Filosofia del Tempo
 8842493414, 9788842493419

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Tra i pochi oggetti certi e ineludibili della speculazione filosofica di ogni epoca e latitudine ve n'è uno che si contraddistingue per l'intrinseca inafferrabilità e, ciononostante, per la sua onnivora e ubiqua presenza. Si tratta del Tempo. Non appena cerchiamo di tradurre in termini concettuali ciò che pure è così intimo da condizionare ogni fibra del nostro essere, il Tempo sembra dissolversi. "Che cos'è il Tempo?", si interrogava Agostino nelle Confessioni, "se non me lo chiedono, io lo so; ma se me lo chiedono, io lo ignoro". La que­ stione della temporalità, nella radicale semplicità della sua posizione, chiama in causa colui che la formula, le sue abitudini di pensiero, il suo linguaggio, l'organizzazione stessa del mondo e le varie filosofie del Tempo che vi si sono avvicendate. In questo libro filosofi, specialisti dell'età antica, del Medioevo e del pensiero moderno e contemporaneo, storici della scienza, storici delle religioni, ar­ cheologi e antropologi sono stati chiamati a dare una risposta all'antica do­ manda "che cos'è il Tempo?", una domanda così originaria, eppure sempre nuova. In appendice al volume è inserito un apparato di ventinove figure sugli ar­ chetipi classici della rappresentazione del Tempo.

Luigi Ruggiu insegna Storia della filosofia presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università di Venezia. Autore, tra l'altro, di: Tempo, coscienza e essere nella filosofia di Aristotele (Paideia, Padova 1970); Parmenide (Marsilio, Venezia 1975); Genesi dello spazio economico (Guida, Napoli 1982). Ha inoltre curato il saggio introduttivo e il commentario filosofico di Parmenide, Poema sulla natura (Rusconi, Milano 1992) e l'introduzione, la traduzione e gli apparati di Aristotele, Fisica (Rusconi, Milano 1995).

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Luigi Alici, Enrico Bellone, Rudolf Bernet, Enrico Berti, Giovanni Casertano, Franco Chiereghin, Michele Ciliberto, Jean-François Courtine, Giovanni Filoramo, Alessandro Ghisalberti, Peter Ludlow, Virgilio Melchiorre, Hans Poser, Paul Ricoeur, Gilbert Romey er Dherbey, Mario Ruggenini, Luigi Ruggiu, Emanuele Severino, Carmelo Vigna, Annapaola Zaccaria Ruggiu

Filosofia del Tempo a cura di Luigi Ruggiu

CD Bruno Mondadori

© Edizioni Bruno Mondadori Milano, 1998 La cura editoriale del volume è opera di Dario Schioppetto e Fabio Zanatta Le versioni dei testi in lingua sono di Tiziana Fracassi (cap. 19, con revisone filosofica); Matteo Bianchin (cap. 9, con revisione filosofica) e Riccardo Pitussi (capp. 3, 12, 13, 15, con revisione filosofica dei curatori editoriali del volume). L'editore ringrazia Andrea Tagliapietra per il prezioso contributo dato alla realizzazione del volume. L'editore potrà concedere a pagamento l'autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste di riproduzione vanno inoltrate a: Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell'ingegno, AIDRO, via delle Erbe 2, 20121 Milano tel./fax 02/809506. Progetto grafico: Massa & Marti, Milano La scheda bibliografica è riportata nell'ultima pagina del libro.

Indice

l

Introduzione di Luigi Ruggiu

3

l. L'istante:

un

tempo fuori del tempo, secondo Platone

di Giovanni Casertano

12

2. Tempo ed eternità di Enrico Berti

12 14 19 22

2.1 Premessa 2.2 Dall'eternità temporale all'eternità extratemporale 2.3 Eternità e tempo 2.4 Eternità extratemporale ed eternità del tempo

27

3. Aristotele fenomenologo della memoria?

27 31

3.1 L'immagine e il tempo 3.2 La presenza e l'assenza

37

4. n mito del tempo e il tempo del mito nello gnosticismo

di Gilbert Romeyer Dherbey

di Giovanni Filoramo

37 39 42 45 47 49

4.1 La ruota del tempo 4.2 Variazioni interpretative 4.3 Il mito del tempo 4.4 Il tempo del mito 4.5 Tempo infinito e tempo finito 4.6 Conclusioni

52

5. Tempo e creazione in Agostino

52

5.1 La domanda sull'origine

di Luigi Alici

56 61 64

5.2 Eternità e tempo 5.3 La "cattiva infinità" 5.4 n problema della differenza

72

6. Ontologia e logica della temporalità da Tommaso d'Aquino a Guglielmo di Ockham di Alessandro Ghisalberti

72

6.1 Tempo e movimento: l'istante fonda l'unidirezionalità del tempo

74 76 79

6.2 Ontologia e temporalità in Tommaso d'Aquino 6.3 Tempo e linguaggio in Guglielmo di Ockham 6.4 Analisi logica e categorie della temporalità in Ockham

87

7. n tempo del senso comune e il tempo delle teorie fisiche

87 88 89 90 91 92 94

7 .l Qualità che stanno nei sensi ed etichette accessibili alla mente 7.2 n tempo si misura con il moto 7.3 n tempo come entità che per ipotesi fluisce in modo uniforme 7.4 I raggi colorati non possiedono il colore 7.5 Colori e forme: dove i dettagli diventano decisivi 7.6 Troppe reificazioni 7.7 Le frontiere del significato

96

8. Infinito e tempo nel pensiero di Giordano Bruno

di Enrico Bellone

di Michele Ciliberto

113

9. Dalla durata alla forma dell'intuizione. Il concetto di tempo nel XVII e XVIII secolo di Hans Poser

113 114 120 124

9.1 Introduzione 9.2 Descartes ovvero il tempo come duratio 9.3 Leibniz ovvero la relatività del tempo 9.4 Kant ovvero il tempo come forma dell'intuizione

129

10. Spazio e tempo nell'Estetica trascendentale di Kant

129 130

10.1 Introduzione 10.2 Intuitus originarius e intuitus derivativus

di Franco Chiereghin

133 137

10.3 Differenze topologiche e strutturali tra spazio e tempo 10.4 La radice unitaria di spazio e tempo e l'origine della loro differenza

142

10.5 Conclusione

145

11. Tempo e concetto in Hegel

145 151 152 154 155

11.1 Perché il tempo? 11.2 n tempo è la pura contraddizione 11.3 Tempo e finito 11.4 Tempo e io 11.5 Tempo ed eternità

162

12. Temporalità e storicità.

di Luigi Ruggiu

Schelling-Rosenzweig-Benj amin

di Jean-François Courtine

183

13. Il mio tempo e il tempo dell'altro di Rudolf Bernet

199

14. Tempo e sapere di Carmelo Vigna

202 206 208

14.1 Immobilità e mobilità del tempo 14.2 Immobilità e mobilità del sapere 14.3 Storicità del sapere stabile

214

15. Passato, Memoria, Oblio

215 217 221

15.1 Memorazione e ri-memorazione 15.2 Immaginazione e memoria 15.3 Memoria ferita

231

16. Il tempo e l'essere del mondo

di Paul Ricoeur

di Mario Ruggenini

231 235 241

16.1 La domanda sul tempo e la questione dell'essere dell'esistenza 16.2 La differenza del tempo del mondo 16.3 «questo mondo ..., fuoco d'eterna vita» (Eraclito, fr. 40)

246

17. Ermeneutica della temporalità

247 249 253 255

17.1 Le aporie della presenza 17.2 L'istanza utopica 17.3 La memoria dell'origine 17.4 n À6yoç della fede

257

18. Il "risultato" e il tempo

di Virgilio Melchiorre

di Emanuele Severino

270

19. Tempo e tempo verbale: la strategia dal basso all'alto di Peter Ludlow

293

Appendice: Aion Chronos Kairos. L'immagine del tempo nel mondo greco e romano di Annapaola Zaccaria Ruggiu

293 294 300 303 307 311 315 319 345 365 371 373

Introduzione

l. Aion padre di tutte le cose

2. Aion okeanos serpente: volventibus abbis 3. Il tempo come rappresentazione concettuale. Aion e Chronos 4. Chronos 5. Sempre volgendo l'infaticabile ruota e stando fermo in essa: Aion 6. Kairos è per ogni cosa il meglio Inserto fotografico

Bibliografia generale e apparati Profili biografici degli autori Referenze iconografiche Indice dei nomi

Introduzione

La questione della temporalità costituisce uno dei problemi più intricati e in­ sieme più decisivi del pensiero occidentale. Non v'è altra dimensione che sia così immediatamente evidente nella nostra esperienza e nulla che sia più pro­ blematico nella sua esistenza come nella sua natura. Non appena si cerca di tradurre in termini concettuali ciò che pure è così intimo da condizionare ogni nostra fibra, il tempo sembra scomparire del tutto. Lo scarto tra esistenza e razionalità ha collocato il tempo piuttosto dal la­ to del non-essere che da quello dell'essere. La delineazione della sua apore­ tica sia in Aristotele, come in Plotino e Agostino, ha fin dalle origini manife­ stato il senso di sgomento che coglie il filosofo di fronte alla domanda: " Che cos'è il tempo? " La domanda è semplice e radicale e chiama in causa colui stesso che la for­ mula. Lo stesso modo del domandare deve essere posto in questione, sotto­ posto a ulteriore analisi nei suoi termini costitutivi e nell'apertura del suo orizzonte. Ma la questione non può essere assolutamente elusa. A questa domanda, così antica e tuttavia sempre nuova, sono stati chiamati a dare una risposta sul terreno storico come su quello teoretico, filosofi, storici della scienza, storici delle religioni, archeologi e antropologi.1 Le loro risposte costituiscono una messa a fuoco del problema in modo rinnovato, una delinea­ zione del perimetro dell'indagine in termini rigorosamente critici, un confronto con la tradizione storica, la delineazione di nuove piste di ricerca e di soluzione. La questione del tempo ha da sempre oscillato tra una negazione radicale della sua realtà, come in Spinoza, e l'attribuzione di un ruolo preponderante e decisivo nella determinazione dello stesso senso dell'essere. Dicendo che "l'essere è tempo" si è attribuito al tempo un potere di nullificazione, in grado di ridimensionare in termini di finitezza radicale le pretese dell' ontologia at1 Nel Convegno Internazionale "Che cos'è il tempo? " , svolto a Venezia, Ca' Dolfin, dal 23 al 26 ottobre 1996, organizzato dal Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scien­ ze, con il contributo del CNR e dell'Università Ca' Foscari di Venezia, sotto la responsa­ bilità scientifica di L. Ruggiu. Del dibattito in quella sede facevano parte costitutiva la rassegna cinematografica "ll tempo: memoria e attesa " , organizzata con la collaborazio­ ne del Dipartimento di Storia e Critica delle Arti, a c. di F. Borin, e la mostra iconografi­ ca "Vedere il tempo. L'immagine del tempo nel mondo greco-romano", in collaborazio­ ne con il Dipartimento di Scienze Archeologiche ed Orientalistiche dell'Università di Venezia, a c. di A. Zaccaria Ruggiu. Si è trattato di due forme di intervento nel merito della discussione svolte nei linguaggi della cinematografia e in quello della iconografia.

Filosofia del Tempo

traverso la ontocronia. Non mancano i tentativi di rovesciare i ruoli, annullan­ do il tempo in un'antologia radicale. Ma la via antologica, sebbene tutt'altro che univoca, è solo una fra quelle possibili. Nuove piste sono state aperte non solo dalle nuove filosofie, ma anche dall'analisi del linguaggio, dalle scienze sociali e dall'impetuoso premere delle scienze fisico-matematiche. Sempre più lo spazio si comprime nel tempo, pervadendo la vita delle so­ cietà contemporanee in tutte le minime nervature, da quelle economiche e so­ ciali, a quelle politiche, psicologiche e tecnico-scientifiche. Eppure il tempo rimane sempre più una terra sconosciuta. Esso pone una questione ineludibi­ le e pur sempre elusa, per impotenza o per calcolo. E questo mentre hanno avuto sempre più corso tentativi di eludere o aggirare l'interrogazione filoso­ fica per intraprendere esplorazioni esclusivamente all 'interno di dimensioni " regionali " e circoscritte dell'esperienza. Partiti dall 'iniziale convinzione che la sua comprensione sia legata piuttosto a una sorta di struttura predicativa che si chiarisce solo a partire dal contenuto di riferimento (tempo è sempre e solo "tempo di qualcosa" ) , infine si tralascia il carattere predicativo di parten­ za, per abbandonarsi direttamente alla " cosa" . Si abbandona così ogni prete­ sa di chiarificazione, per così dire, di "essenza" , o comunque di sfondo " uni­ versale " , per coltivare esclusivamente dimensioni particolari dell'esperienza umana (sociologia, psicologia, psichiatria, economia, fisica, astronomia, dirit­ to, storia, archeologia ecc. ) . Senza tenere in alcun conto quello stesso sfondo che costituisce l'orizzonte all'interno del quale sono possibili le diverse mo­ dulazioni della temporalità a livello regionale. Senza che con ciò tuttavia sia possibile eludere la domanda di partenza. Senza tale domandare, infatti, si smarrisce anche ogni costituzione di senso. Che è senso del nostro vivere. Ma questo invito non contraddice affatto la necessità per la filosofia di confrontarsi in modo più pregnante con il costituirsi delle diverse esperien­ ze e delle diverse scienze. I nuovi percorsi del suo domandare si collocano oggi nei punti di intersezione tra confini apparentemente invalicabili. n cir­ cuito fecondo tra il dato fenomenologico e la riflessione critica non deve es­ sere mai spezzato, pena un impoverimento radicale di entrambi gli approcci. È nel cuore stesso dell'essere che il tempo trova originariamente il proprio rifugio. Alle origini dell'antologia occidentale il tempo costituisce il centro attorno al quale si viene elaborando la questione e il senso dell'essere, come avviene in Parmenide. L'essere cerca di respingere lontano da sé ogni "era e sarà " , per ritrarsi nell"' è" senza tempo. Ma proprio questo "è" non può fare a meno di oscillare ambiguamente tra "presente " e "presenza" , in un "ora " che si colloca nella linea di confine fra temporalità e atemporalità, fra tempo e eterno. Più che un luogo senza tempo, un confine fra i due che è tale solo in quanto è continuamente oltrepassato dal tempo al concetto e dal concet­ to al tempo, come sanno Platone e Hegel. Enigmaticamente risuona la parola di Eraclito (fr. 52): «Aion [tempo] è un fanciullo che giuoca spostando i dadi: il regno di un fanciullo». Luigi Ruggiu 2

l. L'istante:

un

tempo fuori del tempo, secondo Platone

Collegato. al tempo,1 ma ben diverso da esso, in modalità che Platone defini­ sce, come vedremo, "strane" , è l'istante. Questo concetto è espresso dalla forma abbreviata èl;ahpvT}ç, che non compare con grande frequenza nei dia­ loghi (appare solo in nove scritti, a partire dal Gorgia fino alle Leggi e all' Epi­ stola vrn, ma che assume comunque una rilevante importanza teorica nella riflessione platonica. Pur indicando sempre un evento che avviene all'im­ provviso, a volte inaspettatamente, a volte no, e comunque un evento che è come "contratto " in un brevissimo lasso di tempo, l'è!;atCjlVT}ç conosce, a no­ stro avviso, alcune sfumature semantiche e concettuali degne di essere notate. Potremmo dire, per cominciare, che l'istante, o meglio l' «istantaneamen­ te», indica comunque un tempo brevissimo in cui accade qualcosa, per lo più di inaspettato. Così è in tre luoghi del Simposio, in cui tra l'altro l'avverbio serve anche a sottolineare l'ambientazione scenica ed emotiva del dialogo che si sta svolgendo tra i convitati: in 2 12 c, quando Socrate ha appena fini­ to di raccontare il discorso di Diotima sulla bellezza e sul "naturalmente bel­ lo " , all'improvviso (2 12 c: è!;ai.CjlVT}ç) si ode bussare alla porta: è Alcibiade che irrompe, ubriaco e vociante, incoronato di nastri, edera e viole, e che chiede di partecipare al banchetto perché, anche se ubriaco e perciò ridico­ lo agli occhi degli altri convitati, ha delle verità da dire (2 12 d-e) . E, una vol­ ta sedutosi vicino ad Agatone, Alcibiade si volta dall'altro lato e scorge So­ crate. La sorpresa di trovarlo accanto a sé gli fa ricordare la sorpresa che sempre ha accompagnato tutte le occasioni in cui ha incontrato Socrate: «te ne stavi qui sdraiato proprio come fai solitamente, che appari all'improvviso (2 13 c l : èl;ai.CjlVT}ç) dove meno crederei che fossi��. Segue, come è noto, l'e­ logio di Socrate fatto da Alcibiade, e uno scambio di battute tra Alcibiade, Socrate e Agatone; e poi all'improvviso (223 b2 : è!;ai.CjlVT}ç) giunge un'altra numerosa comitiva che si unisce ai convitati: ed è la fine del dialogo. L' «istantaneamente» denota, dunque, un momento nel quale avviene un fatto che coglie di sorpresa, un fatto inaspettato al quale sia l'attore che lo spettatore non erano preparati e che determina una situazione nuova dinan­ zi alla quale essi sono posti, a volte impreparati, a volte costretti ad assume1 Sull'analisi del tempo nel Timeo di Platone, cfr. il nostro volume G. Casertano, Il nome della cosa. Linguaggio e realtà negli ultimi dialoghi di Platone, Napoli 1996, pp. 371-377.

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Filosofia del Tempo

re una rapida decisione. Così è in una serie di passi delle Leggi. Nello stabi­ lire le pene per i vari tipi di delitti, il legislatore deve anche considerare le modalità nelle quali un certo delitto o una certa colpa si sono verificati, pro­ prio perché la sua giustizia non sia astratta: sono i casi, diremmo oggi, in cui debbono essere considerate le "circostanze attenuanti" dell'evento delittuo­ so: il caso, per esempio, di chi per collera (9UJ.1é\l) e in un momento di cieco impeto uccide all'improvviso (866 d 7: èl;ai.cpv11ç) e preterintenzionalmente (cfr. anche 867 a 3 , 867 b 3 ) . Costui poi, in genere, si pente di ciò che ha fat­ to, e certamente deve essere punito con pene più lievi di quelle che spettano a colui che uccide dopo lunga premeditazione, con inganno e astuzia, deci­ dendo e ben sapendo ciò che sta per fare. Analogamente, se è giusto punire il soldato che abbandona le proprie armi in battaglia, non è giusto punire con le stesse pene quel soldato che ha perduto le proprie armi perché preci­ pitato in un dirupo, o caduto in mare, o travolto all'improvviso (944 b 2: èl;ai.cpv,ç) da un torrente in piena. Ma l'evento d'innanzi al quale ci si trova posti all'improvviso può anche determinare la necessità di una scelta rapida e tempestiva, resa necessaria dall'urgenza del momento: così per i pritani, per esempio, che debbono avere sempre il potere di convocare e sciogliere le as­ semblee, sia nei momenti dell'ordinaria amministrazione, secondo le norme stabilite, sia, a maggior ragione, quando capita qualcosa d'improvviso (758 d 4 : èl;ai.cpv,ç) per la città. Potremmo dire che l' «istantaneamente» è quel tempo in cui capita qual­ cosa d'inaspettato, un evento che si verifica indipendentemente da noi, ma che necessariamente ci coinvolge e determina una nostra risposta a livello psicologico: è un evento, insomma, che ci " spiazza" perché va contro il con­ sueto. È il caso, per esempio, di Clinia, nelle Leggi, che si meraviglia quando, così, all'improvviso (665 b 4: èl;ai.cpv,ç), sente l'Ateniese che proclama l'uti­ lità "sociale" di una cosa strana, e cioè di un coro di vecchi consacrato a Dio­ niso. È il caso, anche, di un certo tipo di piaceri, quelli dell'olfatto, i quali, per chi è abituato a considerare meccanicamente l'insorgere di un piacere le­ gato alla sparizione di un dolore, e viceversa la cessazione di un piacere al­ l'insorgere di un dolore, si verificano in maniera atipica, dal momento che es­ si - senza che ci sia stata previamente una sensazione dolorosa - si produco­ no all'improvviso (Repubblica 584 b 7: èl;ai.cpv11ç) , e quando cessano non provocano alcun dolore. Ma è il caso, più sostanziosamente, di ciò che può capitare nel corso di un dialogo. È l'andamento stesso del discorso che può determinare all'improvviso, in un momento preciso di alcune sue svolte, una situazione particolare, di stallo o di meraviglia. A volte può essere un'obie­ zione o una domanda improvvisa a spiazzare l'interlocutore, come è il caso di Megillo , che, interrogato a bruciapelo (Leggi 7 12 e 4 : èl;ai.cpv11ç) dall' Atenie­ se sulla forma politica di Sparta, non sa se definirla una tirannide, o una ari­ stocrazia, o una monarchia, o addirittura una democrazia. E anche Socrate qualifica l'obiezione di Adimanto, che chiedeva non tanto di continuare a descrivere l'ottima costituzione della città, qtJanto di mostrare come essa fos­ se realizzabile, un'irruzione che all'improvviso (Repubblica 472 a 1 : 4

I:istante: un tempo /uori del tempo, secondo Platone él;cxl.q>vllç) egli ha fatto contro il suo discorso senz' alcuna indulgenza per le sue divagazioni. In genere, infatti, non è troppo facile difendersi così, su due piedi (Repubblica 453 c 7 : èl;cxl.q>vllç), dalle obiezioni; come, d'altra parte, non è facile lasciarsi persuadere, sul momento, da un'argomentazione pure logica, ma che conduce a conseguenze inaspettate. Così, nel Crati/o, dichia­ ra Ermogene (Crati/o 3 9 1 a 1 ) . Socrate, infatti, si impegna in una spiegazio­ ne del nome di Zeus che concluderà in maniera decisamente contraria alla concezione tradizionale. n nome di Zeus, infatti, deve essere diviso in due, dal momento che esso è come un'intera proposizione (Myoç), e cioè Zfivcx e �l.cx: ed è corretto che sia chiamato proprio così colui ot' òv l çfjv [per mez­ zo del quale l il vivere] appartiene a tutti i viventi. E perciò che egli sia figlio di Kronos (nell'uso comune e popolare del linguaggio: di un vecchio rim­ bambito) può sembrare un'insolenza, a sentirlo dire così, sul momento (Cra­ tzlo 3 96 h 4: èl;cxl.q>vllç). La novità, e la paradossalità, di queste etimologie, nel Crati/o, che non sono semplicemente ironiche, o polemiche nei confron­ ti degli studi sul linguaggio condotti dai sofisti, ma che vogliono aprire a una più fondata e filosofica riflessione sul problema del linguaggio, sono comun­ que sottolineate da Platone proprio alla fine di questo stesso passo, quando Socrate, quasi complimentandosi con se stesso, tra il serio e l'ironico, si me­ raviglia di questa sapienza (croq>l.cx; cfr. 401 e) che così improvvisamente (Cra­ ti/o 3 96 c 7 : èl;cxl.q>v11ç) gli è piombata addosso. Ed Ermogene di rincalzo: «davvero, Socrate, sembra proprio che all'improvviso [ÈI;cxl.q>vllç] tu ti sia messo a vaticinare, come gli ispirati [Èv9oucrtéòv'teç] » (Cratilo 3 96 d 3 ) . Que­ sto senso dell' «istantaneamente», come quel momento del tempo in cui ap­ pare una conclusione sconcertante, ma che tuttavia è legata all 'andamento stesso della dimostrazione, possiamo ritrovarlo ancora nel Teeteto: nel corso della sua critica articolata e complessa della definizione di È1ttvllç] per nulla in­ feriore eiç croq>i.cxv a qualsiasi uomo o dio?» ( 1 62 c 3 ) . Naturalmente il verificarsi di una situazione insolita in un dialogo è deter­ minato fondamentalmente dallo sviluppo logico di un'argomentazione che conduce inaspettatamente là dove non si aspetterebbe che conduca. Questo determina sì una situazione, temporale e psicologica, di "spiazzamento" ne­ gli interlocutori, ma, a ben guardare, essa è dovuta in fondo a una loro disat­ tenzione: la situazione o la conclusione "strana" che può apparire all'im­ provviso nel corso di una discussione è da imputare più che altro alla poca cura che essi hanno posto nel condurre l'argomentazione: più tecnicamente, alla poca cura che essi hanno avuto nel metodo della discussione, quel meto­ do che, nel Platone degli ultimi dialoghi, non può che essere diairetico. n me­ todo del «dividere per generi», che era stato annunziato per lo meno dalla Repubblica (cfr. 454 a 6: JCcx't' etOTI otcxtpou�evot), e che permette di discute­ re dialetticamente e non di contraddire verbalisticamente, quel metodo sol­ tanto infatti consente di distinguere e di articolare le idee senza cadere in 5

Filosofia del Tempo

conclusioni e in "stranezze" . Per cui, in fondo, è sempre l'ignoranza meto­ dologica e la scorrettezza argomentativa che determinano la "stranezza " di una conclusione (mentre, sappiamo, la "meraviglia" di fronte alle cose e ad un logos, caratterizza al contrario proprio l'atteggiamento filosofico: cfr. Tee­ teto 155 d). Così nel Politico. A pagina 29 1 , il Forestiero, che è impegnato, come sappiamo, a cercare ciò che contraddistingue veramente l'uomo politi­ co rispetto agli altri, rimane sgomento di fronte alla moltitudine di uomini che aspirano a quel titolo: uomini che sembrano leoni, centauri e altri mostri del genere, e che in un attimo (291 b 2: ta:x;u) si scambiano forme e funzioni (291 b 6: ìoÉaç K> che con­ trassegna }"'essere " come contrapposto al " divenire " , cioè è l'espressione del "presente senza tempo" . Ma allusioni a questo tipo di eternità sono state viste, dai teologi cristiani, anche nel Vecchio Testamento, dove Jahvè dice di sé «lo sono colui che sono» (Esodo 3 , 14), e nel Nuovo Testamento, dove Ge­ sù dice di sé «prima che Abramo fosse, io sono» (Giovanni 8, 58).

2.4 Eternità extratemporale ed eternità del tempo Ancora più complesso che in Platone il concetto di eternità si presenta in Aristotele, a proposito del quale si potrebbe veramente dire che anche il ter­ mine "eterno ", come tanti altri, si dice in molti sensi. Naturalmente riman­ gono, anche in Aristotele, i due signficati di eternità distinti dalla filosofia precedente, cioè quello di eternità extratemporale e quello di eternità come durata temporale infinita. Il primo si riferisce alle realtà che Aristotele stesso chiama «le cose che sono sempre» (tà aìeì ovta) e delle quali afferma espli­ citamente che esse «non sono nel tempo» (o\nc ecrnv ÈV XPOVC!)) . Di queste egli dice anche che «non patiscono nulla a opera del tempo», e perciò si con­ trappongono a quelle che sono nel tempo e «patiscono qualcosa da parte del tempo», nel senso che invecchiano, si logorano, si consumano. «Il tempo in­ fatti» afferma Aristotele, «è di per se stesso causa soprattutto di corruzione, perché è numero del movimento, e il movimento pone l'esistente fuori di se stesso [1Ì & Jciv11crtç tçicrt11crtV tò u1t/ o anco­ ra «principio della sensibilità» (xprotov aicr911ttK6v, 450 a 14, formula reim­ piegata in 45 1 a 1 7 ) . E per meglio collegare la memoria alla facoltà di sentire e al suo organo centrale, che sintetizza i dati dei sensi particolari, Aristotele rinuncia a ogni spiegazione intellettualistica della memoria. Egli comincia ricordando che il pensiero stesso non può esercitarsi senza immagine con la famosa formula: VOEÌV OÙK EO'tt v aVEU > (p. 43 1). " De civitate Dei XII,16, 1 : CC 48,37 1 . In tal senso, sottolinea Solignac, il mondo degli angeli è perfettamente integrato nell'universo delle creature, diventando >. Si tratta di un tema costante, co­ me dimostra il fatto che esso riaffiori con grande intensità anche in una del­ le ultime e più importanti opere di Bruno: nella Lampas triginta statuarum, in relazione, anche in questo caso, al tema dell'Ombra, la quale - sottolineerà il Nolano - produce dal suo seno «cose innumerabili» che essa stessa consuma e divora, essendo al tempo stesso «madre» e «distruttrice» di ogni cosa (se­ condo un lessico che, come si vede, è precisamente quello del De la Causa).18 Si situa proprio qui - nella consapevolezza della «mutazione vicissitudinale» del tutto - la beatitudine del filosofo, il quale - come si legge nel De infinito - gode dell' «essere presente», senza lasciarsi turbare «dalla sollecita cura di piaceri» o dal «cieco sentimento di dolori», ben sapendo che «cosa non è di male da cui non s'esca, cosa non è di buono a cui non s'incorra».19 Ma la riflessione di Bruno intorno al tempo non si ferma a questo stadio, così come la beatitudine del filosofo non si risolve nella "indifferenza" sa­ pienziale che connota, in modo particolare, i dialoghi cosmologici. Al con­ trario: essa tende a proiettarsi oltre la vicissitudine, individuando una felicità che si situa al di là della consapevolezza che ogni cosa è "vanità" , secondo il verso dell'Ecclesiaste che Bruno ama spesso citare. Mira, insomma, a spezza­ re l' eguagliamento nel ciclo vicissitudinale del bene e del male, mettendo a fuoco, oltre l'indifferenza del tempo, un più alto concetto sia di verità che di felicità. E tende a fare questo confrontandosi apertamente con la tematica dell'infinità. Già nello Spaccio Bruno si muove in questa direzione, ponendo il proble­ ma della responsabilità etica dell'uomo, lungo il processo di formazione del­ le civiltà che conduce l'uomo al di là del livello sia della animalità che della naturalità: «gli dei», scrive Bruno in una pagina famosa, «aveano donato a l'uomo l'intelletto e le mani, e l'aveano fatto simile a loro, donandogli facultà sopra gli altri animali; la qual consiste non solo in poter operar secondo la natura ed ordinario, ma, ed oltre, fuor le leggi di quella; acciò, formando o possendo formar altre nature, altri corsi, altri ordini con l'ingegno, con quel­ la libertade, senza la quale non arrebe detta similitudine, venesse ad serbarsi dio de la terra [. . .] ».20 È da questo processo di costruzione della dignitas pro­ pria dell'uomo che nascono, osserva il Nolano, insieme alle industrie, le ma­ lizie: ma con loro germina e si sviluppa anche la capacità di distinguere - e scegliere - fra il bene e il male, fra il vizio e la virtù, determinando il confine - sempre aperto, sempre in discussione - tra umanità e bestialità. Di qui na­ sce, per il Nolano, anche la possibilità di porre un " chiodo" alla fortuna, va­ lorizzando la fatica - cioè l'opera - dell'uomo impegnato nella costruzione ,. lvi, III, p. 35. " G . Bruno, Dialoghi italiani, cit., pp. 359-360. 20 lvi, pp. 732-73 3 .

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della civiltà come nella trasformazione della naturalità. All 'eguagliamento del tempo - e all'indifferenza sapienziale - si contrappone dunque l'azione concorde dell'intelletto e delle mani, che spingono l'uomo verso la divinità. Ma occorre intendersi su cosa significhi questo «porre un chiodo alla for­ tuna»: nello Spaccio, non significa sottrarsi alla vicissitudine. Intanto, tra l'una e l'altra - tra la fortuna e la vicissitudine - non c'è rapporto, di alcun tipo. Anzi: di fortuna parla l'insensato, che non conosce la realtà; a diffe­ renza del sapiente, che non si lascia turbare dagli eventi fortunosi, cono­ scendo la «mutazione vicissitudinale» di ogni cosa. Per Bruno, l'occhio del sapiente è, esattamente, il contrario dello sguardo opaco dell'ignorante che s'affida alla fortuna, incapace di comprendere il ritmo «circolare» della realtà. Inchiodare la fortuna vuol dire dunque, anzitutto, conoscere più ap­ profonditamente la verità, uscire dal caos della particolarità, porsi dal pun­ to di vista dell'universalità - come fa, appunto, il sapiente. Anche in un te­ sto come lo Spaccio il Nolano resta del tutto estraneo a tradizionali conce­ zioni di carattere "umanistico" . Chiarito questo, non c'è dubbio che nel primo dialogo morale si apra una tensione, un'aporia di cui è una precisa "spia " proprio il differente lessico usato da Bruno: mentre nei dialoghi cosmologici si batte sulla funzione del­ la " contemplazione" propria del sapiente, nei dialoghi morali si insiste sul­ l'intreccio di azione e di contemplazione: «per questo ha determinato la pro­ videnza, che vegna occupato ne l'azione per le mani, e contemplazione per l'intelletto; de maniera», ribatte Bruno, «che non contemple senza azione, e non opre senza contemplazione».21 In altre parole, nel primo dialogo morale alla figura del sapiente s'intreccia - anzi si sovrappone - la figura dell'uomo che agisce e opera costruendo nuovi " corsi " , facendosi interprete e artefice del prodursi infinito della Vita-materia infinita. Al tempo stesso - e va sottolineato - nello Spaccio l'enfasi sulla dimensio­ ne dell"' azione " (volutamente rivolta contro i "puritani" inglesi della secon­ da metà del Cinquecento) non mette però in questione, direttamente, il prin­ cipio della vicissitudine, su cui anzi Bruno insiste fin dalle prime pagine del testo. Non è qui, dunque, che si apre, in modo diretto, la tensione, l'aporia, cui sopra si faceva riferimento. Essa si svela, obliquamente, nella determina­ zione del significato etico dell'opera dell'uomo, da cui anzi, nei dialoghi mo­ rali, discende un ripensamento della " costituzione interiore " della stessa "metempsicosi " , imperniato sulla connessione organica fra " azioni" e "in­ carnazioni" lungo la ruota infinita delle metamorfosi. E qui conviene, per un momento, fissare il punto dell'analisi. Bruno, come è noto, non credeva nell'Inferno, come sottolinea Mocenigo con gli Inquisitori: «E dicendogli io che tacesse, e che di grazia si espedisse di quello ch'egli avea da far per me, perché essendo io Catolico e lui pegio che luterano non lo potevo sopportare, mi disse: "Oh vederete quello ch'avan" Ibid. 103

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ciarete del vostro credere e ridendo mi diceva: "Aspettate il giudizio, quan­ do tutti ressussiteranno, che vederete allora il premio del vostro merito ! "».22 Giovanni Mocenigo dice la verità, anche su questo punto: dal punto di vista della concezione della Vita-materia infinita Inferno, Purgatorio, Paradiso so­ no una insensatezza. Su questo non c'è dubbio. Così come non c'è dubbio sul fatto - l'abbiamo appena visto - che nello Spaccio si stabilisca un nesso organico, diretto tra " azione " e "merito " dell'uomo nella serie universale delle "mutazioni" , sottolineando il principio della responsabilità etica del­ l'uomo. Fra l'una e l'altra posizione c'è dunque uno scarto, una tensione: è qui, precisamente - in questo scarto - che s'annida l'aporia. Per cercare di intendere perché questo awenga - perché si apra cioè que­ sta aporia - conviene riprendere le mosse dai versi citati all'inizio. «Omnia cumque facis cumque omnia destruis, hinc te l Nonne bonum possem dice­ re, nonne malum?», si legge nel componimento latino che apre il De la Cau­ sa.23 Generando e divorando ogni cosa, il tempo non si lascia qualificare dal punto di vista etico. Né buona né cattiva, la sua legge si identifica con il fato della "mutazione" universale - della qual cosa si rende conto il sapiente, consapevole - si è già visto - che «cosa non è di male da cui non s'esca, cosa non è di buono a cui non s'incorra, mentre per l'infinito campo, per la per­ petua mutazione, tutta la sustanza persevera medesima ed una».24 Sta qui, ap­ punto, la sua felicità. Ma, il sapiente, proprio perché sapiente, resta chiuso nella " contemplazione " , nell ' "intelletto" , resta, cioè, distante dall"' azione" , in cui s'impegna l'uomo costruttore di nuovi " corsi naturali" , attraverso l'o­ pera concorde dell'intelletto e delle mani, scegliendo direttamente tra bene e male, fra vizio e virtù. È questo il secondo "grado" della riflessione del No­ lana: nella specifica "felicità" del sapiente si svela anche il limite di un'intera esperienza umana e intellettuale. Un punto, infatti, per Bruno, è assolutamente chiaro: è solo scegliendo e operando che l'uomo può farsi - e serbarsi - «dio de la terra»: solamente uscendo, cioè, dalla dimensione della pura contemplazione, ponendosi oltre l"'eguagliamento " del tempo, !"'indifferenza" sapienziale. Solamente l'uomo "virtuoso " e "operoso" - dischiudendosi un varco oltre la "vanitas " della vi­ cissitudine - può rifare il mondo "giovane" dopo la "vecchiaia" del ciclo ebreo-cristiano, ridefinendo il bene e il male, il vizio e la virtù. È da questa persuasione originaria - variamente modulata nelle opere di Bruno - che germina il processo di rideterminazione dei valori etici estranei, struttural­ mente, al "vegliardo" generatore e distruttore di ogni cosa. Sta qui l'origine dell'aporia sopra individuata: nello Spaccio il cerchio della vicissitudine si tende mostrando una netta, per quanto obliqua, incrinatura dell'indifferenza "sapienziale" dominante nei tre dialoghi cosmologici. Della qual cosa dà 22 G. Bruno, Un'autobiografia, cit., p. 44. " G . Bruno, Dialoghi italiani, cit., p. 189 (trad. it. : «poiché sei tu che tutto fai e tut­ to disfai/ potrei chiamarti buono,/ o chiamarti cattivo?>>. " lvi, p. 359.

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puntualmente conto il ripensamento della concezione della metempsicosi at­ tuato nel primo dialogo morale. A differenza di quanto pensino critici pur autorevoli, non ha dunque senso risolvere la problematica di Bruno intorno alla verità e alla "felicità" dell'uomo sul piano della vicissitudine, che rap­ presenta solo un grado - decisivo, ma un grado - della sua riflessione filoso­ fica. Vale la pena di insistere su questo, facendo un confronto con un altro au­ tore che al tema della vicissitudine dedica pagine straordinarie, Pietro Pom­ ponazzi. Nel De Fato - per limitarsi a questo testo eccezionale - il Pompo­ nazzi si ferma con forza sul tema, sviluppando fra l'altro temi e citazioni ari­ stoteliche riprese poi anche da Bruno: «Videamus etiam in universo unum al­ terum quod certe intente consideranti non videtur esse nisi ludus Deorum veluti est ludus pilae apud homines», scrive nel libro secondo. «Videmus enim quod sol continue oritur in mane, in sero occidit, et sic continue reite­ rat; ignis aerem corrumpit, modo aer ipsum ignem quasi ultus; et sic succes­ siva vicissitudine elementa corrumpuntur in mixta et denuo mixta vice versa in elementa. Est enim perinde ac si quis ex multis lapidibus construeret do­ mum, qua constructa, corrumperet eam et ex ea faceret lapides; et iterato ex lapidibus domum construeret, deinde eam destrueret, et sic successiva et perpetua vicissitudine. Nonne etiam ludus Deorum videtur quod tanto inge­ nio et tot adminiculis generet hominem (est enim organizatissimus homo) et statim facto homine aliquando corrumpat? Nonne enim Deus videtur similis architecto qui multa opera et impensa construxisset aliquod palatium pul­ cherrimum in nullo deficiens, et statim confecto palatio rueret ipsum? non­ ne hoc ascriberetur insaniae architecti? Non minus et inintelligibile videtur an sit ludus, an insania, an insipientia hominem perducere ad summum cul­ men, et quam primum limen attigerit ipsum eiicere et in profundum emitte­ re. Et infinita possent adduci quae aut insaniam, aut crudelitatem, aut lu­ dum, aut aliud simile in Deo arguere videntur; quae tamen omnia salvantur quoniam sic exigit universi natura [ . . . ] ».25 Vicissitudine come ludus: è un tema sul quale Pomponazzi insiste a più ri­ prese, con tragica ironia, sottolineando come, proprio in grazia della vicissi­ tudine, «qui prius et in uno saeculo fuisset mendicus in altero saeculo fuisset rex vel dominus»; allo stesso modo in cui «aliquae civitates vel loca quae ali­ quando fuerunt magna et potentia, postea fiunt parva et debilia, nam: 'ubi mare ibi postea arida', et sic per infinitam vicissitudinem ut docet Aristoteles in fine primi libri Metheororum [ . . .]».26 Una sorte eguale per ogni cosa, per " Petri Pomponatii Libri quinque De fato, De libero arbitrio et de praedestinatione, edidit R. Lemay, Lucarti 1957, pp. 195 - 196. 26 lvi, pp. 205 -206. E precisamente il testo dei Meteora/., lib. l, cap. XIV, che Bru­ no cita nella Cena de le Ceneri, cit., p. 2 1 7 : «Aristotele s'ha possuto accorgere della mutazione secondo le disposizioni et qualità, che sono nelle parti tutte de la terra; ma non intese quel moto locale che è principio di quelle. Pure nel fine del primo libro della sua Metheora ha parlato come un che profetiza, et divina [ . . ]». .

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ogni anima, in fine: ma è proprio l'eguagliamento astratto di tutti i destini ­ al di là di ogni "merito " e di ogni "virtù" - che ribadisce il carattere di scher­ zo crudele, di ludus insensato della successiva et perpetua vicissitudo, mo­ strando in cosa effettivamente consista la "giustizia" di Dio: «unde et sic po­ nendo neque in Deo violebitur esse iniustitia neque crudelitas, quandoqui­ dem unusquisque et de bono et de malo aequaliter participabit; nam et qui erit rex aliquando erit pauper, et qui pauper aliquando rex. Quod si iterum dicatur iste videtur esse unus ludus deorum; verum, ut diximus, etiam pone­ re illam vicissitudinem in sublunaribus videtur esse ludus deorum. Unde», conclude, «Plato in I De legibus dixit se ignorare, cum homo sit miraculum in natura, ad quid Deus eum fecerit, an ludo an serio».27 A conferma del ri­ lievo che Pomponazzi gli attribuisce, è un motivo che ritorna - negli stessi termini, con le stesse parole, con gli stessi esempi - nelle pagine finali del te­ sto, nell'Epilogus sive peroratio: «[. .. ] videmus in universo hoc quod terra fer­ tilis nunc, postea est sterilis, et sic vicissitudinarie, et de magnis et divitibus fiunt abiecti et pauperes, et sic discurrendo per universum ut patet per hi­ storias. Nam vidimus Graecos dominari Barbaris, et nunc Barbari dominan­ tur Graecis, et sic discurrendo per omnia reliqua. Quare verisimiliter videtur quod qui nunc est rex aliquando erit servus, et e contra. Unde nulla videtur esse inaequalitas simpliciter inter homines secundum istum modum [. . .]».28 Aequalitas, nuovamente: ma è solo l'effetto di un movimento indifferente, che eguaglia ogni destino, macinandoli, uno per uno, in un cerchio infinito. Svelandosi come il ludus del Dio, la vicissitudine delle " cose" e delle " anime" si trasforma in un processo insensato, senza scopo, senza ragione: di sapore nihilistico, verrebbe da dire. Con posizioni come queste Bruno non ha niente a che fare: da un lato egli celebra «l'alta e magnifica vicissitudine che agguaglia l'acqui inferiori alle su­ periori, cangia la notte col giorno, ed il giorno con la notte»29 (individuando in questa consapevolezza la "felicità " del " sapiente" ) ; dall'altro si pone il problema di andare oltre la vicissitudine, valorizzando, al di là dell'eguaglia­ mento astratto di ogni destino, il "merito " e la "virtù" di ciascuno. Ostile a ogni " ideologia" dell'eguaglianza - che critica, anzi, severamente, come tipi­ ca di «certe deserte e inculte repubbliche» -, Bruno è altrettanto estraneo a ogni inclinazione di tipo "nihilistico " (che pure di recente gli è stata attri­ buita) . Nel Sigillus sigillorum riprende - e svolge - il tema del "servo" e del " re" su cui Pomponazzi, come si è visto, insiste a più riprese, ma per ribadi­ re, con forza, quello che anzitutto gli interessa: il principio dell'unità della Vita e della Mente infinita. «[. .. ] cur non rationem ipsum esse intellectum nunc et hic subito contuentem, tunc et ibi discursiones progressionesque ar" lvi, p. 206. " lvi, p. 452 . Su questi temi - e in genere sulla posizione di Pomponazzi - cfr. E.

Garin, Lo zodiaco della vita. La polemica sull'astrologia dal Trecento al Cinquecento, Roma-Bari 1976, pp. 109- 1 1 8. " G . Bruno, Dialoghi italiani, cit., p. 947 . 106

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gumentando fundentem dixerim? Differt nimirum servus a principe, practi­ cus a theorico; sed quid impedit, quominus unus idemque hic serviat, ibi praecipiat, nunc speculetur, tunc operetur? Et sicut eamdem dicis essentiam, cur non eamdem dixeris essentiae vim , quae pro materiae, organorum ac­ tuumque varietate ad diversos promoveatur actus?».30 Conviene insistere su questi temi anche per segnalare, simultaneamente, la distanza che separa lo Spaccio dai Furori. In Bruno - non si sottolineerà mai a sufficienza - oltre al "motivo" , contano le "variazioni" cui esso è, incessan­ temente, sottoposto. Nel primo dialogo morale si parla dell'uomo come «dio de la terra»; nell'ultimo si sottolinea - puramente e semplicemente - che il furioso «doviene un dio dal contatto intellettuale di quel nume oggetto». È una differenza fondamentale, in cui si rispecchia un differente rapporto con la divinità, con l'unità - e anche con la dimensione della temporalità e della infinità. Per riprendere le coppie viste all'opera nella concezione della mate­ ria elaborata nel De la causa, l'uomo che tra "malizie " e " ingiustizie" costrui­ sce civiltà, facendosi «dio de la terra» continua a situarsi dal punto di vista del " corporeo" , dell"'esplicato" , dell"' universo" : agisce cioè al livello della natura attraverso la magia, riscoprendo l'antichissima sapienza degli Egizi. Si situa, insomma, al livello dell'ombra, circoscrivendo su questo piano la pro­ pria azione, nel quadro di una scelta "metafisica " del tutto consapevole. È sintomatico che il secondo dialogo dello Spaccio si apra con due distinzioni essenziali: da un lato fra «somma e prima verità» e «certa figura, certa imagi­ ne e certo splendor di quella», che l'uomo «sensibilmente» vede; dall'altro fra «providenza», che «influisce e si trova nelli principii superiori» e «pru­ denza», che è la stessa dea «in quanto è effettuata in noi: come sole suole es­ sersere nomato e quello che scalda e diffonde il lume, ed oltre quel lume e splendor diffuso che si trova nel specchio ed oltre in altri suggetti». La qua­ le prudenza, va aggiunto, «è posta e consistente in certo discorso temporale [. . ]».31 Si tratta, in entrambi i casi - è appena il caso di dirlo - di distinzioni organicamente connesse al quadro antologico presentato nel De la causa, di­ scorrendo della materia "corporea " e della materia "incorporea" , cioè del rapporto fra "luce" e "ombra" . Ma è precisamente questa distinzione - e la circoscrizione che ne consegue dal punto di vista dell'opera e del fine dell'uomo - che si mette radicalmen­ te in questione nei Furori, nei quali, - a differenza dello Spaccio, che da que­ sto punto di vista si può considerare un testo di passaggio, di transizione -, si .

'0 J. Bruni Nolani Opera latine conscripta, cit. , p. 177 (trad. it. : «Perché non dovrei dire che la ragione sia l'intelletto stesso, che afferra, qui ed ora, immediatamente, e che fonda con l'argomentare, là e allora, articolazioni e concatenazioni discorsive? Senza dubbio il servo è diverso dal principe, il pratico dal teorico, ma cosa impedisce che uno e lo stesso, qui serva, lì comandi, ora speculi e in un'altra occasione agisca? E così come dici che l'essenza è la stessa, perché non potresti dire che stessa è anche la forza dell'essenza che, attraverso la materia e attraverso la varietà degli organi e degli atti genera le diverse azioni?») . ll lvi, pp. 646-648. 107

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incrina definitivamente, e in modo consapevole, il primato del principio "vi­ cissitudinale" , in rapporto alla determinazione sia della "felicità" che della stessa "verità " . Rispetto al livello rappresentato dal "sapiente " da un lato, dall'uomo " operoso" e "virtuoso" dall'altro, il furioso costituisce un punto di vista radicalmente nuovo: o meglio, costituisce un' "esperienza" esisten­ ziale e intellettuale in cui i modelli di "vita contemplativa " e di "vita activa" che essi rispettivamente rappresentano sono sussunti e fusi in una nuova concezione - e in un nuovo intreccio - dell'uno e dell'altro, alla luce di un nuovo, e più profondo, rapporto con la divinità, con l'unità. Quello cui mira il furioso non è, infatti, «certa figura e imagine» della verità; ma è la «somma e prima verità». E perciò egli non si restringe al " discorso temporale " pro­ prio della "prudenza" : oltre la vicissitudine, mira all"'uno" , al "semplicissi­ mo " , all' " assoluto " , all ' "insieme " , al "complicato " . Vuole situarsi al di là de­ gli "istanti del tempo " , del "successivo" , dell'"esplicato " , dei "molti" : tende, in una parola, all"' istante dell'eternità" . E mira a tutto questo accettando fi­ no in fondo la dimensione dell'infinità. Vuole dunque " indiarsi " , farsi " dio " puramente e semplicemente; non essere, e serbarsi solamente - come avvie­ ne nello Spaccio - «dio de la terra». È da questa intenzione che germina una concezione della "vita contem­ plativa" che va ben oltre quella fatta propria dal sapiente, che Bruno nei Fu­ rori circoscrive, e delimita, in modo deciso, programmatico. Quando si guarda all'unità, alla assoluta e semplicissima divinità non è possibile re­ stringere il proprio sguardo alla vicissitudine, al ciclico " ritorno" del bene e del male, del piacere e del dolore collocandosi nella casa della Temperanza, consapevoli che ogni cosa è vanitas e solo vanitas nella ruota delle meta­ morfosi. Non è sufficiente questo, sottolinea con forza il Nolano: per vedere l'assoluta verità occorre scegliere, in modo radicale, collocarsi da un punto di vista determinatissimo, rifiutare l'intero, stare nella massima parzialità. A differenza del sapiente che, risolvendo il suo occhio nella legge del tempo, contempla il conciliarsi e l'uguagliarsi di tutti i contrari attraverso la conver­ sione di ciascuna cosa in tutte le altre, chi intende arrivare all'unità - alla "fonte " da cui scaturisce ogni mutazione - deve collocarsi nella massima contrarietà: e di qui iniziare il proprio cammino verso la divinità. La qual co­ sa - dal punto di vista personale, autobiografico - vuol dire operare il " di­ squarto" di sé, coinvolgendo fino in fondo anima e corpo nella ricerca della verità. Significa cioè rinunciare a ogni equilibrio di carattere statico, respin­ gendo in modo drastico l'indifferenza di tipo "sapienziale " di fronte all'infi­ nito svolgersi della realtà. A chi osservasse che è, precisamente, nell'equili­ brio che consiste la "virtù " , mentre il vizio risiede nella contrarietà, si può ri­ battere che questo è vero in generale, non dal punto di vista di chi si mette alla ricerca della " somma e prima verità " . Nell'infinito, è solo dal "vizio " ­ cioè dalla rottura di ogni equilibrio di tipo contemplativo - che può scaturi­ re la visione della " semplicissima" e " assolutissima" unità. Nell'infinito: giacché è l'infinito che muta in modo radicale le vie di approccio alla verità, trasformando, al tempo stesso, in profondità il concetto di "vita contempla108

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tiva " . Rispetto al complicato, all'uno, all'" istante de l'eternità " , non si fa un passo con la contemplazione " indifferente " ; ci vuole - si è visto - la lacera­ zione di sé: cioè un nuovo intreccio di "vita activa " e di "vita contemplati­ va" , che conduca al di là degli itinerari in cui si circoscrivono il sapiente da un lato, l'uomo operoso, "virtuoso " dall'altro. Nello Spaccio Bruno aveva battuto sul nesso fra mani ed intelletto, sottolineando che l'uomo non deve agire senza contemplazione, non deve contemplare senza azione. Nei Furori si insiste sull'intreccio fra "occhi" e " cuore " , fra intelletto e volontà: «vera­ mente l'intendere, il vedere, il conoscere», scrive Bruno, «è quello che ac­ cende il desio, e per conseguenza, per ministerio de gli occhi, vien infiam­ mato il core: e quanto a quelli fia presente piu alto e degno oggetto, tanto piu forte è il foco e piu vivaci son le fiamme».32 In breve: è negli occhi - nella potenza visiva - che viene dunque collocato nei Furori il principio dell' azio­ ne, e per un motivo preciso: senza " azione" - cioè senza volontà - non c'è "contemplazione" della "prima verità " ; si resta nel corporeo, nell'ombra, sotto la legge della vicissitudine, come accade nella contemplazione sapien­ ziale. Non si riesce a pervenire all"' istante de l'eternità" , là dove il tempo, "irato" , mena invano i suoi fieri colpi, non potendo apparire né buono, né malvagio. Come si legge nel componimento che apre il De la Causa, «Là do­ ve non è manifesto alcun vestigio stampato dall'altro Caos,/ non voler parer benigno, non voler parer malvagio» (Nulla ubi pressa Chaos atri vestigia pa­ rent l Ne videare bonus, ne videare malus) . Nei Furori Bruno si pone dunque il problema di muovere verso il " com­ plicato " , l"'uno" , l"' insieme" : in una parola, verso l'assoluta verità, assu­ mendo il punto di vista dell'infinità. Ma è consapevolissimo del limite stret­ to - di carattere schiettamente antologico - entro cui si muove il furioso, pur operando il " disquarto" di sé. E questo per un motivo di fondo, propria­ mente strutturale, che, messo a fuoco per la prima volta negli anni giovanili trascorsi nel convento napoletano di San Domenico, attraversa dall 'inizio al­ la fine tutta la sua opera. In breve: in tutta la sua riflessione il Nolano muove dal convincimento di una "sproporzione" radicale fra finito e infinito, fra en­ te e accidente, tra uomo e Dio, alla quale già si è fatto sopra riferimento. Quando a Venezia, nel 1592, gli Inquisitori lo interrogano sui dubbi da lui avuti - ed esplicitamente riconosciuti sul terreno strettamente filosofico - in­ tomo alla divinità e al Cristo, il Nolano risponde con nettezza: «lo ho stima­ to che la divinità del Verbo assistesse a quell'umanità de Cristo individual­ mente, e non ho possuto capire che fosse una unione ch'avesse similitudine di anima e di corpo, ma una assistenzia tale, per la quale veramente si potes­ se dire di questo uomo che fosse Dio, e di questa divinità che fosse orno. E la causa è stata», prosegue, «perché tra la substanzia infinita e divina, e finita ed umana non è proporzione alcuna come è tra l'anima e il corpo, o qual si vo" lvi, p. 1 128.

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glian due altre cose le quali possono fare uno subsistente. E per questo», conclude, «credo che Sant' Agustino ancora temesse di proferir quel nome persona in questo caso [ . . . ]».)) A questo nocciolo teorico acquisito attraverso la critica antitrinitaria di Ario e di Sabellio, Bruno non viene meno mai, in nessun momento della sua opera. È per questo - mi è già capitato di osservarlo - che al Nolano restano estranei sia il dogma dell'Incarnazione che la visione dell'indiamento umano di tipo ficiniano: sia l'una che l'altra sono strutturalmente impossibili, e per lo stesso motivo: la sproporzione fra finito e infinito, uomo e Dio, ente e ac­ cidente. Al fondo, è di questo che è consapevole il sapiente confinato nella contemplazione della vicissitudine: egli sa, dal suo punto di vista, che oltre non può andare. Intrecciandosi all'antitrinitarismo originario del Nolano, l'infinitismo ribadisce, potenziandola, la persuasione bruniana sulla "acci­ dentalità " dell'uomo, sulla sua strutturale " sproporzione" rispetto all'ente, a Dio, alla "verità prima e assoluta" . Appunto per questo, le pagine delle ope­ re sia italiane che latine sono solcate, in modo sistematico, dalle distinzioni tra "materia corporea " e "materia incorporea" , fra Dio e universo, fra "som­ ma e prima verità" e certa "figura e immagine" che l'uomo "sensibilmente " vede - a conferma della distanza radicale del Nolano da ogni antropocentri­ smo umanistico di carattere tradizionale. Si capirebbe di più, credo, dei ca­ ratteri del suo approccio sia al copernicanesimo che all'infinitismo, se si te­ nesse fermo questo punto: Bruno si pone senza timori sulla strada dell'infi­ nito, non essendo mai stato persuaso - fin dalla prima giovinezza - della " centralità " umanistica dell'uomo. Ma non è di questo che intendo ora parlare. Mi interessa ribadire che è so­ lo su questo sfondo che è possibile intendere il valore eccezionale di un dia­ logo come i Furori, che tende appunto a problematizzare quella "spropor­ zione" strutturale, cercando di stabilire un circuito di comunicazione fra en­ te e accidente, fra l'uomo e la "prima e assoluta verità" , nello sforzo di guar­ dare oltre il tempo indifferente, al di là della vicissitudine. Appunto per que­ sto Bruno parla di " disquarto " del furioso, insistendo sulla " divisione" del­ l' anima come sul tormento del corpo: perché solo a questo patto - forzando, cioè, al massimo la contrarietà e sperimentando il vizio - è possibile il viaggio che conduce il furioso oltre se stesso, al di là della sua costitutiva accidenta­ lità - all"'unità" , dentro l"' infinità" . Ma su questo punto occorre essere netti: proprio perché all'idea di quella " sproporzione" non viene meno mai - neanche in un testo eccezionale come questo, denso di echi e motivi di carattere autobiografico - nei Furori Bruno definisce un duplice " confine" all ' itinerarium hominis ad Deum: da un lato sottolinea che il furioso facendosi «tutto occhio a l'aspetto de tutto l'orizon­ te», tutto «guarda come uno, non vede piu per distinzioni e numeri, che se­ condo la diversità de sensi, come de diverse rime fanno veder e apprendere " G . Bruno, Un'autobiografia, cit., pp. 65 -66.

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Infinito e tempo nel pensiero di Giordano Bruno

in confusione».34 Riesce cioè a godere: ma nell'ombra - subito precisa - nel­ l'universo, nella «genitura», non nell' «essenza». Unità "umbratile " , dunque; non "prima" e " assoluta" : dal furioso il "limite" è spostato al massimo delle possibilità dell'uomo, ma non è tolto, eliminato. Bruno, sia detto di passag­ gio, non ha nulla a che fare con posizioni mistiche. Come riconferma, pun­ tualmente, il secondo punto su cui volevo in conclusione richiamare l'atten­ zione: situandosi nell'infinito, il "processo" contemplativo di cui è artefice il furioso non ha nulla a che fare con un moto rettilineo, di carattere "fisico " : «atteso che non è cosa naturale né conveniente che l'infinito sia compreso, né esso può donarsi finito, percioché non sarrebe infinito; ma è conveniente e naturale che l'infinito, per essere infinito, sia infinitamente perseguitato, in quel modo di persecuzione il quale non ha raggion di moto fisico, ma di cer­ to moto metafisico; ed il quale non è da imperfetto al perfetto, ma va cir­ cuendo per gli gradi della perfezione, per giongere a quel centro infinito, il quale non è formato né forma».31 Quando il centro si spezza, !' "unità " non si acquisisce mai, in via definitiva, una volta per tutte: si sposta, proprio mentre la tocchiamo, in un circuito di infinita, inesauribile, perfezione, che - va pre­ cisato anche questo - non ha nulla a che fare con una prospettiva di tipo nihilistico. Lo sforzo del furioso ha dunque confini netti, che vanno sottolineati. A patto di non dimenticare il risultato eccezionale che egli consegue: la "visio­ ne" - pur "umbratile " - dell'unità, della verità, della divinità - in una parola di ciò che, ontologicamente, sta al di là del tempo, della vicissitudine. Non ha dunque senso, a mio giudizio, stabilire rapporti fra i Furori e il Candelaio: al di là del ritorno di motivi comuni (o di citazioni comuni) - la qual cosa è del tutto normale nel caso di Bruno - sono testi che si pongono in "luoghi" op­ posti della riflessione del Nolano. TI furioso riesce a guardare là dove il , Principia philosophiae, I § 2 1 , in AT VIII. l , p. 1 3 . u «Perspicuum enirn est attendenti a d temporis naturam , eadem piane vi e t actione opus esse ad rem quamlibet singularis momentis quibus durant conservandum, qua opus esset ad eandem de novo creandum, si nondum existeret [. .. ]», Meditationes III, in AT VII, p. 49. 1 6 «Duratio, ordo et numerus a nobis etiam distinctissirne intelligentur, si nullum iis substantiae conceptus affingamus, sed putemus durationem rei cujusgue esse tantum modum, sub guo concipimus rem istam, quatemus esse perseverat», Principia philo­ sophiae, I § 55, in AT VIII. l , p. 26. 1 16

Dalla durata alla /orma dell'intuizione. Il concetto di tempo nel XVII e XVIII secolo

Descartes chiarisce la relazione tra tempo e durata nei Principia: se cerchia­ mo di distinguerli e di dire, con Aristotele, che il tempo è il "numero del mo­ vimento " , allora questo sarebbe «solo uno stato del pensiero, poiché noi di fatto non notiamo nel movimento nessun'altra durata che quella che notiamo nelle cose non mosse [. .. ] . Per misurare la durata di tutte le cose, la confron­ tiamo con la durata di quei movimenti di grandezza maggiore o uguale, da cui riceviamo gli anni e i giorni, e chiamiamo tempo questa durata.». De­ scartes ripete riassuntivamente: «Questo non aggiunge alla durata, nel senso più ampio, nient'altro che uno stato del pensiero».17 Poco più avanti viene chiarito che: «Quella sostanza che smette di durare, smette anche di essere, e perciò nel pensiero viene distinta dalla sua durata». La differenza tra durare e esse di una sostanza può essere dunque solo una distinctio rationis, perché si può rappresentare una cosa che dura solo come essente e una cosa che esi­ ste solo come una che dura.18 Nello stesso tempo, con questo è chiaramente formulato il principio che la duratio non è una proprietà della cosa, ma una differenziazione imposta alla cosa dalla rappresentazione. Che rapporto c'è tra queste riflessioni e il concetto cartesiano di sostanza? Una sostanza è contrassegnata tradizionalmente dalla sua persistenza nel tempo. Questo permette a Descartes di considerare la materia di volta in vol­ ta in uno stato - con una tendenza al movimento - invece di dover parlare di velocità e tempo. Con ciò non viene contestato che noi sperimentiamo i pro­ cessi fisici come processi temporali, ma questo non richiede, secondo l'inter­ pretazione di Descartes, l'assunzione di un'ulteriore sostanza, il tempo, che dovrebbe aggiungersi alla res extensa. Poiché i corpi sono interamente com­ prensibili mediante predicati di estensione - quindi geometricamente - e poi­ ché il movimento viene definito come mutamento di luogo - quindi a sua vol­ ta geometricamente - da questo consegue una completa geometrizzazione della res extensa. Ma ciò che è descrivibile geometricamente può essere trat­ tato grazie alla geometria analitica cartesiana; e poiché, infine, la matematica è accessibile alla res cogitans, l'intero procedimento consegue, secondo l'in­ tenzione di Descartes, la conoscibilità certa del mondo nelle sue trasforma­ zioni. Questa visione delle cose permette - così almeno pensava il suo autore - di evitare una sostanzializzazione del tempo attraverso la limitazione dell'a­ nalisi a concetti quali la durata come estensione temporale e il movimento co 17 «lta, cum tempus a duratione generaliter sumpta distinguirnus, dicimusque esse numerum motus, est tantum modus cogitandi; neque enim profecto intelligimus in motu aliam durationem quam in rebus non motis [ . . . ] . Sed ut rerum omnium dura­ tionem metiamur, comparamus illam cum duratione motum illorum maximorum, et maxime aequabilium, a quibus fiunt anni et dies; hancque durationem tempus voca­ mus . Quod proinde nihil, praeter modum cogitandi, durationi generaliter sumptae superaddit», ivi, I § 57, in AT VIII. l, p. 27 . 18 «quia substantia quaevis, si cesset durare, cessat etiam esse, ratione tantum a du­ ratione sua distinguitur>>, ivi, I § 62, in AT VIII. l , p. 30. Cfr. M. Schneider, Das me­ chanische Denken in der Kontroverse. Descartes' Beitrag zum Geist-Maschine-Problem, Stuttgart 1993 (= Studia Leibnitiana Suppl. 29), p. 243 .

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Filosofia del Tempo

me mutamento di luogo, e di comprenderlo nell'ambito di una teoria della res extensa. Così Descartes credeva di poter sviluppare, sulla base della sua teo­ ria dei vortici, una teoria delle origini del mondo, cioè una spiegazione glo­ bale dell'intera storia dell'universo: dio ha creato solo la materia inizialmente caotica con le leggi in essa impresse, tutto il resto accade senza interventi.19 Ora, non si tratta qui della cosmologia di Descartes, ma del fatto che i suoi concetti di durata e movimento, con la rappresentazione del tempo a essi inerente, dispiegano un intero modello cosmologico, vale a dire quello di un cosmo legiforme e conoscibile, in cui non c'è posto per forme sostanziali e qualità occulte. Tutta la materia è caratterizzabile mediante quattro grandez­ ze: «il movimento, la grandezza, la forma e l'ordine delle sue parti».20 Rivolgiamoci ora alla res cogitans e al problema delle relazioni temporali ri­ spetto a essa. Già i modi cogitandi, che Descartes enumera - «res cogitans [ . . . ] Nempe dubitans, intelligens, affirmans, negans, volens, nolens, imaginans quoque, et sentiens»'' - sono modi attivi e passivi. Anche le facoltà conosciti­ ve che dalle Regulae vengono designate con intellectus, imaginatio, sensus e memoria, sono tutte interpretate come attività.22 Indubbiamente, con questo entra in gioco il tempo - e a partire da Plotino è familiare l'idea che il tempo sia dato con il movimento spontaneo dell'anima del mondo. Tuttavia non tro­ viamo niente di tutto questo in Descartes, se è vero che questi contrappone i modi cpgitandi attivi, come modi volendi, a quelli passivi come le perceptio­ nes.'' La pretesa di Descartes è piuttosto di procedere rispetto all'io pensante esattamente come per il mondo corporeo: l'attività è una proprietà immediata della sostanza, non però qualcosa che si lasci dividere ulteriormente in modo tale che si darebbero da un lato una proprietà, dall'altro il tempo, o durata. Nei colloqui con Burman, Descartes si occupa della relazione tra tempo e pensiero. Burman aveva argomentato così: lo spirito potrebbe afferrare sem­ pre solo una cosa; una dimostrazione consiste però di più passaggi; se dun­ que un singolo atto di pensiero è instans, istantaneo, le dimostrazioni sono impossibili. Descartes replica che nel pensiero si afferrano senz' altro più co­ se contemporaneamente; ma innanzitutto - e questo è importante nel nostro contesto - spiega che è falso che una cogitatio abbia luogo solo in un istante (/iat in istanti) , «perché ognuna delle mie azioni accade nel tempo [fiat in tempore] , e si può dire che io proseguo e persisto per un certo tempo nella cogitatio».24 Con ciò l'atto di pensiero diviene, come Descartes concede, ,. Le Monde, capp. VII e VIII, in AT XI, pp. 36 ss. 20 «le mouvement, la grosseur, la figure e l'arrangement de ses parties», ivi, cap. V, in AT XI, p. 26. " Meditationes II, in AT VII, p. 28. " Regulae ad directionem ingenzi, Regula XII, in AT X, p. 4 1 0 . " Principia philosophiae, I § 32 e ss., i n AT VIII. l , p. 17 24 «quod cogitatio etiam fiat in instanti, falsum est, cum omnis actio mea fiat in tem­ pore, et ego possum dici in eadem cogitatione continuare et perseverare per aliquod tempus», Ad Med. I, ed. H. -W. Arndt, p. lO e in AT V, p. 148. Adam e Tannery leg­ gono "possim " ; io seguo Arndt. -

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Dalla durata alla /orma dell'intuizione. Il concetto di tempo nel XVII e XVIII secolo

«esteso e divisibile rispetto alla sua durata»25 - ma non esteso nel senso della res extensa. Ciò che Descartes respinge è la visione tradizionale, per cui l'in­ stans sarebbe paragonabile a un punto geometrico e richiederebbe qualcosa come un "punto temporale " : questo, in ogni caso, non può darsi nel pensie­ ro, per cui si deve trattare di una durata (per quanto minima) .26 Il che è no­ tevole, perché significherebbe che la duratio nella res extensa e la duratio nella res cogitans non sono identiche. Ma questo non potrebbe essere, perché alla duratio, come differenziazione dell'essere nella cogitatio, dal punto di vi­ sta cartesiano deve convenire un prius, dal momento che solo a partire da qui otteniamo una conoscenza chiara del mondo corporeo. Descartes non mostra le conseguenze che ne risultano - forse perché la sua seconda dimostrazione dell'esistenza di dio gli intralciava il cammino. Pren­ diamo i risultati ottenuti sulla duratio e mettiamoli in relazione con la res ex­ tensa: già la definizione della sostanza richiede durata; ma questa non è una proprietà e può - per quanto distinta - essere separata solo nel pensiero. Poi­ ché Descartes parla della durata solo come di una distinctio rationis e poiché la vede posta nella res extensa in ogni istante, come durans nella vis agendi, nasce qui una concezione del tempo che, perseguita coerentemente, non porta al tempo relazionale di Leibniz, ma, oltre Leibniz, all'idea che il tempo stesso sia prodotto a partire da uno stato dinamico nel senso di una creatio continua - o nel senso di un tempo che si temporalizza spontaneamente. De­ scartes però resta chiuso a entrambe le possibilità, perché non vuole toccare il concetto tradizionale di sostanza, sebbene l'idea di una evoluzione del co­ smo, che egli cerca di intendere per la prima volta in modo legiforme, per­ metterebbe, proprio per l'elusione di una sostanzializzazione del tempo, an­ che un'evoluzione spontanea della durata; così, le cosmologie moderne sono ancora sempre figlie di Descartes, per quanto riguarda il loro modo d'inten­ dere il tempo. Piuttosto, si doveva aspettare fino a Kant per accordare al tempo come forma un primato sistematico sul tempo fisico e sul mondo cor­ poreo, e fino a Bergson prima che prendesse forma l'idea di liberare il tem­ po pensato e vissuto dal tempo fisico, per comprendere il presente come qualcosa di temporalmente esteso. La soluzione cartesiana può sembrare sorprendente, dal momento che esclude completamente il tempo a vantaggio della sua integrazione nella res cogitans nella forma di cogitationes dotate di una estensione minimale e nel­ la res extensa nella forma di stati della res durans, che incorporano una vis. Manca anche qualunque determinazione precisa, da introdurre al posto del­ la definizione aristotelica del tempo. L'idea fondamentale resta tuttavia affa-----

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" «Erit enirn [cogitatio] extensa et divisibilis quoad durationem, quia ejus duratio potest dividi in partes; sed non tamen est extensa et divisibilis quoad suam naturam, quoniam ea manet inextensa», ibid. " Cfr. Principia philosophiae, III § 63 , in AT VIII. l , p. 1 15, dove di un movimento di palle permanente si dice: «[ . . . ] hoc non nisi per minirnum temporis punctum, quod instans vocant, durare potest, et ideo continuitatem motus non interrumpit>>. 1 19

Filosofia del Tempo

scinante; perché persegue coerentemente un programma che deve rendere possibile la comprensione del mondo in una mathesis universalis. Così, all'i­ nizio della scienza moderna e della filosofia del soggetto sta il tentativo di de­ lineare un concetto di tempo interamente nuovo, che viene messo nel conto di questa nuova impostazione; tuttavia, esso resta contraddittorio e oscuro in punti decisivi.

9.3 Leibniz owero la relatività del tempo Il concetto leibniziano di tempo era solo appena più facile da comunicare al XVII e al XVIII secolo di quanto lo fosse quello di Descartes.27 Questo può, non ultimo, aver fatto sì che la tesi della relatività dello spazio e del tempo, nella corrispondenza con Samuel Clarke, apparisse come una semplice con­ trotesi all'interpretazione newtoniana dell'assolutezza dello spazio e del tem­ po. In queste lettere, Leibniz argomenta apparentemente solo in termini me­ tafisico-teologici, quando dice: se ci fossero uno spazio e un tempo assoluti, dio non avrebbe avuto alcuna ragione per creare il mondo, per dargli realtà, in questo tempo e in questo spazio altrimenti vuoti, in un determinato mo­ mento e in una posizione determinata.28 In effetti, le riflessioni di Leibniz vanno molto in profondità ed erano state guadagnate già alcuni decenni pri­ ma, nel confronto con Descartes. Con Descartes, Leibniz condivide la convinzione che il mondo sia in linea di principio conoscibile. E come lui è dell'idea che al momento della crea­ zione sia stata attribuita al mondo una quantità di moto che causa la sua di­ namica, anche se determina tale quantità in modo completamente diverso da Descartes. Anche il cogito viene - e anche qui con un fondamento diverso ripreso e radicalizzato: non c'è un cogito, ma l'infinita moltitudine di indivi­ dui organici animati, le monadi, che vanno da dio, attraverso uomini e ani­ mali, fino alle piante. Esse sono tutte caratterizzate unicamente dai loro stati interni, le percezioni, e dall' appetitus come anelito che sospinge di percezio­ ne in percezione.29 Nell'appetitus si nasconde dunque tanto una forza, che Leibniz chiama vis primitiva/0 quanto un momento temporale, che si riflette nell'armonia prestabilita come sincronizzazione interna dei decorsi di tutte le monadi, simbolizzata dall'immagine degli orologi perfettamente sincroni.31 Tuttavia, Leibniz non accetta assolutamente la res extensa di Descartes: 27 Cfr. su questo punto H. Poser, Leibnizens Theorie der Relativitiit von Raum und Zeit, in W. Muschik, W. R. Shea (a c. di) , Philosophie-Physik-Wissenscha/tsgeschichte. Kolloquium der TU Berlin und des Wissenschaftskollegs zu Ber/in (= TUB Dokumen­ tation Kongresse u. Tagungen, 45 ) , Berlin 1989, pp. 123 - 1 3 8 (trad. it . , La teoria leib­ niziana della relatività di spazio e tempo, in "Aut Aut", 254/255, 1 993 , pp. 3 3 -44 ). 2' Terza lettera a Clarke, § 5 e 6. z • Monadol. § 14 e ss. , in GP V, pp. 60 e ss. 30 Systeme nouveau, in GP IV, pp. 479 e Specimen dynamicum, p. l, in GM IV, p. 236. " Extrait d'une lettre de M. D. L., in GP IV, pp. 500 ss. 120

Dalla durata alla forma dell'intuizione. Il concetto di tempo nel XVII e XVIII secolo

l'estensione non può affatto essere una sostanza, perché, contro tutte le de­ finizioni classiche della sostanza, è divisibile. Piuttosto, l'estensione è solo una forma di descrizione.32 Per l'estensione valgono esattamente gli stessi ar­ gomenti che Descartes aveva presentato per rifiutare la sostanzialità della duratio a favore di un modus cogitandi. Leibniz scrive a Bourget: «Dico che per quel che riguarda il tempo vale lo stesso che per lo spazio, e cioè che il tempo separato dalle cose non è un ente assoluto, bensì un oggetto di pen­ siero».33 Ora, la sostanza dev'essere ciò che permane in tutti i mutamenti. Ciò che permane, nel mondo, è proprio ciò che no� è esteso, perché la quantità di moto cercata, che Leibniz vede nell'energia cinetica totale mtl, non ha assolutamente la forma di un'estensione.34 Così Leibniz pervenne al­ l'idea che solo le monadi, con i loro decorsi interni e nella loro armonia pre­ stabilita, sono ciò che esiste in senso proprio, mentre il mondo spaziotem­ porale è un fenomeno prodotto dal prospettivismo delle singole monadi. Questo mondo fenomenico è ben fondato, ma appunto per questo derivato; e la forza che vi opera è una vis derivativa, che ha la sua origine nella vis pri­ mitiva delle monadi. Cosa significa questa cornice metafisica per il tempo? Nel mondo fenome­ nico il tempo non può avere alcuna forma di esistenza propria, può solo, co­ sì afferma Leibniz, essere una struttura relazionale degli eventi nella loro successione.35 Seguiamo più da vicino i suoi argomenti. Leibniz comincia con la definizione della simultaneità (simu[) come esistenza di più cose che non si escludono reciprocamente,36 il che allude al principio di identità e con­ traddizione, secondo cui ciò che implica contraddizione è falso e non può esi­ stere.37 Questo principio fornisce la condizione di compossibilità per tutto ciò che esiste simultaneamente. Leibniz appoggia così il concetto di simulta­ neità alla sua teoria dei concetti assolutamente semplici e alla sua logica com­ binatoria in quanto struttura logico-concettuale del mondo. Già il concetto di simultaneità, quindi, non può affatto essere pensato senza profondi pre­ supposti. Connessioni di questo tipo ci sono sempre; altrimenti Einstein non sarebbe potuto arrivare alla teoria della relatività attraverso una critica dei presupposti del concetto di simultaneità. Ma torniamo a Leibniz. Dalla simultaneità, la strada porta all'ordine temporale della successione. Anche questo richiede un principio, il principio di ragion sufficiente, secondo cui niente accade senza causa, o ratio; perché «se di due cose non simultanee l'una contiene la ragione dell'altra, quella sarà considerata precedente, que-

" Maggio 1702, in GP IV, pp. 3 93 e ss. " «le temps separé cles choses n'est pas un etre absolu, mais une chose ideale», Bourget, 2. 7. 17 16, in GP III, p. 595 . " Discours de Metaphysique § 1 7 , in G P IV, pp. 442 e ss. " Così, per esempio, la terza lettera a Clarke, § 4 . " Initia rerum mathematicarum metaphysica, in G M VII, p. 18: «Si plures ponantur existere rerum status, nihil oppositum involventes, dicentur existere simul». " Per esempio, Monadol. § 3 1 . 12 1

Filosofia del Tempo

sta successiva».38 Qui risulta chiaro perché Leibniz dovesse respingere la teo­ ria cartesiana dell'indipendenza delle parti successive della duratio: se la du­ ratio è distinta dalla res solo concettualmente, come Descartes stesso afferma, e se, come Leibniz crede, l'intero corso del mondo è governato dal principio di ragione, perché dio altrimenti non avrebbe avuto alcun motivo per creare questo mondo, allora ogni stato del mondo deve contenere in se stesso ogni stato successivo. Più precisamente: la successione delle percezioni di una qualunque monade è riflessa nella legge individuale corrispondente, che con­ tiene l'intero destino della monade dalla creazione fino alla fine del mondo, e inoltre, per la compossibilità, anche, virtualmente, i destini di tutti gli altri individui. Ogni individuo rappresenta quindi l'intero mondo, compreso il passato e il futuro. Questo vale anche per il mondo dei fenomeni, in cui tut­ to dev'essere collegato da leggi. Così Leibniz può proseguire: «Poiché, a cau­ sa della connessione di tutte le cose, lo stato precedente in me contiene an­ che gli stati precedenti delle altre cose, esso contiene anche la ragione del lo­ ro stato successivo e dunque è precedente a esse. Tutto ciò che esiste può es­ sere quindi ordinato secondo la relazione di simultaneità, di precedenza o di successione».19 Anche la successione temporale è dunque connessa con un principio me­ tafisica, nella misura in cui è suscettibile di una fondazione epistemologica. Tuttavia, non si dovrebbe obiettare che questo è un prezzo troppo alto per dare un ordine al tempo; perché oggi non va diversamente, quando parliamo di una "freccia del tempo" e la fondiamo col principio di entropia: anche dietro a tutto questo stanno delle assunzioni di fondo sul mondo, che non sono meno metafisiche dei principi leibniziani. Proprio i suoi principi si di­ mostrano fruttuosi, perché Leibniz ora può distinguere ciò che Descartes identificava: «Il tempo è l'ordine di ciò che non esiste simultaneamente». Egli aggiunge, a chiarimento, che questo sarebbe l' «ordine generale del mu­ tamento» (ordo mutationis generalis).40 Dal tempo bisogna distinguere la du­ ratio, perché «La durata è la misura del tempo».41 Il tempo è una grandezza continua; se la durata viene uniformemente ri­ dotta, trapassa quindi «nel momento, cui non conviene alcuna grandezza».42 Così Leibniz perviene, sullo sfondo del suo calcolo infinitesimale, a una so­ luzione precisa per il problema lasciato aperto da Descartes , che cosa sia un " >, co­ me sostiene invece M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, trad. it. M.E. Reina, rev. e introd. di V. Verra, Bari 198 1 , p. 164 e nota 88. " lvi, B 68 (89). " Ibid. 141

Filosofia del Tempo

po con la coscienza fenomenica di sé mostra come, nel nostro essere tempo­ ralmente determinati, non potremo mai trasferirei con la nostra conoscenza finita nell'origine stessa del nostro essere modificati, anche se sappiamo che tale origine c'è come attività pura. Questa inattingibilità dell'origine, che si manifesta nella forma temporale del senso interno, finisce poi per caratteriz­ zare l'intero mondo fenomenico, i cui momenti sono sospinti costantemente e indefinitamente l'uno fuori dell'altro proprio in quanto, immediatamente o mediatamente, passano tutti attraverso il senso interno. La dipendenza interiore del soggetto da se stesso contrassegna la sua fini­ tezza in maniera ben più radicale di qualsiasi dipendenza esteriore ed essa merita il nome di "tempo " , perché, pur non essendo in sé nulla di tempora­ le, precede e fonda tutti i rapporti temporali determinati. Non sarebbe pos­ sibile infatti intuire le pure relazioni di successione, di simultaneità, di per­ manenza se esse non facessero capo unitariamente all' autoaffezione con cui l'animo viene modificato da se stesso: la durata e la costanza della coscienza di sé è il correlato dell'intuizione della permanenza, il contraccolpo che l'in­ tuire subisce nel trovarsi modificato dalla sua stessa attività rende possibile l'intuizione della successione, l' autoriferimento, per cui è un unico e med esi­ mo soggetto a trovarsi attivo e passivo a un tempo, consente l'intuizione del­ la simultaneità.

1 0.5 Conclusione Per tornare, conclusivamente, alle domande che ci hanno mosso nella ricer­ ca della costituzione trascendentale dello spazio e del tempo, possiamo ora dire di essere in grado di chiarire come queste due forme pure, eterogenee nella loro struttura, possono scaturire dal ceppo unitario dell'intuizione? Una traccia forse non casuale, a conferma delle analisi kantiane, viene offer­ ta dal linguaggio. Ciò che l'intuire coglie di sé, quando si volge a determina­ re la struttura formale dell'An-schauen, dell'in-tueri, è proprio l'An- o l'in­ che specificano la forma del "vedere " . È nell"'in-" che l'intuire trova il più proprio di se stesso come in-tuizione. Colto a questo livello, l"'in- " non è nulla di spaziale, ma è il modo d'essere in cui l'intuire è originariamente de­ stinato al rapporto ad altro, a un'alterità nei cui confronti è, per così dire, inerme e suscettibile di essere modificato con una immediatezza cui non ha nulla da opporre se non le forme pure della propria recettività. Se nell'intui­ zione assunta per sé, in totale indipendenza dall'empirico, non vi sono che puri rapporti, il più antico di questi rapporti, quasi la forma originaria del rapportare come tale, è l'essere-in. Per rapportarsi, infatti, bisogna prima es­ ser-ci e esserci comporta già la distinzione e il rapporto tra il trovarsi in qual­ cosa e ciò in cui ci si trova. Ne è una riprova il fatto che solo sulla base dell' "in " dell'in-tuire diventa possibile qualcosa come la differet"J.za tra un interno e un esterno. La distin­ zione tra senso esterno e senso interno, presentata descrittivamente da Kant come cosa accettata e nota, in realtà presuppone già l'essere-in come forma 142

Spazio e tempo nell'Estetica trascendentale di Kant

pura del ceppo unitario dell'intuire ed è possibile solo sulla base della sua rappresentazione a priori. " Esterno " e " interno " sono infatti già determina­ zioni spaziali e quindi limitazioni interne di qualcosa che le rende possibili, che le precede, quindi, e che inerisce ancora più originariamente all'intuizio­ ne. Questo qualcosa può essere individuato nella sua configurazione più ele­ mentare nell'essere-in, il quale, anteriore alla sua articolazione in spazio e tempo, costituisce la forma predisposta perché possa apparire la differenza tra senso esterno e senso interno e le loro rispettive forme pure. Con questo si sono già oltrepassati i limiti entro cui Kant mantiene l'inda­ gine sulla costituzione trascendentale dell'intuire. Tuttavia se si volesse rico­ struire geneticamente l'articolazione delle forme pure dell'intuizione a parti­ re dalla struttura elementare dell'essere-in, questa, come possibilità di un rapporto, mostra di avere già in sé una duplice destinazione: essa può essere "in " rapporto a se stessa o ad altro da sé, vale a dire può essere modificata o da quel centro di attività cui essa stessa appartiene, come referente passivo dell'attività dell'appercezione pura, o da quei centri di attività che sono rap­ presentati dalle cose esterne difformi da essa. In tale originario essere-in, spazio e tempo mostrano ancora fuse insieme le loro caratteristiche essenzia­ li: la possibilità stessa d'istituire una differenza tra senso esterno e senso in­ terno indica la presenza nell'intuire di un principio di spazializzazione che è anteriore allo spazio come forma pura del senso esterno; altrettanto il tro­ varsi collegato, nell'unità del Gemut, a un'attività che lo determina come suo momento funzionale passivo, assegna all'intuire un carattere temporale che anticipa il tempo come forma pura del senso interno. In effetti, relativamen­ te al tempo, la seconda sezione, aggiunta nella seconda edizione alle Osser­ vazioni generali sull 'estetica trascendentale, colloca a buon diritto Kant tra i pensatori dell'origine del tempo. Egli qui non si limita a riferire generica­ mente il tempo al soggetto come forma pura dell'intuizione, capace unica­ mente di fondare il calcolo matematico, senza dire nulla intorno alla sua ori­ gine. Al contrario, egli mostra come l'intuire abbia in sé preformata la con­ dizione di venire modificato non genericamente da qualcosa, ma dall ' attività di quel medesimo " se stesso " di cui fa parte. Questa distinzione in sé da sé è ciò senza di cui non sarebbe possibile rilevare nessuna successione, nessun mutamento e divenire. È essa che, stabile e permanente, immune dal passa­ re e dallo scorrere, costituisce il tempo originario, ciò attraverso cui passa e scorre qualunque cosa modifichi il soggetto, contrassegnando l'intero mon­ do oggettivo con l'impronta della propria finitezza essenziale. Franco Chiereghin

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Filosofia del Tempo

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1 1 . Tempo e concetto in Hegel

1 1 . 1 Perché il tempo? La metafisica assoluta, 1 che ha le proprie radici storiche in Parmenide e Spinoza, assumendo come originario l'infinito e la sostanza, impedisce di attribuire l'essere al finito e al tempo. La risposta alla domanda: "perché il tempo " ? , è possibile solo se esso è espressione dello stesso assoluto. Nel tempo si manifesta la scissione. Quindi, si impone la necessità di riportare la scissione a pieno titolo nell'unità dell'assoluto e fare del tempo non solo qualcosa che appartiene all'assoluto, ma l'assoluto stesso in una modalità particolare del suo essere e manifestarsi.2 La risposta alla domanda: " che ' K. Diising, Schelling und Hegels erste absolute Metaphysik (1 801-1 802). Zusam­ men/assende Vorlesungsnachschri/ten von I. P V Troxler, hers. eingeleitet und mit In­ terpretationen versehen , Koln 1988. 2 Per esigenze di metodo escluderemo in questa sede la trattazione del rapporto tem­ po-storia; su questo aspetto rinvio ai seguenti saggi e alla relativa bibliografia: F. Chiere­ ghin, Tempo e storia in Hegel, in "Verifiche" , 23 , 1 994 , pp. 17-56; B. De Giovanni, La critica al tempo della coscienza nella "Grande Logica", in Aa.Vv., Incidenza di Hegel, Ro­ ma 1970; B. De Giovanni, Hegel e il tempo storico della società borghese, Bari 1970; L. Lugarini, Tempo e concetto nella comprensione hegeliana della storia, in "ll Pensiero" , 22, 198 1 , pp. 7-38 (ora in Id. , Prospettive hegeliane, Roma 1986, pp. 2 1 3 -257 ) ; R . Raci­ naro, Realtà e conciliazione. Dagli scritti teologici alla filosofia della storia , Bari 1975 ; R. Racinaro, V. Vitiello (a c. di), Logica e storia in Hegel, Napoli 1985 . Per la citazione delle opere di Hegel: Hegel G.W.F. , Phiinomenologie des Geistes, nach dem Texte der Origi­ nalausgabe, hrsg. J. Hoffmeister, Hamburg 1952 (trad. it. a c. di E. De Negri, Firenze 193 3 ; 1963 ), abbreviato: Phlin.; Di/ferenz des Fichteschen und Schellingschen Systems der Philosophie, in Jenaer Kritische Schri/ten (l), hrsg. H. Brochard, H. Buchner, Ham­ burg 1979 (trad. it. in Primi scritti critici, a c. di R. Bodei, Milano 197 1 ) , abbreviato: Diff. ; Vorlesungen uber die Geschichte der Philosophie, trad. it. Lezioni sulla storia della filosofia, a c. di E. Codignola, G. Sanna, Firenze 1967 , abbreviato: V.G.Ph.; Vorlesun­ gen uber die Asthetik, Frankfurt a. M. 1.�69 (a c. di N. Merker, trad. it. di N. Merker e N. Vaccaro, Torino 1967), abbreviato: Asth. ; Wissenscha/t der Logik, hrsg. G. Lasson, Hamburg 1975 (trad. it. di A. Moni, Bari 1925 ; 1968), abbreviato: W.d.L. ; Enzyklopii­ die der philosophischen Wissenscha/ten im Grundrùse, Heidelberg 1817, (trad. it. a c. di F. Biasutti, L. Bignami, F. Chiereghin, G.F. Frigo, G. Granello, F. Menegoni, A. Moret­ to, Trento 1987 ) , abbreviato: Enz. A; Enzyklopiidie der philosophischen Wissenscha/ten im Grundrisse ( 1 830), hrsg. F. Nicolin und O. Poggeler, Hamburg 1959 (trad. it. di a c. di B. Croce, Bari 195 P), abbreviato: Enz C.; G. W. F. Hegel, Hegels Raum - Zeit - Leh re. Dargestellt anhand zweier Vorlesungs-Nachschri/ten, a c. di W. Bonsiepen, in " Hegel­ Studien " , 20, 1985, pp. 61-78, abbreviato: R.Z. A. 145

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cos'è il tempo " ? , viene allora a coincidere con quella circa l'essenza dello stesso assoluto. Questa identità viene affermata nel contesto della Fenomenologia dello spi­ rito: Die Zeit ist der Begri/f selbst, der da ist: «Il tempo è il concetto medesi­ mo che è là».3 Nell'asserto hegeliano, se per un lato tempo e concetto sono identici, per l'altro essi sono non solo differenti, ma tali per cui il tempo stes­ so è destinato a scomparire e a togliersi nel concetto puro. Il tempo è entro l'essere come concetto e ha realtà solo in quanto è nel concetto. In questo senso, il tempo non si costituisce come la dimensione onniavvolgente del concetto. Esiste una proposizione di identità che caratterizza il nesso tempo­ concetto: «il tempo è il concetto medesimo» (Die Zeit ist der Begri/f selbst) . È quindi dell'unico e medesimo concetto che si affermano le due modalità d'essere. Nella dimensione fenomenologica, il tempo, cioè il concetto in quanto esserci, «si presenta alla coscienza come intuizione vuota», contenu­ to intuito nel suo essere pura forma senza contenuto, come in Kant. In que­ sta identità relativa, il concetto " sporge" rispetto al tempo: il tempo è il con­ cetto, ma solo in quanto quest'ultimo è "esserci" . Questo "esserci" è con­ nesso con il fatto che il tempo si mostra come "necessità" e come "destino" dello spirito.4 Già nello scritto sulla Di/ferenz si diceva che l'Assoluto «deve porsi [ . . .] nella manifestazione stessa, cioè non annientarla, ma costruirla co­ me identità».' Il porsi del concetto, del Sé, come altro da sé, il suo perdersi nella estraneazione e esteriorizzazione, è il tributo necessario che il concetto deve pagare per sapersi e porsi come concetto. E dal momento che esterio­ rizzazione e alienazione significano "tempo" , la temporalizzazione del con­ cetto costituisce una tappa necessaria del processo che ha come scopo il co­ glimento di sé da parte del concetto medesimo. Solo quando si pone come «intuire concepito e concettivo», allora il concetto supera la sua forma tem­ porale e elimina il tempo. Gli asserti sul nesso tempo-concetto, rinviano a una determinazione del­ l'essenza del tempo, che trova il suo luogo d'origine nell'ambito della filoso­ fia della natura. La natura per Hegel costituisce la stessa idea nel suo rendersi esteriore: es­ sa incorpora in sé l'idea.' L'attenzione verte quindi sul carattere di frammen­ tazione e di dispersione come caratterizzazioni della natura, di contro allo ' Phan . , p. 558 (trad. it. vol. II, p. 298) . • Phan . , p. 558. ' Diff. , p. 45 . ' L'osservazione tutt'altro che innocente è, come è noto, di M. Heidegger, Sein und Zeit, Frankfurt a.M. 1976, § 82 , che su questa base costituisce una genealogia della centralità della "naturalizzazione" del tempo nella filosofia occidentale. Cfr. J. Derri­ da, Ousia et grammè. Note sur une note de Sein und Zeit, in Id. , Marges de la philo­ sophie, Paris 1972, pp. 3 3 -78; D. Souche-Dagues, Une exégese heideggerienne: le tem­ ps chez Hegel d'après le § 82 de "Sein und Zeit", in "Revue de Metaphysique et de Mo­ rale" , l, 1979, pp. 101- 120; V. Vitiello, Heidegger Hegel e il problema del tempo, in Id. , Dialettica ed ermeneutica. Hegel e Heidegger, Napoli 1979, pp. 15 -43 . 146

Tempo e concetto in Hegel

spirito che è orizzonte dell'unità e della conciliazione.7 Non è difficile scor­ gere in questo concetto di " dispersione" la ripresa di quei caratteri che sono stati individuati da Plotino e da Agostino come espressione dell'essenza del tempo, e cioè diastema e distentio. Con una differenza di fondo, tuttavia: che qui il processo di "distensione" in quanto "esteriorizzazione" proprio della natura e del tempo coinvolge lo stesso assoluto. L'alterità che contrassegna la natura è riferita innanzitutto a se stessa, piut­ tosto che essere rinvio a «l'idea nella forma dell'essere altro» [Enz. C, § 247 ] . n concetto di natura si completa tuttavia in riferimento anche al "vivente" . «La natura è in sé un tutto vivente», che si d à immediatamente come «este­ riorità» (A u/Serlichkeit) in se stessa, «esser-altro-da-sé» (A u/Sersichsein ) , «astratta esteriorità» (die abstrakte A u/Serlichkeit) . Vi sono due modi dell'e­ steriorità, l'uno è lo spazio, l'altro è il tempo [R.Z. A, 40] . La differenza è co­ stituita dal fatto che nel primo l'indifferente essere-al-di fuori di sé esiste co­ me quiete (als ruhend) nella forma del Nebeneinander, nell'altro nella sua ne­ gatività, essere al di fuori di sé come divenire (werden) nella forma del Na­ cheinander. Nelle diverse redazioni della Naturphilosophie che si sono susseguite da Je­ na in poi, il nesso essenziale è tale che appare una certa perplessità nell' assu­ mere il tempo (come in Systementwiir/e II [ 1 804- 1 805 ] ) piuttosto che lo spa­ zio come punto di partenza della deduzione, come avverrà poi a partire dal Systementwur/e III [ 1 805 - 1 806] .8 Spazio e tempo sono determinazioni della quantità. Lo spazio è caratterizzato dall'indifferenza (Gleichgultigkeit) e se­ parazione reciproca dei suoi momenti.• «La quantità è il puro essere, in cui la determinazione è posta non più come una con l'essere, ma come superata o indifferente» [Enz. C, § 99] . La natura comincia con la quantità, non come categoria logica bensì reale. Il carattere del punto di spazio è solo quello di essere un " qui " , che sta ac­ canto a un altro " qui " ; questo stare accanto costituisce nello stesso tempo una negazione e una esclusione. Ogni " qui" spaziale è nello stesso tempo molteplice, in quanto esso è in se stesso anche un sopra e sotto, destra e sini­ stra. Quindi esso ha l'esteriorità in se stesso. I punti spaziali in quanto mol­ teplici richiamano la differenza, nel mentre ciascuno è assolutamente identi­ co all'altro nella sua spazialità in differenziata. Per questo, in realtà essi si danno come uno e medesimo e quindi continuo. Si viene così a produrre la dialettica già messa in luce da Zenone.

' L. illetterati, Natura e ragione. Sullo sviluppo dell'idea di natura in Hegel, Trento 1995 , pp. 1 17 ss. ' D'ora in poi citeremo con SW1 , G.W.F. Hegel, ]enaer Systementwur/e I, vol. 6, a c. di K. Diising e H. Kimmerle, 1975 ; con SW2 , ]enaer Systementwur/e II, vol. 7 , a c. di R.-P. Horstmann e ].H. Trede, 197 1 ; con SW3 , ]enaer Systementuwur/e III, vol. 8, in collaborazione con ].H. Trede, a c. di R.P. Horstmann, Hamburg 1976. Cfr. SW3 , p. 9, p. 15 e SW2 , p. 2 1 0, 18. ' SW3 , p. 9, 1 1 .

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Pertanto, «lo spazio è solo un essere accanto all'altro [Nebeneinander] , ma un essere uno accanto all'altro del tutto ideale» [R.Z A, 4 1 ] . La "pun­ tualità " (Punktualitiit) allora non è, e il continuo si presenta senza alcuna interruzione. La negatività dello spazio rimane quindi in sé quieta e para­ lizzata, e non procede oltre l'indifferenza dell'essere fuori di sé spaziale. Lo spazio si costituisce come astrazione, unità della differenza e dell'indiffe­ renza. Sono questi caratteri, a parere di Hegel, che costituiscono la base per la considerazione dello spazio da un lato come "spazio assoluto " , secondo il modello newtoniano, proprio perché esso è solo astratto spazio, e per altro lato come "spazio relativo " , secondo il modello leibniziano, in quanto esso si dà solo in riferimento a ciò che lo riempie. Hegel respinge le tre tradizionali determinazioni metafisiche dello spazio, nelle quali si afferma: l ) che esso esiste come qualcosa di sostanziale; 2) che è solo una qualità delle cose, un ordine delle cose (Leibniz) ; 3 ) che è qualcosa di soggettivo (Kant), nell' am­ bito della contrapposizione tra soggetto e oggetto [R. Z. A, 42] . La critica di Hegel investe queste diverse tesi. Lo spazio, infatti, non è qualcosa di esi­ stente per sé, risultando del tutto privo di quel carattere di resistenza che compete a ciò che è reale. In questo senso, esso necessita di un riempimento, e quindi di una relazione alle cose, senza tuttavia ridursi al concetto di "or­ dine" in senso leibniziano, giacché esso sussiste anche se togliamo le cose che lo riempiono. Rispetto alla determinazione kantiana che ritiene lo spazio for­ ma dell'intuizione sensibile, Hegel osserva che lo spazio è una pura forma, ma solo in quanto astrazione, e quindi non è nulla di reale [R. Z. A, 43 ] . È un sensibile, il cui carattere è appunto di essere-al-di fuori-di sé, ma pienamen­ te insensibile. Esso è del tutto inscindibile dalle cose sensibili, dunque una sensibilità non sensibile e una insensibile sensibilità. 10 Lo spazio non può prescindere dalla cosa sensibile, anche se non è a essa riducibile. Esso rende possibile l'essere sensibile delle cose. La dialettica immanente allo spazio tra molteplicità discreta e continua fa di queste solo una possibilità. Il carattere di limitazione, di negativo o di puntualità è una possibilità. Si possono porre dei limiti spaziali in generale, senza con questo interrompere lo spazio [R.Z. A, 44] . Come si perviene alla posizione della determinatezza, con il suo carattere qualitativamente differenziante, nell'ambito dello spazio? Hegel considera il punto non come componente positiva dello spazio, sic­ ché lo spazio sarebbe costituito da punti, bensì come sua espressione negati­ va: il punto è il "togliersi " (Sichaufheben) dello spazio. La contraddizione presente nel punto è quella tra il suo essere per sé, che lo colloca dal lato del­ la discretezza, e il fatto che esso essendo spaziale, con ciò neppure si diffe.

10 F. Chiereghin, Tempo e storia in Hegel, cit . , p. 23 ; A. Moretto, La dottrina dello spazio e del tempo e la meccanica nella filosofia della natura, in F. Chiereghin (a c. di), Filosofia e scienze filosofiche nell"'Enciclopedia" hegeliana de/ 181 7, in Quaderni di Ve­ n/iche, Trento 1995 ; qui p. 298 .

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renzia dallo spazio. In questo Hegel riprende la considerazione scettica11 del­ lo spazio, che assume il punto come del tutto vuoto e astratto, e quindi sen­ za alcun ruolo determinante nell'ambito dello spazio [R.Z. A,45] . La con­ traddizione si scioglie solo nel diventare altro del punto, cioè linea. La linea è la verità del punto. 12 Il punto in quanto limite è insieme cominciamento o fine, negatività «nel­ la sfera dell'esser fuori di sé [che] è altrettanto per sé e come indifferente nei confronti del quieto uno accanto all'altro; posta così per sé, la negatività è il tempo» (Enz. A, § 200). «Il punto come esso è in realtà è il tempo».13 La ne­ gatività espressa dal punto è insieme per sé e indifferente. Il punto dispiega in questo modo quella negatività che nello spazio è paralizzata. L'essere in sé del tempo è «semplicemente un venir fuori di sé» (Enz. A, § 20 1 ) . In questo senso «il punto mostra di possedere la natura temporale dell"'ora "».14 Esso è insieme continuo e discreto. «Il tempo è continuo tanto quanto lo spazio, poiché esso è la negatività astratta rapportantesi a sé, e in questa astrazione non c'è ancora alcuna reale distinzione» (Enz. A, 20 1 ) . La posizione dell'ora è immediatamente la sua negazione. «Il tempo in quanto l'unità negativa dell'essere fuori di sé è parimenti un essere semplicemente astratto, ideale, il quale mentre è non è, e mentre non è, è» (Enz. A, § 20 1 ) . U passaggio dallo spazio al tempo assume come centro il concetto di nega­ tivo che compare all'interno dello spazio stesso e che si costituisce per sé. Quando è per sé, allora la negatività introduce nello spazio il carattere della differenza. Con la differenza, cessa il carattere di indifferenza che compete all'essere l'uno accanto all'altro (Nebeneinander) che caratterizza lo spazio. La determinatezza si costituisce semplicemente come limite. Il limite non è in grado di introdurre un'interruzione all'interno dell'astratta e indifferente spazialità. La mancanza propria dello spazio è data appunto dal fatto che in esso il limite, che pure è negatività, non perviene al suo concetto, che è di es­ sere per sé [R.Z. A, 49] . La negazione rende la realtà dello spazio contraddittoria. Esso è perciò la negazione immanente di se stesso. Questa negazione, in quanto si realizza, diviene la verità dello spazio. Nel tempo quindi il punto viene ad avere realtà. «Il punto come esso è in realtà, è il tempo. È questa l'astratta deter­ minazione del tempo come essa scaturisce dallo spazio» [R.Z. A, 49] . Spazio e tempo sono realmente uniti. Il tempo è l'idealità nella natura: esso toglie e rende ideali mediante la ne­ gazione le determinazioni della natura stessa. Proprio per questo il tempo è un astratto, la pura astrazione del mutamento, privo assolutamente di conte11 Sesto Empirico, Adversus mathematicos, III, § § 22-28; Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, trad. it. Codignola e Sanna, vol. Il, p. 542 ; cfr. W. Bonsiepen, Hegels Raum-Zeit Lehre, cit., pp. 29 ss . ; Enz. A, p. 83 . 1 2 W. Bonsiepen, Hegels Raum-Zeit Lehre, cit., p. 66. " Enz. C, § 257 , Z. " F. Chiereghin, Tempo e storia in Hegei, cit., p. 26.

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nuto e di forma [R.Z. A, 50] . n tempo non esiste senza mutamento, ma non è mutamento, bensì semplicemente l'astrazione pura del mutamento. «L'im­ mediato mutamento dell'essere in nulla fa sì che il tempo sia difficile da af­ ferrare» [R. Z. A, 50] . Questo carattere dell'ora come unità di essere e di non essere, lo pone immediatamente in relazione con l'ora in senso aristotelico. " n tempo in quanto unifica essere e nulla, ripropone al proprio interno la con­ traddizione che costituisce la figura della prima triade della logica: essere, non-essere, divenire. Anche il tempo si costituisce, come lo spazio, come unità di discreto e di continuo; analogamente allo spazio, la molteplicità degli ora si pone insieme come indifferente. In ciò essi sono posti come identici, come lo stesso ora: continuità del tempo [R.Z. A, 5 1 ] . Nel flusso continuo di ora si mostra tut­ tavia sempre l'identico ora presente. La difficoltà dell'intelletto nel cogliere le determinazioni del tempo sta nel fatto che esso mantiene come separato ciò che invece è unito, un divenire. Passato e futuro sono uniti nell'ora. Proprio per questo l'ora non è qualcosa di immobile e quieto, ma qualcosa di inquieto, il passare dall'essere al nulla e dal nulla all 'essere [R.Z. A, 52] . L'ora è soltanto questa unità del precipita­ re in uno di passato e di futuro, del passare e del sorgere. Solo nel pensiero, nella nostra rappresentazione, si danno futuro e passato come tra loro reci­ procamente differenziati; mentre nella natura non esiste alcuna possibilità di una loro differenziazione, e così il tempo della natura si riduce semplice­ mente all'ora. Nel tempo noi intuiamo così la dialettica assoluta, ma nella sua forma immediata, non ancora come pensiero: dialettica del sensibile [R.Z. A, 52] . Non esiste alcun mutamento che non sia nel tempo, ma solo in quanto astratto esso è il tempo. Le cose, in questo senso, sono temporali. L'assenza di tempo per le cose finite ne pone la loro durata. Tuttavia, anche la durata delle cose finite è temporale. In quanto finite, le cose sono temporali. Dun­ que la durata, in rapporto alle cose finite, ha solamente un valore relativo, non un valore assoluto. Mentre l'assoluta assenza di tempo è solo l'eternità. Tuttavia sia lo spazio che il tempo si mostrano inadeguati e rivelano un'in­ tima mancanza [R.Z. A, 58] . La mancanza dello spazio è che la negatività non è posta in lui stesso nel suo concetto. La negatività, non appena essa è posta nello spazio, è nello stesso tempo un essere-al-di fuori-di sé indifferen­ te, sicché, come dice Hegel, lo spazio non giunge al suo diritto; quindi il pun­ to, quale esso deve essere, non esiste. Ma lo spazio è questa stessa negatività nel suo concetto. Essa non deve dunque essere un altro dallo spazio stesso. n tempo non appare nello spazio come tale, ma con esso deve farsi avanti la ne­ gatività dello spazio, che solo così può corrispondere al suo concetto. Alla dialettica dello spazio si accompagna quella del tempo. n tempo, co" È stato considerato come richiamo al concetto di exaiphnes platonico del Parme­ nide, 156 D-E; cfr. A. Moretto, La dottrina dello spazio e del tempo, cit., p. 265 ; per il rapporto con Aristotele, cfr. L. Ruggiu, Tempo coscienza e essere nella filosofia di Ari­ stotele, Brescia 1970, pp. 252 ss. 150

Tempo e concetto in Hegei

me esso viene assunto, non è ciò che esso deve essere secondo il suo concet­ to. Esso deve pertanto rovesciarsi in se stesso mediante i momenti contrap­ posti, che sono così negati. Per essere negati deve loro sopraggiungere l'in­ differenza dell'essere. Nel tempo non è presente alcun persistere, nulla che potrebbe essere negato. Questa è la mancanza del tempo. Nel tempo l'esse­ re è altrettanto un non essere, esso è la pura e astratta opposizione presente. Manca la differenza. Il tempo è solamente il puro consumare senza nulla che si lasci consumare. Così essi vengono a compiersi l'uno mediante l'altro divenendo una stessa cosa. In questa unità, il concetto giunge all'esserci. La verità dello spazio ri­ chiede il dispiegarsi in esso di quella negatività che sussiste come paralizzata, mentre la verità del tempo è data dal sussistere dei momenti tali da venire quindi tolti.16 La posizione di spazio e tempo secondo il loro concetto con­ duce quindi alla posizione di materia e movimento: «Questo passare e ripro­ dursi dello spazio in tempo e del tempo in spazio è il movimento - un dive­ nire, che tuttavia è esso stesso altrettanto immediatamente l'unità identica esistente di entrambi, la materia». 17

1 1 .2 Il tempo è la pura contraddizione L'analisi hegeliana ha evidenziato la dimensione del "passare" e del divenire come costitutiva dell'essere del punto, il porsi come inquietudine ( Unruhe) . Il dinamismo si radica nel cuore della quantità pura. Il tempo è «la pura con­ traddizione esistente» (der daseiende reine Widerspruch ) . 18 Il tempo è solo un'idealità astratta che, in quanto istante, nel mentre si dà, perciò stesso si to­ glie. Negatività dell'ora e negatività del tempo si coimplicano. Il tempo è la contraddizione che «sopprime se stessa, è questa soppressione [aufheben] continua di sé come esistente».19 Considerate come a se stanti, le parti del tempo sono puramente delle astra­ zioni, prodotto dell'opinione (Meinung). Inoltre, l'essere che compete al pun­ to nello spazio è il medesimo di quello che compete all'ora nel tempo. È solo la forma della «sussistenza indifferente» (die Form des gleichgultigen Bestehens)20 quella che attribuisce all'essere del punto, in quanto espressione di coesisten­ za, maggiore realtà dell'ora, in quanto sottomesso al rapporto di successione. Il passato, in quanto tempo ritornato in se stesso, costituisce «il tempo co­ me totalità>>, il tempo «riflesso in sé, o reale». Il passato portando a compi­ mento il tempo, si pone come verità del tempo, fine verso il quale l'intero processo temporale tende. Ma il passato è pur sempre solo momento, che co­ me tale si oppone al presente e al futuro, e quindi destinato alla sua auto16 F. Chiereghin, Tempo e storia in Hegel, cit., pp. 34 ss. 1 7 Enz. A, § 203 . '' Enz. C, § 258; § 259. ,. SW3 , p. 10,8. ,. SW3 , p. 10. 15 1

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soppressione. Ciò che effettivamente si mantiene reale è l'infinito stesso in quanto proces�o di autonegazione.21 L'ora pertanto non può avere nell'orizzonte del tempo alcun carattere pri­ vilegiato. «Il presente [die Gegenwart] non è né più né meno che il passato o il futuro». n carattere di negazione immanente è il proprio di ogni dimensio­ ne del tempo. Quindi, non solo il presente non ha un essere privilegiato, ma neppure a passato o a futuro possono essere attribuiti un "essere" che abbia un più di essere. n tempo lungi dal costituire la negazione della contraddizione immanente al concetto di movimento, in quanto coesistenza degli opposti in uno, come ritie­ ne Kant, è invece esso stesso contraddizione. Trattando «della suprema pro­ posizione fondamentale di tutti i giudizi analitici)), cioè del principio di non contraddizione, nella formulazione che dice «è impossibile che qualcosa sia e non sia al tempo stessm), Kant afferma che il concetto del movimento (come mutamento del luogo) «è possibile soltanto attraverso la rappresentazione di tempo, e in essa [ . . . ] Due determinazioni contrapposte contraddittoriamente possono ritrovarsi in un medesimo oggetto unicamente entro il tempo, cioè l'una dopo l' altra)),22 n tempo con la sua serialità è pertanto ciò che consente il costituirsi della stessa esperienza del movimento, in quanto impedisce che gli opposti siano in unità "nello stesso tempo" . Il concetto kantiano di tempo cela dunque una comprensione dei momenti della temporalità nei quali ciascuno di essi esclude e nega l'altro, toglie cioè all'ora - e quindi alla cosa che è nell'ora - la possibilità del convergere in unità con il suo opposto. Si tratta, come si ve­ de, di ciò che Hegel chiama «infinità paralizzata)). Al contrario, il tempo è per Hegel proprio la negazione di questo rapporto di esclusione. Ciascun momen­ to, proprio in quanto vuole porsi come se stesso, a esclusione di qualunque al­ tro, richiama in sé quell'altro che intende escludere. Nella negatività consiste dunque la stessa assolutezza del tempo. La natu­ ra dell'infinità, propria dell'assoluto, si manifesta nel tempo e come tempo. n tempo allora «è, a causa di ciò, la potenza più elevata di tutto ciò che esiste, e la vera maniera di vedere ogni cosa è, per ciò stesso, di vederla nel proprio tempo, cioè nel suo concetto, ove tutto non è solo come momento evane­ scente)).n Il tempo è la negazione sussistente di ogni determinazione esisten­ te, e quindi manifestazione del concetto infinito nel suo esserci.

1 1 .3 Tempo e finito Il tempo, lungi dall'essere ciò che toglie la contraddizione del mutamento, come crede Kant, è questa stessa contraddizione vivente. La contraddizione tuttavia non costituisce semplicemente la cifra del finito e del mutevole, ma " SW2 , p. 209,34. " I . Kant, Kritik der reinen Vernun/t, Darmstadt 1983 , p. 197 ss. (trad. it. di G. Gentile e G. Lombardo Radice, Bari 198 1 , p. 172 ) . " SW3 , p. 12,17. 152

Tempo e concetto in Hegel

è l'intima natura del reale, dell'infinito come del finito, dell'eterno come del tempo. Lo sviluppo del significato del tempo coinvolge necessariamente la rideterminazione del significato della contraddizione. La negazione e il superamento del finito deve costituirsi quindi come struttu­ rale e essenziale al finito stesso, come costituente la sua intrinseca natura. TI fini­ to stesso deve operare negativamente contro se stesso. Contro l'affermazione astratta dell'assoluto e l'assolutizzazione unilaterale del finito, «nel finito stesso si dovrebbe dimostrare che esso contiene in sé la contraddizione e si fa infini­ to».24 La contraddizione è l'espressione della presenza dell'infinito nel finito. Se il finito è per essenza il «contrario di se stesse>/' e il suo essere «altro», allora «l'esser altro non è un momento indifferente fuori di esso, ma è suo proprio momento. Alcunché è, mediante la sua qualità, in primo luogo, fini­ to, in secondo, mutevole; cosicché la finitezza e la mutevolezza appartengo­ no al suo essere».26 La mutevolezza scaturisce necessariamente dalla finitezza. «Il finito è il suo proprio togliersi, racchiude in sé la sua negazione, l'infinita unità dei due [. . . ] ».27 La contraddizione è il movimento dell'andare in se stesso, cioè dell'andare nel proprio fondamento, del finito stesso. «Il finito è così la contraddizione di sé in sé; si toglie via, perisce». Ma «il finito nel suo perire, in questa negazione di se stesso, ha raggiunto il suo es­ sere in sé, è andato con se stesso. Ciascuno dei suoi momenti contiene ap­ punto questo risultato».28 Ciò che è vitale, contiene in sé la contraddizione, «ed è propriamente questa forza, di comprendere e sostenere in sé la con­ traddizione». Se non è in se stesso «la contraddizione, allora esso non è l'u­ nità vivente stessa, non è fondamento o principio, ma soccombe nella con­ traddizione».29 Il vivente è mutamento e vita. «Quello, in cui il finito si toglie, è l'infinito in quanto il negare della finità».30 Il processo di annichilimento del finito, così paventato da Jacobi31 e dai suoi seguaci, costituisce perciò l'e­ spressione essenziale della vera realtà. L'annullamento del finito rivela l'infi­ nito come negazione del finito. La scissione tra finitezza assoluta e infinitezza altrettanto assoluta, trova dunque una risposta all'interno dello stesso finito. L'interpretazione della tem­ poralità rinvia necessariamente al concetto. Il tempo, non è altro dal concetto, bensì «il tempo è il concetto medesimo che è là>>, owero il concetto in quanto si manifesta e si rappresenta come tempo.32 Questo chiede che si ponga la rela­ zione che intercorre tra tempo ed eterno e quindi tra tempo e concetto. 2' V.G.Ph . , IV, p. 389.

" D. Henrich, Absoluter Geist un d Logik des Endlichen , in "Hegel-Studien " , 20, 1980, pp. 103 - 1 18, spec. pp. 107 ss. " Enz. C, § 92 . " W.d.L., p. 140, trad. it . p. 157. 2 8 lvi, p. 124, trad. it. p. 137. " lvi, p. 59, trad. it. p. 492 . 30 lvi, p. 135, trad. it. p. 149. " G.W., p. 35 1 . " Phan . , p. 558. 153

Filosofia del Tempo

1 1 .4 Tempo e io Hegel pone in luce come l' analisi della temporalità prescinda dalla struttu­ ra soggetto-oggetto, e quindi come il tempo non sia collocabile in nessuno dei due versanti, non costituendo né qualcosa di puramente soggettivo né qualcosa di puramente oggettivo. Volendoli assumere in questa struttura, lo spazio sembra doversi porre dal lato dell'oggetto, il tempo dal lato del sog­ getto. Questo nesso tempo-soggetto, che costituisce un momento costante nella storia del concetto di tempo, da Aristotele, a Plotino, a S. Agostino, compare secondo modalità differenti, a seconda che il tempo venga consi­ derato come numero e quindi posto in connessione con l'attività numeran­ te della coscienza (Aristotele), o connesso con l'anima del mondo che nel suo distacco dall'Uno si temporalizza producendo il tempo (Plotino) , fino ad Agostino con la considerazione delle estasi temporali come espressione dell'anima in quanto coscienza-presenza: presente del presente, presente del passato e presente del futuro. Anche Hegel afferma che le dimensioni del tempo nella loro scansione e compiutezza sono possibili solo in riferi­ mento alla rappresentazione, mentre il tempo della natura necessariamente si riduce all'ora. Ma Hegel rapporta il tempo all'io in quanto entrambi hanno il medesimo principio. «TI tempo è il principio medesimo dell'io = io della pura autoco­ scienza; ma è quel principio o il semplice concetto ancora nella sua comple­ ta esteriorità ed astrazione, - come il mero divenire intuito, il puro in sé in quanto è semplicemente un venir fuori di sé».33 Questo principio non solo non riconduce il tempo all'interiorità, ma anzi il rapporto può essere fatto so­ lo in quanto la modalità di operare dell'io, in quanto non ancora ricondotto alla pura autocoscienza/4 in realtà cade nella categoria della quantità e quin­ di dell'esteriorità. Il carattere comune che intercorre tra io e tempo è quello di rendere idea­ le qualunque determinazione, sia pure nel terreno della esteriorità immedia­ ta. L'io ha la capacità di "idealizzare " , cioè di porre la nullità di tutto ciò che è finito. Se infatti noi facciamo astrazione dal contenuto concreto della co­ scienza e dell'autocoscienza, allora l'io è null'altro che il vuoto movimento di porsi come un altro, di conservarvi solo l'io come tale. In questo senso, He­ gel afferma35 che «L'io è nel tempo e il tempo è l'essere del soggetto stesso». Il tempo, cancellando la coesistenza indifferente dello spazio nell'ora, si po­ ne solo come " unità negativa" , così come l'io è l'unità negativa del suo mol­ teplice contenuto determinato. Inoltre, il punto temporale è immediata ne­ gazione di sé, così come l'io che è solamente l'astratta e vuota identità con sé, che fa se stesso oggetto e insieme supera questa oggettività. Inoltre, così co" Enz. C, § 258; Enz. A, § 20 1 . " In questo senso, cfr. anche F.W.J. Schelling, System des transzendentalen Ideali­ smus. .( 1800), trad. i t. M. Losacco, Roma-Bari 1990, p. 44. " Asth., III, p. 156, trad. it. p. 1013 . 154

Tempo e concetto in Hegei

me l'ora rimane, pur nel suo superamento e negazione, sempre il medesimo ora, altrettanto awiene per l'io astratto. Ma proprio perché il tempo è affine all'io, pur muovendosi nell'elemento esteriore e nell'astrazione, esso non può mai giungere «all'unità veramente soggettiva del primo punto temporale con l'altro, a cui si supera».36 L'io in­ vece è tale solo nel suo ritorno a sé, e solo così esso è autocoscienza. Il tem: po non può invece mai ritornare su stesso e conchiudersi in sé. La sottoli­ neatura hegeliana pone in evidenza soprattutto nella temporalizzazione del­ l'io, il rendersi esteriore di ciò che è interiore, il carattere di dispersione pre­ sente in ciò che dovrebbe porsi come raccolto in se stesso. «Anche all'io compete la determinazione della quantità pura, essendo esso un assoluto di­ venir altro».17 In questa dimensione, l'io si pone come finito, e quindi insieme come «passeggero e temporale». «Il finito è passeggero e temporale, per questo ap­ punto che non è, come il concetto, in se stesso la negatività totale».18 «Perciò solo le cose naturali sono soggette al tempo, essendo finite: il vero, per con­ trario, l'idea, lo spirito, è eterno».

1 1 .5 Tempo ed eternità Nell'autonegazione del finito si rivela la presenza dell'infinito. «È la natura stessa del finito, di sorpassarsi, di negare la sua negazione e di diventare infi­ nito. L'infinito non sta quindi come un che di già per sé dato sopra il finito, cosicché il finito continui a restar fuori o al di sotto di quello. E nemmeno andiamo soltanto noi, come una ragione soggettiva, al di là del finito nell'in­ finito».19 Il finito implica necessariamente il tempo; la finitezza coincide con la temporalità. Per contrasto, il concetto implica l'eterno. Ma dal momento che il concetto implica il finito, anche l:eterno implica il tempo. Ma come è possibile un'implicazione reciproca di tempo e eterno, se que­ sti termini vengono assunti nella loro irrisolta separazione? Il carattere di " immagine" del tempo e insieme la sua differenza dall'eter­ nità consiste nel fatto che esso è proprio " cattiva infinità " ossia successione illimitata ed indefinita di passato, presente e futuro:0 Occorre quindi passa­ re alla considerazione dell'infinito in atto, che in quanto tale è attualità della presenza.41 Questo carattere di assoluta presenzialità appartiene solo al tem­ po in quanto tutto. Ciò che quindi si sottrae alla dialettica negativa della temporalità, è il tempo stesso. «Ciò che è assolutamente presente o eterno è ---- - - --- - - - - --- -- - -

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•• À. sth., III, ibid. " WdL. , [ 1 8 12] p. 182, trad. it. di A. Moni, rev. C. Cesa, p. 20 1 . " Enz. C , § 258. " W.d.L., p. 126, trad. it. p. 139. . " Timaeus, 38 b l ss. ; W. Beierwaltes, Plotin. Uber Ewigkeit und Zeit, Frank.furt a. M. 1981 (trad. it. di A. Trotta, Milano 1 995 , p. 155 ss. ) . " G.W., p . 358. .

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Filosofia del Tempo

il tempo stesso come unità del presente, del futuro e del passato».42 L'eternità non è l'astrazione dal tempo, ma viene a identificarsi con il "tempo come tempo" , cioè con il tempo compreso nella sua verità.') Il tempo assunto nel suo concetto, è eterno.'4 «L'eternità è senza il tempo naturale, il concetto del tempo è esso stesso eterno. L'eternità è assoluta presenza, essa è nell'idea, nella ragione, nell'universale [. .. ]. L'eternità è la vera infinita durata, che si ri­ flette in se stessa, non la durata relativa [ . . . ]».45 L'eternità è radice della temporalità. Il "tempo concepito " fonda il "tempo sentito " , che così anch'esso si radica nel logos. 46 L'«eternità [ . . . ] in quanto conc ètto, contiene questi momenti in se stessa e la sua unità concreta non è perciò l'ora, poiché essa è l'identità quieta, l'essere concreto come essere universale, non quello che svanisce nel nulla come divenire».47 Tempo e con­ cetto sono Zeitlosigkeit, come del pari senza tempo è l'eternità.48 «Ciò che è naturale è quindi sottoposto al tempo in quanto è finito; il vero, al contrario, l'idea, lo spirito, è eterno».49 Il tempo è eterno: questa è la conclusione apparentemente paradossale al­ la quale perviene l'analisi hegeliana.'" L'eternità è la riflessione del tempo in se stesso, è pienamente immanente al tempo." L'eternità si fa tempo, il tem­ po eternità. Certo, questo non significa semplicemente che l'uno è l'altro, ma che nel­ l'uno c'è l'altro, che l'uno non può essere senza l'altro da sé. Hegel critica l'e­ straneità di concetto e tempo affermata, per esempio, da Kant,'' giacché «nell'astratta identità con sé l'opposizione è tralasciata». 53 Non esiste un fon­ damento esteriore, in grado di «comprendere e sostenere in sé la contraddi­ zione».'' Questa assunzione astratta del concetto è detta l'innocenza (die Un­ schuld) dalla quale occorre uscire: «tutte le nature escono dalla loro inno" SW3 , p. 12,8. 43 Cfr. G. Rametta, Il concetto del tempo. Eternità e "Darstellung" speculativa nel pensiero di Hegel, pref. di R. Bodei, Milano 1989, pp. 99 ss. " Enz. A, § 201; Enz. C, § 258. " R.Z. A, 54. •• ]. van der Meulen, Hegei. Die gebrochene Mitte, Hamburg 1958, pp. 89 ss.; Phan., p. 558. " Enz. A, p. 136. '" Enz. C, § 258; cfr. L. Lugarini L., Tempo e concetto nella comprensione hegeliana della storia, in "li Pensiero " , 198 1 , pp. 7-38; ora in L. Lugarini, Hegelfra logica ed eti­ ca, Roma 1982 , pp. 20 ss.; cfr. : Diff. , p. 47; G.W. , p. 368. •• Enz. A, p. 135. 50 A. Koyré, Hegel à ]ena, in Études d'histoire de la pensée philosophique, Paris 197 1 , pp. 147-189 (trad. it. Hegei a ]ena, in Interpretazioni hegeliane, pp. 163 ss.); cfr. G . Ra­ metta, Il concetto del tempo, cit., pp. 109 ss. ; C. Melica, A. Koyré, Hegel e il problema del tempo, in "Rivista di Filosofia " , 75, 1994 , pp. 1 3 1 - 140. 51 D. Souche-Dagues, Une exégese heideggerienne: le temps chez Hegel, cit. pp. 1 1 9 ss. 52 KrV. , trad. it. di G. Gentile, L. Lombardo Radice, p. 3 3 3 . " WdL, [1.2] p. 103 , trad. it. di A . Moni, rev. C. Cesa, 1.11., p. 539. 54 Cfr. B. De Giovanni, Contraddizione e tempo fra Kant e Hegel, cit., pp. 40-67 , spec. pp. 60 ss. 156

Tempo e concetto in Hegel

cenza, dalla loro indifferente identità con sé, si riferiscono di per sé stesse al loro altro e con ciò si distruggono o, in senso positivo, tornano al loro fon­ damento».'5 n fondamento è insieme fondato, e la relazione, in ragione della fondamentale identità dei diversi, diviene un presupporsi reciproco.56 Nella sparizione del fondamento non si realizza tuttavia l'annullamento del con­ cetto nel tempo, come vorrebbe l'ontocronia heideggeriana,57 bensì la posi­ zione insieme dell'identità e della differenza dei due, nuova espressione del­ l'unità come "legame del legame e del non legame" . n concetto è la potenza del tempo, non il tempo la potenza del concetto. n tempo "ha" in sé la po­ tenza della negatività, il concetto "è" la potenza della negatività. Dunque deve essere respinta la considerazione tradizionale che contrap­ pone al tempo l'assoluto e il concetto, in quanto espressione dell'immutabi­ lità e della permanenza che si pone essenzialmente come " altro dal tempo" , non toccato dalla negazione, e in cui l'eterno si contrappone al tempo. Ma questo non è altro che un falso concetto dell'Assoluto: giacché l'Assoluto, in quanto infinito, è pura negatività.58 La vera infinitezza risulta dal ritorno a sé del suo essersi posto come altro. La fuggevolezza del tempo, «la sua negati­ vità, è proprio il concetto assoluto, l'infinito, il puro sé dell'essere per sé».59 L'impotenza del finito non è data dalla negatività in esso, ma dalla parzia­ lità e inadeguatezza di questa negatività, dal fatto che esso non è in grado di innalzarsi a negatività totale. Nella negatività totale consiste l'essenza dello spirito. «L'essenza dello spirito è quindi, formalmente, la libertà, la negatività assoluta nel concetto come identità con sé».60 Solo nel concetto abbiamo la perfetta adeguazione di realtà e negatività. Per questo, il tempo è lo stesso concetto come un semplice esserci, che rimane nella sua inadeguatezza fino a che esso non si pone come negatività assoluta.61 L'elimininazione del tempo coincide con il "concepire l'intuire " , o ancora con il costituirsi di esso come "intuire concepito e concettivo" . Ciò che quindi viene tolto è il tempo in quanto astrattamente posto come il totalmente altro dal concetto, mentre quanto rimane è il tempo che è insieme concetto, e il concetto che è tempo. In questo processo l'eternità è divenuta tempo, ma insieme il tempo è dive­ nuto eternità: esso sussiste solo nel concetto concreto dell'eternità. In questo senso, non v'è contrapposizione tra tempo e concetto. Se il con­ cetto è la verità del tempo, il tempo è la realtà del concetto. Tempo e concet­ to sono uno. Luigi Ruggiu '' W.d.L., II, p. 56. trad. it. p. 488. '6 WdL, [1.2] p. 1 00, trad. it. p. 535. " M. Heidegger, Hegel's Phanomenologie des Geistes, Frankfurt a.M. 1980 (trad. it. di S. Caianiello, Napoli 1988, pp. 152 ss. ) . " SW3 , 12, 1 1 : «Ma questa negativita è il Concetto assoluto lui stesso, l'infinito». " SW3 , p. 12,17. "' Enz. C, § 3 82; cfr. anche Enz. A, § 300 . ' 1 Phii. , · p . 557 , trad. it. p. 297 . 157

Filosofia del Tempo

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1 2 . Temporalità e storicità. Schelling-Rosenzweig-Benjamin

La questione del tempo e della temporalità costituisce senz'altro il centro se­ greto del pensiero schellinghiano dopo il 1809.' Nell'impossibilità di poter di­ stinguere qui i diversi "momenti" di questa concezione complessa della tem­ poralità, mi atterrò per lo più alla problematica delle Età del mondo che ha re­ citato un ruolo decisivo nella elaborazione del pensiero di Franz Rosenzweig. Com'è noto, il progetto delle Età, articolato nella tripartizione del sapere, del conoscere e del presagire, nel loro rapporto reciproco con le dimensioni del tempo, si dà innanzitutto come racconto filosofico della creazione che in ­ duce a un ritorno al passato o al principio di prima del tempo, reso possibi­ le dal fatto che l'uomo è egli stesso essenzialmente definito come un essere di memoria o meglio di reminiscenza: egli possiede una "Mitwissenschaft" , una conoscenza o una coscienza della creazione. Così l'uomo è fondamental­ mente l'animale che ricorda e, più ancora, è in lui che riposa la memoria di tutte le cose, dei loro rapporti originari, del loro divenire, del loro significa­ to. È questo tratto costitutivamente anamnesico che permette all'uomo, che conserva in lui "un principio anteriore all'inizio dei tempi" , di rifare a ritro­ so il lungo cammino degli sviluppi che lo separano dalla notte dei tempi. La questione direttrice - questione filosofica, ma anche "esistenziale " , le­ gata in ogni caso alla condizione umana presente nella quale sussiste "un principio superiore al mondo" - è allora quella dell'inizio dei tempi, della creazione nel tempo, della creazione del (dei) tempo (i) : L'uomo conserva il ricordo di tutte le cose, dei loro rapporti originali, del loro di· venire, del loro significato. Ma quest'immagine originale, questo prototipo [ Ur­ bilc[J delle cose sonnecchia nell'anima come un'immagine oscurata e dimenticata, se non addirittura spenta. Forse non ritroverebbe mai più la sua vivacità se non ci fos­ se nel principio oscuro stesso un presentimento e una nostalgia della conoscenza.' ' Cfr. i Philosophische Entwiir/e und Tagebiicher 1809-1813, Hamburg 1994 , in cui Schelling annotava (p. 149): «ll tempo è la cattiva coscienza della filosofia». ' F.W.J. Schelling, Die Weltalter. Fragmente in den Ur/assungen von 1 8 1 1 und 1813 (da ora in poi Ur/assungen), ed. M. Schroter, Miinich 1946, p. 4: !iJ>�tQ - con questa frase tratta da Autrement qu' étre: «Il soggetto sarebbe a)lor!} potere di ri-p��s��ta�ione nel sens� quasi attivo del termine: correggerebbe la dispa­ rità temponùe in presente - in simultaneità».' Questa critica di quello che Derrida chiama "la metafisica della presenza" di Husserl �o� per questo è, in 2 E. Lévinas, Autrement qu'hre ou au-delà de l'essence, La Haye 1974, p. 170. Cfr. an­ che p. 36 ss. , 4 1 , 179 (trad. it. Altrimentiche essere o al di là dell'essenza, a c. di M.T. Aiel­ lo e S. Petrosino, Milano 1983 ). [n. d. r. : l'indicazione delle pagine si riferisce all'edizione francese] .

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Filosofia del Tempo

Lévinas, una critica del presente a vantaggio del futuro (come in Heidegger) o del passato (come il pensiero della traccia lascerebbe supporre). n presen­ te conserva tutto il suo privilegio in Lévinas, ma come evento della n ovità im­ prevedibile e come grazia di un ricominciamento infinito. Vedremo fra poco che questa nuova comprensione del presente è già stata tratteggiata da Hus­ serl stesso nella sua analisi dell"'impressione originaria" ( Urimpression) . Lé­ vinas procederà dunque con Husserl come procedette con Heidegger: uti­ lizzerà Husserl contro Husserl, vale a dire l'impressione originaria contro la rappresentazione intenzionale. La sua nuova concezione dell'alterità del fu­ turo e del passato non dovrà, in compenso, più null a a Husserl né ad Hei­ degger, anche se può riportarci alla mente certe pagine di H. Arendt. Vedre­ mo che la possibilità di un futuro che rimane mio. pur essendo principal­ mente debitore verso l'altro sarà illustrata da un'analisi fenomenologica del­ la speranza e della promessa, ma anche dell'erotismo e della fecondità. :per quanto concerne la possibilità di una determinazione del senso del mio pas­ s_ato da parte dell'altro, Lévinas ricorrerà il più delle volte all'esempio del perdono. Il tepore etico di questi esempi è manifesto e, naturalmente, !ungi dall'essere fortuito. Sostituendo il tempo dell'etero-affezione al tempo del­ l' auto-affezione, sostituendo il tempo della passività al tempo della rappre­ sentazione intenzionale, ciò a cui mira Lévinas è una rifondazione del sog­ gettq trascendentale egoico in soggetto etico il quale, ben lontano dall'essere costituito dal suo potere spontaneo e libero, è responsabilità verso l'altro e proveniente dall'altro. Questa responsabilità accade a un soggetto caratteriz­ zato, nel più profondo del suo vissuto, dalla sensibilità per l'altro o, più pre­ cis amente, dalla sua vulnerabilità rispetto all'altro. Questa sensibilità vulne­ rabile che è l'esperienza di una prossimità dell'altro nella passività è dunque un'affettività sempre e già abitata dall'altro, consegnata all'altro. La sensibi­ lità etica è per conseguenza una affettività che mi giunge interamente dall'al­ tro, dall'affezione attraverso la domanda imperativa dell'altro che mi trau­ matizza. Anziché essere aperto all'altro nel modo dell'intenzionalità o della trascendenza ekstatica, sono, nell'intimità stessa della mia affettività, sempre e già "ostaggio" d�ll'altro. Cosa, nell'analisi husserliana della temporalità e della temporalizzazione, prepara il campo alla concezione di una tale sensibilità "etero-logica " o " an­ archica" ? Paradossalmente proprio ciò che Husserl dice dell'impressione ori­ ginaria come "punto-originario " (Quellpunkt) - e dunque come archè - della temporalizzazione del tempo della coscienza intenzionale.' Non dimentichia­ mo che la temporalità degli atti intenzionali è costituita da una coscienza an­ cor più fondamentale - Husserl la chiama "coscienza assoluta" - che è una sorta di senso interno il quale, provando i vissuti intenzionali, si auto-tempo­ ralizza. In cosa questa auto-temporalizzazione della coscienza assoluta, per ' lvi, p. 42 «La coscienza oggettivante - egemonia della rappresentazione - è, para­ dossalmente, superata nella coscienza del presente». 190

Il mio tempo e il tempo dell'altro

quanto sensibile e pre-intenzionale sia, si presta a una lettura in termini di ete­ ro-affezione an-archica? Secondo Lévinas, in questo senso preciso, nel fatto cioè che riposa per intero sull'affezione della coscienza per mezzo di un pre­ sente che si impone a essa in un modo imprevedibile e manifestando la sua di­ scontinuità con ciò che la precede o la segue. Tutto si ricolleg� dunque in !.-é:­ vin�s all'interpretaziQf}e etero-logica del carattere impressionale dell'impres­ sione originaria, che si presume rendere giustizia all'alterità come novità, co­ me scarto e rottura, come differenza e differimento o, per utilizzare i termini che Lévinas utilizza più vol�nti�ri, come "intervallo" e "lasso" . Inutile dire, però, che questa forma di alterità che è costitutiva dell'i.rnpressione prigmarja non è ancora l'alterità di un altro uomo di cui io mi sento responsabile. Nulla in Husserl consente di affermare che è a partire da un altro soggetto che io ri­ cevo un'affezione in quest'impressione originaria, e anche ammettendo, al­ lontanandosi da un'interpretazione letterale dei testi di Husserl, che l'impres­ sione originaria è l'esperienza di una etero-affezione e non di una auto-affe­ zione, rimane da stabilire che questa prima forma di etero-affezione tempora­ le intrattiene un legame essenziale con l'etero-affezione traumatica attraverso la sofferenza di un altro uomo. In altri termini, anche se è concepibile che l'af­ fettività dell'alterità-da-sé intrattenga un legame con l'affettività che si rap­ porta all'alterità dell'altro, rimane da concepire questo legame ! L'interpretazione più precisa (e più probabile) dell'impressione originaria di Husserl così come della " ritenzione " e della "protensione" da cui essa è inseparabile, si trova senz'altro in quel piccolo testo intitolato Intentionalité et sensation che fu scritto fra Totalità e infinito e Altrimenti che essere o Al di là dell'essenza.' Secondo questo testo, l'impressione originaria è la «punta d'ago», la «puntualità acuta» dell'«evento» del presente (p. 153 ) nella sua «novità imprevedibile» (p. 155 ) . In essa, la «passività» di essere colmato «al di là di ogni previsione, di ogni attesa» e l' «attività assoluta» della genesi spontanea del cominciamento (p. 156) «si confondono» (p. 152 ) . Com'era prevedibile, Lévinas tira sia questa passività sia questa attività dalla parte dell'alterità: la passività dell'impressione originaria significa che la novità ar­ riva alla coscienza da un altrove o da un aldilà e senza che essa c'entri mini­ mamente; l'attività della genesi spontanea dell'impressione originaria signifi­ ca che, arrivando alla coscienza, essa si pone e s'impone da se stessa come differente e "separata" da ogni altro presente, come rottura con ciò che l'ha preceduta e ciò che le succede. In quanto impressione sensibile o "sensazio­ ne" del presente, l'impressione originaria è anche al di qua dell'appercezione intenzionale di un oggetto: essa accoglie il presente senza imporgli il suo do­ minio. Sensibilità, discontinuità e passività: ecco altrettanti caratteri che fan­ no dell'impressione originaria l'esempio stesso dell'alterità-da-sé. Associata � ----- -

·- - - -�--- ----

' E. Lévinas, lntentionalité et sensation in En découvrant l'existence avec Husserl et Heidegger, Paris 1945 , specialmente p. 15 1 ss. Cfr. anche Id., Autrement qu 'etre , cit., p. 4 1 ss. ...

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Filosofia del Tempo

alla ritenzione e alla protensione, l'alterità di quest'impressione originaria o si scava o si sospende, secondo che ci si rivolga al testo su Intenzionalità e sensazione ovvero a Altrimenti che essere. Nella concezione husserliana della coscienza assoluta, la ritenzione e la protensione sono inseparabili dall'im­ pressione originaria. Fanno in modo che la coscienza assoluta, anche nella "puntualità acuta" del presente, sia cosciente di un presente che si prolunga o si "estende " verso il passato e il futuro. Più precisamente, la ritenzione è cosciente a un tempo del passato trascorso della coscienza assoluta, e del passato della coscienza intenzionale i cui atti si rapportano, come abbiamo visto, a oggetti trascendenti. La stessa cosa vale per la protensione. Occorre insistere sul fatto che per Husserl le due specie di coscienza del passato van­ no necessariamente insieme; la coscienza assoluta trattiene sia il passato pro­ prio (vale a dire le impressioni originarie trascorse) , sia il passato della co­ scienza intenzionale (vale a dire gli atti intenzionali che sono già stati com­ piuti così come la sequenza già effettuata di un atto intenzionale in corso) . Lévinas, per motivi che ci sono ora ben noti, concentra l a sua attenzione sul­ la ritenzione, che assicura il passaggio da un'impressione originaria della co­ scienza assoluta all'altra. Ma non gli si può rimproverare di aver tradito la teoria husserliana insistendo tanto sul carattere sensibile e pre-intenzionale della ritenzione, poiché è esattamente ciò che fa Husserl parlando di "una in­ tenzionalità di una specie particolare" (eigener Art) .5 Infatti, la sua particola­ rità non consiste in altro se non nel fatto che essa è di natura sensibile e che non oggettivizza ciò a cui mira. L'associazione indissolubile fra l'impressione originaria e la ritenzione, l'u­ nità del presente e del passato nello stesso istante, fa in modo che, nel cuore stesso del "punto d'ago" del presente della coscienza assoluta, quest'ultima si allontani da se stessa e rompa con la sua appartenenza immediata a se stessa. Essa è, ed essa non è già più, ovvero è non essendo più. Lévinas parla a que­ sto proposito di «sfasamento», di «après-coup» (p. 154 ) , e di un «ritardo della coscienza su se stessa» (p. 155 ) , e tenta di mostrare che stringiamo qua non solo il momento originario del movimento della temporalizzazione, ma anche la radice di ogni alterità e di ogni differenza. L'unione indissolubile fra un'impressione originaria nuova e le impressioni originarie trascorse in seno al presente è l'esperienza originaria del «passaggio» e della «transizione» (p. 153 ), che costituiscono l'essenza della temporalità come trascendenza: «Non è possibile comprendere la trascendenza [ .. ] come un attraversamento, un enjambement, un cammino piuttosto che come una rappresentazione [ . . . ] ?>> (pp. 159- 160). Questa trascendenza è, beninteso, la trascendenza dell'infini­ to, della coscienza come «iterazione fondamentale» (p. 153 ) , della «diacronia più forte del sincronismo strutturale» (p. 160) , e non la trascendenza ekstati.

' E. Husserl, Vorlesungen zur Phiinomenologie des inneren Zeitbewusstseins, in "Jahrbuch " IX, ( 1 928), pp. 367 -469; trad. francese Leçons pour une phénomenologie de la conscience intime du temps, Paris 1964 , app. IX. 192

Il mio tempo e il tempo dell'altro

ca di Heidegger. Si potrebbe mostrare come quelle pagine estremamente dense dedicate all'impressione originaria e alla ritenzione in Intentionalité et sensation espongano già il fondamento temporale della concezione levinas­ siana della traccia dell'infinito. È dunque un po' provocatorio constatare che, laddove questa concezione conoscerà il suo pieno sviluppo, vale a dire in Al­ trz'menti che essere, Lévinas si mostrerà molto più riservato circa le potenzia­ lità di questa analisi husserliana dell'impressione originaria e della ritenzione: C'è coscienza nella misura in cui l'impressione sensibile differisce da se stessa sen­ za differire; essa differisce senza differire, altra nell'identità. [. .. ] Differire nell'i­ dentità, modificarsi senza cambiare - la coscienza splende nell'impressione allorché l'impressione si allontana da se stessa: per aspettarsi ancora oppure per già recupe­ rarsi. Ancora, già-tempo; e tempo in cui nulla è perso. [ . . . ] Dire coscienza è dire tempo. È, in ogni caso, dire tempo recuperabile (p. 4 1 ) .

Non s i possono esprimere più chiaramente le potenzialità della concezione husserliana della temporalità per un pensiero etico dell'alterità dell'altro. I suoi limiti sono dovuti essenzialmente al fatto che essa considera l'alterità temporale nel quadro di una fenomenologia della coscienza. Questa coscien­ za, che ha un bell'essere sensibile e pre-intenzionale, originariamente divisa e dunque separata da se stessa, cercherà sempre di riunirsi a se stessa per pre­ servare la sua identità. Può essere altra per se stessa, ma non può essere, come Lévinas richiede al soggetto etico, interamente e infinitamente per l'altro. An­ che se l'alterità-da-sé della coscienza consente, in una certa misura, di pensare l'apparire dell'altro sotto forma di una affezione traumatica, essa non permet­ te di pensare una risposta soggettiva che prenderebbe la forma del sacrificio di se stesso per l'altro: la coscienza può dividersi e allontanarsi da se stessa, può anche accogliere l'estraneo (a condizione che non sia totalmente estra­ neo), ma non può abbandonare se stessa o lasciarsi annichilire dall'altro. E forse è un bene che sia così, ma questo non è il problema per ora. Il nostro sco­ po non è di giudicare l'etica di Lévinas, e neanche di esporla in modo ap­ profondito, ma semplicemente d'interrogare la concezione della temporalità che la sottende. Se la coscienza non può bastare a pensare una temporalità che renda vera­ mente giustizia all'alterità dell'altro, la tentazione di rivolgersi verso un'ana­ lisi fenomenologica dell'esistenza è grande. Ed è precisamente ciò che fa Lé­ vinas in due vecchi testi, di cui uno porta il titolo significativo di Le temps et l'autre, mentre il secondo s'intitola De l'existence à l'existent. 6 Questi testi so­ no particolarmente interessanti per il nostro discorso perché, pur anticipan6 E. Lévinas, De l'existence à l'existant, Paris 1990 (la prima edizione di questo te­ sto, che fu > (p. 129). Lasciamo da parte le implicazioni del fenomeno per quanto riguarda l'oblio. Quindi l'accento è posto sul passaggio all'atto e sul posto che occupa quest'ultimo all'insaputa del paziente. L'importante, per noi, è il legame fra compulsione di ripetizione e resistenza, così come la sostituzione del ricordo con questo doppio fenomeno. In questo consiste l'ostacolo alla continuazione dell'analisi. Ora, al di là di questo punto di vista clinico, Freud fa due proposte terapeutiche che saranno per noi della massi­ ma importanza, visto lo stato traumatico della memoria dei popoli alla nostra epoca. La prima riguarda l'analista, la seconda l'analizzante. Al primo è con­ sigliata una grande pazienza verso le ripetizioni che provengono da sotto il manto del transfert. n transfert, osserva Freud, crea così un ambito interme­ dio fra la malattia e la vita reale; possiamo parlame nei termini di una " are­ na" in cui la compulsione è autorizzata a manifestarsi in quasi assoluta li­ bertà, in cui al fondo patogeno del soggetto viene offerta l'opportunità di manifestarsi apertamente. Ma occorre anche chiedere qualcosa al paziente: di smettere di gemere o di nascondere a se stesso il suo vero stato, occorre che «trovi il coraggio di fissare la sua attenzione sulle sue manifestazioni morbose, di non più considerare la sua malattia come qualcosa di spregevo­ le, ma guardarla come un avversario degno di stima, come una parte di se stesso la cui presenza è ben motivata e in cui conviene attingere preziosi da­ ti per la sua vita ulteriore» (p. 132 ) . Altrimenti, niente «riconciliazione» (Ver­ sohnung) del malato con il rimosso (ivi). Fermiamoci per ora a questo doppio lavoro sulle resistenze da parte del paziente e del suo analista, lavoro che Freud chiama col nome di Durchar­ bez'ten (p. 136), di "translaboration " , come lo si traduce in francese. La paro­ la importante è qui quella di lavoro - o meglio di "elaborare" - che sottoli­ nea non solo il carattere dinamico dell'intero processo ma anche la collabo­ razione dell'analizzante a questo lavoro. È nel rapporto con questa nozione di elaborazione, presentata nella sua forma verbale (in inglese hanno tradot­ to con working through), che diventa possibile parlare del ricordo stesso, in questo modo liberato, come di un lavoro, il «lavoro di rimemorazione» (Erinnerungsarbeit) (p. 133 ) . Lavoro diventa così la parola più volte ripetuta, e simmetricamente opposta alla compulsione: lavoro di rimemorazione con­ tro compulsione di ripetizione, così potrebbe riassumersi il tema di questo prezioso piccolo saggio. Appartiene ugualmente a questo lavoro da un lato la pazienza dell'analista per la ripetizione canalizzata dal transfert, e dall'altro il 223

Filosofia del Tempo

coraggio dell'analizzante nel riconoscersi malato, alla ricerca di un rapporto veritiero con il suo passato. Prima di prendere in considerazione le trasposizioni possibili dal piano pri­ vato della relazione analitica al piano pubblico della memoria collettiva e del­ la storia, rivolgiamoci al secondo saggio, intitolato Lutto e melanconia, (G.W. , T. 1 0 , 1916- 1 9 1 7 ) .' Questo saggio offre senz'altro una maggior resistenza del precedente a una trasposizione sul piano della memoria collettiva, nella mi­ sura in cui il lutto è meno trattato per se stesso, in quanto precisamente lavo­ ro, quanto piuttosto come termine di paragone per meglio penetrare gli enig­ mi della melanconia. È il legame con il saggio precedente che può aiutare a estrarre dal paragone stesso una informazione positiva riguardante l'elabora­ zione del lutto. Inoltre, ciò che può portarci ad affiancare le informazioni che noi cerchiamo riguardanti la parentela fra elaborazione del ricordo ed elabo­ razione del lutto attiene al fatto che il temine di elaborazione è ugualmente applicato alla melanconia e al lutto nel quadro del modello "economico" for­ temente sollecitato da Freud all'epoca in cui scrive questo saggio. Queste riserve iniziali non ci impediscono di rilevare che è il lutto - e l'e­ laborazione del lutto - che è in primo luogo preso come termine di parago­ ne e supposto direttamente accessibile, quanto meno in un primo tempo. Inoltre, diciamolo subito, è la coppia lutto-melanconia che deve essere presa in blocco, ed è la china del lutto verso la melanconia e la difficoltà del lutto a sottrarsi a questa terribile nevrosi che devono suscitare le nostre riflessioni ulteriori sull a patologia della memoria collettiva e sulle prospettive terapeu­ tiche che sono così aperte. «li lutto, è stato detto all'inizio, è sempre la reazione alla perdita di una persona amata o di un'astrazione eretta a sostituto di questa persona, quali: patria, libertà, ideale, ecc.». Un varco è così aperto sin dall'inizio nella dire­ zione che prenderemo in seguito. E la prima domanda che si pone l'analista è quella di sapere perché in alcuni malati vediamo sopraggiungere, «in se­ guito alle stesse circostanze, al posto de/ lutto, la melanconia» (il corsivo è mio). L'espressione "al posto di . . . " segnala immediatamente la parentela, dal punto di vista della strategia dell'argomentazione, fra i due saggi che noi col­ leghiamo: al p osto del ricordo, il passaggio all'atto, - al posto del lutto, la melanconia. E dunque in qualche modo dell'opposizione fra lutto e melan­ conia che si tratta, della biforcazione a livello "economico " degli investi­ menti affettivi diversi, e in questo senso di una biforcazione fra due modalità di elaborazione. La prima opposizione che rileva Freud è la diminuzione del «sentimento di sé» (Selbstgefuh[) nella melanconia, mentre nel lutto non c'è diminuzione del sentimento di sé. Da qui la domanda: qual è l'elaborazione che si verifica nel lutto? Risposta: «La prova della realtà ha mostrato che ' Trad. it. in S. Freud, Opere, cit., vol. VIII. 224

Passato, Memoria, Oblio

l'oggetto amato ha cessato di esistere e tutta la libido è obbligata a rinuncia­ re al legarne che la lega a quest'oggetto, contro il quale si produce una rivol­ ta comprensibile». Segue una descrizione accurata delle «grandi spese di tempo e di energia d'investimento» che richiede questa obbedienza della li­ bido agli ordini della realtà. Perché questo costo elevato? Perché «l'esisten­ za dell'oggetto perduto continua psichicamente». Così, la gravosità del prez­ zo da pagare per questa liquidazione è del sovrainvestimento dei ricordi e delle attese, ciò per cui la libido rimane legata all'oggetto perduto: «la realiz­ zazione dettagliata di ciascuno degli ordini emanati dalla realtà è l'elabora­ zione del lutto». Ma allora perché il lutto non è la melanconia? E cosa piega il lutto verso la melanconia? Ciò che fa del lutto un fenomeno normale, benché doloroso, è che «una volta compiuto l'elaborazione del lutto, l'io si trova di nuovo li­ bero e disinibito». È sotto quest'aspetto che vorrei accostare l'elaborazione del lutto e l'elaborazione del ricordo. Se il lavoro della melanconia occupa in questo saggio una posizione strategica parallela a quella che occupa la compulsione di ripetizione nel precedente saggio, si può suggerire che è in quanto elaborazione del ricordo che l'elaborazione del lutto si rivela costo­ samente liberatrice, ma anche reciprocamente. L'elaborazione del lutto è il costo dell'elaborazione del ricordo, e l'elaborazione del ricordo è il benefi­ cio dell'elaborazione del lutto. Ma prima di trame le conseguenze che ab­ biamo in mente, vediamo quali insegnamenti complementari il lavoro della melanconia porta nel quadro precedente dell'elaborazione del lutto. Ripar­ tendo dall'osservazione iniziale riguardante la diminuzione del Ichgefiihl nella melanconia, occorre dire che a differenza del lutto, in cui è l'universo che appare impoverito e vuoto, nella melanconia è l'io stesso che è propria­ mente desolato: cade sotto i colpi della sua propria svalutazione, della sua propria accusa, della sua propria condanna, del suo proprio abbassamento. Ma non è tutto, e nemmeno l'essenziale: i rimproveri rivolti a sé non po­ trebbero servire a mascherare rimproveri indirizzati all'oggetto d'amore? I loro lamenti, scrive audacemente Freud, sono atti di accusa (lhre klagen sin d Anklangen ) . Atti d'accusa che possono andare fino alla martirizzazione dell'oggetto amato, fino nell'intimo del lutto. Freud fa l'ipotesi che l'atto d'accusa, nell'ottundere la relazione oggettuale, faciliti il ritrarsi in se stessi così che la trasformazione della discordia con l'altro si tramuta in una lace­ razione di se stessi. Non seguiremo oltre Freud nelle sue ricerche propria­ mente psicoanalitiche concernenti la regressione dell'amore oggettuale nel narcisismo primitivo, sino alla fase orale della libido, - e neppure la ten­ denza della melanconia a capovolgersi nello stato sintomatico inverso della mania. Lo stesso Freud è assai prudente in queste esplorazioni. Ci limitiamo a questa citazione: «La melanconia mutua una parte dei suoi tratti caratteri­ stici dal lutto, l'altro processo della regressione lo fa a partire dall a scelta og­ gettuale narcisistica fino al narcisismo». Se ci chiediamo che cosa la melanconia insegna sul lutto, è necessario ri225

Filosofia del Tempo

tornare sul Ichgefiihl che si è dato per conosciuto e che Freud talora defini­ sce come «riconoscimento di se medesimo». Gli è propria la vergogna din­ nanzi all'altro, cosa che la melanconia ignora, a tal punto è investito da lui stesso. Stima di sé e vergogna sono, quindi, componenti congiunte del lutto. Freud lo nota: «La cesura del cosciente» - espressione dell'istanza general­ mente chiamata coscienza morale - va di pari passo con «la prova della realtà tra le grandi istituzioni dell'io». Questa sottolineatura si congiunge con ciò che è stato detto in precedenza sulla responsabilità dell'analizzante nel ri­ nunciare al passaggio all'atto e nel lavoro di ricordare lui stesso. Altra sotto­ lineatura: se nella melanconia i lamenti sono degli atti d'accusa, il lutto non porta in alcun modo l'impronta nella condizione di una certa misura, che sa­ rebbe propria al lutto, misura che limita tanto l'accusa che l'auto-rimprove­ ro che la dissimula? Infine - ed è ciò che più importa - la prossimità tra Kla­ ge e Anklage, lamento e rimprovero, che la melanconia esibisce -, non rivela il carattere ambivalente delle relazioni amorose tanto da avvicinare amore e odio financo nel lutto? Ma è sull'esito positivo del lutto, per contrasto con il disastro della melan­ conia, che vorrei chiudere questa breve incursione in uno dei più famosi sag­ gi di Freud: «La melanconia pone altre domande alle quali non siamo anco­ ra in grado di rispondere. Essa condivide con il lutto questa particolarità di poter, dopo qualche tempo, sparire senza lasciare apparenti e rilevanti mo­ difiche. Per quanto riguarda il lutto, abbiamo potuto osservare che un certo tempo doveva trascorrere prima che si realizzasse la liquidazione dettagliata di ciò che esige la prova della realtà, e che l'io, una volta assolto questo com­ pito, potesse ritirare dall'oggetto perduto la sua libido tornata libera. È in un simile lavoro che possiamo immaginare l'io impegnato, nel corso della me­ lanconia; dal punto di vista economico, non capiamo né l'uno né l'altro fe­ nomeno». Dimentichiamo la confessione di Freud riguardante la spiegazio­ ne, e facciamo salva la sua lezione clinica: il tempo di lutto non è senza rap­ porto con la pazienza che l'analista chiedeva rispetto al passaggio dalla ripe­ tizione al ricordo. n ricordo non poggia soltanto sul tempo: chiede anche tempo - un tempo di lutto. Tornerò sulla domanda posta all'inizio, cioè sapere fino a che punto è le­ gittimo trasportare sul piano della memoria collettiva e della storia le cate­ gorie patologiche proposte da Freud nei due saggi che abbiamo appena let­ to. La giustificazione può essere trovata da ambedue le parti. Dalla parte di . Freud, e dalla parte della coscienza sto rica. Dalla parte di Freud, sono certamente state rilevate le diverse allusioni a si­ tuazioni che oltrepassano di molto l'ambito psicanalitico, tanto sul versante dell'elaborazione del ricordo quanto sul versante dell'elaborazione del lutto. Questa estensione è tanto più attesa così che tutte le situazioni, evocate nel­ la cura psicanalitica, hanno a che vedere con l'altro, non solo quello del "ro226

Passato, Memoria, Oblio

manzo familiare" , ma l'altro psicosociale e, se così si può dire, l'altro della si­ tuazione storica. Perciò Freud non si è negato simili estrapolazioni; in Totem e Tabù, in Mosè e il Monoteismo, in Lavvenire di un 'illusione oppure in Il di­ sagio della civiltà. E persino certe delle sue psicanalisi private, diciamo così, sono state psicanalisi in absentia, la più celebre delle quali è quella del Dot­ tor Schreber. E che dire del Mosè di Michelangelo e di Ricordo d'infanzia di Leonardo da Vincz? Nessuno scrupolo deve quindi fermarci in quella direzione. La trasposizione è stata resa più facile da certe reinterpretazioni della psicana­ lisi vicine all'ermeneutica, come possiamo osservare in certi vecchi lavori di Habermas , in cui la psicanalisi è riformulata in termini di desimbolizzazio­ ne e di risimbolizzazione, e in cui l'accento è messo sul ruolo delle distor­ sioni sistematiche della comunicazione sul piano delle scienze sociali. L'u­ nica obiezione alla quale non è stata data risposta riguarda l'assenza di te­ rapisti riconosciuti nei rapporti interumani. Ma non è lecito dire che in questo caso è lo spazio pubblico della discussione che costituisce l'equiva­ lente di ciò che è chiamato sopra "l'arena" nelle relazioni fra il terapista e l'analizzante? Il secondo problema filosofico che pone la nozione di abuso della memo­ ria riguarda la terapia appropriata a questi disturbi. È sulla nozione di ela­ borazione, utilizzata da Freud in questi due saggi - elaborazione del ricordo, elaborazione del lutto - che vorrei insistere. Essa suppone che questi distur­ bi non sono solo subiti ma anche che ne siamo responsabili. Freud stesso non lo ignora, come testimoniano i suoi consigli terapeutici riguardanti la iperelaborazione. Infatti, le nozioni di uso e di abuso hanno a che vedere con un uso perverso di questa elaborazione; esse evocano l'idea di una strumen­ talizzazione della memoria, la quale rileverebbe di ciò che Max Weber chia­ merà Werkrationalitiit e che egli opporrà alla Wertrationalitiit. Habermas, a sua volta, si sforza di distinguere il livello comunicazionale dell'etica dal suo livello puramente utilitario e strategico. Gli usi della memoria si pongono al crocevia di queste due specie di razionalità e anche di queste due modalità etiche. C'è qualcosa di deliberato, di concertato, di finalizzato, in questa no­ zione di lavoro applicata al ricordo. Ne sono testimonianza gli abusi della memoria legati alla manipolazione del ricordo e principalmente dei ricordi alternati di gloria e di umiliazione commessi da una politica ostinata di com­ memorazione che si può denunciare in quanto essa stessa abusiva. Todorov a questo riguardo è implacabile. Ora su quale molla della memoria e dell'oblio gioca questa strumentalizzazione, questa manipolazione? Essenzialmente sul carattere selettivo della memoria, carattere di cui ancora non abbiamo parla­ to. Tocchiamo qui un punto delicato, vale a dire l'uso deliberato dell'oblio. Certo, come diremo più avanti, l'oblio è una necessità, come ricorda Nietz­ sche all'inizio del suo famoso saggio citato sopra. Ma è anche una strategia. E prima di tutto quella del racconto che, nelle sue operazioni di configurazio­ ne, mescola l'oblio alla memoria. È dunque mediante la selezione del ricordo 227

Filosofia del Tempo

che passa essenzialmente la strumentalizzazione della memoria. Ma come fa­ re buon uso di questo potere temibile di selezione? Qui il problema epistemologico posto dal desiderio di veridicità della me­ moria - problema già complicato dal coinvolgimento delle categorie patolo­ giche e terapeutiche - incontra un problema morale, e anche politico, come abbiamo accennato a proposito della frenesia di commemorazione. n pro­ blema morale è posto in termini di ingiunzione. Ingiunzione di non dimenti­ care. Zakhor, dice la Torah ebraica. Interdetto dall'oblio . . . Perché? Per più ragioni che appartengono al problema della costituzione dell'identità tanto collettiva quanto personale. Mantenere l'identità, abbiamo detto sopra; man­ tenerla nel tempo e anche contro il tempo e il suo potere "distruttore" evo­ cato da Aristotele nel testo enigmatico della Fisica, posto in exergo dei suoi studi. Se non bisogna dimenticare, è innanzitutto per resistere ali: universale rovina che minaccia le tracce stesse lasciate dagli eventi. Ed è per conservare radici all'identità e per mantenere la dialettica della tradizione e dell'innova­ zione che bisogna tentare di salvare le tracce. Ora, fra queste tracce, ci sono anche le ferite inflitte dal corso violento della storia alle sue vittime. Se non bisogna dimenticare, è dunque anche e forse soprattutto al fine di continua­ re a onorare le vittime della violenza storica. È in questo senso che si può di­ re della memoria che è minacciata. E può esserlo e lo è stato politicamente dai regimi totalitari, che hanno esercitato una vera censura sulla memoria. È così che la manipolazione passa attraverso l'uso perverso della selezione, es­ sa stessa messa al servizio di uno sviamento dell'ingiunzione diretta contro l'oblio. Todorov ha ragione di dire che la soluzione del problema deve esse­ re cercata sul versante dello spostamento dell'accento del passato sul futuro. La sempitema ripetizione delle ferite della memoria trova il suo limite nel va­ lore esemplare dei crimini, il quale non contraddice l'incomparabile mo­ struosità dei più gravi. Non andrò oltre in questa direzione. Queste brevi considerazioni poggiano su quello che potremo chiamare la politica della memoria, la cui posta in palio sarebbe qualcosa come la cultura di una giusta memoria. Vorrei piuttosto chiudere questa meditazione tornando a considerare le ri­ sorse che la memoria stessa offre a questa etica e a questa politica della giu­ sta memoria. n legame che abbiamo instaurato fra elaborazione del ricordo e elaborazione del lutto ci permette di acquisire alla nostra presente riflessione sugli usi ed abusi della memoria le nostre considerazioni anteriori sulla con­ quista della distanza nella considerazione del passato. La perdita, anticipa­ vamo allora, costituisce la prova maggiore della conquista della distanza tem­ porale. Ora, la troppa e la non sufficiente memoria dividono lo stesso difet­ to, quello dell'aderenza del passato al presente: "il passato che non vuole passare " , evocato da molti storici del tempo presente, è un passato che abita ancora il presente, o meglio che lo infesta come un fantasma senza distanza. N d linguaggio freudiano, è il tempo della ripetizione, in un'accezione della 228

Passato, Memoria, Oblio

parola che non è affatto quella di Kierkegaard. È con questo tempo che rom­ pe l'elaborazione del ricordo che è anche quella del lutto. Se insisto tanto sulle risorse che offre la memoria in quanto tale alla lotta contro questi abu­ si, non è per far portare alla storia tutto il peso della critica. Se è ben vero, come diremo più avanti, che la storia esercita fondamentalmente una funzio­ ne critica nei riguardi degli aspetti negativi della memoria, vale a dire non so­ lo dei suoi errori ma anche delle sue falsificazioni, è perché si innesta sulla funzione della distanziazione inerente la memoria. Vorrei terminare questo studio radunando le osservazioni sull'oblio rima­ ste sparse nelle pagine che precedono. Di fatto, è ancora in termini di aporia che occorre parlarne. Non ci si potrebbe infatti accontentare di dichiarare che l'oblio è nemico della memoria, - che ricordare significa lottare contro l'oblio. Questa visione elementare può valere al massimo - e con le riserve che faremo - per l'oblio profondo, quello che riguarda la memoria in quan­ to iscrizione, ritenzione, conservazione dei ricordi. La metafora platonica e aristotelica del typos, dell'impronta lasciata sulla cera da un sigillo, spinge l'intera problematica in questa direzione. Aristotele, nel testo enigmatico della Fisica che abbiamo posto in testa a questo studio, evoca il potere deva­ statore del tempo stesso. L'oblio è così ricondotto a una universale messa in rovina, per mezzo della quale la sparizione l'avrebbe vinta in ultimo sull'ap­ parizione, la distruzione sulla produzione. Ma è già scordare ciò che nasce e cresce, senza che nessuno possa valutare, in un bilancio esaustivo del ricor­ do, il peso di ciò che spetta all'essere e di ciò che gli è sottratto. Di più, sa­ rebbe una legittima domanda chiedersi se, a un livello profondo, non vi è un oblio che preserva, un oblio dell'immediato, un oblio delle fondazioni e del­ la loro donazione originaria, che, in ultima istanza, rende possibile la memo­ ria, come Heidegger suggerisce in un enigmatico passo di Sein und Zeit.5 Ma la memoria e la storia hanno un altro rapporto con l'oblio a un livello minore di profondità rispetto al precedente, quello della rimemorazione in quanto richiamo. Sotto questo aspetto, Bergson e Freud s'incontrano per suggerire che, al limite, non dimentichiamo nulla di ciò che ci ha un tempo colpito. Ciò che chiamiamo oblio è, più di quanto vogliamo credere, difetto di richiamo, resistenza al richiamo, fors'anche rifiuto del richiamo. A questo proposito, una fenomenologia dell'oblio, complementare a quella della me5 All o stesso modo che l'attesa non è possibile che sulla base di un attendere, ugual­ mente il ricordo (Erinnerung) non è possibile che sulla base di un dimenticare, e non l'inverso; è sul modo dell'oblio che l'esser-stato apre primariamente l'orizzonte in cui, impegnandovisi, il Dasein, perduto nell'esteriorità «di ciò di cui egli si preoccupa può ricordarsi». Cfr. M. Heidegger, Sein und Zeit, Tiibingen 1927 , parte l, sez. II, ca p IV, S 68 a, p. 339 (trad. it. Essere e tempo, a c. di P. Chiodi, Torino 1969, pp. 492-493 ) Questa dichiarazione sorprendente di Heidegger deve essere messa in relazione con il cambia­ mento di vocabolario concernente il passato che, da Vergangenheit, diventa Gewe ­ senheit: esser-stato. Mi riservo di trattare questo punto cruciale in uno stud io distin to .

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Filosofia del Tempo

moria, avrebbe il compito di distribuire le figure dell'oblio che agiscono sul richiamo fra i due poli di un oblio passivo ed un oblio attivo. Vicinissimo al polo passivo, ma già sulla via del polo attivo, ritroveremmo il difetto di ricordo che Freud collega alla pulsione di ripetizione, e l'acting aut a cui dice che il paziente si dà. Nelle sue vicinanze, incontriamo l'oblio di fuga, espressione della cattiva fede. Consiste in una strategia di scansamento, essa stessa motivata da una oscura volontà di non informarsi, di non indagare sul male, in breve in una volontà di non-potere. È a questo che pensavamo quando evocavamo all'ini­ zio di questo studio la troppa poca memoria degli uni, in un'Europa del XX secolo; è un deficit dell'elaborazione del ricordo, che non giustifica l'eccesso di memoria degli altri. Quindi, quest'eccesso e questo difetto dipendono dal­ la stessa memoria senza distanza che gli uni fuggono e che gli altri coltivano. La soglia dell'oblio attivo è varcata con l'oblio selettivo, che è una condizio­ ne esplicita del lavoro stesso di memoria, nella misura in cui quest'ultimo passa per operazioni configuranti del racconto. Quest'oblio è cosostanziale all'operazione di messa in trama. E la possibilità di raccontare diversamente, sulla quale poggia la liberazione dall'ossessione del passato, risulta da questa attività selettiva del racconto. Vorrei infine terminare questo itinerario con una rievocazione della Secon­ da Considerazione inattuale di Nietzsche, che comincia con un elogio dell'o­ blio diretto contro il fardello della memoria storica all'epoca del grande sto­ ricismo tedesco. È un abuso della storia e della memoria, abuso prossimo a quelli che abbiamo evocato sopra, che Nietzsche attacca. Il suo elogio inau­ gurale dell'oblio acquista tutto il suo significato in rapporto alla denuncia di quest'abuso. All ' opposto dell'oblio bovino del ruminante, che non ha avuto accesso al "ciò era" che tormenta l'uomo, esso è un oblio liberatore che dà accesso alla felicità di sentirsi unhistorische: «A ogni agire, vi si dice, appar­ tiene il dimenticare». Non per questo è sacrificata la virtù di giustizia; è la giustizia che interpreta; e la forza del diritto di giudicare viene dall'energia del presente: «È in virtù soltanto della forza suprema del presente che voi avete il diritto di interpretare il passato». Cosi il sospeso di ciò che è storico ­ mediante l'oblio e la rivendicazione dell"' astorico" - è solo il rovescio della forza del presente e della giustizia.

È forse saggio chiudere questa corta meditazione sull'oblio col tema della giustizia, sul quale avevamo terminato sopra la discussione dell'ingiunzione a non dimenticare. La giusta misura nell'usa dell'oblio. E l'una e l'altra misure sono solidali alla conquista della giusta distanza rispetto al passato. Paul Ricoeur

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1 6 . Il tempo e l'essere del mondo

16. 1 La domanda sul tempo e la questione dell'essere dell'esistenza La domanda sul tempo mette in questione l'essere dell'esistenza. Mi intro­ duco al tema attraverso una formulazione deliberatamente ambigua per di­ sporre subito dell'opportunità di qualche chiarificazione preliminare. Come intendere infatti l'espressione "l'essere dell'esistenza" ? Essa domanda sol­ tanto dell'esistenza o non chiede anche, se non prima di tutto, dell'essere? Che cosa dunque viene messo in questione dalla questione del tempo? Sem­ plicemente l'uomo nel suo esistere, in quanto uomo, o non invece, necessa­ riamente, l'essere per cui l'esistenza esiste, vale a dire l'essere nella sua diffe­ renza dall'esistenza? Ma come pensare l'essere che viene chiamato in causa? E come non eludere la questione del tempo nel momento in cui la si traduce nella questione dell'essere? Stabiliamo dunque, in primo luogo, che ben lon­ tano da qualsiasi proposito riduttivo, che intenda far scomparire la domanda sul tempo nella riflessione sull'essere, nelle considerazioni che seguono inte­ ressa pensare che l'interrogazione del tempo è interrogazione dell'essere, perché domandare dell'essere è domandare del tempo. Seins/rage come Zeit­ /rage, per dichiarare subito un riferimento decisivo, e tuttavia molto proble­ matico, che la presente riflessione assume in modo esplicito, ma che non può mancare, oggi, in forma più o meno diretta, a chiunque si interroghi sul­ l'esperienza della temporalità. Come, peraltro, nessuno può lasciar cadere nell'oblio le grandi testimonianze del pensiero metafisico, da subito alle pre­ se con lo implicatissimum aenigma dell'essere e del non essere del tempo, per citare Agostino. 1 Questi infatti svolge la propria interrogazione seguendo le tracce ben riconoscibili di quella di Aristotele/ tracce mediate da una tradi­ zione ben consolidata. E tuttavia la distanza metafisica di Agostino da Ari­ stotele non potrebbe essere più grande. Questi scontati riferimenti - Aristotele, Agostino, Heidegger, ma ag­ giungiamo almeno Kant e Husserl, per fondati, comprensibili motivi fanno da sfondo al problema che si è inteso richiamare da subito all'atten ­ zione, attraverso l'ambigua formulazione iniziale: quello del rapporto tra l'essere e l'esistenza, che si traduce senza riduzionismi di sorta, come si 1 Agostino, Con/essiones, XI, XIV 17.

2 Aristotele, Physica, IV, 10-14.

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Filosofia del Tempo

cercherà di argomentare, nella questione della relazione tra l'esistenza e il tempo. Lo sfondo problematico, suggerito anche solo attraverso l'evoca­ zione dei nomi suddetti, può forse rendere meno sorprendente e ingiusti­ ficata la stessa formulazione della tesi d'apertura, nonché la sua ripresa e articolazione attraverso alcune ulteriori prese di posizione, che comincia­ no a rispondere alle domande iniziali. Infatti, se si ribadisce che la que­ stione del tempo investe necessariamente l'essere dell'esistenza, in modo che non si possa porre direttamente come questione relativa a un presun ­ to tempo meramente naturale dei fenomeni, meno che mai a un tempo as ­ soluto, di per sé impensabile, si comprende che si intende dare tutto il pe­ so dovuto all'implicazione della psyché nell'analisi aristotelica. Si tratta in­ fatti di una decisiva integrazione rispetto alla considerazione che Platone riserva all'anima del mondo nel Timeo, nella misura in cui Aristotele chia­ ma in causa l'anima dell'uomo in relazione all'essere del tempo. Il che non autorizza a sottovalutare l'importanza riconosciuta all'anima dalla stessa teoria platonica del tempo, di cui lo stesso Aristotele si è sicuramente ri­ cordato in senso più essenziale di quanti la mettono da parte per il suo ca ­ rattere "mitico " .3 Non volendo qui aprire un complesso problema storico­ ermeneutico, che sarebbe del tutto pertinente, ma ci porterebbe assai lon ­ tano, mi limito a osservare, ai fini degli sviluppi successivi, che tuttavia il ricorso alla psyché da parte di Aristotele, per quanto decisivo, non può non scontare il suo carattere troppo repentino in rapporto alla gravità del­ la questione del tempo. Essa compare come il motivo scatenante di un'a­ poretica, a cui viene data una soluzione troppo netta e sbrigativa per non suscitare innumerevoli discussioni.4 Si può dunque riconoscere senza difficoltà che ben altrimenti fondamen­ tale è il ruolo riconosciuto allo animus da Agostino. E tuttavia per entrambi vale la domanda se al tempo sia riconosciuta la rilevanza antologica necessa­ ria. Nel caso di Aristotele è doveroso sottolineare fortemente la piena dignità antologica riconosciuta al mondo fisico, in quanto mondo del movimento e del tempo, in contrapposizione alle tesi dell'eleatismo; la natura detiene in­ fatti il segreto della necessità del dio come motore immobile, molto più di quanto il dio non detenga il segreto dell'essere della natura. Questo però non toglie che la temporalità del tempo tenda a dileguare a causa dell'appiatti­ mento dell'esperienza del tempo su quella del movimento (giusta la critica di Plotino a proposito della concezione del tempo come " qualcosa del movi­ mento").5 Si deve dire che la psyché resta in ogni caso troppo naturale, e cioè ' W. Wieland, Die aristotelische Physik, Gottingen 1962 , pp. 3 1 6 ss. ; H. Blumen­ berg, Die Genesis der kopernikanischen Welt, Frankfurt 198 1 , pp. 509-526; K. Flasch, Was ist Zeit �. Frankfurt 1993 , pp. 108- 124. ' Aristotele, Physica, IV, 223 a 2 1 -29. ' lvi, IV, 2 1 9, 8-10; Plotino, Enneadi, III, 7, 9, 68-73 ; 10; 1 3 . Si veda, tra l'altro, S. Sarnbursky, Der Begriff der Zeit im spiiten Neuplatonismus, in Die Philosophie des Neu­ platonismus, Darmstadt 1977 , pp. 475 -495 . 232

Il tempo e l'essere del mondo

finisce per essere trattata in modo tale da non poter rendere ragione di un'e­ sperienza del tempo che vada oltre il calcolo del movimento. Quanto meno nella trattazione fondamentale di Fisica IV, e direi anche altrove, pur se non mancano in Aristotele spunti significativi che ne possono arricchire la consi­ derazione del rapporto tra l'anima e il tempo (come nel De memoria et remi­ niscentia). li punto è tuttavia che non si tratta di trovare in Aristotele delle in­ tegrazioni sul piano psicologico all'analisi di Fisica IV, come per lo più si pen­ sa. La stessa psicologia di Aristotele resta infatti naturalistica perché manca alla metafisica aristotelica un'interrogazione della relazione tra l'essere e la naturalità dell'uomo che ecceda la dimensione dell'ente, entro cui è ridotta tanto la considerazione dell'essere quanto quella della psyché. Quindi la stes­ sa analisi della temporalità soffre di questa carenza fondamentale, come si avrà modo di argomentare. Nel caso di Agostino l'interrogazione appassionata del tempo, almeno nelle Confessioni, proviene direttamente dall'enigma immenso del rapporto del mondo con il Dio creatore. Interpreta dunque l'esperienza della creatu­ ra, smarrita nelle oscurità del suo esistere finito, alla ricerca del fondamen­ to stabile e solido verso cui l'anima si protende al di là del tempo. «Et stabo atque solidabor in te, in forma mea, veritate tua: starò e mi confermerò in te, nella forma mia che è la verità tua»: questa attesa finale dell'eterno con­ clude la meditazione di Agostino. L'ora del tempo è infatti l'ora dell'affli­ zione: «Nunc vero anni mei in gemitibus [ . . ] ; at ego in tempora dissilui, quorum ordinem nescio, et tumultuosis varietatibus dilaniantur cogitatio­ nes meae, intima viscera animae meae, donec in te confluam purgatus et li­ quidus igne amoris tui».6 Il tempo è dunque concepito, e direi più ancora sofferto, nella prospettiva dell'anima che guarda all'essere assolutamente stabile e immutabile del principio creatore. All'ascesa verso tale culmine trascendente l'analisi agostiniana della temporalità fa da sgabello, secondo una volontà metafisica di subordinazione del tempo all'eterno e di contrap­ posizione dell'eterno al tempo ben altrimenti drammatica di quella che si esprime nella concezione aristotelica. Questo non toglie nulla alla grandez­ za memorabile delle pagine delle Confessioni, come di altre pagine di Ago­ stino. Consente anzi di ribadire la radicalità della rivoluzione teologica, in­ trodotta dal cristianesimo rispetto al pensiero greco in virtù della concezio­ ne creazionistica del supremo principio. La svalutazione del tempo, nel senso di una concezione fondamentalmente unilaterale del destino di cor­ ruzione che esso porta con sé, se già insidia il pensiero antico, incluso Ari­ stotele, viene decisa in modo irreversibile dalla metafisica cristiana e stabili­ ta come contrassegno imponente del nichilismo dell'Occidente. Lo Za.

• Agostino, Con/essiones, XI, XXIX, 39-40 («Per ora la mia vita scorre nell'afflizio­ ne [ . ] io invece mi sono dissipato nella successione dei tempi che non conosco: di modo che il mio pensiero, intimo recesso della mia anima, viene smembrato dal tu­ multo delle vicende, fino a che purgato e sciolto nel fuoco del tuo amore, io mi im­ mergerò in te»). .

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Filosofia del Tempo

rathustra di Nietzsche invocherà, contro tale metafisica della fuga dal tem­ po, la lode di tutto ciò che è caduco.7 Meno decisiva, perché radicata essa stessa nei tratti fortemente realistici del pensiero dell'epoca, oltreché nella svalutazione del tempo rispetto all'e­ terno, di cui si è detto, riuscirà invece la riduzione del tempo nella distenttò animi. Tale concezione si mostra tanto più risoluta dell'aporia aristotelica dell'anima nel riconoscere l'irriducibilità del tempo al movimento fisico, e tanto più sbrigativa nell'accantonare il problema, quanto meno è interessata, nello spirito della riflessione teologica cristiana, all'analisi dell'essere natura­ le.8 La ricerca di Agostino è ispirata ovviamente dalla passione dell'anima per Dio, che la eleva al di sopra della natura creata, piuttosto che dall'esperienza greca dell'appartenenza fondamentale della stessa psyché alla physis. A que­ sto proposito deve essere pensata nella sua radicalità la rottura che si produ­ ce tra la tradizione greca e la metafisica cristiana, a partire dall'ispirazione bi­ blica di quest'ultima e quindi dalle radici che essa affonda nel giudaismo. In ogni caso la risoluzione dell'essere del tempo nel distendersi dell'anima al­ l'indietro verso il passato e in avanti verso il futuro, non verrà a capo di un fondamentale realismo e naturalismo nella concezione del tempo (e dello spazio) che si protrarrà fino a Kant, il quale nell"' Estetica trascendentale" rompe con l'idea che tempo e spazio siano nelle cose, per farne forme a prio­ ri della sensibilità. La suddetta risoluzione segna tuttavia la più netta riduzione del tempo al­ la presenza, ma non in quanto istantaneità di un presente che subito dilegua, bensì in quanto permanenza dell'anima. «Questo almeno adesso è limpido e chiaro: né il futuro né il passato sono, né è corretto dire: i tempi sono tre, passato, presente, futuro, ma forse sarebbe più proprio dire: i tempi sono tre, il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro. Queste tre /orme, infatti, sono in qualche modo nell'anima e non le vedo altrove»: co­ me memoria, contuitus, expectatio: li presente fugge come presente del mo­ mento, ma permane come tempo fondamentale dell'essere dell'anima, che sostiene le tre fasi del tempo; l'anima, dunque, regge il peso del tempo (del suo enigma) in quanto lo trascende come permanenza sostanziale. «In te, anime meus, tempora metior».10 Ma non ne è al contempo misurata proprio in quanto destinata a essere come tempo della presenza, che recupera nel passato il presente che fugge o che anticipa al futuro il presente che ancora non è come evento che potrà essere? Tra il non essere del passato e quello del futuro il presente si rivela come l'unico tempo dell'essere, l'unico vero, quello fondamentale, in quanto presente dell'anima . L'effetto di svalutazione sul mondo del mutamento, della genesi e della corruzione, non poteva essere più grave, certo assai maggiore di quello che si desume dalle considerazioni di ' F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere, VI, l , Milano 1968, p. 1 0 1 . ' Agostino, Con/essiones, Xl, XXV I 3 3 . ' lvi, XX 26. IO lvi, XXVII 36. 234

Il tempo e l'essere del mondo

Aristotele sul tempo come causa di distruzione (pbthoras gàr aitios) . 11 Si deve anzi ribadire quanto in precedenza sottolineato, a proposito della sofferenza del tempo che ispira la meditazione di Agostino, vale a dire che l'anima stes­ sa che lo fa essere come tempo, resta in balia della sua violenza rapinosa. Per­ tanto, se pure l'anima trascende il tempo, tuttavia non è immune dalla sua aggressione e trova l'immutabile soltanto al di là di se stessa, nel Dio creato­ re. 12 Proprio a proposito dell'ultimo fondamento, presso cui trova riparo la fuga dal tempo di Agostino, si propone allora la questione: non appartiene inevitabilmente al tempo lo stesso essere che si stabilisce come immutabile, come eterno presente, al di là del presente mondano, sempre in bilico tra passato e futuro, tra essere e nulla? Più che trascenderlo, tanto l'essere del­ l'anima quanto quello del supremo principio blocca il tempo in una delle tre fasi, così come blocca il fluire del movimento nella modalità dello stare. La domanda che incalza sulla base di questi esiti è alla fine la seguente: po­ sto che la metafisica del permanente e dell'eterno si risolve nell'onta-teologia del presente assoluto (il Dio creatore di Agostino) , che ne è dell'essere del tempo? La metafisica ha mai pensato il tempo come tale, o non lo ha forse semplicemente subìto e probabilmente fuggito come la minaccia fondamen­ tale? Capace di incutere tanto timore da produrre, come effetto paradossale, l'assolutizzazione della fase temporale della presenza e della visione (contui­ tus), al fine di poter pensare l'essere immutabile nella forma del Nunc stans, dell'ora permanente al di là del tempo. Quanto dire che l'esperienza del tem­ po si rivela così inevitabile da riproporsi inesorabilmente nel risultato culmi­ nante del pensiero che non ha potuto sopportarne la sfida. Non dunque l'in­ terrogazione del tempo, ma una rimozione profonda che la rende insosteni­ bile caratterizza il destino del pensiero metafisico. 16.2 La differenza del tempo del mondo Il pensiero metafisico manca l'interrogazione del tempo in quanto lo cerca immediatamente come un ente tra gli enti del mondo. Nel mondo si danno infatti cose e relazioni tra cose, quantità e qualità diverse, ciò che agisce e ciò che patisce, l'avere e l'essere in una certa situazione, secondo la disposizione del luogo e del tempo. Entrambi, tempo e luogo, sono qualcosa di dato nel mondo fisico, enti presenti, o almeno vanno cercati tra questi, anche se la chiarificazione del loro essere di enti non manca di porre difficili problemi. Tuttavia la riduzione ontica che ne è stata operata preliminarmente tiene sot" Aristotele, Physica, IV, 22 1 b 1 -3 : [ho chr6nos] arithmòs gàr kinéseos, be dè kine­ sis existesin tò hypdrchon: il tempo è il numero del movimento, ma il movimento mu­ ta e dissolve ciò che è. 1 2 K. Flasch, op. cit. , p. 224 , sottolinea efficacemente la tensione che subisce il pen­ siero di Agostino, tra fondazione del tempo nell'anima e sua radicale contingenza: �.21 Non sembra dunque illegittimo pensare che nel simbolo del fulmine, vale a dire nell'evento luminoso e violento in cui tutto si distingue restando rac­ colto insieme, Eraclito possa avere afferrato il pensiero di un'eternità che non "sta" oltre il tempo, ma non è nemmeno concepibile come una vita ini­ ziata da sempre e destinata a durare sempre. Questa sarebbe soltanto la con­ cezione mondana del tempo come un flusso ininterrotto. I:eternità come evento è piuttosto l'evento del tempo: senza prima né dopo che gli possa es­ sere assegnato, quindi non misurabile, non il tempo della successione, che si lascia calcolare in riferimento a qualche altro fenomeno (come il movimen­ to), ma il tempo prepsichico e precinetico che presiede al determinarsi delle cose nel mondo, tra il loro generarsi e il loro venir meno, piuttosto che il tempo che registra questi fenomeni. Tuttavia, pur ammessa almeno la possi­ bilità che Eraclito apra dall'origine questa direzione fondamentale di pensie­ ro, non frequentata successivamente dalle domande della tradizione metafi­ sica, non si tratta in alcun caso di sostenere che egli pensi già il tempo del mondo come differenza. Non gli si vuole dunque attribuire, bell'e fatta, la te­ si che viceversa ci interessa guadagnare, vale a dire che se le cose sono nel tempo, se i viventi hanno tempo, è necessario che il tempo sia, in senso diffe­ renziale, l'essere del mondo. Nondimeno interessa percepire l'eco inconfon­ dibile dell'esperienza di una temporalità /ondamentale dell'essere/mondo nel­ le più antiche parole tramandate dalla tradizione filosofica, forse non ancora appartenenti alla filosofia, ma forse tanto più solenni per noi, quanto più te­ mibili. Esse infatti risuonano lontane, quasi inaccessibili al nostro modo di pensare, ma allo stesso tempo non si lasciano mettere da parte, dunque ci tengono in scacco. Forse la metafisica dell'eterno stare, che ha dominato in virtù del suo im­ pianto ontico la formazione del pensiero occidentale e che tuttora ne condi­ ziona ogni ulteriore possibilità di domandare, ci ha reso sordi alla loro eco. In questa chiave riesce addirittura imbarazzante ricordare che la prima pa­ rola che ci giunge da tali lontananze, il detto di Anassimandro riportato da Simplicio, parla della necessità (katà tò chre6n) che domina le cose che sono

21 W. Schadewaldt, Die An/iing e der Philosophie bei den Griechen, Ti.ibingen 1978, pp. 371, 376, 4 1 1 ; M. Heidegger, E. Fink, Heraklit, Frankfurt 1970 (Fink apre la sua interpretazione di Eraclito nel bagliore improvviso del keraun6s, fr. 64; dalla prima seduta del seminario sono tratte le citazioni; l'edizione italiana, Dialogo intorno a Era­ clito, Milano 1992 , è introdotta da un saggio del sottoscritto, Il pensiero e l'origine, pp. 1 -24, a cui rimando). Una considerazione particolare merita l'esclusione dell'uomo come candidato al potere sul mondo, stabilita dal frammento. Essa non può che sor­ prendere, ma serve certamente a rinforzare, in forma di paradosso, l'idea che il mon­ do non consegue da, bensì precede qualsiasi potere di agire sulle cose. Appunto per­ ché il mondo non è cosa, ma accoglie uomini e dei nella sua apertura. ll fr. 53 sul = =>

quando X è presente, Y è passato quando Y è presente, X è passato

A sua volta, Russell, che era invece favorevole a una metafisica del tempo­ rale statico, si interessò al problema di come si possa rendere intelligibile il discorso temporale che coinvolge le espressioni passato, presente e futuro. Secondo Russell, la soluzione sta nel ridurre il linguaggio della concezione serie-A del tempo al linguaggio, più accettabile metafisicamente, del temporale statico, nel modo che segue:' ·

Forma di superficie

Analisi soggiacente

X è passato

= =>

X è futuro

= =>

quando Y è il tempo del proferimento, X è prima di Y quando Y è il tempo del proferimento, X è dopo Y

È evidente che la scelta tra il temporale statico e la concezione serie-A comporta delle conseguenze. Il problema, tuttavia, è come si possa scegliere tra alternative come quelle rappresentate dalle due diverse concezioni del tempo. Una risposta potrebbe essere che i problemi sulla natura del tempo trovano una miglior formtÙazione da parte dei fisici. Einstein, per esempio, sostenne una concezione statico-temporale del tempo. Probabilmente dispo­ neva di buone ragioni di carattere fisico. Non dovremmo, perciò, rimetterei ad Einstein o al dettato di una delle attuali teorie fisiche? Putnam sembra aver adottato questa soluzione:' Sono dell'opinione che il problema della realtà e della determinatezza di eventi fu­ turi sia ora risolto. Risolto, per giunta, dalla fisica, non dalla filosofia . . . In verità, io non credo che esista più alcun problema filosofico riguardo al Tempo; vi è solo il problema fisico di stabilire l'esatta geometria fisica del continuum quadridimensio­ nale in cui viviamo.

2 Anche W.V.O. Quine, Word and Object, Cambridge (Mass. ) 1960; A.]. Ayer, The Problem o/ Knowledge, Harmondsworth 1956; N. Goodman, The Structure o/Appea­ rance, Cambridge (Mass.) 195 1 e J.J.C. Smart, Philosophy and Scienti/ic Realism, Lon­ don 1963 , hanno proposto teorie della "traduzione" di questo tipo. Teorie più recen­ ti (per esempio, Mellor, 198 1 ) hanno abbandonato l'idea che si possa considerare l'a­ nalisi soggiacente come una traduzione e ritengono, piuttosto, che l'analisi soggiacen­ te possa mantenere le condizioni di verità della formulazione temporale dinamica. ' H. Putnam, Time and Physical Geometry, in "The Journal of Philosophy" , 64, 1967 , p. 247 .

27 1

Filosofia del Tempo

Sklar: d'altra parte, riferendosi specificamente al brano di Putnam, osserva che tale posizione denota una certa ignoranza circa la natura dell'impresa scientifica. Penso che una concezione così ingenua sia quanto di più sbagliato vi possa essere. Co­ me un computer ha le capacità del suo programmatore ( '' Dentro ciarpame, fuori ciar­ pame"), così da una teoria fisica si può tirar fuori solo tanta metafisica quanta se ne mette. Mentre la nostra visione globale del mondo deve, senza dubbio, essere coeren­ te con le migliori teorie scientifiche a nostra disposizione, è un grande errore ricavare in modo superficiale una metafisica dall'aspetto manifesto della teoria, ed è un errore ancora più grave trascurare il fatto che nella formulazione della teoria, com 'è struttu­ rata di solito, presupposti metafisici sono entrati prima di ogni altra cosa.5

Se Sklar ha ragione, vi è ancora spazio per la ricerca filosofica, anche se es ­ sa dovrà far parte del programma scientifico della fisica. Altri hanno sostenu­ to che ciò che in fisica viene chiamato "tempo " non ha in realtà niente a che fare con la concezione metafisica del tempo, ma è soltanto una appropriazio­ ne del termine per discutere certi aspetti di relazioni deboli dentro la teoria.' Ciò che forse colpisce di più è che non è owio che la fisica odierna (al con ­ trario dei fisici) sostenga effettivamente una posizione piuttosto che l'altra. Come ha osservato Sklar/ la teoria scientifica può «cambiare la filosofia e porre la controversia [fra tempo dinamico e statico] sotto una nuova pro­ spettiva, ma ciò che non può fare è risolverla in qualunque senso definitivo». Per di più, Stein8 e Dieks9 hanno mostrato che sono possibili interpretazioni non-statiche della teoria speciale della relatività. • L. Sklar, Time, Reality, and Relativity, in R. Healey (a c. di), Reduction, Time and Reality, Cambridge 1 98 1 , pp. 129- 142 ; ora in P. Yourgrau (a c. di), Demonstratives, Oxford 1990, pp. 247-260. 5 lvi, p. 249. ' Cfr., per esempio, Q. Smith (Language and Time, Oxford 1993 ) e W.L. Craig (God and Rea! Time, in "Religious Studies " , 26, 1990, pp. 335-347 ) . ll seguente brano di Craig ill ustra chiaramente questo punto di vista: «Trovo sorprendente che la lettura del saggio di Einstein del 1905 possa indurre qualcuno a pensare che Einstein abbia dimostrato che la simultaneità assoluta non esiste e che, perciò, il tempo è relativo a una struttura di riferimento. Infatti, tutta la teoria dipende dal fatto di accettare la de­ finizione arbitraria di simultaneità data da Einstein (in verità, assai anti-intuitiva), in­ sieme a un positivismo filosofico di origine machiana secondo cui la simultaneità as­ soluta è priva di significato se non è empiricamente rilevabile [ . . . ] . Chi non è positivi­ sta, e quindi non accetta la definizione di Einstein, considererebbe questi osservatori che si muovono con moto relativo come ingannati dalla natura delle loro misurazioni, inadatte a scoprire il tempo vero. Costui non considererebbe affatto, in senso vero e proprio, la teoria di Einstein come una teoria sul tempo e sullo spazio, ma, al modo di Frank, 'come un sistema di ipotesi sul comportamento di raggi luminosi, corpi rigidi e meccanismi, da cui si possono trarre nuove inferenze su tale comportamento'>>. 7 L. Sklar, Space, Time, and Spacetime, Berkeley (Ca!.) 1974, p. 275 . ' H. Stein, On Einstein-Minkowski Space-Time, in "Journal of Philosophy", 65 , 1968, pp. 5-23 . ' D. Dieks, Special Relativity and the Flow o/ Time, in "Philosophy of Science" , 55, 1988, pp. 456-460. 272

Tempo e tempo verbale: la strategia dal basso all'alto

In sintesi, il fisico semplicemente non può assumersi il peso della ricerca metafisica che i filosofi vorrebbero trasferirgli. Vi sono ancora problemi me­ tafisici che attendono risposta e spetta al filosofo, non al fisico, fornirla. Ma quale è esattamente il contributo che può dare il filosofo? In fondo, è da più di due millenni che i filosofi discutono di questioni metafisiche, ap­ parentemente senza grande successo. Dummett10 descrive così la situazione: Le mosse e le contromosse sono già note, essendo state ripetute più volte dai filo­ sofi nel corso dei secoli. Gli argomenti di una parte provocano la risposta di certi spettatori della contesa, quelli dell'altra ne influenzano altri; ma noi non abbiamo nessun criterio per decidere i vincitori. Nessun colpo decisivo è stato messo a se­ gno. Dobbiamo dare la vittoria ai punti, senza però sapere come assegnarli.

Lasciando da parte il pugilato, potremmo dire con Voltaire, che espresse lo stesso concetto parecchi secoli prima, che la metafisica è un ballo fatto di passi eleganti che termina là dove è iniziato. Al di là della mera speculazione e di passi eleganti, che altro può fare il filosofo? Una strategia è stata quella di rifiutare l'idea della metafisica come punto di partenza e di sostenere che si dovrebbe invece partire dal basso, dalla teoria del pensiero, per arrivare alla metafisica. Si tratta di una idea generale di carat­ tere in gran parte kantiano. Noi non possiamo mai conoscere le cose "in se stesse" dal momento che la mente è coinvolta attivamente nell'organizzazione della nostra esperienza. Il massimo che possiamo fare è chiarire le categorie o la struttura della ragione. Il tempo, per esempio, non era per Kant una pro­ prietà delle cose in se stesse, ma era imposto dalla ragione alla nostra esperien­ za. Sulla base di questa prospettiva sarebbe ovviamente inutile intraprendere un'indagine sulla natura del tempo separata dalla considerazione della natura del pensiero o della ragione. D'altra parte, dopo aver indagato sulla natura del tempo come categoria della ragione, resterebbe poco da fare riguardo alla me­ tafisica, tranne forse mettere i puntini sulle i e i trattini sulle t. O, per usare una metafora di Dummett, il compito del filosofo è come quello dell'ottico. Que­ sti non è in grado di dirci cosa vedremo guardandoci attorno, ma, dotandoci di adeguate lenti correttive, ci aiuta nondimeno a vedere meglio. In questo secolo, moltissimi filosofi analitici hanno riconosciuto la validità della concezione generale di Kant secondo cui non si può condurre un'inda­ gine di tipo metafisica senza indagare la natura del pensiero, ma hanno re­ spinto la concezione kantiana del pensiero e le relative categorie della ragio­ ne. In alternativa, hanno suggerito che la natura del pensiero è intrinseca­ mente linguistica e che, di conseguenza, il punto di partenza appropriato dell'indagine dovrebbe essere il linguaggio in cui pensiamo, il quale è stato generalmente identificato con il linguaggio naturale. L'idea che lo studio del linguaggio favorisca la comprensione metafisica 10 M. Dummett, The Logica/ Basis o/ Metaphysics, Cambridge (Mass. ) 199 1 , p. 12. 273

Filosofia del Tempo

ha origini antiche nella storia della filosofia. L'assunzione sembra risalire al filosofo presocratico Parmenide, ed è onnipresente nella filosofia del vente­ simo secolo. Anche molti linguisti hanno accarezzato l'idea che lo studio del linguaggio naturale possa avere conseguenze rilevanti per la metafisica. Forse l'esempio più noto è Whorf, il quale tentò di trarre conclusioni sulla metafisica del tempo degli Hopi a partire dal loro linguaggio temporale. Vi sono anche molte asserzioni più recenti, seppur meno drastiche, circa l'esistenza di un legame tra semantica e metafisica. Bach/1 per esempio, ha parlato della rela­ zione tra la semantica e "la metafisica dell'inglese" , e ha posto, in modo spe­ cifico, il problema delle conseguenze metafisiche implicate dalla semantica del tempo verbale. Lo stesso Bach, però, mentre formula slogan del tipo: «Non c'è semantica senza metafisica ! »,12 poi batte in ritirata con affermazio­ ni come questa. Ho detto qualcosa (forse più del dovuto) su alcuni tipi di cose di cui pare che ab­ biamo bisogno per la nostra ontologia dell'inglese e qualcosa (certo non abbastan­ za) sul modo in cui potremmo inserirle in una semantica dell'inglese. Sarebbe im­ morale da parte mia, da linguista qual sono (rubo l'espressione a Montague) , pre­ tendere in un modo o nell'altro di stabilire se queste specie di cose corrispondono o meno a cose reali del mondo reale, a categorie percettive o concettuali indipen­ denti dal linguaggio, o assolutamente a nulla. 1 3

Al centro di questo mio saggio vi è l'assunzione che trarre conseguenze metafisiche da una teoria semantica sia tutt'altro che immorale, poco impor­ ta se si è linguisti, filosofi o muratori. Tale assunzione, tuttavia, per essere uti­ le, richiede un chiarimento. Benché filosofi e linguisti abbiano insistito a lun­ go sul collegamento tra linguaggio e metafisica, non sempre sono stati chiari su che tipo di rapporto si aspettavano e, tantomeno, sul perché un tale rap­ porto vi dovesse essere. Una delle procedure tradizionali nella teoria semantica consiste nel defini­ re il dominio degli oggetti rilevanti prima di stabilire la teoria. Si può soste­ nere, tuttavia, che una tale procedura nasconda in verità alcuni dei problemi più interessanti e controversi. Un gran numero di questioni possono spesso essere sollevate riguardo a ciò a cui effettivamente ci vincola una teoria se­ mantica di una certa forma. La semplice fissazione anticipata di un dominio richiede che le questioni più interessanti siano già state risolte. Per mante­ nerle aperte, noi preferiamo cominciare dalla nostra teoria semantica, per in­ dagame poi le conseguenze metafisiche. 1 1 E. Bach, Natura! Language Metaphysics, in R. Marcus, G.J.W. Dord, P. Weingart­ ner (a c. di), Logic, Methodology an d Philosophy o/ Science VII, Amsterdam 1986. 12 lvi, p. 575 . 1 3 lvi, p. 592 . 274

Tempo e tempo verbale: la strategia dal basso all'alto

Ho sostenuto che da una teoria semantica si possono trarre conseguenze metafisiche, ma non ho detto nulla riguardo a quali siano le caratteristiche di una teoria semantica che danno origine a vincoli metafisici. Tale problema si risolve, in breve, dicendo che noi saremo vincolati nei confronti di qualun­ que oggetto funga da valore semantico in una teoria semantica corretta del linguaggio naturale. Ma che cos'è una teoria semantica, e che cosa fa di una teoria semantica "la teoria corretta " ? Assumo che la teoria semantica di un linguaggio naturale sia una teoria che può dirci, per ogni enunciato del linguaggio, quali sono le condizioni di ve­ rità di quell'enunciato. Più specificamente, assumo che tale teoria semantica sia un sistema di regole che produce, per tutti gli enunciati del linguaggio, teoremi della seguente forma: (V) s è vero se e solo se p Qui s è un'espressione del cosiddetto linguaggio oggetto, ossia il linguaggio di cui il ricercatore vuole costruire la teoria. p è un'espressione del meta-lin­ guaggio, ossia del linguaggio che il ricercatore usa per stabilire la teoria. Que­ sto linguaggio potrebbe essere l'inglese o un'altra lingua. Poiché la teoria vie­ ne formulata nel meta-linguaggio, questo naturalmente deve essere una lin­ gua che il teorico già comprende. Lo schema sopra citato (a volte chiamato schema-V) afferma che l'enun­ ciato s è vero se e solo se si dà il caso che p. La locuzione "è vero se e solo se" è, in realtà, una costrizione molto debole. Significa che s e p sono o entram­ be veri o entrambe falsi. n sistema di regole potrebbe, per esempio, produrre teoremi come i se­ guenti: ( l ) La neve è bianca è vera se e solo se la neve è bianca (2) La neve è bianca è vera se e solo se l'erba è verde I sistemi di regole (teorie-V) che producono teoremi come ( l ) sono chia­ mati interpretativi, perché le espressioni del meta-linguaggio forniscono i contenuti delle espressioni del linguaggio oggetto. Le teorie-V che produco­ no teoremi come (2) sono teorie-V non-interpretative. Mi occuperò delle teorie-V interpretative, ossia di quelle che assegnano i contenuti alle espressioni del linguaggio oggetto, perché assumo che siano le teorie di cui si servono i parlanti per generare e comprendere il linguag­ gio. A quanto risulta, questa assunzione ha conseguenze rilevanti sull'origi­ ne e la natura della nostra conoscenza semantica. Ne consegue, per esem­ pio, che noi dobbiamo conoscere una certa classe di costrizioni riguardanti le teorie-V. Se così non fosse, non saremmo in grado di costruire teorie-V in­ terpretative. Naturalmente, non basta che conosciamo solo le regole di una teoria-V interpretativa. Dobbiamo sapere che la nostra teoria è interpretati275

Filosofia del Tempo

va e che può essere impiegata nella comprensione del linguaggio.14 Larson e Segalu sostengono che da ciò deriva che per costruire teorie-V interpretati­ ve e per usarle nella comprensione del linguaggio dobbiamo essere " cabla­ ti " . Riguardo a ciò si può pensare per una spiegazione biologica, analoga a quella che Chomsky normalmente fornisce per render conto della compe­ tenza sintattica. Per i nostri attuali interessi, l'essenziale di una teoria-V è che essa è in gra­ do di fornire le connessioni tra linguaggio e mondo per ogni espressione del linguaggio (o parte del linguaggio) considerato. Ciò si ottiene tipicamente mediante una teoria assiomatica in cui determinati assiomi danno i referenti dei simboli terminali di un indicatore sintagmatico e altre regole mostrano come i valori semantici dei simboli terminali contribuiscano al valore seman­ tico dei nodi non-terminali dell'indicatore sintagmatico. Sarà utile prendere in considerazione un esempio concreto di teoria-V. Servirà perfettamente al nostro scopo il seguente esempio di Larson e Segai. Poiché considereremo un frammento relativamente semplice di linguaggio naturale, la sintassi sarà descritta come grammatica della struttura di un sintag­ ma indipendente dal contesto, e sarà descritta riscrivendo regole della forma: A -> B C Grosso modo, questa regola stabilisce che un nodo di categoria A, può avere due figlie B e C, in questo modo: A B

C

In questo e nei successivi frammenti procederemo così: specificheremo in primo luogo la sintassi e poi stabiliremo le regole semantiche (interpretative) del frammento. Sintassi: E -> E l e E2 E -> El o E2 E -> non è il caso che El E -> SN SV SN -> Dick, Sally SV-> salta, cammina ----

-----

- ---

" Possedere una teoria-V interpretativa senza sapere che è interpretativa o senza co­ noscerne il possibile uso è come avere una mappa e ignorare se è in scala o di che co­ sa è una mappa. " R. Larson, G. Segai, Knowledge o/ Meaning: Semantic Value and Logica! Form, Cambridge (Mass) 1995 . 276

Tempo e tempo verbale: la strategia dal basso all'alto

Semantica: Qui introduciamo il predicato Val(A,B) che va inteso nel senso che A è il valore semantico di B. l)

a . Val(x, Dick) se e solo se x = Dick Val(x, Sally) se e solo se x = Sally b. Val(x, salta) se e solo se x salta Val(x, cammina) se e solo se x cammina

Nodi non-terminali: 2)

a. Val(V, [ E S N SV] s e e solo se per qualche x, Val(x, SN) e Val(x, SV) b. Val(x, [a �] ) se e solo se Val (x, �) (dove a varia su categorie e � su categorie e item lessicali)

3)

a . Val(V, [ E E l � E2) ] ) se e solo se è il caso che Val(v, E l ) e che Val (v, E2 ) b. Val(V, [E El Q E2] ) se e solo se o Val(v, E l ) o Val(v, E2) c. Val(V, [E non è il caso che E l ] ) se e solo se non è il caso che Val(v, E l )

Oltre a questi assiomi, avremo bisogno di regole di derivazione. 4)

Regola di inferenza (SoE) .... a. . . .

s e e solo s e � perciò . . . . � . . . . a

L'idea base d i questa regola è che possiamo sostituire a con � a d ogni pas­ saggio in una derivazione solo nel caso in cui vale a se e solo se �· 5)

Regola di inferenza (Sol) !e se

perciò

q>

e solo se per gualche x. x = a e . . . x . . . se e solo se . . . . a . . . .

277

Filosofia del Tempo

È importante ricordare che queste non sono regole logiche, e che i passag­ gi in ogni derivazione sono molto più fortemente obbligati di quanto sareb­ bero se avessimo a disposizione tutte le risorse della logica. Queste sono so­ lo regole per derivare teoremi-V. Non sono regole logiche di inferenza. Date semplici regole come (4) e (5 ) , e gli assiomi citati, si possono "prova­ re " teoremi-V mediante l'applicazione ricorsiva degli assiomi alla descrizione strutturale dell'enunciato del linguaggio oggetto.'• 16 Per vedere come questo funzioni si possono considerare un paio di semplici esempi. Vediamo, anzitutto, quale descrizione strutturale di Dick cammina e Sally sal11! forniranno i nostri assiomi.

[E [E l [SN Dick ] [SV cammina] ]

e [E2 [SN5ai1Y] [Sn•alta ] ] ] è vero se e solo se . . . [Sv'ammina] ] )

l)

È il caso sia che Val(V, [E l [SNDick ] sia che Val(V, [E2 [SNSally] [Sysalta] ] ) [esempio di 3 a]

2)

È il caso sia che per qualche x, Val(x, [SNDick] ) e Val(x, [SV< li serpente vale d'al----

---·

--- ---

28

Cfr. L. Ruggiu, Parmenide, Il Poema sulla natura, cit., pp. 155 ss. Rinvio a questo testo per la bibliografia e la discussione dei problemi dèl proemio. 29 P. Philippson, Origini e /orme del mito greco, cit., pp. 269 ss. 30 E. Zeller, R. Mondolfo, La filosofia dei greci nel suo sviluppo storico. I Presocrati­ cz; vol. II, !onici e Pitagorici, cit ., pp. 125 ss.; 127 ss. " Aristotele, Meteor. II, l, 353 b; Met. I, 3, 983 b; E. Zeller, R. Mondolfo, La filoso­ fia dei greci nel suo sviluppo storico. I Presocratici, vol. II, !onici e Pitagorici, cit., p. 127. " R. Pettazzoni, I:onniscienza di Dio, cit. , pp. 236 ss. " E. Zeller, R. Mondolfo, La filosofia dei greci nel suo sviluppo storico. I Presocrati­ ci, vol. II, !onici e Pitagorici, cit., pp. 125 ss; A. Seppilli, Poesia e Magia, Torino 197 1 , pp. 240 ss.; 247 ss. " K. Kerényi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Milano 1963, pp. 89. ss. 300

Aion Chronos Kairos. L'immagine del tempo nel mondo greco e romano

tronde normalmente come metafora del fiume. La stessa terra è immaginata come un'isola galleggiante sulle acque, che la circondano come un grande anello liquido:35 anello che è appunto l'Okeanos mitico dei Greci, quello che Ulisse naviga per raggiungere la sede dei morti. È anche l'Oceano babilone­ se trattato nel mito di Gilgamesh.36 In Egitto l'Oceano serpente è Apopi, prigioniero, che cinge la terra, ma cerca di distruggerla (figg. 5, 6). Apopi è nemico del dio solare, e il sole sa­ rebbe ingoiato da lui alla sera quando discende nell'Oceano.37 Allora avreb­ be luogo un combattimento lungo la notte intera. Nel linguaggio e nella rap­ presentazione è posta una somiglianza - che in senso mitico costituisce la po­ sizione della identità -, tra il fiume e il suo fluire e le spire del serpente. n fiu­ me richiama il serpente, il serpente il fiume. Ma l'immagine del serpente costituisce anche la rappresentazione del tem­ po. Questo nesso è testimoniato dal linguaggio sia greco che latino. «Lo svol­ gersi degli anni» (1tEpt'tEÀ.À.OJ.1Évouç E'tEOç) in Omero, indica il procedere si­ nuoso e curviforme del tempo (Od. 1 1 . 295 ; Il. 2. 55 1 , 48. 404 ; Od. l. 16, 1 1 . 95 ) Lo stesso "trascorrere delle stagioni" è caratterizzato in un passo famo­ so di Aristofane ( Uccelli, 696), collegato con le teogonie orfiche, come il pro­ cedere sinuoso tipico dello strisciare del serpente. Questo movimento in latino è reso con il termine volvere. Così l'espressio­ ne: "nel corso degli anni" è espressa con: dum anni alter post alterum cir­ cumvolvuntur (Virgilio, Aen. l, 234: volventibus annis) (fig. 4 ) .38 La caratterizzazione di Okeanos come una entità circolare che rifluisce al­ l'infinito in se stesso, senza principio né fine, richiama immediatamente la fi­ gura del serpente in quanto urob6ro (oùpo[36poç) (fig. 1 1 )/9 «colui che divo­ ra la propria coda>>. Questa immagine fa riferimento a ciò che non ha né un inizio né una fine, e quindi è infinito, cioè senza limite, sia in direzione del passato sia in direzione del futuro, analogamente a quanto viene detto di Okeanos. Questo movimento infinito è espressione di vita infinita," in quan­ to vita che sempre si rinnova. Questa capacità di rinnovarsi rigenerandosi senza fine, è quanto viene attribuito al mutar pelle del serpente e al continuo rinnovarsi del tempo nel ciclo delle stagioni. Quest'insieme di significati sono raccolti dal mitografo Nonno di Panopo.

"Il., II, 626; XIV, 201 ; 246; XVIII, 607 ; XXIV, 752 . " G . Pettinato, La saga di Gilgamesh, Milano 1992, pp. 209 ss. 37 A. Seppilli. Poesia e Magia, cit., pp. 247 ss. " Cfr. anche Lucrezio, V, 93 1 ; Ovidio, Met. V, 565 ; Virgilio, Georg. II, 402 . " R. Pettazzoni, La figura mostruosa del tempo nella religione mitrica, in ''L'Anti­ quité classique", 18, 1949, pp. 276 ss. «Nel Vaticano- Cortile della Pigna - si conser­ va una base marmorea con iscrizione dedicatoria: Numini Invicto Soli Mithrae. La sta­ tua così dedicata non sorgeva direttamente sul piedistallo quadrangolare iscritto, ben ­ sì sopra uno zoccolo cilindrico che vi era incastrato. Su questo zoccolo è scolpita la fi­ gura sinuosa di un serpente che si morde la coda; la testa del serpente è cristata e ra­ diata, come è proprio degli esseri solari, mentre nell'ultimo tratto della coda, prima della bocca del serpente si nota una specie di menisco lunare». 301

Filosofia del Tempo

li (Dyon. XLI, 180 ss.) in riferimento ad Aion, il quale «trasforma i pesi del­ l'età anziana come un serpente che muta spesso la vecchia pelle, e ringiova­ nisce nel mentre esso si gonfia nelle spire del tempo». li Serpente come espressione di rinnovamento della vita appare già nel poema di Gilgamesh. Gilgamesh angosciato per la morte dell'amico medita sulla morte e si ribella al pensiero che essa debba rappresentare il fatale de­ stino. Intraprende quindi un lungo viaggio e naviga oltre le acque che limi­ tano la terra, dove coglie infine sul fondo dell'Oceano la pianta dell'immor­ talità, o più precisamente la pianta che ha nome «un uomo vecchio si tra­ sforma in uomo nella sua piena virilità».40 Ma questa pianta gli è carpita a tra­ dimento dal serpente. «Ma un serpente annusò la fragranza della pianta, l si awicinò [silenziosamente] e prese la pianta; l nel momento in cui esso la toccò, perse la sua vecchia pelle». E così fu il serpente e non l'uomo che ri­ cevette il potere di rinnovare la giovinezza, mentre Gilgamesh fu costretto a rassegnarsi «al destino di tutta l'umanità». Il serpente cambiando pelle ac­ quisisce pertanto la capacità di sempre rinnovarsi, e ha perciò sottratto al­ l'uomo l'immortalità. L'urob6ro rinvia alla forma circolare (fig. 4). Parlando della forma sferica, Manilio, Astronomica, I, 2 1 1 ss. , dice: «Questa forma eterna dura ed è in ciò somigliantissima agli esseri divini, a essa non è in alcuna parte né principio né fine, ma tutta eguale si presenta nella sua sfera e pareggiata per ogni do­ ve». Alcmeone di Crotone, D-K. 24 B 2, può perciò concludere: «L'uomo muore, infatti, in quanto non può identificare l'inizio con la fine». Per questi motivi il serpente ha una funzione molto importante nei culti misterici, come in quelli di lside, in quelli frigi di Sabazia, nei culti egei del­ la "dea del serpente" , nei miti orfici, dove il serpente morde al calcagno Eu­ ridice, colei che non può tornare alla luce. Questa funzione è presente anche nel mondo romano: «l serpenti si spogliano della vecchiaia insieme con la pelle sottile l e la caduta delle corna non rende vecchi i cervi l ma le nostre bellezze fuggono senza rimedio: cogliete il fiore l che, se non sarà colto, ca­ drà avvizzito da solo. l Aggiungi che anche i parti rendono più breve la sta­ gione della giovinezza: l con le mietiture continue il campo invecchia».41 Eniautòs,> (Boezio, De Trin. , 4, 72-73 ) . Nell'ermetismo gnostico i concetti di tempo e eternità trapassano comple­ tamente l'uno nell'altro.') Proprio per queste sue caratterizzazioni antologiche, il tempo viene ad esprimere essenzialmente generazione e distruzione, perciò è caratterizzato come vorace distruttore (fig. 23 ) delle cose: esso consuma e invecchia e la vecchiaia diviene invidiosa (tempus edax rerum, tuque, invidiosa vetustas, Ovidio, Met. XV, 228). n tempo divora quanto sembra apparentemente for­ te e invincibile (Ovidio: Epistulae ex Ponto 4, 8, 49: «Tabida consumit/errum lapidemque uetustas l nullaque res maius tempore robur habet). l omnia de­ struitis vitiataque dentibus aevi l paulatim lenta consumitis omnia morte») . Il tempo perciò fugge irreparabilmente (Virgilio: Georgica 3 , 284: . In quel tempo «gli uomini avevano tanto tempo libero e tanta capa­ cità di dialogare non solo con gli uomini ma anche con le bestie e fra di loro» (Politico, 27 1 D). Questo stato nell'antichità viene rappresentato anche nella figura di Or­ feo84 nella quale la natura in tutti i suoi aspetti si mostra pacificata e in stret­ ta integrazione con l'uomo. Di contro a questo stato di totale integrazione fra uomo e natura nel­ l' età aurea, «quando il tempo di tutte queste cose fu compiuto, allora [il dio] pilota dell'universo, abbandonando la barra del timone, si ritirò nel proprio posto di osservazione, e furono di nuovo il destino e insieme la tensione innata a far volgere indietro l'universo», producendo in se stesso un grande sconquasso . Nasce quindi una situazione di disordine che de ­ genera, giungendo fino al pericolo della dissoluzione di se medesimo. In questo modo Kronos-Saturno è divenuto il dio Tempo, e con il falcetto minaccioso (fig. 1 7 ) che ben presto si muterà nella falce e nella clessidra che misura il tempo che si perde inesorabilmente, si identificherà in Occi­ dente con la morte.85

83 G. De Santillana, H. Von Dechend, Il mulino di Amleto, cit., p. 322 ss., Su Aion e Augusto, cfr. G. Zuntz, Aion Gott des Romerreiches, cit . , pp. 56 ss. 84 Per l'iconografia cfr. M. X. Garezou, voce Orpheus, LIMC. " R. Klibansky et al. , cit . , pp. 1 88 ss., su Satumo nella tradizione figurativa.

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Aion Chronos Kairos. L'immagine del tempo nel mondo greco e romano

6. Kairos è per ogni cosa il meglio Termine di derivazione etimologica incerta,86 talvolta rapportato al verbo ke­ rannumi, "mescolare in un certo equilibrio" , talvolta a krino, "decidere e ta­ gliare" , e quindi ricondotto al latino discrimen, o anche a kuro, con l'idea dell ' " incontro" , o ancora a keiro, con l'idea del "tagliare", Kairos costituisce nell'ambito del tempo fuggitivo il punto di confluenza nel quale la cosa rag­ giunge la sua maturazione e il suo fine.87 Perciò esso ha uno stretto nesso con il "meglio "88 per la cosa stessa e per l'uomo. Nesso posto da Esiodo (Erga, 694) e da Teognide (401 ) con l'identificazione di kairos con aristos: «ll kairos è per ogni cosa il meglio». Kairos è congiunto con l'" ora " , l'istante (vuv, nunc) del tempo qualitativa­ mente significativo. Nello scorrere apparentemente indefinito e amorfo, il tempo presenta infine un "ora" unico e irripetibile, nel quale eternità e tem­ po, identità e alterità, convergono in una unità assoluta. In questo presente senza divenire, il tempo si mostra come sospeso, le cose raggiungono la loro akme (dalla radice ak-, che esprime l'idea di "punto " e quindi di "punto cul­ minante" ) , il momento opportuno, 59 o le circostanze maturano il tempo della decisione. Kairos è quel felice attimo nel quale le cose e l'uomo che a esse si rapporta in termini di decisione e di azione, si mantengono in un equilibrio instabile. Questo equilibrio instabile è rappresentato figurativamente dal giogo della bilancia che sta orizzontale, e nel quale i suoi due bracci si pareggiano nell'at­ timo sottratto al tempo. Solo in quest'attimo il Kairos, che pure velocemente sfugge, come attestano le sue ali ai piedi, trascinato nel processo della conti­ nua alterità del tempo, può essere afferrato dall'uomo per quegli esili e precari punti di presa rappresentati dal ciuffo sulla fronte che immediatamente scom­ pare nella levigatezza senza appigli della nuca calva (fig. 19). ll termine latino Momentum, a differenza del termine greco Kairos che pure in parecchi punti è affine, vede dell'attimo del kairos infatti ciò che es­ senzialmente altera l'equilibrio temporaneo della bilancia. Momentum deriva infatti dal verbo moveo (metto in movimento) , e rappresenta il piccolo peso

86 P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, cit., p. 480; H. Fraenkel, Dichtung und Philosophie, p. 509; D. Levi, Il Kairos attraverso la letteratura greca, in "Rendiconti della Reale Accademia Nazionale dei Lincei", Classe di Se. Mor. e fil., 3 2 , 1923 , pp. 260-2 8 1 ; P. Philippson, Il concetto greco di tempo nelle parole aion, chronos, kairos, eniautòs, cit., pp. 90 ss. 87 Sul nesso tempo-telos cfr. S. Natoli, Telos, skopos, eschaton. Tre figure della stori­ cità, in "ll Centauro", 5 , 1982 , pp. 3 -45 . 88 In Aristotele, per esempio, frequentemente telos appare essere sinonimo di buo­ no (agathon) , ottimo (ariston) , meglio (beltiston) : cfr. per i passi H. Bonitz, Index ari­ stotelicus, Berlin 1870, s. v. , p. 753 . ., P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, cit., p. 44 .

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Filosofia del Tempo

che dà il tracollo alla bilancia, sia che esso sia costituito dalla circostanza ir­ ripetibile, sia dall'attimo quasi indistinguibile. 90 «li Kairos assegnato all'uomo, è solo una breve misura» (Pindaro, Pyth . IV, 286). Dunque, si tratta di ciò che può alterare l'equilibrio neutro delle circo­ stanze e del tempo a nostro favore. In questo senso, esso si rapporta anche al termine occasio. «li Kairos occupa sempre il punto culminante di qualsiasi cosa» (Pindaro, Pyth. IX, 78). Esso squarcia il flusso indifferente del tempo e balena nell'Aion. Ma Kairos è anche l'attimo della decisione che può determinare un'azione fortunata, un'impresa memorabile che rende grande insieme l'opera e l'uo­ mo che la compie. Proprio per questo Sofocle dice: «kairos, che per gli uo­ mini è il maestro ordinatore di ogni grande opera» (Sofocle, El. , 75 ss. ) . Della sua iconografia91 s i dice: «Kairos viene rappresentato come u n bello delicato fanciullo; egli si affretta sulla punta dei suoi alati piedi. I riccioli gli fluttuano davanti sulle tempie, affinché chi lo incontra possa dar di piglio a esse; la sua nuca è fornita solo scarsamente di capelli: infatti egli è " di tutti domatore"» (Posidippo, Anth. Pal. 4, 275 ) . Per questa sua caratteristica, non può venir afferrato alle spalle, per quanto lo si desideri subito dopo l'attimo nel quale esso poteva essere afferrato per i ciuffi della fronte. Nelle mani egli tiene un rasoio, «poiché io sono più affilato di ogni coltel­ lo», e sostiene una bilancia con i bracci in un equilibrio sempre instabile, in quel fatale attimo nel quale può avvenire il tracollo della bilancia (fig. 19, 20). «Kairos rivela la qualità del tempo ... ma il Chronos la quantità» (Ammonio, p. 79). Perciò si può affermare che: «Tutto ciò che è bello è connesso con Kai­ ros» (Crizia, DK 88 B, 7 ) . Kairos ha quindi sempre una relazione con il divino, sia che esso sia inviato direttamente dal dio, sia che esso appaia come il punto " aionico" nel quale irrompe il divino. Proprio per questo esso indica la valen­ za positiva della espressione del venire a maturazione da parte dell'essere. Nel Kairos è il tempo, che scorre apparentemente senza fine e senza uno scopo, che viene a maturazione. Perciò indica "il tempo dell'azione" , (tempus agen­ dae rei, Livio, I, 47 ) , oppure il tempo non ancora adatto (id tempus rebus ge­ rendis immaturum erat). Viene a maturazione e quindi si compie l'attimo realizzato re, l'attimo de­ cisivo. Akmé è il punto culminante, l'apogeo della vita e dell'azione, ma an­ che dell'attimo decisivo, poiché tutto sta, per la decisione, sul taglio del ra­ soio: «infatti tutto davvero sta sul taglio di un rasoio: ignominioso sterminio degli Achei o anche vita» (Omero, Il. , X, 173 ss. ) . Nella frase america pro­ verbiale convergono molti degli elementi sopra richiamati, che entrano co­ me costitutivi del significato iconografico della sottile lama del rasoio che il

90 P. Philippson , Il concetto greco di tempo nelle parole aion, chronos, kairos, eniautòs, cit . , p. 9 1 . " L. Abad Casal, voce Kairoi-Tempora anni, in LIMC; P. Moreno, voce Kairos, LIMC.

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Aion Chronos Kairos. I.:immagine del tempo nel mondo greco e romano

kairos tiene nelle proprie mani, sulla quale sta in equilibrio instabile la bi­ lancia. I pitagorici attribuiscono particolare rilevanza al kairos nel cosmo, e Ari­ stotele pone in rilievo il significato essenziale che esso riveste nel tempo de­ finendo il kairos la "virtù del tempo" (Eth. Nic. l, 6, 1096 a 26) , il tempo con­ siderato nel suo significato essenziale in vista dell'agire. Aristotele accentua il nesso che Kairos ha per l'uomo con l'utilità; proprio per questo «l'occasione spetta al dio, mentre a questi non tocca il tempo opportuno, poiché al dio nulla è utile» (An. Pr. , l, 36, 48 b). Noi sappiamo anche che Ione di Chio aveva cantato un inno al dio Kairos il più giovane figlio di Zeus, che si presentava agli occhi dei greci spesso sia come un adolescente nel suo delicato e grazioso fiorire, sia come un uomo giunto alla sua piena maturità (Paus. , V, 14, 9). All'entrata dello stadio di Olimpia si trovava oltre all'altare di Hermes Enagonios, quello di Kairos: momento irripetibile della decisione di colui che gareggia e l'attimo nel qua­ le irrompe il favore del dio. E per il vestibolo di un tempio a Sicione, Lisip­ po, il grande artista di Sicione, aveva creato la statua bronzea del dio. Sono pervenute a noi numerose descrizioni di questa famosa opera, trasportata poi a Costantinopoli, un'eco della quale si ritrova su gemme e rilievi di età romana (fig. 20) . L'Occasio latina, traduzione del Kairos greco, viene così descritta nella sua personificazione in Fedro, V, 8, 1 -5 : «occasionem rerum sigm/icat bre­ vem». L'occasione ha «il viso d'un vegliardo fuggitivo, la testa calva sulla nu­ ca, la fronte con i capelli, il corpo nudo, che corre tanto veloce che Giove stesso non l'afferra». I greci - ma anche i latini - hanno personificato l'oc­ casione come un essere dalla fronte coperta di capelli, che diviene calvo nel­ l'altra parte della testa: «fronte capillata, post est occasio Calva» (Catone, Orationes, II, 26) . Si conclude qui questo primo tratto del percorso che studia l'immagine del tempo in alcune figure e concetti di particolare rilevanza. Si sono evidenzia­ te linee di continuità assieme a tratti di differenza tutt'altro che trascurabili tra il mondo greco e quello romano. È significativo il ruolo che il Kairos riveste nella dottrina cristiana, senza dimenticare lo stretto rapporto che esso mantiene con il Kairos classico, co­ me attesta il rilievo di datazione tarda (Xl sec.) che troviamo nella cattedra­ le di Torcello (fig. 2 1 ) . n riferimento all' Aion assume un ruolo decisivo anche nei tentativi di re­ staurazione del paganesimo morente portati innanzi dall'imperatore Giulia­ no (332-363 ), all'interno di uno sforzo sincretistico che tenta di ravvivare la vecchia religione con l'innesto della filosofia neoplatonica e con i culti orien­ tali, come appare dalla Patera di Parabiago (fig. 27 ), o ancora dalla figura di Phanes Kosmokrator del rilievo di Modena (fig. 28). Significativamente, l'immagine dell'Aion nel suo riferimento alla ruota zo­ diacale si prolunga nella religione cristiana, in particolare nella rappresenta3 17

Filosofia del Tempo

zione del Cristo nella Mandorla (fig. 29) . Le variazioni impresse al cerchio zo­ diacale non eliminano il riferimento all'età classica, che si conserva proprio nel mentre la si rinnova. Cristo è il Signore dei tempi e l'eterno che si rivela nel tempo. Insieme è colui che ha vinto definitivamente il tempo, e che quin­ di salva dal tempo mediante l'impegno nel tempo e nella storia. Si aprono co­ sì nuovi tempi e nuovi cieli. Essi chiedono una nuova figura della temporalità e una diversa rappresentazione simbolica. Annapaola Zaccaria Ruggiu

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Figura l Anello d'oro. Atene, Museo Archeologico Nazionale (XV sec. a.C . ) . Scena di omaggio a dea assisa s u trono; sopra, il cielo, il sole e la luna.

Figura 2 Anello, disegno. Atene, Museo Archeologico Nazionale (XV sec. a.C. ) . Figura femminile in una scena d i omaggio; sopra, una bipenne e nel cielo il sole e la luna.

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Filoso/la del Tempo

Figura 3 Mosaico. New York, Palazzo dell'ONU (fine III - inizi IV sec. d.C. ). Giovane Aion al centro della ruota zodiacale. Spighe, fiori e frutti, anche sullo sfondo. Quattro eroti simboleggiano le quattro stagioni.

Figura 4 Miniatura. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Cod. Mare. Gr. Z. 299 (=584) fol. 188 v. Ouroboros, serpente che mordendosi la coda, crea col suo corpo un circolo, metafora della perpetuità e della ciclicità del tempo. Entro il " " circolo: en to pan (uno tutto).

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Inserto fotografico

Figura 5 Gemma in diaspro. Parigi, Cabinet des Médailles, 2195b (età imperia­ le). L'Ouroboros racchiude uno scarabeo che simboleggia l'eternità.

Figura 6 Gemma in diaspro verde, bruno e giallo. Parigi, Cabinet des Médailles, S. 3 90 (età imperiale). Barca solare. All 'interno di un Ouroboros, simbolo di Oceano e del tempo infinito, è raffigurata una barca, la ruota del sole e divinità egiziane.

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Filosofia del Tempo

Figura 7 Coppa attica a figure rosse. Roma, Museo Gregoriano Etrusco, (480 a. C. c.a). La coppa proveniente da Vulci e attribuita a Douris è internamente de­ corata con la figura di Herakles nella tazza di Helios su cui è effigiato Oceano.

Figura 8 Mosaico. Bonn, Rheinisches Landesmuseum (metà III sec.). Al centro di una grande ruota zodiacale con i simboli delle costellazioni è rappresentata frontalmente la quadriga del carro del Sole (Sol-Helios).

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Inserto fotografico

Figura 9 Mosaico. Ostia, Museo Archeologico, deposito (età adrianeo-antoni­ niana). Giovane Aion seduto sopra una roccia sostiene la ruota zodiacale attra­ verso la quale stanno transitando le quattro Stagioni con passo di danza.

Figura 10 Mosaico. Monaco di Baviera, Glyptothek (fine II - inizi III sec.). Gio­ vane Aion privo di barba e nudo, all'interno della ruota zodiacale. Ai suoi piedi sono semidistese cinque figure: Tellus e le Stagioni.

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Filosofia del Tempo

Figura 1 1 Mosaico pavimentale. Tunisia, Museo del Bardo (seconda metà del II sec. d. C.). Trionfo di Nettuno e le Stagioni.

Figura 12 Mosaico pavimentale. Tunisia, Muse� di El Djem (seconda metà del III sec. d. C.). Sei medaglioni, con busti di personificazioni (Sole, Luna, Stagio­

ni), fanno da cornice a un emblema centrale contenente un Aion maturo e bar­ bato.

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Inserto fotografico

Figura l} Base della Colonna di Antonino Pio. Musei Vaticani, Cortile della Pi­ gna ( 1 6 1 - 169 d.C.). Apoteosi di Antonino Pio e Faustina, condotti al cielo da un giovane Aion alato che regge nella mano sinistra la sfera dell'universo.

Figura 14 Aureo di Adriano. Wintenhur, Stadtbibliothek ( 1 2 1 - 122 d.C.). Aureo di Adriano. Aion collocato all'interno della ruota zodiacale, con la sinistra sor­ regge un globo sopra il quale è riconoscibile una fenice. Sotto la ruota zodiacale l'iscrizione Saec(ulum) Aur(eum).

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Filosofia del Tempo

Figura 15 Medaglione d'oro di Probo. Winterthur, Stadtbibliothek Al centro Aion, che regge con la mano destra la ruota dello zodiaco attraverso la quale stanno passando le Stagioni.

Figura 16 Medaglione. Winterthur, Stadtbibliothek (età di Commodo). La sce­ na è identica alla precedente. Iscrizione: Temp. Felicitas.

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Inserto fotografico

Figura 17 Mfresco. Napoli, Museo Archeologico Nazionale (l sec. d.C.). Satur­ no-Kronos è rappresentato come uomo maturo, con la barba, col falcetto in ma­ no: il tempo distruttore.

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Filosofia del Tempo

Figura 18 Monumento a Zoilo. Afrodisia, Museo Archeologico (età tardo re­ pubblicana o prima età augustea). Aion è rappresentato come uomo maturo, se­ duto su trono.

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Inserto fotografico

Figura 19 Rilievo. Torino, Museo di Antichità (Il sec. d. C.). Frammento di sar­ cofago con Kairòs corrispondente al modello lisippeo. Sono presenti tutti gli ele­ menti caratteristici dd Kairòs: il folto ciuffo sulla fronte, la nuca calva, le ali sulla schiena e quelle ai talloni, e infine il rasoio sopra il quale sta in bilico la bilancia.

Figura 20 Rilievo. Traù, Museo Archeologico (l sec. a. C.). Frammento con Kairòs, copia di un rilievo di Lisippo.

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Filosofia del Tempo

Figura 2 1 Parte di recinzione d'altare. Torcello, Cattedrale (XI secolo) . Rilievo di datazione tarda con una scena complessa in cui Kairòs viene afferrato per il ciuffo da un giovane posto di fronte a lui, mentre alle sue spalle la figura di un vecchio tenta invano di afferrarlo a sua volta. Dietro il vecchio, una figura fem­ minile personificazione di Metanoia.

Figura 22 Cratere a volute. Monaco, Staatliche Antikensammlungen und Glyp­ tothek 3297 (320 ca. a . C . ) . All 'interno del naiskòs Hades e Persefone; dal soffit­ to pendono due ruote del tempo. All'esterno, Orfeo che suona la cetra e una rappresentazione dei Misteri.

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Inserto /otogra/ico

Figura 23 Rilievo. Roma, Villa Albani (età di Commodo: 180- 193 c.a d.C.). Aion mitriaco leontocefalo, con chiave in mano e avvolto da un serpente, è in piedi sopra un globo. Quattro piccole ali sarebbero indicative delle quattro sta­ gioni o dei quattro venti, così come le dodici spirali che decorano lo scettro che impugna nella mano destra sostituiscono i dodici segni dello zodiaco.

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Filosofia del Tempo

Figura 24 Statua. Roma, Musei Vaticani (tardo I sec. d.C.). Aion mitriaco leon­ tocefalo con occhio sul petto e serpente avvolto intorno al corpo, porta attributi più marcatamente ctoni come starebbe a confermare la presenza di Cerbero.

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Inserto fotografico

Figura 25 Statua. Parigi, collezione privata (IV sec. d.C.). Aion mitriaco leonto­ cefalo con serpente avvolto intorno al corpo, le ali, le braccia tese lungo il corpo e in ciascuna mano una chiave.

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Fztoso/ia del Tempo

Figura 26 Scultura. Roma, Villa Albani (Il sec. d.C.). Ruota zodiacale sostenuta da Atlante. Al centro della ruota, Giove su trono.

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Inserto fotografico

Figura 27 Patera d'argento di Parabiago. Milano, Museo Archeologico (fine quarto IV sec. d.C.). Nella fascia superiore i carri di Hdios e di Sdene si rincor­ rono nel cielo. In quella centrale, Cibele e Attis in trionfo. Alla loro destra, Atlas sorregge una ruota zodiacale contenente un giovane Aion; a un obelisco si avvol­ ge un serpente.

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Fzloso/ia del Tempo

Figura 28 Rilievo. Modena, Museo Archeologico (la metà II sec. d.C.). All'in­ temo della ruota zodiacale Phanes, divinità del tempo, emerge dalle fiamme che si stanno sprigionando dalla metà inferiore dell'uovo infranto, la terra, mentre la metà superiore individua il cielo.

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Inserto fotografico

Figura 29 Mosaico. Venezia, Basilica di S. Marco (seconda metà XII sec.). li Cristo entro clipeo stellato, assiso sui due arcobaleni, simbolo della vecchia e nuova alleanza.

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Profili biografici degli autori

Alici Luigi Alici è professore straordinario di Filosofia Morale presso l'Università degli stu­ di di Macerata. I suoi studi hanno origine nella rilettura del pensiero agostiniano alla luce delle istanze della filosofia contemporanea. Le sue principali pubblicazioni sono: Il linguaggio come segno e come testimonianza. Una rilettura di Agostino, Roma 1976; Tempo e storia. Il "divenire" nella filosofia del '900, Roma 1978; Il valore della parola. LA teoria degli "Speech Acts" tra scienza de/ lin­ guaggio e filosofia dell'azione, Assisi 1 984 . Ha curato l'edizione italiana delle seguenti opere di Agostino: LA città di Dio, Milano 1 989; 19974; Confessioni, Torino 1990; Ma­ nuale sulla fede, speranza e carità; il potere divinatorio dei demoni, in LA vera religione, "Nuova Biblioteca Agostiniana " , VI/2 , Roma 1995 .

Bellone Enrico Bellone è titolare della Cattedra Galileiana di Storia della scienza della Facoltà di Scienze dell'Università di Padova. È autore di numerosi contributi scientifici sulla storia della scienza moderna e contemporanea. Ha curato l'edizione italiana delle opere di Kelvin. Ha pubblicato i saggi: Il sogno di Galileo. Oggetti e immagini della ra­ gione, Bologna 1980; I nomi del tempo, Torino 1989; Caos e armonia. Storia della fisi­ ca moderna e contemporanea, Torino 1990; Spazio e tempo nelle nuove scienze, Firen­ ze 1994.

Bernet Rudolf Bernet è professore di Filosofia presso l'Università di Lovanio (Belgio) e mem­ bro della Direzione degli Husserl-Archivs. È Presidente della Società Tedesca di Ri­ cerca Fenomenologica e direttore della collana delle Opere Complete di Edmund Husserl nonché della rivista "Phaenomenologica" . Tra le pubblicazioni più impor­ tanti: R. Bernet (a c. di), Edmund Husserl, Texte zur Phà'nomenologie des inneren Zeit­ bewusstseins (1 893-191 7), Hamburg 1985 ; R. Bernet, l. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, Bologna 1992; La vie du sujet. Recherches sur l'interprétation de Husserl dans la phénoménologie, Paris 1 994; I..:inconscient entre représentation et pulsion (Freud, Husserl et Schopenhauer), Paris 1996.

Berti

Enrico Berti è professore ordinario di Storia della filosofia nella Università di Padova, presidente nazionale della Società Filosofica Italiana e socio corrispondente dell'Ac­ cademia nazionale dei Lincei. Le sue principali pubblicazioni sono: LA filosofia del pri­ mo Aristotele, Padova 1962 ; Pro/ilo di Aristotele, Roma 1979, 19943; Le vie della ra­ gione, Bologna 1 987 ; Le ragioni di Aristotele, Roma-Bari 1989; Aristotele nel Nove­ cento, Roma-Bari 1992 ; Soggetti di responsabilità: questioni difilosofia pratica, Reggio Emilia 1 993 ; Introduzione alla metafisica, Torino 1993 .

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Filosofia del Tempo Casertano Giovanni Casertano è professore di filosofia antica presso l'Università Federico II di Napoli. Tra le sue principali pubblicazioni ricordiamo: Natura e istituzioni umane nelle dottrine dei So/isti, Napoli 1970; Parmenide il metodo la scienza l'esperienza, Na­ poli 198�; I.:eterna malattia del discorso. Quattro studi su Platone, Napoli 1993 ; Il no­ me della cosa. Linguaggio e realtà negli ultimi dialoghi di Platone, Napoli 1996. Chiereghin Franco Chiereghin è attualmente professore di Filosofia teoretica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Padova. Fra le sue opere I.:influenza dello spinozi­ smo nella formazione della filosofia hegeliana, Padova 196 1 ; L'unità del sapere in Hegel, Padova 1963 ; Dialettica dell'assoluto e antologia della soggettività, Trento 1980; Essere e verità. Note a Logik. Die Frage nach der Wahrheit di M. Heidegger, Trento 1984; Possibi­ lità e limiti dell'agire umano, Genova 1990; Il problema della libertà in Kant, Trento 199 1 ; Introduzione alla lettura della "Fenomenologia dello Spirito" di Hegel, Roma 1994. Courtine Jean-François Courtine è professore all' École Normale Supérieure di Parigi, e Diret­ tore del Centro di Ricerche Fenomenologiche e Ermeneutiche - Archivi Husserl, nel­ la stessa città. Fra le sue opere più recenti J.-F. Courtine (a c. di), Cahier de l'Herne HO!derlin, Paris 1989; Sutirez et le système de la métaphysique, Paris 1990 (Premio Charles Leéeque, lnstitut de France, 1992); Heidegger et la phénoménologie, Paris 1990; Extase de la raison. Essais sur Schelling, Paris 1990; R. Brague, J.-F. Courtine (a c. di), Herméneutique et antologie. Hommage à Pierre Aubenque, Paris 1990; J.-F. Courtine (a c. di), Figures de la subjectivité. Approches phénoménologiques et psychia­ triques, CNRS, Paris 1992 ; ].-F. Courtine (a c. di), Phénoménologie et théologie, Paris 1992 ; J.-F. Courtine (pref. di), Holderlin. Odes, Élégies, Hymnes, Paris 1993 ; J.-F. Courtine, J.-F. Marquet (a c. di), Raison et positivité dans la dernière philosophie de Schelling, Paris 1994; ].-F. Courtine (a c. di), Heidegger 1 9 1 9-1929. De l'herméneuti­ que de la/acticité à la métaphysique du Dasein, Paris 1996; ].-F. Courtine (a c. di), Phé­ noménologie et Logique, Paris 1996. Filoramo Giovanni Filoramo è professore ordinario di Storia del cristianesimo presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino. Nei suoi studi si è occupato di vari aspetti della Storia del cristianesimo antico, dello gnosticismo e delle sue fortune moderne e contemporanee, di storia della storiografia religiosa e della situazione religiosa contemporanea. Le sue principali pubblicazioni sono: I.:attesa della fine. Storia della gnosi, Roma-Bari 1993'; Religione e Ragione tra Ottocento e Novecento, Roma-Bari 1 985 ; I nuovi movimenti religiosi, Roma-Bari 1986; Il risveglio della gnosi ovvero diventare dio, Roma-Bari 1990; Figure del sacro. Saggi di storia religiosa, Brescia 1993 ; Le vie del sacro. Religione e modernità, Torino 1994; Ha inoltre curato il Dizionario delle religioni, Torino 1993 . Ghisalberti Alessandro Ghisalberti è professore ordinario di Storia della filosofia medievale nell11 Facoltà di Lettere e Filosofia della Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. E Direttore del Dipartimento di Filosofia della Università Cattolica, Presidente della So­ cieta Filosofica Italiana - Sezione Lombarda, membro della SIEPM (Société lnterna­ tionale pour I' Étude de la Philosophie médiévale), membro della SISPM (Società Ita­ liana per lo Studio del Pensiero medievale), membro del Consiglio direttivo dell'Isti­ tuto Internazionale di Studi Piceni, dell'Istituto Studi Umanistici Francesco Petrarca, del Centro per le ricerche di Metafisica della Università Cattolica di Milano, della "Ri­ vista di Filosofia N eoscolastica", della Rivista "Medioevo". Collabora con numerosi centri specialistici di ricerca in Italia e all'estero. 366

Pro/ili biografici degli autori Volumi pubblicati: Guglielmo di Ockham, Milano 1972 (con tre ristampe successive); Giovanni Buridano dalla metafisica alla fisica, Milano 1975 (una ristampa ) ; Introdu­ zione a Ockham, Roma-Bari 1976 (una ristampa); Le "quaestiones de anima" attribuite a Matteo da Gubbio. Edizione del testo, Milano 198 1 ; Buridano: Il cielo e il mondo. Commento al trattato "Del cielo" di Aristotele, Milano 1983 ; Medioevo teologico. Cate­ gorie della teologia razionale nel Medioevo, Roma-Bari 1990; Guglielmo di Ockham. Scritti filoso/ici, Firenze 199 1 ; Giovanni Duns Scoto: filosofia e teologia, Milano 1995 . Ludlow Peter Ludlow è professore presso il Dipartimento di Filosofia della State University di New York (SUNY). Tra le sue opere più recenti Quantifying into Re/erential Attitu­ des, in Chisholm, Blackmore, Hubner, Marek (a c. di) , Philosophy o/ Mind/Philo­ sophy o/Psychology, Wien 1985 ; The Syntax an d Semantics o/ Re/erential Attitude Re­ ports, Bloomington (Indiana) 1986; Ludlow P., Neale S . , Indefinite Descriptions: In De/ense o/Russe/l, in "Linguistics and Philosophy" , 14, n. 2, 199 1 , pp. 17 1 -202 ; Beak­ ley B., Ludlow P. (a c. di) , The Philosophy o/Mind: Classica/ Problems/Contemporary Issues, Cambridge (Mass.) 1992; Larson R. , Ludlow P. , Interpreted Logica! Forms, in "Synthese" , 95 , 1993 , pp. 305 -355 ; The Adicity o/ 'Believes' an d the Hidden Indexical Theory, in "Analysis " , 56, 1996, pp. 97 - 1 02 . Melchiorre Virgilio Melchiorre ha insegnato filosofia morale presso la Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Venezia. Attualmente, in qualità di professore ordinario, professa la stessa disciplina presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università Cattolica di Mi­ lano, ove in precedenza ha insegnato filosofia della storia. Ha iniziato le sue ricerche con alcuni studi su Kierkegaard, volgendosi poi allo studio di Kant, Hegd, Marx, Gramsci, Mounier, Maritain, Husserl, Heidegger. Sul piano teoretico la sua ricerca è volta a coniugare il metodo della fenomenologia trascendentale con i grandi terni dd­ la metafisica classica. Fra i suoi scritti si possono ricordare i volumi: I.:immaginazione simbolica, Bologna 1972 ; Metacritica dell'eros, Milano 1977; Essere e parola, Milano 1982 , 1984, 1990, 1 993 (quarta ed. integrata e ampliata); Corpo e persona, Genova 1987 ; Studi su Kierkegaard, Genova 1987 ; Analogia e analisi trascendentale. Linee per una nuova let­ tura di Kant, Milano 1991 (opera insignita nel 1990 del «Premio Mursia per la cultu­ ra e la ricerca scientifica»); Figure del sapere, Milano 1 994 ; La via analogica, Milano 1996. Poser Hans Poser è dal 1972 professore alla Technische Universitat d! Berlino. È stato Visi­ ting Professar in Malawi, India, Argentina, Spagna e Russia. E vicepresidente della Società G.W. Leibniz di Hannover, e nel biennio 1994-1 996 è stato Presidente della Società Generale di Filosofia in Germania. Tra le sue opere: Zur Theorie der Modal­ begri//e bei G. W Leibniz, 1969; la cura dei volumi Philosophie und Mythos, 1978; Formen teleologischen Denkens, 198 1 ; Wandel des Vernun/tbegri//s, 198 1 ; Philosophi­ sche Probleme der Handlungstheorie, 1982 ; Wahrheit und Wert, 1992 ; Beobachtung und Er/arung, 1992; con altri: Ontologie und Wissenscha/t, 1984; Leibniz in Ber/in, 1990; Neue Realitaten - Heraus/orderung der Philosophie, 3 voli., 1993 . Ricoeur Paul Ricoeur è stato professore di filosofia a Strasburgo, alla Sorbona t alla Nuova Università di Nanterre. Ha inoltre insegnato alla Divinity School dell'Università di Chicago. Tra le sue ultime opere tradotte in italiano: Temps et récit, Parigi, 1983 - 1 985 , 3 voli, trad. it. Milano, 1987 - 1 99 1 ; Du texte à l'action. Essais d'herméneutique, II, Pa­ rigi 1 986, trad. it. Milano 1989; De l'interprétation. Essai sur Freud, Parigi 1965 , trad. it. Genova 199 1 , Soi-meme comme un autre, Paris 1990; trad. it . Milano 1993 . 367

Filosofia del Tempo Romeyer Dherbey Gilbert Romeyer Dherbey è professore di Storia della filosofia antica presso la Sorbq_­ na (Paris IV) e direttore del Centro di Ricerche sul pensiero antico "Léon Robin " . E autore di numerosi saggi tra cui Maine de Biran, ou le penseur de l'immanence radica­ le, Paris 1974; Les choses memes, Les pensée du réel chez Aristote, Paris 1983 ; Les Sophistes, Paris 1985 . Ha curato la presentazione di Condillac, le Commerce et le Gou­ vernement, Paris 1980 e l'edizione critica di Maine de Biran, I.:influence de l'Habitu­ de sur la /aculté de penser, Paris 1987 e, infine, la raccolta di studi Corps et Jme, Sur le De anima d'Aristote, Paris 1996. Ruggenini Mario Ruggenini è professore di Ermeneutica filosofica presso l'Università di Venezia. Si è a lungo occupato di Husserl ( Verità e soggettività, Verona 1974) e di Heidegger (Il soggetto e la tecnica, Roma 1 978). Tra le pubblicazioni più recenti: Volontà e interpre­ tazione, Milano 1984; La filosofia, la fede, la perdita di Dio, Roma 1988; Il divino e l'as­ senza, Milano 1 99 1 ; Heidegger e la metafisica, a c. di M. Ruggenini, Genova 199 1 ; Ife­ nomeni e le parole, Genova 1992 ; Il discorso dell'altro, Milano 1996. Ruggiu Luigi Ruggiu è professore di Storia della filosofia presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università di Venezia. Sono numerosi i suoi contributi scientifici. Si segnalano, in particolare: Tempo coscienza e essere nella filosofia di Aristotele, Brescia 1970; Teoria e prassi in Aristotele, Napoli 1973 ; Parmenide, Venezia-Padova 1975; La scienza ricerca­ ta. Economia, politica e filosofia. Studi su Aristotele e Marx, Treviso 1979; La genesi dello spazio economico, Napoli 1982 ; Tempo e anima in S. Agostino (in corso di pub­ blicazione) e Anima e Tempo in Il tempo in questione, Milano 1997 . Ha inoltre curato con un saggio introduttivo e un commentario filosofico il Poema sulla natura di Par­ menide, Milano 19922 e Aristotele, Fisica, saggio introduttivo, traduzione, note e ap­ parati, Milano 1995 . Severino Emanuele Severino è titolare della cattedra di Filosofia teoretica presso l'Università degli Studi di Venezia. Tra le sue pubblicazioni, Ritornare a Parmenide, Milano 1966; Essenza del nichilismo, Brescia 1972; nuova ed. ampliata, Milano 1982; Destino della necessità, Milano 1980; La struttura originaria, Milano 195 8 ; nuova ed. ampliata, Mi­ lano 198 1 ; A Cesare e a Dio, Milano 1 983 ; La filosofia antica, Milano 1982 ; La filoso­ fia moderna, Milano 1 984 ; La filosofia contemporanea, Milano 1 987 ; La tendenza fon­ damentale del nostro tempo, Milano 1988; Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo, Milano 1989; La filosofia futura, Milano 1 989; Gli abitatori del tempo. Cristianesimo, marxismo, tecnica, Roma 1978, 19892; Il nulla e la poesia. Alla fine dell'età della tecni­ ca: Leopardi, Milano 1990; Heidegger e la metafisica, Genova 199 1 ; Oltre il linguaggio, Milano 1992; Tautotes, Milano 1995 . Vigna Carmelo Vigna è dal 1981 professore ordinario di Filosofia morale presso l'Università degli Studi di Venezia, dove attualmente dirige anche il Centro lnteruniversitario per gli Studi sull'Etica (C.I.S.E. ) . Tra i suoi scritti: Ragione e religione, Milano 197 1 ; Filo­ so/a e marxismo, Milano 1974; Le origini del marxismo teorico in Italia, Roma 1977 ; In­ vito al pensiero di Aristotele, Milano 1992 . In collaborazione con altri: Antonio Gram­ sci. Il pensiero teorico e politico, la "questione leninista", Roma 1979, 2 voll .. Ha cura­ to l'edizione italiana dell'Hermeneutik di E. Fuchs, Milano 1974 e i seguenti voll. : La ragione e la dialettica, Venezia 198 1 ; con G. Trentini, La qualità dell'uomo, Mil;mo 1 988; I.:Etica e il suo Altro, Milano 1 994 .

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Profili biografici degli autori Zaccaria Ruggiu Annapaola Zaccaria Ruggiu è professore di Archeologia (metodologia della ricerca ar­ cheologica) presso il Dipartimento di Scienze dell'Antichità e del Vicino Oriente del­ l'Università degli studi Ca' Fos,cari di Venezia. Ha compiuto scavi a Orvieto, Luni, Hierapolis di Frigia (Turchia). E autrice fra l'altro dei saggi: Le lucerne fittili del Mu­ seo Civico di Treviso, Roma 1980; Tessuti Copti del Museo Poldi Pezzo/i di Milan o,;_ Mi­ lano 1984; Spazio privato e spazio pubblico nella città romana (Collection de L'.ccole française de Rome), Roma 1995 ; Origine del Triclinio nella casa romana, in Miscellanea di studi in Onore di A. Frova, Roma, 1995 .

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Referenze iconografiche

Figura l S.E. Iakovidis, Mycenae-Epidaurus, Argos-Tiryns-Nauplion, Atene 1985 , fig. 65 , p. 1 05 . Figura 2 M.P. Nilsson, The Minoan-Mycenaean Religion and its Survival in Greek Re­ ligion, New York 1 97 1 , fig. 158, p. 347. Figura 3 J.W Salomonson, La mosai'que aux chevaux de l'antiquarium de Carthage, Deen Haag 1965 , p. 189, tav. XLI. l. Figura 4 Foto Biblioteca Nazionale Marciana. Figura 5 Z. Kiss, v. Ouroboros, in UMC, VII, 2, n. 2, p. 93 . Figura 6 Z. Kiss, v. Ouroboros, in UMC, VII, 2 , n. 4, p. 93 . Figura 7 I Greci in Occidente, Catalogo della mostra a c. di G. Pugliese Carratelli, Mi­ lano 1996, p. 2 14 . Figura 8 H.G. Gundel, Zodiakos-Tierkreisbilder im Altertum, Mainz 1992, tav. 3 . Figura 9 L. Musso, v. Aion, in EAA , II supplemento 1971-1994, p . 138, fig . 169. Figura 10 H.G. Gundel, Zodiakos-Tierkreisbilder im Altertum, Mainz 1992, tav. 2a. Figura 1 1 Sols de l'Afrique romaine, Paris 1995 , fig. 90, pp. 132. Figura 12 Sols de l'A/rique romaine, Paris 1995 , fig. 13, p. 38. Figura 13 R. Bianchi Bandinelli, M. Torelli, !:arte dell'antichità classica-Etruria, Ro­ ma-Torino 1976, scheda n. 14 1 . Figura 14 M . Leglay, v. Aion, in UMC, l , 2, n . 22, p . 3 15 . Figura 1 5 A Alfoldi, Aion in Mérida undAphrodisias, Mainz am Rhein 1979, tav. 12d. Figura 16 M. Leglay, v. Aion, in UMC, l, 2, n. 24, p. 3 15 . Figura 17 G.L. Ragghianti, Pittori di Pompei, Milano 1963 , p. 107. Figura 1 8 K.T. Erim, Aphrodisias, City o/ Venus Aphrodite, London 1986, p. 138. Figura 19 Lisippo, l'arte e la fortuna, Catalogo della Mostra, a c. di P. Moreno et al. , Milano 1995 , n. 4 . 2 8 . 3 , p. 194. Figura 2 0 Lisippo, l'arte e la fortuna, Catalogo della Mostra, a c. di P. Moreno et al., Milano 1995 . n. 4 . 28. l , p. 193 . Figura 2 1 Lisippo, l'arte e la fortuna, Catalogo della Mostra, a c . di P. Moreno et al., Milano 1995 , n. 4 . 28. 5, p. 195 . Figura 22 R Lidner, S.C. Dahlinger, N . Yalouris, v. Hades, in UMC, IV, 2, n . 132, p . 220. Figura 23 Foto Alinari 27619. Figura 24 J. Godwin, Mystery Religions in the Ancient World, London 1981, n. 73 , p. 108. Figura 25 J. Godwin, Mystery Religions in the Ancient World, London 1 98 1 , n. 72, p. 108. Figura 26 Foto Alinari 27744 . Figura 27 H.G. Gundel, Zodiakos-Tierkreisbilder im Altertum, Mainz 1992 , n. 1 90, pp. 258-259. Figura 28 J. Godwin, Mystery Religions in the Ancient World, London 1981, n. 142 , p. 1 7 1 . Figura 2 9 O . Demus, The Mosaics o/ San Marco in Venice, Chicago-London 1 984, I, 2, tav. 55. 371

Indice dei nomi

Abad Casal, L . , 305 , 3 16, 3 3 8 Adam, C . , 1 1 8 Adorno, F. , 2 13 Adorno, Th.W, 253 , 256 Adriano, 3 1 1 , 325 Agamben, G., 39, 50, 1 80- 1 8 1 Agatone, 3 Agostino, A., l , 14, 2 1 , 52-7 1 , 80, 147, 154 , 2 0 1 , 2 13 , 2 15 2 17 , 23 1 -235 , 239, 244, 246, 248-25 1 , 253 , 3 03 Aiello, M.T., 1 89, 1 98 Alcibiade, 3 Alcidamante, 3 05 Alcmeone di Crotone, 3 02 Alessandro di Mrodisia, 3 3 , 3 6 Alfoldi, A., 3 3 8 Alfoldi-Rosenbaum, E., 3 3 8 Alici, L., 52-53 , 69-7 1 , 2 13 Altwicker, N . , 158 Ambrogio, 58 Amerio, R. , 12 Ammonio di Ermia, 77 Amoroso, L., 13 1 , 144 Anassimandro, 14, 243 -244, 295 296, 3 06 André, ] . , 3 07 Anselmo d'Aosta, 69 Antiferonte di Oreo, 3 3 Antonino Pio, 3 13 , 325

Apuleio, 5 8 Aquilecchia, G . , 96, 1 0 1 , 1 12 Aqvist, L., 283 , 291 Archia, 3 06 Arendt, H., 190 Ario, 1 1 0 Aristofane, 295 , 3 0 1 -302 Aristotele, l , 9-10, 12-16, 1 8-20, 22-35 , 68, 72 , 77-78, 8 1 -83 , 86, 98, 1 05 , 1 17 , 150, 154, 158, 160, 20 1 , 204-205 , 2 13 -2 14 , 2 17 -22 1 , 228-229, 23 1 -233 , 235-23 9, 244-245 , 25 1 , 257 262 , 297 , 300, 3 03 -3 04, 306307, 3 10, 3 15 , 3 17 , 338, 342 Arnaud, E., 3 3 8 Arndt, H. -W. , 1 1 8 Arrighetti, G . , 3 3 8 Asclepio, 7 7 Assunto, R. , 12-13 , 20, 85 , 127, 132, 144 , 15 1 , 156, 296 Atanasio, 68 Aubenque, P. , 15-17, 3 04 Averroè (Averroes), 72, 76, 82 83 , 86 Ayer, A.J., 27 1 , 291 Bach, E., 274, 291 Balmary, M., 2 16 Balslev, A.N . , 42 , 50 373

Filosofia del Tempo

Bonsiepen, W, 145 , 149, 158 Bourget, L., 12 1 Bowmann, T. , 39, 50 Boyer, C., 58, 70 Brague, R. , 3 04 , 307 , 309, 338 Brandon, S.G.F., 48, 50 Brauer, O.D., 158 Bravo, B., 299 Brelet, G., 158 Brelich, A., 298, 3 4 1 Brinkley, A.B. , 158 Broad, C.D., 291 Brochard, H . , 145 Buchner, H., 145 Burger, P. , 158, 160 Burgess, }., 282 , 291 Burkert, W , 3 3 8 Burman, F. , 1 1 8 Busa, R. , 86

Baltes, M., 43 , 50 Bambrough, R. E . , 1 9 Baran, N . , 303 , 3 3 8 Barberi, F. , 298, 340 Bassi, S., 1 1 1 - 1 12 Baudelaire, C., 177, 179 Baum, M., 158- 159 Baumgartner, H.M., 1 13 , 128 Baur, F.C., 158, 160 Bayet, J., 3 1 1 , 3 3 8 Beeckman, I., 1 14 - 1 15 Beierwaltes, W , 54, 58, 60, 62 , 66, 68-69, 155 , 158, 3 1 0, 3 3 8 Belayche, N., 48, 50 Benjamin, W. , 172, 174 - 1 82 , 253 , 256 Benveniste, E . , 3 3 8 Bergson, H . , 22 , 5 2 , 1 1 9, 163 , 177, 208, 220, 229, 257 , 261 Bernardini, P. A., 296 Bernet, R. , 1 83 , 1 97 - 1 98 Bertelli, C . , 3 3 8 Bettetini, M., 66, 69-70 Bianchi, M.L., 97 , 1 12 Bianchi, U . , 47 , 50, 6 1 , 70 Bianchi Bandinelli, R. , 3 3 8 Biasutti, F. , 145 Biehl, R. , 29 Bignami, L., 145 Bloch, E., 25 1 -256 Blumenberg, H, 23 2 , 244 Bodei, R. , 145 , 156, 160 Boehm, R. , 250, 256 Boezio, S., 14, 2 1 -22, 3 1 0 Bohme, J., 37-38, 4 1 , 50 Boltzmann, L., 93 Bonaventura da Bagnoregio, 14 Bonitz, H., 3 15 Bonola, G., 168, 170 �

Cacciari, M . , 158 Caianiello, S., 157 , 159 Callahan, J.F. , 338 Calogero, G., 15 , 159 Cambitoglou, A., 342 Cantoni, R. , 6 1 , 70 Caponigri, A.R. , 158 Capozzi, G., 158 Capra, F. , 159 Carabellese, P., 127 , 132, 144 Carteron, H , 23 7 , 244 Carugo, A. , 297 , 34 1 Casertano, G . , 3 , 1 1 Casper, B., 1 68, 1 82 Cassirer, E . , 3 3 8 Catone, 3 17 Caujolle-Zaslawsky, F. , 3 3 8 Cavalcanti, E . , 54 , 70-7 1 Cesa, C. , 155- 156 374

Indice dei nomi

Ceselin, F. , 293 Chaix-Ruy, ]., 6 1 , 70 Chamberlain, A., 290-291 Chamberlain, I. , 290-291 Chantraine, P. , 3 04-305 , 307 3 08, 3 15 , 3 3 8 Chanut, H. -P. , 1 15 Charbonneaux, M.]., 338 Chatelain , A., 77 , 86 Chenet, F. -X. , 134, 144 Cherniss, H., 19 Chevallier, R. , 3 03 , 305 , 33 8-3 3 9 Chiereghin, F. , 143 , 145 , 148149, 15 1 , 158 Chiodi, P., 17 1 , 2 1 3 , 229 Chomsky, N., 276 Cicerone, 57 , 3 09 Ciglia, F., 1 93 , 1 98 Ciliberto, M., 1 00, 1 1 1 - 1 12 Cingano, E., 296 Clarke, E., 120, 124, 288, 291 Codignola, E., 145 , 149 Cohen, H., 170 Cole, P., 291 Collon, D. , 299, 338 Copernico, 93 , 99 Cosi, D.M., 230, 342 Courcelle, P. , 57, 70 Covotti, A., 3 04 , 3 3 8 Craig, W L . , 272 , 2 9 1 Crepaldi, M.G. , 2 1 , 3 9 , 5 0 Crizia, 3 16 Croce, B., 44, 145 , 170, 247 , 256 Cromer, R.F. , 289-291 Cullmann, 0., 39, 50, 61, 70 Cumont, F. , 338 Cuniberto, F. , 37-38, 50 Cusano, N., 66

Dahlinger, S.C., 3 4 1 Dal Zotto, F. , 293 David de Dinant, 98 de Corte, M . , 30, 36 De Fidia, P. , 53 , 7 1 De Giovanni, B., 145 , 156, 158 De la Harpe, J., 3 3 8 D e Negri, E., 145 De Romilly, J., 295 , 297 , 3 3 8 D e Santillana, G . , 3 08, 3 14 , 3 3 8 d e Volder, A., 123 Degani, E., 12, 24, 3 04, 3 06, 3 3 8 Demus, 0 . , 3 3 8 Denifle, M., 77 , 86 Derrida, J., 146, 158, 1 83 , 1 89, 203 Descartes, R. (Cartesio) , 14, 35, 91, 1 13 - 123 , 126- 128, 2 13 Dieks, D . , 272 , 291 Diès, A., 2 1 9, 22 1 Dietzsch, S . , 158 Dilthey, W, 247 -248, 256 Dober, H.M., 167 , 170, 1 8 1 Dord, G.].W. , 274 , 2 9 1 Douris, 322 Dreyer, J.L.E. , 297 , 339 Duhem, P. , 78, 86, 339 Dumezil, G . , 339 Dummett, M., 273 , 287 , 289, 291 Duns Scoto, 78 Diising, K. , 139, 144- 145 , 147 , 159- 160 Dussaud, R. , 339 Dyson, R.W. , 64 , 70 Ehrenberg, H., 172 Einstein, A., 93 , 12 1 , 270-272 Eisler, R. , 3 3 9 375

Filosofia del Tempo

Eliade, M., 6 1 , 70, 303 , 308, 3 12 , 339 Empedocle, 14, 2 0 , 3 06 Eraclito, 2, 5 , 14-15, 1 9-20, 240245 , 298, 3 06, 3 12 Erim, K.T. , 3 3 9 Erle, G., 159 Ermogene, 5 Ernout, A., 307-308 Eschilo, 297 , 3 06 Esiodo, 13 , 295 , 298-299, 3 04 , 3 06, 3 12 , 3 15 Etere, 24 , 89, 299 Étienne, R. , 339 Euripide, 295 , 297 , 3 3 8 Eusebio, 3 12 Evans, G., 280-2 8 1 , 287 , 291

Fraenkel, H., 303 -3 04 , 3 15 , 339 Francesco di Meyronnes, 78 Frank, P. , 272 Franzwa, G.E., 140, 144 French, L.A., 288, 291 Freud, S . , 22 1 -227 , 229-23 0, 261 Frigo, G.F., 145 Gadamer, H.G., 256 Galilei, G., 87-88, 90, 1 14 Garda Astrada, A., 159 Gardet, L., 4 1 , 50 Garezou, M.X. , 3 14, 339 Garin, E., 1 06, 1 12 Garman, M., 288, 292 Gaukroger, St. , 1 15 , 128 Gentile, G., 16, 96, 1 12 , 126, 13 1 , 144 , 152 , 156 Gentili, B., 296 Gernet, L., 3 3 9 Ghedini, F. , 3 1 1 , 3 3 9 Ghisalberti, A., 76-77 , 85 -86 Giacché, V., 159 Giamblico, 49 Giannantoni, G., 14 Giannini, P. , 296 Gilson, E., 6 1 , 70 Giordani, A., 2 13 Giordano Bruno, 66, 96- 1 12 Giovanni di Bassoles, 78 Giovanni di Gaza, 3 13 Giovanni Filopono, 77 Girgenti, G., 54, 69 Girolamo, 59, 62 Giuliano, 3 17 Gloy, K., 139, 144, 158, 160 Gnecchi, F. , 3 3 9 Gnoli, G . , 3 3 9 Godwin, ]., 339

Fabris, A., 159, 170 Fabro, C . , 62 , 70 Faggin, G., 7 1 , 244 Farina, R. , 159 Fatta, C., 159 Faustina, 325 Federici, R. , 340 Ferecide, 295 Festugière, A.]., 48, 50, 3 07 , 339 Filone di Alessandria, 2 1 , 3 9 , 50 Filoramo, G., 39, 42, 44, 46, 50, 3 1 0, 3 3 9 Fink, E., 242 -245 Fiorentino, F., 97 , 1 12 Flasch, K. , 52, 60, 63 -64 , 70, 232, 235, 244 Fleischman, E., 172, 1 8 1 Fletcher, P. , 288, 292 Forster, ]., 29 Foti, G., 339 Foucher, L., 305 , 3 09, 3 3 9 376

Indice dei nomi

Goethe, J.W. , 161 Goldschmidt, V. , 237 , 244 , 339 Goldstein, E., 53, 7 1 Goodman, N., 27 1 , 291 Gould, S.]., 43 , 50 Grampa, G., 52, 64 , 7 1 , 2 14 Granello, G., 145 Gregorio di Nissa, 57, 68, 7 1 Grimal, P. , 33 9-340 Guenthner, F. , 283 , 291 Guglielmo di Ockham, 72-73 , 75 -86 Guitton, J., 53 , 63 , 70 Guthrie, W.K.C. , 295 , 340

Hinks, R. , 294 , 340 Hinrichs, E., 283 , 291 Hintikk.a, J., 26 Hirmer, A. , 342 Hobbes, Th . , 1 13 , 222 Hoffmeister, ]., 145 Hohenemser, R. , 132, 144 Horkheimer, M., 177 , 1 80 Hornstein, N., 283 , 2 9 1 Horstmann, R.-P. , 147 , 159 Hosle, V., 159, 1 6 1 Hubert, H., 294, 340 Husserl, E., 27, 34-36, 1 83 - 1 92 , 194, 196, 1 98, 2 15 -2 16, 220, 23 1 , 240-24 1 , 250, 256

Habermas, J., 227 Hadot, 1., 57, 70 Halwachs, M., 2 16 Hanfmann, G.M.A. , 340 Hanson, I.W. , 340 Harris, H.S., 159 Harrison, J.E., 340 Hartmann, N., 203 Havelock, E.A. , 298, 340 Hawking, S., 1 13 Healey, R. , 272 , 292 Hegel, G.W.F., 2 , 47 , 145 - 1 6 1 , 163 , 165 , 1 99, 208-2 10, 2 12 , 258-260, 262, 264, 268 Heidegger, M., 4 1 , 47 , 52, 1 13 , 127 , 14 1 , 144, 146, 157 , 159, 161 , 163 - 164 , 170- 1 7 1 , 179, 183 , 1 86- 1 9 1 , 1 93 , 198, 203 , 2 12 -2 13 , 2 1 9, 229, 23 1 , 239, 24 1 -245 , 257 Henke, E., 127- 128 Hennigfeld, J., 159 Henrich, D. , 153 , 159- 160 Hersant, Y. , 1 80- 1 8 1

Iakovidis, S.E., 340 !annotta, D., 222 Illetterati, L., 147 , 159 Imbert, C., 175, 1 8 1 Imbriani, V. , 97 , 1 12 Imhoof-Blumer, F. , 3 12 , 340 Ione di Chio, 3 17 Ireneo sant' , 43 -44 Isocrate, 3 05 Ivernel, P. , 1 80, 1 82 Jacobi, F.H. , 159 James, W. , 27 , 92 Jammer, M., 125 , 128 Jesperson, O, 290, 292 Jonas, H., 46-47 , 49-5 1 , 159 Jung, C.G., 340 Junker, H., 340 Kahn, Ch.H., 16- 17 Kant, I., 16, 26, 52, 1 13 , 1 1 9, 124- 127 , 129- 137, 139- 144, 146, 148, 152 , 156, 158, 1 6 1 , 377

Filosofia del Tempo

1 64, 168, 1 86, 203 , 23 1 , 234 , 240-24 1 , 244, 257 , 264, 273 Karusu, S . , 340 Keller-Cohen, D., 290, 292 Kemp Smith, N . , 140, 144 Keplero, G., 297 , 3 3 9 Kerényi, K. , 298-300, 3 08 Kierkegaard, S.A., 62 , 70, 1 99, 229, 252 , 256 Kimmerle, H., 147 , 159 Kiss, Z., 340 Kleiner, B., 175 , 1 8 1 Klibansky, R. , 3 12-3 14, 340 Koblingk, H., 159 Koselleck, R. , 2 17 Koyré, A., 156, 159- 160 Krell, T. , 2 1 8

Lewy, H., 49, 5 1 Lidner, R. , 3 4 1 Lightfoot, D . , 283 , 291 Lisippo, 3 17 , 3 4 1 Livio, 3 1 6 Llyod, G .E.R, 4 1 , 5 1 Lobeck, V. , 3 08 Locke, J., 27 , 2 15 -2 16 Lombardo-Radice, G., 126, 13 1 , 144 Losacco, M., 154 Louis, P., 33 Lowe, R.L., 3 4 1 Lucrezio, 3 0 1 Ludlow, P. , 287, 290, 292 Lugarini, L . , 145 , 156, 160 Macrobio, 3 08 Majetschak, S . , 160 Mandonnet, P., 86 Manilio, 3 02 Mara, M.G., 60, 70 Marcus, R. , 274, 291 Marramao, G., 39, 5 1 Marrou, H.-l., 247-248, 256, 3 4 1 Martineau, E., 3 07 , 3 4 1 Mathieu, V. , 1 6 , 126, 13 1 , 144 Mattingly, H., 34 1 Mauss, M., 340 Maximianus Etruscus, 3 10 Maxwell, J. C . , 92 Mayer, C . , 57, 70 Mazzarino, S., 4 1 , 5 1 McNeill , D., 289, 292 McTaggart, E.J., 270, 291 -292 Megillo, 4 Meillet, A., 3 07-308 Meist, K.R. , 158- 160 Mejiring, E.P. , 52, 70

Labarrière, P.J . , 1 60 Lackeit, C . , 294, 3 06, 3 1 1 , 340 Lambrecht, R. , 160 Lamer, G., 3 05 , 340 Lamirande, É., 58, 70 Laplace, P.-S. de, 1 13 Larson, R. , 276, 28 1 -282, 292 Lasson, G . , 145 , 159 Lauer, S., 48, 5 1 Leglay, M . , 3 13 , 340 Leibniz, G.W, 14, 16, 1 1 9-127 , 148, 254 Leisegang, H., 340 Lemay, R. , 1 05 , 1 12 Letta, C . , 340 Lettieri, G., 60-6 1 , 66, 70 Levi, A. , 3 04 , 340 Levi, D., 294, 305 , 3 1 1 , 3 13 , 3 15 , 340 Lévinas, E., 170, 1 83 , 1 87- 198 Lewis, D., 292 378

Indice dei nomi

Melchiorre, V. , 2 13 , 25 1 -252, 256 Melica, C., 156, 160 Melisso, 18, 3 05 Mellor, H., 270-27 1 Menegoni, F., 145 Merino, P , 64 , 69 Merker, N . , 145 Merleau-Ponty, M . , 183 , 203 Michele di Efeso, 29 Michelstaedter, C . , 250-25 1 , 256 Mill , ]. , 27 Mimnermo, 299 Missac, P. , 174, 1 8 1 Mocenigo, G., 1 03 - 104 Mohanty, J.N., 42 , 50 Moiso, F. , 160 Momigliano, A., 4 1 , 5 1 Mondolfo, R. , 14-15, 295 -296, 3 00, 343 Moni, A., 145 , 155 - 156 Monnoyer, J.-M. , 178, 1 8 1 Montague, W.P. , 274 Montaigne, M.E. de, 22 1 Moore, T.E., 288, 291 Moraldi, L., 45 More, H., 27, 125 Moreno, P , 3 05 , 3 16, 3 4 1 Moretto, A., 145 , 148, 150 Mosès, S., 168- 1 69, 172 - 173 , 175- 176, 179, 1 8 1 Mourelatos, A.PD., 1 5 , 17 Murray, M., 160 Muschik, W , 120, 128 Musso, L., 3 4 1

Negri, A., 145 , 159 Neher, A. , 172 Nelson, K., 288, 291 Neugebauer, 0., 297 , 3 4 1 Newton, 1 . , 1 6 , 87-90, 92 , 1 14 , 125 Nicolin, F., 145 Nietzsche, F.W. , 1 6 1 , 203 , 209, 2 14 , 22 1 , 227 , 230, 234 Nilsson, M.P. , 298-299, 3 05 , 3 4 1 Nock, A.D . , 5 1 , 34 1 Nonno di Panopoli, 3 13 O'Brien, D., 15 , 294, 3 04 , 3 4 1 O'Daly, G., 60, 64 , 70 O'Hagan, T. , 160 O'Malley, J.J., 158 Ohashi, R. , 160 Olimpiodoro, 33 Omero, 12- 1 3 , 295 , 3 00-3 0 1 , 3 03 -3 06, 3 1 6, 3 3 8 Onians, R. B . , 294, 3 05 , 34 1 Orbe, A., 42 Origene, 14, 2 1 , 58-60, 65 , 68, 71 Ovidio, 3 0 1 -3 02 , 3 10 Owen, E.C.E., 34 1 Owen, G.E.L., 15 , 3 04 Panikkar, R. , 4 1 -42 , 48-49, 5 1 Panofsky, E., 293 , 3 12 , 340 Pareyson, L., 1 6 1 Parmenide, 2 , 8- 10, 1 3 , 15 -23 , 25-26, 145 , 150, 199, 274, 3 00, 3 03 -3 04 , 3 4 1 -342 Parone, 2 14 Parrish, D., 305 , 3 13 Parsons, T. , 279 Pasca!, B., 22 1

Natoli, S . , 3 15 , 34 1 Natorp, P. , 1 84 Nebridio, 66 379

Filosofia del Tempo

Protagora, 5 Proust, F., 176, 182 Proust, M., 261 Puech, H.C., 39-4 1 , 44 , 46, 505 1 , 3 1 0, 34 1 Pugliese Carratelli, G . , 3 08, 339340, 342 Putnam, H., 27 1 -272 , 292

Paton, H.J., 139, 144 Pedio, R. , 293 Pépin, J., 67 , 7 1 , 294, 3 4 1 Peroli, E . , 5 7 , 68, 7 1 Petrosino, S., 189, 1 94, 198 Petry, M.]. , 159 Pettazzoni, R. , 297 , 3 00-3 0 1 , 3 08, 3 4 1 Pettinato, G., 3 0 1 -3 02 , 34 1 Philippson, P. , 294 , 298-300, 3 02 , 305 , 3 07 , 3 15 -3 16, 3 4 1 Piaget, ]., 292 Piccolomini, M., 298, 340 Piccolomini, R. , 52-53 , 67 , 69-7 1 Pieretti, A, 52-53 , 7 0-7 1 Pindaro, 295 -297 , 3 00, 3 02 , 3 04, 3 16 Piret, P. , 56, 7 1 Platone, 2 -3 , 5 -9, 1 1 , 1 3 , 17-23 , 25-26, 34, 60, 62 , 65 -68 , 7 1 , 203 , 206, 2 13 , 2 1 8-22 1 , 232, 236, 248, 3 03 -3 04 , 3 06-3 07 , 309-3 10, 3 12-3 14 , 340 Plotino, l, 2 1 , 30, 49, 55 , 62 , 65 69, 7 1 , 1 1 8, 147 , 154, 158, 232, 238, 244 , 3 03 , 3 09-3 1 0, 3 3 8 Plutarco, 2 1 , 60, 3 09 Poggeler, 0 . , 145 Pohlenz, M., 3 08 Poirier, P.-H., 44, 5 1 Pomerans, A., 292 Pomponazzi, P. , 105 - 1 06 Porfirio, 57, 66-67 Poser, H., 120, 127 - 128 Posidippo, 3 1 6 Previtali, G., 293 Prior, A.N., 122 , 285 , 292 Priscilliano, 60 Prodo, 2 1 , 77, 3 1 1

Quine, W.V.O., 27 1 , 279, 285 , 292 Racinaro, R. , 145 , 160 Rackwitz, M., 160 Ragghianti, G.L., 3 4 1 Rametta, G . , 156, 160 Rassow, A., 29 Ravera, M., 1 60 Reale, G . , 15, 19, 158, 3 04 , 3 10 Reichenbach, H., 127 , 270, 283 , 285 , 288, 29 1 -292 Reina, M.E., 14 1 , 144 Reinach, S., 3 4 1 Reitzenstein, R. , 3 4 1 Reynolds, J. , 3 3 8 Ricoeur, P. , 4 1 , 5 1 -52, 64 , 69, 7 1 , 160, 2 14, 222 , 230, 294, 3 4 1 Riemann, B . , 93 Rist, J., 19, 68, 7 1 , 158, 2 9 1 , 294, 340 Robinson, H., 140, 144 Rock, F. , 342 Rohde, E., 3 08, 342 Romano, M., 293 , 295 , 297 , 299, 3 0 1 -3 03 , 3 05-307 , 3 09, 3 1 1 , 3 1 3 , 3 15 , 3 17 , 339, 34 1 , 343 Romeyer Dherbey, G., 35-36 Roscher, K., 342 Rosenkranz, K., 160 3 80

Indice dei nomi

Rosenstock, E . , 169, 172 , 174, 182 Rosenzweig, F. , 1 68- 174, 1 82 Rosenzweig, R. , 168, 182 Rosenzweig Scheinmann, E., 168, 1 82 Ross, D., 29 Routley, R. , 279, 292 Ruggenini, M., 244 Ruggiu, L. , 1 -2 , 15, 17, 22 , 150, 157 , 160, 2 1 3 , 238, 245 , 293 , 3 00, 3 04 , 3 1 8, 34 1 -342 Russell, B., 270-27 1

Schreber, D.P., 227 Schroter, M . , 162 , 1 64, 1 82 Sciuto, I., 53 , 7 1 Séchan , L., 342 Segai, G., 276, 2 8 1 -282 , 292 Semenza, C . , 282 Seneca, 248-249, 3 1 0 Senocrate, 20, 66 Seppilli , A., 3 00-3 0 1 , 342 Sesto Empirico, 149 Severino, E., 259, 263 , 268-269 Shapiro, H.A. , 293 , 342 Shea, WR. , 120, 128 Simon, E., 342 Simonetti, M., 58, 7 1 , 159 Simplicio, 49, 77, 243 Sinesio di Cirene, 3 13 Sklar, L., 272 , 292 Smart, J.J.C . , 27 1 , 292 Smith , Q., 140, 144, 272 , 292 Sofocle, 297, 3 1 6 Solignac, A. , 62 , 7 1 Solmi, R. , 176, 178 Solone, 295 -296 Sorabji, R. , 15, 2 1 , 27, 3 4 , 36, 44 , 49, 5 1 , 57-58, 6 1 , 7 1 , 342 Sosio, L., 297 , 339 Souche-Dagues, D., 146, 156, 161 Sozzi, F. , 193 , 198 Spampanato, V. , 1 0 1 , 1 12 Speiser, A. , 3 3 8 Spinoza, B., l , 145 , 159, 22 1 Stadler, U . , 338 Stadtmiiller, G . , 342 Stefano Tempier, 77 Steffens, M., 294, 342 Stein, H., 272, 292 Strzygowski, ]., 342

Sabazio, 3 02 Sabellio, 1 10 Saini, S . , 60, 69 Saintyves, P. , 342 Sallustio, 46 Salomonson, }.W. , 342 Sambursky, S . , 232, 245 Samek Lodovici, E., 59, 68, 7 1 Sanna, G . , 145 , 149 S. Paolo, 63 Sartori Treves, P. , 6 1 , 70 Sartre, ].-P., 1 88, 203 Saxl, F. , 3 12 , 340 Scarpi, P., 342 Schadewaldt, W. , 242 -245 Schaeder, H.H. , 34 1 -342 Scheftelowitz, I., 342 Scheler, M., 160, 203 Schelling, F.W.J., 145 , 154 , 15917 1 , 1 82 Schmidt, E.A. , 52, 7 1 , 283 , 291 Schmitz, H., 1 6 1 Schneider, M . , 1 17, 128 Scholem, G., 172, 180- 182 Scholz, H., 65 , 7 1 381

Filosofia del Tempo

Ulianich, B., 6 1 , 70 Untersteiner, M., 18 Usener, H., 3 08, 342

Sweppenhiiuser, H., 172 Sydenham, E.A., 3 4 1 Talete, 295 , 297 , 339 Tallarigo, C.M., 97 , 1 12 Tannery, P. , 1 13 , 1 1 8, 128 Taran, L., 3 04 Tardieu, M., 44-45 , 5 1 Temistio, 29 Tempier, 77-79 Teognide, 3 15 Tessier, A., 342 Testard, M., 67 , 7 1 Theau, J., 1 6 1 Theiler, W. , 60, 7 1 Tiedemann, R. , 172 Tiffeneau, D., 294 , 3 4 1 Tilgher, A., 2 13 Tocco, F. , 97 , 1 12 Todorov, T. , 22 1 , 227-228 Tommaso d'Aquino, 14, 72 -77 , 79, 8 1 , 83 , 85 -86, 202 , 3 10, 341 Torelli, M., 338 Torrecilla, ].M., 64 , 69 Totaro, F., 1 6 1 Toynbee, ].M. C., 342 Trapè, A. , 57 , 7 1 Traversari, G . , 342 Trede, J.H. , 147, 159 Trendall, A.D., 342 Tricot, E., 29 Troeltsch, E., 53 , 7 1 Troje, L., 342 Trotta, A., 54, 62 , 69, 155 , 158, 3 1 0, 3 3 8 Troxler, I.P.V., 145 , 159 Turcan, R. , 342

Vaccaro, N., 145 Vaihinger, H., 132, 137, 144 Vallozza, M . , 3 05 van Benthem, J . , 285 , 292 van Den Broek, R. , 342 van der Meulen, J., 156, 160 van Dijk, T. , 283 , 291 van Oort, J., 5 3 -54, 70 van Windekens, K., 3 08 Verbeke, G., 30, 36 Vernant, J.P. , 299, 3 12 , 342 Verra, V. , 14 1 , 144, 161 Vieillard-Baron, J.L. , 1 6 1 Vigna, C., 2 13 Virgilio, 256, 3 0 1 , 3 1 0 Vitelli, H., 97 , 1 12 Vitiello, V. , 2 1 , 145- 146, 160- 161 Vivante, P., 343 Volpi, F., 159 Voltaire, 273 von Dechend, H., 3 08, 3 14, 3 3 8 von Herrmann, F.W, 5 2 , 7 0 von Pr6nay, A., 343 Wandschneider, D., 1 6 1 Webb, P.H. , 34 1 Weber, M., 227 Weingartner, P., 274 , 291 Weinreich, 0 . , 343 Weist, R.M. , 288, 292 Wernicke, K., 294, 343 Whiteside, S . , 90 Whittaker, J., 48, 5 1 Whorf, B.L., 274 Wieland, W. , 165 , 182, 232, 245 382

Indice dei nomi

Will, M.E., 1 63 , 343 Williams, D.C . , 292 Witte, P. , 338 Wohlfart, G., 1 6 1 Wolff, C., 124- 126, 128

Zaehner, R.C. , 48, 5 1 , 343 Zalta, E., 279, 292 Zambon, F. , 3 1 0, 34 1 Zecchi, S., 161 Zeller, E., 295 -296, 3 00, 343 Zenone, 8, 18, 147 Zeps, M. , 294, 343 Zettin, R. , 282 Zoeller, G., 140, 144 Zum Brunn, E., 54, 7 1 Zuntz, G., 3 1 1 , 3 14, 343

Yalouris, N., 3 4 1 Yerushalmi, Y. H . , 1 80, 182 Yourgrau, P. , 272 , 292 Zaccaria Ruggiu, A., l , 293 , 3 1 8

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Filosofia del tempo l Casertano [et al.] ; a cura di Luigi Ruggiu - [Milano] : Bruno Mondadori, [ 1 998] 3 84 p.; 21 cm. - (Sintesi). ISBN 88-424-93 4 1 -4 : L. 42.000.

l . Tempo - Concetto L Casertano, Giovanni II. Ruggiu, Luigi. 1 15

Scheda catalografica a cura di CAeB, Milano.

Ristampa 0 12345

Anno 98 99 00 0 1

Finito di stampare nel gennaio 1 998 presso Grafica 2emme (Milano}