Filosofia prima. Introduzione a una filosofia del «quasi»
 8871867866, 9788871867861

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SOMMARIO
IN'fRODUZIONE
Nota di traduzione
F ILOSOFIA PRIMA
CAPITOLO I Dall'empiria alla metempiria
CAPITOLO II Il problema dell'origine radicale
CAPITOLO III Della morte
CAPITOLO IV La nichilizzazione delle essenze
CAPITOLO V Su un totalmente-altro ordine
CAPITOLO VI La via negativa
CAPITOLO VII Il Lui-stesso
CAPITOLO VIII Il non -so-che
CAPITOLO IX La creazione
CAPITOLO X L'uomo

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Pubblicato nell954, Philo.I'Oρl:nΊ• ρrι•ιιιlι'rtJ viene qui tradotto per la pι·iιηιι νοlιιι Ιι1 italiano. Ε l'opera piu complcssιι, ιli 11ΗΙΜ· giore intensita speculativa, attrιινcι·ιιιιtιι da una tensione teoretica decisivn all'il1· terno del percorso filosofico di Vlaιlitniι· Jankelevitch. "La mia metafisica", cοιηι� lo stesso Jankelevitch ebbe a definiι·Ia. Nel peculiare stile di "scrittura filosoli­ ca" - contaminazioni, annunci sospesi c accostamenti spiazzanti, veloci incursioni e ricorrenti riprese, neologismi, associa­ zioni improvvise, sorprendenti arcaismi­ Jankelevitch ci rimanda al VII libro della Repubblica, ίη cui la conversione, piu che mutamento di posizione, appare come ra­ dicale cambiamento di condizione. Un camminare in senso inverso rispet­ to ai "falsi metafisici", che parlano del fondo dell'essere come se facesse parte del nostro mondo, facendone cioe una sostanza: e il percorso che attraversa da parte a parte Filosofia prima. Pensare l'in­ comparabile mantenendolo impensabile, ossia senza renderlo sostanza. Il compito della "metafisica seria" e pensare il miste­ ro, ovvero l'incommensurabile. Senza ca­ muffare il mistero, il filodosso convertito alla filosofia deve esercitarsi a mantenersi nell'incertezza. Deve sapere di non sape­ re (nescio quid).

(dal saggio introduttivo di Lucio Savianz)

Ν ato a Bourges da genitori ebrei russi migrati ίη Francia, Vladimir Jankelev (1903-1985) insegno all'Istituto fran di Praga e all'Universita di Tolosa 1 Lille. Dal 1951 al 1977 fu titolare c cattedra di Filosofi.a Morale alla Sorb1 τra le sue opere principali tradotte ίη lia: L'ironia (1996), La musz·ca e l'z.n ejj le (1998), La morte (2009), Il non-so e il quasi-niente (2011), Da qualche p nell'z.ncompiuto (2012),

ISBN 978-88-7186-786-1

Euro 25

JANΚ:ELEVΠCH, VLADIMIR Filosofia prima lntroduzione a una filosofia del "quasi" ; Α cura e con un saggio introduttivo di Lucίo Saviani Traduzione di Fraηcesco Fόgliotri Bergamo: Moretti&Vitali , [2020]. 312 pp. ;21 cm. (Narrazioni della conoscenza. Andar per storie ; 64) Ι. Jaηkelevitch, Vladimir Π. Savianί, Lucίo ΠΙ. Fogliotti, Francesco

CDD (ed. 21.): 194, ISBN 978 88 7186 786 1

Edizione originale francese: Philosophie premiere. Introduction d une philosophie du ξηθέν) . 16 Parmenide non dice esatta­ mente che 1' essere e pienezza, bensi che tutto e pieno di essere, π&ν δ' έμπλεόν εστιν Μντος:17 anche se l'Uno manca di densita concreta, l'universo e Plenum, non interrotto dal nulla, da vacuita beante ο soluzione di continuita. Cio che Eraclito diceva del mon­ do ίη quanto fuoco trasformabile, che e increato e sempiterno, 1 8 Parmenide lo ripete dell'universo in quanto essere immutabile. Quest'empiria che ci appare bucherellata come un colabrodo e in realta compatta. Ε non basta affermare che l'Essere e eterno, e l'Eternita stessa: Eternita che si identifica con la Necessita pura e semplice, e non perpetuita attraverso il cambiamento, sotto il cambiamento, a dispetto del cambiamento . . . La cosmogonia e resa del tutto inservibile da questa grandiosa tautologia, della quale non basta dire che e destinale (perche un destino non pesa, dopo tutto, che sulle creature) . . . Questo e l'Essere considerato

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Verso 61. Cfr. 96. Verso 83 e 59. 16 Verso 63 . Cfr. Simplicio, 78, 24. 17 Verso 80. 18 Bywater, fr. 20.

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"sub specie necessitatis" ! 19 Π filosofo, medusato dalla testa di Gor­ gone de1 "what is" ,20 e incatenato, secondo Lev Sestov, come i pri­ gionieri de1 settimo libro della Repubblica: se questi sono prigionie­ ri nella caverna dell'empiria, quello e prigioniero sulla roccia de1 Caucaso delle essenze. - Tuttavia, 1'eternitarismo de1 puro e sem­ plice Εστιν21 commette 1'imprudenza di andare fino in fondo e fino alla fine: in termini schellinghiani, si tratta di una filosofia negativa, ο di un pro1egomeno alla questione radicale, che Parmenide rende piu facile da porre rappresentandosi 1'Essere come un b1occo, cioe come un tutto g1obale e intatto, οuλον:22 basta infatti un'impercet­ tibile trasposizione affinche il monismo dell'identita marmorea e dell'Esti senza spiragli metta in questione 1a totalita radicale dell' e­ sistente e niente vada piu da se; un so1o picco1o pensiero - un pic­ colissimo pensiero da cui chissa se Parmenide avrebbe saputo di­ fendersi - e 1' Esti ne1 suo insieme diventa un sogno . . . Puo darsi che 1'intero E1eatismo non sia altro che una vasta macchinazione per impedire a quest'idea di farsi strada, per prevenirne anche so1o 1a tentazione! Α totalita g1obale, nichilizzazione vertiginosa! Ε una vertigine . . . ο un'angoscia di questo genere che 1'avversario di Era­ clito forse provava nell'impiegare, prima di Am1eto, 1a disgiunzione 0: έστιν fι ουκ έστιν [e ο non e] . Ε altrove: fι πάμπαν πελέναι ( . . . ) fι ούχ'ι.23 Asso1utamente, ο niente affatto . . . Ε se per caso toc­ casse al ''niente affatto"? L' eventualita non e presa in considerazio­ ne, perche 1a pietrificante equazione esc1ude dalla necessita e dall'e­ ternita 1e 1acune de1 non-essere: ma e sufficiente che questa gran: diosa semplificazione 1'abbia resa possibile, che ne abbia almeno generato 1a minaccia. Co1oro che ammettono una conflagrazione universa1e fanno (e il caso di dir1o) 1a parte de1 fuoco, poiche, in mancanza d'altro, 1a fme de1 mondo sottintende a tutto il resto a1meno 1a sopravvivenza dell'Essere: quanto alla fine dell'Essere in Lev SESTOV, Atene e Gerusalemme, Ι, Παρμεiιιδης δεσμώτης [Parmenide inca­ tenato] . 20 Traduzίone dί John BURNET, Early Greek Philosophy, trad. Aug. REYMOND, p. 206. 21 Verso 35. 22 Lezione di Plutarco e dί Proclo: ούλομελές [tutto intero] . Verso 60. 23 Verso 67 e 72. 19

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generale, non e una preoccupazione immediata, - i rwnorosi cata­ clismi cosmogonici sono un diversivo e favoriscono lo stratagemma pudibondo della reticenza. Si tratta, chiac�hierando intorno a pre­ occupazioni minori, di distogliere la conversazione dalla preoccu­ pazione maggiore e informulata che tutti hanno in mente . . . Ma il rischio e in mezzo a ηοί, totale e diretto, se non vi e che l'Esti immo­ bile. Ε soltanto nell'empiria che ogni nichilizzazione e relativa, ogni sparizione compensabile con un' apparizione secondo il gioco intra­ cosmico delle supplenze, delle sostituzioni e degli scambi; e l'uomo dell'empiria che puo dire Piu e Meno,24 μ&λλον e f]σσον, υστερον η πρόσθεν [dopo piuttosto che prima] , γΊγνεσθαί τε κdι δλ­ λυσθαι είναί τε κα'ι οbχ'ι [nascere e morire, essere una cbsa e non essere quest'altra], e per lui che il futuro sarιi (μέλλει rοεσθαι) e che le cose cambiano luogo e colore (τόπον Cχλλάσσειν διά τε χρ6α φανbν bμε'ιβειν [cambiano posto e mutano la loro pelle apparente]) .25 Anassagora, non ammettendo che mescolanza e se­ parazione, fara dell'Apparire-Sparire un' apparenza approssimativa. Le trasformazioni e le metaboli fίsiche raccontate dalla cosmogonia si rivelano superficiali, e niente puo piu celare la nudita angosciante dell'Essere: se questa volta si desse il caso di Nascere e Perire non sarebbe piu un fatto qualsiasi, ma una tragedia. La questione radi­ cale sembrava risolta prima ancora che si avesse il tempo ο anche soltanto l'idea di porla: ed ecco invece che la soluzione totalmente data appare problematica! n problema radicale, dopo tutto, po­ trebbe lui stesso fare problema ! La filosofia eternitaria e necessita­ ria avrebbe fatto meglio a non professare esplicitamente una tauto­ logia che, in fondo, era forse l'intenzione segreta di Eraclito e di Empedocle, ma che ί fίsiologi del divenire avevano passato sotto 24 Verso 79, 108.

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Verso 101. Cfr. 66. Anche: 70, 77, 100. ANASSAGORA, fr. 17: το δε γ'ινεσθαι κα'ι άπόλλυσθαι ουκ ορθοος νομίζουσιν όι Ελληνες ουδεν γάρ χρfiμα γίνεται ούδε άπόλλυται, άλλ' άπο έόντων χρημάτων συμμίσγεταί τε κα\ διακρίνεται. κα'ι οϋτως αν όρθοος καλοi:εν τ6 τε γ'ινεσθαι συμμίσγεσθαι και το άπόλλυσθαι διακρίνεσθαι [Del nascere e del perire i Greci non hanno una giusta concezione, perche nessuna cosa nasce ne perisce, ma da cose esistenti si compone e si separa. Ε cosl dovrebbero propriamente chiamare il nascere comporsi, il perire separarsi].

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silenzio e respinto dietro problernatiche secondarie. n pensiero vuole problerni e pretende di re1azionare predicati a soggetti; il pen­ siero vuole qualcosa da rnettere sotto ai denti; il pensiero non puo balbettare Questo e, che e, fino alla consurnazione dei secoli, pura­ rnente e sernplicernente . . . Corne irnpedirgli di problernatizzare cio che nondirneno e fuori da qualsiasi predicazione? La paradosso1o­ gia e1eatica ha gettato 1ο spirito ne1 rnistero. Ε il caso di dirlo: il Fa­ turn (μοl:pα) ha infine trovato 1a propria fatalita, il proprio destino ultradestinale ο superfatale che e il destino del destino e il signore delle Parche . Ε pur vero che P1atone, in accordo co1 fatalisrno ornerico, diceva che contro 1a necessita non 1ottano neppure gli dei; rna 1a sentenza dell'Odzssea secondo cui gli dei possono tutto26 te­ stirnonia che non era forse quella 1'ultirna paro1a di un pensiero continuarnente rinviato dalla saggezza arrendevo1e alla chirnera dell'onnipotenza [omnipotence] e dalla fede nella onnipotenza [to­ ute-puissance] infinita alla sottornissione a una rnoira totalrnente negativa. Ο forse si tratta del fatto che non vi e ultirna paro1a? che l'"u1tirna" paro1a non e rnai che penultirna ο antepenultirna nell'o­ scillazione infinita tra Ananke e Dynamis? Cornunque sia, 1' e1eati­ srno si e dirnostrato utile, senza aver1o espressarnente voluto (aven­ do vo1uto piuttosto il contrario [ ), a condurre il pensiero sulla soglia de1 problerna suprerno. Questo e, che e. Ora, questo potrebbe per 1' appunto non essere, e non ne1 senso ernpirico-scientifico per cui un a1tro dato sarebbe stato possibile senza irnplicare assurdita; rna nel senso 1ogico secondo cui 1'Esti sottintende 1a possibilita de1 suό·· contraddittorio: "Niente e". Vi sono, nella continuazione dell'ern­ piria, so1uzioni di continuita, perdite, cessazioni e sparizioni sern­ pre cornpensabili dal principio di conservazione ο dal principio di contraddizione; e vi e un 'Ίη nihilurn" incornpensabile che e il ne­ gativo ο 1Όrnbra rnetalogica de1 pieno (πλijρες), il cavo della totali­ ta. Ε di conseguenza: vi e una potenza empirica, potenza gradua1e e partitiva che e il potere di una parte piu ο rneno grande del possibi1e; una onnipotenza [toute-puissance] metempirica che e il potere . .

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Contrapporre qui: Prot., 345 d (άνάγκη δ' ούδε θεοι μάχονται [contro la ne­ cessita non lottano neppure gli deί] ) e Od., Χ, 306 (θεοι πάντα δύνανται [gli dei possono tutto]).

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della totalita del possibile; infine un' onnipotenza [omnipotence] me­ talogica che e il potere inconcepibile e contraddittorio dell'impossi­ bile. L'Altro-ordine risultava piu imperituro della natura, piu indi­ struttibile de1 sole, piu incorruttibile de1 terήpo: ma smette di essere ίndistruttibile se lo si considera rispetto a un totalmente-altro-ordi­ ne implicito sul quale si staglia: a partire da qui il necessario diviene contingente e l'impossibile diviene iperbolicamente, incomprensi­ bilmente, miraco1osamente possibile; a partire da qui una monta­ gna puo passare attraverso la cruna di un ago. Questo non equivale, in definitiva, a porre 1'eternita come essenziale e a sottintendere il contraddittorio drastico in grado di revocar1a?

IV

-

ΙΖ "Potius-quam"

Parmenide fece come se il prob1ema non sussistesse. Spinoza e Leibniz non rifiutano piu di parlarne. Perche dopo il creazionismo cristiano, il vo1ontarismo scotista e Descartes, il problema non po­ teva piu non essere posto. Spinoza, in realta, rifiuta di giustificare ο motivare moralmente ί disegni di Dio assegnandogli un "exemplar" ο un "certus scopus" che ne sarebbe 1a mira: la vo1onta divina non tollera un "ad quod" ,27 un "aliquid extra Deum" la cui sola preesi­ stenza b asterebbe a sdivinizzar1a. Spinoza evita 1a Cariddi de1 "be­ neplacitum indifferens " ma non per ricadere nella Scilla del mora­ lismo: Spinoza respinge non soltanto, come Leibniz, il fatto dell'a­ liter, ma la possibilita stessa di questo aliter: presagisce che se ci si avventura negli antropomorfismi e negli antropopatismi di una te­ odicea, se ci si intromette nel patrocinare la causa di Dio, non sara ροί piu possibile rifiutare 1' onnipotenza all'insondabile santita di questo volere. Ora, e proprio questo lo spettro della filosofia prima che si tratta a ogni costo di esorcizzare. Resta il fatto che 1' essere procede necessariamente " ex data perfectissima natura" , prenden­ do per/ectissima non come un super1ativo relativo ad altre possibili­ ta, ma "simpliciter", come un superlativo assoluto: "s umma perfec­ tio", sovrana perfezione, perfezione pura e semplice, non designa

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Eth., Ι, 33 e sc. 2. Cfr. 17 sgg.

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qui che la totalita dell' essere, totalita che non puo neppure dirsi solitaria poiche al di fuori di essa, per definizione, non c' e nulla. Ε quanto a questa perfetta pienezza, essa e gia totalmente data (data): e dunque tanto participio-passato-passivo quanto superlativo asso­ luto, natura "naturante" non meno immemoriale, a questo riguar­ do, della naturata. Ε quindi "ab aeterno" e "in aeternum" non sono proprieta dell' essere, poiche non sono altro che l'immutabile attua­ lita dell' esistenza considerata come verita eterna. L'idea di un altro piano dell'universo in cui la somma degli angoli di un triangolo fosse piu piccola ο piu grande di due angoli retti e non soltanto un "absurdum" , ma un "absurdissimum".28 Ε tuttavia il filosofo dell'ordine geometrico non respingerebbe con tanta indignazione l'idea assurda che le cose avrebbero potuto svolgersi 'Άlio ordine" se questa possibilita di "ucronia" non avesse almeno sfiorato il suo pensiero. L'impossibile possibilita dell'assurdo sospinge, nell'ordi­ ne geometrico, un movimento di pensiero che l'Eleatismo paraliz­ zava in anticipo. Dio non esiste prima dei suoi decreti, e il decreto (che e ancora participio-passato-passivo) e decretato da tutta l'eter­ nita, ma ciononostante vi e "decreto"; decretum senza voluntas de­ cernens e volonta eterna senza volere. L'Esti eleatico, posto ormai dall' espressa negazione di ogni "aliter", non rivela in tal modo la sua effettivita sovrannaturale? Leibniz, per parte sua, non ha piu alcuna reticenza circa l"Όriginatio radicalis" e non esita a scrivere: "Series serum potuit aliter esse" .29 La domanda "radicale" che egli si pone e infatti quella del Potius-quam, del Piuttosto-che: "Cur � aliquid potius existat quam nihil? " .30 Questo Perche si scompone in due "perche" di cui uno e assolutamente ο categoricamente radi­ cale mentre 1' altro lo e solo ipoteticamente ο relativamente: "Per­ che esiste qualcosa piuttosto che niente? " , e: "Se qualcosa deve esistere, perche cosl piuttosto che altrimenti? " ("sic potius quam 28

Leibniz giudichera Assurdissimo che la libera volonta di Dio voglia la verita dell'esistenza divina: Textes inedits, pubblicati da Gaston GRUA, Ι, p. 433. 29 Textes inedits, cur. Grua, Ι, p. 268. 3° CoυruRAT, p. 533 . Principi della natura e della grazia, § 7. De rerum origina­ tzΌne radicali, cur. Gerhardt, VII, p . 303, 304, 305. GRUA, p. 16: "Cur haec potius rerum series existat quam alia quaevis". "Plutot que" [piuttosto che]: Jules LEQUIER, La Recherche d'une premiere verite (Paris, 1924), p. 112.

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aliter"): per esempio, perche Cesare ha vinto piuttosto che perso la battaglia di Farsalo, ha attraversato piuttosto che non attraversato il Rubicone?3 1 Al primo Perche non viene data in realta alcuna ri­ sposta: "Una volta posto che l'essere prevale sul non essere . . ", "posito semel ens praevalere non-enti" .32 " S i ponamus decretum esse ut fiat triangulum . . . " [se poniamo di formare un triangolo], "posito tendendum esse a puncto ad punctum . . . " [posto che si debba tendere da punto a puntoJ.33 Bisogna che ci siano dei trian­ goli in generale; bisogna inoltre che ci sia movimento in natura. Ε se non ci fossero ne movimento ne triangoli? Leibniz non risponde a questa domanda se non con 1a domanda stessa: vi e una " disposi­ tio ad existendum potius quam non existendum", una "ratio major existendi" . τale e il circo1o della petizione fondamentale: "Aliquid potius existit quam nihil" . Ε anche: ''Est ergo causa cur (?) Existen­ tia praevaleat non-Existentiae" [vi e una causa per cui 1'esistenza prevale sulla non-esistenza] .34 Ε questa "causa cur" che cos'e? Una certa "existendi vis " ο "propensio ad existendum " che Leibniz de­ finisce anche Esigenza e "Pretesa" e che ha piu della virtu dormiti­ va che della causa esplicativa ! Dio e "existentificans" . Dunque ci sara qualcosa e 1'alternativa tra essere ο non essere e gia comp1eta­ mente decisa: questo e il minimo inesplicabile, 1'irriducibile residuo di participio-passato-passivo che 1a metafisica ha bisogno di darsi ο di postulare per poter andare piu 1ontano: e so1o a partire dall'in­ giustificabile potius quam nihil che puo essere giustificato il fatto, gia secondo, de1 potius quam aliter. Dunque il C'e [le Il-y-a] va da se! :Ε dunque dopo 1a posizione de1 positum, e in primo 1uogo dell'Essere che e cosa posta per eccellenza, dopo il decreto gia de­ cretato e dopo che il "fiat" e divenuto "factum " che 1e determina­ zioni ulteriori possono spiegare non 1' essere, ma 1e maniere di esse­ re dell'Essere; non 1'effettivita, ma le modalita de1 Movimento e de1 .

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Causa Dei, 36: "Ratio ( . . . ) cur Deus malum permittat potius quam non permittat" . Da conttapporre a Pascal, fr. 194, 205, 208. 32 De rerum originatione radicalι; VII, p. 304; Grua, p. 1 7. 33 De rerum originatione radical� VII, p. 304. 34 CouYURAT, p. 534; Grua, pp. 16-17, Elementa vera pietatis. Elementa philoso­ phiae arcanae de summa rerum Gagoclinski, Kazan, 1913, p. 28).

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Triangolo. Allora tutto e giocato, tutto e dato, tutto e posto; 1' essen­ ziale e gia reciso e deciso; e allora non e piu tempo di chiedersi se il nulla non sia "piu semplice e piu facile che qualcosa" .35 Ormai l"' originatio" radicale e un falso problema. Come si vede, il Perche fondamentale non ha avuto neppure il tempo di formularsi che gia il secondo Perche ne ha colmato la lacuna. Tutto ha dunque inizio con un sl. Ma e proprio per questo che il potius quam fa problema, e nessuno potra impedire a Schopenhauer di dire ( come se si fosse chiesta la sua opinione alla creatura): meglio sarebbe valso che non ci fosse nulla ! - Nel trattare la seconda questione, Leibniz si cura soprattutto di rimettere a posto il Perche scandalosamente rove­ sciato da coloro che fanno dipendere le verita eterne dalla volonta arbitraria di Dio: I'essere non e buono perche la volonta divina l'ha creato, ma al contrario la bonta divina, che e giustizia e saggezza, l'ha scelto tra i possibili perche era il "Migliore" . La teodicea rico­ struisce dunque la motivazione divina, che e sempre una scelta "ex ratione" . . . Si tratta insomma di giustificare il " prae" della preferen­ za e della prevalenza onorando la "gloria" divina, cioe l'armonia e l'ordine inscritti nella visibilita della creazione; si tratta insomma di giustificare le ragioni che la creatura ha di lodare il suo autore! Ordine e bellezza non sono maniere di essere secondarie dell'Esse­ re gia posto? Cosl, allo scopo di evitare l"' antropomorfismo" dei sociniani ο semi-sociniani, e ancor piu il "dispotismo" di Cartesio e di Pierre Poiret, Leibniz e costretto a invertire l'ordine stesso del buon senso: magnitudo e potentia nella creazione "iam constituta" , bonitas e sapientia36 nella creazione "costituenda " . La moralita del­ la fisica, che Leibniz si sforza di rintracciare, e l'idea stessa della scelta eccellente, suppongono che alla scelta preesistano delle rela­ zioni intelligibili. Certo, Dio ποπ puo tutto ! Ε in particolare: Dio non puo creare cio che e contraddittorio; l'Essere onnipotente "fa­ cere potest quod non implicat contradictionem" .3 7 Ecco un quasi­ onnipotente che andrebbe piuttosto definito multipotente, poiche

35 Principi della natura e della grazia, § 7. 36 Π Causa Dei (Gerhardt, VI, p. 439) oppone Potentia e Sapientia come attributi di Magnitudo a ]ustiiia e Sanctitas come attributi di Bonitas. Ma: VII, p. 305. 3ϊ De libertate, /ato, gratia Dei, GRUA, p. 307.

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ηοη e " onnipotente , che nell'ordine delle esistenze contingenti; questo Dio molto potente ηοη e 1etteralmente onni-potente: ogni cosa gli e possibile salvo per l' appunto l'impossibile! Diciamo, in poche parole, che tutto il possibile gli e possibile. Dio puo tutto quel che gli consente il principio di contraddizione, il quale impe­ disce a certi possibili di essere "compossibili" , poiche 1a compossί­ bilita dei possibili tra loro contraddittori, cioe rispettivamente pos­ sibili ma ηοη simultaneamente possibili, cioe esclusivi 1'uno dell'al­ tro, vale a dire incompatibili, questa incompossibilita e proprio 1'impossibile. Dio causa 1' esίstenza dei buoni ma non 1'essenza della bonta; e causa del fatto che esίsta da qualche parte "aliquod trian­ gulum" ma ηοη e causa della trίangolarita, poiche 1e proprieta de1 triango1o non sono un privilegio che egli avrebbe accordato a que­ sta figura. Sta a ηοί pretendere, dopo di cίο, che 1e verita eterne sottratte al vo1ere e al potere de1 Creatore abbiano 1uogo ne1 suo intelletto, che i1 "paese" delle essenze sia insomma Dio stesso . . . : occorrera percio divinizzare 1a 1ogica, affinche Dio trovi in se stes­ so, e ηοη fuori di se, il limite alla propria onnipotenza; ma per esse­ re interno a Dio, questo limίte restera nondimeno esterno alla vo1onta di Dίο, - e la diffico1ta e solo spostata. Dio, dice Leibniz, ηοη e causa de1 suo stesso intelletto: "Neque Deus intelligit quia vult, sed quia est" [Dio ηοη comprende a causa del suo vo1ere, ma a causa de1 suo essere] .38 Dio, a causa de1 destino logico-metafisico accordatogli, impedirebbe dunque a se stesso di fare tutto cio che vuo1e. - Se adesso passiamo dall'ordine delle essenze a quello delle esistenze e dalla necessita metafisica, il cui contrario implica con­ traddizione, alla necessita ipotetica il cui contrario e almeno possί­ bile, Dio apparira onnipotente "ex hypothesi" nei limiti impostigli da una necessita asso1uta " ex definitione" ο " ex terminis " . Rispetto alle verita assolutamente necessarie, Dio ηοη puo ne del resto vuole tutto: dunque non puo far sl che un triango1o abbia quattro 1atί; rispetto alle verita contingentί puo invece tutto, benche ηοη voglia tutto: dunque avrebbe potuto realizzare una serie in cui gli empί fossero salvati e gli innocenti dannatί, ma ηοη 1'ha vo1uto. Se Dio

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Con/essio philosophi σagodinski, Kazan, 1915), p. 16. GRUA, pp. 15-16, e 3 04 (De contingentia): "Major existendi quam ηοη existendi rario".

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non puo l'assurdo, puo sicuramente lo scandalo, benche non lo vo­ glia, ο 1ο voglia ίη misura minima, cioe lo tolleri come un male mi­ nore ο un male necessario e come condizione di un universo accet­ tabile. Nel primo caso non ha ne 1'onnipotenza ne l'onnivo1enza; ne1 secondo ha 1'onnipotenza ma non 1'onnivo1enza . . . Ma di fatto, anche qui, ha davvero 1'onnipotenza? In un brogliaccio assai curio­ so su1 quale Gaston Grua a ragione richiama 1'interesse39 e che, come sembra, e un testo unico ne1 suo genere, Leibniz ha tentato di estendere questa nuova limitazione della vo1onta divina. "Deus cur perfectissimum eligat nulla potest reddi ratio quam quia νώt seu quia haec est prima vo1untas divina perfectissimum eligere" . n "primum divinum decretum" e un indimostrabile a priori, una pro­ posizione prima come 1'assioma Α e Α. Da qui il dilemma della causalita circolare ο della regressione all'infinito cui 1'Arcanum di­ vino ci condanna; ο, per dialle1e ο tauto1ogia, bisognera dire: Dio vuole perche vuole, la ragίone della scelta essendo "volutati intrin­ seca"; oppure si dovra rischiare 1a regressione nell'insondabile arbi­ trio divino: " Deus enim νώt velle ( . . . ) et νώt voluntatem volendi, et ita ίη infinitum, ( . . . ) et decrevit decernere" . Ma non serve piu a niente invocare la volonta di volere se per oggetto le e gia stata as­ segnata 1a suprema perfezione, per/ectissimum. Senza dubbio Lei­ bniz potrebbe sempre rispondere che questa necessita non logica ma morale di scegliere il migliore e 1a liberta stessa . . . Dopo questo, non puo evidentemente che tacere. Ora, chi non vede che cio signi­ fica inaugurare 1a diffico1ta ma non riso1ver1a? Leibniz, tra 1' altro, 1ο confessa apertamente: "Perfectίssimum sapientissimo non potuit non p1acere, at quod p1acuit potentissimo non potuit non existere" .4° Comunque si ponga 1a questione, 1a volonta divina su­ bisce in ogni caso 1' attrattiva oggettiva de1 migliore per una specie di aristotropismo teo1ogico. Ed ecco come 1a vo1onta antecedente de1 beήe diventa ίη Dio la vo1onta conseguente ο decretoria41 de1 Meglio: con una vo1onta antecedente Dio vuole la salvezza di tutte

39 GRUA, Re/lexions sur Bellarmin, pp. 3 01-302. 40 GRUA, Elementa verae pietatis, p. 17. 41 Causa Dei (VI, pp. 442-443 ) , oppone Voluntas praevia ο inclinatoria e Voluntas

/inalis ο decretoria.

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· ·

le creature, con una volonta conseguente si rassegna a dannarne qualcuna; con una vo1onta permissiva che deriva dal suo orrore per il peccato ammette il fatto de1 peccato: vuole in una sola volta degli interi b1occhi di realta, delle serie di event'i ( "series" ) che inc1udono il male, lo scandalo e la sofferenza; vuole piu di quanto non voglia, vuo1e cio che non vuo1e: scegliendo 1a "notio " , sceglie nello stesso tempo tutto il pacchetto, crimini e disgrazie comprese; realizza dun­ que il bene in summa ο, come si potrebbe anche dire, δσον δυνατόν [per quanto possibile] . Dio, alle prese con gli incompossibili, fa al meglio, de1 suo meglio ο per il meglio, - che ροί e una maniera di tenersi tra niente e tutto; 1a sua arte e una combinatoria alle prese con ostacoli inevitabili, spazi sprecati, varie servitu . . ll1 principio economico dd maximum, de1 plurimum ο dell'optimum non ha altro senso, e 1"Όttimismo" in questo senso non e nient'altro che 1a filo­ sofia seconda de1 super1ativo rdativo: come quest'ultima si definisce rispetto al mistero di una necessita metafisica che impedisce alle perfezioni di realizzarsi tutte al contempo, cosi 1'ottimismo de1 mo­ ralista e de1 giureconsulto si staglia, come ha mostrato G. Friedmann, sullo sfondo de1 pessimisnio.42 L'Essere divino e dunque due vo1te limitato: nel suo potere dallo "Styx" della necessita metafisica, nel suo vo1ere dall' attrattiva de1 bene. La prima e cio che obbliga 1a vo­ lonta antecedente a farsi conseguente, a gettare la zavorra e a volere il Meglio anziche il Bene, sacrificando al fato 1a differenza tra questo e quello; la seconda e cio che determina in generale la volonta ante­ cedente de1 bene inclinando1a alla benevo1enza. Vi e dunque in Dio un volere morale canalizzato dalla necessita metafisica e un potere metafisicamente arginato che po1arizza ο orienta il Bene, oggetto morale · dd volere. Π Meglio voluto con volonta conseguente risulta dunque da una composizione di forze: 1'attrattiva de1 bene sul vo1e­ re, la resistenza della necessita metafisica al potere. Α che serve par1are ancora di "vo1untas vo1endi" ? Non vi e "Ungrund" divino, non vi sono che valori in se, un diritto in se, un Meglio in se che attrag­ gono 1a piu giusta e 1a piu saggia delle Vo1onta. ll Meglio e insomma 1a so1a ragione asso1utamente "sufficiente" della preferenza, poiche esso so1o rende conto de1 perche il mondo e cosi piuttosto che .

42

Si veda il bel libro di Georges FRIEDMANN, Leibniz et Spinoza (Paris, 1946).

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altrimenti,43 potius quam aliter: la pseudo-regressione all'infinito ottempera infine all'Ananke stenai che e, in ogni circostanza, la pre­ occupazione maggiore di Leibniz. Π Cur leibniziano era dunque una simulazione. Leibniz e 1' avvocato borghese dell'Essente, si as­ sume il compito di giustificarlo dopo aver fatto finta di metterlo in questione: la teodicea, dimostrando tramite la sua ermeneutica del male che cio che non va da se va pur sempre da se, spiegando la morte come un inviluppo e riscoprendo all'infinito 1' ordine e l'in­ telligibilita, raggiunge, dopo una deviazione, la pienezza44 della continuazione; questa filosofia falsamente prima finisce insomma la dove l'Eleatismo aveva iniziato: l'Eleatismo aveva iniziato dalla continuazione senza inizio, Leibniz conclude con la giustificazione e la riabilitazione dell'Esti per un istante contestato e con 1'esclusio­ ne, questa volta morale, di ogni Aliter, di ogni finzione ο "fabula" su altre serie possibili. L'Aliter e definitivamente sepolto . . . Ma al­ meno avremo avuto paura! Quest' adesione conformista alla prefe­ ribilita del mondo presente valeva tanta metafisica? e Spinoza, a tal proposito, non era forse piu vicino al Dio cartesiano? -

43 44

Monadologia, § 32; Discorso di metafisica, § 13. Monadologia, § 61; Principi della natura e della grazia, § 3 : "( . ) come tutto e pieno ( ) ..

. . .

".

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CAPITOLO ΠΙ Della morte

Ε il caso di dirlo: Giove acceca coloro che vuole perdere. La buona cattiva-coscienza ottimista si sforza di porre il problema che meno desidera veder porre e, smaniosa di preventivi contro 1' ango­ scia, giustifica a1 termine di una teodicea quell' " acquiescentia in se ipso " che, secondo Spinoza, 1 deriva spontaneamente dalla ragio­ ne. Ε se una buona volta vedessimo il malinteso, questo malinteso che la necessita metafisica, 1' attrattiva del Meglio e in generale la prevalenza dell'essere sul non-essere sono concordi nel perpetuare, mantenendo a fior d'essere la questione dell'origine radicale? Di­ stinguiamo continuazione empirica e continuazione metempirica, la prima che e riconduzione dell'intervallo attraverso apparizioni e sparizioni, la seconda che porta a compimento la continuazione du­ revole supplendo alla provvisorieta dei lassi di tempo empirici sot­ tendendo alle intermittenze la sempiternita essenziale. Si tratta, fa­ cendo ricorso alla sussistenza senza esistenza, di schivare una dop­ pia tragedia: la tragedia della morte, che aggrava pericolosamente la discontinuita empirica, e la tragedia della nichilizzazione globale, messa a nudo dalla pienezza e dalla necessita dell'Esti che preten­ deva di colmarne l'abisso. n secondo fine imminente, sia pure in­ confessato, della filosofia seconda ο eterriίtaria consiste, prevenen­ do ogni curiosita indiscreta, nel camuffare il nulla tanatologico e compensare la cessazione di tutto; consiste insomma, a rischio di favorire la grande nichilizzazione generale, nel negare la piccola

Eth., IV, 52; ΙΠ, Affectuum de/initiones, 25.

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nichilizzazione domestica che si chiama morte. La ragione e 1a ma­ tematica protestavano di comune accordo contro 1a pseudo-evi­ denza empirica delle insorgenze e delle eclissi, degli inizi e delle cessazioni: 1a morte, a sua vo1ta, protesta contro questa protesta; 1a morte riabilita 1'apparenza e i pregiudizi dell'opinione che il 1ogos aveva confutato; 1a morte resiste alla critica che 1a gnoseo1ogia eser­ cita sulle qualita "secondarie" . . . Νο, 1'apparenza mortale di certo non e un sogno, sopprime 1a percezione in generale e il soggetto percipiente, mette in causa non tanto 1e modalita de1 sentire quanto 1'essere totale e il non-essere totale! Mentre 1a metempiria 1avora a rabberciare ο turare, e supplisce alle discontinuita dell'esistenza con 1'eternita dell' essenza, il tragismo mortale, dilatando 1e 1acune dell'empiria, ne rende piu difficile 1a riconduzione e piu fragili i ponti di neve che ne nascondono i crepacci. Si dira che 1a morte, annichilazione non totale ma partitiva ed empirica, non interrompe affatto il determinismo naturale: le cose seguitano il loro corso dopo 1a morte di qualcuno, e non so1tanto il cic1o delle stagioni, ma anche gli affari degli uomini proseguono nell'intervallo come se niente fosse accaduto . . . La specie sembra vegliare alla sostituzione dei morti coi successori e alla continua occupazione dei posti resi vacanti: e cosi che la riproduzione compensa2 e neutralizza gli effetti della morte garantendo al tempo stesso, bene ο male, la sta­ bilita statistica della popo1azione totale. La simmetria fedoniana morire-rinascere (v πάρεστι κciι ουκ ιδν ουδαμου ουκ εστι'v δπου μη i:.σiιv. Ε altrove: ήλθεv ώς ουκ i:.λθώv. Παρbv μη παρείvαι [Egli venne senza venire. Egli e presente senza essere presente] .18 Cosl vicino, cosl lontano! L'assenza universalmente presente ignora l'ίmpene­ trabilita con cui i corpi massivi si ostacolano nello spazio, si sposta­ no di posto ίη posto e occupano gelosamente il luogo della loro residenza: la domiciliazione privata e 1' esclusivismo proprietario le sono ugualmente estranei. Essa ci dispensa quίndi dallo scegliere tra la trascendenza dualista e il materialismo. Quel che Alaίn dice dello Spirito:19 che essendo "tutto di tutto ", e percio relazione ίn­ fίnita, e molto piu che essere ο fatto dato, vale a fortiori per la Quoddίta; resistere alla tentazione della "cosa" e riconoscere che il

15 Enn., ν, 5, 9; Parmenide, 138 b: ούκ dpα εστίν που το εν; Giovanni CRISOSTO­ MO 705 c: πανταχοiJ παρεi:ναι. 16 ERM., Trattato, ν, 10. San Giovanni CRISOSTOMO cita Sal., 138, 8. Cfr. Enn., VI, 8, 18. 17 Enn., ν, 5, 8. Enn., ν, 5, 8; VI, 9, 4. 18 19 Les Dieux, Ιν, 1, pp. 198-200.

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Quod e al contempo /uori e dentro,20 che il quod e nescioquid. La Quoddita, che e non so1tanto Non-so-che e Non-so-dove, ma an­ che Nessuno-sa-che ne mai-sapra-che la suprema Quoddita e, come 1' anima ο 1a liberta, una specie di charme; e il Thauma e 1a de1udente, evanescente meraviglia di onnipresenza, e attribuisce un nuovo senso alla venerabile sentenza deli'Etica Nicomachea: πάντα γcφ φύσει έχει τι θεtον. Ogni cosa ha per natura un non so che di divino. La scienza quodditativa dell'ipseita non e conoscenza ontosco­ pica dell'Asso1uto, bensl semi-scienza come 1ο e 1a scienza quid­ ditativa, quantunque su un altro piano e su un tutt' altro ordine: si e infatti mostrato come 1a scienza de1 quod e quella de1 quid non siano sorelle gemelle, 1e due meta omo1oghe e comparabili di un'unica gnosi. . . Α dire il vero, e per amore di completezza, sono non due, ma tre ordini di semi-scienza a dover essere distinti: la percezione empirica e pratica, che e scienza quidditativa delle cose, cioe dei corpi ο delle sostanze designate da sostantivi; 1'inte1lezione metempirica, che e scienza quidditativa non piu delle cose materiali, ma delle re1azioni formali, rapporti essenziali e verita intelligibili; infine l'intuizione metalogica, che e la sola a essere autenticamente quodditativa. La prima e a ma1apena semi-scienza e sarebbe forse meglio definir1a quarto-di-scienza, ο molto sem­ plicemente nescienza pretenziosa, perche e la doxa degli uomini d'affari e degli uomini dell'intervallo che si affrettano, negoziano, trafficano . . . , "s'indaffarano" nell'intermezzo [entre-deux] degli estremi, spettri ο manichini piuttosto che uomini: ί loro sostantivi non sono che aggettivi fantasmatici; 1a 1oro positivita concreta e un sogno, όναρ, e la loro serieta un gioco; ίη definitiva, gli in­ teressi che li agitano somigliano ai giochi d' ombre (σκιαγραφία, σκιαμαχία) che agitano ί patetici prigionieri della Caverna; idoli di idoli e icone di icone, e nemmeno marionette, ma ombre di ma­ rionette, e non so1tanto il suono della 1oro voce, ma 1' eco di questo suono, - ta1e e 1' esponente irrisorio dei simu1acri che occupano questi personaggi impagliati. La ragione seconda sa ugua1mente il quid e non il quod, perche per quanto deviante dalla cosa, 1a 20

PASCAL, fr. 465.

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sua indifferenza all'intuizίone dell' effettίvίta la trattίene sul pίano della necessita che e, lungi da ognί orίgine radίcale, ί1 piano del gia-qui e dell'immanenza ίmmemorίale ο sempίterna. L'intuίzίone, invece, sa il quod senza il quid: cosίcche s e la scίenza terza e quella della Cosa e la scieήza seconda quella della Relazione, sί dovrebbe dire che la scienza prima e quella dell'Atto. Bergson ha sempre considerato l'intuizione come eccezίonale: sarebbe forse un po' ottimista l'ammettere come regίme normale della conoscenza me­ tafisica un 'intuizione in grado dί sίntetίzzare l'istίnto categorίco e l'intelligenza ipotetica, in grado di rίconciliare Trovare e Cercare: non soltanto perche nell'intelligenza sί confonderebbero cosl la percezione del senso comune e la scienza metempίrίca delle rela­ zioni, cioe le nostre scίenze terza e seconda, non soltanto perche l'ίstίnto e una forma assaί grossolana, piu ontica che gnostίca, del­ la nostra scienza quodditativa, ma soprattutto perche l'intuίzίone non e mai uno "stato " . In realta, l'intuizίonίsmo mente sull'intu­ izίone come ί1 misticismo mente sul mistero: quel che e votato al fίasco e una sistematologia della gnosi evanescente promossa al rango di conoscenza regolare: non vi sono intuitivί di professίo­ ne pίu di quanto vi siano virtuosi di professione ο charmeurs di professione; ί1 visionario specializzato e, come ί1 fariseo, un ciar­ latano ο un buffone . . . La sintesi delle tre conoscenze, percezio­ ne, ίntellezίone e intuizione, e piU ίη particolare la sintesί del quid e del quod, sarebbe la gnosi angelica stessa, e questa gnosί cί e ίrrίmediabίlmente preclusa; chί fosse in grado di congίungere le due semί-gnosi disgίunte, conoscendo al contempo l'effettivίta e la natura dell'effettίvo, otterrebbe senza dubbio l'ίmpossίbίle, la sovrumana, l'ίrraggίungίbίle scίenza che Clemente Alessandrίno concedeva al suo " gnostίco " . Ma, ahίme ! , ί nettari del delirio non sono quί ί1 nostro caso . . . La scίenza quodditativa non e una gnosi, ma solo una meta della gnosί; e la legge dell' alternatίva, che non cί rίvela ί1 quod se non nascondendoci ί1 quid, e non cί spiega ί1 quz'd se non nascondendocί ί1 quod, per l'intuizίone come per l'intelle­ zίone. Anche nell'ίntuίzione sceglίamo ancora: ma, senza dubbio, sceglίamo la parte mίglίore: την -tliche Reden ( 1848), Π: Stimmungen im Leidenskampf, 3 ("Das Erfreuli­ che darin; je armer du wirst, desto reicher kannst du andre machen»).

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re il fatto che vi sia in generale un altro, cioe di porne 1' esistenza. Dal dono alla creazione vi e tutta la distanza che separa il fare impuro dal fare puro ο creativo. 3ο Cio che dona non possiede cio che dona e, inversamente, cio c!Je dona continua α possedere cio c!Je ha donato! Tale e l'aritmetica paradossale, contraddittoria e letteralmente "in­ giusta" della carita, la vera e propria "follia di Dio " . L'emanatismo plotiniano dispone di poche metafore non per spiegare, ma descri­ vere questa nuova meraviglia: che l'Uno possa a un tempo procede­ re e permanere, προιέναι e μένειν, alienarsi nelle creature e tuttavia restare in se, e che infine non si riduca ne si impoverisca donandosi, lui che e potenza generatrice non diminuita dalla generazione (δύναμις γεννcδσα τα δντα, μένουσα εν εαυτfj και ούκ Ε:λαττουμένη).24 Su tali questioni, d'altronde, la metafora e l'auten­ tica spiegazione, perche non fa che suggerire il mistero, il quale sfida le alternative della giustizia commutativa e il principio di conserva­ zione. La diffusione della luce, che e al contempo nella fonte lumi­ nosa e nell' ambiente illuminato, non e la figura fisica di un simile paradosso? "Piu si dona e piu si conserva ! ", esclama Michelet.25 Non e proprio quel che Giulietta dice a Romeo? Μ)' bount)' is as boundless as t!?e sea, Μ)' love as deep; the more Ι give to thee, Y!Je nzore Ι have, for both aι·e in/inite.26

Se colui che dona donasse qualcosa del suo avere, questa quo­ ta andrebbe prelevata dalla sua sostanza ontica e dedotta da un quantum determinato. Nell'empiria chi dona qualcosa non possie­ de piu cio che dona, il dono transita da un avere all' altro coιne

24 Enn., VI, 9, 5. Cfr. ΠΙ, 8, 8: ουκ f]λάττωται [nessuna diminuzione] . Inoltre: ΠΙ, 8, 10; V, 4, 2 (εφ' εαυτοί> μένον δίδωσι [ίη quanto permane in se stesso . . . ]); V, 5, 5 (μένει το πρι.Οτοv το αυτό, κ&.ν εξ αυτοί> γίνηται έτερα [permane ίη se, da se genera il resto] ); V, 3, 12; Ι, 6, 7. 25 Le Peuple U. MICHELEI, Ilpopolo, tr. it. Μ. Meriggi, Rizzoli, Milano 1989, ΝdΠ 26

Atto Π, sc. 2 [tr. it. S. Quasimodo, in Teatro coιιzpleto di Williaιn Shake.φeaι·e, IV, Mondadori, Milano 197 6, p. 93 : 'ΊΙ mio cuore, come il mare I non ha limiti e il mio amore e profondo I quanto il mare: piu a te ne concedo I piu ne pos­ siedo, perche l'uno e l'altro I sono infiniti", Nd11 .

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da un conto a un altro tramite uno storno; e Arpagone si rende ridicolo pretendendo, a dispetto del principio del terzo-escluso, di privarsi e trattenere, di donare e conservare a, un tempo. Ι miracoli non hanno corso negli affari. Allo stesso modo, una creatura che fa dono del proprio essere si assume, con la propria nichilizzazίo­ ne, la tragedia eroica del sacrificio: e sempre l'infelicita dell'uno a fare la felicίta dell'altro, e l'arricchimento dell' altro ad avere come riscatto ο compensazione l'impoverimento del primo. Al contrario, nell'ordίne del non-so-che, che e quello della grazia e della sovra­ natura, si puo al contempo donare e arricchirsi, essere e essere sta­ to, superare con l'onnipresenza l'alternatίva spaziale del qui-o-la. Esautorazione, disappropriazione e spossessamento non hanno piu alcun senso. La posίzione assoluta non e forse al di sopra delle leg­ gi, dei veti e di tutte le categorie? Colui che e ricco per possesso ο risparmio sί priva e si impoverisce in proporzione ai doni. Ma colui che, essendo Fare senza Essere ne Avere, e, ίη termini di proprie­ ta, infinitamente povero, e per cio stesso inesauribilmente ricco. Egli non avra piu la smania di acquisire ne la gelosia di conservare, poίche 1' apertura della comunίcazione avra infranto il vincolo delle appartenenze. Come potrebbe essere avaro del suo "avere" se la sua dote e il movimento generoso stesso, tesoro pneumatίco che sί rίgenera mίracolosamente al progredire dei prelievi e si accresce magicamente per mezzo di sottrazίonί e revoche? Dal momento che sί puo donare cio che non si ha, si puo avere altrettanto, e dopo il dono ίη mίsura ancora maggiore ! Il compimento del primo mi­ racolo rende possibile e agevole il secondo . . . τ ale e la posizione scevra di ogni particίpio-passato-passivo, poiche e assolutamente al dί la del prίncipio di identita. Ogni perdita e per essa un profitto, il meno e per essa un piu. Non e la definizione stessa della creazione?

V. Preesistenza e prevenzione Dio non e, ma fa, e di conseguenza non e un niente, ma cόme niente. Questo Lui-stesso in Lui-stesso che la teologίa negativa ri­ cerca come Soggetto assoluto oltre ogni aggettivo, e pίu che altro νerbo assoluto oltre ognί avverbio. ο meglio: il soggetto puro e un verbo, non un sostantivo al nomίnativo; e poίche e il contrario di

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una cosa, lo chiamiamo Nescioquid. Cio significa: la tesi assoluta e interamente operazione, posizione al di la delle apposizioni epite­ tiche. Ma, come Descartes e ricaduto dal Cogito alla Res cogitans, cosl il sostanzialismo metafisico abbandona volentieri il movimen­ to difficile della levitazione derealizzante per il movimento facile della gravitazione rei/icante e si consacra agli aggettivi, avverbi e apposizioni della creazione pura . . . Vi e un wolffianesimo eterno che acclama la degenerazione del pensiero in soggetto pensante ο " soggetto del pensiero " : ora, e l'anima stessa a essere totalmente pensiero, non cogitatio ma cogito; il pensiero non e un attributo dell'anima che farebbe da pendant al suo simmetrico, l'estensione, attributo della res extensa: lo stesso dualismo delle sostanze prova che non si parla piu di tesi preveniente, cioe solitaria e assolutamen­ te iniziale, ma di epiteti. Ε, allo stesso modo, e Dio a essere inte­ ramente e unicamente creazione. La pseudo-metafisica, che non e nient'altro che inflazione dell'empiria, empiricizza la creazione an­ negandola nell' eterna preesistenza ed elude l'annichilazione morta­ le annegandola nella continuazione dell'intervallo. La " teogonia " di Esiodo, malgrado il titolo, non e una genesi del divino (in senso bohmista) , ma una genesi divina, ο meglio una cosmogonia che va dalla "rudis indigestaque moles" al plurale olimpico e dalla cacofo­ nia originaria all'eufonia e alla sinfonia . . . Π caos sara Dio, lapide ο vaso? la poltiglia multicolore che imbratta la tavolozza delle origini sara Madonna, paesaggio ο interno olandese? Questa genealogia e un'evoluzione immanente e graduale a partire dall'informe ο dalla nebulosa primitiva, nebulosa che e meno Nulla [Neant] che "Be­ ante" [Beant]; le generazioni successive di questa stirpe, da Caos agli esseri luminosi passando per Erebo e Νotte, segnano altrettan­ ti progressi in un processo continuo di determinazione e persona­ lizzazione: Caos e piu vecchio della Terra, la Terra dell'Oceano e Oceano del Cielo. Gli dei della pieta popolare ellenica non sono gli autori del mondo, poiche loro stessi ne fanno parte: non ne sono che l'elemento piu eminente e prezioso, e intervengono di tanto in tanto con qualche piccolo prodigio, una graziosa metamorfosi, una trasmutazione divertente, piccante ο bizzarra; la ninfa che si muta in fontana, il dio che si fa nuvola d'oro, sono inconvenienti poeti­ ci ο risistemazioni bizzarre del cosmo, ma niente affatto creazioni miracolose; e quanto alla Moira ο Destino, che Omero sottende a

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questi prodigi partitivi, e ancora una pienezza massiva senza alcu­ na aerazione di nulla. In questa fantasia mitogonica non e all' opera l'intuizione di un'effettivita radicale, ma un'immaginazione impe­ gnata a combinare, raggruppare e trasferir� su uno sfondo di pree­ sistenza. Π Nous di Anassagora trova gia instaurata27 la confusione infinita dei semi, che ha anticipato la sua operazione diacritica, e la "produzione" non e qui nient'altro che separazione di qualita me­ scolate: un riordinamento del disordine. Mundus, nelle cosmologie arcaiche, non e che un ordine disordinabile [arrangement derange­ able] e sempre riordinabile delle cose, qualcosa come l'acconcia­ tura ο lo chignon di una signora, architettura momentanea fatta, disfatta e rifatta volta per volta dal pettine di un parrucchiere: la mutabilita delle figure del mondo si appunta sull'eternita dei Prin­ cipi (cφχαί), che questi principi si chiamino amore e odio, come in Empedocle, ο fuoco, come in Eraclito.28 Cio che e vero della fine del mondo vale altrettanto per il suo inizio. La demiurgia del Yimeo e una disposizione (διακόσμησις) piuttosto che una crea­ zione, e il "facitore" (ποιητής) e un ordinatore piuttosto che un produttore; 1' artista supremo non crea, ma imita: copia un modello preesistente, in questo caso le Idee, che sono un eterno Gia-qui. Π contemplazionismo e l'esemplarismo dogmatici di Platone impli­ cano29 che le essenze non siano in nessun modo creature del de­ miurgo. L'immanentismo quidditativo di Leibniz, in particolare, e 1' esempio perfetto di un sistema che, volendosi fedele all'istorismo cristiano, si impegna soprattutto a continuare l'intervallo attraver­ so la preesistenza al di qua della nascita, la sopravvivenza al di la della morte e la preformazione in corso di durata: la taumaturgia, sia essa creativa ο nichilizzante, viene fatta sparire nei processi ar­ gomentativi e diminutivi, nelle evoluzioni e nelle involuzioni, ne­ gli sviluppi e negli avviluppi, che sono semplici metamorfosi. Un doppio " dato", una doppia "costante" neutralizza il Potius quam originale: la costante metafisica delle verita necessarie, che impe­ disce a Dio di volere l'impossibile, e la costante morale del Bene,

όμσG πάντα χρήματα fιv [tutte le cose erano unite]. WCLΠO, fr. 30; EMPEDOCLE, fr. 16 (DIELS). 29 Rep., 596 c.

27 28

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che implica la preferibilita dell' essere. Questa secondarieta logico­ teleologica senza spiragli previene ogni domanda troppo interes­ sata alla posizione iniziale. - La creazione compie un miracolo la cui formula non e "ex alio aliud" , ma "en nihilo aliquid" . Ora, non vi e che la Genesi a incominciare dall'inizio - perche e γένεσις nel senso di "Bereshit" e ηοη di processo. La dove la Teogonia si esprime al superlativo: prima fu il Caos, poi la Terra,30 πρώτιστα Χάος γένετο, αύτcφ επειτα Γαtα . secondo una semplice suc­ cessione genealogica, la Genesi pone taumaturgicamente: in prin­ cipio, Dio fece il cielo e la terra, εν cφχfi εποίησεν b Θεοζ τον ούρανbν κdι την γfiν. Onore al merito: il creatore per eccellenza e dunque il primo servito. Solo Dio e Dio, Gaia e la sua creatura, il complemento diretto, l'accusativo della sua "factura" . ''In princi­ pio creavit Deus caelum et terrum". ll primo versetto e l'inizio piu iniziale e la formula della posizione assolutamente radicale. Cio che e primo in Esiodo e, nella Bibbia, versetto secondo: "Terra autem erat inanis et vacua. Tenebrae erant super facies abyssi. Spi­ ritus Dei ferebatur super aquas" . ll tohu va-bohu e secondo, ηοη primo. La bruma primordiale in cui aria, terra e oceani si confon­ dono ηοη e piu la nebulosa indifferenziata delle forme ulteriori. Se il Caos esiodeo e un eterno gia-qui, l'abisso biblico (σκότος επάνω τfiς cψuσσου [le tenebre ricoprivano l'abisso] ) e una cre­ atura ο progenitura della geniale iniziativa. ι' ebdomada dei sette prodigi che forma la grande settimana cosmogonica consiste di sette "fiat" discontinui, istantanei, semelfattivi, separati tra loro da pianori di intervallo: i preteriti dell'istante creavit, dixit, divisit, appellavit, fecit, posuit, benedixit. . . 31 che sono decreti repentini e colpi di scena sensazionali, si alternano cosl con gli imperfettivi della continuazione abituale; ma ogni volta l'imperfetto della cosa posta implica la precedenza ο prevenienza della posizione, come in generale lo stato presuppone il decreto. " Qui vivit in aeternum cre­ avit omnia simul".32 Omnia simul: il passaggio dal niente al tutto, . .

-

3 0 Verso 1 16. Cfr. 1 15 : εξ άρχi]ς ( . . . ) [dal princίpio] 3 1 Εποίησεv, είπεv, διεχώρισεv, εκάλεσεv, έθετο [creo, disse, separo, chiamo, pose] . . . 3 2 Eccl., XVIII, 1 .

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.ο

essendo mutazione infinita, non si attua nello squarcio fo1gorante dell'istante? P1atone intul tuttavia 1a distanza che tiene separati p1asmare e fare, πλάττειν e ποιεlν, demiurgia e taumaturgia. Π So/ista33 e il Simposio34 definiscono creatrice (ποιητική) ogni causa che porta all'essere il non essente . . . Non e il far-essere che qui e definito? Far essere, ecco tutt'altra cosa rispetto all'imitare ο al contempla­ re ! Se l'imitazione (μίμησις) e costruzione di immagini (ειδώλου ποίησις), poetica fantasmatica, la poetica vera e propria e la co­ struzione dei modelli stessi (αύτ&ιν). Al che aggiungeremmo: quan­ to al Lui-stesso in lui-stesso, non e piu in alcun modo la creatura, foss'anche modello, ma il creatore e il sovrano Poeta. Tuttavia gli imbrogli della filosofia seconda, determinati dal bisogno antimeta­ fisico di pienezza e riconduzione, costringono 1'avvento all'essere, γένεσις εις ούσίαν, a tornare irresistibilmente quidditativo. Basta concedersi c1andestinamente 1' essere minimale sotto 1e apparenze del non-essere ο, come direbbe Schelling, il Nulla (μη ον) invece de1 Niente (ούκ ον) . . . e tutto e gia stato deciso: non resta che gon­ fiare, ampliare, imbottire quest' essere minimale per ottenere, come il Vishnu della fiaba, tutti ί regni della terra e de1 mare. Perche, in sostanza, minimale ο massimale che sia, un essere e dell'essere, e non vi e piu nessun miraco1o dal momento in cui 1' essere e dato. Lo pseudo-creazionismo incappa qui nella stessa petizione di principio dello pseudo-genetismo che si concede furtivamente in anticipo, in formato minuscolo, la struttura da generare, e poi si meraviglia di trovare all'arrivo cio che ha surrettiziamente presupposto in par­ tenza . . . Possiamo anche far finta di distruggere la preesistenza, ο

33 So/ista, 265 b: ( . . . ) δύναμιν fιτις αν ciιτία γίγνηται τοί:ς μη πρότερον οοοιν οοτερον γίγνεσθαι [ogni potenza che diventa causa, per le cose che ancora non erano, che poi si producono] . 219 b: π&ν δπερ αν μη πρότερόν τις δν οοτερον ε'ις ούσίαν ιiγn, τον μεν ιiγοντα ποιεtν, το δε ό.γόμενον ποιεί:σθαί πού φαμεν [circa tutto cio che prima non e e che poi qualcuno porta all'essere,

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ηοί dicίamo, ίη un certo senso, che chί lo porta all'essere produce, e che cίο che viene portato all'essere e prodotto] . Simposio, 205 b: η γάρ τοι ΕΚ του μη δντος ε'ις το bν 'ιόντι bτφο\Jν ciιτία

πά:σά εστι ποιήσις [tutto cio per cui qualcosa passa dal non essere all' essere e poesia] .

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almeno di farne astrazione e distoglierne il pensiero, - 1' essere e sempre gia-qui e preesiste a se stesso, dato che essere e necessaria­ mente continuare a essere, cioe pre-essere ο "prreesse" all'infini­ to; prima dell'essere vi e ancora 1' essere, e cosl eternamente, dato che 1'essere non implica 1'idea de1 proprio inizio e della propria cessazione. L'impossibilita di fare davvero onore alla creazione si confonde con 1'impossibilita di pensare il niente, cioe con 1'impen­ sabilita in generale: perche pensare il niente e non pensare a niente, ο meglio non pensare; a meno che, per avere qualcosa da pensa­ re (dato che ogni pensiero e pensiero di un contenuto pensabile), non si sostituisca al nihil, che e niente puro e semplice, un Nihi­ lum che sia il Niente, ben poca cosa senza dubbio, ma in definitiva pur sempre qua1cosa. Tale e quindi il dilemma di contraddizioni in cui finisce se si riconosce 1'essere con il so1o mezzo de1 C'e: ο il niente non e niente e si autocontraddice, poiche 1'uso de1 principio di identita qui e assurdo; ο il niente e il Niente, ipostasi negativa, cioe: il niente e qualcosa ( ! ) , ma, come il non-essere del Sofista, altro rispetto all'essere. In ogni caso, non si da non-essere e, sicco­ me il vuoto si riempie della materia sottile, piu ο meno rarefatta, dell'essere, 1a creazione diventa semp1ice formazione, montaggio ο assemb1aggio di e1ementi anteriori. - "Posito semel . . . ": Leibniz, ricordiamo1o, aveva bisogno di postu1are questo minimo tramite cui 1a continuazione poteva scorrere da se; Leibniz, come Vishnu, si concede fin dall'inizio tre arpenti di terreno e crede riso1to il prob1ema dell' origine radicale. Ε come il primo e impercettibile assenso alla tentazione e un mezzo machiavellico, per il rinunciata­ rio, di rendere inevitabili 1e rinunce u1teriori, cosl il primo assenso alla cosa posta passa in generale inosservato e agevo1a 1e costruzioni cosmogoniche u1teriori. Tuttavia 1'angoscia dell'inizio sopravvive ίη noi come la cattiva coscienza di questa tentazione: l'uomo pone e ripone senza fine una domanda di cui si puo dire, a piacere, che resta eternamente senza risposta ο che e, proprio per questo, eter­ namente risposta; l'uomo ηοη e evidentemente fatto per risolvere la questione del quod, ogni sua economia esistendo unicamente in vista della continuazione; e tuttavia la coscienza pensante non puo impedirsi di porre instancabilmente una domanda alla quale ηοη ha i mezzi per rispondere. Questa domanda che la continuazione dell'esistente crede a ogni istante gia risolta, interrogazione infinita

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che una risposta per definizione gίa fatta e gίa data rίchίude senza sosta ne1 preciso istante ίη cui 1a fa rίemergere, non e il culmίne dell'inso1ubile? Come esprίme 1a forma categorίca de1 Quod, rispet­ to a un'interrogazione circostanziale sempre in attesa di risposta, e il fatto stesso della continuazione in genera1e e della sua gratuita ef­ fettivita a sollevare tra ηοί e 1'inizio il muro iηesorabile de1 mistero. Il Va-da-se preverra 1Ά-che-pro e il Perche-qualche-cosa? ο e, a1 coηtrario, il Perche-qua1che-cosa a prevenire il Va-da-se? Il gia-qui era gia un " esseηte " quando il creatore (che non e dunque nient'a1tro che un governatore35 ο un reggente) ha cominciato a organizza­ re 1'universo? ο il "gia" -qui non e qui che da quando 1'atto inizia1e 1'ha posto? Un'offerta infinita si istituisce tra 1ο stato preesistente e 1' atto p reveniente, de1 tutto simi1e alla puntata che rilancia 1'una sull'a1tro, a gara, 1'essenza pensata e il fatto, 1a cosa posta e 1a 1iber­ ta, 1a natura de1 vo1ere e il vo1ere di questa natura. Ιη questa ricor­ renza seηza fine, chi avra l'ultima paro1a, 1a preesistenza della res posita ο la prevenienza della positio ponens? Α ta1e questione, 1a stessa ricorrenza e gia una risposta suffίciente, perche e un movί­ mento infinito, e di conseguenza operazioηe e atto: forse e proprio essa, in quanto riposizione, 1a forma ascendente del movimeηto te­ tico di posizione . . . Perfino il momento della supposizione, che "presuppone" una preesistenza della posίzioηe, e che si a1terηa con essa come il parί e il dispari, testimonia gia di quest' attivita posizio­ nale! Ιη realta, 1a preesίstenza non entra in competizioηe con 1a prevenienza piu di quanto 1'ipotesi faccίa concorrenza alla tesi: per­ che lo Stato e 1' Atto, 1'uηο che e pre-essere statico, 1' altro che e Fare drastico, non combattono ad armi pari, ne intrattengono un rap­ porto reciproco e reversίbile. Il pre-essere, nel mίgliore dei casi, e presupposto dalla posizione, ma e la funzίone stessa della posίzione il porre lo stato, essere e pre-essere compreso: perche la posizioηe pone anche cio che presuppone! La scaturigine della causa-di-se crea anche cio che, a posteriori e a1 futuro anteriore, ne avra costi­ tuίto 1a natura e la stessa possίbilίta ! La preesistenza si accontenta dί essere " gia qui" , in veste dί possibile negatίvo, passivo e quie­ scente: tutto il suo lavoro di preesistenza e preesistere a priori ω

35

διακυβερvdv: Yinιeo, 28

c.

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che non e faticoso ne geniale), ed e di essere latenza inerte ω che esclude qualsiasi operazione) , e, ancora piu semplicemente, di esse­ re senza fare. L' operazione della prevenzione, per contro, e venire e fondare: venire come una grazia, fondare come una magia. La preesistenza preesiste alla prevenzione, ma in definitiva, in ultimis­ sima analisi come in primissima istanza, la prevenzione previene la preesistenza, compresa quella che a posteriori le sara preesistita: se la prevenienza e la prevenzione in quanto preesiste a se stessa, se la prevenienza e infinitamente piu di una semplice priorita ο prece­ denza, dobbiamo convenire che la prevenzione previene la preve­ nienza stessa, si previene da se stessa in quanto prevenienza, previe­ ne la propria "natura" preveniente; l'hypokeimenon della preve­ nienza e dunque al contempo preesistente prevenuto e, come tale, non preesistente ma post-esistente. Niente puo preesistere alla pre­ venzione che la prevenzione non prevenga, lei che non e semplice precedente storico ο semplice antecedente causale, ma radicale pri­ mato preantecedente. Qualsiasi cosa venga presupposta alla posi­ zione primordiale, la posizione primordiale precede sempre, ha gia preceduto, ogni presupposizione: perche la posizione pura e sem­ plice, l'unica netta, l'unica decisiva, e posizione non soltanto di tut­ to il post-posto, ma dei suoi supposti e presupposti ! Non e proprio in questo senso che essa e Ι' anipotetico, ο meglio il puro tetico? Post-posto, pre-posto si ricongiungono cosl sul piano dell'" ipotesi" , che inoltre e il piano della secondarieta ontica e della reita condi­ zionale. Non vi e, in fondo, che una sola presupposizione assoluta­ mente incondizionata e non formalmente suppositiva, ma deciso­ ria, drastica e tetica: tale presupposizione, che e un /iat, e la preven­ zione preveniente, detto altrimenti la posizione posizionale tout­ court! Dio, all'infinito, puo potere e vuole volere, a differenza dell'uomo che vorrebbe, di una velleita platonica, ma non osa, cioe non puo ne vuole volere. Chi vorrebbe non vuole. Chi vuole volere, vuole puramente e semplicemente. Plotino, secondo cui Dio e inte­ ramente βούλησις [volonta] ,36 ha tuttavia esitato ad ammettere che questa volonta possa volersi altra da cio che e: alla fine egli in­ dietreggia di fronte alla vertiginosa iperbole. Rispetto al sempre-al-

36

Enn., VI, 8, 2 1 .

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di-1a, rispetto a1 szgnore dell'essere e del pre-essere, essere e pre­ essere sono sempre qualcosa di posto, ricadono cioe dell'al di qua: siamo sempre ria1 di 1a dei passati-passivi della continuazione, • condotti a un non-so-che che e, come si vorra, piu-che-passato ο eternamente presente, primo ο u1timo, e che e dell'ordine dell'at­ to; perche 1'atto e 1'inizio e 1a fίne, 1' alfa e 1' omega di tutto . . . Come potrebbe non essere infinitamente piu rapido di un pensiero ritar­ datario capace di pensare 1a so1a continuazione de1 gia posto e sempre posteriore all'iniziativa-lampo della prevenzione? n dog­ matismo spiega che l'essere fa perche e, e che 1a preferibilita-in-se attrae la preferenza: ηοί diremmo al contrario che, capovolgendo il Perche, 1a preferenza preveniente fonda . solo 1a preferibilita. Cosl si esprimeva Pascal denunciando 1a secondarieta dei pretesti retrospettivi e delle motivazioni ο perorazioni giustificative; . cosi pensava Lequier-37 cercando di rappresentarsi l' autocrazia di una liberta assolutamente preveniente. Comunque sia, 1'intensa stra­ nezza de1 mistero preveniente entra ίη una lotta infinita con l'in­ clinazione sempre rinascente ad accomodarsi su1 divano della pre­ esistenza. "Posito semel. . . ", dice negligentemente il filosofo dell'intervallo: a seconda che metta 1'accento su Semel ο su Posz'to, la coscienza supera il panico della liberta e contesta che 1' evidenza del Va-da-se vada originariamente da se, oppure presuppone e sottintende una volta per tutte l'ablativo asso1uto della preesisten­ za: questione definitivamente risolta; non se ne riparlera. Ε l'inde­ b olimento segreto dello sforzo metafisico a rendersi responsabile di questa messa ίη parentesi; al posto del fi'at non vi e altro che un "buffetto" ο una forma di cortesia. La coscienza metalogica deve fare uno sforzo costantemente rinnovato per anticipare l'indi­ struttibuile antecedente ontico che si ricostituisce prima di ogni decisione, per prevenire un' essenzialita preveniente che e altret­ tanto prevenuta e per precedere infine se stessa mirando a un primato-limite intravisto al di la dell'a priori. Si comprende ades­ so che se intende dire no allo sp1endore dei participi passati mas­ sivi e ritrovare la radice che e il mistero dell' origine radica1e, la coscienza deve sottomettersi a una profonda riforma interiore: la 37

La Recherche d'une premiere verite, 3 ο Parte.

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conversione totale di cui parlano Platone e Plotino, la torsione con­ tro-natura nella quale Bergson riconosceva il marchio dell'intuizio­ ne soddisfano le condizioni di questa riforma. Si tratta letteralmen­ te di pensare contrariamente a ogni abitudine: perche la nostra "natura" psicobiologica e intervallo in tutto il suo spessore. La que­ stione che puo sorgere e sapere se la continuazione, nella misura in cui ci fa cambiare, modulare, divenire, non sia a sua volta creazione continuata, e se l'intervallo non sia a sua volta brulichio di istanti all'infinito . . . Cio non toglie che l'allungamento dell'Essere com­ patto in intervallo e la rastrematura del Fare ίη istante repentino e concentrato corrispondano a due tendenze inverse, l'una catagene­ tica e l'altra anagenetica: l'una, dilavando il Fiat semelfattivo nell'Esse iterativo, tende verso la degradazione e la balbuzie, 1' altra tende verso la creazione. Infatti, la legge di esercizio e la legge di economia, il costwήe, l'adattamento, la tradizione e l'imitazione che regolano il periodismo della nostra vita, la memoria e 1' associa­ zione che assimilano il nuovo al vecchio, il pensiero stesso che spo­ sa cosl facilmente ί ritmi riproduttivi della nostra naturalita, fino all'installazione spaziale del corpo e del sensorium nell'esistenza intermediaria, tutto cospira a renderci faticoso lo sforzo necessario a coincidere col punto focale della posizione. La dove ci occorre­ rebbe, alla sommita dell'anima, la sottigliezza sottilissima e l'acu­ men dell'intuizione, non abbiamo che gli strumenti piu "schiumo­ si" [mousses] e un organo di conoscenza naturalmente crasso e grossolano; la dove non vi e ίη realta niente da pensare, la pesante coscienza cerca appigli e occasioni per discutere !

VI. Il Creatore opera al difuori delle categorie Filosofare sulla creazione, filosofare sull'assoluto, e dunque una stessa e medesima scommessa: perche se l'assoluto e l'irrelativo "abs relationibus" la creazione e cio che opera "abs praeexisten­ ' tia" nello zero di qualsiasi pienezza e nel vuoto di ogni preesistenza, nella campana pneumatica del Niente allo stato puro. Per Kant, che sfida il pensiero a pensare fuori da ogni forma a priori, il creazioni­ smo sara dunque l'idolo piu caratteristico del dogmatismo assoluti­ sta, come per Comte sara l'idolo meno difendibile della metafisica

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non positiva; la radicalita dell'inίzio e oggetto di un'antίnomίa per­ che si oppone alla correlazione trascendentale che e la conoscenza stessa. Nell' essere c'e da pensare all'infinito. Ma il far-essere e impensabile. L'essere e il campo della messa-in-relazione: mate­ ria inesauribile nel cui spessore l'intelletto morde con la stessa facilita con cui i denti di un bambino mordono una tartina: e la tartina della scienza relazionale, scienza alla quale e promesso un radioso futuro a condizione di evitare la fascinazione sterilizzante e paralizzante del punto-zero: perche la vuota meditazione del punto posizionale pietrifica infallibilmente la mobile ragione re­ lazionale. Ora, porre ο far-essere non costituisce una "relazione " , poiche consiste propriamente nel creare il proprio correlato per entrare in relazione con esso . . . Certo, si puo dire che la relazione intellettiva preceda gli intelligibili, ί quali risulterebbero, come i concetti, da un 'analisi retrospettiva, il pensiero li troverebbe in­ somma gia dati. . . Ma il pensiero non crea i propri termini, benche li renda significativi; e non crea nemmeno ί principi eterni con ί quali pensa. La Posizione e una sorta di pensiero divino che creerebbe effettivamente, insieme alle verita necessarie, il primo Altro; che farebbe essere, prima del primo Altro, il suo stesso es­ sere di posizione; che si s olleverebbe da se stessa fuori dal nulla! Ε a cosa, per cortesia, l'iniziativa non relativa, ma purissima e assoluta, si riferirebbe, essa che e priva di " quatenus" e per de­ finizione (se queste parole hanno ancora un senso) radicalmente prima e " solitaria" ? La decisione tetica e poietica non e una rela­ zione retta da due ο piU preesistenze come un viadotto dai piloni e, grazie a questo duale ο a questo plurale, in grado di scavalcare il vuoto, relazionare i correlati, percorrere le vie del ragionamento e della mediazione: no, la poiesis e piuttosto, come l'ispirazione del genio, efferenza sorgiva e spontaneita inaugurale; nell'inizia­ tiva poetica e autenticamente fondatrice tutto e posto in una sola volta, compresi i punti d'appoggio e gli appigli che consentiranno ulteriormente all'imitazione prosaica di continuare l'inizio e di re­ lazionare gli elementi del gia-dato ίη innumerevoli combinazioni. Il creatore non scopre una preesistenza latente, inventa una nuova esistenza per poi scoprirla - di piu: la crea per poi inventarla; ο meglio crea, inventa e scopre in uno stesso atto di geniale e in­ comprensibile posizione che successivamente genera una valanga.

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Lo slancio drastico rίsolve dunque ί1 mistero del correlato creato e tuttavia autonomo, recidendo il nodo gordiano e facendo sl che ί1 cίrcolo vizioso diventi la circolarita della causa sui. L'intuizione sara la riposizione della posizione, la poesia seconda ! Ε quindi il Fare puro e semplice a essere la chiave di tutto: l'aporia miracolo­ samente dissipata, la risposta nella domanda stessa . . . Porre, dicevamo, non e un relazionare, poiche e (per definizio­ ne) prevenire ί1 correlato al quale la posizione sarebbe relativa. Questo e cωnune alla totalita, alla fine e all'inizio assoluti: non tollerare /uori di se, dopo di se, prz"ma di se un qualsiasi "Altro , che offra ί1 minimo combustibile al minimo movimento di pensiero; ne preesistenza, ne postesistenza, ne coesistenza; perche se qualcosa preesistesse, sopravvivesse ο coesistesse per rendere l'universalita pensabile, l'universalita non sarebbe pίu totalίta assoluta, e ί1 tutto sarebbe la somma di questa totalita e di questo qualcosa. Perche chi dίce Tutto non eccettua nίente. Il Tutto assorbe dunque pre­ ventivamente l'alterita che vorrebbe ogni volta sfuggirne per ga­ rantire alla mente una mobίlita pensante. Solo l'intuizione, relazίo­ ne senza alterita correlativa, compie questo sforzo acrobatico rea­ lizzando nel suo mistero la contraddizione di un pensiero-assoluto, cίoe di un pensiero non pensante. Ε nel nostro caso: non sί pensa che in rapporto a qualcosa di anteriore. Dunque l'inizio assoluto, che non tollera niente di anteriore a cui non sia esso stesso anterio­ re, non puo essere pensato. L'inizio non puo che essere posto. Si puo pensare l'inizio di un lasso relativo che sia, come la nascita, ί1 termine del lasso precedente: ma dell'inizio degli inizi, dell'inizio spaiato, impreparato, non preceduto, non se ne puo avere che l'in­ tuizione. Allo stesso modo, la creazione non e un processo, perche non e un passaggio graduale e continuo dal meno al piu tramite i gradi successivi di un comparativo scalare, ma mutazione da nien­ te a qualcosa ο (che e lo stesso) da niente a tutto: perche la distan­ za tra niente e qualcosa, essendo una distanza infinita, mutazione che conduce dall'uno all' altro, e meno passaggio di quanto sia pro­ digio, metamorfosi assoluta, repentina katabole. Quasi tutte le do­ mande categorialί che si potrebbero porre a rίguardo, compresi glί enunciati che vi risponderebbero, sono dunque bandite in antici­ po. Ο meglio, la creazione risponde a ogni domanda creando: que­ sta risposta " circolare" non e una verita lapalissiana, ma l'obbliga-

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toria tautologia a cui ci condanna la causa-di-se;/are costituisce qui la sola risposta, risposta non speculativa ma drastica. La creazione rassomiglia sotto quest' aspetto al movimento, la cui possibilita non e provata, di fatto e tramite il fatto, che' nel movimento stesso. - La sola categoria che probabilmente non ripugnerebbe del tutto alla creazione e quella di qualita, nella misura in cui ogni altera­ zione, ogni continuazione di eterogeneita implicano un modo di grazia taumaturgica; tuttavia la taumaturgia creatrice non e, come la trasformazione, passaggio da forma a forma, e nemmeno, come la trasfigurazione, passaggio da una figura caotica ( che e ancora una forma) a una figura cosmica, bensi insorgenza dell'essere to­ talmente qualificato - forma e materia - a partire da niente; la creazione, che non e trasformazione della forma, non e neppure formazione dell'informe (benche somigli a una grazia) ne meta­ morfosi dell' amorfo: perche l'informe sottintende la preesistenza implicita di un sostrato. Se la creazione fosse compatibile con la distinzione peripatetica tra atto e potenza, risponderebbe alla do­ manda " qualitativa " : quali modi (ποί:α), sostituirebbe questi modi (τοιαuτα . . . ο'ία) ad altri, modificando ο modellando i modi, qua­ lificando una sostanza priva di "maniere" e determinazioni; dun­ que il cambiamento si definisce in rapporto a una sostanza stabile ο immutabile che e il sistema di riferimento del divenire. La crea­ zione non sarebbe allora nient' altro che una modificazione pelli­ colare dell'essere: trasformazione, deformazione, informazione ο semplice cambio di colore ! Ora, la creazione non e alterazione,38 e per la stessa ragione che le impedisce di essere relazione: la cre­ azione non e relativa, πρός τι, per la buona ragione che non vi e τι; e cosl come, per definizione, non vi e un altro al di fuori del creatore - vicino, anticristo ο semplice riflesso - al quale sarebbe relativo, allo stesso modo non vi e nel tempo passato un aliud anteriore di cui la creazione sarebbe 1"' alterazione" : il creatore, totalita assoluta che ingloba tanto l'alterita coesistente quanto la creazione, che e inizio assoluto, previene 1' alterita preesistente. La creazione non risponde alla domanda Quanto piu di quanto

38

ουκ οφα κατ'ιiλλοίωσιν γε κινεί:ται [non si muove per alterazione], dice

PLATONE dell'Uno (1 Ipotesi), Parmenide, 138 c. ο

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risponda alla domanda Come. La fi1osofia della continuazione tende, dicevamo, a trattare 1a creazione come un accrescimento e 1'annientamento come una diminuzione: 1a successione di gran­ dezze omogenee, autorizzando numerazione e misurazione, e per eccellenza il campo della secondarieta e della continuita metem­ piriche; 1e operazioni che vi si praticano suppongono 1a compara­ bi1ita di un P1us e di un Minus e possono proseguire fino all'infi­ nitesima1e ο all'infinitamente grande. Se si dovesse trascrivere la creazione in linguaggio quantitativo, si direbbe (molto approssi­ mativamente) che l'emergere di qualcosa a partire da zero, effet­ tuandosi in una sola volta, realizza un quantum assoluto e infinito che contraddice l'idea stessa di quantita [combienneteΊ ; in lin­ guaggio qualitativo, si direbbe ugualmente, per modo di dire e se vi fosse cambiamento, che 1a creazione e un cambίamento tota1e [du tout au tout] , ο da1 nίente al tutto, cίoe da1 no a1 sl; 1a conver­ sίone da contraddίttorίo a contraddittorίo, che e passaggio all' as­ solutamente-altro, smentisce 1' alterazione qualitativa, che e pas­ saggio dall' a1tro al re1ativamente-a1tro: perche una conversione ο inversione iperbolica non e un cambiamento piu di quanto la po­ sizione di un nuovo essere sia un aumento. Ma natura1mente 1ο Zero, essendo ancora un quantum assai ordinario ο, meglio, es­ sendo il non-essere in quanto numero (quatenus numerus), e tutt' altro che niente; tra grandezze positive e grandezze negatίve non vi e alcun abisso metafisico; e di conseguenza il passaggio da qualita nulla a qualita positiva appartiene a un totalmente altro ordine rispetto alla creazione, posizione dell' essere ίη generale e non "quatenus " questo ο quello (per esempio in quanto grandez­ za) , ma dell' essere in quanto essere. La tautologia stessa, in cio che ha di irrappresentabile, non riduce il quatenus a un semplice modo di dire ο di fissare le idee? Dunque la creazione dell'essere puro e semplice, al di fuori di ogni punto di vista, differisce infi­ nitamente dai processi scalari e dal " limite " stesso di tali processi. La continuazione degli eterogenei relativi rappresenta 1' ordine dell'empiria come la continuita scalare degli omogenei l'ordine della meteιnpiria; quanto alla p osizione meta1ogίca, della qua1e non basta dίre che e ίnversione dίametrale dal Contro a1 Pro (per­ che un'inversίone ίmplica per 1ο meno 1a preesistenza dell'ordίne al rovescio), essa e assolutamente fuori categorie - oppure, che e

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lo stesso, e il "limite" apofatico e assurdo di tuttί i predicati al contempo: ί1 culmine non quantitatίvo della quantίta, ί1 superlati­ vo acuto della trasformazione qualitatίva; al punto di tangenza del pensiero con l'impensabile, l'intuizione ίntravvedrebbe la crea­ zione stessa, posizione dell' essere completo e sua effettivita ο quoddita ontologica. - Tutto quel che e stato detto sull'ubiquita ο nusquamita del Non-so-che mostra a sufficienza come anche la creazione eluda le domande relative al luogo. Non appena, per modo di dire (perche bisogna pur parlare) , si fa uso di immagini spaziali ο visive, una preesistenza viene subdolamente restaurata: il caos tende a farsi il luogo di abbozzi larvali e di possibilita cre­ puscolari in attesa di attualizzazione; anche l'Ex-nihilo del sedi­ cente creazionismo ha un che di sospetto, nella misura in cui la preposizione spaziale Εχ evoca un qualche luogo preesistente (χώρα) , come una sala d'attesa per i possibili ο un deposito da cui il demiurgo prelevera le forme: ci si rappresenta la creazione come un efflusso ο una risalita verso la luce del giorno. Il termine quid­ ditatίvo di Produzione non evoca forse un passaggio da implicito a esplicito? Ora, il nulla, a fortiori, non ha proprίeta: non e quindi " da qualche parte " ; se e veramente e letteralmente nίente, cancel­ la d'un tratto non soltanto 1' essere qualifίcato e quantίfίcato di cui e il non-essere, ma anche il luogo di questo essere - perche essere e a maggior ragione essere da qualche parte; essere determinato in quanto questo-o-quello, e a maggίor ragίone essere determίnato localmente ίη quanto quί-o-la, secondo coordinate topografίche. Un nulla da cui emergerebbero, come da un laboratorio, le esi­ stenze determίnate secondo il peso, i1 volume e la fίgura, non sa­ rebbe ίnesίstenza bensl preesistenza; ed e quasi impossίbile rap­ presentarsί questo nulla senza anticipare in esso precίsamente cio che sί ritiene la creazίone ne estragga. L'Ipseita delle ipseita, che e, per la creatura, "come niente" poiche e nίente di ogni cosa e di ' ogni essere, non e nemmeno in un luogo, εv τόπφ; e come questa Ι pseita, infine, e ίη se stessa posizίone, cosl e la creazione in gene­ rale a dover essere detta atopica. La creazione non e dunque una traslazione da altrove in altrove pίu dί quanto non sίa una trasfor­ mazione da altro in altro; e poiche il "trans" evoca irresistibilmen­ te la topologίa della trasmίgrazione e del paese sotterraneo, la creazione esclude al contempo qualsiasi metabole e qualsiasi me-

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tabasi. Ε proprio quel che Platone dice dell'Uno39 nel Parmenide. L' essere creato non proviene quindi da qualche parte e nemmeno da un Nessun-dove ipostatizzato che sarebbe, sull'esempio del ne­ scioquid ipostatizzato, qualcosa come un regno del Nusquam (Μη­ δαμοί3): propriamente parlando, non proviene affatto . . . Non che sia gia qui! Per niente: bisognerebbe dire piuttosto che un bel gior­ no si trova qui, senza mai essere arrivato. "Et lux facta est". Quan­ do, nell'empiria, il passaggio dal Fiat al Factum-est si compie all'i­ stante, senza transizioni, lo spettatore grida al gioco di prestigio, perche sa bene che gli si nasconde qualcosa: nessuna creatura ha il dono dell'ubiquita e puo sfuggire alla maledizione del processo, del trasloco e dello spostamento; i mediatori sono semplicemente ca­ muffati per dare l'illusione della fantasmagoria. Se la successione del Fiat (γεvηθήτω) e del Factum-est (i:γέvετο) e un gίoco di presti­ gio nell'ordine empirico, e invece un prodigio nell'ordine metafisi­ co. L' atto non e situato, e esso stesso a situare:40 non localizzato, localizza cio che fa essere, e avvento del Luogo; a partire dall'inizia­ tiva atopica vi sara topografia, movimento e collocazione distribu­ tiva delle esistenze nello spazio. Anche da questo punto di vista 1' atto e generoso, perche dona cio che non ha, a differenza dell' ani­ ma umana, nescioquid relativo che, sia pure non localizzabile (la memoria ne testimonia), e almeno generalmente solidale con un corpo, con un organo cerebrale e con una presenza carnale, cioe con un'esistenza fisica. Cosi, se e possibile dire che la creazione esclude qualita e quantita, oppure che e al contempo cambiamento assoluto di qualita e accrescimento assoluto di quantita, e altrettan­ to possibile dire che la creazione e un atto extra-spaziale ο un atto onnipresente: Dappertutto e Da nessuna parte sono la stessa cosa. - L' esclusione del tempo, infine e soprattutto, e implicita in tutte le altre, essendo il tempo la dimensione comune agli accrescimenti, alle trasformazioni e alle traslazioni. n movimento, 1' alterazione e

Parmenide, 162 c: ε'ι μηδαμοίi γέ εστι τοον δντων, ώς ούκ εστιν ε'ίπερ μη εστιν, ούδ' &.ν μεθίσταιτο ποθέν ποι [non e in nessun luogo tra le cose che sono, dal momento che non e non puo nemmeno spostarsi da un luogo a un altro] . Cfr. 138 a: ούδαμοίi &.ν ε'ίη ( . . . ) [ . . . ] 40 Enn., VI, 9, 6: 'ιδρύειν. Dall'Uno, δγκος υπέστη τόπος e ετάχθη. Cfr. VI, 9, 3 . 39

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l' aumento richiedono tempo: la rinuncia all'assoluta repentinita, cioe all' onnipresenza che e negazione del luogo, e alla simultaneita, che e negazione del processo, non e forse il segno della nostra fini­ tezza creaturale? La fatalita del tempo e inclusa nella mediazione discorsiva, nell'aspettatίva e nel lavoro. Il passaggio da un qzιantum a un quantU?n maggiore, da un quale a un quale eterogeneo, insom­ ma da un ibi a un alibi, questo triplo passaggio e non soltanto tran­ sizionale, ma laborioso; attendere, lavorare, plasmare sono dunque le forme concretamente vissute in cui la creatura finita diviene, la durata dura, l'intervallo continua. La creazione sarebbe, al limite, la sospensione di questa naturalita ο relativita empirica e prosaica che ci costringe a passare "per gradus debitos" senza bruciare alcuna tappa. Ε cio che apparirebbe inoltre se si volesse a ogni costo tra­ scrivere il prodigio creativo nel linguaggio categoriale: per passare non soltanto dall'assenza di ogni forma a una forma qualsiasi, ne dal piccolo al grande, ma da niente (da assolutamente niente) a qualcosa in generale, per estrarre un essere non da altrove, neιnme­ no da un Nessun-Dove mitologico, per lontano ο distante che sia, ma dall'inesistenza assoluta; per porre un essere e, al contempo, porre il luogo di quest' essere, occorrerebbe un lavoro infinίto (se sί trattasse di lavoro) , e questo lavoro infinito richiederebbe un tem­ po infinito. Gli sforzί erculei dell'intervallo non sono che un passa­ tempo al cospetto di questo compito vertiginoso ! Un lavoro infini­ to non e nemmeno piu un "lavoro " ; anzi, a queste condizioni sareb­ be forse piu facile confessare che cio che dura un tempo infinito si attua altrettanto bene repentinamente. Se il compito creatore aves­ se come materia un quantuιn minuscolo ο una forma indeterminata ο un essere lontano, sί occuperebbe sia di quantificare lo zero, qua­ lificare l'infonne e localizzare e presentificare l'assente; la "poiesis" non sarebbe altro che un semplice processo partitivo di costruzio­ ne, qualcosa come l'elaborazione di un manufatto. Ora, il proprio della creazione (per definizione) e creare la materia stessa da elabo­ rare, e di crearla gia elaborata: 1' atto posizionale, pertanto, agisce inizialmente nel vuoto integrale di ogni materia e nel nulla di ogni essere creatore. Cio che "coesiste" all'atto assoluto non e quindi ne poco ne molto, ma niente: assolutamente niente, e non la possibilita di qualcosa, il nudo ricettacolo capace di ricevere le forme. Il limite dell' assenza, il limite dell' amorfismo e il limite della nullita si con-

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fondono con l'inesistenza assoluta. Qui tutto e da fare. Qui l'atto non si trova, come un architetto, di fronte a un problema che biso­ gna semplicemente sgrossare, essendo gia stata fatta la parte genia­ le e prodigiosa del compito, ma non per l' appunto la parte laborio­ sa: il genio (e 1Άtto non e forse 1a genialita e1ementare?) inventa 1ui stesso il prob1ema e, ponendo1o, nello stesso tempo lo risolve. Se un processo non puo che essere unilatera1e, come potrebbe la creazio­ ne non essere onnilatera1e, dato che pone 1' essere qua1ificato, quan­ tificato e 1oca1izzato (il qzιantttJn che e vo1ume imp1icando 1' occupa­ zione di un 1uogo nello spazio), dato che pone, in sintesi, 1'essere coιnp1eto di tutte 1e coordinate cronologiche e topologiche? Palla­ de, nata adulta, tutta equipaggiata e in pieno ordine di marcia dalla testa di suo padre, non nasce di una nascita piu genia1e dell' essere prodigiosamente posto dalla priιnissima invenzione della primissi­ ma prevenzione.

VII. L' operazione assoluta risiede nel mznzmo-essere dellΊstante Tutte le categorie si annullano e in qualche modo si condensano nel nucleo dell'istante. Quando avviene il cambiamento, "πότΌϋν μεταβάλλει", si chiede Platone discutendo la terza ipotesi del Par­ ιnenide; e risponde che questo sconcertante non-so-che τότε . . . οτε al quale non si fa mai caso non puo essere localizzato nei participi statici (ί::στός, κινούμενον . . . ) dello stato anteriore ο del fatto com­ piuto. L'inafferrabile costituito dall'indivisione dell'f:ξ [da] e dell'ε'ις [in] e al contempo fuori luogo (aτοπον) e fuori tempo (εν χρόνcρ ούδενί). L'istante non e ne l'Essere (poiche lo previene) ne questo ο quell'essere caratterizzabile; ma non e nemmeno non-esse­ re (come potrebbe il non-essere iniziare a essere autonomamen­ te? ) . . . Che dico? non "e" nemmeno il Fare, ne e propriamente par­ lando Piu-che-essere, Altro-che-essere! Ne e ne non e 41 - cio signi­ fica che accade ο avviene. Advenit, evenit, praevenit , e la preve-

�ι

JJarrιzenide, 157 a: οϋτε εστι ( . . . ) οϋτε ουκ εστι [ne e ne non e] . 156 e: αμφότερα [entrambe le cose] (c: aμα). L'εξαίφνης [repentinaιnente] : 156 c, d.

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nienza significa qui che questo evento ο avvento e innanzitutto un sopraggiungere iniziale. Venire e al contempo essere e non essere ο (se si preferisce il neutrum a11'utrumque) non e ne essere ne non essere: ne 1' essere ne il non-essere si predicilno del Far-essere, e il predicato ontologico e inadeguato quanto la predicazione copulati­ va. L'istante e, almeno per l'uomo, la " durata" intemporale ο su­ pra-temporale del Far-essere miracoloso che, sviluppato, esplicita­ to, raccontato discorsivamente, richiederebbe un tempo infinito. Α viaggio infinito, racconti interminabili. Ora, quale altro viaggio puo essere paragonato a questo volo rapido come il lampo, a questo trasporto immobile, cominciato a partire da un niente che al con­ tempo e nullita, nessun-dove e nessun-essere, alla traversata per cui partenza e arrivo coincidono? Un'autobiografia esaustiva e circo­ stanziata, che non omettesse nessuno degli innumerevoli dettagli della continuita vissuta, sembrerebbe povera cosa rispetto a quest'avventura; e tuttavia basta il miliardesimo di un battito di ci­ glia per attraversarne la distanza, e basta una semplicissima intui­ zione per vivere e comprendere dall'interno cio che secoli di narra­ zioni e di storiografia non b asterebbero a spiegare; insomma, quale che sia l'infinita complicazione dell' organo visivo, basta aprire gli occhi affinche si effettui la visione.42 Allo stesso modo, Achille di­ vora in un boccone le innumerevoli mediazioni che lo separano dalla tartaruga; Achille si slancia . . . e inghiotte l'infinito. L'istante e il punto-vertigine in cui tempo e spazio coincidono, in cui qualita e quantita appaiono l'una nell'altra, in cui forma e materia si confon­ dono, in cui la relazione stessa si riduce fino a non essere che un unico assoluto. La creazione risiede nell'istante, ο meglio (dato che l'istante non e, se non per modo di dire, una brevissima durata, un intervallo infinitesimale in cui la creazione potrebbe aver luogo) la creazione e interamente l'istante stesso, e, viceversa, l'istante per eccellenza e l'istante creatore e posizionale; in questo senso l'Istan­ te si oppone al Divenire e all'Essere, che sono le due varianti dell'Intervallo: il divenire, ovvero la continuazione di istanti virtua­ li all'infinito, ma istanti diluiti e dilatati, piu promotori che creatori, piu propulsivi che tetici; l'essere, ovvero il congelamento dell'Istan-

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Henri BERGSON, L'Evolution creatrice.

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te primordiale definitivameπte irrigidito e raffreddato in Cosa. Or­ mai dispoπiamo di cio che uπ dogmatismo sarebbe certameπte teπ­ tato di definire i tre principi della metafisica: l'Istaπte tra il Nieπte e l'Essere; a secoπda che si vogliano fissare le idee in uπ seπso ο πell'altro (perche in πessuπ caso il πostro linguaggio schiumoso, tagliato a misura delle cose, e adatto a esprimere la finezza sottilis­ sima e infinitesimale del quasi-nihi[), si chiamera l'istante Quasi­ niente ο Quasi-essere: quasi-essere in quaπto emerge πell'essere abbaπdoπando il πoπ-essere, quasi-πieπte iπ quaπto la scintilla si spegπe, quasi-essere in quaπto, per il fatto stesso di spegπersi, essa si acceπde. Ma, a rigore, l'istaπte ποπ e πe l'uπo πe l'altro. ll Quasi­ πieπte ποπ e uπ minimo-essere πe uπ essere minimale; il quasi-nihil ποπ e uπ miπuscolo aliquid: ποπ e per esempio quel minimo d' esse­ re, quell'ultimo ridotto cοπ cui lo pseudo-creazioπismo ci riporta alla filosofia dei tre arpeπti; il quasi-πieπte ποπ si ottieπe, come l'essere minimale, tramite uπ'esteπuazioπe ο rarefazioπe dell'esse­ re: uπ essere minimale, sia pure iπdefiπitameπte ridotto, e aπcora "dell' essere" , meπtre il quasi-πieπte appartieπe a υπ altro ordine rίspetto all' essete. Il quasί-πίeπte ΠΟΠ e il tίsultato dί uπ'usura pto­ gressίva, di uπa minimizzazioπe ο compressioπe dell' essere, ma πemmeπo risulta da uπ'abolizioπe troppo brusca il cui termine sa­ rebbe il Nieπte puro e semplice. Viceversa, il quasi-essere ποπ sboccia miracolosameπte al termine di uπ'iπflazioπe del πieπte; il πieπte ποπ divieπe qualcosa α /orza di ingrassare; υπ πieπte indefi­ πitameπte goπfiato restera πieπte fiπo alla fine dei tempi. Zero piu zero uguale zero. Uπ'inflazioπe ο deflazioπe iπdefinita e sempre uπ parto dello stesso ordine: l'altro ordine risulta, all'infinito, da uπ repeπtiπo passaggio al limite; l'istaπte desigπa cosl la soglia iπaffer­ rabile in cui 1' essere cessa di essere qualcosa e il πieπte cessa di es­ sere πieπte, in cui ogπi coπtraddittorio e sulpunto di, ο addirittura in procinto di diveπire il suo stesso coπtraddittorio. Ο piuttosto, come l'ίstaπte ΠΟΠ e πe UΠ essete sgoπfiato πe UΠ ΠOΠ-essete soffίa­ tO ο rigoπfio, cio ποπ toglie che sia fin dall'inizio il preseπte inattiπ­ gibile di questa cessazioπe-avveπto e di questo avveπto-cessazioπe. n quasi-πieπte che per cio stesso e " quasi qualcosa" ο quasi-essere e quindi raddoppiameπto e istaπza: uπ po' come la creatura, secoπdo Pascal, e πieπte rispetto all'essere e tutto rispetto al πieπte; cio che, πella lettura πegativa, esiste appena, appare, πella lettura positiva,

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come quasi esistente, cioe come emergente ο insorgente dal niente. Nascente ο morente, non e il minimo-essere di un decrescendo sca­ lare, ma mistero d'insorgenza nell'invisibile tenebra ο, come il pia­ nissiJno di Debussy, nel silenzio inudibile. Non bisogna avere la mano troppo pesante se si vuo1e toccare questa soglia senza cadere ne1 Niente ne restando nell'Essere ! Occorre, a1 contrario, un gioco di mano [tour de main] sovrannatura1e e una 1eggerezza imponde­ rabile di "maniera" . Tuttavia, nell' avverbio Quasi permane una ' sfumatura di dogmatismo ο di sostanzia1ismo ontico un ρο offensi­ va per 1'instante: "Quasi" sottintende che 1'Esse resti la vocazione universale e il sistema di riferimento che distribuisce il successo e 1ο scacco, 1a creatura vitale e 1' aborto. Precisiamo percio che il Quasi serve qui a fissare 1e idee e che l'istante e il Terzo termine che tutta­ via e Primo: da esso bisogna cominciare! Il Quasi-niente non e er­ rore ο approssimazione di Qualcosa, il Quasi-essere non e un Esse­ re mancato: e piuttosto l'Essere a configurarsi come Istante diluito e stemperamento dell' atto posiziona1e. Per rispettare questa natura "anceps" ο "bifrons " , al contempo essere e non-essere, quasi-esse­ re, il principio del terzo-esc1uso e irrazionalmente abrogato: perche tra il qua1cosa e il niente c'e posto per il Non-so-che. L'istante non e in a1cun modo essente, ne poco ne molto, e di conseguenza 1a creazione non e nell'istante, dato che 1' inesse ο essere-in smarrisce qui ogni senso preciso; e tuttavia l'istante non e un niente, poiche pone e poiche il fatto di porre, se non e cosa, e per lo meno qualco­ sa. Cosl la creazione non trova posto nell'istante, non essendo piu cosa di lui; cosl il rapporto che quest'ultimo ha con la prima non e un rapporto da avvolgente ad avvolto . . . Sarebbe piu esatto dire che la creazione coincide con l'istante; che 1a sua quintessenza e istan­ tanea; che e istante operativo; ο ancora che si realizza α partire dall'istante, cioe a partire da quest'atomo esp1osivo, irradiante, che e ogni operazione e ogni " poesia" . L' alternativa tra la cosa e il nulla - essendo il nulla il posto reso vacante dall' abolizione della cosa, e la cosa il buco virtuale colmato dall'essere -, l' alternativa tra il nu11a e 1' essente, abbiamo detto, e sospesa nell'istante, e per un istante e sospesa. Come potrebbero degli ultimatum come: la morte ο la vita, la notte ο il giorno, il non-essere ο 1' essere, avere ancora corso dal momento che l'istante non e ne la frontiera ο il taglio lineare di due continenti uniti, giustapposti l'uno all' a1tro senza so1uzione di

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continuita, ne uno stato-cuscinetto tra i due? Nel primo caso, i due imperi non sarebbero che un unico blocco diviso in due zone, poi­ che il limite della prima, senza nessuna transizione, sarebbe l'inizio della seconda. Nell'altro caso, la transizione stessa formerebbe un terzo continente, che renderebbe necessarie due nuove transizio­ ni . . Ν ση vi e che un solo inizio semplice e del tutto inaugurale: quello che e decisione puramente p osizionale senza morfologia ot­ tica ne spessore spaziale. Tutto cio che ritiene in se qualcosa dell'in­ tervallo ο della reita costituita esige a sua volta una posizione che lo ponga! Ε il caso di ripeterlo: se la generosita consiste nel donare cio che non si e, e se la creazione e uno slancio ardente di generosita, e nello scoppio e nell'innesco esplosivo dell'istante che si attesta la posizione piu sovranamente generosa. L'atto squalificato e squanti­ ficato, ο meglio ίnquantificabile e ίnqualificabile, cίoe informe e nullo, dona la qualita e la quantita malgrado ο proprio perche e nulla di qualita e zero di quantita; 1' atto utopico localizza perche e esso stesso uno zero di luogo; l'atto assoluto dona l'intreccio delle relazίoni perche e lui stesso irrelativo; e infine l'istante, che e zero di tempo e in generale zero di qualsiasi cosa, luogo, qualita, quanti­ ta . . . , l'istante che e zero di tutto pone il tempo e con esso l'essere cωnpleto di ogni dimensione ontica nella sua stessa effettivita. Ben di piu: l'informe stesso pone le forme, la nullίta le grandezze e l'as­ senza assoluta i luoghi, proprio perche sono inesistenza al pari dell'istante. Il punto e negazione dello spazio, ma e posizione nello spazio, cioe posizione di luogo: risposta formale alla domanda Ubi e pura determinazione del Da-qualche-parte. Il momento e nega­ zione del teιnpo, ma e posizione nel tempo, cioe posizione della data. Il moιnento, del resto, nega il punto che a sua volta nega lo spazio ed e quindi al contempo negazione dello spazio e della posi­ zione nello spazio; se il punto e il quasi-spaziale, il momento, che e la piu breve continuazione possibile, appare come minimo interval­ lo ο durata minimale. L'istante, a sua volta, e negazione del punto e del momento, cioe al contempo negazione dello spazio-tempo e negazione della posizione nello spazio e nel tempo: l'istante soppri­ me tutte le dimensioni del vissuto, cosi come il punto annulla tutte le dimensioni spaziali (non una dimensione su tre, come il piano, ne due su tre, come la linea, ma tre su tre). L'istante e un punto che arretra all'infinito e che non e piu " da nessuna parte " . L' abolizione .

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delle dime�sioni trascende l'empiria a vantaggio di un "altro ordine" , che e ideale, metempirico e geometrico: 1' abolizione della localizzazione geometrica, a sua volta, trascende la semplicita dell' altro-ordine a vantaggio di un "totalmente-altro-ordine" infini­ tamente semplice. Cio che non ha nessuna continuazione, foss'an­ che brevissima, e nessuna estensione, foss'anche microscopica, non e il momento nel quale l'evento accade, ma l'evento stesso come non-tempo. Piu la negazione dello spazio tende verso il punto, che e minima spazialita, spazialita minimale ο infinitesimale, pίu la loca­ lizzazione e precisa e preciso il riferimento. Ma questa negazione e doppiamente partitiva: negando lo spazio senza negare il luogo, il punto e una macchia ancora troppo approssimativa al cospetto del­ la sottilissima punta dell'istante; d'altra parte, essa nega lo spazio senza interferire col tempo, come lo zero nega la quantita senza interferire con la qualita, e conserva cosl qualcosa della res constitu­ ta. Dunque il punto e ancora nullita inattiva, negazione pigra: non e il punto, ma il movimento del punto a generare la linea, cosl come non e lo zero, ma il fatto di contare a generare i numeri. Non si da percio posizione assolutamente creatrice che attraverso e nell'istan­ te; perche essendo negazione superlativa e nulla di negazioni parti­ tive, esso e contraddittoriamente e incomprensibilmente posizione. Il punto e nulla di spazio, ma la sottilissima punta e nulla posizio­ nale; e non basta dire che e il piu striminzito di tutti i non-essere e il meno ostacolato dalla sua " natura ", il meno ingombro di conte­ nuti e bagagli: perche non e piu nient' altro che il fatto stesso di porre, atto puro e dono totale ! Il nulla posizionale non crea "a for­ tiori" , vuotando il sacco dei suoi tesori nascosti, ma a piu debole ragione e miracolosamente: l' " a fortiorismo" non e infatti altro che la legge conservatrice e fisico-prosaica della piu forte ragione, men­ tre la piu debole ragione e il miracolo creativo del generoso Quasi­ niente. L 'istante non ci dona la storia, lo spazio e tutto il resto al fine di pensarlo - esso ucronico e utopico, sovratemporale e transspaziale - nei recitativi del tempo e del discorso, simili regali sarebbero ben miseri regali ! Tutti questi doni esso li prodiga a noi forse per finta e perche si comprenda che lui stesso e tutt' altra cosa . . . Lui-stesso! Ma noi forse ci preoccupiamo di cio che e lui stesso in quanto lui stesso? La grossolana e crassa esperienza, inca­ pace di una tangenza reale con l'ipseita del Quasi-niente, preferisce

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accanirsi stupidarnente sugli antecedenti e i conseguenti; ο meglio, per quanto disserti sul prima ο sul dopo, sui prodromi ο sui con­ traccolpi, l'intelligenza naturalmente retrospettiva, retrograda e tardigrada arriva sempre troppo tardi. La dignita della celebrazione non risiede forse nel meccanismo ritardante che ci libera dall'istan­ taneita riflessa e dalle improvvisazioni emozionali, cosl che il "tem­ po di reazione" , anziche lo stigma della nostra inerzia, diventi la condizione del nostro tempo liberato [lozsir] ? Ma perche, ahinoi, la facolta di attendere deve avere come riscatto una rinuncia alla veri­ ta flagrante, ο, viceversa, perche l'estemporaneita e la contempora­ neita devono essere il regime di una mens momentanea costretta a improvvisare la sua risposta? Comunque sia, si e detto che il mec­ canismo ritardante sara all' origine di una conoscenza ritardataria. Questa funzione postuma del conoscere e verificabile gia in corso d'intervallo: filosofare sulla creazione estetica e necessariamente ri­ flettere a posteriori sui prodotti e i sottoprodotti della creazione, in altri termini sulla creatura: come nessun genio, per geniale che sia, e creatore ante litterarn e semplicemente a parole, cosl il testimone preso alla sprovvista, il testimone sorpreso inavvertitamente dall'i­ stante inafferrabile dell'operatio, e ridotto a ripiegare sull' opus ope­ ratum se vuole filosofare a mente fredda; troppo ottuso per l'intui­ zione acrobatica dell' operazione, il conoscente preferisce interpre­ tare i suoi ricordi di operante ο individuare nell'opera, cioe nell'o­ pera gia 'Όperata", non so quale messaggio immaginario: il testimo­ ne non e a proprio agio se non quando puo discorrere sui segni precursori della posizione ο descrivere la morfologia della cosa deposta. La deludente metafisica e la deludente estetica, che si af­ faccendano intorno ad aggettivi, hanno ben altre preoccupazioni che l'ipseita ! Resteremo quindi a bocca asciutta. Ε non soltanto non si e mai contemporanei alla creazione degli altri, ma il creatore stesso non e piiΊ in grado di comprendere cio che ha fatto mentre faceva: preferira senza dubbio raccontare un pettegolezzo, empiri­ cizzare il proprio mistero ο ricostruire a posteriori una versione pomposa e prolissa dell'inenarrabile. Che beffa che il soggetto stes­ so, nella misura in cui e cosciente della propria creazione, non pos­ sa essere contemporaneo di se! n testimone delle creazioni in corso d'intervallo, incapace di cogliere la posizione sul fatto, la descrive a posteriori ο ne ricostituisce a priori i sedicenti prodromi: ma se

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descrivere a posteriori e opera di una conoscenza rίtardatarίa, rίco­ struire a priori e opera di una conoscenza retrospettiva: profezia ο storίa antica, in entrambi i casi la nostra scienza e conseguente e susseguente. Per lo meno lo storίco puo, personalmente e cronolo­ gicamente, preesistere a una creazione della quale non conoscera che a posteriori il senso creatore. Ma la creazione delle creazioni, la creazione al contempo istoriotetica e anistorica, rispetto alle crea­ zionί subalterne nel corso della storia, e una creazione senza data dί cui nessuno, nemmeno sul calendario, e mai stato contemporaneo; qui il Durante e sempre e fatalmente un Dopo; qui la secondarieta delle nostre reazioni, riproduzioni ο risentimenti non riguarda piu soltanto la lentezza costituzionale e fisiologica del sistema nervoso: e, per definizione, l'inversione speculare di un p rimato radicale; infatti l'Iniziativa preveniente e assolutamente iniziale perche in essa il passato non e mai stato p resente! L'intera cosmogonia non e posteriore all'istante immemoriale? In qualsiasi momento si arrivi, la decisione e gia decisa, il decreto decretato, la volonta voluta, il /iat posto come /actum; della prevenzione non conosceremo mai nient'altro che la posterita ο ulteriorita; cosl il dono, originariamen­ te datio ο donazione, ci apparira come dato ο datum; dell'amore, il grezzo non conserva che i doni. Non basta dunque un'acrobazia intuitiva per sorprendere volteggiando e di passaggio, cioe sul vivo, sul momento ο all'istante [sur-le-champ] , cio che e eccessivamente rapido per essere oggetto di un resoconto e persino di un'improv­ visazione: occorre, al di fuori di ogni sincronismo, una riposizione simpatetica della posizione. Mano mano che vediamo il mistero creativo, nell'istante, raffi­ narsi in punta acutissima, esso tende a confondersi col mistero della morte: perche due quasi-niente senza morfologia, eterogeneita dif­ ferenziale e diversita di parti sono indiscernibilmente un medesimo quasi-niente, una medesima scintilla in cui abbiamo mostrato come nascita e morte coincidano, come accendersi e spegnersi non siano che due punti di vista su un unico non-so-che. Ε l'intenzione ο ten­ denza, e la sola direzione a distinguere istante natale e istante letale ο, se si tratta del punto ontico-meontico, origine dell' essere e fine dell' essere: nella morte, 1' essere punta al non -essere attraverso il quasi-non-essere ο, se si preferisce, il Qualcosa sprofonda nel Nihil attraverso l'insecabile Quasi-nihil della nichilizzazione; e nella crea-

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zione e il Niente a raggiungere l'Essere attraverso l'istante del Qua­ si-essere. Quasi-essere e quasi-non-essere, essendo due punti senza contenuto, sono senza dubbio la stessa cosa e si confondono in un unico punto, ma quest'istante indivisibile designa due direzioni contrarie a seconda che si tratti della fine ο dell'inizio. Allo stesso modo, vi e un momento in cui la quantita di luce e uguale durante l'alba e durante il crepusculo; e tuttavia un non-so-che, un'indefi­ nibile qualita della luce, una certa disposizione umorale dell'intra­ visione ci avvertono che questo momento nel primo caso e posi­ zione e nascita, mentre nel secondo e l'altra "punta" del giorno, la punta di un giorno sul punto di disfarsi: cosicche la coscienza di un colpo d' occhio, se anche ignorasse tutto del sorgere ο tramontare del sole, dovrebbe leggere intuitivamente in questo squarcio sottile l'aurora in procinto di spuntare ο la notte incipiente. Non si pos­ sono pensare nichilizzazione e creazione che tramite un "pensiero" impari e dissimmetrico, un impossibile pensiero instabile senza al­ terita e un impossibile relazione senza correlato - che questo cor­ relato sia attuale ο virtuale, espresso ο sottinteso. Tuttavia le due impossibilita non sono equivalenti, dato che l'ordine del vuoto e del pieno inverte nell'uno cio che e nell' altro: nella creazione, il cor­ relato spaiato e secondo mentre e primo nella nichilizzazione; nella nichilizzazione, il nihil e secondo mentre e primo nella creazione. Ι due movimenti di pensiero cercano necessariamente appigli sulla terraferma dell'essere, partono necessariamente dal continente in­ termedio tra i due vuoti: ma la morte annichila un gia-qui, e la fine del mondo annichila un mondo gia dato - cosicche il pensiero del­ la nichilizzazione parte direttamente dal gia-dato. Il pensiero della creazione, al contrario, deve rappresentarsi in primo luogo l'essere nichilizzato e tentare ροί di sorprendere 1' emergenza di qualcosa dal niente: procede quindi dall'essere all'essere passando per il niente, dall'essere in quanto va-da-se e cosa posta all'essere fondato da una decisione gratuita, passando per questa puntualita che e allo stesso tempo estinzione di tutto e punto d' alba, morte e nascita, cessazione-insorgenza, insomma scintilla ! Il pensiero della creazio­ ne suppone in tal modo due enormi sforzi anziche uno - ma questi due sforzi non sono i due momenti cronologicamente successivi di una mediazione: questo doppio movimento, che abbiamo dovuto analizzare, compone nell'istante una vibrazione intuitiva semplice

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e un so1o battito ίη cui abolizione di tutto e avvento di tutto non sono che il negativo e il positivo di uno stesso atto; 1a negazione che e riposizione spegne 1' e1ettricita . . . e allo stesso tempo "1ux facta est " . Perdere tutto e ritrovare tutto. L'immagihazione fa dapprima piazza pulita ο tabu1a rasa per poi ricostruire, e queste due opera­ zioni si succedono perche, essendo decomposizione e costruzione empiriche ίη corso d'intervallo, sono entrambe re1ative e partitive. Laddove, invece, 1a nichilizzazione e radicale, 1a creazione stessa non puo che essere metafisica: essa e allora il recto di questo ver­ so, e il nulla dinamico ίη cui germina repentina 1' esistenza. Come potrebbe 1a morte non essere una fonte inesauribile di perp1essita, dato che realizza ogni giorno ίη forma partitiva, nichilizzando 1a persona, 1a prima meta de1 mistero posizionale? perche 1a posizio­ ne, senza questo vuoto di partenza, non sarebbe che riempimento di una semi-pienezza preesistente . . . n mistero creativo non e tuttavia il semplice raddrizzamento di un mistero capovolto che, sotto il nome di Morte, ne sarebbe il simmetrico negativo: se 1a morte e inconcepibile, per 1ο meno e in­ contestabile, essendo assurdita empiricamente reale e impossibilita quotίdίanamente realizzata. Questa sfίda alla ragione non semplί­ cemente ίmmaginata, ma effettivamente eseguita, si puo chiamare scandalo: 1ο scandalo di un ίmpensabile che e un fatto empίrico e un fenomeno natura1e . . . Pertanto, e tramite 1' evidenza misteriosa della fine che si prende coscienza dell'inevidenza doppiamente mi­ steriosa delle origini. La rea1ta della negazione fonda 1a possibilita della posizione. Quanto a repentinita brutale e radicalita, nessuna discontinuita nella continuazione ontica e comparabile alla mor­ te: 1a morte e 1a scomparsa dell'ipseita completa, mentre la nascita e 1a comparsa di un organismo incomp1eto e incosciente; cosl il miraco1o positivo della nascita si riassorbe, tramite l'embriogenesi e l'ereditarieta, nella continuita della vita specifica, piu di quan­ to il miracolo negativo della morte si 1asci compensare da finzioni metaforiche ο ellittiche di sopravvivenza . . . Piu la nostra 1ucidita aumenta, piu le discontinuita dell'empiria si rivelano superficiali; 1' approfondimento dell' esperienza precisa progressivamente una continuazione che non cessa di inghiottire e digerire 1e innovazioni apparenti, 1e brusche mutazioni, 1e generazioni spontanee e tutte le lacerazioni di un senso comune nella colata unica dell'esistenza

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media; essendo tutto preparato, preformato, preceduto, il primato radicale del genio tende a sciogliersi; la tradizione e la trasmissione dissolvono l'iniziativa. Se la ricerca storica degli antecedenti, delle influenze e dei precursori ci immunizza dalla vertigine degli inizi radicali, non e perche venga sostituita con un iniziatore radicalissi­ mo! ll principio storico di conservazione e di riconduzione indefi­ nita smentiscono il mistero anistorico della posizione. Coscienza di coscienza e riflessione esponenziale, la metafisica di secondo grado si offre volentieri di rattoppare quest'Essere lacunoso che ricevia­ mo da un' empiria lacera come uno straccio: che le si sostituisca il blocco massivo e monolitico dell'Esti parmenideo ο il tessuto arti­ colato delle relazioni legali, la metempiria, in entrambi i casi, ci pre­ clude 1' accesso alla quoddita e mette a tacere ogni domanda sulla produzione ο lo scopo. Non ci sono piu fantasmi. Tuttavia la morte, fantasmagoria negativa, la morte, taumaturgia alla rovescia (poiche taumaturgia di soppressione e di cessazione anziche di produzio­ ne), la morte compromette il successo della cospirazione ontica che ha lo scopo di eludere il non-essere richiesto da qualsiasi creazione. Perche la morte e, almeno in miniatura e rispetto all'ipseita, la nul­ lita di essere che e il centro stesso in cui opera la creazione . . . La posizione non ha forse bisogno di un vuoto da riempire, ο, meglio ancora, del nulla per porre? Ma nel caso inverso, la morte fa risal­ tare la gratuita e la contingenza fondamentale dell'essere positivo che nichilizza. In tal modo il naufragio partitivo dell' essere rimette in questione la sua stessa emergenza, cosi accuratamente camuffata dalla filosofia della pienezza.

VIII. ΙΖ Fiat pone la possibilitd dell'e/fettivitd La creazione e il solo mistero che e al contempo un miracolo; la creazione non e ne istante nichilizzatore, come la morte, ne sempli­ ce inizio, come l'iniziativa decisoria; a fortiori, essa non e, come le costruzioni empiriche, una nuova disposizione ο trasposizione del­ le parti, ma pura posizione di esistenza. Avendo detto apofatica­ mente che questa posizione miracolosa e assolutamente fuori dalle categorie e che e istante indescrivibile e inenarrabile - indescrivibi­ le perche privo di volume e morfologia, inenarrabile perche privo

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cli durata -, si sara detto tutto quel che e umanamente possibile clirne. Precisiamo ancora: l'istante e mistero miraco1oso perche e, repentinamente, posizione cli essenza ed esistenza congiunte; porre 1'essenza come esistente, e non porre 1'esisteήza che come essenzia1e, questo e creare! Infatti 1a caratteristica peculiare de1 miraco1o e cli essere al contempo ousiaco e ontico. Se 1a creazione creasse 1' es­ sente (δv) senza al contempo creare 1'essenza (ουσία) dell'essente, il preteso miraco1o non sarebbe che un procligio pagano, un procli­ gio cli metamorfosi e trasmutazione: ma non e di certo 1a trasmuta­ zione minore cli un modo di esistenza in un altro, come i prodigi mito1ogici, quanto 1a trasmutazione maggiore della possibilita nell'esistenza in generale. Se il creatore creasse 1'esistenza. senza creare 1a preesistenza essenziale all' esistenza, cioe se non creasse 1'inessenziale, 1' einai grezzo e triviale, il sedicente creatore sarebbe un semplice modellatore ο costruttore, e ricadremmo, co1 Yimeo, dal Fare al P1asmare [Faφnner] ;43 dal poetico al tecnico e al p1asti­ co, dalla genialita alla manifattura. La causa che produce (cioe porta alla 1uce) certi effetti conformemente a certe 1eggi, ma non decide delle 1eggi stesse e de1 determinismo generale, e non sceglie 1e co­ stanti che 1a legge implica, la paternita che procrea una progenie a condizione che qualcun a1tro abbia pre-creato il p1asma germinativo necessario non solo alla produzione, ma alla "riproduzione", infine 1' artigiano che realizza nella materia 1'idea concepita dall' artista: tutti e tre imitano molto approssimativamente, e all'interno delle categorie empiriche della continuazione, della conservazione ο dell'identita, una posizione cli esistenza che non e posizione creatri­ ce se non perche e ipso facto posizione della possibilita dell'esisten­ za. Ogni produzione empirica presuppone un pre-essere che la precede e che e per 1'appunto 1'essenza: sia essa ritrovamento di un gia-qui, fecondazione cli un germe gia dato, p1asmazione cli un caos informe, realizzazione di un'intuizione anteriore, attivazione ο in­ nesco di energie 1atenti, non si tratta che di succedanei della crea­ zione. L' ape che secerne il mie1e non 1ο ha creato ex nihilo, ma 1ο ha estratto dal nettare dei fiori . . . C'e un abisso tra 1'Eureka creatu-

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Ποιε!ν- πλάττειν [fare-plasmare] . Cfr. 28 a-c: άπεργάζεσθαι, άποτελεiσθαι, τεκταίνεσθαι [portare a compimento, portare a termine, fabbricare].

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rale, che e scoperta, e la divina invenzione! Leibniz ha un bel desi­ gnare l'intelletto divino come la scatola delle meraviglie e delle ma­ lizie, la scatola delle idee geniali e 1' emporio dei possibili della cre­ azione, non riesce in ogni caso a distinguerlo da un volgare Eure­ ka . . . Il demiurgo del Yimeo congiunge il cerchio dello Stesso e il cerchio dell'Altro, che trova gia qui: ma come sono qui? e da quan­ do? e perche? perche due "generi" anziche cinque, come nel So/i­ sta, ο quattro, come nel Filebo? L'interesse di Platone per il mondo dei "modelli" prova che non vi e essere, secondo lui, al quale non preesista un pre-essere, ηση vi e " creazione" che non presupponga preschema, prefigura, prenozione ο preconcezione. Quanto all'in­ venzione preveniente di questo stesso "Pre", non e un problema platonico. Ora, la preesistenza non preesiste alla prevenzione cosl come la prevenzione non previene la preesistenza; dei due modi di precedenza, la preesistente e la preveniente, e la precedenza preve­ niente a essere decisiva, perche e un atto pre-essenziale, e di conse­ guenza la prima e l'ultima parola di tutto, dopo la quale non resta che dire: bisogna fermarsi, άνάγκη στfiναι; preesistere non e co­ minciare, ma continuare a essere e a esistere indefinitamente mentre la prevenzione e una venuta, cioe un avvento, un evento e una fondazione. Questo Pre, che e il contrario di uno stato, non e forse la sola iniziativa eminentissima e letteralmente non anticipabi­ le? non e l'unica e autentica origo originum?44 Platone dice corret­ tamente: la cosa piu importante e incominciare dall'inizio naturale, μέγιστον παντbς dρξασθαι κατά φύσιν άρχήν.45 Ora, e la Ge­ nesi, e non il Yimeo ο la Teogonia, a iniziare dall'inizio e a misurar­ si per davvero con il mistero dell'incoazione! Ecco perche il Crea­ tore della Genesz· non estrae la luce reale dalla luce possibile, non porta all'atto la luce in potenza, non imbottisce essenze preesisten­ ti ne si avvale di virtualita gia date: ma crea al contempo e in un solo atto la luce effettiva degli astri e la possibilita della luce; crea nello stesso istante la luce fisica - quella del sole che fa il giorno, quella del lampo che lacera il firmamento della notte - e inventa l'idea stessa della luce . . Ε il caso di dirlo: bisognava pensarci! Ancora .

44 GRUA, cίt., Ι, p . 363. 45 Timeo, 29 b.

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meglio: Geova, creando, crea l'idea stessa del creare. Questa crea­ zione e posizione geniale e super-geniale, scaturigine tetica, im­ provvisazione simultanea dell' effettivitiΊ e della possibilitiΊ di tale effettivitii. Il caos della Teogonia non pensa di' creare qualcosa, non decide46 che la luce sariΊ, e per di piu all'improvviso, ma "genera" l'Erebo e la tenebrosa Notte che, a loro volta, genereranno il Gior­ no e l'Etere: non si tratta dell'apparizione miracolosa e geniale del­ la luce che, illuminando il vuoto (non vi sono ancora oggetti da il­ luminare), respinge allo stesso tempo le tenebre e divide il giorno dalla notte; e piuttosto la forza geneslaca [genesique] a trasmettersi, come un' ereditiΊ latente, senza decreti fragorosi, di generazione in generazione; progressivamente illuminate, le forme dell' essere si succedono genealogicamente, ο meglio si concatenano spontanea­ mente sullo sfondo e sul sostrato del pre-essere. Se la prevenzione pura non attualizza virtualita inscritte en pointille nel caos del pre­ essere, allo stesso modo non conferisce alle cose un valore preesi­ stente ο ideale, che sarebbe un eterno gia-qui: no, l'atto prevenien­ te crea il valore che dona, e non lo crea per donarlo, ma nel donarlo; conferisce qualcosa che non esisteva assolutamente prima di essere conferito, ma che si metteriΊ a esistere nell'istante e per il fatto che lo conferisce: e quindi l'atto stesso del conferimento a essere crea­ zione, e la donazione stessa della cosa donata a essere posizione ο improvvisazione pura di qualcosa da dare, restando inteso che non vi sarebbe niente da donare se non vi fosse il genio al contempo generoso e inventivo della donazione; questo genio inventa pro­ gressivamente cio che conferisce, e lo prodiga col progredire della sua invenzione - perche se conservasse per se cio che crea, come un avaro, la sedicente creatura non sarebbe che proprieta ο possesso, mentre la sedicente creazione non sarebbe che appropriazione ο accaparramento di un avere preesistente, cosa possedibile, patri­ monio circolante ο bene in se; e se ricevesse da altrove ο da altri cio che dona, non farebbe che trasmettere e non sarebbe affatto gene­ roso, ma p rodigo del bene altrui. Ora, il creatore e donatore, non distributore ο ripartitore di ricompense in base a tariffe e percen­ tuali, colui che conferisce equamente decorazioni e dignita: il crea-

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"Per voluntatem, direbbe san Tommaso, e non per necessitatem naturae».

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tore e fonte viva del valore e posizione valorizzante di tutti i valori, cioe produce il valore dei valori e ί1 va1ore stesso del valore all'infi­ nito, facendo sl che ίη generale il valore abbia valore. Ε forse la ra­ gione per cui P1otino diceva dell'Uno che "precede il piu prezio­ so", πρΟ του τιμιωτάτου . . . :47 perche e non so1o preveniente ma giustificante, e come ta1e non ha bisogno di alcuna giustificazione. L'assoluto e cio che rende va1evo1e ogni va1ore, ed e per questo che ha tante affinita con 1'amore; perche 1'amore non e propriamente par1ando ί1 piu prezioso dei "beni" , 1'amore e, con maggiore esat­ tezza, cio senza cui nulla va1e; 1' amore inverte 1a buona creanza [biensέance] della precedenza [prέsέance] ontica secondo cui e 1'a­ mabile a suscitare 1'amore . . . La creatura, seconda dappertutto, va­ luta, cioe stima ο apprezza va1ori oggettivi che crede di individuare nella sfera intelligibile de1 diritto: l'iniziativa preveniente, invece, valorizza ί1 valore, ίη altri termini lo fa "valere ", " efficit ut va1eat" e, al contempo, lo irradia nell'essere come normativita costituita; per 1a fonte irradiante inventare e prodigare sono infatti una cosa so1a. Non si da creazione che nella forma operativa de1 beneficio. Ilfatto compiuto trae va1ore da1 diritto, ma questo valore a sua vo1ta ha 1a propria fonte ne1 se-/acente sovrannaturale de1 primo /iat ο, se si preferisce: 1a norma santifica 1a forza, ma 1a norma stessa sboccia nell' effettivita preveniente della prima decisione. Come la creazio­ ne esc1ude anche 1a possibilita degli antecedenti, cosl il genio si cura poco dei precedenti: il genio osa l'inaudito, l'inedito e l'inconcepibi­ le come se presagisse che 1a sua iniziativa diverra, a posteriori, pre­ cedente per gli altri. 'Όsare" e contro-natura, poiche cominciare e 1' atto avventuroso della sovranatura. Co1ui che, allo stesso tempo [du meme coup], crea 1'essere e 1'idea stessa dell'essere, avra quindi, α posteriori [apres coup] , reso quest' essere possibile a fortiori: per­ che e a posteriori e per mezzo di una ricostruzione retrospettiva che l'essere creato immette di se, nel passato, un'idea di se che e 1a sua possibilita, come se il creatore, seguendo un percorso inverso, fosse disceso da1 possibile all'atto . . . Le creazioni geniali ίη corso di con-

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Enn., VI, 9, 5. Cfr. VI, 8, 18: ( . . . ) εν το δέον κciι η τοίJ δέοντος ενέργεια ( . . . ) τοίJτο εστιν, δπερ οιον ίοβουλήθη αύτός [cio che deve essere e l'atto di cio che deve essere sono una cosa sola, egli vuole cio che deve]

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tinuazione verificano pienamente, a questo proposito, il nominali· smo bergsoniano: la creazione, prima di essere effettiva, non era nemmeno " possibile" , nel senso che nessuno ci avrebbe pensato e ne avrebbe avuto anche soltanto l'idea; e a pόsteriori - essendo il possibile, in questo caso, predizίone al "futuro anteriore" - che il creatore avra creato la sua opera in base a una legislazίone ideale. Ε l'idea del possibile concettuale e il mito di un certo margine tra concetto e realta che, trasformando la creazione in semplice irrigi· dimento ο condensazione del vuoto, buca e rarifica la pienezza vis· suta. La creazione, in quanto posizione genialmente simultanea di essenza ed esistenza non smentisce, ma al contrario conferma la pienezza: l'intuizione bergsoniana, che fende a tratti il tetto dell'in· tervallo, non e forse un omaggio all'improvvisazione preveniente? - L'intuizione di un creatore non solo dell'esistenza, ma della pree­ sistenza essenziale a questa esistenza, designa una volta di piu, oltre tutti ί pianeti, 1'Ipse ipsissimus che e la nostra mira costante: Ecce creator ipse, ecco l'autore stesso, colui che e non soltanto soggetto puro, ma posizione pura e iniziativa assolutamente iniziale. Dio non e un vice-creatore incaricato di eseguire ί piani del Creatore, nel nostro caso di confezionare il tipo di universo possibile che comporta il principio d'identita e il teorema di Pitagora; Dio non e il potere esecutivo e subalterno al servizio di un intelletto eterno che presagirebbe un mondo in cui Α e Α, in cui π vale 3 , 1416 e in cui il quadrato dell'ipotenusa e identico alla somma dei quadrati degli altri due lati, e proprio questa somma piuttosto che un' altra (potius quam ! ... ), piuttosto, per esempio, che leggermente di piu ο leggermente di meno; Dio non rafforza ί concetti - "concepta " concepiti da un altro, non realizza i participi-passati-passivi del mondo intelligibile, ma e lui stesso a concepire, concipit; Dio non e incaricato di riscaldare piatti gia cucinati e, nella fattispecie, di ispessire laboriosamente la perfezione ο la quantita di essere, con­ fezionando con la crema troppo leggera della preesistenza la torta dell'esistenza, la torta architetturale del Cosmo; Dio non e insom· ma il segretario di un demiurgo che si occupa di garantire ί concet­ ti del padrone, di sgrossare idee gia concepite e rimasticare cio che e gia stato masticato, di sviluppare, ίη poche parole, progetti prepa­ rati ο di rispettare modelli prefabbricati. . . Niente di tutto cio ! Dio e l'inventore stesso. Non vi e ipseita piu geniale, causa piu diretta,

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iu radicale, piu efficiente. Rispetto a un simile istante operativo oi siamo, occorre rίpeterlo?, come i p ellegrίni venutί da molto lon­ illo per vedere il re e ai quali vengono presentati cappellanί gallo­ ati, cίoe epiteti altisonantί, cause seconde e agenti subalterni; ma pellegrίno sί ostίna nell' antίcamera, perche non vuole saperne dei attordίni; chiede di vedere il capo stesso, αύτός, colui che e non altanto il re, ma, come diceva Plotίno, il Re dei re, Βασιλέων Βα­ �ιλεύς, il Re di questo re all'infίnito e l'origίne di tutte le οrίgίηί. :ση questo primato ha fine la ricorrenza da altrove ίη altrove e da ltro ίη altro.

ΙΧ. ΙΖ Fiat pone l' effettivita della possibilita Π creatore crea 1' esistenza come essenzίale, e questo perche, es­ endo 1a creazione a fortiori una giustificazione sufficiente dell' es­ ere creato, ogni esίstenza si rivela lecita e possibile a posteriori; ma, iceversa, il creatore e anche co1ui che pone 1'essenza come effettiva la pone una volta per tutte. Creare e, nello stesso istante, porre la >OSsibilίta deli'effettivίta e 1' effettivίta delia possibilita; e porre ιn'ousia ousa. Se l'istante tetico fosse semplice e diretta posίzίone li esistenza inessenziale, vi sarebbe solo manipolazίone, manuten­ :ione, manifattura ο manovra; ma se fosse semplice p osίzίone di :ssenza ineffettiva ο di possibilita nuda e astratta, mancherebbe di >otenza; se creasse (ma e ancora lecito dire: " creare" ? ) l'essenza ιuda, ίη altri termίni la semplice possibilita ίdeale e nozionale, non ιndrebbe fino ίη fondo all'atto creatore e somiglierebbe a un finto �enio ίncapace di procedere se non per abbozzi informi e larvali: :ome lo scacco puo dirsi una creazione abortita ίncapace di confe­ ·ire esistenza effettiva, cosl lo stesso aborto e una pseudo-progeni­ ura ίncapace di accedere all'esistenza vίvibile; ma poiche l'istante :reatore e a sua volta taumaturgίa repentίna che esclude ogni suc­ :essione di momenti e pone ίη una sola volta cίο che pone, e recide :on un improvviso colpo di scena la doppia alternativa "tutto-o­ ιiente" e "subito-o-maί", ne consegue che una creazione incom­ )iuta non e neppure comίnciata; che una posizione senza seguito lOll e una posizione. Se la posizione e veramente creazione efβcace, :leve porre una creatura effettiva e non, come la causa efficiente, un ·

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semplice e//etto. Dio non "fa" senza, a1 contempo, /ar essere: per­ che se si ammette che 1a mutazione da contraddittorio a contraddit­ torio, per decreto rivo1uzionario di una posizione che nega il nulla, accade in una so1a vo1ta, e non in due tempi, si deve conc1udere che creare e far esistere fisicamente. Il Fiat, se si tratta di un fiat serio e non di una velleita p1atonica ο di un protocollo accademico, il Fiat non e forse 1' evento per eccellenza? e viceversa ogni evento non implica un modo de1 Fiat? Il Fiat e dunque un' effettivita che pone dell'effettivo, un evento che depone dell'esistenza: il Se-facente e il Factum, che sono ί due versanti de1 Fiat, non sono pertanto che una so1a e medesima effettivita, un' effettivita insorgente nella posizione e un'effettivita conge1ata ne1 deposito ο participίo-passato-passivo della posizione. Se invece di essere, come ne1 caso della prevenzio­ ne preveniente, effettivita radica1e, 1a posizione fosse effettivita empirico-ipotetica, non concilierebbe che riarrangiamenti superfi­ ciali a fior di esistenza ο ίη corso di continuazione; se fosse semplice idea1ita intelligibile sarebbe invece, come 1' essenza senza forza, condizione di possibilita e non posizione d'essere e forza "esisten­ tificante "; se insomma non ponesse essa stessa dell'effettivo, non sarebbe una creazione ma un semplice sogno ο una graziosa chime­ ra della dea Metafora. Non e ino1tre contraddittorio con 1a defini­ zione stessa di far-essere che 1' essenza sia creata e tuttavia perman­ ga pura essenza, cioe possibilita noetica e ineffettiva? perche 1' es­ senza puramente essenziale, in quanto intempora1e e sempiterna­ mente sussistente tra g1i intelligibili, e per 1' appunto una verita in­ creata. Dato che si ammette il mistero incomprensibile, vertiginoso, iperbolico di un'essenza a1 contempo eterna e creata ο (che e 1ο stesso) di una creazione istitutrice di eternita, e dato che ci si inter­ roga sull' origine radica1e deg1i assiomi, si presuppone che 1' essenza abbia una sorte determinata di esistenza gratuita e arbitraria. Crea­ re 1'essenza e come minimo creare il fatto dell'essenza e 1a sua pen­ sabilita in generale per un pensiero qua1siasi: senza questa possibi1ita di essere pensiero ovunque, in qua1siasi momento e per chiun­ que, 1' essenza non sarebbe essenza; benche 1' essenza, come necessi­ ta immanente, sia condizione fondamentale, ma non fondatrice delle esistenze, 1' essenza in genera1e e nondimeno qua1cosa che esiste in un universo effettivo in cui il determinismo, 1e costanti, i principi e ί teoremi sono precisamente cio che sono. Creare non e

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dunque semplicemente porre 1'effettivita empirica di un questo-o­ quello, localizzabile secondo la data e il luogo, e invece porre l'esί­ stenza dί qualcosa in generale, porre il fatto che qualcosa in genera­ le esίsta: un mondo, un unίverso dί mondί e un unίverso di unίversί all'infinito; porre insomma questa possibilita indefinita di eventί ίntellettualί che e la verίta dί qualsίasί cosa, dove e quando essa sίa. Per caso il creatore, dίsdegnando dί spingersί fino all' effettίvίta, sί fermerebbe a meta strada, come un composίtore dίsgustato che non scriva da solo la sua sinfonίa e lasci che ί suoί ί temi e le sue scoperte vengano sviluppate dal suo segretario? Delle due l'una, ο il composίtore dovrebbe, gradualmente, scrίvere da solo tutta la sίnfonίa, - ο e 1' allίevo stesso che ne sarebbe il creatore48 ( . . . a meno che per allievo non s'intenda semplίcemente il copίsta ο il trascrit­ tore) . Νο, Dίο non crea essenze che avrebbero ancora bisogno di passare per un altro atelίer, tra le mani dί un altro specίalista, affin­ che lo schema virtuale divenga capolavoro attuale ! - Spetta a noi, dopodiche, preferire lo stile analitίco e pedagogίco, distrubuire due ruoli a due divinita e dividere il compito ontogonico tra un creatore delle essenze e un creatore delle esίstenze, ma a condizίone dί pre­ cisare che il paradosso impenetrabile della creazione risiede per l' appunto nell'indivίsίone delle due specialita. Qui non vi e nessuna divisione del lavoro e separazione dei p oteri. Infattί, cosl come dίο e deίta non sono, per i teosofi, che due momentί eternamente si­ multaneί di una stessa divinita e il contrario di un polίteismo na­ scente, cosl all'origine non vi e che un istante primordίale e solίta­ rio, un istante che fa tutto, che basta a tutto, e che da solo e causa necessaria e sufficiente di tutto. L'idea stessa del duello ο del con­ dominio e un antropomorfismo che si realizza senza dubbio nel duumvirato, ma contraddice la definizione stessa dί Assoluto. In pratica, lo sdoppίamento delle funzioni condurrebbe da una parte a sottrarre alla volonta divina un mondo di verita ideali e di essenze eterne perfettamente increate, dall'altra a favorire, col plurale mito-

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Η. BERGSON, Le Possible et le τέel (La Pensέe et le mouvant, p. 1 10): "Se sa­ pessi come sarebbe la grande opera drammaturgica del domani, la scriverei io stesso" [Ilpossibile e il reale, in Pensiero e moviιιzento, Bompiani, Milano 2000, τι-ad. it. F. Sforza, p. 92, ΝdΏ .

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logico, l'Olimpo delle graziose trasmutazioni, degli innesti assurdi, delle ab1azioni e delle amputazioni. L'istante metalogico somiglia piuttosto al decreto insondabile di cui parla, seguendo Descartes, Pierre Poiret,49 e che soffoca su1 nascere ogni plura1e: infatti la sem­ plicita indivisa e miraco1osa di una posizione che e, non dimenti­ chiamolo, Quasi-niente, esclude la differenziazione politeista delle attribuzioni e 1' appropriazione delle attivita, cosl come esclude la scomposizione dei momenti laboriosi e 1' analisi delle operazioni tecniche; non c' e posto per occupazioni diversificate, pittoresche e complementari, se la legge de1 tutto-o-niente e fatta va1ere rigorosa­ mente: la fantasmagoria puntuale dell'istante pone immediatamen­ te il tutto dell' essere e la molteplicita degli esseri. Ε nell' organismo umano che Ef/icio e Concipio si scindono, perche una sede-cervello [brain-bureau] e funzioni motorie specializzate si ripartiscono i compiti: e tuttavia la decisione morale, soprattutto nel movimento intenzionale del sacrificio, sorge per istanti in pieno regime duplici­ sta come testimone dell'indivisione metafisica di Concepire e Fare: perche se il creatore estetico puo, teoricamente, conservare il pri­ mato dell'intuizione ο dell'ispirazione affidandone l'esecuzione a un manovale, il creatore etico, se non si sporca le mani, se non fa quello che dice, se non da personalmente l'esempio, non e un crea­ tore ma un velleitario ο un fariseo. La decisione divina e il punto incandescente in cui la de1iberazione, non disponendo piu del tem­ po discorsivo per pronunciare ne di motivi preesistenti da confron­ tare, si consuma istantaneaιnente, il punto in cui la concezione e 1' esecuzione non costituiscono che un solo miracolo, ίη cui la teoria e la pratica non costituiscono che un' unica improvvisazione e un' u­ nica "poesia " .

Χ. La divina Improvvisazione 'Ίη questo punto vi e qualcosa di semplice, di infinitamente semplice, di cosl straordinariamente semp1ice che il filosofo non e ιnai riuscito a dire. Ed e per questo che egli ha parlato per tutta

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De l'econoιnie divine (Amsterdam, 1687).

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la sua vita " .50 Cio che Bergson dice cosl magnificamente dell'in­ tuizione vale anche per l'istante posizionale che e 1' oggetto per eccellenza dell'intuizione, che e intuizione in quanto coincide in un punto evanescente con il miracolo della posizione originale. 'Άttingitur inattingibile inattingibiliter" [si attinga l'inattingi­ bi1e inattingibilmente] :51 e 1' epigrafe che i1 filosofo russo Simon Frank ha sce1to per 1e sue profonde ricerche sull'Inattingibile.52 L'essenza, dicevamo, e i1 sempiterno Sempre-qui.53 L'essenza non coniuga il verbo essere delle esistenze fortuite, bensl e 1'Essere-in­ generale di cui si dice puramente e semplicemente: Esti; l'essenza non e un "datum " storicamente dato a questa ο quella data, ma e "pre-dato" all'infinito. La creazione di una verita eterna che, per definizione, non puo nascere nel teωpo, e pertanto un ωiracolo, se e vero che il miracolo per eccellenza e la contraddizione com­ piuta . . . La necessita non ha 1ettera1mente 1a sua fondazione ne1 miracolo? Il miracolo, in questo caso, e l'inizio di cio che non e mai iniziato e 1a genesi di cio che e ingenerabi1e e perfettamente anistorico. La creazione biblica non fa onore al creatore che po­ nendo, col cie1o e la terra, l'Essere eleatico in generale: in questo esamerone dei sei prodigi (un prodigio fisico al giorno), in questa settimana puramente cosmogonica, non e previsto alcun giorno per la creazione delle essenze; con ogni evidenza, il p rincipio d'i­ dentita e presupposto tacitamente prima di ogni inizio ! L'Essere eleatico, escludendo ogni divenire, esige la taumaturgia iperbolica della prevenzione radicale. L'essenza, benche svi1uppi conseguen­ ze all'infinito, non e fatta alla bell'e meglio; l'essenza non ha parti, e nemmeno la si costruisce con dei pezzi; 1' essenza e il senso non sono piu ο ωeno, sono ο non sono, ed e questa disgiunzione am­ letica tra tutto-o-niente e subito-o-mai, inerente all'indivisibilita delle verita e degli assioωi, a spiegare la miracolosa semplicita di una prevenzione assolutamente preessenzia1e. Cio che va1e per 1a

50 51 52

53

L'inttιizione filωo/ica (Penxiero e ιιιοviιιιeηtο, p. 100).

[Niccolo CυsANO, Jdiota. De .ωpientia Ι, 7 , Νι!ΊΊ . (in russo), 1939 [S.L. FRANK, L'inattingibile. Veτ.ω una filow/ia

Nepωtιjiιnoie

della religione, trad. it. Ρ. Modesto, Jaca Book, Milano 1 977, ΝdΊ] . Αεί: Ο:ίδιον α'ιώvιοv . . .

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reazione paradossale dell 'increato, cioe della metempiria (perche ι creazione, operazione dell'onnipotente, puo letteralmente tutto, τί compreso l'impossibile ), vale a1trettanto per i1 fatto dell'empi­ ίa in genera1e. Questo duplice paesaggio empirico-metempirico on e un dipinto che sarebbe stato composto a piccoli tocchi e ίtocchi ο che risulterebbe da qua1che laboriosa messa a punto. ,'insorgenza dell'essenza esistente e dell' esistenza essenzia1e so1iglia piuttosto a un'improvvisazione, non all'improvvisazione 'rancolante di una creatura che inventa col progredire del fare, diventa fabbro fabbricando, ma piuttosto a un'improvvisazione ssoluta per la quale l'improvvisatore, in un colpo solo e senza 'reesistenza, pone al contempo la possibilita e 1' effettivita, conce­ 'isce l'idea e la realizza, e crea infine la sua progenitura adulta e ompleta. La teoria dell'immaginazione magica in Bohme,54 No­ alis, Baader e Schelling e forse, per quanto metaforica, piu vicina 1 " mysterium" di quanto lo sia la demiurgia del Timeo. Perche ale e la magia del Verbuιn divino: Fiat, la parola posizionale della reazione, Fiat, il monosillabo magico, e come un desiderio che, ppena concepito, e gia esaudito. Niente attesa ο lavoro ! Esto, Sit, �iat non sono imperativi alla seconda persona, cioe comandamenti ivolti a un preesistente appena esistente che chiederebbe di esi­ tere maggiormente; quest' ordine non innesca il meccanismo ne­ :essario affinche il Poco, in virtu della sua spontaneita, si faccia violto, affinche la semenza si sviluppi ο si attivi. Νο! il Fzat, ίη ιssenza di ogni controparte, subordinato ο correlato che ne sia I Tu, il Fiat non puo essere che un imperativo magico alla terza Jersona, un Dzxit proferito nel silenzio e nel vuoto, insomma una Jarola rivolta a Niente e a Nessuno poiche questa parola crea il uo futuro interlocutore parlando in lui: la parola non parla a nes­ uno . . . , e nell'istante stesso in cui parla (" Dixitque Deus " ) ,55 la Jarola si fa allocuzione. Tale e il soliloquio magico nel deserto di Jgni alterita: la terza persona non e una seconda persona virtuale :he diventerebbe seconda in atto; la terza persona non e letteral-

4 5

Α. KOYRF., La pί?Z'losop!Jie de Jacob Boe!Jnze, p. 347, 377; Ε. SUSINI, Fι·anz von

Baada, t. Π.

Kciι ειπεν ο θεός [e Dio disse] (Settanta).

2 70

mente "nessuno" , δυτις, e questo nulla si metamorfosa istantane­ amente in a1terita tramite 1a grazia taumaturgica dell'imperativo. Dio non dice: e se illuminassi queste tenebre? perche 1'idea stessa di tenebra presuppone imp1icitamente 1' attesa della 1uce, 1a dispo­ sizione a ricever1a e 1a possibilita de1 contraddittorio che neghera 1Όscuro. Dio non dice: e se ωi fabbricassi un'a1terita per popo1a­ re questa so1itudine? perche 1'idea stessa di so1itudine imp1ica en pointille ο in filigrana 1'immagine di un'a1terita virtua1e. Ma Dio improvvisa genialωente 1a 1uce, 1a cui idea stessa non preesiste, e 1a pone in una vo1ta, effettivita e possibilita riunite. Dio concepisce ο preconcepisce - ed ecco 1e forme. Questa magia miraco1osamente intransitiva non ha niente in comune con una causazione che im­ p1icherebbe 1a preesistenza dell' effetto virtua1e e 1' attua1izzazione di una possibilita immanente. Mentre i verbi dell'empiria trovano 1' accusativo preesistente, 1avorano su un comp1emento diretto che e il loro gia-qui, i1 loro oggetto e i1 sostrato della loro operazione, i1 Creare ο Far-essere pone esso stesso, tramite un'operazione as­ so1uta, 1' accusativo della sua creatura: il re1ativo entra ίη rapporto partitivo col suo correlato, per trasformar1o ο ispessir1o, ma 1'irre­ lativo inventa da se, e di sana pianta, il proprio correlato . . . Non e una fantasmagoria? Se 1'imιnaginazione fosse assolutamente crea­ trice, e non solo riproduttrice, continuatrice e trasmutatrice, se la carita fosse puraωente graziosa, se 1a concezione preιneditasse gli effetti futuri e, al contempo, li rendesse effettivi per ωagia istan­ tanea, non avreιnιno ancora che una debole idea dell' esuberanza divina; infatti l'operazione priιnordiale (πρωτουργος κίνησις) , 1a prevenzione vertiginosa che fa scaturire 1 ' essere nell'istante, e qua1cosa come Dio in vena [en verve] . La creazione non e quindi propriamente par1ando un "capo1avoro " , ne il ji"at un atto di for­ za; se 1'essere fosse una ιneccanica comp1essa, vi sarebbe nella sua apparizione qualcosa da aιnmirare: ora, 1' essere sorto ex nihilo e, in ωisura ben ωaggiore della struttura dell'occhio e di qua1siasi organismo, un atto infinitaωente seωp1ice. La creazione non e una prodezza, e un ωiraco1o. CosΊ non proviaιno noi stessi, davanti a essa, il sentiιnento estetico che ci ispira una bellezza senza pari ο la realizzazione di un oggetto ben costruito, ma piuttosto la vertigine ιnetafisica che s 'iωpadronisce dell'uoιno in presenza del ιnistero senza noωe.

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ΧΙ. "Perche Egli era buono" Perche, insomma, Dio ha creato qualcosa? perche, dopotutto, aveva bisogno di porre l'alterita piuttosto ch'e non porla? ll Timeo, senza espressamente volerlo, aveva gia risposto a questa domanda. Perche era buono. Αγαθbς fΊν.56 Si dira senza dubbio che non e una ragione. Ma non e appunto l'assenza di ragione a essere qui la ragione? Α dire il vero, la bonta del demiurgo platonicσ e piu che altro un omaggio alla bellezza, cioe alla preesistenza del modello eterno . . . : questo mondo e bello (καλός εστιν δδε δ κόσμος δ τε δημιουργbς αγαθbς [questo mondo e bello e il demiurgo e buo­ no] ; l'Operante e buono perche copia tenendo d'occhio il paradig­ ma ingenerato. Α questa bonta seconda che polarizza un ordine increatσ57 e forse lecito opporre una bonta preveniente che e sca­ turigine dell' ordine stesso e posizione arbitraria della bellezza. Solo il Bene e buono e la bellezza ne e lo splendore ο, come dice Plotino: il Bene e l'al di la e la fonte del Bello, το δ'αγαθbν το επέκεινα και πηγηv κciι αρχηv του καλοu.58 Ancor piu lucidamente che il Trattato "Sul Bello", la sesta Enneade precisa che la luce del giorno, φως μεθημεριvόv, e ulteriore ο seconda: i)στερον.59 n bello, splen' dore diffuso (�κλαμψις), non e interamente fioritura ontica e par­ ticipio-passato-passivo della posizione insondabile? Platone aveva considerato fianco a fianco e omologicamente la luce e la verita come medio, lucidita comunicata, splendore delle due sostanze ri­ splendenti che sono l'Idea del Bene, autore della verita, e il sole, padre della luce: ma non aveva subordinato la bellezza ideale stessa all'atto notturno, invisibile e informe dell'Improvvisazione. In real­ ta, le vane domande sώ Perche sono il riscatto della teologia dog­ matica e dei pregiudizi sostanzialisti del senso comune. Se il creato­ re e un essere, e se la creazione non e nient'altro che 1'operazione ο il funzionamento dell' essere creatore, non soltanto la creazione non e altro che fabbricazione, ma l'essere-sostanza, essendo secondaria-

56 57

58 59

Timeo, 29 e. Cfr. 29 a. Timeo, 3 0 a: τάξις [ordine] . Enn., Ι, 6, 9 (fine). Enn ., VI, 9, 4. Cfr. ΠΙ, 8, 1 1.

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mente creatore, potrebbe perfino astenersi dal creare. Ecco i nostri teologi in grande imbarazzo! Ε domandarsi da quando il mondo esiste, e perche Dio I'ha creato, in che giorno e quale vaghezza 1' ab­ bia punto di alienarsi cosi da se stesso per accondiscendere all'alte­ ritiι . . Un bel mattino 1' architetto supremo, messi insieme ί suoi strumenti, ci avrebbe fatto la cortesia di crearci! Ecco cosa accade quando si onora la causalita decorosa e la precedenza dell'Essere sul Fare . . . L'Essere fa a partire da cio che e ο in funzione di cio che e: cosi si puo spiegare l'atto risalendo dal Fare all'Essere come risa­ lendo dall'effetto alla causa. Ma se l'Assoluto e interamente e pura­ mente operazione, non soltanto il Fare, prevenendo ogni Essere, e creazione radicale, ma non c'e piu da chiedersi per quali motivi la sostanza delle sostanze, potendo non creare, abbia preferito creare. Dio non e creatore accidentalmente, ne occasionalmente: e total­ mente creazione. L'amore e quindi una risposta sufficiente. Non soltanto Dio non fa perche e, ma Dio e solo in quanto /α. "Dio fa perche e buono" significa: Dio fa perche fa; ο anche: Dio fa perche e lui, e perche tutto il suo essere e /are. Con questo si e detto tutto! Ο, per usare il linguaggio del Simposio:60 ουκέτι προσδεl: ερέσθαι. 'ίνα τί ( . . . ) Τέλος ( . . . ) �χει η ά:.πόκρισις [non occorre chiedere perche ( . . . ) la risposta e definitiva] ! ll Perche, nelle cose divine, e una domanda che non implica risposta, cioe non si risponde che per mezzo della domanda stessa. Questo Perche singolare, come nella meditazione di Jules Lequier, non e quindi che la ripetizione del Perche. Nella circolarita immotivata del Quia si realizza una volta di piu la divina tautologia, conseguenza dell' aseita in virtu della quale il Non-so-che rinvia inesorabilmente al Lui-stesso che e il Se dell'Autos ο l'Ipseita riflessa. Se il Perche, mantenendo la pro­ messa di relazione empirica, rinviasse ad altro, cio significherebbe che la creazione e spiegabile tramite cause ο motivi: cosi la concepi­ sce Leibniz che, sempre preoccupato di giustificare la preferibilita dell' essere, si rappresenta un Dio che tiene conto di tutti i fattori, che ha riguardo per tutti gli aspetti di tutti i problemi. Questo signi­ fica eludere, puramente e semplicemente, l'aspetto creatore della creazione. La creazione, al contrario, risponde attraverso il fatto, la

60

Simposio, 205 a. Cfr. Jules LEQUIER, Le Probleme de la science, Illo parte.

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creazione da le sue ragioni creando, cosl come il movimento e di­ mostrato dal movimento. ll Quod non esprime dunque il Perche [Parce-que], ma il Fatto-che [Fait-que] . Solo i Perche partitivi, in­ contrando la continuita dell'empiria fisica, coιhportano delle rispo­ ste, risposte causali che si inabissano nel vuoto della domanda, come risucchiate da una presa d'aria; ma domande come: perche Tutto? perche qualcosa in generale? perche l'essere dell'essente? sono domande senza risposta perche sono pseudo-domande, dato che l'essenza di una domanda e disgiungere l'uno dall'altro ί corre­ lati di una relazione ο le parti di un dato, di arieggiare, in una paro­ la, la pienezza massiva e insόlubile del Mistero per non avere che problemi da risolvere. Che [que] , l'impenetrabile congiunzione del mistero, si oppone tanto al pronome problematico cosa? [quoi?] , quanto all'avverbio problematico perche [pourquoi] ? Se la doman­ da Cur, sia pure partitiva, interroga gia il senso quodditativo del quid, le interrogazioni circostanziali ο categoriali Quid e Quis, Quo­ modo, Quale e Quantum reclamano direttamente la risposta in so­ speso, sia essa tantum ο tale, sic, hic ο ille. Ora, come l'eziologia seconda assegna la causa escludendo creazione e generazione spon­ tanea a vantaggio di una continuazione piu ο meno conservatrice, cosi la spiegazione quidditativa non nomina, descrive, misura, data e localizza gli esseri se non rinunciando a definire ''l'Essere" . Per­ che se si puo rispondere a domande partitive come τόδε το δν; "che cos'e questo ο quell'essente? " , la domanda "che cos'e l'Essere-in­ generale? " , τί �στι το ε'iναι;, e una domanda assurda e non recla­ ma che verita lapalissiane come 'Ί'Essere e cio che e", tautologia in cui 1' essere da definire figura tre volte, come soggetto, come copώa e come attributo. Non vi e predicato di cui l'Essere, soggetto uni­ versale, sarebbe il soggetto. Si puo, certo, approfondire 1'esistente variopinto, qualificato e circostanziato in mille modi, per esempio quando si definisce cio che e piu "essenzialmente" ο quando si de­ termina la verita "ouslaca" della sua realta " ontica" : ma non si puo approfondire il mistero della totalita. ln una parola, il perche chiu­ de il buco aperto dal perche come il questo-cosl-ecco [ceci-ainsi­ voicz] chiude il buco aperto dal quid. . . , a condizione che si tratti di supplenze e trasposizioni all'interno dell'empiria. Ma il nulla che risώta da un perche applicato alla totalita, quale perche potrebbe colmarlo? Solo l'atto arbitrario, grazioso e immotivato della crea-

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zione puo un simile miraco1o. Cosi 1'essere-in-generale e un'eterna domanda alla quale e gia data risposta da tutta 1' eternita: e 1a totali­ ta paradossalmente prob1ematica, in altri termini il mistero, a essere risposta a se stesso; e questa risposta, essendo un immemoriale gia­ qui e un fatto eternamente compiuto, risponde di fatto, non di di­ ritto. n mistero e quindi al contempo la domanda e la risposta, 1a risposta eternamente interrogativa, 1'interrogazione eternamente indicativa ο constativa; questo stesso indicativo ha 1a sua fonte nel /iat istantaneo e insondabile di un imperativo la cui essenza e far tacere ogni domanda: cosi che 1'imperativo, so1uzione gordiana per un prob1ema inso1ubile, contrae in un solo punto l'indicativo e 1'in­ terrogativo. ll potius-quam, che Leibniz giustifica tramite una "pre­ tensio ad existendum" abbastanza simile alla virtu dormitiva, tale piuttosto-che fa prob1ema quantunque non abbia domanda; il piut­ tosto-che che e, da tutta l'eternita, un piuttosto-si-che-no, e per ec­ cellenza il prob1ema senza prob1ema. Come non definir1o Mistero? L'ontologia pura esclude dunque tanto 1'eziologia quanto 1a teleo1ogia, tanto 1a causalita quanto 1a finalita, e 1ο spinozismo in questo caso e ne1 giusto. Nessuno e obbligato a fare della metafisica, ne a 1eggere una domanda nella risposta. Ora, 1' essere non e una rispo­ sta che subentra a una domanda, ma, se cosl si puo dire, una rispo­ sta-eterna, una risposta che fa eco a un miraco1o creativo pre-tem­ porale, una pienezza perfettamente affermativa in cui l'invisibile ipoteca de1 mistero si rende gia percettibile alla coscienza metafisi­ ca. Ma non per questo approviamo cio che Leibniz chiamava, in senso peggiorativo, il "Dispotismo". L'insondabile Vultvelle divi­ no, cioe il decreto di decretare, non e il capriccio arbitrario di un autocrate che manterrebbe la creatura nell' angoscia e ne1 tremore. Creare e infatti infinitamente piu che dare, essendo la "dazione" [dation] un beneficio partitivo che suppone un beneficiario preesi­ stente; creare non e nemmeno conferire 1'essere come un regalo perche non vi e nessuno a cui si possa conferire alcunche, nessuno e nemmeno un' essenza gravata di esistenza: altrimenti la creazione, presupponendo un sistema di riferimento, non sarebbe nient'altro che l'arricchimento ο l'ispessimento di una possibilita. Creare non e far dono dell' essere, ma /ar essere: anche dicendo "far essere cio che non e " , il nostro linguaggio finisce invo1ontariamente per rico­ stituire, con 1'accusativo-sostrato del cio che, il punto d'applicazio2 75

ne che demiracolizza il miracolo e degrada 1' atto metafisico a forza fisica; cosl si esprimevano il Simposio e il So/ista. Creare e far essere assolutamente: nel Niente radicale (e la preposizione "nel" non ser­ ve che a fissare le idee) come potrebbe una simile operazione essere "transitiva" ? Se il far essere fosse generoso, si tratterebbe quindi di una generosita infinita; far essere, se si puo (per modo di dire) ri­ schiare un tale accostamento di parole, sarebbe un dono-totale e piu che un dono-di-se. Questa generosita infinita si chiama Amore. ll Fare, nell'uomo, e totalmente invischiato nell'Essere, e si sa con quanta cura Fenelon, con Kant, contrasti l'interesse personale che turba la gratuita e il puro disinteresse dell'efferenza caritatevole. Ecco insomma il "circulus sanus" della Bonta! Dio decide perche decide, ma questa decisione e una decisione graziosa di porre, di affermare, di far essere. Dio, dice il Yz'meo, era buono. Ma non ba­ sta dire che " era" buono mentre creava; e nemmeno che "e" buono � generale, nel senso che tra ί predicati che gli sono attribuibili, come l'essere onnipresente, onniscente, onnipotente, ecc., figure­ rebbe, tra gli altri, l'aggettivo "buono". Dio non e buono, e la Bon­ ta stessa, la bonta non avendo senso che a partire da lui. Dio non partecipa di un'essenza preesistente che sarebbe il Bene . . . Ν ο! e Dio stesso a essere la bonta stessa; Dio e interamente la bonta tutta intera, Dio non e altro che Bonta; . . . a meno che non si preferisca dire: e la Bonta a essere Dio. Dio non e buono "tra le altre cose" , piu buono di altre, ma e buono ίη quanto posizionale: esclusiva­ mente, essenzialmente, sovressenzialmente; eternamente buono. La paradossale identita di Dio e dell'amore-carita che Giovanni af­ ferma nella prima Epistola non ha altro senso: b θεος άγάπη εστιv [Dio e amore] . 61 Dio e ontologicamente Amore perche 1' amore non e nient'altro che l'operazione stessa della bonta. Non: Dio e il dio dell'amore, come Eros e il dio dell'amore, ne, a fortiori: Dio talvol­ ta ama e talvolta non ama, essendo nella sua persona un soggetto distinto dall'operazione amorevole . . . Lungi da tutto cio ! Non ab­ biamo forse mostrato che il soggetto puro e interamente operazio­ ne e nient' altro che questo? Che propriamente parlando anche

61

Ι Ep. Di Giovanni, IV,

8 e 16. Cfr. Anders NYGREN, Eros et Agape (Paris, 1944),

p. 159.

2 76

l'Ipseita ipsissima non e, mafa, assolutamente? Solo l'amore e que­ sto "fare " puro e semplice, quest'impalpabile posizione senza esse­ re. Gia l'uomo amante, benche sempre essente ίη qualche grado, fa essere miracolosamente cio che ama, ίη particolare quando ama di un amore piu gratuito, meno zavorrato dall'essere, meno appesan­ tito dal piombo dell'egoita. Tuttavia l'essere umano deve pre1imi­ narmente essere per ροί amare . . . ο non amare! Ma che dire allora de1 Lui-stesso 'Όnnifacente" ο onni-ponente, se non che e per ec­ cellenza 1Όnni-amante? Ε 1'onni-amante, a sua vo1ta, che non so­ vraccarica 1a gravitazione con 1a propria-natura, non fa esistere ( come il far-essere impuro dell' essere amante) co1ui che gia esiste, ma fa esistere ίη generale cio che non esiste de1 tutto e nemmeno come cio-che ο possibilita preesistente. Cosl, dicendo che 1' Amore e Dio, non si corre il rischio di divinizzare una nuova divinita: 1' amo­ re non e un " essere" come gli altri. . . Un'iniziativa asso1utamente preveniente non puo essere che creazione per amore. Si e forse suf­ ficientemente osservato che Parmenide, il filosofo della sempiterna pienezza ontica, invoca la Giustizia quale garante della pienezza? "La Giustizia non tollera generazione e corruzione" .62 La giustizia, neutralizzando ogni audacia (τόλμα), veglia a che nessuna appari­ zione ο scomparsa resti priva di compensazione: custode della 1ega­ lita, essa fa ίη modo che le azioni degli uomini confermino, anziche ίnficiar1a, 1a necessita ontica 1a cui formula e Conservare e Conti­ nuare; essa esc1ude ogni "efferenza" pura, cioe ogni produzione che non sarebbe ίη grado di sopportare, passivamente, il contrac­ co1po della propria attivita. Cio che il diritto e 1a fisica concordano nello smentire, e 1a possibilita di un' azione "metafisica" , e ίη questo caso a essere non νί e che la creazione: essa non e piu "fisica" di quanto 1ο sia il toccare senza essere toccati da cio che si tocca, piu empirica di quanto 1ο sia 1'arricchirsi donando, ο il donare cio che non si ha, ο il hon essere se stessi 1a cosa che si fa; e sovranamente ίngiusto che il principio sovrano de1 far-essere sia ίη definitiva cio che non esiste ! L'impensabile sconfessione di ogni commutazione ηση e forse il miraco1o stesso dell' amore?

62 Verso 70: οίiτε γενέσθαι ovt' δλλυσθαι ψίστοις θεφ [gloria a Dio nell'alto (dei cieli)] ! Lo splendore rispleso e l'immediata epifa­ nia della fonte risplendente, ossia del nucleo tenebroso che secon­ do Dionigi Areopagita e la fonte oscura della luce; 1' aureola irradia­ ta e in qualche modo il sacramento dell'iniziativa irradiante. L'uo­ mo, al contrario, si compiace, come il Giove della Teodicea.71 Da una parte, prende alla lettera le splendide icone e tutto lo splendore barbagliante che il theatrum mundi sciorina davanti ai suoi occhi. L'uomo che ha abbandonato la concentrazione nel κέvτροv72 per la dissipazione sensoriale e l'invisibile per la visibilita risplesa si tro­ va sollecitato su tutti i fronti dal plurale delle finzioni Γfaux-sem­ blants] . Perche lo splendore e moltitudine. Se lo splendore e la zona della paronimia e dell'equivoco, il Lui-stesso designa il punto

68

Gen., Ι, 3 -4 e 14-16. Διαχωρίζειv: Gen., Ι, 4, 6-7, 14, 18. Michelangelo ha rappresentato queste tre divisίonί sul soffitto della Cappella Sistina. 70 Μεγαλωσύvη, Κάλλος: San Giovanni CRISOSTOMO, op. cit., 734 c. 71 "Compiacersί": Teodicea, § 414. 72 Enn ., Ι, 7 , che contrappone vόηεις [intellezione] a α'ίσθησις [sensazione] . 69

280

focale dell'unicita univoca ο extra-sottile. L'uomo si lascia abba­ gliare da questa sfocatura, da questa diffluenza diffusa; l'uomo sor­ ride alla miriade scintillante. Dall'altra parte, si assopisce volentieri al culmine dei propri successi; ai giorni lavorativi dell' operazione non diffΌrme, ma informe, e della produzione non brutta, ma senza figura, succedono i giorni festivi votati alla contemplazione del ca­ polavoro, che e cosa dell'arte e del tempo libero domenicale. Me­ glio ancora: lo stesso sabato divino e il modo antropomorfico che ha l'immaginazione umana di rappresentarsi l'irrappresentabile, l'informe e l'infaticabile del Fare-senza-Essere; il sabato divino non e che una pallida domenica umana. Requievit, benedixit, sancti/ica­ vit. . . Avendo compreso che la sua opera, immagine di un paradig­ ma eterno, si muoveva e viveva, il Demiurgo del Tz'meo si rallegra: ήγάσθη.73 Una coscienza troppo buona e troppo felice e indice di antropomorfismo . . . L'uomo, a sua volta, ha diritto di essere cosi soddisfatto della propria demiurgia? L'uomo, anziche riporre in­ tensamente con la posizione, santifica la deposizione che la posizio­ ne implica; egli imita anziche creare: alla riposizione preferisce il riposo! Nel turbine dello slancio vitale affascinato dall'organismo che depone lungo il sιio cammino, Bergson descrive qualcosa di analogo alla deludente sedimentazione ontica: tuttavia questo ripu­ dio di ogni creazione non ne e forse la ragion d' essere e la stessa condizione? 1' assurda lotta di organo e ostacolo non definisce la nostra tragedia? l'essenza di questa tragedia non e forse l'insolubile Contraddizione?

73

Timeo, 37 c (εύφραvθείς).

281

CAPITOLO X L'uomo

Ι.

-

L) intermediarietd umana) mzsto dz· Fare e dz· Essere

L'Uomo, alla lettera, e Dio; Dio naufragato nei discorsi, Dio di un miliardesimo di secondo. Π secondo creatore, alter conditor, sara in grado di prolungare la creazione divina al di la del settimo giorno? Ahime! l'eccezionalita stessa del genio e dell'eroe, che e trascendenza-lampo, colpo di genio ο tratto eroico, fa presumere di no. In termini leibniziani, diremmo che l'ipseita e una divinita di­ minutiva, come la monade e una miniatura del macrocosmo. La creatura-creatrice, al contempo creante e creata, incarna il mistero antilogico dell'Assoluto relativo ο dell'Assoluto-in-quanto, perche questo "Dio unilaterale" , esistente nell'empiria fisica, ammette pa­ radossalmente dei "quatenus" . Si fa chiaro in tal modo come il mi­ stero della finitezza infinita e il mistero dell'Assoluto plurale siano uno stesso e unico mistero: le ipseita sono irriducibilmente plurime e questo plurale ο sporadismo delle persone determina, con la ne­ cessita di un sacrificio, una lotta che e senza dubbio la forma empi­ rica del Male. Alla tragedia della creazione negata corrisponde, in qualche modo perpendicolarmente, la lacerazione delle pretese uguali e contraddittorie avanzate da questi assoluti, da questi uni­ versi che sono ciascuno, rispettivamente, ίο per se e hapax quanto a se; la misteriologia del Νοί non e certamente la soluzione di un conflitto metafisicamente insolubile; non pacifica la collisione, non ricuce cio che e strappato: e piu che altro il compimento parados­ sale e continuamente messo a repentaglio di un miracolo il cui 282

nome e Amore e la cui opera e sempre da rifare. L'idea pascaliana di una natura umana anfibia, mediana [mitoyenne] , gettata "in me­ dias res " , a meta strada tra niente e tutto, 1 tra egoismo e altruismo (se il meglio e nemico del bene, il peggio e nemico de1 male), acqui­ sta cosl un nuovo senso. L'iniziatore-continuatore, il creatore su­ balterno, 1' angelo-bestia si immette, in poche parole, in una conca­ tenazione infinita; il semi-stregone e spettatore di uno spettaco1o permanente che e sempre gia iniziato, a qualsiasi ora arrivi 1ο spet­ tatore; 1'unica ipseita e sempre anticipata dalla scena precedente, e 1a sua visione non e mai coincidente ο contemporanea all'inizio. Si e mostrato come 1' essere medio non avesse nel migliore dei casi che una scienza media dell' Assoluto, una scienza nesciente e intrisa di amάtheia; come 1' oggetto privilegiato di questa gnosi intermedia, intravisto nella sua effettivita ma non conosciuto nella . sua natura, potesse definirsi il mistero de1 Non-so-che; e come infine questo Non-so-che, presenza assente ο Fare senza Essere, si rivelasse ne­ cessariamente all'anima ne1 quasi-niente dell'istante. Occorre tutta­ via precisare: l'uomo non e creatura dell'intermezzo [entre-deux] perche misto di istante e di intervallo; sono il quasi-niente dell'i­ stante preso in se stesso e il divenire dell'intervallo considerato se­ paratamente dall'istante a esprimere, rispettivamente, 1a medianita [mitoyennete1 umana. L'istante e un istante, cioe quasi niente, os­ sia meglio di niente: il minimo-essere e meglio de1 non-essere, e il quasi niente meglio de1 niente. Ma in tal modo, e in senso restritti­ vo, 1'istante non dura che un istante, cioe infinitamente meno di pochissimo; cio che dura infinitamente poco, ο il minor tempo possibile, esiste di un'esistenza minima1e, quindi appena sufficien­ te a non abolirsi ne1 nulla: esso lascia dopo di se, a una creatura 1a cui dignita sembra risiedere totalmente nell' esistere, persistere e consistere, il rimpianto della sua brevissima durata e de1 suo essere incomp1eto quasi indiscernibile da zero; perche se 1a continuazio­ ne dell' essere e il successo per eccellenza e il segno piu caratteristi­ co di un'esistenza vivibile, l'istante sara in gran parte sinonimo di scacco, poiche cominciare a essere e cessare di essere sono in esso simultanei. Morire nascendo, non e questa la definizione dell' abor-

In particolare: Pensees, Π,

72; VI, 378.

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to e dell' abortire? Una macchίna che non va al di la di un gίro, un cuore che non batte al di 1a de1 prίmo battίto, un vivente che non sopravvίve alla proprίa nascίta smentiscono allo stesso modo la vo­ cazione di Esistere. La scίntilla sίmbolizza qιlest'anfibolia dell'in­ sorgenza, perche e contemporaneamente successo e fiasco: il suc­ cesso di questo fallίmento e (di conseguenza) il fallimento di questo successo. L'istante che non sopravvive, fosse pure per un secondo, a se stesso, 1'istante, bancarotta-lampo, sarebbe un'anomalia della contίnuazione. Ma 1a contίnuazione, stemperamento e iterazione dell'ίnizio, e a sua vo1ta un istante diluito, degenerato, flaccido. Per conservare ο preservare una purezza costantemente mίnacciata dal compiacίmento, per sostenere un'attenzione continuamente allen­ tata dalla distrazione, occorre ben piu che vigilanza, occorre una estenuante sorveglianza dell'ίntervallo. Cio che e reale quaggίu, non e 1' andare dritto2 nell' empireo come un aeronauta miraco1ato dί fronte a discepoli sbalorditi: a essere reale e 1ο sforzo laborioso, ίmpervio e diffico1toso dell'alpίnista per mettere un piede dopo 1' altro; e 1a vittorίa contίnua sulla contίnua pesantezza, la 1evitazio­ ne a ogni passo pregiudicata e trattenuta dalla gravitazione, 1ο s1an­ cio ascensίonale sedotto dall' orίzzontale che gli propone 1a sosta e il pianoro, e che sostituirebbe 1a stazione alla mozione, 1'altitudine ίη atto alla scalata. L'idea di una dialettίca scaglionata ο graduale nasce da questa 1otta tra s1ancio e pianoro. Ora, questo e 1' aspetto "ambivoco" dell'istante-ίntervallo. L'ίntervallo e ίη qualche modo 1a degenerazione lipidica dell'istante: 1'istante, ίnvischiato ne1 gras­ so dell'Ego, si fa adiposo e molliccio, l'atto ponente soccombe all'i­ spessίmento della cosa posta. P1otίno chiama δγκος3 [escrescenza, tumore] il piombo della massivita che grava su una δύναμις [po­ tenza] origίnariamente pneumatica. L'inflazione dell'istante (se si preferisce immagίnare 1a continuazione come tumefazione piutto­ sto che come massa) e 1a degenerazione fatale di ogni iniziativa. Ε se 1a penosita dello sforzo intellettivo avesse di mira proprio questa ίmpresa impossibile: pro1ungare 1'istante? Tale e per 1ο meno 1a continuazione continuata, che non e altro che balbettamento e ru-

Filebo, 17 a: εbθύς [direttamente] . Enn., VI, 9, 3 , 6, 9.

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minazione inerte: come una decisione appena percettibile, che il vanitoso gonfia esageratamente, l'inizio prolifera all'infinito per fare volume. Ora, vi e anche una continuazione continuante, in cui la positivita e considerata per il verso giusto come anagenesi, e non, all'inverso, come catagenesi e negativita: cio che sembrava gravita­ zione si fa levitazione. Se la continuazione continuata e intervallo obeso e vana ampollosita aerofagica, la continuazione continuante e ricominciamento e ricreazione, ossia intensa continuita. L'inter­ vallo non sarebbe nemmeno un intervallo senza la mutazione, la mozione ο la pulsione che lo attiva e fa divenire il divenire. Diveni­ re non e forse il nome che bisogna dare a questo misto di intensita e perennita, iniziativa e psittacismo di cui l'uomo esperisce nell'in­ timo le vicissitudini? Tutta la positivita dell'intervallo riguarda l'e­ lemento istantaneiforme dell' alterazione qualitativa che fa conti­ nuare la continuazione malgrado le discontinuita e grazie alle di­ scontinuita. L'uomo e pertanto una mescolanza di istante e di inter­ vallo, ma a condizione di aggiungere che l'intervallo e l'istante sono a loro volta mescolanze, e non hanno senso che per la loro mutua correlazione nell'esperienza vissuta: cosl la durata creaturale, me­ scolanza delle mescolanze, e letteralmente mistione all'infinito. La coppia istante-intervallo e effettivamente la vibrazione e l'onda ca­ ratteristica del divenire umano. L'intermediarieta, sorte della no­ stra ominita, appare anfibolia se la si considera nel quasi-essere dell'istante, e mediocrita se la si considera nel "giusto-mezzo" dell'intervallo. L'istante non e un istante (un unico istante! ) solo a causa dell'intervallo che lo appiattisce, lo schiaccia e lo comprime fino all'estremo limite della quasi-inesistenza e lo riduce infine allo stato di punto ο di minimo-essere; l'intervallo e quantomeno inter­ vallo grazie all'istante che sospinge, articola e struttura la futurizio­ ne. L'istante, soffocato dalla massa dell'intervallo, sara lampo e colpo d'occhio; l'intervallo, animato dall'istante, sara continuazio­ ne e non piu prolungamento. L'istante e un tutto che non e nien­ te . . . quasi niente! n girovagare nell'intervallo e un fantasma che e relativamente qualcosa. L'istante non si oppone percio, propria­ mente parlando, all'intervallo come il metafisico si oppone all'em­ pirico: sarebbe piu esatto dire che l'istante e la sola forma in cui l'assoluto si rivela a una creatura. Ε per questo che il semi-dio car­ tesiano non ha bisogno di Dio per accertarsi dell' evidenza nell'i-

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stante, ma invoca 1a garanzia divina per giustificare 1a sua fiducia nella permanenza e affermare delle verita, come se 1a continuazione esigesse una cauzione sovrannaturale. La maledizione dell'alterna­ tiva, in virtu della quale il destino ci dona con uήa mano que1 che ci toglie con 1' altra, provoca 1'infelicita, 1a semi-infelicita dell'istanta­ neita. L'ispessimento dell'Essere puo quindi essere considerato sia positivamente che negativamente; 1'Essere, in ηοί, e 1ο schermo che intercetta il Far-essere, e 1a condizione della sua realizzazione "hic et nunc"; 1' opaco e 1' oscuro assorbono 1a 1uce e non malgrado, ma α causa di cio rendono 1a 1uce illuminante. La 1otta dell"Όrgano-osta­ co1o" assume quindi due forme distinte che corrispondono ai due piani fondamentali della medieta [mitoyennete1 creaturale - ovvero 1' anfibolia dell'Istante e 1a mediocrita dell'Intervallo. Da una parte, 1' organo-ostaco1o e cio che, attraverso una creatura, trasforma il Far-essere in Minimo-essere: 1'ipseita della pura posizione si fa a sua vo1ta, al nostro cospetto, insorgenza; nient' altro che insorgenza, ahinoi.', poiche 1a scintilla si spegne accendendosi, e questo nello stesso istante, uno eodemque tempore, non un attimo dopo; nient'al­ tro che insorgenza, ma quantomeno insorgenza; sparizione e, nello stesso istante, apparizione - non apparizione sul ciglio di un piano­ ro, ma apparizione ridotta al puro fatto di apparire. Dall' altra par­ te, 1Όrgano-ostaco1o e il veico1o de1 mistero d'incarnazione, che e ugualmente mistero di contraddizione: e 1a positivita posta che sconfessa 1a positivita posizionale, e per cio stesso assicura 1a diffu­ sione ο diffrazione della mozione preveniente intorno al centro de1 quasi-niente; eppure 1'intervallo e tutt'altro che una paralisi ο mar­ cescenza dell'iniziativa; e, in senso dinamico, continuazione dell'i­ nizio, ο ricominciamento continuo, come 1'intellezione metempiri­ ca e continuazione estensiva dell'intuizione intensiva . . . La conti­ nuazione e al contempo continuata e continua, cioe continuantesi: essa "si continua" anziche essere " continua" . Accade che 1' ostaco1o sia immanente alla pura posizione, essendo in qualche modo 1Όnda riflessa dell' atto gratuito, il secondo fine de1 primo movimento e il ricalco1o mercenario di ogni spontaneita disinteressata; ma accade anche che il contracco1po si produca a posteriori, come una sorta di compiacimento postumo de1 creatore verso 1a propria opera: 1'e­ mancipazione della creatura e quest'ostaco1o a scoppio ritardato per un apprendista poeta ingannato dal poema; 1ο choc di ritorno

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si produce qui a lungo termine, e se non ostacola la creazione pro­ priamente detta, intralcia quantomeno la continuazione della crea­ zione, rende inevitabili le quiddificazioni della quoddita e l'imbor­ ghesimento del/iat. Tra Ipseita ed Ego, tra soggetto puro, ineffabi­ le far-essere senza essere, ed essere fisico definitivamente indivi­ duato, fissato, posto nella morfologia e nell'osteologia del suo cor­ po, provvisto delle tre dimensioni dell'esistenza spaziale, νί e dun­ que spazio per l'intermediarieta del divenire. Ipseita subalterna, mistero bipede, entita al contempo naturale e sovrannaturale, l'uo­ mo del divenire si estende nell'intervallo e culmina all'estrema sot­ tile punta dell'istante. Quel poco che e, l'intervallo lo e grazie all'i­ stante, perche esso e a sua volta un assai umile istante diluito in un oceano di farneticazioni - e si sa quanto lo stupido possa addensare la zuppa, allungare le salse, in altri termini fare molto volume con idee da quattro soldi; un secondo di ispirazione per settimane di sproloqui, un istante di vivacita per un anno di siesta, - ecco il regi­ me abituale dello stupido e della divinita "diminutiva" ! In fondo, l'intervallσ e l'istante sono una sola e medesima intermediarieta considerata sia nella sua base, in quanto Esse ο stato, sia nella sotti­ le punta adamantina d'intuizione, di coraggio ο di gioia, cioe, per chiamare questi tre vertici con un solo nome, nella sottile punta d' amore puro che e il punto di tangenza tra anima e assoluto; per­ che e uno stesso istante, talora gnostico, talora drastico, talora pati­ co, a essere compreso nell'intravisione intuitiva, affrontato nella decisione coraggiosa, provato nell' evento gioioso; ma la gnosi, il dramm a e il pathos coincidono a loro volta nella puntualita del puro disinteresse caritatevole. In quanto perfettamente insecabile, l'istante esclude ogni polimorfismo; in quanto specificita vissuta, ammette al contrario la policromia e la politonia delle qualita etero­ genee. Allo stesso modo, il quasi-niente del Dovere, in cui la volonta esperisce che bisogna fare senza sapere cosa, e la sola forma in cui l'uomo presentira il niente del Bene. Tale e il vuoto non-so-che del­ la Quoddita ! Π genio diminutivo laboriosamente si dilunga nei giorni feriali della continuazione, ma negli istanti festivi dell' amore e alla cima vertiginosa del sacrificio riscopre una maniera di purez­ za - certamente non la purezza inconcepibile dell' atto creatore, che compie il miracolo di un "apogeo cronico", ma la purezza-lampo, l'innocenza instabile del quasi-niente. π semi-stregone e al contem-

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ρο minacciato da un genio maligno e protetto da un angelo custo­

de: e il suo angelo maligno che lo esclude da ogni angelismo e che, impedendogli di trasformare la scintilla in verita eterna e l'intuizio­ ne in sapere inespugnabile, ma facendo dell'inipossibile una tenta­ zione, lo trattiene nell'intermediarieta. Per contro e il suo genio benevolo a impedirgli di addormentarsi, rianimando a intermitten­ za le vive acque dell'istante. Si sa che Diotima chiamava Eros que­ sto demone. Se il demone demoniaco trattiene l'uomo nella condi­ zione di deita incompleta, il demone demonico lo intrattiene nella deita relativa.

Π.

-

LΆssoluto relativo

L'ipseita diminutiva, incarnandosi nell' esistenza anfibia e sar­ copsichica dell' organismo, vive giorno dopo giorno e di catastrofe in catastrofe, in una sorta di acrobazia continua, l'impossibilita sempre rinnovata del "vinculum" . Ora, l'intera vita monadica porta il sigillo di questa doppia duplicita. Διττbς b έvθάδε Βίος: "doppia e la vita di quaggiu" . La vita, da una parte, e noiosa continuazione e monotono riempimento dell'intermezzo: l'esistenza biologica prende tempo e l'organismo fa volume; tuttavia l'istante e gia qui, immanente, distingue l'Esistere dall'Essere ontico e paticizza, drammatizza, dinamizza il divenire. L'uomo ambiguo, e di conse­ guenza ambivalente, e stretto tra nostalgia e vocazione: la vocazione dell'Istante, che e vertigine del Fare-senza-essere, e la nostalgia del­ lo Stato, che e compiacimento dell'Essere-senza-fare; la levitazione che lo innalza fino al Quasi-niente, e la gravitazione che lo vincola a una Natura, ciascuna e foriera di una specifica delusione. La defi­ nizione dell' essere, dicevamo, non implica ne che esso abbia avuto inizio ne che debba cessare. Ora, il diveniente riceve un essere e, per abitudine, acquisisce una seconda natura; ma 1' essere del dive­ niente cessera. La morte e il paradosso del diveniente, cioe dell' es­ sente non-essente. Ma d'altra parte, siccome ogni durata finita ten­ de ad annullarsi rispetto all'infinito, l'intera vita appare, in seno all' eternita, come una sorta di grande istante: questo passaggio di un essere unico, inimitabile, incomparabile, insostituibile che sorge arbitrariamente dal nulla eterno per farvi ritorno pochi anni dopo,

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questo passaggίo e a tuttί glί effettί un' apparίzίone metafίsίca. La vίta come ίntervallo ίmmanente e una contίnuazίone piena di senso dove ogni episodio rende ίntelligibίli gli altri episodi e sί compren­ de nel suo contesto: ma il /atto della vita e, come l'istante, "assur­ do" , perche fonda ogni significazione e perche la fonte ίmprovvisa­ trice del senso non ha senso ίη se stessa; se ί1 piccolo quasi-niente e bagliore ίnίntelligibίle di un milionesimo di secondo, ί1 grande quasi-niente della vita e del tutto privo di capo e di coda. "Da dove veniamo? chi siamo? dove andiamo? " domanda un celebre quadro di Gauguin4 ί1 cui titolo evoca Pascal. Dei passi sulla neve. Una scritta sulla sabbia. Una scia fosforescente, che si spegne per sem­ pre nell'oceano oscuro. Qualcuno ha vissuto (senza averlo chiesto), qualcuno ha sofferto, ροί e scomparso, e adesso non resta che qual­ che sale mίnerale e una "tomba senza nome " . Perche qualcuno? e perche ίο piuttosto che chiunque altro? Ahίme, povero Υorick; po­ veri noi! Π Quo, l' Unde e ί1 Potius-quam, se risultano ίntelligibίli al fίlosofo dell' Armonia prestabίlita, restano ίη Pascal domande senza risposta fίlosofίca. Perche qui piuttosto che la, ora " pίuttosto che allora"? e perche tale numero d'anni assegnato alla vita umana piuttosto che un altro? Leibniz credette di trovare la ragione della scelta: ma Pascal si considera ίncapace di legittίmarne la pre/eribili­ ta; le costanti sono del tutto arbitrarie e la loro origίne radicale del tutto gratuita. La monade, entita astratta ο entelechia, e forse un elemento dell' ordίne generale, ma l'ipseita, apparizione sovranna­ turale, ίncarna un "messaggio" arbitrario e totalmente gratuito; un misterioso messaggίo che ίη nessun caso puo essere decifrato poi­ che e dell'ordine della posizione preveniente e poiche e a partire da esso che glί enigmi dell' esistenza diventano spiegabίli. La quoddita ίnsondabίle dell'ipseita, stretta tra nascita e morte, appare a se stes­ sa sotto forma di atto tetίco. Se la coscienza non filosofica e ίmma­ nente all'ίntervallo, la coscίenza di coscienza e cos �ienza del fatto dell'ίntervallo, cioe coscienza che l'ίntervallo biografico e, rispetto all'eterno, affίlato quanto l'istante. La semelfattivίta e l'irreversibi­ lita sono dunque le due forme ίnfelici che per la creatura riveste il

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1897 (Museo di Boston). PASCAL, Pensees (Brunschvicg), ΠΙ, fr. 194, 205 e 208 (" plutot-que").

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mistero del grande istante: l' atto semelfattivo, cioe l' atto in cui, per definizione, prima e ultima volta coincidono, e in qualche modo un' effettivita decaduta, una quoddita di rimorsi e di inconsolabili rimpianti; e come ogni istante del divenire e un "hapax" irreversi­ bile e un'esperienza unica, cosi la carriera totale dell'ipseita, che e insostituibile successione di eventi insostituibili, e a sua volta una specie di quasi-niente e una scia meteorica nel non-essere. Ci si spiega, con questo, come la morte sia al contempo il limite e la pro­ va della nostra sovrannaturalita: come la sparizione fa 1'apparizio­ ne, cosi la morte definisce il mistero e rende tragica la contraddizio­ ne della verita eterna-mortale. L'idea dell'immortalita e dunque un angelismo inconcepibile quanto il prodigio di un "akron" conti­ nuo: la pretesa che l'istante abbia la perennita dell'intervallo ο l'in­ tervallo l'alta temperatura dell'istante . . . L' articolo mortale, cioe l'istante ultimo, non e semplicemente uno degli istanti che solleva­ no a intermittenza la superficie dell'intervallo: l'istante ultimo e al contempo estremo e supremo, acuminale e terminale: ora, se l'istan­ te in corso di continuazione e ineffabile sul momento e irriconosci­ bile a posteriori, l'istante escatologico, invece, e il mistero assoluto che esclude un a posteriori e che e sul bordo del niente. La morte sigilla a "mai piu" ο "per sempre" la semelfattivita della divinita diminutiva, ed essa protesta invano contro l'assurdo che al contem­ po ne smentisce e ne conferma la vocazione sovrannaturale. - L'i­ nadeguatezza metafisica del semi-dio puo leggersi nelle grazie dell'istante che l'occasione opportuna gli concede. L'intuizione, il coraggio e la gioia, e il movimento stesso della carita che li riassume ci situano . . . per un istante al di sopra delle circostanze sociali e al di la delle condizioni biologiche dell'istinto, ma non ci sottraggono ne alle leggi fisiche della gravita ne alla fatalita della morte. L'uomo disinteressato trascende, quando dona ο perdona, la naturalita del­ le sue passioni e il carattere mercenario del suo egoismo - ma la sua condizione di creatura finita, sottomessa al determinismo generale e alle leggi dell'esistenza tropica, non puo trascenderla ! L'ispirazio­ ne creatrice dona al genio il potere di scrivere la Divina Cωnmedia, ma non lo rende indipendente dal bere e dal mangiare. Il coraggio eroico da all' eroe la forza quasi sovrannaturale del sacrificio, la for­ za quasi iperbolica di volere il proprio nulla nella morte, ma non gli da quella di volare come gli uccelli ne quella di saltare con un balzo

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il Monte Bianco. Questi miracoli sono miracoli pneumatici e vaga­ mente metaforicί, evidenze discutibili e ambigue, e co1ui che impo­ ne all'istante di trasformare 1a pietra in pane prende il semi-strego­ ne per uno stregone, il superuomo di un 1ampo per un dio. L'intu­ izione penetra il suo oggetto attraverso un atto puramente efferen­ te, ma quest'oggetto e un dato preesistente e gia posto che 1'intui­ zione trova davanti a se. L' amore si unίsce alla presenza amata nella tota1e disappropriazione di se e nella vertigine dell' estasi, ma 1'ipseita de1 tu resta ai suoi occhi un mistero impenetrabile e un invio1abile santuario. La generosίta dona senza impoverίrsi e senza subire il contracco1po della propria azίone, ma ί suoί doni non sono 'Όpere ", e ancor meno creature. Π "passo napo1eonίco" de1 corag­ gίo e 1a conversίone stessa sono degli inίzi, ma degli inίzi in corso di continuazίone, inizi relativi che presuppongono un passato, un' ere­ dita e una vita anteriore. Ε non so1tanto 1a creatura, neί suoi istanti di culminazione, resta sottomessa alle necessita materiali; non so1tanto 1e creazioni dell'ipseita subalterna, malgrado il 1oro punto di tangenza con 1a sovripseita, sono tutt' a1 piu riposizione de1 gίa po­ sto e sί distinguono dal far-essere asso1uto e dalla pura posizίone d'esίstenza: ma in tal modo il semί-dίo trova in se stesso un ostaco­ lo aί proprί s1anci; 1a carita sί accompagna sempre a1 rίpensamento e il dono al secondo fine della commutazίone; il secondo movimen­ to, che e indotto e riflesso, sί rίpίega su1 primo, che e spontaneo, e la cosa deposta, come un rifiuto ο un grumo, fa rίcadere 1ο s1ancίo della posizίone: il deposito catagenetίco immanente a ognί posizίo­ ne e anche cίο che ne costituisce 1a 1abilita e 1a quasi-inesistenza. ­ Per paradossali che siano questi accostamenti di paro1e, 1'atto im­ puro potrebbe chiamarsi un'ίniziativa trainata [ remorquee] : perche tutta la contraddizione de1 ricominciamento e di essere iterazione iniziale ο, se si preferisce, iniziativa iterativa. Chiamiamo Asso1uto tout court, ο Asso1uto puro e semplice, 1' Asso1uto asso1utamente asso1uto, poiche 1' avverbio esprime a1trettanto bene 1e maniere di essere dell' atto e 1' aggettivo epiteti ο predicati qua1ificativi de1 sog­ getto, e poiche il soggetto puro (che e anche atto puro), esc1udendo ogni "quatenus " , non e propriamente par1ando assoluto, ma L'As­ so1uto; l'Asso1uto stesso (ipse) . . . ln questo caso si dovrebbe chia­ mare assoluto-relativo il soggetto impuro, che per meta e se stesso e per meta un altro, che non e atto che nell'occasίone, che e Fare

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per istanti ο di tanto in tanto, Essere a misura di intervallo. La plu­ ralizzazione dei piccoli universi monadici, che moltiplica innume­ revolmente l'assoluto relativo, banalizza all'estremo il mostro dell'Uno plurale ο della semi-divinita: se il politeismo, nella misura in cui lacera l'Assoluto stricto sensu e un grossolano non-senso di empiricizzazione e un grossolano antropomorfismo pagano, espri­ me invece, sul piano umano, il plurale dei microcosmi, che e l'im­ possibile quotidianamente compiuto. Colui che non e il solo ad essere assoluto ( ! ) e che non e assoluto per tutto il tempo ( ! ) , che non e ne tutto ne eterno . . e che ciononostante e assoluto, costui e assoluto in questa ο quella "maniera": circa questo assolutismo si puo domandare: come? per quanto tempo? sotto quale rapporto? da quale aspetto ο punto di vista? Ε tutto il mistero della persona semelfattiva e, nella persona semelfattiva, dell'istante semelfattίvo, perche l'istante si rivela l'insostituibile dell'incomparabile e 1' estre­ ma punta di una punta, acuminis acumen: essere paradossalmente assoluto (ossia solitario) fianco a fianco con "altri" assoluti, ο con­ traddittoriamente assoluto " durante" questo miliardesimo di se­ condo che e la durata senza durata del quasi-inesistente, questo si chiama, in termini dopotutto anomali, avere una certa maniera di essere assoluto, essere assoluto secondo questo ο quel modo di esse­ re. Ora, questo e per l'appunto lo statuto equivoco del "Quasi" , che e il regime della sostanza "aggettivale" ο dell'incondizionale condizionato. L'uomo, il bipede che non e ne angelo ne bestia, e un assoluto-in-quanto! Come potremmo non attribuirgli queste parole tutte pascaliane di Plotino: le anime diventano anfibie, vivendo di volta in volta la vita di lassu e la vita di quaggiu: γίγνονται ( . . . ) οίον άμφίβιοι ( . . . ) τόν τε Ιοκεl: βίον τόν τε Ιονταvθα παρ(χ. μέρος βιοvσαι?5 L'idea di uno stato relativo e al contempo vissuta e intel­ ligibile poiche la relativita e un carattere comune alla continuazione empirica, regno delle associazioni, e alla continuita metempirica, regno della necessita e delle leggi. L'idea di uno stato irrelativo, congiungendo all'assolutismo 1' essere ontico e .1'essere essenziale, l'idea, insomma, di un assoluto continuato, non e ne vissuta ne in­ tellίgibile, perche corrisponde per l'uomo all'inconcepibile della .

Enn., Ν, 8, 4.

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doppia eternita di beatitudine e disperazione: un apogeo cronico non e insostenibile quanto un sublime continuo? contraddittorio quanto un cerchio quadrato? Solo l'istante, essendo al contempo irrelativo e acronico, realizza l'enorme sforzo di essere vissuto sen­ za essere intelligibile. ll divenire umano non e l'istante divenuto cronico come l'intervallo ne l'intervallo divenuto ardente come l'i­ stante: e piuttosto un misto di misti, e 1' alternativa tra un intervallo corposo, drammatizzato, paticizzato dall'istante, e un istante ridot­ to dall'intervallo allo stato di quasi-niente; mediante 1'intervallo cronico ma relativo che 1ο pro1unga, il divenire si assimila alla ma­ niera d'essere dell'Essere, e mediante 1'istante irre1ativo ma acroni­ co da cui e propulso, esso si assimila all'Asso1uto. La quoddita di­ minutiva ripete nell'amore, cioe nell'intuizione, nella decisione eroica e nella gioia, 1' atto miracoloso della grande quoddita primor­ diale: alla sommita dell'intervallo il semi-dio compie 1a riposizione istantanea di una creazione eterna che e puro Far-essere e puro amore.

Della filoso/ia L'irradiazione e 1ο sp1endore [rayonnement] , il secondo a venta­ glio e 1a prima in profondita, conferiscono alla non-cosa tutte 1e di­ mensioni della visibilita spaziale. Allo stesso modo il mistero della pura quoddita riceve nell' arte 1a diffusione della g1oria; ed e infine nell'evanescente scintilla della poesia che 1'artista sorprende qual­ che frammento del messaggio misterioso. Passando dal Far-essere senza nome all'essere posto, e specialmente alla piu immediata, vi­ cina g1oria di questo Informe, ossia al Bello, culmine dello sp1en­ dore ontico e magnificenza dell'intervallo magnificato, 1a coscienza filosofica si dispiega a misura de1 grande arazzo del mondo e trova infine dei "prob1emi"; ma allo stesso tempo perde 1a sua filosofia; con sollievo vede il mistero poetico fare posto alla meraviglia poe­ matica, 1a ποίησις scomparire dietro il ποίημα. L'invisibile, dice P1atone,6 non risveglia nei non-iniziati (άμόητοι, dμουσοι) che

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Teeteto, 155 e-156 a (αόρατοv).

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diffidenza e sarcasmo; se il meraviglioso, ossia il "poema" , e affare dei profani, il misterioso, cioe l'invisibile "poesia" e per il 7nystes ' una ricreazione. L'Iniziazione e indubbiamente conversione alla fonte tenebrosa e silenziosa dello splendore, all' armonia invisibile ο inapparente,7 a un puro soggetto ipsissimo che e atto puro. Ma inversamente la coscienza seconda, ο estetica, riscopre la meraviglia profana della bellezza nel mistero esoterico del "Bene". Giovanni Crisostomo8 ha distinto con molta sottigliezza le due varieta dello stupore (θαυμάζειν) suscitate nell'uomo dai due ordini, estetico e metaestetico, del θαί3μα: l'uno e meravigliarsi di fronte alla meravi­ glia, 1' altro e stupore di fronte alla sovraverita ο sovrabellezza senza forma; la bellezza di sculture, di dipinti e di corpi e un θαυμαστόν in senso plastico; la profondita beante (το βάθος), gli abissi infiniti e l'immensita oceanica (