Filita grammatico. Testimonianze e frammenti. Introduzione, edizione e commento
 9788871401850, 8871401859

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SEMINARI

ROMANI

DI

QUADERNI

CULTURA - 2

Emanuele Dettori

FILITA GRAMMATICO Testimonianze e frammenti

Edizioni Quasar

GRECA

SEMINARI ROMANI DI CULTURA GRECA QUADERNI

QUADERNI DEI SEMINARI ROMANI DI CULTURA GRECA Collana diretta da Maria Grazia Bonanno, Roberto Pretagostini, Luigi Enrico Rossi

1. R. Pretagostini (cur.), La letteratura ellenistica. Problemi e prospettive di ricerca, pp- 224, anno 2000

2. E. Dettori, Filita grammatico. Testimonianze e frammenti, pp. 244, anno 2000 3. L. Sbardella, Filita. Testimonianze e frammenti poetici, in corso di stampa

Emanuele Dettori

FILITA GRAMMATICO Testimonianze e frammenti Introduzione, edizione

e commento

Edizioni Quasar Roma 2000

Questo volume & pubblicato con i contributi del Consiglio Nazionale delle Ricerche e del Dipartimento di Antichitä e tradizione classica dell’Universitä

di Roma "Tor Vergata” (COFIN)

€ Roma 2000, Edizioni Quasar di Severino Tognon srl, via Ajaccio 43, 1-00198 Roma, tel. (39)0684241993, fax (39)0685833591 ISBN 88-7140-185-9 Finito di stampare nel mese di novembre 2000 presso Linea Grafica, via dei Crispolti 47, 00159 Roma

SOMMARIO

Premessa Testimonianze Introduzione Edizione e commento

Bibliografia Addenda Tavole di concordanza Indice delle fonti

Indice delle parole Indice dei luoghi Indice delle cose notevoli

a Elena e a Irene

PREMESSA

Uno 'spettro' si aggira ai primordi della letteratura alessandrina. A Filita di Cos, come si vedrà in dettaglio nell'introduzione, si attribuisce un ruolo di archegeta, per la caratteristica, meglio di ogni altro riassunta da Strab. 14. 2. 19, di ποιητὴς ἅμα καὶ κριτικός. Il ruolo pesa, per una figura su cui esistono si testimonianze significative, da Callimaco, Teocrito, Ermesianatte fino a Properzio, Ovidio e Stazio, ma di cui Kuchenmüller, ultimo editore e com-

mentatore, non ha potuto raccogliere che ventotto brevi frammenti poetici, di cui uno (fr. 28 Kuch.) di paternità filitea solo congetturata (difesa, ora, da Sbardella 1996, pp. 107-113), e trentuno frammenti grammaticali, di cui uno spurio (fr. spur. 59 Kuch. - spur. 33). Non di meno, Filita é personaggio che merita tuttora attenzione. Vale la

pena di riesaminarlo alla luce, in particolare, dei nuovi e piü ricchi quadri di riferimento composti negli ultimi anni sia sulla poesia alessandrina, sia sull'attività filologica che nello stesso periodo e fino alla fine del periodo tole-

maico si forma e sembra produrre i suoi migliori frutti, per quanto riguarda l'antichità. L'aspetto che si & deciso di prendere qui in considerazione & quello di Filita κριτικός. Per quanto non trascurata, anzi parrebbe ampiamente coltivata (si contano le edizioni commentate di Kayser, Bach e Kuchenmiiller), la relativa parte dell'opera filitea & sempre inserita nelle edizioni e nei commenti dei poetica quale dovuto πάρεργον, con conseguenze immaginabili sull'approfondimento sia del dettaglio, sia in generale del contributo ‘filologico' di Filita. Senza dire che nel 1928, data dell'edizione commentata di

Kuchenmüller, la ricerca sulla “Storia della filologia classica" non aveva certo fornito i risultati di cui siamo oggi in possesso. Ci si augura che il presente lavoro delinei chiaramente e in maniera approfondita la figura di Filita grammatico, la sua posizione e il suo contributo all'interno di quella avventura culturale che si usa chiamare "Storia della filologia classica". Qui di seguito si illustrano alcuni criteri che hanno guidato, nei contenuti e nella forma, il presente lavoro:

2

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti 1. Raccolta

Delle testimonianze si sono prese in considerazione quelle relative, in maniera certa o ipotizzata, all’attivitä grammaticale di Filita. I frammenti

grammaticali raccolti sono quarantuno, contro i trentuno di Kuchenmüller. La differenza numerica si deve allo spostamento tra i grammaticali di un

frammento attribuito ai poetici da Kuchenmiiller (fr. 25 = 16 Kuch.), all'inserimento di un dubium (fr. dub. 32; attribuzione congetturale), e alla registrazione di otto frammenti falsamente attribuiti a Filita grammatico (frr. male tribb. 34-41): si tratta di frammenti da Kuchenmüller inseriti nei poetica (nrr. 37-39), oppure di attribuzioni congetturali da lui ignorate o a lui ignote, benché precedenti al 1928 (nrr. 34-35, 40-41), o ancora a lui sconosciute per

ragioni cronologiche (nr. 36). Qualitativamente le differenze consistono solamente nella raccolta come dubia dei suoi frr. 53-55 vi sono molte differenze, sotto questo riguardo: lo maggiore completezza. Non ho trovato ragioni per mutare la sequenza ler: prima le glosse e poi gli Homerica, e all’interno

(= frr. dubb. 29-31). Non sforzo è stato verso una adottata da Kuchenmüldelle prime una succes-

sione che segue l'ordo rerum, all'interno dei secondi l'ordine del testo omeri-

co. I soli mutamenti si debbono allo spostamento di quelli che ho ritenuto dubia (frr. 29-32) dopo i frammenti sicuri di ambo le sezioni. 2. Edizione

Sia per i passi lessicografici che per quelli letterari ho normalmente tra-

scritto il testo fornito dalle edizioni più accreditate. Dove ho operato diversamente, per ragioni di chiarezza, ciò è evidente dall'apparato. Miei eventuali dissensi rispetto al testo in esponente sono espressi e argomentati nel commento.

La relativa limitatezza dei testi addotti ha consentito di porsi come obiettivo, che non riteniamo necessariamente raggiunto, la completezza documentaria negli apparati critici di ogni passo lessicografico posto in esponente. Lo stesso vale per ogni frammento poetico filiteo o attribuito a Filita. Ciò per lo meno per quanto reso possibile dagli apparati delle edizioni, soprattutto riguardo alla tradizione manoscritta. Il solo codice esaminato autopticamente, attraverso microfilm, è stato il Marciano di Esichio.

Per i passi letterari ed epigrafici, la situazione critico-testuale è stata fornita soltanto quando in qualche modo interessante la glossa in discussione. Ci proponiamo, con ciò, che il lettore possa farsi un'idea impregiudicata dello stato, anche diagnostico, dei testi in questione. In particolare delle situazioni più critiche, fortunatamente non molte.

Premessa

3

Riguardo alla questione ortografica del nome (Φιλι- o Φιλη-), non essendo di particolare momento, ci siamo attenuti alle scelte delle edizioni di riferimento dei testimoni. 3. Commento

Il commento alle testimonianze è inteso a valutarne la pertinenza o meno all'attività grammaticale di Filita, e, in caso positivo, a enuclearne il senso. Dovrebbe risultarne l'immagine di Filita κριτικός costituitasi nell'anti-

chità. Il commento alle testimonianze e i relativi testi precedono l'introduzione, in quanto le conclusioni su Filita sviluppate in età moderna dipendono fortemente da quanto su di lui si é affermato nell'antichità. Quando si esamina una glossa, gli argomenti e gli àmbiti messi in gioco possono rivelarsi della piü svariata natura. La necessità di inquadrarla, dalla sua consistenza testuale, ai suoi referenti, reali e, eventualmente, letterari, ha

comportato piü volte un trattamento che puó sembrare fuori misura, rispetto alla apparente minima entità del frammento grammaticale. Ma & nostra convinzione che si possa giungere a un qualche chiarimento di questi brandelli di dottrina, e senz'altro di quella filitea, solo entrando nel dettaglio.

Inoltre, scopo di un commento è, anche, offrire quanto più chiaramente possibile risultati di ricerche altrui. La rarità dei termini affrontati da Filita ha, talvolta, indotto ad una loro breve descrizione linguistica.

Come procedura preliminare per inquadrare i frammenti filitei si sono portati ad esponente sia la documentazione lessicografica parallela, sia luoghi letterari ed epigrafici ove comparisse il termine glossato da Filita (o eventualmente termini imparentati). La prima la si è voluta più completa possibile, in modo che fosse visibile primo obtutu la posizione della dottrina filitea riguardo a quella in generale sul termine in questione, quale sviluppata nell'antichità. I passi letterari ed epigrafici si auspicano completamente

recensiti fino al I sec. a. C. compreso. A questi si sono aggiunti luoghi di poeti di età imperiale, senza pretesa di sistematicità. Da tutto ció speriamo si possa trarre una prima impressione sul rapporto tra la glossografia filitea e i testi, letterari e non, dove se ne reperisce un riscontro, anche solo formale. 4. Introduzione

L'introduzione segue una sola linea d'indagine, che si tenta quanto piü possibile di approfondire. Attraverso il metodo e i contenuti ragionevolmente estrapolabili da quanto ci ? rimasto si é cercato di fissare interessi e scopi della glossografia filitea, e, quindi, il suo posto nell'aurorale "filologia classica". Tali coordinate sono determinate anche con l'aiuto di una pur breve rassegna dell'attività grammaticale di poco precedente, contemporanea e immediatamente successiva a Filita.

4

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

Il presente lavoro ha potuto fruire di attenta lettura da parte di Albio Cesare Cassio, Marco Fantuzzi, Daniele Gambarara, Roberto Pretagostini e Luigi Enrico Rossi, profittandone in maniera rilevante. Ad essi va il mio piü

caldo ringraziamento. Come anche, e in particolare, a Maria Grazia Bonanno, con cui abbiamo progettato la presente ricerca, da lei costantemente seguita con interesse, incoraggiamento, paziente lettura e suggerimenti. Ov-

viamente, rimane mia la responsabilità per ogni manchevolezza. Il lavoro era terminato alla fine del 1996; non si & potuta prendere in considerazione sistematicamente la bibliografia successiva".

* Alcuni addenda, in particolare relativi ai lavori di Spanoudakis 2000, si trovano alle pp. 225-228.

TESTIMONIANZE

ΤΊ. Suda è 332 Φιλήτας, K@og, υἱὸς Τηλέφου, dv ἐπί τε Φιλίππου Koi ᾿Αλεξάνδρου, γραμματικὸς κριτικός: ὃς ἰσχνωθεὶς ἐκ τοῦ ζητεῖν τὸν καλούμενον Ψευδόμενον λόγον ἀπέθανεν. ἐγένετο δὲ καὶ διδάσκαλος τοῦ δευτέρου Πτολεμαίου. ἔγραψεν ἐπιγράμματα, καὶ ἐλεγείας καὶ ἄλλα 2. γραμματικὸς secl. mav. Stemplinger 1894, p. 30 n. 2 | κρητικός F, «καὶ» κριτικός Toup 1775, p. 137 s., coll. e 359 | ἰσχνωθεὶς ἐκ τοῦ ζητεῖν καὶ διώκειν ἀκίχητα mg. add. M, post gl. V | 4. ἐλεγεῖα F | xoi τὰ καλούμενα Ναξιακά add. Eudoc. 970 Flach post ἄλλα (falso: cf. Eustath. 1885, 50; Tzetz. ad

Lycophr. 633; Etym. M. 795. 12 et Meineke ap. Bach, p. 272; Meineke 1843a, p. 352 s.)

T 2. Strab. 14. 2. 19, 657 C οὗτός τε (scil. Ἱπποκράτης) δή ἐστι τῶν ἐνδόξων Κῷος ἀνὴρ ... Φιλητᾶς te ποιητὴς ἅμα καὶ κριτικός T 3. Hermesian. fr. 7. 75-78 Pow.

οἶσθα δὲ καὶ τὸν ἀοιδόν, ὃν Εὐρυπύλου πολιῆται Κῷοι χάλκειον θῆκαν ὑπὸ πλατάνῳ Βιττίδα μολπάζοντα θοήν, περὶ πάντα Φιλίταν ῥήματα καὶ πᾶσαν ῥνόμενον λαλιήν 75. ὃν Casaubonus 1597, p. 5986: τὸν A | 76. Κῷοι χάλκειον A: Kam χάλκειον Wilamowitz ap. Kaibel 1890, p. 319, χάλκειον ypain Maas ap. Kuchenmüller, p. 81 n. 4 | θῆκαν A: στῆσαν

Hecker 1849, p. 481, θρῆσαν A. D. Knox 1925, p. 192, Maas ap. Kuchenmiiller, p. 81 n. 4 | post θῆκαν comma posuit Ruhnken 1782, p. 296 | 77. Barrida Scaliger 1577, p. 217 | θετὴν Ludwich 1902, p. 7, θερῆν πυρὶ Bergk 1844, p. 39, ποθὴν Hartung, p. 130, ποθεῖν πέρι, πάντα Bergk, p. VII | 78. ῥνόμενον A: τρνόμενον G. Hermann 1828, p. 12, μυρόμενον Ilgen 1797, p.

315 s., xevóuevov Bailey 1839, p. 20, τριβόμενον Burges ap. Bailey 1839, p. 73, ῥωόμενον Bergk, P. VII | πᾶσᾳ puduevov λαλιῇ Heinrich 1794, p. 44

T 4. Antig. Caryst. mir. 19 ἴδια δὲ καὶ περὶ τὰς συγκρίσεις καὶ ἀλλοιώσεις τῶν ζῴων, ἔτι δὲ γενέσεις. οἷον ἐν Αἰγύπτῳ τὸν βοῦν ἐὰν κατορύξῃς ἐν τόποις τισίν, ὥστε αὐτὰ τὰ κέρατα τῆς γῆς ὑπερέχειν, εἶθ᾽ ὕστερον ἀποπρίσῃς, λέγουσιν μελίτ-τας ἐκπέτεσθαι. σαπέντα γὰρ αὐτὸν εἰς τοῦτο διαλύεσθαι τὸ ζῷον. ᾧ καὶ φαίνεται Φιλήτας προσέχειν, ἱκανῶς ὧν περίεργος" προσαγορεύει οὖν αὐτὰς βουγενεῖς

λέγων: (sq. fr. 18 Kuch.)

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

Τ 5. Athen. 9. 401e κινδυνεύεις οὖν ποτε διὰ ταύτας τὰς φροντίδας ὥσπερ ὁ Κῷος Φιλητᾶς ζητῶν τὸν καλούμενον ψευδολόγον τῶν λόγων ὁμοίως ἐκείνῳ διαλυθῆναι. ἰσχνὸς γὰρ πάνυ τὸ σῶμα διὰ τὰς ζητήσεις γενόμενος ἀπέθανεν, ὡς τὸ πρὸ τοῦ μνημείου αὐτοῦ ἐπίγραμμα δηλοῖ: ξεῖνε, Φιλητᾶς εἰμί. λόγων ὁ ψευδόμενος με ὥλεσε καὶ νυκτῶν φροντίδες ἑσπέριοι 2. Φιλητὰς C: Φιλίτας A | ψευδολόγον codd.: fort. ψευδόμενον Herwerden 1876, p. 309 | τῶν λόγων

codd.: διαλύειν Rüstow 1910, p. 10] 5. | 2 5. διαλυθῆναι codd.: διανανθῆναι Herwerden 1876, p. 309 («praestat ἀφανανθῆναι, cf. 1. 21» Kaibel 1887, II, p. 375) | 3. πάνν codd.: πᾶν Orth 1953, p. 395 Ι 4. κρὸ codd.: ἐπὶ dub. Meineke 1867, p. 173, πρὸς Orth 1953, p. 395 6. νυκτῶν φροντίδες ἑσπέριοι susp. Meinekio 1867, p. 173 | καὶ νυκτῶν codd.: κὠνομάτων Heimsoeth

1867, p. XX, fort. καϊνικτῶν Kaibel 1887, II, p. 375, κἀφυκτῶν Pohlenz 1911, p. 108 n. 2, καὶ λεκτῶν Orth 1953, p. 394 s. | ἑσπέριοι codd.: οἱ στιβαραί Herwerden 1876, p. 309, ἀστερίων Ε W. Schmidt

1886, p. 11

T 6a. schol. A Il. 1. 524c (Did.) ᾿Αρίσταρχος ἐν toig Πρὸς Φιλίταν T 6b. schol. A Il. 2. 111b (Did.) ev γοῦν τῷ Πρὸς Φιλήταν συγγράμματι τῇ γραφῇ κέχρηται (scil. ᾿Αρίσταρχος) ΤΊ. Strato, fr. 1. 40-44 K.-A. (Athen. 9. 383a-b; PCair. 65445) ἔλεγεν ἕτερα μυρία τοιαῦθ᾽ ἅ, μὰ τὴν Γῆν, οὐδὲ εἰς συνῆκεν Av, μίστυλλα, μοίρας, δίπτυχ᾽, ὀβελούς ὥστ᾽ ἔδει τὰ τοῦ Φιλίτα λαμβάνοντα βιβλία σκοπεῖν ἕκαστον τί δύναται τῶν ῥημάτων 40. etepa μυρια pap.: ἀλλὰ ῥήματα A

| 41. συνῆκεν αν pap.: ἥκουσεν dv A

| 42. wor εδει pap.

ὥστε ne A | 43. ta tov Φιλιτα ... βυβλια pap.: τῶν τοῦ Φιλτα ... βιβλίων A, τῶν τοῦ Φ. ... βιβλίον

fort. Kaibel 1887, II, p. 335, τὸ τοῦ Φ. ... βιβλίον Casaubonus 1600, p. 416 | 44. exactov pap. (coniecerat Cobet 1855, p. 132): a A | τῶν ῥημάτων A: toußußAıav pap. (μβυβλιον eras.)

T 8. Cratet. A. P. 11. 218

Χοίριλος ᾿Αντιμάχου πολὺ λείπεται: ἀλλ᾽ ἐπὶ πᾶσιν Χοίριλον Εὐφορίων εἶχε διὰ στόματος καὶ κατάγλωσσ᾽ ἐπόει τὰ ποήματα, καὶ τὰ Φιλητᾶ

ἀτρεκέως rider: καὶ γὰρ Ὁμηρικὸς ἦν 3. Φιλητά Dobree 1833, p. 336: φίλιτρα P

T 9. Tzetz. schol. in Exeges. in Il. p. 126. 9 ss. Hermann (per V, vd. Larizza Calabrò 1964, p. 68) πολλοὶ τῆς Ὁμηρικῆς ἐτυμολογίας ἐπεμελήθησαν, Πλά--

Testimonianze

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των, καὶ ᾿Αριστοτέλης οἱ φιλόσοφοι, Σωρανός, Ἡρωδιανός, Φιλόξενος, ᾿Αριστόξε-νος, ᾿Απίων, Τυραννίων, ᾿Αρίσταρχος, Ζηνόδοτος, Φιλητάς, Σαπφὼ καὶ ἕτεροι μυρίοι 1. Ὁμηρικῆς Lips.: Ὁμήρου V

T 10. Suda ζ 74 Ζηνόδοτος ... μαθητὴς dU tà

T 11. schol. Nicand. Ther. 3 ὁ Ἑρμησιάναξ οὗτος φίλος τῷ Φιλιτᾷ καὶ γνώρι--

μος ἦν ὁ Ἑρμησιάναξ om. G

| Φιλιτᾷ Ο: Φιλητᾷ Lp, Φιλητῇ B | omnia om. V

T 12a. vita Theocr. p. 1 W. = Anecd. Est. p. 9 W. ἀκουστὴς δὲ γέγονε (scil. ^ Teocrito) Φιλητᾶ καὶ ᾿Ασκληπιάδου, ὧν μνημονεύει Τ 12b.Choerob. in Theod. Can. 333. 10 Hilg. ἱστέον ὅτι τὸ αἰδὼς Φιλήτας ὁ διδάσκαλος Θεοκρίτου χωρὶς τοῦ c προηνέγκατο εἰπών: (sq. fr. 22 Kuch.) 1. Φιλητᾶς Bergk 1846, p. 23 n. 9: Φιλίκκας NC, Φιλητὸς V

Delle testimonianze su Filita sono elencate quelle che entrano o possono entrare in discussione riguardo alla sua attività grammaticale. Subito da eliminare sono quelle relative (T 12a-b) a un discepolato da parte di Teocrito, autoschediastiche sulla base delle Talisie!.

! Theocr. 7. 39-43. La bibliografia sull'argomento ὃ sterminata, per cui saremo necessariamente sommari. Da Theocr. 7. 39 ss. si sono via via estratte conclusioni, che hanno ancora corso, anche florido: a) che Filita era maestro di Teocrito (con l'appendice dell'esistenza di un sodalizio poetico coo, di cui lo stesso Filita era a capo); b) che alcuni frammenti di Filita hanno tratti bucolici, che hanno influenzato Teocrito; c) che Filita e stato l'archegeta della poesia bucolica. Quest'ultima scoperta storico-letteraria è stata concepita anche con l'aiuto di Longo, che in Dafni e Cloe dà il nome Φιλητάς alla figura piü eminente di pastore. La pubblicazione degli scolii al Prologo degli Aitia (1933), con la rivelazione che Callimaco, sia pure non incondizionatamen-

te, presenta Filita come modello, ha condotto all'interpretazione oggi piü usuale, ovvero che i vv. 39 ss. delle Talisie significhino l'adesione ad una poetica: quella, grosso modo, della λεπτότης e dell'éaxyoonxía (prima del 1933, che io sappia, solo Wilamowitz 1924, II, p. 139). Già questa lettura rende meno personale il rapporto tra Teocrito e Filita. Da parte nostra, accediamo ad un'interpretazione minoritaria, avanzata da Lohse 1966, pp. 420, 423 s., Rosenmeyer 1969, p. 41, Serrao 1971, p. 47 s., Heubeck 1973, p. 14, Horstmann 1976, pp. 148-153 (forse anche Zagagi 1984, pp. 432-434; cf. McKay 1978, p. 36 n. 3: «the Theocritean testimonium cannot be pressed beyond a reference to elegy»; anche Webster 1963, p. 74 s., ritiene che Teocrito si stia differenziando dai suoi predecessori, ma, sembra affermare, sulla base che Asclepiade e Filita sarebbero omerizzanti): l'affermazione di Simichida/Teocrito, che non raggiungerà mai Filita ed Asclepiade, significherebbe, in realtà, che egli non ha come modelli l'elegiaco e l'epigrammista,

8

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

La definizione γραμματικὸς κριτικός della Suda (T 1) non ha bisogno di correzione?. Da Strabone (T 2: ποιητὴς ἅμα καὶ κριτικός) deduciamo che la

seconda era la qualifica relativa alla sua attività grammaticale, fosse essa una definizione da lui stesso attribuitasi, come γραμματικός per Antidoro di

Cuma (III a. C.?: cf. scholl. Dion. Thr. 3. 23; 7. 23; 448. 6 Uhl.), o applicatagli. E probabile che per il compilatore della voce, che procedeva per classificazioni fisse, l'attività di Filita fosse quella del γραμματικός, ma le sue fonti lo qualificassero come κριτικός. Da qui potrebbe venire la iunctura: γραμματικός

della ‘specie’ xpınxög?. Quest'ultimo appellativo non deve indurre a particolari speculazioni*: si deve, verosimilmente, alla cronologia alta di Filita, quando κριτικός era il termine per il grammatico, o, meglio, per l'insegnante 'superiore' di "lingua e letteratura' (cf. [Plat.] Axioch. 366e), e non era stato ancora sostituito da γραμματικός". La preservazione della diversa e piü anti-

ca qualifica puó doversi alla successiva programmatica distinzione di Cratete Mallota, che aveva rivitalizzato il termine (cf. fr. 17 M.)*.

ma intende coltivare un altro genere, corrispondente alla sua natura di poeta, ovvero il bucolico (qualche elemento di tale interpretazione si poteva trovare già in Körte-Händel 1960, p. 212 s.). L'unica vera difficoltà consiste nella resa di οὐ ... πω («giammai» o «non ancora»). Ci sembra la sola interpretazione che possa dar conto, insieme, del perché della menzione proprio di Filita ed Asclepiade, e della reazione di Licida, in particolare della sua espressione ἐπ᾽ ἀλαθείᾳ πεπλαon£vov. Contro Lohse, esplicitamente, Weingarth 1967, p. 126 n. 1, Ott 1969, p. 161 n. 444,

Schwinge 1974, p. 50 n. 34, Segal 1974, p. 130 s., Furusawa 1980, p. 23 n. 23, Nauta 1990, p. 132, Fantuzzi 1993b, p. 155 n. 27. Una nuova interpretazione é in Hunter 1996, p. 20-22. Per quanto riguarda Longo, si trascura sistematicamente Wendel 1901, p. 37 s., che dimostra come questi abbia ricavato il suo pastore direttamente dalle Talisie, prendendo Filita per un personaggio bucolico (cf. Horstmann 1976, p. 150 n. 153; Hutchinson 1988, p. 144 n. 5). Vd. anche le argomentazioni di Nowacki, p. 21 (cf. Kuchenmüller, p. 35). Senza dire che normalmente si lascia cadere, a questo proposito, la questione del nome (Φιλίτας 0 Φιλητᾶς: un tentativo, stiracchiato,

di salvare la situazione in Bowie 1985, p. 72 n. 27). Si coglie l'occasione per specificare che il primo a proporre l'identificazione tra il Φιλητᾶς di Longo e Filita di Cos non fu Reitzenstein 1893, p. 260 n. 1, come si riporta sempre, ma che fu preceduto almeno da Mallet 1882, p. 39. 2 La scrittura γραμματικός τις κριτικός di M. Schmidt 1854, p. 392, è dovuta probabilmente ad un lapsus. 3 Cf. Kuchenmüller, p. 36: «grammaticus, criticus appellatus». Cf. il (quasi) parallelo in Hecat. Abder., FGrHist 264 T 1 (pure dalla Suda) ἐπεκλήθη καὶ κριτικὸς γραμματικός, οἷα γραμματικὴν ἔχων

παρασκενήν e Charis. 1. 236. 18 K. inter omnes criticos grammaticos convenit. A stare a Gudeman 1922, col. 1914. 22 ss., l'appellativo xpinxóg nella Suda appare 6 volte, contro le ca. 60 di γραμματικός. Insigniti di κριτικός, oltre ad Ecateo e Filita, sono Demetriano (a 4205); Cratete di Mallo (x

2342); Longino (A 645, e 735). Per Longino è da aggiungere x 2098. Una τέχνη κριτική è tra gli scritti attribuiti a Panfilo in x 142.

* Sull'indistinzione tra i due termini, a prescindere dalle polemiche di Cratete, cf. Hoffmann 1891, p. 14 s.; Gudeman 1922, col. 1913. 28 ss. 5 Cf. Hoffmann 1891, p. 15; Gudeman

1922, col. 1912. 17 ss.

6 Più che direttamente ad un'età, alta, in cui non si distingueva ancora tra γραμματικός e xpiτικός, come interpreta Bernhardy 1853, p. 1467. Né credo che κριτικός sia da intendere, contro γραμματικός, «mehr ein Schriftkundiger im ästhetischen Sinne des Wortes ... zugleich mit dem

Nebenbegriffe der Ausscheidung des Unechten» (Preller 1846, p. 294, commentando la testimo-

nianza di Strabone). Anche Susemihl 1892, p. 663, in generale, vuole distinguere κριτική da

Testimonianze

9

Che la definizione di Filita data da Antigono di Caristo (T 4), ἱκανῶς ὧν nepiepyog, rifletta la sua personalità di studioso, è conclusione di Bach, p. 11 n. 14.

Ma il senso

altro: significa la disponibilità a mettere in poesia gli argomenti

più svariati, anche, come nel nostro caso, di paradossografia zoologica”. L'attività di διδάσκαλος, effettuata nei confronti di Tolemeo Filadelfo, Ze-

nodoto, e, forse, di Ermesianatte (T 1, 10-11), stando ai risultati, deve essere, almeno in parte, tra i presupposti dell'attività filologica alessandrina: da una parte per l'apparato allestito dal Filadelfo, dall'altra per la funzione di primo bibliotecario assunta da Zenodoto ed il suo lavoro di διορθωτής, omerico e non

solo. Per rimastici, se quelle riamente

il suo magistero, se ve n'é un riflesso nei frammenti grammaticali possiamo ritenere che consistesse nella illustrazione di glosse, anche raccolte nelle ἄτακτοι e di cui sappiamo non ne costituiscono necessauno specimen, ma appare senz'altro piü adatto il lavoro di lettura

omerica testimoniatoci, sia pur scarsamente e con ellissi, dagli scolii.

Non pos-

siamo dire se il lavoro ‘istruttorio’ di Alessandro Etolo e Licofrone a fondazione della biblioteca possa essere in qualche modo collegato al magistero di Filita: da quanto abbiamo del Coo non si direbbe. Eventuali dettagli di metodo o caratteristiche normative dei contenuti del suo insegnamento ci sono sconosciuti, cosi come non sappiamo se il suo curriculum di insegnamento grammaticale e letterario fosse funzionale - e implicasse una sorta di introduzione -alla composizione poetica. Merita qualche osservazione la scelta, da parte del primo Tolemeo (o chi per lui), di Filita per l'istruzione del figlio: senza dubbio

avrà giocato la conoscenza personale, con tutta verosimiglianza prodottasi durante il soggiorno nell'isola di Cos del diadoco, e coincidente, tra l'altro, con

la nascita del Filadelfo (309 a. C.). Se si combina questa opzione con quella del peripatetico Stratone di Lampsaco (frr. 1-2 W.), che, come si induce facilmente γραμματική (scil. xxvn), ricordando che, a detta di Dion. Thr. 6. 2 s. Uhl., la prima e «il corona-

mento proprio dell'intero edificio costruito dalla seconda», e che ció sarebbe proprio dei «Vorläufer der Realphilologie» (ovvero prima degli alessandrini). Non ci sembra rispondere ai fatti l'affermazione di Lamberton 1986, p. 13, che il xpiuxóg fosse «a grammaticus of higher

degree of distinction». Anche la trafila ‘storica’ proposta da Schenkeveld 1968, p. 179, per l'uso di κριτικός rispettivamente prealessandrino (prima generico, relativo allo studio della lingua e al giudizio di poesia, poi esclusivamente inteso a ricerche di poetica: da qui la nascita del termi-

ne γραμματικοί, coniato da chi si occupava di poesia ma non specificamente di poetica), crateteo, e filodemeo non ? utile per la definizione applicata a Filita. Lehrs 1838, p. 12, ritiene, sulla base dell'usus straboniano, che qui κριτικός non possa stare semplicemente per γραμματικός ("criticas rationes [i.e. di giudizio propriamente letterario] ... in Phileta illustres fuisse, ex Strabone intelligitur"). Che Cratete possa aver preso l'appellativo («vetustum») da Filita, per distinguersi dagli alessandrini, è proposta insinuata da Kuchenmüller, p. 36 s. Sul termine cf., oltre quanto men-

zionato in questa nota e nelle precedenti, anche Hoffmann 1891, p. 10 s.; H. Usener apud Susemihl 1892, p. 665; Pfeiffer 1968, p. 256 ss.; Siebenborn 1976, p. 131 s., nonché lo stesso Lehrs 1838, pp. 8-13. Una nuova testimonianza dell'uso del termine in ambito grammaticale antico &

un POxy 4457 fr. 1. 6: purtroppo non decifrabile. 7 Cf. mir. 24 ἱκανῶς ἐπιμελὴς καὶ πολυπράγμων, di Omero. Leggermente diverso Nowacki, p. 78. 8 Per γνώριμος = discipulus nello scolio nicandreo, cf. R. W. Schulze 1858, p. 10 s. In generale, vd. i dati in Alpers 1981, p. 162 s. (ad A 25).

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

dai suoi resti, sarà stato prescelto per la paideia scientifica, sembra delinearsi una precisa intenzione enciclopedica, che nell'azione combinata dei due eruditi manifesta anche un embrione di "divisione intellettuale del lavoro". A Filita,

ποιητὴς ἅμα καὶ κριτικός, toccava la responsabilità di quella umanistica, che si

voleva, forse, non strettamente peripatetica, qualunque fosse stata la formazione del Coo (forse in ambiente micrasiatico?, cf. Antimaco di Colofone, Zenodoto di Efeso, etc.)°. A questo proposito, sarebbe interessante conoscere qualcosa su suoi eventuali maestri. Al proposito, rileviamo come nello stesso lemma della Suda non ne siano indicati (o ‘creati’): forse Filita non era inseribile in una scuola, o non si avevano notizie al proposito, o forse (mi suggerisce Marco Fantuzzi) era sentito come archegeta-caposcuola assoluto. Le testimonianze meno generiche, includendo provvisoriamente anche quelle malsicure, ne fanno essenzialmente un omerista. A partire dal magiste-

ro su Zenodoto (T 10), ma in particolare dal Πρὸς dui tav aristarcheo (T 6a-b): qualunque fosse il dettaglio del σύγγραμμα, che ὃ probabile non riguardasse integralmente Filita, non si puó sottacere il valore programmatico di tale sorta di titoli. Poteva addirittura costituire l'attacco ad un metodo di in-

dagine filologica: col che avremmo, indirettamente, perlomeno una possibile ragione della fama di ‘Ounpixég di Filita. Anche a Tzetzes (T 9) Filita arriva

come critico omerico, per quanto minimo sia il rilievo che ciò può avere!0. In Stratone (T 7), ciò per cui si richiede l'ausilio dei libri di Filita è, in sostanza, l'interpretazione di glosse omeriche. Le glosse introdotte dal cuoco, alcune interpretate, nei codici di πηγός (v. 36: 42)", E i vv.

sono μέροψ (v. 6), δαιτυμών (v. 11), ῥηξίχθων (v. 19: βοῦς εὐρυμέτωπος; Ateneo è ἐρυσίχθων), μῆλα (v. 21: πρόβατα), οὐλοχύται (v. 34: κριθαί), dic), ἀτάσθαλος (v. 38), μίστυλλα, μοῖρα, δίπτυχα, ὀβελός (tutte al v. 48-50, se originari", recitano καί μοι δοκεῖ ῥαψῳδοτοιούτου τινὸς /

δοῦλος γεγονὰς ἐκ παιδὸς ἁλιτήριος / εἶτ᾽ ἀναπεπλῆσθαι τῶν Ὁμήρου ῥημάτων".

? Interessante ὃ l'accenno, argomentato, di Pfeiffer 1968, p. 165, ἃ] contributo dell'ambiente micrasiatico all' «impulso al nuovo movimento», ove si intende la «nuova» poesia (cf. anche p. 208). Al di là delle motivazioni profonde di Pfeiffer, che qui non indaghiamo, «oggettivamente» l'osservazione di Pfeiffer non ci sembra un «espediente», come lo giudica Rossi 1976, p. 110. Sulla vitalità dell'Asia minore (già dal IV secolo) si possono confrontare le osservazioni sulla

produzione in prosa da parte di Cassio 1996, p. 156.

10 Sulla serie di nomi di ‘omeristi’ in Tzetzes, cf. Felber 1925, p. 11 ss. (Filita a p. 12). !! Per A. 5. Ferguson 1916, p. 216, il passo dei vv. 34-42 è basato su Il. 1. 449-65: cf. οὐλοχύτας

(vv. 449, 458); δίπτυχα (v. 461); uia tuAXov (v. 465); ὀβελοῖσιν (v. 465).

1843, I, p. 533 e n. 29, W. Schulze ap. Susemihl 1891, p. 395 n. 101, W. Schulze 1892, p. 319 n. 1,

Clack, p. 14, ritengono che le glosse in Stratone siano riprese dalle "Ataxtoı γλῶσσαι. All'opera perlomeno si alluderebbe da parte del comico per Casaubonus 1600, p. 416, Wilamowitz 1924, I, p. 114 n. 2, Händel 1965, col. 2297, Pfeiffer 1968, p. 162, Bulloch 1985b, p. 544 s. (non & chiaro se ritengano che le glosse siano estratte da essa). Queste conclusioni sono falsificate dalla corretta analisi di

Latte 1925a, p. 162 n. 53 (dubbi anche in Nowacki, p. 17 s.; contro Bach, già Kleine 1833, col. 766).

Testimonianze

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La testimonianza di Stratone sembra parlare di un Filita glossografo specificamente omerico: ció che non appare dai resti della sua attività grammaticale, né quale glossografo, né quale lettore di Omero, come vedremo. O, per lo meno, non appare nella misura che ci si attenderebbe, a prima vista, da questa testimonianza. In realtà non si tratta in tutti i casi di omerismi: non lo è pnn&ix&wv'*. Il vocabolo píotuAXov non esiste in Omero, bensì vi tro-

viamo il verbo μιστύλλω: ma nell'imperfetto μίστυλλον, che forse poteva essere frainteso come un nome neutro». Nowacki, p. 17 s., e soprattutto Latte 1925a, p. 162 n. 53, hanno correttamente individuato come il bersaglio comico non sia Filita, non vi sia alcuna irrisione della sua attività grammaticale'®, e come, di conseguenza (cosi conclude Latte), che le glosse in Stratone provengano da lavori filitei sia inferenza errata". Nel nostro passo sembrano piuttosto unirsi il glossografo per eccellenza, Filita!5, con la glossografia per eccellenza, quella omerica, senza legami piü concreti. Ció ridimensiona la

portata 'omerica' della testimonianza riguardo a Filita. A quest'àmbito pertiene anche l'epigramma di Cratete (T 8), con la congettura di Dobree. Se si accetta quest'ultima?, e si considera che non si tratta, con tutta probabilità, del Mallota, ma di un Cratete da porre in età adria-

nea?, dobbiamo supporvi la traccia di una memoria della fama filitea come M Per W. Schulze ap. Susemihl 1891, p. 395 n. 101, ἐρυσίχθων (che ὁ la lezione di Ateneo, corretta dal papiro), sarebbe allusa da Lycophr. 1396, con γατομῶν, e ripresa da Euphor. fr. 152 Pow. (naturalmente correggendo il tràdito ἐνοσίχθονι), xnyóc, nel senso di «bianco», da Lycophr. 336 (cf. anche W. Schulze 1892, p. 319 n. 1; Skutsch 1907, col. 1183; Tolkiehn 1925, col. 2436. 31). Se-

condo Kuiper 1896, p. 72, Callim. HDian. 90 ἥμισν πηγούς potrebbe rifiutare questa interpretazione filitea e irriderla. La glossa uépow sarebbe ripresa da Callim. HDel. 160 e Boeus 21 Pow.,

secondo Rostagni 1916, p. 349.

15 μίστυλλον ὃ una Rückbildung dal verbo: vd. Frisk, GEW II, p. 244 s. (cf. Callim. fr. 23. 15 Pf. ἀμίστυλλον).

16 Come ritengono, ad esempio, Rauch 1845, p. 11; Lehrs 1882, p. 44 (= 1833, p. 52); Cessi 1908, p. 119 n. 6; Cessi 1912, p. 392; Tolkiehn 1925, col. 2436. 28; Cameron 1991, p. 537; Cameron

1995, pp. 41, 491. V Cf. Kuchenmüller, p. 112 n. 5. Meglio, con Latte 1925a, p. 162 n. 53, Dohm 1964, p. 200, e Livrea 1980, p. 30 s., ritenere che siano presi di mira gli ὀψαρτυτικά in versi, che si servivano della lingua epica.

18 Cf. Latte 1925a, p. 162 n. 53, Nowacki, p. 17 s. Si consideri anche la data di Stratone: la fama di Filita doveva essere ancora fresca e non dovevano esserci molti altri lavori glossografici della portata delle "Ataxtoı γλῶσσαι.

19 Tutti gli editori successivi al 1833 di Cherilo, Antimaco, Euforione, Cratete di Mallo, Filita,

dell' Antologia Palatina e degli epici stampano il testo con la congettura di Dobree, tranne Beckby 1965, p. 654, e Groningen 1977, p. 9, il quale, perö, la trova attraente (p. 10). Tra coloro, a me noti e successivi al 1833, che menzionano l'epigramma hanno eíAntpo i soli Brzoska 1883, p. 58,

e Sicking 1988, p. 82 («e possedeva esatta conoscenza in ambito erotico»). Per vecchie interpretazioni, con φίλητρα, cf. Ménage 1716, p. 291 s., Toup 1767, p. 164 s., Jacobs 1799, p. 9, Jacobs

1817, p. 693, Naeke 1817, p. 97 s. Con $iAıtpa, Groningen 1977, p. 9 s. 20 Dacche lo si era inteso, comunemente, per il pergameno, ora prevale una sua datazione in

età imperiale: Sakolowski 1893, p. 76 (età dei Flavi o prima metà del II d. C.), Geffcken 1922, col. 1625. 9, Gabathuler 1937, p. 94 n. 172, Gow-Page 1965, II, p. 222. Per una datazione alla seconda metà del Ill sec. a. C. è C. W. Müller 1990, p. 36, ma senza particolari argomentazioni. Pfeiffer

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

omerista: difficilmente a quest'epoca l'epigrammista avrebbe potuto 'giocare' su Filita sulla base di una diretta conoscenza. Il senso, comunque, sarebbe di un Euforione che compone poesia glossematica, su base omerica, «à

coups de dictionnaire» (Groningen 1977, p. 10), naturalmente quello di Filita?!. Ma la base congetturale sconsiglia speculazioni.

Di non agevole interpretazione ὃ la testimonianza di Ermesianatte (T 3), che offre già problemi al semplice atto della lettura?. Si presentano almeno tre questioni nel v. 77 s.: 1) come segmentare la sequenza Βιττίδα μολπάζοντα θοήν, περὶ πάντα Φιλίταν ῥήματα καὶ πᾶσαν tpoóuevov λαλιήν; 2) cosa sia meglio tra il tràdito ῥυόμενον e τρυόμενον di G. Hermann?

3) cosa significhi λαλιήν. Unendo la prima e la seconda questione si offrono quattro possibilità (almeno provvisoriamente): a) D Βιττίδα μολπάζοντα 2) περὶ πάντα ... ῥήματα καὶ πᾶσαν ῥυόμενον λαλιήν;

1968, p. 373 5., ritiene che l'epigramma, per conservare la sua pointe, debba essere stato composto ancora in vita Euforione, o poco dopo la sua morte (cf. anche Huxley 1969, p. 26: «the poem is not likely to have been written long after Euphorion's death, if indeed it was not written during his lifetime»).

?! Cf. Dübner 1872, pp. 323, 379, Paton 1918, p. 177, Kuchenmüller, p. 17, Barigazzi 1950, p.

23, C. W. Müller 1990, p. 37. Un riferimento alle "Ataxtoı γλῶσσαι e visto anche da Preller 1846, Ρ. 298, W. Schulze 1892, p. 319 n. 1, Skutsch 1907, col. 1183, Kuchenmiiller, p. 23. Naturalmente cio implicherebbe che καὶ tà Φιλητᾶ ἀτρεκέως ride, significhi, letteralmente, mettere in poesia il

lavoro glossografico di Filita, e non imitare la poesia (glossematica) di Filita. Una osservazione marginale al v. 76, che non ci riguarda direttamente. Hecker 1849, p. 481, sostenne «corrigendum est στῆσαν (scil. per θῆκαν). Graece enim dicitur χαλκοῦν nva ἀνατιθέναι

de statua in templis deorum posita, ἱστάναι vero de statua posita in foro vel in publico». La correzione & stata piü volte accettata, e in particolare, tra gli ultimi editori di Ermesianatte, da Powell, p. 100, e inoltre da Butler-Barber 1933, p. XLVI, Day 1938, p. 16, Clack, p. 194, Latacz 1985, p. 88, Calderón 1988, p. 16, P. E. Knox 1993, p. 66, Hollis 1996, p. 57. Obiettó Kuchenmüller, p. 28 n. 5: «nullo alia verbo simul sepulcrum et monumentum significatur, χάλκειον ἔθηκαν est: sepeliebant cum statua aenea». Ma ci sembra preferibile ricordare l'occorrere di ἔθεσαν in tre epigrafi sepolcrali a carattere pubblico, ovvero CEG 16, 11, 155 Hansen, e il fatto che il platano sotto cui viene eretta la statua ha, verosimilmente, caratteristiche sacrali. Su τιθέναι per ἀνατιθέ-ναι (nelle iscrizioni dedicatorie), cf. Lazzarini 1976, p. 71: il semplice ha sempre motivazioni metriche. Un'ampia difesa di θῆκαν ora in Hardie 1997, p. 25 s., Kobiliri 1998, p. 195. 2 Quest'ultima è la soluzione nettamente preferita: i pochi editori di Ermesianatte successivi a G. Hermann, hanno tpudpevov (Powell, p. 100, Diehl 1942, fasc. 6, p. 62, Defradas 1962, p. 100),

mentre altri, quali Bailey e Bergk, hanno comunque rifiutato pudpevov, escogitando soluzioni

personali (vd. l'apparato). Solo Schneidewin, p. 156, e Giarratano 1905, p. 21, mantengono ῥνυόμενον, segnalando la correzione di G. Hermann in apparato (così anche Harberton, p. 440, senza segnalazione). Inoltre, τρνόμενον è prescelto, ad es., da Nowacki, p. 11, Kuchenmüller, p. 8, Butler-Barber 1933, p. XLVI, Lenchantin

1935, p. 175, Day 1938, p. 16, Blumenthal

1938, col.

2166. 57, Boucher 1965, p. 206 n. 2, Clack, p. 194, Calderón 1988, p. 16, P. E. Knox 1993, p. 66, Cameron

1995, p. 492, Hollis 1996, p. 57, Hardie 1997, p. 24. Il solo Latacz 1985, p. 88, che io sap-

pia, ha rifiutato tpuönevov, per tornare al trädito puönevov. Ora Kobiliri 1998, p. 15, ha ῥυόμενον, che difende a p. 200 s. Unica annotazione di Hermann al suo intervento: «scribendum videtur».

Testimonianze

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b) 1) Βιττίδα μολπάζοντα ... περὶ πάντα ... ῥήματα 2) καὶ πᾶσαν puduevov λαλιήν; c) 1) Βιττίδα μολπάζοντα 2) περὶ πάντα ... ῥήματα καὶ (περὶ) πᾶσαν τρυόμενον λαλιήν; d) 1) Βιττίδα μολπάζοντα ... περὶ πάντα ... ῥήματα 2) καὶ (περὶ) πᾶσαν τρυόμενον λαλιήν. Nei casi a) 6 c) rispettivamente ῥυόμενον e τρυόμενον avrebbero la reggenza dell'intero περὶ πάντα ... ῥήματα καὶ πᾶσαν ... λαλιήν. Nei casi b) e d) la

descrizione fornita da Ermesianatte sarebbe da analizzare diversamente: una prima frase, Bırtida μολπάζοντα ... περὶ πάντα ... ῥήματα, descriverebbe il contenuto del canto di Filita, una seconda, xoi πᾶσαν ῥυόμενον (o [nepi] πᾶσαν τρυόμενον) λαλιήν, sue modalità.

Converrà esaminare i pro e i contra delle diverse possibilità. Con la prima Ermesianatte affermerebbe che Filita, «celebrando Bittide», «difende ogni parola ed ogni λαλιή»: ovvero, che Filita, nel cantare l'amata, ‘combatte una battaglia’ a favore della ποικιλία lessicale ed espressiva^. Tale descrizione as-

sumerebbe notevole pregnanza solo che si ricordi che ῥύεσθαι compare nelle epigrafi (reali o letterarie) che accompagnano monumenti onorarii, o anche semplici epitafi, di caduti che abbiano difeso il territorio, la patria: cf. CEG I 131. 4 Hans. (= Simonid. XI FGE Page), FGE 753 Page (= Simonid. XVIIb),

GVI 12 Peek (= FGE 834 Page, Simonid. fr. 89 D.2); A. P. 6. 141 (= [Anacr.] XII FGE Page); 7. 72 (= [Menand.] I FGE Page; fr. spur. 1000 K.-A.); 7. 250 (= GVI

8 Peek, Simonid. fr. 95 D.?, [Simonid.] XII FGE Page), 7. 255. 2 (= [Aesch.] I FGE Page, GVI 10 Peek), 7. 442. 2 (= Simonid. fr. 123. 2 D.?, [Simonid.] LIV FGE Page), 7. 242. 2 (Mnasalc. = GVI 31 Peek), 9. 184. 8 (adesp. = FGE 1021

Page), GVI 33. 5 ss. Peek (init. II a. C.), CEG II 789 I Hans. (312 aut 301 aut 280 a. C.), 625. 4 Hans. (IV-III a. C.?), 658. 6 Hans. (352 a. C.?) (= GVI 25 Peek), 798 (400-350?) (= FGE 1504-07 Page). Ora, la situazione descritta da

Ermesianatte è proprio quella dell'erezione di una statua onoraria di Filita: giocando sulla convenzione epigrafica Ermesianatte qui starebbe passando,

insensibilmente, dalla narrazione/descrizione alla vera e propria dettatura di un epitafio onorario per Filita. Il ‘territorio difeso’ da quest'ultimo (verosimilmente contro l'oblio) sarebbe quello, che da varie testimonianze abbiamo visto essergli particolarmente pertinente, della lingua: nei suoi aspetti di varietà, ricchezza, mezzo di straniamento per l'utilizzo in composizione poetica, ipotizziamo provvisoriamente: senza pregiudicare se Ermesianatte intenda operazione grammaticale o compositiva”.

2 Con “espressione” rendiamo provvisoriamente λαλιή. 25 Un uso metaforico di questa caratteristica lessicale epigrafica è in A. P. 7. 72 (= [Menand.] I FGE Page = fr. spur. 1000 K.-A.) χαῖρε Νεοκλειδᾶν δίδυμον γένος, ὧν ὁ μὲν ὑμῶν / πατρίδα δολοσύνας ῥύσαθ᾽, ὁ δ᾽ ἀφροσύνας, nonché in un epigrafe pubblicata in Baldwin Bowsky 1989, p. 118 nr. 1.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti Un'obiezione ὃ che ῥύεσθαι non ha mai la reggenza di περί, ma l'accusati-

vo semplice e, eventualmente, il genitivo di ció che & respinto («difendere qualcuno/qualcosa da qualcuno/qualcosa»)?, né esiste περιρρύεσθαι. Non ci

ὃ riuscito di trovare un concreto e preciso parallelo, in funzione di ῥύεσθαι, a due dei sensi dati a περί da Chantraine, DELG 886: «pour défendre» (come preposizione), «en protégeant» (come preverbio). Ma quest'ultimo caso potrebbe offrire una soluzione. Schwyzer-Debrunner 1950, p. 500, per περί come preverbio nel senso di «schützend, kämpfend umgeben» forniscono i composti omerici περιβαίνω, περιέχομαι, περίκειμαι, περιμάρναμαι, περιδώμεθον:

ora, trattandosi per ῥύεσθαι spesso, e sempre nei casi sopra citati, di un verbo del campo semantico del "guerreggiare", & possibile una leggera forzatu-

ra da parte di Ermesianatte, per cui ῥυόμενον sarebbe da lui inteso «combattendo a difesa», con cui περί, a reggenza dell'oggetto concernente tale "batta-

glia a difesa’, o, ancora meglio, in ‘tmesi’, sarebbe perfettamente accettabile. La segmentazione b) avrebbe il solo vantaggio di evitare la reggenza di περί da parte di pvópevov, che si applicherebbe alla sola λαλιή, in un senso e con connotazioni identiche alle precedenti. Con questa segmentazione, invece, la prima frase descriverebbe Filita che «celebra Bittide in ogni parola (con ogni sua parola?)»: ma anche qui περί fa difficoltà, e non ci sembra, al contrario di sopra, che ci sia modo di poter giustificare tale preposizione + accusativo nel senso qui richiesto”. Nel terzo caso, con la correzione di G. Hermann, il significato, apparentemente, sarebbe «che si tormenta, si consuma attorno ad ogni parola e ad ogni espressione». In maniera meno immaginosa sarebbe espresso lo stesso concetto che nell'ipotesi a): ovvero un'attivita compositiva laboriosa ed este-

12 πατρίδα puönevog βουλαῖς (Lato pros Kamara, Creta, Il a. C.). Per certi versi è l'interpretazione

di Schweighäuser 1805a, p. 248: «iam hoc ipsum dicere nobis visus erat Herm., poétam illum Philetam, qui Bittidem amicam cecinit, eumdem etiam omne genus verborum antiquorum, et universum veterem sermonem, in suis glossarum libris servasse, et ab interitu ... vindicasse. ῥνεσθαι est servare, conservare: et ad hoc ipsum verbum referenda praepositio περὶ; ut περιρρύομαι similiter dictum sit, idemque valeat, ac περισώζω», e, ancor piü sostanzialmente, di Bach, p. 165: «verbum ῥύεσθαι ... apud Homerum iam accepisse significationem tuendi, servandi ... Et sicut viri fortes conservant patriam, ita Philologi omnis orationis custodes ac vindices habendi sunt»; se non che περί abbisogna di piü dettagliata giustificazione, e il riferimento al lavoro glossografico di Filita non é certo, come vedremo sotto. Infine manca, ovviamente, il riferimento alle convenzioni epigrafiche (ma si confronti Ellenberger 1907, p. 9: «postremo sepulcrali quodam epigrammate prosequitur [scil. Ermesianatte] magistrum suum Philetam»). Cf. anche Giarratano 1905, p. 21, Ellenberger 1907, p. 48, Kobiliri 1998, p. 200 s. 26 Cf. Schubart 1858, p. 17: «etenim verbum ῥύεσθαι paene intolerabile est hoc loco, quum ῥύεσθαι περί τι ne graecum quidem sit, neque apte hic περί adverbi locum tenere potest. Itaque rectissime Hermannus

... τρυόμενον ... et hic locus aliquo modo

cum

Athenaei

(IX 401

E) et

Suidae narratione concinit, qui Philetam nimio litterarum studio mortem accelerasse tradunt».

27 Un’espressione come «che celebra Bittide riguardo/intorno ad ogni parola» è impossibile.

Maria Grazia Bonanno mi fa notare che l’enjambement πάντα / ῥήματα suggerisce comunque di unire e ‘accoppiare’ sotto la stessa reggenza di (περὶ) ῤνόμενον sia πάντα ῥήματα che πᾶσαν λαλιήν.

Testimonianze

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nuante, nella scelta del lessico e dell'espressione, da poeta-grammatico, in definitiva da alessandrino.

Ma anche questa soluzione non è esente da pecche. Non sarà un caso se, almeno fino all'ultimo ellenismo, τρύομαι /tpbxonan si trova, se non usato as-

solutamente, accompagnato da un dativo d'agente o ὑπὸ + gen.?: sempre in situazioni che denotano passività, se non impotenza del soggetto. Ben diverse, quindi, da quelle cui si applicherebbe il nostro congetturato tpvópevov, un medio che, reggendo περί + accusativo, descriverebbe, invece, totale partecipazione attiva del soggetto. Tale uso potrebbe apparentemente trovare

giustificazione in alcune occorrenze della diatesi attiva col pronome riflessivo (o costruzione analoga), in particolare Eur. Hel. 1285 s. σὺ δ᾽, ὦ τάλαινα, μὴ πὶ τοῖς ἀνηνύτοις / τρύχουσα cavtriv?, che, tuttavia, non indica attività sopra

qualcosa, ma qualifica le ragioni dello "struggersi". La leggera forzatura potrebbe meglio appoggiarsi a costruzioni limpidamente attestate di un verbo semanticamente affine: cf. Il. 24. 444 oi ... περὶ δόρπα φυλακτῆρες πονέοντο.

La costruzione τρυόμενον πᾶσαν λαλιήν potrebbe essere apparentemente sostenuta, anche sul piano semantico, da Soph. Ant. 338 s. Tüv / ἄφθιτον, ἀκαμάταν ἀποτρύεται (scil. l'uomo), ove il valore è nettamente mediale, ed è

enfatizzata l'iniziativa del soggetto. Ma da una parte, la composizione con ἀπό appare tutt'altro che indifferente nel luogo sofocleo, dall'altra rimarrebbero in piedi la difficoltà sopra evidenziate per il nesso περὶ πάντα ῥήματα, sia che lo si colleghi a μολπάζοντα, sia allo stesso τρυόμενον. Per cui non ri-

tengo sia da favorire una tale lettura. Il senso che si enuclea dalla prima e dalla terza ipotesi & sostanzialmente il medesimo, quello di un Filita che compone con strenuo impegno linguistico. Per la scelta formale sembra preferibile la prima ipotesi (con ῥυόμενον), cui il contesto, l'erezione della statua onoraria, fornisce particolare pregnanza?. ?$ Col dativo: Od. 10. 177, Soph. Ai. 604 s., Trach. 109 s., Eur. Med. 1099 s., Hipp. 145 ss., Herodot. 4. 12. 2, Thuc. 1. 126. 8, 7. 28. 3, Plat. Leg. 761d 2, Axioch. 372a 3, Polyb. 1. 62. 7, A. P. 7. 336. 1, LXX Sap. 14. 15; con ὑπὸ + gen.: Xenoph. Cyrop. 5. 4. 6, Polyb. 1. 11. 2. Col genitivo in Aristoph. Pax 989. Cf. anche Sol. fr. 4. 21 s. W.2, Polyb. 1. 71. 3. Frequente e il participio perfetto. Una abusio appare Nicand. Alex. 593 κατατρύσαιο δὲ γυῖα. 29 Meno significativa è GVI 1151. 19 s. Peek (Apollonopolis, Il a. C.: σαυτὸν μὴ τρύχειν uvnodμενον βιότου). 30 Maria Grazia Bonanno mi fa notare che πολιῆται al v. 75 è probabilmente parte dell'imma-

gine e ne onorare e cittadina, parte del

rafforza la possibilità: rende, in effetti, l'aura di un'iniziativa civica che viene presa ad ricordare un'azione utile alla città. Altro il senso che, sempre a partire da celebrazione viene fornito a Εὐρυπύλον πολιῆται da Sbardella 1996, p. 103 (per la composizione, da poeta, di un poema di fondazione su Cos). Con l'accettazione della dettatura di un

epitafio per Filita, da parte di Ermesianatte, va da sé che si rafforza la conclusione che, al momento della composizione, Filita doveva essere già morto, il che non ? generalmente condiviso.

Latacz 1985, p. 86, che rifiuta la congettura di G. Hermann semplicemente come «überflussig», rende (p. 88) «der rings alle Wörter und jeglichen Dialekt rastlos an sich zieht». Ma non sembra avvedersi delle difficoltà sintattiche («rings» non riesce a rendere efficacemente il greco περί), e «ziehen» ὃ il significato di ἐρύομαι. Vd. già Harberton 1895, p. 577, che citava Od. 6. 129 ὡς

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

Rimane da indagare λαλιή, a cui finora abbiamo attribuito il senso, provvisorio, di "espressione". Restringendo, per il momento, l'indagine al solo sostantivo λαλιά, sembra evidente che ad esso non si puó dare, nel nostro caso, il senso derogatorio presente in Aristofane? e, con maggiore bonomia’, in Menandro?: un senso ben reso dalla definizione pseudoplatonica λαλιὰ ἀκρασία λόγου ἄλογος (Def. 416a 23)?. Ma neppure sono pertinenti quelli, più neutri, che il sostantivo assume specialmente nella κοινή: "conversazione" o “chiacchiera nelle piazze" (quest'ultimo senza necessariamente connotazioni negative). Vi sono, invece, un paio di gruppi di occorrenze piuttosto interessanti, in relazione al contesto in cui Ermesianatte introduce Filita. Da una parte Philod. A. P. 5. 131. 1 s. ψαλμὸς καὶ λαλιὴ καὶ κωτίλον ὄμμα καὶ ὠδή / Ξανθίππης, Meleag. A. Ρ 5. 149. 1 τίς μοι Ζηνοφίλαν λαλιὰν παρέδειξεν ἑταίρων; Si tratta di

una connotazione 'urbana' αἱ λαλιά, che trova rispondenza in Leonid. Tar. A. P. 7. 440. 5 ss. ἤδει ᾿Αριστοκράτης καὶ μείλιχα δημολογῆσαι / ... / ... / ἰθῦναι κείνην εὐκυλίκην λαλιήν. Ma quel che è da rilevare è lo ‘specifico’ erotico, che

ci sembra degno di attenzione per il fatto che Filita si immagina rappresentato nell'atto di cantare l'amata. Con altri membri della famiglia di λαλ- tale uso si riscontra in Meleag. A. P. 5. 148. 1; 155. 1; 171. 1; 12. 94. 4; 95. 7; 122. 4; 159. 3; Philod. 9. 570. 1, mentre Eros ὁ dotato di ἀδὺ λάλημα in Mosch. 1. 8,

ed è ἀείλαλος in Meleag. 5. 177. 3; 178. 5%. Ci sembra rilevante che in una defixio datata al periodo ellenistico, in uno strato linguistico diverso, quindi, σιν κὴ φίλίε]ισιν ᾿Ανθειρᾶς ch Ζωΐλω (SEG XXXVII 389. 3).

L'altra serie degna di considerazione ὃ legata all'origine onomatopeica della radice, per cui significa l'emissione di suoni, non sempre comprensibi-

ῥύσαιτο περὶ χροὶ μήδεα φωτός, commentando: «I would render the passage thus, "drawing round

all his expressions every kind of graceful speech as well", "clothing all his espression with every grace of language". ῥύσαιτο in the l.c. (scil. Od.) is simply to cover, here it is to cover with the accessory notion of drawing something round a thing as covering». Ma Harberton ci sem-

bra forzare il senso di ῥύσαιτο, fare riferimento ad hoc ad un contesto omerico, e, soprattutto, introdurre un «graceful speech, grace of language» che non ha rispondenza nel testo greco.

3 Cf. Nub. 930, Ran. 1069. 32 Cf. Sam. 260, fr. 65. 3 K.-A. 3 Cf. anche Theophr. Char. 7. 1. La connotazione negativa di λαλιά, che non e esclusiva, affio-

ra durante tutta la grecità, perlomeno fino al I a. C.: cf., e. g., Aeschin. 2. 49, Polyb. 3. 20. 5. 4 Cf. Polyb. 1. 32. 6; 21. 4. 14; 31. 23. 4. Sul primo significato sono particolarmente indicative alcune iscrizioni ellenistiche di carattere ufficiale, in cui συλλαλέω designa le conversazioni con

legati: cf. Inschr. Erythr. 31. 35 (280-261 a. C.), OGIS 229. 23 Ditt. (246-241 a. C), SEG XLI 1003 I 30 (Teos, 204-203 o 197-196 a. C.), W. Schulze 1895, col. 4, e Piejko 1991, p. 37, ove si ricorda come tale specializzazione della famiglia di λαλέω sia spesso attestata nella traduzione dei Settanta e in Polibio. Sui vari sensi della famiglia di λαλ-, brevemente Debrunner 1942, Scheller

1951,

p. 80.

35 Leonid. A. P. 7. 440. 5 ss. e Meleag. A. P. 5. 171. 1 erano già menzionati da Ruhnken 1782, p. 296 s., per λαλιά in bonam partem.

Testimonianze

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li: da cui il parlare qualche linguaggio dal suono particolare, a volte ignoto. Si possono portare Eubul. fr. 108. 2 K.-A. λοπὰς παφλάζει βαρβάρῳ λαλήματι, Strato fr. 1. 46 K.-A. ἀλλ᾽ ἱκέτευον αὐτὸν ... / ἀνθροπίνως λαλεῖν τι (invece che

λαλεῖν per glosse), Alexid. fr. 148.2 K.-A. (A) πεφιλιππίδωσαι. (B) μὴ σὺ καινῶς μοι λάλει, fr. 200. 4 K.-A. ᾿Αττικιστὶ ... λαλεῖν, Antiphan. fr. 169. 1 s. K.-A. (A) ἂν κελεύῃ μ᾽ ἡ σταθμοῦχος (B) ἡ σταθμοῦχος δ᾽ ἐστὶ τίς, / < > ἀποπνίξεις με καινὴν πρός με διάλεκτον λαλῶν, Theocr. 15. 92 Πελοποννασιστὶ λαλεῦμες, Cal-

lim. fr. 203. 17 s. Pf. καὶ Aodevol...].[ / Ἰαστὶ xoà Aupıarı καὶ σύμμεικίτον. Facendo riferimento alla prima serie di occorrenze la λαλιήν intesa da Ermesianatte potrebbe significare l’espressione erotica, ovviamente quella poetica, ad esempio ‘incarnata’ nella elegia d’amore, di cui Filita, anche sulla base del nostro passo, ὃ considerato l'iniziatore. Sostanzialmente, si direbbe

che che Filita, nel celebrare Bittide, sta difendendo, oltre che «ogni parola», «ogni forma di colloquio amoroso», che potrebbe significare solo, crediamo,

«ogni maniera di dare forma poetica ad espressioni amorose». Collegando, invece, il nostro λαλιήν al secondo gruppo di occorrenze, quella che verrebbe rilevata & la peculiarità di Filita poeta e grammatico: egli difenderebbe, sempre celebrando Bittide, ogni tipo di espressione linguistica, anche dal punto di vista dialettale. Quest'ultima ci sembra l'ipotesi migliore per λαλιήν, considerando anche il senso del verbo reggente, ῥυόμενον, denotante un'attività di preservazione verbale che ben si adatta all'opera di

un poeta-filologo*. Rimane un dettaglio da esaminare. Presa per buona l'interpretazione suddetta, essa & da riferire all'attivita di Filita poeta o a quella di grammatico?? La soluzione non è agevole, anzi direi che non è certificabile. Tuttavia, da un punto di vista meramente logico, si deve ritenere che Filita sia rappresentato da Ermesianatte, attraverso l'immagine statuaria, nel compimento di un atto unico e individuo, quello di declamare poesia dedicata a Bittide, con esclusione di ogni riferimento al suo lavoro di grammatico in senso stretto: ne consegue che il lavorìo linguistico attribuitogli si riferirà ai tratti della sua docta poesis*, benché, a dir la verità, quanto ci rimane della sua produzione

36 Latacz 1985, p. 86, ha reso λαλιή con «Dialekt», meno insufficiente, «Redeweise (wohl - Dialekt, wie Cameron 1995, p. 492 n. 19, ricorda NT Matth. 26. 73 sua λαλιά = «inflessione dialettale»). Cairns 1979, p.

ma con una motivazione impropria, per lo in der Septuaginta)». Più opportunamente (lo smascheramento di Pietro attraverso la 220, traduce πᾶσαν λαλιήν con «every dia-

lect», ma non illustra questa sua scelta.

37 Quest'ultima è l'opinione di Schweighäuser (cf. n. 25), W. E. Weber 1826, p. 661, Bach, pp.

70, 166 («undique fovit (i.e. accurate diligenterque tractavit pro argumentorum ratione undique collatis locis) omnia verba omnemque sermonem»), Bernhardy 1845, p. 398, Preller 1846, p. 298, Blumenthal 1938, col. 2166. 57, D'Angelo Capra 1949, p. 98 s., Morelli 1949, p. 7, Latacz 1985, p. 88, Hutchinson 1988, p. 8 n. 10, Cameron 1995, p. 492, Hollis 1996, p. 58 n. 15, Hardie 1997, p. 24. 38 Come era stato visto da Rauch 1845, p. 34 n. 14, Romagnoli 1899, p. 191, che ricorda Philit. fr. 10. 3 s. Kuch. Cf. Bailey 1839, p. 20, Harberton, p. 578, Ellenberger 1907, p. 53: «quas autem

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

poetica non giustifichi una tale caratterizzazione, almeno quanto lo sarebbe per altri poeti alessandrini. Per quanto riguarda direttamente il nostro discorso, con questa interpretazione la testimonianza di Ermesianatte non ὃ riferibile all'attività di Filita grammatico, anche se la possibilità non è da scartare in assoluto”. L'epigramma funerario di Filita in Ateneo (T 5), a cui si allude nella Suda, & stato riferito alla sua attività di grammatico da Bach, p. 10, e da Heim-

soeth 1867, p. XX, che corregge di conseguenza in κὠνομάτων nel secondo verso. Rüstow 1910, p. 47, invece, rilevava la stretta connessione tra indagine logica e indagine sul linguaggio nel pensiero antico, e concludeva che l'estenuarsi sullo Ψευδόμενος λόγος da parte di Filita deve essere collegato ad

un generale interesse linguistico, di cui abbiamo testimonianza nel suo lavoro di grammatico. La suggestione & indubbiamente interessante, tuttavia vedremo che una tal sorta di astrazione linguistica & da ritenere quanto mai lontana dagli interessi di Filita: ovviamente nulla e escluso, ma non abbiamo motivo di considerare una tale possibilità, per lo meno in conseguenza degli schemi mentali alla base dell'attività di Filita grammatico, quali risulteranno dalla presente ricerca‘.

vocat Hermesianactis v. 78 λαλίας huius operae (scil. di glossografo) fructus in carminibus ipsis inserti sunt», Cessi 1910, p. 225, Kuchenmüller, p. 27, che ritiene possibile anche un riferimento

all'attività grammaticale (cf. anche Schubart 1858, p. 17), Eichgrün 1961, p. 79, Cazzaniga 1962, p. 246 s. Per Nowacki, p. 56 n. 5, λαλιή si riferirebbe all'attività poetica, ῥήματα, invece, agli «studia grammatica» (cf. anche Mo. Meier 1842-43, p. X n. 81, Perrotta 1946, p. 17, Kobiliri 1998, p. 201).

39 Di una statua bronzea di Filita di Cos parlerebbe un epigramma del «nuovo Posidippo»

papiraceo, di cui si sta allestendo l'edizione a Milano. Grazie all'estrema cortesia del Prof. Guido Bastianini (lettera del 10 luglio 1996), vengo a sapere «che la statua di Filita di cui parla l'epigramma del ‘nuovo Posidippo' non sembra avere niente a che fare con quella citata in Hermesian. fr. 7». Una saggia cautela induce gli editori a non comunicare un testo «che non è ... ancora in condizione di essere utilizzato in sede di lavoro scientifico». Dalla prima informazione sembrerebbe che l'epigramma di Posidippo non interferisca col testo di Ermesianatte. 4 A ricerche logiche crede anche Pohlenz 1911, p. 108. Secondo alcuni si tratta di riflesso dell'estenuante labor limae dell'archegeta della poesia alessandrina (Coppola 1935, p. 144, Page 1981, p. 442 s.). Un analogo, intenso impegno mentale ὃ attribuito ad un altro intellettuale ales-

sandrino, anch'egli filologo: Eratostene. Dion. Cyz. A. P. 7. 78. 3, lo descrive colpito da serena morte ἄκρα μεριμνήσας: con un verbo spesso qualificante l'attività dei filosofi.

INTRODUZIONE

1. Sono rari, forse il solo Callimaco, i grammatici ellenistici che abbiano ottenuto cure editoriali pari a quelle di Filita: i suoi frammenti prosastici sono stati raccolti e commentati in tre occasioni (Kayser, Bach, Kuchenmüller). Non va dimenticato che si tratta di operazioni supplementari all’edizione

dei poetica*!, con quel che ne consegue, di approssimazione, sull'approfondimento sia dell'identità di Filita grammatico che dei singoli frammenti. Tuttavia, tale inconsueta attività risponde anche all'immagine che nella storia degli studi ci si & fatta del personaggio. Con l'aiuto anche delle testimonianze si ὃ delineata nella storia degli studi una figura i cui tratti producono una sorta di archegeta dell'alessandrinismo. L'attività di grammatico accoppiata a quella di poeta, infatti, é parsa subito connotare al meglio il ‘genio’ (almeno quello letterario) della grecità postclassica, e, per l'alta quota cronologica cui si situa Filita, gli è stato dato l'onore di inaugurare, in forma integrale, «das Alexandrinische»*, Sono tre i tratti

caratterizzanti: il primo, e fondante, a cui si & già accennato, & quello di unire l'attività grammaticale e quella poetica, che sarà di un numero notevolissimo di letterati del primo ellenismo*. Gli altri due discendono da questo comune denominatore: da una parte, l'elaborazione di una poesia "nuova", fondata su

un consapevole, e consapevolmente necessario rapporto con una tradizione continuamente studiata, interpretata e ripercorsa, nello sforzo di trarne stimoli creativi e innovativi. E l'affermarsi del poeta doctus. Dall'altra, si assiste alla fondazione su basi nuove della interpretazione della poesia, alla nascita della

*! A loro volta raccolti e commentati con frequenza singolare per un 'minore' ellenistico (vanno aggiunte, al proposito, le sillogi esclusive di Nowacki e Giordano, nonché quella, in stato avanzato di lavorazione, di Livio Sbardella).

42 Cf. Kayser, p. 14, Bach, p. 11, Rohde 1914, p. 79, Oehler 1920, p. 21, Rostagni 1932, p. 282, Pfeiffer 1955, p. 71, Kórte-Hándel 1960, pp. 252, 257 s., Pfeiffer 1968, pp. 159 s., 162, 167 s. (particolarmente importante e influente), Clack, p. 15, Bulloch 1985b, p. 544 ss., Calderón 1988, p. 16 s., Kühnert 1988, p. 516, Rengakos 1994a, p. 180. 4 Alessandro Etolo, Callimaco, Licofrone, Simia di Rodi, Zenodoto (?: anche ἐποποιός nella

voce biografica della Suda), Apollonio Rodio, Arato, Dionisio Giambo, Eratostene, Euforione, Eufronio, Macone, Neottolemo di Pario, Parmenione di Bisanzio, Riano. Precede tutti, anche Filita, Antimaco di Colofone, ricordato da Pfeiffer 1968, pp. 165-168.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

filologia, si ὃ detto, come disciplina 'separata', con nuovi mezzi e per nuovi fini*. Questo riguarda Filita in sé. Per sé, nei rispettivi àmbiti, sono state debi-

tamente enfatizzate le citazioni favorevoli da parte di Teocrito (7. 40)5, Callimaco (fr. 1. 9 Pf., cf. gli scholia Florentina) ed Ermesianatte (fr. 7. 75-78 Pow.; Filita & l'unico poeta contemporaneo menzionato nell'elegia), cosi come le notizie che lo danno διδάσκαλος del Filadelfo e di Zenodoto, ovvero del fonda-

tore dell''avventura' culturale del Museo e di colui che ne fu il primo bibliotecario, nonché iniziatore di una filologia omerica (e non solo) scientifica*. Inoltre sono stati messi in evidenza gli echi della sua attività in Stratone comico (quindi, in qualche modo, ad Atene), e in Cratete, con la generale accettazione della congettura di Dobree*. Infine non è parso indifferente che Aristarco abbia ritenuto di dover scrivere un σύγγραμμα intitolato Πρὸς Φιλίταν, ulteriore

testimonianza dell'autorevolezza e, forse, dell'influenza del nostro pioniere*. Entrando nel merito del suo lavoro grammaticale, di quanto ci è rimasto si è rilevato il predominante carattere glossografico, rivolto essenzialmente all'illustrazione di voci rare“, nello specifico di Omero”, e ai dialet-

*4 Cf. Wolf 1795, p. 196 n. 67; Lehrs 1882, p. 44 (= 1833, p. 52); Gudeman 1909, p. 30 («das erste wissenschaftliche Lexikon», con il complemento che «glossari omerici scolastici esistevano già da tempo»); Latte 1925a, p. 162; Kuchenmiiller, p. 112: «si excipimus conatus dubios vel memoria indignos, primus glossas collegit et foras misit Philetas ... Gravius est, quod Cous coepit glossas conquirere non solum Homeri interpretandi causa aut ad suam poesin ornandam ..., sed ipso studio grammatico, ipsa cupiditate sciendi incitatus»; Pfeiffer 1955, p. 72 (molto importante); Pfeiffer 1968,

pp. 162: «era una novità che un poeta eminente scrivesse una vasta opera sull'argomento»; 180: «questa nuova filologia ebbe origine in Alessandria dalle idee di Filita

e Zenodoto»; Carlini 1977, p.

346; Calderón 1988, p. 17 ss.; Montanari 1988a, p. 1094; Fantuzzi 1993a, p. 72. 45 [| senso del passo e stato spesso frainteso (cf. n. 1), ma si tratta comunque di una menzione estremamente lusinghiera.

4 Da aggiungere è anche il poeta Ermesianatte. Cf. Kayser, p. 22; Bach, p. 6 s.; Christ-Schmid 1920, p. 122; Oehler 1920, p. 20 s.; Kuchenmiiller, p. 19 ss.; Körte-Händel 1960, p. 252; Pfeiffer 1968, p. 164 s. («solo dopo Filita, poeta e filologo, si formó il vero filologo (scil. Zenodoto) e questo filologo fu discepolo del poeta»); Serrano 1977, p. 63; Calderón 1988, p. 17; Kühnert 1988, p.

516; Hunter 1996, p. 17. 47 Naturalmente sarebbe diverso che la menzione fosse del Mallota o, invece, di un epigrammatista del Il d. C. Rimarebbe, però, la sostanza della celebrità di Filita. Anche l'epigramma fu-

nerario trasmesso da Ateneo riflette, con tutta probabilità, caratteristiche di Filita che lo avevano reso celebre.

4 Cf. Preller 1846, p. 297, Kuchenmüller, p. 23, Körte-Händel 1960, p. 252, Händel 1965, col. 2297, Pfeiffer 1968, p. 162 s., Serrano 1977, pp. 64, 76, Bulloch 1985b, p. 544 s., Latacz 1985, p. 78, Calderón 1988, p. 17 s., Kühnert 1988, p. 516, Tosi 1994a, p. 147. Gudeman 1909, p. 30 n. 2, interpreta il titolo Πρὸς Φιλίταν come di un'opera che presenta complementi a quella di Filita. 49 Cf. Bach, pp. 18, 69 («rariora et ab usu abhorrentia vocabula et locutiones»); Oehler 1920, p. 22 n. 2; Sandys 1921, p. 118 («glossary of unusual poetic words»); Händel 1965, col. 2297; Nickau 1972, col. 42. 37; Blum 1977, p. 166; Kost 1988, p. 194 s.; Kühnert 1988, p. 516; Montanari 1988a, p. 1094 («espressioni difficili tratte dalle opere dei poeti»); Prato 1988, p. 665 n. 19; Hunter 1996, p. 17 («poetiche e dialettali»). 5 Cf. Kayser, p. 33 s. (sulla base di Stratone; quanto egli afferma a p. 34, «ceterum glossas

Homericas diversas esse censendas a glossis 'Ataxtoi; inde probabile redditur, quod istae non

Introduzione

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til, ma anche ad altro”, e c'è chi ha opportunamente distinto da questo la pratica esegetica, di cui danno conto gli scoli omerici?. Problemi particolari hanno posto: a) il significato del titolo "Ataxtoı yA&o001*5; b) se il titolo trà-

in vocibus explicatis, sed in criticis correctionibus et tentationibus ... continebantur» si riferisce, nonostante la definizione di «glosse», all'interpretatio Homerica conservata negli scolii omerici, e non é in contraddizione con quanto ha concluso precedentemente); Bach, p. 69 s. (sulla base di Stratone); Gräfenhan 1843, p. 533; Mo. Meier 1842-43, p. X e n. 81 («glossas, inprimis Homericas ... exposuit»); Cohn 1913, p. 682 («vorzugsweise homerische Wörter»); Wilamowitz 1924, I, p. 114 n. 2; Tolkiehn 1925, col. 2436. 27 (come Cohn); Kuchenmüller, p. 112 (che ricorda il precedente di Antimaco): «initium sane cepit ab Homero», e n. 3 («casu omnia fragmenta scholiis Homeri ... servata pertinent ad textum eumque solum Iliadis, nulla ad glossas. Re vera multo magis de glossis quam de textu disputavit. Vocabula Homerica tractantur fr. 41 et 48 [= 13 e 20]»; inoltre, egli talvolta propone che Filita abbia preso le mosse da un passo omerico anche quando la glossa tràdita non presenti alcun riferimento allo stesso [cf. fr. 3, p. 93 n. 1 γυάλα e γύαλον diverse volte in Omero; fr. 5, p. 94 πέλλα e Il. 16. 642; fr. 9, p. 97 κρήϊον e xpeiov in Il. 9. 206;

fr. 18, p. 105 ἀμαλλα e ἀμαλλοδετῆρες in Il. 18. 553 e 554]); Rostagni 1932, p. 282; Barber 1965, p. 814; Pfeiffer 1968, pp. 147 («parole epiche»), 162; Nickau 1972, col. 42. 43; Carlini 1977, p. 346; Serrano 1977, pp. 64, 76; Calderón 1988, p. 17; Degani 1988, p. 1171; Hopkinson 1988, p. 9; Kühnert 1988, p. 516; Prato 1988, p. 665 n. 19; Rengakos 1993, p. 9; Degani 1995, p. 509; Williams 1996, p. 1164. Groddeck 1823, p. 46, su nessuna base, parla di un «Lexicon Homericum» di Filita; qualcosa di simile è in Bergk 1872, p. 895; Cessi 1933, p. 150.

?! Cf. Reinesius 1640, p. 25 s.; Kayser, p. 33; W. E. Weber 1826, p. 661; Preller 1846, p. 298;

Wilamowitz 1924, I, p. 114 n. 2; Latte 1925a, p. 162 s.; Kuchenmüller, pp. 112 s., 115 («nemo fortasse efficacius tunc temporis studium dialectorum propagavit»); Blumenthal 1938, col. 2169. 45; Cantarella 1962, p. 683; Webster 1964, p. 40; Barber 1965, p. 814; Pfeiffer 1968, pp. 147, 162; Lebek 1969, p. 65 n. 4 (egli pensa che siano cadute indicazioni dialettali in gran parte delle glosse che ne sono prive); Wilson 1969, p. 368 («I would guess that he may deserve more credit than he is usually given for taking a step towards the study of Greek dialects»); Nickau 1972, col. 42. 43; Blum 1977, p. 166; Carlini 1977, p. 346; Serrano 1977, p. 64; Calderón 1988, p. 17; Degani 1988, p. 1171; Hopkinson 1988, p. 9; Tosi 1994a, pp. 147, 151; Degani 1995, p. 509; Hunter 1996,

p- 17; Williams 1996, p. 1164.

52 A] sermo peregrinorum, Kuchenmüller, p. 113 (fr. 9, dubitanter); al «Volksbrauch», Blumenthal 1938, col. 2169. 51 (frr. 9, 11, 12); Webster 1964, p. 40 («ordinary words with strange local meanings»); Wilson 1969, p. 368 («some drawn from the ordinary speech of country dwellers»); cf. Tosi 1994a, p. 148; ai "termini tecnici", Barber 1965, p. 814; Pfeiffer 1968, p. 162; Serrano 1977, p. 64 (anche «auctores líricos», cf. Degani 1988, p. 1171; 1995, p. 509); Prato 1988, p. 665 n. 19; Degani 1988, p. 1171; Kühnert 1988, p. 516 («anderer älteren Dichter»); Degani 1995, p. 508; Williams 1996, p. 1164. I sostenitori di un Filita "bucolico" ritengono di individuare una predilezione per strumenti e usi rustici: Legrand 1898, p. 154 (frr. 1, 5, 6, 15, 16, 18); Cholmeley 1919, p. 12, che confronta il fr. 16 con δράγματα in Theocr. 7. 157 e il fr. 1 col κισσύβιον

di Theocr. 1. 27 ss.; Bignone 1934, p. 29 (elenca le medesime glosse di Legrand); Fantuzzi 1993b, p. 145 s. (frr. 1, 6 e 18: egli trova significativa l' ‘opzione’ per la lingua dei contadini, a fronte di quella, ad es., dei marinai e dei commercianti). Di interesse per il sermo rusticorum parla Kuchenmüller, p. 113 (fr. 18), senza volerne tirare ulteriori conclusioni. Peculiare Gulick 1933, p. 61: «a glossary of Alexandrian and other terms». 55 Tosi 1994a, p. 146 s. («interventi sul testo di Omero»), su ció anche p. 148. Kuchenmüller, p. 112, ritiene che molto di filiteo sia attribuito, negli scolii,

a Zenodoto.

% Non σὲ dubbio che il conoscere la ragione di tale titolo potrebbe fornire qualche lume su natura, scopi e costruzione del lavoro glossografico di Filita. Tuttavia la questione, molto discussa, appare tutt'ora senza soluzione, e molte delle spiegazioni fornite risultano tautologiche. Si ὃ anche ritenuto, per qualche tempo, che potesse essere un'opera in versi, in analogia all’ Ἑρμηνεία (su cui, vd. infra), in epoca pioneristica considerato lavoro grammaticale di Filita in versi: ció viene recisa-

22

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

dito nella glossa interpolata in Strab. 3. 5. 1, 168, Ἑρμηνεία (cf. fr. dub. 29), sempre che sia corretto, significhi ulteriore opera lessicografica e di che na-

mente rifiutato da Reinesius 1640, p. 26 («certe in Athenaeanis id minime comparet»), mentre

Kayser, p. 33, ancora lo ritiene possibile, aggiungendo all’ Ἑρμηνεία non meglio specificati paralleli «aliorum alia». All'inizio Dalechamps 1583 si ritrovó piuttosto 'indifeso' di fronte a tale titolo: p. 348 «in petulantibus, lascivis, flagitiosis, inordinatis», p. 480 «dissolutis aut petulantibus», riprendendosi, parzialmente, a p. 369 «intemperantibus, dissolutis, inordinatis, fortassis tumultuarios commentarios ita vocat, nullo ordine disposita, qualia sunt Adversaria» e p. 505 «vocabulis sparsis et nullo ordine collectis». Venne rampognato da Reinesius 1640, p. 25 s., ma ὃ infondata la sua accusa che Dalechamps ritenesse trattarsi del nome di un dramma. Da parte sua Reinesius 1640, p. 25, spiega il titolo con una raccolta non in ordine alfabetico, ma di parole «inordinate et fortuito congesta». Cf. Valesius 1683, p. 60 («miscellaneorum libri sic dicuntur», portando a confronto ἄτακτα1h, il nr. 127 tra i titoli di Aristotele forniti da Diog. Laert. 5. 21, di cui nulla si sa, e l'euforioneo Moyoria ἢ "Ataxta [Suda s. v. Εὐφορίων], egualmente misterioso); Kayser, p. 32 («inordinata, sine ordine congesta»); Wolf 1795, p. 196

n. 67: una sorta di onomastico del tipo di quello di Polluce; Schweighäuser 1802, p. 301: «inordinata, indigesta, i.e. Miscellanea ... Glossae miscellae»; Bach, p. 68 («inordinata, non disposita in iustum ordinem, i.e. vocabula sine iusto ordine congesta et explicata»); Kleine 1833, col. 765 («trattamento di parole tra di loro non collegate, oppure termini non ordinati per materia»); Mo. Meier 1842-43, p. X n. 81 («"Miscellanea" ... librum ... liberiore quidam ordine passim et quasi per saturam dispositum»);

Preller 1846, p. 297 («freiere, collectaneenartige Ordnung», che confronta il titolo περὶ ἀσυντάκτων ὀνομάτων di Aristonico, da Suda a 3924, di cui è ignoto il contenuto, e Etym. M. 401. 6 ἀσύντακτον δέ ἐστι, τὸ μὴ ἔχειν χαρακτῆρα Ἑλληνικόν, ἢ καταφυρτικόν, ὡς τοῦ ῥέω ὁ μέλλων, καὶ τοῦ ἐκτρώσασα TO ἀρσε-vixóv- οὐ γὰρ ἀνὴρ ἐκτιτρώσκει, che non sembra di molto aiuto, in rapporto ai frammenti di Filita;

senz'altro si riferisce ad àmbito altro da quello lessicografico: cf. Bécares 1985, p. 94); M. Schmidt

1848, p. 411 («die andre [scil. opera, rispetto all’ Ἑρμηνεία, su cui infra] seltne Worte entweder nach Materien aneinander reihte, oder wie sie grade die Lektüre darbot»); Bernhardy 1877, p. 568 (= 1856, p. 495, «seine ἀτακτα ... mochten nach den Materien verschiedene Klasse bilden; eine darun-

ter betraf die Hauswirtschaft»; cf. già Bernhardy 1845, p. 398); Christ-Schmid 1920, p. 122; Kuchenmüller, p. 114 («si segnalava ai lettori della varietà dei dialetti prodotti»); Blumenthal 1938, col. 2169. 53 («è improbabile si tratti di una mancanza di ordine sistematico, meglio parole che non si

fanno classificare, sull'esempio di Procl. ad Euclid. 220F»; quest'ultimo [220. 7 ss.] suona: καθόλου δὲ θεωρήσομεν, ὅτι τῶν προβλημάτων τὰ μὲν μοναχῶς γίγνεται, τὰ δὲ πλεοναχῶς, τὰ δὲ ἀπειραχῶς. λέγεται δέ,

ὡς φησὶν ᾿Αμφίνομος, ... τὰ δὲ ἀπειραχῶς ποικιλλόμενα ἀτακτα); Pfeiffer 1968, p. 162 («evidentemente non era ordinato sistematicamente come le posteriori raccolte fatte dai grammatici»; confronta i Miscellanea di Poliziano); Lebek 1969, p. 65 n. 4 («Philetas ... meint mit seinen ätaxtoı γλῶσσαι nach allem

Anschein mundartliche Wörter»); Wilson 1969, p. 368 («arrangement by authors plus a section arranged by dialects is conceivable»; aggiunge che il parallelo di Blumenthal & inadeguato, ma che forse egli era sulla strada giusta); Alpers 1975, p. 113 («bewusst ohne Ordnungsprinzip»); Serrano 1977, p. 64 («nunca las ordenó κατὰ στοιχεῖον»); Pretagostini 1988, p. 320 («privo di ordinamento si-

stematico»); Alpers 1990, p. 16 («in ordine non alfabetico»); Fantuzzi 1993a, p. 72 («una raccolta non organizzata su base sistematica»); Tosi 1994a, p. 148 s. (forse «ordinamento per 'famiglie' di termini», analogo a quello offerto dal PHibeh 172, ovvero «per parentela formale»; ἄτακτοι, quindi, perché non ordinate secondo campi semantici, com'era usuale in àmbito alessandrino); Williams 1996, p. 1164 («Miscellaneous Glosses»). Curioso Gulick 1928, p. 37, «the Unruly», né piü perspicuo e il seguente perfezionamento, «Irregular words» (1933, pp. 61, 63, 209, 213, 223; 1937, pp. 485, 491; 1941, p. 131). Un titolo Ἄτακτα è attestato anche per Istro, cf. FGrHist 334 F 17-21 (nel fr. 19 è dottrina lessicografica) e Jacoby 1954, I, p. 620, e II, p. 502, ma non si puo ricavare nulla di utile per gli "Ataxto di Filita. Zilliacus 1941, p. 17 s., mette il nostro titolo in serie con altri vagamente simili, da

cui, peró, non viene alcuna luce. Di particolare rilievo ὃ il suggerimento di Nicolai 2000, per cui, confrontando Isocr. Euag. 9 (citato infra, p. 34, ad altro proposito), si può intendere «"parole idiomatiche non di uso ordinario"» (γλῶσσαι οὐ τεταγμέναι). Ivi anche argomenti per la paternità filitea

del titolo. Mi è gradito ringraziare Roberto Nicolai per avermi messo a disposizione il suo contributo prima della pubblicazione.

Introduzione

23

tura; c) la questione se l'esegesi omerica trovava posto nelle ἄτακτοι γλῶσ--

σαι o in una pubblicazione distinta; d) carattere, scopi e fortuna della sua

55 Per Casaubonus 1587, p. 66, Casaubonus 1600, p. 416, e Wowerius 1604, p. 108, si tratta di un'opera grammaticale in versi, cui essi attribuiscono anche il fr. 11 Kuch., per l'é&nyricato del testimone (Antig. Caryst. mir. 8; per Wowerius si tratta, propriamente, di un lavoro paradosso-

grafico), mentre Kayser, pp. 29, 33, ipotizza che potesse contenere interpretazione di miti, e la riteneva di contenuto prosastico, ma in versi, analogamente agli Aina di Callimaco (di questa opinione è anche W. E. Weber 1826, p. 661 s.). In seguito, alla luce del noto lavoro grammaticale di Filita, si mantenne, come Casaubonus e Wowerius, che si trattasse di esegesi grammaticale,

ma che i versi non fossero di Filita, bensì di altro poeta, e da lui addotti nella spiegazione della glossa μελάγκρανις 0 μελαγκράνινος. Il primo fu M. Schmidt 1848, p. 409 s., che menzionava, come

parallelo, il caso del fr. 12, dalla struttura piü integralmente conservata, e ove in effetti Filita riporta un distico anonimo per glossare i&xya, ricondotto da M. Schmidt alla medesima ‘Epunveia (che si tratti, nel nostro luogo, dell'attività di glossografo di Filita, per M. Schmidt 1848, p. 409 s., ? dimostrato dalla sua concordanza con la glossa in Esichio, unico a riportare una tale dottrina, e, insieme, dal fatto che in questo lessico si trovano diverse glosse spiegate da Filita). Egli ritiene che, per l' ‘Epunveia, si tratti di un ulteriore raccolta di glosse (oltre alle ἄτακτοι), cui ottimamente si adatterebbe il titolo: I’ 'Epunveia, rispetto alle ἄτακτοι γλῶσσαι, conserverebbe l'ordinamento

alfabetico (piü opere grammaticali di Filita sarebbero testimoniate da Strat. fr. 1. 43 K.-A. tà τοῦ Φιλίτα λαμβάνοντα βιβλία). Le medesime argomentazioni di M. Schmidt, ma con la correzione

‘Epunveî, sono in G. Knaack ap. Susemihl 1891, p. 888. Cf. anche Cessi 1908, p. 140 s., Kuchenmiiller, pp. 108, 113 s., Blumenthal 1938, col. 2169. 62 ss., Cantarella 1962, p. 683, Pfeiffer 1968, p. 168, Barber 1970, p. 814, Calderón 1988, p. 18 s., Hutchinson 1988, p. 8 n. 10. Cf. anche Jones 1923, p. 127, che si rifà a Casaubonus. Contra, Susemihl 1891, p. 888, ma senza particolari argomentazioni. Calderón 1988, p. 19, sottolinea la coincidenza del termine glossato con la lista dei composti con μελαν- nel PHibeh 172, da alcuni riferito a Filita. Giordano, p. 16, appare un po’ confuso: «Strabone, che cita il frammento, riteneva che appartenesse all’ 'Epunveia, titolo di un'opera dotta forse simile a quella più famosa degli “Ataxta». D'altra parte, egli pone il frammento tra i poetici di Filita: pensa forse ad un'opera grammaticale in versi, come Casaubonus e Wowerius? Il titolo viene reso, dubbiosamente, con “interpretazione” (cf. Jones 1923, p. 127, Cantarella 1962, p. 683, Pfeiffer 1968, p. 168 n. 22 [«un titolo del tutto insolito»], Barber 1970, p.

814, Calderón 1988, p. 18 n. 45) o "espressione" (Pfeiffer 1968, p. 168 n. 22, Calderón 1988, p. 18 n. 45. Cessi 1908, p. 140, sembra ritenere che l'espressione ἐν ἑρμηνείᾳ sia di chi ha estratto la glossa da Filita, volendo intendere un’ "interpretazione" reperibile nelle &taxtot γλώσσαι). Kuchenmüller, p. 113 s., seguito da Cantarella 1962, p. 683, Pfeiffer 1968, p. 168 n. 22, Serrano 1977, p. 64, ipotizza che ivi si potesse trovare la discussione filitea delle «varianti» omeriche (frr. 26-28, dubb. 30-31; Pfeiffer i frr. 26-28). L'ipotesi & considerata improbabile da Blumenthal 1938, col. 2169. 65 ss., che rileva come, in ogni caso, la glossa in questione non riguardi Omero. Per Williams 1996, p. 1164, l'opera «may be identical» con le &taxtot γλῶσσαι (ma non argomenta). 56 Cosi Kayser, p. 34, che ne rilevava carattere diverso dalla glossografia (vd. n. 50) e riteneva che «haud dubie exemplari suo alleverat» (cf. Mo. Meier 1842-43, p. X n. 81); Bach, pp. 18, 80, che sulla base della testimonianza di Tzetzes escogitava un titolo Περὶ τῆς Ὁμηρικῆς ἐτυμολογίας

per l'interpretatio Homerica conservata negli scolii (d'accordo Gráfenhan 1843, p. 519, Gráfenhan 1844, p. 106, Guéraud-Joguet 1938, p. 41, contra R. Schmidt 1838, p. 317, Preller 1846, p. 298, Susemihl 1891, p. 178 n. 26). R. Schmidt 1838, p. 317, parlando dell'interpretazione in schol. ad Il. 21. 126-127, l'attribuisce alle "Ataxrot γλῶσσαι, cf. anche Segenbusch 1855, p. 53, Gudeman 1909, p. 30, Wilamowitz

1924, I, p. 114 n. 2, Pfeiffer 1968, p. 162, Tosi 1994a, p. 147 s. («fin da

quest'opera venivano contemplate, sotto il minimo comune multiplo di 'glosse', anche asperità testuali che il filologo aveva tentato 'aristotelicamente' di chiarire ed affrontato con un procedimento logico basato sul verisimile, che trovava la sua piü efficace esplicitazione nella congettura, ma che ad essa non si limitava»). [Incerti sono Westermann 1848, p. 1470, Susemihl 1891, p. 178 n. 26, Blumenthal 1938, col. 2169. 52. Si era erroneamente ritenuto che Filita avesse prodotto un'edizione omerica (Lehrs 1882, p. 26 = 1833, p. 30), di cui non è però traccia: cf. R. Schmidt

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

opera grammaticale: in particolare a chi si ὃ applicata la sua attività esegetica, se aveva per scopo la interpretazione dei poeti antichi? o anche la costituzione di un fondo lessicale per la composizione poetica sua e dei contemporanei”, e quanto, in tal senso, la sua glossografia sia rispecchiata nell'opera poetica di autori alessandrini*. 1838, p. 317, Rauch 1845, p. 11, Segenbusch 1855, p. 53, Kuchenmüller, p. 112. incerto è Ludwich 1884, p. 4. Debolezze nell'esegesi sono riscontrate da Lehrs 1882, p. 46 (= 1833, p. 55), Gráfenhan 1843, p. 534, Preller 1846, p. 297, Kuiper 1902, p. 143. Bernhardy 1877, p. 568 ( 1845, p. 399; 1856, p. 496), ritiene che il valore scientifico del lavoro omerico di Filita non fosse tale da poter credere che Aristarco scrisse il Πρὸς Φιλίταν contro di lui. Rengakos 1993, p. 15 n. 1, si domanda in che forma Filita avesse pubblicato le sue note omeriche, su cui Aristarco basa il Πρὸς Φιλίταν. 37 Kayser, p. 14 s. («quae singulis locis alleverat, collegisse in unum volumen et ad vetustio-

res poetas facilius intelligendos et percipiendos collecta edidisse ... probabilitatis specie se commendat»); Pfeiffer 1968, p. 162; Blum 1977, p. 197; Calderón 1988, p. 18 (cf. Montanari 1988a, p. 1094); Alpers 1990, p. 16; Tosi 1994a, p. 151. Ma Wilson 1969, p. 369, osserva: «the thirty surviving fragments, if representative, suggests that this index had other purposes, since they inclu-

de expressions from dialects in which there was little or no poetry. Philitas certainly had a scholarly bent, but the connection between his scholarship and poetry is not absolutely clear» (piü reciso in 1997, p. 91: «lo scopo del suo elenco di parole ... & incerto, poiché esso contiene anche

termini dialettali, che chiaramente non avevano alcun significato letterario»); Tosi 1994a, p. 147, rileva gli «scarsissimi richiami letterari» (dopo aver caratterizzato, a p. 145, la glossografia alessandrina, dei poetae docti, come realizzazione di «repertori per l'interpretazione dei classici»). 58 Cf. Rauch 1845, p. 11, Kuchenmüller, p. 112 (che ricorda il precedente di Antimaco), Kost 1988, p. 194 s., Alpers 1990, p. 16, Fantuzzi 1993a, p. 72 (cf. 1993b, p. 146). Cf. anche Tosi 1994a, p. 145, che caratterizza la glossografia alessandrina, dei poetae docti, tra l'altro come «archivi di

belle parole cui attingere nelle loro opere». Ma cf. Körte-Händel 1960, p. 257 s.: «wieweit solche Neigung aber in der Poesie zur Geltung gekommen ist, wissen wir nicht». In ogni caso, va tenuto presente che la meccanicità di tale procedura, almeno quale appare da alcune formulazioni, non è in nessun modo applicabile al metodo compositivo dei poeti alessandrini maggiori. Non solo perché & evidente in essi un attentissimo lavoro di lettura di prima mano, ma anche

perché molto spesso le loro riprese lessicali implicano contesti molto piü estesi di quello immediatamente circostante il termine interessato. 59 Cf. Rauch 1845, p. 11; Christ-Schmid 1920, p. 122; Oehler 1920, p. 22 n. 2 («ein für die stilistischen Tendenzen des Kreises bezeichnendes Unternehmen; denn der Versuch, totes Sprachgut

wieder zu beleben ... entspringt der zweifache Scheu von der Sprache des täglichen Lebens und von den gangbaren literarische Prägungen der eigenen Zeit»); Latte 1925a, p. 162 s. («(in periodo alessandrino) griff man zur Abtónung des Ausdrucks auf die Dialekte zurück, um abgeschliffene "kyklische" Wendungen zu vermeiden»; il primo a comporre un glossario per questi scopi ὃ stato Filita; «die praktische Verwendung solcher Sammlungen zeigt Theokrit, der Schüler des koischen Dichters, der in einem ionischen Gedichte mit lakonischen und thessalischen Glossen in einer Weise spielt, dass man das Zitat einer derartigen Schrift spürt (Id. XI1 13)»); Rostagni 1932, p. 282; Hiersche 1952, p. II («sie [scil. Filita e Simia] sind für die nachfolgenden Epiker hin-

sichtlich der sprachlichen Gestaltung von grossem Einfluss gewesen»); Webster 1964, p. 40; Pfeiffer 1968, p. 162; Nickau 1972, col. 42. 38 ss.; Blum 1977, p. 197; Prato 1988, p. 665 n. 19 («dovevano servire a conferire al testo un tono di maggiore solennità e un carattere di inconsueta, ermetica preziosità»); Hunter 1996, p. 18 («che almeno Callimaco ed Apollonio fecero uso delle sue ricerche glossografiche, non c'é ragione di dubitare»; Hunter afferma, al proposito, che in SH fr. 673 Filita è identificato come la fonte della glossa deupa in Callim. HAp. 33, ma: a) niente

nello scolio dichiara una dipendenza di Callimaco da Filita; b) sempre ivi, si dice che Ἰάεμμα di Filita era nella sua Demetra, in un opera poetica, quindi, non glossografica; c) la presenza di Filita, il cui nome è in parte integrato, non è sicura). Ma cf. Wilson 1969, p. 369, cit. a n. 57.

60 Cf. Kuchenmüller, p. 115 («abbiamo pochi esempi [frr. 15 e 16], ma senz'altro i poeti ellenistici devono aver mutuato molto»), ripreso da Serrano 1977, p. 64. Per Callimaco, cf. Cessi 1907,

Introduzione

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2. Questo profilo, che indubbiamente contiene tratti condivisibili, necessita di una verifica. La vischiosità con cui si trascinano opinioni receptae, soprattutto in autori e argomenti 'alla periferia', suggerisce un controllo microscopico dei resti dell'attività grammaticale filitea. All'inizio converrà enunciare un postulato, importante, per quanto banale in apparenza: quanto ci é rimasto del lavoro di Filita sarà considerato rappresentativo del suo ‘metodo’. Per quanto rischioso, tale atteggiamento & l'unico che consenta di affrontare, pur con le dovute cautele, una discussione di qualche interesse sul nostro personaggio. Una garanzia ci sembra offerta, almeno per l'attività di glossografo, non solo dal buon numero di attestazioni superstiti, ma anche dal fatto che esse provengano da diversi testimoni, il che potrebbe almeno suggerire che la selezione della tradizione non ὃ 'appiattita': testimonianze del solo Ateneo, ad esempio, avrebbero potuto far sospettare una scelta mirata e non rappresentativa. Andrà rilevato che Filita è il glossografo di cui, prima di Aristofane di Bisanzio, emergono più reperti, e, in generale, è uno dei più testimoniati tra i grammatici antichi.

3. L'impegno ‘filologico’ di Filita, da un punto di vista generale, è inserito in filoni strettamente tradizionali: la glossografia e il lavoro su Omero, che converrà trattare separatamente.

3. 1. La spiegazione di parole difficili è ‘il mestiere più antico del mondo’ in àmbito grammaticale (intendendo grammaticale con tutte le limitazioni necessarie quando se ne parla per periodi antichi). Lasciando da parte la questione della glossa epesegetica, inserita dal poeta all'interno del suo stesso dettato, la produzione glossografica, almeno quella omerica, viene comunque fatta risalire fino alla piena grecità classica*!, se non addirittura ar-

p. 55 (affermazioni del tutto generiche), Latacz 1985, p. 78 s., Rengakos 1992, p. 28, Hunter 1996, p. 18 n. 68 (e supra, n. 14); per Teocrito, cf. Wilamowitz 1906, p. 180 (contra, Schlatter 1941, p. 52); per Apollonio Rodio, cf. Erbse 1953, p. 184, Rengakos 1994a, p. 158; per Eronda, cf. Kuchenmüller, p. 24 n. 3: «Philetae doctrinam passim redolent, ni fallor, mimiambi, glossis iocose hinc illinc acervatis velut VIII 2sqq.»; per Licofrone, cf. supra, n. 14, e Rengakos 1994b, p. 123 s.; per Euforione e Boeus cf. supra, n. 14. Vd. anche il commento a ἄωτον (fr. 2), πέλλα (fr. 5), ἑλινός (fr. 15), στάχυν ὄμπνιον (fr. 16), ἀμαλλα (fr. 18), πρόξ (fr. 20). Kuchenmüller, p. 115 n. 4, afferma che l'i-

nizio della lessicografia ippocratica, per la quale sono menzionati i coi Senocrito e Filino, si debba in parte all'influenza di Filita, cf. anche Pfeiffer 1968, p. 164 n. 26 (ripreso da Serrano 1977, p. 64). Per Blum 1977, p. 195, Callimaco deve aver tratto molte delle sue glosse dialettali da Filita e Simia. Per l'influenza su Zenodoto (ἐθνικαὶ λέξεις), cf. Nickau 1972, col. 42. 63 ss.

61 Sulla datazione dei γλωσσογράφοι al V sec., vd. Lehrs 1882, p. 37 ss., Cohn 1913, p. 681,

Tolkiehn 1925, col. 2434. 59 ss., Serrano 1977, p. 61, Degani 1988, p. 1169 s., Degani 1995, p. 506 s. (a data anche più alta). Più prudente Latte 1925a, p. 148 n. 26; al tardo Ill secolo li rimanda Pfeiffer 1968, p. 147, unicamente in conseguenza della sua idea sulla 'nascita' della filologia classica. Con gli ultimi due concorda Nikitas 1978, pp. 75, 77. L'unico dato certo é che erano prearistarchei: Dyck 1987, p. 122 s. Tuttavia, si noti che il fr. 19 Dyck (p. 148 s.) μάσταξ = ἀκρίς, coincide con una glossa di Clitarco (ap. Etym. M. 316. 6): κατὰ ᾿Αμβρακιώτας μάσταξ καλεῖται ἡ ἀκρίς (non segnalata da

Dyck). Ora, Clitarco difficilmente & prearistarcheo, avendo utilizzato glosse di Sileno, che ha, a sua volta, attinto da Nicandro. Se la rara dottrina su μάσταξ, genericamente attribuita ai Γλωσσο-

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

caica*. Se ne ha, comunque, un notorio e indiscutibile esempio in Aristoph. fr. 233 K.-A. πρὸς ταύτας δ᾽ αὖ λέξον Ὁμήρου γλώττας: ti καλοῦσι κόρυμβα; / « > d καλοῦσ᾽ ἀμενηνὰ κάρηνα; / (B.) ὁ μὲν οὖν σός, ἐμὸς δ᾽ οὗτος ἀδελφὸς φρασάτω: τί καλοῦσιν ἰδύους; /
τί ποτ᾽ ἐστὶν ὀπύειν;, ove è interessante il fatto che la

necessità di interpretare le glosse si dimostra non limitato all'interpretazione di un poeta, per quanto enciclopedico come Omero, ma investe anche altri àmbiti, nella fattispecie quello tecnico del linguaggio giuridico, esemplato da una glossa soloniana. Qualunque fosse lo scopo di tale menzione in Aristofane (tradizione scolastica o procedimento comico per mettere in evidenza le propensioni «avvocatesche» del fratello cattivo®; o tutte e due insieme), il fatto sembra comunque rivelare la presenza di attività glossografica estranea all'interpretazione letteraria, ma al servizio di una determinata tecnica, che dell'esegesi linguistica aveva bisogno professionalmente (si pensi ai "glossatori" giuridici del Medioevo), forse anche per ulteriori elaborazioni dottrinali**. Mi sentirei di dire che abbiamo di fronte un esempio della scaturigine di quella glossografia di natura antiquaria che ha sempre accompagnato (e coadiuvato), in periodi piü

tardi, quella più direttamente collegata all'interpretazione letteraria. La corretta lettura della "parola difficile" & stata considerata, in varii àmbiti, medium privilegiato della conoscenza: a livello ontologico ne abbiamo riflessi nel Cratilo platonico. I Γλωσσογράφοι, se li si vuole collocare a quota cronologica alta, ne testimoniano l'applicazione alla parola poetica, in maniera talmente isolante da risultare spesso grottesca; in Erodoto, Aristotele, nei Peripatetici e negli storici, in particolare di storia locale, la spiegazione della glossa é spesso indispensabi-

le, per chiarire fatti di natura storica, in particolare storico-istituzionale*. Tutto γράφοι, fosse, in realtà, di Clitarco, dovremmo supporre, per lo meno, che la generica denominazione non celi un gruppo cronologicamente compatto (e nemmeno 'dottrinalmente": cf. Tosi 1997, p. 239 s.). Di Democrito si tramanda il titolo Περὶ Ὁμήρου ἢ ὀρθοεπείης καὶ γλωσσέων (68 A 33 XI 1

D.-K.), che, data anche l'epoca, si qualificherebbe facilmente come un lavoro 50} ὀρθότης ὀνομάτῶν, se non fosse per il γχωσσέων del titolo (cf. Latte 1925a, p. 148, Pfeiffer 1968, p. 98).

62 Cf. Latte 1925a, p. 148 (anche per la glossografia in età classica), Pfeiffer 1968, pp. 55 s., 147,

Degani 1988, p. 1169 e n. 3 (che risale fino al tempo di Archiloco), Montanari 1993, p. 259, Degani 1995, p. 506. Vd. anche Montanari 1995a, pp. 9-11. Così Cassio 1977, p. 75 s.

*4 Alpers 1990, p. 16, vi trova le prime tracce di una particolare fattispecie lessicografica: «das juristische Fachglossar». Che quella di Aristofane non sia una trovata occasionale & dimostrato dalla serie di glosse giuridiche in Lys. 10. 16 ss., la cui causa ? del 384 (l'attribuzione a Lisia non e certissima). Lo stesso discorso vale per l'esegesi lessicografica delle opere mediche. Un accen-

no al fatto che le ipotizzate raccolte di glosse omeriche in età arcaica servissero ai rapsodi «per il proprio uso professionale» e in Pfeiffer 1968, p. 147. 55 Con ciò non si intende, implicitamente, che la glossografia su Omero fosse intesa come lavoro esclusivamente, forse neanche primariamente, di interpretazione letteraria. Non é necessario dilungarsi sul significato "enciclopedico" che per ogni greco aveva il testo di Omero. 66 Il corretto uso delle parole è l'altra, importantissima faccia del problema, che però qui non ci riguarda. È importante distinguere tra glossografia e corretto uso e definizione delle parole: la discussione su questi ultimi ci è ampiamente testimoniata come pratica filosofica, fin dal V

sec., ma è tutt'altra cosa, per scopi e strumenti, dell'illustrazione di glosse.

Introduzione

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ciö, anche quando apparentemente strumentale, corrisponde ad una visione prescientifica della lingua, in cui la parola singola risulta l’oggetto linguistico privilegiato per avere accesso alla realtä. Anche Filita, come vedremo, risulta figlio di questo atteggiamento, sia pure in altro senso. Ma le analogie e la continuità con quanto sappiamo della glossografia/lessicografia precedente finiscono qui. In primo luogo, quella di Filita è la prima raccolta glossografica di cui sappiamo*: ciò sembra significare il primo passo per una autonomia e un tratta-

mento diverso, più ‘tecnico’ (?), della disciplina. A questo punto potrebbe entrare la questione del titolo. Il significato di ἄτακτοι γλῶσσαι rimane, a mio parere, alquanto misterioso: i tentativi di spiegazione forniti risultano tautologici o inadeguati alla questione specifica posta dall'uso di un tale nome per un lavoro glossografico®. L'unica cosa che pare di poter dire è che, se il titolo è di diretta origine filitea, sembra presupporre delle precedenti ἔντακτοι γλῶσσαι, o qualcosa del genere: naturalmente non inteso necessariamente come titolo. Se é vero che si tratta della prima raccolta, ció potrebbe significare una collezione che non fa riferimento ad un determinato testo, o gruppo di testi omogeneo, non disposta, quindi, secondo un testo "ordinante", in quanto non strumentale direttamente a nessuno”. Se così fosse, i precedenti prodotti lessicografici, per essere strettamente dipendenti da un preciso testo, non avevano forse bisogno di un titolo. Potrebbe così spiegarsi quello di Filita: in sè e la sua formulazione. Ogni abituale speculazione se 1 ἀταξία si debba riferire alla disposizione delle glosse”, o alla loro natura, non riesce dirimente. Riguardo alla prima questione, sono a priori possibili sia l'ordine alfabetico che quello tematico (anche quello alfabetico all'interno di uno tematico sovraordinato), e affermare la primazia cronologica di uno sull'altro é azzardato, sia per la mancanza di esempi concreti, a data cosi alta, sia per la nostra ignoranza dello stesso fine dell'opera filitea. Con la seconda ipotesi, la denominazione di ἄτακτοι per delle glosse risulterebbe ridondante: già di per sé le glosse sono termini ‘fuori dagli schemi"!. Egualmente problematica, anche in rapporto alle testimonianze antiche su Filita, é la relazione di quanto ci ὃ rimasto della sua attività con i testi letterari in nostro possesso.

Una prima osservazione è che la sua caratteristica di glossografo omerico, che sembra riflessa nelle fonti, ma che comunque ὃ asserita senza questioni nelle moderne trattazioni, non riceve conferma dai frammenti in no-

67 Su Democrito vd. n. 61; sulle presunte γλῶσσαι di Clearco vd. infra. 88 Vd. n. 54. 69 Sull'ordinamento dei lavori lessicografici secondo «die Reihenfolge des glossierten Textes», cf., ad. es., Alpers 1990, p. 17. 70 ἄτακτοι perché non in ordine alfabetico, o, al contrario, perché disposte in quell’ordine, contro un precedente sistema che seguiva l'ordo rerum.

7! Ci attenderemmo forse qualcosa come ἄτακτα ὀνόματα.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

stro possesso. Di venticinque glosse, solo πρόξ (fr. 20) e ἴσθμιον (fr. 13) sono

riferibili ad esegesi omerica. Ma neanche queste con sicurezza: manca comunque il diretto riferimento ad Omero, e, per quanto riguarda la seconda, ogni possibilitä per rifarsi a Od. 18. 300 dipende dal fatto che Filita stia discutendo un’opzione interpretativa di ἴσθμιον o rifletta una polemica sul suo significato, che risultano entrambe assenti dalla dottrina sicuramente relativa a questo passo". Anche πέλλα (fr. 5) è parola omerica, ma nella glossa filitea l'annotazione dialettologica come il significato evidenziato per il conte-

nitore sono ancora più lontani da esegesi omerica. E per oxipog (fr. 21) il riferimento omerico è ancora più improbabile. È da ritenere o che Filita “glossografo omerico” sia stato maltrattato dalla tradizione, o che l'idea che ci si è fatta sulla sua attività non sia del tutto esatta. Vedremo più avanti come questa scarsa e incerta applicazione ad Omero corrisponda al quadro più generale del lavoro glossografico di Filita??. Solo alcune altre parole, di quelle di cui ci sia rimasta una trattazione di Filita, compaiono in produzione letteraria a lui antecedente (altre sono in

autori successivi, altre ancora non hanno referente fuori dalla lessicografia): γυάλα (fr. 3; che è, però, congetturale nel frammento di Dionisio comico), δῖνος (fr. 4), προχύτης (fr. 6), ἰάκχα (fr. 12), ὑποθυμίς (fr. 14), στάχυν ὄμπνιον (fr. 16: se di origine letteraria), ἄμαλλα (fr. 18), σκῖρος (fr. 21), σκύζης (fr. 22)”. Lasciando per il momento da parte ὑποθυμίς, ἰάκχα e σκύζης (frr. 14, 12 e 22), che vanno trattate a parte, nessuna di queste glosse, come, del resto, le tre

precedenti (io@urov, πέλλα e πρόξ: frr. 13, 5 e 20), fa esplicitamente riferimento

ad un testo. E non solo: molto spesso le interpretazioni fornite da Filita sono toto coelo distanti dalle valenze dei termini nei contesti letterari in cui appaiono. Per cui non si può effettuare nemmeno un collegamento implicito. Fino a questo punto abbiamo constatato a) una notevole discrasia tra lo statuto di glossografo omerico attribuito a Filita e quanto di lui ci è rimasto”; b) l'assenza di adduzione di testimonianze a conforto delle sue inter-

7? Le discussioni su πρόξ, d'altro canto, provengono da illustrazioni ad Apoll. Rh. 2. 279, e, secondo il dettato del Magnum, sono collegate all’etimologia di Προκόννησος. Non sembrano

aver nulla a che fare con Omero, ma non sarebbe certo l'unico caso di dottrina omerica utilizzata per l'illustrazione di altri autori. L'opinione di Kuchenmiiller, per cui diverse glosse non presenti in Omero partano comun-

que dall’esegesi su di esso (cf. n. 50), avrebbe bisogno di maggiori conferme dal dettato stesso dei frammenti. Si noti che πρόξ e ἴσθμιον sono due ἅπαξ in Omero: che Filita potesse essere atti-

rato da questo tipo di parole omeriche? 74 Ad un frammento dello stesso Filita appartiene invece, a nostro parere, μελαγκράνινος (cf. fr.

dub. 29). 75 Ma è sempre opportuno non tralasciare un'eventualità. Si confronti una eventuale glossa di questo tipo (non attestata, che io sappia: è formulata qui a titolo d'esempio), εὐειδὲς τὸ εὐκρό-owrov παρὰ Κρησί, con Aristot. Poet. 1461a 12 ss. καὶ τὸν Δόλωνα «ὃς ῥ᾽ 7 τοι εἶδος μὲν ἔην κακός» (Il. 10. 316), οὐ τὸ σῶμα ἀσύμμετρον ἀλλὰ τὸ πρόσωπον αἰσχρόν, τὸ γὰρ εὐειδὲς οἱ Κρῆτες τὸ εὐπρόσωκον

καλοῦσι. Ipotizzando che i due passi fossero in origine in rapporto di dipendenza, non c'é nulla

Introduzione

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pretazioni glossematiche, si vogliano esse considerare applicate a un determinato testo, si vogliano slegate da uno qualunque; c) la difficoltà, ma piü spesso l'impossibilità di collegarle anche implicitamente all'esegesi di un contesto letterario”*. Tutto ciò potrebbe considerarsi frutto di spietatezza della tradizione o della selezione (Filita passa per lo meno attraverso Panfilo), che dovremmo peró giudicare sistematica nei suoi confronti. Ma converrà introdurre ulteriori elementi. Abbiamo due frammenti in cui Filita παρατίθεται un brano letterario a

conforto della propria interpretazione: la glossa σκύζης (fr. 22), reperibile in Esichio, ὃ accompagnata dalla citazione di parte di un trimetro giambico (con tutta probabilità della commedia

arcaica), ἰάκχα (fr. 12) da un distico

elegiaco, introdotto con la sola precisazione ἐν Σικυωνίᾳ. Non puó sfuggire che l'introduzione dell'esempio avviene, in entrambi i casi, trascurandone autore ed opera. Da notare che qualora si voglia ritenere il fr. dub. 29 un'ulteriore esempio di glossa filitea da lui corredata con citazione (il che ci sembra di aver dimostrato improbabile) la procedura sarebbe esattamente la stessa. Diversa ma ugualmente istruttiva e la glossa di ὑποθυμίς (fr. 14): cosi la introduce Athen. 15. 678d ὑποθυμὶς δὲ καὶ ὑποθυμίδες στέφανοι παρ᾽ Alo-

λεῦσιν καὶ Ἴωσιν, odg περὶ τοὺς τραχήλους περιετίθεντο, ὡς σαφῶς ἔστιν μαθεῖν ἐκ τῆς ᾿Αλκαίου καὶ ᾿Ανακρέοντος ποιήσεως. Φιλητάς δ᾽ ἐν τοῖς ᾿Ατάκτοις ὑποθυμίδα Λεσβίους φησὶν καλεῖν μυρσίνης κλῶνα, περὶ ὃν πλέκειν ἴα καὶ ἄλλα ἄνθη. Ancora una volta, da parte di Filita niente nomi ed esempi, niente altro che non

sia la collocazione dialettale. Alceo, Saffo ed Anacreonte sono citati verbatim poco prima da Ateneo, in 674c-d, proprio per ὑποθυμίς, e la specificazione dialettale filitea Λέσβιοι, per la sua puntualità7, richiama, molto probabil-

mente, le attestazioni dei primi due poeti, ma non c'é dubbio che proprio per questa ragione il dettato filiteo trasmesso, con la semplice attribuzione ai lesbii, appare allo stesso tempo di singolare precisione e elusività. Alle caratteristiche sopra estrapolate bisogna aggiungere dunque, a specificazione, che Filita non era alieno dal portare a confronto testimonianze letterarie, ma che la sua Zitierweise non fa che rafforzare un'impressione di

non coincidenza con il Filita commentatore di poeti, in primis di Omero, accreditato dalla letteratura critica. E, come

corollario, andrà osservato che

nella formulazione della glossa che rimandi esplicitamente ad Omero, e tanto meno al passo in questione, cui dovrebbe, in realtà, la sua origine. E necessario sempre domandarsi, per lo meno

a livello di principio, quante glosse rispecchino la situazione descritta attraverso questo exemplum fictum. Devo l'accorto monito ad Albio Cesare Cassio. 76 Risulta quindi ingannevole la conclusione di Kuchenmüller, p. 113: «haud raro intercedebant poetarum exempla, quae usum vocis probarent». 77 Gli eoli d'Asia sono normalmente chiamati, nella letteratura grammaticale, Αἰολεῖς (vd. n. 240, e, nella fattispecie, il brano di Ateneo immediatamente precedente l'introduzione di Filita: παρ᾽ Αἰολεῦσιν καὶ Ἴωσιν, ovvero Saffo e Alceo, da una parte, e Anacreonte).

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

sembra andare in crisi anche l'ipotesi di un poeta-grammatico che si cura di preservare e illustrare patrimonii lessicali della poesia precedente, per farne strumento di lavoro della sua produzione e di quella a venire. Non abbiamo modo di fare dei frammenti del nostro grammatico lacerti di commentarii ad loca. A meno che non vogliamo accedere all'ipotesi di Kuchenmüller, di cui sopra (n. 50), o ad una analoga, che preveda, ad esempio, che l'intervento esegetico di Filita fosse talmente ampio da allontanarsi dal passo di partenza per accumulare tutta la dottrina possibile sul termine in questione (in particolare di natura dialettale), e concludere che, casualmente, ci siano rimaste annotazioni che col punto di partenza sembrano non avere nulla a che fare. Ma quale dose di petitio principii vi sia in tali ricostruzioni è immediatamente evidente. Altra convinzione da revocare in dubbio, sempre allo stato dei fatti, è

che la raccolta di Filita abbia costituito, anche solo oggettivamente, una sorta di repertorio lessicale (stilistico, etc.) ad uso della composizione poetica ellenistica, o anche, semplicemente, che abbia messo o rimesso in voga alcuni termini. Tutte le volte che termini delle glosse filitee ritornano in poeti contemporanei e successivi è possibile e facile reperire, per tali occorrenze, plausibili modelli classici o arcaici, senza dover supporre la mediazione delle ἄτακτοι γλῶσσαι, o, altrimenti, il significato della glossa e dell'occorrenza poetica sono incompatibili?. In definitiva, se l'operazione di Filita in qual-

che modo riflette procedure funzionali alla composizione poetica, rispondenti ad una nuova concezione della letteratura, non è comunque possibile trovargli un ubi consistam nella ‘fornitura’ di materiale lessicale. Ciò che ci sembra di poter enucleare con una certa sicurezza dai frammenti, già più volte messo in evidenza, è: a) un profondo interesse per le glosse dialettali; b) particolare cura per i realia, anche se ciò potrebbe doversi

al fatto che il suo maggiore testimone è Ateneo. Nello specifico, sembra di poter rintracciare un notevole numero di termini applicabili all'àmbito agropastorale, un numero superiore a quello che gli stessi fautori di un Filita “bucolico” hanno segnalato”. In quest'àmbito potrebbe ulteriormente ritagliarsi una sezioncina di “antichità demetriache”

(στάχυν ὄμπνιον, ἀχαιά,

ἄμαλλα : frr. 16-18). 3. 2. Anche a proposito del lavoro su Omero testimoniato dagli scolii e da Eustazio occorrono alcune precisazioni. È costante la menzione di «interventi» di Filita sul testo di Omero. Ora, tra i frammenti raccolti, due (frr.

78 Cf. ἄωτον (fr. 2), πέλλα (fr. 5), ἀμόραι (fr. 8), ἐλινός (fr. 15), στάχυν ὄμπνιον (fr. 16), ἅμαλλα (fr. 18), πρόξ (fr. 20). 79 A quelle elencate da Legrand (cf. n. 52) si potrebbero aggiungere σκάλλιον (fr. 7), oxo&€o (fr. 11), σκύζης (fr. 22). Senza che, per ciò, la loro opinione debba ritenersi più plausibile. Sul loro

carattere di realia, un accenno indiretto è in Fantuzzi 1993b, p. 145.

Introduzione

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dubb. 30-31) riguardano lezioni rifiutate da Aristarco nel πρὸς Φιλίταν (ἐπι-νεύσομαι e μέγα): esse non sono esplicitamente attribuite al nostro negli scolii, ed & per lo meno prudente evitare di dar loro la sua paternità solo perché Aristarco ne parlava nel σύγγραμμα con quel titolo. Le altre testimonianze ri-

guardano 1) l'interpretazione di un passo sulla base di una lezione sicuramente vulgata (fr. 27); 2) la lettura di un verso con una lezione talmente banale da poter essere considerata se non vulgata per lo meno come introdottasi e diffusasi in qualsiasi momento, a prescindere da Filita (fr. 28)9; 3) la peculiare interpretazione di una sequenza di lettere esistente nel testo, ma in scriptio continua e senza segni diacritici (IAQN > ἰδῶν, fr. 26).

Tutto ciò, indubbiamente poco?', risalta in particolare a confronto con altri due esempi: quello precedente di Antimaco® e quello dell'allievo Zenodoto. Negli studia Homerica del colofonio (frr. 165-188 Matth.), accanto a questioni esegetiche (ad es. frr. 181-186 Matth.), ve ne sono di propriamente criticotestuali (cf. frr. 167-180 Matth.), e l'attività di Zenodoto sul testo omerico non ha bisogno di illustrazioni. Filita, invece, per quello che abbiamo, sembra alieno da preoccupazioni ecdotiche: sua cura appare quella di leggere e interpretare il testo che ha davanti. Ovvero, espresso più precisamente, se Filita ha compiuto delle scelte, lo ha fatto senza toccare la tradizione, probabilmente sempre, sicuramente due volte (frr. 26 e 27) su tre. Se è così, Filita si collocherebbe in posizione ‘laterale’ rispetto ad una tradizione di filologia omerica, che, per quanto rispettosa, era estremamente sensibile alla costituzione del testo. Non sarà inutile notare, infine, che, se manca l'intervento criticotestuale, latita anche ogni traccia di ζήτημα, di interpretatio moralis o allegorica,

che caratterizzano la ricerca omerica anche immediatamente prima di Filita*.

Una domanda sorge spontanea. Aristarco ha sentito la necessità di comporre un Πρὸς Φιλίταν, un titolo che sembra designare un lavoro che, seppure non necessariamente dedicato in maniera integrale alla critica del predecessore, senz'altro ne qualifica l'importanza (anche metodica?) e, forse, l'estensione dell'opera. Rimane che di Filita emergono soltanto tre Homerica sicuri, diversamente dal precedente Antimaco e dal presso che contemporaneo Zenodoto. Può essere, come è stato supposto, che sue scelte testuali e interpretative compaiano in realtà nei nostri scolii o come dottrina anonima o sotto il nome di qualche grammatico successivo che le abbia assunte. Noto-

80 E non è detto che Filita si trovasse a scegliere tra ὄμματα e οἴματα.

81 Sconcerta l'affermazione di Sandys 1921, p. 118: «the readings which he preferred in the

Homeric text are mentioned in several of the scholia».

82 Per il quale Pfeiffer 1968, p. 165, usa la categoria del «precursore dei poeti e dei filologi

degli anni di transizione all'età ellenistica», criticata da Rossi 1976, p. 110. Cioè ὑπκαλύξει per ὑπαΐξει, ὄμματα per oinata, e la prosodia ἰδῶν per ἰδών.

84 In generale, cf. Pfeiffer 1968, pp. 84-91. 85 Cf. n. 53.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

riamente non si sa di alcun ὑπόμνημα ο σύγγραμμα di Zenodoto ove fossero

giustificate le sue scelte: le motivazioni che si trovano attribuite a Zenodoto sarebbero, quindi, o frutto di registrazione di sue esegesi orali, o induzioni di grammatici successivi, a partire dalla nuda opzione testuale di Zenodoto*. Per quanto riguarda la trasmissione della dottrina di Filita, del quale, per altro, non sono attestati titoli di scritti omerici, possiamo ricostruire una situazione analoga, forse proprio a partire da annotazioni dello stesso allievo, Zenodoto, al suo testo di Omero”. Il decisivo discrimine tra i due, che potrebbe porsi sostanzialmente alla base dell'enorme divario di testimonianze "omeriche" tra Filita e Zenodoto, è che questi lasciò un’edizione®, Filita no®. Oltre all'eventuale assorbimento anonimo di sua dottrina nei grammatici successivi, a cominciare da Zenodoto, nella situazione prospettata & chiaro che l'azione del tempo ha naturalmente eroso la memoria di Filita. I reperti sopravvissuti si devono probabilmente alla massa di materiale docu-

mentario sul lavoro omerico precedente che Aristarco aveva a disposizione. 4. A questo punto, messe, direi lecitamente, in dubbio alcune caratteristiche e funzioni vulgate della glossografia filitea*, nonché precisati i tratti del suo lavoro omerico, la figura grammaticale del nostro potrebbe apparire un po’ sospesa. E possibile inquadrarlo in qualche modo? Conviene partire da lontano. Dal punto di vista 'linguistico' molti degli elementi presenti, esplicitamente o implicitamente, nella cultura greca arcaica e classica sembrano assenti dal suo lavoro. Schróter 1959, p. 826, notava: «wie es scheint, verschmäht Philetas die Etymologie»?'. Un tal tipo di analisi, dalle frequenti connotazioni filosofiche o sapienziali (fino all'ontologia), e

praticato in maniera 'immanente' anche, e prima di tutto, dai poeti, anche

86 Cf. Pfeiffer 1968, pp. 185 s., 195, Nickau 1972, col. 30. 52 ss., e, specialmente, Nickau 1977,

p. 14 ss. Il termine "tecnico" ὑπόμνημα e retaggio di pratiche di insegnamento e discussione filologica (prevalentemente) orale: cf. l'uso in Plat. Theaet. 142d-143e, e [Epin.] 980d 4-5. Qualche spunto in Zuntz 1939, p. 560 ss., e vd. Turner 1968, 113. Sulla pratica di μνημονεύειν nelle antiche discussioni sui poeti (IV sec.), cf. Nagy 1996, p. 123 s. 87 Naturalmente, questa argomentazione presuppone che non si creda che gli Homerica filitei tramandati dagli scolii omerici e da Eustazio fossero contenuti nelle "Ataxtoı γλῶσσαι (bibl. sulla questione in n. 56). Del resto, quelli, a quanto ci & rimasto, hanno struttura incompatibile con un'opera glossografica: si potrebbe al massimo azzardare che Filita avesse glossato in essa

ὑπαλύξει (o epi£?). Cf. il fr. 27. 88 Per quanto pare che Aristarco già non l'avesse direttamente a disposizione: cf. Nickau

1977, p. 5 5. 89 Sono da valutare, in linea di principio, anche la possibilità di una scarsa estensione della produzione omerica di Filita, e, rispetto a quella di Zenodoto, una sua notevolmente minore autorevolezza. Ma l'esistenza del Πρὸς Φιλίταν aristarcheo ne fa dubitare. 9? È di questo Ambito dell'attività filologica filitea che ci si occuperà essenzialmente in sègui-

to, Pe la stessa consistenza del materiale. . Salvo poi reperirne più del dovuto nelle relative glosse. Sull'uso dell'etimologia nell'esegesi letteraria, da Aristotele a Cratete, cf. Schröter 1959, pp. 821-834.

Introduzione

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con semplici finalità epesegetiche”, pare estraneo all'interesse ‘linguistico’ di Filita. Manca anche qualunque esempio di quel tipo di 'analisi logica' della lingua, anch'essa di natura speculativa, che precede lo stabilirsi di una vera e propria γραμματικὴ τέχνη, per cui la stessa età di Filita è ancora imma-

tura*. Sul versante filologico-letterario, la vera e propria poetica è considerata in maniera ‘immanente’, se il fr. 10 Kuch. è espressione di ‘credo’ poetico. E sono assenti, come abbiamo già osservato a proposito del lavoro ome-

rico, sia interpretazione allegorica, che morale, che ζητήματα. Ma Filita spunta tutt'altro che out of the blue. Egli è inserito, vedremo via via più specificamente come, in una tradizione culturale (se non proprio di

pensiero) greca di remota attestazione. È opportuno prima di tutto fissare i ‘paletti’ primari. Dall'indagine sullo

stadio originario della considerazione greca del linguaggio, nei termini da una parte più generali, dall'altra più profondi, quando ancora non si dava una formalizzazione autonoma di un ‘discorso’ metalinguistico, appare una situazione che non saprei rendere meglio che con le parole di Gambarara 1984, p. 6: «nella cultura ‘linguistica’ greca arcaica, la nozione di lingua appare marginale al punto che ne è stata sostenuta l'assenza; quella di nome, al contrario, vi é in evidenza come l'elemento centrale ... Le due storie non sono solo distinte, bensi separate, anzi ὃ questa separatezza che caratterizza la visione arcaica del linguaggio». Questo aurorale schema mentale é assolutamente da tener presente nel momento in cui si considera l'approccio (meta)linguistico dei greci. Soprattutto al momento di valutare diverse forme in cui esso si é incarnato. Non é,

ovviamente, questo il luogo nemmeno per ripercorrere sommariamente le

vicende della considerazione del «nome» nella cultura greca: andrà comunque sottolineato che la questione della sua ὀρθότης è centrale, a diversi livelli e piani, per cosi dire, "metodici". Basterà qui, per prima cosa, ricordare la piü generale concezione φύσει del nome, la cui certificazione di verità puó venire dall' “etimologia”. In secondo luogo, sarà utile al nostro discorso menzionare qualche esempio di un altro livello di riflessione sui nomi, collo-

?? Su procedimenti esegetici 'immanenti' in Omero e Esiodo cf. Pfeiffer 1968, pp. 43-46, con bibl., Gambarara 1984, p. 118 ss. 93 Ciò nonostante la testimonianza del suo epitafio (probabilmente fictum) sul suo affannarsi attorno allo ψευδόμενος λόγος. Per evitare confusioni tra indagine logica e grammaticale, convie-

ne sempre leggere Belardi 1975, pp. 38-61, sulla non "grammaticalità" delle categorie aristoteliche. % È questa, tuttavia, una caratteristica che è comune a tutta la filologia del primo III secolo. Ci accadrà, comunque, di fare qualche considerazione sulla presenza del termine ὁμωνυμία in Filita. Sullo stabilirsi di una grammatica in senso stretto non prima del I sec. a. C., cf., ad es., il resoconto di Taylor 1987, pp. 8-13, cui si aggiungano Ax 1991, p. 275 ss., Schenkeveld 1994, pp. 283-287. In ogni caso, anche contro questa ricostruzione non si risale oltre Aristofane di Bisanzio.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

cato nel IV secolo: Antifane (fr. 189 K.-A.), nel celebre lamento sulla difficoltä nel costituire una commedia rispetto ad una tragedia, fa riferimento, unico tratto ‘linguistico’, alla necessità di εὑρεῖν ὀνόματα καινά (v. 18); Isocrate (10. 8-11: Euagor.) lamenta la difficoltà di comporre un encomio, e sottolineando i κόσμοι che, invece, hanno a loro disposizione i poeti, evidenzia come sia loro possibile δηλῶσαι μὴ μόνον toig τεταγμένοις ὀνόμασιν, ἀλλὰ τὰ μὲν ξένοις, τὰ δὲ καινοῖς, τὰ δὲ μεταφοραῖς (9), mentre all'oratore & possibile servirsi solamente τῶν ὀνομάτων toic πολιτικοῖς (10)95.

Questi elementi, trascelti nella massa di riflessioni implicite ed esplicite sul "nome", mi paiono tra i piü chiari per definire e introdurre, in termini

generali, una caratterizzazione dell'attività glossografica di Filita. Egli appare da una parte profondamente immerso in tale cultura della centralità del "nome", e non ci sembra senza significato che la grandissima parte di quan-

to abbiamo dell'attività ‘grammaticale’ del nostro sia limitato ad una glossografia quasi allo stato ‘puro’, al contrario di altri grammatici antichi (su questo punto avremo modo di tornare piü avanti). D'altra parte & evidente che questo approccio e, in Filita, ormai sgombro da qualsiasi istanza ontologica o comunque sostanzialistica. Naturalmente, nonostante ció, bisognerà comunque evitare di definire l'atteggiamento di Filita in qualche modo "funzionalista": se il "nome" ha perso per strada qualcosa della sua 'aura', non ha certo acquistato natura "relazionale", non vi é ancora alcuna struttura

dove possa ricoprire una funzione. Rimane, se ὃ consentito, un 'oggetto', fosse pure uno strumento: insomma, un qualcosa di reificato (e ‘prezioso’)*. Se la nostra analisi delinea, come credo, correttamente la cornice generale, ma fondante, del lavoro glossografico di Filita, e se torniamo a considerare che questo, e non altro, sembra caratterizzare la sua opera cosi detta 'gram-

95 Cf. anche Antipho, B X 9 Raderm. (Artium scriptores p. 79). Qui l'espressione ὀνόματα καινά del testimone, Galen. XIX 12 K., che introduce, oltre Antifonte, il fr. 205 K.-A. di Aristofane, per la particolare corrività da parte dei retori nel forgiare tali nomi. E vero che in Galeno si predica il ποιεῖν per tali ὀνόματα καινά, ma che si possano con sicurezza ritenere parole "nuove" ἃ complicato da Strato, fr. 1 K.-A., dove il padrone afferma che il cuoco parla per καινὰ ῥήματα (v.

3), quando lui stesso sa che non si tratta di "novità", quanto di glosse (vv. 41-44, 48-50), nonché dal καινότεραι /xarvoowvor λέξεις di Aristofane di Bisanzio (o del suo testimone,

Eustazio), che

non sono termini "nuovi", ma "sorprendenti", "inattesi" (vd. Callanan 1987, pp. 49 n. 47, 76; Tosi 1994b, p. 234). Sul frammento aristofaneo, in questa prospettiva, vd. Cassio 1977, pp. 32-36;

Tammaro 1980-82; Bonanno 1983 (che opportunamente introduce il versante semantico della “novità”). Si veda anche il cap. 21 della Poetica, che però, si badi, è solo parzialmente rappresentativo del pensiero ‘linguistico’ di Aristotele. Ad evitare equivoci, converrà segnalare la presenza, poderosa, di un filone del pensiero ‘linguistico’ greco che subordina l'óvopa al λόγος, il cui

primo sicuro esempio è il Platone del Cratilo. % A ciò è forse collegato il fatto che la glossografia filitea rimastaci preveda sostanzialmente la descrizione di ὀνόματα e non di ῥήματα (giusta la distinzione platonica), se non ὑπεζῶσθαι (un

infinito perfetto; fr. 24). Il referente di un sostantivo è intuitivamente ‘oggettuale’, rispetto a quello di un verbo.

Introduzione

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maticale', io credo che sia utile provare a mutare il quadro di riferimento con cui la si affronta. Ovvero, non più dal punto di vista di un esegeta ("filologo") che interpreta e raccoglie tradizione letteraria (e non?) precedente, ma da quello del rapporto di un poeta con le parole”. La (troppo) frequente mancanZa di attestazione letteraria precedente per un termine affrontato da Filita, la difficoltà comunque di collegarlo a un testo preciso quando il termine sia invece attestato, il disinteresse che abbiamo riscontrato per la menzione di

autore ed opera, anche quando egli riporti versi, congiurano a vedere nel nostro, crediamo, un interesse del tutto preminente per la “parola” in sé, prima che per l'esegesi critico-letteraria, o anche consapevolmente filologica”.

Naturalmente, detto cosi, potrebbero essere leciti sospetti di interpretazione genericamente bellettristica?. Altre osservazioni ci aiuteranno a precisare meglio cosa intendiamo. In primo luogo il fatto piü ovvio: non si tratta, per i termini filitei, di un semplice repertorio di carattere stilistico, per cosi dire di "belle parole". Il termine é spesso accompagnato da una descrizione, di carattere che definiremmo “antiquario”, più o meno precisa (ma sempre sufficiente, ove la redazione non sia, come spesso in Esichio, atrocemente scorciata). In secondo luogo, non vi sono tracce che la frequente localizzazione dialettale serva per l'esegesi, piuttosto che per documentazione!®. Il caso più eclatante è forse quello del fr. 12, ove alla citazione di un distico elegiaco, che testimonierebbe l'esistenza del termine in questione, Filita non si

preoccupa che di sottolineare che l'ha reperito ἐν Zuvoviq!?!, Queste due evidenti caratteristiche della glossografia filitea sembrano dare indicazioni precise: un Wortschatz deve possedere aspetti di verificabilità, precisione, localizzazione, insomma, il suo àmbito d’uso deve essere

certificato. Ciò, al di là di possibili selezioni ingannevoli della tradizione, potrebbe spiegare la presenza in sostanza di soli realia tra le glosse filitee: ovvero di elementi del vocabolario che particolarmente si prestano appunto a queste forme di certificazione.

57 Non abbiamo mai usato la definizione “poeta-filologo”, proprio perché questa ‘miscela’ ha, secondo noi, necessità previa di una più precisa definizione interna. .9 È opportuno qui segnalare un'interessante ma cursoria conclusione di Kuchenmüller, p. 113: «cuius generis glossa esset, nihil intererat». 99 O di altra genericità. Nickau 1972, col. 42. 37 s., parla di «Freude am Erlesenen»: non è del tutto scorretto, ma senz'altro insufficiente. 100 Ovviamente, a ben diverso tipo di certificazione serve l'adduzione di termini dialettali nel Cratilo di Platone: cf. Latte 1925a, pp. 158-160. Si rilevi, inoltre, come nessuna delle glosse dialettali di Filita rechi tracce della disposizione che Latte 1925a, pp. 167-173, ha ricostruito per le successive, 'scientifiche', raccolte di termini dialettali: un lemma e i diversi significati nei diversi dialetti.

10! f] glossema filiteo, στεφάνωμα εὐῶδες, sembra ricavato niente più che dai versi stessi: orn" dj

κόμας εὐώδεας ἀγχοθι κατρὸς / καλὸν ἰαγχαῖον θηκαμένη στέφανον (εὐώδεα di Villebrune, che

risponderebbe direttamente all’ εὐῶδες dell'interpretamentum filiteo, non pare possibile: provocherebbe iato).

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

Senza volersi addentrare in questioni di poetica, la cui discussione notoriamente travaglia l'àmbito della poesia alessandrina, sembra di poter dire, in base alle considerazioni precedenti, che Filita costituisce un esempio del poeta che, da una parte, ragiona in maniera ‘immanente’ sulla natura della poesia (cf. fr. 10 Kuch.), dall'altra, sente di dover lavorare, in maniera separata, sulle diverse possibili, anche virtuali, opzioni espressive, che, negli schemi mentali di allora, si riconducono primariamente alla scelta e all'uso

delle “parole”. Alla luce di quella che è nota come «poetica della veritä»!%, le "parole" non possono essere utilizzate semplicemente perché incardinate in una tradizione letteraria, né bisogna rivolgersi solo a quella. E necessaria una riflessione distaccata, e un ripensamento sul lessico che ne procuri una ‘rigenerazione’: su basi, appunto, di certificazione di verità e precisione. Solo cosi, dopo un lavoro "a tutto campo" (quale, del resto, ci testimoniano i pur pochi frammenti grammaticali filitei), I’ ὄνομα, che è poi, ricordiamo, la cellula portatrice di senso, può qualificarsi come ‘strumento del mestiere’ allo stesso tempo come nuovo, non usurato, e affidabile. Diventa così chiaro il carattere pressoché lessicalmente ‘puro’ delle testimonianze lessicografiche di Filita, il suo privilegiare descrizione e localizzazione di un termine, rispetto ad altre auctoritates, la cura per la documentazione, prima che per l’esegesi, almeno per quella che ha a oggetto la letteratura. In questo quadro sono da inserire almeno altri due aspetti. Il carattere

dialettale di molte delle glosse filitee corrisponderà non solo alla determinazione di fornire un pedigree alle "parole", ma anche ad un'altra tendenza. Non c'è dubbio che l'avanzata della κοινή minacciava la ricchezza formale e

semantica del lessico: per non trovarsi stretti tra un Wortschatz impoverito, ed uno usurato da troppo lunga tradizione letteraria, un punto di fuga poteva ben essere costituito dalla ricchezza e varietà dialettale'®. D'altra parte,

sotto questo aspetto, l'elemento, per cosi dire, 'etnolinguistico' poteva essere complementato da quello 'sociolinguistico'. Mi sentirei di affermare che, per la frequente mancanza di attestazione letteraria dei termini addotti da Filita,

per il fatto che si trovi non occasionalmente discrasia tra il significato delle occorrenze letterarie del termine e quello fornito da Filita, per la natura stes-

102 Quella, insomma, 461] ἀμάρτυρον οὐδὲν ἀείδω (Callim. fr. 612 Pf.: da ultima, su questa "dichiarazione", Meyer 1993). Accenni, per Callimaco, in Pfeiffer 1968, p. 210 s.; in generale, cf.

Serrao 1977, p. 176 s., Arrighetti 1989, p. 148 s., e, ancora su Callimaco, Pretagostini 1995, pp. 42-45 (con bibl. a p. 43 n. 30). La nostra, ovviamente, ὃ un'applicazione al ristretto campo del Wortschatz. Sul senso di questo 'schema mentale’ in un prospettiva molto piü ampia, che tocca la composizione poetica, l'attività filologica in generale, il rapporto con il pensiero scientifico e il ‘realismo’, vd. ora Bonanno 2000, pp. 210-212.

103 Un collegamento, in senso diverso dal nostro, tra declino dei dialetti e «riflessione meta-

linguistica degli Alessandrini» sugli stessi ὃ in Consani 1991, p. 32. Forse, peró, ὃ un po’ restrit-

tivo definire il loro interesse per i dialetti «di natura descrittiva ed esplicativa di forme dialettali attestate in un corpus letterario dal prestigio ormai consolidato».

Introduzione

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sa dei referenti'*, sia vera l'opinione di alcuni, che Filita abbia ricavato molte parole dal "parlato". Tale opinione riceve, direi, particolare senso nel quadro che abbiamo delineato: quello di un rapporto creativo, piuttosto che esegetico, col "nome"65,

Che fonti possa aver avuto Filita & questione che non ci possiamo proporre di risolvere. Evidentemente non può funzionare, nel suo caso, la conclusione, fin troppo consueta per molta glossografia dialettale dell'antichità, che egli abbia ricavato le sue glosse epicoriche da testi letterari considerati scritti in un determinato dialetto. Ció non si armonizza con quanto abbiamo osservato a proposito della presenza tutt'altro che incombente della tradizione letteraria nel suo lavoro, e col fatto che spesso si tratta di dialetti non attestati letterariamente!*. Ovvero, senz'altro alcune sono o possono essere

di derivazione letteraria (cf. ὑποθυμίς; supra p. 29 e fr. 14), ma tale fonte non appare esclusiva. Della possibilità dell'autopsia o della comunicazione orale abbiamo già visto!”. D'altra parte, lo spettro geografico è troppo ampio, perché possiamo immaginarci un Filita intento a percorrere i territori della Grecia per recuperare lingua d'uso. Io credo che un tramite di non poca rilevanza possa essere costituito da una categoria di scrittori normalmente poco considerata nelle trattazioni della cultura erudita greca: si tratta dei Lokalhistoriker, la cui attività di divulgazione antiquaria, con necessari riporti lessicali, non può essere in alcun modo sottovalutata!9. Vorrei solo ricor1% Ripetiamo che per lo più si tratta di realia, in gran parte relativi al mondo agricolo e pastorale.

105 Sulla possibilità del "parlato" come fonte di glosse dialettali, cf. Montanari 1988b, p. 39 (per Agatocle di Cizico), Cassio 1993, p. 81 s., Tosi 1994a, pp. 148, 207 s. Per Filita, cf. n. 52, in particolare Kuchenmüller, p. 113 (l'accenno, peró, non ? particolarmente argomentato; si veda il suo commento alle glosse cui rimanda). Di «interesse per la lingua parlata del suo tempo» parla Pfeiffer 1968, p. 317, per Aristofane di Bisanzio, cf. anche Wackernagel 1896, col. 1399 (per Carete e Demetrio Cloro). Una testimonianza chiara è in Athen. 7. 284b-c (Dionisio Giambo). Non pochi spunti dovevano reperirsi nella stessa Alessandria d'Egitto, ‘calderone’ linguistico panellenico (e non solo). E forse piü che una curiosità il parallelo che si puó istituire con una glossa di Teofilo Folengo al suo Baldus T V 99 (reperibile, con bibl., in Zaggia 1987, p. 29 n. 85): biolca Mantuanice, tornitura Romagnice, pious Bressanice, mozza Ferariace (si tratta di denominazioni di

misure agrarie). Lessico tecnico agrario (di cui abbiamo rilevato la particolare ricchezza nelle glosse di Filita) e sua partizione dialettale sono due elementi che non possono non ricordare il nostro. Crediamo si possa affermare che in una ricerca di strumentazione espressiva, in situazione di plurilinguismo (o pluridialettismo), atteggiamenti come quello di Filita o di Folengo possano ben dirsi un "universale". Rientra in questo contesto il noto Theocr. 12. 13 s. ὃ μὲν eioxvnÀoc, φαίη x’ Ὡμυκλαιάζων, / τὸν δ᾽ ἕτερον πάλιν, ὡς xev ὁ Θεσσαλὸς εἴποι, ἀίτην. Naturalmente,

siamo ben lontani da qualcosa che possa definirsi dialettologia: cf. le osservazioni generali sulla prima glossografia dialettale in Hainsworth 1967, p. 69 s. (cf. anche p. 66). Altrettanto ovvio é osservare che non c'é traccia di uso grammaticale dei dati dialettali (teoria dei πάθη, etc.), non attestato prima di Trifone (I a. C.): cf. Siebenborn 1976, pp. 146-151, Cassio 1993, p. 85 s. 106 Cf. Tosi 1994a, p. 208. 107 Cf. n. 105.

106 Cf. Latte 1925a, pp. 148-153: a p. 156 conclude che la più antica filologia omerica solo

occasionalmente ha addotto glosse dialettali per l'interpretazione, «die Hauptmasse muss anderen Quellen entstammen». Ciò implicitamente nega l’idea di P. Kretschmer 1896, p. 2, che i

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

dare, sia pure per altro verso, i casi di Senomede, Leandro e Agia-Dercilo: materia di questi storici, anche lessicale, fu utilizzata da Callimaco (cf. frr. 65-66 Pf.; 75. 54 Pf.; 88 Pf.; 191. 32 Pf.; schol. Flor. ad fr. 7, 1. 35, con le note di Pfeiffer ad loc.). Inoltre, non & escluso un ulteriore elemento, ricordando un fatto che riguarda proprio Cos. La serie di iscrizioni che va sotto il nome di Asylieurkunden, datate al 242 a. C., pubblicate da Klaffenbach 1952 e analizzate linguisticamente da Harlow 1972, consiste in ventitré iscrizioni, contenenti tutte una risposta ad una 'circolare' dei Coi, di esse nove sono redatte in dialetto non "comune": é evidente che situazioni di tal genere offrivano una notevole massa di dati dialettali, anche comparati!”. Consegue naturalmente da quanto precede che l'attività di Filita, almeno quella glossografica, era intesa principalmente per sé, come complementare alla sua fatica compositiva. Noi non troviamo alcuna glossa di quelle

tramandateci inserita nei suoi versi, ma possiamo reperire forse un piccolo indizio di quanto affermato. Non lo facciamo inducendo un Filita "bucolico" dal gran numero di glosse relative all'àmbito agro-pastorale: di tale Filita

non abbiamo traccia poetica e la sua 'esistenza' deriva dalla forzata interpretazione di Theocr. 7. 39-43 e dal nome Φιλητάς del pastore pedagogo d'amore in Longo Sofista. Ma vorremmo sottolineare il piccolo nucleo demetriaco che ci è parso di rintracciare tra i termini considerati da Filita!!°: concludere per la sua funzionalità rispetto al suo poema elegiaco dal titolo appunto di Demetra sembra immediato. In definitiva, diremmo che Filita, poeta, ha operato come ogni buon poeta si é sempre preoccupato di fare, ossia ha lavorato sugli 'strumenti del mestiere'. Lo ha semplicemente fatto in maniera inusuale, rispetto a epoche precedenti, oggettivando, sia con un lavoro di repertorizzazione lessicale che di interpretatio Homerica. Si tratta di procedimento analogo, ci piace indurre, a quello precedente di Antimaco, che aveva, diversamente da Filita, oggettivato la propria necessità di rapporto col "sistema letterario" in un lavoro anche testuale sui poemi omerici!!!. rapsodi, girovaghi, notassero termini dialettali che utilizzavano per l'esegesi omerica. Per la menzione di Clitori da parte di Zenodoto, cf. Hiller 1913, p. XV. 107 ss. (si dovrebbero ad uno scrittore di Arcadica). Già Erodoto é portatore di estesi interessi linguistici e letterari: tra i primi parte rilevante ha l'indagine su parole dialettali e straniere. Cf. Diels 1910, p. 14 ss., Latte 1925a, p. 157, Degani 1995, p. 507. Su Eforo di Cuma e Omero, vd. Latte, 1925a, pp. 148-150 (cf. anche Cassio 1986, p. 143, che sottolinea la mancanza della menzione di Eforo in Pfeiffer 1968; cf. anche Degani 1988, p. 1170; Degani 1995, p. 507), ma vd. Jacoby 1955, p. 366. Si precisa che non si intende come fonte un'eventuale medesima prosa dialettale dello storico, ma dati da lui for-

niti. Difficilmente il prosatore avrà scritto in lingua epicorica (cf. Cassio 1993, p. 83). 109 Cf, per casi sicuri di questo tipo (Aristofane di Bisanzio e Trifone), Cassio

1993, p. 83 s.

Per le fonti di glosse dialettali, cf. anche n. 135.

110 Supra, p. 30. ΠΤ Cf. Bonanno 1995, p. 82 s., per Antimaco: non «si tratta del possesso feticistico di un'opera

in forma di libro, ma dello studio e della restituzione di un testo per esigenza ... di poesia».

Introduzione

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5.E appena il caso di dire che, con tutto cid, non si intende affatto svelle-

re Filita dalla “Storia della filologia classica”. E evidente che, per una disciplina da sempre abituata, per lo meno in linea di principio, a utilizzare tutti i piü eterogenei dati resi disponibili dalla tradizione, nella cornice di una Altertumswissenschaft, il tipo di attività di Filita costituisce comunque, oggetti-

vamente, un contributo "scientifico" e documentario. E questa moderna concezione va indubbiamente proiettata sulla figura di Filita profilatasi nell'antichità, che lo conosceva appunto non solo come ποιητής ma anche come κριτικός. Filita ὃ il tassello di un puzzle (o l'ingrediente di un crogiolo) ove si delineavano contenuti, metodi e strumenti dello studio "culturale" della grecità, in primis quello letterario. Sarebbe auspicabile che questo approfondimento sulla particolare 'indole' filologica di Filita possa costituire anche un modesto contributo al superamento di una querelle sì importante, ma che rischia di bloccarsi su presupposti rigidi". La linea che i fermenti attivi della “filologia classica” siano rappresentati nel lavoro di Aristotele e del Peri-

pato, trova riaffermazione, anche maggiore di prima, soprattutto in opposizione all'idea “forte” che marca l'indagine di Pfeiffer: ovvero, grosso modo,

che la filologia classica nasca prima di tutto dalla volontà dei poeti ellenistici di preservare, mantenendo con essi un rapporto creativo, i monumenti letterari arcaici e classici. La prima impostazione si fa forte dell'apparato erudito e antiquario allestito dal Peripato (compreso il suo fondatore), che non ha mancato certamente di coinvolgere l'aspetto letterario (che dobbiamo comunque immaginare inteso come per niente separato da altri fenomeni “culturali”). Ma il risultato, per chi cerca di andare un poco più a fondo, è quello di trovar istituiti, implicitamente, rapporti “genealogici” tra l’attività ‘filologica’ di Aristotele e del Peripato e quella successiva o contemporanea: rapporti impossibili da dimostrare (nonostante Demetrio Falereo) e in spregio

ad una più attenta discriminazione delle indoli e degli scopi delle diverse ‘filologie’ che possiamo almeno attribuire nominalmente e collocare nello spazio e nel tempo. Per entrare un po’ più nel dettaglio, a partire da quello che appare il tratto qualificante di Filita, quello del glossografo, una recensio dei resti della scuola aristotelica non offre, fra i titoli, che due, apparenti, analogie: di Clearco, nel fr. 111 W., si riporterebbe una sua esegesi di εὐηφηνέων, varia lec-

tio o congettura a Il. 23. 81, che sarebbe collocata ἐν ταῖς γλώτταις""}", di Eracli-

112 La questione sarà ripresa alla fine dell’introduzione, con i necessari riferimenti bibliografici. Ma, intanto, rimandiamo qui a Bonanno 1995, p. 80 ss., da cui dipende quanto segue in questo capoverso (e infra, pp. 41, 49). 113 Wehrli mette in serie con questo, sotto l'intestazione «Glossen», il fr. 112 = Athen. 11. 486a λοιβάσιον κύλιξ, ὥς φησι Κλέαρχος καὶ Νίκανδρος ὁ Θνατειρηνός. L'operazione è discutibile: perché allora non collocare qui, bensì sotto «Botanisches?», il fr. 100 W. δ᾽ ὁ Περιπατητικός φησι Ῥοδίους xai Σικελιώτας βράβυλα καλεῖν tà κοκκύμηλαῦ

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

de Pontico & attestato (fr. 22 W.) un titolo περὶ ὀνομάτων. Anticipiamo la di-

scussione di Clearco ed Eraclide Pontico, rispetto ad Aristotele, proprio per la specificità di questi titoli. Del περὶ ὀνομάτων non abbiamo frammenti. Esso ὁ stato identificato da alcuni col περὶ ἐτυμολογιῶν di un Eraclide, sempre Pontico, di cui diversi

frammenti sono conservati nell'Etimologico di Orione! ^. Cohn e altri hanno sostenuto che i due Eraclidi sono la medesima persona: si tratta di un'operazione attualmente rifiutata!*, e comunque bisogna osservare almeno due fatti. Se pure il περὶ ὀνομάτων attestato per Eraclide Pontico coincidesse con i] περὶ ἐτυμολογιῶν, si tratterebbe comunque di opera toto coelo altra, rispetto all'indole di Filita. D'altra parte, va notato che il titolo eraclideo ὃ rubricato tra gli ἠθικά e tra i διάλογοι (fr. 22 W.), il che solleva notevoli perplessità rispetto ad una sua natura propriamente lessicografica: si confrontino il περὶ παιδείας ἢ περὶ ὀνομάτων e il περὶ ὀνομάτων χρήσεως ἐριστικός di Antistene (fr. 41. 37-38 Giann.), col fr. 160 Giann. dello stesso, ἀρχὴ παιδεύσεως ἡ τῶν ὀνομάτων Eni-

oxeyıg!”. È probabile si tratti di una indagine rivolta 4}} ὀρθότης delle parole, piuttosto che opera lessicografica. La menzione di Clearco nello schol. ad Il. 23. 81 é stata rifiutata e corretta in quella del glossografo Κλείταρχος gia da Schweighäuser 1807, p. 80!!5. Non ci sono, in effetti, argomenti incontrovertibili a favore della correzione, ma il fatto che le menzioni di Clitarco siano spessissimo accompagnate dall'indicazione di un'opera dal titolo Γλῶσσαι (0 simile), mentre ciò non avviene mai per Clearco, ci sembra argomento ragionevolmente forte per accettarla!?. Basterebbe già, comunque, l'assoluto isolamento, nel panorama della scuola peripatetica, di una compilazione di γλῶσσαι. L'opera rimastaci della «Schule des Aristoteles» non ὃ certamente priva di materiale glossografico, lessicografico, o che comunque abbia potuto nutrire queste discipline!2, e anche uno sguardo, ad esempio, ai frammenti

114 Cf. Cohn 1884, Wehrli 1969, p. 117. 115 Cf. Wehrli 1969, p. 118, cui è da aggiungere Serrano 1977, p. 84, Degani 1988, p. 1170, Degani 1995, p. 507. L'indicazione «Daebritz 2464, 62» & errata: deve trattarsi di Daebritz 1912,

col. 475. 49 ss., mentre l'indicazione della pagina potrebbe riferirsi, pur erroneamente, a Tolkiehn 1925, col. 2435. 43. L'alternativa è un Eraclide Pontico allievo di Didimo.

116 117 118 1?

Cf. Wehrli 1969, p. 118 s., Dyck 1989, p. 6. Su cui cf. Pfeiffer 1968, p. 90, con bibl. Che sostituisce Clitarco a Clearco anche nel fr. 112 W. Per la mancanza di “prove” necessarie a favore di Clitarco, cf. Erbse 1977, p. 381; per la

menzione dell'opera di Clitarco, cf. Susemihl 1892, p. 191 e nn. 248-249. Stato recente della questione, con bibl., in Rengakos 1993, p. 141 e n. 1. 120 Cf. Dicearch. frr. 52, 60, 72, 85, 88, 95, 97, 99 (paroemiogr. frr. 59, 100-103) W.; Clearch. frr. 14, 15, 19-20, 32, 35, 43-44, 46, 76, 91, 100, 101, 106-107, 109, dub. 112, 115 (paroemiogr. frr. 11, 40, 51, 56, 63-83) W.; Phaen. frr. 15, 22, 27, 29, 37-39, 42, 44, 47, 50 W.; Praxiphan. frr. 14, 21, 23 W.; Aristox. frr. 97-99, 101-106, 109-111, 113, 117, 125, 138 W.; Hieronym. Rhod. frr. 27, 29 W.; Dem. Phal. frr. 139-

141, 143-146 W.; Heracl. Pont. frr. 152, 160 W.; Chamael. frr. 10, 22 (paroemiogr. frr. 37-38) Giord.

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delle Πολιτεῖαι di Aristotele consentono di reperirne una buona quantità!!: ma si tratta sempre di materiale funzionale ad altro, mai di un interesse glossografico 'puro'. Per il resto, l'attività di carattere storico-letterario (o assimilabile) dei Peripatetici, sia per i titoli che abbiamo, sia per i relativi frammenti, nulla ha a che fare con la natura del lavoro filiteo!2. Alcuni di questi titoli e frammenti riguardano Omero (dalla "leggenda" di Omero, a ζητήματα e ἀπορήματα, a interventi testuali), ma ὃ ovvio che oc-

cuparsi di Omero non puó considerarsi tratto distintivo da porre all'inizio di un lignaggio filologico, qualunque esso sia!2. Ribadiamo che l'analisi compiuta sopra, sull'esempio di Filita, vuole solo sottolineare che, in luogo di creare "predecessori" o schemi evoluzionistici, ὃ necessario prima di tutto valutare l'apporto fornito da diverse indoli alla costituzione di una "scienza dell'antichità", di cui non & né dimostrabile

né necessario che qualcuno sia 'figlio' o ‘padre’ di un altro (cf. n. 112). Tale conclusione assume piü solidità se la si verifica a parte postica.Tra i γραμματικοί la cui attività e collocabile con maggiore o minore probabilità

121 Cf. frr. 476, 480-481, 483, 496, 498-499, 505, 507, 510, 513, 515, 519, 523-524, 526, 529-530, 532, 536, 538, 540-542, 544-545, 563, 566-567, 571, 580, 584-586, 589-591, 593 R. (cf., nei Νόμιμα, il fr. 611. 15, 30, 34, 50, 57, 71, 75 R.). Qualche esempio di glossografia dialettale peripatetica (Aristotele e Teofrasto) in Latte 1925a, pp. 160-162 («Werke, in denen die Glossen naturgemäss nur eine untergeordnete Rolle spielten»). Che «fu l'opera dei sofisti e specialmente quella di Prodico che, come pare, stimoló gli studi futuri nel campo delle γλῶσσαι, come furono chiamati nel III secolo i primi glossari» (Pfeiffer 1968, p. 96), & asserzione indimostrabile (comunque, l'opera di Prodico sembra piuttosto riguardare l’öp8öng). 122 Si elencano qui, oltre ai titoli tramandati, i frammenti interessanti per l'attività di cui sopra. Dicearco. Titoli: περὶ μουσικῶν ἀγώνων, περὶ ᾿Αλκαίου; frammenti: 63, 73-84, 87, 89, 90-93; Clearco. Titoli: παροιμίαι, περὶ γρίφων; frammenti: 12, 18, 22, 24-25, 33-34, 39, 41-42, 57-58, 60, 64, 75, 78-79, 81, 85, 87-95; Fenia. Titoli: περὶ ποιητῶν; frammenti: 10, 11, 13, 32-33; Prassifane. Titoli:

περὶ ποιητῶν - περὶ ποιημάτων; frammenti: 8-10, 13, 15-17, 20, 22; Aristosseno. Titoli: κερὶ μουσικῆς, περὶ ὀργάνων, περὶ χορῶν - κερὶ τραγικῆς ὀρχήσεως, περὶ τραγῳδοκοιῶν, Τελέστου βίος; frammenti: 71-

72, 76-83, 86-87, 89, 91, 112, 114-116, 123, 126, 129, 135-137; leronimo Rodio. Titoli: περὶ ποιητῶν; frammenti: 28, 30-33, 35-36, 46; Lico. Frammenti: 29-30; Demetrio Falereo. Titoli: περὶ Ἰλιάδος, κερὶ Ὀδυσσείας, Ὁμηρικός (cf. fr. 75 γέγραφε καὶ περὶ ποιητῶν); frammenti: 188-193, 196; Eraclide Pontico. Titoli: περὶ τῆς Ὁμήρου καὶ Ἡσιόδου ἡλικίας; περὶ ᾿Αρχιλόχου καὶ Ὁμήρον; περὶ τῶν παρ᾽ Εὐριπίδῃ καὶ Σοφοκλεῖ; περὶ μουσικῆς; λύσεις Ὁμηρικαί; περὶ τῶν τριῶν τραγῳδοκοιῶν; περὶ ποιητικῆς

καὶ τῶν ποιητῶν; frammenti: 60, 138, 157-159, 161, 163, 167-177; Cameleonte (ed. Giordano). Titoli: περὶ ᾿Αλκμᾶνος7; περὶ Σαπφοῦς; κερὶ Στησιχόρου; περὶ Λάσον; περὶ Πινδάρου; περὶ Σιμωνίδου; περὶ ᾿Ανακρέοντος; περὶ Σατύρων; περὶ Θέσπιδος; περὶ Αἰσχύλου; περὶ κωμῳδίας; frammenti: 11-12, 14, 16-

21, 23-34, 36, 39-45, 47. Di Teofrasto, non sottoposto ἃ scrutinio complessivo, si vedano i titoli περὶ παροιμιῶν α΄, κερὶ κωμῳδίας α΄, περὶ ποιητικῆς α΄, κερὶ ποιητικῆς ἀλλο α΄, περὶ τῶν μουσικῶν α΄ e i

frr. 708-711, 718, 735, 737-738 Fortenb. Un veloce, ma preciso resoconto del carattere degli studi letterari dei Peripatetici & in Wehrli 1959, pp. 121-125, ma si veda soprattutto Podlecki 1969 (specificamente la "critica letteraria"; anche Duride, Linceo, Ermippo e Satiro). Ancora ἃ da menzionare il lavoro omerico e esiodeo di Megaclide di Atene: oltre ai frammenti trascritti in C. Müller 1851, p. 443, si vedano le aggiunte in Dreyer 1975, col. 1138. 45 ss. È ancora degna di lettura la rapida caratterizzazione della ‘lessicografia’ peripatetica in Lehrs 1882, p. 43 s.

13 Oltre al fatto che abbiamo troppo poco di Filita omerico, per instaurare un confronto frut-

tuoso.

42

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

nella prima metà del III secolo (o anche prima) le figure meno evanescenti sono Callimaco, Zenodoto, Licofrone, il gruppo che va sotto l'anonima qualifica di Γλωσσογράφοι, Apollonio Rodio e Lisania di Cirene'*. I titoli di Callimaco! sono: περὶ ἀγώνων, περὶ ἀνέμων, βαρβαρικὰ νόμιμα, ἐθνικαὶ ὀνομασίαι (περὶ μετονομασίας ἰχθύων), θαυμάτων τῶν εἰς ἅπασαν τὴν γῆν κατὰ τόπους ὄντων συναγωγή, περὶ λογάδων (7), Μουσεῖον, μηνῶν προσηγορίαι κατὰ ἔθνος καὶ πόλεις, κτίσεις νήσων καὶ πόλεων καὶ μετονομασίαι, περὶ νυμφῶν, περὶ ὄρνεων,

πίνακες τῶν ἐν πάσῃ παιδείᾳ διαλαμψάντων καὶ ὧν συνέγραψαν ἐν βιβλίοις κ καὶ p, πίναξ καὶ ἀναγραφὴ τῶν κατὰ χρόνους καὶ ἀπ᾽ ἀρχῆς γενομένων διδασκάλων, πίναξ τῶν Δημοκρίτου γλωσσῶν Koà συνταγμάτων, περὶ τῶν ἐν τῇ οἰκουμένῃ ποταμῶν, πρὸς Πραξιφάνην, ὑπομνήματα. Nel dettaglio dei diversi frammenti si possono trova-

re esempi in qualche modo assimilabili al ‘metodo’ filiteo: così è nelle ἐθνικαὶ

124 Di altri abbiamo un numero troppo esiguo di frammenti, perché si possa effettuare un confronto, ma converrà caratterizzare quanto di loro c'é rimasto, per vedere di quanti rivoli poteva essere costituita la ricerca letterario-erudita al momento della sua piena formazione. 1. Alessandro Etolo (RE I 2, col. 1447. 13): si tramanda una sua διόρθωσις dei testi tragici e satireschi (senza che si sappia esattamente cosa possa significare, cf. Pfeiffer 1968, pp. 183-185, Carlini

1977, p. 347); 2. Antidoro di Cuma (RE Suppl. III, col. 121. 24): avrebbe composto una λέξις (dalla natura non definibile: la situazione & dove l'hanno lasciata immisch

1890, p. 696, e B. A. Müller

1918, col. 122. 56 ss., ovvero tra la possibilità di una raccolta di interpretazioni omeriche e quella di un lavoro di carattere retorico), un σύγγραμμα περὶ Ὁμήρον xoi Ἡσιόδον (che potrebbe rientrare nella tradizione degli scritti sulla "leggenda" di Omero e del suo rapporto cronologico con Esiodo), e inoltre ci & rimasta una sua nota esegetica, puramente di contenuto, ad Il. 23. 639; 3.

Arato di Soli (SH, fr. 118): si tramanda una sua διόρθωσις Ὀδυσσείας; 4. Epigene (RE VI 2, col. 64. 68): un περὶ τῆς Ὀρφέως ποιήσεως, con questioni attributive riguardanti opere pitagoriche, e interpretazioni di sintagmi allegorici nella poesia di Orfeo (cf. il papiro di Derveni, IV sec.); sono trà-

diti, inoltre, suoi rapporti con lone di Chio (tra cui un'interpretazione di tipo lessicografico), probabilmente frutto dell'interesse di quest'ultimo per Pitagora (per Linforth 1941, pp. 114-119, Epigene era un socratico, contemporaneo di Platone, cf. anche M. L. West 1983, p. 9); 5.-6. Glauco di Samo (RE VII 1, col. 1421. 19) ed Ermocrate di laso (RE VIII 1, col. 887. 59): son tràditi frammenti che indicano un interesse, di tipo tecnico, per la prosodia e per l'alfabeto; 7. Erofilo (Staden 1988, pp. 427-439): si tratta di frammenti esegetici a carattere professionale, con carattere più definitorio che lessicografico (πρόρρησις, πρόγνωσις, νήπια, dive); 8. di Menecrate di Efeso (SH, frr. 542-50) sappiamo solo che la Suda (s. v. "Apatog lo definisce grammatico e maestro di

Arato; 9. Senocrito di Cos (RE XVIII 2, col. 1533. 26): menzionato come il primo glossatore di Ippocrate, di lui rimane una sola glossa, con annotazione dialettale. Di un certo interesse e il fatto che viene esplicitamente definito grammatico, e non medico: sembrerebbe testimoniare un interesse non "professionale" ma linguistico per i termini tecnici; 10. Zopiro di Magnesia: i tre

frammenti di questo personaggio, raccolto da Jacoby tra gli storici (nr. 494), e collocato attorno al 300 a. C., trattano tutti di Omero: di una varia lezione a Il. 10. 275, di un'interpretazione linguistica ad Il. 24. 139, della necessità di leggere Omero in eolico. Di Simia di Rodi abbiamo solo quattro fragmenta grammatica, ma ci sarà utile introdurli successivamente. Tralasciamo i tre maestri di Aristofane di Bisanzio, ovvero Dionisio lambo, Eufronio e Macone, la cui attività si colloca forse un po’ piü tardi rispetto ai grammatici elencati. Di alcuni degli autori trattati nel testo, trattandosi di poeti, si puó evincere un lavoro critico "immanente" dalla loro opera letteraria:

cf., in particolare, i lavori di Rengakos citati in bibliografia (con bibl. precedente), e Tosi 1997. 125 Frr. 403-66 Pf. (add. et corr. in vol. 1 508, II 122) + SH, frr. 291A-294 (cf. anche POxy. 4457,

fr. 3. 6). Prescindiamo qui dal problema se alcuni siano titoli di sottosezioni di un'opera piü vasta.

Introduzione

43

ὀνομασίαι, per l'interesse dialettale e la scelta di vocaboli, non dipendente, si direbbe, dall'esegesi letteraria. Ma già nel περὶ öpvewv, opera i cui frammenti, a prima vista, sono ravvicinabili alle glosse di Filita, si ravvisa prima di tutto un

interesse, a suo modo, naturalistico e classificatorio"*. Un interesse naturalistico che accompagna quello onomastico, topografico ed eziologico in diversi altri frammenti grammaticali callimachei, anche con riferimenti a storia mitica.

I frammenti di piü spiccato oggetto letterario riguardano questioni di catalogazione, cronologia, attribuzione e tassonomia (Πίνακες, anche quelli didascalici),

o, probabilmente, questioni generali di poetica (πρὸς Πραξιφάνην)7. Nulla di propriamente lessicografico si reperisce, se non nelle ἐθνικαὶ óvopacio "5, e comunque, al di là di maggiori o minori rassomiglianze in pochi frammenti, & il 'sistema' dell'erudizione callimachea che differisce toto coelo dall'impostazione che abbiamo enucleato in Filita!?. Le stesse conclusioni si impongono per l'allievo di Filita, Zenodoto, il cui lavoro è, al contrario, sbilanciato sull'ecdotica (Omero, Esiodo, Anacreonte, Pindaro)!®. Solo le γλῶσσαι e le ἐθνικαὶ λέξεις, parte assolutamente minorita-

ria dell'attività zenodotea, a giudicare da quanto ci è rimasto, permettono un

126 Cf. Susemihl 1891, p. 367. 127 Nel fr. 458 Pf., dal περὶ τῶν ἐν τῇ οἰκουμένῃ ποταμῶν, viene addotto, per ridicolizzarlo, un

frammento esametrico anonimo (SH, fr. 1180). Nelle ἐθνικαὶ ὀνομασίαι, nota Tosi 1994a, p. 150, «non ci sono riferimenti ad autori»: egli sembra favorevole alla loro originaria presenza, in un originale poi epitomato. È ovvio che altre opere siano o possano essere state, più tardi, fonte di repertori lessicografici, ma non sembrano nascere primariamente da questo impulso: cosi & per il περὶ ἀγώνων, per il περὶ ἀνέμων, per il περὶ öpveaw. Purtroppo nulla sappiamo del Πίναξ τῶν Δημοκρίτου γλωσσῶν

καὶ συνταγμάτων, anche se sul suo carattere glossografico il titolo è alquanto trasparente (comunque si tratterebbe di esegesi glossografica legata a un autore, a testi): da ultimo, vd. Cassio 1991, pp. 7-12. A partire da esempi attestati per la glossografia ippocratica, egli propone che Callimaco poteva aver composto «un elenco di glosse, ordinate vuoi seguendo le opere glossate vuoi alfabeticamente, ma comunque fornite dell'indicazione delle opere in cui Democrito le aveva usate» (p. 12). Ci si puó arrischiare, forse, prendendo spunto da qui, a correggere in γλουσσῶν κατὰ συντάγματα: ovvero un elenco di glosse che seguano un ordine degli scritti democritei (sia interno che esterno). La corruzione di κατὰ in καὶ è fatto ben conosciuto; quella di συντάγματα in συνταγμάτων potrebbe essere conseguente alla prima, per restituire una sintassi accettabile. Su un ordinamento glossografico che segue quello del testo glossato, cf. Alpers 1990, p. 17. 29 Se poi l'impostazione callimachea dipenda dal Peripato (tranne, ovviamente, il πρὸς Πραξιφάνην, ma per i contenuti), non ὃ questione particolarmente appassionante: ὃ difficile che attività di indagine erudita e/o letteraria non abbia un riscontro, piü o meno superficiale, nel corpus Aristotelicum. Ma da qui a delineare un rapporto genealogico ci corre molto di piü. Cf., comunque, Latte 1925a, p. 163, Pfeiffer 1968, pp. 169, 213, 226, Fraser 1972, I, p. 453 s., Carlini 1977, p. 348 s., Richardson 1994, pp. 14-16, 25 s. Per una caratterizzazione della produzione grammaticale da un'angolatura diversa da quella qui utilizzata, cf. Pfeiffer 1968, pp. 223-225.

130 Ai frammenti dell'edizione omerica e alla computatio dierum Iliadis, trattati dal vecchio Düntzer 1848, e ai restanti frammenti di attività grammaticale, discussi da Pusch 1890, pp. 188-

216, bisogna aggiungere lo schol. Od. 20. 135 in POxy. 3710 II 6 ss., gli scholl. Pind. Pae. 4. 58, 6. 55, 59, 118, 119, 183, 7a. 7, e, forse, lo schol. Od. 3. 468, edito in Kenyon 1894, p. 246 (su cui

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

confronto con Filita. Le γλῶσσαι, fatto che differenzia Zenodoto dal suo mae-

stro, riguardano tutte l'interpretatio Homerica, insomma riflettono close reading di un testo. Per il metodo, sono spesso caratterizzate da interpretazioni estratte rigidamente dal contesto in questione, senza attenzione per altre occorrenze dello stesso termine o di temini imparentati. Altrimenti, é reperi-

bile una forzata armonizzazione, sotto un identico significato, di diverse occorrenze!!, I frammenti riferibili alle ἐθνικαὶ ὀνομασίαι32, sono in due casi

relativi, con tutta probabilità, ad esercizio esegetico sul testo omerico (πέζα: cf. ἀγυρόπεζα; στυφελή: cf. στυφελίζω). L'aggettivo n£AAov!? è attestato come v.

I. in Il. 10. 275, per Παλλάς, da Zopyr. FGrHist 494 F 1 Jac. (da Porph. I 154. 23 Schr.; cf. anche schol. T ad Il. 10. 274-275), ma tale testimonianza ὃ cosi isolata che non si può dire se la glossa zenodotea parta dal luogo omerico. E cosi, che bx sia il nome cirenaico dell’ £pu6pivog non ha, allo stato attuale, possibile legame con la lettura di alcun testo!**. È abbastanza singolare, nel panorama fin qui delineato, reperire due glosse di Zenodoto apparentemente avulse dal commento ad un testo, comunque questa caratteristica, insieme al ricorso

ai dialetti, proprio ovviamente a tutte e quattro le ἐθνικαὶ λέξεις, è ciò che avvicina una minima parte dell'attività zenodotea a quella di Filita'*5. Di Licofrone rimane, oltre alla testimonianza di un suo lavoro sui testi comici analogo a quello di Alessandro Etolo per tragedia e dramma satiresco (cf. n. 124) e a due frammenti estremamente dubbi'*, quanto raccolto da Strecker 1884 e attribuito a un περὶ κωμῳδίας". A parte i primi tre frammenti

Ludwich 1894, p. 6). Inoltre, in linea di principio, sono da recuperare le ἐθνικαὶ λέξεις, escluse da Pusch 1890, p. 174 ss., con un argomentare errato (p. 180), che mutuó da Düntzer 1848, p. 29: cf. Nickau 1972, col. 41. 43 ss. (e già Susemihl 1891, p. 892). Delle undici glosse, sono da revocare in dubbio, secondo Nickau 1972, col. 40. 31 ss., le nrr. 7 e 11 Pusch.

131 Cf. Pusch 1890, p. 202, Nickau 1972, col. 40. 44 ss. Su questo aspetto, di rilievo nel confron-

to di Filita, torneremo infra. Per analogie tra le glosse di Zenodoto e quelle dei Γλωσσογράφοι, cf. Tosi 1994a, p. 152 s.

132 Quattro frammenti trascritti in Pusch 1890, p. 174 s. Per il terzo vd. la correzione di Latte

1925a, p. 168 n. 65.

19 per l'accento, cf. Erbse 1974, p. 58.

1% A meno di non rifarsi, con molta incertezza, a Hippon. fr. dub. 205 Deg., o, con ancora più esigua probabilità, ad Antim. fr. dub. 192 Matth. Cf. Düntzer 1848, p. 29: «nam haec Ephesium in γλώσσαις ad ἱερὸν ἰχθύν (TI 407) explicando posuisse minus probabiliter dixeris» (óxng ὃ ἱερὸν

ἰχθύν in Callim. fr. 394 Pf., giusta Athen. 7. 3274). Il pesce ha avuto una certa fortuna, poetica e non, in periodo ellenistico: cf. i passi in Matthews 1996, p. 410. Vale forse la pena di rammentare che il termine si trovava nella poesia del maestro di Zenodoto: cf. Philit. fr. 19 Kuch.

135 Riguardo alle fonti, varrà quanto osservato per Filita. Di «Lokalschriftsteller» parla

Nickau 1972, col. 43. 2 ss., insieme alle "Araxtoı di Filita e alla testimonianza orale di stranieri a Cos e Alessandria (42. 63 ss.). 136 SH, frr. 532-533. 137} frr. 12-13, 19, 25-26, 36, 43, 63, 74, 85, 106, 111, 115, 120, 122, 134, 152. Prenderemo in considerazione solo questi, dove esplicitamente compare il nome di Licofrone. Strecker ritiene, in

base a determinati criteri (cf. p. 5 s.) di poter recuperare a Licofrone dottrina anonima (frr. 14, 29-30, 33, 44, 50, 61, 73, 76, 90, 98, 110, 117, 123, 126, 128, 148, 151).

Introduzione

45

(12, 13 e 19):38, si tratta di lessicografia comica. Ancora una volta, rispetto a quanto si e visto per Filita, constatiamo un lavoro glossografico strumentale

all'esegesi di testi. Inoltre, e vedremo piü tardi la sua rilevanza nel confronto, i risultati di Licofrone sono stati più volte contestati, già nell'antichità!»,

in quanto frutto di lettura rigidamente contestuale, avulsa da una compiuta indagine lessicale. Rispecchiano, insomma, come avevamo già visto per Zenodoto, il metodo dei Mwocoypddor!®, Di questi ultimi abbiamo trentatré frammenti, trentadue raccolti da

Dyck 1987, cui è da aggiungere Eustath. 1018. 23. Contengono esclusivamente glossografia omerica'*!, con qualche interesse per l'etimologia!, e pochissimo, forse nessuno, per i dialetti!€: tutti elementi scarsamente filitei. La loro maniera di procedere ὃ ottimamente descritta da Dyck 1987, p. 123: «the basic flaw in the method of the Γλωσσογράφοι is their habit of tailoring their

definitions of Homeric words to one passage or a handful of passages; they seldom undertook the laborious task of gathering the various Homeric passages in which the glossandum occurs and attempting to do justice to the

totality of the evidence». Di Apollonio Rodio'^ sopravvivono questioni critico-testuali relative ad Omero ed Esiodo, di autenticità (e/o di corretta distinzione tra diversi poemi) esiodea, un'annotazione sulla σκυτάλη da uno scritto περὶ τοῦ ᾿Αρχιλόxov!®, e un unico frammento lessicografico, ove identifica πιπώ con ἀκανθυλ-135 Ove si tratta, rispettivamente, dell'approvazione della «διόρθωσις implicita», da parte di Antimaco (fr. 88 Matth.), di Il. 9. 558, di un aneddoto su Antifane e del titolo dell'opera di Archestrato.

139 Cf. Strecker 1884, p. 5 s.

140 Cf. Strecker 1884, p. 5. Non si può condividere, dunque, l'asserzione di Pfeiffer 1968, p. 202, che Licofrone abbia continuato «il lavoro glossografico di Filita in un nuovo campo» (raccolto, come sempre, da Serrano 1977, p. 70). .

14 ['ingegnosa induzione di Naoumides 1969, p. 193 s., a partire da tre papiri glossografici

tolemaici, che i lessici dei Γλωσσογράφοι non fossero solamente omerici, non può essere verificata.

142 Cf. Dyck 1987, p. 123 n. 16. Nel fr. 17, che Dyck per altro adduce dubitativamente, l'argomentazione etimologica ὃ condotta per mezzo di una "pathologia" che rimanda a uno stadio della pratica ticale più tardo, rispetto alla cronologia normalmente stabilita per i Γλωσσογράφοι. 18 Sulla questione, cf. Dyck 1987, p. 125 s. L'unico frammento in cui i Γλωσσογράφοι sembrerebbero aver utilizzato materiale dialettologico ὃ il 16, ma si tratta di un testo piuttosto confuso: D. Blank, ap. Dyck 1987, p. 147 n. 66, sembra incline ad una soluzione che non prevede il collegamento tra interpretazione dei γλωσσογράφοι e glossa dialettale. Per una recente discussione

sulla glossa, vd. Karageorghis-Masson 1988, p. 36 s.

14 Dei dodici frammenti grammaticali raccolti da Michaelis 1875, pp. 16-23, 40-55, sono da eli-

minare i nrr. XVIII (frutto di una congettura di Michaelis), XXIII e XXIV (altri ᾿Απολλώνιος), mentre va aggiunto il PBerol. 8439 (= Antim. fr. 164 Matth.), su cui cf. della Corte 1936, pp. 395-399 (con bibl. prec.), Wyss 1936, p. 71, Herter 1944-45, p. 410, Pfeiffer 1968, p. 239, Matthews 1996, pp- 370-372. Un nome Apollonio ricorre, negli scolii omerici, anche ad Il. 1. 99a, 9. 153c (cf. 153d!), 11. 4, 16. 347-348, ma non dovrebbe trattarsi del Rodio: cf. Michaelis 1875, p.22 n. 2, Latte

1925a, p. 155 n., Valk 1963, p. 586 n. 122, Valk 1964, p. 143 n. 275. Sull'Apollonio menzionato in PRyl. I 24. 17 (schol. Il. 4. 316 s.), cf. Körte 1920, p. 254 (prob. Apollonio figlio di Cheride). 55 Cui Pfeiffer 1968, p. 238 s., attribuisce ascendenza peripatetica (il “genere” περὶ τοῦ δεῖνα).

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

λίς, portando un verso di Antimaco (fr. 164 Matth.). Non si puó dire se si tratta di esegesi di poesia o di qualcosa nello spirito "naturalistico" del περὶ

öpveov di Callimaco: si noti, comunque, l'adduzione di auctoritas poetica. Anche qui non è difficile rilevare un'indole diversa da quella di Filita. Di Lisania di Cirene, maestro di Eratostene, i cui frammenti non sono raccolti, il poco che abbiamo (otto frammenti sicuri)!* sembra profilare un'attività abbastanza poliedrica. È attestato un titolo περὶ ἰαμβοποιῶν, da cui

Ateneo (7. 304b) ricava la citazione di un frammento di Ipponatte (fr. 36 Deg.), per @uvvav!7, e la notizia della lettura rapsodica dei giambi di Simoni-

de (14. 620c). Una annotazione lessicografica è in Athen. 11. 504b, ove Lisania reperisce κρατήρ = πότος in un passo dello storico Erodoro (FGrHist 31 F 59 Jac.), mentre in schol. Eur. Andr. 10 si trova uno ζήτημα καθ᾽ ἱστορίαν. An-

cora storia letteraria, sub specie mythica & in quanto riportato nell'epimetrum cit. (se del nostro Lisania): la derivazione di μέλη «canti» dalla ninfa Melia

(Μελίας Boissonade 1832, p. 458 n. 2: μέλας cod.). Gli altri quattro frammenti sono di Homerica, e mostrano, come ha rilevato Ludwich 1895, pp. 8-11, particolare interesse per la prosodia, che non é quasi mai disgiunto, comunque, da una base esegetica'*#. Solo l'illustrazione di κρατήρ, da una parte, e l'interpretazione di ὑπερικταίνοντο in Od. 20. 3, sul versante omerico, hanno una

qualche rassomiglianza col lavoro di Filita. Forse, tra questi primi grammatici alessandrini, quello che assomiglia di piü a Filita é il suo collega poeta-filologo Simmia di Rodi, che introduciamo qui, benché i fragmenta grammatica rimastici siano solo quattro!*. Converrà trascriverli: fr. 29 Fr. Τιμαχίδας (fr. 28 Blink.) δὲ καὶ Σιμμίας ot Ῥόδιοι ἀποδιδόασιν Ev ἀνθ᾽ ἑνὸς «Ἴσθμιον, στέφανον» fr. 30 Fr. κάδος. Σιμμίας ποτήριον, παρατιθέμενος ᾿Ανακρέοντος (fr. 28. 1 s. P.)

146 Cf, Gudeman 1927, col. 2508. 55 ss. Alle fonti ivi elencate, si pud forse aggiungere un brano dell'epimetrum f, edito da Drachmann dopo gli scolii pindarici (III 310. 22 ss.). Discussa è l'attribuzione a Lisania di Tzetz. Proll. ad Hes. p. 30 G. (cf. Chil. 6. 917 ss.). In ambedue i luoghi la dottrina & attribuita a Lisimaco di Cirene, e a lui mantenuta da Gudeman 1927, col. 2509. 10 ss., e Gudeman 1928, coll. 33. 6 ss. e 35. 1 ss., ma si è proposto Λυσανίας per Λυσίμαχος da parte

di C. Müller 1849, pp. 334, 342, seguito da Susemihl 1891, p. 480 n. 115, Baumstark 1894, p. 692, Jacoby 1955, p. 166 e n. 8: per l'etnico e perché si ritiene il titolo ivi trädito, περὶ ποιητῶν, alterna-

tivo a quello, περὶ ἰαμβοποιῶν, attestato per Lisania. Dubbia è anche la sua presenza nello schol.

Apoll. Rh. 4. 1187 (Pausania Att.?: secondo la proposta di Lascaris nell'editio princeps degli scolii, Florentiae 1496). 147 Se anche Lisania aveva menzionato il frammento per ragioni di lessico non e chiaro dal dettato di Ateneo. 148 Le discussioni riguardano Il. 9. 378 (ἐν καρὸς αἴσῃ); 16. 558 (ἐσήλατο); 21. 262 (φθάνει); Od.

20. 3 (ὑπερικταίνοντο: per cui vd. Ludwich 1895, pp. 1-8). Pare inadeguata la caratterizzazione di Lisania come essenzialmente un Aunxcg, attribuitagli da Gudeman 1927, col. 2510. 8 s., 33 ss.

149 Raccolti da Fránkel 1915, pp. 113-115 (frr. 29-32).

Introduzione

47

ἠρίστησα μὲν ἱτρίου λεπτοῦ μικρὸν ἀποκλάς, οἴνου δ᾽ ἐξέπιον κάδον fr. 31 Fr. Σιμμίας δὲ ἀποδίδωσι τὴν κοτύλην" ἄλεισον fr. 32 Fr. ἡ γὰρ ἀκόνη κατὰ Κρῆτας φάγρος, ὥς φησι Σιμίας.

In questo esiguo materiale si notano: 1) l'interpretazione di un vocabolo con resa Ev ἀνθ᾽ ἑνὸς, un'osservazione nel testo di Ateneo probabilmente in opposizione alla precedente e piü articolata glossa filitea, di cui infra; 2) la possibile natura di interpretatio Homerica per ἴσθμιον (ad Od. 18. 300); 3) l'utilizzo di auctoritas poetica, individuata per nome (Anacreonte); 4) l'attribuzione di un significato altrimenti inattestato, ποτήριον, a κάδος, evidentemente sull'unica base del passo anacreonteo, di cui non si é compresa l'iperbole. Con questo ritorna un esempio del metodo che abbiamo chiamato dei γλωσσογράφοι; 5) l'adduzione di una glossa dialettale; 6) in generale, tre frammenti

su quattro non appaiono collegati all'esegesi letteraria! 7) l'interesse per realia. Di questi, solo i punti 5, 6, 7 hanno affinità col procedere di Filita!!. In particolare, ancora una volta ci é toccato rilevare, questa volta nel dettaglio (fr. 30), un metodo interpretativo che estrae, ‘a orecchio', il significato di un termine appuntandosi in maniera rigida e unilaterale sul contesto in cui appare. Questa caratteristica di una primordiale glossografia, che è la sua principale deficienza, e che abbiamo visto comune a Zenodoto, Licofrone, Γλωσσογράφοι e Simia!?, è reperibile anche in Filita? La presso che costante

mancanza di un collegamento tra la glossa filitea ed il testo eventualmente interpretato impedisce una verifica. Non è impossibile che rese di quel tipo siano nelle glosse che riguardano nomi di vasi, per l'estrema incertezza e flut-

tuazione che esisteva tra denominazioni e referenti (sempre che la fonte di Filita fosse letteraria). Un caso più certo sembra la resa di πρόξ con τὰς πρῶτον τικτομένας ἐλάφους, otov πρωτοτόκους"55, sia pure con l'aiuto dell'etimologia!*.

Qui finiscono i casi 'sospetti': troppo pochi per poter imputare quel metodo a Filita. In più abbiamo un suo frammento, purtroppo non integralmente sano, ove possiamo, tuttavia, reperire tracce di una sapienza linguistica che differenzia profondamente e intrinsecamente la glossografia del nostro da quella che abbiamo appena esaminata. Il fr. 13 contiene ipsissima ver-

150 Ammettendo che la glossa ἴσθμιον possa riferirsi ad Od. 18. 300. Per quanto riguarda il fr. 30, il dettato suggerisce che non si tratti, in prima istanza di interpretazione applicata ad Anacreonte, ma che quest'ultimo sia addotto per confermare un particolare referente del nome κάδος.

15! È da tener presente che la caratteristica di cui al punto 7 potrebbe conseguire dal fatto che tutte le glosse hanno come unico testimone Ateneo. 152 Interessante, sotto questo rispetto, è schol. Il. 21. 26b κάμε χεῖρας ἐναίρων: Ἑρμόδωρος ὁ ῥαψῳδὸς «χεῖρας ἐναίρων» ἧκονε «χειροκοπῶν», κατεχρήσατο δέ (interpretazione di un rapsodo).

153 Si veda la discussione ad fr. 20. 1% Sempre che l'annotazione etimologica sia di Filita: ne sarebbe l'unico esempio.

48

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

ba di Filita: Φιλητᾶς δέ φησι᾿ ««Ἴσθμιον» στέφανος ἤγουν ὁμωνυμία ἀμφοτέρωθι οἷον τῆς κεφαλῆς καὶ τοῦ πρώτου κόσμου. λέγω δὲ τὸ ἐπὶ τοῦ φρέατος καὶ τοῦ ἐγ-

χειριδίου ᾿ἰσθμιον»᾽55. Evidentemente Filita possedeva e applicava, ‘linguisticamente', il concetto di ὁμωνυμία, sapeva quali meccanismi governano l'attribuzione di una stessa parola a due o piü referenti, e con ció certamente aveva la possibilità di sfuggire ad interpretazioni unilaterali e ritagliate, a senso, sul singolo contesto di una singola occorrenza. 6. In conclusione, con questa analisi interna e comparata speriamo di aver chiaramente delineato i tratti di Filita grammatico, e che si riesca a giudicare quanto di esatto e quanto di caduco c'é nell'immagine che di esso ci si è fatti, attraverso successive stratificazioni. Era necessario, allo scopo, compiere diverse distinzioni e, perlomeno implicitamente, dare conto degli scopi

dell'attività grammaticale, anche se ció risulta difficile proprio per Filita. Ma è ancora più difficile se non si pone mente ad un fatto, che ci sembra aver enucleato e che ci preme sia chiaro: il livello profondo, generatore, di grandissima parte della ‘filologia’ filitea, almeno di quella che ci è rimasta, è, per ripetere una formulazione utilizzata sopra, quello del rapporto di un poeta con le parole, con tutto ció che ne consegue, e che é stato esposto sopra. Naturalmente, la glossografia di Filita appartiene oggettivamente e soggettivamente alla ‘filologia’, di cui sono espressione anche gli esigui resti delle sue

letture omeriche. Con questo si rischia di entrare e di trovarsi schierati, anche nolenti, in una nota questione, prima accennata, che forse sta mostrando la corda. Le osservazioni precedenti potrebbero far pensare ad una nostra adesione alla tesi di Pfeiffer, di una filologia classica che «non comincia prima

del III secolo», quando «un'inconsueta concezione della poesia sostenuta dagli stessi poeti portó al trattamento dotto dei testi antichi», ovvero quando «come disciplina intellettuale autonoma si costitui ... mediante gli sforzi di poeti intesi a conservare e ad usare la loro eredità letteraria ‘i classici'»/5€: ov-

155 Per cui proporrei, exempli gratia, ὁμωνυμίᾳ ἀμφοτέρωθι olov τῆς κεφαλῆς xai τοῦ ἐπρώτου κόσμος, con una tendenza a favorire il τραχήλου indirettamente suggerito da Kuchenmiiller, p. 100,

T πρώτου. 156 Pfeiffer 1968, p. 43, con maggiore diffusione a p. 158 ss. Alle pp. 168 ss. e mentazioni per una discontinuità tra Peripato e i nuovi poeti e filologi. Una portata a questa impostazione (e ai suoi presupposti e conseguenze) in Rossi Non vedo mai citato, al proposito, Funaioli 1948, p. 189 s., per cui la filologia

223 sono le argocritica di ampia 1976, pp. 98-117. «mentre muove

da Aristotele e dai peripatetici, come disciplina a sé stante, non esiste che nel secolo III a. C.,

quando, illanguidendo il genio creativo, la produzione letteraria sta dinanzi agli uomini per

qualcosa di compiuto, e si sente il bisogno di riguadagnarla intera alla scienza e all'intelligenza». Una posizione diversa da quella di Pfeiffer, ma con notevoli tratti in comune. [n realtà, & proprio quello delineato da Pfeiffer che ci sembra lo scenario piü convincente, ma corroborato da ulteriori indagini, come si suggerisce più avanti e come si è cercato di operare in Dettori 2000, pp. 191-194.

Introduzione

49

vero nasce con i filologi-poeti. La reazione, che dura tuttora, ha portato in primo piano il Peripato!”, la cui attività erudita, documentaria, classificatoria, antiquaria, avrebbe costituito, invece, l'aurorale filologia classica. Si tratta di idee-guida forti, ma il risultato è di creare un quadro indistinto, entro la cornice dell'erudizione, o di istituire necessariamente, sia pure in maniera implicita, rapporti genealogici ed evolutivi, di predecessori e continuatori, in presenza di una documentazione quanto mai lacunosa, o, ancora, di selezionare arbitrariamente'*, E quando, inoltre, mancano, o sono in gran parte

invecchiate, le raccolte e le analisi puntuali dei frammenti di grammatici ed eruditi del IV e dell'inizio del III secolo, né sia stato apprezzato nel dettaglio necessario l'attività pertinente della «Schule des Aristoteles». Senza contare l'assoluta mancanza dell'inserimento, in questo quadro, dell'attività degli storici, particolarmente dei Lokalhistoriker!?. Ci sembra chiaro, anche dalla breve indagine comparata svolta, che Filita non è ‘figlio’ del Peripato, né di Antimaco, ma nemmeno, ad esempio,

‘padre’ di Callimaco o del suo stesso allievo Zenodoto, e che, inoltre, questi ultimi due non sono tra di loro ‘fratelli’ (se mai ci fosse bisogno di rilevarlo). Abbiamo, insomma, la sensazione che siano per lo meno opportune accurate ricerche di dettaglio sull'opera delle singole figure (anche di 'deuteragoni511) operanti, in tutto o in parte, nell'àmbito dell'indagine letteraria, ‘linguistica’, antiquaria, ecdotica, etc., tra IV e III secolo: non tanto per costituire stemmi genealogici (un paradigma in affanno) o stabilire primazìe, quanto per tentare di comporre, con l'identificazione del contributo fornito da ognuno, il puzzle di questa avventura culturale, la “nascita della filologia classica”, ovvero la nascita di una disciplina che, allora come adesso, ha tratto frutto dai più disparati filoni di ricerca.

157 O, meglio, riportato, cf. la bibliografia in Pfeiffer 1968, p. 130 s. Vd. Wilson 1969, p. 367, Rossi 1976, pp. 112-115 (con opportune distinzioni), Carlini 1977, p. 344, Montanari 1988a, p. 1093 s. (e bibl. a p. 1102), Montanari 1993, pp. 262-264, l'importante contributo analitico di Richardson 1994, pp. 7-28, e la relativa discussione (pp. 29-38), Tosi 1994a, p. 144 s. (specificamente per la glossografia), 179-183 (per la paremiografia). Vd. anche le recenti perplessità di Brink 1996, p. 54, che non scende, però, nei dettagli. 158 Per questo e le questioni 'genealogiche' del paragrafo seguente, cf. le riflessioni in Bonanno 1995, p. 81. 159 Qualche accenno supra, n. 108. Si è rilevato che in Pfeiffer 1968 manca

Eforo; oltre ad

Erodoto sono contemplati solo Istro (p. 245 s.), di cui però non si menzionano le ᾿Αττικαὶ λέξεις (FGrHist 334 F 23 Jac., cf. anche i frr. 16, 62, 63), e Filocoro (p. 245 n. 177), per rifiutargli la patente di filologo attribuitagli da Jacoby. Wilson 1969, p. 367, notava: «one wonders whether it is right to exclude by definition early works of historical inquiry which in ordinary educated usage would be termed product of scholarship». La situazione non diversa nelle piü recenti rassegne sull'erudizione alessandrina. Estremamente istruttivo & il POxy. 1802, frammento di un glossario di termini dialettali e stranieri, le cui fonti vengono indicate in storici e in Aristotele. Si fornirà in appendice a questa introduzione un repertorio dei frammenti di interesse storico-letterario e glossografico/lessicografico di alcuni degli storici raccolti da Jacoby, quelli immediatamente precedenti o contemporanei a Filita.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti APPENDICE

Come anticipato in n. 159, fornisco qui una lista di frammenti di storici di contenuto pertinente la cultura letteraria e la glossografia /lessicografia. Si tratta, salvo pochissime eccezioni, di storici raccolti da Jacoby e da lui datati tra il IV e la prima metà del III secolo (la datazione tra parentesi è la sua), ovvero di poco precedenti o contemporanei a Filita. Poiché la raccolta di Jacoby & tuttora incompiuta, questa rassegna non aspira a completezza, ma puó fornire un'idea dell'enorme lavoro di erudizione compiuto in questo scorcio temporale. Si segnala, al proposito, che & esclusa la grande massa di materiale eziologico riguardante toponimi, etc. Il ‘lavoro’ sui nomi propri, pur essendo senza sforzo collegabile al resto, non ha i tratti specifici che qui si vogliono evidenziare: ὃ comune e diffuso in tutte le fasi della grecità. Per la menzione di epigrafi/epigrammi, cf. n. 311. A) Storia letteraria, interpretazioni di testi e utilizzo di letteratura

Hecat. Abder. (ca. 322-16) 264 T 1 κριτικὸς γραμματικός; περὶ τῆς ποιήσεως Ὁμήρου καὶ

Ἡσίοδος; Aristoph. Boeot. (vor 370) 379 F 7 (lect. ad Hes. Th. 126?); Artem. Clazom. (IV?) 443 F 2 περὶ Ὁμήρου; Scamo Mit. (IV!) 476 F 3 Φοινικήια γράμματα; Demodam. Halic. (c. 300-280) 428 F 1 (sui Cypria); Dionys. Arg. (s. IV-III) ῥαψῳδός; Pers. Cit. (ca. 307-243) 584 F 8 περὶ Ὁμήρου (?); Philoch. Athen. (ca. 340-262) 328 T 1 Ἐπιγράμματα 'Atnkd; περὶ τῶν Σοφοκλέους μύθων βιβλία E; περὶ Εὐρικίδου; περὶ ᾿Αλκμᾶνος; F 23 (storia

letteraria e musicale); F 43 (utilizzo di Archil. fr. 291 W.2); F 76-77 (su Orfeo); F 79 (su Axiopistos); F 90 περὶ τραγῳδιῶν σύγγραμμα; F 207 (su Lino); F 208 (su Museo); F 209 (sulla patria di Omero); F 210-211 (sull'età di Omero ed Esiodo); F 212 ῥαψῳδός; F 213 (su Stesicoro); F 214 (su Boeus, Boeo); F 215-216 (su Tirteo); F 217 (utilizzo di

Euripide); F 218-221 (su Euripide); F 222 (sul tragediografo Polo); F 225 (utilizzo di Hes. fr. 240 M.-W.); Zopyr. Magn. (ca. 300) vd. n. 124; Tim. Taurom. (357/40-261/44) 566 F 141

(sulla Pyth. 2 di Pindaro); F 142 (sulla Nem.

1 di Pindaro); Archem.

Eub.

(III?) 424 F 3 (età di Omero); Polyzel. Rh. (III!?) 521 F 9 (ad Hes. Opp. 9); Androt. Ath. (ca. 343-40) 324 F 54 (su Omero);

Agath. Cyz. cf. Montanari

1988b, pp. 15-42;

Nicom. Acanth. (IV) 772 F 3 περὶ Ὀρφέως; Timomach. (IV-III?) 754 F 1 (storia lett.); F2 (patria di Omero); Andron Halic. (IV) 10 F 9 (Φοινικήια γράμματα); Metrod. Chius

(IV) 43 F 4 (ad Il. 10. 252); Anaxim. Lamps. (ca. 340-20) 72 T 13 περὶ τοῦ ποιητοῦ cvvτάξεις; F 30 (patria di Omero); Ephorus Cum. (ca. 350-30) 70 F 1 (patria di Omero); F2 (Filosseno e Stratonico); F 93 (ad Il. 13. 302?); F 98 (su Omero); F 99 (patria e γένος di Omero); F 100 (sul padre di Esiodo); F 101-102 (cronologia di Omero ed Esiodo); F 103 (sulla vita di Omero); F 104 (su Orfeo); F 105 (Φοινικήια γράμματα); F 107-108 (due questioni metrico-prosodiche: dal περὶ λέξεως); F 227 (su Od. 6. 44); Zoil. Amph. (IV?) 71 T 1 ἔγραψε μέντοι τινὰ xoà γραμματικά. κατὰ τῆς Ὁμήρου ποιήσεως λόγους ἐννέα; F 1-19 (su Omero); Duris Sam. (III!) 76 F 6 (Φοινικήια γράμματα); F 28 περὶ τραγῳδίας; Ε 29 περὶ Εὐριπίδου καὶ Σοφοκλέους; F 30 προβλήματα Ὁμηρικά (ad Il. 21. 499); F 60 (utilizzo di versi di Asio); F 88 (ad Il. 19. 3262); F 89 (ad Il. 21. 257); F 90 (lect. ad Il. 21. 262); F

91 (ad Il. 21. 481); Lynceus Sam. (III?) Suda X 776 γραμματικός; Athen. 6. 242b περὶ

Mevavöpov; Athen. 7. 285e-f (cf. 295a-b, 313f) (adduzione di versi di Archestrato);

Introduzione

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Athen. 8. 344c (aneddoto su Alessi); Athen. 13. 583e-f (aneddoto su Difilo); Athen. 14. 652c-d (su Sofocle ed Euripide); Eumel. (III!) 77 F 2 ἐν τῷ τρίτῳ περὶ τῆς ἀρχαίας κωμφῳδίας; Callisth. Ol. (vor 327) 124 F 10 (spiegazione di poesia); F 46 (su Eschilo); Menaechm. Sic. (Zeit Alex.) 131 3 (sull'attribuzione degli Ἐπικιχλίδες ad Omero); F 5-6 (storia musicale); F 9 (ῥαψῳδοί); Theop. Chius (345-25) F 205 (età di Omero);

Dieuch. Meg. (IV) 485 F 6 (interventi di Pisistrato sul testo di Omero); Hereas Meg. (ca. 300?) 486 F 1 (interventi di Pisistrato sul testo di Omero)

B) Paremiografia Dinon (ca. 360-30?) 690 F 2; Tim. Taurom. (357/40-261/44) 566 F 13, 64, 148, dub. 162; Ephor. Cum. (ca. 350-30) 70 F 63, 149 (17); Theopomp. Chius (345-25) 115 F 396; Phanodem. (340-30?) 325 F dub. 28; Demon (ca. 300) 327 F 4, 7-21 (περὶ παροιμιῶν); Philoch. Ath. (c. 340-262) 328 F 196; Crater. Mac. (o. 321-nach 270) 342 F 21;

Echephyl. (IV-III?) 409 F 1; Euhem. Mess. (IV-III ) 63 F 6, 9; Meand. Miles. (vor Kallim.) 491 F dub. 8; Leand. Miles. (vor Kallim.) 492 F 15; Aristocrit. (III?) 493 F 5; Duris Sam. (III!) 76 F 63, 66, 84, 85, 93-96.

C) Glossografia / lessicografia Hecat. Abd. (ca. 322-16) 264 F 7 (6) μέγας ἐνιαυτός; F dub. 18 κυρβασίην; Clidem. Athen. (ca. 350) 323 F 5 κήρυκες; F 6 ᾿Αγαμεμνόνια φρέατα; F 8 ναυκραρία, συμμορία; F

12 βοῦς ἕβδομος; Clyt. Miles. (IV2) 490 F 1 μελεαγρίδες; Dieuchid. Meg. (IV?) 485 F 1 ἀγυιεύς; Agias (vor Kallim.) 305 F 3 ἀστραβήλους; F 4 Λοχεύτριαι; Demon (ca. 300) 327 F 2 τριτοπάτορες; F 3 πρωκόνια, Phanodem. (340-30?) 325 F 16 ἐπὶ Παλλαδίῳ; F 19 ἀχάνας; F 20 yadeoi; F 21 ταῦρος; Scamon Mityl. (IV!) 476 F 2 σίκιννις; F 4 φοῖνιξ; F 5 σαμBoxn?; Crater. Mac. (o. 321-nach 270) 342 F 9 ἀρκτεῦσαι; Dosiadas (300-250?) 458 F 2

ἀνδρεῖα; καλοφόροι; κοιμητήριον; F 3 μνοία; ἀφαμιώτας; περίοικοι; Lycus Rheg. (360/50290/80?) 570 F 1 λαρινοὶ βόες; Nymphis Heracl. (ca. 310-245) 432 F 6 ὀροσάγγαι; Pers. Cit. (ca. 307-243) 584 F 1 ὀρθαγορίσκοι; Ε 2 ἐπάικλα; Philoch. Athen. (ca. 340-263/2) 328 F 2 ἄστυ; F 8 κανηφόροι; F 10 ἐπίβοιον; F 33 θεωρικόν; F 35 ὀργεῶνας; ὁμογάλακτας; F 64 ὁμοφύλακες; F 65 γυναικονόμοι; F 78 ἐγγαστρίμυθος; F 86 ἀμφιφόων; Ε 87 τρίτος κρατήρ; F 95 λαός; Ε 100 τύραννος; F 114 σεισάχθεια; Ε 180 στοιχάς7; Ε 182 τριπάτορες; F 183 δει-πνοφόρος; Ε 186 ᾿Αλκυονίδες ἡμέραι; Ε 187 κάδον; ἡμικάδιον; Ε 194 νηφάλια; θύμον; Ε 196 θριαί; θριᾶσθαι; F 197 ἀδύνατοι; Ε 198 ἀντιγραφεύς; Ε 200 γλαῦξ; Ε 226bis ἀφελές; Tim. Taurom. (357/40-261/44) 566 F 49 toxonaíovug = στίλπωνας7; Ε 93 Δημαρέτειον νόμισμα; Archemac. Eub. (III!) 424 F 1 μενέσται; πενέσται; Autoclid. (III?) 353 F 2 ὀξυθυμία; F 3 παλαμναῖος; F 4 προκώνια; F 5 ἀλευροῦντες7; F 6 μιεστήρ7; Myrsil. Methymn. (ca. 28040) 477 F 3 λείριον; Androt. Athen. (ca. 343-40) 324 F 5 ἀποδέκται; F 34 σεισάχθεια; F 43

συγγραφεῖς; F 77; F 78 φωκίδας; F 79 σταφυλοβολεῖον; F 80 λημνία; Hippys Rheg. (um 300?) 554 F 4 βιβλία; F 7 προσήλενοι; Dinon (ca. 360-307) 690 F 4 ποτίβαζις; F 25 κίδαρις7; F 29 μενεμανι; Heraclid. Cum. (um 350?) 689 F 1 μηλοφόροι; F 3 δανάκης; Dalion (vor Eratosth.; um 300?) 666 F 1 xpoxótta; Andron Teius (IV?) 802 F 3 σανάπη; Androsth. Thas. (nach 325-24) 711 F 1 βέρβερι; Menecrat. Xanth. (IV; nach 424) 769 F 1 xivapa; Nicomed. Acanth. (IV) 772 F 3 μάγαδις; Mnesith. Phasel. (IV-III?) 841 F 3 ἀμαδρύαδες; Megasth. (ca. 300-290?) 715 F 12 (2) τάλα; F 27 πεντασπίθαμοι; τρισπίθαμοι;

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

F 33 (59) Βραχμάν; Γαρμάν; Andron Halic. (IV) 10 F 4 avırtönodes; F 16a τριχάικες; Metrod. Chius (IV) 43 F 3 βούβρωστις; Anaximen. Lamps. (ca. 340-20) 72 F 13 ὁ κάτωθεν νόμος; Ephor. Cum. (ca. 350-30) 70 F 4 φοῖνιξ; F 29 κλαρώτας; F 54 Μαντινικὴ στολή; F 93 φλεγυᾶν; F 115 μέτρα Φειδώνια; F 134 ἀργίλλας; F 149 (16) ἀνδρεῖα; (21) παρασταθέν-τες; κλεινόν; φιλήτωρ; F 176 Aiyıvaia ἐμπολή; F 210 μόρα; F 225 Ταναγραίων φυή; F 230 Bapıc; Duris Sam. (III!) F 9 Λίβυς αὐλός; F 24 δωριάζειν; F 27 θωρήσσεσθαι; F 28 μάγαδις; F 34 τάφος; F 66 σάμαινα; F 80 κίθαρος; F 81 ἀσιάς; Amynt. (nach 323) 122 F 1 ἀερόμελι; taßaiın; F 3 xavévtáveg F 8 μυγαλῆ; Callisth. Ol. (vor 327) 124 F 52 tpiyévvntog Chares Mityl. (nach 323) 125 F 2 προσκεφάλαιον βασιλικόν; βασιλικὸν ὑποπόδιον; F 3 μαργαρίτης; F 11 σοῦσον; Clitarch. Alex. (310-300) 137 F 14 τενθρηδών; F 17 σκινδαψός; F 20-21 κατρεύς; F 22 ὡρίων; Leo Byz. (Zeit Alex?) 132 F [3] μυνδάν; Menaechm. Syc. (Zeit Alex.) 131 F 1 κατωνακοφόρος; F 4 πηκτίς; Polyclit. Lariss. (vor Kleitarch.) 128 F 3b μακρόχειρ; Theopomp. Chius (345-25) 115 F 13 ἐλεάται; F 63 ᾿Αμφικτύονες; F 109 Gyyapoı; F 122 εἵλωτας; πενέστας; F 158 ὀρείχαλκος; F 159 ἱερά; F 169 ἱερομνήμονες; F 171 ἐπεύνακτος; F 176 κατωνακοφόρος; Ε 181 ἀκόνιτον; F 228 σκιράφια; F 235 φρουρήσεις ἐν Ναυπάκτῳ; F 348 πεζέταιρος; F dub. 398 dxatov; F dub. 405 ἀμφιφορεῖς; Nearch. Cret.

(gegen 300) 133 F 9 σιττακός; Onesicrit. Astypal. (um 310) 134 F 3 occlus; F 5 ἐνταφιαστής; Anticlid. Athen. (vor Istrus) 140 F 19 Ἑρμαῖοι λόφοι; Marmor Parium (264/63) 239 F 5 ᾿Αμφικτύονες; F 9 πεντεκόντορος; Dionys. Chalc. (IV) fr. 12 M. πρόξ; Lync. Sam.

Athen. 3. 109e διάχριστον ἐσχαρίτην; 14. 652d Βρυγινδαρίδας (scil. ἰσχάδας); 14. 654a Νικοστράτειος βότρυς; Harpocr. 1 10 Kean. Ἰθύφαλλοι.

EDIZIONE E COMMENTO

fr. 1 = 29 Kuch. = 35 Bach Athen. 11. 783d ἄμφωτις. ξύλινον ποτήριον, ᾧ χρῆσθαι τοὺς ἀγροικοὺς diAn-

τᾶς φησι, [τοὺς] ἀμέλγοντας εἰς αὐτὸ καὶ οὕτως πίνοντας 1. ἄμφωξις Kaibel 1890, p. 22 (ex Hesych. a 4166 L. et Etym. M. a 1218 L.-L.) | 2. τοὺς secl. Kaibel 1890, p. 22 cf. Eustath. 1624. 30 et Kuchenmüller, p. 91 Athen. 11. 480f Ἑρμῶναξ δ᾽ ἐν Συνωνύμοις οὕτως γράφει: «ἄλεισον, ποτήριον, κύπελ-λον, ἄμφωτις, σκύφος, κύλιξ, κώθων, καρχήσιον, φιάλη» 1. Ἑρμῶναξ Dobree 1833, p. 333: Ἱππῶναξ A | ποτήριον fort. delendum Kaibel 1890, p. 58160 Hesych. a 4166 L. D ἀμφωξις᾽ ὑδρεῖον ξύλινον ἀγροικικόν, εἰς ὃ καὶ ἀμέλγουσιν ἀμφωτίς Sopingius ap. Schrevel 1668, p. 85 n. 2, Hemsterhuis 1706, II, p. 1354 n. 41, ἄμφωτις Stephanus 1572b, p. 406d, Heinsius, Vossius et Küster ap. Alberti 1746, p. 312 n. 10, Mau 1894, col. 1978. 1 cf. Etym. M. a 1218 L.-L., ubi ἄμφωτις Schleusner ap. Sturz 1818, col. 739 Hesych. a 4170 L. D ἄμφωτιξ ἢ ἀμφῶνυξ᾽ γαστρίμαργος, ἀκρατής ἄμφωτιξ ἢ ἀμφῶνυξ Dettori 1994, p. 281 s. (ἀμφῶνυξ ThGL I 2, col. 283c, ἀμφῶτιξ, fj ἀμφώνυξ Küster ap. Alberti 1746, p. 312 n. 14, ἀμφώτιξ, ἢ ἀμφώνυξ Vossius ap. Alberti 1746, p. 312 n. 15): ἄμφωτιξ ἡ ἁ ἀμφώνυξ (a rubr.) H, ἀἄμφωτις [ἢ ἀμφωνυξ] Latte, ἀμφῶτις ἡ ὑδρία, ἀμολγεύς Sopingius ap. Schrevel

1668, p. 85 π. 2, et ap. Alberti 1746, p. 312 n. 14, ἀμφώτιξ. ἀνάπωσις Bruno ap. Alberti 1746, p. 312 n. 14, ἡ ἀκρατής aut ἡ αὐλητρίς Perger ap. Alberti 1746, p. 312 n. 14, ἀμφώτιξις

ἡ ἀμφῶτις Arcerius

ap. Alberti 1746, p. 312 n. 14 | «scl. quae poculum auribus tenus attollit cf. gl. 4146» Latte Suda a 1791 ἀμφῶες καὶ ἀμφωτίδες. καὶ ἀμφωτίδων, τῶν δύο ὦτα ἐχούσων

160 Questa attestazione, che mi sembra di una qualche rilevanza, è introvabile nei repertori d'uso: manca in LS], nel DGE, come nell'index glossarum dell'Ateneo di Kaibel e in Gulletta 1992, p. 171. Sulla correzione di Dobree, cf. Degani 1983, p. 186.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

Eustath. 308. 44 αἱ ἀμφωτίδες, ποτηρίου εἶδος ἐκ τῶν ἐν ζώοις ὠτίων παρονομασθέν Eustath. 1289. 7 κυρίως δέ, φασίν, ἀμφιφορεὺς τὸ μέγα κεράμειον, ὃ ἀμφοτέρωθεν φέρε-ται τῶν ὦτων αἰρόμενον, καθάπερ ἴσως καὶ ὁ κρατὴρ οὗτος φιάλη ὧν ἰ[ἄμφωτις ἢ] ἀμφωτίς, ἢ καὶ ποιητικῶς φάναι, δέπας ἀμφῶες Eustath. 1324. 38 καὶ ἀμφώτιδες κατὰ Παυσανίαν (a 108 Erbse), ἀς οἱ παλαισταὶ παρὰ

τοῖς ὠσὶν εἶχον. ἄλλως δέ γε καὶ ἐκπώματος εἶδος αἱ ἀμφώτιδες

Il vocabolo'*!, senza attestazioni letterarie, risulta da una documentazione lessicografica non univoca'®. Nella glossa! ἄμφωτις è definito un ποτήριον, precisamente uno ligneo in cui bere latte direttamente munto!**. Una conferma di ἄμφωτις = ποτήριον viene dalla serie sinonimica di Ermonatte, e, ancora, da

Eustath. 308. 44 (ποτηρίου εἶδος), 1289. 7 (dıaAn)!S e 1324. 38 (ἐκπώματος &lóoc)!*6. D'altro Hesych. a parte delle il sospetto

canto, ἀμφωξις è un secchio per la mungitura (o una brocca?) in 4166 L. ed Etym. M. a 1218 L.-L., che notoriamente dipende, per giosse da A a E, dalla medesima fonte (Diogeniano). Immediato è che si possa trattare, in realtà, di due diversi manufatti, distinti

anche formalmente.

In effetti, se l'avere due manici (ἄμφωτις) è del tutto

plausibile per la descrizione di un ποτήριον, la denominazione attraverso il fatto che si può reggere da entrambi i lati (ἄμφωξις) sembrerebbe giustificarsi per un diverso e più grande contenitore, ovvero un üöpeiov!. Tuttavia, la lettura dell’interpretamentum esichiano, ὑδρεῖον ξύλινον ἀγροικικόν, εἰς ὃ καὶ ἀμέλγουσιν, ricorda in qualche modo la glossa filitea: non solo e non tanto per ἀγροικικόν -- τοὺς ἀγροικούς, quanto per l'indicazione εἰς ὃ καὶ ἀμέλγουσιν, che ricorda τοὺς ἀμέλγοντας εἰς αὐτὸ καὶ οὕτως πίνοντας65. Sottoli-

le! Sulle differenze formali, vd. infra. 162 Nonostante LS] s. v. ἄμφωτις («two-handled pail») e DGE s. v. ἄμφωξις («colodra», una sorta di piccolo recipiente per la mungitura delle capre): entrambi menzionano la glossa filitea, Hesych. a 4166 L., e il Magnum. Della doppia funzione & invece avvertito Saglio 1877, p. 250a.

19 E meglio non formulare «in Filita», poiché non e detto che la definizione di ποτήριον sia

sua, vd. infra.

164 Eustath. 1624. 30 dipende direttamente da Athen. 11. 783d, e suggerisce di mantenere il

τούς. E chiaro che Kaibel ha legittimamente pensato che, nel nostro caso, si tratti di un’ ἀμέλγειν 'episodico', quanto basti a riempire il ποτήριον in questione, e, quindi, andasse espunto l'articolo, che generalizza. Ma & anche possibile che si intenda che, durante l'operazione della mungitura, si bevesse latte mungendolo nell' ἄμφωτις. 165 Valk espunge ἄμφωτις ἢ, direi a torto: perché sull'accentazione dovevano esserci incertezze, per l'interferenza di ἀμφωτίς "paraorecchi".

1% Che potrebbe, però, ancora dipendere da Ateneo. Del tutto inutilizzabile, al nostro scopo, è il generico Suda a 1791. 167 Ovviamente, ἀμφωξις sarebbe un composto con oy- (cf. ὄχος), kompositionelle Dehnung, e la & di ἕξις, ἐξῆς, εὐεξία (κακεξία), εὔεξος. Cf. Kuchenmüller, p. 91, che argomenta per una differenza forma-

le che corrisponderebbe a diversità di referenti. Sull'inverosimiglianza di tale composto, vd. infra.

168 Nella glossa del Magnum il καί è stato omesso.

Edizione e commento

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neiamo ció poiché, in termini generali, ὃ difficile pensare che la glossa esichiana non sia strettamente collegata a quella filitea, se non proprio dipendente. Bisognerebbe, però, supporre una reinterpretazione (o manipolazione): a) ὑδρεῖον per ποτήριον (il primo ritenuto in ogni caso più congruo come recipiente ove mungere, sia esso secchio o brocca); b) l'accogliere il lat-

te della mungitura sarebbe solo una delle funzioni di questo contenitore (καὶ ἀμέλγουσιν). Ma mentre la seconda incongruenza appare facilmente risultato dello scorciamento (confuso) della versione conservata da Ateneo, non altrettanto facile è intepretare i differenti glossemi ποτήριον e ὑδρεῖον. La situazione ri-

corda, anche per il medesimo àmbito 'sociolinguistico', la vicenda di πέλλα, di cui, attraverso Athen. 11. 495c-e, possiamo seguire il percorso da ἀγγεῖον σκυφοειδές ... εἰς ὃ ἤμελγον τὸ γάλα a ποτήριον, prima per occasionale mancan-

za di κύλιξ, quindi con la vera e propria assunzione di quest'ultimo significato (vd. infra, fr. 5: pp. 75-76). Ció considerato, anche se non é occorrenza frequente in lessicografia, non & escluso che potrebbe trattarsi, in Ateneo e in Esichio, dello stesso manufatto glossato sotto due diversi rispetti: quello del-

la funzione ‘istituzionale’ (böpeiov), e quello della ‘occasionale’, o secondaria (ποτήριον). Da ciò potrebbe conseguire che la dottrina presente in Filita, se è suo il glossema ποτήριον, derivi da diretta osservazione, o da un luogo determinato, che favorisse l'interpretazione di ἄμφωτις come notripiov!'9. Ma

ancora piü probabile ci sembra che ποτήριον sia interpretazione di Ateneo, o

da lui estrapolata dalla descrizione filitea di ἄμφωτις (ᾧ χρῆσθαι τοὺς ἀγροι-κοὺς Φιλητᾶς φησι, [τοὺς] ἀμέλγοντας eic αὐτὸ καὶ οὕτως πίνοντας), o reperita in

una fonte come Ermonatte, ove ἄμφωτις compare in serie con pocula!”. Converrà segnalare che l'uso tropico, verosimilmente di àmbito comico, di ἀμ-φωτιξ (γαστρίμαργος, ἀκρατής), che ci è occorso di rilevare (cf. n. 172), rinvia come referente a un contenitore per lo meno di discreta capacità, senz'altro

superiore a quella di un ποτήριον. Sicuro mi sembra, invece, che non si possa conservare una forma ἄμφω&c. La derivazione con -ξ- è riservata, per ἔχω, a temi con vocalismo radicale

e, ed è peculiare di astratti (ἕξις, εὐεξία, κακεξία, εὔεξος), o, comunque, formazioni retrograde da ἕξις (che è, regolarmente, da ἐχ-σις)}7}. In Esichio e nel 169 Come è avvenuto per πέλλα e πελλίς attraverso Hippon. frr. 21, 22 Dg. Kuchenmüller, p. 91: «e quo (scil. ἄμφωξις) cum agrestes nescioqua occasione potare comperisset Philetas, Athenaeus merum intellexit ποτήριον». Porta a confronto πέλλα, per l'uso di contenitori ampi per bere, ma si tratta di un parallelo illusorio. Cf. anche lo stesso a p. 92. 170 Cf. Kuchenmüller, p. 91. La corretta definizione sarebbe in Esichio e nel Magnum. Correttamente Walters 1905, p. 185, su ἄμφωτις e πέλλα: «they were not strictly speaking drinking-cups». Possibili forme per questi due vasi sono indicate dallo stesso con rimando a Walters 1893, p. 75 s. (B 77-78). 171 Su ἑξῆς, che comunque non sarebbe in alcun modo di conforto ad ἄμφωξις, vd. Frisk, GEW 1529.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

Magnum bisognerà, quindi, restaurare ἄμφωτις, come proposto da tempo’. Tanto più è da rifiutare, quindi, la correzione ἄμφωξις di Kaibel in Ateneo. Il termine ἄμφωτις si pone in serie con gli aggettivi ἀμφώης (κισσύβιον, Theocr. 1. 28), forma più antica!?, e ἄμφωτος (ἄλεισον, Od. 22. 10), che modifi-

cano due rotripia!”. Di questi costituisce una variante del tutto usuale per nomi di contenitori!”: una procedura (a carattere affettivo?) che in origine designava diminutivi, ma che ha finito per costituire una variante morfologica senza apprezzabile valore distintivo. Il nome ἄμφωτις sembra essere an-

che parziale sostantivazione, al femminile, una individualizzazione, rispetto al ‘neutro’ dugwroc!?. Ma non sembra designare un preciso ed individuo roτήριον.

172 Cf. gli apparati a Hesych. a 4166 L. ed Etym. M. a 1218 L.-L. Cade, inoltre, la differenziazione formale che Kuchenmüller, p. 91, voleva alla base della differenza di referente. Arnott 1996, p. 83, avanza la possibilità che ἄμφωξις sia la letzione corretta (parola non greca per “milkpail"?), corrotto in ἄμφωτις per etimologia popolare (ἀμφί + ovs), col sostegno dell'esistenza di ἀμφωτίς "banda di protezione per le orecchie". Riguardo alla costituzione testuale e al significato di Hesych. a 4170 L., cf. Dettori 1994, p. 281 s.: si tratta, probabilmente, di uso tropico ed espressivo di nomi di contenitori. Per -ı&, cf. aiaxi& (di cui, per la stessa ragione, non è necessaria la correzione in -ἰς di Latte ad Hesych. a 1661 L., sulla scorta di Blinkenberg 1915, p. 45), Gp iE, θαλλιξ (cf. θαλλίς), καδδιξ (cf. κάδος), κίλλιξ, xó (cf. xoig, κύλιξ, ὀλλιξ, πέλιξ (cf. πέλλα e πελλίς), πλίξ (nomi di μέτρα sono ἀδδιξ ὁ χοῖνιξ).

173 Cf. Szemerényi 1967, p. 57 (da vedere in generale per questo tipo di composti), e già Sommer 1948, p. 110 s.

174 Di cui il κισσύβιον appare manufatto simile a quello descritto da Filita (cf. Gow 1952, II, p.

6), tanto che Mau 1894, col. 1977. 60, proponeva di identificarli. 175 Per citare solo alcune delle denominazioni più conosciute: ἀρύβαλλος, -ἰς; κάλπη, -15; κέραμος, -ἰς; κύπελλον, -ic; λεκάνη, -ig ÖART, -ἰς; πέλλα, -ἰς; npoxón, -ic. Cf. ora, rispetto a ποτήριον, il ποτηρίς attestato nella Lex sacra di Selinunte recentemente pubblicata: A 15, 16 (vd. Jameson-

Jordan-Kotansky 1993, pp. 14 e 35). Non mi è riuscito, tuttavia, di trovare un esempio di questa formazione a partire da aggettivi. Avvicinabile ad ἄμφωτις, per l'origine antropomorfa del nome, è, in questa categoria morfologica, γάστρις. Sulla suffissazione -ı6- nella denominazione di og-

getti, cf. Mi. Meier 1975, pp. 50-55, 85 ss.

176 Cf. l'uso di quest'ultimo in Athen. 11. 468c-f. Non è escluso che questi femminili originino,

all'inizio, da aggettivi relativi a denominazioni vascolari di genere femminile.

Edizione e commento

fr.

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2= 30 Kuch. = 39 Bach

Athen. 11. 783a ἄωτον. παρὰ Κυπρίοις τὸ ἔκπωμα, ὡς Πάμφιλος. Φιλητᾶς δὲ

ποτήριον οὖς οὐκ ἔχον 1. fort. ἄωτος Kuchenmüller, p. 92 cf. Eustath. 1429. 21; 1624. 30 Suda a 2860 ἄωτον’ ἄνθος, κόσμος, στέφανος. περιβόλαιον ἐξ ἀπαλῶν ἐρίων. καὶ ἀώτῳ,

ἡ δοτική. ἄωτον δὲ ἀγγεῖον, τὸ μὴ ἔχον ὦτα Callim. fr. 399 Pf. (= A. P. 13. 9) ἔρχεται πολὺς μὲν Αἰγαῖον διατμήξας ar’ οἰνηρῆς Χίου ἀμφορεύς, πολὺς δὲ Λεσβίης ἄωτος νέκταρ οἰνάνθης ἄγων 2. ἄωτος Pfeiffer 1921, p. 10: ἄωτον Pal. ! init. v. 3 fort. στάμνος Maas ap. Pfeiffer 1949, p. 326 Ast. 1. 135 εἶτα ἕτερον ὀστράκινον ἀγγεῖον ἄωτον λαβὼν μακροτράχηλον στόμιον ἔχον ἁρμόδιον τῷ στομίῳ τοῦ περιέχοντος τὰ εἰρημένα εἴδη

Il termine, nel suo uso aggettivale, ha antiche ascendenze, reperendosi nella tavoletta micenea Kn K 875 sei volte a-no-wo-to, di cui cinque seguito da di-pa (= δέπας). In greco alfabetico sono state restituite le forme *&vóf otov, *avöf F otov o *&vdf otov!7". Il sinonimo, di facies più antica", a-no-we!?, è at-

testato in PY Ta 641. 3, sempre in congiunzione con di-pa. Il nostro ἄωτον, peró, non continua l'antico a-no-to, ma si tratta di ricomposizione successiva,

come dimostra la mancanza di -v- ad evitare lo iato!9.

Nella lessicografia riportata, solo Ateneo sembra garantire un uso sostantivato di ἄωτον per un contenitore!?!, Nella Suda ἄωτον δὲ ἀγγεῖον è sinta-

gma unitario, glossato con τὸ μὴ ἔχον ὦτα, che attesta l'uso aggettivale della forma!£, Due glosse esichiane (a 8997 L. ἄωτοι: ὦτα μὴ ἔχοντες, 9000 L. ἄωτος:

177 Cf. Aura Jorro-Adrados 1985, p. 71. 178 Cf. Szemerényi 1967, p. 59. 179 «ἀνόξ ες o "ἀνάξες, cf. Aura Jorro-Adrados 1985, p. 71.

180 Cf. Szemerényi 1967, p. 57 n. 36. Al contrario di avovatog in Theocr. Ep. 4. 3: si tratta di uno ξόανον scolpito senza orecchie. Per Szemerényi 1967, p. 60, si tratta di «either an artificial creation on the basis of the epic οὐατ- or, more likely, a ready-made borrowing from lost epic poetry». Abbiamo già visto (supra, p. 56) che Teocrito riporta un composto ἀμφώης, di forma più arcaica dell'omerico ἄμφωτος.

181 Difficilmente si può pensare che Ateneo abbia lemmatizzato, sia pure per errore, un ag-

gettivo. Sul genere, vd. infra. 182 Cf. At. 1. 135 ὀστράκινον ἀγγεῖον ἄωτον. La Suda non costituisce, quindi, un parallelo alla glossa filitea, come vorrebbe Kuchenmüller, p. 92.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

... μὴ ἔχων ὦτα) e Zon. 368 ἄωτον: μὴ ἔχων ὠτία, sono generici, per cui rimane

alquanto dubbia la loro eventuale relazione con contenitori: potrebbero riflettere significati come quello di Plut. soll. anim. 5. 963b ἀλλ᾽ οὐ διὰ τοῦτο τυφλὸς οὐδ᾽ ἀδύνατος οὐδ᾽ ἄωτος ὁ ἄνθρωπός ἐστι 85, La particolarità testimoniata

da Ateneo ha, per quanto sono riuscito ἃ reperire, due paralleli, entrambi piuttosto tardi: Hierocl. Facet. 35 (IV d. C.) σχολαστικὸς κλεψιμαῖα ἀμφῶτα

πριάμενος, e BGU 544. 17 (II d. C.) φαρμακηρὰ τριωτὰ χαλκᾶ, ambedue riferiti

ad anfore!^. La glossa, per quanto riguarda la testimonianza di Panfilo, & dialettale, ma non reca alcuna particolarità fonetica o morfologica, e nemmeno si puó azzardare che la peculiarità cipriota consti della suddetta catacresi. Il discrimine potrebbe riposare su ἄωτον = ποτήριον, forse non altrove reperibile'®. D'altra parte, non è agevole distinguere ove starebbe la differenza tra !’ ἔκπωμα di Panfilo ed il ποτήριον di Filita. La ragione della giustapposizione

riposa forse sulla differente natura delle definizioni, una di carattere dialettologico, l'altra descrittiva. Trovandoci in una sezione in cui il Marciano di Ateneo,

lacunoso, è integrato con i codici dell'epitome, non è escluso che

manchi qualcosa, che specificasse l'interpretazione di Filita!*e. Un nome di vaso che faccia riferimento alle anse e di per se stesso soggetto all'applicazione ad una molteplicità di forme. Tuttavia, ció non rende meno problematica l'attestazione di ἄωτος = "contenitore", che Pfeiffer 1921,

p. 10, ha voluto restaurare in Callim. fr. 399. 2. Egli ha certamente ragione che «ἄωτον = ἄνθος iuxta νέκταρ oiv. vix tolerandum», anche sintatticamente!87, così come correttamente escogita un parallelo ad ἀμφορεύς, parallelo di cui si sente l'esigenza per la compatta concinnità del dettato. Meno accettabile e il rimando al nostro Ateneo (ἄωτον [-oc] = ἔκπωμα, ποτήριον), se non per

la generica possibilità dell'uso sostantivale di &etoc. Mentre non si può con-

18% Herwerden 1910, p. 395, propone, dubitativamente, di correggere in ἄωτον il secondo δίωtov di Athen. 11. 483a Σιμάριστος δὲ τὸ δίωτον ποτήριον Κυπρίους, τὸ δὲ δίωτον xai τετράωτον Κρῆτας

(scil. κύπελλον καλεῖν), ma non & necessario. 184 Questi due ultimi esempi dovrebbero convincere della possibilità dell'uso sostantivale di

ἄωτον, messo in dubbio, per quanto riguarda il passo di Ateneo, da Krause 1854, p. 354 («eigentlich ist ἄωτος, ἄωτον nur Prädicat eines Gefässes ohne Henkel, und es bleibt daher zweifelhaft, ob daraus ein selbstándiger Gefássname hervorgegangen ist»). 185 Dubbi sull'attestazione dialettologica di Panfilo in Kuchenmiiller, p. 92. 186 Che tra l'altro, se limitata al dettato di Ateneo, sarebbe di singolare banalità. Schróter 1959, p. 826, noterebbe un quasi impercettibile procedimento etimologico di «Steresis» nella definizione di Filita (ποτήριον οὖς οὐκ ἔχον).

187 Anche se va segnalato che tale giustapposizione non sembra disturbare un lettore fine

come Perrotta 1926, p. 206 (ἀωτος = "fiore"). Questi, peraltro, non discute il testo del frammento, che cita con la correzione di Pfeiffer, accettata inconsapevolmente, a quanto pare. Cf. anche Gow-Page 1965, p. 217, per i quali non ὃ necessaria la dipendenza di οἰνάνθης da νέκταρ. e che notano l'incompatibilità della definizione di &eto; in Ateneo («drinking vessel») con quella che sarebbe richiesta in Callimaco («container»). Cf. anche D'Alessio 1996, p. 275 n. 89.

Edizione e commento

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dividere l’affermazione, pur temperata in 1949, p. 326 («fort.»), «e Philita sumpsit vocabulum Callimachus»: per la differenza di referente si tratterebbe di un'imprecisione singolare in Callimaco'®. Dato per sicuro che 1 ἄωτον di Panfilo e Filita è sostantivo, se altrettanto vale per 1 ἄωτος callimacheo dovremmo supporre che il genere di tale sostantivo sia direttamente dipendente dal referente!®. Ma è da ritenere che, in

assenza di ulteriori suffissi derivazionali (come per ἄμφωτις da ἄμφωτος), la

sostantivizzazione del tematico ἄωτ-ο- possa aversi solo al neutro (τὸ ἄωτον), come abbiamo visto avvenire per τὸ ἄμφωτον e τὸ τρίωτον. Allo stato dei fatti,

sembra preferibile considerare il restaurato ἄωτος l'aggettivo di un nome di

contenitore, che forse si trovava all'inizio del verso seguente, in "inarcamento", come e in parallelismo con dj4opeóc!99.

L'identificazione dell’&wrov rimane impossibile. Del resto, già in linea di principio é da attendersi che la sostantivizzazione di un tale aggettivo ("senZa anse") non sia riservata alla denominazione di un solo tipo di manufatto nell'àmbito dei contenitori.

188 Su basi non immediatamente comprensibili Kuchenmüller, p. 92, afferma che la glossa ha il medesimo significato sia per Filita che per Callimaco, che la derivazione ipotizzata da Pfeiffer è corretta e che inoltre forse bisogna correggere in Ateneo quello che lui ritiene un neutro ἄωτον in ἄωτος. Tra le varie obiezioni cui ὃ esposto il ragionamento, c'é anche quella di trascurare la possibile lemmatizzazione all'accusativo.

189 E quanto propone, in sostanza, Gulletta 1992, p. 343.

199 In questo senso va la dubitativa proposta di Maas. Che possa trattarsi di στάμνος, può

essere come no, nella grande incertezza nei rapporti tra nomi di vasi e i loro referenti. Sullo στάμνος, cf., e. g., Scheibler 1983, p. 17. il vaso ha forma forse troppo arrotondata per essere con-

tenitore da trasporto. Non serve a Pfeiffer chiamare a conforto della sua ipotesi Moerid. α 91 Hansen ἀμφορέα. τὸν δίωτον στάμνον 'Arn xoi («ἀώτῳ opponitur ἀμφορεὺς»).

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

fr. 3 2 31 Kuch. = 41 Bach = p. 76 Kay. Athen. 11. 467c γνάλα. Φιλητᾶς ἐν ᾿Ατάκτοις Μεγαρέας οὕτω φησὶ καλεῖν tà ποτήρια, γυάλας. Παρθένιος δ᾽ ὁ τοῦ Διονυσίου ἐν à περὶ τῶν παρὰ τοῖς ἱστορικοῖς Λέξεων ζητουμένων φησί: «γυάλας ποτηρίου εἶδος, ὡς Μαρσύας γράφει ... οὕτως»-

(54. Marsyas, FGrHist 135-136 F 21 Jac.) 1. γύαλα A (περὶ γυλης lemma) γυάλα ποτήριον Μεγαρικόν C, γνάλα ποτήρια Meyapıxa E: γυάλαι Ca-

saubonus 1600, p. 497, γνάλας (nom. sing.) Schweighäuser 1804, p. 70 | φιλίτας A | τὰ cod.: τινα Villebrune 1789, IV, p. 226

Hesych. y 990 L. D γυλλας: εἶδος ποτηρίου, παρὰ Μακεδόσιν γνάλας Küster ap. Alberti 1746, p. 863 n. 6 | Μακεδόνων H: Etym. M. 243. 13

Etym. M. 243. 13 γυάλας: εἶδος ποτηρίου παρὰ Μακεδόσιν Hesych. y 967 L. D rima: ἀπόγεια σχοινία, τὰ πρυμνήσια, περίγνα | ποτήρια. πτυχαί ποτήρια. πτυχαί ad γύαλα vel γυάλαι retraxit Küster ap. Alberti 1746, p. 863 n. 2 Etym. M. 243. 10 γύαλα’ τὰ ἀκρα καὶ tà τέρματα, ζώνας, τέμπη, πτερύγια, ποτήρια, πτύχας, στολισμούς, περιβόλους hoc caret V

Dion. Sinop. fr. 5 K.-A. ὅσα δ᾽ ἐστὶν εἴδη Θερικλείων τῶν καλῶν, γυάλαι δικότυλοι, τρικότυλοι, δῖνος μέγας χωρῶν μετρητήν, κύμβιον, σκύφοι, pura.

(Β.) ποτήρι᾽ ἡ γραῦς, ἄλλο δ᾽ οὐδὲ ἕν βλέπει. 2. γυάλαι Letronne 1833, p. 44 n. 1: viva: A (def. Welcker 1839, p. 412 n. 3), κοτύλαι Meineke

1840, p. 554 Marsyas, FGrHist

135-136 F 21 Jac. ὅταν εἰσίῃ ὁ βασιλεὺς eig τὴν πόλιν, ὑπαντᾶν

οἴνου πλήρη γνάλαν ἔχοντά τινα, τὸν δὲ λαβόντα σπένδειν "1.

191 «γυάλας, ὁ, a Megarian cup, Philet. ap. Ath. 467c, Parth. ibid.»: questa è l'entità della voce γυάλας in LS] s. v., integrata nel Suppl. 79 con «after ‘è,’ insert ‘or γυάλα, ἡ, and for ‘a Megarian

cup’ read ‘a kind of cup, attributed in quots. to Megarian and Macedonian sources’; add ‘; cf. yuAAdg'». La prima informazione è desunta, come si vede, da Athen. 11. 467c, cit. Una prima lacuna nella voce del lessico & rappresentata dalla mancata menzione del frammento di Marsia. Inoltre, che il vocabolo fosse considerato anche macedone (oltre che megarese) lo si intende direttamente

Edizione e commento

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Kuchenmüller, p. 93, ha rifiutato, sulla base dei dati testuali, l'identità della glossa di Filita con quella di Partenio, Esichio ed il Magnum. In effetti, la tradi-

zione di Ateneo parla per un lemma γυάλα, di cui γυάλας nella spiegazione sarebbe l'accusativo plurale. Inoltre, sembra osservare Kuchenmüller, vengono considerati due àmbiti dialettali diversi, per cui non e necessaria l'armonizzazione formale delle denominazioni. Aggiungiamo che, a stare al dettato di Ateneo, Filita afferma che γυάλαι sarebbe denominazione generica dei ποτήρια presso i Megaresi!?, mentre per Partenio, che cita uno storico macedone, per Esichio e per il Magnum, presso i Macedoni il γυάλαᾶς è solo un tipo di ποτήριον. Se dunque i lemmi dei due lessici, i soli ad assicurare una forma in -ς, sono congrui con il singolare dell'interpretamentum e non sono, invece, lemmatizzati all'accusativo plurale, è opportuno postulare l'esistenza di due forme distinte!”. L'intervento nel lemma di Schweighäuser 1804, p. 70, cui apri la strada Casaubonus 1600, p. 497'%, fu indotto da Etym. M. 243. 13, su cui è certamente da correggere in γυάλας il γυλλάς di Hesych. y 990 L.'5, che costituiva

da Etym. M. 243. 13, inspiegabilmente omesso. Infatti la menzione, peraltro piuttosto marginale, di Hesych. y 990 L. avrebbe senso solo dopo quella del Magnum, che serve a correggerlo. Oltre che con i suddetti riferimenti, crediamo che la voce vada integrata con l'occorrenza, per quanto congetturale, di Dion. Sinop. cit., di cui infra. Di un'ulteriore attestazione si avverte in DGE 856 (cf. LSJ s. v. vaAéc), in maniera un po’ ingannevole. Infatti, in PLond. 402v. il ss. (152 o 141 a. C.) si

legge o^ σακκος ev un οθονια | καινα καὶ radon xotnpiov | vac ox, ove Kenyon 1898, p. 11, notava:

«ναλας. The termination is irregular». Wilcken 1901, p. 135, invece, pensava alla caduta di un

gamma iniziale, indebolitosi in una sorta di j, e integrava «γρυάλας: una soluzione un po’ precipitosa, dal momento che Hesych. v 12 Schm., Phot. II 235. 15 N. e Suda v 6 attestano una forma ὑάλη. Varrà la pena qui di avvertire di una menzione di γυάλας certamente falsa. Jahn 1854, p. 38 n. 38,

correggeva dubitativamente in TYAA una serie di lettere sotto il piede di un'anfora pubblicata da De Witte 1839, p. 26, nr. 35, e scioglieva in γυάλαι. De Witte segnalava che si leggeva TYAAII (gli ultimi due segni sarebbero numerali). La proposta di Jahn fu ripresa in CIG IV 8347b, mentre piü reticente è l'estensore della scheda in Corpus vasorum antiquorum, France. Paris, Louvre, ΠῚ He, p.

26, planche 47. 3-5 («TYAAII et plus loin: 1»), rimandando a Hackl 1909, p. 47 ss., ovvero al capitolo sui nomi di vasi iscritti sui vasi, e, piü in particolare, all'iscrizione su una idria, ivi riprodotta in

tav. III nr. 577, ove si legge, però, ITAPI, ovvero 5 vöpı (ὑδρία): cf. Eichler 1974, p. 38 s. Ma Johnston 1979, p. 148, legge si AA la terza e quarta lettera della nostra anfora, ma, più correttamente, ΠΥ la

prima e la seconda (p. 149). Per un tentativo di scioglimento delle abbreviazioni, cf. p. 249. Cf. anche, dello stesso, 1972, p. 418 s. Si & ripercorsa questa vicenda perché si tratta di letteratura non corrente in àmbito filologico, e puó esservi il rischio di assumere per buona, in quanto repertoria-

ta nel CIG, un'occorrenza inesistente. 192 Fatto possibile, osserva Kuchenmüller, p. 93, «quoniam veriloquium vocabuli (scil. di γύα--

λον) nihil aliud est quam res cava». Tale genericità rende plausibile l'esistenza di due forme distinte: cf., del resto, il tropo euripideo cit. a n. 195. 193 Del resto, si vedano γυάλα in E, e il περὶ γυλης di A. Solo per completezza si menziona il sospetto di Pottier 1896, p. 1675a n. 3, che Μακεδόσι possa costituire errore per Μεγαρεῦσι: qua-

lunque sia l''identità' macedone del termine, comunque tale notazione è giustificata dal frammento di Marsia.

14 «Neque abnuero ... γύαλα κυλίκων posse dici, at γύαλον pro poculo non leges: sed γυάλης». Poco prima aveva proposto la sua lettura: γυάλαι. 195 Come operato da Küster ap. Alberti 1746, p. 863 n. 6, dallo stesso Alberti 1746, p. 863 n. 6, e da M. Schmidt ad loc. Ricordiamo, ad abundantiam, che per molte glosse da A ad E il Magnum ha la stessa fonte di Esichio, ovvero Diogeniano. Per Hesych. y 967 L. yoma: ... ποτήρια (simile ad

62

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

per lui ulteriore conferma. Della sostantivizzazione in -Qs, piuttosto che in -Q dubitó prima, che io sappia, il solo O. Hoffmann

1906, p. 71, basandosi sui

dati dei codici di Ateneo (γύαλα A, γυάλα E'*), implicitamente ritenendo in-

congruo il rapporto tra lemma e glossema in Hesych. y 990 L. ed Etym. M. 243. 13:57, Gli rispose Solmsen 1909, p. 104, che attribuisce il termine al greco occidentale, in quanto isoglossa lessicale esclusiva di megarese e macedone, osservando, poi, che la sostantivizzazione in -ac è particolarmente diffusa proprio in greco occidentale e macedone'*: per cui la correttezza del tràdito nominativo γυάλαᾶς non dovrebbe essere messa in questione!”. Il vocabolo non ? necessariamente costruito, secondariamente, su γύαλον: si confronti I’ -αλ- di φιάλη. Spicca la concava rotondità del manufat-

to??, la cui denominazione trova forse illustrazione nell'espressione euripidea di ΙΑ cit. in n. 195. Per quanto riguarda la forma γυάλᾶς, nonostante

Chantraine 1933, p. 30 s., individui dei termini tecnici in -ng (peraltro isolati e senza etimologia sicura), e a p. 246 affermi che γύαλον e γνάλαι «appartengono al gruppo tecnico che ha dato yino», una sostantivizzazione in -ng appare comunque singolare per un vaso?!.

Riguardo all'identificazione del referente, si tratta, perlomeno in àmbito macedone, di un recipiente per libagioni, e, in generale, doveva essere caratterizzato da un incavo ragguardevole, differendo, cosi, da altri manufatti

Etym. M. 243. 10 γύαλα“ ... ποτήρια), cf. Küster ap. Alberti 1746, p. 863 n. 2, e Maittaire 1738, p. 279 (Kuchenmüller, p. 93, ritiene che tali glosse riflettano una ulteriore denominazione γύαλον per ποτήριον). L. Dindorf, ThGL II, col. 799c, vuole riferire γύαλα" ... ποτήρια del Magnum a Eur. IA 1052 (χρυσέοισιν ἀφυσσε λοι- "βὰν €x κρατέρων YudA01;): non senza fondamento.

1% Avrebbe potuto aggiungere il marginale περὶ γύλης di E.

197 Conclude che il femminile γυάλα sarebbe da riferire a ἡ κύλιξ. Hammond-Griffith 1979, 52, scrivono γυάλα. Incerti tra le due forme sono Pottier 1896, p. 1674b, Zahn 1912, col. 1953. 59, e

Kalléris 1954, p. 142.

198 In questo è preceduto già da Sturz 1808, p. 28 n. 5, che, ovviamente, confrontava dorico e

macedone. Solmsen 1907, col. 275, aveva promesso una ampia dimostrazione in altra sede delle affinità in fatto di lessico tra greco occidentale e macedone: non mi risulta che l'abbia compiuta. Da ultimo sull'affinità di macedone e greco nordoccidentale Dubois 1995, p. 196. Anche in que-

sto caso non si tratta del risultato di una ricerca analitica. Cf. anche Kalléris 1976, p. 495. Contra Ilievski 1991, p. 129 ss., per una affiliazione balcanica del macedone (p. 136 s.), ma in un contributo fortemente venato da vis polemica (per quanto comprensibile).

19 ['intervento di Villebrune 1789, IV, p. 226, non pare necessario.

200 Sull'etimologia, cf. Solmsen 1909, p. 216 ha ragion d'essere la vecchia derivazione dal continuità del vocabolo in greco moderno, cf. . 142 n. 4. P 201 Non mi è riuscito di trovare, tra i pochi

s., Frisk, GEW I 330, Chantraine, DELG 240. Non semitico di Reinesius 1640, p. 684. Su una pretesa Dragoumis 1917, p. 266 s., e, contro, Kalléris 1954, nomi di contenitori con suffisso -a5/-ng (escluso

-tng), nulla che possa suggerire procedure produttive di formazione

e nemmeno alcunché che

possa essere affine a γυάλας. Cf. αὐθέψης, καμψάκης, κανίας, navdeyng, σταμνίας. Vd. anche μάνης,

eteroclito. Su ψυκτερίας, cf. Kassel-Austin 1986, p. 286 (ad Euphr. fr. 3). E del tutto probabile,

comunque, che si tratti di un procedimento di sostantivazione espressiva: cf. Leukart 1994, p. 259 (su ying).

Edizione e commento

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per libagioni, come la φιάλη e la patera??. L'ipotesi di Benndorf 1877, p. 117

5. (ad tab. 59), di identificare la γυάλα con la "coppa megarese", anche in base alla sua forma semisferica, ὃ caduca, poiché la denominazione di “megaresi" per queste coppe & notoriamente di comodo, trattandosi di produzione epicorica diffusa in vari luoghi?®. Le attestazioni letterarie, abbiamo visto, sono due. Quella di Dionisio di

Sinope può apparire dubbia, trattandosi di restauro da parte di Letronne 1833, p. 44 n. 1: ma la sua osservazione, che δικότυλοι e τρικότυλοι, per riferirsi a quanto precede, dovrebbero essere al nom. neutro o al gen. plur., mi sembra dirimente. La necessità di un sostantivo maschile o femminile, denotante un vaso, mi pare combinarsi ottimamente con la soluzione, paleograficamente economica, escogitata da Letronne. Che un termine tecnico megarese sia possibile in attico, considerati i frequenti (spesso conflittuali) rapporti, non ha bisogno di particolari illustrazioni?*. L'attestazione comica sarebbe una conferma del carattere di ποτήριον della γυάλα e delle dimensioni del

suo incavo. Per quanto riguarda γυάλας, l'attestazione dello storico Marsia, sia esso il Vecchio o il Giovane?%, è all'origine della tradizione lessicografica che, attraverso l'opera di Partenio, figlio di Dionisio, & rappresentata in Esichio e nel Magnum. Da ció si puó misurare l'esiguo valore dialettologico della annotazione παρὰ Μακεδόσι. Ilievski 1994, p. 86, lo ritiene termine «di cultura» penetrato quale prestito nella lingua macedone. Filita sembra trattare un altro termine e quindi un altro filone, che non sappiamo quanto eventualmente collegato all'occorrenza in Dionisio di Sinope. La possibilità da un punto di vista cronologico esiste, essendo il comico attivo nel [V secolo, ma non è possibile trarre alcuna conclusione. Cosi co-

me nulla si puó dire sul reale valore dialettologico della glossa, a parte il vocalismo del tema, che riconduce senz'altro ad àmbito non ionico-attico.

202 Con la prima tende a identificarlo, superficialmente, Krause 1854, p. 307 s., che vuole un nominativo γυάλη e si domanda se non sia una variante dialettale proprio 203 La stessa cronologia, poiché la produzione non pare iniziare prima porrebbe dei problemi nei riguardi della glossa filitea. Contro Benndorf, Robert 1890, p. 3. Molto dubbioso anche Furtwängler 1883-87, ad tab. 73, allinei a Benndorf. 2% A fronte di ciò, non vale la difesa di γύναι da parte di Welcker 1839,

per φιάλη. della fine del IV sec., con altri argomenti, & nonostante Robert lo p. 412 n. 13, che vuol

far valere la rarità di γυάλας e la «leichte Rede des Komikers» contro la presenza del vocabolo. Quanto tali argomentazioni siano deboli, a fronte della consueta menzione di terminologia tecnica vascolare in commedia, non occorre enfatizzare. Meineke 1840, p. 554, & convinto, invece, che γύναι sia corrotto, ma propone κοτύλαι, in quanto γυάλαι «ab Atticorum sermone longe remotissimum est». In sostanza ripetendo Welcker. Contro Meineke, Ussing 1844, p. 155, invoca

l'uso di κώθων da parte di Aristofane (cf. Eq. 600, Pax 1094), un vaso che da Athen. 11. 483b è

dato per Λακωνικὸν ποτήριον (non si tratta di argomentazione fortissima, ma comunque aiuta a

farsi opportuni dubbi sulla rigidità della collocazione dialettale dei termini per contenitori). 205 Hammond-Griffith 1979, p. 52 n. 3, argomentano per il primo (Marsia di Pella).

64

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

fr. 4 = 32 Kuch. = 42 Bach = p. 76 Kay. Athen. 11. 467d-f δῖνος. [ὅτι καὶ τοῦτο ποτηρίου ὄνομα] Διονύσιος ὁ Livi πεὺς £v Σωζούσῃ καταλέγων ὀνόματα ποτηρίων μνημονεύει καὶ τούτου λέγων

οὕτως (sq. fr. 5 K.-A.). Κλεάνθης δ' ὁ φιλόσοφος ἐν τῷ περὶ Μεταλήψεως (fr. 591 v. Α.) ἀπὸ τῶν κατασκευασάντων φησὶν ὀνομασθῆναι τήν τε Θηρίκλειον κύλικα καὶ τὴν Δεινιάδα. Σέλευκος (fr. 48 M.) δ᾽ εἰπὼν ἐκπώματος εἶναι γένος τὸν δῖνον rapaτίθεται Στραττίδος ἐκ Μηδείας᾽ (sq. fr. 35 K.-A.). ᾿Αρχέδικος δ᾽ ἐν Διαμαρτάνοντι παράγων οἰκέτην τινὰ περὶ ἑταιρίδων διαλεγόμενόν φησι (sq. fr. 1 K.-A.). ἐστὶ καὶ

γένος ὀρχήσεως, ὡς ᾿Απολλοφάνης ἐν Δαλίδι παρίστησιν. (sq. fr. 1 K.-A.). Τελέσιλλα δὲ ἡ ᾿Αργεία (fr. 723 P.) καὶ τὴν ἅλω καλεῖ Sivov?%, Κυρηναῖοι δὲ τὸν ποδονιπτῆρα δῖνον ὀνομάζουσιν, ὡς Φιλητάς φησιν ἐν ᾿Ατάκτοις 1. hic et ubique δῖνος Casaubonus 1600, p. 497: δεῖνος codd. praet. 1l. 5, 9 ! incl. del. G. Dindorf 1827, p. 1045 | 3-5. «cf. Hes. s. Δεινιάδες, erravit Athenaeus sive ipse Cleanthes, cf. p. 471b» Kaibel 1890, p. 27 | 5. &ivov A, öivov sscr. et E | 9. δῖνον C (sscr. ei): &ivov AE (sscr. i E) | Κυρηναῖοι E: Κυριναῖοι A | 10. Φιλίτας A | ᾿Ατάκτοις Valckenaer 1747, p. XIX: árnxoig A? (si ἀττικοῖς possis Φιλήμων pro Φιλητὰς Kayser, p. 34 n. 50)

cf. Eustath. 1207. 8 schol. Aristoph. Nub. 381 οὐχ ὅτι τὴν δίνησιν ὑποβάλλει, ἐκ τούτου Δῖνος εἶπεν, ἀλλὰ κεραμεοῦν ἐστι βαθὺ ποτήριον, ὃ καλεῖται δῖνος [, ὅπερ ἄνω εὐρύτερον ὄν, κάτω εἰς ὀξὺ λήγει

Th.2-Tr.!2] cf. Suda 8 1132

schol. Aristoph. Vesp. 618c δῖνος ἀγγεῖον R | δίνου] ἀγγείου Lh 5.1. δῖνος: ex δεῖνος eraso e (δείνου text. R) | ἀγγεῖον tacite scr. W. Dindorf 1838, p. 476, praeter ayy evan. in R

schol. Aristoph. Vesp. 618d 8ivov: δῖνος ἀγγεῖον n κεράμειον οἴνου VAld, otov npóχυμα, V βάσιν οὐκ ἔχον, ἀλλὰ κάτωθεν ὑπότροχον V [στρογγύλον κάτω LhAld] lem. V | 1. xepa (sscr. u) (sic) V, κεράμιον G

2. ἔχων V

Poll. 6. 96 (tà δὲ τούτων [scil. ποτηρίων] εἴδη) ... δῖνοι & voi Casaubonus 1600, p. 497: δεινοί AIT

206 Per questo significato, cf. anche Xenoph. Oec. 18. 5, Aelian. NA 2. 25, 4. 25.

? La correzione è sempre attribuita a Schweighäuser 1804, p. 76: il che è esatto, ma fu preceduto da Valckenaer 1747, p. XIX. Una vana difesa della lezione tràdita, sulla base dell'opera di Euforione Moyonia 5j “Ataxta = Miscellanea ἄτακτα e 'Arnxd, è in Toup 1767, p. 172.

Attica, che dimostrerebbe

l'intercambiabilità

di

Edizione e commento

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Hesych. 5 508 L. D δεῖνος" δείνησις. εἶδος δέους. φοβερά. καὶ εἶδος ἐκπόματος (Stratt. fr. 34 ..) καὶ ὄρχησις (Apolloph. fr. 1 K.-A.) ἢ δέους ἄξιος 1. δέους] «immo σκοτώσεως v. gl. 515» Latte | ἐκπώματος Junius ap. Alberti 1746, p. 906 n. 24 Et. Gud. 340. 16 de St. δῖνος: σημαίνει € «τὸ» δῖνος" ὁ ποταμὸς καὶ εἶδος ὀρχήσεως καὶ ποτηρίου καὶ ὁ τόρνος καὶ τὸ ἔντερον 1. εἰ d? supra v: & d? | «τὸ» e Choerob. | ὁ ποταμὸς] ἡ συστροφὴ τοῦ ποταμοῦ suprascr. d? | 1 s.

καὶ ποτηρίου om. d?, καὶ xo? suppl. d? supra v. cf. Choerob. orth. (AO II Cr.) 190. 30 (= Herodian. orth. 2. 492. 17 L.); Ioh. Philop. (ed. M. Petschenig, «WS» 3, 1881) 296; Ioh. Philop. coll. voc. 10. 3 Egenolff; Etym. M. 277. 14; Zon. 520 Athen. 11. 503c Διονύσιος δὲ ὁ τοῦ Τρύφωνος £v τῷ περὶ Ὀνομάτων «τὸν ψυγέα», φη-σίν, «ἐκάλουν οἱ ἀρχαῖοι δῖνον»

Poll. 6. 99 ὁ δὲ ψυκτὴρ πολυθρύλητος, ὃν καὶ δῖνον ἐκάλουν, ἐν © ἦν ὁ ἄκρατος: οἱ πολ-λοὶ δ' ἀκρατοφόρον αὐτὸν καλοῦσιν. οὐ μὴν ἔχει πυθμένα ἀλλ᾽ ἀστραγαλίσκους 1. ψηκτήρ II | πολυθρήλυτος II | δυνόν II

cf. Phot. 8 131 Th. (Syn.); Suda 5 345; Etym. M. 262. 21; Zon. 475

Ion fr. 27.

3s. W.2

Τὸ δὲ χρυσὸς οἶνον ἔχων χειρῶν νιζέτω εἰς ἔδαφος ἢ 3 s. ὁ δ' ἐρυθρὸν (Exactoc Bentley 1691a, p. 309) / οἶνον 31 ὁ δὲ Χρύσης / οἶνον ἔχων χειροῖν v. ε. ἐδ. Toup 1767, διερὸν) v. e. ἔδ. Jacobs 1798, I 1, p. 315 | ὁ δὲ Χρυσὸς / 428 s. | ὁ δὲ κρήσας / οἶνον ἔχων χειροῖν v. e. £8. Lobeck

ἔχων χειροῖν ἱζέτω e. £5., Bentley 1691b, p. p. 110 s. | ἕκαστος / οἶνον ἔχων χειροῖν (f. οἶνον ἔχων χειροῖν v. e. Eb. Bergk 1834, col. 1835, p. 223 | ὁ δὲ Χρυσὸς / σίνδον᾽ ἔχων

χειρῶν v. e. τ' ἐδ. Bergk 1853, p. 463 | ὁ Χρυσὸς / οἶνον 1' ἐγχείτω Hartung 1859, p. 295 | χρυσοῦ (χρυσοῦν mav. M. L. West 1972, p. 80) &vov ... χεροῖν Haupt 1862, p. 9 | ἰδὲ χρυσοῖς / οἶνον ἔχων eipnv Sitzler 1881, col. 1083 | ὁ δὲ χρυσοῦ / οἰνοχόην χειρῶν (e χειρόω) Blumenthal 1939, p. 22

Aristoph. Nub. 1473 ἀλλ' ἐγὼ τοῦτ᾽ φόμην διὰ τουτονὶ τὸν Δῖνον. οἶμοι δείλαιος, ὅτε καὶ σὲ χυτρεοῦν ὄντα θεὸν ἡγησάμην

Aristoph. Vesp. 618 οὗτος δὲ κεχηνὼς βρωμησάμενος τοῦ σοῦ δῖνου μέγα καὶ στράτιον κατέπαρδεν Stratt. fr. 35 K.-A.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

0i60' à προσέοικεν, ὦ Κρέων, τὸ βρέγμα σον; ἐγῴδα. δίνῳ περικάτω τετραμμένῳ 2. δίνῳ Casaubonus 1600, p. 467: δείνῳ codd.

Inscr. Cret. IV 145. 3 (Gortyna, V-IV a. C.) καὶ σιδαρί[σ]κον καὶ derl......

|

μῶν ].Aooeaipatíc 3 s. Seilvov σὺν ταῖς π]αλοσφαίραι[ς Guarducci

1942, p. 183, &i[vov ἐπὶ ταῖς οὐϊλοσφαίραι[ς

Comparetti 1916-20, p. 197 s., seilva παϊλοσφαίραιίς Manganaro 1974, p. 58 Archedic. fr. 1. 4 s. K.-A. δῖνον ποτ᾽ ἦρεν ἀργυροῦν £v τῷ σκότῳ (Β.) δῖνον;

4 s. ävov Casaubonus 1600, p. 497: δεῖνον codd.

Dion. Sinop. fr. 5. 1 ss. K.-A. ὅσα δ᾽ ἐστὶν εἴδη Θερικλείων τῶν καλῶν,

γυάλαι δικότυλοι, τρικότυλοι, δῖνος μέγας χωρῶν μετρητήν, κύμβιον, σκύφοι, ῥυτά.

(Β.) ποτήρι᾽ ἡ γραῦς, ἄλλο δ' οὐδὲ ἔν βλέπει 2. δῖνος Casaubonus 1600, p. 497: δεῖνος codd.

IG ΧΙ 110. 19 (Delus, 268 ἃ. C., catalogus argenteorum donariorum praesertim vasorum quae in prytaneo erant, cf. anche 111. 25 ss., 112. 4 ss., 113. 15 ss.) καὶ τάδε ἀργυρώματα παρέδωκα: θυμιατήριον,

| λιβανωτίδα, ψυκτῆρα, δῖνον, κάδον, οἰνοχόην κτλ.

IG 11/112 1534. 280 (Atene, III a. C., catalogi donariorum Aesculapii) ὑπὲρ Νεάρχον ἐκ Κοίλης δῖνος ᾿Αριστομάχης 324 δῖνοίς IG II/IIP 1695. 10 s. (Atene, III a. C.?) δῖνος ... | δῖνος

Che il termine vada scritto con -t- e non con -e-, è definitivamente confermato dalle attestazioni epigrafiche’®. In effetti, uno dei rami della tradizione lessicografica, quella che presenta i diversi omonimi, elenca oggetti o fenomeni collegati al turbine spiraliforme (radicale ötv-), e per Sandulescu 1964, p. 207, il nome del nostro vaso riposa sul suo procedimento di modellazione al tornio. 208 Cf. Richter-Milne 1935, p. 10 n. 6, e già W. Dindorf, ThGL II, col. 1507b (che confronta lat. turbis), Krause 1854, p. 287, Robert 1903, col. 655. 34. Sul termine, e sul suo uso nella descrizione archeologica, cf. anche Richter-Milne 1935, p. 10, ela scheda di Brommer 1987, p. 3.

Edizione e commento

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La tradizione sia lessicografica che letteraria del termine ὃ molto piü ricca, rispetto a quasi tutti i casi trattati finora, ma Filita dimostra ulteriormente la sua vocazione alla marginalitä, se cosi si puó dire. Una glossa, piü volte attestata, riporta infatti δῖνος = εἶδος ποτηρίου, un'altra identifica il nostro oggetto con il ψυκτήρ (o yvyevc), il che sembra corrispondere alle risultanze degli scolii aristofanei, che si dividono tra ποτήριον e πρόχυμαϑϑ, quando non

definiscono genericamente il δῖνος un ἀγγεῖον. L'equivalenza con il ποδο-νιπτήρ è richiamata esclusivamente da Filita in Ateneo?!0.

Che il δῖνος sia anche un ποτήριον ὃ confermato, tra le attestazioni letterarie, da Aristoph. Vesp. 618 e Diogene di Sinope, né lo contraddicono l'altro passo aristofaneo, Strattide e Archedico?!!. Ma che nelle occorrenze non lessicografiche ricorra la medesima polivalenza consegue direi sicuramente dall'epigrafe di Delo, a causa degli oggetti assieme a cui δῖνος viene elencato, e non abbiamo elementi per specificare se si tratta di uno shift di ordine diacronico?". Tali discrasie ci riconducono immediatamente al problema del rapporto delle denominazioni dei vasi con il loro referente?!?. Questa volta in maniera

ancora piü evidente, in relazione alla glossa filitea, in quanto abbiamo una descrizione del nostro manufatto: schol. Aristoph. Nub. 381 κεραμεοῦν ἐστι βαθὺ ποτήριον, ὃ καλεῖται δῖνος [, ὅπερ ἄνω εὐρύτερον ὄν, κάτω εἰς ὀξὺ λήγει Th.7-Tr.'?]|; schol. Aristoph. Vesp. 618d βάσιν οὐκ ἔχον, ἀλλὰ κάτωθεν ὑπότροχον V [στρογγύλον κάτω LhAld] (cf. Poll. 6. 99 οὐ μὴν ἔχει πυθμένα ἀλλ᾽ ἀστρα-

γαλίσκους)2". È evidente che la forma del δῖνος, quale ivi suggerita, sostan-

209 Che è glossa di ψυκτήρ in Moerid. y 12 Hansen. 210 Eustazio dipende esplicitamente da quest'ultimo. 211 Anzi scolii e Ateneo attestano positivamente che in questi casi si tratta di ποτήρια. Se la correzione di Haupt 1862, p. 9, coglie nel segno, anche nel frammento di lone δῖνος equivarrebbe a ποτήριον.

212 | δῖνος dell'iscrizione di Delo è un ἀργύρωμα, in quanto tale da paragonare a quello men-

zionato nel frammento di Archedico. A causa delle tracce di se non sono incline a vedere nell'iscrizione cretese un'attestazione del nostro contenitore, che per Comparetti 1916-20, p. 198, sarebbe una «scatola di forma sferica che serve ai farmacisti per tornire, arrotondare, dorare etc. le pillole o i boli» (con l'assenso di Olivieri 1929-30, p. 40), per la Guarducci 1942, p. 183, «un vaso contenente le palle necessarie per le sortes» (con l'assenso di Manganaro 1974, p. 58). Nel significato di "contenitore per bere", δῖνος ὃ considerato attico da Schlageter 1912, p. 27. 13 Panofka 1829, p. 10, lo ritiene un vaso di enormi dimensioni, basandosi anche sulla menzione di Strattide, ma ὃ contraddetto da Letronne 1833, p. 43 s., che esprime estremo scetticismo sulla possibilità di conoscere la forma del vaso designato e rileva che δῖνος denota di norma un ποτήριον. Per Krause 1854, p. 287, aveva la forma di un'idria mediana, dall'uso molteplice. Cf. anche Ussing 1844, p. 82 s., Walters 1905, p. 173 s. Che potesse essere di dimensioni ragguardevoli, come ποτήριον, potrebbe, in effetti, ricavarsi dagli eccessivi boccali menzionati nella serie di Diogene di Sinope e, come voleva Panofka, dal passo di Strattide, se si riferisce alle dimensioni e non alla forma della testa.

214 Su questa base Robert 1903, col. 655. 34 ss., ritiene di ritrovare esempi del contenitore in

Lau 1877, tav. XX la, e Furtwängler 1885, tav. IV 21. Ma nessuno di questi può definirsi né ποτήpiov, né βαθύ.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

zialmente un cono rovesciato, non poteva essere funzionale a un bacile per lavare i piedi?!5. Ma è probabile che gli scoli aristofanei ci diano solo un resoconto parziale della situazione. L'inventario deliaco, ad esempio, associa un δῖνος a contenitori per liquidi di una certa grandezza, atti alla distribuzione. In realtà δῖνος sarà stata la denominazione di vasi caratterizzati da un'ampia bocca, il profilo restringentesi verso il fondo (con progressione più o meno

accentuata)?! e la mancanza di base. Dunque un'etichetta possibile per diversi contenitori, al di là della loro funzione. Anche per un bacile per pedilu-

vio, allora, se l'andatura spiraliforme del profilo è dolce e poco profonda. Opportunamente Walters 1905, p. 173 n. 3, ricordava, per δῖνος = ποδονιπτήρ, il λέβης omerico. Esso in effetti viene presentato quale recipiente per la bollitura dell’acqua (Il. 21. 362, Od. 12. 237), per il trasporto dell’acqua lustrale (Od. 1. 137 [ = 4. 53, 7.173, 10. 369, 14. 136, 17. 92], 3. 440), e per la lavanda dei piedi (19. 386, 469): una polifunzionalità ‘sincronica’, che potrebbe essere la stessa del Sivog?!7.

Lo status dialettologico della glossa è impossibile da valutare, non presentando essa peculiarità fonetiche o morfologiche distintive, e non essendo

noi in grado di stimarne l'attendibilità lessicale, nell'assoluta mancanza di riscontri. Sembra solo che le denominazione corrisponda ad una delle tante funzioni possibili per un recipiente di tal nome. Il rimando ai Κυρηναῖοι normalmente potrebbe indurre ad ipotizzare una glossa callimachea, ma in relazione a Filita ciò appare impossibile.

215 Cf. Ussing 1844, p. 83. 216 Da qui il nome δῖνος = “turbine”. 217 Per i diversi nomi del bacile per la lavanda dei piedi in greco e la sua polifunzionalità, vd. Milne 1944, pp. 26, 29-33.

Edizione e commento

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fr. 5 = 33 Kuch. = 50 Bach = p. 79 Kay. Athen. 11. 495a-e πελίκαι. Καλλίστρατος (p. 19 n. 49 Schmidt) ev Ὑπομνήμασι Opattóv Kpativov (fr. 88 K.-A.) ἀποδίδωσι κύλικα. Κράτης δ᾽ £v δευτέρῳ ᾿Αττικῆς διαλέκτου γράφει οὕτως" (sq. Cratet. Mall. fr. 67a M. = Cratet. Athen. FGrHist 362 F 8 Jac.). τὴν δὲ ὄλπην Κλείταρχος Κορινθίους μέν φησι xot Βυζαντίους καὶ Κυπρίους τὴν λήκυθον ἀποδιδόναι, Θεσσαλοὺς δὲ τὸν πρόχοον. Σέλευκος (deest in Müller) δὲ

πελίχναν Βοιωτοὺς μὲν τὴν κύλικα, Εὐφρόνιος δὲ ἐν Ὑπομνήμασι (fr. 107 Strecker) τοὺς χόας. πέλλα. ἀγγεῖον σκυφοειδές, πυθμένα ἔχον πλατύτερον, εἰς ὃ ἤμελγον τὸ

γάλα. Ὅμηρος (sq. Il. 16. 641). τοῦτο δὲ Ἱππῶναξ λέγει πελλίδα" (sq. fr. 21 Deg.), d. δῆλον, οἶμαι, ποιῶν ὅτι ποτήριον μὲν οὐκ ἦν, δι᾽ ἀπορίαν δὲ κύλικος ἐχρῶντο τῇ πελ-Abt καὶ πάλιν’ (sq. fr. τίθησι τὴν λέξιν λέγων Pow.). Κλείταρχος δ᾽ ἐν τὸν ἀμολγέα, πέλλαν δὲ

22 Deg.). Φοῖνιξ δ᾽ ὁ Κολοφώνιος ἐν τοῖς Ἰάμβοις ἐπὶ φιάλης οὕτως" (sq. fr. 4 Pow.). καὶ ἐν ἄλλῳ δὲ μέρει φησίν’ (sq. fr. 5 ταῖς Γλώσσαις πελλητῆρα μὲν καλεῖν Θεσσαλοὺς καὶ Αἰολεῖς τὸ ποτήριον: Φιλητᾶς δ᾽ ἐν ᾿Ατάκτοις τὴν κύλικα Βοιωτούς

1. πέλικα Blaydes 1896, p. 4 | 4. Κλείταρχος Casaubonus 1600, p. 514: καὶ τάριχος A | 4-7. ὄλπκην δὲ Κλείταρχος coni. et ὄλπην --- χόας verba Cratetis dub. fecit Kaibel 18%, p. X | 12. πελλαντῆρα

Valckenaer 1747, p. XIX218 | 13. Φιλίτας A cf. Eustath. 1531. 55 ὅτι δὲ καὶ ἡ πέλλα οὐ τοπικόν, ἀλλὰ τὸ σκυφοειδὲς ἀγγεῖον ὃ πυθμένα ἔχει πλατύτε-pov εἰς ὃ ἤμελγον τὸ γάλα, ἐκ τοῦ πελεκῶ γέγονεν ὡς ξύλινον, οἱ παλαιοὶ δηλοῦσι ... ὅθεν καὶ πελλὶς καθ᾽ ὑποκορισμόν, εἰ δέ τις Φοῖνιξ πελλίδα φησὶ χρυσῆν ἦτοι φιάλην, σημείωσαι τὸ πελλίδα χρυσῆν, χρήσιμον ὃν καὶ αὐτὸ καθὰ καὶ τὸ πίνειν ἐξ ἀργυρίδων χρυσῶν

Athen. 11. 482e-f ἀπὸ γὰρ τῆς κυφότητος τὸ κύπελλον, ὥσπερ καὶ τὸ ἀμφικύπελλον, ἢ

ὅτι παραπλήσιον ἦν ταῖς πέλλαις, συνηγμένον μᾶλλον εἰς τὸν κυφότητα schol. Il. 16. 642 (ex.) περιγλαγέας: ... πέλλα δὲ ξύλινον ἄγγος, ἀπὸ τοῦ πεπελεκῆσθαι Ὁ (BCE’EYT 1. ἀγγεῖον E* | καταπεπελεκῆσθαι b cf. schol. Theocr. 1. 23/26e; Et. Gen. ap. Wendel ad schol. Theocr. 1. 23/26e; Etym. M. 659. 41; Eustath. 1079. 54; πεπελεκ.: cf. Eustath. 704. 31 Apoll. Soph. 129. 23 πέλλας ἀγγεῖα γάλακτος cf. schol. Theocr. 1. 23/26d; Hesych. x 1219 L. schol. Theocr. 1. 23/26c tà δὲ ἀμόλγια πέλλας καλοῦσι παρὰ τὸ πίνειν Ev αὐτοῖς παρὰ τὸ πίνειν αὐτοὺς (scil. γάλα) Koehler 1767, p. 10, παρὰ τὸ πελεκεῖν ... πίνοντες οὐ γὰρ ἦν ἐν αὐτοῖς

κύλιξ (scil. ex Hippon. fr. 21 Deg.) Jacobs 1795, p. XXXII, παρὰ τὸ «πεπελεκῆσθαι. καλοῦσι δὲ καὶ

218 Il πελλαντῆρα di Valckenaer non ha ragion d'essere, a fronte di Hesych. x 1349 e 1350 Schm. (πελληςτήρρ e πελλητῆρες).

70

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

γαυλὸς παρὰ to» πήσσειν ἐν αὐτοῖς «τὸ γάλα»

Ahrens

1859, p. 44 (παρὰ τὸ «κεπελεκῆσθαι»

iam

Dübner 1849, 118)

schol. Theocr. 1. 23/26f πέλλας καὶ κισσύβια, ποιμενικὰ ἀγγεῖα cf. Hesych. π 1342 Schm.; Eustath. 1079. 54

Hesych. x 1337 Schm. πέλλαι: ayyeia nva, eis ἃ ἀμέλγεται τὸ γάλα, οἷον πύελοί τινες

οὖσαι, ἐν αἷς τὸ πυός, τουτέστι τὸ γάλα, εἰλεῖται 1. γάλα Musurus: μέγα H

| πύελοί Musurus: πύελλοι H

schol. Nicand. Alex. 77a «πελλίσι G!G?X» «δὲ G2X> «σκαφίσι G?Xm>, «ποιμεvixoig G?X> «ἀγγείοις, ἐν οἷς τὸ γάλα ἀμέλγεται G!G’X>. < Ὅμηρος (Il. 16. 642): (sq.) G'Xm» G!G?Xm 2. ἀγγείοις om. B, toig ἀγγείοις G! schol. Nicand. Alex. 77b πελλίσιν] ἐν ταῖς auedyaig f Hesych. x 1353 Schm. πελλὶς fj n&AXalc]: λακάνη πελλὶς ἢ πέλλαίς! Degani 1983, p. 40: nuc, ἢ πελλὰς H, πελλίς [nA]

M. Schmidt (tamquam acc. ex x

1342 exp.) | Aaxavn H: λεκάνη tacite ap. Schrevel 1668, p. 746 (recc. Alberti, M. Schmidt}?!? An. Gr. 1 336. 2 Ba. (Syn.) πελλίς: ἔνθα τυρὸν ἀμέλγουσιν. σκάφη τινά cf. Phot. 11 324.

19 N. (πέλλης cod.: πελλίς ThGL

VI 703a; σκάφην cod.: σκάφη

Naber

1865, ad

loc.)??9, Suda x 947 Poll. 10. 67 προσθετέον δὲ τὰς ἐν Θρᾷτταις Kpativov (fr. 88 K.-A.) πελίκας, ἢ κύλικας ἢ

προχοίδια εἶναι δοκούσας 1. πέλιχας ABCL, πελίκας Kassel-Austin 1983, p. 166 | 2. προχοᾶς FS

Poll. 10. 73 ἔνιοι μέντοι τὸν χοῦν καὶ πελίκην κεκλῆσθαι νομίζουσι, καὶ εἶναι τοὔνομα Βοιώτιον πελίνην F, πέλυκιν ΑΒ, πέλικα Blaydes 1896, p. 4 | νομίζουσι om. ACL AB | 2. Βοιωτιακὸν F

| 1 s. καὶ — Βοιώτιον om.

219 Forse non c'è bisogno di intervenire: cf. Aaxavn in POxy. 1269. 23 (Il d. C. in.) e [Herodian.] Philet. 206 Dain λεκάνη διὰ τοῦ e, Suda λ 230 τὸ μὲν κοινὸν λακάνη ... τὸ δὲ ᾿Αττικὸν λεκάνῃ.

220 Le correzioni di Naber 1865, ad loc. (πέλλας per πέλλης e πυὸν per τυρὸν [ex Hesych. x 1337

Schm.]) appaiono troppo arbitrarie di fronte al dettato parallelo, seppur ellittico della Synagoge e della Suda, che richiedono, tra l'altro, il lemma

πελλίς in Fozio. Strano è il plurale σκάφη, cui si

scorgono tentativi di portare rimedio in Phot. (σκάφην) e Suda (τις): che il lemma della fonte fosse originariamente composito, come Hesych. x 1353 Schm., e prevedesse un plurale?

Edizione e commento

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Poll. 10. 78 ἰστέον δὲ ὅτι τὴν λεκάνην πέλλην οἱ τραγῳδοὶ (adesp. trag. fr. 595 K.-Sn.) καλοῦσιν, οἱ δ᾽ Αἰολεῖς πελίκαν, μάλιστα τὴν ξυλίνην, ἀπὸ τοῦ πεπελεκῆσθαι 1. πέλλην Kühn 1706, II, p. 1246 n. 53: πέλλιν CL (def. Jungermann 1706, II, p. 1246, propter Hesych. x 1353 Schm.)

| 2. πελικάν FL πέλυκα A, πέλικα BC | πεπελεκῆσθαι codd.: πεπελεκικέναι F,

πεπελεκίσθαι Kühn 1706, II, p. 1247 n. 5522! Hesych. x 1332 Schm. reAixav- εἶδος ποτηρίου ξυλίνου. διὰ τὸ πεπελεκῆσθαι. ἄλλοι ξυλίνη λεκάνη

1. πελίκαν (vel πέλικα; sic Blaydes 1896, p. 4) Casaubonus 1600, p. 514: πελικάν H | πεπελεκῆσθαι Jungermann 1706, II, p. 1247 n. 55: πεπελεκίσθαι H (def. Hemsterhuis 1706, II, p. 1247 n. 53) | 2. διὰ τὸ πεπελεκῆσθαι post λεκάνη Mette 1952, p. 158

Phot. II 72. 10 N. πελίκαν: Βοιωτοὶ τὴν ξυλίνην λεκάνην διὰ τὸ ἐκπεπελεκῆσθαι. ᾿Απολλόδωρος (FGrHist 244 F 265 Jac.) δὲ ποτηρίου εἶδος 1. πέλικα Blaydes 1896, p. 4 Hesych. x 1340 Schm. reidavripa: ἀμολγέα πελλαντῆρα Musurus: πελλάντηρα H | ἀμολγέα Musurus: ἀμόλγεα H

Hesych. x 1349 Schm. nejAn« v» p: πολυφάγος. ἀμολγός πελλης«τή»ρ Alberti 1766, p. 908 n. 19, coll. Clitarch. ap. Ath. 11. 4956: πέλληρ H, πελλαντήρ

Sopingius ap. Schrevel 1668, p. 746 n. 11 | ἀμολγός H: ἀμολγεύς Sopingius ap. Alberti 1766, p. 908 n. 19

Hesych. x 1350 Schm. neAXntüpeg: ὁμοίως Et. Gen. a 997 L.-L. ἀπειλῶ ... παρὰ τὰς Τἀπέλλας, τὰς φιάλας, δι᾽ ὧν σπένδοντες εὔχομαι «lege πέλλας cum Et. magn.» Lasserre-Livadaras | σπεύδοντες A cf. Et. Gud. 161. 7 de St.; Etym. M. a 1559 L.-L.; Et. Sym. a 1218 L.-L.; Zon. 246; Eustath. 704. 31; 1334. 22

221 La correzione di Kühn sembra da accettare solamente perché è attestato solo un nom. πελλίς, il cui acc. sing. avrebbe invariabilmente suonato πελλίδα e mai πέλλιν, ma non e esclusa l'omologazione a forme come κάλπιν, λάκτιν, ὄλπιν. La forma in -a (> -n) è tràdita da Arcad. 108. 10 τὰ εἰςAe

μονογενῆ δισύλλαβα ἑτέρῳ A παραληγόμενα βαρύνεται, An, πέλλη, e nessuna delle forme letterarie atte-

state garantisce un nom. sing. πέλλα: il metaplasmo di un nom. sing. πέλλη non era impossibile (nonostante W. Schulze 1892, p. 84, non sia disposto a dare credito alla testimonianza di Arcadio). Degani 1984a, p. 39 s., usa sia πέλλη che πέλλα per l'occorrenza di Ipponatte. Chantraine, DELG 876 s., evidentemente legge πελλιν in Polluce. W. Schulze 1892, p. 84, che pone una forma originaria “πελίς (« "πελξίς), poi assimilatasi a πέλλα con l'assunzione della geminata, ipotizza dubitativamente che il πέλλιν di Polluce possa rappresentare un'assimilazione a πέλλα anche nell'intonazione.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti MY Ue 611.1 ku-pe-ra 4 a-po-re-we 2 pe-ri-ke 3 Il. 16. 641 ὡς ὅτε putat σταθμῷ Evi βρομέωσι περιγλαγέας κατὰ πέλλας ὥρῃ ἐν εἰαρινῇ, ὅτε τε γλάγος ἄγγεα δεύει Alcm. fr. 19. 3 5. Ὁ. XT|v πελίχναις

ἐπεδεστεΐ χρυσοκόλλα

Hippon. fr. 21 Deg. ἐκ πελλίδος πίνοντες" οὐ γὰρ ἐν αὐτῇ κύλιξ, ὁ παῖς γὰρ ἐμπεσὼν κατήραξε

Hippon. fr. 22 Deg. ἐκ τῆς πέλλης ἔπινον᾽ ἀλλοτ᾽ αὐτός, ἀλλοτ' ᾿Αρήτη fpoUmvev

Pind. fr. 104b. 4 M. (= adesp. mel. fr. 997 P.) ἀσκὸς δ᾽ οὔτε τις ἀμφορεὺς ἐλίννεν δόμοις, πέλλαι γὰρ ξυλίναι πίθοι «τε» πλῆσθεν ἅπαντες 2. ξύλινοι Wilamowitz 1899, p. 224 n. 2

adesp. trag. ἔτ. 595 K.-Sn. πέλλη (e Poll. 10. 78) Cratin. fr. 88 K.-A. προσθετέον δὲ τὰς ἐν Θρᾷτταις Κρατίνου πελίκας, ἢ κύλικας ἢ po χοίδια εἶναι δοκούσας Theocr. 1. 26 ἃ (scil. alt) Su' ἔχοισ᾽ ἐρίφως ποταμέλγεται ἐς δύο πέλλας

Lycophr. 708 λοιβὰς ἀφύσσων χρυσέαις πέλλαις γάνος Phoen. Col. fr. 4. 3 Pow. πολλὸν ἀνθρώπων

ἐὼν ἄριστος (scil. Θαλῆς), ἔλαβε πελλίδα χρυσῆν Phoen. Col. fr. 5 Pow. ἐκ πελλίδος «γὰρ» tápyavov κατηγνίης χωλοῖσι δακτύλοισι τἠτέρῃ σπένδει, τρέμων οἷον περ ἐν βορηίῳ νωδός

Edizione e commento

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Crates Mall. fr. 67a M. (= Crates Athen. FGrHist 362 F 8 Jac.) Κράτης 8' ἐν δευτέρῳ ᾿Αττικῆς Διαλέκτου γράφει oto: « ... οἱ χόες “πελίκαι", καθάπερ εἴπομεν, ὠνομάζοντο. ὁ δὲ τύπος ἦν τοῦ ἀγγείου πρότερον μὲν toic Παναθηναϊκοῖς ἐοικώς, ἡνίκα ἐκαλεῖτο “nedixn”, ὕστερον δὲ ἔσχεν οἰνοχόης σχῆμα, οἷοί εἰσιν οἱ ἐν τῇ Ἑορτῇ παρατιθέμενοι, ὁποίους δήποτε “ὄλπας" ἐκάλουν, χρώμενοι πρὸς τὴν τοῦ οἴνου ἔγχυσιν, καθάπερ Ἴων ὁ Χῖος ἐν Εὐρυτίδαις φησίν: (sq. 19 F 10 K.-Sn.). νυνὶ δὲ τὸ μὲν τοιοῦτον ἀγγεῖον καθιερωμένον τινὰ τρόπον ἐν τῇ 'Eoptij παρατίθεται μόνον, τὸ δ᾽ ἐς τὴν ypeav πῖπτον μετεσχημάτισται, ἀρυταίνῃ μάλιστα ἐοικός, ὁ δὲ καλοῦμεν "xóa" » 4. πκαρατιθέμενοι «χόες» Bergk 1838, p. 91

| 7 s. ὁ δὲ καλοῦμεν «χόα» post παρατίθεται μόνον (1. 7)

dub. Deubner 1966, p. 97 n. 1 Nicand. Alex. 77 πελλίσιν ἐν γρώνῃσιν ὅτ᾽ εἴαρι πῖον ἀμέλξαις Nicand. Alex. 262 ἠὲ σύ γε βδήλαιο νέον γλάγος ἔνδοθι πέλλης πέλλεις Π

Nicand. Alex. 310 5. ἠὲ γάλακτος

πηγνυμένου κορέοιτο νεημέλκτῃ ἐνὶ πέλλῃ 311. &v πέλληιII

Apollodor. FGrHist 244 F 265 Jac. redixav: Βοιωτοὶ τὴν ξυλίνην λεκάνην διὰ τὸ ἐκπε-

πελεκῆσθαι. ᾿Απολλόδωρος δὲ ποτηρίου εἶδος (e Phot. Il 72. 10 N.)

La famiglia comprende le forme πέλλα (-An?), πελλίς, πελίκη (probabimente anche πέλιξ), neAixvn, πελλητήρ e πελλαντήρ22. Come è frequente nella

22 Fuori dalla lessicografia sono attestate πελλίς, πελίκη, πελίχνη e, forse, πέλλη. La forma con

-a è probabile sia alla base delle occorrenze letterarie πέλλης, πέλλῃ, πέλλαι, πέλλαις, πέλλας, ma è

garantita solo da Athen. 11. 495c, 495e (> Eustath. 1531. 55), schol. Il. 16. 642, schol. Theocr. 1. 23/26d, Hesych. x 1353 Schm. (con la correzione di Degani). Ció non significa, naturalmente, che la forma non sia attestata, come afferma P. Kretschmer 1943, p. 171. Per un tentativo di descrizione di πέλλα e πελλίς, vd. Krause 1854, p. 248. Una ricca rassegna delle testimonianze su questi termini, peraltro acritica e con molte imprecisioni, & reperibile in Panofka 1829, p. 27. Walters 1905, p. 185 s., allinea πέλλα a σκύφος e ἄμφωτις, tentandone una descrizione e rimandan-

do, per possibili reperti paragonabili come forma, a Walters 1892, p. 78 fig. 1; Walters 1893, p. 75 s. (B 77-78). Un disegno di un'ipotizzata πέλλα è in O. Gerhard 1831, p. 256, tab. XXVII 43. LS) 13582, Frisk, GEW II 498, Chantraine, DELG 877, rimandano a πέλλα per il significato di πέλυξ,

sulla base di Poll. 10. 105: ma in quel passo sembra che πέλυξ sia una denominazione possibile

per altri strumenti (τυρόκνηστις, κύβηλις).

74

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

denominazione di questo tipo di materiale, vi é notevole fluttuazione, per effetto di analogia??? o ‘affettività’. La base è *pel-, di cui non è assicurata la consistenza indoeuropea?^. Converrà ordinare la varietà dei referenti fornita dalla lessicografia (tra parentesi quadre è il locus classicus, quando riportato)?®: πέλλα: a) vas mulctrale o, comunque, contenitore pastorale, spesso definito “li-

gneo" (schol. Il. 16. 642; Athen. 11. 495c (Il. 16. 642, Hippon. fr. 22 Deg.] = Eustath. 1531. 55; Hesych. x 1219 Schm., 1337 Schm., 1342 Schm.; Apoll. Soph. 129. 23; Eustath. 1079. 54; scholl. Theocr. 1. 23/26c-f; Et. Gen. ap. Wendel ad schol. e Theocr. 1. c.; Etym. M. 659. 41); b) λεκάνη (Poll. 10. 78 [tragici], Hesych. x 1353 Schm.);

c) φιάλη (Et. Gen. a 997 L.-L. = Etym. M. a 1559 L.-L.= Et. Gud. 161. 7 de St. = Et. Sym. a 1218 L.-L. = Zon. 246, Eustath. 704. 31, 1334. 22);

d) ποτήριον (Tessali e Eoli, Clitarch. ap. Athen. 11. 495e); e) κύλιξ (Beoti, Philit. ap. Athen. 11. 495e); f) simile al κύπελλον (Athen. 11. 482e-f), ma piü κυφός.

πελλίς: a) vas mulctrale (scholl. Nicand. Alex. 77a-b, An. Gr. 1 336. 2 Bachm. = Phot. II 324. 19 N. = Suda x 947; Athen. 11. 495c [Hippon. fr. 21 Deg.] = Eustath. 1531. 55);

b) λεκάνη (Hesych. x 1353 Schm.); €) φιάλη (Athen. 11. 495d [Phoen. Col. frr. 4 e 5 Pow.] = Eustath. 1531. 55).

πελίκη: a) λεκάνη ξυλίνη (Poll. 10. 78 [Eoli], Hesych. x 1332, Phot. II 72. 10 [Beoti]);

b) ποτήριον ξύλινον (Hesych. x 1332 Schm.; Apollodor. FGrHist 244 F 265 Jac.); C κύλιξ (Callistr. ap. Athen. 11. 495a; Poll. 10. 67 [Cratin. fr. 88 K.-A.]); d) npoxoiótov (Poll. 10. 67 [Cratin. fr. 88 K.-A.])25;

e) ὄλπη (Clitarch. ap. Athen. 11. 495c [Corinzi]); f) λήκυθος (Clitarch. ap. Athen. 11. 495c [Bizantini e Ciprioti]); g) npoxóos (Clitarch. ap. Athen. 11. 495c [Tessali]); h) xóog (Euphron. fr. 107 Str.; Crates fr. 67a M. aut FGrHist 362 F 8 Jac. [Attica],

Poll. 10. 737,

223 Per i raffronti analogici, cf. Frisk, GEW Il 498 e, per neAv&, Chantraine, DELG 877. 224 Sull’etimologia cf., e. g., J. Schmidt 1875, p. 5, Curtius 1879, p. 271, Johansson 1890, p. 405 s., Schrader 1890, pp. 479-481, W. Schulze 1892, p. 83 s., E. Hermann 1923, pp. 73, 84, Schwyzer 1939, p. 279, P. Kretschmer 1943, p. 171, Ernout-Meillet 1959, p. 494 (s. vv. pellis e pelvis), Frisk,

GEW II 498 s., Chantraine, DELG 876 s. («il est possible que πέλλα repose sur un terme de substrat emprunté»), Furnée 1972, p. 134 («wie so oft bei Gefässbezeichnungen, ist die einzig befriedigende Auffassung die einer Entlehnung aus nichtidg. Quelle»). Sulla denominazione («Ledergefässe ... besser gesagt, Lederbehälter»), cf. Sandulescu 1964, p. 205 (del tutto ipotetico). 25 Non si terrà in nessun conto la frequente etimologia ἀπὸ τοῦ πεπελεκῆσθαι, evidentemente secondaria. 226 Stranamente, Frisk, GEW II 498 attribuisce le definizioni κύλιξ e προχοίδιον al vocabolo né-

ME, invece che alle πελίκαι di Cratin. fr. 88 K.-A., per cui sono tramandate.

227 Nonostante il dato Εὐφρόνιος δὲ ἐν Ὑπομνήμασι (fr. 107 Strecker) τοὺς xoac (scil. ἀπέδωκεν vel simm.) segua, nel dettato di Ateneo, Σέλευκος δὲ πελίχναν Βοιωτοὺς uev τὴν κύλικα, ὃ estremamente

Edizione e commento

75

πελίχνα: a) κύλιξ (Seleuc. ap. Athen. XI 495d [Beoti]). πελλαντήρ: ἀμολγεύς (Hesych. x 1340) πελλητήρ: ἀμολγεύς, ἀμολγός (Clitarch. ap. Athen. 11. 495e [Tessali e Eoli], Hesych.

n 1349, 1350)25. Per πέλλα e πελλίς la documentazione letteraria consente la costruzione

di un quadro molto semplice, che conferma solo in parte (e anche apparentemente) i dati lessicografici. Si delinea una discendenza lineare da Omero a Teocrito, Nicandro, passando, probabilmente, per Pindaro, ove i vocaboli denotano indubitabilmente un secchio per la mungitura??. A questa trafila appartiene anche Ipponatte, costituendo, allo stesso tempo, uno snodo. Dal contesto del fr. 21 Deg. où γὰρ ἐν αὐτῇ κύλιξ, ὁ παῖς γὰρ ἐμπεσὼν κατήραξε, non vi sono dubbi che il bere dalla πελλίς era reso necessario dalla mancanza di

κύλιξ, come si era già interpretato nell'antichità: Athen. 11. 495d δῆλον, οἶμαι, ποιῶν ὅτι ποτήριον μὲν οὐκ ἦν (scil. la πελλίς), δι᾽ ἀπορίαν δὲ κύλικος ἐχρῶντο τῇ

rei.

Ma Leumann 1950, p. 267 s., non spiegandosi il significato ποτή--

piov per i nostri termini, lo attribuisce a πέλλης in Hippon. fr. 22 Deg., ove insorgerebbe in seguito ad un fraintendimento del passo omerico, cui egli, pur interpretandolo correttamente, attribuisce ambiguità?!. La stessa scorretta

probabile che la glossa di Eufronio si riferisca ancora alle πελίκαι di Cratino: per il plurale xóac, e per la natura del lavoro di Eufronio (cf. Bergk 1838, p. 91, che vuole riferire a Cratino anche la glossa di Seleuco).

228 Su] glossema πολυφάγος, cf. Dettori 1994, p. 281 s. LSJ e Suppl., s. v. πελλητήρ (fuori ordine

alfabetico, subito dopo πελλαντήρ), registrano l'occorrenza di Ateneo, e nessuna delle due esichiane (quindi manca il significato di πολυφάγος). In Dettori 1994, p. 281 n. 2, ritenevo preferibile, in Hesych. x 1349, il glossema ἀμολγεύς, proposto da Sopingius, per il tràdito ἀμολγός «finché per ἀμολγός non venga rintracciato il significato di “secchio per la mungitura"». Esso e, effettivamente, in Etym. M. a 1114 L.-L. ἀμολγός: σημαίνει ... καὶ σκεῦος ἐν ᾧ ἀμέλγουσι τὸ γάλα οἱ ποιμένες,

comodamente «also = κύλιξ, comunemente πελλητῆρα), ma

registrato in DGE e Suppl., Philet. ibid.» (scil. Athen. espresso, senza eccezioni, bisogna ammettere che la

5. Ὁ. Segnaliamo inoltre che sempre LS] 5. v., affermano 11. 495). Il parere di LS] è diverso da quello altrove che l'equazione di Fileta si riferisca a πέλλαν (e non a formulazione in Ateneo è ambigua. Infine, il significa-

to fornito da LS] s. v. per πελλαντήρ è «one who milks into a pail», ma ἀμολγεύς e il vas mulctrale.

229 Chantraine, DELG 876 s., dà per πελλίς in adesp. trag. fr. 595 K.-Sn. (cosi legge, cf. n. 221) e Nicand. Alex. 77 il significato «coupe a boire», non si capisce su quali basi (per il frammento tragico abbiamo visto che Poll. 10. 78 rende il nostro vocabolo con λεκάνη). Sul luogo di Nicandro

precisa Degani 1983, p. 40 (ad fr. 21), cf. anche Degani 1984a, p. 40. Per Omero, cf., e. g., Leumann

1950, p. 267. Bruns

1970, p. 42, forse fraintendendo

Leumann,

rimane incerto tra il

significato di "secchio" e quello di "boccale", raggiungendo un compromesso, che vedremo distorcente («man würde für die homerische Zeit für die πέλλα unter Gefássnamen suchen müssen, die grósser als Becher, aber so geformt waren, dass man trotzdem daraus trinken konnte»). Per Pindaro, cf. Brommer 1987, p. 17. 230 La situazione era chiara anche a Krause 1854, p. 248: «Hipponax ... lässt es (scil. πέλλα e x£AAic) als Notbehelf auch zum Trinken dienen».

2! Ingenerando così la confusione in Bruns 1970, p. 42.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

interpretazione sarebbe alla base dei significati ποτήριον e κύλιξ testimoniati

per Tessali, Eoli e Beoti da Clitarco e Filita ap. Athen. 11. 495e??, La questione ἃ stata persuasivamente reimpostata da Degani 1984a, p. 39 s.: «la buffa situazione descritta nel fr. 14 ... non è evidentemente diversa da quella delineata dal fr. 137? ... : proprio perché privi di κύλιξ i due figuri sono costretti a brindare direttamente ... con la πέλλη». Egli rifiuta quindi il significato di ποτήρια per le due occorrenze ipponattee, che sono, invece, coerenti con il

referente individuabile in Omero. Per quanto riguarda πελλίς e πέλλα in Phoen. Col. frr. 4 e 5 Pow., nonché Lycophr. 708, ove in effetti bisogna rendere con "boccale", giustamente Degani le riconduce, piuttosto che ad usi dialettali, ai «trammenti ipponattei non rettamente intesi», e ció vale in particolare per Fenice?*. Non al "bere" direttamente, ma comunque ad un apparato per libagioni sembra invece collegata la πέλιξ (-xn)?5, almeno a giudicare dalla compagnia in cui si trova nella tavoletta micenea, che contiene una lista di contenitori MY Ue 611v, l. 1 ku-pe-ra 4 a-po-re-we 2 pe-ri-ke 3 (ovvero 3 κύπελλα, 2 ἀμφορεῖς, 3 nelıxeg)>%, dalle alternative fornite per l'occorrenza di Cratino (κύλιξ e

προχοίδιον), dal frammento di Cratete (Ateniese o Mallota), ove la πελίκη designa una brocca?". Per il referente della πέλιξ (-kn) sembra insomma essere

22 Si rifanno a Leumann per la differenza di significato Frisk, GEW II 498s. e Chantraine, DELG 876 s., il quale ultimo traduce con «coupe» il πέλλα di Hippon. fr. 22 Deg. e con «coupe a boire» κελAic del fr. 21 Deg. Il dettato dello schol. Theocr. 1. 23/26c τὰ δὲ ἀμόλγια πέλλας καλοῦσι καρὰ τὸ river

£v αὐτοῖς, è interessante, in relazione ai dati di Ateneo. Purtroppo il testo è sicuramente manchevole: l'integrazione di Dübner 1849, p. 118, παρὰ τὸ «πεπελεκῆσθαι», può considerarsi sicura (una deri-

vazione πέλλα παρὰ τὸ πίνειν non avrebbe senso), ma non si puó giurare sulla correttezza sostanziale di quanto segue. Jacobs 1795, p. XXXII, Dübner 1849, p. 118, e Wilamowitz ap. Wendel 1914, p. 37, sono inclini a crederlo, sulla base di Ateneo, che per πέλλα e famiglia dà una serie di referenti fruibi-

li per bere (contra Ahrens 1859, p. 465 s.). Comunque la trattazione di Ateneo non sarebbe un parallelo del tutto adeguato per quanto eventualmente illustrato nello scolio teocriteo, che be piuttosto trovare conforto in Athen. 11. 783d ἀμφωτις. ξύλινον ποτήριον (ὑδρεῖον Hesych. a 4166 L.), ᾧ χρῆσθαι τοὺς ἀγροικοὺς Φιλητᾶς φησι, tou; ἀμέλγοντας εἰς αὐτὸ καὶ οὕτως πίνοντας (cf. fr. 1), e 11. 496c προχύτης ... Φιλητᾶς δ᾽ ἐν ᾿Ατάκτοις ἀγγεῖον ξύλινον, ἀφ᾽ οὗ τοὺς ἀγροίκους πίνειν (cf. fr. 6). 233 Tra l'altro, Ateneo sembra collegare i due passi in questo senso.

24 Da parte nostra facciamo rilevare come la precisazione in Ateneo suggerisce che con tutta verosimiglianza già nell'antichità esisteva una controversia sul significato delle occorrenze ipponattee. [gnaro di questa trafila, Kuchenmüller, p. 94, che ritiene il passo di Licofrone l'unico a testimoniare del significato filiteo, afferma che esso è ispirato dalle ἄτακτοι γλῶσσαι, e cosi anche Rengakos 1994b, p. 123 s. Correttamente Walters 1905, p. 185, a proposito di πέλλα e ἄμφωτις nota che «they were not strictly speaking drinking-cups».

235 Lorentz 1940, col. 847. 4: «ein wohl hauptsächlich zum Weineinschenken verwandtes

Gefáss».

20 Cf. Ventris-Chadwick 1973, p. 331 («brocche»). L. R. Palmer ap. Shipp 1961, p. 13 n. 22, legge

nello stesso rigo ]pe-ra = πέλλαι, ma la lettura ku-pe-ra è giudicata probabile da Ventris-Chadwick 1973, p. 495. Sull'occorrenza micenea, vd. Aura Jorro-Adrados 1993, p. 110, con ampia bibliografia. 27 Cf. anche i seguenti significati lessicografici: öArn (Clitarch. ap. Athen. 11. 495c [Corinzi]); λήκυθος (Clitarch. ap. Athen. 11. 495c [Bizantini e Ciprioti]); προχόος (Clitarch. ap. Athen. 11. 495c [Tessali]); χόος (Euphron. fr. 107 Str.).

Edizione e commento

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testimoniato un'uso 'urbano', diverso da quello proprio, invece, a πέλλα e n£JAic?5. Per cui ci si domanda quale, al di là della supposta parentela eti-

mologica delle denominazioni, fosse l'affinità formale e funzionale dei referenti e se veramente, come afferma Chantraine, DELG 877, «toute cette fami-

lie semble appartenir, à l'origine, au vocabulaire pastoral»?». In conclusione, la glossa filitea, come le altre dialettali, non puó essere messa in relazione sicuramente con la tradizione letteraria. Del resto, se

un'indicazione Αἰολεῖς potrebbe sottindere Saffo o Alceo?*, è impossibile ipotizzare un analogo riferimento sotto la dizione Βοιωτοί o Θεσσαλοί. La glossa non appare poetica, ma, sostanzialmente, di puro taglio dialettale e, forse, antiquario: il senso dell'occorrenza omerica é troppo lontano dall'annotazione di Filita. Un'osservazione, di carattere alquanto ipotetico, si puó ancora fare: la glossa filitea, πέλλα = κύλιξ in beotico, appare solidale con

quella di Clitarco, πέλλα = ποτήριον tra i tessali e gli eoli, e insieme costituiscono una testimonianza esclusiva di un uso peculiare eolico, che si distin-

gue dal resto delle testimonianze. Se si aggiunge che, come abbiamo notato (n. 238), l'uso 'rustico' di πελίκη & implicitamente ristretto all'eolico dalle

testimonianze in nostro possesso, si puó forse concludere che nei dialetti eolici l'uso dei due termini si era consolidato in senso contrario a quello degli altri. Ma per avere certezza ci vorrebbero perlomeno testimonianze

extralessicografiche, nonché qualche indicazione di diacronia.

238 Salvo che per πελίκη = λεκάνη ξυλίνη, Poll. 10. 78 (Eoli), Hesych. x 1332 Schm., Phot. II 72.

10 N. (Beoti) (che peraltro sembra ristretto all'eolico, sempre che si voglia dare valore a tali testimonianze dialettologiche), e = ποτήριον ξύλινον (Hesych. x 1332 Schm.), peraltro minoritari. Kuchenmüller, p. 95, si domanda se πέλλα quando glossato con ποτήριον non sia da intendersi similmente ad ἄμφωτις (fr. 1) e προχύτης (fr. 6): ovvero un contenitore con altre funzioni, utilizza-

to occasionalmente per bere, in campagna. 29 Vi appartengono, comunque, πελλαντήρ e πελλητήρ, derivati di πέλλα (W. Schulze 1892, p. 83). Per il suffisso di nomen agentis (anche -mc) applicato a strumenti, cf. E. Fraenkel 1910, pp. 1 S., 204 n. 2, 242 s., E. Fraenkel 1912, pp. 6 s., 79 s., Chantraine 1933, p. 327 s. (in generale, vd. Panagl 1975, pp. 232-246); per il processo di passaggio del suffisso a nomina instrumenti, cf. Tichy 1992, p. 419; per la formazione dei termini qui in questione direttamente da temi nominali (πελλαντήρ sembra avere come base un verbo "πελλαίνω, πελλητήρ potrebbe avere "πελλάω, ma è

più probabile una derivazione diretta da πέλλα), cf. E. Fraenkel 1910, p. 204 n. 2. Frisk, GEW

II

499 confronta ἀντλητήρ (vd. anche ἀρυστήρ [apvotpic], ἀρυτήρ, δευτήρ, διυλιστήρ, θερμαντήρ [6co-

pactpic], θυμιατήρ, καλυπτήρ, κερατήρ, λουτήρ, μακτήρ, οἰνοψυκτήρ, ποδανιπτήρ [μετανιπτρίς], ποδι-στήρ, ποτήρ, ῥαντρίς [cf. περιρραντήριον), σακτήρ, τριπτήρ, τρυπητήρ, ὑλιστήρ, ὑποχυτήρ, χαλκωτήρ, ψυκτήρ; devo questi dati alla gentilezza della direttrice del progetto del Lexicon vasorum, prof.ssa Paola Radici Colace, che me li ha forniti dall'indice inverso). 240 Nel sistema 'dialettologico' di Apollonio Discolo, che risale, con tutta probabilità, almeno al I a. C., «Αἰολεῖς vuol dire esclusivamente Eoli d'Asia» (Cassio 1993, p. 75; cf. già Calabrese 1967, p. 161). Sulla questione, vd. anche Thumb-Scherer 1959, p. 1.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

fr. 6 = 34 Kuch. = 52 Bach = p. 80 Kay. Athen. 11. 496c προχύτης. εἶδος ἐκπώματος, ὡς Σιμάριστος ἐν τετάρτῳ Συνωνύμων. Ἴων δ᾽ ὁ Χῖος ἐν Ἐλεγείοις" (fr. 27 W.2). Φιλητᾶς δ᾽ ἐν ᾿Ατάκτοις ἀγγεῖον ξύλινον, ἀφ᾽ οὗ τοὺς ἀγροίκους πίνειν. μνημονεύει αὐτοῦ καὶ ᾿Αλέξανδρος ἐν tuyovi 2. Φιλίτας A, Φιλήτας E | 3 s. «quidam Τρυγόνι vel ᾿Αντιγόνῃ» Dalechamps ap. Schweighäuser

1804, p. 26374, iv ᾿Αλιεῖ vel “Ἄλεξις ἐν ᾿Αγῶνι dub. Casaubonus 1600, p. 515, Ἄρχιππος ἐν Ῥίνωνι dub. Villebrune 1789, IV, p. 350, ᾿Αντιφάνης ἐν Tinavı Capelmann 1830, p. 18 (ex Athen. 7. 309d), £v Y Ἰωνικῶν Friebel 1837, p. 75 n. 29 (ex Athen. 14. 6206), Tıyovio Meineke 1841, p. 554, Τιτιγονίῳ

Kock 1888, p. 373 Hesych. x 4102 Schm. zpoyütng: ποτήριόν τι

lon fr. 27.

2 W2

ἡμῖν δὲ κρητῆρ' οἰνοχόοι θέραπες κιρνάντων προχύταισιν ἐν ἀργυρέοις 3. προχοαῖσιν ἐν ἀργυρέαις Athen.

11. 463, κίρναντες προχέοιεν ἐν ἀργυρέαις Edmonds

1931, p.

430, «an προχύτησιν}» M. L. West 1972, p. 78

Alex. Com. fr. dub. 4 K.-A. = Alex. Aet. fr. spur. 22 Pow. (ex Athen. 11. 496c)

La famiglia dei semplici e composti apparentati a χέω, riferentisi a contenitori denotano normalmente, giusta la ratio etimologica, oggetti per versare^, è così è anche nell'unica certa attestazione letteraria di προχύτης, quella di Ione di Chio?9, nonché in Heron Alex. Pneum. I 9 (lexicis addendum), ove il

προχύτης & una brocca. E, da un punto di vista funzionale, a ció non contraddice la glossa filitea: un ἀγγεῖον ξύλινον, ἀφ᾽ οὗ τοὺς ἀγροίκους πίνειν può

ben avere come funzione primaria quella di versare liquidi. La definizione di “boccale”, che è certamente secondaria, è solo di Simaristo (ἔκπωμα) e del-

241 L'emendamento Tpuyévi non è quindi di Schweighäuser, come si afferma in Wagner 1847,

p. 479, e quello in ᾿Αντιγόνῃ è precedente sia a Kaibel 1890, pp. X s., 569 n. 1, cui viene costantemente attribuito, sia a Wagner 1847, p. 480, che sembra ritenere essere il primo a proporlo. Dettagli e precisazioni sulle congetture in Magnelli 1999, p. 270. 242 Cf. Karo 1907, p. 661a, Frisk, GEW II 1099 ss., Chantraine, DELG 1255.

243 La misteriosa menzione da parte di un Alessandro, corrotta e sine verbis non può essere, ovviamente, di alcun aiuto, neanche per il significato ivi dato a προχύτης, Per Meineke 1841, p. 554, e Powell, p. 129 s., cui accede Kuchenmüller, p. 95, si trattava, comunque, di una commedia, men-

tre per Kaibel 1890, p. X s., dato il carattere dei testimoni portati da Ateneo nello stesso luogo, non può trattarsi di Alessandro comico, e pensa a una tragedia dell’Etolo. Vd. Magnelli 1999, p. 270 s.

Edizione e commento

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la glossa esichiana (ποτήριον), probabilmente collegata?*. I processi del passaggio non sono, come al solito in questi casi, chiari: l'analisi di Krause 1854, P. 391 n. 2, «ἔκπωμα wird oft von Gefássen gebraucht, welche ebensowohl zum Schópfen und Ausgiessen als zum Trinken und Aufbewahren dienten, etwa wie bei uns ein Krug, eine Kanne, aus welcher Gefássen Leute bei der Arbeit auf dem Felde auch trinken», si applica molto bene alla situazione descritta da Filita, ma non giustifica un mutamento di referente?®. Ricordando le discussioni di ἄμφωτις, ἄωτον, δῖνος e πέλλα (frr. 1-2, 4-5) sembra che ci si debba rassegnare, per quanto potesse essere motivata la denominazione originaria, ad una concezione fortemente arbitraria della nominazione dei contenitori da parte dei greci?**, con frequenti sfasature tra nome e funzione del referente, sia per evoluzione diacronica, che per distribuzione diatopica. Senza che spesso sia possibile percorrere le tappe che conducono al cambiamento (se pure ci sono)?"

24 A meno di non ritenere che la resa ποτήριον scaturisca dall’ ἀφ᾽ οὗ τοὺς ἀγροίκους πίνειν di Filita. Sarebbe analogo a quanto abbiamo visto avvenire per ἄμφωτις (cf. fr. 1): Athen. 11. 783d ἄμφωτις. ξύλινον ποτήριον, ᾧ χρῆσθαι τοὺς ἀγροικοὺς Φιλητᾶς φησι, τοὺς ἀμέλγοντας εἰς αὐτὸ καὶ οὕτως πίνοντας, Hesych. a 4166 L. ἄμφωτις" ὑδρεῖον ξύλινον ἀγροικικόν, εἰς ὃ καὶ ἀμέλγουσιν, ove in Esichio

rimasta la sola funzione della mungitura. Per Kuchenmüller, p. 95, Simaristo potrebbe aver travisato Filita. Per Walters 1905, p. 182, il προχύτης è, con tutta probabilità, da identificare con il Kpóxooc, nonostante Ateneo.

245 Se non escogitando il fraintendimento di un qualche passo o una notevole ellissi nella tra-

dizione delle glosse. Con Krause è, sostanzialmente, Kuchenmiiller, p. 95. 246 Si pensi al &voc, per cui abbiamo visto trädito il significato di "bacile per pediluvio", che sarebbe alquanto scomodo se la sua forma rispondesse a quella fatta intendere dal nome, o anche al nostro προχύτης = "bicchiere". E da segnalare qui un importante contributo teorico: Labov 1973, pp. 159-190. Esso verte su questioni di denominazione e categorizzazione, e l'autore ha scelto, appunto, l'àmbito delle forme vascolari, ove si nota il «carattere discreto» del lessico, e come la denominazione sia soggetta all'interazione di svariati parametri (tra cui spiccano, tra l'altro, forma, dimensioni, funzioni generiche e contesto d'uso). 247 Converrà introdurre qui un paio di occorrenze antiche che ammoniscano, in generale, sulla natura delle denominazioni dei vasi. Si confrontino Athen. 11. 472e-473b κάδος. Σιμμίας ποτήριον, καρατιθέμενος ᾿Ανακρέοντος (sq. fr. 28. 1 s. P.) ... Κλείταρχος δ᾽ ἐν ταῖς Γλώσσαις τὸ κεράμιόν φησιν Ἴωνας κάδον καλεῖν. Ἡρόδοτος δ᾽ ἐν τρίτῃ (c. 20) «φοινικηίου», φησίν, «οἴνου κάδον», e Cratet. Athen. FGrHist 362 F 8 Jac. (= Cratet. Mall. fr. 67a M.) οἱ χόες κελίκαι, καθάπερ εἴπομεν, ὠνομάζοντο. ὁ δὲ τύπος ἦν τοῦ ἀγγείου πρότερον μὲν τοῖς Παναθηναικοῖς ἐοικώς, ἡνίκα ἐκαλεῖτο πελίκη, ὕστερον δὲ ἔσχεν οἰνοχόης σχῆμα, οἷοί εἰσιν οἱ ἐν τῇ toprij παρατιθέμενοι, ὁποίους δή ποτε ὄλπας ἐκάλουν, χρώμενοι πρὸς τὴν τοῦ οἴνου ἔγχυσιν, καθάπερ Ἴων ὁ Χῖος ἐν Εὐρυτίδαις φησίν (19 fr. 10 K.Sn.): «ἐκ ζαθέων πιθακνῶν ἀφύσαντες ὄλπαις / οἶνον ὑπερφίαλον κελαρύζετε»». νυνὶ δὲ τὸ μὲν τοιοῦτον ἀγγεῖον καθιερωμένον τινὰ τρόπον ἐν τῇ ἑορτῇ παρατίθεται μόνον, τὸ δ᾽ ἐς τὴν χρείαν πῖπτον μετεσχημάτι--

σται, ἀρυταίνῃ μάλιστα ἐοικός, ὃ δὴ καλοῦμεν χόα. Il primo passo ci testimonia sia di una definizione funzionale (ποτήριον) indotta dalla cattiva interpretazione di un passo, sia di una collocazio-

ne dialettale (ionica) arbitrariamente ricavata dal fatto che l'autore ὃ ionico; il secondo luogo ci dà un'idea delle trasformazioni di forma e denominazione dei vasi nel tempo (sul passo, vd.

Green 1972, pp. 3-5). Che quella dei nomi di contenitori fosse una sorta di ossessione erudita alessandrina lo si potrebbe ricavare anche da un testo meno 'sospetto' che quello, mirato, di Ateneo: cf. Theocr. 2. 156 καὶ παρ᾽ ἐμὶν ἐτίθει τὰν Δώριδα πολλάκις ὄλπαν, con la nota di Gow 1952,

II, p. 61 s. (si confronti per il dettato di questo verso, Theocr. 12. 13 s.). Un'ampia rassegna critica della letteratura moderna sulla denominazione dei vasi & in Gulletta 1988, pp. 1427-1439; per

80

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

Da un punto di vista 'sociolinguistico' la glossa filitea si apparenta ad ἄμφωτις (fr. 1), che abbiamo già ricordato, ma anche a diverse altre che, come 'abbiamo visto e come vedremo, possono rimandare all'àmbito agricolopastorale?*. Per il suffisso di nomen agentis in un nomen instrumenti, cf. E. Fraenkel e Chantraine citt. in n. 239. In 1910, p. 242 s., E. Fraenkel menziona una serie di contenitori per bere, col nostro suffisso, ἀναγκαιοπότης, ἡδύποτις, παλιμπόton (Inscr. Del. 442 B 205, 209), e un generico ἐπιχύτης (IG XI 2, 110 B 26, Delo

280-79 a. C.; Inscr. Del. 104. 128 s.), insieme al nostro προχύτης (da Ione di

Chio)?®.

i criteri di redazione di Gulletta 1992, cf. Gulletta 1990, pp. 189-195. Alla bibliografia di Gulletta 1988 si puó aggiungere qualcosa, comunque di minore portata: Jahn 1854, pp. 36-38; Krause

1854; Hackl 1909, pp. 95-96, 103-105; Rumpf 1956, pp. 14-17; Amyx 1958, pp. 163-310; SparkesTalcott 1970, p. 4; Cook 1972, p. 217 s.; Johnston 1979, p. 32 s.; Scheibler 1983, pp. 16-24.

248 Cf. supra, p. 30 e n. 79. Per tale ragione, in quanto «notionem plebeiam», rispetto all'uso

attestato in lone, e perció «doctis sui temporis viris ... memorabilem», Filita avrebbe documentato προχύτης, per Kuchenmüller, p. 95.

249 Cf. anche ἀρτόπτης, γαστρόπτης, θερμοχύτης, μετρητής, ξέστης, ὀμβροδέκτης. Per E. Fraenkel ἐπιχύτης potrebbe costituire termine dialettale deliaco (in attico esiste ἐπίχυσις). Va rilevato che quelle per i bicchieri non sono denominazioni tecniche, ma affettive, diverse quindi da em- e

προχύτης. L'uso del suffisso di nomen agentis va evidentemente considerato usuale per questa classe di materiali (cf., supra, πελλητήρ e πελλαντήρ). Cf. anche xotng χυτροχύτης, nonché χυτήρ e composti (bro-, &m-).

Edizione e commento

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fr. 7=35 Kuch. = 53 Bach = p. 81 Kay. Athen. 11. 498a σκάλλιον. κυλίκιον μικρόν, ᾧ σπένδουσιν Αἰολεῖς, ὡς Φιλητᾶς φησιν ἐν ᾿Ατάκτοις 1. σκάλλιον B (σκαλλίον ex Hesych. Schweighäuser 1804, p. 276): κάλλιον A | κυλίκιον A: κυλίχviov Toup 17%, I, p. 359 n. | 2. Φιλίτας A

Hesych. o 816 Schm. σκαλλίον: κυλίκιον μικρόν. ot δὲ σκαλλόν σκάλλιον Kuchenmüller, p. 95

La glossa ὃ dialettale, e, come molte altre, impossibile da misurarne la consistenza?”, ma qualche considerazione etimologica può fornire lumi sul

manufatto. Bechtel 1923, p. 125, interpreta σκαλλ- da *oxoàv-, e confronta germ. skall- in norv. skalle («Hirnschale»). Frisk, GEW II 715, riporta asetticamente l'ipotesi, Chantraine, DELG 1009, la considera molto incerta. Ora, l'e-

sichiano oxaAAov appare proprio l'esito eolico (lesbico e tessalico) di una forma con suffisso -vo-, *okoA.-vo-v2!, e σκαλλιον un suo diminutivo. Il tutto appare coerente con le notizie fornite da Ateneo, e induce a mantenere, almeno

per σκαλλον l'accentazione proparossitona tràdita da Ateneo. Il senso originario potrebbe essere "lo scavato (raspando?)” (cf. σκάλλω), che ne denunce-

rebbe la fattura lignea, perlomeno originariamente? Se così fosse, saremmo rimandati ad un oggetto ‘rustico’, come altri glossati da Filita, qualcosa di analogo al κισσύβιον teocriteo (1. 28). Comunque, va osservato che Filita ne attesta l'uso per σπονδαί, che non rimandano all'àmbito agricolo-pastorale, ma a

pratiche cultuali, cui è funzionale, del resto, la piccola dimensione del

manufatto.

250 Nel caso di riferimento agli Αἰολεῖς c'è sempre da valutare la possibilità che si tratti, in realtà, di Saffo ed Alceo.

251 Sugli esiti del gruppo -Av-, cf. Lejeune 1972, p. 153 s. Sul suffisso -vo-, cf. Chantraine 1933, pp. 191-196.

252 Cf. Vries 1962, pp. 481, s. v. skdl «Trinkschale», 488, s. v. skel «Schale» (per coppe lignee).

Perfezioniamo, qui, quanto già concluso da Casaubonus 1600, p. 516: «σκάλλειν Graecis idem significat ac σκάπτειν fodere, cavare. Quemadmodum igitur a σκάπτω ... varia instrumenta nominarunt, quae cavando fieri videbant sic a σκάλλω cavatum lignum in usum poculi appellantur σκαλλόν».

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

fr. 8 = 36 Kuch. = 34 Bach = p. 75 Kay. Athen. 14. 646d ἀμόραι. τὰ μελιτώματα Φιλητᾶς Ev ᾿Ατάκτοις ἀμόρας φησὶν καλεῖσθαι. μελιτώματα δ᾽ ἐστὶν πεπεμμένα 1. φιλίτας A

| T s. τὰ μελιτώματα. Φιλητάς ἐν ᾿Ατάκτοις ἀμόρας φησὶν καλεῖσθαι μελιτώματα. ἔστι δὲ

πεπεμμένα Kayser, p. 75 | 2. δ᾽ ἐστὶν codd.: è ἐστι Valckenaer 1774, p. 395 | πεπεμμένα «σὺν μέλιτι» Kayser , p. 75, fort. ἐστὶ «μέλιτι; κεκεμμένα Kaibel 1890, p. 429 Hesych. a 3750 L. D ἀμόρα- σεμίδαλις ἐφθὴ σὺν μέλιτι ἐφθὴ σὺν Η: πεφθεῖσα Fungerus ap. Schrevel 1668, p. 75 n.7

Athen. 14. 646f ἀμορβίτης. πλακοῦντος εἶδος παρὰ Σικελοῖς ἁμορίτης vel ἀμοργίτης (ex Hesych. a 3751 L.) Stephanus 1572b, p. 386c

Hesych. a 3751 L. D ἀμοργίτας: πλακοῦντας post 3750 ἀμόρα, continua serie, M. Schmidt | ἀμορίτας Is. Vossius ap. Alberti 1746, p. 282 n. 25, ἀμορβίτας Alberti 1727, p. 59 Hesych. a 4178 L. D duwpos πλακοῦντος εἶδος Hesych. o 785 L. D ópopitag ἄρτος ἐκ πυροῦ διηττημένον γεγονώς διηττημένου Meineke 1843b, p. 11: διῃρημένου H, διηθημένου Meibom ap. Alberti 1766, p. 754 n. 26

Hesych. o 817 L. D ὁμοῦρα- σεμίδαλις ἐφθή, μέλι ἔχουσα καὶ σησάμην ὁμούρα H, ὅμουρα M. Schmidt

Athen. 3. 110b Ἐπίχαρμος δ᾽ ἐν Ἥβης γάμῳ κἀν Μούσαις (fr. 52 Kai.) ἄρτον ἐκτίθεται γένη κριβανίτην, ὅμωρον, σταιτίτην, ἐγκρίδα, ἀλειφατίτην, ἡμιάρτιον. ὧν καὶ Σώφρων ἐν γυναικείοις μίμοις μνημονεύει λέγων οὕτως; (sq. fr. 27 Kai.) 2. ὅμωρον A: ὅμορον CE | ἁλιφατίτην A: corr. CE

gl. 173 CGF Kai. = Athen. 14. 646e ἀμορβίτης

Epich. FCGP fr. 85. 241 Aust. ὅμωρος οὐδὲ χ᾽ ἡμίαίρ]τιον Sophr. fr. 27 Kai. δεῖπνον ταῖς θείαις κριβανίτας καὶ ὁμώρους καὶ ἡμιάρτιον / Ἕκάται

Edizione e commento

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LXX Paralip. 116. 3 καὶ διεμέρισεν παντὶ ἀνδρὶ Ισραηλ ἀπὸ ἀνδρὸς καὶ ἕως γυναικὸς τῷ ἀνδρὶ ἄρτον ἕνα ἀρτοκοπικὸν καὶ ἀμορίτην LXX Cant. 2.5 στηρίσατέ μοι Ev ἀμόραις στοίβασατέ με ἐν μήλοις, ὅτι τετρωμένη ἀγάπης ἐγώ 58. ἁμόραις Drusius 1627, p. 199: μύροις codd.

Di questa famiglia di vocaboli, da ritenere tale per la stretta affinità dei referenti, è individuabile un digamma finale della ‘radice’ (che spiega i nessi -pf- e -py-®) e il suffisso derivazionale, tipico anche di altri nomi di pane:

per il resto ὃ «unerklärt»?*. La fluttuazione nel vocalismo iniziale induce ad enucleare una radice iniziante in m-, non necessariamente indoeuropea, con

lo sviluppo di una vocale protetica?*. Le diverse forme, se dipendono dal mantenimento o meno del digamma e dagli esiti della sua caduta, rimandano a diversi àmbiti dialettali, non precisamente identificabili, e comunque non senza problemi. È apparentemente riconducibile all'àmbito del dorico orientale ἄμωρος, cosi come 6umpog?*, mentre il nostro ἀμόρα, con ὁμορίτας,

potrebbe essere di molti dialetti?”: sono esclusi il dorico orientale, ovviamente, e il ionico-attico?*,

a meno che in attico non si tratti di prestito assun-

23 Sulla scrittura di beta e gamma per digamma cf., da ultimo, Masson 1990, pp. 202-212, ove si ribadisce che il primo ? un trattamento fonetico, mentre il secondo & un espediente grafico (pp. 202, 208 s.). Le nostre due glosse esichiane seguono la consuetudine, che vuole quelle ove digamma è trascritto con f accompagnate dall'etnico, ove è trascritto con y senza (cf. Masson 1990, p. 209 s.). Senz'altro ció corrisponde ad una differenza a livello di fonti, anche se & impossibile determinarla. Hesych. a 3750-51 L. vanno aggiunte alle liste di Ahrens 1843, p. 44 ss., di glosse che presentano gamma o beta per digamma. 2% Cf. Frisk, GEW 1 94, e Chantraine, DELG 77. Per il suffisso, cf. Redard 1949, pp. 87-92, e Neumann 1998, p. 161 s. Una possibile corrispondenza ὃ individuata da Arena 1976, p. 346, in lat. moretum. 255 Sul fenomeno in generale, cf. Lejeune 1972, pp. 148-150, 210 s. Le radici inizianti con msono tra le piü soggette ad assumere la protesi. Segnaliamo due temi molto simili al nostro, ove avviene lo stesso fenomeno (solo il primo ὃ analizzabile etimologicamente): a) ὀμόργνυμι etc., ma Hesych. a 3757 L. D ἀμόρξαι' ἀπκοψῆσαι. f| ὀμόρξαι; b) ἀμορβεύειν etc., ma Hesych. o 783 L. D

duopfeiv: ἀκολονθεῖν. ὁδοιπορεῖν (cf. Arena 1976, p. 343). Sulla presenza dello spirito aspro nelle forme inizianti per o-, cf. Arena 1976, p. 343 (influenza dei composti a primo membro öy- di ὅμοιος, etc.). Sull'alternanza ἀ- / ó-, vd. Winter 1950, p. 21 ss. Sulla presenza di due temi (-a e -o-), cf. ancora Arena 1976, p. 343 s.

256 Cf. Lejeune 1972, pp. 158, 290, e, in particolare, Arena 1976, p. 344.

257 Crönert 1912, p. 384, annota che ἀμόραι ὃ «dor(isches) W(ort)». Su questa base Kuchenmüller, p. 96, ritiene si tratti di «vox Sicula». 258 Si ricordi che in attico i radicali a finale -pf- subiscono anch'essi, nella declinazione in -a, il passaggio -a > -n: cf. κόρη (« *xopf-a) e &pn (« *Sepf-a). In contrario c'è solo ἀρά (« *apf -a),

che io sappia (su cui cf. Frisk, GEW I 127).

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

to mediante una forma che giä aveva perso il digamma, per cui si ὃ conservato l' -a dopo p. Al ionico sembrerebbe, invece, appartenere ὁμοῦρα, ma, sempre che l'accentazione sia corretta, con suffisso -ja/-ja, contro l' -a di ἀμόρα: forse ὃ da conservare ὁμούρα del Marciano, che rimanderebbe, allora, ad àmbito dialettale diverso. Ma si noti il monstrum ἀμορβίτης, con vocali-

smo ionico-attico, ma sicuramente non tale per le tracce di digamma?”, e come ὅμωρος sia inaspettatamente attestato, garantito dal metro, in poeti

siracusani?*. [n definitiva, su questo versante possiamo concludere che si tratta di un termine dalla struttura fonetica fluttuante (un prestito?), e, a

quel che pare, territorialmente diffuso, anche se non ci si puó pienamente fidare della tradizione lessicografica. Secondo la testimonianza di Ateneo, Filita glossava ἀμόρα come «focac-

cia col miele cotta al forno»?!, cui sono complementari i glossemi di Hesych. a 3750 L., «fior di farina di grano cotta col miele»? e o 817 L., solo leggermente diverso. Piü generiche sono le illustrazioni di ἀμορβίτης, ἀμοργίτας e

ἄμωρος:5, Per noi l'esistenza αἱ ἀμόρα, -ἰτης, fuori dalla lessicografia, è confinata alla traduzione in greco dell'Antico Testamento?#, in situazioni testuali tutt'al-

tro che pacifiche. L'aggettivo àpopitnv in Paralip. cit., applicato ad ἄρτον, è sostituito, in alcuni codici, da κολλυρίτην (cf. κολλύρα)265. La tradizione in

259 Sicuramente si tratta, per il vocalismo, di “normalizzazione” di ἀμοργίτας (ἀμορξίτας) do-

vuta alla lemmatizzazione del termine. Non è chiaro se Arena 1976, p. 342, con «lege duopfitag» intende correggere il lemma o solo dichiarare la forma che deve sottostare all'aberrante ἀμορ-

βίτης. Nel primo caso, comunque, non sarebbe da toccare f: cf. n. 253 e lo stesso Arena. Insieme, del resto, ad altri termini dalla facies fonetica tutt'altro che siracusana, almeno nel

caso dell'elencazione di Ateneo a proposito di Epicarmo. Per quest'ultimo, CE riportano l'atteso ὅμορον, smentito dal frammento papiraceo. Arena 1976, p. 345 s., ipotizza la presenza nel dorico di Sicilia di due tradizioni: una «corinzia» (Siracusa), cui risalirebbe ápopf (tac, e una «rodia» (Gela), da cui discenderebbe ὅμωρος.

261 Valckenaer 1774, p. 395, vuole continuità sintattica tra le due frasi. In effetti, la seconda

appare in qualche modo monca: potrebbe peró trattarsi di una citazione verbatim di Filita, riportata per il solo particolare che si tratta di μελιτώματα πεπεμμένα. Oppure la notazione potrebbe essere un'aggiunta di Ateneo, specificante che i μελιτώματα sono cibi del ‘tipo’ πεπεμμένα (cosi sem-

bra difendere il testo tràdito Schweighäuser 1805a, p. 550). Direi che la qualificazione μελιτώματα per le ἀμόραι rende non necessaria l'integrazione proposta da Kaibel. Kuchenmüller, p. 96, nota la qualità glossematica dell'intepretamentum μελιτώματα, che si intende, con ció, estremamente specifico. E un elemento che induce ad attribuire allo stesso Filita l'aggiunta μελιτώματα δ᾽

ἐστὶν πεπεμμένα, che Kuchenmiiller, p. 96, attribuisce a Panfilo. 262 Perplesso per questa "farina bollita", Fungerus ap. Schrevel 1668, p. 75 n. 7, voleva πεφθεῖ-ca per ἐφθὴ cuv, ma cf., e. g., Athen. 14. 645b (Baovvias) ἐστὶν δὲ ἐφθὸν mupıvov, 645e (ἔγκριδες) πεμ-μάτιον ἑψόμενον, e Hesych. o 817 L. cit.

263 Le proposte di correzione per i primi due termini possono essere trascurate. 264 Il frammento comico di Kaibel è tale per congettura, identificandosi con l'attestazione di Ateneo.

265 Sulla situazione testuale del passo, vd. England Brooke-McLean-St. John Thackeray 1932,

p.441.

Edizione e commento

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Cant. cit. reca μύροις, al cui posto Rahlfs accoglie ἀμόραις di Grabe 1709, Pro-

legg. IV 5, che operö sulla base di esemplari origeniani, che recano ἐν ἀμύparc, della Vorlage ebraica ba'3í30t (plur. femm. di una forma assoluta sing. ' $y$), e del parallelo Paralip. cit., ricordando anche Ateneo ed Esichio. La

medesima correzione suggeri, precedentemente, Drusius 1627, p. 199, che rende «placenta, panis mellitus vel dulciarius»2%. Per Origene sono da riportare Origenis scholia in Cantica Canticorum, ex Catena Vaticana Procopii Gazaei

(PG VII 261c-d) ὁ Σύμμαχος οὕτως ἐκδέδωκεν" ἐπανακλίνατέ HE οἰνάνθῃ, τουτέστιν εὐωδέσι δένδροις, τοῖς καλὸν καρπὸν ποιοῦσιν, ἀνθοῦντα ... τινὰ δὲ τῶν ἀντιγράφων ἔχει' στηρίσατέ με ἐν ἀμύροις᾽ ὃ νοητέον κτλ., e Origenes, Comm. in

Cant. lib. III, p. 191. 23 ss. Baehrens in graeco quidem habet: "confirmate me in amoyris" amoyrum genus quoddam arboris nominans, quod Latini putantes myrrha dictum unguenta interpretati sunt?9, Forme da questa radice? compaiono ancora, nella Bibbia ebraica, in II Regn. 6. 19, Hos. 3. 1, Is. 16. 7. Nei LXX per il primo luogo abbiamo καὶ διε-μέρισεν παντὶ τῷ λαῷ εἰς πᾶσαν τὴν δύναμιν τοῦ Ισραηλ ἀπὸ Δαν ἕως Βηρσαβεε ἀπὸ ἀνδρὸς ἕως γυναικὸς ἑκάστῳ κολλυρίδα ἄρτον καὶ ἐσχαρίτην καὶ λάγανον ἀπὸ τηγάνου, ove il Coisl. 8 ha ἀμυρίτην per ἐσχαρίτην ed egualmente Aquila 6

Simmaco?®. Nel secondo, la parola in questione è resa da πέμματα μετὰ σταφίδων. Nel terzo i LXX rendono τοῖς κατοικοῦσιν, riflettendo, con tutta probabilità, una Vorlage con lezione diversa?”. Soprattutto il luogo del Cantico, ove la lezione origeniana appare la piü rispondente al modello ebraico, testimonia della conoscenza del termine nell’Alessandria ellenistica. Ateneo per ἀμορβίτης (Σικελοί) e l'esichiano duo

ρος sembrano indicare peculiarità lessicali dialettali il cui percorso fino alla lingua utilizzata dai Septuaginta & impossibile da ricostruire. Il termine non doveva essere strettamente tecnico, o, perlomeno,

tale non si é conservato,

considerando lo scarto del referente tra Filita ed Esichio («dolce col miele») e

i Septuaginta («pane o dolce con l'uva passa»)?!, tuttavia dobbiamo ritenerlo sufficientemente ‘marcato’, per poter arrivare alle attestazioni comunque

266 Sulla situazione, estremamente confusa, delle varie versioni di questo passo, cf. Garbini 1992, pp. 42 s., 45, 201 (che non riporta, peró, la variante ἀμόραις). A p. 147 egli traduce «(in mezzo ai) dolci».

267 La Vetus Latina ha inter unguenta. 268 Che Brown-Driver-Briggs 1906, p. 84, traducono «(pressed) raisin-cake» e Kóhler-Baum-

gartner 1953, p. 97, «Kuchen aus zusammengepressten, eingetrockneten Weinbeeren». Cf. Dalman 1935, p. 353 s.

269 Cf., rispettivamente, l'apparato ad loc. di England Brooke-McLean-St. John Thackeray

1927, p. 126, e Field 1875, p. 556, che nota «vox aliunde ignota, cujus loco ἀμορίτης ... ex ἀμόρα (quod Hesychio est ...), fortasse reponendum».

270 Cf. Ziegler 1934, p. 28 s., ove si vede come egualmente rispecchino letture tutte diverse tra

di loro Aquila, Simmaco, Teodozione e la traduzione siriaca 271 ]] che ostacola l'eventuale riferimento della glossa esichiana al luogo del Cantico.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

non generiche dei Septuaginta. Uno sguardo alla rassegna di emööpma in Athen. 14. 644-648 (capp. 52-58) mostra come la relativa attestazione possa essere letteraria (anche storica), oppure esclusivamente lessicografica o da Fachliteratur??: non è impossibile (siamo in àmbito alessandrino), che di quest'ultimo tipo possa essere la fonte dei traduttori dell' Antico Testamento?”. Altrettanta indeterminatezza si deve ammettere riguardo all'àmbito da cui Filita ricava la glossa. Il plurale, in quanto costituirebbe una strana forma di lemmatizzazione, sembra rimandare a un contesto preciso. Si osservi che Ateneo, nella sezione sopra menzionata, quando alla lemmatizzazione al plurale del nome del dolce accompagna un' attestazione letteraria, quest'ultima è sempre anch'essa al plurale?”*. Ma se esso riguardi realia simposiali, o cultuali, o altro, magari con mediazione letteraria, ὃ impossibile da verificare: i frr. 9 e 11, che sono di glosse semanticamente affini, riman-

dano a contesti determinati. Dal frammento di Sofrone si ricava che gli ὅμωροι potevano costituire offerte alla divinità. Puó essere di qualche interesse osservare, in fine, che anche i dolci veterotestamentari hanno in qual-

che contesto uso cultuale, per divinità femminili, come in Sofrone??: che la traduzione con ἀμορ- si possa dovere al fatto che i nomi di questo tema

giunsero ai traduttori dell'Antico Testamento come designanti dolci specificamente cultuali?

272 Ad esempio, il περὶ Πλακούντων di latrocle. 273 Cf. Arena 1976, p. 345 n. 27. Anche se bisogna tenere in conto la differenza di significato segnalata sopra. Tuttavia, si tratta di referenti dove l'incertezza nella denominazione è attesa.

74 Cf. Gulletta 1991, p. 305. 275 Cf. Wolff 1961, p. 76.

Edizione e commento

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fr. 9 = 37 Kuch. = 47 Bach = p. 78 Kay. Athen. 14. 645d κηρίον. πλακοῦς ἄρτος, ὃν ᾿Αργεῖοι παρὰ τῆς νύμφης πρὸς τὸν νυμφίον φέρουσιν. «ὀπτᾶται δ᾽ ἐν ἄνθραξιν, καὶ καλοῦνται Er’ αὐτὸν οἱ φίλοι, παρατίθεται δὲ μετὰ μέλιτος». ὥς φησιν Φιλητᾶς ἐν ᾿Ατάκτοις 1. κηρίον (ex Hesych. x 2546 L.) Kaibel 1890, p. 426: xpriov A | 3. φιλίτας A

Hesych. x 2546 L. D κηρίον" τὸ τῶν μελισσῶν. καὶ εἶδος πλακοῦντος Hesych. x 4061 L. xprito- ζῴδια ζῴδια Musurus: ζῳδία H

Hesych. x 4062 L. κρήϊνον’ κρεοθήκη κρήινον H: xprfiov TAGL IV, col. 1950c | κρεοθήκη Musurus: κρεωθήκη H

Hesych. x 4063 L. D xprjiov' ἐπίκοπον. κρεοδόχον λέβητα (τ) «62/63 fort. una gl., 1. 63 xpnivov r, xpn- et xpef a- suspectum», Latte

Et. Gen. (AB) xpeiov: ... iot£ov δὲ ὅτι ἡ μὲν κοινὴ δόξα ἔχει ὅτι τὸ κρεῖον KPEOSOXOV dyγεῖον σημαίνει: ὁ δὲ Εὐφορίων (fr. 155 P.) τὸ κρέας λέγει αὐτὸ εἶναι, ὡς καὶ Ὅμηρος (sq. Il. 9. 206). ὁ δὲ Ἡρωδιανὸς τὴν ἐκ τῶν ὠμῶν κρεάτων πεπληρωμένην τράπεζαν. ὁ δὲ Πτολέμαχος

τὸν ἀπὸ στέατος πλακοῦντα φησιν αὐτὸ σημαίνειν. Χοιροβοσκός 2. σημαίνει Α: ἐστίν Β cf. Et. Gud. 344. 13 Sturz; Etym. M. 536. 54

La glossa filitea appare isolata e di difficile interpretazione. Formalmente le è identico Hesych.

x 4063 κρήϊον- Erikonov. κρεοδόχον λέβητα, ma con

nessuna pertinenza riguardo al contenuto?”. Ed enigmatico risulta Hesych. 276 La glossa riproduce, con diverso vocalismo, l'abituale xpeiov (II. 9. 206), la cui interpretazione prevalente & κρεοδόχον ἀγγεῖον vel sim.: cf. schol. Od. 21. 61, Hesych. x 4038 L., 4138 L. (con

la correzione dello Stephanus 1572a, II 418a), Apion. gl. Hom. 245. 1 Ludw., Apoll. Soph. 103. 35, Arcad. 137. 3 Schm. (= 119. 6 Bark.), Suda x 2378, Zon. 1255, Choerob. orth. AO II 231. 18 Cr., Theogn. AO II 121. 15 Cr., Anekd. z. griech. Orth. 183. 23 Ludw., Eustath. 1899. 4, schol. Tzetz. Aristoph. PI. 227, schol. Il. 9. 206a!, Et. Gen. (AB), Et. Gud. 344. 13 Sturz, Etym. M. 536. 54,

Eustath. 747. 15 (cf. Herodian. x. καθολ. προσῳδ. 1 356. 2 L., orth. II 457. 10 L.). Altre interpretazioni del termine sono: a) κρέας (Euphor. fr. 155 P), cf. schol. Il. 9. 206a, Et. Gen., Et. Gud., Etym. M. citt., Eustath. 747. 15; b) ὠμῶν κρεάτων πεπληρωμένη τράπεζα (Herodian. orth. II 538. 1 L.: ex Arcad.,

Choerob., Etym. M. citt.), cf. Et. Gen., Et. Gud. citt.; c) κανοῦν ἢ ἀλλο τι, ἐφ᾽ οὗ τὰ κρέα κόπτεται (Pausan. att. x 43 Erbse), cf. Eustath. 747. 15; d) πλακοῦς ἀπὸ στέατος, cf. Et. Gen., Et. Gud., Etym.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

x 4061 xpriia: ζῴδια. Casaubonus 1600, p. 579, aveva tentato una spiegazione, «KPHION placentam, carnes immixtas habuisse: aut intus recepisse, instar earum quas vernaculus sermo pastas vel pastez vocat, suadet nomen. nam kprjiov apud nescio quem exponitur ab Hesychio xpeoööxov», ma Kaibel ha preferito rifarsi ad Hesych. x 2546 L. xnpiov τὸ τῶν μελισσῶν.

καὶ εἶδος

πλακοῦντος, correggendo il lemma in Ateneo. L'unico tratto dialettale certo è il mantenimento di -ni, contro l'esito -ει-,

per cui la forma non ὃ attica. In epoca, per cosi dire, 'pionieristica' lo Stephanus 1572a, II 418a, e M. Schmidt ad κρήϊνον la davano (relativamente alle

occorrenze esichiane) come ionica per xpeiov, più tardi Weir Smyth 1894, p. 215, contrapponendosi a Curtius 1879, p. 155, afferma che probabilmente è, invece, dorica?7. Per il contenuto, sempre sia valida la derivazione suddetta,

l'ipotesi di un dolce fatto di pasta farcita con carne (sostanzialmente, la ricostruzione di Casaubonus), mi pare si applichi male ad un πλακοῦς ἄρτος, per giunta servito μετὰ μέλιτος. Ma é difficile anche adattarsi alla correzione di

M. citt. Quest'ultima equivalenza viene attribuita a un tale Πτολέμαχος, che si ὃ voluto sostituire

con un nome piü comune: Πτολεμαῖος dub. Sylburg 1594, p. 32, Lentz 1868, p. 538, Baege 1883, p. 183 (scil. l'Ascalonita), Πολέμαρχος Meineke 1843a, p. 145 n. 2, Erbse 1971, p. 442.

77 Contemporaneamente e indipendentemente anche W. Schulze 1892, p. 103 n. 2, considera-

va doriche xpriac ζῴδια e xpritov: erikonov. κρεοδόχον λέβητα, contrazioni di κρέαια e κρέαιον (per il secondo, già J. Schmidt 1889, p. 325). Sulla base di xpritov in Ateneo (argivo), e di forme contratte xpn- di xpea-: κρῆς Aristoph. Ach. 795 (Megar.), Sophr. fr. 25. 2 Kai., Theocr. 1. 6 (v. 1.), cui sono da

aggiungere Segre-Pugliese Carratelli 1949-51, 259, nr. 153 I. 14 xpn (Camiro), Pugliese Carratelli 1955-56, 165, nr. 14 1. 1 (laliso). Frisk, GEW

II 12, e Chantraine,

DELG

580, allineano xpritov a

xpeiov, senza ulteriori considerazioni. Si possono, forse, proporre altre riflessioni. xpeiov è senz'altro una

forma

recente, anzi lo è l'intero verso, poiché un'originale *xpeotov (< *xpef ahıov) o

*xpertov (< *xpef ehiov: cosi Schmidt 1889, p. 325, Bechtel 1908, p. 247 s., Chantraine, DELG 580 [dub.], Shipp 1972, p. 28, Risch 1974, p. 130) non puó stare nell'esametro (per alcuni, la forma può essere analogica, e fatta direttamente su κρέας: cf. Frisk, GEW II 12 [«nach ἀγγεῖον u.a.»], Chantraine, DELG 580 [dub.], Risch 1974, p. 130). Per quanto riguarda la seconda forma, & plau-

sibile, dato il frequente mutamento di a in e nel suffisso dei neutri in -ας. Tuttavia, la contrazione di ex dovuto a caduta di digamma & estremamente rara in Omero (cf. Chantraine 1958, p. 31). Forse si può introdurre Hesych. x 4063 L. xpriov: ἐπίκοπον. κρεοδόχον λέβητα, che presenta i medesimi significati attribuiti a xpeiov (cf. n. 276). Ricordando la possibilità di un originario *xpeaov, contrazioni del gruppo ea per caduta di digamma in Omero potrebbero aversi in ἥνδανε, ἥνασσε, ἥλω (che potrebbero celare / &vbave, ἑάνασσε, ἑάλω), ἦξε (si noti, però, che si tratta in tutti i casi di

tempi storici di verbi con inizio radicale in f a-, di una categoria estremamente ristretta, quindi). Inoltre, le sinizesi un κρέα (Od. 9. 347), πολέας, πελεκέας, νέας (Od. 9. 283), indica che siamo di fronte a grafie 'storiche' che celano realtà fonetiche di contrazione. Se accettiamo che in Omero sia

possibile una forma xpriov da *xpeovov, Hesych. x 4063 L. potrebbe allora fornirci una variante grafica (più antica o arcaizzante?) di xpeiov in Il. 9. 206 (che, a sua volta, potrebbe essere esito di riduzione di dittongo lungo). Una variante grafica che poteva accasarsi in Omero grazie a forme come δήϊον (suggerimento di Albio Cesare Cassio). Sulle forme con -nt-, cf. Chantraine

1958, p.

106 s., Risch 1974, p. 127 s. Diversamente Brugmann 1898, p. 164, per cui -n- di xpritov sarebbe l'atteso risultato, in Omero, della contrazione di ee davanti a 1. Naturalmente, in questi casi, l'ipo-

tizzato dorismo di xprivov non varrebbe per la nostra glossa esichiana.

278 Non vi trova, invece, nulla di incongruo Kuchenmüller, p. 96 s., che ne trova conferma in

xpeiov = τὸν ἀπὸ στέατος πλακοῦντα (cf. n. 276).

Edizione e commento

89

Kaibel?”: a) la corruttela del comune κηρίον nel raro xpriiov non è del tutto pacifica? b) l'interpretazione di κηρίον "favo" quale "dolce" in Hesych. x 2546 L., se non & errore, potrebbe non essere collegata al referente descritto da Fileta, ma risalire alla incompleta comprensione di occorrenze quali IG IIIII? 4962. 19 ss. (Atene, lex sacra, in. IV a. C.) Ἡλίῳ

| ἀρεστῆρ[α]

| κηρίον (si

tratta di un'offerta), e si confronti schol. Nicand. Alex. 4506 ὄμπαι δὲ κυρίως οἱ μέλιτι δεδευμένοι πυροί ... Νίκανδρος δὲ ἰδίως εἴρηκε τὰ κηρία ὄμπας; c) sembra attestato, comunque, un πλακοῦς ἀπὸ στέατος dal nome xpeîov?8!; d) κηρίον

non è del tutto appropriato a un alimento non fatto mente servito con esso??, Se si accetta la correzione di Kaibel, va rivista Schmidt ad Hesych. x 4061 L. xpriia ζῴδια, che ha st'ultima glossa con il passo di Ateneo, concludendo ζῴδια intellegenda esse placentas animalium formas

col miele, ma semplicel'interpretazione di M. messo in rapporto queche da questo «apparet repraesentantes»?9.

Relativamente all'attività di Filita, si nota, ancora una volta, il carattere antiquario della glossa, non necessariamente dialettale, ma relativa a usanze epicoriche. La descrizione & di notevole accuratezza, in essa non vengono

trascurate né l'occasione (il rituale del matrimonio)?#, né i dettagli del dolce in questione, con descrizione, modalità di cottura e di presentazione.

279 A favore della quale Kuchenmiiller, p. 96 (che, peraltro, alla fine preferisce rimanere fedele alla lezione tràdita), aggiunge: «nomen xnpiov “favum” placentae nuptiali quam maxime convenit, quippe quo forma et mellis additamentum et princeps sententia ritus bene significaretur». Cf. Kuchenmüller, p. 97.

281 Cf. n. 276 (questo significato, come quello di Erodiano, manca in LS] s. v.). Ma si ricordi

che στέαρ significa anche σταῖς, cf. LS] s. v. στέαρ II.

282 Cf. Kuchenmiiller, p. 97.

283 Ripreso (p. 276. 15-17 284 Su ciò, Heckenbach

in LS] s. v. κρήϊον. Per manufatti del genere cf., e. g., schol. Lucian. Dial. mer. 2. 1 Rabe), Orth 1922, coll. 2094-2099. vd. Kuchenmiiller, p. 97 s. Forse è tratto appartenente alla 6oivn γαμική, su cui cf. 1913, col. 2129. 63 ss. Per altri dolci nuziali, cf. Phot. Il 154. 6 N. (= adesp. com. fr.

537 K.-A.) σήσαμον, con una descrizione dai tratti estremamente simili a quelli del xprjiov, e

Hesych. y 119 L. γαμήλιος.

9%

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

fr. 10 - 38 Kuch. - 48 Bach - p. 78 Kay. Athen. 11. 482e-483a κύπελλον. τοῦτο πότερόν ἐστιν ταὐτὸν τῷ ἀλείσῳ καὶ

τῷ denn «καὶ μόνον» ὀνόματι διαλλάσσει --- (sq. Il. 9. 670) — f| διάφορος ἡ ὁ τύπος καὶ οὐχ ὥσπερ τὸ δέπας καὶ τὸ ἀλεισον ἀμφικύπελλον, οὕτω [δὲ] καὶ τοῦτο, κυφὸν δὲ μόνον; ἀπὸ γὰρ τῆς κυφότητος τὸ κύπελλον, ὥσπερ καὶ τὸ ἀμφικύπελλον, fj ὅτι παραπλήσιον ἦν ταῖς πέλλαις, συνηγμένον μᾶλλον εἰς τὴν κυφότητα᾽ ἢ ἀμ--

φικύπελλα οἷον ἀμφίκυρτα ἀπὸ τῶν ὥτων, διὰ τὸ τοιαῦτα εἶναι τῇ κατασκευῇ. φησὶ γὰρ καὶ ὁ ποιητής: (sq. Od. 22. 410). ᾿Αντίμαχος δ' ἐν e' Θηβαΐδος (sq. fr. 24 Matth.). Σιληνὸς δέ φησι «κύπελλα ἐκπώματα σκύφοις ὅμοια, ὡς καὶ Νίκανδρος ὁ

Κολοφώνιος (fr. 140 Schn.), ... (Od. 20. 253). Εὔμολπος δὲ ποτηρίου γένος, ἀπὸ τοῦ κυφὸν εἶναι. Σιμάριστος δὲ τὸ δίωτον ποτήριον Κυπρίους, τὸ δὲ δίωτον καὶ τετράωτον Κρῆτας. Φιλητᾶς δὲ Συρακοσίους κύπελλα καλεῖν τὰ τῆς μάζης καὶ τῶν ἄρτων ἐπὶ τῆς τραπέζης καταλείμματα 2. «καὶ μόνον» Kaibel 1890, p. 62: ἣ A, «xci» ὀνόματι «μόνον» Casaubonus 1600, p. 506 (xai ὀνόpan Schweighäuser 1804a, p. 288, ὀνόματι «μόνον» Meineke 1867, p. 224), [ἢ] ὀνόματι «μόνον» διαλλάσσον Polak 1881, p. 43 | 11. φιλίτας A

Gli interventi di Casaubonus e Kaibel sono da accettare, perlomeno a restituzione del senso: la disgiuntiva fj non ha qui, in effetti, alcun ruolo, trat-

tandosi di identità del referente?8. La glossa emerge alla fine della trattazione del manufatto κύπελλον, si-

tuandosi, peró in assoluto isolamento, salvo il legame, del tutto formale col nome del vaso?*. Non ve ne sono altre attestazioni, né letterarie, né lessicografiche, e la glossa appare di difficile interpretazione?”. Casaubonus 1600, p. 506, tentò: «reliquias mazae aut panis: quae Evangelistis quattuor κλάσματα nuncupatur. hac notionem κύπελλον originem habet a κόπτω, ut κλᾶσμα a κλῶ. In loco τοῦ 0 positum est 9, ut in ὄνυμα». È

evidente l'impronta 'prescientifica', anche se non si tratta di ipotesi del tutto assurda. Comunque, non ci sono le condizioni che accompagnano l’oscuramento di o in v. Furnée 1972, pp. 88 n. 475, 148, ne fa un termine pregreco, di

carattere affettivo («Depreziativum»), inserendolo tra le forme che presentano alternanza di labiale (x - 8), allineandola a σκύβαλονϑ88, 285 Forse non c'è bisogno di μόνον, anche se spiega bene paleograficamente la lacuna.

286 È un procedimento non isolato in Ateneo, che a volte in fine della trattazione del nome del vaso fa esempi dell'uso del medesimo significante in tutt'altri àmbiti: cf., nel libro XI, 784a (üpvong), 784d (βομβύλιος), 474d (κάνθαρος), 482d (κύμβη).

287 Per Kuchenmüller, p. 98, potrebbe trattarsi di un errore di Ateneo o Filita nell'interpretazione di qualche passo poetico, ad es. di Epicarmo.

288 Il confronto è già di Alessio 1955, p. 455, che, del resto, qualificava il vocabolo di parola di sostrato mediterraneo, di area sicana. A p. 312 e n. 27 Furnée ipotizza che a fonte cappadocia

Edizione e commento

9]

Benché innegabilmente 'difficile', non é forse necessario escludere il vo-

cabolo dall'àmbito indoeuropeo. Il κύπελλον "coppa" sembra avere diversi paralleli in altre lingue indoeuropee, con referenti riconducibili a «cavo, scavato»?9, A noi tutti sono familiari le visioni dei resti dei pani alla fine del pasto, appunto 'scavati'?9, Ancora una volta di Filita ci viene presentata una glossa dialettale, non si intende se estratta da un àmbito piü generale, e di cui e difficile precisare la funzione. Non abbiamo alcun indizio che si tratti di esegesi di poesia?!,

ma anche l'eventuale carattere antiquario dell'annotazione non é determinabile. Cosi come si presenta appare un appunto lessicale, di carattere dialettologico.

no essere attribuiti termini etimologicamente oscuri, come ittito kuptar «resto (di un offerta)», con cui dubitativamente confronta il nostro κύπελλα. 289 Cf. Frisk, GEW II 51. La parentela con κυφός, qual'è in Ateneo, è paretimologica. 2% ἢ) carattere espressivo della geminazione del lambda non ha bisogno di particolari illustrazioni. Si potrebbe anche avanzare, sommessamente, la possibilità che si tratti di un uso metaforico, a partire da κύπελλον "coppa". Trattandosi della fine del pasto, ovvero del momento

che precede il simposio, tali resti potevano essere scherzosamente chiamati "bicchieri'. L'indicazione che si tratta di termine siracusano potrebbe rimandare alla commedia siciliana (cf. n. 287), ma non segue alcun passo esemplificativo.

92

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

fr. 11 = 39 Kuch. = 55 Bach = p. 81 Kay. DI

-

Athen. 3. 114e Φιλητᾶς δ᾽ ἐν toig ᾿Ατάκτοις? σποδέα καλεῖσθαί nva ἄρτον, ὃν ὑπὸ τῶν συγγενῶν μόνον καταναλίσκεσθαι 1. Φιλήτας codd. | σκοδέα dub. Schweighäuser 1802, p. 301: σπολέα codd. (σπκολεὺς CE) | 2. ev γενῶν Korais ap. Schweighäuser 1802, p. 301 (cf. 1801, p. CXVII), fort. ἐγγενῶν i. e. οἰκογενῶν Kaibel 1887, 1, p. 263

Athen. 3. 111d-e βακχύλος δ᾽ ἐστὶν ἄρτος σποδίτης παρ᾽ Ἠλείοις καλούμενος, ὡς Νίκανδρος ἐν β΄ Γλωσσῶν ἱστορεῖ (fr. 121 Schn.). e. μνημονεύει δ᾽ αὐτοῦ καὶ Δίφιλος ἐν Διαμαρτανούσῃ οὕτως (sq. fr. 25 K.-A.) Hesych. p 129 L. D BaxyvAov: σποδίτην ἄρτον. Ἠλεῖοι σκοδίτην Athen. 3. 111d: σπκονδίτην H

Galen. Lex. Hipp. XIX 140. 3 K. σποδίτῃ dptw τῷ ἐγκρυφίᾳ καλουμένῳ

Hippocr. mul. II 118 ἄρτῳ σποδίτῃ ... χρεέσθω σκοδίτῃ 8: σιτώδει vulg., σιτώδη H

Pherecr. fr. 61 K.-A. Τώλεν ὀβελίαν σποδεῖν, ἄρτου δὲ μὴ προτιμᾶν σποδεῖν Dobree ap. Porson 1820, p. 78: axo&v A, σποδίτου Papavasilios 1889, p. 192, σποδίτου δὲ u.r. Kaibel ap. Kassel-Austin 1989, p. 131 Diphil. fr. 25 K.-A. ἄρτους oxobi tag κρησερίτας περιφέρειν Nicand. fr. 121 Schn. βακχύλος δ᾽ ἐστὶν ἄρτος σποδίτης xap' Ἠλείοις καλούμενος, ὡς Νίκανδρος ἐν ff. Γλωσσῶν ἱστορεῖ

Σποδεύς 253, che designa un pane cotto sotto la cenere, è, senza dubbio, la denominazione

sostantivata, affettiva,

e non altrimenti nota, del più docu-

292 Per tv τοῖς al posto di ἐν ταῖς, cf. Kuchenmüller, p. 114 n. 7. 293 Non credo ci possano essere dubbi sulla correzione, nonostante la prudenza di Schweighäuser e Kaibel 1887, I, p. 263: cf. Frisk, GEW II 771, Chantraine, DELG 1040, Perpillou 1973, p. 295 s. Furnée 1972, pp. 154 e 387, mantiene invece la fluttuazione tra dentale e liquida, considerandola un indizio dell'origine pregreca del gruppo.

Edizione e commento

93

mentato e più tecnico σποδίτης ἄρτος, a sua volta oggetto di illustrazione,

ma anche utilizzato come spiegazione di termini glossematici?®. Ma non è

tale equivalenza, che risulterebbe forse banale in questo luogo, a interessare Filita, quanto legare tale pane ad un'osservazione di costume, 'sociologica'?$. La notazione che lo σποδεύς è un pane che ὑπὸ τῶν συγγενῶν μόνον Ka-

ταναλίσκεσθαι, ha sollevato diverse interpretazioni: Schweighäuser 1802, p. 301, ritiene ci si riferisca al συγγενικὸν ἄριστον di cui in Athen. 2. 48d-e (=

Phaen. Eres. fr. 27 W.), dove si tratta di un banchetto dei parenti del re di Persia??, mentre Corais, ibid., correggerebbe συγγενῶν in εὐγενῶν, sulla base di Antiphan. fr. 174 K.-A. πῶς yàp ἄν τις εὐγενὴς γεγὼς x14., concludendo che

tale tipo di pane si utilizzava solo ἐν ταῖς γεννικαῖς ebaxiand?®. Infine, Kaibel suggerisce ἐγγενῶν = οἰκογενῶν.

da considerare una osservazione di Papavasilios 1889, p. 192, a proposito dello σποδίτης ἄρτος: «σημειωτέον ὅτι καὶ νῦν ἔτι ot ποιμένες καὶ τῶν dypoτῶν οὐκ ὀλίγοι σποδίτην ἄρτον ἐσθίουσιν ἅτε προχείρως σκευαζόμενον». Sembra

si possa dire che si tratta di un pane dalla fattura semplice e rapida, non particolarmente raffinato, da consumarsi all'interno della famiglia, ma

non da

offrire in occasioni conviviali?”. Ma é forse piü importante che l'annotazione di Filita ricordi molto il suo fr. 9 (xpríiov). πλακοῦς ἄρτος, ὃν ᾿Αργεῖοι παρὰ τῆς νύμφης πρὸς τὸν νυμφίον φέ--

2% Sul carattere espressivo e sostantivante della suffissazione in -εύς, per denominazione di oggetti, cf. Leukart 1994, pp. 243 e 251. Alternanze suffissali -&ic/-tnc sono elencate da Perpillou 1973, p. 384. Per la diffusione del fenomeno già in miceneo, cf. Leukart 1994, p. 240 ss. 295 Cosi avviene per lo meno nel caso di βάγχυλος. Sui pani cotti nella cenere, cf. Blümner 1912, p. 84; su tale procedura di cottura, cf. Plat. Resp. 372c 8 s. καὶ μύρτα xoà φηγοὺς σποδιοῦσιν ὃς τὸ πῦρ e lo schol. ad loc. σπκοδιοῦσιν ἀντὶ τοῦ εἰς σποδὸν ἦτοι εἰς ἀνθρακιὰν ἐσβεσμένην ἑψήσουσιν.

Per Kuchenmüller, p. 99, Filita aveva indicato anche il dialetto cui era proprio il termine. Alla fine della citazione del passo filiteo Perpillou 1973, p. 295, aggiunge «donc à Cos»: non c'è alcun sostegno per tale conclusione. καὶ ἐπὶ τὸ συγγενικὸν ἄριστον ἐκαλεῖτο ὁ Κρὴς οὗτος ... ὅπερ οὐδενὶ πρότερον τῶν Ἑλλήνων ἐγένετο, ἀλλ᾽ οὐδ᾽ ὕστερον. αὕτη γὰρ ἡ τιμὴ τοῖς συγγενέσι διεφυλάττετο. Ciò induce Schweighäuser a non toc-

care σπολέα della tradizione, la cui giustificazione, afferma, potrebbe reperirsi «in Persica lingua». Cf. Xenoph. Cyr. 1. 4. 27, 2. 2. 31 e LSJ s. v. συγγενής III.

2% Di cui in Eubul. fr. 35 K.-A.

2% Perpillou 1973, p. 295, suggerisce che si tratti di un termine popolare o tecnico epicorico. Egli lo mette in serie con le denominazioni di animali comuni e familiari e di oggetti umili, di uso quotidiano (cf. p. 291). In quest'àmbito sarebe suggestiva la proposta di Kaibel, ma ἐγγενής non può avere il significato da lui attribuitogli. Besnier 1907, col. 496b, afferma che il pane subcinericius era un «pain de luxe», ma senza darne prove. L' ἐγκρυφίας di Tegea é celebrato da Archestr., SH fr. 135. 14 s., ma sullo scarso valore nutritivo del pane subcinericius si diffondono i medici (cf. Philist. Locr. fr. 9 Wellm., Diocl. Caryst. fr. 116 Wellm., Galen. de alim. fac. 1. 2 (VI 489 s. K.]), che lo consigliano solo in casi particolari: cf. Hippocr. acut. sp. 53. 1, vict. III 79. 2, epid. VII 3, mul. I 34, 11 121. Se Callim. fr. 251 Pf. appartiene effettivamente all'Ecale, I’ ἐγκρυφίας sarebbe tra i componenti dell’ospitale ma parca mensa della vecchia, ed ancora più interessante sarebbe,

al nostro discorso, se fosse valida la traduzione di Hollis 1990, p. 172, «such as women hide under the ashes for herdsmen», con βωνίτης = βουκόλος.

94

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

ρουσιν. «ὀπτᾶται δ᾽ £v ἄνθραξιν, καὶ καλοῦνται Er’ αὐτὸν οἱ φίλοι, παρατίθεται δὲ μετὰ μέλιτος». Ancora un pane subcinericius, il cui consumo ὃ ristretto ἃ pochi, qui i φίλοι come i συγγενεῖς per lo σποδεύς. In piü, li abbiamo l'indicazio-

ne di un'occasione per il costume descritto, ovvero quella di un matrimonio**: forse anche la limitazione ai συγγενεῖς nel consumo dello σποδεύς era

legata ad una qualche occasione particolare, la cui menzione & andata perduta?!.

39 Non credo si debba dubitare che il segmento ὃν ᾿Αργεῖοι παρὰ τῆς νύμφης πρὸς τὸν νυμφίον

φέρουσιν sia collegato in tutto a quanto segue, nonostante non appartenga alla citazione verbatim delle parole di Filita. 301 Kuchenmiiller, p. 98 s., argomenta: «a cognatis solum comeditur, cum arte copulentur, qui unum cibum sacrum uno eodemque tempore et loco capiunt», menzionando Hesych. ε 6393 L. Ἑστίᾳ Bvopev: ἦσαν τινες θυσίαι, ἀφ᾽ ὧν οὐχ οἷόν τε ἦν μεταδοῦναι ἢ ἐξενεγκεῖν.

Edizione e commento

95

fr. 12 = 40 Kuch.- 22 et 45 Bach = p. 78 Kay. = spur. 27 Pow. = IX Br. = XI Jac. = 4 Hart. = spur. 16 Schneidew. = dub. vel spur. 28 Giord. Athen. 15. 678a ἀλλὰ μὴν καὶ ἰάκχαν τινὰ καλούμενον οἶδα στέφανον ὑπὸ Σικνωνίων, ὥς φησι Τιμαχίδας ἐν ταῖς Γλώσσαις (fr. 19 Blink.). Φιλητᾶς δ᾽ οὕτως γράφει" ἰάκχα ἐν τῇ Σικυωνίᾳ στεφάνωμα εὐῶδες: ἕστηκ᾽ ἀμφὶ κόμας εὐώδεας ἀγχόθι πατρὸς καλὸν ἰακχαῖον θηκαμένη στέφανον 1. ἰάχχα τινὰ A: corr. dett. | 2. Φιλίτας A | ἰάκχα --- εὐῶδες post Γλώσσαις dub. transt. Kleine 1833,

col. 763; Φιλητάς — εὐῶδες post στέφανον (i. e. post fragmentum poeticum) transt. Hartung, p. 31; στεφανώματος εἶδος pro στεφάνωμα εὐῶδες proposuit Harberton, p. 568 4. ἀμφὶ κόμας Villebrune 1791, p. 395: ἀμφίκομα A, κόμην Dalechamps 1583, p. 505, κόμαις Casaubonus 1600, p. 606, ᾿Αμφίκομις Canter ms. ap. Schweighäuser 1805b, p. 97 | εὐώδεας A:

εὐώδεος Casaubonus 1597, p. 678a, εὐώδεα Villebrune 1791, p. 395, εὐώδεσιν Fiorillo 1801, p. 90, θεοειδέος Harberton, p. 568 Hesych. 1 21 L. Ὁ ἰάκχα- στεφάνωμα εὐῶδες Ev Σικυῶνι Σικυῶνι Musurus: Zuxiovi H

Hesych. 1 22 L. D ? iaxyátev φυλλολογεῖ. καταβοᾷ «φυλλολογεῖ ad denominativum a gl. 21 derivat», Latte, φιλολογεῖ Stephanus 1572b, col. 1066g Hesych. 15 L. [i&yxetov- στεφάνωμα] ἰάγχειτον leg. in cod. Schow 1792, p. 371, fortasse recte, del. Musurus, «v.l. gl. 21» Latte, ἰάκχη τὸ στεφάνωμα Schow 1792, p. 371 n. 13, ieyxoiov dub. Kuchenmiiller, p. 99

Hesych. 6 567 L. [θιακχὰ: ἄνθη ἐν Συκιῶνι (sic)] «v.l. gl. 1 21, cf. Prolegom. XXX» Latte

La glossa e di notevole rilevanza, in quanto tra le poche che testimonino di utilizzo di poesia da parte di Filita per il suo lavoro grammaticale, e l'unica che lo faccia inequivocabilmente, nonostante alcuni abbiano fatto

del distico un frammento di Filita*?, In particolare, Bach, p. 57 s., argomenta che Ateneo, sempre diligente nel menzionare gli autori degli excerpta,

9? Cosi Brunck II, p. 524, Bach, p. 57 s., Hartung, p. 31 (che lo attribuiva anche, dubitativamente, alla Demetra), Wilamowitz 1924, I, p. 114 n. 2. Cf. anche Casaubonus 1600, p. 606, Kern

96

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

non avrebbe qui taciuto, se il distico non fosse dello stesso Filita, ma il suo

rifiuto dell’opinione di Fiorillo 1801, p. 89 s., che giä Filita non conoscesse il nome del poeta e non l'avesse quindi menzionato, e che in Ateneo avrem-

mo la trascrizione come reperita in Filita*?, è più di fastidio («mera hariolatio») che argomentato. Tanto piü che, come vedremo, c'é piü di un indizio a

favore non tanto dell'ignoranza dell'autore da parte di Filita, quanto del suo disinteresse. Il frammento, con la correzione di Villebrune (ἀμφὶ κόμας), sembra in

ordine, anche se la qualifica di εὐώδης ce la si attenderebbe riferita alla corona, com'è nei glossemi, e non alla chioma: ma si osservi che εὐώδεα di Villebrune (o εὐώδη) provocherebbe iato. [εὐῶδες στεφάνωμα di Filita, se in rap-

porto con l’ebwöeas κόμας del frammento portato a testimone, può doversi ad una sorta di enallage. Anche se pare degna di considerazione la poco conosciuta proposta di Harberton, p. 568, a correzione del testo di Ateneo introduttivo al frammento poetico (στεφανώματος εἶδος). Il distico**, non si può dire se di elegia o epigramma, appare comunque di carattere narrativo: se

descriva un momento cultuale istituzionale, o, come credo piü probabile, un preciso episodio mitologico, non saprei dire. Mi azzardo a proporre un'identificazione di figlia e padre rispettivamente con Agave e Cadmo, ma non dubito che si possa trovare qualcosa di meglio. La ἰάκχα, evidentemente una corona dionisiaca, ha un analogo, attestato

in Nicand. fr. 130 Schn. Báxxog ... ἐστὶ καὶ στεφάνης εἶδος, ὡς Νίκανδρος ἐν tà περὶ τῶν γλωσσῶν ἱστορεῖ. φησὶ yàp οὕτως: βάκχοισιν κεφαλὰς περιανθέσιν ἐστέψαντο"5. Si tratterà di una corona cultuale o, comunque,

per occasioni

iniziatiche®. La glossa ha evidente carattere dialettale e antiquario. Allo stato dei fatti, sembra che Filita abbia compiuto una sorta di analisi morfologica derivazionale, inducendo ἰάκχα da iaxxaiov?”. L'indicazione di reperimento ἐν

τῇ Σικυωνίᾳ e di notevole interesse. Non tanto in sé (si potrebbe sottintende-

1914, col. 619. Hartung, p. 31, riteneva che Timachida avesse utilizzato versi di Filita per la sua

glossa. Il riconoscimento che si tratta di componimento non filiteo risale perlomeno a Dalechamps 1583, p. 505: «versus poetae cujusdam».

393 Così anche Cessi 1908, p. 136 n. 2. 3% Per inciso, esso andrebbe aggiunto alle attuali sillogi, quali gli lambi et elegi di West, o il Supplementum Hellenisticum, oppure, ancora, Further Greek Epigrams, di Page. 3» Cf. Suda B 57, Etym. M. 185. 14.

9 Una vecchia interpretazione la dava come corona conviviale, cf. Paschalius 1671, p. 91. Ma il nome stesso e la situazione descritta nel distico la contraddicono. 307 Per altro in maniera impeccabile, cf. Chantraine 1933, p. 46 ss. Il derivato probabilmente si

ritrova ancora, applicato ad essere umano, in un'iscrizione di Salamina di Cipro, datata al II-III d. C.: cf. Pouilloux-Roesch-Marcillet/Joubert 1987, p. 24 nr. 43 [τ]ὸν Διόνυσον καὶ τὸν Ἰνδικὸν Aco[vt]ápiov M Tinog (?) Παντίσχεινος 'A8nviav ὁ ἰακίχα]ιος καὶ τεχνάρχης ἐκ τῶν ἰδίων κατεσκεύασεν,

con la nota ἃ p. 25: forse si designava un ruolo in una pratica rituale.

Edizione e commento

97

re διαλέκτῳ, 0 χώρᾳ)" 8, quanto perché segue un componimento poetico, qualificato non da un autore, ma in quanto sicionio. Un poema cosi introdotto ha l'aria di essere un'opera di statuto epicorico (un "poema di fondazione"?), circolante (se circolante) solo per iniziativa di chi avesse deciso di raccoglierlo, probabilmente insieme ad altri, in qualche tipo di silloge. Non e escluso che potesse trattarsi di un poema su pietra**: l'uso di materiale epi-

grafico per il lavoro di storico e antiquario risale perlomeno fino ad Erodoto??, e ha amplissima diffusione in Aristotele?!. Per il nostro specifico, sono da ricordare perlomeno Philochor., FGrHist 328 T 1 Jac., ove si menziona una

sua opera ἐπιγράμματα ᾿Αττικά, Neoptol. Par. fr. 7 M., introdotto N. ὁ II. ἐν τῷ Περὶ emypappatov?, l’attività di Polemone di Ilio, per quanto un secolo

dopo Filita, la cui investigazione delle iscrizioni attraverso la Grecia produsse, tra l'altro, lo scritto Περὶ τῶν κατὰ πόλεις ἐπιγραμμάτων (frr. 79-80 M), e infine Aristodemo di Tebe, del II a. C., autore di un Θηβαϊκὰ ἐπιγράμματα

(FGrHist 383 F 1 Jac.). Filita sembra avere o raccolto direttamente questo poema, oppure consultato un'opera che lo riportava (in tutto o in parte), un'opera che doveva avere, comunque, carattere erudito, prima che propriamente letterario: almeno ció é quanto si ricava dalla menzione anonima dei versi. La ricostruzione di un siffatto quadro ha conseguenze interessanti per la valutazione del lavoro di Filita: quello che appare in questo caso, perlomeno a prima vista, e l'utilizzo di glossografia non in funzione della poesia (composizione o interpretazione)??, ma

la menzione di un documento,

che

308 Non è necessario, con Kaibel 1890, p. 498, sottintendere ἀναγραφῇ, benché questa iscrizione sicionia riportasse cronologie e attività di musici e poeti (cf. FGrHist 550 Jac. e comm. ad loc.). Cf. Kuchenmüller, p. 99 s. 50}} ἀναγραφὴ Σικυωνία come possibile fonte dialettale per i grammatici, cf. Cassio 1993, p. 83 s. (ove 50 & refuso tipografico per 550). X9 Questo & quanto sembra affermare Meineke 1867, p. 328, «ex epigrammate sepulcrali ductum videtur». Il distico non ha, comunque, carattere di titulus sepulcralis.

310 Una rassegna sulle epigrafi addotte da questi è in S. West 1985, pp. 278-305, ove si eviden-

zia, tuttavia, come per lo piü Erodoto non le menzioni a scopo di testimonianza storica. Una analisi dettagliata e critica degli argomenti della West in Pritchett 1993, pp. 144-191.

311 La sua persistenza è visibile anche ad una rassegna degli autori raccolti da Jacoby, e datati

al IV e III sec. a. C. Per l'uso o la semplice menzione di epigrafi/epigrammi, cf. Ephor. Cum., FGrHist 70 F 122, 199; Clidem., FGrHist

323 F 15; Androt., FGrHist 343 F 61; Hecat. Abder.,

FGrHist 264 F dub. 25; Onesicrit. Astypal., FGrHist 134 F 34, 35; Melanth., FGrHist 326 F 3; Crater. Mac., FGrHist 342 F 14; Nymphis Heracl., FGrHist 432 F 9; Anticlid. Athen., FGrHist 140 F 6, 11; Duris Sam., FGrHist 76 F 22, 23; Hegesias Magn., FGrHist 142 F 1, 2; Xenagor., FGrHist

240 F 2-19; Harmod. Lepr., FGrHist 319 F 3; Aristus Salam., FGrHist 143 F 1; Apollas, FGrHist 266 F 5. Per Filocoro e Neottolemo di Pario, cf. infra. In nessuno di questi casi, però, l'iscrizione è

menzionata a scopo di testimonianza lessicale. Per una rassegna dell'utilizzo di fonti epigrafiche nell'attività storiografica e antiquaria, da Acusilao a Cratero di Macedonia, vd. ora Higbie 1999. 312 Accettiamo la convincente proposta di Kassel 1963, p. 302 ss., che £v Χαλκηδόνι, normal-

mente considerata parte del titolo, gli sia in realtà estraneo: cf. gli illuminanti paralleli nella Zitierweise di Ateneo elencati dallo stesso Kassel.

313 Contrariamente a quanto credeva Wilamowitz 1924, I, p. 114 n. 2 («scheint es, und dann ha-

ben wir ein Beleg dafür, daß er von seinen Forschungen in den Gedichten Gebrauch machte»).

98

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

in questo caso, ma potrebbe essere casuale, ha forma poetica, per il lavoro di glossografo, probabilmente antiquario. La presenza di ἰάκχα merita qualche considerazione. Il vocalismo, non attico, garantisce della bontà della localizzazione dorica. La formazione e, ovviamente, su iaxyoc, che designa il grido rituale eleusinio, e la sua ipostasi rappresenta un demone peculiarmente attico. L'attestazione di ἰάκχα in àmbito sicionio testimonia della penetrazione, in qualche modo, della religiosi-

tà eleusinia°'*. Inoltre, questa particolare formazione, e il fatto che il suo referente rimanda a pratiche istituzionali (o paraistituzionali), denunciano un eleusinismo maturo. Ora, se si considera che le prime attestazioni letterarie di ἴακχος (sia come grido rituale, sia come divinità) sono in Herodot. 8. 65. 1 e Soph. fr. 959. 3 R., e sono di àmbito ateniese, e che nel passo erodoteo si narra che Demarato, uno spartano, era ignaro dei riti sacri che si svolgevano ad Eleusi?!5, è probabile che la penetrazione non si sia operata a data molto alta, e, di conseguenza, il componimento citato da Filita non dev'essere di molto precedente a lui?!*. È significativa questa traccia proprio a Sicione, ove vigeva un dionisismo alquanto antico e rigoglioso, su cui poteva facilmente innestarsi la religiosità eleusinia?". Ritornando alla (sommessa) ipotesi che ci si possa trovare di fronte a un poema di argomento epicorico, si ricorda solo che Dioniso e il suo culto hanno un qualche posto nella storia mitica di Sicione, cf. Pausan. 2. 7. 6.

314 Così concludono già E. Gerhard 1854, p. 481 n. 4, e Lenormant 1877, col. 596a. Ciò vale anche se, come rileva Blech 1982, p. 257 n. 63, la corona «non ha alcun rapporto riconoscibile con l'àmbito eleusinio». Infondato Pottier 1900a, col. 370a: corone vegetali che si vendevano a

Sicione per le feste.

315 Il che, se pure non vero, doveva apparire verosimile. I dubbi radicali di Fehling 1971, p.

135, non riguardano i contenuti dell'episodio. Su di esso, vd. Carriere 1988, p. 220 ss.

316 Questo ci sembra il quadro più probabile. Ma è opportuno segnalare, che altra documen-

tazione potrebbe mutare le coordinate. Nella zona del Mar Nero, ben più lontana da Atene, rispetto a Sicione, la conoscenza di Ἴακχος è sicura perlomeno dal V sec.: cf. Dettori 1996, pp. 301-303.

317 Brevi ma sufficienti cenni su Dioniso e Sicione in Musti-Torelli 1986, p. 242. Vd. anche i

dati in Casadio 1999, pp. 77-143.

Edizione e commento fr. 13 = 41 Kuch.?!® = 46 Bach =

99

cf. p. 83 Kay???

Athen. 15. 677b-c ἰσθμιακόν. οὕτως τοῦτον καλούμενον στέφανον ᾿Αριστόφα-νης μνήμης ἠξίωσεν ἐν Ταγηνισταῖς λέγων οὕτως: (sq. fr. 505 K.-A.). c. Σιληνὸς δ᾽ ἐν ταῖς Γλώσσαις φησίν «Ἴσθμιον στέφανον». Φιλητᾶς δέ dna: «στέφανος ἤγουν ὁμωνυμία ἀμφοτέρωθι οἷον τῆς κεφαλῆς καὶ τοῦ πρώτου κόσμου. λέγω δὲ τὸ ἐπὶ τοῦ φρέατος καὶ τοῦ ἐγχειριδίου ἴσθμιον». Τιμαχίδας (fr. 28 Blink.) δὲ καὶ Σιμμίας (fr. 29 Fr.) οἱ Ῥόδιοι ἀποδιδόασιν ἕν ἀνθ᾽ ἑνὸς «Ἴσθμιον, στέφανον». οὗ μνημονεύει καὶ Καλλίξεινος ὁ Ῥόδιος (FGrHist 627 F 4 Jac.) καὶ αὐτὸς γένος ἐν τοῖς περὶ ᾿Αλεξανδρείας γράφων οὕτως «...» 1. fort. «τὸν» στέφανον Kaibel 1890, p. 497 | 3. φιλιτας A | Ἴσθμιος ante στέφανος suppl. Kaibel 1890,

p. 497, ἴσθμιον suppl. Fränkel 1915, p. 113, Isthmiacam Dalechamps 1583, p. 504 | 4. ἀμφοτέρων τοῦ τε κάτω»ϑι [otov] Fränkel 1915, p. 113 1 περὶ αὐτῇ κόσμον καὶ τοῦ τραχήλου καὶ τοῦ inter καὶ τοῦet περὶ

αὐτῷ (Fränkel 1915, p. 113: πρώτον cod.) suppl. Kuchenmüller, p. 100 | πρώτου cod.: cervicis Dalechamps 1583, p. 504, προσώκου Pursanus (ap. Schweighäuser 1804a, ad loc.: cf. Schweighäuser 1801, p. LXXVI s. n. p), τοῦ πρώκτου καὶ τοῦ κόλπου Villebrune 1791, p. 393, περὶ αὐτῷ Fränkel 1915, p.

113 | 4 s. λέγεται δὲ «xoi» Fränkel 1915, p. 113 | 5. de ἐγχειριδίου dubitat Schweighäuser 1805b, p. 92, ἐγχειριδίου «στόμιον» ἴσθμιον dub. Kaibel 1890, p. 497, ἐγχειριδίου «περιστόμιον» ἴσθμιον Fränkel

1915, p. 113, ic&ov A | 7. [6] Ῥόδιος Fránkel 1915, p. 113 schol. Od. 18. 300 ἴσθμιον- ἰσθμὸς ὁ τράχηλος. ἴσθμιον οὖν περιτραχήλιον κόσμον περιπεπλεγμένον, οὐ μέντοι κοσμήματά τινα ἐκκρεμάμενα. ΒΩ. καὶ ἄλλως. περιτραχήλιον, ἔνθεν καὶ παρίσθμια. διαφέρει δὲ τοῦ ὅρμον. τὸ μὲν γὰρ προσέχεται τῷ τραχήλῳ, ὁ δὲ ὅρμος κεχάλασται. QV 1. ἰσθμὸς Buttmann 1821, p. 501: ἴσθμιον ΒΩ | 3. τοῦ ὅρμου --- προσέχεται W. Dindorf 1855, p. 665 (ex Eustath.): τῷ ὅρμῳ — προσέρχεται QV cf. Apoll. Soph. 92. 34; Hesych. 1 924 L.; ı 927 L.; Orion. 75. 18 St.; Et. Gud. 282. 44 Sturz (1. ἰσθμός

pro ἰσθμῷ [ex Etym. M. 477. 30]; Etym. M. 477. 30; Eustath. 1847. 44 Athen. 11. 472e ἴσθμιον. Πάμφιλος ἐν toig περὶ Ὀνομάτων Κυπρίους τὸ ποτήριον οὕτως καλεῖν cf. Eustath. 1847. 44

Hesych. 1 929 L. ἴσθμιον- περιτραχήλιον κόσμημα r. "περιστόμιον AS. καὶ γῆ στενὴ μεταξὺ δύω θαλασσῶν: 4 ὅθεν λέγονται τὰ τοῦ ἀνθρώπου παρίσθμια μεταξὺ ὄντα κεφαλῆς καὶ κοιλίας, αὐχήν τε καὶ τράχηλος. [καὶ στενὸν χωρίον μεταξὺ δύο θαλασσῶν]

318 Kuchenmiiller, p. 101, attribuirebbe, dubitativamente, la glossa all’ Ἑρμηνεία, senza offrime la minima motivazione esplicita (probabilmente perché la ritiene rispecchiare esegesi omerica). 319 In Kayser, p. 83, si ritrova la glossa, scorciata, sotto l'intestazione ὑπογλωττίς, con il dettato Σιληνὸς δ' ἐν ταῖς γλώτταις φησὶν (scil. τὴν ὑπογλωττίδα) ἴσθμιον στέφανον: Φιλήτας δέ φησὶ, στέφανος.

Una confusione (ripetuta in Harberton, p. 568) con Athen. 15. 677a-b, che precede.

100

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

1. ἴσθμιον edd.: ἰσθμίον codd.

| γῆ στενὴ 4: γῆς γένη H, στενὰ Musurus

Hesych. 1 398 L. Ὁ ἴθμιον’ περιστόμιον. περιτραχήλιον. ἢ στεφανίς ἴσθμιον vel ἰσθμίον L. Dindorf, THGL IV, col. 663b: ἰθμιν H, ἰθμὴν Musurus («de scriptura cf. n. pr. Ιθμονικαὰ IG IV? 121. 10 IX 12 381», Latte) | gl. seclusit M. Schmidt cf. An. Gr. I 263. 19 Ba. (Syn.); Phot. 1 207 Th.

Et. Gud. 282. 39 Sturz ἴσθμια, ἑορτὴ Ἑλλήνων. λέγονται δὲ καὶ tà περιτραχήλια, καὶ τὰ στενὰ τοῦ τραχήλου, παρὰ τὸ εἰσιέναι δι᾽ αὐτῶν τὴν βρῶσιν Et. Gud. 282. 42 Sturz ἴσθμια, σημαίνει τρία, τὴν ἑορτήν, τὰ περὶ τὸν τράχηλον κόσμια, καὶ αὐτὸν τὸν τράχηλον Poll. 5. 98 τὰ δὲ περὶ τῷ τραχήλῳ ... ἴσθμια Eustath. 1847. 44 παρὰ δὲ τοῖς παλαιοῖς φέρεται, ὅτι καὶ μέρος τι σώματος περὶ τὸν τράynAov ἴσθμιον

Suda 1638 ἴσθμια. περιστόμια, περιδέραια, περιτραχήλια ... ἴσθμιον ἀμφιφορῆ, ὁ τράχηλος τοῦ κεράμου, διὰ τὸ στενὸς εἶναι cf. Zon. 1126

Moerid. ı 7 Hansen ἴσθμιον ᾿Αττικοί᾽ περιστόμιον ἢ φρεάτιον Ἕλληνης nom. VF | περιφρεάτιον VF

Phot. ı 208 Th. ἰσθμιον’ τὸ τοῦ φρέατος περιστόμιον cf. gloss. 43 Rabe 1894, p. 627 cod. Paris. suppl. gr. 676 ap. Cohn 1887, p. 82 s. ἴσθμια γὰρ λέγεται τὰ περιστόμια τῶν κεράμων ἴσθμια Nauck 1889, p. 565: ἴσφνια cod.

Od. 18. 300 ἴσθμιον ἥνεικεν θεράπων, περικαλλὲς ἄγαλμα Eur. fr. 656 N.? παίσασα λαιμὸν ἢ πεσοῦσ᾽ ἀπ᾽ ἰσθμίου «φρέατος ἐς» κευθμῶνα πηγαῖόν «θ᾽» ὕδωρ 1. ἰσθμίου Nauck 1889, p. 565: ἰσφνίου cod. ἐς» Gomperz

1888, p. 37

| 2. «φρέατος ἐς» Nauck 1889, p. 565: «ἄβυσσον

Edizione e commento

101

Aristoph. fr. 505. 1 s. K.-A. εἶτ᾽ ἰσθμιακὰ λαβόντες ὥσπερ οἱ χοροὶ ἄδωμεν ἐς τὸν δεσπότην ἐγκώμιον Hippocr. Dent. XXI τὰ παλινδρομήσαντα ἐν ἰσθμίοισιν ἕλκεα

Nicand. Alex. 190 5. (= 615) κακὸς δ᾽ ὑπὸ νείατα πνιχμὸς

ἴσθμια καὶ φάρυγος στεινὴν ἐμφράσσεται οἶμον Lang 1976, p. 88 (Κ 1): Atene, secondo quarto VI sec. a. C. a) te[e]itov «φ»ρέατίος); b) Εὐκλὲς

Non saprei reperire una soluzione certa per il passo, evidentemente corrotto, di Ateneo (ὁμωνυμία --- κόσμου): stamperei, exempli gratia, ὁμωνυμίᾳ ἀμφοτέρωθι, οἷον τῆς κεφαλῆς καὶ τοῦ Trportov κόσμος, con una tendenza a favo-

rire il τραχήλου indirettamente suggerito da Kuchenmiiller, p. 100, per πρώτου ἢ («[ἴσθμιον] cioè a dire corona per omonimia relativa ad entrambe le

parti [?], in quanto ornamento della testa e del collo»). Fránkel 1915, p. 113, corregge ὁμωνυμία ἀμφοτέρωςν τοῦ te κάτωρθι [otov] τῆς κεφαλῆς καὶ τοῦ περὶ αὐτῷ κόσμον. Se & vero che parte della lessicografia identifica ἴσθμιον ο ἴσθμια con il collo o una parte di esso (cf. Et. Gud. 282. 39. 42, Eustath. 1847. 44), e ció

pare confermato da Hippocr. Dent. XXXI e Nicand. Alex. 191 (= 615), dubitiamo che Filita, ammesso che volesse qui intendere questo significato, avrebbe indicato il collo con la perifrasi κάτωθι τῆς xedaAnig??!. Il tentativo di Kuchen-

müller, p. 100, ὁμωνυμία ἀμφοτέρωθι otov τῆς κεφαλῆς καὶ τοῦ «περὶ αὐτῇ κόσμου καὶ τοῦ τραχήλου καὶ τοῦ» περὶ αὐτῷ κόσμου, presuppone una situazione piuttosto complicata. Non trovando Filita paralleli per ἴσθμιον = περιτραχήλιος κόσμος, sarebbe ricorso all’analogia con στέφανος, che sarebbe anch’esso vali-

do come designazione di una parte del corpo (la testa) e l'ornamento della stessa??, Kaibel 1890, p. 497, integra un maschile ἴσθμιος, che non appare

320 Per lo meno, ció quanto suggerisce la dottrina omerica, da cui deriva molto della nostra tradizione lessicografica (vd. anche Hesych. 1 929 L.). Cf. la traduzione di Dalechamps 1583, p. 504: ornamentum sit et capitis et cervicis. Villebrune 1791, p. 393, rende: «Philétas écrit couronne ... Mais les différens sens de ce mot, qui est le méme pour désigner plusieurs choses, le font appliquer d'une maniere équivoque. Car on dit l'isthme de la téte, l'isthme de l'anus, l'isthme des mamelles». Blanck 1974, p. 3, accetta implicitamente πρώτου, affermando «sowohl den Kranz als Kopfschmuck allgemein bezeichne wie auch den Kranz, den der Erste, d.h. der Sieger erhalte», il che non pare appropriato al contesto della spiegazione di Filita. 321 Diverso ὃ Hesych. 1 929 L. παρίσθμια μεταξὺ ὄντα κεφαλῆς καὶ κοιλίας, αὐχήν te καὶ τράχηλος. Tra l'altro, non ci risulta che κάτωθι, per quanto non impossibile, sia attestato. 32 Il ragionamento di Kuchenmüller prevede altre complicazioni, che tralasciamo (ad esempio, che l'omonimia supposta per στέφανος vale in realtà per στεφάνη, come nota lo stesso

102

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

garantito, e il senso sarebbe «utriusque vocabuli (scil. ἴσθμιος e ἴσθμιον)

duplex sensus, si quidem στέφανος et capitis partem et ornamentum, ἴσθμιον autem et putei os et gladii os (da cui la sua ulteriore integrazione «στόμιον», dopo ἐγχειριδίου) significat». Ma, a parte le difficoltà dell'omonimia presupposta, non c'é traccia nel dettato, di annotazioni sul genere grammaticale. Le forme ἴσφνια e ic$viov, nel testimone e nel frammento euripideo, mi

sembrano troppo fragili, perché possano essere mantenute, come vorrebbe Cohn 1887, p. 823; è da accogliere l'ic8uíou di Nauck 1889, p. 565?4. La lessicografia ha un luogo privilegiato di riferimento, ritrovandosi ἴσθμιον Od. 18. 300. A questo passo fanno riferimento tutte le rese del termine quale "ornamento per il collo"*5. Fránkel 1915, p. 114, ritiene che anche Simia stia considerando il luogo omerico, in particolare perché il glossema στέφανον e all'accusativo?*: la sua interpretatio quale στέφανος dipenderebbe dal fatto che, trovandosi di fronte ad un vocabolo sconosciuto, e notando che a Penelope erano già stati offerti una veste con fibule, una collana e orecchini, egli ha escogitato che ἴσθμιον doveva designare una corona, per analogia con l' ἰσθμιακόν. Ma da una parte l'accusativo può essere esito di “lemmatizzazione"?7, dall'altra non sembra possibile che Simia abbia potuto accostare ἴσθμιον all’evidente ctetico ἰσθμιακόν328, Se non sono quelle portate

da Fränkel le motivazioni per cui Simia prescindere dalla relazione o meno con no l'equazione semantica è ampiamente te alternativa στεφανίς, in Hesych. ı 398 moderna, di ἴσθμιον in Omero é quella (in quanto monile diverso dalla collana

glosserebbe ἴσθμιον con στέφανος, a il passo omerico, tuttavia per lo mecondivisa??, con in più l'interessanL. Ora, se l'interpretazione, antica e di "banda ornamentale per il collo" pendente), con sempre la specifi-

Kuchenmüller). Non direi che ci sia bisogno di una integrazione a chiarimento di ἐπὶ ... τοῦ &yχειριδίου: l'elemento relativo ad ἐγχειρίδιον nominato ἴσθμιον si potrà sottintendere, come quello

relativo al pozzo nell'espressione ἐπὶ τοῦ φρέατος.

323 Hesych. 1 1041 L. iogaiver μεριμνᾷ s. ἀγωνιᾷ, unico parallelo reperito da Cohn, è con tutta

probabilità corrotto da ἰσθμαίνει, cf. Latte in app. 324 Gomperz 1888, p. 37 (accolto da Nauck), identificava comunque in iogviov, di cui dubitava, τὸ τοῦ φρέατος περιστόμιον, secondo quanto glossa Phot. ı 208 Th. cit. Inoltre, egli riscontrava

nel frammento un accenno al suicidio di Laodamia, incerta se sgozzarsi o gettarsi in un pozzo. 325 Oltre allo schol. ad loc., cf. Hesych. ı 924 L., 927 L., 929 L., 938 L., Et. Gud. 282. 39. 42. 44 Sturz, Poll. 5. 98, Apoll. Soph. 92. 34, Suda 1 638, An. Gr. 1 263. 19 Bachm., Zon. 1126, Etym. M. 477. 30, Eustath. 1847. 44, Phot. 1 207 Th.

326 Così anche Kuchenmiiller, p. 101.

327 Come opportunamente osserva, proprio a proposito del nostro caso, Tosi 1994a, p. 146 n. 3

(che accetta, comunque, il riferimento al passo omerico).

328 Cf. Blech 1982, p. 391 n. 2, dove si collega la corona a «feste cultuali all'Istmo, forse duran-

te le Istmiche».

?9 Cf. Sileno, Timachida, Filita e Callisseno in Ateneo.

330 Cf. oltre allo schol. ad loc., e la lessicografia, e. g., Helbig 1887, p. 270 s., Pottier 1900b, col. 591a, Ruxer 1938, p. 2, Leumann

DELG 469.

1950, p. 271, Frisk, GEW 1 737, Bielefeld 1968, p. 5, Chantraine,

Edizione e commento

103

cazione di περιτραχήλιον, ci si domanda che giustificazione possa avere quel-

la di στέφανος. E vero che si potrebbe forse cosi indicare una corona da portare al collo?!, ma insospettisce la quasi assoluta mancanza di ogni specificazione nelle diverse glosse in Ateneo, specificazione che ὃ sembrata

invece

necessaria alla critica antica, per lo meno in riferimento all'occorrenza omerica. Ivi, inoltre, si usa sempre κόσμος o qualche termine imparentato, mai στέφανος. Ma è probabile che qualcosa che collegasse l' ἴσθμιον = στέφανος al

collo fosse nelle parole corrotte di Filita. Ineliminabile peró sembra rimanere, in ogni caso, la menzione della κεφαλή, quale destinataria di tale orna-

mento. Blanck 1974, p. 3, ha osservato che il significato di corona per la testa puó anch'esso entrare in gioco in Omero. Egli nota che nella teoria dei doni a Penelope c'é una progressione verso l'alto (veste, collana, orecchini), che troverebbe ottimo compimento con una corona. Inoltre, se I’ ἴσθμιον fosse un'ornamento per il collo, costituirebbe un doppione dell’ ὅρμος. Che l'interpretamentum στέφανος dei grammatici in Ateneo possa riguardare l'interpretatio Homerica & fatto da tener presente: puó essere che ivi venga rispecchiato, particolarmente in Filita, se si accetta la nostra correzione exempli gratia, un contrasto interpretativo, taciuto dal resto dell'esegesi omerica, tra "banda ornamentale per il collo" e "corona per la testa". Ma rimane strano, in questo caso, che in Ateneo ad Omero non si faccia alcun cenno. E possibile che ἴσθμιον, inteso nel senso generale di “oggetto (più o meno circolare) che stringe"?2, con in più il fatto che designa, in Omero, un ornamento, abbia ad un certo punto assunto il significato di "corona per la testa". Per quanto riguarda Filita, niente assicura che la sua glossa rifletta direttamente interpretatio Homerica o, comunque, parta da essa. Anche ammesso che vi si riporti il significato di "ornamento per il collo", l'intera trattazione sembra indipendente da Od. 18. 300, se non altro per il fatto, ribadiamo, che del passo omerico non è traccia. La cura filitea appare, piuttosto, quella di tracciare una serie omonimica di Realien, una sorta di lemma da dizionario. Infatti, rammenta anche il "collo del pozzo"?? e qualcosa che riguarda l' &y-

x&pióov?*, L'insieme dà l'impressione di uno sforzo glossografico al di là e

331 Cf. al fr. 14, ὑποθυμίς, dove è sempre specificato che si tratta di una corona da appendere al collo (ma non è così per ἐπιθυμίς).

332 Non quello originario, che sembra essere «strettoia».

333 Di cui Mabel Lang, come abbiamo visto, ha edito una testimonianza che entra in serie con

il frammento euripideo. Cf., per questo significato, Moerid. 1 7 Hansen, Phot. 1 208 Th. 3% L'elsa?, l'imboccatura del fodero? Vd. le proposte di integrazione di Kaibel e Fränkel 1915, p. 113. Altri significati attestati sono a) τὰ στηνὰ τοῦ τραχήλου (cf. Hippocr. cit.) in Et. Gud. 282. 39 Sturz, Eustath. 1847. 44; Ὁ) "imboccatura di un vaso" (περιστόμιον), in Hesych. 1 929 L., 398 L.,

Moerid. 1 7 Hansen, An. Gr. I 263. 19 Bachm., Suda 1 638, Zon. 1126, Phot. 1 207 Th., il cod. Parisin. cit.; c) ποτήριον (ciprio): Pamphil. ap. Athen. 11. 472e ed Eustath. 1847. 44 (che ne dipende). Su quest'ultima equivalenza, cf. Letronne 1833, p. 25, e Leumann 1950, p. 271, quest'ultimo contrastato da Ruijgh 1957, p. 147, e Kullmann 1960, p. 364.

104

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

diverso del semplice lavoro esegetico su Omero. Inoltre, la valenza ἐπὶ τοῦ φρέατος potrebbe rimandare ad Eur. fr. 656 Ν.2, con lo stesso diritto con cui

quella στέφανος viene riferita ad Omero: la mancanza di elementi in positivo è analoga, anzi, nel caso di Euripide c'è sicuramente omogeneità semantica tra il glossema filiteo e l'occorrenza di ἴσθμιον. A proposito di quest'ultimo significato, Moerid. ı 7 Hansen, lo dà come

attico, e in effetti compare, oltre che in Euripide, in un graffito ateniese: che l'illustrazione di ἴσθμιον di Filita implichi distinzione dialettale? Ateneo riporta gli ipsissima verba di Filita. E di non poco conto, forse, sottolineare tra di essi la presenza del termine ὁμωνυμία. L'astratto, allo stato attuale della documentazione, non & precedente ad Aristotele (31 volte) e, prima di Filita, ricorre ancora in Teofrasto (HP 7. 15. 4; 9. 12. 5; CP 1. 18. 3; 4.

16. 3), tra i contemporanei in Epicuro**. L'uso di Aristotele è, notoriamente, speculativo, l'àmbito ὃ logico, riguarda il rapporto tra nominazione e pensiero?*. Una valenza piü propriamente linguistica & presente nell'occorrenza filitea, purtroppo non del tutto sana. Gli oggetti che egli elenca, corona, bocca di pozzo e, a quanto pare, imboccatura di fodero hanno in comune il tratto "circolarità che delimita, stringe un passaggio". Che egli semplicemente elenchi o anche percepisca quali tratti stanno alla base dell'omonimia?

335 L'occorrenza in Democr. 68 B 26 D.-K. si deve, con tutta probabilità, al testimone, Proclo (per influenza delle Categorie aristoteliche): cf., ad es., Brancacci 1987, part. pp. 112-114, Schmitter 1991, p. 77 (contro, Gambarara

1984, p. 17). Su ὁμώνυμος prima di Filita, vd. Heitsch

1972, pp. 5-72, 86-88 (part. pp. 49-51, 62-72).

336 In relazione all'occorrenza filitea, di Aristotele ci sembrano pertinenti Eth. Nic. 1129a 29 ss. οἷον ὅτι καλεῖται κλεὶς ὁμωνύμως ἥ TE ὑπὸ τὸν αὐχένα τῶν ζῴων καὶ ἡ τὰς θύρας κλείουσιν; Rhet. 1412b 11 ss. ἐν ἅπασι δὲ τούτοις, ἐὰν προσηκόντως τὸ ὄνομα ἐνέγκῃ ὁμωνυμίᾳ ἢ μεταφορᾷ, τότε τὸ εὖ (con

quanto precede e quanto segue).

Edizione e commento

105

fr. 14 = 42 Kuch. = 58 Bach = p. 83 Kay. Athen. 15. 678d ὑποθυμὶς δὲ καὶ ὑποθυμίδες στέφανοι παρ᾽ Αἰολεῦσιν καὶ Ἴωσιν, odg περὶ τοὺς τραχήλους περιετίθεντο, ὡς σαφῶς ἔστιν μαθεῖν ἐκ τῆς ᾿Αλκαίου καὶ ᾿Ανακρέοντος ποιήσεως. Φιλητᾶς δ᾽ ἐν τοῖς ᾿Ατάκτοις ὑποθυμίδα Λεσβίους φησὶν καλεῖν μυρσίνης κλῶνα, περὶ ὃν πλέκειν ἴα καὶ ἄλλα ἄνθη 1. ὑποθυμιάδες A | 3. φιλίτας A, φιλήτας E | ὑποθυμίδα Kaibel 1890, p. 499: ὑποθυμίδας A

Athen. 15. 674c-d ἐκάλουν δὲ καὶ οἷς περιεδέοντο τὸν τράχηλον στεφάνους ὑποθυμίδας, ὡς ᾿Αλκαῖος ἐν τούτοις" (sq. fr. 362 V.). καὶ Langa (sq. fr. 94. 15 ss. V.). καὶ 'Avaxpéov: (sq. fr. 397 P.) 2. ὑποθυμίδας Plut. Quaest. conv. 3. 1, 6476: ὑποθυμιάδας AE

Athen. 15. 688b-c ἀλλὰ μὴν καὶ τοὺς στεφάνους τοὺς περικειμένους τῷ στήθει ὑποθυμιάδας οἱ ποιηταὶ κεκλήκασιν ἀπὸ τῆς τῶν ἀνθῶν ἀναθυμιάσεως, οὐκ ἀπὸ τοῦ τὴν ψυχὴν θυμὸν καλεῖσθαι, ὥς τινες ἀξιοῦσιν 2. ὑποθυμίδας W. Dindorf, ThGL VIII, col. 339a

Hesych. v 642 Schm. ὑποθυμίς: στέφανος ὑποτράχηλος ὑποθυμίς dub. Heraldus 1600, p. 53, Salmasius ap. Schrevel 1668, p. 937 n. 6: ὑποθύμιος H (def.

Stephanus 1572a, I, col. 1627e: «adjective»), ὑποθυμίας Sopingius et Heinsius ap. Alberti 1766, p. 1470 n. 29 (ex Athen.

15. 674c; praetul. Alberti 1766, p. 1470 n. 29), ὑποθυμιάς Barnes 1721,

p.252 Athen. 14. 678c ἐπιθυμίς. Σέλευκός (fr. 54 Müller) φησι «τὰ πάντα στεφανώματα». Τιμαχίδας (fr. 25 Blink.) δέ φησιν τὰ παντοδαπὰ στεφανώματα ἃ τὰς γυναῖκας φορεῖν οὕτως καλεῖσθαι 1. ἐπιθυμεῖς A

| πάντα A: παντοδαπὰ Schoenemann

1886, p. 50n., τὰ πλεκτὰ στεφ. Wilamowitz ap.

Kaibel 1890, p. 499

Hesych. e 4818 L. D ἐπιθυμίδες: τὰ παντοδαπὰ στεφανώματα

Alc. fr. 362 V. ἀλλ᾽ ἀνήτω μὲν περὶ ταῖς δέραισει» περθέτω πλέκταις ὑπαθύμιδάς τις 2. ὑπα- Fick 1891, p. 188 (iam Ahrens ὑποθυμιάδας Athen.

1839, p. 75 s.), -θυμίδας Blomfield

1814, p. 435:

106

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

Sapph. fr. 94. 15 ss. V.

καὶ nó. Jia ὑπαιθυμίδας

πλέκιταις ἀμφ᾽ ἀνπαλᾷ δέρᾳ ἀνθέων 15. ἸΘΥΜιδασί PBerol. 9722, vra- Ahrens 1839, p. 260, -θυμίδας G. Hermann 1831, p. 257: ὑποθυμιάδας Athen.

Anacr. fr. 397 P. πλεκτὰς

δ᾽ ὑποθυμίδας περὶ στήθεσι λωτίνας ἔθεντο 2. ὑκοθυμίδας Barnes 1721, p. 252: ὑποθυμιάδας Athen.

Timachid. fr. 25 Blink. Τιμαχίδας δέ φησιν τὰ παντοδαπὰ στεφανώματα ἃ τὰς γυναῖκας φορεῖν οὕτως καλεῖσθαι (scil. ἐπιθυμίδας) Seleuc. fr. 54 Müll. ἐπιθυμίς. Σέλευκός φησι «τὰ πάντα στεφανώματα» ἐπιθυμεῖς A

| πάντα A: παντοδαπὰ Schoenemann

1886, p. 50n., τὰ πλεκτὰ στεφ. Wilamowitz ap.

Kaibel 1890, p. 499 Plut. Quaest. conv. 3. 1, 647e-f διὸ μάλιστα τοὺς ἀνθίνους ἐκ τῶν τραχήλων καθάπτοντες «ὑποθυμίδας» ἐκάλουν, καὶ τοῖς ἀπὸ τούτων μύροις ἔχριον τὰ στήθη: μαρτυρεῖ δ᾽ ᾿Αλκαῖος κελεύων «καταχέαι ... στήθεος». οὕτω καὶ ἐντεῦθεν οἱ ὀσμαὶ τοξεύουσιν ὑπὸ θερμότητος εἰς τὸν ἐγκέφαλον ἁρπαζόμεναι ταῖς ὀσφρήσεσιν. οὐ γάρ, ὅτι τῇ καρδίᾳ τὸν θυμὸν ἐνστρατοπεδεύειν ᾧοντο, τοὺς περιδεραίους τῶν στεφάνων ὑποθυμίδας ἐκάλουν (ἐπιθυμίδας γὰρ αὐτοῖς διά γε τοῦτο μᾶλλον ἦν καλεῖσθαι προσῆκον), ἀλλ᾽ ὡς λέγω διὰ τὴν ἀποφορὰν καὶ ὑποθυμιάσιν

Il nome di questa ghirlanda?”, dall'autorevole e ampia attestazione sia letteraria che altro (cf. Plutarco) ha goduto di ampia fortuna come termine descrittivo nella letteratura archeologica, fin dai suoi inizi?*: inutile dire che,

3Y LS] s. v. rendono l'attestazione filitea con «= ὑπογλωττίς» fondendo erroneamente la fine del brano da noi trascritto con l'inizio del seguente (xai ὑπογλωττὶς δὲ στεφάνον εἶδος), che nulla a invece a che farvi. Simile errore e in Bach, p. 78, che ha il doppio lemma ὑποθυμίς e ὑπογλωττίς e

aggiunge dopo ἄνθη il segmento sulla ὑπογλωττίς. Sul termine, cf., da ultime, Broger 1996, p. 90 s., Rodríguez Somolinos 1998, p. 253 s.

338 Alcuni esempi: Winckelmann 1767, p. 261 s., Visconti 1788, p. 44, C. B. Hase, ThGL VIII,

col. 339a, Saglio 1887, col. 1527a, Rodenwaldt 1938, col. 417 s. (con la correzione di alcuni abusi

di denominazione), Sichtermann 1966, pp. 22 s. (anch'egli prudentissimo, sostanzialmente d'accordo con Rodenwaldt), 30, Karouzou 1975, p. 8 s., Blech 1982, pp. 36, 71 s. Quest'ultimo (p. 72 n. 46) fornisce anche alcuni esempi di ghirlande pendenti nella letteratura latina: Cic. Verr. 2. 5. 11, Horat. Sat. 2. 3. 256, Tibull. 1. 7. 51 ss., Min. Fel. 38.

Edizione e commento

107

nonostante la presenza di descrizioni antiche, l'identificazione va considera-

ta ipotetica?”. Nell'antichità c'era una discussione sull'origine del nome: cf. Plut. Quaest. conv. 3. 1, 647f οὐ γάρ, ὅτι τῇ καρδίᾳ τὸν θυμὸν ἐνστρατοπεδεύειν ᾧοντο, τοὺς περιδεραίους τῶν στεφάνων ὑποθυμίδας ἐκάλουν ..., ἀλλ᾽ ὡς λέγω διὰ τὴν ἀποφορὰν καὶ ὑποθυμιάσιν e Athen. 15. 688b-c ἀλλὰ μὴν καὶ τοὺς στεφάνους τοὺς περικειμένους τῷ στήθει ὑποθυμιάδας (ὑποθυμίδας Kaibel) οἱ ποιηταὶ κεκλή-κασιν ἀπὸ τῆς τῶν ἀνθῶν ἀναθυμιάσεως, οὐκ ἀπὸ τοῦ τὴν ψυχὴν θυμὸν καλεῖσθαι, ὥς τινες ἀξιοῦσιν. Ma non è per questo che viene chiamato in causa

Filita, bensi per il dato dialettale e per una descrizione estremamente "sachlich” della ghirlanda. La documentazione relativamente ampia consente, questa volta, di valutare la consistenza 'dialettologica' della glossa. All'inizio della sezione (678d), prima che Filita venga introdotto, si dichiara la pertinenza eolica e ionica dell’ ὑποθυμίς. Non é altro che una conclusione tratta

dalle attestazioni letterarie poco prima citate (674c-d), che coinvolgono Alceo, Saffo e Anacreonte?*, Filita è meno approssimativo: parlando egli di Λέσβιοι, deduce senz'altro con più misura e appropriatezza, da quelle che sono, in realtà, occorrenze letterarie determinate, ma

in definitiva sembra

utilizzare il medesimo meccanismo#!. La generalizzazione ‘dialettologica’ è indubbiamente sospetta, anche per la presenza dell’attestazione anacreontea??, Ovviamente, il nostro esempio non deve indurre alla conclusione che tutte le altre glosse dialettali filitee siano così costituite, benché di esse manchi la controparte letteraria. In effetti tale mancanza, così sistematica, difficil-

mente potrà essere considerata casuale, e, in ogni caso, se di fronte alla men-

zione di Λέσβιοι si potrebbe facilmente sospettare il lignaggio letterario della glossa, anche in assenza degli esempi di Alceo e Saffo, non è possibile fare altrettanto quando viene introdotto un vocabolo definito megarese o beotico. Si tratta, come si vede, di una ‘dialettologia’ del tutto disinteressata agli aspetti fonetici e morfologici, ma appuntata su questioni di lessico: ferma, insomma, ancora sulla soglia di una vera e propria grammatica. Anche perché gli interessi sono diversi. Si osservi come nel brano filiteo menzionato da Ateneo non solo si parli di Λέσβιοι, ma anche che Saffo ed Alceo non vengono nominati. Ciò, da una

parte, si capisce con l'intenzione di dare taglio ‘dialettologico’ alla glossa, ma dall'altra sembra rispondere ad un principio metodico che più generalmente caratterizza l’opera glossografica di Filita. Infatti, abbiamo avuto mo-

39 Ritengo, anzi, che vada decisamente rifiutata quando la denominazione è attribuita a ghirlande che costituiscano una sorta di gorgiera, e non scendano sul petto. 340 Del resto, la ‘mappa dialettale’ dei Greci era notoriamente in parte formata su questo metodo. 41 È da ritenere che Filita con oi Λέσβιοι intenda fornire un dato dialettale, piuttosto che indicare «i poeti lesbi», ovvero Saffo ed Alceo.

34 Meno, direi, per la forma non eolica (öno-) in cui tali ghirlande sono menzionate.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

do piü volte di notare come anche le rarissime glosse accompagnate da frammenti poetici manchino dell'indicazione dell'autore: come se non fosse

ció che interessasse il grammatico, e nemmeno la fattura letteraria della fonte, bensi la pura e semplice attestazione della parola, e, eventualmente, una sua localizzazione geografica. Un esempio in questo senso ci era parso di trovare nel fr. 12, Φιλητάς δ᾽ οὕτως γράφει ἰάγχα Ev tfj Σικυωνίᾳ στεφάνωμα

εὐῶδες, con la seguente menzione di un distico elegiaco anonimo: il nostro caso, almeno

a prestar fede al dettato riguardante Filita, sembra

ulteriore

conferma®®. Il carattere della spiegazione, come si & giä osservato, ὃ secco: si forniscono materiali e modalità di preparazione (πλέκειν) dell'oggetto, e null'altro.

33 Su conclusioni più generali consentite dal dettato di questa glossa, cf. supra, p. 29. 34 Si noti, come osserva Kuchenmüller, p. 102, che comunque la descrizione dell’ixo@upis non è ricavata dai luoghi poetici citati, poiché ivi non si menziona né la mirra né le viole. La dipendenza che abbiamo visto per il dato dialettale non sembra valere per il dato antiquario, su cui Filita sembra possedere informazioni autonome.

Edizione e commento

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fr. 15 = 43 Kuch. = 43 Bach = p. 77 Kay. Etym. M. 330. 39 &uvóg ἡ ἄμπελος, ὡς ᾿Απολλόδωρος (FGrHist 244 F 247 Jac). Φιλήτας δ᾽ ἐν γλώσσαις τὸν κλάδον τῆς ἀμπέλου. Νίκανδρος Ev Θηριακοῖς 1. ᾿Ααπολλόδιος P | 2. Φιλήτας Sylburg 1594, p. 18: Φιλῆτας DP

| 2. ᾿Αλεξιφαρμάκοις (recte), v. 181

anon. ap. Sturz 1818, col. 842 | hunc art. om. V = Herodian. orth. Il 505. 35 L. schol. Nicand. Alex. 181f «xoi ἑλίνοιο: τοῦ G?X» κλάδου «τῆς ἀμπέλου G'G?X» G!G?Xfm Eustath. ad Dion. Per. 1157 οἱ ζωστῆρες δὲ καὶ οἱ τῆς ἐλίνου, ἤτοι τῆς ἀμπέλου ἕλικες ... ἱστέον δὲ ὅτι ἔλινος ἡ ἄμπελος κεῖται μὲν καὶ παρ᾽ ἄλλοις paraphr. ad Dion. Per. 1157 (I 402. 36 Bernh.) τῆς πολυκαμποῦς ἀμπέλου Hesych. e 1998 L. Ὁ &uvoi κλήματα [tà] τῶν ἀμπέλων ἐλενοὶ Η: Etym. Μ. 330. 39 | incl. del. Latte

Suda e 859 Eiıvog καρπός potius κλάδος τῆς ἀμπέλου Bernhardy 1843, p. 186

Nicand. Alex. 180

ἦμος ὑπὸ ζάγκλῃσι περιβρίθουσαν ὁπώρην ῥυσαλέην ἑδανοῖο καὶ ἐκ ψιθίης ἑλίνοιο κείροντες θλίβωσιν IG XII 5. 739. 15 (Andros I a. C.)

Elotc, δάμαρ εὐρυμέδον[τ]ος

Eupu πολυζάλωτος Ὀσείριδος, © ποτε [νε]δίυ]γ τὰν αὐτὰν ἀνέλυσα γενέθλιον, ἄνθεσι πλοχμῶν] βρειθομένα σοβαροῖς ἑλινότροπος" 5 Dion. Per. 1156 καὶ ἐς σπείρημα δρακόντων ζωστῆρές θ᾽ ἕλικες τε πολυγνάμπτης ἑλίνοιο 1157 πολυγνάμπτης ἑλίνοιο Ω: πολυγνάμπτης ληνοῖο AS, πολυγνάπτης te λάνοιο N, πολυγνάπτης σελίνοιο V2, V? (σελίνοιο Va V7P-), πολυγνάμπτοιο ἑλίνου Y, πολυγνάμπτου σελίνοιο λΖηκγΡ͵

35 Il testo è quello fornito da Peek 1930, p. 15.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti πολυγνάμπτοιο σελίνου Spitzner 1816, p. 62 | πολυγνάπτης m!*, x, E, 1, πολυκάπτης V?, πολυγνάμκτου KLD'iE'ro, κολυγνάμπκτοιο m! F5, πολυγνάπτοιο t | σελήνοιον Max. astr. ausp. 491 ἐπεὶ στυγέει περίαλλα Ἰκαρίου κούρη ἑλίνους καὶ ἀδευκέας οἶνας 492. ἐλίνους J. G. Schneider 1792, p. 134: ελινουσ L, ἐλινοὺσ corr. I, ληνοὺς Tzetzes

Oppian. Cyn. 4. 261 καὶ δέ οἱ χλοερὴ μὲν ἐπήνθεε σέλμασι μῖλαξ, πρύμνην δ᾽ ὡραίη ἕλινος καὶ κισσὸς ἔρεπτον 262. ἕλινος Bodreaux 1908, p. 135: σέλινος ABCDEFKLM,

143 (1' B. Lehrs 1837, p. 317)

-ov GI, ἔλινος Brodaeus 1552, p.

Anacreont. 18. 5 W. δότε δ᾽ ἀνθέων, &Aivou

&ivov M. L. West 1984, p. 16: ἐκείνου P Anacreont. 46. 13 W. κατὰ φύλλον Τκατακλόνον καθελωνῇ

13 s. «arridet κατὰ κλῶνα (Stephanus 1554, p. 34) θαλέθων (D’Orville ms. ap. M. L. West 1984, p. 34 |cf. p. XIX et n. 4]; σταφυλῶν Boeckh ap. Stark 1846, p. 75 s.), nisi latet καθ᾽ &ıvov, κατὰ κλῶν᾽» M. L. West 1984, p. 34

Nonn. 12. 298 ἀλλ᾽ ἐνὶ λόχμαις ἀγριὰς ἡβώουσα πολυγνάμπτοισι σελίνοις

οἰνοτόκων βλάστησε φυτῶν εὐάμπελος ὕλη 299. σελίνοις L: ἑλίνοις Graefe 1819, p. XII

Nonn. 16. 278

ἑλινοφόρῳ δὲ κορύμβῳ ἱμερόεις ἐμέθυσσεν ὀμόζυγος οἰνάδος ὄρπηξ πλεκτὸν ἀεξομένης ἐπιβήτορα κισσὸν ὀπώρης 278. ἐλινοφόρῳ codd. (ελ- LP, -ἐλ- M): ἐλικοφόρῳ Cunaeus 1610, in pag. sexta s. n. ante Animadv., σελινοφόρῳ Rhodomann ap. Graefe 1819, p. 361, Lobeck ap. Spitzner 1816, p. 62 Nonn. 17. 333 Βάκχοι μὲν θεράποντες ἐλινοφόρου Διονύσου

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ἐλινοφόρου L: ἀπειρομόθου 1.5]

Prima di tutto νὰ discussa la presenza e la restituzione di forme e composti di ελινος in Nonno. Se appaiono appropriate per il senso?", contraddicono i dati prosodici, che prevedono !’ 1 per ελινος. Inoltre, in Nonn. 12. 298 la correzione di Graefe provoca iato (facilmente rimediabile scrivendo -σιν). L'unica possibilità di accettarle e nel ritenere che vi sia stato un allineamento al più comune e molto simile σέλινον, anch'esso nome di vegetale, e per il quale è attestato 1%. Sia nei testi letterari che in quelli lessicografici, vi è fluttuazione riguardo allo spirito: andrà ovunque restituito l'aspro, per la parentela del termine con ἕλιξ e famiglia. Il Magnum testimonia di una difformità interpretativa, implicita anche

nel confronto col resto della tradizione lessicografica?*. Il significato ἄμπελος è riportato anche da Eustazio e dal parafrasta, illustrando Dionigi Periegete, mentre le altre glosse danno il significato alternativo, quello di ramo della vite. Un indizio del dibattito sul significato del termine potrebbe essere anche l'espressione di Eustazio ἱστέον δὲ ὅτι EAıvog ἡ ἄμπελος κεῖται μὲν καὶ παρ᾽

ἄλλοις. Negli stessi passi letterari il senso non è facilmente enucleabile?%, Direi che la resa con "vite" puó dirsi sicura in Dion. Per. 1157 e Oppian. Cyn. 4. 262*!, non fosse che per l'aggettivo al femminile, e probabile in Max. astr. ausp. 492, ove é meglio tradurre «le viti e i perniciosi vini», piuttosto che «i tralci di vite e le perniciose viti», cosi come in Nicand. Alex. 181 penso sia meglio intendere «dalla vite yıdia»?2, piuttosto che ἐκ τοῦ τῆς ψιθίης (scil. σταφύλης vel ἀμπέλου) ἑλίνοιο53, D'altra parte, “ramo di vite" sembra più

congruo per il recuperato ἑλίνοις in Nonn. 12. 299 (i πολύγναμπτοι EAıvor che

346 Per il momento lasciamo impregiudicata la prosodia del termine. Tralasciamo, in quanto piü incerte, le congetture di M. L. West alle Anacreontee.

347 Piü azzardata & nelle Anacreontee.

38 Sembra che ci sia un'unica eccezione, in un epigramma adespoto in A. P. 7. 621. 2 κάμμοpoc, εἴδατι Σαρδῴῳ σελίνοιο γελάσκων (cf. LS) s. v., sub fin.). Stadtmüller 1899, p. 422, spiega il fe-

nomeno con l'imperizia del versificatore. Da notare che nei manoscritti, almeno in questi passi, non si trova conflitto tra i due termini. 94? In Suda e 859 ἔλινος καρπός, Bernhardy 1843, p. 186, vorrebbe κλάδος τῆς ἀμπέλου, mentre Kuchenmüller, p. 103, confronta Hesych. e 2098 L. ££ ... καὶ ὁ καρπός. Ma questo interpretamentum è espunto da Latte, che rimanda ad e 2069 L. ἕλικα" ... tà περὶ τοὺς καρποὺς ψέλια. A mio pare-

re, Latte ha ragione di dubitare di tale glossema, ma sarebbe meglio ipotizzare lacuna, che espungere. Si tralasciano le Anacreontee, ove la restituzione appare piü incerta. 35! Dove è da notare lo iato introdotto dalla correzione di Brodaeus/Bodreaux. Per paralleli, Bodreaux 1908, p. 135, rimanda a 2. 400 e 4. 353.

352 Cf. Kuchenmüller, p. 103.

353 Come sembra, invece, interpretare lo schol. ad loc., con &Mvoio = κλάδον τῆς ἀμπέλου. Secon-

do Kayser, p. 77, e Bach, p. 74, nello scolio è trascritto Filita.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

caratterizzano i φυτὰ οἰνοτόκα), e per l' ἐλινοφόρος di Nonn. 16. 278, applicato al κόρυμβος di cui è dotato il virgulto della vite. Per analogia, Dioniso ἑλινοφόρος in Nonn. 17. 333 sara il "portatore dei tralci di vite". Ambigua l'occorrenza nell'Inno a Iside («come una vite» o «come un ramo di vite»). Comunque, la possibilità di sineddoche impedisce sicure determinazioni. Forse il dissenso nella lessicografia puó dipendere da tale situazione. Il termine denuncia, direi, formazione aggettivale**, in particolare sembra allinearsi agli aggettivi di materia in -ἰνος 55. “Fatto di elementi a spirale" puó denotare sia la vite che un suo ramo, tuttavia, se siamo nel giusto nel reperire in ἕλινος un originario aggettivo, la sua forma di maschile rinvierebbe ad una designazione di una parte della pianta, piuttosto che della pianta stessa. Con la sostantivizzazione, per sineddoche, £Aıvog si sarà applicato a designare anche la "vite". In letteratura, come si vede, il termine non ci é attestato prima del II sec. a. C.3%, e risulta tanto più difficile ipotizzare quale ‘occasione’ può avere indotto Filita alla glossa. I poeti fanno un uso, per così dire, emblematico della parola, collegandola, per lo più, a manifestazioni dionisiache. Ma quale fosse lo ‘statuto’ di ἕλινος, al momento

in cui Filita vi dedica le sue attenzioni,

rimane sconosciuto. La glossa ha qualche affinità con ἄμαλλα, con cui condivide l'àmbito agricolo e, forse, il carattere di termine tecnico. Può essere sia l'originarietà di quest'ultimo significato che Filita vuol ribadire, glossando τὸν κλάδον τῆς ἀμπέλου contro, o in parallelo, a quello, secondario, di “vite”,

che era entrato in uso.

3% Cf. Chantraine 1933, pp. 192 ss., 200 ss., per le formazioni in -vo-. 355 Cf. Chantraine 1933, p. 201 ss. In questo senso, può dare qualche problema l'accentazione ossitona del nostro termine, attestata in più di un caso.

356 Non si capisce come Serrano 1977, p. 64 e n. 6, possa porre la glossa tra quelle utilizzate

da autori contemporanei a Filita: si tratta, probabilmente, di un refuso o di una svista.

Edizione e commento

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fr. 16 = 44 Kuch. = 49 Bach = p. 79 Kay. schol. Apoll. Rh. 4. 982-921 W. στάχυν Ourviov: πολύν, δαψιλῆ. Φιλητᾶς Ev ᾿Ατάκτοις γλώσσαις ἀπέδωκεν ὄμπνιον στάχυν τὸν εὔχυλον καὶ τρόφιμον. Kupnναίων δέ τινες τὸν πλούσιον καὶ εὐδαίμονα ὄμπνιον καλοῦσιν. ἄμεινον δὲ τὸν φε-ρέσβιον εἰπεῖν, οἱονεὶ ἔμπνοόν τινα ὄντα καὶ ὄμπνιον Hesych. o 826 L. D òurevn: τροφή. εὐδαιμονία Γ öurvaar

cf. Hesych. o 721 L.

Hesych. o 825 L. D òuma: παντοδαπὰ τρωγάλια ὄμπνια L. Dindorf ThGL V, col. 1998a | τρωγάλια Musurus: τραγάλια H

Hesych. o 827 L. D ὄμπνια- τὰ ζωτικά Hesych. o 828 L. D óuxvia: καρποφόρος. (1po9ri.| ἄφθονος. ἀγαθή. νόστιμος.ἡ τὸ avaπνεῖν ἡμῖν διδοῦσα (Callim. fr. 1, 10 Pf.) 1. ὀμπνια tacite M. Schmidt (rec. Latte): ὀμπνία H | incl. e gl. 826 secl. Latte, τρόφιμος Kühn 1706,

p. 20 n. 8 (ex schol. Apoll. Rh. 4. 982-921) («fortasse recte», M. Schmidt) Hesych. o 829 L. D ὀμπνίῃ Santi ἀντὶ τοῦ πολλῇ öurvin Is. Voss ap. Alberti 1766, p. 757 n. 12: ὀμπνεῖ H, ὀμπνείῃ Scaliger apud Schrevel 1668, p. 693 n. 14, ὄμπνῃ «alii» apud Schrevel 1668, p. 693 n. 14, óuxvig Heinsius ap. Alberti 1766, p. 757 n. 12

Hesych. o 830 L. D ὀμπνίου νέφους: μεγάλου, πολλοῦ, ἠυξημένου (Soph. fr. 246 R.) ópxviov Phot. II 17. 7 N. (Heinsius ap. Alberti 1766, p. 757 n. 13): ὀμκνέον H, ὀμπνείου Salmasius ap. Schrevel 1668, p. 693 n. 15 cf. Phot. II 17. 7 N.; (ὄμπνιον νέφος): Phot. 1123. 5 N., Suda o 303, Diogenian. 6. 97, Apostol. 12. 70 Hesych. o 831 L. D ὄμπνιος λειμών’ ὁ τῶν πυρίνων xoi Δημητρίων kopróv: ἐπεὶ

Ὄμπνια ἡ Δημήτηρ 1. durviog tacite Casaubonus 1600, p. 621: ὄμπνειος H

| πυρίνων Musurus: πυρεῖνων H, πυρῶν ἦν

Kühn 1706, p. 20 n. 8 | Δήμητρος Valesius ap. Alberti 1766, p. 757 n. 14 | καρπῶν Salmasius ap. Schrevel 1668, p. 693 n. 16: καρπός H | 2. ὀμπνία H cf. Phot. Il 23. 6 N. (= Pausan. Att. o 16 Erbse); Suda o 306; app. prov. 4. 20 (ὄμπνιος καρπός); Prov. Bodl. 710 Gaisf. (ὄμπνιος καρπός)

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti Hesych. o 832 L. D ὀμπνιόχειρ᾽ πλουσιόχειρ. πλούσιος r

óuxvi- Phot. Il 23. 4 N. etc.: ὀμπνει- H

cf. (ὄμπνιος χείρ) Phot. IL 23. 4 N.; Suda o 303; o 307; Diogenian. 6. 97; Apostol. 12. 69; Prov. Bodl. 704 Gaisf.

Hesych. o 833 L. D ὀμπνηρὸν 050p: τρόφιμον (Callim. fr. 357 Pf.) ὄμπνιον Suda o 304, ὀμπνιηρὸν (h.e. ὄμπνιον cum v. I. ὀμπνηρὸν) Phot. II 23. 8 N., Suda o 304

cf. Phot. I1 23. 8 N.

Suda o 304 ὄμκνιον 050p: τὸ τρόφιμον καὶ πολύ (= Ael. Dion. o 17 Erbse). λέγεται καὶ ὀμπνιηρὸν ὕδωρ, τὸ τρόφιμον 1. ὀμπκνηρὸν corr. in ὀμπνιρόν F, ὀμπνικόν G

| 2. ὕδωρ τὸ τρόφιμον om. A

Atticistis omnia attr. Wentzel

Etym. M. 788. 26 Καλλίμαχος, (sq. fr. 287 Pf. con ὄμπνιον ἔργον). τὸ Δήμητρος δηλοvon

Etym. M. 625. 45 ὅθεν καὶ τὴν Δήμητραν, τροφὸν οὖσαν, ὀμπνίαν ὀνομάζουσιν Κυριανοί, ὡς παρὰ Λυκόφρονι (sq. v. 1264), τὴν συντελοῦσαν πρὸς τὸ ζῆν, παρὰ τὸ nv£o: καὶ ὄμπνους, τοὺς Δημητριακοὺς καρπούς 1. Δήμηϊ M | τὴν Δήμητραν, τῶν τροφῶν οὖσαν κυρίαν, ὀμπνίαν ᾿Αιολεῖς ὀνομάζουσι Sorb. | ὠνόμαζον V | 2. fort. Κυρηναῖοι Sylburg 1594, p. 37 (recte) | 3. ὄμπνας Bekker ap. Sturz 1818, col. 988 | Δημητρειακούς V

cf. Et. Gud. 429. 27 Sturz

Et. Gud. 428. 16 Sturz καὶ εἴρηται (scil. ὀμφαλος) παρὰ τὸ ὀμπνεῖν, è ἐστιν ἀναπνεῖν, παρ᾽ ὃ καὶ ὄμπνος ὁ Δημητριακὸς καρπός cf. Zon. 1447; Melet. de disp. horn. (An. Gr. 1118. 20 s. Cr.)

Orion. 115. 15 Sturz παρ᾽ οὗ καὶ ὄμπνη ὁ Δημητριακὸς καρπός Suda o 305 ὄμπνιος: ἡ Δημήτηρ, αἰτία οὖσα τοῦ ἀναπνεῖν (= Ael. Dion. o 18 Erbse) om. F | ὀμπνία Cuperus 1670, p. 188 Atticistis attr. Wentzel

Zon. 1447 tóuxviog τρόφιμος Zon. 1448 öunvora: ἡ ὁμόνοια. ἢ ἀναπνοή

«ὄμπνοια pro ὄμπνεια. Sic Cyrillus meus» Tittmann

Edizione e commento

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Eustath. 1012. 4 (= Cratet. Mall. fr. 25 Mette) ἀφ᾽ ὧν τὸ ζῆν καὶ ἀναπνεῖν, οὗ ἐμφαν--

τικὴ καὶ ἢ ὄμπνια Δημήτηρ schol. Nicand. Alex. 7b «ὀμφαλὸς γὰρ ἀπὸ τῆς ὄμπνης εἴρηται, ἥ ἐστι τροφή, ad’ οὗ καὶ ἡ G'BRvAld» «θηλάζουσα G!> «Δημήτηρ Ὄμπνια G!BRvAld>, «αἰτία οὖσα τοῦ ἀνακνεῖν R> 1. A ex è corr. G': è BRvAld

| τροφῆς R | 2. ἐπεὶ καὶ Δημήτηρ Ὄμπνοια (Ὄμπνια Ald) λέγεται ἡ τρό-

φιμος Y | μήτηρ Οἱ schol. Lycophr. 621 ὄμπνιος στάχυς ὁ πνοὴν ὀνίαν ἤγουν ὠφέλιμον διδοὺς τοῖς ἀνθρώποις ἢ ὑπὸ τῶν ἀνέμων πνεόμενος καὶ εἰς ὄνησιν αὐξανόμενος. 5586 ὄμπναι κυρίως πυροὶ μέ--

λιτι βεβρεγμένοι, νῦν δὲ ἁπλῶς | Δημητριακὸν σῖτον εἶπεν. s* schol. Lycophr. 1264 ὀμπνίαν δὲ | τὴν συντελοῦσαν πρὸς τὸ ζῆν, παρὰ τὸ | ss? Eg

ὁμοῦ EG | πνέω ss? "Eg (XEM 625. 45 EG 429. 28), ἐξ οὗ πλουσίαν |. 5 Epim. Hom. A 357 Dyck Ὄμπνια (σημαίνει δὲ τὴν Δημήτραν) "Onvıa Ps Psd

Phot. II 17. 5 N. ὀμκνεύειν: αὔξειν Phot. II 16. 19 N. óuztvnv: ᾿Αθηναῖοι ὅταν τὸν νεὼν ἱδρύωνται πυροὺς μέλιτι δεύσαντες, ἐμβάλοντες εἰς κάδισκον, εἶθ᾽ οὕτως ἐπιθέντες τὸ ἱερεῖον, συντελοῦσι τὰ ἑξῆς" χρῶνται δὲ τούτῳ καὶ πρὸς ἄλλας ἱδρύσεις καὶ θυσίας, προσαγορεύοντες ὄμπνην, εὐθένειαν οἰωνιζόμε-vot: ὅθεν καὶ ἡ Δημήτηρ Ὀμπνία 1., 3. ὄμπην cod.

| 4. Ὄμκνια cod.

Soph. fr. 246 R. ὀμπνίου νέφους ὀμκνίου νέφους Phot. II 17. 7 N.: ὀμπνέου Hesych., ὀμπνείου Salmasius ap. Schrevel 1668, p. 693 n. 15 (ad Hesych.), ὄμπνιον νέφος Phot. II 23. 5 N. (ótviov cod.), Suda o 303, Diogenian. 6.

97, Apostol. 12. 70

adesp. trag. fr. 594 K.-Sn. ὄμπνιος λειμών ὄμκνιος Suda o 306: ὄμπνειος Hesych. o 831 L., ὄπνιος Phot. Il 23. 6 N.

IG II-II? 4647 (Atene, IV a. C.) Φιλοκρατίδης Νικηράτοίυ ὀμπνίίαις

| Κ]υδαθηναιεὺς Νύμφαις

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

Callim. fr. 1, 9 s. Pf. ἀλλὰ καθέλικει ....RO,AD τὴν μακρὴν ὄμπνια Θεσμοφόροίς Callim. fr. 287 Pf. n ἄφαρον φαρόυσι, μέλει δέ div ὄμπνιον ἔργον Ὀμκανίου Hecker 1842, p. 90 (scil. Cerereris, coll. Suda o 305 ) Callim. fr. 357 Pf. = adesp., SH fr. 1094 ὄμπνιον ὕδωρ ὄμπνιον (καὶ ὀμκνιηρὸν) Suda o 304 (ὀμπνηρὸν corr. in ὀμπνιρόν F, ὀμπνικόν G): ὀμπνηρὸν Hesych. o 833 L., ὀμπνιηρὸν (ὀπνιηρὸν cod., ὀμπνηρὸν Naber) Phot. II 23. 8 N.

Lycophr. 619 κρίσει δ᾽ ᾿Αλαίνου τοῦ κασιγνήτου σφαλείς,

εὐχὰς ἀρούραις ἀμφ᾽ ἐτητύμους βαλεῖ, Δηοῦς ἀνεῖναι μήποτ᾽ ὄμπνιον στάχυν

γύας τιθαιβώσσοντος ἁρδηθμῷ Διός Lycophr. 1263 & δή, παρώσας καὶ δάμαρτα καὶ τέκνα

καὶ κτῆσιν ἄλλην ὄμπνιαν κειμηλίων Moschio fr. 6.9 K.-Sn. οὐ μὴν ἀρότροις ἀγκύλοις ἐτέμνετο μέλαινα καρποῦ βῶλος ὀμπνίου τροφός 10. öuriov P

Sosith. fr. 2. 10 K.

τῇ μιᾷ δ᾽ Ev ἡμέρᾳ Τδαινυσί 1' ἔμπης συντίθησιν εἰς τέλος 11. διάστατ' ἔμπας Latte 1925b, p. 11 n. 13, δράγνυσί τ᾽ ἔμπης συντίθησί t' εἰς τέλος Walker 1923, p. 258, Διόνυσον ὄμπνη συντίθησιν G. Hermann

Apoll. Rh. 4. 988 Ana γὰρ κείνῃ ἑνὶ δή ποτε νάσσατο γαίῃ,

Τιτῆνας δ᾽ ἔδαε στάχυν ὄμπνιον ἀμήσασθαι Eratosth. fr. 16. 15 ss. P. δοιαὶ δ᾽ ἄλλαι ἔασιν ἐναντίαι ἀλλήλῃσι μεσσηγὺς θέρεός τε καὶ ὑετίου κρυστάλλου, ἄμφω ἐύκρητοι τε καὶ ὄμπνιον ἀλδήσκουσαι καρπὸν 'EAevoivng Δημήτερος

1801, p. 256 ss.

Edizione e commento Archim., SH fr. 201. 41 ταῦτα συνεξευρὼν καὶ Evi πραπίδεσσιν ἀθροίσας καὶ πληθέων ἀποδούς, ξεῖνε, τὰ πάντα μέτρα ἔρχεο κυδιόων νικηφόρος ἴσθι τε πάντως κεκριμένος ταύτῃ γ᾽ ὄμπνιος ἐν σοφίῃ Inschr. Stratonikeia 543. 8 (II-I a. C.?) "Ourma κυδαλίμη (scil. Hecate) Marc. Sid. IGUR III 1155A 55 ss. (= IG XIV 1389 155 ss.) οὐδέ μιν ἡρῴνῃσι παλαιῇσιν μεδέουσα

Καίσαρος ἰφθίμοιο παρόψεται ὄμπνια μήτηρ

ἐς χορὸν ἐρχομένην προτεράων ἡμιθεάων Max. astr. ausp. 464 s. (= [Orph.] fr. 280. 9 s. K.) ὄμπνιά σοι Δήμητρος ἀερσινόοιο te Βάκχου N A δῶρ' ἀναπεμπέμεναι καὶ ἐπηετανὸν ὄλβον ὀπάζειν Max. astr. ausp. 506 s. τῆμος ἐνιβληθέντα Kat’ αυλακόεσσαν ἄρουραν ὄμπνια Δηοῦς δῶρα καὶ ἐμπλήσειεν ἀλωήν

Max. astr. ausp. 528 5. ὄμπνια ἔργα nevavran Δηοῦς Tull. Gem. A. P. 9. 707. 3

ἦ γὰρ ἐγείρω ὀμπνιακῶν χαρίτων ἡδύτερον τρίβολον. ἔστι καὶ Ἡμαθίης γόνιμος βυθός; ἄμμι δέ, Νεῖλε, κρείσσων ἔσθ᾽ ὁ φέρων τὸν στάχυν, οὐχ ὁ τρέφων IG I-II? 1352. 2 (Atene, II d. C.) ἱερέως τῆς Ὀμί 'Ou[svíag Δήμητρος dub. Boeckh 1828, p. 483, 'Ou[ovoiac τῶν Ἑλλήνων Geagan 1972, p. 158.

Pamprep. fr. 3. 115 Liv. "Alpeı γειοπόνῳ νυμφεύεται ὄμπνια Ano Nonn. 5. 488 = 38. 124 ἐσπερίη σελαγιζε 8v ὕδατος ὄμπνια Mrivn Nonn. 6. 13 5. πάντας μὲν τρομέεσκε, τὸ δὲ πλέον ὄμπνια μήτηρ παιδὸς ἔχειν Ἥφαιστον ἐδείδιε χωλὸν ἀκοίτην Nonn. 11. 213 ἀχνυμένου Βρομίοιο συνάχνυται ὄμπνια Δηώ

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti Nonn. 26. 189 s. ἀρτιφανὴς Φαέθων, ὅτε λούεται Ὠκεανοῖο,

ὄμπνιον ἠῴης ἀποσείεται ἰκμάδα χαίτης Nonn. 31. 37 ss. παρὰ σταχνυώδει Νείλῳ ἀντὶ τεῆς Δήμητρος ἀμαλλοφόροιο τεκούσης ἄλλῃ κῶμον ἄγουσι, νόθη δέ τις ὄμπνια Δηώ ταυροφνυὴς κερόεσσα φατίζεται Ἰναχὶς Ἰώ Nonn. 38. 282 καὶ θέρος ἐντύνω σταχνηκόμον ἄγγελον ὄμπνης Nonn. 40. 350 ὄμπνια μαστίζουσα (scil. Ano) μετάρσια νῶτα δρακόντων

Nonn. 40. 391 ῥαίνων ζωοτόκοιο δι᾽ αὔλακος ὄμπνιον ἀκτήν Nonn. 42. 278 ὄρχατον ἀμπελόεντα καὶ ὀμπνια Aria γαίης Nonn. 47. 49 5. ὅττι καὶ αὐτὴ

ἄλλῳ γειοπόνῳ στάχυν ὄμπνιον ὥπασε Ano Nonn. Par. Joh. 4. 174 ss. οὕνεκεν ἀνὴρ ἄλλος ἀροτρεύει σπόρον ὄμπνιον αὔλακι νέφων,

καὶ στάχυν ἀμήσει στεφανηφόρος ἄλλος ἁλωεύς Joh. Gaz. 1. 94 5. καὶ εἰς πύλον ὄμμα βαλοῦσα οὐρανίου λαμπτῆρος ἀμέλγεται ὄμπνιον αἴγλην

Joh. Gaz. 2. 21 5. καὶ γονίμῃ παλάμῃ κέρας ὄμπνιον ὑψόθι τείνει ζωοτόκου Δήμητρος ἐπιπλήσασα γενέθλης

Paul. 511. 5. Soph. 145 ἀλλά σύ μοι βασιλῆα φερέσβιον, ὄμπνια Ῥώμη

L’attestazione letteraria di questo gruppo lessicale, la cui prima nasale non è ancora spiegata??", è composta dai sostantivi öunn e ὄμπνη, dagli aggettivi ὄμπνιος e ὀμπνιακός, e dall' appellativo divino ὄμπνια. L' a di quest'ulti-

Edizione e commento

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mo non è certamente originario, alla luce della presenza dell'aggettivo ὄμ-πνιος, ma si deve o ad analogia con πότνια, o ad una cristallizzazione di un vocativo arcaico, fenomeno tutt'altro che inaspettato nel caso di un appellativo di divinità?*. Altre forme sono attestate solo in lessicografia: óunvnpóv Hesych. o 833 L.; ὄμπνος (= Δημητριακὸς καρπός) Etym. M. 625. 45; Et. Gud. 428. 16 Sturz; ὀμπνεύειν Phot. II 17. 5 N29

sono, in linea di principio, tutte plausibili, quali formazioni da ὄμπνιος, ὄμ-πνηῶ͵

357 Cf., per un'ipotesi, E. Kretschmer 1926, p. 118. Per l'etimologia, cf., e. g., Heubeck 1961, p. 70, Manessy-Guitton 1964-65, p. 189. Il termine é piü volte introdotto da Furnée 1972, pp. 127, 161, 232 n. 16, 245, che considera pregreca la famiglia, da staccare dalla radice indoeuropea "opa causa della nasale e del carattere esclusivamente concreto (p. 245 «dieses Schwanken zwischen Formen mit und ohne v-Suffix dürfte als vorgr. Charakteristikum zu betrachten sein»). 358 Cf. Misteli 1868, p. 165, Brugmann 1879, p. 198 n. 1, Schmitt 1970, p. 28 n. 10, e Peters 1980, p. 206. Per Usener 1896, p. 244, si trattava originariamente di una entità divina autonoma, come lat. Ops. 359 Qualche osservazione su alcune glosse: la correzione di L. Dindorf ad Hesych. o 825 L., Summa per öuma, va accolta: cf. Hesych. o 827 L. D ὄμπνια' τὰ ζωτικά; Naber ad Phot. II 16. 19 corregge in ὄμπνην e 'Ouxvia rispettivamente ὄμπην e Ὄμπνια del codice, che vanno, invece conser-

vati; in Hesych. o 828 L. l'espunto τροφή potrebbe spiegarsi per confusione tra ὄμπνια epiteto divino e un ὄμκνια neutro plurale, inteso come "collettivo" = τροφή (cf. Hesych. o 825 L. D óuma Il. burma]: παντοδαπὰ τρωγάλια, o 827 L. D burma: τὰ Gea); nel lemma della medesima glossa è

meglio conservare il tràdito ὀμπνία (per óxvia): i glossemi non suggeriscono che si tratti in primo luogo di Demetra; per Ὀμπνία in Hesych. o 831 L., Phot. II 23. 6 N., Suda o 306, app. prov. 4. 20, Prov. Bodl. 710 Gaisf., Etym. M. 625. 45, è meglio scrivere Ὄμπκνια, trattandosi di Demetra. In app. prov. 4. 20 e Prov. Bodl. 710 Gaisf. il lemma καρπός & congruo con il glossema σῖτος, ma non altrettanto si puó dire per oi Δημητριακοὶ καρποί. I due glossemi si riferiscono in altre glosse a ὄμανιος λειμών (Phot. II 23. 6 N.; Suda o 306, cf. anche Hesych. o 831 L.): indubbiamente si trat-

ta, all'origine, della medesima glossa, senza che possiamo affermare con certezza che ne paremiografica sia una variante o un errore. Le croci apposte a Zon. 1447 (öymmos: sono ingiustificate: cf. lo scolio apolloniano. Le forme ὀμπνει- trädite (direttamente o mente) in Hesych. o 826 L., 829-832 L. paiono errori itacistici. Frisk, GEW II 390, scrive

la versioτρόφιμος) indirettaὄμκνίελιος

e ὀμπνειόχειρ, ma cf. Chantraine, DELG 800. In SGDI 4596. 6 (Laconia, Il d. C.) Meister, 1898, p. 77, leggeva önr[vleulilötatov, che portava a favore di una lettura ὀμπνει-: in realtà, ivi è scritto ἐμ-πειρότατον, vd. IG V 1. 1244. 6. Il composto ὀμπνιόχειρ di Hesych. o 832 L. ὃ perfettamente accet-

tabile e da mantenere (cf. Alberti 1766, p. 757 n. 16), a fronte dello scioglimento (che, peraltro, non va corretto) in Suda o 303, 307, Phot. II 23. 4 N., Diogenian. 6. 97, Apostol. 12. 69, Prov. Bodl. 704 Gaisf. Del resto, l’interpretamentum πλούσιος in Phot. II 23. 4 N. e Prov. Bodl. 704 Gaisf. sem-

bra retaggio di un lemma ὀμπνιόχειρ. In margine, si osservi che composti a secondo termine “χεὶρ sembrano favoriti dalla tragedia, in particolare in sezioni liriche: oltre al diffuso αὐτόχειρ, cf. Aesch. Choe. 23 (ὀξύχειρ), Pers. 83, Soph. EI. 488 (κολύχειρ), 1092 (ὑπόχειρ), Ai. 935, cui sono da allineare Pind. Ol. 9. 111 (εὐχειρ: anche Soph. OC 472, in trimetro giambico), μαλακόχειρ Pind. Nem. 3. 55. In sezione non lirica è καλλίχειρ, Chaeremon. fr. 14. 7 K.-Sn. Indeterminabile è la forma precisa di ἀδικοχειρ- in Soph. fr. 977 R.; non si sa se era in opera tragica il ταχύχειρ di Crit. fr.

8 N.2. Per Phot. II 17. 5 N. durvever αὔξειν, cf., benché non lo menzioni, E. Fraenkel 1906, pp. 200-203, per fattitivi in -evw (influenza della paretimologia con xvéc sulla sua formazione?: cf. Envevoa etc.). 360 Modalità e cronologia (in particolare per durvn) dell'attestazione dei vocaboli, insieme all'incertezza dell'etimologia, non consentono di delineare una storia delle forme. "Ounvos ha, comunque, l'aria di una costruzione grammaticale ad hoc.

120

Filita grammatico. Testimonianze ὁ frummenti

L'attestazione lessicografica della famiglia lessicale ὃ vasta, e, soprattutto, abbonda in sintagmi che dichiarano un valore altamente emblematico del termine, tanto da passare, alcuni, in raccolte di proverbi, benché non possie-

dano carattere paremiografico Il raggio semantico é ampio, ma coerente. Esso é ben rappresentato nello scolio apolloniano*': a parte i generici πολύν, δαψιλῆ, si va da un materiale, per cosi dire agricolo, "succoso, nutriente" (Filita) a un (metaforico?) "ricco,

dotato di benessere", finendo con "datore di vita", che rispecchia una frequente paretimologia. A questi significati sono da aggiungere le due 'specializzazioni' di ὄμπαι per dolci sacrificali, e Ὄμπνια quale appellativo divino,

innanzitutto di Demetra. Sono rappresentati ambedue gli due aspetti di "fecondo" e "fecondante". Tale fecondità é, in primo luogo e in maniera estremamente marcata, quella della terra, con l'importante sfumatura del richiamo archetipico a Demetra. Esso avviene direttamente, o con l'uso dell'epiteto, Callim. fr. 1. 9 Pf., IG II-HP.

1352. 2 (ma integrazione estremamente dubbia), Pamprep. fr. 3. 115 Liv., Nonn. 6. 13, 11. 213, 31. 39, 40. 350€, o con un'esplicita indicazione: Lycophr. 618 s. εὐχὰς ἀρούραις ἀμφ᾽ ἐτητύμους βαλεῖ, / Δηοῦς ἀνεῖναι μήποτ᾽ ὀμπνιον στάχυν, Apoll. Rh. 4. 987 s. Δηὼ γὰρ κείνῃ ἐνὶ δή ποτε νάσσατο γαίῃ, / Τιτῆνας δ᾽ ἔδαε στάχυν ὄμπνιον ἀμήσασθαι, Eratosth. fr. 16. 17 s. Pow. ἄμφω ἐύκρητοι τε καὶ ὄμπνιον

ἀλδήσκουσαι / καρπὸν Ἐλευσίνης Δημήτερος, Max. astr. ausp. 464 s. ὄμπνιά σοι Δήμητρος ἀερσινόοιο τε Βάκχου / δῶρ(α), 506 s. τῆμος ἐνιβληθέντα Kat’ αυλακόεσ-σαν ἄρουραν / ὄμπνια Δηοῦς δῶρα καὶ ἐμπλήσειεν ἀλωήν, 528 s. ὄμπνια ἔργα n£vovται / Δηοῦς, Nonn. 47. 49 s. ὅττι καὶ αὐτὴ / ἄλλῳ γειοπόνῳ στάχυν ὄμπνιον ὦπασε Δηώ, Joh. Gaz. 2. 21 5. καὶ γονίμῃ παλάμῃ κέρας ὄμπνιον ὑψόθι τείνει / ζωοτόκου Δήμητρος ἐπιπλήσασα γενέθλης. E evidente che tali occorrenze danno connota-

zione particolare agli altri casi in cui con ὄμπνιος sia in questione il lavoro agricolo o ai suoi prodotti, qualificato, quindi, in relazione al suo aspetto archetipico e sacrale: Callim. fr. 287 Pf. ἄφαρον φαρόωσι, μέλει δέ div ὄμπνιον épyovi9,

361 Compreso il tentativo etimologico, frequentemente attestato, collegato a πνέω. %2 L'appellativo ὄμπνια non è riservato a Demetra, ma anche in questi casi eccezionali è spesso a lei correlato: ne godono le ninfe, in quanto associate alla fecondità (cf. IG I-II? 4647 e óyπνιακῶν χαρίτων in A. P. 9. 707. 3), Faustina, moglie di Antonino Pio (IGUR III 1155A 56), ma in quanto assimilata a Demetra (cf. v. 6 Δηώ te ven), Mrivn (Nonn. 5. 488, 38. 124), probabilmente per l'assimilazione di Iside a Demetra, Ῥώμη (Paul. Sil. 5. Soph. 145), in un contesto particolare, ove

si parla di un φερέσβιος βασιλεύς. Per le Ninfe, oltre alia frequente caratteristica di κουροτρόφοι, cf. schol. Pind. Pyth. 4. 106a ἄνευ γὰρ Νυμφῶν οὔτε Δήμητρος ἱερὸν τιμάται διὰ τὸ ταῦτας πρώτας καρπὸν ἀποδεῖξαι. In Inschr. Stratonikeia 543. 8 l'applicazione ad Ecate puó doversi alla sua qualità di κουροτρόφος, se non si tratta di bellurie poetica, sostanzialmente immotivata. Per Peek 1980, p.

24, l'Ecate di Lagina potrebbe aver assunto le valenze di Demetra, se non fosse addirittura intesa quale Demetra. D'altra parte, in Nonn. 6. 13 e 40. 350 ὄμπνια ὃ ancora caratteristico di Demetra, ma decontestualizzato. 363 Cf. il commento del testimone, Et. Gen. A s. v. φαρῶ: τὸ Δήμητρος. Diretto sarebbe il rappor-

to con Demetra, se avesse visto giusto Diels ap. Kapp 1915, p. 76, cui aderisce, argomentando,

Edizione e commento

121

Moschio fr. 6. 9 K. οὐ μὴν ἀρότροις ἀγκύλοις ἐτέμνετο / μέλαινα καρποῦ βῶλος ὀμ-

πνίου τροφός (quale emblema αἱ civilizzazione), Nonn. 38. 282 καὶ θέρος ἐντύνω σταχνυηκόμον ἄγγελον ὄμπνης, 40. 391 ῥαίνων ζωοτόκοιο δι᾽ αὔλακος ὄμπνιον ἀκτήν, 42. 278 ὄρχατον ἀμπελόεντα καὶ ὄμπνια λήια γαίης, Par. Joh. 4. 174 ss. οὕνεκεν ἀνὴρ / ἄλλος ἀροτρεύει σπόρον ὄμπνιον αὔλακι νέφων, / καὶ στάχυν ἀμήσει στεφανηφό-

ρος ἄλλος ἁλωεύς5.. Di conseguenza, 1’ ὄμπνιον νέφος di Soph. fr. 246 R. sarà quello che porta l'acqua fecondante la terra%, collegandosi con 1 ὀμπνηρὸν ὕδωρ della lessicografia (variamente attribuito), mentre 1 ὄμπνιος λειμών è, come si ricava anche dai glossemi esichiani, il campo di grano, e 1 ὄμπνιος καρπός (se corretto, cf. n. 359), a sua volta, il grano.

Attestazioni metaforiche, irrelate alla fecondità agricola, sono in Lycophr. 1263 s. ἃ δή, παρώσας καὶ δάμαρτα καὶ τέκνα / καὶ κτῆσιν ἄλλην ὄμπνιαν κειμηλίων (difficilmente, per la specificazione κειμηλίων, il possesso di Enea

può qui riferirsi a proprietà agricole), Archimed., SH fr. 201. 44 ταύτῃ γ᾽ óunvioc ἐν σοφίῃ,

e Nonn. 26. 190 óuzviov Hang ἀποσείεται ἰκμάδα χαίτης. Ed

egualmente potrebbe valere per il lessicografico ὀμπνιόχειρ, glossato πλούcos, nonché ὀμπνίῃ δαιτί di Hesych. o 829 L. (πολλῇ)67,

L'espressione ὄμπνιον στάχυν sembra appartenere al cuore dell'àmbito demetriaco. Si ripete quattro volte, sempre al singolare, e perlomeno tre in contesti pregnanti: in Lycophr. 618 s. Δηοῦς ἀνεῖναι μήποτ᾽ ὄμπνιον στάχυν la

«feconda, ricca spiga» è detta di Demetra; in Apoll. Rh. 4. 988 s. Ana ... / Tτῆνας δ᾽ ἔδαε στάχυν ὄμπνιον ἀμήσασθαι esso è associato ad una sua primeva azione civilizzatrice; in Nonn. 47. 49 s. ὅττι xoà αὐτὴ / ἄλλῳ γειοπόνῳ σταχύν

ὄμπνιον ὦπασε And è qualificato come dono demetriaco dallo speciale ὀπάζειν, verbo pressoché tecnico per il divino octroyer. Infine ὃ da aggiungere l'occorrenza glossata nello scolio apolloniano, che per essere stata oggetto delle attenzioni di Filita è necessariamente la più antica delle quattro. Ma di che sorta di occorrenza si tratti, è difficile dire. Per spiegare l'òuxviov στάχυν apolloniano viene evidentemente utilizzata dottrina precedente, che non è però collegata nello scolio all'interpretazione di un particolare passo, né noi siamo in grado di rintracciarlo. D'altra parte, almeno per quanto riguarda Filita, non si tratta di generica dottrina su ὄμπνιος, ma la spiegazione verte su un sintagma, ὄμπνιος στάχυς, che dobbiamo o

ritenere inserito in un

Livrea 1993, p. 149 s., per cui il riferimento sarebbe alla ἱερὰ ὀργάς, un tratto di terra al confine tra Attica e Megara, sacro alle divinità eleusinie: cf., e. g., Pausan. 3. 4. 2, IG II-III? 204 (Atene, 352/51 a. C.). 36 In Sosith. fr. 2. 10 K.-Sn. öurvn è congetturale.

365 Cf. Pearson 1917, p. 185. 366 Cf. schol. Apoll. Rh. 4. 982-921 τὸν πλούσιον καὶ εὐδαίμονα ὄμπνιον καλοῦσιν, Hesych. o 829 L.

Op xvn... εὐδαιμονία.

367 Si tratta di poche occorrenze, rispetto al numero totale: il termine è sempre rimasto marcato. Il vocalismo della glossa esichiana, se correttamente restituito da Vossius, rimanda a scrittura ionica o ionizzante, apparentemente non esametrica.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

preciso testo, o comunque considerare come di rilievo particolare in qualche ‘ modo, un rilievo acquisito già prima di Filita, se merita in sè tale dispiego di dottrina. Il carattere paradigmatico di tale στάχυς, al di là del luogo apolloniano, che costituisce l'occasione per spiegarlo, mi sembra garantito dal ventaglio di interpretazioni offerte dallo scolio, che, evidentemente, si riferisce anche al generico óuzviog'*: una ‘materiale’, di Filita, εὔχυλον καὶ τρόφιμον, una metaforica, πλούσιον καὶ εὐδαίμονα, una etimologica, φερέσβιον ..., οἱονεὶ ἔμπνοόν τινα

ὄντα. Il contesto del sintagma non forniva, evidentemente, elementi per una definizione univoca, e ció si spiega facilmente, mi sembra, con una sua valen-

za paradigmatica, quale si riscontra, del resto, nei passi in cui ricorre. La sostanza del termine, congiungendo le conclusioni di vari interpreti, potrebbe essere la seguente: ὄμπνιος è «rarum vocabulum Atticum», sulla base di Sofocle e Moschione?”. Un'affermazione che riscontra l'unanimità?!. La notizia dello scolio apolloniano Κυρηναίων δέ τινες τὸν πλούσιον καὶ εὐδαί-μονα ὄμπνιον καλοῦσιν, singolare (Κυρηναίων δέ τινες), non sembra riportata

correttamente da Pfeiffer 1949, parere, da Diehl 1936-37, p. 372, Callimaco. Egli aggiunge che & cheo, ὄμπνιος. Ma se si mette in

p. 26777, ma è comunque bene intesa, ἃ mio per cui «quidam Cyrenensium» si riferisce a da costituire un nuovo frammento callimarelazione lo scolio apolloniano con Etym. M.

625. 45 ὅθεν καὶ τὴν Δήμητραν, τροφὸν οὖσαν, ὀμπνίαν ὀνομάζουσιν Kupıavoi

(Κυρηναῖοι recte Sylburg 1594, p. 37) si potrebbero riferire entrambi ἃ Callim. fr. 1.9 s. Pf. ἀλλὰ καθέλκει / .... πολὺ τὴν μακρὴν ὄμπνια Θεσμοφόρος. Tuttavia, i

glossemi dello scolio apolloniano (πλούσιον καὶ εὐδαίμονα) appaiono generici, e sembrano applicarsi ad un essere animato di genere maschile (ma difficilmente, riteniamo, allo στάχυς). Riguardo

alla posizione di Filita, Pfeiffer 1949, p. 267, osservava

che

ὄμπνιος era da lui spiegato nelle &taxtot 4900017, e che poi si trova in di-

#8 Cf. i glossemi si possano applicare * Pfeiffer 1949, Suda, ma in realtà

πλούσιον καὶ εὐδαίμονα, che, per quanto non del tutto impossibili, è difficile allo στάχυς. p. 267. Egli e Livrea 1973, p. 287, rimandano anche alle glosse in Fozio e solo Phot. Il 16. 19 N. öurvnv parla esplicitamente per un'attribuzione

all'Attica. Già Wentzel ap. Adler ad Suda o 304 ὄμπνιον ὕδωρ e 305 ὄμκπνιος aveva attribuito agli atticisti la serie di glosse con ὀμπν-. Per ὄμπη, cf. Pfeiffer 1949, p. 447.

370 Cui bisogna aggiungere IG II-HI? 4647 (Atene, IV a.C) Φιλοκρατίδης Νικηράτοίν | Κ]υδαθη-

vai£u Νύμφαις ὀμπνίίαις, importante per la quota cronologica. Per la datazione del rilievo accompagnato dalla dedica, cf. Himmelmann 1957, p. 36 s. E invece meglio lasciare fuori dal dossier attico l'iscrizione di IG II-III? 1352. 2, la cui integrazione è incerta. Per altre integrazioni epigrafiche di Ὄμπνια, una poi abbandonata e un'altra estremamente dubbia (un nome proprio), cf. Geagan 1972, p. 158 e SEG I 187 add. p. 138, 1. 13. 371 Cf. Schmitt 1970, pp. 32 n. 23, 84 n. 4, Livrea 1973, p. 287, Hollis 1990, p. 295. 372 «ap. Schol. Ap. Rh. IV 982 i ... Cyrenaeorum quoque vocem esse contendunt nonnulli». La tentazione è di correggere in Κυρηναίους δέ τινες τὸν πλούσιον καὶ εὐδαίμονα ὄμπνιον καλεῖσθαι.

373 Il che non è del tutto esatto: Filita glossava ὄμπνιος στάχυς, ciò che ha particolari implicazioni, come abbiamo visto.

Edizione e commento

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versi poeti alessandrini e posteriori. In Pfeiffer non vi & collegamento, almeno esplicito, tra i due dati, ma per Schmitt 1970, p. 32 n. 23, Callimaco avrebbe conosciuto e desunto il vocabolo proprio dalle ἄτακτοι γλῶσσαι, Hollis 1990, p. 295, dubitativamente propone che Filita abbia spiegato ὄμπνιον otáxvv da una tragedia, da cui avrebbe ricavato il sintagma Lycophr. 62175. Anch’egli ritiene che Filita abbia usato ὄμπνιος nella sua Demetra, e che in conseguenza di ció «the epithet became very popular». E difficile credere che Callimaco si sia trovato ad utilizzare la raccolta filitea per desumere, nell'Ecale !, un vocabolo che ritrovava nel Teseo di Sofocle, e, più in generale, che egli avesse bisogno del tramite di tali supporti per un'operazione lessicale e/o antiquaria. Il presupposto della dipendenza callimachea ὃ frutto di quello piü generale che Filita avrebbe costituito un repertorio di parole poetiche per l'utilizzo successivo: un'ipotesi che, finora, non ha trovato fondamento". Mettendo insieme i vari dati che si é potuto raccogliere sull'attestazione

di questa famiglia risulta evidente che si tratta di vocaboli appartenenti, in maniera pregnante, all'àmbito demetriaco attico, soprattutto nel suo aspetto cultuale?7. D'altra parte, si torni ad osservare come la dottrina dispiegata nello scolio apolloniano, e quindi anche quella riferita a Filita, sia relativa ad un sintagma, ὄμπνιον στάχυν, senza che ad esso sia attribuita alcuna auctoritas, e, ripetiamo, con un ventaglio di glossemi che sembrano riferirsi ad un

uso emblematico, piuttosto che circostanziato??. Il sospetto è che per l'origine di ὄμπνιος στάχυς non sia da ipotizzare in primo luogo un locus classicus quanto un àmbito cultuale, ovviamente demetriaco. Viene subito in mente,

sia detto a titolo di ipotesi, la singola spiga che veniva mostrata agli iniziati

374 Così come avrebbe ricevuto l'epiteto Ὄμπνια per Demetra in fr. 1. 9 Pf. dalla Demetra dello stesso Filita, che dovrebbe averla usata in quell'opera, cui ὃ communis opinio che Callimaco si riferisca nel luogo citato (p. 28 n. 10, cf. anche Hollis 1978, p. 402 n. 3). Per la derivazione del vocabolo in Callimaco dalle ἄτακτοι γλῶσσαι si pronuncia anche Livrea 1993, p. 14. Per

Kuchenmüller, p. 104, e Rengakos 1994b, p. 124, sia Lycophr. 621 che Apoll. Rh. 4. 989 avrebbero avuto contezza della glossa filitea, con cui cospirano nel significato τρόφιμον. Serrano 1977, p. 64 e n. 6, pone la glossa tra quelle utilizzate da autori contemporanei a Filita, mentre Erbse 1953, p. 184, non decide tra le possibilità che Apollonio abbia tratto l'espressione dal lavoro di Filita oppure che conoscesse il testo glossato dallo stesso.

375 Così già Kuchenmüller, p. 104, che propone l'alternativa di un testo tragico o esametrico

(nella successione στάχυν ὄμπνιον), cui si sarebbe rifatto anche Apollonio Rodio.

376 Cf. supra, pp. 24, 29 s. Riguardo al rapporto di Licofrone e Apollonio Rodio con la glossa filitea (cf. n. 374), non si puó affermare alcunché: il significato di τρόφιμον non va considerato distintivo, essendo tutt'altro che inusuale per ὄμπνιον.

377 Cf. anche gli accenni di Livrea 1973, p. 287, e Livrea 1993, p. 14. 378 Uso emblematico che, peraltro, & evidente nelle occorrenze in cui ritorna il sintagma. Del

resto, la lessicografia presenta un buon numero di sintagmi con ὄμπνιος privi di riferimenti precisi, e riferibili, in linea di principio, a linguaggio religioso-cultuale. Lo stesso óumnov νέφος di Sofocle potrebbe non costituire creazione letteraria, ma un prestito dall'àmbito suddetto. Lo stesso varrà per l'assunzione di ὄμπνιον στάχυν in Apollonio, Licofrone e Nonno.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

durante i rituali eleusini?”. In ogni caso, il tutto presenta eclatanti affinità, di

contenuto e di metodo, con quanto si concluderà per la glossa ἄμαλλα (fr. 18), di cui si rileverà il carattere antiquario, piuttosto che di esegesi letteraria. Vedremo delinearsi una minima ma coerente sezione "demetriaca" al-

l'interno del lavoro di Filita, una sezione dedicata all'aspetto religioso-antiquario del lessico?”. Per quanto riguarda la maggiore o minore pertinenza dei glossemi filitei, o degli altri recati dallo scolio, c'é poco da dire. Senz'altro εὔχυλον καὶ τρόφιμον di Filita sono piü specifici di πολύν, δαψιλῆ, direttamente riferiti al

luogo apolloniano, e inoltre sono gli unici strettamente “demetriaci”. Gli altri interpretamenta, come abbiamo detto, sembrano riferirsi, almeno in par-

te, ad ὄμπνιος in generale, ed uno rispecchia la spiegazione etimologica frequente in lessicografia (οἱονεὶ ἔμπνοόν nva ὄντα καὶ ὄμπνιον).

?? Cf. Burkert 1977, pp. 426, 430. Un esplicito accostamento tra ὄμπνιος e Demetra eleusinia è in Eratosth. fr. 16. 17 s. Pow., e cf. Livrea 1993, p. 14.

990 Cf. i frr. 17 (ἀχαια) e 18 (ἀμαλλα).

Edizione e commento

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fr. 17 = 45 Kuch. = 37 Bach

Et. Gud. auct. 248. 13 de Stef. ᾿Αχαιά: ἡ Δημήτηρ παρὰ ᾿Αττικοῖς, εἴρηται παρὰ τὸ ἄχος τῆς Κόρης. οὕτω Δίδυμος (fr. 49 Schm.). καὶ ὅτι μετὰ κυμβάλων

ἠχοῦσα τὴν Κόρην ἐζήτει. Tj, ὡς Φιλητᾶς, τὰς ἐρίθους ἀχαιὰς ἐκάλουν. ἔνιοι δέ, ἐκτείναντες τὸ A, ἀπὸ τοῦ συμβάντος Γεφυραίοις. καὶ πάλιν ᾿Αχαιά, ἡ Δημήτηρ. μέμνηται τοῦ ὀνόματος ᾿Αριστοφάνης (Ach. 709). καὶ εἴρηται ἀπὸ τοῦ ἄχους τοῦ ἐπὶ Περσεφόνῃ. οἱ δέ φασιν ἀπὸ ἱστορίας τοιαύτης τοῖς Ταναγρίοις μεταστᾶσιν ἐκ Τανάγρας ἡ Δημήτηρ ὄναρ φανεῖσα ἐκέλευσεν αὐτοὺς ἀκολουθῆσαι τῷ γινομένῳ ἤχῳ, καὶ ὅπου div παύσηται, ἐκεῖ πόλιν κτίσαι" καὶ διώδευον ἀκούοντες ψόφου καὶ κυμβάλων καὶ τυμπάνων, καὶ παυσαμένου περὶ ᾿Αττικοὺς ἔκτισαν πόλιν καὶ ἱδρύσαντο ἱερὸν ᾿Αχαιᾶς Δήμητρος 2. Κόρης Et. Gen.: λύπης d? | 3. Φιλητὰς d? | 5. ἀριστοφ d? | 6. μεταστᾶσιν Or.: μετάστασιν d? | 9. περὶ τὴν ᾿Αττικὴν Sturz 1820, col 185 n. 4 | 10. ᾿Αχαιᾶς Δήμητρος Or. 19. 4 St.: ἀχαιὸς δημήτερος d?

Hesych. a 8806 L. D 'Axaia: ἐπίθετον Δήμητρος. ἀπὸ τοῦ περὶ τὴν Κόρην ἄχους, ὅπερ ἐποιεῖτο ἀναζητοῦσα αὐτήν. Λάκωνες δὲ ἀγαθά. οἱ δὲ ἔρια p μαλακά 1. ἀπὸ Musurus: ἐπὶ H | 2. ἀγαθά = χαιά | axeiac epta p | μαλλία M. Schmidt

Hesych. a 8877 L. [ἀχιά’ ἔρια μαλακά] Et. Gud. 248. 8 de Stef. ᾿αχαιΐδες «B 235». ἐκ τοῦ ᾿Αχαιῖΐς" τοῦτο δὲ ἐκ τοῦ ᾿Αχαιά, καὶ σημαίνει β 1. γυναῖκες πελοποννησιακαί add. supra v. 8 d? et continuo περὶ τοὺς ἐρίθους («l. τὰ ἔρια. Cf. infra v. 15 et gl. ἔριθος» de Stefani 1909, ad loc.) τὸ εὔτεχνον ἔχουσαι d? I 2. B: y sscr. d? et τὴν θεὸν καὶ τὴν ἐρίθουσαν (sic) add. post B

POxy. 1978. 3. 4. 6. 8 (VI d. C.) (στιχαρομαφόριον) ἀπὸ ἀχάης PHarris 88. 18 ss. (V d. C.) μάφοριν (I. μαφόριον) ὀνύχινον τροχωτὸν ἀπὸ 'Axáng (I.

ἀχάηρ ἕν La glossa & di valutazione difficile. Le sue attestazioni si ritrovano, quasi ‘clandestine’, in un marginale al f. 36" del principale testimone dell’Etymologicum Gudianum, il Barb. Gr. 70, nel corso di un'illustrazione dell'epiclesi 'Axoi& di Demetra?!!, e in una aggiunta interlineare (finora sfuggita) alla

381 Letterariamente reperibile in Herodot. 5. 61. 2, Aristoph. Ach. 709, Nicand. Th. 484, Plut. Is. et Osir. 69, 378e, nonché, epigraficamente, in IG VII 1867. 3 (Αχεας: Thespiae, I d. C.), IG II-III?

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

spiegazione dell’etnico ᾿Αχαιΐδες, sempre nel Barberiniano. Si aggiunga la fluttuazione nell'interpretamentum tra ἔριθος del Gudianum 248. 15, e ἔρια μα--

λακά di Hesych. α 8806 L.: una situazione che potrebbe riflettersi anche in Et. Gud. 248. 8. L'unico possibile punto fermo, sia pure di utilità praticamente nulla, ὃ che la suddetta fluttuazione pare motivata dal rapporto pseudoetimologico tra ἔριθος e ἔρια32, evidente in passi quali Soph. fr. 286 R., Theocr. 15. 80. In Et. Gud. 248. 15 la glossa filitea compare all'interno di un brano di commentario aristofaneo?9, che intende dar conto dell'origine dell'epiteto 'Axoi& per Demetra?***, Sembra un inserto inorganico, all'interno di un dettato, peraltro, alquanto confuso: esso segue le etimologie ἀπὸ τοῦ ἄχους oppure μετὰ κυμβάλων ἠχοῦσα, come ne fosse una terza (1j, ὡς Φιλητάς κτλ.). Precede, però, l'affermazione ἔνιοι δέ, ἐκτείναντες τὸ A, ἀπὸ τοῦ συμβάντος Γεφυραίοις,

che è riferita alla storia che viene raccontata in seguito e che si rapporta all'etimologia ἀπὸ τοῦ ἤχου (ma con altra eziologia). Quindi, si ripete che ᾿Αχαιά è Demetra, che cosi è detta ἀπὸ τοῦ ἄχους (τοῦ ἐπὶ Περσεφόνῃ), e, infine,

si racconta la storia che giustifica l'etimologia ἀπὸ τοῦ ἤχου. La trattazione tutt'altro che lineare denuncia la probabile conflazione di diverse fonti, come confermano alcuni paralleli lessicografici, tutti dipendenti da dottrina sul passo aristofaneo: oltre al relativo scolio, Orion., Et.

Gen. e Suda citt., che recano, in sequenza, l'identificazione con Demetra e le

tre etimologie (1. ἀπὸ τοῦ ἄχους per la figlia; 2. perché la cercava μετὰ κυμ-βάλων ἠχοῦσα; 3. per 1΄ ἦχος, da lei provocato, che guida i Tanagresi in Atti-

ca). Il Gudianum, quindi, attesta almeno due fonti, che in parte affermavano la stessa cosa, ma di cui una sola riportava la glossa filitea. Inoltre, le diverse fonti non sono semplicemente giustapposte, bensí confuse, per cui non si individua una catena argomentativa ove situare logicamente la nostra glossa. Non si intende, infatti, se sia un accostamento puramente lessicale, con o senza un legame con ᾿Αχαιά = Δημήτηρ, oppure se la sua presenza sia dovuta

1358 II 27 s. (Atene 400-350 a. C.), 5117 e 5143 (Atene, d. C.). Sulla presunta occorrenza in EG 406. 10 Kaib. (= CIG 4000, Ikonion), vd. Laminger-Pascher 1975, pp. 305-307. A Luceria & epiteto di Atena in Aristot. mir. ausc. 109, 840b 1 ss. Su Demetra ᾿Αχαιά, cf. Suys 1994, pp. 1-20. Tutti gli altri testimoni del Gudianum

dipendono dal Barberiniano, cf. Cellerini 1988, p. 23. Per quanto

riguarda l'accentazione, e sull'ultima sillaba in Herodot. cit., cod. D; Aristoph. cit., RA; Nicand. Th. 484; schol. Aristoph. Ach. 708a; Et. Gud. auct. 248. 13-22 de St.; Et. Gud. 248. 8 de St.; Orion. 19. 4; Et. Gen. a 1501 L.-L.; Etym. M. a 2204 L.-L.; Et. Sym. a 1651 L.-L.; sulla penultima in Herodot. cit., codd. tranne D, Aristoph. cit., T, Plut. cit., Aristot. cit, schol. Nicand. Th. 485a, Hesych. a 8806 L., Orion. 18. 22 ('Ayoia), An. Gr. I 174. 23 Bachm., Phot. a 3419 Th., Suda a 4679,

schol. Nicand. Th. 485a. La ritrazione dell'accento si dovrà all'etimologia popolare ἀπὸ τοῦ ἄχους. Se non citiamo da un luogo preciso generalizziamo l'accentazione ossitona.

382 Cf. Frisk, GEWI

558. Cf. anche Et. Gud. 522. 11 e 523. 8 de Stef., Etym. M. 373. 39.

383 Cf. M. Schmidt 1854, p. 80 s. (ad Didym. fr. 49). Nella medesima glossa, con redazione leggermente diversa, in Orion. 18. 22 St., si trova alla fine οὕτως εὗρον ἐν ὑπομνήματι eig ᾿Αριστόφανης.

34 Per i paralleli lessicografici, cf. n. 381.

Edizione e commento

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a motivazioni etimologiche e, in questo caso, almeno in prima istanza, se in relazione ad ἄχος o ad ἦχος. Prima di proseguire, converrà fermarsi sugli interpretamenta ἔριθος ed ἔρια μαλακά, di cui uno solo, verosimilmente, ὃ corretto. Sicuramente si trat-

terà di ἔριθος. L'interpretamentum esichiano (ἔρια podaxa), sospetto già per il suo plurale, si trova, inoltre, dopo un'altro glossema errato, Λάκωνες δὲ ἀγαθά, che Salmasius ap. Schrevel 1668, p. 172 n. 16, riferiva correttamente a χαιάϑ5, infine sia Hesych. a 8877 L. [&yi&: ἔρια nodaxcı)?%, che il lemma nel

cirilliano p = Parisinus 2655 (axeia: epi), che le attestazioni di una &ydn nei POxy 1978 e PHarris 88 citt. riconducono, probabilmente, a vocabolo diverso da ἀχαιά337. A] contrario, τὰς ἐρίθους di Et. Gud. 248. 15 non solleva alcun so-

spetto, ed é confermato, sia pure confusamente, dalle aggiunte in Et. Gud. 248. 8 περὶ τοὺς ἐρίθους τὸ εὔτεχνον ἔχουσαι, ove si dovrà leggere, da una parte περὶ τὰ ἔρια τὸ εὔτεχνον ἔχουσαι, oppure τὰς ed ἐχούσας (un'annotazione mar-

ginale non concordata grammaticalmente col lemma), dall’altra τὴν θεὸν καὶ τὴν Epıdov.

Dunque le ἀχαιαί equivarrebbero, giusta la testimonianza di Filita, alle “lavoratrici”. Ma è lecito domandarsi quali, e qual è il senso di questa denominazione, anche in relazione al contesto in cui sono menzionate. In generale, ἔριθος, maschile o femminile, designa il servo o il lavoratore a giornata’®, ma se ne individuano due caratterizzazioni specifiche: a) lavo-

ratori agricoli in Il. 18. 550, 560°; b) tessitrici in Soph. fr. 286 R., Theocr. 15. 80, 28. 1 (φιλέριθος)""0. Specificazioni registrate dalla tradizione lessicografica: basterà menzionare schol. A Il. 18. 550d (ex. | D) ἔριθοι: νῦν ἐργάται, γεωργοί, παρὰ τὴν ἔραν τὴν γῆν᾽ ἢ παρὰ τὸ ἐρίζειν ἐν τῷ ἔργῳ. | ἔριθοι δὲ κυρίως ot épiovpγοί, καταχρηστικῶς δὲ καὶ οἱ μισθοῦ ἐργαζόμενοι; Poll. 1. 221 γεωργικὰ ὀνόματα ... γῆς ἐργάται ... οὖς Ὅμηρος ἐρίθους καλεῖ; Hesych. e 5840 L. "ἔριθοι οἱ γεωργοί. παρὰ τὸ τὴν ἔραν ἐργάζεσθαι, ἥτις ἐστι γῆ vgn. καταχρηστικῶς δὲ καὶ οἱ ἐριουργοί ἣ μισθωτοί; Et. Gud. 523. 8 de Stef. Epıdoc: ὁ ἐργάτης, ὁ τὴν γῆν μισθοῦ

385 Cf. anche Heinsius ap. Alberti 1746, p. 654 n. 17. 386 Cui già rimandavano, per ἔρια μαλακά, Sopingius, Is. Vossius e Küster ap. Alberti 1746, p. 654 n. 19.

397 Per l’ayarig (gen.) del POxy., fu dubitativamente ricordato Hesych. a 8806 L. dai primi editori (cf. B. P. Grenfell - A. S. Hunt - H. I. Bell, London 1924, 228). Con lo stesso dubbio ἀχαής & riportato in LSJ Suppl., s. v. ᾿Αχαία, accanto all'esichiano oi δὲ ἔρια μαλακά. Nel DGE s. v. ἀχαία,

nella seconda rubrica, egualmente il termine é registrato insieme all'interpretamentum esichiano, col significato di «lana fina» (si specifica, «significato dubbio»). 388 Occorrenze generiche (anche metaforiche): Hes. Op. 602 s., Demosth. 57. 45, Timo, SH fr. 795. 2, Eratosth. fr. 10 Pow., adesp. epic. fr. 2. 36 Pow.

399 Nonché Erinn., SH 401. 23, se l'interpretazione di Latte 1953, p. 84 s., coglie nel segno. Lo stesso Latte considera le ἔριθοι di Demosth. cit. "lavoratrici agricole". Forse anche l'uso metaforico, per le api, in adesp. lyr. fr. 7. 14 Pow., si riferisce a quest'àmbito. 99 Cf. PHibeh 1. 121. 34 (251-49 a. C.) ἐρίθοις ἐρίων, dove, però, la qualifica di "tessitrici" viene

esplicitata.

128

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

ἐργαζόμενος: κυρίως δὲ καὶ ἐπὶ γυναικῶν ἂν λέγοιτο τῶν τὰ ἔρια ἐργαζομένων; Etym. M. 373. 39 ἔριθος: σημαίνει τὸν ἐργάτην καὶ τὴν γυναῖκα τὴν ἐργαζομένην τὰ Epıa καὶ ἐπὶ μὲν τοῦ ἐργάτου, παρὰ τὴν ἔραν τὴν γῆν, ... ἢ παρὰ τὸ ἔρις καὶ τὸ θής, ὃ σημαίνει τὸν μισθωτόν. ἐπὶ δὲ τῆς γυναικός, ἀπὸ τοῦ ἔριον γέγονεν ἔριθος. κυρίως δὲ ὁ τὴν γῆν ἐργαζόμενος.

A questo punto, ὃ possibile sviluppare quattro ipotesi. 1) La denominazione ἀχαιαί per le ἔριθοι era sentita come ἀπὸ τοῦ ἄχους,

e in quanto tale si ritrova nella spiegazione dell'epiteto ᾿Αχαιά per Demetra. Hesych. a 8807 L. testimonia &yaíag λύπας. Che lo stato delle ἔριθοι fosse pe-

noso lo si intende intuitivamente?!, Tuttavia, una tale speculazione pseudoetimologica non spiega, in realtà, la denominazione?”. 2) con tale nome si indicano le "tessitrici", ed esso sarebbe collegato a quel vocabolo per "lana", che abbiamo isolato precedentemente, senza peró riuscire a fissarne la forma?”. I margini di incertezza rimangono molto ampi, e inoltre, in questo caso, la presenza di tale denominazione in un contesto dove si parla di Demetra 'Axoná risulterebbe un gratuito accostamento di un

omofono; 3) la relazione tra l'epiteto demetriaco e la particolare denominazione delle ἔριθοι ὃ di dipendenza. Si tratta di lavoratrici agricole (a giornata?), in quanto tali connesse a Demetra, forse anche su base rituale;

4) la denominazione di ἀχαιά per le lavoratrici subordinate rispecchia il servizio svolto da Demetra nella casa di Celeo durante le sue peregrinazioni alla ricerca di Persefone. Dall'episodio eleusinio di una Demetra ᾿Αχαιά attica, si sarebbe sviluppata questa denominazione, che dovremmo ritenere epicorica. Ma la prestazione servile di Demetra non puó agevolmente definirsi quella di una ἔριθος.

A parte le obiezioni parziali, in generale queste quattro ipotesi appaiono troppo specifiche, in assenza di concreti riferimenti. Credo, peró, che una soluzione provvisoria si possa trovare nel supporre comunque l'origine della denominazione ἀχαιά per una Epıdog dal suo tipo di attività, tale che in qualche modo la legasse all'àmbito demetriaco. Il solo spunto, leggero ma non inconsistente, che mi ὁ riuscito di trovare ὃ nel frammento di Eratostene

391 E sembrerebbe confermato esplicitamente dal passo di Demosth. cit., se non che là l'enfasi sembra piuttosto essere posta sulla compassionevole situazione di donne libere costrette dalla povertà al lavoro di ἔριθοι. 392 Inoltre, la glossa esichiana dyoiag λύπας è stata ‘dannata’ da Latte, fondatamente. Infatti, un derivato da ἄχος di questa forma è altamente improbabile: che si tratti di ἀχεας, come più volte corretto, e come troviamo nel cirilliano Leidensis 63 (dyea nel cirilliano Vindobonensis

171)? M. Schmidt ad loc. propone, dubitativamente, ἀχαίας" τολύπας, evidentemente in riferimento alla lana. LS] 295 e DGE 651 registrano senza dubbio alcuno la glossa esichiana. Essa seguiva direttamente ἔρια μαλακά di a 8806 nel Marciano: la ha distinta Musuro.

?93 E «tejedora» e la resa della glossa filitea in DGE, s. v. ᾿Αχαία 1.

Edizione e commento

129

citato: i) χερνῆτις Epıdog ἐφ᾽ ὑπηλοῦ πυλεῶνος / δενδαλίδας τεύχουσα καλοὺς

ἤειδεν ἰούλους, ove una ἔριθος prepara un pane d'orzo cantando inni a Demetra. Poiché, come abbiamo, visto Demetra è ᾿Αχαιά παρὰ 'Atukoic, secondo

l'ipotesi prospettata & evidente che la denominazione in questione sarebbe possibile solo in Attica. La glossa filitea risulterebbe, quindi, relativa a questa regione e in rapporto a Demetra: un frammento di antiquaria attica, come ci e capitato di concludere per στάχυν ὄμπνιον (fr. 16) e ci capiterà per

ἄμαλλα (fr. 18).

130

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

fr. 18 = 46 Kuch. = 33 Bach” = p. 74 Kay. Hesych. a 3417 L. D ἀμαλλα- δράγματα, δέσμη τῶν ἀσταχύων. Σοφοκλῆς Τριπτολέμῳ (fr. 607 R.). ἀγκάλη, δράγματα ρ΄, ὥς φησι Ἴστρος (FGrHist 334 F 62 Jac.), Φιλίτας δὲ ἱστορεῖ ἐκ σ΄. καὶ Ὅμηρος χρῆται τῇ λέξει (scil. ἀμαλλοδετῆρες,

Il. 18. 553, 554) 1. ἅμαλλα H: dkadda

anonym.

| δέσμη H: δέσμαι vel ἀμαλλαι: δράγματα. ἅμαλλα: ἡ δέσμη Al-

berti 1746, p. 259 n. 5 | 2. ἀγκάλη, δράγματα H: ἀγκαλίδες ἐκ δραγμάτων Siebelis 1812, p. 77, àyκάλη. δράγματα Foraboschi 1968, p. 3141 2 5. p — σ᾽ Η: δύο — διακοσίων Musurus | 3. Φιλήτας H ἄμαλλα — a’: cf. schol. Theocr. 10. 44a W. ἀμάλη δὲ συνέστηκεν ἐκ δραγμάτων p καὶ σ΄.

duarda --- ἀγκάλη: (A) Hesych. a 3402 L. ἀμάλαι (αμαλλαι g: δεσμαὶ [δέσμαι Conomis 1981, p. 388] τῶν δραγμάτων), 5 700 L. δεσμεῖν (δέσμην Musurus) ἀμάλλας (ἀμάλας Η, ἀμάλλην Musurus: δεσμεῖν τὰς δεσμὰς τῶν σταχύων; δεσμεῖν cum 6 rub. ut nov. lem. ante τὰς δ. x. στ. H), Zon. 141, 148 ἅμαλλα, ἁμάλλα (δέσμη τῶν ἀστα-χύων), lex. Hom. 451 de Marco ἅμαλλα (δέσμη τῶν ἀσταχύων), Et. Gen. a 581 L.-L. ἄμαλλα (Ex πολλῶν δραγμάτων συναγωγή = Etym. M. a 1007 L.-L., Et. Sym. a 723 L.L.), Phot. a 1110 Th. ἀἁμάλλαν (τὴν ἐκ τούτων [scil. δραγμάτων] συγκειμένην = Eustath. 1162. 26 ss.); schol. Theocr. 10. 44c W. ἀμάλας (τὰ κοινῶς δεμάτια);

(B) Philem. gramm. (ap. Reitzenstein 1897, 393, p. 11) audAag «λέγουσιν "Atuκῶς», ob δράγματα, Hesych. a 3408 L. ἀμαλή (= δράγματα παροξυνόμενον), Etym. M. a 1008 L.-L. ἀμαλλαι (δράγματα τοῦ σίτου = Eustath. 1162. 26 ss.), paraphr. Dion. Per. (1 377. 6 Bernh.) ἀμάλλας (σταχύων δραγματα), Phot. a 1110 Th. ἀἁμάλλας (öparyματα); schol. Lycophr. 34 ἀμάλη (xepoßoAov τῶν ἀσταχύων); cf. Sem. Del. FGrHist 396 F 23 Jac., cit. infra (C) Joh. Lev. lex. de spirit. 190 ἀμάλη (ἡ &yxaAn), Eustath. 1162. 26 ss. ἁμάλλη (τὸ ὑπ᾽ ἀγκάλῃ συμπίεσμα τῶν δραγμάτων), Phot. a 1110 Th. ἀμαλλαι (ἐκ τῶν δραγμάτων

ἀγκαλίδες = Eustath. 1162. 26 ss.);

Soph. fr. 607 R. ἄμαλλα Callim. fr. 186. 27 Pf.

Ἱπκαραπλωίἷς [.] ἁμάλλης

Istr. FGrHist 334 F 62 Jac. = Hesych. a 3417 L. Sem. Del. FGrHist 396 F 23 Jac. (dal περὶ Παιανῶν) tà δράγματα τῶν κριθῶν αὐτὰ καθ᾽ αὑτὰ προσηγόρευον ἀμάλας, συναθροισθέντα δὲ καὶ ἐκ πολλῶν μίαν γενόμενα δέσμην

?94 Bach, p. 71, ritiene che la glossa filitea riguardi ἀγκάλη, che pone come lemma, e quanto segue. Egli considera dunque confuso lo scolio teocriteo (cit. infra).

Edizione e commento

131

οὔλους καὶ ἰούλους. καὶ τὴν Δήμητρα ὁτὲ μὲν Χλόην ὁτὲ δὲ Ἰουλώ. ἀπὸ τῶν οὖν τῆς Δήμητρος εὑρημάτων τούς τε καρποὺς καὶ τοὺς ὕμνους τοὺς εἰς τὴν θεὸν οὕλους καλοῦσι καὶ ἰούλους 2. ἁμάλας A

| 3. Χλόην Musurus 1514, p. 263: χλόη A

adesp., SH fr. 1074 δεσμεῖν ἀμάλας (ex Hesych. 5 700 L. = Callim. fr. anon. 153 Schn.) ἀἁμάλλας K

Plut. Public. 8, 100e-f ἔτυχε δὲ τεθερισμένον ἄρτι, καὶ κειμένων ἔτι τῶν δραγμάτων, οὐκ

ᾧοντο δεῖν ἀλοᾶν οὐδὲ χρῆσθαι διὰ τὴν καθιέρωσιν, ἀλλὰ συνδραμόντες ἐφόρουν τὰς ἀμαάλλας εἰς τὸν ποταμόν Dion. Per. 357 s.

Ta μέλαθρον ἁγνῆς Παρθενόπης, σταχύων βεβριθὸς ἁμάλλαις 358. ἀμάλλαις Ω: ἀμάλλῃς Passow

1825, p. 56 (ἁμάλαις C, mì, A ex C. Müller

1861, p. 124;

ἁμάλλαις C, ἀμάλαις m!, A ex Bernhardy 1828, p. 610)

Quint. Smyrn. 5. 61 s. oi (scil. βόες) μὲν ἀπήνας εἷλκον εὐσταχύεσσιν ἀμάλλαις

βριθόμενας Quint. Smyrn. 11. 155 ss. κατηρείποντο δὲ λαοὶ αὕτως, vt ἄμαλλα θέρευς δυσθαλπέος ὥρῃ,

ἥν ῥά τ᾽ ἐπισπέρχωσι θοοὶ χέρας ἀμητῆρες 156. ἠὐτ' ἀμάλλα (Guarda Rhodomann 1604, p. 566) PD: ἠὐτ' [ἠύτε UO] μάλλα H*

Quint. Smyrn. 11. 171 πρὶν ἄμαλλαν ὑπ᾽ ἀμητῆρσι δαμῆναι

Philostr. jun. Imag. 10 (II 408. 27 ss. Kay.) οἵ τε διὰ σπουδῆς ἀμῶντες καὶ οἱ ταῖς ἀμά-λαις τὰ κειρόμενα τῶν δραγμάτων δέοντες

Pamprep. fr. 3. 158 Livr. καὶ ὥριον ἔργον ἀμάλλης Joh. Gaz. 2.7 γαῖα δὲ θελύνασα φύσιν θρέπτειραν ἁμάλλης

Paul. Sil. S. Soph. 315 s.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

ἄρτι μὲν ἀμβλυνθεῖσα γένυν μετὰ βότρνας ἅρπη ἐσσομένης ἀνέμιμνε θερειγενὲς ἔργον ἀμάλλης

Il lemma della glossa esichiana in questione ὃ stato corretto ἃ] plurale, per primo, da un anonimo°”, seguito da Alberti 1746, p. 259 n. 5, Kayser, p. 74, ThGL 12, col. 17d, Ellendt 1835, p. 93, C. Müller 1841, p. 426, Nauck 1889,

p. 264, Blaydes 1894, p. 61, Jacoby 1950, p. 184, Radt 1977, p. 450. Che di ció non vi sia necessità, é dimostrato dal dettato sia della glossa stessa che dello schol. Theocr. 10. 44a, sia da alcune delle glosse parallele raggruppate nella sezione (A): in particolare, Et. Gen. a 581 L.-L., Phot. a 1110 Th. Da esse è evi-

dente il comporsi I’ ἄμαλλα di più Spayuata”*, cosi che non sussiste alcuna incongruenza tra il singolare del lemma e il plurale del primo glossema?”. ”

Nei frammenti di Sofocle e di Istro andrà, di conseguenza, restituito ἀμαλ--

Ào?** (anche se, ovviamente, potrebbe non rendere la forma effettivamente presente nei due autori). La facies del termine pone diversi problemi: a) la presenza o meno dell'aspirazione iniziale; b) la fluttazione tra i temi in -ja/-ja e quelli in -G; c) l'alternanza tra liquida geminata o meno. a) presentano aspirazione, a stare agli apparati: ἁμαλλεῖον IG P 425. 10 (415/13 a. C); ἁμάλλης Callim. cit.; ἁμάλας Sem. Del. cit., cod. A; ἁμάλαις Dion. Per. cit. codd. C, m!, À (ex C. Müller 1861, p. 124); ἅμαλλον, ἁμάλλαι, ἁμάλλας (queste ultime due il solo Zavordense), ἁμαλλίω(ι) Phot. a 1110 Th.?9; ἀμαλεῖον Zon. 158; ἁμάλλη, ἁμάλλης, ἁμαλλοφόρος Eustath. cit.

395 In Miscellaneae observationes in auctores veteres et recentiores, ΠῚ 3, Amstelaedami

1733, P.

326, senza alcuna osservazione. 3% Il δράγμα è la manciata di spighe, ᾿άμαλλα ne numera quante se ne possono tenere con il braccio (ἀγκάλη). Evidenti incomprensioni del significato di ἄμαλλα sono in Quint. Smyrn. 11. 156 e 171 citt., ove forse viene operata un'identificazione con δράγματα, sulla specifica base di Il. 18. 552 s. δράγματα δ᾽ ἀλλα μετ᾽ ὄγμον ἐπήτριμα πῖπτον ἔραζε, / ἀλλα δ᾽ ἀμαλλοδετῆρες £v ἐλλεδανοῖσι δέοντο. Incomprensibile l'occorrenza di Filostrato, ove le ἀμάλαι sembrano strumenti con cui legare τὰ κειρόμενα τῶν δραγμάτων (per cui esiste lo specifico ἀμαλλεῖον).

Cf. Bach, p. 71, che conserva il singolare sulla base del glossema ἀγκάλη. Inutile risulta, quindi, anche la correzione di δέσμη in δεσμαί, ancora da parte di Alberti 1746, p. 259 n. 5, con Kayser, p.

74, Bach, p. 71, ThGL 12, col. 17d, C. Müller 1841, p. 426, Blaydes 1894, p. 61, Kuchenmüller, p. 105. Per duadda = δέσμη τῶν ἀσταχύων, cf. Zon. 141, 148, lex. Hom. 451 de Marco.

398 Più motivato mi sembra l'intervento di Siebelis 1812, p. 77 (seguito da C. Müller 1841, p.

426), inteso a restituire una sequenza sintattica piü fluida. Che qualcosa mancasse, parve già a Alberti 1746, p. 259 n. 8, sulla base di schol. Theocr. 10. 44a (συνέστηκεν ἐκ δραγμάτων xtA), cui Siebelis aggiungeva Eustath. 1162. 26 ss. (= Phot. a 1110 Th.) ai ἐκ τῶν δραγμάτων ἀγκαλίδες. Bach, p. 71, affermava che nelle parole Φιλίτας δὲ ἱστορεῖ ἐκ σ΄ «subaudiendum est τὴν ἀγκάλην συνεστη-

κέναι». Probabilmente la sensazione è giusta, ma le possibilità d'intervento sono troppo nume-

rose (ad esempio, anche il semplice ἀγκάλη δραγμάτων) perché si possa intervenire opportunamente.

399 Forme in cui lo spirito aspro, quando univocamente testimoniato, ? stato corretto da Reitzenstein 1907, p. 86.

Edizione e commento

133

b) il tema in -a si ritrova in: ἀμάλῃη schol. Theocrit. 10. 44a; Hesych. a

3408 L.; schol. Lycophr. cit.; Joh. Lev. lex. de spiritu cit.; auoAAn Eustath. cit.*99. C) piü ricca la documentazione di forme scempie: in letteratura si reperiscono solamente ἀμάλας Sem. Del. cit., ἀμαλητόμος Oppian. Cyn. 1. 522 (garantito metricamente), ἁμάλαις Dion. Per. cit. codd. C, m!, 2 (ex C. Müller

1861, p. 124), e ἀμάλαις in Philostr. jun. cit., ma in lessicografia, oltre i luoghi menzionati precedentemente, si vedano ἀμάλας Apoll. Soph. 29. 4, cod. C, Et. Sym. a 723 L.-L., cod. E; ἀμαλοδέται scholl. Theocrit. 10. 44a, c, Et. Sym. a

723 L.-L., cod. E; ἀμαλεύειν Etym. M. a 1000 L.-L., codd. PSR; ἀμαλεῖον Et.

Sym. a 663 L.-L., cod. E. Del termine tratta in particolare Solmsen 1909, p. 193 s., che ne fa un derivato in -/ di ἅμα, ἀμάσθαι (*auod-ja)*". Dubita che sia mai esistita, accanto ad ἅμαλλα, una forma ἀμάλη: sostiene che in Hesych. a 3402 L. ἀμάλαι e

Athen. 14. 618d (= Sem. Del.) ἀμάλας la doppia sia stata erroneamente semplificata e che il nom. ἀμάλη in Hesych. a 3408 L. e scholl. Theocr. citt. sia

stato estratto da tali forme scorrette‘. Infine, sostiene che nei testi attici*? va restituito lo spirito aspro, per il quale porta ἁμάλας del Marciano di Ateneo in Sem. Del. e la tradizione della glossa foziana. Solmsen puó aver ragione riguardo alla semplificazione della geminata e ai temi in -&: benché la documentazione a suo sfavore sia molto più massiccia di quanto appaia dalla sua discussione, ὃ comunque pressoché tutta di

carattere lessicografico. Bisognerebbe peró assumere un'ampia diffusione e largo influsso di lezioni scorrette, anche ammettendo che alcune occorrenze costituiscano errori meccanici o dipendano l'una dall'altra. Inoltre, anche il sicuro ἀμαλητόμος di Oppian. Cyn. 1. 522 dovrebbe dipendere o dalla lettura di false lezioni o da una tradizione grammaticale corrotta. Il tutto appare possibile, anche se complicato. D'altra parte, a favore di Solmsen bisogna osservare che la tendenza della lingua è quella di sostituire temi in -@ con temi in -ja**, e non viceversa. In realtà, tutto risulta più semplice se si ipotiz-

49 Potrebbero testimoniare di un tema in - anche le e ἀμάλλαι di Poll. 1. 222, Phot. cit. ed Eustath. cit. (bis) corretti in ἅμαλλαι in THGL I 2, coll. 17d e 18a). Vanno direi, per il vocalismo finale, ἀμάλλα di Quint. Smyrn.

accentazioni ἀμάλαι di Hesych. a 3402 L. (Eustazio, il Magnum e Polluce vengono invece rese sicuramente proparossitone, 11. 156 (come operato da Rhodomann),

Zon. 148, nonché ἀμάλλαν di Phot. ed Eustath. citt. 401 Paragonabile a lat. simul. Egli cita Etym. M. a 1008 L.-L. παρὰ τὸ ἀμᾶσθαι, ἢ παρὰ τὸ ἅμα ἀολ-

λίσθαι. Seguono Solmsen sia Frisk, GEW I 85, che Chantraine, DELG 72. Cf. anche Peters 1980,

p. 202, che ipotizza proprio un «Heterokliton bzw. Adverb *hamal» come intermediario. 402 Esplicitamente con la doppia ? la forma nel canone riportato da Athen. 7. 305b tà yàp eig λὰ λήγοντα θηλυκὰ πρὸ τοῦ A ἕτερον A ἔχει, Σκύλλα, Σκίλλα, κόλλα, βδέλλα, ἅμιλλα, ἀμαλλα. 403 Ejenca Soph. cit., Callias, fr. 18 K.-A. ἀμαλλείῳ, e la Δημήτηρ ἀἁμαλλοφόρος cui sacrificano gli

ateniesi, menzionata da Eustath. cit. (Solmsen ne conosceva la forma con spirito dolce, precedente all'edizione di Valk; vd. infra).

*9 Cf. Chantraine 1933, pp. 100-103.

134

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

za una forma ἀμάληῃ, in uso, dovuta ad analogia col sinonimo ἀγκάλη: del re-

sto ἄμαλλα appare isolato nella classe dei nomi in -Mo*5, vulnerabile, quindi, ad influssi analogici. Riguardo all'aspirazione iniziale, al dossier di Solmsen vanno aggiunte importanti occorrenze, ignote nel 1909: ἁμαλλεῖον IG P 425. 10 (415/13 a. CJ; ἁμάλλης Callim. cit. (POxy. 2214, sec. I a. C.)**. Inoltre, ἁμάλαις Dion. Per. cit. codd. C, m!, X, ἁμαλεῖον Zon. 158; ἁμάλλη, ἁμάλλης, ἁμαλλοφόρος Eustath. cit.

Significativi sono, accanto alle e piü che le fluttuazioni nella tradizione di Ateneo e nella letteratura grammaticale, spesso all'interno della stessa glossa, il fatto che il segno di aspirazione nell'iscrizione sia stato aggiunto in un secondo momento, e che Eustazio abbia apposto ambedue gli spiriti sopra tre forme: αμάλλιος, ἁαμάλλαι e αμάλλας"7. Dal primo fenomeno non possiamo rica-

vare indicazioni univoche sulla prosodia del termine: nella stessa letteratura specifica troviamo affermazioni contrastanti**. Si riscontra una notevole incertezza al riguardo‘, di cui possiamo forse individuare almeno due ragioni: a) la prima apparizione letteraria del vocabolo è nell’omerico ἀμαλλοδετῆρες (Il. 18. 553 s.)*'?, con spirito dolce, e tale rimane in tutte le sue successive attestazioni (anche nella forma ἀμαλλοδέτης)"". Ciò vale anche per tutti gli altri composti con auoAA-"2, tranne per la scrittura ἁμαλλοφόρος (Δημήτηρ)

in Eustath. cit. Il modello omerico, che può doversi a psilosi ionica, potrebbe aver ‘imposto’ al termine lo spirito dolce: fatta salva, se diamo credito ad Eustazio, una tradizione epicorica attica, Δημήτηρ ἁμαλλοφόρος, ἡ ἔθυον 'A@n-

ναῖοι; b) è tutt'altro che improbabile un'influenza di ἀμᾶν «mietere»*?, tanto piü quando e riscontrabile, anche solo in potenza, un senso di ἄμαλλα =

405 Cf. la situazione in Chantraine 1933, p. 252. 406 Pubblicato nel 1948. Vd. Conomis 1981, p. 388. 407 Cf., rispettivamente, Pritchett 1956, p. 288 n. 7, e Valk 1987, p. 252.

408 Cf. Meisterhans 1900, p. 85: «circa dal 450 a. C. spesso l'aspirazione non viene indicata nella scrittura, e, perlomeno nelle piü tarde iscrizioni del V sec., viene talvolta aggiunta erroneamente»; Threatte 1980, p. 494: «il fenomeno della scrittura di H davanti a vocali che non la prevedano & virtualmente sconosciuta ai testi attici del quinto secolo» (poco prima aveva osservato che nella serie di iscrizioni che comprende la nostra [«Attic Stelai»] il segno di aspirazione viene spesso omesso). 49 Cf. cod. Monac. August. 507 (scelta dalle lettere A-E dell'Etymologicum Magnum), in Reitzenstein 1897, p. 226, appar. ad Il. 25-27 ἁμαλλα: ei μὲν παρὰ τὸ ἅμα, δασύνεται, ei δὲ παρὰ τὸ ἀμά-σθαι, λέγεται καὶ tà δράγματα. Sembra necessario integrare ψιλοῦται tra ἀμᾶσθαι e λέγεται.

410 Sul termine, cf. E. Fraenkel 1910, p. 65, Ruijgh 1967, p. 134 n. 171.

4!! Theocrit. 10. 44, Theaet. schol. A. P. 10. 16. 4, anon. A. P. 9. 580. 5 (in tutti e tre i casi ἀμαλλοδέτης), Quint. Smyrn. 2. 185, 5. 59, Aret. 4. 13. 6 (CMG II 86. 25 ss. Hude). 412 Euphor. fr. 103 Pow., Procl. abst. 2. 19. 3, Nonn. 17. 153, 22. 280, 26. 244, Serv. ad Aen. 11.

858 (ἀμαλλοφόρος), IG XII 5. 739. 3 (Andros, I a. C.), Nonn. 7. 84, 22. 261, 26. 233, 31. 38, 38. 249, 45. 101, 48. 678 (ἀμαλλοτόκος), Joh. Gaz. 2. 31 (ἀμαλλοτόκεια), Oppian. Cyr. 1. 522 (ἀμαλητόμοφ..

413 Possibilità accennata in Chantraine, DELG 72, e, per Hesych. 5 700 L. δεσμεῖν ἀμάλας, già da O.

Schneider 1873, p. 740. Cf. la contiguità di ἀμᾶν e ἀμάλαις in Philostr. jun. cit. Cf. anche n. 409.

Edizione e commento

135

«spiga», ove si perde la sfumatura del «radunare, mettere insieme»'!4, sia pure in occorrenze tarde. Si tratta, quindi, di un'oscillazione fonetica che non poggia su basi dialettali: per questo, non riterrei opportuno restituire automaticamente alle occorrenze attiche del termine l'aspirazione, come richiede Solmsen. Proporrei, inve-

ce, un atteggiamento eclettico*!5, per cui pubblicherei Callias fr. 18 K.-A. in questo modo: ὅθ᾽ ἁμαλλείῳ παῖς ὧν ἐδέθην, per ὅτ᾽ ἀμαλλείῳ, col conforto dei

codici e di IG I? 425. 1045, Riguardo alle valenze del termine*'”, si potrà notare innanzi tutto come assuma carattere emblematico per la fecondità, in particolare ipostatizzato nei composti ἀμαλλοφόρος e ἀμαλλοτόκος, con discreta frequenza nella letteratura tardo-antica, che possiede un immaginario particolarmente sensibile al tema. Per il semplice ἄμαλλα risultano significativi Dion. Per. e" / ἁγνῆς Παρθενόπης, σταχύων βεβριθὸς ἀμάλλαις, nonché l'ópiov mente, θερειγενὲς ἔργον ἀμάλλης di Pamprep. e Paul. Silent. citt. tre, l'inaudito Pamprep. fr. 3. 121 s. Liv. περιστέψαντο δὲ βωμόν κόσμον ἀμαλλήεντα n évt[ec.

cit. μέλαθρον e, rispettivaSi noti, inol/ ....]eov τινὰ

Ma piü importanti, in relazione all'interesse che il termine puó avere risvegliato in Filita sono: a) l'essere attestato il sofocleo ἄμαλλα nel Trittolemo. Non si puó sfuggire alla sensazione che la menzione non fosse puramente denotativa, bensi col* Mi sembra che ciò possa valere senz'altro o molto sicuramente (se non c'è uso tropico) per Ἰ'άμαλλα di Quint. Smyrn. 11. 156, 171 (cf. n. 396), gli ἀμαλλοτόκοισι πεδίοισιν di IG XII 5. 739. 3 s., la Γαῖα ἀμαλλοτόκεια di Joh. Gaz. 2. 31, tutte le occorrenze nonniane di ἀμαλλοτόκος (cf. n. 412),

Ἰ᾽᾿ἀμαλήτομος di Oppian. cit. (anche se non è esclusa catacresi). 415 Nonostante Joh. Lev. lex. de spir. cit. τὸ A πρὸ τοῦ M, ἢ ἑνὸς ἢ δισσοῦ, ψιλοῦται ... ἀμάλη, ἡ ἀγκάλη, cui non bisogna dare credito, se non altro già per la forma che offre. 416 Zavordense e Berolinense hanno ὅτε ἁμαλλίωζι). La forma in -&ov può dirsi definitivamente garantita da IG I? 425. 10, col supporto di Et. Sym. a 663 L.-L. (dove gli editori vogliono correggere, erroneamente, in ἀμάλλιον), Zon. 158 (l. auadeiov), An. Gr. III 215, v. 291 Boiss. (Psell.), contro ἁμάλλιον in Hesych. a 3416 L., Phot. cit. (corretto da Reitzenstein

1907, p. 86),

Etym. M. a 1000 L.-L. (ἀμαλλεῖον VP), Eustath. cit. (che dipende da Fozio). Sul referente, vd. Pritchett 1956, p. 288 s.

417 Un'altra sua occorrenza, dubbia, sarebbe in Aristoph. fr. 767 K.-A. (= Phot. a 1203 Th.)

ἅμιλλον τὴν ἅμιλλαν Δωρόθεος εἴρηκεν ἀρσενικῶς. καὶ ἁμιλλοφόρος ᾿Αριστοφάνης, se si accettano la correzioni αἱ Wilamowitz 1907, p. 7 5., ἄμαλλος e ἀμαλλοφόρος (per la prima si appoggia a

Hesych. a 3419 L. ἀμαλλοι- φυτὰ σικύων fj τῶν ὁμοίων, che lui stesso trova incomprensibile). Wilamowitz è seguito, nella correzione del composto, da LS], s. v. ἁμιλλοφόρος (dopo un dubito-

SO ἁμιλλότερος, preferito da Hiersche 1952, p. 8). Kassel-Austin 1984, p. 379, giudicano incerti gli emendamenti, sulla base di una iscrizione (Attica, 363/62 a. C.). Questa, in W.S. Ferguson 1938,

p- 4, v. 61, recita τὸ δὲ πρόθυμα τοῦ ἁμίλλου £v μέρει ἑκάτερος κατάρχεσθαι (trad. a p. 6 «each part

shall perform in turn the sacrifice which precedes the contest»). La nuova edizione di Lambert 1997, p. 87, reca ἀμίλλο. Si ha la conferma della superfluità della correzione in ἁμαλλον, già problematica per il dettato stesso della glossa, mentre il trädito ἀμιλλοφόρος rimane poco chiaro, nonostante l'iscrizione (senza che si possa, per questo, correggerlo). Per gli eventuali ἁμαλογίας in Alciphr. 4. 18. 10 Schep. e ἀμαλογῆσαι in Hesych. μ 237 L. (= Clearch. fr. 14 W.) Mavépux (da

"αμαλο-λογο), cf. Latte 1952-53, p. 38.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

legata in maniera pregnante alla poliedrica personalità dell’eroe civilizzatore, che qui ci interessa in primo luogo quale archetipico lavoratore della terra feconda; b) il fatto che l'occorrenza callimachea si riferisce all'offerta degli ἱερά a Delo da parte delle vergini iperboree''5; c) l'Oómg ἁμαλλοφόρος di Euphor. fr. 103 Pow., legato alla medesima occasione evocata da Callimaco‘!; d) la Δημήτηρ ἁμαλλοφόρος cui sacrificavano gli ateniesi, secondo Eu-

stath. cit. Il termine compare, tra il V e il ΠῚ secolo, in contesti cultuali*?, legati ad Apollo Delio o a figure archetipiche della civilizzazione agricola. Contesti che, tra l'altro, trovavano collocazione letteraria.

Ma se si torna alla glossa, non si trova niente che consenta un collegamento immediato tra l'esegesi di Filita e le valenze di ἄμαλλα considerate

finora. Infatti, in Esichio si registra una divergenza tra questi e Istro sul numero dei δράγματα che costituiscono 1΄ἄμαλλα: duecento per il primo, la metà per il secondo. A prima vista, si tratta di una osservazione a carattere antiquario, se non addirittura seccamente metrologica*?!. Fermandosi a questo punto, per il momento, si possono esprimere ipotesi di un qualche fondamento

sull'àmbito

geografico dell'annotazione.

Il nome

di Istro, infatti,

riconduce con qualche sicurezza all'antiquaria attica*Z. Inoltre, sono da con-

418 Cf. Herodot. 4. 33, lo stesso Callim. HDel. 281-295, Pausan. 1. 31. 2. Le ἀπαρχαί iperboree sono designate ἱρὰ ἐνδεδεμένα ἐν καλάμῃ πυρῶν in Herodot. 4. 33. 1, Pausan. cit. afferma τὰς δὲ ἀπαρχὰς xexρύφθαι μὲν Ev καλάμῃ πυρῶν, γινώσκεσθαι δὲ ὑπ᾽ οὐδενῶν, mentre Callim. HDel. 283 s. esplicita oi μέν τοι

καλάμην τε καὶ ἱερὰ δράγματα ... / ἀσταχύων φορέουσιν. Mineur 1984, p. 226, avanza la possibilità che

Callimaco stia interpretando le vaghe informazioni di Erodoto, ma tale arbitrio non & esattamente quanto ci aspetteremmo da un autore come Callimaco. Comunque, & evidente che questi ha affermato la stessa cosa nel fr. 186. 27 Pf., con ἁμάλλης (che non può riferirsi a καλάμη). Se qui il fascio di

spighe si riferisca all'archetipica spedizione, con le ἀπαρχαί visibili, o a quelle periodiche seguenti, in cui esse erano ἐνδεδεμένα ἐν καλάμῃ πυρῶν (cf. Herodot. 4. 33. 4) non è possibile decidere. Sulla so-

stanza degli ἱερά, cf. anche le assennate deduzioni di Bruneau 1970, p. 40, che danno ragione della

testimonianza di Callimaco (alle pp. 38-48 ampia trattazione della questione, con bibliografia). 419 Lo stesso vale per Porph. abst. 2. 19. 3 σεμνὰ δ᾽ ἦν τὸ πρὶν ὑπομνήματα ἐν Δήλῳ ἐξ Ὑπερβορέων ἁμαλλοφόρων, e Serv. ad Aen. 11. 58 ἀμαλλοφόρους.

420 L'iconografia di Demetra con fascio di spighe testimonia, se ce ne fosse bisogno, dell'anti-

chità del referente dell’ ἁμαλλοφόρος di Eustazio. Cf. Beschi 1988, p. 850 ss., tra i cui nrr. elen-

chiamo solo quelli di rappresentazioni in cui sia presente Trittolemo e anteriori al IV secolo (pressoché tutte attiche): 337, 340-344, 346, 348, 350, 353, 355, 359-360, 363, 366, 375. In riferimento eleusinio, cf. nrr. 387-388.

421 Ricordiamo, senza però volerne trarre conseguenze, che la δέσμη, più volte glossema di

duadàda (anche in Esichio), è unità di misura in Egitto. Per un simile utilizzo di ἀγκάλη, cf. Agyptische Urkunden aus der Königlichen Museen zu Berlin. Griechische Urkunden, IV, Berlin 1912, nr. 1180 (p. 320: 14/13 a. C.). Considerazioni metrologiche in Foraboschi 1968, pp. 310-315 (in relazione alla nostra glossa, p. 314). 42 Egli è autore di 'Arnxa (frr. 1-16, 65? Jac.) e 'Αττικαὶ λέξεις (frr. 23, 627, 63? Jac.). Sono inoltre

riconducibili ad Atene i frammenti degli "Ataxta (17-22 Jac.) e i frr. incertae sedis 24-38 Jac. Il nostro

Edizione e commento

137

siderare la glossa dell’atticista Filemone, in Reitzenstein 1897, p. 393, 11 ἀμάλας «λέγουσιν ᾿Αττικῶς», οὐ δράγματα, l'annotazione di Reitzenstein 1907, p. 86, che Phot. α 1110 Th. proverrebbe da un lessico atticista, 6, infine, la collocazione della discussione di Eustath. cit. di ἄμαλλα e derivati tra i frammenti

di Elio Dionisio da parte di Erbse (o 91). Che la notazione riportata in Esichio possa avere aggancio col passo sofocleo ivi menzionato é ancora la presenza di Istro a renderlo verosimile. Lo storico e citato sei volte nel βίος

di Sofocle (frr. 33-38 Jac.), ed utilizzato piü volte, a chiarimento di diverse questioni, negli scolii all'Edipo a Colono (frr. 17, 20, 22, 28-30 Jac.). Dei fram-

menti attici, un buon numero è dedicato a questioni mitologiche o cultualit: in particolare, il fr. 22 Jac. tratta della fondazione dei misteri eleusinii da parte di Eumolpo, nipote di Trittolemo, il fr. 29 Jac. fornisce un dato cultuale relativo a Demetra, la cui strettissima connessione con Trittolemo non ha bisogno di esemplificazioni. Inoltre, sembra rilevante riguardo alla nostra glossa il fr. 30 Jac. ὁ δ᾽ Ἴστρος καὶ τὸν ἀριθμὸν αὐτῶν (scil. degli olivi sacri nel-

l'Accademia) δεδήλωκεν γράφων οὕτως, cui purtroppo segue lacuna: un caso in cui di un'antichità sacra viene fornita la consistenza numerica. Già a priori risultava difficile che la divergenza tra Filita e Istro fosse di carattere puramente metrologico: gli indizi ora rilevati inducono a porne alla base una questione collegata, non necessariamente in maniera diretta, al testo di Sofocle, e, comunque, all'àmbito cultuale o mitologico relativo alla figura di Trittolemo. Se, poniamo il caso, si fosse in grado di reperire una qualche festa attica a carattere agrario che comportasse la presenza emblematica di un fascio di spighe (per esempio come offerta), credo che saremmo vicini ad una soluzione: si tratterebbe, probabilmente, della quantificazione di quella individua ἄμαλλα. Ma non se ne trova traccia*^. Tuttavia, è da ri-

cordare che il fascio di spighe ? attributo iconografico primario di Trittolemo: dono di Demetra perché egli diffonda la coltura del grano. Dunque, se

si vuole, una archetipica ἄμαλλα, che, forse, non avrà mancato di essere fissata quantitativamente: da qui le notazioni di Filita e Istro*5. frammento è ascritto alle ᾿Αττικαὶ λέξεις da Siebelis 1812, p. 77, C. Müller 1841, 426, Jacoby 1954, I, p. 657, anche se quest'ultimo menziona come possibili anche gli 'Avnxá o gli Ἄτακτα. 423 Per queste, cf. frr. 2-5, 8-9, 11, 16, 19, 22, 25, 27, 28-30 Jac.

424 È quanto sembra descritto in Pamprep. fr. 3. 121 s. Liv. περιστέψαντο δὲ βωμόν / ....]eov τινὰ κόσμον ἀμαλλήεντα τιθέντίες (naturalmente, senza necessariamente situarlo in àmbito attico). Nel

rito dei misteri eleusinii compare una singola spiga di grano: cf. Deubner 1966, pp. 83, 85 s. Ma si ponga mente alla Δημήτηρ ἁμαλλοφόρος, ἡ ἔθυον ᾿Αθηναῖοι di Eustath. cit. Testimonianze epigrafiche del culto di Trittolemo ad Eleusi in K. Clinton 1992, p. 47 n. 81. I δράγματα sono glossati con ἀπαρχαί in Suda 1 1490, ove si cita A. P. 6. 44. 2-4 (ma si tratta di vino); per i δράγματα = «spi-

ghe» come ἀπαρχαί, cf., oltre all'offerta iperborea, Nicaen. fr. 3. 3 ss. Pow. (= A. P. 6. 225), alle ninfe libiche Ἡρῶσσαι, e LXX Levit. 23. 10 ss.

425 Ciò mi sembra più aderente al carattere della notazione di Istro, rispetto all’ipotesi di Jacoby 1954, II, p. 522 n. 4 «cf. Schol. Eurip. Or. 932 è δὲ Πέλασγος πρῶτος ἄρτου κατασκευὴν ἐξεῦρε, πάλαι τῶν ἀνθρώπων τοῖς δράγμασι σιτουμένων. Something analogous might have been said in the

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

fr. 19 = 47 Kuch. = 40 Bach = p. 75 Kay. Hesych. D f 71 L. BaiBuxog: πελεκᾶνος Φιλίτας, ᾿Αμερίας (p. 13 Hoffm.) δὲ BavBuxavag?e 1. βαίβυκος (iam Is. Voss ap. Alberti 1746, p. 676 n. 16 [-ó5]): πελεκᾶάνος L. Dindorf, ThGL Il, col. 40d (coll. Choerob.): βαβυκώς (o delet. sscr. ad v): πελεκὰν. ὡς H, βαβυκάς (vel βαυβυκάς Kayser, p.

75Y relexav Sopingius ap. Schrevel 1668, p. 178 n. 2, βαβυκός: πελεκάν Guyetus ap. Schrevel 1668, p. 178 n. 2, βαιβυκάνες" πελεκάνες Biel ap. Alberti 1746, p. 676 n. 16 | Φιλίτας Latte: Φιλήτας H, Φιλητᾶς Musurus

| ᾿Αμερίας (Musurus) δὲ Dobree

1831, p. 580: ἀμερίασας H

| 2. βαυβυκάλας vel

βαυβυκάνας O. Hoffmann 1906, p. 14 (e gl. 355): βαυκάλας H, βαυκάλος anon. ap. Alberti 1746, p. 676 n. 18, βαυβυκάς Alberti 1746, p. 676 n. 18, βαύβυκος M. Schmidt, possis βαυβυκᾶνος Degani

1984b, p. 14

Hesych. f 355 L. βαυβυκᾶνες: πελεκᾶνες -àveg bis H

Choerob. in Theodos. Can. 80. 19 Gaisf. βαῖβυξ βαίβυκος (BoiBuxeg δὲ λέγονται oi πελεκᾶνες)

La glossa, tormentata, sembra aver trovato una costituzione accettabile almeno nella sua prima parte. Già Vossius deve aver implicitamente fatto ricorso al criterio dell'ordine alfabetico, confermato, a quanto pare, dalla suc-

cessiva scoperta della glossa di Cherobosco, e invocato da L. Dindorf, intervenuto su Esichio sulla base di quest'ultimo ritrovamento. Per il seguito, piü che accettabile appare l'intervento di Musuro, perfezionato da Dobree 1831, p. 580. Particolarmente difficile è, invece, il finale βαυκάλας, per il quale, forse piü correttamente di tutti, O. Hoffmann 1906, p. 14 e Degani 1984b, p. 14, sono ricorsi a Hesych. f 355 L., cit.*7". Attika». Sui motivi della discordanza tra Filita e Istro e difficile avanzare ipotesi. L'incertezza si potrebbe ottimamente spiegare se l'ánaAAa in questione fosse, invece, quella offerta dagli Iperborei a Delo (cf. supra, p. 136 e n. 418), che sappiamo da Erodoto e Pausania essere una sorta di ἄρρητον. Ma Istro, per quanto autore di ᾿Απόλλωνος ἐπιφανίαι (frr. 50-52 Jac.), con riferimento

anche a Delo (fr. 52 Jac.), ci riconduce prima di tutto ad àmbito attico. Che la stessa ‘metrologia’ si ritrovi nello scolio a Teocrito, il cui passo non è riferibile all'àmbito qui supposto, non contraddice: la notazione ivi sembra assunta di peso da quella registrata in Esichio, ove sono i protago-

nisti della disputa, e potrebbe essere stata applicata al di là del suo originario riferimento. L'ipotesi di Kuchenmüller, p. 105, «haec ab ipsis rusticis quaesivit Philetas ad locum Homericum (x 553) illustrandum», sembra del tutto priva di basi (è contraddetta, del resto, dalla marginalità dell'aggiunta καὶ Ὅμηρος χρῆται τῇ λέξει nella glossa). Non si puó seguire Unger 1850, p. 88, nel-

l'opinione che la glossa sia tratta dal poema elegiaco Demetra di Filita: se non altro perché in

Esichio sembra rispecchiata esclusivamente la dottrina di Filita glossografo. 426 La glossa, con βαύβυκος di M. Schmidt per βαυβυκᾶνας di Hoffmann, e stata trascritta da Lentz come brano del περὶ καθολικῆς προσῳδίας di Erodiano (p. 44. 11).

427 Giustamente Degani nota che, scelta questa soluzione, il genitivo del lemma richiede un glossema βαυβυκᾶνος. Va comunque ricordata, riguardo alla seconda parte della glossa, una

Edizione e commento

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Si individua agevolmente un suffisso -vx-, che, con -vy-, si ritrova in altri nomi d’uccelli**, congiunto ad -av in βαυβυκᾶνες, probabilmente ripreso da nelexav*?, e in cui potrebbe essere una giustapposizione dei due suffissi. La base ha tutta l'aria di essere costituita mediante raddoppiamento*? espressivo (dal verso dell'animale?9!), di cui Bavf- potrebbe essere l'originale e βαιβ-

(se corretto) dovuto a dissimilazione con l’v del suffisso -vx-*?. La glossa, oltre che tramandata in maniera fragile, non ha paralleli letterari. Il suo riferimento ad un testo determinato ὃ comunque assicurata dal genitivo del lemma. L'interpretazione di Ameria, se riferibile alla medesima glossa, deve considerarsi una varia lectio, non un interpretamentum, sia essa

costituita da una forma di βαυβυκάν, che una di βαυκαλ-: si noti che in Hesych. f 355 L. cit. βαυβυκᾶνες è lemma*.

Inoltre, nel primo caso avremmo

una forma non isometrica a βαιβυκός; il ché potrebbe significare che la glossa

non si riferisce ad un testo poetico. Ulteriori speculazioni non sembrano possibili: solamente, ci sentiamo di aggiungere, il termine ha una valenza espressiva, che ci aspetteremmo, letterariamente, in un testo comico o giambico**.

coppia sinonimica 'pericolosamente' simile a lemma e al secondo glossema: ci limitiamo a menzionare Hesych. B 354 L. βαυβᾶν' καθευδεῖν (il verbo ha anche valore fattitivo) e 360 L. BauxoAàv κατακοιμίζειν. τιθηνεῖν «rà» παιδία μετ᾽ ὠδῆς. κοιμίζειν. Quest'ultimo lemma ricorda il tràdito

βαυκάλας nella nostra, che potrebbe, quindi, essere un intruso (corrotto), e riferirsi ad un lemma, perduto, βαυβ-, confuso col nostro per itacismo.

428 Cf. Chantraine 1933, p. 397. Questo e sufficiente, direi, per rifiutare l'etimologia di Groselj

1956, p. 53, che per -Bux- rimanda a lat. bucca ("ganascia gonfia, ripiena”), perche la gola simile a un sacco sarebbe tratto distintivo del pellicano (βαι- costituisce anche per lui raddoppiamento). 52 Su -&v-, cf. Chantraine 1933, p. 162 s.; Bjórck 1950, pp. 62, 279, 288. Una lista dei nomi in -av- in Buck-Petersen 1945, p. 248 s. Si tratta di una classe piccola, ma estremamente eterogenea, ricca di termini imprestati o, comunque, inesplicati, a cominciare dallo stesso suffisso. I nomi di animali, oltre a πελεκάν, sono: ákapvdv, ἀκεᾶνες, κανδυτάνες (7), πάν (pesci), βλαχάν (rana), ipıav' ἵππος οἰνωπὸς χρώματι (Hesych.), μάταν (lince), τραγόπαν (un uccello). Manca l'esichiano βαυβυ-

x&vec. Se è vero, in linea di principio, che il nome πελεκάν poteva suonare come quello di una «popolazione barbarica “die Axtländer”», per l'affinità di questi nomi con etnici (Björck 1950, p. 288), la situazione dei nomi in -av- apre a diverse possibilità. Tuttavia non ὃ forse del tutto senza interesse il fatto che la forma βαυβυκάνες sia segnalata, com'è probabile, da Ameria, glossografo macedone e illustratore di glosse epicoriche. L'etnico in -ἄνες, per quanto non gli sia esclusivo, e tipico dei dialetti nordoccidentali (cf. Méndez Dosuna 1985, pp. 181-184), con cui il macedone sembra avere piü di un'affinità (cf. n. 198). 430 Cf. Chantraine, DELG 156. La struttura è molto simile a 8oi5v£, che è, però, non chiarito. 431 Cf. ad es., l'onomatopeico βόμβυξ.

432 L'etimologia di Windekens 1986, p. 34, è complicata in maniera inaccettabile.

43 Quest'ultimo fatto mi viene segnalato da Maria Grazia Bonanno. Che si tratti di diverse letture dei due grammatici adombra Dobree 1831, p. 580 (βαίβυκας vs. βαυκάλαρ).

44 «Propter Ameriam noli cogitare de fragmento poetico»: così Kuchenmüller, p. 105, ma vd. Eustath. 757. 9, per un commento di Ameria ad Il. 9. 378.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

fr. 20 = 48 Kuch. = 51 Bach = p. 80 Kay. schol. Apoll. Rh. 2. 279a W. ἠὲ πρόκας ixv ζῷόν τι ὅμοιον ἐλάφῳ, ὁ λεγόμενος νεβρός. Διόνυσος δέ φησιν ὁ ᾿Αθήναιος ἐν ταῖς Κτίσεσι (FHG IV fr. 12 Μ.) τὰς ἐλάφους οὕτω λέγεσθαι, πρόκας ... Φιλητᾶς δέ φησι πρόκας λέγεσθαι ἐλάφους τὰς πρώτως τικτομένας, οἷον πρωτοτόκους 2. Κτίσεσι Sylburg 1594, p. 41, Casaubonus 1600, p. 468: κυήσεσι codd. (def. Sturz 1818, col. 1015, «dum s. quamdiu praegnantes sunt»), κτήσεσι Etym. M. 689. 15 | 3. φησὶ λέγεσθαι τὰς ἐλάφους πρόκας

Kulenkamp ap. Sturz 1818, col. 1015 | Φιλητάς P: Φιλιτάς L

Etym. M. 689. 15 ἡ πρόξ ἐστι ζῶον ὅμοιον ἐλάφῳ, ὁ λεγόμενος νεβρός.

Διόνυσος δὲ ὁ ᾿Αθηναῖος ἐν ταῖς Κτίσεσιν (FHG IV fr. 12 Μ.) οὕτως λέγει τοὺς ἐλάφους πρόκας᾽ ... Φιλήτας δέ φησι πρόκας λέγεσθαι τὰς πρῶτον τικτομένας ἐλάφους, οἷον πρωτοτόκους, ὡς παρὰ ᾿Απολλωνίῳ 1. πρόξ Kulenkamp ap. Sturz 1818, col. 1015: προῖξ codd. | è om. V | 2. τοῖς κτήσεσιν M | 2 s. φησὶ λέγεσθαι τὰς ἐλάφους πρόκας Kulenkamp ap. Sturz 1818, col. 1015, οὕτω λέγεσθαι Gaisford

1848, app. p. 1942 I (ex schol. Apoll. Rh.) | 4. οἱονεὶ πρωτοτόκους V: om. cett. | ὡς om. D | προκρόσσας κέκληκε Φιλητὰς τὰς νῆας A! ἰλιάδος C M, post olov πρωτοτόκας

Zon. 1579 npóxacg (Apoll. Rh. 2. 279) πρόξ ἐστι ζῷον μικρὸν ὅμοιον ἐλάφῳ, ὁ

λεγόμενος νεβρός. Διόνυσος δὲ ὁ ᾿Αθηναῖος (FHG IV fr. 12 Μ.) τοὺς ἐλάφους λέγει πρόκας ... Φιλητᾶς δέ φησι πρόκας τὰς ἐλάφους τὰς πρῶτον τικτομένας, οἷον πρωτοτόκους Aristoph. Byz. fr. 186 SI. (ex Eustath. 711. 40) λέγει δ᾽ αὐτὸς καὶ τὰς πρόκας παρὰ

᾿Αρχιλόχῳ (fr. 280 W.2) ἐπὶ ἐλάφου τεθεῖσθαι, παρ᾽ à καί τις διὰ δειλίαν παρωνομάσθη πρόξ Aristoph. Byz. frr. 200-201 SI. τὰς δορκάδας καὶ ζόρκας καὶ πρόκας καλοῦσι Aelian. ΝΑ 7. 47 τάς γε μὴν δορκάδας καὶ ζόρκας καὶ πρόκας εἰώθασιν ὀνομάζειν schol. Od. 17. 295 πρόκας: πρὸξ εἶδος ἐλάφου ταχυτάτης, ἀπὸ τοῦ προϊκνεῖσθαι B δορκάδων εἶδος ἢ ἐλάφων QV ἢ τὰ ἔκγονα τῶν ἐλάφων V schol. Callim. HDian. 154b (5) «πρόκας;» νεβρούς schol. Nicand. Th. 578a προκὸς τοῦ τέκνου τῆς δορκάδος om. G (add. G!) | προκὸς add. δέγ

schol. Nicand. Alex. 323 προκός, «ὃ ἐστι δορκάδος ΧΡ Apoll. Soph. 135. 19 πρόκας οἱ μὲν ἐλάφους, οἱ δὲ ἕτερόν τι ζῴου εἶδος ὅμοιον λαγωῷ, ὁ καλεῖται δορκάς. ᾿Απίων (fr. 113 Neitz.) ἀπὸ τοῦ μεγάλα κέρατα ἔχειν ἐτυμολογεῖ, οἷον πρόκερας, πρὸ τοῦ τῆς ἡλικίας κέρας φύειν

Edizione e commento

141

2 8. πρὸ τοῦ C: «ἀπὸ» τοῦ κρὸ vel πρὸ τοῦ τῆς ἡλικίας «χρόνου» Villoison 1773, p. 682

Hesych. x 3039 Schm. πόρκας᾽ ἐλάφους. ἢ ταχύ πρόκας Palmerius ap. Schrevel 1668, p. 780 n. 5 («sed non erit in suo ordine»)

ταχεῖς Musurus

[Cyrill.] ap. Naoumides 1968, p. 286 (e Cyrill. cod. Matrit. Bibl. Univ. Z-22 no. 116) 9. ropxdc: ἔλαφος. ὑπὸ ᾿Αρκάδων τὸ ταχύ. παρὰ δέ τινι

«

>

«also in h, m. Cf. Hesych. n 3039» Naoumides [Cyrill.] ap. Drachmann nvn hm

1936, p. 53 πορκας ελαφος ono 'Apkadwv to tayu παρα δε

(- ελαφους = Hes.); «leg. rapa Aexnvn, derselbe Grammatiker über Dialektfragen Sch. Theocr. 1, 112» Drachmann Hesych. x 3189 Schm. rpaxes: ᾿Αρίσταρχος κλανίαι. ἔλαφοι. ἀπεδόθησαν δὲ φρατριαὶ

ἀνδρῶν διαβεβλημένων ἐπὶ μοχθηρίᾳ 1. πρόκες Palmerius ap. Schrevel 1668, p. 782 n. 12 (propter ord. litt.), πραῖκες vel προῖκες Is. Vossius ap. Alberti 1766, p. 1014 n. 19 | 'Αρίσταρχος ad Πράμνειος οἶνος, Phot. II 102. 3 N. rettulit M. Schmidt, ᾿Αριστοφάνης dub. Nauck 1848, p. 124 | κλανίαι ἔλαφοι H: ἡλικίαι ἐλάφων Salmasius

ap. Schrevel 1668, p. 782 n. 12 (prob. Alberti 1766, p. 1014 n. 19 propter Hesych. a 8811 L. ἀχαιῖναι «καὶ σκαθίναι;»" ἐλάφων ἡλικίαι), ἡλικία ἐλάφου Nauck 1848, p. 124, βαλίαι- ἔλαφοι Keller

1887, p. 350 n. 21, ἀχαιῖναι Bochart pro κλανίαι (ap. M. Schmidt: non vidi) ! lac. ante ἀπεδόθησαν statuit Alberti 1766, p. 1014 s. n. 19 | 1 s. ἀπεδόθησαν — ἐπὶ μοχθηρίᾳ ad Steph. Byz. 534. 8 Πρακίαι καὶ Tipäxes rett. Alberti 1766, p. 1014 s. n. 19

Hesych. x 3229 Schm. πρεκνόν- ποικιλόχροον ἔλαφον xpexvóv Salmasius ap. Schrevel 1688, p. 783 n. 11: προεκνόν H | ἔλαφον M. Schmidt (iam dub. Alberti 1766, p. 1017 n. 1, coll. Hesych. x 3524 Schum. πρόκας et n 3519 πρόκα): ἐλαφρόν H

Hesych. x 3524 Schm. npóxag ἐλάφους Hesych. x 4031 Schm. προῦκας δορκάδας πρόκας Musurus, προῦκας" δρόσους (Cypr. et Thessal.), aut rtodxas δορκάδας (Cypr.) ex Phot. II 333. 6 N. (xt&xac δορκάδας ἢ ἐλάφων νεβροὺς fi λαγώους) dub. M. Schmidt

[Herodian.] Partit. 113 xpó£, ἡ ἔλαφος Anek. z. griech. Orth. 97. 12 Ludw. πρόξ, ἡ ἔλαφος Suda x 2536 πρόξ’ ἐλάφου γέννημα

142

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

Eustath. 711. 40 λέγει δ᾽ αὐτὸς καὶ τὰς πρόκας παρὰ ᾿Αρχιλόχῳ ἐπὶ ἐλάφου τεθεῖσθαι, παρ᾽ © καί τις διὰ δειλίαν παρωνομάσθη πρόξ ... εἰ δὲ καὶ αἱ δορκάδες καὶ αἱ ζόρκες ἐλάφου εἴδη κατὰ τὰς πρόκας ἄλλοθι ζητητέον Eustath. 1821. 21 πρόκες δέ, φασι, δορκάδων εἶδος, ἢ ἐλάφων ἔκγονα νεογνὰ παρὰ τὸ προκίειν, ἢ παρὰ τὸ προΐξεσθαι. ὅθεν ἡ πρόξ᾽ ταχεῖα γάρ

Od. 17.295

αἶγας Er’ ἀγροτέρας ἠδὲ πρόκας ἠδὲ λαγωούς HVen. 71 παρδαάλιές τε θοαὶ προκάδων ἀκόρητοι

Archil. fr. 280 W.2 πρόξ Aristot. HA 506a 21 τῶν μὲν ζῳοτόκων καὶ τετραπόδων ἔλαφος οὐκ ἔχει (scil. χολήν) οὐδὲ πρόξ (cf. PA 6760 25) Aristot. HA 515b 33 ἐν δὲ τῷ (scil. αἵματι) τῆς ἐλάφου καὶ προκὸς καὶ βουβαλίδος καὶ

ἄλλων τινῶν οὐκ ἔνεισιν ivec (cf. PA 650b 14) Aristot. ΗΑ 520b 24 ἐξιὸν δὲ ἔξω (scil. αἷμα) πήγνυται πάντων πλὴν ἐλάφου καὶ προκὸς καὶ εἴ τι ἄλλο τοιαύτην ἔχει τὴν φύσιν Dion. Chalc. fr. 12 Μ. Διόνυσος δέ φησιν ὁ ᾿Αθήναιος ἐν ταῖς Κτίσεσι τὰς ἐλάφους οὕτω λέγεσθαι, πρόκας. ὅθεν καὶ Προκοννήσος,

ἐπεὶ καὶ ἐν ταύτῃ πληθύουσιν ἔλαφοι. οἱ δὲ

Προκόννησον λέγουσιν εἰρῆσθαι ἀπὸ τῆς προχόου, ἣν ἔχουσα τοῖς Μιλησίοις ἀπήντησεν ἡ παρθένος, ὅτε τὴν ἀποικίαν ἐστέλλοντο. οἱ δὲ Προκόννησον ἐτυμολογοῦσι, καθὸ πρότερον

οὖσα νῆσος προσεχώθη. ὑπό τινων δὲ Προκόνησος καὶ Ἐλαφόνησος ἐκλήθη Callim. HDian. 154

ἔα πρόκας ἠδὲ λαγωούς οὔρεα βόσκεσθαι: τί δέ κεν πρόκες ἠδὲ λαγωοί

ῥέξειαν; Callim. Lav. Pall. 91 δόρκας ὀλέσσας καὶ πρόκας οὐ πολλὰς φάεα παιδὸς ἔχεις Apoll. Rh. 2. 279

ἢ alyag κεραοὺς ἠὲ πρόκας ἰχνευόντες Nicand. Th. 577 ἐν δὲ τίθει τάμισον σκίνακος νεαροῖο λαγωοῦ ἢ προκὸς ἠὲ νεβροῖο πάροιθ᾽ ἀπὸ λύματα κόψας, ἢ ἐλάφου νηδύν

Edizione e commento

143

578. προνὸς BPpAld Nicand. Alex. 324 τοτὲ προκός, ἄλλοτε veßpoü, fj ἐρίφου, τοτὲ δ᾽ ἂν σὺ καὶ εὐσκάρθμοιο λαγωοῦ 324. πρισκός Π

A.P.14. 24.4 αὐτοκασιγνήτης δὲ χρόνῳ φίλον υἷα κατακτάς χρόνῳ Buffiére 1970, p. 172: πρόκνος P, πρόκνης dub. Jacobs 1814, p. 710, προκὸς Dübner 1872, p.493

L'abbondante testimonianza lessicografica sul termine si spiega, in gran parte, con dottrina omerica, ma non è esclusa una vena ‘naturalistica’, o puramente lessicale (dialettale?), com’& nella serie di varianti presentate da Esi-

chio*5. La denominazione, di tipo ‘impressionista’*%, aiuta fino a un certo punto ad identificare il referente di quello che appare un termine tecnico (cf. Ari-

stotele), prima e oltre che raro. Le fluttuazioni sono ben rappresentate già nello scolio al locus classicus per eccellenza, Od. 17. 295: in breve, a) ἔλαφος; b) δορκάς; C) ἔκγονον τῶν ἐλάφων, cui è da aggiungere l'interpretazione d) νεβρός 57.

435 Sulle forme npexvóv, πρόξ, xpoxüc, cf. Frisk, GEW Il 515, Chantraine, DELG 887; sul tipo πρόξ, cf.

Frisk, GEW II 600, Schindler 1972, p. 94; su προκάς di HVen. 71, cf. Zumbach 1955, p. 5, Chantraine, DELG 887. Verosimilmente nella glossa cirilliana, evidentemente la stessa, ma piü integra, di Hesych. x 3039 Schm., sarà da leggere πόρκας nel lemma, acc. plur. di nóp£ (cf. δόρξ), come in Esichio,

piuttosto che vedervi una variante nom. πορκάς di nóp£ (come προκάς di πρόξ). Il nom. sing. ἔλαφος

del glossema sarà errore o mancata coordinazione col lemma. Per il ταχύ, unanimemente tràdito da Esichio e dai cirilliani quale glossema sempre di πόρκας, ha probabilmente ragione M. Schmidt, in apparato alla glossa esichiana: «confudit nomen cum adverbio ionico πρόκατε», benché ταχύ non appaia felicissima resa di πρόκα, πρόκατε (piuttosto εὐθύ o qualcosa di senso affine). Nelle glosse arilliane leggerei ἔλαφος (vel ἐλάφους) ὑπὸ ᾿Αρκάδων: πόρκας può rappresentare l'esito arcadico della sonante (cf. Dubois 1986, pp. 42-45). Non riferirei, dunque, la nota dialettale ἃ ταχύ, come si ricava dalla punteggiatura di Naoumides. Il séguito è lacunoso (scriverei τὸ ταχὺ. παρὰ δέ τινι «......»}: la proposta di Drachmann ὃ estremamente ipotetica. Per quanto riguarda le glosse esichiane πράκες e προῦκας, forme non considerate, a quel che vedo, né da Frisk, GEW, né da Chantraine, la prima

potrebbe rappresentare un esito della radice al grado zero (cf. xpaxvóv), la seconda nascondere il κρόκας congetturato da Musuro, attraverso una precedente corruzione in rpoixog, analoga al προῖξ

che si ritrova in Etym. M. 689. 15. In questo caso, πρόκας = δορκάδας potrebbe riflettere la interpreta-

zione alternativa ad ἔλαφος nel passo omerico (cf. lo scolio ed Apollonio Sofista). 436 Sostanzialmente, «le tacheté», Chantraine, DELG 887. Keller 1887, 350 n. 21, ricorda la denominazione βαλίας «Gefleckter» per il daino. Cf. Hesych. x 3229 Schm. πρεκνόν' ποικιλόχροον ἔλαφον.

Da a questa radice si formano, ovviamente, molti nomi di animali, cf. Chantraine, DELG 887. Sulla base di Archil. fr. 280 W.?, Kuchenmiiller, p. 106, afferma che in ionico πρόξ era il

nome dell’ ἔλαφος, e dall'ignoranza di questo fatto deriverebbero le differenziazioni esegetiche: una conclusione che appare precipitosa. Ma cf. n. 445.

144

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

a) Dion. Chalc.; Apoll. Soph. 135. 19; Anekd. gr. Orth. 97. 12 Ludw.; Hesych. x 2141 Schm., 3039 Schm., 3189 Schm., 3229 Schm., 3524 Schm.; [Cyrill.]; [Hdn.] Partit. 113 Boiss.; (cf. Phot. II 333. 6 N.);

b) Aristoph. Byz. frr. 200-01 51.535; Apoll. Soph. 135. 19; Eustath. 1821. 21; Hesych. π 4031 Schm.; schol. Nicand. Th. 578a; Alex. 323 (τέκνον τῆς δορκα-

δος); (cf. Phot. II 333. 6 N.); C) Philit.; Suda x 2536; Eustath. 1821. 21;

d) schol. Apoll. Rh. (= Etym. M. 689. 15, Zon. 1579); schol. Callim. HDian. 154b; (cf. Phot. II 333. 6 N.)**. Tale oscurità spiega il frequente ricorso al tentativo etimologico: a) πρώτως τικτομένας, otov πρωτοτόκους (Filita?);

b) πρόκερας, πρὸ τοῦ τῆς ἡλικίας κέρας φύειν (Apion fr. 113 Neitz.); C) ἀπὸ τοῦ προϊκνεῖσθαι, παρὰ τὸ προκίειν ... ταχεῖα γάρ (schol. Od. 17. 295,

Eustath. 1821. 21). La prima etimologia (e, forse, la seconda) rispecchia quello che doveva essere un frequente presupposto nell'antichità, nell'interpretazione del termine: ovvero che dovesse

trattarsi di un animale di piccole dimensioni**, e

quindi, se un cervo, comunque uno di giovanissima età. In effetti, la compagnia in cui ὃ citato il πρόξ in Omero (αἶγας ἀγροτέρας ... ἠδὲ λαγωούς) induce all'identificazione con un animale piccolo. Gli altri passi poetici offrono risultanze simili, anche perché dipendono da quello omerico, sia per il fatto di proporre il nostro termine sempre in forma, per cosi dire, catalogica, sia per la frequente identità degli animali accoppiati al πρόξ (λαγωός Callim. HDian. 154 s., Nicand. Th. 578, Alex. 324; αἶγας Apoll. Rh. 2. 279)". Altri animali, tutti piccoli, elencati col npó& sono il δορκάς (Callim. Lav. Pall. 92), il νεβρός (Nicand.

Th. 578, Alex. 324), 1’ ἔριφος (Nicand. Alex. 324) e l' ἐλάφου νηδύς (Nicand. Th. 578). Tali accoppiamenti forniscono anche ulteriori implicite scelte esegetiche, rispetto alla dottrina sul termine: Callimaco distingue dal 8opxác**, Nicandro

48 Cosi almeno si ricava dal dettato, cf. Nauck 1848, p. 124. Dal fr. 186 SI. non si può capire l'interpretazione. Per Slater 1986, p. 63, dai frr. 200-201 (xpó£ = δορκάς) si intenderebbe che nel fr.

186 Aristofane starebbe rilevando la scorretta applicazione del nome al cervo, da parte di Archiloco (cf. anche p. 67). A parere di Slater Aristofane si opponeva all'interpretazione di Dionisio di Calcide e di Filita. 439 Una classificazione, a nostro parere leggermente meno accurata, ὃ in Rengakos 1994a, p. 133. #0 Su queste è esplicito Zon. 1579. Cf. schol. Nicand. Alex. 323 (τέκνον τῆς δορκάδος).

+! Più concisamente Bulloch 1985a, p. 202: «the authority for Hellenistic authors seems to be

Od. 17. 295».

442 Cf. Keller 1887, p. 78. Per Callimaco, quindi, δόρξ e πρόξ non costituivano «literary alterna-

tives», come Bulloch 1985a, p. 202, ritiene che fossero per gli autori ellenistici (cf. Rengakos 1994a, p. 134). E neppure tale opposizione significa che Callimaco intendesse xpö& = ἔλαφος, come vuole Rengakos 1992, p. 28. Inoltre, Rengakos 1993, p. 28, e 1994a, p. 134, ritiene che in Callim. HDian. 95 ss. νεβρούς te καὶ οὐ μύοντα λαγωὸν / καὶ κοίτην ἐλάφοιο καὶ ὕστριχος ἔνθα καλιαὶ σημῆναι καὶ ζορκὸς ἐπ᾽ ἴχνιον ἡγήσασθαι «die gleichen Tiere» (evidentemente che in HDian. 152 ss. ka πρόκας ἠδὲ λαγωούς / οὔρεα βόσκεσθοαι: Ti δέ xev πρόκες ἠδὲ λαγωοί / ῥέξειαν;) «ἔλαφοι genannt»,

Edizione e commento

145

dal νεβρός e 4411 ἐλάφου vn50c*9. Aristotele separa costantemente il πρόξ dal"ἔλαφος". Da dove provenga l'identificazione del πρόξ con quest'ultimo è im-

possibile ricavare dai dati a nostra disposizione: forse dall'etimologia di Προxövvnoog = 'EXa$óvvncoc? Ma Scyl. 94 distingue l'isola di Proconneso da un'altra, prossima, denominata appunto 'EAo$óvvnooc'^. Per quanto riguarda Filita, la glossa merita attenzione in due punti. Per essere l'unica attribuibile con una qualche sicurezza ad interpretatio Homerica, anche se manca ogni riferimento al passo odissiaco, e per la presenza dell'etimologia. Del lavoro omerico di Filita noi abbiamo una manciata di interventi di ‘lettura’, mentre la spiegazione di πρόξ sarebbe l'unica traccia rimastaci di glossografia omerica. Alla luce di quanto finora abbiamo visto, il suo carattere non & molto diverso da quanto si osserverà per il suo lavoro su

Omero: si evidenzia una certa tendenza alla forzatura e alla soluzione artificiosa. Identificare il πρόξ con il piccolo del cervo, ὃ evidentemente un improbabile tentativo di conciliare una identificazione con l' ἔλαφος con le piccole dimensioni dell'animale in questione, quali sono presupposte dal testo omerico**, L'etimologia (nel nostro caso πρόκας = οἷον πρωτοτόκους), di cui questo sarebbe l'unico esempio in relazione a Filita, non sembra appartenere al bagaglio del nostro*”. Sarei, perciò, incline a vedere nella proposta etimologica una integrazione più tarda all'interpretazione filitea di npöxoc. Tuttavia,

per cui, per Callimaco πρόξ equivarrebbe ad ἔλαφος. Ma, sempre che sia valido il presupposto, ὃ casomai il νεβρός ad essere equiparato al πρόξ.

+5 Cf. Keller 1887, p. 78. Nulla si può ricavare, per la nostra analisi, da HVen. 71 e Archil. fr. 280 W.. Infatti, l'affermazione di Aristofane di Bisanzio rispetto a quest'ultimo passo (λέγει δ᾽ αὐτὸς καὶ τὰς πρόκας παρὰ ᾿Αρχιλόχῳ ἐπὶ ἐλάφου τεθεῖσθαι, παρ᾽ ᾧ καί τις διὰ δειλίαν παρωνομάσθη πρόξ)

dovrebbe essere verificata col contesto del frammento. Considerazioni in Slater 1986, p. 63. ^4 Moderni interpreti identificano il πρόξ col daino (Keller 1887, p. 77 s., Orth 1913, col. 1942),

o col capriolo (Gossen 1914, col. 512). La prima ipotesi e favorita dalla ratio etimologica («il picchiettato»). #5 Keller 1887, p. 77, Orth 1913, col. 1942. 48 ss., con l'aiuto della raffigurazione di un daino su una moneta dell'isola di Proconneso, ritengono che questa doppia denominazione dichiari che anche ἔλαφος poteva designare il daino, per lo meno tra i greci micrasiatici. Inoltre, Keller 1887, p. 77, si rifà, per giungere alla medesima conclusione, ad Aristot. HA 506a 21 s. τῶν μὲν ζῳοτόκων καὶ τετραπόδων ἔλαφος οὐκ ἔχει (scil. χολήν) οὐδὲ πρόξ ... τῶν δ᾽ ἐλάφων αἱ ἀχαΐναι καλούμε--

ναι δοκοῦσιν ἔχειν ἐν τῇ κέρκῳ χολήν. L'argomento è il seguente: «die Behauptung, dass der ἀχαιΐνης seine Galle am Schwanze habe, der andere Hirsch aber nicht, zeigt, dass er mit ἀχαιΐνης

den Edelhirsch, der mit Schwanzdrüsen versehen ist, gemeint hat, während er unter ἔλαφος ohne Beisatz offenbar den Damhirsch versteht; denn dieser hat die fraglichen Schwanzdrüsen nicht». Ma il ragionamento non sembra coincidere con il dettato aristotelico. 446 Del resto, che si possa andare espressamente a caccia di cervi neonati, come si affermerebbe in Omero, mi sembra dubbio.

7 Cf. Schröter 1959, p. 826: «wie es scheint, verschmäht Philetas die Etymologie, wenn er die Glossen aus ihrem Gebrauch oder aus Dialekten erkláren kann. Als letzte Zuflucht ist sie deshalb wohl besonders bei den Homerglossen anzutreffen». Ne ipotizza poi, peró, piü del dovuto, come si ? visto e si vedrà. La nostra consterebbe delle procedure di «Dialysis und Ableitung». Vd. supra, p. 32 s.

146

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

dato il carattere forzato dell'interpretazione, non è escluso che Filita abbia

questa volta cercato sostegno anche in una metodologia da lui abitualmente non frequentata.

Riguardo l'abituale convinzione che Filita sia stato un raccoglitore di parole rare, ai fini della composizione poetica successiva, e che da lui siano in qualche modo tratti vocaboli che ritroviamo nella poesia ellenistica, Kuiper 1896, p. 87, adombra che Callimaco avrebbe attinto πρόξ da Filita (suo praeceptor, dice Kuiper), ma, conclude, non si vede se l'interpretazione di Callimaco sia la stessa di Filita. La necessità di tale tramite, in presenza di un ἅπαξ λεγόμενον omerico appare francamente improbabile**.

#8 Rengakos 1994a, p. 158, si limita a riscontrare una probabile concordanza nel significato ἔλαφος tra la glossa filitea e Apoll. Rh. 2. 279.

Edizione e commento

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fr. 21 = 49 Kuch. = 54 Bach = p. 81 Kay. Hesych. o 893 Schm. oxipog: ῥύπος καὶ ὁ δριμὺς τυρός. Kal ἄλσος καὶ δρυμός. Φιλητᾶς δὲ τὴν ῥυπώδη γῆν 1. σκῖρος M. Schmidt: σκεῖρος H | 2. Φιλητᾶς Musurus: Φιλήτας H | ῥυπώδη Meineke ap. Bach, p. 272: πυρρώδη H, ἐρρυπωμένην dub. Kayser, p. 81, σκιρώδη dub. Robert 1885, p. 352 n. 2, τυρώδη

dub. Kuchenmüller, p. 106, γυψώδη temptavi (ex Eustath. 1304. 28) schol. Il. 23. 332-33 ex. (Did.?) ἢ τό γε νύσσα --- ᾿Αχιλλεύς: ᾿Αρίσταρχος γράφει «ἢ τό

ye σκῖρος Env: νῦν αὖ θέτο τέρματ᾽ ᾿Αχιλλεύς». σκῖρον δὲ τὴν ῥίζαν διὰ τὸ torto: ὅθεν τὸ σκιάδ«εριον 'Αττικοὶ σκίρον καλοῦσιν T 1. lem. Ludwich 1884, p. 487. 10: ἤιτευ σῆμα βροτοῖο T

᾿Αριστοφάνης dub. Bolling 1925, p. 201

|

2. oxipog et σκῖρον ThGL VII, col. 4004: oxipog et oxipov T | 3. enáb«e»1ov Maass 1888, p. 421: σκιάδιον T

schol. Aristoph. Vesp. 925 τὸ oxîpov ἐξεδήδοκεν᾽ oxipov VTAId τὸ ῥυπῶδες τὸ ἐπὶ τῶν tupóv VTAld [τῷ τυρῷ Lh]. VTLhAld. Εὔπολις Χρυσῷ γένει (sq. fr. 299 K.-A.). ἀπὸ tovτου καὶ τὰ λίαν προσεχόμενα ἐνεσκιρῶσθαι λέγεται VTAId 1. lem. TAld | oxipov lem,, text., sch. T, σκίρρον lem. et sch. Ald., σκῖρρον text. Ald. τὸ om. Ald. | 2. τῷ τυρῷ etiam G | ὡς ante Εὔπολις Ald.

schol. Aristoph. Vesp. 926a ὅτι λέγεται καὶ γῆ σκίραίς! λευκή τις καὶ ᾿Αθηνᾶ Σκιράς, ὅτι τῇ λευκῇ χρίεται VTLhAld πρὸς τὴν ὁμωνυμίαν οὖν 1. lem. TAld, om. VLh

| σκίρα Koster 1978, p. 147 (coll. Phot. II 163. 13 N., Suda o 624, Etym. M.

718. 6): σκίρας V, σκιρὰς TLh, σκιρρὰς Aldf^ | λευκή τις VT (hic σκευή) Ald, ng λευκὴ ante σκιρὰς Lh | post nc Ald. add. ὡς γύψος (ex Suda) | Σκιράς Lh, σκίρας V, oxippa Ald | 2. τῇ VTLh: om.

Ald., γῆ dub. W. Dindorf 1838, p. 499 schol. Aristoph. Vesp. 926b oiov οὐκέτι ἔχω οὐδὲ ἐκπλάσαι VIAId τὴν ὑδρίαν ἐκ τῆς λατύπης, ἀλλὰ πᾶσα ἀνάλωται. εἰώθασι δὲ VIAld [γὰρ Lh] τὰ ῥήγματα τῶν ὑδριῶν VTAId [τῆς ὑδριᾶς Lh] τῇ λατύπῃ διαπλάττειν VILhAld 1. lem. TAld, om. VLh

Eustath. 1304. 28 καὶ ὅτι ὁ σκῖρος καὶ γύψον ἢ γῆν γυψώδη δηλοῖ, σημαίνει δὲ καὶ

τυροῦ ῥύπον, ἐξ ὧν καὶ τὸ σκιροῦσθαι ῥῆμα Etym. M. 717. 56 σκιρωθῆναι" φαμὲν ἐπὶ τοῦ ῥύπου καὶ σφόδρα ἐμμένοντος καὶ δυσεκπλύτου. Σώφρων ἐν τοῖς Γυναικείοις τροπικῶς, (sq. fr. 33 Kai.). σκῖρον δὲ τὸν ἀειδῆ ῥύπον

49 La correzione di Koster non appare necessaria: cf. γῆς σκιράδος ἀγωγαὶ τρεῖς in IG II-III? 1672. 196 (Atene, 329/28 a. C.), con cui è compatibile il tràdito σκιρὰς di TLh. Il collegamento tra

l'iscrizione e lo scolio è effettuato da Jacoby 1954, II, p. 202.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

καὶ Κρατῖνος λέγει (fr. 491 K.-A.), καὶ Εὔπολις ἐπὶ τοῦ £v τῷ τυρῷ ῥύπου (fr. 299 K.-A.) ἀλλὰ καὶ Ξενοφῶν ἐν τῷ περὶ Ἱππικῆς (4. 2) οὕτω λέγει 2. τροπικοῖς V, τροπαίοις D, tpo** M | σκῖρον Kassel-Austin 1983, p. 330: oxipwv D, oxipov cett. ! ἀηδῆ Meineke 1839, p. 185 13. λέγει καὶ: A καὶ D | 4. ἱππικοῦ M

Hesych. e 2947 L. "ἐνεσκιρωμένη: ἐρρυπωμένη (AS)b &veoxeip-

H

Hesych. o 884 Schm. σκίρα- ἑορτὴ ᾿Αθήνησιν: tapeiovoc. Tj χωρία ὕλην ἔχοντα εὐὖθε-τοῦσαν εἰς φρύγανα 1. σκίρα M. Schmidt: σκειρὰ H, σκείρα Musurus

Phot. II 163. 13 N. Zxipog ... ἡ σκίρα δέ ἐστι γῆ λευκή, ὥσπερ γύψος cf. Suda σ 624; Etym. M. 718. 6 Etym. M. 475. 27 axipog ὁ γύψος

Zon. 1651 axíppog ὁ γύψος. καὶ σκιρρίται οἱ γυψεμπλάσται fort. σκιρῖται

Hesych. o 962 Schm. ox1póv: σκληρόν. τερ»αχύ oxıpöv M. Schmidt: oxnpóv H | τὸ μὴ σκληρὸν xai τραχύ dub. Heinsius ap. Alberti 1766, p. 1209 n. 2, coll. Erotian. o 26 N. axnpóv καὶ aroyyüdes: ἀντὶ τοῦ xauvöcongov | τερ»αχύ Pergerus ap.

Alberti 1766, p. 1209 n. 2, Arnaud 1730, p. 121: ταχὺ H, παχύ Gesnerus ap. Schrevel 1668, p. 846 n.2 cf. Hesych. o 892 Schm.; Suda o 622; Anekd. z. griech. Orth. 48. 27 Ludw.; Hesych. a 6628 L.;

Hesych. e 3296 L.; Suda e 1436; Etym. M 344. 30; Hesych. o 895 Schm.; Hesych. o 1030 Schm.; Hesych. σ 1029 Schm.; Erotian. σ 53 N.; cf. anche Hesych. x 1686 L.

Cratin. fr. 491 K.-A. oxipov δὲ τὸν ἀειδῆ ῥύπον καὶ Κρατῖνος λέγει oxipov Kassel-Austin 1983, p. 330: σκίρων D, σκίρον cett. | ἀηδῆ Meineke 1839, p. 185

Eupol. fr. 299 K.-A. λοιπὸς γὰρ οὐδείς «ἡ» τροφαλὶς ἐκεινηὶ

ἐφ᾽ ὕδωρ βαδίζει, σκῖρον ἠμφιεσμένη

Aristoph. Vesp. 924 ὅστις περιπλεύσας τὴν θνείαν ἐν κύκλῳ ἐκ τὸν πόλεων τὸ σκῖρον ἐξεδήδοκεν

Edizione e commento

149

925. tòv R | oxíppov S

Sophr. fr. 33 Kai. πρὶν αὐτὰν τὰν νόσον EIG τὸν μύελον σκιρωθῆναι Hippocr. mul. I 18 ἢ σκιρρωθέωσιν᾽ ἄρειον γὰρ τὰ δριμέα προστιθέναι: ἀδαξῶντα γάρ, λεπτὰ καὶ πυρώδεα ἐόντα, τὸν σκίρρον διαχέει- ἣν δὲ λαπαχθῇ ὁ σκίρρος, μαλθακοῖσι ἰῆσθαι καὶ ὅ τι μὴ δήξεται DGE 62. 17 ss. Schw. (Heraclea, IVex.) καὶ | ἐγένοντο μετριώμεναι ἐν ταύτᾳ τᾷ μερείᾳ ^. νὼ σκίρω δὲ καὶ ἀρρήκτω καὶ δρυμῶ ξεξακάτιαι | τετρώκοντα FEE σχοῖνοι hnpioyorvov - 11. 23, 29, 34, 36, 40, 42, 45 DGE 62. 63 ss. Schw. (Heraclea, IVex.) ἐστάσαμες (scil. στάλας) δὲ καὶ μεσσόρως, δύο μὲν ἐπὶ τᾶς ποδῶ τᾶς | ἀγώσας Ex τε πόλιος καὶ ἐκ Πανδοσίας διὰ τῶν hıapav χώρων, δύο | δὲ ἐν ταῖς Πακροσκιρίαις — 1l. 71 DGE 62. 144 s. Schw. (Heraclea, IVex.) τῶν δὲ ξύλων τῶν £v τοῖς δρυμοῖς, οὐδὲ τῶν ἐν τοῖς σκίροις οὐ πωλήσοντι οὐδὲ κόψοντι οὐδὲ ἐμπρήσοντι οὐδὲ ἄλλον ἑάσοντι DGE 62. 147 s. Schw. (Heraclea, IVex.) τοῖς δὲ σκίροις καὶ τοῖς δρυμοῖς χρή | σονται τοὶ μισθωσάμενοι ἀν τὰν αὐτῶ μερίδα πέκαστος

Il senso generale portato da questa famiglia di termini, etimologicamente non chiarita‘, sembra quello di “durezza, indurimento ruvido”. Si distin-

450 Cf. Frisk, GEW II 734, Chantraine, DELG 1019. Diverse difficoltà, non tutte affrontabili in questa sede, caratterizzano questi vocaboli. Prescinderemo dalla grafia con la geminata. Diverse forme presentano accentazione parossitona (il testimone dello schol. Il. 23. 332-33; T e Ald. nel lemma e nel testo dello schol. Aristoph. Vesp. 925 [T e S anche nel testo del comico]; i codd. del Magnum in 717. 56 e 475. 27; Zon. 1651; i codd. ad Erotian. o 53 e al passo ippocratico relativo, mul. 118). La forma oxipov relativa alla crosta del formaggio è di genere neutro, a stare al testo aristofaneo e al relativo lemma scoliastico (ma τὸν R). Lo σκίρρος (oxipog?) di Hippocr. Mul. I 18 è,

con tutta verosimiglianza, sostantivizzazione dell'aggettivo σκιρός: con pratica tipica del linguaggio scientifico. In Hesych. a 884 Schm. non è necessario, come ritiene M. Schmidt, che siano confusi oxipa (ἑορτὴ ᾿Αθήνησιν) e oxipa (χωρία ὕλην ἔχοντα εὐθετοῦσαν εἰς φρύγανα): potrebbe trattarsi di catacresi per σκίρα γῆ, con χωρία dell'interpretamentum da intendersi quale «collettivo» (per σκίρα

femminile applicato a γῆ, cf. Phot. II 163, 13 N. = Suda o 624 A., per quanto il referente sia diverso). Frequenti sono le corruzioni itacistiche, la cui unica rilevante e quella che confonde la nostra famiglia con quella di oxipov, il cui significato, «sassolino», non è lontanissimo dalla sfera di oxip-. Furnée 1972, 366, apparenta i due gruppi sotto la qualifica di termini pregreci (caratteristica in questo senso sarebbe la fluttazione tra A- e -v-). Si vedano la varietà di lezioni in Hippocr. mul. 118 (σκυρωθέωσιν 8, σκιρωθέωσιν C), registrata da Erotiano (o 53 N.) ed Esichio (c 1029 Schm. e 1187 Schm.), e la confusione in Hesych. o 892 Schm. σκιρόν (oxeipov H: Alberti 1766, 1205 n. 11) [λατύπην. ἢ] σκληρόν, nonché Hesych. a 1025 Schm. oxipéita: σκιρὸς γάρ ἐστιν ἡ λατύπη, che a M.

Schmidt sembra da dividere in due glosse: Σκιρῖται" «...» e σκιρός" κτλ. In effetti qualcosa deve essere caduto dopo oxıpeiton: forse può aiutare Zon. 1651 σκιρρίται (1. oa pito?) οἱ γυψεμπλάσται. I

tre sensi, ῥύπος, γῆ λευκή e λατύπη (« σκῦρος) sono addotti dagli scolii al passo delle Vespe.

150

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

guono almeno quattro grandi aree di designazione: a) il ῥύπος: uno sporco stratificato e indurito (Hesych. o 893 Schm.; schol. Aristoph. Vesp. 925; Hesych. ε 2947 L.; Etym. M. 717. 56), da cui l'uso espressivo per la patina d'invecchiamento del formaggio (Hesych. o 893 Schm.; schol. Aristoph. Vesp. 925; Etym. M. 717. 56; Eustath. 1304. 28); b) terreno con vegetazione incolta

(Hesych. o 893 Schm.; o 884 Schm.; schol. Il. 23. 332-33 [?]); c) gesso o terra gessosa (schol. Aristoph. Vesp. 926a; Eustath. 1304. 28; Phot. II 163. 13 N.; Suda c 624; Etym. M. 718. 6; 475. 27; Zon. 1651); d) duro, secco (Hesych. o 962

Schm. con i passi paralleli addotti)5'. Questo panorama, anche se è verosimile che diacronicamente ci siano state delle procedure di denominazione espressiva secondaria, come nel caso della crosta del formaggio, non consente di affermare, come Robert 1885, p. 350, che “calcare, gesso” sia il significato primario (vd. anche n. 454), o, come Jacoby 1954, II, p. 200, essere

difficile che oxipov "calce" e oxipov “alberi cresciuti in maniera selvaggia” siano la stessa parola‘, e non sicuro che σκιρός “duro” e σκῖρον “calce”

siano collegati. Pare impossibile fare una ‘storia’ di questi vocaboli, che sembrano aver posseduto carattere espressivo‘, ma appare una loro tendenza, a configurarsi come “tecnici”, perlomeno nell'àmbito medico e nella qualificazione di terra». La spiegazione filitea è, con tutta probabilità, tràdita scorrettamente, ma si puó vedere che non tange né il significato attestato nei comici, né quello medico, letterariamente i piü rilevanti, a quanto ci & dato di sapere. Dei ten-

tativi di correggere πυρρώδη nessuno sembra convincente, in particolare per non essere mai altrove applicati a γῆ. Inoltre, σκιρώδη di Robert ὃ tautologico, oltre che abbastanza lontano da ruppwön*”, τυρώδη di Kuchenmüller è assurdo. Un eventuale ῥυπώδη (scil. γῆν), di Meineke, potrebbe astrattamente

ritenersi affine al significato ἄλσος καὶ δρυμός, sempre fornito dalla glossa esichiana, e da riferire, problematicamente, al termine tecnico delle tavole di

35! Cf. anche schol. Soph. Ai. 651. 35° Ritiene che in Hesych. a 893 Schm. siano fuse due glosse. Cf. anche Loeff 1916, p. 111 n. 2. In contrario, vd. Finzenhagen 1939, p. 112 ("rauh, hart" » "Wildnis"' » "Wald").

45 Jacoby 1954, IL, p. 202, conclude che la parola rimase in uso soltanto nella lingua dei contadini e dei muratori. Tale pratica sarebbe alla base del gioco di Aristofane. +4 Robert 1885, p. 352, «dass nun oxipov auch von der Káserinde ... und dem Schmutz der Kleider gebraucht wird

... dass oxipó; verhartet, hart und

σκιροῦσθαι sich verhärten heisst ...,

das sind Übertragungen und Weiterbildungen». La trafila per lui & "calcare, gesso", "terreno pietroso, con vegetazione selvaggia", e solo secondariamente i significati di cui sopra. Per l'uso in ambito medico, vd. Skoda

1988, pp. 267-271 (a p. 271 individua «dur, herisse, rugueux» come

semi comuni ai significati di "terra incolta" e "indurimento, tumore duro" delle designazioni mediche). Su axipo; - "terreno calcareo", vd. Finzenhagen 1939, p. 96.

*55 Robert 1885, p. 352 n. 2, poiché, come abbiamo visto, parte da "calcare" come significato

originario, ritiene che σκῖρος non possa designare né la “scura sporcizia della terra" (ῥυπώδης), ne la "terra rossa" (nuppwöng), e propone dubitativamente σκιρώδη. Tra l'altro, la Grundbedeutung

assunta & tutt'altro che accertata.

Edizione e commento

151

Eraclea**. Intuitiva sembrerebbe la ragione della denominazione: si tratterà di terreno “ruvido, incolto"*?, per la presenza di arbusti nel caso di Eraclea (144 s. τῶν δὲ ξύλων τῶν Ev τοῖς δρυμοῖς, οὐδὲ τῶν Ev τοῖς σκίροις οὐ πωλήσοντι οὐδὲ κόψοντι οὐδὲ ἐμπρήσοντι οὐδὲ ἄλλον ἐάσοντι, cf. Hesych. o 884 Schm. oxipa... χωρία ὕλην ἔχοντα εὐθετοῦσαν εἰς φρύγανα)53, non sappiamo per quali

caratteristiche in Fileta, il cui eventuale glossema ῥυπώδη, per quanto ipoteticamente affine ai precedenti (ἄλσος καὶ δρυμός), ne sarebbe dichiarato distin-

to, almeno in linea di principio, dal costituire glossema alternativo nella medesima glossa. Tuttavia, ῥυπώδης applicato alla γῆ ὃ singolare. Si dovrebbe presumere che si applichi secondariamente l'equivalenza σκῖρος = ῥύπος per spiegare uno oxipog applicato a un tipo di terra®”. Da parte nostra, riteniamo che non sia impossibile il recupero di un glossema attestato, ovvero γυψώδη γῆν, fornito, per oxipoc, da Eustath. 1304. 28,

l'unica glossa, con la nostra, che glossi oxipog insieme sia con τυροῦ ῥύπον che come tipo di terra. Lo scambio, in maiuscola, tra T e II sarebbe tutt'altro che inaspettato, quello tra y e pp potrebbe essersi verificato di conseguenza. Se la nostra proposta di correzione è accettabile, la glossa filitea appare relativa a un termine tecnico, ovvero sarebbe un ulteriore caso dell'interesse

filiteo per tratti del lessico non necessariamente collegati a contesti letterari, ma che hanno a che fare col mondo dei realia. La nostra glossa esichiana è stata messa in relazione alla variante omerica registrata dallo schol. T ad Il. 23. 332-33. M. Schmidt annota: «alteram significationem praestant tab. Heracl. I p. 157, 19. 158, 23 II p. 231, 96 al. schol. Vict. Hom. ' 331 ubi σκῖρος Aristarchea lectio est et Hesych. oxipa [oxipod».

Non é ἄλσος 1885, mento

chiaro se con «alteram significationem» M. Schmidt intenda solo καὶ δρυμός o anche quella di Filita (con πυρρώδη7: cf. n. 459). Robert p. 351, prendendo in considerazione solo la prima, approva il riferidi M. Schmidt: egli spiega la glossa pitav*®, inadeguata ai significati

556 Si rilevi, però, come in queste sembri distinguersi costantemente lo axipoc dal δρυμός, a

meno che non si tratti di definizioni 'cumulative', e non distintive (ma cf. ll. 144 s. e 147 s.). Per Robert 1885, p. 351, «die beim Lexikographen unter oxeipog gegebene Definition ἄλσος xoi pu

μός, wie die Vergleichung der Herakleensischen Tafel lehrt, auf einer Ungenauigkeit oder Flüchtigkeit beruht». Uguzzoni 1968, p. 73, rende: "macchia", distinto da δρυμός. Dopo aver confrontato Hesych. σ 884 Schm., Suda σ 624, conclude: «la parola designava quindi un terreno duro, atto a produrre solo sterpaglia». 457 E in ciò c'è più di un parallelo con oxipog = ῥύπος. Non c'è ragione di ritenere, con Jacoby 1954,

II, p. 200 (cf. p. 201), che oxipog testimoniato nelle tavole di Eraclea rispecchi un significato epicorico, «dorico». Egli sembra equipararlo col δρυμός, il che sarebbe scorretto, da quanto abbiamo visto. 458 «Steiniges, von wildgewachsenen Bäumen bestandenes Land», Robert 1885, p. 350: «pietroso» deriva, pero, dall'assunzione di "calcare, gesso" come Grundbedeutung, il che & tutt'altro che certo. 459 M. Schmidt e reticente a correggere πυρρώδη a causa di Hesych. x 2775 L. iappóv: πυρρόν

ASgn. ἐρυθρόν. ξανθόν S, che non sembra avere, però, alcuna pertinenza. Schol. Il. 23. 332-33 ἢ τό γε νύσσα — ᾿Αχιλλεύς" ᾿Αρίσταρχος γράφει «f| τό γε σκῖρος Env: νῦν αὖ θέτο τέρματ᾽ ᾿Αχιλλεύς». σκῖρον δὲ τὴν ῥίζαν διὰ τὸ ἐσκιάσθαι" ὅθεν τὸ σκιάδ«εριον ᾿Αττικοὶ σκίρον

152

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

da lui enucleati per σκῖρος, come il residuo di una più ampia esegesi, che

sarebbe suonata: «“der Stamm ist entweder ein altes Grabmal oder es war einmal ein σκῖρος, von dem dieser Stammbaum allein übrig ist”»*', per cui si applicherebbe anche a questa occorrenza il significato di «wild wachsender Wald»*2. Valk 1964, p. 152, parte da oxipog = «hard soil, consisting of chalk», e suppone che Aristarco abbia inteso «chalk land overgrown with scrubs», confrontando λᾶε, Il. 23. 329, e ξύλον αὖον, Il. 23. 327, ma ammette

che la spiegazione è artificiale, e la spiegazione ῥίζα crea difficoltà («is no doubt subjective»)*9. Il dettato dello scolio omerico, la cui etimologia, tra l'altro, fa per confusione riferimento a oxipov in quanto termine legato a questioni mitologicocultuali, estranee all’ämbito qui in discussione, è difficile: da una parte pita ha indubbie, per quanto tenui possibilità di contatto con alcuni significati di σκῖρος e famiglia, d’altra parte rimane impossibile chiarirne il senso. Molte ipotesi si possono avanzare, dal fatto che ῥίζα possa essere corrotto, a che la “radice” potesse chiamarsi σκῖρος costituendo un “indurimento ruvido” del terreno. Per quanto riguarda la glossa filitea, solo Erbse 1977, p. 422, la chiama in questione, ma in termini compendiari: «alia notione vocis σκῖρος Philet. ... usus est», senza che si intenda se riferisca la dottrina filitea (per il testo rimanda a Kuchenmiiller) al passo omerico**. In ogni caso, la glossa esichiana e lo scolio omerico appaiono alquanto lontani tra di loro. Inoltre, da una parte ἄλσος καὶ δρυμός è interpretamentum per niente esclusivo, mentre riguardo al possibile γυψώδη γῆν di Filita, il rife-

rimento a γύψος etc. per la famiglia di oxipog in tutta la lessicografia non ha

mai la minima relazione con Omero.

καλοῦσιν. L'intera dottrina è rifiutata ad Aristarco da Ludwich 1884, p. 487, che a p. 113 dà altri esempi di lezioni falsamente attribuite ad Aristarco. Bolling 1925, p. 201, propone Aristofane di Bisanzio. 461 La resa con ἄλσος καὶ δρυμός in Esichio sarebbe quella di un grammatico senza confidenza col significato di exipoc.

42 Non è quindi del tutto vero che Robert abbia mancato di osservare che oxipog è spiegato con ῥίζα da Aristarco, fatto del quale l'accusa Valk 1964, p. 152 n. 310. Bolling 1925, p. 201 s., si affida ad una lezione esichiana scorretta, axipov = λατύπη, per dare questo significato alla nostra occorrenza, forse «used in some specialized sense - 'fetish', "boundary mark’, which is what the context requires». Diverse sono le debolezze di tale ipotesi: dall'uso di una glossa corrotta alla conseguente attribuzione dei significati "fetish, boundary mark" a un sassolino. Già Loeff 1916, p. 110 n. 3, aveva ipotizzato qualcosa del genere: «terminum significat, qui in ludibus puerilibus cretae sive oxipou lineamento saepe indicatur», rimandando a Poll. 9. 104 ἐπίσκυρος ... παίζε-ται δὲ κατὰ πλῆθος διαστάντων ἴσων πρὸς ἴσους, εἶτα μέσην γραμμὴν λατύπῃ ἑλκυσάντων, ἣν σκῦρον

καλοῦσιν: ma qui, come si può vedere, c'è σκῦρον. In ThGL VII, col. 400d, laconicamente, si afferma «alludit ad signif. nemoris».

43 [n n. 311 propone, senza molta convinzione, che Aristarco potrebbe aver inteso, con ῥίζα, le radici e i ceppi che si trovano in terreno calcareo. 464 Tale riferimento è negato con sicurezza, ma senza argomentare, da Kuchenmiiller, p. 106, peraltro incerto sulla lezione celata da πυρρώδη.

Edizione e commento

fr. 22 = 50 Kuch. = 32 Bach = XXIII Kay. = spur. 27 P.= adesp. com.

153

fr. 177

M. = 740 Kock Hesych. c 1148 Schm. σκύζης παρὰ Manta παύσω σε τῆς σκύζης (adesp. com. fr. 740 K.): ἀντὶ τοῦ τῆς κάπρας 1. σκύζης Musurus: σχύζης H. 1 Φίλιτα Η: Φιλητᾷ Musurus, Φιλήμονι vel Φιλεταίρῳ Meineke 1823b,

P. X 2. κάπρας Η: fort. σκυθρωπίας Sopingius ap. Schrevel 1668, p. 850 n. 8, λέπρας Pergerus ap. Alberti 1766, p. 1221 n. 4, πικρίας Triller 1742, p. 506 Phryn. PS 18. 13 de Borr. ἀνασκυζᾶν καὶ σκυζᾶν: σκυζᾶν μέν ἐστιν τὸ πρὸς τὸ πάσχεῖν ὀργᾶν, καὶ τίθεται ἐπὶ τῶν νεωτέρων ἢ παίδων f) γυναικῶν. τὸ δὲ ἀνασκυζᾶν σημαίνει μὲν «τὸ» αὐτό, τίθεται δὲ ἐπὶ τῶν πρεσβυτέρων. πρόσκειται δὲ τὸ ἀνά σημαῖνον τὴν ἐξ

ὑπαρχῆς ἐν γήρᾳ πρὸς τὸ πάσχειν ὁρμήν 3. τὸ suppl. Bekker 1814, p. 12, εἰ 1821, p. 1066 Phot. a 1663 Th. avaoxuLäv- ἐπὶ τοῦ ἐξοιστρεῖν καὶ ἀκολασταίνειν. καὶ ἐκσκυζᾶν Κρατῖνος (fr. 447 K.-A.), Φρύνιχος (fr. 86 K.-A.) δὲ σκυζᾶν ἔφη 2. Αφρύνιχος b (A rubrum) | ἔφη om. b

Φρύνιχος δὲ σκυζᾶν «ἐπὶ νεωτέρων κτλ.» Reitzenstein 1907,

p. 122 (e Phrynicho Soph.) Hesych. o 1382 Schm. ondate σκυζᾷ. 'Axatoi σκυζᾷ M. Schmidt: σκύζαι H, σκύζει Musurus

Suda c 700 axvGàv- ἐπὶ συνουσίαν ὁρμᾶν συνουσίᾳ

Hesych. c 1150 Schm. σκύζουσιν' ἡσυχῆ ὑποφθέγγονται, ὥσπερ κύνες cf. Poll. 5. 86; Lex. Vind. 165. 14 N.

Cratin. fr. 447 K.-A. καὶ ἐκσκυζᾶν Κρατῖνος Phrynich. fr. 86 K.-A. Φρύνιχος δὲ σκυζᾶν ἔφη

adesp. com. fr. 740 K. παύσω σε τῆς σκύζης

adesp. com. ἔτ. "485 K.-A. = Phot. et Phryn. Soph.

154

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

Aristot. HA 572a 29 καὶ οὐροῦσι δὲ πολλάκις, ὅταν σκυζῶσι (scil. le giumente), καὶ

πρὸς αὐτὰς παίζουσιν Aristot. HA 572b 23 καὶ ai ὕες ὅταν δ᾽ ἔχωσι πρὸς τὴν ὀχείαν ὁρμητικῶς, ὃ καλεῖται καπρᾶν, ὠθοῦνται καὶ πρὸς τοὺς ἀνθρώπους. περὶ δὲ τὰς κύνας τὸ τοιοῦτον πάθος καλεῖται σκυζᾶν

Aristot. HA 574a 30 δοκεῖ δὲ σκυζᾶν τὸν ἴσον χρόνον κύων (scil. la cagna) Aristot. HA 574b 1 τὰς γὰρ πάσας δοκεῖ σκυζᾶν ἡμέρας τέτταρας καὶ δέκα ὡς ἐπὶ τὸ

πολύ (scil. la cagna) Aristoph. Byz. Epit. de animal. 20. 2. 454 (p. 462a 36 Gigon) κύει (scil. ὁ κάμηλος) μῆνας δέκα, τῷ δὲ ἑνδεκάτῳ τίκτει, καὶ πάλιν διαλιποῦσα ἐνιαυτὸν σκυζᾷ

Aristoph. Byz. Epit. de animal. 2. 169 Lamb. ἐπιβαίνει δὲ ὁ μὲν ἄρρην πᾶσαν ὥραν, ἡ δὲ θήλεια οὐ « » πᾶσαν ὥραν, ἀλλὰ τὴν τῆς σκυζήσεως.

ὅταν δ᾽ ἄρχηται σκυζᾶν, ἡ μὲν

φύσις αὐτῇ διοδεῖ, τὰ δὲ καταμήνια ῥεῖ ἐπὶ ἑπτὰ ἡμέρας. εἶτα μετὰ ταύτας ἄλλας ἑπτὰ σκυζᾷ P. Lit. Lond. 164 I 5-19 (ed. Roselli 1989, pp. 338-345) ἐπιβαίνει δ᾽ ὁ ἄρρην [ο]ὐ πᾶσαν ὥραν ἀλλὰ τὴν τῆς σκυζήσεως. ὅταν δ᾽ ἄρχηται σκυζᾶν, ἡ μὲν φύσις αὐτῆς διοδεῖ τὰ δὲ καταμήνια ῥεῖ ἐφ᾽ ἡμέρας ἑπτά, εἶτα μετὰ ταύτας ἄλλας ἑπτὰ σκυζᾷ ἐν αἷς ἡ σύλληψις yiνεται, τὰς γὰρ πάσας δέκα καὶ ἑπτὰ ἡμέρας σκυζᾷ

SEG IV 47 (defixio, s. II p. [2], Messana) A recto: Βαλερίαν ᾿Αρσινόην τὴν σκύϊζαν σκώλληκες (sic), τὴν GpopltoAóv 'Apovónv κ(αὶ) μελεάν B verso: Βαλερίαν ᾿Αρσινόην τὴν ἁμαρίτωλὸν νόσος, τὴν σκύζαναν!, σῆψις A 1. σκύζαςκι»νκαν» Crönert 1929, p. 7

B 2. σκύζανίαν! Vogliano 1925: σκύζαν avaniyıs Comparetti ap. Orsi 1916, pp. 167-169, axvtavav (nisi tenendum σκύζαναν) coll. κάπραινα, Crónert 1929, p. 7

La glossa pone diversi interrogativi. Il frammento poetico ivi tràdito è stato considerato dello stesso Filita*, fino a che Meineke 1823b, p. X, affermó: «comicum poetam, non elegiacum hic laudari, docet senarii hemistichium ... - Corrigendum igitur παρὰ Φιλήμονι, aut παρὰ Mintaipo»*6. Da al-

lora il frammento, se non di uno dei due comici, é stato comunque conside-

45 Cf., e. g., Stephanus 15723, III, col. 882a, Kayser, p. 68, Bach, p. 67. 466 È una disattenzione l'attribuzione della congettura a M. Schmidt in Lamberterie 1994, p. 23. Wilamowitz 1924, I, p. 116, cita la glossa esichiana parlando di «resti incerti di giambi» di Filita.

Edizione e commento

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rato un frustulo adespoto di commedia (fr. 177 M. = 740 K.), glossato da Filita (salvo, come abbiamo visto, che per Bach, p. 67). Sembra la maniera più saggia di procedere, sia perché per Filita non è attestata la versatilità che caratterizza l'opera degli alessandrini, sia perché violenza e lessico dell'emistichio lo riservano, ci sembra, alla ἀρχαία, cosi da essere inadeguato per Filita sotto i rispetti dello stile, del genere e cronologico*®. Senza dire che la presenza di un frustulo di commentario a Filita in Esichio, che sembra invece aver recepito dalle fonti diverse delle sue glosse, apparirebbe singolare‘. Ovviamente, a ritenere sano il nome di Filita, e riferentisi al medesimo

discorso tutti gli elementi della glossa, bisogna considerare il dettato della stessa confusamente scorciato e riassemblato, rispetto alla fonte. Ovvero, Filita avrebbe spiegato σκύζα con κάπρα, portando ad esempio un passo comico. O meglio, considerando la lemmatizzazione al genitivo, & estrema-

mente probabile che la glossa non si riferisca a σκύζα in generale, ma in quel passo individuo, ove Filita l'avrebbe reso con κάπρα.

Con questa glossa, ci troviamo in una situazione molto simile a quella che si è evidenziata per cxipoc: una famiglia di termini dal carattere espressivo*??, il cui uso ci è da una parte testimoniato in commedia,

dall'altra in

prosa scientifica, quale elemento di vocabolario tecnico. Il verbo σκυζᾶν (con i suoi composti) e, infatti, attestato in Cratin. fr. 447 K.-A., Phryn. fr. 86 K.-A.,

e in un adespoto da Frinico Sofista e Fozio (adesp. com. fr. *485 K.-A.): l’appartenenza dell'adespoto alla ἀρχαία è da ritenere estremamente probabile. E σκύζα, oltre che nel nostro frammento,

si ritrova, significativamente, con

uso identificante, in una violenta e ingiuriosa defixio messinese. Allo stesso tempo, σκυζᾶν designa I’ “estro” di giumente e cagne in una sezione definitoria in Aristot. HA 572a 29, b 23, e ancora delle cagne, con lo stesso senso, si ritrova in HA 574a 30, b 1"', e nell'epitome attribuita ad Aristofane di Bisan-

47 Cf. M. Schmidt: «Mihi Philetae glossae intellegendae videntur et excidisse poetae nomen». Per παρά riferibile a citazione da opera grammaticale, Kuchenmüller, p. 107, menziona Hesych. o 553 Schm. aradevipic: ποιὸς ὄρνις παρὰ Καλλιμάχῳ (fr. 419 Pf.). Mi sembra meglio men-

zionare, in quanto piü probante, il combinato di Callim. fr. 406 Pf. καταλέγων ἰχθύων ὀνομασίας φησίν" ... ἴωπες, ἐρίτιμοι ᾿Αθηναῖοι, con Hesych. ı 1209 L. iow: ἰχθὺς κοιὸς παρὰ Καλλιμάχῳ. 468 Ciò sia detto, per quanto riguarda l'attribuzione 8}}᾿ ἀρχαία, nonostante Menand. fr. 434 K.A. κακρᾷς, κακόδαιμον, e il fatto che in Stobeo l'abbreviazione per il nome di Filita (Fileta) sia a

volte corruzione per quello di Filemone. Escluderei recisamente che possa trattarsi di un frammento tragico, pur ipotizzato da Kuchenmüller, p. 107. Appare eccessiva l'esclusione dello stesso dalla raccolta degli adespota comica da parte di Kassel-Austin 1995, p. 511 (no. 740), che rimandano a «Philet. fr. 50 p. 107 Kuch.».

49 Cf. quanto si osserverà al fr. 25 (Θεσσαλαί).

470 Sulla loro parentela con σκύζομαι, σκυδμαίνω, convincente Lamberterie 1994, pp. 25-28. A p- 26 s. per il rapporto con Poll. 5. 86 σκυζᾶν δὲ τὸ καθεύδοντας ὑποφθέγγεσθαι, Hesych. o 1150

Schm., Lex. Vind. 165. 14 N. 471 Lamberterie 1994, pp. 17-20, preferisce e difende la variante xvvàv, che afferma essere atte stata in questo luogo.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

zio (II 169 Lamb.), insieme all’astratto σκύζησις, variante di σκύζα con la suf-

fissazione tipica del linguaggio scientifico*?. Infine, ancora nell'epitome (XX 2 Gigon), il verbo é applicata alla cammella. Esso entra in serie con altri di identica formazione, senso e uso, specifici della scrofa in calore: θυᾶν (cf. Pherecr. fr. 185 K.-A. πάλιν αὖθις ἀναθνῶσιν αἱ γεραίτεραι, Diogenian. 4. 10 γραῦς ἀναθυᾷ. ἀντὶ τοῦ καπρᾷ. ἐπὶ τῶν παρ᾽ ἡλικίαν γυναικιζομένων, a fronte di Aristot. HA 546a 26-28, 573b 7-9 θυῶσαν δ᾽ οὐ δεῖ

εὐθὺς βιβάζειν [scil. la scrofa], πρὶν dv μὴ τὰ ὦτα καταβάλῃ: εἰ δὲ μή, ἀναθυᾷ πά-λιν, cf. anche 546a 26-28), καπρᾶν e affini (cf. Soph. fr. 652 R. xanpopavrict”*, Aristoph. PI. 1024 γραὸς καπρώσης τἀφόδια κατεσθίειν, Menand. fr. 434 K.-A., cit., Pherecr. fr. 186 K.-A. ἀνδροκάπραινα καὶ μεθύσῃ καὶ φαρμακίς, Phryn. fr. 34 K.-A. ὦ κάπραινα καὶ περιπολὰς xoi δρομάς, Hermipp. fr. 9 K.-A. ὦ σαπρὰ καὶ πασιπόρνη καὶ κάπραινα, de arboribus avibusque fabulae, VI 1. 15 GDRK Heitsch [PHeidel. 222, II-III d. C.] κάπραινα σὺ μυρρίνη, con Aristot. HA 572b 23-24 καὶ αἱ ὕες δ᾽ ὅταν ἔχωσι πρὸς τὴν ὀχείαν ὁρμητικῶς, ὃ καλεῖται καπρᾶν)"75.

Un dato a mio parere notevole, che ancora una volta segnala la singolarità di Filita, è il suo glossema xdrpa*. Esso non solo altrove è lemma, cf. Hesych. x 738 L. κάπρας᾽ àxoAacíac"7, il che in sé potrebbe non costituire dif472 Preferiamo considerare il termine semanticamente equivalente a σκύζα, piuttosto che «breeding season», come LS], s. v. 473 Cf. anche Hesych. 8 820 L. @väv- καπράν. ἐπὶ ὑός. Questa glossa, piuttosto che riferirsi ad un'occorrenza letteraria, sembra riflettere lessico tecnico, diversamente che An. Gr. 33. 20 Bk. porc ἀναθυᾷ ἐπὶ τῶν ἀνανεάζεῖιν καὶ ἀνηβᾷν πειρωμένων. ἐπὶ τινος πρεσβύτου tà νέων πειρωμένου δρᾷν.

474 Hesych. x 873 L. (così Latte, καρπο- H). Riguardo all'interpretamentum, εἰς κόρον (7) ἐξυβρί-ζουσα, forse si puó correggere κόρον in κάπρον. 475 Cf. Hesych. x 737 L. κάπραινα: ἡ καταφερής, ἀπὸ τῶν κάπρων (ἀπὸ τοῦ καπρᾶν mav. Latte), Phot. x 170 Th. (= Ael. Dion. x 10 Erbse) καπρῶντας" ὁρμητικῶς ἔχοντας πρὸς συνουσίαν (Naber nota la stranezza del maschile ἔχοντας, ma se si trattasse di occorrenza letteraria, in particolare comica,

potrebbe riferirsi, con connotazione ben scelta, alla ‘foia’ omosessuale), Eustath. 853. 32 κακρᾶν ἐκ τοῦ κάπρου λέγεται τὸ ἀσελγαίνειν, ὅθεν καὶ γυνὴ καπρῶσα ἡ ἀσελγής, 1183. 20 κατὰ Atkıov Διονύσιον καὶ κάπραινα γυνὴ ἡ ὀργῶσα πρὸς μίξεις (x 9 Erbse), καὶ xaxpáv κυρίως τὸ ὀρέγεσθαι κάπρου τὴν Ov, ὡς καὶ ταυρᾶν, φησί, τὸ ταῦρον ἐφίεσθαι τὴν Boov (Ael. Dion. e 10 Erbse), 1872 γυνὴ κακρῶσα ἡ μάχλος. Da

elencare un'altra attestazione comica: Scir. fr. 1 Kai. ἔνθ᾽ οὔτε κοιμὴν ἀξιοῖ νέμειν Bota, / οὔτ᾽ ἀσχέδωρος νεμόμενος καπρῴζεται (parodico di Eur. Hipp. 75 s.). Tale occorrenza è riferita al maschio, e non

reca il traslato degli altri passi comici. E comunque una testimonianza della precisa valenza stilistica di questa famiglia di vocaboli. Errata è la resa di ἀνασκυζᾶν in DGE s. v., «prob. tener un nuevo orgasmo»: il prefisso iterativo riflette il ripetersi della foia giovanile ad età avanzata. Ció ὃ evidente da Phryn. PS 18. 13 de Borr. τὸ δὲ ἀνασκυζάν σημαίνει μὲν «τὸ» αὐτό (scil. τὸ πρὸς τὸ πάσχειν ὀργᾶν), τίθεται δὲ ἐπὶ τῶν πρεσβυτέρων. πρόσκειται δὲ τὸ ἀνά σημαῖνον τὴν ἐξ ὑπαρχῆς ἐν γήρᾳ πρὸς τὸ κάσχειν

ὁρμήν e dall'uso dell’affine ἀναθυᾶν, per cui confronta, oltre a Pherecr. fr. 185 K.-A., cit., Phryn. PS 59. 15 de Borr., Hesych. a 4313 L. = Phot. a 1483 Th. (più generici sono Phot. a 1485 Th. = Suda a 1883). Esiste anche taupäv, per le mucche (Aristot. HA 572a 31 αἱ δὲ βόες ταυρῶσιν), che non ha cor-

rispettivo tra i comici, probabilmente per la mancanza di particolare connotazione sessuale dell'animale. Su questa serie di termini, le loro attestazioni, e ie loro parentele morfo-semantiche, cf. Lamberterie 1994, pp. 16-25; per alcune occorrenze nei comici, cf. Taillardat 1965, p. 160 s.

476 Ottimamente difeso già da Palmerius ap. Schrevel 1668, p. 850 n. 8.

477 Ingiustificata, alla luce del glossema filiteo, è la crocifissione del lemma da parte di Latte (che propone καπρείας).

Edizione e commento

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ficoltà, ma è anche specifico*®. Infatti, le occorrenze di σκυζᾶν sono rese con πρὸς τὸ πάσχειν ὁργᾶν, πρὸς τὸ πάσχειν ὁρμήν (Frinico), ἐπὶ τοῦ ἐξοιστρεῖν καὶ ἀκολασταίνειν (Fozio), ἐπὶ συνουσίαν ὁρμᾶν (Suda), ἔχειν πρὸς τὴν ὀχείαν ὁρμητικῶς (Aristot. HA 5720 23): ovvero con ὀργᾶν / ὁρμᾶν, che sono gli ipe-

ronimi generici per il desiderio sessuale*?, o con verbi ben lontani dall'essere marcati come κάπρα. Le possibilità di valutazione del vocabolo sono due: si può ritenere, con Lamberterie 1994, p. 21, che il vocabolo nulla abbia a che

fare con il lessico tecnico della riproduzione, e costituisca una retroformazione espressiva da καπρᾶν, limitata ad un impiego traslato ingiurioso*®. Ma d'altra parte, restando valido il processo di formazione ipotizzato da Lamberterie, non ? esclusa la costituzione di un κάπρα nel linguaggio stesso dell'allevamento, non sufficientemente formalizzato scientificamente da creare una forma del tipo σκύζησις, che troviamo nell'epitome attribuita ad Aristofane di Bisanzio.

Le conseguenze possibili sono che Filita abbia voluto glossare σκύζα: a) con un termine della stessa natura, raro, estremamente espressivo, forse di

diffusione popolare*!!, probabilmente tipico dell'ingiuria a sfondo sessuale; b) attingendo al lessico tecnico della riproduzione animale, e segnalando, in questo modo, origine e valenze del termine glossato, usato tropicamente nel passo da lui addotto*. Ci sembra preferibile l'uso del termine tecnico, quale glossema, anche se certamente non spiega l'uso di x&zpo*9. Un chiarimento puó derivare da un passaggio successivo, ipotetico, ma, ci sembra, doveroso. Il verbo

καπρᾶν,

in senso tecnico, è limitato, come

abbiamo

visto, al-

1' “estro” delle scrofe, mentre σκυζᾶν si applica a giumente, cagne e cammelle, ma mai alla femmina del maiale. Si presume, almeno dai dati in nostro possesso, che i relativi sostantivi possiedano le medesime specificità. Che Fi-

478 Talmente specifico da indurre Kuchenmüller, p. 107, a ipotizzare che il lemma esichiano xarpag glossi, a sua volta, l'interpretazione filitea di σκύζα. Analogo è Hesych. o 1382 Schm. σκάζει σκυζᾷ. ᾿Αχαιοί, su cui vd. Frisk, GEW II 741.

479 Cf. Lamberterie 1994, p. 15 s.

480 Lo studioso giunge a queste conclusioni a partire da κάπραινα, osservandone l'uso limitato ai comici,

e domandandosi se possa essere considerato il reale femminile di κάπρος, per il fatto

che «le masculin κάπρος désigne le mále reproducteur, il ne se préte guére à avoir un feminin»: sarà, conclude, un derivato di καπρᾶν, col suffisso di λέαινα, etc. «pour mieux faire ressortir la ^métaphore animale" du desir». Per lui, l'astratto ἀκολασία con cui κάπρα ὃ glossato in Esichio invia nella stessa direzione. Suggerisce che gli antichi potessero essere già consci di questa secondarietà, a partire da Hesych. x 737 L. xanpınva: ἡ καταφερής, ἀπὸ τῶν κάπρων. A p. 26 conclu-

de che, analogamente, σκύζα ὃ retroformazione da σκυζᾶν.

581 Cf. σκύζα nella defixio messinese.

482 Abbiamo visto (n. 473) che θυᾶν è glossato da καπρᾶν in Hesych. 8 820 L., col che si intende il termine in quanto tecnico, non nelle sue valenze traslate. 483 Lamberterie 1994, 23, cui l'interpretamentum non sembra fare problema, afferma: «le lexi-

cographe montre qu'il y voit bien lui-méme une désignation du dévergondage par métaphore animale».

158

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

lita, in un commento che dobbiamo ovviamente immaginare più ampio, volesse specificare che σκύζης nel luogo glossato stava per un più corretto xanpa? E che quindi il contesto dichiarasse che l'insulto sessuale prendesse a riferimento la scrofa? Non ci pare di applicare un teorema, se, di conseguenza, anche qui crediamo di reperire il Filita attento alla precisione nel lessico (ancora agro-pastorale), prima e al di là del suo uso in letteratura. E questo uno dei tre casi in cui una glossa filitea, o ritenuta sua, si ac-

compagna ad un frammento poetico, che la esemplifica. Nel caso di μελαγκράνινον (fr. dub. 29) concluderemo che non la glossa & del Coo, ma il distico. Nel caso di ἰάκχα (fr. 12) si era notato il carattere antiquario della annotazione, piuttosto che l'interesse per la parola poetica. Inoltre, il frammento era riportato senza indicazione di autore e d'opera, ma solo con una indicazione di provenienza. Egualmente adespoto ὃ il frammento che testimonia σκύζα. Si tratterà in un caso e nell'altro delle vicende della tradizione***, o

abbiamo un segnale che al glossatore poco interessavano l'auctoritas e la natura poetica della testimonianza, quanto quest'ultima in sé? Il terreno e quanto mai lubrico, ma conviene qui segnalare quanto si é altrove già evidenziato, ovvero che le glosse filitee riferibili ad esegesi letteraria o ad essa espressamente dedicate sono pochissime (vd. supra, p. 29).

44 C'è da dubitarne nel caso di ἰάκχα (fr. 12), poiché è comunque presente una precisa indicazione geografica.

Edizione e commento

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fr. 23 = 51 Kuch. = 56 Bach = p. 82 Kay. = Hecat. FGrHist 1 F 365 Jac. Hesych. v 262 Schm. ὑπ' avviv παρ᾽ Ἑκαταίῳ. Φιλητᾶς ὑπ' αὐνήν H: ὑπ᾽ αὐλήν᾽ παρ᾽ ἑκαταίῳ Is. Vossius ap. Alberti 1766, p. 1453 n. 3, ὑπ᾽ Αἰνήν vel ὑπ᾽ αὐyv. παρ᾽ Ἑκαταίῳ καὶ Φιλητᾷ Alberti 1766, p. 1453 n. 3, ὑπαυλίην Toup 1775, p. 138, "Axvn latere videtur [5], s. v., coll. Steph. Byz. 342. 17 M. (Philit. fr. 25 Kuch.) | rop' Ἑκαταίῳ Musurus: παρ᾽

ἑκατέω H | Φιλητᾶς Musurus: Φιλητάς H, φηλητής dub. Jacoby 1926, p. 374

La glossa appare impenetrabile‘, e nessuna delle proposte appare risolutiva. Vossius ap. Alberti 1766, p. 1453 n. 3, cosi fonda la sua: «ὑπαύλια et παραύλια idem sunt quod ἑκαταῖα, nempe sterquilinia et sordes, quae extra aulam projiciebantur. vid. sup. ropovAia»*, mentre Alberti 1766, p. 1453 n. 3, tenta di cavarsi d'impaccio in questo modo: «'Exatoiov ..., sive Ἑκάταιον ... est Ἑκάτης ἄγαλμα. Iam vero pro ὑπ᾽ αὐνήν, quo nihili est, levissima mutatio-

ne scribe, ὑπ᾽ αἰνήν, i.e. δεινήν, quo epitheto Hecate designatur ... Rariori nunc exemplo Philetas dixerit ὑπ' Aivrjv, pro τὸ τῆς Αἰνῆς ἄγαλμα, quod expl. He-

sych. παρ᾽ Ἑκαταίῳ, apud statuam Hecates*”. Quodsi minus arrideat conjectura, mallem simpliciter rescribere: vr’ αὐγήν. παρ᾽ Ἑκαταίῳ xoi Φιλητᾷ. ut, omissa expositione, duplici auctoritate ornatur phrasis». Jacoby 1926, p. 374,

si domanda se la glossa esichiana sia da quelle di Filita, o se sotto il nome di quest'ultimo si nasconda φηλητής, il cui sinonimo starebbe nel lemma corrot-

to. Infine, Kuchenmüller, p. 107 n. 1, dubitativamente, propone che si unisca la nostra glossa ad una precedente (v 260 Schm. ὑπ᾽ αὐλήν: ὑπ᾽ οἶκον), in maniera da costituirne una sola, ὑπ᾽ αὐλήν’ ὑπ᾽ οἶκον, παρ᾽ Ἑκαταίῳ, MArtact8.

Alberti 1766, p. 1453 n. 3, avrebbe ragione a dubitare della presenza di un frammento

di Ecateo in Esichio (che sarebbe, tra l'altro, l'unico), ma

se

esso fosse 'trascinato' dall'assunzione nel Lessico di una glossa filitea ogni perplessità sarebbe fuori luogo, benché abbiamo notato come sia proprio delle testimonianze letterarie che accompagnano la dottrina filitea la mancanza dell'auctor. Che Filita avesse affrontato Ecateo ὃ possibile, sia pure del

tutto in astratto. Ma cosi com'e trädita la glossa, anche senza interpretamentum, se si accetta la presenza

di Ecateo, qualsiasi considerazione ὃ senza

485 Cf. M. Schmidt, «glossam non expedio», C. Müller 1841, p. 21, «perobscurus est». 486 Corregge in ὑπ' αὐλήν («sotto casa») e intende, con cautela, Ἑκαταῖον = statuetta di Ecate

anche Tosi 1990-93, p. 297. Per Ἑκαταῖον = statuetta di Ecate egli rimanda a Aristoph. Vesp. 804 ed Hesych. e 1258 L. La glossa cui si riferisce Voss è Hesych. x 722 Schm. παραύλια’ tà παρὰ τὴν αὐλήν, olov πρόχωρα.

487 «Silentio est opprimenda» è il commento di Bach, p. 78, a questa congettura. 488 Non riesco a trovare fondamento nell'opinione di C. Müller 1841, p. 21, «tempore Alexandrinorum non esse antiquior manifestum est».

160

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

senso. Ad accettare le correzioni di Vossius e Tosi (ὑπ᾽ αὐλήν" παρ᾽ Ἑκαταίῳ),

che parrebbero le piü ragionevoli , benché risultino senza 'conforti', una difficoltà di non poco conto per quanto riguarda Filita & che la struttura della glossa non troverebbe alcuna corrispondenza nelle altre del Coo che ci sono tramandate. La precisazione di un'indicazione locativa, in forma di sintagma, non ha per niente carattere glossografico**: sembra piuttosto il chiarimento, su base contestuale, di un'espressione ellittica reperibile in un preciso testo, come si trova di frequente negli scolii. In definitiva, la glossa com'è tramandata non permette alcuna analisi, e si può anche ritenere, a buon diritto, che il nome di Filita sia corruzione”.

4° Può avvicinarvisi se si trattasse di un'espressione irrigidita. 4% La menzione da parte di Wilamowitz 1924, I, p. 116 e n. 2, ὑπ᾽ αὐτήν (sic), tra i «resti non sicuri di giambi» di Filita è senz'altro una disattenzione.

Edizione e commento

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fr. 24 = 52 Kuch. = 57 Bach = p. 82 Kay. Hesych. v 274 Schm. ὑπεζῶσθαι: τὸ εἰς ἄνδρας ἐλθεῖν. Φιλητᾶς ἄνδρας Salmasius ap. Schrevel 1668, p. 931 n. 7: ἁλίδρας H, ἀλινδήθρας Junius ap. Schrevel 1668, p.931 n.7 | Φιλήτας H

Hesych. v 275 Schm. ὑπεζωσμένοι: ἀναπείσαντες ἀνδρισθέντες dub. M. Schmidt

An. Gr.

395. 6 Ba. (Syn.) ὑπεζωσμένος: περιβεβλημένος. ἐπισυρόμενος

cf. Phot. II 241. 3 N. (ubi ὑποσυρόμενος); Suda v 184; Zon. 1782

Poll. 2. 219 ὁ δὲ πνεύμων κεῖται μὲν ὑπὲρ τὸ διάφραγμα, ὃ καλοῦσι καὶ φρένας, ὥσπερ τοὺς ἐν ταῖς πλευραῖς ὑμένας ὑπεζωκότας

IG 13 153. 9 s. (decr. nav. 440-25 a. C.) μ]εδὲ hunolovvvalı ἔλ] [αττον Ε.... «κοντὰ ἀ]νδράσιν IG 1{Π|2 1627a 49 s. (trad. cur. nav. 330-29 a. C.) ὑποζώματα ἐπὶ ναῦς σὺν | αἷς ἡ βουλὴ ὑπέζωσεν ἡ £x' Εὐαινέτου ἄρχοντος Herodot. 2. 85. 1 s. τύπτονται ὑπεζωμέναι καὶ φαίνουσαι τοὺς μάζους ... 2. ἑτέρωθεν δὲ οἱ ἄνδρες τύπτονται, ὑπεζωμένοι καὶ οὗτοι 1. ὑπεζωμέναι DR: ἐπεζωμέναι P!, ἐπεζωσμέναι ABCP*

| 2. ὑπεζωμένοι D: ἐπεζωμένοι P', ἐπεζώμενοι

V, ἐπεζωσμένοι ABCP

Herodot. 7. 69. 1 ᾿Αράβιοι δὲ ζειρὰς ὑπεζωμένοι ἦσαν, τόξα δὲ παλίντονα εἶχον πρὸς

δεξιά, μακρά ὑπεζωσμένοι dP!

Diocl. fr. 64 Wellm. et quidam pulmonem pati dixerunt ... quidam ὑπεζωκότα membranam, quae latera et interiora cingit (cf. anche ll. 29, 36, 41)

Phanodem. FgrHist 325 F 9 Jac. Διοπείθης δὲ ὁ Aoxpog ... παραγενόμενος εἰς Θήβας καὶ ὑποζωννύμενος οἴνου κύστεις μεστὰς καὶ γάλακτος καὶ ταύτας ἀποθλίβων ἀνιμᾶν ἔλεγεν ἐκ τοῦ στόματος

La glossa è stata d'ufficio attribuita all'attività lessicografica di Filita: in effetti, la presenza in Esichio fa dubitare che possa trattarsi di un suo frustulo poetico.

162

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

Il verbo, come si puó vedere, ὃ abbastanza raro prima dell'epoca imperiale, e le sue attestazioni non hanno nulla a che fare con il significato, pur non del tutto chiaro, fornito in Esichio. E termine tecnico per l'armatura na-

vale‘; in Erodoto il senso non è chiarissimo, ma sembra quello di cingere vesti più in basso del normale (2. 85. 1 s.)‘; cingere sotto le vesti*?. Di nessuna di queste che solo un punto di partenza per arrivare al traslato. Anche la lessicografia non è di alcun

in Fanodemo il significato è di occorrenze è possibile fare ansenso della glossa filitea, forse aiuto**.

Il perfetto sembra indicare uno stato raggiunto, cui ben si accorda la proposta di LS], s. v.: «prob. = come to man's estate»‘5. La situazione di ὑπεζωσμένος indicherebbe, quindi, il compimento del passaggio da una classe di età ad un'altra, specificamente la raggiunta virilità. Un possibile parallelo è individuabile in ζωστῆρες 'Evvoög / ἀνέρες di Callim. HAp. 85 s., riferito

al rituale dei Κάρνεια, se coglie nel segno la proposta di Nicolai 1992, pp. 163-167, di individuare in ζωστῆρες la denominazione di una classe d'età,

precisamente l'ultima nelle tappe dell'iniziazione, e che designa «giovani guerrieri ormai pronti per la vita adulta» (p. 165)*%. Stanti cosi le cose, il carattere della glossa filitea apparirebbe, ancora una volta, di carattere antiquario, e in relazione a pratiche rituali*”. Ma non ὃ forse da trascurare un'altra suggestione, provocata dalla correzione di Junius del tràdito ἀλίδρας: τὸ εἰς ἀλινδήθρας ἐλθεῖν. Il termine ἀλίν--

δησις è tecnico per un movimento del pancrazio**, e Poliakoff individua un analogo uso tecnico di ἀλινδήθρα nella definizione che ne ὃ data dal Magnum: τὰς Ev τοῖς κηρώμασι κυλήθρας. Ma piü esplicito ὃ Eustazio: 383. 34 ss.

491 Cf. le iscrizioni. Su tale uso del verbo (e sui relativi ὑποζώματα), vd. Morrison-Williams 1968, pp. 294-298, Morrison-Coates 1986, pp. 170-172, 197-200, 206, 212, 220 s. Uso metaforico in

Plat. Resp. 616c 2 ss., Leg. 945c 3 ss., cf. Orac. Chald. 35. 3. 492 Per la difesa delle lezioni con ὑπό, cf. Lloyd 1989, p. 306; per una possibile interpretazione, cf. Edwards 1975, p. 123 s. 553 Le attestazioni successive non portano nulla di rilevante rispetto ai significati segnalati. Una specializzazione nell'àmbito medico e testimoniata in Diocl. fr. 64 Wellm., Galen. anatom. administr. 7. 148 (II 591 K.), cf. Orac. Chald. 6. 1 e Poll. 2. 219.

494 Francamente incomprensibile risulta Hesych. v 275 Schm. ὑπεζωσμένοι: ἀναπείσαντες, con

tutta verosimiglianza corrotto. La proposta di M. Schmidt (ἀνδρισθέντες) va incontro a un significato che si può ritenere possibile per la nostra glossa, come vedremo. 495 Per εἰς ἄνδρα in questo senso, anche se con verbi piü specifici, cf. Plat. Theaet. 173b 2 eig ἄνδρας ἐκ μειρακίων τελευτῶσι, Theocr. 14. 28 μάταν εἰς ἄνδρα γενειῶν. Cf. la nota di Gow 1952, II, p. 253.

4% Per precedenti interpretazioni, cf. Williams 1978, p. 75 s.

19? La connotazione, come in Callimaco, sarebbe militare. Per Bach, p. 78, ὑπεζῶσθαι è, invece, «de mulieribus dictum, quae concubitus caussa viro tanquam substratae sunt», e la forma sarebbe un composto di ὑπό e ἐζόω (sic), riferibile a ἔζω, ἔζομαι. Kuchenmüller, p. 108, dichiara di non capire la glossa. 98 Cf. Poliakoff 1986, pp. 20-27, che menziona Hippocr. Vict. II 64, III 68, 76, 81 (da aggiungere III 89); Ruf. ap. Oribas. ecl. med. lib. inc. 18 (2). 11 R; Hesych. n 367 e 368 L.; Etym. M. a 852 L.L. (= Et. Gen. a 471 L.-L.). A questi si aggiunga Eustath. 383. 34 ss. e 836. 48 ss.

Edizione e commento

ἀλινδήθρα rap’ αὐτοῖς (scil. τοῖς ὕστερον) κυρίως μὲν 838. 48 ss. «ἀλινδήθρας ἐπῶν» (Aristoph. Nub. 904), στρας. Non è immediato capire cosa esattemente si del Marciano, ma se si trattasse di una forma legata

163

ἡ κατὰ πάλην Kovictpa; ἤγουν κονίστρας, παλαί-nasconda sotto 1 ἀλίδρας ad ἀλίνδω ed affini, allo-

ra si potrebbe intendere ὑπεζῶσθαι anche come relativo all’abbigliamento di un pancraziaste che si appresta a lottare (o ad allenarsi). E opportuno notare, anche se non & necessariamente un argomento contro di essa, che tale soluzione renderebbe la glossa esichiana assolutamente non integrabile, per contenuto, con le altre filetee. Si noti, inoltre, che questa

è l'unica in cui si interpreterebbe un verbo (sia pure un perfetto), a fronte di tutte le altre, il cui lemma e costituito da un sostantivo.

164

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

fr. 25 = 16 Kuch. = 26 Now. = 44 Bach = Philit., SH fr. 675C = p. 77 Kay. Hesych. 9 405 L. Θεσσαλαί: αἱ Κῷαι παρὰ Φιλήτᾳ, καὶ αἱ φαρμακίδες Θέσσαλαι vel Θεσσαλαί Iunius 1708, p. 400, Sopingus, Salmasius ap. Schrevel 1668, p. 440: θεσπάλαι H, Θετταλαί Bach, p. 74, Θεσσάλαι W. Dindorf, ThGL IV, col. 345c | Kam Musurus: Κωαὶ H, γόητες Unger 1850, p. 89 | καρὰ Musurus: x*

H | Φιλήτᾳ Musurus: Φίλητα H

La leggera corruzione del lemma esichiano ὃ stata subito emendata, con l'aiuto dell'immediato riferimento πριάμενος Θετταλήν, e del parallelo διαβάλλονται yàp oi Θετταλοὶ ὡς Θετταλαὶ καλοῦνται, e da Suda θ

ad Aristoph. Nub. 747 γυναῖκα φαρμακίδ᾽ ei costituito dal relativo scolio (ad 749a o), γόητες" καὶ μέχρι καὶ νῦν φαρμακίδες αἱ 289, che si riferisce al medesimo passo,

Θετταλὴ γυνή: ἐπὶ τῶν φαρμακίδων (segue un testo pressoché identico a quello dello scolio)*”. Ciò in relazione al secondo glossema. Il primo non è risultato di immediata comprensione: Valesius ap. Alberti 1746, p. 1704 n. 9, dichiarava di non capire l'equazione*9, aggiungendo «nisi et hae veneficio notabiles»5. Alberti 1746, p. 1704 n. 10, si metteva

sulla giusta strada ricordando

«Coi,

qui et Μέροπες dicti, teste Hesychio in voce; quod nomen Thessalis itidem datum»: cf. Hesych. μ 886 L. Mepones:... fj ἀπὸ Μέροπος, τοῦ πατρὸς Φαέθοντος,

Kdov. λέγονται δὲ καὶ Κῷοι Méponec. Che si tratti di una questione genealogica ha illustrato Unger 1850, p. 89. La denominazione verrebbe da Tessalo, figlio di Eracle e Calciope, a sua volta figlia di Euripilo*?: una discendenza da Eracle, quindi, rivendicata dai Coi®. Le uniche raccolte dei frammenti poetici in cui venga situata la nostra glossa sono quelle di Nowacki, Kuchenmüller e Lloyd-Jones / Parsons, i quali ultimi intendono risarcirne la mancanza nell'edizione di Powell. Per

Kayser e Bach si tratta di frammento del lavoro critico di Filita. Nowacki, p.

49 La bontà di una forma θέσπαλαι per Θεσσαλαί e stata difesa solo, che io sappia, da Grégoire 1949, p. 385 s. e n. 3 (con la collaborazione di J. Boüüaert), con un complicato gioco di mutamenti fonetici.

39 E cosi Kayser, p. 77. 501 Possibilità offerta anche da Bach, p. 74 (che non cita Valesius). Da parte sua, M. Schmidt

avanzava il suggerimento «vide num huc faciat AotuxdAoir πόλις tv Ka Steph. Byz.», che non appare produttivo. Si tratta di Steph. Byz. 140. 8 ss. M. ‘Acturdàma: ... δευτέρα πόλιςEv Ki. Su Tessalo e Cos, cf. Il. 2. 677 ss. xoà Κῶν Εὐρυπύλοιο πόλιν νήσους τε Καλύδνας / τῶν αὖ Φείδιππός t£ xai Ἄντιφος ἡγησάσθην / Θεσσαλοῦ vie δύω Ἡρακλείδαο ἄνακτος, e schol. Il. 2. 677. Nella somma delle isole dell'Egeo, Cipro e la Cirenaica, su 29 occorrenze del nome Θέσσαλος 17

si trovano a Cos (Fraser-Matthews 1987, p. 219 s.; in Osborne-Byrne 1994, p. 224, se ne reperiscono solo 4 ateniesi, di cui una dubbia; in Fraser-Matthews 1997, p. 207 s., altre 5, di àmbito peloponnesiaco, colonie comprese).

503 Similmente Kuchenmüller, p. 76.

Edizione e commento

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83 s., si rifa ad Unger 1850, p. 89, per il quale il παρά ὁ l’articolo davanti a

Κῷαι indicano l'estrazione del lemma da una composizione poetica di Filita**. Sarebbe giunto ad Esichio attraverso il commento di Nicanore**. Sen-

za nemmeno accennare alla possibilità di un alternativa Kuchenmüller, pp. 57 s. e 76 s., sostiene che Filita appelló cosi le sue concittadine, e forse nella Δήμητρα, che poteva essere una «elegia de rebus priscis Coorum»**,

L'incertezza ὃ comprensibile, e, allo stato attuale dei fatti é impossibile una sicura determinazione. Tuttavia va avanzata, seppure sommessamente, una questione di metodo. Filita poeta, si puó dire con una certa sicurezza, non ὃ tra gli autori expilati confluiti in Esichio. Lo ὃ peró, e non troppo occasionalmente, quale glossografo, mediante Panfilo: ne troviamo tracce dirette e indirette. Converrà dunque, in assenza d'altro, ascrivere la glossa all'attività di Filita grammatico. Il suo carattere, analogamente a quanto si é supposto per ἄμαλλα (fr. 18: p. 136 s.) e στάχυν ὄμπνιον (fr. 16: p. 123 s.), potrebbe

essere mitologico-antiquario.

504 Ma per παρά usato per citazione da opera grammaticale cf. n. 467. 505 Ipotizzato commentatore di Filita: cf. Wilamowitz 1906, p. 152, Wendel 1920, pp. 74, 128, nonché Wendel

1936, Nowacki, pp. 20, 80, Gow

1952, I, p. XXVII n. 2, Sherwin-White 1978, p.

19, Hardie 1997, p. 21 n. 2. Contra, Kuchenmüller, p. 29 n. 1, Bulloch 1973, p. 84 n. 1. In effetti, dagli scholl. Theocr. 7. 5-9k, o, non si ricava il minimo indizio che Nicanore di Cos abbia commentato Filita (anche se nemmeno vi si trovano elementi contrari; Bulloch 1973, p. 84 n. 1, ritiene che il secondo scolio dimostri che il commento era su Teocrito). Sarà preferibile non mettere in gioco una tale ipotesi. Con l'approvazione di Fraser 1972, II, p. 917 n. 290, e Sherwin-White 1978, p. 309, che ricorda la tessala Mestra, madre di Euripilo, definita φαρμακίς in schol. Lycophr. 1393, concludendo che sembra possibile che nella Demetra vi sia un riferimento ad essa (sembra esserci un'imprudente fusione tra i due interpretamenta esichiani, in principio da lasciare separati). Per l'attribuzione del frammento alla Demetra, gia Unger 1850, pp. 10, 89. Per la possibilità di un xtiong-Gedicht da parte di Filita, vd., da ultimo, Sbardella 1996, pp. 93-115.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

fr. 26 = 56 Kuch. = 61 Bach = p. 84 Kay. schol. A Il. 2. 269c (Ariston.) (ἀλγήσας δ᾽ ἀχρεῖον ἰδὼν: ὅτι Φιλίτας τὸ ἰδών περισπᾷ, οἷον τῶν ὀφθαλμῶν, ἰδεῶν. οὐδέποτε δὲ Ὅμηρος ἰδέας τοὺς ὀφθαλμοὺς εἶπεν. ἔστιν οὖν τὸ ἀχρεῖον ἰδών εὐτελῶς σχηματίσας 1. ἀλγήσας δ᾽ del. Villoison 1788, p. 61 | fort. ἡ διπλῆ, ὅτι Erbse 1969, p. 242 | Φιλίτας Erbse 1969, p. 242: φιλιτᾶς A | 3. εὐτελῶς R. van Bennekom ap. Erbse 1988, p. 277: ἐντελῶς A Il. 2. 269 ἀλγήσας δ᾽ ἀχρεῖον ἰδὼν ἀπομόρξατο δάκρυ

Non si tratta, come si può vedere, di varia lectio né di congettura”. Filita ha, ovviamente, interpretato sulla base di una scrittura senza segni diacriti-

ci**. Non è, quindi, un vero e proprio intervento testuale, ma una lettura diacritica del testo, ovviamente sulla base di un'interpretazione. Questa & talmente eigenwillig da sembrare imputabile totalmente a

Filita:

difficilmente si potrà supporre che egli difendesse una interpretazione vulgata. Infatti, essa non solo non resiste al pricipio dell’ Ὅμηρον ἐξ Ὁμήρου σαφηνίζειν,

applicatogli contro nello scolio, ma già risulta sconcertante per il fatto ἰδέα col senso di "occhio" in greco non esiste, e la stessa contrazione sarebbe impossibile in Omero”, come, del resto, in attico, ad esempio. Filita dimostra, oltre a una

particolare ossessione per gli occhi, come vedremo in un altro luogo (cf. fr. 28), di situarsi a un livello nell'esegesi omerica piuttosto primordiale, evidentemente collegabile ad una situazione e ad un periodo in cui la strumentazione per affrontare Omero in termini che non fossero genericamente contenutistici non era stata ancora approntata, e il xpırıxög, improvvisato o meno, si trovava, per cosi dire, in preda al proprio arbitrio di fronte al testo?!°. E forse, sotto questa

angolazione, non è indifferente che Filita fosse poeta?!!.

377 Per quest'ultima si dichiara, con estrema fermezza, Barth 1984, p. 160: certamente una disattenzione.

508 Cf. Segenbusch 1855, p. 53 s.

5 Vd. il giudizio di Lehrs 1882, p. 46 (= 1833, p. 55), su Filita critico omerico, per cui parte proprio da questo esempio: «sed idem Philetas vide quam ridiculis erroribus obnoxius fuit. Sch. B 269».

510 Il tentativo di Filita partirebbe, per Kuchenmiiller, p. 109 s., dall'incomprensione del nesso

ἀχρεῖον ἰδών, e la soluzione dall'analogia con ἀκοή, che significa anche "orecchio". [noltre, egli rimanda a Hesych. i 222 L. ti&ov ὀφθαλμοίτ, crocifisso, ci pare giustamente, da Latte, e del cui lemma peraltro sembra dubitare lo stesso Kuchenmüller. Schröter 1959, p. 826, ritiene anch'egli che la difficoltà di interpretazione di ἀχρεῖον sia alla base della 'trovata' di Filita, ma specifica che «vermutlich führte den Philetas hier ... zur Etymologie, die dann Werkzeug des ἀνάγνωσις wird»: non ne capiamo la pertinenza.

5!! È forse opportuno qui discutere un'affermazione di Pfeiffer 1968, p. 287: «Aristofane è il

primo grammatico

di cui è citata l'accentuazione

(Schol.

[P] n 317 ᾿Αριστοφάνης xepioxá τὸ

Edizione e commento

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fr. 27 = 57 Kuch. = 62 Bach = p. 85 Kay. POxy. 221, col. IV 26 ss. πότνιαί

δὲ «Urra Avée»............... (.) ὅτι dl ἰχθὺς ὁ Λυκάονος τὸ δημὸν φαγὼν!) πίε)λιμίελώδης γενόμενος τὸ xpu-] ὃς φείύξεται. ἀγνοεῖ δὲ ὅτι τὸ δια-]

νεστηκὸς τῆς θαλάσσης ἐπιπολῆς, οὐ τὸ κίρύος φησὶν Ὅμηρος φρῖκα!

«ὡς δ᾽ ὅ(θ᾽ ὑπὸ φρικὸς Βορέω &va-l πάλλιίεται ἰχθύς», τῆς ἐπιτρεχού-] σης καϊτὰ τὴν θάλασσαν πρὸ τῆς! τοῦ χίειμῶνος ἐμβολῆς 26. «|, erat (ni fallor) ἅ, quod aut ipse delevit, aut in n mutavit; hoc probabilius esse puto; I. 24-6 sic fere suppleverim...&ótvia fjpn (O 83)» Erbse 1977, p. 86

! 26 s. (post ἥρη) φιλήτας καὶ καλλί--

στρατος! Erbse 1977, p. 86 | δὲ «ὑκαλύξει ......... φησὶν ὅτι! fere Erbse 1977, p. 86 | 28. suppl. Erbse 1977, p. 87: ἰχθὺς ὁ φαγὼν τὸν Λυκάονος &nuòv] Grenfell-Hunt 1899, p. 61 | 29. ze pap., posti vest.

incertiss. | del. Erbse 1977, p. 87 | 30. ἐσφεί pap., e ipse del. et o ss. | 36. suppl. Grenfell-Hunt 1899, p. 61, ἀνέμου Porph.

schol. A Il. 21. 126-27a (Ariston.) θρῴσκων τις κατὰ κῦμα μέλαιναν φρῖχ᾽ ὑπαΐξει πρὸς

Villoison 1788, p. 467, αἱ διπλαῖ πρὸς mav. Erbse 1977, p. 148 | Φιλήτας Kuchenmüller, p. 110: Φιλητᾶς A | 3. φρίχ᾽ A 1 6 s. ἡμεῖς— πάχνην secl. Lehrs 1882, p. 90 (= 1833, p. 99) | 7. ὅς ex ὥς corr. A (ut vid.) | φάγῃσι «ἀντὶ τοῦ» ὃς dub. Polak 1881, p. 86

schol. Ai" Il. 21. 126-27b? οὕτως ᾿Αρίσταρχος, ἀλλοι δὲ «ὑπαλύξει»

εἰδῇς)». Ora, tale dettato ὃ perfettamenta analogo a quello applicato a Filita, da cui consegue che se ció significa, come sembra ritenere Pfeiffer, la prova piü forte di una accentuazione dei testi omerici da parte di Aristofane di Bisanzio, tale pratica andrebbe retrodatata allo stesso Filita. Oppure é da concludere, meglio, che tali annotazioni non corrispondono necessariamente ad una pratica diacritica. Sulla accentazione come parte della διόρθωσις nella filologia antica, cf. Nagy 1996, pp. 121, 125.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

schol. bT Il. 21. 126-27c (ex.) θρῴσκων τις κατὰ κῦμα μέλαιναν φρῖχ᾽ ὑπαΐξει «7 ἰχθύς, ὅς xe φάγησι — δημόν»: οὕτως ai ᾿Αριστάρχου «μέλαιναν φρῖκ᾽ ἐπαΐξει», ἡ δὲ Xia «μελαίνῃ φρίχ᾽ ὑπαΐξει» ... Φιλήτας δὲ ἀρεσκόμενος τῇ ὑπαλύξει γραφῇ φησιν ὡς ἐκεῖνος ὁ λιπανθεὶς ἰχθὺς ὑπὸ τοῦ δημοῦ τὴν ψυχρασίαν ὑπαλύξει 2. ἰχθύς, ὅς κε φάγῃσι --- δημόν suppl. Erbse 1977, p. 151

| οὕτως αἱ ᾿Αριστάρχου «μέλαιναν T: ὁ μὲν

᾿Αρίσταρχος b | 3. ἡ δὲ Xia «μελαίνη T (μελαίνῃ Heyne 1802, p. 136): οἱ δὲ ἄλλοι b | 3. epiy' Heyne

1802, p. 136: φρῖχ᾽T, om. b | ὑπαίξει b: ὑκαῖξαι T | φιλίτας b

schol. Ai"! II. 21. 127 (Ariston.) «ὅς xe garmar:> ὅτι ἀντὶ τοῦ ὃς φάγοι àv le. add. Bekker 1825, p. 572 (fort. φάγησιν Erbse 1977, p. 152)

| ὅτι A: «ἡ διπλῆ > ὅτι Villoison

1788, p. 468

scholl. D Il. 21. 126 θρῴσκων τις κατὰ κῦμα] ἐφαλλόμενος καὶ νηχόμενός τις τῶν ἰχ-θύων κατὰ θάλασσαν καὶ ἐμπλησθεὶς τῆς Λυκάονος πιμελῆς, πάλιν ὑπὸ τὴν μέλαιναν φρῖκα κατελεύσεται. φρὶξ δέ ἐστιν ἡ ἠρεμαία τοῦ ὕδατος κίνησις ὑπαΐξει) ὁ δὲ νοῦς" ὁ δὲ ἰχθὺς οὐκ ἐπιπολῆς γενήσεται, ἀλλ᾽ ἐπὶ τὴν φρῖκα dita: τὰ γὰρ νεοσφαγῆ τῶν σωμάτων ἄνωθεν ἐπιπλεῖ cite] ὑπονήξεται- ὑπεκκλινεῖ schol. D Il. 21. 127 οὐ δεῖ τὸ «ὅς κε φάγῃσιν» ἄρθρον ὑποτακτικὸν λαμβάνειν, ἀλλ᾽ ἀντὶ τοῦ ὡς κεν, ἐπίρρημα

Porphyr. 1.37. 7 ss. Sodano (rec. V) «ὁ δὲ βέλτιστος ᾿Αριστοφάνης κἀκεῖνο τὸ ἐν ταῖς Παραποταμίαις λεγόμενον (p. 190 SI.)- «θρῴσκων τις κατὰ κῦμα μέ-λαιναν φρῖχ᾽ ὑπαλύξει / ἰχθῦς, ὅς κε φάγῃσι Λυκάονος ἀργῆτα δημόν», δείκνυσι ὡς ἡμαρτημένον ὑπολείποιτο ἐκ τῆς παλαιὰς γραμματικῆς. οὐ γὰρ χρὴ τὸ «ὅς κε φάγῃσιν» ἀκούειν ὡς ἄρθρον ὑποτακτικόν, μᾶλλον δὲ ἀντ᾽ ἐπιρρήματος παρει-λῆφθαι τοῦ ὡς, ἢ μᾶλλον σύνδεσμον αἰτιώδη. δηλοῦται Yap: ἵνα φάγῃ: σκοπῶν δὴ (ὡς γὰρ τὸ σύμπαν προσεχῶς συντέτακται), κατὰ τὴν τούτου γνώμην, ἀκολούθως ὑποδύσεται τὸν ἀφρὸν ὁ ἰχθῦς. καὶ τοῦτο ἀναγκασθήσεται πρᾶξαι καὶ ἐπιπο-λαίως ὑπονήξεται τοῦ ὕδατος ὑποδεδυκώς, ἐπεὶ καὶ τῶν ἀποθανόντων τὰ σώματα, ἕως dv ἦ πρόσφατα καὶ διῳδηκότα, ἄνωθεν ἐπιπλεῖν εἴωθεν» ... 39. 5 s. τοιαῦτα δὴ τοῦ Φιλήμονος λέγοντος ... 39. 17 55. τῷ δ᾽ ᾿Αριστοφάνει ὅπως συντέθειται τὰ κατὰ Λυκάονα καταμάθωμεν. βούλεται τὸν ἰχθῦν ὡς καταφάγῃ τὸν τοῦ Λυκάονος δημὸν θρώσκειν κατὰ κῦμα καὶ ὑπαΐσσειν τὴν φρίκην" καί φησιν: «ἐπιπολαίως ἐπινήξεται, τῷ ἀφρῷ τοῦ ὕδατος ὑποδεδυκώς, ἐπεὶ καὶ τῶν ἀποθανόντων τὰ σώματα, ἕως dv 7 πρόσφατα, ἄνωθεν ἐπιπλεῖν εἴωθεν». πρῶτον μὲν οὖν οὐκ ἔστιν ἐπινοῆσαι νηχόμενον ἰχθῦν ὑπεράνω μὲν ὕδατος, ὑποκάτω δὲ ἀφροῦ τοῦ ὕδατος, οὐδὲ τούτων μεταξὺ νεκρὸν ἄνδρα φερόμενον. ἀλλ᾽ οὐδὲ τὴν φρίκην ἀκούειν δύναμαι τὸν ἀφρόν, Ὁμήρου μὲν «μέλαινα φρίκη» λέγοντος: τούτου δὲ ἀξιοῦντος λευκότητα ἀκούειν, ἐπί τε τοῦ Πρωτέως λέγει πάλιν "Ὅμηρος «μελαίνῃ

Edizione e commento

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φρικὶ καλυφθείς» (Od. 4. 402), ἀλλαχοῦ τῆς φρικὸς μνημονεύσας ἐπάγει: «μελάνει δέ τε πόντος ὑπ᾽ αὐτῆς» (Il. 7. 63 s.). καὶ ἔστιν ἡ φρὶξ κινουμένου τοῦ πνεύματος ἀρχή ... 41. 2 ss. τὸ δὲ λέγειν ὅτι τὰ πρόσφατα σώματα φέρεται τῶν κυμάτων EMRO-

λαίως, ψεῦδος ... 41. 15 ss. τίς οὖν ὁ νοῦς τῶν ἐπῶν; διττὴ γὰρ ἡ γραφή: ἐν οἷς μὲν γὰρ γράφει «μέλαιναν φρῖχ᾽ ὑπαΐξει», ἐν οἷς δὲ γράφει «μέλαιναν φρῖχ᾽ ὑπαλύξει». κἂν μὲν κατὰ τὴν «ὑπαΐξει», φήσομεν λέγειν αὐτόν: τῶν πηδώντων τις κατὰ τὸ κῦμα ἰχθύων ὑπὸ τὴν φρῖκα ἀίξει, τουτέστιν ἐκ τοῦ ἄνω θρώσκειν παυσάμενος ὑπὸ τὴν φρῖκα ὑποδύσεται καὶ ὁρμήσει κάτω, συγκαταφερόμενος τῷ νεκρῷ, ὡς φάγῃ τοῦ Λυκάονος τὸν δημόν. τοῦτο μὲν οὖν, εἰ ἐπιπολῆς τοῦ κύματος θρώσκειν ὑπακούοιμεν. εἰ δ᾽ ἐκ βάθους ἀναπηδῶντα ἐπὶ τὸ κῦμα, ἔσται ὡς ἐπὶ τοῦ λίθου εἶπεν «ὕψι t' ἀναθρώσκων πέτεται» (Il. 13. 140), ἵνα σημαίνῃ τὸ ἐκ τοῦ βυθοῦ κάτωθεν κατὰ τοῦ κύματος θορεῖν, μὴ μέντοι ὑπερθορεῖν τὴν φρῖκα, ἀλλ᾽ ὑπ᾽ αὐτὴν ὄντα ἅπτεσθαι τοῦ νεκροῦ, εἰ ἐπιπολαίως φέροιτο. εἰ δ᾽ «ὑπαλύξει» γράφοιτο, φησὶ Πολύκλειτος τὸν νοῦν τοιοῦτον ἔσεσθαι καταδύσεται μὲν εἰς τὸ βάθος τοῦ κύμα-τος ὁ ἰχθῦς φεύγων τῆς φρίκης τὴν ψυχρότητα. καὶ γὰρ αὐτῷ πολεμιώτατον. τοῦ γοῦν χειμῶνος ἐκ τοῦ πέλαγος εἰς τὴν γῆν xataipovor: πολλοὺς δὲ αὐτῶν καὶ

φωλεύειν κατὰ βάθους διὰ τὴν αὐτὴν αἰτίαν ἱστορεῖ καὶ ᾿Αριστοτέλης (fr. 333 R.) ἐν τῷ ζ Περὶ ζώων φύσεως: ψυχροτάτη δ᾽ ἡ φρίκη, καὶ μάλιστα ἂν βόρειος T). γενόμενος δ᾽ ἐν τῷ βάθει τοῦ Λυκάονος ἔδεται τὸ λίπος. οὐ δοκεῖ δέ μοι οὗτος ὀρθῶς τὸν νοῦν τῶν ἐπῶν ἀποδοῦναι. οὐ γὰρ εὐθὺς αὐτόν φησιν “Ὅμηρος σφαγέντα καὶ ῥιφέντα τοῦτο παθεῖν, ἵν᾽ ἐκδεχώμεθα ὅτι κάτω ἐνεχθέντος ὁ ἰχθῦς κάτω χωρεῖν λέ-γεται εἰς τὰ βάθη τοῦ κύματος ἐπὶ τὴν βρῶσιν, ἀλλ᾽ ἐξενεχθῆναι ὑπὸ τοῦ Σκαμάνδρου ἐπὶ τὴν θάλασσαν, ὥστε οὐκέτι αὐτὸν ὑποβρύχιον, ἄνω δ᾽ ἐπιπλεῖν ἀνάγκη. ἔχει γὰρ οὕτω τὰ ἔπη «ἐνταυθοῖ νῦν κεῖσο μετ᾽ ἰχθύσιν, οἵ σ᾽ ὠτειλῆς 9} αἷμ᾽ ἀπολιχμάσονται ἀκηδέες: οὐδέ σε μήτηρ / ἐνθεμένη λεχέεσσι γοήσεται, ἀλλὰ Σκάμανδρος / οἴσει δινήεις εἴσω ἁλὸς εὐρέα κόλπον» (Il. 21. 122-125), οἷς ἐπάγει: «θρώσκων τις κατὰ κῦμα μέλαιναν φρῖχ᾽ ὑπαΐξει / ἰχθῦς, ὡς κε φάγῃσι Λυκάονος ἀργῆτα δημόν». νεοσφαγῆ μὲν οὖν ὄντα φησὶ «κεῖσο μετ᾽ ἰχθύσιν», ὡς ἂν κάτω ἀπενεχθέντα, ὅπου φησὶ τῆς ὠτειλῆς αὐτοῦ τὸ αἷμα ἀπολιχμάσεσθαι τοὺς ἰχθῦς; χρονίζοντα δὲ ἄταφον ἐκβληθῆναι εἰς τὴν θάλασσαν ὑπὸ τῶν ποταμῶν, ὅτε καὶ ἀναπλεῦσαι ἀνάγκη, καὶ θρώσκοντα οὐχ ὑπὲρ τὸ κῦμα ἰχθῦν ἀλλὰ κατὰ τὸ κῦμα («κατὰ κῦμα» γὰρ ἔφη, οὐχ ὑπὲρ κῦμα) ὑπὸ τὴν φρῖκα ἀίξαι. τὸ γὰρ μέτρον τῆς εἰς τὰ ἄνω ὁρμῆς τοῦ ἰχθύος δηλῶν ἀφορίζει ἄχρι τῆς φρικός. οὐ γὰρ ἀν ἐπέθρωσκε κατὰ κῦμα, ἀλλ᾽ ὑπὲρ κῦμα, εἰ καὶ τὴν φρῖκα ὑπερεπήδα. ἐκφερομένου οὖν ὑπὸ τῶν ἐκβολῶν τοῦ ποταμοῦ πηδῆσαι κατὰ τὸ κῦμα φησὶ τὸν ἰχθῦν καὶ γενέσθαι ἄνω ὑπὸ τὴν φρῖκα, ἔνθα ἐντεύξεται τῷ νεκρῷ. οὕτως ἐξηγήσαντο καὶ οἱ ᾿Αριστάρχειοι λέ-γοντες᾽ «ὑπὸ τὴν φρῖκα ἀίΐξει τις τῶν ἰχθύων κατὰ τὸ κῦμα κολυμβῶν, ὃς φάγοι ἄν τὸν τοῦ Λυκάονος δημόν. πάντως γὰρ ἔδει τὸν μέλλοντα τοῦ ὑπερφερομένου νεκροῦ ἅπτεσθαι ἰχθῦν ἄνω μετέωρον ὑπὸ τὴν φρῖκα ἐλθεῖν». Φιλητᾶς δὲ τῇ «ὑπαλύξει» γραφῇ συντιθέμενός φησιν, ὅτι ὁ φαγὼν ἰχθῦς τοῦ Λυκάονος τὸν δημὸν πιμελώδης γενόμενος τὸ κρύος φεύξεται. ἀγνοεῖ δὲ καὶ οὗτος, ὅτι τὸ διανεστηκὸς τῆς θαλάσ-ong ἐπιπολῆς, οὐ τὸ κρύος φησὶν Ὅμηρος φρῖκα᾽ «ὡς δ᾽ ὅθ᾽ ὑπὸ φρικὸς Βορέω ava-

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

πάλλεται ἰχθῦς» (Il. 23. 692), τῆς ἐπιτρεχούσης κατὰ τὴν θάλασσαν πρὸ τῆς τοῦ ἀνέμου ἐμβολῆς. καὶ ἐπὶ τοῦ συὸς κατὰ μεταφοράν- «φρίξας εὖ λοφιήν» (Od. 19.

446): καὶ «ἔφριξε δὲ μάχη φθισίμβροτος» (Il. 13. 339) varianti della rec. x: 11 5. τῷ δ᾽ ᾿Αριστοφάνει ὅπως συντέθειται τὰ κατὰ Λυκάονα καταμάθωμεν. βούλε-ται τὸν ἰχθὺν ὡς καταφάγῃ V: ὁ μὲν οὖν ᾿Αριστοφάνης βούλεται τὸν ἰχθῦν, ὥστε καταφαγεῖν

| 13. ἢ δια-

φαγόντα (secll. Ka. Schrader) post δημόν add. x | φρίκην V: φρῖκα x (et sic semper ubi V φρίκη) | 13 s. ἐπιπολαίως V: ἐπιπολῆς x (et sic semper ubi V ἐπιπολαίως) | 14. ἐπεὶ V: ἐπειδὴ χ 1 15.5 V: εἴη χ I 19. λευκότητα V: Aeuxótatov x | 20. καὶ ἀλλαχοῦ᾽ «ὡς δ᾽ ὅθ᾽ ὑπὸ φρικὸς Βορέω ἀναπάλλεται ἰχθῦς 7 θινὶ &xi φυκιόεντι μέλαν τέ E κῦμ' ἐκάλυψε» (II. 23. 692-693) add. x post καλυφθείς

| μελάνει V: μελανεὶ

X ! 25. κατὰ τὴν V: κρατήσῃ τὸ x | 26. ἄνω V: ἄνωθεν x | 27. ὑκοδύσεται V: ὑποδύεται x | 27 s. ὡς φάγῃ τοῦ V: ὃς φάγῃ ἄν τοῦ χ | 29. ὑκακούοιμεν V: ὑκακούομεν x | 30. εἶπεν Ν: εἴρηκεν x | ἵνα σημαίνῃ V: ἐπὶ τοῦ ἰχθύος τὸ ὑψοῦ x | 31. κατὰ τοῦ κύματος V: κατὰ κύματος x | 33. νοῦν τοιοῦτον

ἔσεσθαι V: νοῦν ἔσεσθαι x, | 34. πολεμιώτατον V: πολεμιοτάτῃη x | 35. οἱ ἰχθύες add. x post καταίρουσιν | 36. ἱστορεῖ καὶ V: ἱστορεῖ γὰρ καὶ ὁ x | 37. ζ V: ἑβδόμῳ χ | 38 s. οὗτος ὀρθῶς τὸν νοῦν τῶν ἐπῶν ἀποδοῦναι V: τινα τούτων ὀρθῶς ἀποδεδωκέναι τὸν νοῦν τῶν ἐπῶν X | 39. αὐτόν φησιν Ὅμηρος V: φησιν

Ὅμηρος αὐτόν x | 40. ἵν᾿ V: ἵνα x | 41. ἐξενεχθῆναι V: ἐξενεχθέντα x | 42. ἄνω δ᾽ V: ἄνωθεν δὲ αὐτὸν X I 45. οἷς ἐπάγει om. x | 47. φησὶ «κεῖσο μετ᾽ ἰχθύσιν» V: φησὶ κεῖσθαι μετ᾽ ἰχθύσιν x | 49. τῶν ποταμῶν

V: τοῦ ποταμοῦ x | 57. τὸν τοῦ Λυκάονος V: τὸν Λυκάονος x | 60. φεύξεται V: ἐκφεύξεται x. | οὗτος V: τοῦτο χ | 64. ἔφριξε V: ἔφριξεν x | ἐγκείῃησιν post φθισίμβροτος add. x

Eustath. 1227. 4 ss. καὶ ὅτι «θρῴσκων τις κατὰ κῦμα μέλαιναν φρῖχ᾽ ὑπαλύξει ἰχθύς» ἢ «ὑπαΐξει», τουτέστιν, ἐκ τῆς ἄνω μελαίνης φρικός ... συγκαταδύσεται τῷ Λυκάονι κάτω, ὑπαΐξας ἢ ὑπαλύξας, τουτέστιν ἀφεὶς καὶ ἐκφυγών, τὴν ἐπιπολάζουσαν φρῖκα ... καὶ τῇ γραφῇ

δὲ τοῦ «ὑπαλύξει» ἀρεσκόμενοι ... ὑπαλύξει, τουτέστιν ἐκφεύξεται, διὰ τὴν ἐκ τῆς λιπάνσεως θερμότητα τὸ θανατηφόρον ψῦχος, ὡς φρικός, φησί, λεγομένου τοῦ ψύχους, ὅπερ οὐκ ἔστιν Ὁμηρικόν

schol. A Il. 6. 459 (Ariston.) εἴπῃσιν: ὅτι τὸ εἴπῃσιν ἀντὶ τοῦ εἴποι ἄν. ἡ δὲ ἀναφορὰ πρὸς Φιλίταν γράφοντα «... ὑπαλύξει» (Il. 21. 126). οὗτος γὰρ μὴ νοήσας ὅτι τὸ «ὑπαΐξει» (Il. 21. 126) ἐστὶ τὸ ἐφορμῆσαι ὑπὸ τὴν φρῖκα, τουτέστι τὸ τοῦ ὕδατος ἐπανάστημα, ὃς φάγοι ἀν Λυκάονος τοῦ δημοῦ (cf. Il. 21. 127), τὴν φρῖκα ἐδέξατο τὴν ὑπὸ τοῦ ψύχους γινομένην φρίκην καί φησι τοὺς πιμελώδεις τῶν ἰχ-θύων ὑπομένειν τὸ ψῦχος, ὥστε ὃς ἂν τὸ τοῦ Λυκάονος λίπος φάγῃ, ἐκκλινεῖ τὴν

φρίκην 1. «ἡ διπλῆ» ὅτι Villoison

1788,

p. 172

| 2. Φιλίταν

Erbse

1971, p. 209: φιλητὰ A, φιλήταν

Kuchenmüller, p. 110 («fort. rectius» Erbse 1971, p. 209) ! γράφοντα Villoison 1788, p. 172: γράφοντι A

| 3. ὑκαΐξει A, fort. ὑκαΐξαι Erbse 1971, p. 209

| 4. ὃς: scil. τοῦτον, ὃς (Erbse 1971, p.

209) | δημοῦ Villoison 1788, p. 172: δήμου A ! 6. φάγη Friedlaender 1853, p. 125: φάγοι A | ἐκκλι-νεῖ Erbse 1971, p. 209: ἐκκλίνει A

schol. A Il. 7. 171a (Ariston.) κλήρῳ νῦν πεπάλασθε «διαμπερές, ὅς κε λάχῃσιν»: ... καὶ πρὸς τὸ Ady no, ὅτι ὃς ἂν λάχοι. ἡ δὲ ἀναφορὰ πρὸς τὸ «ἰχθύς, ὃς xe φάγῃσι» (Il. 21. 127) πρὸς Φιλίταν

Edizione e commento

171

2. λάχοι Friediaender 1853, p. 130: λάχῃ A | ἰχθύς Bekker 1825, p. 207: ἰχθῦς A

Hom. Il. 21. 126 s. θρῴσκων τις κατὰ κῦμα μέλαιναν φρῖχ᾽ ὑπαΐξει ἰχθύς, ὅς κε φάγῃσι Λυκάονος ἀργέτα δημόν

Alle questioni sollevate da questo locus conclamatus dell’esegesi omerica antica hanno dedicato ampio spazio C. A. J. Hoffmann 1864, pp. 266-269, Valk 1964, pp. 2-4, e soprattutto Barth 1984, pp. 155-174 (con bibliografia precedente), cui si rimanda per l'analisi di tutti i dettagli. Per valutare la posizione di Filita, sono rilevanti alcuni dati, quali enucleati nella suddette discussioni: a) ὑπαλύξει non è congettura, ma lezione vulgata”; b) Filita e Callistrato intendono ὑπαλύξει 'omericamente", con il senso di

"evitare un qualche male"5!5; C) essi interpretano φρίξ come sinonimo del postomerico φρίκη (ovvero =

“brivido di freddo")

512 Valk 1964, p. 3 s., osserva a) come ὑπαλύξει sia la lezione di gran parte della tradizione manoscritta, e, allo stesso tempo, come congetture altre da quelle aristarchee non trovino accoglienza nella vulgata (cf. anche Barth 1984, p. 160); b) come difficilmente un vulgato ὑπαίξει sarebbe stato rifiutato per una congettura ὑκαλύξει, che avrebbe recato con sè grosse difficoltà interpretative (cf. anche Barth 1984, p. 160); c) che quest'ultima lezione è difesa ancora da Policleto, da situare, sembra, nel I o II sec. d. C. A tal proposito, Barth 1984, p. 160 s., argomenta che tale posizione non si spiegherebbe se ὑπαλύξει fosse congettura già rifiutata da Aristarco: tanto & vero che Policleto difende la lezione evitando di basarsi sull'interpretazione di φρίξ di Filita e

Callistrato, evidentemente conscio delle ragioni contrarie offerte da Aristarco; d) che ὑπκαλύξει è recato o sottinteso da Apoll. Soph. 165. 16, da uno scolio D al luogo omerico (come si capisce dal glossema ὑπεκκλινεῖ; l'altro, ὑπονήξεται, ὃ piü generico), entrambi testimoni altrimenti fortemente influenzati da Aristarco, nonché da lex. Hom. $pıxös: τῆς φρίκης καὶ τοῦ κρύους (Il. 23. 692), dpi: ἡ φρίκη τοῦ κρύους ἢ τῶν ὑδάτων μελανία (Il. 7. 63), cf. De Marco 1946, p. XXII, e dallo schol. T

Il. 23. 692-694, ove il nostro luogo e riportato come parallelo (cf. anche Barth 1984, pp. 161-163). E ancora ὑπαλύξει si ritrova nel verso quale citato da Filemone in Porph. 1 37. 11 Sod. (cf. Valk ad Eustath. 1227. 4). Che da tutto ciò consegua che ὑπαίξει sia congettura proposta nell'edizione di Chio, e difesa da Aristarco (cf. Valk 1964, p. 4, Barth 1984, pp. 159, 160, 163, 170), è possibile, ma è in realtà impossibile determinare la quota cronologica in cui si attestano le due lezioni.

513 Cf. Barth 1984, pp. 165-167.

514 Cf. Barth 1984, p. 167 s. Egli fa notare come sia errato lo schol. A al nostro luogo omerico (ὁ δὲ ποιητὴς οὐδέποτε φρίκην τὸ ψῦχος εἴρηκεν, ἀλλὰ τὸ ἐκ γαλήνης πρῶτον ἐξορθούμενον κῦμα), quan-

do voglia far intendere che Filita e Callistrato hanno interpretato l'omerico φρίξ con ψῦχος (che &

quanto assunto in Eustath. 1227. 12, e recepito da Kuchenmiiller, p. 110), bensì i due hanno assimilato φρίξ all'imparentato φρίκη, postomerico, che significa "brivido di freddo", come occasionalmente anche φρίξ (Hippocr. Morb. II 68. 1 πελιή. πυρετὸς ἴσχει ξηρὸς καὶ φρὶξ ἄλλοτε καὶ ἄλλοτε), mentra a sua volta φρίκη può assumere un significato analogo all'omerico φρίξ (cf. LSJ s. v. φρίκη I 3). Tutto ciò, per Barth, è chiaro dallo schol. Il. 6. 459 (τὴν φρῖκα ἐδέξατο [scil. Filita] τὴν ὑπὸ τοῦ ψύχους γινομένην φρίκην). Per l'uso promiscuo di φρίκη e φρίξ, postomerico,

Barth

1984, p. 168,

menziona proprio alcuni dei testi che riguardano la nostra questione: lo schol. A al nostro luogo, che in riferimento al verso omerico afferma ὁ δὲ ποιητὴς οὐδέποτε φρίκην τὸ ψῦχος εἴρηκεν,

172

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

d) κε φάγῃσι è reso come futurum exactum*!5. Filita adotta qui un atteggiamento conservatore°'*, ma con eclettismi sconcertanti. Da una parte sembra conscio della necessità di Ὅμηρον ἐξ Ὁμήρου σαφηνίζειν, tanto rigidamente da dover escogitare per ὑπαλύξει un

oggetto denotante un male". Ma proprio questa aderenza induce necessariamente a postulare per $pixa e ὅς xe φάγῃσι soluzioni non omeriche, ma at-

tinte dall'uso linguistico successivo?'*: una chiara dimostrazione che le opportune coordinate per affrontare filologicamente Omero non potevano essere ancora a disposizione di Filita, come si & notato a proposito del fr. 26. Non poco 'ingenuo' appare anche il contenuto risultante da tali conclusioni di dettaglio («il pesce che avrà mangiato il grasso di Licaone eviterà il brivido di freddo»). Barth 1984, p. 168, ne mette in evidenza la comicità involontaria e il chiaro antropomorfismo?". Si ha la sensazione che la tenacia nel difendere (o voler interpretare) la vulgata in termini genuinamente omerici (ὑπαλύσκειν = "evitare un danno") abbia portato alla paradossale conseguenza di forzare, in senso antiomerico, altri elementi del passo.

quando avrebbe dovuto dire φρῖκα, e dalla alternanza tra forme di φρίξ e φρίκη nei due rami

della tradizione di Porfirio (cf. φρίκη nella rec. V, 1 40. 3; 40. 12; 40. 14; 43. 4 Sod.). Non è quindi del tutto esatta l'imputazione di Lehrs 1882, p. 46 (= 1833, p. 55), «fortasse non magnopere mirabimur ... quod Philetas ignoraverit quid poetae significet φρίξ». Per Kayser, p. 86, Filita non interpretava 6pi né come ψῦχος né come κρυός, bensi intendeva gpix' ὑπαλύσκειν «evitare la tem-

pesta» e, ma solo di conseguenza, il freddo che essa comporta. Naturalmente, Kayser si trovava poi a non capire τὸ ψῦχος ὑπομένουσι καὶ οὐ φθείρονται dello schol. A, per cui si aspettava τὸ ψῦχος οὐχ ὑπομένουσι, ἀλλὰ φθείρονται.

15 Cf. Barth 1984, p. 169 s. Questi precisa, contro Friedlaender 1853, p. 9 s., che è l'interpreta-

zione utilizzata per difendere la vulgata ὑπαλύξει a condurre a questa lettura della particella modale + cong., e non, viceversa, che questa preceda una congettura ὑπαλύξει, che ne sarebbe conseguenza. Questa procedura é imputata a Filita anche dallo schol. Il. 6. 459. Barth 1984, p. 164, rileva come frequentemente Aristarco richiami Il. 21. 126 s., per ribadire una corretta inter-

pretazione del nesso modale (scholl. Il. 4. 191b, 22. 505), probabilmente, come avviene negli scholl. II. 6. 171 e 7. 459, segnalando l'inesattezza di Filita.

516 Fosse o meno a conoscenza di vnoife.

517 Del resto ὑπαλύσκω e ἀλύσκω vengono utilizzati perlomeno fino a tutta la letteratura elle-

nistica per "evitare un danno". Se si può individuare una serie leggermente distinta è nel senso di «evitare qualcosa che si ritiene soggettivamente un danno»: cf. Od. 12. 335, Hes. fr. 204. 132 M.W., Apoll. Rh. 4. 1505. Per interpretazioni del passo intese a preservare ὑπαλύξει, cf. Fránkel

1921, p. 88, Valk 1964, p. 4 e n. 16, Barth 1984, pp. 172-174, presupponenti che il verbo non abbia qui il consueto utilizzo per "evitare un danno": ma risulterebbe un'occorrenza del tutto isolata.

515 Schröter 1959, p. 826, inverte il percorso: ritiene che ὑπαλύξει sia congettura filitea, indotta

dall'accostamento etimologico operato dal Coo tra φρίξ e φρίκη. Che il collegamento di Filita fosse strettamente etimologico non ci sentiremmo di affermare.

519 Cf. Kuiper 1902, p. 143: «hodie vix sine risu audimus ... eruditas suas de piscium vita sub-

marina, de aquilae oculis doctrina»

(cf. fr. 28).

Edizione e commento

173

fr. 28 = 58 Kuch. = 64 Bach = p. 86 Kay. Eustath. 1235. 39 (ad Il. 21. 252) τὸ δὲ «αἰετοῦ οἴματ᾽ ἔχων» Φιλήτας, φασί, γράφει «αἰετοῦ ὄμματ᾽ ἔχων». κρεῖττον δὲ τὸ οἴματα, ᾧ ἀκόλουθον καὶ τὸ «οἴμησε

δ᾽ ἀλείς» (Il. 22. 308) Schol. A Il. 22. 3084: (Ariston.) οἴμησεν δὲ ἀλεὶς «ὥς τ᾽ αἰετὸς ὑψιπετήεις»: ὅτι κἀκεῖ (Il. 21. 252) γραπτέον «αἰετοῦ οἴματ' ἔχων», οὐχ ὡς Φιλήτας «ὄμματα» 1. οἴμησεν δὲ ἀλεὶς «ὥς 1° αἰετὸς ὑψιπετήεις» Friedlaender 1853, p. 322: οἴμησείν) 8' ἀλεὶς A | ἡ διπλῆ

ὅτι fort. Erbse 1977, p. 324 | 2. Φιλήτας Erbse 1977, p. 324: Φιλητᾶς A Il. 21. 251 ss. Πηλεΐδης δ᾽ ἀπόρουσεν ὅσον ἐπὶ δουρὸς ἐρωή, αἰετοῦ οἴματα ἔχων μέλανος, τοῦ θηρητῆρος, ὅς 8’ ἅμα κάρτιστός τε καὶ ὦκιστος πετεηνῶν

La scelta di Filita puó sembrare a prima vista congetturale??, ma ὄμματα

è banalizzazione tale da potersi essere introdotta in ogni momento”, ben prima di lui. In realtà, non & mai stato valutato un altro scolio omerico, che

costituisce un importante parallelo al nostro caso. Gli scholl. A, Ai", T e b ad Il. 8. 349 ci informano che in tale verso Zenodoto leggeva ὄμματα, con la vul-

gata?2, mentre Aristarco voleva οἴματα (τὰς ὁδοὺς καὶ τὰ ὁρμήματα). Sembra evidente che la scelta di Zenodoto sia per la lezione trädita, mentre Aristarco sta congetturando, o tentando di imporre una lezione molto piü rara e piü ‘preziosa’52. I nostri due casi divergono nel fatto che mentre οἴματα in Il. 21. 252 appare in effetti superiore, nel nostro caso Γοργοῦς ὄμματα, per quanto si voglia facilior, & anche maggiormente pertinente. Ma il parallelismo tra i due casi puó suggerire che ciö che sembra una lezione attribuita a Filita in Il. 21. 252, sia invece la vulgata.

In alternativa, se si tratta effettivamente, nel caso di Filita, di una scelta testuale rispetto a un minoritario οἴματα, non ὃ fornità, né si riesce a intrave-

dere alcuna motivazione della preferenza**: per lo meno, nessun fondamento di carattere filologico o anche semplicemente di contenuto. Tra l'altro, Fi-

322 Cosi la giudica Barth 1984, p. 160. Cf. anche Schróter 1959, p. 826. 521 I] fatto che si affermi in Eustazio che Filita γράφει ovviamente non significa che abbia congetturato: cf. γραπτέον nello scolio.

522 È la lettura di αἱ πλείους, affermano gli scholl. A e T, e ὄμματα è definita τὴν δημώδη (scil.

γραφήν) nello schol. A.

52 Düntzer 1848, p. 107, ritiene che in Il. 8. 349 Aristarco abbia corretto indotto da Il. 16. 752 e

dal nostro Il. 21. 252.

524 Schröter 1959, p. 826, afferma, un po’ misteriosamente, «dahinter steckt Etymologie».

174

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

lita usa μύθων παντοίων οἶμον nel fr. 10. 4 Kuch. La sua lettura, congettura o

scelta tra varianti che sia, viene ad aggiungersi ora all'interpretazione della scrittura IAQN nel fr. 26, ed insieme sembrano mostrare una certa inclinazione del nostro per l'espressione dell'organo della vista. E ció a costo di evidenti assurdità formali e semantiche, o, nel nostro caso, dello sbiadimento della immagine. E ovviamente troppo poco per poter parlare di un'idiosincrasia, ma puó essere che si tratti di un elemento dell'immaginario di Filita poeta*5,

525 Cf. il commento di Kayser, p. 87: «necessaria quidem non fuerat (scil. ὄμματα), sed magnopere tamen se commendat vi maiori poetica».

Edizione e commento

175

fr. dub. 29 = 53 Kuch. = 17 Pow. = 4 Ὁ. = 3 Now. = 6 Bach = XIII Br. = XV Jac. = 4 Bgk. = 9 Hart. = 5 Schn. = XII Kay. = p. 17 Clack = 18 Giord. Strab. 3. 5. 1, 168 C σφενδόνας δὲ περὶ τῇ κεφαλῇ τρεῖς — μελαγκρα«ν»ίνας; σχοίνου εἶδος, ἐξ οὗ πλέκεται τὰ σχοινία xoà Φιλήτας γε ἐν 'Epunveig: (sq. fr.) ὡς σχοίνῳ ἐζωσμένου --- μελαγκρα«ν»ίνας ἢ τριχίνας ἢ νευρίνας λευγαλέος δὲ χιτὼν πεπινωμένος, ἀμφὶ δ᾽ ἀραιὴ ἰξὺς εἰλεῖται κόμμα μελαγκράνινον 1., 3. pedoyxpaivag Korais 1815, p. 219 n. 1 (dub.), Meineke 1843a, p. 348 s., qui priore loco dub. coni. μελάγκρανις (sic iam Tyrwhitt 1783, p. 14): μελαγκραΐνας codd., μελαγκρανίας Salmasius 1689, p. 186a C, μελάγκραναςῦ Hartung, p. 32 | 2. Φιλητᾶς L | ye Kramer 1844, p. 261: te L pr. C, δὲ C

| ἑρμηνείᾳ A, ἑρμενείᾳ cett. (suspectum

Xylandro

1571, p. 188): Ἑρμῆ

vel Ἑρμῇ ἐλεγείᾳ

Tyrwhitt 1783, p. 15, fort. Ἑρμῇ Jacobs 1798, I 1, p. 394, Ἑρμιόνῃ Toup ap. Falconer 1807, p. 231, Ἑρμῇ λέγει dub. Friedemann 1818, p. 720, Ἑρμείᾳ vel ἐλεγεῖ α΄ Ξ ἐλεγειῶν πρώτῃ dub. Meineke

1823a, p. 25, et 1843a, pp. 16, 351, Ἑρμῇ μηνύει Unger 1850, p. 88, Ἱερομηνίᾳ olim Bergk, p. VI, ‘Epunvei Knaack ap. Susemihl 1891, p. 888, ἐλεγείᾳ Schulten 1925, p. 88, Schulten 1952, p. 272 1 2 S. ὡς «Ἄσιος περὶ τινὸς» σχοίνῳ M. Schmidt 1848, p. 411, σχοινίω C | 3. post ἐζωσμένου: σχολ B mg | μελαγκρανίᾳ vel μελαγκραινίδι (ad σχοίνῳ), aut μελαγκρανίας, si μελάγκρανις in l. 1 (cum

Tyrwhitto) TRGL V, col. 705d 4 s. ἀραιὴ / ἰξὺς codd. (ἀραιά 0): ἀραιὴν / ἰξὺν Scaliger (ἀραιὰν) ap. Friedemann 1816, p. 294,

Salmasius 1689, p. 186a C, ἀραιὰς / ἰξῦς Xylander 1571, p. 188, Casaubonus 1587, p. 66, ἀραιῇ / i Bach, p. 35 | 5. εἰλεῖται AthC (ei. Salmasius 1689, p. 186a C): ἰλεῖται AvB, ἐνειλεῖται Scaliger ap. Friedemann 1816, p. 294, εἴληται vel εἴλυται Meineke 1843a, p. 349 | κόμμα codd.: ἅμμα Salmasius

1689, p. 186a C, ζῶμα Toup 1770, II, p. 393 s., Tyrwhitt 1783, p. 15, κλῆμα A. D. Knox 1925, p. 191, ῥάμμα Clack, p. 320 (cf. iam Meineke 1843a, p. 349)

| ueXayxpá«v»ivov Meineke 1843a, p. 349:

μελαγκράνιον Xylander 1571, p. 188, Salmasius 1689, p. 186a C Hesych. u 1620 L. D μελαγκρανίς: ὀξύσχοινος. f| τὰ ἄκρα μελανίζουσα μελαγκρανίς Salmasius 1689, p. 186a C (μελάγκρανις Bochart 1707, p. 757): μελάγκρασις H | «confudit μελάγκρανις, et μελάγκρανις vel μελάγκρανος» Meineke ap. Schmidt

Theophr. HP 4. 12. 1 κατάλοιπον δὲ εἰπεῖν ... περὶ oxoivov: καὶ γὰρ καὶ τοῦτο τῶν ἐνύ-ὅρων θετέον. ἔστι δὲ αὐτοῦ τρία εἴδη, καθάπερ τινὲς διαιροῦσιν᾽ ὅ τε ὀξὺς καὶ ἄκαρπος ὃν δὲ καλοῦσιν dppeva: καὶ ὁ κάρπιμος ὃν μελαγκρανίδα καλοῦμεν διὰ τὸ μέλανα τὸν καρπὸν ἔχειν, παχύτερος δὲ τούτον καὶ σαρκωδέστερος᾽ καὶ τρίτος τῷ μεγέθει καὶ τῇ παχύτητι καὶ εὐσαρκίᾳ διαφέρων ὁ καλούμενος ὁλόσχοινος κτλ. 3. μελαγκρανίδα UN“: -κρανὶς U, -κραγνισμὸς (sic) M, -κραγνισμὸν P, -κρανισμὸν Ald.

La sezione μελαγκρα«νρίνας — σχοίνῳ ἐζωσμένου"2ὁ nel testo di Strabone

é sicuramente, se non altro per posizione e disarmonia sintattica, un margi526 Meglio che σχοίνου εἶδος— μελαγκραςνρίνας, ritagliata da ThGL V, col. 705d, e Cessi 1908, p. 140.

176

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

nale, come riconosciuto già da Tyrwhitt 1783, p. 14: un puro dato lessicogra-

fico di squisita dottrina, se

di Filita o riporta un suo frammento. La manca-

ta concordanza tra lemma e interpretamentum dimostra che si tratta di una

nota di lettura con l'ausilio di un lessico, e la menzione di Filita dovrebbe indicare che si tratta di qualcosa di antico?7. La forma tràdita ἀραιὴ ἰξύς è stata esplicitamente difesa da Friedemann 1816, p. 295, «ut ἀραιὴ ἰξὺς ex Graecismo non inusitato explicetur», e Meine-

ke 1843a, p. 349, «ἰξὺς ἀμφειλεῖται κόμμα non minus recte dictum ... quam e.g. κεφαλὴ ἀμφικεῖται στέφανον et plurima eius generis alia», che vuole, pero, eiAnton o εἴλυται per εἰλεῖται. Forse si può rimandare a Schwyzer-Debrunner

1950, p. 231. «Tituli aenigma nemo adhuc solvit» concludeva Powell, p. 9452. A settantacinque anni di distanza siamo nella medesima situazione, con la conseguente difficoltà di determinare l'attribuzione e la natura del frammento.

Una correzione che rimandasse all’Hermes, titolo altrimenti attestato per Filita, era immediata, ed infatti ὃ già in Tyrwhitt 1783, p. 15, seguito (a volte con leggere varianti) da Jacobs 1798, I 1, p. 394 (dub.) e Friedemann 1818, p. 720. È una proposta che ha continuato ad avere un qualche successo anche dopo il pertinente ammonimento di Meineke 1823a, p. 18 n., Meineke 1843a, Ρ. 349 s., che i frammenti dell'Hermes sono esametrici®?. Vecchie ipotesi davano questo carme come polimetrico°®, ma si tratta di tentativi disperati: converrà per lo meno accantonare l'attribuzione del nostro frammento all'Hermes. Correzioni in Ἑρμείας, Ἑρμιόνη o Ἑρμηνεύς sono ancora meno pro-

babili*', mentre più razionali, seppure troppo generici, sono i tentativi che prevedono i soli ἐλεγεῖα o &Aeyeío5?2. Ma non è

raro il mantenimento, convinto o dubbioso, del titolo trädito.

Per Casaubonus 1587, p. 66, 1600, p. 416, e Wowerius 1604, p. 108, si tratta di un'opera grammaticale in versi, cui attribuiscono anche il fr. 11 Kuch., per

527 Per Aly 1956, p. 241 s., ὃ annotazione raccolta dallo stesso Strabone, da un opera di Didimo, e poi confluita nel testo. Attardato risulta Giordano, p. 16: «Strabone, che cita il frammento, etc.».

528 Lo stesso Meineke 1843a, p. 351, aggiungeva, dopo le sue proposte di correzione di

&ptinveig, «sed vana haec sunt somnia».

529 Cf. Bach, pp. 30, 34, 271 s. (per questo rampognato da Kleine 1833, col. 755), Schneidewin,

p- 143, Unger 1850, p. 88, H. F. Clinton 1851, p. 486, C. Müller 1851, p. 478, Hartung, p. 32 s. (Ἑρμήνεια : Ἑρμῆς = Ὀρέστεια : 'Opéa tug, Romagnoli 1899, p. 181 n. 2, Nowacki, p. 24, Aly 1972, . 214.

P' 50 Heeren 1801, p. 157, W. E. Weber 1826, p. 661 s. (che ritiene, però, corretto il titolo Ἑρμηνεία e Ἑρμῆς sua corruzione), Hartung, p. 33.

?3! Del tutto priva di basi è l'ipotesi di Cessi 1914, p. 287 s., che sembra accolta da Calderón

1988, p. 24, dell'appartenenza dei versi al Telefo (cf. fr. 9 Kuch.): sarebbe descritto il pietoso stato dell'omonimo eroe. L'inserimento tra i παίγνια, da parte di Clack, p. 17 (peraltro non argomentato), non ha alcuna ragion d'essere.

532 Meineke 1843a, p. 351 (dub.), Schulten 1925, p. 88 (dub.), e 1952, p. 272 (con sicurezza).

Edizione e commento

177

1’ ἐξηγήσατο del testimone5?, mentre Kayser, p. 29, ipotizza che potesse contenere interpretazione di miti, e la riteneva analoga agli Αἴτια di Callimaco**, In seguito, alla luce del noto lavoro grammaticale di Filita, si continuò a ritenere, come Casaubonus e Wowerius, che si trattasse di esegesi, ma che i versi non fossero di Filita, bensi di altro poeta, e da lui addotti nella spiegazione della glossa μελάγκρανις o μελαγκράνινος. Il primo fu M. Schmidt 1848,

p. 409 s., che menzionava, come parallelo, il caso del fr. 12, dalla struttura piü integralmente conservata, e ove in effetti Filita riporta un distico anonimo per glossare ἰάκχα, e che M. Schmidt riconduce alla medesima ‘Epunνεία535, Egli ritiene che, per I’ Ἑρμηνεία, si tratti di un ulteriore raccolta di

glosse (oltre alle ἀτακτοι), cui ottimamente si adatterebbe il titolo: le ἄτακτοι γλῶσσαι conserverebbero l'ordinamento alfabetico, l' Ἑρμηνεία allineerebbe

le glosse per materia o seguendo l'ordine del testo interpretato**. Infine é da segnalare che per Aly 1956, p. 241s., e 1972, p. 214, si tratterebbe di un excerptum lessicografico di Didimo o di grammatico ignoto, che riporta come testimonianza un frammento poetico di Filita. Il titolo viene reso, dubbiosamente, con “interpretazione”5 o "espres-

sione”5%, e Kuchenmüller, p. 114, seguito da Pfeiffer, ipotizza che ivi si potesse trovare la discussione filitea delle varianti omeriche. L'ipotesi é consi-

533 Antig. Caryst. mir. 8 οὐχ ἧττον δὲ τούτου θαυμαστόν, καθωμιλημένον δὲ μᾶλλον τὸ περὶ τὴν ἐν τῇ Σικελίᾳ ἄκανθαν τὴν καλουμένην xaxtov: εἰς ἣν ὅταν ἔλαφος ἐμβῇ καὶ τραυματισθῇ, τὰ ὀστᾶ ἄφωνα καὶ ἄχρηστα πρὸς αὐλοὺς ἴσχει. ὅθεν καὶ ὁ Φιλήτας ἐξηγήσατο περὶ αὐτῆς εἴπας" γηρύσαιτο δὲ νεβρὸς ἀπὸ ζωὴν ὀλέσασα / ὀξείης κάκτου τύμμα φυλαξαμένη. Per Wowerius si tratta, propriamente, di un la-

voro paradossografico.

5% Di quest'ultima opinione è anche W. E. Weber 1826, p. 661 s. Diehl, p. 50, senza ulteriori

spiegazioni, mantiene il titolo Ἑρμηνεία, collocando il frammento tra i poetici di Filita. Cf. anche Kayser, Ρ. 33, che sembra definirla un'opera di contenuto prosastico in versi. Che si tratti, nel nostro luogo, dell'attività di glossografo di Filita, per M. Schmidt 1848, p. 409 s., è dimostrato dalla sua concordanza con ia glossa in Esichio, unico a riporrtare una tale

dottrina, e, insieme, dal fatto che in questo lessico si trovano diverse glosse illustrate da Filita. 5% Più opere grammaticali di Filita sarebbero testimoniate da Strat. fr. 1. 43 K.-A. tà τοῦ Φιλί-τα λαμβάνοντα βιβλία. M. Schmidt, inoltre, attribuisce, dubitativamente, i versi ad Asio (prose-

guirebbero direttamente il fr. 14 W.2). Le medesime argomentazioni di Schmidt, ma con la correzione Ἑρμηνεῖ, sono in Knaack ap. Susemihl

1891, p. 888. Cf. anche Cessi 1908, p. 140 s., Ku-

chenmüller, p. 108, Blumenthal 1938, col. 2169. 62 ss., Cantarella 1962, p. 683, Pfeiffer 1968, p. 168, Barber 1970, p. 814, Calderón 1988, p. 18 s. Cf. anche Jones 1923, p. 127, che si rifà a Casaubonus. Contra, Susemihl 1891, p. 888, ma senza particolari argomentazioni. Calderón 1988, p. 19, sottolinea la coincidenza del termine glossato con la lista dei composti con μελαν- nel PHibeh172, da alcuni riferito a Filita. Giordano, p. 16, appare un po’ confuso: «Strabone, che cita il frammento, riteneva che appartenesse all’ 'Epunveio, titolo di un'opera dotta forse simile a quella più famosa degli "Ataxta». D'altra parte, egli pone il frammento tra i poetici di Filita: pensa forse ad un'opera grammaticale in versi, come Casaubonus e Wowerius?

597 Cf. Jones 1923, p. 127, Pfeiffer 1968, p. 168 n. 22 («un titolo del tutto insolito»), Barber 1970,

p. 814, Calderón 1988, p. 18 n. 45.

538 Pfeiffer 1968, p. 168 n. 22, Calderón 1988, p. 18 n. 45. Cessi 1908, p. 140, sembra ritenere

che l'espressione £v &punveig sia di chi ha estratto la glossa da Filita, volendo intendere un’ "interpretazione" reperibile nelle ἄτακτοι γλῶσσαι.

178

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

derata improbabile da Blumenthal 1938, col. 2169. 65 ss., che rileva come, in

ogni caso, la nostra attestazione non riguardi Omero. Ma cosa possa significare tale titolo è questione più complessa di quanto appaia dalle posizioni di chi l'accetta, e anche di chi, un po’ più problematicamente, dichiara l'incertezza tra generici “interpretazione” o “espressione”. Per il V secolo un accurato esame della famiglia di termini è stato compiuto da Most 1986, p. 308 55.539. È chiaro come essa esprima un procedimento comunicativo complesso, di trasposizione da un linguaggio, in senso lato, ad un altro: con un processo in cui si ‘amalgamano’ perlomeno interpretazione, traduzione ed esposizione /espressione. Non sempre è facile enucleare quale elemento venga rilevato. Most distingue, comunque, cinque modi in cui «il significato generale viene specificato»: 1) traduzione dal linguaggio degli dei a quello degli uomini; 2) una versione ‘secolarizzata’ di 1), in cui «l'àmbito del divino è sostituito da fenomeni naturali»;

3) espressione linguistica del pensiero; 4) traduzione da una lingua straniera; 5) annunciare, Most 1986, p. 311, osserva, e ciò ha particolare pertinenza con il nostro caso, che ἑρμηνεύς «nowhere in this period (scil. V secolo) does ... refer to the literary exegete, to the interpreter of difficult poetic discourse». Egli continua ricordando, per la possibilità di quest'uso nel IV secolo, Plat. Theaet. 163c 2 ἃ δὲ oi τε γραμματισταὶ περὶ αὐτῶν (scil. lettere

e suoni) xoà ot ἑρμηνῆς

&8aoxovowv!, e Ion 530c 3 s., 535a 4-10. Ma giustamente osserva, per il Jone,

che «this ‘literary’ use of the word is a Platonic metaphor derived from its traditional 'oracular' one». Nel IV secolo la situazione non cambia di molto, se non che si evidenzia con nettezza una serie ove con épynv- è denotata l' "espressione", oltre che in termini elementari”, anche con valenza tecnica, in relazione all'àmbito retorico-stilistico”?. Un significato che più tardi si ritroverà nella letteratura grammaticale.

539 Cf. anche, ma meno dettagliato per il periodo e la letteratura che ci interessa, Behm 1933. 540 Per quanto riguarda il V secolo, sono da aggiungere ai passi citati da Most (tralasciando quelli del punto 4): Eur. Ion 255, Hyps. 1 IV 18 Bond; Antiphon. 38 1; Hippocr. Art. 7. 4, 12. 6; Epid. V 74 = VII 36; Morb. IV 38, 39; Vict.

14.3

51 Non mi sembra un'occorrenza ben scelta. Qui gli ἑρμηνῆς sono, con tutta probabilità, i mediatori tra due lingue, in definitiva i "traduttori": cf. 163b 2 τῶν βαρβάρων ... τὴν φωνήν. Con

nessuna particolare specificità letteraria o anche solo grammaticale, in senso stretto.

#2 Cf. Aristot. anim. 420b 17 (cf. resp. 476a 18); [Plat.] Deff. 414d 4, 8.

55 Cf. Alcidam. 1. 13, 16, 20, 25; Aristot. poet. 1450b 14; Anaximen. Rhet. 6. 3; 23. 2; 24. 1, 7; 25.

6; 28. 3; 35. 18. Altre occorrenze nel IV secolo sono Xenoph. Oec. 11. 23; Theophr. fr. 716

Fortenbaugh; Aristoxen. EH 1. 16; IG IV 12, 121. 88 (Epidauro). 54 Cf. Dion. Thr. I 86. 4; 88. 4 Uhl.; Tryph. fr. X 1 (41) v. Velsen.

Edizione e commento

179

Di un certo rilievo sono le attestazioni di un contemporaneo di Filita, Epicur. Epist. Herodot. 1 76 τινὰ δὲ καὶ οὐ συνορώμενα πράγματα εἰσφέροντας τοὺς συνειδότας παρεγγυῆσαί τινας φθόγγους τοὺς ἀναγκασθέντας ἀναφωνῆσαι, τοὺς δὲ τῷ λογισμῷ ἑλομένους κατὰ τὴν πλείστην αἰτίαν οὕτως ἑρμηνεῦσαι, non-

ché fr. 258 Us. (ex Erotian. 7. 19 ss. Nachm.): ivi Erotiano sta discutendo della possibilità di spiegare anche le parole comuni, e, dopo aver aver rilevato che é ovviamente impossibile farlo usando termini rari, valuta se si possano utilizzare allo scopo quelli consueti, concludendo che oi δὲ συνήθεις τῷ Er’ ἴσης εἶναι φανεραὶ πρὸς τὸ δηλωτικὸν τῆς ἑρμηνείας οὐκ ἔσονται («χρήσι-μοι» add. Usener 1887, p. 189), ὥς φησιν Ἐπίκουρος. ἀπόλλυται γὰρ ἰδίως τῆς ἑρμηνείας τὸ φανερόν, ὅθ᾽ ὑπὸ λόγου καθάπερ τινὸς οἰκείου μαγγανεύηται φαρ-

μάκου. L'interpretazione più verosimile del primo passo, molto dibattuto, è quello che si trova rispecchiato in Hossenfelder 1991, p. 223: «die Mitmenschen erschliessen dann die Bedeutungen der neuen Wörter aus dem Zusammenhang, in dem sie auftreten, wobei sie unter den móglichen die Bedeutung wáhlen, zu der der Zusammenhang die meiste Veranlassung gibt». Si tratta di due occorrenze di &punv- relative all’interpretazione di parole, e si

osservi anche come il pragmatico processo di comprensione linguistica, inte-

so come primario da Epicuro, é anche applicabile all'attività glossografica, in quanto impegnata con parole 'sconosciute': si pensi solo al metodo dei cosiddetti FAwscoypasoı5®,

E comunque non prima di Strab. 7. 3. 10, a proposito di un passo di

Omero, e in Erotian. 4. 19; 6. 19 e fr. 60 Nachm., a proposito dell'attività lessicografica, che si reperiscono, che io sappia, occorrenze di ἕρμην- relative senz'altro all'interpretazione letteraria o grammaticale. Alla luce di quanto sopra descritto un'opera filitea dal titolo Ἑρμηνεία potrebbe configurarsi in almeno tre modi: 1) un'analisi, non necessariamente di carattere generale, dell'espressione

poetica, su base stilistica, fondata forse sulla scelta delle parole. Ma sembra la possibilità meno verosimile, a stare a quanto sappiamo della produzione

di Filita; 2) un'opera di interpretazione grammaticale, di carattere glossografico.

Questa ipotesi potrebbe trovare conforto nell' 'ermeneutica' linguistica esposta da Epicuro; 3) considerando che l'uso di ἑρμηνεία per l'interpretazione letteraria al tempo di Filita non appare ovvia, si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di un titolo connotativo. Ovvero, che che con esso si volesse indicare un'opera di ‘rivelazione’, di ‘traduzione’ di un qual cosa ai più oscuro, accessibile solo a e divulgabile solo da chi abbia particolari doti e competenze, appunto da un épunvevg (del tipo dello Ione platonico, per restare in 545 Vd. supra, p. 45.

180

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

àmbito letterario). In questo caso, potrebbe si ancora trattarsi di un lavoro di analisi filologica, ad esempio della sorta lasciata intravvedere dai suoi prodotti di omerista, ma anche di un'opera in versi. Il termine ἑρμηνεία non

sembra a priori impossibile come titolo di opera letteraria docta ("Esposizione", "Spiegazione"), anche se non siamo in grado di fornire paralleli adeguati**. Questa ultima ipotesi coinciderebbe con i dati in nostro possesso, ma non consente alcuna ipotesi sui contenuti. Per il contenuto e la natura del frammento, si ritenne, in un primo tempo, che si descrivesse proprio uno dei frombolieri iberici di cui sta trattando Strabone?", ma Meineke 1843a, p. 351, respingeva tale lettura, a favore di un «Achaemenidem aliquem vel Philoctetem»: in effetti, già il carattere di marginale del frammento, parallelo puramente lessicale, lo svincola dal contesto straboniano, ove, tra l'altro, si parla di bande arrotolate attorno alla testa, non ai fianchi. Ció non toglie che le identificazioni di Meineke siano egualmente inverificabili. Per Hartung, p. 33 (che l'attribuisce all’Hermes), il frammento descrive la metamorfosi prodigiosa di un eroe provocata da Hermes per renderlo irriconoscibile. Naturalmente, per altri che ritengono i versi dell' Hermes la descrizione si adatterebbe ottimamente ad Odisseo°®. Infine, Nowacki, p. 28 s., che attribuisce il frammento all'Hermes, argomenta doviziosamente per Caronte, in relazione alla discesa all' Ade di Odisseo. Sotto l'influenza, esplicita o implicita, di un presunto Filita bucolico, il personaggio descritto é stato invece interpretato come un pastore o caccíatore (Maass 1895, p. 293 n. 92), o «una figura campagnola arieggiante al Licida» delle Talisie (Bignone 1934, p. 29), e similmente, con meno convinzione, Bowie 1985, p. 755%, che rileva, però, anche le differenze (rispetto a Licida, il nostro personaggio non porta pelli, e Licida indossa un cinta normale, attorno a un peplo, e non a un chitone). Per Webster 1964, p. 41, si tratta di una descrizione improntata al realismo che caratterizzerà la letteratura e l'arte ellenistica: un povero pescatore?5*, E vero che nell'operazione di estrazione del dato lessicografico pud essere andato perso o modificato qualcosa, che dimostrasse filitea la glossa e i versi di altro autore, e da lui assunti come testimonianza. Tuttavia, ad un

esame impregiudicato del dettato, ció che risulta é una anonima interpretazione, parafrastica piü che strettamente lessicale (ὡς σχοίνῳ ἑζωσμένου), di

546 Molto debole è l'analogia con titoli quali Ἰνδαλμοί (Cratete), Kavav (Arato: incerto se sia in versi o in prosa), Μνημοσύνη (Moero Byz.).

597 Cf. W. E. Weber 1826, p. 662, Groskurd 1831, p. 290 n. 3, C. Müller 1851, p. 478, Schulten

1925, p. 88 («ἀραιὴ i&uc. Talle delgado, tipico de la raza ibérica esbelta»).

349 Ad es. Bach, p. 31, Romagnoli 1899, p. 181 n. 2. 549 Che, evidentemente ignaro di Bignone, attribuisce il raffronto ad un suggerimento orale

di Hollis (n. 42).

539 A. D. Knox 1925, p. 191, parla semplicemente di «the beggar».

Edizione e commento

181

versi, ἀμφὶ δ᾽ ἀραιὴ ἰξὺς εἰλεῖται κόμμα μελαγκράνινον, attribuiti a Filita. 1]

tutto a riprova ed esemplificazione di una struttura piü propriamente lessicografica in cui, con oxoívov εἶδος, viene glossato quello che nella fonte utilizzata doveva essere μελάγκρανις (e non l'aggettivo μελαγκράνινος). Si osser-

vi che tale resa precede la menzione di Filita e i versi. Una uguale introduzione di versi indubitabilmente di Filita, e sempre in àmbito lessicografico, è reperibile in Athen. 5. 1926 ὁ yàp θρόνος αὐτὸ μόνον ἐλευθέριός ἐστιν καθέδρα σὺν ὑποποδίῳ, ὅπερ θρῆνυν καλοῦντες ἐντεῦθεν αὐτὸν ὠνόμασαν θρόνον τοῦ θρή-σασθαι χάριν, ὅπερ ἐπὶ τοῦ καθέζεσθαι τάσσουσιν, ὡς Φιλήτας᾽ «θρῆσαι δὲ πλατάνῳ γραίῃ ὕπο» (fr. 20 Kuch.)55!,

Ritengo, rassegnandomi comunque al mistero del titolo, che si tratti di una glossa anonima, che utilizza versi di Filita. Se, tuttavia, la si volesse con-

siderare dottrina glossografica filitea, si noti ancora una volta l’attenzione ai realia piuttosto che propriamente alla poesia??, il cui specimen verrebbe citato, come nei frr. 12 e 22, senza attenzione per l'autore e l'opera». Il distico merita qualche considerazione. Che sia icastico (una sola forma verbale di modo finito nei due versi) e di grande efficacia descrittiva & stato sostanzialmente notato, come anche le movenze realistiche**. Si noti anche come la sintassi focalizzi su un particolare, la cinta di canna, soggetto. Il primo termine, mai discusso dagli interpreti, necessita di spiegazione: l'aggettivo λευγαλέος riferito a un oggetto risulta isolato”. In Omero l'uso appare variabile, anche se in realtà sempre sentito come riconducibile al campo del “tristo, miserabile”°%. Una coerenza, sia pur sottile, non sempre percepita dagli antichi commentatori. I Γλωσσογράφοι (fr. 18 Dyck) interpretavano l'ag55! Cf. anche, per una simile brachilogia, e una struttura analoga al marginale straboniano, schol. T Il. 21. 179b dopi] τῷ δόρατι Φιλήτας" «καί xev 'Anvaing δολιχαόρου». ἀντὶ τοῦ μέγα δόρυ ἐχούσης (SH fr. 674. 1). Vd. anche Nowacki, p. 24: «Philitae versus attribuendos esse inde intelli-

gitur, quod voce καὶ scholiasta nomen coniungit cum antecedentibus, cum, si auctorem solum Philitam nominasset, voce ὡς eum usurum fuisse verisimilius est».

552 Per Kuchenmüller, p. 108, che è tra i sostenitori dell'anonimità del frammento, esso «for-

tasse non solum documentum adhibitum ..., sed fons ipse glossae», proponendo che Filita avesse scritto μελαγκράνινος" σχοίνῳ ἐζωσμένος, facendo seguire il frammento. Attribuisce all'incolpevole Filita una evidente assurdità.

553 Cf. Cessi 1908, p. 140: «at iam frg. XXII (scil. 12) ... probat Philitam solitum esse, ut significationem verborum in ᾿Ατάκτοις daret, alienos versus vel sine scriptoris nomine proferre». 5% Cf., in particolare, Zanker 1987, p. 56. Data l'esiguità del frammento non mi azzarderei a qualificarle distintamente come ellenistiche. Anche se una descrizione dall'apparenza cosi ‘distaccata’ non sembra avere molti paralleli in epoca precedente.

555 Per le occorrenze ellenistiche di λευγαλέος (-£ux) cf. Timo Phi. fr. 66. 7 Di Marco, adesp. pap.,

SH fr. 93215

s. , Apoll. Rh. 1. 295, 619, 632, 1218 s., 1255 s., 2. 129, 438 s., 3. 262 s., 374, 597 s., 702

s., 708 s., 4. 338, 622, 1671, Arat. 108, A. P. 6. 297. 8 (Nicias), Nicand. Th. 167, 836. Nessuna occor-

renza è lontanamente paragonabile alla nostra. 556 Cf. Il. 9. 119, 13. 97, 14. 387, 20. 109, 21. 281, Od. 5. 312, 15. 359, 2. 61, 15. 399, 16. 273 (= 17. 202, 337, 24. 157), 20. 203 e l'avverbio in Il. 13. 723. Sono qualificati πτωχός, φρένες, πόλεμος, δαί, ἔπεα, θάνατος, κήδεα, ἄλγεα, e Telemaco si definisce λευγαλέος nella sua incapacità di difendere

l'olxog di Odisseo (Od. 2. 61).

182

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

gettivo in Il. 21. 281 e Od. 5. 312 come sivypoc®”: un significato che, oltre che ai grammatici, viene attribuito a νεώτεροι (scholl. Il. 9. 119a, 20. 109a, 21. 281a!) e, piu specificamente, ad Esiodo (schol. Il. 21. 281b)5%. Ma il metodo interpretativo atomistico, che abbiamo riscontrato nei Γλωσσογράφοι, è all'o-

pera anche altrove, nei riguardi di questo aggettivo. In schol. Il. 20. 109b! λευγαλέοις ἐπέεσσι viene reso con εὐτελέσι καὶ ἀχρείοις, mentre a Od. 2. 61

l'interpretazione ὃ ἀσθενεῖς, ἀδύνατοι, πικροὶ ἑαυτοῖς. La prima equazione si

ritrova ancora in Hesych. λ 710 L. λευγαλέφ᾽ εὐτελεῖ. καὶ tà τοιαῦτα, sfruttato da Merkel 1854, p. CXLIX, per sostenere che λευγαλέος nel nostro distico

potrebbe significare εὐτελής. Si sono richiamate queste vicende esegetiche

perché, in effetti, i significati enucleati si adatterebbero benissimo al χίτων πεπινωμένος del distico filiteo, e, del resto, Merkel ha battuto proprio questa strada. Ma ritengo che la scaturigine del λευγαλέος del nostro frammento vada prima di tutto vista in Od. 16. 273 (= 17. 202, 337, 24. 157) πτώχῳ Aevyaλέῳ ἐναλίγκιον ἠδὲ γέροντι. Pensiamo ad una sorta di enallage, correlante il xixov con la πτωχεία, che, come si vedrà subito, è motivo del frammento.

L'effetto ὃ singolare e prezioso. Il participio πεπινωμένος letteralmente indica una sporcizia incrostata, abituale e di lunga data, connotativamente costituisce la marca di uno status miserevole, se non disperato, a volte anche di un'esistenza errabonda**. Che essa dovesse essere caratterizzata da stenti!

557 Cf. schol. Od. 5. 312 ὅτι λευγαλέον θάνατον oi γλωσσογράφοι ἀποδεδώκασι τὸν Ev ὕγρῳ, Ex τε τούτων (scil. Od. 5. 312) xai ἐκ τῶν ὑπ᾽ ᾿Αχιλλέως Ev τῇ τῶν ποταμῶν μάχῃ λεγόμενον (scil. Il. 21. 281). La medesima interpretazione, senza riferimento ai Γλωσσογράφοι, è negli scholl. I]. 9. 119a, 20. 109ab!, 21. 281a!-b (in schol. ad Il. 20. 109b! δίυγρον è correzione di Valk 1963, p. 253, per Avypóv). 558 Lo scolio non fornisce esempi. Si ipotizza ragionevolmente che in questione potrebbe essere Opp. 525 ἔν v' ἀπύρῳ οἴκῳ xai ἤθεσι λευγαλέοισι (della tana del polipo): chiaramente anche

questa occorrenza e riconducibile al senso di "tristo, miserabile" (cf. Valk 1963, p. 253). Non é decifrabile la situazione sofoclea. Il fr. 785 R. μύρῳ λευγαλέῳ è portato dal testimone, Et. Gen. λ 72

Alp., come esempio di λευγαλέον = ὑγρόν, e il fr. 1062a R., spesso riportato al fr. 785 R., suona, con un'incongruità tra lemma ed interpretamentum, XevyoA£a: διάβροχος. Valk 1963, p. 252 s., ritie-

ne che Sofocle fraintese il significato del termine, sulla base di Il. 21. 281 ed Od. 5. 312, ma un

unguento luttuoso può darsi: si pensi, ad esempio, al sangue di Nesso sulla tunica data da Deianira a Eracle. Cf. anche Hesych. x 1221 L. καταλευγαλέα: κάθυγρος. καταληλιμμένη.

559 Che il lemma esichiano sia da Il. 21. 281, come indica Latte, non é immediato. Cosi come λευγαλέος = δίυγρος, con procedere atomistico tipico dei γΓλωσσογράφοι, lo si può enucleare solo

da Il. 21. 281 e Od. 5. 312, l'equazione con εὐτελής è possibile solo in Il. 20. 109, a meno che che gli interpreti intendessero λευγαλέος θάνατος di Achille come una morte εὐτελής ("di poco valore^), in quanto lo stesso eroe la paragona a quella di un παῖς συφορβός.

%0 Cf. Soph. OC 1259 ἐσθῆτι σὺν τοιᾷδε, τῆς ὁ δυσφιλὴς / γέρων γέροντι συγκατῴκηκεν xivog / πλευρὰν μαραίνων, 1597 εἶτ᾽ ἔλυσε δυσπινεῖς στόλας (scil. Edipo), Eur. El. 184 σκέψαι μου πιναρὰν κόμαν 7 καὶ tpoxn τάδ᾽ ἐμῶν πέπλων (Elettra), 304 πρῶτον μὲν οἵοις ἐν πέπλοις αὐλίζομαι, / πίνῳ θ᾽ ὅσῳ βέβριθ᾽, Or. 225 ὦ βοστρύχων πινῶδες ἄθλιον κάρα (di Oreste), Rh. 711 ῥακοδύτῳ στολᾷ / πυκασθεὶς ...

/ ... / βίον δ᾽ ἐπαιτῶν εἰρπ᾽ ἀγύρτης τις λάτρις, / ψαφαρόχρουν κάρα πολυπινές t' ἔχων (di Odisseo penetrato a Troia travestito da mendico), Aristoph. Ach. 424 (Eur.) ἀλλ᾽ ἡ Φιλοκτήτου τὰ τοῦ πτω-

χοῦ λέγεις; / (Dic.) οὐκ, ἀλλα τούτου πολὺ πολὺ πτωχιστέρου / (Eur.) ἀλλ᾽ fj τὰ δυσπινῆ θέλεις κεπλώματα, & Βελλεροφόντης. Cf. anche Apoll. Rh. 2. 200 s., 301 s., A. P. 7. 146. 1 ss. (Antip. Sid.).

96! Vd. Zanker 1987, p. 56.

Edizione e commento

183

suggerisce l' ἀραιὴ ἰξύς, che, considerato il ‘taglio’ generale del frammento,

non direi caratterizzare l'agilità della figura®, né il complesso par descrivere la rusticità pastorale, comunque da ritenere dignitosa. Tanto piü per il

particolare della cintura di canna: una risorsa estrema, si direbbe. Hanno avuto dunque maggior ragione, perlomeno in linea di principio, coloro che hanno caratterizzato la figura come "beggar" o come un Filottete*9, o ancora con Odisseo**t, per quanto non si possa procedere ad una identificazione. Si ha, comunque, la sensazione che non sia la descrizione di un tipo generico, ma si riferisca ad un episodio (mitico?) individuo. Il vocalismo di ἀραιή è tratto che indica la collocazione del distico nella tradizione elegiaca ionica. Il frammento ha apparenza 'preziosa': converrà esaminare piü da vicino alcu-

ni tratti. In effetti è virtuosistica l'applicazione del già raro e poetico Aevyaλέος. Ma κόμμα e μελαγκράνινος sono due ἅπαξ dalla caratura tutt'altro che aulica. Si osservi, tuttavia, allo stesso tempo, come il composto, che non e altro che aggettivo derivato da una denominazione botanica, abbia formalmente la facies degli epiteti composti a primo elemento μελαν-, eminentemente poetici.

59? Come vorrebbe Schulten 1925, p. 88. 563 Rispettivamente, come si è visto, A. D. Knox 1925, p. 191, e Meineke 1843a, p. 351. 5% È curioso che i sostenitori di quest'ultima ipotesi non abbiano mai confrontato epic. inc. fr. 5 Pow. φάρει ῥωγαλέῳ «te» πίνου καπνοῦ t' ἀναμέστῳ, che il testimone, [Diog.] Ep. 34 riferisce ad

Odisseo di ritorno ad Itaca, ed allusivo, come rileva Emeljanow 1968, p. 165, a Od. 13. 434 s. ἀμφὶ δέ μιν ῥάκος ἄλλο κακὸν βάλεν ἠδὲ χιτῶνα, / ῥωγαλέα ῥυπόωντα, κακῷ μεμορνγμένα καπνῷ (nella trasformazione in mendicante operata da Atena). La correzione di Cobet 1882, p. 50, πίνου per il tràdito ixvov (e non ὕπνου, com'è nell'apparato di Powell; né ἱπνοῦ, come nell'apparato di Müseler: cf. Hinz 1999, p. 32), mi sembra da accettare, al contrario di Emeljanow 1968, p. 165: ogni riferimento al "forno" in relazione ad Odisseo sarebbe impertinente. Il parallelo appare tentante nel suggerire una correzione del singolare λευγαλέος del frammento filiteo nel più facile ῥωγα-

λέος: ma non è necessario. Sono da segnalare, riguardo al frammento adespoto, diversi fatti, non tutti documentati dall'apparato di Powell. A stare alla recente edizione di Müseler 1994, p. 50, il testo tràdito è φέρει ῥωγαλέου ἱπνοῦ (immo ixvov: vd. supra) καὶ καπνοῦ ἀναμέστου: φάρει è di

Hercher, i due dativi di Boissonade, il primo τε ὃ di Powell, mentre l'eliminazione di xoi e l'aggiunta del secondo x paiono doversi a Herwerden. Il dettato ha tutta l'aria di essere poetico, ma niente, in fondo, ci assicura che si tratti di un verso (per lo meno limitandosi alle correzioni

che appaiono necessarie). Inoltre ἵπνου dev'essere corruzione antica: è glossato in margine nel cod. Palat. Heidelberg. 398, del IX sec.

184

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti fr. dub. 30 = 54 Kuch.

schol. A Il. 1. 524c (Did.) κεφαλῇ κατανεύσομαι: οὕτως κατανεύσομαι, οὐχὶ «ἐπινεύσομαι» ᾿Αρίσταρχος Ev τοῖς Πρὸς Φιλίταν προφέρεται 2. Φιλίταν Erbse 1969, p. 142: φιλιτὰν A Il. 1. 524 ss. εἰ δ᾽ ἄγε tot κεφαλῇ κατανεύσομαι, ὄφρα rteroi8nc: τοῦτο γὰρ ἐξ ἐμέθεν γε μετ᾽ ἀθανάτοισι μέγιστον τέκμωρ᾽ οὐ γὰρ ἐμὸν παλινάγρετον οὐδ᾽ ἀπατηλὸν οὐδ᾽ ἀτελεύτητον, ὃ τί κεν κεφαλῇ κατανεύσω.

N καὶ κυανέῃσιν ἐπ᾽ ὀφρύσι νεῦσε Κρονίων

Se ἐπινεύσομαι fosse lezione presente in alcune antiche redazioni o se sia puramente congetturale, ὃ impossibile dire**. Riguardo alla preferenza accordata a questa forma, piuttosto che a κατανεύσομαι, Kuchenmüller, p. 109, e Rengakos 1993, p. 140, avanzano, a titolo d'ipotesi, che forse disturbava il successivo κατανεύσω in Il. 1. 527, con il significato di “promettere”. Ma Rengakos osserva anche come ἐπινεύσομαι accanto ad Er’ ὀφρύσι νεῦσε Kpo-

viov (v. 528) risulti problematico**. Da questo luogo potrebbe essere nato

ἐπινεύσομαι, secondo Kuchenmiiller 109. In realtà, mentre xatavevo significa l'assenso e l'accordo formale, in presenza o meno di un gesto, ἐπινεύειν ὃ segnale che implica sempre l'atto fisico*". Non è difficile ipotizzare che per la sequenza di Il. 1. 524-527 si potesse ritenere logica la seguente successione: prima Zeus affermerebbe che darà un segnale annuendo con la testa (quindi κεφαλῇ ἐπινεύσομαι), chiarendo in séguito il significato di questo segnale tra gli dei, in particolare che si tratta di un assenso irrevocabile (xev κεφαλῇ κατανεύσω). Insomma, la differenza starebbe tra il gesto vero e proprio e l'accordo che esso significa. Si aggiunga che quando Zeus ricorda l'assenso accordato a Teti afferma ἐμῷ δ᾽ enevevoa καρήτι (Il. 15. 75). Lettura o conget-

tura che sia, apparirebbe comunque antica, se, come sembra a Bulloch 1985a,

p. 241, e a Rengakos 1993, p. 140, Callimaco la tiene presente in Lav. Pall. 131, 135 (ἐπινεύσῃ, ἐπινεύει), insieme

a κατανεύσομαι

(v. 131

xatévevoe)58.

In

5 Un'osservazione nel senso di una antica variante è debolmente presentata da Valk 1964, p. 595, per essere alla fine rifiutata. Per Barth 1984, p. 160, si tratta, «unbestreitbar», di una congettura, ma non fornisce argomenti.

566 Come anche la diatesi: Rengakos 1993, p. 140, ricorda che ἐπινεύω ricorre altrimenti solo all'attivo.

567 Cf. Il. 1. 528, 9. 620, 15. 75, Od. 16. 164, 20. 431. %8 Kuiper 1896, p. 58 s., ricordava, invece, HDian. 40 (emxprinve καρήατι), per ipotizzare che Callimaco favoriva il filiteo ἐπινεύσομαι in Il. 1. 524. L'argomentazione è considerata inadeguata

Edizione e commento

185

realtä, nulla osta al fatto che Callimaco abbia piuttosto presente integralmente Il. 1. 524-528, dove appare, appunto, l'alternanza tra xata- ed emvedw’®, Riguardo alla posizione di Filita, Kuiper, Kuchenmüller, Barth e Rengakos danno per scontata la paternitä filitea della scelta o della congettura. Il fatto ὃ tutt'altro che sicuro: la presenza della discussione nel σύγγραμμα aristarcheo Πρὸς Φιλίταν non lo garantisce affatto, in mancanza d'altro. E chiaro che uno

scritto di tal tipo poteva facilmente consentire osservazioni senza rapporto diretto col titolo*?. Si può osservare che il tipo di intervento non è simile a

quanto di sicuramente filiteo & attestato negli scolii omerici (frr. 26-28).

da Rengakos 1993, p. 140 n. 3, per il fatto che si parte da HDian. 40. Inoltre, ricordiamo che sia per questo luogo, che per il più pertinente Callim. HDian. 28 πατὴρ 8' ἐπένευσε γελάσσας, abbiamo sempre il possibile modello di Il. 1. 528 ἐπ' ὀφρύσι νεῦσε Κρονίων. %9 Sulla distinzione di significato tra i due verbi in generale, cf. Bulloch 1985a, p. 241: «x. perhaps imply formal assent, whether with the token nod of the head or not, whereas è. has no connotations of formality». Ció puó rispondere, in qualche modo, alla situazione omerica, come abbiamo visto. Ma si noti che, almeno nell’Inno 5, Callimaco usa κατανεύω per il gesto vero e proprio (v. 131 ὡς φαμένα κατένευσε) ed ἐπινεύω per la valenza che Bulloch definirebbe formale dello stesso (v. 131 s. τὸ 5' ἐντελές, ᾧ κ᾽ ἐπινεύῃ / Παλλάς, v. 135 s. κορυφὰ Διὸς οὐκ ἐπινεύει / ψεύSea).

570 Un ammonimento di questo tipo, riguardo il Πρὸς Kopavév, sempre di Aristarco, è in Slater

1990, p. 242.

186

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti fr. dub. 31 = 55 Kuch.

schol. A Il. 2. 111b (Did.) [Ζεύς ue) μέγα (Kpovióngl: ... ἕνεκα γοῦν τἀκριβοῦς γράφοιμεν κατὰ ᾿Αρίσταρχον «ZEUG HE μέγας». Ev γοῦν τῷ Πρὸς Φιλήταν συγγράμ-

ματι τῇ γραφῇ κέχρηται 1. Ζεὺςμε et Κρονίδης del. W. Dindorf 1875, p. 81

| 2. Φιλήταν Erbse 1969, p. 202: φιλίταν A

1.2. 111 Ζεύς pe μέγα Κρονίδης ἀτῃ ἐνέδησε βαρείῃ

Riguardo al fatto che μέγα fosse lezione filitea, valgono i dubbi espressi a proposito del fr. dub. 30, con ancora maggior fondamento. Non solo si tratta nuovamente di una menzione del Πρὸς Φιλίταν, ma il dettato dello scolio, ἐν γοῦν τῷ Πρὸς Φιλήταν συγγράμματι τῇ γραφῇ κέχρηται (scil. ᾿Αρίσταρχορ͵ a pro-

posito di una discussione in cui vengono introdotti diversi esegeti ma non Filita, fa presumere che il Coo non c'entri affatto".

571 Da dove Kuchenmüller, p. 109, e Barth 1984, p. 54 n. 3 («Philetas hatte sich also für μέγα eingesetzt»), derivino la loro sicurezza non riusciamo a scorgere (cf. anche Barth 1984, 160).

Sullo scolio, rilevante per diversi motivi, vd., da ultimo, Montanari 1988b, 98-100.

Edizione e commento

187

fr. dub. 32 schol. DT Il. 21. 2524) (ex.) μέλανος τοῦ θηρητῆρος: ᾿Αριστοτέλης «μελανόστου» ἀναγινώσκει, τοῦ μέλανα ὀστᾶ ἔχοντος ... οἱ δὲ «μελανόσσου» μέλανας ὀφθαλμοὺς ἔχοντος 2. μέλαιναT | μέλαιναςT

schol. Ge Il. 21. 252d2 (ex.) τινὲς δὲ γράφουσι «μελανόσσου», τοῦ μέλανας

ὀφθαλμοὺς ἔχοντος C Did., ἢ: [M!, P!!], Li) 1 s. τοῦ μέλανας ὀφθαλμοὺς ἔχοντος Ge: παρὰ τὸ μέλανας ὀφθαλμοὺς ἔχειν D

Eustath. 1235. 39 (ad Il. 21. 252) τὸ δὲ «μέλανος τοῦ θηρητῆρος» λόγους ἔσχε πολλοὺς παρὰ τοῖς παλαιοῖς. ᾿Αρίσταρχος μὲν ... ἄλλοι δὲ «μελανόσσου» γράφουσιν, ἤγουν μέλανας ἔχοντος ὀφθαλμούς. οἱ δὲ γράφοντες «μελανόστου»

Il. 21. 251 ss. Πηλεΐδης 8’ ἀπόρουσεν ὅσον ἐπὶ δουρὸς éporj, αἰετοῦ cipata ἔχων μέλανος, τοῦ θηρητῆρος,

ὅς θ᾽ ἅμα κάρτιστός τε καὶ ὦκιστος πετεηνῶν

Il luogo e stato spesso trattato, ma per la variante μελανόστου e la sua pertinenza ad Aristotele??. Ma vi sono due laconicissime annotazioni, sfuggite a Kuchenmüller, che rinviano dubitativamente a Filita per la variante

μελανόσσου. La prima è di Ludwich 1884, p. 465. 3, che scrive non più che «Philetas?», l'altra ὃ di Leaf 1902, p. 403, che, sembra indipendentemente da Ludwich, propone un non piü corposo «(perhaps Philetas)». Il suggerimento non è del tutto peregrino: qualunque siano le motivazioni che hanno guidato Ludwich e Leaf si noti che si tratta dello stesso verso in cui Filita leggeva ὄμματα per οἴματα e che si ὃ potuta già apprezzare una propensione del Coo per la descrizione dell'apparato visivo”?. Anche la

formazione, inedita e improbabile (non esistono composti con ógoov), è in qualche modo paragonabile all’ ἰδῶν = ὀφθαλμῶν letto dal nostro in Il. 2. 269

572 Normalmente rifiutata (il frammento non è riportato né in Rose né in Gigon). Sul passo si vedano, ad es., Leaf 1902, p. 403, Wackernagel 1916, p. 226 n. 3, Philippson 1929, p. 167 s., Ed. Fraenkel 1950, p. 68, Valk 1963, p. 445, Sanz 1994, p. 43 s.

573 Non adduco, invece, il fatto che sia un composto di μέλας, elemento che ha indotto all’ipotesi di attribuzione a Filita del PHib. 172: una base, come si vedrà, del tutto inesistente (fr. male trib. 36).

188

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

(fr. 26). Ed ancora, μελανόσσου θηρητῆρος ha maggior sapore letterario di μέ-

λανος τοῦ θηρητῆρος, per di piü con un composto formalmente prezioso, seppure, per cosi dire, con immagine a basso prezzo. Per queste ragioni sarei incline a collocare la notizia dello scolio nella raccolta dei frammenti grammatici di Filita, qualificandolo come fragmentum dubium.

Edizione e commento

189

fr. spur. 33 = spur. 59 Kuch. Etym. M. 689. 24 (cod. M) προκρόσσας κέκληκε Φιλητὰς τὰς νῆας λεϊλιάδος C

Questa confusa annotazione, che il solo cod.

M appone dopo πρωτοτόκας

(immo πρωτοτόκους) alla fine, ma ancora all’interno della glossa filitea πρόξ

(fr. 20), è evidentemente solo il prodotto di una cattiva trascrizione?*. Nel resto della tradizione, infatti, a TIpoxövvnoog segue la glossa προκρόσσας Epvov: διὰ τὰς νῆας λέγει, Ἰλιάδος ξ΄ (scil. v. 35) κτλ.

574 Kuchenmüller, p. 111, nota, tra l'altro, la mancanza di qualsiasi interpretazione di προκ-ρόσσας.

190

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

fr. male trib. 34 = 59 Bach = inc. p. 84 Kay. schol. Theocr. 7. 151/152d W. (KUEAT) λᾶας ἔβαλλε: τοὺς ἐν τοῖς ὄρεσι Aiθους, ὡς Δημήτριός φησι τοὺς πεπτωκότας οὐκ οἶδ᾽ ὅπη ἐφιλότης 2. ὡς om. UEAT |

fort. Δημήτριός φησι τοὺς πεκτωκότας οὐκ old’ ὅπη «λίθους Πολυρφήςμου» βολάς

Wendel 1914, p. 114 | post φησι interpunx. Toup 1770, II, p. 410 | φιλότης codd.: Φιλητάς Toup 1770, II, p. 410 (olim φιλοπότης 1770, 1, p. 216), ψυχρότης Dübner 1849, p. 148, τοὺς πεπτωκότας /

οὐκ οἶδ᾽ ὅπῃ, φιλότης Ahrens 1859, pp. 284 et 527, ut vv. Demetrii comici

L'azzardatissima congettura di Toup5^ è basata solamente sul dato paleografico e motivata, più che genericamente, «in glossis saepius laudatur Philetas». A tutte le perplessità che puó suscitare tale procedura, si aggiunga il fatto che proprio non si riesce a vedere una glossa nel dettato dello scolio, comunque venga corretto°”.

575 Integralmente, la sua lettura dello scolio è τοὺς ἐν τοῖς ὀρεσι λίθους, ὡς Δημήτριός φησι. τοὺς πεπτωκότας οὐκ ol5' ὅπη. ΦΊΛΗΤΑΣ.

576 Infatti Bach, p. 79, per quanto ingenuamente, intendeva: «οὐκ olda, ὅπη Φιλητᾶς (subau-

diendum est φησὶ, i.e. exponit, explicat, interpretatur) τοὺς πεπτωκότας, i.e. λίθους, ὑπὸ Πολυφήμου»,

domandandosi se, piuttosto che alle &taxtot γλῶσσαι, il frammento non fosse da attribuire all’interpretatio Homerica di Filita. Kiessling 1819, p. 924, aveva riferito il Demetrio dello scolio

a Dem.

οἷος. 115 γίνεται μέντοι καὶ τὸ ψυχρὸν Ev τρισίν, ὥσπερ xai TO μεγαλοπρεπές. fj yap Ev διανοίᾳ, καθάπερ ἐπὶ τοῦ Κύκλωπος λιθοβολοῦντος τὴν ναῦν τοῦ Ὀδυσσέως ἔφη nic: φερομένου τοῦ λίθου αἶγες ἐνέμοντο ἐν αὐτῷ. ἐκ γὰρ τοῦ ὑπερβεβλημένου τῆς διανοίας καὶ ἀδυνάτου ἡ ψυχρότης, da cui Dübner 1849, p. 148,

ha preso spunto per l'emendamento ψυχρότης («οὐκ οἶδ᾽ ὅπῃ dictum videtur, quod ille [scil. lo scoliasta] Demetrium refutare volebat»). Ahrens 1859, p. 527, rifiuta il riferimento allo ps.Demetrio, a favore della Σικελία di Demetrio comico, ove «peregrinatus aliquis de saxis a Cyclope jactis narraverit». Dubbi sul corretto riferimento al luogo del de elocutione anche in Wendel 1914, p. 114.

Edizione e commento

191

fr. male trib. 35 = 60 Bach = inc. p. 83 Kay. = Philox. fr. 496 Th. schol. Apoll. Rh. 3. 118 ἐψιόωντο: ἀντὶ τοῦ ἔπαιζον. Φιλόξενος δὲ ἀντὶ τοῦ ὡμίλουν, παρὰ τὸ ἔπος 1. Φιλόξενος Lentz 1867, p. CCXIX: Φίλων codd. (cf. Meineke 1823b, p. X), Φιλητᾶς Ruhnken 1782,

p- 296 («fortasse recte» Meineke 1823b, p. IX), Φιλήμων (scil. Αἰξονεύς) dub. Meineke 1823b, p. IX 5., Φιλήμων dub. Wilamowitz ms. ap. Wendel 1935, p. 220 (iam Meineke), Herennium Philonem

dici putat Gudeman 1912, col. 652.53 | τοῦ om. L

Ruhnken 1782, p. 296, ritiene che si tratti di un frammento dalle ἄτακτοι γλῶσσαι di Filita: Filone sarebbe grammatico troppo recente, per essere men-

zionato negli scolii apolloniani’”. In epoca più ‘matura’ è intervenuto Lentz 1867, p. CCXIX, proponendo un ben piü probabile Filosseno, la cui confusione con Filone & frequente, come rilevato dallo stesso Lentz. La glossa, del resto, almeno per la parte che riguarda il presunto Filita, é di natura etimologica, un àmbito estraneo alla glossografia filitea, e potrebbe riflettere, invece, il metodo che sappiamo di Filosseno, anche se non vi troviamo la con-

sueta prassi derivazionale da elementi monosillabici??.

577 Bach, p. 79, registra il frammento, ma rifiuta la congettura di Ruhnken. 578 L'opinione di Gudeman 1912, col. 652. 53, incline ad attribuire la glossa al Περὶ διαφόρων σημαινομένων di Erennio Filone, non mi sembra riposi su particolari fondamenti, a parte il tràdito Φίλων.

192

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

fr. male trib. 36 = PHib. 172, ed. E. G. Turner, The Hibeh Papyri, Il, London 1955 = adesp. pap., SH fr. 991 col. I

col. II

col. III

col. IV

DACI 22-22

— [1I

I

]

col. V

-2-.----

[μελαμπέϊταλος

πίαλ]ίμποιος

[μελάμ]φνλλοι [μελαγ]κρήπιδες

ὀπισθόποινος δαιτόποινος

ἁλιμυρήεσσα [ἀϊλοσύδνης

exlaté]luBorov εἰκοσόβοιον

καλλίτεκνος ἀγλαοδίνης

καλλιβλέφαροίς!

[μελαϊμφαρής [κελαι]γεφής κυαν[οἸ]χαίτης κυαγόζυγοι

καμψίχειρ καμψίγουνος ἠερ[ο]φοῖτις ἠεροποῖτις

ἁλοτειχής ἁλογενέτωρ ἁλίζωνος ἁλίρραντος

δυῳδεκάβοιον dAee[oiBowv] ἁγί la og ἀγχιί ] ος

ἐγχέσπαλίος!] σί[αϊἸκέσπαλος κορυθαάιξ τριχάικες

κυα[ν]ῶπις

[κ]ναν[ὀϊπίρ]ωιρα

cu teo yn

ἀγχίθεος

δορυσσοῦς

κυαἰνοέ]θειραι

μιλτίόϊπρωιρος

ἁλιδερκής

ἀγχίπλονς

ποικιλόκρυμνίος

κυᾳγόφρυες

φοινικοπάραος

ἀἁλιγνήτην

ἀγχίστρ[ο]φίος)

αἱἰολόπρυμνίος

κυαν[ὀϊκολπος

φοινικόπρωιρος

ποντομέδων

&yxip[oAog]

λειριόπρυμν[ος

κυαναυγίς

μι[λϊ]τοπάραος

παντογόνος

θεόκτιτίο]ν

καμπυλόπρυμνος

Ἱππ[οϊ]δάσεια

θεουδής

ποντογνήτη

θεόγνη[τ]ον

ἀγκυλόπρυμνος

[ixm]oxaitmg

λιθόδμητον

ὑλακόμωροι

[ἱππόϊ]λοφος

ἀντίθεος

dii δόν[η]τον(7)

δηιάλωτος

ἐγχεσίμωρίο]ι

ἱπποφάται

ἰσόθεος

ἀλιγνέτωρ

δοριάλωτος

‚al

ἱππόδαμοι ἱππιοχάρμαι

[δ]εισιδαίμων [Jel Ἰιδαίμων

μιχθαλόεσσα Ai Yovog

σιδηροπέρσης δορίκτητος

φερί φερεί

ἱπποδίνητος

[᾿Αρ]ηίφιλος

ἁλίζωνος

δοριπετής

φερεδεα[

ἱππιόχαρμος

εὐρύχορος

θαλασσόζίων]ος

(7) ξενοδάικτος

φερέσβιον

ἱππήλατον εὐρνάγνια ἱἹπποκέλευθον εὐρύγωτος [χ]ρίυ]ση[λ]άκατος £opu. toc

ἐτυμόμαντις ἀληθοεπής ἐτυμόγλωσσος

ξεινο ἧς δορίδαπτίος](72) σιδηρο ins

λωτοί καρποφίόρος (7) [ἰ]οχέαιίρα (?)

[

ἐτυμόφανος

χαλκὸ ἧς

‚no l

πστ΄

θεοταρβής

1I

εὐρυ

vog

2-7

ἀμφ"

a[Ao]v

ἐτυμοφάς χαλκοί ----ὉὈλυμπομί[ἐ]δίω]ν χάλκασπίις(7) I Je. μέϊδ᾽ων χαλκοκίορυστής (7) vestigia

ὉὁΘ6 -----

6 1. μελαν]νεφής vel μελαι)νεφής Pfeiffer 1968, p. 163 n. 24, ut prioribus congruat

| 9 III ἀλιτεγγής

Turner 1955, p. 6, Pfeiffer 1968, p. 163 n. 25

L'attrazione subita dagli studiosi nel mettere in collegamento il contenuto di questo papiro, datato tra il 270 e il 230 a. C., con il lavoro grammaticale di Filita & tanto persistente quanto ingiustificata. L'ambiguo fascino, in questo senso, del papiro é dimostrato già dall'oscillante argomentare dell'editor princeps (p. 3): egli parte dalla considerazione di come sia seducente chiedersi se i vocaboli facessero parte del «dizionario» di Filita; sulla base

Edizione e commento

193

della testimonianza di Stratone comico, continua, ciö non sarebbe possibile,

poiché ivi ὃ presupposto che i lemmi fossero glossati. Non di meno, Turner escogita per la nostra lista di parole almeno un'appendice all'opera di Filita, su due basi: a) se ἄτακτοι significa «lacking systematic arrangement» ció corrisponderebbe alla disposizione dei termini nel papiro; b) la presenza di parole come μιχθαλόεσσα (la cui forma implicherebbe l'accettazione dell'interpretazione di Antimaco) o la giustapposizione di κορυθάιξ e tpiχάικες «would account for the attribution to Philetas of Homeric interpretation»5?, Limitandosi, per il momento, a verificare le osservazioni di Turner,

si noterà che, a parte l'incertezza del significato di ἄτακτοι, quelle di Filita rimangono γλῶσσαι, quali sono sicuramente i termini elencati nel papiro,

che tuttavia, nella loro nuda presentazione, non corrispondono affatto ai frammenti che di esse ci sono tramandati. Inoltre, dando per buono il significato «lacking systematic arrangement», bisognerebbe sapere cos'é un

«systematic arrangement», per poter dare un giudizio e su Filita e sulla disposizione nel papiro. Riguardo alla seconda argomentazione, ὃ facile far notare che se c'é materia diffusa e difficilmente attribuibile, in mancanza di precisi indizi, & proprio l'interpretatio Homerica, anche di ‘produzione’ cronologicamente cosi alta. Pfeiffer 1968, p. 163 s., & piü prudente, anche se il suo punto di partenza per collegare Filita e il papiro & quella che lui ritiene una coincidenza tra la presunta glossa filitea μελαγκράνινον (fr. dub. 29) ed il fatto che la lista

cominci con una serie di composti a primo elemento μέλας. Anch’egli si fa frenare dalla testimonianza di Stratone, con cui confronta la struttura delle glosse filitee rimasteci, e osserva che, in definitiva, niente parla in favore di Filita come autore, tanto piü che il papiro «non contiene γλῶσσαι nel senso proprio della parola». Non rinuncia, però, a concludere che «può essere dovuto alla sua influenza se tali esaurienti liste ... furono composte nel corso

del III secolo a. C.». Ora, il collegamento di partenza di Pfeiffer &, con tutta probabilità, fallace, trattandosi, per μελαγκράνινον, non di una glossa, ma di un frammento poetico di Filita®®. Vedremo entro quali limiti è plausibile, invece, la supposizione di una sua influenza nell'apprestamento di tali liste*?!. Tosi 1994a, p. 149, piü saggiamente direi, non si addentra in questioni attribuzionistiche, e si limita a proporre un'affinità strutturale, ovvero che le glosse di Filita fossero ἄτακτοι perché ordinate con criterio formale, simile a

579 Cf. Webster 1964, p. 40. 599 Vd. supra, pp. 175-183. 581 Accolta favorevolmente da Serrano 1977, p. 65. Calderón 1988, p. 19, dipende in tutto e

per tutto da Pfeiffer: salvo che sembra fraintenderlo, quando considera Stratone una testimonianza a favore del collegamento e quando afferma che la maggior parte dei frammenti delle ἄτακτοι γλῶσσαι presentano la «misma disposición» del papiro. La conclusione ὃ piü favorevole alla paternità filitea del contenuto del papiro (cf. anche Calderón 1994, p. 10).

194

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

quello del PHibeh, e non secondo campi semantici, la «forma piü usuale in àmbito alessandrino»**, Ora, la lista del papiro è un nudo repertorio di parole poetiche‘®, ed origine e funzione dello stesso non sono facilmente determinabili: a prima vista sembra trattarsi di uno strumento paraerudito (meno probabilmente scolastico), cui attingere per la composizione. Se cosi fosse, la funzione sarebbe, grosso modo, stilistica, toto coelo differente, per lo meno in veste cosi limitata, dalle istanze che vanno attribuite alle glosse di Filita. Tuttavia, il suggerimento di Pfeiffer, di una possibile influenza di Filita nell'apprestamento di liste di tal tipo, non é impossibile, in astratto. Se era tra gli scopi di Filita che la sua attività filologica avesse una ricaduta sulla lingua poetica, o, per lo meno, se il suo lavoro fu inteso anche in questo senso, é possibile ipotizzare un legame tra la glossografia filitea e il papiro, spiegandone anche il carattere meramente formale. E ovvio, comunque, che materiali quali e come forniti nel papiro possono derivare dalle fonti piü disparate, in particolare in mancanza di supporti interpretativi delle glosse, che potrebbero fornire indizi per una piü precisa attribuzione. Menzionare Filita, almeno nei termini in cui lo si fa solitamente, è fuorviante. Tanto più che non è risultata una influenza del lavoro glossografico di Filita sulla selezione lessicale a scopi di composizione poetica.

582 Purtroppo su tale ipotesi nulla è possibile dire: la possibilità di un ordinamento formale delle ἄτακτοι γλῶσσαι, di cui comunque non si ricavano indizi dai frammenti, non è in sè contraddetta dalla indubbia presenza di gruppi terminologici semanticamente coerenti. Vd. supra, . 21 5. n. 54.

P 59) Un «poetical vocabulary» lo definisce Fraser 1972, I, p. 456, che, senza discuterne l'assegnazione o meno a Filita, lo considera indicativo dello standard del lavoro lessicografico del primo periodo alessandrino. I luoghi ove i composti siano letterariamente attestati sono elencati in Turner 1955, pp. 5-7. 54 Si noti, tra l'altro, la mancanza di termini dialettali o comunque di termini per lo meno affini a quelli che abbiamo incontrato, in grande maggioranza, nei frammenti di Filita. Secco, «mir unwahrscheinlich», sull'ipotesi di Turner é Schróter 1959, p. 822.

Edizione e commento

195

fr. male trib. 37 = 24 Kuch. = 36 Bach = XXV Kay. = 27 Now. = Philit., SH fr. 675B schol. Apoll. Rh. 1. 1297 ὄστλιγγες αἱ λαμπηδόνες. Ev ἄλλοις δὲ σημαίνει ἡ λέξις τοὺς βόστρυχας: (sq. Callim. fr. 7. 12 Pf.). τοῦτο δέ φησιν Ἡρωδιανὸς (I 44. 41,.) ἐν τῷ β τῆς Καθόλου: παρὰ μὲν ᾿Απολλωνίῳ καὶ Φιλήτᾳ διὰ τοῦ d 3. ᾿Απολλωνίου H

| Φιλητᾷ codd.

Bach, p. 72, raccoglie anche questo tra i frammenti grammaticali di Filita, senza ulteriori considerazioni°®. È da ritenere che il frammento sia da collocare tra i poetica: per quanto nota Nowacki, p. 84, che Filita é addotto insieme Apollonio Rodio, ma soprattutto perché quello della grafia alternante non sembra tipo questione che possa aver interessato Filita grammatico.

585 Il frammento manca in tutte le edizioni dei poetica di Filita, tranne Kayser, Nowacki, Kuchenmiiller, SH.

586 Non vi è dubbio, tuttavia, che il passo non è privo di ambiguità. Vi si menziona Apollonio per la scrittura con a, quando si commenta un suo passo con ὄστλιγγες («opere aliquo deperdito usus est» Kuchenmüller, p. 84). Inoltre, non è detto che la scrittura ἀστλ- in Filita, per quanto da lui non considerata nei termini dello scolio, non fosse reperibile nel lemma di una sua glossa. ὄστλιγγες, in questa forma, è elencato quale glossa omerica (sic !) di Filita da Gräfenhan 1843, p. 533 n. 29 (del resto, cf. Cohn

1913, p. 679 n. 1: «voller Fehler Grifenhan»).

Erbse 1953, p. 184,

prima presenta il vocabolo come glossa filitea, poi preferisce considerarlo come assunto da Apollonio dalla poesia del predecessore.

196

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

fr. male trib. 38 = 25 Kuch. = 38 Bach = XXVI Kay. = Philit., SH fr. 6750 Steph. Byz. p. 342. 17 M. "Ixyvav πόλις Μακεδονίας. Ἡρόδοτος ἑβδόμῃ (7.

123). Ἐρατοσθένης (fr. III B, 100 Berg.) δὲ Ἄχνας αὐτήν φησι. Φιλήτας δ᾽ ἄλλην φησὶ διὰ τοῦ a 2. Φιλίτας V.

ἄλλην codd.: "Axvniv Xylander 1568, p. 151

| 3. φησὶ «τὴν» διὰ Meineke 1849, ad loc.

Bach, p. 72, raccoglie anche questo tra i frammenti grammaticali di Filita, senza ulteriori considerazioni*’. Quanto osservato per il frammento precedente vale anche per questo, ove il dettato Φιλήτας δ᾽ 6àÀ

59 φησὶ διὰ τοῦ A

sembra suggerire un intervento erudito in prosa, che ci sentiremmo tuttavia di escludere ancora per il tipo di questione ‘grammaticale’ in gioco e per il fatto che si tratta di glossa toponomastica, genere che sembra alieno a Filita.

587 Il frammento manca in tutte le edizioni dei poctica di Filita, tranne Kayser, Kuchenmüller, SH. 588 Vi erano "Axvaı in Tessaglia e Beozia.

Edizione e commento

197

fr. male trib. 39 = 27 Kuch. = 63 Bach = 25 Hart. = 14 Bgk. = 18 Now. = 23

Pow. = 17 D. = Philit., SH fr. 674°% vv. 1 s. POxy. 2260 1

ss.

καί xev ᾿Αθηναίης δολιχαόρου ἱερὸν ἄστυ καί κείν Ἐλευϊσῖνος θεῖον ἰδοιί..λόϊφον 2. suppl. Lobel 1952, p. 112 | e. g. ion Lobel 1952, p. 112, isoute Snell 1953, p. 434.

v. 1 schol. T Il. 21. 179b ἄορι] τῷ δόρατι. Φιλήτας: «καί xev ᾿Αθηναίης δολι-yaópov» ἀντὶ τοῦ μέγα δόρυ ἐχούσης 1. Φιλητᾶς cod.

schol. T Il. 14. 385 δεινὸν dop] τινὲς τὴν τρίαιναν, ἐπεὶ καὶ ᾿Αρκάδες καὶ Αἰτωλοὶ πᾶν ὅπλον ἄορ καλοῦσιν. ὅθεν καὶ χρυσαόρου ᾿Απόλλωνος (Il. 5. 509) καὶ «᾿Αθηναίης δολιχαόρου ἱερὸν ἄστυ». ὁ δὲ ποιητὴς μόνον τὸ ξίφος παρὰ τὸ αἰωρεῖσθαι 2. ᾿Απόλλωνος χρυσαύρον: transp. Erbse 1974, p. 656

In Bach, p. 82, il frammento ? tra quelli grammaticali. Egli conosce il fr. 27 Kuch. nella forma, del solo schol. ad Il. 21. 179, ἄορι: τῷ δόρατι. Φιλήτας᾽ καί κεν ᾿Αθηναίης δολιχαόρου, ἀντὶ τοῦ μέγα δόρυ ἐχούσης (sua è la punteggia-

tura). Lintegrazione fornita, anonima, dallo schol. Il. 14. 385 era rimasta inosservata prima di Bergk 1846, p. 23 n. 959,

Ha qualche ragione Kuchenmüller, p. 86 s., ad essere in dubbio «utrum versus Philetae sit an Cous exhibuerit interpretationem in opere grammatico, quam hoc versu allato defenderit», e che l'introduzione dei dialetti «ad Philetae studia bene quadrat». Ma ad una considerazione del tutto impregiudicata si vede, prima di tutto, che il dettato dello scolio, nella sua ellissi, collega un nome e un frammento poetico, e va preso come tale, con ció che ne consegue”. Da sottolineare è il fatto che per sostenere l'equazione di ἄορ con δόρυ, ovvero in una discussione esegetica riguardante Omero, viene portata la testimonianza di un poeta alessandrino??. 589 Il frammento manca in tutte le raccolte precedenti quella di Bach, compare, come poetico, in guella di Hartung. Schneidewin l'avrà escluso perché da lui ritenuto grammaticale. Il frammento stato ulteriormente arricchito da POxy. 2260 (1952). #1 Considerazioni simili ci è capitato di fare a proposito della citazione di poesia filitea dalla misteriosa 'Epunveia (fr. dub. 29).

592 Sull'uso di Callimaco per la constitutio textus negli scoli omerici, cf. Montanari 1995b, pp. 55-63. Franco Montanari (lettera del 4 settembre 1996) mi segnala l'interessante Apoll. Soph.

198

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti frr. male tribb. 40-41

schol. A Il. νύ περ ὧδε»: ὅτι ὕστερον αὖτις». δύναιτο δ᾽ ἄν τὸ

*

2. 258a! (Ariston. | Did.) ei κ᾽ ἔτι 0° ἀφραίνοντα «κιχήσομαι, ὡς περισσὸς ὁ κέ. trai ὅτι συνεκδοχῇ ei σε «dgpaivovtat κιχήσομαι ἐν δὲ τῇ κατὰ Φιλήμονα τὸν Κρητικὸν «κιχήσομαι ἐν Δαναοῖσι». ὥς νύ περ ὧδε ἀκούεσθαι ἁπλούστερον ἀντὶ τοῦ οὕτως, ὡσαύτως.

ταῦτα ὁ Δίδυμος (p. 113 Schm.) 1 s. κιχήσομαι, ὡς νύ περ ὧδε suppl. Villoison 1788, p. 60 | 2. ön! A: fort. ἡ διπλῆ, ὅτι Erbse 1969, p. 237 | 2 s. possis ὁ κέ. ἡ δὲ σινωπικὴ εἶχεν «ἀφραίνοντα κιχήσομαι ὡς τὸ πάρος περ», ἡ δὲ μασσαλιωτικὴ «ἀφραίνοντα κιχήσομαι ὕστερον αὖτις» vel ὁ κέ. καὶ ὅτι

«

> Erbse 1969, p. 237 («scriba A duas vel

tres lineas vid. omisisse» Erbse) | 3. αὖτις Villoison 1788, p. 60: aömg A | Φιλητᾶν Hecker 1850,

p. 429 | τὸν κριτικόν Villoison 1788, p. XXIII, xoi κρητικῇ Beccard 1850, p. 48 n. 10 Hom. Il. 2. 258 εἴ κ᾽ ἔτι σ᾽ ἀφραίνοντα κιχήσομαι, ὡς νύ περ ὧδε

schol. A Il. 16. 467c! (Did.) (caprnóov δ᾽ αὐτοῦ μὲν ἀπήμβροτε δουρὶ φαεινῷ" / δεύτερον ὁρμηθείς) ὁ δὲ Πήδασον «οὔτασεν ἵππον»: δοκεῖ διὰ τούτων συγχεῖσθαι ἡ διαφορὰ τοῦ βαλεῖν καὶ οὐτάσαι: βέβληται γὰρ ὁ Πήδασος. καὶ μή-ποτε γραφή τις ἐφέρετο, δι᾽ ἧς τὸ τῆς λέξεως σύνηθες ἐφύλασσεν Ὅμηρος: οὐ γὰρ ἄν αὐτὸ ἀπαραμύθητον ὁ ᾿Αρίσταρχος ἀφῆκεν. ἐν τοίνυν τῇ Φιλήμονος οὕτως ἐφέρετο «ὁ δὲ Πήδασον ἤλασεν ἵππον» ἔστιν γὰρ ὅτε ἐπὶ τῆς πληγῆς τὸ ἤλασεν κεῖται, ὡς ἐπὶ τοῦ ᾿Αρήτου «καὶ βάλεν ᾿Αρήτοιο» (Il. 17. 517), εἶτα «νειαίρῃ δ᾽ ἐν γαστρὶ διὰ ζωστῆρος ἔλασσεν» (Il. 17. 519) 1 s. σαρπηδὼν δ᾽ αὐτοῦ μὲν ἀπήμβροτε δουρὶ φαεινῷ" / δεύτερον ὁρμηθείς del. Erbse 1975, p. 262 | 2. οὕτασεν ἵππον add. Ludwich

1884, p. 408

| 5. Φιλητά Hecker

1850, p. 429

| 6. τῆς «πόρρωθεν»

125. 32 ss., ove come parallelo a Il. 14. 37 ὀψείοντες (lezione discussa nell'antichità) viene fornito Callim. fr. 24. 17 Pf. βρωσείοντες, e ove la stessa forma callimachea viene interpretata con ἀντὶ τοῦ βρωτικῶς ἔχοντες (cf. Montanari 1995b, p. 59 s.), ricordandomi l'àvti τοῦ μέγα δόρυ ἐχούσης con cui

viene glossato 6oAiyaópov in schol. T Il. 21. 179. In generale sugli scoli omerici citati Montanari mi scrive che «sembrano dipendere da un esame del/dei significato/i della parola &op, fatta come al solito analizzando occorrenze della parola in vari passi di autori. Dunque, una ricerca lessicale probabilmente nata dall'esegesi di Omero e per la quale l'analisi di un uso linguistico omerico si sviluppava con il confronto con quello di poeti posteriori (nell'àmbito tipicamente aristarcheo/alessandrino di distinguere l’omerico dal neoterico/piü recente)». Conclude che «se tale confronto arrivava fino a Filita» avremmo un caso simile a schol. Il. 9. 219b, ove si confronta l'uso omerico di θῦσαι con Timoteo (fr. 783 P.) e Filosseno di Citera (fr. 823 P.), per arrivare a Callim. fr. 5 Pf. (cf. Montanari 1995b, p. 58 s.). Se il POxy. 2260 ὃ veramente riferibile al περὶ θεῶν di Apollodoro (cf. Merkelbach 1958, pp. 115-117, Pfeiffer 1968, p. 398 s.), ci troveremo di fronte a un testimone senz'altro ancora in grado di attingere direttamente alle opere di Filita. Un altro poeta ellenistico utilizzato nella discussione & Callim. fr. 37. 2 s. Pf.

Edizione e commento

199

πληγῆς Lehrs 1882, p. 54 (= 1833, p. 64), τῆς βολῆς mav. Erbse 1975, p. 263

| 7. ᾿Αρήτοιο Bekker

1825, p. 458: ἀρήταο A

schol. T Il. 16. 467c? (Did.) (οὔτασεν irnov:} δοκεῖ συγκεχύσθαι ἐνθάδε τὸ βαλεῖν καὶ οὐτάσαι. καὶ ὁ μὲν ᾿Αρίσταρχος οὕτως ἀφῆκε τὸ ἄπορον, ὁ δὲ Φιλήμων «ἤλασεν» γράφει: καὶ ἐπὶ τοῦ βαλεῖν γὰρ κεῖται τὸ ἐλάσαι ὡς ἐκεῖ᾽ «καὶ βάλεν ᾿Αρήτοιο κατ' ἀσπίδα / ἡ δ᾽ οὐκ

ἔγχος ἔρυτο / νειαίρῃ δ᾽ ἐν γαστρὶ διὰ ζωστῆρος ἔλασ«σρεν» (II. 17. 517-519) 1.-4. post schol. Il. 16. 467-68 in T transposuit Erbse 1975, p. 263

| 1. οὕτασεν ἵππον secl. Erbse

1975, p. 263 | 1 s. καὶ «τὸ» οὐτάσαι Maass 1888, p. 193 | 3. ἐλάσαι Maass 1888, p. 193: οὐτάσαι T | καὶ βάλεν ᾿Αρήτοιο Maass 1888, p. 193: ἔβαλεν ἀρίτοιο T | ἀσπίδα πάντοσ᾽ ἐΐσεν, / ἡ 8' Hom. | 4. ἔρυτο Maass 1888, p. 193: ἔροιτο T (ἔρυτο, &anpó δὲ εἴσατο χαλκός / veraipn Hom.) | Eao«o»tv

Maass 1888, p. 193 Il. 16. 466 ss. Σαρπηδὼν δ᾽ αὐτοῦ μὲν ἀπήμβροτε δουρὶ φαεινῷ

δεύτερον ὁρμηθείς, ὁ δὲ Πήδασον οὕτασεν ἵππον

ἔγχει δεξιὸν ὦμον

Delle correzioni di Hecker 1850, p. 429, non & traccia nell’edizione di

Kuchenmüller. Le ragioni di Hecker si fondano, evidentemente, sulla correzione di Villoison 1788, p. XXIII, in schol. Il. 2. 258a!, κριτικόν per il sospetto xpnuxóv: poiché Filita è detto γραμματικὸς κριτικός in Suda $ 332 e ποιητὴς ἅμα καὶ κριτικός in Strab. 14. 2. 19, e inoltre sue lezioni sono ricordate negli scolii omerici, mentre Aristarco ha scritto un Πρὸς Φιλίταν, Hecker ha ritenu-

to di dover intervenire sul trädito Filemone. Laconico ma giusto il commento affisso da Erbse 1975, p. 262, all'intervento ad schol. Il. 16. 467c': «falso». Non solo, aggiungeremmo, perché è intervento che si basa su una congettura incerta, ma anche perché si parla di un'edizione κατὰ Φιλήμονος, e nulla di analogo e testimoniato per Filita. Inoltre, le scelte attribuite a Filemone appaiono piü convenzionali e, allo stesso tempo, piü rigorose e attente all'usus omerico, rispetto a quelle filitee: dichiarano senz'altro una più matura strumentazione esegetica?”.

593 Potrebbe trattarsi di Filemone di Exone, cf. R. Weber 1888, p. 450, Wendel 1938, col. 2151. 24 ss.

BIBLIOGRAFIA

(Gli editori filitei saranno indicati solo col nome. Schmidt e Latte ad Esichio si intendono ad loc.)

Le annotazioni

di Musuro,

M.

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Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

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H. Zilliacus, Boktiteln i antik litteratur, «Eranos» 37, 1941, pp. 1-41 O. Zumbach, Neuerungen in der Sprache der homerischen Hymnen, Winterthur 1955 G. Zuntz, Die Aristophanes-Scholien der Papyri. III, «Byzantion» 14, 1939, pp. 545-614

ADDENDA

p. 10 s. nn. 13-14: anche Spanoudakis 2000b, p. 36, è per μέροπες e πηγός quali termini illustrati nelle "Ataxtoı γλῶσσαι (da cui μέροπες in Callim. fr. 298

Pf. e Apoll. Rh. 4. 536) p. 17 s.: tuttavia, é da prendere in sería considerazione l'interpretazione sintattica di Latacz 1985, pp. 86-89. A partire dal fatto che la Leonzio inten-

derebbe dimostrare il principio che omnia víncit amor, Latacz 1985, p. 88, rende/parafrasa così i nostri versi (con μολπάζοντα oggetto di οἶσθα): «und ferner weisst du, dass auch (oder: selbst) der Sánger, den die Mit-

bürger des Eurypylos, die Koer, in Erz unter die Platane setzten, (dass selbst dieser der Liebe erlegen ist und nun) die flinke Bittis besingt, er, Philitas, der rings alle Wórter und jeglichen Dialekt rastlos an sich zieht» (vd. i paralleli nella stessa Leonzio portati a p. 87 s.). Le conseguenze di questa interpretazione, rispetto a quanto abbiamo proposto, sarebbero: 1) μολπάζοντα --- θοήν non avrebbe nulla a che fare con l'atteggiamento fissato nella statua, ma denoterebbe la passione amorosa di Filita, in generale; 2) περὶ --- λαλιήν designerebbe la logorante opera dell’erudito raccoglitore, che ha reso famoso Filita, ma che non lo ha sottratto, nemmeno lui!, alla forza dell'eros (cf. Latacz 1985, p. 89). Di conseguenza, in

Ermesianatte vi sarebbe una testimonianza dell'attività ‘grammaticale’ di Filita, e λαλιήν andrebbe interpretato nel senso dell'attenzione ‘filologica' alle glosse dialettali. p. 19 e n. 41: una nuova edizione commentata di tutto Filita è annunciata da Kostantinos Spanoudakis (cf. Spanoudakis 2000b, p. 31) p. 122: sulla localizzazione attica di ὄμπνιος vd. anche Spanoudakis 2000a,

p.112

p. 123: per Spanoudakis 2000a, p. 112, Licofrone avrebbe attinto il vocabolo alla raccolta di Filita

p. 123: anche per Spanoudakis 2000a, p. 112, Filita potrebbe aver utilizzato ὄμπνιος nella sua Demetra

p. 123 s.: a parere di Spanoudakis 2000a, p. 112, il dettato dello scoliasta favorisce una sequenza giambica ὄμπνιον στάχυν, e aggiunge che «ὄμπνιον στάχυν is in the style of Euripides, cf. Bac. 750 εὔκαρπον ... στάχυν /, fr.

226

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

373. 1 Nauck πύρινον «στάχυν» / (?), Hypsip. fr. 60. 94 Bond dote κάρπι-μον στάχυν] /», e Filita avrebbe forse preso spunto da un passo tragico per un «comprehensive treatment of the rare Attic vocable ὄμπνιος» (ma si noti che due delle tre occorrenze sono frutto di integrazione; piuttosto,

andava menzionato Suppl. 31 κάρπιμος στάχυς /) p. 139: Spanoudakis 2000a, p. 110 n. 1, rileva che βαίβυκος e dattilico. Naturalmente, ció non si puó intendere in senso esclusivo (inoltre, é da ricordare che una denominazione onomatopeica come κόκκυξ ha v lungo)

Ρ. 151 s.: Spanoudakis 2000b, p. 41, senza ulteriori argomentazioni, avanza

la possibilità che la glossa esichiana derivi in ultima istanza del Πρὸς ®ıAttav di Aristarco P. 153: Spanoudakis 2000a, p. 110 (in app. al fr. tràdito da Hesych. o 1148 Schm.): «ἐγώ in vicinitate expectes»

p. 155: sulla derivazione del frammento dalla ἀρχαία, vd. anche Spanoudakis 2000a, p. 111, che confronta Aristoph. Eq. 429 ἐγώ σε παύσω τοῦ θράσους, Lys. 446 παύσω τιν᾽ ὑμῶν τῆσδ᾽ ἐγὼ ἐξόδου («less likely, from invecti-

ve iambic poetry in the style of Hipponax») p. 156 s.: sulla singolarità del glossema κάπρας, vd. anche Spanoudakis

2000a, p. 111 (con il medesimo rigetto della correzione di Latte a Hesych. x 738 [n. 5])

p. 157: anche per Spanoudakis 2000a, p. 111, l'attestazione nella defixio «speaks for a humble provenance» del sostantivo p. 157 s.: alla luce della valenza tecnica dei termini e della chiara distinzione in Aristot. HA 572b 24 s., non é da ritenere probabile la spiegazione di Spanoudakis 2000a, p. 111: «the coupling (scil. di κάπρα) with σκύζη was no doubt suggested by their approximation in Aristoteles (scil. HA 572b 24 s.»

p. 159 s.: Spanoudakis 2000b, p. 40 s., favorisce la soluzione di Kuchenmül-

ler col suggerimento che possa sottostare una questione omerica: ovvero l'interpretazione di αὐλή come οἶκος alternativa a ὑπαίθριος τόπος (docu-

mentazione in n. 29). Filita, diversamente da Aristarco e altri, starebbe

interpretando αὐλή = una parte coperta della casa, ed Ecateo potrebbe essere stato addotto a supporto. La fonte, anche se non diretta, potrebbe essere il Πρὸς Φιλίταν di Aristarco

p. 164 s.: anche per Spanoudakis 2000b, p. 31, la glossa ὃ da opera poetica di Filita («could have been mentioned in a comment on Theocr. 7 via the

Thessalian pharmakis Mestra, the mother of the Coan king Eurypylus»; non si tratterebbe, in questo caso, di una glossa direttamente da esegesi di poesia filitea) p. 165: Spanoudakis 2000b, p. 31 s., ritiene che Hesych. a 1363 L. ἄεμμα: 16Eov. ἱμάτιον (SH 673 ?), a 7862 L. ἄστλιγγας: αὐγάς. ἢ ἄστριγγας (fr. 24 Kuch.), x 363 L. κάκτος: ἄκανθα ὑφ᾽ ἧς ἐὰν πληγῇ νεβρὸς ἀχρεῖα ἴσχει τὰ

Addenda

227

ὀστᾶ εἰς αὐλούς (fr. 11 Kuch.), v 552 L. νήχυτον’ πολύ (fr. 23 Kuch.) siano glosse relative all'opera poetica di Filita. Si tratterebbe di passi filitei toccati dagli esegeti (Teone?) commentando altri poeti (Callimaco, Teocrito, Apollonio Rodio, Nicandro). Tuttavia, α 1363 L. e v 552 L. recano inter-

pretazioni non abbastanza distintive, perché si possa apparentarle ai te-

stimoni dei frammenti filitei; in α 7862 L. il dettato dell'interpretamentum è piuttosto diverso da quello dello schol. Apoll. Rh. 1. 1297, che menziona Filita: il che sarebbe piuttosto strano, se la fonte fosse la medesima (e

per citazione di Filita é difficile immaginarsene piü di una). Rimane x 363 L., ma in Antig. Caryst. Mir. 8 Filita & introdotto a illustrazione del mirabile naturalistico, e non il contrario. Quindi non si tratta necessaria-

mente di glossa esegetica di poesia. Comunque, e questione che ha bisogno di ulteriori approfondimenti.

p. 166 n. 510: Spanoudakis 2000b, p. 34, senza menzionare il rimando, per altro generico e dubbioso, di Kuchenmüller, ipotizza che Hesych. 1 222 L. tidor ὀφθαλμοί, possa essere un «relitto» dell'esegesi filitea di ἀχρεῖον ἰδών, ed essere sano. Ma siamo esattamente informati che Filita leggeva

ἰδῶν, incompatibile con l'accentazione del nostro presunto lemma. p. 177: anche per Spanoudakis 2000a, p. 110, il distico sarebbe di poeta addotto da Filita nell'illustrazione della glossa Ricevo, in extremis, un dattiloscritto di Peter Bing, dal titolo The Unruly Tongue: Philetas of Cos as Scholar and Poet. Pubblicato, costituirà senz'altro

uno dei contributi su Filita piü organici e piü originali degli ultimi tempi. Innanzi tutto si segnalano alcuni elementi di profondo accordo tra quanto osservato in questo libro e alcune affermazioni di Bing: 1) «Philetas, whose particular obsession was with words»; 2) l'intenzione di non spiegare Omero;

3) la differenza della glossografia filitea da quella dei Γλωσσογράφοι; 4) un possibile interesse primario di Filita «in the lack of uniformity, in semantic dissonance itself», cioè per I’ ὁμωνυμία (vd. p. 104; da Bing considerata anche oltre il caso del fr. 13);

5) la ricerca glossografica dialettale come mezzo per sfuggire alla «growing pressure toward linguistic conformity through the spread of koine Greek as the language of the political administration» (vd. p. 36); 6) il frammento di Stratone comico con grande probabilità non riporta materiale filiteo (vd. p. 10 s.). Inoltre, Bing tratta di alcune questioni (o vi accenna acutamente), che, a

mio parere, meritano attenzione e maggiore approfondimento, e che in questo libro sono menzionate cursoriamente: 1) il fatto che Filita come glossografo omerico potrebbe essere particolarmente attirato dagli hapax (vd. n. 73);

228

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

2) quella che ho provato a definire «vocazione alla marginalità di Filita» (vd. p. 67). Bing la integra organicamente in una serie di considerazioni, che partono dalle glosse filitee riguardanti termini che compaiono (anche impli-

citamente) in Omero (i frammenti trattati sono i nrr. 18, 5, 13, 9, 10), per sostenere che il reperimento, per le medesime parole, di referenti peregrini, prosastici e comunque estranei (e opposti) a Omero significhi un esplicito

distanziamento dallo stesso («The Iliad and Odyssey thus appear within the larger textual/linguistic matrix, a touchstone still, no doubt, but no longer the alpha and omega. Instead it is part, now, of a complex, often surprising

web of discourse»). Bing rivitalizza, con maggiore sostanza, l'idea di Kuchenmüller, che, comunque, molte glosse filitee partano da Omero, anche se ne manca la menzione o il termine in questione non sia omerico (vd. n. 50). Per noi, la man-

canza sistematica di riferimenti a Iliade e Odissea continua a rimanere un serissimo ostacolo alla possibilità che si possa istituire un collegamento con Omero; e a questa conclusione porta anche il notevole numero di glosse fili-

tee non rapportabili a Omero neanche implicitamente. Rimane peró per noi validissima, e in pieno accordo con quanto ci ὃ capitato di scrivere nell’Introduzione, la conclusione di Bing, che Filita non intendeva fare esegesi omerica.

A partire da questo interesse per la «semantic deviation and dissonance of the single word» (e con altri apporti, forse non particolarmente stringenti), Bing prospetta una soluzione per il difficile titolo di ἄτακτοι γλῶσσαι. E' un'ipotesi che qui non si può né sarebbe corretto descrivere e discutere nel dettaglio, ma che a mio parere sarà da tenere presente, per essere estremamente ragionata e, direi, superiore a quelle fin qui escogitate. Anche se continuo a preferire la possibilità che ho esposta a p. 27.

229

TAVOLE DI CONCORDANZA

Kayser

ἄμαλλα (p. 74)

ἀμόρα (p. 75) βαιβυκός (p. 75)

γυάλα (p. 76) δῖνος (p. 76) ἑλινός (p. 77)

Θεσσαλαί (p. 77) ἰάκχα (p. 78) xpniov (p. 78)

κύπελλα (p. 78) πέλλα (p. 79) στάχυν ὄμπνιον (p. 79)

πρόξ (p. 80) προχύτης (p. 80) σκάλλιον (p. 81)

σκῖρος (p. 81) σποδέα (p. 81) ὑπ' αὐνήν (p. 82)

ὑπεζῶσθαι (p. 82) ἴσθμιον (p. 83) ὑπυθυμίς (p. 83) ἐψιόωντο (p. 83) ad Theocr. 7. 151 (p. 84)

ad Il. 2. 269 (p. 84) ad Il. 21. 126s. (p. 85) ad Il. 21. 252 (p. 86)

Bach

230

63 64

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

39 28

Kuchenmüller

55 56 57 58 59

31 26 27 28 33

16 24 25 27

25 37 38 39

3

29

29

1

18

39

Nowacki

7

:

26

25

32

4

27

37

33 34 35

5 6 7

A Diehl

5

i

38

10

17

39 40 41

11 12 13

Powell

42

14

15 16

17 23

29 39

45

17

27

12, 22

46

18

43 44

47

48

19

20

29 39

SH

49

21

50 51

22 23

674 675B

39 37

52 53 54

24 29 30

675C 675D 991

25 38 36

231

INDICE DELLE FONTI

Antig. Car. mir. 19: Athen. 3. 114e: 9. 4016: 11. 783a: 11. 783d:

11. 467c: 11. 467f: 11. 483a:

11. 11. 11. 14. 14. 15. 15. 15.

495e: 496c: 498a: 645d: 646d: 677c: 678a: 678d:

Choerob. in Theod. Can. 333. 10 Hilg.: Cratet. A. P. 11. 218: Et. Gud. 248. 13 de Stef. Etym. M. 330. 39: 689. 15:

689. 24 (cod. M): Eustath. 1235. 39: 1235. 39:

Hermesian. fr. 7. 75-78 Pow.:

Hesych. a 3417 L.: B71L.: 0405 L.:

σ c v v

893 Schm.: 1148 Schm.: 262 Schm.: 274 Schm.: PHib. 172: POxy. 226011 ss.:

Porphyr. 141. 15 ss. Sod.:

T4

fr. 11 T5 fr. 2 fr. 1 fr. 3 fr. 4 fr. 10 fr. 5 fr. 6 fr. 7 fr. 9 fr. 8 fr. 13 fr. 12 fr.14 T 12b T8 fr. 17 fr. 15 fr. 20 fr. 33 fr. 28 fr. 32 T3 fr. 18 fr. 19 fr. 25 fr. 21 fr. 22 fr. 23 fr. 24 fr. 36 fr. 39 fr. 27

schol. Apoll. Rh. 1. 1297 W.:

fr. 37

2. 279a W.:

fr. 20

3. 118 W.:

fr. 35

4. 982-92i W.:

fr. 16

schol. A Il. 1. 524c:

fr. 30 T 6a

A Il. 2. 1110:

fr. 31 T6b

A Il. 2. 258a!

fr. 40

A Il. 2. 269c:

fr. 26

A Il. 7. 171a:

fr. 27

T Il. 14. 385:

fr. 39

A

Il. 16. 467c!:

fr. 41

T II. 16. 46702;

fr. 41

A Il. 21. 126-27a:

fr. 27

bT I. 21. 126-27c:

fr. 27

T Il. 21. 179b:

fr. 39

bT Il. 21. 252d!:

fr. 32

Ge Il. 21. 252d?:

fr. 32

A Il. 22. 308a!:

fr. 28

Schol. Nicand. Ther. 3:

T1

schol. Theocr. 7. 151/152d:

fr. 34

Strab. 3. 5. 1, p. 168 C:

fr. 29

14. 2. 19, 657 C:

T2

Steph. Byz. 342. 17 M.:

fr. 38

Strato fr. 1. 40-44 K.-A.:

T7

Suda 7 74:

T 10

$332:

ΤΊ

Tzetz. schol. in Exeges. in Il. p. 126. 9 ss. Hermann:

vita Theocr. p. 1 W: Zon. 1579:

Τ9 T 12a fr. 20

232

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti

INDICE DELLE PAROLE

Αἰολεῖς: 29 n. 77, 77 n. 240 ἀλινδήθρα: 162 s. ἀμαλ(λ)- άμαλ(λ)-: 130-137 ἁμαλλεῖον: 135 n. 416

ἀμαλλοδετῆρες: 134 e n. 410 ἀμόρα: 82-86 ἄμφωξις: 53-56 ἄμφωτις: 53-56 ἄτακτοι (γλῶσσαι): 21 s. n. 54, 27 ἀχαιά: 125-129 ἄωτον: 57-59 Beau: 138 s., 226

κύκελλα: 90 s. λαλ-: 16 s. λευγαλέος: 181 s. ὀμπν-: 113-124 ὀμπνεῦύειν: 119 n. 359 ὀμκνίῃ δαιτί: 121 ὄμπνιον στάχυν: 121-124, 225 5. ὀμκνιόχειρ: 119 n. 359, 121 ὁμωνυμία: 104 παρά (in citaz. grammaticale): 155 n. 468,

165 πελίκη: 73 s., 76 s.

γυάλα: 60-63 δῖνος: 64-68 ἑλινός: 109-112

πελλ-: 69-77 πεπινωμένος: 182 s. rpa&: 143 n. 435 πρόξ;: 140-146

ἐπινεύομαι: 184 s.

προχύτης: 78-80

ἔριθος: 127 s. £punv-: 178 s.

σκαλλίι)ον: 81

ἰάκχα: 95-98

σκῖρος: 147-152

ἴσθμιον: 99-104 καινός: 34 n. 95

σκύζα: 153-158, 226

γνώριμος: 9 n. 8

ῥύεσθαι: 13-15

xnpiov: 87-89 xpeiov: 87 n. 276, 88 n. 277

σποδεύς: 92-94 τρύομαι )τρύχομαι: 15 ὑπαλύσκω: 171 s. ὑπεζῶσθαι: 161-163 ὑποθυμίς: 105-108

κρήϊον: 87-89

ὑπόμνημα: 32 n. 86

κριτικός: 8

φρίκηφρίξ: 171 s.

κάπρα: 156 s., 226 xatavevopon: 184 s.

233

INDICE DEI LUOGHI (sono comprese le fonti delle testimonianze su e dei frammenti di Filita)

Alex. com. fr. dub. 4 K.-A.: 78 n. 243

[Cyrill.] s. v. πορκας: 143 n. 435

Antig. Caryst. mir. 19: 9

Democr. 68 A 33 XI 1 D.-K.: 26 n. 68 B 26 D.-K.: 104 n. 335 Dion. Per. 1157: 111 Dion. Sinop. fr. 5 K.-A.: 63

Antiphan. fr. 189. 18 K.-A.: 34

app. prov. 4. 20: 119 n. 359 Archimed., SH fr. 201. 44: 121

Aristoph. fr. 205 K.-A.: 34 n. 95 fr. fr. Athen. 7. 9.

233 K.-A.: 25 s. 767 K.-A.: 135 n. 417 3. 114e: 92 n. 293, 93 284b-c: 37 n. 105 401e: 18, 33 n. 93

11. 783d: 54 n. 164

11. 467c: 61 s. 11. 467f: 64 n. 207 11. 482e: 90

11. 483a: 58 n. 183, 90 11. 495e: 69 n. 218 11. 496c: 78

11. 498a: 81 14. 645d: 88 14. 646d: 84 n. 261 15. 677b-c: 101 s. 15. 678a: 95 s. 15. 678d: 29 Callias, fr. 18 K.-A.: 135 Callim. HDian. 95 ss.: 144 n. 442 Lav. Pall. 131: 184 s. fr. 287 Pf.: 120 n. 63 fr. 399. 2 Pf.: 58 s.

ap. Pfeiffer 1949, p. 350: 43 n. 128 Clearch. fr. 111 W.: 40 fr. 112 W.: 39 n. 113, 40 n. 118

Crates, A. P. 11. 218: 11 s. Crates Athen. FGrHist 362 F 8 Jac.: 74 n.

227, 79 n. 247

epic. inc. fr. 5 Pow.: 183 n. 564 Epicur. Epist. Herodot. 1 76: 179 fr. 258 Us.: 179 Eratosth. fr. 10 Pow.: 128 s. Et. Gud. 248. 8 de St.: 127 248. 15 de St.: 126 s. Etym. M. 625. 45: 119 n. 359 Et. Sym. α 663 L.-L.: 135 n. 416 Eur. fr. 656 N.?: 102 Eustath. 1162. 26: 133 n. 400 1235. 39: 173 s., 187 s.

Glossographoi, fr. 16 Dyck: 45 n. 143 fr. 17 Dyck: 45 n. 142 fr. 19 Dyck: 25 n. 61 Heraclid. Pont. fr. 22 W.: 39 s. Hermesian. fr. 7. 76 Pow.: 12 n. 22 fr. 7. 77-78 Pow.: 12-18, 225

Hesych. a 1363 L.: 226 s. a 3417 L.: 132 a 3750 L.: 84 n. 262 a 4170 L.: 56 n. 172 a 7862 L.: 226 s.

a 8806 L.: 127 a 8807 L.: 128

p e 8 1 x x

71 L.: 138 s. 2098 L.: 111 n. 349 405 L.: 164 222 L.: 166 n. 510, 227 363 L.: 226 s. 738 L.: 156 n. 477, 226

234

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti x 873 L.: 156 n. 474 x 2546 L.: 89 x 4063 L.: 88 n. 277

v o o o o

552 817 825 826 828

L.: L.: L.: L.: L.:

227 84 119 n. 359 119 n. 359 119 n. 359

o 829 L.: 119 n. 359 o 830 L.: 119 n. 359

o o 1 x x x σ c c σ σ v v

831 L.: 119 n. 359 832 L.: 119 n. 359 1349 Schm.: 75 n. 228 1353 Schm.: 70 n. 219 3819 Schm.: 143 n. 435 4031 Schm.: 143 n. 435 816 Schm.: 81 884 Schm.: 149 n. 450 893 Schm.: 150 s. 1025 Schm.: 149 n. 450 1148 Schm.: 154 s., 156-158, 226 262 Schm.: 158 s., 226 274 Schm.: 162 s.

Hippon. fr. 21 Dg.:75 s. fr. 22 Dg.: 75 s. Inscr. ap. Baldwin Bowsky 1989: 13 n. 25 CIG IV 8347b: 61 n. IC IV 145. 3: 67 n. 212 MY Ue 611v. 1: 76 n. 236 Isocr. 10. 9 s.: 22 n., 34

Istr. FGrHist F 30 Jac.: 137 F 62 Jac.: 132, 136 s.

Lycophr. 1263: 121 Max. astr. ausp. 492: 111

Menand. fr. spur. 1000 K.-A.: 13 n. 25 Neoptol. Par. fr. 7 M.: 97 n. 212 Nicand. Alex. 1181: 111 Nonn. 12. 299: 111

16. 278: 111, 112 17. 333: 111, 112 26. 190: 121

Oppian. Cyn. 4. 262: 111 PHib. 172: 192-194 PLond. 402v 13: 61 n. Phot. a 1110 Th.: 133 n. 400 x 170 Th.: 156 n. 475

II 16. 19 N.: 119 n. 359

Il 23. 6 N.: 119 n. 359 II 324. 19 N.: 70 n. 220 Poll. 10. 78: 71 n. 221 Prov. Bodl. 710 Gaisf.: 119 n. 359 Quint. Smyrn. 11. 156: 132n. 396, 133 n. 400 11. 171: 132 n. 396 schol. Apoll. Rh. 1. 1297 W.: 195 3. 118 W.: 191 4. 982-92i W.: 120, 122, 124 schol. Aristoph. Vesp. 926a: 147 n. 449 schol. A Il. 1. 524c: 184 s. A Il. 2. 111b: 186 A Il. 2. 258a!: 198 s. A Il. 2. 269c: 166 TIl. 14. 385: 197 A Il. 16. 467c!: 198 s. A Il. 16. 467c?: 198 s. A Il. 21. 126-27a: 171 s. T Il. 21. 179b: 197 bT 21. 252d!: 187 s. Ge 21. 252d*: 187 s. A Il. 22. 308: 173 s. T Il. 23. 332-33: 151 s., 226 schol. Theocr. 7. 151/152d W.: 190 LXX Cant. 2. 5: 84 s.

Paralip. | 16. 3: 84 Sim. Rhod. fr. 30 Fr.: 79 n. 247 Soph. fr. 246 R.: 121 fr. 607 R.: 132, 137 fr. 785 R.: 182 n. 558 Steph. Byz. p. 342. 17 M.: 196 Strab. 3. 5. 1, 168 C: 175-183 Strato, fr. 1. 40-44 K.-A.: 10 s., 225 Suda e 859: 111 n. 349 o 306: 119 n. 359 $332:8en.2

Theocr. 2. 156: 79 n. 247 7. 39-43: 7 n. 1 Tzetz. schol. in Exeges. in Il. p. 126. 9 ss. Hermann: 10 e n. 10 Vita Theocr. p. 1 W.::7en.1 [Zon.] 148: 133 n. 400

158: 135 n. 416 1447: 119 n. 359 1651: 149 n. 450

INDICE DELLE COSE NOTEVOLI

accentazione, prime testimonianze di: 166 n. 511 Apollonio Rodio 'grammatico': 45 s. "Ataxtot γλῶσσαι: 21 s. n. 54, 27, 193 s.

Ateneo, modalità di citazione: 86, 90 n. 286 Callimaco ‘grammatico’: 42 s. citazione di poeti alessandrini per l'esegesi omerica: 197 s. n. 592 composti con xap: 119 n. 359 contenitori

denominazione e descrizione: 59, 62 s., 66 e n. 208, 67 s., 73 n. 222, 74

n. 224, 79, 81 suffisso suffisso suffisso suffisso

dialetti 105 143, epigrafi, Filita

-as/-nc: 62 -1&: 56 n. 172 Ac: 56, 77 n. 239 -trip/ -tng: 77 n. 239, 80

(e glosse dialettali): 37 s. e nn. e 108, 44 n. 135, 77, 83 s., 88, 225 uso di: 97

e Antimaco: 31, 38 bucolico: 7 n. 1, 38, 180 s. citazione di testi: 29, 96-98, 107 s.,

158, 177, 181, 225 s., 227 e i dialetti: 20 s., 29, 30, 35 e n. 100, 36,

37 s., 77, 81 n. 250, 91, 96-98, 104, 107 s., 122, 129, 136 s., 197, 225 διδάσκαλος: 9 s. edizione omerica: 23 s. n. 56 ‘Epunveia: 21-23, 176-180 in Esichio: 138 n., 155, 165, 226 s.

e l'etimologia: 32 s., 47, 58 n. 186, 145 s., 173 n. 524, 191 fama: 20 fonti: 37 s. formazione: 10 glosse di àmbito agro-pastorale: 30, 38, 80, 81, 112, 158 glosse di àmbito demetriaco: 30, 121, 123 s., 129, 135-137 sua glossografia e poesia anteriore: 28-30, 97 s.

sua glossografia e i poeti ellenistici: 11 n. 14, 24, 29 s., 58 s., 123, 146, 194, 225 sua glossografia e sua poesia: 24, 29 s., 38, 123, 194, 225 sua glossografia e glossografia successiva: 25 n., 39-47, 193 s.

glossografo: 20 s., 23 s., 27-38, 47 s., 97 s., 103 s., 192-194, 195, 196 e la ‘grammatica’: 33 e Longo Sofista: 7 n. 1 e il "nome": 34-37 omerista: 10-12, 20 s., 23, 27 s., 3032, 103 s., 145, 151 s., 166, 171-174, 184-188, 193, 199, 226, 227 poeta-filologo : 19, 34 s., 38

e la poetica: 33 ‘poetica della verità': 36 πρὸς Φιλίταν: 10, 20, 24 n., 31, 185,

186, 226 realia: 30, 35, 37 n. 104, 151

'sociolinguistica': 36 s. e Teocrito: 7 e n. 1 e Zenodoto: 31, 32

Filita grammatico. Testimonianze e frammenti glossografia

Istro antiquario e lessicografo: 136 s.

di Apollonio Rodio: 45 s.

Licofrone 'grammatico': 44 s.

arcaica e classica: 25-27 in Aristotele: 26, 40 s. di Callimaco: 42 s. in Erodoto: 26 di Licofrone: 45 di Lisania di Cirene: 46

lingua

ordinamento delle glosse: 22 n., 27 nel Peripato: 26, 39-41 professionale: 26, 42 n. 124 di Simmia di Rodi: 47 e storici locali: 37 s., 49, 50-52 di Zenodoto: 44 Γλωσσογράφοι: 25 n. 61, 26, 45, 179

considerazione antica della: 33 s. grammatica: 33 n. 94, 37 n. 105 ^nome": 33 s. ὀρθότης: 26 n. 61 e n. 66, 33, 40

‘parlata’: 37 e n. 105 Lisania di Cirene: 46

Nicanore di Cos: 165 n. 505 Simmia di Rodi 'grammatico': 46 s. suffisso -àv-: 139 n. 429

-εὖς: 93 n. 294 Zenodoto: 43 s.