Genesi 1-11
 8821167208, 9788821167201

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GENESI 1-11 a cura

di J. Alberto Soggin

MARIETI!

l Edizi one 1991

Redazione: studio Lexis, Torino

C

1991 Casa Editrice Marietti S.p.A. Via Palestro 10/8- Tel. 010/891254 16122 Genova

ISBN 88-211-6720-8

Indice

9

Prefazione

11

Introduzione generale Prima parte La creazione secondo la tradizione sacerdotale

(l,1-2,4a)

Introduzione alla prima parte (1,1-2,4a) l. Il primo giorno della creazione (1,1-5) 2. Il secondo giorno della creazione (1,6-8) 3. Il terzo giorno della creazione (1,9-13) 4. Il quarto giorno della creazione ( 1 ,14-1 9) 5. Il quinto giorno della creazione (1,20-23) 6. Il sesto giorno della creazione- prima opera (1,24-25) 7. Il sesto giorno della creazione - seconda opera (l ,26-31) 8. Il settimo giorno della creazione (2, 1 -4a)

23 28 37 38 40 41 43 44 47

Seconda parte La creazione secondo la tradizione

«

jahweista»

(2,4b-25)

Introduzione alla seconda parte (2,4b-25) 9. La creazione dell'uomo in«]» (2,4b-7) 10. Il giardino di Eden (2,8-14) 11. L'uomo nel giardino: compiti e divieti (2,15-17) 12. La creazione degli animali e della donna (2,18-25)

57 60 62 67 69

6

INDICE

Terza parte Il peccato della prima coppia nella tradizione «jahweista» (3,1-24) Introduzione alla terza parte 13. Seduzione e caduta (3,1-7) 14. Scoperta e rimprovero (3,8-13) 15. Maledizione e condanna (3, 14-19) 16. L'espulsione dall'Eden (3,20-24)

77 80 83 86 89

Quarta parte

I discendenti della prima coppia (4,1-27) Introduzione alla quarta parte (4,1-27) 17. Caino ed Abele (4,1-16) 18. Discendenti di Caino (4,17-24) 19. L'ultimo figlio della prima coppia (4,25-26)

93 94 101 104

Quinta parte Genealogia dei patriarchi antediluviani (5,1-32) Introduzione alla quinta parte (5,1-32) 20. Genealogia dei patriarchi antediluviani

109 111

Sesta parte Nascita di giganti ed eroi (6,1-4) Introduzione alla sesta parte (6,1-4) 21. Nascita di giganti ed eroi (6,1-4)

119 120

Settima parte Le narrazioni del diluvio «]» e «P» (6,5-8,22) Introduzione alla settima parte (6,5-8,22) 22. Annunzio del diluvio (6,5-22) 23. Svolgimento del diluvio (7, 1-24) 24. La fine del diluvio (8,1-22)

125 128 132 136

INDICE

7

Ottava parre Noè dopo il diluvio (9,1-29) Introduzione all'ottava parre (9,1-29) 25. Il comandamento del sangue (9,1-7) 26. L'alleanza universale (9,8-17) 27. Noè e i suoi figli (9,18-29)

149 150 151 155

Nona parre La «tavola dei popoli» (10,1-32) Introduzione alla nona parre (10,1-32) 28. La «tavola dei popoli» (l O, 1-32)

161 162

Decima parre La torre e la città di Babilonia (11,1-9) Introduzione alla decima parre (10,1-32) 29. La torre e la città di Babilonia (11,1-9)

173 174

Undicesima parte Genealogia di Seme nascita di Abramo (11,10-32) Introduzione all'undicesima parte (11,10-32) 30. Genealogia di Sem e nascita di Abramo (11, l0-32)

183 184

Bibliografia generale

189

Indice delle persone, dei concetti e delle cose notevoli

207

Indice dei vocaboli

210

Indice dei passi biblici

211

Indice dei testi non biblici

216

Indice degli autori

217

Prefazione

Questo commentario al libro della Genesi ha mosso i suoi primi passi, come del resto gran parte delle mie pubblicazioni , in lezioni accademiche tenute all'Università di Roma - La Sapienza, alla Facoltà valdese di Teologia di Roma e al Pontificio Istituto biblico di Roma; alcune sue parti sono state presentate come relazioni a convegni e congressi. La stesura di questo primo volume, che comprende i capp. 1 - 1 1 , dun­ que la cosiddetta «Narrazione delle origini >> , è avvenuta a New York nel­ l'autunno 1 987, durante un soggiorno di studio presso la Columbia Uni­ versity, nel contesto di uno scambio di docenti con l'Università di Roma La Sapienza. A queste due università che hanno perfezionato il progetto di scambio da pochi anni e specialmente al Dipartimento di studi orientali della Sapienza e al Deparcement of Middle East Languages and Cultures di Columbia esprimo la mia gratitudine, che estendo all'Union Theological Seminary che ha messo a mia disposizione la sua splendida biblioteca. Sono grato anche ai colleghi R.P. Merendino e G.L. Prato, del Comi­ tato direttivo, per importanti suggerimenti e consigli nella redazione finale del lavoro. Ho cercato di mantenere la bibliografia aggiornata a tutto il 1989. Università di Roma - La Sapienza Inverno 1990

J. Alberto Soggin

Introduzione generale

l. a) Il libro della Genesi si chiama in ebraico lhe'IIt.., dalla parola ini­ ziale del libro, «in principio» . Il nome che porta attualmente nelle t,radu­ zioni occidentali è quello della Bibbia greca, la traduzione dei LXX. E, an­ cora, il primo libro del Penrateuco, in ebraico t8riih, termine che in questo contesto significa «l'insegnamento (per eccellenza) » : è infatti la parre nor­ mativa della Bibbia per l'ebraismo, una specie di canone nel canone. Il libro si divide in due o in tre sezioni, a seconda che separiamo la narrazione di Giuseppe dalle tradizioni patriarcali o meno: la narrazione delle origini, capp. 1 - 1 1 (alla quale è dedicato questo primo volume); le leggende sulle migrazioni dei patriarchi, capp. 12-48, dalle quali possiamo appunto scorporare la storia di Giuseppe, capp. 37 e 39-48 . In un'appendice abbiamo infine il cap. 49, in massima parte una raccolta di detti patriarcali che ab­ biamo a suo tempo 1 classificato come «antica poesia ebraica>> ; e il cap. 50, una specie di epilogo alle tradizioni patriarcali . b ) La narrazione delle origini inizia con la creazione dell'universo se­ condo « P » , per giungere alla tavola genealogica di Abramo, una composi­ zione mista «P>> e «) » . Le narrazioni patriarcali trattano successivamente di Abramo, !sacco e Giacobbe e dei loro figli, e si compongono delle fonti «) » , « E » e « P » , con inserti qua e là che sono stati classificati come dtn. o dtr. La storia di Giuseppe infine narra le disavventure e le avventure di questo figlio di Giacobbe, dalla sua suprema umiliazione alla sua brillante carriera che lo conduce fino alla posizione di vizir alla corte del Faraone e secondo solo a questi . In essa sono state riscontrate le tradizionali fonti «) » , > e

, anche se sono sempre più numerosi gli autori che vedono nel racconto un'appendice indipendente dalle fonti, di origine verosimilmente tardiva, forse da datarsi addirittura in epoca ellenistica; le sue funzioni principali sono quelle di collegare il motivo delle migrazioni patriarcali con quello dell'Esodo. In altre parole, la Genesi va dalle origini dell'universo all'inizio del soggiorno d'Israele in Egitto. c) La narrazione delle origini è composta in gran parte di miti , un elemento che appartiene in maniera inevitabile al genere letterario. Il ter­ mine non deve causare inutile scandalo: se è vero, infatti, che in passato s'insisteva sul carattere storico dei racconti biblici, un elemento che esclu­ deva il mito, è chiaro che questo genere di discorso è inapplicabile al tipo 1

SoGGIN 1987\

110 ss.

12

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di narrazioni in questione; quando si parla di un'età dell'oro nella quale nes­ suno, uomini o animali, aveva il bisogno d'uccidere né peccava in qualche maniera, di uomini che peccano e cadono, di altri che inventano arti e me­ stieri , di un diluvio come pena per le colpe commesse, della costruzione di una città e di una torre come elemento che attira l'odio della divinità sui costruttori perché fatta con hjbris e magari per spodestare lo stesso Dio, ab­ biamo a che fare con generi narrativi per i quali soltanto il termine > e , il primo verosimilmente il redattore finale di tutto il Pentateuco. Non è necessario in questa sede descrivere l'ipotesi documentaria ed i criteri per l'assegnazione dei passi alle singole fonti , né dobbiamo preoccuparci qui della datazione di queste ultime 8• Basti ricordare che alcuni studi recenti tendono ad abbassare notevolmente la data dello «) » , collocandola in epoca di poco anteriore al ' Westermann, 3.

6

lo. 'Cfr. SoGGI N 1 987", 1 28 ss. • Io., cap. 8.

14

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dtn. 9• Dovremo dunque probabilmente dire addio ai tentativi di datare «] » in epoca più antica, per esempio al sec. IX a.C. (così ancora Westermann 10)? Vi sono elementi importanti per rispondere affermativamente a questa do­ manda: il futuro riserva poco o nessun credito alle ipotesi che prevedono datazioni antiche per le fonti (nei limiti entro i quali quest'ul­ tima esiste). Il che non esclude, come del resto già affermato (sopra, p. 1 2), ch'esse possano averci trasmesso materiali anteriori , talvolta veramente an­ tichi . b) Riguardo alle altre due fonti, l' «E» ed il dm. o dtr. 11, si può affer­ mare che sono assenti dalla narrazione delle origini. Tentativi di trovarvi almeno «E>> , per esempio nella formula «]HWH 'efohim» dei capp. 2 e 3 , possono considerarsi falliti: per questa insolita formula non esistono, allo stato attuale delle ricerche, spiegazioni valide. Del resto non pochi autori hanno manifestato la loro perplessità riguardo all'esistenza di una fonte au­ tonoma , sia che si tratti di materiali complementari allo «]>> , sia ch'essi vadano classificati come proto-dtn./dtr. Tali perplessità vengono alimentate anche dalla scarsa consistenza dei materiali attribuibili ad e dal carattere sempre frammentario dei testi (unica eccezione di una certa dimensione: Gn 2 2 , 1 ss.). Comunque sia, le narrazioni patriarcali sono composte dalle tradi­ zioni , > 4• Di questa cosmogonia ci occuperemo al v. 2. Il nostro testo precorre quindi altre scoperte ed altri tempi scientifica­ mente più avanzati; ma per ora gli autori non sanno che farsene di quella che ovviamente avrebbe potuto essere un'importante scoperta, foriera di altre in campo scientifico. In quarto luogo i nostri testi ci mostrano un universo eticamente neu­ trale in quanto spersonalizzato: quando il testo afferma che una cosa creata 4 ID.

26

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è «buona» (una volta, al v. 3 1 , si afferma ch'era > , come egli s'esprime, non mi è però chiaro: il fatto resta che otto opere sono state compresse i n 'ID., 4 5 .

6

Jacob, 43.

INTRODUZIONE AllA PRIMA PARTE

27

sei giorni; che le opere divine non possono essere contate è vero solo gene­ ricamente, ma non qui, dove invece il loro numero è chiaro. Ma che otto opere siano state compresse in sei giorni dimostra che la settimana liturgica israelitica non appartiene al testo nella sua forma originaria, ma gli è stata sovrimposta in un secondo tempo. E l'Humbert vede il contesto di quest'o­ pera nella li turgia dell'anno nuovo ebraico qual era celebrato nel tempio di Gerusalemme, festività che fino al giorno d'oggi cade nell'autunno. Antica­ mente lo scopo di quella festa sarebbe stato quello di celebrare ed attualizzare per la comunità credente l'opera creatrice e provvidenziale di Dio. Nella liturgia la comunità avrebbe dunque rivissuto l'esperienza del Dio creatore e conservatore dell'universo, liturgia che venne poi organizzata in una set­ timana culminante nel sabato. La tesi dell'Humbert è stata frattanto ribadita e perfezionata da M. Weinfeld 7, il quale connette la creazione e il > ; indica correntemente la «primizia>> di un prodotto agricolo, considerata la parte più nobile. Può indicare anche, come qui , categorie temporali qual i «principio» , > . Inceso in forma assoluta, il termine si trova all'inizio della proposizione, dunque in posizione enfatica, per cui indica il principio, l'inizio in senso assoluto 1 ; ed effettivamente prima della creazione può es­ servi soltanto il nulla (cfr. al v. 2). Le varie trascrizioni greche hanno �p11me, forma che conferma la vocal izzazione massoretica; varianti «sporadiche>> (Skinner) hanno però anche �> (cfr. ivi). Nel nostro capitolo 'fh appare dunque sinonimo di br', solo che per questo ultimo soggetto o l'agente è sempre Dio. Contrariamente all'opi nione di P. Humbert 2, il termine tecnico-teologico non può essere antico; ed infatti non è attestato in Israele prima dell'esilio né altrove 3• Del resto l'uso di un termine tecnico del genere presuppone una fase avanzata della riflessione , riflessione giunta alla conclusione che la creazione, in quanto opera della divinità, costituisce qualcosa di sostanzialmente diverso da altre attività crea­ trici non divine (oggi, per esempio, dell'arte, della scienza, della moda). « Il cielo e la terra» indicano rispettivamente il mondo superiore e quel­ lo inferiore, terreno, dove risiede l'umanità. Insieme formano l'universo, il cosmo. Non vengono menzionati gl'Inferi, il terzo elemento di un universo miticamente concepito a tre piani , probabilmente perché considerati la re­ gione situata al difuori della sovranità diretta di Dio. Abbiamo qui un primo esempio dell'uso di una forma letteraria speciale, il «merismo» : per mezzo di questa la totalità viene indicata con l'uso di termini contrari ; «cielo e terra>> indicano quindi l'universo ordinato, completo in tutte le sue parti. Non si potrebbe pertanto affermare che Dio si sia limitato a creare la materia amorfa contenente gl'ingredienti , !asciandola poi allo stato di caos, in attesa di essere riordinata; anche Is 45 , 1 8 rileva giustamente la contradd izione che sarebbe insita nel concetto di creazione di un caos . Altri elementi al v. 2 . L'unica vera difficoltà con l a quale l o studioso dei vv 1 -3 s i confronta è quella dell 'ordine sintattico da attribuire ai suoi vari componenti . Sopra, nella prima linea offro la traduzione tradizionale: il v. l vi appare allora come una frase programmatica, come una specie di sommario del contenuto di tutto il capitolo, da separare nettamente dai vv . 2 ss. La sua formulazione è lapidaria, e la parola iniziale vi va letta allo stato assoluto. Tale è stata la resa di tutte le antiche traduzioni : LXX, 'A, I:, E> e Vg . , confermate dalle varianti in ba- e da Sam . In questa direzione ci conduce anche l'accento mas­ soretico (ifo.a' che ind ica la separazione dal proprio contesto della parola così messa in evidenza 4; similmente anche il riferi mento implicito al nostro ver­ setto in Gv l , l nel Nuovo Testamento. Tale resa ha dunque una lunga ed autorevole tradizione in proprio favore. Il problema che lascia però insoluto è quello dei rapporti tra i vv l e 2, e la proposta che il v. 2 riprodurrebbe, sia pure in forma altamente demitizzata, resti di antiche concezioni mi tiche afferenti alla cosmogonia, si collocherebbe allora in forma antagonica nei confronti dell'affermazione programmatica del v. l . Nella nota riproduco invece una proposta dì traduzione che va facendosi sempre più strada. Essa è tutt'altro che nuova: si fonda infatti , come tra poco vedremo con maggiori dettagli, su di una lunga tradizione esegetica in seno .

.

2 HUMBERT 1947. l Cfr. GesHw18 s. v. 4 GesK § 1 5 f. 5 .

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all'ebraismo, per essere poi sviluppata in forma sistematica da due studiosi medievali, Ra.Si ed Ibn-Ezni'. Essa ha molti elementi in proprio favore, tanto che sono sempre più numerosi gli studiosi che oggi l'adottano. Invece di in­ tendere bere'Jìl allo stato assoluto, come lo troviamo soltanto in Sir 1 5 , 14 ('efohim mibbere'sit bara' 'a#m) 5 e in P ro 8,22, emend. sec. la Syr. : ]HWH qanani [be] re'Jìl darko: «Il Signore mi ha creata [sogg. «la Sapienza»} dall'i­ nizio del suo dominio», ma il testo non è guasto e dà un ottimo senso così com'è, per cui l'emendamento non è necessario; in ogni caso non abbiamo a che fare neanche qui con un termine nello stato assoluto), il termine andrebbe qui letto allo stato costrutto, come del resto in tutte le attestazioni nella Bib­ bia ebraica; in questi casi regge la specificazione dell'elemento il cui principio, il cui inizio viene segnalato; per cui qui reggerebbe tutta la frase che segue. B. Jacob è l'unico che respinge questa versione in maniera decisa, ma con argomenti poco convincenti. Per un buon esame delle possibilità si può vedere C. Westermann 6 , il quale propende però per la resa tradizionale. Una co­ struzione del genere appare, certo, macchinosa in ebraico, ma non manca di attestazioni 7 ed è conosciuta anche in ugaritico 8• E la medesima macchino­ sità dello stile appare nel citato mito babilonese enilma elif 9 che recita: «Quando in alto il cielo non era ancora stato menzionato - né in basso la terra portava ancora un nome . . . [segue la lista dei vari elementi non menzio­ nati o comunque inesistenti}. . . , allora gli dèi vennero creati nel loro mezzo . . . » ; esso ritorna anche i n G n 2 ,4b ss., per cui lo stile sembra appartenere al genere letterario «Cosmogonia» , in Mesopotamia come in Ugàrit ed in Israele. Vo­ calizzare il verbo all'infinito costrutto: bero' com'è stato fatto sovente in pas­ sato e viene proposto ancor oggi (Westermann) non è necessario. Come accennato poc'anzi , la proposta di rendere la frase in questa se­ conda maniera è attestata in una serie di scritti rabbinici 10 , ma la sua pre­ sentazione sistematica è dovuta agli esegeti ebraici medievali Ra.Si di Troyes (R. Selomoh b. Ji�}:iaq, ca. 1 040- 1 105) ed Abraham b. Me'ir Ibn-Ezra' (ca. l 092- 1 1 67). Il primo propone: > ; il secondo: «In principio, quando Dio creò . . . (la terra era . . . ), allora Dio disse . . . » . Orbene, dal punto d i vista grammaticale e sintattico ambedue le rese sono possibili, sia quella tradizionale, sia quella più complessa delle due va­ rianti (si noti: se vedo bene, nessuna delle grammatiche ha finora affrontato il problema); pertanto la scelta in favore dell'una o dell'altra avviene spesso per varie ragioni, tutte non filologiche: logiche, teologiche ed altre ancora, ma in ogni caso fondate su valutazioni soggettive e quindi di dubbia vali­ dità 1 1 • Gli studiosi si dividono in parti praticamente uguali in favore del­ l'una o dell'altra scelta, apportando argomenti considerati validi a sostegno ' Cfr. VATIIONI 1 964 . Westermann, 1 3 0- 1 3 5 . ' Cfr. GesK § 130 d . 8 Cfr. UT § § 8 , 1 6 e 13,68. 9 ANET 60 ss.; cfr. HEIDEL 1 9 5 1'; SAPORETII 1984; SEUX 1 98 7 . 6

10

ScHiì.FER 1981.

" Per un elenco dei vari autori e delle loro proposte cfr. W.H. ScHMIDT 1 967, 74, n. l e Westermann, 13 2 .

GN

1,1-5

31

della propria tesi. U n esempio d i questi criteri non filologici e delle conse­ guenze alle quali possono condurre mi sembra che si possa ravvisare nel clas­ sico commentario di G. von Rad: egli preferisce la traduzione tradizionale perché, egli sostiene, altrimenti ci troveremmo di fronte all'incongruenza teologica dell'esistenza di un caos anteriormente alla creazione. Ma si tratta anzitutto di una conclusione non necessaria: caos significa originariamente «il vuoto» , dunque «il nulla» , per cui la tensione segnalata non sussiste; poi la conclusione è metodologicamente dubbia: prima dobbiamo infatti avere una visione chiara di quel che il testo intende dire esattamente, e soltanto dopo possiamo trarne delle conclusioni 1 2 • Il problema resta dunque aperto, ma segnaliamo che allo stato attuale delle ricerche molto milita in favore della proposta di Ra.Si e di Ibn-Eznf . Una recente proposta è quella di K. Deurloo 13• Essa si oppone sia alla traduzione tradizionale, sia a quella proposta dall'esegesi giudaica medievale: vocalizzare ba-, da intendersi in forma strumentale, «per mezzo di » ; re'Jtt è allora da identificare con «la sapienza» secondo il citato passo Pro 8,22 e da intendersi come equivalente a tO-rah, secondo quanto afferma Sir 24,2 3 . La proposta, che ricorda il genere letterario dell'antico peier giudaico e del tar­ gum, è degna d'interesse, perché offre un'alternativa alle altre due; ma non convince, perché, se sta scritto che JHWH creò la Sapienza all'inizio di ogni cosa, non si legge ch'essa preesistesse; per cui non può esser stata lo stru­ mento mediante il quale la creazione ebbe luogo.

V. 2 - Si noti come, invece della costruzione ordinaria col lwawl con­ secutivo e l'imperfetto (watteht), il discorso viene anche qui introdotto da un sostantivo in posizione enfatica, come in 1 , 1 e 3 , 1 ; Es 3 2 , 1 Oacob). La presenza del verbo «essere» (che non può essere inteso come copula, inesi­ stente nelle li ngue semitiche) 1 4 indica la «condizione» , la della terra al momento della creazione; anzi, la creazione si pone in forma anta­ gonica nei confronti di tale situazione. Il «cielo>> non viene più menzionato (forse per le ragioni segnalate dal Sal 1 1 5 , 1 6: Jacob); riappare più tardi, in forma indiretta, quando nel v. 6 (cfr. ivi) viene creata la volta celeste. E questa condizione viene descritta mediante la menzione di quattro elementi: tiihU wabohiì, tenebre, vento ed abisso. tiihiì, probabilmente in Filone di Biblo n:o9oç, sem . *thw, «desiderio» , è l'elemento che unisce le componenti del caos 15; biihiì viene talvolta associato alla divinità babilonese bau (scritto anche baba), ma è più verosimile pensare alla �rux,u di Filone di Biblo (il quale cita a sua volta uno scrittore fenicio, Sancuniatone di Biblo), riportato in Eusebio di Cesarea 16, identificata con le «tenebre » , la « notte». I due termini sono assonanti ed il secondo non appare mai senza il primo (cfr. altrove Is 34, 1 1 e Ger 4,23) 1 7 • 12

LANE 1 963.

13 DE URLOO 1 986. 14 GesK, § 1 4 1 f.

1 5 GARBINI 1 985 , 4 1 . 16 Praep. I, l O ( M PG 2 1 , 7 5 ss.): i l testo i n Skinner, 48 ss. e TROIANI 1974. 1 ' Su questo tema cfr. soprattutto MOSCATI 1 94 7 ; EISSFELDT 1 940; L0KKEGARD 1954; TRO­ JANI 197 4 (con bibliografia, i testi alle pp. 77 ss .) ; GARBINI 1 982, 1 9 8 5 .

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Il primo dei due termini può apparire anche senza il secondo e viene a volte relazionato col deserto, ma sempre nella sua accezione più negativa, di luogo orrido e vuoto. Presi insieme, i due termini, a seconda del contesto, possono indicare il caos, il nulla o vuoto, ma anche la situazione di una regione dopo che vi è passata la furia della guerra (Ger 4,23). È importante notare anche che si tratta di due sostantivi, non di aggettivi , e per di più senza l'articolo, il che suggerisce che si sia trattato in origine di nomi pro­ pri. Sono dunque errate le traduzioni dei LXX e della Vg . , che hanno ag­ gettivi ; sono invece esatte quelle di 'A e e che hanno rispettivamente KÉvo­ ll> , ed è interessante con­ statare che il nostro testo sembri usare la terminologia fenicia, pur avendola ormai privata di gran parte della sua carica mitica originaria. tohfi wa/zohfi sono stati recentemente esaminati da D.T. Tsumura 18• Sulla scorta di pa­ ralleli specialmente ugaritici 19, propone d'intendere l'espressione non già come «caos» , ma come «vuoto» ovvero «un luogo improduttivo e disabi­ tato » . Ma cos'altro è il caos, se non appunto il «VUOtO» , il « nulla» ? Cfr. sopra, p. 3 1 , e pp. 48 ss. Ai due termini citati fanno riscontro due altre descrizioni della situa­ zione: «tenebre sopra l'abisso» e «un vento impetuoso sopra le acque» . Il primo termine si distingue dalla notte ordinaria: si tratta infatti delle tene­ bre primordiali, che Filone di Biblo chiama ÉpEjXi)&:ç, «simili all'Erebo » , dunque spaventose e mortali. I l secondo termine non dev'essere messo in relazione né col vento ordinario, né tanto meno con lo Spirito divino 20; si riferisce invece alla bufera primordiale, quella stessa che Dante ritrova al­ l'Inferno (V, 3 1 ss.). Dal punto di vista grammaticale è certamente possibile tradurre sia «lo Spirito di Dio» sia «Un vento da parte di Dio» sia «Un vento impetuoso» ; ma la sua elencazione tra i fenomeni caotici rende inverosimile una sua spiegazione in termini puramente atmosferici, come anche un rife­ rimento allo Spirito: quest'ultima proposta, ch'è quella tradizionale, non solo ci obbliga a scorporare l'espressione dal contesto caotico, ma lascia aperto il problema di come mai lo Spirito divino non produca qui alcuno di quegli effetti che la sua opera produce altrove nella Bibbia ebraica. Tradurre «Un vento da parte di Dio>> , come appare frequentemente nell'esegesi ebraica tra­ dizionale (Jacob) 21 non fa molto senso ed obbliga ugualmente a scorporare il testo dal contesto caotico. Se invece adottiamo la tesi che si tratta di un ennesimo elemento caotico, ci troviamo davanti ad un uso di 'e/ohim più volte attestato (Gb 1 , 1 6; Sal 36,7 ; 80, 1 1 ed ls 1 4 , 1 3) per indicare un su­ perlativo, dunque «un vento impetuoso» . Anche le altre sono tecnicamente possibili e per la resa con «Vento da parte di Dio» abbiamo il Tgo ed il Talmud (bHag 1 2a), forse in relazione col vento che asciuga le acque del diluvio in Gn 8 , 1 , ovvero ad Am 4, 1 3 e il Sal 1 04 ,4 (Jacob). Sono dunque problematiche le rese dei LXX con 1tVEUjla e della Vg. con «Spiritus» (cfr. 18

TsUMURA 1989, 1 7-44. Ma non ho trovato i termini in WUS. Così ancora GARBINI 1985, 4 3 . 2 1 Cfr. DEURLOO 1 986, che sviluppa proprio questa resa del termine. 19 20

GN 1 , 1-5

33

l'inno medievale Veni Creator Spiritus. . . ). Anche «l'abisso» e le «acque» (dove queste sembrano essere una specie di descrizione di quello) indicano un'altra entità caotica. K. Deurloo 22 invece, propone d'intendere né lo «Spirito» , né un «vento impetuoso» , ma il «respiro di Dio » ; però non segnala altri passi nei quali tale concetto viene sviluppato. Contrario a questa presentazione appare G. Garbini 23 per quello che riguarda la resa di rfìa�. Egli nega che il termine possa essere reso qui con «VentO>> : troppo solenne gli appare il testo, perché possiamo attribuirgli l'u­ so di «Dio» in maniera avverbiale; e poi il verbo ra�af indica «il volo lento dell'aquila» in Dt 3 2 , 1 1 e non il soffiare caotico; pertanto egli mette in relazione il termine, come già prima di lui O. Eissfeldt 24, col termine 1t69oç, «desiderio>> di Filone di Biblo, termine che potrebbe esserne la traduzione in greco (rua� indica, oltre che spirito e vento, anche ); ma il termine (del quale ci occuperemo tra poco) è un tris-legomenon in ebraico biblico, per cui non è facile una sua resa sicura; ed immaginarci lo Spirito che vola lentamente è anche un concetto piuttosto strano. Piuttosto va notata la confusione del testo di Eusebio, resa tale un po' per la traduzione in greco, un po' forse anche per incomprensione dell'originale e la sua forzata elleniz­ zazione 25, per cui rende se non in forma molto parziale il significato origi­ nario. Va segnalato infine che molti storici hanno una scarsa opinione di Eusebio di Cesarea, i cui intenti apologetici portano a sottolineare certi aspetti dei testi da lui citati e ad ignorarne altri forse ugualmente se non più importanti; e ciò senza voler far nostro il noto giudizio di Jacob Burck­ hardt, per il quale Eusebio è il «primo fra gli storici dell'antichità ad essere completamente disonesto» . ,ehom, tradotto normalmente con «abisso» , viene generalmente connes­ so con la divinità caotica babilonese ti'amat, con la quale è certamente iden­ tico sul piano etimologico, e contro la quale il dio creatore Marduk, il pa­ trono di Babilonia, vince la propria battaglia. Ormai ha, nel nostro testo, il significato di «abisso primordiale» , elemento costitutivo del caos . Si noti anche qui l'assenza di un articolo. Lo studio citato dal Tsumura traduce, sulla base specialmente dell'ugaritico 26 «oceano sotterraneo» che ricopre la terra, sicché questa può emergere, una volta che le acque si raccolgono (v. 9). Ma ciò non è in contrasto con una traduzione con «abisso». Non mi sembra invece possibile seguirlo quando afferma che si tratta di «parte del cosmo creato { }, ogni cosa sotto il cielo, comprese le acque sotterranee» 27• Abbiamo già fatto e faremo ancora riferimento alla contraddittorietà e quin­ di all'impossibilità del concetto di creazione di un caos. La radice ra�af, della quale ci siamo occupati brevemente poc'anzi, in­ dica, tra l'altro, il «librarsi» del rapace, quando plana col vento; in Dn 3 2 , 1 1 indica il volo lento dell'aquila sopra e a protezione dei propri aquilotti che . . .

22 DEURLOO 1 986. 2}

GARBINI 1 982, 1 33; 1 985, 44.

24 EISSFELDT 1940. 2�

GARBINI 1 982, 1 32 . TSUMURA 1 989; cfr. WUS, 2749. 21 TSUMURA 1 989, 82 ss.

26

34

GENESI 1- 1 1

imparano a volare; i n Ger 2 3 ,9 (ma il testo è guasto) indica, sembra, i l tre­ more delle membra del profeta di fronte al compito sovrumano di annunciare la Parola di Dio. LXX e Vg. hanno rispettivamente É1ttqi pE'tO e «ferebatur » ; ' A , L e e altre varianti della radice Ém(j)Epro. In nessun caso l a radice sembra riferirsi qui al «covare (un uovo)» , significato che può avere invece, in senso derivato, in siriaco, nel senso di «Stendere le ali (sopra l'uovo)» . Il concetto di uovo cosmico appare pertanto essere assente dal nostro contesto; esso ap­ pare, secondo Girolamo, invece nella mitologia fenicia ( «incubabat sive con­ fovebat, in similitudinem involucris ova calore animantÌS>> ) 28, il quale però intende la cosa in maniera solamente figurata, a differenza di alcuni autori moderni. La descrizione del v. 2 è dunque chiaramente connessa con la nar­ razione fenicia del caos, anche se questa non è dovunque chiaramente cap­ tabile solo che « P » , nell'utilizzarla, l'ha demitizzata e posta al servizio del Dio d' Israele. V. 3 - «Dio disse » : Dio dà un ordine e l'esecuzione segue senz'altro. Non ci confrontiamo quindi con un «parlare generico . . . », ma neanche con ...

un o «distinse » : è un terzo verbo connesso con l'attività creatrice di Dio e presuppone un concetto originario, probabilmente più antico, della creazione vista come separazione di vari elementi ancora confusi, una carat­ teristica messa in luce da E. Dantinne 38 e da altri dopo di lui : alla confu­ sione, al vuoto originari subentra la «separazione» , la «distinzione» dei vari elementi . Parte della procedura è attribuire a questi ultimi un nome 39•

V. 5 - Dopo la separazione, il nuovo elemento creato riceve un nome; e si ricordi che nell'antico Vicino Oriente dare un nome è segno di sovranità (per esempio da parte del gran re ad un vassallo). Qui il procedimento ricorda nuovamente enuma elif, dove prima della creazione nessuna cosa porta un nome né viene nominato. lABAT 1959; AHw l, 563. NOTTER 1974; ANET, 4 ss. !4 Cfr. ancora KocH 1965. 1 5 GARBINI 1 985 (cfr. 1969). 16 Per la traduzione che propongo cfr. Al.BRIGHT 1957. 37 Così ancora GARBINI 1985. 38 DANTINNE 1 96 1 . l 9 Westermann, 1 2 1 ss. " Cfr. ll

36

GENESI l-l l

Così si chiude «Un primo giorno» , o, letteralmente, «Un giorno (nu­ mero) uno » , una locuzione attestata anche in ugaritico, jm 'a�d, nel testo RS 24. 260. Incidentalmente, non è importante stabilire quando, secondo l'autore, questo giorno abbia avuto inizio: se di sera, come avviene correntemente nel calendario ebraico fino ad oggi, o in altra ora 40. Il testo dichiara semplice­ mente che un giorno è formato dall'alternanza di tenebre e di luce, indipen­ dentemente da ogni significato cronologico o astronomico del termine.

40

Per un esame delle possibilità cfr. Jacob, 3 5 ss.

2. Il

secondo giorno della creazione (l ,6-8)

6 Poi Dio disse: «Vi sia una volta nel mezzo delle acque, e separi le acque dalle acque ! >> . E così avvenne. 7 E Dio fece la volta e divise le acque al disotto della volta da q ue l l e al disopra della volta. 8 E Dio chiamò la volta «cielo» . Poi fu sera e fu mattina: il secondo giorno.

V. 6 - «Volta» : ebr. raqfa', rad. rq', al pie! «laminare (metalli) » , greco au:pECOJl.Cl, lat. «firmamentum » , indica la volta celeste come appare a chi guarda in alto, al cielo sereno, in seguito alla nota illusione ottica; veniva immaginata come un coperchio metallico a forma di semisfera, che protegge il cosmo escludendone le acque caotiche (cfr. il fenicio mrq' , «conca», «ba­ ci nella» I , che fa riferimento ad un manufatto d'oro). L'accento cade non tanto sull'estensione dell'oggetto, quanto sulla sua solidità (Skinner). Po­ tremmo rendere anche con «Campana metallica» , del tipo utilizzato per le esplorazioni subacquee, o «cupola» . L'oggetto divide le acque caotiche, nel cui mezzo viene collocato, da quelle utili alla terra; esclude dunque le acque dannose. Ne risulta una specie di gerarchia tra le acque: quelle utili e quelle pericolose (jacob). Il manufatto ha, come sappiamo da altri passi, sportelli e chiuse, attraverso le quali l'acqua può riversarsi sulla terra (7 , 1 1 ; 8,2; 28, 1 7 ; 2 Re 7 ,2 . 1 9 e Sal 78,23): in forma normale come pioggia o neve, in un caso eccezionale come quello del di luvio, come di sastro. Secondo Gb 26, 1 1 , esso poggia sopra colonne. «E così avvenne . . . » sta meglio alla fine del v. 6 che a quella del v. 7 dove si trova attualmente, per cui viene g�neralmente spostato qui . Invece alla fine del v. 8 i LXX aggiungono Kaì Ei&v ò eeòç &n KaÀÒV , come nelle sezioni precedenti e seguenti; ma già Gunkel ha visto giustamente che i LXX sembrano essere preoccupati più della simmetria che della logica del testo: soltanto col terzo giorno, i nfatti, come notato già da Ber. Rabba' IV, 6, con la raccolta delle acque in un solo serbatoio, l'opera del secondo giorno può dirsi terminata e quindi considerata « buona » .

1

Iscrizione d i Idalion, Creta, dell'inizio del lV sec. a.C . , KAI 38.

3 . Il terzo giorno della creazione ( 1 ,9- 1 3)

Bibliografia Al.BRIGHT 1 9 5 7 ; FENTON 1 984; FREEDMAN 1 9 5 2 ; HUMMEL 1 9 5 7 .

Poi Dio disse: «Vengano raccolte le acque al disotto della volta in un unico luogo adatto, ed appaia l'asciuttO>> . E così avvenne . lO E Dio chiamò l'asciutto , mentre chiamò il serbatoio delle acque. E Dio vide che an­ dava bene. 1 1 Poi Dio disse: > , ma all'hif. è «hapax lego­ menon >> : forse il termine viene qui coniato , come gioco di parole o, meglio, per paranomasia, cfr. il v. 20 (Jacob). defe' è l'erba in generale, mentre 'efeb indica gli ortaggi: l'erba commestibile per l'uomo. «E alberi . . . » : si aggiunga la congiunzione con l e antiche traduzioni, altrimenti 'i[, diventa solo una glossa ad > : il termine 'adam non è un nome proprio, né tanto meno indica, come in 2 ,4b ss. («) » ), il maschio, ma piuttosto il genere, la specie, come min per le piante e per gli animali: è questa un'altra differenza lessicale tra « P » e «) » . «A nostra immagine e somiglianza» : le preposizioni be- e k!­ prefisse vengono usate promiscuamente nella Bibbia ebraica, per cui non va loro attribuita una particolare sfumatura; le due preposizioni appaiono in ordine contrario in 5 , 1 e in 9,6; felem e Jemut sono anch'essi pressoché sino­ nimi (Jacob). Il primo termine indica la «Statua » , la «riproduzione plasti­ ca» 3, anche nel significato negativo di immagine di divinità pagana - cfr. in quest'ultimo senso l'accadico �almu(m) - 4 , ed è attestato anche in aramai­ co biblico (Dt 2,3 1 , �alma', per il colosso di Nebukadnezzar). Tale significato viene adesso confermato dall'iscrizione aramaica sulla statua di Tell Fegerija in Siria, del penultimo quarto del IX sec. a.C., nella quale la statua viene chiamata appunto �lm', !in. 1 2 e 1 6, e due volte dmt', !in. l e 1 5 5• Il rife­ rimento ad 'elohtm indica qui genericamente «la divinità», come segnala giu­ stamente il Sawyer 6; con questa l'essere umano in quanto tale ha contatti di natura non specificata; non indica invece JHWH. Ciò appare chiaramente anche dal Sal 8 ,6 (cfr. ancora Sir 1 7 ,2b-4, una parafrasi del nostro testo). L'autore evita qui ogni casistica e si concentra sul rapporto essenziale: quello tra il rappresentato, Dio, ed il rappresentante, il genere wnano. Questo, in rappresentanza del Sovrano cosmico, esercita sulla terra le funzioni dì vicerè (vv. 28 ss.), come afferma anche il citato Sal 8,6 ss. Pertanto ogni attentato alla vita umana costituisce sacrilegio e va punito con la pena di morte (9,6 ss.). Concludevo in altra occasione: « .. .la dottrina biblica dell'"imago Dei" si lascia circoscrivere con la seguente equazione: l'uomo sta a Dio come la copia sta all'originale. Copia per così dire d'autore e quindi preziosissima, ma sempre ed irrimediabilmente inferiore all'originale sul piano qualitati­ VO>> 7 • Si tratta dunque dell'elemento distintivo che ogni essere umano ha, di fronte a Dio, a differenza degli animali, in tante cose ad esso simili (Skin­ ner); abbiamo quindi a che fare col conferimento della massima dignità esi­ stente sulla terra (contro Westermann). A questo punto potrebbe sorgere la domanda se, ed eventualmente fino 2 Un buon sommario della questione è in Westermann, 200 ss. 3

FESTORAZZI 1 9672, 77.



TUAT I, 634 ss.

4 AHw III,

1 078.

6 SAWYER 1 9 7 3 . 7

SoGGIN 1 975b.

46

GENESI 1-1 1

a che punto, l'antico Israele abbia concepito Dio in forma antropomorfica, e una similitudine del genere viene respinta da Jacob: da un lato, egli affer­ ma, Dio viene immaginato sempre come spirituale, dall'altro l'uomo ha troppi elementi in comune con gli animali. Ma il fatto che la Bibbia usi continuamente antropomorfismi ed antropopatismi per descrivere Dio mo­ stra, mi sembra, che pur concedendo l'inadeguatezza di ogni rappresenta­ zione di Dio, questi viene concepito antropomorficamente, specialmente in opposizione alle frequenti rappresentazioni teriomorfiche delle religioni del Vicino Oriente antico; cosa che del resto anche lo Jacob concede. «Domini >> : la radice rar}ah indica la «pigiatura (dell'uva)>> , in forma derivata «Sottomettere » , «assoggettare» . Appare nella Bibbia ebraica fre­ quentemente in testi che riecheggiano l'ideologia regia del Vicino Oriente antico: Sal 72,8; 1 1 0,2; ls 1 4 ,6; Ez 34,4 8, e ciò vale sia per la Mesopotamia che per l'Egitto. L'uso di questo verbo conferma dunque il carattere sovrano del genere umano nei confronti della natura. V. 27 - «A sua immagine» manca nei LXX; nel testo massoretico po­

trebbe essere una ripetizione voluta, al fine di ribadire il concetto. Si noti ancora che l'essere umano viene descritto esplicitamente come «maschio e femmina » , affermazione allo stesso tempo dell'inseparabilità e dell'uguale dignità dei due sessi. Dopo « uccelli del cielo» i LXX inseriscono mì mivtrov 'téòv I., E> e Vg . , e che alcuni commen­ tatori vorrebbero inserire nel testo. Ma gli animali domestici sono in ogni caso sottoposti all'uomo, sicché la precisazione appare inutile 9. V. 28

-

K't'l'jvrov, elemento che manca però in 'A,

V. 29 «Ecco, vi do . . . » : è la solenne formula di affidamento all'uma­ nità del mondo vegetale e animale; del primo perché serva da cibo al secondo e agli esseri umani; lo aggiungiamo alla traduzione nel v. 30, perché il suo carattere (implicito in ebraico) appaia con la necessaria chiarezza. Si noti la dieta vegetariana: siamo nell'età dell'oro e qualsiasi genere di uccisione, sia pure per procurarsi il cibo quotidiano, è non solo vietata, ma anche inutile. E tale età dell'oro strati tardivi dei profeti (per esempio Is 1 1 ,5 ss.), annun­ ziano che verrà ristabilita alla fine dei tempi. -

8

9

WILDBERGER 1 965, 259; W.H. SCHMIDT 1 967, 140 ss. Su questo versetto cfr. in particolare DEURLOO 1 987 e GRONWALD 1 989.

8. Il settimo giorno della creazione (2, 1 -4a)

Bibliografia R.(INALDI) 1 982; SoGGI N 1 966, 1 97 1 .

l Così furono termi nati il cielo e la terra, e tut to quello che contengono. 2 Dio terminò il settimo giorno la propria opera, quella che aveva compiuta, e riposò il settimo giorno da tutta l'opera sua, che aveva compiuta. 3 E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso s'era riposato dall 'o­ pera sua, quella che aveva compiuta operando. 4a Tali sono le origini del cielo e della terra, quando vennero creati.

Il testo V. l - «Quello che contengono» : �aba' ha molti significati. Qui sembra escluso quello corrente, «esercito » , anche se riferito a quello celeste (cfr. la traduzione corrente di JHWH �eba'ol con «Dio dell'universo» da parte del­ l'edizione CEI); per il resto il termine non è qui completamente chiaro: il riferimento potrebbe essere a tutti gli esseri creati, celesti e terrestri , in quan­ to popolano l'universo, anche se dei primi non viene fatta menzione nel rac­ conto 1 • Ma ogni essere celeste sembra essere qui escluso dal fatto che dal v. 2 in avanti si è parlato esclusivamente della terra. V. 2 - «Il settimo giorno»: Sam . , LXX e Syr. hanno o presuppongono la lezione haJJiJJI (Év -.n TÌilÉP> presenta un fenomeno molto più ridotto) esso non è altro che una nuova irruzione del caos nel cosmo con la distruzione di quest'ultimo. In nessun caso abbiamo quindi a che fare con la messa in ordine, con la sistemazione di una materia amorfa o confusa, o con speculazioni su di un «nulla» metafisico, ma di eliminazione sul piano concreto di quanto renderebbe impossibile l'esistenza del cosmo. Anche oggi il credente (in questo non molto differente da quello antico) quando guarda in alto, verso il cielo sereno, può sentirsi rassicurato, perché la volta celeste gli ricorda che la volontà divina è il cosmo e non il caos, secondo la felice immagine di K. Barth 5 . 2 . Dopo aver creato sulla terra condizioni atte alla vita vegetale ed animale, Dio procede alla creazione del genere umano. Conclude la propria opera con l'istituzione del riposo sabatico: esattamente come Dio opera e si riposa, così anche gli esseri umani e gli animali da lavoro dovranno riposarsi un giorno alla settimana, come appare nel passo già esaminato del Decalogo. Il fatto che l'ordine di produrre esseri viventi venga impartito alla terra e alle acque (vv . 1 1 , 20 e 24), costituisce verosimilmente un ricordo di fun­ zioni mitico-generatrici originarie. Invece la creazione degli astri maggiori e minori (vv . 14 ss.) e la loro assegnazione a funzioni puramente di calendario e di rito, indipendentemente dalla loro chiamata ad illuminare la terra, viene intesa in forma praticamente unanime come una stoccata polemica contro i culti astrali babilonesi e l'astrologia; dalla Babilonia i giudaiti erano tornati pochi decenni prima ed in quel paese rimaneva una potente e colta diaspora, che volentieri s'interessava zelantemente delle questioni interne della Terra santa. Ma anche questa polemica antibabilonese potrebbe avere, come Gar­ bini segnala giustamente, le proprie origini nella religione iranica.

3. La creazione procede poi con ordine: prima le piante, poi gli animali acquatici ed i rettili, poi quelli terrestri , ed infine l'umanità, intesa imme­ diatamente come maschio e femmina. Ciò appare in netto contrasto con i miti androgini attestati da Berosso (III sec. a.C.) 6 e dei quali parla anche Platone (Symp. XIV, 1 89c). Con la creazione dell'umanità il processo creativo ha raggiunto evidentemente il proprio culmine (il sabato non viene creato, ma istituito), come appare dai vv. 26 ss., così diversi per stile, costruzione e contenuto dagli altri precedenti. Questa differenza appare già al momento della creazione degli animali: non più l'impersonale comando «Vi sia>> , ma «produca» , rivolto alla terra e all'acqua. Lo scrittore sceglie quindi con no­ tevole autonomia il proprio stile, adattandolo alla propria problematica. Al' BARTH 1945, 1 5 1

6

ss.

Riportato da Alessandro Polistore, a sua volta citato da EUSEBIO, Chron. I (MPG 19, 1 1 0).

GN

51

2,1-4a

l'uomo in quanto « immagine e somiglianza» di Dio viene attribuita una specialissima dignità, che si esprime da un lato nel suo rapporto privilegiato con Dio, dall'altro nel suo dominio sul mondo quale viceré del Creatore. I verbi raç/ah e kabaJ sono infatti termini tecnici della sovranità intesa anche in senso politico, sovranità che il testo intende evidentemente nella sua ac­ cezione più positiva, di «buon governo» 7• Ciò appare particolarmente nel motivo dell'alimentazione vegetariana per tutti, uomini ed animali, anche quelli che chiamiamo carnivori (vv. 29-30). Tutto il creato viene così sotto­ posto alla sovranità divina, ma affidato all'umanità che funge da vero e pro­ prio «alter ego>> del Dio d'Israele. 4. Questa dignità e tale funzione preeminente dell'uomo hanno im­ portanti paralleli nel Vicino Oriente antico, anche se, come vedremo tra po­ co, non senza un notevole spostamento di accenti 8• Notiamo anzitutto: nella Bibbia ebraica, se l'uomo è immagine di Dio, anche Dio viene visto antropomorficamente, come già segnalato; l'immagine teriomorfica della divinità non ha corso nell'A.T. , contrariamente a quanto avviene in Egitto e nella Mesopotamia. Si tratta di un superamento impor­ tante, notevole nella storia delle religioni, anche se va ricordato che il testo biblico di «P>> è posteriore a quelli egiziani e mesopotamici. In secondo luogo, nella Bibbia ebraica l'umanità appare come l'elemento mediatore tra Dio e il creato, attraverso la signoria su quest'ultimo, che l'uomo esercita per volontà divina. Soltanto sullo sfondo di questa impostazione è possibile comprendere la parola di Paolo in Rm 8,22. In Egitto e in Babilonia abbiamo dunque alcuni importanti paralleli al testo biblico, ma si tratta di materiali spesso contraddittori : in enuma e­ Iii VI, I 9 l'uomo è stato creato per servire gli dèi e permettere loro di con­ durre una vita tranquilla ed oziosa, e non dissimile appare la situazione in atra�asis I, l ss. Anzi, è la ribellione del genere umano a questa situazione che causa nel secondo di questi due testi l'ira divina e quindi il diluvio. In questi testi la condizione umana appare dunque servile, se rapportata a quella degli dèi e questa situazione appare anche da altri testi. Ma esistono anche tesi diverse, secondo le quali l'umanità appare rivestita di una dignità somma: nel mito di Adapa 10, il primo uomo viene creato > . Ciò po­ trebbe avvenire infatti soltanto nei confronti di altre creature, animali e si­ mili, il che non sembra essere inteso qui. L'obiezione è valida, ma non così ...

. . .

11 12

Ambedue citaci da W.H. ScHMIDT 19672, 140. ID., 1 38 ss. per i testi.

GN 2 , 1 -4a

53

la conclusione che l'autore ne trae: con l a democratizzazione un concetto originariamente elitario come quello che combina il primo uomo col re, vie­ ne in realtà vanificato. Resta dunque la dignità dell'uomo, conferitagli insieme alla creazione. E mi sembra che quest'elemento vada mantenuto, anche se Westermann e gran pane dei commentatori moderni 13 mostrano forti perplessità nei suoi confronti : senza questa dignità, infatti, non è possibile spiegare come in 9,5 l'uccisione di un essere umano possa essere espiata soltanto con la messa a morte dell'uccisore. Westermann ha certo il diritto di lamentarsi che lo stu­ dio di questi testi ha privilegiato più quello che dicono dell'uomo che quello che dicono di Dio e della sua opera; ma tale sembra essere proprio l'economia di queste narrazioni : la figura del Creatore viene accettata come ovvia, indi­ scutibile, ed una «teologia» nel senso etimologico del termine non è qui offerta. Nulla di strano dunque che il racconto si concentri sulla creazione e sul suo prodotto più alto! 5 . L'alimentazione vegetariana viene prescritta nel v. 29, per gli esseri umani e per gli animali, senza distinzione. Si tratta di un comandamento che verrà soppresso dopo il diluvio (9,3 ss.), anche se non incondizionalmen­ te, dato che una buona parte delle regole alimentari ebraiche sono da met­ tersi in relazione col consumo della carne (cfr. ivi). L'autore non si domanda, esattamente come non se lo chiede quello di Is 1 1 , 5 ss. , come sia possibile che animali carnivori possano sussistere con una dieta soltanto a base di ve­ getali senza averne l'apparato digerente adatto: abbiamo a che fare qui non con un'affermazione di tipo scientifico, ma con una testimonianza teologica. L'ebraismo ha dunque conosciuto, come tante religioni orientali, il divieto di uccidere animali a scopo alimentare, divieto che s'applica anche agli ani­ mali naturalmente carnivori. Abbiamo qui un ennesimo segno dell'età del­ l 'oro, una tematica qui ridotta al minimo, ma che verrà sviluppata appieno nei capp. 2-3 ( «] >> ). Secondo Schmidt 14, non si tratterebbe qui di un vero e proprio divieto, ma soltanto di una forma di provvidenza e non dissimile è la posizione di Griinwald 1�; la distinzione appare oziosa: importante è che nel pensiero biblico non sia l'uomo a dover provvedere il cibo per la divinità mediante il proprio lavoro, come in Mesopotamia, ma che sia la provvidenza divina a provvedere in forma diretta ed abbondante all'umanità e al mondo animale. Ma si tratta di un concetto non del tutto assente dal mondo me­ sopotamico, anche se si tratta, per così dire, di una tesi di minoranza. 6. Con l'istituzione del riposo sabbatico, per il quale il testo non usa più i termini «creare>> e «fare>> , trattandosi di un'istituzione, la creazione è ormai perfetta. Col sabato nasce e viene miticamente fondata quella che pos­ siamo chiamare l'unica istituzione sociale dell 'antichità, sia orientale che oc­ cidentale. Né il Dio d'Israele, terminata la creazione, tende a diventare una n Tra gli altri von Rad e recentemente WASCHKE 1 984. W.H. SCHMIDT 1 9672, 1 49. " GRONWALD 1 989.

••

54

GENESI 1 - 1 1

divinità oziosa, come avviene in più casi sia i n oriente che in occidente; non delega quindi a nessuno le proprie prerogative ed i propri interventi prov­ videnziali (Westermann): dopo il riposo di un sol giorno, l'attività divina continua. 7 . Un'ultima domanda: gli asserti dei nostri testi possono essere messi in relazione con i risultati delle scienze fisiche e naturali moderne? È un problema che ha da sempre preoccupato ebrei e cristiani conservatori, e che è diventato acuto da quando Darwin nella seconda metà del secolo passato ha proposto per la prima volta la teoria dell'evoluzione. La domanda, anche se frequentemente formulata, appare oziosa, e non stupisce quindi che abbia avuto praticamente sempre delle risposte assurde 16• Una cosa possiamo affermare qui per certa, perché non soggetta a con­ testazioni: il nostro testo è stato composto nella seconda metà del I millennio a.C . ; si muove pertanto nell'ambito dell'astronomia non soltanto pre-coper­ nicana, ma addirittura pre-tolemaica. Le scienze naturali, a lor volta, non erano andate (e non potevano andare) oltre un'osservazione pura e semplice dei fenomeni. Né appartiene all'intenzione del testo esprimere opinioni in sede scientifica, sia pure di una determinata epoca; fa proprie invece quelle teorie per esprimere la propria testimonianza all'opera del Dio di Israele, esattamente come nelle altre religioni ad altri dèi. Sono questi i contenuti, ma anche i limiti del genere letterario cosmogonia per quel che riguarda sia la Bibbia, sia le altre religioni dell'antichità.

16

Cfr. HYERS 1 984.

Seconda parte La creazione secondo la tradizione «jahweista»

(2 ,4b-2 5 )

Introduzione alla seconda parte

(2 ,4b-2 5)

Bibliografia AA. Vv. 1 980; BoNORA 1 9 8 2 ; Buoos 1 9 3 2 ; BuRNS 1 987; CAGNI 1 974, 1 9 7 5 ; ENGNEU 1 9 5 5 ; fRETHEIM 1 9 69; Fuss 1 968; GùRG 1 98 9 ; HuMBERT 1 940; }ARoS 1 9 8 0 ; JoaLING 1 986; KUTSCH 1 9 7 7 ; LAMBERT 1 9 54; LoRETZ 1 968; McKENZJE 1 954; NAIDOFF 1 978; NIELSEN 1 9 7 5 ; PEDERSEN 1 9 5 5 ; H . F . RICHTER 1 986; H. ScHMIDT 1 93 1 ; W . H . ScHMIDT 1 9672; VON SoDEN 1 974; STOEBE 1 9 5 3 ; TRIBLE 1978; TSUMURA 1 989; WALSH 1 97 7 ; WYATI 1 98 1 .

l . I l racconto della creazione secondo «} » s i presenta immediatamente con una serie di difficoltà, sia sul piano testuale, sia su quello lessicografìco, sia su quello redazionale. Dei primi due elementi ci occuperemo non appena giungeremo ai testi; qui ci limiteremo a segnalare i problemi che sorgono sul piano della redazione. Abbiamo, com 'è noto da molto tempo, incon­ gruenze, duplicati, ridondanze; si tratta di elementi che fanno concludere che, a differenza del testo precedente, ci troviamo di fronte ad un testo cre­ sciuto inorganicamente, tant'è che molti studiosi in passato hanno pensato ad almeno due strati redazionali, in tensione l'uno con l'altro e poi abilmente combinati: 2 ,4b.7.9a. l 5 . 1 8-2 5 , una narrazione che aveva per tema la crea­ zione in senso stretto; e 2,8.9b. 1 6- 1 7 . 2 5 e la massima parte del cap. 3 , una narrazione che aveva per tema il parad iso perduto 1 • Elenchiamo le principali incongruenze: in 2,5 non vi è acqua per far crescere le piante, ma in 2,6 troviamo un 'éd (di qualsiasi cosa si tratti , cfr. ivi) che «annacqua» la terra; in 2,5 la terra è incolta a causa dell'assenza del lavoro manuale umano, ma in 2,9 Dio stesso pianta un giardino, per cui im­ provvisamente le piante esistono indipendentemente dell'uomo; e tale giar­ dino si situa in località diverse, cfr. 2,8 con 3 ,24; in 2 ,9 nel mezzo del giar­ dino vi sono due alberi, in 3,3 ve n'è uno solo, e il problema continua attra­ verso tutto il cap. 3 . Dio viene chiamato, ancora, JHWH 'efohim , una deno­ minazione che appare soltanto nei nostri due capitoli, con l'eccezione di Es 9,30; e su questa denominazione, che la tradizione ebraica chiama il «No­ me completo» , sém miilé', e le sue varie spiegazioni nell'ebraismo cfr. Jacob. Manca infine ogni ordine sistematico, elemento caratteristico di l , l -2,4a.

2. La fondamentale differenza nell'impostazione di questa nostra nar­ rativa appare evidente a qualsiasi lettore attento, anche se legge il testo in una buona traduzione. Del cielo non si parla più e finisce ogni riferimento cosmico; la sequenza è questa volta: uomo (inteso come maschio), giardino (piante), animali e donna. Ma vedremo tra poco che, a parte queste ovvie differenze, vi sono nei due racconti non poche identità di fondo. Anche qui abbiamo a che fare col genere letterario cosmogonia, come è stato rilevato a suo tempo da Gunkel. Caratteristica principale di questo genere è che fa riferimento ad avvenimenti accaduti una volta per tutte in 1

Un recentissimo renrarivo in quesra direzione è quello di H.F. lùcHTER 1 986.

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GENESI 1 - 1 1

un'epoca primordiale assoluta, ma con conseguenze irrimediabili e tangibili per le generazioni a venire, qui per esempio la maledizione del suolo, la durezza del lavoro maschile, i dolori del parto (cfr. la chiusa del cap. 3). La tradizione cristiana poi , rifacendosi ad affermazioni contenute nei libri apo­ calittici del giudaesimo intertestamentario, elementi che esamineremo tra poco, vi ha letto ancora la dottrina del peccato originale, una specie di spi­ rituale infermità che il genere umano eredita dai propri antenati e che solo con la redenzione può essere sanata. D'altra parte manca qui , nel nostro mito, un secondo elemento costitutivo: quello del carattere ciclico, legato alle fasi della natura e quindi ripetibile nel culto. Ed infatti manca ogni indizio che la nostra narrazione abbia un qualche sfondo cultuale . Per questo ragioni Barth 2 ha proposto la denominazione di « leggenda primordiale» ( '' U rsa­ ge» ); e si tratta bensì di una distinzione sottile, ma di dubbia validità sul piano storico-religioso. Possiamo quindi mantenere la denominazione di mi­ to cosmogonico, segnalando per altro che esso è ormai privo di uno dei suoi elementi essenziali, la ciclicità e quindi la ripetibilità nel culto; ciò è avve­ nuto, forse, nel tentativo almeno parziale di demitizzarlo 3 . 3 . Il nostro testo ha un intermezzo particolarmente interessante dal punto di vista storico-religioso: la narrazione sul giardino di Eden e sui due alberi nel suo centro (vv. 8-1 7). Presso molti popoli troviamo il mito del giardino primordiale, e nel Vicino Oriente antico dai sumeri in avanti ; Ga­ ster ce ne offre una serie di testi e parla di un «giardino fatato» ( «fairy gar­ den») 4 • Tale giardino è allo stesso tempo il parco terrestre per gli dèi e la dimora per l'uomo primigenio. Da esso origi nano i grandi fiumi del mondo e nel racconto biblico due di essi sono identificabili: l'Eufrate e il Tigri . Il racconto localizza dunque il giardino nel nord-ovest della Mesopotamia, ver­ so l'Anatolia orientale, dove appunto nascono i due grandi fiumi . Ed Ez 28,1 1 ss. , un passo al quale abbiamo accennato a proposito di 1 ,26 ss. , vi colloca l'antenato del re di Tiro, monarca descritto come perfetto sotto ogni punto di vista, ben oltre la pratica del buon governo (e si ricordi il motivo della regalità e della perfezione del primo uomo!), circondato da ogni sorta di pietre preziose. E sempre secondo Ezechiele, qui si troverebbe anche la «montagna di Dio» , più tardi identificata col Sion (Sal 48 , 1 ss.). Anche qui , poi , come in 1 ,29 s . , abbiamo il motivo dell 'alimentazione vegetariana, limitata però questa volta da un divieto: quello di mangiare il frutto del­ l' « albero della conoscenza del bene e del male» (v. 9b). Viene menzionato anche un altro albero: l' «albero della vita» , dal godimento del quale l'uomo viene escluso soltanto in seguito alla «caduta» (3,22 s.). Anche questo mo­ tivo è attestato presso i popoli circostanti ed altrove, in funzioni differenti; ma nella storia comparata delle religioni lo schema appare essere il seguente: albero della vita - albero della morte, tanto che Gaster si chiede se tale non possa essere stata nella Bibbia ebraica l'originaria denominazione della prima 2

BARTH 1 945, 88 ss. Non ho più potuto utilizzare VAN WOLDE 1989. 4 GASTER 1 969. 1

INTRODUZIONE ALLA SECONDA PARTE

59

delle due piante, denominazione poi in un secondo tempo modificata per ragioni teologiche 5• Il Wallace fa però notare che, se è vero che il testo che parla del giardino appare adesso chiaramente interpolato (cosa che si nota in quanto interrompe un contesto narrativo), è ancor più vero che la sua pre­ senza appare i ndispensabile per l'economia del racconto: i due alberi infatti si trovano nel giardino, ed in esso l'uomo viene posta, per esserne poi allon­ tanato dopo il peccato 6• 4. Dopo la narrazione del paradiso, il racconto continua con la creazione degli animali (v. 1 8), il cui scopo sembra essere quello di sollevare l'uomo dalla sua condizione solitaria; però il progetto non riesce e, perché l'uomo abbia quell 'aiuto che gli è necessario, che è degno di lui e col quale può avere comunione completa, JHWH crea, mediante un'ardita operazione (v. 2 1 ) 7, l'altro sesso. La prima famiglia è ormai al completo e costituisce, secondo il messaggio biblico, il nucleo originario e fondamentale di ogni società, come il testo ci tiene a rilevare (v. 24). Così il ciclo si chiude: sono ormai presenti i presupposti per una vita armoniosa, ma anche per la disob­ bedienza ed il peccato, e quindi per la cacciata della prima coppia dal giar­ dino.

' ID., 34. Per un esame a fondo delle tradizioni sui vari giardini e sugli alberi cfr. WAlLA· CE 1985. 6 WAILACE 1985, 88. 7 GASTER 1969, 2 1 ss. segnala interessanti paralleli storico-religiosi anche a questo procedi­ mento.

9 . La creazione dell'uomo in «] » (2 ,4b-7)

Bib/iografta GoaG 1 986; KocH 1 989; VAN

SETERS 1 989.

4b Quando JHWH Dio fece terra e cielo, 5 non vi era ancora sulla terra

alcuna specie di arbusto del suolo né aveva germogliato sulla terra alcun or­ taggio: infatti JHWH Dio non aveva ancora fatto piovere sulla terra, né vi era un uomo che lavorasse il suolo. 6 Uno zampillo 1 saliva dalla terra, il quale annacquava tutta la superficie del suolo. 7 Allora JHWH Dio plasmò l'uomo mediante terra del suolo e gl'insufflò alito vitale; così l'uomo divenne un es­ sere vivente. 1

Altra traduzione proposta: 'Una nube . . . la quale ..

.'.

V. 4b Si noti l'ordine invertito «terra o cielo » , ambedue senza l 'ar­ ticolo; ma Sam . , LXX e Syr. hanno invece l'ordine del cap. l , probabilmente sotto l'influenza di questo. -

V. 5 - Jtaf! è l'arbusto del deserto, inutile sul piano agricolo. {erem è « non ancora» o «ancora non » ; preceduto da bt- è «prima di » . 'e.iek indica, come in 1 , 1 1 , le erbe commestibili, gli ortaggi. La rad. m{r indica il cadere regolare delle piogge e non è attestata come sostantivo o aggettivo; geJem appare invece quasi esclusivamente come sostantivo ed è rarissimo nella for­ ma verbale. Le due radici sono praticamente sinonime. Si noti ancora il gioco di parole tra 'tir,/am e 'ar,lamah, gioco possibile soltanto in ebraico e all'interno di una società contadina: qui l'uomo ha un rapporto diretto con la terra che lavora. V. 6 - Per ora una cosa appare abbastanza certa: che questa parola 'ed è entrata nell'ebraico tardivamente e che è d'origine sumero-accadica 1 • Già l'etimologia non è completamente chiara e i commentari ne offrono due: la prima dal sum. ID, «(divinità) Fiume» , ovvero sum. A.DÉ. A , accad. edii 1 h «flusso (minaccioso)» 2 • Non può però trattarsi , ove accettassimo questa se­ conda accezione, della controparte «) » al caos acquatico di « P » , dato che le funzioni del fenomeno sono qui benefiche ed esso non ha nulla di minaccio­ so 3, Se mai si potrebbe pensare ad una variante del motivo dell'Oceano che circonda la terra. Una proposta di M.J . Dahood , d'intendere il termine come derivato dall'eblaita i du, « nube piovosa» , non sembra valida, perché una -

1 Cfr. SPEISER 195 5 ; S�B0 1970; DAHOOD 198 1 ; WAllACE 1985, 73 ss.; TSUMURA 1989; GORG 1989. 1 Cfr. GesHw18 s.v. l Per un elenco delle varie possibilità cfr. WALLACE 1985.

GN 2,4b-7

61

nube, per piovosa che sia, non . Resta dunque l a spiegazione più verosimile quella del fiume primordiale, l'unico elemento che può «anna­ quare>> senza costituire un elemento minaccioso. Il nostro termine appare soltanto una volta ancora, in Gb 36,2 7 , ma in un testo poco chiaro; qui può indicare o la , o la «corrente d'acqua>> . Né le antiche traduzioni ci offrono un qualche aiuto: i LXX hanno 1tT\"ffl , «sorgente>> , la V g. «fanS>> ed 'A Ém�A.ucr!J.oç, ; il Tg. , che traduce 'anana', « nube » , si mantiene entro le opzioni segnalate. Parlare di uno , proveniente dall'O­ ceano cosmico, sembra dunque la possibilità meno remota. Per Tsumura 4 il termine va messo in relazione con 'ere.r, inteso nel senso di e quindi parente di tehòm, nell'accezione proposta dall'autore. Ma le funzioni di 'ed qui sono diverse da quelle dell'oceano primordiale o abisso che dir si voglia. V. 7 «PlasmÒ » : la rad. ja�ar indica l'opera del vasaio con l'argilla. «Terra del suolo>> : 'ajar sembra qui indicare la «terra>> , l'argilla del vasaio, piuttosto che la polvere in senso stretto. I verbi che indicano costruire, fare qualcosa, plasmare ecc . vengono costruiti col complemento oggetto della materia usata, per cui possiamo tradurre con > 5• Un classico esempio della divinità che opera come un vasaio alla ruota formando una coppia umana ci viene dall'Egitto 6, dove il dio ljnum modella il faraone Amenofis III (ca. 1406- 1 370); e, come abbiamo visto nella sezione prece­ dente, in Egitto il monarca è l'erede e il continuatore dell'uomo primigenio (sopra a l ,26 ss.). Una diversa combinazione troviamo invece in Mesopota­ mia: l'uomo viene formato da un impasto di sangue e d'argilla; il sangue proviene da una divinità uccisa per questo scopo 7• «Insufflò>> : l'operazione va immaginata come la moderna respirazione artificiale bocca a bocca; ed anche per quest'elemento Gaster indica vari paralleli storico-religiosi 8• La rad . è najah, termine tecnico per l'opera del mantice nella fucina del fabbro. Si noti come il testo massoretico e le antiche traduzioni non usino ruah e termini similari , forse al fine di evitare confusioni e malintesi Oacob). Per l'espressione nefef �ajjah cfr. sopra a l ,20. Il nostro passo non sembra dunque avere funzioni antropologiche, nonostante una lunga tradizione esegetica e catechistica in questo senso; non indica, per esempio, il conferimento all'uo­ mo di un'anima con elementi divini o almeno superiore a quella degli ani­ mali, ma solo il dono della vita, la cui manifestazione più concreta è la re­ spirazione. Se Dio ritira il respiro, l'uomo muore, Sal 1 04,29, ritorna polvere; in Ez 3 7 , 5 è invece il popolo morto () che viene fatto rivivere dalla rua� divina, secondo il profeta verosimilmente un'operazione più pros­ sima a quella del nostro testo che un frutto dello Spirito Santo. -

4 TsUMURA 1 989, 93 ss. � Cfr. GesK § 1 1 7 hh. 6 ANEP 569.

Cfr. SAPORETII 1 984; SEUX 1987. 8 GASTER 1 969.

1

1 0. Il giardino di Eden (2,8- 1 4)

Bibliografia BERGMAN-Bo1TERWECK 1 982; DIEBNER 1 988; FANUU 1 988; GoRDIS 1 967; GoRG 1 987 ; HOL­ SCHER 1 949; HuMBERT 1 940; HmER 1 986; KocH 1 989; MILLARD 1 984; ScHOTTROFF 1 97 2 ; SoGGIN 1 9 6 3 ; SPEISER 1 9 5 9 ; VAN SETERS 1 98 8 ; VRIEZEN 1 9 3 7 ; WALLACE 1 9 8 5 .

8 Poi JHWH Dio piantò un giardino in Eden, ad oriente, e vi pose l'uomo che aveva plasmato. 9 E JHWH Dio fece spuntare dalla terra ogni albero piacevole a vedere ed atto all'alimentazione; inoltre l' > , come vuole Jacob: la frase scorre bene ed esprime una serie di azioni consecutive. «Un giardino in Eden»: si noti la combinazione, poco frequente, di un sostantivo allo stato costrutto che regge un altro preceduto da preposizione 1 • Per il motivo del giardino nella storia delle religioni e nel Vicino Oriente antico cfr. l'intro­ duzione a questa parte, pp. 58 s. Quello che traduciamo correntemente con , esattamente come avviene in italiano in alcuni dialetti meridionali. I LXX hanno reso con 7tapa&taoç, d al persiano pairi-daiza, «proprietà regale recintata>> , ma cfr. già l'accadico pardesu \ «frutteto (recintato)>> e l'ebraico tardivo pardis (solo nelle Cronache e nell 'Ecclesiaste), col medesimo significato. Ma anche 'eden presenta proble­ mi; il termine indica· infatti, come appare dalla preposizione , una lo­ calità; il suo significato è «delizia», per cui non è stato sempre trattato come un nome proprio (cfr. i LXX 'tfjç 'tpuqri'fç e Vg. «paradisus voluptatis» , un segno che presso questi traduttori mancava la coscienza del nome proprio di luogo). Che la radice abbia un significato connesso col piacere viene adesso confermato dal testo aramaico dell'iscrizione di tell Fegerijah, che alla ] i n 4 ha il participio m'dn, , la Syr. ed il Tgo, abbia «a principio» , cercando dunque di dare all'espressione un significato cronologico; e questo può effettivamente avere. Pertanto verrebbe superato con l'indicazione delle origini mitiche il punto morto topografico, risultante anche dal fatto che nei vv . 14 ss. il giardino viene localizzato alla sorgente dei quattro grandi fiumi del mondo, a nord-ovest della Mesopotamia e a nord-nord-est di Canaan. V. 9 - Sul piano stilistico la presenza di due alberi sembra zoppicare; d'altra parte, come abbiamo visto nell'introduzione, essa è necessaria per fon­ dare il divieto del v. 1 7 e per lo svolgimento del cap. 3 . «Nel mezzo» non indica evidentemente il centro geometrico del giardino, dove avrebbe posto un solo albero, ma semplicemente la localizzazione approssimativa di ambe­ due 5• Il primo dei due alberi è !' , un elemento che ha notevoli paralleli nel mondo circostante e nella storia delle religioni; qui non viene detto a cosa debba servire, ma appare implicito, e risulta anche dalle considerazioni di 3,22, che offra la vita eterna a chi ne mangi. Un elemento simile appare nell'epos di Gilgamei, l'eroe e re sumero 6 : questi parte alla ricerca della pianta che dà la vita, la trova, ma la perde perché, mentre si sta bagnando e l'ha lasciata incustodita, un serpente gliela mangia. Nel mito di Adapa invece 7 il protagonista rifiuta il pane di vita e l'acqua di vita e la conoscenza che con essi si connette, sapendo che si tratta di alimenti e di prerogative riservate agli dèi. Nella nostra narrazione l'albero non ha nessuna funzione esplicitamente dichiarata, e così nel resto della Bibbia ebraica: ap­ pare brevemente solo in Pro 1 1 ,30; 1 3 , 1 2 e 1 5 ,4, ma dove il suo uso è me­ taforico, e alla fine del N.T. (Ap 22,2; cfr. 2,7, dov'è diventato un elemento importante nella restaurazione escatologica). Oltre quelli citati, gli altri pa­ ralleli vanno dalla Mesopotamia e dall'Egitto al buddhismo cinese e al mon­ do dei celti . In Mesopotamia la figura che naturalmente si connette con l'al­ bero della vita è quella del re, il quale in vari rilievi e sigilli appare accanto all'albero della vita, del quale appare essere il custode 8. ' ID., l , 187. 4 Cfr. HAV. ' SoGGIN 1 963, 523 ss.; 1 976; 358 s. 6 ANET 72 ss. 7 ID., 1 0 1 ss. 8 GASTER 1 969, 33 ss.

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GENESI 1 - 1 1

L'altro albero, quello della «conoscenza del bene e del male» , ha invece un funzione primaria nella nostra narrazione, specialmente nel cap. 3 ; qui costituisce anzi, se possiamo dire così , il corpo del reato nel peccato della prima coppia. È quindi importante sapere esattamente cosa l'espressione si­ gnifichi e perché Dio abbia formulato un divieto che all'atto pratico si rive­ lerà difficile da far osservare. Segnaliamo anzitutto che l'espressione va la­ sciata così com'è, senza modifiche di sorta. Di essa sono state proposte molte spiegazioni , spiegazioni che possono essere raccolte sotto i seguenti punti: a) Essa indicherebbe la maturità fisica, intellettuale e morale, un si­ gnificato che appare qua e là nella Bibbia ebraica; ma tale spiegazione non appare legittima, perché Dio non ha mai imposto all'uomo delle limitazioni in questo campo, per !asciarlo nell'immaturità, nell'eterna fanciullezza. b) Un'altra spiegazione è quella sessuale, nota già ad Ibn-Ezra'; ma la menzione dei rapporti matrimoniali nel v. 24 sembra escluderla. Tale inter­ pretazione viene favorita, sul piano storico-religioso, dall'abbinamento «eros»-«thanatos» nel mondo classico, ma non ha paralleli nella Bibbia. c) Frequente è anche la spiegazione che possiamo chiamare > : la rad . nfìa� ha due forme di hifii: henfa� , «accamparsi >> e hinnfa� (trans.), « lasciare (qual­ cuno in qualche luogo)» , «porre (id.)» , «collocare (id.)» . Questo secondo tipo, che abbiamo del resto qui , è comune ai verbi in media jod e ai verbi geminati , ma «è una formazione quasi aramaica>> con dageJ forte nella prima consonante radicale 1• «Per lavorarlo e per custodirlo» : si notino i suffissi femminili, che fanno pensare non a gan, ma ad 'aç/amah; d'altra parte esistono forme femminili del termine: ginnah, gannot ed altre, come osservato già da Ibn-Ezra' e segnalato dallo Jacob. Un frutteto ha naturalmente bisogno di essere custodito e lavorato, funzioni che ricordano il destino riservato in Babilonia al genere umano: lavorare per alimentare gli dèi ; ma con un'importante differenza: in Babilo­ nia il lavoro umano permette agli dèi di condurre una vita oziosa, per cui si tratta di una specie di «corvée» . Il nostro testo esclude invece sia il lavoro faticoso, magari degradante, il superlavoro, ma anche l'ozio e la cuccagna, quest'ultima favorita dall'impiego del termine 'eden e dalle traduzioni dei LXX e della Vg. Nel caso del giardino l'uomo lavora essenzialmente per se stesso, non per altri, siano essi anche gli dèi. Si noti, infine, che l'uomo è capace di lavorare da sé, senza che qualche divinità lo ammaestri. Vv. 1 6- 1 7 - Alla libertà di cibarsi del frutto di ogni albero del giar­ dino («per cui non deve soffrire la fame» , von Rad) viene posta una limi­ tazione: astenersi dal frutto dell' . «Passibile della pena di morte» è la formula interlocutoria che ho pro­ posto in altra occasione 2: per la violazione del divieto la pena di morte è ' GesK § 72 ee. 2 SOGGI N 1 963.

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GENESI 1 - 1 1

soltanto prevista; la sua applicazione è lasciata alla discrezionalità del giu­ dice. Si tratta di una traduzione migliore di quella corrente «per certo mor­ rai » o espressioni similari : se traduciamo con una di queste, infatti , sorge il problema come mai la prima coppia non sia morta sul colpo, dopo aver com­ messo la trasgressione 3. Si noti infine che il divieto viene espresso con la particella assoluta lo', e non con quella contingente 'al.

3

Un esame dei vari perché in Cassuto.

1 2 . La creazione degli animali e della donna (2 , 1 8-25)

Bib/iografza ALSTER 1978; AMIRAN 1 962; BAILEY 1 970; BEESTON 1 986; BRUEGGEMANN 1 970; CHARBEL 1 980; KEssLER 1 98 7 ; LAWTON 1 986; DE MERODE 1 97 7 ; RAMSEY 1 988; SASSON 1 98 5 ; SKA 1 984; SoGGrN 1 976; STAAL 1 979.

1 8 Poi JHWH Dio disse: «Non va bene che l'uomo rimanga solo: gli farò un aiuto che gli corrisponda» . 19 E JHWH plasmò dal suolo tutti gli animali selvaggi e tutti gli uccelli del cielo, e li condusse dall'uomo, per vedere che nome avrebbe dato a ciascuno: ed ogni nome che l'uomo avesse dato a cia­ scuno (essere vivente!), tale avrebbe dovuto essere il suo nome. 20 E l'uomo diede dei nomi a tutti gli animali domestici e agli uccelli del cielo e a tutte le creature selvagge, ma per un essere umano non trovò alcun aiuto che gli corrispondesse. 2 1 Allora JHWH Dio fece cadere l'uomo in un sonno pro­ fondo ed egli s'addormentò; poi prese una delle sue cosrole e rinchiuse la carne al suo posto. 22 Quindi JHWH Dio lavorò la costola che aveva presa all'uomo, fino a farne una donna, che condusse all'uomo. 23 E l'uomo escla­ mò: «Questa volta sì che è ossa delle mie ossa e carne della mia carne! Questa sarà chiamata "donna" , perché dall'uomo è stata tratta». 24 Per questo l'uomo suole abbandonare suo padre e sua madre ed unirsi a sua moglie; ed essi di­ vengono una sola carne. 25 Ambedue erano ignudi, l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna l'uno davanti all 'altro.

Il testo

V. 18 - «L'uomo» indica qui , come in tutta la sezione «) » , il maschio senza la femmina, contrariamente a quanto avviene in l ,20 ss. « P » . È quindi inesatto tradurre con i LXX àvepo7toç, cfr. il tedesco «der Mensch» (von Rad e Westermann). «Solo>> : dato che il testo non parla di una qualche forma di sessualità, ogni implicazione androgina deve considerarsi esclusa. «FatÒ>> : i LXX hanno il plurale 7tottl> , dunque la medesima forma at­ testata in 1 ,26: si tratta forse di un adeguamento a quest'ultimo testo? «Che gli corrisponda» : l'ebraico k.enegdo significa letteralmente «Come un suo dirimpetto>> . Le varie traduzioni antiche hanno: i LXX Ka't amov , 'A JC(l'tÉV , vuole proteggere l'uomo da quell'elemento negativo e distruttore ch'è la solitudine. E con un audace antropomorfismo, che non s'arresta neanche davanti alla possibilità di attri­ buire a Dio un errore iniziale, l'autore ci presenta un primo tentativo di trovare per l'uomo l' «aiuto che gli corrisponda» ; ed il primo risultato di quest'operazione è la creazione degli animali. Ad essi l'uomo deve dare un nome . Attribuire un nome a qualcuno o a qualcosa è praticamente sempre, nel Vicino Oriente antico, un segno di sovranità da parte di un superiore nei confronti di un inferiore: comune è la prassi del gran re di cambiare il nome ai propri vassalli, un evidente segno di soggezione. Anche qui la spie­ gazione più ovvia è questa, che all'uomo viene attribuita, come in l ,28 ss. , la sovranità sul regno animale, anche se non può essere esclusa (né appare esclusiva nei confronti della tesi precedente) la necessità di distinguere tra animale ed animale. Vedere qui invece una proposta sull'origine del linguag­ gio umano non sembra oggi più sostenibile, dopo lo studio dello Staal 1 6 • Anche la Bibbia ebraica conosce il motivo del cambiamento di nome da parte del gran re nei confronti di un suo vassallo (cfr. 2 Re 23 ,34 e 24, 1 7). Anche qui, come in 1 ,24, il processo inizia dagli animali domestici . Ma tra questi ultimi, sebbene umili e fedeli collaboratori dell'uomo nelle sue quo­ tidiane fatiche, i requisiti richiesti di parità, uguaglianza e comunione non compaiono. E qui sta proprio l'antropomorfismo: che nel processo di quella ch'è stata chiamata divina pedagogia, JHWH non esiti in un primo mo­ mento a fallire, perché l'uomo possa rendersi conto delle proprie reali neces­ sità. Lo studio dello Charbel ha proposto di leggere qui tra le righe anche una polemica nei confronti dei rapporti sessuali con animali, un elemento forse praticato in certi casi nel culto cananeo 1 7 ; ma i dati mancano per un'af­ fermazione del genere. 3. Anche qui abbiamo un interessante, sia pure limitato, parallelo con l'epos babilonese di Gilgamd 18• Enkidu, l'amico di Gilgames (alla cui mor­ te l'eroe s'è messo a cercare l' «erba della vita>>), è peloso ed irsuto come un animale, mangia cibi crudi e dorme all'addiaccio. Saranno i rapporti con una donna a risvegliare in lui l'umanità sopita. Orbene, mentre gran parte dei dettagli della narrazione babilonese non corrisponde a quelli del nostro (e specialmente problematica appare la tesi del Bailey sul carattere d'iniziazione ch'egli attribuisce nei due casi all'opera della donna), appare però evidente che nei due racconti l'uomo è considerato incompleto senza la donna ed i " SKA 1984. 16 STAAL 1 979. 17 CHARBEL 1 980. " Come appare da BAILEY 1 970.

GN 2 , 1 8-25

73

rapporti con lei: Enkidu in quanto diviene finalmente un essere umano vero e proprio, abbandonando la precedente condizione quasi animale; il primo uomo nel nostro capitolo, in quanto non è più solo. Ma nel nostro caso il rimedio viene trovato da Dio stesso, cosa che per Enkidu non è il caso 19• 4. Il testo afferma, alla fine, che i due sono diventati «Una sola carne .. . Ciò sembra segnalare l'avvenuta consumazione del matrimonio, già prima del «peccato>> . Ma Westermann rende attenti al fatto che non abbiamo nel­ l'ebraico bafar un equivalente completo al greco neotestamentario empi;, in quanto il termine ebraico indica tutto l'essere umano, senza nessuna conno­ tazione negativa. Va dunque pensato, insieme a Delitzsch, ad una comunione completa, totale, che implica anche i rapporti sessuali. In nessun caso è quin­ di possibile cercare nel rapporto sessuale il contenuto del divieto di mangiare del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male. Non abbiamo a che fare con qualcosa come la perdita dell'innocenza, come gli avvenimenti del cap. 3 sono stati spesso chiamati, ma con qualcosa di più complesso. Abbiamo già accennato al problema trattando il v. 1 7 e vi ritorneremo nel corso della trattazione del cap. 3 . Chiaro appare in ogni caso che il testo sottolinea il carattere di nefeJ �ajjah che il maschio ha in comune col mondo animale, finché non venga inserito nella comunione matrimoniale. La nudità, alla quale fa riferimento il v. 2 5 , lungi dal causare vergogna e imbarazzo, appare come uno stato di narura e come tale viene intesa dal­ l'autore del testo. In un recente articolo, Sasson segnala le possibilità scatu­ renti da una resa coerente dell' hitpael ebraico: non solo i due non sentivano vergogna in generale, ma neanche imbarazzo l'uno nei confronti dell'altro; e tale si tuazione muterà sostanzialmente con la colpa: improvvisamente co­ minciano a cercare l'uno nell'altro dei difetti e a ri mproverarsi, oltre che non sapere più che atteggiamento assumere davanti a Dio 20 • 5 . Come conclusione va dunque rilevato che il nostro racconto s'inse­ risce perfettamente nel contesto delle mitologie del Vicino Oriente antico. I materiali sono, con i dovuti adattamenti, gli stessi, anche se vengono ormai sviluppati, molti secoli dopo, in un contesto monoteista. Ma come abbiamo già segnalato, il monoteismo appare in Israele (o, meglio, in Giuda) in un'e­ poca relativamente tardiva: al più presto con la riforma di re Giosia; e pro­ babilmente non prima degli ultimi anni dell'esilio, quella ch'era stata la posizione elitaria dei profeti diventa legge dello Stato. Altri elementi paral­ leli alle mitologie del Vicino Oriente antico sono contenuti nei fondamentali studi di L. Cagni 2 1 .

19 Per l'epos di Gilgame! cfr.

20 21

SASSON 1985 .

CAGNI 1974, 1 97 5 .

ANET 72

ss.

Terza parte Il peccato della prima coppia nella tradizione «jahweista,. (3 , 1 -24)

Introduzione alla terza parte

BiblifJgrafia 1 980-8 1 ; voN BAUDISSIN 1 9 1 1 ; BrAND-Ir 1 967; CoPPENS 1 948; CoUFPIGNAI. 1 980; FRETHEIM 1 969; GORG 1 98 1 , 1982; GRELOT 1 967 ; HENDEL 1 9 8 5 ; HUMBERT 1 940; MEYERS 1 9 8 3 ; MICHEL 1 988; MOBERLEY 1 989; ScHMIDT H. 193 1 ; SoGGIN 1 962; TRIBLE 1 978 ;VRIE­ ZEN 1937; WALLACE 1985 ; WIWAMS 1 98 1 ; WOLLER 1 979; ZACKLAD 1 97 1 . BAKER

l . Nella situazione quasi idilliaca del giardino, propria dell'età dell'oro, con la quale si conclude il cap. 2 , entra improvvisamente un elemento per­ turbatore: il serpente 1• Di questo però il resto s'affretta a d ichiarare che si tratta di un animale come tutti gli altri , creatura di Dio e denominato dal­ l'uomo, anche se particolarmente astuto (per il gioco di parole legato ai ter­ mini « ignudo» per la prima coppia e «astuto» per il serpente cfr. la conclu­ sione a 2,25). Generazioni posteriori hanno dipoi cercato una spiegazione che potesse o scagionare la prima coppia, ovvero chiarire come mai un ele­ mento del genere potesse trovarsi nel giardino; e una delle spiegazioni più antica è certamente quella. della Sap. Sal. 2 ,24 che cerca di assimilare il ser­ pente al diavolo: q>6Òvcp Oè 5uxj30ì..ou 6ava:toç €tafjÀ6€V aç 'tÒV lCOOIJ.OV; e tale interpretazione dell 'ofida diviene corrente in alcuni libri pseudoepigrafici dell'A.T. e più tardi nel N.T. Una volta però che accettiamo una spiegazione siffatta, si pongono molti altri problemi : Agostino 2, per esempio, ricorre alla soluzione che col­ loca gli animali, e con essi il serpente, fuori dal giardino; ma si tratta di una problemarica che non ha più nulla a che fare col nostro testo, né era questo il pensiero dell'antico israelira quando ascoltava la nostra narrazione: le as­ sociazioni ch'esso i n lui produceva erano altre; ancora, non era certamente questa l'intenzione dell 'autore e dei tradenti . Non è evidentemente qui que­ stione di una localizzazione dell'animale, sia essa dentro o fuori del giardino, tanto più che il testo ci tiene ad osservare che si trattava di un animale come gli altri, parte della creazione, salva restando la sua astuzia. Da un lato dunque il testo ci tiene ad eliminare ogni elemento sovran­ naturale nel serpente: non si tratta né di una divinità, né di un demonio, e la responsabilità della prima coppia appare fuori questione; d'altro lato è facile notare l'insistenza con la quale quest'argomento viene prodotto, insi­ stenza che appare quanto meno sospetta: è evidente che la menzione di un serpente in questo contesto doveva suscitare nell'uditore o nel lettore antichi una serie di associazioni poco ortodosse sul piano teologico. Soltanto questo può spiegare il carattere ordinario, animale del serpente; è come se il testo dicesse: non è quello che voi pensate, si tratta di una creatura come tutte le altre, a parte la sua particolare astuzia! ' Non ho più potuto utilizzare VAN WOLDE 1989. c. Man. II (MPL 34, 1 7 3-200, 206 ss.).

2 De Gen.

78

GENESI 1 - 1 1

2 . La tradizione ebraica, al difuori d i alcuni libri pseudoepigrafici e del N.T. , ignora il concetto di peccato originale ed il carattere diabolico del serpente. Il più antico ed autorevole dei commentari rabbinici , il beré'ftt rab­ ba' , XIX, non conosce alcun carattere particolare inerente al serpente, del quale rileva, sulla falsariga del testo biblico, soltanto l'astuzia; né conosce un concetto come la «caduta » , elemento che avrebbe coinvolto e travolto tutta l'umanità futura, rendendo necessaria una particolare forma di reden­ zione. Non diversa è la posizione degli altri commentari trad izionali ebraici. Soltanto, come già accennato, nella letteratura pseudoepigrafica sorge il con­ cetto secondo il quale la colpa della prima coppia avrebbe coinvolto l'intera umanità per sempre. In IV Esd 7 , 1 1 8 leggiamo: «Cos'hai fatto, Adamo!

Se infatti peccasti, la rovina non è stata soio

tua,

ma anche di (tutti) noi che siamo discesi da te! >>

3•

E non mancano altri passi di analogo contenuto, ed è proprio a questa corrente che si riallaccia il concetto paolina di peccato originario, assente dai Vangeli sinottici, un concetto col quale la Chiesa primitiva si staccava dal­ l'esegesi ebraica ortodossa. D'altra parte Filone Alessandrino vedeva nel serpente, una creatum considerata attraverso tutta l'antichità come particolarmente astuta, la per­ sonificazione dell'1iooviJ , il «piacere•• , di ciò che nell'antropologia rabbinica diverrà lo jes.er bara', l' «impulso malvagio» presente in ogni essere umano (Jacob). Il serpente, animale tortuoso e relazionato col caos (cfr. sopra a l ,2023) si prestava particolarmente ad una personificazione del genere. 3. Diversa sembra per altro essere stata la valutazione del serpente nel Oriente antico, anche se, allo stato attuale delle ricerche, i materiali letterari a nostra disposizione sono praticamente inesistenti . Nulla ci è giun­ to finora da Ugari t, né sulla creazione, né su qualcosa come la caduta ed una parte che in essa un ofida avrebbe eventualmente avuta. Nell'epos di Gilga­ mes è certamente un serpente che divora l' «erba di vita>> faticosamente rac­ colta dall'eroe, vanificando in questo modo la sua spedizione; ma in quel testo il carattere di ofida non è rilevante: avrebbe potuto trattarsi di un qual­ siasi erbivoro o anche di un altro essere umano. Nell'ambito mesopotamico non solo non esistono paralleli, ma neanche allusioni più o meno velate alla malvagità del serpente. Di fronte alla mancanza di materiali letterari , stupisce invece di trovare abbondanti fonti iconografiche: nella regione siro-palestinese soltanto abbia­ mo ben sette tipi di placchette e statuette raffiguranti la dea 'aferah i n qual­ che relazione col serpente, e dalla qualità delle raffìgurazioni risulta in ma­ niera inequivocabile che l'animale veniva considerato avente funzioni apo­ tropaiche, dunque fondamentalmente benigne, in quanto apportatore di sa­ lute, di vita, di giovinezza e di fertilità. Ed è proprio in questo suo carattere Vicino

3 AAT II, 3 3 5 .

INTRODUZIONE Ail.A TERZA PARTE

79

che il serpente passa in occidente, dove compare nel caduceo di Hermes­ Mercurio, emblema fino ai nostri giorni della medicina e della farmaceu­ tica 4 • Questo discorso appare ancora valido, anche se frattanto si è rilevata l'inesistenza di una divinità-serpente; esisteva invece soltanto la figura del serpente simbolo di vita, di salute, di longevità e di fertilità, indipendente­ mente dal fatto che gli fosse resa una qualche forma di venerazione o di culto. Interessante sarebbe di poter stabilire come mai i testi tacciano di un simbolo così ampiamente attestato sul piano iconografico: forse si trattava di una forma di religione popolare, privo dell'avvallo della religione ufficia­ le? Per ora non possiamo saperlo. Ma una cosa è certa: che anche la Bibbia ebraica conosce queste funzioni positive del serpente: si ricordi soltanto il «serpente di bronzo» di Mosè, Nm 2 1 -6, che scongiura l'attacco dei «sera­ fini>> e guarisce i feriti. E le sue reliquie, venerate nel tempio di Gerusalem­ me, ne vennero allontanate durante la riforma attribuita al re Ezechia (2 Re 1 8 , 1 ), il che significa, se la notizia è storicamente utilizzabile, che fino alla seconda metà dell'VIII sec. a.C. l'oggetto veniva venerato nel tempio di Gerusalemme. Anche Eusebio di Cesarea ci riporta l 'affermazione di Filone di Biblo 5 secondo la quale il serpente in Fenicia veniva considerato un ani­ male divino, identico all'alito vitale, simbolo dell'eterna giovinezza, immor­ tale sempre che non morisse di morte violenta (eventualità alla quale par­ rebbe alludere 3 , 1 5 ) ; e nella regione sappiamo che la divinità della medicina, 'esmfin (conosciuta più tardi anche col suo titolo 'adon, greco Kupwç, > . Ma nell'Israele poste­ riore, ormai incamminato sulla via dell'ortodossia proclamata da Neemia e da Esdra, anche queste forme limitate di divinità erano vietate all'umanità: l'abisso che separava l'umanità dalla divinità non doveva essere oltrepassato neanche in forma contingente, nei brevi periodi durante i quali il culto lo rendeva possibile. Che la cosa fosse però poss ibile viene ammesso, anche se a denti stretti , dal v. 2 2 . Così, ad una narrazione che in origine raccontava l'istituzione dei culti della fertilità con tutte le conseguenze divinizzanti che ne scaturivano nei confronti di chi li praticava, si è sostituito esattamente il contrario: non vita, salute e fertilità, ma morte, malattia e dolore, duro lavoro su di una terra avara. È stato persino supposto da alcuni che il serpente sia stato in origine una figura quasi prometeica, protesa a riscattare l'umanità da una serie di soprusi ai quali una divinità invidiosa la sottoponeva (come del resto il discorso del serpente sembra presupporre): adesso appare soltanto come il seduttore, come l'elemento che spinge l'uomo ad agire per la propria distruzione. Il recente studio di D. Michel 2 giunge indipendentemente a conclusioni analoghe a queste.

2

MICHEL 1 988.

14. Scopena e rimprovero (3 ,8- 1 3)

Bibliografia ÀDDINALL 1 980-8 1 ; GùRG 1 98 1 ; MOBERLEY 1 989.

8 Non appena udirono JHWH Dio passeggiare nel giardino, al , l'uomo e sua moglie si nascosero al cospetto di JHWH Dio tra gl i alberi del giardino. 9 MaJHWH Dio chiamò l'uomo: «Dove sei ?>> . 1 0 Questi rispose: «Ho udito il rumore dei tuoi passi nel giardino e ho avuto timore, perché sono ignudo. Così mi sono nascostO>> . 1 1 Ma JHWH Dio gli disse: «Chi ti ha detto che sei ignudo? Hai forse mangiato dell'albero del quale t'avevo vietato di mangiare ;� , _ 1 2 L'uomo rispose: .

Il testo Vv. 8-9 - A chi non ha la coscienza a posto, anche il più lieve fruscìo appare sospetto (Jacob). «Vento del giorno>> : i LXX sopprimono il «ventO>> ed hanno soltanto TO &t.Àtvov, «serale>> , «Verso sera»; la V g. ha «ad auram post meridiem» , mentre il Sam. ha letto 'el rabbé (?) hajjom, forse «al com­ piersi del giorno» . Si tratta del «ponentino » , il tipico vento delle regioni mediterranee esposte ad occidente. Forse dovremmo correggere in ruah haj­ jam, il «vento (del lato) del mare>> , dunque «occidentale>> Vv. 1 0- 1 2 «Ho avuto paura»: Syr. ha letto «ho vistO>> , rad. ra'ah, «vedere» per jareh, «aver timore » ; la confusione tra le due radici, spesso coniugate in forma simile, è facile e frequente; giusta è la resa dell'ebraico. -

V. 1 3

maddua'.

-

La Vg. ha «Quare hoc fecisti » , dunque l'ebraico

lammiih o

Commento l . La Bibbia ebraica non riconosce mai al peccato un carattere positivo: non lo presenta come un nobile errore, neanche nelle intenzioni , né vi trova qualcosa di esteticamente attraente. Nel nostro caso è interessante notare come l'elemento gastronomico e quello estetico non siano del tutto assenti: la pianta è bella ed il frutto è buono da mangiare; ma si tratta di elementi non primari . Ciò che importa è invece l'elemento per così dire intellettuale: la promessa di particolari forme di sapienza e di potere, quelle che conducono al successo (rad. fk!), come l'autore segnala con fi ne intuito psicologico.

84

GENESI 1 - 1 1

2 . Alla coppia il risultato è che s'aprono gli occhi (v. 7), ma non tanto per vedere o intuire cose nuove, più alte realtà, ma soltanto la propria nudità, elemento che finora non era stato preso in considerazione perché considerato naturale, privo di ogni problematica. In altre parole, l'uomo sembra aver acquistato nuovi poteri, ma questi gli servono solo per percepire la propria situazione di disordine. Invece della vita, della salute e della fertilità, egli ha acquistato la coscienza di un nuovo limite, quello nei suoi rapporti turbati con Dio, del proprio fallimento. La vergogna della propria nudità lo conduce prima a fuggire, a nascondersi davanti a Dio, primo di tanti altri personaggi biblici (cfr. Sal 1 3 9,7; Am 9 , 1 ed il profeta Giona). Adesso in ogni caso la nudità appare come qualcosa da coprire, da evitare particolarmente durante il culto, Es 20,26, e la vergogna ch'essa suscita non è segno di virtù, di modestia, ma piuttosto il sintomo dell'avvenuta frattura.

3. Nell'interrogatorio che segue, Dio non inchioda l'uomo alle proprie responsabilità, come avrebbe avuto il diritto di fare: come poco prima nella creazione della donna, egli vuole anche qui, non senza rischiare il fallimento, far sì che l'uomo si renda conto di essere in colpa; pertanto, invece di stanarlo dal suo nascondiglio, gli domanda dove sia, e lascia così aperta la porta al pentimento ed alla confessione, condizioni di ogni perdono. Così non gli dice, per esempio: non si raccomanda.

V. 1 5 - Si noti la posizione enfatica di « inimicizia>> . hU' si riferisce alla «progenie» (maschile in ebraico), e non alla donna; la V g. traduce però con , quale appare fin troppo spesso nella tradizione cristiana. La comprensione del v. 1 5 è resa, ancora, difficile da un complicato gioco di parole, irriproducibile nella nostra lingua: abbia­ mo a che fare con due radici imparentate: Jwf e Ja'af, che significano rispet­ tivamente «schiacciare» e ; la seconda appare ancora in Am 2,7 e 8,4. Il significato generale appare però chiaro: per ogni serpente ucciso ve ne sarà un altro pronto a scattare. V. 1 6 heron è , mentre herjon, termine che appare nel Sam. è il ; si tratta di due termini i quali , anche se non proprio sinonimi , sono prossimi l'uno all 'altro; ma la lezione del testo mas-

GN 3, 14-19

87

soretico sembra preferibile: la «gravidanza» , e non il > , ovvero: > o ancora: «Come mai io sono costretto a lavorare duro per risultati esigui ? » . E la donna si domanda: . Per la risposta alla prima domanda abbiamo nel v. 1 5 un gioco di parole le cui implicazioni ultime ci sfuggono, ma che in ogni caso c'indica una lotta senza quartiere e senza limiti di tempo: ne uccidi uno e ve ne sarà sempre un altro pronto a prendere il suo posto e a morderti. 2. Il serpente, che in fondo è la causa di tutti i mali, se la cava meglio di tutti gli altri: serpente era e tale rimane. Ma vari autori si sono chiesti se 1 Per questa forma cfr. GesK § 10 s. 2 Cfr. anche il v. 23 e GesK § 52 d.c.

88

GENESI 1 - 1 1

originariamente l'ofida non venisse immaginato come dotato di quattro zam­ pe e capace di assumere, ove necessario, la «Statio erecta» 3; si tratta di una tesi antica quanto il primo dei commentari rabbinici (cfr. Ber. Rab. XX, 5, che la menziona esplicitamente). 3 . Particolarmente dura appare la maledizione nei confronti della pri­ ma coppia umana. Alla donna l'autore attribuisce due tendenze contrastanti: da un lato gl'inconvenienti ed i pericoli, e quindi la paura della gravidanza, ed i dolori del parto; ma anche, dall'altro, le soddisfazioni e le gioie della maternità, inoltre il desiderio di sposarsi e di creare una famiglia. Ma a que­ st'ultimo elemento non manca anche la facile delusione: mariti autoritari che non dànno quello che promettono o quello che sarebbe loro dovere di offrire ed esigono soltanto; frustrazioni ed umiliazioni di vario tipo. E la menzione dei dolori del parto riporta alla mente che nella Bibbia ebraica come nel N.T. essi sono un'espressione usata spesso per il dolore per eccel­ lenza, quello escatologico (ls 1 3 ,8; 2 1 , 3 ; Mie 4,9 e Sal 48,7). 4. Per l'uomo, infine, quello ch'era stato prima un servizio reso a Dio ed a se stesso mediante la custodia e la lavorazione del giardino diviene, dopo la maledizione, una dura lotta per l'esistenza contro un terreno avaro, sempre al limite della pura e semplice sussistenza. Si tratta in Canaan di una situa­ zione fondamentalmente diversa da quella dell'Egitto e della Mesopotamia: qui la presenza di uno o due fiumi e di una fitta rete di canali irrigui per­ metteva la produzione di abbondanti raccolti con fatiche ragionevoli. E con la cacciata dal proprio trono del sovrano terreno della creazione, anche questa inizia un cammino di sofferenza, essendo stata maledetta in­ sieme a lui . È possibile che due tradizioni siano state qui combinate: una che narrava le peripezie del seminomade che vive ai margini del terreno col­ tivato, nelle steppe, dove trova scarsi ed avari pascoli per il proprio bestiame e poco cibo per sé, e quella del contadino siro-palestinese, del falla};, che con lavoro intenso e durissimo cercava di strappare alle terre collinose e montane lo scarso cibo che siccità, erosione, cavallette, brigantaggio e guerre rende­ vano sempre più precario. E a conclusione di una vita siffatta l'attendeva infine, ineluttabile, la morte, vera e propria spada di Damocle che, allora molto più di oggi, sovrastava la vita umana, pronta ad interromperla anche in quei pochi casi nei quali fosse piacevole e coronata da successo.

3

Per i testi cfr. Westermann, 352 ss.

16. L'espulsione dall'Eden (3, 20-24)

20 Allora l'uomo diede a sua moglie il nome di > . 26 Ed anche a Set nacque un fig l io che chiamò Enos. Fu allora che si cominciò ad invocare il Nome di JHWH.

Il testo

V. 2 5 - «Adamo» appare qui per la prima volta come nome proprio. Forse dovremmo tradurre con «Uomo» . «Nuovamente» o «ancora» manca nei LXX, che hanno invece «Eva» , mentre la Syr. ha ambedue i termini. È possibile che il testo massoretico abbia qui un'aggiunta, per armonizzare questa genealogia con le precedenti. Dopo «ebbe rapporti » , LXX e Syr. pre­ suppongono l'ebraico wattahar, «e restò incinta» . «Lo chiamò » : Sam. ne fa soggetto il padre, ma nella Bibbia ebraica è normalmente la madre che dà il nome ai figli. Dopo «perché» i LXX hanno À.E)UU cra, e similmente Vg. e Tg.; si po­ trebbe dunque inserire un le'mor, «dicendo>> . Il riferimento sembra essere (Skinner) a 3 , 1 5 , dove troviamo sia Ht che zera': che Set sia stato in origine, prima dell'adattamento del testo all'attuale contesto, il primo ed unico figlio della prima coppia? V. 26 «Nacque » : si noti nl!_ovamente il passivo, come al v. 1 8 . «Si cominciò» : i LXX hanno Tjì..mcrEv oùtoç, dunque «questi sperò » ; Sam. e Vg. presuppongono invece he� el rad . j�l al hifil > . 30 E dopo aver generato Noè, Lamec visse 595 anni e generò figli e figlie. 3 1 Il totale degli anni della vita di Lamec fu di 777 anni, poi morì. 32 Noè aveva 500 anni quando generò Sem, Cam e Jafet. .

Il testo Il cap. 5 appare panicolarmente corretto dal punto di vista testuale e senza altri problemi oltre quello posto dalla trascrizione greca dei nomi pro­ pri e delle diverse cronologie. V. l - Si noti nuovamente 'at}am senza articolo, trattato quindi come nome proprio. Possiamo tradurre «Adamo» , ma anche, come sopra, «Uo­ mo>> . I LXX hanno rispettivamente àvapo7tov e 'A OO,... per il primo e per il secondo, mentre 'A e Vg. trascrivono «Adamo>> per il primo e «Uomo>> per il secondo. Si noti infine come ,, p ,, usi sempre ja!ad all'hifi!, mentre «) >> usa sempre il qa!.

1 12

GENESI 1 - 1 1

Vv. 2-3 - I vv. 2-3 ricapitolano i vv. 26 ss. di 1 , 1 -2 ,4a, contesto in­ terrotto adesso dal testo «) » ; quest'ultimo dev'essere stato inserito dunque in epoca relativamente antica, prima della redazione finale di «P». Dopo wajjoli(f quasi tutti i commentari propongono d'inserire ben, in simmetria con i versetti che seguono; ma Speiser, seguito condizionalmente da Westermann, osserva che eec!> , «Piacque, fu gradito a Dio» , probabilmente un tentativo di esprimere in chiave teolo­ gica l'espressione ebraica. Alcuni mss. minuscoli dei LXX inseriscono dopo ha'efohlm Koo. E sT\OEv 'Evmx;, in armonia col resto del testo; ma, contro We­ stermann, dobbiamo chiederci se il caso particolare, unico di Enoc non giu­ stifichi una formula distinta da quella usata per gli altri patriarchi; e questa sua singolarità appare, ancora, dal fatto che gli viene menzionato in Sir 44, 1 6 e 49, 14.

V. 2 3 Il Sam. ed alcuni manoscritti ebraici hanno il plurale, come negli altri versetti; simile è la situazione del v. 3 1 . -

V. 29 - Il versetto viene generalmente attribuito allo «) » , ma i l criterio dei nomi divini è, com'è noto, incerto; lo possiamo fare sulla base dell'ovvio riferimento a 3 , 1 7 s. «Ci consolerà»: rad. néi�am; ma i LXX hanno ota7ta­ vauaet TJJ.l(Xç, dunque Jnlqenu, rad. nw� , «ci farà riposare>> ; tale variante ap­ pare etimologicamente e forse anche logicamente più corretta e sembra da preferire; potrebbe però trattarsi di una correttura posteriore (W estermann), avendosi così una , era un mo1

Cfr. KRAMER 1 963, 43-52.

1 13

GN 5 , 1-32

narca pio e temente Dio, che praticava fedelmente ed assiduamente il culto degli dèi; soffriva però sotto quella che nell 'antichità era considerata una maledizione: la mancanza di figli 2• La maledizione costituisce l'elemento portante della narrazione: desiderava ardentemente di ottenere la «pianta del concepimento» , situata però in cielo, fuori dalla portata dei comuni mortali. Per mezzo di un'aquila, sembra ch'egli sia riuscito ad andare effettivamente in cielo (per i problemi del testo mutilo, cfr. sopra pp. 63 s.), ma senza potervi restare, tant'è che più tardi lo ritroviamo agli Inferi come il resto dei mortali, meno Utnapistim/Ziusudra, l'amico di Gilgames (cfr. oltre al diluvio). Un'altra versione della lista dei re antediluviani era nota già da tempo, attraverso i frammenti di un certo Berosso, un sacerdote babilonese vissuto alla corte di Antioco I (28 1 -261 a.C.), e autore di una Babyloniaca, composta in onore del proprio sovrano, col quale più tardi sembra aver litigato. I fram­ menti sono stati trasmessi da Flavio Giuseppe (A nt. I, 1 30) e da Eusebio (Chron. I, l , MPG 2 1 , 698 ss.). Il testo della lista qui conservato è abbastanza diverso, sia nelle cifre, sia nell'ellenizzazione dei nomi, secondo l'usanza degli scrittori ellenisti . Oggi gli assiriologi concordano nell'attribuire ai frammen­ ti di Berosso un notevole valore documentario 3• Anche secondo Be rosso vi sono stati dieci re in epoca antediluviana, con vite che vanno da 10 .800 a 64. 800 anni, per un totale di 432.000 anni 4 • Orbene, la lista babilonese e quella di Gn 5 hanno certi elementi in comune: il numero da otto a dieci per i loro componenti , le cifre biologica­ mente fuori da ogni realtà, un elemento che riuscì ad andare in cielo, il concetto che, man mano ci si allontana dall'età dell 'oro, decresce la forza vitale. Ma sono molte le differenze, sicché ci si deve chiedere se le analogie non sono piuttosto dovute al fatto che ci confrontiamo col medesimo genere letterario. E le discrepanze sono certamente notevoli: anzitutto nelle cifre; poi in Mesopotamia si tratta di re, per cui viene supposta la struttura fon­ damentale dello Stato, il che non accade nel testo biblico; ancora, nella Genesi Enoc viene rapito in cielo da Dio (cfr. oltre), mentre nella lista reale sumerica Etana (che porta anche, insieme ad altri re antediluviani, il titolo accadico di apkallum, «saggio») 5 giunge al cielo di sua propria iniziativa, a mezzo di un'aquila amica, ma non può restarvi. Le differenze sono dunque notevoli, per cui lo Hartman, lo Hasel e W estermann negano che si possa parlare di due liste parallele o comunque relazionare l'una con l'altra; anzi, lo Hartman e lo Hasel pensano che la lista biblica possa essere nata addirittura in aperta polemica nei confronti di quella babilonica 6. Il contenuto e l'origine dei due testi sono quindi diversi, nonostante alcune affinità di forma. 2. Come l , l -2,4a descrivono le origini dell'universo, così il cap. 5 de­ scrive la genealogia dell'umanità antediluviana, usando il medesimo termi2 Per i testi cfr. ANET 1 14 ss. 3 Cfr. VON SoDEN 1 9573. 4 Per una sinossi delle due liste cfr. FlNEGAN 1 9592, 30 1 AHw l , 58. 6 HARTMAN 1972; HASEL 1 978.

e

Westermann, 473.

1 14

GENESI 1 - 1 1

ne: toledol. Lo stile della narrazione biblica è schematico e quindi uniforme («grandioso» come lo definisce il Westermann), con la sola eccezione della notizia su Enoc. Con l'eccezione segnalata, la formula è sempre la stessa; il tutto appare, senza eccezioni questa volta, corredato da esattissime e detta­ gliatissime cifre. Ad Enoc accade invece qualcosa che rompe con tutti gli schemi: viene rapito in cielo. Si tratta, come «P>> ci tiene a segnalare, di un avvenimento unico, senza paralleli ; e la cosa è particolarmente interessante, perché più o meno alla stessa epoca della redazione finale di «P» nasce tutta una letteratura pseudoepigrafica connessa con la persona del patriarca. Per il resto, l'autore ci tiene a mostrare come l'umanità abbia ubbidito all'ordine divino «crescete e moltiplicatevi » . Nel nostro caso «Adam » tende sempre d i più a diventare un nome proprio, sempre che, come già visto, non vogliamo tradurlo semplicemente con «Uomo». L'immagine divina nell'uomo appare qui come qualcosa che si trasmette dai genitori ai figli. Il nostro testo non giustifica dunque l'as­ serto calviniano e calvinista, ripreso poi da K. Barth nel nostro secolo, che l'immagine divina sarebbe stata obliterata dalla «caduta» , cap. 3, per essere restituita all'umanità soltanto mediante l'opera redentrice in Cristo. Tale tesi, oltre a non avere nessun aggancio al nostro testo, mescola le fonti, che sul problema della «caduta» hanno proposte diverse. 3. Le liste di «)» , 4, 1 7 ss. e quella di « P » , 5 , 1 ss. sembrano invece risalire ad un archetipo comune, che trasmettono con alcune varianti; ciò dovrebbe apparire chiaramente dalla sinossi che segue. Le varianti che si ri­ scontrano sono in massima parte ortografiche ed appaiono, ancora, nell'or­ dine della successione 7: ,.p,.

«)»

Adamo

Se"t

Set 'E no§ Qenan Mal).alal'el Jered

Adamo

'E no§

clrad

Enoc Merfiselal).

Wl;lfija'el MerfiSa'el

Lamec

Lamec

Noè

!

Sem

7

l

Qajin Enoc

+

Cam



Jafet

Lo schema è ripreso da Skinner, 1 38 e Jacob, 1 67.

+

Jabal

1

+

Jubal

+

Tubal-Qajin

GN 5 , 1 -32

115

Ciò dovrebbe rendere verosimile la tesi che le due liste hanno fonda­ mentalmente una medesima origine, anche se nel corso della trasmissione si sono verificati dei mutamenti, nonostante obiezioni di alcuni 8• 4. Il personaggio più notevole della lista è naturalmente Enoc: egli «andava con Dio » , e Dio «lo prese» o «lo rapì » 9• L'espressione «andava con Dio>> appare soltanto per i patriarchi ante­ diluviani, l'ultimo dei quali è Noè (6,9). Più tardi il testo si servirà, sempre in «P>> , di una frase sostanzialmente identica, ma formalmente distinta: «da­ vanti, al cospetto di Dio» (cfr. Abramo in 1 7 , 1). Un altro caso di rapimento in cielo è quello del profeta Elia (2 Re 2 , 1 1 ), una volta, infine, appare in senso traslato nel Sal 49, 1 6, per la salvezza dagli Inferi operata da Dio in persona. Il carattere misterioso di Enoc (come del resto di Elia) spiega anche la nascita di una serie di scritti più o meno contemporanei alla redazione finale del «P>> , che hanno per oggetto le esperienze nel trascendente dei due personaggi; per il tema, rimandiamo ai volumi del Sacchi. Anche Sir 44 , 14, un testo che abbiamo già citato, recita: �anok hit_hallek 'ìm JHWH. . .

5 . Le cifre indicanti l e varie tappe della vita dei patriarchi e gli anni compiuti al momento della loro morte fanno parte dell'ossatura cronologica di «P>> : sommandole con quelle dei capp. 1 0 , 1 1 e di 2 1 ,5 ; 26,26; 49,9 ed Es 1 2 ,40, giungiamo, nel testo massoretico, all'anno 2.666 dalla creazione del mondo per l'Esodo dall'Egitto, dunque ai due terzi circa di 4.000. Ma appare dubbio che gli autori volessero indicare una cronologia nel nostro senso del termine, dato che arriveremmo a notevoli assurdità: così, per esem­ pio «Adamo>> avrebbe ancora visto la nascita di Lamec, mentre questi avreb­ be assistito alla morte del primo uomo; Noè sarebbe morto quando Abramo aveva sessant'anni e Sem, figlio di Noè, sarebbe stato ancora in vita alla morte di Abramo (von Rad)! Il tutto farebbe pensare che la cronologia generale e le genealogie siano state elaborate con criteri diversi, e fino ad un certo punto incompatibili. Ma poiché non possediamo la chiave del sistema, non possia­ mo far altro che constatare e segnalare l'esistenza di questa problematica, senza avere, allo stato attuale delle ricerche, una qualche soluzione o almeno una spiegazione da proporre.

8 Ultimo tra i qualì BRYAN 1 987 . 9 Cfr. LUOANI 1 980; ScHMITI 1 982. Per i testi dei vari libri di Enoc cfr. MILIK 1 976, 30-3 2 (per i materiali di Qumrin); BEYER 1984, 234 ss. (id.); AAA I, 4 1 3 ss. e 669 ss . ; II, 477 ss.

Sesta parte Nascita di giganti ed eroi (6, 1 -4)

Introduzione alla sesta parte (6, 1 -4)

Breve intermezzo mitico, poco o niente demitizzato salvo in alcuni det­ tagli minimi. Il suo scopo appare essere duplice: anzitutto quello di conti­ nuare la tematica del processo involutivo che condurrà l'umanità al diluvio; e nel contesto di questa, l'episodio costituirebbe un tentativo di appropriarsi nuovamente della divinità, questa volta facendo sposare le proprie figlie ad esseri divini; ancora quello della polemica contro i popoli politeisti, com'è stata messa in luce dal recente studio di Breukelman 1 • Per Jacob (al quale rimandiamo per le varie possibilità che questo testo presenta), la sezione non va letta come episodio separato dalla narrazione del diluvio; ne costituirebbe invece la logica introduzione; la proposta non ha avuto seguito.

1

BREUKELMAN 1980.

2 1 . Nascita di giganti ed eroi (6, 1 -4)

Bibliografia BARTELMUs 1 979; BREUKELMAN 1 980; Cu.RK 1 97 1 ; CuNES 1 979; GESE 1 97 3 ; HENDEL 1 987;

TsuKIMOTO

1 979; VAN SETERS 1988;

WicKAM

1 974;

WIF.A.U.

1 97 5 .

l Una vol ta , quando il genere umano ebbe cominciato a mo l tiplica rs i sulla terra e gli nacquero delle figlie, 2 gli dèi videro che le figlie dell'uomo erano belle. E ne presero in moglie quelle che si erano scelte. 3 Allora JHWH disse: «Il mio soffio non rimarrà con l'uomo per sempre, dato che è carne; il tempo della sua vita sarà di 1 20 anni ! » . 4 In quei tempi vi furono sulla terra i gi­ ganti, dopo che gli dèi ebbero avuto rapporti con le figlie dell'uomo e queste partorirono loro: sono questi gli eroi, uomini di fama dell'antichità.

Il testo V. l - «Cominciò» : rad. �Il, in origine «dissacrare>> , «Sconsacrare» , « ridurre allo stato secolare un oggetto» , dunque i l suo trasferimento dalla sfera del sacro a quella secolare. Solo allora è possibile « Cominciare» col suo nuovo uso.

V. 2 - «Dèi » : lett. «figli di Dio» (o > o «fare un processo•• (I: ha infatti Kpivu), al nifal «litigare (in tribunale)•• , ha soltanto l'infinito in -o finale, e poi non darebbe alcun senso ragionevole. I LXX hanno m) Jlll

K> (cfr. i LXX otà 'tÒ tivnt amouç, e similmente Vg., Syr. e Tg.); ma la particella prefissa Je-, frequente nei testi tardivi e poi comune nell'ebraico misnaico, non è attestata nel Pentateuco. La prima delle due forme presuppone il verbo Jgh o Jgg, «errare•• , , piuttosto che lo Spirito divino 4 • .

V. 4 - «Partorirono•• : si noti l'hifil del Sam. Il testo appare disturbato : possibilmente narrava in origine la nascita in forma diretta dei personaggi descritti, come conseguenza del connubio; si veda oltre per una possibile in­ tenzionalità da parte dell'autore o tradente di questo disturbo! «I giganti>> : che dal connubbio tra divinità ed esseri umani nascano personaggi straordi­ nari è ben noto alle mitologie orientali ed occidentali (contro Jacob). Così i LXX hanno oi & "(l")''Wtçt , seguiti dal Tg. e da Ibn-Ezra'; ma 'A ha oi em1tÙt'tOV'tEç (presuppone dunque la radice npl, «Cadere»), similmente il Tg ier; I: ha oi j3uriot, « i violenti>> . «Gli eroi>> : i LXX hanno anche qui oi "(l)UV'TEç e I: anche oi j3uxiot, mentre 'A ha oi ouva'Toi, semanticamente equivalente a I:.

Commento l . La tematica proposta dallo «] » continua qui il suo progresso: alla rottura dei rapporti con Dio e dal disordine che ne consegue anche sul piano dei rapporti umani, l'uomo aggiunge adesso un nuovo tentativo di essere simile ad un essere divino, mediante forme di connubio che dovrebbero nuo­ vamente condurlo al cielo. 2. Particolarmente interessante appare la recente proposta del Breu­ kelman , che non è esclusiva nei confronti della precedente che anzi com­ pleta ed esplicita, offrendo elementi di datazione, sia pure indiretti ed im­ pliciti soltanto. Giganti ed eroi appaiono spesso nelle varie mitologie come il prodotto dei connubi tra divinità di sesso maschile e donne. Ma Israele

2 AHw I, 1 58. ' Per altre proposte cfr. infine BARTELMUS 1979, 18 ss. 4 Contro Io., 19 ss.

122

GENESI 1 - 1 1

ha sempre respinto tale commistione tra la divinità e l'umanità: la prima appare come qualcosa di irraggiungibile all'uomo, anzi, come qualcosa alla quale l'uomo non deve neanche aspirare; la seconda è invece qualcosa che il mondo biblico ha sempre sommamente esaltata, come abbiamo visto a proposito dei due racconti della creazione e di Sal 8. Con la sottrazione del proprio alito vitale, JHWH confessa, in quanto respinge la commistione Dio-uomo, la propria solidarietà con la vera umanità: mentre i popoli po­ liteisti raccontano senza la minima reticenza episodi che coinvolgono le pro­ prie divinità in forma negativa, per esempio le loro scappatelle sul piano sessuale, il nostro testo parla della cosa con sentimento di scandalo e quindi di vergogna, com'è stato visto giustamente già da Gunkel; il passo viene per altro ugualmente riportato, in polemica contro quelle religioni che tale reticenza, e quindi tale vergogna, non hanno. Per cui non è importante identificare i protagonisti della faccenda, quanto di mettere in evidenza appunto questa polemica (Westermann). 3. La forma originaria del mito può essere captata dal lettore del nostro testo in forma esclusivamente frammentaria, dato che le parole-chiave del discorso divino non sono chiare. In epoca intertestamentaria il nostro episo­ dio è stato ripreso più volte, un segno evidente dell'interesse che suscitava nei lettori 5• La resa dei LXX, non seguiti però dalle altre traduzioni greche, sembra stare alla base della dottrina della caduta degli angeli ribelli, nota anche al N.T. 6 Ma abbiamo visto che questa è una teoria che in nessun modo si lascia ricondurre al nostro testo. Una cosa è sicura: la nascita di giganti e d'eroi non può essere disgiunta da quello che gli dèi hanno fatto con le figlie degli uomini; e l'intenzione del testo, magari volutamente gua­ stato, è quella di evitare ogni concatenazione diretta tra causa ed effetto con quello che in molte religioni pagane era motivo d'interesse e magari anche d'orgoglio, quando era possibile vantare una discendenza da connubi del genere. Per l'autore ebraico, la cosa imbarazza ormai soltanto ed implicita è la dichiarazione: tra di noi non dev'essere così, data l'esaltazione anche del­ l'umanità, naturalmente nel proprio campo. Per questa ragione il testo nella sua forma attuale non parla della nascita di giganti ed eroi. 4 . T.J . Milik, che ha pubblicato i frammenti di Qumran trattanti della figura di Enoc 7, pensa che il nostro testo sia in realtà un riassunto piuttosto difettoso (e, aggiungeremmo, magari intenzionalmente difettoso) dell'origi­ nale nel libro pseudoepigrafìco di Hen 6, l ss. 8 , il che potrebbe spiegare alcune incongruenze 9. La citazione da Enoc costituisce l'inizio del cosiddetto Libro dei Vigilanti, che comprende i capp. 6-36 dell'opera. Un riferimento, anche se alquanto oscuro, al nostro testo appare forse in Ez 3 2 ,27.

5

Per i dati cfr. BARTELMUS Cfr. Ep. Giuda, 6. 7 Cfr. MILIK 1976. ' Cfr. AAT l, 472 ss. 9 Cfr. MILIK 1 976, 3 1 .

6

1979, l '5 1

55.

Settima parte Le narrazioni del diluvio «] » e «P» . (6, 5 - 8,22)

Introduzione alla settima parte (6,5-8,22)

Bibliografia

BARRÉ 1 988; E MERTON 1 987-88; FRBTHEIM 1 969; FRITZ 1 982; GUNN 1 97 3 ; GYI!R 1 98�; KEEL 1 97 7 ; Kwos 1 982; KsELMAN 1 97 3 ; LEMCHE 1 980; MOLLER 1 98 5 ; MuRAOKA 1 979; 0BERFORCHER 1 98 1 ; 0DEN 1 98 1 ; PETERSEN 1 976; SMEND 1 98 1 ; WEINFELD 1978; WENHAM 1 978.

La narrazione del diluvio è uno dei testi classici, insieme a Gn 37 e 39, per iniziare la studente di ebraistica al problema delle divisioni in fonti. Effettuando tale divisione, non solo vengono eliminate quasi tutte le con­ traddizioni e le altre tensioni contenute nel testo attuale, ma si ottengono anche, caso piuttosto raro, due narrazioni parallele quasi complete e sempre coerenti. Alla fonte «] » vengono generalmente assegnati: 6,5-8 (con elementi di « P >> nel v. 7 ) ; 7 , 1 - 5 . 7 - 1 0 . 1 2 . 1 6b. l 7 a (e b ? ) . 2 2 - 2 3 ; 8 ,2 b - 3 a . 6 1 2 . 1 3b(?). 1 8(?).20- 2 2 ; alla fonte « P » vengono invece assegnati : 6,9- 1 2 ; 7 ,6. 1 1 . 1 3 - 1 6a. 1 8-2 1 .24; 8 , 1 -2a.3b-5 . 1 3a. l 4- 1 7 . 1 8(?). 1 9. S i tratta d i una divisione piuttosto chiara, che lascia pochissimi versetti in una situazione dubbiosa e che pertanto rende possibile studiare le due fonti separatamente, come vien fatto, per esempio, da H. Gunkel e ] . Skinner. Nel testo che segue presenteremo i due testi risultanti dalla divisione in forma sinottica, lo «] » a sinistra, il «P» a destra. Ancora, lo studio di ] .A. E m erto n 1 ha ribadito, se ve ne fosse bisogno, l impossibilità di considerare la narrazione del diluvio come unitaria. Anche chi non opera con l'ipotesi documentaria dovrà pren­ dere atto che vi sono nei nostri capitoli due racconti. L'importante, recente studio di H.-P. Miiller 2, ha riproposto la narra­ zione del diluvio in termini completamente nuovi ed originali: si tratta di quello ch'egli chiama «antimito» . Questa nuova categoria è il contrario del mito di fondazione: un mito di distruzione. Tale concetto egli mutua dal­ l'ormai classico studio di A. Jolles 3• Il ragionamento del Miiller si svolge lungo due linee: anzitutto, sia in Babilonia che in Israele il diluvio appare insufficientemente motivato sul piano teologico ed etico: troppo grande è la sciagura che colpisce l'universo, per le colpe che all'umanità vengono impu­ tate; poi il carattere chiaramente complementare di creazione e diluvio, ele­ mento messo in luce da C. Westermann 4, e che è particolarmente chiaro nella versione «P>> : «Mentre il mito della creazione intende garantire l'esi­ stenza dell'uomo nel proprio mondo, in quanto segnala perché quanto esiste può esistere, l'antimito del diluvio intende scongiurare ( «hinwegbannen») tutto quello che minaccia tale esistenza e mette in forse la sua giustificazio­ ne» 5 • E tale complementarietà è accertabile non soltanto nei racconti , e quest'arbitrarietà si manifesta nel fatto che in 8,20-22 «) » gli stessi elementi che costituiscono la causa del diluvio, motivano adesso l'impegno rassegnato di JHWH di non servirsi più di que­ sto mezzo! È cenamente vero che «] » ci offre una descrizione di come l'u­ manità è venuta degenerando dopo la rottura dei suoi rapporti con Dio, ma poco di concreto ci vien detto in «) » e nulla in «P» per spiegare la durezza e l'irreversibilicà della pena comminata. Né questa situazione spiega come mai venga distrutto anche il mondo animale e non solo l'umanità peccatrice! Ma questa debolezza nella motivazione ha le sue radici proprio nel ca­ rattere complementario della creazione e del diluvio; anzi, in Mesopotamia, dove troviamo i modelli dei racconti biblici , esiste bensì una motivazione, ma questa non ha alcun rapporto col peccato dell'umanità. Si tratta in realtà della conflittualità interna del pantheon, e dipende quindi dalla natura po­ liteistica della religione mesopocamica. In realtà, nella Babilonia il genere umano è solo l'involontaria, casuale ragione della catastrofe, le cui origini vanno ricercate più a monte. Naturalmente un' impostazione del genere ri­ sulta improponibile all'autore israelitico, specialmente nel periodo postesi­ lico: il conflitto tra varie divinità non era evidentemente trasferibile alla per­ sona dell'unico JHWH, sebbene anche in Israele questi era il causante del diluvio. Pertanto appariva necessario cercare un altro responsabile, e questi non poteva essere che l 'uomo. Di lì l'insistenza su di una non ben determi­ nata né qualificata malvagità umana (6,5 . 1 1 ) nelle due fonti. Nella medesi­ ma maniera anche la «giustizia>> dell'unico salvato e dei suoi familiari viene descritta in maniera quanto mai vaga ed insufficiente, secondo le teologie delle due fonti. Una spiegazione puramente teologica col calvinista «sola gratia>> non è, evidentemente, ammissibile sul piano esegetico. In AtralJasis l'elemento che scatena la collera degli dèi è il molesto «Schiamazzare>> del genere umano, divenuto troppo numeroso, I, 3 5 5 s. e Il, 1 7 . Il Miiller, che non accetta il motivo delle «grida sediziose>> proposto da G. Pettinato 7, segnala come in casi come questi il mito è solito descrivere dettagliatamente quanto sta avvenendo, come mostra con un esempio per­ tinente; ciò per altro non accade qui ; inoltre questo non è l'unico caso in cui i rumori degli uomini disturbano gli dèi , come mostra con convincenti esempi, ma senza che accada alcunché di grave. Ma anche se la cosa fosse stata più grave dei rumori (per esempio le grida sediziose), mancherebbe ogni proporzione tra il delitto ed il castigo. La cosa viene resa ancora più complessa dal fatto che due dèi oziosi , Anu e Enlil, hanno sempre avuto, nel 6

Sul diluvio in Mesopotamia cfr. HEIDEL 1 949', spec. 224

7

PETTINATO 1968. Cfr. oltre.

ss.;

LAMBERT-MILLARD 1 969, 46

ss.; PETTINATO 1968; FRYMER-KENSKY 1977; CAGNI 197 5 ; SAPORETTI 1 982a, 1 982b.

INTRODUZIONE AllA SETTIMA PARTE

127

mito babilonese, una certa avversione verso il genere umano, in quanto so­ pravvissuti a se stessi e rappresentanti, quindi, un elemento ostile alla realtà della vita e del culto. E anche in Mesopotamia la salvezza dell'eletto viene insufficientemente motivata: Utnapistim, Atrabasis e Ziusudra. Il vero motivo che scatena il diluvio in Mesopotamia è dunque la conflittualità interna degli dèi, mentre all'uomo tocca soltanto una parte subordinata; l'inapplicabilità del primo motivo alla teologia d'Israele fa sì che tutto si concentri sull'uomo e sulle sue colpe. In Babilonia, e la cosa non stupisce date le premesse, il diluvio giunge alla propria fine non appena gli dèi hanno raggiunto un compromesso; ed il risultato è che da un lato gli dèi rinunciano, per il futuro, alla misura estrema del diluvio, mentre gli uomini s'impegnano a non dar più fastidio. Ma anche le cause di questa svolta positiva stanno più in alto, tra gli dèi. Scopo della narrazione è quindi sia la dimostrazione che il diluvio non avrà più luogo, sia lo stabilimento di quello ch'è lecito per l'uomo e di quello che non lo è. Fondato su questi elementi , il mondo potrà durare. Ma la conclusione della narrazione «) » è molto simile (8,22): in essa JHWH stesso garantisce il ritmo del cosmo, elemento invece assente da « P » . In Mesopo­ tamia il conflitto si svolge tra le forze amiche e quelle nemiche dell'umanità e teatro ne è il cosmo; alla base del conflitto sta la nozione ambivalente che la vita, umana o animale che sia, viene continuamente minacciata dal mondo inorganico con le sue manifestazioni caotiche, con le sue potenzialità nega­ tive, latenti o palesi che siano. Si tratta del conflitto tra il cosmo e l'essere, e il caos e il non-essere; e gli dèi nemici dell'umanità, Anu e Enlil, vorreb­ bero tornare al caos. Lo stud io dell'Oberforcher 8, ha messo in evidenza un altro elemento: che le considerazioni antropologiche di 6,5-7 sembrano co­ stituire la chiave per un'adeguata lettura di tutta la storia delle origini: in ((J » l'accento è piuttosto antropologico, in quanto vien messa in luce la pro­ gressiva difficoltà del genere umano nei suoi rapporti con Dio; in > : lett. «Cuore>> ; nell 'uso metaforico di organi del corpo umano, il cuore è, in ebraico ed in accadico, la sede del pensiero, men­ tre le viscere sono la sede degli affetti. -

V. 6 Si notino gli audaci antropopatismi , tutti confermati dalle an­ tiche traduzioni ; essi hanno suscitato perplessità già nell'esegesi ebraica an­ tica. Invece di , considerato troppo forte e contraddittorio con quanto affermato in Nm 2 3 , 1 9 e l Sam 1 5 ,29, M. Buber ha proposto «gli dispiacque>> ; d'altra parte accade che Dio si «penta>> del male minacciato, non appena riscontri un atteggiamento positivo nel popolo o negli individui, Ger 1 8 ,7 ss. , e con formula dubitativa in Gio 2 , 1 3 Qacob). -

V. 7 - Abbiamo qui una breve interpolazione di stile «P>> o addirittura di «P>> stesso, dalla fine di «genere umano>> a «cieli>> : così troviamo l'uso di bara' ed il costante riferimentc agli animali nello stile di Go l ; l'inserto, inoltre, specifica in maniera illogica il precedente 'aç/am (Skinner). Per alcuni autori il seguito deve aver riportato la descrizione «] » dell'arca, poi sostituita da quella di « P » . V. 9 Inizia l a lunga sezione di « P » , che prende il rimanente del capitolo. «Storia>> : anche questa volta, come in 2,4a, to/etfol non può avere il senso dì «genealogia» . «Seguiva . . . >> : per l'espressione cfr. a 5 ,2 2 . «Giusto ed integro» sono due sostantivi , per cui il secondo non può essere attributo del primo, come suggeriscono invece alcuni esegeti ebrei medievali , cfr. l'ac­ cento disgiuntivo (i/f?a', per il quale cfr. a l , l . «Egli seguiva . . . » : i LXX hanno EÙilPE> . > . I LXX hanno Katpoç, � ha Jttpaç, mentre 'A e Vg. confermano il testo massoretico. Il con­ cetto «fine» diverrà poi fondamentale per l'escatologia (cfr. già Am 8 , 1 -2). «Li sto ... »: lett. «Sto per distruggerli, la terra . . . >> , il che non dà un buon significato. I LXX hanno inserito Kai : « loro e la terra>> , mentre Sam. ha min, : greco n!k>t0ç; il termine ebraico viene usato sol­ tanto qui ed in Es 2,3-5 per indicare il cestello nel quale Mosè viene depo­ sitato nel canneto; in quest'ultimo caso però i LXX hanno 8ì �ll - Più tardi il termine indicherà semplicemente la o il > ; non è d'origine semitica, ma egiziana: db3 .t indica il o la > . 5 E Noè fece quanto JHWH gli aveva ordinato.

7 E Noè, e con lui i suoi figli, sua moglie e le mogli dei suoi figli entra­ rono nell 'arca davanti alle acque del diluvio. 8 E degli animali puri , e de­ gli animali che puri non sono, e degli uccelli e di quanto striscia sopra la terra, 9 due a due vennero da Noè nell'arca, maschio e femmina, come Dio aveva ordinato. IO E dopo sette giorni le acque del diluvio vennero sopra la terra.

12 E cadde sulla terra la pioggia per 40 giorni e 40 notti.

6 Noè aveva 600 anni, quando il di­ luvio (acque!) venne sopra la terra.

1 1 Nell'anno 600 della vita di Noè, nel secondo mese, il giorno 1 7 : in quel giorno tutte le fonti del grande abisso si squarciarono e le chiuse del cielo si aprirono. 1 3 Proprio quel giorno Noè, Sem, Cam e Jafet, figli di Noè, la moglie di Noè e le mogli dei suoi figli con loro entrarono nell'arca; 14 essi e tut­ ti gi animali selvaggi, secondo le loro specie, tutti gli animali domestici se­ condo le loro specie e tutti gli uccelli secondo le loro specie: ogni uccello dotato di ali . 1 5 Essi entrarono da Noè nell'arca due a due, di ogni crea-

GN 7 , 1 -24

16b Poi JHWH chiuse Io sportello dietro di lui . 1 7 Ed il diluvio venne sopra la terra per 40 giorni e 40 notti. Le acque crebbero e sollevarono l'ar­ ca, che s'innalzò al disopra della terra.

22 Quanti avevano alito vitale nelle loro narici, quanti vivevano sulla ter­ ra asciutta, morirono. 23 Così egli sterminò ogni creatura esistente che si trovava sulla superficie della terra, dall'uomo agli animali, ai rettili ed agli uccelli del cielo: essi vennero eli­ minati dalla superficie della terra. Restò soltanto Noè e quanti si trova­ vano con lui nell 'arca.

133

tura che ha alito vitale. 1 6a E quelli che entravano erano maschio e fem­ mina di ogni essere vivente, come Dio aveva ordinato.

18 Le acq ue si gonfiarono e crebbero grandemente sopra la terra, ma l'arca navigava sulla superficie delle acque. 19 Le acque si gonfiarono sempre di più sulla terra, sicché vennero coperti i monti più alti che si trovano al di sotto del cielo. 20 Quindici cubiti le acque crebbero al disopra di ciò, ed i monti più alti ne vennero coperti! 2 1 Così perì ogni essere vivente che si muoveva sulla terra: gli uccel li, g l i animali domestici e selvaggi e tutto quello che brul icava sulla terra ed ogni essere umano!

24 Le acque continuarono a crescere sulla terra 1 5 0 giorni.

«Soltanto te . >> : rendiamo così l'e nfatico 'otega, come indica la sua collocazione all'inizio del periodo. .

ktl, rara in ebraico, , come abbiamo visto, il fenomeno è vera­ mente universale, cosmico. L'oceano primordiale, il mabbul, e l'abisso, il te­ ham, si precipitano sul cosmo attraverso aperture prodotte sia in basso, me­ diante squarci, sia in alto mediante un'apertura smisurata delle chiuse cele­ sti; viene così annullata la protezione offerta al cosmo dalla raqfa', il «firma­ mento>> . Una volta rinchiusisi gli squarci e serrate le chiuse, l'acqua non solo non cade più, ma defluisce poco a poco. Dove? L'antico autore non se lo domanda, probabilmente perché la cosa doveva apparire ovvia: tornava verso l'abisso, dunque defluisce verso il basso.

1 40

GENESI 1 - 1 1

2 . Un esame delle narrazioni del Vicino Oriente antico giunte fino a noi ci mostra che è qui che dobbiamo cercare non solo i paralleli formali più vistosi ai nostri racconti, ma anche, verosimilmente, la loro origine. a) Nell'antico Egitto troviamo, nel cosiddetto Libro dei morti 4, il mito chiamato della 5• Atum/Re< annuncia la propria intenzione dì castigare l'umanità ribelle (non ancora chiaramente distinta dagli dèi), mediante un diluvio causato dalle acque dell'oceano primordiale (nun). Causa della ribellione è il fatto che il dio viene ormai considerato troppo anziano e cagionevole di salute, per cui si tenta di spodestarlo. Fino a quel momento egli era stato il dio del cielo e della terra. Ma il diluvio, che ha inizio ad Eracleopoli, l'antica Henesen nell'alto Egitto, presto sommerge tutta la re­ gione, sterminandone gli abitanti, salvo alcuni pochi che vengono salvati dallo stesso Atum/Re< nella barca del dio Sole, «la barca dei milioni di anni » . Ma i l dio, ormai amareggiato, si ritira in cielo, lasciando la terra ad altre divinità. Il mito ha funzioni chiaramente eziologiche e sociali: spiega infatti l'insicurezza ed il disord ine regnanti nel paese dopo l'epoca di el-Amarna (morte di Echnaton, ca. 1 3 36 a.C.). Interessante è che abbiamo qui anche il motivo di una specie di «peccato originale>> , anche se di contenuto diverso da quello di Gn 3. Il testo che possediamo è purtroppo mutilo, per cui una buona parte dei dettagli ancora ci sfugge. b) In Babilonia le narrazioni giunte fino a noi ci mostrano senz'ombra di dubbio che è in quella regione che dobbiamo cercare il modello per la narrazione biblica nelle sue due versioni. - Nella tav. Xl dell'epos di Gilgamef 6 troviamo una narrazione praticamente completa. Gilgamd è l'eroe senza macchia e senza paura, che teme una sola cosa, inevitabile: la morte. Pensa allora di chiedere al proprio antenato Ut­ napistim, in sumerico Ziusudra (2tcruepoç presso Berosso, cfr. oltre) e che vive in felice immortalità alla foce dei due fiumi, come abbia fatto ad ot­ tenere una così singolare condizione. E U tnapistim gli racconta la propria storia: era re di S urippak sull'Eufrate, quando un giorno gli dèi s'adirarono con essa, specialmente Anu, dio del cielo, ed Enlil, dio della terra; Ea invece, il dio del mare ed amico di Utnapistim, non partecipò, e gli rivelò la cosa. Gli altri dèi , per timore delle due divinità maggiori , non s'opposero al pia­ no, ma Ea consigliò al proprio amico di fabbricarsi un'arca; e questa viene descritta con abbondanza di dettagli. Il dio gli diede persino dei consigl i sul discorso da tenere ai propri sudditi per motivare la costruzione. Il lavoro dovette essere compiuto molto rapidamente, perché il tempo stringeva (sembra che vi fossero soltanto sette giorni). L'arca aveva sette ponti ed il carico venne effettuato nella seguente maniera: anzitutto i tesori del re, poi le sementi, poi i parenti più stretti di Utnapistim ed infine vari animali. La tempesta iniziò ben presto, raggiungendo l ivelli d'inaudita violenza. Persino gli dèi corsero pericolo di morire di paura, ed allo stesso tempo 4 Per la bibliografia cfr. GASTER 1969, 84. Per il quale cfr. HORNUNG 1 979, 365 ss.; 1982 (entrambi con bibliografia). Cfr. ancora ANET 1 0 ss. e TUAT I, 5 2 8 ss. 6 ANET 93 ss. (non ancora in TUAT); cfr. SAPORETII 1982a, 49 ss.; 1982b, 57 ss. 5

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GN 8 , 1 -22

mostrarono una strana, tardiva compassione per il genere umano che stava perendo, pur essendo essi la causa del fenomeno. Finita la tempesta, Utna­ pistim guardò fuori dall'arca e non vide altro che un'immensa distesa d'ac­ qua. Infine l'arca s'arenò su di una montagna. Sette giorni dopo l'eroe man­ dò fuori una colomba, che però ben presto ritornò, poi una rondine che tornò anch'essa ed infine un corvo che non tornò più: aveva trovato terra ferma. Allora Utnapistim uscì dall'arca e con i compagni preparò un sacri­ ficio. «Gli dèi sentirono l'odore soave e come mosche circondarono i sacri­ ficanti » , afferma il testo. Soltanto Enlil, il principale responsabile del di­ luvio, fu lasciato dagli altri dèi fuori dal banchetto, finché, alla fine, venne permesso anche a lui d'avvicinarsi. Anch'egli viene persuaso dall'odore del sacrificio e si riconcilia con l'umanità; ed U cnapistim riceve come inden­ nizzo l'immortalità. Tale è la risposta che Gilgames riceve dal proprio pa­ rente. Fin qui la versione più nota del diluvio babilonese. - Ma esiste un'altra narrazione, anch'essa in accadico, quella del poema detto di Atra/]asis, titolo che significa «Eccellente in sapienza» e che viene portato da varie persone, tra le quali anche Utnapistim 7• Il poema descrive le ra­ gioni del diluvio in maniera non completamente chiara: gli editori dell'e­ dizione critica mantengono che gli dèi erano ad irati con l'umanità a causa degli schiamazzi di questa, diventata troppo numerosa, schiamazzi che di­ sturbavano il loro sonno. Ma Pettinato 8 sostiene che bisogna tradurre non già « schiamazzi » , ma o anche del «semito-camitico» non significa nulla, trattandosi di denominazioni con­ venzionali. Il sistema qui usato riflette semplicemente la posizione geogra­ fica di ciascun popolo: Jafet ed i suoi discendenti al nord, Sem al centro e Cam al sud 1• Potrebbe, certo, darsi che in alcuni casi l'elenco rifletta anche determinate situazioni etnico-politiche, com'è stato tentato per la sezione precedente (Zimmerli e von Rad); ma è anche possi bile che popolazioni reali siano state combinate con popoli mitici o semplicemente frutto della fanta­ sia, dando luogo a complessi che ricordano i viaggi di Ulisse e di Enea, o, in epoca più recente, quelli di Sindbad o di Gulliver. Non abbiamo dunque a che fare con un testo di etnologia o di geografia primitive, per le quali si trattarebbe solo di identificare i nomi e di scoprire le date. Di tutto questo dobbiamo tener conto nell'esaminare questo testo non facile. Durante la seconda metà del II mill. a.C. due sono le grandi potenze che si dividono il potere sulla regione; a nord gl'ittiti, a sud l'Egitto; il secondo ha la sovranità, per quanto nominale possa essere ormai stata, anche su Canaan, che pertanto si trova tra i «figli di Cam » : Kus, Egitto e Puç (v. 6). Nel sec. XII a.C. poi gl'ittiri vennero travolti dai «popoli del mare» che invasero l'impero dal nord, mentre altri nuclei di questi, dopo aver ten­ tato di sbarcare in Egitto, s'insediarono sulla costa meridionale di Canaan, dando alla regione uno dei propri nomi: Palestina (attestato da Erodoto in 1 HOISCHER 1949, 45-56.

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avanti). Nella tavola dei «figli di Jafet» troviamo principalmente questi gruppi e quelli che si diressero verso « le isole delle genti» (v. 4). Nell'ambito della redazione della Genesi, esiste una tensione tra il no­ stro capitolo e la prima metà del cap. 1 1 (cfr. 9,1 8-27): in quest'ultimo capitolo le differenze etnico-linguistiche appaiono come il castigo divino per un ennesimo tentativo di scalare il cielo, mentre nel cap. 1 0 non costitui­ scono motivo per una separazione di fondo; anzi, il nostro capitolo insiste piuttosto sull'unità sostanziale del genere umano, nonostante le differenze etnico-linguistiche. Il nostro capitolo non conosce, dunque, una superiorità di un popolo sull'altro, neanche per gli antenati del futuro