L'invenzione del tempo libero
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a cura di Alain Corbin

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Un viaggio storico attraverso i mille usi del tempo libero. Dalle escursioni in montagna alle vacanze al mare, dal tennis dell'alta società inglese al calcio di massa del Novecento, dal café chantant parigino di fni e secolo al turismo popolare organizza­ to dal fascismo, dal giardinaggio al bricolage, dalla lettura al cznema. Un libro pieno di stimoli e sorprese sulle trasformazioni della nostra mentalità e dei nostri gusti. .

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ISBN 88-420-5048-2

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9 788842 050483

In sovraccoperta: George Seurat, c La grande )atte> (parr.),

1884-1886. Chicago Art lnstitute.

Alain Corbin, dell'Uruversità di Parigi

I. Per i nostri tipi ha già pubblicato Ull villaggio di camzibali uella Franda

de/1'800

(1991)

e ha curato La viole1zza

sessuale tlell(t storia

(19932).

Julia Csergo, deU'EHESS, Parigi.

Jean-Ciaude Farcy, dell'Uruversità di Parigi X.

Roy Porter, del Wellcome Instirute for History of Medicine, Londra.

André Rauch, dell'Uruversità di Sn-asburgo Il.

Jean-Ciaude R ichez, dell'Uruversità di Metz.

Léon Strauss, dell'Uruversità di Scrasburgo ID.

Anne-Marie T hiesse, del CNRS, Parigi.

Gabriella Turnaturi, dell'Uruversità cLa Sapienza> di Roma.

Georges Vigarello, dell'Uruversità di Parigi V.

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Nuovo cinema Paradiso, film di Giuseppe Tornatore ( 1989).

Il «fregoligraph» nel programma dell' «Olympia» di Roma, nell895.

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183010• In più, fa la sua comparsa tutta una cultura: i commenti che accompagnano le corse, l'organizzazione che si occupa del loro svol­ gimento. L'anglomania non può spiegare tutto questo da sola. Personaggio inedito intorno al 1840, lo sportsman aspira a tra­ sformare il ruolo delle corse. Egli si definisce utile e ambisce a un ri­ sultato di tipo economico. La selezione dei cracks sarà, come mai pri­ ma d'allora, al servizio della potenza del paese. Il Jockey Club, fon­ dato nel 183 3 , è definito «società d'incoraggiamento per migliorare la razza equina in Francia»11• Questa società rivendica un ruolo na­ zionale: accrescere le scuderie, selezionare gli stalloni, addestrare gli animali incrementandone la forza muscolare. A più lungo termine, ciò avrebbe reso possibile un miglioramento del lavoro agricolo, ol­ tre che della velocità delle vetture a trazione animale. Da attività sen­ za scopo di lucro, le corse diventano attività utili. Questo è ciò che af­ fermano i primi testi su questo sport nel 1840: «Quale, se non l'alle ­ vamento dei bei cavalli, dei buoni cavalli, è di fatto il ramo dell'eco­ nomia rurale che può compensare l'agronomo dilettante, il ricco pro­ prietario, il gentleman del loro prezioso lavoro?»12• La prospettiva di­ chiarata è creare uno svago che abbia una sua validità, trasformare il passatempo di qualcuno in una pratica vantaggiosa per tutti; far sì che gli uomini del tutto dispensati dal lavoro nella Francia borghese del­ la prima metà dell'ottocento appaiano come uomini che svolgono una funzione o che possono offrire un servizio alla comunità. Il Jockey Club francese è a questo proposito esemplare: con dodici ap­ partenenti alle grandi famiglie nobili sui sedici membri fondatori, si pone una missione economica chiara, e cioè il miglioramento del mo­ tore animale13• È in rapporto al lavoro che i punti di riferimento dei più fortuna­ ti, nella loro volontà di rendere la loro attività produttiva, mutano. Tutto dipende dal ruolo affidato al loro tempo di svago nella parte centrale del secolo: «Incoraggiare lo sport, diffonderne il gusto, que­ sta è e dev'essere la carriera, la professione dell'uomo che trae gran­ de felicità dagli svaghi che pratica. È il solo mezzo che egli abbia per non rimanere improduttivo nella società, per essere, in una parola, utile ai suoi concittadini e, in seguito, degno di onori e onorato»14. Il nobile non possiede che il suo svago per impegnarsi nell'ambito del­ la comunità. Ed egli lo trasforma in compito e in attività «efficace». Il primo «Annuaire du sport», nel 1858, aspira del resto a mettere in luce gli effetti di quest'ambizione che si propone la prosperità della nazione e il progresso: «Il}ockey Club ha reso i più grandi servigi al paese e va considerato un'autentica istituzione di pubblica utilità»15.

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I primi sportsmen sottolineano implicitamente il rinnovamento delle tematiche economiche e politiche in questa Francia del 1840. Il sospetto di una qualche inutilità sociale va in ogni modo fugato. Per i privilegiati si tratta di ripensare e magari di presentare altrimenti i loro piaceri e i loro giochi. La loro legittimità non sta più soltanto nel dare agli altri, ma anche nel produrre. E qui lo sport può essere d' aiu­ to: «È soprattutto alle classi opulente della società che questo diver­ timento è necessario, poiché, non avendo né bisogno né desiderio di fare del lavoro un piacere, fanno del piacere un'occupazione»16• Ol­ tre alle corse, un'altra pratica ha lo stesso ruolo nell'ambito di questo sport dei primordi, tutto aristocratico: la caccia, l'incremento delle mute, quello delle razze di ratiers, di cani da guardia o di levrieri, con i loro effetti sull'economia rurale. La rivista monarchica «Le Tribou­ let» insiste ancora, il 1 8 giugno 1 882, nella sua rubrica sportiva, sul­ l'importanza dell'esposizione canina organizzata nei giardini delle Tuileries dal Circolo della caccia: «lodevoli sforzi per migliorare le razze canine»17• Lo sportsman del 1840 non inventa né le corse dei cavalli né la cac­ cia, certo, e neppure un tempo particolare destinato alla loro pratica, ma sicuramente conferisce ad esse un'altra finalità, pensandole più dal punto di vista della produzione e del lavoro. Canottieri e f/.aneurs Un'altra pratica, anch'essa legata al lavoro, ma per opporvisi e per creare un tempo di «deriva», acquista importan­ za sotto la monarchia di Luglio. Una pratica quasi cittadina, tecnica, legata a una certa attrezzatura: il canottaggio, con i suoi cultori ap­ passionati di costruzioni navali e di calcolo. Alphonse Karr racconta delle prime organizzazioni di vogatori nella Parigi degli anni 18301840, dei loro giochi che si trasformano in sfide, delle loro gare, del­ le gite ad Asnières, a Suresnes, a Charenton18. Non sono più sports­ men appartenenti a grandi famiglie, ma giovani borghesi abbastanza ricchi da poter comprare un'imbarcazione e trasformare in competi­ zioni delle semplici gite di piacere: «Sono onesti giovanotti di Parigi, praticanti avvocati o assistenti di procuratori legali che saliranno su La Foudroyante o su Le Flambard e andranno su e giù lungo la Senna finché non riusciranno ad abbordare qualche rinomata osteria di Asnières o di Charenton»19. Anche il canottiere ha un suo spazio in Les Français peints par eux-mémes ( 1 84 1 ) . Personaggio nuovo nell'o­ rizzonte parigino, egli non aspira a rendere utile il suo svago, che con­ cepisce piuttosto come una fuga, un modo di rompere con il lavoro e la quotidianità. Il canottiere ama la corsa, la sfida tra imbarcazioni,

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tanto che fa di una semplice gita un'evasione: «l primi canottieri non erano che dei gitanti di un nuovo genere»20. Fournier si abbandona all'effetto epico quando descrive il canottaggio parigino nel 1842, in­ sistendo sull'immaginario della partenza, sull'allontanarsi e sui gran­ di orizzonti: «La Senna per lui non è la Senna, la sua barca non è una barca [. . .] Ciò che vede è l'Oceano, è una nave, con ponti e inter­ ponti, alberi di trinchetto, alberi di contromezzana, portelli di mura­ ta e carronate [. . .] Per il canottiere, l'acqua della Senna è salata»21. Tempo di rottura gradevole per il canottiere, tempo di piacere produttivo per lo sportsman; in entrambi i casi, si tratta di giustifica­ re uno svago in rapporto al lavoro, e ciò rappresenta l'avvio di un nuovo modo di dividere il tempo. Attraverso la più grande impor­ tanza conferita volta a volta al valore quasi astratto del lavoro e al tem­ po della vacanza e dell'abbandono, sorge in forma embrionale un meccanismo che fonda uno svago organizzato: un tempo che si con­ trappone a quello del lavoro, molto al di là del tempo tradizionale e fisso della festa, diverso anche da quello che fino ad allora era stato rappresentato dalle fiere, dagli spettacoli o dal carnevale. Sportsmen e canottieri riflettono a loro modo questa doppia valorizzazione di un tempo produttivo e di un tempo di rottura. Lo sportsman, uomo che non lavora, deve rendere proficui i suoi piaceri; il canottiere, uomo che lavora, può imparare a rompere con la quotidianità. Entrambe le figure sono testimonianza di una visione più pragmatica del tempo, un tempo già scandito dai riferimenti ad una logica industriale: du­ rata operativa e sempre delimitata. Nessun rapporto - occorre ripe­ terlo - con il tempo caotico dell'ancien régime, quello dei maestri ar­ tigiani e dei lavoranti preda di «accessi alternati di lavoro intenso e di fannulloneria»22. Nessun rapporto neppure con i giochi di Ménétra, maestro vetraio nella Parigi del 1780, che quando ne aveva voglia, se il tempo era buono o se c'era in ballo qualche scommessa, chiudeva la bottega e prendeva a prestito una barca sulla Senna23• n canottie­ re del 1840 affronta la Senna la domenica, cura la sua barca in vista delle gare, lui che non ha «che un giorno alla settimana da dedicare ai suoi piaceri»24• n tema delle vacanze, a questo proposito, comincia impercettibil­ mente a prendere forma. È Rodolphe Topffer, nei suoi Voyages en zig­ zag del 1 84 1 , che inizia a parlarne, con un convinto appello: «Geni­ tori, famiglie, affittate dunque delle carrette, unitevi per fare insieme queste amene escursioni, portateci i vostri bambini [. . ] andate a gi­ rare le nostre campagne, a camminare sulle nostre montagne, a ripo.

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sarvi sotto i nostri faggi»25. Anche Madame Amable Tastu tratta il te­ ma nel suo Voyage en France del 1846. Tempo ancora raro, non uffi­ cialmente riconosciuto e soprattutto impossibile da realizzarsi per la maggior parte di coloro che lavorano, quello delle vacanze descritte da Madame Amable Tastu, organizzate intorno a un libro, e non sul­ le ruote. li padre di Guillaume e di Henriette Dumontel rimane «in­ chiodato al posto di lavoro»26 di vicedirettore al ministero delle Fi­ nanze quando pensa di proporre loro un giro della Francia per ri­ compensarli del lavoro scolastico e offrire loro delle «vacanze». Il li­ bro viene letto ai bambini che egli mette in scena. Così i giri sono rac­ contati invece d'essere vissuti, il padre diviene narratore invece che viaggiatore. Eppure il tempo della rottura e della vacanza acquista forza in questa prima metà del secolo. I canottieri della Senna ne sono l'a­ vanguardia timida ma chiaramente individuabile. Le corse, l'istituzione e il calcolo

Canottieri e sportsmen della mo­ narchia di Luglio, al di là delle differenze, si assomigliano: esistono in rapporto al lavoro. Si assomigliano anche nelle forme organizzative: gli uni e gli altri si raggruppano in un club o una società. Il Jockey Club è l'esempio canonico del mutamento nella sociabilità identificato da Maurice Agulhon nella prima metà dell'ottocento. Resta dominato dagli ari­ stocratici, certo, ma la sua organizzazione si rivela più egualitaria, poi­ ché tutti i membri hanno uguale dignità; è dunque un embrione di quella sociabilità più democratica che si viene pian piano afferman­ do nel diciannovesimo secolo. I circoli nautici, che si moltiplicano dopo il 1850, organizzano una sociabilità dello stesso tipo. Un modo di essere «moderni» proponendosi una meta collettiva: «incoraggia­ re e favorire certi esercizi igienici e fortificanti>P. Il Jockey Club del 183 3 , il circolo nautico di Parigi del 1853 cam­ biano ancor più le pratiche dei giochi e degli esercizi proposti: stabi­ liscono e garantiscono regole valide per tutti, sono giudici di presta­ zioni e risultati. La proposta fatta dal Jockey Club di «commissari di corsa» nominati dal prefetto in ogni dipartimento, la definizione ad opera del circolo nautico parigino delle condizioni precise di ogni re­ gata fino ad arrivare ai particolari assai concreti del cronometraggio sono altrettanti segnali in questo senso: «Il cronometro dovrà essere stato caricato e osservato almeno per dieci minuti per assicurarsi che la lancetta dei secondi concordi con quella dei minuti. In ogni caso è più prudente segnare il tempo in minuti dopo i sessanta secondi. I

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cronometri si caricano a sinistra»28. Per la prima volta, una comunità di giocatori liberamente eletti garantisce collettivamente lo svolgi­ mento, il tempo e il risultato del gioco. Oltre alla volontà di unificare le regole, un'altra somiglianza tra membri del Jockey Club e canottieri attiene all'accentuarsi della loro attenzione verso le misure e le velocità del percorso. Certo le scom­ messe sulla rapidità non nascono nell'ottocento, ovviamente; i sensa­ li non ignoravano la velocità dei loro cavalli; Buffon, alla metà del set­ tecento, calcola la distanza percorsa dal cavallo più veloce e utilizza la cifra ottenuta per fare dei confronti fra le diverse razze equine. È piuttosto il principio del calcolo delle velocità, sono i suoi strumenti e le sue forme a estendersi sempre più, fino ad istituzionalizzarsi. Lo sportsman descritto da d'Ornano nel 184 1 non cede a nessun altro la responsabilità di questo calcolo. Possiede un orologio con la lancet­ ta dei secondi indipendente e col quadrante dei secondi, strumento ancora raro a quel tempo, visto che quasi tutti i quarantamila orolo­ gi fabbricati in Francia sono di qualità modesta29: «Porta, legato a un'enorme catena d'acciaio, un orologio, un vero cronometro con i secondi indipendenti, che gli permette di valutare con un rigore astronomico la velocità dei cavalli da corsa e di conseguire la più mi­ nuziosa puntualità in tutte le prescrizioni dell'ippiatria»30• I canottieri cronometrano sia le loro gare che i percorsi, e ciò li dif­ ferenzia da chi se ne va per fiumi in gita. Gare e velocità definiscono la nuova pratica che porta nel 1858 il visconte di Chateauvillard a ve­ dere nella regata «la suprema espressione del canottaggio»3 1 • La re­ golare pubblicazione dei tempi segnati dalle barche e dell'esito delle gare è il segno della novità. La descrizione di una regata di iole nel «Constitutionnel» del 20 luglio 1845 ha in sé tutti gli ingredienti di questa nuova attenzione. Charles de Boigne vi evoca lo spettacolo vi­ sto un mese prima alla festa di Neuilly: La Sorcière des eaux, attrez­ zata con sei remi, ha incontrato sulla Senna Le New York, iole del principe di Joinville, attrezzata con quattro remi. La Sorcière des eaux è arrivata dopo 6 minuti e 3 0 secondi, Le New York dopo 6 minuti e 3 5 secondi. Viene chiesta la rivincita per la settimana successiva, in occasione della festa del basso Meudon, il 28 giugno 1845. L'assetto del New York è stato modificato per permettergli di avere due remi in più. I rematori del New York hanno pensato che fosse meglio dor­ mire a Saint-Cloud la vigilia della prova, in modo da evitare ogni af­ faticamento. Vince La Sorcière des eaux, coprendo la nuova distanza in 1 1 minuti e 3 1 secondi, 19 in meno dei rivali. La supremazia si tra­ duce in secondi, e non più soltanto in distanza metrica. «Le Consti-

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tutionnel» conclude lapidariamente: «Dopo una prova così lampan­ te, non c'è spazio per rivincite». Questo articolo, apparentemente banale, rivela le nuove esigenze: la precisione nel calcolo della durata, le prime awisaglie di una pre­ parazione preventiva alla gara con la scelta di dormire a Saint-Cloud per favorire il riposo, ma soprattutto le modifiche tecniche fatte al­ l'imbarcazione per guadagnare secondi. Come rivelano i commenti sulle barche rivali, che sottolineano la «loro sorprendente leggerez­ za»32, la loro strettezza e la snellezza della linea, la stabilità e la pre­ cisione di galleggiamento, l'attenzione si porta sulla tecnica di co­ struzione degli scafi, sul disegno delle prue, sulla qualità dei materia­ li. La velocità che si esige è prioritaria in ciò che si vuole dal costrut­ tore: non più «le comuni e pesanti barche piatte, ma quelle che ama­ no volteggiare sui flutti»33 . Un'esigenza che alla metà del secolo si fa sentire nell'ambito delle competizioni in modo piuttosto forte: Leca­ ron enumera trenta cantieri parigini che nel 1858 costruivano barche da regata34. Alcune indicazioni a proposito di altri esercizi fisici evidenziano questo rapporto più stretto che si viene a creare intorno al 1840- 1850 tra la pratica fisica e il calcolo dei tempi. Gli spadisti o coloro che si esercitano con la mazza, quelli che praticano, come i ginnasti di Amo­ ros35, una scherma di nuovo tipo con il bastone, tendono sempre più a contare i loro colpi nell'unità di tempo. Chapus fornisce le prime cifre quando ricorda il virtuosismo dei praticanti, per meglio descri­ vere gli «sport a Parigi» alla metà del secolo: «È difficile dubitare del­ la potenza e dell'efficacia di un modo di difendersi con l'aiuto del quale un uomo di ordinaria abilità arriva a distribuire da settanta a settantacinque bastonate in 15 secondi. Il professar Lacour è giunto al numero di ottantadue, nello stesso lasso di tempo»36. Uno sforzo faticoso ma dagli effetti già percettibili per iscrivere ogni unità di mo­ vimento in un'unità di tempo. Lo stesso può dirsi per l'esercizio svol­ to dal pugile Coots nel 1843 , che pone in evidenza l'ossessione del numero: «Nello spazio di un'ora, prendere con la bocca, in ginoc­ chio, e portare uno dopo l'altro al punto di partenza cento uova po­ ste ad eguale distanza su una linea diritta di cento metri, saltando ogni volta una siepe da steeple-chase alta più di un metro»37. Oppure per l'immagine più sfumata, ma pur sempre preziosa, data nel 1852 di una scherma che sarebbe divenuta «romantica», abbandonando il suo «classicismo» sotto la spinta «veloce, incalzante, agile» dei nuo­ vi maestri della metà del secolo, che attaccano «con una gragnuola di colpi precipitosi»38.

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Senza alcun dubbio, la novità non si limita all'impercettibile crear­ si intorno agli anni 1840- 1850 di un'organizzazione dello svago, con le pratiche del turf, del canottaggio o di altri giochi che ben presto ver­ ranno chiamati sport. La novità si fonda anche sul modo di rappre­ sentare il movimento corporeo, di sottolinearne la velocità e l' econo­ mia. È necessario illustrare l'influenza delle prime industrie in questi cronometraggi di nuovo genere? o quella dei lavori in fabbrica, ridot­ ti in modo maggiore che in passato «a un ristretto numero di movi­ menti»39, secondo le parole dell'Encyclopédie moderne nel 1825, sot­ toposti a un «calcolo scrupoloso della durata per adeguarli allo speci­ fico numero di operai loro addetti»?40 o, più in generale, l'influenza delle prime misure della velocità al fine di coordinare e regolare me­ glio le nuove ferrovie degli anni quaranta dell'ottocento? O, infine, il tentativo quasi senza precedenti di mantenere costante la marcia del­ le locomotive che Adolphe J oanne ammira tanto nelle sue prime gui­ de, apparse anch'esse negli anni quaranta? È giocoforza constatare delle convergenze: una nuova abitudine al «minutaggio»41, sia nel la­ voro che nei trasporti; la cura posta da Adolphe Joanne nel distin­ guere treni espresso, omnibus e a bassa velocità42; infine, l'uso di un tempo scandito in secondi nel dare i risultati di competizioni e giochi. Canottieri e primi sportsmen partecipano a questo progressivo pre­ cisarsi delle durate. I loro calcoli rappresentano qualcosa di nuovo. La festa e il tempo imposto È necessario soffermarsi sui risultati otte­

nuti collocandoli nella giusta dimensione: il lettore di oggi potrebbe rimanere sorpreso. La loro precisione non ha molti rapporti con le esi­ genze comunemente ammesse nello sport moderno. n loro uso rima­ ne legato alle circostanze di ogni gara. La loro registrazione viene ef­ fettuata per distinguere il vincitore dallo sconfitto, piuttosto che per valutare in astratto le loro velocità. Va in questo senso l'articolo del «Constitutionnel» sulle regate di Saint-Cloud o di Meudon, che pre­ cisa i secondi dando il tempo della Sordère des eaux o del New York, ma non informa sulla distanza percorsa. Ne deriva il relativo interes­ se del tempo riferito: è impossibile stabilire la velocità della Sordère des eaux. A volte è il grado di precisione nella misura del tempo che può rivelarsi insufficiente o addirittura essere considerato inutile. Il Guide di Brainne, che riferisce nel 1855 su una regata di Etretat, mo­ stra quanto il tema di chi prevalga nella gara sia ancora assai più im­ portante rispetto ai tempi segnati: «In seguito a una scommessa, L'On­ dine, veliero del circolo nautico di Rouen, ha gareggiato in velocità con Le Furet, battello a vapore in servizio tra Rouen e La Baule, ed è

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arrivato primo dopo una corsa di quasi cinque leghe, percorse in un'o­ ra e qualche minuto»43 «Quasi cinque leghe», «qualche minuto»: il lettore deve fermare la sua attenzione sull'esito della sfida, non tanto sulla prestazione in astratto. Unico dato di rilievo è che [;Ondine ha battuto il battello a vapore Le Furet. Brainne non si sente obbligato a trasporre le prestazioni e i risultati su una qualche scena unificata del­ lo spazio e del tempo, cosa che permetterebbe il confronto tra l'an­ datura tenuta dal Furet e quella di altri battelli, oppure con quelle te­ nute in altro luogo, in altri periodi o su altri mari. La gara rimane quel­ la svoltasi a Etretat un determinato giorno del 1855. La velocità «in­ trinseca» dell'Ondine non viene presa in considerazione. I limiti di questo tempo numerato a metà del secolo sono percet­ tibili anche negli articoli di commento alle primissime corse di velo­ cipedi, poco dopo l'invenzione di questo mezzo di locomozione, av­ venuta nel 1855. Il confronto tra unità di tempo e unità di moto è spesso presente qui, ma i racconti ne sottolineano subito l'aspetto fra­ gile, se non artificiale: «Si arriva a una velocità di cinquecento metri al minuto, ma non sarebbe possibile mantenere a lungo questa mar­ cia vertiginosa. Queste esagerate velocità hanno un interesse mera­ mente sportivo e non possono essere fatte oggetto di alcuno studio serio»44. È evidente quanto il risultato non sia ancora fissato né sta­ bilizzato come metro di giudizio e di confronto. Precisione dei tem­ pi e delle durate, certo, ma assenza di una scala unificata che possa fornirne degli equivalenti astratti, restituirne il significato in uno spet­ tro della velocità e della lentezza. La velocità di cinquecento metri al minuto non è ancora convertita in una velocità di trenta chilometri all'ora, ad esempio, e, soprattutto, non è ancora riportata su di una tabella delle prestazioni e dei risultati. «L'lliustration», d'altronde, non riporta nessun tempo quando dà notizia delle corse in velocipe­ de svoltesi «a beneficio degli alluvionati» nel giardino delle Tuileries nel settembre 1875: «Si trattava di fare otto chilometri, cioè sedici volte la lunghezza del grande viale del giardino [ . . .] La lotta è stata estremamente viva. A trionfare è stato l'inglese»45• Queste prime pratiche sportive rendono sistematico l'uso del cro­ nometro, ma non ancora il calcolo astratto delle velocità ed il con­ fronto tra queste ultime. Va detto che se si considera l'organizzazione delle prime corse si capisce meglio la difficoltà di un confronto di questo tipo. Le prove non hanno né la regolarità né la selettività di quelle di oggi. n ritmo con cui si svolgono rimane legato alle feste cittadine o alle riunioni promosse dai circoli. Esse sono a volte occasionate da circostanze ec_

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cezionali, come le corse svoltesi al giardino delle Tuileries nel 1875 , i cui incassi dovevano essere devoluti agli alluvionati. Le prove non so­ no coordinate tra di loro, né inserite in una gerarchia. Decise volta per volta, secondo il ritmo delle manifestazioni locali, non sono og­ getto di nessuna temporalità autonoma. La prova di Meudon, citata dal «Constitutionnel», o quella di Etretat di cui parla Brainne, non rientrano in alcun programma generale. li primo Annuaire du sport del 1858 censisce queste occasioni di incontro come altrettanti mo­ menti dispersi, se non eterogenei: «Si svolsero nel 1 852 sul magnifi­ co bacino di Arcachon delle regate assai brillanti in occasione delle feste di beneficenza»46, mentre le regate di Caen «non hanno ancora raggiunto un'organizzazione definitiva»47• Vi sono ben poche corri­ spondenze dirette tra queste gare decise dalle città, come Parigi che fissa per le gare di canottaggio la data della festa nazionale del 15 ago­ sto48. Queste prove, sicuramente nuove nello svolgimento come nel­ la concezione, appartengono a un calendario che non è il loro: ri­ mangono dominate dai festeggiamenti locali, caotici nel tempo e nel­ lo spazio dell'anno. L'esempio delle pratiche che nascono intorno al 1850 è ancor più chiaro: le feste organizzate dalle scuole di nuoto, in particolare. Mar­ guerite, un americano in visita a Parigi nel 1 854, assiste allo spetta­ colo annuale offerto dalla piscina Deligny: dimostrazioni natatorie e di salvataggio, gare tra i nuotatori migliori della scuola. Il vincitore ottiene una coppa offerta dall'Imperatore, e questo è indice del pre­ stigio e della notorietà del luogo. Tuttavia non esiste alcun program­ ma di incontri, né alcuna selezione tra scuole diverse al di là di que­ sto confronto occasionale49. L'Inghilterra vittoriana, viceversa, pre­ senta nello stesso momento la possibilità di una diversa organizza­ zione delle competizioni: un tempo pensato sulla scala dell'intero an­ no che instaura una gerarchia delle prove per sviluppare un pro­ gramma che le inquadri. Ma occorrono per questo rapporti di nuovo tipo tra le istituzioni locali e quelle nazionali, così come occorre una nuova autonomia dello sport e degli svaghi. Le prove possono così disporsi in un tempo fatto apposta per loro, condizione decisiva per permettere allo sport di esistere. Tempo separato, tempo calcolato

Quando i nuotatori inglesi costituiscono, nel 1 83 7 , la National Swimming Society, la concepiscono come una federazione, un rag-

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gruppamento di società locali, un «club» nazionale che unisce i «club» cittadini o regionali. La società promuove e organizza inizia­ tive, uniforma e coordina competizioni. Crea un tempo speciale, una durata specifica grazie alla quale gli incontri abbiano più senso in rap­ porto gli uni agli altri. Programma un calendario compiendo un'o­ pera di gerarchizzazione e di ordinamento delle gare. Ad esempio, nel 1840 invia nei principali centri urbani del paese una medaglia d'argento «da conferire al miglior nuotatore, che si vedrà attribuito il titolo di 'champion of the town of. . . '»50. In una seconda fase questi campioni gareggiano a Londra, alla fine dell'estate, e al vincitore si attribuiscono una medaglia d'oro e il titolo di campione nazionale. Infine la terza fase, che prospetta una durata che va oltre l'anno e con­ sente di fare confronti tra campioni nel corso del tempo: il nuotato­ re che conseguirà per quattro volte consecutive la medaglia d'oro la potrà conservare. L'originalità della National Swimming Society con­ siste nell'avere un'autonomia sufficiente per pianificare una tempo­ ralità indipendente dalle feste e dalle ricorrenze locali; una durata del tutto laica, scandita unicamente dalle esigenze della pratica di un'at­ tività Iudica. Costruire un calendario Uno degli elementi più originali dello sport

si manifesta qui: club raggruppati in un'associazione più ampia per mettere a punto un quadro di incontri gerarchizzati, campionati locali e nazionali o addirittura internazionali. Per la prima volta, un'attività laica di svago impone un programma e una temporalità autonomi. D'altro canto va detto che a questa regolarità delle manifestazioni, co­ sì come a questo collegamento tra circoli, non si arriva d'irnprowiso. L'esempio della National Swimming Society mostra soltanto la preca­ rietà dell'organizzazione inglese. Soltanto alla fine del secolo, ad esempio, il nuoto francese mette a punto qualcosa di analogo. A metà del secolo compaiono in Francia altre strutture, ma tutte presentano i rischi, se non proprio le incertezze, propri di iniziative essenzialmente private. il circolo nautico di Francia, che si ritiene raggruppi altri circoli, organizza ad esempio il primo campionato francese di canottaggio nel 1875, mentre il campionato della Senna, la più antica prova del calendario sportivo francese, esiste dal 1853 . Questo campionato francese è prima di tutto - occorre dirlo - un au­ spicio degli organizzatori più che una realtà: molti circoli di provin­ cia, che si regolano a modo loro per quanto concerne caratteristiche costruttive e stazze delle barche, non partecipano alle competizioni. C'è bisogno di un congresso delle società di canottieri, tenuto nel

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1880, per raggiungere un primo abbozzo di convergenza, mentre per­ mane una spaccatura tra una Federazione delle società nautiche del Nord della Francia e un'Unione nautica delle società del Sud-Ovest. Si rende necessario un nuovo congresso, svoltosi nel 1890, perché si riesca ad imporre un accordo nazionale sulla gerarchia dei campio­ nati, la graduatoria dei rematori, le classi delle barche (iole da mare, iole da fiume, imbarcazioni libere)51• Lo stesso anno nasce da questi gruppi regionali una Federazione francese delle società di canottag­ gio, «consorzio» che unifica i sottoinsiemi geografici. È nell'ultimo decennio del secolo che si rende dunque possibile l'elaborazione di un calendario nazionale delle gare nautiche. Gli iter e i rischi sono identici per le prove ciclistiche, quelle do­ tate di maggior prestigio negli ultimi decenni del secolo. Esse pro­ muovono una macchina dalla forte carica seduttiva, uno dei primi manufatti prodotti su larga scala, come anche uno dei primi ad acce­ lerare i tempi dei tragitti familiari: «il primo sforzo riuscito da parte dell'essere intelligente in direzione della liberazione dalle leggi della gravità»52• Bisogna attendere il 1881 perché si crei un'Unione veloci­ pedistica di Francia, mentre un campionato francese esiste dal 1880. La prova nazionale acquista nel 1884 fondamenta più solide con la disputa di selezioni regionali: i campionati preliminari del Nord, del Midi, dell'Est e dell'Ovest rappresentano la partizione fondamenta­ le in relazione allo spazio e al tempo interessati dalle prove tra loro coordinate. Ma l'unità non è sempre acquisita: un'Alleanza velocipe­ distica di Francia, di origini più popolari, a testimonianza tra l'altro della diffusione del mezzo e della democratizzazione della pratica, contesta nel 1885 l'egemonia dell'Unione. Qualche rivista ciclistica si lagna anche, negli anni ottanta dell'ottocento, della «mancanza d'in­ tesa che attualmente esiste tra i nostri club velocipedistici»53 : prove disparate e locali che si disputano senza alcun collegamento tra loro; a volte vengono addirittura fuori titoli di campione nazionale o in­ ternazionale conferiti a Grenoble o a Bordeaux54. Ciò rende difficile il costituirsi di un calendario complessivo. La rivista «Sport vélo­ cipédique» tenta di vararne uno nel 1880: «Le società si servano del nostro organo e pubblichino sulle nostre colonne la data esatta di una giornata di corse [...] Le altre società dovranno nell'interesse genera­ le dello sport scegliere un'altra data»55• Ma la proposta, molto empi­ rica, non si fonda sul principio di un programma annuale discusso in sede preliminare. Solo negli anni novanta l'Unione velocipedistica di Francia arriva a definire un calendario unificato. Vanno ribadite le difficoltà dell'impresa. Guy Laurans ha mostra-

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to in che misura nel mondo sportivo dell'inizio del ventesimo secolo fossero ancora vitali le tradizionali pratiche della sfida, incuranti di qualsiasi calendario: il confronto tra individui, che ignora l'istituzio­ ne e nel contempo aspira ad essere sport. È il caso di Paul Milas, del club atletico di Mèze, popoloso borgo di viticoltori della Linguado­ ca, che sfida nel 1909 sulla stampa locale un certo Molinier per il ti­ tolo di campione di sollevamento pesi. «A questo scopo, io gli pro­ pongo un match da svolgersi al cospetto del pubblico di Mèze inte­ ressato a questo sport»56• Alla fine dell'incontro viene conferito un ti­ tolo di campione locale che è al di fuori di ogni contesto nazionale. Non ci si preoccupa minimamente che il vincitore rientri in una ge­ rarchia più ampia, né vi è alcun riferimento a un'istituzione che ga­ rantisca le regole, classifichi e registri le prestazioni. Allo stesso mo­ do, la squadra di calcio di Lunel sfida qualche anno dopo quella di Marsillagues al di fuori di qualsiasi programma di incontri o di qual­ sivoglia riferimento alle organizzazioni calcistiche. Un match isolato, regolato come una «questione d'onore», per stabilire una supremazia locale. Quelli di Marsillagues si affrettano a rispondere sull' «Eclair»: «La sfida che questa società ci lancia sarà accettata»57. Guy Laurans ricorda figure di «campioni» della Linguadoca dell'inizio del secolo, consacrati tali in modo non dissimile dai forzuti da fiera o dai vinci­ tori delle feste di villaggio di ancien régime. E ciò conferma quanto l'istituzione sportiva si unifichi faticosamente, penetri con lentezza nel territorio, contrastata dalla resistenza delle divisioni geografiche o dalla dispersione delle iniziative private. Eppure questa istituzione si unifica, fino a raggiungere l'obiettivo della disputa di campionati francesi di canottaggio, ciclismo, calcio, rugby, atletica, ginnastica, ed anche di automobilismo dopo il 1 895 . In questi ultimi quindici anni del secolo lo sport esiste già nella sua forma specifica, con un suo ca­ lendario strutturato. Cosa che «L'Illustration» giunge ad esprimere a chiare lettere per l'atletica: «Dimentichiamo le scommesse, le quota­ zioni, i bookmaker e tutti gli annessi e connessi, comprese le corse truccate [. . . ] A partire dal 1885 vi è stata una lieta trasformazione. Il Racing vince il campionato belga. Ormai si è awiati verso lo sport ve­ ro, soprattutto dopo i campionati organizzati a Parigi nel 1886»58. Un tempo polarizzato Questo meccanismo cronologico di incontri è tanto più importante in quanto permette un confronto numerico tra le prove stagionali o annuali. Pone i risultati in serie; orienta l'atten­ zione verso il miglioramento delle prestazioni, con uno specifico in­ vestimento in uno dei valori dominanti di fine secolo: il progresso. Un

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modello ispirato al concetto di crescita su cui il giornale «Le Temps» riflette dopo ogni campionato studentesco parigino, manifestazione organizzata annualmente a partire dal 1888: «Non solo gli alunni nuotano meglio, con una velocità maggiore e più a lungo che negli anni passati, non solo danno prova di una resistenza allo sforzo che ancora non si conosceva in loro, ma la condizione fisica che dimo­ strano è del tutto differente da quella di trenta mesi fa»59• Il tempo dello sport ha assunto il suo indirizzo, fino al punto di diventare un leitmotiv: «l nostri sportsmen hanno segnato dei progressi tangibi­ li»60. Le prove acquistano un valore dimostrativo, si trasformano in segni di ascesa, garanzie di progresso, al punto che i promotori del­ l'Esposizione universale del 1900 considerano lo sport una prova tan­ gibile del progresso, associando Giochi olimpici e testimonianza di modernità. L'Esposizione parigina è la prima tra queste manifesta­ zioni universali a utilizzare nella regia lo sport: gare esibite al pari del­ le macchine, associate a queste ultime, come loro suscettibili di un perfezionamento continuo. I concorsi di salto, corsa, tiro, lawn-ten­ nis, disseminati intorno ai padiglioni degli espositori o nei Bois in­ torno a Parigi, sono l'occasione per commentare i miglioramenti nei risultati rispetto ai primi Giochi olimpici di Atene, svoltisi quattro an­ ni prima, nonché per parlare delle potenze politiche ed economiche in ascesa, dei campioni americani, «questa razza giovane e superba che si è formata nel Nuovo Mondo»61 . Lo sport ha inventato un tem­ po parallelo a quello quotidiano di fine secolo, ma anch'esso orienta­ to verso il futuro e il progresso. Il calendario ha un effetto ancor più preciso sul contenuto del tem­ po di svago, accrescendo incessantemente la sua importanza e facili­ tando l'invenzione di periodi preparatori, quelli in cui dominano i momenti di apprendistato e le fasi di perfezionamento. Il calendario conferisce un ordine non soltanto alle manifestazioni ludiche, ma an­ che alle fasi di preparazione che le precedono. Permette l'alternanza tra allenamenti e prove. Scandisce il tempo che separa le prove. Cer­ to l'allenamento non è un'invenzione di fine ottocento: i fantini e i pu­ gili sanno da tempo che un difficile equilibrio tra esercizio fisico e die­ ta può far perdere peso e far aumentare la forza. Defrance ha soste­ nuto 1ft prima tesi in medicina sull'allenamento62 nel 1859, mostran­ do come un'attività programmata di corsa e un'alimentazione ad hoc avessero inciso sul peso di Cribble prima dell'incontro con Molineau nel 1810, facendolo scendere in tre mesi da 1 88 a 152 libbre. Lo sport non ha creato l'allenamento, ma il calendario accresce come non mai la sua funzione e la sua legittimità. Nel 1890 «L'illu s-

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tration» constata: «ll lavoro di preparazione agli incontri di campio­ nato è una cosa seria, l'allenamento ha esigenze assai imperiose, an­ che la scelta del campo richiede molta attenzione»63 . n tema si bana­ lizza alla fine del secolo. L'allenamento di Carpentier è utilizzato ad­ dirittura nel 1912 per la pubblicità di una fonte d'acqua minerale: «Mettete come me lo stomaco a dieta con la fonte Perrier»64. Vengo­ no create prove ad hoc per la preparazione dei corridori, come fa il club velocipedistico di Bordeaux in vista del campionato francese del 1 885 : «Lo scorso 22 febbraio il club velocipedistico di Bordeaux ha fatto disputare le prime corse di allenamento dell'anno. I corridori del club hanno iniziato a prepararsi per la grande battaglia del cam­ pionato francese e per l'annuale corsa giovanile del 3 1 maggio»65. Da qui deriva una costante attenzione tesa ad ottimizzare la durata della pratica e ad affinare i gesti che la compongono. Indice di questa lo­ gica, la seguente constatazione, fatta nel febbraio 1885 : «l corridori mancano ancora di allenamento»66, o questo annuncio del club velo­ cipedistico di Tours: «Molti corridori hanno già ricominciato ad al­ lenarsi in vista delle corse della stagione»67• Da ciò derivano anche consigli miranti a far sì che la preparazione vada al di là del tempo passato allo stadio o al velodromo. La rivista «Véloce Sport», illu­ strando nel 1885 i dieci comandamenti del ciclista, pubblica l'imma­ gine di un corridore che pedala nel suo appartamento: la bicicletta poggia su dei sostegni, la catena muove una ruota che ha l'unica fun­ zione di far girare un girarrosto piazzato nel camino. «Farai in modo da allenarti anche accanto al focolare»68. L'immagine ha ancora più senso in quanto rivela un'ambiguità: questo tempo che «rosicchia» i momenti della quotidianità ben al di là della gara è contemporanea­ mente accettato e respinto. Accettato perché costituisce l'oggetto di un comandamento che si impone al buon corridore, ed è garanzia di risultati e di progressi. Respinto perché deve rimanere un tempo uti­ le ad altro: la bicicletta sulla quale il corridore si allena serve almeno ad arrostire qualche pollo . . . I momenti passati fuori dalla gara non possono appartenergli del tutto. Lo sport produce un tempo dedica­ to allo svago ma contemporaneamente non arriva ancora ad affer­ marlo come del tutto appartenente allo svago stesso. Il record obbligato Con il susseguirsi regolare di incontri, col loro rit­ mo annuale e lo specifico allenamento necessario per affrontarli, lo sport dà vitf a un tempo autonomo. È una durata separata, più ori­ ginale di qu11nto non appaia: essa, infatti, non contribuisce soltanto a creare nuovi cicli temporali, i campionati e la loro preparazione, ma

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anche ad inventare nuovi calcoli sul tempo medesimo. Il ricorrere delle competizioni stimola il paragone con i risultati precedenti: ogni prestazione è confrontata con altre; ogni prova è proiettata su di una tabella. Oxford-Cambridge, ad esempio, la regata di canottaggio or­ ganizzata regolarmente dopo la metà dell'ottocento, viene presto pre­ sentata come una possibile occasione di record: «La gara che si di­ sputerà sarà su una distanza di quattro miglia e mezzo, più o meno quattro leghe. A memoria di atleta, non si è mai fatto segnare un tem­ po inferiore a 19 minuti e 35 secondi. Ma il vigore dei campioni di oggigiorno è tale che da loro si attendono prodigi»69. Lo stesso av­ viene per la venticinque chilometri ciclistica di Parigi, alla fine del­ l' ottocento: la distanza e il percorso, sempre identici, contribuiscono a far considerare eccezionale la prestazione di Fournier nel 1895: «Ventimila petti incitano i corridori. Ad aggiudicarsi il primo posto è stato Fournier: venticinque chilometri coperti nel tempo prodigio­ so di 37 minuti e 35 secondi»70• Attraverso queste competizioni uffi­ cializzate, successive e ripetute, la pianificazione cronologica dello sport contribuisce a istituire il record. Ne derivano tempi di percor­ so sempre più sorvegliati e confrontati tra loro. La regolarità· degli spazi rafforza questa tendenza. La creazione del velodromo e dello stadio, con le piste artificiali e le distanze stan­ dardizzate, stimola a confrontare le prestazioni. La sistematica ripe­ tizione, settimana per settimana o mese per mese, delle prove dei mil­ le o dei diecimila metri, ad esempio, impone quasi implicitamente il riferimento al record, con una certa dose di esitazione a confermare che si sta andando verso l' omogeneizzazione. La distanza delle corse disputate nel 1885 al velodromo di Montpellier, dove la pista è lunga trecento metri, è basata sul numero tre (tremila metri, seimila metri, ecc.), mentre al velodromo di Bordeaux, che ha una pista lunga cin­ quecento metri, ci si basa invece sul numero cinque (cinquecento me­ tri, mille metri, cinquemila metriF 1 . L' «anello» di cinquecento metri diviene alla fine del secolo il riferimento per le corse ciclistiche, e al­ lo stesso tempo per i risultati e i record. Un'identica omogeneizza­ zione si ha per le corse nell'atletica, gli ostacoli, ad esempio, dove la distanza tra le barriere viene standardizzata intorno al 1890: «Gli ostacoli non sono messi a caso. Al contrario, tutto è calcolato e il sal­ to è assolutamente matematico da quando si sono adottati i princìpi inglesi. La corsa si disputa sui cento metri. Ogni nove metri un osta­ colo di l ,03 metri conficcato nel terreno in modo tale da poter cade­ re se il piede lo tocca»72• A tutto ciò si aggiungono pressioni più legate alla sfera economi-

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ca, provenienti dal mercato delle macchine. Un record battuto divie­ ne un argomento buono per far vendere cicli di una certa marca. Di questo tenore è per esempio la pubblicità del triciclo Rotary del 1886: «il Rotary ha recentemente eclissato tutte le precedenti prestazioni realizzate in triciclo»73 ; oppure quella della bicicletta Humber: «Cin­ quantanove record in una settimana sono stati ottenuti sulle Humber costruite a Beeston, risultati straordinari»74; oppure, ancora, quella del triciclo Royal Crescent di Coventry, «titolare di tutti i record del mondo, dai tremila ai diecimila»75. È uno dei primi casi di legami tra prestazione sportiva e mercato, due termini suscettibili di potenziar­ si a vicenda. Svariati fattori hanno contribuito a favorire questa tendenza sem­ pre più forte alla precisione nel registrare le durate. La cultura del tempo muta alla fine del secolo, come dimostrato dalle pubblicità de­ gli «orologi-cronometro», più numerose e più circostanziate: «Ricor­ rendo al cronografo Just, saprete come vivete, il tempo che impiega­ te per gli affari, i pasti, gli svaghi, il riposo [ . . ] Grazie a lui, valutere­ te se date a ciascun atto della vostra vita il giusto tempo»76• È lenta la penetrazione del tempo numerato e calcolato nella vita quotidiana, il tempo del lavoro, dei trasporti, o, semplicemente, quello segnato da questi orologi che si vanno sempre più diffondendo. In definitiva è la percezione delle distanze che cambia con il riferimento ripetuto alle macchine (locomotive, velocipedi, presto automobili); emerge un modo più sistematico di calcolare il rapporto tra la distanza e il tem­ po: la velocità espressa in chilometri all'ora, ad esempio, diviene alla fine del secolo la misura standard per indicare la rapidità di un vei­ colo. È questa espressione in termini numerici che permette di con­ dannare il guidatore pericoloso, come indica il primo episodio, avve­ nuto il 19 aprile 1899, di un'automobile fermata sui boulevard pari­ gini perché procedeva alla velocità «estrema» di 60 chilometri l' ora77• E sempre grazie ad essa che è possibile apprezzare le qualità di un vei­ colo, come dimostra il giudizio sulle macchine della società L'Ener­ gie, considerate eccezionali all'inizio del ventesimo secolo: «La Vie au grand air» loda la loro velocità riferendo un unico dato, i 5 1 chilo­ metri orari raggiunti su una salita con pendenza dell0%78. Lo sport non crea questi nuovi calcoli, in gran parte già alimentati dalle locomotive e dalle macchine di nuova invenzione. Soltanto, li rende più sistematici, più familiari; le corse ciclistiche degli ultimi an­ ni dell'ottocento, ad esempio, vengono sempre commentate facendo riferimento alla velocità tenuta dal vincitore: Terront vince nel 1894 la prima Parigi-Brest-Parigi, di 1 . 1 96 chilometri, alla media di 16 chi.

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lometri l'ora, mentre Milis prevale nella Bordeaux-Parigi, di575 chi­ lometri, alla media di 26 chilometri l'ora79; sono altresì prove di que­ sta familiarità i ripetuti tentativi di record dell'ora o i primi tachime­ tri installati sulle biciclette di fine secolo: «Dilettanti e professionisti hanno interesse a conoscere in qualsiasi momento la velocità alla qua­ le pedalano. Nessuno degli strumenti finora inventati ha raggiunto lo scopo, se non il tachimetro»80. n chilometro l'ora è l'unità di misura che conferma un'attenzione nuova verso il tempo, e anche l'impor­ tanza e il ruolo dello sport in quest'attenzione. Moltiplicare il tempo A questo punto si può vedere più chiaramen­

te come una tensione dawero moderna possa percorrere il tempo dello sport. Mai come alla svolta del secolo lo sport è apparso sim­ boleggiare la nuova visione della velocità e del tempo accelerato. «La Petite République» non può celare la sua ammirazione nei confronti delle automobili della Parigi-Bordeaux del 1 899, anche se definisce «infernale» l'andatura di questi bolidi che «superano talvolta la velo­ cità di 70 km l'ora»81 . Nel suo trattato d'igiene del 1897 , Rochard non nasconde la sua ammirazione per Zimmerman, la cui bicicletta arri­ va a toccare i 60 chilometri l'ora, anche se considera come «sforzo ec­ cessivo» quest'andatura, «che equivale a quella dei treni espresso»82• «L'Auto» del 17 luglio 1903 si dedica ad uno scrupoloso confronto in termini numerici tra il tempo di Garin, il vincitore del primo Tour de France, e quello dei treni in servizio ordinario tra le stesse città toc­ cate dalla corsa. 97 ore per i treni, 94 per il ciclista. «L'Auto» grida alla scoperta: «Garin batte le locomotive»83 . Lo sport della svolta del secolo rappresenta senza dubbio al più alto livello l'ideale di un tem­ po che si desidera intenso e rapido, quello appassionatamente evo­ cato nel manifesto futurista del 1909: «Noi affermiamo che la ma­ gnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellez­ za della velocità [ . . . ] un automobile ruggente, che sembra correre sul­ la mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia»84. I futuristi in­ sistono del resto sull'importanza dello sport quando si riferiscono al ribollire vertiginoso del mondo, all'universo plastico, meccanico e sportivo85• Inoltre, mai come alla svolta del secolo il tempo dello sport ha sim­ boleggiato in modo così netto la rottura con la durata familiare: il contrario dell'agitazione, una deliberata presa di distanza da una quotidianità sperimentata come febbrile, se non convulsa. Pierre de Coubertin, al pari di altri, scopre intorno al 1 890 il tema dello stress. Percepisce come la società francese sia divenuta d'improwiso agita-

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ta, impaziente, sovraccelerata. Si convince del fatto che il carico di fa­ tica nervosa è complessivamente aumentato. Conferisce allo sport la missione di distendere e di prospettare uno spazio di vacanza: «Esso soltanto può al medesimo tempo e su larga scala sviluppare energie e arrecare serenità in una società frenetica»86. Sintetizzando, lo sport avrebbe il compito di rimediare a un male nuovo, quello dell'eccita­ zione e del nervosismo. Spiegazione, questa, awalorata da una lette­ ratura sportiva che nasce intorno al 1900: «È lo stress, reale o imma­ ginario che sia, alla base della nascita dei giochi atletici e della loro af­ fermazione»87. In termini più scientifici, per Philippe Tissié, anima­ tore della rivista «Les Jeux scolaires», la ginnastica e lo sport sono la base dell' «igiene di chi è affaticato»88; egli illustra come i «nervi mo­ tori», stimolati dall'esercizio, «trasmettano poi questa energia ai mu­ scoli per il compimento dell'atto volontario»89, donando vigore al­ l'uomo nervoso e indebolito. Il tema dell'evasione e della fuga ha conosciuto alla fine del seco­ lo un rinnovamento: ha acquisito maggiore legittimità e una presen­ za più insistente, come indicano le campagne sull'orario giornaliero e settimanale di lavoro. La società industriale porta a immaginare rit­ mi quotidiani nuovi. Certo si tratta di una lotta di lunga lena: la gior­ nata di dieci ore e la settimana di sei giorni, proposte per la prima vol­ ta alla Camera dei deputati il 26 maggio 1879 da Martin Nadaud e ri­ prese più volte in seguito, sono adottate soltanto il 4 luglio 19 1290. Lo stesso può dirsi per le vacanze: alla vigilia della Prima guerra mon­ diale, gli impiegati degli uffici e del settore commerciale sono prati­ camente gli unici a beneficiare di una settimana di ferie pagate91. Pe­ raltro l'aspetto culturale è in primo piano nelle rivendicazioni, e fan­ no la loro comparsa nuovi oggetti d'inquietudine: la presa di co­ scienza dello stress e la sua denuncia. Una curiosità inedita mette in luce gli «eccessi» del lavoro scola­ stico, i danni provocati da spossanti tirocini o quelli derivanti dalla massa dei compiti; di questo tenore la descrizione canonica di Sarcey, in cui il cameriere analfabeta compie sforzi di concentrazione sovru­ mani per imparare a leggere: «Mi ascoltava con un'attenzione straor­ dinariamente intensa, vedevo la vena delle tempie gonfiarsi per lo sforzo e il sudore che gli solcava la fronte [. . . ] Otto giorni dopo, eb­ be una febbre meningea»92; o ancora i racconti di Mosso su soldati «assai robusti [. . . ] che impallidiscono e svengono per la debolezza dopo ogni esame» di valutazione del loro livello93 ; o, infine, quelli di Guyau sulle «violente cefalee», gli indolenzimenti e gli stati di pro­ strazione di cui sembrano vittime gli stressati liceali94.

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Lo sport è allora - e questo è un fatto inedito - ciò che compensa il lavoro. Ne deriva una doppiezza apparentemente contraddittoria: lo sport come tempo di tregua e, d'altra parte, di accelerazione. Da un lato il desiderio di distensione, dall'altro quello dell'intensità dei movimenti. Pierre de Coubertin cerca di superare questo apparente conflitto insistendo sull'arte di ripartire il tempo di riposo, ricorren­ do all'immagine della «chaise longue», intermezzo obbligato tra il la­ voro e lo sport: «Tra una fatica e l'altra, alcuni istanti di riposo asso­ luto faranno meraviglie»95. Non c'è dunque alcuna contraddizione: i due tempi, tregua e velocità, possono sicuramente convergere. L'in­ vestimento nella tregua è quello promosso dall'organizzazione del la­ voro nelle società industriali. L'investimento nella velocità è quello promosso dall'immaginario tecnico e dal progresso. L'idea dominan­ te alla fine del secolo è che la tregua non sia sempre assenza di movi­ mento: può rientrare in tutto e per tutto, semplicemente, nella vo­ lontà di separare tempo di svago e tempo di lavoro. È lo svago, e so­ lo lo svago, a costituire l'elemento di rottura, oggetto di gesti intensi come di frenetiche attività. Cosa che alcuni adepti dello sport sotto­ lineano con insistenza: «l fanciulli che si dedicano alle fatiche men­ tali trovano nell'esercizio corporeo un'opportunità di riposo attra­ verso il meccanismo dell'alternanza tra forme di lavoro»96. Si tratta di dare concretezza al tema dello svago attivo, della distensione che stimola, come fa ad esempio la scuola alsaziana a partire dal 1890: cin­ que giorni nei Vosgi nel mese di luglio, con marce di diciotto chilo­ metri al giorno in due tappe97. L'originalità del tempo sportivo inventato nell'ultimo ventennio dell'ottocento diviene addirittura triplice: un tempo distinto dalla vi­ ta ordinaria, con un suo ritmo autonomo e sue proprie manifestazio­ ni; un tempo di rottura che riceve un notevole impulso in opposizio­ ne al lavoro; infine, un tempo caratterizzato da un'intensa attività, sempre più dominato dall'ansia per la precisione cronometrica. Que­ sto tempo dello sport è tuttora chiaramente identificabile, con l'or­ ganizzazione del tutto specifica di festività profane ed il suo puntare su valori collegabili sia alla vacanza che all'efficacia tecnica. Testimo­ ne delle trasformazioni della società industriale, questo tempo rende concreto il distacco dai vecchi calendari religiosi e l'avvento di un'at­ tività Iudica imposta dall'organizzazione del lavoro, con il suo imma­ ginario di efficienza e di progresso.

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Lo sport e la società «informata»

Ma il successo dello sport, la sua presenza nella stampa, la con­ quista da parte sua degli spazi urbani o di quelli dei manifesti pub­ blicitari nel ventesimo secolo ne fanno un testimone ancor più pre­ zioso. La spettacolarizzazione degli incontri sportivi, l'ininterrotta pubblicizzazione delle prestazioni e dei record mostrano che nelle nostre società l'immagine del tempo subisce un ribaltamento più ac­ centuato. Non si tratta più solo del tempo dello svago o di quello del lavoro, bensì di quello della sensibilità quotidiana. E divenendo me­ no «separato» dalle attività ordinarie, e partecipando di più al nostro tempo di ogni giorno fino a identificarvisi che lo sport mostra fino a che punto il ventesimo secolo abbia trasformato l'immagine della du­ rata. Il gusto per il tempo accelerato, certo, ma anche quello per l'informazione e l' «inatteso», un tempo del quale gli incontri sporti­ vi sono una riserva inesauribile, con i loro imprevisti, l'alternanza in­ finita di «sconfitte» e «successi», la sequela di gesti, rituali, regole e cerimonie. I ristÙtati sportivi ritrasmessi e ripetuti in continuazione accentuano il gusto per la «notizia»: un'informazione sempre riat­ tualizzata, strisciante, onnipresente, quella che caratterizza la società dei nostri giorni. È in questo senso che il tempo dello sport potreb­ be divenire il simbolo del nostro tempo. Lo sport e la consumazione dell'avvenimento La folla dei Parigini am­

massati nel faubourg Montmartre, il 2 luglio 192 1 , per scorgere il raz­ zo luminoso che avrebbe annunciato la vittoria o la sconfitta di Car­ pentier contro Dempsey indica innanzitutto il crescere della parteci­ pazione popolare agli avvenimenti sportivi. Essa testimonia poi so­ prattutto un nuovo uso della trasmissione delle notizie98: il telegrafo senza fili, il razzo, i telegrammi che diffondono la notizia stessa che inizia a comparire sui muri di piace de la Concorde, rue Royale o lun­ go i boulevard, le edizioni speciali dell'«Auto», infine, messe imme­ diatamente in vendita. In un attimo il match viene trasfigurato in av­ venimento «storico», sùbito registrato e diffuso. Occorre ribattere, sicuramente, sull'importanza conquistata dallo sport, sulla sua conversione in spazio mitico: il combattimento tra Carpentier e Dempsey lo mostra perfettamente con il suo inserirsi nell'immaginario francese del 1920, con l'aspettativa di rivincita su di un'America potente il cui aiuto militare aveva urtato l'orgoglio na­ zionale. Il verdetto viene atteso come qualcosa di simbolico. Da qui questa folla impaziente, da qui le misure eccezionali prese allo scopo

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di dare informazioni. Ma lo sport consente in questo caso di speri­ mentare una particolare forma di ubiquità: l'annuncio del risultato al di là delle frontiere e degli oceani, nel momento stesso in cui il risul­ tato si produce, un'informazione quasi istantanea. Senza dubbio il te­ legrafo o il telegramma non sono delle novità. Nuovo è piuttosto il modo di utilizzarli: raggiungere una folla compatta per informarla istantaneamente, porre in concreto un vasto pubblico dinanzi all'e­ strema contrazione dello spazio e del tempo. A suo modo, la stampa aveva già operato in questo senso. A par­ tire dalla fine dell'ottocento i dispacci telegrafici trasformano in po­ che ore gli avvenimenti accaduti nei luoghi più lontani in notizie di giornale. Ciò evidenzia l'inesauribile riserva di notizie costituita dal­ lo sport, al punto che «L'Auto» inventa nel 1903 il Tour de France per aumentare le vendite. Crea lo spettacolo e ne distilla gli echi. li meccanismo è chiaro: permettere al lettore del giornale di seguire, giorno dopo giorno, una corsa di cui non saprebbe nulla se restasse al bordo della strada; coltivare la sua aspettativa e la sua eccitazione per meglio invogliarlo alla lettura e spingerlo a essere fedele. Si è ob­ bligati a seguire le varie edizioni del giornale. I dispacci dell' «Auto» danno colore alla gara: «È incredibile, è uno spettacolo unico, ci te­ legrafa il nostro inviato speciale Victor Breyer. Sono arrivati a tenere sull'intero tratto una media di 3 0 km l'ora (Bordeaux-La Rochel­ le)»99. «L'Auto» predispone già nel 1909 un sistema di dispacci per comunicare a innumerevoli punti dislocati stÙ territorio la classifica dei corridori appena dopo che il traguardo è stato tagliato: «l caffè avranno i risultati facendone richiesta telegrafica; la risposta è gra­ tuita»100. La radio degli anni trenta non fa che proseguire sulla stra­ da dell'informazione istantanea. Molti commentatori che seguono la corsa, in particolare Georges Briquet10\ accentuano drammatica­ mente il senso dell'avvenimento: gli episodi e le peripezie sono im­ mediatamente comunicati, gli epiloghi e le testimonianze subito va­ gliati. D'un tratto, la corsa esiste perché di essa si parla e si scrive, e anche perché gli episodi che vi accadono conoscono una diffusione immediata. In questa prima metà del ventesimo secolo lo sport diviene l'e­ sempio canonico dell'informazione costante. Ogni gesto è anche un'indicazione, ogni prestazione ha un aspetto di irreversibilità. È ciò che emerge dai comunicati dell' «Auto» sull'arrivo delle squadre ai Tour degli anni trenta: «La squadra romena ha lasciato Bucarest»; «La squadra jugoslava è arrivata a Parigi»; «Quale sarà la tattica dei belgi?»102. O dai comunicati che arrivavano dalla prima coppa del

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mondo di calcio, disputata a Montevideo nel 1930: «Ieri a Montevi­ deo la Francia ha battuto il Messico [. .. ] È un risultato assai lusin­ ghiero»103. O ancora, la «corrispondenza particolare»104 dell' «Ex­ celsior» che annuncia il record dell'ora battuto da Jean Bouin a Stoc­ colma il 6 luglio 1913 , e cita i tempi «intermedi» fatti segnare al quin­ to, decimo e quindicesimo chilometro. Lo sport incarna l'immagine del tempo attuale: un susseguirsi so­ vrabbondante di avvenimenti, un flusso ininterrotto d'informazioni. Non è più un semplice spazio di tempo nell'ambito della nostra quo­ tidianità, non è soltanto un'attività separata, ma piuttosto un fedele riflesso di questa quotidianità: ogni risultato crea una nuova infor­ mazione, ogni incontro sportivo, ogni gesto compiuto da un campio­ ne rappresenta un avvenimento. Le pagine sportive dei giornali lo di­ mostrano, accumulando le notizie sotto forma di flash: «Il quindici francese sconfitto per la prima volta nella tournée in Sudafrica»; «Be­ nazzi in serio dubbio per il primo test con gli Springboks»; «l sei fran­ cesi impegnati a Wimbledon conoscono i loro avversari»; «Jean Ti­ gana ingaggiato come direttore tecnico dall'OL»; , 1885, p. 7 . 66 Ibid. 67 lvi, p. 10. 68 lvi, p. 57. 69 «Le Temps», 24 marzo 1875. 7 0 «L'illustration», 3 gennaio 1895. 7 1 «Le Sport vélocipédique>>, 1885, pp. 1 1 9 e 122. 72 Les sports athlétiques cit. 73 «Le Sport vélocipédique>>, 1886, p. 48. 74 lvi, p. 795. 75 lvi, p. 480. 76 Pubblicità del cronografo Just, in «La Petite République», 12 aprile 1903 . 77 «La Gazette de France>>, 20 aprile 1899. 7 8 «La Vie au grand air>>, 6 luglio 190 1 . 79 «Le Temps», 10 settembre 1891. 80 «L'illustration>>, 3 gennaio 1895. 8 1 «La Petite République>>, 27 maggio 1899. 82 ]. Rochard, Traité d'hygiène publique et privée, Paris 1897, p. 843. 83 «L'Auto», 17 luglio 1903 . 84 FT. Marinetti, Manifeste futuriste, in «Le Figaro», 20 febbraio 1909 (testo in italia­ no in Manz/esti delfuturismo, Lacerba, Firenze 1914). 85 Manifesto futurista di Milano ( 1913 ), cit. in ]. Pierre, Le Futurz'sme et le Dadaisme, Editions Rencontre, Lausanne 1966, p. 105. 86 P. de Coubertin, Essai de psychologie sportive (1913), Millon, Grenoble 1992, p. 124. 87 Crafty, Paris sporti/, anciens et nouveaux sports, Paris 1896, p. 27. 88 P. Tissié, La Fatigue et l'entrainement physique, Paris 1897, p. 162. 89 lvi, p. 167. 90 N. Samuel, M. Romer, Etapes de la conquete du temps libre, ADRAC, Paris 1981, p. 12.

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Il tempo dello sport

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91 Cfr. in questo volume il testo di Jean-Claude Richez e Léon Strauss. 92 Cit. in Tissié, op. cit. , p. 121. 9 3 lvi, p. 122. 94 M. Guyau, Education et hérédité, Paris 1889, p. 103 . 95 De Coubertin, op. cit. , p. 25. 96 M. Boigey, I;Education physique de l'en/ance à l'adolescence, Paris 1929, p. 50. 97 «Le Temps», 26 luglio 1890. 98 li libro di André Rauch, Boxe, violence du XX• siècle, Aubier, Paris 1992, fornisce

un'interessante descrizione del fatto, pp. 123 sgg. 99 «L'Auto>>, 26 luglio 1907. 1 00 lvi, 5 luglio 1909. 1 01 G. Briquet, Soixante ans de Tour de France, La Table Ronde, Paris 1962. 102 >, 14 luglio 1930. 104 «L' Excelsior>>, 7 luglio 1913. 1 05 «Libération>>, 16 giugno 1993 . 106 P. Nora, Le retour de l'événement, in J. Le Goff, P. Nora (a cura di), Paire de l'histoire, t. I, Gallimard, Paris 1974, p. 220. 107 M.J. Houareau, Les techniques du corps, in I;Encyclopédie pour mieux vivre, p. 405. 108 M. Feldenkrais, La Conscience du corps, Laffont, Paris 197 1 , p. 57. 109 J. Syer, C. Connolly, La Préparation psychique du sporti/, le menta! pour gagner, trad. frane., Laffont, Paris 1988, p. 62 (ed. or., Sporting body sporting mind, 1984; trad. it., Gui­ da per atleti all'allenamento mentale. Corpo e mente nell'attività sportiva, Zanichelli, Bolo­ gna 1987). 1 1 0 «Vraie Santé>>, n. l, 1992, p. 18. 1 1 1 R.M. Pirsig, Traité du zen et de l'entretien des motocyclettes, Seui!, Paris 1978, p. 273 (ed. or., Zen and the Art o/Motorcycle Maintenance [1974] ; trad. it., Lo Zen e l'arte del­ la manutenzione della motocicletta, Adelphi, Milano 198 1 ) . 1 1 2 K . Tokitsu, Méthode des arts martiaux à mains nues, Laffont, Paris 1987, p. 54. 1 1 3 J.-M. Salètes, Les techniques de relaxation, in I;Encyclopédie pour mieux vivre cit., p. 70. 1 1 4 «L' Equipe-Magazine», numero speciale, Sport et techno, 8 maggio 1993, p. 3 8. 1 1 5 lvi, p. 40. 11 6 C. Pociello, Les éléments contre la matière, sporti/s glisseurs et sporti/s rugueux, in «Esprit>>, febbraio 1982, p. 30.

Il destino contrastato del football di A lain Corbin*

La storia dello sport va ampiamente al di là del nostro progetto, che riguarda strettamente gli impieghi del tempo. Vogliamo soltanto, attraverso la rievocazione del destino ricco di contrasti del football, dimostrare secondo quali procedimenti l'elaborazione, la diffusione e il trasferimento di un'attività sportiva entrano nella genealogia del­ lo svago, quindi dello spettacolo di massa, e intervengono nella co­ struzione delle identità individuali e collettive. n football, quando è apparso, aveva la funzione, nelle intenzioni dei suoi promotori, di mantenere i ragazzi delle public schools all'in­ terno degli spazi di gioco del loro istituto, impedendo loro così di va­ gare per le strade e nei terreni incolti del vicinato. Quest'intento di­ sciplinare determina la fisionomia di questo sport fino alla fine del decennio che si apre col 1870. Inizialmente, il football si diffonde nel Sud dell'Inghilterra. Come il rugby, il gioco del pallone rotondo ri­ veste, negli ambienti agiati dei giovani che frequentano le public schools, un'evidente funzione iniziatica e fa quindi parte del rituale di inserimento in quei collegi prestigiosi. Il football va d'accordo con i valori che in quel momento sono al­ la base del sistema educativo, della società militare e dell'edificio im­ periale. Uno stretto legame unisce la figura del gentleman e l'etica sportiva, riflesso della morale sociale dominante. Il football fa parte dell'educazione che si propone di inculcare la padronanza di sé, il controllo delle pulsioni e il rispetto dei codici. Si basa sul /air play e sull'avversione per l'ungentlemanly conduct. Inoltre, contribuisce al­ l' esaltazione della virilità (manliness) , fisica e morale. Nell'ambiente che li ha visti nascere, il football e il rugby vengono praticati, più che *

Traduzione dal francese di Carla Patanè.

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per vincere, per dimostrare la propria fedeltà a una concezione mo­ rale del gioco. La memoria registra non tanto la vittoria quanto il ri­ cordo collettivo della solidarietà di squadra, dell'armonia dei movi­ menti, della qualità dei comportamenti collettivi; il che comporta una certa indifferenza nei confronti del risultato. Nello stesso tempo, que­ sto football delle origini, praticato da giocatori la cui reputazione non va al di là di stretti confini geografici, esige il dilettantismo o, più esat­ tamente, esclude qualsiasi forma di professionismo. Quest'ultimo su­ scita implicitamente l'immagine della forza, dell'abilità, della resi­ stenza che richiede il lavoro; sottomette la pratica dello sport al sala­ rio e al contratto. n giocatore dilettante non intende dedicarsi inte­ ramente a un'attività che gli farebbe perdere il controllo del suo tem­ po. Qualche decennio più tardi, potrà manifestare il suo disprezzo nei confronti dello sport di massa e della folla esaltata che frequenta gli stadi. A partire dal 1880, si diffonde un football diverso rispetto al mo­ dello élitario che raccoglie l'eredità degli esercizi e dei giochi di o­ rigine aristocratica. Questa nuova forma di uno sport vecchio di qua­ si trent'anni deriva dalla volontà, espressa dai membri dell'upper middle class, di promuovere le rational recreations. n loro scopo è contenere e canalizzare la forza, la destrezza e la violenza popolare con la creazione e lo sviluppo di esercizi fisici rigorosamente codifi­ cati. Nello stesso tempo, si manifesta in questi ambienti la volontà di restringere gli spazi del tempo libero delle classi inferiori considera­ to troppo erratico. Questo progetto di acculturazione, di controllo delle pulsioni elaborato all'interno della classe media è realizzato da sportivi provenienti dalle public schools. Costoro cercano di dimo­ strare ai lavoratori delle fabbriche, dei docks e dei magazzini che esi­ stono altre attività fisiche e altri giochi oltre alla marcia, al canottag­ gio, al lancio di bocce o di freccette; l'azione condotta presso i mina­ tori della Tyne è un esempio di questa strategia. Ben presto, i lavora­ tori si appropriano del nuovo sport che viene sottratto, di conse­ guenza, ai suoi promotori. La pratica del football si afferma nell'ambito dell'impresa o, più frequentemente, in quello della parrocchia, che sia essa anglicana o non conformista. È quanto accade a Everton, a Birmingham, ad Aston Villa. Nel corso del tempo, il progetto di acculturazione po­ polare rimane, ma si modifica. Alla fine del secolo, gli eugenisti, os­ sessionati dallo spettro della degenerazione, si aggiungono a tutti quelli che vedono nel football un prezioso collante sociale. La Prima guerra mondiale rilancia il progetto di acculturazione attraverso il

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football; alcuni lo individuano come mezzo per trasformare la cultu­ ra operaia in cultura nazionale. Inizialmente, questo football dal volto nuovo riguarda il Nord del­ la Gran Bretagna; ma, ben presto, la sua diffusione abolisce la di­ stanza geografica che separava i due modelli. Ciò che conta è ormai la vicinanza del luogo di lavoro allo spazio di gioco. Le due attività si compenetrano. Per esempio, il club Arsenal è indissociabile, in origi­ ne, dai docks di Woolwich. n football diventa, contemporaneamente, un affare di quartiere. Mette radici nella cultura maschile del bere, cioè nel pub. Il club esprime e conforta la solidarietà locale. Defini­ sce un territorio, quello su cui esercita la sua influenza culturale e al­ l'interno del quale contribuisce a determinare le relazioni sociali. n reclutamento dei club di football non è limitato agli operai; ab­ braccia l'insieme delle categorie popolari, nonché un largo settore della lower middle class. Per individui raccolti nell'ambito dell'im­ presa, del pub, della parrocchia o, più semplicemente, del quartiere, l'adesione al club di football riveste la funzione di un rito d'integra­ zione. In quest'ambiente, l'attività sportiva continua a richiamarsi al­ la cultura della rivalità locale, alla tradizione popolare della sfida, del­ la gara, della prodezza. L'indifferenza nei confronti del /air play va d'accordo con l'accettazione del ruolo del denaro. Il nuovo football ammette la scommessa e la vincita. Secondo il principio in virtù del quale l'attività del corpo al lavoro giustifica il salario, si tollera, in que­ sto caso, il professionismo. Nel 1914, duemila giocatori hanno ac­ quisito lo status di professionista o di semiprofessionista, con grande scandalo di coloro che vedono nel contratto una forma di tradimen­ to o, quanto meno, un ostacolo all'arruolamento nelle forze armate. Apparso negli anni immediatamente successivi al 1880, questo professionismo sportivo viene legalizzato con la creazione, nel 1888, della Football League. La totale consacrazione dell'individuo all'e­ sercizio sportivo in un'epoca in cui si precisano la figura e i metodi dell'allenamento, determina la ricerca del record ed è alla base della cultura dei giocatori -divi a cui l'abilità e lo stile assicurano una fama che supera di gran lunga i limiti della regione. Il legame che si stabi­ lisce così fra la mitologia dell'impresa sportiva, la registrazione delle prestazioni e la gestazione di una cultura imperniata sullo svago di massa è fondamentale. La comunità di origine - il quartiere, la parrocchia, l'azienda - si costruisce una memoria: quella della serie dei riferimenti gloriosi che alimentano l'orgoglio collettivo. A partire da quest'epoca, la parteci­ pazione alle attività del club di football, il successo di one o/ us (uno

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di noi) diventano mezzi di identificazione e possono anche essere av­ vertiti come elementi di promozione sociale. Attraverso questo mec­ canismo del riferimento, il tempo dello sport entra nei procedimenti di costruzione delle identità. È pensabile, inoltre, che susciti in alcu­ ni il sogno del successo individuale e che, in questo modo, serva da contrappeso alla standardizzazione del mondo del lavoro. Questo se­ condo modello di football permette lo spettacolo collettivo, meglio ancora, presuppone la partecipazione di una folla che, con l'esalta­ zione, o addirittura lo smarrimento momentaneo, compensa, secon­ do Norbert Elias, l'accentuarsi del processo di civilizzazione. Nonostante i sogni di tutti quelli che vorrebbero fare del football uno strumento di coesione sociale, la fusione tra i due modelli non si realizza prima degli anni venti. n football-spettacolo entra a far par­ te, allora, di uno svago di massa in cui si mescolano le età, i sessi e le classi. È pur vero che avvengono continui scambi tra il football dei col­ leges e quello dei pubs; ciò diventa particolarmente evidente in occa­ sione del loro trasferimento sul Continente. Al di là del Channel, il football si è imposto più o meno rapidamente a seconda delle cultu­ re somatiche e delle tradizioni ludiche. Inoltre, l'importazione di ognuno dei games e degli sport britannici ha una sua propria storia. Per esempio, dovremo soffermarci sul confronto tra i diversi model­ li di pesca con la lenza. n football non sfugge a questa specificità del­ le forme che assume il trapianto. n football si sviluppa innanzitutto nei porti dove esistono magaz­ zini di proprietà di compagnie di navigazione britanniche. È il caso di Le Havre ( 1 872) , di Amburgo ( 1 880), di Oporto ( 1 885). In Sviz­ zera e in Belgio, all'origine dei club ci sono alcuni giovani inglesi ve­ nuti a studiare sul Continente. A loro è dovuta, per esempio, la fon­ dazione di quelli di San Gallo ( 1 879) , di Losanna ( 1 880), e di Zurigo (i Grasshoppers, 1886) . In Spagna, in Austria - in particolare a Vien­ na - e soprattutto in America Latina, l'importazione del football è opera di dirigenti, tecnici e operai britannici, venuti a lavorare in can­ tieri situati all'estero. Inversamente, succede che alcuni continentali, dopo aver scoperto il nuovo sport in occasione di un soggiorno nel Regno Unito decidano, al ritorno, di trapiantarlo in casa loro. È in questo modo che il football fa la sua comparsa a Tourcoing e nella città di Amiens. In Francia, questo trasferimento assume una reale importanza so­ lo a partire dal decennio successivo al 1880: riguarda alcuni grandi borghesi, spesso protestanti o ebrei, commercianti, studenti, allievi di

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licei, funzionari. Tutti vedono nella pratica del football un segno di buona educazione. A questa fase iniziale ( 1 880- 1906), segue un pe­ riodo di democratizzazione ( 1 9 1 8- 1 932). Grazie al football dei pa­ tronati, confessionali o laici, il nuovo sport diventa il gioco preferito del popolo francese. Nel 1932 viene introdotto il professionismo, mentre si diffonde, anche nelle campagne, una pratica sportiva fede­ le al dilettantismo. L'esempio del football mette in evidenza le diverse funzioni dello svago e dello spettacolo sportivo. Essi riescono rapidamente a pala­ rizzare il tempo quotidiano, a determinare i riferimenti della memo­ ria. A partire dalla fine del diciannovesimo secolo, il football defini­ sce i suoi territori. È già fattore d'integrazione sociale. Già interviene nella costruzione delle identità. All'interno dei gruppi di supporters, l'insistente ripetersi dell'opposizione fra «noi» e «loro» stimola la va­ lorizzazione di sé. Ma il football, oltremanica, assume anche altre fun­ zioni. Dalla fine del diciannovesimo secolo, esprime l'intrecciarsi del­ lo sport con la civiltà britannica; la vittoria riportata in occasione di una partita internazionale diventa simbolo della superiorità inglese. Si comprendono, di conseguenza, i tentativi compiuti fra l'inizio delle ostilità e la primavera del 1915 allo scopo di assoggettare que­ sto sport allo sforzo bellico. Per coloro che avvertono e proclamano la superiorità dello stadio rispetto al pub, il football appare allora co­ me un'attività in grado di rafforzare il legame che unisce il fronte al­ la nazione e di canalizzare le energie. li conflitto, in quest'ambiente, è descritto come il greater game e la battaglia come la partita supre­ ma. La metafora sportiva colora e maschera con eufemismi le ango­ sce del tempo di guerra. Indicazioni bibliografiche Qui abbiamo un grosso debito nei confronti di B. Cabanes, Entre chien et loup. Culture de guerre et contrale des loisirs ouvriers à Londres pendant la Première Guerre mondiale, maitrise Paris-X-Nanterre, 1990 (sotto la dire­ zione di J.-J. Becker e ]. Winter) . Si troverà un'abbondante bibliografia concernente la storia dello sport in R. Hubscher, I.:Histoire en mouvement. Le sport dans la société/rançaise, XJXe.xxe siècle, A. Colin, Paris 1 992. Per quanto riguarda il football: W.]. Baker, The Making o/ the Working-class Football Culture in Victo­ rian England, «]ournal of Social History», 1 979.

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C. Korr, West Ham United. The Beginning o/ Pro/essional Football in East London, 1 895- 1914, , n. 152, 1981, pp. 161 -2 . 86 J.-L. Marais, Les Societés d'hommes. Histoire d'une sociabilité du XVIII' siécle à nos jours, La Botellerie-Vauchrétien 1986, p. 209. 87 A.N., F7/12378. Rapport du pré/et de l'Oise, 16 janvier 1905. 88 P. Gerbod, I.:institution orphéonique en France au XIX' et au XXe siècle, in «Ethno­ logie française>>, vol. X, 1980, n. l , pp. 27-44 (v. le carte, p. 32). 89 B. Lecoq, Les sociétés de gymnastique et de tir dans la France républicaine (18701914), in «Revue historique>>, juillet-septembre 1986, pp. 159 e 165. 90 P. Goujon, Associations et vie associative dans !es campagnes au XIXe siècle: le cas du vignoble de Saone-et-Loire, in «Cahiers d'histoire>>, t. XXVI, 198 1 , n. 2, p. 1 15. 9 1 M.-D. Amaouche-Antoine, Les societés musicales dans !es villages de l'Aude durant la deuxième moitié du XJXe siècle, in «Annales du Midi>>, n. 154, 1 981, pp. 443 -4. 92 La Naissance du mouvement sportz/ associatz/ en France. Sociabilité et /ormes de pra­ tiques sportives, testi riuniti da P. Amaud e J. Carni, PUL, 1986, pp. 202 e 252. 93 Statuts de l'amicale des anciens élèves de l'école d'Orgères déclarée en septembre 1898 (A.D. Eure-et-Loir, 4 M). 94 Goujon, op. cit. , pp. 133-4. 95 M. Bozon, J.-C. Chamboredon, I.:organisation sociale de la chasse en France et la si­ gnification de sa pratique, in «Ethnologie française>>, vol. lX, 1980, n. l , pp. 65-88. 96 D. Tallon, Les Associations dans l'arrondissement de Coulommiers au XIX• siécle, mé­ moire de maitrise d'histoire, Université de Paris-1, 1974, p. 10. 97 H. Lussier, Les Compagnies de sapeurs-pompiers volontairs /rançais au XJXe siècle, thése de 3• cycle, Université de Paris-1, 1984. 98 Gerbod, I.:institution orphéonique cit., p. 34. 99 A. Prost, Les Anciens Combattants et la societé /rançaise, 1914-1939, PFNSP, Paris 1977. 100 M.-N. Jeminet, Le paysan et l'écrit. Le monde paysan et la lecture dans le Canta! au XJXe siècle, in Le Paysan. Actes du 2e Colloque d'Aurillac, Editions Christian, Paris 1989, pp. 2 13 -2 1 . 101 M . Lyons, Le Triomphe du livre. Une histoire sociologique de la lecture dans la Fran­ ce au XJXe siècle, Promodis, Paris 1987, p. 234. 1 02 A.-M. Thiesse, Mutations et permanences de la culture populaire: la lecture à la Bel­ le Epoque, in «Annales E.S.C.», 1984, n. l , pp. 70-9 1. 103 A. Sylvère, Toinou. Le cri d'un en/ant auvergnat, Plon, Paris 1980, pp. 46-7. ll pa-

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dre aveva svolto il ruolo di lettore prima di andare a suonare la fisarmonica di domenica alla locanda, per far danzare i giovani. 104 N . Richter, Bibliothèques et éducation permanente. De la lecture populaire à la lec­ ture publique, Bibliothèque de l'Université du Maine, Le Mans 198 1 , p. 33. 105 Baudrillart, op. cit. , p. 229. 106 A. N . , F22/341. Compte rendu des séances du Congrès international du repos du dimanche, p. 74. 107 Grenadou, Prévost, op. cit. , pp. 160-1 . 108 Les ouvriers des deux mondes cit., III serie, t. I, n. 94, pp. 159-60. 109 Weber, op. cit. , p. 357. 110 Michelet, op. cit. 1 1 1 Baudrillart, op. cit. , p. 1 18. 112 Tutto ciò è particolarmente manifesto nelle regioni del centro della Francia «ove l'abitudine di lavorare la domenica tende sempre più a generalizzarsi [. .. ] i piccoli pro­ prietari si dedicano tutti al lavoro domenicale». Cfr. L. Milcent, Le Repos du dimanche et l'agriculture, Paris 1900. m Les ouvriers des deux mondes cit., I serie, t. IV, n. 29, p. 42. 11 4 Guillaumin, op. cit. , pp. 1 18-99. 1 1 5 Y. Crebouw, Salaires et salariés agricoles en France des débuts de la Révolution aux approches du XX• siècle, thèse Paris-1, 1986, t. II, pp. 455 e 459. 1 1 6 lvi, t. I, pp. 366-9. 1 1 7 Hélias, op. cit., pp. 368-9. 11 8 F. Auclair, Les Lois ouvrières et l'agriculture, thèse de droit, Sirey, Paris 1909, pp. 220-4. 1 1 9 J. Valdour, I.:Ouvrier agricole. Observations vécues, A. Rousseau, Paris 1919, p. 36. 120 F. Dubost, Les sorties d'un bourgeois de village, 1864-1906, in «Cahiers d'Histoire», 1987, nn. 3 -4, pp. 405-12. 121 Julien-Labruyère, op. cit. , p. 272. 122 Goujon, op. cit. , pp. 1 10-1 . 123 J.C. Chamboredon, La diffusion de la chasse et la transformation des usages sociaux de l'espace rural, in «Etudes rurales», nn. 87-88, juillet-décembre 1982, p. 234. 124 Traimond, op. cit. , pp. 8 1 , 85 e 1 14. 125 G. Cholvy, La religion, lajeunesse et la danse, in Daumard, op. cit. , pp. 137-47. 126 G. Cholvy, Patronages et oeuvres de jeunesse dans la France contemporaine, in «Re­ vue d'histoire de l'Eglise de France», juillet-décembre 1982, pp. 235-56. 127 Varagnac, op. cit. , pp. 62-3.

Capitolo ottavo*

Fra gli anni immediatamente successivi al 1 880 e lo scoppio della Seconda guerra mondiale, la limitazione del tempo di lavoro diventa una delle rivendicazioni fondamentali dei militanti socialisti. In que­ sta prospettiva, «il secolo degli operai» è stato spesso presentato, non senza ragione, come quello di una conquista del tempo libero, con­ dotta a termine a spese del padronato. A dire il vero, la partita che si è giocata non può ridursi a questa «Storia-battaglia». n diritto al riposo, rivendicato dalla metà del di­ ciannovesimo secolo, acquista allora una nuova legittimità. A partire dal decennio che si apre col 1870, una valutazione più precisa della resistenza dei muscoli e del cervello, un calcolo più rigoroso dei bi­ sogni e dei limiti dell'individuo suggeriscono una ridistribuzione de­ gli impieghi del tempo. L'importanza attribuita allo studio della stanchezza e al calcolo dei rendimenti esprime una preoccupazione polimorfa che tende a im­ porre, un po' alla volta, l'allungamento delle sequenze di riposo. La scienza favorisce una conquista che va d'accordo, contemporanea­ mente, con le esigenze della produttività e con la dignità del lavora­ tore. n dibattito suscitato dal riposo domenicale rivela, con partico­ lare chiarezza, le implicazioni e le modalità di questa nuova divisione del tempo. A.C.

* Traduzione dal francese di Carla Patanè.

La stanchezza, il riposo e la conquista del tempo di A lain Corbin-:'

Le nuove figure della stanchezza e del riposo

Fra l'inizio del decennio 1 870 e l'alba degli anni trenta, la stan­ chezza diventa un oggetto fondamentale di ricerca, di..analisi e di di­ battito. Considerata fino ad allora un fenomeno inevitabile, conse­ guente a qualsiasi lavoro, se non addirittura una piacevole sensazio­ ne collegata alla riuscita di un compito impegnativo, viene a essere dolorosamente avvertita come una diminuzione delle capacità di azione, come un segnale d'allarme che indica la soglia del tollerabile. Meglio ancora, a partire dagli anni intorno al 1870, la stanchezza co­ mincia a essere considerata sostanzialmente patogena. La denuncia dei danni derivanti dall'esaurimento tende a sostituirsi a quella del­ l'inattività. La stanchezza appare da quel momento come «un fattore nocivo, parassita, che può e deve essere eliminato a qualsiasi costo»1. È dun­ que importante misurarla, procedere al calcolo delle resistenze e de­ terminare i tempi di riposo richiesti per il ripristino delle energie. Questa ricerca scientifica riguarda sia la fatica fisica che la fatica intellettuale. A dire il vero, la distinzione introdotta tra le due forme tende ad attenuarsi. La prima si sottrae a poco a poco agli schemi del­ la meccanica; sembra ormai riguardare meno i muscoli e di più i sen­ si e il cervello. La sottomissione dell'operaio alla macchina, l' accele­ razione dei ritmi e l'attenzione che questa impone suggeriscono la ne­ cessità di inventare nuove forme di riposo. La maggior parte degli studi di fisiologia e psicologia sperimenta­ le dedicati a quest'argomento riguarda la fatica industriale. Lo svi*

Traduzione dal francese di Carla Patanè.

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luppo di questa nuova scienza deriva dal desiderio di attenuare la mortalità e la morbilità operaia, di lottare contro gli incidenti, gli er­ rori di esecuzione, le «perdite di tempo». In funzione di questa serie di obiettivi, si raccomandano nuove forme di riposo. Questo movi­ mento scientifico accompagna la comparsa, poi la diffusione dell'in­ quietudine industriale, l'industriai unrest degli anglosassoni; vera e propria malattia sociale che si manifesta, nel lavoratore, con l'irrita­ bilità, l'agitazione, lo sciopero. Analizzare la stanchezza allo scopo di prevenirla significa, si pensa, contribuire alla salute dell'intero corpo sociale. All 'alba del ventesimo secolo, l'argomento è all'ordine del giorno dei congressi internazionali dedicati all'igiene, alla demografia e alle malattie professionali2• La guerra rende ancora più viva l'attenzione rivolta alla fatica. In Gran Bretagna, negli Stati Uniti, in Canada e in Francia si creano appositi uffici, si formano commissioni allo scopo di studiare il problema. Durante il decennio che segue la fine del con­ flitto, esso rimane di attualità. L'individuazione e la prevenzione del­ la stanchezza figurano sulla lista degli obiettivi dell'Ufficio interna­ zionale del lavoro (BIT) , accanto all'organizzazione e alla durata del lavoro, allo studio delle malattie professionali, all'analisi delle conse­ guenze della meccanizzazione3 • Negli anni intorno al 1870, la tradizione porta a distinguere tre ti­ pi di stanchezza. La prima è quella che deriva dallo sforzo fisico e che genera un bisogno di riparazione attraverso il riposo. La seconda na­ sce dall'eccesso di attività intellettuale, già denunciato dal dottor Tis­ sot. Si tratta di un malessere multiforme che è importante curare con l'aria pura e l'esercizio fisico. La stanchezza sessuale maschile, ana­ lizzata come il risultato di una perdita che è opportuno compensare con l'astinenza, o almeno con un attento calcolo delle dispersioni, co­ stituisce la terza categoria. In mezzo secolo ( 1880- 193 O), la fisiologia, la scienza del lavoro e la psicologia sperimentale trasformano profon­ damente questa trilogia. I motivi di quest'intensa attività scientifica sono molteplici. n de­ siderio di giustificare, per mezzo della scienza, la rivendicazione e poi l'applicazione della regola dei «tre-otto» (otto ore di riposo, otto ore di lavoro, otto ore di sonno) - cosa che non avevano saputo fare i teo­ rici del socialismo - pungola la ricerca. n confronto fra l'uomo e la macchina si fa più angosciante e impone nuovi interrogativi. Un'im­ pressione diffusa tende a comprendere il sovraffaticamento nella gamma dei flagelli che oscurano l'immagine della fine del secolo. In quest'epoca di «colpo di Stato medico»4, favorito dal trionfo delle

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teorie di Pasteur, il fisiologo e lo psicologo trovano, nello studio del­ la fatica, un mezzo per affermare l'autorità del loro messaggio e per accrescere la loro influenza. La fisiologia sperimentale fa da battistrada. Mentre i medici spe­ cialisti dell'isterismo studiano le patologie delle contratture e delle ri­ gidità muscolari, Hugo Kronecker5 si dedica, nel suo laboratorio di Lipsia, allo studio del movimento animale. Le ricerche condotte sul­ la rana gli permettono di determinare la curva di affaticamento di un muscolo che si contrae a intervalli regolari. I lavori di Hugo Kro­ necker e dei suoi colleghi sono consentiti o facilitati dal progresso de­ gli apparecchi di registrazione dovuto a Charles Ludwig, a Marey e, soprattutto, al fisiologo italiano Angelo Mosso. Questi costruisce un ergografo e, grazie agli ergogrammi tracciati da questo strumento a partire dal 1884, può elaborare delle curve della fatica delle dita. Nel frattempo, una serie di lavori permettono di modificare le rap­ presentazioni della stanchezza e di provare che essa rappresenta un processo chimico che riguarda il corpo nella sua totalità, e non sol­ tanto l'arto o l'organo che sembra colpito. Avvertita ormai come un accumulo di scorie all'interno dell'organismo, la stanchezza fisica vie­ ne assimilata a un avvelenamento6. n credito accordato a questa teo­ ria tossica influenza, nello stesso tempo, la riflessione dedicata alle at­ tività sportive. Qualsiasi sforzo muscolare violento, generalizzato e prolungato rischia, infatti, di provocare un'autointossicazione. Allo­ ra comincia a svilupparsi la critica dell'abuso sportivo, rafforzata da una serie di misurazioni quali la spirometria, la termometria, l'anali­ si della tossicità delle urine e lo studio del ritmo cardiaco. È dunque sbagliato continuare a concepire il corpo come una macchina 7• A differenza di questa, l'organismo è soggetto alle leggi dell'esaurimento, che «non cresce in proporzione al lavoro fatto»8. Una stessa fatica diventa più pesante per il corpo quando è già stan­ co. Il muscolo, in tal caso, è obbligato a «fare appello alle forze che teneva di riserva» e il sistema nervoso «a entrare in gioco più attiva­ mente». Inoltre, è importante distinguere la stanchezza misurabile, che si manifesta con una diminuzione della forza muscolare, dalla sensazione interna di stanchezza - la lassitude dei francesi, il weari­ ness degli inglesi, la Miidigket"t dei tedeschi - che sfugge alla misura­ zione. Queste sensazioni, distinte dallo sfinimento muscolare avver­ tito come un'intossicazione, generano un'altra figura dell'affatica­ mento, che viene percepito come una diminuzione dell'eccitabilità9. Tale abbattimento può essere considerato un sistema di difesa del-

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l'organismo e comporta un grave rischio: quello della diminuzione, quando non della perdita, della sensibilità alla fatica stessa. Le ricerche condotte dai fisiologi permettono di fissare alcune leg­ gi. La soglia di fatica si rivela molto diversa a seconda degli individui. Che si tratti di lavoro, di attività sessuale, di bere o di mangiare, la re­ sistenza all 'eccesso presenta forti variazioni. n che porta a conclude­ re che è diverso anche il bisogno di riposo. S'impone allora un'altra constatazione, questa volta meno banale: la «faticabilità fisica» e la «faticabilità intellettuale» variano in modo indipendente da un indi­ viduo all'altro. Esistono persone robuste che non possono sopporta­ re la lettura di un romanzo, o addirittura di un giornale, come non riescono a scrivere una lettera10. Una delle caratteristiche più intime con cui si definisce un individuo è proprio il modo in cui si stanca; tanto più che questo segno d'idiosincrasia si rivela costante. Una serie di fattori modificano la capacità di resistenza alla fatica. Questa è la seconda legge allora formulata. La stagione, la dieta ali­ mentare, la qualità e la durata del riposo, l'intensità delle emozioni, l'interferenza della stanchezza intellettuale hanno un peso notevole. Se si dorme male, se si digerisce male, le curve subiscono delle mo­ dificazioni. In compenso, l'allenamento - oggetto di innumerevoli esperimenti - accresce la resistenza dei muscoli e quella del cervel­ lo1 1 . Tale constatazione è alla base dell'esaltazione della 'forma', co­ me delle sue connotazioni di ordine etico. Diversa dallo stato di ri­ poso, quest'ultima nozione, derivata dagli studi dedicati alla stan­ chezza, giustifica nuove imposizioni e nuove rivendicazioni. Nel momento in cui cambia il secolo, stanchezza, 'forma', allena­ mento, riposo, entrano a far parte di un rapporto divenuto molto complesso. Si afferma la convinzione che esiste un tipo di riposo che può nuocere al lavoro e all'impresa sportiva: quello che viene a in­ terrompere dei periodi di allenamento. È il motivo per cui gli specia­ listi cercano di definire la durata dell'esercizio necessario all'acquisi­ zione della forma nei diversi sport. L'attività di ricerca nel suo insieme dimostra scientificamente la necessità di ritemprare periodicamente le forze. Ciò giustifica lo stu­ dio specifico della fatica industriale: «L'operaio che persiste nel lavo­ ro quando è già stanco, produce un effetto utile minore»12; gli è ne­ cessario il riposo. La macchina, si fa notare regolarmente nel periodo di cui ci occu­ piamo, non serve a ridurre la fatica dell'uomo, come per molto tem­ po si era sperato. n movimento dei volani e delle cinghie, il ritmo dei martelli e dei pistoni sono spesso in contrasto con quelli del corpo

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umano. La discordanza che si awerte tra un tempo meccanico e un tempo fisiologico costituisce una delle ossessioni del decennio suc­ cessivo al 1 890. L'uomo è condannato a seguire la macchina; ma que­ sta non ha bisogno di riposarsi e impone a chi la dirige o, più sem­ plicemente, la sorveglia, un'attenzione che dipende strettamente dal­ le condizioni fisiche in cui si trova. A lunga scadenza, con l'intensità delle stanchezze inedite di cui è causa, la meccanizzazione rischia di provocare una degenerazione della razza. Simili prospettive impon­ gono una ricerca fisiologica e psicologica che non possono compiere gli uomini politici o i teorici del socialismo, e nemmeno i filantropi. Nel campo dell'industria, osservano questi studiosi, «le leggi scientifiche del lavoro [ . . . ] sostituiscono all'abilità manuale ereditaria [ . ] procedimenti universali»13. Si awerte l'esigenza di organizzare razionalmente le forze umane, di sviluppare una scienza fondamen­ tale, in origine essenzialmente tedesca, che superi la semplice razio­ nalizzazione del lavoro proposta da Frederick Taylor nei suoi Princi­ pi di organizzazione scienti/z'ca delle fabbriche. Tale ricerca è per noi di fondamentale importanza, in quanto ha giustificato il riposo, gestito il calcolo delle soglie di stanchezza e determinato la durata del lavo­ ro e delle sue interruzioni. Gli studi di Taylor non si collocano esat­ tamente in questa prospettiva. Certo, egli ha dimostrato, soprattutto con esperimenti e osservazioni sul trasporto dei carichi, che gli ope­ rai non usano spontaneamente le loro forze in modo da raggiungere il minimo di affaticamento. Ma Taylor ha trascurato la funzione ri­ posante del movimento inutile e, inversamente, l'effetto stancante della monotonia. In una parola, il suo vero obiettivo è il tempo, non la stanchezza. Al contrario, la fisiologia industriale sperimentale ha lo scopo di determinare «il minimo di affaticamento a parità di produ­ zione o il massimo di produzione a parità di affaticamento»14. Essa si basa sull'esame degli effetti fisiologici e psicologici del la­ voro. L'analisi delle forme di stanchezza implica innanzitutto lo stu­ dio della respirazione15, della circolazione sanguigna - misurazione della pressione, conteggio delle pulsazioni -, della potenza muscola­ re e del metabolismo generale. Presuppone inoltre la considerazione delle periodicità, dei ritmi o, meglio, degli andamenti ritmici delle forme di affaticamento industriale. Tutte queste osservazioni per­ mettono di calcolare gli sforzi; che si tratti di camminare con o senza carico, di correre, di arrampicarsi, di maneggiare attrezzi - martello, sega, badile, cesoie - o di praticare uno sport. Quest'attività scientifica, che è di competenza della fisiologia, è accompagnata da ricerche di psicologia industriale. Quest'ultima . .

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comporta lo studio degli effetti della stanchezza nervosa e dell'atti­ vità intellettuale sull'intensità dell'attenzione. Rinnova anche l'antica igiene dei precepta attraverso l'analisi delle condizioni dell'uso dei sensi e del modo in cui questi svolgono il loro ruolo di regolatori dei movimenti. La psicofisiologia industriale analizza le forme di stan­ chezza sensoriali; a questo scopo prende in considerazione «l'azione del campo acustico»16, le modalità specifiche dell'usura nervosa del telefonista, gli effetti dell'attenzione visiva della sarta. Gli obiettivi di tale attività scientifica sono molteplici: si tratta, in­ nanzitutto, di «dosare le componenti del lavoro affinché i muscoli si contraggano senza dolore e senza eccessivo affaticamento locale»17• La psicologia del lavoro si propone di individuare le qualità mentali e le condizioni psicologiche che determinano il miglior rendimento. La sua ambizione è, in fin dei conti, riuscire a definire i mezzi educa­ tivi18 suscettibili di sviluppare al massimo le facoltà di cui hanno bi­ sogno l'industria e il commercio. La scienza industriale porta, in ef­ fetti, a raccomandare forme di educazione generale dell'operaio e procedimenti di selezione della manodopera basati sulla determina­ zione delle attitudini. Un esempio aiuterà a capire questo modo di procedere: Jules Amar, direttore del laboratorio di ricerche sul lavoro professionale istituito presso il CNAM [Conservatorio Nazionale Arti e Mestieri] , pubblica, nel 1914, un libro intitolato Le Moteur humain et !es bases scienti/iques du travail pro/essionnel. In esso, consiglia agli imprendi­ tori e agli ingegneri di variare le occupazioni «affinché non siano co­ stantemente sollecitati gli stessi centri nervosi». Sottolinea la neces­ sità di evitare la noia, di aumentare le distrazioni, gli spettacoli, i rac­ conti, le conferenze, di proporre «emozioni di un genere diverso» da quelle provocate dal tempo di lavoro. Chiede di sorvegliare le in­ fluenze morali a cui è sottoposto l'operaio. Mette in evidenza l'esi­ genza di soddisfazione, la funzione benefica del buonumore che fa dimenticare la stanchezza. Bisogna, consiglia ancora, adattare il tipo di lavoro alle attitudini di ogni individuo e, soprattutto, «evitare di contrastare le inclinazioni»19. Lo studio dell'affaticamento industriale non si riduce a questa lo­ gica selettiva. Al contrario, ha conseguenze fondamentali per ciò di cui stiamo parlando. Con un procedimento improntato a una prete­ sa modernità, si propone di fissare la durata dello stato di riposo ne­ cessario alla depurazione dell'organismo, all'eliminazione delle sco­ rie accumulate nei muscoli, nel sangue, nelle urine. L'interruzione settimanale del lavoro, per esempio, ha l'effetto particolarmente feli-

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ce di riposare, senza peraltro attenuare gli effetti benefici dell'allena­ mento. Questi studi si concludono con l'elogio del sonno e con la deter­ minazione delle sue caratteristiche ottimali. Esso deve durare alme­ no sette ore. È opportuno che abbia luogo di notte, lontano dall'agi­ tazione, «quando intorno tutto tace»20• Un modo restrittivo di consi­ derare il sonno, perché, contemporaneamente, altri scienziati sottoli­ neano che la sua funzione non può essere ridotta al recupero della forza lavoro. Quest'attività, sempre avvertita come misteriosa, ubbi­ disce a una legge di periodicità, d'intermittenza. Il sonno è in rela­ zione con la veglia e non necessariamente con la stanchezza. La stan­ chezza, infatti, impedisce molto spesso di prendere sonno21• L'attività scientifica sviluppata nel periodo di passaggio fra i due secoli accompagna e giustifica, insieme, l'evoluzione della durata del tempo libero e i cambiamenti del suo contenuto. Si armonizza col crescente bisogno di distrazione che si osserva nell'andamento degli svaghi cittadini22, come pure con la maggiore attenzione rivolta alla soddisfazione dei desideri individuali. La Prima guerra mondiale serve di stimolo allo studio della stan­ chezza industriale, in particolare tra gli Alleati. I protocolli di ricerca si precisano durante il conflitto, e l'immediato dopoguerra può esse­ re considerato l'età dell'oro di questa nuova branca del sapere, so­ prattutto oltreoceano. L'analisi quantitativa e seriale degli incidenti sul lavoro, lo studio delle «perdite di tempo» «evitabili e inevitabili» confermano i lavori di psicofisiologia sperimentale. Vengono elabo­ rate batterie di test che completano le ricerche effettuate in labora­ torio. Per esempio, Philip Sargent Florence23 analizza i tipi di affati­ camento e misura i risultati del lavoro svolto secondo i giorni della settimana, la natura dei compiti, il sesso, l'età e la razza dei lavorato­ ri, la durata, l'intensità e le condizioni dell'attività. Questo studio del­ le correlazioni è all'origine di una quantità di pubblicazioni che esal­ tano i vantaggi sociali della profilassi della stanchezza. Una buona co­ noscenza delle soglie dovrebbe permettere, si pensa, di evitare il so­ vraffaticamento e dunque lo spreco di forze umane. L'insieme di queste ricerche porta alla condanna del lavoro not­ turno. I loro autori sottolineano con insistenza i vantaggi del riposo di breve durata: quello del sabato pomeriggio e quello procurato dal­ le pause che vengono a interrompere le mezze giornate di attività im­ pegnativa. È pur vero che questo cumulo di ricerche e di conclusioni peren­ torie ha finito per attirarsi delle critiche. Test e statistiche aventi per

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oggetto la stanchezza sono stati sapientemente contestati, per esem­ pio, dal dottor Dhers. Questi rimprovera a coloro che se ne servono l'indeterminatezza delle definizioni e la sopravvalutazione del ruolo del lavoro nella comparsa dei segni di affaticamento. Denuncia, inol­ tre, l'imprecisione delle soglie e delle scale. Ai suoi occhi, i ricercato­ ri non hanno tenuto sufficientemente conto della varietà delle forme che assume la stanchezza. Hanno quindi confuso un normale mezzo di difesa dell'organismo con lo stato patologico e con il senso di sa­ zietà, segno di inefficienza funzionale. Quasi sempre capita che siano trattate allo stesso modo una stanchezza oggettivabile, che si manife­ sta con un calo anormale dell'eccitabilità, e un'incontrollabile sensa­ zione di disgusto, che deriva da un'interpretazione soggettiva. Molti ricercatori non si curano di distinguere la stanchezza dal dolore pro­ vocato da uno sforzo esagerato o maldestro. La determinazione del­ le sedi rimane imprecisa e il vocabolario usato per descrivere i sinto­ mi presenta forti variazioni a seconda degli individui. Coloro che hanno effettuato i test hanno trascurato troppo spes­ so i fattori di perturbazione, gli effetti di laboratorio, la variabilità dei risultati secondo le circostanze. n confronto con gruppi di individui non afflitti da stanchezza è generalmente assente in questi lavori. So­ prattutto, questo tipo di studi tende a ignorare il soggetto, la sua sto­ ria, le sue abitudini, le sue condizioni di vita, le sue convinzioni. Infi­ ne, agli occhi del dottor Dhers, «gli studi sulla fisiologia della stan­ chezza presuppongono una conoscenza preliminare della fisiologia del riposo»24. In realtà, quest'ultima è quasi inesistente. Come pre­ tendere, allora, di trattare separatamente un elemento che è oppor­ tuno comprendere nella prospettiva di processi biologici che si alter­ nano? Le riflessioni, i lavori, i dibattiti dedicati al 'sovraffaticamento' propriamente detto superano ampiamente il campo della scienza del lavoro. Fra il 1870 e il 1914, l'argomento è di grande attualità; fra il 1880 e la fine del secolo, non è esagerato dire che si trasforma in os­ sessione. n sovraffaticamento lascia allora la sfera in cui l'aveva col­ locato, un tempo, il buon dottor Tissot ed entra anch'esso nell'era della fisiologia e della psicologia sperimentali. «La stanchezza nervo­ sa», «l'esaurimento nervoso» e la nevrastenia sono le cause della mag­ gior parte «delle infelicità e delle miserie individuali e sociali»25. Ta­ le convinzione è, all'epoca, largamente diffusa. Si può vedere in que­ sto la lontana metamorfosi dell'inquietudine descritta da Jean De­ prun26, a proposito del diciottesimo secolo e il permanere del legame allora stabilito fra i progressi della civiltà e quello delle malattie ner-

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vose. Quest'ossessione esprime anche la pregnanza della noia, la cui storia resta ancora da fare, contrariamente a quella dell'acedia me­ dievale e della malinconia dei Tempi moderni. Solo gli studiosi di let­ teratura si sono preoccupati di analizzarla, spesso sotto forma di spleen e rigorosamente all'interno del campo di loro competenza. Per comprendere a fondo l'influenza del sovraffaticamento, è be­ ne anche tener conto della paura suscitata dallo spettro dell'intossi­ cazione, in una fine secolo su cui grava la minaccia dei tanti veleni del­ lo spirito27. A questo timore si aggiunge, inoltre, l'ansia provocata dai grandi flagelli sociali d'ordine biologico. Per esempio, il sovraffatica­ mento può contribuire a rendere manifesta una sifilide ereditaria e ad aggravare l'esaurimento nervoso che ne è la caratteristica. Può anche indebolire la resistenza del degenerato. I dibattiti nel corso dei quali ci si scaglia contro certe mode lette­ rarie, come il 'nervosismo', esprimono anch'essi l'attenzione ansiosa rivolta al sovraffaticamento del cervello, proprio nel momento in cui si prende coscienza dell'importanza degli intellettuali in seno alla so­ cietà francese28. Tutto ciò contribuisce a fare di questa forma di stanchezza un sog­ getto di indagine autonomo. Sarebbe troppo lungo enumerare qui l'immensa serie di lavori di psicofisiologia sperimentale, in gran par­ te germanici29, che le sono dedicati in quel periodo. Alcuni si basano sullo studio della respirazione, della forza muscolare, dei ritmi car­ diaci, degli scambi nutritivi nel corso dello sforzo cerebrale; altri sul­ le variazioni dell'intensità del lavoro intellettuale secondo la sua du­ rata o il numero delle pause. Una serie di test misurano quindi la ve­ locità nel fare le addizioni, la qualità dei dettati e delle letture ad alta voce, gli effetti della ginnastica e le variazioni della sensibilità tattile. Accontentiamoci di parlare, in questo caso, della Francia. Qui il dibattito tende a focalizzarsi sul sovraffaticamento scolastico, come dimostra la controversia che ha diviso l'Accademia di medicina fra il 17 maggio e il 9 agosto del 1887. Essa merita che ci si soffermi un istante, perché ha influito sulla storia delle vacanze e dei ritmi scola­ stici. Proprio nel momento in cui trionfa, la scuola repubblicana vie­ ne messa sotto accusa dall'Accademia di medicina. La commissione formata a questo proposito arriva alla conclusione che i ragazzi sono sottoposti a una fatica eccessiva30. Confortata, a detta del suo relato­ re, dal consenso dell'opinione pubblica, critica l'estensione dei nuo­ vi programmi giudicati «enciclopedici». Il sovraffaticamento - ter­ mine preso a prestito dalla medicina veterinaria - è concepito da que­ sti medici come una stanchezza cerebrale che prepara il terreno alla

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malattia. Anche la durata giornaliera delle lezioni è oggetto di severe censure. Il dottor Dujardin-Beaumetz considera uno sproposito che i bambini dai sei ai dodici anni passino sette ore al giorno a studiare. Il moltiplicarsi delle «vittime scolastiche», degli «sgobboni tuberco­ lotici», dei «mutilati dell'intelligenza» conferma quest'eccesso. Il dottor Peter propone una nuova entità nosologica: la «cefalgia scola­ stica». «Abbiamo le nostre donne istruite, riconosce nel corso del di­ battito, ma in compenso abbiamo la febbre tifoidea.» Per contenere i danni di questo «insegnamento omicida», che è di ostacolo alle carriere liberali, fa aumentare le patologie e predispone alle epidemie, sarebbe opportuno che i licei e le scuole secondarie sor­ gessero in campagna. Sarebbe bene, inoltre, migliorare l'aerazione e l'illuminazione delle aule, dare impulso all'educazione fisica e allun­ gare la durata delle ricreazioni, in spazi convenientemente esposti. Sebbene le ricerche di psicofisiologia dedicate al sovraffaticamen­ to siano state anch'esse severamente criticate, in particolare dai dot­ tori Binet e Henri, e sebbene oggi certi esperimenti possano suscita­ re l'ilarità3 1, questo tentativo di indagine ha nondimeno contribuito a precisare la nozione di stanchezza intellettuale. L'attenzione pre­ stata in questo caso ai ritmi individuali e alla storia del soggetto32, l'a­ nalisi puntuale delle impressioni e delle loro interpretazioni hanno arricchito le osservazioni cliniche precedentemente riunite sotto il concetto di idiosincrasia. Viene abbozzata allora una sociologia del sovraffaticamento che contraddice molti luoghi comuni, sottolinean­ do maggiormente, per esempio, la fatica eccessiva degli uomini poli­ tici, degli uomini d'affari e di tutti quelli che subiscono una pressio­ ne psichica, rispetto a quella degli «uomini di studio», che hanno la disponibilità del loro tempo, possono riposarsi e sono meno sogget­ ti all'imposizione di nuove regolarità. Una ricerca scientifica intensa e multiforme si è sviluppata in coin­ cidenza con l'espandersi del tempo libero e ha contribuito a sottoli­ neare la complessità dei processi. «L'umanità è diventata a un tempo più delicata e più resistente, più sensibile alla stanchezza e più pa­ ziente al lavoro, più impressionabile, ma anche più capace di sop­ portare potenti irritazioni»33 , osserva Angelo Mosso. Tale ricerca scientifica costituisce uno sfondo che aiuta a cogliere la logica delle argomentazioni, il tenore dei dibattiti e le forme dell'azione di tutti quelli che in quel momento si adoperano per la riduzione del tempo di lavoro.

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La riduzione pura e semplice del tempo di lavoro degli operai e degli impiegati non costituisce l'argomento centrale di questo libro34. Tuttavia, se non ne rievocassimo rapidamente le tappe, i capitoli che seguono rimarrebbero incomprensibili. È quindi opportuno riper­ correre, a grandi linee, quella che quasi sempre viene presentata co­ me una conquista del proletariato. Esistono però diversi sociologi che, al seguito di David Riesman, contestano la veridicità di que­ st' asserzione. Essi ritengono che l'aumento del tempo disponibile de­ rivi da una logica interna; che il tempo dominante del lavoro abbia generato da solo la propria riduzione35. In una parola, gli incremen­ ti di produttività, risultato di un'efficienza crescente, avrebbero avu­ to, ai loro occhi, un ruolo ben più determinante delle rivendicazioni e delle lotte. Checché se ne pensi, le rivendicazioni, i conflitti, l'ela­ borazione di una legislazione e la diffusione delle nuove regole che essa impone hanno contribuito a fare del tempo libero un nuovo tem­ po sociale e a delinearne la configurazione36• A questo proposito, il Regno Unito costituisce, ancora una volta, un laboratorio privilegiato. Nel 1836, il Comitato per la riduzione del tempo di lavoro fa affiggere un manifesto con cui invita a un'assem­ blea gli abitanti della città di Pudsey. «Scopo dell'incontro è ottene­ re del tempo per il riposo e per il gioco [ . ] , per l'educazione lette­ raria mediante le scuole serali e, soprattutto, per l'istruzione religio­ sa degli operai»37• A questo stadio della ristrutturazione dei tempi so­ ciali, la sostanza degli obiettivi che compongono la nozione di svago popolare all'interno della classe dirigente è già definita. Vent'anni do­ po ( 1 856), John Fitzgerald pubblica Il dovere di procurare più riposo alla classe operaia . . 38. E non è che un esempio. L'opuscolo riproduce la parte essenziale dell'elenco delle rivendicazioni contenute nel ma­ nifesto del 183 6. L'autore reclama la possibilità, per l'operaio, di go­ dere di tre tipi di tempo libero. Il primo sarà destinato all'esercizio fi­ sico, il secondo alla lettura e al perfezionamento intellettuale, il terzo al riposo completo, come dire, fondamentalmente, alle gioie della fa­ miglia e della conversazione. Con maggior chiarezza rispetto all' au­ tore del manifesto citato in precedenza, quello dell'opuscolo collega quest'insieme di rivendicazioni al rispetto della domenica e alla pos­ sibilità di attenerlo per mezzo della libertà del sabato pomeriggio. Di­ mostra in tal modo una precoce comprensione della logica dei nuovi tempi sociali. Bisogna dire che, in Gran Bretagna, lo sviluppo delle scuole domenicali, poi delle scuole di fabbrica, aveva permesso di ga..

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rantire già da parecchio tempo la promozione della cultura, la mora­ lizzazione e l'osservanza della domenica. L'attività dei Mechanic's In­ stitutes e delle società operaie di mutuo soccorso rispecchiavano lo stesso tipo di finalità. In Francia, il posto occupato nel corso del diciannovesimo secolo dalla rivendicazione del tempo libero all'interno del movimento ope­ raio è oggetto di discussione. Questo desiderio non aveva molto spa­ zio nel repertorio delle richieste operaie39. La maggior parte degli specialisti ne ha tratto la convinzione che i lavoratori francesi non at­ tribuissero molta importanza al tempo libero. Tale asserzione è sicu­ ramente troppo affrettata. Per valutare correttamente la relativa ti­ midezza di questa rivendicazione, bisogna tener conto della strategia dello sciopero, della coscienza di ciò che era più opportuno chiede­ re per conciliarsi l'opinione pubblica e piegare il padronato. In que­ sta prospettiva, reclamare del tempo libero poteva apparire impru­ dente. È bene dunque non arrivare troppo in fretta alla conclusione che si trattasse di una negligenza, a sua volta segno di una modicità del desiderio. Come si è imposto il tempo libero? Come viene distribuito nel cor­ so della giornata, della settimana, dell'anno? Un risultato globale per­ mette di misurare esattamente l'aumento del tempo disponibile. La tabella riguarda la Francia40.

1 850 1900 1 980

Durata annua del tempo di lavoro

Durata globale del lavoro nel ciclo di vita

Tempo totale di veglia (base 16 ore) secondo la speranza di vita

5 . 000 3 .200 1 .650

1 85 .000 ore 1 2 1 .600 ore 75 .550 ore

2 62.000 2 92.000 420.480

ore ore ore

ore ore ore

Tempo di lavoro nel tempo totale di veglia

70% 42% 18%

Quest'evoluzione risulta in parte dalla riduzione della giornata di lavoro. Si tratta di un processo abbondantemente studiato41 e che, ri­ petiamolo, non fa parte direttamente del nostro discorso. Ricordia­ mo tuttavia, a grandi linee, questa difficile conquista prima di attar­ darci sui dibattiti suscitati dalla domenica e dai suoi usi. In Inghilterra, il Ten Hours Act del 1847 istituisce la giornata la­ vorativa di dieci ore per le donne e i bambini impiegati nel settore tes­ sile. Tale beneficio si estende a poco a poco a tutti i rami dell'indu­ stria. Inoltre, a partire dal 1850 si diffonde lentamente l'uso della

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mezza giornata di vacanza il sabato. Alla fine del secolo, entrambe le consuetudini si sono generalizzate oltremanica. La giornata di lavoro di otto ore era stata invocata da Robert Owen già nel 183 3 . I lavoratori di Melbourne l'avevano ottenuta nel 1 856. Nel 1866 il congresso dell'ATT riunito a Ginevra aveva votato una risoluzione in tal senso. Questa rivendicazione provoca una gran­ de manifestazione a Chicago nel 1 886 e il National Labor Union ne fa allora il suo cavallo di battaglia. Nel 1889 il congresso socialista di Parigi adotta l'idea di un Primo Maggio internazionale destinato ad appoggiare la stessa richiesta. In seguito a questa campagna, i diversi paesi adottano, uno dopo l'altro, la regola dei «tre-otto». I più restii si decidono nel 1919, do­ po che il principio è stato riaffermato in occasione di una conferenza internazionale riunita a Washington. È questo il caso della Francia il 23 aprile 1919. Le tante proposte di legge formulate in questo senso tra il 1880 e il 1907 erano state tutte bocciate, e la giornata di lavoro di dieci ore, decisa in precedenza a Parigi col decreto del 2 marzo 1848 - ben presto abrogato -, si era generalizzata soltanto all'indo­ mani della legge del 4 luglio 1912. La storia della domenica va molto al di là del nostro tema. Essa ri­ flette la dissacrazione del tempo; accompagna l'evoluzione delle for­ me di socialità; esprime la modernizzazione degli usi del tempo libe­ ro; segue i modi di presentazione di sé e le metamorfosi del «corpo domenicale»42. Per questa sua dipendenza da diversi fattori, ha una sua specificità all'interno della gamma delle rappresentazioni e degli usi sociali del tempo. Due riferimenti ricorrono con insistenza. Nel corso dei dibattiti suscitati dal lavoro della domenica, si fa allusione continuamente al Regno Unito. Già nel 1891, una ricerca della Lord's Day Observance Society, effettuata secondo i rami di attività, dimostra che il riposo domenicale è largamente rispettato oltremanica43 . A dire il vero, que­ st'usanza appartiene qui al campo dell'inespresso. Durante i primi trent'anni del diciannovesimo secolo, la domenica rappresentava già uno dei bersagli principali dei metodisti. A seconda dei luoghi, i fe­ deli si vedevano proibire la passeggiata, salvo che in direzione del tempio, la lettura, salvo quella della Bibbia, e persino la visita ai pa­ renti. Insomma, «la terribile domenica vittoriana s'impose progressi­ vamente prima ancora che Vittoria nascesse»44• Alla fine del secolo, il cittadino a cui è consentito lavorare fa raramente uso di questa li­ bertà. Il riposo domenicale, si usa ripetere, è un'istituzione «che ha radici nell'anima della nazione britannica»45 • All'esterno, è awertito

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come uno dei pilastri della potenza inglese. Sul continente questa convinzione costituisce un argomento importante a favore dell'e­ stensione di questa forma di tempo libero. Già nel 1 848 lord Macauly collegava la prosperità britannica al riposo del settimo giorno, e si di­ ce che Gladstone si vantasse di averlo sempre rispettato. li riferimento alla situazione americana si rivela appena meno fre­ quente. Nel 1889, per esempio, Louis Sautter, una delle anime della lotta, assicura che oltreoceano le leggi che impongono il rispetto del­ la domenica (Sunday Laws) arrivano «persino a interrompere il traf­ fico, far chiudere gli stabilimenti e le officine, vietare la caccia, i gio­ chi e gli spettacoli»46• Questa legislazione, rigorosamente rispettata, risale alle origini della nazione americana. Fra il periodo immediatamente successivo al 1860 e il 1906, anno della legge che istituisce in Francia il riposo settimanale, quest'ultimo - molto spesso sotto forma di riposo domenicale - viene rivendicato con sempre maggiore fermezza. Esso concorda con le nuove conce­ zioni della stanchezza e con la crescente attenzione riservata alla di­ gnità del lavoratore. I protagonisti della lotta vengono da orizzonti diversi. Soprattutto in Francia, il clero cattolico si batte con accani­ mento, dall'inizio del Primo Impero, in favore del rispetto del giorno del Signore. Ancora prima del 1880, anno dell'abrogazione di una legge del 1 8 14 che obbligava - teoricamente - a sospendere il lavoro in quel giorno, una serie di scritti cattolici si erano proposti come obiettivo l'osservanza del riposo domenicale47. Negli ambienti pro­ testanti, la lotta era altrettanto ostinata. L'impulso è venuto dalla Sviz­ zera, e più precisamente dagli ambienti formati da quelli che sono sta­ ti chiamati imprenditori morali48• All'interno della Confederazione elvetica, abbondano le società costituite espressamente per questo scopo. A Ginevra, Losanna, Berna, San Gallo e Vevey, ma anche a Londra, a Rotterdam, a Copenaghen e a Parigi, alcune associazioni protestanti danno inizio ben presto alla battaglia49. Gli uomini politici sembrano meno decisi. In Francia, tuttavia, di­ versi riformatori sociali hanno anch'essi ingaggiato la lotta su questo terreno. Nasce un movimento composito, in cui Paul Leroy-Beaulieu e Jules Simon, il repubblicano, si trovano fianco a fianco con Frédé­ ric La Play, il difensore della famiglia tradizionale, e col senatore Bé­ renger, detto «papà pudore», infaticabile persecutore di tutte le for­ me di immoralità. Fra i militanti più attivi, si notano, cosa tutt'altro che imprevedibile, impiegati del commercio e alcuni operai dei set­ tori più direttamente interessati. All'interno del movimento operaio e tra i pensatori socialisti, l'atteggiamento è più morbido, almeno in

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Francia. Qui l'attenzione tende a concentrarsi sulla rivendicazione dei «tre-otto». Le ragioni di questa riluttanza sono diverse. Alcuni te­ mono che il riposo domenicale comporti una diminuzione del sala­ rio. Altri vi vedono un impedimento alla libertà del lavoro. L'obbligo di sospendere le proprie attività la domenica appare a molti come un provvedimento che fa parte del processo tendente a imporre alla ma­ nodopera una rigida disciplina. E ciò è sufficiente a creare preoccu­ pazione. Inoltre, esso sembra dover rafforzare l'influenza clericale, con grande timore dei militanti repubblicani ansiosi di promuovere la laicizzazione della società. Esistono tuttavia alcune eccezioni a questa ritrosia. Prima Augu­ ste Comte, che distingue il riposo dall'ozio, Pierre-]oseph Proudhon e Pierre Leroux, poi Camille Beausoleil, che dedica all'argomento una relazione dettagliata nel 1898, e Jean Jaurès hanno reclamato e giustificato il riposo settimanale - se non domenicale. n libro del se­ condo, intitolato De la célébration du dimanche considerée sous le rap­

port de thygiène publique, de la morale, des relations de /amille et de cité, costituisce un'opera di riferimento in questi ambienti.

L'elenco degli argomenti presentati a sostegno del rispetto della domenica sembra più ricco e più vario di quello che raccomanda la diminuzione della durata del lavoro quotidiano. I dibattiti si rivelano più vivaci di quelli che, più tardi, saranno suscitati dalle ferie pagate. n libero esercizio del culto continua a essere un argomento di primo piano. All'interno del clero francese, non si contano le lettere e le pa­ storali episcopali, i sermoni e le omelie che hanno per oggetto il ri­ spetto della domenica. I questionari delle visite pastorali rispecchia­ no il timore della profanazione del giorno del Signore, spesso assimi­ lata alla bestemmia50. A questo proposito, il riferimento biblico è più preciso tra i protestanti. n riposo che Dio ha voluto concedersi il set­ timo giorno, ricorda per esempio il pastore Léopold Monod, sugge­ risce il modello della settimana dell'uomo. È questo che ha dato un senso alla creazione. Insieme alla necessità di interrompere il lavoro, e in pieno accordo con questo modello, è il bisogno di conferire un significato alla fatica degli altri sei giorni che crea la nobiltà e la sa­ cralità del riposo domenicale. Come il sonno della notte, questo è un tempo da benedire. Ma mentre il riposo notturno è solo quello del­ l'incoscienza, destinato a ritemprare le forze muscolari e nervose, la domenica offre «Un riposo in cui si coltivano le sante determinazio­ ni, in cui si sviluppa l'energia personale, in cui si forma il carattere»5 1 . Le considerazioni d'ordine civico appaiono poco nel dibattito; sal­ vo sotto l'aspetto economico. Il riposo settimanale viene spesso pre-

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sentato come un mezzo per accrescere la produttività e dunque per contribuire alla prosperità e alla potenza della nazione52• Ma ciò che conta è il primato degli argomenti relativi all'igiene e alla salute. n ri­ spetto della domenica concorda con la fisiologia e la psicologia della stanchezza. Già nel 1889, un medico di Basilea, Haegler, in un libro divenuto ben presto un riferimento indispensabile53 , sviluppa il se­ guente ragionamento. L'uomo ha bisogno di due tipi di riposo. n pri­ mo, di breve durata, è procurato dal tempo libero serale, dal riposo notturno e dalle pause che interrompono il lavoro. Questi «bisogni di ricreazione più immediati» giustificano la limitazione della gior­ nata lavorativa a otto ore. Ma esiste un altro riposo, destinato, que­ sto, a ristabilire «l'elasticità del corpo e della mente»; è quello della domenica. Interrompere il lavoro un giorno su sette risponde a una «legge naturale»; è proprio per questa ragione che, in Francia, è fal­ lito l'esperimento del decadì54• Anche i cavalli da fiacre rimangono nella scuderia un giorno alla settimana. n riposo settimanale dà la possibilità di ritemprare i polmoni, di ristabilire la circolazione sanguigna e la sensibilità sensoriale, di cal­ mare il sistema nervoso, di ripristinare la capacità di attenzione e di ragionamento logico. Il rispetto della domenica elimina il pericolo del sovraffaticamento. Previene il deperimento fisico, la comparsa delle infermità, gli incidenti sul lavoro, le catastrofi ferroviarie. Il la­ voratore riposato non ha bisogno di ricorrere all'acquavite. La do­ menica attenua quindi i rischi che corre la discendenza dell'operaio. n dottor Féré insiste, così, sulla virtù che ha il riposo settimanale di esorcizzare la degenerazione55. Ma i vantaggi di questa interruzione regolare del lavoro non sono solo questi. n rispetto della domenica comporta una diminuzione dei suicidi e dei delitti. Favorisce il risparmio. La serie degli argomenti di ordine sanitario si trasforma ben presto in un'arringa in favore di una morale sociale laicizzata. n diritto al riposo settimanale viene presen­ tato come un corollario del diritto al lavoro56. Esso contribuisce alla dignità dell'uomo, permette la soddisfazione dei «bisogni più elevati dell'essere» e «il ritorno regolare della forza morale»57• L'individuo deve avere il diritto di essere «padrone di una parte del suo tempo, delle sue membra e della sua persona»58. Questo bisogno diventa an­ cora più evidente con l'uso della macchina; di conseguenza, riguarda più l'operaio che l'artigiano, che dispone con maggiore facilità del suo tempo. Tutto questo richiede che il riposo domenicale possieda diverse caratteristiche. Innanzitutto dev'essere simultaneo e uguale per tutti.

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È una questione di atmosfera. La vera domenica «ha bisogno del ve­ stito da festa»59• Presuppone un' «impronta generale di pulizia, di cal­ ma, di elevazione morale e spirituale», una possibile comunione de­ gli individui nella libertà. All'interno di tutti i gruppi favorevoli al ri­ poso settimanale, associazioni, opere benefiche o sindacati, si vuole vedere in esso un'occasione per rendere più stretto il legame socia­ lé0. In Francia, questo tipo di rivendicazione si accorda con le nuo­ ve abitudini sociali suscitate da un desiderio di ascesa più forte che in precedenza. n fatto di vestirsi a festa e passeggiare per i viali signi­ fica, per il lavoratore, godere di piaceri inerenti alla qualità stessa del­ la domenica. Inoltre, la simultaneità di questo riposo, si usa ripetere non senza qualche contraddizione, favorisce l'accesso alla bellezza, offre cioè la possibilità di praticare attività letterarie e artistiche. È importante infatti - e qui sta la seconda contraddizione conti­ nuamente reiterata dai sostenitori del riposo domenicale - che que­ sto settimo giorno sia occupato dalla buona ricreazione, che costitui­ sca una «scuola di moralità»61, una propedeutica del tempo modera­ to. La domenica impone dei doveri. Dev'essere un tempo di libertà, non di pigrizia. In quel giorno, il lavoratore eviterà, beninteso, «i pia­ ceri smodati», «l'inerzia totale, indolente, in abiti sudici, su un letto e in una camera angusta»62• Sarà opportuno che si scelga un"occu­ pazione' per evitare il vuoto e la noia. Questa dovrà essere, contem­ poraneamente, «facile, scelta spontaneamente, piacevole e allegra». La domenica, il lavoratore deve ricercare l'aria pura, la riserva di os­ sigeno. Altrimenti, trascorrerà il suo riposo «in abiti puliti, in una ca­ sa linda e ordinata»; il che presuppone la libertà del sabato pomerig­ gio, che gli consenta di fare il bagno, pulire la casa, fare il bucato, sti­ rare e accomodare la biancheria. I militanti che invocano il riposo settimanale lo concepiscono co­ me un tempo consacrato alla pienezza della vita familiare. Questa è un'argomentazione destinata a convincere l'opinione pubblica, con­ viene quindi rivestire la domenica di tutte le attrattive possibili. Jules Simon, d'accordo con Frédéric Le Play, esalta la passeggiata fatta in­ sieme da tutta la famiglia. Nel 1905 , il senatore Poirier, relatore del­ la legge sul riposo settimanale, decanta il piacere di «assaporare la gioia ingenua dei bambini». Bisogna che, in quel giorno, il lavorato­ re possa consigliare e guidare i suoi congiunti. In breve, la rivendicazione del riposo domenicale (o settimanale) si accorda, insieme, con la nuova influenza dei riti della vita privata all'interno delle classi popolari e con lo sviluppo di quelli che si in­ ventano nello spazio pubblico delle grandi città. Grazie a questo nuo-

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vo tempo di svago, assicurano i militanti, si attenuerà nel lavoratore il timore del matrimonio63 • Il numero dei divorzi calerà, mentre risa­ lirà quello dei concepimenti. In Francia, la domenica permetterà di prevenire «l'orgia del lunedì», e dunque «l'abbrutimento del mar­ tedì». Coloro che militano in favore del riposo domenicale se la pren­ dono, infatti, col lunedì non lavorativo. In quel giorno l'operaio non si riposa in famiglia; preferisce andare all'osteria dove, fra compagni, «si può parlare tranquillamente». Lo sfasamento del tempo di riposo all'interno della coppia fa sì che l'operaio lasci «sua moglie sola e sen­ za niente da fare la domenica»64, cosa che non è esente da rischi mo­ rali. Il riposo settimanale è visto, inoltre, come fattore di pace socia­ le. Evita che il lavoratore s'inasprisca, contribuisce a formare il giu­ dizio, favorisce l'accesso alla verità. Entra quindi nella lotta condot­ ta contro le idee rivoluzionarie e permette di evitare lo sciopero65. Ma il riposo domenicale ha anche i suoi avversari. L'ostilità è par­ ticolarmente forte all'interno delle camere di commercio. In Francia, in particolare, i proprietari delle panetterie, delle macellerie e dei ne­ gozi di lusso, si oppongono tenacemente al riposo settimanale. Biso­ gna dire che in questo paese l'ostilità ha radici nella tradizione; fa par­ te della difesa di certe particolarità nazionali. I francesi temono la do­ menica spenta e silenziosa, il noioso Sunday degli inglesi66. Il mante­ nimento dell'apertura delle pasticcerie, che consente di comprare il dolce, magari all'uscita dalla messa, ha valore di simbolo nazionale. In campagna come in città, è consuetudine fare gli acquisti la dome­ nica mattina. Molti proprietari sottolineano il rischio di veder calare la produ­ zione nazionale. Agitano il fantasma del riposo disonesto, tanto più che nella Francia del tempo gli usi della domenica si modificano. Il giorno del Signore tende a perdere la sua sacralità e ad apparire sem­ pre di più come un tempo destinato al piaceré7. Ci restano da esaminare i mezzi della lotta e le tappe della con­ quista del riposo settimanale, quasi sempre domenicale. Ancora pri­ ma della metà del secolo, si erano formate diverse 'associazioni' che avevano lo scopo di predicare l'interruzione del lavoro nel settimo giorno della settimana. In Gran Bretagna facevano parte della lotta condotta in favore delle «distrazioni razionali» e ricalcavano il mo­ dello del movimento per la temperanza. In Francia, assumevano, più decisamente, l'aspetto di organizzazioni clericali. Alcune di queste associazioni erano semplici sezioni di società con obiettivi più ampi, altre erano solo comitati temporanei, altre ancora costituivano delle

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autentiche «società domenicali», spesso di ispirazione confessionale, quasi sempre aperte a tutti i militanti. In seguito, queste associazioni cominciano a riunirsi. Nel 1876 si costituisce a Ginevra una Federazione internazionale. Da quel mo­ mento, i congressi o le conferenze internazionali si susseguono a sca­ denze regolari. Nel 1889, il Congresso internazionale sul riposo set­ timanale dal punto di vista igienico e sociale porta il problema all'at­ tenzione dell'opinione pubblica francese. Nel 1900, il senatore Bé­ renger, presidente della Lega popolare per il riposo della domenica in Francia, una delle tante leghe per la moralità che patrocina, pre­ siede un nuovo congresso internazionale riunito a Parigi. I mezzi di azione di questi militanti sono molteplici; le associazio­ ni in difesa del riposo domenicale partecipano alle Esposizioni uni­ versali. Il movimento ha la sua stampa. Nel 1889, il «Bulletin domi­ nical», stampato a Ginevra e redatto in francese, ha una tiratura di quindicimila copié8. A Basilea, «L'Amico della domenica», in lingua tedesca, ha una larga diffusione. A tutto questo si deve aggiungere una fitta serie di manifesti e volantini, per non parlare degli innume­ revoli opuscoli. I militanti tengono continuamente discorsi in pub­ blico. Sommergono di petizioni e iniziative le municipalità delle gran­ di città. Organizzano, qua e là, il boicottaggio domenicale dei nego­ zi. Qualche volta l'azione assume forme più brutali. In Francia, in particolare, certe botteghe vengono chiuse con la forza e si lanciano sassi contro le vetrine. I sostenitori del riposo domenicale si appellano all'etica indivi­ duale. Fénelon Gibon69 chiede, per esempio, ai suoi lettori di «non comprare niente, [di] non farsi consegnare niente, [di] non imposta­ re niente, [di] non far lavorare i propri domestici, i propri operai» la domenica. La lotta ha ormai un lungo elenco di bersagli: i negozi di lusso e gli empori, le ditte che effettuano consegne a domicilio, gli uf­ fici postali, le edicole di giornali, le stazioni e le caserme. I militanti denunciano, inoltre, l'abitudine di corrispondere per la domenica una paga maggiorata70. Nel 1889 viene posta ufficialmente la que­ stione del riposo settimanale dei proprietari. I risultati di quest'azione multiforme sono incontestabili. Già nel 1 877 è promulgata, in Svizzera, una legge che impone il riposo do­ menicale. Da quel momento, in Europa si delineano due blocchi71• I regni settentrionali, di tradizione protestante, quindi gli imperi cen­ trali adottano, uno dopo l'altro, misure atte a favorire o a imporre il riposo della domenica. Del tutto diversa è la situazione nell'Europa meridionale. In Italia, in Spagna72, in Portogallo, in Francia soprat-

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tutto, le consuetudini domenicali appartengono a un'altra ctÙtura. Così il riposo settimanale è istituito in Spagna solo nel 1904 (legge del 3 marzo) . A quell'epoca solo la Francia, con l'Italia, resiste ancora a questa marea montante. Questo fatto non può destare meraviglia og­ gi, se si pensa che la Francia è stata anche uno degli ultimi paesi a im­ porre la giornata di otto ore. D regime non si preoccupava molto di questo tipo di problemF3 . Lo stesso ritardo si ritrova nell'insieme della legislazione sociale. Nel 1806, il trionfo ufficiale della domenica sul decadì era stato avvertito da molti come una rinuncia al tentativo di laicizzazione del tempo e una vittoria di coloro che intendevano ripristinarne la sacralità dei rit­ mi. Quest'inserimento del riposo domenicale nel contesto della lotta che vedeva di fronte il clericalismo e l'anticlericalismo non fu di­ menticato. La legge del 18 novembre 1 8 14, che imponeva il riposo domenicale, era stata considerata, a buon diritto, un successo ripor­ tato dal clero. E, in realtà, fu applicata molto male. Si capisce, allo ra, come la Repubblica trionfante si sia affrettata ad abrogarlo (legge del 12 luglio 1880), nel momento in cui liberalizza­ va la stampa e cercava di laicizzare l'insegnamento. Quest'abrogazio­ ne viene avvertita, dai partigiani del regime, come una vittoria sim­ bolica. Proprio per questo era ancora più difficile per i repubblicani rinunciarvi. Da quel momento, solo i bambini impiegati nelle offici­ ne, nelle manifatture e nelle miniere ( 184 1 ) , le donne, i bambini e le ragazze minorenni che lavorano nell'industria (legge del 19 maggio 1874) beneficiano - in teoria - di un riposo settimanale che, dopo il 1892, il padrone può accordare in un giorno di sua scelta. Tuttavia, l'uso di abbassare la saracinesca di domenica progredi­ sce, col passare degli anni74. A Parigi, gli uffici postali, che prima smettevano di lavorare alle nove di sera, a partire dal 1890 chiudono le porte alle sei, poi alle quattro nel 1894. Alla fine del secolo, molti proprietari parigini decidono di non aprire più i loro negozi la do­ menica. In provincia, si diffonde l'abitudine di abbassare le saracine­ sche a mezzogiorno, o altrimenti, alle due o alle quattro del pome­ riggio. Nelle piccole città, una simile consuetudine presuppone un accordo tra i concorrenti. Certi proprietari di industrie, come Peu­ geot a Valentigney75, sperimentano la vacanza domenicale. Ma si trat­ ta sempre di una minoranza. Durante i primi anni di questo secolo, i dipendenti del commer­ cio si organizzano, secondo le branche di attività. Mentre diverse pro­ poste di legge abortiscono una dopo l'altra ( 189 1 , 1 896, 1897 , 1900) , monta l'agitazione nelle principali città del paese. 11 10 luglio 1906, la

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Camera dei deputati approva, in seconda lettura, il progetto di legge che istituisce il riposo settimanale. La legge non si applica ai dome­ stici, e neppure all'agricoltura o alla pesca. Prevede anche una serie di regimi eccezionali. I lavoratori degli alberghi, delle rivendite di be­ vande, dei negozi di generi alimentari e delle tabaccherie, degli ospe­ dali, degli ospizi e degli asili, del giornalismo e dello spettacolo come pure quelli dei trasporti hanno diritto soltanto a un riposo a rotazio­ ne. Inoltre, ogni prefetto si vede riconoscere la libertà di accordare delle deroghe. n caso francese dimostra in modo evidente la ricchezza del dibat­ tito suscitato dal riposo domenicale o settimanale e la confluenza de­ gli obiettivi che lo riguardano. Vi sono implicate la stanchezza, la sa­ lute, l'usura fisica e la relazione con l'ambiente. Il riposo della dome­ nica è anche un problema morale, e in quanto tale va a toccare l'an­ sia provocata dai flagelli sociali e dal rischio di degenerazione. Le di­ scussioni che genera rispecchiano i grandi conflitti che attraversano la società: che si tratti della lotta anticlericale, dell'azione in favore della cultura popolare o della difesa della libertà religiosa. Coinvolge la divisione tra sfera privata e spazio pubblico e il mantenimento del­ le forme di socialità tradizionale. In breve, ecco un dibattito in cui si mescolano inestricabilmente gli obiettivi politici di portata naziona­ le, gli interessi di categoria e quanto appartiene, nel suo significato più profondo, alla cultura del tempo. Note 1 V. Dhers (addetto al BIT), Les Tests de fatigue. Essai de critique théorique, Baillière, Paris 1914, pp. 5-6. Per quanto segue, v. l'articolo fondamentale di A. Rabinbach, I.:age de la/atigue: énergie et /atigue à la/in du XJXe siècle, «Urbi», n. 2, dicembre 1979, pp. XXXII­ XLVIII. Due pubblicazioni aprono quella che quest'autore chiama /. La varietà delle abitudini del pesce impone un'incessante acquisizione di conoscenze. Qualunque sia il suo livel­ lo, il pescatore deve «informarsi personalmente presso i competenti del posto»8• La pesca cosiddetta tradizionale si distingue per una complessa re­ lazione con lo spazio. Certo, si tratta di un'attività definita 'staziona­ ria'; cosa che le vale l'accusa di passività. I suoi detrattori si fanno bef-

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fe della sua immobilità, che la rende accessibile all'età avanzata9. Iro­ nizzano sulla «pesca degli invalidi» adatta a «consolare la vecchiaia». In realtà, anche quando opera in mezzo all'acqua, il conoscitore de­ ve saper «piazzare» la sua barca, a seconda della profondità e della natura del fondo. Questa pesca si pratica in acque tranquille, agitate al massimo da una leggera corrente. Richiede, quindi, un'acuta capa­ cità di percezione del posto10. Alla fine di una paziente osservazione del fiume, fatta nel corso di lunghe camminate, il pescatore con la len­ za deve scegliere «il punto giusto». È l'impossibilità di questo studio preliminare che fa la mediocrità del pescatore della domenica. Biso­ gna, infatti, «esplorare un po' le rive, esaminare la corrente, sceglier­ la piuttosto tranquilla, cioè evitare l'acqua stagnante come l'acqua che scorre troppo velocemente, stare lontani dagli alberi - che in­ tralcerebbero la lenza - [ . . . ] fare attenzione alle erbe [ . . . ] , cercare di mettersi nello stesso tempo al riparo dal vento e dal sole troppo for­ te, assicurarsi che il fondo sia uniforme e la profondità giusta»1 1 • n pescatore deve indovinare il pesce secondo la topografia; in una pa­ rola, ha bisogno di conoscere perfettamente la 'zona' in cui opera. Sa­ prà che il bottino, se ci sarà, sarà più abbondante vicino ai battelli at­ trezzati a lavatoio, in prossimità di sorgenti tiepide, di rimesse di bar­ che, di fogne. Poi, è necessario scandagliare bene e soprattutto pasturare a do­ vere; cioè preparare con cura il posto il giorno prima o, altrimenti, qualche ora prima di cominciare a pescare. È consigliabile, infine, ri­ spettare le convenienze ed evitare «il posto frequentato e pasturato da un [altro] pescatore»12. La pesca tradizionale «richiede un gran dispendio di tempo»13• Tra tutte le attività del tempo libero, è considerata quella che ne di­ vora di più. Penetrare il mistero delle acque presuppone una conca­ tenazione di deduzioni necessaria per decifrare l'enigma. È per que­ sta ragione che il «campagnolo» resta sempre un pescatore mediocre. A meno che non abiti una «regione di trote» (Alpi, Vosgi, Borgogna, Normandia . . . ), non ha dedicato abbastanza tempo al suo apprendi­ stato; la sua pesca, a detta degli autori di manuali, è quasi sempre sol­ tanto «un'abitudine atavica». Il pescatore con la lenza deve, certamente, rimanere sempre in ag­ guato; cosa che mantiene la sua «nervosità». Ciò nondimeno il suo passatempo è una scuola di pazienza. Certuni si chiedono del resto «se la vita sia tanto lunga e il tempo di così scarso valore da poterlo impunemente sprecare COSÌ»14. n problema di regolamentare un'atti­ vità che unisce fino a questo punto «abnegazione intellettuale» e «in-

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differenza fisica» è in armonia con la volontà di legittimare la pesca sportiva. Nel corso di questo dibattito, si manifestano concezioni an­ tagoniste degli impieghi e delle qualità del tempo. Per alcuni, questa pazienza eccessiva porta alla rassegnazione; deriva da una sorta di ab­ bandono, di rinuncia al desiderio. Altri, invece, come Cunisset-Car­ not, il grande maestro dell'inizio del ventesimo secolo, sottolineano la forza della fascinazione. n pescatore «pietrificato», incantato, ri­ mane là, «l'occhio inevitabilmente fisso sull'acqua che scorre, trasci­ na via e riporta al punto di partenza il suo pensiero che naviga insie­ me al galleggiante in un perpetuo andirivieni»15. Tutto questo collega la pesca al silenzio e alla solitudine. I cono­ scitori non amano pescare in società e «il pescatore solitario ha sem­ pre più successo di chi è in compagnia»16. Si deve andare da soli sul­ l'argine di buon mattino. n vero appassionato si sistema al suo posto al levar del sole17. È l'esatto contrario del nottambulo. Per tutto il giorno, rimane nell'isolamento18• Evita persino di portare il suo cane. Cerca di non parlare e, soprattutto, di non far rumore coi piedi. In una parola, questo è un passatempo individuale. Del resto i pescato­ ri mantengono fra l'uno e l'altro una giusta distanza, che corrispon­ de alla lunghezza della canna e della lenza. Saper valutare le condizioni del tempo è indispensabile per il pe­ scatore. Infatti, il pesce abbocca meglio «quando il tempo è umido, caldo e temporalesco piuttosto che dopo un periodo asciutto, caldo o freddo»; cosa che è dovuta, in particolare, alle variazioni della quantità di insetti nell'aria. Il pesce ha paura della luce intensa; è me­ glio, quindi, pescare nell'acqua torbida. Questa necessaria compe­ tenza meteorologica, questa sensibilità alle condizioni del tempo so­ no il motivo, talvolta, di lunghe serie di osservazioni. n campione Jho Pàle (J.-H. Perreau) afferma per esempio, nel 1910, di avere «per le mani gli appunti di un pescatore presi giorno per giorno, ora per ora» per dieci anni 19. Strettamente legata al ciclo cosmico, la pesca obbedisce a un ca­ lendario preciso. Di conseguenza, i manuali assumono spesso la for­ ma di almanacchi20. Questa pesca ha per oggetto molte razze di pe­ sci che si danno il cambio nel cestino dell'appassionato. D'inverno, pescare è sgradevole, le acque sono agitate, «il pesce si rintana». In primavera, i frequenti acquazzoni ingrossano i fiumi. Del resto, ver­ so il 15 aprile, la pesca è chiusa21• L'apertura, a metà giugno, è occa­ sione di vere e proprie feste, che oltrepassano di molto la cerchia de­ gli appassionati. Nel 1862 , «da Bezons fino a Bougival», si era for­ mato quel giorno «un vero e proprio banco di pescatori». Questi

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«stavano sulla riva del fiume, a distanza di quindici passi l'uno dal­ l' altro, chi in piedi, chi accoccolato. Alcuni pescavano al colpo, altri a fondo, altri anc"o ra a frusta. Dappertutto c'erano canne che si alza­ vano e poi si abbassavano. Alcune donne, sedute più indietro, legge­ vano o lavoravano a maglia; dei giornaletti illustrati formavano una tovaglia sul prato. Su una figura c'era del formaggio, su un'altra dei ravanelli [ ... ] Dei bambini raccoglievano margherite e, per non con­ sumare le esche di papà, mettevano quei fiori ai loro ami»22• Verso le sei, il banco dei pescatori si rompe, nel momento in cui le locande co­ minciano a offrire fritture e matelotes23 . Era il tempo della pesca ai bianchetti, l a più facile di tutte. Que­ sta fa la gioia dei nonni e i ragazzi in vacanza ci si dedicano con pas­ sione. Persino alcune donne della borghesia osano praticarla, quan­ do un corso d'acqua confina con la loro proprietà. Mentre nella 'pic­ cola pesca' s'insinuano a poco a poco i canoni della pesca sportiva, la pesca ai bianchetti permette l'ascesa sociale di un'attività tradiziona­ le. n processo è simile a quello che, da più di un secolo, fa sì che si in­ contrino sul bagnasciuga i piccoli pescatori a piedi e i borghesi rac­ coglitori di conchiglie24. In ambiente popolare, il mese di luglio è quello della pesca eroica, uno dei tempi privilegiati del racconto, che in questo caso rievoca la lotta con la carpa. Il mese di agosto, invece, corrisponde al regno del ghiozzo e della frittura, due dei simboli più importanti di questa 'pic­ cola pesca'. È sicuramente difficile essere un «perfetto pescatore di ghiozzi», uno di quegli «ammaliatori di ghiozzi» capaci di prendere, in media, cento di questi pesci in un'ora. Rimane il fatto che è una pe­ sca facile. Una «pesca da luna di miele»25. Quanto alla frittura, fa ve­ nire l'acquolina in bocca agli intenditori. Negli ambienti popolari, costituisce un pasto apprezzato, associato al sole, alla campagna e al vino bianco. Nelle file della borghesia serve piuttosto da aperitivo. Settembre è il momento della pesca alla trota, ci torneremo sopra. n calendario unisce allora la selvaggina al pesce, i discepoli di sant'D­ berta a quelli di san Pietro26. In ottobre, tempo di trofei, la pesca al luccio chiude il ricco programma della pesca. Questa è strettamente associata a tutto ciò che è appiccicoso, spor­ co, organico. Si avvicina alla cucina per la varietà delle sue prepara­ zioni e ha come principali ingredienti il sangue, la carne putrefatta, il pane, gli aromi. Comporta, inoltre, un piccolo allevamento di vermi. Per praticarla, occorre essere inaccessibili al disgusto27• È inevitabile maneggiare del sudiciume o qualcosa di organico brulicante di ver­ mi, quando occorre preparare le esche e soprattutto la pastura. Il san-

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gue raccolto da un macellaio quando fa a pezzi un bue, il pesce mor­ to, il cervello di pecora, il formaggio, il pane, il frumento, l'orzo, il mais, le fave sono tutti materiali usati come esca, a seconda delle for­ me di pesca e del gusto dei conoscitori. Le pallottole di creta mi­ schiata con larve di mosca, una volta che sono state impastate a lun­ go, costituiscono una buona pastura. Insomma, ripete ancora Cunis­ set-Carnot nel 1910, bisogna accettare la sporcizia. Tutt'al più, si sug­ gerisce l'uso di guanti di gomma28. Dalla metà del secolo, tuttavia, si fanno più vivaci in questi ambienti la condanna di tutto ciò che è ri­ pugnante, attributo ancora una volta associato a quello di 'popolare', e la diatriba contro i piccoli pescatori che si accalcano in vicinanza dei lavatoi, degli scarichi delle fogne e delle zone pestilenziali29. Questa pesca è anche quella dell'ineleganza. I «papà canna» sono soliti recuperare e riutilizzare. Rifiutano la specializzazione. Disde­ gnano l'oggetto lavorato e l'abbigliamento sportivo. Già nel 1836, il disegnatore Roehn contrappone lo sportsman vivace e distinto al pe­ scatore «stazionario», seduto vicino al suo litro di rosso e al tozzo di pane in cui ha infilato il coltello30. Anche gli autori di manuali non consigliano mai l'eleganza a coloro che praticano questo tipo di pe­ sca. Il 'piccolo pescatore' che si awia al posto che si è scelto appare ridicolo agli occhi di molti, impacciato com'è dal cestino, dalla bor­ sa, dal guadino, dalla scatola dei vermi e dalle esche. I suoi abiti stra­ vaganti attirano gli sguardi, tanto più che è appesantito dalle vetto­ vaglie, dato che deve portarsi dietro il pranzo. A differenza del gitante e del pescatore della domenica, il vero appassionato non è uomo da locanda. È vero che verso la fine del secolo, gli autori di manuali si sforza­ no di rendere presentabile il 'piccolo pescatore': gli consigliano or­ mai abiti di flanella prowisti di molte tasche, pantaloni da ciclista, grosse scarpe chiodate e l'adozione del mezzo casco di cuoio bollito al posto del tradizionale berretto3 1. Ma Jho Pale, nel 1910, continua a raccomandare il vecchio soprabito tagliato al ginocchio e la carta di giornale in cui il pescatore potrà praticare un buco, in caso di ac­ quazzone, per passarci dentro la testa e ripararsi dalla pioggia32. A detta dei vecchi pieni di esperienza, il vero conoscitore fabbrica da sé il proprio armamentario, cioè la canna e le lenze, che deve saper ag­ giustare sul posto33. Questa pesca tradizionale, quasi sempre sminuita dai membri del­ le classi dominanti, è però vivamente elogiata da quelli che cercano di promuoverla e qualche volta di trasformarla. Costoro vedono in

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essa il mezzo per accedere a una «felicità tranquilla»34, simmetrica­ mente opposta all'agitazione dei boulevards. Sulla riva del fiume si provano «emozioni profonde per quanto sono calme e pure». Là si può godere un piacere che non lascia dietro di sé «né un rimpianto né un rimorso»35. Questa figura dell'innocenza di un piacere assapo­ rato «lontano dalla turpitudine degli uomini»36 organizza la rete di topoi che contrappone la 'piccola pesca' al gioco e la riva del fiume all'osteria e al bordello. Ciò detto, questo piacere privo di immoralità nasconde un'autentica passione. Ripetiamolo: la 'piccola pesca' «ha­ sta a se stessa»37• Esclude la compagnia e la distrazione. A parte il gio­ co, nessuna attività «offre in modo così profondo, in modo così as­ soluto come questa, l'alternanza della speranza e della disillusione»38. Questa forza di attrazione si basa su una serie di emozioni. La più forte è quella provocata dallo «strappo» del pesce che abbocca, se­ gnale della battaglia, «memoria di piaceri atavici», sensazione del contatto diretto stabilito fra l'uomo e l'animale; quello che un appas­ sionato chiama «comunione intima, elettrica»39 col pesce, e un altro «telegrafia della lenza»40• Lo strappo procura «gioie ineffabili, deli­ zie sconosciute ai comuni mortali». «Dilata, fino a farlo scoppiare, il cuore del vero pescatore»41 . In tutt'altra prospettiva, la quiete della pesca con la lenza tradi­ zionale spinge, si dice, alla fantasticheria e all'emozione poetica. Va naturalmente d'accordo con la pittura di paesaggi. Daubigny, quan­ do si trova sulle rive dell'Oise, si mette indifferentemente in cerca del «posto giusto» e del buon punto di vista. Sono molti, si continua a di­ re, i musicisti e gli scrittori che sono anche pescatori: Walter Scott, Ambroise Thomas, Emile Augier, Jules Sandeau, Alphonse Karr, Jean Richepin, O etave Feuillet, Vietar Hugo e parecchi altri42• La 'piccola pesca' costituisce una figura molto accessibile dell'avventu­ ra; consente, senza eccessivo sforzo, la rappresentazione eroica di sé e la vanteria. Secondo Kresz il vecchio e secondo Charles de Marras, il resoconto dell'impresa e dei «vari incidenti» - come oggi quello dell'avventura automobilistica -, la descrizione del pesce, la stima delle sue dimensioni, la sua trasformazione in trofeo sul modello del­ la caccia fanno del racconto di pesca un genere autonomo già alla fi­ ne del diciottesimo secolo. La parte più importante dei numerosi scritti dedicati ai benefici della 'piccola pesca' è tuttavia diretta all'esaltazione delle sue virtù igieniche e terapeutiche43 , come pure delle sue qualità morali. Per l'operaio e l'impiegato, fa parte dell'igiene della domenica. Per chi non lavora, che sia benestante, proprietario o pensionato, costituisce

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il più salubre dei passatempi. La pesca, che permette di dimenticare l' osteria44, è scuola di pazienza e di abilità; sviluppa lo spirito di os­ servazione. La denuncia di nuove minacce conferma le sue virtù te­ rapeutiche. La pesca, si continua a ripetere, è il rimedio sovrano con­ tro il sovraffaticamento e la nevrastenia. Compensa la vita frenetica e l'accelerazione dei ritmi. Più ancora dell'equitazione e meglio del sonno, procura, «in questo tempo di nevrosi»45, un arresto benefico del funzionamento del cervello. Permette di assaporare la calma, la tranquillità, la quiete. La pesca tradizionale è anche percepita come una forma di svago strettamente associato alla libertà e all'uguaglianza. Ancora nel 1903 , «si va lì [sulla riva del fiume] come a casa propria, senza chiedere niente a nessuno»46• Questa pesca permette di liberarsi dalle idiosin­ crasie. I comportamenti che ispira variano a seconda dei tempera­ menti. Mentre alcuni appassionati non riescono a rimanere fermi per più di quaranta minuti, altri, che amano la solitudine e il riposo, pos­ sono, senza annoiarsi, restare da otto a dieci ore sull'argine, con la lenza in mano47. È l'attaccamento alla «più innocente delle nostre li­ bertà»48 che determina, all'alba del ventesimo secolo, la vivacità del­ l'opposizione all'introduzione della licenza di pesca. Altrettanto insistente è allora il riferimento all'uguaglianza. L'e­ saltazione della 'piccola pesca' fa parte di una serie di rivendicazioni che si richiamano a una mitica società egualitaria, all'interno della quale ciascuno può liberamente disporre dei prodotti della natura vi­ sti come altrettante res nullius. La questione della pesca è dunque as­ sociata a quella della caccia e a tutti i dibattiti provocati dai molti di­ ritti d'uso a cui gli abitanti delle campagne francesi si dimostrano molto attaccati. Questa pesca tradizionale, le cui abitudini sono insi­ diosamente legate a quelle del bracconaggio, invoca inoltre, in sua di­ fesa, tutti gli argomenti che appartengono alla tentazione di un ille­ galismo diffuso. Già all'alba della Rivoluzione, è stata riconosciuta l'uguaglianza del diritto di pesca. Questa è stata sancita dalla legge del 14 fiorile anno X, poi, a parte alcune riserve riguardanti il rispet­ to delle proprietà private e la protezione delle specie, da quelle che si sono succedute nel corso del secolo (15 aprile 1829, 3 1 maggio 1865 ). Se si riuniscono i principali caratteri che definiscono questo pas­ satempo - radicamento nella tradizione, reale o supposto, abilità ac­ quisita con l'esperienza autonoma, rivendicazione dell'uguaglianza dei diritti, connessione con l'illegalismo, passione riconosciuta come innocente e salubre - si può apprezzare con quale forza questa pesca

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comune si fa componente dell'identità di coloro che la praticano. Ma qui superiamo lo stretto ambito del nostro argomento. La pesca sportiva o il difficile trasferimento di un nuovo uso del tem­ po È col proposito di semplificare l'analisi che abbiamo isolato que­

sto tipo di pesca. Infatti, dalla metà del diciannovesimo secolo si pro­ spetta un altro modello, che tende un po' alla volta a imporsi all'in­ terno del gruppo degli specialisti. I commercianti hanno svolto, in questo campo, un ruolo decisivo di mediazione. I negozianti di arti­ coli da pesca importano infatti alcuni prodotti da oltremanica. Li imi­ tano. Li raccomandano nei loro scritti. Arrivano ben presto a sugge­ rire un tipo di attività basato su valori diversi da quelli della pesca tra­ dizionale. il personaggio di Kresz il vecchio può servire a illustrare questo modo di procedere. Oltre a essere un campione, egli è un commerciante e un maestro. Pratica la sua attività favorita dal 1 802 . Sedici anni dopo, segue l'esempio degli inglesi e s'inizia alla pesca sportiva che descrive sommariamente già nel 1 836. Nella nuova edi­ zione del suo Pecheur/rançais, apparsa nel 1 847, dedica, per la prima volta, un lungo capitolo alla «pesca alla mosca artificiale alla superfi­ cie dell'acqua». In quell'anno, Kresz il vecchio propone ai suoi clienti parigini più di cento modelli di canne da pesca i cui prezzi variano da uno a cen­ to franchi. Alcune sono di giunco, altre di bambù americano, altre an­ cora di legno di hickory. Kresz possiede, in negozio, quasi seicento dozzine di mosche realizzate riproducendo più di cento modelli na­ turali. Gli occorrono non più di ventiquattr'ore, assicura, per fabbri­ care degli esemplari artificiali, minuziosamente imitati, delle mosche che gli vengono inviate. In compenso, gli ami che vende sono impor­ tati direttamente dall'Inghilterra. Nel 1852 e nel 1858, Charles de Marras scrive due libri sulla nuo­ va pesca. Bisogna dire che in Gran Bretagna, alla stessa epoca, essa ha ispirato un'intera biblioteca. Da quel momento, gli autori di ma­ nuali si sentono in dovere di dedicare ampio spazio alla novità. Così comincia a operarsi il trasferimento che, a poco a poco, avrebbe fini­ to per sottomettere l'antica consuetudine al nuovo modello nato in Inghilterra. La pesca allora importata appartiene alla gamma dei rural sports, che si è formata all'alba dei Tempi moderni tra la gentry. Fa parte del­ la serie di exercises all'aria aperta destinati a combattere la malinco­ nia49. The Complete Anger (il perfetto pescatore) di Isaac Walton,

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pubblicato nel 1653 , aveva ottenuto un immenso successo50• Nel cor­ so dei due secoli successivi, la pesca alla trota - e secondariamente al salmone - si adatta all'evoluzione dei modi di apprezzamento della natura, a quella dei codici estetici dominanti e alle nuove forme di tu­ rismo e di villeggiatura che questi portano con sé. La pesca alla mosca artificiale si basa su una lunga abitudine al con­ tatto con gli elementi naturali acquisita nel corso delle passeggiate (strolls), delle marce (walks) , delle cure d'aria e delle cacce; e insieme su forme di diletto associate alla moda del giardino inglese e al gusto per la paesaggistica. È anche in armonia con le convinzioni scientifi­ che dominanti e in particolare con l'insegnamento di Sydenham. In­ fine, si tratta di un'attività che trae la sua legittimità dai riferimenti al­ l' antichità. Ovidio e Marziale vengono regolarmente citati dagli auto­ ri di manuali. La pesca sportiva è destinata a rimanere incomprensi­ bile a chi non tenga conto di questa complessa genealogia. Essa richiede, in primo luogo, la capacità di valutare il tempo (weather) nella sua variabilità. In una parola, presuppone una minu­ ziosa previsione meteorologica; se non altro per decidere il tipo di mosca da usare. Questa sensibilità al temporale, alla natura e alla di­ rezione del vento, alla probabilità della bonaccia, determina, come pure la stima della trasparenza dell'acqua, la scelta della riva lungo la quale è meglio operare. Tocchiamo qui uno degli aspetti essenziali de­ gli usi del tempo libero: quello che collega queste attività all' apprez­ zamento sensoriale dei fenomeni meteorologici. La pesca alla mosca artificiale si accorda anche con una certa con­ cezione del mondo animale51 . Questa impone, in tutta equità, di la­ sciare almeno una possibilità al pesce di cui il pescatore si è proposto di studiare le abitudini. Esige anche che costui restituisca la libertà alle prede troppo piccole. Quest'attività si propone come insepara­ bile dalla ricerca di spazi di fantasticheria, o addirittura di medita­ zione all'interno di un paesaggio. Entra a far parte del turismo, come dimostra l'abitudine dei fishing trips52• Il turista pescatore ha i suoi territori di elezione: la Scozia, l'Irlanda, la Normandia, la Svizzera; più tardi il Canada e gli Stati Uniti. Egli studia i costumi degli abi­ tanti. Nello stesso tempo in cui si dedica alla sua passione, si ferma per ammirare le antichità. Quest'attività di natura aristocratica è strettamente legata alle for­ me dell'ospitalità. L'autore di un'opera dedicata alla pesca non man­ ca mai di enumerare gli ospiti che gli hanno consentito di acquisire la sua esperienza53 . Nella stessa prospettiva, questo sport implica il ri-

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corso a una servitù specifica: chi lo pratica si fa generalmente ac­ compagnare da un ragazzo che porta il guadino, a meno che non lo ingaggi sul posto. In Francia, lo scherno dei pescatori con la lenza prende di mira la natura sociale del nuovo passatempo. Verso la metà del secolo, il pescatore alla mosca artificiale che varca la soglia di una locanda si vede chiamare mylord dal proprietario ossequioso, sotto l'occhio divertito dei clienti. Coloro che praticano questa pesca sportiva vogliono che abbia un'apparenza scientifica. Sebbene non escluda l'apprendimento au­ tonomo, essa si basa su un sapere diffuso dai canali più nobili della volgarizzazione. Gli appassionati tengono molto all'alto livello di per­ fezionamento dei costosissimi attrezzi che impiegano, la cui legge­ rezza dipende da un desiderio di lusso e da una preoccupazione di ef­ ficacia. Le canne di legno verniciato, le canne da viaggio, le canne re­ trattili, i fili invisibili, il mulinello - che viene continuamente miglio­ rato - costituiscono ai loro occhi altrettanti strumenti indispensabili. Di conseguenza, la pesca cosiddetta sportiva è strettamente lega­ ta all'industrializzazione. Rappresenta un mercato considerevole che mantiene un complesso circuito commerciale. È indissociabile dalla proliferazione dei negozi di articoli da pesca e, come abbiamo visto, dal commercio internazionale di questi stessi prodotti. Le modalità di apprezzamento della natura che ispirano la pesca sportiva richiedono che venga eliminata, per quanto è possibile, qual­ siasi manipolazione del sudiciume, tutta quella cucina brulicante e fe­ tida su cui si basa la competenza dei «papà canna». n contrasto tra le due attività è lo stesso che distingue il materiale organico da quello artificiale. Ciò che conta, in materia di esca, dipende dunque dall'a­ bilità nell'imitare l'insetto. La Flying Fish rifiuta la passività della pesca stazionaria a vantag­ gio del movimento. In questo concorda con ciò che aveva provocato, in precedenza, la comparsa dei rural sports e del turismo. L' appassio­ nato apprezza le correnti forti. Pratica la pesca nel vento, in mezzo al­ le acque agitate. In certo qual modo, la nuova moda si avvicina a quel­ la del «bagno fra i cavalloni». Lo stesso pescatore rimane in perpetuo movimento. Nel corso della giornata, compie una lunga escursione. La pesca alla mosca dipende anche, esattamente come lo yachting, dal piacere di superare l'ostacolo meteorologico. Nella stessa prospetti­ va, l'appassionato deve pescare «lontano e bene». La perfezione del gesto in questo caso è essenziale. Il lancio ha un'eleganza «che non aveva mai avuto il pescatore col verme di terriccio, col grano cotto o

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con le larve di mosca»54. Un sottile amalgama di elasticità e di forza caratterizza questa «pesca nobile e intelligente»55. L'eleganza del gesto va d'accordo con quella dell'abbigliamento e dell'attrezzatura. li primo dev'essere adatto, specializzato e comodo. La seconda è leggera e «poco ingombrante». «Chi pesca alla mosca artificiale, afferma Kresz il vecchio già nel 1847, ha pochissime cose da portare con sé; non è neanche obbligato a scavare la terra, a pa­ sturare; può percorrere diverse leghe senza mai sporcarsi le dita, con un portafoglio di mosche artificiali in tasca, una canna leggera in ma­ no e un cestino». In questi ambienti, «si parte per la pesca come se si andasse a fare una passeggiata, senza che nessuno possa sospettarlo, e si può pescare per tutta la giornata senza stancarsi, tanto è leggera la canna»56• La pesca alla mosca è uno sport e colui che la pratica uno sports­ man, quasi sempre socio di uno di quei club la cui principale attività consiste nell'organizzare gare di lancio. Questa formalizzazione e questo desiderio di competizione contrastano con le abitudini errati­ che della pesca tradizionale. Ciò che distingue le due attività non può non ricordare, in un campo completamente diverso, il fossato che se­ para, lungo la Senna e i fiumi dell'Ile-de-France, i canottieri tradizio­ nali dai membri dei nascenti rowing clubs. Fra gli adepti di ognuno dei due modelli, l'irrisione è reciproca. La pesca alla mosca artificiale è considerata a lungo ridicola, in Fran­ cia. Ho già ricordato i lazzi a cui è sottoposto il mylord, accompa­ gnato o meno dal suo portaguadino. Lo sportsman suscita persino ostilità: i fittavoli normanni gli rimproverano di «pestare» la loro er­ ba; i proprietari di mulini di rubare le «loro» trote nella «loro» ac­ qua57. La maggioranza degli autori di manuali assume tuttavia un at­ teggiamento diverso. Secondo una serie di stereotipi elaborati a par­ tire dalla metà del diciannovesimo secolo, contrappongono la pesca «stazionaria» e sporca di vecchi francesi ridicoli a quella dell'inglese scattante, pwito, elegante, raffinato analista delle condizioni del tem­ po e buon tecnico. La loro preferenza va, dunque, all'uomo della clas­ se agiata. Nella pratica tuttavia, la resistenza all'influenza inglese si rivela te­ nace58. All'interno delle stesse classi dominanti, la nobiltà della caccia ostacola la legittimazione della pesca sportiva; questa non gode del prestigio dell'equitazione né di quello dello yachting. Per questo mo­ tivo, capita, in quest'ambiente, che il pescatore alla mosca si travesta da cacciatore. I negozianti vendono allo scopo delle custodie a forma di fucile, in cui si può infilare una canna da pesca. «Questa pesca ha

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pochissimi adepti da noi, dichiara un tecnico nel 1883 , e su cento pe­ scatori che potrete incontrare, non ce ne saranno neanche due arma­ ti di canna per l'esca artificiale»59. Questo sport si pratica lungo i Ga­ ves60, la Sorgue e il Loir. La pesca alla trota si fa nel Giura, nell'Ain, in Saintonge, in Normandié1 , ma piuttosto poco nei dintorni di Parigi, cosa che diminuisce la visibilità delle nuove abitudini. All'inizio del secolo, la pesca cosiddetta sportiva comincia tutta­ via ad andare di moda. Alcuni aristocratici parigini hanno deciso di convertirvi i loro amici. ll libro La Peche sportive, pubblicato nel 1913 dal visconte Henry de France con prefazione del principe Pierre d'A­ renberg, è una prova di questa adesioné2. In quell'anno, il Casting club di Francia, che ha sede in place de la Concorde, pubblica un an­ nuario e un bollettino; inoltre è dotato di una biblioteca specializza­ ta. L'elevato ammontare delle quote -50 franchi a Parigi, 25 in pro­ vincia - dimostra che appartenervi è un segno di distinzione. Il Fi­ shing club e il Casting club organizzano gare di distanza e di preci­ sione del lancio. Nel corso degli anni queste competizioni, il cui mo­ dello è importato dagli Stati Uniti e dall'Inghilterra, fanno apprezza­ re «l'eleganza dei movimenti, l'abilità, la scioltezza o la forza che ri­ chiedono». Le gare organizzate dal Casting club sono riservate ai di­ lettanti; il che equivale a escluderne i commercianti e i fabbricanti di articoli da pesca. In questi ambienti mondani, lo sforzo organizzativo è incoraggia­ to dal desiderio di proteggere le trote e i salmoni. È accompagnato inoltre dalla volontà, venata di sufficienza, di trasformare la vecchia pesca, definita passiva, per «renderla attiva e dipendente dall'abilità, semplificare il suo materiale, farne qualcosa di pulito e di piacevo­ le»63, come auspica Henry de France. In una parola, si tratta di so­ stituire al segreto, al trucco, all'esperienza un'abilità del tutto sporti­ va. Il trasferimento si compie un po' per volta. Una serie di fattori ha contribuito a questo successo. Lo sviluppo del circuito commerciale ha svolto un ruolo determinante. L'efficacia e la comodità dell'at­ trezzatura a poco a poco si sono fatte valere. Un'intensa «propagan­ da» - pubblicità - ha fatto conoscere l'articolo da pesca. È bene a questo proposito sottolineare il peso decisivo che ha l'attrezzatura sulle abitudini. Lo spirito di competizione imposto dalle gare a spe­ se dello svago e del gioco ha favorito la penetrazione della pesca al lancio. Grazie al moltiplicarsi dei club e delle società, questo sport di­ venta il mezzo per inserirsi in un gruppo di specialisti. È parte del grande movimento di associazione caratteristico di questo tempo.

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Nei piccoli paesi, il negozio di articoli da pesca diventa centro di dif­ fusione di un'attività e nucleo di una nuova società. È opportuno fermarsi un momento su quest'ampio movimento as­ sociativo, strettamente legato a quello che struttura la caccia attra­ verso tutto il paese. Dai primi anni del diciannovesimo secolo, cre­ sceva la sensazione di uno spopolamento dei corsi d'acqua, che la le­ gislazione e la regolamentazione non erano sufficienti ad arrestare. Quest'impressione si trasforma in certezza durante l'ultimo quarto di secolo. A partire da quel momento, si avverte vivamente il bisogno di agire sul potere politico allo scopo di rallentare la distruzione e di or­ ganizzare il ripopolamento dei fiumi grandi e piccoli. n movimento associativo, in questa prospettiva, è la dimostrazione di una presa di coscienza dei pericoli corsi dalla fauna e attesta l'efficacia delle nuo­ ve procedure di allarme. Esprime l'attrazione esercitata da forme di socialità inedite, ma non può essere una prova dell'estensione dei comportamenti. La storia dello sport è in parte fondata su questo fe­ nomeno di origine umana; o, se si preferisce, su questo 'effetto fon­ te' . Per dirla altrimenti, la nuova produzione di documenti scritti a cui danno luogo le società di pesca non deve portare a sottovalutare l'ampiezza delle abitudini precedenti, che non erano soggette ad al­ cun sistema di registrazione. In ogni caso, l'ansia stimola la diatriba. I pescatori accusano64, contemporaneamente, «l'avvelenamento industriale», le «deiezioni» urbane, l'eccesso dei lavori di pulitura e di arginatura, la regolazione dei letti che fa sparire le anse, il moltiplicarsi dei canali e delle dighe, l'irrigazione, i battelli che rasentano le rive e distruggono le uova, l'impiego di reti sempre più devastanti e la frequenza della pesca di frodo. Nel 1889, la Società centrale di acquacultura e pesca inizia la battaglia. Cinque anni più tardi, sono un centinaio le società che ten­ tano di ripopolare i corsi d'acqua. Già nel 1885 , cinquantamila trote erano state gettate nella Senna, nella Marna e nei loro affluenti65• Nel 1909, per la prima volta il Fishing club ottiene la condanna di un in­ dustriale che ha avvelenato un fiumé6• È allora che per indicare que­ sto danno si comincia a usare correntemente la parola «inquinamen­ to», che da quel momento tende a imporsi a spese del vocabolario tossicologico. n moltiplicarsi delle gare tiene dietro alla diffusione delle società in tutte le regioni francesi. Come quella di Thouars, organizzata per la prima volta nel 1 88667, queste competizioni assumono ben presto l'aspetto di feste locali o regionali, simili a quelle che accompagnano le riunioni di comizi agricoli.

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Era necessario ricordare brevemente la complessità del trasferi­ mento culturale che si è operato a poco a poco nel campo della pesca con la lenza. La forza del modello che ha profonde radici nella ri­ vendicazione delle libertà e nel sentimento egualitario ha ostacolato per molto tempo la penetrazione delle nuove abitudini sportive. Fi­ no alla metà del ventesimo secolo, l'antica pesca dei «papà canna», conoscitori di «buoni posti», detentori di trucchi, spregiatori del my­ lord, ha continuato a ispirare gli appassionati. L'apporto esterno ha dovuto essere riorganizzato, adattato a una consuetudine che con­ servava il sapore di un'arte popolare di cui è difficile valutare l'e­ stensione e la forza di seduzione. In ogni caso, la pesca con la lenza si afferma come l'attività più facilmente identificabile con le figure maschili di un tempo per sé, così come esso ha potuto essere vissuto all'interno del popolo. n giardinaggio, tanto esaltato, tanto studiato, sembra essere, a questo proposito, molto meno significativo. Qual è esattamente il suo posto in una riflessione dedicata agli usi del tem­ po disponibile? È quello che ci accingiamo a esaminare adesso. La felicità in giardino

L'idea che il giardinaggio possa essere considerato un'attività di svago, o addirittura una distrazione è una scoperta tardiva negli am ­ bienti popolari. È importante, a questo proposito, non confondere questo piacere con quello che procura lo stare in giardino, abitudi­ ne aristocratica e borghese, le cui gioie sono state analizzate minu­ ziosamente già da molto tempo. Il rischio qui è tanto più forte in quanto, all'interno delle classi dominanti, simulacri di giardinaggio e di allevamento sono stati compresi, ben presto, fra le delizie della campagna. Nel corso del periodo che ci riguarda, quest'assimilazione del giar­ dinaggio con una forma di svago ha incontrato, tuttavia, una forte adesione popolaré8• Coltivare fiori o ortaggi è stato percepito a po­ co a poco come un'occupazione scelta, come un modo per riempire il tempo libero che non sia un prolungamento dell'attività professio­ nale. All'inizio degli anni settanta, quando si comincia a porsi delle domande sull'argomento, la sociologa Françoise Dubost interroga al­ cuni giardinieri dilettanti sulla natura del loro piacere. È «per tener­ mi occupato», è un «passatempo», è «per riempire il tempo libero», «che cosa vuole che faccia?», si sente risponderé9. Ma è meglio non prestar fede a questi discorsi un po' disincantati, che tendono a pre-

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sentare il giardinaggio come un semplice mezzo per combattere il vuoto delle ore. Può darsi, infatti, che le persone interrogate abbiano pensato che fosse più accettabile definire così la loro principale atti­ vità di svago piuttosto che confessare piaceri la cui futilità rischiava di esporli al sarcasmo dell'intervistatrice. Comunque sia, la lettura dei molti lavori dedicati al giardinaggio popolare porta a pensare che, in un ambito dato, creato dall'altro - che si tratti dei giardini operai o dei lotti annessi a villini -, il giar­ diniere dilettante, in funzione delle sue curiosità, dei suoi desideri e della sua nostalgia, ha saputo inventare o riorganizzare delle forme di produzione, di consumo e di scambio, come pure dei modi di espres­ sione di sé. Fra il 1 860 e il 1950, ciò che si verifica è proprio una «in­ venzione del giardinaggio in ambiente popolare»70. È facile capire, quindi, quanto siano necessarie le precauzioni e l'attenzione alle sfumature. «Il giardinaggio offre un riassunto di tut­ te le ambiguità delle 'culture popolari': è insieme piacere e obbligo, passatempo e mezzo di sostentamento. Il giardino, spazio di produ­ zione, è anche uno spazio proprio, dove sentirsi bene e stare tran­ quilli»7 1. È il luogo di piaceri molteplici, e tuttavia difficili da indivi­ duare nella misura in cui, in proposito, qualsiasi tentativo di regi­ strazione si scontra, da parte del giardiniere, con la tendenza a iro­ nizzare sulla sua stessa gioia72. Dentro l'orto, si può coltivare ciò che si ama consumare e, al bisogno, fare concessioni alla nostalgia, conti­ nuando a produrre verdure di una volta. Chi lavora (chi si diletta?) nel proprio giardino può decidere liberamente della disposizione. Sta a lui creare un ordine, definire uno stile. I riquadri, le file, le aiuole, le macchie e le bordure sono altrettanti segnali di cui può disporre e che assicurano la leggibilità delle sue opzionF3 . Agli occhi del suo ideatore, come a quelli dello spettatore, il giardino si offre alla valu­ tazione estetica e morale del lavoro svolto. Procura il piacere di ve­ der crescere delle belle verdure. Propone anche godimenti più inti­ mi, la cui profondità va al di là del semplice passatempo addotto dal giardiniere dilettante. Costui fa sì che s'incontrino il tempo degli uo­ mini e il tempo vegetale. In questo, osserva Pierre Lepape, il giardi­ naggio è il contrario del gioco. È inserimento di una totalità in un campo attribuito allo svago74. È così che può spiegarsi il carattere ir­ reprimibile del desiderio di far crescere qualcosa, considerato da Ri­ chard Hoggart una delle componenti della cultura del povero75. Quindi, il giardinaggio è un'attività solitaria. «Si fa giardinaggio da soli», come si pesca da soli. «Il piacere del giardino presuppone

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una relazione personale, esclusiva, fra l'inventore e la materia di cui cura la crescita»76• La socialità, qui, appartiene al prima - il prestito del seme o del progetto, il consiglio - e al dopo - il commento, il com­ plimento, il rimprovero; ma l'atto più propriamente creativo esclude ogni vera partecipazione. È questo che permette di vedere l'orto co­ me la firma dell'individuo che ne è responsabile. Tuttavia, studiare il giardino nella prospettiva di un tempo per sé porta ad accorgersi, co­ me vedremo, che i piaceri che comporta vanno ampiamente al di là di quelli del giardinaggio propriamente detto. Parleremo qui della Francia. La scelta può apparire strana, perché il giardino popolare non è una specificità di questo paese, tutt'altro. I modelli, in questo campo, sono stati la Danimarca, il Belgio e la Ger­ mania. Nel 1926, gli Schreber-Gà'rten sono quattrocentomila oltre il Reno; sono dunque di più che in Francia; e, secondo Richard Hog­ gart, cinquecentomila lotti sono ancora coltivati in Gran Bretagna a metà degli anni cinquanta, sebbene quest'attività sia in continuo de­ clino da diversi decenni77• Quasi tutti i governi, si legge nel rapporto della Conferenza internazionale sull'impiego del tempo libero degli operai riunita nel 1924, hanno a cuore i pezzetti di terra, i giardini, i piccoli allevamenti78. Nei paesi nordici e germanici, il giardino ha acquistato prestissi­ mo lo status di dotazione sociale79• È servito da embrione per la resi­ denza secondaria. Per chi ne aveva il godimento, era importante so­ prattutto disporre di uno spazio privato che favorisse l' appropriazio­ ne del tempo libero. Sembra che in Francia il giardino popolare sia stato immediatamente dotato di uno status simbolico più autonomo. Esso è parte, inoltre, di uno dei miti fondanti dell'identità nazionale; il suo successo è rivelatore di una delle caratteristiche tipiche di un territorio all'interno del quale ci si immagina di poter far crescere tut­ to, dappertutto80. Rimane il fatto che gli analisti del giardino popolare si dimostra­ no eccessivamente disinvolti rispetto alla genealogia delle rappresen­ tazioni e delle consuetudini, come se fossero decisi a negare, in que­ sto campo, gli scambi culturali; a dimenticare che l'individuo che ap­ partiene al popolo intravede il parco del castello, passeggia nel giar­ dino pubblico e talvolta lo visita, passa quotidianamente accanto al­ l' orto del borghese, a cui, molto spesso, ha accesso. li modello del giardino popolare non è una creazione ex nihilo; fa parte di una lun­ ga storia che è anche quella degli usi dello sguardo, delle forme del­ l' architettura, delle letture del paesaggio, delle modalità del potere politico e sociale.

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n giardino del Rinascimento, soggetto all'araldica, progettato se­ condo un simbolismo floreale e olfattivo che va d'accordo con i bla­ soni dei castelli, entra in questa lontana ascendenza che è importan­ te, qui, richiamare brevemente. Lo stesso può dirsi del giardino ari· stocratico del diciassettesimo secolo, associato a un ordine architet­ tonico che proclama il dominio dell'uomo sulla natura, il trionfo del­ la ragione, il centralismo monarchico e rende possibile lo svolgimen­ to dei rituali che definiscono la società di corte. Basta pensare all'or­ dine che regna all'interno del giardino del presbiterio rurale, rigoro­ samente sottolineato dalle sue bordure di bosso, per awertire l'in­ fluenza dei modelli antichi. Lo stesso giardino inglese, nelle sue molteplici categorie - il giar­ dino paesaggistico, il giardino pittoresco, il giardino costruito -, in­ fluisce sull'elaborazione delle forme successive, secondo filiazioni tal­ volta inaspettate. Progettato in funzione di una meccanica dello sguardo imposta dalla moda dell' aerismo, questo paesaggio fatto ad arte, soggetto alla valutazione della qualità dell'aria e del vento, reso pittoresco dalla varietà delle scene che hanno lo scopo di riflettere quella degli stati dell'anima sensibile, ha contribuito anch'esso a pre­ parare gli ulteriori modelli di apprezzamento. n parco paesaggistico, in cui i limiti imposti alla visione nonostante l'ingannevole apertura sulla natura simboleggiano la chiusura sociale di coloro che ne godo­ no, è stato trasferito in Francia all'inizio del diciannovesimo secolo. Da quel momento il modello si sviluppa anche qui, secondo un pre­ ciso scarto temporale. Ben più importante, ai fini della comprensione del giardino po­ polare del diciannovesimo secolo, è l'esigenza di tener conto della grande divisione che si compie allora fra spazio pubblico e spazio pri­ vato. I grandi parchi ideati per abbellire le città sotto il Secondo Im­ pero sono una dimostrazione del permanere degli obiettivi «aeristi». Più ancora di quelli che li hanno preceduti, sono soggetti al primato della visione81. Qui il cespuglio di fiori non ha ormai altra funzione che introdurre macchie di colore nel tracciato curvo dei viali. Vasti spazi si offrono ai procedimenti di distinzione e di ostentazione, che corrispondono alle nuove abitudini della città e ai nuovi usi sociali del tempo. Sono questi ultimi che conferiscono tutto il suo significato al giar­ dino privato di dimensioni più ridotte, un po' frettolosamente defi­ nito borghese, la cui concezione risulta a sua volta dalla confluenza di più modelli. La tradizione aristocratica e clericale del giardino di fiori, la preoccupazione di autosostentamento che è stata a lungo

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quella di molti «proprietari», certe consuetudini popolari introdotte dal giardiniere concorrono a quest'apparenza composita. Soprattut­ to, il giardino, in quest'ambiente, tende sempre più a integrarsi nella sfera privata, a diventare il prolungamento dell'interno. Gli enormi vasi di fiori, le vasche, la panchina, il pergolato, la serra, la pulizia dei viali, il rispetto per l'aiuola, l'esigenza della sarchiatura si armonizza­ no con i canoni che governano l'interno della casa. Allora, il giardino borghese si costruiva contro la strada. È spazio protetto, che ha lo scopo di soddisfare il bisogno d'intimità, il desiderio di lettura soli­ taria, lo sfogo amoroso. Si ritrova in questo microcosmo l' «ingabbia­ mento del desiderio» che caratterizza il parco aristocratico. Al ripa­ ro da sguardi indiscreti, vi si possono svolgere, inoltre, forme di so­ cialità che sono la continuazione dei rituali del salotto82• Se non si tie­ ne conto di questo modello, è difficile cogliere esattamente l'emerge­ re del giardino collegato al villino. Certe caratteristiche del giardino popolare rispecchiano l'influen­ za di quello che è chiamato il giardino del curato - e questo non è che un esempio. Questo spazio destinato parzialmente a facilitare l'ad­ dobbo della chiesa, in particolare quello dell'altare della Vergine, ha contribuito, a suo modo, a mantenere e a far apprezzare, soprattutto nelle campagne, la coltivazione dei fiori e la tecnica della decorazio­ ne floreale83 . In modo ancora più netto, il giardino popolare sembra collocarsi alla confluenza di altri tre modelli, distinti qui in maniera un po' ar­ tificiosa. Il primo è rappresentato da quello spazio piccoloborghese di cui il «giardino del benestante» è diventato il prototipo. A tutta una categoria di individui prossimi alla vecchiaia, esso offre l' espe­ rienza inedita di un'azione esercitata sulla natura vegetale. Di fatto, l'ascesa di questa categoria sociale e di quest'abitudine corrisponde all'epoca che ci riguarda84• Si tratta però di un'esperienza incomple­ ta. Il piccoloborghese appassionato di giardinaggio85, che sia o meno benestante, si fa aiutare generalmente da un uomo del popolo. È que­ st'ultimo che zappa, pianta, pota, strappa e brucia. n proprietario of­ fre episodicamente il suo contributo. Annaffia, la sera. Al bisogno, se­ mina e raccoglie. L'orto è per lui anche il luogo di una continua le­ zione pratica impartita ai bambini. Per questi ultimi, il giardino che protegge dalla strada86 compensa il suo isolamento con la rivelazione dei fenomeni della natura. La sarchiatura delle aiuole è utile, da par­ te sua, per imparare a mantenere l'ordine; tiene inoltre lontana la noia durante il tempo delle vacanze estive. In un simile giardino possono svolgersi dei giochi - noi diremmo delle attività - di cui la pianta, il

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fiore, e persino l'animale rappresentano gli elementi principali. Il giardino operaio è una creazione sociale i cui autori avevano ricevu­ to, secondo ogni probabilità, questo tipo d'insegnamento. Questo li ha spinti a riproporre, a beneficio dell'altro, la configurazione di pia­ ceri che avevano in precedenza sperimentato. L'orto del contadino e dell'artigiano rurale costituisce un model­ lo del tutto diverso. Sfortunatamente, dopo la Rivoluzione, non è sta­ to oggetto di molti studi87. Sebbene corrisponda a un obiettivo di au­ tosostentamento, è impegnato molto più apertamente del preceden­ te nel circuito commerciale e allarga la gamma dei prodotti che il col­ tivatore intende destinare alla vendita. n giardino di questo tipo è spesso difficilmente distinguibile dalla coltura in aperta campagna. Non sempre è recintato e, poiché i suoi prodotti, poco protetti, sono esposti ai piccoli furti, favorisce l'apprendistato di un tipo di tra­ sgressione giovanile. L'orto contadino è spesso diviso in due. Vicino alla casa, come prolungamento della cucina, si coltivano le insalate, le erbe aromatiche, le piante medicinali, i fiori che si desiderano ave­ re a portata di mano; come pure i prodotti precoci o delicati che, co­ me i pomodori e certi ortaggi freschi, hanno bisogno di una sorve­ glianza particolare. Questo giardino, come l'aia, è il regno delle don­ ne. Più lontano dall'abitazione, c'è un altro orto, questa volta ma­ schile, dove si coltivano prodotti che si conservano a lungo, in parti­ colare carote, cavoli, fagioli e patate88. Il modello proposto da questo giardino contadino è stato succes­ sivamente esaltato, temuto e schernito dai promotori del giardino operaio. Questi ultimi, spinti dal timore che gli immigranti venuti dalla campagna si staccassero completamente e in maniera troppo brutale dalla terra e dai suoi valori, hanno in un primo tempo auspi­ cato il mantenimento delle consuetudini familiari. In esse vedevano un antidoto all'esodo rurale e un mezzo per placare le proprie ansie. Ma, molto presto, è sembrato loro che il perpetuarsi di una simile abi­ lità potesse ritardare l'inserimento nella città. Il «piccolo allevamen­ to», che peraltro continua a essere raccomandato da molti difensori del giardino popolare fino alla metà del periodo fra le due guerre, na­ scondeva anch'esso delle minacce. Contribuiva al proliferare delle conigliere e al moltiplicarsi dei furti di animali. Incoraggiava la co­ struzione di capanni. Lo spettro del tugurio rurale e della bidonville si profilava nella mente di molti di questi filantropi, contrari alla tra­ sformazione del «pergolato» del giardino operaio in habitat perma­ nente. Aggiungiamo che questi persuasori hanno intuito che era me­ glio non soprawalutare il vantaggio di aver conosciuto in preceden-

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z a il lavoro della terra. Coltivatore non vuol dire giardiniere. n primo si accontenta, in generale, di tecniche di coltivazione estremamente semplici. Le sue conoscenze botaniche sono mediocri. Gli obiettivi che lo spingono a impiantare un orto al centro di vasti spazi non cor­ rispondono esattamente a quelli che gli fanno coltivare l'infimo ap­ pezzamento di cui è fatto un giardino operaio. Nei terreni disponibili della periferia, il giardino popolare si ac­ costa all'orticoltura89. I conflitti che nascono da questa vicinanza so­ no stati sottolineati già da molto tempo. Gli orticoltori, a differenza dei giardinieri dilettanti, possiedono un'abilità di tipo artigianale che assume la forma di un'arte applicata. Gli spazi su cui coltivano pro­ dotti destinati al circuito commerciale sono molto più vasti delle mi­ nuscole porzioni di terra che si dividono i loro concorrenti. Tuttavia, i conflitti che esplodono qua e là non devono far dimenticare il mec­ canismo delle influenze, l'evidenza degli scambi, la molteplicità del­ le imitazioni, anche se rielaborate. n modello articolo insegna al di­ lettante le tecniche della coltura intensiva o, se si preferisce, le forme di una meticolosità che va di pari passo con una produzione quanti­ tativamente importante. Gli orticoltori diffondono il culto della pre­ cocità, il prestigio delle primizie. Sotto l'influenza di questo modello, il buon giardiniere tende a essere concepito come colui che, in pri­ mavera, comincia a raccogliere prima degli altri. Inoltre, gli orticol­ tori divulgano tecniche di coltivazione che puntano su una verticalità molto adatta alle piccole dimensioni del giardino operaio. Gli alberi da frutto a spalliera, i fagioli rampicanti, che non sono certo scono­ sciuti ai coltivatori delle campagne, trovano qui un nuovo terreno d'elezione. Le metamorfosi del «pezzetto di terra»

Dopo aver ricordato le diverse influenze che pesano sul giardino popolare, è bene tentare di abbozzare una tipologia. n giardino ope­ raio propriamente detto - che non va confuso col precedente di cui è soltanto una forma - è stato oggetto di svariati lavori. Noi lo esa­ miniamo qui come esempio di svago raccomandato, allo stesso titolo della lettura, dell'arte popolare, e della pratica sportiva. Fa parte del catalogo incessantemente ripetuto in occasione delle ricerche dedi­ cate all'«utilizzazione del tempo libero dei lavoratori», soprattutto al­ l'indomani dell'approvazione della legge che istituisce la giornata di otto ore ( 1919). Evidentemente, è forte il rischio di concentrare l'at-

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tenzione su attività auspicate da altri. Ma sarebbe altrettanto sbaglia­ to squalificare certi piaceri popolari col pretesto che sono stati sug­ geriti, organizzati, o addirittura imposti dall'esterno. Gli obiettivi così come le tattiche dei promotori degli svaghi del lavoratore sono stati chiaramente enunciati fin dall'inizio. Per esem­ pio, Borderei e R. Georges-Picot dichiarano in proposito nel 1925 : «È una petizione di principio supporre che lo svago esista in sé, in conseguenza di una diminuzione del tempo di lavoro e indipenden­ temente da un'organizzazione dell'esistenza in cui possa essere ap­ prezzato come tale [ ... ] Nella vita operaia, divisa generalmente fra il lavoro, la distrazione esterna e il riposo completo, lo svago reale, cioè una semiattività libera, personale - si riconosce qui una trasposizio­ ne del modello dell'otium o una regolare vita di società non trova posto, perché non ha uno spazio o ha degli spazi riprovevoli [ ... ] [Bi­ sogna dunque] organizzare questo spazio che egli [l'operaio] riem­ pirà da solo secondo i suoi gusti e il grado della sua evoluzione intel­ lettuale e morale . . . ». Di fatto, «gli svaghi della classe operaia non sa­ ranno mai diversi da quelli che il suo genere di vita e le sue abitudini intellettuali e morali le permettono di assaporare»90. Sarebbe inutile offrirgliene di un genere a cui non fosse preparata. Il giusto modo di procedere non consiste dunque nel ricercare ciò «che potrebbe esse­ re a priori interessante creare per lei, ma adattare e correggere a po­ co a poco quello che apprezza abitualmente». È del tutto compren­ sibile che, almeno in una prima tappa, quella che inaugura la «lenta modificazione delle abitudini», il giardinaggio appaia come la forma di svago che merita di essere raccomandata prima di qualsiasi altra. Il giardino rappresenta, per questi teorici dell'apprendistato del tempo libero, uno dei mezzi migliori per acquistare il senso dello sva­ go, preliminare indispensabile per la nuova «organizzazione dell'esi­ stenza» proposta ai lavoratori. Spesso la descrizione si trasforma in idillio. «Mai, aggiunge Georges-Picot, la vita è sembrata così dolce, l'umanità così buona, o Parigi così bella come da questo pergolato dei giardini operai»91. Questi costituiscono dei microsistemi progettati secondo un im­ maginario sociale oggi ben conosciuto. Nel 1903 , la Lega del pezzet­ to di terra e del focolare, fondata sei anni prima dal sacerdote demo­ cratico Jules Lemire92, conta, fra i suoi ottocento aderenti, ecclesia­ stici, filantropi, politici, per la maggior parte democratici cristiani, medici, professori. Quest'analisi dei componenti fa chiaramente in­ travedere la configurazione sociale della cerchia iniziale all'interno della quale è stata elaborata, in Francia, questa forma di svago. Lo -

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storico, in questo caso, è sommerso dai documenti93 • Il giardino ope­ raio si presenta come una selva di punti di vista fra cui manca, o qua­ si, quello del protagonista principale: il giardiniere operaio. Questo silenzio deriva da un doppio ordine di motivi. Innanzitutto, non gli è stata offerta molto spesso la possibilità di parlare. Inoltre, come ab­ biamo già visto e come accade anche ai giorni nostri, al dilettante rie­ sce molto difficile parlare della propria attività. La variabilità del vo­ cabolario botanico a seconda delle località, sommata alla volontà de­ liberata di svalutazione e di autoderisione, contribuiscono a spiegare tale opacità. Su quest'inesauribile loquacità delle fonti istituzionali, le scienze umane hanno costruito, da circa vent'anni, un altro edificio di paro­ le. Quest'ultimo è stato dettato in parte dal desiderio di smascherare un proposito di dominio che, molto spesso, era confessato dagli ini­ ziatori dell'istituzione94, in parte da quello di scoprire, nell'intreccio delle attività giornaliere, le tracce di una cultura operaia o di una cul­ tura del povero più o meno autonoma95• Tutto ciò risveglia oggi la sensazione di una duplice imposizione e, di conseguenza, di una dop­ pia espropriazione. Pertanto, s'impone l'esigenza di un'ottica com­ prensiva o, se si preferisce, di un atteggiamento di ascolto delle emo­ zioni, dei piaceri e delle sofferenze dei principali protagonisti. Negli ambienti borghesi preoccupati di organizzare il tempo libe­ ro dei lavoratori, il giardino operaio è apparso dunque come il mo­ dello dell'attività «libera e responsabile» del «lavoro intelligente e personale»96. Il desiderio di vedere il dilettante dedicargli i pomerig­ gi delle sue domeniche spingeva inoltre il clero cattolico a considera­ re questo passatempo un' «occupazione» e non un lavoro. In questa stessa logica, era importante che il giardino operaio non fosse colle­ gato al circuito commerciale. Un complesso sistema di rappresentazioni determina la figura di questa forma di svago. Subisce prima di tutto l'influenza dell'intento igienista e sanitario. Coltivare il proprio giardino costituisce il meto­ do migliore per prendere un po' d'aria, lontano dai miasmi della città. L'orto ha la funzione di arginare tre grandi flagelli biologici rappre­ sentati dall'alcolismo, dal pericolo venereo e dalla tubercolosi. Le Sa­ natorium à domicile par les jardins ouvriers è il titolo di un libro pub­ blicato dal dottor Louis Lancry. Secondariamente, agli occhi dei suoi promotori, per la maggior parte cattolici, il giardino awicina il lavo­ ratore a Dio. Impone la sottomissione ai ritmi cosmici e biologici. Permette di ammirare la creazione. Può trasformarsi in luogo di me­ ditazione. Il giardino operaio ha anche la funzione di garantire sim-

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bolicamente il mantenimento di un ordine antico. Ricorda un passa­ to prossimo, che si va cancellando. Distoglie dalla rivoluzione e dal­ le teorie sovversive, a vantaggio di un sentimento di amore e di con­ cordia sociale. «Ognuno dei nostri gruppi di giardini, dichiara quin­ di Georges-Picot, costituisce una solida isola di difesa sociale e na­ zionale»97. N ella cerchia di don Lemire, il giardino operaio è visto inizial­ mente come una via di accesso alla proprietà. Esso procura «l'illusio­ ne di una casa propria»98. Va d'accordo con l'ideologia del ritorno al­ la terra, col movimento «terrianista» che mira al mantenimento o piut­ tosto alla trasposizione dei valori della comunità rurale, di cui si ac­ centua il carattere tradizionale. In una prospettiva vicina, il giardino è presentato come un efficace strumento di moralizzazione della clas­ se operaia. Ha la funzione di combattere l'osteria, il bordello, la riu­ nione pubblica e lo sciopero. La solitudine in giardino non può che favorire, si pensa, la coscienza di sé e il pieno sviluppo dell'individuo. Così com'è immaginato, questo luogo di preservazione è strettamen­ te associato all'intento di favorire il consolidamento della famiglia che anima l'ambiente a cui appartengono i suoi promotori. La riunione fa­ miliare in giardino costituisce un immancabile topos di tutte le opere che gli sono dedicate. Va detto anche che, al bisogno, l'orto può di­ ventare scuola di economia domestica. Si consiglia alla moglie del giardiniere di prendere nota di tutte le economie realizzate grazie a questo benefico passatempo99. Fra le due guerre, l'orto operaio è spesso presentato come un rimedio alla vita diventata troppo cara. Questo giardino destinato al povero e che appare, almeno inizial­ mente, come un'opera di assistenza, favorisce le manifestazioni di ca­ rità e di solidarietà. Il buon giardiniere ha il dovere di zappare l' ap­ pezzamento del suo vicino malato o della vedova con figli a carico. La Lega del pezzetto di terra e del focolare non è la sola organiz­ zazione di questo tipo. Sono molti i giardini delle fabbriche che cor­ rispondono all'obiettivo, apertamente riconosciuto, di fissare e per­ petuare la manodopera. «Un altro felice risultato [di quest'istituzio­ ne] , si legge in un rapporto presentato nel 1922 che riguarda i giar­ dini operai di Montluçon, è stato di stabilizzare l'operaio, che si affe­ ziona alla sua fabbrica e al suo giardino. Esistono poche località in cui l'operaio sia altrettanto stabile; qui, ogni anno vengono conferite molte medaglie al merito del lavoro; generazioni di operai si succe­ dono nella stessa fabbrica . . . »100. Le compagnie minerarie, le società ferroviarie, alcune industrie metallurgiche cercano di promuovere questa forma di svago. Mettono a disposizione dell'operaio un giar-

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dino attiguo alla sua casa o gli propongono di affittarne uno nelle vi­ cinanze. Nel 1922 , il numero dei giardini operai coltivati, calcolati sull'insieme del territorio, è stimato in centosessantamila. Ottantot­ tomila appartengono a compagnie minerarie e sedicimilaottocento­ settantasei sono stati creati da ottantanove imprese elencate dal mi­ nistero del Lavoro101. Il giardino operaio è regolamentato102. All'interno del suo spazio, rigorosamente segnalato, gli appezzamenti sono numerati. Gli orga­ nizzatori fanno esporre le loro prescrizioni. I responsabili sorveglia­ no i comportamenti e, se necessario, infliggono delle sanzioni. Nel mettere a coltura i terreni vanno rispettate norme precise. Il giardi­ niere ha il dovere di vestirsi in modo rispettabile, di mantenere buo­ ni rapporti con i vicini e di contribuire alla manutenzione delle parti comuni. Lo spirito di emulazione è alimentato da gare periodiche ri­ guardanti la qualità degli ortaggi, la sontuosità della decorazione flo­ reale, la tenuta dei viali, la bellezza dei 'pergolati'. Queste competi­ zioni forniscono l'occasione per piccole feste. Talvolta, un esperto di orticoltura impartisce lezioni ai giardinieri dilettanti. Volantini e opu­ scoli sono distribuiti gratuitamente dagli organizzatori. Insomma, la storia dei giardini operai è innanzitutto quella di un'opera benefica, costruita sulla base dei documenti abituali per questo tipo di istitu­ zione. Questa relativa abbondanza di tracce rischia di indurre a so­ pravvalutare l'importanza di questa forma di assistenza, che rappre­ senta solo uno degli elementi del giardino popolare; ci torneremo so­ pra in seguito. Altrettanto dicasi, su tutt'altra scala, dell'importanza che le è attribuita nell'ambito delle inchieste internazionali promos­ se dal BIT. Abbiamo parlato del giardino auspicato, organizzato, sorvegliato. Rimangono da considerare il giardiniere e il giardinaggio, come pure il destino di queste opere benefiche. In Francia, queste appaiono ne­ gli anni immediatamente successivi al 1 860, ma, a quell'epoca, ri­ mangono strettamente localizzate103 . Quindi, la fondazione della Le­ ga del pezzetto di terra e del focolare è considerata generalmente il vero punto di partenza. Il numero dei giardini aumenta lentamente fino all'introduzione della giornata lavorativa di otto ore ( 1 919). In seguito, cresce moltissimo, prima di stagnare, in conseguenza della crisi, durante il decennio che precede la Seconda guerra mondiale. Gli anni del conflitto corrispondono a un nuovo periodo di crescita, a cui segue un declino regolare104• L'evoluzione della quantità è accompagnata da una trasformazio­ ne della natura dell'istituzione. Fra il 1896 e il 1950, il giardino ope-

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raio diventa, a poco a poco, «il giardino degli operai» 1 05. Nel perio­ do fra le due guerre, i possessori di appezzamenti si emancipano da­ gli obiettivi moralistici iniziali, mentre i promotori, e lo stesso don Le­ mire, abbandonano la figura del giardino operaio per quella di un giardino familiare 106. I protagonisti si riconoscono ormai come mem­ bri di un'associazione e non più come assistiti di un'opera di benefi­ cenza. Il giardino e il giardinaggio sono sempre più chiaramente con­ cepiti come un luogo e un'attività di distensione 107. È difficile, attraverso i documenti dell'opera benefica, avere un'i­ dea esatta di ciò che avviene realmente all'interno degli appezza­ menti. In che modo l'accettazione delle prescrizioni, la loro ignoran­ za o il rifiuto che viene loro opposto, hanno suggerito un nuovo uso del giardino e provocato lo sviluppo di forme inedite di svago? Le ri­ cerche orali, purtroppo posteriori di qualche decennio al periodo che ci riguarda, permettono, pur con qualche rischio di anacronismo, di prospettare alcune ipotesi. In questi giardini - come in un certo nu­ mero di altri giardini popolari - le tecniche di coltivazione sono ba­ sate su una conoscenza di forma enciclopedica, fatta di ricette giu­ stapposte 108. Questo fatto contribuisce a spiegare l'inerzia degli usi, la forza di resistenza che il giardino popolare ha opposto per molto tempo al progresso scientifico; e ciò, malgrado i tentativi di insegna­ mento dell'orticoltura. Il giardinaggio rimane, in questi ambienti, un'attività sessualmen­ te indecisa. Tende tuttavia a mascolinizzarsi nel corso degli anni. Al­ l'indomani dell'approvazione della legge che introduce la giornata di otto ore, stando a un'inchiesta realizzata dal ministero del Lavoro fra il 1920 e il 1923 , si presenta anzi come un'attività caratteristica degli uomini adulti. I giovani gli preferiscono lo sport, l'apprendistato, le passeggiate in bicicletta, le «ricreazioni artistiche» e la ricerca del partner sessuale l ll'>. Sono, per la maggior parte, degli operai padri di famiglia quelli che, dopo il lavoro, se ne vanno in bicicletta a lavora­ re nel giardino. Il sabato, vi si riuniscono per coltivare i loro ortaggi, ma anche per giocare a bocce, fare una partita di belote 1 10 e bere un goccio sotto il pergolato; quest'ultimo si sostituisce al caffè. Come la pesca con la lenza, la coltivazione del giardino non ha nulla di eroti­ co; anzi è spesso presentata, ripetiamolo, come un antidoto alla de­ pravazione. Il giardinaggio prepara dei buoni mariti, mentre consola o rallegra i vecchi. All'epoca, il circuito di distribuzione delle verdu­ re fresche continua a essere piuttosto povero, al di fuori delle grandi città. Per il padre di famiglia, il giardinaggio costituisce, di conse­ guenza, una forma di partecipazione nutritiva che si colloca simme-

Jean Metzinger, Al velodromo ( 1914). Fondazione Peggy Guggenhei m , Venezia.

9. Ger tManche). - Cyc o • ·

Passeggiata in bicicletta. Le vincitrici Jel concorso di biciclette e rimorchi fioriti al Bois de Boulogne, nell897.



Partita di calcio a Charterhouse, marzo 1892.

Copertina del settimanale sportivo «La vie au grand air» (1914).

Copertina del «Miroir des sports» (1933).

Il mercato di place de la Halle a Louviers, intorno all900. Partita di carte tra baschi. Danza bretone in occasione di un matrimonio.

Pesca domenicale con la lenza a Charenton-St. Maurice, nel canale. Pesca a Rouzat. Autocromo di Jacques-Henri Lartigue.

Montmartre, la casa col tetto di paglia, detta «di Enrico IV», intorno al 1 900.

Copertina del primo numero del settimanale «Système D» ( 1 924).

L.gue França•se ou Co1n de Terre et du Foyer - Reconnuc O'utdité publlque - Oécret du Fédéral10n des Jaroins Ouvrlers de France -

Cartolina della «Ligue française du Coin de Terre» (191 1 ) .

Siège soc>al

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26, Rue Lhomond

3

aout

1909

Campeggio popolare all'epoca della repubblica di Weimar.

Al

tt

l'artenza di una nave Kra/t durch Freude per la Norvegia (1938).

••

Manifesto di Pierre Joubert per gli scout francesi ( 1 950). Manifesto di Raymond Gid per il Club Méditerranée ( 1 96 1 ). Il fascino del campeggio nel bosco ( 1 939).

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tricamente rispetto agli acquisti femminili. Nello stesso tempo, la ma­ nipolazione e l'impiego dei prodotti dell'orto favoriscono l'appren­ distato culinario delle ragazze111• Ma non è certo questo l'essenziale. Il giardino operaio, come altri giardini popolari, procura piaceri che vanno molto al di là del sem­ plice giardinaggio11 2• Fornisce l'occasione di un'espressione della personalità che è, nello stesso tempo, resistenza al prodotto standar­ dizzato. Permette lo sviluppo di forme di socialità basate sulla convi­ vialità e su una gastronomia in qualche modo immediata. n prestigio dei «prodotti dell'orto» è costitutivo della cultura sensibile dei fran­ cesi. Gli scambi di semi, di piante, di attrezzi, di consigli, di sguardi critici, i raccolti in comune e gli aiuti reciproci sanciscono forme ine­ dite di vicinato. Nel periodo fra le due guerre, la vecchia gita familia­ re in campagna viene qui rielaborata secondo la figura delle «belle do­ meniche». In un luogo privato, questa volta, ma conviviale, situato in prossimità dei sentieri che portano al bosco o sulle rive di uno stagno, è possibile «fare i matti, fare chiasso, ridere e cantare»113, al riparo dal­ la sorveglianza della parentela e dai pettegolezzi del quartiere. La pre­ senza di un piccolo allevamento è un buon motivo, se occorre, per an­ dare in giro per i prati a raccogliere «l'erba per i conigli». Ma, si sarà capito, questi nuovi piaceri del giardino operaio sono gli stessi del giardino del villino, di cui adesso dobbiamo occuparci. Sappiamo quanta importanza questo abbia, ancora oggi, fra le at­ tività del tempo per sé. Sfortunatamente, a causa della sua comples­ sa genealogia114, è molto difficile da individuare. Accontentiamoci di parlarne a grandi linee. È importante ricordare, innanzitutto, un pe­ riodo di anarchia e di confusione, indispensabile per la sua com­ prensione. Molti abitanti delle città e dei borghi, che ignorano le isti­ tuzioni del giardino operaio, conoscono tuttavia il giardinaggio. Dob­ biamo fare attenzione a non minimizzare la diffusione di un'abilità radicata nella trasmissione orale, confortata dall'esperienza persona­ le, perfezionata attraverso la scuola115 e la lettura delle tante opere scritte sull'argomento che meriterebbero uno studio sistematico. Con l'estendersi delle periferie, queste conoscenze hanno avuto modo di manifestarsi. A Limoges, nelle zone suburbane dove vanno a vivere gli operai delle fabbriche di porcellana venuti in qualche ca­ so dalla campagna, lo sviluppo di questo nuovo giardinaggio cittadi­ no risale alla metà del diciannovesimo secolo116• Nella regione di Pa­ rigi, è caratteristico del periodo fra le due guerre. I giardinieri dilet­ tanti cominciano a utilizzare, in modo effimero o talora intermitten­ te, dei terreni abbandonati o in attesa di lottizzazione. Beneficiano,

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in questa circostanza, di una temporanea tolleranza che permette un'espansione anarchica del numero degli appezzamenti, in contrad­ dizione col rigore dell'organizzazione del giardino operaio. Un mosaico di orti e frutteti, il cui aspetto varia secondo la condi­ zione sociale del dilettante che se ne occupa, secondo i suoi gusti e le tradizioni locali, nasce all'interno e nelle vicinanze delle città e dei borghi. Questi spazi coltivati hanno ciascuno una propria denomi­ nazione: giardino modello del maestro, giardino del curato, già ri­ cordato, giardino del casellante, che si allunga, sfilacciandosi, lungo i binari117, giardino del doganiere, inizialmente situato vicino alle barriere del dazio, giardino di marinaio, giardino operaio. Tutte que­ ste denominazioni, di cui è difficile sapere in che misura corrispon­ dano a tecniche di coltivazione diverse, sono una prova, per la loro stessa varietà, di una 'età dell'oro dell'orto', che il giardino del vill i­ no propriamente detto è venuto a chiudere tardivamente. Quest'ultimo non ha la stessa autonomia del precedente; ha lo sco­ po di circondare la casa. Viene costruito in funzione di essa. Rispet­ to al giardino operaio, si rivela molto più influenzato dai modelli sug­ geriti da una stampa specializzata. È più luogo di espressione di sé che di dimostrazione di un'abilità. Nel corso dei decenni, tende ad affermarsi una divisione dello spazio in quattro parti, che potrebbe essere letta come una compressione paradossalmente complicata del­ lo spazio del giardino borghese. Siamo così indotti a distinguere, nel terreno che incornicia il villino, un giardino lavorato, un giardino abi­ tato, un giardino contemplato e un'area di disordine indispensabile per la manutenzione delle altre tre118. Gli obiettivi che determinano il disegno di questo giardino porta­ no a relegare l'orto, o addirittura a nasconderlo, sul retro della casa. La logica ostentatoria della composizione spinge, talvolta inconscia­ mente, a una svalutazione delle tradizioni popolari del giardinag­ gio119, a vantaggio di segni di modernità che indicano un nuovo rap­ porto sociale. La zona davanti al villino è riservata a un lavoro del­ l'apparenza. n prato - tardivo -, la siepe decorativa e il muretto, so­ stituti del muro del giardino cittadino della borghesia, la profusione o addirittura la ressa delle piante di prestigio- fra cui l'immancabile cedro azzurro -, il pozzo finto, i minuscoli mulini, i pneumatici colo­ rati, i nani formano uno spazio accuratamente progettato che deve costituire un piacevole spettacolo, osservato dall'interno, e un presti­ gioso segno della posizione sociale, visto dall'esterno. L'esiguità del­ lo spazio impone qui una miniaturizzazione che era già caratteristica del capanno e del 'pergolato' del giardino operaio.

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Questa parte del giardino offre il destro a una forma di svago, di­ stinta dal bricolage e totalmente consacrata all'espressività. Il giardi­ no del villino dà sfogo al desiderio di addomesticare lo spazio con l'aiuto di segnali, spesso effimeri. Questi possono sembrare strava­ ganti, grotteschi o addirittura mostruosi, nella misura in cui, almeno inizialmente, sembrano sfuggire a qualsiasi canone estetico ed espri­ mere solo maldestri tentativi di ricerca delle forme120• Un'altra porzione dello spazio ha la funzione di prolungare il vil­ lino. La sua creazione risponde allo stesso desiderio che ha portato, in Francia, alla proliferazione del pianoterra soprelevato, moda ar­ chitettonica che permette, in particolare d'estate, di abbandonare il piano nobile e di trasferire la vita quotidiana al livello del sottosuolo. Prima ancora che i negozi specializzati impongano le nozioni di «an­ golo giardino» e di «salotto da giardino», sotto l'influsso di modelli venuti da oltreoceano, il retro della casa consente, quand'è bel tem­ po, di mangiare all'aria aperta senza essere spiati dalla strada. È pos­ sibile, al bisogno, accendervi un fuoco sistemato in modo approssi­ mativo - il barbe cue è più tardivo. Questa parte dello spazio riserva­ ta allo svago familiare è anche un'area di gioco per i bambini. Nel pe­ riodo tra le due guerre, quando il bricolage, nella sua preistoria, si ba­ sa sul recupero, questo spazio conviviale entra in competizione con un'area di accumulo, di accantonamento e di riparazione, il cui ap­ parente disordine è causa di tensioni all'interno della coppia. Quanto all'orto, relegato dietro alla casa, il suo arretramento non è affatto compatto e lineare. La sua diffusione nel corso e all'indo­ mani della Seconda guerra mondiale, anche all'interno del giardino borghese, dimostra la sua forza di resistenza; ed è difficile misurare quale effetto abbia avuto su di esso l'aumento del numero di pensio­ nati durante la prima metà del secolo. Come in precedenza quella del giardino operaio regolamentato, ma in modo più surrettizio, la qua­ lità dell'orto di questo giardino continua a determinare la collocazio­ ne del suo proprietario nella gerarchia morale che si forma all'inter­ no del quartiere. La ricompensa gustativa è solo uno dei vantaggi del giardino ben tenuto. Ce ne sono altri, simbolici. ll ritardo e il falli­ mento delle colture continuano a essere altrettanti segni di disonore, quando non costituiscono indizi di fannullaggine. Ma tutte queste sono soltanto considerazioni molto imprecise, che appartengono più a un programma di ricerca che a un bilancio. S'im­ pone tuttavia una conclusione: qualunque sia lo scarto fra gli obietti­ vi dei promotori del giardino operaio e le abitudini del giardinaggio popolare e quale che sia l'opacità di queste ultime, esse costituiscono

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in ogni caso uno dei dati fondamentali dell'invenzione degli usi del tempo libero. n giardinaggio popolare si presenta come un argo­ mento di un'estrema ambiguità. Per gli uni attiene ai rapporti con la divinità e a considerazioni di ordine etico, per altri, ai procedimenti di distinzione e di ostentazione, per altri ancora, alle forme del do­ minio, reale o simbolico. Fa parte, contemporaneamente, della storia del lavoro e di quella dello svago, della lotta contro la noia, delle tat­ tiche di asservimento del desiderio e di ricerca del piacere. Ma esiste un denominatore comune. All'interno della recinzione del giardino, qualunque esso sia, si presenta una figura della felicità intima che rientra sicuramente nel campo dei comportamenti regressivi, dipen­ de cioè dalla convinzione che, in queste attività che si riallacciano ai piaceri dell'infanzia, possa essere riscoperto qualcosa di autentico.

Il bricola ge: dall'arte delfo colare al sa crz/icio del tempo Trattare del bricolage in uno studio che ha come argomento il tem­ po libero comporta un rischio di anacronismo, che è tanto più gran­ de in quanto la forma di questo tipo di attività si è evoluta molto ra­ pidamente. Qui tenteremo dunque di rintracciare l'emergere di que­ sta nozione e di ripercorrere a grandi linee le tappe che scandiscono la sua storia. Anche questa volta ci atterremo al caso francese, pur sforzandoci di scoprire le influenze che ha subìto. L'uso dei termini bricole [lavoro saltuario] e bricoleur [chi lavora saltuariamente] ha preceduto, di molto, quello di bricola ge . n Trésor de la Lan gue /ran çaise rileva, inoltre, l'impiego di bricoler già nel1 859. Questo verbo significa allora eseguire, senza grande cura e secondo i propri bisogni, minuti lavori, il cui risultato è di scarso valore. Quan­ do diventa di uso corrente, negli anni venti, il termine 'bricolage' ere­ dita questi riferimenti impliciti all'irrilevanza e all'intermittenza che lo colorano in senso peggiorativo. 'Bricoler' vuoi dire allora lavorare senza perizia, «da dilettante»; l'impiego metaforico di questo termi­ ne nelle scienze umane si è caricato, in seguito, di questa tonalità di­ spregiativa; il «bricolage intellettuale»- come qualsiasi altro bricola­ ge- ha ricevuto di recente le sue patenti di nobiltà nella misura in cui è associato all'immaginazione, all'inventiva, alla personalizzazione di una ricerca, e non più solo all'incertezza concettuale. Nel corso degli ultimi decenni- ciò esula dal periodo qui preso in esame-, l'aggiun­ ta della nozione di falsificazione è venuta a complicare il suo signifi­ cato. È in questo senso che oggi i giovani parlano di 'bricoler' [truc-

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care] un motorino. Dalla metà del diciannovesimo secolo, l'intermit­ tenza che squalifica i lavori del «dilettante», del «toccatutto» che pra­ tica il bricolage ha ispirato, al contrario, il riconoscimento di una cer­ ta abilità e di un'innegabile capacità di adattamento ai problemi che si presentano nel corso della vita quotidiana. Questa semantica complessa ha le sue funzioni. Fa parte, inizial­ mente, delle tattiche di discredito che prendono di mira il dilettanti­ smo e la mobilità, quando entrambi riguardano l'uomo del popolo. Lo stretto legame stabilito fra il bricolage e l'attività manuale attiene, inoltre, all'etnocentrismo e conforta l'immaginario sociale delle clas­ si dominanti. È logico e rassicurante raffigurarsi l'operaio, fuori dal suo lavoro, come un individuo che si dedica spontaneamente, anche se in forma degradata, a un tipo di attività che definisce la sua intera esistenza121. Questa spontanea inversione dei segni del lavoro può sembrare, ancora meglio del giardinaggio, un rimedio adeguato ai ri­ schi insiti nel girovagare senza scopo. Durante il periodo fra le due guerre il bricolage beneficia, tra l'al­ tro, della crescente dignità riconosciuta al lavoro operaio122 e della ri­ cerca di tutto quanto appartiene a una cultura considerata popolare. Di conseguenza, l'incertezza fra svalutazione ed esaltazione, insom­ ma l'ambiguità, si accentua. Ciò si avverte particolarmente durante gli anni quaranta. Apriamo, a titolo d'esempio, un libriccino pubbli­ cato dalle Editions ouvrières e destinato agli adolescenti membri del­ la Joc [Gioventù operaia cristiana]. Si intitola: Viens bricoler.' e fa parte di una serie che comprende altre opere dedicate al canto, allo sport, al gioco, al campeggio. li bricolage vi mantiene la sua colora­ zione peggiorativa: «Forse hai sentito tuo padre o degli operai dire parlando di qualcuno: 'quello è un bricoleur'. Intendevano dire un ti­ po senz'arte né parte, uno che sa far tutto e niente. Nella vita, non es­ sere un bricoleur; impara un mestiere, un vero, un buon mestiere - dieci mestieri= undici miserie (sic) . Ma, per il momento, il giovedì o la sera dopo la scuola con i tuoi amici, impara a bricoler, cioè a fa­ re ogni specie di cose con delle sciocchezze»123; e questo per essere in grado più tardi di organizzare il tempo libero familiare in vista del raggiungimento della felicità domestica. Nei decenni successivi, il bricolage acquista a poco a poco la sua attuale nobiltà, mentre la sua figura e i modi in cui viene praticato si modificano profondamente. All'alba degli anni ottanta arriva a rap­ presentare un vero e proprio stile di vita. È questa serie di meta­ morfosi che costituisce il nostro obiettivo. È una forzatura voler inserire questa storia in una riflessione sulle

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rappresentazioni e sugli usi del tempo libero? È quello che dobbia­ mo esaminare. Tutti coloro che, fra le due guerre, si sono atteggiati a organizzatori del tempo libero dei lavoratori hanno riconosciuto che il bricolage apparteneva a questa categoria; ci torneremo sopra più avanti. D'altra parte, per l'«artigiano della domenica» o per il diri­ gente che esegue piccoli lavori in casa, quest'attività costituisce, ai giorni nostri, un indiscutibile cambiamento. Il tempo che le dedica­ no differisce radicalmente da quello del loro lavoro. Tuttavia, al termine di una ricerca realizzata oralmente nel1985, Philippe Jarreau contesta la legittimità dell'attribuzione del bricola­ ge al tempo libero124• Gli individui che ha interrogato vedono i lavo­ ri fatti per migliorare la casa come un obbligo, un'imposizione, un do­ vere e, soprattutto, un sacrificio di tempo. Ai loro occhi, significano un «momento di distensione sacrificato», addirittura vacanze massa­ crate. La pressione temporale che si esercita su di loro- in modo mol­ to più pesante che sui 'dilettanti' di una volta - impedisce di consi­ derarli altrimenti. «Il bricolage, assicurano parecchi intervistati, sa­ rebbe un piacere se si avesse più tempo». Questa sensazione di co­ strizione mantiene vivo il sogno del «quando sarà finito». n bricola­ ge si associa solo molto indirettamente allo svago: tutt'al più permet­ te di realizzare delle economie grazie alle quali diventa possibile «per­ mettersi delle vacanze». Detto questo, i sentimenti qui sono più con­ fusi di quanto potrebbe far pensare questa serie di risposte. n fai da te rimane una nozione molto ambigua. Alla domanda: «Perché si pra­ tica il bricolage?», il 51 % degli uomini e il 27% delle donne a cui è stata rivolta rispondono che si fa «per piacere», il 64% e il 30% per volontà di economia, il1 8% e il 6% per desiderio di qualità, il1 8 % e il lO% per un'esigenza di rapidità. Il che dimostra la promozione di quest'attività nell'ordine delle rappresentazioni e la nuova impor­ tanza attribuita ai ritmi temporali. C'è un'altra maniera di mettere in discussione il legame che unisce il bricolage e lo svago: è quella di rifiutare di assegnare il primo a una precisa sequenza temporale. Agli occhi di alcuni125, il bricolage è un modo di essere che monopolizza il tempo. Il vero «ap{>assionato di bricolage» lo pratica anche in fabbrica o nell'officina. E animato da una «disposizione di spirito» che gli permette di trasformare, con­ temporaneamente, il tempo di lavoro e il tempo domestico in un tem­ po per sé. «Il 'vero' bricolage è una maniera di vedere il mondo che si acquisisce per tutta la durata dell'infanzia operaia.» Presuppone un addestramento dell'occhio, pronto a individuare l'oggetto recupera­ bile. Implica l'abitudine a non usare mai cose nuove. Richiede una co-

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noscenza precoce degli attrezzi e di certe tattiche di disposizione. Isti­ tuisce un rapporto speciale con l'oggetto fabbricato che è una sfida ai vincoli e ai limiti che esso impone. E desiderio di differenziarlo da tut­ ti gli altri oggetti della stessa specie e di personalizzarlo. Cosa che por­ ta a smontarlo e a dar prova, in questo modo, di una totale assenza di feticismo nei suoi riguardi. n fai da te così concepito va molto al di là della semplice attività manuale. «L'esperto di bricolage calcola, con­ fronta i prezzi»; legge riviste; «disegna [ ... ], elabora progetti che ri­ producono il sistema attuale e abbozzano quello futuro»126• Ancora più chiaramente del giardinaggio, il bricolage è un modo di manife­ stare dei gusti e, pertanto, di distinguere l'individuo. «Fare del brico­ lage vuol dire innanzitutto maneggiare dei simboli»127. La distanza è così grande fra il bricolage degli anni venti, periodo in cui il termine si è diffuso, e quest'attività capace di monopolizzare il tempo così com'è stata analizzata nel1991 , che s'impone la neces­ sità di tracciare almeno uno schema di questo complesso percorso. Consideriamo ciò che scrivono coloro che, fra le due guerre, sot­ tolineano l'imperativo di un'organizzazione razionale del tempo li­ bero dell'operaio, al fine di evitare l'inattività128, preludio al vaga­ bondaggio e all'abitudine del vizio. «La maggior parte [degli operai], scrive per esempio Edmond Labbé nel 1928, sente la mancanza di una scienza dei nobili passatempi. L'uomo che non ha niente da fare, che rimane in casa a fantasticare e si annoia, awerte di essere privato di ricchezze sconosciute. Basta che se ne presenti l'occasione e sco­ prirà, come un meraviglioso reame, i piccoli mestieri che permettono di abbellire la casa, il giardino, un gioco all'aria aperta, le arti, i bei li­ bri»129. I membri delle istituzioni internazionali che si confrontano con questo problema nel corso degli anni venti si trovano davanti a un dilemma. La volontà di organizzare lo svago altrui si scontra con la volontà, manifestata con vivacità da certi governi, in particolare quello del Regno Unito, di evitare ogni controllo eccessivo. Si tratta di rispettare il lavoro «spontaneo e libero», compiuto «per piacere», «come distrazione fisica o esercizio dello spirito»130, pur condan­ nando il lavoro supplementare, svolto all'uscita dalla fabbrica o dal­ l'officina. La soluzione sembra essere quella di incoraggiare la coltivazione del giardino e la sistemazione dell'abitazione. n desiderio di vedere quest'ultima attività occupare le «ore di libertà» ispira gli esperti. In ogni modo, si continua a ripetere, la casa basta a escludere ogni uso reale del tempo libero. n bricolage che viene raccomandato è di un tipo adatto a quest'ideologia. Esso costituisce il versante maschile

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dell"arte del focolare', l'equivalente incompleto di quell'arte dome­ stica il cui apprendistato «dovrebbe essere il principale svago e dilet­ to della fanciulla»131 e il cui esercizio può «fornire alla donna il sen­ so della sua vita»132• Certo, il bricolage maschile non assume una si­ mile importanza. Rimane il fatto che, anche per l'uomo, la «scienza del focolare» appare fondamentale. «L'organizzazione razionale dei giorni e delle ore di riposo» presuppone, contemporaneamente, «cu­ ra dell'andamento domestico, manutenzione della mobilia, sistema­ zione dell'abitazione, coltivazione del giardino»133• Riguarda dunque entrambi i componenti della coppia. Questo bricolage va d'accordo con le rappresentazioni dell'abita­ zione operaia ideale che cercano di realizzare e poi di diffondere, in Francia, l'Ufficio pubblico degli alloggi a buon mercato e diverse fon­ dazioni private create dai Rothschild e da Jules Lebaudy. Questo ten­ tativo si basa su un postulato più volte ribadito: «All 'operaio piace accrescere, durante le sue ore di libertà, la comodità e la gradevolez­ za della sua casa e della sua esistenza. Può farlo, sia ingegnandosi di imitare ciò che rappresenta l'arte, sotto questo aspetto, per il bor­ ghese colto, sia sforzandosi di seguire una tradizione che gli è pro­ pria, quella dell'arte popolare del suo paese o della sua regione»134. In questa prospettiva, un po' idilliaca, è opportuno «interessare il lavoratore alla costruzione di piccoli mobili dalle belle linee: lo sca f fale , il tavolo da lavoro, la s crivania . Restituirgli l'amore per il legno massiccio che si può intagliare; la possibilità di lucidare, incerare, ver­ niciare, tappezzare, dipingere, eccetera [ ... ] Che qualcuno gli insegni, poiché non lo sa più, il colore che sta bene su un muro [.. ]. Deve ama­ re le facciate fiorite, i gerani che ricadono a grappoli, le petunie dai fiori di velluto»135• «Bisogna crearvi, scrive da parte sua Edmond Labbé a proposito di quest'abitazione, un ambiente autenticamente operaio, non un arredamento di lusso, capace di suggerire idee sba­ gliate»136. Anche in questo campo, la nozione di cultura operaia de­ ve molto a questo tipo di progetto, che gli analisti hanno tentato a lungo di smascherare, anche quando si sentivano in dovere di con­ fermare la validità di ciò che aveva lo scopo di produrre e ciò che ave­ va effettivamente prodotto attraverso un meccanismo di adesione al­ l'immagine imposta. Un bricolage di questo genere, pensano alcuni, potrebbe gettare un ponte fra «i mestieri e le classi». Lo stesso Labbé esalta, in questa prospettiva, «il banco da lavoro di certi intellettua­ li», esempio tipico del talento coltivato per diletto che è bene racco­ mandare137. Se si legge il «Rapport sur l'utilisation des loisirs ouvriers» pre.

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sentato alla sesta sessione della Conferenza internazionale sul lavoro riunita a Ginevra nel1924, ci si rende conto chiaramente che certi go­ verni sperano di fare dell'abbellimento dell'ambiente domestico (ho­ me ) e dei «piccoli lavori in casa»- è questo il senso del bricolage­ una nozione in grado di raccogliere suffragi. Molti rappresentanti al­ la Conferenza sembrano spinti dal desiderio di vedere l'operaio pre­ so dall'ossessione della sua casa. La seconda metà del diciannovesi­ mo secolo aveva, in precedenza, nutrito lo stesso sogno. In Francia, dal 1 880, una ricca letteratura popolare cerca di diffondere le «arti della casa»138. In particolare Georges Roux, l'autore dell'Habitation, si dedica a quest'impresa. Nei suoi Petits manuels du foyer à l'u sa ge de s /amille s et de s écoliers, che costituiscono una collezione a buon mercato, esalta gli animali che tengono in ordine la loro tana. Sono citati come esempi gli uccelli, i castori, le api e le formiche. L'autore si riferisce anche alle prime età del mondo, alla cura che mettevano gli uomini primitivi nella decorazione delle loro caverne. n bricolage, che quindi dipende dall'istinto, assume nondimeno una portata etica: l'operaio ha il dovere di «usare il suo tempo libero per il maggior bene della sua famiglia»139. Questa imposizione va d'accordo con la figura del popolo virtuoso che attraversa tutta la let­ teratura sociale del diciannovesimo secolo, a fronte dello spettro del­ le classi lavoratrici e pericolose. A Parigi, in seno al Comitato nazio­ nale per il tempo libero, funziona un Ufficio per la decorazione del­ la casa. Una serie di riviste e opuscoli, fra cui «La Maison Sociale», diffondono lo stesso tipo di progetto. n compito dell'uomo che ap­ partiene a un «ambiente autenticamente operaio» è creare, decorare, abbellire, evitando il lusso. Nel corso degli anni trenta, questa politica dello svago casalingo porta a esaminare quale legame sia opportuno stabilire fra il bricola­ ge e l'arte popolare. A questo proposito, si arriva facilmente a un pun­ to d'accordo: l'operaio che esegue piccoli lavori, che deve evitare il lusso, deve anche guardarsi dalle cianfrusaglie, da tutto ciò che è imi­ tazione di qualcos'altro e dall'«articolo da bazar»140• Per evitare que­ sto rischio, gli si offre una possibilità: visitare le esposizioni. «Duran­ te le ore di libertà, dichiara ancora Edmond Labbél41, bisogna in­ durre a usare il morsetto, il tavolo da lavoro, gli attrezzi da rilegatore o da corniciaio», ma anche a visitare le esposizioni di mobili tipo o di case modello. Sarà stata notata di passaggio l'importanza attribuita alla rilegatura, attività che presenta il vantaggio di essere lavoro arti­ gianale e ponte gettato verso la cultura classica. n 1 5 maggio 1935, nell'ambito dell'Esposizione universale di

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Bruxelles e del Congresso internazionale sul tempo libero del lavora­ tore che si tiene in quell'occasione, viene inaugurata un'Esposizione internazionale del tempo libero. Com'è normale per l'epoca in que­ sto tipo di manifestazioni, ci si preoccupa non tanto di indagare sul tempo libero dei lavoratori - anche quando si ha la pretesa di farlo quanto di mostrare quello che dovrebbe essere. Uno stand è dedica­ to al «mobilio modello» e all' «arte del focolare». Vi si può contem­ plare «l'arredamento di una sala comune di una casa a buon merca­ to». li visitatore scopre anche uno «Stand di esposizione di oggetti di bricolage, artistici e di uso pratico, fatti da lavoratori nel tempo libe­ ro». Ha la possibilità di ammirarvi oggetti «in vetro soffiato, scultu­ re, pitture, apparecchi di TsF [Telegrafia senza fili], lavori femminili, eccetera»142. In quel periodo sono portate a esempio le realizzazioni della pro­ vincia belga dello Hainaut. In questa regione, mentre si sviluppa un programma di costruzione di quindicimila alloggi operai, viene idea­ to e fabbricato un mobilio standardizzato, tipo «svaghi operai» (sic) . Lo scopo è quello di tenere il lavoratore che pratica il bricolage lon­ tano dall'imitazione degli interni borghesi. «L'operaio della miniera, dell'industria metallurgica è un operaio rude. Gli servono mobili so­ lidi»143. Diverse esposizioni itineranti di questo mobilio standard percorrono la provincia. Lezioni, conferenze, vendite di vasellame e di oggetti fatti a stampo, una «mostra dell'arte in casa e del tempo li­ bero dell'operaio», oltre a mostre locali «di oggetti con caratteristi­ che d'arte, fabbricati da operai durante le ore di libertà e in grado di servire alla decorazione dell'abitazione», contribuiscono a stringere il legame stabilito fra l'obiettivo utilitaristico e il progetto artistico. L'Esposizione internazionale del tempo libero organizzata a Bruxel­ les, infatti, offre lo spunto per una riflessione sul bricolage o, piutto­ sto, sulla definizione stessa di cultura popolare. La distanza che se­ para l'idea che ci si fa di quest'ultima dalle abitudini dell'operaio è avvertita e denunciata. Le vestigia che vengono allora erette ad arte popolare e tradizionale, associata alla costruzione del patrimonio del­ le regioni e delle nazioni, riguardano, si fa osservare, il pastore, l'a­ gricoltore, l'artigiano. Interessano poco l'operaio. Tutto considerato, non ispirano molto chi pratica il bricolage. Quanto alla ricerca con­ dotta dall'IICI nel1934 e dedicata all'arte popolare, si conclude rac­ comandando «la creazione di piccoli musei di arte locale», la visita a musei e l'organizzazione di giochi, danze, feste tradizionali, gare, la­ boratori, evitando però di «creare artificialmente la spontaneità»144 e

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con la consapevolezza che «l'arte del lavoratore dev'essere adatta ai suoi gusti, alle sue concezioni e alle sue possibilità tecniche». Questa vaga coscienza di un'inadeguatezza ci rimanda all'esame dei comportamenti. In assenza di una ricerca sociologica, è giocofor­ za, ancora una volta, tentare di desumere la loro comparsa servendo­ ci di una letteratura con intenti didascalici destinata, in questo caso, a chi pratica il fai da te e non più al lavoratore che si vuole spingere alla fabbricazione di oggetti per la casa o all'arte popolare.

Gestione de lle ore e s istema degli oggetti A dire il vero, il termine 'dilettante' resta allora quello più fre­ quente, quando si tratta di definire chi si dedica all'attività di cui ci stiamo occupando. È l'opposto della qualifica di professionista. Chi intende rivolgersi a colui che pratica il bricolage vuole quindi diffe­ renziarsi dalla letteratura dei mestieri. «La maggior parte dei manua­ li che hanno per oggetto le diverse specialità professionali, dichiara zio Joe nel suo A B C du bricolage, testo fondamentale apparso nel 1925, sono stati scritti da artigiani; e il dilettante, in mancanza di una lunga pratica e di attrezzature costose, spesso non può trame alcun beneficio»145• Si rende necessaria una letteratura specifica. È questo che determina il successo della collezione Baudry de Saunier. Un ti­ tolo basterà a farne comprendere il progetto: Comment un amateur peut traiter les métaux à la main [Come un dilettante può lavorare a mano i metalli]. Questa letteratura prende dunque le distanze dal meccanismo della svalutazione e dell'incessante riqualificazione at­ traverso l'acquisizione autonoma di conoscenze, già allora imposto alla classe operaia. Meccanismo che introduce un costante rinnovar­ si dei desideri e delle soddisfazioni. In questa letteratura, l'obiettivo dichiarato del bricolage è quello di produrre qualcosa di utile, divertendosi. Beninteso, le attività sug­ gerite sono strettamente legate ai cicli dell'usura e alle rappresenta­ zioni del rifiuto. «Bisognerà dunque, è il comandamento di zio Joe, prima di buttare nella pattumiera una qualsiasi scatola vuota, un qua­ lunque utensile rotto, bisognerà dunque chiedersi: 'non può servire a qualcosa?'»146. In questo periodo in cui comincia a essere praticato, infatti, il bri­ colage si basa essenzialmente sul recupero. Questo esprime non tan­ to un desiderio di creazione quanto una preoccupazione di salva­ guardia dell' «oggetto rovinato»147• L'affermarsi dell'abitudine della

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riparazione accompagna allora la crescente diffusione dell'oggetto fabbricato. Questo bricolage dei primordi ha innanzitutto lo scopo di evitare, per quanto è possibile, di comprare cose nuove. «Il gran­ de vantaggio che presenta la pratica del bricolage, assicura zio Joe, è che si può fare a meno [anche] di acquistare materiali»148. Il bricola­ ge è in primo luogo una resistenza dichiarata all'accelerazione dei rit­ mi dell'usura, «alla continua sostituzione degli oggetti domestici» e alle «spese ripetute»149 che questo rinnovamento comporta. Viene presentato come il contrario dell'acquiescenza al consumo. Inoltre, si continua a ripetere, la riparazione non è completamente slegata dal­ la creazione. E si rivela tanto più benefica in quanto rafforza l'attac­ camento all'oggetto. Questa riluttanza all'acquisto provoca un'incessante raccolta; questa presuppone la libera disponibilità di uno spazio e la costitu­ zione di una riserva di oggetti eterogenei che non sono direttamente in rapporto col progetto del momento. È bene avere sottomano un tesoro composto da tutto ciò che un giorno potrà servire. A questo stadio, ciò che conta non è l'attività manuale, ma l'accumulo di una collezione dal disordine più apparente che reale. Questa riserva ha allora una sua fisionomia particolare, che cleri­ va dalla gamma dei materiali di recupero. La loro lista determina qua­ si sempre il piano delle opere che costituiscono la nostra raccolta. L'e­ poca fra le due guerre corrisponde, in questo caso, al regno della cas­ sa di legno. Questa rappresenta il materiale fondamentale del primo periodo del bricolage, che è anche quello dello scaffale e della scato­ la per gli attrezzi. In nessun caso, allora, chi pratica il fai da te deve buttare le sue casse. Se abita in un appartamento, dovrà - ordina zio Joe- farle sparire «SOtto i letti O sopra gli armadi»150. li tempo di que­ StO primo bricolage è anche quello delle scatole di conserva di latta151 - come oggi nei paesi in via di sviluppo - e del fil di ferro. Il recupe­ ro riguarda anche lo spago, con cui si possono fare dei tappeti, delle suole, il cartone pesante, quello delle scatole da cappelli o dei calen­ dari, le carte da imballaggio e gli oggetti di cartapesta. Certi materia­ li più elaborati suggeriscono anch'essi degli sviluppi generalmente più limitati: il linoleum, la gomma, soprattutto i pneumatici fuori uso, la lamiera ondulata e, più timidamente, il fibrocemento. Per il momento, chi pratica il fai da te sembra doversi acconten­ tare di un «piccolo tavolo da falegname» o di un modesto capanno dal tetto di cartone incatramato o di fibrocemento, se abita in cam­ pagna152. Gli si consiglia di rinunciare all'acquisto di una borsa dei ferri, nello stesso modo in cui si raccomanda al pescatore con la len-

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za di accontentarsi di una canna fatta con le sue mani. Come la pic­ cola pesca, il bricolage si basa sul trucco153, la «dritta» elargita da un individuo d'esperienza che non ha nulla del tecnico. Chi pratica il bri­ colage deve saper fronteggiare le evenienze e dimostrare una «natu­ rale capacità di cavarsela», scrive Braudy de Saunier nel1924154. Co­ me quello della pesca con la lenza, l'apprendistato del bricolage si ba­ sa su rapporti stabiliti fra un maestro e il suo discepolo. La costitu­ zione di una raccolta di documenti e della «piccola biblioteca»- nel­ le classi popolari la biblioteca non può che essere piccola - è la più elaborata di queste attività che rientrano nel campo dell'apprendi­ mento autonomo. Chi pratica il bricolage deve imparare a ritagliare gli articoli che lo riguardano nei «periodici che si occupano di divul­ gazione scientifica»155. Deve ordinarli in cartelline di carta da imbal­ laggio con i titoli ben visibili, apposti per mezzo di un tampone con le lettere di gomma. Deve in seguito catalogarli in funzione dei suoi progetti e dei suoi bisogni. Zio Joe raccomanda con mille particolari l'elaborazione metodica di questa documentazione che riempie a po­ co a poco l'interno di casse il cui legno serve anche a fabbricare i ri­ piani della 'piccola biblioteca'. Le radici di questo sapere sono molteplici. Checché ne dicano gli autori di libri dedicati agli appassionati di bricolage, questi at­ tingono ai manuali tecnici destinati all'insegnamento professionale. Le collezioni popolari Garnier, in particolare la «Bibliotèque d'uti­ lité pratique», una raccolta di opere intitolate l'Art du o les Arts et métiers du .. favoriscono questo trasferimento dal professionista al dilettante156• Ma quest'apprendimento può anche basarsi su una letteratura ete­ rogenea che fa da collegamento fra i grandi temi della divulgazione di una volta e una cultura tecnica radicata nella modernità. La colle­ zione Baudry de Saunier, edita da Flammarion, propone così ai suoi lettori, nel1924, «Les Véritables Clés des songes» [Le vere chiavi dei sogni], un manuale, La Canceptian dirzg,ée [. .] l'en /ant à v alanté [il concepimento guidato ... il bambino a comando], erede dell'antica callipedia- arte di fare dei bei figli -, Le Mécanisme sexuel, illustrato da quarantuno stampe, libri dedicati al bricolage dell'automobile, della bicicletta, della TsF, come pure opuscoli che già s'ispirano al «Fatelo da voi», come l'opera di Albert Touvy, Man électricien , c'est m ai [il mio elettricista sono io] (1930) o quello dello stesso Baudry de Saunier, M an peintre , m an décarateu r; m an vitrier; c'est m ai! [il mio pittore, il mio decoratore, il mio vetraio sono io]. L'influenza anglosassone e, più precisamente, americana agisce . . .

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evidentemente su questa scienza del bricolage fin dalla sua appari­ zione. È chiaramente awertibile nel dizionario dello zio J oe, come la­ scia supporre lo pseudonimo usato. In questo tipo di opere si trova allora sempre la stessa rete di riferimenti a «Popular Mechanics», pubblicato negli Stati Uniti a partire dal1902, al suo supplemento in­ titolato «Shop Notes», a «Popular Science», a «Science and Inven­ tion»157, nonché alla rivista inglese «Wood Worker». Zio Joe sugge­ risce come modello un barile-culla ideato in California e cita, nel ca­ pitolo dedicato alla pelle, The ]olly Art o /Box Cra /t. Diverse riviste francesi, come «Le Petit Inventeur», riflettono la stessa influenza, adattata ai bisogni e ai gusti dei dilettanti francesi_ Insomma, il dizio­ nario dello zio Joe non è l'unica opera che tenti di dare una forma en­ ciclopedica alla scienza del bricolage, come altre a quella del giardi­ naggio o all'arte culinaria158. Certi giochi, più o meno direttamente i­ spirati da oltreoceano, contribuiscono anch'essi, sicuramente, alla pedagogia del fai da te. n Meccano e diverse scatole di costruzioni po­ trebbero essere considerate in quest'ottica, sebbene siano destinate innanzitutto ai ragazzi di famiglie agiate. Munito di solide conoscenze, l'aspirante esperto di bricolage può decidere, a detta dei nostri autori, di «utilizzare qualsiasi oggetto» che giace «in fondo agli armadi, in vecchie casse, sulle mensole degli stanzini da sgombero»159. Non si parla qui delle soffitte, che riguar­ dano un altro ambiente sociale. Nella sua prima fase, il bricolage si awicina all'arte culinaria di utilizzare gli avanzi. Si basa sull"acco­ modatura', quella delle porte delle stanze che cedono, dei cassetti che non scorrono, delle serrature che cigolano, delle poltrone che «si scollano in basso», delle sedie da ritappezzare, dei parquet che pre­ sentano delle crepe160. Nell'ordine della creazione, e non più della riparazione, l'esperto di bricolage deve saper fare tutto con niente. L'associazione di questi termini è allora fondamentale. L'immaginazione deve continuamen­ te suggerire metamorfosi. Per far questo, taglia, sega, assembla, in­ stalla, sistema specchi, mensole, scaffali, ripiani. n vertice di que­ st'arte creativa si raggiunge con l"incorniciatura a giorno'_ Questa figura del bricolage alimenta una pedagogia. La Libreria della Gioventù operaia pubblica Bricolage, un manuale destinato a coloro che non hanno ancora l'età per far parte di quest'organizza­ zione. L'autore dispensa al giovane i suoi consigli. «Devi utilizzare tutto. Per esempio, potrai usare il legno di una cassa da imballaggio per eseguire lavori di carpenteria, costruire giocattoli per Natale, ec­ cetera. Per recuperare il legno di questa cassa, ti armerai di un mar-

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tello, di una tenaglia e di una pinza, se ce l'hai...»161. n giovane letto­ re scopre in questo libro il sistema per fabbricare cornici a giorno, co­ me pure quello per tagliare il compensato, «di sicuro uno dei più pia­ cevoli passatempi» che ci siano. I manuali di bricolage sono ispirati da un'etica che è la stessa che abbiamo individuato all'inizio a proposito del giardinaggio: «li 'bri­ coleur'- si noterà l'uso, questa volta, del termine costitutivo di un'i­ dentità- acquisisce un'abilità manuale che è sempre utile possedere. Resta a casa invece di frequentare il caffè. Le cose che fabbrica sono necessariamente semplici e rustiche; se le ama- e come potrebbe non amarle dal momento che sono opera sua (sic) -, comincerà ad ap­ prezzare la vita semplice»162• In compenso, in questa letteratura di­ dascalica che risale al periodo fra le due guerre, contrariamente a quanto si può osservare nel caso del giardinaggio, non si fa parola di rete o di solidarietà163. Non c'è allusione alla visibilità di un'attività confinata sotto una tettoia, all'interno del «piccolo laboratorio», o addirittura nelle vicinanze del tavolo da lavoro. Il bricolage è de­ scritto come un esercizio di stile individuale - appena familiare - or­ ganizzato secondo un vero e proprio sistema degli oggetti. A modo suo, il laboratorio-rifugio d� chi pratica il fai da te si avvicina a quel­ lo del pittore, e l'arte del bricolage assomiglia per certi aspetti ai pri­ mi passi di una vita di artista164. Ma forse questa nozione è il risulta­ to di un semplice effetto fonte. Può darsi che una ricerca sul campo, realizzata a quel tempo, avrebbe permesso di attribuire una portata sociale più ampia a quest'attività in via di formazione. Le privazioni della Seconda guerra mondiale e dell'immediato do­ poguerra rafforzano la necessità della conservazione, del recupero e del reimpiego. Si tratta, in quel momento, di prolungare per quanto è possibile la durata di utilizzazione degli oggetti, di immaginare e fab­ bricare dei succedanei. È il tempo dei «maestri nell'arte di arrangiar­ si»165, l'apogeo del 'sistema D'166. In Francia questo è avvertito come una delle peculiarità del carattere nazionale. Diventa mito compensa­ torio della sconfitta. Esorcizza, al bisogno, i rimorsi del mercato nero. Lo si addita all'ammirazione dei bambini. Ispira financo i fumetti167. Nel1943, L. Besset pubblica, a Parigi, il suo Mille et une recettes du

système D. Dictionnaire des trucs et astuces. Con /ectionner. Entretenir. Conserve r. Réparer [Mille e una ricette dell'arte di arrangiarsi. Dizio­ nario dei trucchi e delle astuzie. Fabbricare. Mantenere. Conservare. Riparare]: «Nelle presenti circostanze, scrive nella prefazione, è asso­ lutamente necessario saper trarre il massimo da ogni cosa»168. Della stessa collezione fa parte un libro intitolato Faites quelque choses avec

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des riens . Utilisez v as ferrailles [Fate qualcosa con niente. Usate i vo­ stri rottami]. Nasce così un'altra leggenda ambigua, quella del robi­ vecchi arricchito dell'immediato dopoguerra, industriale esperto del recupero, un po' imbroglione, o addirittura ex profittatore di guerra. Tra i bambini, la ricerca prestigiosa dei cuscinetti a sfera fa parte allo­ ra di questa fascinazione. Una rivista pubblicata a Parigi, «Le Systè­ me D», costituisce un'autentica enciclopedia periodica del bricolage. n recupero si trasforma in frenesia. La diffusione sociale di que­ st'attività tiene dietro a quella della privazione. n libro, edito nel1946 da Bloud et Gay e intitolato T'Hélène et ses amies. Le bricolage au ser­ vice de taetion sociale. Petits travaux manuels [Zia Hélène e le sue ami­ che. n bricolage al servizio dell'azione sociale. Piccoli lavori manua­ li], rispecchia questo processo. S'inserisce, inoltre, nella tradizione femminile e mondana di quelle «mille cose da nulla» che alimentano le vendite di beneficenza. L'opera è scritta da un'«ex bambina alleva­ ta nei pregiudizi ... » e si propone esplicitamente di diffondere la no­ zione di bricolage nella sfera del «lavoro sociale». Zia Hélène e le sue amiche recuperano gli stracci, la carta, le scatole, gli spaghi, la rafia, i pennini, gli imballaggi, la carta da pacchi, le conchiglie e le alghe. Im­ parano a utilizzare le casse, a trasformarle in mobili improvvisati. In­ tere pagine sono dedicate a questi oggetti di legno. Zia Hélène cerca di mettere il ricamo al servizio della riparazione. Grazie a quest'arte raffinata, si possono allungare i vestiti e i grembiuli, nascondere gli strappi e le macchie, e tutto questo nell'atmosfera gioiosa delle riu­ nioni femminili che fanno parte degli usi mondani. Insomma, il bri­ colage ispira un insolito progetto di trasferimento culturale. Quest'epoca è anche quella del recupero del nastro isolante, del­ la celluloide e soprattutto dei pneumatici. Brouillart pubblica, nel 1947, un libro intitolato Réutilisez v as vieux pneus. Modèles d'objets

utiles /aits sans peine avec de vieilles enveloppes et viellzés chambres [Riutilizzate i vecchi pneumatici. Modelli di oggetti utili fatti senza fatica con vecchi copertoni e vecchie camere d'aria]. Ne propone ot­ tantacinque usi diversi. Lavorare i vecchi pneumatici vuol dire, ai suoi occhi, fare del bricolage «distraendosi» e dar prova del «più ef­ ficace senso civico». Ma, prestissimo, si accentua l'influenza degli Stati Uniti che tende a trasformare in merce il bricolage e che cancella a poco a poco quel­ la resistenza al circuito commerciale che un tempo lo definiva. Ciò che conta, da quel momento, non è più la riserva, il tesoro, il recupe­ ro, l'immaginazione. Non sono più il trucco e il suggerimento. Chi

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pratica il bricolage non deve più aver l'occhio fisso agli oggetti scar­ tati. Smette di essere ossessionato dall'usura. Deve acquisire la scien­ za di un «Fatelo da voi» già costituito, dotarsi di un armamentario di attrezzi specializzati che gli è espressamente destinato, comprare ma­ teriali preparati per lui e piegarsi a modelli largamente diff usi. Co­ mincia allora il tempo del bricolage consistente in lavori di installa­ zione e di rifinitura, che ben si accorda con la ricostruzione delle zo­ ne sinistrate e poi con l'edificazione massiccia di nuovi alloggi. «Popular Mechanics» è tradotto in francese dal mese di giugno 1946, col titolo di «Mécanique populaire». Comincia a uscire la rivi­ sta «Tout faire». Già nel1947- e non è che un esempio- Oudin pub­ blica, per le Editions Jeune rurale, il suo libro intitolato Petites in­ stallations de la maison . Contrariamente ai manuali di prima della guerra, questo consiglia: «Non indietreggiate di fronte all'acquisto di questi arnesi [da bricolage] dicendovi che fino a oggi ne avete fatto benissimo a meno: è un calcolo sbagliato, troppe cose facili da fare non sono state fatte, troppe cose facili da riparare sono state lasciate in abbandono»169. È ormai indispensabile procurarsi un «armamen­ tario per il bricolage» e comprare scatole di attrezzi. Non si parla più, qui, di casse rappezzate. L'essenziale dei lavori riguarda non più de­ gli oggetti, ma i muri, gli armadi, i guardaroba, gli «angoli toilette», e l'elettricità. n bricolage si lascia assillare dalla smania dell'«ordine» e della modernità. Chi pratica il fai da te deve ormai dimostrarsi «ag­ giornato» e sapersi «organizzare». Secondo Oudin, il bricolage pre­ suppone una scrivania - almeno un tavolino -, un blocco promemo­ ria, una rubrica di indirizzi, dei raccoglitori e delle cartelle di carta. Quest'attività riorganizzata rientra nel campo della gestione. Consideriamo, a titolo di esempio, due numeri di «Mécanique po­ pulaire», datati giugno e dicembre 1953. La divulgazione scientifica è onnipresente. Poco tempo prima, si era imposto il successo di «Sé­ lection» - del «Reader's Digest» - e della rivista «Science et vie» fra gli studenti della scuola secondaria. Ogni numero di «Mécanique po­ pulaire» contiene una rubrica dedicata all'«angolo del bricoleur». Non vi si parla più molto di immaginazione, di spontaneità. Una sot­ tosezione è intitolata «Novità nell'utensileria». Qui s'impara come servirsi di una piallatrice e si può leggere la descrizione di una sega elettrica a mano, di un «tosaerba azionato dal motore di un trapano elettrico», di un «laboratorio portatile per radiotecnici principianti». Gli obiettivi proposti a chi pratica il bricolage sono, alla rinfusa, un modello ridotto del piroscafo United States, la costruzione di un «piccolo organo elettronico», la realizzazione dell'«Oie sauvage, pie-

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colo rimorchio per i week-end», la fabbricazione di un «tavolo pie­ ghevole per i picnic». Uno degli articoli è intitolato «Costruitevi da soli la porta per il garage»... Basta. L'American way o / li/e fa irruzio­ ne, contemporaneamente al culto dell'hobby170. La storia di cui si parla in questo libro s'interrompe a metà degli anni cinquanta. n periodo successivo non ci riguarda. Poche parole permetteranno tuttavia di cogliere la distanza che separa il bricolage contemporaneo da quello del periodo fra le due guerre. Il primo, che trae vantaggio dalla diffusione di nuove microtecnologie, continua a essere incentrato sul rituale, sul racconto, sulle tecniche dell'installa­ zione. È sempre assillato dal sogno inaccessibile della rifinitura, co­ stitutivo dell'identità di chi pratica il fai da te. La rifinitura, come una volta la freccia di Zenone, ha la particolarità di non arrivare mai alla fine, proprio perché è scelta di vita perpetuamente rilanciata da un progetto di ricevimento o di socialità. n bricolage contemporaneo so­ gna grandi soggiorni adatti a riunire, camere per ospiti e barbecues171• Di fatto, la diffusione dei negozi specializzati comporta una perma­ nente sofisticazione delle tecniche che, sicuramente, abolirà col tem­ po il concetto stesso di bricolage. Ma, l'abbiamo ricordato, a fronte dell'installazione e della rifini­ tura, fedeli al sogno nutrito in precedenza dagli organizzatori dello svago dei lavoratori, si sviluppa un altro bricolage suscitato dal desi­ derio di personalizzare l'oggetto, strettamente associato all'espedien­ te e inserito nella discendenza del sistema D. Quest'altra attività con­ tinua a puntare sul recupero. Presuppone l'esistenza di una rete di so­ lidarietà non perfettamente soggetta alle regole del mercato. Un si­ mile bricolage, basato sul ricorso ai parenti, agli amici, ai compagni del lavoro nero e che accetta la sottile gerarchia dei mestieri, conti­ nua a mantenere una socialità estremamente vivace172. La ricchezza dell'evoluzione delle figure del bricolage, la molte­ plicità delle sue forme, gli effetti a cascata che produce sull'insieme delle sfere della vita quotidiana173, suggeriscono il desiderio di ap­ profondire la storia di una delle modalità più ricche della ricerca di un tempo per sé staccato dagli antichi modelli dell' otium e della re­

creafio . Note 1 J. Dwnazedier, A. Ripen, Le loisir et la ville, Seuil, Paris 1966, p. 75 .

2 Questo studio si basa su una quarantina di opere di questo tipo, principalmente in

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lingua francese, ma anche in lingua inglese. Diamo i riferimenti di quelle da cui abbiamo tratto delle citazioni. 3 C. de Massas, Le Pecheur à la mouche arti/icielle et le pecheur à toutes lignes, 2" edi­ zione Oa l' è del 1852), Paris 1858, Introduzione, e N. Guillemard, La Peche à la ligne et au filet dans !es eaux douces de la France, Hachette, Paris 1857, p. 4. 4 Cfr. A. Moriceau, Le Guide et !es droits des pecheurs à la ligne, pubblicato dall'auto­ re, fabbricante di attrezzi da pesca, Paris 1870, p. 14; v. anche l'opera citata alla nota se­ guente, p. 84. 5 L. Reyrnond, La Peche pratique en eau douce à la ligne et au filet, Firmin-Didot, Pa­ ris 1883, pp. 29 e 84-5. L' autore descrive la figura emblematica del «papà pagello» di Asnières. Ogni mattina d'estate (p. 30), partiva con un immenso ombrello di cotone az­ zurro, che piantava per terra quando stava in pieno sole. Abitava in uno strano tugurio a Saint-Ouen, lungo l'alzaia e si fabbricava l'esca in camera. È morto annegato, con la lenza in mano. 6 C. Kresz il vecchio, Le Pecheur /rançais, 5' edizione, pubblicato dall'autore, Paris 1847, pp. 390 sgg. 7 de Marras, op. cit., p. 246. 8 E. Poisson, Bavardages sur la peche à la ligne en eau douce, pubblicato dall'autore, Parmain 1910, p. 38. 9 de Massas, op. cit. , pp. 6 e 139. 1 0 Nozione essenziale nella storia dei modi di apprezzamento e degli usi della natura. 1 1 Moriceau, op. cit. , p. 5 1 . V. anche Reyrnond, op. cit., pp. 26-9. 12 lvi, p. 1 1 . 1 3 Cfr. Cunisset-Camot, La Peche, Pierre Lafitte, Paris 1 912, p. 2 . 1 4 de Massas, op. cit. , pp. 4-5. 15 Cunisset-Carnot, op. cit. , p. 9. 1 6 A. René, C. Liersel, Traité de la peche à la ligne et au filet dans !es rivières et dans !es étangs, Lefèvre, Paris 1882, p. 7. 1 7 V., in proposito, E. Désoudin, La Peche à la ligne, Bertinet, Verdun 1883, p. 54. 18 Cfr. Cunisset-Carnot, op. cit. , che sottolinea particolarmente (p. 1 1) che «le signore sono decisamente [. . .] inutili per la pesca». «La miscela formata dal loro nervosismo e dal­ la loro emotività è funesta per i fili». Anche in questo campo, si esprimono le rappresen­ tazioni dominanti della donna. 19 ].-H Perreau (Jho Pale), redattore capo di La Peche moderne, La Peche pour tous, Guide du petit pecheur, Nilsson, Paris 1910, pp. 3 1-2. 20 In questo, c'è una parentela fra il pescatore e il pastore; cosa che sottolinea l' appar­ tenenza di questo tipo di pesca all'arte popolare. Per quanto lega quest'ultima ai pescato­ ri, cfr. i lavori in corso di Daniel Fabre. 2 1 Molte sono le opere che si occupano della legislazione sulla pesca in Francia. A ti­ tolo esemplificativo, v. l'articolo 'pesca' in A. Picard, Le Bilan d'un siècle, Exposition uni­ verselle de 1900, t. III, lmprimerie Nationale, Paris 1906, e H. Petit, Code de la peche spé­ cialement établi à l'usage des pecheurs à la ligne du département de la Marne, Chalons-sur­ Marne 1900 (molto preciso). 22 C. de Massas, Des Règlements sur la peche à la ligne en France, Albessard et Bérard, Paris 1862, pp. 32-3 . 23 Piatto tipico di pesce cotto col vino [N. d. T ] . 24 A . Corbin, Le Territoire du vide. I.:Occident et le désir du rivage. 1 750-1840, Aubier, Paris 1988, Flammarion, Paris 1990, pp. 225-64 [trad. it. I.:invem:ione del mare. I.:Occi­ dente e ilfascino della spiaggia (1750-1840), Marsilio, Venezia 1990, pp. 255-300]. 25 Cfr. F. Laffon, Le Monde des pecheurs (serie di articoli apparsi sul «Petit Journal»), Librairie illustrée, Paris 1888, p. 74. 2 6 lvi, p. 1 10. 27 Kresz il vecchio, Moriceau, Désoudin, Reyrnond, Cunisset-Carnot, app. citt., spie­ gano tutti il sistema per procurarsi o allevare vermi e larve di mosca, nonché il modo di impastare la pastura.

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28 Cunisset-Carnot, op. cit. , p. 63.

29 P. Mille, redattore del «Temps», Prefazione al citato libro di Cunisset-Carnot, p. X. 30 Sujets de peche. Dessins d'après nature et lithographies par Roehn. Notice par C. Kresz

l'ainé, Paris 1836. 3 1 Jho Pale (Perreau), op. cit., pp. 45-6, e P. Bonnefont, La Peche anecdotique, Mame, Tours 1893, p. 29. 32 Jho Pale, op. cit., p. 48. 33 Stessa opinione in A. Dubois, La Peche à la ligne en eau douce, Imprimerie de l'ar­ morial français, Paris 1894, p. 2 1 . 3 4 La Peche à la ligne, conseils pratiques par u n ex-pecheur vierzonnais, Imprimerle J aillet, Vierzon 1893, p. 4, come pure la citazione che segue. 35 Reymond, op. cit. , Prefazione, p. IV. 36 Poisson, op. cit. , p. 95. 37 La Peche moderne. Encyclopédie du pecheur, Larousse, Paris 192 1 , Introduzione di H. Fouquier, p. IV. 38 Poisson, op. cit. , p. 57. 39 Reymond, op. cit., p. 180. V. anche, a questo proposito, Cunisset-Carnot, op. cit. , pp. 198-200. 40 Poisson, op. cit. , p. 100. 4 1 Reymond, op. cit., p. 180. 42 Cfr. Bonnefont, op. cit., p. 14. Per quanto riguarda i pittori: La Peche moderne cit., p. IX. 43 Cfr. il panegirico della pesca fatto da E. Blanchard, dell'Institut de France, in La N­ che. . . par un ex-pecheur vierzonnais cit., p. 4. 44 Ehret, il fondatore della Federazione delle associazioni di pescatori con la lenza, a cui nel 1910 si decide di erigere un monumento, non ha mai smesso di insistere su questo argomento, cfr. Jho Pale, op. cit. , p. 12. 45 E. Renoir, La Peche mise à la portée de tous, Librairie illustrée, s.d., pp. l e 23. 46 A. Chene, Au bord de l'eau. Con/zdences d'un vieux pecheur, Chàteau-Thierry 1903, p. 123 . 47 Laffon, op. cit., p. 76. 4 8 Chene, op. cit. , p. 122. 49 Stesso processo per quanto riguarda il bagno. Per quanto segue, cfr. Corbin, Le Ter­ ritoire du vide cit., passim [trad. it. cit.] Gli autori, per quanto concerne la pesca, sottoli­ neano anche l'importanza dello scienziato chimico H. Davy e del suo libro, Salmonia or Days o/Fly-Fishing in a Serie of Conversations, pubblicato a Londra nel 1823. 50 I. Walton, The Complete Angler or Contemplative Man's Recreation, being a Di­ scourse on Fish and Fishing, London 1653. 5 1 Cfr. K. Thomas, Dans lejardin de la nature, la mutation des sensibilités en Angleter­ re, Gallimard, Paris 1985. 52 Per citare alcuni esempi di manuali, per il periodo che ci riguarda: ]. Bickerdyke,

The Book o/allround Angler. A Comprehensive Treatise on Angling in Both Fresh and Salt Water, L. Upcott Gill, London 1888; F. Francis, Book on Angling... (trad. fr. La peche à la ligne, Paris 1886). Per quanto riguarda il turismo a scopo di pesca: C.F. Orvis, Fishing with the Fly: Sketches by Lovers o/the Art, Vermont, Manchester 1883, serie di notizie sulla pe­ sca negli Stati Uniti. Opera infarcita di riferimenti letterari a Omero, Oppiano, Thomson, Byron, eccetera, P. Geen, What I Have Seen While Fishing and How I Have Caught my Fi­ sh, T. Fisher Unwin, London 1905. Libro caratteristico, che è una prova del legame esi­ stente fra il turismo e la pesca. L'autore è stato, per ventisei anni, presidente della Angler's Association, a Londra. Gira l'Irlanda e la Scozia. L. Clements, Shooting and Fishing Trips in England, France, Alsace, Belgium, Holland and Baveria, Chapman and Hall, London 1876, t. Il. 53 A titolo di esempio, de Massas, op. cit., pp. 268 sgg. 54 Jho Pale, op. cit., p. 125. 55 Kresz il vecchio, op. cit. , p. 3 13 ; Guillemard, op. cit. , p. 254.

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56 Moriceau, op. cit. , p. 10. 57 de Massas, op. cit., p. 1 14. 5B Guillemard, op. cit. , p. 5 . 5 9 Reymond, op. cit. , p. 101. 6° Corsi d'acqua dei Pirenei a regime torrentizio [N. d. T]. 6 1 Cfr. Laffon, op. cit. , p. 1 17. 62 Visconte H. de France, La Peche sportive, Lucien Laveur, Paris 1913 . Le precisazioni sui club e le gare, pp. 202-12. 63 lvi, p. XIX. 64 Cfr. Dubois, op. cit. , p. 6. 65 Nel 1886, quarantamila (più ventiduemila giovani salmoni della California); nel 1887, quarantamila. Laffon, op. cit. , p. 300. 66 N.-E. Bonjean, Fishing Club de France. Conservation et protection des eaux super/i­ cielles et souterraines; projet de loz; [. . . ] enquete en vue de san application, Bibliotèque du Fishing Club de France, Paris 1910. La decisione del tribunale di Saint-Dié e della corte d'appello di Nancy riguarda un datore di lavoro e due operai condannati a due mesi di pri­ gione col beneficio della condizionale e a quattromila franchi di multa per aver scaricato prodotti chimici nella Meurthe. 67 Laffon, op. cit. , pp. 3 18-2 1 . 68 M . Pluvinage, F. Weber, Les Jardins populaires: pratiques cultura/es, usages de l'espace, enjeux culturels, ministero della Cultura, Paris 1992, p. 87. 69 F. Dubost, Lesjardins de Créteil, «Traverses», 5-6 ottobre 1976, p. 197. 70 Pluvinage, Weber, op. cit. , p. 13 . 7 1 lvi, p. 3 . 7 2 Su questa difficoltà del giardiniere ad ammettere il proprio piacere, v. ].-R. Hissard, F. Portet, Lesjardins ouvriers de Belfort, «Traverses» cit., p. 180. 73 Pluvinage, Weber, op. cit. , p. 13 . 74 P. Lepape, La pensée de p/ate-bande, «Traverses» cit. 75 R. Hoggart, The Uses o/ Literacy, Chatto and Windus, London 1957 [trad. it. Pro­ letariato e industria culturale, Officina Edizioni, Roma 1970, p. 330]. 76 Lepape, art. cit. , p. 34. 77 Hoggart, op. cit. [trad. it. cit., p. 330]. La relativa inferiorità francese in questo cam­ po è avvertita e sottolineata da G. Bouthoul, La Durée du travail et l'utilisation des loisirs, Giard, Paris 1924, p. 125. Pluvinage, Weber, op. cit. , p. 96. 78 «Rapport sur l'utilisation cles loisirs ouvriers», Conférence internationale du travail, 6• sessione, BIT, Genève, giugno 1924, p. 93 . 79 Pluvinage, Weber, op. cit. , pp. 96-7. 8° Cfr. l'intervento di Christophe Charle al seminario «Histoire sociale et culturelle», Università di Paris-I, giugno 1994. 8 1 Per quanto riguarda quelli delle grandi città francesi: L.-M. Nourry, Lesjardins pu­ blics en province: un élément de la politique de l'espace du Second Empire, tesi, Università di Paris-I, 1995. 82 A. Corbin, Le Miasme et lajonquille. I.:odorat et l'imaginaire social (XVIW-XIX• siè­ cles), Aubier, Paris 1982, pp. 223-9, Flammarion, Paris 1986 [trad. it. Storia sociale degli odori. XVIII e XIX secolo, Mondadori, Milano 1986, pp. 268-76]. 83 Una rievocazione romanzesca di quest'importanza, in E. Zola, Il fallo dell'abate Mouret. Nelle regioni più osservanti, questo tipo di cultura floreale si lega alle cerimonie e alle esposizioni dell'ostia consacrata del Corpus Domini. Tutto ciò costituisce una lon­ tana discendenza decaduta del 'giardino liturgico' che Durtal, l'eroe del Converso, il ro­ manzo di].-K. Huysmans, tenta di ricreare. 84 Osservazioni interessanti sul legame esistente fra pensione e spazio rurale in B. Du­ mons, G. Pollet, Le retraité, une identité sociale nouvelle? Le cas de la région lyonnaise au début du siècle, Ethnologie /rançaise (in corso di pubblicazione), confermate dalla tesi di B. Dumons, Retraite et retraités (/in XIX•-début XX• siècle). Les retraités sous la Troisième

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I:Invenzione del tempo libero. 1850-1960

République, Lyon et sa région (1880-1914). Populations, modes de vie et comportements, te­ si Lyon-11, 1990. 85 Un esempio: J. Pizzetta, Les loisirs d'un campagnard, Hennuyer, Paris 1889. 86 Rivelatrice, a questo proposito, l'infanzia di P. Loti nel giardino recintato della casa dei suoi genitori a Rochefort. 87 Con l'eccezione del bell'articolo di J.-C. Farcy, Lesjardins dans la France rurale au XIX" siècle (in corso di pubblicazione); alcuni cenni in G. Garrier, Paysans du Beaujolais et du Lyonnais. 1800-1970, PUG, Grenoble 1973, pp. 144 e 659. 88 Sulla gamm a relativamente ridotta delle verdure di questi orti in aperta campagna: P. Leshauris, Ceux de Lagraulet, la vie quotidienne d'une /amille de paysans landais (18701914), Eché, Toulouse 1984, pp. 77-9. 89 Pluvinage, Weber, op. cit. , pp. 805 sgg. e M. Pluvinage, Les pratiques cultura/es et l'opposition entre savoir paysan et savoir marafcher, «Colloque consacré aux jardins fami­ liaux», 3 -4 dicembre 1993. Maurice Agulhon ha, in precedenza, sottolineato questo tipo di conflitto a Bobigny. 90 J. Borderei, R. Georges-Picot, I:Utilisation des loisirs des travailleurs, Alcan, Paris 1925, pp. 6-7, così pure le due citazioni che seguono. 9 1 lvi, p. 22. 92 Cfr.J.-M. Mayeur, I:Abbé Lemire (1853-1928), un pretre démocrate, Casterman, Paris 1968, in particolare pp. 3 79 sgg. e pp. 57 6 sgg. Quanto segue deve molto a quest'opera. 93 Che hanno permesso la realizzazione della tesi di B. Compte-Cabedoce, I:CEuvre de la Ligue du coin de terre et du foyer, les jardins ouvriers du département de la Seine, 18961952, tesi Paris-11, 1984, sotto la direzione di M. Agulhon. 94 Cfr. L. Murard, P. Zylberman, Le Petit Travailleur in/atigable ou le proletaria! régénéré. Villes-usZnes, habitat et intimités au XIX" siècle, «Recherches», Fontenay-sous­ Bois 1976. 95 Cfr. il complesso dell'opera di M. Verret o di R. Hoggart. 96 Mayeur, op. cit. , p. 579. 97 Borderei, Georges-Picot, op. cit., p. 2 1 . 98 lvi, p. 16. 99 lvi, p. 18. A p. 21 si può leggere: «Se una sera vi portassi con me, sareste sicuri di trovare tutta la famiglia in giardino: il padre è corso a casa appena finito il lavoro, lì ha tro­ vato la madre che già prepara su un fornelletto la cena per la famiglia; i bambini fanno i compiti all'ombra del pergolato o aiutano il padre nei lavori di giardinaggio. . . ». 100 M. Pallaud, Les jardins ouvriers à Montluçon, «Bulletin du ministère du Travail», 1922, pp. 3 1 1 sgg. 10 1 Riportiamo qui i risultati della ricerca condotta dal ministero del Lavoro nel 1922. Lesjardins ouvriers depuis la guerre, «Bulletin du ministère du Travail», Enquete sur l'uti­ lisation des loisirs créés par lajournée de huit heures, 1922, pp. 408 sgg. 102 Per quanto segue, cfr. Compte-Cabedoce, op. cit. , e ]ardins ouvriers et banlieue: le bonheur aujardin?, in A. Faure (a cura di), Les Premiers Banlieusards, Créaphis, Paris 199 1 , p p . 249-80. Fra le fonti, G. Etienne, Utilisation des loisirs des travaZlleurs, Belin, Paris 1935, pp. 25 sgg. Brevi osservazioni in E. Labbé, Les loisZrs ouvrZers, Librairie de l'enseignement technique, Paris 1928. 1 03 Cfr. il caso di Montluçon, citato supra. 1 04 Mayeur, op. cit., p. 577. Pluvinage, Weber, op. cit. , pp. 96 sgg. 105 lvi, p. 50. 1 06 F. Dubost, Le choZx du pavzllonnaZre, in Faure (a cura di), op. cit. , p. 197. 1 07 Compte-Cabedoce, op. cit. , p. 279. 1 0 8 A questo proposito, Lepape, art. cit. , p. 33. Interessanti osservazioni sul «pensiero relativo ai giardini>>. 1 09 Les jardZns ouvrZers depuZs la guerre, «Bulletin du ministère du Travail>>, 1922, p. 408 e F. Weber, Le jardin éloigné ou le jardin ouvrier come espace domestique masculin, «Colloque» cit., 3-4 dicembre 1993. 110 Gioco di carte [N.d. T ] .

A. Corbin

I primi passi di un tempo per sé

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111

Compte-Cabedoce, op. cit. , p. 268. Cfr. Hissard, Portet, art. cit. , passim. m Dubost, art. cit., p. 200. 11 4 Di cui fanno parte il cabanon dei marsigliesi e il mazet della regione di N!mes. 115 R. Thabault, 1848-1914. I.:Ascension d'un peuple. Mon village, ses hommes, ses rou­ tes, son école, PFNSP, Paris 1982, p. 168. Sottolinea il ruolo del maestro, a Mésières-en-Ga­ tine, nella diffusione delle tecniche di potatura e d'innesto degli alberi da frutto. 116 A. Corbin, Archaisme et modernité en Limousin au XJXe siècle, Rivière, Paris 1975. 1 1 In 7 proposito, G. Ribelli, Les jardins cheminots: histoire d'une institution corporati­ ve spéci/ique, «Colloque» cit., 3 -4 dicembre 1993. 1 18 Cfr. Pluvinage, Weber, op. cit. , p. 1 2 1 . 1 19 Da parte sua, ].-C. Chamboredon (Les usages urbains de l'espace rural: du moyen de production au lieu de récréation, «Revue française de Sociologie», XXI-X-1980, pp. 791 19) analizza il discredito delle arti popolari del giardino tradizionale, sottolinea l'ingom­ bro provocato dall'eccesso di piante, il moltiplicarsi dei segni di 'provenzalità' e il prima­ to della spettacolarità nello spazio rurale vicino alle città del Sud-Est. 120 J.-P. Martinon, Les espaces corrigés, «Traverses», cit., p. 147 . 1 2 1 :p. Carn, Le bricolage un art pour l'art, «Critiques sociales», maggio 1991, p. 33. 1 22 E importante, a questo proposito, sfumare le affermazioni; gli ultimi trent'anni del diciannovesimo secolo corrispondono a un periodo in cui, soprattutto nella scuola ele­ mentare, viene esaltato il lavoro artigianale, in particolare quello dell'artigianato rurale. 12 3 Viens bricoler1, Editions ouvrières, Paris s.d., pp. 5-6. 12 4 Per quanto segue, P. Jarreau, Du bricolage: archéologie de la maison, CCI, Centre Georges Pompidou, Paris 1985, passim, in particolare pp. 94-7, 99, 103 e 174. 125 Per quanto segue, oltre al complesso dell'opera di M. Verret, Carn, art. cit., passim. 126 lvi, p. 33. 1 12

127

1 28

Ibid.

A titolo d'esempio, «Rapport sur l'utilisation des loisirs ouvriers» cit., passim. Labbé, op. cit. , p. 12. 1 0 3 «Rapport sur l'utilisation des loisirs ouvriers» cit., pp. 90- 1 . 13 1 Etienne, op. cit. , p. 19. 1 2 3 Labbé, op. cit., p. 12. 1 3 3 Etienne, op. cit., p. 15. 1 34 R. Dupierreux, I.:art et !es loisirs du travailleur, «Les Loisirs du travailleur. Rapports présentés au Congrès international des loisirs du travailleur, Bruxelles, 15-17 juin 1935», BIT, «Etudes et documents», serie G, n. 4, Genève 1936, p. 30. 13 5 Etienne, op. cit., p. 28. I corsivi sono nostri. 1 6 3 Labbé, op. cit. , p. 12. 137 lvi, p. 13 13 8 In proposito, Jarreau, op. cit. , pp. 79-90 e 160 sgg.; G. Roux, I.:Habitation. «Ma mai­ san», généralités et conseils, A. Colin, Paris 1912. 13 9 Etienne, op. cit., p. 29. 14 0 Società delle Nazioni, Istituto internazionale di cooperazione intellettuale (IICI), «Art populaire et loisirs ouvriers», ricerca effettuata su richiesta del BIT, Paris 1934, pp. 13 1 e 133 (rapporto di G. Julien, riguardante la Francia). 41 1 Labbé, op. cit. , p. 12. 142 «Les Loisirs du travailleur» cit., p. VII. 1 43 Come pure la citazione che segue, rapporto di P. Pastur sulle commissioni provin­ ciali per il tempo libero in Belgio, ivi, pp. 80- 1. 1 4 4 IICI, «Art populaire et loisirs ouvriers» cit. , pp. 37, 44-8 e 83 . 14 5 Oncle Joe, ABC du bricolage, un guide pour !es amateurs de 'bric à brac', Delagrave, Paris 1 925, p. 1 1 . 6 14 lvi, p. 5 . 1 47 A. Poussart, Les Mille Trucs pour conserver e t réparer !es mille objets d'un ménage, Garnier, Paris 192 1 , Prefazione. 1 29

o

400

L:invenzione del tempo

libero. 1850-1 960

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Oncle Joe, op. cit. , p. 5. Poussart, op. cit., Prefazione, pp. 5-6. 1 50 Oncle Joe, op. cit., p. 5 . 15 1 Per esempio, A. Planès-Py, Pour tout /aire vous-meme, /ormules, recettes et tours de main pratiques, Béziers s.d., cap. II. 15 2 Oncle Joe, op. cit., pp. 8-9. 15 3 Cfr. il titolo dell'opera citata di A. Poussart. 154 Baudry de Saunier, Mon peintre, mon décorateur, mon vitrier, c'est moi.', Flamma­ rion, Paris 1924, Prefazione. 1 55 Oncle Joe, op. cit. , p. 1 1 . 156 I tantissimi libri pubblicati da H. de Graffigny (Raoul Marquis) provano chiara­ mente questa influenza; per esempio, Industries d'amateurs .. (1889), una serie di Manuels pratiques... , una Petite Encyclopédie électro-mécanique (1896) o Petits travaux de mécani­ 1 49

.

que et d'électricitépouvant etre exécutés avec un outillage restreint par les jeunes gens et les amateurs, venduto a tredici franchi e cinquanta. 157 A titolo d'esempio, un po' dopo, G. Brouillart (Réutilisez vas vieux pneus. Modèles d'objets utiles /aits sans peine avec de vieilles enveloppes et vieilles chambres, Paris 1947) si ispira anche lui a «Popular Mechanics» e a «Science an d Invention». 15 8 Citiamo, per esempio, i Travaux de l'amateur, opera interamente dedicata al bricolage. 15 9 Oncle Joe, op. cit. , Prefazione. 160 lvi, pp. 144 -5. 161 Bricolage, Librairie de la Jeunesse ouvrière, Paris s.d., pp. 2 e 14. 162 Onde Joe, op. cit., Prefazione, pp. 1-2. 16 3 Con l'eccezione dell'opera destinata ai giovani non ancora in età di aderire alla J OC (Jeunesse ouvrière catholique), in cui si fa allusione ai 'compagni'. 164 A questo proposito, P. Bourdieu, Invention de la vie d'artiste, «Actes de la recher­ che en Sciences Sociales», 2 marzo 1975. V. anche ]. Borderei, I.:habitation, in Borderei, Picot, op. cit., pp. 1 1 sgg. Quest'ultimo auspica, da parte sua, che il lavoratore che si de­ dica al bricolage disponga di un >, giugno 1965, pp. 65-102. 70 J. Walvin, Leisure and Society, 1830-1950, Longman, London 1978, p. 142. 7 1 R. Hoggart, 33 Newport Street, Gallimard-Editions du Seuil, Paris 1991, p. 132. 7 2 Moyer, op. cit. , pp. 4 1 -6. V. lo studio dell'attività della sezione viaggi della commis­ sione nazionale per il lavoro culturale socialista (Reiseabteilung des Reichsausschusses /iir sozialistische Bildungsarbeit) in Keitz, op. cit., pp. 200-6. 73 Moyer, op. cit., pp. 20- 1 , tratto da «Siemens Mitteilungen>>, n. 15 1 , luglio 1934, p. 1 13 . Questa ricerca è ricordata anche da C. Sachse, Freizeit zwischen Betrieb und Volksge­ meinscha/t. Betriebliche Freizeitpolitik im Nationalsozialismus, «Archiv fiir Sozialge­ schichte>>, 33, 1993 , pp. 305-28. 74 Tuttavia Keitz, op. cit., afferma che il turismo di massa era già nato in Germania sot­ to la Repubblica di Weimar. La sua tesi si basa essenzialmente sulle statistiche delle loca­ lità di accoglienza che attestano un flusso significativo di operai (10% dei vacanzieri in cer­ te località come Coblenza), favorito dall'awnento della pubblicità turistica pubblica e pri­ vata, dalla creazione di treni speciali completi diretti sulle Alpi bavaresi o verso le spiagge del Nord, dallo sviluppo della rete dei pullman e dall'offerta imponente di «viaggi popo­ lari>> organizzati a prezzi contenuti dalle sempre più nwnerose agenzie di viaggio. Deve però riconoscere, pp. 206-7, che i nuovi gruppi di turisti erano rappresentati fondamen­ talmente da «colletti bianchi>> e insegnanti. 75 Moyer, op. cit., p. 125, tratto da «Arbeitertwn>>, 15 dicembre 1935, p. 6. 76 lvi, p. 179, tratto da Deutsche Arbeit Front, Schatzamt, , 1937, p. 7. 77 Spade, op. cit., p. 300. 78 L. Auscher, Vacances pour tous, vacances en toutes saisons, «La Revue du Touring Club de France>>, 1936, p. 246. 79 «Esprit>>, giugno 1959, pp. 966-8. 80 R. Trempé, A. Boscus, Les premiers congés payés à Decazeville et à Mazamet, «Le Mouvement social>>, n. 150, gennaio-marzo 1990, p. 75. 8 1 R. Kaes, Une conquete ouvrière, «Esprit>>, giugno 1959, p. 900. 82 Trempé, Boscus, op. cit., p. 72. 83 Parent, op. cit., p. 1 1 . 84 Cfr. in/ra A . Corbin, I primi passi di un tempo per sé. 85 G. Lefranc, Le Mouvement syndical sous la Troisième République, Payot, Paris 1967, pp. 322 sgg. 86 «L' Enchainé>>, 3 1 luglio 1936, citato in C. Boussemart, I.;Echappée belle, 1936, les Ch'tis à l'assaut des loisirs, Publi-Nord, Lille 1986, p. 235. 87 J.-C. Richez, L. Strauss, Tradition et renouvellement des pratiques de loisirs en milieu ouvrier dans l'Alsace des années trente, «Revue d'Alsace>>, 1987, pp. 2 17-3 7. 88 «Mia moglie e io c'eravamo comprati una bicicletta ciascuno [. .. ] . La mattina, an­ davamo sui Vosgi, con lo zaino in spalla e il pranzo dentro lo zaino [ . . . ]>>, testimonianza ri­ ferita dal quotidiano «L'Alsace>>, 23 agosto 1936. 89 Richez, Strauss, op. cit. , pp. 79-105. 90 Nella Germania nazista, le imprese erano invitate a sostenere una parte delle spese che comportavano le partenze per le vacanze: per esempio, Dussel, Frese, op. cit., p. 96,

]. -Cl. Richez e L. Strauss

Un tempo nuovo per gli operai

44 1

citano una ditta di Weinheim (Baden) che raddoppiava il denaro economizzato dai suoi operai per finanziare dei viaggi Kraft durch Freude. Sulla precedenza data alla casa ri­ spetto alle vacanze nei bilanci popolari tedeschi degli anni cinquanta, v. n. 1 1 1 . 9 1 Cribier, op. cit., p . 43 . 92 «L'Alsace>>, 23 agosto 1986, ricorda i treni speciali organizzati dalla CGT per gli ope­ rai della fabbrica Bugatti di Molsheim con destinazione Gérardmer. 93 Citato in Cribier, op. cit. , p. 48. 94 Cifre calcolate sulla base delle notizie fornite da A. Braun, I.:Ouvrier alsacien et l'expérience du Front populaire, Sirey, Paris 1936; «Le Cheminot unifié>>, 15 agosto 1937; «Le Travailleur du livre>>, 1 1 luglio 1936; «Sport ouvrier>>, maggio 1937. 9 5 Parent, op. cit., pp. 136-7. 96 Moyer, op. cit., p. 120, tratto da «Der Deutsche>>, 20 febbraio 1934. 97 lvi, p. 120, tratto da «Viilkischer Beobachter>>, 2 marzo 1934. 98 Spode, op. cit., p. 3 1 1 . 99 Moyer, op. cit., p . 123 , da «Der Deutsche>>, 6 marzo 1934. 100 lvi, p. 124, tratto da «Deutsche Arbeits-Front, Deutsche Arbeits-KorrespondenZ>>, 6 marzo 1936. 1 0 1 lvi, p. 125 , da «Kraft durch Freude 'Gau Sachsen', Urlaubsfahrten 1936>>, p. 8. 102 Sugli ostelli della gioventù in Francia, L. Heller-Goldenberg, Histoire des auberges dejeunesse en France, des origines à la Libération (1929-1945), tesi di Stato, Nice 1985; Ory, op. cit., pp. 776-87. La rete del Centro laico degli ostelli della gioventù, fondato nel 1933, godeva dell'appoggio della CGT, della Lega dell'insegnamento e delle municipalità socia­ liste. 103 Sullo scoutismo, H. Van Effenterre, Histoire du scoutisme, PUF, Paris 1947; Ory, op. cit., pp. 772-6, e le opere citate in R. Fabre, Les mouvements dejeunesse dans la France de l'entre-deux-guerres, «Le Mouvement social>>, n. 168, luglio-settembre 1994, pp. 1 1 -2. 1 04 Nella Germania federale, solo dal 1963 l'automobile supera il treno come mezzo di trasporto per gli spostamenti delle vacanze. Schildt, op. cit., p. 399. 105 Sulla storia del campeggio, v. L. Montagné, Le Camping, PUF, Paris 1975 ; ].-J. Bous­ quet, Le Camping, évasion vers la nature, Editions Vigot, Paris 1945; C. Ward, D. Hardy, Goodnight Campers, The History o/ the British Holiday Camps, 1986. 106 Moyer, op. cit., p. 132, tratto daJ. Schaffner, Volk zu Schifi, Hamburg 1936, p. 65. 1 07 Fino agli anni sessanta, è lecito chiedersi quanto tempo i vacanzieri degli ambienti popolari potessero riservare alla vita sessuale e, più generalmente, all'intimità delle cop­ pie, a tal punto la promiscuità è evidente. 1 08 Moyer, op. cit. , p. 133 , tratto da «Der Angriff>>, 1 1 marzo 1934, e Bundesarchiv, R58/947. 109 Moyer, op. cit., p. 133, che cita W. Bayles, Caesars in Goose Steep, London 194 1 , 2" edizione. 110 Parent, op. cit., p. 184. 1 1 1 Espressione presa a prestito da A. Prost, Frontières et espaces du privé, in P. Ariès, G. Duby (a cura di), Histoire de la vie privé, t. V, Editions du Seui!, Paris 1987, p. 100 [trad. it. Storia della vita privata, t. V, Laterza, Roma-Bari 1987, che però non comprende questo saggio]. 1 1 2 P. Belleville, Une Nouvelle Classe ouvrière, Julliard, Paris 1963 , p. 7. 1 13 Così sono chiamati gli anni dal 1945 al 1975, quelli del boom economico [N. d. T]. 1 1 4 Sulle ferie pagate e i viaggi nella Germania federale durante gli anni cinquanta, Schildt, art. cit. , pp. 395-401, in attesa della pubblicazione della sua tesi di abilitazione (Freizeit-Massenmedien-Zeitgeist. Studien zur sozialkulturellen Modernisierung der west­ deutschen Gesellschaft der 1950er Jahre, Hamburg 1992). 1 15 Cribier, op. cit. , p. 56. 11 6 A. Rauch, Les Vacances, PUF, Paris 1993 , p. 108. 11 7 Peel, op. cit., p. 148. 1 1 8 C. Peyre, Y. Raynouard, Histoire et légendes du Club Méditerranée, Editions du Seui!, Paris 197 1 .

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[;invenzione del tempo libero. 1 850-1960

1 1 9 Lanquar, Raynouard, op. cit., p. 10. 120 H. Raymond, Hommes et dieux à Palinuro, observations sur une societé de loisirs, «Esprit», giugno 1959, pp. 1035-6. V. dello stesso autore, [;utopie concrète. Recherches sur un village de vacances,