaman (1975), Jōji Minami (George in Italia) affronta ogni volta una devastante passione cristologica lasciandosi torturare dal filo spinato, quasi una corona di spine; in Diapolon (1976), Takeshi deve ogni volta gonfiarsi, ingigantire dolorosamente il suo corpo biologico di decine di metri per aderire al robot come se

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La bestia meccanica Doublas M2.

questo fosse un’armatura, cioè per rendersi adeguato alla tecnica, rappresentata dal robot. Un robot che ha la forma di un giocatore di football americano. Perché questa strana forma?

2.2 La dimensione storico-politica dell’anime super-robotico Nel filone dell’animazione robotica degli anni Settanta sono costantemente in azione due distinte dimensioni simboliche: c’è una dimensione simbolica collettiva, sociale, storica e politica legata all’immaginario e al significato della Seconda guerra mondiale; e c’è una dimensione simbolica che riguarda la vita mentale, affettiva, personale dell’eroe, il suo conflitto interiore, una dimensione psicologica, insomma, che è più strettamente connessa all’aspetto mitologico del super robot. A volte una delle due dimensioni prevale, ma sono sempre entrambe presenti, e si riverberano l’una sull’altra, arricchendosi di senso reciprocamente; e in corrispondenza di questa duplicità dimensionale, ci sono anche due questioni della tecnica, una più legata ai fatti storici e una più strettamente

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filosofica. Della dimensione psicologica dell’anime super-robotico ci occuperemo più avanti. Ora occorre concentrarsi sulla dimensione storico-politica. Per la cultura giapponese del Novecento, la questione tecnologica non è politicamente neutra: storicamente la tecnologia era legata all’immagine dell’Occidente, ed è il campo sul quale le bombe di Hiroshima e Nagasaki hanno decretato nel modo più terrificante la vittoria dell’Occidente, ma proprio per questo è anche un campo sul quale si vorrebbe dimostrare una raggiunta parità, se non una vera e propria superiorità. Insomma la tecnologia è, nell’immaginario giapponese, un territorio – se non il territorio – di relazione, contaminazione e competizione tra il Giappone e l’Occidente. E secondo Fabio Bartoli, «La metafora più doverosa è quella della rappresentazione del robot e del vincolo che lo lega al proprio pilota come specchio del rapporto tra il Giappone e la tecnica».9 Abbiamo visto come in Mazinger Z sia all’opera una certa retorica nippocentrica: da una parte la rivalsa tecnologica, la fiducia nei giovani e un cauto ottimismo rispetto alla possibilità di servirsi della tecnica con il giusto spirito; dall’altra un nemico che mette insieme alcuni tratti tipicamente occidentali. Questi riferimenti nazionali e continentali così evidenti si attenueranno negli anime successivi; ciò che invece ritroveremo spesso sarà la connotazione nazista dell’avversario: di Hell, nel manga di Mazinger Z, viene detto che ha prestato servizio sotto i nazisti, nell’anime si dice solo che è tedesco, ma nazista è il conte Blocken, e il nome delle sue Croci di ferro certamente rimanda a un preciso immaginario. Hell, tra l’altro, traffica con i cadaveri, è così che crea i suoi generali, e anche questo è un tratto nazistoide: nell’immaginario collettivo, i nazisti sono le figure più proverbiali e tragiche del dominio della tecnica come controllo, disposizione e annichilimento degli esseri umani, della riduzione dei soggetti a oggetti, dunque. Come si è detto, non è un caso raro: negli anime di combattimento tecnologico di questo periodo il nemico è quasi sempre rappresentato sulla scala estetica e talvolta ideologica dei fascismi europei; lo era già in Kyashan, dove i riferimenti politici e simbolici erano netti e il terrificante Bryking aveva il volto più mussoliniano mai apparso in un anime (non è impossibile riconoscere la fisionomia e il carattere di Bryking in Raoul, il re di Hokuto di Hokuto no Ken), e sarà così anche per quanto riguarda l’anime super robotico, nei nomi dei gerarchi avversari – dopo Blocken incontreremo Hidler, Doppler, Kloppen e Gattler –, nei tripudi di saluti assurdi e braccia tese, in ogni genocidio tecnicamente pianificato cui gli invasori vorranno sottoporre il popolo della Terra.

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Tuttavia, negli anime super-robotici successivi a Mazinger Z, il nemico sembra assemblare in diverse combinazioni sia tratti nazifascisti, sia tratti militaristi in riferimento a una civiltà del passato, che dunque plausibilmente rimandano alla vecchia generazione giapponese, e in certi casi, benché più impliciti, tratti statunitensi; più impliciti perché, sebbene non sembri lecito ricondurre l’esasperato militarismo del tipico avversario super-robotico agli americani dell’immaginario condiviso, la loro presenza emana dallo stesso riferimento storico alla guerra, dalle situazioni di occupazione aliena (gli USA occuparono il Giappone dopo la guerra), dalle infinite repliche delle esplosioni a fungo cui gli stessi eroi riducono i loro nemici, una scena che genera nello spettatore l’impressione di un tragico miscuglio di vendetta, transfert, liberazione e autopunizione.10 I tre diversi tratti del nemico si amalgamano nelle figure della spietatezza, dell’implacabilità: in Zambot 3, le bombe umane saranno la furiosa sintesi di Yoshiyuki Tomino fra metodi nazisti, fantasma della bomba, e una perversione grottesca dell’etica del kamikaze, rivisitata non come scelta ma come maledizione e punizione sadica. Si noti che, in tutti e tre i casi, l’avversario ha un rapporto psicologicamente ambivalente con l’eroe: i nazifascisti sono il male, ma sono stati gli alleati durante la Seconda guerra mondiale; gli Stati Uniti hanno sganciato la bomba ma sono i nuovi alleati, i protettori di un Giappone che ha rinunciato al militarismo; la vecchia generazione giapponese ha creduto in ciò che era sbagliato, ma è la generazione dei genitori e dei nonni, e qui c’è un non sempre chiarissimo misto di condanna e revanscismo da parte dell’anime super-robotico: si scorge a volte un tentativo di separare la tradizione nazionale dall’ultranazionalismo, o anche la volontà di non lasciar ridurre l’etica samurai alla sua umiliante declinazione fascistoide. L’eroe è dunque sempre in qualche modo coinvolto personalmente nell’universo dell’avversario. Ma il riferimento alla Seconda guerra mondiale, sul versante degli eroi, si incardina anche nella figura dell’orfano.11 È vero che l’orfano nell’animazione giapponese è dappertutto, non solo negli anime di super robot; ed è vero che le ragioni della sua presenza sono più d’una e diverse, vanno da una situazione sociale di assenza dei padri determinata dalla rinascita economica del dopoguerra all’adozione, da parte degli autori di anime, di soggetti tratti dal romanzo europeo per l’infanzia, nel quale gli orfani abbondano. Ciononostante un conto è un orfano sulle Alpi, e un altro conto è un orfano tra le macerie di città distrutte da invasori: le bande di orfani autorganizzati di Godam, e quella dello stesso protagonista di Daltanious, che si muove in un ambiente di rovine urbane e

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Bryking, l’avversario di Kyashan.

torrette di controllo degli invasori, non possono non far pensare ai postumi della guerra, e nel caso di Daltanious anche all’occupazione statunitense. In conclusione non deve sfuggire che l’animazione super-robotica degli anni Settanta è un prodotto del Novecento e del metallo pesante delle ideologie; risente del fallimento bellico e umano del militarismo giapponese, della disillusione che ne seguì, del trauma della bomba atomica, della miseria e della disperazione della guerra, del desiderio di rivalsa tecnologica. Non va dunque sottovalutata la portata dell’elaborazione collettiva di cui gli anime si sono fatti carico in quegli anni: chi li indaga a fondo e trascorre il suo tempo fra esplosioni a fungo, alieni fascisti, controllo dei corpi e delle menti, orfani, macerie, fame e radiazioni, non può non sentirsi sommerso e impregnato da una tristezza infinita e definitiva. Ora forse abbiamo aggiunto un po’ di spessore alla costrizione della tecnica che traspare nelle sequenze di Raideen e di Tekkaman, e persino al bizzarro

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Daltanious.

aspetto americanoide del Diapolon, a cui Takeshi deve dolorosamente adeguarsi: è per questo che, se si liquidano certe soluzioni narrative come ingenuità o insensatezze o manifestazioni di un presunto masochismo – quando basta pulire lo sguardo da pregiudizi sminuenti per rendersi conto che gli autori stanno gridando qualcosa – ci si impedisce di ammirarle nella loro straordinarietà, nel loro misto di genuinità, dolore, urgenza storica e psicologica.

3 Quando si spalanca l’abisso del passato Mazinger Z contro Devilman Titolo originale: Majingā Z tai Debiruman / Mazinger Z tai Devilman Toei Animation. 43’. 18 luglio 1973 Titolo italiano: Mazinga Z contro Devilman

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l film contiene una versione alternativa dell’introduzione del Jet Scrander. Durante una battaglia contro una bestia meccanica di Hell, Mazinger Z e Afrodite A ridestano inavvertitamente l’arpia Silen dal suo sonno. Silen si reca sui ghiacciai dove dormono ancora i suoi compagni demoni per svegliarli e procedere alla conquista del mondo. Hell la segue, la raggiunge e sottopone i demoni a un condizionamento mentale. Nel frattempo, Akira Fudō, ovvero Devilman, fa notare a Kōji l’unica vera debolezza del Mazinger: il robot non può volare. Ma è proprio questo il limite al quale il dottor Yumi sta cercando di ovviare con la costruzione del Jet Scrander. Purtroppo i demoni vengono a sapere del pro-

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getto e danneggiano lo Scrander. In seguito Mazinger e Devilman si scontrano due volte con loro e con le bestie meccaniche, ma i demoni approfittano della battaglia per catturare Devilman e trascinarlo in cielo. Secondo Yumi il Jet Scrander non è ancora in condizioni di volare, ma Kōji insiste e riesce a salire in cielo, liberare Devilman, e sconfiggere sia i demoni sia Hell.

Getter Robot Titolo originale: Gettā Robo / Getter Robot Toei Animation. 51 episodi. 4 aprile 1974 - 8 maggio 1975 Titolo italiano: Space Robot / Getter Robot

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l dottor Saotome ha scoperto i raggi getter, un’energia pulita che solca l’universo; ha costruito una base – l’Istituto Saotome per la ricerca sui raggi getter – dove convogliarla e analizzarla, e il Getter Robot – che a sua volta usa raggi getter come fonte di energia – per esplorare lo spazio. Il Getter, che è ancora un prototipo, si forma con l’aggancio di tre navette denominate Getter Machine: Eagle, Jaguar e Bear; a seconda della combinazione le Getter Machine possono dare forma a Getter 1 se comanda Eagle, Getter 2 se comanda Jaguar e Getter 3 se comanda Bear: i tre robot sono fatti per combattere rispettivamente in aria, sotto terra e in mare (Getter 2 ha una trivella al posto del braccio sinistro, Getter 3 ha il busto impiantato in un cingolato). È stata sviluppata anche la Command Machine, una navicella con funzioni di perlustrazione e supporto pilotata da Michiru, la figlia di Saotome. Nel frattempo dalle viscere del sottosuolo riemerge l’impero dei dinosauri: i rettili si erano rifugiati sotto terra proprio per sfuggire ai raggi getter, per loro

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letali, e volendo tornare a dominare la Terra devono prima di tutto neutralizzare le apparecchiature di Saotome. Così il figlio maggiore di Saotome, Tetsuto, è obbligato a usare assieme ad altri due piloti il prototipo del Getter per affrontare il mechasaurus nemico. Dissuaso dal dottor Saotome dall’usare le armi di un Getter ancora non testato a dovere, Tetsuto soccombe sotto gli occhi del padre, del fratello minore Genki, e di Ryōma Nagare, un ragazzo della squadra di calcio che Tetsuto allenava, presente in quel momento all’Istituto. L’imperatore dei dinosauri Gol si manifesta sul monitor di Saotome e dichiara un ultimatum. Non c’è tempo da perdere: mentre Saotome fa saltare fuori il vero Getter Robot, Ryōma va a cercare il solitario Hayato Jin e il judoka Musashi Tomoe. Nessuno dei due appare troppo convinto, ma Hayato si convincerà a combattere con la Getter Jaguar per proteggere Michiru, e Musashi, un po’ a disagio all’idea di salire sul Bear, al momento della partenza sarà trascinato di forza nella cabina. Da quel giorno, i tre ragazzi piloteranno insieme il Getter, affrontando i mechasaurus di Gol e dei suoi sottoposti, il generale Bat e il segretario Galek. Si scoprirà poi che sullo stato maggiore dei dinosauri domina la figura del grande diavolo Yurā (Uller, nell’adattamento storico italiano), colui che ha salvato i rettili dai raggi getter aiutandoli a rifugiarsi nel sottosuolo. La base di Gol si trova in una sorta di baccello con numerose appendici simili a proboscidi ed è posta sotto un vulcano attivo. Nel corso della serie faremo anche la conoscenza di Joo Hoo, dell’inventore Monji e del robot autocosciente Asataro; dapprima in conflitto con gli eroi per via della pessima posizione della sua abitazione – praticamente davanti alla rampa di lancio delle Getter Machine – Monji diventerà il cannoniere ufficiale della base. Mentre ci si avvia al finale di serie, la squadra Getter riesce a far emergere e distruggere la base sotterranea. Ma non è sufficiente: i dinosauri dispongono della mostruosa Corazzata invincibile, praticamente una portaerei sorretta ai lati da due brontosauri o qualcosa del genere. Come se ciò non bastasse, l’aviazione dei dinosauri quasi rade al suolo l’Istituto Saotome. L’unico modo di eliminare la Corazzata è gettare uno speciale missile nelle fauci di uno dei due brontosauri; il missile è composto da tre moduli, ognuno affidato a una Getter Machine, e deve essere ricomposto in volo mediante l’agganciamento stesso delle tre navicelle. Il finale di serie sembra ormai deciso quando Musashi sbaglia la manovra di aggancio, mandando a monte la missione, mentre le Getter Machine vengono seriamente danneggiate dal fuoco nemico, tanto che i tre piloti sono costretti a lanciarsi con il paracadute. La situazione è disperata: Ryōma e Hayato giacciono a letto malconci, Michiru ha la testa fasciata e un braccio appeso al collo, l’Istituto Saotome è scoperchiato, il Getter Robot è distrutto, i dinosauri hanno preso Tokyo. Il dottor Saotome si prepara a uscire con l’unica navicella rimasta, la Command Machine, armata di missili ad alto potenziale, ma si capisce benissimo che la missione è probabilmente suicida. In quello stesso momento, però, è Michiru che si sta apprestando a salire sulla Command Machine, ed è lì che Musashi la trova, e le provoca uno svenimento sferrandole un colpo all’addome. Musashi

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sale sulla Command Machine, lancia sul pavimento della base gli oggetti che ha portato sempre con sé, casco, occhiali da nuoto e spada, e decolla lanciandosi verso la Corazzata dei dinosauri che stanno festeggiando al cospetto di Yurā. Colpita dall’artiglieria nemica, la Command Machine si trova in panne e Musashi vola dritto dentro le fauci del brontosauro, fino a schiantarsi contro il generatore della base, che esplode. L’impero dei dinosauri è annientato, e mentre gli eroi piangono la morte del valoroso Musashi, un nuovo nemico si profila: l’impero dei Cento Demoni.

3.1 Nuovi eroi 1974. Mentre è ancora in corso la programmazione televisiva di Mazinger Z, esce un altro anime di super robot a opera dello staff di Nagai: Getter Robot.12 Getter consolida, e in parte innova, alcuni dei concetti già veduti in Mazinger Z: troviamo ancora il quartier generale, la base scientifica, qui impegnata nella ricerca e nella raccolta dei raggi getter; e ritroviamo lo scienziato, l’adorabile dottor Saotome, che si presenta sempre in camice e zoccoli. Saotome unisce le due prerogative del dottor Jūzō Kabuto e del dottor Yumi: è il creatore del robot ed è il capo della base, oltre a essere il padre della ragazza della squadra. Con Saotome si consolida la figura di quello che chiameremo il “padre della tecnica”, un’espressione che sintetizza l’attitudine paterna dello scienziato verso gli eroi, il suo essere di solito un padre, biologico o adottivo, e il suo essere spesso creatore del robot o in ogni caso di qualche tecnologia; ma l’espressione va anche intesa in senso oggettivo come “quel padre che ha a che fare con la tecnica” o che “appartiene alla tecnica”, nel senso che appartiene al mondo della tecnica; come vedremo alcuni padri della tecnica appartengono materialmente alla tecnica: Kenzō Kabuto (Great Mazinger), Senjiro Shiba (Jeeg) e il dottor Ōrai (Godam) sono esempi di scienziati fusi con la tecnologia. Per quanto riguarda il gigante di metallo, la novità più importante, specie se guardiamo alla produzione robotica successiva, è senza dubbio il fatto che Getter Robot è formato da tre navicelle pilotate da tre piloti che possono combinarsi in tre modi diversi dando forma a tre diversi robot. In correlazione si stabilisce lo standard del gruppo a tre – l’impulsivo, lo smilzo e il grosso – che ritroviamo in altre opere, per esempio lo Starzinger di Leiji Matsumoto, e che è una versione ristretta del gruppo a cinque già apparso in Gatchaman, che comprende anche la ragazza e il bambino.

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Dall'alto: Getter Robot in modalità Getter 1 e Musashi Tomoe nell’ultimo episodio.

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Di solito, sia nel gruppo a cinque sia nel gruppo a tre, l’eroe grosso si incarica del ruolo comico. E in effetti Musashi lo fa, quindi in lui confluisce anche la funzione di stemperare la tensione, che in Mazinger Z era Boss a svolgere; con la differenza che Boss lo faceva da una posizione quasi esterna, Musashi lo fa da dentro il gruppo ufficiale degli eroi. Su questa base, apparentemente di poca importanza, si costruisce il capolavoro di Getter. Infatti, mentre l’Hayato e soprattutto il Ryōma dell’anime soffrono l’appiattimento televisivo rispetto alle personalità furenti che esibiscono nel manga, la doppia funzione di eroe e di spalla comica è già di per sé sufficiente a dotare Musashi di complessità psicologica; e siccome alle buffe peripezie dell’innocuo e divertente Musashi gli autori possono permettersi di concedere spazio in abbondanza, forte di questa copertura comica, nel corso della serie il ragazzo cresce spaventosamente di spessore, tanto che a un certo punto la funzione comica deve essere in parte scaricata sul gruppo formato da Monji, praticamente un grosso sostitutivo, Joo Hoo e Asataro. Questa copertura offertagli dallo stereotipo della spalla comica mette Musashi nelle condizioni di fare una cosa pazzesca: senza che ci si faccia troppo caso noi, e senza perdere né in leggerezza né in fragilità umana lui – il che sarà determinante per la sua sorte –, Musashi prende il personaggio-macchietta cui sembra condannato e inizia a scolpirlo, faticosamente, goffamente ma ostinatamente, fino a cavarne fuori un eroe reale. E quando il destino lo rimette al suo posto, facendogli sbagliare l’agganciamento nella presunta missione finale, cioè ricordandogli che lui è il personaggio buffo e debole e che da quel ruolo non può uscire, Musashi non ci sta, e con una determinazione che mette i brividi sale sulla Command Machine – la navicella della donna che ama – e decolla. Il sorriso di Musashi che vola contro la fortezza dei dinosauri non è il sorriso di uno che pregusta la soddisfazione di dimostrare qualcosa agli altri o a se stesso: è il sorriso di uno che ha vinto.

3.2 Nemici antichi La vicenda di Musashi ci costringe a fare i conti con una novità traumatica: la morte di un eroe. Nagai e il suo staff prendono il personaggio più genuino e rurale, ed è proprio lui che eleggono a samurai, e a quanto pare nella declinazione tragica del kamikaze. Dobbiamo vedervi la rivalutazione di una figura controversa della Seconda guerra mondiale, un rigurgito nazionalista? No. Il

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finale di Getter è volutamente ambiguo: Musashi non riesce a lanciare i missili e non è per nulla chiaro se si getti nelle fauci del dinosauro per scelta. Il ragazzo non parte con l’intenzione di morire: parte consapevole che la probabilità di morire è altissima, e sapendo che se quello sarà l’unico modo per risolvere le cose, lui non si tirerà indietro. Prima di decollare abbandona la katana, come uno che non tornerà, ma forse anche come uno che si spoglia di un simbolo, che non ha più bisogno di insegne: se si tiene insieme tutto ciò, il senso è che l’azione di Musashi rappresenta solo lui. Il suo è un sistema di valori personale, estraneo al contesto patologico che lo ha contaminato in passato. Lo possiamo affermare con una certa sicurezza, perché l’interpretazione opposta sarebbe incoerente con la novità più sottile ma più significativa di Getter: lo smantellamento del nippocentrismo di Mazinger Z. I raggi getter non sono il japanium, non recano nel nome il connotato nazionale, non sono legati geograficamente a una zona della Terra, anzi: non sono legati nemmeno alla Terra; e l’impero dei dinosauri non è il dottor Hell, non è un passato prossimo che rimanda alla Seconda guerra mondiale, e non è nemmeno legato simbolicamente all’Occidente come era Micene; l’impero dei dinosauri, addirittura, non è nemmeno un passato umano: i dinosauri erano la specie dominante prima che la specie dominante diventasse l’essere umano; i rettili sono lo specchio preistorico e bestiale della nostra specie, gli istinti primordiali che nascondiamo a noi stessi e agli altri seppellendoli sotto tonnellate di razionalità: non è affatto un caso che a permettere ai dinosauri di conservarsi fino al nostro ventesimo secolo sia stato un demone, Yurā. Insomma non c’è alcun nippocentrismo qui, caso mai un fortissimo umanesimo. L’impero dei dinosauri è un passato universale e abissale, che appartiene a tutti e che minaccia tutti. Mentre ci proiettiamo nello spazio – il Getter era progettato per lo spazio – il passato rigurgita dalle viscere della terra: quando, come Saotome, ci lasciamo condurre dalla tecnica nel futuro, il passato torna a reclamare i suoi privilegi. Il primordiale nagaiano è ciò che sconvolge l’ordine del presente moderno: è il reale che buca la realtà quotidiana e appare nella sua oscenità; è il sempre-già-stato che continuamente riaffiora e ci obbliga a fare i conti con lui se vogliamo davvero superarlo. Lo stesso formato “un episodio un mostro” dell’anime super-robotico, ereditato dai tokusatsu e che è senza dubbio un’esigenza puramente commerciale, ha come risultato un eterno ritorno del già-stato, e un’angosciante attesa del sicuro ripresentarsi del già-stato nel prossimo episodio.

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Mazinger Z contro il Generale Oscuro Titolo originale: Majingā Z tai Ankoku Daishōgun / Mazinger Z tai Ankoku Daishōgun Toei Animation. 43’. 25 luglio 1974 Titolo italiano: Mazinga Z contro il Generale Nero

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ersione alternativa del passaggio di consegne da Mazinger Z al Great Mazinger. Hell è sconfitto ma durante un temporale Boss, Nuke e Mucha intravedono una gigantesca e inquietante figura illuminata dai lampi, nella quale lo spettatore non fatica a riconoscere un Mazinger munito di scrander; più tardi i tre ragazzi si imbattono in un bizzarro profeta che annuncia un’apocalisse e indica in Mazinger Z l’unica via di salvezza. In effetti un’inattesa invasione di bestie meccaniche aggredisce le principali capitali del mondo e mette a dura prova il Mazinger. I terrificanti mostri, dei quali si ignora la provenienza, attaccano anche l’Istituto di ricerche sull’energia fotonica. Dianan viene distrutta ma fortunatamente Sayaka riesce a salvarsi. Al termine dell’attacco l’Istituto è ridotto un cumulo di macerie e Shirō è ferito. Sarà Kōji a salvargli la vita con una trasfusione. È allora che ricompare il profeta, vicino ai ruderi dell’Istituto; lo strano personaggio spiega a Kōji come la responsabilità dell’attacco sia da attribuire ai micenei e al Generale Oscuro a capo delle sette armate. In effetti Yumi ricorda che negli appunti di Jūzō Kabuto vengono nominati il popolo sotterraneo di Micene, il Generale Oscuro e le sette armate. I mostri tornano all’attacco. Malgrado il Mazinger sia seriamente danneggiato, e Kōji in debito di sangue, l’eroe entra ugualmente in azione. Kōji si batte valorosamente ma il confronto con l’orda di mostri è impietoso. Mentre Mazinger Z sembra ormai condannato a soccombere, appare di nuovo il profeta, e getta la maschera: è Kenzō Kabuto, il padre di Kōji e Shirō. A un ordine del redivivo scienziato, il Brain Condor si leva davanti a un vulcano in eruzione e Great Mazinger sorge dalle acque. Il nuovo eroe Tetsuya Tsurugi risolve lo scontro, ma Kōji rimane con il dubbio su chi possa aver costruito quel formidabile guerriero di metallo.

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Great Mazinger Titolo originale: Gurēto Majingā / Great Mazinger Toei Animation. 56 episodi. 8 settembre 1974 - 28 settembre 1975 Titolo italiano: Il Grande Mazinga

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ōji e Sayaka sono negli Stati Uniti e Shirō rimane alla Fortezza delle scienze con il redivivo cyborg Kenzō Kabuto, che il ragazzino ignora essere suo padre. Kenzō Kabuto ha costruito un Mazinger potenziato, denominato Great Mazinger, che è intervenuto nel finale di Mazinger Z; ha costruito anche un robot dalle fattezze femminili chiamato Venus A. La guida dei due giganti l’ha affidata a due diciottenni, due orfani che ha adottato e addestrato per questo scopo: Tetsuya Tsurugi e Jun Hono. I piloti hanno a disposizione due navicelle che si incastonano nelle teste dei robot: il Brain Condor e la Queen Star. Diversamente da quanto accadeva con Mazinger Z, il Great Mazinger ha uno scrander incorporato retrattile; invece Venus ha ancora bisogno di un Venus Scrander lanciato separatamente. Tetsuya e Jun – ai quali si aggiunge il sempre presente Boss con il Boss Borot e più avanti addirittura Shirō con il Junior Robot – devono vedersela con la nuova minaccia: i giganteschi micenei, l’antico popolo tecnologicamente avanzatissimo che, a seguito della caduta della sua civiltà, si era ritirato nel sottosuolo, e i cui esponenti avevano trapiantato se stessi in ciclopici corpi biomeccanici. Sui micenei regna l’Imperatore delle tenebre e il comando è affidato al Grande Generale Oscuro, che ha alle sue dipendenze sette generali, dei quali ognuno rappresenta, anche nella composizione del corpo biomeccanico, un regno: Yuri Caesar rappresenta gli umani (spesso entra in rivalità con il Generale Oscuro), Rigarn i mammiferi, Birdler gli uccelli, Drayato i rettili, Angoras gli anfibi, Scarabeth gli insetti e Ardias i morti. Accanto al Grande Generale Oscuro e ai suoi sette generali vi è anche una sezione di servizi segreti diretta

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Jun Hono.

da Argos, che ha al suo servizio l’arciduca Gorgon già incontrato in Mazinger Z; Gorgon morirà nel ventiduesimo episodio lasciando il posto alla marchesa Janus (Yanus, nell’adattamento storico italiano). Ovviamente ci sono anche i mostri da combattimento: le temibili bestie da battaglia. Il Generale Oscuro perderà la vita nel trentunesimo episodio, in un duello all’ultimo sangue con Great Mazinger, e nel trentaseiesimo episodio sarà sostituito alla guida dei sette generali dal generalissimo Inferno, la reincarnazione biomeccanica e gigantesca del dottor Hell operata dai micenei. La fortezza semovente dei micenei, Mikeros, sarà rimpiazzata dalla devastante base mobile Demonika. Great Mazinger acquisterà una nuova arma, il Great Booster, una sorta di potentissimo scrander – questo sì va lanciato dalla base e agganciato al volo dal Mazinger – che aumenta la velocità del robot, è armato di laser e sperone anteriore e può essere scagliato come un’arma. Nel finale i micenei sferrano un attacco irresistibile: due mostri guerrieri, a Tokyo e Osaka, costringono Tetsuya e Jun a dividersi mentre la base mobile Demonika attacca la Fortezza delle scienze. Il bilancio è pesantissimo: Venus è semidistrutta, Jun è in stato di incoscienza, Kenzō Kabuto rimane ferito nell’attacco di Demonika. Il dottor Yumi accorre a prendere il controllo della Fortezza delle scienze, richiamando immediatamente Kōji e Sayaka dall’America. Mazinger Z arriva appena in tempo per evitare il peggio. Kōji può così riabbracciare il padre che per tanto tempo aveva creduto morto, ma, nelle concitate ore che seguono, qualche problema di intesa tra Tetsuya e Kōji genera divisioni e situazioni difficili: i Kabuto vorrebbero lanciare un attacco risolutivo ma Tetsuya si oppone e la sua rivalità con Kōji lo porta a non intervenire in favore dello Z durante un attacco; persuaso dal dottor Kabuto, finalmente Tetsuya si decide a raggiungere Kōji, ma appena decolla, il Great Mazinger è a sua volta attaccato da una bestia da combattimento. Il risultato è che Mazinger Z si ritrova impossibilitato a intervenire, e Tetsuya, dopo aver sconfitto il mostro, rischia di morire sotto il diretto attacco di Demonika; nemmeno il lancio del Great Booster salva la situazione. Kenzō Kabuto decide allora di intervenire di persona: decolla con la parte superiore della Fortezza delle scienze e muore scagliandosi contro Demonika. L’azione dà modo agli altri eroi di riprendersi e coordinarsi: Mazinger Z penetra dentro Demonika, seguito dal Great Mazinger, Venus, Dianan e Boss. I robot devastano la fortezza e il nemico è sconfitto. Si piange il dottor Kabuto. I due Mazinger saranno esposti al museo dei robot.

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3.3 Tetsuya e Jun: lo spessore umano Quando Hell è sconfitto e i micenei deviati riaffiorano dalla terra, il livello della guerra si alza, e Mazinger Z non è più competitivo. È il momento del Great Mazinger, che, rispetto allo Z, ha i tratti e gli attributi demoniaci più accentuati: è puntuto, è quasi gotico, ha le spade, ha il fulmine. Il Great Mazinger e Venus sono veri e propri demoni della tecnica, in maniera molto più esibita di quanto lo fossero Mazinger Z e Afrodite. E infatti i due nuovi robot hanno bisogno di piloti più umani. Tetsuya è più sofferente, più duro, più fragile e per certi versi più maturo di Kōji: è un orfano, prelevato dal dottor Kenzō Kabuto e sottoposto a una disciplina devastante volta a trasformarlo nel pilota del Great Mazinger. Tetsuya è uno a cui è stata negata una vita ma a cui è stato dato un ruolo da sostenere, e la consapevolezza di questa morte già da sempre avvenuta – e ripetuta ogni volta che si stende nella bara che lo conduce al Brain Condor – è la fonte della sua rabbia, ma anche della sua generosità e del suo coraggio. Qualcosa di simile, rispetto a Sayaka, vale per Jun, una ragazza afro-giapponese, complessata, terrorizzata dal razzismo, ritratta mentre prende atto della propria ineluttabile diversità. La condizione adottiva di Tetsuya e Jun è ambigua, sconfina nella schiavitù, si gioca sulla loro dipendenza affettiva e sul loro bisogno di riconoscimento: sono accettati come figli nella misura in cui sono disposti a combattere per un padre sfruttatore. Anche la sensualità, in loro, appare più accentuata che in Kōji e SaDa sinistra: Tetsuya Tsurugi e i generali Ardias, Scarabeth e Drayato.

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yaka. Tetsuya e Jun sono due soggetti bollenti, due animali da combattimento che si dibattono nel bipolarismo tra disciplina ferrea e natura selvaggia. Quando, nel finale di serie, Kōji e il Mazinger Z torneranno per aiutare Tetsuya, sarà quest’ultimo a manifestare opposizione rispetto a un’azione risolutiva: al di là della manifesta rivalità con il privilegiato Kōji Kabuto, è facile leggere in questo atteggiamento di Tetsuya la paura della fine della guerra e quindi del venir meno del proprio ruolo di combattente, l’unica identità di cui dispone. Ma sarà Tetsuya, spinto da Kenzō Kabuto, a intervenire per salvare Kōji, e questo gesto schiarirà le idee anche al padre della tecnica Kabuto, che si lancerà in un attacco suicida per salvare, a sua volta, Tetsuya. Anche il rapporto con il Giappone si fa meno trionfalistico e più problematico. Great Mazinger non abolisce la dimensione storica e politica, ma la libera dal nazionalismo strisciante di Mazinger Z. Il tema dell’orfano13 rimanda certamente alla Seconda guerra mondiale, ma Tetsuya e Jun sono due sradicati, piuttosto estranei e isolati rispetto al paese in cui vivono. Il colore della pelle di Jun ne è un simbolo evidente. Il colpo di genio, in Great Mazinger, sta nell’aver saputo rendere il modo in cui il passato della nazione ha prodotto due ragazzi estranei alla nazione. È come se il passato avesse smesso di esistere all’esterno, nei riferimenti storici e politici, proprio perché si è incarnato dentro di loro: la guerra, la perdita, l’abbandono, sono per Tetsuya e Jun questioni private, stati dello spirito, ferite individuali e interiori, e sono un destino esistenziale e caratteriale che – sorge spesso il sospetto – nessuna vittoria sui micenei potrà placare. Insomma, esattamente come i micenei provengono da un passato più remoto di quello di Hell e Blocken, Tetsuya e Jun hanno più passato rispetto a Kōji e Sayaka, non solo perché sono più anziani, ma soprattutto perché dalle loro origini e dal loro passato sono segnati in maniera traumatica, e perché la condizione di orfanità della loro infanzia ha deciso completamente delle loro vite. La sigla di chiusura di Great Mazinger, con il suo Giappone delle potenze della natura – le onde, il Fuji –, sta lì ad affermare che questi due ragazzi disperati sono di fatto i nuovi giapponesi, e che la loro disperazione è una forza naturale primordiale: Mazinger Z usciva dall’ambiente protetto di una piscina, Great Mazinger esce dal mare.14

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Great Mazinger contro Getter Robot Titolo originale: Gurēto Majingā tai Gettā Robo / Great Mazinger tai Getter Robot Toei Animation. 30’. 21 aprile 1975 Titolo italiano: Il Grande Mazinga contro Getta Robot

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na misteriosa nave aliena scarica sul Giappone un gigantesco mostro mangiaferro, Girugirugan: è il primo atto di un progetto di conquista della Terra. La Fortezza delle scienze e il Laboratorio Saotome rilevano la presenza del disco volante. La squadra Getter entra in azione in tutta fretta, preoccupata di non lasciarsi anticipare dal Great Mazinger. Tetsuya non ne è contento. Ma mentre Getter viene umiliato dalla nave spaziale e Saotome ordina la ritirata, il dottor Kabuto manda il Great Mazinger a Yokohama; qui, il mostro, che nel frattempo ha divorato tutto il metallo che ha trovato, mangia anche il primo pugno atomico che il Mazinger gli spara addosso. Non è un buon segnale, e infatti Tetsuya se la vede brutta, ed è infine costretto a ritirarsi. Rientrato alla Fortezza delle scienze, il ragazzo chiede a Kabuto di muoversi con le riparazioni perché non vuole farsi battere dalla squadra Getter. La risposta dello scienziato a questo spirito di competizione è un ceffone al metallo. Intanto il mostro cresce e muta forma. Bisogna allontanarlo dai centri urbani: Boss fa da esca e lo attira verso un’isola deserta. Qui interviene il Getter, e appena possibile il Great Mazinger: finalmente i due super robot collaborano. Con il sacrificio della navicella aliena, che si lascia divorare, il mostro evolve di nuovo, assumendo una stazza gigantesca. Ma alla fine, grazie alla cooperazione, gli eroi prevalgono.

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Getter Robot G Titolo originale: Gettā Robo G / Getter Robot G Toei Animation. 39 episodi. 15 maggio 1975 - 25 marzo 1976 Titolo italiano: Jet Robot / Getta Robot

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l Getter Robot brucia in una sorta di pira funeraria mentre si celebra il funerale notturno di Musashi, ma già incombe la nuova minaccia: l’impero dei Cento Demoni. Saotome ha pronto un nuovo Getter Robot, il modello G; le navicelle saranno Dragon, Liger e Poseidon, e i robot risultanti dalla combinazione saranno Getter Dragon, Getter Liger e Getter Poseidon. Diversamente da Getter 2, Liger non ha una mano a tenaglia al termine del braccio destro né una trivella al termine del sinistro, bensì a destra una mano sostituibile istantaneamente con una trivella e a sinistra uno spunzone con diverse funzioni; Poseidon non ha i cingoli come Getter 3 bensì le gambe. Il pilota del terzo modulo, il corpulento giocatore di baseball Benkei Kuruma, ha una resistenza straordinaria, è di certo un coraggioso anche se un po’ alienato, ama bambini e animali e ha l’ingrato compito di sostituire Musashi nel cuore degli altri eroi e dello spettatore. Per quanto riguarda Michiru, la Command Machine viene rimpiazzata dalla Lady Command. Durante la serie il Getter G in modalità Dragon acquisirà una nuova arma, lo Shine Spark, una proiezione di energia getter che si genera da tutto il corpo del robot, il quale sfreccia contro il nemico per poi uscire dall’onda che si abbatte sull’obiettivo. L’impero dei Cento Demoni è un’organizzazione militare i cui esponenti hanno ciberneticamente mutato se stessi impiantandosi uno o due corni sulla testa. Il loro scopo è la conquista del mondo, e volentieri metterebbero le mani sull’energia getter, dato che hanno costante bisogno di ricaricare i dispositivi di controllo

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delle menti, cioè le corna. Al vertice della gerarchia c’è l’imperatore Brai, sotto di lui ci sono il maresciallo Hidler, capo militare identico a un Hitler con le corna, e il dottor Gurā (Guller nell’adattamento italiano), responsabile della progettazione dei mostri meccanici e consigliere strategico. Al di sotto vi sono i capitani, che vengono mandati in battaglia alla guida dei mostri meccanici, e l’esercito regolare composto da soldati semplici: persone normali cui è stato impiantato il corno. La base dei Cento è un’isola-fortezza semovente. L’origine dell’impero nell’anime non è ben chiara, ma viene detto che dopo trent’anni è venuta l’ora di conquistare il mondo (nel manga è specificato come Brai acquisisca i suoi poteri mediante la tecnologia aliena di Andromeda). Nel finale, mentre i Cento attaccano su scala mondiale e gli eroi se la vedono brutta, Hayato penetra con la Lady Command nel mostro guidato da Hidler e riesce a farlo esplodere. I compagni lo credono morto, e durante la sua assenza Michiru prende il comando della Getter Liger, ma mentre il Getter G e l’esercito terrestre continuano a battersi contro i mostri meccanici, e il demone Gurā perde la vita in combattimento, un sopravvissuto Hidler si ripresenta al cospetto di Brai con il preziosissimo prigioniero Hayato. La fortezza dei Cento si trasforma in una gigantesca corazzata volante, decolla e sferra un attacco guidato da Brai in persona contro l’Istituto Saotome, che viene raso al suolo. Ma all’interno della base nemica, Hayato riesce a liberarsi e a causare un’esplosione che facilita il compito al Getter G: un ultimo Shine Spark distrugge definitivamente la fortezza volante. Hayato sarà ripescato vivo, in mare, con grande gioia dei compagni.

3.4 Il militarismo come condizionamento mentale In Getter Robot G, la cui trasmissione inizia mentre Great Mazinger è ancora in onda, all’impero dei dinosauri del primo Getter Robot si sostituisce l’impero dei Cento Demoni. La situazione è interessante: mentre Great Mazinger rispetto a Mazinger Z si libera dei riferimenti storici, Getter, che non ne aveva, li acquisisce, ma lo fa senza sconfinare nel fantastico: i cosiddetti demoni non hanno tratti mistici né stazze colossali, sono niente più e niente meno che un’organizzazione militare i cui esponenti sono sottoposti a un lavaggio del cervello tramite l’innesto di una tecnologia di controllo a forma di corna. E i riferimenti storici e politici non lasciano adito a dubbi: troviamo la presenza di Hidler, i consueti saluti nazisti, l’organizzazione feudale dei clan, la divisa di Brai che richiama un’alta uniforme imperiale, e il discorso di Hidler che allude alla superiorità intellettiva della stirpe dei Cento e dichiara che dopo trent’anni è venuto il momento di dominare la Terra. Getter G insomma riporta tutto prepotentemente sulla Terra con una mossa di estremo realismo, che non to-

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glie nulla in suggestioni sinistre all’avversario, anzi, si inscrive nella tradizione dell’antimilitarismo e dell’antifascismo che permea buona parte degli anime robotici e affini, da Kyashan a Baldios, resuscitando le suggestioni oscure del secondo conflitto con un assemblaggio di richiami al nazifascismo e al militarismo giapponese, quest’ultimo forse meno esibito ma molto presente nello scontro ideologico presentato nei singoli episodi. Del resto, in Getter G, Hidler è una ferocissima carogna di alto rango, ma non il più alto: agisce al servizio di un tiranno dalla foggia piuttosto orientaleggiante. E c’è qualcos’altro di interessante: il controllo delle menti. Si era già visto in Mazinger Z con le Maschere di ferro, ma in Getter G diventa un tema centrale: i demoni si infiltrano, una volta che a una persona è stato innestato il corno, questo può essere fatto sparire – senza essere divelto, quindi mantenendo il controllo – permettendo al legionario di confondersi fra le persone normali. È chiaro il riferimento alla paranoia dell’infiltrazione ideologica nella società: il male è pervasivo, diffuso e in propagazione. Rispetto a Mazinger Z, dunque, anche Getter G rinuncia alla contrapposizione nazionale e continentale, e lo fa in favore di un’aperta contrapposizione ideologica: il nemico non è più caratterizzato da una provenienza, ma da un modo di pensare; lo staff di Nagai isola la dimensione astratta e universale del male, e vi riconosce qualcosa che può prendere possesso di chiunque. Hidler, Brai e Gurā

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Great Mazinger contro Getter Robot G Titolo originale: Gurēto Majingā tai Gettā Robo G. Kūchū Daigekitotsu / Great Mazinger tai Getter Robot G. Kūchū Daigekitotsu Toei Animation. 25’. 26 luglio 1975 Titolo italiano: Il Grande Mazinga contro Getta Robot G. Violento scontro nei cieli

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l cortometraggio contiene una versione alternativa della morte di Musashi, della transizione da Getter Robot a Getter Robot G e dell’introduzione del Great Booster. I misteriosi alieni tornano all’assalto della Terra: attaccano il Laboratorio Saotome e lanciano contro Getter il mostro tentacolare Grangen. Nel frattempo la Fortezza delle scienze viene informata dello scontro, ma Tetsuya non può intervenire perché il Great Mazinger è in manutenzione. Durante la battaglia il Getter 1 è costretto a dividersi. Hayato viene catturato da Grangen e Musashi interviene per salvarlo ma il Bear finisce per scontrarsi con il mostro. Nell’esplosione Musashi perde la vita. Saotome annuncia a Ryōma e Hayato che è stato realizzato un nuovo Getter e che è stato reclutato un nuovo pilota, Benkei Kuruma. Intanto gli alieni continuano a imperversare. Interviene Jun, ma Venus non è sufficiente. Tetsuya, che ha saputo di Musashi ed è furioso e amareggiato per la morte dell’amico, smania per entrare in azione: fortunatamente il Great Mazinger è finalmente pronto e l’eroe può partire, anche se la nuova arma, il Great Booster, non è ancora disponibile. Great Mazinger sconfigge il mostro Bong, quello che ha semidistrutto Venus, poi affronta il luminoso mostro Pigdoron, e qui inizia a incontrare qualche difficoltà. Interviene anche la squadra Getter con il nuovo Getter G in modalità Dragon, ma il problema è che il lucente mostro assorbe i raggi che gli vengono sparati addosso. Nel frattempo il Great Booster viene

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Great Mazinger e Getter Robot G durante e dopo lo scontro. completato e lanciato: con la nuova arma il Great Mazinger distrugge l’astronave aliena che impartisce gli ordini a Pigdoron. Eliminato il pensiero, i due super robot possono ora concentrarsi interamente sul mostro. Tetsuya ha un’intuizione: con il Great Typhoon spazza via il rivestimento luminoso di Pigdoron che, assorbendo i raggi, costituiva il suo punto di forza. I due robot vincono finalmente la battaglia.

4 La campana, la pietra e il dragone Jeeg Titolo originale: Kōtetsu Jeeg Toei Animation. 46 episodi. 5 ottobre 1975 – 29 agosto 1976 Titolo italiano: Jeeg robot d’acciaio

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n una caverna nelle viscere della Terra, risorge dalla pietra la regina Himika insieme ai suoi ministri Ikima, Mimashi, Amaso. Davanti allo stuolo dei soldati Haniwa, anch’essi sorti dalla pietra, i ministri salutano Himika come regina Jamatai e sovrana dell’antico Giappone. La regina dichiara subito di volersi riprendere l’arcipelago e riportare alla prosperità il regno Jamatai. Nello stesso tempo, il professor Shiba, dal suo laboratorio, la Build Base, rileva un’insolita attività magnetica e capisce cosa sta succedendo. Shiba esce immediatamente per recarsi da suo figlio Hiroshi, un campione di corse automobilistiche, ma durante il tragitto viene assalito dal ministro Ikima. Ikima

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vuole sapere dove è nascosta la campana di bronzo, indispensabile, dice, per ricostruire il regno. Shiba non parla, viene malmenato e scivola in un burrone. Ritrovato dalla sua assistente Miwa Uzuki, viene portato, morente, a casa Shiba dove lascia a suo figlio Hiroshi due guanti e una catenina con un pendaglio a forma di testa di robot. Hiroshi ha diciotto anni e si occupa di automobili: corre e ha un’officina. Abita da solo, ma dopo la morte del padre torna a stare con sua madre Kikue, la sorellina Mayumi e Chibi (Shorty nell’adattamento italiano), un ragazzo che gli Shiba hanno adottato e che dà una mano a Hiroshi con l’officina. Il giorno seguente la morte del professor Shiba, la voce dello scienziato esce dal pendaglio che Hiroshi ha ricevuto da lui e che porta con sé. La voce invita Hiroshi alla Build Base, la cui direzione è stata ora affidata al dottor Dairi: Hiroshi scopre così che suo padre ha riversato la propria mente nel computer della base, e che il suo volto, perfettamente mobile e parlante, compare nel monitor di una specie di totem tecnologico in una sorta di stanza centrale invasa da una luce rosa (ma può apparire anche sugli altri schermi del sistema); scopre anche che Dairi e Miwa sanno già tutto questo, e che il pendaglio che Hiroshi ha con sé è una ricetrasmittente. In questo frangente, Shiba rivela al figlio come venticinque anni prima, durante uno scavo archeologico, avesse scoperto una campana di bronzo (una dotaku, per la precisione) che riportava iscrizioni sul regno Jamatai e la regina Himika: Himika si risveglierà per dominare di nuovo il Giappone, che conquisterà con la sua scienza in grado di trarre la vita dalla roccia. L’unico in grado di fermarla è Jeeg d’acciaio, cioè Hiroshi stesso, ma potrà farlo solo con l’aiuto di Miwa Uzuki. In questo modo Hiroshi scopre che unendo i pugni guantati può tramutarsi in un essere cornuto che poi, avvolgendosi su se stesso, è in grado di trasformarsi in una testa metallica. È in quel momento che Miwa, dalla navicella Big Shooter, può lanciare i componenti magnetici, che unendosi tra loro e alla testa metallica compongono il corpo del robot Jeeg. È iniziata la serrata guerra tra Jeeg e i Jamatai, che attaccano il Giappone moderno per mezzo dei giganteschi spettri Haniwa. Hiroshi ancora non lo sa, ma la campana di bronzo è nascosta nel suo petto, quello è il segreto dell’inspiegabile invulnerabilità che lo ha sempre contraddistinto. Fu suo padre a miniaturizzarla e nasconderla lì quando lui era piccolo, ed è il potere elettromagnetico della campana a permettere a Hiroshi di sfruttare la forma cyborg – cioè la creatura cornuta – e diventare Jeeg (l’aspetto tecnico, nell’anime, non è ben specificato; nel manga è più chiaro, ma la questione sembra posta un po’ diversamente). Inizialmente Hiroshi pensa addirittura che siano i guanti a trasformare in Jeeg chi li indossa, si rende conto che non è così quando li dimentica in giro, Mayumi ci gioca e non le accade niente. In seguito a questo episodio, Hiroshi chiede ripetutamente a suo padre la verità su se stesso, e scopre così di essere un cyborg; non è una scoperta indolore. Infine, intorno alla metà della serie, capisce che la campana di bronzo è situata nel suo petto. Compreso ciò, con l’aiuto del padre e un duro allenamento, Hiroshi arriva a trasformarsi in un guerriero cyborg più evoluto del grezzo demone cornuto.

4 – La campana, la pietra e il dragone

La regina Himika. Nel corso della serie, Jeeg viene fornito di sempre nuovi componenti, il che è reso possibile dalle sue molteplici giunture magnetiche: sarà armato dei potentissimi Mach Drill, due grossi razzi trapananti che innestandosi alla giuntura dei gomiti permettono a Jeeg di volare, avrà componenti per lo spazio e per il mare, diverrà addirittura un centauro. Non mancherà una spalla comica della serie: Don, il rivale sportivo di Hiroshi, che avrà un suo robot buffo, il Mechadon e poi il Mechadon 2; piloterà entrambi assieme al fedele Pancho. Anche la Build Base subirà dei cambiamenti: Dairi adibirà la cupola a capsula per un backup di emergenza della mente del professor Shiba; la capsula potrà volare e sarà persino armata. Ma dopo che Hiroshi scopre la posizione della campana, le cose cambiano anche sul fronte del nemico. Una radiografia del ragazzo mette finalmente Himika nelle condizioni di leggere le iscrizioni sulla campana, ma la scoperta le costa cara: Himika spalanca letteralmente la porta dell’inferno, e chi ne sorge è il terribile Imperatore del Drago, che la uccide e si proclama nuovo sovrano. Mimashi si rivolta al nuovo signore e anche lui viene eliminato; Amaso e Ikima tenteranno di adattarsi, come possono, al nuovo regime e al nuovo dominatore, ferocissimo, egocentrico e senza regole. I soldati dell’Imperatore sono robot; il suo braccio destro è la generale Flora; Flora era una ragazza di un villaggio

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assalito dai soldati dell’Imperatore, il quale decise di ridare la vita alla giovane in cambio della sua fedeltà e dei suoi servigi; da quel giorno Flora è una guerriera degli inferi, ma lo scontro con Hiroshi e la reciproca conoscenza che si sviluppa tra i due la porta a innamorarsene. Flora riesce a catturare l’eroe e dopo un dialogo con lui mette definitivamente in discussione l’autorità dell’Imperatore, fino a farsi imprigionare come traditrice. Sono Ikima e Amaso a liberarla; a sua volta Flora libera Hiroshi. Chiusa nella Yamato no Orochi, la fortezza volante Jamatai, Flora subisce l’attacco della capsula volante della Build Base, sotto il diretto controllo del professor Shiba; la ragazza viene sbalzata fuori e viene raccolta, morente, da Jeeg, sulla mano del quale infine si spegne. Nel finale di serie la coscienza del professor Shiba si sacrifica schiantandosi con la capsula contro la Yamato no Orochi, mentre Jeeg e il Big Shooter annientano l’Imperatore del Drago.

4.1 Madri che lavorano e campane di bronzo Il regno Jamatai è – nella storia reale – il regno Yamatai, la regina Himika è la regina Himiko degli Yamatai, e i guerrieri Haniwa sono statue rituali di terracotta che venivano sepolte con i morti. I nemici di Jeeg sono così tanto parte della storia giapponese che l’attuale famiglia imperiale è considerata appartenente alla dinastia Yamato che governò il regno Yamatai. Insomma non si può certo dire che Jeeg non sia nippocentrico, solo che qui la tradizione giapponese è apertamente rappresentata dai cattivi. I Jamatai risorgono dalla roccia, rappresentano un passato ctonio, fatto di pietra, di terra, di oscurità tombale. E a giudicare dai loro modi, la loro società appare fortemente gerarchizzata e militarizzata. Ancora una volta il passato, dunque, e ancora una volta trasfigurato in creature mostruose e quasi metafisiche. Mentre sul fronte opposto, a battersi contro di loro, c’è un giovane innamorato delle automobili veloci, della sua moto, del rock. Insomma, da una parte i cattivi, il tradizionalismo giapponese, e dall’altra, i buoni, il padre della tecnica mutato in computer, una ragazza in minigonna, un ragazzo che segue mode venute dall’altra parte del Pacifico: rispetto alla simbologia storico-politica di Mazinger Z, la situazione appare persino ribaltata. Eppure le cose non sono così semplici. Nel primo episodio di Jeeg, Hiroshi manifesta un aperto risentimento nei confronti del padre che ha abbandonato la famiglia per seguire le sue ricerche. Nel secondo episodio, apprendiamo che, dopo la morte del professore, è previsto che sia la Build Base a occuparsi del sostentamento di Kikue e Mayumi, la mamma e la sorellina di Hiroshi; Kikue però non ci sta, vuole lavorare perché

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preferisce sostenersi da sola. Chi è contrario? Hiroshi. Il ragazzo sostiene che dovrebbe essere lui a occuparsi della madre e della sorella. Hiroshi ha appena saputo di poter diventare Jeeg, e ancora non sa che la campana di bronzo è dentro di lui. Ma questo che c’entra? C’entra. Hiroshi vuole sinceramente bene alla madre. Tuttavia non riesce a uscire dallo schema dei ruoli tradizionali, e impedisce a Kikue di essere autonoma. E sarebbe questo allora il ragazzo moderno? No, non lo è: Hiroshi coltiva un simulacro di modernità, ma in realtà è un tradizionalista. È un problema per lui? No, probabilmente non se ne rende nemmeno conto, non ci ha mai pensato, non si è nemmeno posto certe domande. Hiroshi non si è mai posto nessuna domanda: è uno che sopravvive a incidenti automobilistici terrificanti senza farsi un graffio, è invulnerabile da sempre, e non si è mai domandato perché. Capirai se si fa domande sulla sua ideologia retrograda. A confronto con Miwa, che porta con disinvoltura la sua minigonna e ha un senso di responsabilità d’acciaio, Hiroshi scompare. Hiroshi Shiba, all’inizio della serie, è solo un reHiroshi Shiba.

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trivo che si crede moderno, infatti dentro di sé ha il passato, la campana di bronzo, e non lo sa. Tutti intorno a lui lo sanno, tranne lui. Lui non sa che ha la tradizione dentro, perché è una persona che non si è mai presa la responsabilità di riflettere. Tanto per ribadire il concetto, lo straordinario episodio 26 racconta di come Hiroshi scopra la verità sulla campana di bronzo, e guarda caso si apre con la questione del lavoro di Kikue. Kikue viene sorpresa da Hiroshi e Chibi a lavorare in un ristorante cinese per ovviare alle difficoltà finanziarie della famiglia. A causa di ciò, la donna subisce di nuovo una greve reprimenda del figlio. Dopo aver assistito al penoso dialogo tra Kikue e Hiroshi, Chibi sparisce: il ragazzo, che gli Shiba hanno adottato, non ha nessuna intenzione di pesare sul bilancio familiare. Cercandolo, Hiroshi cade in un tranello: un arciere Jamatai lo colpisce al petto con una freccia. Hiroshi è ferito e ha un’emorragia, viene condotto in ospedale, ma in ogni caso non muore: il suo cuore è stato salvato dalla capsula che contiene la campana di bronzo. Hiroshi viene operato e cerca di capire cosa gli è successo. Sua madre prima prega il marito-computer di rivelare il segreto al ragazzo, ma si sente rispondere di no; poi, parlando con La coscienza del professor Shiba.

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il figlio, si lascia quasi scappare qualcosa sulla campana, e si capisce benissimo che se l’è voluto lasciar scappare. Intanto uno spettro Haniwa attacca, e Miwa è in serissima difficoltà. Quando Hiroshi, convalescente e fasciato, decide di entrare comunque in azione, e il dottor Dairi cerca di dissuaderlo, Kikue si rivolge a Dairi e dice di lasciar partire Hiroshi; se il figlio ha preso questa decisione, afferma la donna, non c’è niente che lei possa dire. E così Kikue fa esattamente ciò che Hiroshi non è mai riuscito a fare con lei: rispetta e difende la volontà e la libertà del figlio, e così facendo gli impartisce una sonora lezione di autodeterminazione. Jeeg sconfiggerà il gigantesco arciere – lo stesso di prima, ma trasformato in spettro Haniwa – e lo sconfiggerà servendosi del suo stesso arco. Più tardi, alla Build Base, quando il professor Shiba manderà Miwa a chiamare Hiroshi per parlargli, il ragazzo dirà a Miwa che non ce n’è più bisogno, ha capito da solo dov’è la campana di bronzo.

4.2 Di cosa liberarsi La contaminazione di Hiroshi con l’universo del suo nemico è profonda, specifica, e proprio per questo nascosta ai suoi stessi occhi. In Jeeg c’è una presa di posizione netta sulla società, c’è un ragionamento raffinatissimo su tradizione e tradizionalismo, e c’è una messa in guardia sul rischio sempre costante che il passato rigurgiti dalle profondità tombali, soprattutto quando le persone non sanno di averlo dentro. E anche quando comprendono di averlo dentro non è ancora finita, bisogna vincerlo. La crescita di Hiroshi è la sua presa di coscienza su ciò che lo riguarda direttamente: prima impara che può diventare Jeeg, può farlo anche se ancora non sa il resto, e lo fa, anche con una certa soddisfazione; poi chiede conto al padre della sua invulnerabilità, della quale non si è mai posto il problema, e vi scopre un lato inumano – la tecnica – che pensava esterno (pensava fossero i guanti), e che lo sconvolge; infine conosce la collocazione della campana di bronzo – il passato – e solo allora può coltivarne il potere. È in questa fase che Hiroshi impara da sua madre l’autodeterminazione e risolve il rapporto con lei prendendo coscienza dell’antico dentro di sé, senza che nessuno glielo riveli. Da questo momento, stringendo una nuova alleanza con il padre-computer e sfruttando il potere della campana secondo le sue indicazioni, abbandona la forma dell’animalesco demone cornuto e assume quella nobile del guerriero. Un motivo di ulteriore interesse è che sul fronte nemico assistiamo a un ana-

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logo rovesciamento: grazie alle iscrizioni che è riuscita a leggere sulla campana, Himika risveglia l’Imperatore del Drago. Questi non è interessato alla campana, e il suo esercito è formato da androidi: l’antico è surclassato dall’eterno, e il matriarcato di pietra di Himika è annientato dal patriarcato robotico dell’Imperatore del Drago. La costruzione di Jeeg è eccezionale: prima di combattere la tecnica con la tecnica, Hiroshi ha dovuto purificarsi dall’attività inconscia del passato dentro di lui, ma non l’ha dovuta eliminare: ha dovuto renderla conscia. Liberatosi dall’attaccamento alla madre, ovvero liberata la madre dal suo attaccamento, scompare Himika. Accettato il rapporto con il padre, compare il dragone maschile e l’aspetto mortifero della tecnica. A questo aspetto mortifero, Jeeg risponde con una sorta di esuberanza, di vitalità della tecnica. Diversamente dai suoi predecessori, Hiroshi non entra in connessione con un demone della tecnica che a sua volta medii tra l’eroe e il suo avversario: Hiroshi è contaminato dalla tecnica in prima persona, non c’è alcuna mediazione, tutto è più diretto. Facciamoci caso: sebbene a Jeeg non manchino pugni volanti e raggi, i suoi combattimenti sono molto più fisici rispetto a quelli dei Mazinger e dei Getter. Non solo, il suo stesso corpo viene continuamente smontato e rimontato con pezzi diversi. Il gusto di Hiroshi per l’aggiunta di funzioni inizia già nell’episodio 4 con i Mach Drill: all’inizio non è interessato ai nuovi componenti, poi li prova e si esalta. Ma subito dopo la scoperta della posizione della campana, negli episodi che vedono la caduta del matriarcato di pietra e l’ascesa del patriarcato tecnico del dragone, il numero di componenti di Jeeg aumenta vertiginosamente: il robot viene deformato in modi assurdi, e mentre tutto ciò accade, il muso di Jeeg mantiene la sua espressione ottusa e fiera, come un freak consapevole della sua condizione e per nulla imbarazzato dal fatto che il suo corpo assuma le forme più surreali, anzi, si percepisce una smania, una frenesia di ricombinazione e sperimentazione, un dinamismo e una vitalità che contrastano con la buia fissità dell’universo dell’Imperatore. È da questa fissità mortifera che l’amore di Hiroshi riscatterà Flora: Flora è già morta, è letteralmente un’anima in pena, una creatura soggiogata dall’Imperatore con un ricatto psicologico che la mantiene in una zona che non è vita e non è morte. Quando aprirà il cuore a Hiroshi, Flora si libererà dal ricatto degli inferi, e allora davvero morirà, in pace, nella mano di Jeeg. La sensazione finale, se esaminiamo l’ossatura narrativa di Jeeg, è che il mondo Jamatai non sia che uno specchio della vita psicologica di Hiroshi. È

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L’Imperatore del Drago.

una sensazione così sbagliata? In fondo in Jeeg il tema dell’allucinazione compare diverse volte, è evidente una svolta misticista, e l’universo dell’avversario è un mondo onirico e oscuro dove i personaggi si articolano tra loro come concetti, simboli, astrazioni. Sta succedendo qualcosa. L’anime super-robotico sta scoprendo la sua vocazione più profonda: l’abisso dell’eroe. E non soltanto in casa Nagai. Stiamo per arrivarci.

4.3 Nagai e la poetica della contaminazione La pericolosità di ciò che proviene dal passato non è una novità, per Nagai. Nel 1972, prima di Mazinger Z, esce Devilman. Nella versione manga di Devilman, l’orfano Akira Fudō deve vedersela con i demoni, vale a dire gli antichi abitanti della Terra che si risvegliano intenzionati a riprendersela, ma rispetto a Jeeg c’è una differenza fondamentale: per combattere i demoni ad armi pari, Akira si fa intenzionalmente possedere da un demone per tentare a sua volta di possederlo, cioè di arrivare a una sintesi moralmente positiva – ma di misura: il carattere di

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Akira cambia – e però in grado di affrontare i suoi nemici. Akira diventa così un soggetto diviso, che della sua divisione tenta di fare un’arma, una risorsa. Ma se il demone ha potuto attecchire in lui, significa che questa divisione era possibile. È la stessa divisione che troviamo negli avversari di Great Mazinger: i corpi dei micenei sono corpi invasi e pervertiti dalla tecnica. I soggetti di Nagai ci dicono che in tutti gli esseri c’è una predisposizione alla divisione e alla contaminazione. Tuttavia questa è una scelta che Kōji, Ryōma e Tetsuya fanno sui propri corpi solo alla lontana, solo entrando in sintonia con la tecnica rappresentata dal robot. È nelle fattezze minacciose di Mazinger Z, di Getter e di Great Mazinger che si può cogliere il grado di demonicità necessario a combattere avversari demoniaci, non nei corpi degli eroi. Ciò che il pilota deve tenere a bada senza lasciarsene travolgere è la tecnica demoniaca del robot, ed è questa l’unica contaminazione cui è soggetto; il nemico, poi, è universale, appartiene a tutti, e non si richiede all’eroe di contaminarsi con lui in modo esclusivo come accadeva nel caso di Devilman. Dunque, rispetto ai suoi predecessori robotici, Hiroshi Shiba rappresenta un salto: combatte contro creature antiche portando in petto un’antica campana di bronzo che non avrà scelto lui di avere dentro, ma che lo contamina in maniera profonda e fa di lui l’unico a poter combattere. Però, finora avevamo avuto a che fare con eroi nagaiani che sceglievano di lasciarsi contaminare dall’altra cosa per combattere l’altra cosa, e il loro problema era tenere a bada la contaminazione, fisica nel caso di Devilman, mentale nel caso dei piloti. Anche Hiroshi è contaminato dall’altra cosa, e quella contaminazione gli permette di combattere; ma a differenza degli altri, Hiroshi non ha scelto: è sempre stato così e all’inizio nemmeno lo sa, deve impararlo, e solo apprendendo di essere contaminato può evolversi nel nuovo cyborg. In Devilman e in Jeeg – ma in misura minore anche nelle altre opere nagaiane – c’è una zona oscura in cui la relazione con l’altra cosa – l’avversario, le sue prerogative, il suo universo – è promiscuità carnale, ibridazione, contagio, e si risolve sostanzialmente in due condizioni esistenziali: quella di un eroe che combatte un nemico perché quel nemico ce l’ha dentro di sé, come in Jeeg, e quella di un eroe che per combattere contro un nemico si fa contaminare dal nemico, come in Devilman. La seconda condizione potrebbe anche essere il simbolo dell’accettazione consapevole della prima.

5 DI ORFANI, DI ALIENI,DI MONDI Raideen Titolo originale: Yūsha Raidīn / Yūsha Raideen Sunrise. 50 episodi. 4 aprile 1975 - 26 marzo 1976 Titolo italiano: non disponibile

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kira Hibiki ha quindici anni. Suo padre Ichirō e suo nonno Kyūzo sono archeologi, di sua madre Reiko si sono perse le tracce. Un giorno, mentre Akira sta giocando a calcio con la squadra di cui è capitano, il mondo intero è percorso da una scossa di terremoto. Al termine del fenomeno, Akira decide di chiudere la partita e manda tutti a casa. È in quel momento che viene colpito da un fulmine. Cade in trance e sente una voce misteriosa chiamarlo eroe e invitarlo a destarsi per fermare i demoni. La voce nomina anche un certo Raideen. Akira corre via, prende un motoscafo e va a largo. Durante il tragitto è attaccato da gigantesche meduse volanti e da una fortezza a forma di mano,

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anch’essa volante, con teste di drago al posto dei polpastrelli: si rivelerà essere la Gante, la base del nemico, e impareremo che le meduse si chiamano Drome. Nel frattempo da un gorgo marino emerge una piramide e, seguendo le indicazioni della voce, Akira recita una formula: la piramide si spacca, mostrando un gigante dorato. Sempre guidato dalla voce, Akira grida «Fade in!» e dalla fronte del gigante si sprigiona un raggio che intercetta e attira Akira. Trasportato dal raggio, il ragazzo passa attraverso la parete della fronte, e una volta all’interno precipita fino a ritrovarsi in una cabina di pilotaggio, collocata nella posizione del cuore del gigante. Il gigante si attiva, cambia colore. È Raideen. I comandi di Raideen sono analogici: collegati direttamente alle braccia di Akira. La voce spiega che Raideen agisce secondo la volontà di Akira. Nel frattempo il misterioso nemico appare interessato a una nave in transito in quel tratto di mare, sulla quale c’è anche il padre di Akira, Ichirō. La Gante trasforma in pietra nave e passeggeri e li trascina negli abissi. A questo punto scopriamo che il nemico è l’impero Yōma: gli Yōma sono comandati da una grande statua di pietra, l’imperatore Barao; ai suoi ordini ci sono un giovane dal volto mascherato, il principe Sharkin, e il sacerdote Berostan, che sottopone all’occhio di Barao le pietre che quest’ultimo trasforma con un raggio in bestie fossili, cioè in mostri da combattimento, gli stessi affrontati da Raideen. Il sequestro della nave sulla quale viaggiava Ichirō è collegato all’interesse degli Yōma per un misterioso elemento, il mutron, che si rivelerà centrale per la storia. Quando è a riposo, Raideen risiede all’interno di una roccia a forma di volto, che emerge dal mare davanti alla costa. Per fare uscire e rientrare Raideen, la roccia si apre e si chiude spaccandosi in due metà che si allargano o si riavvicinano con un movimento orizzontale. Quando Raideen fa ritorno nell’alcova, o quando è genericamente a riposo, il suo viso viene racchiuso dalle due protezioni laterali e il corpo del robot torna dorato. Da nonno Kyūzo apprendiamo che Raideen è un guerriero divino dell’antico popolo di Mu, e che il suo compito è la difesa dai demoni. Infatti, il vero nome di Reiko, la madre di Akira, era Lemuria, e la donna apparteneva al popolo di Mu. Nella sua lotta contro gli Yōma, Akira è affiancato dal dottor Higashiyama, leader di Mutropolis, o Istituto per la tecnologia del futuro, una base a forma di conchiglia che ha lo scopo di raccogliere il mutron; da sua figlia adottiva Mari, innamorata di Akira; dalla ESPer Rei Asuka e dall’aviatore Chikara Jingūji, che formano i Cope Lander e sono rispettivamente co-pilota e pilota del Brugger (il posto di Rei sarà preso a fine serie da Mari); dal meccanico Taro Sarumaru, e dal grosso del gruppo, Araiso Dan. Akira imparerà a pilotare Raideen e a usare le sue numerose armi, compresa la trasformazione del robot in God Bird, un’astronave a forma di uccello con la quale Akira può trapassare il nemico. A metà serie il padre di Akira viene depietrificato, ma è ancora nelle mani degli Yōma. Per liberarlo Akira deve affrontare Sharkin che, divenuto un gigante, sfida Raideen in un duello alla spada. Raideen vince il duello con la sua God Sword. Ferito a morte, Sharkin rimpicciolisce e si infligge da solo il colpo di grazia. Akira può così riabbracciare suo padre.

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In seguito alla morte di Sharkin, la statua di Barao si spezza. L’imperatore dei demoni ne emerge mostrando il suo vero volto. Tornato a nuova vita, Barao non ricorda tutto ciò che riguarda le vicende di Mu, ma al riapparire di Lemuria comincerà a riacquistare la memoria. Intanto il posto che era di Sharkin viene preso da due generali fratelli, Gekido e Gōrai, e le bestie fossili sono rimpiazzate dai mostri colossali. Il legame tra Raideen e l’energia mutron è misterioso e magico. Durante la serie capita persino che il gigante venga distrutto in battaglia e che Akira giaccia morto al suo interno. Fortunatamente intervengono le leggi del mutron: Raideen viene assorbito da un raggio e trasportato in uno spazio interno alla roccia, e qui, nel buio, viene inglobato in una sorta di sole di energia e ricomposto, mentre Akira viene riportato in vita. Verso il finale di serie ricompare Reiko/Lemuria, la madre di Akira, a bordo di un vascello volante. Scopriamo che Lemuria è antichissima: è la figlia del re Ra Mū dell’impero di Mu, e prima di dare alla luce Akira aveva dormito per 12.000 anni. L’impero di Mu – che aveva un aspetto decisamente greco – era infatti stato aggredito dagli Yōma che volevano mettere le mani sull’energia mutron. Ra Mū aveva allora creato il guardiano Raideen per difendere l’impero, ma l’eruzione di un vulcano e il conseguente tsunami avevano spazzato via gli Yōma e inferto l’ultimo colpo a una Mu allo stremo. Lemuria era stata congelata

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per risvegliarsi dopo 12.000 anni proprio in vista del ritorno di Barao, mentre la stella di Ra Mū, un dispositivo di rilascio del mutron, era stata nascosta. Una volta nato Akira, il mezzosangue destinato a pilotare Raideen, Lemuria era andata alla ricerca della stella di Ra Mū, finalmente recuperata dalle rovine sottomarine di Mu e ora incorporata nel vascello volante. Apprendiamo però che sobbarcarsi il compito di usare il proprio corpo per attivare la stella di Ra Mū può rivelarsi letale. Dopo la morte dei generali Gekido e Gōrai sul fronte nemico, e l’estremo sacrificio di Jingūji sul fronte degli eroi, giunge l’ora dell’ultima battaglia. L’immenso busto di Barao si innalza dal centro dell’isola semovente degli Yōma, che si sposta provocando maremoti e inondazioni. Decisivo è l’intervento di Lemuria: il dispositivo di rilascio del mutron si incastona nella fronte del volto roccioso alcova di Raideen, e Lemuria lo attiva personalmente, convogliando l’energia sul robot divino e moltiplicandone la stazza fino a eguagliare quella di Barao. Barao è vinto, ma Lemuria crolla stremata e al termine della battaglia smette di respirare tra le braccia di Akira. All’improvviso il corpo della donna levita nell’aria e viene raccolto dal vascello di Mu, che scompare all’orizzonte. La nuova battaglia consisterà nel sorvegliare il mutron affinché ne sia fatto un uso pacifico.

5.1 Il dio-macchina dall’abisso del tempo I Kabuto hanno reso il gigante di ferro una pura macchina; poi Saotome ha dato al robot un cuore fatto di raggi getter, un’energia primordiale e misteriosa; infine il professor Shiba ha scoperto come coniugare la tecnologia robotica con l’arcano: i robot di Nagai somigliano sempre di più a statue magiche, manufatti teurgici animati da forze interne; custodiscono un elemento dinamico che al contempo li sostiene: non è un caso che Getter e Jeeg, nelle loro incarnazioni degli anni Novanta e degli anni Zero, svilupperanno le pupille. Il super robot sta prendendo una strada inaspettata, e nel 1975 qualcuno compie un altro passo decisivo. Raideen è il primo anime super-robotico non nagaiano. È pressoché contemporaneo al manga di Jeeg e precede l’anime di Jeeg. Concettualmente, però, Raideen è più vicino a ciò che sta per accadere a quasi tutto il genere superrobotico. Alla regia si alternano, tra prima e seconda metà della serie, Yoshiyuki Tomino e Tadao Nagahama, due nomi che impareremo a conoscere, importantissimi per la storia dell’animazione giapponese e dell’immaginario mondiale. Sostituito da Nagahama alla guida del progetto a partire dal ventisettesimo episodio, Tomino continuerà a lavorare nello staff. Prima di passare ai temi forti, diamo un’occhiata ai particolari. Con Raideen si inaugura un filone – non particolarmente frequentato – in cui il robot non è

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pilotato tramite i semplici comandi, ma attraverso un tracciamento analogico dei movimenti dell’eroe, impostazione che sarà poi recuperata con Daimos, e in modo diverso con Diapolon e Gordian. Raideen vede anche attuata, per la prima volta in un finale, l’irruzione dell’abisso nel nostro mondo. Fino a questo momento erano gli eroi a irrompere nell’abisso con un’azione risolutiva (Astroganger, Mazinger Z), oppure si verificava uno scontro finale in campo neutro contro una fortezza mobile (Getter Robot, Great Mazinger), Raideen introduce la terrificante scena della comparsa di Barao e uno dei finali più mozzafiato dell’animazione robotica. Irruzione nell’abisso e irruzione dell’abisso si stabiliranno come i due finali canonici delle serie super-robotiche. Altri due elementi fondamentali per lo sviluppo futuro delle serie superrobotiche sono la trasformazione – meccanicamente più credibile di quella di Getter – e il colpo finale. Nel caso del God Bird di Raideen, trasformazione e colpo finale coincidono: il God Bird è di fatto l’arma finale che trapassa il nemico. Ma Raideen disporrà anche di un’ulteriore arma finale, la suggestiva God Voice. Di trasformazione e colpo finale ci occuperemo più avanti, ma sia Raideen in versione God Bird.

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chiaro fin da subito che, nell’ottica che stiamo per adottare, si tratta di rituali. La trasformazione di Raideen è ancora fluida e veloce. Il canone, con l’agganciamento lento dei veicoli, sarà stabilito nel 1976 con Diapolon e con l’opera di Nagahama successiva a Raideen, Combattler V. Ma perché dei rituali? Perché il super robot sta diventando sempre di più una macchina che interagisce con il sacro. Raideen è un vero e proprio robot divino, un ordigno antichissimo, ereditato dall’antica civiltà di Mu, che dispone di armi il cui nome è sempre preceduto dalla parola “God”, come God Sword, God Voice, God Bird: sono passati nemmeno tre anni dalla messa in onda di Mazinger Z, e già, con Raideen e Jeeg, la riduzione a macchina è stata sovvertita dall’arcano e dal misticismo. Raideen vive, grida, addirittura si stanca. Ed è il primo super robot dopo Tetsujin a volare senza un supporto alare: usa dei propulsori podalici – che stabiliranno il nuovo standard – e questo gli dà il doppio vantaggio di apparire più magico e di abbandonare un tratto demoniaco dei robot nagaiani. In effetti, malgrado ruggisca, sia praticamente cosciente e appaia assolutamente insondabile, Raideen è tutt’altro che demoniaco, trasmette davvero la potenza benevola di un dio. Ora non resta che comprendere per quale motivo il carattere divino del robot – che esploreremo ampiamente nel corso della guida – si presenti insieme ad altri due elementi: un eroe orfano di un genitore alieno, quasi mai realmente orfano, e un’antica contesa tra il popolo alieno degli aggressori e il popolo alieno del genitore perduto (è vero che in Raideen non parliamo di popoli extraterrestri, ma parliamo pur sempre di popoli alieni: vengono da un altro mondo). Nel giro di un anno questa traccia narrativa diventerà uno standard dell’anime super-robotico.

5.2 Da Mazinger Z ai buchi neri Nelle opere classiche di Nagai, il super robot era il guardiano di un varco che si era improvvisamente aperto su un abisso demoniaco; la contaminazione tra eroe e abisso poteva essere storico-politica, passare per i riferimenti al Giappone, all’Occidente, ma per quanto riguardava la vita dell’eroe nella sua dimensione più particolare e individuale, questa contaminazione era sottilissima: era il robot, il demone della tecnica, a fare da tramite tra eroe e abisso; l’eventuale condizione di orfanità dell’eroe, poi, non era esplicitamente connessa all’abisso del nemico, anche se nel caso di Tetsuya era intuibile una sorta di parallelo tra

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la sua situazione personale e il suo combattere contro un passato abissale. Ed è precisamente in questo punto della topografia che accade qualcosa: da legami e analogie appena suggeriti, si passa a una soluzione narrativa esplicita. La suggestione profonda ma nascosta trasmessa da Great Mazinger era che l’abisso si fosse insediato nella voragine aperta dalla perdita dei genitori e dal mistero dell’origine dell’eroe. Ciò che accade è che all’improvviso, nell’anime robotico, in questa voragine, già sede dell’abisso, si materializza l’immagine del genitore perduto. Che non potrà che essere eterea, spiritualizzata, come Lemuria, la madre di Akira di Raideen: Lemuria ricompare nella vita di Akira solo come madre abissale, appartenente a un altro mondo. Ma l’abisso è ormai anche l’abisso del nemico, infatti per Tetsuya l’abisso erano i micenei: se così non fosse, Akira si limiterebbe a partecipare di un universo fantastico – quello di Lemuria – e a combattere contro un altro universo fantastico – quello degli Yōma, e avremmo due abissi distinti, uno spirituale e uno demoniaco. Invece il genitore perduto si rende visibile attraverso lo stesso varco attraverso il quale si è reso visibile l’avversario, l’abisso abitato dalla figura spirituale del genitore è la stessa cosa dell’abisso dell’avversario, genitore e avversario appartengono allo stesso universo fantastico. Come è possibile far coesistere nello stesso abisso un nemico demoniaco e una figura spiritualizzata? Con la catastrofe-già-avvenuta, quella che si è consumata fra alieni aggressori e alieni aggrediti: l’aggressione degli Yōma a Mu, l’aggressione di Vega a Fleed in Grendizer (Goldrake), di Dazan ad Apolon in Diapolon, di Zaar a Helios in Daltanious. In storie come queste, alieni aggressori e alieni aggrediti finiscono con l’esistere dentro i confini dello stesso mondo mitico. Probabilmente la catastrofe-già-avvenuta era sepolta nell’immaginario super-robotico già dal principio ed è il seme dal quale si è sviluppato il resto dell’articolazione, ma, come spesso accade, le storie ci mettono un po’ a diventare se stesse. Il risultato della catastrofe-già-avvenuta è che l’universo fantastico che l’eroe eredita dal genitore alieno è lo stesso universo fantastico dell’avversario. Ma è solo metà della sua eredità, perché l’orfano alieno il più delle volte è un orfano mezzo alieno: è per metà terrestre, come Akira di Raideen. Questa è quasi la contaminazione nagaiana, ma portata a un livello ormai teologico dalla combinazione di passato abissale, e quindi eternità, e presenza della figura spiritualizzata del genitore: la contaminazione stessa dell’eroe diventa un fatto ereditario, diviene qualcosa di sempre già avvenuto, accaduto in un altro mondo e in un altro tempo. È nata la cosmogonia dell’orfano alieno. Certo, con questa ricomposizione non è più ben chiaro se sia l’eroe a essere se-

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Grendizer.

gnato nel profondo dalla sua partecipazione allo stesso mondo demoniaco del nemico, o se sia il nemico a essere spiritualizzato, insieme a tutto l’abisso, dalla comparsa del genitore perduto nel suo stesso abisso; ma questo lo decidono di volta in volta il tono della storia e la sensibilità dello spettatore. Notiamo piuttosto che, in Raideen, per trasmettere il senso di abissalità, viene usato l’espediente dei 12.000 anni di sonno di Lemuria; una soluzione narrativa così specifica scoraggia il riutilizzo, dunque nelle riproposizioni della cosmogonia dell’orfano alieno se ne escogiterà un’altra: l’abisso non sarà più temporale ma spaziale, la catastrofe-già-avvenuta apparterrà a un passato a volte più recente, ma slitterà in un altrove abissale, cioè nel cosmo, coinvolgendo un pianeta dal quale l’eroe è fuggito sulla Terra dopo aver perso i genitori; o un pianeta dal quale è fuggito il genitore dell’eroe, per poi avere un figlio sulla Terra e morire; o un pianeta dal quale il genitore dell’eroe ha messo in salvo il bimbo in una capsula che ha inviato sulla Terra, e così via. Il primordiale nagaiano aveva un suo modo di rappresentare il ritorno del già-stato: lo faceva con il riaffacciarsi di un’antica civiltà che aveva già domina-

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to la Terra e con il ripresentarsi di un mostro a episodio. Ma la lotta dell’eroe contro l’avversario era un evento che avveniva nel presente: era in quel momento, e per la prima volta, che i dinosauri o i micenei, che un tempo avevano goduto di un dominio incontrastato, tornavano e trovavano un’opposizione. C’era un ritorno ma non c’era una ciclicità del ritorno, se non puntata per puntata, con l’invio dei mostri. La cosmogonia dell’orfano alieno proietta nella dimensione eterna del passato abissale la figura del genitore perduto, e così facendo vi proietta l’intero dualismo delle parti in causa nella guerra – il pianeta del genitore spiritualizzato è ovviamente un’immagine spiritualizzata della Terra – e non solo: vi proietta l’esito stesso della guerra, perché quel pianeta è già stato distrutto. A tornare dal passato non è più solo l’avversario, è l’intera storia, l’intera catastrofe-giàavvenuta, e il compito dell’eroe non è più scongiurare la restaurazione di una civiltà antica, bensì spezzare una volta per tutte l’eterno ritorno del ciclo del tempo. L’anime di super robot si proietta così in una dimensione mistica. In Raideen la soluzione è ancora intermedia e c’è una compenetrazione di movimento ciclico e movimento progressivo: la catastrofe-già-avvenuta è interrotta e insieme completata da un evento naturale che pone in sospensione entrambi gli schieramenti e lascia vuota l’ultima casella per un finale che è compito di Lemuria e Akira portare a compimento. In Grendizer (Goldrake) il quadro della catastrofe sarà completo, e la catastrofe-già-avvenuta sarà alla base di Diapolon, Daltanious e Baldios. Altre storie, comprese quelle degli autori di Raideen, integreranno i motivi dell’orfano alieno senza aderire del tutto al canone: Tadao Nagahama in Voltes V (Vultus 5) sostituirà la catastrofe-già-avvenuta con uno scontro politico interno al popolo degli aggressori; Yoshiyuki Tomino in Zambot 3 porrà la catastrofe-già-avvenuta alla base della storia, ma il pilota alieno non sarà orfano; e così via: la cosmogonia dell’orfano alieno diventa lo schema di fondo dell’anime di super robot anche là dove non è del tutto attiva. Un conto è come vengono al mondo le storie e quanto ci mettono a trovare una forma, un altro conto è cosa ribolle nelle profondità della psiche. Domandarsi se nel mondo in cui nascono gli immaginari si sia materializzato prima l’avversario come passato abissale o il varco oscuro dell’orfano, domandarsi insomma quale dei due sia la proiezione dell’altro, è interessante, ma rispondere non pare possibile. Tuttavia è bene notare che, nel 1976, proprio in corrispondenza del consolidarsi della cosmogonia dell’orfano alieno e della catastrofe-già-avvenuta, i riferimenti storico-politici nell’anime super-robotico

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si faranno molto più pressanti; l’impressione che se ne trae è che la cosmogonia super-robotica non sia che la proiezione abissale del trauma della Seconda guerra mondiale: una catastrofe-già-avvenuta molto concreta. Ma a proposito di cosa nasce prima e come vengono al mondo le storie, togliamoci un pensiero: un gigante di metallo magico e senziente, un semiorfano semi-alieno, un pianeta che ha già subito la sorte che tocca alla Terra… Dove abbiamo già sentito qualcosa del genere? Sì, in Astroganger, che nel 1972 sembrava rappresentare un reperto preistorico e ora sembra attualissimo. Ma i blaster erano extraterrestri che somigliavano a un’organizzazione criminale terrestre, incarnavano una paranoia di omologazione capitalistica simile alla proliferazione militarista di Getter G.15 Il tipico nemico dell’orfano alieno è invece differenziato fisicamente dalla sua posizione gerarchica e dalle sue funzioni, come i micenei. Fasi storiche e psicologiche diverse producono immagini del nemico diverse, così l’anime super-robotico non ci dice solo che c’è un abisso: di volta in volta ci racconta anche che aspetto ha assunto.

5.3 Di varchi e allucinazioni L’anime di super robot dà spesso la sensazione che l’eroe combatta una guerra contro mostri che sono solo suoi. La caratterizzazione fantastica del nemico e del suo mondo alimenta il sospetto che l’eroe sia vittima di un’allucinazione. Il nostro eroe, specie se è un orfano alieno, anzi, mezzo alieno, vive sul limite di un varco: attorno alla sua metà terrestre c’è la vita di tutti i giorni, oltre il varco c’è un abisso popolato di aggressori demoniaci, genitori scomparsi e spiritualizzati, remoti pianeti d’origine e catastrofi-già-avvenute. Ma, si potrebbe dire, con l’aggressione alla Terra, di questo abisso non partecipa all’improvviso anche il nostro pianeta? Non entra anche la Terra a far parte di quel mondo di cui fanno parte pianeti aggressori e pianeti aggrediti coinvolti nella catastrofegià-avvenuta? Sì e no. Generalizzando molto, la prima fase è quella dell’universo nagaiano classico: l’eroe è coinvolto solo relativamente, ma l’abisso è piuttosto allucinato, e la sensazione onirica è nutrita dal fatto che le istituzioni nazionali e sovranazionali, con i loro provvedimenti e i loro eserciti regolari, tendono a scomparire dall’orizzonte; forze di autodifesa, aviazione e marina militari compaiono sporadicamente solo per essere spazzate via dal mostro di turno, mentre la base e il robot agiscono in proprio e pressoché anarchicamente rispetto a eventuali

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organi di governo. Da questa prima fase si passa alla fase iniziale dell’orfano alieno, quella più misticista, nella quale la sensazione onirica è massima. Di qui, si finisce agli anime del 1976 nei quali, paradossalmente, proprio il consolidarsi del tema della catastrofe-già-avvenuta determina un ritorno prepotente della dimensione storico-politica, che reclama i suoi dispiegamenti di portaerei e i suoi convegni alle Nazioni Unite, e quindi tutto acquista una dimensione collettiva che diminuisce la sensazione di allucinazione personale. Tuttavia, seppure più in sordina, la sensazione rimarrà, specie per gli orfani alieni particolarmente tormentati. Dove risiedono le cause di questa sensazione? Innanzitutto, nemmeno a dirlo, nello stesso super robot, con la sua stessa esistenza, con il suo modo inverosimile e mitico di stare nel mondo. In secondo luogo nel fatto che i terrestri dell’animazione robotica sono quasi sempre un popolo ignaro, inerme e aggredito improvvisamente dal mistero. Di solito sono rappresentati mentre fuggono in preda al panico, spesso in quelle sequenze fatte al risparmio che ben conosciamo, in cui le figure che scappano si ripetono tutte uguali, con gli stessi gesti, in un’automazione che rende tutto ancora più straniante (a proposito di tecnica… a proposito di ciclicità…). A meno che non si racconti di un’occupazione già in atto, come in Mechander e Daltanious, non è chiaro quanta sia, presso la gente comune, la consapevolezza e la comprensione di ciò che sta avvenendo. All’improvviso s’è aperto un varco nella realtà, e questo varco sputa mostri. Non ci vengono mai mostrati mass media impegnati a divulgare le caratteristiche biologiche e culturali dell’invasore. Soprattutto, i terrestri non hanno la stessa psicologia degli alieni già aggrediti: gli alieni-vittime quel nemico lo conoscono già, per tragica esperienza diretta, e lo spettatore ha anche l’impressione che gli altri popoli del cosmo sapessero di non essere soli anche prima di essere aggrediti, e che solo i terrestri vivano nell’illusione di essere le uniche forme di vita del cosmo; illusione che è tra l’altro la condizione psicologica normale dello spettatore dell’anime. Così funziona tutto ancora meglio, e per lo spettatore lo schermo televisivo diventa il proprio personale varco sull’abisso. Questa condizione mentale dei terrestri è suggerita pressoché in tutte le serie super-robotiche uscite tra il 1972 e il 1980. E anche quando le forze di difesa regolari sono parte attiva della guerra, rimane il fatto che gli unici che sembrano sapere e comprendere davvero cosa sta succedendo sono il padre della tecnica e gli eroi. Specialmente con l’affermarsi della cosmogonia dell’orfano alieno, che lega così tanto e in modo così personale l’eroe ai mostri che escono dal varco, abbia-

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mo la sensazione che sia la mente dell’eroe – che è tra l’altro il personaggio nel quale lo spettatore si immedesima – a generare i mostri, che il varco sia lui. Nel frattempo, il resto del mondo, di quell’allucinazione così tragicamente materiale, subisce le conseguenze in termini di morte e distruzione, il che ci suggerisce dove finiscano i mostri che tentiamo di cancellare dai pensieri ogni giorno. Ma la sensazione di avere a che fare con un mondo onirico non è prodotta solo dalla differenza di consapevolezza tra gli eroi e il resto del mondo o dal coinvolgimento personale dell’eroe con l’abisso: può essere anche il frutto dell’attitudine mitologica che appartiene all’anime super-robotico fin da Nagai, e che è particolarmente spiccata in alcune opere, anche se non si avvalgono della cosmogonia dell’orfano. Lo si apprezza splendidamente nella prima metà di serie di Combattler V, l’anime del 1976 a cui Nagahama lavora dopo Raideen. Combattler V mette in scena un abisso psico-mitologico degno di una teologia gnostica: nel primo episodio il cielo è buio, il vento forte, e Garūda (Malik in Italia) – il capo delle forze armate nemiche, un giovane biondo, molto pallido, armato di falce – si trova sul palmo della mano di una statua gigantesca. La statua si erge sulla sommità di un castello, a sua volta incastonato in un immane scoglio marino. Garūda si rivolge alla statua con l’appellativo di madre. La statua parla – senza muovere la bocca – e gli intima di conquistare la Terra; a questo punto Garūda si trasforma in un mostro antropomorfo con testa e ali d’uccello e, attraverso un ascensore che si apre nella mano della statua, scende nella sala principale del castello, dove lo attendono i suoi sottoposti, che sono busti cornuti innestati nelle pareti. Questo intero mondo – dal castello all’area superiore battuta da mare, vento e pioggia, dove si trova la statua – è nascosto nelle profondità di un’isola, e vi si accede da un crepaccio che taglia l’isola in due, dandole l’aspetto di una vulva. L’onirismo tenderà a scomparire per diversi motivi: la già annunciata crescita della dimensione storico-politica; poi la fase del 1977, che darà più importanza all’intreccio, e questo andrà a discapito delle cosmogonie dell’orfano, che avendo strutture semplici e molto codificate, sono esposte all’inflazione di episodi-riempitivo che non spostano la storia; con l’importanza assunta dall’intreccio avremo storie in cui verrà coinvolto un numero maggiore di personaggi permanenti e consapevoli, quindi la realtà abissale sarà più consensuale, dunque più reale; inoltre, l’intreccio interesserà anche l’universo del nemico, che quindi sarà esplorato e umanizzato sempre più, perdendo così il suo aspetto più misterioso e incomprensibile; infine, come era prevedibile, si farà strada nell’anime robotico un sempre più pressante realismo, del quale già si notano

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Combattler V, da sinistra: terrestri in fuga e Garūda sulla mano di sua madre.

segni: proprio in Raideen, infatti, si affaccia timidamente il tema del rapporto dell’eroe e del robot con i media e con la popolazione (probabilmente un’emanazione del tema del rapporto difficile tra eroi androidi e umani indifesi nelle serie non super-robotiche). Questo motivo tornerà nella sua massima espressione in Zambot 3 di Tomino: l’invasione non può essere ignorata, ma la colpa viene scaricata sugli stessi eroi. Il sentore di allucinazione è così sostituito da un doloroso isolamento sociale, ma il risultato è, ancora una volta, la solitudine degli eroi di fronte al varco sull’abisso.

5.4 Di guardiani del varco e mediatori di mondi Cosa è diventato il robottone da Mazinger Z a Raideen e Jeeg? Sembra che l’eroe e il super robot si siano scambiati i ruoli. La contaminazione demoniaca, che apparteneva a Mazinger Z ma non direttamente a Kōji, si è scaricata sull’eroe, sul dramma del suo mondo psicologico e sulla sua diversità, mentre il super robot ha perso l’elemento perturbante: Raideen ispira solo protezione, Jeeg è Hiroshi stesso. Qualcosa di difficilmente digeribile nel rapporto con la tecnica rimane: i bracci meccanici che inchiodano Akira, necessari a pilotare Raideen, all’inizio turbano, però poi ci si abitua. Prima era soprattutto il padre della tecnica a garantire per la bontà del super robot. Mazinger Z è minaccioso perché Kōji si ritrova da solo con il gigante,

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Duke Fleed, Grendizer.

che però diventa via via più amichevole dopo l’entrata in scena di Yumi e dei suoi assistenti; Jeeg è l’aspetto perturbante di Hiroshi di fronte a se stesso, e si capisce benissimo che senza la figura totemica del professor Shiba il ragazzo andrebbe completamente via di testa; Getter Robot ha l’aspetto più spaventoso mai visto, ma quasi non ci si fa caso perché Saotome è un orsacchiottone; se invece Great Mazinger mantiene tutta la sua terrificante vibrazione, è anche perché Kenzō Kabuto – che replica in sé e nel suo carattere la demonicità tecnica – come figura protettiva non è proprio il massimo. Ora, mano a mano che il super robot si afferma nell’immaginario collettivo, tende a perdere il suo tratto perturbante, forse anche perché, sostanzialmente, ci si abitua alla sua esistenza. Meno perturbante però non significa meno soprannaturale, un carattere che anzi con Jeeg e Raideen aumenta; il tratto soprannaturale si affievolirà piuttosto nella galassia di opere minori successive, incapaci di reggerne la suggestione, ma sarà perfezionato più avanti da Nagahama e Tomino, benché in chiave diversa. Questa divinizzazione del robot si appoggia al già consolidato effetto psicologico prodotto dall’esistenza di

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Raideen.

una creatura antropomorfa, grande, straordinariamente potente, unica, dotata di un nome proprio, e che al contrario dei suoi giganteschi avversari vince, e dunque permane nel tempo. Questi tratti rendono il robot irriducibile, per la psiche dello spettatore, a una mera macchina, tanto che non sappiamo dire se il protagonista dell’anime sia l’eroe o il super robot: un effetto che già in Astroganger era prodotto dalla scarsa attività eroica di Kantarō unita al fatto che il gigante fosse cosciente. Probabilmente è l’intrinseca tendenza al soprannaturale del super robot a candidarlo a mediatore di mondi e a fare dell’anime super-robotico il contesto perfetto per la cosmogonia dell’orfano alieno, che a sua volta rinforza il carattere soprannaturale del robot in un modo del tutto particolare. Infatti i Mazinger erano demoni della tecnica che funzionavano da mediatori con un mondo demoniaco e pervertito dalla tecnica, ma erano macchine nelle quali il nostro mondo concentrava le sue conoscenze scientifiche e tecnologiche per fronteggiare abissi collettivi, e non esclusivi dell’eroe: i micenei, i dinosauri, i nazimilitaristi. Invece i super robot delle cosmogonie dell’orfano alieno pro-

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vengono essi stessi dall’abisso, come Raideen, Grendizer (Goldrake), Diapolon, Groizer X, Daltanious, o incorporano una componente abissale, come Blocker Gundan (Astrorobot), Voltes V (Vultus 5), Baldios, il che ne alza il coefficiente soprannaturale. Dato che ora l’abisso è spiritualizzato dalla figura del genitore perduto, l’orfano alieno, insieme con il suo fardello, riceve anche un robot per interagire con quel mondo, un robot la cui funzione coinvolge più direttamente la vita dell’eroe e sarà dunque più complessa della mera funzione difensiva, perché il robot è anche il legame tra l’eroe e il genitore spiritualizzato. Questo legame appare poi rafforzato quando il genitore spiritualizzato è lo stesso padre della tecnica che ha progettato il robot o ha fornito la conoscenza per costruirlo, come il padre di Rita in Groizer X, Kentarō Gō in Voltes V (Vultus 5) e la madre di Kantarō in Astroganger, la quale rappresenta l’unico caso di madre della tecnica che realizza da zero il gigante (e uno degli unici due casi di madre della tecnica); in generale i genitori spiritualizzati padroneggiano spesso una tecnica, come Lemuria di Raideen e il re di Apolon di Diapolon. A sua volta, il tratto soprannaturale del robot si riverbera sulla natura dell’abisso e contribuisce a caratterizzarlo come un altro mondo: in questo modo divinizzazione del robot, spiritualizzazione dell’abisso e predestinazione personale dell’eroe si rinforzano l’una con l’altra. Non è un caso che la cosmogonia dell’orfano alieno si imponga con Raideen, Grendizer e in qualche modo anche Jeeg, tutti robot che hanno un solo pilota, protagonista di storie particolarmente spiritualiste, poetiche o oniriche. Dopo di loro, nessun orfano alieno piloterà da solo, a parte Takeshi di Diapolon e in misura minima Tenpei di Blocker Gundan (Yanosh di Astrorobot), il quale ha sì un robot tutto suo, ma comunque integrato in una squadra formata da quattro robot. Questa collettivizzazione, che nasce con l’avvento dei robot componibili, darà luogo a situazioni diverse: da una parte le opere di Nagahama e Tomino, nelle quali l’eroe è circondato da una squadra affiatatissima ed è fiduciosamente tutt’uno con il robot, specie se questo è legato alla figura di un genitore che è anche padre della tecnica spiritualizzato, come in Voltes V (Vultus 5); dall’altra la condizione emotiva di eroi tormentatissimi come Tenpei di Blocker Gundan (Yanosh di Astrorobot), Jimī di Mechander e Marin di Baldios, schiacciati dal peso della loro predestinazione e sostanzialmente soli, ancora più soli proprio perché circondati da squadre di ottimi ragazzi che non li capiscono, e non potrebbero. In questo clima saranno paradossalmente i robot di Nagahama e Tomino a mantenere forte il carattere divino, ma in una

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dimensione collettiva, mentre gli eroi tormentati di cui sopra verranno ingabbiati dentro robot condivisi con squadre di estranei, saranno dunque privi di un mediatore personale, rimarranno soli con il proprio mondo spiritualizzato, che non a caso per tutti e tre è un vero inferno. La progressiva divinizzazione del super robot tende anche a confinare l’aspetto demoniaco della tecnica nel territorio del nemico, nei mostri che continuano a non essere mai solo kaijū, mai solo organici, ma sempre robot o creature rielaborate tecnologicamente,16 nell’esercito di cervelli manipolati, cyborg e androidi: insomma, l’opposizione è sempre più tra tecnica spiritualizzata a tecnica disumanizzante, ma di certo la mediazione tra mondi continua a passare anche per la tecnica. Veniamo al padre della tecnica che, dal canto suo, è sempre stato un mediatore sia dell’abisso sia dello stesso mediatore robotico: Jūzō Kabuto, Kenzō Kabuto, Saotome, Shiba, erano scienziati che conoscevano sia l’abisso, sia i segreti esoterici dell’energia, sia ovviamente il gigante di metallo. Il loro ruolo di mediatori era tuttavia meno impegnativo, perché gli eroi non erano orfani Astroganger.

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dell’abisso (un po’ più delicata la situazione di Hiroshi), e spesso loro per primi – i Kabuto, Shiba – erano figure ambivalenti quanto quelle dei loro demoniaci robottoni. Il nuovo padre della tecnica mantiene questo aspetto di mediazione, ma è più tranquillizzante, anche quando è autoritario, perché in ogni caso tende a normalizzare la situazione, non nel senso di farla sembrare più piacevole ma nel senso di riportarla alla realtà, laddove Kenzō Kabuto e il professor Shiba facevano venire il sospetto che godessero a drammatizzarla oltre misura e renderla ancora più surreale di quanto già non fosse. Il padre della tecnica dell’orfano alieno, poi, di solito conosceva il genitore dell’eroe, cioè il padre della tecnica spirituale, ed era un suo collaboratore, e si trova spesso nella situazione di dover spiegare all’eroe non solo cos’è il robot e a cosa serve, ma anche chi è davvero l’eroe, quali sono le sue vere origini e a quale discorso cosmogonico appartiene. Questo aspetto è particolarmente forte negli sciamani della tecnica, ovvero quei padri della tecnica della cosmogonia dell’orfano alieno che provengono essi stessi, come il robot, dall’abisso: Rabi di Diapolon (Labi, nell’adattamento italiano) il cui nome richiama la funzione rabbinica, e Earl, in Daltanious, che incarna la figura del druido.

5.5 Dall’amico immaginario al mediatore di mondi Il Tetsujin telecomandato dal giovane Shōtarō evocava sensazioni di rivalsa, controllo, volontà di potenza. Il senziente Ganger, che Kantarō lo inglobava nel petto e che non aveva bisogno di essere pilotato, rispondeva più a un bisogno di protezione ed evocava una funzione materna.17 Non a caso Ganger era un regalo della madre di Kantarō, primo genitore spiritualizzato, e somigliava a una sorta di proiezione sostitutiva, uno spirito che aiutava Kantarō ad affrontare i mostri che il suo varco di orfano avrebbe sputato fuori. Shōtarō e Kantarō erano due ragazzini. Anche nei kaijū eiga spesso il mostro intratteneva un rapporto privilegiato con un bambino: difficile non pensare a un grosso amico immaginario, proiezione del bisogno di sicurezza e del desiderio di rivalsa sulla complessità e le restrizioni del mondo adulto. Ma cosa introduce il super robot rispetto al kaijū? Del kaijū il super robot mantiene il meraviglioso e un rapporto di tipo esclusivo con il bambino (non dimentichiamo che è unico, non prodotto in serie, e ha un nome proprio), ma diversamente dal kaijū si propone come risultato della tecnologia: nelle controversie con

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il senso comune del mondo adulto, pronto a liquidare come fantasia tutto ciò che attiene al senso del meraviglioso e del magico del ragazzino, il super robot come figura del futuro e della scienza dà ragione al ragazzino, perché traduce la sua immaginazione non in un mostro favoloso, bensì in una creatura che simula la realtà della tecnica, una creatura che quindi deve venire, che verrà, e che dunque è più vera della realtà dell’adulto, già vecchia, già morta perché destinata a scomparire. Inoltre il piccolo spettatore, come l’eroe e il padre della tecnica, è l’unico a conoscere l’origine dei mostri, il varco nel reale. Lui può insegnare agli adulti e all’onu la provenienza del nemico e il modo di sconfiggerlo. Tra l’altro una delle tipiche funzioni dell’allucinazione dell’anime super-robotico – l’autonomia degli eroi rispetto al governo – salvaguarda l’universo immaginario del giovane spettatore dal complicato circo burocratico e gerarchico dei grandi. Infine, il fatto che ora i protagonisti siano spesso adolescenti o giovani adulti insegna al ragazzino che il suo amico immaginario, cioè l’immaginazione in sé, non è qualcosa da abbandonare con l’infanzia, bensì qualcosa che sarà bene conservare nella crescita.

5.6 Ciclicità eterna e incremento dell’abisso Raideen e Jeeg condividono diversi aspetti. In entrambi i casi troviamo un nemico tombale, il suo attributo è la pietra: ciò che è fisso e fermo per sempre. E rispetto al passato tombale, l’eroe rappresenta il movimento, l’evoluzione, la progressione. In Raideen, il successo esistenziale di Akira si esprimerà nell’impresa di liberare dalla pietra suo padre, che appartiene al presente, e nell’accettare la morte di sua madre, che appartiene al passato abissale.18 Il professor Shiba, ucciso dai Jamatai e fissato dalla tecnica nell’eternità della cibernetica, non può che morire schiantandosi contro la fortezza volante mentre Jeeg distrugge l’Imperatore la cui figura è avvolta dalle spire circolari del dragone. Nelle immagini della fissità della pietra e della circolarità del dragone ritroviamo l’incapacità di progredire, la non-vita eterna dalla quale Flora riesce a liberarsi solo con l’amore. In entrambe le storie, poi, avviene un mutamento nella gerarchia nemica che si direbbe un incremento dell’abisso: Himika è rimpiazzata dal Dragone; Sharkin e il tumulo di Barao dai nuovi generali e dal Barao redivivo; e in entrambi i casi questo avviene in corrispondenza di un rinnovato rapporto dell’eroe con i genitori.

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Barao sigillato nella pietra in Raideen.

L’incremento dell’abisso consiste in un cambio di mentalità nella gerarchia nemica, ed era già accennato nelle prime serie nagaiane. Però nel passaggio dal Mazinger Z a Great Mazinger e da Getter a Getter G, un nemico più bestiale e sregolato lasciava il campo a un cattivo di stampo tradizionalista e feudale, ideologia discutibile ma non del tutto caotica. In Jeeg – ma anche in Great Mazinger se preso isolatamente – accade il contrario: un nemico feudale, militarista e tradizionalista, Himika, cede il passo a un’entità bestiale e sregolata, il Dragone (e in Great Mazinger il Generale Oscuro cede il posto al Generalissimo Inferno, cioè a Hell); in Raideen un nemico tradizionalista, Sharkin, viene eliminato e il demoniaco vertice della gerarchia mostra il suo vero volto. Nella dimensione storico-politica questo significa un’inversione di predominanza tra tradizionalismo e nichilismo: ora si suggerisce che il nichilismo usa il tradizionalismo come maschera per perseguire i suoi scopi, prima si suggeriva l’opposto. Ma nella dimensione mitologica? Per comprenderlo dobbiamo guardare che differenza c’è tra Jeeg e Raideen. In Raideen non c’è un vero incremento dell’abisso, caso mai una sua più eviden-

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te manifestazione: il vertice della gerarchia è sempre Barao, anzi, a tornare dalla tomba è proprio il Barao della catastrofe-già-avvenuta; è Sharkin che viene eliminato e sostituito con due generali. In più, come sappiamo, Raideen ha una castrofe-già-avvenuta lasciata in sospeso. Per quanto riguarda il resto della produzione super-robotica, catastrofe-già-avvenuta e incremento dell’abisso non appaiono mai insieme. Là dove abbiamo una catastrofe-già-avvenuta, troviamo incrementi che, come in Raideen, non toccano il vertice della gerarchia – Zuril in Grendizer, Joket in Diapolon – e possiamo trovare decrementi dell’abisso, anch’essi minori perché per loro stessa natura non possono interessare il vertice dell’abisso: Medusa in Mechander, Kloppen in Daltanious, Afrodia in Baldios, e la situazione ambivalente di God Sigma nel quale incremento e decremento convivono ma, come vedremo, la catastrofe-già-avvenuta di God Sigma è del tutto particolare. I decrementi interessano anche anime privi di catastrofe-giàavvenuta, come mostra il caso di Flora in Jeeg. Specularmente, là dove abbiamo un vero incremento dell’abisso, non si presenta una catastrofe-già-avvenuta. E nel caso in cui si verifichi un incremenFlora muore sulla mano di Jeeg.

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to dell’abisso in una storia basata sulla cosmogonia dell’orfano alieno, come accade in Blocker Gundan (Astrorobot), la catastrofe-già-avvenuta è sostituita dall’avvenuto-cataclisma. L’avvenuto-cataclisma non è una guerra tra due pianeti come la catastrofe-già-avvenuta. L’avvenuto-cataclisma è una catastrofe di natura ambientale, che riguarda il solo pianeta degli aggressori, e che li spinge a conquistare la Terra. Questo significa che mentre la catastrofe-già-avvenuta ha una struttura dualistica e ciclica – cioè c’è stata una guerra tra due pianeti, e l’aggressione alla Terra è una ripetizione di ciò che è già accaduto al pianeta che ha perso – l’avvenuto-cataclisma ha una struttura monistica: c’è un solo popolo alieno e un solo pianeta alieno, quello degli aggressori, e dunque ciò che accade accade ora per la prima volta, non è ciclico; e questi sono quei casi in cui l’orfano alieno non può che provenire dallo stesso popolo aggressore, come Groizer X e appunto Blocker Gundan (Astrorobot). Ora, è chiaro che, nel momento in cui qualcuno che appartiene al popolo aggressore si schiera contro la fazione aggressiva del suo stesso popolo, una forma di dualismo si crea comunque. La differenza, però, è che nella versione della catastrofe-già-avvenuta il dualismo è presente da sempre: l’abisso nasce dualistico. Invece nella versione dell’avvenuto-cataclisma, il dualismo si genera da un principio unico, la divisione si crea per dialettica interna a un abisso che inizialmente nasce monistico. Di conseguenza nell’abisso monistico non c’è una ciclicità dello scontro tra due parti in causa, c’è una divaricazione nel mondo del nemico che si verifica una volta. E in questo caso può esserci un incremento dell’abisso. Perché questa separazione, che sembra tanto un’incompatibilità, tra incremento dell’abisso e catastrofe-già-avvenuta? Probabilmente perché l’incremento dell’abisso è un movimento progressivo che tende a spezzare la suggestione di ciclicità eterna della catastrofe-già-avvenuta: se si verificasse un incremento di cattiveria al vertice della gerarchia nemica, la situazione non sarebbe più la stessa della catastrofe-già-avvenuta. E qui succede qualcosa di estremamente interessante: gli incrementi dell’abisso, in realtà, non sembrano escludere del tutto la ciclicità, sembrano spostarla dal piano della narrazione al piano simbolico, portando al vertice una figura il cui attributo è invariabilmente il serpente: l’Imperatore del Drago di Jeeg, avvolto dalle spire circolari, Hell Sandra di Blocker Gundan (Astrorobot), il cui copricapo è sormontato da un serpente dorato, e Janera di Combattler V, che come l’Imperatore del Drago è circondata dalle spire e va a sostituire una leader legata alla pietra.

6 A space romance: ufo robot grendizer Gattaiger Titolo originale: Uchū Enban Daisensō Toei Animation. 30’. 26 luglio 1975 Titolo italiano: Ufo Robot Gattaiger. La grande battaglia dei dischi volanti

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e truppe spaziali del pianeta Yabarn, comandate dalla principessa Telonna e dal capitano Blacky, scendono sulla Terra per impossessarsi di Gattaiger, il disco – che incorpora il robot Roboizer – a bordo del quale il principe Duke Fleed è fuggito dal pianeta Fleed, invaso proprio dalle forze di Yabarn. Sulla Terra, con il nome di Daisuke, Duke si fa passare per il figlio del professor Umon, l’unico a conoscere le sue origini extraterrestri. Telonna informa telepaticamente Duke del proprio arrivo, chiedendogli di consegnare Gattaiger senza creare problemi a lui e ai suoi amici. Duke rifiuta e Telonna rapisce Hikaru Makino, la figlia di Danbei Makino, il tenutario della fattoria dove Daisuke dà una mano. Date le circostanze, Duke consegna il disco-robot.

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Duke Fleed in Gattaiger. Tuttavia la furia del capitano Blacky non si placa: lo sciagurato gerarca ha comunque intenzione di distruggere la Terra. Duke ha ancora in mano il telecomando multifunzione del Gattaiger con il quale si libera dei nemici, assume la sua forma di principe di Fleed – di fronte agli stupefatti Hikaru e Danbei – e attiva il robot, facendolo uscire dal disco spaziale e mettendosi ai suoi comandi. Ne nasce una battaglia nella quale, per salvare la vita del suo amato Duke, Telonna rimane gravemente ferita. Un furioso Duke distrugge la compagine di Blacky, ma solo per ricevere l’ultima carezza da Telonna, che muore tra le sue braccia. Duke è convinto che nuove truppe di Yabarn verranno sulla Terra per impossessarsi del Gattaiger: non gli resta altra scelta che lasciare il pianeta. Ma a Hikaru, arrabbiata per l’abbandono, Duke promette che tornerà se la Terra sarà di nuovo in pericolo. Il disco-robot decolla, Hikaru lo insegue e piange fino a vederlo sparire nel cielo. Anche il professor Umon osserva il disco lasciare la Terra. Nell’abitacolo Duke sorride sereno.

6 – A space romance: Ufo Robot Grendizer

Grendizer Titolo originale: Ufo Robo Gurendaizā / Ufo Robot Grendizer Toei Animation. 74 episodi. 5 ottobre 1975 - 27 febbraio 1977 Titolo italiano: Atlas Ufo Robot – Ufo Robot Goldrake

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ōji Kabuto (Alcor), tornato dall’America, si dirige con un disco volante di sua progettazione, il tfo, al Laboratorio di scienze spaziali, dove lavorerà con il direttore, il dottor Genzō Umon (Procton). Qui conosce Daisuke Umon (Actarus), il figlio del dottor Umon, che lavora al ranch Betulla bianca, di proprietà di Umon e gestito da Danbei Makiba (Rigel) con i suoi due figli, il piccolo, Gorō (Mizar), e la grande, Hikaru (Venusia), chiaramente innamorata di Daisuke, il quale sembra ricambiare o comunque provare per la ragazza fortissimi sentimenti di stima e affetto. Kōji è incuriosito e infastidito dal carattere schivo di Daisuke, ma ben presto Daisuke e Genzō gli rivelano la verità: Daisuke è Duke Fleed, principe di Fleed, scappato dal suo pianeta, prima occupato dalle truppe di Vega e poi reso inabitabile dal lancio di una devastante bomba al vegatron, la principale risorsa energetica dell’aggressore. Duke è fuggito a bordo del Grendizer (Goldrake), un robot alloggiato in un disco volante dal quale può anche separarsi: il robot è denominato Dizer, il disco Spacer. Grendizer è stato realizzato dagli scienziati di Fleed su ordine di Vega sotto l’occupazione. Si tratta del misterioso robot che Kōji ha già visto all’opera contro le bestie-disco di Vega. Vega infatti ha già cominciato ad attuare il piano d’invasione della Terra, e Daisuke, malgrado odii la guerra, è costretto a usare il Grendizer per difendere il suo nuovo pianeta. Gli eroi lo ignorano ma la base di Vega si trova sulla faccia nascosta della Luna, e lì risiedono i luogotenenti del Re Vega: Blacky

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(Hydargos) e Gandal. Gandal è una strana creatura che ospita una piccola donna all’interno della testa: ogni tanto il suo volto si spalanca in due metà e la donna prende la parola. Agli ordini di Gandal e Blacky c’è un esercito di soldati semplici muniti di minidischi. La base lunare invia ripetutamente sulla Terra bestie-disco – accompagnate da stormi di minidischi – che Grendizer deve affrontare. All’inizio le bestie-disco sono pilotate, più avanti saranno sostituite da autonome Vega-bestie. Blacky muore nella prima metà della serie; nello stesso frangente Gandal rimane gravemente ustionato e subisce un’operazione che rimodella sia l’apertura del suo volto, rendendola a scomparsa, sia la morfologia di Lady Gandal, della quale ora appare il volto all’apertura del volto di Gandal; in seguito alla morte di Blacky alla base lunare arriva Zuril, ministro della scienza. A nemmeno metà della serie, la ferita contaminata da radiazioni vegatron che Daisuke ha rimediato durante l’attacco di Vega a Fleed si riapre: il male appare incurabile, è certo che Daisuke morirà, spera solo di debellare Vega prima che accada. Ci sono anche importanti cambi di armamentario: il tfo di Kōji, piuttosto debole, viene distrutto, e Umon munisce il ragazzo del Double Spacer (Goldrake 2), un velivolo che può anche agganciarsi alla schiena del Dizer come uno scrander, permettendo al robot di volare senza rinunciare al corpo a corpo con il nemico. Kōji non userà mai il Mazinger Z durante la serie; ricordiamo che il robot si trova in un museo. Anche Hikaru Makiba ottiene di entrare a far parte del gruppo come pilota del Marine Spacer (Delfino Spaziale), il velivolo che può agganciarsi alla schiena di Dizer per portarlo sott’acqua, l’ambiente più problematico per il robot. Inoltre il dottor Umon rinnova completamente la struttura della base. Ricompare anche la sorella minore di Daisuke, Maria Grace Fleed, portata sulla terra da un fleediano prima della distruzione del pianeta. L’uomo le ha fatto da tutore sulla Terra, spacciandosi per suo nonno. Solo in punto di morte, in seguito a un attacco di Vega, le rivela la verità. Credendo Grendizer ancora nelle mani di Vega, Maria lo cerca per fare giustizia. Ritrova invece suo fratello, che l’aveva abbandonata durante la sua fuga da Fleed. A Maria viene affidato il Drill Spacer (Trivella Spaziale), che permette a Grendizer di penetrare sotto terra. Maria intesserà con Kōji una relazione affettuosa abbastanza palese. Un paio di volte ricompare persino Boss con i suoi due aiutanti, Nuke e Mucha. Nel frattempo le radiazioni di vegatron stanno distruggendo Vega. In conseguenza di ciò, Re Vega si stabilisce sulla base lunare in attesa di terminare la conquista della Terra. Ma le cose non vanno così bene. Moros, vecchio amico alieno di Daisuke, riesce a decontaminargli la ferita al vegatron, salvandogli la vita, Kōji uccide Zuril, e Rubina, ex-fidanzata di Duke e figlia del re di Vega, prima di morire per le ferite riportate in battaglia, rivela l’ubicazione della base lunare. Dato che solo il Grendizer può volare fuori dall’atmosfera, Umon prepara un veicolo spaziale in tre moduli, il Cosmo Special Spacer. Intanto le risorse di Vega sono allo stremo: la guerra, in un modo o nell’altro, è destinata a chiudersi.

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Daisuke medita di partire per la Luna da solo e chiudere i conti anche a rischio della vita. Kōji capisce cosa sta succedendo e con fatica riesce a dissuadere l’amico. Intanto sulla Luna Lady Gandal tenta il tutto per tutto: stordisce la coscienza di Gandal e chiede a Umon asilo sulla Terra in cambio dell’uccisione di Re Vega, ma il disegno non si realizza: in un impeto di coscienza, Gandal riprende il controllo quanto basta a uccidere la sua metà, poi si lancia in un attacco suicida morendo in battaglia contro Grendizer. La squadra di Duke Fleed parte per lo spazio con Grendizer e i tre moduli del Cosmo Special Spacer, e Re Vega lascia la base lunare dirigendosi sulla Terra con la sua nave madre: lo scontro avviene tra la Terra e la Luna. La nave di Vega è seriamente danneggiata, Re Vega ha perso e lo sa. In preda alla rabbia tenta di schiantarsi sulla Terra contaminandola di vegatron in un ultimo gesto di sfregio, ma Grendizer riesce a fermarlo e a squarciare la sua nave, uccidendo anche il monarca, con un colpo di Double Harken. La guerra è finita. Daisuke e Maria partiranno per Fleed, sul quale, secondo le notizie ricevute da Rubina, la vita sta rinascendo. Kōji non la prenderà benissimo, Hikaru invece apparirà seria e certamente rattristata ma non particolarmente turbata. Se Daisuke e Maria torneranno sulla Terra o no, non è dato sapere.

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6.1 La poetica del cosmo Ufo Robot Grendizer19 condivide diversi nodi tematici con quello che diventerà, di lì a pochissimo, lo stilema dell’orfano alieno: il protagonista è extraterrestre e ha perso i genitori nella catastrofe-già-avvenuta; il robot è solo un robot ma per i fleediani sembra ricoprire un ruolo mitologico di guardiano; Grendizer non è una creazione del padre della tecnica ma è stato costruito nell’abisso di là del varco (che qui è lo spazio); l’abisso di Grendizer è abitato da una gerarchia nemica dai tratti talora mostruosi e ibridi, militarista e nutrita da una chiara ideologia della guerra; l’impresa imperialistica veghiana vede coinvolti diversi pianeti, i cui popoli si conoscono reciprocamente, rinforzando la tipica sensazione di differente consapevolezza spaziale tra terrestri e resto del cosmo, e lo statuto onirico dell’abisso. Ma Grendizer – opera dello staff di Nagai, e idealmente terzo capitolo della Mazinsaga – non si esaurisce nello stilema, nel quale peraltro non rientra pienamente, semmai lo consolida, e rappresenta una delle più riuscite epopee super-robotiche mai realizzate. Soprattutto, Grendizer sembra interessato a essere tutt’altro da quello che si è visto fino a questo momento nel genere super-robotico. Pare che gli autori non avessero intenzione di legare la serie alla Mazinsaga, e che sia stata una pressione della Toei a convincerli a inserire Kōji nella storia. In effetti la Mazinsaga è lontanissima, lontani i suoi cieli oppressivamente chiusi – il cielo di Grendizer è ossessivo e spalancato – lontane la retorica marziale e la plumbea disciplina di Great Mazinger. Lo stesso Kōji Kabuto appare trasfigurato: il giovanotto sbruffone e a tratti grottesco di Mazinger Z entra in scena già più maturo, in linea con quanto visto in Great Mazinger, e il suo carattere evolve mantenendo la sua vivacità, le intemperanze, lo spirito d’iniziativa, ma tutto in una versione più adulta, soprattutto accettando un ruolo subalterno e rimanendovi fedele, perché Kōji stima Daisuke, alla follia. Il ragazzino giapponese che combatteva nel robot di japanium fattogli dal nonno entra così in una più ampia dimensione simbolica, destinale, in cui accadimento storico e senso del mondo rimandano l’uno all’altro: all’inizio della serie Kōji pilota il piccolo disco da lui stesso progettato, solo in un secondo tempo Umon gli mette a disposizione un’arma potentissima come il Double Spacer, e questo passaggio segna l’uscita di Kōji Kabuto da una dimensione limitata e il suo ingresso nell’eterna vicenda cosmica. Gli episodi in cui Hikaru rimette al suo posto un Kōji particolarmente baldanzoso verso di lei – episodi che se-

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guono l’entrata di Hikaru nel team di combattimento – somigliano tanto a un messaggio degli autori: per comprenderne il significato basta tenere presente che il Kōji Kabuto di Mazinger Z era uno sbruffone che non perdeva occasione per sminuire Sayaka e mancarle di rispetto. Si tratta insomma dell’ultimo stadio della necessaria – e riuscita – rieducazione di Kōji, che non a caso subito dopo incontrerà Maria. I primi esperimenti sugli extraterrestri lo staff di Nagai li aveva condotti nei due film crossover in cui il Great Mazinger incrociava la squadra Getter. Ma non basta la presenza degli extraterrestri a fare di Grendizer ciò che è. Prima di Grendizer esce al cinema il mediometraggio di Gattaiger, che racconta una storia di sentimenti sullo sfondo di una guerra di pianeti. Gattaiger non è altro che il film-pilota di Grendizer. Lo spazio in Grendizer è lo sfondo ideale – visivo e narrativo – dell’atmosfera onirica che permea l’anime, alimentata dalle forme flessuose e vegetali delle architetture veghiane, meravigliosamente aliene, insieme poetiche e perturbanti, e dai viola, i rossi e i blu intensi delle memorie del pianeta Fleed. Quanto allo scenario terrestre, la per nulla facile contaminazione dell’epica spaziale con l’estetica western del ranch, miracolosamente, funziona, e Grendizer si gioca benissimo l’ambientazione nella prefettura di Yamanashi, la natura, i prati vasti, i particolari della vegetazione, e un cielo che sempre richiama il suo ruolo nella storia e rimane dunque perennemente ambivalente nel comunicare sentimento dell’infinito e paranoia. Daisuke Umon / Duke Fleed.

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Dal canto suo, Daisuke Umon/Duke Fleed è un protagonista perfettamente in linea con l’atmosfera. Malinconico e meditativo, devia tantissimo dalle psicologie finora incontrate, e vive il suo dramma in modo più sommerso, meno a fior di pelle rispetto a Tetsuya o Hiroshi. La prospettiva di Daisuke non è né individuale né sociale: è solitaria e cosmica. Rientra nella figura dell’orfano solo in senso lato: non è un adolescente, non ne ha i tratti fisici né psicologici, e i genitori li ha persi insieme al suo pianeta, mentre può contare sull’umanissimo e rispettoso affetto di Genzō Umon, che è probabilmente il miglior padre della tecnica mai tratteggiato in un anime robotico; figura straordinaria, Genzō Umon riesce a coniugare sentimento protettivo, fiducia e rispettosa distanza nei confronti di un giovane uomo di cui riconosce la fragilità, le capacità e una tragica esperienza della vita. Daisuke è piuttosto orfano di un mondo. Quando lo incontriamo sulla Terra, è un silenzioso esule che cerca disperatamente un angolo di pace per gestire quello che parrebbe un complesso del sopravvissuto. È senza dubbio d’animo nobile e gentile, è coraggioso, serio, saggio, ama profondamente la Terra, la natura, la pace. La prima impressione – che è sempre quella giusta – è che voglia solo fare il cowboy e vivere il resto della sua vita con Hikaru. Questa è l’indubitabile superficie del racconto. Ma in Grendizer la sensazione di profondità è sostenuta anche dalla stratificazione di percorsi narrativi. L’effetto nebbia che pervade il passato di Daisuke è alimentato fornendo alle situazioni-cardine più di una possibile causa, talvolta cause in conflitto tra loro, ma sempre con l’accortezza di indicarne una più ingombrante: lo spettatore è così indotto a guardare a quella, ma ha la sensazione che vi siano altre possibili connessioni, altrettanto coerenti, perché viene impegnato in ricostruzioni cronologiche nelle quali sembra mancare sempre qualcosa, mentre in superficie, nella vita del ranch e della base, viene fomentato dai non-detti, dai giochi di sguardi e dal linguaggio del corpo dei personaggi, al limite del subliminale. E quando cerca di immergersi al di sotto della linea narrativa principale, le cose si fanno meno semplici.

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Grendizer contro Great Mazinger Titolo originale: Ufo Robo Gurendaizā tai Gurēto Majingā / Ufo Robot Grendizer tai Great Mazinger Toei Animation. 27’. 20 marzo 1976 Titolo italiano: Ufo Robot Goldrake contro il Grande Mazinga

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l cortometraggio contiene una versione alternativa della distruzione del tfo. La storia comincia quando Re Vega invia alla base lunare il comandante Barendos con il compito di liberarsi una volta per tutte di Grendizer. Appena arrivato, Barendos fa sapere a Gandal e Blacky che in caso di un suo successo i due saranno destituiti. Il comandante veghiano attacca con i minidischi, ma Daisuke è a un appuntamento con Hikaru, e Kōji, innervosito, decide di entrare in azione da solo con il tfo. Il risultato è che, inviando una bestia-disco, Barendos riesce a catturare Kōji. Il comandante distrugge il tfo, poi sottopone l’eroe a un condizionamento mentale. Scopre così l’esistenza dei Mazinger, ospitati al Museo dei robot, e riesce a rubare il Great Mazinger. Daisuke, saputo di Kōji, entra in azione con il Grendizer, ma deve vedersela con il Great Mazinger e con la bestia-disco. Il mostro viene liquidato facilmente. Non è così semplice, invece, mettere ko il Mazinger. Fortunatamente Kōji riesce a liberarsi e a comunicare a Duke il punto debole del Great Mazinger: la connessione delle ali. Grendizer riesce ad avere la meglio, Barendos abbandona il Brian Condor e Kōji, scappato finalmente dalla nave di Vega, prende possesso del Great Mazinger. Mentre Kōji se la vede con una seconda bestia-disco, Grendizer dà l’assalto alla nave veghiana. La faccenda è più difficile di quel che sembrava, compare addirittura una terza bestia-disco, ma alla fine i due eroi hanno la meglio.

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6.2 Vegatron e peso del mondo Di tanto in tanto lo spettatore è sobillato da episodi come quello di Naida (il 25), una fleediana con cui Duke ha avuto una storia e che, condizionata mentalmente da Vega, approda sulla Terra, gli scarica addosso una devastante colpevolizzazione in merito al destino degli abitanti di Fleed, e sa così bene dove colpire che riduce Daisuke in stato catatonico; o quello di Rubina (il 72), la figlia di re Vega, che Duke aveva frequentato e che suo padre, il re di Fleed, avrebbe voluto che lui sposasse, convinto che questo avrebbe messo al sicuro il pianeta. In questi due episodi, singolarmente presi o messi in connessione, è nettissima, e motivata, la sensazione che ciò che è davvero successo su Fleed ci venga nascosto, senza rinunciare ad alludervi.20 Per non parlare dell’episodio 49, in cui Daisuke ricorda il modo incomprensibile in cui ha abbandonato una piccola Maria Grace tra le fiamme di Fleed, senza che allo spettatore sia fornita una ragione che paia sensata. Questi indizi oscuri non trovano mai spiegazioni esaurienti, però neppure entrano mai davvero in collisione con l’immagine del Daisuke terrestre. Comunque lo si voglia leggere, l’episodio di Naida, che avvia la fase più piena e strutturata dell’anime, mette in luce la chiara difficoltà di Daisuke nell’individuare l’esatto perimetro delle sue responsabilità. Proprio perché animato da un rigoroso senso morale – il che conferma, pur complicandola, la narrazione di superficie – Daisuke è soggetto a dubbi sulla propria integrità, e questo lo rende manipolabile da chi usa i sensi di colpa in modo distruttivo, compresa – si direbbe – la parte più autocritica della sua stessa personalità, dalla quale deve mettersi al riparo. Affetto da un eccesso di egoriferimento, Daisuke rischia continuamente di concentrare le colpe su di sé, mentre catalizza ogni via di salvezza sulla propria proiezione super-robotica – la simbiosi tra Grendizer e Daisuke, o l’ossessione di Daisuke per Grendizer, è impressionante, anche se psicologicamente comprensibile nel quadro descritto. Il suo riscatto non passa tanto dal debellare finalmente Vega, come parrebbe affermare la traccia narrativa di superficie, quanto dal lasciarsi affiancare dal resto della squadra, cioè dall’accettare di avere una rete di relazioni anche nella lotta, e dunque una responsabilità relativa. Dal comprendere, insomma, di non essere il centro del mondo, cosa che, nella sua situazione di principale e sostanzialmente unico baluardo della resistenza terrestre, non è per nulla semplice. Naida ci dice molto anche su Vega e sulla psicologia dell’assoggettamento. Colpevolizzare le vittime, come fa lei con Daisuke, è tipico effetto – e causa –

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di una cultura autoritaria, significa lasciarsi invadere – come nell’allegoria del condizionamento mentale – dall’ordine di valori imposto dal regime, fino a divenirne complici e artefici. Ma la colpa è del carnefice: è Vega che attacca, conquista, distrugge. Forse Duke Fleed non ha fatto tutto quello che poteva fare, tra cui rientra certamente il morire, ma dall’episodio 25 in poi appare sempre più chiaro che poteva andare peggio: poteva diventare un agente di Vega, di sua sponte o mentalmente condizionato. La ferita contaminata dal vegatron, che di lì a poco detterà la tonalità dell’anime fin quasi alla fine, è il segno di ciò che Vega gli ha fatto, e indica la vulnerabilità all’azione del nemico propria dei buoni: paradossalmente si riapre per salvare un amico, Kōji, dissuadendolo dal testare il suo nuovo velivolo sotto un terribile temporale; il decorso è da subito dichiarato letale ma guarirà per mano di un altro amico, Moros, proprio colui che Daisuke aveva salvato su Fleed procurandosi la ferita. È proprio durante questo percorso illuminato dalla morte che Daisuke si libera dalla superstizione dell’egocentrismo: da solo che era, accetta che Kōji e Hikaru, già entrati a far parte del suo mondo, sorveGrendizer.

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glino il suo abisso assieme a lui. L’ultimo atto della sua liberazione sarà lasciarsi dissuadere da Kōji dal portare un attacco solitario e plausibilmente suicida alla base lunare, il luogo ossessivo e roteante dal quale Vega lo scruta. Ma mentre la vita di Daisuke, dall’inizio alla fine della serie, si apre progressivamente agli amici terrestri, facendoli partecipi del suo abisso, l’abisso si fa sempre più opprimente. Sputa dal passato figure dalle implicazioni pesantissime: la sua innamorata, sua sorella, il suo migliore amico, la sua promessa sposa. E Vega esercita una pressione sempre più forte: prima il re è sul pianeta madre e i suoi luogotenenti sulla Luna, poi il re è sulla Luna e i suoi luogotenenti sulla Terra. L’altro mondo si fa sempre più incombente: nel finale, l’irruzione nell’abisso da parte degli eroi non giunge nemmeno a destinazione, arriva a malapena ad assorbire l’irruzione dell’abisso, il crollo dell’altro mondo sul nostro. L’impero di Vega, sfiancato dalla guerra terrestre, privato della sua capitale dal disastro ambientale del vegatron, si è schiacciato sulla sua periferia, e infine sulla linea del fronte: nelle sequenze dell’ultimo episodio si avverte quasi il peso della nave del re che incombe sulla superficie della Terra. La caduta della nave madre è l’ultimo atto di un processo di autodistruzione imperiale alimentato dall’ideologia militarista e dall’ingordigia energetica che deve continuamente sostenerla, il tutto mentre nello schieramento veghiano si verificano conflitti, rovesciamenti e complicazioni che non si risolvono nella solita scaramuccia tra i generali infernali, e producono risultati ben più significativi dell’invio compulsivo di mostri sulla Terra. Eppure nessuno sembra mettere in discussione il consapevole e pervicace nichilismo che sorregge la mentalità imperiale. Nemmeno Lady Gandal, che pure in uno scatto di autodeterminazione chiede di poter vivere in pace sulla Terra, manifesta il minimo segno di autocritica sulla filosofia che ha condotto Vega alla disfatta. Intendiamoci, in Grendizer la necessità di combattere non viene negata, la resistenza che gli eroi oppongono non solo è reale: è determinante. Ma è anch’essa una necessaria conseguenza del buco nero che brucia al cuore dell’impero, si inscrive nell’intrinseca tendenza di Vega all’autoannientamento, segue un ordine del cosmo, è un modo in cui le cose non potevano non andare. Il destino di Vega sta tutto in una sequenza: quella dell’episodio 69 nella quale il ministro della scienza Zuril, il personaggio che più richiama alla mente i nazisti, è condannato da tutta la sua storia personale ad assistere alla morte da kamikaze di suo figlio. Il ritorno su Fleed di Duke e Maria, a fine serie, era necessario: sancisce la riappacificazione di Duke con se stesso, qualsiasi cosa sia davvero successa

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prima che diventasse un terrestre di nome Daisuke. Noi, come siano davvero andate le cose nella catastrofe-già-avvenuta, non lo sapremo mai. A noi viene chiesto di assumere lo stesso punto di vista di chi Daisuke lo ama sapendo di non sapere tutto, di chi si fida del presente fino a diventare guardiana del suo varco: Hikaru Makiba, che nell’episodio 47 si rivolge direttamente allo spettatore, facendogli l’occhiolino mentre cavalca abbracciata a Daisuke.

6.3 Un cuore pensante: il caso Hikaru Makiba Hikaru è forse un caso unico dell’era super-robotica. Si fa avanti, prende spazio con la sicurezza di chi sa quello che vuole e sa che ha ragione a crederci, fino a intrattenere con Daisuke una relazione senza dubbio intima, lo si evince dagli sguardi e dai modi reciproci, dalla familiarità e da come si capiscano al volo. Daisuke si fida del suo giudizio, con quella fiducia che si prova verso chi sappiamo che sente il mondo nel nostro stesso modo. Il rapporto diventerà così stretto, simbiotico e vitale che quando un mostro di Vega catturerà Hikaru, lo stesso mostro strapperà un braccio a Grendizer. Quando scopre la verità su Daisuke, nell’episodio 23, dapprima Hikaru non lo riconosce più, non sa più chi sia, non riesce più a vivere il contatto con spontaneità, ma dopo un agguato di Vega che la vede coinvolta, e davanti a un Daisuke che per salvarla è disposto a cedere Grendizer – cioè il suo riscatto personale ma anche la sua alienità –, la ragazza accoglie il nuovo assetto del mondo e ci si sintonizza con un senso della realtà talmente maturo da lasciare impressionati. È qui che comincia la volata verso la nuova fase di Grendizer, che attraversa l’episodio di Naida e la scoperta della ferita contaminata, e che culmina nel rovesciamento della situazione di Daisuke e Hikaru rispetto all’abisso. Innanzitutto entrambi dismettono gli abiti campagnoli e ne indossano di nuovi, dal design decisamente space: se prima era Daisuke a voler vivere la vita di Hikaru, ora è Hikaru a caricarsi dello stesso abisso di Daisuke. E soprattutto, appena verrà costruito il Marine Spacer, il mezzo che permetterà a Dizer di muoversi in acqua, cioè l’elemento per lui più critico, Hikaru si imporrà per pilotarlo.21 Di lì a poco arriverà l’indomita Maria Fleed, e Grendizer darà vita alla prima squadra a quattro, l’unica perfettamente paritaria nella distribuzione dei generi e nello spirito, differente solo nella potenza del mezzo del protagonista perché pur sempre di un super robot parliamo: mentre la ferita al vegatron peggiora, è tutto il gruppo a sorvegliare il varco sull’abisso di Daisuke.

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Ma Hikaru non è un’orfana aliena come Maria e non è una smilza come Rei Asuka di Raideen, non è figlia di un padre della tecnica e non è stata addestrata da guerriera. Hikaru è una ragazza di campagna che decide di salire su un mezzo da combattimento per fronteggiare l’abisso della persona che ama, e quando lo fa mostra di saperlo fare, senza leggerezze da personaggio spalla e senza ossessioni da disciplina, benché si applichi con responsabilità. Le qualità che contraddistinguono Hikaru sono il senso della realtà, l’attenzione, la pulizia dello sguardo: a ben guardare rappresentano l’esatto contrario dei problemi di egoriferimento che affliggono la parte più oscura di Daisuke. Su un percorso parallelo a quello di Kikue, la madre di Hiroshi in Jeeg, Hikaru conduce una battaglia per l’autodeterminazione, e insieme il suo personaggio afferma una politica di genere completamente nuova per un anime robotico. Ma c’è addirittura di più. La potenza del suo personaggio risiede nel suo vivere in osservanza a leggi interiori, stabilendo anzitempo quella che diventerà la filosofia morale massima dell’anime super-robotico nella fase 1977-1979: la rivendicazione di un’etica autonoma, radicata nel soggetto, nel suo desiderare e nel suo sentire, nel suo essere un cuore pensante, caratteristica che sarà di eroi epocali come Kappei di Zambot 3 e Kento di Daltanious. Double Spacer, Marine Spacer, Drill Spacer in partenza.

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Grendizer, Getter Robot G e Great Mazinger contro il dragosauro Titolo originale: Gurendaizā – Gettā Robo G – Gurēto Majingā Kessen! Daikaijū / Grendizer – Getter Robot G – Great Mazinger Kessen! Daikaijū Toei Animation. 31’. 18 luglio 1976 Titolo italiano: Il Grande Mazinga, Getta Robot G, Ufo Robot Goldrake contro il dragosauro

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n’orrenda creatura marina, simile a una medusa con la bocca, e dotata di sette teste di drago, pure rigenerabili, attacca navi cisterna e depositi petroliferi del Giappone, lasciando sospettare che si nutra di petrolio. Dopo un primo inefficace attacco con Getter Poseidon, Saotome si reca al ministero della difesa, dove convoca anche Yumi e Umon. Il dragosauro, questo il nome del mostro, sarebbe una creatura preistorica sopravvissuta e cresciuta a dismisura per via dell’inquinamento. Genzō Umon propone di creare una squadra apposita: Great Mazinger, Venus A, Dianan A, Getter G, Grendizer e Kōji con il Double Spacer. Nel frattempo Boss Borot interviene senza invito, e finisce nello stomaco del mostro davanti a un Great Mazinger che era in ricognizione e che si ritrova a sua volta impotente perché bloccato da una delle teste del dragosauro. Arriva il resto dello squadrone, ma riesce solo a liberare il Great Mazinger. Boss è irrimediabilmente ingoiato. Si batte ritirata e si medita su come agire. Mentre la flotta giapponese crea un cordone attorno alla baia di Tokyo, Kōji accusa Tetsuya di non aver mosso un dito per Boss, i due quasi finiscono a pugni ma la voce di Boss irrompe dalla trasmittente: lui, Nuke e Mucha sono ancora vivi, benché in procinto di essere digeriti insieme al Boss Borot. Si parte per la nuova missione. Great Mazinger si fa ingoiare appena in tempo per tirare fuori dal dragosauro tutto ciò che rimane di Boss

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In alto: lo squadrone di super robot affronta il dragosauro. In basso: Dianan, Getter Dragon, Great Mazinger e Venus. Borot: la testa, che fortunatamente è anche la cabina di pilotaggio. Purtroppo l’esofago del mostro si chiude, e l’unica via d’uscita è nella direzione opposta. Una volta che Tetsuya, Boss e i ragazzi sono fuori, i robot possono attaccare il dragosauro liberamente. Il dragosauro riesce persino a volare, si avvicina alla costa, fa fuori lo sbarramento di Venus e Dianan poste a protezione della città, mette fuori combattimento Great Mazinger e Getter G, poi dà filo da torcere anche a Grendizer e Double Spacer, seminando distruzione in mezzo al centro urbano. Tetsuya pensa sia il caso di approfittare del fatto che lo stomaco del mostro è pieno di petrolio. Mentre Grendizer e Double Spacer attirano il mostro sul mare, Getter G e Great Mazinger gli scaraventano in bocca due serbatoi di gas prelevati da un vicino impianto. La Double Harken di Grendizer e il Double Cutter di Double Spacer squarciano il mostro, e lo Shine Spark di Getter G più il Thunder Break di Great Mazinger fanno esplodere i serbatoi. La battaglia è vinta.

7 Squadre, imperi e pacifismi: la politica del 1976 Gaiking Titolo originale: Daikū Maryū Gaikingu / Daikū Maryū Gaiking Toei Animation. 44 episodi. 1º aprile 1976 - 27 gennaio 1977 Titolo italiano: Gaiking, il robot guerriero

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l destino del pianeta Zela, che ospita una civiltà antica e avanzata, è segnato dalla vicinanza di un buco nero che ne ha già devastato la superficie costringendo gli abitanti sopravvissuti a rifugiarsi nel sottosuolo, affidarsi a un sole artificiale e costruire un potente computer nel quale conservare il loro sapere e al quale affidarsi. Il computer, alimentato a energia atomica e dotato di sembianze antropomorfe, benché colossali, è cosciente, e pretende di essere venerato come un dio: è nato Darius il grande. Darius decide che la salvezza degli zelani sta nell’impadronirsi del pianeta Terra. Sottopone gli abitanti di Zela a lavaggio del cervello e rimodellamento fisico: crea così le Armate dell’orrore

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nero, sulle quali spiccano i quattro re androidi (uno dei quali si chiama beffardamente Asimov), suoi diretti collaboratori. Sanshirō Tsuwabuki, un promettente giocatore di baseball di diciotto anni che milita nella squadra del Red Sun, rimane infortunato in un attentato: gli uominiuccello di Darius stanno infatti eliminando i terrestri più pericolosi, ovvero quelli dotati di poteri esp. La carriera sportiva di Sanshirō è finita, ma il professor Daimonji (Daimoni nell’adattamento italiano), contatta il ragazzo e gli racconta il retroscena del suo incidente, offrendogli un posto sul Daikū Maryū (“Demoniaco drago del grande vuoto”, “Drago spaziale” nell’adattamento storico italiano, da qui in poi semplicemente “Drago”), una fortezza volante che ha per l’appunto la forma di un drago, nata da un progetto commissionato dalle Nazioni Unite. Sanshirō infine accetta e si unisce alla squadra multinazionale di Daimonji. Inizia così la sua avventura sul Drago, insieme a Daimonji, al capitano Pete Richardson, statunitense, al kickboxer hongkonghese Fan Li, all’ingegnere Gen Sakon, al lottatore Yamagatake (Yamatake in Italia), al sub Bunta Hayami, al piccolo Hachirō e all’aliena Green, della costellazione della Colomba, trovata priva di memoria quando era bambina e allevata da Daimonji con il nome di Midori Fujiyama. Il Drago può muoversi sulla terra, in acqua e in cielo. Gaiking è il robot che Sanshirō è chiamato a pilotare favorito dai suoi poteri ESP. È composto dalla testa del Drago, che può staccarsi per costituire il busto del robot – che lascerà uscire a sua volta la testa del Gaiking – e due ulteriori componenti che vengono lanciati dal Drago: il modulo delle braccia e quello delle gambe. Il robot subirà anche una ristrutturazione durante la serie. Oltre al Drago e al Gaiking vi sono tre veicoli di appoggio, anch’essi con forme di dinosauro: l’aereo Skylar che richiama uno pteranodonte, pilotato da Fan Li, il mezzo subacqueo Nessā che sembra un elasmosauro ed è pilotato da Bunta, e il triceratopeico Bazorā, pilotato da Yamagatake. Mentre il Drago combatte spostandosi su tutto il pianeta, la situazione su Zela si aggrava. Un gruppo di zelani scampati al lavaggio del cervello vorrebbe emigrare sulla Terra pacificamente, e lo scienziato del gruppo osa addirittura interrogare Darius in merito alla reale natura della politica che il dio-computer ha portato avanti nei confronti della Terra. Compresa la situazione, lo scienziato e il suo gruppo si rifiutano di rendersi complici, e Darius, a sua volta contrariato dalle loro idee, li abbandona su Zela e si sposta nel sistema solare con le sue armate. Ma lo scienziato ha già pensato a quest’eventualità, e ha costruito un macchinario per circondare la città con una barriera e farla volare attraverso lo spazio. Darius è ormai deciso all’attacco finale. Con un diversivo attira il Drago su Marte e lo fa catturare. Gaiking raggiunge Marte per salvare il Drago, ed è proprio allora che Darius si manifesta sulla Terra emergendo dal cratere del Fuji. Tuttavia il Drago e Gaiking tornano in tempo per abbattere rispettivamente i quattro re e il terribile colosso, mentre sullo sfondo la città volante degli zelani superstiti scende dolcemente sulla Terra.

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Darius.

7.1 Gaiking: the super side Gaiking rappresenta l’atto conclusivo della collaborazione tra Nagai e la Toei, e pare che il rapporto si ruppe proprio perché la casa di produzione non riconobbe pubblicamente al maestro la paternità dell’opera. Difficile, data la situazione, stabilire cosa, nell’anime, è farina del sacco di Nagai e cosa no; in ogni caso un’ascendenza nagaiana è quanto meno è evidente. Se Grendizer ha reso metafisica la guerra, Gaiking la rende concreta e palpabile come mai prima, intrecciando in modo nuovo le dimensioni storico-politica e mitologica, e questa è una tendenza che, seppure con soluzioni diverse e risultati alterni, appartiene a tutta la produzione robotica dell’anno. Mitologica è anzitutto l’estetica della base e del robot, che hanno un aspetto minaccioso e arcaico, a cominciare dalle corna. E mitologico è il nemico, che conserva in parte tratti demoniaci: infatti, sebbene i quattro re androidi abbiano fattezze umane, gli uomini-uccello sono abbastanza inquietanti, e Darius, con la sua bocca sulla fronte, reca nel corpo il segno della più classica sovversione nagaiana.

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Rispetto a Grendizer – che continua contemporaneamente ad andare in onda e terminerà addirittura un mese dopo – la situazione del nemico appare rovesciata. In Grendizer l’intrinseca tendenza dell’impero veghiano al dominio determina sia la politica imperialista, sia quello sfruttamento ambientale – presumibilmente a scopo quasi esclusivamente bellico – che decreta la fine del pianeta madre. In Gaiking il cataclisma che coinvolge Zela è una fatalità, è indipendente dalle azioni degli zelani, ma li spinge a costruire Darius, nel quale chiaramente si incarna la tecnica che finisce con il dominare chi la padroneggiava, ed è Darius a decidere per la conquista della Terra. Alla base della tragedia c’è il fato, dunque. La terribile sorte di Zela imprime il tono a tutta la serie ed è il cuore tematico di Gaiking: l’idea che le catastrofi accadono, indipendentemente dalla nostra volontà, ma sta a noi stabilire come affrontarle. L’essenza del rapporto demoniaco con la tecnica è rappresentata magistralmente nella figura di Darius: alla base della sua tecnologia c’è lo studio della fisica dei buchi neri; grazie a essa gli zelani non solo possono spostarsi a migliaia di anni luce di distanza e raggiungere la Terra, ma sono anche in grado di generare piccoli buchi neri da usare come arma in battaglia. Nemesi e risorsa allo stesso tempo, il buco nero diviene così una sorta di attributo dell’avversario, che ne rimane segnato in ogni senso e intrattiene con esso una relazione ambivalente, ennesimo simbolo di quella volontà di potenza che è patto con il male, che insieme alimenta e consuma chi la pratica. Ma in un geniale rovesciamento cronologico: prima subire la catastrofe e poi farne il principio della propria forza. Naturalmente in questo delirio di onnipotenza tecnica non poteva mancare il lavaggio del cervello, pratica consueta dei militarismi nagaiani da Hell alla stirpe dei Cento fino a Vega. Però, rispetto a ogni precedente rappresentazione nagaiana del popolo avversario, Gaiking presenta una peculiarità inedita e – come vedremo – perfettamente integrata nel clima del 1976: un’opposizione interna, contraria al militarismo. Questa fazione è guidata da uno scienziato: un particolare da ricordare, questo, quando al termine del nostro viaggio incontreremo Baldios. L’irruzione dell’abisso nel finale è particolarmente traumatica. La ciclopica figura del tiranno emerge dal cratere del Fuji in una scena di rara capacità evocativa, nella quale si percepisce forte l’infrazione del confine tra i mondi. In ogni caso, fino a qui sembrerebbe di avere a che fare con un’altra serie che articola l’abisso, ma la questione è più complessa.

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7.2 Gaiking: the real side Sul fronte opposto della guerra, fatti salvi l’aspetto petroso del Gaiking e le sembianze da kaijū del Drago, sparisce praticamente ogni suggestione magica. Soprattutto perché Sanshirō è un eroe che con l’abisso non intrattiene alcuna parentela. È l’abisso che lo va a cercare e gli distrugge la carriera sportiva; certo lo fa per via dei suoi poteri esp, ma quelli sono una predisposizione innata che non partecipa dell’universo dell’avversario e che sembra più funzionale a un’altra simbolica interna alla storia: abbiamo qui l’esempio di un personaggio che, come Hiroshi Shiba e Ryōma Nagare, deve abbandonare la sua pratica sportiva per combattere; diversamente da loro, Sanshirō è costretto a farlo da un infortunio, ma nel contempo i suoi poteri lo mettono in grado di trasporre sul piano della guerra il suo colpo più caratteristico, rieseguendolo con il Gaiking. In ogni caso, mentre l’invulnerabilità potrebbe solo facilitare la carriera sportiva di Hiroshi ma Hiroshi sceglie di usarla per combattere i Jamatai, Sanshirō deve accettare di dislocare la sua abilità nella lotta contro l’avversario, non può Sanshirō Tsuwabuki.

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fare altro: l’alternativa è non fare niente. Darius e Sanshirō, quindi, reagiscono a due fatalità in modo opposto: escludente e competitivo Darius, che aggredisce la Terra come se non fosse possibile una relazione con l’altro che non sia la guerra per accaparrarsi l’uso privato del mondo; inclusivo e collaborativo Sanshirō che impara ad accettare di far parte di un equipaggio e combatte una guerra che non appartiene a lui personalmente. Dunque l’estraneità di Sanshirō all’abisso appare come una scelta narrativa ben precisa dopo le esperienze di Jeeg e Grendizer: l’abisso non è un mondo privato di Sanshirō, la storia di Gaiking è soprattutto la storia dell’equipaggio del Drago e delle sue tensioni più o meno taciute, talvolta straordinariamente rappresentate, come nell’episodio 15, nel quale Pete – istigato da Namura, l’ex-allenatore di Sanshirō, e con il beneplacito di Daimonji – attacca il Gaiking con il Drago per scuotere Sanshirō da un momentaneo scoraggiamento. L’equipaggio del Gaiking è formato da ragazzi provenienti da tutto il mondo – compresa un’aliena – e si muove in tutto il mondo. Ognuno di loro ha la sua storia e il suo motivo, e troverà in questa esperienza la propria maturazione: nel penultimo episodio gli eroi corrono tutti ai loro posti prima che Daimonji dica una parola, Midori commenta che ormai sanno bene cosa fare, pure senza ordini. Anche nella squadra Getter ognuno aveva la sua storia e il suo motivo, ma la struttura triadica assumeva da subito – già dalle soluzioni iconografiche della sigla – caratteri più simbolici, astratti, diventava una sorta di versione eroica delle gerarchie demoniache nagaiane. Il team di Gaiking invece è decisamente composito, asimettrico, organizzato realisticamente: le classiche figure dello smilzo e del grosso vengono raddoppiate proprio per evitare che ogni personaggio riempia un archetipo in modo esclusivo, altrimenti ci guadagnerebbe in perfezione simbolica ma ci perderebbe in umanità. Lontanissima dalle allucinazioni solipsiste delle cosmogonie dell’orfano alieno, la realtà di Gaiking è estremamente partecipata, condivisa, non solo dall’equipaggio del Drago ma da tutto il fronte terrestre, sul quale troviamo esercito e istituzioni sovranazionali ben presenti e talvolta determinanti; nell’episodio 17 si rischia persino la guerra nucleare tra stati terrestri. Di contro il ruolo divino del robot appare ridimensionato: molta più personalità di Gaiking ha il Drago, custode della rete di relazioni. Infine – e malgrado l’anime, come vedremo, non sia esente da qualche forma di revanscismo – la mobilità del Drago e il respiro mondiale della storia si distaccano dall’angusta prospettiva nazionale di cui la classica base del padre della tecnica poteva essere un ultimo residuo, una sorta di roccaforte identi-

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taria: la base si muoveva solo se, come in Great Mazinger e Jeeg, il padre della tecnica si lanciava in un attacco finale. Il Drago viaggia e combatte ovunque. Si viene così a creare in Gaiking una strana situazione in cui il nemico mantiene i tratti demoniaci nagaiani e custodisce il tema del dominio della tecnica, mentre gli eroi si muovono in un universo che anticipa il filone dei real robot. Chi guardasse Gaiking in retrospettiva potrebbe avvertire una certa affinità di atmosfera tra il clima che si respira nel Drago e quello della Base Bianca, e il risultato di Gaiking nel suo complesso sarebbe uno strano effetto Gundam contro Vega. Insomma la dimensione storico-politica e la dimensione mitologica vengono separate esattamente lungo la linea del fronte, e assegnate l’una allo schieramento degli eroi e l’altra a quello dei nemici. È per questo motivo che l’apparizione di Darius sul Fuji risulta di un perturbante quasi insostenibile: è l’infrazione di una regola che è stata tacitamente rispettata per tutta la serie. Opera matura, originale, innovativa, elaboratissima per quanto riguarda i profili dei personaggi e le meccaniche degli ambienti tecnologici, Gaiking, pur con i limiti anche ideologici che vedremo più avanti, inizia a scoprire un nuovo livello tematico dell’anime super robotico, che diventerà importantissimo dopo il 1977: quello della fondazione dell’etica dell’eroe nella sua rete di affetti, e del conflitto tra valori inclusivi e disvalori escludenti.

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Godam Titolo originale: Gowappā Faibu Gōdamu / Gowapper Five Godam Tatsunoko Production. 36 episodi. 4 aprile 1976 - 29 dicembre 1976 Titolo italiano: Godam

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ōko Misaki è la leader dei Gowapper Five, una banda di cinque ragazzini di Edo, formata con lei dall’impulsivo Gō, il robusto Daikichi, il genietto Goemon e il piccolo Norisuke. I ragazzi naufragano su una strana isola, e qui scoprono una base segreta. Penetrandovi, incontrano e conoscono Sentarō Shima, un giovane operatore del centro di ricerche sulla crosta terrestre. Shima racconta ai Gowapper la storia del dottor Ōrai, scienziato emarginato per aver esposto le sue teorie sulla terra cava e sul pericolo rappresentato dall’esercito sotterraneo. Il cervello del defunto Ōrai è stato trasferito nel computer del robot Godam. I Gowapper piloteranno i cinque veicoli che possono collocarsi dentro Godam, il quale è scomponibile e ricomponibile in combinazioni diverse (cambiando vere e proprie schede di programmazione). Con Godam, i Gowapper affronteranno i mostri meccanici dell’esercito sotterraneo, ma rigorosamente in incognito: continueranno infatti a tornare a casa dai genitori e ad andare a scuola. Capo supremo della pericolosa gerarchia sotterranea è Jigokudā, del quale, fino all’ultimo episodio, vediamo solo il gigantesco volto fiammeggiante. Agli ordini di Jigokudā c’è il generale Magudā, che nel corso della serie sarà eliminato dallo stesso Jigokudā e sostituito con il più aggressivo Doggugān, una creatura che il leader forma dal suo stesso magma. L’esercito sotterraneo è formato da nendoroidi (androidi d’argilla), ovvero figure composte sostanzialmente di sabbia nelle quali viene iniettata una specie di ameba, il chiteibā, che ne rappresenta il principio vitale. I nendoroidi vengono prodotti a volontà,

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disinteressandosi della loro durata, spesso esigua. Ma come scopriranno i Gowapper, negli abissi sotterranei, illuminati perennemente da un sole di lava, non c’è solo Jigokudā con il suo esercito: vi risiede un intero popolo, oppresso dal regime militare. Il dottor Shima cerca l’appoggio del suo capo Isogai e del comandante della corazzata internazionale Arafune. Inizialmente poco propensi a convincersi dell’esistenza del paese sotterraneo, i due saranno costretti a ricredersi. A circa due terzi della serie – in corrispondenza del passaggio di consegne da Magudā a Doggugān – il computer di Godam viene danneggiato e i ragazzi non possono più avvalersi dell’aiuto di Ōrai, ma hanno comunque dalla loro il giovane Shima, e malgrado le difficoltà, il gruppo riesce a penetrare nel mondo sotterraneo e distruggere l’impianto di produzione dei nendoroidi. Jigokudā emerge allora sulla Terra, mostrando la sua intera figura, un centauro fiammeggiante nella cui zona inguinale si nasconde il chiteibā. Distruggendolo, il Godam vince, e il cervello di Ōrai torna a funzionare, ma solo per salutare per l’ultima volta i ragazzi. Arafune e Shima decideranno di non rivelare al mondo l’esistenza del paese sotterraneo.

7.3 Variazioni dell’abisso Il 1976 è l’anno dell’esplosione del’anime super-robotico. Entrano in scena ben sette nuove serie. Il genere si può considerare consolidato, ce lo dice la sicurezza con la quale le soluzioni narrative volano al dunque, si guardino Godam o Blocker Gundan (Astrorobot): gli autori seguono il canovaccio, gli eroi salgono sul robot, pilotano dopo mezzo secondo e addirittura gridano i nomi delle armi come se li conoscessero da sempre. Il nemico si assesta sulla figura dell’invasore extraterrestre, ma spesso è sulla Terra già da molto tempo: accade in Combattler V, Groizer X, Blocker Gundan, Gackeen. Il topos dell’orfano alieno è alla base di Diapolon, Groizer X, Blocker Gundan, Mechander e Ginguiser; gli ultimi due usciranno nel 1977 ma sono assimilabili alle serie del ’76. Notiamo subito che in quattro casi (Diapolon, Blocker Gundan, Mechander, Groizer X), come in Raideen, il genitore alieno perduto è il genitore di sesso opposto a quello dell’eroe; in tre casi (sempre Diapolon, Mechander, Groizer X), come in Raideen, il genitore alieno perduto è ancora vivo; in due casi (Diapolon, Groizer X), come in Raideen, il genitore ricompare ricoprendo un ruolo decisivo nel finale di serie. In Blocker Gundan e in Groizer X, due anime molto interessanti per il sottotesto, il genitore disperso e l’eroe provengono dallo stesso popolo invasore. Ci torneremo. Tiene

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anche l’idea dell’incremento dell’abisso. Troviamo irruzioni dell’abisso nel finale di serie in Gaiking, Godam, Combattler V e Gackeen, e irruzioni degli eroi nell’abisso in Diapolon, Groizer X, Blocker Gundan. Sul fronte del rapporto con la tecnica ritroviamo il tema dell’esercito di automi completamente dipendenti dalla gerarchia e il tema del condizionamento mentale, come in Gaiking, ma anche in soluzioni narrative specifiche che durano il tempo di un episodio che veda l’invio di una spia o il condizionamento mentale di un membro della squadra degli eroi. La dimensione storico-politica acquista una potenza senza precedenti. Ciò a cui si assiste nel 1976 somiglia tanto a uno scoppio dell’inconscio collettivo, probabilmente sobillato dalla cosmogonia dell’orfano, almeno a giudicare dall’uso intensivo che si fa di quella traccia narrativa. Evidentemente l’anime super-robotico ha messo in fibrillazione le zone sensibili dell’immaginario condiviso, e tutte le tensioni – dall’idea della nazione alla questione femminile – vengono messe in scena, ma mai risolte davvero; e il super robot è diventato troppo popolare perché non se ne approprino anche visioni della società in certi casi palesemente retrograde. Accanto ai riferimenti storico-politici, comunque, la dimensione mitologica permane, dato che rappresenta l’essenza stessa del genere, ma è anche chiaro che il suo vigore dipende molto di più dal talento poetico degli autori. Notevole l’abisso della prima metà di Combattler V di Tadao Nagahama e Saburō Yatsude, già illustrato in 5.3, e notevole anche l’abisso di Godam, malgrado lo stile apparentemente scanzonato che richiama altre produzioni Tatsunoko, e malgrado l’estetica stessa del robot, che ha una sua rispettabilissima poetica del metallo, ma che tutto può evocare tranne che un divino mediatore di mondi. Piuttosto la grande sensazione di onirismo in Godam è trasmessa sia dal fatto che, come dei supereroi, i piloti sono ragazzini che conducono una doppia vita di nascosto dai genitori, sia dal mondo dell’avversario, che non manca di trovate visionariamente interessanti: gli sgherri degli uomini degli abissi sono abbastanza spaventosi, e l’idea del chiteibā pure. Ma fatto salvo il suo aspetto fantastico, in Godam gli scenari bellici sono crudamente realistici, riaffiorano le suggestioni della guerra vera e del suo impatto sulla vita dei più piccoli: vi si incontrano persino bande di orfani autorganizzate, e un bambino muore accoltellato da un soldato nemico in una scena emotivamente durissima. Opera di tutto rispetto, alla regia di Godam collabora anche Yoshiyuki Tomino, e al soggetto lavora Akiyoshi Sakai, un altro autore che impareremo a conoscere.

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Groizer X Titolo originale: Guroizā X / Groizer X Knack Animation. 36 episodi. 1º luglio 1976 – 31 marzo 1977 Titolo italiano: Groizer X / Groyzer X

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recento anni fa un’astronave del pianeta Gailar in missione esplorativa eseguì un atterraggio di fortuna al Polo Nord dopo aver inviato i dati di posizione al pianeta natale. Postisi in ibernazione in attesa di soccorsi, e risvegliati da un test nucleare che manda in tilt il sistema della nave, i gailariani non hanno sufficienti risorse per tornare indietro. Il militare Geldon uccide il comandante della nave, si dichiara imperatore e convince i gailariani a conquistare la Terra a partire dal Giappone per via delle sue risorse tecnologiche. Il dottor Yang, uno scienziato gailariano pacifista che fa parte dell’equipaggio, viene costretto a costruire il Groizer X, un bombardiere trasformabile in robot, alimentato a tachioni. Ma Rita, la figlia di Yang, riesce a fuggire portandosi via il Groizer grazie all’aiuto del padre, che la ragazza crede morto nella sparatoria seguita alla fuga. In questo modo i terrestri avranno un’arma competitiva con la quale difendersi dagli attacchi della fazione di Geldon. Rita viene raccolta alla base aerea del professor Tobishima, nell’isola di Akane. Da quel momento la base e il Groizer vengono posti sotto il controllo delle forze armate. Dato che il Groizer necessita di due piloti, Joe, il pilota più promettente della squadra di Tobishima, viene affiancato a Rita alla guida del bombardiere-robot. Il Groizer X mantiene quasi sempre la forma di un aereo (con la testa), e pressoché tutte le battaglie le combatte in aria contro marchingegni pilotati dall’in-

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terno e anch’essi non sempre antropomorfi. Nel Groizer sono alloggiati anche l’aereo G Jet, il cingolato G Tank e il sommergibile G Shark. Durante la guerra la fazione di Geldon non si fa problemi a usare armi di distruzione di massa e a sottoporre i terrestri catturati a condizionamento mentale. Il finale di serie si avvia quando un gailariano ribelle riesce a far sapere a Rita che suo padre è ancora vivo, e fornisce l’ubicazione della base segreta di Geldon nel Pacifico, davanti al Giappone. Il Groizer espugna la base. Dal Polo decolla Geldon in persona, e mentre Groizer lo affronta, i ribelli gailariani ne approfittano. Geldon ha la meglio sul Groizer, ma il tiranno, venuto a sapere dell’insurrezione, rientra alla base artica. Il dottor Yang, che sta guidando i ribelli, chiede aiuto a Groizer, e il robot interviene. La guerra è vinta, e Rita può riabbracciare suo padre. I gailariani ricevono finalmente un messaggio da un’astronave del loro pianeta, che passerà a raccoglierli: lasceranno il Groizer al professor Tobishima e faranno ritorno a casa. Dopo aver visitato le tombe degli amici, Rita e Joe si abbracciano per l’ultima volta sulla spiaggia, di notte. Il giorno dopo, Rita, tra le lacrime, dà l’addio a un Joe quasi catatonico. Poi il ragazzo si riprende, decolla con il Groizer, affianca la nave gailariana, e ricambia il saluto con un atteggiamento più sereno.

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7.4 Sindrome d’assedio e bombardieri del Pacifico Nelle serie del ’76 l’aumento del grado di paranoia è vertiginoso: palpabile nelle atmosfere di Diapolon, nelle scelte narrative e nei riferimenti storici di Groizer X, in Godam, dove il nemico abita da sempre le profondità della Terra, in Combattler V, Blocker Gundan e Gackeen, dove il nemico è extraterrestre ma è sulla Terra da millenni, cova qui in attesa di aggredire, in una definitiva fusione dell’abisso spaziale e temporale; in Gaiking non ci sono avamposti nemici sulla Terra ma i continui richiami alle tracce di visite extraterrestri collegate agli zelani alimentano il medesimo senso di persecuzione; in Blocker Gundan il protagonista ha il sangue alieno dentro di sé, e questo permetterà all’avversario, in un’occasione, di farlo impazzire; in Mechander l’occupazione della Terra è addirittura quasi ultimata e i satelliti posti dal nemico attorno al nostro pianeta sparano missili che centrano nel giro di qualche minuto qualsiasi oggetto sfrutti energia nucleare, compreso il robot degli eroi, che deve sempre chiudere le battaglie con i secondi contati. Come già Godam, anche Groizer X – anime della Knack, tratto da un manga di un collaboratore di Gō Nagai, Gosaku Ōta – si distingue per realismo bellico, ma il grado si alza sensibilmente; assistiamo a scene invero raccapriccianti, i gailariani di Geldon esibiscono una predilezione per le armi chimiche e gli eccidi di massa, nonché per le soluzioni apocalittiche: aprono un buco nell’ozono, congelano Tokyo. L’anime non si risparmia dall’affrontare il tema delle contaminazioni conseguenti ai bombardamenti: Masato, un ragazzino amico degli eroi e nipote del medico della base, morirà nell’episodio 30 dopo una lunga malattia causata da un irradiamento gailariano. Tutta l’atmosfera di Groizer, poi, è resa particolarmente surreale dalla colonna sonora spesso funkeggiante – colonna sonora, va detto, di tutto rispetto – la stessa che accompagna il volo di un finto Groizer X, pilotato da uno psicopatico sanguinario gailariano, sopra un orfanatrofio il cui prato viene bombardato di raggi causando la morte immediata dei bambini, che cominciano a cadere a terra come mosche (episodio 29). Tanto irreale realismo è senza dubbio alimentato dal coefficiente storico. In Groizer X la Guerra del Pacifico è dappertutto: nel robot che non è mai un robot ed è sempre un bombardiere, nel mare onnipresente, sfondo della base e teatro di ogni scontro aereo, sulle spiagge delle isole vulcaniche, nello scafo di una nave da guerra del secondo conflitto mondiale che salva il Groizer da uno schianto sul fondale marino, nella morte di Baku (episodio 33), operatore della

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base di Akane, veterano ed ex-pilota di Zero, che si lancia con il suo biplano contro il nemico e viene ritrovato morto con il sorriso sulle labbra. Le isole vulcaniche sono in generale frequentatissime, nell’anime super-robotico: spesso avamposti del nemico alieno, sono un perfetto condensato di storia bellica recente, terrore del sisma e immaginario del nucleare, essendo state teatro dei test degli anni Sessanta. I riferimenti alla guerra non sono un’esclusiva di Groizer X. In Gaiking, nell’episodio 27 – per certi versi francamente colonialista – il passato giapponese viene astratto, slegato dalla ferocia e rivissuto romanticamente, ed è in tal senso emblematica e visionaria l’immagine di uno Zero disperso nello spazio. In questo episodio si racconta di un vecchio asso dei caccia che desiderava addestrare nuovi piloti per quando la guerra sarebbe finita e i terrestri avrebbero dovuto confrontarsi con popoli dello spazio, si mostra la passione di Fan Li – che, lo si ricorda, è di Hong Kong – per gli aerei giapponesi della Seconda guerra mondiale, si tenta di generare un’atmosfera votata a un pacifismo universale, ma vissuto all’interno di suggestioni squisitamente nipponiche e assolutamente belliche.22 Che dire. Andava molto diversamente nell’episodio 11 di Mazinger Z, dove era Ashura – accompagnato in sidecar da una maschera di ferro – a impossessarsi di un cannone giapponese della Seconda guerra, prontamente distrutto dagli eroi. La sensazione è che si oscilli tra l’apologia e un oscuro, quasi inconscio, desiderio di riscatto, che sarebbe reso possibile da un contributo culturale o anche solo umano da offrire al resto del mondo in cambio di un riconoscimento di valore. In altri momenti di Gaiking non sono assenti allusioni sarcastiche: nella prima scena dell’episodio 19, che si svolge negli usa, eloquenti fili d’oro salgono dall’impianto di areazione di un marciapiede, la gente ci si butta sopra venendo poi aggredita da un mostro nero, che attacca New York ricoprendola di gigantesche matasse auree: oro e supercemento, viene spiegato, sono gli ingredienti della nuova arma degli zelani. Nell’episodio 37 sono le statuette Haniwa collezionate dallo statunitense Pete ad animarsi e prendere il controllo del Drago: chissà se è un monito a non giocare con ciò che non si comprende del tutto o a non maneggiare un passato non troppo benevolo. Ciò che si avverte, in alcuni anime super-robotici del 1976, è il tentativo di separare spirito nazionale e militarismo, spirito nazionale e ideologia ultranazionalista, tradizione e modalità con cui la tradizione è inculcata, e si aggiunga a ciò che il tema della disciplina è spesso presente negli anime e appare quasi sempre ambivalente. Come varrà anche per la questione femminile, sembra sovente

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impossibile – almeno per un europeo – riconoscere se ciò a cui assistiamo sia mera rappresentazione, consenso o denuncia. C’è poi, è evidente, il tema della compassione per i vinti, dell’onore da tributare a tutti i morti di qualsivoglia schieramento, del riconoscimento del valore indipendentemente dall’ideologia, e insomma, certo, ai nonni vogliamo bene tutti, ma c’è modo e modo.

Diapolon Titolo originale: Ufo Senshi Daiaporon / Ufo Senshi Diapolon Eiken. 26 episodi. 6 aprile - 28 settembre 1976 Titolo italiano: Ufo Diapolon

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l giorno del suo sedicesimo compleanno, l’orfano Takeshi, giocatore di football, mentre è al campo da gioco con i suoi amici, viene colpito al petto da una lama di luce che taglia il cielo. Tra le nuvole si scorge una figura su un cavallo alato. Subito dopo Takeshi e i suoi amici vengono sollevati all’interno di un’astronave e poi trasportati in una base su un’isola. Chi li ha voluti lì è Rabi, un misterioso anziano che spiega come Takeshi sia figlio del re del pianeta Apolon. Apolon fu distrutto dai dazaniani del pianeta Dazan, ma Rabi riuscì a mettere in salvo il piccolo Takeshi portandolo con sé sulla Terra e affidandolo all’orfanatrofio. La fonte di energia di Apolon era il dispositivo chiamato Cuore di energia, attivabile mediante la Chiave di energia. Il dispositivo, inventato dal re di Apolon per migliorare l’ambiente del suo pianeta, era entrato nelle mire dei dazaniani, ed era stato la causa della guerra tra i due pianeti. I dazaniani si erano impa-

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droniti del Cuore di energia, ma il re di Apolon aveva messo in salvo la Chiave di energia, deponendola nel petto di Takeshi prima di affidarlo a Rabi: Takeshi si solleva la maglia e scopre che la lama di luce gli ha lasciato il disegno di un sole sul petto. Per questo motivo ora è la Terra a essere nel mirino. Per difendere la Terra dai dazaniani, Takeshi e i suoi amici hanno a disposizione cinque velivoli, lo Space Clear e i quattro Ufo Fighter, che saranno pilotati dagli amici di Takeshi: Gorō, Miki e Matsuo, ai quali presto si aggiungerà Hideki. Ma il pezzo forte sono i tre robot: Hedda, Trangu, Legga (che significano Head, Trunk, Leg). I tre robot, infatti, possono formare Diapolon, un gigante di metallo nel quale lo Space Clear viene incorporato, mentre i Fighter rimangono in appoggio. Quando lo Space Clear entra in Diapolon, il corpo di Takeshi si ingrandisce fino ad aderire alle pareti del gigante di metallo, che è praticamente un’armatura. L’aspetto di Diapolon richiama alla mente quello di un giocatore di football americano, e in effetti le uniformi dei ragazzi saranno divise da football. L’avamposto dei dazaniani sulla Terra si trova in un’isola vulcanica del Pacifico, mentre il capo dei dazaniani è sul suo pianeta. Il comandante della base terrestre è il vampiresco Gyranik, e il Cuore di energia è nelle sue mani, sulla Terra. Ai suoi ordini ci sono i generali Gumez e Hidō, quest’ultimo morirà e sarà sostituito da sua sorella Joket. Nel corso della serie, durante la quale Diapolon affronterà la consueta carrellata di mostri giganti, Takeshi, sotto la guida di Rabi, imparerà a usare una tecnica di combattimento micidiale, l’Apolon Destroy, che gli permette di rimpicciolirsi – lui e l’armatura – e poi entrare nell’avversario per farlo esplodere dall’interno; a Gorō e Miki capiterà di guidare Trunk e Leg, anche interscambiabilmente; la base Apolon sarà distrutta e rimpiazzata da una base volante; sarà distrutta anche la base del Pacifico dei dazaniani. Scopriremo che in passato il pianeta Dazan ha subito un disastro ambientale che ne ha avvelenato la superficie e deformato gli abitanti: è per questo che i dazaniani vorrebbero impossessarsi della Chiave di energia e attivare così il Cuore di energia, capace di risanare il pianeta. Tuttavia il loro approccio aggressivo alla questione fa in modo che concentrino tutti gli sforzi nella tecnologia bellica, mentre gli abitanti di Dazan, costretti a lavorare come schiavi, vivono in condizioni spaventose. Il finale di serie si avvia quando Rabi ha finalmente notizie della madre di Takeshi: è prigioniera su Dazan. La fuga di notizie fa temere al capo supremo dei dazaniani un attacco di Diapolon direttamente su Dazan, sicché il leader richiama i dazaniani rimasti sulla Terra, che partiranno portando con sé il Cuore di energia; tutto questo non prima di aver degradato Gyranik e nominato Joket nuova responsabile. Takeshi su Dazan ci va da solo, senza gli amici. Nel frattempo Gyranik, tornato sul pianeta natale e folgorato dall’empatico senso di giustizia della regina di Apolon, sostiene la proposta di pace della donna davanti al capo supremo, che però non ne vuole sapere. Gyranik tenta allora di favorire la fuga della regina, ma la donna fa appena in tempo a raggiungere un terrazzo e vedere il Diapolon, che nel frattempo è approdato nella mefitica atmosfera di Dazan, prima di essere riacciuffata. Anche Takeshi ha visto la

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madre e, lasciato il robot, la insegue nei meandri del palazzo dazaniano. Trovandosela infine davanti assieme al capo supremo, è disposto a far esplodere il pianeta mediante un dispositivo di autodistruzione, dichiarando che farebbe comunque in tempo a portare in salvo se stesso e sua madre con il Diapolon. Ma è proprio sua madre a fermarlo, invitandolo a usare Chiave e Cuore di energia per salvare l’ambiente dazaniano. Nel mentre, però, sopraggiunge un mostro e Takeshi rientra nel robot. Diapolon, ingaggiato il combattimento, se la vede brutta per scarsità di energia residua. È allora che dallo spazio arrivano, a bordo della base volante, Rabi e gli amici di Takeshi, che bombardano il mostro e liberano Diapolon dall’impaccio. Takeshi medita di seguire le indicazioni della madre, ma sa che una volta rilasciata la Chiave di energia non potrà più effettuare la trasformazione in Diapolon. I ragazzi tentano dunque una sortita nel palazzo dazaniano, in cerca della regina, ma si imbattono in Gyranik che ribadisce i desideri della donna. Sopraggiunge di nuovo il mostro, e mentre Gorō e Miki resistono faticosamente con Trangu e Legga, Takeshi si sottopone all’operazione, compiuta da Rabi, per estrarre la Chiave. L’operazione è però interrotta dal cavaliere sul cavallo alato, che concede a Takeshi un surplus di energia. Grazie a questo dono, Takeshi si incorpora in Diapolon e abbatte l’ultimo mostro dei dazaniani. Il capo dazaniano sta lasciando il pianeta con la regina prigioniera, ma Gyranik – penetrato sulla navicella – riesce a intervenire, libera la regina e viene ucciso. Diapolon attiva il Cuore di energia e l’atmosfera di Dazan rinasce mentre il capo dazaniano causa inavvertitamente l’esplosione della propria nave e si uccide da solo. Takeshi e i suoi amici possono tornare felici sulla Terra.

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7.5 I dazaniani sognano spade giapponesi? Nelle narrazioni del 1976 ci imbattiamo spesso in una morale di pacificazione universale che fa leva sulla divisione, interna alla stessa civiltà degli aggressori, tra la gerarchia nemica e il popolo su cui domina: in Gaiking, in Godam, in Groizer X, in Diapolon, il popolo degli invasori non è un nemico, bensì la prima vittima della gerarchia malvagia che aggredisce la Terra; nel caso di Diapolon, i dazaniani sono ridotti in condizioni di miseria assoluta e obbligati dai loro capi a concentrare tutti gli sforzi nelle miniere che sorreggono la produzione di tecnologia bellica. Le gerarchie demoniache esistono ancora, ma l’universo dell’avversario è sempre più complesso, diversificato e quindi intrinsecamente politico. In ognuna di queste serie la sconfitta del nemico coincide con la liberazione del suo popolo, una liberazione che a volte quel popolo ha contribuito a costruire, come in Groizer X e in Combattler V: nel caso di Groizer X si celebra la raggiunta amicizia tra i terrestri e i gailariani; nel caso di Combattler V la Terra sarà addirittura salvata dalla resistenza interna degli alieni campbelliani. Precedenti di tracce di dialettica politica nell’universo del nemico si erano già avuti, raramente però duravano più di un episodio, e anche volendo considerare l’insurrezione di Mimashi in Jeeg – che è piuttosto una complicazione dell’incremento dell’abisso –, nessuna delle fazioni aliene ostili al regime aveva mai riconosciuto nei terrestri degli alleati. Invece Groizer X e Combattler V prendono proprio questa direzione, e in altre storie – Gaiking, Godam, Diapolon – è evidente che non c’è comunque nessuna intenzione ostile nei confronti dei terrestri da parte del popolo alieno soggiogato dal tiranno di turno. Il problema è piuttosto un altro. È chiaro che si profila una distinzione tra il lottare per un ideale di coesistenza pacifica e il lottare per l’accaparramento di un bene – un pianeta, una forma di energia – da requisire in base a un’appartenenza etnica o nazionale; l’anime super-robotico di questa fase sembra celebrare, ragionevolmente, la lotta in favore di un ideale di giustizia, che in quanto tale può unire popoli di pianeti diversi contro l’ideologia escludente e aggressiva dei regimi alieni. Solo che anime come Groizer X o Blocker Gundan sembrano suggerire che questo ideale di giustizia che unisce popoli diversi possa trovare la sua forza propulsiva solo in un non meglio identificato spirito terrestre, come se la nostra civiltà non fosse anch’essa orrendamente piena di magagne. Lo si avverte fortissimo sia là dove la Terra, popolo e istituzioni, è rappresentata come un blocco compatto e unito nel giusto ideale, sia là dove

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l’eventuale opposizione aliena sembra essa stessa considerare il popolo della Terra come legittimo ed esclusivo rappresentante dell’ideale corretto a cui aderire. Il risultato è che l’intento di celebrare un ideale di giustizia universale contro l’affermazione in nome di un’appartenenza si autodistrugge, dal momento che il suddetto ideale è molto vago sotto l’aspetto concettuale, il che non è il massimo per un concetto, mentre è caratterizzato in modo molto forte dal suo legame con chi ha il compito di rappresentarlo: il popolo terrestre, preso praticamente in blocco, quindi su scala etnica. Tanto più che ora che l’universo dell’avversario contiene spesso anche un’opposizione interna, non sembra più possibile spostare tutto di forza su un piano allegorico che individui nei due popoli in guerra dei puri simboli del Bene e del Male; la dimensione storicopolitica è ormai troppo forte. A complicare le cose poi, interviene tutta quella serie di scelte narrative di cui si è parlato in 7.4, e che sembrano suggerire come questo non meglio identificato spirito terrestre sia un altrettanto non meglio identificato – sempre Groizer X.

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per i motivi esposti alla fine di 7.4 – spirito giapponese che, quanto lo spirito terrestre, viene concepito come applicabile ovunque nell’universo, anzi, consigliabile, auspicabile, chiave di volta per un cosmo migliore. Eppure, ancora una volta, le cose sono più complesse.

7.6 Il sole di lava e l’ansia di pacificazione La questione è troppo articolata per essere ridotta totalmente al revanscismo nazionale, se non altro perché pressoché tutto il genere esibisce la consueta galleria assemblata di gerarchie militari, saluti fascistoidi (che sconfinano nel grottesco, si veda il caso dei moguru di Blocker Gundan, ai quali peraltro capita di salutare pure a pugno chiuso) ed esplosioni a fungo (sempre in Blocker Gundan ve n’è una persino a seguito della caduta di asteroidi che causa la distruzione del pianeta dei moguru). Inoltre, i cattivi non sono necessariamente l’altro. Spesso sono vittime esattamente come potrebbero esserlo gli autori, e chiunque di noi: sono vittime di catastrofi naturali che possono rappresentare sia il vero e proprio arbitrio della natura, sia quell’altrettanto insondabile arbitrio che è l’azione compiuta da altri individui quando la subiamo senza comprenderne le ragioni; e anche quando sono vittime della loro stessa ingordigia tecnica, non si tratta certo di un vizio dal quale il Giappone industriale e capitalista può dirsi esente. Molti simboli esibiti dagli anime in questa fase sono leggibili in due modi, se non più di due: nei falsi soli del sottosuolo di Gaiking e Godam si può vedere sia un nemico che il sole (quello della bandiera giapponese) non ce l’ha e ne venera uno falso, sia un nemico che è rimasto abbagliato da un sole falso (quello della bandiera), e in particolare, nel caso di Godam, è un sole di lava, che non dà pace: non c’è notte, non ci sono stelle, è un inferno. Nell’emersione di Darius dal Fuji, in Gaiking, si può vedere sia un nemico alieno che ti piomba in casa, sia una tecnica dominante che si è propagata nel tessuto sociale, sia una tecnica demoniaca e straniera che rischia di traviare lo spirito del tuo paese. Dobbiamo scegliere? Possiamo scegliere? I simboli, in definitiva, sono sincretici, cioè fondono in un’unica immagine significati diversi, spesso oscuri persino agli autori, e dato che il sincretismo è inscritto nella natura stessa dei simboli, non è sempre possibile rinvenire un’interpretazione univoca, nemmeno quando diversi simboli vengono articolati tra loro e sembrano favorire un percorso interpretativo.

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Il 1976 è un magma nel quale c’è di tutto, spesso tutto insieme: equipaggi multinazionali e bombardieri del Pacifico, antimilitarismo e ricerca dell’autorità, e certamente il tema di fondo è il rapporto con l’altro, nel complesso gioco di ideali universali e appartenenze culturali; è poi evidente che gli autori spesso astraggono il tema in figure che rispecchiano il loro sentire del momento, contingente, probabilmente irriflesso e forse anche incidentale. Senza riabilitare serie o anche solo episodi discutibili, è comunque bene tenere presente che è da questo tema e da queste basi che l’anime super-robotico svilupperà i capolavori degli anni successivi. E se proviamo a isolare il concetto di un eroe mezzosangue schierato contro gerarchie che assemblano tratti estetici dei fascismi e dei militarismi nazionalisti, se isoliamo, insomma, il concetto della resistenza di ciò che è universale e inclusivo contro ciò che è etnicamente chiuso ed escludente, vi troviamo, da un lato, lo sviluppo della vecchia scuola dell’anime robotico, quella dello scontro tra ciò che si evolve e matura e ciò che è morto, passato e fissato per sempre; e dall’altro lato, come scopriremo nei prossimi capitoli, vi troviamo la base per gli anime che verranno quando la baraonda di serie si spegnerà, e rimarranno solo i giganti dell’animazione, che maneggeranno gli stessi concetti messi in gioco qui, ma spogliati di ogni rivendicazione nazionale e portati a un livello di elaborazione filosofica senza precedenti. Per ora assistiamo alla messa in scena di un pacifismo e di un ecologismo non problematici, talmente astratti e semplicistici da far sembrare che vogliano evitare un conflitto con i tratti più nazionalistici che sono gli stessi anime a sollevare; come se si tentasse di placare in modo rapido e privo di ulteriori complicazioni l’altissima tensione messa in gioco dalle figure dell’inconscio collettivo che stanno saltando fuori dappertutto. All’approssimazione ideologica di questa fase metteranno fine, negli anni successivi e in due modi diversissimi, Nagahama e Tomino. E già ci si imbatte in qualche tendenza rivoluzionaria per nulla ingenua: Tadao Nagahama e Saburō Yatsude, che nella prima parte di Combattler V si concentrano ancora sull’aspetto mitologico dell’abisso, nella seconda parte modificano completamente il mondo del nemico, e risolvono l’anime con un colpo di scena che nasce interamente dalle questioni di politica interna del popolo dell’avversario; nelle opere successive insisteranno su questa strada, raccontando vere e proprie dialettiche storiche, rinunciando spesso alla suggestione allucinatoria e demoniaca dell’abisso in favore di un complesso quadro di guerra tra due popoli che abitano lo stesso piano della realtà sotto tutti i punti di vista, e che sono divisi al loro interno, entrambi, in fazioni conservatrici e fazioni progressiste.

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7.7 Di imperi, sol levanti ed energie Come si sarà notato, nelle serie super-robotiche, di imperi ce ne sono parecchi. L’impero di solito è la forma di governo dell’avversario, ne stabilisce la natura maestosa, militarista e per l’appunto imperialista; tuttavia capita che l’impero sia anche la forma di governo del pianeta precedentemente aggredito dall’avversario, nel canovaccio tipico che vede l’orfano alieno combattere contro chi ha distrutto il pianeta del suo genitore. In questi casi può accadere che compaia l’impero del Sol Levante, appena mascherato da una sua bizzarra proiezione occidentalizzata. In Daltanious, lo stile araldico europeo e il termine greco non devono trarre in inganno, “Helios” è la parola greca per “sole”: l’impero di Helios è l’impero del sole. Quando Takeshi di Diapolon riceve la sua vocazione, sul petto gli compare un sole; Apolon è ovviamente Apollo, divinità sommariamente legata al sole, e Takeshi appartiene alla casa reale di Apolon, suo padre non è un imperatore, è un re, ma insomma il simbolismo è chiarissimo. Takeshi di Diapolon.

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Il sole può essere anche l’attributo di chi il sole non ce l’ha, o ne ha troppo, o lo soffre. Accade, come abbiamo già visto, in modo sottile e ambivalente con i soli falsi dei popoli ambientalmente sventurati, relegati nel sottosuolo da sempre o da una catastrofe, e dominati dalle gerarchie oscure che aggrediscono la Terra: è il caso di Godam e Gaiking. Ma anche di Blocker Gundan che, conformemente al suo tenore ideologico, non fa sconti: la fisiologia dei moguru il sole non può proprio sostenerlo, i moguru devono fare uso di una apposita maschera se vogliono uscire in superficie. Il caso di Diapolon è particolarmente interessante perché qui al simbolismo solare si associa anche la tematica ambientale: i dazaniani bramano l’energia pulita di Apolon perché l’atmosfera del loro pianeta è devastata, al punto da averli resi deformi. È chiara la contrapposizione tra energia solare ed energia nucleare. Il sole compare persino – anche se in forma molto blanda e ricontestualizzata – sulla vela del vascello di Lemuria, la madre abissale di Raideen, un anime al centro del quale, non a caso, vi è la questione energetica del mutron, causa dell’aggressione degli Yōma a Mu. Del resto è dai tempi dell’energia fotonica (anch’essa legata alla luce) che il problema attanaglia gli eroi super-robotici, e i raggi getter sono innocui per gli umani e letali per i dinosauri, ma se vengono contaminati con l’uranio la situazione si rovescia. Il tema dell’energia come oggetto ambito dal nemico interessa larga parte delle serie super-robotiche, arrivando fino a Gordian. In Danguard l’energia cosmica pulsar permette allo Yasdam di raggiungere il pianeta Prometeo mentre il Planestar del malvagio Doppler, che viaggia a superuranio, deve fermarsi continuamente a fare rifornimento. In Ideon l’energia Ide acquisirà un carattere addirittura metafisico. Il trucco, conscio o meno che sia, sta nel fatto che, radicandosi nell’ecologismo che pervade pressoché tutti gli anime super-robotici, la benignità energetica e ambientale del sole si ripercuote, per via della simbologia, sull’immagine dell’impero. Ma non tutti cadono nell’automatismo mentale. La questione era già ambigua in Godam, dove il popolo abissale era sottoposto a un sole continuo. In Daltanious Nagahama svelerà l’aspetto tutt’altro che solare dell’impero solare, e i suoi collaboratori, lo staff denominato Saburō Yatsude, in God Sigma rovesceranno sarcasticamente il luogo comune che attribuisce la parte dei buoni ai detentori dell’energia pulita, mentre in Daitarn 3, il sempre ferocissimo Yoshiyuki Tomino non si lascerà scappare l’occasione di sbeffeggiare il simbolismo del sole.

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Combattler V Titolo originale: Chōdenji Robo Konbatorā Bui / Chōdenji Robot Combattler V Sunrise – Toei Animation. 54 episodi. 17 aprile 1976 - 28 maggio 1977 Titolo italiano: Combatter V / Combattler V

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li alieni di Campbell sono sulla Terra da millenni, nascosti in un avamposto celato nelle viscere di un’isola vulcanica. Al vertice della gerarchia campbelliana terrestre c’è la statua-computer che custodisce la coscienza dell’imperatrice Oleana. Oleana, grande scienziata, morì a novant’anni dopo aver trasferito la sua mente nella statua, come statua ha viaggiato nello spazio all’epoca della migrazione da Campbell, e da allora guida la colonia terrestre. Alle sue direttive c’è il figlio Garūda (Malik in Italia). Oleana e Garūda si apprestano a conquistare la Terra dopo averne ricevuto l’ordine da Campbell. Per difendere la Terra dall’invasione, il dottor Nanbara (dottor Stevens) recluta quattro ragazzi con abilità fuori dall’ordinario: un orfano appassionato di moto, Hyōma Aoi, un tiratore provetto, Jūzō Naniwa, il piccolo genio della scienza Kosuke Kita, e Daisaku Nishikawa, un lottatore e aspirante disegnatore di manga (in Italia, rispettivamente, Roy Lambert, Furio Battler, Jolly Linch e Gonghi Kasuki); insieme alla nipote di Nanbara, Chizuru Nanbara (Maggie Stevens), i ragazzi piloteranno i cinque moduli che formano il Combattler, un robot superelettromagnetico alimentato da un motore nucleare e in grado di contrastare le bestie schiave, ovvero i mostri dei campbelliani. I cinque moduli sono il Battle Jet di Hyōma, il Battle Crasher di Jūzō, la trivella Battle Craft di Kosuke e il cingolato Battle Tank di Daisaku, l’unico che non può volare e viene quindi trasportato dal veicolo aereo-marino di Chizuru, il Battle Marine. L’agganciamento dei cinque moduli necessita di una sincronizzazione delle onde

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cerebrali dei piloti, supervisionata da Ropet (Dingo), un piccolo robot senziente di stanza alla Nanbara Connection, vale a dire la base del dottor Nanbara: malgrado qualche difficoltà iniziale in fase di agganciamento, causata dalla rivalità tra Hyōma e Jūzō, le cose girano per il verso giusto, e il Combattler affronta egregiamente i mostri campbelliani. Il dottor Nanbara muore all’inizio del lungo conflitto, e viene sostituito dal dottor Yotsuya (professor Mirabilius), uno scienziato geniale, alcolista e con una spiccata attitudine misantropa; durante uno scontro a fuoco con Garūda, Hyōma perde l’uso di entrambe le braccia, che vengono sostituite con arti bionici. Sul fronte campbelliano, Garūda è coadiuvato da tre consiglieri robot, tre mezzibusti cornuti che escono dalla pietra come gargoyle: gli androidi Girua (Lucifer) e Narua (Condor), e la ginoide Mīa (Marzia); quest’ultima è innamorata di Garūda, ma non ricambiata, o comunque non ritenuta adeguata, a causa della sua natura artificiale. A metà serie Garūda rischia la destituzione da parte di Oleana a causa dei suoi ripetuti fallimenti. Per salvargli la posizione, Mīa si trapianta su una bestia schiava ed esce in combattimento, ma viene sconfitta da Combattler. Garūda, appreso l’accaduto, riesce a recuperare il corpo di Mīa e a riportarlo alla base campbelliana. Mentre si aggira sconvolto per la base con il cadavere di Mīa tra le braccia, cercando un modo di ripararla, Garūda scopre una stanza che contiene decine di copie di lui stesso, e comprende con orrore di essere anch’egli un androide semi-biologico. Scopre anche Big Garūda, un grande robot dal volto nero e demoniaco che replica schematicamente la sua figura. Furioso, sale sul gigante e sfida Oleana accusandola di averlo sempre ingannato e manipolato. Nel frattempo, per prepararsi all’arrivo di Combattler, che proprio quel giorno attacca l’isola, Oleana si è scrostata dalla pietra rivelandosi anch’essa un robot gigante. Big Garūda la distrugge, ma viene a sua volta sconfitto dal Combattler che nel frattempo ha fatto irruzione nell’avamposto campbelliano. Garūda muore sereno, finalmente libero di stare con Mīa per sempre. Ma la storia non è finita: da Campbell arriva l’imperatrice Janera in persona, con lei i generali Dankel e Warchimedes; le bestie schiave vengono sostituite dalle bestie-magma. Nel finale di serie Janera riceve brutte notizie da Campbell: la sua autorità sta traballando. Sobillata dal messaggero di Campbell, punisce i fallimenti di Dankel impiantandogli una bomba in testa: Dankel ha sei ore di tempo per portare a termine la missione, ma Janera, si capirà, ha intenzione di lasciarlo morire in ogni caso. Dankel, opportunamente munito di robot, affronta Combattler e ne esce sconfitto, allora decide di sfidare Hyōma in un estenuante duello personale, ma la sua testa esploderà prima che sia detta l’ultima parola. Mentre gli eroi perdono la Nanbara Connection e il dottor Yotsuya si trasferisce nella sotterranea Sub Connection, Janera continua a cedere al nervosismo e trasforma Warchimedes in un cyborg per poterne usare il cervello senza complicazioni. Intanto riceve dal messaggero l’ennesima brutta notizia: su Campbell è in corso una rivolta, i prigionieri politici, cioè gli ex-governanti del pia-

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neta, sono scappati e hanno il sostegno della popolazione; a Janera si chiede di fare immediato ritorno. Lei non ci pensa nemmeno, anzi scatena un attacco devastante al quale partecipa con la sua stessa nave, e ad affiancare Combattler contro l’imperatrice interviene persino Yotsuya a bordo della volante Sub Connection. L’imperatrice è battuta, ma non ci sta, e scaglia verso il centro della Terra una trivella contenente una bomba: il magma del nucleo terrestre esploderà distruggendo l’intero pianeta. Dopo quest’ultimo gesto, Janera si avvia alla sua capsula di salvataggio, vi trova però Warchimedes in versione cyborg a ostacolarla, Janera gli scarica contro un raggio ma il corpo del cyborg le crolla addosso e la nave esplode. Tuttavia Janera era ormai l’ultimo dei problemi. Attoniti, i terrestri stanno aspettando che la trivella raggiunga il centro della Terra e si compia la catastrofe. Improvvisamente nel cielo compare un uomo su una biga trainata da cavalli-robot. Gli incendi provocati dalla battaglia si estinguono, la trivella-bomba sparisce dai monitor. Dal cielo, il personaggio misterioso, che è evidentemente uno dei ribelli campbelliani, spiega la situazione: gli scontri su Campbell, la caduta della fazione di Janera, la cacciata dei compari dell’imperatrice. Offre amicizia, esprime dispiacere per il coinvolgimento della Terra nel conflitto, e ammirazione nei confronti dei terrestri, che hanno dimostrato amore per il prossimo e rispetto per la natura. La guerra è finita. La squadra del Combattler si scioglie, solo Hyōma e Chizuru si incamminano insieme verso l’orizzonte del Fuji.

8 Di qua dal varco: le psicologie delle squadre 8.1 Esplosione e concentrazione: il trio e la cinquina Il primo trio super-robotico è la squadra Getter del 1974, formata da Musashi Tomoe, un ragazzo grosso e puro di cuore, Hayato Jin, uno smilzo, cinico e sulle sue, e dal leader Ryōma Nagare, che nella versione animata di Getter Robot non mostra tratti caratteriali troppo spiccati, al massimo si può dire che sia genericamente valoroso, mentre nel manga la caratterizzazione di impulsivo è ben marcata. Il trio è evidentemente una versione ristretta della cinquina già canonizzata da Gatchaman, un anime di tecnocombattenti della Tatsunoko, uscito nel 1972. La cinquina di Gatchaman era formata da un valoroso, un cinico (non particolarmente smilzo), una ragazza, un ragazzino e un grosso. Nell’anime di super robot la cinquina canonica è impiegata per la prima volta in Combattler, del 1976, che fonde Getter e Gatchaman: il cinico è definitivamente smilzo, e le prime tre posizioni sono occupate da leader, smilzo e grosso, a cui seguono la ragazza e il ragazzino. Queste tipologie torneranno nell’animazione giapponese un numero incredibile di volte, e ancora oggi influenzano sia il modo di concepire sia il modo di riconoscere i personaggi. In genere il leader si distingue per la fisionomia gradevole e la stazza nella norma, ma la sua caratterizzazione psicologica oscilla dal mero fatto di essere il leader valoroso, come il Ryōma dell’anime, all’essere l’impulsivo del gruppo, come il Ryōma del manga. Il tipo del leader valoroso sembra legato più alla cinquina, come Ken di Gatchaman, Hyōma di Combattler e Kenichi di Voltes V (Michel di Vultus 5); il tipo del leader impulsivo più al trio, come Jan Kūgo in Starzinger di Leiji Matsumoto (un anime di tecnocombattenti, del 1978), Kappei Jin in Zambot 3 e Kento Tate in Daltanious, e si presenterà anche nelle varie versioni di Getter prodotte dopo gli anni Settanta. Questa oscillazione

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Musashi Tomoe, Ryōma Nagare e Hayato Jin di Getter Robot.

caratteriale è probabilmente dovuta al fatto che il leader della cinquina organizza, riassume e concentra la forza di una squadra composita, è una sorta di proiezione che accoglie i caratteri di tutti, e dunque deve essere per sua stessa natura abbastanza neutro. Il principio del trio sembra opposto: il trio è un nucleo compatto ed esplosivo, la sua direzione emozionale è l’irradiamento, non la concentrazione, e il carattere del leader è particolare quanto quello degli altri due. L’equilibrio del trio si trova – anche fisicamente – nella stessa struttura triangolare, laddove la cinquina somiglia a un quadrato più un punto esterno. Non a caso il leader del trio è sempre un po’ meno leader del leader della cinquina. È interessante notare che due impulsivi sopra le righe come Gō di Godam e Tenpei di Blocker Gundan non sono i leader delle loro squadre, e infatti, per motivi diversi – e opposti – i loro gruppi non sono canonici: i Gowapper di Godam sono guidati da una ragazza, e il gruppo di Blocker Gundan, capitanato dal grosso Ishida, è formato da quattro uomini che rispondono tutti alle psicologie canoniche, praticamente è una cinquina senza la ragazza, e vedremo

8 – Di qua dal varco: le psicologie delle squadre

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Megumi Oka di Voltes V.

che questo, nell’economia dell’anime, trova un suo inquietante senso, come lo trova il fatto che l’impulsivo e tormentato protagonista sia posto in una posizione subalterna dalla quale possa comprendere che il suo ribellismo esprime il bisogno di un’autorità esterna. Venendo agli altri componenti, lo smilzo e il grosso non sembrano variare troppo da trio a cinquina: lo smilzo è schivo, spesso cinico e supponente, ed è in una relazione di competizione, palese o intuibile, con il leader; il grosso è generoso, ed è coraggioso quando è ora. La ragazza può essere la brava ragazza della base come Chizuru di Combattler o avere un carattere combattivo più esibito come Megumi di Voltes V (Sonia di Vultus 5). Il ragazzino spesso è esperto di scienza e tecnologia. Il fatto interessante è che ogni eroe manifesta un carattere – o meglio, appartiene a una diversa famiglia di caratteri – che può tornare anche al di fuori della sua connotazione fisica, della sua posizione e del ruolo del suo mezzo da combattimento: nella storia dell’animazione, i diversi attributi – psicologici, fisici, o relativi al mero posizionamento nella squadra – si sostengono a vicenda,

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ma non è detto che compaiano sempre tutti insieme, e questo vale soprattutto per lo smilzo e il grosso. È proprio per questo che la prima vera cinquina super-robotica è quella di Combattler, anche se gruppi di cinque eroi compaiono in Godam e in Diapolon, due anime che iniziano a essere trasmessi qualche giorno prima di Combattler. Quella di Combattler è infatti una cinquina canonica, mentre in Godam e Diapolon manca lo smilzo, la cui posizione è occupata da un’altra tipologia di personaggio: Godaemon di Godam è un secondo ragazzino che se la cava bene con scienza e tecnologia, e Hideki di Diapolon è un nerd che porta gli occhiali e che nella sigla finale compare con una chiave inglese in mano. Evidentemente il tecnico-geek-scienziato contende la posizione allo smilzo, e là dove scompare dalla cinquina in favore dello smilzo, l’attributo tecnico passa sovente al ragazzino, come accade a Kosuke in Combattler e a Hiyoshi in Voltes V (Carl di Vultus 5). Ma per i motivi che vedremo, questo attributo può anche passare allo smilzo, come accade a Jōgo (Gorgo) di Starzinger. Questi cinque o sei caratteri – se aggiungiamo il geek come figura separata – tendono a distribuirsi tra i personaggi degli anime in ogni caso, anche là dove non compare la riassuntiva cinquina: li si può spesso riconoscere sia nell’entourage che circonda il trio o l’eroe, cioè i vari amici che frequentano la base, sia nell’equipaggio della base, che è un gruppo di tipo ancora diverso rispetto al trio e alla cinquina: l’equipaggio sostituisce la cinquina, di solito circondando con ruoli attivi un eroe solitario o al massimo un trio. Nell’entourage e nell’equipaggio non è raro dunque rinvenire la classica ragazza della base, i ragazzini e i geek, uniti o separati negli stessi personaggi (di solito, se deve moltiplicare una figura, l’entourage moltiplica il ragazzino). Del trio classico, chi rischia di più la posizione è il grosso, che in tal caso viene scaricato nell’equipaggio o nell’entourage, qui spesso con il ruolo di pura spalla comica. La posizione più inamovibile sembra quella dello smilzo, per motivi che esploreremo, ma può comunque capitare che venga espulso anche da serie successive all’affermazione della cinquina classica. Se lo smilzo viene escluso è per via del suo essere diretto concorrente dell’eroe o per via del suo carattere ombroso. Capita in Godam, per esempio, che pure è un anime Tatsunoko degli stessi autori di Gatchaman, ma nel quale gli equilibri sono diversi: la ragazza è la leader, e a competere con la leader c’è già l’impulsivo; inserire uno smilzo non avrebbe dunque avuto molto senso, e anzi avrebbe comportato un’inutile complicazione degli equilibri in una squadra affiatata, nella quale la competizione è giocosa; inoltre un ombroso smilzo avrebbe introdotto una molecola di

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buio in un anime che vive sulla netta separazione tra l’atmosfera scanzonata del gruppo degli eroi e il terrificante mondo dell’abisso. Il buio attribuito esclusivamente all’abisso, ma anche la volontà di trasmettere l’idea di una squadra affiatatissima, sono probabilmente i motivi per cui non c’è uno smilzo in Diapolon. Altrove, come in Ginguiser, lo smilzo avrebbe compromesso l’approccio leggero della serie, che risolve il problema scegliendo direttamente una squadra a quattro giocata sulle coppie impulsivo-ragazza e grosso-ragazzino.

8.2 Entourage ed equipaggi: dall’abisso al real L’entourage si distingue sommariamente dall’equipaggio nella misura in cui non vive in una base semovente tranne che in casi particolari, come per esempio un’irruzione nell’abisso, e anche perché i ruoli attivi dei suoi membri, se ci sono, si riducono al robot comico o all’azionare le difese della base. Diversamente, l’equipaggio è un gruppo organizzato con dei ruoli attivi. CioKento e Danji di Daltanious con il loro entourage.

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nonostante può capitare che qualche personaggio slitti da una posizione di entourage a una di equipaggio, ed è in generale difficile tracciare una linea di demarcazione netta tra i due tipi di gruppo su questi presupposti. Tuttavia possiamo cambiare ottica: da un altro punto di vista potremmo dire che la differenza tra entourage ed equipaggio è nel focus della storia. La cosmogonia dell’orfano alieno, specialmente, si regge su un delicato equilibrio privato tra l’eroe e il suo abisso: ogni umanizzazione dell’abisso così come ogni complicazione della vita nella base tende a sbilanciare questo equilibrio e a spostare l’attenzione su un conflitto diverso da quello che vede coinvolti l’orfano alieno il suo incubo personale. L’equipaggio invece, diversamente dall’entourage, fa proprio questo: sposta il problema dall’abisso all’interno della nave o della base – che poi nei casi degli equipaggi sono quasi sempre la stessa cosa – perché le storie di equipaggi divengono storie di relazioni e tensioni tra i personaggi. Questo lo differenzia non solo dall’entourage, ma anche dagli altri gruppi organizzati, cioè il trio e la cinquina, perché il trio e la cinquina sono sempre perfettamente affiatati: un litigio dura al massimo un episodio, e persino la guerra interna tra l’impulsivo e lo smilzo è una forma di affiatamento, perché li unisce in una sfida, li fa orbitare attorno a un loro bipolarismo che ha il solo effetto di legare ancora di più la squadra. L’equipaggio invece è la storia dell’evoluzione delle sue relazioni, e dove compare davvero, come in Gaiking, dona agli anime una certa tonalità real, non a caso verrà portato alla massima espressione da Tomino con Gundam e Ideon. L’equipaggio ha la tendenza a rompere lo schematismo delle altre squadre organizzate. L’equipaggio di Gaiking è asimmetrico, pur facendo uso dei tipi psicologici degli altri gruppi; anzi, è asimmetrico proprio perché – diversamente dall’entourage che tende a moltiplicare i ragazzini – moltiplica le tipologie più marcate: in Gaiking rimangono inalterati la ragazza e il ragazzino e vengono sdoppiati lo smilzo (Fan Li, Sakon) e il grosso (Bunta, Yamagatake). Tanto basta per spezzare la coincidenza totale tra personaggio e archetipo, tipica del trio e della cinquina, e organizzare una collettività al posto di un olimpo. Nell’epoca super-robotica, dominata dalla mitologia del robot gigante, l’equipaggio fatica a imporsi anche quando è ufficialmente un equipaggio. Tuttavia la sua tendenza a spostare l’equilibrio della storia si fa già sentire: l’equipaggio della base mobile Divina Libertà di Gackeen, che pure è formato da uno smilzo, un grosso e un geek riconoscibilissimi, trova comunque una sua asimmetria real nel fatto che i tre abbiano una sola navicella; ma ciò che tende a farne un equipaggio in piena regola è che l’attenzione dello spettatore

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viene non di rado solleticata dalle relazioni sulla Divina Libertà, mentre non esiste alcun abisso personale degli eroi Mai e Takeru. È sempre una questione di equilibri. Un equipaggio in piena regola come i Cope Lander di Raideen, per giunta dotato di una navetta di appoggio e di una composizione asimmetrica abbastanza da equipaggio – Rei Asuka è una smilza, raddoppio della ragazza o dello smilzo – rischia continuamente di diventare l’entourage di un orfano alieno: il conflitto tra Mari e la sua smilza Rei in nessun modo minaccia di strappare attenzione al conflitto principale che ha per protagonisti divinità robotiche, demoni abissali ed energie metafisiche. Dunque si può dire che la differenza tra l’entourage e l’equipaggio risieda nel fatto che l’entourage non sposta il centro del conflitto, mentre l’equipaggio è un mondo di relazioni e tensioni che entrano in diretta competizione con il conflitto principale.

8.3 La divisione degli elementi: lo smilzo, il grosso, la ragazza e il ragazzino I patrimoni archetipici che negli anni Settanta si aggregano nelle figure del grosso e dello smilzo entreranno nel sistema circolatorio dell’animazione giapponese generando due tipi di personaggi non necessariamente legati ai loro tratti fisici più classici. Non dimentichiamo che si tratta di somiglianze di famiglia: talvolta è l’aspetto, talvolta il modo di fare, talvolta la posizione nella squadra, talvolta altri tipi di segnali, e quando due o più di queste componenti si aggregano, riconosciamo lo smilzo o il grosso di turno, e possiamo apprezzare il modo in cui l’autore ha deciso di declinare la sua idea della psicologia dello smilzo o del grosso. Di conseguenza, dopo l’era classica – ma spesso anche durante – lo smilzo e il grosso smettono di essere semplicemente lo smilzo e il grosso, assumono anche altre forme e si sciolgono in innumerevoli aggregati tipologici parziali. Tuttavia, se si affina lo sguardo, è possibile riconoscere smilzi e grossi in diversi tipi di squadre e persino fuori dalle squadre in anime di diversi generi: esercitarsi a riconoscere smilzi e grossi in Lupin, Captain Tsubasa (Holly e Benji), Saint Seiya (I cavalieri dello Zodiaco), Naruto o Dragon Ball può essere un gioco molto divertente. Potremmo per esempio essere indecisi tra Jigen e Goemon per il ruolo dello smilzo, e ci verrebbe in aiuto il fatto che il compito di portare nel gruppo la ricchezza dell’eredità tradizionale giapponese appartiene al grosso, mentre

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una caratteristica dello smilzo è la mira infallibile da una posizione defilata.23 Questa è una differenza che riecheggia anche nei nomi: mentre il leader e lo smilzo hanno di solito nomi brevi, veloci, che talvolta approfittano di assonanze internazionali – Joe, Ken, Kento, Ryō, Gō, Danji – i grossi hanno nomi che suonano nazionalpopolari e coriacei, da samurai o da pescatore: Musashi, Benkei, Bunta, Kiraken, Yamagatake, Gorō. Leader, smilzo e grosso si dividono anche gli elementi: il cielo va al leader, quasi sempre in casacca rossa; di solito lo smilzo è legato all’acqua e al colore blu o al nero; il grosso alla terra e al colore giallo o verde. Stranamente, nel primo trio da agganciamento, quello di Getter, i colori di Musashi Tomoe tendono al giallo ma l’elemento dell’eroe è il mare, mentre Hayato Jin è contraddistinto dal blu ma il suo elemento è la terra. La situazione si normalizza già con Hacca, il grosso di Starzinger, che si prende la terra e lascia l’acqua allo smilzo Jōgo, lo stesso avviene nel trio di God Sigma, e più in sordina in Baldios. In Combattler, dove compare la cinquina, gli attributi elementari cambiano: lo smilzo, coerentemente con la sua natura di ombra del leader, prende anche lui il cielo; il grosso mantiene un rapporto con la terra mediante un mezzo massiccio e cingolato; la ragazza si appropria dell’acqua, un attributo che appartiene già alla prima ragazza di squadra: Hikaru Makiba di Grendizer; il ragazzino finisce sottoterra con una trivella. Tuttavia la divisione degli elementi della cinquina non sembra così fissa, già cambia in Voltes V e non è rispettata in una seria atipica come Godam. Da sinistra: Yamagatake, uno dei due grossi di Gaiking, e Hayato Jin, lo smilzo di Getter.

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8.4 Shuriken dall’ombra: fenomenologia dello smilzo Lo smilzo, dove compare, è senza dubbio il personaggio più importante dopo l’eroe principale. Hayato Jin di Getter, Joe il Condor di Gatchaman e Danji di Daltanious sono tre ottimi esempi del carattere e dell’estetica dello smilzo, e ciò li rende probabilmente i personaggi più vicini all’archetipo. Capelli lunghi neri, aspetto misterioso, modi furtivi, mira precisa, scatto velocissimo spesso unito a un falso basso profilo, mani in tasca, gli occhi semichiusi e il sorriso beffardo mentre attende che gli altri si accorgano che quella cosa incredibile che è appena stata fatta è stato lui a farla: lo smilzo è riconoscibile in una miriade di personaggi che popolano gli anime. Talvolta ha un occhio coperto da un ciuffo, segno dell’impossibilità di una sua definizione ultima, e l’iride ridotto alla pupilla, che è un tratto che di solito troviamo negli avversari, un particolare che lo rende dunque minaccioso. Predilige le armi da lancio – shuriken, pugnali, sassi, frecce – e tutto ciò che non consente di risalire immediatamente dal colpo all’identità e alla posizione di chi lo ha inferto: se il leader e il grosso incarnano rispettivamente lo spirito e la tradizione del samurai, lo smilzo incarna il ninja; l’habitat naturale dell’eroe è la luce solare, quello dello smilzo è l’ombra. Per quanto riguarda il profilo psicologico, lo smilzo è sempre coraggioso, è introverso, non è interessato ai riconoscimenti sociali, spesso nasconde un animo sensibile che non ama rendere pubblico, talvolta si occupa di un personaggio più fragile. Lo smilzo è talmente codificato che lo si può riconoscere anche quando è eccentrico rispetto alla struttura, come nel caso facile di Danji di Daltanious che pilota il terzo modulo ma è chiaramente lo smilzo in un trio che è praticamente un duo, dato che il secondo elemento della composizione del robot è il leone cyborg Beralios. Hayato Jin di Getter è smilzo fino al midollo malgrado il suo elemento sia la terra, e Joe il Condor dei Gatchaman, sebbene non ne abbia i tratti fisici, è uno smilzo caratterialmente perfetto. Un tipo diverso dello smilzo è Jōgo di Starzinger, che per quanto riguarda estetica ed elemento è uno smilzo evidentissimo: capelli neri lunghi, altezza, magrezza, il suo colore è il blu e il suo elemento l’acqua. Jōgo, che ovviamente è coraggiosissimo, appartiene più al tipo dello smilzo riservato che a quello dello smilzo aggressivo, e la sua caratteristica più interessante è di essere un geek, con tanto di computer tascabile. Un altro smilzo in versione geek è Julian di God Sigma, ingegnere, che diversamente da Jōgo tende al tipo cinico e aggressivo. Ma perché uno smilzo geek? Abbiamo visto che sono il ragazzino e lo smilzo a

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Tristano di King Arthur.

contendersi il ruolo di tecnico o scienziato, il ragazzino per la sua giovinezza, che gli dona un cervello rapido e versatile, ma anche perché rappresenta il futuro e soprattutto perché un attributo del genere giustifica la presenza di un giovanissimo in squadra. Lo smilzo può assimilare il carattere geek perché probabilmente, da colui che trama nell’ombra, per estensione diventa stratega – stratega è per esempio Uchuta di Zambot – e di qui uomo di calcolo. Ma lo smilzo non è solo in una relazione concorrenziale con il ragazzino per l’attributo del calcolo. È anche in un rapporto di competizione con il leader, di incompatibilità stilistica con il grosso, e di pericolosissima sovrapposizione archetipica con la ragazza, prima di tutto perché sia con la ragazza sia con lo smilzo il leader intrattiene una tensione, sessuale con la prima e competitiva con il secondo – non a caso in Voltes V il grosso e il ragazzino sono fratelli del leader, lo smilzo e la ragazza no – e poi perché lo smilzo tende all’androginia. Interessantissima in questo senso la situazione di Tristano di King Arthur, l’anime del 1979 (Entaku no Kishi Monogatari Moero Āsā, in Italia La spada di King Arthur). Tristano è lo smilzo o la ragazza a seconda di quali siano i tratti su cui decidiamo di concentrarci: da un lato è impossibile non riconoscergli le carat-

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Andro Umeda di Tekkaman.

teristiche fisiche, la personalità introversa e la predilezione per le armi da lancio tipiche dello smilzo; dall’altro lato c’è il fatto che nella cinquina di King Arthur la seconda posizione è occupata da Lancillotto, vero alter-ego di Artù, e dato che il grosso è Percival e il ragazzino è Galahad (Guerrehet in Italia), Tristano scivola nel posto della ragazza, cioè del personaggio sensibile e intimista, ruolo che uno smilzo particolarmente malinconico, poetico e solitario come Tristano ricopre perfettamente. Il simbolo di questa duplicità è la sua arpa che da un momento all’altro può trasformarsi in un arco. La mossa degli autori è geniale: avendo a che fare con un team di soli maschi, si rendono conto che una certa declinazione dello smilzo si sovrappone ad alcuni tratti che il senso comune annette allo stereotipo di genere della ragazza, e decidono di scagliare l’archetipo del personaggio sensibile contro lo stereotipo del personaggio sensibile, che va in pezzi. L’androginia, come l’abitare l’ombra, come la pupilla malvagia e l’occhio coperto, rappresentano l’impossibilità della definizione ultima dello smilzo, la sua inafferrabilità da ninja. Il capolavoro dell’idea di smilzo è il ballerino hippie progressivo alieno nero biondo androgino Andro Umeda di Tekkaman, autentica stella danzante partorita dal caos.

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8.5 L’ombra del leader: lo smilzo come anti-abisso In Combattler, per condurre a buon fine l’agganciamento delle navette e formare il robot, i piloti devono dare un assenso psicologico, e la convinzione con cui danno questo assenso è misurata, tramite le loro onde cerebrali, da cinque contatori, simili a quelli della pressione, che devono raggiungere il massimo, e che sono integrati nel corpo di Ropet, il robottino della base. Ebbene, tre contatori sono disposti verticalmente sul ventre di Ropet, in basso c’è quello corrispondente al ragazzino della squadra, sopra c’è quello della ragazza, e ancora sopra quello del grosso. Poi vengono gli ultimi due contatori, quello dello smilzo e quello del leader, e sono disposti orizzontalmente: sono gli occhi di Ropet. L’indicatore dello smilzo Jūzō è l’occhio destro, l’indicatore del leader Hyōma è l’occhio sinistro. Sintomaticamente, al primo agganciamento, sono Hyōma e Jūzō a creare un problema di sintonia psichica, dovuto presumibilmente alla loro rivalità. Danji Hīragi di Daltanious.

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Lo smilzo è sempre un antagonista e un potenziale sostituto del leader, il che implica un confronto che può essere o solo suggerito allo spettatore o agito a diversi gradi di attrito; lo smilzo, però, è tra i due quello che manifesta meno preoccupazione per il riconoscimento del ruolo, del resto ostenta disinteresse verso tutto ciò che attiene al sociale. Talvolta, prima di giungere a un’amicizia tra eroe e smilzo, è necessario attraversare un conflitto o quanto meno una rivalità; le risse non sono un evento rarissimo: Hyōma e Jūzō di Combattler incrociano i pugni nel secondo episodio, Jōji e Andro Umeda di Tekkaman hanno la prima scazzottata a tredici minuti dall’inizio della prima puntata, Kenichi e Ippei di Voltes V (Michel e Gepi di Vultus 5) si menano addirittura nella sigla di apertura. Allo smilzo super-robotico integrato in un trio o in una cinquina non sembrano mancare le qualità tecniche, morali e carismatiche del leader. Tra l’altro ha la stessa età o è leggermente più grande del leader ufficiale, e dato che il leader di fatto è l’impulsivo o comunque, anche nelle cinquine, è più impulsivo, lo smilzo, che lascia trapelare meno, appare più maturo e caratterialmente stabile. Certo, essendo lo smilzo, è più solitario e più introverso, talvolta veramente asociale, e sembrerebbe essere questa sua asocialità a determinare il suo non essere il leader. Sì e no. Il fatto è che lo smilzo non è lo smilzo perché è asociale: è asociale perché è lo smilzo. Lo smilzo non può essere il leader perché altrimenti qualcun altro dovrebbe essere lo smilzo. Lo smilzo svolge una funzione, e quella funzione deve essere svolta, e gli attributi dello smilzo sono quelli che garantiscono l’esercizio della sua funzione. La sua funzione è ricordare al leader le sue responsabilità. Lo smilzo super-robotico non ha un abisso: ha un’ombra e ci vive dentro. Se l’esplorazione del proprio abisso da parte del leader coinvolge tutta la realtà, ciò che lo smilzo è chiamato a risolvere o con cui deve convivere riguarda solo lui. Per questo lo smilzo è a volte orfano, ma sempre terrestre, a meno che l’alienità non sia un attributo del suo essere outsider. Anche là dove non è attiva una cosmogonia dell’orfano alieno, lo smilzo è comunque meno concentrato dell’eroe sull’abisso, e molto più sulla difesa dall’abisso. Soprattutto lo smilzo si mostra estraneo all’aspetto più teologico dell’abisso. L’interessante smilzo Kojirō di Mechander è sanamente sbruffone ma è terrorizzato dai missili Omega, quelli che i satelliti nemici posti attorno alla Terra sparano quando rilevano l’attivazione di un reattore nucleare, compreso il reattore del robot degli eroi. I missili Omega Kojirō se li sogna la notte: è uno smilzo codardo? Possibile? No. C’è altro. Il missile Omega non è il nemico materiale,

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non è il mostro dell’episodio: è la paranoia, è pura metafisica dell’abisso, quella con cui lo smilzo ha poca dimestichezza. Julian di God Sigma è l’unico del suo trio a non provenire dalla colonia del satellite di Giove, Io; la devastazione della colonia da parte degli invasori rappresenta il tratto abissale di leader e grosso e il loro movente personale nella guerra; solo con il procedere della serie scopriremo che Julian ha una sorella su Io, della quale il ragazzo non ha mai parlato. A un leader dal tratto abissale nettissimo come Marin di Baldios, viene affiancato lo smilzo Oliver, un cristiano particolarmente devoto: alla metafisica dell’abisso che segna così profondamente Marin, Oliver oppone una metafisica canonica e molto terrestre. Il confronto con lo smilzo, sia nella versione dell’attrito sia in quella dell’alleanza che segue sempre all’attrito, è fondamentale per il leader. Attraversandolo, il leader apprende di non essere il centro del mondo, ovvero di non essere poi così indispensabile sul piano bellico, e che prima del diritto alla gloria deve assumersi le sue responsabilità: c’è qualcuno per cui l’aspetto personale del suo conflitto con ciò che proviene da oltre il varco passa in secondo piano rispetto all’effetto materiale, catastrofico, che l’apertura del varco produce. Lo smilzo – che sarebbe perfettamente in grado di sostituire il leader nella gloria, che combatte contro i mostri di un abisso che non gli appartiene più di quanto appartenga al resto del mondo, e che diversamente dal fedele grosso esibisce una personalità anarchica e dunque una sorta di autocostrizione rispetto al compimento della missione – emette sul leader un sonoro giudizio, continuo, pressante e poco propenso a fare sconti, richiamandolo più di chiunque altro alla propria responsabilità di risolutore del conflitto, non solo per se stesso ma per tutti. Daltanious non ha una cinquina ma nemmeno un vero e proprio trio perché Tadao Nagahama e Saburō Yatsude decidono scientemente di confrontarsi con la cosmogonia dell’orfano alieno nella sua versione più abissale e teologica, cosa che prima, altrettanto scientemente, non avevano fatto: con quel tema, la squadra è solo di impaccio, tutto ciò che serve loro è Danji, lo smilzo come ombra terrestre dell’orfano. Lo smilzo mantiene il leader sulla Terra, letteralmente con i piedi per terra; gli ricorda che è umano, che l’abisso di un altro a noi appare come un’ombra e che il nostro abisso per gli altri è un’ombra e dunque dovremmo cercare di tenerla nei ranghi. Quando il leader si guadagna la fiducia dello smilzo vuol dire che è sulla strada giusta.

9 EROINE, PERSEFONI E MADRI ABISSALI: I RUOLI FEMMINILI NEL 1976 Blocker Gundan Titolo originale: Burokka Gundan IV Mashīn Burasutā / Blocker Gundan 4 Machine Blaster Nippon Animation. 38 episodi. 5 luglio 1976 – 28 marzo 1977 Titolo italiano: Astrorobot contatto Ypsilon

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riginari di 5D, un pianeta che orbitava tra Marte e Giove, scomparso per una catastrofe naturale, i moguru sono sulla Terra da millenni. Abituati a vivere nelle profondità oceaniche, non sopportano la luce del sole e possono uscire solo con apposite maschere. Sotto la guida di Hell Queen e dei suoi generali, Zangyakku (Zanga nell’adattamento italiano) e Goroski, la nazione moguru decide di invadere la superficie della Terra. Il dottor Hōjō stava raccogliendo materiali sui moguru quando è stato ucciso proprio dagli alieni. Esiste tuttavia un gruppo terrestre che si sta organizzando

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contro l’invasione. Il capo è il dottor Yuri (Uri), che ha ereditato i lavori del defunto Hōjō. Del gruppo fanno poi parte Yuka Hōjō (Uka), figlia del dottor Hōjō, Ishida Gensuke, figlio di un assistente del dottor Hōjō e capo della squadra robotica, il piccolo automa Picot e tre agenti segreti. Ma la squadra ha bisogno di altri elementi, elementi speciali. Il dottor Yuri fa così sequestrare Billy Kenjō (Ylli), Tenpei Asuka (Yanosh) e Jinta Hayami (Ynta). Al momento del sequestro Tenpei e Jinta erano in riformatorio. I tre ragazzi si ritrovano alla Base Astro e viene loro spiegato per quale motivo sono lì: possiedono il potere Elepas (potere Ypsilon), una forma di esp che permetterà loro di pilotare tre dei quattro robot che formano il battaglione capitanato da Ishida, robot che sono stati costruiti dallo stesso Yuri. Tenpei non è affatto convinto, ma, piccato nell’orgoglio da Yuka, accetta di partecipare alla prima battaglia. A ogni pilota corrisponde una navicella chiamata Freedom che si incastona in un robot formandone o completandone la testa: Ishida pilota la Freedom I e il robot Robocres, Billy la Freedom II e Bullseazer (o Bull Caesar), Jinta la Freedom III e Thundaior, Tenpei la Freedom IV e Bosspulder (i robot nell’adattamento italiano sono denominati Astrorobot, e si chiamano rispettivamente Terremoto Stellare, Sfondamento Galattico, Turbine Solare e Tempesta Spaziale). I quattro robot possono anche entrare in formazione Blocker per sferrare un colpo speciale. Dopo la battaglia Tenpei, che è cresciuto senza i genitori, mostra subito un carattere ribelle e abbandona il gruppo: avvistato dai moguru mentre atterra con la Freedom IV al riformatorio per farsi bello con gli ex-compagni, provoca l’attacco alla città da parte degli alieni, la distruzione dell’edificio e la morte del direttore del riformatorio, al quale era molto legato. Questa esperienza lo convince a unirsi definitivamente alla squadra. Intanto sta per emergere la verità: Tenpei ha sangue moguru. Il ragazzo è discendente, da parte di madre, dello scienziato moguru Nostar, che trecento anni prima fece pervenire ai terrestri la tecnologia manovrabile tramite il potere Elepas, materiale del quale venne in possesso il dottor Hōjō, e sulla base del quale il dottor Yuri ha costruito i quattro robot. A Tenpei è rivelata la verità sulla sua origine a circa un terzo della serie, nel frangente di una trappola dei moguru nella quale Hell Queen lo inganna fingendo di essere la madre che il ragazzo non ha mai conosciuto. In ogni caso l’ascendenza moguru di Tenpei è alla base della potenza straordinaria del suo potere Elepas, molto maggiore rispetto a quella dei compagni. A circa tre quarti della serie Hell Queen muore in un attacco degli eroi alla base moguru. Si salvano Zangyakku e Goroski che vengono convocati a sorpresa da Hell Sandra, sorella e sostituta di Hell Queen. Con l’avvento del nuovo regime si inaugura anche la nuova base dei moguru al Polo Sud. Al termine di una battaglia a cui partecipa personalmente, Sandra viene catturata, imprigionata alla base terrestre, e torturata per cercare di ottenere informazioni. Tenpei, infastidito dai metodi disonorevoli dei suoi, la libera e la lascia scappare, scatenando la collera di Ishida. Nella battaglia successiva, Sandra ricambia il favore risparmiandogli la vita.

9 – Eroine, persefoni e madri abissali: i ruoli femminili nel 1976

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All’avvio del finale di serie, Yuri offre a Sandra la pace, senza successo. La base moguru subisce allora l’attacco risolutivo da parte dell’esercito, affiancato dai quattro robot. È allora che si svolge un breve dialogo tra Sandra e Tenpei. La regina è da tempo affascinata dall’eroe. Nel valore dimostrato in battaglia da Tenpei, Sandra ha creduto di scorgere il carattere del vero combattente moguru, e avrebbe voluto avere l’eroe tra le sue file: Tenpei, ritiene la regina, avrebbe certamente determinato la vittoria dei moguru. Ma dopo lo scambio tra i due, a base ormai invasa, la regina preme il tasto dell’autodistruzione. I terrestri evacuano mentre Sandra, Zangyakku e Goroski attendono l’esplosione tra le fiamme. La guerra è vinta.

9.1 Eroine generose ed eroi riluttanti Nel 1976 troviamo tre eroine in posizioni d’avanguardia: Yōko Misaki di Godam, la gailariana Rita di Groizer X e Mai Kazuki di Gackeen, la prima è leader dei Gowapper, le altre sono in condizione di parità con l’eroe: Rita pilota allo stesso livello di Joe, anzi, dato che il bombardiere è suo, dovrebbe essere formalmente il capo-squadra; Mai si unisce alla sua controparte maschile Takeru per dare vita al doppiamente senziente Gackeen (qualcosa di simile, ma con un rituale meno connotato sessualmente, si era visto in Ultraman Ace, un tokusatsu del 1972). Per quanto riguarda i gruppi: abbiamo Miki di Diapolon come pilota, oltre che del suo Ufo Fighter, del robot Legga; e Chizuru Nanbara di Combattler nel primo gruppo classico di cinque moduli che formano un robot. In Mechander Mika Shikishima sarà inserita nel gruppo solo in un secondo momento, a seguito di un potenziamento del robot. Le divise delle eroine sono sistematicamente rosa, unica eccezione è Rita di Groizer X che ha rosa il casco. Nel 1977 Keiko di Zambot 3 avrà la divisa verde – ma vi indosserà sopra una sciarpa rosa – mentre un’importante eccezione sarà la divisa gialla di Megumi (Sonia) in Voltes V. Per quanto riguarda gli emblemi, per le ragazze domina il cuore, che già nei Getter ornava la cintura di Michiru. Lo porta Yōko, leader dei Gowapper di Godam, squadra i cui componenti maschi – malauguratamente quattro – sono contraddistinti tutti dal segno delle picche. Il segno del cuore, ma in un contesto di gruppo a quattro contraddistinto dai semi delle carte da gioco, toccherà a Michi Akitsu di Ginguiser, una serie del 1977 dove si arriverà al punto di dotare la ragazza di un mezzo composto dagli scarti delle trasformazioni degli altri. È interessante notare che in Diapolon Miki indossa la maglia numero 00 (e pilota

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l’Ufo Fighter 00; a Takeshi è assegnato il 10, a Gorō il 66, a Matsuo il 22 e a Hideki il 99). Non si registrano ruoli eroici femminili in Blocker Gundan. Un po’ incastrate nelle uniformi di genere, le ragazze nei ruoli di punta mostrano comunque personalità: Yōko di Godam ne ha da vendere, Rita di Groizer X è il tipo della ragazzza calma e taciturna, molto matura e capace di dimostrarsi psicologicamente fortissima all’occorrenza. Il caso di Mai di Gackeen è più difficile, ma lo affronteremo. In generale, le eroine degli anime super-robotici, anche quelle che ricoprono ruoli subalterni, non si tirano mai indietro e mostrano un coraggio, una determinazione e un’attenzione al collettivo del tutto estranei agli eroi. Non è detto sia sempre un bene. Il problema è che le eroine fanno esattamente quello che si richiede a un’eroina o un eroe: sono perfette dall’inizio alla fine. Nessuna di loro manifesta un’evoluzione paragonabile a quelle delle controparti maschili, alle quali le ragazze si dimostrano di certo caratterialmente superiori, ma finendo con il dare l’impressione di rispondere senza fiatare a una richiesta di maturità – cioè di pazienza – che viene fatta alle donne perché gli uomini, si sa, sono immaturi, cioè preda di forze primordiali e incontrollabili. Yōko Misaki di Godam.

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Da un lato è innegabile che vedere Mai di Gackeen paritaria nell’azione e impegnata a devastare gli izariani a calci e pugni è una cosa inedita ed enorme; dall’altro mancano le irriverenze nagaiane di Sayaka, Hikaru e Maria Grace, la forza e le fragilità così umane e così dissonanti di Jun e Miwa. Le donne nagaiane sceglievano, spesso contro tutto, e ogni giorno quella scelta era rinnovata e aveva un prezzo. Le donne del ’76 danno sempre l’impressione che qualcuno abbia già scelto per loro. E anche un’eroina complessa e all’avanguardia come Mai deve piegarsi alle logiche che vedono le ragazze svolgere funzioni di perlustrazione, come era già per Michiru di Getter, e come sarà per Lisa di Danguard, che cercherà continuamente di conquistare un posto che, malgrado le si riconosca competenza, le viene dato a tratti; in Gackeen l’impossibilità di uscire dal ruolo sarà sbattuta in faccia a Mai da suo padre, il padre della tecnica Kazuki, quando la giovane chiederà inutilmente un potenziamento del suo robot personale, il Mighty. Di contro a tanta abnegazione, dalla parte dei ragazzi di punta troviamo una costante riluttanza nei confronti della missione, sulla scia di Hiroshi Shiba: reMai Kazuki di Gackeen.

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calcitranti sono Sanshirō Tsuwabuki di Gaiking, Tenpei Asuka di Blocker Gundan e Takeru Hōjō di Gackeen (da notare, invece, l’entusiasmo di Joe nell’imparare a pilotare il Groizer). Sanshirō vorrebbe solo piangere la perdita del suo polso da baseball ma trova nel Gaiking un motivo di riscossa quando si accorge che le sue abilità possono essere usate in battaglia; Tenpei mostrerà un qualche interesse verso il suo compito solo quando Yuka lo provocherà, e si farà davvero carico della missione solo dopo la morte del direttore del riformatorio; Takeru è ossessionato dall’idea di battere suo padre sul suo stesso terreno, quello delle arti marziali, e ripetutamente entra in battaglia quando Mai è già partita, da sola. Gli eroi recalcitranti sono perfetti per una stagione il cui tema centrale è quello della collaborazione: il sapersi porre al servizio del gruppo e della comunità è il cuore della questione maschile nel 1976, l’anno in cui le squadre di eroi sfondano nell’anime super-robotico. L’eroe solitario di Nagai e l’epica trinità di Getter sono lontani, e l’anime si gioca su una tensione ambigua tra predestinazione o culto dell’eroe e una necessità di ricondurlo al gruppo che a volte sa tanto di punizione di una sua presunta arroganza. Ma il gruppo non è l’unica dimensione che coinvolge l’eroe riluttante. C’è anche il trasferimento di una lotta personale su un altro binario: Sanshirō di Gaiking impara ad accettare di sublimare il suo lancio magico, reso ormai impossibile dall’infortunio, nella dimensione astratta della tecnica, con la quale salverà il mondo; Takeru di Gackeen potrà liberarsi dell’ossessione del padre solo imparando a diventare Gackeen insieme a Mai, ma imparare a diventare Gackeen gli permetterà, infine, di ricevere – senza peraltro sentirli – i complimenti di suo padre. Anche sul versante delle figure maschili, però, qualcosa manca. Gli eroi riluttanti di Nagai si scontravano con padri della tecnica come il cyborg Kenzō Kabuto e il computer-coscienza del professor Shiba, padri della tecnica metafisici, che abitavano un confine tra due regni, e che dunque non erano tanto o non erano solo autorità umane, quanto padri-divinità, proiezioni dei bisogni e dei terrori dei loro figli-eroi: la ribellione di Tetsuya e Hiroshi era contro gli dèi, contro il muro di metallo Kabuto e la voce senza corpo di Shiba, e di conseguenza la si percepiva come una lotta interiore fatta di spinte, paure e desideri contraddittori. Degli eroi riluttanti del ’76, tutti in relazione con un padre della tecnica comunemente mortale e tangibile, solo Sanshirō di Gaiking sembra lasciato libero di risolvere in autonomia la sua guerra interiore, e questo grazie alle qualità umane di un padre della tecnica come Daimonji. Takeru di Gackeen è costantemente preda delle sue pulsioni, una trottola impazzita cui

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Takeru Hōjō di Gackeen.

fa da sponda l’autorità talvolta anche menefreghista di Kazuki, e Tenpei di Blocker Gundan dal padre della tecnica viene addirittura sequestrato. Il 1976 è una selva di ricatti e costrizioni. In definitiva per l’eroe riluttante vale un discorso simile a quello che vale per la ragazza perfetta: lei è ciò che le si richiede di essere, lui diventa ciò che gli si richiede di diventare. Esemplare il caso di Tenpei di Blocker Gundan, forse il più irrequieto tra gli eroi, calato nel più reazionario degli anime super-robotici. Tenpei è certamente un personaggio di grande tormento, ma non trova la sua strada, perché la sua riluttanza non è mai stata vera ribellione. Tenpei sfida l’autorità alla disperata ricerca di un contenimento: lo mostra il suo rapporto con il direttore del riformatorio, con il colonnello Ōno (Yasu),24 con il suo caposquadra Ishida, con il padre della tecnica Yuri. Tenpei non trova la sua strada perché non ne ha mai avuta una che fosse davvero sua. Tutto ciò che riuscirà a ottenere da se stesso, in cambio del ribellismo giovanile, sarà un irrigidimento scambiato per maturità. Forse Blocker Gundan è più geniale e beffardo di quanto voglia sembrare.

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Gackeen Titolo originale: Magunerobo Ga-Kīn / Magne-Robot Ga-keen Toei Animation. 39 episodi. 5 settembre 1976 – 26 giugno 1977 Titolo italiano: Gackeen, il robot magnetico

I

l primo tentativo di colonizzare la Terra da parte del popolo di Izar non andò a buon fine a causa di incompatibilità ambientali e incapacità organizzative che costrinsero gli alieni a rifugiarsi nelle profondità marine. Ora gli izariani si sono risvegliati, e hanno intenzione di conquistare il pianeta. Il dottor Kazuki, cosciente del pericolo ma deriso dalla comunità scientifica internazionale, recluta il diciassettenne Takeru Hōjō, atleta marziale con una straordinaria resistenza all’elettricità – sopravvisse a un fulmine che colpì lui e la madre uccidendo la donna – e un pessimo rapporto con il padre, a sua volta istruttore di arti marziali. Takeru, assieme a Mai, la figlia sedicenne di Kazuki, dovrà dare vita al robot magnetico Gackeen. Infatti i due ragazzi, attraverso una speciale trasformazione resa possibile dalle loro cariche elettriche opposte (naturale quella di Takeru, ottenuta con pesantissimi interventi quella di Mai), possono unirsi convertendosi in un oggetto metallico a forma di simbolo dell’infinito, attorno al quale si raccolgono i componenti magnetici che formano il Gackeen, un robot che sarà in grado di lottare contro le bestie sintetiche degli izariani. Takeru e Mai sono altresì dotati di due piccoli robot personali, Plyzer e Mighty, con i quali escono in battaglia prima dell’unione, e dei quali Gackeen può poi servirsi per volare, agguantandoli come piccoli razzi a reazione. Nel corso della storia Gackeen è potenziato con l’aggiunta del modulo Variant Anchor, che può agire separatamente o connettersi a Gackeen come cingolato o velivolo.

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Dopo una prima contrarietà di Takeru, ossessionato dalla competizione con suo padre, il ragazzo si unirà al gruppo della Divina Libertà, la base semovente e volante di Kazuki. Dell’equipaggio della Divina Libertà fanno parte anche Hitoshi Komatsu e Futoshi Hizen, piloti dell’aereo Delivery Gō, il tecnico Tensai Tsuji e gli assistenti di Kazuki; più avanti si unirà al gruppo anche la piccola Kaoru, sorella di Futoshi. Gli izariani invece sono guidati da un essere di nome Brain che riceve ordini dall’imperatore di Izar e ha come diretti sottoposti la generale Staffy, dalla testa a forma di stella marina, il bestiale generale Kokrov, e un robot direttore dello spionaggio, il quale a sua volta si avvale del lavoro del capitano Shadow (Ombra in Italia). Il finale di serie si avvia quando l’imperatore manda sulla Terra l’inviato speciale Gyazan, sperando risolva la situazione. Gyazan si sottopone a un’operazione di ingrandimento e affronta Gackeen di persona, ma soccombe. Accusato dall’imperatore di non aver mosso un dito per aiutare Gyazan, Brain esce allo scoperto, accresce le proprie dimensioni e affronta Gackeen, ma anche lui perde la battaglia ed esplode. All’imperatore non resta che trasferirsi sulla Terra e prendere in mano la situazione. Nell’ultima battaglia Kokrov affronta Gackeen mentre Staffy attacca Divina Libertà, ma i generali izariani hanno la peggio

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e periscono. Contro la Divina Libertà si muove allora la base marina guidata dall’imperatore in persona. La situazione per Kazuki è critica, ma Gackeen interviene in tempo, e l’imperatore izariano perde la base. Precipitato in mare, l’alieno tenta il tutto per tutto: muta in un mostro di stazza competitiva e affronta Gackeen in un duello nell’aria. Gackeen trionfa, la guerra è finita.

9.2 Ognuno al posto suo Gackeen illustra molto bene il modo in cui viene posta la questione di genere nel 1976, assegnando ai suoi due eroi, un uomo e una donna, una condizione di pari dignità ma due ruoli diversi; certo poi complica la situazione con un sottotesto che invita a una lettura allegorica, suggerendo di interpretare l’anime – e di conseguenza gli anime – in chiave esoterica. Ma questo lo vedremo in seguito. Per ora esploriamo la narrazione di superficie. A questo livello, l’ideologia della pari dignità tra ruoli diversi è ben delineata in una manciata di episodi. Per quanto riguarda la pari dignità, nell’episodio 36, conosciamo un vecchio allenatore di boxe alcolista che, per inseguire il suo sogno di formare un futuro campione, trascura la figlia, suggerendo l’idea che un essere umano di sesso femminile non possa essere considerato un fine in sé al pari di un essere umano di sesso maschile; la morale dell’episodio è palese, e lo stesso Takeru è molto contrariato da questa mentalità. Per quanto riguarda la presenza in Gackeen di una retorica sulla differenza sessuale, è esemplare l’episodio 31: Mai è assente, e Takeru è costretto a unirsi a un fantoccio magnetico minus, un surrogato cibernetico, sviluppato da Kazuki, della controparte necessaria a formare il Gackeen: il Gackeen che ne risulta è troppo aggressivo, e ottiene più danni che successo, evidentemente privo di una sensibilità femminile.25 Infine, un riferimento piuttosto sopra le righe a una selvatica sessualità maschile si registra nel penultimo episodio: Mai è arrabbiata per via del mancato potenziamento del suo robot personale, il Mighty, e si rifiuta di uscire in battaglia; Takeru, lasciato solo, si ritrova davanti un gigantesco mandrillo dotato di zoccoli caprini e di un unico corno da toro al centro della fronte; il mostro, protetto da una barriera, sembra imbattibile finché Mai non interviene e scopre che può essere colpito da dietro. L’ideologia di Gackeen è dunque quella di una pari dignità tra ruoli sociali diversi per natura: in fondo Takeru e Mai possono formare Gackeen proprio perché sono Magnetman Plus e Magnetman Minus, e quando nel penultimo episodio – non nel primo, non nel ventesimo – Mai chiede al dottor Kazuki un poten-

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ziamento del Mighty, un ghignante Takeru le tira simpaticamente una carta dell’asso di cuori sulla bocca, tappandogliela, e ricordandole così qual è il suo posto, ora che lui ha finalmente trovato il proprio, dopo trentasette episodi in cui Mai si è limitata a salvare la Terra mentre Takeru elucubrava su suo padre. Più tardi Takeru, meditando tra sé e sé, confesserà allo spettatore di non volere che Mai, sentendosi protetta da un robot più potente, rischi la vita; il suo non troppo sottile maschilismo, dunque, era finalizzato a scoraggiarla. Eppure non funziona, non del tutto. Una dinamica simile la troviamo un anno prima in Grendizer tra Daisuke e Hikaru, ma Daisuke, quando ritratta, è credibilissimo, perché non è mai stato sprezzante, e perché non si era opposto a un potenziamento del mezzo di Hikaru, bensì all’eventualità che la ragazza entrasse a far parte della squadra da combattimento: Daisuke voleva davvero lasciare fuori dalla guerra la persona a cui tiene. In Gackeen la situazione è completamente diversa, perché sin dal primo episodio, quando Takeru viene reclutato, Mai è già perfettamente addestrata e pilota già il Mighty. Nel penultimo episodio Mai sta solo chiedendo di poter fare meglio – e magari anche in modo più sicuro – quello che ha sempre fatto; se l’accontentassero, l’unica differenza rispetto alla situzione precedente sarebbe una maggiore incisività della ragazza in battaglia. È per questo che la ritrattazione di Takeru appare molto ambigua. E lo stesso dottor Kazuki sembra avere idee ben chiare sulla differenza di ruolo. Mai prova comunque a farsi potenziare il Mighty dai tecnici ma viene scoperta dal padre che interrompe le operazioni, e la ragazza, per quanto contrariata, è obbligata a entrare in battaglia comunque, a meno che non voglia avere Takeru sulla coscienza. I tentennamenti di un eroe che si è evoluto fino al penultimo episodio, la parola del padre della tecnica, e soprattutto una struttura narrativa che, per come è congegnata, impedisce all’eroina di trovare una sua via alla ridefinizione dei ruoli e di manifestare una reazione abbastanza significativa da sabotare la compattezza retorica dell’anime, tutto ciò chiude la questione su quale sia la corretta interpretazione da dare all’ideologia di Gackeen in merito ai ruoli femminili. Il caso della presunta preoccupazione da parte di Takeru per la vita di Mai non è isolato. Negli anime di super-robot, quando le ragazze chiedono mezzi adeguati all’azione, accade spesso che si risponda loro che è troppo pericoloso e che tutti sono preoccupati per le loro vite, anche senza scenette machiste alla Takeru, ma non è mai davvero chiaro se questa apprensione non sia solo una scusa per mantenere la rigida gerarchia dei ruoli. Non che la soluzione per uno dei due corni dell’alternativa risolverebbe qualcosa: non si capisce, infatti,

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perché ai giovani uomini si accordi la possibilità di rischiare la vita di continuo e alle donne no. Dato che un conflitto almeno lo innesca, Mai rappresenta forse l’unico caso di eroina recalcitrante in una situazione complessiva che vede le donne rispondere senza esitazioni al ruolo assegnato loro dai padri della tecnica. In generale, dunque, l’anime super-robotico di questo periodo non esprime qualcosa di chiaro sulla questione femminile, e quando lo fa sarebbe stato meglio se non lo avesse fatto. Al massimo gli si può dare atto di aver tentato di porsi il problema. Il fatto che, come vedremo, questa possa essere la superficie simbolica di un ulteriore livello di lettura, non rende la faccenda più digeribile. Il ribelle autoritario e l’eroina rimessa al suo posto sono gli emblemi della retorica della pari dignità dei ruoli diversi, e ciò significa solo che il 1976 percorre i territori della questione femminile nello stesso modo in cui percorre quelli della storia recente, e con lo stesso risultato: mettere in scena le tensioni che la società attraversava, e probabilmente le tensioni che la stessa prima epoca dei super robot aveva evocato, risolvendole con una pacificazione posticcia e frettolosa, imposta dall’ansia conservatrice e priva di vera riflessione.26 Questo è lo stesso 1976 durante il quale, sul fronte Nagai doc, Miwa Uzuki prende a schiaffi il vittimista Hiroshi “Jeeg d’acciaio” Shiba, e Hikaru Makiba straccia il signor Kōji Kabuto a terra e nello spazio. I robot femminili di Nagai in battaglia risultavano deboli e ininfluenti in modo insopportabilmente insistente, ma l’autore non intimava mai loro di stare al loro posto, la sua voce era sempre distinta da quella dei personaggi. C’era tensione tra opposti, ma mai ambiguità: lo spettatore tradizionalista seguiva la narrazione di superficie e si sentiva probabilmente rassicurato, quello progressista assisteva a una rappresentazione feroce e grottesca del mondo sociale, messa in scena da un autore anarchico e raffinato.

9.3 L’amore a comando: il caso Gackeen Gackeen è comunque un anime complesso, innegabilmente scritto con cuore e tecnicamente molto pregevole, vale la pena di riservargli un esame più approfondito. Torniamo sulla questione “ognuno fa ciò che ci si aspetta che faccia”. A Takeru e Mai viene chiesto di svolgere il proprio ruolo nel mondo, cioè di diventare adulti, attraverso un’opera sociale – la guerra – e l’evidente allegoria di un

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rapporto sessuale – la Sweet Cross. Ma a spingere (è un eufemismo) i ragazzi a diventare adulti è proprio un adulto, il padre della tecnica, che è anche il padre biologico della ragazza. La ragazza obbedisce, e quando prova ad alzare la testa viene rimessa al suo posto. Il ragazzo può ribellarsi solo tornando indietro, in una famiglia dominata da un padre tradizionalista e sminuente – dal quale è ossessionato – e servita da una sorella accudente in modo pressoché patologico. Per entrambi non c’è via d’uscita. E si noti che questo implica che per l’uomo la maturità sia andarsene da casa, per la donna restarci, visto che Kazuki è il padre di Mai. Lo stesso dottor Kazuki, poi, è il vero mediatore di mondi: perché Gackeen è la stessa cosa di Takeru e Mai, e soprattutto perché Takeru e Mai non hanno alcun rapporto con l’abisso; Mai è stata torturata per anni dai procedimenti vòlti a trasformarla nel Magnetman Minus, e per quanto riguarda Takeru, il suo potere è innato: consiste in una straordinaria carica elettromagnetica e in una resistenza all’alta tensione; il suo totem è il fulmine, una potenza che ha certamente del metafisico ma è terrestre, naturale, universale, non ha nessuna Takeru e Mai formano Gackeen.

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relazione privilegiata con l’avversario. Nessun orfano alieno, dunque: Mai è costretta a fare quello che fa, semplicemente perché è la figlia di Kazuki, e a Takeru è chiesto, in virtù di un potere del tutto personale, di prestarsi a una guerra che non appartiene a lui più che ad altri, e di disinteressarsi del conflitto con suo padre, e anche qui non è ben chiaro se questo equivalga a disinteressarsi del tradizionalismo o, al contrario, ad accettarlo e smettere di entrarvi in conflitto. La stessa Sweet Cross è ambigua: accoppiamento pianificato o sesso senza implicazioni? L’unione in Gackeen è sì erotica nel gioco di sguardi e nei gesti della Sweet Cross, ma è puramente sessuale e biologica, quasi zootecnica, per il contesto che la circonda: è operata sotto il comando e la supervisione del padre della tecnica e, quanto meno all’inizio, i partner sono sconosciuti l’uno all’altra; il fulmine di Takeru non è certo simbolo del colpo di fulmine, bensì della pura reazione degli elementi. Il fatto che Mai e Takeru sviluppino affetto l’una per l’altro, a che livello va letto? Al livello più ingenuo e pulito oppure è un suggerimento del fatto che tanto prima o poi ci si abitua? Nel terzo episodio, Mai, stufa del tergiversare di Takeru, chiede al padre un altro uomo magnetico, cioè chiede apertamente un altro complice maschile, ovvero: se Takeru non ci sta, pazienza, Mai non morirà per questo; d’altro canto, data la situazione Gackeen, il nuovo complice Mai lo chiede a suo padre. Ancora una volta è indecidibile se abbiamo a che fare con una donna libera o con una donna che si affida all’autorità paterna ed è disposta a prendersi un uomo a caso pur di pianificare la propria adesione alle convenzioni sociali: non solo perché dipende dal livello in cui scegliamo di porre il confine tra la narrazione letterale e la narrazione allegorica e dall’interpretazione stessa dell’allegoria, ma soprattutto perché, ancora una volta, tutto in Gackeen è costruito in modo che l’auspicabile evoluzione dei due ragazzi non possa che risultare la stessa cosa – fatta nello stesso modo e ottenuta per le stesse vie – che viene ordinata dall’autorità Kazuki. Là dove ci aspetteremmo di trovare l’oggetto del desiderio di Takeru e Mai, troviamo ciò che è già stato ordinato dal padre. Se vista sotto questa luce, persino la bellissima sequenza della Sweet Cross, in se stessa così armonica e liberante, finisce con il dichiarare che l’unica felicità possibile la otterrai se rispetti ordini e ruoli imposti dal dottor Kazuki, che organizza le nozze magnetiche della figlia e le osserva avvenire una quarantina di volte. Questo paradiso è un incubo, e in defintiva sembra impossibile stabilire se Gackeen abbia un’intenzione descrittiva o prescrittiva, se cioè ci racconti come le cose stanno o se ci dica come secondo lui dovreb-

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bero essere, e quindi se debba essere letto come una terrificante rappresentazione della società e una feroce satira sui clichè degli anime stessi, o se voglia impartire lezioni di vita. Un’ulteriore duplicità è introdotta dalla possibilità di interpretare la guerra come la fase temporanea dell’adolescenza, che prevede ruoli da accettare e ordini da prendere fino al giorno in cui i ragazzi non saranno liberi: una lettura ottimista che sarebbe confermata dal confronto tra Mai e Kotoe, la sorella di Takeru, vero fantasma del femminile tradizionale blindato in casa. Ma come è ormai evidente, l’articolazione simbolica di Gackeen, così complessa e potente, rende difficile individuare un’interpretazione univoca, e non fa che portare al parossismo le contraddizioni che agitano l’anime super-robotico del 1976. Va anche segnalato come l’anime inviti continuamente a una lettura a sfondo alchemico:27 i due moduli – lo Spirit di Takeru e l’Angel di Mai – partono uniti e si separano prima di entrare dentro Plyzer e Mighty. Successivamente i ragazzi lasciano Plyzer e Mighty per unirsi: dunque da uniti che erano si separano per poi ritrovarsi in un’unione più elevata, la Sweet Cross.28 La Sweet Cross ha la forma del simbolo dell’infinito, ed è un rebis, cioè l’ermafrodito frutto di un matrimonio alchemico, la risultante dell’unione degli opposti: il Magnetman Plus e il Magnetman Minus. Lo smilzo Hitoshi interviene sempre a punire la mancata integrazione. Il nemico è Brain, il cervello, il suo scagnozzo è Shadow, l’ombra. E così via. In ogni caso questo livello simbolico non decide se Gackeen sia una storia descrittiva o prescrittiva né se parli dell’adolescenza o della vita. Né ne stravolge il senso sociale: di vie per far affiorare alla narrazione di superficie una precisa articolazione simbolica ce ne sono mille, e i singoli espedienti, i particolari, il modo in cui una situazione viene apparecchiata possono farsi portatori di messaggi sociali diversi pur partendo dalla stessa ossatura esoterica, che ogni storia reinterpreta in un suo modo. Quindi il senso delle scelte narrative di superficie di Gackeen, descrittive o prescrittive che siano, che parlino della vita o dell’adolescenza, rimane inequivocabile e deliberato, e non è possibile cambiarlo attivando una lettura allegorica a questo livello. Piuttosto Gackeen ci suggerisce di guardare anche ad altri anime come a dei complessi di simboli. Cosa del tutto ragionevole, visto l’immaginario che mettono in scena e il modo nel quale lo fanno, basta notare, per esempio, che le variazioni della cosmogonia dell’orfano alieno sono vere e proprie teologie di stampo gnostico.

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9.4 Il femminile demoniaco: generali, imperatrici, sirene, persefoni Ora è il caso di dare un’occhiata ai ruoli femminili che popolano l’abisso. Fino al 1976 la maggioranza delle gerarchie avversarie presenta stati maggiori completamente maschili: è così nei Getter, in Raideen, in Godam, in Gaiking e in Groizer X, ma va segnalato che abbiamo incontrato una strana specie di ermafrodito in Mazinger Z. Dalla mazinsaga, cioè dalla marchesa Janus di Great Mazinger e da Lady Gandal di Grendizer, inizia a comparire una gerarchia mista, che prevede una donna per ogni triade o tetrade demoniaca e/o militare. Questa tendenza si impone nel 1976 con Joket di Diapolon, Mīa di Combattler e Staffy di Gackeen, e diventa uno standard: incontreremo Salomè in Ginguiser, Katherine in Voltes V, Liza in Daimos, Nesia in Daltanious, Jīra in God Sigma, Elias in Gordian, e tra poco analizzeremo il tremendo caso di Medusa in MeStaffy di Gackeen.

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chander. In generale le donne demoniache sono ritenute dai loro colleghi degne delle cariche che ricoprono, e a volte vengono scelte per gestire le situazioni di crisi che seguono alla morte o alla degradazione di un superiore. Insomma, anche se a volte fa capolino, il problema di genere si pone molto meno nelle gerarchie nemiche di quanto non avvenga sul versante degli eroi. Un altro elemento che colpisce, in questo periodo, sono le donne al vertice: nel 1975 avevamo avuto Himika in Jeeg, ma era stata spodestata dall’Imperatore del Drago. Nel 1976 abbiamo in Combattler prima Oleana e poi Janera, in Blocker Gundan prima Hell Queen e poi Hell Sandra: donne che si avvicendano alla guida della gerarchia abissale senza lasciare mai le redini a una figura maschile. Più avanti nella storia dell’anime super-robotico emergerà anche la figura dell’intermediaria unica tra il vertice maschile e le forze armate, come Barakross di Daikengo e Koros di Daitarn, figura in parte anticipata da Flora di Jeeg. Ma la donna avversaria non è solo imperatrice o generale. Esiste un filone narrativo che corre parallelo all’intera storia dell’anime super-robotico, e che coinvolge la figura della persefone, la donna che viene inviata a uccidere o spiare l’eroe, e che finisce per innamorarsene e poi morire sistematicamente. La persefone può essere molto convinta della sua missione e in seguito cambiare idea su chi siano i veri nemici, oppure può essere una persona che ha subito un condizionamento mentale, o un’opera di persuasione, o un ricatto, e che in seguito riprende il controllo di sé: un bel caso di ambiguità tra queste due soluzioni narrative è quello di Naida in Grendizer. Le persefoni non vanno confuse con le sirene, agenti in incognito che portano freddamente a termine il loro compito: sirene sono Shuraga in Raideen ed Erika in Godam. Curiosamente, la reazione dell’eroe alla sirena è pressoché indistinguibile dalla sua reazione alla persefone: l’affetto per lei sopravvive anche alla scoperta della sua natura malvagia, alla battaglia e alla morte della donna. Infine, non vanno confusi né con la persefone né con la sirena i replicanti, come la falsa Miwa Uzuki dell’episodio 30 di Jeeg. La persefone pare avere una genesi duplice, sia robotica sia umana. Infatti in Mazinger Z compare prima come robot – è la Minerva X dell’episodio 38 – e poi come essere umano, nell’episodio 67 che ha per protagonista Erika. Minerva X è una ginoide gigante progettata da Jūzō Kabuto. Hell ne aveva però trafugato il progetto, e la costruisce per spedirla a combattere contro Mazinger Z. Il problema è che, diversamente da Mazinger, Minerva mostra di avere una coscienza e di nutrire sentimenti verso il Mazinger Z, essendo stata ideata per appoggiare la sua controparte maschile, sicché i piani di Hell vanno in

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fumo quando i due robot si incontrano; l’episodio è peraltro abbastanza surreale, dato che Mazinger Z – con Kōji dentro – flirta con Minerva innervosendo Sayaka. Hell distruggerà il dispositivo relazionale di Minerva, riuscendo a scatenarla così contro Mazinger Z. Strano caso per una persefone, sarà Afrodite A a distruggere la ginoide per proteggere Kōji. Erika, invece, è la classica inviata nemica che si innamora di Kōji e al termine dell’episodio salva l’eroe sacrificando la propria vita. In Getter compare una Getter Q (Getta D nell’adattamento italiano), gemella del Getter e pilotata da Gora, la figlia del capo dei dinosauri Gol, che però è legata alla famiglia di Saotome da un’adozione avvenuta durante l’infanzia. Anche Gora morirà, sacrificandosi per salvare il Getter. Il destino della persefone è sistematicamente la morte. La persefone diventa presto un cliché dell’animazione robotica, e persefoni di alto grado possono essere considerate Flora di Jeeg e Afrodia di Baldios. Per l’eroe, la persefone è la tentazione massima: è un frammento buono e triste dell’abisso. Più difficile è dire con certezza cosa rappresenti la persefone in sé. A intuito sembra essere lo speculare abissale della ragazza della base, e la base è una sorta di porta dimensionale, perché è l’insieme delle tecniche del varco. La persefone sembra dunque essere un frammento d’abisso che implora la chiusura del varco e il mantenimento dell’oscurità.

9.5 Una finta madre, una regina del serpente, una terrificante madre abissale Come abbiamo già avuto modo di vedere, Blocker Gundan è una serie dai tratti cupi e retrivi, incentrata sulle vicende di Tenpei, un orfano alieno discendente dallo stesso popolo degli aggressori; Tenpei è un eroe indisciplinato ma segretamente alla ricerca di un’autorità che lo costringa al suo posto. Abbiamo anche già visto che Blocker Gundan esibisce un pessimo rapporto con il femminile: la genitrice spiritualizzata di Tenpei non sarà mai ritrovata, la gerarchia nemica è un matriarcato, e l’anime, perfettamente dotato di un impulsivo, di uno smilzo, di un grosso e di un ragazzino, rinuncia platealmente a una cinquina recludendo la ragazza nella base. A rendere la faccenda ancora più inquietante e interessante sono le caratterizzazioni delle due regine che si avvicendano al trono moguru e alcuni punti della trama che somigliano a nodi di articolazioni simboliche. Nella prima parte della serie il regno dell’abisso è retto da Hell Queen. La situazione di Hell

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Hell Queen e Hell Sandra di Blocker Gundan.

Queen è invero curiosa: ha un aspetto del tutto umano, dispone di una guardia reale composta da donne, anch’esse d’aspetto umano, ed è a capo di un popolo maschile, formato solo da anfibi, eccetto lo scienziato di corte. La regina esibisce un vistoso rossetto sulle labbra, contrassegno di sensualità legata alla maturità, e la sua maschera riproduce quattro occhi, un paio sopra l’altro, un raddoppio che suggerisce alta gerarchia ed esperienza. Nell’episodio 12, Hell Queen si traveste e inganna Tenpei presentandosi come sua madre. Considerato che la cosmogonia dell’orfano di Blocker Gundan è monistica, cioè Tenpei ha sangue moguru, la sovrapposizione è abbastanza inquietante. Nel’episodio 26 Hell Queen muore e viene sostituita da sua sorella minore, Sandra. Apparentemente Sandra rappresenta un incremento dell’abisso: all’inizio appare più combattiva e spregiudicata. Tuttavia in seguito avrà modo di mostrare fedeltà a un suo codice d’onore e magnanimità nei confronti dei suoi soldati. L’incremento dell’abisso che Sandra introduce è piuttosto in direzione di una sensualità più esibita e giovanile: spariscono il rossetto e il lungo abito regale, e Sandra si presenta con un copricapo in stile egiziano sormontato da un serpente dorato, una mascherina a una sola fila d’occhi, top, minipareo, stivali, bracciali e spada sulla schiena. Difficile dire cosa racconti questo incremento anomalo, restano evidenti dei punti dell’articolazione sicuramente significativi: a Tenpei capita di sognare Sandra, in guerra la tratta con lealtà, ma solo per fedeltà ai propri valori, e quando Sandra si prende una evidentissima cotta per lui, Tenpei risponde con un certo irrigidimento del carattere. I due

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finiranno col parlarsi nel finale, a destino palesemente segnato: il discorso di Sandra sarà improntato alla più bieca ideologia moguru, ma innegabilmente coinvolto; Tenpei risponderà in modo del tutto impersonale. L’abisso di Tenpei è insolubile, il mondo di Blocker Gundan è chiuso e opprimente: il popolo aggressore è privo della minima dialettica interna, l’incontro con la madre abissale è solo simulato e mai realizzato, la persefone è il vertice dell’abisso, e dunque non può essere liberata con un decremento dell’abisso. Varrà la pena di occuparci ancora un po’ di questo anime. Come sappiamo, normalmente l’abisso è popolato dalle figure spiritualizzate dei veri genitori perduti, di solito le madri. Passando dal ricongiungimento solo spirituale di Raideen, a quello andato a buon fine di Diapolon, alla sostituzione della madre con il padre in Groizer, alla sostituzione della madre con la regina degli inferi e il ricongiungimento impossibile di Blocker Gundan, approdiamo al terrificante decremento dell’abisso di Mechander, un’altra cosmogonia monistica, come Blocker Gundan. Ma a differenza di quanto avviene in Blocker Gundan, in Mechander l’equivalenza tra gerarca avversaria e madre del protagonista è messa direttamente in scena. Medusa, madre di Jimī, è stata trasformata in cyborg dal leader supremo dei nemici Hedron, ed è stata contaminata in modo da alterarle la personalità; dalla contaminazione, però, Medusa riesce a tratti a liberarsi grazie al suo sangue reale. Jimī e Medusa sono protagonisti di un tragico ricongiungimento a due terzi della serie, dopo una battaglia che li vede l’uno contro l’altra, al termine della quale Medusa, tornata temporaneamente in sé, può trascorrere qualche minuto accanto a un Jimī svenuto, quel figlio che lei stessa ha messo in salvo quindici anni prima senza poterlo più vedere, e ora senza poterlo toccare per via della contaminazione. Prima che Jimī rinvenga, Medusa rientra nella sua nave e attiva l’autodistruzione.

9.6 Una mappatura comparata di Blocker Gundan e Groizer X È interessante confrontare Blocker Gundan con Groizer X, un anime con cui condivide molti punti in comune, compreso un certo tradizionalismo, esibito in Groizer X (nei richiami alla Guerra del Pacifico e alla figura del kamikaze) e suggerito in Blocker Gundan (nel rapporto di Tenpei con l’autorità, nel simbolismo del femminile che pervade la storia). In entrambi i casi il nemico è alieno; in entrambi i casi il nemico si ritrova sulla Terra a seguito di un avvenuto cataclisma, generando una cosmogonia monistica che, in entrambi i casi,

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determina la provenienza dell’orfano alieno dallo stesso popolo dell’aggressore; in entrambi i casi il nemico abita un abisso terrestre: in Blocker Gundan le profondità sottomarine, con un trasferimento in quelle del Polo Sud nella seconda parte della serie, in Groizer X quelle del Polo Nord; in entrambi i casi il genitore di riferimento è di sesso opposto a quello dell’eroe; in entrambi i casi la tecnologia di cui l’eroe è munito è di origine aliena, la stessa origine dell’aggressore; in entrambi i casi questa tecnologia è frutto del lavoro di un maschio; in entrambi i casi torna una data: trecento anni prima dell’inizio della storia, in Groizer è l’arrivo degli alieni, in Blocker Gundan il momento in cui la tecnologia aliena viene trasmessa ai terrestri, e appare probabile che una tale datazione sia un riferimento al periodo Tokugawa, un’era di isolamento e di scoraggiamento della ricerca tecnologica. Guardiamo ora le differenze: mentre i gailariani di Groizer erano in missione esplorativa e precipitarono per un’avaria, i moguru di Blocker Gundan si trasferirono sulla Terra a seguito di una catastrofe planetaria; in Groizer X l’eroina, Rita, è totalmente gailariana, in Blocker Gundan Tenpei è sostanzialmente un orfano terrestre con del sangue moguru; in Groizer Rita è figlia di uno scienziato gailariano, creatore del Groizer, in Blocker Gundan Tenpei deve il sangue moguru a sua madre, che discendeva da Nostar, lo scienziato moguru cui si deve la tecnologia in forza ai terrestri; in Groizer Rita entra in squadra con il terrestre Joe, formalmente alla pari (anche se è evidente che il protagonista è Joe ed è lui a invocare l’immedesimazione di un pubblico a maggioranza maschile), in Blocker Gundan Tenpei deve entrare in squadra al quarto e ultimo posto (anche se è chiaramente il protagonista, ed è il combattente più potente dotato del robot più potente); in Groizer la squadra è formata da una donna e un uomo, in Blocker Gundan la squadra è addirittura composta dai quattro elementi tipici di una cinquina che lascia fuori solo la ragazza; in Groizer la gerarchia avversaria è composta esclusivamente da maschi, in Blocker Gundan si avvicendano al comando due regine; in Groizer Rita scoprirà che suo padre è vivo e si ricongiungeranno, in Blocker Gundan Tenpei non incontrerà mai sua madre e anzi, vi sarà una simulazione d’incontro a opera dei moguru; in Groizer il padre di Rita è a capo di una fazione popolare gailariana che nel finale riesce a rivoltarsi contro la gerarchia, in Blocker Gundan non c’è alcuna dialettica interna al popolo alieno né è possibile alcuna pacificazione tra terrestri e moguru; di più: il sangue moguru che Tenpei si porta dentro, gli permette sì di essere fortissimo nella battaglia robotica, ma è anche ciò che consente ai suoi nemici di farlo impazzire mediante una droga che funziona solo sui moguru;

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Joe e Rita di Groizer X.

in Groizer è evidente che gli eroi Joe e Rita sono legati da affetto, in Blocker Gundan la corrente scorre tra Tenpei e la regina moguru Sandra, e non avrà né realizzazione né seguito. Dunque le due serie si basano su due articolazioni concettuali pressoché identiche tranne che per piccoli ma significativi slittamenti. Il fatto davvero impressionante è che sono perfettamente contemporanee: Groizer X comincia il 1º luglio 1976 e finisce il 31 marzo 1977, Blocker Gundan comincia il 5 luglio 1976 e finisce il 28 marzo 1977. Qui abbiamo a che fare con qualcosa che potremmo definire lo spirito di un’epoca: alla cosmogonia dell’orfano alieno vengono applicati degli spostamenti semplici, quasi impercettibili, ma talmente dicotomici, e posti in punti talmente significativi, da cambiare di segno un intero universo di senso. E non è sempre chiaro come questi spostamenti vadano interpretati, per esempio tra Groizer X e Blocker Gundan c’è una differenza se non un’opposizione speculare nel rapporto con il femminile, ma in Groizer non ci sono madri, e Rita assolve implicitamente anche quel ruolo: che significa? Qui dobbiamo fermarci, oltre questa soglia è psicanalisi. Nell’anime super-robotico del 1976 si mescolano questioni identitarie, questioni di genere, universali simbolici, tentativi di costruire nuove teologie e di dischiudere vecchi antri psicologici. Le questioni storico-politiche e filosofiche legate alla guerra, alla morale del singolo, allo scontro tra ideale e appartenenza troveranno dei grandi interpreti in Nagahama e Tomino. Invece, una risoluzione appena decente della questione femminile, nell’anime superrobotico classico, non arriverà mai.

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Mechander Scheda: Gasshin Sentai Mekandā Robo / Gasshin Sentai Mechander Robot Wako Production. 35 episodi. 3 marzo 1977 - 29 dicembre 1977 Titolo italiano: Mechander Robot

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edron è un’entità nata dai residui organici presenti nelle acque marine di Ganimede, la sua intelligenza è la risultante di computer e supporti magnetici gettati in mare. Con l’aiuto di Ozumeru, un androide da lui stesso costruito, e che ignora la propria condizione artificiale, Hedron ha conquistato Ganimede e formato il suo esercito, i conghisti, i quali altro non sono che abitanti di Ganimede rimodellati e mentalmente condizionati. Ganimede con il tempo ha però ritrovato un suo equilibrio ecologico e, per continuare a vivere, Hedron è costretto a trasferirsi su un altro pianeta inquinato: la Terra. L’invasione della Terra è guidata da Ozumeru e Medusa, ex-regina di Ganimede, anche lei condizionata da Hedron. Ciò che Hedron però non sa, è che in alcune circostanze i membri della famiglia reale di Ganimede sono soggetti a una reversione temporenea della trasformazione in conghisti. Grazie a ciò, ai tempi della conquista di Ganimede, Medusa era riuscita a salvare il figlio di due anni prima che fosse condizionato, inviandolo sulla Terra in una capsula, munito di nutrimento artificiale e istruzione via ipnosi. Quando la storia inizia, il 95% della Terra è già sotto il controllo dei conghisti. La sopravvivenza della civiltà umana è quasi esclusa: la popolazione superstite vive nei bunker, e solo il Giappone sta riuscendo a opporre una strenua resistenza grazie alla base sottomarina comandata dal generale Yamamoto, ora capo delle forze di difesa terrestri. Al fine di scoraggiare l’uso di armi nucleari da parte dei terrestri, i conghisti hanno circondato il pianeta con una catena di

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sette satelliti in grado di rilevare e localizzare l’attività atomica e lanciare sulla sorgente individuata un missile denominato Omega. Per opporsi ai conghisti, il dottor Shikishima ha costruito la base mobile King Diamond, camuffata da stadio di baseball, e il Mechander Robot, che contiene un reattore nucleare: il robot viene dunque rilevato dai satelliti appena entra in azione e deve disattivarsi prima che il missile Omega lo colpisca. Il Mechander è pilotato tramite un aereo, il Mechander Max – formato a sua volta da tre velivoli, Mechander 1, 2 e 3 – che si inserisce nella schiena del robot (sarà sostituito poi dalla Trycar Max, formata da tre Trycar). Jimī Orion, il figlio di Medusa, ha diciassette anni. Cresciuto nella capsula durante il lungo viaggio, è stato trovato dal dottor Shikishima, e ora è il pilota principale del Mechander. In squadra con lui ci sono Kojirō Yashima, di diciotto anni, e Ryūsuke Shikishima, di venti, figlio del dottor Shikishima e fratello di Mika. Mika entrerà nella squadra nella seconda metà della serie quando, seriamente danneggiato, il Mechander sarà ricostruito come componibile da quattro veicoli. Snodo cruciale della serie è la morte di Medusa: la regina affronta il Mechander personalmente, ma trovandosi davanti Jimī, la personalità originale prende il sopravvento, salvando il figlio e uccidendosi. Il finale di serie si avvia con la distruzione dei satelliti e prosegue con il viaggio della King Diamond e la grande mobilitazione dell’esercito terrestre per la battaglia del Nord America. L’ultimo atto è il duello con le pistole tra Jimī e Ozumeru, duello che l’eroe vince. Di Hedron sappiamo solo che è costretto a lasciare Ganimede. Jimī lo vediamo incamminarsi da solo, allontanandosi dai suoi compagni senza dire una parola.

10 DALLA COSMOGONIA DELL’ABISSO ALLE STORIE Daikengo Titolo originale: Uchū Majin Daiken-gō Toei Animation. 26 episodi. 27 luglio 1978 – 15 febbraio 1979 Titolo italiano: Daikengo, il guardiano dello spazio

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e forze della nebulosa di Magellano attaccano Lama, un pianeta della Federazione galattica, che ha la sua capitale e il suo governo sul pianeta Emperios. Il figlio del re di Emperios, Samson, ostacola il tentativo di conquista di Lama da parte di Magellano, ma finisce ucciso slealmente in un combattimento con il comandante magellano Roboleon, che agisce su mandato della generale Barakross, la quale a sua volta risponde a Magellano il grande. Appresa la notizia, il re Empel di Emperios designa Ryger, il fratello minore di Samson, come successore al trono, ma vedendolo orientato a rispondere a Magellano con la violenza, gli mostra il suo profondo disaccordo. Quella notte

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è atteso il passaggio della Stella del Dio-demone, che ogni 950 anni con la sua energia risveglia Daikengo, il guardiano robot di Emperios. Re Empel designa Yūgā, fratello minore di Ryger, come pilota del Daikengo, ma Ryger trascorre la notte all’aperto, ai piedi del grande guardiano, e quando al mattino successivo Daikengo è attivo e Yūgā si appresta a salire sul robot con tanto di cerimonia di investitura, dall’interno di Daikengo Ryger fa sapere di avere preso possesso dei comandi. E così Ryger, che non vuole essere chiamato principe, la sua amica Cleo, figlia del corrotto primo ministro Dulles, e i due robottini Anike e Otoke partono per lo spazio con Daikengo, che può diventare un’astronave. I ragazzi si scontrano ripetutamente con la flotta e i mostri di Magellano, automi biomeccanici ricavati da scheletri di animali. Tutto ciò accade malgrado la contrarietà del re di Emperios, che vorrebbe avviare trattative di pace anche a rischio di cedere il Daikengo a Magellano. Alla squadra di Daikengo giungerà a dar man forte Bryman, che lo spettatore scoprirà essere il cyborg ricavato dal cervello di Samson, opera compiuta dal dottor Guter, uno scienziato magellano addetto alla progettazione dei mostri biomeccanici. Nel corso della serie Ryger ottiene il beneplacito del padre a continuare la battaglia contro Magellano, Dulles viene smascherato come agente di Magellano, e la Federazione stessa inizia a opporre una coesa resistenza all’espansione dell’impero della nebulosa. Nel finale di serie, Ryger, Cleo e Bryman decidono di attaccare direttamente il pianeta dell’aggressore, ma la nebulosa di Magellano è protetta da una costante tempesta spaziale. È per questo motivo che i magellani si servono di un apposito faro posto nello spazio aperto per entrare e uscire dalla nebulosa. Il dottor Guter, lo scienziato magellano che ha salvato Samson-Bryman, riesce a scoprire la posizione del faro e a comunicarla agli eroi, ma pagherà con la vita il suo costante passaggio di informazioni a Bryman. Lasciata Cleo con il custode del faro, Ryger e Bryman penetrano nella tempesta. Roboleon ha intenzione di distruggere il faro per impedire agli eroi di ritrovare la strada, ma interviene la flotta federale comandata da Yūgā, e disperde la tempesta. Roboleon batte in ritirata su Magellano. Recuperata Cleo e rintracciata la base di Barakross, gli eroi vi si introducono. Ma Barakross attiva il sistema di autodistruzione della base, vi abbandona Roboleon, fugge e giura vendetta. Gli eroi riescono a scappare prima di essere travolti dall’esplosione, ma dopo aver affrontato l’ultimo mostro si ritrovano davanti al gigantesco imperatore di Magellano, che contro Daikengo sta per avere la meglio. È una freccia di Bryman a rovesciare la situazione centrando l’occhio destro dell’imperatore, e permettendo così a Daikengo di estrarre le spade. Bryman non accetterà di rivelare la sua identità a Ryger, e Ryger non accetterà di salire al trono: lui e Cleo continueranno a sorvegliare lo spazio con Anike, Otoke e Bryman.

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10.1 Più intreccio e meno mitologia Superata l’esplosione del 1976, l’anime super-robotico inizia ad abbandonare o a complicare la cosmogonia classica ed esce così dallo standard dell’interminabile serie di episodi-riempitivo messi a intervallare i pochi snodi veramente significativi. Ciò di cui sente il bisogno ora l’anime di super robot è sviluppo, storie, intreccio, e liberarsi almeno parzialmente dal trito rituale “un episodio un mostro”. Meno mitologia, quindi, e più romanzo. Funzionale al potenziamento dell’intreccio è l’innovazione della figura del nemico: per quanto l’avversario mantenga qualche tratto demoniaco, viene umanizzato sempre più, e il suo mondo, coerentemente con l’affievolirsi della cosmogonia dell’orfano alieno, è sempre meno abissale, meno metafisico. In Danguard il nemico proviene dalla Terra, in Daikengo dallo spazio, ma provengono dallo spazio anche gli eroi: tutta la vicenda si svolge nello spazio, e la Terra vi entra marginalmente, quasi un cameo.29 Ci si interessa anche dell’articolazione sociale del mondo del nemico. Tadao Nagahama e Saburō Yatsude, che pure nella prima parte di Combattler avevano giocato tantissimo sull’aspet-

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to onirico dell’abisso, già nella seconda parte della serie avevano fatto salvare la Terra da una rivolta su Campbell, e saranno sempre loro a portare questa tendenza alla massima espressione, con Voltes V e Daimos, nei quali non solo insistono a dividere il nemico – e ora anche la Terra – in fazioni contrapposte, ma escono anche dall’angusta ottica individualista delle mitologie super-robotiche classiche, e mettono in scena squadre di eroi, collettivi di rivoltosi, comunità di dissidenti, veri protagonisti della storia e delle rivoluzioni. Un certo grado di divisione su entrambi gli schieramenti lo troviamo anche in Daikengo. E il finale di Danguard di Leiji Matsumoto si distingue per la ribellione di un generale avversario, ed è per certi versi analogo al finale pressoché contemporaneo di Voltes V. Daikengo e Danguard sono accomunati dal tema del viaggio nello spazio. Mentre Danguard mantiene la base volante, insistendo sull’equipaggio come rete di relazioni, in Daikengo l’eroe affronta il viaggio dentro un robot che è anche astronave, e addirittura assieme a quella che è chiaramente la sua ragazza, Cleo. Serie di pregevolissima fattura, che vede all’opera quell’Akiyoshi Sakai già impegnato in Godam, Daikengo racconta di un giovane nobile che segue una sua vocazione, entra in conflitto con il padre e rifiuta il titolo di principe, riconoscendo a se stesso un valore solo nell’azione. Al termine della storia, anch’essa ormai libera dallo standard di un mostro a episodio, Ryger e Cleo decideranno di continuare a viaggiare sull’astronave-robot Daikengo per sorvegliare lo spazio. È una caratteristica molto importante, questa. Di solito l’anime superrobotico rimaneva ambiguo nella definizione di come si dovrebbe condurre la propria vita: non era mai chiaro se la conclusione della storia fosse la conclusione di un viaggio iniziatico, cioè se una volta risolto il panico dell’abisso si sarebbe tornati alle vecchie abitudini. Daikengo assume una posizione netta: racconta di due ragazzi che all’alba della maggiore età (all’inizio della storia Ryger ha diciassette anni, Cleo sedici) prendono in mano il loro destino e scelgono di solcare lo spazio, presumibilmente per il resto della loro vita.

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Ginguiser Titolo originale: Chōgattai Majutsu Robo Gingaizā / Chōgattai Majutsu Robot Ginguiser Nippon Animation. 26 episodi + 2 non trasmessi. 9 aprile 1977 - 22 ottobre 1977 Titolo italiano: Ginguiser

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urante un conflitto sulla Terra con gli alieni plasmariani, i sazoriani crearono le tre sfere di Antares (Anderes nell’adattamento italiano), la cui unione era in grado di generare un immenso potere. Tuttavia, a seguito di un cataclisma, le sfere si persero nelle profondità della terra. Ora, Kaindark, imperatore dei sazoriani, vuole rimetterci la mani sopra, aiutato dall’arcivescovo Nekuroma, dalla profetessa Salomè e dal generale Gabāra (Gabarla). A opporsi a loro ci sono i due giovani prestigiatori Gorō e Michi, eredi dei plasmariani, scampati all’attacco sazoriano che uccise i loro genitori quando i due erano ancora bambini grazie al dottor Gōdō, lo stesso che poi li ha introdotti alle arti magiche. La Base Magica di Gōdō è il luna park dove Gorō e Michi si esibiscono con il nome di Paranormal Magic Orchestra. E agli spettacoli collaborano anche gli amici Zanta e Torajiro, attuali allievi del dottore. Gorō e Michi partiranno per un giro del Giappone in camion per portare in tournée il loro spettacolo, per dare la caccia alle sfere e per battersi di tanto in tanto contro i mostri sazoriani. Si tratta del Grand Fighter, un camion che può trasformarsi in robot. Ma c’è di più: se Zanta e Torajiro disobbediscono agli ordini di Gōdō e si fanno vivi con lo Spin Lancer (il disco volante del luna park) e il Bull Gaiter (la motrice dell’otto volante), anch’essi trasformabili in robot, sarà possibile dare vita al Ginguiser, che nasce dall’unione dei tre mezzi più l’Air Roin, il velivolo prodotto con gli scarti delle altre trasformazioni, pilotato da Michi. Alla fine della serie i sazoriani batteranno in ritirata.

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Balatack Titolo originale: Chōjin Sentai Baratakku / Chōjin Sentai Barattack Toei Animation. 31 episodi. 3 luglio 1977 – 26 marzo 1978 Titolo italiano: Balatack

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psilon, abitato da un popolo rettile e governato dal presidente Shy Dīn, dista undici anni luce dalla Terra. Shy Dīn è interessato allo studio della teoria delle pieghe nel tempo che il dottor Katō sta portando avanti sulla Terra: i risultati delle ricerche di Katō potrebbero rendere semplice viaggiare tra la Terra e Ypsilon. Shy Dīn invia sulla Terra il comandante Goterus, con una lettera indirizzata a Katō, dove chiede al dottore che le ricerche siano sviluppate insieme. All’insaputa del suo presidente, Goterus, il capitano delle guardie Gael, il dottor Kobra e il contingente Shy Zack iniziano un piano d’invasione, e per prima cosa rapiscono Mia e Jun, la moglie e il figlio maggiore del dottor Katō. Yuji Katō, il figlio minore del dottore, viene reclutato dalla squadra Balatack, guidata dallo stesso dottor Katō e composta da altri quattro ragazzi che come Yuji sono dotati di poteri ESP: il precog Makito “Mack” Tachibana, leader del gruppo, la telepate Yuri, il ragazzino telecinetico Franco, e il grosso Dicky, che può vedere attraverso le superfici. I ragazzi dispongono di cinque velivoli, i Trotter, che possono unirsi nel Pentagoras, la navicella dalla quale pilotano esternamente il robot magnetico componibile Balatack grazie ai loro poteri. I componenti del Balatack vengono lanciati dalla base, arroccata su una rupe e diretta dal professor Katō. Dopo innumerevoli battaglie, dopo la liberazione di Mia e Jun, dopo la scoperta da parte del presidente Shy Dīn del comportamento di Goterus, finalmente Balatack sconfigge i nemici, e Goterus, catturato, viene infilato di forza, insieme a

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Gael e Kobra che pure si erano arresi, in una navicella diretta al suo pianeta. È il primo viaggio basato sulla teoria del dottor Katō: se la teoria di Katō è errata, Goterus e i suoi rimarranno a galleggiare nello spazio.

10.2 Due derive post-super-robotiche: Ginguiser e Balatack Ci sono due serie che mantengono i tratti caratteristici del 1976, in special modo per quanto riguarda la caratterizzazione degli avversari e il canovaccio riempitivo “un episodio un mostro”. Ma vi si riscontra un sapore parodico, segno che ormai certe soluzioni narrative vengono pacificamente considerate dei cliché. Ginguiser è la prima serie in cui il protagonista si rivolge direttamente al pubblico presentandosi come l’eroe. C’è un po’ di umorismo sparso, anche a sfondo sessuale, c’è un quartetto, manca lo smilzo, che appesantirebbe un anime che non è né serio né apertamente caricaturale, c’è un robot dalla trasforIl Grand Fighter di Ginguiser in difficoltà.

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Balatack: il capitano Gael.

mazione talmente barocca e posticcia che, con tutta la fiducia del mondo, non può essere presa sul serio. Della questione femminile si è già detto: il velivolo di Michi è l’unico che non si trasforma, anche perché è fatto con gli scarti delle trasformazioni degli altri velivoli, tanto basti. Compare un nemico demoniaco, anch’esso non privo di tratti comici, ma in Ginguiser è davvero difficile stabilire cosa sia scherzo e cosa scivolone. Infarcito di sceneggiature che rasentano il ridicolo e affetto da un’estetica che definire poco azzeccata è un compassionevole eufemismo, Ginguiser ha una sua validità: riunendo tutti i cliché della fase dell’orfano alieno nella sua mediocrità, rappresenta l’unico esempio di anime super-robotico anonimo, e questo è il suo aspetto più divertente. Molto diverso il caso di Balatack, non sempre riuscitissimo ma quanto meno certamente voluto. L’anime presenta la particolarità di essere (abbastanza) serio sul versante degli eroi e umoristico su quello degli avversari, che nel tenore richiamano i cattivi della saga Time Bokan della Tatsunoko. Le situazioni comiche vengono generate dal porre i gerarchi Shy Zack alle prese con le abitudini e gli affari umani, e questo è molto interessante, perché significa che l’anime robotico è perfettamente consapevole dello statuto onirico dell’abisso, e proprio su questo contrasto tra mitologia e quotidiano Balatack si gioca la carta dell’assurdo. Ultimo scampolo della stagione di massima produzione, con il termine della serie si chiude l’esplosione del super robot. Da questo momento usciranno meno anime super-robotici, ma tutti di livello altissimo.

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Danguard Titolo originale: Wakusei Robo Dangādo A / Wakusei Robot Danguard A Toei Animation. 56 episodi. 6 marzo 1977 - 26 marzo 1978 Titolo italiano: Danguard

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a Terra non dispone più di risorse e si rende necessaria la colonizzazione di Prometeo, il decimo pianeta del sistema solare. Così si dà il via al Piano Prometeo di reinsediamento, guidato dal dottor Ōedo (Galax nell’adattamento italiano), ma il giorno del decollo dell’avanguardia, Dantetsu Ichimonji (Kosmos), il comandante della flotta, spara agli altri velivoli e sparisce nello spazio davanti agli occhi degli scienziati, tra i quali Ōedo e Doppler, e del suo stesso figlio, Takuma Ichimonji (Arin). Ponendosi a capo di un’organizzazione paramilitare, Doppler si proclama cancelliere, accusa Dantetsu di tradimento e dichiara Prometeo proprietà sua e di una razza di eletti. Dieci anni dopo, un Takuma che ha passato l’infanzia a sentirsi dare del figlio del traditore, è pilota alla base Yasdam, la stessa dove operava suo padre, e proprio agli ordini di Ōedo, che nel frattempo ha realizzato una gigantesca macchina da guerra volante, il Satellizzatore, finalizzata a contrastare i piani di Doppler. Durante un attacco di Doppler, Takuma riceve l’aiuto di un misterioso pilota che si unirà al gruppo dello Yasdam. L’uomo ha il volto ricoperto da una maschera di ferro e non ricorda nulla, nemmeno il proprio nome. Ōedo lo ribattezza Capitano Dan. Dan comincia a occuparsi della formazione dei piloti del Satellizzatore in attesa di riprendere il Piano Prometeo. La sua disciplina è durissima, tanto da lasciare perplessa buona parte del personale della base. Mentre Doppler e i suoi – il vicecancelliere Hechi (Sigma), l’ingegnere capo Pragg, il capitano Kudon e poi il capitano d’assalto Ruga e il capo dei corpi

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speciali Tony Harken (Fritz Arkher) – tentano di ostacolare la ripresa del Piano Prometeo da parte di Ōedo, Takuma si addestra con gli altri due cadetti, Kubo e Kanaya (Kauban e Katula), ancora ossessionato dall’idea di riscattare il nome di suo padre. Il ragazzo rimarrà l’unico pilota: Kubo morirà schiantandosi con il jet e Kanaya subirà un gravissimo danno alla spina dorsale; ma al gruppo si aggiungerà Hideto (Tony). In seguito a un’esplosione la maschera di Dan si separa dal volto e il capitano ritrova la memoria: è Dantetsu, il padre di Takuma, segreto che condivide solo con Ōedo. Scopriamo che la tragedia del primo Piano Prometeo fu causata da Doppler. Doppler condizionò mentalmente Dantetsu e provocò il disastro; in seguito lo imprigionò, facendone un uomo mascherato, cioè uno schiavo reso amnesico dalla maschera e controllato mediante un’antenna. È stata la rottura dell’antenna a permettere a Dantetsu di fuggire. Nel frattempo continuano le esercitazioni: dividendosi in moduli, pilotati da Dan e Takuma, il Satellizzatore può cambiare forma e diventare il robot Danguard, nella separazione il corpo di Danguard è affidato a Dan, e l’elmetto che ne completa la trasformazione a Takuma. Sul fronte avversario Doppler fa costruire l’astronave Planestar e attacca ripetutamente gli eroi con i mostri mechasatan. Nel corso della serie Dan viene gravemente ferito in battaglia, e Takuma ne scopre l’identità solo per vederlo morire. È solo a questo punto che lo Yasdam decolla alla volta di Prometeo, e durante il tragitto sarà impegnato in numerose battaglie spaziali con il Planestar di Doppler. Sarà infine Harken, ricredutosi in merito al credo di Doppler, a uccidere il cancelliere, rimasto ormai solo e in corsa verso Prometeo a bordo di un Planestar in fiamme. La storia si chiude con lo Yasdam prossimo a destinazione sullo sfondo dominato dall’immagine di Dantetsu.

10.3 I due abissi di Danguard Leiji Matsumoto (Corazzata spaziale Yamato, Capitan Harlock, Galaxy Express 1999, La regina dei mille anni) viene chiamato dalla Toei a occuparsi di superrobot dopo la rottura dei rapporti tra la casa di produzione e Nagai. Il risultato è un’opera atipica per lui e atipica per l’universo super-robotico. Per certi versi Danguard è classico, perché il canovaccio del super robot offre a Matsumoto dei temi che gli sono congeniali e lui li sfrutta; per altri versi la vocazione meno mitologica e più fantascientifica dell’anime è alla base di scelte narrative e accorgimenti che anticipano alcuni aspetti della stagione del real robot: la guerra combattuta fra terrestri, lo scenario spaziale, la lunga preparazione del pilota, la tarda entrata in scena del robot – tutt’altro che divino e non indissolubilmente legato all’eroe – e l’uso di sceneggiature più classicamente fantascientifiche,

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Takuma Ichimonji.

piuttosto estranee alla mitologia del 1976 e alla super-robotica in generale. Il risultato è ottimo. Danguard è un’opera di valore, dalla continuity stretta e popolata di personaggi con psicologie magistralmente sviluppate, a cominciare dal protagonista. E ora cerchiamo di capire come questo oggetto si inserisca nella tradizione dell’anime super-robotico. Malgrado la prospettiva proto-real, in Danguard la dimensione psico-mitologica c’è, e l’abisso di Takuma è chiaramente quello creato dalla scomparsa del padre. Solo che Matsumoto fa diventare tutto più concreto. Prende la vicenda super-robotica tipica – un orfano che mediante il robot interagisce con l’abisso abitato dalla figura spiritualizzata del genitore, genitore che l’orfano riesce a riabbracciare solo toccando il fondo dell’abisso per poi lasciarlo andare e liberarsene – e la rovescia su se stessa: invece che con un genitore riconoscibile ma immateriale, Takuma si ritrova con un genitore materiale ma non riconoscibile. Questa mossa è geniale. Dantetsu è materiale ma comunque spirituale: la spiritualizzazione nella versione – molto tecnicista – di Matsumoto è la maschera che cela a Takuma l’identità di Dan, e che in un certo senso rende

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il padre comunque assente; anzi, in questo modo Dantetsu è contemporaneamente più assente e più presente di ogni altro genitore spiritualizzato. E così la relazione di Takuma con il genitore abissale si trasforma in un lungo e reale apprendistato da pilota con un istruttore concreto e pure inflessibile; e il mediatore di mondi Danguard, che dovrebbe servire all’orfano per interagire con il suo abisso, svolge il suo ruolo, ma senza alcuna metafisica: è il mediatore del rapporto tra Takuma e Dan/Dantetsu. Insomma, Matsumoto con i temi del super robot non rinuncia a giocarci, ma lo fa a modo suo, ne apprezza l’aspetto simbolico e ne fa uso, si diverte a tradurre le articolazioni della cosmogonia in relazioni concrete, ma non esclude la lettura allegorica: Dantetsu è comunque il simbolo di un padre assente, infatti come padre è assente, e la dura disciplina impartita a Takuma è il modo in cui l’autore vede la vita che tocca al figlio di un padre assente. Quando Dantetsu muore, ovvero quando Takuma risolve la questione del padre, l’autore inaugura una nuova fase della serie, e così facendo l’abisso lo duplica. Prima ce n’era uno individuale con la relazione Takuma-DanguardIl capitano Dan.

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Dantetsu, dopo ce n’è uno collettivo: lo Yasdam è il mediatore tra l’equipaggio e il pianeta spiritualizzato Prometeo, simbolo del riscatto terrestre, situato in fondo a quell’abisso reale e comune a tutti che è il sistema solare. Tanto che Takuma è disposto al sacrificio estremo pur di permettere alla nave di raggiungere Prometeo: una condizione psicologica difficile da immaginare per l’eroe super-robotico tipico, che piuttosto è disposto a morire per toccarlo, il fondo dell’abisso. Matsumoto in questo si riconferma un autore profondamente sociale, e tra l’altro, passando al quadro corale, disinnesca il titanismo un po’ da superuomo dell’anime robotico dell’epoca.

10.4 Il veterano, il nazi e il biondo maledetto Danguard ha anche una sua dimensione storico-politica piuttosto tangibile: il dottor Ōedo è un ex-pilota della Seconda guerra mondiale e l’intero episodio 24 è incentrato sul suo rapporto con l’amico ed ex-nemico statunitense John Grey. Proprio recandosi insieme su un’isola teatro di una storica battaglia, per rendere omaggio ai defunti, i due scopriranno una base di Doppler costruita sfruttando tunnel scavati dai soldati giapponesi durante la Guerra del Pacifico. L’episodio partecipa del clima di pacifismo nostalgico di quegli anni, ma rappresenta un caso più profondo e apprezzabile della media, non apologetico. La caratterizzazione di Ōedo come veterano è approfondita nell’episodio 41, nel quale il comandante ha incubi sulla guerra, e malgrado le riserve un po’ sprezzanti dell’equipaggio, i sogni di Ōedo si rivelano profetici: in base al ricordo di una battaglia in cui il nemico fu invisibile finché il sole non ne mostrò la posizione, il comandante fa lanciare una sonda solare e illumina lo spazio rivelando la posizione del Planestar di Doppler. È degno di nota che proprio alla fine dell’episodio 41 il capo dei corpi speciali Tony Harken – con il beneplacito di Doppler – prenda il controllo a distanza della nave del capitano Ruga, ritenuto ormai dispensabile, e lo costringa a schiantarsi contro lo Yasdam; Ruga riuscirà a recuperare i comandi, ma deciderà di morire comunque. Difficile resistere alla tentazione di leggere in Danguard una redenzione transgenerazionale, in Ōedo un rappresentante della generazione dei nonni che hanno combattuto la guerra, in Dantetsu i padri assenti del boom economico post-bellico, in Takuma la nuova generazione che riscatta il nome dei padri resi schiavi e aiuta i nonni a trovare la strada per il pianeta promesso. Ma rinunciando al tema della guerra tra la Terra e un popolo alieno, Danguard

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evita l’increscioso problema dei blocchi compatti e contrapposti, e con esso quello del presunto spirito terrestre – o giapponese o comunque ambiguamente legato all’appartenenza etnica – come salvezza dell’universo, cosicché la sua pacificazione post-bellica è più credibile, la sua poetica appare dolorosa ma non nostalgica, e l’anime riesce a spostare lo scontro su un piano puramente ideologico, partecipando al processo di raffinamento della dimensione storicopolitica verso quella che diventerà la sua quintessenza nella fase 1978-1980: il conflitto tra un’ideologia elitaria, su base razziale o meritocratica, e un’ideologia dell’inclusione, che trova nella rete di affetti dell’eroe la sua incarnazione e nell’equipaggio della base il suo luogo d’elezione, proseguendo sulla linea già tracciata in modo più approssimativo da Gaiking. Sul fronte nemico ritroviamo il dualismo tra l’evidente nazista Doppler e il suo giovane generale Harken, il quale ha una sua evoluzione psicologica: più spregiudicato prima, più leale e attento all’onore dopo. Ancora una volta, dunque, c’è un capo nichilista che si serve di un generale tradizionalista. A tal proposito va notato che Tony Harken sembra inseribile nella genealogia dei nemici belli e dannati, personaggi-feticcio di Tadao Nagahama e Saburō Yatsude: abbiamo già incontrato il Garūda di Combattler e ancora prima lo Sharkin di Raideen – un anime che Nagahama diresse dopo una prima fase presieduta da Tomino, ed è interessante notare come nella fase tominiana di Raideen Sharkin indossasse una maschera che lo rendeva simile al Char Aznable (Shia) di Gundam. Gli antieroi di Tadao Nagahama e Saburō Yatsude, – Heinell (Sirius) di Voltes V, Richter di Daimos, Kloppen di Daltanious – vengono sistematicamente manipolati dai loro superiori per poi rendersi conto che il loro senso dell’onore ne fa dei burattini in mano a gente che di senso dell’onore ne ha ben poco. Tony Harken di Danguard arriva a negare la filosofia elitarista propugnata da Doppler quando si rende conto che l’equipaggio dello Yasdam è in grado di battersi allo stesso livello con il cancelliere, il cui elitarismo non si basa in effetti su nulla se non sull’autoproclamazione e sull’adesione degli altri al suo credo. Preoccupato per la vita dei suoi uomini, lanciati nell’impresa insensata e suicida di Doppler, Harken sospende l’attacco ribellandosi all’idea di una lotta condotta fino al suicidio, di una qualche gloria che risiederebbe nella morte: la lotta serve a vivere, serve a raggiungere un nuovo stadio della vita. Purtroppo, i suoi uomini, agli ordini ci tengono più di lui: non si fidano, non lo riconoscono, armati con una bomba tentano l’assalto allo Yasdam, falliscono, e muoiono nell’esplosione.

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Voltes V Titolo originale: Chōdenji Mashīn Borutesu Faibu / Chōdenji Machine Voltes V Sunrise - Toei Animation. 40 episodi. 4 giugno 1977 - 25 marzo 1978 Titolo italiano: Vultus V / Vultus 5

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ul pianeta Boazan vige un rigido classismo che divide la società in nobili, cioè coloro che nascono dotati di corna ereditarie, e individui privi di ogni diritto, che nascono senza corna. L’aristocrazia boazaniana, sempre a caccia di nuovi spazi, si appresta a invadere la Terra con un’avanguardia capitanata dall’orgoglioso principe Heinell (Sirius nell’adattamento italiano) e dai suoi consiglieri: Katherine, Louis Jean-Gal (Gael) e De Zūru (Zuel). La base operativa dei boazaniani sulla Terra è un castello sottomarino. Ma il dottor Hamaguchi (Esperos), insieme a Mitsuyo Gō (Annabelle), la moglie del defunto Kentarō Gō, ha addestrato cinque ragazzi. Tre sono i figli di Mitsuyo e Kentarō: Kenichi (Michel), Daijirō (Ivan) e Hiyoshi (Carl), di quindici, tredici e otto anni. Poi c’è la tredicenne Megumi Oka (Sonia), figlia del segretario della difesa Oka, e Ippei Mine (Gepi), di quindici anni. I ragazzi piloteranno cinque moduli – rispettivamente Volt Cruiser, Volt Panzer, Volt Frigate, Volt Lander e Volt Bomber – che uniti formano il robot Voltes V. Voltes V è stato realizzato da Kentarō Gō con la collaborazione di Mitsuyo e Hamaguchi, ed è nascosto nella grande base-isola Big Falcon, diretta da Hamaguchi. Mitsuyo morirà subito, nel secondo episodio, e nella prima metà della serie morirà in battaglia anche Hamaguchi. I ragazzi continueranno a combattere sotto la direzione del segretario della difesa Oka – peraltro discendente di una dinastia di ninja – già amico intimo di Kentarō e Hamaguchi, finché il posto di direttore del Big Falcon non sarà affidato al professor Sakonji (Barion), che si rivelerà un leader inflessibile, razionale e coraggioso.

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Come la prima parte della serie lascia presagire, Kentarō non è realmente morto: Kentarō altri non è che Lagour, un boazaniano, che pur essendo figlio del fratello minore del 123° imperatore di Boazan, è nato senza corna. Costretto da sempre a tenere in testa delle corna finte, il giovane Lagour si era presto reso conto dell’assurdità della legge boazaniana. Nel frattempo aveva studiato e aveva ottenuto il posto di ministro della scienza, e in seguito aveva sposato Rozalia (Zeltrud), una nobile sinceramente innamorata di lui. I due aspettavano un figlio quando, morendo l’imperatore, si era posto il problema della successione: in lizza c’erano Lagour e Zambazir, il figlio dell’imperatore e di una cortigiana. Lagour sembrava destinato al trono, e aveva già in mente una nuova Boazan, ma Zambazir, che lo aveva fatto spiare, aveva reso pubblico l’inganno delle corna di Lagour: Zambazir era stato così nominato imperatore, mentre Lagour era stato ridotto in schiavitù e in seguito era venuto a sapere che Rozalia era morta durante il parto. Del neonato, Lagour non aveva poi avuto più notizie. Il bimbo sarà cresciuto dai nonni in un luogo appartato. Animato da un irresistibile desiderio di rivalsa, diventerà lo studente più in gamba dell’Accademia Militare. Nel frattempo Lagour era riuscito a scappare sulla Terra, dove aveva assunto il nome di Kentarō. Qui si era sposato con una terrestre, ma aveva poi abbandonato la moglie e i tre figli per fare ritorno sul suo pianeta e risolvere una volta per tutte la questione politica boazaniana. Kentarō è ora di nuovo sulla Terra, insieme a un gruppo di ex-schiavi boazaniani. È proprio da un suo compagno di ribellione che, a guerra inoltrata, Kenichi, Daijirō e Hiyoshi apprendono la storia del padre e scoprono così di essere per metà boazaniani. L’esercito di liberazione boazaniano è stanziato in una base segreta nelle Alpi e sta costruendo un’astronave agganciabile alla base Big Falcon, il Solar Bird. Il problema è che le truppe boazaniane scoprono l’ubicazione del covo. Il Voltes interviene, ma non riesce a scongiurare la cattura di Kentarō che viene di nuovo ricondotto su Boazan per essere processato. Nel frattempo la situazione di Heinell è tutt’altro che rosea. Dopo essere già stato bersaglio di una cospirazione di De Zūru, poi giustiziato, il principe si scopre sempre più isolato. Perde l’autorità sull’esercito e viene apertamente tradito dai suoi superiori proprio mentre Voltes attacca il suo castello: su ordine di Zambazir il comando delle operazioni passa al generale Gululu, appoggiato dal capitano De Berugan (Zanzor). La squadra di Voltes penetra nella fortezza. Jean-Gal, sconfitto, si toglie la vita, mentre Heinell, che rimarrebbe sulla Terra a combattere anche da solo, viene narcotizzato e riportato su Boazan dalla fedele Katherine. Nel frattempo De Berugan, mentre si allontana nello spazio con Gululu, attiva una bomba a ultraparticelle nell’ex-avamposto terrestre: un ordigno potentissimo la cui esplosione causerebbe effetti devastanti. La situazione appare disperata quando interviene il Solar Bird dei ribelli boazaniani a scongiurare il pericolo trascinando la bomba nello spazio. Ora è tempo che gli eroi del Voltes e del Big Falcon partano per Boazan insieme all’esercito di

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liberazione: il Big Falcon si solleva dal mare, si aggancia al Solar Bird e decolla in direzione dello spazio. All’arrivo dei terrestri su Boazan si scatena l’inferno, e Katherine muore salvando la vita a Heinell per l’ennesima volta. Prima che la donna spiri i due si confessano reciproco amore. Mentre Kenichi, Daijirō e Hiyoshi riabbracciano Kentarō, Heinell si reca presso la grande statua di Godor, il dio guardiano di Boazan. La leggenda narra che il dio farà di un vero guerriero il salvatore del pianeta. Heinell si lancia nella fiamma che brucia nella mano di Godor, e precipita così nella cabina di un robot nascosto nella statua. Con esso affronta il Voltes, e poi, sconfitto, sfida Kenichi a duello. Ma quando le spade si spezzano, e Heinell estrae il pugnale, Kentarō riconosce l’arma. È il pugnale di Rozalia, reca sull’elsa le due colombe: Heinell è il figlio di Lagour, e il fratello di Kenichi. È allora che sopraggiunge Zambazir ormai in preda al delirio. Heinell gli lancia contro il pugnale, ma Zambazir ha in mano una bomba, che cade ed esplode. Heinell copre Kenichi salvandogli la vita, ma subito dopo la terra tra loro si spacca in due, e la parte su cui Heinell rimane bloccato viene inghiottita dal fuoco. A caro prezzo Boazan è liberata e la guerra è vinta. Voltes torna sulla Terra, mentre Kentarō resta per costruire la nuova società.

10.5 Voltes V: l’antieroe tragico e la dialettica della storia In Voltes V, Tadao Nagahama e Saburō Yatsude inseriscono due motivi che insieme, sulla carta, stonerebbero: da una parte l’orfano alieno, anzi, tre orfani alieni: il leader Kenichi, il grosso Daijirō e il ragazzino Hiyoshi, con tanto di padre sparito e robot che viene dall’abisso, espediente narrativo che in Combattler non avevano usato; dall’altra costruiscono un universo complesso, un intero mondo sociale che somiglia tantissimo, anche esteticamente, a una civiltà del Settecento europeo dai tratti classisti e razzisti, società che finisce con l’essere più interessante degli stessi eroi, che pure non sono per nulla piatti. Senza contare che questa è ufficialmente la storia di un super robot, Voltes V, la cui presenza a questo punto potrebbe sembrare un semplice pretesto. Eppure, incredibilmente, torna tutto. Iniziamo da Heinell, che ha davvero la stoffa del protagonista. Heinell è un uomo che non sembra avvedersi nemmeno della sua bellezza, un uomo che non si accorge o non vuole accorgersi di essere amato e desiderato, come se rendersene conto potesse distoglierlo dalla fedeltà agli ideali nei quali crede ciecamente, per i quali mostra abnegazione e fedeltà, come se accettare di esistere togliesse consistenza all’unica cosa che per lui ne ha: la sua idea di società, di onore, di giustizia. Perché condannare a morire, nel finale, un personaggio

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del quale tutto si può dire tranne che sia egocentrico, calcolatore, incoerente? Perché Heinell è dalla parte sbagliata della storia, è l’alfiere tragico di un mondo destinato a scomparire assieme alle sue divinità arcaiche. Perché non conta quanto e con quale fedeltà si crede in un’idea: conta se è giusta o sbagliata. Anche Kentarō si dedica completamente a un’idea, ma è quella giusta: è un’idea dell’inclusione, non dell’esclusione. Heinell, che si batte per il mantenimento dell’esclusione, impara l’esclusione sulla sua pelle quando a isolarlo sono i suoi superiori e i suoi soldati. La presa di posizione degli autori nei confronti di un certo nostalgismo del ’76 è netta. In Nagahama tornano dunque tre morali: quella egoistica dei personaggi più bassi, quella dei valori tradizionali competitivi, e più in alto quella degli eroi, che rappresentano i valori collaborativi. La tragedia dell’eroe competitivo è inevitabile: combatte per una società che non può che generare dei cortigiani. La questione fondamentale che Nagahama pone è quella dell’illuminismo. Di contro, l’eroe vero di Voltes è Kentarō. Lagour, che è la verità negata del sistema boazaniano, perde tutto, la donna che ama e la libertà, e in quel preciso istante diventa il soggetto universale della storia di Boazan: in un certo senso è in quell’istante che Lagour diventa Kentarō. E non si ferma più. Scappa, poi torna e organizza, poi lo ricatturano, e lui scappa di nuovo, e di nuovo organizza, e poi lo ricatturano. Kentarō va avanti con un’ostinazione che fa paura e con una pazienza sovrumana che non possono essere semplicemente quelle di chi ha ragione, sono qualcosa di più: Kentarō è uno che sa che alla fine avrà ragione lui, sa che la sua idea alla fine vincerà perché è più vera del mondo di Heinell e Zambazir, è più vera perché vale per tutti. Questa è un’elaborazione del pensiero politico dell’anime super-robotico del 1976, ma il nemico dai tratti nazifascisti o militaristi si sta raffinando sempre di più nel concetto di elitarismo escludente, e gli autori si liberano dei tratti del Novecento e trascinano la questione nello scenario rivoluzionario per antonomasia: l’immaginario del Settecento. Ma perché un anime super-robotico? Dove finisce il robot in tutto questo? Non rimane davvero solo un pretesto del tutto arbitrario per raccontare tutt’altra storia? No. Voltes è il frutto della tecnologia boazaniana caduta nelle mani del soggetto-scandalo della storia di quel pianeta. È un mezzo della tecnica, e sotto questo punto di vista è evidente l’ottimismo progressista di Nagahama. Ma non c’è solo questo. Qui soprattutto trova ragione la ritualità del robot, l’agganciamento, l’arma finale, il suo ruolo mitologico. Il super robot ha ancora a che fare con il sacro, ma in un altro modo rispetto a prima. Il dissol-

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versi dell’abissalità nella complicazione e nell’umanizzazione, che ne cancella l’onirismo (ma non la visionarietà: c’è pur sempre un Settecento europeo che si affaccia sul nostro mondo), anche grazie al posizionamento in cinquina di tre orfani alieni, tende a mettere i due mondi sullo stesso piano, e a metterli sullo stesso piano tende anche la divisione di entrambi in uno schieramento conservatore e uno rivoluzionario. Il super robot dunque non è più un mediatore divino tra due mondi: è un mediatore divino tra l’istanza superiore, quasi un’idea del bene in senso platonico, e un mondo unico che comprende due schieramenti in conflitto per la ridefinizione della storia. Che Nagahama divinizzi la storia progressiva è evidente da due particolari che non sfuggono allo spettatore, perché la loro dinamica è pressoché identica: sia in Combattler sia in Voltes, nel finale con la bomba diretta al centro della Terra del primo e nel prefinale del secondo con la bomba a ultraparticelle, interviene un deus ex machina, e si tratta del leader della resistenza nel primo caso e dell’esercito di liberazione nel secondo. Nella versione di Combattler la divinità del deus è evidente anche esteticamente. Ma che senso ha l’orfano alieno, anzi ben tre orfani alieni, in tutto questo? Non è solo la ripresa di un canovaccio tradizionale che in questo caso è inutile? No. Non è inutile perché qui la cosmogonia dell’orfano alieno ha il vantaggio di rendere speculari i due mondi e quindi di metterne più chiaramente a confronto le differenze. Heinell è quasi un orfano alieno: non conosce suo padre, non sa di essere erede reale, e suo padre è addirittura diventato un terrestre. La sua vicenda è il riflesso boazaniano di quella di Kenichi. E non solo. Scegliendo una cosmogonia monistica – che era stata alla base di un anime nostalgico come Groizer X e sosteneva i tratti più cupi del retrivo Blocker Gundan – Tadao Nagahama e Saburō Yatsude hanno in mano il campo ideale per descrivere una divisione che sia solo sociale e interna a un solo mondo, per mettere la dialettica al posto della ciclicità, mentre dividendo entrambi gli schieramenti – quello boazaniano e quello terrestre – in fazioni conservatrici e reazionarie non lasciano alcun appiglio alla visione etnicista.

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Daimos Titolo originale: Tōshō Daimosu / Tōshō Daimos Sunrise – Toei Animation. 44 episodi. 1º aprile 1978 – 27 gennaio 1979 Titolo italiano: General Daimos

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l sole del pianeta Baam, Algor, è stato lambito da una nebulosa che ha rilasciato antimateria, aumentando di venti volte la temperatura del pianeta. Baam è diventato inabitabile, e i baamesi, umanoidi del tutto simili ai terrestri ma dotati di ali retrattili, sono costretti a cercare un altro luogo dove vivere. L’astronave baamese denominata il Piccolo Baam, che ospita la popolazione di Baam, si ferma nell’orbita di Giove, e una delegazione baamese, composta tra gli altri dal generalissimo Lion, suo figlio Richter, sua figlia Erika e l’ufficiale Guerroyer, incontra su una base lunare la rappresentanza terrestre guidata dal professor Isamu Ryūzaki. L’incontro però si trasforma in un tragico evento e in una catastrofe diplomatica: poco dopo aver ricevuto il placet da Ryūzaki, che ha lasciato la stanza assieme al resto della rappresentanza, il re di Baam spira, la sua bevanda era avvelenata. Prima di morire Lion scongiura i figli di proseguire le trattative pacificamente, ma solo Erika lo ascolta. Mentre Richter imbraccia il fucile, il professor Ryūzaki rientra nella stanza. Erika mette le mani sul fucile tentando di dissuadere Richter dal compiere gesti sconsiderati, ma il fucile spara proprio in quel momento e colpisce Ryūzaki, uccidendolo. Sei mesi dopo i baamesi, governati ora dal generalissimo Olban, e sotto la guida militare affidata a Richter, cui rispondono i generali Liza e Balbas e l’ufficiale Guerroyer, attaccano la Terra annientando subito le principali città del pianeta. A bordo della nave Daimovic, Kazuya Ryūzaki, figlio diciottenne del professor Isamu Ryūzaki, e il suo compagno Kyōshirō Yūzuki stanno rientrando da una

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missione nello spazio finalizzata al recupero dell’energia dymo light, una risorsa di recente scoperta. Ma giungendo nei pressi della Terra, la Daimovic si imbatte in una squadriglia baamese. C’è una schermaglia ma la Daimovic se la cava e atterra agganciandosi al ponte di supporto del laboratorio del professor Shinichirō Izumi. Izumi ha cresciuto Kazuya da quando aveva cinque anni, dato che il ragazzo aveva perso la madre, e il padre era in missione sulla base lunare. Tra le altre cose ne ha fatto un karateka provetto, ma scopriremo anche che, quattro anni prima, Kazuya ha dovuto affrontare un pessimo momento, essendo rimasto temporaneamente paralizzato a causa di un incidente occorsogli durante la formazione da astronauta. Izumi introduce Kazuya al Daimos, una sorta di camion trasformabile in robot. Daimos, come la Daimovic, è una creazione del professor Ryūzaki, che stava sperimentando sull’energia dymo light. Kazuya diventa dunque il pilota del Daimos, che si muove tracciando i movimenti del ragazzo attraverso connessioni tubolari alla testa e al corpo. Dopo il primo combattimento con i robot baamesi, che avviene sulla costa, Kazuya trova sulla scogliera una ragazza svenuta: è Erika, la figlia del defunto re Lion di Baam, ma ha le ali ritratte e ha perso la memoria. Condotta in ospedale e poi alla Daimovic, Erika trascorre il suo tempo con Kazuya, e i due si innamorano perdutamente. Una volta recuperata la memoria, però, la ragazza crolla psicologicamente e decide di tornare dai suoi per sostenere la causa della pace. Da questo momento i due giovani riusciranno solo a sfiorarsi diverse volte, comunicando con l’aiuto della nutrice di Erika, Margareth. Con il tempo emergerà la verità: a uccidere Lion con l’aiuto di Guerroyer fu Olban, il cui regime nel frattempo si sta facendo sempre più spietato. I pacifisti baamesi vengono bruciati vivi, e al resto della popolazione viene inflitta una sorta di lobotomia per impedirle di intendere e di volere. Nel corso della serie, però, tra gli esponenti dei due popoli cui capita di interagire in prima persona cresce il rispetto, e sulla Terra si forma la comunità mista di Utopia, che si dà da fare per ottenere la pace. Sul fronte terrestre si crea una spaccatura tra la politica di pace di Kazuya e il guerrafondaio Sakimori Miwa, comandante in capo della divisione del Pacifico delle forze di difesa terrestri. Miwa punta apertamente allo sterminio dei baamesi ed è disposto anche a sacrificare i terrestri pur di portare avanti una guerra totale. Il comandante riesce a far condannare Kazuya per spionaggio dal tribunale delle Nazioni Unite riunito in commissione ristretta. Ma il caso viene riaperto grazie all’intervento di un gruppo di nazioni che appoggia la mozione di riesame del New Gerland. Kazuya è libero. Daimos parte alla volta del Piccolo Baam. Nel frattempo, sul piccolo Baam, Richter si è finalmente accorto di essere stato manipolato da Olban. Liza perde la vita nel tentativo di uccidere il tiranno, e nel finale è Richter a fronteggiare Olban, il quale, per salvarsi la pelle, minaccia di uccidere i baamesi ibernati in attesa di un nuovo pianeta. Richter riesce comunque a ferirlo a morte, ma Olban lo informa che quando il suo cuore cesserà

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di battere il computer centrale farà schiantare il Piccolo Baam contro Giove. Richter si introduce nella sala di controllo sotto il fuoco del sistema di sicurezza. Sventato il pericolo, riflettendo sulla sua vicenda e sulle sue responsabilità nella morte di migliaia di persone, Richter decide di lanciarsi contro Giove con la sua navetta. Non è il migliore dei mondi possibili, ma se non altro, alla fine, Kazuya ed Erika riescono finalmente a riabbracciarsi.

10.6 Il maschio collaborativo: General Daimos Nel 1978, viene trasmesso il terzo capitolo della cosiddetta Trilogia romantica di Tadao Nagahama e Saburō Yatsude: dopo Combattler V e Voltes V, esce Daimos. Ormai lontanissimi dall’onirismo sia nagaiano sia cosmogonico, gli autori continuano a narrare le vicende sociali dei due popoli in guerra – senza con ciò rinunciare a un tratto visionario: le ali dei baamesi, il corrispettivo angelico delle corna boazaniane – e questa volta lo fanno ponendo al centro della storia la relazione sentimentale tra i due protagonisti, uno terrestre e l’altra baamese. Lo scontro è ancora tra morale inclusiva e morale escludente, sin dal casus belli, e su questa impostazione Daimos si fa carico di un aspetto che era rimasto tra le righe nei lavori precedenti degli stessi autori, e sicuramente molto al di sotto delle righe in un filone che tende ad assegnare differenti attitudini naturali e morali a uomini e donne: la posizione del maschio nel conflitto tra virtù collaborative e virtù competitive. In un mondo super-robotico fatto di donne accudenti, relegate alle funzioni infermieristiche o di ricognizione, e uomini impulsivi, ribelli, combattivi, spesso spietati, l’eroe Kazuya piomba come piombava Kentarō nel mondo boazaniano, e cioè come un soggetto scandaloso che mostra quello che è sotto gli occhi di tutti e nessuno vuole vedere: se i valori del filone si avvicinano sempre di più ai concetti di inclusività e collaborazione, allora vincono le virtù che l’anime super-robotico da sempre assegna al femminile. Negli altri anime la distinzione ovviamente resterà, ma Kazuya Ryūzaki è un piccolo e sincero sabotaggio. Daimos è la prima storia in cui il fatto che il robot si batta non per distruggere il nemico ma per ristabilire la pace è davvero tangibile. Nella scelta di dotare il Daimos di un pilotaggio analogico, poi, si intravede la volontà di mettere in gioco l’eroe in modo più diretto, e anche una rinuncia a quell’esibizione di potere intrinseca all’immagine dell’uomo che controlla la macchina, e che quindi, più che distruggere il nemico, lo fa distruggere sfoggiando la sua disponibilità di potenti mezzi.

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Kazuya Ryūzaki.

L’amore di Erika e Kazuya fa dei due ragazzi i nuovi modelli umani. In particolare costringe Kazuya a combattere senza abbandonare mai empatia e fiducia, e questo mentre si trova tra due specchi, uno terrestre e uno baamese, che gli restituiscono un maschile chiuso e aggressivo ma anche interiormente fragile: da una parte il sarcastico Kyōshirō, uno smilzo splendido, rappresentante di un individualismo competitivo, scherzoso ma anche no, dall’altra Richter, un biondo nagahamiano perfetto, campione di una cultura dell’onore e della vergogna. È interessante che alla morale estetica di Richter, Kazuya opponga una morale di natura empatica e interiore, dimostrando il paradosso: ciò che la cultura dell’onore e della vergogna impedisce è proprio la visione chiara delle cose. Richter, costantemente impegnato a confermare a se stesso la propria immagine, non vede niente: non vede il tranello nel quale – come ogni biondo di Nagahama – è caduto, non vede l’assurdità della guerra, non vede – non vuole vedere, come ogni biondo di Nagahama – l’amore di Liza. E attorno ai quattro ragazzi c’è naturalmente la dimensione corale. In Daimos Nagahama dà il massimo della sua visione dialettica della storia: non lascia in pace

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un uno collettivo senza individuarvi la linea del conflitto che lo divide in due. Da una parte l’odio automatico di molti terrestri per ogni baamese, e l’insofferenza dei baamesi per la durata di una guerra che doveva essere lampo, un sentimento ben peggiore del furore di Richter. Dall’altra una reciproca alienità che scompare tra coloro che si confrontano direttamente, anche in guerra, e l’esperimento della comunità mista di Utopia, che mentre infuria la guerra dà vita a pratiche di coabitazione sulla Terra. Nel frattempo le onorevoli virtù competitive di Richter cedono il passo al vero volto del regime di Olban, e il versante terrestre dà il peggio di sé con Miwa, di gran lunga la peggiore carogna della vicenda, che per questioni di strategia lascia che i baamesi radano al suolo Akasaka.

10.7 La cosa morale: il guerriero d’acciaio e il nume Si sente dire spesso che negli anime super-robotici la separazione tra bene e male è netta. È vero: la separazione tra bene e male a livello concettuale è nettissima, non lo è invece nei personaggi, i quali partecipano tutti di bene e male in diverse misure e combinazioni, a parte i vertici demoniaci, che sono essi stessi materializzazioni di concetti, e rarissimi casi che hanno un senso ben preciso, come quello di Karala in Ideon, che vedremo. In questo gli anime sono fondati su un impianto metafisico che potremmo sommariamente definire platonico: tenendo ben separati i concetti dalla realtà materiale, gli anime trasmettono un’etica degli ideali, ideali nei quali i personaggi trovano punti di riferimento, e alla luce dei quali – soprattutto – i loro comportamenti e l’esistente materiale sono sempre criticabili. Questa impostazione, che sul piano politico si sta raffinando inesorabilmente, è destinata a incrociarsi con la tendenza soprannaturale del super robot. Il super robot nagaiano era prima di tutto un misterioso demone della tecnica, utile nella misura in cui la sua potenza era arginabile, ma che recava sempre con sé, per quanto rimossa, la minaccia dell’eversione. Nelle storie dell’orfano alieno la sensazione di minacciosa insondabilità si era ridotta progressivamente. Questo processo si incrementa nei lavori di Nagahama e Tomino: il robot è via via ricondotto nelle strutture conoscibili della macchina controllabile, attraverso il design dalle forme più squadrate, la trasformazione che permette di vederne l’interno, e contemporaneamente in forme antropomorfe meno perturbanti, per esempio con la comparsa occasionale della bocca, ormai lontanissima dalla terrificante grata dei Mazinger.

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E là dove, al contrario, si intensificano i caratteri minacciosi, si insiste sempre sul ruolo di guardiano divino, disinnescando la suggestione di eversione demoniaca nagaiana. In questa direzione si muovono le forme tondeggianti, le grida e il ringhio di Takeshi tutt’uno con Diapolon, o gli occhi spaventosi, la bocca dentata, i ruggiti del dio-demone Daikengo, un robot di origine esplicitamente divina come già il possente e senziente Raideen. Tra questi, il più terrificante, Diapolon, è anche quello più psicologicamente sorvegliato: il Diapolon non è nient’altro che un’armatura di Takeshi. Complessivamente, se al principio dell’era super-robotica si sperava nel dominio dell’eroe sul demone della tecnica, ora il rapporto tra eroe e robot sembra assumere la forma di una volontaria e spontanea sottomissione da parte del robot: volontaria e spontanea perché, lo sappiamo bene, come spettatori ci è impossibile non attribuire una personalità e, oscuramente, una qualche forma di coscienza a queste macchine antropomorfe, uniche e dotate di un nome: è una suggestione dalla quale non si scappa. E allora la volontaria sottomissione del robot, che accetta di essere una cosa, diventa l’indizio della sua superiorità morale: il super robot è una creatura dalla volontà misticamente indivisa che acconsente, naturalmente e senza ripensamenti, a porsi dalla parte di chi è nel giusto. Daikengo.

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Emblematico di un’estetica della servitù volontaria è il caso di Pegas, il robot dotato di intelligenza artificiale di Tekkaman (Tatsunoko, 1975), che non è un anime robotico proprio per la configurazione del rapporto tra eroe e robot. Tekkaman è un cavaliere in armatura, e usa Pegas prima come capsula di vestizione e poi come una tavola da surf: Pegas vola a pancia in giù con le braccia lungo i fianchi e il volto rivolto in basso. Questo è un modo di volare che alla Tatsunoko useranno – circa – anche per Godam, ma ovviamente, nel caso di Tekkaman, gli autori avrebbero potuto scegliere una navicella, invece è interessante che abbiano scelto un robot, e per giunta senziente: Pegas è scudiero e destriero, e insieme è un automa antropomorfo che volontariamente si riduce a cosa. Accanto a questa evoluzione del super robot, troviamo una sempre maggiore ritualità. In Combattler Nagahama formalizza come liturgie i due momenti dell’apertura e della chiusura dei combattimenti: l’agganciamento-trasformazione iniziale e il colpo finale. Prima il rituale si sostanziava nel percorso individuale dell’eroe alla cabina del robot, proprio perché il rapporto con l’abisso era una questione personale: il sarcofago di Tetsuya, l’aggrovigliarsi di Hiroshi, la Atlas si apre durante l’agganciamento di Daltanious.

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caduta nel vuoto di Daisuke in Grendizer, ma anche l’affascinante trasferimento del suo sedile nella bocca del robot. Da quando si affievolisce la relazione onirica tra eroe e abisso, questo momento di nascita-morte dell’eroe diventa sempre meno scenografico rispetto alla nuova, vera liturgia di apertura: l’agganciamento, che infatti è una questione di gruppo. Mentre i Getter nagaiani, che appartenevano ancora a un mondo demonico, si penetravano con i loro due schianti fulminei, le macchine di Nagahama e Tomino si ritagliano la fase estatica dell’agganciamento, la trasformazione fuori dal tempo, lenta e tecnicamente precisissima.30 E di nuovo, siccome anche avere a che fare con l’abisso per l’eroe significava avere a che fare con il sacro, qualcosa del colpo finale era già presente nel Great Booster del Great Mazinger e nello Shine Spark di Getter G, ma nei lavori di Nagahama e Tomino l’uso del colpo finale diventa regolare e segue un suo preciso cerimoniale. Il fatto è che, mentre accade tutto ciò, cambia anche il versante dei nemici. Nelle opere di Tadao Nagahama e Saburō Yatsude l’avversario non è demoniaco, non è il male assoluto, la sua ideologia è un prodotto della storia, e dalla L’attacco lunare di Zambot 3.

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storia sarà superata. Più sottile il caso di Tomino: qui il male è un sadismo automatico, circondato da una retorica ipnotica che genera un mondo di illusioni, e in più in un’opera come Daitarn 3 il tutto è complicato dal fatto che l’eroe non è necessariamente un eroe, ma questo lo vedremo. In un certo senso Nagahama e Tomino si muovono in due direzioni opposte: uno dissolve l’onirismo nella materialità della storia, l’altro lo concettualizza in un’elaborazione filosofica superiore. Il punto è che in entrambi i casi vediamo che la mediazione che il robot esercita non è più tanto quella tra un eroe e il suo abisso, quanto quella tra un principio superiore, divino, e un mondo materiale comune a eroi e avversari. Attraverso il super robot, il principio superiore interviene nella realtà, come spirito della storia in Nagahama e come dissoluzione dell’illusione in Tomino. Nel caso di Tomino, l’arma finale è un raggio di energia le cui fonti – la luna (Zambot 3) e il sole (Daitarn 3) – sono facilmente riconducibili a divinitàconcetto, principi impersonali superiori sia all’eroe sia all’avversario sia allo stesso robot. In entrambi i casi il principio divino scaturisce dal centro della fronte, il luogo simbolico della concentrazione, che garantisce la visione autentica e spazza via l’illusione. Dal canto suo, Nagahama, in Daimos fa coincidere eroe e guerriero di metallo: è Kazuya stesso il mediatore di mondi, illuminato dal nume superiore dell’amore, e infatti il suo robot è analogico e il suo colpo finale è un pugno; altrove si rivolge all’acciaio, con le spade di Daltanious e Voltes V, il cui colpo finale inflitto con il Tenkūken, la spada del cielo, nel corso della serie diviene ancora più metafisico trasfigurandosi nella sfera superelettromagnetica (saetta globulare, nell’adattamento). L’uso della spada è molto indicativo. In Daltanious il carattere di dono divino della spada fiammeggiante è evidente, ma è la spada in generale a possedere uno statuto divino, sia nella cultura cavalleresca europea sia nella cultura samurai: Excalibur e Kusanagi sono doni da altre dimensioni. La spada e il raggio dalla fronte – ovvero la chiarezza della mente – sono le virtù del guerriero che si sottomette a un dovere. Sorto dal demoniaco nagaiano, il sacro guardiano del varco trova la sua definitiva incarnazione nel nobile servo per eccellenza: il cavaliere, o il samurai.

11 ZAMBOT 3: L’ABISSO DEL NULLA Zambot 3 Titolo originale: Muteki Chōjin Zanbotto 3 / Muteki Chōjin Zambot 3 Sunrise. 23 episodi. 8 ottobre 1977 – 25 marzo 1978 Titolo italiano: Zambot 3

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a Terra subisce l’aggressione dei gaizok, ordinata dal capo Gaizok – che appare nella forma di un gigantesco occhio – ed eseguita dal suo luogotenente Killer the Butcher. I subalterni di Butcher sono gli ufficiali Baletar e Gillzer. L’assalto è condotto con i mostri meccanici mechaboost. Butcher decide e coordina le azioni dall’astronave Bandok che ha la strana forma di un centauro metallico con la faccia da robottino. La Bandok è sospesa nei pressi della Terra e al suo interno ospita anche il supremo Gaizok, del quale è di fatto il veicolo. A difendere la Terra ci sono le famiglie Jin, Kamie e Kamikita, imparentate tra loro e discendenti di alieni giunti dal pianeta Biar duecento anni prima. I loro

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mezzi – che montano motori a ioni – sono le tre navi spaziali familiari, Biar I, Biar II e Biar III, componibili nel grande King Biar, e lo Zambot 3, un robot formato da tre velivoli: la navicella Zambird, a sua volta trasformabile nel super robot di medie dimensioni Zambo Ace, il carro armato volante Zambull e la navicella Zambase. Il colpo finale dello Zambot è l’attacco lunare, una scarica energetica che scaturisce dalla falce di luna posta sulla fronte del robot. Alla guida dei tre veicoli che formano lo Zambot 3 ci sono due ragazzi e una ragazza: Kappei Jin, dodici anni, Uchuta Kamie, quindici anni, e Keiko Kamikita, quattordici anni. Le tre famiglie sono però oggetto dell’ostilità dei terrestri, che le ritengono responsabili dell’aggressione dei gaizok: sulla questione Kappei si scontra ripetutamente con il suo amico-nemico Shingo Kōzuki, che si ricrederà quando verrà a stretto contatto con i gaizok. Dopo le prime battaglie tra lo Zambot e i mechaboost, Butcher innova la strategia: organizza finti campi per profughi nei quali raduna i terrestri per poi impiantargli bombe a orologeria in corpo, togliere loro la memoria e liberarli in modo che vadano a esplodere in giro a caso. Le bombe umane si distinguono per un segno a forma di stella sulla schiena, dove solo gli altri possono vederlo. Questa tragica sorte toccherà anche a un amico di Kappei, Hamamoto, e ad Aki, la ragazzina di cui Kappei è chiaramente innamorato, nelle due sequenze forse più strazianti della storia dell’animazione robotica.

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Nel finale di serie, lo Zambot e il King Biar – con le famiglie al completo, e anche Shingo Kōzuki – inseguono la Bandok nello spazio. In queste ultime puntate sono in tantissimi a perdere la vita: i primi sono i nonni che si lanciano con il Biar II contro la Bandok. Il capo Gaizok e Butcher liberano gli ultimi custodi della Bandok: il cavaliere rosso e il cavaliere blu, che si presentano assieme alla sola testa della Bandok mentre sui Biar le donne, i bambini e Kōzuki vengono incapsulati per essere rispediti sulla Terra. Per proteggere la traiettoria della capsula della moglie dalla lancia del cavaliere blu, Gengorō, il padre di Kappei, le fa scudo con il Biar III, poi si interpone tra lo Zambot e i due mostri, distruggendoli al prezzo della vita. Lo Zambot tenta un attacco lunare sulla testa della Bandok, ma è inefficace. Il robot viene poi armato con il cannone a ioni, che finalmente sortisce risultati. La nave va in pezzi e gli eroi si trovano davanti Killer The Butcher: il terrificante nemico si rivela un cyborg, ed è ormai danneggiato irreparabilmente. Prima di esplodere, Butcher tempesta Kappei di domande su quanto sia stato opportuno, da parte delle tre famiglie, sacrificarsi per difendere gli ingrati terrestri. Kappei prova ad articolare risposte ma fatica, e il cyborg salta in aria. Dal nulla, però, compare il resto della Bandok, e dal suo interno il supremo Gaizok sferra un attacco psichico rinchiudendo tutti gli eroi in un’allucinazione. Scambiandosi reciprocamente per mostri, il Biar I e lo Zambot si attaccano a vicenda, fino a che Uchuta non rimane ferito: il dolore cancella l’illusione, il ragazzo individua la Bandok e un colpo di missili diretti alla nave nemica riporta tutti alla realtà. Lo Zambot può allora affrontare la Bandok apertamente, ma ne esce semidistrutto, e Uchuta, ferito durante l’attacco psichico, appare molto malconcio. Sia lui sia Keiko decidono di sganciarsi dalla combinazione e andare a morire schiantandosi con Zambase e Zambull contro la fortezza volante. Il loro sacrificio permette a Kappei di penetrare nella nave con lo Zambo Ace. Stremato dagli eventi, Kappei dovrà ascoltare le motivazioni del genocidio voluto dal supremo Gaizok, che si qualifica come Computer Doll n. 8: costruito dai gaizok e spedito nello spazio a sterminare le forme di vita moralmente difettose, CDN8 è stato risvegliato dal rumore emesso dai terrestri, esseri indegni che disturbano la quiete cosmica, dei quali il computer elenca le nefandezze effettivamente non smentibili. Poi, come Butcher, anche CDN8, prima di esplodere, rivolge a Kappei domande sui motivi che hanno portato i JinKamie-Kamikita a sacrificarsi per della gente ingrata, che li odia, e dalla quale non riceveranno alcun riconoscimento. Kappei, legittimamente più stremato di prima, di nuovo fatica ad articolare. Irreparabilmente danneggiato, CDN8 esplode, e la Bandok, con lo Zambo Ace ancora al suo interno, rischia di schiantarsi sulla Terra. Il Biar I, con a bordo ormai solo il fratello di Kappei, Ichitarō, e i padri di Uchuta e Keiko, si infila sotto lo scafo della nave nemica per assorbirne la caduta. È abbastanza perché lo Zambo Ace riesca a uscirne prima che la Bandok esploda in mille pezzi portandosi via anche il Biar I. Lo Zambo Ace precipita sulla Terra, nella baia, dove una folla in festa accoglie riconoscente lo svenuto Kappei Jin.

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11.1 Il soggetto Kappei Dal punto di vista tecnico, se si eccettuano gli straordinari episodi nei quali è impegnato Yoshinori Kanada, Zambot 3 non è un anime di prima qualità: i disegni sono spartani, le animazioni faticose; gli ambienti, fatti di mare aperto e montagne rocciose, sono rudimentali. Ma a livello della storia raccontata, Zambot 3 è l’apoteosi dell’epoca classica. I temi centrali della super-robotica vengono portati a un livello di elaborazione filosofica senza precedenti. Yoshiyuki Tomino riesce nell’impresa di far lavorare lo spettatore direttamente sui concetti: li pulisce, li distingue, e ne mette in scena le connessioni con la massima precisione. Zambot muove da uno schema abbastanza classico – una cosmogonia dualistica e una catastrofe-già-avvenuta – ma con una piccola variazione: nessun genitore mancante, nessuna figura spiritualizzata. Kappei, Keiko e Uchuta hanno alle spalle una comunità di affetti numerosa e calorosa, fatta di persone genuine e per bene. Sul fronte degli avversari, i gaizok rappresentano una versione molto raffinata del nemico che proviene dal passato abissale e che è responsabile della catastrofe-già-avvenuta. Tomino sfrutta al massimo la contrapposizione tra il dodicenne Kappei e l’antichità gaizok, trascura il tratto genericamente militarista dell’avversario per sublimarne quello fascista dell’esclusione su base etnica e della cancellazione del diverso: se l’essenza dell’avversario super-robotico è venire dal passato per impedire il futuro del soggetto, il suo paradigma mentale non potrà che essere quello che nega il tempo e il cambiamento, quello che pretende di fissare i caratteri intellettuali e morali dei soggetti in base alla comunità di appartenenza, alla genetica. Di contro, il valore che muove l’eroe sarà l’inclusione progressiva di altri soggetti nella sua rete di relazioni. Nel finale, Kappei, semiammutolito e incapace di tenere testa alla logica di CDN8, riesce quanto meno a spezzare il discorso genetico – i terrestri sarebbero tutti cattivi? – e tra sé e sé, ricadendo sulla Terra, sintetizzerà: abbiamo combattuto per tutti. Il soggetto Kappei nel corso della serie è cresciuto e si è evoluto, prima ha accolto i suoi cugini nella squadra, accettando la sfida lanciatagli dalla loro maturità, poi è riuscito a coinvolgere nella sua rete di relazioni Shingo Kōzuki, che odiava la famiglia di Kappei ritenendola responsabile dell’invasione. Kappei ha imparato a combattere per tutti: il tempo esiste, le persone cambiano, nessun carattere è fisso, nessuno deve essere escluso. Cambiando, Kappei ha imparato che si cambia.

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Kappei Jin.

Mai la cosmogonia della catastrofe-già-avvenuta aveva portato a un tale livello di chiarezza i suoi concetti di base, il significato della rottura del ciclo eterno. Shingo Kōzuki compie a sua volta un suo percorso, parallelo a quello di Kappei. Al principio, complice una condizione sociale di marginalità e i contraccolpi psicologici della guerra, Kōzuki accusa dell’invasione gli alieni Jin-KamieKamikita e prende iniziative non proprio leggere: sobilla altri terrestri, devasta la sala-base, sequestra Keiko, si presenta dai Jin con un fucile e lo punta in faccia a Hanae, la madre di Kappei. In risposta ai traumi della vita e alla frustrazione delle proprie richieste di riconoscimento sociale – lui e Kappei sono rivali nella gara per la leadership della gang del quartiere – Kōzuki si radica a una comunità di appartenenza fondata sul sangue, i terrestri, e da questa prospettiva cerca un nemico esterno sul quale potersi sfogare, nella logica dell’autoritarismo già vista con Naida in Grendizer: da vittima, colpevolizzare altre vittime. Nella loro guerra personale, Kōzuki e Kappei sperimentano in se stessi quella stessa pulsione allo sterminio che i gaizok rappresenteranno al vertice dell’abisso: a Kōzuki accade quando punta l’arma su Keiko e Hanae; a Kappei accade quando, con lo Zambo Ace e bistrattato dalla folla, sferra un pugno

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fermandolo a pochissimo dal corpo di Kōzuki, tentando poi di buttarla sullo scherzo, quando con tutta evidenza si trattava di un incontrollato gesto di rabbia e di potere (una scena nella quale non ci crea problemi veder coinvolto lo Zambo Ace, diretta emanazione di Kappei, ma che faticheremmo a immaginare con lo Zambot, nobile mediatore lunare). Quando Kappei mette in discussione il proprio dovere di difensore della Terra per ripicca al razzismo di Kōzuki, rimedia un ceffone dal padre: i Jin hanno i mezzi per farlo, quindi devono mettersi a disposizione dei terrestri, perché è giusto e punto. Ma non si creda che siano i rapporti di sangue a ricordare il dovere dell’inclusione a chi perde la testa; sarebbe una contraddizione: i rapporti di sangue sono fissi. È la rete di affetti, sono i rapporti sempre mutevoli a salvare il soggetto allo sbando: è la madre di Kappei a richiamare a se stesso Kōzuki armato di fucile con uno schiaffo (in Zambot gli schiaffi hanno la predilezione a volare su chi vuole escludere). Insomma, Kappei matura, attraversa fasi della vita, e di volta in volta entra in dialettica con gli adulti e con i suoi coetanei e trova nuove sintesi, entra in contrasti che impara a risolvere nella direzione dell’inclusione. Kappei, Kōzuki e tutti i soggetti che lottano contro i gaizok hanno delle storie. Vivono e si evolvono, si ibridano e inventano nuove aggregazioni di rapporti. Invece CDN8 è un evento storico della vita degli altri, entra nel tempo quando irrompe nel corso dell’evoluzione altrui per dire che quell’evoluzione non esiste, e la fa smettere di esistere. CDN8 è programmato per vagare nello spazio dormendo sonni centenari finché uno stimolo non lo risveglia obbligandolo a eseguire sempre e da sempre la stessa istruzione. Poi sprofonda di nuovo nel suo sonno. È persino impossibile risalire ai suoi creatori, di cui si conosce solo il nome, gaizok. Il suo passato è talmente abissale che diventa un’immagine dell’eternità. Al fondo dell’abisso, Kappei, che ha imparato il movimento e l’inclusione, trova ciò che è fermo, ciò che non cambia, ciò che esclude. E soltanto con questo altro Kappei non può trovare una sintesi, perché questo altro è il concetto stesso dell’impossibilità di una sintesi inclusiva. Tomino lo mostra mettendo in scena l’incomunicabilità tra Kappei e CDN8, che è la rappresentazione perfetta, da una parte, dell’impossibilità di Kappei di dare ragione logica di un’impresa eroica, disinteressata, compiuta senza attendersi nulla in cambio, e, dalla parte opposta, dell’impossibilità di CDN8 di rapportarsi all’atto gratuito e al movimento libero. La comunità della Terra, infine, accoglierà grata il suo eroe extraterrestre Kappei. CDN8, ormai esploso, non lo saprà mai, ma è un problema suo.

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11.2 Il nemico peggiore di tutti i tempi Senza dubbio il cuore dell’impresa narrativa Zambot sono i gaizok. All’inizio il modo in cui vengono rappresentati è quasi fastidioso: la nave nemica, la Bandok, è un pupazzone degno delle serie comiche Tatsunoko; il luogotenente gaizok per l’annientamento della Terra, Killer the Butcher, entra sempre in scena con una risatina insostenibile, e lo spettacolo che dà con le buffonate che allestisce all’interno della Bandok è patetico, imbarazzante: nell’episodio 18, nel cuore della fase delle bombe umane, lo vediamo impegnato come frontman di una rock band di soldataglia. Ed è proprio questo il cuore della faccenda, perché Butcher è forse l’avversario più schifosamente cattivo mai comparso in un anime super-robotico, e la sua sintesi di crudeltà, edonismo kitsch e ridicolaggine colpisce lo stomaco dello spettatore con una potenza e una precisione devastanti. Butcher esibisce una psicologia raggelante, e con la terrificante fase delle bombe umane, Zambot 3, da serie piuttosto canonica, si trasforma in una tragedia surreale e si avvia a un finale catastrofico, amaro e sublime. Killer the Butcher.

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Negli ultimi tre episodi, il robot e le basi compiono l’irruzione nell’abisso. Già prima di riuscire a stanare Butcher, asserragliato nella testa della Bandok, gli eroi hanno subito perdite traumatiche e perso Biar III e II. Contro la Bandok nemmeno l’attacco lunare è risolutivo, e Zambot deve usare un cannone a ioni, un’arma real, che però funziona: la Bandok viene ridotta a una carcassa. In piedi, su un rottame galleggiante, compare Butcher. Dal suo corpo lacerato escono congegni metallici: Butcher è un cyborg, ormai danneggiato irreparabilmente dal colpo del cannone a ioni. È la prima volta che gli eroi si trovano faccia a faccia con il loro nemico, e solo ora scoprono la sua natura. Questo inedito Butcher incredibilmente serio si presenta con una katana in mano – fino alla puntata precedente la spada pareva più una scimitarra – e dichiara di essere pronto a morire già da molto tempo; poi rivolge agli eroi domande come: posso sapere perché avete fatto quello che avete fatto? Chi ve lo ha chiesto? Qualcuno vi ha ringraziato per caso? Qualcuno ha combattuto insieme a voi? E infine sentenzia: in ogni caso prima o poi i terrestri si distruggeranno da soli. Kappei.

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Le famiglie Jin, Kamie e Kamikita hanno subito per tutta la serie gli attacchi dei terrestri. In quanto alieni, sono stati accusati di aver richiamato la distruzione sulla Terra, e a poco valeva il fatto che con i loro mezzi fossero gli unici a opporsi al genocidio perpetrato dai gaizok. Butcher lo sa, e si sta vendicando, vuole far male, ma, anche se in modo polemico, sta ponendo un problema reale. Kappei vorrebbe parlare ma non riesce, balbetta qualcosa sul fatto di essere nato sulla Terra, ma di più non è in grado di fare. È esausto: ha combattuto una guerra, ha visto morire i suoi cari, è arrivato alla fine e si trova davanti un cyborg già morto che gli pone domande alle quali non ha né la lucidità né forse nemmeno le idee per rispondere. Resta così, mentre Butcher esplode in uno scoppio di costrutti interni, come esploderebbe un pupazzo a molla. Sembra finita, ma non è finita. Ricompare la fusoliera della Bandok e attacca gli eroi. Keiko e Uchuta si sacrificano – e lo spettatore si domanda seriamente a cos’altro deve assistere – e finalmente Kappei, con il solo Zambo Ace, riesce a penetrare nella nave. L’alcova del responsabile dell’aggressione alla Terra è un ambiente biomeccanico, lisergico. Al centro il supremo Gaizok, che appariva a Butcher come un gigantesco occhio, appare a Kappei come un gigantesco cervello. Anch’esso, come era stato per il suo cyborg, è ormai irreparabilmente danneggiato e destinato a esplodere. Kappei scopre che il vero nome del supremo Gaizok è Computer Bambola Numero 8. Costruito dai misteriosi gaizok, il computer è un addetto alla disinfestazione delle forme di vita d’animo malvagio che distruggono la silenziosa armonia dell’universo e ne sovvertono il delicato equilibrio. Questo è quanto. Dopodiché CDN8 ripropone le stesse domande di Butcher. E lo spettatore assiste a questa ennesima tortura. Di nuovo Kappei a tratti balbetta una risposta e a tratti è ammutolito, fino all’esplosione del suo avversario.

11.3 L’ordine gaizok Nella sua dimensione storico-politica, Zambot lavora sulle mescolanze per giocarsele di volta in volta a seconda della situazione: Butcher è un nazista quando rinchiude i terrestri nei campi e impianta loro le bombe, è uno statunitense quando suona con il poster di Elvis alle spalle, è un samurai quando si presenta di fronte a Zambot armato di katana e dichiarandosi preparato a morire già da tempo. La stessa triplicità si riflette nel suo gesto più feroce: la creazione delle bombe umane, e non si può non rimanere impressionati dalla potentissima

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capacità di sintesi e rielaborazione simbolica di Tomino: controllo nazista dei corpi; allegoria del trauma atomico (dentro ognuno di noi è stata messa una bomba); caricatura grottesca della condizione del kamikaze, trasformata in un provvedimento forzato. Questa mescolanza di riferimenti storici negli anime precedenti era quasi sempre funzionale a rappresentare il male nella forma del totalitarismo. Tomino fa di più: la mantiene come strategia narrativa, e mantiene il totalitarismo come bersaglio, ma definisce con precisione cosa intende con totalitarismo, rielaborando i caratteri tipici dell’avversario super-robotico: il passato abissale e la tecnica. Ma come riesce Tomino a legare tecnica e passato in un’unica articolazione del male? Qual è il legame concettuale tra tecnica e passato a cui l’anime robotico ha sempre alluso nelle sue rappresentazioni del male senza riuscire mai davvero a portarne alla luce l’ossatura filosofica? Con un’intuizione geniale. Negli anime del passato c’erano gerarchie demoniache che, essendo demoniache, si presentavano apertamente allo spettatore come il male. In secondo luogo, queste gerarchie avevano delle mire particolari: volevano un pianeta, o una risorsa energetica. Ma Tomino sa che il male vero non si presenta come male: simula il bene, e il bene è imparziale, universale. Di conseguenza i suoi gaizok non vogliono conquistare il Giappone e non hanno ragioni che possano sembrare personali o parziali: si annunciano con una retorica astratta che ha i caratteri di una morale universale, una giustizia severa ma imparziale che chiameremo “ordine gaizok”. Ricordiamoci che Butcher si presenta al cospetto di Zambot brandendo una katana: si presenta vestito di un’etica. Il problema è che tutta questa presunta imparzialità e questa presunta giustizia si basano su una terrificante contraddizione logica: se è la violenza di alcuni appartenenti a un popolo a stabilire l’innata inferiorità morale di quel popolo, allora gli stessi gaizok dovrebbero essere sterminati per aver programmato lo sterminio. L’ordine gaizok è tutt’altro che imparziale: è deciso da gaizok per i non gaizok. I gaizok non possono che adottare una logica razzista: o stabiliscono la loro superiorità morale su base razziale, o non sono nella condizione di poter rispettare gli standard delle loro stesse regole. Cioè, dal punto di vista logico, assumono quello che dovrebbero dimostrare. Di conseguenza il discorso gaizok nomina se stesso e i suoi imputati come comunità etniche chiuse, blocchi unici, blindati in un dato tempo, in una data cultura, e questa cultura in una data genetica, come se non bastasse una sola persona per bene, una nuova apertura, una nuova conquista morale a smontare l’ideologia della condanna razziale.

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Zambot armato di cannone a ioni.

Questa è l’essenza stessa dell’avversario che proviene dal passato abissale: torna eternamente a bloccare il movimento, l’evoluzione, la libertà dei soggetti. Ma i gaizok lo fanno meglio: se ogni altro nemico era un’allegoria, e faceva tutto questo solo se lo si interpretava simbolicamente, i gaizok lo fanno davvero. I gaizok non sono altro che questo tornare ciclicamente al presente e blindare, tornare ciclicamente a uccidere. Uccidendo i gaizok fermano per sempre l’evoluzione delle loro vittime, le inchiodano per sempre alla condizione che stanno giudicando e impediscono loro di diventare altro: di fatto i gaizok fanno tornare a forza l’assunto sul quale si basano, dicono che qualcuno sarà per sempre quello che è, e fanno in modo che lo sia per sempre, perché lo ammazzano. Ancora una volta la chiave interpretativa più efficace sono le bombe umane: trasformando le persone in oggetti, la tecnica ne ferma il movimento, le inchioda al presente eterno della macchina, che ben presto diventerà un passato eterno, dato che non potrà evolvere, o le relega direttamente nel passato eterno della morte. Questo era il nodo implicito tra tecnica e passato che To-

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mino porta alla luce: la trasformazione dei soggetti in oggetti, e quindi il loro esilio eterno nella fissità del tempo. Lo stesso Butcher era un barbaro alieno che CDN8 aveva fissato nella vita eterna del cyborg. La caratteristica di un soggetto è quella di muoversi liberamente, di poter causare da solo il proprio movimento. Un oggetto non può. In definitiva, Tomino estrae dal magma super-robotico i caratteri dell’avversario e ne mette in luce l’essenza rielaborandoli in una forma precisa e rigorosa. Zambot è un grido contro ogni forma di inquadramento, di fissazione, di collocamento e manipolazione dell’altro. Ed è forse da ascrivere al rifiuto di ogni nazionalismo la scelta di mettere al centro eroi odiati dai giapponesi che combattono sotto l’insegna della luna crescente, l’opposto del sol levante. E oltre all’ingiustizia c’è qualcosa di perturbante che l’ordine gaizok occulta. Il kitsch idealistico di CDN8 e il sadismo di Butcher travalicano i confini astratti dell’ideologia dello sterminio, ma contemporaneamente ne rappresentano la verità di fondo. Ci arriviamo.

11.4 Il discorso gaizok Gli aggressori della Terra, che erano concreti e sanguinari come solo le persone sanno essere, si rivelano bambole, e parlano mentre sono già morti. Ma esaminiamo le frasi che Butcher e CDN8 rivolgono a Kappei: (1) Butcher: chi ve lo ha chiesto? vi ringrazieranno? Si appella a una ragione di scambio e non contempla l’atto gratuito. (2) Butcher: i terrestri si autodistruggeranno comunque. Ragiona in maniera deterministica: c’è un rigetto di responsabilità. (3) CDN8: io sono il computer programmato per mantenere lo stato etico cosmico. Che può voler dire “io eseguivo gli ordini” se ha un margine di libertà decisionale simile a quello di un umano, o “non posso che fare questo” se funziona come un normale computer: in ogni caso c’è un rinvio di responsabilità. (4) CDN8: chi ve lo ha chiesto? vi ringrazieranno? Si appella a una ragione di scambio, non contempla l’atto gratuito. Insomma: appello alla ragione di scambio, rigetto di ogni responsabilità e, preso nel suo insieme, discorso ad andamento circolare (le frasi hanno una

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struttura ABBA: l’ultima domanda di CDN8 è la prima domanda di Butcher). Chiameremo questo discorso, il “discorso gaizok”. Notiamo che le caratteristiche del discorso gaizok sono esattamente l’opposto delle caratteristiche dell’eroe dell’anime super-robotico: l’eroe (A) si sacrifica gratuitamente, (B) si assume in prima persona la responsabilità delle sue azioni; in più, il suo percorso è una progressione che spezza il cerchio dell’eterno ritorno della catastrofe-già-avvenuta (che ovviamente in Zambot c’è: è l’aggressione dei gaizok al pianeta Biar). Nello specifico, Kappei ha fatto esattamente ciò che viene negato dal discorso gaizok: ha combattuto per un popolo che lo rifiutava, trovando in se stesso le sue ragioni, ovvero si è assunto la responsabilità di un atto gratuito, non motivato da ragioni di scambio; nel far questo si è evoluto e ha allargato sempre di più la sua rete di affetti: la sua vita è cambiata, non ha girato in circolo. Notiamo anche una cosa più inquietante: il discorso gaizok si risolve in una rimozione della soggettività. Perché? Perché (B) assumersi la responsabilità delle proprie azioni è ciò che caratterizza un soggetto, e perché (A) solo un soggetto può decidersi per un atto gratuito – per esempio il perdono, o il sacrificio – cioè per un atto libero che si fondi in se stesso, estraneo a una ragione di scambio e al meccanismo di azione e reazione, causa ed effetto, tipico degli oggetti. Il discorso gaizok è un discorso fatto da oggetti che va bene per gli oggetti. Non è possibile trovarvi un soggetto. In più, questa mancanza di soggettività non riguarda solo il discorso gaizok: l’assenza di un soggetto la troviamo rappresentata nella narrazione stessa. CDN8 è una creatura artificiale, vale a dire che quelli che chiamavamo gaizok non sono i gaizok. Non ci sono i soggetti gaizok nella Bandok, e non c’è nessun soggetto nemmeno dietro la Bandok: chissà quanto tempo fa i gaizok hanno costruito CDN8, chissà dov’è il loro pianeta, forse non sanno nemmeno che esiste la Terra, forse non esistono nemmeno più i gaizok. Tomino abbandona le suggestioni fantasy di impronta nagaiana per sottoporre la mente dello spettatore a uno shock puramente logico: il mondo dei gaizok non è separato dal nostro da uno sganciamento onirico fatto di visioni simboliche, ma da uno sganciamento spaziale e temporale, non privo di qualche aspetto paradossale. Non è da escludere, infatti, che i gaizok, proprio per aver pianificato lo sterminio dei popoli violenti, siano stati sterminati dai loro stessi cervelloni poliziotto, ma il fatto che il Computer Doll sia l’ottavo della sua serie fa pensare che abbiano avuto il tempo di fabbricarne almeno otto prima di essere sterminati, il che, in mancanza di ulteriori informazioni, pone

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qualche problema logico. Il punto è proprio questo: la possibilità di poter risalire una precisa, univoca e continua catena causale è ciò che contraddistingue la nostra realtà; rendere la catena causale vaga, sdoppiarla o spezzarla aumenta la sensazione dell’estromissione del soggetto gaizok dal nostro mondo. In un certo senso i gaizok non esistono. Tutta l’impresa di distruzione del genere umano nasce in un totale vuoto di soggettività. Già questo renderebbe il dramma di Zambot psicologicamente insostenibile. Ciò che però rende il dramma di Zambot ancora più insostenibile è che questa impossibilità di rinvenire un soggetto è in totale contrasto con la vocazione ciarliera e moralista di CDN8 e con il godimento sadico di Butcher, prerogative ostentate, superflue, arbitrarie, per nulla richieste dalla asettica necessità dello sterminio: sono pure deformazioni caratteriali. Ora, se c’è una deformazione caratteriale, ci sarà pure un soggetto. Qui c’è un surplus di piacere, un male per il gusto del male che non può non implicare la presenza di una soggettività, e dunque lo spettatore, come gli eroi, si dispone ad attendere un’assunzione di Killer the Butcher.

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responsabilità, o quanto meno la possibilità di comprendere ed essere compresi. Prima o poi dovrà arrivare. E invece no. Non arriva, e per questo la mancanza di soggettività del discorso gaizok è terribile. Quella ferocia – le bombe umane – che appare inevitabilmente gratuita malgrado le considerazioni di Butcher sulla sua economicità, non ci sarà spiegata dalla macchina umanoide. La macchina si rifugerà nella astrattezza logica della giustizia, nelle ragioni impersonali, di nuovo nella ciarla moralista. Qui risiede il carattere veramente disturbante di Zambot, e colpisce così forte perché questo contrasto tra assenza di soggettività e surplus di godimento ci pare di incontrarlo spesso nella vita reale: l’umanoide artificiale è un’immagine perturbante dell’essere umano perché è un’immagine di ciò che vi è di perturbante nell’essere umano. Ed è per questo che ci sono due livelli anche della non-risposta di Kappei. Al livello impersonale, logico e astratto del discorso gaizok (il discorso gaizok – a differenza dell’ordine gaizok – è perfettamente logico, ma è inumano), che pensa solo per finalità e scambi, causa ed effetto, azione e reazione, Kappei non può opporre che il silenzio, perché in questo discorso perfettamente logico che prevede solo cause e finalità materiali è impossibile inscrivere il desiderio di compiere un atto gratuito, che non ha cause né finalità materiali. A livello simbolico, quando arriva il momento dell’irruzione finale nell’abisso, per Kappei inizia un processo di spoliazione: perde il suo robot, perde i suoi cari, e in ultimo perde la parola. Di fronte alla mancanza di soggettività del discorso gaizok, Kappei rimane solo un soggetto, senza parole, fatto solo di movimento in avanti, e quindi mosso solo dalla sua spinta interiore, dal desiderio. Al suo opposto troviamo la perturbanza gaizok, che è un soggetto del godimento senza soggetto della responsabilità, che si muove ma si muove in circolo: scopriamo che le negazioni del movimento e del desiderio si realizzano nel mondo materiale come perversione del movimento, cioè movimento ciclico, e perversione del desiderio, cioè sadismo. Zambot 3 termina il 25 marzo 1978, Yoshiyuki Tomino ha trentasei anni, e di lì a pochissimo finirà di smontare la pretesa morale mostrandone ancora una volta la natura sadica; ma lo farà in un modo impensabile per un anime super-robotico: aggredendola dall’interno, con un’opera che di Zambot 3 è il rovesciamento. Daitarn 3.

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11.5 Invasione del corpo e invasione della mente: la biopolitica dell’abisso L’abisso super-robotico nasce con due figure della manipolazione tecnica, una fisica e una mentale: i cadaveri riassemblati di Hell e le teste programmate delle Maschere di ferro. Sono una costante gli eserciti nemici formati da androidi o individui mentalmente condizionati, e a volte le due cose appaiono anche confuse o compresenti, come se l’invasione del corpo e l’invasione della mente fossero costantemente usate anche come allegoria l’una dell’altra. Sul fronte della tecnica come manipolazione dei corpi, ha fatto storia l’episodio 25 di Grendizer, nel quale Naida sostiene che nelle bestie-disco di Vega siano impiantati cervelli di fleediani: questo tema compare anche nel manga di Ōta ma non viene più sollevato nell’anime dopo quell’episodio, e caratterizza Naida come la persefone vendicativa che conosce Daisuke e sa come alimentarne i sensi di colpa. In ogni caso l’argomento colpisce, resta in mente e contribuisce ad alzare il livello di tensione della serie. Anche perché non è peregrino. Le fattezze dei mostri meccanici, che ritraggono forme umane e animali, spesso le ingabbiano davvero: molti mostri meccanici dell’anime super-robotico sono creati a partire da schiavi, ostaggi, prigionieri o animali. È un tema normalmente ricorrente, e parla della tecnica come trasformazione dei soggetti in oggetti. Sul fronte mentale, l’eventualità del condizionamento è insistita, ridondante, e diventa addirittura un tema centrale nella paranoia di proliferazione di Getter G. Non si contano nemmeno le decine di cervelli lavati inviati a uccidere eroi, far saltare basi o rubare progetti. Ma si fa spesso uso anche di persone ricattate, ed è una forma di condizionamento mentale anche quella. Persino gli eroi a volte possono venire manipolati, e l’idea della perdita delle proprie facoltà mentali è un incubo dei protagonisti più tormentati: Hiroshi Shiba e Tenpei Asuka sembrano particolarmente soggetti al sogno e all’allucinazione. Proprio prendendo a modello Getter G, è difficile non vedere nell’invasione del cervello il terrore dell’ideologia come contagio, specialmente in quel contesto di lotta tra la libertà del soggetto e il collettivismo dell’appartenenza, il quale, a chi vi si soggioga, offre la consolazione di non dover pensare e di sentirsi superiore per essere nato dalla stirpe giusta, prendendosi in cambio una totale adesione al tradizionalismo eterno. Anche la retorica è una tecnica, i sofisti sapevano bene come la tecnica retorica potesse trasformare i soggetti in oggetti, e lo sa anche chi ha visto gli uomini trasformarsi in bombe umane. Per questo le bombe umane di Zambot possono essere lette a un doppio livello: a

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livello puramente narrativo sono una manipolazione tecnica dei corpi, ma se diamo ascolto alle suggestioni storiche diventano anche un’allegoria dell’invasione della mente. Ma anche rimanendo sul puro piano dell’invasione del corpo, le bombe umane di Tomino rappresentano un salto di qualità nella concezione della biopolitica dell’abisso. Non nell’espediente narrativo, che non è una novità assoluta: già alla giovane Lisa, in Gaiking, veniva installata una bomba a orologeria, c’era poi l’ordigno innestato da Janera nella testa di Dankel in Combattler e quello impiantato da Shadow nel corpo di Takeru in Gackeen. Tomino dunque non inventa le bombe umane. Tomino fa qualcosa di immensamente più grande, due mosse che prese insieme decretano l’uscita dalla visione nagaiana dell’abisso. La prima è portare le bombe umane su scala industriale, distillando l’esatta essenza del tecnopotere del Novecento: la catena di montaggio dello sterminio, la gestione di massa dei corpi umani. La seconda mossa è eliminare la ferita della tecnica dal corpo dell’avversario, e anzi sostituirla con l’esibizione del godimento, il puro sfoggio di un tecnopotere del tutto privo di complicazioni per chi lo esercita. Così facendo Tomino espelle ogni residuo dell’esistenzialismo mitologico di Nagai. La prima mossa prende il dominio della tecnica per ciò che è: un modo di pensare la gestione del mondo biologico, l’ordinaria amministrazione che, quanto più profondamente pretende di essere asettica, tanto più nasconde – e insieme manifesta – una volontà di potenza improntata al sadismo, al puro gusto della manipolazione. La seconda mossa elimina completamente la suggestione di sofferenza che i corpi degli avversari nagaiani manifestavano nelle loro deformità, nella sovversione degli organi e degli arti, nell’invasione del metallo; non che Butcher e CDN8 siano belli, il punto è un altro: godono. Gode Butcher nel suo edonismo idiota, e gode CDN8 nel suo discorso ossessivo – come si addice a un computer – non privo di tonalità sentimentali kitsch. In nessun modo Butcher e CDN8 sono riconducibili alle figure dell’androide e del cyborg vittime della loro condizione: loro due, la tecnica, materialmente, la dominano, senza scrupoli e con il massimo della soddisfazione. Ciò non significa che non ne siano dominati, ma in un modo molto più sottile dei micenei traviati di Nagai: ne sono dominati nella misura in cui non conoscono altra maniera di trarre soddisfazione dal mondo che non sia tormentare la vita.

12 PERSEGUITARE L’ABISSO: IL CASO DAITARN 3 Daitarn 3 Titolo originale. Muteki Kōjin Daitān 3 / Muteki Kōjin Daitarn 3 Sunrise. 40 episodi. 3 giugno 1978 – 31 marzo 1979 Titolo italiano: L’imbattibile Daitarn 3

B

anjō Haran, diciassette anni, si batte contro i meganoidi, un’organizzazione paramilitare composta da individui che si sono fatti potenziare ciberneticamente. Al modello meganoide si è arrivati a partire dal cyborg sviluppato sulla colonia terrestre di Marte dal padre di Banjō, Sōzō Haran, che fece esperimenti sulla moglie e sull’altro figlio. L’idea alla base del meganoide era quella di creare un individuo che fosse in grado di spostarsi nello spazio con una maggiore facilità rispetto agli esseri umani, idea che è tutt’ora coltivata dalla guida meganoide Don Zauser (Don Zauker nell’adattamento storico) e dalla comandante suprema Koros, l’unica che sappia o che sostenga di saper inter-

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pretare il linguaggio di Zauser. I meganoidi hanno preso possesso di Marte e intendono forzare l’umanità a un salto evolutivo collettivo, costringendo diverse persone alla trasformazione. I comandanti meganoidi, persone che hanno scelto deliberatamente di diventare cyborg, possono ulteriormente trasformarsi in megaborg, giganti in grado di affrontare il Daitarn. Nella sua battaglia Banjō è aiutato dall’agente dell’Interpol Reika Sanjō, da Beauty Tachibana, figlia di un miliardario, dal maggiordomo Garrison Tokida e dal ragazzino Toppo (Toppy). Anche il Daitarn è una creazione del padre di Sōzō Haran: fu sua madre a spedire sulla Terra Banjō, il Daitarn e un carico d’oro proveniente dalle miniere di Marte, a seguito della presa del potere su Marte da parte dei meganoidi. Il Daitarn ha tre modalità: carro armato, astronave e robot, ed è alimentato a energia solare. Banjō vi entra inserendovisi con la sua auto, la Match Patrol, una sorta di auto della polizia trasformabile in velivolo. Il robot, in modalità astronave, è tenuto in un hangar sottomarino nei pressi della villa di Banjō, il quale può richiamarlo con un ciondolo. Nel corso della serie Banjō sfoga il suo odio verso il padre e verso le sue creazioni distruggendo decine di megaborg per mezzo del Daitarn e del suo colpo

Daitarn 3 contro il comandante Neros.

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finale a base di energia solare, ma quale e quanto sia stato il coinvolgimento di Sōzō Haran nell’edificazione dell’impresa meganoide rimane un mistero. Il finale di serie prende avvio quando Koros decide di far schiantare Marte sulla Terra: i terrestri moriranno negli sconvolgimenti o scapperanno nello spazio dove sarà facile catturarli. Banjō e i suoi partono per Marte su Daitarn e i cinque razzi con cui la madre di Banjō lo aveva fatto scappare. Su Marte Banjō affronta prima Koros, ferendola gravemente, e poi Zauser, che, si scoprirà, da prima dell’inizio della storia e fino a quel momento è vissuto in stato catatonico. In collera per le condizioni in cui trova Koros, Zauser assale Banjō, poi ingrandisce le sue dimensioni fino a diventare immenso, e Banjō, risalito sul Daitarn, è in seria difficoltà. È allora che sente la voce di suo padre incitarlo, ricordandogli che la volontà umana può battere i meganoidi. Banjō dichiara tra sé e sé che non ha bisogno dell’aiuto del padre e distrugge definitivamente Zauser. La scena finale vede gli amici abbandonare la villa di Banjō, lui non lo vediamo. Una finestra tra le altre sembra mostrare una luce accesa all’interno, ma potrebbe essere anche il riflesso della luce esterna.

12.1 Il cielo rovesciato Nel 1978 Yoshiyuki Tomino realizza Daitarn 3, e ci sono almeno due precisi suggerimenti che invitano a leggere Daitarn in connessione a Zambot: il 3 nel nome del robot, e l’evidente rovesciamento operato nell’arma finale, che è anche il nume di riferimento, Zambot aveva la luna, Daitarn il sole. Non si tratta solo di una contrapposizione tra la serie più drammatica e la serie più divertente di Tomino: Daitarn è tutto tranne che disimpegnato, e leggerlo alla luce di Zambot ne illumina la natura meno visibile. Gli archetipi in Daitarn ci sono più o meno tutti: ritroviamo il tema dell’orfano quasi extraterrestre, in linea con la scelta di un immaginario più realistico; la manipolazione tecnica dei corpi; il padre che è un padre della tecnica e che è anche una figura spiritualizzata, ma vissuta davvero male dal protagonista; c’è poi una certa connotazione fascistoide dell’avversario; il robot come mediatore tra il mondo e il nume solare; l’irruzione nell’abisso di Marte nell’ultimo episodio. Malgrado ciò, Daitarn è probabilmente la serie più complessa e difficile dell’epoca classica del super robot. Si pone apertamente come parodia degli stilemi super-robotici in un modo che non ha niente a che vedere con quello di Ginguiser o Balatack: Daitarn non si risolve nelle battute dei protagonisti o in una demenzialità dei nemici, il suo sarcasmo è molto sofisticato, sociologica-

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mente sapiente e a tratti feroce, ed è la prima serie a porre in gravissima crisi la statura morale dell’eroe. Come se non bastasse il fatto di avere una narrazione di superficie che mantiene ai loro posti gli stilemi classici e una più sommersa che ne rovescia il senso, la stessa traccia sommersa viene costantemente disturbata dal rumore del motore che la rende possibile, vale a dire dalla stessa natura sovversiva della serie, che esprimendosi in un vero e proprio anarchismo narrativo si manifesta in innumerevoli apparenti non-sense tra i quali è difficilissimo scegliere quelli che compongono il percorso alternativo e quelli che sono solo gustosi non-sense. Daitarn cova una tendenza al surreale che può impossessarsi di una situazione ed esagerarla, o moltiplicarla in un gioco di specchi – l’anime è pieno di citazioni, anche da se stesso – fino al punto in cui il senso appare davvero irricostruibile. Ma vale la pena di provare a seguire il percorso alternativo perché, se pure è probabile che Daitarn sia stato occasione di necessario alleggerimento dopo la fatica psicologica di Zambot, Tomino rimane Tomino, e fa sul serio anche quando gioca.

12.2 Lo spettacolo I meganoidi sono cyborg, discendono da una creazione del padre di Banjō, sono guidati dal supremo Don Zauser e dalla sua fedelissima Koros, e sono sostenuti da un’ideologia della specie superiore. Banjō, fuggito da Marte quando i meganoidi ne hanno preso il controllo, li combatte, trasferendo su di loro il suo odio per il padre, responsabile della loro genesi e anche, a quanto pare, di aver trasformato in cyborg sua madre e suo fratello maggiore. Lo scopo dei meganoidi, nelle parole di Koros, è un salto evolutivo che permetta all’umanità di distaccarsi dalla Terra e muoversi nello spazio, inaugurando una nuova era antropologica. Di fatto non incontriamo un solo meganoide che non sia contento di esserlo: se i non graduati pare siano stati trasformati sotto ipnosi o amnesia – processi atti appunto a svincolarli dalle pastoie che impediscono il salto evolutivo – almeno per i comandanti si è trattato di una scelta personale e consapevole. In ogni caso l’invenzione del meganoide è una sorta di eventosfida, che irrompe nella storia umana e la spezza in due, obbligando ognuno a prendere una posizione netta. Questa è per così dire la versione daitarniana di ciò che troviamo nelle normali serie super-robotiche. Ma questa lotta tra i contendenti si trasferisce in una cornice che interviene sul suo senso, e che nel contempo le è assolutamen-

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Banjō Haran.

te coerente. Quale sia questa cornice lo chiarisce subito il primo episodio, che si apre con un concorso di bellezza femminile indetto da un meganoide con il segreto scopo di trasformare le partecipanti: il palcoscenico, visibile o ideale, ma comunque sempre percepibile dallo spettatore, sarà il luogo su cui si combatterà per tutta la serie. A fare da palcoscenico saranno soprattutto gli stilemi stessi dell’anime super-robotico, come uno schema di riferimento che lo spettatore conosce e sul quale si aspetta che i personaggi interpretino i loro ruoli. E loro lo faranno: in Daitarn tutto si svolge sempre come una recitazione, come se ogni personaggio si sentisse sotto l’occhio di una telecamera e ci fosse sempre un pubblico (che spesso effettivamente c’è, nel senso che è rappresentato dentro la narrazione). Di conseguenza i personaggi di Daitarn saranno gli unici possibili per la recita che si va a mettere in scena. Banjō è lo stereotipo del figo: ricco, bello, macho, elegante, potente, ed essendo la star dell’anime è una star nell’anime. Perfettamente integrato nella microsocietà dello spettacolo di Daitarn 3, Banjō è una sorta di Bruce Wayne incrociato con James Bond, accompagnato da due

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Charlie’s Angels che si dividono i caratteri-tipo della bionda svampita e della castana pragmatica, da un ragazzino piuttosto grezzo, che sembra già sulla buona strada per il maschilismo, e da un maggiordomo che è il classico anziano bello dallo stile impeccabile e dalla mira infallibile; si noti che tutti questi personaggi sono dei subalterni non solo nella narrazione ma nei loro stessi ruoli e stereotipi: donna, ragazzino, maggiordomo; l’unico personaggio sovversivo, nel senso che con la sua serietà sovverte silenziosamente il parodismo della serie, è Reika, che è chiaramente la smilza, l’antagonista nobile dell’eroe. Sull’altro versante, il comandante meganoide di turno è di solito un sociopatico frustrato, spesso un frustrato proprio del jetset e del mondo dello spettacolo, e la sua decisione di farsi meganoide si carica di un senso di rivalsa. Ci sono episodi più diretti: come il 10, in cui Wong Lo, regista di arti marziali, vuole filmare la sua vittoria da megaborg sul Daitarn e finisce col farsi ammazzare; nel finale, Banjō, in smoking, passa davanti al cinema in cui proiettano quest’ultimo film girato da Wong Lo nel quale Daitarn uccide il regista, mentre fuori dal cinema le ammiratrici di Wong Lo dicono gran bene della Il Daitarn contro Jimmy Dean.

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regia. Nell’episodio 22 il produttore Carlos ha riempito un’astronave di star del cinema, tra cui il divo meganoide Jimmy Dean, e ha ingaggiato Banjō per la sicurezza, ma è tutto preparato: l’intento del produttore è filmare dal vero una vittoria del Daitarn. Durante il combattimento i divi tifano Banjō. Jimmy Dean in versione megaborg perde addirittura la parrucca, e una fan di Dean, sua unica tifosa, due secondi dopo averlo visto morire si innamora di Banjō. Ma anche quando il riferimento non è così diretto, lo spettatore è comunque immerso in un mondo di ruoli stereotipati, ripetitività, uso caricaturale e insistente dei cliché legati al culto dell’immagine, come i riflessi brillanti dei denti, tra le ossessioni narcisiste di Banjō e dei comandanti meganoidi.31 Si tratta sempre, per i comandanti meganoidi, di trovare il modo di confermare a se stessi di esistere, di essere qualcuno, o di accrescere un successo del quale non si sentono sicuri. Finendo sistematicamente puniti.

12.3 Stile e gigantismo L’ulteriore mutazione da meganoide a megaborg individua una delle linee sulle quali si muove il confronto: il gigantismo. Al gigantismo dei meganoidi Banjō oppone un gigantismo con stile, e gli episodi si risolvono (quasi) in una gara a chi ce l’ha più grosso – Daitarn è esageratamente alto, 120 metri; la maggioranza dei super robot classici si assesta tra i 40 e i 60 metri, e i nagaiani sono spesso anche più piccoli; i megaborg sono grossi quanto Daitarn, ma non ne hanno l’eleganza – oppure si può dire che di fronte allo stile di Banjō, i meganoidi tentano di rifarsi, rozzamente, sull’unico aspetto su cui è dato loro di intervenire: la stazza. Koros non sembra minimamente interessata a queste dinamiche, nemmeno a contrastarle. Non mette sotto esame chi si candida a diventare meganoide: propone un salto evolutivo e non fa problemi di motivazioni personali, di stile o di ceto. Per lei la superiorità morale della specie meganoide risiede nel gesto stesso di diventare meganoide: i meganoidi sono fisicamente superiori perché sono più forti e moralmente superiori perché hanno deciso di trasformarsi in meganoidi. Nella sua ideologia c’è un aspetto evidente di superomismo. E i comandanti meganoidi più dignitosi vivono la propria perturbante disumanizzazione come una coraggiosa decisione per un salto antropologico. Ma per la maggior parte dei comandanti meganoidi le cose sembrano stare diversamente: la loro scelta è chiaramente l’unica risorsa di un ceto cultural-

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mente subalterno, una subalternità culturale messa ossessivamente in risalto dall’assoluta mancanza di stile contrapposta all’impeccabilità di Banjō. Costoro sventolano la loro disumanizzazione come una bandiera orgogliosa e insieme vittimista, il loro credo suprematista è palesemente una reazione alla frustrazione indotta da una società che impone loro standard inumani, e della quale però non discutono l’ingiustizia, anzi la subiscono, e per far parte di quella società sono disposti a tutto. I meganoidi tentano continuamente di darsi un tono e non importa quanti soldi o quanto successo abbiano: finiscono irrimediabilmente con l’apparire sempre grevi, impacciati e inappropriati, e l’umorismo incentrato su di loro non fa che evidenziarlo; di contro, lo stile di Banjō è esaltato persino dalle gag che lo riguardano e che alleggeriscono l’atmosfera mantenendosi al tempo stesso sempre eleganti: si pensi al volto signorilmente allibito del Daitarn, o allo stupendo ventaglio usato come arma. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe da un eroe super-robotico, a scatenare l’odio di Banjō sembra essere più questo meganoidismo volgare e vittimista, come se ai suoi occhi tutta la complessità della condizione meganoide fosse riducibile a un attentato allo stile da parte di individui ridicoli. La psicologia classista di Banjō è palese. Il che ribalta di nuovo la questione: l’accordo tra Banjō e la società in cui vive è talmente perfetto da essere kitsch, tanto che davanti a un meganoide umanamente rispettabile come Katroff, la cretineria sbruffona dell’eroe risalta limpidamente. Banjō si cala volontariamente nel ruolo del castigamatti, è uno che rimette la gente al suo posto: non è un caso che giri su una macchina della polizia. Vista da un’altra angolazione, dunque, la contrapposizione è tra la pochezza borghese e autoritaria di Banjō e il superomismo dei meganoidi. In questa gara muscolare, il meganoide diventa lo specchio di Banjō, non solo perché è idealmente figlio del suo stesso padre, ma soprattutto perché giocano (quasi) allo stesso gioco, che il meganoide puntualmente perde. E qui c’è un altro particolare molto interessante: Banjō riesce a spezzare l’acciaio a mani nude, almeno tre volte (delle quali due mentre i soldati meganoidi scommettono sulle sue probabilità di farcela; si sente anche qualcuno sostenere che non è un umano normale). Questa sovrumanità dell’eroe contribuisce a collocare lui e i meganoidi sulla stessa scala machista di forza, di successo e di potere. Ma non solo. Sul piano narrativo l’anime è volutamente ambiguo e insinua dei dubbi sull’integrità biologica dello stesso Banjō. Fa nascere nello spettatore non solo il sospetto che Banjō sia un meganoide, ma addirittura il sospetto che Banjō sappia di essere un meganoide e che la sua furia sia manifestazione o di

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odio verso se stesso o di volontà di essere l’unica creatura suprema o un misto di entrambi. Mano a mano che ci si avvicina al finale di serie, si ha la netta sensazione che Banjō stia giocando sporco. Potrebbe essere che sia un meganoide e lo sappia. E potrebbe essere anche altro, in alternativa o in aggiunta. Banjō, infatti, è scappato da Marte portandosi via un carico di lingotti d’oro che apparteneva ai meganoidi, e che è alla base del suo benessere materiale e anche della sua immagine pubblica: in quale misura il suo odio gli serve per giustificarsi e seppellire in fondo alla coscienza questo furto e il fatto stesso di dovere ai meganoidi il proprio successo esistenziale?

12.4 Banjō come abisso di Banjō Perché Tomino ha scelto un immaginario da spy story? Perché è un immaginario scafato. L’universo dello spionaggio, degli affari, dei trucchetti è l’universo della gente pratica che sa come va il mondo, la gente che ha poco spazio per l’immaginazione e si confronta con la pretesa realtà, cioè quel posto nel quale i

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personaggi sono inchiodati ai loro ruoli di genere e di classe come i componenti del team di Banjō. La quotidianità da spy story è il mondo di chi considera impossibile, utopico e infantile qualsiasi altro ordine del mondo. Infatti è il mondo di chi non crede all’abisso e lo liquida come sciocchezza. Nel superrobotico classico il varco sull’abisso si apre perché eroe e abisso si appartengono a vicenda. In Daitarn Banjō è cieco o reticente rispetto alla sua appartenenza all’abisso: Banjō vive il meganoide come totalmente altro da sé proprio perché non vuole riconoscere e ammettere che il meganoide non è totalmente altro da lui, e questo varrebbe anche se Banjō non fosse sospettato di essere un meganoide: il meganoide non è totalmente altro dall’essere umano in generale. Il rovesciamento che Tomino opera con l’uso dell’immaginario spy story sta qui: è l’abisso meganoide che è il reale di Banjō, ed è la realtà quotidiana che è illusoria. La luce del sole mostra solo la superficie delle cose, e infatti l’energia solare di Daitarn non è una vera dissoluzione dell’illusione. L’energia solare blocca l’avversario di Banjō permettendo a Daitarn di attraversarlo con quanto Banjō Haran.

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vi è di più distante dalla consapevolezza spirituale: un calcio. Siamo agli antipodi di Zambot. Banjō – e questo sarà sempre più chiaro – non è aggredito dall’abisso, Banjō si sente aggredito dall’abisso, che evidentemente, come uno specchio, gli restituisce quel reale che lui non vuole vedere, e così lo cancella, distruggendolo, ma anche sommergendolo di presunta realtà, di ruoli di classe, di stile, di successo per acclamazione. Nel finale di serie è Banjō a portare la spietatezza fino in fondo. L’ultimo episodio si apre con le considerazioni di Koros: se i meganoidi avessero la forza necessaria si emanciperebbero dalla Terra e se ne andrebbero volentieri, ma Banjō non glielo permette. Ora, non è ben chiaro ciò che Koros intende dire, e si può immaginare che la forza necessaria per andarsene equivalga a una massa di umani trasformati in meganoidi. Ma anche fosse, in questo episodio è cristallino che Banjō non sarebbe comunque disposto a trattare, né a risparmiare nessuno. E qui sta l’osceno in Daitarn: la spinta interiore di Banjō, ciò che lo definisce come soggetto, non è un senso di giustizia o l’amore per la Terra. È l’odio. E per quanto Banjō abbia ottimi motivi per odiare suo padre e i meganoidi, Tomino spinge la sua psicologia oltre un’ultima, invisibile linea, depositandolo in un luogo oscuro nel quale non ci sono più né suo padre, né i meganoidi, né Koros, né Zauser. Nel quale ci sono solo lui e il suo odio, e non c’è nient’altro.

12.5 Banjō come gaizok Tutto ciò ha anche una ricaduta sulla dimensione storico-politica, a cominciare dalla simbologia solare, passando per l’ambiguità che allude a una comune matrice tra il poliziotto Banjō e i fascisti meganoidi, fino all’ideologia della supremazia razziale sostenuta dalla potenza tecnica. Senza contare che allo stesso passato dell’orfano in fuga si associa il simbolo più netto della ricchezza, l’oro, e non si può ignorare una almeno vaga connessione tra la simbologia aurea (denaro) e la simbologia solare (nume del robot e simbolo della nazione). Se non si può dire che lo scenario di Daitarn sia totalmente ribaltato, perché i meganoidi sono comunque un nemico che ha i tratti politici del nemico superrobotico classico, è quanto meno vero che troviamo gli assunti dell’ordine gaizok – razza, tecnica, eternità, moralità – su entrambi i fronti del conflitto. Apparentemente, Banjō, che crede nella biologia e nel ciclo della vita umana, è l’eroe evolutivo contro la fissità cibernetica dei meganoidi. Ma a ben guar-

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dare le cose sono più complesse. La vita del singolo meganoide viene bloccata nella cibernetica, è vero, ma il meganoidismo come evento collettivo propone un innegabile salto evolutivo. Banjō è il campione dell’evoluzione esistenziale del singolo, e anche questo è vero, ma questa scelta comporta una permanenza eterna allo stadio dell’umano, e sul piano narrativo si manifesta come fissità dell’ordine sociale: la guerra di ceto con i meganoidi, i subalterni inchiodati ai loro ruoli di classe e di genere. Nel penultimo episodio, quando Banjō, da dentro il Daitarn, pronuncia la tiritera liturgica con cui apre ogni combattimento, il megaborg di turno, che – particolare degnissimo di nota – è un mutaforma, gli dice che la routine è il vero nemico dei meganoidi. Banjō risponde che i bei discorsi sono immortali. Ora, è chiaro che qui Tomino sta prendendo in giro la ripetitività della sua serie più friendly e del super-robotico classico in generale. Ma su un altro piano, la ritualità di Banjō è anche un simbolo della ciclicità, e il suo monologo moralista ripetuto in ogni puntata rimanda alla retorica con la quale i gaizok mascheravano l’esercizio sadico del tecnopotere. Insomma in Daitarn è Banjō ha inchiodare il meganoide a un presente eterno – con il quale Banjō e il nume solare si trovano in perfetto accordo – annientando il movimento progressivo che il meganoide rappresenta, fissandolo con l’attacco solare che, ricordiamo, blocca il megaborg, e poi cancellandolo con un calcio che lo esclude dal reale. Esattamente come i gaizok, Banjō fa tornare a forza l’ordine che dice di riconoscere nella realtà. Come l’ordine gaizok, l’ordine morale di Banjō è asfissiante: lui e la sua troupe puniscono chi cerca di strafare per adeguarsi agli standard sociali; i meganoidi sono dei poveracci, creduloni, timidi, perdenti, o frustrati che per quanto arrivati si sentiranno sempre sotto lo standard; è per questo che si rivolgono alla tecnica e al mito della specie superiore; i meganoidi presentano ogni giorno a Banjō il conto di chi non ce l’ha fatta a essere come lui, e Banjō quel conto non lo vede, non riesce a vederlo, e non vuole vederlo, ce l’ha davanti agli occhi e lo cancella, senza alcuna remora. È capace di parlare con un meganoide ascoltandone le pene e poi salire sul Daitarn e distruggerlo mentre si richiama ai sentimenti e gli spiega quanto siano umani gli umani e quanto loro, i meganoidi, siano dei luridi robot, dei pezzi di metallo senza cuore: questo è puro gaizok. Non a caso, tra i pochi meganoidi con i quali Banjō entra in un minimo di empatia, c’è un nazista. L’arroganza morale di Banjō è tale che, nell’episodio 37, quando i suoi stessi compagni vengono presi in ostaggio dai meganoidi, invita il suo compagno di

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battaglia a non preoccuparsi dei prigionieri e ad attaccare, perché l’unica cosa che conta è uccidere i meganoidi, e aggiunge che è questo atteggiamento a fare la differenza tra una persona di serie a e una di serie b. Ciò che rende questa scena ancora più significativa è che il suo interlocutore è un meganoide in crisi, insomma Banjō sta spiegando quanto sia importante uccidere meganoidi a un meganoide che non se la sente di rischiare le vite di esseri umani. Non solo: il meganoide a cui Banjō sta spiegando come ci si comporta da persone di serie a è un suo ex compagno di scuola che si è fatto meganoide proprio perché ossessionato dal confronto con Banjō. Qui c’è l’intera essenza dell’anime. Banjō si preoccupa della vita e dei sentimenti dei meganoidi solo quando sono belle ragazze, peraltro subito dimenticate una volta morte. In questi casi, ben studiati, sorprendiamo Banjō nell’atto eccezionale di apprezzare o risparmiare dei meganoidi, mostrando platealmente un’incoerenza alla quale lui per primo non attribuisce alcun peso. Il che ottiene l’effetto di rendere dannatamente effimero e volubile il parametro in base al quale Banjō dispensa la morte, cioè ottiene un effetto Butcher. Ecco di cosa parliamo quando parliamo della versione solare di Zambot.

12.6 Perseguitare l’abisso Se i fronti in Daitarn sono almeno in parte rovesciati, chi è l’abisso di chi? Se la realtà è illusione, dove si nascondono gli indizi che permettono di vedere il reale nascosto sotto la realtà? Nell’episodio 13, Donaun, alto gerarca meganoide, illustra a Koros e Zauser il suo piano per sconfiggere Daitarn mediante delle illusioni, e per farlo pone uno specchio di fronte all’altro, e poi in mezzo un dito: l’oggetto tra due specchi si moltiplica, ma doppio specchio significa anche rovesciamento del rovesciamento, e il rovesciamento del rovesciamento è l’originale, ed è interessante che in questo episodio lo scopo ultimo di Donaun sia conquistare la Terra e da lì attaccare Koros. Il penultimo episodio di Daitarn 3 – quello con il comandante meganoide mutaforma, che già richiama un’idea di non-identità a se stessi – insiste sul concetto di rovesciamento: prospettive innaturali, macchine che volano e uccelli che camminano, il comandante meganoide sul Daitarn e Banjō sulla nave meganoide. È anche una delle puntate che più sfacciatamente rilanciano l’interrogativo sulla reale natura di Banjō. Nell’ultimo episodio, come sappiamo, l’abisso Koros vorrebbe essere lasciato in pace, se ne avesse i mezzi sarebbe disposto a ritirarsi, a chiudere il varco.

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Koros e Don Zauser.

Se accogliamo questa versione, è Banjō a essere l’abisso di Koros. Banjō continuamente torna dal passato umano di Koros per impedire il salto evolutivo, e infatti nell’ultimo episodio abbiamo un’irruzione doppia e speculare: è Koros ad avvicinare Marte all’orbita terrestre, e solo a quel punto Banjō e i suoi decidono di partire per sferrare un attacco contro Marte. Per trentanove episodi Banjō ha incontrato sul suo cammino decine di meganoidi dai più svariati sentimenti, spesso bassi, a volte elevati, e ha continuato a ripetere e a ripetersi che i meganoidi non sono umani, non hanno cuore. Quando, su Marte, si trova davanti a Koros, prima le spara, poi le dice che tutto ciò che le rimane, da quando si è fatta meganoide, è il suo amore per Zauser, nessun altro pensiero. Koros non ha nessun problema a confessarlo: ama Zauser, Zauser è la sua vita. A questo punto Banjō sembra rendersi conto che l’accusa di amare qualcuno è insensata, e confessa: «Quando vi guardo, tutto ciò che vedo è il fantasma di mio padre». Koros chiede aiuto a Zauser. Zauser si sveglia finalmente dal suo stato ca-

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tatonico, trova Koros ferita e aggredisce Banjō. Di fronte alla straordinaria resistenza fisica dell’eroe, Zauser gli domanda se è un meganoide. Banjō gli rivela la propria identità, e Zauser scopre così che quel ragazzo è il figlio di Sōzō Haran. «Banjō era un bambino», dice Zauser, «che cosa ho fatto finora?» «Sei stato manovrato da Koros come un burattino». «Ora capisco», fa Zauser, e conclude con l’unica cosa che davvero gli interessa, «sei stato tu ad arrecare tutto quel dolore a Koros». Una risposta del genere è umana o meganoide? E che differenza c’è? Cos’è l’amore e cosa ne sa Banjō? Zauser si fida di Koros, non gliene importa niente di quanto ha dormito o di come Banjō interpreti la loro relazione. Tutto ciò per Zauser non significa nulla a fronte dell’unica cosa rilevante: Banjō ha fatto soffrire Koros. Banjō sale sul Daitarn e Zauser diventa immenso, Daitarn se la vede brutta e nel momento peggiore del combattimento Banjō sente la voce di suo padre parlargli dello spirito umano, ma reagisce male, non la vuole quella voce nella testa, dice ce la farà da solo. E scatena l’attacco solare – specularmente – nella parte bassa della fronte di Zauser, nel luogo della concentrazione e dello spirito, cancellando così, per l’ultima volta, ciò che non può ammettere che esista. Infine, di fronte al cadavere di Koros – o forse a Koros moribonda – Banjō riesce a fermarsi. Se Banjō sia o no un meganoide, se Don Zauser sia Sōzō Haran, se Koros davvero interpretasse la voce di Zauser, l’anime si chiude senza chiarirlo. La guerra sotto le insegne della luna era terrificante, ma ne nasceva la speranza. La guerra sotto le insegne del sole è una divertente sequela di party, ma finisce malissimo. Kappei, ammutolito, aveva ascoltato il discorso gaizok. Banjō piomba su Marte e non ascolta niente, tutto ciò che dice esprime odio e ripugnanza, spara a Koros e poi uccide un vecchio cyborg appena uscito dal coma, alienato in un mondo suo, di cui fa parte solo la donna che ama e che si è presa cura del suo sonno fino a quel momento. Nell’ultimo episodio, prima dell’arrivo di Banjō, Koros e Zauser appaiono isolati e fragili, due falliti a cui rimarrebbe soltanto l’amore su un pianeta triste e invivibile o l’esilio nello spazio extraterrestre, due malinconici che si trasmettono una reciproca fedeltà e un dolore le cui dimensioni non possono che sfuggire completamente al Banjō che lo spettatore ha imparato a conoscere. Banjō nel suo abisso ci rimane, da solo, e mai un eroe super-robotico era uscito così male dal suo finale.

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12.7 Androidi, cyborg, cloni: l’imitazione e lo specchio L’umanoide artificiale nell’animazione giapponese è protagonista di uno specifico filone narrativo nel quale, mediante l’immedesimazione, si propone allo spettatore un’interrogazione sui confini tra umano e inumano che passi dall’empatia. Nell’anime super-robotico le cose vanno diversamente: l’umanoide artificiale è una figura terza, ed è funzionale a una dimensione della paranoia connessa anche alla biopolitica dell’abisso. Qui, diversamente dal gigante di metallo, l’umanoide tecnico – che sia un androide integrale, un cyborg, o anche un clone integralmente biologico – gode di uno status tutt’altro che divino, anzi meno che umano. Per la maggior parte dei personaggi che popolano gli anime di super robot, spesso per i protagonisti stessi, l’umanoide tecnico non è una persona. Non lo è moralmente, non ha un cuore umano. Però nemmeno il super robot ha un cuore umano, e non ce l’hanno nemmeno i robottini che razzolano per le basi. Come mai questa differenza di trattamento? Probabilmente perché robottoni e robottini non possono essere confusi con gli umani. Qui sta il punto: l’umanoide tecnico è infido, a volte si sottolinea che potrebbe essere una spia, come se questa caratteristica fosse intrinseca alla sua natura, e teniamo conto che di solito, negli anime di super robot, le spie sono le persone mentalmente condizionate. Insomma, si parla comunque di gente che il suo segreto se lo porta dentro, dove non si può vedere. Diverso è quindi il discorso del mind uploading del professor Shiba di Jeeg o del dottor Ōrai di Godam: esseri spiritualizzati, e anzi veri e propri martiri, costretti dal loro compito a sopravvivere alla loro stessa vita. Ancora diverso è il caso di Kenzō Kabuto di Great Mazinger, il cui attributo di cyborg vale soprattutto a sottolinearne la durezza e l’appartenenza totale al mondo della tecnica. Ma appunto, i cyborg non-morti che incontriamo vivono una vita di clandestinità: Kenzō Kabuto è in incognito, è fuori dal consesso umano – per questo è il personaggio perfetto per impersonare il profeta nel mediometraggio Mazinger Z contro il Generale Oscuro – come fuori dal consesso umano è il Bryman di Daikengo, e ne è fuori persino il capitano Dan di Danguard, che ha subito la contaminazione tecnica paurosamente invasiva del condizionamento mentale. Il cyborg insomma è tollerato e può avere anche un ruolo di mediatore di mondi come Kabuto o Bryman, a patto di restarsene per l’appunto al confine tra i mondi, senza cercare di farsi passare per umano. Anzi: se accetta di starsene

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La coltivazione di un clone in Daltanious.

fuori, diventa quasi un angelo custode. Lo vediamo proprio con Dan e Bryman. In entrambi i casi, notiamo che si tratta di un familiare tornato dalla morte, vera o mentale, e che la sua esistenza è compromessa con la tecnica: Dan ha subito l’intervento di Doppler e porta la maschera che ne cancella la memoria, e Bryman è veramente morto nella sua vita precedente e ora è un cyborg. Questi tratti fanno di Bryman e Dan degli aiutanti quasi soprannaturali. Evidentemente la differenza la fa la trasparenza, la corrispondenza tra essere e apparire. È sospetto chi può essere confuso con ciò che non è, chi vuole confondersi tra gli altri. È sospetto ciò che si presenta per qualcos’altro. Ma non sembra tutto riducibile a una questione di sicurezza. L’idea che Tomino insinua in Daitarn 3 – che Banjō possa essere un meganoide – racconta qualcosa di più: è un dubbio che attecchisce perché chi segue Daitarn è coinvolto nel manicheismo esasperato che divide il mondo in umani portatori di valore in quanto umani e meganoidi portatori di disvalore in quanto artificiali. Ciò che aleggia, qui, è lo spettro della bambola. Sotto l’aspetto strettamente politico è in gioco il tema dei diritti e dello statuto ontologico delle emozioni

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provate dalle creature tecniche che popolano gli anime – da Kyashan a Motoko Kusanagi a Rei Ayanami – e che popoleranno il nostro futuro. Ma questo tema porta con sé, seppur celato, un altro aspetto, che riguarda la nostra psicologia: come proprio Ghost in the Shell ha lasciato comprendere molto bene, è in gioco anche il terrore che abbiamo noi umani di non essere altro che macchine biologiche, di essere determinati dalla nostra neurofisiologia, o di non provare sentimenti che abbiano anche un aspetto ideale e producano valore. Il terrore di Banjō e l’ambiguità della sua natura a ben guardare sono un’allegoria di questo problema. Infida imitazione dell’umano, l’umanoide artificiale ne rappresenta lo specchio, è il nostro incubo di essere macchine come i dinosauri di Getter erano l’incubo del nostro inconscio bestiale. E a ciò si lega anche il terrore dell’invasione mentale, tecnica o ideologica, messa in atto dalla terrificante biopolitica dell’abisso: è pur sempre il terrore di essere ridotti a cose, o che siano ridotti a cose gli altri, gli unici che possono testimoniare della nostra umanità. Il tema di Daltanious sarà precisamente il riconoscimento della propria e dell’altrui umanità, la capacità di attribuire una verità e un valore al proprio sentire, senza cadere nella paranoia di essere una macchina di carne e riuscendo addirittura a salvare dalla paranoia qualcun altro, considerandolo immediatamente responsabile delle sue azioni, vale a dire considerandolo un soggetto morale. È un tema fondamentale in un’animazione super-robotica nella quale Kappei di Zambot, Kazuya di Daimos e a modo suo Banjō di Daitarn hanno di nuovo posto al centro il soggetto, i suoi desideri e le sue motivazioni. Perché appurato che il conflitto è tra una morale inclusiva e una morale escludente, ci si domanderà cosa muove il soggetto-eroe all’azione, a quale legge interiore obbedisca per ritrovarsi dalla parte giusta della morale. Al centro tornerà il modo in cui noi tutti ci scegliamo e ci attribuiamo un’identità, un processo che coinvolge anche il riconoscimento della nostra umanità da parte degli altri, quando non siamo in grado di farlo da soli. Con Daltanious a lavorare sulla dimensione individuale saranno proprio i campioni del collettivismo super-robotico: Tadao Nagahama e Saburō Yatsude.

13 LE SOLUZIONI DELL’ABISSO Daltanious Titolo originale: Mirai Robo Darutaniasu / Mirai Robot Daltanias Sunrise - Toei Animation. 47 episodi. 21 marzo 1979 – 5 marzo 1980 Titolo italiano: Daltanious. Il robot del futuro

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el 1995 la Terra è occupata dagli alieni del pianeta Zaar. Gli zaariani (akron nell’adattamento italiano) fanno capo al comandante delle forze di invasione Kloppen, che indossa una maschera ed è accompagnato da una pantera nera robot. Kloppen rappresenta l’imperatore Dolmen (Ormen) di Zaar, che vediamo sempre e solo come un volto di pietra; ai suoi ordini Kloppen ha i generali Mizuka, Nesia, Prozar, Boider e Kabuto (Savada). In un Giappone ridotto in macerie e miseria, l’impulsivo Kento Tate, l’ombroso Danji Hīragi (Dani Hibari nell’adattamento italiano), la seria Sanae Shiratori, il robusto Tanosuke Hata, il geniale Manabu Karui, il monello Jirō Komaru e la

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piccola Ochame (Mita nell’adattamento italiano) formano una banda di orfani che sopravvive come può, anche rubando al mercato nero. Fuggendo da un gruppo di gente intenzionata a far loro la pelle per via di un furto, i ragazzi si imbattono in una grotta che conduce a una base segreta. Attivando per sbaglio dei comandi ottengono il doppio risultato di risvegliare il dottor Earl dal suo sonno e far emerge la base dal terreno, rendendola individuabile dal nemico: una torre di guardia zaariana si solleva e si trasforma in un gigantesco robot. A quel punto il dottor Earl costringe il sedicenne Kento e il diciassettenne Danji a salire rispettivamente sul robot Atlas (Antares) e sull’astronave Gumper per respingere l’attacco di Zaar. Incredibilmente, i ragazzi ci riescono. Nelle ore che seguono, gli alieni continuano ad attaccare. Earl sostiene che manchi ancora un elemento: il leone cibernetico Beralios, disperso. Ed ecco che durante un attacco zaariano in cui Kento se la vede davvero brutta, una strana energia emana dal corpo del ragazzo e proietta nel cielo una croce. Il fenomeno risveglia Beralios. Non solo il leone si dimostra di una potenza devastante, ma ora Atlas e Gumper possono unirsi al lui e formare il super robot Daltanious. Stante ciò che è successo, Earl comprende che Kento altri non è che l’erede della casa imperiale del pianeta Helios, ovvero il figlio del principe Harlin che lo stesso Earl, in seguito all’occupazione di Helios da parte degli zaariani, aveva salvato portandolo con sé sulla Terra insieme a Daltanious. I due heliani e il leone erano atterrati in Giappone nel 1945, in piena Seconda guerra mondiale, ed Earl aveva perso le tracce sia di Beralios sia di Harlin. In seguito si saprà che Harlin aveva vissuto da terrestre, con il nome di Hayato, e aveva poi lasciato la sua famiglia quando Kento aveva quattro anni; Hayato si era imbarcato come marinaio, con la speranza che girare il mondo lo avrebbe messo nelle condizioni di scoprire l’origine dei suoi inspiegabili ricordi; Kento era cresciuto con il nonno Kazuto. Superata la prima metà della serie, Harlin ricompare e contatta la base di Earl. Non è morto e non aveva abbandonato la famiglia: era stato catturato dagli zaariani. Ridotto ai lavori forzati sul pianeta Marios, è finalmente riuscito a fuggire e sta scappando verso la Terra con una navicella di schiavi ribelli. Purtroppo la navicella viene colpita dalle forze di Zaar ed esplode in mare: Kento ha potuto parlare con suo padre per pochi secondi, attraverso un monitor, e crede di averlo perso di nuovo e per sempre. Ma l’ultima immagine dell’episodio è quella di una capsula di salvataggio aperta sulla spiaggia. Gli eroi soccorrono uno degli schiavi fuggiti, Ramos, che prima di morire per le ferite riportate racconta a Kento la propria storia: dodici anni prima suo padre, un capitano di Helios, sapendo che Earl e Harlin si trovavano sulla Terra, aveva deciso di raggiungerli portando con sé tutta la famiglia. Giunti sul nostro pianeta, seguendo una croce di Helios apparsa nel cielo sul mare, gli alieni avevano trovato e salvato un giovane marinaio finito in balìa di una tempesta: era Hayato Tate, che di lì a poco avrebbe saputo da loro il suo vero nome, Harlin. Purtroppo l’astronave della famiglia di Ramos era stata poi catturata dagli zaariani e tutti loro, compreso Harlin, erano stati fatti schiavi e condotti su Marios, fino a che non erano riusciti a fuggire.

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Nel frattempo il conflitto continua e coinvolge diversi pianeti. I generali fedeli a Helios si danno appuntamento sulla Terra per incontrare Kento. Il ragazzo non è per nulla interessato al suo titolo regale, ma proprio davanti ai generali riuniti sulla Terra arriva il colpo di scena: Kloppen si presenta e leva la maschera, il suo volto è identico a quello di Harlin. Il comandante dichiara di essere il legittimo erede del trono di Helios, e sostiene che Harlin è un clone. Mentre i generali si dividono tra chi si dichiara neutrale e chi passa con Kloppen, tranne il valoroso Gascon (Kalinga nell’adattamento italiano), che però perderà la vita in battaglia, Kento continua a combattere come ha sempre fatto, e la possibilità di essere figlio di un clone non sembra turbarlo minimamente. È poco dopo la ricomparsa di Harlin che emerge la verità: è Kloppen il clone di Harlin. Kento di nuovo non mostra alcuna reazione. Chi va completamente in crisi è Kloppen, il quale non solo ora ha dubbi sulla propria umanità, ma è anche profondamente ferito dal fatto che Dolmen, che considera alla stregua di un padre, lo ha sempre ingannato e manipolato. Scosso dall’atteggiamento di Kento, che non gli fa sconti e continua a ritenerlo responsabile delle sue azioni come chiunque altro, e in collera con Dolmen, che vuole disfarsi di lui, Kloppen si ribella a Zaar e si unisce alla resistenza terrestre. Il comando delle forze di invasione passa a Nesia, ma Daltanious e Kloppen sbaragliano gli ultimi avamposti terrestri di Zaar. La Terra è liberata, e la base vo-

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lante di Earl decolla per l’attacco al cuore dell’impero mentre da diversi pianeti arrivano notizie di ribellioni agli invasori. Malauguratamente, durante il viaggio, alcuni alieni chiedono di conferire con Harlin, ma è una trappola e Harlin rimane gravemente ferito. Anche Kloppen è nello spazio con la sua nave, affronta il generale Kabuto ma esce dalla battaglia in pessime condizioni: trasportato sulla base di Earl, condannato a morte dalle ferite riportate, sceglierà di donare i suoi organi a Harlin, che grazie a lui si riprenderà completamente. Gli eroi fanno tappa su Helios, e poi si lanciano all’attacco di Zaar, dove Daltanious affronta Dolmen in persona, e dove gli eroi scoprono un’amara verità: Dolmen ha il volto dell’imperatore Parumion (Nishimura nell’adattamento italiano), il padre di Harlin. Ma colpito dalla luce dei due soli di Zaar, il viso dell’uomo cambia improvvisamente, si deforma, impallidisce. Dolmen è il clone di Parumion. L’imperatore di Zaar racconta allora la terribile storia dei cloni. Allevati su ordine della famiglia imperiale di Helios, uno per regnante, i cloni venivano tenuti reclusi e, in caso di emergenza, usati come sosia o come serbatoi di organi. Quella di Dolmen nei confronti di Helios è stata dunque una vendetta, dopo secoli di soprusi da parte dell’impero. A bordo del suo robot, il clone imperiale sfida Daltanious, che sta per essere sconfitto: Dolmen lo sta trascinando verso i due soli. Kento, però, su indicazione di Earl, usa il rilascio di energia iperspaziale. Daltanious trionfa e Dolmen soccombe dopo aver lanciato il suo anatema: finché vi saranno cloni non ci sarà pace. La guerra è finita ma i volti di Kento e Danji raccontano di una vittoria nella quale si è insinuata l’inquietudine. È ora di puntare su Helios, dove Harlin deve proclamare l’impero. Poco prima della cerimonia, però, Harlin confessa a Kento che non ne ha proprio intenzione: basta con il dominio dell’essere umano sull’essere umano, è ora di fondare una repubblica intergalattica. Kento esulta. Earl quasi sviene, ma alla fine se ne farà una ragione.

13.1 Il soggetto Kento Dopo che Yoshiyuki Tomino ha smontato il super robot pezzo per pezzo, Tadao Nagahama e Saburō Yatsude, nel 1979, al super robot erigono un monumento; e lo fanno riprendendo tutti gli stilemi della cosmogonia del 1976 e portandoli a un livello di pulizia e di profondità narrativa senza precedenti: c’è l’orfano alieno, che è un principe, c’è la catastrofe-già-avvenuta, c’è il super robot donato dall’abisso, c’è un padre abissale, c’è l’impero solare, c’è il cattivo tombale. C’è tutto. Ma Daltanious usa la cosmogonia dualistica come mai era stato fatto: gonfia per tutta la serie la contrapposizione tra alieni aggressori e alieni aggrediti, insegue queste due piste fino al fondo nell’abisso, e una

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volta che arriva laggiù incrocia le rette parallele e annienta la verità dell’intera struttura, lasciando risplendere l’unica cosa che è sempre stata reale: l’integrità morale di Kento. Questo schema si ripete parallelamente nella dimensione storico-politica: in Daltanious i caratteri del male e del bene vengono inizialmente sovrapposti a caratteri nazionali, su un impianto alla Mazinger Z – l’impero del sole contro un colonnello dal nome tedesco –, ma solo per scombinarne via via i confini e non risparmiare nessuno: gli zaariani sono una forza occupante come gli statunitensi del periodo immediatamente post-bellico; il colonnello tedesco forse è l’imperatore del sole; l’impero del sole praticava lo sfruttamento dei cloni. Con tutto ciò Kento non si compromette mai: rivendica la sua indocilità rispetto all’occupazione, si autodefinisce anche mediante il conflitto con Kloppen, si dichiara estraneo all’impero pur essendone l’erede. Chi sia Kento e come si definisca rispetto ai due ordini imperiali paralleli del suo abisso è il nodo di Daltanious. Dall’inizio alla fine della serie, Kento non è minimamente interessato – per non dire che è proprio ostile – all’impero di Helios e al proprio statuto di principe: combatte sul Daltanious esclusivamente per respingere l’invasione della Terra, al massimo per forzare Zaar ad abbandonare la sua politica coloniale. La sua azione consiste esclusivamente in una pars destruens: Kento è un soggetto che si spoglia delle definizioni di Helios e che toglie di mezzo Zaar. Nell’episodio 33, quando i generali rimasti fedeli a Helios si recano sulla Terra a manifestargli la propria fedeltà, Kento esprime la sua considerazione per le faccende imperiali presentandosi in mutande. Ma è qui che succede qualcosa di ancora più estremo. Kento non è solo un soggetto che si spoglia dei suoi titoli per affermarsi in quanto soggetto: è anche un soggetto che viene ulteriormente spogliato della sua umanità dal nemico, che tenta così di trasformarlo in un oggetto. Accade proprio nell’episodio 33, quando Kloppen si presenta davanti a Kento e ai generali e si toglie la maschera mostrando un volto identico a quello di Harlin, il padre di Kento; Kloppen sostiene di essere il vero principe di Helios, e afferma che Harlin non è nient’altro che un clone. Kento è dunque il figlio di un clone, il che, contestualizzato nella generale ideologia dell’anime super-robotico, equivale a una catastrofe: l’eroe perde l’appoggio dei generali, vede Earl andare in crisi, e persino il suo amico del mercato nero rimane un po’ basito. In un istante viene degradato socialmente a subumano: è sotto lo zero, è il residuo dell’attività sessuale di un clone. Eppure, così come non si era lasciato definire dal titolo regale, Kento non si lascia definire dalla sua condizione di figlio di un clone: la ignora completa-

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Kento Tate.

mente, non fa una piega; non solo non dà importanza al fatto di essere figlio di un clone, ma, a osservarlo bene, pare gli interessi poco anche sapere se è vero o no che è figlio di un clone. Pressoché tutti in Daltanious sembrano convinti del fatto che un clone sia un’imitazione, una creatura di poco valore: vengono mostrati cloni prodotti in serie, si mette in dubbio che abbiano sentimenti reali. Ma perché mai una creatura biologica identica a un essere umano non dovrebbe essere un essere umano? È buffo, e Kento si rende perfettamente conto che è un non-sense. Tuttavia non va sottovalutato: se improvvisamente scoprissimo di essere venuti al mondo con un procedimento artificiale e le persone che ci circondano iniziassero a ragionare così, potremmo finire con il domandarci se ciò che abbiamo sempre creduto essere amore (o odio, o solitudine, o gioia, o nostalgia) sia davvero la stessa cosa che gli altri chiamano con lo stesso nome. Per Kento un problema del genere non si pone nemmeno: si fida di ciò che sente, e invece che definire il valore di quello che sente in base a un concetto astratto di umano, definisce il concetto di umano sulla base di ciò che sente.

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13.2 Il cuore e la spada Consideriamo i diversi modi in cui gli altri personaggi legati a Helios reagiscono alla dichiarazione di Kloppen. Tra i generali, alcuni si alleano con Kloppen, altri se ne vanno per indegnità di entrambe le parti in causa. Solo il generale Gascon, già amico di Kento, ha le idee molto chiare: Kloppen è un agente di Zaar, e il fatto che possa essere il principe di Helios aggrava ulteriormente la situazione, dal momento che un uomo del genere rischia di governare un impero. Ma che succede al dottor Earl? Earl va in crisi, e quando Kloppen lo accusa di tradimento, lui si sente un traditore e addirittura spegne la base. Ma traditore di cosa? Fino a quel momento ha combattuto una guerra di liberazione contro un oppressore: è dalla parte giusta per principio. E invece no, lui ha giurato fedeltà all’impero, il che lo infila dritto in un paradosso: la sua morale coincide con l’obbedienza a ciò che viene stabilito arbitrariamente dall’imperatore di turno; in questa condizione il soggetto rinuncia alla propria autonomia morale, rinuncia cioè a lasciarsi guidare direttamente da concetti o sentimenti di giusto e ingiusto; cosa sia giusto lo stabilisce per lui un’autorità, autorità che è precisamente quella sovrastruttura che Kento ha rifiutato sin dall’inizio. Al picco della sua crisi, Earl si eclissa nella sua stanza. Sanae, saggia amica di Kento, lo convince a seguirla dentro un ex-ospedale dove trovano rifugio alcuni bimbi vittime della guerra che la stessa Sanae, Kento e la gang degli orfani vanno a trovare nei momenti liberi. Quando Earl compare, i bimbi lo acclamano: lo adorano, lo chiamano il dottore della base spaziale; uno di loro, Masabo, gli regala un modellino di Daltanious fatto da lui. Perché Sanae si comporta così? Non potrebbe limitarsi a mostrare a Earl le conseguenze dell’invasione, invece che farlo interagire con i bambini? No. La crisi concettuale di Earl rischia di isolarlo in un universo astratto. Quello che lo scienziato deve fare è scambiare affetto con le persone che difende, perché l’idea di fondo di Daltanious è che sia proprio la rete di affetti a permettere alle persone di sviluppare un senso di giustizia autonomo che determina il soggetto all’azione. Coloro che si schierano dalla parte sbagliata, in Daltanious, sono le persone sole: solo è il povero burattino Kloppen, convinto che l’amore coincida con gli ordini che riceve da una faccia di pietra sin da quando era bambino, e che infine si ritrova abbandonato dai suoi soltanto perché si scopre che è un clone; e solo è lo stesso Dolmen, che nelle sue premesse non avrebbe nemmeno torto, ma che vive alienato dalla sua condizione reietta e solitaria, chiuso dietro la sua

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maschera tombale. In Kento dimensione affettiva e senso di giustizia si alimentano a vicenda: la difesa degli affetti è il motivo dell’azione per la giustizia, e chi si volge alla giustizia entra nella rete di affetti di Kento, come accadrà allo stesso Kloppen.

13.3 Non venga il tuo regno La questione originale-clone che interessa Kloppen e Harlin è una sorta di quiz che si innesta sulla stranissima condizione filiale di Kento: Harlin è di gran lunga più estraneo a Kento di quanto non lo sia Kloppen. La presenza di Harlin nella vita di Kento è astratta, come è astratto l’ordine imperiale che Kento deliberatamente ignora. Kento è certamente in più stretto rapporto – sebbene conflittuale – con Kloppen, che è il vero altro di Kento, il suo avversario, colui con il quale il ragazzo si confronta raffinando la definizione di sé. Specularmente, Kloppen riesce a dare un’autonoma definizione di sé grazie a Kento. Quando Kloppen scopre di essere il clone, e scopre che Dolmen lo ha sempre saputo e da sempre lo manipola, va in crisi. Eppure proprio la crisi gli regala un’intuizione: prima di tutto si domanda perché Kento non abbia mai fatto una piega malgrado fosse consapevole di poter essere un clone; in seguito, quando Kento lo accusa dei suoi crimini, Kloppen si rende conto di essere considerato un uomo. Per Kento è ovviamente normale: un soggetto che agisce è moralmente responsabile. Per Kloppen è incredibile che lo si consideri uomo, perché il suo problema è esterno, è l’essere l’originale o l’imitazione. È interessante, perché è evidente che, a differenza di Kento, Kloppen non ha parametri interiori per giudicare dell’umanità o inumanità del proprio stato. Ed è anche comprensibile per uno che da quando era bimbo è stato costretto a vivere con una maschera integrale, accudito da una faccia di pietra che lo ha ingannato sulla sua natura, allevandolo per farne carne da trono o da macello. Quello che Dolmen gli ha dato di sicuro non era amore, ma si può stare certi che lo chiamasse proprio così, il che può aver generato nel piccolo Kloppen qualche contraddizione tra il percepito e il dichiarato. Certamente, nel momento in cui scopre di essere un clone, non si può pretendere che, per definirsi umano, si affidi a quello che sente. Così continua a rimanere avvitato sulla domanda: un clone è un uomo vero o no? Paradossalmente sembra che Kloppen si decida proprio a partire da questa totale impossibilità di decidersi. Mentre Dolmen continua a manipo-

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Da sinistra: Danji Hīragi e Kento Tate.

larlo con ricatti e promesse di riconoscimento sempre più al ribasso, Kloppen inizia a domandarsi perché sia poi così importante la differenza tra un clone e un uomo vero. Quando infine scopre che Dolmen ha intenzione di eliminarlo in ogni caso, il suo mondo crolla definitivamente, ma in quello stesso istante forse si sente libero per la prima volta, e prende in mano il proprio destino. Dal canto loro Kento e i suoi accettano la sua collaborazione, secondo quello spirito di inclusione dell’anime super-robotico che viene particolarmente esaltato in Daltanious. Alla fine Kloppen giunge allo stesso risultato di Kento passando dalla parte opposta: Kento si è sempre fidato di essere un uomo perché il suo parametro è solo interiore, mentre Kloppen, che non ha parametri interiori saldi, scopre che non può fare altro che fidarsi dell’ipotesi di essere un uomo. Per questa sua conquista, non smetterà di ringraziare Kento: Kento ha educato Kloppen alla libertà. Più equivoco è il personaggio di Harlin. È certamente un uomo saggio e per bene, sfortunato e combattivo. A livello simbolico, però, è significativo che compia i suoi gesti più eroici quando è uno schiavo fuggitivo – mette in salvo un suo giovane aiutante rischiando la propria vita – e quando è creduto un clone – offre la vita in cambio di quella dei familiari di alcuni disertori dell’esercito di Zaar –, scampandola comunque in entrambi i casi; le cose vanno diversamente quando è un principe nel pieno esercizio delle sue funzioni: gli eroi sono appena partiti per l’irruzione nell’abisso e ad Harlin si presenta l’occasione di ottemperare ai suoi doveri d’etichetta, cosa che non esita a fare con una certa solennità – rimediando anche una battuta di Kento –, ed ecco che in quel frangente cade in una trappola e finisce in coma.

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Quanto al suo rapporto con Kento, le cose non partono benissimo: nell’episodio 31 Harlin arriva dallo spazio, parla con Kento per la prima volta e poi subito, apparentemente, muore; a fine puntata Kento, tra sé e sé, pensa che sarebbe adeguato piangere, certamente, ma riconosce che non gli viene e non se ne fa un cruccio: quest’uomo che è morto lui non lo conosce, e non è che all’improvviso possa volergli bene. Il giorno dopo, al funerale, a Kento si addormenteranno i piedi per via della posizione da tenere durante la liturgia, e il ragazzo darà spettacolo con una delle sue scenette indegne. I sentimenti di Kento cambieranno quando saprà poi che suo padre non lo ha abbandonato, bensì è stato condotto su Marios come schiavo. La figura di Harlin ne esce certo riabilitata, ma quello tra lui e Kento rimarrà un rapporto difficile e in un certo senso artificiale. È visibilissimo lo sforzo costante di Kento di costruirsi un’ammirazione per suo padre – ammirazione che sarebbe anche motivata, ma che va a coprire il vuoto lasciato da un rapporto affettivo che la vita ha reso impossibile, e Danji, che ha compreso perfettamente la situazione, non manca di fare implicitamente da sponda all’amico in questa impresa di costruzione della mitologia paterna –, ma è altrettanto visibile l’ingombrante muro di anaffettività e disattenzione che separa Harlin dal resto del mondo, e l’ultimo a potersene accorgere è lo stesso Harlin. Del resto, a guardarlo bene, Harlin è un uomo chiuso in un universo autoreferenziale, anche con qualche tratto di narcisismo; è un uomo che dodici anni prima si era imbarcato come marinaio alla ricerca delle proprie origini, ossessionato dagli strani e incredibili ricordi della sua infanzia, e che ora è completamente preso dalla sua impresa galattica. Non è colpa sua: è stato perso, adottato, perso di nuovo, ritrovato, investito dal suo abisso, caricato di responsabilità, schiavizzato; è un uomo da sempre stordito dalle sue visioni. Però tutta la comprensione del mondo non cambia il risultato. Il confronto naturale con quel gigante che era il Kentarō di Voltes è impietoso. Dal suo coma Harlin riesce a salvarsi grazie all’offerta del morente Kloppen, che si fa espiantare gli organi. E qui succede una cosa stranissima. Quando gli eroi fanno tappa su Helios e si apprestano a partire per l’ultimo attacco a Zaar, Kento, Danji ed Earl conferiscono con i generali convenuti su Helios. Ai generali Kento si rivolge parlando di suo padre con solennità, poi tace, e pensa a Kloppen: Harlin è relegato all’esterno, l’interlocutore interiore di Kento è Kloppen. Sarà con gli organi di Kloppen dentro al suo corpo che Harlin dichiarerà decaduto il tempo dell’impero, in favore di una repubblica intergalattica.

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13.4 L’impero e l’ombra L’esplorazione dell’abisso in Daltanious coincide con una discesa di Kento lungo una sorta di scala patriarcale-ombra: prima affronta il doppio di suo padre, poi il doppio di suo nonno. L’impero-ombra, nella maschera funeraria di Dolmen, ha il carattere di passato tombale che ritorna. Al termine della discesa di Kento, scopriamo che l’impero legittimo ha il carattere di tecnopotere – la biopolitica dei cloni – sostenuto dalla retorica che degrada i detentori dei corpi clonati a esseri inferiori e immeritevoli: tecnopotere e retorica erano i caratteri dell’ordine gaizok di Zambot. La relazione tra questi due elementi dell’abisso è strana. Come concetti sono ben separati: il tecnopotere è precedente, e ha generato l’impero-ombra, che ha assunto coerentemente la forma del passato tombale, il passato che torna ripetutamente per inchiodare, perché è esso stesso inchiodato, oggettivato dalla tecnica che lo ha manipolato. Ma dal punto di vista psicologico, passato abissale e tecnopotere tendono a sovrapporsi in una specie di vertice unitario al fondo dell’abisso. Se scendiamo insieme a Kento ce ne rendiamo conto perfettamente. Per quanto riguarda la scala dell’impero-ombra, Kloppen può redimersi, mentre Dolmen annega e infine si perde nel suo irriducibile risentimento; questo perché Kloppen ha avuto modo di confrontarsi con Kento, mentre Dolmen si è rinchiuso dietro la sua maschera funeraria, rimanendo immobile e simbolicamente morto da sempre. Ma qualcosa di analogo accade anche lungo la scala dell’impero legittimo. Primo: Harlin nel corso della storia viene recuperato nel ruolo di padre di Kento; invece Parumion, di cui Dolmen è il clone, non è il nonno di Kento: quella nicchia affettiva e simbolica è già occupata da Kazuto, il padre adottivo, terrestre, di Harlin con cui Kento è cresciuto, un uomo che nei ricordi affettuosi di Kento appare degno, pulito e genuino. Secondo: Harlin è recuperabile perché non era consapevole della pratica della clonazione, e in un certo senso la sua ignoranza è analoga a quella di Kloppen sulla propria condizione. Parumion, invece, della pratica della clonazione era consapevole eccome, avendo fatto clonare Harlin. Così come consapevole ne era Dolmen in rapporto a Kloppen. In conclusione Parumion è altro rispetto a Kento quanto lo è Dolmen, e al fondo della scala patriarcale le due figure si confondono: in un certo senso Dolmen è Parumion: non solo il clone risentito Dolmen è ora l’imperatore che usa il clone manipolato Kloppen come pedina – quindi è davvero iden-

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tico al suo doppio naturale – ma soprattutto, un compromesso tra Kento e il rancoroso Dolmen non è possibile proprio perché non sarebbe stato possibile un compromesso tra Kento e il suo nonno biologico Parumion. Ciò che salva Kento dalla disfatta personale non è semplicemente l’aver combattuto Zaar: è soprattutto il non essersi mai compromesso psicologicamente con l’impero e il non aver mai accettato il titolo di principe. Ma per quanto le figure di Dolmen e Parumion tendano a sovrapporsi, resta il fatto che concettualmente è Parumion che assorbe Dolmen: è l’impero di Helios che assorbe l’impero-ombra e si pone come vertice dell’abisso, perché la cosmogonia di Daltanious ha finto di essere dualistica per tutta la serie, e invece è monistica. Il dualismo è nato a posteriori dalla rivolta di un elemento contro il principio, ma c’era un principio unico, ed è la biopolitica dei cloni, il tecnopotere, la riduzione dei soggetti a oggetti, anzi, la creazione di soggetti con lo statuto di oggetti. Il passato tombale ne è solo il prodotto. Nagahama stabilisce dunque una gerarchia filosofica con un incremento dell’abisso posto al limite estremo, ma che ricorda quello di Jeeg: dalla pietra alla tecnica. Come aveva fatto Tomino in Zambot, contro il tecnopotere Nagahama schiera l’unico eroe possibile: un soggetto che non si lascia ridurre a oggetto. Ma c’è una differenza fondamentale tra Kappei e Kento. Kappei si opponeva alla blindatissima ideologia gaizok evolvendosi, sconfiggendo di volta in volta il gaizok interiore che ognuno di noi cova. In altri termini, si liberava gradualmente del suo passato ideologico: Zambot era ancora un’opera legata ai traumi del Novecento. Kento non si evolve, Kento non cambia mai, resta lo stesso dall’inizio alla fine, è uno che vive in modo talmente immediato il rapporto con se stesso e con il resto del mondo da essere impermeabile a qualsiasi retorica. Kappei appariva molto provato e sofferente di fronte alle retoriche che gli piovevano addosso, il suo era un vero combattimento, reso ancor più faticoso dal fatto che chiaramente il ragazzino non aveva i mezzi dialettici per controbattere. Kento, quando gli dicono che è figlio di un clone, va al mercato a vendere le cipolle. Nella sua esuberanza completamente libera, Kento detta le regole della definizione del sé alla componente dell’abisso con cui è in conflitto diretto, Kloppen, fornendole il modello cui rifarsi per trovare la propria identità e mostrandole come abbandonare la gabbia in cui era stata rinchiusa dal passato tombale di Dolmen. Realizzando il decremento dell’abisso più potente della storia dell’animazione super-robotica, Kento rovescia le parti: più che essere lui destinato a fare i conti con il passato, è il passato che è destinato a fare i

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conti con lui. Kento è l’eroe finale dell’anime super-robotico, il suo ultimo stadio evolutivo: un orfano libero da ogni implicazione con il passato storicopolitico, impermeabile da subito sia all’ideologia imperiale sia allo stigma della clonazione, un eroe che può salvare gli altri perché non ha bisogno di essere salvato, e che sa sganciare il suo mondo dal passato dell’occupazione perché lui, Danji e gli altri orfani del mercato nero erano il futuro già da prima che questa storia cominciasse. Tadao Nagahama muore il 14 gennaio del 1980, a quarantatré anni.

Baldios Titolo originale: Uchū Senshi Barudiosu / Uchū Senshi Baldios Ashi Productions. 39 episodi in programma, 34 prodotti. 30 giugno 1980 - 25 gennaio 198132 Titolo italiano: Baldios

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a popolazione di s-1, il primo pianeta del sistema di Saul, è ormai costretta a vivere nel sottosuolo a causa delle radiazioni che hanno devastato il pianeta. La società di s-1 è consumata dalla lotta politica tra scienziati e militari: i primi, guidati dal dottor Reigan, sostengono di avere mezzi e cognizioni per sanare il pianeta, i secondi, guidati dal comandante Theo Gattler, intendono lasciare s-1 e colonizzarne un altro. In sede di consiglio, il dottor Reigan dichiara che gli bastano altri sei mesi per portare a termine il depuratore, ma l’imperatore, persuaso da Gattler, concede un impossibile ultimatum di cinque giorni.

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Nel frattempo, fuori dalla sala delle riunioni, si verifica una rissa tra Marin Reigan, il figlio ventenne dello scienziato, e Miran, un ufficiale di Gattler, fratello della comandante delle guardie Rosa Afrodia. Afrodia interviene a calmare il fratello e senza farsi vedere raccoglie il pass di Marin caduto sul pavimento. La ragazza si consulta con Gattler e gli propone il suo piano. Gattler si dice d’accordo e la invita a metterlo in atto: Afrodia uccide l’imperatore e lascia nella sua stanza il pass di Marin. Gattler ha buon gioco e scarica la colpa sugli scienziati. Il dottor Reigan è riuscito nell’incredibile impresa di portare a termine il depuratore quando i militari di Gattler invadono il laboratorio. Nella rappresaglia l’assistente del dottor Reigan viene ucciso proprio da Miran, e Marin a sua volta uccide Miran. Sopraggiunge Afrodia, che trova il fratello morto. La donna sta per sparare a Marin quando un crollo distrugge il laboratorio. Durante la fuga, il dottor Reigan, già ferito, viene colpito dal raggio di un soldato, ma prima di morire mette in salvo Marin nell’hangar della navetta Pulser Burn. Gattler proclama la dittatura, la sua, e spinge gli abitanti di s-1 sulla nave Algor (Argos in Italia), all’interno della quale saranno ibernati mentre l’esercito conquisterà un nuovo pianeta; infine affida ad Afrodia la direzione dell’esercito di s-1, lo squadrone Aldebaran. La nave Algor è decollata e sta per eseguire il salto nel subspazio quando sui monitor compare il Pulser Burn e Afrodia si lancia all’inseguimento di Marin. La Algor esegue il salto subspaziale e le navette di Marin e Afrodia, che stanno per scontrarsi, vengono risucchiate nel salto della nave-madre: tutti i contendenti di s-1 si ritrovano così nel nostro sistema solare, anno terrestre 2100. Gattler individua l’ovvio sostituto di s-1 e apre le ostilità attaccando basi terrestri nel sistema solare. Marin, invece, naufraga sulla Luna e viene trovato dai Blue Fixer, una squadra di autodifesa terrestre che fa capo alla base della dottoressa Ella Quinstein e del comandante Takeshi Tsukikage. Gli altri ragazzi della squadra sono la fisica Jamie Hoshino, Oliver Jack, un combattente statunitense dal retroterra sottoproletario e di forte fede cristiana, e l’atleta marziale Raita Hokuto, originario della colonia lunare Little Japan, unico superstite di un disastro spaziale avvenuto quando era un neonato. Sospettato di spionaggio, Marin viene imprigionato, ma Jamie e Quinstein vogliono dargli fiducia. Con qualche perplessità, soprattutto di Oliver e Raita, Marin viene reclutato nei Blue Fixer soprattutto perché sa pilotare il Pulser Burn, indispensabile contro Aldebaran. L’esercito di Gattler infatti mette a dura prova le difese terrestri: la tecnologia subspaziale di s-1 permette di comparire all’improvviso senza poter essere rilevati in anticipo, e la stessa nave-madre Algor resta permanentemente nel subspazio. Per ovviare al problema la dottoressa Quinstein studia la tecnologia del Pulser Burn e progetta il New Pulser Burn, in grado di unirsi con il Baldy Prize di Oliver e il Cater Ranger di Raita per formare un robot che possa viaggiare nel subspazio, Baldios. Sarà Marin a pilotarlo, per le evidenti capacità che anche gli altri due saranno costretti a riconoscergli. Tuttavia su Marin continueranno a gravare sospetti per buona parte della serie, e ogni occasione sarà buona per dubitare di lui.

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Rosa Afrodia e Marin Reigan. Mentre la storia prosegue si fa sempre più evidente che lo scontro sta diventando una questione personale tra Marin e Afrodia. I due giovani provano evidentemente qualcosa l’uno per l’altra, e hanno anche occasione di passare del tempo insieme, ma sono separati da schieramenti, dal desiderio di regolare i conti e non ultimo dal carisma che Gattler esercita su Afrodia, la quale però ignora che fu proprio Gattler, prima di adottare lei e Miran, a uccidere i loro genitori, suoi avversari politici. Durante la serie un ufficiale di s-1 propone a Marin di salire sulla Algor per parlare con Gattler e passare con Aldebaran. L’eroe ne approfitta, si introduce nella nave nemica e finge un accordo. Intanto, in seguito a un’apparente vittoria, Gattler presume di essersi liberato dei Blue Fixer e dà ad Afrodia l’ordine di entrare nella stanza di Marin e ucciderlo. È in questo frangente che l’eroe riesce a liberarsi e a danneggiare la Algor, ma una volta che tenta di uccidere Gattler, è Afrodia a mettersi in mezzo, e tutto ciò che il ragazzo può fare è fuggire dalla nave. Non sarà l’ultimo faccia a faccia tra Marin e Afrodia. La guerra è logorante e clamorosamente catastrofica: avviandoci al finale di serie assistiamo allo spostamento e all’esplosione di Ganimede, allo scontro e alla relativa distruzione di Mercurio e Venere; Gattler sterilizza i terreni agricoli degli usa per affamare la Terra, i terrestri si ribellano al razionamento di cibo e l’esercito spara sulla folla; sull’Algor sale l’esasperazione per una guerra che sta esaurendo l’energia della nave, ormai si fa il conto alla rovescia su quanto tempo sarà ancora possibile resistere, e l’insofferenza per Afrodia sembra il sentimento più condiviso.

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Gattler perde di vista ogni finalità razionale. Considera di fare uso di armi nucleari, e davanti alle rimostranze di Afrodia, la invita a farsi da parte. Dice che Marin l’ha cambiata, che una donna non è fatta per la guerra. Il dittatore infine decide per un delirante attacco risolutivo: sciogliere i ghiacci polari. Il cataclisma che ne segue sconvolge la conformazione del pianeta e uccide più di tre miliardi di persone. La storia trasmessa in televisione finisce qui, con l’episodio 32. Il 33 e il 34 vennero realizzati e non trasmessi, ma furono resi disponibili successivamente, nelle versioni home video della serie: nel 33, assistiamo alla catastrofica alluvione globale assieme a Gattler, il quale si rende improvvisamente conto di come la nuova topografia continentale terrestre somigli tantissimo a quella di s-1; nel 34, Quinstein appare piuttosto convinta dell’ipotesi di un viaggio a ritroso nel tempo da parte di Marin e della Algor. Mentre l’ennesimo attacco di Aldebaran rischia di provocare un incidente nucleare, il Baldios pilotato da Tsukikage risolve la situazione, ma il gruppo perde il comandante, che si schianta con la navetta MiniPulser Burn contro la Spirit di Gattler. Il dittatore invece ne esce ostinatamente vivo.33

Marin Reigan.

13 – Le soluzioni dell'abisso Titolo originale: Gekijōban Uchū Senshi Barudiosu / Gekijōban Uchū Senshi Baldios Toei Animation. Film conclusivo. 117’. 19 dicembre 1981 Titolo italiano: Baldios. Il film

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l film ripercorre gli eventi della serie con qualche variazione, prima tra tutte: è Miran a uccidere il dottor Reigan. Sparisce il consenso tributato dalla folla a Gattler: scompaiono i saluti romani e le bandiere nere, la gente si limita ad assistere, immobile, alla proclamazione della dittatura. La Algor è già partita quando il Pulser Burn attraversa il varco temporale che lo scaraventa sulla Luna nel 2100. Nell’episodio di Marin sull’Algor, Afrodia decide di andare a eliminare l’eroe senza l’autorizzazione di Gattler, e Marin, dopo aver tentato inutilmente di uccidere il dittatore, scappa con Afrodia come ostaggio, portandola sulla Terra. Colpiti dagli inseguitori, Marin e Afrodia finiscono in mare. Li ritroviamo su un promontorio, su una banchina di cemento dominata da un faro. Afrodia è svenuta, e da un suo sogno comprendiamo che la sua vita è stata segnata dalla sopraffazione da parte di Gattler, quanto meno psicologica, ma le immagini lasciano adito anche ad altre interpretazioni. Ciò che appare chiaro è che il loro rapporto ha o ha avuto anche una componente fisica, e che la ragazza appare psicologicamente soggiogata dalla figura del dittatore. Quando Afrodia si risveglia davanti al mare inizia a intuire che la Terra è s-1. Che la Terra sia s-1 lo sta pensando anche Gattler. Condotta da Marin alla base Blue Fixer, Afrodia rischia il linciaggio. La salva la dottoressa Quinstein intenzionata a farsi dare informazioni preziose sottoponendola a una scansione encefalica. Afrodia viene poi lasciata riposare, ma, trovandosi sola con un’infermiera, riesce a fuggire dalla stanza. Nel frattempo la dottoressa Quinstein considera i dati sui sistemi solari di Terra ed s-1: a causa delle variazioni orbitali causate dalla guerra, Venere e Mercurio entreranno in collisione, e la Terra restringerà la sua ellisse. Inoltre le topografie di Terra ed s-1 sono diventate identiche in seguito alle inondazioni; l’unica differenza tra la Terra ed s-1 è la contaminazione radioattiva. Insomma, è piuttosto plausibile che gli abitanti di s-1 abbiano viaggiato indietro nel tempo. Afrodia, inseguita mentre tenta di lasciare la base, si fa scudo con Jamie, ma Marin ottiene di aver salvo l’ostaggio in cambio di un regolare duello tra lui e la comandante di Aldebaran. I due si sfidano su una scogliera, ma proprio in quel momento il sistema della Algor entra in avaria, e alcuni grossi rottami della nave cominciano a precipitare nella terza dimensione: uno di essi crolla proprio sullo scoglio sul quale stava Afrodia. La Algor con un ultimo salto subspaziale si materializza nei pressi di Saturno. La base Blue Fixer decolla dunque alla volta del pianeta e inizia lo scontro. Mentre il comandante Tsukikage scaglia la base contro la Algor, il Baldios con i Blue Fixer, Jamie e Quinstein, entra nel subspazio per uscirne accanto al reattore di alimentazione della nave di s-1 e distruggerlo. Nella Algor ormai devastata, il comandante Negulos, in rotta con Gattler, attiva le basi missilistiche nucleari terrestri di cui Aldebaran è entrata in possesso: il mondo intero

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è sconvolto dalle esplosioni atomiche. Impotenti, eroi e invasori, guardano sui monitor la Terra dipingersi di rosso radioattivo. Marin separa il Pulser Burn e si lancia all’inseguimento di Gattler. Approdato su ciò che rimane della Algor, ha un dialogo con il dittatore, rimasto solo con gli ibernati. Gattler non si assume alcuna responsabilità, fa riferimento alla necessità del destino: se quello che è successo non lo avesse provocato lui, lo avrebbe fatto qualcun altro. Marin punta la pistola, Gattler lo avverte che dietro di sé ha il pannello di regolazione delle capsule criogene dei civili, e che è il solo a conoscere la procedura per risvegliarli. In un attimo la situazione si ribalta ed è Gattler a tenere sotto tiro Marin. È allora che compare Afrodia. Gattler dichiara di avere intenzione di ripartire e mette in mano ad Afrodia la pistola. La ragazza la punta su Marin, ma poi spara a Gattler e infine punta la pistola su se stessa. Marin tenta di fermarla ma si intravedono i raggi del colpo. Gattler, ferito, si allontana. Il Pulser Burn parte mentre ciò che rimane della Algor sparisce nel subspazio. L’ultima immagine è quella di Marin che cammina sulla spiaggia con il corpo di Afrodia tra le braccia.

13.5 Baldios. Perdere contro l’abisso In contemporanea con Daltanious, tra il 1979 e il 1980, è andato in onda Mobile Suit Gundam di Yoshiyuki Tomino: si è aperta l’era del real robot e si avvia alla sua conclusione l’epoca classica del super robot. A chiudere idealmente il varco sull’abisso apertosi nel 1972 sono il Baldios di quell’Akiyoshi Sakai già visto all’opera in Godam e Daikengo, e il God Sigma dello staff Saburō Yatsude, orfano di Nagahama. Tra i molteplici motivi di interesse che contraddistinguono Baldios, opera di livello altissimo, vi sono una ormai affermata presenza di elementi real – il contesto militare e sovranazionale – e la comparsa di una vera e propria madre della tecnica, Ella Quinstein (anche se il ruolo del padre della tecnica combattente viene scaricato sul comandante Tsukikage); e vi è senza dubbio la storia d’amore tra Marin e Afrodia, la cui forte centralità ha un precedente solo in Daimos. Il cuore ideologico di una cosmogonia monistica ad avvenuto-cataclisma, come è quella attivata da Baldios, è ovviamente il contrasto tra l’appartenenza etnica e la scelta di campo, ma la questione è gestita in modo molto diverso dai casi precedenti: in Blocker Gundan l’avere sangue moguru rappresentava per Tenpei quasi un motivo d’angoscia; Rita di Groizer X nell’episodio 7 era stata tentata di seguire il suo vecchio amore e tornare nelle file gailariane, ma poi il desiderio era entrato in contrasto con la sua morale e la morale aveva avuto la meglio. Il 1976 viveva di ambiguità: celebrava la scelta per l’ideale, le differen-

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ze morali nel popolo aggressore e dunque la lungimiranza di non giudicare le persone dalla stirpe, poi però metteva in scena ogni questione di stirpe come fosse una tragedia, a cominciare dalle inquietudini di Tenpei per due gocce di sangue moguru in corpo, per finire con l’implicita esaltazione dello spirito terrestre e anche di qualche pilota di caccia ultranazionalista. Rispetto alla tormentosa indecisione del 1976, Baldios prende una posizione piuttosto chiara: gli unici a cui viene in mente che la provenienza di Marin possa essere un problema rispetto alla sua scelta di campo sono gli altri. E non ci fanno un gran figura. Per quello che riguarda lui, le sue idee non hanno mai un cedimento. Ma c’è di più: la tematica dell’ideale contro l’appartenenza, qui, arriva ad attaccare lo stesso cuore concettuale del conservatorismo, ponendo Baldios alla massima distanza sentimentale dalle suggestioni più nostalgiche e cupamente retrive del 1976. Per questo, malgrado la scarsa rilevanza del robot nella storia, ha assolutamente senso che Baldios sia concepito come anime super-robotico, perché quello che ha da dire è relativo ai temi e alla cosmogonia che vigono in questo genere. Del 1976 Baldios prende il lato buono, quello che poi ha trionfato nelle opere di Nagahama e Tomino, e parte da lì: come già accadeva in Groizer X con la lotta, interna ai gailariani, tra pacifisti e militaristi, Baldios nasce dall’introduzione della differenza ideologica al cuore della stessa appartenenza etnica. Un precedente dello specifico scontro tra militarismo e pacifismo scientista si era avuto nel finale di Gaiking, e proprio questa particolare connotazione delle fazioni in causa è importante, perché l’accusa reciproca riguarda la tecnica: per Gattler la colpa dell’inquinamento è degli scienziati perché con la scienza ci puoi fare anche le cose brutte, per il dottor Reigan è dei militari e dell’uso che hanno fatto delle risorse tecnologiche. Insomma, secondo la fazione militare, la tecnica porta già in sé il seme della distruzione: se non volete la distruzione non create tecnologia, dice la tesi un po’ poverella di Gattler. L’accusa è chiaramente strumentale e serve a Gattler per portare avanti i suoi progetti, ma non è affatto estranea alla sua psicologia, e dice qualcosa sul modo che ha il conservatorismo di considerare l’essere umano. Il concetto è più o meno: siccome l’essere umano è fatto così, se gli metti in mano un’arma, quello la usa. Per Gattler le persone sono preda di forze invisibili, le cose accadono non per causa di chi le fa accadere ma attraverso chi le fa accadere, come dimostra il suo atteggiamento nel finale della serie, di fronte al realizzarsi del destino della Terra. Ma mai come in quel caso appare chiaro che il suo è un meccanismo di difesa dall’assunzione di responsabilità. La vita di Gattler è una serie di violen-

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ze perpetrate ai danni degli altri, nessuno al suo posto potrebbe farsene carico di punto in bianco senza andare psicologicamente in frantumi. Ora, visto il ritratto impietoso della psicologia di Gattler, il finale di Baldios potrebbe sembrare perverso: è in effetti un’azione volontaria dei militari a condurre al disastro, e ciononostante il disastro fa parte di un destino già deciso. Se tuttavia osserviamo meglio, vediamo che Baldios non sta dicendo proprio questo. Anzi, sta dicendo l’opposto: rivolge un’accusa a chi ha delle responsabilità e finge di non averne scaricandole su una forza irresistibile e impersonale, che è di volta in volta il destino, o la natura umana. Questa accusa Baldios l’ha nascosta proprio nell’articolazione concettuale della sua paradossale struttura temporale. Infatti, nel finale, l’avvenuto-cataclisma della cosmogonia monistica mostra beffardamente il suo vero volto, che è quello della dualistica catastrofe-già-avvenuta: la differenza tra l’avvenuto-cataclisma e la catastrofe-già-avvenuta è che il primo è un impersonale intervento del destino, la seconda è un’azione deliberata e prevede delle responsabilità personali precise. Nel finale, quando appare chiaro a tutti che l’avvenuto-cataclisma era una catastrofe-già-avvenuta, solo Gattler continua imperterrito a riferirisi alla catastrofe come a un cataclisma: è il destino, io non c’entro, se non lo facevo io lo faceva qualcun altro. Ma c’è di più: l’avvenuto-cataclisma capita una volta, perché è davvero un caso del destino, la catastrofe-già-avvenuta è ciclica, ed è ciclica – dice Baldios – proprio perché si pretende di farla passare per un avvenuto-cataclisma. E così quella torna. L’idea della ciclicità e del passato che torna in Baldios viene esplorata come mancanza di assunzione di responsabilità nell’azione, che è poi un altro modo di vedere il movimento circolare dell’assenza di soggettività già espresso da Tomino con i gaizok. La violenza è frutto di una mentalità conservatrice che si adagia ipocritamente sull’idea che l’essere umano non cambia, perché evidentemente è vittima di una sua natura intrinseca, è preda di forze superiori. O di istinti primordiali, come pare alludere il sogno di Afrodia sotto al faro, nel lungometraggio: del resto non è difficile immaginare che uno come Gattler ritenga la violenza sessuale qualcosa di connaturato a una presunta natura maschile, anche qui scaricandosi della responsabilità morale dei suoi atti. A tal proposito può sembrare strano che che un tizio del genere assegni a una donna il comando dell’esercito. In realtà rientra perfettamente nel quadro: dimostra solo che è in suo potere fare di quella donna ciò che vuole, che la stringe in pugno, non senza un autofraintendimento che scambia per affetto il sentimentalismo kitsch che accompagna il senso di proprietà e il paternalismo.

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È questo tipo umano, il bersaglio di Baldios, quello che credendo in fondo di non agire davvero, agisce peggio di tutti. E il cortocircuito funziona alla perfezione perché il paradosso temporale coinvolge le stesse vittime: gli Aldebaran di domani sono i terrestri di oggi. Sarebbe dunque ingiusto accusare Baldios di fatalismo. Al massimo vi si può ravvisare del pessimismo quando racconta che, di fronte alla forza dei più schifosi tra gli individui, le persone degne sono impotenti. Piuttosto Baldios ci suggerisce qualcosa sul presunto coraggio di quelli che sparano e certo si fanno anche sparare, e che però non sono sufficientemente coraggiosi da dire a se stessi e agli altri: sì, sono stato io.

God Sigma Titolo originale: Uchū Taitei Goddo Shiguma / Uchū Taitei God Sigma Toei Animation. 50 episodi. 19 marzo 1980 - 25 marzo 1981 Titolo italiano: God Sigma

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nno 2050. Il dottor Kazami scopre un’energia pulita ottenibile dallo ionio, la trinity. A Trinity City, una piattaforma marina sponsorizzata dal ricco uomo d’affari Martino, si effettuano ricerche ed esperimenti per mettere alla prova l’efficacia della nuova risorsa: in particolare si sta testando la trinity usandola per alimentare tre robot destinati all’esplorazione spaziale. Tutt’a un tratto, una forza aliena attacca Trinity City. L’ingegnere ventunenne Julian Noguchi, assistente di Kazami, decide di usare uno dei tre robot per contrattaccare, mentre un altro ragazzo, il diciottenne Toshiya Dan, riesce a introfularsi in uno degli altri due robot e si getta nella mischia.

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I due se la cavano egregiamente, ma quando rimettono i piedi a terra giunge la notizia che è stata attaccata anche la colonia terrestre su Io, il satellite di Giove, terra natale di Toshiya. È stato un massacro, e i superstiti di Io scappano sulla Terra. All’eccidio è sopravvissuto un amico di Toshiya, Kensaku Kira, detto Kiraken, che ha visto i suoi cari morire davanti ai suoi occhi. Purtroppo Kiraken non ha notizie della famiglia di Toshiya. Il dottor Kazami mostra allora ai ragazzi il generatore di energia trinity nascosto nella parte inferiore di Trinity City: è convinto sia ciò che gli alieni vogliono. Poi li incarica di pilotare i tre robot e difendere Trinity: Toshiya piloterà Kuuraiō (Tuono in Italia), Julian piloterà Kaimeiō (Nettuno) e Kiraken piloterà Rikushinō (Terremoto); ogni robot è progettato per un ambiente specifico – aria, acqua, terra – e i tre mezzi sono in grado di unirsi nel potente God Sigma. Sull’altro fronte, veniamo a sapere che gli alieni provengono dal pianeta Elder: al comando delle truppe c’è il giovane Terral, sotto di lui il generale Litz e la scienziata Jīra, progettista dei cosmosauri, i mostri degli eldiani. Nel corso della storia scopriremo che Terral nasconde un segreto: è in realtà Rira (Lara), la compagna di Terral, che alla morte dell’amato ha fatto trasferire la sua coscienza in un androide biologico modellato su Terral. Soprattutto scopriremo che Terral è morto durante uno scontro con i terrestri, perché gli eldiani non vengono dall’Elder del 2050, ma dall’Elder del 2300: in quell’anno le forze terrestri hanno aggredito Elder e stanno avendo la meglio grazie alla trinity. Ma dalla loro gli eldiani hanno appena inventato la macchina per viaggiare nel tempo, e così possono attaccare la Terra del 2050 per tentare di distruggere il generatore della trinity. La guerra subisce una svolta quando un’astronave non identificata piomba tra le postazioni eldiane su Io. Si presenta così, Gagān (Lagan), ufficialmente un assistente per Terral, spedito dal 2350 per ovviare agli insuccessi della missione del comandante (causati anche da qualche esitazione da parte della coscienza di Rira). Di fatto Gagān, che sa come distinguersi in spietatezza, destituisce Terral, distrugge la vecchia base e prende il controllo delle operazioni insieme ai suoi comandanti Dalton e Mesa (Mess). Dopo un tentativo di ribellione, durante il quale muore Litz, Jīra riesce a far scappare Terral dalla nuova base eldiana, rimettendoci anche lei la vita. Terral vaga su Io finché non viene catturato dai coloni, che si sono nascosti in una base segreta guidata da Taichiro (Daikiro), il padre di Toshiya. Si decide di mandare l’eldiano sulla Terra insieme a Jane, la sorella di Julian che vive su Io. Ma nel frattempo gli uomini di Gagān hanno scoperto la base, e Jane rimane gravemente ferita in uno scontro a fuoco durante la partenza per la Terra. La navicella riesce comunque a decollare, ma giunti sulla Terra Jane muore. Qui Terral rivela di essere venuto dall’Elder del 2300, e spiega che nel futuro la Terra praticherà guerra e imperialismo ai danni degli altri pianeti grazie alla potenza della trinity. I terrestri costringeranno gli eldiani ad accordi iniqui, e quando Elder tenterà di sottrarsi alle condizioni più insostenibili verrà punito con un

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attacco senza precedenti. Per questo gli eldiani vogliono il generatore della trinity, alla peggio cercheranno di distruggerlo. Intanto giungono richieste di soccorso dai coloni superstiti di Io, i ragazzi vorrebbero partire per Giove, ma Kazami si mostra contrario, dice che la modalità astronave della base di Trinity non può reggere il viaggio. In realtà Kazami è del tutto disinteressato al destino dei coloni, e molto impegnato a torturare il convalescente Terral per strappargli il segreto dei viaggi temporali. Toshiya e gli altri lo sorprendono e scoprono così il lato oscuro del dottore: un laboratorio pieno di cadaveri eldiani. Durante un attacco eldiano l’assistente di Kazami, Rie Kasuga, riesce a far volare la base Trinity. Non resta che partire per Io. Del gruppo fanno parte i tre della squadra Sigma, Rie, il suo fratellino Shōta, e Minako, la figlia di Martino. Nei pressi di Io i terrestri subiscono gravissime perdite. Kazami contatta gli eldiani: è disposto a cedere il generatore in cambio della salvezza e del segreto dei viaggi nel tempo. Ma le cose non vanno bene per il dottore, che rimane ucciso in uno scontro a fuoco quando decide di portarsi gli eldiani alla base. Nel frattempo Terral si unisce ai coloni e conduce diverse azioni con successo. La base atterra su Io e Toshiya riabbraccia un Taichiro malconcio che morirà poco dopo in un letto della base. Siamo alla resa dei conti. L’intera base eldiana di Io si trasforma in un robot e attacca. Terral approfitta del combattimento per penetrare nella base-robot. Dallo scontro con il colosso di metallo eldiano la Trinity esce distrutta, ma alla fine God Sigma trionfa. I terrestri entrano nella base nemica, e si passa allo scontro a fuoco. Terral, che era già dentro, sta affrontando Gagān e rimane ferito, quando sulla scena irrompe Toshiya che colpisce Gagān. Terral ne approfitta e salta addosso al comandante eldiano, ma la pistola di Gagān fa fuoco e Terral muore tra le braccia di Toshiya mentre Gagān fugge. Toshiya lo insegue e lo blocca, gli spara ripetutamente e lo finisce con un colpo alla testa. La guerra nel presente è terminata, ma Toshiya riparte con il God Sigma attraverso la macchina del tempo per andare a cambiare il futuro.

13.6 Una presa di coscienza Daltanious, Baldios e God Sigma sono interessanti variazioni della cosmogonia classica. Daltanious si presenta come una cosmogonia dualistica con catastrofegià-avvenuta che però si scopre essere l’evoluzione di una cosmogonia monistica, tutta interna all’impero di Helios. Baldios si presenta come una cosmogonia monistica con avvenuto-cataclisma, poi si scopre che l’avvenuto-cataclisma è in realtà una catastrofe-già-avvenuta, ciononostante la natura paradossale dell’anime non gli permette di ricadere completamente nel dualismo: i pianeti sono

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due, ma sono lo stesso pianeta. God Sigma ha un orfanismo alieno abbastanza blando – che nasce in una colonia terrestre e dunque non è ricondotto alla vera catastrofe-già-avvenuta, e data la struttura non poteva essere altrimenti – e ha un sistema dualistico, con catastrofe-già-avvenuta, che si rovescia su se stesso: gli aggrediti diventano gli aggressori, gli aggressori diventano gli aggrediti, il futuro diventa il passato, il passato il futuro. In tutti e tre i casi la responsabilità dell’accaduto viene ricondotta dalla parte dei presunti buoni: in Daltanious il male è nella Terra spiritualizzata, cioè Helios, abita la stessa identità di Terra ed s-1 in Baldios, guida la Terra del futuro in God Sigma. L’uso della cosmogonia monistica era servito a Blocker Gundan per alimentare un sentimento di paranoia, vittimismo e diffidenza: se non c’era un popolo già-aggredito, allora non c’era nessun amico là fuori nello spazio; né era possibile una qualsiasi dialettica interna agli ottusi moguru; infine, qualsiasi istinto di conciliazione nei loro confronti sarebbe stato solo un cedimento alla insidiosa tentazione sessuale messa subdolamente in atto dalle loro regine. Ma Baldios, la Terra diventa s-1.

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già in Voltes V, Nagahama usava la cosmogonia monistica proprio per sabotare la contrapposizione razziale e introdurre una divisione ideologica nel popolo aggressore, riconducendo il problema su un piano storico e materialista. Ora l’anime super-robotico torna a usare la cosmogonia monistica nel suo tono più accusatorio, ma per rovesciarlo sui presunti buoni e richiamarli all’assunzione di responsabilità. Siamo lontanissimi dall’esaltazione dello spirito terrestre del ’76, e possiamo dire che infine l’anime super-robotico ha fatto il suo dovere: ha elaborato e risolto i riferimenti storici revanscisti che aveva sobillato e che ne avevano invaso l’immaginario. Come bilancio non è niente male. Ma anche rispetto al neoclassicismo di Daltanious, God Sigma e Baldios rappresentano una mutazione significativa: proiettando la catastrofe-già-avvenuta nel futuro, realizzano materialmente quello che era l’incubo psicologico delle cosmogonie classiche dell’eterno ritorno. Questo è il segnale che la dialettica politica di Nagahama e la fenomenologia del soggetto di Tomino hanno fatto il loro dovere. Perché vuol dire che il soggetto non può più limitarsi a difendersi e farsi difendere: deve assumersi la responsabilità di diventare soggetto attivo della storia. A tal riguardo, è interessante anche l’opposizione quasi speculare, tra questi due anime che non risolvono la ciclicità, nel modo di gestire la questione della tecnica e della scienza. In Baldios la tecnica appare assolutamente neutrale, per nulla mortifera: c’è invero un tentativo da parte di Aldebaran di condizionare mentalmente Oliver nell’episodio 6, ma il punto di Baldios è proprio che la tecnica non reca in sé qualcosa di minaccioso e annichilente; è la mancata assunzione di responsabilità dei militari di Aldebaran a essere annichilente, a far sparire il soggetto. Non a caso il condizionamento non funziona perché Oliver si pianta un coltello in una gamba: ancora una volta, come era stato per Uchuta, il dolore scioglie l’illusione. Per il resto la figura positiva massima rimane il dottor Reigan, uno scienziato, l’inventore del depuratore. In God Sigma è il contrario. Sarà che siamo abituati a un certo modo di intendere il padre della tecnica, ma nemmeno lo spietato leader eldiano Gagān può gareggiare in meschinità con il dottor Kazami, che prima scopriamo essere un torturatore e poi un traditore. Nell’episodio 38 Kazami ci appare come l’emblema stesso dell’uomo assetato di tecnica, tanto da sottoporre forzosamente le persone alla tecnica della scansione dei ricordi con tortura, e a collezionare cadaveri in formalina – soggetti resi oggetti – pur di acquisire una nuova tecnica. Ma facciamo attenzione. Abbiamo appena saputo da Terral, nell’episodio precedente, che l’energia trinity è alla base della devastante tecnologia bellica

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della Terra del futuro. Nell’articolazione simbolica degli anime super-robotici, l’energia pulita è sempre stata una forza divina in nessun modo associabile al male: era il mutron di Raideen, era l’energia di Apolon. E God Sigma sa dove vuole portarci, gioca pesantemente sull’equivoco: l’energia la chiama addirittura Trinità. Eppure niente impedisce ai terrestri del 2300 di sparare fasci di Trinità per sterminare gente in giro per il cosmo. Insomma, quando sorprendiamo Kazami a fare quello che fa, la nostra tendenza automatica a considerare l’energia pulita come una benevola divinità cui non può essere associato nulla di negativo è appena crollata. Ora crolla la figura del padre della tecnica come personaggio intrinsecamente in grado di dominare la tecnica senza esserne dominato. Ma tutto ciò avviene dopo decine di anime che hanno consolidato degli stilemi e dei caratteri precisi, sia per l’energia pulita sia per il padre della tecnica. Non è che l’energia pulita diventi improvvisamente il male – come potrebbe? – e il padre della tecnica si trasformi nel dottor Hell. È solo che siamo diventati maggiorenni, e scopriamo che né i mezzi né i ruoli possono garantire a priori la bontà di chi li detiene. Passando dalla parte opposta, God Sigma ci porta esattamente dove ci porta Baldios: non c’è nessuna forza impersonale che agisca alle spalle del soggetto, né nel bene né nel male, ognuno è responsabile delle proprie azioni.

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14 CREPUSCOLO DEGLI DeI Trider G7 Titolo originale: Muteki Robo Toraidā Jī Sebun / Muteki Robot Trider G7 Sunrise. 50 episodi. 2 febbraio 1980 – 3 gennaio 1981 Titolo italiano: Trider G7

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atta Takeo ha dodici anni e ha ereditato da suo padre Michitarō Takeo, morto due anni prima per le conseguenze di un incidente, la Takeo General Company, una compagnia di trasporti spaziali sull’orlo della bancarotta. L’organico della sua ditta è formato dal direttore esecutivo Umemaru Kakikōji, sempre molto preoccupato dal bilancio, dall’amministratore delegato Tetsuo Atsui, che è anche addetto alla meccanica, dalla contabile tuttofare Ikue Sunabara e dall’assistente di vendita Tōhachirō Kinoshita. Per effettuare i trasporti, Watta usa un robot, anch’esso ereditato dal padre: il Trider G7, che può trasformarsi in ben sette modalità diverse.

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Il Trider viene custodito sotto un parco giochi, dal quale la testa del robot esce per metà all’aria aperta. Quando il Trider deve entrare in azione, un altoparlante invita genitori e bimbi ad allontanarsi dal parco, poi il pavimento si apre per lasciar decollare il robot. Il Trider è frutto del lavoro di Nabaron, uno scienziato fuggito dal terribile regime robotico del pianeta Gabal. Il padre di Watta aveva salvato Nabaron che vagava ferito su Marte. Lo scienziato si era così trasferito sulla Terra adottando il nome di Umemoto, e per ringraziare il signor Takeo aveva progettato il Trider G7. Gabal indebolisce economicamente gli altri pianeti per poi conquistarli e farne serbatoi di manodopera. E il computer Sigma, che guida Gabal, ha appena messo gli occhi sulla Terra. Dato che il problema di Watta è far quadrare il bilancio – e intanto prendere voti decenti a scuola – la Takeo General Company accetta ogni lavoro, dalla gestione dei rifiuti alla protezione della Terra e delle sue colonie su commissione del Ministero della difesa. Il Trider si trova così a combattere contro robot provenienti da una forza militare tecnologicamente superiore. Eppure ogni volta riesce a sconfiggerli, mentre il nemico non si capacita della resistenza di questo increscioso ostacolo, e il signor Kakikōji si dispera quantificando le perdite relative all’uso delle armi, alle riparazioni e al carburante. Il capo dell’esercito gabaliano è Zakuron, un robot alto dieci metri, a cui risponde Ondoron, il comandante responsabile dell’invasione terrestre. Agli ordini di Ondoron, nel corso della serie, si avvicendano diversi generali, che puntualmente falliscono e dopo un certo numero di episodi vengono sostituiti: Yāru (Jar), Dulcin, Domma e Dul, Jackal (Shackal), Jiruba e lo scienziato Gurādo (dottor Clark). Alla fine Ondoron si deciderà a provvedere personalmente, ovviamente fallendo anche lui, e lasciando il palcoscenico a Zakuron. Zakuron si scontra dunque con il Trider, e combatte seguendo le istruzioni del computer. Incredibilmente viene sconfitto, e capisce anche il motivo: la forma di vita terrestre trascende il mero calcolo e può vincere proprio comportandosi in modo imprevedibile. Se una cosa del genere si venisse a sapere, pensa Zakuron, l’impero dei computer crollerebbe. Così, per giustificare il suo insuccesso, dirà al megacomputer Sigma di aver capito che la Terra è un pianeta che non vale la pena di soggiogare: si sprecherebbe troppa energia a educare creature di così basso livello.

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New Tetsujin 28 Titolo originale: Taiyō no Shisha Tetsujin 28-gō Tokyo Movie Shinsha. 51 episodi. 3 ottobre 1980 – 25 settembre 1981 Titolo italiano: Super Robot 28

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al 1990 il mondo ha smesso di sfruttare petrolio ed energia atomica e ha cominciato a usare l’energia solare. La storia comincia quando i tecnici della zona asiatica riscontrano un calo consistente dell’accumulazione di energia. Del caso si interessano lo scienziato Daijirō Shikishima e l’agente dell’Interpol Shigeru Ōtsuka. Quello che ancora non sanno è che la responsabilità è del dottor Branch, capo della Robot Mafia, un individuo che intende conquistare il mondo per mezzo di robot giganti e ha bisogno di energia per farli funzionare. Shōtarō Kaneda è un orfano di dieci anni che vive con i Shikishima. Un giorno, in barba al divieto imposto dal dottor Shikishima, decide di introdursi nel seminterrato dell’Istituto Shikishima. Qui viene raggiunto anche da Makiko, figlia del dottore. Insieme i due ragazzi scoprono un robot gigante. Proprio in quel momento vengono sorpresi dal dottor Shikishima, che spiega loro come il robot sia stato messo a punto dal padre di Shōtarō, il defunto dottor Kentarō Kaneda, un suo collega. Il telecomandabile Tetsujin 28 è stato costruito per combattere il crimine e mantenere la pace, e dato che Branch sta giusto sferrando i primi attacchi a bordo di un robot gigante, Shikishima ritiene sia giunto il momento di dare Tetsujin al suo piccolo proprietario. Shōtarō entra così nell’Interpol e usa Tetsujin per sventare i piani del dottor Branch. La storia ha un’evoluzione a metà serie. Si affaccia sulla terra un nuovo nemico: il Re Demone Spaziale (Satana dello Spazio nell’adattamento italiano), una figura gigantesca che appare nello spazio e contiene un buco nero all’interno

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del suo mantello. A trasformare il Re Demone in un buco nero fu l’esplosione del sole del suo sistema. Branch si vende a questa terrificante creatura diventandone l’avanguardia terrestre, e si sposta sulla faccia nascosta della Luna, in una fortezza volante. Visto come stanno le cose, Shikishima dota Shōtarō di un razzo per seguire Tetsujin nello spazio. Nello spazio Shōtarō, Ōtsuka e Tetsujin affrontano Branch e i suoi nuovi potenti mezzi, ma vengono sconfitti e catturati. Tuttavia, ora che Tetsujin non è più un pericolo, i soldati del Re Demone si apprestano a sbarazzarsi di Branch, come era evidentemente in programma da sempre. Ne nasce una colluttazione e poi una sparatoria, al termine della quale, prima di essere ucciso, Branch riesce a liberare Shōtarō e Ōtsuka, che riprendono possesso del razzo e del robot, venendo a capo della situazione e distruggendo l’astronave che era stata di Branch. L’ultima parte della serie si avvia quando viene rinvenuta una capsula spaziale, in strana corrispondenza con l’apparizione di un mostro. All’interno della capsula, in letargo artificiale, dorme un ragazzo, del quale si occuperà Shikishima. Il nome del giovane è Gūra, per la precisione King Gūra: è il figlio del Re Demone, al quale è stata assegnata la Terra come dominio personale. Shōtarō dovrà dunque vedersela anche con lui.

Il nuovo Tetsujin 28 con Shōtarō.

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Il finale di serie si svolge nello spazio, con gli eroi partiti con l’astronave Astro Cat per affrontare il Re Demone, mentre sulla Terra infuriano le catastrofi generate dagli influssi dell’infernale creatura. Nel penultimo episodio Gūra sfida Tetsujin a duello e perde la vita. Non resta che distruggere il Re. Robby, un robot senziente che il Re Demone aveva inviato a Gūra come aiutante, e che però cova da sempre vendetta per la distruzione del suo pianeta, dà agli eroi un’informazione essenziale: puntare al petto del Re. L’Astro Cat si getta dunque contro l’immensa figura ed entra nel suo spazio interno. Qui gli eroi trovano il sole nero, cuore del sistema, e trovano anche una personificazione del Re, finalmente tangibile e a grandezza affrontabile. Purtroppo, per sconfiggere il Re e distruggere il sole nero, Shōtarō è costretto a sacrificare Tetsujin scagliandolo contro le due entità. La guerra è vinta, e mentre gli eroi fanno ritorno verso la Terra, dallo spazio ricompare Tetsujin.

14.1 Capitalismo, cospirazioni e polizia Il signor Martino di God Sigma finanzia il progetto di Trinity City. La sua presenza non sembra più tanto strana in un anime così tardo, ma è strana in un anime così classicamente super-robotico, e proprio per questo il signor Martino carica la serie di un aspetto surreale: nel mezzo di una cosmogonia spaziotemporale abissale, alle prese con un’energia dal sapore metafisico, ecco che si presenta niente meno che la realtà, nella figura di un business man disposto anche a vendere i robot che stanno difendendo la Terra pur di garantire maggiore stabilità alla sua economia. Scenetta simpatica. Ma a ben guardare questa piccola gag traspone sul piano sociale quelle che si riveleranno le due grandi beffe della serie: la caduta di ogni sacralità e la trasformazione della Terra in un impero coloniale dedito allo sfruttamento degli altri pianeti. In ogni caso, al di là del suo significato nella vicenda di God Sigma, la novità rappresentata dal signor Martino è che nell’anime super-robotico ha fatto il suo ingresso il capitalismo. Pressoché contemporaneo a God Sigma è Trider G7, un anime firmato da Hajime Yatate, pseudonimo di uno staff della Sunrise. Trider G7 è scanzonato, divertente, delirante e surreale, ma queste carratteristiche non devono tuttavia offuscare i temi classici: Watta è orfano di padre, ed è dal padre che ha ricevuto il suo robot, un robot che è progettato secondo la tecnologia del nemico, un nemico imperialista. Watta è dunque perfettamente munito di un abisso, di una figura spiritualizzata e di un mediatore di mondi. Ma è un ragazzino che va a scuola, e il Trider fa da mediatore tra il mondo preadolescenziale di Watta

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e il mondo delle macchine e delle transazioni commerciali. Insomma, l’abisso di Watta è l’ambiente lavorativo, il mercato, l’universo degli adulti, la pesante eredità che suo padre gli ha lasciato. In fondo la Takeo General Company ricopre lo stesso ruolo della base, e i suoi dipendenti quello dei membri dell’equipaggio, con Kakikōji nel ruolo di padre della tecnica economica. Con una risorsa tecnologica che proviene dal suo abisso, Watta è in grado di affrontare un nemico che trasforma gli esseri umani in manodopera al servizio delle macchine. Da buon erede di Kōji Kabuto, Watta vince perché è umano e umanamente domina la tecnica, e così riesce a salvare la sua ditta di cinque dipendenti usando il capitale senza lasciarsi divorare dal capitale. Dietro la patina meta-super-robotica costruita dal citazionismo e dalla comicità, Trider G7 è un’opera meravigliosamente riuscita che traspone senza sbavature un elemento nuovo nella traccia classica. In questo senso è quasi un’opera di resistenza neoclassica, che scherzosamente, ma neanche troppo, prende il realismo che minaccia di spazzare via la mitologia classica e ne fa proprio l’abisso della mitologia classica, rivendicando la potenza della vecchia cosmogonia, uno schema attraverso il quale si può parlare di tutto. D’altro canto è innegabile che sia la dimensione storico-politica sia quella psico-mitologica del super-robotico classico siano in via di estinzione. Tutto sta diventando quotidiano e terreno. In questo clima può persino ricomparire Tetsujin, con tanto di telecomando, e prendersela con la criminalità terrestre. New Tetsujin 28 è una serie che sarebbe stata impensabile anche solo due anni prima. Nella prima parte approfitta dell’estetica e dei temi dell’antichissimo originale: dalle peculiarità tecnologiche del robot, all’immaginario vagamente steampunk, allo scontro con un criminale terrestre, al rapporto con le istituzioni, alla centralità della questione energetica gestita realisticamente. Nella seconda parte sembra voler recuperare la mitologia demoniaco-spaziale, ma lo fa con una spiccata sensibilità dark estranea agli anni Settanta. Il paradossale risultato è che in entrambi i casi finisce con l’avere un sapore irrimediabilmente anni Ottanta. Le parole del dottor Shikishima – Tetsujin può essere buono o cattivo a seconda di chi lo pilota – vorrebbero essere probabilmente una citazione, ma assumono i tratti inquietanti di un tentativo, decisamente riuscito, di radere al suolo l’intera mitologia super-robotica sviluppatasi dopo Mazinger. Un altro perfetto esempio dell’epoca è Gordian. Al di là del fatto che la sua ambientazione western post apocalittica potrebbe essere proprio un tentativo in extremis di salvare il super-robot ritagliandogli uno spazio completamente

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Trider G7.

a parte rispetto a ogni scenario già esplorato, ciò che lo fa precipitare inesorabilmente nel nuovo realismo è un nemico che ha all’inizio i tratti dell’organizzazione criminale terrestre a sfondo cospirazionista, e poi assume quelli dell’alieno. Il risultato è che, almeno sotto l’aspetto dell’avversario, Gordian va direttamente dal realismo alla fantascienza senza mai passare per la mitologia super-robotica. Capitalismo e potentati criminali stanno trasformando sempre di più il super robot in un poliziotto di metallo, e l’animazione super-robotica degli anni Ottanta sarà costantemente costretta a scegliere se integrare un elemento moderato e controllato di realismo nella forma del tema economico o spionistico o cospirazionista, come in GoShogun (Sengoku Majin GōShōgun, Gotriniton in Italia) e in Bryger (Ginga senpū Buraigā), o se continuare a battere la strada già percorsa, con uno spirito che saprà ormai irrimediabilmente di rievocazione malgrado l’incremento dell’elemento fantascietifico, come farà lo staff Saburō Yatsude con Golion (Hyakujūō Goraion), Dairugger (Kikō Kantai Dairagā Fifutīn), Arbegas (Kōsoku Denjin Arubegasu) e Laserion (Bideo Senshi Rezarion).

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Gordian Titolo originale: Tōshi Gōdian / Tōshi Gordian Tatsunoko Production. 73 episodi. 7 ottobre 1979 – 22 febbraio 1981 Titolo italiano: Gordian

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uando il gigantesco corpo celeste Sokonesu (Ricones, nell’adattamento italiano) passa vicino alla Terra, quasi azzera la civiltà umana. Tra i sopravvissuti, alcuni pionieri iniziano a progettare nuove città. Tra questi lo scienziato Kyotarō Ōtaki, che insieme all’amico dottor Kadokura fonda Victor City nell’ovest del Nord America, e, vicino a Victor City, la base di Santore, nel cui computer riesce a trasferire la propria coscienza prima di morire per mano di un fuorilegge. In queste condizioni Ōtaki può continuare a sviluppare il Progetto X, fondamentale nel caso di una seconda grande catastrofe. Lo scienziato si è infatti accorto che Sokonesu e il suo satellite Ugape hanno rilasciato un materiale gelatinoso ribattezzato Xtron. Essendo l’Xtron pericolosissimo in condizioni normali, Ōtaki lo deposita nelle fondamenta di Victor City e costruisce un guardiano per evitare che malintenzionati si impossessino di una fonte di energia così potente. Il guardiano è Gordian, un robot costituito da tre robot di diverse dimensioni incastrabili a matrioska, dal più piccolo al più grande sono Protesser, Dellinger e Garbin. Esattamente come i robot tra loro, il pilota si insedia in Protesser come in un’armatura. I Madoctor (Madocter), una dinastia segreta che dai tempi degli Egizi insedia i suoi agenti nei ruoli di punta dei passaggi storici cruciali, vogliono impossessarsi dell’Xtron e comprendere il Progetto X. Guidati dall’imperatore Dogma (Dokuma), che li invita continuamente a consultare la sua Apocalisse, il loro

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attuale stato maggiore è formato dal generale Barras, che in breve tempo otterrà il grado di condottiero, il generale Saxidar, lettore ufficiale dell’Apocalisse, la generale Elias, il generale Clorias che morirà molto presto, e Barbadas, un ufficiale d’assalto. Chi è destinato ad affrontarli con il Gordian è Daigo Ōtaki, il figlio diciassettenne del dottor Ōtaki, cresciuto con lo zio Gen, e per ora all’oscuro di tutto. Lo incontriamo per la prima volta mentre, insieme alla pantera-robot Clint, si reca a Victor City per arruolarsi nei Mechacon, il corpo militare che difende la città dai Madoctor. Qui conoscerà Barry Hawk, ovvero il capitano dei Mechacon, Dalf, che diverrà suo grande amico, e Peachy (Peggy) con la quale avrà più o meno una relazione. È a Victor City che Daigo scopre di avere una sorella maggiore, Saori, che vive alla base di Santore insieme alla giovane Rose (Roset) e al piccolo Chokoma. Saori introduce Daigo al segreto di Gordian. Daigo è infatti l’unico che può insediarsi nel corpo del Gordian, grazie o a causa dei poteri psichici fornitigli dal padre con i suoi esperimenti. Sicché Gordian comincia a dare man forte ai Mechacon contro i Madoctor, senza che Daigo si scopra, almeno per la prima parte della serie. In seguito il robot erediterà un’arma progettata appositamente dallo zio Gen, il quale, in punto di morte, la donerà a Daigo. Gordian acquisirà poi ulteriore potenza quando Daigo verrà in contatto con l’Xtron nelle viscere di Victor City. Tuttavia, malgrado la forza di Gordian, i Madoctor prendono Victor City e Saori fa trasferire la popolazione a Santore, dove si organizza una nuova comunità, e dove salta fuori la vera identità di Gordian. Nel corso della serie scopriamo che la madre di Saori e Daigo è ancora viva, ma muore nel giro di un episodio; inoltre Daigo trova dei filmati preparatigli dallo zio Gen per spiegargli come da piccolo sia stato sottoposto a interventi per avere uno scambio emozionale con Gordian. Ma la vera svolta arriva quando Daigo e Rose s’imbattono nell’indiano Geronimo e apprendono la leggenda dello Schermo del Sole, un fenomeno naturale che si presenterebbe a ridosso delle catastrofi, e che permetterà al gruppo di indiani di Geronimo – a cui si unirà anche Rose, innamoratasi di Geronimo – di scoprire una grande astronave. Sul posto convergono sia Daigo sia i Madoctor di Elias. Geronimo, Rose e Daigo entrano nell’astronave e qui compare Adam III, il clone di un abitante di Xtrom (Estrom), un asteroide di Sokonesu, che racconta loro come nell’antichità gli Xtrom giunti nel sistema solare al seguito di Sokonesu entrarono in guerra con gli abitanti del pianeta Dogma della fascia asteroidale: i due popoli rischiarono l’estinzione. Trasferitisi entrambi i popoli sulla Terra, combinarono i loro geni con quelli dell’uomo di Neanderthal, ne nacquero l’Homo Sapiens e i Madoctor. Adam III rivela anche che la seconda grande catastrofe prevista da Kyotarō Ōtaki sta effettivamente arrivando, è il riavvvicinamento di Ugape alla Terra, che provocherà una glaciazione, ma l’astronave Anoha, se ritrovata, permetterà di lasciare il pianeta così come gli antenati avevano voluto per i discendenti. Ancora una volta lo Schermo del Sole indica la via e Geronimo si mette in viaggio mentre Gordian ferma i Madoctor.

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L’Anoha viene trovata ma per decollare necessita dell’Xtron: inizia una nuova terrificante fase di guerra contro i Madoctor per il possesso sia della nave sia del giacimento di Victor City. I Mechacon vincono, ma al prezzo di perdere la coscienza del dottor Ōtaki custodita nel computer di Santore: Ōtaki cede tutta l’energia per caricare il cannone Xtron necessario alla vittoria. I Madoctor fuggono nello spazio mentre il popolo di Santore si divide tra chi intende partire e chi vuole emigrare. Geronimo e Rose decidono di restare, ma nello spazio l’Anoha incontrerà il loro figlio sulla nave spaziale chiamata Santore: la vita sulla Terra dunque si è preservata malgrado la glaciazione. Si avvicina il finale di serie: l’Anoha intercetta un richiamo dal punto di contatto fra universo e ultracosmo. L’astronave è tecnicamente in grado di attraversare il varco, ma si rifanno vivi i Madoctor. Dogma, che ormai si è rivelato essere nient’altro che un cervello, riesce ad aggrapparsi con il suo veicolo alla nave degli eroi per passare nell’ultracosmo con loro. Una volta nell’ultracosmo, però, la voce di un essere che si fa chiamare Akasha chiede a Dogma di rinunciare alle sue ambizioni, e ricevuta una risposta arrogante, lo disintegra per la sua indegnità. Akasha accoglie gli eroi, davanti ai quali si staglia ora una città splendente e ipertecnologica, che promette una nuova vita senza conflitti.

14.2 Prolegomeni a ogni metafisica futura I mobile suit di Gundam spazzano via il super robot e lo sostituiscono con il real robot. Ma il realismo non è l’unico modo in cui la realtà si insinua nella fase finale dell’epoca dei super robot. Nelle ultime serie infatti troviamo diversi modi di rappresentare il concetto di qualcosa di solido, di inevitabile, di necessario, che non può essere battuto né trasceso. È la società di Daitarn e del suo eroe, intrappolato dai suoi stessi schemi. È il mercato di Trider, perché ciò che Watta ottiene vincendo è appunto di poter restare nel mercato, niente di meno ma niente di più. Ma è anche l’Xtron di Gordian, l’Ide di Ideon, non più semplici serbatoi di energia, ma vere e proprie entità ai confini della fisica, che guidano il cammino degli esseri umani o ne decidono il destino. Kappei e Kento sfondavano il muro della realtà, ponendosi essi stessi come il reale e vincendo le illusioni, le retoriche, le mistificazioni. Ora è la realtà ad affermare il suo strapotere, la sua non-negoziabilità. Cambia anche l’essenza del robot. Dove la realtà trionfa sotto forma di materia, come in Gundam, lo statuto divino del robot sparisce. Dove invece rimane, come in Ideon, lo statuto divino del robot sale a un livello spaventoso, cosmico, il robot stesso è la realtà, l’unica, e non c’è spazio per nient’altro, nemmeno per gli eroi. In questo modo Ideon riacquista i caratteri minacciosi

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del primo Mazinger, ma passati al filtro della divinizzazione operata negli anni Settanta a partire da Raideen. E qui veniamo a un altro punto. Fare i conti con la realtà significa anche che per mantenere l’unicità e il carattere mitologico del super robot è necessario fondarli nella narrazione. Dopo Gundam non è più possibile pensare che un’arma non sia voluta e finanziata con uno scopo pratico compatibile con il nostro mondo, progettata e possibilmente prodotta in serie per poi essere non rinnovata ma sostituita da una versione potenziata: la mitologia è infranta. Non vuol dire che non la si possa ripristinare, ma per farlo occorre uscire dal sogno della superrobotica degli anni Settanta e portarsi dietro la mitologia nella veglia. Il che significa che quella divinizzazione implicita che aveva fatto la fortuna psicologica delle serie dell’era classica va ammessa apertamente e tematizzata, deve diventare un ingrediente della trama perché in epoca realistica non è più sostenibile la descrizione di una realtà impossibile nella quale l’impossibilità non sia fondata nella narrazione stessa. E in un mondo che non sia fantasy, in un mondo nel quale la magia in quanto tale non sia contemplata, è necessario rimanere nei canoni della fantascienza, immaginando una fisica del limite, un’energia senziente che confini con la metafisica, come in Ideon di Yoshiyuki Tomino, o un intervento del divino nel reale basato su una struttura teologica, come in Evangelion. Evangelion: l’angelo Sachiel.

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Ideon Titolo originale: Densetsu Kyojin Ideon / Space Runaway Ideon Sunrise. 39 episodi. 8 maggio 1980 - 30 gennaio 1981 Titolo italiano: non disponibile

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el 2300, sul pianeta Solo della galassia di Andromeda, colonizzato dai terrestri, gli archeologi scoprono tre veicoli – due camion volanti e una navetta – e una gigantesca astronave, ribattezzata Solo; i mezzi sarebbero appartenuti alla Sesta Civiltà. Un giorno, Karala Ajiba e la sua attendente Mayaya Rau, esponenti della civiltà del Buff Clan, aliena alla Terra, scendono su Solo, che chiamano Logo Dau, incuriosite dall’attività dei terrestri. Alcuni militari del Buff Clan le seguono, preoccupati per Karala, figlia del generale Doba Ajiba. Convinti che i terrestri abbiano intenzioni ostili, i militari li attaccano. Due giovani coloni, Cosmo e Deck, salgono su uno dei mezzi della Sesta civiltà; un’altra, Kāsha, prende il secondo, e sul terzo salgono la paleolinguista e archeologa Sheryl Formosa, che stava indagando sui reperti, insieme a Jordan Bes, il comandante dei militari terrestri di stanza su Solo. Una volta attivato il primo mezzo – in un anno dal ritrovamento non ci era riuscito nessuno – anche gli altri si muovono. I tre veicoli si uniscono autonomamente in un robot che respinge l’attacco. E questa sarà la regola: per quanto i piloti potranno controllare l’Ideon mediante i comandi, in qualsiasi momento il robot potrà agire in modo del tutto indipendente. I mezzi ospitano più di un pilota, e nel corso della serie le formazioni varieranno: l’Ideo A sarà pilotato da Cosmo – pilota principale del robot – e Deck ne sarà il co-pilota; l’Ideo B avrà come pilota prima Jordan Bes, poi Moera quando si scoprirà che l’energia misteriosa che anima i veicoli risponde meglio ai più

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giovani, e infine Gije, un uomo del Buff Clan che passerà dalla parte della Solo; il co-pilota dell’Ideo B sarà Tekuno; l’Ideo C sarà pilotato da Kāsha con copilota Bento. I veicoli saranno ribattezzati Ideo Delta, Ideo Nova e Ideo Buster. Il nome del robot, Ideon, sarà tratto dalle lettere greche che appaiono sull’indicatore di energia. Proprio il robot e la nave Solo sembrano avere per gli alieni un’importanza particolare, e in breve tempo il Buff Clan, guidato dal capitano Gije, torna all’attacco. Gije è anche intenzionato a liberare Karala che nel frattempo, assieme a Mayaya, si è mescolata ai coloni terrestri rifugiatisi sulla nave Solo, la quale, sotto il comando di Bes lascia il pianeta. Karala viene scoperta: ne segue un dibattito che rischia di degenerare in linciaggio ma Bes si intromette e la salva. Le aliene restano sulla nave ma sono tenute sotto stretta sorveglianza. Mayaya tenta un’evasione e rimane uccisa. È soprattutto Banda Lotta, una giovane colona, a essere furiosa per la presenza di Karala e, armata di pistola, arriverà a un passo dallo spararle in faccia. Del resto, sul fronte Buff Clan, Karala sarà dichiarata traditrice dalla sorella maggiore, Harulu. Durante la sua permanenza sulla Solo, Karala trova modo di dimostrare con coraggio e ostinazione la sua buona fede nel voler restare con i terrestri, o Logo Dau, come chiamano l’equipaggio della Solo quelli del Buff Clan. La ragazza racconta anche una sorta di mito di fondazione del Buff Clan: la storia di un eroe che salvò una principessa grazie al potere dell’Ide. L’Ide è dunque la forma di energia alla base della nave Solo, dei tre veicoli componibili e del robot che essi formano. Proseguono gli scontri con il Buff Clan mentre la Solo fa tappa su diversi pianeti. Uno dei bambini della nave, Lou, si ammala di morbillo e la Solo punta sul pianeta Ajan per trovare una cura. Qui i militari tentano di sequestrare la Solo, e il Buff Clan compie un ennesimo attacco, questa volta scaricando missili di potenza devastante sulla superficie del pianeta. Per salvare la Solo dai missili, l’Ideon materializza un buco nero. È evidente che la potenza del robot trascende ogni immaginazione, il che, alla luce dell’insondabilità della sua natura, rende la situazione preoccupante. Scopriamo che esiste un’organizzazione interna al Buff Clan, denominata Fondazione Ome, che intende mettere le mani sull’Ideon per rovesciare l’imperatore del Buff Clan, Zuou. I membri della Fondazione Ome sono convinti che l’Ide splenda sui giusti. Su Kyaral – dove, come in altri luoghi, l’equipaggio della Solo riscontra una certa ostilità – Cosmo conosce Kitty Kitten, una ragazza di cui si innamora e che viene uccisa da Daram, un uomo del Buff Clan. La Solo si dirige verso la Terra, ma non ottiene il permesso di atterrare. Intanto si comincia a capire qualcosa di più sull’Ide: Sheryl nota che più sale il desiderio di combattere dei piloti più fatica a salire l’indicatore di energia Ide, l’energia invece sembra salire con la paura; sulla Luna, sempre Sheryl riesce a consultare il computer Gloria e scopre che l’Ide è energia illimitata, qualsiasi cosa ciò significhi, mentre durante una battaglia in cui alcuni bimbi della Solo si ritrovano sull’Ideon, il robot si dimostra più potente e sfodera una nuova arma, le Ideon Swords, infiniti raggi di energia che scaturiscono dalle mani; si inizia a com-

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prendere che l’Ide agisce con un istinto di protezione che risponde all’istinto di autodifesa degli innocenti, ma è anche evidente che si tratta di una potenza incontrollabile. Intanto un ufficiale del Buff Clan e membro della Fondazione Ome, Gije, viene abbandonato da Daram sulla Luna e raccolto da Sheryl che lo nasconde sulla Solo. Gije sparerà a Daram nel corso di un attacco del Buff Clan alla Terra. Cosmo e Bes vengono imprigionati dalle forze terrestri ma Gije e Karala riescono a liberarli. La Solo se ne va dalla Terra e affronta di nuovo il Buff Clan vicino a Saturno, ma perde Moera, pilota dell’Ideo Nova o Ideo B. Il suo posto sarà preso da Gije su suggerimento di Cosmo, mentre le forze terrestri e il Buff Clan si alleano per sconfiggere l’Ideon e mettere le mani sui mezzi della gente di Solo. L’equipaggio tenta di disfarsi della Solo senza riuscirci per via dell’istinto di autodifesa dell’Ide che richiama il Buff Clan costringendo l’equipaggio a riprendersela per non lasciarla al nemico. Da questo momento l’equipaggio manifesta la tendenza a leggere ogni azione umana come se fosse pilotata dal volere dell’Ide. Nel frattempo la Solo perde anche Lin, la sorella di Sheryl, e Gije, mentre Karala è incinta di Bes e l’Ideon manifesta poteri sempre più spaventosi. Ma si avvicina la resa dei conti: l’equipaggio della Solo si trova davanti

L’indicatore dell’energia Ide.

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la Baral Jin, la nave madre del Buff Clan agli ordini del comandante supremo Doba Ajiba, il padre di Karala. Mentre Sheryl comincia a dare segni di squilibrio, sostenendo che l’Ide sta facendo fare a tutti ciò che vuole, Karala e l’ingegnere Joliver spariscono nel nulla: vengono teletrasportati alla Baral Jin per trattare la pace, evento che viene interpretato come volontà dell’Ide. Tuttavia Doba si infuria quando scopre che Karala aspetta un figlio da un terrestre. Mentre scoppia una battaglia tra la Solo e la Baral Jin, Karala e Joliver fuggono su una navicella ma vengono colpiti dal fuoco del Buff Clan. E sopravvivono: un nuovo miracolo dell’Ide li salva.

Titolo originale: Densetsu Kyojin Ideon: Hatsudō-hen / The Ideon: Be Invoked Sunrise. 99’. 10 luglio 1982 Titolo italiano: non disponibile

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l film si apre con una versione alternativa – e piuttosto trucida – della morte di Kitty Kitten, che rimane vittima di un bombardamento sotto gli occhi di Cosmo. Si ripercorre l’episodio del teletrasporto di Karala e Joliver. Mentre l’equipaggio della Solo non riesce a espellere l’Ideon Gun per armare l’Ideon che sta combattendo, Sheryl si chiude in una stanza con il piccolo Lou, cercando di capire come costringere l’Ide a salvarli. Il Buff Clan decide di usare una cometa per distruggere il nemico. L’Ideon, su comando di Cosmo, strappa il portello dell’Ideon Gun ed estrae il cannone. Sheryl esce con il piccolo Lou sul ponte della Solo, proprio mentre Ideon sta sparando con l’Ideon Gun alla cometa che sta per investire la nave. L’esplosione della cometa investe la Solo, e mentre il piccolo Lou viene protetto da una capsula di luce simile a quella che aveva salvato Karala e Joliver dall’esplosione della navicella, Sheryl viene travolta e uccisa. Il suo spirito, una sorta di corpo astrale, viene raccolto e abbracciato dallo spirito di Gije, i due spiriti si baciano felici. Intanto sia la Terra sia il pianeta del Buff Clan vengono investiti e distrutti da una pioggia di meteoriti. Il Buff Clan tenta un’invasione della Solo con mezzi leggeri mentre Karala, che emana una vistosa luce dal ventre, cerca e trova Lou sul ponte. Gli indicatori dell’Ide, misteriosamente spenti, si riaccendono, e Karala e Lou vengono circondati da una barriera quando il Buff Clan li colpisce con i raggi. È ormai chiaro che l’Ide protegge Lou e il bimbo che Karala aspetta, al quale l’equipaggio assegna il nome di Messia. Kāsha rimane sulla Solo a proteggerli mentre l’Ideon esce con Cosmo al comando dell’Ideo Delta o Ideo A, Deck e Bento all’Ideo Nova o Ideo B, e Tekuna all’Ideo Buster o Ideo C. Harulu, la sorella maggiore di Karala, penetra nella Solo e uccide Banda Lotta e Karala. Ma il feto dentro Karala si muove. Nella supposizione di Cosmo, l’Ide predilige i giovani per rigenerarsi, e ha preferito Messia alla madre. Muore Harulu, muore Kāsha, uno a uno muoiono tutti i personaggi mentre infuria la battaglia finale tra il Buff Clan e la Solo. La Solo è invasa internamente e attaccata dall’esterno da parte del generale Doba, che la fa devastare da un

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colpo di cannone a particelle mentre il corpo di Karala viene fatto ascendere dall’Ide in una capsula di luce. I piani della realtà iniziano a mescolarsi, residui di coscienza dei morti parlano ai vivi, e Doba ha uno scambio telepatico con i piloti dell’Ideon. Lo scontro è definitivo, Nave Solo, Ideon, mezzi del Buff Clan: tutto viene disintegrato nella deflagrazione ultima. Ogni personaggio si risveglia nel suo corpo spirituale: gli spiriti si cercano, si trovano, si abbracciano secondo quelle che erano o avrebbero dovuto essere le relazioni più sentite e reali. Tutti seguono Messia in una trasmigrazione collettiva. Ricompaiono Sheryl e Gije, che si uniscono agli altri. L’ultimo spirito a svegliarsi è Cosmo, vicino a lui attendono Kitten e Kāsha. Quando si sveglia, Cosmo può salutare Kitten, ma lo vediamo trasmigrare insieme a Kāsha. Lo sciame di spiriti, infine, si immerge nel mare di un pianeta del tutto simile alla Terra.

14.3 Un’idea del bene In Ideon l’energia conserva se stessa e si nutre del rapporto con le persone che vivono sulla nave Solo, stringendole nella tenaglia tra l’obbligo dell’altruismo e la necessità di difendersi, necessità che tra l’altro è l’Ide stessa a soddisfare quando l’equipaggio della Solo è in pericolo. In questo modo finisce per macerarle psicologicamente, il che peggiora ulteriormente la loro situazione, dal momento che, paradossalmente, tutto ciò che l’Ide richiede è uno sguardo semplice sulla complessità della realtà, mentre ciò che sistematicamente ottiene dai protagonisti di entrambi i fronti è una semplificazione della realtà operata da sguardi complicati, pieni di sovrastrutture, di pregiudizi, di calcolo. Un episodio esemplare di questo tipo di dinamiche è quello in cui Sheryl vorrebbe consegnare Karala al Buff Clan, ma quando quest’alzata d’ingegno genera un disastro, e solo Cosmo risolve la situazione riportando tutti alla base, Sheryl mente a tutti su ciò che stava tentando di fare, e lascia ricadere la responsabilità sulla stessa Karala. Karala ovviamente sa benissimo come stanno le cose, ma la copre, e questo non fa che gettare Sheryl in crisi per essersi messa in una situazione di debito con Karala. La spaventosa metafisica dell’Ide è l’allegoria di un semplicissimo, sensato punto di equilibrio. E l’unica che sembra in grado di viverlo, quel punto di equilibrio, è Karala, mentre Sheryl – personaggio tragico e splendido – arriva quasi a comprendere cosa l’Ide significhi e cosa voglia da loro, ma semplicemente, umanamente, non è in grado di attuarlo, e nel suo tentativo di trovare il modo, arrovellandosi e insistendo, non fa che innalzare il livello del pericolo; questo è il suo dramma, che esemplifica il dramma di tutti i membri del

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gruppo: la distanza tra la conoscenza di cosa è il bene e la capacità di viverlo, il tentativo fallimentare di coprire una mancanza del sentire con una nozione, una regola, una morale imposta, strumentale al raggiungimento di un premio, tentativo che disastrosamente non farà che aumentare il livello di tensione, di complicazione, e di conseguente repressione pronta a esplodere scatenando la furia distruttiva dell’Ide. Così, sul fronte Logo Dau, cioè l’equipaggio di origine terrestre della nave Solo, i bambini diventano importanti come mezzi: li si conserva per tenere buono l’Ide, mentre sul fronte Buff Clan si soppesa la possibilità di aderire formalmente agli ideali di Karala per non essere spazzati via, e potersi così impossessare dell’ambita energia. Tutti trattano l’Ide come un dio con il quale avere un rapporto di compravendita. Il che in linea di principio non sarebbe del tutto sbagliato, perché la meccanica dell’Ide risponde alle pulsioni, non alla morale: l’Ide di per sé punta solo a rigenerarsi nei puri di cuore, ma il suo è istinto di sopravvivenza, non giudica e non ha pietà, tanto è vero che non salva Karala, e salva invece il suo feto di nemmeno quattro mesi. L’Ide vuole cuori puri ma non ha un cuore benevolo, o certamente non considera l’essere umano il centro del mondo; se l’aggressività dispiegata dagli umani dovesse superare un punto-limite, l’Ide non esiterebbe a condurli alla reciprca distruzione, e lo fa. Insomma, il suo meccanismo ha al centro un valore, ma rimane un meccanismo, e teoricamente ha solo bisogno di un risultato, non di un’intenzione sincera. Il problema immenso è che gli umani, proprio per come sono fatti, quel risultato non possono ottenerlo con una mera meccanica, ma solo come frutto di un’intenzione sincera. Il paradosso è totale. Nel frattempo la tensione tra il collettivismo suicida del Buff Clan e l’individualismo meschino dei Logo Dau non fa che spingere la situazione verso il punto di non-ritorno. L’Ide non si sarebbe risvegliato se i due popoli non fossero entrati in guerra, dice Karala a sua sorella Harulu. Quindi è colpa tua, risponde l’altra. Non fa una piega: l’alternativa allo scontro è l’isolamento. La genialità di Tomino sta nell’aver immaginato, come allegoria del bene puro e disinteressato, una potenza distruttiva assoluta. Mettendo un tetto all’escalation è riuscito a raccontare come riusciamo a distruggerci tutti i giorni, e non tanto per il fatto di non riuscire a scendere dal livello di tensione raggiunta, quanto per il fatto che i modi in cui tentiamo disperatamente di far scendere il livello di tensione per salvarci, lo alzano. L’Ide è quello che è perché noi siamo quelli che siamo. Ed è vero – come è stato sostenuto da più parti, e da Tomino stesso – che il robot, l’Ideon, non è un mostro di bellezza, ma la sua

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mascherina riflettente acuisce il senso di insondabilità della creatura, e il fatto che sia riflettente ci dice qualcosa su di noi e sulla nostra, di insondabilità. Venendo alla dimensione storico-politica, che malgrado i rivolgimenti che hanno attraversato l’anime robotico, in Tomino è ancora viva e vegeta, sia in Gundam sia in Ideon assistiamo a una divisione culturale. La differenza rispetto alle opere del passato, compreso Zambot, è che questa divisione culturale non è una divisione morale, o meglio: entrambi gli schieramenti sono moralmente perversi anche se lo sono in modi differenti. Da una parte, il Buff Clan e Zeon rappresentano culture militariste e tradizionali, e fin qui ci siamo. Esaminiamo l’altro fronte. In Gundam l’ipocrisia dei buoni è scaricata sulla Federazione, senza coinvolgere troppo l’equipaggio della Base Bianca, la cui giovinezza, in linea con la filosofia di Tomino, è sempre rappresentativa di un valore morale. In Ideon invece l’immoralità investe i protagonisti stessi, l’equipaggio della Solo. Qui, l’unica vera differenza è che i Logo Dau non sembrano avere un sistema di valori di riferimento, e sono costantemente impegnati a cercare di capire cosa stanno facendo, mentre il Buff Clan è perfettamente sostenuto dalla sua ideologia: non perde mai la fede di essere nel giusto, nemmeno quando al suo interno è diviso tra establishment e Fondazione Ome. Il Buff Clan ha un codice che incanala l’aggressività, e quindi i rapporti competitivi sono regolati e vissuti senza problemi morali. L’impressione è che i Logo Dau siano emotivamente legati agli stessi valori del Buff Clan, ma non abbiano un sistema in cui collocarli né una coerenza tale da poterli sostenere. Parrebbe una svolta reazionaria di Tomino se non fosse proprio Karala a rappresentare un modello di superamento per entrambi i fronti: del Buff Clan non mantiene i valori, ma la coerenza e la responsabilità, e dei Logo Dau sposa i valori condivisi che loro stessi non sono capaci di realizzare.

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Gundam Titolo originale: Kidō Senshi Gandamu / Kidō Senshi Gundam Sunrise. 43 episodi. 7 aprile 1979 - 26 gennaio 1980 Titolo italiano: Gundam

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er fronteggiare la sovrappopolazione, gli esseri umani hanno colonizzato lo spazio circostante la Terra, immettendovi giganteschi cilindri nei quali sono replicate le condizioni ambientali terrestri. Nell’anno 0058 dello Universal Century, Zeon Zum Deikun assume il comando di Side 3, la colonia più distante dalla Terra, proclamando la Repubblica di Zeon e dichiarandola indipendente dalla Federazione terrestre. Nell’anno 0068, alla morte di Zeon Zum Deikun, la casata Zabi instaura una dittatura su Side 3, che da Repubblica di Zeon diventa Principato di Zeon. La richiesta formale di Zeon è che la Terra riconosca l’indipendenza delle colonie orbitanti. Di fatto Zeon sta invadendo le altre colonie. Nell’anno 0079 scoppia quella che sarà conosciuta come la Guerra di un anno, pesantissima in termini di perdite umane ed efferatezze compiute da entrambe le parti in causa. La storia di Gundam comincia dopo otto mesi di guerra. Due Zaku, i mobile suit usati da Zeon, penetrano in Side 7, una colonia ufficialmente neutrale, e scoprono che un’astronave militare, la Base Bianca, sta imbarcando tre nuovi modelli di mobile suit federali. Gli Zaku, contravvenendo agli ordini, tentano di distruggere i nuovi mobile suit, mentre Side 7 viene evacuata e i civili vengono fatti salire sulla Base Bianca. Nel caos, Amuro Ray (Peter), un ragazzo di Side 7 figlio dell’ingegnere Tem Ray in forza ai federali, si ritrova tra le mani il manuale di istruzioni di uno dei nuovi robot, e decide di tentare di pilotarlo: l’RX-78 Gundam si solleva così dal suo supporto e Amuro affronta gli Zaku. Il ragazzo non ha alcuna esperienza ma l’RX-78 si rivela

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potentissimo e dotato di un sistema di autoapprendimento: gli Zaku vengono sconfitti. Intanto su Side 7 è sceso anche il maggiore Char Aznable (Shia), conosciuto come la Cometa Rossa, uomo di punta dell’esercito zeonita, con gli occhi perennemente coperti da una mascherina. Char si imbatte in una giovane di Side 7, Sayla Mass: i due sembrano riconoscersi, e Char approfitta dello stupore di Sayla per dileguarsi. Intanto sorge il dubbio che i due siano fratelli; in seguito si scoprirà che è proprio così: Sayla è in realtà Artesia Som Deikun, e Char è Casval Rem Deikun, entrambi figli di Zeon Zum Deikun, fondatore della Repubblica di Zeon ucciso dalla famiglia Zabi; messi in salvo sulla Terra da Jimba Ral, fedele agli Zeon, Sayla è finita su Side 7 mentre Casval è rientrato a Zeon in incognito e si è iscritto all’accademia militare per portare a compimento la sua vendetta. La Base Bianca parte, deprivata di molti ufficiali rimasti uccisi nella sortita zeonita, con il comandante Paolo Cassius gravemente ferito, e con il suo carico di profughi di Side 7, tra cui Amuro Ray e la sua amica Fraw Bow (Mirka), Sayla Mass, Mirai Yashima (Flammet), Kai Shiden e Hayato Kobayashi. Ovviamente sono stati imbarcati anche i tre mobile suit: il Gundam, il Guntank e il Guncannon. Non senza qualche conflitto, si cerca di far fronte all’emergenza dividendosi i compiti: i civili con un minimo di preparazione vengono arruolati nell’esercito seduta stante e immessi nei ruoli rimasti scoperti; si decide anche di affidare il Gundam ad Amuro, manutenzione compresa. Cassius, sempre presente alle operazioni ma costretto in barella, si affida al giovane tenente Bright Noah, che diventerà comandante di lì a poco, alla morte di Cassius. Il Guntank sarà pilotato da Hayato Kobayashi e dal cadetto Ryu Jose, che userà spesso e volentieri anche un caccia Core Fighter; il Guncannon da Kai Shiden, non particolarmente amato dal resto dell’equipaggio. Char insegue la Base Bianca, e così Amuro, in uscita nello spazio con il Gundam, si scontra con quella che diventerà la sua nemesi personale. Dopo un pessimo momento su Luna 2 – dove Noah viene temporaneamente arrestato per aver concesso al civile Amuro Ray l’uso di un’arma segreta, e dove il comandante Cassius muore lasciandogli il comando – la Base Bianca punta alla Terra, ma a causa di un ennesimo attacco di Char finisce in Nord America, territorio controllato da Zeon, e deve vedersela con le truppe di Garma Zabi, rampollo degli Zabi ed ex-compagno di accademia di Char. È lo stesso Char, con l’inganno, a permettere alla Base Bianca di liberarsi di Garma. Il padre di Garma, Degwin Zabi, degrada Char per non aver protetto il compagno. Il comando delle operazioni terrestri passa così a Ramba Ral, mentre su Zeon gli Zabi trasformano il funerale di Garma in un comizio durante il quale lanciano il nuovo corso della politica zeonita: il fine della guerra non è più il riconoscimento dell’indipendenza delle colonie, è la distruzione totale del nemico. Nel frattempo alla Base Bianca tensione e stress stanno salendo a livelli di guardia. La nave si sposta in Canada e poi nel Gobi, dove Amuro affronta le milizie di Ramba Ral – armate di Zaku e dei più potenti Gouf – con il Guntank, disobbedendo agli ordini di Noah, e usando il Gundam solo in un secondo

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momento. Noah lo rimprovera, e Amuro, già abbastanza esasperato, scoppia e abbandona la Base, portando via il Gundam e rifugiandosi nel deserto. Qui Fraw Bow lo rintraccia e i due scoprono una base zeonita che viene fatta saltare dagli stessi zeoniti per non rivelare segreti militari. Amuro rientra infine alla Base, dove viene sbattuto in cella di punizione. Ramba Ral, in rotta con il colonnello zeonita M’Quve per questioni di rifornimenti, tenta un’azione di penetrazione nella Base Bianca e trova a opporsi il Gundam pilotato da Sayla, almeno fino a che Amuro non viene liberato e sostituisce la ragazza. Quando Sayla esce, Ramba Ral la riconosce come Artesia Som Deikun. Il Gundam vince, Ramba Ral si suicida e Amuro viene rimesso in cella. Crowley Hamon, la compagna di Ramba Ral, attacca la Base Bianca. Ryu Jose libera Amuro ma il Gundam rischia di farsi distruggere da un attacco suicida di Crowley. Lo salva Ryu, schiantandosi volontariamente contro il Magella Top di Crowley con il suo Core Fighter. L’equipaggio esce dalla battaglia sconvolto. Noah si ammala per il troppo stress e il comando della Base Bianca passa a Mirai Yashima. Mirai è una civile di Side 7, figlia di un ufficiale federale, e fino a quel momento ha svolto il ruolo di timoniere, assunto durante la situazione di emergenza su Side 7 in quanto in possesso di un brevetto di pilota spaziale.

Amuro Ray.

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La Base Bianca viene attaccata con un cannone a megaparticelle e si defila in attesa di rifornimenti per le necessarie riparazioni. Matilda, l’ufficiale federale addetta al trasporto dei rifornimenti, viene attaccata da Zeon. Amuro, che per Matilda prova un’evidente simpatia, riesce a salvarla, ma di lì a poco la ragazza morirà proprio per salvare il Gundam durante un ulteriore attacco. La Base Bianca si unisce alle forze terrestri nell’operazione Odessa volta a distruggere le basi euroasiatiche di Zeon. Mentre il presidio di Zeon abbandona l’Europa, la Base Bianca attracca a Belfast per le riparazioni. Qui viene attaccata da un sommergibile zionita al comando di un reintegrato Char, e Amuro se la vede veramente brutta contro i mobile suit anfibi Gog. Sempre a Belfast, Kai Shiden, pilota del Guncannon con seri disagi caratteriali e relazionali, decide di abbandonare la Base e conosce Miharu, una ragazza che per problemi economici lavora come spia per Zeon. Gli eventi che seguono porteranno alla morte di Miharu, postasi al fianco di Kai durante un attacco zeonita, e al ritorno di Kai alla Base Bianca, che parte per il Brasile. Qui, dopo l’ennesima vittoria su Char, all’equipaggio vengono riconosciuti i gradi militari. La prossima tappa è la neutrale Side 6. La Base Bianca decolla e continuano le schermaglie con le truppe di Char. Su Side 6 Amuro incontra il padre che credeva morto su Side 7, dove era stato risucchiato nello spazio; tuttavia l’incidente ha compromesso gravemente le facoltà mentali di Tem Ray. Amuro poi fa la conoscenza di Lalah Sune, che sospetta essere la ragazza di Char e con la quale Amuro inizierà ad avere strani contatti telepatici. Siamo vicini allo scontro finale concentrato sulle roccaforti zeonite posizionate sugli asteroidi di Solomon e A Baoa Qu. Su New Texas, nel frattempo, Char incontra Sayla e le racconta la storia di Zeon Zum Deikun, che voleva fare di Zeon la terra d’elezione dei newtype, i nuovi esseri umani cresciuti nello spazio e dotati di facoltà superiori. Non è dunque un caso che Char sia interessato alle potenzialità di Lalah, alla quale è affidato l’Helmet, un mobile armour che sfrutta le sue capacità telepatiche. E durante una battaglia proprio Lalah tenta di aiutare Char frapponendosi tra lui e il Gundam. Senza poter frenare il colpo, Amuro la uccide. Espugnata Solomon, la Federazione e Zeon stanno per scontrarsi con i due monumentali sistemi di attacco spaziale, Solar Ray e Solar System. Degwin Zabi chiede di trattare un armistizio e incontra i federali, ma il figlio Giren, contrario alla decisione, aziona il Solar System disintegrando anche la nave di Degwin. Sarà la sorella di Giren, Kycilia (Kirisha), a ucciderlo vendicando il padre. Siamo allo scontro finale. Mentre le forze federali entrano ad A Baoa Qu, si scontrano Char sul nuovo mobile suit Ziong e il Gundam di Amuro, il quale sta sperimentando sempre più spesso scariche extrasensoriali. I mobile suit escono dalla battaglia devastati, ma lo scontro si protrae in un duello alla spada finché non interviene Sayla. Char se ne va, ma farà saltare la nave di Kycilia Zabi con un colpo di bazooka. Amuro invece trarrà in salvo l’equipaggio di una Base Bianca ormai semidistrutta, guidandoli telepaticamente verso una navicella di salvataggio.

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14.4 Newtype Gundam rivoluziona la prospettiva della robotica classica: armi costruite in serie, guerre vere, più vere di quelle di Groizer e dello stesso Zambot; sia il complesso narrativo sia il contesto ambientale sono totalmente diversi da quanto visto finora. Anche se è pur vero che Amuro Ray è a modo suo un orfano, e che suo padre è a modo suo un padre della tecnica, in questo quadro cambiano anche le figure cui si è abituati. Il protagonista dell’anime è l’equipaggio della Base Bianca, un gruppo di cadetti, combattenti improvvisati e civili che vince la Guerra di un anno. Immersa in uno spazio nero, decontaminato da ogni elemento fantastico, la base si muove come una bolla amniotica di affetti. E la presenza dei bambini, come sempre avviene in Tomino, non è mai finalizzata a introdurre cali di tensione, quanto a ricreare l’atmosfera di strada e di quartiere, proietta il Giappone popolare nello spazio. Si va inevitabilmente verso gli anni Ottanta, ai cieli Amuro, Ryu, Fraw Bow e il robot Haro sulla Base Bianca.

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plumbei o irrorati di rosso e alle strutture algide e spoglie delle basi dei padri della tecnica si contrappongono ormai i soffitti hi-tech delle nuove stanze, gli oblò che mostrano il contrasto tra il calore luminoso degli interni e un esterno dove regna una notte siderale che non è mai stata così colonizzata, antropizzata, e contemporaneamente così fredda. Del resto sta per arrivare il cyberpunk: tra poco gli agglomerati urbani saranno ugualmente estranei e alienanti. L’abisso si sposta nella vita interiore dei protagonisti, e il robot diventa sempre più mediatore tra il pilota e se stesso. Mentre fuori infuria la tempesta della meccanica, sparisce il grido delle armi, sostituito dal soliloquio in cabine di pilotaggio improvvisamente buie nel buio dello spazio, piccole a misura esatta di corpo umano. Nasce la figura del newtype, la nuova specie dall’anima troppo leggera per sopportare la depressione della gravità. In Gundam Z (1985) dove gli ambienti risentiranno dell’estetica new wave e le atmosfere si faranno ancora più soffuse, più protette e insieme più malinconiche, la tecnica si approprierà dei newtype e li produrrà artificialmente, generando soggetti borderline e disperati, condannati a un bipolarismo incontrollabile, allegorie di un’umanità afflitta da disturbi della personalità generati dal sistema che essa stessa ha edificato e del quale non è più capace di decostruire l’ideologia, perché non la vede più: tutto è semplicemente così come è, e non ci sono alternative. Si combatte e basta, si fa ricerca tecnologica e basta, si costruiscono computer e armi e basta, e ogni dramma è personale, responsabilità individuale nelle sue ricadute e insieme negato anche a se stessi, perché non c’è tempo, e perché negarlo è pur sempre un modo di conservarlo, di mettere al sicuro, nel luogo più profondo di se stessi, un’identità, in un’epoca senza più militanze morali, senza più abissi favolosi, definitivamente abbandonata dagli dèi di metallo che sorgevano dall’acqua e davano inizio al rituale.

Note È necessario tenere presente che l’anime di super robot è una sottocategoria – per quanto codificata, particolare e nutrita – della più ampia narrativa giapponese incentrata sul rapporto con i robot, le macchine, la tecnica e la tecnologia, una riflessione fatta di storie che vanno dalla space opera al cyberpunk. Nell’introduzione alla raccolta di saggi da lui curata, Robot – Fenomenologia dei giganti di ferro giapponesi, Gianluca Di Fratta parla di «interesse quasi feticistico che i giapponesi nutrono per i robot» (L’Aperia 2007). Sulla figura del robot in Giappone, si vedano: Fabio Bartoli, Mangascienza. Messaggi filosofici ed ecologici nell’animazione fantascientifica giapponese per ragazzi, Tunué 2011; Gianluca Di Fratta (a cura di), Robot. Fenomenologia dei giganti di ferro giapponesi, L’Aperia 2007; Arianna Mognato, Super Robot Anime. Eroi e robot da Mazinga Z a Evangelion, Yamato Video 1999; Marco Pellitteri, Il drago e la saetta. Modelli, strategie e identità dell’immaginario giapponese, Tunué 2008. 2 Ai robot giganti in Tetsuwan Atom accenna Arianna Mognato in Super Robot Anime. Eroi e robot da Mazinga Z a Evangelion, Yamato Video 1999. Tetsuwan Atom di Osamu Tezuka è un’opera fondamentale per lo sviluppo di manga e anime, non solo fantascientifici: su di esso si veda l’ottima scheda (pp. 151-153) e i vari passi dedicatigli da Fabio Bartoli in Mangascienza. Messaggi filosofici ed ecologici nell’animazione fantascientifica giapponese per ragazzi, Tunué 2011. 3 Cfr. i post su Farmer in the Sky, all’indirizzo: http://bit.ly/2eyC85H e su Go Nagai World, all’indirizzo: http://bit.ly/2dZSqDL. 4 Questa carrellata ha evidenti debiti nei confronti dell’eccezionale ricostruzione della genesi del super robot esposta da Saotome Mondo sul forum Il pazzo mondo di Go Nagai a questo indirizzo: http://ilpazzomondodigonagai.forumfree.it/?t=43807346 5 I live action di riferimento sono ovviamente quelli appartenenti a due generi classici della fantascienza giapponese: il kaijū eiga (il cinema di mostri, quello di Godzilla e Gamera, per intenderci) e il tokusatsu nella variante kyodai hero (le serie con i guerrieri giganti, come Ultraman, Spectreman e Megaloman). 6 Carattere che riecheggia nel nome stesso del robot: Ma-jin-gā, «composto – scrive Luca Raffaelli, – dalla parola ma che può essere tradotta sia con “genio”, che con “demone”, da jin, “dio”, e da ga, che richiama qualcosa di nocivo, pericoloso» (Luca Raffaelli, Le anime disegnate. Il pensiero nei cartoon da Disney ai giapponesi e oltre, minimum fax 2005). 1

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Non è un caso allora che Kabuto in giapponese significhi “elmo” e Kōji “primo figlio” o semplicemente “primo”. Peraltro il nome di Kōji, come ormai noto, è stato sostituito due volte su tre negli adattamenti italiani delle serie della Mazinsaga: Kōji è infatti Ryo in Mazinga Z, Kōji nel Grande Mazinga e Alcor in Goldrake. 8 Scrive Marco Maurizi: «Tutti i personaggi hanno due teste; la testa che poggia sul collo è regolarmente quella che non parla […]; l’altra si trova il più delle volte conficcata nel petto. […] Il duca Gorgon ha il troncone innestato su un corpo di tigre. Il ministro Argos ha una specie di registratore a bobine impiantato nel petto; la testa sostituisce una delle due mani e la barba giunge fino a terra fungendo da bastone (qualcosa di simile si vede nei “bastoni di appoggio” di certi quadri di Dalì). La marchesa Yanus abita regolarmente in uno dei due seni (e dove altrimenti?) del proprio mostro meccanico, ma è anche l’unica che può scorporarsi dal mostro e uscire all’esterno col suo corpo normale». (Marco Maurizi, “Ecce robot: come si filosofa coi pugni atomici”, all’indirizzo: http://bit.ly/2eyFqpw). 9 Cfr. Fabio Bartoli, Mangascienza. Messaggi filosofici ed ecologici nell’animazione fantascientifica giapponese per ragazzi, Tunué 2011, p. 131. 10 Sarà un caso, ma quando Getter Robot incontra il robot americano Texas Mack, in un episodio 21 all’insegna di una rivalità un po’ gradassa ma piuttosto irenica, il combattimento decisivo tra il Getter e il mechasaurus di turno avviene in fondo a un lago, e l’esplosione a fungo, pure presente, è fatta d’acqua, come a moderarne visivamente la distruttività e narcotizzarne il potere evocativo. 11 Il tema dell’orfano è stato affrontato diverse volte nell’ambito della saggistica sugli anime, si vedano: lo speciale Orfani e robot di Alfredo Castelli e Gianni Bono uscito su “Eureka”, n. 11/12, novembre 1983, Milano, e su “IF – Immagini & Fumetti”, n. 5/8, dicembre, dello stesso editore; il saggio di Marco Pellitteri, “A Est di Oliver Twist”, in Con gli occhi a mandorla. Sguardi sul Giappone dei cartoon e dei fumetti, a cura di Roberta Ponticiello e Susanna Scrivo, Tunué 2005, pp. 110-112; Fabio Bartoli, Mangascienza. Messaggi filosofici ed ecologici nell’animazione fantascientifica giapponese per ragazzi, Tunué 2011, pp. 99-100. 12 Anche di Getter esistono diverse versioni – e seguiti – e c’è una differenza notevole tra la versione manga, dai toni più crudi, e quella anime, più edulcorata. Lo sviluppo della lunghissima Gettersaga, che non si chiude affatto con Getter Robot G, si deve al collaboratore di Nagai, Ken Ishikawa. 13 Di Tetsuya e Jun in relazione alla figura dell’orfano parla Fabio Bartoli in Mangascienza. Messaggi filosofici ed ecologici nell’animazione fantascientifica giapponese per ragazzi, Tunué 2011, pp. 104-106. 14 La relazione tra mare e super robot è molto frequentata. Qui si propende per un archetipo profondo, mentre Gianluca Di Fratta sottolinea un nesso con le abluzioni rituali (le due letture, peraltro, non sembrano escludersi nel sincretismo del simbolo): «È curioso notare, a tale proposito, come negli anime di genere robotico l’acqua, in quanto principale elemento di purificazione del corpo e della mente, diventi anche uno strumento di abluzione rituale per la macchina da guerra alle soglie di una nuova battaglia. Esempi del genere sono ravvisabili in Mazinga Z, il cui robot protagonista emerge da un’enorme piscina al di sotto della quale è nascosto un hangar; in Il Grande Mazinga, dove il Brian Condor, pilotato da Tetsuya, sbuca da un lungo cunicolo battuto dalle onde del mare per incastonarsi nella testa del robot – che risale le acque attraverso un vortice sottomarino 7

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– mentre la sua controparte femminile appare da una cascata; in Atlas Ufo Robot, dove il condotto principale da cui si solleva Goldrake si apre su di una diga; in Jeeg Robot, in cui il Big Shooter pilotato da Miwa emerge a grande velocità dal fondo di un lago» (Gianluca Di Fratta, “La via del samurai”, in Con gli occhi a mandorla. Sguardo sul Giappone dei cartoon e dei fumetti, a cura di Ponticiello e Scrivo, Tunué 2005, p. 230). Ritengo che, negli anime che piegano verso una dimensione storico-politica più sviluppata, il mare rimandi anche allo sfondo delle battaglie aeree sul Pacifico. Si veda in merito l’ottima analisi di Fabio Bartoli in Mangascienza. Messaggi filosofici ed ecologici nell’animazione fantascientifica giapponese per ragazzi, Tunué 2011, pp. 163-165: «[…] sono soprattutto i Blaster l’oggetto d’analisi più interessante della serie. Riproducibilità, uniformità, mimesi: queste le tre peculiarità della tecnologia intorno alle quali si struttura la caratterizzazione dei nemici del genere umano. Essi sono infatti sostanzialmente tutti uguali, distinti esclusivamente da un numero impresso sulla loro fronte: la produzione seriale tipica del capitalismo e la necessità congenita di sfruttare le risorse naturali per la sua implementazione sono evocate da questo popolo minaccioso, che annienta un pianeta dietro l’altro per depredarlo della sua linfa al fine di sopravvivere». A proposito, in Super Robot Anime. Eroi e robot da Mazinga Z a Evangelion, Yamato Video 1999, p. 40, Arianna Mognato nota acutamente: «Ogni serie mostra in tal senso una propria tendenza. Mazinga Z, Grande Mazinga e Jeeg, ad esempio, lottano contro robot antropomorfi dall’aspetto di antichi guerrieri o creature demoniche; Goldrake, Daltanius e Gakin contro kaiju». Un particolare che dovrebbe attivare il radar dei filologi di Evangelion. Particolari che dovrebbero attivare il radar dei filologi di Evangelion, almeno quanto il fatto che una comprimaria della serie si chiama Rei Asuka. Come di altre opere di Nagai, di Grendizer esiste più di una versione manga. Quella di Gosaku Ōta, che desta pareri discordanti, racconta una storia completamente diversa dalla storia dell’anime ed è molto più intrecciata con la Mazinsaga. Di Grendizer lo stesso Nagai concepì quello che inizialmente doveva essere un seguito, serializzato in manga ma non in anime: Garla. Se ne parla sul blog Go Nagai World a questo indirizzo: http://bit.ly/2fiGizy. Il fatto che la struttura portante di Gattaiger fosse il rapporto tra Duke Fleed e Telonna suggerisce di prendere in considerazione l’ipotesi che una lettura profonda di Grendizer debba prendere le mosse dagli episodi di Naida e Rubina. Naida ha avuto una relazione con Duke ai tempi di Fleed, e nutre per Duke una evidente ossessione, vendicativa e sadica, non esita a punirlo (di cosa?) colpendolo nei punti più deboli della sua psiche, nel suo sforzo di sentirsi nel giusto e alimentando i suoi sensi di colpa, e Daisuke ne rimane traumatizzato in modo serissimo. Dal canto suo, Rubina è figlia di suo padre: di lei ci viene detto che le è stata affidata la reggenza di un pianeta perché se la cava bene con la repressione. Alla principessa è nota la situazione non rosea dell’impero. Tutt’altro che autorizzata dal padre, si reca sulla Terra per incontrare Duke, informarlo della rigenerazione di Fleed e proporgli di dar vita insieme a un nuovo contesto politico. Quello che intuiamo dai loro ricordi è che, dell’antico fidanzamento che avrebbe dovuto salvare Fleed, Duke si era mostrato poco convinto (perché?). E sappiamo che Fleed, dopo, fu devastato da una terrificante bomba al vegatron. Mettere in relazione episodio 25 e 72 è estremamente interessante, ma certezze non ce ne sono. Un’interpretazione di Grendizer

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che segue questa linea è stata sviluppata magistralmente da Gerdha e Joe7 – cui devo anche una cronologia grendizeriana utilissima – e se ne trova un resoconto sul blog di Joe7, all’indirizzo http://joe7.blogfree.net/. Non pare un caso che le difficoltà di Grendizer in acqua siano l’oggetto dell’episodio in cui Blacky cattura Hikaru e ricatta Daisuke chiedendo la distruzione di Grendizer, che dovrà avvenire proprio per mezzo dell’acqua, in cambio della vita della ragazza. Questa intuizione l’ha avuta Joe 7, se ne può leggere sul suo blog, all’indirizzo: http://joe7.blogfree.net/?t=4898260. È plausibile che uno studio specifico a serie incrociate sulle sceneggiature dei singoli episodi possa dire qualcosa di più su certe scelte. Per i più tosti c’è anche la versione evangelica: capire chi è lo smilzo tra Rei e Asuka. Soprannominato nell’anime Kamisori no Yasu, “rasoio di sicurezza”. Ora, forse, anche per il tenore della serie, non è del tutto insignificante che Kamisori, rasoio, fosse anche il soprannome di Hideki Tojo, generale e primo ministro giapponese durante la Seconda guerra mondiale, fedele all’Asse Roma-Berlino-Tokyo, militarista, ultranazionalista e sostenitore dell’eugenetica, giustiziato nel 1948 per crimini di guerra. Devo quest’ultima osservazione all’articolo “Robots magnetici: Jeeg e Gackeen” di Tiziano Caliendo, reperibile all’indirizzo: http://bit.ly/2eJ2DTz. Scrive Pellitteri: «Per quanto riguarda il tema del ruolo femminile a livello di politica di genere, già Nagai aveva introdotto la presenza delle donne con un ruolo attivo, benché di corredo, in Mazinger Z, e anche nelle serie seguenti sono spesso inserite nel cast ragazze con una funzione di supporto rispetto ai personaggi maschili, con il risultato che si colgono allusioni piuttosto ambigue circa il ruolo femminile. A essere benevoli è possibile ravvisare il messaggio che le donne sono indispensabili in tutti i sensi, che possono e devono combattere alla pari con gli uomini; tuttavia anche in questo caso il colore dell’interpretazione dipende dagli elementi su cui l’osservatore voglia porre maggiore attenzione. È certo vero che proprio negli anni Settanta, contemporaneamente agli exploit delle storie di Nagai, una nuova tendenza del fumetto giapponese stava portando alla ribalta molte autrici che cominciarono a narrare storie con una sensibilità autenticamente femminile; tuttavia sembra che, per quanto riguarda le storie di robot, scritte da uomini e indirizzate a giovani lettori/spettatori dello stesso sesso, un maschilismo retrivo – frequente anche nei fumetti e cartoon occidentali – lasciasse poco spazio a concessioni reali alla donna e a una sua eventuale emancipazione» (Marco Pellitteri, Il drago e la saetta. Modelli, strategie e identità dell’immaginario giapponese, Tunué 2008, pp. 176-177). Ho trovato ulteriore conferma di questa intuizione nell’articolo di Tiziano Caliendo già citato e reperibile all’indirizzo: http://bit.ly/2eJ2DTz. Gli episodi incentrati sulla coordinazione fra Mai e Takeru dovrebbero attivare i radar dei filologi di Evangelion. Nell’episodio 17 di Daikengo, il pianeta Terra è sul punto di diventare un alleato di Magellano, ma l’eventualità viene significativamente scongiurata da un bambino; nell’episodio 22, la Terra entra a far parte della Federazione galattica che fa capo a Emperios. Scrive Gianluca Di Fratta: «Nella fase di assemblaggio tra le varie unità che compongono il robot, le inquadrature si soffermano sui particolari degli ingranaggi, degli assi e delle loro rotazioni, degli spostamenti delle parti meccaniche. Grazie all’alone di luce e di

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scariche elettriche che fa da sfondo e, al contempo, impedisce una precisa localizzazione dell’avvenimento, la fase di assemblaggio assume una sorta di connotazione magica, in cui si percepisce un trasporto quasi feticistico per l’apparato meccanico» (“Robot Anime. Robofilia e tecnocentrismo nel cinema di animazione giapponese”, in Robot – Fenomenologia dei giganti di ferro giapponesi, L’Aperia 2007, p. 52). 31 Questa lettura di Daitarn come spettacolo sulla società dello spettacolo deve moltissimo alle recensioni di Davide Di Giorgio e Jacopo Mistè comparse sul blog Anime Asteroid a questo indirizzo: http://bit.ly/2eJ4V4Q. 32 Per i retroscena che portarono all’interruzione della programmazione, fa storia un articolo pubblicato sul numero 10 della rivista “Yamato” e riportato sul sito Enciclorobopedia, all’indirizzo: http://www.encirobot.com/bald/bald-cur.asp. 33 Per lo spettatore una vera conclusione arriva solo con il film. Dei rimanenti episodi vennero pubblicati gli storyboard sulla rivista “Animage”, e in rete si può reperire qualche informazione sulla trama. Un’accurata sinossi delle ultime puntate si può leggere nella pagina delle sintesi degli episodi di Baldios su Enciclorobopedia: http://www.encirobot. com/bald/bald-sint.asp. Sintetizzando molto: sostituita al comando da Negulos, Afrodia viene imprigionata e poi liberata appositamente per farne una fuggitiva; la ragazza scappa sulla Terra mentre viene bersagliata dalle truppe di Aldebaran. Ferita, viene raccolta dai Blue Fixer e portata alla base. Quinstein vorrebbe sottoporla a una scansione encefalica per ottenere informazioni, ma Afrodia riesce a fuggire e comunica ad Aldebaran delle coordinate facendole passare per quelle della base Blue Fixer; poi si reca lei stessa nel punto indicato e vi affronta Negulos. Sconfitta, muore tra le braccia del sopraggiunto Marin. Basandosi sull’ipotesi che la Terra sia s-1, Quinstein inferisce che deve essere successo qualcosa a Saturno, dato che il pianeta non compare nel sistema di Saul; la base decolla allora verso Saturno e infatti la Algor si materializza in quella zona, incapace di mantenersi nel sub-spazio a causa della scarsità di energia. Lo scontro vede il Baldios trionfare: la Algor è distrutta (e anche Saturno), ma Gattler si salva e porta con sé diecimila soldati ibernati. Un ulteriore scontro tra Gattler e i Blue Fixer provoca la morte di Raita e l’attivazione accidentale, per mano di Gattler, delle basi missilistiche nucleari terrestri. In un ultimo dialogo tra Marin e Gattler, che avviene a bordo di un rottame della Algor, il dittatore afferma la propria impotenza di fronte alla necessità del destino e dunque, sostanzialmente, la propria incolpevolezza. Così come era arrivata, la Algor se ne va, saltando nel subspazio a caccia di un nuovo pianeta.

AUTORI E STAFF IN ORDINE DI analisi

Gō Nagai / Dynamic Planning / Toei Animation Gō Nagai, nato il 6 settembre del 1945, è autore di manga, ed è il creatore di Mazinger Z, Great Mazinger, Getter Robot, Getter Robot G, Jeeg, Ufo Robot Grendizer, ma anche di Mao Dante, Devilman, Shutendoji e Violence Jack, e di fumetti umoristici e a sfondo erotico, come La scuola senza pudore, Cutie Honey e Kekkō Kamen. Il suo studio creativo, la Dynamic Planning, collaborò con la Toei fino alla rottura, avvenuta durante la preparazione di Gaiking. La Dynamic Planning è a tutt’oggi in attività.

Tadao Nagahama / Saburō Yatsude Tadao Nagahama, regista di anime, è nato il 26 settembre 1936 ed è morto il 14 gennaio 1980. È regista della seconda parte di Raideen. Insieme a Saburō Yatsude, pseudonimo dietro il quale si cela uno staff misto Sunrise/Toei, realizza Combattler V, Voltes V, Daimos e Daltanious, che figurano tutti come collaborazioni di Sunrise e Toei. Nagahama è anche regista della trasposizione anime di Versailles No Bara (Lady Oscar). Rimasto orfano di Nagahama nel 1980, Saburō Yatsude batterà ancora la strada dei super robot, tra i lavori firmati: God Sigma e Golion.

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Yoshiyuki Tomino / Yoshikazu Yasuhiko / Hajime Yatate / Sunrise Yoshiyuki Tomino è nato il 5 novembre 1941. È autore e regista di anime. Ha debuttato alla regia con Toriton, ha lavorato a Kyashan e Raideen, è autore di Zambot 3, Daitarn 3, Ideon e di Mobile Suit Gundam, che darà vita alla sterminata saga di Gundam. Tra i suoi collaboratori compaiono spesso Yoshikazu Yasuhiko, regista, sceneggiatore e character designer, e Hajime Yatate, uno pseudonimo dietro il quale si cela uno staff creativo dello studio Sunrise. La Sunrise è lo studio di animazione di riferimento di Tomino.

Leiji Matsumoto Leiji Matsumoto è nato il 25 gennaio 1938 ed è autore di manga e anime classici come Uchū kaizoku Captain Harlock, Ginga tetsudō 999 (Galaxy Express 999), Queen Emeraldas, Starzinger, Uchū senkan Yamato (Starblazers), Shin taketori monogatari: sennen joō (La regina dei mille anni), oltre che del superrobotico Danguard A.

Akiyoshi Sakai Akiyoshi Sakai, autore e sceneggiatore di anime, è nato il 23 ottobre 1942. Negli anni Settanta lo troviamo all’opera alla Tatsunoko come co-sceneggiatore di Gatchaman, Kyashan, Polymar, Tekkaman e Godam. Lasciata la Tatsunoko, crea Daikengo nel 1978 e Baldios nel 1980. Compare anche tra gli sceneggiatori del Golion di Saburō Yatsude.

GLOSSARIO TECNICO Manga: fumetto. Anime: cartone animato. Live Action: film o telefilm con attori in carne e ossa. Kaijū Eiga: film di mostri. Sono i film con i mostri giganti, come Godzilla o

Gamera.

Tokusatsu: letteralmente “effetti speciali”. Sono i live action di fantascienza. Kyodai Hero: sottogenere del tokusatsu con eroi di dimensioni giganti, come

Ultraman o Megaloman.

Super Sentai: sottogenere del tokusatsu con i gruppi di eroi, di solito cinque e

colorati diversamente.

GLOSSARIO MITOLOGICO Abisso: il mondo non ordinario che, attraverso il Varco, si affaccia sul nostro

mondo. È principalmente lo spazio-tempo dell’avversario e del suo popolo. Nelle Cosmogonie dell’orfano alieno l’abisso è abitato anche dalla Figura spiritualizzata del genitore perduto. Nelle Cosmogonie dualistiche l’abisso è o era la sede del pianeta del genitore perduto ed è il luogo della Catastrofe-già-avvenuta. Nelle Cosmogonie monistiche è il luogo dell’Avvenutocataclisma.

Avvenuto-cataclisma: la catastrofe ambientale, energetica o naturale, che spinge gli aggressori alla conquista di altri pianeti. È il big bang delle Cosmogonie dell’Orfano alieno nella variante monistica.

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Guida ai super robot

Catastrofe-già-avvenuta: l’aggressione, l’invasione o la distruzione del pianeta del genitore dell’Orfano alieno nella variante dualistica della Cosmogonia dell’Orfano alieno. Il genitore può aver fatto trasferire l’orfano alieno sulla

Terra per salvarlo dalla catastrofe-già-avvenuta, oppure può essersi rifugiato sulla Terra in seguito alla catastrofe-già-avvenuta, e qui aver dato alla luce l’orfano alieno prima di scomparire.

Cosmogonia dell’Orfano alieno: l’ossatura archetipica di diversi anime superrobotici. Ha due varianti: la dualistica e la monistica. Cosmogonia dualistica: Cosmogonia dell’Orfano alieno basata su due pianeti non-terrestri, l’aggressore e l’aggredito, e nella quale si è verificata la Catastrofe-già-avvenuta. Cosmogonia monistica: Cosmogonia dell’Orfano alieno basata su un solo pianeta non-terrestre, quello dell’aggressore, e nella quale si è verificato l’Avvenuto-cataclisma. Nelle cosmogonie monistiche l’Orfano alieno appartiene

allo stesso popolo dell’aggressore.

Decremento dell’abisso: il ritiro, o il passaggio nelle file degli eroi, di un im-

portante gerarca avversario che non coincida con il vertice della gerarchia.

Figura spiritualizzata: il genitore perduto che abita l’Abisso dell’Orfano alieno:

può essere realmente morto, o creduto morto e/o vivo ma irreperibile o intangibile. Nello specifico può essere madre abissale o padre abissale.

Guardiano del Varco: il super robot in funzione prevalentemente difensiva contro l’Abisso. Incremento dell’abisso: sostituzione del vertice della gerarchia dell’avversario

con un’entità prevalentemente più potente e malvagia.

Irruzione dell’abisso: talvolta nel finale di serie il nemico decide di sferrare

un attacco conclusivo spostando la parte più significativa e stabile del suo mondo nel nostro mondo. Di solito accade se il nemico non ha più un posto dove tornare, e irrompe nel nostro mondo con la sua base madre.

Irruzione nell’abisso: nel finale di serie spesso gli eroi decidono di aggredi-

re il nemico nel suo quartier generale o sul suo pianeta: fanno irruzione nell’Abisso.

Mediatore di mondi: il super robot in funzione prevalentemente mediatrice tra il mondo ordinario e l’Abisso oltre il Varco. O il super robot in funzione

mediatrice tra un principio superiore e la realtà.

Glossario

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Orfano alieno: è spesso l’eroe delle serie super-robotiche, orfano di uno o entram-

bi i genitori, in ogni caso del genitore che proviene da un altro pianeta e che, in quanto defunto o disperso, popola l’abisso come figura spiritualizzata.

Padre della tecnica: lo scienziato che presiede la base. Può essere il creatore del

robot ma anche no, in ogni caso padroneggia una qualche tecnica, spesso la tecnoingegneria, a volte diverse tecniche. È detto padre della tecnica non solo perché è padre di una qualche tecnica, ma anche perché spesso è il padre biologico di qualcuno, in ogni caso rappresenta una figura paterna per l’eroe. Ma padre della tecnica significa anche quel padre che appartiene alla tecnica, che afferisce al mondo della tecnica, talvolta letteralmente: il professor Shiba (Jeeg) e il dottor Ōrai (Godam) sono coscienze che risiedono in computer, Kenzō Kabuto (Great Mazinger) è un cyborg.

Varco: la soglia al di là della quale si estende l’Abisso dell’eroe.

CRONOLOGIA DELLE OPERE Astroganger

Gattaiger

4 ottobre 1972 – 28 marzo 1973 g pag. 19

26 luglio 1975 g pag. 85

Mazinger Z

Jeeg

3 dicembre 1972 – 1 settembre 1974 g pag. 25

5 ottobre 1975 – 29 agosto 1976 g pag. 53

Mazinger Z contro Devilman

Grendizer

18 luglio 1973 g pag. 35

5 ottobre 1975 – 27 febbraio 1977 g pag. 87

Getter Robot

Grendizer contro Great Mazinger

4 aprile 1974 – 8 maggio 1975 g pag. 36

20 marzo 1976 g pag. 93

Mazinger Z contro il Generale Oscuro

Gaiking

25 luglio 1974 g pag. 42

1º aprile 1976 – 27 gennaio 1977 g pag. 101

Great Mazinger

Godam

8 settembre 1974 – 28 settembre 1975 g pag. 43

4 aprile 1976 – 29 dicembre 1976 g pag. 108

Raideen

Diapolon

4 aprile 1975 – 26 marzo 1976 g pag. 63

6 aprile 1976 – 28 settembre 1976 g pag. 115

Great Mazinger contro Getter Robot

Combattler V

21 aprile 1975 g pag. 47

17 aprile 1976 – 28 maggio 1977 g pag. 124

Getter Robot G

Groizer X

15 maggio 1975 – 25 marzo 1976 g pag. 48

1º luglio 1976 – 31 marzo 1977 g pag. 111

Great Mazinger contro Getter Robot G

Blocker Gundan

26 luglio 1975 g pag. 51

5 luglio 1976 – 28 marzo 1977 g pag. 141

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Guida ai super robot

Grendizer, Getter Robot G e Great Mazinger contro il dragosauro 18 luglio 1976 g pag. 99

Gackeen

5 settembre 1976 – 26 giugno 1977 g pag. 148

Mechander

3 marzo 1977 – 29 dicembre 1977 g pag. 163

Danguard

6 marzo 1977 – 26 marzo 1978 g pag. 173

Ginguiser

9 aprile 1977 – 22 ottobre 1977 g pag. 169

Voltes V

4 giugno 1977 – 25 marzo 1978 g pag. 179

Balatack

3 luglio 1977 – 26 marzo 1978 g pag. 170

Zambot 3

8 ottobre 1977 – 25 marzo 1978 g pag. 193

Daimos

1º aprile 1978 – 27 gennaio 1979 g pag. 184

Daitarn 3

3 giugno 1978 – 31 marzo 1979 g pag. 211

Daikengo

27 luglio 1978 – 15 febbraio 1979 g pag. 165

Daltanious

21 marzo 1979 – 5 marzo 1980 g pag. 229

Gundam

7 aprile 1979 – 26 gennaio 1980 g pag. 273

Gordian

7 ottobre 1979 – 22 febbraio 1981 g pag. 262

Trider G7

2 febbraio 1980 – 3 gennaio 1981 g pag. 255

God Sigma

19 marzo 1980 – 25 marzo 1981 g pag. 249

Ideon

8 maggio 1980 – 30 gennaio 1981 g pag. 266

Baldios

30 giugno 1980 – 25 gennaio 1981 g pag. 241

New Tetsujin 28

3 ottobre 1980 – 25 settembre 1981 g pag. 257

Baldios. Il film

19 dicembre 1981 g pag. 245

Ideon: Be Invoked 10 luglio 1982 g pag. 269

RINGRAZIAMENTI Ringrazio Luca Giudici e Vanni Santoni, padrini di questo lavoro. Ringrazio Gianluca Di Fratta per averci creduto da subito. Ringrazio Guido Bagni che ha accettato di vigilare sull’ortodossia dei passaggi dedicati al real. Ringrazio Alessandro Schettini, che mi convinse a tenere una lezione che non volevo tenere. Ringrazio Marco De Simoni che mi ha obbligato a trasformare un minimale groviglio in un oggetto strutturato, abbastanza completo e quasi leggibile. Ringrazio Licia Ambu per il rigore e la vista buona. Ringrazio Mauro Cremonini che ha sopportato e arginato con perizia la mia disastrosa disorganizzazione.

RINGRAZIAMENTI TECNICI Quest’opera non sarebbe stata possibile se in Italia non esistesse già una ricca e sofisticata letteratura sull’animazione giapponese. Debbo dunque tantissimo a Gianluca Di Fratta, Marcello Ghilardi, Arianna Mognato, Marco Pellitteri e Luca Raffaelli. I siti italiani di riferimento durante la stesura di questo lavoro sono stati Enciclorobopedia, vastissima banca di informazioni sui robottoni, e Anime Asteroid, blog che raccoglie recensioni e approfondimenti di qualità elevatissima.

INDICE DEI NOMI

13 gō Hasshin seyo 17 Adam III (Gordian) 263 Afrodia, Rosa (Baldios) 83, 158, 242-246, 248, 283 Akasha (Gordian) 264 Akira Fudō (Devilman) 35, 61-62, Akira Hibiki (Raideen) 29, 63-66, 69, 71, 75, 81 Amaso (Jeeg) 53, 55-56 Amuro Ray (Gundam) 273-277 Andro Umeda (Tekkaman) 137-139 Angoras (Mazinsaga) 43 Anike (Daikengo) 166 Arafune (Godam) 109 Araiso Dan (Raideen) 64 Arbegas 261 Ardias (Mazinsaga) 43, 45 Argos (Mazinsaga) 44, 280 Artù (King Arthur) 137 Asataro (Gettersaga) 37, 40 Ashura (Mazinsaga) 26, 29, 114 Asimov (Gaiking) 102 Astro Boy vedi Tetsuwan Atom Astroganga vedi Astroganger Astroganger 18-19, 21-22, 67, 72, 77-78, 79, 80 Astrorobot contatto Ypsilon vedi Blocker Gundan Atlas Ufo Robot vedi Grendizer Babil Junior vedi Babil Ni-Sei Babil Ni-Sei 14, 18 Baku (Groizer X) 113 Balatack 20-21, 170-172, 213

Balbas (Daimos) 184 Baldios 13, 50, 71, 78, 83, 104, 134, 140, 158, 241-242, 244-249, 251-254, 283, 286 Baletar (Zambot 3) 193 Banda Lotta (Ideon) 267, 269 Banjō Haran (Daitarn 3) 211-225, 227-228 Barakross (Daikengo) 157, 165-166 Barao (Raideen) 64-67, 81-83 Barbadas (Gordian) 263 Barendos (Grendizer) 93 Barras (Gordian) 263 Barry Hawk (Gordian) 263 Bat (Gettersaga) 37 battaglia dei pianeti, La vedi Gatchaman Beauty Tachibana (Daitarn 3) 212 Benkei Kuruma (Gettersaga) 48, 51, 134 Bento Malus (Ideon) 267, 269 Beralios (Daltanious) 135, 230 Berostan (Raideen) 64 Billy Kenjō (Blocker Gundan) 142 Birdler (Mazinsaga) 43 Blacky (Gattaiger) 85-86 Blacky (Grendizer) 87-88, 93, 282 Blocken (Mazinsaga) 26-27, 29, 31, 46 Blocker Gundan 78, 84, 109-110, 113, 118, 120, 123, 128, 141-142, 144, 146-147, 157-162, 183, 246, 252 Boider (Daltanious) 229 Boss e Boss “Borot” Robot (Mazinsaga) 20, 2627, 40, 42-44, 47, 88, 99-100 Brai (Gettersaga) 49-50 Brain (Gackeen) 149, 155 Branch (New Tetsujin) 257-258

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Guida ai super robot

Bright Noah (Gundam) 274-275 Bryger 261 Bryking (Kyashan) 31, 33 Bunta Hayami (Gaiking) 102, 132, 134 Butcher (Zambot 3) 193-195, 199-202, 204207, 209, 223 Captain Tsubasa 133 Cavalieri dello zodiaco, I vedi Saint Seiya Char Aznable / Casval Rem Deikun (Gundam) 178, 274, 276 Chibi (Jeeg) 54, 58 Chikara Jingūji (Raideen) 64, 66 Chizuru Nanbara (Combattler V) 124, 126, 129, 143 Chokoma (Gordian) 263 Cleo (Daikengo) 166, 168 Clint (Gordian) 263 Clorias (Gordian) 263 Combattler V 68, 74-75, 84, 109-110, 113, 118, 121, 124-127, 129-130, 134, 138-139, 143, 156-157, 167, 178, 181, 183, 186, 190, 209, 285 Computer Doll N. 8 (Zambot 3) 195-196, 198, 201, 204-206, 209 Cosmo Yuki (Ideon) 266-270 Crowley Hamon (Gundam) 275 Daigo Ōtaki (Gordian) 263 Daijirō Gō (Voltes V) 179-181 Daikengo 20-21, 157, 165-168, 189, 226, 246, 282, 286 Daikichi Kameyama (Godam) 108 Daimonji, dott. (Gaiking) 102, 106, 146 Daimos 20, 67, 156, 168, 178, 184-187, 192, 228, 246, 285 Dairi, dott. (Jeeg) 54-55, 59 Dairugger 261 Daisaku Kusama (Giant Robot) 18 Daisaku Nishikawa (Combattler V) 124 Daisuke Umon / Duke Fleed (Gattaiger) 85-86, 281 Daisuke Umon / Duke Fleed (Grendizer) 76, 87-98, 151, 191, 208, 281-282 Daitarn 3 20-21, 123, 157, 192, 207, 211-218, 220-223, 225, 227-228, 264, 283, 286 Dalf (Gordian) 263 Daltanious 20-21, 32-34, 69, 71, 73, 78, 80, 83, 98, 122-123, 127, 131, 135, 138, 140,

156, 178, 190, 192, 227-235, 237, 239240, 246, 251-253, 281, 285 Dalton (God Sigma) 250 Dan / Dantetsu Ichimonji (Danguard) 173-177, 226-227 Danbei Makiba (Grendizer) 87 Danbei Makino (Gattaiger) 85-86 Danguard 123, 145, 167-168, 173-178, 226, 286 Danji Hīragi (Daltanious) 131, 134-135, 138, 140, 229-230, 232, 237-238, 241 Dankel (Combattler V) 125, 209 Daram Zuba (Ideon) 267-268 Darius (Gaiking) 101-104, 106-107, 120 Dazan, leader (Diapolon) 116-117 De Berugan (Voltes V) 180 De Zūru (Voltes V) 179-180 Deck Afta (Ideon) 266, 269 Degwin Sodo Zabi (Gundam) 274, 276 Devilman 34-36, 61-62, 285 Diapolon 29, 34, 67-69, 71, 78, 80, 83, 109-110, 113, 115-118, 122-123, 130-131, 143, 156, 160, 189 Dicky (Balatack) 170 Doba Ajiba (Ideon) 266, 269-270 Doggugān (Godam) 108-109 Dogma (Gordian) 262-264 Dolmen (Daltanious) 229, 231-232, 235-237, 239-240 Domma (Trider G7) 256 Don (Jeeg) 55 Don Zauser (Daitarn 3) 211-214, 221, 223-225 Donaun (Daitarn 3) 223 Doppler (Danguard) 31, 123, 173-174, 177178, 227 Dragon Ball 133 Drayato (Mazinsaga) 43 Dul (Trider G7) 256 Dulcin (Trider G7) 256 Dulles, ministro (Daikengo) 166 Earl, dott. (Daltanious) 80, 230, 232-233, 235, 238 Elias (Gordian) 156, 263 Empel, re (Daikengo) 165-166 Erika (Daimos) 184-187 Erika (Godam) 157 Erika (Mazinsaga) 157-158 Evangelion 265, 281-282

Indice dei nomi Fan Li (Gaiking) 102, 114, 132 Flora (Jeeg) 55-56, 60, 81, 83, 157-158 Franco (Balatack) 170 Fraw Bow (Gundam) 274-275, 277 Futoshi Hizen (Gackeen) 149 Gabāra (Ginguiser) 169 Gackeen 20, 109-110, 113, 132, 143-156, 209, 281 Gael (Balatack) 170-172 Gagān (God Sigma) 250-251, 253 Gaiking 101-107, 110, 113-114, 118, 120, 123, 132, 134, 146, 156, 178, 209, 247, 285 Gaizok, il supremo (Zambot 3) vedi Computer Doll N. 8 (Zambot 3) Gakeen vedi Gackeen Galahad (King Arthur) 137 Galek (Gettersaga) 37 Gandal (Grendizer) 88-89, 93 Garma Zabi (Gundam) 274 Garrison Tokida (Daitarn 3) 212 Garūda (Combattler V) 74-75, 124-125, 178 Gascon (Daltanious) 231, 235 Gatchaman 14, 38, 127, 130, 135, 286 Gattaiger 85-86, 91, 281 Gattler, Theo (Baldios) 31, 241-248, 283 Gekido (Raideen) 65-66 Geldon (Groizer X) 111-113 Gen (Gordian) 263 Gen Sakon (Gaiking) 102, 132 General Daimos vedi Daimos Generale Oscuro (Mazinsaga) 27, 42-44, 82, 226 Gengorō Jin (Zambot 3) 195 Genki Saotome (Gettersaga) 37 Gennosuke Yumi vedi Yumi, dott. Gennosuke (Mazinsaga) Genzō Umon (Gattaiger) vedi Umon, dott. Genzō (Gattaiger) Genzō Umon (Grendizer) vedi Umon, dott. Genzō (Grendizer) Geronimo XVI (Gordian) 263-264 Getta Robot vedi Getter Robot G Getter Robot 28, 36-41, 47-49, 51, 60, 62, 6667, 76, 82, 91, 106, 127-128, 134-135, 143, 145-146, 156, 158, 191, 228, 280, 285 Getter Robot G 48-52, 60, 72, 82, 91, 99-100, 143, 156, 191, 208, 280, 285 Ghost in the Shell 228

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Giant Robot 14, 18 Gije Zaral (Ideon) 267-270 Gillzer (Zambot 3) 193 Ginguiser 109, 131, 143, 156, 169, 171-172, 213 Giren Zabi (Gundam) 276 Girua (Combattler V) 125 Gō Tsunami (Godam) 108, 128, 134 God Sigma 13, 83, 123, 134-135, 140, 156, 246, 249-254, 259, 285 Godam 32, 38, 108-110, 113, 118, 120, 123, 128, 130, 134, 143-144, 156-157, 168, 190, 226, 246, 286, 289 Gōdō, dott. (Ginguiser) 169 Goemon Ishikawa XIII (Lupin III) 133 Goemon Koishikawa (Godam) 108 Gol (Gettersaga) 37, 158 Goldrake vedi Grendizer Golion 261, 285-286 Gora (Gettersaga) 158 Gōrai (Raideen) 65-66 Gordian 67, 123, 156, 260-264 Gorgon (Mazinsaga) 26-27, 44, 280 Gorō (Diapolon) 116-117, 134, 144 Gorō Makiba (Grendizer) 87 Gorō Shirogane (Ginguiser) 169 Goroski (Blocker Gundan) 141-143 GoShogun 261 Goterus (Balatack) 170-171 Gotriniton vedi GoShogun grande battaglia dei dischi volanti, La vedi Gattaiger Grande Mazinga, Il vedi Great Mazinger Great Mazinger 27, 29, 38, 42-47, 49, 51-52, 60, 62, 67, 69, 76-77, 82, 90-91, 93, 99-100, 107, 156,  188, 191, 226, 280-281, 285, 289 Grendizer 69-71, 76, 78, 83, 87-97, 99-100, 103-104, 106, 134, 151, 156-157, 191, 197, 208, 280-282, 285 Groizer X 78, 84, 109-114, 118-119, 143-144, 146, 156, 160-162, 183, 246-247, 277 Guerroyer (Daimos) 184-185 Gululu (Voltes V) 180 Gumez (Diapolon) 116 Gundam 13, 107, 132, 178, 246, 264-265, 272-278, 286 Gundam Z 278 Gurā (Gettersaga) 49-50 Gūra / King Gūra (New Tetsujin) 258

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Guida ai super robot

Gurādo (Trider G7) 256 Guter, dott. (Daikengo) 166 Gyazan (Gackeen) 149 Gyranik (Diapolon) 116-117 Hachirō (Gaiking) 102 Hamaguchi, dott. (Voltes V) 179 Hanae Jin (Zambot 3) 197 Harlin / Hayato Tate (Daltanious) 230-233, 236239 Haro (Gundam) 277 Harulu Ajiba (Ideon) 267, 269, 271 Hayato Jin (Gettersaga) 37, 40, 49, 51, 127-128, 134-135 Hayato Kobayashi (Gundam) 274 Hechi (Danguard) 173 Hedron (Mechander) 160, 163-164 Heinell (Voltes V) 178-183 Hell / Generalissimo Inferno (Mazinsaga) 2527, 31, 35-36, 41-42, 44-46, 82, 104, 157158, 208, 254 Hell Queen (Blocker Gundan) 141-142, 157-159 Hell Sandra (Blocker Gundan) 84, 142-143, 157, 159-160, 162 Hideki (Diapolon) 116, 130, 144 Hideki Tobishima (Groizer X) 111-112 Hideto Ōboshi (Danguard) 174 Hidler (Gettersaga) 31, 49-50 Hidō (Diapolon) 116 Higashiyama, dott. Daizaburō (Raideen) 64 Hikaru Makiba (Grendizer) 87-93, 95, 97-98, 134, 145, 151-152, 282 Hikaru Makino (Gattaiger) 85-86 Himika (Jeeg) 53-56, 60, 81-82, 157 Hiroshi Shiba (Jeeg) 53-60, 62, 75-76, 80, 92, 98, 105, 145-146, 152, 190, 208 Hitoshi Komatsu (Gackeen) 149, 155 Hiyoshi Gō (Voltes V) 130, 179-181 Hōjō, dott. (Blocker Gundan) 141-142 Hokuto no Ken 31 Holly e Benji vedi Captain Tsubasa Hyōma Aoi (Combattler V) 124-127, 138-139 Ichiro Hibiki (Raideen) 63-64 Ichitarō Jin (Zambot 3) 195 Ideon 20, 123, 132, 188, 264-272, 286 Ikima (Jeeg) 53, 55-56 Ikue Sunabara (Trider G7) 255

Imperatore del Drago (Jeeg) 55-56, 60-61, 8182, 84 Imperatore delle tenebre (Mazinsaga) 27, 43 Ippei Mine (Voltes V) 139, 179 Isamu Ryūzaki (Daimos) 184-185 Ishida Gensuke (Blocker Gundan) 128, 142, 147 Isogai (Godam) 109 Izumi, dott. Shinichirō (Daimos) 185 Jackal (Trider G7) 256 Jamie Hoshino (Baldios) 242, 245 Jan Kūgo (Starzinger) 127 Jane Noguchi (God Sigma) 250 Janera (Combattler V) 84, 125-126, 157, 209 Janus (Mazinsaga) 44, 156, 280 Jeeg 20-21, 38, 53-57, 59-62, 66, 68, 75-76, 78, 81-84, 98, 106-107, 118, 152, 157-158, 226, 240, 281, 285, 289 Jet Robot vedi Getter Robot G Jigen, Daisuke (Lupin III) 133 Jigokudā (Godam) 108-109 Jimba Ral (Gundam) 274 Jimī Orion (Mechander) 78, 160, 164 Jimmy Dean (Daitarn 3) 216-217 Jinta Hayami (Blocker Gundan) 142 Jīra (God Sigma) 156, 250 Jirō Komaru (Daltanious) 229 Jiruba (Trider G7) 256 Joe il condor (Gatchaman) 134-135 Joe Kaisaka (Groizer X) 111-112, 143, 146, 161162 Jōgo (Starzinger) 130, 134-135 John Grey (Danguard) 177 Jōhō Chōkan Device, robot spia (Gackeen) 149 Jōji Minami (Tekkaman) 29, 139 Joket (Diapolon) 83, 116, 156 Joliver Ira (Ideon) 269 Joo Hoo (Gettersaga) 37, 40 Jordan Bes (Ideon) 266-268 Julian Noguchi (God Sigma) 135, 140, 249-250 Jun Hono e Venus A (Mazinsaga) 43-46, 51, 99-100, 145, 280 Jun Katō (Balatack) 170 Jūzō Kabuto (Mazinsaga) 25-28, 38, 42, 66, 7980, 157 Jūzō Naniwa (Combattler V) 124-125, 138-139 Kabuto (Daltanious) 229, 232

Indice dei nomi Kadokura, dott. (Gordian) 262 Kai Shiden (Gundam) 274, 276 Kaindark (Ginguiser) 169 Kanaya (Danguard) 174 Kaneda, dott. (Tetsujin) 15 Kaneda, dott. Kentarō (New Tetsujin) 257 Kantarō (Astroganger) 18-19, 22, 77-78, 80 Kaoru Hizen (Gackeen) 149 Kappei Jin (Zambot 3) 98, 127, 194-198, 200201, 204-205, 207, 225, 228, 240, 264 Karala Ajiba (Ideon) 188, 266-272 Kāsha Imhof (Ideon) 266-267, 269-270 Katherine Lee (Voltes V) 156, 179-181 Katō, dott. (Balatack) 170-171 Katroff (Daitarn 3) 218 Katsuyuki Yamamoto (Mechander) 163 Kazami, dott. (God Sigma) 249-251, 253-254 Kazuki, dott. Mamoru (Gackeen) 145, 147-151, 153-154 Kazuto Tate (Daltanious) 230, 239 Kazuya Ryūzaki (Daimos) 184-187, 192, 228 Keiko Kamikita (Zambot 3) 143, 194-197, 201 Ken il guerriero vedi Hokuto no Ken Ken l’aquila (Gatchaman) 127, 134 Kenichi Gō (Voltes V) 127, 139, 179-181, 183 Kentarō Gō / Lagour (Voltes V) 78, 179-182, 186, 238 Kento Tate (Daltanious) 98, 127, 131, 134, 229241, 264 Kenzō Kabuto (Mazinsaga) 26-27, 38, 42-47, 66, 76, 79-80, 146, 226, 289 Kikue (Jeeg) 54, 56-59, 98 Killer the Butcher (Zambot 3) vedi Butcher (Zambot 3) King Arthur 136-137 King Joe (Ultraseven) 18 Kiraken / Kensaku Kira (God Sigma) 134, 250 Kitty Kitten (Ideon) 267, 269 Kloppen (Daltanious) 31, 83, 178, 229, 231233, 235-240 Kobra (Balatack) 170-171 Kōji Kabuto (Mazinsaga) 26-28, 35-36, 42-46, 62, 75, 87-91, 93, 95-96, 99, 152, 158, 260, 280 Kojirō Yashima (Mechander) 139, 164 Kokrov (Gackeen) 149 Koros (Daitarn 3) 157, 211, 213-214, 217, 221, 223-225

299

Kosuke Kita (Combattler V) 124, 130 Kotoe Hōjō (Gackeen) 155 Kubo (Danguard) 174 Kudon (Danguard) 173 Kyashan 14, 29, 31, 33, 50, 228, 286 Kycilia Zabi (Gundam) 276 Kyōshirō Yūzuki (Daimos) 184, 187 Lady Gandal (Grendizer) 88-89, 96, 156 Lalah Sune (Gundam) 276 Lancillotto (King Arthur) 137 Laserion 261 Lion, generalissimo (Daimos) 184-185 Lisa (Gaiking) 209 Lisa Kirino (Danguard) 145 Litz (God Sigma) 250 Liza (Daimos) 156, 184-185, 187 Lou Piper (Ideon) 267, 269 Louis Jean-Gal (Voltes V) 179-180 Lupin III 133 M’Quve (Gundam) 275 Magellano, imperatore (Daikengo) 165-166 Magma Taishi 17 Magudā (Godam) 108-109 Mai Kazuki (Gackeen) 133, 143-146, 148, 150155, 282 Makiko Shikishima (New Tetsujn) 257 Makito “Mack” Tachibana (Balatack) 170 Manabu Karui (Daltanious) 229 Margareth (Daimos) 185 Mari Sakyrano (Raideen) 64, 133 Maria Grace Fleed (Grendizer) 88-89, 91, 94, 96-98, 145 Marin Reigan (Baldios) 78, 140, 242-247, 283 Martino (God Sigma) 249, 259 Masabo (Daltanious) 235 Masato (Groizer X) 113 Matilda Ajan (Gundam) 276 Matsuo (Diapolon) 116, 144 Maya (Astroganger) 19,  Mayaya Rau (Ideon) 266-267 Mayumi Shiba (Jeeg) 54, 56 Mazinga Z vedi Mazinger Z Mazinger Z 13, 16, 18, 22-29, 31-32, 35-36, 38, 40-46, 49-50, 56, 60-62, 67-68, 75, 77, 82, 88, 90-91, 93, 114, 156-158, 188, 226, 233, 260, 265, 280-282, 285

300

Guida ai super robot

Mechander 73, 78, 83, 109, 113, 139, 143, 160, 163-164 Medusa (Mechander) 83, 156, 160, 163-164 Megumi Oka (Voltes V) 129, 143, 179 Mesa (God Sigma) 250 Messia (Ideon) 269-270 Mīa (Combattler V) 125, 156 Mia Katō (Balatack) 170 Michi Akitsu (Ginguiser) 143, 169, 172 Michiru Saotome (Gettersaga) 36-37, 48-49, 143, 145 Michitarō Takeo (Trider G7) 255 Midori Fujiyama / Green (Gaiking) 102, 106 Midori no Maō 17, 21 Miharu Ratokie (Gundam) 276 Mika Shikishima (Mechander) 143, 164 Miki (Diapolon) 116-117, 143 Mimashi (Jeeg) 53, 55, 118 Minako Martino (God Sigma) 251 Minerva X (Mazinsaga) 157-158 Mirai Yashima (Gundam) 274-275 Miran (Baldios) 242-243, 245 Mitsuyo Gō (Voltes V) 179 Miwa Uzuki (Jeeg) 54, 57, 59, 145, 152, 157, 281 Mizuka (Daltanious) 229 Mobile Suit Gundam vedi Gundam Moera Fatima (Ideon) 266, 268 Monji (Gettersaga) 37, 40 Morimori, dott. (Mazinsaga) 26 Moros (Grendizer) 88, 95 Motoko Kusanagi (Ghost in the Shell) 228 Mucha (Mazinsaga) 26, 42, 88, 99 Musashi Tomoe (Gettersaga) 37-41, 48, 51, 127128, 134 Mutant Sabu 17-18, 22 Muteki Gouriki 18, 21 Nabaron / Umemoto (Trider G7) 256 Naida (Grendizer) 94, 97, 157, 197, 208, 281 Nanbara, dott. Takeshi (Combattler V) 124-125 Narua (Combattler V) 125 Naruto 133 Negulos (Baldios) 245, 283 Nekuroma (Ginguiser) 169 Neon Genesis Evangelion vedi Evangelion Neros (Daitarn 3) 212 Nesia (Daltanious) 156, 229, 231

New Tetsujin 28 257-260 Norisuke Kawaguchi (Godam) 108 Nossori, dott. (Mazinsaga) 26 Nostar (Blocker Gundan) 142, 161 Nuke (Mazinsaga) 26, 42, 88, 99 Ochame (Daltanious) 230 Ōedo (Danguard) 173-174, 177 Oka, segretario della difesa (Voltes V) 179 Olban (Daimos) 184-185, 188 Oleana (Combattler V) 75, 124-125, 157 Oliver Jack (Baldios) 140, 242, 253 Ondoron (Trider G7) 256 Ōrai, dott. (Godam) 38, 108-109, 226, 289 Ōtaki, dott. Kyotarō (Gordian) 262-264 Otoke (Daikengo) 166 Ozumeru (Mechander) 163-164 Pancho (Jeeg) 55 Paolo Cassius (Gundam) 274 Parumion (Daltanious) 232, 239-240 Peachy (Gordian) 263 Pegas (Tekkaman) 190 Percival (King Arthur) 137 Pete Richardson (Gaiking) 102, 106, 114 Picot (Blocker Gundan) 142 Pigman (Mazinsaga) 27, 29 Polymar 14, 286 Poseidon (Babil Ni-Sei) 18 Pragg (Danguard) 173 Prozar (Daltanious) 229 Quinstein, dott.ssa Ella (Baldios) 242, 244-246, 283 Ra Mū (Raideen) 65-66 Rabi (Diapolon) 80, 115-117 Raideen 20, 29, 33, 63-71, 74-78, 81-83, 98, 109, 123, 133, 156-157, 160, 178, 189, 254, 265, 285-286 Raita Hokuto (Baldios) 242, 283 Ramba Ral (Gundam) 274-275 Ramos (Daltanious) 230 Raoul (Hokuto no Ken) 31 Re Demone Spaziale (New Tetsujin) 257-258 Re di Apolon (Diapolon) 78, 115-116 Re Vega (Grendizer) 87-89, 93-94 Regina di Apolon (Diapolon) 116-117

Indice dei nomi Rei Asuka (Raideen) 64, 98, 133, 281 Rei Ayanami (Evangelion) 228, 282 Reigan, dott. (Baldios) 241-242, 245, 247, 253 Reika Sanjō (Daitarn 3) 212, 216 Reiko / Lemuria (Raideen) 63-66, 69-71, 78, 123 Richter (Daimos) 178, 184-188 Rie Kasuga (God Sigma) 251 Rigarn (Mazinsaga) 43 Rita (Groizer X) 78, 111-112, 143-144, 161-162, 246 Robby (New Tetsujin) 259 Roboleon (Daikengo) 165-166 Ropet (Combattler V) 125, 138 Rose (Gordian) 263-264 Rozalia (Voltes V) 180-181 Rubina (Grendizer) 88-89, 94, 281 Ruga (Danguard) 173, 177 Rumi (Mazinsaga) 26 Ryger (Daikengo) 165-166, 168 Ryōma Nagare (Gettersaga) 37, 40, 51, 62, 105, 127-128, 134 Ryu Jose (Gundam) 274-275 Ryūsuke Shikishima (Mechander) 164 Saint Seiya, 131 Sakimori Miwa (Daimos) 185, 188 Sakonji, dott. Kōzō (Voltes V) 179 Salomè (Ginguiser) 156, 169 Samson / Bryman (Daikengo) 165-166, 226-227 Sanae Shiratori (Daltanious) 229, 235 Sanshirō Tsuwabuki (Gaiking) 102, 105-106, 146 Saori Ōtaki (Gordian) 263 Saotome, dott. (Gettersaga) 36-38, 41, 47-48, 51, 66, 76, 79, 99, 158 Saxidar (Gordian) 263 Sayaka Yumi, Afrodite A e Dianan A (Mazinsaga) 26-27, 35, 42-46, 91, 99-100, 145, 158 Sayla Mass / Artesia Zum Deikun (Gundam) 274276 Scarabeth (Mazinsaga) 43, 45 Sentarō Shima (Godam) 108-109 Sewashi, dott. (Mazinsaga) 26 Shadow (Gackeen) 149, 155, 209 Sharkin (Raideen) 64-65, 81-83, 178 Sheryl Formosa (Ideon) 266-270 Shiba, dott. Senjiro (Jeeg) 38, 53-56, 58-59, 66, 76, 79, 80, 146, 226, 289

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Shigeru Ōtsuka (New Tetsujin) 257-258 Shikishima, dott. Daijirō (New Tetsujin) 257258, 260 Shikishima, dott. Shōzō (Mechander) 164 Shikishima, dott. Takashi (Tetsujin) 15 Shingo Kōzuki (Zambot 3) 194-198 Shirō Kabuto (Mazinsaga) 26-28, 42-43 Shōta Kasuga (God Sigma) 251 Shōtarō Kaneda (New Tetsujin) 257-258 Shōtarō Kaneda (Tetsujin) 15, 17, 80 Shuraga (Raideen) 157 Shy Dīn (Balatack) 170 Sigma, computer (Trider G7) 256 Silen (Devilman) 35 Sōzō Haran (Daitarn 3) 211-213, 225 Space Robot vedi Getter Robot spada di King Arthur, La vedi King Arthur Staffy (Gackeen) 149, 156 Starzinger 38, 127, 130, 134-135, 286 Super Robot 28 vedi New Tetsujin 28 Taichiro Dan (God Sigma) 250-251 Takeru Hōjō (Gackeen) 133, 143, 146-155, 209, 282 Takeshi (Diapolon) 29, 34, 78, 115-117, 122, 144, 189 Takuma Ichimonji (Danguard) 173-177 Tanosuke Hata (Daltanious) 229 Taro Sarumaru (Raideen) 64 Tekkaman 14, 33, 137, 139, 190, 286 Telonna (Gattaiger) 85-86, 281 Tem Ray (Gundam) 273 Tenpei Asuka (Blocker Gundan) 78, 128, 142143, 146-147, 158-162, 208, 246-247 Tensai Tsuji (Gackeen) 149 Terral / Rira (God Sigma) 250-251, 253 Tetsu no Samson 17 Tetsujin 28 15, 17, 21, 68, 80 Tetsuo Atsui (Trider G7) 255 Tetsuto Saotome (Gettersaga) 37 Tetsuwan Atom 17, 279 Tetsuya Azuma (Kyashan) 29 Tetsuya Tsurugi (Mazinsaga) 27, 29, 42-47, 5152, 62, 68-69, 92, 99-100, 146, 190, 280 Texas Mack (Gettersaga) 280 Time Bokan 172 Tōhachirō Kinoshita (Trider G7) 255 Tony Harken (Danguard) 174, 177-178

302

Guida ai super robot

Toppo (Daitarn 3) 212 Torajiro Aranami (Ginguiser) 169 Toshiya Dan (God Sigma) 249-251 Trider G7 20, 255-256, 259-261, 264 Tristano (King Arthur) 136-137 Tsukikage, comandante Takeshi (Baldios) 242, 244-246 Uchuta Kamie (Zambot 3) 136, 194-196, 201, 253 Ufo Diapolon vedi Diapolon Ufo Robot Gattaiger vedi Gattaiger Ufo Robot Goldrake vedi Grendizer Ufo Robot Grendizer vedi Grendizer Ultraman Ace 143 Ultraseven 18 Umemaru Kakikōji (Trider G7) 255-256, 260 Umon, dott. Genzō (Gattaiger) 85-86 Umon, dott. Genzō (Grendizer) 87-90, 92, 99 Voltes V 71, 78, 127, 129-130, 134, 136, 139, 143, 156, 168, 178-183, 186, 192, 238, 253, 285 Vultus 5 vedi Voltes V Warchimedes (Combattler V) 125-126 Wataru (Midori no Maō) 17 Watta Takeo (Trider G7) 255-256, 259-260, 264 Wong Lo (Daitarn 3) 216

Yamagatake (Gaiking) 102, 132, 134 Yang dott. (Groizer X) 111-112 Yāru (Trider G7) 256 Yasubee Ōno (Blocker Gundan) 147 Yōko Misaki (Godam) 108, 143-144 Yotsuya, dott. (Combattler V) 125-126 Yūgā (Daikengo) 166 Yuji Katō (Balatack) 170 Yumi, dott. Gennosuke (Mazinsaga) 26-27, 3536, 38, 42, 44, 76, 99 Yurā (Gettersaga) 37-38, 41 Yuri (Balatack) 170 Yuri Caesar (Mazinsaga) 43 Yuri, dott. Genrai (Blocker Gundan) 142-143, 147 Zakuron (Trider G7) 256 Zambazir (Voltes V) 180-182 Zambot 3 32, 71, 75, 98, 127, 136, 143, 191196, 198-208, 213-214, 221, 223, 228, 239-240, 272, 277, 286 Zangyakku (Blocker Gundan) 141-143 Zanta Minami (Ginguiser) 169 Zeon Zum Deikun (Gundam) 273-274, 276 Zuou, imperatore (Ideon) 267 Zuril (Grendizer) 83, 88, 96

Stampato per conto di Odoya da Gesp - Città di Castello (PG) nel mese di novembre 2016 Questo libro è stato prodotto con carta certificata pefc