Gli interessi matenatici. Dalle origini al 1600 [1st ed.]

Tutte le scienze, come si sa, prima di divenire tali e rendersi autonome, pulsano a lungo nel grembo della filosofia. La

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Gli interessi matenatici. Dalle origini al 1600 [1st ed.]

Table of contents :
Gli interessi matematici. Dalle origini al 1600......Page 1
Colophon......Page 6
Indice......Page 7
Avvertenza......Page 9
I primordi......Page 13
La grande rivoluzione: i Greci......Page 21
Gli ultimi bagliori: da Apollonio a Diofanto. Il medioevo......Page 59
L’Oriente......Page 75
La meravigliosa potenza del simbolo: gli Arabi......Page 91
L’improvviso risveglio......Page 99
Il Rinascimento......Page 113
La teoria dei numeri e i logaritmi......Page 151
Conclusione......Page 171
Indice dei nomi......Page 173

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Saggi

Tutte le scienze, come si sa, prima di divenire tali e rendersi autonome, pulsano a lungo nel grembo della filosofia. La matematica, di gran lunga primogenita, non fa eccezione. Così i nomi che contano sono quelli di Talete, Pita­ gora, Platone, via via fino ai dottori medioevali e a Cartesio. Non storia della matematica, dunque, ma degli interessi matematici nel loro progressivo precisarsi in seno alle più sug­ gestive concezioni filosofiche dell'età classica; una storia che presenta sempre il lato tecnico nel modo più comprensibile, senza fare torto al rigore scientifico e senza tralasciare di offrirei interessanti squarci storici su momenti culturali tradizionalmente ignorati dalla nostra impostazione spesso stucchevolmente europa­ centrica, come i primi sistemi posizionali del­ l'antica Cina, i grandi contributi alla logica e alla matematica degli Indiani, o le sconvol­ genti anticipazioni di personaggi classificati in modo stereotipato in categorie storiche diver­ se. Gli Autori di questa storia hanno al loro attivo numerosi scritti in comune, sia di carattere scientifico, nell'ambito della teoria degli insie­ mi, della logica formale e dei problemi sui fon­ damenti, sia di carattere storico. Tra questi ultimi particolarmente significativa è la storia della matematica moderna Dal numero alla struttura, Bologna 1 9 75. ' BRUNO D AMORE è nato a Bologna nel 1 946; laureatosi in matematica nel 1 969, è stato docente di Geometria, di Epistemologia ed è attualmente docente di Logica matematica presso l'Istituto di Geometria dell'Università di Bologna. Autore di numerose note scien­ tifiche (specie relative alla logica e alla teoria dei grafi), si occupa di didattica e di divulga­ zione della matematica. Anche in questo campo è autore di numerose opere.

n.

48

MAURIZIO L.M. MATIEUZZI è nato a Bologna nel 1 94 7, laureato in Filosofia, ha tenuto semi­ nari di logica matematica presso l'istituto di Discipline Filosofiche dell'Università di Bologna, dove è docente di Filosofia del Lin­ guaggio. Si è occupato di critica dei fonda­ menti della matematica e di teoria degli insie­ mi. Ispirandosi all'insegnamento di Enzo Melandri, ha dedicato i suoi ultimi lavori allo studio della nozione di teoria dal punto di vista metamatematico.

In copertina: Sempre più piccolo di M.C. Escher, 1956.

Bruno D'Amore Maurizio L. M. Matteuzzi

GLI INTERESSI MATEMATICI Dalle origini al 1600

Marsilio Editori

Prima edizione: settembre 1976

Disegni di Alberta De Flora

Proprietà letteraria riservata

Copyright 1976 by Marsi/io Editori - S. Croce 518A - Venezia

Fotocomposto dalla Linotipia Moderna Dorigo - Padova

Stampa della Tipo-lito Poligra.fica Moderna - Via Vigonovese 52A - Padova

INDICE

7 A vvertenza 1 1 I primordi 1 9 La grande rivoluzione : i Greci 5 7 Gli ultimi bagliori : d a Apollonio a Diofanto. Il medioevo L'Oriente La meravigliosa potenza del simbolo : gli Arabi L'improvviso risveglio Il Rinascimento La teoria dei numeri e i logaritmi Conclusione

73 89 97 111 149 1 69 l 7 1 Indice dei nomi

AVVERTENZA

Per la lettura del testo è stata supposta una elementare conoscenza della logica matematica, nei suoi aspetti intuitivi. Più esattamente, per quanto riguarda la logica proposizionale, al lettore è sufficiente essere a conoscenza delle seguenti informazioni (riassunte in maniera frammen­ taria). Si indicano con lettere maiuscole corsive P, Q, R, . . . espressioni di senso compiuto del linguaggio comune alle quali sia attribuibile un valore di verità (vero oppure falso, ma non entrambi). Espressioni più complesse, ottenute interponendo a coppie di tali lettere dei connettivi (e, o, se . . . allora, se e solo se, e analoghi) sono detti schemi proposizionali. Il problema di attribuire a uno schema proposizionale un valore di verità, una volta noto quello attribuito alle singole lettere che in esso appaiono è risolto per definizione, tramite le seguenti tabelle di verità (in esse, P sta per « non P », nel senso intuitivo, v sta per « o » nel senso latino di vel, o sta per « o » nel senso latino di aut, & sta per « e », nel senso comune, -t sta per « se . . . allora . . . », - sta per « • . . se e solo se . . . », v sta per « vero », F sta per « falso ») 1:

p

Q

p

F

F

v

p

v F

Q

poQ

P& Q

P-t Q

P +-+Q

F

F

v

v F F v

F v

v F

v F

v v

v v

F F

v F

v

v

F

v

F

v

v

1 v e F

Si noti che tutti i segni introdotti fanno parte del linguaggio, mentre i due segni fanno parte del metalinguaggio.

Gli interessi matematici

8

Per mezzo delle dette definizioni, è possibile trasformare espres­ sioni in cui compaiono certi connettivi, in altre in cui ne compaiono altri. Per esempio, l'espressione proporzionale poQ si può equilavente­ mente scrivere : (P & Q) v (P & Q), come è facile provare, verifican­ do che le due espressioni hanno la stessa distribuzione di valori di ve­ rità. Nel metalinguaggio si fa uso di una regola per dedurre che con­ serva il nome medioevale : modus ponens (oggi detta anche « regola di inferenza ») Siano dati gli schemi proposizionali A e A --+ B; da essi si può dedurre B. In simboli : .

A A--+B :. B

Un'analisi più dettagliata delle proposizioni, dà luogo a un altro calcolo, detto calcolo dei predicati. Più esattamente, oltre a quelli già introdotti, si introducono due segni, (V x)P(x) detto quantificatore uni­ versale che sta per « per ogni x, P(x) », dove x è una variabile indivi­ duale e P un predicato (esempio, se x varia nella classe dei numeri interi e P è il predicato « esser pari », la nostra espressione diventa: « ogni numero intero è pari », falsa; se x varia nell'insieme dei mammiferi e P è il predicato « esser vertebrati », la nostra espressione diventa: « ogni mammifero è un vertebrato », vera); ( 3 x)P(x) detto quantificatore esistenziale che sta per « esiste un x tale che P(x) » (se x varia nella classe dei numeri interi e P è il predicato « esser pari », evidentemente la nostra espressione diventa: « esiste un numero intero che è pari >>, vera). È ovvio notare che tramite questo arricchimento dell'alfabeto dei segni linguistici, è possibile realizzare uno studio più profondo delle espres­ sioni linguistiche. Nel metalinguaggio del calcolo dei predicati, oltre alla regola modus ponens, si usano altre regole, tra le quali : regola di generalizzazione: A(x)

:. (y x)A(x) cioè : se vale la formula A(x) allora vale la formula ottenuta premettendo il quantificatore universale; regola di particolarizzazione: (Vx)A(x) :. A(t)

A vvertenza

9

(purché sostituendo t a x, t non venga a cadere sotto l'influenza di un quantificatore in A(t), cioè : se vale la formula ( V x)A(x), allora vale pure la formula A(t), quindi per un termine sostituito a x in A(x); regola esistenziale: A(t) ( 3'x)A(x) (dove per t vale la stessa ipotesi di cui sopra e A(t) è ottenuta per sosti­ tuzione da A(x)), cioè : se vale la formula A(t), allora esiste una variabile individuale x tale che valga A(x). È bene avere anche qualche nozione di calcolo delle classi elemen­ tari, o di teoria ingenua (o elementare) degli insiemi. Ammesso come intuitivo il concetto di insieme (pensato come sino­ nimo di agglomerato, famiglia, raggruppamento, ecc.), per indicare che un certo oggetto (o elemento) a sta in un insieme, cioè appartiene a un dato insieme fl, si scrive : a E Cl

e si legge : a appartiene ad fl, oppure : a sta in fl. Il segno « E », si chiama segno di appartenenza. Se abbiamo due insiemi Cl e � tali che ogni elemento di Cl è anche elemento di �. si dice che Cl è incluso in � o che Cl è sottoinsieme di � ; ciò si indica : Cl

ç_

�·

Cl

c

�·

Se Cl ç � ed esiste almeno un elemento di � che non è elemento di Cl, allora si dice che Cl è incluso strettamente (o propriamente) in � e si scrive :

Dunque, il caso Cl ç � comprende la possibilità che Cl = � . cioè che Cl e � abbiano gli stessi elementi. Si chiama poi unione di Cl e � l'insieme formato dagli elementi che appartengono almeno a uno dei due insiemi Cl o �· Si scrive : Cl u � ·

Si chiama intersezione di Cl e � l'insieme formato dagli elementi che appartengono sia ad Cl sia a �· Si scrive : Cl n � ·

lO

Gli interessi matematici

Le nozioni di cui sopra sono o vviamente incomplete e frammenta­ rie. Lungo il corso dell'opera, e specialmente nel II Volume, molti argo­ menti relativi alla logica verranno ripresi (anche criticamente) e dunque esposti con criteri pi ù rigidamente formali.

I PRIMORDI

l.

l. Il figlio dell'uomo esce dal labirinto

Il mito (dal greco p.u9é.op.cxL = raccontare) è una concezione intui­ tiva, simbolica, in cui l'elemento fantastico non è semplicemente un'immagine estrinseca di quello concettuale, ma costituisce con esso un'unità originaria indistinta. Là dove la scienza non può ancora spiega­ re, è utile ricorrere a un « raccon to » che ci fornisca alcune informazio­ ni, in prima approssimazione, d el passato ; così la nostra narrazione, come molte altre, comincia con un mito. Probabilmente più di mezzo milione di anni fa, alcune scimmie sce­ sero dagli alberi, per rendersi conto di quanto avveniva nel mondo cir­ costante. Non sappiamo, e probabilmente non sapremo mai, stabilire una data, seppure molto approssimata, per questo fatto, che pure è sen­ z'altro il fatto più importante della storia dell'uomo e, di conseguenza, non sappiamo quanti millenni siano occorsi, a quelle bestie più curiose delle altre, per maturare in se stesse questa grande decisione; ma quando esse la posero in atto, inconsciamente provocarono una scintilla che, fattasi in breve fuoco vorace, iniziò quel misterioso fenomeno che noi, lontani pronipoti, chiamiamo, con una punta di vanità, « progres­ so )). C ome si spiega il nostro strepitoso successo, unico nella storia della evoluzione della Terra ? Probabilmente esso è dovuto al fatto che l'uomo è l'unico animale in grado di usare con facilità simboli che resistono al tempo, e di comunicare dati in maniera univoca. Supponiamo di mettere un topo in un labirinto. Esso, dopo un certo tempo, riuscirà, attraverso molti tentativi, a uscire. Poniamo che, riguadagnata la preziosa libertà, il nostro topo passi in pace il resto dei suoi giorni, e procrei, e abbia m olti figlioli. Mettiamo poi, nello stesso labirinto, un figlio di quel topo ; esso ripeterà le prove e gli errori del

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Gli interessi matematici

padre, e uscirà in un tempo dell'ordine di grandezza di quello impiegato dall'altro. Ripetiamo ora l'esperimento con un uomo. Egli, dopo aver trovato la via d'uscita, sarà perfettamente in grado di istruire il proprio figlio in modo che questi esca dopo un attimo, senza fatica e senza giri viziosi. Ecco il punto cruciale : l'uomo imita, ricorda, confronta, comunica. In una parola, « ragiona » sulle cose. Questo gli consente di trarre dal­ l'esperienza del passato importantissime informazioni in vista di un ripe­ tersi degli accadimenti stessi, o di altri analoghi. Avviene così che, quando un uomo deve costruire una nave, elabora il suo progetto in simboli matematici, in diagrammi, lo « calcola » e lo sperimenta a tavo­ lino, ed è perfettamente in grado di sapere se la sua opera starà a galla. Non deve certo > e « illimitato >> coincidono (cosa che, matematicamente, non è). L' &7tF.tpov si deve intendere, di con­ seguenza, come sostanza « infinita >> in quanto priva di limiti e, in un certo senso, soprattutto per il pensiero greco posteriore, imperfetta.

2. Il numero come essere - Pitagora Se la tradizione su Talete dà adito sovente a incertezze, al punto che la sua figura è avvolta in gran parte nel mistero, assai più oscura e misteriosa, e ricca di leggenda, è la figura di Pitagora di Samo (5 80-500 a.C .), di cui alcuni hanno persino voluto negare l'esistenza. Pitagora, come Talete, che probabilmente conobbe di persona, viaggiò molto, e alcuni vogliono che, durante il suo soggiorno in Egitto, diventasse sacerdote della religione di quel paese. La cosa spiegherebbe in parte il carattere esoterico del suo insegnamento, che vincolava al segreto più ferreo i discepoli che egli rendeva partecipi delle proprie sco­ perte. Di certo si sa che, verso i quarant'anni, Pitagora si trasferì in Italia, precisamente a C rotone, dove fondò una scuola di aristocratici, cui pare fossero ammesse, cosa eccezionale non solo per quei tempi, anche le donne. Questa scuola aveva tutti i caratteri di una setta religiosa, accen­ trata attorno alla figura del maestro, che veniva rispettato e venerato come un dio dai discepoli. Il vincolo di segretezza che legava gli appar­ tenenti alla scuola, e il fatto che Pitagora non compose, a quanto sem­ bra, nulla di scritto, fanno sì che sia molto difficile stabilire quali sco­ perte siano da attribuire a lui in persona. Era infatti in uso, presso i pita­ gorici, la tendenza ad attribuire ogni nuova scoperta al maestro, sia per tributare onore alla sua persona, sia per rendere maggiormente credibile il risultato raggiunto. L'intuizione che più caratterizza il pensiero pita­ gorico è che il principio di tutte le cose non si deve ricercare negli ele-

- 23

La grande rivoluzione: i greci

menti naturali, come l'aria, l'acqua o il fuoco, ma nel numero. Il numero infatti regola ogni cosa, ogni rapporto tra cose, dal movimento dei corpi celesti al formarsi delle armonie musicali sulle corde di uno strumento. Il numero, tuttavia, non è un ente astratto, come per noi moderni, grazie al quale è possibile interpretare cose ed eventi ; il numero per Pitagora è un diretto costituente del reale, in quanto materializzato e corporeo. A tal proposito dice Aristotele 2 : « Tutti i pitagorici sostenevano l'esistenza del vuoto, e dicevano che entra nel cielo stesso da un soffio sconfinato, poiché anche il cielo soffia nel vuoto ; e il vuoto differenzia la natura come se fosse una sorta di separazione di consecutivi e come se fosse la loro differenziazione; dicevano anche che questo accade prima di tutto nei numeri, perché è il vuoto che li rende differenti ». Da questa concezione è inevitabile giungere a far confluire in un'unica scienza l'aritmetica e la geometria, la quale ultima, per Pitago­ ra, studia le possibili disposizioni delle unità materiali dei numeri. Così 3, 6, 1 0, . . . sono numeri triangolari, che si dispongono nel modo illustrato nella figura 2 : •













• •









• •



• •



Fls. 2

mentre 4, 9, 1 6, . . . sono numeri quadrati, che si dispongono come nella figura 3 . •

























































Fig. 3

In questa maniera si proseguiva definendo i numeri cubici, quelli piramidali, ecc. Questa concezione aprì la via a interessanti scoperte nell'ambito della teoria dei numeri. Per esempio, rappresentando i quadrati perfetti come si è visto, si nota subito che la somma dei primi n dispari è sempre 2

Aristotele, Fisica, IV, 6, 2 1 3b, 22.

Gli interessi matematici

24

della forma n2 , e che, viceversa, ogni numero dispari nasce dalla diffe­ renza dei quadrati di numeri consecutivi. Si consideri infatti la figura 4 . •





















D

Fig. 4

In essa ogni dispari, disposto a squadra e aggiunto al quadrato, dà ancora un quadrato. Un altro esempio che può rendere l'idea del legame tra aritmetica e geometria, come le intendevano i pitagorici, è il teorema dello « gnomo­ ne », con cui si può trovare geometricamente il risultato di una divisione ( fig. 5). unita

-

l l r1

l + l

-

l �

-

l

-i--l-..1. l

l

l

H Fig. 5

Si rappresenta il dividendo, per esempio 1 2, sotto forma di un ret­ tangolo, i cui lati sono costituiti da 6 e da 2 unità di misura comuni

La grande rivoluzione: i greci

25

(nella figura 5 il rettangolo ABCD). Poniamo che si voglia dividere il numero dato per 4. Si prolunga allora il lato DC di CE, lungo 4 unità. Da E si traccia la parallela a BC fino a incontrare, in F, il prolunga­ mento del lato AB. Da F si traccia poi il segmento passante per C che individua G sul prolungamento del lato AD. Da G, infine, si traccia la parallela a DC fino a incontrare, in H, il prolungamento di FE. Si pro­ lunga poi BC fino al punto I su HG. Si consideri ora il rettangolo AFHG. Esso è diviso, dalla diagonale GF, in due triangoli rettangoli uguali in estensione, AGF e GFH. Essendo poi CBF = EFC, GDC = GIC, ABCD sarà equivalente a CEHI ; essendo l'area 1 2 e il lato CE di lunghezza 4, CI è quindi uguale a 3, ed è perciò il segmento richiesto. Visto il livello dei risultati di Pitagora, è plausibile che egli sia effet­ tivamente giunto alla dimostrazione del teorema che ne porta il nome; tutti gli antichi sono concordi nell'attribuirgli la scoperta, ma purtroppo non si conosce la sua dimostrazione. Comunque sia, proprio dal teo­ rema di Pitagora si pervenne, nell'ambito della sua scuola e probabil­ mente ai tempi stessi del maestro, a una scoperta sconvolgente, che minò alle basi la dottrina dell'aritmogeometria pitagorica. Se, infatti, ogni cosa e ogni elemento geometrico fossero costituiti da unità di natura corporea, numerose quanto si vuole ma in numero finito, non esisterebbero grandezze incommensurabili ; posto che in una di esse si trovino m unità, e nell'altra n unità, il rapporto m/n, con m e n interi, non potrebbe mai essere un numero irrazionale. Proprio applicando il teo­ rema di Pitagora a un triangolo isoscele formato tracciando la diago­ nale di un quadrato, si scopre che essa è incommensurabile rispetto al lato del quadrato stesso, perché, come dice Aristotele : « Quando se ne suppone la commensurabilità, i numeri dispari risultano uguali a quelli

D

n

Fig. 6

c

Gli interessi matematici

26

pari » 3• Cerchiamo di chiarire questa affermazione, che a prima vista appare non troppo evidente. Chiamiamo monadi, seguendo l'Enriques, le particelle materiali dei pitagorici. Si abbia dunque un quadrato ABCD (fig. 6), e si supponga che la diagonale AC contenga m volte una data quantità di monadi, e il lato DC contenga n volte la stessa quantità. Possiamo chiamare m misura di AC, ed n misura di DC ; il loro rapporto, m/n, si può sempre pensare ridotto ai minimi termini. [Se così non fosse, una volta ridotto, per esempio a m'In', m' esprimerebbe una nuova misura di AC rispetto a una diversa quantità di monadi. Analogamente n' per DC. n ragiona­ mento per assurdo che qui faremo in termini di m e n, si potrebbe quindi fare in termini di m' ed n']. Applichiamo il teorema di Pitagora al triangolo AC D ; avremo che m2 = 2n2; dato che si sono supposti m ed n primi tra loro, ed essendo m2, e quindi m, pari, n deve essere dispari. D'altra parte, se m è pari, si può scrivere m = 2k, e quindi m2 4k2 • Avremo allora 4k2 = 2n2 , da cui 2k2 = n2• Dunque anche n è pari, contro l'ipotesi che voleva m e n primi tra loro. E ciò costituisce l'assur­ do, nato dall'ipotizzare m ed n commensurabili. È fuori di dubbio che la scoperta degli irrazionali ebbe una influenza decisiva sul pensiero greco posteriore. Probabilmente essa causò la divisione, dicotomica presso i Greci, in seno alle matematiche, tra geometria intesa come scienza del continuo, e aritmetica intesa come scienza del discreto. Questa distinzione è essa stessa di origine pitagori­ ca, come ci testimonia Allman ( Greek Geometry from Thales to Eu e/id, Dublin & London 1 8 89, p. 23): =

I pitagorici fecero una quadruplice divisione della scienza matematica, attribuendo una parte alla quantità di numero, •Ò rc ò aov , e un'altra alla quantità di grandezza, •Ò rt1)Àtxov, e assegnando poi un'altra duplice divisione a ciascuna di queste parti. Dice­ vano infatti che la quantità discreta, o quantità di numero, sussiste per se stessa o deve essere considerata in relazione a qualche altra; mentre la quantità continua, o quantità di grandezza, è statica o in moto. Affermarono quindi che l'aritmetica contempla quella quantità discreta che sussiste in sé, mentre la musica quella che è in relazione con un'altra; e che la geometria considera la quantità c,mtinua in quanto immobile ; mentre l'astronomia (•�v mpo:tcptx�v) contempla la quantità continua in quanto ha la natura di motore in sé 4•

Non ci soffermiamo sulle numerose leggende sorte sulla figura di Aristotele, Primi Analitici, l, 23, 4 l a 25. Il passo riportato, citato dal Russell in Our knowledge of the external World, termina con il rimando, per la distinzione tra quantità continue e quantità discrete, a Giamblico, in Nicomachi Geraseni Arithmeticam introdutionem, ed. Tennulius, p. 4

148.

La grande rivoluzione: i greci

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Pitagora. Ci basti ricordare ancora che egli, dividendo i suoi scolari in « acusmatici », o « ascoltatori » alle prime armi, e « matematici », o coloro che già imparavano (da fL1Xv9&.vw = imparo), fu colui che fissò perennemente il nome della scienza della quale ci stiamo occupando. Pitagora, per i suoi meriti e per la sua ardita e avvincente concezio­ ne, va senz'altro guardato come una figura di prim'ordine; lo studio della sua dottrina non può non richiamare alla mente una frase del Kro­ necker, famoso matematico dell'età moderna : « Dio creò i numeri natu­ rali; tutto il resto è opera dell'uomo ».

3. Parmenide e la scuola eleatica. I primi paradossi: Zenone Mentre il pitagorismo continuava a fiorire nell'Italia meridionale, per opera soprattutto di Filolao di Crotone e di Archita di Taranto, nacque ad Elea la scuola di Parmenide (5 1 5-440 a.C . circa), che i più vogliono discepolo di Senofane di Colofone, il primo tra i filosofi che si fosse ribellato apertamente alla religione ufficiale. Parmenide scrisse un poema di argomento filosofico, andato in gran parte perduto, dal titolo Oépt rpuaéwç (Sulla natura). Egli dovette essere a stretto contatto col pitagorismo, data la vicinanza geografica della sua scuola coi centri, molto attivi in quel tempo, come si è detto, dei discepoli di Pitagora. La concezione filosofica del grande eleate, tuttavia, si libera del pluralismo pitagorico : per Parmenide l'essere è uno e, di conseguenza, immutabile. Egli opera una netta distinzione tra la conoscenza raziona­ le, che raggiunge risultati inconfutabili intorno alla verità, e la conoscenza sensibile, la quale, svisando le cose e riproducendole in noi in modo impreciso, ci porta a interpretazioni errate di quello che è asso­ luto. Questo dualismo tra intelletto e conoscenza sensibile, che Parme­ nide risolve a tutto vantaggio del primo, ha una fondamentale impor­ tanza per la storia della matematica: esso apre la via alla speculazione pura, fatta su enti astratti, i quali non sono vincolati dalle contingenze empiriche o dalla riscontrabilità corporea. La polemica contro coloro che negavano l'unità e l'immobilità del­ l'essere assunse toni più accesi nella dottrina di un discepolo di Parme­ nide : Zenone di Elea (490-430 a.C .). I suoi argomenti paradossali, per la loro acutezza e originalità, sono rimasti famosi nella storia. Essi trag­ gono conclusioni assurde dall'ammissione del movimento e della

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Gli interessi matematici

esistenza di entità distinte, sotto l'ipotesi che il tempo e lo spazio siano divisibili all'infinito. Quest'ultima ammissione fa sì che detti argomenti si possano interpretare in funzione antipitagorica; la cosa, data la vici­ nanza cui si accennava poc'anzi, pare quanto meno probabile. Il più famoso di questi paradossi è quello di Achille e la Tartaruga : il veloce Achille intraprende una gara di corsa con la lenta Tartaruga; se però le concede un certo vantaggio iniziale, non la raggiungerà mai. Infatti, se la Tartaruga parte da un punto P, mentre Achille copre la distanza dal suo punto inizale a P, essa si sarà portata, nel frattempo, in P'. Mentre Achille si porta in P', la Tartaruga sarà nuovamente avan­ zata un po', fino a P" . . . ; è chiaro che questo ragionamento si può ite­ rare all'infinito. Dato che si possiedono notizie molto scarse su Zenone, è assai difficile stabilire con precisione in quale ordine di idee egli abbia enun­ ciato tali paradossali argomenti. Ricollegandosi a un'interpretazione fornita dal Milhaud, il Tannery e l'Enriques, seguiti poi dal C arruccio 5, ritengono che la polemica di Zenone fosse volta a dimostrare l'inconsistenza della dottrina pitagorica secondo la quale la struttura del mondo fisico è una quantità discreta di particelle monadiche. Se infatti consideriamo la retta come un continuo, e supponiamo che abbia la lunghezza di 1 00 m il vantaggio concesso da Achille alla Tartaruga e posto che Achille vada dieci volte più veloce della Tartaruga, vediamo subito che il paradosso decade. Infatti, una volta che Achille avrà taggiunto la posizione di partenza della Tartaru­ ga, essa avrà percorso 10 m. Raggiunta questa seconda posizione, Achille avrà uno svantaggio di l m ; la Tartaruga si sarà nuovamente spostata; ma, raggiunto quest'altro punto, Achille avrà uno svantaggio di l/ 1 0 di m . . . Dunque, per raggiungere la Tartaruga, Achille dovrà percorrere una distanza

d 5

= 1 00 + 10 + l + 1 / 1 0 + 1 / 1 00 + . . .

Cfr. G. Milhaud, L es philosophes-géomètres de la Grece, Parigi 1 934, p. 1 40 ;

P. Tannery, Pour l'histoire de la science hellène, d a Thalès à Empédocle, Parigi

1929 2, p. 249; l'Enriques dice in proposito che l'argomento di Achille dette occasione a scoprire la somma della progressione geometrica: l

+

q

+

q2

+

.

..

=

1/

l l

q

--

(per q < l);

Cfr. F. Enriques, Le matematiche nella storia e nella cultura, Bologna 1938, p. 12. Per l'interpretazione del Carruccio cfr. Matematica e logica nella storia e nel pensiero contemporaneo, Torino, 1 95 8 , pp. 26 e ss.; e Matematiche elementari da un punto di vista superiore, (a cura di B. D'Amore), Bologna, 1 9 7 1 , p. 78.

La grande rivoluzione: i greci

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Come è evidente, si tratta di una serie geometrica di ragione 1 / 1 0 e di primo termine l 00, da cui

d =

l

1 00 1/10

-

1 000 9

1 1 1, 1 1 1 1 . . .

Questo è un numero ben determinato, e non è affatto infinito. Achille avrà già superato la Tartaruga a esempio, dopo m 1 1 1 , 1 1 1 1 1 2. Per concludere con Aristotele, il fatto che una grandezza sia divisibile in infinite parti non comporta affatto che essa sia infinita. Interpretato in questo modo, come si vede, il paradosso di Zenone era volto a confutare la struttura pluralistica della realtà propugnata dai pitagorici. Ma è possibile considerare le cose da un punto di vista dia­ metralmente opposto. Infatti, se effettivamente si ammette la non divisi­ bilità infinita della materia, ossia se la si pensa costituita da particelle non ulteriormente scomponibili, il paradosso non sorge in quanto, giunti Achille e la Tartaruga al punto da essere separati da una sola monade, avviene il congiungimento perché, mentre Achille supera la monade successiva, la Tartaruga nello stesso tempo non può fare altrettanto. Si vede così che non sarebbe priva di fondamento la tesi che il paradosso di Zenone sia stato escogitato in difesa della concezione pitagorica 6• Non sappiamo di preciso quali rapporti intercorressero tra le due scuole della Magna Grecia, e non possiamo pertanto giungere a conclusioni sicure. Vogliamo comunque, da ultimo, far notare come non poche siano le analogie tra le due visioni del mondo : si pensi che per Pitagora l'unità non è un « vero » numero, ma è l'essere stesso, immutabile, fonte di tutti gli altri numeri ; per Parmenide, ugualmente, l'Uno è l'essere immutabile ed eterno. 4. L 'apoteosi

del pensiero greco: verso il IV secolo

Dopo il fiorire della scuola eleatica, il sapere filosofico e scientifico, a quei tempi saldamente uniti, si affina attraverso le meditazioni di una pluralità di pensatori i quali, se anche talvolta non hanno un diretto inte­ resse specialistico per la matematica, contribuiscono tuttavia assai sen6 Per quanto non abbia visto la cosa in funzione filo-pitagorica, qualcuno per il passato ha interpretato gli argomenti di Zenone come volti a confutare la infinita divi­ sibilità della materia; cfr. M. Evellin, Le mouvement et /es partisans des indivisibles, in >). Un altro risultato che probabilmente risale a Platone è una solu­ zione del problema della duplicazione del cubo. In merito a tale problema ci diffonderemo più avanti, in questo stesso capitolo. L'impor­ tanza del grande filosofo ateniese, comunque, più che limitarsi ai contri­ buti personali, come spesso avviene a coloro che si occupano unica­ mente della « tecnica » del dedurre, va vista, in un contesto assai più generale, nella impostazione che egli determinò nell'ambito delle mate­ matiche. Il porre l'accento sulle grandezze incommensurabili, il riferirsi ai « numeri in sé, svincolati dalle cose sensibili e tangibili » preludono al chiarimento del concetto di numero inteso non come classe di oggetti, ma come classe di classi : si approfondisce insomma con Platone quella analisi del concetto matematico già cominciata ai tempi di Pitagora, e riportata efficacemente in discussione col pensiero eleatico. Il processo di astrazione dal mondo sensibile all'universo matematico deve a Pla­ tone più di quanto comunemente si è disposti ad ammettere ; e solo in questa prospettiva storica si intende come si possa pervenire, di lì a poco, alla stupefacente opera di Euclide. 6. Eudosso da Cnido Uno degli autori verso i quali più sarà debitore Euclide è comun­ que Eudosso (408-355 a.C.). Questi fu pensatore di ingegno elevatissi­ mo, e lasciò contributi originali in molti campi dello scibile. Delle sue opere ci rimangono, tuttavia, a malapena i titoli. Pare che Eudosso sia stato, da giovane, allievo di Platone. Abban­ donata poi l'Accademia, prese a viaggiare; si sa che fu a Eliopoli, in Egitto, dove verosimilmente si istruì nell'astronomia. In seguito si fece allievo del già ricordato Archita Tarantino, pensatore pitagorico amico di Platone. La genialità di Eudosso si esplicò particolarmente nella teoria delle proporzioni e nel metodo di esaustione, che egli per primo portò a un

Gli interessi matematici

34

rigore matematico ; di tale metodo ci occuperemo diffusamente a propo­ sito di Archimede. Per quanto riguarda la teoria delle proporzioni di Eudosso, si sa dei commenti al V libro degli Elementi, che Euclide la ebbe come model­ lo. In effetti, la definizione di rapporto fornita da Eudosso è degna di un matematico moderno ; essa deriva probabilmente, dall'influsso che su di lui dovette esercitare la problematica pitagorica in merito agli irraziona­ li. Infatti Archita, in seno al pitagorismo, aveva tentato una diversa definizione di numero, inteso ora come rapporto tra grandezze: il problema era evidentemente quello di comprendere nella definizione anche gli irrazionali. Vediamo ora come Eudosso ristrutturò la defini­ zione di proporzione. La definizione conosciuta già prima del suo inter­ vento considera in proporzione quattro grandezze, A, B, C, D, se, essendo le prime e le seconde a due a due omogenee, si ha

A/B = C/D. In questo modo si parla evidentemente di grandezze commensura­ bili. Eudosso passa dal rapporto tra interi al rapporto reale, fornendo la seguente definizione : « Quattro grandezze A, B, C, D, si dicono in pro­ porzione quando, scelti a piacere due numeri interi m e n, per cui si abbia

mA > nB

oppure

mA = nB

oppure

mA < nB

si ha pure, rispettivamente

mC > nD

oppure

mA = nB

oppure

mA < nB

>> .

Tale definizione, pur espressa apparentemente in termini di numeri interi ( « due interi m ed n . . . » ) , si rende applicabile, e questo è l'intento che Eudosso si proponeva, anche a grandezze incommensurabili ; tale generalità è dovuta al fatto che m e n si prendono « a piacere », ossia ciò vale per qualsiasi coppia di interi. Non ci soffermiamo sui contributi astronomici di Eudosso, che influenzarono largamente i pensatori successivi per il rigore matematico e per la purezza concettuale; la sua visione astronomica passò quasi inalterata in Aristotele, che si limitò ad aumentare il numero delle sfere celesti, poi, attraverso ulteriori modifiche, a lpparco e a Tolomeo. Forse la fortuna del sistema geocentrico sta proprio nell'aver trovato come sostenitori così illustri e valenti matematici, i quali hanno sempre fornito spiegazioni rigorosamente accettabili dei fenomeni celesti. Si ricordi infatti che più volte si affacciarono, nella storia, ipotesi non geocen-

La grande rivoluzione: i greci

35

triche, prima presso i pitagorici, con Filolao, poi a opera di Eraclide Pontico e di Aristarco di Samo.

7.

Un degno discepolo: A ristotele

Discepolo di Platone, e in un primo periodo giovanile accanito sostenitore delle sue tesi, fu Aristotele (3 84-3 23 a.C .), uno dei più grandi pensatori dell'umanità. Il nucleo della filosofia aristotelica consiste nel porre le idee delle cose, ovvero i concetti universali, attraverso i quali ci intendiamo, non in un mondo perfetto, superiore e autonomo rispetto al reale, ma in seno alle cose stesse. Per Aristotele ogni « sostanza », per esistere, necessita di una « materia », ovvero di una parte corporea priva di determinazioni, e di una « forma », cioè di una parte intellet­ tuale e ideale. La matematica, in questa visione del mondo, viene ad assumere i caratteri, per la prima volta nella storia, di scienza assiomatica e dedut­ tiva. A tale proposito, dice Aristotele che la matematica, assunti i principi, costituisce la sua teoria intorno a una parte della sua materia propria, come linee, angoli, numeri e qualsiasi delle altre qualità, considerando ciascuna di esse non in quanto enti, ma in quanto continui 7•

Per Aristotele le scienze deduttive sono logicamente anteriori alle scienze empiriche. Le matematiche sono quindi più rigorose e più gene­ rali delle altre scienze. Si consideri, a esempio, il seguente passo dei

Secondi A nalitici:

D'altro canto, una scienza può essere più rigorosa di un'altra scienza, e anteriore a in vari sensi. Così, una stessa scienza, la quale tanto provi che un qualcosa è, quanto mostri il perché questo qualcosa è, risulta più rigorosa di un'altra scienza, la q u ale mostri soltanto il perché quel qualcosa è Inoltre, la scienza che non si rife­ risce a un sostrato è più rigorosa di una scienza che si riferisce a un sostrato, come a esempio l'aritmetica è più rigorosa della storia della musica. Così, la scienza che si fonda su un minor numero di elementi è più rigorosa della scienza che si fonda su un numero maggiore di elementi 8• questa

.

.

.

.

Aristotele comprende, con una consapevolezza mai raggiunta fino ad allora, che è necessario, per evitare circoli viziosi, costituire le teorie razionali basandole su un certo numero di proposizioni indimostrabili. Questa concezione prelude alla fondamentale sistemazione euclidea della geometria. 7

Aristotele, Metafisica, IV, 3, 1 005. 8 Aristotele, Secondi A nalitici, l , 27, 87a 30-3 5 .

G li interessi matematici

36

Giova riflettere sul seguente passo : E allora, dato che le dimostrazioni sono universali, e che gli oggetti universali non pos­ sono venir percepiti, è evidente che non sarà neppur possibile una conoscenza dimostrativa attraverso la sensazione. Risulta chiaro, piuttosto, che anche se si potesse percepire che nel triangolo la somma degli angoli è uguale a due retti, noi dovremmo ricercare la dimostrazione della cosa, e tale proposizione non sarebbe ancora conosciuta da noi, come pure taluni sostengono. La sensazione si rivolge infatti necessariamente all'oggetto singolo, mentre la scienza consiste nel render noto l'oggetto universale. Per la stessa ragione, se fossimo sulla Luna e vedessimo la Terra che impedisce il passaggio della luce solare, non conosceremmo ancora la causa della eclisse. In tal caso percepiremmo invero che a un certo momento sulla Luna la luce viene a mancare, ma non percepiremmo assolutamente il perché dell'eclisse : come abbiamo detto, infatti, la sensazione non si rivolge all'universale. Per essere precisi, tuttavia, quando avessimo contemplato frequentemente un tale avvenimento, potremmo allora, dopo aver indirizzato la nostra indagine all'universale, giungere in possesso della dimostrazione. In realtà l'universale diventa manifesto, quando si parta da parecchi oggetti singoli. L'universale d'altro canto è prezioso, perché rivela la cau­ sa. Di conseguenza, riguardo agli oggetti che hanno una causa al di fuori di se stessi la conoscenza universale è più pregevole della sensazione e dell'intuizione. Riguardo invece agli elementi primi, il discorso è differente 9•

Da questo brano risulta chiaramente la differenza che già Aristo­ tele aveva colto tra scienze formali, le cui dimostrazioni non hanno bisogno di una verifica empirica perché si rivolgono direttamente all'uni­ versale, come le matematiche, e scienze reali, che si costituiscono attra­ verso procedimenti induttivi operati sperimentalmente. Il discorso è diverso per gli elementi primi. Infatti le scienze deduttive, o formali, si fondano su pochi concetti elementari, ma tuttavia indimostrabili. Tali sono, innanzitutto, i tre principi della logica classica, che nasce appunto con Aristotele : l . il principio di non-contraddizione (una proposizione e la sua nega­ zione non sono mai entrambe vere) ; 2. il principio di identità (ogni proposizione è equivalente a se stessa) ; 3 . il principio del terzo escluso (di una proposizione e della sua negazio­ ne, una è vera). Aristotele si rende conto della necessità di ammettere alcuni prin­ cipi indimostrabili. Questi devono essere immediatamente presenti alla mente, come verità indiscutibili che, proprio per la loro semplicità, non hanno bisogno di essere dimostrate. La dialettica, o scienza della logica, è dunque la disciplina più generale possibile, anteriore a ogni conoscenza razionale. Con 9

Aristotele, Secondi A nalitici, l , 3 1 , 8 7b 3 3-88a 1 0.

La grande rivoluzione: i greci

37

l'aggiunta di altri assiomi, che spostino l'interesse accentrandolo sulle quantità numeriche, nasce l'aritmetica, scienza meno generale della logi­ ca, in quanto la prima è studio di un oggetto universale, ovvero il nume­ ro, la seconda è studio dell'universalità tout cour. Attraverso una parti­ colarizzazione successiva, ovvero localizzando il numero, o gli insiemi di numeri, si ha la geometria, la quale è, di conseguenza, meno generale dell'aritmetica. Il problema dei fondamenti della conoscenza deduttiva è estrema­ mente attuale, e si può dire che Aristotele per primo tra gli uomini lo abbia colto nella sua pienezza. Dai suoi tempi fino al XIX secolo questa problematica non fu più affrontata con tanto acume e sistematicità; essa costituisce ancor oggi una delle massime questioni riguardanti le mate­ matiche. Vogliamo infine ricordare la concezione aristotelica nei confronti dell'infinito matematico, la quale ebbe vasta influenza sul pensiero posteriore. È infatti di origine aristotelica la distinzione tra infinito cc at­ tuale >> e infinito cc potenziale ». L'infinito che i matematici devono tenere in considerazione è, per lo stagirita, soltanto quest'ultimo, ovvero 10• cc ciò che si può percorrere, ma non tutto, perché è senza fine » L'infinito, insomma, è tale che si può prendere sempre qualcosa di nuovo [in esso], e ciò che si prende è sempre finito ma sempre diverso. Sicché non bisogna prendere l'infinito come un singolo esse­ re, per esempio un uomo o una cosa, ma nel senso in cui si parla di una giornata o di una lotta, il cui modo d'essere non è una sostanza ma un processo e che, se pure è fini­ to, è incessantemente diverso 1 1 •

Aristotele accetta cioè l'infinito come ciò che non ha limite, ovvero che per sua natura è aumentabile senza fine; rifiuta la concezione del­ l'infinito come totalmente presente alla mente dell'uomo, ovvero come insieme di infiniti elementi che coesistono. Ciò tuttavia non distrugge le indagini dei matematici, . . . ; giacché essi ora dell'infinito non hanno bisogno e non se ne servono, ma soltanto richiedono che la linea retta finita possa diventare tanto lunga quanto vogliono. E rimane ancora lecito dividere un'altra gra­ dezza nello stesso rapporto, qualunque esso sia, della massima grandezza. Cosicché per essi non vi sarà alcuna differenza nella dimostrazione 1 2 • 10

Aristotele, Fisica, III, 4, 204a 3 . Aristotele, Fisica, III, 6 , 206a 27. 1 2 Aristotele, Fisica, III, 1 1 , 207b 27-3 3 . A proposito di questo passo, giova ricordare che Aristotele sostiene e dimostra la divisibilità infinita del continuo : « È impossibile che un continuo consti di indivisibili, come la linea di punti, se la linea è continua e il punto indivisibile » i infatti, allora « sarebbe necessario che fossero conti11

38

Gli interessi matematici

La teoria dell'infinito attuale ha suscitato, nell'età moderna, una delle più sconvolgenti ·problematiche del pensiero matematico 1 3 •

8. La logica aristotelica e la logica megarico-stoica Nell'ambito di un testo riguardante la matematica, non è possibile evitare qualche notizia relativa alla storia della logica, se si pensa che questa teoria è strettamente connessa alla prima ben più di ogni altra disciplina scientifica o umanistica. In questo testo, naturalmente, ci limiteremo a fare qualche spora­ dico riferimento ai campi d'indagine della logica e alla sua influenza sullo sviluppo delle matematiche, senza entrare in dettaglio, e riman­ dando eventualmente ad altra occasione una più completa esposizione in merito. C ome si è appena detto, uno dei pensatori che massimamente contribuirono allo sviluppo della logica fu di certo Aristotele. Non è possibile cominciare uno studio della logica, senza prendere in esame le sue opere, raccolte sotto il titolo di Organon. Come esse fossero disposte originariamente non è ben certo, anche se a lungo se ne è discusso. La stesura che ci è giunta si divide in cinque parti : I La teoria delle categorie (Ka'tTJyoptotL). Si tratta, in sostanza, dello studio delle proposizioni del tipo a è b, intese come relazioni di apparte­ nenza (elemento, classe), tali da potere essere mutate nella forma b è a. II La teoria del giudizio (lltpì. é.p(l7JVttott;). Qui appare (nei capp. 7 e 1 0) il già ricordato « principio del terzo escluso )) . S arebbe interessante vedere esattamente come Aristotele enuncia questo principio, pietra miliare per la costruzione di una logica bivalente; e come il matematico moderno B rouwer ( 1 88 1 - 1 966) si distacchi dalle affermazioni aristote­ liche, pur senza uscire dalla logica bivalente 1 4 • III Le ricerche analitiche (TIX 1tponpa 'AvaÀ1.mxcX.). Esse constano di due libri, divisi sostanzialmente in due parti : una centrale, che mostra nui i punti o in contatto reciproco, perché ne risultasse un continuo ; e lo stesso si applica a tutti gli indivisibili » ; ora, > ) e una conclusione che si ricava (nel senso di « si deduce ») da esse. Naturalmente esistono varie forme di tale ragiona­ mento, alcune delle quali si considerano valide, altre no. Anche in questo senso, sviluppi relativamente recenti hanno ritoccato e in parte ampliato gli studi di Aristotele. Noi qui non ci soffermiamo : diamo solo un tipico esempio di sillogismo, molto banale, ma particolarmente espressivo. Ogni mammifero è un vertebrato Ogni uomo è un mammifero Ogni uomo è un vertebrato Si noti che la logica moderna interpreta il sillogismo nell'ambito del calcolo delle classi. Si noti infatti che la prima premessa (cosiddetta maggiore) significa che la classe M dei mammiferi è interamente inclusa nella classe V dei vertebrati (fig. 7).

Gli interessi matematici

40

Fig. 7

La seconda premessa (cosiddetta minore) asserisce che la classe U degli uomini è inclusa in quella M dei mammiferi (fig. 8).

Fig. 8

La conclusione non è altro che il risultato dell'applicazione della legge della transitività dell'inclusione tra classi, e afferma che la classe degli uomini è (dunque) contenuta in quella dei vertebrati (fig. 9).

Fig. 9

Quarto punto : L 'induzione. È il capitolo sulla logica induttiva, per la verità un po' difficile da interpretare, ma ricco di suggestivi spunti che hanno poi dato luogo alle logiche induttive. IV Le ricerche analitiche successive (T� uanpct 'AvctÀt)'ttxli). Questa parte è divisa in due libri, la cui struttura è simile ai due prece-

La grande rivoluzione: i greci

41

denti. Il nucleo centrale tratta delle condizioni assiomatiche di una scienza in senso aristotelico. Il successivo, quale sussidio allo studio del primo, offre molti interessanti spunti, per esempio una teoria della definizione, che contiene la caratteristica tesi della indimostrabilità di queste, e una distinzione tra le definizioni esplicite, implicite e per astra­ zione. V Topica e sofismi (Tà -romxà, e lltp1 -rwv aopta-rLxwv D.. inwv). La topica si occupa dello studio dei topoi. Un topos (letteralmente : « spa­ zio; luogo » ) è in sostanza una massima, una regola di buon senso o uno schema che un logico alle prime armi deve rispettare e seguire per essere facilitato nei giudizi e nelle dimostrazioni. Un esempio, forse, chiarirà meglio il concetto : « Si devono [conviene] chiarire le cose come fanno tutti, ma non c'è bisogno di giudicarle come fanno tutti » 1 5• I topoi vengono classificati dai caratteri, che sono, originariamente, quattro : accidens (proprietà casualmente appartenente a un individuo di una data classe) ; genus (proprietà relativa ad almeno tutti gli individui di un� . data classe) ; proprium (proprietà relativa a tutti e soli gli individui di una data classe); definiens (proprietà caratteristica). Tralasciamo l'interessante generalizzazione di Porfirio (23 2-30 1 d.C.) e di Boezio (480-5 24 d.C.), e così pure le discussioni in merito a questa classificazione aristotelica, che noi riteniamo estremamente moderna. Prima di passare alla logica megarico-stoica, vogliamo ancora ricordare che la logica aristotelica si può considerare l'antenata, meravigliosamente potente e anticipatrice, del moderno calcolo delle classi. Ed è per questo, come asserisce il Lukasiewicz, che non può essere considerata una « logica elementare », dato che non studia la pre­ messe e la logica a esse relativa; cosa che, invece, affrontano i Megarici, il cui massimo esponente, sotto questo profilo, fu Filone (IV sec. a.C .), e gli Stoici, in particolare Crisippo (28 1 -208 a.C.). Il primo ha il merito di avere chiarito il concetto di implicazione materiale; egli si rese conto, infatti, che l'implicazione di una proposizione falsa su una vera è essa 15 « 'tOtt� fLÈY ÒYOfLOtutOtl� 'tÒt 7tplijfLOt'tOt 7tp0!70tjOptu'tÉOV Xat8!l7ttp oi 7tOÀÀo[, :7tOtOt 8È 'tWY 7tpOtjfLii'wv È!1'tt 'tOiatu'tat � où 'tOIOtU'tat, oùxh1 7tpoatx'tÉov 'toÌ� 1toÀÀoÌ� » (Topici, II, 2, I l O a

1 6- 1 9).

42

Gli interessi matematici

stessa vera. La

«

legge di Filone

(P -+ Q)

»

si scrive oggi così :



(P

v

Q).

Gli stoici prendono in considerazione cinque figure inferenziali (cioè di deduzione), dette anapodittici, che elenchiamo 1 6 : I

II

Se è P allora è Q Ma è P

P -+ Q

Dunque è Q

Q

Se è P allora è Q Ma non è Q

P -+ Q

Dunque non è

III

P

Se è P allora non è Q Ma è P

p

[(P -+ Q) & P] -+ Q

non Q

P

non

P -+ non Q P ---

IV

Dunque non è Q

non Q

O è P o è Q Ma è P

P aut Q

Dunque non è Q

[(P -+ {?) & P] -+ Q

p

- { [(P & Q)

v

(P & Q)] & P} -+ Q

non Q

1 6 Come si vede, gli schemi inferenziali sono riportati su tre colonne : nella pri­ ma, essi sono scritti per esteso; nella seconda, sono espressi con una semi-formalizza­ zione che è oggi assai usata a questo scopo ; nella terza, li abbiamo totalmente forma­ lizzati, attraverso il sistema di simboli spiegato nell'introduzione di questo lavoro, e li abbiamo interpretati come schemi proposizionali e non come schemi di inferenza. Si noti infine, che l'oppure degli Stoici è esclusivo (aut), come appare dal testo greco degli anapodittici, tramandatoci da Galeno : « ilv b Xpum1t1toç òvop.&:�El 7tpw·tov ÒlvcmoÒElX't:ov, ò

-cowÙ1:oç -cpo1toç �miv · " d •Ò rx', -cò W· -cò òÈ rx' · 1:Ò òtprx �' · " ilv b Xpum1t1toç ÒEunpov Òlvrx1toÒE lx-cov òvop.&:�El, -coloÙ1:oç Èmlv · " d •Ò rx ', 1:Ò W · oùxt òÈ -cò W · oùx òtprx •Ò rx"'.-KÒl7tl "too •p\-çou xrx"t:X 1:oÙ-cov 'tOlOO'toç b -çpo7toç �miv · " oùxt "to n rx' xrxt 'tÒ � ' · < •ò òÈ rx ' · oùx òtprx -cò P ' > ". -xÒlltl "too TE"t " . (Galeno, lnstitutio logica, Kalbfleisch, p . 1 5). •

.

.

,





.



43

La grande rivoluzione: i greci

V

O è P o è Q Ma non è Q

P aut Q non Q { [(P &

p

--

Dunque è P

Q)

_

(P & Q) l & Q} -+ P.

v

Sarebbe, anche qui, estremamente interessante studiare, coi moderni mezzi del calcolo logico, i cinque anapodittici, e vedere come alcuni di essi siano riconducibili agli altri ; ma sorvoliamo. Notiamo invece che da queste considerazioni sulle inferenze nasce in sostanza il moderno calcolo delle proposizioni. Concludiamo il paragrafo notando che alcune frasi di Aristotele relative ai futuri contingenti, interpretate in maniera inesatta per secoli, hanno costituito la base per gli studi di logica formale cosiddetta poliva­ lente, che tiene conto cioè di « più » valori di verità (oltre al vero e al fal­ so) 17• Si pensi che solo nel 1 920 vede la luce un'opera che prosegue lo studio così brillantemente preconizzato da Aristotele.

9. Euclide L'esigenza di una sistemazione assiomatica, avvertita da Aristote­ le, non fu senza importanza per la storia della matematica. Eudemo, discepolo del grande maestro, compilò un Elenco dei matematici, pre­ ziosa fonte di notizie di cui conosciamo ampi frammenti attraverso Proclo. Quasi certamente legato, anche se solo indirettamente, alla filosofia platonica, fu invece colui che realizzò una mirabile assiomatizzazione della geometria : Euclide. Purtroppo si sa ben poco di questo grande. Vissuto in piena epoca alessandrina, egli fu senz'altro anteriore ad Archimede, dato che lo si trova nel pieno della sua attività attorno all'anno 300 a.C . Fondatore della scuola di geometria di Alessandria, visse e operò alla corte dei Tolomei, signori dell'Egitto, dopo lo sfaldamento dell'impero di Ales­ sandro Magno. Euclide ci ha lasciato un'opera dal titolo Elementi (l:toLxe'L(X) che, per la sua completezza, è senz'altro il libro scientifico che ha avuto mag·

17

Si veda, a riguardo, E. C arruccio, Prodromi delle logiche non-aristoteliche « Actes du VIII Congrès International d'Histoire des Sciences )) (Firenze-Milano 3-9 settembre 1 95 6), pagg. 1 1 5 8- 1 1 64. '

nell'antichità e nel medioevo, in

44

Gli interessi matematici

gior diffusione al mondo. Nello scritto in esame confluiscono le conoscenze geometriche di tutto il pensiero greco. Pur se molti altri trat­ tati di geometria, andati poi perduti, furono scritti prima di questo, non si deve pensare che Euclide non sia stato altro che un abile compilatore : è significativo il fatto che proprio gli Elementi non siano andati perduti. Essi infatti superavano largamente ogni altra opera precedente, sia quanto all'originalità e alla novità dei risultati, sia quanto alla sistemati­ cità e al rigore formale con cui essi sono raggiunti ed esposti. La trattazione di Euclide si svolge in tredici libri. Vediamo di ana­ lizzarne brevemente il contenuto. Libro I In esso sono contenuti i principi su cui si basa l'opera: definizioni, postulati, assiomi. Si è molto discusso per stabilire in che cosa precisamente essi differiscono secondo Euclide. Forse la cosa diventa più chiara se ci si accosta direttamente alla terminologia del­ l'autore. Le « definizioni �� (opoL) sono più precisamente i « termini » o gli « elementi » di cui l'opera tratta; si considerino a esempio i seguenti : I Punto è ciò che non ha parti. 2 Linea è una lunghezza senza larghezza. [. . ] 5 Superficie è ciò che ha soltanto lunghezza e larghezza. [. . ] 23 Segmenti di un piano si dicono paralleli se prolungati da tutte e due le parti, in nessuna di esse si incontrano. Si noti che Euclide non concepisce la retta come una linea attual­ mente infinita, bensì come un segmento prolungabile quanto si vuole. Ciò testimonia una decisa scelta, da parte del nostro autore, a favore dell'infinito potenziale. I « postulati » (1Xl-djp.1Xt1X) sono proposizioni, di carattere geo­ metrico costruttivo, che si domanda di accettare a priori come vere. Essi sono : l Un qualsiasi punto si può sempre congiungere mediante un segmento con un altro punto. 2 Un segmento si può sempre prolungare in modo rettilineo. 3 Dato un centro e una distanza è sempre possibile costruire una circonferenza (avente quel centro e come raggio quella distanza). 4 Gli angoli retti sono tutti uguali tra loro. 5 Se due segmenti, tagliati da uno trasversale, formano con esso angoli coniugati interni la cui somma è minore di due retti, allora i loro prolungamenti si incontrano dalla parte in cui la somma dei due angoli è .

.

La grande rivoluzione: i greci

45

minore di due retti. Si noti come questo ultimo postulato presenti caratteri di maggiore complessità nei confronti dei precedenti. Lo stesso Euclide dovette avve­ dersene, perché lo usò soltanto alla 29a proposizione, mentre gli sarebbe tornato utile assai prima. Per questo fatto molti autori tentarono in seguito di dimostrarlo sulla base dei primi quattro ; la cosa si è rivelata impossibile soltanto ai primi anni del sec. XIX, con il sorgere delle geo­ metrie non-euclidee. Gli « assiomi » (à�Lwp.cna; o xmva;ì twoLtXL) sono nozioni logiche, comuni a tutti gli uomini, e non hanno carattere esclusivamente geo­ metrico, ma valgono per ogni altra scienza. Tali sono a esempio : l Le cose uguali a una stessa cosa sono uguali tra loro. 2 Le somme di parti uguali sono uguali. [. . .] 6 Le metà di una stessa cosa sono uguali tra loro. 7 Le cose che si possono sovrapporre sono uguali. [. . .] Vediamo ora nelle grandi linee il gigantesco lavoro che Euclide ha compiuto con questo semplice apparato. Sempre nel primo libro egli tratta dei triangoli e delle loro proprietà ed enuncia i criteri di uguaglian­ za; stabilisce poi la teoria delle parallele, delle perpendicolari, dell'equi­ valenza tra i poligoni. Il libro si chiude con una dimostrazione del teo­ rema di Pitagora. Libro II Attraverso una molteplicità di applicazioni del teorema di Pitagora, Euclide sviluppa una vera e propria algebra geometrica, seguendo la traccia additata dai pitagorici. Essa è relativa a costruzioni geometriche con riga e compasso, ovvero alla risoluzione di equazioni di 2° grado. Libro III In esso, Euclide tratta del cerchio e delle sue proprietà: angoli alla circonferenza, angoli al centro, intersezione tra cerchi . . . Libro IV Tratta dei poligoni regolari. Libro V Contiene la teoria delle proporzioni, probabilmente, come si è detto, ispirata a quella di Eudosso. Libro VI In esso si tratta dei principi di similitudine e si applicano i risultati del libro precedente alle figure. Vi si trova, tra l'altro, una gene­ ralizzazione del teorema di Pitagora: date tre figure simili costruite sui lati di un triangolo rettangolo, la somma delle aree di quelle costruite sui cateti è equivalente a quella costruita sull'ipotenusa. Esaurita la trattazione della geometria piana, l'autore sposta poi la sua attenzione sul campo dei numeri. I libri dal VII al IX ci forniscono

Gli interessi matematici

46

una teoria generale dei numeri, con la distinzione tra numeri primi e numeri composti, la definizione del concetto di unità di misura e di mul­ tiplo comune, la dimostrazione che dato un numero primo, se ne ha sempre un altro maggiore di esso. Vale la pena di riportare, come esempio, quest'ultima dimostra­ zione per la sua linearità e il suo rigore. Prima di procedere, però, è bene ricordare cosa si intende per « di­ mostrazione per assurdo » . Supponiamo di voler dimostrare la tesi T partendo dalla ipotesi H. Dimostrare T per assurdo significa supporre che da H segua la negazione di T. Si suppone cioè vera l'implicazione :

H -+ T. Si verifica poi che la implicazione H -+ T è falsa. D a ciò si trae, come unico altro caso possibile, che è vera

H -+ T. Questo dimostra la tesi T; infatti è vera H -+ T, ma è vera l'ipotesi H, quindi, per la regola modus ponens, è vera T. Esistono diversi modi per esprimere formalmente il procedimento per assurdo ; ma non ci soffermiamo. Torniamo alla nostra dimostrazione : essa si svolge, appunto, per assurdo. Poniamo che i numeri primi siano n, dove n è un numero finito. Si costruisca ora il numero

m =

Pn

(pl · P2· P J ·

· · ·

·Pn)

+ l

sono tutti i numeri primi, m sarà allora un numero dove p 1 composto, maggiore di tutti i primi. D'altra parte, m, scomposto in fat­ tori primi, darà sempre come resto l . m è dunque un numero primo, oppure contiene un primo diverso da ogni Ma si era supposto che i numeri primi fossero n. m, o il suo fattore diverso da ogni pi, è diverso da ciascuno degli n numeri primi. I numeri primi sono allora almeno n + l , mentre si era ipotizzato che fossero solo n. Dunque, dato che questo vale per ogni n, si è giunti all'assurdo. Possiamo allora rigettare l'ipotesi che ci sia un numero finito di numeri primi, e accettare la con­ traddittoria, ovvero che essi sono infiniti. È chiaro che in tal modo, Euclide non introduce una infinità in senso attuale ; egli si limita a dimostrare che, dato un numero di numeri primo, ne esiste sempre uno maggiore. Si noti anche, per inciso, che la costruzione del numero m escogitata da Euclide è ancora oggi uno dei pochi sistemi semplici per ottenere sempre nuovi primi; non è detto che m stesso, così ottenuto, sia •





P i·

La grande rivoluzione: i greci

47

primo ; contiene sempre, tuttavia, un numero primo maggiore di quelli conosciuti. Il libro X tratta degli irrazionali quadratici, con tale perfezione e ad un livello, che i risultati in esso contenuti rimasero incomprensibili fino al XVI secolo. Il campo di indagine si sposta poi alla geometria solida; nei libri XI e XII, Euclide costruisce una esauriente teoria della equivalenza tra i solidi, facendo frequente uso di una forma di calcolo infinitesimale, detta « procedimento per esaustione », di cui ci occuperemo espressa­ mente a proposito di Archimede. La immensa opera di Euclide si chiude nel XIII libro, colla costru­ zione dei cinque poliedri regolari. A tale proposito egli dimostra rigoro­ samente che essi sono tutti e soli quelli possibili. Per la posizione di preminenza assunta dall'argomento, che appare al sommo della costruzione euclidea, l'autore pare qui professarsi aper­ tamente discepolo di Platone, che nel Timeo aveva accentrata la sua teoria fisica attorno a detti poliedri, i quali furono perciò detti « corpi cosmici » o « corpi platonici » . Data la vastità dell'opera, non è possibile, in questa sede, soffer­ marsi sui singoli risultati ottenuti da Euclide, pur se molti di essi presen­ tano una eccezionale importanza per tutta la matematica ancora ai giorni nostri. Non si possono tuttavia non cogliere, riflettendo sulle poche cose che abbiamo qui riferito, la completezza e l'organicità della sistemazione data al sapere geometrico e a quello aritmetico. In partico­ lare, con Euclide nasce il metodo assiomatico, ovvero il metodo di dedu­ zione rigorosa che da alcuni principi primi considerati autoevidenti, per­ mette di trarre tutti gli enunciati di una teoria. Tale concezione, che rimarrà tipica di ogni scienza deduttiva, è forse la più grande conquista del pensiero greco. Il metodo ipotetico-deduttivo della matematica moderna non differisce sostanzialmente, dal punto di vista operativo, da quello instaurato per la prima volta da Euclide. Abbiamo dunque visto come il pensiero matematico dei Greci si sia sviluppato, dalle prime considerazioni razionali di Talete, attraverso il continuo approfondimento offerto dalla critica filosofica, e si sia avviato, prima con la scuola eleatica liberandosi del mondo della sensi­ bilità empirica, poi costituendosi una valida base di pensiero, con Plato­ ne, verso la sistemazione definitiva e assiomatica, di cui Aristotele avvertì l'esigenza e di cui Euclide lasciò una così imponente realizzazio­ ne. I contributi dati dai singoli pensatori, se pur di natura non sempre

Gli interessi matematici

48

tecnica, si intrecciano e si amalgamano assieme, tanto che sarebbe impossibile spiegare gli uni senza gli altri. Le solide fondamenta del pensiero matematico, profondamente radicate nelle leggi della logica, sono definitivamente gettate in Grecia, con una consapevolezza dovuta alla riflessione razionale, sia essa di natura matematica o filosofica. Questo dovrebbe fare riflettere coloro che ancora considerano la cultura come costituita di compartimenti stagni, e si rifiutano di ammettere che le scienze deduttive e quelle filo­ sofiche abbracciano una stessa problematica di base, interagendo le une sulle altre, e risultando mutilate le une senza le altre. Ci restano da considerare, per avere un panorama abbastanza completo del sapere matematico dei Greci, tre problemi, inerenti costru­ zioni geometriche, particolarmente significativi. Le soluzioni per essi escogitate ci danno l'esatta misura da un lato dell'acume speculativo dei Greci, dall'altro dei precisi limiti delle loro conoscenze matematiche.

1 0. I

tre problemi dell'Ellade classica

I Greci (probabilmente a Platone in persona risale questa distin­ zione) dando prova ancora una volta di una eccezionale perspicacia, considerarono canonici e degni di particolare attenzione i problemi riso­ lubili con riga e compasso. A un profano potrebbe sfuggire l'importanza di questa intuizione : a tutta prima, si potrebbe credere che dette costru­ zioni rappresentino semplicemente una categoria di problemi, della stessa natura dell'insieme di problemi risolubili, a esempio, con la squadra. Non è così : il riferimento a detti strumenti è solo erroneamente interpretabile da un punto di vista esclusivamente tecnico. Come si è dimostrato solo molto più tardi, infatti, i problemi cosiddetti risolubili con riga e compasso sono riconducibili a problemi algebrici risolubili attraverso operazioni razionali ed estrazioni di radici quadrate. I Greci, pur senza giungere con piena consapevolezza alla scoperta di questo fatto, tuttavia trattarono alcuni problemi, insolubili con riga e compas­ so, come se si rendessero conto di tale insolubilità. Questi problemi sono : l la trisezione dell'angolo ; 2 la duplicazione del cubo ; 3 la quadratura del cerchio. La trisezione dell'angolo non e m generale riconducibile a una costruzione con soli riga e compasso, pur se ciò si verifica per angoli

La grande rivoluzione: i greci

49

particolari, come quelli, per esempio, di 90° e di 1 80°. Tuttavia, già ai tempi di Platone, il sofista Ippia di Elide ideò una curva tramite la quale si può risolvere il problema in tutti i casi, ossia è possibile trisezionare un angolo qualsiasi. Detta curva si ottiene nel seguente modo : si consideri un quadrato ABCD (fig. 1 0).

FIJ. IO

Si faccia ruotare il lato CD, con perno in D, fino a farlo coincidere con il lato AD ; contemporaneamente, cioè facendo coincidere i momenti di partenza e di arrivo dei due moti, si porti BC sullo stesso AD, tramite una traslazione. Rotazione e traslazione siano uniformi. La curva di lppia è il luogo delle intersezioni dei due segmenti in movimen­ to. Vediamo ora come è possibile ottenere la trisezione di un angolo mediante tale curva. Sia A D E l'angolo in esame, appartenendo il punto E alla curva. Si conduca per E la parallela al lato AD. Essa individua i punti F e G sui lati C D ed AB del quadrato. Si divida in tre parti uguali il segmento DF. Dal punto H così ottenuto si conduca la parallela al lato AD. Essa incontrerà la curva in un punto I. Congiungendo D con I si trova l'angolo A D I. Si può dimostrare che questo angolo è la terza parte dell'angolo AD E. Naturalmente questa soluzione non infirma l'insolubilità del problema, se si impone che la custruzione avvenga con riga e com­ passo : la curva di lppia è trascendente, e le radici della sua equazione non possono certo essere calcolate mediante le operazioni indicate. Ricordiamo poi, per inciso, che la trisezione di un segmento, richiesta per la costruzione dell'angolo A D I, è semplicissima, e si può facilmente effettuare tramite riga e compasso : volendo dividere un segmento AB in

50

G li interessi matematici

n parti uguali, è sufficiente considerare una semiretta da uno degli estre­ mi, per esempio A, e riportare su di essa n volte una lunghezza scelta a piacere.

Fig. 1 1

Si congiunga poi E con B , e si traccino le parallele a BE passanti per C e D. I punti intersezione che si determinano in AB dividono AB stesso in n parti uguali, come è facile verificare. Un'altra soluzione del problema è dovuta ad Archimede, ai cui grandi meriti è dedicato il prossimo paragrafo. La sua costruzione è la seguente : sia dato un certo angolo 'P• che si vuole trisezionare (fig. 1 2). Si prolunghi un lato oltre il vertice O, e si tracci, con centro in O, una semicirconferenza di raggio r arbitrario. Si fissi poi su di una riga un segmento AB uguale al raggio. Si mantenga poi B sulla circonferenza, e si faccia cadere A sul prolungamento del lato, in modo tale che il pro­ lungamento di AB passi per il punto P individuato dall'incontro del­ l'altro lato di 'P con la semicirconferenza. Si congiunga infine B con O. Avremo allora che i triangoli ABO e BOP sono isosceli perché i lati AB, BO e O P sono uguali al raggio. Ricordando che in un triangolo l'angolo adiacente esterno è uguale alla somma dei due interni non adiacenti, potremo scrivere la seguente relazione :

BÒ P

+

'P = A B O

+

BAO.

La grande rivoluzione: i greci

51

Fig. 1 2

Per la stessa ragione A iì O = B O P + B PO . Possiamo allora r i c a v a r e c h e B Ò P + � = B Ò P + B f> O + B À O ; d a c u i rp B P O + BAO. D'altra parte BPO = BAO + A O B, ossia B P O = 2BAO. Si ha allora cp = 2BAO + BAO = 3 BAO. Si è così dimostrato che BAO è l'angolo voluto. Bisogna qui notare, però, che la costruzione è stata eseguita sol­ tanto apparentemente con riga e compasso ; si è infatti adoperata la riga non semplicemente per congiuQgere due punti, ma per eseguire opera­ zioni più complesse, cioè per riportare una determinata lunghezza. Un'altra interessante soluzione del problema è stata fornita in età alessandrina dal matematico Nicomede, ideatore anch'egli di una curva, detta concoide. Non ci sofTermeremo tuttavia su tale risultato. Il problema della duplicazione del cubo è connesso con una leg­ genda: pare che, nel corso del IV secolo, scoppiasse a Delo una tre­ menda epidemia. Gli abitanti, allora, come era d'uso nelle circostanze più gravi, interrogarono l'oracolo di Delfo, dal quale appresero che dovevano, per liberarsi del morbo, costruire un altare di volume doppio di quello che era nel tempio, conservandone la forma cubica. Platone, interrogato in proposito, avrebbe detto che il dio voleva semplicemente far sì che i Greci si vergognassero della loro ignoranza nei riguardi della geometria. Comunque sia, il problema se lo era già posto, nel V secolo, lppocrate di C hio, il quale aveva dimostrato che la costruzione è possi­ bile quando si sappia pervenire alla seguente proporzione : =

a : x

=

x :y

=

y : 2a.

Vediamo perché. Dalla prima proporzione si ha che x2 = ay, e dalla seconda che y2 = 2ax. Allora sarà x4 = a2y2, ovvero x4 = a22ax. Dividendo entrambi i membri dell'uguaglianza per x si ha infine

G li interessi matematici

52

Dunque x è il lato del cubo doppio di a3 • Basandosi su questa scoperta, forse lo stesso Platone seppe ideare un ingegnoso strumento per risolvere il problema 1 8 • Un altro metodo fu poi fornito dal matematico Menecmo (3 75-325 a.C .) precettore di Ales­ sandro Magno. Assai meno agevole dovette presentarsi la soluzione del terzo problema, ovvero la quadratura del cerchio. Questa fu ottenuta tramite la curva di Ippia, quella stessa con cui abbiamo visto che è possibile risolvere il problema della trisezione dell'angolo generico. A giungere al suddetto risultato non fu però Ippia, ma un matematico posteriore : Dinostrato. Il problema, tuttavia, non è della stessa natura dei due pre­ cedenti. Mentre i primi sono problemi algebrici, questo è trascendente. 1 1.

La realtà fisica: A rchimede

Se l'Ellade propriamente detta aveva esaurito il suo grande sforzo speculativo con Aristotele, abbiamo visto che la sua feconda eredità cul­ turale varcò gli angusti confini geografici della penisola, e, specialmente grazie alle conquiste di Alessandro, si irradiò in tutto il Mediterraneo, facendosi patrimonio universale dell'uomo. Così, dopo Euclide, un altro pensatore si colloca interamente nell'ambito della cultura ellenica più che ellenistica, e rappresenta probabilmente il culmine più alto del sapere matematico greco. Archimede (287-2 1 2 a.C .) visse e operò a Siracusa, città greca della Sicilia, ai tempi burrascosi in cui, proprio per il dominio di quel­ l'isola, si scontravano le due massime potenze dell'Occidente: Cartagine, la più diretta erede di quei Fenici che avevano introdotto per primi l'alfabeto, e Roma, già padrona di tutta la parte peninsulare della Magna Grecia. Archimede fu amico, e forse parente, di Gerone, l'allora re di Siracusa, e di suo figlio e successore Gelone. La sua vita dovette essere relativamente tranquilla fino agli ultimi burrascosi giorni suoi e della sua città. Nessuno prima di Archimede aveva mai colto così bene la strut­ tura matematica della realtà circostante; e se la concezione pitagorica prelude all'affinamento archimedico, le teorie del siracusano a loro volta aprono la via a Galilei. 18 Qualcuno si oppone all'attribuzione di questa costruzione a Platone : il fatto che essa si compia grazie a strumenti materiali la fa apparire, in effetti, avulsa dalla concezione platonica delle matematiche.

La grande rivoluzione: i greci

53

Nel campo delle matematiche pure, quello che forse si può conside­ rare il maggior merito di Archimede è di aver portato a un rigore inecce­ pibile il metodo di esaustione e di averlo usato con una padronanza tale da arricchire enormemente il patrimonio di conoscenze speculative, spe­ cie quelle geometriche, dei suoi tempi. Vediamo, ricorrendo a un esem­ pio, in che cosa consiste tale metodo. Si abbia un cerchio, di cui si vuol misurare la superficie (fig. 1 3).

Fig. 1 3

S i divida allora il cerchio i n tante strisce rettangolari formate d a un fascio di rette parallele ed equidistanti e dalle perpendicolari a esse nei punti di incontro con la circonferenza. La somma delle aree dei rettan­ goli così ottenuti fornirà un certo valore approssimato per difetto del­ l'area cercata. Immaginiamo ora di ripetere questa operazione con rette parallele ma a una distanza che sia la metà della precedente. Avremo allora una seconda misura approssimata per difetto della superficie del cerchio, ma assai più vicina della precedente all'esatto valore. Se imma­ giniamo di ripetere questa operazione n volte, otterremo n misure par­ ziali, che si avvicineranno sempre più a un certo valore. Siano le n misu­ re, per esempio, espresse in metri quadrati

1 ,54

28

38

1 ,549

1 ,5499

1 ,5499 . . . 9.

Se immaginiamo di ripetere l'operazione infinite volte, allora la misura sarà esattamente quella voluta. Non si può naturalmente « com-

Gli interessi matematici

54

piere » l'operazione infinite volte; è facile tuttavia calcolare il risultato della infinitesima (in senso ordinale) misurazione. Si vede infatti che i valori ottenuti si avvicinano sempre più a 1 ,5 5 senza tuttavia poter mai diventare 1 ,5 5 , per n finito. Si dice allora che 1 ,5 5 è il limite della suc­ cessione; e l'area del cerchio sarà 1 ,5 5 . Questo procedimento, che abbiamo spiegato, per ragioni di com­ prensibilità, in maniera volutamente grossolana, è una delle idee più feconde del pensiero matematico, e costituisce quell'operazione che passa sotto il nome di integrazione. Dovevano passare ancora due mil­ lenni perché ci si impadronisse compiutamente del procedimento in questione : dai tempi di Archimede all'epoca moderna infatti mai più nessuno riuscì ad addentrarsi tanto profondamente nelle radici del cal­ colo infinitesimale. Il metodo di esaustione, di cui abbiamo riferito il principio infor­ matore, si configurava in vari modi a seconda del problema da risolvere. Una delle sue più brillanti applicazioni è la seguente : si vuole dimostrare l'equivalenza di due grandezze G e G', che non si è in grado di confron­ tare direttamente. Si devono allora trovare le grandezze variabili A, B, A', B ', in modo che si abbia A = A', B = B' A < G < B, A' < G' < B ' ;

inc,ltre, presa una grandezza rendere

B - A

t

piccola quanto s i vuole, s i possa sempre

B' - A'
G' - G = 1·

Non si potrebbe quindi rendere B - A minore di una grandezza arbitraria, contro l'ipotesi. Allo stesso risultato approderemmo ponendo G' minore di G. Si è dimostrata pertanto l'uguaglianza richiesta. Attraverso questo metodo, Archimede giunse a scoprire la formula del volume e dell'area della sfera, ottenne la quadratura del segmento di

La grande rivoluzione: i greci

55

parabola e dell'ellisse, determinò il volume del paraboloide rotondo, . . . Un'altra questione importante, che non si può passare sotto silen­ zio parlando di Archimede, è il metodo che egli stesso espone nella « Lettera a Eratostene », ritrovata abbastanza recentemente ( 1 906) da Heiberg, studioso di storia della matematica ed erudito cultore della sto­ ria della cultura dei Greci. Tale metodo consiste principalmente nel pre­ vedere il risultato di un problema proposto attraverso ragionamenti di natura meccanica, oppure confronti tra figure ignote e figure già note e anche, a volte, mediante analisi della rappresentazione grafica. Dopo aver previsto, con questi metodi, quale sarebbe stato, verosimilmente, il risultato del problema, diveniva assai più semplice giungere alla meta verso cui l'intuizione aveva indirizzato lo studio. Non abbiamo molte notizie sulla vita di Archimede ; molte cose ci sono invece tramandate sulla sua morte ma quali di queste siano storia e quali leggenda, è difficile stabilire. Essendo infatti questa connessa con la presa di Siracusa da parte del condottiero romano Marcello, durante la seconda guerra punica, Tito Livio, nelle sue Storie, e Plutarco, nelle Vite parallele, ci hanno tramandato molti particolari. Siracusa era senz'altro la più potente e ricca città greca della Sici­ lia. Divisa in quattro parti distinte, e poderosamente fortificata 19, era stata a lungo fedele a una alleanza coi Romani contratta da Gerone nel 263 . Alla morte di Gerone (dopo un breve periodo in cui aveva regnato Geronimo) gli successe il figlio Gelone, il quale, suggestionato dalle stre­ pitose vittorie di Annibale si schierò contro i Romani (2 1 5 a.C .). Fu così che Marcello, cercando un rilancio, dopo la grave sconfitta di C anne, delle armi romane, si dette a cingere d'assedio Siracusa. E certamente l'impresa cominciata con tanto impeto avrebbe avuto un esito felice se a Siracusa in quel tempo non ci fosse stato un uomo, Archimede, metereologo e astro­ nomo senza pari e inoltre mirabile inventore e costruttore di artiglierie e di ordigni guerreschi, per mezzo dei quali, con un impiego di forze assai lieve, rendeva vane le azioni che, con grandissimi sforzi, i nemici conducevano 20 •

Fu così che la potente flotta romana fu sbaragliata da ordigni che lasciarono atterriti e stupefatti anche i più consumati veterani : catapulte in grado di scagliare massi giganteschi, mani d'acciaio in grado di capo­ volgere una quinquireme e di affondarla, specchi ustori che, concen­ trando i raggi solari sul legno delle imbarcazioni, attaccavano fuoco . . . Quando su Siracusa, presa infine con l'astuzia da Marcello, si leva­ rono le fiamme e le armi romane, Archimede, q!J asi tutto ciò non lo 19 zo

Cicerone, De signis, l, l . T. Livio, A b urbe condita, XXIV, 34.

56

Gli interessi matematici

riguardasse, era intento allo studio di una figura geometrica tracciata sulla sabbia. Non lo scossero dalle sue meditazioni né il lampeggiare delle fiamme, né il metallico risuonare delle spade, né le grida angoscia­ te; e nemmeno, quel che è peggio, la voce imperiosa di un soldato che lo interrogava. Archimede non aveva nessuna intenzione di abbandonare a metà il suo problema, per discutere con quel tipo. Fu così che morì il grande matematico, trafitto dal gladio prontamente sguainato, sebbene Marcello avesse dato ordine preciso di salvargli la vita. Se pur era giusto riferire il particolare, a onore di Marcello, diciamo con commiserazione, seguendo le parole di Whitehead : Nessun romano ha mai perduto la vita per il fatto di essersi troppo concentrato nella contemplazione di una figura geometrica . . .

GLI ULTIMI BAGLIORI : DA APOLLONIO A DIOFANTO. IL MEDIOEVO

3.

l . L 'ultimo discepolo di Euclide Probabilmente attorno all'anno 262 a.C., a Perga, nacque Apollo­ nio, che poche e confuse immagini ci descrivono come uno studioso solitario e tranquillo. Egli fu autore di un'opera, che si articolava in otto libri, di cui ne possediamo sette, quattro nel testo greco originale, e tre nella versione araba. Al contrario di Archimede, i cui interessi, come abbiamo visto, abbracciavano i campi più vari del sapere matematico, Apollonio, per quanto ne sappiamo, dedicò i suoi sforzi principalmente a un argo­ mento : le coniche. La perfezione dei risultati cui pervenne, tuttavia, fece sì che le sue conclusioni rimasero insuperate per circa milleottocento anni. Le coniche, ovvero le sezioni individuate da un piano che incontra un cono completo, presentano un particolare interesse nell'ambito delle matematiche classiche. Esse infatti, dal punto di vi sta algebrico, si pre­ sentano come equazioni del secondo ordine a due variabili, e, appunto grazie alle loro proprietà e alla loro semplicità, costituivano, in molti casi, un mezzo pratico per risolvere determinati problemi. Si tenga pre­ sente, infatti, che nelle matematiche elleniche, saper risolvere un'equa­ zione significava sostanzialmente saperla ricondurre a un problema di costruzione geometrica. Delle coniche si erano già occupati Menecmo, lo stesso Euclide, e Archimede. Non ci rimangono purtroppo i trattati sull'argomento di questi grandi, tuttavia si può arguire che essi non ave­ vano raggiunto, nell'ambito dello studio delle coniche, la generalità e il rigore di Apollonio. Gli illustri predecessori di Apollonio avevano concepito la parabo­ la, l'iperbole e l'ellisse, che sono le tre sezioni coniche di maggior inte­ resse per le loro applicazioni, come generate da un piano perpendicolare al lato di un cono rispettivamente rettangolo, ottusangolo, e acutangolo.

58

Gli interessi matematici

Apollonio, già all'inizio del suo trattato, perviene a una fondamentale generalizzazione, in quanto ottiene le tre curve in questione e la circon­ ferenza variando l'angolo di inclinazione del piano rispetto a un unico cono circolare completo (fig. 1 4).

Fig. 14

Individua poi le proprietà più importanti di queste curve, descri­ vendone perfino le equazioni analitiche, oltre un millennio e mezzo prima della invenzione della geometria cartesiana. Vediamo in dettaglio l'interessante procedimento con cui egli pervenne a dette equazioni. La « parabola » (7t1Xp1X�oÀ� : « applicazione » ) consente di costruire, su un segmento AB scelto a piacere, un rettangolo ABEF di superficie equivalente a quella di un quadrato di lato assegnato. Se il lato del quadrato è CD, avremo la relazione :

CD2

= AB · EF.

Da Apollonia a Diofanto. Il Medioevo

59

Ora, dato che AB è costante, la relazione esprime il variare di EF in dipendenza del lato CD. Posti CD y ed EF x, chiamando 2p la costante AB, otteniamo, nel nostro simbolismo : =

y2

=

=

2px

che, come si vede, è l'equazione di una parabola con il vertice nella ori­ gine di due assi cartesiani, e avente come asse quello delle x. A questo punto vanno fatte alcune precisazioni. Applicazioni su particolari superfici erano state trattate esaurientemente da Euclide ; il merito di Apollonia consiste nell'aver riscontrato l'identità tra queste applicazioni e le coniche. D'altra parte non si deve credere che egli sia pervenuto a queste relazioni collocando le figure in un sistema di riferi­ mento di assi cartesiani, come verrebbe naturale a un moderno : per Apollonia la figura è l'oggetto assoluto dell'indagine e ha proprietà metriche ben precise ; tuttavia in essa si tracciano « linee ausiliarie )) che esprimono rapporti interni costanti. Detto questo, vediamo come egli giunse, con analoghe considerazioni, a determinare quelle che noi oggi chiameremmo « equazioni )) dell'ellisse e della parabola. Sia dato un quadrato ABCD ; si abbia inoltre un rettangolo EFGH di area maggiore, disposto come nella figura 1 5 . c,,...__ .. --ta

Fig. 1 5

Gli interessi matematici

60

Il problema consiste nel trovare un rettangolo HMAG tale che, diminuito del rettangolo MNPH, simile a EFGH, dia come risultato il rettangolo AGPN equivalente al quadrato. Per la similitudine si avrà allora : NM : MH = FE : EH, d a cui s i ricava NM -

_

_

MH · FE GA · GH EH FG

La figura cercata è determinata dalla seguente relazione : AB2

=

AG · GH - PN · NM = AG · GH - AG · N M ;

esprimendo NM come indicato, s i ottiene : AB2 = AG · GH - AG · Ponendo AB

=

A

�2H

y, AG = x, GH = q, FG

=

s abbiamo

y2 = qx - _!!___ x2 s che esprime appunto l'equazione di una particolare ellisse. Si noti che ellisse significa letteralmente « diminuzione », così come iperbole significa « eccesso ». E infatti, se si imposta il problema in modo analogo, e, per avere il rettangolo equivalente al quadrato si aggiunge una certa area anziché toglierla, si ottiene l'equazione di una iperbole (fig. 1 6). B

C

D

G Fig. 1 6

H

A

Da Apollonia a Diofanto. Il Medioevo

61

Qui si tratta, cioè, di aumentare il rettangolo DMNG di un rettan­ golo simile a DEFG, in modo da ottenere per somma una superficie equivalente a quella del quadrato di un dato lato AB. Svolgendo proce­ dimenti analoghi a quelli relativi all'ellisse, si ottiene l'equazione seguente :

q 2 x . qx + s .

Non ci si stupisce più, a questo punto, del fatto che Apollonio sia stato uno degli autori più ammirati da C artesio ; è infatti fuor di dubbio che le sue scoperte anticiparono sorprendentemente la geometria analiti­ ca, in quanto egli pervenne a relazioni geometriche esprimibili come relazioni analitiche. In che senso tuttavia la mentalità di Apollonio rimanga ancora lontana dal sistema cartesiano, abbiamo già cercato di spiegare.

2.

La non ebbero mai una originale ispirazione filosofica né una apprezzabile produzione matematica : essi consideravano queste scienze tanto astratte da risultare prive di interesse. Il loro intelletto, estremamente portato ai problemi pratici, sposò quelle concezioni di pensiero della tarda cultura greca che rivolgevano le loro attenzioni al mondo della prassi e del comportamento : lo stoicismo e l'epicureismo sono le filosofie più seguite del mondo romano, e la disciplina in cui essi 1 Virgilio, Eneide, VI, 847-8 5 3 0 Nella traduzione di Guido Vitali : Altri, concedo, con più molle tocco l modelleranno e animeranno il bronzo l e trarran vive immagini dal marmo ; l sapran meglio arringare, e col compasso l delineare ogni sentier del cielo l e presagire il sorgere degli astri ; l tu con l'imperio reggere le genti l devi, Romano ; è l'arte tua : dettare l norme alla pace, esser clemente ai vinti l e debel­ lare i popoli superbi.

Da Apollonia a Diofanto. Il Medioevo

63

eccellono è il diritto. In questa atmosfera culturale, non solo le matema­ tiche non potevano perfezionarsi, ma, di più, non potevano non regredire. Il sistema di numerazione latina è estremamente laborioso : le let­ tere rappresentano i numeri ; non tutte, però, come accadeva presso i Greci. I segni grafici usati dai Romani erano i seguenti : I =

l , V = 5, X = 10, L = 50, C = 1 00, D = 500, M = 1 000.

I multipli di I, X, C, e M si esprimevano ripetendo i segni cor­ rispondenti, ma solo fino a quattro volte IIII =

4 volte l , MM = 2 volte 1 000, · · ·

I numeri scritti a destra di un numero superiore andavano sommati allo stesso :

10 + 2 · l = 1 2, 2 · 100 + 50 + 3 · 10 + 5 + l = 1 286.

XII =

1000

MCC LXXXVI

+

I segni I, X, C , se posti a sinistra di un numero superiore, indica­ vano che dovevano essere sottratti a quel numero : IV =

5 - l = 4,

CD = 500 - 1 00 = 400.

Il segno D si trova a volte sostituito da I :J; aggiungendo ancora il segno ;) a destra, il numero si intendeva moltiplicato per 1 0 : I :J =

500,

I :J :J = 5000,

I:J:J:J = 50.000,

· · ·

Allo stesso modo il segno M poteva essere scritto CI :J; per mol­ tiplicare per 1 0, 1 00, ecc. si aggiungeva una coppia di segni da ambo le parti :

CCI :J :J

=

C I :J = 1000, CCCI :J :J :J = 100.000,

1 0.000,

La moltiplicazione per mille si indicava sopralineando il numero : XL =

40 e XL = 40.000;

L =

50 e L = 50.000;

Infine, se oltre alla sopralineatura, il numero era sbarrato da ambo le parti, si intendeva moltiplicato per 1 00.000 :

l V I = 500.000,

I C I = t .ooo.ooo,

Gli interessi matematici

64

I segni ausiliari l l, -, ::> , • • • risultavano molto efficienti per rappre­ sentare numeri con le ultime cifre uguali a zero ; ma si pensi di dovere scrivere, a esempio, 1 . 1 3 7.458 ! Per dirla in latino, intelligenti pauca . . . Alla scrittura, di per sé astrusa, delle entità numeriche, si sovrap­ poneva, di conseguenza, un'altra grossa dificoltà : con un sistema posi­ zionate, come l'attuale, esistono metodi algoritmici estremamente rapidi per eseguire le operazioni elementari. (Vedremo, in proposito, che già gli Indiani erano in possesso di metodi velocissimi). Ma nel sistema latino, in cui il valore dei simboli varia in modo ineguale a seconda delle posi­ zioni, un'operazione semplice come 1 48 · 673 diveniva un notevole problema ; infatti i Romani dovevano procedere nel seguente modo :

8 · 3 + 8 · 70 + 8 · 600 100 · 70 + 100 · 600 2 •

+

40 · 3

+

40 · 70

+

40 · 600

+

1 00 · 3

+

A ciò si aggiungano le difficoltà insite nella notazione grafica dei numeri, e si avrà un quadro completo degli ostacoli incontrati nell'ese­ guire tale calcolo. Per concludere vogliamo far notare come, mentre da una parte i Greci seppero affrontare problemi di natura generale ricon­ ducendoli a problemi geometrici, ed evitando quindi calcoli lunghi e laboriosi, sfruttando proprietà e relazioni a loro ben note, i Romani ave­ vano perduto tale abilità.

3. Un punto culminante: Diofanto Una civiltà culturale non nasce d'un colpo, come Minerva nacque dalla testa di Giove; così, spesso ha una lenta agonia, in cui sovente conosce significative riprese e dà prova di ritrovata vitalità. L'asse d'interesse politico si è spostato ormai, dai tempi di Ales­ sandro, verso l'Egitto. Qui il grande condottiero fondò, nel 332 a.C ., la città che porta il suo nome. In essa fiorirono personaggi come Euclide e Apollonio. Più tardi, in epoca imprecisata tra il III e il I sec. a.C., colà troviamo un valente matematico e ingegnere: Erone. Erone ha legato al suo nome tra l'altro la famosa formula che dà l'area del triangolo in funzione della misura della lunghezza dei lati : se p è il semiperimetro, e a, b, c sono le misure dei tre lati, allora l'area è

yp(p 2

- a) (p - b) (p - c) .

Si noti che anche oggi, nell'eseguire i prodotti, noi compiamo, senza rendercene

conto, le stesse operazioni in maniera rapida e per nulla difficoltosa.

Da Apollonia a Diofanto. Il Medioevo

65

Di questo autore si conoscono varie invenzioni di strumenti mec­ canici e idraulici. Egli si occupò inoltre della rifrazione della luce stabi­ lendo in materia importanti leggi. Un altro notevole personaggio non di molto posteriore a Erone è Claudio Tolomeo ( 1 38- 1 80 d.C.), astronomo, matematico e geografo greco, che nel suo A lmagesto 3 teorizzò l'ipotesi geocentrica dell'univer­ so, dando alla stessa quella sistemazione che rimarrà incontrastata fino ai tempi di Copernico. Tolomeo studiò le proprietà delle corde, antici­ pando alcuni risultati di trigonometria. Il « teorema di Tolomeo » (la somma dei rettangoli dei lati opposti di un quadrilatero inscritto in una circonferenza è uguale al rettangolo delle diagonali) consente di perve­ nire facilmente al teorema di addizione in trigonometria, che Tolomeo, sebbene nel suo linguaggio, conosce e adopera. Detto teorema è, in termini moderni : sen(a

+

b) = sena cosb

+

cosa senb.

La trigonometria si costituirà come vera e propria scienza quando gli Arabi, seguendo gli Indiani, anziché prendere in considerazione le corde, rivolgeranno la loro attenzione alle semicorde degli archi doppi, ossia ai « seni >> . AO

è l e aem i c o rde

Aè . do pp i o

di

A

A'à

B

Fig. 1 7

Le matematiche greche sono ormai sulla soglia dell'estinzione tota­ le; lontani i tempi di Euclide e di Archimede, il grande fenomeno, inspie­ gabile, si avvia ormai apertamente, attraverso un luminoso declino, 3

Pare che il titolo originario dell'opera fosse

«

Mcx91Jf-LOmx� > : la latitudine e la longitudine. Che questi geografi fossero anche matematici è fuor di dubbio. Che fossero però in grado di generalizzare questi concetti è discutibile. Fatto sta che solo l'opera di un matematico fu in grado di ricavare con­ siderazioni di varia natura a partire dal metodo accennato, tanto da pre­ correre di gran lunga la opera di C artesio, cui per secoli fu attribuito ogni merito per aver saputo raggiungere una salda rappresentazione geometrica (e algebrica) delle funzioni. Parliamo di Nicola d'Oresme ( 1 323- 1 3 82), la cui vita è legata al C ollege de Navarre a Parigi (dove fu allievo, insegnante e quindi rettore) e a Lisieux (dove fu vescovo fino alla morte). La sua opera, che riassumeremo tra breve, è soprattutto esposta in due trattati, il Tractatus de latitudinis formarum, e le Quaestiones super geometriam Euc/idis. A Nicola d'Oresme, la matematica moderna deve parecchio. Intanto fu senz'altro uno dei primi assertori della possibilità di rappre­ sentare ogni fenomeno tramite una figura geometrica che ne fosse legata in maniera, diremo noi oggi, biunivoca : l a grandezza dei fenomeni, (dice nel Tractatus), è soggetta a molteplici variazioni e ( . . . ) questa molteplicità si può difficilmente riscontrare se lo studio di essa non si riconduce a quello di figure geometriche (opportune).

Ciò che più sbalordisce è che il concetto di funzione, così difficile e ancor discusso fino a pochi decenni or sono, dovette essere ben presente e chiaro alla mente di Nicola d'Oresme. Tanto è vero che egli descrive (analizzandoli solo mentalmente, cioè senza ricorrere a figure) caratteri intrinseci delle rappresentazioni di funzioni, quale ad esempio l'excessus graduus, vale a dire, secondo la nostra attuale terminologia, l'incre­ mento delle ordinate al variare delle ascisse. Egli asserisce che, se l'excessus è nullo, i punti della curva che rappresenta il fenomeno sono

L 'improvviso risvegtio

107

su una retta; se esso varia al variare del « valore » (cioè dell'ascissa) dei punti, allora si ha una curva. E giungiamo finalmente ai concetti di longitudo e latitudo, concetti che hanno rivoluzionato la storia del pensiero scientifico fornendo quel potente mezzo rappresentativo che è la geometria analitica, ancor oggi tanto validamente usato. Tracciamo una retta sulla quale sono riportati valori delle latitudo. Anzi, proprio seguendo Oresme, consideriamo i seguenti valori numerici : O, l , 2, 4, 7, 1 1 , . . . o

,

2

4

7

,,

Fig. 22

Se abbiamo un certo fenomeno, calcoliamo quale valore assume la figurazione geometrica del fenomeno stesso in corrispondenza di ciascuno di quei punti e riportiamo ordinatamente i valori trovati « sopra » la retta scelta; chiameremo queste lunghezze longitudo. In ter­ mini più attuali, se y = f(x) è la rappresentazione algebrica della legge che descrive il fenomeno in esame, calcoliamo f(O), f( l ), f(2), f(4), f(7), f( l l), . . . e riportiamo i valori numerici ottenuti nel semipiano che sta sopra la retta di riferimento scelta. Per esempio, supponiamo che sia f(O) 2,5, f( l ) = 2, f(2) = l , f(4) = l , f(7) = O, f( l l ) = 2, . . . =

o

,

2

4

6

7

,,

Fig. 23

Nicola d'Oresme afferma che la curva ottenuta congiungendo i punti è la rappresentazione del fenomeno che si voleva descrivere. In ciò, sono uniti i concetti di interpolazione ed estrapolazione : nel tratto latitudinale tra 4 e 7, in 6 ad esempio è verosimile che il fenomeno abbia assunto un valore quale quello segnato, compreso tra l e O. Viceversa, se il nostro studio arriva fino al valore, per esempio 20, è possibile pre­ vedere quale sarà il comportamento del fenomeno per un valore supe-

Gli interessi matematici

1 08

riore, a esempio 22, naturalmente supponendo che la variazione di com­ portamento non sia troppo brusca e complessa. Ora, se noi consideriamo che, detta x0 l'ascissa di un punto e y0 la sua ordinata, il punto P di coordinate (x0, y0) è, da questi valori, biunivo­ camente determinato e appartiene alla curva y = f(x) se e solo se i valori soddisfano alla equazione, cioè se y0 = f(x0), vediamo bene come Nicola d'Oresme abbia veramente interpretato nella forma forse più generale possibile le intuizioni puramente pratiche dei geografi medioevali ; e come abbia preceduto C artesio e in generale il rifiorire della geometria come rappresentazione dell'analisi e delle scienze naturali e fisiche in particolare. Vogliamo ricordare che Nicola d'Oresme usava già nel suo Trat­ tato gli esponenti frazionari, suscitando vari commenti da parte dei suoi contemporanei (che non ne capivano il significato). Tant'è vero che, pur avendo il suo lavoro trovato accoglienza piuttosto larga (si pensi che venne più volte ricopiato a mano e che, appena si ebbe la possibilità di usare la stampa, ne furono tirate quattro edizioni in breve tempo), il metodo dell'esponente frazionario si ritrova solo in C huquet in un lavoro del 1 484, insieme agli esponenti negativi. Tra le tante altre discipline di cui si occupò, Nicola d'Oresme lavorò attorno alla dinamica, della quale iniziò uno studio sostanzial­ mente rigoroso. Per concludere vogliamo accennare al fatto che Nicola d'Oresme è considerato un precursore anche delle moderne concezioni inerenti gli spazi a più di tre dimensioni ; egli notò infatti che il numero delle dimen­ sioni necessarie per la rappresentazione di un fenomeno cresce al crescere del numero delle variabili. Così per descrivere la funzione u = f (x, y, z) è necessario travalicare lo spazio euclideo, e passare nello spazio a quattro dimensioni 9• =

6. L 'infinitamente piccolo e l'infinitamente grande: Bradvardino e Cusano

Tommaso da Bradwardin ( 1 290- 1 349), professore a Oxford, morto di peste, arcivescovo di Canterbury, si distacca chiaramente dagli altri dottori del 1 300 per la consapevolezza e la modernità con cui 9

Sugli sviluppi di tale concezione si veda B. D'Amore-M.L.M. Matteuzzi, op.

cit., pp. 63 ss.

L 'improvviso risveglio

1 09

affronta delicati problemi di carattere matematico. Le sue opere princi­ pali sono : De arithmetica speculativa, De geometria speculativa, De proportionibus velocitatum e De continuo. Particolarmente in quest'ultima opera il doctor profundus, come era chiamato, svolge considerazioni sull'infinito e sulla continuità, e polemizza con i fautori dell'atomismo, ovvero della divisibilità non infinita del continuo. Come già avevano messo in chiaro i Greci e come aveva ribadito Ruggero Bacone, il fatto di pensare gli enti geometrici come costituiti da un numero finito o infinito di indivisibili corrisponde al negare o meno l'esistenza delle grandezze incommensurabili. L'idea di ricondurre il reale a un aggregato di particelle indivisibili si era riaf­ facciata più volte dai tempi di Leucippo e Democrito. Così si ebbero l'atomismo di Epicuro e quello analogo di Lucrezio. Nel Medioevo tale teoria era stata sostenuta da Roberto Grossa­ testa, maestro di Bacone, da Walter Burley e da altri. A essi si contrap­ posero Giordano Nemorario, che definisce la continuità come l'impossibilità di distinguere i punti limite unita alla possibilità di porre un limite,

Duns Scoto, Alberto di Sassonia, Gregorio da Rimini. Bradvardino discute le varie ipotesi avanzate dai sostenitori degli indivisibili ; rigetta la concezione che gli enti geometrici possano essere formati da un numero finito di « atomi fisici » ; afferma poi che, posto che questi indivisibili sono infiniti, essi non sono contigui né si configu­ rano come una serie discreta. Un ente continuo non può essere formato collocando l'uno accanto all'altro infiniti indivisibili : Nullum continuum ex indivisibilibus infinitis integrari vel componi

1 0•

Notiamo col Boyer che qui Bradvardino, probabilmente per la prima volta nella storia, usa connessa con questo problema la parola integra­ re, per intendere la somma di infiniti indivisibili ; la quale verrà poi definitivamente assegnata a tale operazione da Giacomo Bernoulli. Evi­ dentemente insomma il doctor profundus pensava al continuo come a un'entità costituita da grandezze ancora continue, e riconosceva a questo genere di grandezze matematiche una realtà puramente concet­ tuale. In questo riprende, sostanzialmente, quanto aveva detto Aristote­ le, il quale concepiva l'infinita divisibilità, come abbiamo visto, in 10 M. Cantor, Vorlesungen, Lipsia 1 900- 1 908, Il, p. 1 09 ; E. H oppe, Zur Geschichte der bifìnitesimal-rechnung bis Leibniz und Newton, in > , cioè delle (( lunghezze cooperanti » (che hanno poi finito con l'assumere il nome di coefficienti, ancor oggi usato, in altro senso) come fattori di omogeneità. Se dunque nella equazione il grado massimo (sia di un'incognita, sia di uno dei termini noti) era n, occorreva che ogni monomio avesse grado n. Se il termine era B A quad e n

3, allora B era un segmento. Se, sempre per n = 3, si aveva

=

BA B era una misura di superficie (plano). Se il termine era B esso era una misura di volume (solido). A questo proposito, notiamo che Vieta non si poneva il problema della reale esistenza di un ipersolido in uno spazio a n dimensioni con n > 3 ; ciò fa supporre che l'unica coerenza che egli richiedeva alle sue equazioni algebriche fosse una coerenza intrinseca per nulla legata alle questioni euclidee che andava d'altra parte dibattendo. Se pensiamo poi che già Nicola d'Oresme era giunto a ipotizzare (pur respingendola) la possibilità di uno spazio a quattro dimensioni per giustificare le proprie affermazioni relative alle funzioni del tipo u = t{x, y, z), possiamo anche non sbagliare di molto affermando che i tempi dovevano essere maturi per simili considerazioni. E se qualche autore di spirito geniale arrivato a queste concezioni non osava renderle pubbliche, era solo per il rischio, veramente notevole, che correvano gli scienziati dell'epoca nel rendere di pubblico dominio le proprie teorie. Vieta usò definitivamente le lettere, sia per indicare quantità varia­ bili o incognite (le vocali), sia quantità fisse o note (le consonanti). Notiamo che l'uso attuale, cioè rispettivamente x, y, z, . . . e a, b, c, . , è dovuto a C artesio. .

.

1 32

Gli interessi matematici

Come si è detto, Vieta contribuì, nel De A equationum . . . a sem­ plificare il metodo di risoluzione delle equazioni di III e IV grado. Intanto mostrò che, data una equazione f(x) = O, il primo membro f(x) poteva risolversi in fattori lineari in cui i coefficienti dell'incognita fos­ sero funzione razionale dei coefficienti della f(x). Supponiamo invece di dover risolvere l'equazione del IV grado : Posto x = a2/y

x3

+

3ax2 =

- y, si ha: y6

_

2b3y3

=

2b3 • a6,

che si può facilmente risolvere. Posto infatti

z 2 - 2b3z

=

y3

=

z, si ha

a6

cioè Dunque e infine : x -

- \/bJ

±

a2

�b6 - a 6

-

\/b J

±

�b6 - a 6 .

Supponiamo invece di dover risolvere l'equazione del IV grado : X'

+

a2x2

+

b3x

=

c4 6.

Si ha, riportando gli stessi passaggi proposti dal Vieta, a parte il simbolismo, Aggiungendo a destra e a sinistra la quantità x2y 2 X'

+

x2y2

+

:l-Y4

=

c4

-

a2x 2 - b3x +

x2y 2

+

:1-Y\ si ha:

+

:l-Y4

cioè

in

6 Si noti che manca il termine in x\ così come nella precedente mancava Si ricordi (cap. 7, l ) che tale eliminazione è sempre possibile.

2 x •

quello

Il R inascimento

133

Scelto y i n modo tale che il secondo membro sia un quadrato per­ fetto, si estrae la radice quadrata delle due quantità e si uguagliano i radicandi e i loro opposti, ottenendo due equazioni di II grado, facil­ mente risolubili. Vieta fornì pure regole di trigonometria e di calcolo approssimato ed ebbe una lunga discussione epistolare con Clavius nel 1 5 94 sul calen­ dario allora riformato (detto per inciso, Clavio aveva completamente ragione . . . ) Sull'opera geometrica di Vieta si è già detto. Egli fornì un valore approssimato per 1t : .

7t =

2/vt

.

J.'t_+_t_v__t-_,-, ·

Jt + t vt + t vr

...

che è importante non tanto per l'approssimazione in sé (peraltro notevo­ le, quanto perché costituiva il primo tentativo di trovare un valore di 1t mediante una serie infinita. Con Vieta si apre dunque la via a una visione puramente simbolica delle questioni algebriche che darà, come vedremo, la possibilità di stu­ diare in generale equazioni e quindi curve sempre più complesse. 4. Tra due rette tutto il pensiero matematico: Descartes La scienza della natura, come abbiamo visto, con Galileo s'era fatta adulta, impossessandosi di un metodo, quello dell'ipotesi matema­ tica e della verifica empirica, capace di indirizzare a mete sempre più ele­ vate i suoi costanti progressi. Il pensiero e l'opera di C artesio si inquadrano in questa prospettiva, tutti rivolti a conseguire nelle scienze speculative, e in quelle filosofiche, un metodo altrettanto valido. René Descarte Seigneur du Perron ( 1 5 96- 1 650) può essere consi­ derato il fondatore del pensiero moderno sia dal punto di vista filosofico sia da quello matematico. Il nucleo del suo pensiero si può dire total­ mente espresso in quella che si è soliti considerare la sua opera capitale : Discours de la méthode pour bien conduire sa raison et chercher la verité dans /es sciences, plus la Dioptrique, /es Météores et la Géo­ metrie, qui sont des essais de cette méthode ( 1 63 7). Questo scritto, noto più semplicemente come « Discorso sul meto­ do », consta dunque di tre trattati e di un discorso introduttivo, nel quale C artesio, con alcune fondamentali intuizioni, capovolge la prospettiva gnoseologica della speculazione filosofica. In quest'ordine di idee si deve considerare la famosa esposizione, ivi contenuta, del cele-

1 34

Gli interessi matematici

berrimo Cogito cartesiano, in cui per la prima volta la speculazione umana si rende conto, nella premessa inizialmente sottintesa della coin­ cidenza tra essere e pensiero, di dovere prendere le mosse, ricercando la verità, non più da un ipotetico mondo esterno strutturato a suo uso e consumo, ma dall'analisi di se stessa e della propria attività speculativa. Ma del « soggettivismo » cartesiano, come pure del suo fecondo « dub­ bio sistematico » o « metodico » non possiamo dire a lungo. Ciò di cui invece più compiutamente dobbiamo riferire è il conte­ nuto del terzo dei trattati di cui si diceva: la Geometria. Questo breve scritto, infatti, ha provocato nelle matematiche uno sconvolgimento sen­ z'altro paragonabile a quello cui si accennava prima, nel campo della speculazione pura. L'idea nuova di C artesio è abbastanza semplice, ed è nota a chiunque dalle scuole medie, anche se qui viene spesso proposta in modo da rimanere un argomento un po' astruso e affatto cerebrale : poniamo di volere trascrivere, nel modo più conciso possibile, l'anda­ mento di un certo fenomeno (per esempio l'aumento di velocità di un oggetto che cade dall'alto) in un determinato periodo di tempo (fig. 28). r•

i

'a l N

l

i ..

tem p o

r

Fig. 2 8

Se rappresentiamo su una retta r i vari momenti del tempo in esa­ me, e su una seconda retta r', che incontri r, le successive modificazioni dovute al fenomeno (nel nostro caso le successive altezze dal suolo), potremo facilmente ottenere il risultato cercato tracciando una linea i cui punti esprimano le modificazioni avvenute in un certo tempo. Gene-

Il R inascimento

135

ralizzando questa concezione, prolunghiamo r ed r ' oltre il punto di intersezione, e diamo a esse il nome rispettivamente di « asse delle x » (o delle ascisse) o di « asse delle y » (o delle ordinate) (fig. 29).

x

o

• l ..

Fig. 29

In questo modo si può determinare la posizione di qualsiasi punto del piano, associando a esso due numeri, x0 e y0 , detti rispettivamente « ascissa » e « ordinata ». Vediamo come. Da P si tracci la retta paral­ lela all'asse y e si chiami Px il punto in cui tale retta interseca l'asse x. Analogamente si determini il punto P sull'asse y come intersezione tra Y l'asse y stesso e la retta per P parallela all'asse x. x0 è definito dalla distanza tra P x e O; y0 da quella tra P e O. Come risulta immediato, non Y occorre che l'asse x e l'asse y siano perpendicolari. A questa situazione ci si riduce per semplicità. Ma di ciò parleremo tra poco. I due valori x0 e y0 vengono detti « coordinate » del punto P. Diventa così comprensi­ bile il significato del metodo in esame : in questa maniera è possibile ricondurre i problemi geometrici a problemi algebrici, visto che è possi­ bile esprimere algebricamente, ovvero con una coppia di numeri, l'ente geometrico fondamentale, ossia il punto. Così la retta diviene il luogo dei punti le cui coordinate soddisfino a una equazione lineare a due

136

Gli interessi matematici

incognite, ovvero l'insieme delle infinite coppie di numeri che soddisfano alla condizione ax + by +

c =

O.

In essa, mentre, come si è visto, x e y rappresentano l'ascissa e l'ordinata di generici punti del piano, a, b, c sono detti « parametri » , ovvero sono valori che s i suppongono noti, rispetto alle incognite d a determinare. Ecco allora che ogni problema geometrico acquista una veste algebrica; se, per esempio, si deve determinare il punto di interse­ zione di due rette date, ax + by + c = O ed a 'x + b'y + c ' = O, si ricorre al sistema

{

ax + a 'x +

by + c b'y +

= O c' =

O

la cui soluzione fornisce una coppia di numeri che rappresentano le coordinate del punto cercato in tutte le situazioni che si possono presen­ tare. Da queste considerazioni si può passare poi a definire le coniche come luoghi geometrici individuali da equazioni non più di primo, ma di secondo grado. Qui è importante notare che C artesio considera le potenze delle coordinate della stessa dimensione delle coordinate stesse ; ovvero, non considera, se x = 3 , x2 come un quadrato di lato 3 , ma come un segmento di lunghezza 9. Il che gli consente di studiare enti geometrici via via più complessi, ottenendo tutta una serie di importanti risultati. Cartesio non fa uso espressamente di due assi perpendicolari, così come li abbiamo scelti noi per semplicità : egli sceglie spesso l'asse delle y in base a particolari caratteristiche della figura che sta studiando. Intuisce poi che il procedimento è facilmente generalizzabile per otte­ nere una rappresentazione tridimensionale : è sufficiente tracciare un terzo asse, detto « asse delle z » , perpendicolare al piano individuato dagli altri due e passante per il loro punto d'intersezione. In questo modo un punto dello spazio viene a essere determinato da una tema ordinata di valori, rispetto ai tre assi di riferimento. Tuttavia egli non applica questo procedimento, e si limita a considerazioni del piano quindi riferite a una coppia di assi. A onor del vero, si deve ancora dire che, contemporaneamente e indipendentemente da C artesio, anche Fermat giunge a scoperte ana­ loghe, ed egli pure fonda un metodo analitico basato su assi di riferi­ mento per lo studio della geometria; di solito, però, si è portati a consi­ derare Cartesio il vero scopritore della nuova branca delle matematiche,

Il R inascimento

137

pur non togliendo alcun merito al genio matematico di Fermat, su cui ci dovremo intrattenere a lungo. Cerchiamo di rendere ragione di tale attribuzione. La grande scoperta, insita nell'analitica, non consiste tanto nel possedere un metodo nuovo e quasi sempre più potente e veloce per lo studio delle caratteristiche degli enti geometrici ; o meglio, questo non è tutto. La cosa che più colpisce, anche se, ormai avvezzi a essa, coloro che in matematica fanno costante uso di questi metodi non vi prestano più attenzione, è la corrispondenza che si viene a stabilire tra rami delle scienze esatte tradizionalmente considerati assai distanti. Abbiamo più volte notato come i Greci considerassero aritmetica e geometria come due scienze affatto distinte e come sacrificassero costantemente lo stu­ dio della prima in favore di quello della seconda. Ora, nella geometria analitica, diventa impossibile distinguere quali proprietà siano relative a caratteristiche geometriche e quali a caratteristiche algebriche. Con essa si perviene piuttosto a una mirabile sintesi tra le due scienze e lo stu­ dioso è in grado di ovviare spesso a difficoltà che sorgono nell'una gra­ zie all'altra. Di più, e di questo argomento ci limitiamo a dare un accen­ no, l'analisi e la geometria vengono a garantire la non-contraddittorietà dell'una rispetto all'altra; ovvero, posto che l'una sia non contradditto­ ria, siamo in grado di affermare con sicurezza che anche l'altra è nelle stesse condizioni. Una delle peculiarità più notevoli delle discipline matematiche è proprio questa : che, nella costante tensione a una progressiva generaliz­ zazione dei propri metodi e delle proprie concezioni, il matematico vede miracolosamente saldarsi e amalgamarsi perfettamente campi di inda­ gine apparentemente lontani e irriducibili l'uno all'altro. Così pare che ogni contenuto mentale, ogni realtà anche remota, debba prima o poi rientrare nel proprio campo di ricerca e trovare la sua armonica sintesi nell'ambito di teorie razionali sempre più vaste e complete. Ma questo discorso dovrebbe essere ripreso con più consapevolezza da un punto di vista storico che ci permetta di abbracciare con lo sguardo altri e più recenti sviluppi. Ritorniamo a C artesio : egli ebbe chiaramente coscienza proprio di quanto dicevamo ; non si limitò, cioè, ad affrontare gli sviluppi che il suo metodo poteva fornire nel campo della geometria, ma si rese perfetta­ mente conto (a differenza degli altri) di operare una sintesi tra due scienze e di aver ricondotto l'una all'altra. Egli stesso ci informa, nel­ l'opera prima ricordata : Non per questo non cercai di apprendere tutte quelle scienze particolari che sono di solito chiamate matematiche ; e vedendo che, sebbene i loro oggetti siano diversi, esse

1 38

Gli interessi matematici

tendono a accordarsi tra loro (in quanto non considerano altro che i diversi rapporti o le proporzioni di questi oggetti), pensai che fosse meglio che io esaminassi soltanto queste proporzioni in generale e senza inÌmaginannele se non nei soggetti che servissero a rendermene più agevole la conoscenza, sia pure senza limitarle a questi in alcun modo, al fine di poter le, poi, tanto meglio applicare a tutti gli altri a cui esse si potessero adat­ tare. In seguito, considerai anche questo : per conoscerla, avrei avuto bisogno a volte di considerarle ciascuna in particolare, altre volte invece di ritenerle o di compren­ derne molte insieme. Pensai che, per considerarle meglio in particolare, potevo espri­ merle in linee, perché non trovavo nulla di più semplice né che potessi più distinta­ mente rappresentare alla immaginazione e ai miei sensi ; ma che, per ritenerne o com­ prenderne molte insieme, bisognava che io le esprimessi con qualche segno, i più brevi che fosse possibile ; e che, in questo modo, avrei attinto tutto il meglio dell'analisi geo­ metrica e dell'algebra e avrei corretto tutti i difetti dell'una con l'altra 7•

Da queste parole risulta estremamente chiaro che la visione di C ar­ tesio è assai più ampia di quella del tecnico che si limita a ottenere uno specifico risultato; egli dimostra di possedere quello che è il lato migliore della speculazione matematica, ossia la consapevolezza già filosofica di chi si sente padrone, a un tempo, del metodo tecnico e del suo profondo significato, della matematica né come astratto algoritmo né come mera applicazione, ma come pura e reale idealità. Se con Galileo si fonda e si arricchisce, come s'è detto, la scienza della natura, con Cartesio si approfondisce e si manifesta la natura della scienza. Ancora su due aspetti vogliamo soffermarci, che ci sembrano par­ ticolarmente significativi, tra i tanti, dell'opera di C artesio : la riforma che egli operò nella notazione dei simboli matematici e il metodo che ideò per trovare la tangente a una curva data in un suo punto. Sappia­ mo, da quel che s'è detto su Diofanto, quanto ancora il simbolismo fos­ se lontano da quello attuale; e abbiamo visto come, con Vieta, vengano compiuti passi decisivi. Cartesio va ancora oltre, e porta la perfezione formale delle espressioni matematiche quasi al livello attuale. Egli infatti stabilisce di usare, come abbiamo ricordato, le prime lettere dell'alfabeto latino per indicare i valori noti, e le ultime per indicare le incognite; inoltre inaugura il metodo degli indici per indicare le progressive poten­ ze. Così, al posto di xQuad e xCub, o, come scriveva, più brevemente, Q e C, abbiamo rispettivamente, e 7

R.

1 8 94- 1 9 1 3 ,

Descartes, Oeuvres publiées par Ch. A dam et P. Tannery, Parigi t. VI, p. 20.

Il R inascimento

139

Il metodo che C artesio sostituisce a quello tradizionale h a il van­ taggio, immediatamente riscontrabile, di prestarsi a una agevole e illimi­ tata generalizzazione. E questo è uno dei più grandi vantaggi che un concetto matematico possa presentare. Inoltre, continuando a scrivere le potenze in quel modo, difficilmente si sarebbe potuto teorizzare sugli esponenti negativi, frazionari . . . , come quasi subito avvenne. Il secondo argomento che ci sta a cuore è legato a uno dei più deci­ sivi progressi che le matematiche abbiano compiuto e cioè il calcolo infinitesimale. C artesio infatti sfiora, col suo metodo delle tangenti, il delicato argomento ; ma, proprio quando è sull'orlo di una scoperta ancora cla­ morosa, se ne ritrae. Notiamo, per intanto, che la geometria analitica è di fondamentale importanza per la scoperta del Calcolo. E veniamo ora all'accennato metodo di C artesio. Egli stesso ci informa che il problema delle tangenti è non solo « Il problema più utile che io conosca, ma anche quello che io più desidero conoscere in geometria » 8 • In seguito egli giunse alla soluzione di questo problema. Illustreremo il suo proce­ dimento, dapprima, con un esempio. Sia data una parabola, di equa­ zione y2 = ax

dove a è un numero reale positivo (fig. 30). y

Fig. 30 8

R. Descartes, Oeuvres, VI, p. 4 1 3 .

1 40

Gli interessi matematici

Ci chiediamo quale sia la tangente alla curva nel punto P di coordi­ nate (a, a) (fig. 3 I) che, come appare evidente, appartiene alla parabola, dato che le sue coordinate ne soddisfano l'equazione.

y

C ( h, 0)

o

x

Fig. 3 1

Tracciamo allora una circonferenza passante per P e avente centro C(h, O) sull'asse delle x. Essa avrà l'equazione x2 + y2 - 2hx + 2ah - 2a2

=

O

dove h ha un valore non determinato. Sostituendo allora ax a y2 si ottiene : x2 + ax - 2hx + 2ah - 2a2

c io è

x2 - x(2h - a) + 2a(h - a)

=

O O.

Si ha x

2h - a

+

y4h 2 - 1 2ah + 9a2 2

Il R inascimento

14 1

La quantità h può essere fissata in modo tale che l'equazione risul­ tante abbia soluzioni coincidenti, il che significa che le intersezioni della circonferenza e della parabola si riducono al solo punto P (e natural­ mente al suo simmetrico Q). Questo valore, che si dimostra essere, nel nostro caso, h = (3/2)a, è la ascissa del punto sull'asse attraverso cui passa la normale alla parabola, per note e semplici proprietà relative alla tangente di una circonferenza. La tangente è allora la retta per P perpendicolare alla normale trovata. Vediamo allora in che cosa consiste il metodo generale : data una curva e un punto in cui si vuole determinare la tangente, si fa passare una circonferenza attraverso due punti della curva che abbia centro sul­ l'asse delle x. Quindi, si fanno coincidere i due punti di intersezione. Il centro del cerchio diventa così il punto sull'asse delle x, attraverso il quale passa la normale alla curva, e, di conseguenza, è facile trovare la tangente. Bisogna notare che C artesio, a questo punto, ha già sfruttato considerazioni infinitesimali, anche se egli non parla di « far tendere » come noi oggi diremmo, i due punti di intersezione al pl.lnto voluto. Notiamo infatti col Boyer, che il metodo di C artesio è tuttavia comple­ tamente algebrico, non introducendo egli mai manifestamente il con­ cetto di limite o di infinitesimo 9 • Tuttavia lo spirito del C alcolo è già insito nel suo modo di procedere. A proposito di questo argomento vogliamo ricordare che C artesio considera contraddittorio il concetto di « atomo » o di « indivisibile » ; e a ciò forse è portato anche dal fatto che il più grande oppositore del suo cogito, ai suoi tempi, fu proprio l'atomista Gassendi. Per terminare ricordiamo che Cartesio fornì molti altri risultati, alcuni dei quali, relativi all'algebra, sono ancora usati nella forma origi­ naria. Sarebbe interessante descrivere la complessa e discussa persona­ lità di C artesio, certi suoi atteggiamenti, le sue avventure di cappa e spa­ da, la triste morte in un paese straniero ; o, ancora più interessante sarebbe diffondersi sulla sua strana posizione nei confronti della logica e sui bizzarri rapporti che ebbe coi matematici suoi contemporanei. Ma, sia per brevità, sia perché esistono già troppi altri scritti che trattano di questi argomenti, riteniamo di dover proseguire.

9

C. B. Boyer, op. cit., pp. 1 66- 1 6 7.

142

G li interessi matematici

5 . L 'esprit de géométrie et l'esprit de finesse Tra i grandi matematici di questi tempi il personaggio che dal punto di vista umano lascia più sconcertati è senz'altro Blaise Pasca! ( 1 623- 1 662). Nella sua breve vita, infatti, egli diede prova di possedere una mente tanto dotata quanto introversa. Il suo genio precocissimo lo con­ dusse ben presto a importanti scoperte di geometria: il suo trattato sulle coniche (Essai sur /es coniques) è del 1 640, ovvero è stato scritto da un ragazzo di 1 6 anni. Dopo soli due anni Pascal concepisce il progetto di una macchina calcolatrice, che di lì a poco ( 1 644) realizza, tra gli elogi e le meraviglie del Mersenne, l'amico di C artesio. Prende poi a interes­ sarsi ai problemi di idraulica, e, sulla base dei risultati del Torricelli, compie nuovi studi che lo portano, anche in seguito a un'esperienza fatta compiere a Florin Périer, marito di sua sorella Gilberte, sul Puy de Dome, al Traité de l'équilibre des liqueurs ( 1 6 5 4). In questo periodo, soprattutto, Pascal svolge un'intensissima attività scientifica. Quasi con­ temporaneamente al trattato sull'equilibrio dei liquidi abbiamo il Traité de la pesanteur de la masse de l'air e il Traité du triangle arithmétique, ovvero il famoso triangolo dei coefficienti binomiali, detto appunto da taluni « triangolo di Tartaglia » o « triangolo di Pasca! » (in realtà le prime tracce relative all'uso di detto triangolo risalgono al già menzio­ nato Ornar Khayyam). Di questo periodo è pure lo scambio epistolare con Fermat sul calcolo delle probabilità. Nell'ultimo periodo della sua attività matematica, il Pasca! indi­ rizzò il suo interesse particolarmente alla cicloide. È questa una curva determinata da un punto di un circonferenza, quando quest'ultima ruoti lungo una linea retta (fig. 3 2).

Fig. 32

È proprio in merito ai problemi relativi a questa famosa curva, detta da taluni « il pomo della discordia della geometria », o « l'Elena

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143

della geometria » , che Pasca! ebbe modo più compiutamente, nel Traité des sinus du quart de cere/e ( 1 65 9), di portare avanti considerazioni e tecniche di carattere infinitesimale. Ricordiamo per inciso che i problemi in merito alla cicloide comparvero per la prima volta nei primi anni del 1 500, sollevati da C arlo Bouvelles a proposito della quadratura del cer­ chio ; e che, da quel tempo, se n'erano occupati, tra gli altri, Galileo (che risolse il problema di determinare la tangente in un punto), Viviani, Fer­ mat, Cristofer Wren 1 0 • • • Quello, comunque, che ci preme di mettere in risalto, a proposito dell'opera di Pascal, riguarda le tecniche di carattere infinitesimale. Questi procedimenti, che venivano applicati già da tutti i grandi matematici dell'epoca, aprono la via a interminabili discussioni sull'infinitamente piccolo. L'aspetto problematico della cosa è dovuto al fatto che non era stato ancora chiarito il concetto di limite, senza il quale i procedimenti in esame non potevano non presentare, ovviamen­ te, un carattere misterioso. La posizione di Pascal, in proposito, è discontinua. Egli a volte fa appello, in questi casi, all'esprit de finesse; ma, pur se nutriamo tutto il rispetto sia per l'esprit géométrique sia per esso, dobbiamo dire che siamo nettamente contrari alla contaminazione tra i due piani. È assai interessante notare come Pascal, nel trattato De l'esprit géométrique, concepisca la complementarietà dei concetti di infinitamente grande e infinitamente piccolo, pronunciandosi contro un pregiudizio di origine aristotelica che non ammetteva cittadinanza, nel mondo dei concetti matematici, a quest'ultimo. Egli nota espressamente che, scelto un numero comunque grande, esso genera, nel campo dei razionali, un numero corrispondentemente piccolo ; come, a esempio : 1 .000.000

l

e

l 1 .000.000

-,--:�c--=--o--=-

In questo modo si vede bene che l'esistenza dell'infinitamente grande implica quella dell'infinitamente piccolo. Tuttavia Pascal guarda a questi concetti con un senso di mistero, dettatogli dal suo carattere di grande mistico. A proposito dei procedimenti infinitesimali, in cui si rivela l'influenza dell'amicizia col Roberval, Pascal non fa uso del nuovo metodo di C artesio e Fermat, ovvero, come s'è detto, dell'analiti­ ca; egli supplisce, in linea generale, con una enorme abilità a effettuare 1 ° Come è noto, Wren ( 1 632- 1 723) oltre che matematico fu architetto : a lui si deve San Paolo di Londra. E infatti, notiamo che la cicloide riveste un interesse pre­ ciso in questo campo : l'arco di cicloide, come già aveva intuito Galileo, è il più resistente possibile.

Gli interessi matematici

1 44

trasformazioni intrinseche alla figura. In questo ambito anticipò molti risultati di problemi di integrazione. Tuttavia egli non giunse mai a con­ cepire l'integrale come il limite di una somma, né a considerare il problema delle « quadrature » e quello delle « tangenti » come problemi inversi l i . Certo è comunque che Pascal sfiorò molte volte la scoperta del calcolo. Addirittura, Leibniz scrive, nel 1 703, a Giacomo Bernoulli, che a volte pareva che Pascal avesse avuto una benda davanti agli occhi 12• A tal proposito si consideri che, nel già menzionato trattato sulla cicloide, a Pascal si presentò la situazione illustrata dalla fig. 3 3 .

Fig. 3 3

Egli riconobbe che C K sta a K M come DD' sta a D E . Pascal era insomma giunto al « triangolo caratteristico » del calcolo infinitesimale, quello stesso di cui tratterà Leibniz ; e, proprio sfruttando la proporzio­ nalità ricordata, egli determina l'area ABC. Per chi ha appena un po' di dimestichezza col C alcolo, è naturale associarsi al giudizio di Leibniz : pare cioè che Pascal non abbia voluto vedere pienamente ciò che sostanzialmente già possedeva. Un altro campo di studio dove Pascal dette ampie prove delle sue capacità matematiche fu il calcolo delle probabilità. Lo spunto a queste ricerche pare fosse fornito da Antonio Gombaud cavaliere di Méré, che sottopose al Pascal problemi inerenti il gioco dei dadi. La natura di 11

Cfr. G.B. Boyer op. cit., p. 1 50 e ss. ; H . Bosmans, La notion des indivisibles chez Blaise Pasca/, archivio di storia della Scienza, 1 923, IV, pp. 3 69-379. 12 Cfr. G. W. Leibniz, Mathematische Schriften, Berlino 1 849-63 , III, p p . 72-73.

Il R inascimento

145

questi problemi, ovvero l'indagine rigorosa sui possibili accadimenti futuri è un ponte gettato dall'iperuranio delle matematiche pure al mondo quotidiano ; e si può dire che con questa forma di calcolo si rea­ lizzi razionalmente una delle costanti aspirazioni gnoseologiche del­ l'uomo, ovvero quella della 7tpoÀE�Lç, dell'anticipazione del tempo che verrà. Sull'importanza della branca delle matematiche che si apriva con le ricerche di Pascal è superfluo insistere. Sentiamo invece come un dovere di riferire di alcune altre cose che non riguardano espressamente Pascal matematico, ma l'uomo Pascal in generale. In primo luogo è di estremo interesse considerare le idee del pensatore in merito alla logica. Esse sono da mettere in relazione con quelle non troppo dissimili nutrite dal Descartes. I due grandi uomini, ricorderemo per inciso, si conob­ bero di persona, a Parigi, il 23 settembre 1 647. Come accade spesso ai grandi, non familiarizzarono. Essi parlarono a lungo, anche durante il giorno seguente, soprattutto sul barometro. Pare che C artesio avesse il vago sospetto che le idee sulle esperienze barometriche gli fossero state carpite dal Pascal, grazie alla corrispondenza in cui egli le aveva comu­ nicate al Mersenne. Pare inoltre che C artesio non volesse convincersi che il trattato sulle coniche era stato scritto dal troppo giovane Pascal. Questi, da parte sua, a causa in special modo dell'odio prescritto da Giansenio, alle cui dottrine egli aderiva, contro i Gesuiti, non dovette avere la simpatia il loro discepolo, studente a La Fléche. Tuttavia, a parte i sentimenti personali, è un fatto che la gnoseolo­ gia cartesiana influenzò tutta la cultura dei suoi tempi e a questo fatto il Pascal non rappresenta certo un'eccezione. Uno dei pensieri più brevi della sua più famosa opera è: « Descartes inutile e incerto » . E sul meccanicismo cartesiano, i n relazione alla calcolatrice d a lui inventata, scrive Pascal : La macchina aritmetica produce effetti che si avvicinano al pensiero più di tutto quanto fanno gli animali; ma non fa nulla che possa far dire che ·abbia una volontà come gli animali.

Evidentemente il Pascal sente il bisogno dell'organismo vivente, e, pur accettando da un punto di vista metodologico il meccanicismo carte­ siano, si rifiuta di ridurre la natura a « numero, figura e movimento » . In ogni caso, la preoccupazione sua è soprattutto quella di non estromet­ tere Dio dal sistema; egli infatti rappresenta quella corrente di pensatori i quali, pur accettando le basi filosofiche di C artesio, si rifiutano di estendere il metodo scientifico da lui fondato oltre i limiti della scienza, appunto, ovvero nell'ambito della problematica religiosa.

1 46

Gli interessi matematici

C artesio aveva polemizzato con la logica tradizionale, rappresen­ tata dalla sillogistica; aveva riconosciuto a essa un mero valore educati­ vo, come esercizio per le menti giovani. Ma aveva concluso che tale scienza non è in grado di fornire verità diverse da quelle che già si conoscono. Non deve meravigliare la posizione di C artesio : egli prende di mira specialmente la vuota esercitazione cerebrale che aveva caratte­ rizzato tanta parte della logica medioevale. Tuttavia la sua avversione per la logica è per certi lati più profonda : egli intende ovviare alla asso­ luta mancanza di regole inferenziali con una serie di regole metodolo­ giche. Infatti la sua concezione lo porta a pensare che i passaggi mentali da una situazione alla successiva siano di natura intuitiva e apparten­ gano a ogni mente normale. Su questa falsariga si muove l'A rt de persuader (circa 1 65 7) di Pascal, il quale tuttavia è molto più vicino di C artesio, in proposito, al pensiero attuale. A parte la polemica con la «vuota» sillogistica, a cui gli aristotelici vorrebbero ridurre ogni ragionamento, egli enuncia una serie di principi che denunciano in lui la mentalità del logico matematico, amante del rigore e conoscitore delle regole inferenziali del ragionamen­ to. I suoi principi si dividono in tre gruppi : I Regole per le definizioni: a) non cercare di definire alcuna cosa che sia tanto chiara di per se stessa che non esistano termini più chiari per spiegarla; b) non lasciare che alcun termine oscuro o equivoco sia senza definizione; c) usare soltanto, nelle definizioni, quei termini che siano già conosciuti o già definiti. II Regole per gli assiomi : a) per quanto un principio sia chiaro ed evidente di per sé, non tralasciare di chiedere se esso venga ammesso ; b) postulare negli assiomi soltanto cose di per se stesse evidenti. III Regole per le dimostrazioni: a) non voler dimostrare quelle cose che sono di per sé tanto evidenti, che non può esistere alcunché di più chiaro per spiegarle; b) provare tutte le affermazioni oscure, e non far uso, nella prova, che di assiomi evidenti o cose già dimostrate o su cui si è già stabilito un accordo; c) sostituire mentalmente le definizioni al posto dei definiti, per evitare di ingannarsi con l'equivocità dei termini di cui le proposizioni hanno ristretto il senso. Qualcuno ha detto, e non stupisce questa affermazione, che il trat­ tatello di Pascal è la prima opera di logica moderna, anche se in essa non compaiono simboli. Ricordiamo che, nell'ordine di idee cartesiano, ma non senza una grande influenza di Pascal, vide la luce, nel 1 662, Le logique ou l'art de penser, contenant, outre /es règles communes, plusieurs observations

Il R inascimento

147

nouvelles propres à former le jugement, a opera d i Antoine Arnauld e Pierre Nicole. L'opera, che ebbe una vastissima influenza sul pensiero posteriore, riprende la polerpica con la sillogistica medioevale, e risolve, in ultima analisi, la logica in metodologia. Le quattro parti della stessa trattano delle idee, del giudizio, del ragionamento e del metodo, dando chiaramente a quest'ultimo un particolare rilievo e una posizione pre­ ponderante. È importante notare come la logica di Portoreale, come è detta brevemente l'opera, intende studiare non più, come era invece in uso presso i medievali, il linguaggio e le sue regole, bensì il « pensare » : il che rappresenta in un senso un progresso, in quanto si combatte il gusto per il cavillo sofistico tipico della scolastica, ma in un altro un regresso, in quanto ci si allontana dalla tendenza alla formalizzazione, e si dà a una scienza per sua natura « formale » una impronta psicolo­ gistica. Ci si avvia comunque, con questi interessi e con la tendenza a svincolarsi sempre di più dal modello aristotelico, verso la grande riforma della logica che sarà operata dal Leibniz, così come ci si avvia, per un altro verso, nelle matematiche, come abbiamo più volte cercato di mettere in risalto, verso la potente rivoluzione che sarà il calcolo infinitesimale. Non vale nemmeno la pena di dirlo, nella storia dell'uomo nessuna idea spunta come un fungo in un'unica mente. Escono così la Logica a fundamentis suis a quibus hactenus collapsa fuerat restituta, del cartesiano A. Geulinx, che, oltre a trattare ampiamente la sillogisti­ ca, parla con padronanza della logica proposizionale e deduce quelle che oggi vanno sotto il nome di « leggi di De Morgan ». È importante notare come pochi anni dopo ( 1 670) esca anche un trattato del maestro di Leibniz, il Thomasius : Erotemata logica pro incipientibus. Di lì a poco escono il trattato di Edme Mariotte e quello di John Wallls. Forse tuttavia l'opera che più rientra nei canoni della logica formale, e si rifà più propriamente alla genuina tradizione medievale è la Logica hambur­ gensis ( 1 6 3 8) di Joachim Jungius, il quale introduce regole inferenziali di carattere non sillogistico. Ritorniamo a Pascal ; egli, sostanzialmente, crede nella logica, anche se non trova in quella dei suoi tempi il sistema assiomatico di cui chiaramente avverte l'esigenza. È assai importante, per bene comprendere il suo punto di vista, ricordare come egli sostenga apertamente che le leggi della logica inglobano la geometria, e che, in fondo, la vera logica del momento è proprio questa scienza. Leggiamo nei Pensées a proposito di coloro che hanno esprit géométrique : (( essi deducono bene le cose da pochi principi, e questo è dirittura di mente » . Come s i sa (anzi, questo è l'aspetto più noto della personalità di Pascal) egli, nella sua p1,1r breve vita, ebbe tempo di abbandonare l'inte-

148

Gli interessi matematici

resse scientifico e matematico, e di dedicarsi completamente al misti' cismo religioso : dalla geometria, in cui nulla è senza dimostrazione, alla fede più ascetica, in cui nulla è dimostrato. Molti storici della matema­ tica hanno ferocemente criticato Pascal per questo suo atteggiamento, rimproverandogli quanto di altro egli avrebbe potuto fare nelle scienze, e non ha fatto. Non ci sentiamo di associarci alle loro critiche, anche se non possiamo non far nostro il loro rimpianto : una personalità com­ plessa e geniale come quella di Pascal, dopo avere trattato le coniche a 1 6 anni, avere inventato la calcolatrice a 1 8, avere dimostrato i feno­ meni del peso dell'aria a 23, aveva già compiuto tutte le tappe che sono concesse alla mente dell'uomo ; e non poteva non accorgersi, come gli ricordava continuamente il suo corpo malato e sofferente, che le cose dell'uomo, se hanno un inizio, hanno pure, immancabilmente, una fine. Una fine che Pascal trovò a trentanove anni, quando già da tempo si era accorto che « tutto, a questo mondo, è vanità » .

8.

LA TEORIA DEI NUMERI E I LOGARITMI

l.

Un erede di Diofanto: P. Fermat Perché un uomo sceglie di occuparsi di matematica? Cosa può

spingerlo a questa avventura che non gli renderà gran che, che lo costringerà a un lavoro massacrante, a veglie, a studi scervellanti e a concentrazioni mentali normalmente insopportabili? La ricerca della gloria? Il facile guadagno? La sicurezza di un «

posto statale fisso »? Che dire di un genio matematico che si scopre tale per caso,

quando è già impiegato in tutt'altra occupazione; di un genio che non abbandona il proprio lavoro tranquillo e deludente, ma dedica ogni ora, ogni minuto libero, alla dimostrazione di teoremi, alla elaborazione di teorie?

È chiaro che stiamo introducendo un personaggio estremamente

singolare, proprio nella sua borghese banalità. A

Beaumont-de-Lomagne,

nel

1601,

nacque

Fermat.

Come

abbiamo detto, non si riesce a rendere interessante la biografia di quest'uomo, anche se sono noti i particolari. Di origine umile, piuttosto mite di indole, buon ragionatore, commissario relatore a Tolosa nel 1631, padre di cinque figli avuti da una cugina materna, consigliere del

re al parlamento, sempre a Tolosa nel 1648, a 4 7 anni Fermat aveva raggiunto una posizione invidiabile e una buona situazione economica; il lavoro lo occupava ben poco già fin da quando era magistrato, prima del 1630. Anzi, schivo e calmo come era (anche se Descartes lo chiamò in più di una occasione

guascone, ma del giudizio dell'arrogante filosofo

c'è ben poco da fidarsi), e data la insigne posizione occupata, Fermat preferiva non farsi vedere troppo in giro durante le ore di libertà dal lavoro. Filologo eccellente e linguista insigne, conobbe d'un tratto la mate­ matica; come, non ci è dato di sapere. Fatto sta che il profilo della sua

1 50

Gli interessi matematici

produzione scientifica, che ora cercheremo di delineare, è tra i più vivi, interessanti e completi nella storia delle scienze. Siamo nel periodo delle grandi innovazioni : la geometria carte­ siana e il calcolo differenziale. Non scopriamo certo nulla di nuovo, se affermiamo che la geometria analitica porta il nome di Descartes solo perché egli ne ebbe una chiara visione completa e la congetturò esplici­ tamente ; già Oresme e Fermat, prima di C artesio, avevano avuto una lucida idea della possibilità di una tale sistemazione della geometria. Fermat aveva descritto per lettera i punti sostanziali di tale costru­ zione e furono queste lettere che egli citò a C artesio per mantenere il suo primato. La disputa ebbe scarso rilievo : probabilmente ciascuno dei due matematici riconosceva i meriti dell'altro e non li metteva in dubbio. Ma tralasciamo le scoperte geometriche di F,ermat per passare al calcolo differenziale. Iniziamo ricordando che il More, nel 1 934, scoprì una lettera di Newton nella quale il grande matematico britannico rico­ nosce di aver tratto ispirazione, per l'enunciazione del proprio calcolo differenziale, da alcuni studi sulle tangenti di Fermat. Ciò basta per poter concedere al magistrato di Tolosa l'appellativo di « precursore del C alcolo » . Sul concetto d i tangente e sul collegamento molto stretto tra questo problema e quello del calcolo differenziale, abbiamo detto in altro luogo. Così, anche se qui ricordiamo che Fermat per primo capì che i massimi e i minimi delle funzioni hanno tangenti parallele all'asse delle ascisse, non ci soffermiamo immediatamente a spiegarne il senso e la portata. Fermat, inoltre, notò che v'erano dei punti particolari (i fles­ si), nelle rappresentazioni cartesiane delle funzioni, che, pur potendo avere tangente parallela all'asse delle ascisse, non sono punti di mas­ simo o minimo. Vediamo come Fermat determinava i massimi e i minimi di una curva, esponendo il metodo tratto da quello che lui stesso pubblicava nel 1 63 8 nel Methodus ad disquirendam maximam et minimam. Sia y = f(x) l'equazione cartesiana delle curva in esame. Alla variabile x, sostituiamo x + e, ottenendo la funzione f(x + e). Eguagliamo ora la funzione così ottenuta alla funzione che appare a secondo membro di y = f(x). Otteniamo f(x + e) = f(x). Dopo aver ese­ guito tutti i possibili calcoli di semplificazione, si divida per e. Si elimi­ nino dalla espressione tutti i termini che contengono ancora e. L'equa­ zione risultante ha come soluzioni le ascisse degli eventuali punti di massimo e minimo.

La teoria dei numeri e i logaritmi

15 1

Vediamo u n esempio. Sia :

(l)

y = x2 - 2x +

l

la curva da studiare. Si tratta di una semplice parabola che possiamo rappresentare in diverse maniere nel piano, per esempio assegnando alcuni valori scelti a piacere alla variabile x e ricavando i valori cor­ rispondenti della variabile y. La figura 34 rappresenta la curva in esame. y

Fig. 34

La curva ha evidentemente un minimo nel punto A di ascissa l . Applichiamo il metodo di Fermat. Dato che f(x + e) = (x + e)2 - 2(x + e) + l , avremo x2 + 2ex + e2 - 2x - 2e + Semplificando :

l = x2 - 2x + l .

2ex + e2 - 2e =

O.

Dividiamo per e :

2x + e - 2 = 0 . Eliminiamo i termini contenenti ancora e : 2x - 2 = O . (2) Risolviamo l'equazione (2) ; si trova: x = l. Si noti che procedendo per via grafica o col metodo di Fermat, abbiamo trovato lo stesso risultato. [ Si noti, di più, che lo stesso risultato trove­ remo ancora usando il metodo delle derivate, che proponiamo al lettore.

152

Gli interessi matematici

La derivata del secondo membro della ( l), uguagliata a zero, dà proprio la (2)] . Fermat, dunque, aveva già fatto quanto basta per essere famoso. Se poi aggiungiamo che si era occupato di ottica fornendo la soluzione di parecchi problemi, specialmente concernenti questioni di massimo e minimo, il panorama scientifico che lo riguarda potrebbe già pensarsi completo. Ma ben a ragione, allora, potrebbe lamentarsi il lettore attento nei riguardi del titolo del paragrafo, in cui si accenna a Fermat soprattutto come continuatore dell'opera di Diofanto. Infatti, Fermat è soprattutto celebre per i suoi teoremi (e sono parecchi) relativi dalla teoria dei numeri. È bene ricordare, a questo punto, che Fermat aveva un'abitudine un po' singolare. Leggendo Diofanto (nell'edizione curata dal Bachet) annotava le proprie osservazioni al margine del testo. Lo spazio era esi­ guo e quindi egli concentrava tutte le riflessioni in poche parole e poche formule, senza dimostrare le asserzioni fatte. Alcuni teoremi, che egli aveva enunciato, sono stati dimostrati con enorme fatica, nel corso dei tre secoli che vanno dalla metà del 1 600 a oggi. Essi hanno aperto la strada non solo a risultati in quella teoria, ma hanno anche fornito nuovi metodi per procedere nelle ricerche, esempi di speculazione mate­ matica singolarissimi. Non vogliamo entrare troppo nei particolari. Ricordiamo solo che Leibniz, nel 1 68 3 , dimostrò la verità dell'affermazione : nP - n è divisibile per p

annotata da Fermat nel solito modo. Euler nel 1 749 dimostrò l'affermazione : qualunque numero primo della forma 4n+ l è somma di due quadrati, dicendo di avervi lavorato, anche se non continuamente, per sette anni. Viene spontanea una domanda, alla quale risponderemo meglio nel corso del prossimo paragrafo. Ma Fermat dimostrava davvero le proprie asserzioni? Intanto rispondiamo che esiste una lettera di Fer­ mat, indirizzata a C arcavi e datata agosto 1 659, nella quale il celebre matematico enuncia un metodo di dimostrazione veramente singolare e potente, che egli stesso chiama di discesa indefinita ; esso può in qualche modo essere posto in correlazione col principio di induzione completa. Ricordiamo solo che Fermat diceva sempre se una sua congettura era stata da lui stesso dimostrata o no. Così la famosa congettura :

La teoria dei numeri e i logaritmi

153

tutti i numeri del tipo 2 2

n

l sono primi

+

errata perché presenta anche numeri non primi, non è mai stata oggetto di dimostrazione dichiarata da parte di Fermat. Ma tale costruzione, sia detto per inciso, servì poi a Gauss, nel 1 796, per condurre a termine l'importante questione su quali poligoni regolari fossero costruibili con riga e compasso. Leibniz Euler, Gauss si sono prodigati per dimostrare le afferma­ zioni di Fermat. Ciò non solo per l'interesse scientifico indubbio di esse, ma pure per il lustro che tali risultati davano al dimostratore. Probabilmente, tutti e tre i matematici si sono anche prodigati per dimostrare un altro teorema di Fermat, tanto celebre da occupare un paragrafo a parte in questo testo. Prima di enunciarne tesi e ipotesi, ricordiamo che di questo teorema, Fermat aveva detto : ho trovato una dimostrazione veramente mirabile che questo margine è troppo piccolo per contenere . . . Ebbene, dopo lunghi anni di sforzi, sebbene avesse avuto conferma del genio dimostrativo di Fermat, il grande Gauss affermava di ritenere impossibile che il magistrato di Tolosa avesse veramente dimostrato il teorema. Recentemente qualcuno ha perfino lanciato l'idea della indi­ mostrabilità dell'enunciato. Fatto sta che a C astres, il 1 2 gennaio 1 665, moriva Fermat, por­ tandosi la verità nella tomba, lasciando nel dubbio i matematici moder­ ni, sfidando le generazioni future . . . 2. L 'ultimo teorema Occorre risalire a Diofanto e al suo famoso problema : Trovare le terne di numeri interi x, y, z , che verificano l'equazione : x2 + y 2

=

z2

.

Questo problema ha infinite soluzioni ; per esempio : 3 , 4, 5 ; 5, 1 2, 1 3 ; 6, 8, 1 0 ; . . . Fermat considerò un problema più generale : determi­ nare i numeri interi x, y, z tali che, per un dato intero n, verificano x

"

+ y"

=

z" .

Ebbene, Fermat dichiarò che non vi sono soluzioni della equazio­ ne, per n > 2. Un teorema apparentemente semplice su cui tutti o quasi i mate­ matici si sono impegnati almeno una volta nella vita.

1 54

Gli interessi matematici

Si pensi che è stato dimostrato che esistono infinite classi di numeri per cui l'affermazione è vera; si è provato che il « teorema » vale per ogni numero fino a n = 1 4.000; se ne è provata la verità se x, y, z non sono divisibili per n; . . . S'è fatto tanto che sono nate nuove teorie sui numeri dovute proprio alle dimostrazioni via via fornite. Eppure non è stata ancora trovata una dimostrazione generale. Tant'è vero che, nel 1 908, il Wolfskehl lasciò un'ingente somma al primo che fosse riuscito in tale dimostrazione. Certo, anche se il capitale è stato notevol­ mente svalutato dalle due successive guerre, l'onore che deriverebbe dalla dimostrazione generale di tale asserzione (o dalla dimostrazione di impossibilità) sarebbe tale che lo scopritore ne sarebbe sommerso. E sbaglia chi crede che i matematici moderni abbiano superato l'affanno e si siano dati pace. Non più tardi del 1 973 leggevamo su una nota rivista matematica italiana una pretesa dimostrazione da parte di un insegnante italiano il quale chiedeva gli venisse consegnata la somma di Wolfskehl. Nel numero successivo c'era un intervento denigratore di un celebre matematico : ciò dimostra che la ricerca è ancora viva e inte­ ressa enormemente. Assai recentemente, nel 1 9 76, diversi giornali hanno dato notizia analoga secondo la quale il « dimostratore )) era un insegnante romagnolo ; ancora una volta, però, c'è stata una smentita da parte dei matematici. Al lettore che, dilettante come Fermat, volesse cimentarsi in quest'impresa, forniamo alcune notizie tecniche. Consideriamo l'equa­ zione n n x + y = Z0 con n intero positivo. (3) Se n = l , l'equazione ammette infinite terne di interi che la sod­ disfano. Se n = 2, l'equazione ammette ancora infinite terne di interi che la soddisfano. Se n = 3 o n = 4, Fermat stesso ed Euler hanno dimostrato che non possono esistere terne di interi che verificano la (3). Poi, come abbiamo già detto, Fermat concluse, senza fornirne la dimostrazione, che ciò valeva pure per n > 4. Facciamo vedere che se n è multiplo di 4, cioè n = 4k (e k è un intero positivo), allora dal fatto che (4) non ha soluzioni intere, segue che pure (5) non ha soluzioni intere.

_x4k

+

y4k = z 4k

La teoria dei numeri e i logaritmi

155

Proviamolo per assurdo. Supponiamo esista una tema d i numeri interi che verifica la (5). Dato che la (5) può essere scritta

(xk)4

( 6)

(yk)4

+

=

(z k)4

esisterebbe pure una tema di interi che soddisfa la (6). Ma la (6) è di tipo (4) : dunque non può avere soluzioni per la dimostrazione di Fermat. Siamo giunti a una contraddizione ammettendo che (5) avesse una solu­ zione : il che è quindi assurdo. Del tutto analogamente, dal fatto che (7)

non ha soluzioni, si deduce che non ne ha la (3) per n = 3k, cioè se n è divisibile per 3 . I numeri naturali multipli d i 3 o d i 4 o d i 3 e 4 contemporanea­ mente non costituiscono più un ostacolo per la dimostrazione generale. Si sono poi esclusi altri 6 1 4 casi analoghi. Eppure la dimostrazione non può certamente ancora dirsi completa. Facciamo ora qualche considerazione di geometria elementare. Dalla (7), considerando xlz come variabile ascissa e y/z come ordi­ nata, si può ricavare : (8) y

'

/

"

/

/

/

/

'

"

�-+--..;::- - - ;f '

/

/

/

/ l

'

/

'

"

l

'

'

'

'

' '

Fig. 35

156

Gli interessi matematici

La (8), non avendo la (7) soluzioni intere, non ha soluzioni razio­ nali, tranne le coppie :

{x = O y= l

{x = l y=o.

La (8), pensata come curva nel piano cartesiano, rappresenta una curva algebrica del III ordine, cioè una cubica simmetrica rispetto alla prima bisettrice avente per asintoto la seconda bisettrice. Il fatto che la curva non abbia altri punti razionali lascia intuitivamente un po' inter­ detti. Tutte le curve + l, per ogni n dispari, limitatamente al segno positivo di entrambe le variabili, appartengono al dominio delimi­ tato dal segmento AB e dall'arco AB di circonferenza.

xn yn =

y

B

��=:...,:--

_

_ _

-,C l l l l

o

A

x

Fig. 36

La retta c&' 1 si ottiene per n l, la curva '1&" 2 (circonferenza) si ottiene per n 2. Conosciamo già la curva '1&" 3 • Se n è pari, le infinite curve, sempre nella limitazione descritta, stanno nel dominio individuato dal solito arco AB di c&' 2 e dai segmenti CA e CB. Dimostrare il teorema di Fermat equivale a provare che tutte le curva + l non hanno che i punti (0, 1 ) e ( 1 ,0) a coordinate razionali nel quadrante positivo del piano cartesiano.

=

xn yn =

=

La teoria dei numeri e i logaritmi

157

3 . Necessità di accelerare il calcolo Consideriamo i numeri

. . . , -5 , -4, -3, -2, - l , o, l , 2, 3, 4, 5 , 6, 7,

e corrispondentemente, i numeri

.

..

. . . , 1/3 2, 1 / 1 6, 1 /8, 1 /4, 1 /2, l , 2, 4, 8, 1 6, 3 2, 64, 1 28, . . .

e disponiamoli nella seguente colonna

-5

1 /3 2

-4

1/16

-3

1 /8

-2

1 /4

-l

1 /2

o

l

2

2

4

3

8

4

16

5

32

6

64

7

1 28

Gli interessi matematici

158

A proposito di questa colonna, così apparentemente innocua e casuale, sentiamo cosa dice Stifel : Si potrebbe scrivere un nuovo libro completo sulle meravigliose proprietà di questi numeri, ma a questo punto devo fermarmi e passare oltre ad occhi chiusi.

Ma il matematico è soprattutto un matematico. E infatti la tenta­ zione analitica sorprende più avanti (nella stessa opera A ritmetica integra, del 1 544) il nostro autore : L'addizione nella serie aritmetica corrisponde alla moltiplicazione in quella geometri­ ca; del pari, la sottrazione nella prima corrisponde alla divisione nella seconda.

Riscriviamo la nostra colonna in altra forma :

-5 -4 -

3

-2

-l

2-S

2 -4

2-3

2-2

2- 1

o

20

l

2'

2

3 4 5

22 23

24 2S

6

26

7

27

La teoria dei numeri e i logaritmi

1 59

e le frasi di Stifel risulteranno comprensibili a chiunque. Così come 2 + 4 = 6, anche 22 · 2 4 = 2 6 • Così come 7 - 4 = 3 , anche 27 : 2 4 = 23• Notiamo che noi abbiamo scelto 2 come base delle potenze, ma la proprietà vale in generale per ogni base b. Perché questo improvviso ritorno dalla fine del 1 600 alla metà del 1 500? Abbiamo voluto mantenere una certa linea logica, più che crono­ logica, anche se ci siamo sforzati di rispettare le date. Giunti a parlare di Fermat, e in procinto di iniziare una presentazione di Euler, era neces­ sario parlare un po' di logaritmi, il potente mezzo di calcolo rapido il cui studio, iniziato in un certo senso sin da Archimede (anche se solo ristretto a considerazioni di rapporti numerici del tipo dei precedenti), proseguito da Stifel, Biirgi, Jacob e Napier, solo con gli usi generali di Newton e dei suoi contemporanei prende un meritato posto ben definito nel vasto orizzonte della matematica. Come abbiamo visto, Stifel aveva intuito le proprietà che si otten­ gono accostando ordinatamente i termini di una progressione aritmetica e di una geometrica. Ciò portò contemporaneamente (o almeno questa è la nostra visione, considerando le date di pubblicazione) Biirgi (che però aveva già conoscenza degli studi del Jacob) e Napier a considerare la possibilità di studiare la teoria generale di questa « strana » corrispon­ denza. Del resto, i calcoli dell'epoca erano soprattutto rivolti verso l'astronomia e quindi erano piuttosto lunghi, noiosi e complessi. Tant'è vero che Keplero stesso rimproverava a Biirgi di non aver dato abbastanza fama ai propri potenti mezzi di calcolo, accusandolo di essere geloso dei propri segreti (e Keplero era in primo luogo un astro­ nomo) 1 • Non riporteremo il metodo usato da Biirgi per stendere le tavole che costruì per primo ; e ciò per due motivi : intanto perché la costruzio­ ne, pur essendo semplicissima da un punto di vista teoretico, è noiosa e complessa da un punto di vista tecnico ; inoltre perché la si può trovare in molti altri testi che la riportano a titolo di curiosità.

1 Non vanno misconosciuti, tuttavia, i grandi meriti di Keplero ( 1 5 7 1 - 1 6 30) come matematico : nella « Doliometria )) (Nova Stereometria Doliorum Vinariorum, accessit Stereometriae A rchimedae supplementum, Linz 1 6 1 5), egli determinò ben 92 cubature di solidi di rotazione in più di Archimede ; nell'ambito di quest'opera Keplero discusse problemi sui massimi e sui minimi, e si rese perfettamente conto che le varia­ zioni di una funzione scompaiono progressivamente in prossimità del valore massimo. Egli insomma ampliò i risultati di N. D'Oresme e aprì la via ai grandi risultati di Newton.

1 60

Gli interessi matematici

Ricordiamo solo che Napier pubblicò la sua Mirifici Logarithmo­ rum canonis constructio nel l 6 1 9, che si distingueva dalla precedente di Biirgi perché dava già tavole logaritmico-trigonometriche. Per curiosità, ricordiamo che la base dei logaritmi scelta da Biirgi era :

( l + 1 �4 yo

valore molto simile a quello del cosiddetto numero neperiano e, la cui espressione esatta è : e

=

n

lim ( l -+ oo

+ .

1 /n ) "

.

Ma neppure Nepero aveva usato il numero e esattamente, bensì un valore che si può approssimare a 1 /e

(l

- t · 1 0- 1 4)

di poco diverso da 1 /e. A cosa sia dovuta l'attribuzione della scelta di e a Nepero, non si sa di preciso ; ma probabilmente a un errore che si è trascinato nel tempo e si è fatto legge. Napier, inoltre, aveva studiato tavole in cui era il 10 la base pro­ posta. Ma queste tavole furono redatte dal Briggs, allora insegnante a Oxford : le tavole del Briggs sono quelle ancor oggi usate nelle scuole. Ci siamo quindi riportati agli anni della giovinezza di Fermat e il ciclo storico della nascita dei logaritmi è chiuso. Ricordiamo, per terminare, che la teoria dei logaritmi non è impor­ tante solo per la possibilità che apre di abbreviare il calcolo. Vi sono questioni matematiche che non si saprebbero risolvere senza l'uso dei logaritmi, come lo studio delle equazioni esponenziali del tipo ax = b .

Con i logaritmi, la cosa è estremamente semplice e la soluzione è : X =

cioè :

/gab

è il logaritmo di b avendo scelto a come base. Un esempio : x

1 0X = 1 / 1 00 .

La soluzione è : x

= Igl O 1 / 1 00 .

La teoria dei numeri e i logaritmi

161

M a 1/ 1 00 = 1 0-2• Quindi x

= 2 -

.

Ricordiamo che la matematica infinitesimale moderna basa gran parte delle proprie scoperte sulle caratteristiche della base e e dei loga­ ritmi naturali; così il calcolo di difficili integrali diventa possibile; grazie a ciò trovano spiegazione certe proprietà del calcolo delle probabilità e della matematica finanziaria e attuariale.

4. Euler, genio multiforme Può essere sorpreso, il lettore sprovveduto, dal fatto che ogni capi­ tolo di questo testo presenti uno o due (( geni » . Vien da chiedersi : se il genio è un essere unico nel suo genere, come è possibile scoprirne uno a ogni piè sospinto? Il fatto è che nel presentare le diverse attitudini ai distinti rami della matematica, parliamo di genio del settore. È quindi imbarazzante iniziare un discorso su Euler che si è occu­ pato di tutto, contribuendo a ricerche e a risultati formidabili in ogni set­ tore della matematica e della fisica. Euler, l'inventore della teoria dei grafi. Euler, colui che ha saputo fare della meccanica una scienza basata sull'analisi infinitesimale. La biografia di Euler è interessante, ma troppo nota per essere presentata nei particolari. La riassumeremo brevemente; ma ci vediamo ancora costretti a fare una considerazione. Poeti, matematici, musicisti, si nasce o si diventa per educazione? Quante persone occupate in attività « secondarie » avrebbero potuto eccellere in qualche campo della cultura o dell'arte, se solo aves­ sero avuto la possibilità di conoscere discipline del tutto estranee alla loro formazione? Quanti preti sarebbero stati eccezionali m.atematici, se invece di essere stati iniziati alla teologia avessero avuto come insegnante Giovanni Bernoulli? Se Euler fosse veramente divenuto pastore calvinista, pur se insigne conoscitore dell'Eneide (la recitava completamente a memoria), buon predicatore, conoscerebbe oggi la fama, l'ammirazione e la riconoscenza del mondo intero ? Avrebbe tro­ vato egualmente il modo di eccellere in qualche altra attività umana, se i Bernoulli non ne avessero convinto il padre, pastore calvinista a sua vol­ ta, a }asciargli studiare la matematica e non la teologia e l'ebraico? Forse queste domande sono senza risposta: il caso, l'ambiente, una sorta di predisposizione biologica condizionano il genio e lo evidenzia­ no.

1 62

Gli interessi matematici

Siamo così giunti a spiegare come Leonard Euler, nato a B asilea nel 1 707, venne portato allo studio della matematica: a soli diciannove anni lo vediamo concorrere a un premio bandito da11' Accademia delle Scienze di Parigi inerente un problema sull'alberatura delle navi. Si noti che Euler, che non conosceva affatto le navi, dato che non ne aveva mai viste, risolse il problema solo dal punto di vista teorico, meritando la menzione d'onore. Tralasciamo comunque l'elenco dei titoli accade­ mici e dei premi vinti da Euler; dato che abbiamo già accennato ai premi banditi da1la Accademia delle Scienze di Parigi, per curiosità notiamo solo che Euler ne vinse dodici. In quanto agli altri concorsi e riconoscimenti vari, ne ebbe tanti e tanto meritatamente che riteniamo inutile fornirne un elenco. Questo paragrafo è già stato occasione di due digressioni ; abbiamo scomodato Euler due volte. Scomodiamolo una terza. Dobbiamo spie­ gare perché un personaggio così universalmente noto per le indiscutibili capacità, fosse costretto a vagabondare per il mondo, da un'Accademia a u n'altra, invece di restarsene in Svizzera presso qualche università e continuare là i propri studi. Il fatto è che l'organizzazione universitaria del tempo era comple­ tamente diversa dall'attuale. I ricercatori erano insegnanti mal visti dato che la ricerca scientifica era considerata una perdita di tempo a scapito dell'attività didattica. Essi si radunavano, invece, presso qualche corte di un monarca abbastanza amante delle scienze. Si fondavano presso queste corti delle Accademie e si chiamavano a farne parte spiriti eletti. Ed ecco Euler a Pietroburgo per insegnare medicina (in cui si era preparato a B asilea non appena aveva saputo da D aniele e Nicola Ber­ noulli che si era liberata una cattedra di quella materia) già nel 1 727 a 20 anni. Ma C aterina I moriva il giorno stesso in cui Euler, pieno di speranze, metteva piede in Russia. Le successe un governo di alcuni aristocratici retrivi che mal tolleravano la stupida spesa per l'Accade­ mia. Dunque sa1tava la cattedra di medicina, ed Euler finì con l'insegnare matematica. Data la paura regnante in quel periodo in Rus­ sia, Euler non usciva mai; era sempre dedito al lavoro di ricerca e con­ tinuava a fare scoperte importanti. Nel 1 730 risolse un problema, pro­ posto ancora dall'Accademia di Parigi, per il qua1e impiegò tre giorni, contro i tre mesi richiesti dai matematici più importanti dell'epoca. (Proprio in questo periodo, forse per lo sforzo fatto, Euler si ammalò e perse un occhio). Il lustro fu tale, che non appena D aniele Bernoulli fuggì dalla Rus­ sia per la Svizzera, Euler divenne il direttore dell'istituto di matematica

La teoria dei numeri e i logaritmi

163

dell'Accademia. Fu in quell'anno ( 1 733) che si sposò. I biografi raccontano cose incredibili di Euler matematico-padre : tredici figli, una grande quantità di nipoti, una capacità di concentrazione eccezionale che gli permetteva di studiare e scrivere in casa, tra la confusione dei piccoli, anzi, gio­ cando con essi. Come mai il governo russo, pur deplorando le attività scientifiche in genere, tratteneva Euler, lo stimava e lo pagava profu­ matamente? Il fatto è che Euler risolveva tutti i problemi proposti, qualunque ne fosse la natura : ciò permetteva allo Stato di trarre enormi benefici dalla presenza di Euler a Pietroburgo. Inoltre la fama del matematico era tale che la Russia ne guadagnava in prestigio. Fra tanti lavori di quel periodo, nel 1 73 6 Euler pubblicò un trat­ tato di meccanica in cui utilizzava (e sono teoricamente) la geometria di C artesio e i risultati del calcolo differenziale : era nata la meccanica differenziale, quella che, sistemata ulteriormente da Lagrange, è la base della meccanica moderna. Lo spirito che l'animava era il più moderno possibile, ben differente e ben superiore allo spirito meccanicista clas­ sico che aveva ispirato i Principia di Newton. Sempre di questo periodo è la formulazione del celebre « problema dei ponti di Konigsberg », risolvendo il quale Euler iniziò lo studio di una nuova teoria che oggi viene detta « teoria dei grafi », alla quale velocemente e del tutto incompletamente ìntroduciamo il lettore che non ne sia già a conoscenza. Consideriamo un insieme di punti, detti vertici, e un insieme di linee, dette spigoli, che li collegano due a due. Una tale figura è detta grafo. 5

1

3 Fig. 3 7

La teoria dei numeri e i logaritmi

1 65

5 Fig. 4 1

Passiamo al problema di Konigsberg (si noti che molti celebri matematici tentarono, prima di Euler, di darne la soluzione). La citta­ dina della Prussia era situata sul fiume Pregel ed era composta di due isole e di parte delle due rive del fiume.

Fig. 42

Tra le isole e la terraferma, e tra le isole stesse, v'erano sette punti disposti come nella fig. 42. L'arguzia paesana o forse l'abitudine dome­ nicale alla passeggiata (analoga a quella dei nostri paesi lungo il corso principale della città), aveva creato un problema : è possibile compiere un percorso, senza ripeterne tratti, che permetta di attraversare tutti i ponti e una sola volta? Studiamo il problema dal punto di vista di un matematico. Siano A , B, C, D rappresentate da vertici di un grafo i cui spigoli siano i ponti. A

D Fig. 43

1 66

Gli interessi matematici

È possibile determinare un « cammino » che permetta di seguire tutti gli spigoli una e una sola volta? Euler dimostrò che ciò è impossi­ bile. Quel giorno nacque una teoria talmente vasta che, opportunamente generalizzata, oggi occupa gran parte dei ricercatori di tutto il mondo, non solo matematici. Perché abbiamo insistito su questa rievocazione? Il fatto è che una parte dei matematici « moderni )), chissà perché, dimentica spesso, giunti a un certo punto delle ricerche, che un problema apparentemente innocuo può portare a risultati incredibili. È facile accusare di ingenuità e di banalità uno scritto troppo semplice o apparentemente incompleto. Ma a volte può essere nascosto sotto queste sembianze un problema atto a fornire alle generazioni matematiche future lavoro a non finire, come i teoremi di Fermat, o come, appunto, la teoria dei grafi. Siamo così giunti al 1 740, anno in cui nonostante la liberalità della n uova zarina si fosse manifestata apertamente, Euler preferì accettare l 'invito di Federico il Grande di Prussia. Vent'anni a Berlino gli permisero di risolvere tutti i problemi tecnici che gli venivano sottoposti e di scrivere volumi e volumi di matematica pura. La vita a corte non era certo la più adatta, però, a Euler. Il suo carattere remissivo e pensoso lo rendeva assai diverso da personalità come Voltaire, dotato di un eccezionale spirito caustico e mordente, e soprattutto dalla gran massa di ciarlatani e di venditori di fumo che molto facilmente confluiscono attorno ai potenti. Dei loro discorsi e della propria incapacità a prenderli completamente sul serio, Euler stesso rideva; la sua scarsa versatilità nell'ambito dei problemi filosofici che l'astuto Voltaire sollevava, e la sua inibizione nei confronti dei fri� voli schiamazzi dei cortigiani divertivano, prima di tutti gli altri, lui stes­ so. Ma si accorderebbe troppa stima all'imperatore pensando che egli fosse in grado di distinguere lo spirito dionisiaco del Voltaire da quello apollineo di Euler ; e a riconoscere bilateralmente pregi e difetti. Fede­ rico dunque si stancò ben presto dello strano comportamento del suo matematico, che si lasciava prendere per il naso senza reagire. Tant'è vero che, spinto da chissà quali pressioni, invitò D' Alembert, accerimo nemico di Euler, a dirigere l'Accademia di Berlino. Ebbene, D' Alem­ bert si trattenne qualche tempo in quella città, conobbe personalmente Euler, ne fu ammirato a tal punto che non solo declinò l'invito ma rim­ proverò Federico delle sue intenzioni. Naturalmente, ciò rese furibondo l'imperatore che volle assolutamente licenziare Euler. Ma non ebbe mai questa soddisfazione dato che, nel 1 766, Euler, moglie, figli, servi­ tori e parenti vari se ne tornarono a Pietroburgo, dove C aterina li atten-

La teoria dei numeri e i logaritmi

1 67

deva a braccia aperte. Euler ebbe un palazzo, una tenuta in campagna, un cuoco personale della zarina e una carrozza reale a disposizione. Egli lavorava come suo solito dando prove incredibili di memoria e di applicazione. La morte della moglie, la completa cecità, una operazione riuscita all'occhio che tornò ad ammalarsi definitivamente per una banale infezione, la nuova definitiva cecità, un incendio, un saccheggio, sono tra gli episodi finali della vita del grande matematico. C 'è anche un aneddoto divertente, ed è questo che vogliamo raccontare, anche se non è certo che sia realmente avvenuto. A Pietroburgo, durante il secondo periodo che Euler trascorse là, capitò a corte il celebre autore dell'Enciclopedia : Diderot. Fu in tale occasione che, stando a quanto ci racconta il De Morgan, Euler si prestò a uno scherzo alle spalle del notissimo filosofo. Non possiamo dilungarci sulle complesse vedute del Diderot in materia teologica; basti tuttavia sapere che egli aveva ideato una concezione di stampo spino­ ziano, o, se si vuole, cusaniano, per la quale era inammissibile l'esistenza del Primo Principio separata dal suo prodotto: il mondo. Ora, a bella posta, qualcuno lo avvertì che un grande matematico possedeva una dimostrazione rigorosa del contrario. Diderot dovette certamente esserne incuriosito, sensibile com'era a pressocché tutte le forme di conoscenza umana, non ultima la conoscenza matematica. Fu così che l'amico di D' Alembert si trovò di fronte Euler, che gli fornì appunto (con voce stentorea) tale dimostrazione : «

a + b" = x )) . n

---

Non si stenterà a credere che tale discorso lasciò sconcertato il Diderot, il quale dovette accorgersi poi immediatamente dello scherzo, nell'udire attorno al suo volto pensoso le più disinvolte e fragorose risa­ te. Ci pare non sia il caso di iniziare un riepilogo delle opere matema­ tiche di Euler. Basti sapere che nel 1 909 l'Associazione Elvetica per le Scienze raccolse 40.000 franchi in oro da vari enti di tutto il mondo per pubblicare le opere complete di Euler, calcolando che sarebbero occorsi un centinaio di volumi. Pochi anni di ricerca portarono alla sco­ perta di una quantità enorme, di molto superiore al previsto, di manoscritti inediti a Leningrado, il che ha rimandato sine die tale mastodontica operazione. Si pensi che molti lavori di Euler sono stati editi in questo modo : prima un manoscritto B in cui si spiegano e si generalizzano teoremi contenuti in un manoscritto A ; poi il manoscritto

1 68

Gli interessi matematici

A stesso. Il fatto è che il povero tipografo dell'Accademia prendeva a caso i lavori ammucchiati da Euler per le pubblicazioni, procedendo spesso in senso inverso. Ma pure i geni muoiono; ebbene, Euler fu capace di inventare una morte singolare : morì avvisando i presenti (« Muoio ») nel 1 783 dopo aver calcolato (era cieco : dunque i calcoli erano tutti fatti a mente) l'orbita di Urano, pianeta che era stato appena allora scoperto.

CONCLUSIONE

Qualcuno avrà forse notato, nello sviluppo degli ultimi capitoli, come un andamento più tematico si sia sostituito a quello strettamente cronologico. Non può sfuggire il senso di lacunosità che assume un discorso su Euler, quando non passi attraverso Leibniz e Newton, a esempio. Risulta d'altra parte facilmente comprensibile che, seguendo un criterio strettamente cronologico, si fa un evidente torto ai propri argo­ menti e alla coerenza logica del tema trattato. Noi abbiamo voluto fornire, a questo punto, una descrizione, necessariamente sommaria, di quello che fu l'apparato matematico indispensabile per gli esiti ulteriori. Il discorso sul calcolo infinitesimale implica una serie di riflessioni, quanto meno nel suo primo affacciarsi nella storia, sulla natura degli enti matematici, sulla loro essenza e sulla loro esistenza. Riteniamo dunque che esso debba appartenere, a rigore, a quel vasto quadro di sviluppi e di interessi che, attraverso le scoperte di nuove tecniche di assiomatizzazione, stimolate dal sorgere delle geo­ metrie non euclidee, culminerà in quel grande fenomeno di revisione cri­ tica che va sotto il nome di « crisi dei fondamenti » . La conoscenza matematica, come abbiamo visto, viene sempre più differenziandosi in maniera autonoma e speciale dalla scienza e dalla filosofia, mentre, paradossalmente, si scoprono sempre più stretti legami tra queste diverse forme di cultura. Il secolo dei lumi, nel quale abbiamo cominciato ad addentrarci con Euler, accarezzò il sogno di risolvere il mondo in rapporti matematici e razionali. Dopo questa singolare infa­ tuazione, attraverso più avvedute considerazioni sui presupposti e sulla genesi della conoscenza matematica, ben presto si raggiunse la consape­ volezza che, quand'anche ci fossero note le leggi matematiche dell'uni­ verso, non ci sarebbe noto quest'ultimo : nel passaggio dal pensiero matematico alla misurazione del concreto si passa sempre, inevitabil-

1 70

Gli interessi matematici

mente, dal perfetto all'approssimato, dall'ente all'esistente, dall'iperura­ nio al mondo empirico. Questo vuoi dire che deve necessariamente esistere un mondo delle idee, sopra il nostro cielo di materia? Non è det­ to ; ma certo esso esiste nella mente dell'uomo, come prodotto ultimo di un particolare tipo di speculazione razionale : il pensiero deduttivo. Questi temi sono caratteristici, da Leibniz in poi, delle più profonde problematiche che i pensatori abbiano saputo suscitare. La matematica, costruita nella sua storia, ossia in un tempo e in uno spazio ben definiti, è puramente la lettura stentata di un'unica, infinita tautologia? O è la cristallizzazione di schemi mentali che la mente dell'uomo sa ideare di volta in volta, ponendo li in essere con la propria attività? Verso questi nuovi temi di riflessione abbiamo creduto di doverci orientare in un nuovo lavoro ; non nel senso che cercheremo di rispon­ dere agli interrogativi suscitati ; ma, più semplicemente, cercheremo di registrare attentamente le risposte più significative che sono state date dal Secolo XVI in poi 1 •

1 Per una storia degli interessi cui abbiamo accennato si veda B. D'Amore, M.L.M. Matteuzzi, Gli interessi matematici, dal 1 600 a oggi, vol. II, Venezia, di pros­ sima pubblicazione ; per una storia più strettamente matematica dell'età moderna si veda B. D'Amore, M.L.M. Matteuzzi, Dal numero alla struttura, Bologna, 1 97 5 .

171

INDICE DEI NOMI

Abel, 1 1 7 Abelardo, 3 8 Achille, 2 8 , 2 9 Agostino, 70, 7 1 Alberto di Sassonia, 1 09 Alessandro Magno, 43, 5 2, 64 AI-Farabi, 94 Alighieri, l 04, 105 Allman, 26 AI-Na'mun, 9 1 , 92 Anassagora di Clazomene, 30 Anassimandro, 22 Annibale, 55 Annibale della Nave, 1 1 3 Anselmo d'Aosta, 98, 99, 1 02 Antifonte, 1 1 0" Apollonio, 5 7, 5 8, 59, 6 1 , 64, 69, I l i Archimede, 34, 43, 47, 50, 5 2, 5 3 , 54, 5 5 , 5 6, 5 7, 65, 69, 1 03, I l i , 1 1 8, 1 24, 1 5 9

Archita di Taranto, 27, 3 3, 34 Argand, 1 1 7 Aristarco di Samo, 3 5 , 1 1 8 Aristotele, 23, 25, 26", 30, 34, 3 5 , 3 6, 3 7, 38, 39, 43, 47, 5 2, 69, 70, 90, 1 0 1 , 1 0 3 , 1 09,

I lO Arnauld, 1 4 7 Aryabhata, 8 5 , 8 6 Averroé (Ibn Roschd), 95 Avicenna (Ibn Sina), 95

Bacone, 1 03, 109 Barrow, 1 29, 1 30 Bernoulli Daniele, 1 62 Bernoulli Giacomo, 1 09, 1 44 Bernoulli Giovanni, 1 6 1 Bernoulli Nicola, 1 62

Bhascara, 1 30 Bhaskaracarya, 8 5 ", 8 6 Boezio, 4 1 Bombelli, 1 1 6, 1 1 7, 1 30 Bonifacio VIII, 105 Borelli, 1 1 8, 12 7 Bouvelles, 1 4 3 Boyer, 1 09, 1 4 1 , 1 44" Brah magupta, 8 6 Briggs, 1 60 Brouwer, 3 8 Brunschvieg, 8 5 " Buddha, 7 4 , 8 5 Burgi, 1 5 9, 1 60 Burley, 1 09

C accini, 1 1 8 Campano da Novara, 1 03, I l i Cantor, 70, 1 09" Carcavi, 1 5 2 C arlo Magno, 90 Cardano da Milano, 1 1 2, 1 1 3, 1 1 5 , 1 1 6 Carruccio, 28, 43", 85", 1 04, 1 05 " C artesio, 6 1 , 1 06, 1 30, 1 3 1 , 1 3 3, 1 34, 1 3 6, 1 3 7, 1 3 8, 1 3 9, 1 4 1 , 1 42, 1 43, 1 45, 1 46, 1 49, ! 50

Castelli, 1 2 1 , 1 24 Cataldi, 1 2 1 Caterina I, 1 62, 1 66 C avalieri, 1 1 8, 1 2 1 , 1 22, 1 23, 1 24, 1 25 , 1 26 Cesi, 1 1 8 Cicerone, 5 5 " Clairant, 1 30 Clavio (Ciavius), 1 3 3 Coleurs, 9 3 Confucio (Kung-fu-tse), 7 4 , 7 7

Indice dei nomi

1 72

Copernico, 6 5 Crisippo, 4 1 , 4 3 " Crisostomo, 7 0

D'Alembert, 1 66, 1 6 7 Dal Ferro, 1 1 2, 1 1 3 , 1 1 4 D'Amore, 28", 38", 1 08", 1 70" Dedekind, 1 20 Degli Angeli, 1 26, 1 2 7 De' Ricci d a Fermo, 1 1 8 Democrito di Abdera, 3 1 , 1 0 9 De Morgan, 1 6 7 Diderot, 1 6 7 Diofanto, 6 6 , 6 7 , 6 8 , 69, 8 9 , 94, 1 1 1 , 1 29, 1 3 8, 1 5 2, 1 5 3

Dinostrato, 5 2 Diogene, 2 1 D'Oresme, 1 30, 1 3 1 , 1 5 9" Domenico (san), 1 0 1

Eloisa, 9 8 Empedocle d'Agrigento, 30 Enrico IV, 1 28 Enriques, 26, 28, 1 00, 1 1 6" Epicuro, 1 09 Eraclide Pontico, 3 5 Eraclito d i Efeso, 30 Erone, 64, 65, 1 00 , 103, I I I Euclide, 3 3 , 34, 4 3 , 44, 4 5 , 46, 5 2 , 5 7 , 5 9 , 64, 65, 69, 94, 99, 1 1 8 , 1 23

Eudemo, 43 Eudosso, 3 3 , 34, 45 Euler, 1 5 2, 1 5 3 , 1 54, 1 5 9, 1 60, 1 6 1 , 1 62, 1 63 , 1 65 , 1 66 , 1 6 7, 1 68 , 1 69

Galeno, 42" Galilei, 105, 1 1 7 , 1 1 8 , 1 1 9, 1 20, 1 2 1 , 1 23 , 1 24, 1 3 3 , 1 3 8 , 1 43

Galois, 1 1 7 Gassendi, 1 4 1 Gauss, 1 1 7, 1 5 3 Gelone, 52, 5 5 Gengis Khan, 9 1 Gerone, 52, 5 5 Geulinx, 1 4 7 Geymonat, 9 3 Giamblico, 26", 6 9 Giansenio, 1 4 5 Giovanni (Maestro), 1 00 Girard, 1 30 Giustiniano, 89 Gombaud, 1 44 Giorgia di Leontini, 3 1 Grassi, 1 1 9 Gregorio da Rimini, 1 09 Gregorio di San Vincenzo, 1 2 1 Gregorio Nazianzeno, 70 Grossatesta, l 09 Guglielmo di Champeaux, 9 7 , 98 Guglielmo di Moerbeke, 1 0 3 Guglielmo d i Ockham, 1 05 Guido da Montefeltro, l 05

Harriot, 1 30 Harun al Raschid, 90 Heiberg, 5 5 Herigone, 1 30 Hoppe, 1 09 Hui Shih, 7 5 Huygens, 1 26

Eutocio di Ascalona, 69, 1 03 Evellin, 29"

Favaro, 1 20 Federico Il, 1 0 1 Federico il Grande, 1 66 Ferecide di Siro, 1 9 Fermat, 1 26, 1 3 7 , 1 4 3 , 1 49 , I SO, 1 5 1 , 1 5 2, 1 5 3 , 1 54, 1 5 9, 1 60, 1 66

Ferrari, 1 1 3 , 1 1 6 Filippo Il, 1 28 Filolao di Crotone, 2 7 , 3 5 Filone Megarico, 4 1 Florido (Dal Fiore), 1 1 2 Fulberto, 98

lpparco, 34 lppazia, 6 9 Ippia d i Elide, 49, 5 2 lppocrate di Chio, 5 l

Jacob, 1 5 9 J ungius, 1 4 7

K'ang yu-wei, 74 K ant, 1 02, 1 03 Keplero, 1 5 9 Khayyam, 94, 1 4 2

Indice dei nomi

Krebs (Cusano), I l O Kumarajiva, 76 K ung-sun Lang, 7 5 , 76

Laerzio, 2 1 Lagrange, 1 6 3 Lao-Tse, 74 Lattanzio, 70 Leibniz, 1 02, 105, 1 26, 1 30, 1 44, 1 4 7, 1 5 2, 1 5 3, 1 69, 1 70

Leonardo da Pisa (Fibonacci), 99, 1 00 Leone l'Armeno, 9 1 Leucippo, 1 09 Livio Tito, 5 5 Lorini, 1 1 8, 1 1 9 Lucrezio, l 09 Lullo, 1 02, 1 03 Lukasiewicz, 4 1

Maometto, 1 1 8, 1 26 Marcello, 5 5 , 5 6 Marino, 69 Mariotte, 1 4 7 Matteuzzi, 38", 108", 1 70" Mengoli, 1 1 8, 1 26 Mencio, 75 Menecmo, 5 2, 57 Meng-Tse, 7 5 Mersenne, 1 42, 1 4 5 Milhaud, 28 More, 1 50 Muhammad Ben-Musa AI-Khuwarizmi, 92, 9 3 , 94

Napier, 1 5 9, 1 60 Needham, 73 Nemorario, 1 0 1 , 1 09 Nestorio, 90 Newton, 1 26, 1 30, 1 50, 1 5 1 , 1 5 9, 1 6 3, 1 69 Nicola d'Oresme, 1 06, 1 07, 108 Nicole, 1 4 7 Nicomede, 5 1 Noel, 29"

Ockham, 1 04 Oresme, 1 50 Orsini, 1 1 9 Oughtred, 1 30

1 73

Pacioli, 1 00 Pappo, 66, 89 Parmenide di Elea, 2 7 , 29 Pasca!, 1 42, 143, 1 44, 145, 1 4 6 , 1 48 Périer, 1 4 2 Piccolomini, 1 1 9 Pisano, 1 0 1 Pitagora, 2 2 , 2 3 , 2 5 , 2 7 , 3 3 , 4 5 , 8 5 Platone, 2 1 , 30, 3 1 , 32, 3 3 , 47, 49, 5 1 , 52, 70, 90

Plinio, 2 1 Plotino, 69, 70 Plutarco, 2 1 , 5 5 Polo Marco, 7 6 Porfirio d i Tiro, 4 1 , 6 9 , 70 Proclo di Costantinopoli, 1 7, 4 3 , 69, 89 Protagora di Abdera, 3 1

Record, 1 29 Ricci, 76, 1 1 9 Riese, 1 30 Roberval, 1 2 6, 1 4 3 Romano, 1 28, 1 29 Roscellino di Compiègne, 9 7 Rudolf, 1 30 R uffini, I l 7 Russell, 26", 102

Sacrobosco, I O l Savasorda, 1 00 Scoto, 1 09 Senofane, 27 Senofonte, 3 I Socrate, 3 1 , 32, 9 7 Stevino, 1 30 Stifel, 1 5 8, 1 5 9

Tamerlano, 9 1 Tannery, 28 Talete di Mileto, 1 9, 20, 2 1 , 22 Tartaglia, 1 1 1 , 1 1 2, 1 1 3 , 1 1 4, 1 1 6 Teone, 69 Tertulliano, 70 Thomasius, 14 7 Tolomeo Claudio, 34, 65, 103 Tommaso d'Aquino, 1 0 1 Tommaso d a Bradwardin, 1 08, 1 09, I l O Torricelli, 1 1 8, 1 1 9, 1 24, 1 25, 1 26, 1 4 2

Indice dei nomi

1 74

Ulugh Beg, 9 1 Urbano VIII, 1 1 9, 1 2 1

Vieta, 1 27, 1 28, 1 29, 1 30, 1 3 1 , 1 3 2, 1 3 3 , 1 3 8 Virgilio, 62" Viviani, 1 1 8, 1 1 9, 1 27, 1 43 Voltaire, 1 66

Wesse1, 1 1 7 Whitehead, 5 6

Widman, 1 29 Winter, 9 1 Witelo, 1 03 Wolskahl, 1 54 Wallis, 1 30, 1 4 7 Wren, 143

Xylander, 1 29

Zamberto, 1 1 1 Zenone di Elea, 27, 28, 29