Evangelo e Vangeli. Quattro evangelisti, quattro Vangeli, quattro destinatari 8810216156, 9788810216156

Uno dei maggiori studiosi italiani del Nuovo Testamento indaga l'origine del termine "vangelo" - usato lu

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Evangelo e Vangeli. Quattro evangelisti, quattro Vangeli, quattro destinatari
 8810216156, 9788810216156

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Il volume si presenta come uno studio sulle redazioni evangeliche e sulla loro struttura letteraria. Partendo dal dato certo dell'esistenza del termine «vangelo», buona notizia, assai prima che venisse a indi­ care i quattro testi cristiani, l'autore si propone innanzitutto di iden­ tificare l'origine e il significato del termine, indagando il genere let­ terario preesistente per chiarire il rapporto dei nostri vangeli con la tradizione. In un secondo momento presenta le metodologie messe in opera dalla scienza esegetica attuale per esaminare la composizio­ ne letteraria, l'ambientazione culturale ed ecclesiale, la prospettiva teologica degli scritti neotestamentari. Solo a conclusione di questo excursus diviene possibile affrontare l'analisi sistematica dei singoli vangeli, dei loro autori e destinatari, e sulla base dei risultati di tale analisi delineare un confronto storico, letterario, teologico tra di essi con l'obiettivo di tentare un bilancio conclusivo.

GIUSEPPE SEGALLA, uno dei maggiori studiosi italiani di Nuovo Testamento, nato nel1932 a Chiuppano (Vicenza) , laureato in teologia e in scienze bibli­ che, è professore di Nuovo Testamento alla Facoltà teologica dell'Italia set­ tentrionale nelle sedi di Milano e Padova. Tra le sue pubblicazioni più re­ centi: La preghiera di Gesù al Padre (Giov. 17), Paideia, Brescia, 1983; Pa­ norama storico del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 1984 e 1989; La cristologia del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia, 1985; Panorama let­ terario del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 1986; Panoramas del Nuevo Testamento, Verbo Divino, Estella (Navarra) , 21994.

ISBN 88-10-40257-X

€ 29,50 (IVA compresa)

collana LA BIBBIA NELLA STORIA diretta da Giuseppe Barbaglio

La collana si caratterizza per una lettura rigorosamente storica delle Scritture sacre, ebraiche e cristiane . A questo scopo, i libri biblici, oltre che come documenti di fede, saranno presentati come espressione di determina­ ti ambienti storico-culturali, punti di arrivo di un lungo cammino di espe­ rienze significative e di vive tradizioni, testi incessantemente riletti e re­ interpretati da ebrei e da cristiani. Si presuppone che la religione biblica sia essenzialmente legata a una storia e che i suoi libri sacri ne siano, per definizione, le testimonianze scrit­ te . Più da vicino, ci sembra fecondo criterio interpretativo la comprensione, criticamente vagliata, della Bibbia intesa come frutto della storia di Israele e delle primissime comunità cristiane suscitate dalla fede in Gesù di Nazaret e, insieme, parola sempre di nuovo ascoltata e proclamata dalle generazioni cristiane ed ebraiche dei secoli post-biblici . Il direttore della collana, i collaboratori e la casa editrice si assumono il preciso impegno di offrire volumi capaci di abbinare alla serietà scientifica un dettato piano e accessibile a un vasto pubblico.

l.

2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18.

Questi i titoli programmati: L'ambiente storico-culturale delle Scritture ebraiche (A . Bonora) Da Mosè a Esdra. I libri storici dell'antico Israele (E. Cortese: 1985) I profeti d'Israele: voce del Dio vivente (G. Savoca: 1985) I sapienti di Israele (G. Ravasi) I canti di Israele. Preghiera e vita di un popolo (G. Ravasi: 1986) La letteratura intertestamentaria (M. Cimosa: 1992) L'ambiente storico-culturale delle origini cristiane. Una documentazione ragionata (R. Penna: 31991) Le prime comunità cristiane (V. Fusco) La teologia di Paolo (G. Barbaglio) Evangelo e Vangeli. Quattro evangelisti, quattro Vangeli, quattro destinatari (G. Segalla: 21994) Gesù di Nazaret, evento fondante (G . Barbaglio) La tradizione paolina (R. Fabris) Omelie e catechesi cristiane (a cura di G. Barbaglio) L'apocalittica cristiana del I secolo (V. Vanni) La Bibbia nell'antichità cristiana (a cura di E. Norelli) La Bibbia nel medioevo (a cura di C. Leonardi) La Bibbia nell'epoca moderna e contemporanea (a cura di R. Fabris: 1992) La lettura ebraica delle Scritture ·

GIUSEPPE SEGALLA

EVANGELO E VANGELI Quattro evangelisti , quattro Vangeli, quattro destinatari

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA .

Prima edizione: gennaio 1993 Ristampe: settembre 1994

settembre 2003

©

1992 Centro Editoriale Dehoniano Via Nosadella, 6 40123 Bologna EDB (marchio depositato) -

ISBN 88-10-40257-X Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 2003

Prefazione

Il presente lavoro mi è stato commissionato come uno studio delle redazioni evangeliche; si limita perciò alla fase redazionale di Vangeli-Atti . Lo studio delle fonti antecedenti , scritte e/o orali e il loro percorso all'indietro fino al Gesù storico , è affidato al noto ed apprezzato esegeta Vittorio Fusco. L'ho iniziato , questo lavoro , con baldanza giovanile . Ma nel corso della ricerca mi è sembrata un'im­ presa impossibile e superiore alle mie forze. Solo il considerare la marea bibliografica che ha invaso la letteratura giovannea, 1 dove so­ no un po' più esperto , e l'instancabile quantità e varietà delle teorie ed ipotesi avanzate dalla critica letteraria, storico-religiosa e sociolo­ gica, mozza il fiato. Se poi vi si aggiungono le ricerche e gli studi su Vangeli sinottici-Atti , si comprende l'audacia che mi ha dovuto gui­ dare per portare a termine il lavoro intrapreso . Come . . . lo giudiche­ ranno i lettori . Personalmente , specie l'analisi della struttura lettera­ ria di superficie , è stata una gioiosa riscoperta della bellezza e della profondità teologico-spirituale dei Vangeli dietro alla semplicità e talora povertà del loro linguaggio . Nell'uso della bibliografia cre­ sciuta a dismisura , la fatica oggi più improba è quella di sceverare il buon grano dalla paglia. Confesso che ho dovuto operare una scelta. Ma la cosa più importante è il non perdere mai di vista e tanto meno dimenticare il fine: la comprensione sempre più corretta e più pro­ fonda dei Vangeli .

1 Le raccolte bibliografiche vanno dal 1920 al 1986: E. MALATESTA, St. John's Gospe/ 1920-1965 (AnBi 32) , Roma 1967 ; G . VAN BELLE, Johannine Bibliography 1 966-1 985 (BEThL 82) , Leuven 1988 ; R. RABANOS ESPINOSA-0. Mu!iloz LEON, Bi­ bliografia joanica. Evangelio, Cartas y Apocalypsis 1960-1986 (Biblioteca hispana bi­ blica 14) , Madrid 1990.

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Abbiamo titolato quest'opera «Evangelo e Vangeli» per indicare con «Evangelo» (nell'uso italiano) 2 il messaggio contenuto nei Van­ geli e quindi i Vangeli nel loro insieme, e con «Vangeli» i singoli quattro Vangeli come opera letteraria; è sul secondo versante che si concentrerà il nostro lavoro . Kloster der Heimsuchung, Uedem 10.09.91 Giuseppe Segalla

2 Si veda S. 1968:

Torino

6

BATTAGLIA «Evangelo,.,

in Grande Dizionario della lingua italiana,

Introduzione

Oggi, quando si parla di «vangelo», ordinariamente si pensa al li­ bro che contiene i quattro Vangeli oppure ai singoli Vangeli se vi si aggiunge la specificazione «secondo Matteo, Marco ... ». Ma la parola «vangelo/evangelo» (euaggelion) veniva usata molto prima che fos­ sero scritti i nostri quattro Vangeli. Paolo, in particolare, era entusia­ sta del «vangelo»: delle 76 volte che compare nel NT, ben 60 ricorre nella letteratura paolina. Degli evangelisti solo Marco (7 volte + l nella conclusione aggiunta) e Matteo (4 volte) lo usano; mentre non figura nel Vangelo di Luca (solo negli Atti due volte: 1 5 ,7 ; 20,24) né in quello di Giovanni, che lo rimpiazzano forse con «logos» (nel pro­ logo di Gv e in At 1,1). Solo due testi dei Vangeli potrebbero indica­ re implicitamente quell'itinerario che porterà a considerare il «Van­ gelo» un genere letterario. Anzitutto l'incipit del Vangelo di Marco: «> potrebbe indicare, oltre e in primo luogo, il buon annun­ cio di Gesù Cristo, anche il libro che lo contiene. 3 Il secondo testo è quello di Mt 24,14 (Mc 13,10): «E sarà predicato questo Vangelo del regno in tutto il mondo a testimonianza per tutte le genti ... ». M. Hengel in un suo breve scritto sul titolo dei Vangeli,4 sostiene che tale titolo, pur essendo attestato solo alla fine del II secolo, po­ trebbe risalire indietro al I, in quanto, se i Vangeli venivano letti in una liturgia simile a quella sinagogale, dovevano portare un titolo. Ma, in ogni caso, rimane certo che il termine «vangelo» fu usato lun­ gamente prima che indicasse i nostri Vangeli. 5 Che origine ha avuto, che cosa significava e che rapporto ha con i nostri Vangeli? Propo­ nendoci di studiare i Vangeli nella redazione attuale, dovremo

R. PESCH, Il Vangelo di Marco, Brescia 1980, I, 33-34. M. HENGEL, Die Evangelienuberschriften, Heidelberg 1984. 5 P. STUHLMACHER, Das paulinische Evangelium. l. Vorgeschichte (FRLANT 95), Gt>ttingen 1968. 3

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perciò in primo luogo rendere ragione del «vangelo» come genere letterario ; e in secondo luogo presentare le metodologie messe in opera dalla scienza esegetica attuale per esaminare la composizione letteraria, l'ambientazione culturale ed ecclesiale, e la prospettiva teologica dei Vangeli. Solo dopo si potrà affrontare l'analisi della re­ dazione dei singoli Vangeli; e alla fine , solo alla fine , si potrà tentare un bilancio conclusivo attraverso il confronto storico, letterario e teologico dei quattro Vangeli .

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Capitolo primo Dall'evangelo ai VangelP

Come abbiamo già detto , il sostantivo euaggelion ricorre 76 vol­ te nel NT, di cui 60 nella letteratura paolina ; e 54 volte il verbo euag­ gelizeinleuaggelizesthai, di cui 21 nella letteratura paolina e 33 negli altri libri del NT. Il sostantivo non compare nei vangeli di Luca e di Giovanni ; e in quest'ultimo neppure il verbo . Luca comunque cono­ sce il sostantivo , perché lo usa in At 1 5 , 17; 20,24. «Euaggelion» era dunque una parola conosciuta e diffusa nell'ambiente ecclesiale di Paolo, Marco, Matteo e Luca. E l'ambiente ecclesiale giovanneo? Si può avanzare l'ipotesi che il «buon annuncio» fosse sostituito dalla «testimonianza/testimoniare» al Logos incarnato , discreta indica-

1 H. CANCIK, «Die Gattung Evangelium. Das Evangelium des Markus im Rah­ men der antike Historiographie», in Humanistische Bildung 4(1981 ) , 63-101 ; C.H. Dono , La predicazione apostolica e il suo sviluppo ( SB , 21), Brescia 1973 (orig. ingl . London 41970) ; D. DoRMEYER-H. FRANKEMOLLE , «Evangelium als literarische Gat­ tung und als theologische Begriff. Tendenzen der Evangelienforschung im 20. Jahr­ hundert mit einer Untersuchung des Markusevangeliums in seinem Verhaltnis zur an­ tiken Biographie» , in A NRW Il.25.2(1984), 1543-1704; D. DoRMEYER, Evangelium a/s literarische und theo/ogische Gattung ( EdF 276) , Darmstadt 1989 ; M. ERBETIA, Gli apocrifi del Nuovo Testamento, Torino 1975, 111, 55-63 ; H. FRANKEMOLLE , Evange­ lium. Begriff und Gattung. Ein Forschungsbericht ( SBB 15), Stuttgart 1988; A. VoN HARNACK , «Evangelium . Geschichte des Begriffs in der ii.Jtesten Kirche», in Io., Ent­ stehung und Entwicklung der Kirchenforschung und des Kirchenrechts in den zwei er­ sten Jahrhunderten , Leipzig 1910, 199-239; M. HENGEL , Die Evangelienuberschrift, H.�idelberg 1984 ; H. K6sTER, a cura , The Genre of the Gospels, Missoula 1972; Io., «Uberlieferung und Geschichte der fruhchristlichen Evangelienliteratur», in ANRW 11.25.2(1984) , 1463- 1542 ; R. ScHNACKENBURG , «Das Evangelium im Verstandnis des altesten Evangelisten>> , in P. Ho FFMANN -N . BRox-W. PESCH , a cura , Orientierung an Jesus. Zur Theologie der Synoptiker ( rur J . Schmid ) , Freiburg 1973 , 309-323 ; W. ScHNEEMELCHER, «Evangelien>> , in E . HENNECKE-W. ScHNEEMELCHER, Neutestamen­ tliche Apokryphen , Tubingen 21959, I, 41-48 ; G. STRECKER, «euaggeliom> , in EWNT 2(1980), 176- 186; P. SruHLMACHER, a cura , Das Evangelium und die Evangelien ( WUNT 28) , Tubingen 1983 ; M.J. Suoos , , in The Interpreter's Dic­ tionary of the Bible. Supp. Volume, Nashville 1976, 370-72; C H . TALBERT, What is a Gospel? The Genre of the Canonica/ Gospe/s, Fortress, Philadelphia 1977 ; W . S . Va­ STER , >) . L'imperato· re Augusto veniva considerato «salvatore» e perciò le città ellenisti· che dell'Asia Minore iniziavano il nuovo anno il 23 settembre, suo genetliaco. In questa iscrizione si hanno elementi comuni col signifi· cato di «vangelo» nel NT: l'aspetto religioso (di dio) che include «le buone notizie>> e il profilo narrativo·biografico. Diversi risultano tuttavia: l'uso del plurale invece del singolare ; il contenuto politico e quindi terreno delle «buone notizie>> per il futuro , per cui le «buone notizie» al plurale si riferivano ad eventi diversi , mentre «il vangelo» nel NT si riferisce all'unico evento singolare di Cristo. Insomma non è attestato in ambiente ellenistico il sostantivo al singolare col signi· ficato che ha nel NT. Se dall'ambiente greco·romano passiamo a quello giudeo·elleni· stico , sembra non si abbia maggior fortuna. Il sostantivo to euagge· lion non riveste significato teologico né nell' AT ebraico né nella tra· duzione greca della LXX né in Filone . Nella LXX inoltre ricorre sempre al plurale (come nella stele di Priene) ed ha il significato di «annuncio» . Tuttavia Filone e Flavio Giuseppe sono testimoni del­ l'influsso dell'uso greco·romano sul concetto di «vangelo>> prima e fuori del NT. Il verbo euaggelizesthai viene usato da Filone per il culto dell'imperatore (Leg ad Caium 32,231). E Flavio Giuseppe parla una volta di «vangelo» al singolare nel senso di «buona noti­ zia» (Beli 2 ,240) ed euaggelia si riferisce alla nomina di un nuovo

4 La si può trovare , commentata , in R. PENNA , L'ambiente storico-culturale delle origini cristiane, Bologna 21986, n . 96, 169-171 .

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imperatore (Beli 4,618.656) . Però, come si può ben vedere, i testi sono scarsi e collocati chiaramente in ambiente politico greco-roma­ no, per cui non portano nulla in più rispetto all'iscrizione di Priene, sopra citata . In conclusione , allo stato attuale della ricerca non si può far deri­ vare dall'ambiente greco-romano il significato religioso-teologico di «vangelo» nel NT: l) per la scarsità dei testi profani rispetto alla ric­ chezza di quelli del NT; 2) per il significato banale o al massimo poli­ tico-religioso che contengono ; 3) infine , perché nel NT non si ha mai un confronto polemico su questo punto con l'ambiente greco­ romano. Preclusa la strada della derivazione del «vangelo» dall'ambiente greco-romano , altri , come P. Stuhlmacher e O. Betz , hanno tentato di farlo risalire all'ambiente palestinese di Gesù e della chiesa delle origini. Qui occorre anzitutto distinguere il verbo dal sostantivo . Per quanto concerne il verbo euaggelizein/esthai, gli esegeti sono d'ac­ cordo sulla sua derivazione dal Deuteroisaia (61 ,1-2 ; cf. 52 ,7-8) . In particolare, Is 61 ,1-2 è citato in Le 4,18 come letto da Gesù nella si­ nagoga di Nazaret . Questo stesso testo di Isaia («Lo Spirito di Dio mi ha inviato a portare il buon annuncio ai poveri») viene citato im­ plicitamente nella fonte Q (Mt 1 1 ,5/Lc 7 ,22) ; e infine Paolo in Rm 10,15 cita il testo del mebasser di Is 52,7 secondo la LXX (al plurale , mentre il testo ebraico è al singolare) . Anche se il verbo non è pre­ sente in Marco e Giovanni, e in Matteo solo nel passo sopra citato della Q, mentre in Luca ricorre spesso (10 volte nel vangelo e 15 ne­ gli Atti) , tuttavia tre fonti diverse del NT (Q, Luca e Paolo) riman­ dano concordemente a testi del Deuteroisaia reinterpretati in senso cristologico e cristiano . Per Is 61 ,1-2 il referente è Gesù stesso , che annuncia il vangelo ai poveri (cf. anche la prima beatitudine) ; per Is 52 ,7-8 referenti secondo Paolo sono invece gli apostoli cristiani . Il vangelo è dunque la buona notizia della salvezza , portata dal profeta escatologico preannunciato da Isaia. Più problematica si presenta la derivazione del sostantivo dal­ l'ambiente palestinese . Ne sarebbe testimonianza il Targum di Is 53, 1 , citato in Rm 10,16 (LXX) : il greco akoe traduce l'ebraico shemua'h , che a sua volta nel Targum viene tradotto con bes6rah , equivalente ad euaggelionllia. L'ascolto , nel testo originale , è l'a­ scolto della rivelazione di Dio , mentre per Paolo è l'ascolto della pa­ rola di Cristo , cioè della rivelazione di Gesù . 5 A Is 53 ,lss rimande5 SruHLMACHER,

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«Das paulinische Evangelium>> , in

Io.,

a cura , Evangelium,

rebbero implicitamente anche 1Cor 15 ,3-5 e Rm 4,25 , che interpre­ tano la morte di Gesù alla luce di ls 53. Se Mc 10,45 risale a Gesù , il significato di akoelbesorah potrebbe giungere fino a lui . 6 Nonostante questo generoso tentativo e quello di O. Betz che scopre tracce del «vangelo>> nella tradizione rabbinica del Talmud (peraltro troppo tardiva) / non vi sono prove serie per far derivare il sostantivo «to euaggelion» dall'ambiente giudeo-palestinese . In definitiva non è dimostrata la derivazione del «vangelo» , con la valenza semantica che ha nel NT, né dall'ambiente ellenistico (culto dell'imperatore e testi sporadici nel romanzo di Caritone di Afrodisia) né da quello palestinese per la mediazione del Targum . Mentre la parola deriva ovviamente dal greco e dal suo uso (ed è probabile che i lettori greci la comprendessero a partire da quell'uso) , il suo significato nel NT è più vicino all'ambiente biblico­ giudaico, perché significa la salvezza escatologica , promessa da Dio nell'AT (Deuteroisaia) e compiuta da Gesù nel Nuovo . Questo nuo­ vo significato di «euaggelion» è certamente derivato dal verbo usato nel Deuteroisaia, citato nel NT.

2.

LA TRADIZIONE CRISTIANA DI «EUAGGELION»

Mentre rimane aperto il problema della derivazione del sostanti­ vo singolare euaggelion nella valenza semantica del NT, è indiscussa invece la sua origine premarciana e prepaolina nel NT: la prima nel senso di «narrazione evangelica» , la seconda nel senso cherigmatico di «annuncio della salvezza per mezzo della fede in Cristo morto e risorto»; anche il senso cherigmatico prepaolino comporta comun­ que un aspetto storico , un evento , per cui «vangelo» contiene sem­ pre annuncio e storia insieme , ovvero una storia di salvezza annun­ ciata nel passato (AT) e compiuta già in Cristo , per il presente e il futuro dell'uomo. Secondo P. Stuhlmacher rimane ancora valida la storia della tra­ dizione cristiana di «vangelo» scritta da Von Harnack nel suo Ex­ cursus del 1910. 8 Egli distingue cinque fasi nella storia della tradi­ zione . 6 7

STUHLMACHER, «Das paulinische Evangelium>> , 170-1 7 1 , nota 3 1 . O . BETz , «Jesu Evangelium von Gottesreich>>, in STUHLMACHER, a cura , Evan­

gelium, 55-17 .

8 STUHLMACHER, «Das paulinische Evangelium>>, in Io., a cura , Das Evangelium , 157-170; VoN HARNACK, Evangelium , 199-239.

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l) Anzitutto «vangelo» viene usato per il messaggio del regno di Dio, predicato da Gesù (Mt 4,23/Mc 1 , 15). Rimane aperto il proble­ ma se Gesù stesso dal verbo «evangelizzare» di Is 6 1 , 1 (Le 4, 18; Mt 1 1 ,5/Lc 7,22; cf. prima beatitudine) sia passato al sostantivo besorah. 2) La comunità primitiva ha definito la predicazione della venuta del regno con besorah, e i membri ellenisti della comunità palestine­ se l'hanno tradotta in greco con la parola euaggelion, per quanto es­ sa non si trovi nella LXX (dove besorah viene resa con he aggelia). 3) Paolo fa di euaggelion l'idea centrale, formale e materiale , della sua predicazione . Lo concepisce come il messaggio del piano salvifico di Dio , già preannunciato dai profeti, che si compie me­ diante la morte e risurrezione di Cristo . Egli non contrappone «van­ gelo» e «legge» , ma li coordina con la promessa, per cui il vangelo è «il compimento della promessa» . Inoltre il «vangelo» è sempre lega­ to alla «salvezza» ; ma lo era già prima, nella predicazione del regno . 4) Luca rappresenta il passaggio dal «Vangelo del regno» al «Van­ gelo di Gesù Cristo» . Nel suo vangelo egli evita questo termine , ma lo usa due volte negli Atti, mentre vi ricorre spesso il verbo «evange­ lizzare>>. Distingue però molto bene fra l'annuncio del regno da par­ te di Gesù e l'annuncio di Gesù Cristo da parte degli apostoli. Luca quindi congiunge l'uso più arcaico di Marco con quello teologico di Paolo senza però confonderli. Anche da Luca si può apprendere che molto presto, all'interno della missione ai gentili , si è passati dal vangelo del regno al vangelo di Cristo . 5) Verso la fine del I secolo , mentre il verbo mantiene il suo si­ gnificato di «annunciare» , euaggelion assume diversi significati: a) designa la predicazione cristiana; b) significa il messaggio del Cristo morto e risorto ; c) può indicare anche la storia evangelica nei quat­ tro vangeli; d) infine esprime l'essenza e la forza attiva della nuova religione in rapporto a quella antica della legge (vangelo e legge). Secondo G. Strecker9 invece «il vangelo» avrebbe avuto origine nell'ambiente dei missionari ellenisti con una punta polemica nei confronti del culto all'imperatore, e tali missionari l'avrebbero crea­ to in analogia col verbo che già esprimeva l'annuncio dell'evento escatologico in Gesù , messia evangelico del regno. Come si vede, per quanto gli esegeti siano d'accordo sull'origine premarciana e prepaolina di «vangelo» , non sono d'accordo invece 9 STRECKER, «euaggelion», 176-186; similmente anche G. FRIEDRICHS in ThWNT Il, 122=GLNT III, 1 069-1071 .

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sulla priorità dell'uno o dell'altro. Infatti per G. Strecker andrebbe posto prima nell'ambiente ellenistico prepaolino , mentre per P. Stuhlmacher sarebbe da cercare nell'ambiente palestinese della chiesa delle origini se non addirittura a livello dello stesso Gesù sto­ rico. Più che entrare in discussione sul problema della cronologia (se è più arcaica la tradizione premarciana o quella prepaolina) e del conseguente ambiente culturale (ellenistico o palestinese) , mi sem­ bra più utile cercare di enucleare gli elementi tipici, che costituisco­ no il significato complessivo di «vangelo» . l) Anzitutto sia nelle formule (lCor 15 ,2-5) sia negli inni (Rm 1 ,3-4) il messaggio del vangelo contiene la cristologia e la soteriolo­ gia, strettamente legate fra loro. 2) È sempre orientato alla persona storica di Gesù di Nazaret per cui vi si proclama uno stretto rapporto tra fede e storia, che ap­ pare con evidenza negli stessi quattro nostri vangeli , ma anche in Paolo (Rm 1 ,3-4) . 3) Fin dall'inizio «il vangelo» rimandava alle promesse profeti­ che dell'AT, per cui «il vangelo di Dio» è stato preannunciato per mezzo dei profeti nelle Scritture sacre (Rm l , lb-2) ; e la morte e ri­ surrezione di Gesù «per noi» si sono compiute «Secondo le Scrittu­ re» (lCor 15 ,3-4) . È ciò che viene affermato anche all'inizio del van­ gelo di Marco, se si pone una virgola dopo «Figlio di Dio» e si conti­ nua: «come fu scritto nel profeta Isaia» (Mc l , 1-2) . Il «vangelo» an­ nuncia il compimento dell'evento salvifico, preannunciato dai profe­ ti e in particolare da Isaia (Is 52-53; 61) . Il riferimento al compimen­ to delle Scritture profetiche nei testi più antichi di Paolo (lCor e Rm) , che rimandano ad una tradizione prepaolina , mi sembra favo­ rire la tesi di coloro che sostengono l'origine palestinese del termine e del significato di «vangelo» , dato che tale orientamento è comune con la tradizione premarcana. 4) Oggetto del «vangelo» è il regno nella predicazione di Gesù (Mt 4,23; 24,14; 26, 1 3 ; Mc 1 , 14) , mentre è lo stesso Gesù Cristo nel­ la predicazione postpasquale; causa ed origine del vangelo è Dio stesso (Rm 1 ,2) , che ha inviato il Figlio suo nel mondo . 5) Destinatari del «vangelo» sono tutti gli uomini , ebrei e paga­ ni, senza distinzione (lCor 9, 12b-23) . Gesù stesso nell'episodio del­ l'unzione di Betania (Mt 26 , 13/Mc 14 ,9) preannuncia che il vangelo sarà predicato in tutto il mondo. Per i cristiani delle chiese paoline e delle comunità per le quali furono composti i quattro vangeli , la parola «vangelo» faceva pensa15

re istintivamente alla persona di Gesù di Nazaret come a colui che aveva portato agli uomini la salvezza escatologica ed era lui stesso «la buona notizia>> : salvezza non legata ad una data (come la nascita dell'imperatore) ma ad un evento, la vittoria sulla morte , sul pecca­ to e sulle potenze del male . «Vangelo>> cominciò ad acquisire anche un senso letterario , almeno implicito , da quando fu scritto il primo vangelo , quello di Marco.

IL «VANGELO» COME GENERE LETTERARIO

3.

Ma la comunità cristiana delle origini com'è passata dalla conce­ zione cherigmatica di «evangelo>> al contenuto narrativo dei nostri «vangeli>>? Secondo l'acuta analisi di Stuhlmacher, che meglio ha studiato il problema, 1 0 sembra non si possa delineare la storia dei «vangeli>> partendo dall'uso paolino di «evangelo» , che si concentra nell'essenza del cherigma cristologico in funzione salvifica e pre­ supppone l'evento storico di Gesù , messia di discendenza davidica «secondo la carne>> (Rm 1 ,3; 9,5) . Marco è il primo evangelista ed è quello che usa più spesso , fin dall'inizio , la parola «evangelo» ; anche Matteo la usa quattro volte . Per Marco e la sua tradizione è tipico il legame della storia di Gesù con «evangelo» , espressione missionaria più tardiva. Ora la tradizione cristiana associa il vangelo di Marco con Pietro (si veda più avanti il capitolo su Marco) . Troviamo nel NT fuori dei vangeli un progetto di «vangelo» nel senso del racconto evangelico? Lo troviamo, e proprio nella tradi­ zione petrina. Già il Dodd sosteneva la tesi che il cherigma di Pietro , riflesso nei primi quattro discorsi degli Atti, e in particolare in quel­ lo a Cornelio (At 10,34-43) avrebbe rappresentato una specie di traccia, seguita sostanzialmente dal vangelo di Marco . 1 1 Come si hanno delle formule prepaoline del «vangelo» (1Cor 15 ,3-5 ; Rm 1 ,3-4) , così vi sarebbe stata una formula narrativa preevangelica che avrebbe costituito la struttura narrativa essenziale : la predicazione del Battista, il battesimo di Gesù , il ministero in Galilea e poi quello in Giudea; l'attività taumaturgica ed esorcistica di Gesù ; l'attività nella Giudea e a Gerusalemme , il processo e la morte di croce e infi-

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16

SruHLMACHER, Evangelium, 1 80. Dono, La predicazione, 23ss e appendice alle pp. 1 12-1 1 3.

ne la risurrezione; questo cherigma o vangelo si concludeva con l'a­ spettativa di Gesù giudice dei vivi e dei morti . Due obiezioni vengono mosse a questa tesi del Dodd: l) se il di­ scorso di Pietro a Cornelio è preso sostanzialmente dalla tradizione (e lo proverebbe la traduzione sgraziata di alcuni versetti dall'ara­ maico) ed elaborato da Luca o se sia invece una creazione dello stes­ so Luca che qui riassume il suo vangelo (At 10,36 echeggia Le 2, 1 1 . 14 e 10 ,38; Le 22,25); 2) il fatto che il discorso non viene quali­ ficato come «evangelo». Brevemente possiamo rispondere a queste due obiezioni . Per quanto concerne la redazione lucana, sembra non si possa dire che Luca riassuma il suo vangelo nel discorso di Pietro , perché il vangelo di Le inizia con l'infanzia di Gesù e finisce con l'ascensione , mentre ambedue mancano qui . Inoltre grandi commenti recenti hanno mes­ so in luce nuovamente gli elementi di tradizione contenuti nel di­ scorso a Cornelio . 1 2 R.C. Tannehill, in una relazione tenuta a Mila­ no in occasione del 45° congresso internazionale del NT nel 1990, utilizzando la critica narrativa mise in luce il legame del discorso con la situazione narrata , in particolare con la cornice (At 10,34-35 .43) , la conversione di Cornelio ; è quindi verosimile che Luca abbia ela­ borato il discorso con materiali di tradizione . Ma questi materiali di tradizione, strutturati nel discorso , possono costituire il contenuto del «vangelo»? Qui è decisivo, secondo me , il riferimento retrospet­ tivo dello stesso Pietro nel suo discorso al concilio di Gerusalemme . È in questo discorso retrospettivo che ricorre il termine «evangelo»: «Uomini fratelli , voi lo sapete già da molto tempo: Dio ha scelto che per mia bocca le genti ascoltassero la parola del vangelo (ton logon tou euaggeliou) e credessero» (At 15 ,7) . Va notato il parallelo di ton logon con l'inizio del discorso a Cornelio (10,36) , da unire , secondo H . Riesenfeld al katalambanomai (comprendo) dell'incipit (10,34) nel senso di opposizione al precedente hoti («Veramente compren­ do che Dio è imparziale») Y Ciò spiegherebbe l'annuncio della pace fra ebrei e pagani e l'espressione parentetica riferita a Gesù Cristo : «Questi è il Signore di tutti» (10,36) , cioè di ebrei e pagani . Il discor­ so di Pietro a Cornelio è dunque connotato da Pietro stesso , nel suo

1 2 I.H. MARSHALL,

The A cts of the Apostles, Leicester 1980, 190ss; G . ScHNEI­

DER, Gli Atti degli Apostoli, Brescia 1 982, Il, 83 e 97- 103. 1 3 H. RIESENFELD, «The Text of Acts X,36>>, in E. BESTe R. Mc and Interpretation (Fst . M . Black) , Cambridge 1979, 191-194 .

L. WILSON , Text

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seguente discorso al concilio di Gerusalemme , come «vangelo» , an­ nunciato dal capo degli apostoli ai pagani in modo da condurre an­ che loro alla fede , che rimette i peccati secondo la testimonianza dei profeti (10,43). Ma il suo contenuto narrativo è molto più ampio , in­ cludendo peraltro, come in Paolo, la morte e risurrezione di Gesù . Mi sembra perciò seriamente fondata la tesi che ravvisa lo schema formale del vangelo di Marco già presente nella tradizione che si ri­ chiamava a Pietro , come a Pietro risalirebbero le tradizioni raccolte nel secondo vangelo. Quanto ai contenuti dei «Vangeli» nel senso di «narrazione evan­ gelica» , erano già circolanti , prima della redazione , nelle tradizioni e raccolte preevangeliche di parabole , miracoli, aneddoti , detti sa­ pienziali di Gesù in forme letterarie , che avevano talora dei paralleli nella letteratura del tempo. Il genere letterario del «vangelo» sarebbe perciò singolare ed unico come unica è la concezione cristologico-cherigmatica di «evangelo» . Eventi nuovi creano forme letterarie nuove . L'evento nuovo di Cristo diede origine al genere letterario «vangelo» , che narrava i fatti e le parole di Gesù ed aveva come cornice da una par­ te il battesimo di Giovanni Battista e dall'altra la morte-risurrezio­ ne . Nessuna delle raccolte preevangeliche può essere chiamata «Vangelo>> , e tanto meno il cosiddetto «Vangelo di Tommaso>> sco­ perto a Nag Hammadi . Il vangelo è il racconto di ciò che Gesù fece e disse in una cornice narrativa, ma senza alcun interesse per la corni­ ce cronologica (a parte Luca) e topografica come in una moderna biografia. Il vangelo come buona notizia narrata e scritta non aveva altri modelli letterari cui riferirsi . Lo si può chiamare «genere letterario>> perché si realizza in quattro opere diverse ed ha come sua finalità quella di conservare le memorie degli apostoli. Fu dopo la morte di Pietro e prima della distruzione di Gerusalemme, quel luogo santo in cui erano state raccolte e conservate autorevolmente le prime me­ morie di Gesù , che Marco scrisse il primo vangelo cominciando pro­ prio così: «Inizio del vangelo di Gesù Cristo (Figlio di Dio)>>. Pro­ prio questo solenne «inizio (archè)>> può essere considerato una spia della coscienza che aveva l'evangelista di iniziare un nuovo genere letterario, che avrebbe dato il titolo anche agli altri tre «Vangeli>> , scritti dopo di lui. Era l'inizio del passaggio dall' «evangelo» cherig­ matico alla forma più perfetta del vangelo come «narrazione» : nar­ razione della «buona notizia» . 18

4.

I VANGELI E LA BIOGRAFIA GRECO-ROMANA

Cosa pensare dell'influsso che avrebbero avuto le biografie idea­ li ellenistiche sul genere letterario del vangelo, come sostiene D . Dormeyer nella sua recente monografia sul vangelo quale genere letterario e teologico (cf. bibliografia) ? A mio parere dovremmo di­ stinguere previamente fra la possibile accoglienza dei «vangeli» in ambiente ellenistico e l'influsso letterario delle biografie ellenistiche sui «vangeli». Può ben darsi che i cristiani colti abbiano considerato i vangeli delle «biografie» di Gesù , corredate di aneddoti sulla sua vi­ ta, di sentenze e discorsi . Ma non siamo in grado di documentare storicamente il rapporto fra i due generi letterari . È molto illumi­ nante a tal proposito il lungo articolo del Dihle nella miscellanea cu­ rata da Stuhlmacher. 14 Secondo lui i vangeli , pur potendosi chiama­ re a rigore «storia di Gesù», non corrispondono né alle biografie moderne né alla biografia greco-romana. La difficoltà, anzi l'impos­ sibilità di un autentico confronto storico-letterario dipende da diver­ si fattori . Anzitutto delle biografie ellenistiche non si ha che un cu­ mulo di macerie ; e da frammenti e titoli non si può ricostruire un ge­ nere letterario unitario . L'unico vero modello letterario pervenutoci sono i «bioilLe vite» di Plutarco , che hanno un intento morale : far vedere come l'uomo può realizzarsi, sviluppando le doti concessegli dalla natura e attuare l'ordine cosmico nell'ordine morale . Svetonio , in ambiente romano , ha continuato questo genere letterario nel «De viris illustribus» con orientamento diverso da quello di Plutarco . At­ traverso le figure degli uomini illustri del passato egli intende rac­ contare la storia, di cui essi sono stati protagonisti. I vangeli sono ben lontani dall'interesse antropologico o filosofico che sta al centro della biografia ellenistica. In quanto proiettano la storia di Gesù in quella universale , sembrano più vicini alla biografia e storiografia romana. L'evangelista che più si avvicina al tentativo di inquadrare la storia di Gesù e della chiesa primitiva nella storia universale è Lu­ ca con le sue cronologie parallele (in particolare Le 3 , 1-2) ; dobbia­ mo infatti a lui i dati, che ci permettono una cronologia assoluta, in particolare di Paolo . La cornice di storia universale più propria dei vangeli è comunque quella biblica, una storia già connotata nel pas-

14 STUHLMACHER,

a cura , Evangelium , 383-41 1 .

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sato dalla presenza salvifica di Dio . I vangeli raccontano una storia, la storia della salvezza in Cristo. E costituiscono semmai un genere particolare all'interno della biografia. Questa tesi del Dihle mi sembra la più corretta. Anche il recente tentativo di M. Reiser di accostare il vangelo di Marco alla biografia romanzata di Alessandro Magno 1 5 mi sembra dimostri certo analo­ gie a livello di sintassi e di stile , ma non di genere letterario . In definitiva, la diversità dei vangeli dagli altri generi letterari storici del tempo sta nel fatto che il vangelo è un genere storico­ cherigmatico. Racconta una storia del passato , ma che parla al pre­ sente , e invita il lettore o l'uditore a coinvolgersi mediante la fede (At 10,43). L'interesse degli evangelisti per la biografia di Gesù non è quello per un uomo che si realizza e diviene modello di altri uomi­ ni come Socrate , e neppure per una filosofia elevata. I vangeli rac­ contano la storia di un uomo singolare , Gesù di Nazaret , che preten­ de di cambiare la storia dell'uomo da storia di peccato e di perdizio­ ne in storià di salvezza. In lui persona parola ed azione sono un tut­ t'uno. Semmai il confronto con la biografia greco-romana evidenzia ancor più la singolarità dei vangeli , che la assumono a loro volta dal­ la singolarità della stessa persona storica di Gesù e dalla sua impor­ tanza decisiva per la storia dell'uomo e del mondo . Si può dire co­ munque che il Vangelo ha a che fare, in qualche modo , con una bio­ grafia in quanto è il racconto della vita di Gesù , e non semplicemen­ te un manuale di morale né una raccolta dei detti di Gesù o una cro­ naca di ciò che ha fatto. Il genere letterario «vangelo» , se è singolare , non è però isolato dalla letteratura del tempo. Molti elementi di vocabolario , stile e morfologia (forme letterarie) sono comuni con le biografie greco­ romane . L'originalità dei Vangeli , tutto sommato , dipende , infine , dalla sua origine : l'evangelo cherigmatico.

15 M. REISER, «Der Alexanderroman und das Markusevangelium», in H. CAN­ a cura, Markusphilologie (WUNT 33) , Tiibingen 1984, 131-161 ; lo., Syntax und Stil des Markusevangeliums im Licht der hellenistischen Volksliteratur (WUNT 11 , 1 1 ) , Tiibingen 1984.

CI K,

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Capitolo secondo Alla scoperta delle redazioni evangeliche: le metodologie1

Definire l'apporto dei singoli evangelisti alla composizione del loro Vangelo , analizzare le strutture letterarie dei Vangeli , configu­ rare il loro ambiente storico-culturale, sociale e comunitario e con­ seguentemente la loro funzione , delineare le loro prospettive teolo­ giche : è il compito che ci siamo prefissi in questo nostro lavoro . Pur­ troppo però ci troviamo nella difficile condizione di conoscere poco degli autori ( a parte il nome posto nel titolo dalla tradizione cristia­ na, sicuramente nel II secolo e forse prima) e ancor meno della co­ munità storica per cui gli evangelisti hanno scritto . Di tutto ciò po­ tremmo disporre , se avessimo a che fare con opere letterarie di au­ tori rinomati come Cicerone , Tacito, Polibio , Plutarco o anche Fla­ vio Giuseppe. Eppure il compito non è disperato né impossibile. Il punto di partenza ovviamente sono sempre i Vangeli stessi , quelli che abbiamo tra mano. La scienza esegetica moderna ha messo a no­ stra disposizione almeno quattro metodi per studiare le redazioni evangeliche : l) quello diacronico della storia della redazione (Re­ daktionsgeschichte) , 2) quello sincronico della struttura letteraria di superficie , 3) quello funzionale socio-religioso , 4) ed infine quello delle coordinate spazio-temporali. Esponiamo perciò brevemente i metodi che applicheremo poi concretamente allo studio redazionale

1 Segnaliamo qui , all'inizio , alcuni manuali scientifici , in cui si può trovare la sto­ ria e l'esposizione delle varie metodologie esegetiche , di cui ci occupiamo nel corso . del capitolo : K. BERGER, Exegese des Neuen Testaments (Uni-Taschenbi.icher 658) , Heidelberg 1977; Io . , Formgeschichte des Neuen Testaments, Heidelberg 1984; J. CALLOUD, L 'Analyse Structurale du Récit, Lyon 1973 ; H. CoNZELMANN-A. LJNDE­ MANN, Guida allo studio del Nuovo Testamento (CSANT: Strumenti 1 ) , Genova 1986 ; W. EGGER, Metodologia del Nuovo Testamento. Introduzione allo studio sienti­ fico del NT (Studi Biblici 16) , Bologna 1986; N. PERRIN, What is Redaction Criticism?, Philadelphia 1969; J. RoHDE , Die Redaktionsgeschichte Methode, Hamburg 1966; G. SEGALLA, > nel libro di BERGER, Exegese, 202241 ; e soprattutto G. THEISSEN , Socio/ogia del cristianesimo primitivo , Genova 1987 (or. Tiibingen 1979) ; e due rassegne bibliografiche recenti : G. BARBAGLIO , , in Riv Bib 36 ( 1988) , 377-440; 495-520; D.J. HARRINGTON, , in B TB 18(1988) , 77-85 . 15 G. THEISSEN , Lokalkolorit und Zeitgeschichte in den Evangelien (NTOA 8) , Fribourg-Gottingen 1 979, 22-23 .

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3 .1. L'ambiente culturale : lingua e cultura letteraria Questo primo ambiente è il più noto all'esegesi tradizionale, perché è il più vicino al testo. La cultura è mediata anzitutto dalla lingua e dal linguaggio. È il primo indizio per l'ambientazione cultu­ rale del testo. Ora , i nostri quattro Vangeli sono tutti scritti in greco ellenistico, anche se la tradizione cui attingono è chiaramente semi­ tica (aramaico-ebraica) . Ciò significa che i lettori o ascoltatori, cui si rivolgevano, erano persone che conoscevano il greco, ma non l'ara­ maico né l'ebraico. Un secondo elemento di confronto sono i testi che gli autori cita­ no esplicitamente o implicitamente , le immagini che usano . Ora la maggioranza delle citazioni sono dall'AT tradotte dal testo originale o nella traduzione della LXX; le immagini e figure sono ambientate in Palestina anche se in qualche caso vengono adattate al nuovo am­ biente, greco-romano, dell'autore (in particolare Marco e Luca) . Un terzo fattore di confronto con la cultura circostante sono le forme letterarie usate , sia quelle minori (racconti di miracolo, para­ bole, apoftegmi, detti sapienziali, discorso apocalittico, ecc. ) sia i generi letterari come i vangeli e le lettere. Luca, ad esempio, inizia la sua storia con un prologo simile a quelli del suo tempo . Per determinare l'ambiente culturale riflesso nei singoli Vangeli occorrerà quindi studiare la lingua , le citazioni , i riferimenti ad eventi naturali , a forme letterarie e così via. In forma ancora preliminare si potrebbe dire che i Vangeli vivo­ no tra due mondi culturali : quello biblico-giudaico e quello greco­ romano, più orientati al primo che al secondo, anche se la lingua greca ci orienta comunque almeno verso l'ambiente giudaico della diaspora. Con ciò stesso viene esclusa subito l'ipotesi che le comuni­ tà da cui provengono fossero settarie come quella di Qumran , che usava nei suoi documenti prevalentemente l'ebraico, anche se ve ne sono pure alcuni in aramaico ed in greco. I Vangeli sono redatti in greco perché i primi cristiani volevano comunicare il loro messaggio a tutto il mondo; questa è l'intenzione implicita degli evangelisti.

3 .2 . L'ambiente sociale : contesto sociale e modelli socio-religiosi L'ambiente sociale può indicare il mondo o contesto sociale del o i modelli socio-religiosi cui si può rapportare la comunità cri­ stiana. Per quanto concerne il primo, un buon manuale è quello reNT

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cente curato da J . H . Neyrey. 1 6 La ricostruzione del contesto socio­ politico del I secolo nell'ambiente mediterraneo mediante la psico­ sociologia, lo studio delle istituzioni e dinamiche sociali aiuta il let­ tore di oggi a dis-locarsi in un'altra cultura a lui estranea e lontana . Se questa nuova metodologia è utile per comprendere il vero senso di formulazioni che oggi hanno altri significati in un contesto sociale diverso_, non mi è parsa utile al nostro scopo, cioè per lo studio delle redazioni evangeliche , in quanto si ferma agli aspetti tipici generali. Anche il contributo specifico sulla collocazione sociale dell'autore implicito di Luca-Atti non dice di più di quello che la scienza esege­ tica attuale riesce a dire sullo stesso argomento . Più utile al nostro scopo è lo studio dei modelli socio-religiosi , mediati dalla prospettiva («Weltanschauung») che si può ricavare dalla lettura di un Vangelo. Non si tratta della teologia della chiesa di Marco , di Matteo . . . , ma della coscienza che la comunità aveva di se stessa e come si rapportava e si distingueva dagli altri gruppi so­ cio-religiosi del suo tempo , e qual era il suo atteggiamento di fronte alle istituzioni socio-politiche. Riportiamo in breve un esempio con­ creto di tale studio dalla monografia di H. Clark Kee su Marco Y L'a. studia i gruppi socio-religiosi del I secolo in Palestina per vede­ re se la comunità di Marco corrisponde a qualcuno di essi o se pos­ siede un suo modello originale, che ha peraltro delle somiglianze con qualche altro gruppo . Ne descrive cinque, caratterizzati in base al loro rapporto con l'autorità socio-politica romana: l) gli erodiani accettavano incondizionatamente la collaborazio­ ne con Roma; 2) i farisei ammettevano di fatto il dominio romano , ma si dedi­ cavano allo studio e alla pratica della Torah; 3) gli apocalittici (tra cui anche i qumraniti) aspettavano passiva­ mente l'avvento imminente del regno di Dio , che avrebbe distrutto il presente eone malvagio . La lotta finale contro le potenze nemiche di Dio sarebbe stata guidata da un leader carismatico , che avrebbe cambiato tutto con l'aiuto possente di Dio : distrutto i malvagi ed il male , instaurato il regno di Dio e la nuova alleanza di cui gli uomini di Qumran sarebbero stato il nucleo ;

1 6 J.H. NEYREY, a cura, The Social Wor/d of Luke-Acts. Models for lnterpreta­ tion , Hendrickson Peaboy (Mass) 1991 . 17 H. CLARK KEE , Community of the New Age, Londbn 1977.

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4) gli zelo ti preparavano attivamente il regno di Dio per Israele con l'insurrezione e la lotta armata contro Roma; 5) un quinto gruppo era costituito dai filosofi itineranti stoico­ cinici, che andavano pellegrinando di città in città con un equipag­ giamento sommario ; predicavano una morale rigorosa, il dominio di sé e il distacco dal mondo, dal potere e dal piacere contro la corru­ zione imperante (un modello tardivo e retoricamente gonfiato è pre­ sentato dal filosofo Filostrato ( 170-244 d.C.) nella Vita di Apollonia di Tiana , un filosofo cinico-stoico del I secolo ; 6) andrebbe aggiunto , infine, anche il gruppo degli esseni itine­ ranti , di cui parla Filone , mà se ne sa poco. A questo punto , la domanda che ci si pone è la seguente : come e dove si colloca la comunità di Marco nei confronti di questi sei mo­ delli socio-religiosi? Da come appare nel Vangelo, è la comunità della nuova èra, della nuova alleanza, creata e guidata da Gesù . Ta­ le comunità dovrebbe essere vigile nell'attesa della venuta del re­ gno . Secondo Kee sarebbe perciò una comunità apocalittica (3° gruppo) , non però esoterica come quella esseno-qumranica. Essa vi­ ve in mezzo al mondo e aspetta il regno di Dio , che tuttavia è già ini­ ziato con la vittoria di Gesù sulle potenze demoniache , religiose e cosmiche . Ha pure una certa somiglianza col gruppo dei filosofi iti­ neranti (5° gruppo) nell'equipaggiamento dei suoi missionari , che però non li configura esternamente come filosofi (non portavano il mantello dei filosofi) ; erano simili a loro anche nell'itineranza. Però , a differenza dei filosofi itineranti, i missionari cristiani trovavano ap­ poggio nelle comunità cristiane , e l'annuncio del regno era ben di­ verso da una dottrina filosofica , anche se pure il regno di Dio impli­ cava un'etica rigorosa. Qui si doveva seguire una persona e non ab­ bracciare una dottrina filosofica con le sue conseguenze pratiche. In­ fine , i cristiani della comunità di Marco usavano la Bibbia greca dei LXX per dimostrare che la vicenda di Gesù corrispondeva al piano di Dio , annunciato nella Scrittura come profezia. Era una comunità cosciente di possedere il segreto del regno di Dio, aperta però ad ac­ cogliere pagani e peccatori ; dunque in contrasto col modello socio­ religioso dei farisei e degli uomini di Qumran . La comunità di Mar­ co era ancor più lontana dai due modelli , politicamente opposti , de­ gli erodiani e degli zeloti. Chiedeva ai suoi missionari un distacco to­ tale , ma offriva in cambio un nuovo legame familiare all'interno del­ la comunità della nuova alleanza, dovunque essi si trovavano . Forse il Vangelo di Marco serviva ai missionari cristiani , itineranti per i vil­ laggi della Galilea e della Siria, lontani dalle grandi città, in ambien­ te provinciale . 32

L'analisi descritta permette di collocare in modo più preciso la comunità di Marco all'interno dei gruppi religiosi del suo tempo. Ma vi è anche un pericolo: quello di trasporre direttamente e acritica­ mente sul piano storico socio-religioso quanto è affermato nel Van­ gelo . Va infatti ricordato che nel percorso della «storia della tradi­ zione» si ipotizzano tre possibili ambienti vitali diversi : quello del Gesù storico , quello della tradizione evangelica orale o scritta ed in­ fine quello della redazione ossia dell'evangelista. Ora , nella migliore delle ipotesi, possiamo supporre che questi tre ambienti siano in continuità. Ma, per una critica storica seria, bisognerebbe trovare delle conferme alla supposta prassi o comportamento , espressi dal testo , anche fuori del testo, in ambiente cristiano. Ora i primi dati cristiani fuori del NT li abbiamo verso la fine del I secolo . La rico­ struzione storica socio-religiosa rimane perciò ipotetica, nel presup­ posto che quanto è scritto nel Vangelo fosse praticato coerentemen­ te nella comunità. Tenendo criticamente conto di questo carattere ipotetico , il modello socio-religioso può essere comunque di aiuto per configurare gli elementi comuni e quelli diversi di una comunità cristiana, riflessa nel Vangelo , in confronto con i gruppi religiosi contemporanei . Questo metodo , a livello socio-religioso corrispon­ de a quanto intendeva il metodo tradizionale storico-religioso (Reli­ gionsgeschichte) nel confrontare le concezioni religiose del I secolo con la religione del NT.

3 . 3 . L'ambiente comunitario : scuole e comunità Mentre lo studio dell'ambiente socio-religioso confronta il mo­ dello della comunità cristiana risultante dal Vangelo con gli altri mo­ delli socio-religiosi allora presenti fuori della chiesa, lo studio del­ l'ambiente comunitario invece prende in esame le scuole o i gruppi all'interno della chiesa: le somiglianze e le diversità fra le comunità cristiane del I secolo . Se le comunità rivelano il loro volto attraverso i Vangeli , è subito evidente la diversità tra le comunità dei tre sinot­ tici e quella del Quarto Vangelo . Nel confronto minuto però delle caratteristiche proprie di due comunità supposte molto diverse , si può sorprendentemente arrivare alla conclusione che hanno una co­ mune origine . K. Berger, nel confrontare Paolo con Matteo , 1 8 riese�

18 BERGER , Exegese, 227-228 ; cf. anche R. MoHRLANG, Matthew and Pau/. A Comparison of Ethica/ Perspectives (SNTS M S 48) , Cambridge 1984.

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ad approntare una lista di ben 18 punti in comune tra cui il giudizio sul giudaismo e le concezioni ecclesiologiche della missione , dell'an­ nuncio e del ruolo di Pietro. Tutto ciò potrebbe portarci alla comu­ nità di Antiochia, dove Paolo fu apostolo agli inizi del suo ministero (At 1 1 ,25-26) e dove viene collocato da molti il Vangelo di Matteo. Più chiaro è il rapporto di Matteo con la Didachè e con il Dialogo con Trifone di Giustino, per cui si conclude ad un comune ambiente giudeo-cristiano di origine . 1 9 Di maggior interesse, anche se più problematico , è il fenomeno delle «scuole» , invocato in particolare per Matteo e Giovanni. 20 È noto il fenomeno delle scuole filosofiche nell'antichità e il corri­ spondente fenomeno delle scuole rabbiniche in ambiente giudaico ; anche la comunità di Qumran poteva essere ritenuta una scuola fon­ data dal «Maestro di giustizia» . Il fenomeno è studiato ampiamente nella monografia di Culpepper per ipotizzare una «scuola giovan­ nea» . Lo Stendhal presuppone pure una scuola dietro alla interpre­ tazione cristologica di Matteo fatta all a luce dell'AT. Alcune delle caratteristiche di una scuola dell'antichità , elaborate da Culpepper, sono le seguenti : un ideale di fraternità, un preciso ruolo dell'inse­ gnamento tradizionale , una scolarità, un'organizzazione in ordine all'apprendimento di una tradizione interpretata, una marcata di­ versità dagli altri gruppi sociali . Le comunità cristiane si richiamavano certo ad un unico Mae­ stro, Gesù Cristo . Però nelle diverse comunità cristiane la sua figura e il suo insegnamento venivano presentati in modo diverso e con una grande coerenza interna ; ciò appare con evidenza particolare nella comunità giovannea, che ha coscienza di avere alla sua origine il «di­ scepolo che Gesù amava» . 2 1 Le domande che ci poniamo sono le se­ guenti : che tipo di comunità o che tipo di scuola era? In che rappor­ to stava con le altre comunità cristiane? Quali problemi aveva? Ancor più che per l'ambiente socio-religioso , nello studio del­ l'ambiente comunitario c'è il rischio di un passaggio affrettato e acri-

1 9 G.N. STANTON , «Aspects of Early Christian-Jewish Polemic and Apologetic», in NTS 3 1 (1985), 377-392. 20 K. STENDHAL, The Schoo/ of Matthew and its Use of the O/d Testament, Up­ psala 1964; Philadelphia 1968 ; R. A. CuLPEPPER, The Johannine Schoo/: An Evalua­ tion of the Johannine-School Hypothesis Based on an Investigation of the Nature of Ancient Schools (SBL Dissertation Series 26) , Missoula 1975. 2 1 R.E. BROWN , La comunità del discepolo prediletto , Assisi 1982 ; M. HENGEL, The Johannine Question , London-Philadelphia 1989 .

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tico dal testo letterario alla storia senza rispondenze al di fuori del testo . Riportiamo un paio di casi dal Quarto Vangelo. L'insistenza sull'unità perfetta (Gv 17 ,23) corrisponde all'esperienza storica di una comunità ideale e perfetta che si chiude in sé per paura del mon­ do , nei confini di una setta, dove i membri sono strettamente uniti tra loro nella fede e nell'amore e ostili verso il mondo? O tale insi­ stenza è invece un segno della preoccupazione per eventuali com­ promessi col mondo e per reali divisioni all'interno della comunità? Lo stesso discorso potremmo fare per l'istituzione ecclesiale . La sot­ tolineatura del rapporto personale di fede e di amore con Gesù è segno di una comunità carismatica ostile all'istituzione ecclesiale (E . Kasemann) o è un sintomo del pericolo che un'istituzione eccle­ siale consolidata potesse divenire fine a se stessa invece che con­ durre a Gesù , unico buon Pastore (R.E. Brown)? E tuttavia, tenendo conto di questi pericoli , limiti e cortocircuiti cui può dar adito in ordine a dimostrare una tesi prestabilita, il metodo in sé può servire a dare un volto più preciso alle comunità cristiane in cui vivevano gli evangelisti e per le quali hanno scritto il loro Vangelo .

3 . 4 . Le coordinate spazio-temporalF2 Da Theissen viene proposto un nuovo metodo nel tentativo di ambientare i Vangeli nello spazio e nel tempo , utilizzando alcuni te­ sti di carattere geografico o storico in essi presenti e non ancora sfruttati a questo scopo. Partendo da questi testi evangelici egli cer­ ca dei dati corrispondenti fuori di essi per stabilire le coordinate spa­ zio-temporali dei Vangeli stessi. Queste sono le conclusioni cui arri­ va: la Q andrebbe collocata in Galilea, l'apocalisse sinottica e il rac­ conto della passione in Giudea (Gerusalemme) . Due crisi storiche permetterebbero di dare una cronologia più precisa alle tradizioni antecedenti i Vangeli: quella di Caligola negli anni 39-41 e quella più grave della guerra giudaica (66-73 d . C . ) . Nonostante la grande eru­ dizione storica e una conoscenza diretta delle fonti, la parte che ri­ guarda la redazione dei Vangeli mi sembra ancora molto ipotetica, perché dipende dal presupposto che l'evangelista descriva la situa­ zione storica del suo tempo e non che preveda un evento futuro , ca-

22

Per questo paragrafo si veda THEISSEN , Lokalkolorit. 35

tastrofico , simile ad altri eventi del passato, in relazione alla distru­ zione di Gerusalemme. E tuttavia anche questo metodo , nonostante i suoi limiti , potrà offrirei qualche ulteriore apporto alla collocazio­ ne spazio-temporale dei Vangeli .

4.

IL MODELLO UNITARIO DELLA COMUNICAZIONE 23

A questo punto del nostro itinerario metodo logico si può ricava­ re l'impressione di una certa dispersione , in quanto molteplici e va­ rie sono le metodologie che si devono praticare per studiare le reda­ zioni evangeliche ; e i risultati cui pervengono sono spesso ipotetici . Mi sembra quindi utile tentare di configurare le metodologie in un modello unitario: quello della formazione e comunicazione di un te­ sto , che può costituire una buona sintesi didattica dei metodi finora presentati . La composizione dei Vangeli va considerata una , in Bib 69( 1979) , 153-190 ( In., Biblische Handlungswesen Beispiele pragmatischer Exegese, Mainz 1983 , 50-79) . =

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Fonte/i di informazione

(tradizioni orali e/o scritte)

L'evangelista col suo baga­ glio personale, culturale , ecclesiale . . . l) Raccolta e selezione del materiale di tradizione 2) Elaborazione del testo (codificazione): sistema­ zione , integrazione , riela­ borazione, creazione di una struttura organica

3) Ri-produzione del testo

Il testo come tessuto e sua funzione

Il testo nella storia

Critica morfologica

Critica redazionale

Critica testuale

Analisi strutturale

Wirkungsgeschichte

Processo della comunicazione

Critica letteraria

Metodi Metodi

i lettori

e metodo ermeneutico

I fattori esterni che in­ fluiscono : ambiente cul­ turale , sociale , comunitario, storico, e i metodi corrispettivi : critica socio-culturale , socio­ religiosa , socio-comunitaria e storica

Fattori esterni

Da questo schema appare evidente il rapporto fra l'elaborazione del testo , il testo in sé come nuova codificazione , i fattori esterni che influiscono sull'autore del testo e conseguentemente sul testo stesso , e i quattro metodi sopra delineati che ci permettono di scoprire il la­ voro del redattore , la composizione del suo testo letterariamente strutturato e, più ipoteticamente , i fattori che vi hanno influito ; ipo­ teticamente perché non abbiamo elementi esterni con cui ricostruire la comunità o la configurazione del gruppo sotto il profilo socio­ religioso ; la comunità è quella che emerge dal testo e che corrispon­ de solo in parte a quella storica. E tuttavia, con questa strumenta­ zione e coscienza critica, muoviamo con fiducia allo studio delle re­ dazioni evangeliche .

5.

GLI EVANGELISTI E I VANGELI

Alla fine del nostro discorso metodologico vorrei spendere una parola anche sugli autori dei Vangeli . Parlare di redazione e compo­ sizione è parlare di autore. È ormai superato il mito creato dalla scuola morfologica che la tradizione evangelica sia stata quasi tutta opera della comunità anonima delle origini . Tale mito cosl diffuso aveva creato un fossato incolmabile nella direzione del Gesù storico e tolto consistenza agli autori personali dei Vangeli. Oggi la scienza esegetica presenta un maggiore equilibrio. A ciascuno il suo : al Ge­ sù della storia che ha operato, predicato ed è morto sulla croce ; alla chiesa che lo ha annunciato morto e risorto «per noi» e ne ha fatto memoria , elaborando alla luce della morte-risurrezione le tradizioni in funzione della comunità della nuova alleanza; e all'evangelista , che ha pensato e composto il Vangelo nella chiesa e per la chiesa. In questo nostro studio , volendo esaminare e descrivere il lavoro dell'evangelista, dobbiamo indirettamente interessarci della sua fi­ gura come autore , almeno come autore implicito . Ma cosa significa essere autore letterario dei Vangeli? Non va ovviamente identificato né con un autore di romanzi né con uno sto­ riografo moderno . Non è infatti un «inventore»: è anzitutto un fede­ le tradente, mediatore della tradizione . Ma non è neppure uno stori­ co che scrive la sua storia, scoprendo e utilizzando dei documenti , che in parte riproduce e cui rimanda nelle note. La peculiarità dell'evangelista è quella di essere nello stesso tem­ po «tradente e autore»: come tradente cerca e riporta racconti su 38

Gesù e discorsi di lui , tramandati oralmente o per iscritto ; come au­ tore cerca di capire , interpretare , coordinare in unità organica il ma­ teriale di tradizione , talora seguendo le singole tradizioni, talora in­ trecciandole , talora riassumendo e talora anche ampliando con ele­ menti di altre tradizioni. Racconti e discorsi acquistano un loro si­ gnificato , a volte nuovo , nella struttura unitaria del testo evangelico . Talora ci meravigliamo della fedeltà letterale, talora invece possia­ mo scandalizzarci della libertà che l'evangelista si prende con la tra­ dizione , elaborata ed interpretata. Va detto infine che l'evangelista non è un letterato o un accade­ mico, anche se può essere un eccellente scrittore come Luca. È un uomo che appartiene alla comunità cristiana e scrive per la comunità cristiana. Forse fu questo uno dei motivi per cui la loro personalità rimase nell'ombra ; e di loro la tradizione posteriore ci dice poco più del nome e con il nome la convinzione che fossero dei testimoni di­ retti di Gesù o discepoli di testimoni ( Marco e Luca ) . Insomma la tradizione posteriore sugli evangelisti si preoccupò dell'autenticità della tradizione , che trasmettevano, più che dell'autore , che ne era stato l'interprete e il codificatore . È probabile che i nomi dati dalla tradizione ai testimoni che stanno dietro ai nostri Vangeli stiano al­ l'origine di buona parte delle tradizioni, proprie di ognuno di essi ; ma anche questa è una fragile ipotesi per spiegare come la tradizione abbia legato ai Vangeli proprio quei nomi . Anche mantenendo i no­ mi che stanno nel titolo di ogni singolo Vangelo , ben poco sappiamo di loro dalla tradizione come «autori letterari». Per dare un volto di autore letterario ai quattro evangelisti dobbiamo necessariamente affidarci agli stessi Vangeli e ricorrere all'autore in essi implicito. Quello che è certo è che nessuno di loro ha posto la firma , neppure coloro che più sono coscienti del loro ruolo di scrittori come gli auto­ ri dell'opera Luca-Atti e del Quarto Vangelo. Ma la tradizione ec­ clesiale ha dato loro un nome almeno nel II secolo, se non prima. Noi ci accontentiamo di considerarli intelligenti ed onesti «servitori della parola», che per loro mezzo ha potuto arrivare fino a noi . Passiamo cosl allo studio dei singoli Vangeli .

39

Capitolo terzo Il Vangelo secondo Matteo 1

I numerosi studi sul Vangelo di Matteo, prodotti negli ultimi quarant'anni (cf. le rassegne di Stanton, citate alla nota l ) dimostra­ no, in maniera sempre più chiara, l'abilità letteraria dell'autore, la sua ampia conoscenza dell'AT tanto da costituire una delle sue fonti, e il suo profondo pensiero teologico. In tal modo si spiega ancora una volta il grande influsso che ha esercitato il primo Vangelo nella storia della chiesa (cf. il commento del Luz). Gli studi degli ultimi quarant'anni seguono per lo più il metodo della critica redazionale. 2 Proprio per questo lo studio della struttura del Vangelo è stato un po' trascurato. Più studiato è stato quanto ri­ guarda l'ambiente culturale e comunitario di Matteo; della teologia invece non si ha ancora una presentazione plausibile, incerta com'è fra cristologia ed ecclesiologia. Seguiremo l'itinerario metodologico sopra tracciato, presentan­ do dapprima la struttura letteraria, quindi la redazione e la composi­ zione con lingua, stile, uso delle fonti ... ; passeremo quindi all'am­ biente culturale e vitale, e infine alla teologia, concludendo con una breve discussione sull'autore. 1 Bibliografia generale: A A. V v . , Studien zum Matthiiusevangelium (Fs. fiir W.Pesch) ( S B S ) , Stuttgart 1988; G. BoRNKAMM-G. BARTH-H.J. HELD, Oberlieferung und Aus/egung im Matthiiusevangelium (WMANT 1 ) , Neukirchen 1968 ( 5 durch­ gesehene Auflage); J.D. K INGSBURY, Structure, Christologl,, Kingdom, London 1 976; lo. , Matthew (Proclamation Commentaries), Philadelphia · 1 988; J. LANGE, a cura, Das Matthiius Evangelium (Wege der Forschung 525 ) , Darmstadt 1 980; U . Luz, Das Evangelium nach Matthiius (EKK 1/1 ) , Neukirchen 2 1989, 1 -82; B. RIGAUX, Testimo­ nianza del Vangelo di Matteo, Padova 1969 (or. Bruges 1 967 ) ; A. SAND, Das Matthiius Evangelium (Ertrage der Forschung 275 ) , Darmstadt 1 99 1 ; W. SCHMITHALS, Ein­ leitung in die drei ersten Evangelien, Berlin-New York 1985; D. SENIOR, What are they saying about Matthew?, New York-Ramsey 1 983; P.L. SHULER, A Genre for the Go­ spel. The Biographical Character of Matthew, Philadelphia 1 982; G. STANTON , a cura. The lnterpretation of Matthew (lssues in Religion and Theology 3 ) , Philadelphia­ London 1983; I D . , «The Origin and Purpose of Matthew's Gospel», in ANRW 1 1 .25.3, Berlin-New York 1 985 , 1890- 1 951 . 2 STANTON, , 1 945.

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l.

LA STRUTTURA LETIERARIA3

La maggiore difficoltà nel delineare la struttura letteraria del primo Vangelo è data dalla parte narrativa; i discorsi infatti sono la parte meglio articolata. Le strutture proposte sinora non soddisfano pienamente . Bauer nel citato (nota 3) studio recente sulla struttura del Vangelo di Matteo offre nella prima parte una buona rassegna delle strutture finora proposte ; ma poi egli ne propone una, che non è convincente. 4 Parte dal suggerimento di Kingsbury di ravvisare de­ gli inizi in 4,17 e 16,21 , cui egli aggiunge 1 , 1 ; ma trascura l'importan­ za strutturale dei discorsi . Esporremo quindi dapprima i tipi più importanti di struttura fi­ nora proposti per tentare poi una nostra lettura strutturale .

1 . 1 . Le strutture proposte Le strutture finora proposte sono di tre tipi, in dipendenza dal­ l'articolazione sui discorsi, sulla tematica cristologica o su un piano geografico. Da molto tempo sono state segnalate le clausole conclusive quasi a ritornello dei cinque discorsi di Matteo (7 ,28; 1 1 , 1 ; 13,53; 19, 1 ; 26, 1 ) , che ne connotano la intenzionale unità, tanto che 26, 1 conclu­ de: «kai egeneto hote etelesen pantas tous logous toutous/Ed avvenne, quand'ebbe terminato tutti questi discorsi» . I cinque discorsi quindi sono come cinque pilastri su cui poggia la struttura fondamentale del Vangelo. Molti autori scelgono questa struttura (cf. Bauer) . Su que-

3 D . R . BAUER , The Structure of Matthew's Gospel. A Study in Literary Design (JSNT, Supplement Series 3 1 ) , Sheffield 1988; N . CASALINI, /1 Vangelo di Matteo co­ me racconlo teologico. Analisi delle sequenze narrative, Jerusalem 1990 (analisi della struttura narrativa-teologica, diversa dalla struttura letteraria) ; D . B . HoWELL , Mat· thew's Inclusive Story. A Study in the Narrative Rhetoric of the First Gospel (JS NT , Supplement Series 42 ) , Sheffield 1990, che utilizza ecletticamente il metodo narrato­ logico e del lettore implicito e che perciò non siamo riusciti ad includere nel nostro «status quaestionis» ; X. LEON-DUFOUR, «l Vangeli sinottici�>, in A. GEORGE-P. GRE· LOT, a cura, Introduzione al Nuovo Testamento: 2. L'annuncio del Vangelo, Roma 1976, 78-83 ; F. NEIRYNCK, «La rédaction matthéenne et la structure du premier évan­ gile», in l. DE LA POTTERIE , a cura, De /ésus aux Evangiles. Tradition et Rét:ùlction dans les Evangiles synoptiques, Gembloux -Paris 1967, 41-73 (con ampia bibliografia) ; PH. RoLLAND, «De la génèse a la fin du monde . Pian de I'Evangile de Matthieu», in BTB 2(1972) , 164-66 ; STANTON, «The Origin», 1 003-1006; M. TRIMAILLE, «Gtations d'accomplissement et architecture de I'Evangile selon S. Matthieu» , in EstB 48 ( 1 990) , 47-79 ; D.J. WEAVER, Manhew's Mìssionary Discourse. A Literary Criticai Anai[Sis (JSNT, Supplement Series 38) , Sheffield 1990. . Si veda la recensione critica di R . H . Gundry in Biblica 7 1 ( 1990) , 126-129.

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sta proposta strutturale ha molto influito W. Bacon con un suo arti­ colo del 1918. 5 Matteo avrebbe composto con materiale di tradizio­ ne cinque discorsi , corrispondenti ai cinque codici del Pentateuco , ciascuno introdotto , come nei codici mosaici , da una sezione narrati­ va e seguito da una formula di transizione (la clausola di transizione) in modo che il lettore sia introdotto di nuovo alla parte narrativa. Gesù sarebbe presentato come nuovo Mosè, che sostituisce la vec­ chia legge del Pentateuco con la nuova. Ma la tesi di Bacon, in que­ sta forma classica, non è stata accolta dalla maggioranza degli esege­ ti. Caduta la tesi teologica , molte sono le difficoltà incontrate anche da quella letteraria, pur seguita da molti esegeti. Ne elenchiamo brevemente alcune : sono veramente cinque o sei i discorsi? Il discor­ so contro scribi e farisei (Mt 23) sembra sia diverso da quello escato­ logico di Mt 24-25 . Ma la difficoltà maggiore è creata dal rapporto dei discorsi con la parte narrativa che li precede . Solo in un caso sembra che la parte narrativa precedente corrisponda al discorso se­ guente e sono i capitoli 1 1 e 12 in relazione al c. 13 delle parabole ; ma anche questa rispondenza secondo il Léon Dufourli sarebbe arti­ ficiosa. Per questo sceglieremo una struttura letteraria in cui la parte narrativa segue quella discorsiva. La struttura cristologica di Kingsbury7 poggia sulla convinzione che l'idea-guida della struttura sia la cristologia e non l'ecclesiologia. Kingsbury scopre il fondamento della sua triplice divisione nella for­ mula ripetuta in 4,17 e 16,21 : «erxato ho Jesous/Gesù cominciò» . La prima sezione , che va da 1 , 1 a 4 , 16 presenta Gesù come Messia. La seconda, che abbraccia 4, 17-16,2 1 , racconta il ministero pubblico di Gesù , proclamato Messia. La terza, da 16,21 a 28,20 descrive il viag­ gio verso Gerusalemme, la morte e la risurrezione . Egli rileva inol­ tre che ai tre sommari della seconda sezione (4,23-25 ; 9,35 e 1 1 , 1 ) corrispondono tre predizioni della passione nella terza (16,21 ; 17,22-23 e 20, 17-19) . In una nota della sua rassegna8 lo Stanton fa presente che questa divisione era già stata proposta nel passato da T. Keim9 e H. Mil-

5 B. W. BACON , «The "Five Books" of Moses against the Jews» , in The Expositor 15(1918) , 56-66. 6 LEON-DUFOUR, I Vangeli, 78-79. 7 BAUER , The structure, presenta in modo più ampio e personale la tesi letteraria di Kingsbury. 8 STANTON , «The Origin» , 1905 , nota 21. 9 T. KEIM, Die Geschichte Jesu von Nazareth , Zurich 1867 , l, 52ss.

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ton . 10 Inoltre è più tematica che letteraria; e la sua base letteraria è troppo tenue (4,17; 16,21 ) ; 4,17 sembra riferirsi a 3 , 1 -2 come inclu­ sione ed è perciò conclusione piuttosto che introduzione ; infine , co­ me abbiamo notato all'inizio, questa struttura non rende ragione dell'articolazione dei discorsi, uno dei fatti letterari più chiari del primo Vangelo. Piani geografici sono stati proposti nei commenti di J . Schmid , E. Osty, E. Schweizer e di molti altri. È questa la struttura più diffu­ sa insieme alla prima. Le proposte però variano nei particolari . I primi due capitoli costituirebbero il prologo ; 3 , 1-4 , 1 1 la prepa­ razione del ministero ; 4, 12-13 ,58: Gesù in Galilea; 14, 1-20,34: in giro per la Galilea e poi in viaggio verso Gerusalemme ; 21 , 1-28,20: Gesù a Gerusalemme. La struttura geografica però non aiuta a capi­ re il Vangelo come un tutto. U Secondo il Léon-Dufour il piano geografico dovrebbe essere tra­ sformato in una struttura dinamico-narrativa. Egli lo trasforma per­ ciò nel modo seguente. Dopo il prologo (Mt 1-2) struttura il Vange­ lo in due grandi parti : da Nazaret a Nazaret (Mt 3-13) ; passione e gloria (Mt 14-28) . Così poi articola le due parti : l . Il popolo ebreo si rifiuta di credere in Gesù (3-13) : introduzione (3, 1-4 , 1 1 ) ; l . Gesù onnipotente in opere e parole (4, 12-9,34) : introduzione (4, 12-25 ) ; il discorso della montagna (5-7) ; un viaggio trionfale (8-9) ; 2. I discepoli inviati dal Maestro (9,35-10,42) ; 3 . L'opzione pro o contro Gesù ( 1 1 , 1-13 ,52) : sommario ( 1 1 , 1 ) ; discernimento secondo l e opere di Gesù (1 1-12) ; discernimento dal­ l'insegnamento parabolico (13,1-52) ; conclusione e ritorno a Naza­ ret (13 ,53-58) da dove era partito (4, 12) . Il . La passione e la gloria (14-28) in due parti: l. Verso Gerusalemme : passione e gloria (14-20) ; Gesù si ritira e fonda la sua chiesa distaccandosi da Israele e determinando il pas­ saggio ai gentili (14, 1-16,20) ; Gesù va a Gerusalemme e istruisce la sua chiesa ( 16,21-20,28) ; brano conclusivo con indicazione topogra­ fica (20,29-34) ;

1 0 H. MILTON, «The Structure of the Prologue to St. Matthew's Gospel» , in JBL 81( 1962) , 175-181 . 11 KINGSBURY , Structure, 2; LEON-DUFOUR , l Vangeli, 78.

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2. A Gerusalemme la passione e la gloria (21 -28) con interesse per luoghi e nemici : introduzione (21 ,1-22) ; confronto di Gesù con i nemici (21 ,2:>-23 ,39) ; giudizio (24, 1-27 ,66) ; epilogo (28,1-20) . Nonostante il tentativo di entrare nella struttura drammatico­ narrativa di Matteo , anche questa proposta del Léon-Dufour mi sembra piuttosto appesantita da una sovrapposizione tematica . Pas­ siamo quindi alla nostra proposta aperta .

1 .2. Una struttura letteraria aperta Vorrei anzitutto esaminare gli elementi strutturali più sicuri co­ me base per ·arrivare ad una proposta strutturale globale , che non pretende peraltro di essere risolutiva; e perciò la chiamo aperta.

1 . 2 . 1 . Gli elementi strutturali Iniziamo dalle parti del Vangelo che si corrispondono e che per­ ciò costituiscono le colonne portanti della struttura . Si tratta del pro­ logo ed epilogo, dei cinque discorsi e del loro rapporto con la parte narrativa. Frankemolle ha messo bene in luce l'inclusione letteraria fra il prologo (Mt 1-2) e l'epilogo (28,16-20) _ 1 2 Non tutti i parallelismi da lui proposti mi convincono . Ma nell'insieme la tesi letteraria sta in piedi . Ecco i parallelismi che ritengo letterariamente fondati : 1 ,23 : «Emanuele . . . Dio con noi» 1 ,20; 2,13. 19: «L'angelo del Signore» 2,2ss: I magi dall'oriente 2,10- 1 1 : «Visto . . . si prostraro­ no» 2 , 1 .9. 13. 19: «Ed ecco»

28 ,20: «Ed ecco io sono con voi» 28 ,2.5: «L'angelo del Signore» 28 ,19: istruire tutte le genti 28 , 17: «Visto. . . si prostraro­ no» 28,20: «Ed ecco io sono . . . »

A queste corrispondenze di carattere letterario se ne possono aggiungere altre di tipo teologico . Secondo la genealogia iniziale (1 ,2-17) la storia salvifica arriva al suo compimento in «Cristo» ( 1 , 16 e 17 alla fine) ; nello stesso senso va la presenza di Gesù , una presen­ za salvifica nella chiesa «sino alla fine del mondo» (28 ,20) . Anche la 1 2 H. FRANKEMOLLE , Jahwe-Bund und Kirche Christi (NTA NF 10) , Miinster 21984 ( 1 1 974) , 321-325 .

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formula trinitaria finale (28, 19b) è preannunciata nel battesimo (3 , 13-17; cf. 1 , 16-23). L'elemento comune più significativo è la pre­ senza salvifica del «Dio con noi»: oltre che in l ,23' e 28,20, ricorre al centro in 18,20; ed è l'idea-guida del Vangelo. In Gesù si realizza la nuova alleanza con Dio e perciò Dio è presente in mezzo al suo po­ polo. Secondo Frankemolle infatti la finale del Vangelo conterrebbe un formulario di alleanza, con elementi formali e contenutistici simi­ li a 2Cr 36,23 : «Dice Ciro re di Persia: il Signore Dio dei cieli mi ha consegnato tutti i regni della terra . . . Chiunque di voi appartiene al suo popolo , il suo Dio sia con lui. . . >>. 13 Il «Dio con noi» è colui che offre la nuova alleanza ed anche il suo contenuto etico : la nuova interpretazione , messianica e definiti­ va , della volontà di Dio ; e nello stesso tempo rivela la fedeltà di Dio alle sue promesse portando a compimento la Scrittura . Un secondo elemento strutturale sono i cinque discorsi. È stato lo stesso evangelista a sistemare il materiale evangelico discorsivo prima della passione in cinque grandi discorsi, in quanto introduce una formula propria, conclusiva, che rimanda al discorso precedente ed apre la parte narrativa seguente . Dopo il discorso della montagna (5, 1-7 ,27) : «kai egeneto hote etelesen tous logous toutous exeplessonto hoi ochloi/Ed avvenne, quando ebbe finito questi discorsi , si meravigliarono le folle . . » (7 ,28) . Dopo il discorso apostolico-missionario (10,1-42) : «kai egeneto hote etelesen ho Jesous diatass6n tois dodeka mathetais autou, metebe ekeithen tou didaskein kai keryssein en tais polesin aut6n/Ed av­ venne, quando terminò Gesù di istruire i suoi dodici discepoli , partì di là per insegnare e predicare nelle loro città» ( 1 1 , l ) . Dopo i l discorso i n parabole (13,1-52) : «kai egeneto hote etelesen ho Jesous tas parabolas tautas, meteren ekeithen/Ed avvenne, quan­ do terminò Gesù queste parabole, partì di là» (13 ,53) . Dopo il discorso alla comunità (18,1-35) : «kai egeneto hote etele­ sen ho Jesous tous logous toutous, meteren apo tes Galilaias kai/Ed avvenne, quando terminò Gesù questi discorsi, partl dalla Galilea e. . .» (19,1). Dopo i l discorso contro i farisei e quello escatologico (23 ,125 ,46) : «kai egeneto hote etelesen ho Jesous pantas tous logous tou-

13 f'RANKEMOLLE, Jahwe-Bund,

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325-326.

tous, eipen tois mathetais autou/Ed avvenne , quando terminò tutti questi discorsi , disse ai suoi discepoli» (26 , 1 ) . Queste formule stereotipe non sono prese dalla fonte Q, ma dal Deuteronomio (Dt 1 , 1 ; 4,44; 28,69 ; 33 , 1 : LXX) , con la differenza che nel Dt la formula è soprascritta e precede il discorso, mentre in Mt è sottoscritta e conclusiva. 14 Da tutto ciò mi sembra si possa de­ durre che il modello sono i discorsi del Dt, in cui Mosè , come Gesù, parla al popolo d'Israele in un tempo ormai lontano dalle vicende storiche . Abbiamo già notato e lo ricordiamo ancora il pantas/tutti della quinta formula, conclusiva di tutti i discorsi . Inoltre, i cinque discorsi , nel loro ordine successivo , si articolano in una struttura chiasmatica: un segno ulteriore del loro valore strut­ turale . Infatti il discorso della montagna finisce col giudizio escato­ logico come il quinto; l'istruzione ai dodici discepoli ha il suo corri­ spondente nel discorso alla comunità; resta al centro il discorso in parabole. Ne risulta perciò la seguente struttura concentrica:

A) Discorso della montagna (5-7)

A') Discorso escatologico (23-25)

conclusione escatologica B) Istruzione ai «Dodich> (10)

.

B') Istruzione alla chiesa (18)

C) Discorso in parabole ( 13) Infine , per quanto concerne la tematica , i discorsi sviluppano il tema annunciato in 4,23-25 : «Gesù andava attorno per tutta la Gali­ lea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando il vangelo del re­ gno . . . » . Ora Mt 5-7, subito dopo , contiene il discorso programmati­ co del regno di Dio . Nell'istruzione ai discepoli del c. 10 Gesù invia i discepoli ad annunciare : «>: a Betlemme secondo la profezia di Michea 5 ,2; cf. 2Sam 5 ,2 (Mt 2,6) . Però l'interesse ultimo è per Gesù Messia an­ che qui come nei due brani precedenti. Il terzo episodio è la fuga in Egitto (2, 13-15) , che si conclude con il compimento della profezia di Os 1 1 , 1 (testo originale , non la LXX) : Gesù è detto implicitamente «Figlio» di Dio. La strage degli innocenti (2, 16-17) viene legata alla fuga di Gesù in Egitto ed anche qui si compie una profezia: Ger 31 ,15. Il ritorno dall'Egitto (2,19-23): dovendo Gesù , per strane circo­ stanze tornare a Nazaret invece che a Betlemme, si compie in lui una profezia generica che egli sarà chiamato «Naz6raios» (2,23). E forse risponde alla domanda «Di dove viene Gesù?» (R. E. Brown , al seguito di Stendhal) . Le cinque scene successive del prologo sono strutturate su altret­ tante profezie , anche se solo quattro di esse sono introdotte da for­ mule di compimento (1 ,23 ; 2,15. 17-18.23). Vi risuonano già i motivi che saranno svolti nel Vangelo e in particolare nell'ultima sezione (passione e risurrezione) e nell'epilogo : Gesù è il Messia preannun­ ciato nell' AT, è il Figlio di Dio, Dio-con-noi , è colui che salva il suo popolo dai suoi peccati , è annunciato alle genti , perseguitato a mor­ te sarà salvato da Dio . Però vi manca uno dei motivi principali del Vangelo di Matteo : Gesù Maestro che annuncia ed insegna il regno di Dio , la sua sovranità salvifica . Lo fa la seguente introduzione nar­ rativa.

1 9 Per la genealogia, in italiano, si può vedere M . ORSATII , Un saggio di teologia della storia. Esegesi di Mt 1 , 1 - 1 7 (SB 55) , Brescia 1980.

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L 'introduzione narrativa (3, 1-4,22)

L'introduzione presenta il palcoscenico geografico e sullo scena­ rio i personaggi che saranno i protagonisti della storia seguente : Ge­ sù in riferimento al Battista (3 , 1 e 4, 12) , nella prima parte (4, 1-17) , e ai primi discepoli nella seconda (4, 18-22) . La prima parte (3, 1-4, 17) contiene tre scene , collegate fra loro e incluse in una cornice geografico-temporale (3 , 1 -4/4, 12-17) ; inizio e conclusione si corrispondono in tre punti: l) la figura di Giovanni Battista (3 , 114,12: entra in scena all'ini­ zio e alla fine si ritira) ; 2) all'inizio (3,3 = Is 40,3) e alla fine (4, 15-16=Is 9 , 1-2) si ha il compimento di una profezia di Isaia ; 3) il tema della predicazione del Battista e di Gesù: «Metanoei­ te/Convertitevi» (3 , 1/4, 17) . Il tema del battesimo è comune alla prima (3, 1-12: predicazione di Giovanni Battista e battesimo di penitenza) e alla seconda (3 ,1317) scena. La seconda è a sua volta legata alla terza (4, 1-1 1 : le tenta­ zioni di Gesù nel deserto) per il tema comune di Gesù «Figlio di Dio (3 , 17/4,3.6) , in cui il Padre si è compiaciuto (3 ,17) perché col ricorso alla Scrittura ha vinto il diavolo. 20 La seconda parte dell'introduzione è costituita da una sola sce­ na: la chiamata dei discepoli alla sequela di Gesù (4,18-22) . Sara.nno vicino a lui all'inizio del discorso della montagna (5 , 1 ) . Sezione prima: Gesù predica il regno di Dio e guarisce ogni malattia (4,23-9,35)

Questa prima sezione del Vangelo è ben costruita . La cornice del quadro, creata dai due sommari all'inizio (4,23-25) e alla fine (9 ,35 ) , annuncia i due temi sviluppati nel corso di questi capitoli :

20 B . PRZYBYLSKI, «The Role of Mt 3 : 1 3-4, 1 1 in the Structure and Theology of the Gospel of Matthew» , in B TB 4(1974) , 222-235: l'evangelista in queste due scene preannuncerebbe «future events in his Gospel». Vi è una diretta corrispondenza tra la prima tentazione (Mt 4,2-4) e il racconto della moltiplicazione dei pani (Mt 14,1321 ; 15,32-39), tra il battesimo di Gesù (3, 13-17), la seconda tentazione (4,5-7) e il rac­ conto della trasfigurazione (17 ,1-13), e infine tra la terza tentazione (4,8-10) e la con­ clusione del Vangelo (Mt 28,16-20) (p. 234) . Ma abbiamo già detto nella parte meto­ dologica che diffidiamo delle strutture tematiche . La struttura letteraria deve fondar­ si su elementi letterari ben precisi.

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Gesù «Che insegna nelle loro sinagoghe e predica l'evangelo del re­ gno di Dio e guarisce ogni malattia e ogni infermità nel popolo» (4 ,23 e 9,35). Questa formula, annunciata all'inizio e ripetuta quasi tale e quale alla fine , è chiaramente della mano ordinatrice dell'au­ tore . Ed infatti Matteo presenta dapprima il Gesù «che insegna» , nel discorso programmatico della montagna, «il vangelo del regno» (Mt 5-7) e quindi Gesù «che guarisce ogni malattia» nei dieci miracoli raccolti nei cc. 8-9. Il sommario iniziale (4,23-25) finisce col portare a Gesù il suo uditorio dai territori dello storico «popolo di Israele» (4,25) . Così popolo d'Israele e discepoli si avvicinano a Gesù sul monte . Il Mae­ stro apre la sua bocca e pronuncia il lungo discorso programmatico «insegnando» (5,2/4,23/9,35). Del discorso vengono proposte diver­ se strutture che in questa sede non possiamo discutere. 21 Ci limitia­ mo ad indicare solo alcuni assi portanti : la cornice di escatologia presente e futura nelle beatitudini iniziali (5 , 1 - 1 1 ) e nella similitudi­ ne conclusiva (7 ,13-27) ; una seconda inclusione , di carattere etico­ didattico , allaccia 5 , 17 a 7 , 12 nel tema di Gesù venuto a portare a compimento «la legge e i profeti>) (5 , 17) , compendiati a loro volta nella regola d'oro dell'amore (7, 12) . Le beatitudini (5 ,1-12) e i detti sui discepoli, sale della terra e lu­ ce del mondo (5 ,13-16) , formano una specie di prologo . L'introdu­ zione vera e propria al discorso è costituita dai quattro versetti di 5 , 17-20, così difficili da leggere in modo coerente , ancor oggi ogget­ to di discussione. 22 Seguono le sei antitesi (5 ,21-47) , le opere di pietà farisaica e di quella cristiana (6, 1-18) con la preghiera del «Padre nostro» (6,9b-13) , che sembra abbia una funzione strutturale , almeno nella parte centrale del discorso. 23 Ed infine le raccomandazioni che ri­ guardano il possesso e l'uso della ricchezza (6, 1 9-24) , il non giudica­ re (7 , 1-5) e la preghiera di domanda (7 ,7- 1 1 ) . Delle due inclusioni di 7,12 con 5 , 17 e 7 , 13-27 con 5 ,2-16 abbiamo già detto. Il discorso si conclude con la formula redazionale di chiusura e il particolare dello

21 Si vedano le varie proposte di struttura in J. LAMBRECHT, /eh aber sage euch. Die Bergpredigt als programmatische Rede Jesu (Mt 5-7, Lk 6,20-49) , Stuttgart 1984 ; tr. frane. , .. Eh bien! Moi je vous dis» (LD 125) , Paris 1986, 21-27 . 22 Si veda J.P. MEIER., Law and History in Matthew's Gospel (AnB 71), Roma 1976, tutto dedicato alla discussione di questi versetti . 23 Luz, Das Evangelium, 111, 186.

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stupore della folla per la dottrina di Gesù : «Insegnava loro infatti come uno che ha autorità e non come i loro scribi» (7 ,29) . La seguente parte narrativa (Mt 8, 1-9,34) 24 intende presentare Gesù «che guarisce» . Nei due capitoli vengono narrati dieci miracoli distinti in tre gruppi : 3 + 3 + 4 . Tra il primo (8 , 1-17) e il secondo grup­ po (8 ,23-9,8) viene inserita la pericope sui due aspiranti discepoli di Gesù (8, 1 8-22) . Fra il secondo (8,23-9 ,8) e il terzo (9 ,18-34) vengo­ no pure incluse altre due pericopi : la vocazione di Levi-Matteo e il racconto apoftegmatico del pranzo con pubblicani e peccatori in ca­ sa sua (9,9-13), che si chiude con la citazione di Os 6,6 tipica di Mat­ teo (cf. anche 12,7) , e la controversia sul digiuno con le seguenti due similitudini che illustrano la novità del regno (9, 14-17) . La prima se­ rie di tre miracoli (il lebbroso, il servo del centurione , la suocera di Pietro e il seguente breve sommario di miracoli) si conclude con la profezia-compimento di Is 53,4: «Lui prese su di sé le nostre infer­ mità e le nostre malattie portÒ>> (8, 17b) . La seconda serie di tre mi­ racoli (la tempesta sedata, la guarigione dei due indemoniati di Ga­ dara e quella del paralitico con annessa la remissione dei peccati) esalta la potenza sovrumana e l'autorità divina di Gesù, trasmessa anche ai capi della sua chiesa ; lo si percepisce nella finale: «Visto ciò , le folle temettero e glorificarono Dio per aver dato tale potere agli uomini» (9,7) . Il terzo gruppo, di quattro miracoli (la figlia di un capo ebreo, la donna dal flusso di sangue , i due ciechi e l'uomo mu­ to) prepara più immediatamente la risposta di Gesù ai messi del Bat­ tista ( 1 1 ,4-5). Mt 9,34 è una conclusione strana della serie di miracoli ; i farisei esprimono un'opinione in netto contrasto con quella precedente po­ polare («Non si è mai vista un cosa simile in Israele») : «Col (potere) del principe dei demoni egli caccia i demoni». 25 E potrebbe essere un anticipo della sezione seguente , in cui il motivo qui appena ac­ cennato viene ripreso e sviluppato (12 ,22-32) ; mentre forma pure una inclusione narrativa tra l'inizio e la conclusione di questo terzo gruppo di miracoli (archon/capo in 9 , 1 8 e 9,34) . Le pericopi incluse fra le tre serie di miracoli intendono conti­ nuare il discorso su discepolato-sequela e le sue severe condizioni ; 24 W.G. THOMPSON, «Reflections on the Composition of Mt 8 : 1 -9:34» , in CBQ 33( 197 1 ) , 365-388 . 25 La stranezza di questa conclusione vien sentita dalla tradizione testuale . Il v. 34 è omesso dal Diatessaron e da alcuni testimoni della tradizione occidentale tra cui D .

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ma vogliono , forse ancor più , illustrare in forma argomentativa (Os 6,6) e parabolica (nozze , toppa, otri) la novità del «vangelo del re­ gno» , predicato da Gesù e dimostrato presente con la guarigione di ogni sorta di malattie . Schema conclusivo della struttura - Sommario introduttorio (4,23-25): Gesù insegna e guarisce. - Gesù insegna : discorso della montagna (5 , 1-7 ,29) in cornice escatologica (beatitudini iniziali e serie di detti escatologici in 7,1327) , incluso nell'insegnamento etico di Gesù che porta a compimen­ to legge e profeti (5, 17) e si riassume nell'amore , che pure sintetizza legge e profeti (7, 12) . - Gesù guarisce: prima serie di tre miracoli (8 , 1-17) , che si con­ clude con la citazione ermeneutica di Is 53,4; intermezzo di apofteg­ mi sulle condizioni della sequela (8, 1 8-22) ; seconda serie di tre mira­ coli (8,23-9 ,8) ; intermezzo: chiamata di Levi alla sequela e contro­ versie che evidenziano la novità escatologica della missione di Gesù (9,9-17) ; terza serie di quattro miracoli (9, 14-34) . - Sommario conclusivo (9 ,35): Gesù insegna e guarisce. E som­ mario di passaggio alla sezione seguente (9,36-38) . Sezione seconda: I dodici discepoli, operai per la messe, missionari del regno, nuova famiglia di Gesù (9,36-12,50)

Anche questa seconda sezione presenta, come la prima, un buon carattere unitario . È inclusa tra due brevi racconti apoftegmatici , che riguardano ambedue i discepoli di Gesù : operai della messe (9 ,37 e 10,10) , pastori delle «pecore senza pastore» (9 ,36.38) e fra­ telli suoi in luogo dei fratelli di sangue che lo cercano insieme alla madre (12,46-50) ; anche al centro del discorso ritorna la figura di Gesù come capofamiglia e i discepoli «Suoi familiari» (10,25b) . Il sommario iniziale (9 ,36-37) suggerisce il tema di questi tre ca­ pitoli : Gesù buon pastore viene a raccogliere le pecore «tribolate ed abbattutte» (9 ,36) . La messe che sta abbondante davanti a lui abbi­ sogna di «operai» ; è necessario pregare il Padrone della messe per­ ché mandi operai . . . Tali operai , al presente , sono i dodici discepoli , cui Gesù trasmette il suo potere di esorcista, taumaturgo e predica­ tore del regno dei cieli (10,1 .6) . Le istruzioni ai «dodici» inviati (10,5) sono precedute d a una breve introduzione (10,1-4) in cui Matteo stila la lista dei dodici , ai quali Gesù trasmette il suo potere (10,2-4) . Il discorso per la missione (10,5-42) è strutturato in tre parti : nel­ la prima vengono riportate le vere e proprie istruzioni (1 0,5-15) , nel53

l'ultima la ricompensa promessa a chi accoglie i discepoli, i profeti, i giusti e i cristiani (i piccoli) (10,40-42) , mentre al centro vi è una rac­ colta di raccomandazioni che , pur diverse , riguardano tutte una si­ tuazione di persecuzione (10,16-39) ; se volessimo tentare un'ipotesi strutturale di questa raccolta di raccomandazioni si potrebbero indi­ viduare quattro pericopi strutturate a chiasmo : a) Tradimento dei familiari (10. 16-24) b) Non temere la persecuzione (10,25-3 1) b') Confessione coraggiosa di Gesù (10,32-33) a') Divisione nella famiglia (10 ,34-39) . Vorrei solo rilevare il v. 25b («Se hanno chiamato Beelzebul il capofamiglia, quanto più i suoi familiari !»), che anticipa sia la con­ troversia sull'origine del potere esorcistico di Gesù (12,22-32) sia la pericope sui suoi veri familiari (12 ,46-50) . Mt 1 1 , 1 è un breve sommario di passaggio dalla parte discorsiva a quella narrativa con la solita formula ritornello della fine dei di­ scorsi ; la seconda parte del v. l («parti di là per insegnare e predica­ re nelle loro città») qualifica il seguito come una continuazione del­ l'insegnamento di Gesù . I cc. 1 1-12 vengono interrotti a metà da un sommario (12,15-21) , i n cui Gesù si sposta geograficamente senza dire d a dove, perché i farisei avevano deliberato , in un consiglio, di eliminarlo (12, 14) . È un sommario di miracoli di guarigione che Gesù impedisce di divul­ gare , affinché si compisse la profezia di Is 42 ,1-4. Ora questo som­ mario, secondo Cope, ha valore strutturale per il seguito (12 ,2242 .46-50) ; 26 ma secondo me anche per quanto precede ( 1 1 ,2-12,14) . U n secondo elemento strutturante è l'espressione «questa gene­ razione» (1 1 , 16) , «malvagia ed adultera» (12,39) , «malvagia» (12,45) , che fa da cornice ai cc. 1 1-12. I due elementi strutturanti (la condanna della generazione mal­ vagia che rifiuta il Battista e Gesù e la rivelazione di Gesù servo mite e umile di cuore) si intrecciano nelle controversie (12, 1-14.22-32 .3842) , dove Gesù messia escatologico , Figlio di Dio e Servo viene re­ spinto insieme al Battista da «questa generazione ( 1 1 ,2- 19) ; a tale ri­ fiuto segue logicamente la maledizione delle città del lago ( 1 1 ,2026 O. LAMAR CoPE, Matthew. A Scribe Trained for the Kingdom of Heaven (CBQ, Monograph Series 5), Washington 1976, 32-52; sulla composizione dei cc. 1 112 si vedano anche : B.C. LATEGAN , �structural Interrelations in Matthew 1 1-12» , in Neotestamentica 1 1 (1977) , 1 15-129; e D. VERSEPUT, The Rejection ofthe Humble Mes· sianic King: A Study of the Composition of Matthew 11-12, Frankfurt am Main 1986.

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24) . L'inno di giubilo ( 1 1 ,25-27) e l'invito agli affaticati e stanchi di riposare e di portare il suo giogo leggero ( 1 1 ,28-30) intende contrap­ porre ai «sapienti e colti» che respingono Gesù «i piccolilnepioi» , cui è rivelato il mistero del Figlio. Anche se non mediante le parole , certo per il contenuto , Matteo intende identificare il Figlio con il Servo che non grida e non minaccia, non rompe la canna spezzata e non spegne il lucignolo fumigante (12,20=Is 42,3) . Le due controversie che precedono il sommario (12, 1-14) con­ trappongono pure i discepoli (i piccoli) , difesi da Gesù col testo di Os 6,6 (12,1-8) , ai farisei che lo accusano e lo condannano a morte (12, 14) . Il sommario centrale con la citazione di Is 42, 1 -4 (12, 15-21) , mentre sembra slegato dal contesto immediatamente precedente, ha un evidente rapporto con l'inno di giubilo ( 1 1 ,25-30) . Nel sommario di 12,15-21 si potrebbe vedere anticipato il giudi­ zio su Israele , che rifiuta quel regno, che passa alle genti ; il testo di Isaia citato finisce infatti con l'annuncio: «E le genti spereranno nel suo nome» (12,21 = ls 42,4) . La missione dei discepoli - va ricordato - in Mt 10,18 arriva già alle genti, sia pure sullo sfondo della perse­ cuzione futura . L'analisi strutturale mette in luce l'intreccio fra il tempo di Gesù e quello della chiesa. Il racconto che segue il sommario è più lineare, dominato com'è dal contrasto con i farisei (12,24) e con scribi e farisei (12,38) : due controversie intercalate da parabole che le commentano . La prima controversia è sul rapporto di Gesù con Beelzebul a se­ guito della guarigione di un «cieco e muto» ; la bestemmia contro lo Spirito Santo, presente nel Servo del Signore , finisce per identificare lo Spirito Santo con Beelzebul (12,22-32) . Segue la similitudine del­ l'albero e dei frutti (12 ,33-37) , che si conclude col riferimento alla parola contro lo Spirito: «> (20, 16) . Il terzo gruppo di due scene , legate fra loro tematicamente, inizia con Gesù che sale a Gerusalemme (20, 17) per la passione e morte (20, 18-19) ; la seconda scena è la richiesta della madre dei figli di Zebedeo , cui Gesù chiede di partecipare al «calice che deve bere» (20,22) , e quindi istruisce i discepoli sull'autorità come servizio e non come potere sul modello del Figlio dell'uomo , «Venuto non per essere servito , ma per servire e dare la sua vita in espiazione per molti» (20,28) . Ritorna alla fine della sezione il problema posto all'inizio ( 1 8 , 1 ) : chi è primo; la ri­ sposta qui data suona: «dev'essere il servo vostro» (20, 26-27) . 62

La guarigione dei due ciechi all'uscita da Gerico è l'ultimo episo­ dio sulla via verso Gerusalemme (20,29-34) e rappresenta il passag­ gio alla sequenza successiva, in quanto Gesù, chiamato dai ciechi «figlio di David» (20,30 . 3 1 ) , viene proclamato tale anche nella scena seguente : l'entrata di Gesù a Gerusalemme (21 ,9) . Schema conclusivo della struttura - Introduzione di passaggio: Pietro paga le tasse per Gesù e per sé (17 ,24-27; cf. 18,21). - Istruzioni ai capi sui «bambini» (18, 1-5) e i «piccoli» (18 ,6-14) . - Istruzioni alla comunità sulla correzione e armonia fraterna (18,15-20) e sul perdono illimitato (18,21-35) . - Passaggio dalle istruzioni alle scene successive (19,1-2) . Tre gruppi di due scene : l) matrimonio, celibato e bambini (19,3-15) ; 2) giovane ricco e parabola degli operai della vigna, due brani che terminano con la stessa sentenza (19, 16-20,16) ; 3 ) predizione della passione di Gesù, suo servizio sacrificate per i molti e partecipazione ad esso dei discepoli (20,17-28) . Conclusione-passaggio alla sequenza successiva: i ciechi invoca­ no Gesù «figlio di David» (20,29-34) . Sezione quinta: Lo scontro decisivo con le autorità del tempio e i fa­ risei, e loro condanna seguita dal discorso escatologico (21 , 1-25,46)

Ora l'ordine delle due parti, discorsiva e narrativa, viene inverti­ to ; si ha prima la narrazione del duro scontro con le autorità e i vari gruppi giudaici, che termina logicamente con le invettive contro «scribi e farisei» (21 , 1-23 ,36) e con il lamento su Gerusalemme (23,37-39) . Questa prima unità letteraria, che contiene diverse para­ bole , è delimitata dall'inclusione all'inizio (21 ,9) e alla fine (23 ,39) nella citazione dello stesso versetto del Sal 1 18 ,26. Il discorso vero e proprio, escatologico , è contenuto nei seguenti cc. 24-25 ; all'inizio del c. 26 Matteo sigla per l'ultima volta con la sua formula usuale tut­ ti i discorsi (26,1a) . La prima parte, narrativa (21 , 1-23,39) , è concatenata in modo drammatico , partendo dalle due solenni scene di introduzione : l'en­ trata trionfale di Gesù a Gerusalemme come «figlio di David» (21 ,11 1 ) e la purificazione del tempio (21 , 12-17) , ambedue corredate da citazioni dell'AT: in 21 ,4 Zc 9,9 e in 21 ,13 Is 56,7. La maledizione del fico (21 ,18-22) è una parabola in azione , che fa da cerniera fra 63

quanto precede (la domanda fatta nella preghiera - 21 ,22 - rimanda alla «casa di preghiera» di 2 1 , 13) e quanto segue (le autorità del tem­ pio e i farisei non hanno prodotto frutti - 21 ,43 - come il fico ste­ rile) . Alla prima controversia sulla sua autorità (21 ,23-27) , cui Gesù risponde ad hominem , seguono tre parabole , che continuano e am­ pliano la sua risposta; tutte e tre rappresentano simbolicamente la condanna del rifiuto di entrare nel regno dei cieli portato da Gesù : il rifiuto della fede e della conversione alla predicazione del Battista nella parabola dei due figli (21 ,28-32) ; il rifiuto dei messaggeri e l'uccisione del figlio nella parabola della vigna (21 ,33-44) ; il rifiuto dell'invito alla festa delle nozze regali nell'ultima parabola (22,114) . Perciò il regno di Dio «sarà tolto a voi» - conclude Gesù - «e sa­ rà dato a un popolo (pagano) che produrrà i suoi frutti» (22,43) . Nel cuore dell'ultima parabola, alla condanna di Gesù da parte di farisei e sommi sacerdoti (21 ,45-46) corrisponde il castigo , espresso in for­ ma parabolica solo da Matteo: al rifiuto «il re si arrabbiò e inviati i suoi eserciti distrusse quegli omicidi (dei messi che li avevano invita­ ti alle nozze del figlio) e devastò la loro città (Gerusalemme)» (22,7) . Le quattro controversie che seguono ( il tributo a Cesare , la diffi­ coltà dei sadducei sulla risurrezione , il comandamento più grande e il Messia figlio e signore di David) sono volte ad illustrare la diversi­ tà dell'insegnamento di Gesù da quello di farisei e sadducei (cf. an­ che sopra: 16,1-12 in modo sintetico) e l'impossibilità di farlo cadere in un tranello per condannarlo (22, 15-46) . La logica conclusione del definitivo rifiuto di Gesù da parte di scribi e farisei è il giudizio di condanna, contenuto nelle sette invetti­ ve contro di loro (23 ,1-36) . Gesù è ancora con i suoi discepoli in mezzo alle folle (23 , 1 ) , mentre l'ultimo discorso viene rivolto ai soli discepoli «in disparte» (24, 1-3) . I sette «guai» sono preceduti da un confronto fra la condotta degli scribi e farisei (23 ,2-6) e quella dei cristiani (23 ,7-12) , che richiama alcuni insegnamenti del primo di­ scorso (6,1-18) e di quello ai capi della comunità cristiana (18,1-14; 20,20-28) . I sette «guai» sono denunce sempre più gravi fino all'ulti­ ma: la persecuzione violenta e cruenta contro gli inviati di Gesù : profeti , sapienti e scribi (23 ,34) . Scribi e farisei colmano la misura e perciò il sangue versato ricadrà su di loro (23 ,25), anticipo della loro stessa richiesta durante il processo di Gesù (27 ,25) . Nella frase mi­ nacciosa di conclusione («In verità vi dico : verranno tutte queste co­ se su questa generazione» : 23 ,36) si sente l'eco non lontana della di64

struzione di Gerusalemme. Ed infatti segue logicamente il lamento sulla città santa (23 ,37-39) , brano-ponte verso il discorso escatologi­ co , che inizia proprio con l'annuncio della distruzione del tempio (24,1-2) . La seconda parte, discorsiva (24, 1-26, 1a) , raccoglie in unità l'in­ segnamento escatologico di Gesù, posto ovviamente per ultimo . Vorrei anzitutto rilevare come nella prima parte di quest'ultimo di­ scorso si sentano frequenti echi dei discorsi precedenti , quasi a signi­ ficare che questo è un discorso-sintesi . Il motivo più frequente è quello dei «falsi profeti» (24,5 . 1 1 .26) , incontrato già nel primo di­ scorso (7 ,15); l'annuncio della persecuzione delle genti (24 ,9) trova riscontro nel discorso di missione (10 ,22) ; infine il tema della «fine del mondo» (24,3) ricorre tre volte nella spiegazione della parabola della zizzania (13 ,39.40.41) . Il fatto che questo discorso venga rivol­ to ai discepoli «in disparte» (24,3) , e quindi alla comunità cristiana, dovrebbe influire sulla sua interpretazione ; interpellati in particola­ re sono i cristiani che provengono dalle «genth> ; sono essi quel popo­ lo (ethnos) che deve portare frutti (21 ,43). Uno studio microstrutturale del discorso escatologico ci porte­ rebbe troppo lontano . La macrostruttura è impostata sulla domanda iniziale dei discepoli: «Dicci quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della tua parusia e della fine del mondo» (24,3) . La pri­ ma parte (24,4-44) corre parallela agli altri due sinottici , mentre la seconda ha carattere parabolico (24,45-25 ,46) . J. Dupont propone una struttura globale concentrica (A B C D C' B' A') , che può esse­ re utile . 3 1 Al centro sta la parusia del Figlio dell'uomo (24,29-3 1) (D) . Le altre pericopi si dispongono intorno a questo centro: 24 , 1518 e 24,32-35 (C-C') parlano di quanto precede immediatamente la parusia (i segni) ; 24,4-14 e 24,36--25 ,30 (B-B ') riguardano il periodo precedente , cioè il tempo della chiesa, il tempo attuale dell'evange­ lista con le sue difficoltà dovute ai «falsi profeti» e alla mancanza di tensione escatologica (non preparati) e di conseguente impegno pra­ tico. Infine alle due estremità (24 ,3 e 25 ,31-46) i due brani che parla­ no della parusia del Figlio dell'uomo (A-A') e che perciò si collega­ no col centro (24,29-3 1). L'aspetto più fragile di questa proposta mi sembra il parallelismo tra 24,3 e 25 ,31-46; infatti 24 ,3 appartiene al­ l'introduzione ed è posto in bocca ai discepoli ; è chiaro invece il rap-

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101 .

J.

DuPONT,

Le tre apocalissi sinottiche (Studi Biblici 14) , Bologna 1 987 , 98-

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porto della parabola escatologica finale con la parusia del Figlio del­ l'uomo (24 ,29-3 1 ) . I o vorrei aggiungere solo una lettura della parte più propria di Matteo (24 ,45-25 ,46) , quella parabolica. Le prime due parabole, del servo fedele o infedele (24,45-5 1) e delle dieci vergini (25 , 1-13) , rispondono alla raccomandazione finale del precedente discorso : «Per questo anche voi rimanete preparati/etoimoi, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora in cui non pensate» (24,44) . La conclusione della seconda parabola suona infatti: «Vegliate dunque perché non sapete né il giorno né l'ora» (25 , 13) . Le due ultime parabole invece interpretano cosa significa «essere preparati» : trafficare i talenti, operando nella carità (25 , 14-46) . Il tema principale di questo ultimo discorso , escatologico, la pa­ rusia-venuta del Figlio dell'uomo (24,3.29-3 1 ; 25 ,3 1 . 46) , era stato preannunciato nella terza sezione : «>. Anche se tali indicazioni cronologiche e topografiche non ci pos­ sono fornire la cornice spazio-temporale di una vera e propria bio­ grafia di Gesù, ci danno tuttavia l'idea di una esistenza concreta, non di quadri staccati e accostati, di esempi illustrativi di una dottri­ na (le chreiai) . Matteo è interessato a scrivere un «libro di storia>> (Mt 1 , 1) , anche se non è certo all'altezza di Luca. Concludendo possiamo dire anzitutto che Matteo usa fonti varie fondendole, introducendole , modificandole , commentandole , di­ stribuendole secondo un criterio tematico (i discorsi) o generica­ mente «storico» (le narrazioni) , con un certo grado di creatività, specie per quanto concerne la figura di Gesù e dei discepoli , ma non tale da attribuirgli facilmente racconti (come Mt 1-2) o discorsi (co­ me Mt 28,16-20) , creati su una tenue o nulla base di tradizione . 38

2.2. Il linguaggio e lo stile39 La lingua greca di Matteo è certamente superiore a quella di Marco , anche se il suo linguaggio è meno vivace . È una lingua cura­ ta. Usa talora espressioni elevate come battalogein (ciarlare) in Mt 6,7, pelagos thés thalassés (il mare profondo) in 18,6; paliggenesia (rinascita) in 19,28. Ricorre pure a giochi di parole come aphanizou­ sin hopos phanosin (si sfigurano per figurare) in 6,16. Utilizza più la sintassi (spesso il genitivo assoluto) piuttosto che la paratassi ; l'aori­ sto prevale sul presente . In luogo del goffo inizio di Mc 1 , 1-4, Mat­ teo introduce il Battista in forma storica: «>. 12. 5 , 17; 10,34: «Non crediate che io sia venuto . . . » . 1 3 . 10,6; 15 ,24: «le pecore perdute della casa di Israele». 14. 3,2; 4,17: « (paidionlia) , mentre 18,6-14 raggruppa alcuni detti sui «picco­ li» (mikroi) . Le inclusioni sono molto frequenti e servono a delimitare una pericope . L'inclusione può abbracciare ampie unità letterarie come 4,23-9,35 , che delimita la prima sezione del Vangelo (cf. struttura) ; o 5 , 17-7,12 nel discorso della montagna. Molte volte Matteo inseri­ sce l'inclusione dove manca in Mc: così Mc 8, 15-21 rispetto a Mt 16,6. 12 («Guardatevi dal lievito . . . »). Lo stesso vale per Mt 18, 1-4; 12,39-49 e 15 ,2-20. Ma talora egli riproduce le inclusioni di Mc; q>sl Mt 9 , 14-15/Mc 2,18-19 («digiunare») ; e Mt 12,2-8/Mc 2,23-27 («il sa­ bato») : per citare solo due esempi . Evidentemente Matteo assume questa figura letteraria dalla tradizione e la amplia. Anche il parallelismo sinonimico o antitetico viene spesso usato dal primo evangelista ed è caratteristica dello stile semitico , quando la ripetizione è senza notevoli variazioni. A Luca non piace la ripeti­ zione e perciò nei passi paralleli varia secondo il suo gusto ellenisti­ co . Classico è il caso della similitudine finale del discorso della mon­ tagna (Mt 7 ,24-27/Lc 6,24-27) . Il parallelismo in forma inversa divie­ ne un chiasmo : 42 «Chi vuoi salvare la sua vita (a) , la perderà (b) ; ma

41 Suggestivo è Io studio della simbolica, condotto da V. MoRA, La symbolique de la création dans l'Evangile de Matthieu (LD 144) , Paris 1991 , 18-124. 4 2 Per un elenco completo dei chiasmi in Matteo si veda A. Dt MARco , Il chia­ smo nella Bibbia, Torino 1980, 107- 124, che continua il lavoro precedente di N. W. LUND, Chiasmus in the New Testament, Chapel Hill 1942 .

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chi perde la sua vita per causa mia (b') , la troverà (a')» (16,25). Pa­ rallelismi e chiasmi , Matteo li ha trovati spesso nella tradizione e li ha conservati, mentre Luca li elimina o li varia. Nella divisione strofica conserva il ritmo dello stile semitico. Ad esempio le beatitudini sono strutturate in due strofe , ciascuna con inclusione nel «regno dei cieli» (M t 5 ,3 . 10) e con la stessa finale «giustizia» (5 ,6. 10) . Per quanto concerne , in particolare , i racconti: in genere li ab­ brevia; ma vi sono delle eccezioni come nel racconto della cananea: mentre Marco se la cava con 7 versetti (7 ,24-30) , Matteo invece ne ha 8 (15,21-28) e 139 parole contro le 130 di Marco . Le abbreviazio­ ni matteane , più che ad un riassunto del corrispondente racconto di Marco , sono dovute allo stile ieratico dell'evangelista, che meglio corrisponde alla sua presentazione di Gesù come Signore . Tale an­ damento solenne è proprio dello stile ecclesiale. Nell'abbreviare il racconto della donna col flusso di sangue all'interno della narrazione del risuscitamento della figlia di un capo ebreo (Mt 9 , 18-26/Mc 5 ,2143) , si può ravvisare in Matteo un ulteriore motivo , l'intenzione di evitare ogni interpretazione magica del miracolo , cui potrebbe dar adito il racconto vivace e popolare di Marco. Mentre infatti in Mc la donna si sente guarita toccando l'orlo della veste di Gesù (Mc 5 ,2834) , in Mt invece Gesù si accorge subito , si volta e le dice : «Donna, la tua fede ti ha salvata» (9 ,22) . In conclusione , anche se la lingua greca di Matteo è buona e ta­ lora addirittura elevata, le caratteristiche del suo linguaggio rivelano tuttavia che ha conservato meglio degli altri sinottici il tenore e lo stile delle parole di Gesù , perché vi era affine per lingua e cultura. Dev'essere stato quindi un giudeo-cristiano di lingua greca, che co­ nosceva l'aramaico e l'ebraico (se le citazioni-compimento sono sue , come ritengo) , e scriveva per una comunità ellenistica, la cui mag­ gioranza era giudeo-cristiana, aperta all'universalismo nei confronti delle genti. A ciò orienta anche il fatto che fu l'ultimo Vangelo si­ nottico ad essere scritto . Matteo deve aver molto lavorato per comporre il suo Vangelo e deve averlo molto pensato . Per questo è divenuto il Vangelo eccle­ siastico più usato fin dall'antichità . 43

43 E. MASSAUX , lnfluence de l' Evangile de saint Matthieu su la litérature chrétien­ ne avant S. lrénée, Louvain-Gembloux 1950.

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3.

L'AMBIENTE: MATIEO E LA SUA COMUNITÀ FRA DUE ORIZZONTI CULTURALI44

Matteo viveva in una comunità cristiana e scrisse il suo Vangelo per la sua chiesa. Dall'ambiente riflesso nel suo Vangelo possiamo arguire almeno qualche tratto della fisionomia di quella comunità e la sua collocazione in un preciso orizzonte spazio-temporale e cultu­ rale? Nel precedente capitolo, di carattere metodologico , abbiamo teorizzato quattro tipi di ambiente : culturale , sociale , comunitario e storico. Di questi quattro è l'ambiente socio-comunitario che pone i maggiori problemi . Finché si descrive l'ambiente culturale o socio­ religioso e socio-politico giudaico e greco romano del I secolo par­ tendo da fonti letterarie e archeologiche , va bene. È sul metodo per scoprire l'ambiente sociale dei Vangeli a partire dagli stessi Vangeli, che si appunta la critica. Tale metodo presuppone , senza provarlo , che quanto viene affermato nel Vangelo riguardi la storia della co­ munità per la quale è stato scritto . Il black out storico sulle tradizioni di Gesù , precedenti il Vangelo , mi sembra ingiustificato , e le argo­ mentazioni per l'una o l'altra tesi socio-comunitaria sono così fragili che si possono sostenere facilmente tesi opposte. Portiamo solo qualche esempio : l'autore di Mt era un giudeo­ cristiano o un etnico-cristiano? Utilizzando una serie di testi si può sostenere l'una o l'altra tesi. Per H . J . Klauck oikos nel NT significa la casa con i suoi beni , mentre oikia indicherebbe la famiglia con le sue persone ; ma J . Elliott sostiene il contrario. 45 Passiamo a due casi

44 Bibliografia: G. BoRNKAMM , «End Expectation and Church in Matthew», in Tradition and Expectation in Matthew, Philadelphia 1963, 15-59 ; S . H . BROOKS , Mat­ thew's Community. The Evidence of his Special Sayings Materia/ (JSNTS 16) , Shef­ field 1987 ; M.H. CROSBY, House of Disciples. Church, Economics & Justice in Mat­ thew, New York 1988 , 36-48 ; E . CoTHENET, d..e s prophètes chrétiens dans l'Evangile selon saint Matthieu», in M. DIDIER, a cura , L'Evangile se/on Matthieu. Rédaction et Théologie (BEThL 29) , Gembloux 1972, 281 -308 ; KINGSBURY, Matthew, 96-105 ; S . LEGASSE, «L"'antijudalsme" dans l'Evangile selon Matthieu» , i n DIDIER , Mathieu , 417-428 ; J . P . MEIER , The Vision of Matthew, New York 1979; J . A . OVERMANN, Mat­ thew's Gospel and ForTTUltive Judaism. The Social World of the Matthean Community , Minneapolis/MN 1990; K . PANTLE-SCHIEBER, «Anmerkungen zur Auseinanderset­ zung von Ekklesia und Judentum im Matthausevangelium» , in ZNW 80(1989) , 144162; E. ScHWEIZER, Matteo e la sua comunità (SB 81), Brescia 1987 ; B .T. VIVIANO, «Social World and Community Leadership . The Case of Matthew 23 ,1-12.34», in JSNT 39( 1990), 3-2 1 . 45 CaosBY, House of Disciples, 53-54.

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di argomentazione da testi concreti. Se Mt 10,6 e 15 ,24 parla delle «pecore perdute della casa di Israele», cui sono inviati Gesù e gli apostoli, non sarebbe un dato arcaico da porre nell'ambiente vitale del Gesù storico , ma rifletterebbe il tentativo di conciliare i giudaiz­ zanti con la forte crescita delle chiese gentili a tipo familiare . 46 Op­ pure , se Luca parla di «poveri» (Le 6,20) vuoi dire che nella sua chiesa c'era un grosso numero di poveri , mentre «i poveri in spirito» di Mt 5 ,3 presupporrebbe una comunità in cui c'era un buon numero di ricchi . 47 Tali passaggi diretti dal testo attuale alla realtà storica che il testo non intende descrivere , non hanno una base solida, se non vi sono molti elementi convergenti o se non vi è qualche altra testimo­ nianza che convalidi la deduzione dal testo . Nella delineazione del­ l'ambiente che faremo si cercherà di evitare tali conclusioni affretta­ te dai testi , pur accettando il metodo.

3 . 1 . L'ambiente culturale È dato in primo luogo dalla lingua e dal linguaggio come mezzo per comunicare informazioni e valori. Il Vangelo di Matteo è scritto in buon greco, non in un greco di traduzione. L'autore dev'essere stato una persona colta che possedeva la lingua greca con notevole ricchezza di vocabolario (ca . 1700 vocaboli , di cui 151 propri) , di grammatica e di retorica. E tuttavia l'atmosfera che spira dal libro è decisamente semitica. Vi sono infatti molti semitismi dovuti alla tra­ dizione palestinese , che sta alle spalle del Vangelo , e talora dello stesso autore , come i kai egenetoled avvenne a conclusione dei di­ scorsi (7 ,28 ; 1 1 , 1 ; 13,53; 19, 1 ; 26 , 1 ) . Dallo studio d a me stesso condotto sui primi due capitoli si do­ vrebbe concludere che l'autore conosceva l'ebraico, tanto da poter tradurre i testi dall'originale ebraico . 48 L'ambiente culturale che ne risulta sembra quello giudeo-ellenistico , ma vicino alla Palestina in modo da presupporre la presenza di rotoli biblici o la facilità di acce­ dervi . I lettori, cui l'evangelista si rivolge , non conoscevano però l'e­ braico , perché egli traduce in greco le parole ebraiche o aramaiche della tradizione («Emmanuel» in 1 ,23 , «Golgotha» in 27,33 e il grido di Gesù sulla croce in 27 ,46) o le interpreta come «Beelzeboul>> in

46

47

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MEIER, The Vision, 53-54. CROSBY, House of Disciples, 46. SEGALLA, Una storia annunciata, 45-46. 79

12,24 (cf. Le 1 1 , 15) ; però in due casi riporta vocaboli aramaici popo­ lari senza tradurli : «hraka» in 5 ,22 e «korbanan» in 27 ,6: espressione aramaica con cui Flavio Giuseppe designa il tesoro del tempio (Beli. II, 275) ; infine si dà il caso che riporti dalla fonte solo la traduzione del vocabolo aramaico (Mt 15 ,5/Mc 7 , 1 1 ) . Eccetto Mt 1 ,23 , che è proprio , degli altri vocaboli aveva trovato la traduzione greca già nella sua fonte Mc. Dato che in due casi non traduce il vocabolo ara­ maico , potrebbe darsi che nella sua comunità vi fossero cristiani che parlavano aramaico e greco ma non conoscevano l'ebraico. L'ambiente culturale principale da cui Matteo attinge il suo lin­ guaggio è la Scrittura, e particolarmente i profeti, nominati 35 volte in Mt, 49 mentre «Legge (nomos)» vi ricorre 8 volte ; e quattro volte l'espressione sintetica «La Legge o/e i Profeti» per indicare la Scrit­ tura (5 ,17; 7 , 12; 1 1 , 1 3 ; 22,40) . Lo studio più ampio dell'uso dell'A T, esplicito ed implicito in M t, è quello di R.H. Gundry , che lo confronta anche con Mc e Le ed esamina accuratamente la fonte da cui le citazioni derivano: la LXX, Teodozione , testi non della LXX, Targum, ecc. 50 Secondo questo autore Mt avrebbe in comune con Mc 16 citazioni esplicite e 40 im­ plicite ; 4 citazioni esplicite (tutte nel racconto della tentazione) sono comuni con Le e 26 implicite ; proprie di Mt sarebbero poi 20 citazio­ ni esplicite e 42 implicite . In conclusione avremmo quindi in Mt 40 citazioni esplicite e 108 implicite . Non essendo possibile in questa sede riprendere e discutere i dati del Gundry, abbiamo scelto sia per questo Vangelo che per i seguenti un metodo più semplice e facil­ mente verificabile dal lettore: le indicazioni in grassetto dell'edizio­ ne critica internazionale del NT, corrispondente alla 263 edizione del Nestle Aland . Per Mt ve ne sono 63 , di cui lO citazioni-compimento , che indicheremo con un segno grafico (*) dopo la numerazione pro­ gressiva , mentre «parr. » significa che vi sono paralleli sin ottici . l . * Mt 1 ,23 = Is 7 , 14 2. Mt 2,6a-c = Mi 5 , 1 3. Mt 2,6d = 2Sam 5 ,2 4. * Mt 2,15 = Os 1 1 , 1 5 . * Mt 2,18 = Ger 3 1 , 15 6. * Mt 2,23 = I profeti (Is 1 1 , l ?) 7. Mt 3,3 = Is 40 ,3 (parr. )

49

CoTHENET, «Les prophètes chrétiens>> , 283 . 50 GUNDRY , The Use of the Old Testament: sintesi alle pp. 147- 150.

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8. Mt 4,4 = Dt 8,3 par . Le 9. Mt 4,6 = Sal 91 , 1 1-12 par. Le 10. Mt 4,7 = Dt 6 , 16 par. Le (1Cor 10,9) 1 1 . Mt 4,10 = Dt 6,13 par. Le 12. * Mt 4,14b-16 = Is 9, 1-2 13. Mt 5 ,21 = Es 20 ,13/Dt 5 , 17 parr. 14. Mt 5 ,27 = Es 20,14/Dt 5 , 18 parr. 15. Mt 5 ,31 = Dt 24, 1/Mt 19,7 ; Mc 10,4 16. Mt 5 ,33 = Lv 19,12/Nm 30,2/Dt 23 ,22-24/Sal 50(49) , 14(LXX) 17. Mt 5 ,34-35 = Is 66, 1 18. Mt 5 ,38 = Es 21 ,24/Lv 24,20/Dt 19,21 19. Mt 5 ,43 = Lv 19,18/Mt 19,19; 22,39 ; Mc 12,31 ; Le 10,27 ; R m 13,9; Gal 5 , 14 ; Gc 2,8 20 . * Mt 8,17b = Is 53 ,4 21-22. Mt 9,13 e 12,7 = Os 6,6 23 . Mt 10,35-36 = Mi 7,6 24 . Mt 1 1 ,5 = Is 35 ,5-6; 42,18; 61 , 1 25 . Mt 1 1 ,10 = Es 23,20; Mal 3, 1/Mc 1 ,2; Le 1 ,76; 7,27 26. Mt 1 1 ,23 = Is 14 ,13. 15 27. * Mt 12, 18-21 = Is 42, 1 -4 28. Mt 12 ,40 = Gn 1 , 17 29. Mt 13, 14b-15 = Is 6,9-10/Gv 12,40 ; At 28 ,26-27 30. * Mt 13 ,35 = Sal 78(77),2 31. Mt 15,4 = Es 20,12/Dt 5 , 16/parr. 32 . Mt 15 ,8-9 = Is 29 ,13(LXX) 33. Mt 18,16 = Dt 19,15/Gv 8,17; 2Cor 13 , 1 ; 1Tm 5 , 19 34. Mt 19,4 = Gen 1 ,27 35 . Mt 19,5 = Gen 2,24/Ef 5,31 36. Mt 19,7 = Dt 24, 1/Mt 5,31 37 . Mt 19,18-19 = Es 20, 12-16/Dt 5 , 16-20/parr. e Rm 13,9 38 . * Mt 21 ,5 = Is 62, 1 1 39 . Mt 21 ,9 = Sal 1 18(1 17) ,26/Mt 23 ,39; Le 13 ,35 40. Mt 21 , 13b = Is 56 ,7(60,7) + Ger 7 , 1 1 41 . Mt 21 , 16 = Sal 8,3(LXX) 42. Mt 21 ,33 = Is 5 , 1 -2 43 . Mt 21 ,42 = Sal 1 18(1 17) , 22-23 44 . Mt 22 ,24 = Dt 25 ,5 ; Gen 38 ,8; parr. 45 . Mt 22 ,32 = Es 3 ,6. 15-16 parr. 46. Mt 22 ,37 = Dt 6,5 parr. 47 . Mt 22,39 = Lv 19,18 parr. 48. Mt 22 ,44 = Sal 1 10( 109) , 1 parr. 81

Mt 23 ,38-39 = Sal 1 18(1 17) ,26/ Le 13 ,35 Mt 24,15 = Do 9 ,27 ; 1 1 ,31 ; 12, 1 1 ; 1Mac 1 ,54; 6,7 e parr. Mt 24,21 = Do 2 , 1 ; Gl 2,2 Mt 24,29 = Is 1 3 , 10/Ez 32,7; Gl 2 , 10.31 ; 3 , 1 5 ; Is 34,4; Ag 2,6. 2 1 ; Ap 6 , 13 e parr. 53 . Mt 24,30b = Zc 12, 10. 14 + Do 7 , 13-14 e parr. solo per la seconda citazione 54. Mt 26,15 = Zc 1 1 ,12/parr. 55 . Mt 26,31 = Zc 13,7/Mc 14,27 56 . Mt 26,64 = Sal 1 10( 109) , 1 + Do 7,13/parr . 57. * Mt 27,9b- 10 = Zc 1 1 , 12-13 + Ger 32,6-9 58. Mt 27,34 = Sal 69(68) ,21/parr. 59. Mt 27,35 = Sal 22(21) , 18 parr. 60. Mt 27,39 = Sal 22(21),7; 109(108) ,25/parr. 61 . Mt 27,43 = Sal 22(21),8 + Sap 2,18-20 62 . Mt 27,46 = Sal 22(21), 1/parr. 63 . Mt 27,48 = Sal 68(67) ,21/Mc 15 ,36. Dieci di queste citazioni sono citazioni-compimento , una forma letteraria propria di Mt, 51 e non c'è Vangelo che abbia un numero cosl alto di citazioni ed allusioni all' AT. È ovvio quindi pensare che l'autore del Vangelo avesse molta dimestichezza con la Bibbia ebrai­ ca e greca e che essa fosse ben conosciuta dai membri della comuni­ tà, sia pure in diverso grado. L'uso che Matteo ne fa rivela inoltre una notevole conoscenza dell'ermeneutica giudaica, ampiamente documentata dalla biblioteca scoperta a Qumran e nell'ambiente rabbinico . Come ha dimostrato Stendhal, 52 la sua interpretazione dei «profeti», attualizzante , ha delle affinità col midrash pesher di Qumran, anche se il movimento ermeneutico è esattamente l'inver­ so (dall'evento salvifico attuale ai profeti e non dai profeti alla storia attuale) . Non solo cita esplicitamente o implicitamente Legge , Profeti e Salmi , ma ricorre anche alle categorie di pensiero presenti nelle tra­ dizioni anticotestamentarie . La tradizione della Legge o halachica (il più citato [12 volte] dei libri della Torah è il Deuteronomio) si riflet­ te nell'importanza data alle «Opere» in senso etico (5 ,16; 23 ,3.5; 26 , 10) , chiamate allegoricamente «frutti» o «frutti buoni» (3,8. 10; 7,16-20; 12,33 ; 13 ,8.26; 21 , 19.34-43): criterio di discernimento dei 49. 50. 51. 52.

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Si veda la bibliografia citata alla nota 37. STENDHAL, The School of St. Matthew.

veri profeti dai falsi. Usa inoltre la categoria complessiva della «giu­ stizia» (dikaiosyne) per indicare il comportamento cristiano , che corrisponde alla volontà di Dio rivelata da Gesù nel discorso della montagna (5 ,6. 10.20 ; 6 , 1 .33) . Queste e altre categorie vengono tut­ tavia usate non in senso legalistico , ma in prospettiva personale , in quanto l'accento non cade sulle opere in sé o sulla loro quantità, ma piuttosto sulle «opere» e «frutti» come espressione concreta del «cercare il regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33) . 53 Matteo ricorre alla tradizione profetica (38 volte nominati i pro­ feti e più di 27 citazioni esplicite o implicite senza contare i salmi) per interpretare profeticamente la Torah (tipica è la citazione di Os 6,6 in Mt 9 , 1 3 e 12 ,7) , ma soprattutto per interpretare la persona e la missione di Gesù . Come si può facilmente rilevare dall'elenco so­ pra riportato , il profeta più largamente citato è Isaia e più precisa­ mente il Deuteroisaia (13-14 volte) ; ma vengono ricordate anche profezie di Geremia (2 o 3) , di Ezechiele (l volta) e di Daniele (nel discorso escatologico) ; dei «Dodici» minori vengono citati Osea, Gioele , Zaccaria, Michea e Malachia . Il ricorso ai Salmi si infittisce come «profezia» nel racconto della passione e morte di Gesù . Frankemolle 54 ha dimostrato l'influsso della categoria della «nuova alleanza» sulla macrostruttura di Mt: Gesù è «Dio-con-noi» (1 ,23 ; 18,20; 28,20} , presenza salvifica di Dio in mezzo al suo popo­ lo , uno dei motivi fondamentali dell'alleanza; ha rilevato pure un profondo influsso della storia deuteronomistica e di quella delle Cronache per quanto concerne la fedeltà di Dio alle sue promesse nella storia . L'influsso della tradizione sapienziale si rivela soprattutto nella cristologia ( 1 1 , 19; 23 ,24/Lc 20,49) ; il Gesù di Matteo, secondo il Suggs, potrebbe configurarsi come «incarnazione della sapienza preesistente» e della Torah, identificata, nella tradizione giudaica più recente , con la sapienza. 55 Anche molte forme letterarie usate da Matteo provengono dalla letteratura profetica e da quella narrativa; basti pensare solo alla ge­ nealogia iniziale .

sJ Si veda in proposito G. SEGALLA, «La ricerca di Dio come ricerca del regno nei sinottici», in Quaerere Deum. Atti della XXV settimana Biblica, Brescia 1980, 413433 . S4 FRANKEMÒLLE, Jahwe-Bund. ss M . JACK SuGGs, Wisdom, Christology and Law in Matthew's Gospel, Cam­ bridge/Massachusetts 1970.

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Gesù è presentato in primo luogo come Messia che deve venire , ma anche come «Figlio di Dio» o «Dio-con-noi>> secondo la profezia di Is 7 , 14(LXX) e come «Figlio dell'uomo>> (25 ,31-46) . L'attività di Gesù è ambientata nella Palestina, anche se fa qual­ che puntata fuori del suo territorio. Egli si sente inviato alle «pecore perdute della casa di Israele>> ( 10,6; 15 ,24) . Che rifletta un ambiente tipicamente giudaico , lo si arguisce infi­ ne dalle discussioni , tutte con vari gruppi giudaici , dei quali il più frequente è quello degli «scribi e fariseh> , la categoria che dopo la caduta di Gerusalemme guidava e dirigeva il concilio e l'accademia di Jamnia (70-135 d.C. ) . Si aggiunga il fatto che , a differenza di Mc, Mt usualmente non spiega i costumi ebraici , perché suppone che i suoi lettori li conoscano. Per qual motivo il primo evangelista , pur in una buona lingua greca, mantenga nella sua narrazione tutto lo spessore e il colore se­ mitico della tradizione palestinese , non lo si può capire pienamente se lui stesso non fosse stato un giudeo-cristiano di lingua greca e la sua comunità non fosse stata caratterizzata da un consistente gruppo di giudeo-cristiani , in contatto prevalentemente polemico con l'am­ biente giudaico circostante , che considerava proprio patrimonio quella «Scrittura>> che possedevano e usavano pure , in modo ben di­ verso , i giudeo-cristiani. Le due comunità infatti la interpretavano in modo diverso : i giudei con le halachot orali ( «la tradizione dei pa­ dri»: 15 ,2-3) , che si facevano risalire , in una catena ininterrotta di tradizione viva, fino a Mosè (Pirqe Abot 1 , 1 ) , mentre i cristiani la in­ terpretavano con le halachot orali, fatte risalire a Gesù stesso ( Mt 5-7) . Per quanto riguardava i «Profeti» , era la stessa comunità mat­ teana e Matteo stesso che li applicavano alla persona e alla missione di Gesù e vedevano in lui il compimento di «Legge e Profeti» . L'ambiente culturale ellenistico , greco-romano , ha una presenza polare in Mt . Per un verso il mondo pagano rappresenta l'ambiente da cui i cristiani devono differenziarsi nell'amore ai nemici ( Mt 5 ,47) 56 e nel modo di pregare ( Mt 6,32) ; i pagani sono inoltre i perse­ cutori dei missionari cristiani , che vengono tradotti davanti ai loro tribunali e ai loro magistrati (10,8) . Ma d'altro canto sono essi , i pa­ gani, i destinatari del «regno dei cieli» portato da Gesù ( Mt 4,15; 12,21 ; 24 ,14; 28, 19) . Sono loro il popolo (ethnos) , cui viene affidato

56 È la lezione preferita dall'edizione internazionale del NT in alterna­ tiva a , in E. BEST-R. MeL. WJLSON , a cura , Text and Interpretation (Fs M. Black ) , Cambridge 1979, 43-56; lo . , Studien zur Bergpredigt, Tiibingen 1 985 .

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mulo , tipici dell'ambiente cittadino: accumulo di ricchezza per il commercio o per il possesso di grandi estensioni terriere ben sfrutta­ te . Mentre Luca menziona quattro volte il denaro (Le 9,3; 19,15 .23 ; 22,5) e poche volte delle monete (Le 7,44: 50 denari ; 12,6: due assa­ ri ; 12 ,59: l'ultimo spicciolo ; 19, 13: dieci mine) e Mc una sola volta il denaro in 14,41 e altre monete di infimo valore , Mt invece non men­ ziona mai il lepton (piccola moneta di rame di pochissimo valore) , mentre ·riferisce i seguenti valori: il quadrante , ca. un quarto di cen­ tesimo (5 ,26) ; l'assario, l centesimo (10,29) ; il denaro , ca. 18 cente­ simi (3 , 10; 7, 17-19; 12,33 ; 13 ,32; 21 ,8) ; il didramma o doppia dram­ ma, ca. 36 centesimi (17 ,24) ; lo statere , ca. 80 centesimi (17 ,27; 26,16) ; il talento , ca. 600 dramme (Mt 18,24 ; 25 ,15-28) ; il chalkos, moneta di rame (10,9) , l'argyrion , moneta di argento (Mt 25 ,18.27 ; 26, 1 5 ; 27 ,3-9; 28 ,12. 15) e i l chrysos, moneta d'oro (2, 1 1 ; 10,9 ; 23 , 16-17) . Se prendiamo in considerazione i tre tipi di moneta di maggior valore (l'oro , l'argento e il talento) si scopre che in Mt ri­ corrono non meno di 28 volte , mentre solo l in Mc e 4 in Le. Alla conoscenza del mondo finanziario si può aggiungere il cam­ biamento della beatitudine dei «poveri» in quella di «poveri in spiri­ to» (5 ,3); questi includono ovviamente anche i ricchi , che praticano la giustizia evangelica del regno di Dio , come Giuseppe d'Arimatea, un «ricco» istruito da Gesù come suo discepolo (Mt 27,57) . Nelle chiese domestiche dei ricchi della classe media ed alta si in­ contravano giudeo-cristiani e etnico-cristiani di varia estrazione so­ ciale ; tra di loro vi erano anche molti sfruttati da ricchi proprietari. L'etica della giustizia, predicata nel Vangelo di Matteo , doveva acquisire anche una sfumatura sociale e raccomandare una maggiore giustizia verso il proletariato di allora, specie all'interno della gran­ de famiglia patriarcale . La chiesa cristiana, che radunava liberamen­ te un gruppo di persone , doveva influire positivamente nelle tensio­ ni fra città e provincia, tra ricchi e poveri , fra padroni e schiavi . Ai diseredati ed emarginati della Palestina si sostituiscono i contadini sfruttati e gli schiavi di casa, i liberti legati alla famiglia patriarcale , i lavoratori a giornata e i forestieri. Tutte queste categorie di persone trovavano nella chiesa domestica una famiglia, la famiglia di Dio, in cui si predicava la giustizia, la carità e si praticava perciò la solidarie­ tà (Mt 25 ,31-46) . I due dati certi dell'interesse per la città e per la sua economia basata sul denaro , ci orientano discretamente ad una comunità di città o vicina alla città, che annoverava tra i suoi membri un discreto numero di gente ricca o della classe media. 86

3 . 3 . L'ambiente ecclesiale Passiamo ora dall'ambiente sociale alla «Chiesa» (18, 15-17) stes­ sa di Matteo , distinguendo l'ambiente socio-religioso in cui vive ed opera e la sua struttura interna. a) La ricerca sull'ambiente socio-religioso negli studi recentP8 si orienta sempre più verso quello conflittuale , creatosi dopo la distru­ zione di Gerusalemme con il concilio di Jamnia (70-132 d . C . ) , fon­ dato da rabbi Johanan Ben Zakkai. 59 La difficoltà maggiore nell'in­ terpretare Mt è costituita dall'apparente contraddizione tra l'affer­ mazione della perenne validità della Torah (5 , 17-20 ; 23 ,3) e l'inter­ pretazione di Gesù che la relativizza e in tal modo la «compie» . La volontà di Dio, rivelata da Gesù Messia, Signore e Figlio di Dio , è in realtà al di sopra della Torah. Il vero conflitto è a livello pratico col modo di osservare la Torah. La giustizia cristiana dev'essere «supe­ riore (pleion)» a quella degli «scribi e farisei» (5 ,20) /l(J visualizzata in 6 , 1 -6. 16-18 e 23 ,3-7 . Come spiegare questa tensione? I testi studiati dalla ricerca attuale sono soprattutto il materiale di tradizione proprio di Mt; mentre il confronto storico, come abbia­ mo detto, viene cercato usualmente nella vicenda del giudaismo fa­ risaico emergente a Jamnia. 6 1 Le due ricerche più interessanti a que­ sto riguardo (Brooks e Viviano) praticano due metodi diversi per due scopi diversi. Brooks, col metodo della critica redazionale, 62 intende ricostrui­ re almeno due momenti previ della comunità di Matteo, due mo­ menti diversi e successivi , che spiegherebbero in modo plausibile la tensione fra i detti di Gesù che suppongono una vita comune con la comunità giudaica (di Gerusalemme) e quelli che riflettono invece una rottura e opposizione . 63 Tale metodo presuppone vi fosse un gruppo o dei gruppi omogenei , portatori delle tradizioni M, perché le ritenevano «proprie» e adatte alla loro situazione storica. Ora ,

ss

59

1970.

Si veda la bibliografia citata alla nota 44. J. NEUSNER, A Life of Johanan ben Zakkai (Studia Postbiblica VI) , Leiden

60 Questa espressione fissa compare 1 1 volte in M t, di cui 8 nel discorso polemico contro di loro (5 ,20; 12,38; 15 , 1 ; 23 ,2 . 1 3 . 14. 15.23 . 25.26.29) . 61 Cf. alla nota 44 gli studi di Kingsbury, Kiinzel, Pantle Schieber e Viviano. 62 Brooks si ispira agli studi sul quarto Vangelo di J.L. Martyn e in particolare a quello di R . E . BROWN , «Not Jewish Christianity and Gentile Christianity, but Types of Jewish/Gentile Christianity», in CBQ 45(1983) , 74-79. 63 BROOKS , Matthew's Community , 1 1-123 .

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isolate le tradizioni dei detti di Gesù in M, vi si potrebbero distin­ guere due stadi successivi: l) il primo sarebbe da porre prima del 70; il gruppo riconosce l'autorità dottrinale della sinagoga, ma è critico verso il comporta­ mento pratico dei suoi capi e dei suoi membri (5 , 17-20; 6,1-18; 23) . Elemosine , preghiera e digiuni tra i cristiani erano pratiche simili a quelle giudaiche ; se ne differenziavano solo perché erano compiute «in segreto». Il gruppo inviava missionari al popolo di Israele in Pa­ lestina e anticipava l'imminente venuta del Figlio dell'uomo (10,23) . Il gruppo è quindi ancora intra muros. 2) La seconda serie di detti corrisponde ad un gruppo giudeo­ cristiano che si separò e si oppose ideologicamente alla sinagoga giu­ daica. E proprio per questa rottura ne subisce persecuzione . Si orga­ nizza esclusivamente sotto l'autorità di Cristo , promulgatore escato­ logico delle norme per la comunità, e perciò rompe ogni rapporto con le istituzioni della sinagoga e della Legge . Alcuni membri della comunità cristiana praticano il celibato per il regno dei cieli (19, 1012) . Emerge una cristologia esplicita: Gesù è rappresentante escato­ logico di Dio , con cui è identificato. La comunità ha la certezza di godere la presenza salvifica di Gesù (18,20; 28 ,20) . I due fattori che avrebbero determinato il passaggio dalla prima alla seconda fase sarebbero stati: l) Gesù , interprete escatologico della Torah , è in contrasto con il ruolo delle autorità della sinagoga ; l'halachah cristiana, fondata sull'autorità di Gesù , è in contrasto con quella giudaica. 2) Un secondo fattore è lo sviluppo delle missioni ai pagani in concorrenza con quelle agli ebrei (23,15). Motivo del passaggio alla missione presso i gentili può essere stato sia il fallimento della mis­ sione presso gli ebrei in Palestina sia la mancata venuta del Figlio dell'uomo . Matteo avrebbe unito le tradizioni M a quelle di Mc e Q , dando senso alla storia della comunità «nei termini delle tradizioni su Gesù>>.64 Si avrebbe insomma una «storicizzazione» delle tradizio­ ni della comunità , fuse con quelle di Mc e Q . Alla fine Brooks sottolinea che si tratta di «una ipotesi» , che spiega l'inclusione delle tradizioni proprie di Mt con la continuità storica di un gruppo significativo all'interno della comunità e della sua storia precedente .

64

88

BROOKS,

Matthew's Community, 121-122 .

La principale difficoltà che si prova di fronte ad ipotesi fondate solo sulla critica letteraria è di carattere metodologico. Come si può passare direttamente dalla critica letteraria dei testi alla storia della comunità? L'unico argomento del Brooks è l'ipotesi astratta di un gruppo giudeo-cristiano , portatore delle tradizioni proprie di Mt . Ma non cerca alcuna relazione storica dei testi in questione con fatti o gruppi attestati fuori di tali testi né all'interno del NT (si poteva forse ricorrere al libro degli Atti) né fuori del NT (storia del giudai­ smo del I secolo) . A mio avviso , quanto Brooks afferma è possibile , ma non dimostrabile né da lui dimostrato. Rimane sul piano del con­ fronto letterario . Molto più plausibile mi sembra invece l'ipotesi di una comunità giudeo-cristiana, che conservava tradizioni giudeo­ cristiane concorrenti e polemiche con l'ambiente ufficiale della sina­ goga. L'ipotesi del Brooks che allinea le tradizioni M in due momen­ ti successivi toglie loro praticamente il carattere polemico , salvo poi ad affermarlo nel passaggio dal primo al secondo stadio con l'inter­ pretazione diversa della Torah e la concorrente missione presso i pa­ gani. Viviano e Pantle Schieber, oltre alla critica redazionale , utilizza­ no in più , rispetto al Brooks, anche l'analogia storica con la storia della sinagoga giudaica e dell'incipiente giudaismo farisaico ad Jam­ nia . Viviano restringe il suo studio a Mt 23 , 1-12.3465 sotto il profilo dell'ambiente socio-religioso dei dirigenti della comunità. L'ipotesi euristica di partenza è espressa così: «>, «sedettero (ekathisan)» del v. 2 e «kathegetés» del v. 10. Il «seggio di Mosè» su cui «sedettero» gli «scribi e i farisei» non può essere né un seggio particolare nella sinagoga (il dato archeologico è tardivo) né un simbolo per l'autorità del Mosè storico, perché si ha il curioso plurale «gli scribi e i farisei sedettero» ; potrebbe invece indicare la continuità dell'assemblea di Jamnia con la tradizione mosaica del Si� nai secondo le Pirqe 'A bot 1, 1 . Se il «seggio degli anziani» del Sal 107( 106) ,32 LXX («Lo esaltino nella chiesa del popolo e nel seggio degli anziani lo inneggino», cui corrisponde in ebraico moshab e nel� l'aramaico rabbinico yeshibah) veniva considerato una velata allu� sione all'accademia di Johanan Ben Zakkai , Mt 23 ,2 costituirebbe una prova che le tradizioni evangeliche sarebbero state riformulate da Matteo nel confronto polemico con l'accademia di Jamnia. 67 Inol� tre «sedettero (ekathisan)» sarebbe un aoristo complessivo che allu� derebbe all'insegnamento attuale degli «scribi e farisei» , i quali han� no conservato l'A T, sia pure con una interpretazione diversa da quella cristiana. Infine kathegetes (titolo accademico di «Maestro») : se Matteo ha in mente un termine ebraico, questo potrebbe essere moreh (allusione al Maestro di giustizia di Qumran?).68 Anche il titolo ufficiale di «Rabbi» (23 ,7) alluderebbe al titolo invalso con Rabbi Gàmaliele 1 , 69 e pure il titolo di «Abbà» (23 ,9) sa� rebbe attestato in �mbiente giudaico, anche se è tardivo. 70 Se a questi dati elaborati dal Viviano aggiungiamo la separazio� ne , implicita nell'espressione «la loro sinagoga» (4,23 ; 6,2. 5 ; 9,35 ; 10,17; 12,9; 13 ,54 ; 23 ,6 .34) , e la persecuzione dei missionari cristia­ ni (23 ,34) , completiamo un quadro storico spiegato nel modo mi67 VJVIANO,

«Social World», 1 1 . Lo sostiene C . SPJCQ , «Une allusion au docteur de justice dans Matthieu XXII , 10?», in RB 66(1959) , 387-396. 69 VIVIANO , «Social World», 18, nota 19. 70 VIVIANO , «Social World», 14. 68

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gliore dalla birkat ha minim , l'esclusione dei gruppi non farisaici de­ cretata dal cosiddetto «Sin odo di J amni a . »7 1 È proprio su questo versante che si impegna il breve studio di K. Pantle Schieber, 72 sul confronto critico della «chiesa» e del giudai­ smo nel Vangelo di Matteo . Il presupposto è «che il Vangelo di Mat­ teo , nella presentazione della storia di Gesù e dei suoi discepoli , la­ scia chiaramente trasparire i conflitti della sua ekklesia coi giudai­ smo ad essa contemporaneo» . 73 Egli distingue tra «sinagoghe» (in Siria) e la loro organizzazione religiosa e sociale, e «scribi e farisei» che rappresentano il costituirsi del rabbinato a Jamnia. Il conflitto fra «chiesa» matteana e giudaismo avrebbe presenta­ to due dimensioni : una teologica ed una sociale . Il confronto teolo­ gico sarebbe avvenuto particolarmente su due punti : il primo riguar­ dava due interpretazioni contrastanti della Torah , l'una centrata su Gesù Messia escatologico , e l'altra sulle due Torah , scritta ed orale , ambedue risalenti a Mosè . Il secondo punto di conflitto concerneva la centralità diversa che acquisiva, da una parte , il culto sinagogale che trasponeva quello del tempio nella vita di ogni giorno (purezza legale , sabato , decime, opere di carità , ecc . ) e il corrispondente sva­ nire dell'interesse per la storia con la concentrazione dell'attenzione sulla Torah ; mentre la chiesa poneva al centro la persona di Gesù e la storia intesa in senso escatologico. Sul piano sociale , l'orientamento accademico di Jamnia e gli at­ tacchi del mondo greco-romano avrebbero portato il mondo giudai­ co a rinchiudersi nell'ortodossia farisaica e ad escludere dal suo seno «il popolo della terra» . Di qui si spiegherebbe , da una parte, la rot­ tura e le persecuzioni contro la chiesa giudeo-cristiana e, dall'altra ,

71 Tra la bibliografia recente si veda : P. SciiAFER, «Die sogenannte Synode von Jabne . Zur Trennung von Juden und Christen im ersten/zweiten Jahrhundert n. Chr.», in Judaica 31(1975) , 54-64 . 1 16-124; G . STEMBERGER, «Die sogenannte "Synode von Jabne" und das frUhe Christentum», in Kairos 19(1977) , 14-2 1 ; F. MANNS , «L'E­ vangile de Jean réponse chrétienne aux décisions de Jabne», in SBFLA 30(1980) , 4792; lo., , in SBFLA 32( 1982) , 85-108 ; M. E. STONE, «The Be­ nediction of the Minim>> , in JTS 33( 1982) , 19-61 ; BEN ZION BINYAMJN , , 145 .

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l'attrazione della povera gente nella sfera della «ekklesia» , dove si trovava maggior apertura e solidarietà. In sintesi , per quanto riguarda l'ambiente socio-religioso della chiesa matteana, mi sembra si possieda un certo numero di dati sicu­ ri (la separazione dalla sinagoga, i titoli del rabbinato , le persecuzio­ ni diffuse , il confronto critico con la classe degli «scribi e farisei») per configurare la chiesa di Matteo come una comunità in prevalen­ za giudeo-cristiana , che conservava le tradizioni più vicine al mondo giudaico , nel periodo del concilio di Jamnia, quando dopo 1'80 iniziò una politica di esclusione dalla «sinagoga» dei minim , i non ortodos­ si , tra cui anche i giudeo-cristiani. Mentre in un primo tempo le sina­ goghe erano il luogo privilegiato della predicazione di Gesù e poi degli apostoli , in particolare di Paolo, in un secondo momento, e certamente dopo il 70, la separazione tra giudeo-cristiani e giudei fu tale che la stessa sinagoga si premurò di espellerli dal suo seno . Il rapporto fra i due gruppi, ormai differenziati , dev'essere stato di «odio-amore» perché , per un verso, i giudei erano i più vicini alla chiesa in quanto possedevano gli stessi libri sacri e molte tradizioni comuni; d'altro canto, era proprio sull'interpretazione di quei libri e sulla valutazione di quelle tradizioni che divergevano profondamen­ te . In sostanza il punto di divisione era Gesù stesso , interprete della Torah e critico nei confronti delle tradizioni e della classe dirigente. Per i cristiani , in una visione nuova della storia, era Gesù colui «che aveva portato a compimento» e perciò «compiuto» «Legge e Pro­ feti» . b) Passando ora alla configurazione interna della «chiesa» mat­ teana , da quanto già detto risulta essere stata una «chiesa di fratelli», la «familia Dei)) , di cui unico Maestro e Signore era Cristo e unico Padre quello celeste (23 ,8-10) . Problema aperto e discusso rimane invece la sua configurazione istituzionale ; in altre parole com'era strutturata la chiesa matteana? Era una chiesa carismatica di discepoli senza capi , come sostiene E. Schweizer, oppure era governata da pastori responsabili? E, in se­ condo luogo , vi erano in essa già dei gruppi in contrasto fra loro? L'argomento principale dello Schweizer/4 il silenzio di Mt su presbiteri, diaconi e vescovi, è molto fragile e non regge per due mo­ tivi : perché il Vangelo di Matteo rimane un Vangelo e non si deve quindi giudicarlo alla stregua di «Atti)) o delle lettere paoline ; inol74

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SCHWEIZER, Matteo e la sua comunità .

tre perché , nonostante Mt rifletta dei conflitti presenti nella sua chiesa, tuttavia rimane sostanzialmente fedele alla «storia di Gesù» che intende narrare . Il presupposto delle conclusioni affrettate è il giudicare il Vangelo uno specchio reale della comunità cui è diretto e non invece in primo luogo uno specchio della storia di Gesù e del suo ministero , attraverso cui traspare qualcosa anche della comunità storica in cui è stato scritto . Ora, nella comunità di Mt molto importante doveva essere con­ siderato il ministero pastorale di «Pietro» come garante dell'autenti­ ca tradizione di Gesù . Proprio perché l'autentica tradizione era mi­ nacciata da «falsi profeti» , si sentiva maggiormente la necessità di una salvaguardia della tradizione e della sua interpretazione . Ci de­ vono essere stati certo anche dei veri «profeti» nella comunità , come ce n'erano di falsi (7 , 1 5 ; 23 ,34 ; 24 , 1 1 .24) . La loro funzione può esse­ re stata quella che specifica Paolo in 1Cor 14. Sicura è anche la pre­ senza di scribi cristiani (8 ,19; 13 ,52 ; 23 ,34) , che interpretavano la Scrittura ( «cose vecchie>> ) alla luce della novità evangelica ( «cose nuove» ) di Gesù ed erano in concorrenza con gli scribi ebrei . Solo un «esperto della Scrittura» (e tale dev'essere stato Matteo ) , «istrui­ to per il regno dei cieli» (13,52) , poteva riferirsi alla «Legge» e ai «Profeti» con la padronanza da lui dimostrata. A me sembra azzardato parlare di «diaconi» fondandosi su Mt 20 ,26-27 e 23 , 1 1 . 75 È pure difficile configurare una categoria di «sag­ gi» (23 ,34) , a meno di pensare agli «anziani» della sinagoga cristiana di cui parla la lettera di Giacomo (2 ,2; 5 , 14) , lettera così vicina al­ l'ambiente giudeo-cristiano di Mt . Tra i diversi compiti dei leaders dev'esserci stato anche quello disciplinare insieme all'assemblea (18, 15-17) . Le designazioni dei «capi» erano arcaiche e vicine all'AT ( anziani , profeti , saggi e scribi ) come la struttura della chiesa ; Gesù portava a compimento l'A T. L'istituzione con i suoi responsabili de­ v'essere stata tuttavia così forte da correre il rischio di un «culto del­ la personalità» , cui viene rivolta l'aspra critica di Gesù (23 ,8-12) . Tale critica non è incoerente con i vari tipi di ministero , espressi più avanti in Mt 23 ,34 , perché questi ultimi non sono i titoli onorifici cri­ ticati in 23 ,8-10. L'intenzione di Mt 23 ,8-12 è quella di ricordare che la chiesa è di Cristo , inviato dal Padre , e non di Pietro o dei «presbiteri» o di altri . La forte istituzionalizzazione che traspare in filigrana dal Vangelo 75

Pace VIVIANO, , 14 e 16.

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era necessaria per salvaguardare la chiesa nella fedeltà alla tradizio­ ne di Gesù contro i falsi profeti, a parte il problema se essi fossero carismatici anomisti o semplicemente carismatici che disdegnavano la prassi cristiana. 76 E inoltre la comunità doveva essere mantenuta unita contro il pericolo di divisioni e lotte interne (18,15-17) , forse dovute almeno in parte alla difficile convivenza del gruppo giudeo­ cristiano con quello etnico-cristiano. Non dobbiamo immaginare però che la chiesa di Matteo fosse concentrata sui suoi problemi interni; tali problemi infatti sorgevano proprio dal fatto della sua grande apertura a «tutte le genti» (28, 19) . La predicazione missionaria alle «genti» accentuava la specificità della fede cristiana rispetto al giudaismo incipiente , come appare chiaramente dalla finale «trinitaria» del Vangelo. Di qui i rapporti polemici con l'ambiente giudaico ; ma anche la difficoltà di mantene­ re nella comunità cristiana coloro che erano affettivamente ancora vicini al mondo ebraico e gli altri invece che , entusiasti della novità carismatica del Vangelo, erano tentati di liberarsi non solo della «Legge>> mosaica , ma anche di quella ancor più esigente di Gesù. Potrebbe darsi che alcune di queste tensioni fossero ormai superate e che la chiesa di Matteo fosse già tutta protesa verso la missione alle «genti». Non avendo però punti sicuri di ancoraggio storico fuori del Vangelo per quanto riguarda lo sviluppo, le tendenze e i gruppi pre­ senti nella chiesa di Matteo , dobbiamo accontentarci di ipotesi ne­ cessariamente fragili.

3.4. Le coordinate spazio-temporali77 Possiamo collocare la redazione di Matteo in uno spazio e in un tempo determinati? Un tentativo coraggioso , anche se con scarsi risultati , è stato compiuto da G. Theissen , partendo dal colorito locale e dal confron­ to dei dati testuali con avvenimenti storici ben datati . La localizzazione più comune per Mt è la Siria e più precisamen­ te la metropoli siriana di Antiochia. 78 Il Theissen , utilizzando l'indi­ cazione di Mt 19,1 che colloca la Giudea «al di là del Giordano>> (cf.

Cf. l'articolo di CornENET, . G . THEISSEN , Lokalkolorit und Zeitgeschichte in den Evangelien (Novum Te­ stamentum et Orbis Antiquus 8) , Fribourg-Gottingen 1989. 78 THEISSEN, Lokalkolorit, 262-263 . 76 n

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anche 4,15-16.25) , ne deduce che l'au�ore del Vangelo doveva abita­ re ad oriente del Giordano (e non quindi ad Antiochia che è a nord) . Inoltre l'evangelista conosce bene il «mare di Galilea» (4 ,18; 15 ,29) , ma il mare Mediterraneo lo sente molto lontano (23,15). Il Vangelo dell'infanzia abbraccia la geografia politica da Oriente all'Egitto (2 , 1-12; 2, 13-15), mentre Luca spazia nell'impero romano fino alla capitale , Roma. Va ricordato infine che in Mt 4,24, rispetto al paral­ lelo Mc 3 , 10, viene aggiunta «la Siria» : una indicazione discreta del luogo in cui abitava l'autore? In tal caso l'evangelista e la sua comu­ nità dovevano abitare nella Siria meridionale , ad oriente della Pale­ stina, in qualche città di quella zona; si potrebbe pensare a Damasco come città nella quale anche Paolo fu perseguitato dalle autorità lo­ cali per istigazione dei giudei (2Cor 11 ,30-33). Quanto al tempo , se riteniamo valide le ragioni per la configura­ zione di un confronto polemico col giudaismo ufficiale dell'accade­ mia di Jamnia, allora va datato dopo 1'80, quando la caduta di Geru­ salemme è già avvenuta, interpretata dai cristiani come castigo di Dio per il rifiuto di Gesù e del regno di Dio da parte di Israele (22,7) . Più difficile è stabilire il terminus post quem. Una via potrebbe essere il confronto con altri testi del NT che presentano fenomeni analoghi a quelli registrati in Mt come i «falsi profeti» (1Gv 4,1 ; 2Pt 2,1 ; Ap 16,13; 19 ,20 ; 20,10) e le false dottrine che serpeggiano già al tempo di Paolo (Rm 16, 17-18) . Ma i portatori di tali dottrine , squali­ ficati come «falsi profeti» cristiani , compaiono solo negli scritti del NT più tardivi . Siccome Ignazio di Antiochia sembra conosca Mt (3,7 in Eph 1 1 , 1 ; 3 , 1 5 in Smyr 1 , 1 ; 8 , 17 in Po/ 1 ,3 ; 10,16 in Po/ 2,2; 16,26 in Rom 6 , 1 ; 18,19 in Eph 5 ,2; 19,12 in Smyr 6 , 1 ; 27 ,52 in Magn 9,2) , 79 non possiamo in ogni caso datarlo dopo il 100.

79 Dalla Biblia Patristica , Paris 1975 , I.

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4.

LA TEOLOGIA : GESÙ VIA DELLA GIUSTIZIA80

Mentre si sono scritti molti saggi sulla teologia di Mt , una vera e propria teologia non è ancora stata scritta. 8 1 Anche questo non sarà perciò che un saggio , in cui riprendo in forma nuova ed aggiornata l'articolo che ebbi a scrivere nel 1977. 82 A proposito della teologia di Mt come degli altri evangelisti, va ricordato che è un'interpretazione della tradizione di Gesù , da cui non si può separare. In secondo luogo è una teologia narrativa , più difficile perciò da cogliere nella sua coerenza ed unità. 83 Il dibattito recente si è polarizzato intorno alla centralità della ecclesiologia (W. Trilling , E. Schweizer) o della cristologia (G. Strecker, J.D. Kingsbury) . 84 Si è anche molto insistito , a partire da O . Michel , 85 sull'importanza della finale del Vangelo (28,16-20) co­ me punto focale della teologia matteana ; ed è giusto. A me sembra però che non si possa scrivere una corretta teologia di Mt se non si parte dall'uso che questi fa dell'AT, includendovi anche il rapporto con la Torah , e non considerando i due problemi separati come in Stanton . Ne esporremo perciò la teologia partendo dal suo uso dell' AT in ordine all'interpretazione della storia e dell'insegnamento di Gesù ; passeremo quindi alla cristologia orientata alla teo-logia, ad un'ec­ clesiologia di respiro universale ed infine all'etica escatologica.

80 Bibliografia: E.P. BLAIR, Jesus in the Gospel of Matthew, New York 1 960; G. STRECKER, Der Weg der Gerechtigkeit. Untersuchung zur Theologie des Matthiius, Gottingen 1971 (3 erweiterte Auflage) ; TR.!LLING, Das wahre lsrael (SANT X), Miin­ chen 1964 (3 Auflage); KINGSBURY , Structure, Christology, Kingdom ; G. SEGALLA , «Teologia dei Sinottici», in DT/, Torino 1977, III, 370-387 (con bibliografia) ; J . P . MEIER, The Vision of Matthew, New York 1979; B . GERHARDSSON , The Mighty A cts of Jesus (Scripta Minora 5), Lund 1979; D . HtLL, «Son and Servant : An Essay on Matthean Christology» , in JNTS 6( 1980) , 2- 16; T.L. DoNALDSON , Jesus on the Moun­ tain. A Study in Matthean Theology (JSNT, SupplSeries 8) , Sheffield 1 985 ; D.J. VER­ SEPUT, «The Role and Meaning of the "Son of God" Title in Matthew's Gospel>•, in NTS 33(1987) , 532-556 ; M. QuESNELL, Jésus Christ selon Saint Matthieu. Synthèse théologique, Paris 1991 , che non sono riuscito a consultare . 81 STANTON, «The Origin», 1944. 82 SEGALLA , «Teologia dei Sinottich• . 83 STANTON, «The Origin», 1921-1922. 84 STANTON, «The Origin» , 1922. 85 O. MtcHEL, , si ha con la nascita di «Gesù Cristo>> ( 1 , 17-18) . Il compimento «apocalitti­ CO>> si realizza nella morte-risurrezione di Gesù (28,16-20) , dove or­ mai compare solo il Signore , il suo battesimo che implica la fede tri­ nitaria, il suo insegnamento , la sua presenza perenne nella chiesa . Insomma, mentre il Gesù terreno è riconosciuto come il Messia atte­ so e annunciato nell'A T, che interpreta in modo nuovo , profetico (Os 6,6 in Mt 9,13 e 12,7) la Legge, il Signore risorto appare come Signore di una comunità nuova, dove il suo insegnamento (che in­ globa la Legge) sostituisce la Legge e ne è il criterio interpretativo , dove l'appartenenza al nuovo popolo di Dio, il vero Israele , non vie­ ne più sancita dalla circoncisione , ma col battesimo trinitario ; dove infine la presenza di Dio è attuata dalla presenza del Signore glorio­ so , il «Dio-con-noi» (1 ,23 ; 18,20 ; 28,20) . Come vi sono due periodi della storia, quello della preparazione e dell'annuncio e quello del compimento, così all'interno della storia di Gesù si possono distinguere almeno due , se non tre , momenti: quello iniziale, breve, del profeta Giovanni Battista, che sintetizza l'attesa e la promessa del Messia che battezzerà con fuoco e Spirito e 97

lo riconosce in Gesù Figlio di Dio al suo battesimo (3 , 1-17) . Il secon­ do tempo , della missione terrena di Gesù , prefigurata nella storia della sua nascita e prima infanzia (Mt 1-2) ; e infine quello del compi­ mento escatologico della sua opera salvifica con la morte-risurrezio­ ne , da cui ha inizio il tempo della chiesa, la comunità di cui Gesù è il Signore glorioso e in cui continua ad operare con la sua nascosta presenza. Il Vangelo stesso lo presenta già come «Signore» che parla alla sua chiesa, la istruisce e la guida. L' AT cessa con la sua morte­ risurrezione. Dalla risurrezione in poi non vi sono più riferimenti al­ l' AT, ma alla parola di Gesù, alla sua predizione che sarebbe risorto ' e al comando dato ai discepoli di andare in Galilea dove li avrebbe preceduti (28, 10) . La Legge perciò sarà interpretata alla luce del suo insegnamento , e i profeti rimarranno i testimoni della promessa, cui Dio è stato fedele in Cristo. La periodizzazione della storia (inizio, missione terrena, compi­ mento, tempo della chiesa) , che diviene teologia della storia, mi sembra fondamentale per comprendere la teologia di Mt: «Legge e Profeti» sono il fondamento su cui poggia la riflessione cristologica ed ecclesiologica dell'evangelista. Se si volesse studiare più in particolare l'ermeneutica teologica dell'A T, richiederebbe una lunga trattazione . Noi ci limitiamo alle citazioni dell' AT come luogo privilegiato dell'ermeneutica teologica di Matteo. Finora le più studiate sono state le dieci citazioni-compi­ mento , come dimostrano gli studi di Stendhal , Strecker, Rothfuchs, Soares Prabhu , e vanno distinte dalle altre , riprese spesso dalla tra­ dizione. Distinguiamo le citazioni della Legge e quelle dei Profeti. Testo fondamentale per le prime è Mt 5 , 17:-47: le antitesi precedute dalla difficile introduzione , studiata da J . P . Meier. 86 Partiamo dal testo più cruciale , 5 , 17: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Leg­ ge o i Profeti . Non sono venuto ad abolire , ma a compiere». L'affer­ mazione fondamentale è che l' AT è una promessa di salvezza che Gesù compie , è l'espressione di una volontà di Dio che Gesù non so­ lo interpreta, ma porta a compimento . Insomma Gesù è «Colui che porta a compimento» (plerosai) le promesse dei Profeti e «Colui che porta a compimento» anche la Legge , in quanto è lui per primo che la mette in pratica, compiendo la volontà del Padre . Nel compiere la

86 J.P. MEIER, Law and History in Matthew's Gospel (AnB 7 1 ) , Roma 1976.

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volontà del Padre trovano unità il compimento della Legge nel mo­ do più sublime e il compimento della promessa profetica. Il compi­ mento della Legge non va quindi frainteso nel senso letterale di una certa corrente giudaica ; il compimento letterale della tradizione in realtà sovvertiva talora la Legge come volontà di Dio (15 ,3-6) , men­ tre Gesù che trasgredisce la lettera della Legge ( 1 5 , 1 -2) ne osserva lo spirito, l'amore misericordioso secondo l'interpretazione profeti­ ca (Os 6,6 in Mt 9,13 e 12,7) . Gesù quindi non esegue, ma compie . Dall'inizio alla fine Matteo sottolinea l'importanza del «compiere» la volontà di Dio . Gesù è il modello assoluto del compimento esca­ tologico della volontà salvifica di Dio in favore dell'uomo . La validità della Legge sino allo iota e all'apice regge «fino a che tutto sia avvenuto», cioè fino al compimento escatologico di Gesù con la sua morte-risurrezione (Meier) . Ma anche questa validità , du­ rante la sua missione terrena, era già stata da lui interpretata sia nel­ le antitesi che nelle controversie con i farisei. Il compimento della Legge nell'interpretazione di Gesù implica non solo una difesa della volontà di Dio contro la «tradizione degli uomini» che in realtà la annullano (15 ,6) , non solo una interpretazione personalizzante e in­ teriorizzante i precetti che proibiscono azioni esterne , ma anche l'a­ bolizione vera e propria di alcune leggi come quelle del divorzio , del giuramento , del taglione . La Legge di cui non deve cadere proprio nulla è dunque la Legge interpretata e portata a compimento da Ge­ sù. Le leggi della Torah che non corrispondono alla volontà origina­ ria di Dio (l'amore) non vengono attribuite al Dio vendicatore e malvagio (come in Marcione), ma piuttosto alla durezza del cuore dell'uomo , come nella normativa del divorzio , oppure all'abilità del­ l'uomo di annullare con la sua interpretazione legalistica l'autentica legge di Dio . La Legge, interpretata e compiuta da Gesù , è la legge del regno dei cieli, che è venuto a portare e in cui dovrebbero entra­ re tutti gli uomini (5 ,20; 28,16-20) . Se tu chiedi : «Come devo inter­ pretare la Torah?», la risposta suona: «, in STANTON , The lnterpretation of Matthew, 74-77 .

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paradigmatico e paradossale, e quella molto precisa e concreta a ser­ vizio della vita comunitaria , presente in Mt 18,15-17. E tuttavia nep­ pure in Mt 18 si ha una regola della comunità vera e propria come il «Manuale di disciplina» a Qumran e tanto meno un'etica individua­ listica . Quelle regole sono dettate dall'amore misericordioso e dal desiderio di guadagnare il fratello (18,21-35). Perciò l'etica di Mt non è né un manuale di disciplina né una raccolta di indicazioni sa­ pienziali , ma rimane un'etica evangelica applicata. L'etica di Mt è l'insegnamento che Gesù ha impartito dal monte e che continua a dare tuttora come Signore alla sua comunità. È un'etica quindi radicalmente cristologica , non solo nel senso che si tratta della volontà del Padre rivelata da Gesù come sovranità sul­ l'uomo in ordine alla sua salvezza, ma anche nel senso che questi ne è il modello concreto . È inoltre un'etica ecclesiale , perché intende configurare il volto di una comunità e di una vita comunitaria con­ forme all'amore misericordioso e salvifico di Dio . Configura perciò una comunità diversa sia da quella giudaica sia da quella pagana, che si regge su altri principi etici ; quindi anche a livello sociale appa­ rirà la sua differenza col mondo sia nei rapporti interpersonali (5 ,47 ; 6,7-8, ecc.) sia nei rapporti di autorità (18, 1-16; 20,25-28) . Quest'e­ tica ecclesiale ha come contenuto la Legge , reinterpretata e portata a compimento da Gesù : la Legge messianico-escatologica del Si­ gnore . In linea con la prospettiva storica in cui ci muoviamo , vogliamo qui evidenziare due aspetti particolari dell'etica matteana: l'orienta­ mento escatologico al presente e futuro regno di Dio , studiato in particolare da H. Merklein , 97 e la prospettiva pastorale , cioè la preoccupazione di adattare l'insegnamento di Gesù alla sua comu­ nità .

4. 4. 1 Etica escatologica In Mt vi è un rapporto di reciprocità fra etica ed escatologia, per cui questa si sostanzia di contenuti etici e quella presenta sempre un orientamento escatologico . Studiando la struttura del Vangelo ab­ biamo già notato come la cornice dei cinque discorsi sia di escatolo­ gia futura: si vedano infatti la finale del discorso della montagna

97 H. MERKLEIN, Die Gottesherrschaft als Handlungsprinzip. Untersuchung zur Ethik Jesu (FzB 34) , Wurzburg 1978; 2 1981 .

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(7, 13-27) e i cc. 24-25 . I «figli del regno» (8, 12; 13 ,38) si collocano fra il «già» del regno venuto in Gesù , che li invita ad entrarvi con la conversione e a praticare la volontà di Dio «la giustizia più grande» , e i l «non ancora» della parusia, del giudizio severo della porta stret­ ta, delle opere di carità (25 ,31-46) , resistendo alle prove esterne del­ la persecuzione e a quelle interne dei falsi profeti (24 ,9- 12; cf. 7, 1520) . L'etica in Mt riempie di sé anche l'escatologia presenziale . Le beatitudini non sono più solo l'annuncio profetico del dono del re­ gno di Dio ai poveri e sofferenti , ma anche l'impegno ad accoglierlo con cuore puro (5 ,3-12) , con animo distaccato dalla ricchezza. In tal modo le beatitudini divengono la carta di identità del cristiano . Lo stesso si può dire dell'escatologia futura. Per Matteo non si risolve solo nell'invito alla vigilanza, ma anche nella sollecitazione alla pra­ tica , al fervore nell 'operare ( la parabola dei talenti in Mt 25 , 14-30) , alla carità concreta verso i «fratelli più piccoli» (25 ,31-46) . Il criterio ultimo della salvezza è quindi la carità misericordiosa ed operosa. In nessuno degli evangelisti si trova una compenetrazione così profon­ da fra etica ed escatologia, per cui non si dà etica senza escatologia, ma neppure escatologia senza un preciso contenuto etico . Ciò che tiene unite insieme etica ed escatologia è la persona di Gesù , Signo­ re e giudice della sua comunità.

4. 4.2. Etica pastorale Thysman , nel suo breve saggio , ha messo ben in luce questo aspetto dell'etica matteana, che ha la sua ragione nello stretto rap­ porto fra etica e comunità cristiana. Lo scriba cristiano Matteo ha cercato di adattare l'insegnamento etico ed ecclesiale di Gesù alla sua comunità, che viveva fra due mondi: quello giudeo-cristiano e quello della missione aperta alle genti . La tensione fra questi due mondi , che ben si percepisce in Mt, spiega anche le apparenti con­ traddizioni come la problematica introduzione alle antit esi del di­ scorso della montagna (5 , 17-20) . Mentre Mt rimane fedele alla con­ cezione giudaica della volontà di Dio come «giustizia» , tale giustizia però deve superare qualitativamente quella degli «scribi e farisei» (5 ,20) ; vale a dire che l'interpretazione cristiana della Torah è diver­ sa da quella degli scribi e farisei . Tale differenza viene evidenziata anche formalmente con l'uso delle antitesi che ricordano i principi etici proposti da Gesù e se ne dà una prima esemplificazione con la casistica paradigmatica. 113

Quali sono le linee portanti della «giustizia più grande»? Le elenchiamo brevemente: l) Anzitutto la richiesta del cuore , la purezza del cuore che si esprime in parole ed opere. 2) La conoscenza profonda e filiale della volontà del Padre, quella originaria che si rifà alla stessa creazione (si veda l'amore mi­ sericordioso di Dio nella creazione provvidente per tutti in 5 ,45 e la motivazione della proibizione del divorzio in 19,4) . 3) La concentrazione su punti essenziali : il decalogo, le direttive più gravi della Legge . 4) Il comandamento dell'amore come criterio ultimo e fonda­ mentale dell'etica. 5) L'imitazione filiale della misericordia e perfezione del Padre . Accanto a questi principi fondamentali , Matteo riporta una spe­ cie di «direttorio» pratico sia per la comunità (cc. 5-7 ; 18-20) sia per i suoi capi (cc. 10 e 18) . La forma di monito, talora molto concreto, mira a guidare la vita comunitaria: l'unità nella carità di fronte al pe­ ricolo di divisioni interne e di minacce esterne , e la responsabilità dei capi specie verso i più deboli nella fede (18,6) . Per quanto concerne l'ambiente giudaico e i l suo modo di pro­ porre l'etica , Thysman sostiene la tesi sua più originale ; si potrebbe­ ro raggruppare le indicazioni casistiche (halachot) di Mt sotto i sei grandi ordini della Mishnah : l) I danni: omicidio , giuramento , non giudicare , riconciliarsi . . . 2) Le donne: tutto ciò che riguarda la vita coniugale e i voti . Rientrano qui le prescrizioni di Gesù sulla proibizione del divorzio , sugli scandali , sull'offerta a Dio (voto) che elude il comandamento dell'onore ai genitori (15 ,4-6) . 3) Le feste: il sabato , la sua interpretazione profetica in base a Os 6,6 e la casistica; pagare le tasse al tempio . . . 4) La purità legale praticamente rifiutata o reinterpretata in sen­ so personale (15, 1 1 ; 23 ,25-28) . 5) Le cose sante, tra cui anche le decime (23 ,23-24) . 6) Le cose pure non hanno più alcun interesse per Matteo, per­ ché scrive il Vangelo dopo la distruzione del tempio; solo un cenno in 12,3-4. Anche in 6,1-18 vi è un confronto del comportamento cristiano con le tre grandi opere di pietà giudaica: elemosina, preghiera e di­ giuno. Il «direttorio» per i missionari (Mt 10) e i pastori della comunità ( 1 8 ; 19-20; 23 ,1 -8) è ancora più proprio di Matteo. Non vi è nessun 1 14

evangelista che si preoccupi dei «pastori» come il nostro . Nel diret­ torio per i missionari vi sono anzitutto direttive per la missione (10, 1-15) , che prolunga quella stessa di Gesù , e il modo di praticar­ la: gratuità (10,8) , fiducia in Dio per il sostentamento (10,9) ; per la «Casa» si preoccupa solo che sia «degna» (10 , 1 1 ) . Seguono quindi le direttive per i «martiri» (10,16-33): prudenza che rifiuta rischi inutili (10,17) ; autenticità nell'affrontare senza inquietudine e con corag­ gio i rischi inevitabili della missione, utilizzandoli per testimoniare davanti alle genti (10,18). La sequela dei discepoli ha le sue severe esigenze (10,34) ; infine però viene promessa la ricompensa non solo per il missionario, ma anche per chi lo aiuta (10,40-42) . Nel discorso comunitario (Mt 18) l'evangelista raccoglie pure al­ cuni principi e norme pratiche. Anzitutto occorre evitare ogni tenta­ zione di «essere grande» e del conseguente «dominio» (cf. anche 20,20-28) ; il bambino diviene il modello del discepolo di Gesù, con­ dizione per entrare nel regno (18,3) . Ai pastori viene richiesta l'at­ tenzione ai «piccoli» (18,6-14) . E infine la pazienza e la misericordia sono necessarie nella disciplina interna (18, 15-35), una regola hala­ chica che si richiama forse a Lv 19, 17-18 (cf. anche 1QS 5 ,24--6 , 1 e Mt 18, 15-17) . La condanna degli scribi e farisei (Mt 23) , ipocriti e guide cieche , contiene pure delle indicazioni per i capi della comunità cristiana: evitare di insegnare senza praticare (23 , 1 -4) , messa in guardia con­ tro il culto della personalità (23 ,5-12) e infine monito contro il rigo­ rismo legalistico (23 ,4. 13-15). La vigilanza pastorale dovrà farsi più attenta nella prospettiva escatologica (Mt 24-25) , quando sorgeran­ no falsi profeti e falsi «cristi» a dividere e distruggere la comunità. L'etica di Mt dunque è l'etica di Gesù , che mantiene la sua forte accentuazione escatologica e profetica, ma ha cura di evidenziarne anche le implicazioni pratiche con la casistica sia per i fedeli come per i pastori della sua comunità . La teologia di Mt si radica nelle categorie teologiche ed etiche dell'AT e giudaiche , presenti nella Legge e nei Profeti , di cui le più importanti sono la fedeltà di Dio alle sue promesse e la volontà di Dio come «giustizia» etica. Ambedue , promessa e giustizia, vengo­ no portate a compimento da Gesù col regno di Dio , già presente nel­ la comunità cristiana che continua la sua missione , ma non ancora compiuto , perché si realizzerà definitivamente solo nella parusia fi­ nale del Figlio dell'uomo e solo allora avrà luogo la divisione defini­ tiva tra buoni e cattivi col giudizio finale e l'entrata nel regno del Pa­ dre , eredità preparata per «i suoi eletti» fin dalla fondazione del mondo (25 ,34) . 1 15

5.

L'AUTORE «MATTEO»

Finora ne abbiamo studiato l'attività teologico-letteraria, il sen­ so pastorale , la sua collocazione in una comunità giudeo-cristiana conservatrice , ma anche aperta a divenire la comunità delle genti. Si può dargli un nome? L'evangelista non parla mai direttamente di sé . Il nome , oltre che dalla titolatura del Vangelo (forse risalente già alla fine del I se­ colo) , ci viene trasmesso dalla tradizione patristica, iniziando da Pa­ pia (125-130 d . C . ) , il quale ci dice di lui : «Matteo . . . coordinò (syne­ taxato) i logia in lingua ebraica. Ciascuno poi li interpretò (herme­ neusen) come era capace» (Eusebio , H. E. III 39,16) . A parte l'attendibilità di Papia, la sua testimonianza, riportata da Eusebio , contiene delle parole che possono essere interpretate in modi diversi . Che cosa significa infatti «ta logia synetaxato»? Sembra lo affermi in contrapposizione a Marco «che scrisse con esattezza , ma senza ordine quanto ricordava delle parole e azioni del Signore» (Eusebio , H. E. III 39 ,15). Si potrebbe pensare ai ben ordinati di­ scorsi di Mt . Ma logia cosa significa? Praticamente tutto il Vangelo oppure un documento simile a Q, che conteneva solo i discorsi di Gesù? Ed infine cosa significa hermeneusen? Solo «tradurre dall'e­ braico o dall'aramaico in greco»? O invece «interpretare , spiegare»? Quest'ultimo è il senso che Papia dà alla parola hermeneia (H. E. III 39,3) . Da tutto ciò si deduce che Papia pensava all'attuale Vangelo di Matteo . Però egli non deve aver visto il Vangelo aramaico (ebrai­ co) di cui parla. Questa testimonianza di Papia viene usualmente respinta senza mezzi termini perché la si giudica infondata, in quanto il greco di Mt non è un greco di traduzione ; oppure viene interpretata nel senso che il Matteo di cui parla Papia potrebbe essere stata una delle fonti di cui si sarebbe servito l'evangelista. Se si respinge la testimonianza di Papia, rimane comunque da spiegare come mai la tradizione del­ l'Egitto (Origene) , dell'Africa (Tertulliano) e dell'Asia (Papia ed Ireneo) siano concordi nell'attribuire il primo Vangelo a Matteo. Tenuta presente questa tradizione , Mt ci riserva un fatto curioso e singolare. Solo lui riporta il nome di «Matteo» nel racconto della vocazione di Levi (9 ,9; cf. Mc 2,14 e Le 5 ,27 ) ; anche nella sua lista dei «Dodici» compare di nuovo come «Matteo , il pubblicano» ( 10,3; cf. Mc 3 ,8 e Le 6, 15) . Non è impossibile che avesse due nomi, anche se tutti e due ebraici: Levi-Matteo ; se ne hanno altri esempi : Giu­ seppe detto Barnaba (At 4,36) e Giuseppe detto Caifa (Flavio Giu1 16

seppe , Ant 18 ,2.7) . La combinazione di questi due dati , della tradi­ zione esterna e del Vangelo stesso , vanno in qualche modo spiegati . Certamente nella chiesa di Matteo l'apostolo omonimo deve aver avuto un certo ruolo e una certa importanza. Potrebbe darsi che stia all'origine della tradizione più specifica , giudeo-cristiana, confluita nel primo Vangelo , o che fosse considerato il fondatore e patrono della comunità in cui fu scritto il Vangelo. Se dal nome «Matteo» passiamo alla realtà storica e ci chiediamo chi può essere stato l'autore letterario del Vangelo , le risposte sono ovviamente diverse. È stata ormai abbandonata la tesi di Stendhal che il Vangelo sia frutto di una scuola. Se l'autore è una personalità singola, questa viene identificata o con un etnico-cristiano (Meier, Strecker, Kingsbury) o più comunemente , e secondo me più giusta­ mente , con un giudeo-cristiano della seconda generazione , che par­ lava bene il greco e aveva assimilato le tradizioni e i problemi della sua comunità, e anche la tradizione particolare che il Vangelo aveva a che fare con l'apostolo Matteo quale testimone originario . Quale sia il concreto rapporto con l'apostolo Matteo purtroppo non ci è da­ to di conoscere . Ma la tradizione di Matteo , al di là della verità stori­ ca, intendeva certo fondare la plausibilità e l'autenticità apostolica delle tradizioni composte con bell'ordine dall'evangelista nel nostro «Vangelo secondo Matteo» .

1 17

Capitolo quarto Il Vangelo secondo Marcol

Il Vangelo di Marco è tra i più studiati . Nell'arco di quattro anni sono apparsi quattro grandi commenti , tutti in due volumi: R. Pesch (1976-1977) , W. Schmithals (1979) , J . Gnilka (1978-1979) e J. Ernst (1981), di cui tre tradotti in italiano . 2 Specie nei due più significativi il vento spira verso la critica letteraria delle fonti , o abbandonando la critica morfologica (Schmithals) o riducendone il peso (Pesch) . Ai commenti che si moltiplicano va aggiunta la marea di studi particola­ ri di carattere filologico , letterario e storico . 3 Dalla lettura di questa enorme bibliografia scientifica, e specie dal resoconto di W. Schmi­ thals ,4 si ricava l'impressione di un cumulo di macerie, in cui difficil-

1 Bibliografia: C. CLIFTON BLACK, The Disciples according to Mark. Markan Re­ daction in Current Debate (JNTS SS 27) , Sheffield 1989; C. BREITENBACH , «Gesamt­ darstellungen zum Markusevangelium», in Verkundigung und Forschung 36( 1991), 50-55; V. Fu sco, «MarcO>> , in P. RosSANO-G.P. RAvASI-A . GIRLANDA, Nuovo Dizio­ nario di Teologia Biblica, Milano 1988, 887-895 (con bibliografia) ; M . HENGEL, Stu­ dies in the Gospel of Mark, London 1985 ; lo. , «Probleme des Markusevangeliums» , in P. SruHLMACHER, a cura, Das Evangelium und die Evangelien (WUNT 28) , Tiibin­ gen 1983 , 221-265 ; H.M. HUMPHREY , A Bibliography of the Gospel of Mark 19541980 (Studies in Bible and Early Christianity 1 ) , New York-Toronto 1981 ( 1599 tito­ li) ; S.P. KEALY, Mark's Gospel. A History of Interpretation. From the Beginning unti/ 1979, New York-Ramsey 1982 ; A. LINDEMANN , «Literaturbericht zu den Synop­ tischen Evangelien 1978-1983», in ThR 49( 1984) , 223-276.331-371 ; W. MARXSEN, Der Evangelist Markus. Studien zur Redaktionsgeschichte des Evangeliums (FRLANT 67) , Gottingen 1956; 2 1959; F.J. MATERA, What are they saying about Mark?, New York 1987 ; R. PESCH, a cura , Das Markus-Evangelium (Wege der Forschung 4 1 1 ) , Darmstadt 1979; P. PoKORNY, «Das Markusevangelium. Literarische und theologi­ sche Einleitung mit Forschungsbericht» , in ANRW 11.25 . 3 . ( 1985), 1969-2035 ; G. RA u , «Das Markusevangelium . Komposition und Jntention des ersten Darstellung christlicher Mission••, in ANRW 11 .25.3.(1985) , 2036-2253 (fantasioso) ; L. SCHENKE, Das Markusevangelium (UT 405), Stuttgart 1988; G . WAGNER, A Bibliography of the Gospel of Mark , Ziirich 1981 . 2 R. PEScH, Il Vangelo di Marco , I e Il, Brescia 1980 e 1982 ; J . GNILKA , Marco , Assisi 1987 ; J . ERNST, // Vangelo secondo Marco , 2 voli . , Brescia 1991 . 3 Cf. le rassegne bibliografiche di Pokorny, Humphrey e Breytenbach , citate alla nota l. 4 W. SCHMITHALS, Einleitung in die drei ersten Evangelien (De Gruyter Lehr­ buch), Berlin-New York 1985 , 402-431 .

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mente si scopre materiale da costruzione che non sia stato contesta­ to e distrutto . Uguale è il giudizio recente (1989) di Black: «Gli studi marcani sono in stato di transizione e forse in una certa confusio­ ne» . 5 Sul secondo Vangelo si avanzano infatti ipotesi letterarie com­ pletamente opposte . Per W. Schmithals il redattore sarebbe stato uno che capiva poco di letteratura ed ancor meno di teologia, per cui avrebbe rovinato il capolavoro , lo scritto-base , che egli utilizzò . L'u­ nico risultato positivo sembra sia stato quello di averci conservato , sia pure in stato pietoso, quel capolavoro. 6 Invece Bas Van Iersel, 7 usando il metodo del «lettore implicito», scopre. nel Vangelo di Mar­ co la bellezza di un capolavoro narrativo con una doppia trama: la minaccia di morte e l'incomprensione dei discepoli . Non solo la persona colta , ma anche lo studioso ne rimane diso­ rientato . A cos'è dovuta questa confusione? Almeno in parte ad ipo­ tesi unilaterali, a pregiudizi di alcuni studiosi moderni sul tipo di co­ noscenza e cultura che poteva avere «Marco», e a metodologie di­ sparate. Ma riflette allo stesso tempo il carattere enigmatico del Vangelo di Marco , sorprendente dall'introduzione fino aW impossi­ bile conclusione (16,8) , tanto che ha dato origine a tre o quattro al­ tre conclusioni , di cui una canonica. 8 Non vogliamo addentrarci nella complicata problematica attuale del secondo Vangelo , 9 ma piuttosto presentare , in modo comprensi­ bile, la struttura letteraria, la composizione , l'ambiente e la teologia di Mc per concludere discutendo il problema dell'autore .

LA STRUTTURA LETTERARIA10

l.

Gli esegeti son d'accordo che il centro del Vangelo è costituito da 8,27-10,52. Ma, a parte questo , non si è raggiunto ancora alcun consenso sulla sua struttura letteraria. Le varie strutture proposte CLIFTON BLACK, The Disciples , 22. «Mit dem Stoff der Grundschrift macht also erst der Evangelist Markus seine Leser bekannt>> ( p. 431 ) . 7 B . VAN IERSEL, Leggere Marco , Milano 1989 ( orig. 1986) . 8 Si veda l'articolo recente di R. VIGNOLO , «Una finale reticente : interpretazio­ ne narrativa di Mc 1 6,8>>, in RivBib 38( 1990) , 129-189. 9 Cf. la buona messa a punto di PoKORNY, «Das Markusevangelium» . 10 V . BALAGUER , Testimonio y tradiciòn e.n San Marcos , Pamplona 1990, 209238 ; l. DE LA PorrERIE, «De compositione evangelii Marci», in VD 44( 1966) , 135141 ; J. DEWEY, , in CBQ 53(199 1 ) , 221 -236 ; F. G . LANG, >, come aveva detto agli scribi scesi da Gerusalemme (3 ,22) e come si era rivelato nella tempesta sul lago (4 ,39) . Egli è venuto per distruggere le potenze del male (1 ,24; 5 ,7) .

22 P.M. BERNAERT, «Jésus controversé . Structure et théologie de Mare 2,1-3 ,6» , in NR T 105(1973) , 129- 149.

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Ed è proprio nel confronto con le «potenze del male» (demoni, tem­ pesta, malattia e morte) che rivela la sua misteriosa identità. Timore e stupore straordinari (4 ,41 ; 5 ,42) stimolano la domanda sulla sua persona . Ma la risposta può essere data solo nella fede , che però an­ cora non c'è: nei parenti di Gesù (3 ,20-3 1 ) , negli scribi (3 ,22-29) , nei «Dodici» (4,40) ed infine nei suoi paesani a Nazaret (6,1-6a) . La sezione si struttura in due parti narrative , che si collegano ad incastro. La prima (3,7-4,41) descrive Gesù al mare (lago) (3 ,7) , dove ri­ torna alla fine (4, 1 ) , sempre sulla barca, discosto dalla riva, ad inse­ gnare (3 ,9; 4 , 1 ) ; e la giornata delle parabole si conclude la notte con la traversata del lago (4,35-41). Questa prima parte, nel suo interno , è interrotta da un sommario (3,20) che richiama quello iniziale (3 ,10) : la folla si assiepa intorno a Gesù fino a soffocarlo . La scena si svolge «in casa» (3 ,20-35) . Per questo il primo blocco narrativo po­ trebbe essere configurato a chiasmo: A. Sul lago e sul monte (3,7-19) B. In casa (3,20-35) A' . Sul lago e attraverso il lago (4,1-41) . La seconda parte narrativa ( 4,35-6,6a) è ritmata dai tre eis to pe­ ran (al di là) del lago (4,35 ; 5 , 1 .21 ) ; inoltre al terzo eis to peran se­ gue un «ed era lungo il mare» , che collega quest'ultima parte con la prima (3 ,7 ; 4 , 1 ) . La pericope della tempesta sul lago (4,35-41), al centro , fa da cerniera fra il primo e il secondo blocco narrativo , evi­ denziando il codice spaziale-geografico più importante : il mare (la­ go) , luogo da cui Gesù guarisce e insegna e sul quale dimostra la sua potenza, mentre a Cafarnao (in casa) e a Nazaret (nella sinagoga) incontra gente ostile che lo rifiuta ; tra di loro i più ostili sono gli seri­ bi che vengono da Gerusalemme (Mc 3,22; cf. 7 , 1 ) . L'«eis to peran» separa tre miracoli in cui si rivela la straordinaria potenza di Gesù : la tempesta sedata (3 ,35-41) , la vittoria sulla legione di demoni che tiene prigioniero il geraseno (5 ,1-20) e il risveglio della figlia di Giai­ ro (5,39) ritenuta morta (5 ,35), con l'inserzione a sandwich della guarigione dell'emorroissa (5,21-43) : A. La figlia di Giaro malata grave (5,21-24) B. La guarigione della emorroissa (5 ,25-34) A' . Il risveglio della figlia di Giairo (5 ,35-43). Il rifiuto di Gesù , nella sinagoga di Nazaret (6 ,1-6a) conclude con un'ultima domanda sulla sua identità (6,2) e con l'incredulità per le sue umili origini (6,3) . Le tematiche principali dei due blocchi narrativi (3 ,7-4 ,41 ; 4,356,6a) sono , da una parte , il rifiuto di Gesù e dello Spirito di Dio che 128

in lui opera (il peccato contro lo Spirito) e dall'altra la rivelazione della potenza del «più forte», che vince le potenze del male . Il se­ condo blocco narrativo (4,35--6,6a) sembra quasi voglia illustrare con le opere il discorso di Gesù in parabole (3,23; 4,2. 10- 1 1 . 34) , fi­ gurato e quindi enigmatico (4,34) . Un ultimo tema unitario della sezione è quello dei «Dodici» , scelti da Gesù perché stessero con lui e andassero a predicare (3 , 14) . Sono la sua autentica famiglia, che fa come lui la volontà del Padre (3 ,31-35) ; loro è dato , cioè rivelato , il mistero del regno di Dio (4, 1 1 ) e sono educati nella fede (4,40-41) ; proprio per questo sono sempre con Gesù, testimoni del suo potere salvifico (5 ,37) . Il grup­ po dei «Dodici» è contrapposto a «quelli di fuori», gli «esterni» (3 ,31 ; 4 , 1 1 ) , che, non solo non credono , ma respingono Gesù. A conclusione dell'analisi offriamo uno schema della struttura letteraria di questa sezione : Introduzione: Gesù accolto (3 ,7-19) l. Sul lago e sul monte (3 ,7-19) , in casa (3 ,20-35) ; e ancora sul la­ go (4,1-34) e attraverso il lago (4,35-41 ) . Il. Gesù si rivela il «più forte», m a viene rifiutato (4,35--6 ,6a) : al di là del lago e attraverso il lago (4,35-41) ; al di là del lago la vittoria sulla legione (5,1-20) ; al di là del lago, due miracoli a sandwich (5 ,21-43) . Conclusione: Gesù rifiutato a Nazaret (6, 1 -6a) . Sezione terza : Missione dei «Dodici» e loro incomprensione di Gesù (6, 6b-8,21{26])

L'introduzione a questa terza sezione è simile alle due preceden­ ti: un breve sommario dell'attività didattica di Gesù (6,6b) , seguito dalla missione dei «Dodici» (6,7-13), che continua quella di Gesù (predicazione della conversione , esorcismi e guarigioni) . La sezione è articolata in due blocchi narrativi. Il primo presenta la solita composizione marcana a sandwich: A. Missione dei discepoli (6.7-13) B. Morte e sepoltura del Battista (6,14-29) con flashback e proiezione in avanti (cf. Mc 9,1 1-13) A' . Ritorno dei «Dodici» dalla missione (6,30) . Il secondo blocco narrativo è la cosiddetta «sezione dei pani» (6,31-8,21 ) , caratterizzata dal ritornello che i discepoli non capisco­ no (6,52; 7,18; 8,17.21) e dal tema del «mangiare i pani» (6,44; 7,2.5 .27; 8,4ss.8. 16ss) . Non rientra nel tema la guarigione del sordo­ muto (7 ,31-37) , che si conclude con l'acclamazione della folla (7 ,37) e la richiesta di un segno da parte dei farisei (8, 1 1-13). Narrativa­ mente però il miracolo del sordomuto è collegato topografica129

mente («dalle parti di Tiro» : 7,24.31) a quello precedente in favore della donna sirofenicia; e la domanda del segno dal cielo (8, 1 1-13) introduce il motivo enigmatico del «lievito dei farisei e il lievito di Erode» da cui devono guardarsi i «Dodici»: la durezza di cuore e il conseguente rifiuto di credere (8, 15) . Sorprendentemente però la stessa accusa viene rivolta poi ai «Dodici»: di avere il cuore indurito (cf. Is 6, 10a) , di non aver occhi per vedere e orecchie per ascoltare (cf. Ger 5 ,21), di non capire ancora il mistero dei pani moltiplicati (8 ,17-21). È un rimprovero durissimo, anche se viene attenuato dal­ la domanda retorica , che invita alla comprensione , peraltro senza indicazioni concrete . Il mistero del pane sarà svelato solo nell'ultima cena (14,22) . Allora comprenderanno che il pane è Gesù stesso . L'unica novità nelle guarigioni e nei viaggi di Gesù è l'ampliamento, sia pure in via eccezionale, della sua missione ai pagani ; è un segno del futuro? Anche la controversia sulla purità legale va nel senso dell'univer­ salismo; il commento dell'evangelista è addirittura rivoluzionario rispet­ to ali' ambiente giudaico: «rendendo così puri tutti i cibi» (7, 19b) . Gesù non riesce più a tenersi nascosto, tanta è la fama che lo cir­ conda (7 ,24.36-37) ; e la fama viene moltiplicata dalla moltiplicazione dei pani. Arriva così una seconda delegazione ufficiale da Gerusalem­ me per verificare l'ortoprassi di Gesù (7 ,1-13) . Ed egli sviluppa una du­ ra risposta polemica, richiamandosi a Is 29,13(LXX) : «Voi annullate il comando autentico di Dio con la vostra tradizione» (7 ,13) . Riassumendo le indicazioni strutturali fin qui proposte , la terza sezione potrebbe essere configurata nel modo seguente : l. Missione dei «Dodici» (6,6b-30) : breve sommario didattico (6,6b) seguito dalla costruzione a sandwich della missione dei disce­ poli (missione in 6,7-13; morte del Battista in 6, 14-29 ; e ritorno dei discepoli dalla missione in 6,30) . Il . Incomprensione dei «Dodici» (6,31-8,22) : A . Moltiplicazione dei pani , cammino sulle acque e incom­ prensione dei discepoli (6,31-52) . B . Sommario taumaturgico a Genesaret (6,53-56) . A' . Nella controversia sulle leggi di purità ritorna ancora il tema del «mangiare»; i discepoli non capiscono (7 , 18) , ma poi ri­ cevono a parte una spiegazione della «parabola» (7 ,17. 18b-23) . C. Due miracoli uniti topograficamente da «Tiro» (7,24-37). A" . Seconda moltiplicazione dei pani, richiesta del segno e in­ comprensione dei discepoli (8, 1-22) . 1 30

In questa sezione , Gesù incompreso costituisce il filo conduttore della cosiddetta «sezione dei pani» (6 ,31-8,21 ). All'incomprensione della persona di Gesù nella prima parte corrisponderà l'incomprensione della sua missione tragica nella se­ conda. Tra la prima e la seconda vi è una specie di interludio­ cerniera: il racconto del miracolo di un cieco a Betsaida (8,22-26) . È legato alla parte precedente con la località di Betsaida (6,45 e 8,22) , ma è nello stesso tempo unito alla seconda in quanto forma una inclusione con 10,46-52, altra guarigione di un cieco nato. D'al­ tronde la guarigione del cieco nato in 8,22-26 potrebbe preludere , simbolicamente, al riconoscimento di Gesù da parte dei «Dodici» per bocca di Pietro . La seconda parte racconta la via di Gesù verso Gerusalemme e la passione misteriosa del Figlio dell'uomo (8, [22]27-15,39) Dopo l'interludio del cieco guarito (8,22-26) , inizia ancora una volta, come le tre sezioni precedenti , con i «Dodici», interrogati dal Maestro (8,27-30) , lungo la via che sale a Gerusalemme (10,32) . Si dischiude loro il riconoscimento di Gesù (8,29) , ma per ripiombare subito dopo nell'impossibilità di comprendere ed accettare la sua missione ultima di Figlio dell'uomo (8,31-33 ; 9,32; 10,32) . E infatti alla fine lo abbandoneranno ; ai piedi della croce , nell'epilogo trove­ remo solo delle donne (15 ,40-16,8) . La comprensione del mistero di Gesù e della sua via dovrà aspettare la risurrezione del Figlio del­ l'uomo (9,9) . Allora la precedente via di Gesù sarà illuminata dalla «Scrittura» e dal «finale» della sua stessa vicenda. La seconda parte del Vangelo si può strutturare pure, come la pri­ ma, in tre sezioni, sempre più drammatiche, in corrispondenza alle pri­ me tre, che si concludevano con l'incomprensione e il rifiuto, non an­ cora con la catastrofe. Le ultime tre invece conducono progressiva­ mente alla catastrofe: lungo il cammino Gesù istruisce i suoi discepoli sul suo e loro futuro tragico (8,[22]27-10,52) ; seguono tre giorni a Ge­ rusalemme e un crescente scontro con le autorità del tempio (11 ,113,36) , per arrivare infine alla passione e morte (14, 1-15,39) . Sezione quarta: Lungo il cammino Gesù istruisce i suoi discepoli sul suo e loro tragico futuro (8,{22}27-10,52)

La via (hodos) è il motivo che ricorre più spesso ed unifica la quarta sezione (8,27 ; 9,33 .34; 10,17.32.46.52) ; la apre (8,27) e la conclude (10,52) in una perfetta inclusione . 131

Mentre la prima parte è caratterizzata da continui spostamenti (32 euthyslsubito su 41 ricorrono proprio nella prima parte) , qui in­ vece sembra che Gesù si ritiri in disparte con i suoi discepoli , cui de­ dica il suo insegnamento , legato intimamente dalle tre predizioni della passione , che vi risuonano come tre rintocchi di campana e che ne segnano la struttura . La confessione di Pietro rappresenta una svolta nel racconto drammatico (8,27-30) . I «Dodici» per bocca di Pietro riconoscono in Gesù il Messia; e tuttavia Gesù proibisce loro severamente di parlar­ ne . Lui solo ne parlerà quando sarà il momento (14,61-62) . Il miste­ ro di Gesù non può essere compreso che alla fine , anche la sua mes­ sianità; anch'essa potrebbe essere fraintesa . Egli infatti è il Messia umile ( 1 1 ,7- 10) , inviato per portare la buona notizia del regno di Dio ai «poveri» , ai malati , agli oppressi dal demonio , a tutti «coloro che lo aspettano» (15 ,43) . Gesù Messia non sarà riconosciuto vera­ mente se non quando verrà identificato col «Figlio dell'uomo», che muore sulla croce e si rivela «Figlio di Dio» (15 ,39) . Dopo la confessione di Pietro, che funge da introduzione , la quarta sezione si struttura in tre parti , indicate dalle tre predizioni della passione-morte di Gesù : 8,3 1-9,29; 9,3�10,3 1 e 10,32-52. Ad ogni predizione segue l'incomprensione dei discepoli e la necessaria ulteriore istruzione. Anche gli episodi narrati (teofanie , miracoli o racconti di vocazione) finiscono sempre con un insegnamento. La logica strutturale accompagna quella narrativa-spaziale . La prima predizione avviene nella zona intorno a Cesarea di Filippo (8,27. 30ss) , la seconda mentre Gesù attraversa la Galilea «in inco­ gnito» (9 ,30) , la terza nel cammino decisivo verso Gerusalemme (10,32) . Dopo questo sguardo globale , passiamo ad una breve anali­ si delle tre sottosezioni. La prima predizione «aperta» (8,31-32) della passione è seguita dal rimprovero di Pietro e dalla reprimenda di Gesù (8,32b-33). Sic­ come il capo degli apostoli , nonostante la confessione messianica, dimostra di non essere capace di entrare nella mentalità di Dio , del Dio rivelato da Gesù (8,33b) , egli inizia il suo insegnamento chia­ mando la folla con i discepoli ; è quindi un insegnamento per «tutti i discepoli di Gesù». L'insegnamento consiste in una serie di detti , collegati fra loro col metodo della parola-gancio ; contengono le esi­ genti condizioni della sequela e la loro importanza escatologica (8,36-37) . Fra le condizioni viene annoverata anche la confessione coraggiosa di Gesù e della sua parola «in mezzo a questa generazio­ ne adultera e peccatrice» (8,38-39) e conclude pure con un detto 132

escatologico (9 , 1 ) . La trasfigurazione (9,2-13) è narrata per l'inse­ gnamento che segue : «Non raccontate nulla fino a che il Figlio del­ l'uomo sia risorto dai morti» (9,9) e per il logion sul Figlio dell'uomo che deve patire ed essere disprezzato «come sta scritto» (9, 12) e co­ me Elia - il Battista (9, 1 3 ; cf. 1 ,2 e 6, 14-19). L'esorcismo del giova­ ne lunatico, non riuscito ai discepoli (9, 14-21) , viene pure racconta­ to , e con vivacità, per l'insegnamento finale sulla fede (9,23) e la preghiera (9,28-29) . Si conclude così la prima serie di insegnamenti , di carattere personale. La seconda serie di insegnamenti a seguito della seconda predizio­ ne della passione (9,30-- 1 0,31) riguardano invece la comunità. La reazione alla predizione della passione è sempre più debole: «Ma es­ si non capivano la parola e temevano di interrogarlo» (9 ,32) ; la terza non provocherà alcuna reazione immediata. Le tre serie di insegna­ menti del c. 9 al seguito della seconda predizione , sono organizzate col solito sistema a sandwich e collegati fra loro da parole-gancio . La prima serie di detti riguarda «chi è più grande>> (9,33-37) e forma in­ clusione con il detto che conclude l'insegnamento dopo la terza pre­ dizione della passione (10,35-45) ; e perciò sottolinea la sua impor­ tanza fondamentale nel rovesciamento della mentalità dei discepoli, rispecchiata nella iniziale forte reazione di Pietro (8,33) . I detti qui raccolti riguardano i «bambini», tema ripreso più avanti in 10,13-16. Nella comunità l'autorità deve significare «servizio» e non «onore». La seconda serie di detti (9,38-41) si incentra nella parola-gancio «il nome» e il problema che affronta è se la comunità cristiana debba essere una comunità aperta o chiusa. La risposta suona in favore della comunità aperta: «Chi non è contro di noi è con noi» , anche chi caccia i demoni nel nome di Gesù pur non appartenendo al suo gruppo ; e termina con un detto singolare che parla del «Cristo»: «Chiunque vi offre un bicchiere di acqua in mio nome , perché siete di Cristo, in verità vi dico non perderà la sua ricompensa» (9,41) . Qui Gesù parla apertamente di sé come di Cristo , ma è in realtà la comunità che parla e confessa il Messia (8,29) . La terza serie di detti (9 ,42-50) ritorna al tema dei «piccoli» della prima serie (9 ,33-37) , per cui si ha la seguente costruzione a sandwich : A. Detti sui piccoli (9,33-37) B. Detti che riguardano l'uso del nome di Gesù (9 ,38-41) A' . Detti concernenti i piccoli (9 ,42-49) . Gli ulteriori insegnamenti , sempre toccanti la comunità , riguar­ dano la famiglia e la proibizione del divorzio (10,1-12) , la benedizio­ ne e quindi la cura dei bambini (10,13-16) e infine il monito contro il 133

pericolo della ricchezza, illustrato con il racconto della vocazione fallita (10,17-27) e con la promessa della ricompensa escatologica per i discepoli che abbandonano tutto per seguire Gesù (10,28-3 1 ) . La terza predizione della passione, la più lunga (10,32b-34) , è preceduta dalla notazione dello stupore e paura dei «Dodici» nel ve­ dere Gesù che li precedeva con decisione sulla strada in salita verso Gerusalemme (10,32a) . Il racconto che segue , senza alcun legame con la precedente predizione , dimostra che i discepoli non hanno ca­ pito per nulla il tragico destino di morte violenta cui stava andando incontro il loro Maestro (10,35-45). È probabile che la richiesta di Giacomo e Giovanni non vada collo.cata qui. Però, narrativamente , la collocazione attuale è di un'efficacia straordinaria ; rivela come i discepoli si aspettavano ancora un trionfo messianico, che volevano condividere vicini il più possibile al Messia. L'insegnamento di Ge­ sù, in risposta allo sdegno dei discepoli per la richiesta di Giacomo e Giovanni , è preceduto da un «chiamatililproskalesamenos autous» (10,42) , che ricorda e quasi rinnova la chiamata dei «Dodici» (3 , 13) e il loro invio in missione (6,7) . Per l'ultima volta Gesù contrappone in modo radicale la mentalità di Dio a quella del mondo (10,42-45 ; cf. 8,33b ) : «Chi vuoi essere grande sia il servo, e chi vuoi essere pri­ mo sia schiavo (doulos ) di tutti» (10,43-44) . E termina con la fonda­ zione cristologica: «Ed infatti il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito , ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti>> (10,45) . Rispetto all'insegnamento iniziale dopo la prima predizione della passione (8,31-38) si rivela qui il motivo ultimo della sequela fi­ no a rinnegare se stessi e portare la croce : il rovesciamento del «po­ tere mondano» in «Servizio» fino alla morte «per i molti». Il racconto del cieco Bartimeo, guarito a Gerico , è l'epilogo del­ la sezione . Bartimeo , come Pietro , chiama Gesù «figlio di David» , cioè Messia ; guarito , lo segue «lungo la via» (10,52) con i discepoli . La via della sequela è ormai tracciata. La passione e morte di Gesù, imminenti , sono , non solo preannunciate , ma comprese nel loro più alto e sublime significato (10,45) . Il profilo strutturale di questa quarta sezione potrebbe essere il seguente : Il prologo è la confessione messianica di Pietro (8,[23]27-30) A. Prima predizione della passione e insegnamento sulla seque­ la (8,30--9 ,29) B . Seconda predizione e insegnamento comunitario (9 ,3010,31) A' . Terza predizione e insegnamento sul significato ultimo della sequela (10 ,32-45). 134

L'epilogo del cieco Bartimeo , che segue Gesù «lungo la via» (10,46-52) . La sezione , caratterizzata dall'insegnamento ai «Dodici» e dalla loro incapacità di capire , è parallela a quella precedente. Sezione quinta: Gesù, nei suoi tre giorni a Gerusalemme, viene pro­ clamato Messia umile, purifica il tempio, insegna, polemizza, con­ danna i capi e preannuncia ancora una volta la sua morte (1 1 , 113,37)

Gesù , educati i suoi discepoli sia nella missione ( terza sezione ) sia nell'istruzione personale e comunitaria ( quarta sezione ) , ritorna in pubblico a Gerusalemme, a contatto con la folla e sfidando i capi. In tal senso questa quinta sezione è parallela alla seconda, sia perché qui e là si parla della didache/insegnamento di Gesù (4,2; 1 1 , 18 ; 12 ,38) , sia perché i n ambedue Gesù parla «in parabole» (4,2 . 1 1 .3334 e 12, 1 . 12) . L'identità misteriosa di Gesù , che là si rivelava in «opere di potenza>> , in questa quinta sezione si rivela nella sua auto­ rità messianica su Gerusalemme e sul tempio con azioni simboliche ( 1 1 ,1-25) , nella sua superiorità indiscussa di controversista ( 1 1 ,2712 ,37) e infine nel giudizio su Gerusalemme e sui suoi capi (12,3844) ; e termina col discorso escatologico ( 1 3 , 1 -37) . La struttura letteraria è articolata dal codice temporale: il primo giorno ( 1 1 ,1-1 1 ) , il secondo giorno ( 1 1 , 12-19) , il terzo giorno (1 1 ,2013 ,37) ; e da quello spaziale: Gesù entra a Gerusalemme ( 1 1 , 1 ) ed esce la sera per Betania (1 1 , 1 1 ) , esce da Betania ( 1 1 , 12) , entra di nuovo a Gerusalemme (1 1 , 15) per la purificazione del tempio e la sera esce dalla città ( 1 1 , 19) . Rientra quindi di nuovo a Gerusalem­ me ( 1 1 ,27) per uscirne la sera e contemplarla dal monte degli ulivi ( 1 3 ,3), da cui pronuncia il giudizio di condanna e il conclusivo di­ scorso escatologico . Insieme al codice spazio-temporale , nella strut­ tura intervengono anche fattori letterari come la serie di controver­ sie , le antitesi sul tema delle vedove (12,38-44) , ecc. Tenendo conto di tutti questi fattori , la sezione si può considera­ re strutturata in un prologo ( 1 1 , 1-1 1) e due grandi parti: una narrati­ va (1 1 , 12-33) e l'altra discorsiva (12,1-13 ,37) , in cui la catechesi di Gesù da pubblica si restringe alla cerchia dei discepoli (12 ,43) ed in­ fine addirittura a quattro di loro (13,3). Funge da prologo solenne l'entrata trionfale del Messia umile a Gerusalemme ( 1 1 , 1 - 1 1 ) . Marco usa qui due volte il suo caratteristi­ co «Subito>> ( 1 1 ,2.3) per far percepire la velocità e la densità dell'ese135

cuzione . Va notato inoltre come Gesù parlando di sé usa il titolo di «Signore»: «> ( 1 1 ,3 ; cf. 9,41 «perché siete di Cristo») . L'acclamazione messianica annuncia «la venuta del regno del padre nostro David» ( 1 1 ,9-10 = Sal 1 18,25-26) . Gesù entra come Messia nel tempio, guarda tutto all'intorno per il giorno dopo e tor­ na a Betania «con i Dodici» (1 1 , 1 1 ) . L a parte narrativa ( 1 1 , 12-33) racconta altre due azioni simboli­ che di Gesù , strutturate ad incastro: A. La maledizione del fico (1 1 , 12-14) B. La cacciata dei venditori dal tempio per farlo divenire «casa di preghiera per tutte le genti» ( 1 1 ,17 = Is 56,7) , tentativo conse­ guente di prendere Gesù per eliminarlo , mentre egli esce fuori dalla città (1 1 , 15-19) A' . Il fico disseccato e l'insegnamento di Gesù ai discepoli su fe­ de, preghiera e perdono ( 1 1 ,20-25) B'. Viene contestata l'autorità di Gesù sul tempio ed egli rispon­ de ad hominem con la controdomanda sull'autorità con cui il Batti­ sta battezzava ( 1 1 ,27-33 ; è l'ultima volta che compare il Battista ; cf. 1 ,2-8.9. 14; 6, 14-29 ; 9 , 1 1-13) . Mentre la folla proclama Gesù Messia, i membri del sinedrio ( 1 1 ,27) contestano la sua autorità e vogliono eliminarlo , non essen­ do capaci di rispondergli a livello dottrinale , come appare dalle con­ troversie seguenti. ·

La catechesi pubblica di Gesù (12,1-40) viene incorniciata fra due condanne dei capi : all'inizio in forma simbolica nella parabola dei vignaiuoli omicidi (12, 1-12) , che uccideranno «il figlio diletto» (12,6; cf. 1 , 1 1 ; 9,7) ; essi saranno puniti e la vigna verrà data ad altri ; i capi comprendono che la parabola parla di loro (12,12) . Alla fine Gesù denuncia apertamente gli «scribi» che divorano le case delle vedove (12,38-40) . All'interno di questa cornice vengono raccontate le controversie, anche se solo le prime due lo sono formalmente : la questione del tributo a Cesare , la cui soluzione ingenera stupore (12, 13-17) e la questione dei sadducei sulla risurrezione che termina col monito : «Vi sbagliate di molto !» (12,18-27) . Le due seguenti so­ no discussioni: sul comandamento principale , che offre l'occasione di muovere una critica alla religione cultuale del tempio: il coman­ damento dell'amore ha più valore di «olocausti e vittime» (12 ,2834) . È Gesù stesso , infine , che pone agli scribi la questione di chi è figlio il Cristo , dato che David nel Sal 1 10,1 lo chiama «suo Signore>> (12 ,35-37) . La contestazione della discendenza davidica apre il pro­ blema di un'altra figliolanza : «Se David lo chiama Signore come può 136

essere suo figlio?» ( 12,37a) . La domanda viene lasciata senza rispo­ sta. Solo sulla croce Gesù sarà proclamato «Figlio di Dio» (15 ,39) . L'insegnamento ai discepoli (12,41-44 e 13,1-37) conclude questa sezione . Gesù esalta la piccola offerta della vedova povera nel con­ fronto con le offerte dei ricchi; Gesù anche qui capovolge i giudizi umani (12,41-44) . L'annuncio profetico della distruzione del tem­ pio , giudizio divino di condanna sulla città e i suoi capi che hanno già condannato a morte Gesù (13,1-2) , introduce il discorso escato­ logico mediante la domanda dei quattro discepoli , i primi chiamati : «Quando accadranno queste cose e qual è il segno quando si compi­ ranno?» (13,4) . Ritorna anche qui il motivo delle «genti» come in 1 1 ,17: «Prima dev'essere predicato il Vangelo a tutte le genti» (13, 10) ; questa solenne profezia ci deve rendere cauti nei confronti della tesi, sostenuta da W. Marxsen, che «il Vangelo annuncia la prossima parusia» . Per quanto concerne la struttura del discorso escatologico , su cui non possiamo impegnarci , 23 sembra possa articolarsi in due parti , ambedue configurate a sandwich : l . A. Guardarsi dagli ingannatori (13 ,5-6) B . Le persecuzioni e l'abominio della desolazione (13 ,7-20) A' . I falsi cristi e i falsi profeti (13,21-23) II. A. La venuta del Figlio dell'uomo (13 ,24-27) B . La similitudine del fico a primavera (13 ,28-3 1) A' . La venuta improvvisa con l'invito finale alla vigilanza, che struttura tutto il discorso (13 ,32-37) . Il monito conclusivo ai discepoli vale per tutti : «Ciò che dico a voi lo dico a tutti : Vegliate !» (13 ,37) . Si potrebbe forse dire che il discorso escatologico funge da discorso di addio di Gesù ai «suoi» , la vigilia della sua passione e morte . In sintesi , la struttura di questa sezione che racconta «tre giorni di Gesù tra Gerusalemme e Betania» potrebbe essere la seguente : - Il prologo dell'entrata a Gerusalemme ( 1 1 , 1 - 1 1 ) - Due azioni simboliche strutturate a incastro (1 1 , 12-33) - Catechesi in pubblico: due controversie e due discussioni (12,1-40) - Catechesi particolare ai discepoli e discorso escatologico (12,41-13 ,37) . 23 Si veda lo studio accurato di J . LAMBRECHT, Die Redaktion der Markus­ Apokalypse (AnB 28) , Roma 1967 , e J. DuPONT, Le tre apocalissi sinottiche, Bologna 1986, 7-50.

1 37

Sezione sesta: Conclusione della tragedia con la passione e morte di Gesù (14, 1-15,39{47})

Il racconto della passione e morte inizia con l'unzione di Betania «per la sepoltura>> (14,8) e finisce con la sepoltura (15 ,42-47) , anche se i termini usati, nei due testi , sono diversi (entaphiasmos/sepoltura e mnemeion/sepolcro) . Ma all'interno vi è un'indicazione (14,28) , che rimanda, al di là della sepoltura al messaggio finale del giovane alle donne che si recano al sepolcro: «Vi precede in Galilea. Là lo vedrete come vi ha detto» (16,7; cf. 14,28) . La narrazione della pas­ sione e morte è quindi strettamente legata all'epilogo (15 ,40-16,8) ; la persona di Gesù che compare nel prologo sulla scena (1 ,2-15) , scompare con la sepoltura , pur rimanendo «colui che precede» i suoi discepoli anche sulla via del futuro regno di Dio , da cui ritornerà co­ me Figlio dell'uomo . La narrazione della passione e morte, a differenza del ministero pubblico di Gesù , si presenta con una struttura spazio-temporale ben precisa. È composta di scene successive raramente collegate let­ terariamente fra di loro . Le prime tre pericopi costituiscono un bloc­ co narrativo unitario (14,1-50) , cui segue un intermezzo (14,51-52) . La prima pericope (14,1- 1 1 ) , che potrebbe costituire il prologo , rivela la solita struttura marcana a sandwich: A. Due giorni prima della pasqua sommi sacerdoti e scribi complottano di prendere Gesù con inganno per ucciderlo (14,1-2) B. L'unzione di Betania che prelude morte e sepoltura (14 ,3-9) e la predicazione del Vangelo in tutto il mondo (cf. 1 1 ,17; 13, 10) A' . Giuda si presenta ai sommi sacerdoti per tradire e consegna­ re loro Gesù (14,10- 1 1 ) . La seconda pericope (14,12-26) è i l racconto della cena pasquale, dell'istituzione dell'eucaristia e dell'annuncio del tradimento di Giu­ da ( legame con la pericope precedente ) . La terza (14,27-50) è inclusa , teologicamente , nel «compimento delle Scritture» ( «è scritto» in 14 ,27 e «affinché si compiano le Scrit­ ture» in 14,49) , mentre narrativamente si sviluppa tra la predizione della fuga dei discepoli col richiamo al testo profetico di Zaccaria (14,27 = Zc 13 ,7} e la loro fuga al momento della cattura (14,50) . Oltre alla profezia della fuga, il brano racconta la predizione del rin­ negamento di Pietro (14,27-3 1 ) , la preghiera di Gesù al Getsemani 138

con una colorazione escatologica nel monito «Vigilate» (14 ,32-42) e l'arresto di Gesù introdotto dall' euthys tipico di Marco (14,43-50) . Narrativamente questa terza pericope è legata alla prima per il com­ plotto (14,1-2) ora messo in atto col tradimento di Giuda (14,10- 1 1 ) . Tra questo primo ciclo narrativo (14,1-50) e i l secondo (14 ,53-15 ,39) l'evangelista ha inserito un breve intermezzo: la fuga di un giovanetto mezzo nudo nella notte (14,5 1-52) , particolare proprio di Marco . Il secondo ciclo è , come il primo, compatto nella sequenza degli eventi , anche se personaggi e scene cambiano in modo drammatico (14,53-- 1 5 ,39) . È pure composto di tre unità letterarie . La prima (14 ,53-72) è articolata secondo la frequente composi­ zione a sandwich : A. Si raduna il sinedrio (cf. 1 1 ,27) e Pietro segue Gesù nel cor­ tile del sommo sacerdote (14,53-54) B. Il processo davanti al sinedrio che decreta la sentenza di morte (14,55-65) A' . Il rinnegamento di Pietro che si conclude con la nota marca­ na: «E subito il gallo cantò la seconda volta . . . » (14,66-72) . La seconda unità letteraria ( 1 5 , 1-15) ruota intorno alla figura del procuratore Pilato . Gesù è accusato di essere «il re dei giudei» (15,2.9. 12) ; viene liberato Barabba, mentre Gesù , dopo essere stato flagellato , è condannato a morte . La terza unità (15, 16-39) ha per protagonisti i soldati che beffeg­ giano Gesù facendone un re da burla e lo portano infine alla crocifis­ sione (15 , 16-20) . Sulla via verso il Calvario viene narrato l'incontro col cireneo , angariato a portare la croce . Le scene sul Calvario sono in successione : la crocifissione e la divisione delle vesti , i motteggi blasfemi dei passanti, dei sommi sacerdoti e perfino dei due crocifis­ si con lui (15 ,21-32) . Il racconto della crocifissione è ritmato dal codice cronologico : all'ora terza viene crocifisso (15 ,25) , dall'ora sesta all'ora nona le te­ nebre su tutta la terra (15 ,33) , e all'ora nona il grido di Gesù e la confessione conclusiva del centurione : «Veramente quest'uomo era Figlio di Dio» (15 ,39) . Qui si ha una grande cesura. Sotto il profilo tematico va notato che nel processo religioso ini­ ziale Gesù viene interrogato se è il Cristo , il Figlio di Dio benedetto (14,61) , mentre l'accusa che è «re dei giudei» e «re di Israele» domi­ na il processo politico (15 , 1 .9. 12. 18.32) ; e la proclamazione di Gesù «Figlio di Dio» è posta in bocca al centurione dopo la morte tragica. Ritornano perciò al momento dell'oscuro tramonto di Gesù i due 139

nomi che figurano nel titolo del Vangelo: Messia e Figlio di Dio. Il ter­ zo titolo, «Figlio dell'uomo» è figura escatologica che verrà nel futuro (14,62; cf. 13.26) a giudicare coloro che lo hanno condannato. La storia di Gesù è quella del «Nazareno» (16,6) morto e risorto. Il titolo di «Kyrios» cosi importante nel kerygma non compare ; se ne ha appena un cenno in Mc 5 , 19-20 (parallelismo tra kyrios e lésous) , mentre è usualmente attribuito a Dio (12, 1 1 .29; 13 ,20.35) . Si deve dire perciò che il Vangelo di Marco rispetta il suo carattere di «Ini­ zio del Vangelo di Gesù Cristo . . . » e riflette bene l'evento storico di Gesù , appena accaduto, anche se osservato con gli occhi meraviglia­ ti del popolo (in particolare i miracoli) e con lo stupore e timore dei «Dodici» , scelti per continuare la sua missione . Conclusione: la macrostruttura del Vangelo

Se dall'analisi sopra condotta volessimo ricavare una visione sinte­ tica della macrostruttura del Vangelo, vi si potrebbe ravvisare, dopo ti­ tolo (1 ,1) e prologo (1 ,2-14) , una struttura narrativa chiasmatica. Il Vangelo narra la via di Gesù, che deve divenire anche la via del disce­ polo e lo fa in sei passi successivi che si corrispondono in forma inversa: A. Nella prima sezione ( 1 , 15-3,6) , alla fine delle controversie galilaiche , farisei ed erodiani concordano già per uccidere Gesù. B. Nella seconda (3 ,7-6 ,6a) Gesù insegna «in parabole» e rivela la sua superiorità sui demoni , le malattie e il mare , ma viene rifiutato . C. Nella terza (6,6b-8,21) viene narrata la missione dei «Dodici» e la loro incomprensione di Gesù. C' . Nella quarta (8,(22]27-10,52) Gesù rivela ai «Dodi­ ci» per tre volte la sua futura morte tragica, ma non comprendono; e subito dopo impartisce ogni volta degli insegnamenti . B ' . Nella quinta (1 1 , 1-13,37) Gesù insegna «in parabole» , esercita la sua autorità superiore in azioni simboliche e nelle controversie, e alla fine viene rifiutato , per cui segue la condanna dei capi di Gerusalemme e il giudizio esca­ tologico . A' . Nella sesta (14,1-15 ,39) Gesù viene condannato e messo a morte. Nell'epilogo (15 ,39-16,8) al sepolcro della sepoltura e al sepol­ cro della risurrezione protagoniste sono le donne . A loro viene con­ segnato il messaggio che Gesù precede i suoi discepoli in Galilea, da dove era iniziata la sua missione . 140

Se questa struttura è fondata, occorre dire che il Vangelo di Marco è composto in modo più armonico e ordinato di quello che pensano certi critici antichi (Papia) e moderni (W. Schmithals) . A conclusione vorrei richiamare la necessità di rimanere sempre legati al testo e alla sua intenzione di trasmettere la tradizione di Ge­ sù . Le letture che seguono il metodo del «lettore implicito» non so­ no sempre fedeli al testo e rischiano di ridurre la loro strutturazione ad un bel gioco letterario ed estetico.

2.

COMPOSIZIONE E LINGUAGGI024

Dall'opera in sé e dalla sua struttura letteraria passiamo ora al­ l'opera dell'evangelista, che si rivela nella composizione ordinata, già analizzata, nell'uso delle fonti (orali o scritte) e nella lingua e lin­ guaggio propri . Passiamo perciò ad esaminare l'uso delle fonti , la lingua e il linguaggio di Marco .

2 . 1 . L'uso delle fonti Per Mc il problema delle fonti è più complicato che per Mt e Le; per questi si ricorre usualmente all'ipotesi letteraria delle due fonti più quelle proprie. Non ci deve meravigliare quindi l'enorme diver­ sità delle ipotesi che vengono avanzate . La maggioranza degli esege­ ti è d'accordo che Marco non inventi di sana pianta il suo Vangelo, ma che abbia utilizzato delle «fonti» . Su quali esse fossero e che for­ ma (orale o scritta) avessero , vi è una congerie di teorie , diverse nei particolari. Volendo dare un qualche ordine a questa grande varie­ tà, se ne potrebbero distinguere tre principali . l) Anzitutto la teoria classica della critica morfologica, che pre­ suppone vi fossero in precedenza tradizioni orali di singoli episodi e detti , sorte dalla e nella comunità cristiana delle origini a suo servi-

24 Studi particolari dello stile e linguaggio di Mc: H. CANCIK, a cura , Markus­ Philologie (WUNT 33) , Tiibingen 1974 ; P. DscHULNIGG , Sprache, Redaktion und In­ tention des Markusevangeliums. Eigentlichkeiten der Sprache des Markusevangeliums und ihre Bedeutung fur die Redaktionskritik (StBB 1 1 ) , Stuttgart 1984; E. MALONEY , Semitic lnterference in Marcan Syntax (SBL DissSeries 5 1 ) , Missoula/Montana 1981 ; E.J. PRYKE, Redactional Style in the Marcan Gospel (SNTS MS 33) , Cambridge 1978; M. REISER, Syntax und Stil des Markusevangeliums (WUNT 2Reihe 2), Tiibingen 1984; M. ZERWICK , Untersuchungen zum Markus-Stil. Ein Beitrag zur Durchar­ beitung des Neuen Testaments , Roma 1937 .

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zio ; tali tradizioni erano a volte già state collegate in catene (di mira­ coli , di controversie . . . ), messe poi insieme e redatte dall'evangeli­ sta, il quale perciò sarebbe essenzialmente un «raccoglitore» di tra­ dizioni orali anonime. Questa prima teoria, nella sua forma classica , è oggi abbandonata. Contro un tale presupposto M. Zerwick aveva dimostrato , già nel 1937 , l'unità stilistica di Mc. 25 2) La seconda teoria si fonda sulla critica letteraria delle fonti scritte. Il più autorevole sostenitore al momento attuale ne è W. Schmithals, 26 che risuscita quella già proposta all'inizio del secolo da Wendling. 27 Egli esclude in modo categorico ogni tradizione orale , perché non se ne trova tracci a all'infuori dei Vangeli. Perciò sostie­ ne che Marco avrebbe utilizzato uno scritto-base (Grundschrift) , opera letteraria di primo piano, che l'evangelista avrebbe rovinato . 28 Bultmann sosteneva una teoria simile per Gv, distinguendo l'evan­ gelista dal redattore , che sarebbe stato responsabile dell'attuale di­ sordine del quarto Vangelo. Per Schmithals lo scritto-base in ogni caso non avrebbe valore storico, ma solo teologico-letterario . Si ve­ de qui come influisca , sia in Bultmann che in Schmithals il pregiudi­ zio cherigmatico dell'alternativa fra storia e kerygma: «contro ogni tentativo di storicizzazione fondata sulla tradizione» - asserisce pe­ rentoriamente Schmithals. 29 3) Una terza teoria cerca di mediare fra critica letteraria delle fonti e critica morfologica . E proprio per questo viene giudicata in­ coerente dallo Schmithals. 30 È quella proposta in molti suoi scrittP1 e nel suo commento al Vangelo di Marco da R. Pesch . Vi sarebbe sta­ to un Vangelo premarcano del racconto della passione , che iniziava con Mc 8,27 e finiva con 16,8,32 risalente almeno al 37 d.C. 25

ZERWICK, Markus-Stil. SCHMITHALS, Einleitung. 27 E. WENDLING , UrrruJrkus, Tiibingen 1905 ; Io., Die Entstehung des Marcus­ Evanleliums, Tiibingen 1908. W. ScHMITHALS, Das Evangelium nach Markus (OekTKNT) , 2 voli. Giitersloh 1979. 29 ScHMITHALS, Einleitung, 326. 30 SCHMITHALS, Einleitung. 31 Ricordiamo solo due dei suoi scritti , in italiano: oltre al commento edito dalla Paideia, una monografia in cui espone più in breve la sua tesi : R. PESCH, L'evangelo della comunità primitiva (SB 68) , Brescia 1984 (orig. 1979) . In tedesco il lungo artico­ lo comparso nella miscellanea curata da STUHLMACHER, pas Evangelium : R. PEScH, «Das Evangelium in Jerusalem. Mk 14,12-26 als ii..I teste Uberlieferungsgut der Urge­ meinde», 1 13-155 , del 1984, in cui difende con buoni argomenti la sua tesi contro le obiezioni dei molti suoi critici . 32 Se ne può vedere la ricostruzione nella monografia in italiano, citata alla nota precedente . 26

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Senza entrare in discussione con la lussureggiante varietà delle teorie sulle fonti di Mc /3 ci limitiamo a sostenere la distinzione fra tradizione e redazione , condizione minima per fondare il nostro di­ scorso sull'uso delle fonti da parte di Marco . L'evangelista, dunque , intende essere uno storico nel senso pieno del termine : racconta una storia piena di significato teologico, utilizzando le tradizioni che co­ nosceva ed è riuscito a raccogliere e scegliere . In tre momenti successivi si esaminerà come l'evangelista ha se­ lezionato il materiale di tradizione , come lo ha elaborato e come in­ fine l'ha commentato.

2. 1 . 1 . La selezione del materiale Il racconto più antico ed unitario , assunto dalla tradizione , è senza dubbio quello della passione (14, 1-16,8) . A mio parere è diffi­ cile , se non impossibile , dimostrare stadi successivi di formazione , tanto mi è sembrata compatta la struttura nei suoi successivi blocchi narrativi. Che vi sia la mano dell'evangelista è altrettanto certo , co­ me dimostra il caratteristico «kai euthys» (14,43 .72; 1 5 , 1 ) . La dimo­ strazione di una tradizione antecedente, elaborata da R. Pesch , mi sembra la più convincente . Il modello seguito non è semplicemente quello del giusto sofferente (cf. Sap 2,12-22) , come sostiene Pokor­ ny. 34 È presente certamente questo modello , ma vi è anche quello di Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo , che deve soffrire «secondo le Scritture» (14,27.49) , attestato anche dalla tradizione prepaolina (1Cor 15 ,3-5). Marco ha prolungato il racconto della passione all'in­ dietro fino al battesimo di Giovanni Battista, per cui è valida ancora la definizione di M. Kahler che i Vangeli sono «un racconto della passione con un'ampia introduzione». 35 Il materiale narrativo è costituito da altre tradizioni , tra cui spic­ cano sedici racconti di miracolo: esorcismi , guarigioni , due moltipli­ cazioni dei pani, la tempesta sedata, il cammino sul lago e la risurre­ zione della giovane figlia di Giairo . Controversie sono presenti nei cc. 2, 3, 7, 11 e 12, di cui tre sono collegate a racconti di miracolo

33 Non vogliamo neppure affrontare il problema se Marco conosca e usi la fonte Q . A tal proposito si può vedere PoKORNY, «Das Markusevangelium», 1980, nota 57. 34 POKORNY, «Das Markusevangelium» , 1996. 35 M. KAHLER , Der sogenannte historische Jesus und der geschichtliche, biblische Christus (Theologische Bucherei 2) , 4 ed. edita da E. Wolf, Miinchen 1969, 59-60, nota l ; Il cosiddetto Gesù storico e l'autentico Cristo biblico , trad . di S. Sorrentino, Napoli 1992, 94, nota 48.

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(2,1 -12; 3,1-6; 7,24-30). L'evangelista ha infine utilizzato racconti agiografici (1 ,2-8.9-1 1 . 12-13; 6,14-29), paradigmatici-apoftegmatici (3,31-35; 6,1-6a; 9,38-40; 10,13-16.35-45; 12,14-44). Inoltre, in relazio­ ne ai «Dodici» (uno dei temi-chiave della struttura) e ai discepoli si hanno racconti di vocazione (1,16-20; 3,13-19; 10,17-22) e di missione (6,7-13). Premarcani sono pure alcuni sommari come ha dimostrato W. Egger. 36 Il materiale discorsivo, anche se inferiore a quello narrativo, ab­ braccia tuttavia il 48% del Vangelo. 37 Va pure ricordato che Marco è l'evangelista che più insiste sull'insegnamento di Gesù. La parola di­ dache/insegnamento ricorre talora soltanto in Mc (1 ,27; 4,2; 12,38) e due volte l'ha in comune con Mt (Mc 1,22/Mt 7,28; Mc 1 1 ,18/Mt 22,33/Lc 4,32); complessivamente 5 volte in Mc, 3 in M t e solo una in Le. Il verbo corrispondente didaskeinlinsegnare compare pure 16 volte in Mc. In genere il materiale discorsivo è costituito da brani brevi. Tra i discorsi spiccano le parabole, le similitudini ed altre for­ me analoghe (4,3-9.14-20.21 -25.26-29.30-32; 12,1-9; 13,28-29.34-37). Altri detti di Gesù hanno carattere profetico, parenetico, apocalitti­ co e vi è anche un sommario della predicazione iniziale di Gesù (1,14-15), che però potrebbe essere stato elaborato dallo stesso Mar­ co (a comprova si veda l'inclusione col titolo del Vangelo). Oltre a singoli brani, narrativi e discorsivi, l'evangelista deve aver trovato anche delle raccolte come ad esempio: un giorno a Ca­ farnao (1,21-39), le controversie galilaiche (2,1-12.15-3,6), le para­ bole (4,2-10.13-20.26-33), miracoli (4,35-5,43) e insegnamenti alla comunità (10,1-45). Un caso a sé rappresenta il discorso escatologico (Mc 13), molto studiato anche sotto il profilo di «tradizione e reda­ zione»;38 apparterrebbero alla tradizione i vv. 7-8.12.14-20.24-27. 39 Anche qualche tecnica letteraria di Mc apparterrebbe già alla tradizione. È stata studiata in particolare la tecnica di composizione a sandwich, spesso incontrata nella nostra analisi strutturale. Ebbe-

36 W. EGGER, Frohbotschaft und Lehre. Die Sammelberichte des Wirkens Jesu im Markus-Evangelium (FfS 19), Frankfurt 1976. 37 PoKORNY, «Das Markusevangelium», 1 998. JS Bibliografia in PoKORNY, , 1 999, note 178-179. 3 9 Sull'ipotesi di un Vangelo dì Marco segreto, dì M. Smìth, attestato dalla copia dì una lettera dì Clemente Alessandrino, scoperta nella biblioteca del monastero dì Mar Saba, sì veda una breve esposizione e confutazione in PoKO RNY, «Das Mar­ kusevangelìum», 2000-200 1 .

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ne secondo uno studio di Stein tale tecnica risalirebbe per larga par­ te alla tradizione (2 , 1-12; 5 ,21-43 ; 1 1 , 12-25 ; 14,53-72) ; l'evangelista stesso poi la applicò alla sua composizione (3 ,20-35 ; 4,1-20) .40

2. 1 .2. L'elaborazione della tradizione Come ha elaborato Marco il materiale di tradizione che aveva raccolto? Non l'ha fuso come Matteo , ma l'ha accostato, raggruppa­ to e legato insieme con tecniche diverse. Alcune erano già presenti nella tradizione orale, come la tecnica a sandwich già sopra ricorda­ ta. G. Theissen ne rileva altre cinque : 4 1 l) indicazioni di tempo (Mc 1 ,9; 9,2) ; 2) indicazioni di luogo (1 ,29 ; 9,30) ; 3) collegamento di due avvenimenti col genitivo assoluto (14 ,22.43) ; 4) collegamento mediante una motivazione iniziale (6,14; 12 ,28) ; 5) introduzione mediante una indicazione generica ( 1 ,4.9; 8 , 1 ; 10,13.32) o specifica (1 ,22) . Un'ulteriore tecnica di composizione narrativa sono i sommari , assunti dalla tradizione ( 1 , 14-1 5 . 32-34 ; 3 ,7-12; 6,53-56) o formulati da Marco (1 ,22; 2 , 1 3 ; 4,34) . Due tematiche principali danno unità alla prima e alla seconda parte : nella prima parte è il mistero della persona di Gesù, messo in evidenza dal suo potere carismatico ; nella seconda è il tema della passione a partire da 8,30 sino alla fine . Le controversie galilaiche (2, 1-3 ,6) e gerosolimitane (12,13-27) trattano problemi particolari come il sabato, mentre le controversie isolate affrontano questioni più radicali che riguardano Gesù stesso (3 ,22-30) o la legge orale (7 , 1-23) . Per quanto concerne l'aspetto formale , mi sembra che la struttu­ ra drammatica proposta dal Lang sia più vicina alla forma del Van­ gelo che non quella retorica del «discorsO>>, avanzata da Standaert. Comunque il Vangelo di Marco non è propriamente né una biogra­ fia né un discorso retorico né un dramma, ma un genere letterario proprio , il genere «vangelo» di cui Marco è l'iniziatore .

40 R. H. STEIN , «The Proper Methodology of Ascertaining a Marcan Redaction>> , in NT 13(197 1 ) , 181-198. 41 G. THEISSEN , Urchristliche Wundergeschichten , Giitersloh 1974 , 198- 199.

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2. 1 .3. Chiarificazioni e annotazioni alla tradizione Marco oltre a selezionare ed elaborare la tradizione , vi inter­ viene o come abile narratore o come pastore preoccupato che gli uditori e lettori possano non capire ciò che scrive . Dei suoi moltepli­ ci modi di variare la tradizione, ne illustriamo tre : arricchisce o chia­ risce la fonte , precisa i sentimenti interni dei personaggi oppure le circostanze esterne di un fatto narrato. Anzitutto chiarisce o arricchisce un testo che si legge anche in Mt/Lc. Portiamo solo qualche esempio. Nel riportare il testo di Is 6,9-10, Mt 13,13 e Le 8,10 concordano nell'espressione «affinché guardando non guardino» , mentre Mc 4,12 rende , riflettendo me­ glio la LXX: «affinché guardando guardino e non vedano» , facilitan­ do così la comprensione del lettore . 42 Nel racconto della moltiplica­ zione dei pani , Mt 14,17 ha: «Ma essi gli dicono : - Non abbiamo qui che cinque pani e due pesci»; e Le 9,13 quasi perfettemente paralle­ lo suona: «Ma essi dissero: - Per noi non vi sono che cinque pani e due pesci» ; mentre Mc 6,38 allunga il dialogo in due battute , met­ tendo così maggiormente in luce l'iniziativa di Gesù e dando nello stesso tempo maggiore vivacità al racconto : «E (Gesù) dice loro: Quanti pani avete? Andate , guardate ! -. E , informatisi, dicono: Cinque , e due pesci» . Un esempio di depoliticizzazione di un testo è il racconto marcano dell'entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme . I discepoli , secondo Mt, lo proclamano «figlio di David» (21 ,9) e se­ condo Le «re» (19,38) , mentre Marco sostituisce l'acclamazione messianica con un'espressione più religiosa: «Benedetto il regno del nostro padre David che sta per venire» (1 1 , 10) . Marco inoltre penetra nei sentimenti dei suoi personaggi. Descri­ vendo la reazione di Gesù alla critica dei farisei nella sinagoga, nota: «E guardandoli con collera, rattristato per la durezza del /oro cuore» (3 ,5; cf. Mt 12,13a/Lc 6,10) . Si vedano altri casi nei testi seguenti: 1 ,41 ; 3 ,34; 6,20.26.34; 8,2. 12.32.33; 9, 19.36; 10,14. 16.22.23.27 . 32 . 41 ; 1 1 , 1 1 ; 15 ,43 . Infine aggiunge talora delle circostanze esterne che vivacizzano il racconto. Si tratta di annotazioni senza un ordine preciso . È solo Marco che vede Gesù dormire nella barca «a poppa su un cuscino» (4 ,38) . La donna malata che si accosta a Gesù per essere guarita

42 Matteo riporta subito dopo il testo della LXX nella sua tipica citazione compi­ mento (Mt 13, 14-15).

146

«aveva sofferto molto da parte di molti medici e aveva speso tutto il suo avere e non le era servito a nulla, anzi era andata peggiorando» ( 5,26 ) . Nel racconto della figlia di Giairo risuscitata, Marco nota çhe «camminava, perché aveva dodici anni>> ( 5,42 ) . Altre notazioni del genere si possono leggere nei testi seguenti: 1,19.20.29.33; 2,3.4.14. 23; 3,9.20.32; 4,1 .38; 5,6. 1 5.32.42; 6,3.28.3 1 .33.39.40.48; 7 ,30.33; 8,14.24; 9,3.14.15 .20.26; 10,17.46.50; 1 1 ,4.7. 13.1 6.20; 12,41; 13,1; 1 4,3.13.40.5 1 .52.54.68; 15,8.21 .36. Queste ed altre annotazioni di Marco vengono catalogate in modo diverso dai vari autori (Lagrange, Vaganay ... ). Ma al di là della loro qualifica formale, possiamo chiederci da dove proven­ gono. Lagrange, Taylor, Léon-Dufour, M. Hengel ed altri sosten­ gono che sono segni di una testimonianza diretta, e perciò dell'obiet­ tività storica dell'evangelista. Se tale fosse il caso, bisognerebbe con­ cludere che Marco le ha assunte dalla tradizione (da Pietro, secondo la tradizione). Rolland43 e altri, specie chi usa il metodo narratolo­ gico, sostengono invece che sarebbero aggiunte dello stesso narra­ tore, che rende in tal modo più vivo o più facile il suo racconto. Forse non si può tagliare netto fra le due ipotesi, perché non si può separare la storia «fattuale>> dai suoi abbellimenti letterari. È diffi­ cile comunque pensare che particolari così precisi come i dodici anni della figlia di Giairo (5,42 ) , il breve episodio del giovane che fugge di notte durante la cattura di Gesù ( 14,5 1-51 ) o anche il ricordo dei due figli di Simone di Cirene, Alessandro e Rufo ( 15,21 ) , provengano dalla fantasia del narratore e non abbiano un referente nella stessa comunità per cui l'evangelista scrive. È più ovvio pensare che si tratti di particolari provenienti dalla tradizione ed elaborati dall'e­ vangelista col suo proprio stile.

2.2. Linguaggio e stile44 Il Vangelo di Marco è scritto in greco, anche se è evidente che le tradizioni utilizzate sono di origine aramaica. Il vocabolario di Mc è relativamente limitato ( 1345 vocaboli su 1 1 229 parole), ma vivace. L'avverbio che usa più spesso rispetto agli

43 PH. RoLLAND, Les premiers Evangiles. Un nouveau regard sur le prob/ème sy­ noptij ue (LD 1 1 6), Paris 1 984, 109-135 . Due elenchi, diversi, del vocabolario tipico d i Marco s i possono trovare i n PRYKE, Redactional Styl, 1 36-1 39; e in F . NEIRINCK-F. SEGBROECK, New Testament Vo­ cabulary (BEThL 65), Leuven 1 984, 423-436.

1 47

altri sinottici è euthys/subito: 42 volte di cui 26 preceduto dal kai (Mt solo 7 volte e Le addirittura una sola volta) . Se ne serve per segnala­ re talora una svolta nel racconto ( 1 , 10. 12. 18.42; 2,8. 12, ecc . ) . An­ che palinldi nuovo è usato spesso (28 volte contro le 17 di Mt e le 3 di Le) come mezzo letterario per collegare i racconti isolati (cf. ad esempio 2,1 che richiama 1 ,21) . Anche archeinliniziare vi ricorre più spesso (27 volte) che non in Mt (13 volte), e sempre all'aoristo ; è un modo di iniziare un racconto. Lo stesso tratto popolare si nota nel­ l'uso di pollai (molti) . 45 La relativa povertà di vocabolario fa si che a volte sia difficile stabilire se un verbo ha un significato comune o particolare . Ad esempio periblepeinlguardare intorno può significare uno sguardo sia di benevolenza (Mc 3,34 ; 5 ,32; 10,23) che di collera (Mc 3,5 ; 1 1 , 1 1 ) ; lo decide il contesto . Lo stesso si dica di proskaleinlchiamare a sé, usato per Pilato che chiama il centurione (15 ,44) , ma anche per la chiamata dei discepoli alla missione (3 ,13; 6,7) , dove ha un signifi­ cato più specifico. Marco adopera parole popolari , che Matteo e Luca evitano , co­ me krabatonllettuccio (2 ,4.9. 1 1 . 12; 6,55) ,46 k6smopolis per polis/cit­ tà ( l ,38) nel senso di «borgate>> ed ekperiss6s/con grande insistenza (14,31 ) . Il suo vocabolario si fa ricco quando parla di realtà concrete . H . B . Swete ha contato dieci parole per indicare la casa e le sue par­ ti , dieci per i vestiti e nove per gli alimenti. 4' C.H. Turner ha messo in rilievo la varietà delle cifre precise, ben 36: 9 volte i «Dodici» , 10 «tre giorni» , dieci altri numeri ripetuti . 48 Da questo amore ai parti­ colari deriva la sua tendenza ai diminutivi (3 ,9; 5 ,4 . . . ) . Infine, due particolarità proprie del vocabolario marcano sono gli aramaismi e i latinismi . Dodici sono le parole aramaiche , che solo qualche volta l'evangelista traduce : Boanerges/figli del tuono (3 , 17) , Talitha koumlgiovinetta alzati (Mc 5 ,41), Korbiin/cosa consacrata (7 , 1 1 ) , Ephphathalapriti (7 ,34) , Bartimaios/figlio di Timeo (10,46) , H6sanna ( 1 1 ,9-10) , Abba/Padre (14,36) , Rabbi/Maestro (14,45) , Golgotha (15 ,22) , El6i El6i lema sabachthani!Dio mio Dio mio, per­ ché mi hai abbandonato ? (15 ,34) .

45

Cf . NEYRYNCK-SEGBROECK, New Testament Vocabulary, 433 . Fuori di Mc solo in At 5,5; 9,33 e Gv 5,9-10. 47 H . B . SWETE, The Gospel According to St. Mark , London 3 1927. 48 C. H. TuRNER, (9,41) . I discepoli, chiamati da Gesù alla sua sequela, diver­ ranno «pescatori di uomini» ( 1 , 17) . Gli stessi territori pagani , tocca­ ti da Gesù fuori della Galilea, possono essere paradigmatici per la futura missione . E tuttavia l'attività di Gesù e quella dei suoi disce­ poli è concentrata nella missione al popolo di Israele come centro in cui è reso presente il regno di Dio e cui verranno in pellegrinaggio le genti ( 1 1 , 17) . La missione alle genti è preannunciata per il futuro , ma non è iniziata né comandata come in Mt 28 ,18-20. E tuttavia «l'i­ nizio del Vangelo di Gesù Cristo (Figlio di Dio)» è solido fondamen­ to per la missione universale . Sono impliciti infatti gli elementi che­ rigmatici, cristologici , dottrinali (lo sforzo di togliere gli elementi che chiudevano il giudaismo in un ghetto) e istituzionali (autorità e missione di Gesù ai «Dodici») , che costituiscono la base e la motiva­ zione della missione universale . Gli etnico-cristiani potevano ben ri­ conoscere se stessi nella donna sirofenicia che esperimentò in Gesù il liberatore della figlia dal demonio (7 ,24-30) e nel centurione ro­ mano che confessò alla morte di Gesù : «Quest'uomo era veramente Figlio di Dio» (15 ,39) .

65

PoKORNY, 2017. Questa è la tesi di G . RAu, «Das Markusevangelium . Komposition und Inten­ tion», in ANRW II ,25 ,2, Berlin 1985 , 2036-2257 , un saggio lunghissimo , verboso , pie­ no di erudizione e di fantasia, ma criticamente fragile . 66

157

La creazione dei «Dodici» non significava solo la ricostituzione del «vero Israele» , 67 la «comunità della nuova era» , ma anche quel gruppo di persone, legate strettamente a Gesù e viventi insieme con lui , cui egli trasmise il suo potere salvifico per continuare la sua stes­ sa opera. L'autorità ai «Dodici>> è data già prima della morte e risur­ rezione di Gesù , e nell'incontro con lui risorto viene confermata (16,7) . Fra i «Dodici» emerge la figura di Pietro , ricordato ben 25 volte nel Vangelo dall'inizio (l , 16) alla fine (16,7) , quasi a formare una inclusione .68 Quando fu scritto il Vangelo , Pietro era probabil­ mente già morto martire , anche se nel Vangelo non vi è alcun cenno come in Gv 21 , 19. La sua massiccia presenza , oltre ad un ruolo di guida nella chiesa delle origini, confermato da altre fonti , può essere dovuta anche alla tradizione marcana che si rifaceva a lui. La comunità di Marco doveva avere delle strutture e dei capi , che nelle istruzioni alla comunità (Mc 8-10) vengono ammoniti ad esercitare la loro autorità con spirito di umile servizio sull'esempio di Gesù . La comunità di Marco poneva certamente al centro la persona di Gesù , fondamento della nuova famiglia di Dio (3 ,31-35), per la qua­ le aveva offerto se stesso in «redenzione» (10,45). La sua presenza salvifica era attualizzata dall'eucaristia, anticipazione della sua mor­ te salvifica e della comunione definitiva con lui nel regno futuro di Dio (14,22-25) . Oltre all'eucaristia vi si doveva praticare anche il battesimo , legato al rito del battesimo di Gesù , in cui egli aveva rice­ vuto lo Spirito Santo (1 , 10-1 1 ) . Lo Spirito è dono di Gesù. L'etica esistenziale e cristologica presente in Mc 8,26-10,52 è molto esigente ed è comunque totalmente fondata nella persona e nel modello offerto da Gesù stesso . Quest'etica del regno sul model­ lo di Cristo non è possibile senza l'aiuto di Dio (10 ,27) , senza uno stretto legame con Gesù ed uno sguardo vigile alla futura venuta del Figlio dell'uomo. Tale etica radicale va unita all'attenzione per i peccatori (2 ,13-17) e al perdono ( 1 1 ,25). Da quanto abbiamo detto risulta che ci si deve contentare di una configurazione diafana e incerta della comunità marcana, che dob­ biamo presupporre comunque sostanzialmente fedele a quel Vange67 G. SCHMAL, Die Zwolf im Markusevangelium. Eine redaktionsgeschichtliche Untersuchung (IThSt 30) , Trier 1974, 40. 68 Segnaliamo con P ed S dov'è chiamato «Pietro» e dove «Simone»: 1 , 16 (due volte S).29S.30S.36S; 3,16S + P (due volte) ; 5 ,37P; 8,29P.32P.33P; 9,2P.5P; 10,28P; 1 1 ,21P; 13,3P; 14,29P.33P.37P.54P.66P.67P.70P.72P ; 16,7P.

158

lo , che per essa fu scritto ; non certo per riservarlo a sé in una comu­ nità esoterica, ma per annunciarlo a tutte le genti (13, 10) , in tutto il mondo (14,9) .

3 .4. Le coordinate spazio-temporali Spenderemo poche parole su questo problema, che riprenderemo più avanti trattando dell'autore. A mio modesto parere ogni tentativo di portare da Roma in Siria o nella Sirofenicia il Vangelo di Marco è poco convincente. Nemme­ no l'ultimo tentativo , eruditissimo e documentato, di G. Theissen69 mi ha convinto. Gli argomenti che egli adduce possono essere utili per difendere l'autore del Vangelo dall'ignoranza della geografia pa­ lestinese , ma non per collocare il Vangelo nella Sirofenicia. L'argo­ mento principale pro o contro Roma è l'aggettivo «sirofenicia» con cui viene qualificata la donna che chiede a Gesù di guarire sua figlia , posseduta dal demonio (7 ,26) . Partendo da questo aggettivo , due sono gli argomenti in favore della tesi romana. Anzitutto Diodoro Siculo (Diod. 10,98,7 , cf. 20 ,55 ,4) distingue i sirofenici dai libofeni­ ci , e lo fa da un terzo posto lontano da ambedue , dall'Italia ; in se­ condo luogo , i testi con il termine «sirofenicio» provengono da auto­ ri latini del II sec. a.C. (Lucilio, Satire, 496s) e del I sec. d.C. (Gio­ venale, Satire 8,158-1 62 ; Plinio il V. , HistNat VII ,201). Ora il Theissen tenta di interpretare in altro modo questi dati in­ controvertibili . l) La parola «sirofenicia» è un termine latino, mutuato dal gre­ co , perché chi ne dà la possibilità è un autore greco , Diodoro Siculo ; però lo stesso Theissen confessa che la preistoria greca della parola non è documentata. 2) Le prime testimonianze latine di questa parola, di Lucilio e Giovenale , hanno un tono negativo nei confronti degli «orientali» , mentre d a Marco viene chiamata hellenis/greca e non «orientale>> . 3 ) U n papiro della prima metà del I I secolo , trovato i n Egitto , documenta «Fenicia siriaca» (P. Oxy/1380) ; perciò il termine non sa­ rebbe stato composto in occidente. 4) Solo dopo il 195 d.C. , quando Settimio Severo divise la Siria in due province : quella del nord col nome di «Celesiria» e quella del sud con quello di «Siria fenicia», l'aggettivo si diffuse . Ma deve aver 69

THEISSEN , LokaJko/orit,

256-259.

159

avuto una tradizione locale più antica, che Settimio Severo doveva conoscere, perché aveva sposato una siriana, Julia Domna di Emesa. Fin qui Theissen. Ora, a me sembra che i quattro argomenti por­ tati non rovescino la tesi precedente. Il primo è una deduzione non documentata; il secondo non regge proprio perché «sirofenicia)) po­ trebbe aver avuto un tono negativo, eliminato dal redazionale helle­ n is ; 70 il terzo è molto debole sia perché il papiro è del II secolo sia perché il nome composto è invertito in «Fenicia siriaca)); il quarto ar­ gomento infine è pure molto fragile, perché presuppone che il nome abbia avuto un'origine locale, non documentata. Rimane valida per­ ciò la tesi dell'ambientazione latino-occidentale dell'aggettivo «siro­ fenicia)) e perciò anche dell'argomentazione che il Vangelo sarebbe stato scritto in occidente. Ora, dato che la tradizione orienta a Ro­ ma, sembra che proprio qui Mc abbia avuto la luce. Per quanto concerne la datazione, non si ha un indizio storico si­ curo nel Vangelo, che presupponga la distruzione di Gerusalemme, come abbiamo visto in Mt. «L'abominio della desolazione)) (13,14), un tratto tipico dell'apocalittica (Dn 9,27) non necessariamente si ri­ ferisce alla distruzione di Gerusalemme del 70; potrebbe riferirsi an­ che al tentativo di Caligola di far erigere la propria statua nel tem­ pio, verso il 40. Se dal Vangelo ci volgiamo alla tradizione esterna, essa ci orienta a dopo la morte di Pietro, quindi dopo il 62 (Ireneo, Adv Haer 3,1 .1). Ed è ancora la data meno contestabile. A Roma sa­ rebbe stato scritto verso il 65-70, non dopo.

LA TEOLOGIA DI MC: VANGELO DELLE EPIFANIE SEGRETE71

4.

Se, com'è risultato dall'analisi strutturale, il Vangelo di Marco possiede una profonda unità teologica, quale ne è il centro? Le ri­ sposte sono diverse. Espongo le tre principali in ordine di tempo. La prima è quella da W. Wrede: 72 il segreto messianico sarebbe l'elemento unificante ancor prima della redazione, nella tradizione 70

NEJRINCK-SEGBROECK, New Testament Vocabulary, 427. J. ScHREIBER, Theologie des Vertrauens. Eine Redaktions -geschichtliche Unter­ suchung des Markusevangeliums, Hamburg 1967: T. SODJNG, Glaube bei Markus. G/aube an das Evangelium, Gebetsglaube und Wunderglaube im Kontext der mar­ kinischen Basileiatheologie und Christologie, Stuttgart 1985. 72 W. WREDE, Das Messiasgeheimnis in den Evangelien. Zugleich ein Beitrag zum Verstiindnis des Markus-Evangeliums, Gottingen 31963; 1 1 901 ): H. RAISANEN ( Das «Messiasgeheimnis» im Markus evangelium, Helsinki 1 976) fa il punto attuale su 71

1 60

che utilizzò l'evangelista. Gesù non si sarebbe rivelato «Messia>> nel­ la sua missione terrena; sarebbe stato riconosciuto tale solo dopo la sua morte-risurrezione . Per superare il carattere non messianico del­ la vita di Gesù , si «inventò>> il segreto messianico allo scopo di spie­ gare come mai Gesù, pur essendosi rivelato in opere e parole come Messia, non sia stato riconosciuto. Non lo fu appunto perché impose il segreto sulla sua messianicità. Oggi questa tesi è abbandonata per due motivi : anzitutto i testi selezionati dal Wrede non sono unitari ; in secondo luogo, da Mc 8,30 in poi , sembra siano i discepoli timorosi per la messianicità di Gesù e vogliano nasconderla per paura delle conseguenze (10,32) . Di questa teoria, come vedremo, va mantenuto il tema teologico marcano del «mistero>> intorno alla persona e al destino di Gesù . Altri sostengono che il centro della teologia di Mc sia l'apocalitti­ ca ossia la prossima parusia. Il Vangelo terminerebbe in maniera co­ si enigmatica perché Mc 16,7 orienterebbe ad una teologia del «Fi­ glio dell'uomo>> in Galilea. Il primo a proporre questa teoria fu E. Lohmeyer nel suo commento a Marco . 73 L'ha poi sviluppata e diffu­ sa W. Marxsen nel suo «Der Evangelist Markus» (pp . 54 e 74) . Egli sostiene che Mc 16,6-7 annuncia sia la risurrezione (egerthe) sia la prossima parusia (opsesthe) . Durante la guerra giudaica Marco avrebbe invitato i cristiani a fuggire in Galilea, dove avrebbero espe­ rimentato la parusia . La sua tesi è stata abbracciata da molti esegeti , di cui il più noto è N. Perrin , che qualifica il Vangelo di Marco come un «dramma apocalittico». 74 Il dramma apocalittico però non ebbe luogo, e Matteo l'avrebbe cambiato in un mito di fondazione , men­ tre l' «ultimo tempo» sarebbe divenuto per Marco un tempo sacro , con cui la chiesa rimane legata per sempre . 75 Giustamente anche questa teoria viene respinta per le seguenti ragioni, che prendo dal Pokorny: 76 l) secondo Mc 13 ,32 la parusia è sottratta a previsioni sicure ; 2) in Mc 13 , 10 Gesù preannuncia che prima della fine il vangelo dev'essere predicato a tutte le genti ;

questo problema; la recente traduzione inglese con una lunga introduzione ( The «Messianic Secret» in Mark, trad. di C. Tuckett, Edinburgh 1990) aggiorna ulterior­ mente sulle recenti soluzioni del segreto messianico, della teoria sulla finalità delle parabole e su altri temi. 73 E. LoHMEYER , Das Evangelium nach Markus (KEK 1,2) , Gtittingen 171967, 356. 74 N. PERRIN , The New Testament. An Introduction, New York 1 974 , 162. 75 PERRIN , Introduction, 191 . 76 PoKORNY, «Das Markusevangelium» .

161

3) è possibile pensare che Marco abbia composto un Vangelo nella situazione tesa di una prossima parusia? A che scopo? A che scopo l'invito alla sequela? . . . 4) Ma l'argomento decisivo è il fatto che in Mc 16,7 viene nomi­ nato esplicitamente Pietro , primo testimone della risurrezione (1Cor 15,5) , da cui trae la sua autorità; Mc 16,7 fa riferimento quin­ di alle affermazioni del Signore (Mc 14,28) , non alla parusia. Una terza teoria, quella di P. Pokorny,77 scorge il centro del Vangelo nell'analogia di Mc 15 ,25-16,7 con la formula di fede pre­ paolina (1Cor 15,3b-5) che confessa la morte , sepoltura e risurrezio­ ne di Gesù in chiave salvifica. La formula di fede viene qualificata infatti da Paolo come «vangelo» (1Cor 1 5 , 1 ) , la stessa formula con cui inizia il Vangelo di Marco: «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo». L'arco unitario , attraversando tutto il Vangelo, va a finire nella con­ clusione , cui farebbe riferimento già Mc 1 , 1 . Il Vangelo di Marco sa­ rebbe quindi il kerygma narrato e promulgato fin dagli inizi del mi­ nistero di Gesù , addirittura nella predicazione dello stesso Battista. Pokorny fa notare infatti che «è keryssein (Mc 1 , 14 ; 1 3 , 10; 14,9) il verbo che ha per oggetto euaggelion» . Possiamo accettare questa tesi nel senso che il Vangelo ha carat­ tere di «annuncio» , e l'annuncio fondamentale è quello della morte e risurrezione di Gesù come fatto salvifico. Ma quella di Marco non è certo una teologia derivata da Paolo. Il centro della teologia mar­ cana non è l'escatologia soteriologica , ma la cristologia che è il fon­ damento della stessa escatologia salvifica . Il vangelo è Gesù stesso : la sua persona, la sua vita, morte e risurrezione . Affine a questa tesi kerygmatica di Pokorny è quella del paolini­ smo dottrinale di Marco , a partire già da A. Loisy. 78 Il contatto con qualche espressione paolina e in particolare col termine «evangelo» può essere spiegato per la dipendenza da una stessa cristologia pri­ mitiva, e in ogni caso il kerygma teologico prepaolino non esprime l'unità teologica del Vangelo.

n POKORNY, «Das Markusevangelium» ; Io. , «"Anfang des Evangeliums" . Zum Problem des Anfangs und des Schlusses des Markusevangeliums», in R. ScHNAC­ KENBURG, a cura, Die Kirche des Anfangs (Fs. H. Schiirmann) , Freiburg-Basel-Wien 1978, 1 15-132. 78 A. Lo!SY, Les Evangile Synoptiques, Ceffonds 1907, l, 1 1 6; M. WERNER, Der Einfluss paulinischer Theologie im Markusevangelium , Giessen 1923 ; K. RoMANIUK, «Le problème des Paulinismes dans l'Evangile de Mare», in NTS 23( 1977) , 266-274; LroN-DUFOUR, L'annuncio, 48-49.

162

Il centro teologico unitario di Mc è il mistero di Gesù e la sua via ; è questa la conclusione cui siamo pervenuti nel nostro precedente studio strutturale . Presentiamo perciò la teologia di Mc iniziando da questo tema centrale per sviluppare poi l'escatologia del Figlio del­ l'uomo e infine l'ecclesiologia.

4. 1 . Il mistero di Gesù e la sua via : la cristologia soteriologica All'inizio ( 1 ,9) e alla fine (16,6) del suo Vangelo , Marco parla di «Gesù di Nazaret» . È il nome che ripete più spesso (80 volte) . È vis­ suto ed ha operato in Palestina , è morto sulla croce a Gerusalemme e ha promesso ai suoi discepoli di rivederli e incontrarli , dopo la sua morte , in Galilea. Ebbene , questa persona storica dall'inizio ( 1 , 1 ) alla fine (16,1-8) è circondata di mistero. I l titolo del libro «Inizio (origine) del Vangelo di Gesù Cristo (Figlio di Dio)» dice già subito i titoli principali che qualificano Gesù come «mistero»: Cristo (dive­ nuto già nome nell'espressione usuale «Gesù Cristo») e Figlio di Dio (ben attestato , anche se messo in discussione dalla critica testuale) . M a ancor più misteriosa dei titoli è l a sua vicenda terrena , i l cui epi­ logo (16,1-8) parla di lui, crocifisso e tuttavia non più presente nella tomba il terzo giorno dopo la sua morte e sepoltura ; un messo cele­ ste lo dice «risorto» e pronto a rivedere i suoi discepoli in Galilea (16,6-7) . Un'ultima stranezza della sua vicenda personale è che vie­ ne proclamato dal centurione «Figlio di Dio» proprio quando egli muore sulla croce dopo un'atroce agonia (15 ,39; cf. peraltro Gv 20,28) . Il «segreto messianico>) , di cui per primo parlò il Wrede come di chiave per capire il secondo Vangelo, anche se è una teoria non più sostenibile , orienta però verso la direzione giusta: il mistero di Gesù è la chiave ermeneutica di Mc. Ma in cosa consiste il mistero di Ge­ sù? Non tanto nel fatto che egli nasconde la sua dignità messianica (Wrede) , quanto piuttosto nella natura stessa della sua messianicità. La sua dignità di Messia-Figlio di Dio è infatti strettamente legata al modo in cui egli compie , obbediente sino alla morte, la volontà del Padre , la missione che gli ha affidato . La via della croce , il suo «ser­ vire e dare la sua vita in redenzione per molti» e la sequela dei disce­ poli su questa via, è questo genere di messianismo , paradossale e tragico , che costituisce il vero mistero di Gesù e della sua via. È nel cuore del Vangelo che viene svelato questo mistero ai «Dodici» (8,27-10,52) e da qui in poi (9, 13) non vi è più alcun segreto da man163

tenere. È nella prima parte del Vangelo (1 , 14-8,21) infatti che ricor­ re l'imposizione del silenzio con significato diverso secondo le perso­ ne cui viene ingiunto . Dai demoni Gesù viene riconosciuto , con terrore , che è «il Santo di Dio» (1 ,24) , «il Figlio di Dio» (3 , 1 1-12) , «Figlio dell'Altissimo» (5 ,7) ; riconoscono in lui «il più forte» , venuto a sconfiggerli . Gesù impone loro il silenzio (1 ,24-25 .34 ; 3 , 1 1-12; 5 ,7) , perché come av­ versari non possono essere «testimoni» del Figlio di Dio . Solo dal Padre viene legittimamente e autenticamente testimoniata la sua di­ gnità di Figlio di Dio (1 , 1 1 ; 9,7) e paradossalmente dal centurione alla sua morte (15 ,39) . Nella prima parte del Vangelo viene così evi­ denziato il contrasto tra la folla e i discepoli che non riconoscono Gesù , mentre il mondo invisibile degli spiriti lo riconosce come «il più forte». Il confronto fra Gesù e i demoni va letto in chiave apoca­ littica , nel senso che egli si considera il rappresentante escatologico di Dio , venuto a portare il suo regno e a dissolvere quello di satana. Il silenzio ingiunto ai malati guariti (1 ,44: il comando non è asso­ luto ; 5 ,43 ; 7 ,36: il silenzio non viene mantenuto ; 8,26) ha un signifi­ cato diverso. Gesù vuoi evitare che la gente lo ritenga un taumatur­ go o un mago , personaggi che pullulavano nel mondo greco-roma­ no ; gli stessi «Atti degli apostoli» riportano la vicenda di Simon Ma­ go (8,9-10) . Gesù si comporta all'opposto dei maghi ciarlatani (goe­ tes) e dei cosiddetti «uomini divini» del suo tempo , che cercavano di farsi propaganda. Per evitare ogni fraintendimento egli cerca invece di tenersi lontano dalla folla e ancor più dalle sue aspettative ; è per questo che si tiene alla larga dalle città. Infine il silenzio imposto ai «Dodici» (8,30) e ai tre testimoni pri­ vilegiati della trasfigurazione (9 ,9) ha pure un altro significato e un fine diverso : evitare un'interpretazione trionfalistica del suo messia­ nismo. Che tale interpretazione fosse quella intesa dai «Dodici» ap­ pare chiaro nel prosieguo del racconto , dopo la seconda e terza pre­ dizione della passione: la questione del primo posto fra i «Dodici» (9 ,34) e quella dei posti di onore e di comando a destra e a sinistra di Gesù «nella (sua) gloria>> (10,37) . In conclusione il segreto imposto da Gesù ne rivela l'intenzione che non venga fraintesa la sua persona (cf. 6,14-15; 8,28) e la sua via; la sua missione salvifica si esprime infatti nella «teologia della croce» . I l segreto imposto da Gesù sulla sua persona è diverso dal «mi­ stero del regno», offerto ai discepoli , ma rivelato alla «gente di fuo­ ri» solo «in parabole» (4, 1 1-12) . È un tentativo di spiegare il rifiuto 164

della fede in Gesù , nonostante il suo alto insegnamento e i suoi mi­ racoli. 79 L'indurimento di Israele , di cui parla Is 6,9-10, è del resto una teoria molto diffusa nel cristianesimo primitivo (Gv 12,40; At 28 ,26ss ; Rm 1 1 ,8 ; 2Cor 3 , 14) . L'indurimento e l'incomprensione dei discepoli, dapprima del mistero di Gesù (fino a Mc 8,21) e poi della via della croce (Mc 8,30ss) , riguardano non il segreto messianico , ma il mistero della sua persona e della misteriosa via per compiere la sua missione salvifica. La dignità messianica di Gesù non viene rive­ lata solo dalla risurrezione, ma anche dalla sua attività taumaturgi­ ca, esorcistica e dottrinale e perfino dalla sua morte dietro l'accusa di essere «il re dei giudei», cioè il Messia. La radice ultima del miste­ ro di Gesù è la sua straordinaria autoritàlexousia, che stupisce le fol­ le (1 ,27; 2, 10) e perfino i capi ( 1 1 ,28) e viene comunicata ai «Dodi­ ci» (3 , 1 5 ; 6,7) , perché possano continuare a portare nel mondo il re­ gno di Dio, da lui iniziato . Il mistero del regno e quello dell'autorità di Gesù sono strettamente legati fra loro . La croce e la risurrezione illuminano infine anche il suo precedente misterioso itinerario . I dati che ci fornisce il Vangelo di Marco sono così diversi e «mi­ steriosi» da offrire la base per le teorie più disparate : da quella del segreto messianico del Wrede a quella più recente di un evangelista che polemizza contro una cristologia trionfalistica del miracolo me­ diante una teologia della croce , che tace perfino la risurrezione. Ma nessuna teoria riesce a spiegare il mistero del Messia, Figlio di Dio , servo obbediente al Padre fino alla morte di croce . Solo la fede nella rivelazione di Gesù ci dischiude il suo mistero e solo chi lo segue rie­ sce ad accettarlo e comprenderlo. Gesù fin dall'inizio predica il van­ gelo del regno e chiede di «convertirsi e credere al vangelo del re­ gno» . Ma cos'è questo regno e che rapporto ha il mistero del regno col mistero di Gesù?

4.2. L'inizio del Vangelo e del regno : escatologia e Figlio dell'uomo80 È vero che in Mc aleggia uno sfondo apocalittico giudaico ; ma si esagera quando si vuoi fare di Marco il proclamatore della prossima parusia (Lohmeyer e Marxsen) . La chiave ermeneutica della escato-

79 H. IUJSANEN , Parabe/theorie im Markusevangelium , Helsinki 1973 . 80 A.M. AMBROZJC, The Hidden Kingdom. A Redaction-Critica/ Study of the Re­ ferences to the Kingdom of God in Mark's Gospel (CBQ MS 2) , Washington 1972.

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logia futura marcana è 13, 10.32; il tempo della fine rimane un miste­ ro nascosto in Dio , un tempo che comunque non verrà prima che il vangelo sia diffuso fra tutte le genti (13,10) . L'escatologia di Mc è quindi in tensione fra presente e futuro , un futuro che determina il presente come proiettato nell'aldilà. Gesù infatti dopo il battesimo e la proclamazione del Padre ( 1 , 1 1 ) , inizia la sua attività pubblica con una lotta contro satana nel deserto ( 1 , 12-13) . Tale confronto conti­ nua con gli esorcismi, raccontati talora come un vero e proprio com­ battimento (5 ,1-20) . Il nome di Gesù è talmente potente contro le forze del male che caccia i demoni anche quando viene usato da chi non appartiene al suo gruppo (9,38) . Trasmette anche ai suoi disce­ poli il potere di cacciare i demoni (3 , 1 5 ; 6,7. 13) . Con lui è entrato nel mondo il regno di Dio e in lui è presente uno più forte del demo­ nio (3,22-28) . Oltre che nella vittoria sui demoni , la presenza salvifica di Dio in Gesù si rivela anche nelle guarigioni, nel perdono dei peccati , e vie­ ne illustrata nelle parabole della crescita misteriosa (4,26-32). Con lui inizia dunque una nuova era , piena di speranza e di rosee aspetta­ tive per l'uomo peccatore , sottoposto alle forze del male , ma anche foriera di lotta escatologica contro il parossismo del male , che au­ menterà sino alla parusia. Nel discorso escatologico le forze del male vengono identificate con i seduttori (13 ,6) , con i «falsi cristi» e i «falsi profeti», che opera­ no prodigi ingannando , se possibile , anche gli eletti (13 ,21-22) , e con le persecuzioni dall'esterno ( 1 3 ,9) . Però la vittoria e il trionfo fi­ nale di Dio sono certi e vengono descritti con i colori dell'apocalitti­ ca: oscuramento del sole e della luna , caduta degli astri , venuta del Figlio dell'uomo sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria , ra­ duno degli eletti dai quattro venti , dalle estremità della terra fino al­ le estremità dei cieli (13 ,24-27) . Il breve quadro apocalittico rivela più la sicurezza della vittoria che non la sua prossimità . La lotta di Gesù con le forze del male raggiunge il suo culmine nella passione : « È venuta l'ora: ecco il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle ma­ ni dei peccatori» (14,41) . La vittoria finale con la risurrezione e la parusia è preceduta dalla tragica sconfitta della croce . L'escatologia di Mc è perciò essenzialmente cristologica nel sen­ so che è Gesù stesso colui che porta il tempo del compimento e della vittoria del regno di Dio sulle potenze del male , una vittoria che pas­ sa peraltro necessariamente per la via della croce. Gesù , Figlio del­ l'uomo, sarà comunque il giudice futuro . Perciò chi lo rifiuta, chi non ha il coraggio di confessarlo in un mondo che rimane ostile, lo 166

avrà nel futuro regno di Dio come giudice (8,38; 14,62) . La misterio­ sità e la singolarità dell'escatologia cristologica sta proprio nel fatto che il Figlio dell'uomo , che verrà glorioso sulle nubi del cielo , è su questa terra colui che è venuto per servire e dare la sua vita «in re­ denzione per molti» (10,45) . La sua missione in questo mondo è solo missione di salvezza. Solo per chi lo rifiuta diverrà motivo di con­ danna eterna (3,29 ; 8,38) . Come si qualifica allora il tempo presente , nel quale è entrato con lui il regno di Dio? È un tempo di attesa vigile ed operosa (12,112) , ma anche dolorosa , perché al discepolo viene chiesto di seguirlo sulla sua stessa misteriosa via , la via della croce e della risurrezione , in cui Gesù lo «precede» (16,7) .

4 . 3 . La nuova famiglia di Dio : i «Dodici» e i discepoli81 Come si configura nella storia attuale il regno escatologico di Dio portato da Gesù? È già prefigurato nella sua vita. La sua pre­ senza calamita intorno a sé un gruppo di discepoli . La parola «disce­ polo» (mathetes) è caratteristica di Mc (46 volte contro le 37 di Le) . I discepoli creano con lui una comunità ; solo dall'epilogo del Vangelo (15 ,40-16,8) veniamo a sapere che vi facevano parte anche delle donne. Il tema della comunità è centrale nella sezione di Mc 8,2710,52, che si può leggere anche in chiave liturgico-battesimale , in quanto vi sono raggruppati gli insegnamenti per il discepolo e la co­ munità. Il discepolo si distingue per la sua fede in Dio , la fiducia in Gesù , che si configura come appartenenza: «aepartenere a lub> e «credere in lui» sono infatti paralleli (9 ,41-42) . E proprio mediante la fede che ai discepoli è offerto in dono il mistero del regno (4, 1 1 ) ; e come tale non può che essere accolto nella fede . Nella fede pervengono a conoscere il mistero di Gesù, a leggere la sua stessa dignità di «Figlio di Dio» alla luce della croce-risurrezione . Essi , infine , seguono Ge­ sù , rinunciando a se stessi, prendendo la croce della sua umiliazione , del suo insuccesso e della sua morte . Il detto che fa seguito alla pri­ ma predizione della passione costituisce lo statuto fondamentale della sequela , è infatti rivolto alla «folla dei discepoli» che egli chia­ ma a sé: «Se qualcuno vuoi venire dietro di me , rinneghi se stesso ,

81 K. STOCK, Boten aus dem Mit-Ihm-Sein (AnB 70) , Roma 1975 con bibliogra­ fia; e inoltre la monografia di MATEOS , Los «Doce» .

167

prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita la perderà; ma chi la perderà per causa mia e del vangelo la salverà» (8,34-35). Tutti sono invitati da Gesù alla sua sequela, al suo modo di vivere la dedizione alla volontà del Padre, alla sua via. La comunità escatologica dei discepoli forma la nuova famiglia di Dio: «coloro che fanno la sua volontà, rivelata nella persona di Gesù». La comunità di Gesù, caratterizzata dall'annuncio del vange­ lo del regno e dalla pratica della sequela, viene richiamata fortemen­ te alla vigilanza contro il demonio, gli errori dottrinali, le persecuzio­ ni per aver la forza di perseverare sulla via della croce nell'attesa del Figlio dell'uomo. I discepoli sono coloro che seguono Gesù, professando con co­ raggio la fede in lui, con la certezza della vittoria nel cuore, perché egli è risorto e li precede. Tra i discepoli che formano la nuova «famiglia di Dio» si distin­ gue il gruppo dei «Dodici» (tipico di Mc che lo usa 1 1 volte). 82 La chiamata dei primi quattro discepoli (1,1 6-20), l'istituzione dei «Do­ dici» (3,13-19), il loro invio in missione con il potere salvifico di Ge­ sù (6,6b-13.30) attestano il loro ruolo particolare nella chiesa primi­ tiva come mediatori fra Gesù e il popolo. I «Dodici» formano una specie di «collegio apostolico»; sono associati a Gesù, vivono «con lui» e continuano nel mondo la sua missione, predicando e portando il regno di Dio, iniziato da lui. Non vanno quindi considerati sempli­ cemente come dei «testimoni privilegiati dell'evento di Cristo» né solo come «comunità modello»; ricevono infatti da Gesù la sua stes­ sa autorità (3,15; 6,7). Sembrano fungere da mediatori di Gesù già nelle due moltiplicazioni dei pani. La comunità che gravita intorno a Gesù è già in nuce il modello di quella in cui vive l'evangelista. Nella comunità cristiana post­ pasquale, così costituita, rimane la tensione escatologico-cristologica fra passato presente e futuro. Ricorda Gesù, Messia e Figlio di Dio, la sua missione, la sua morte di croce e la sua risurrezione; vive nel­ l'attesa del Figlio dell'uomo ed esperimenta presente la sua autorità salvifica in quella dei «Dodici» e di coloro cui loro la trasmettono. Essenziale è comunque in questa comunità la tensione esistenziale verso Gesù crocifisso e risorto nell'attesa del Figlio dell'uomo, che porterà sulla terra il definitivo regno di Dio. La tensione etica di

Le

82 Anche il «Dodici>> è tipico di Mc: 15 volte vi ricorre contro le 13 di Mt, le 12 di e le 6 di Gv.

1 68

Mt viene espressa in Mc nei termini di una partecipazione esistenzia­ le-escatologica alla persona di Gesù di Nazaret, Messia, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo . Il mistero di Gesù , della sua persona e della sua vicenda terrena, illumina anche il mistero della storia che continua con i suoi travagli , perché le forze del male sono sconfitte definitivamente solo in lui morto e risorto . Però chi lo segue con fede in lui e lo segue sulla via da lui tracciata, partecipa della sua esistenza salvata. Gesù è l'incarnazione del regno di Dio sulla terra, anche se in modo paradossale per l'uomo , perché la sua autorità non è di poten­ za mondana , ma di servizio totale e la sua vittoria sul male passa at­ traverso la croce . Occorrerebbe forse andare ancora più a fondo ed arrivare alla teo-logia di Mc , alla sua concezione di Dio, che si rivela nella perso­ na e nella via di Gesù . Il Dio di Gesù è un Dio , se si può dire così , ancor più misterioso dello stesso mistero di Gesù . Non si capisce ad esempio come egli sia misericordioso con i peccatori e dispieghi la sua potenza salvifica in favore dei poveri , malati, piccoli e poi ab­ bandoni Gesù «nelle mani dei peccatori» senza difesa , tradito perfi­ no da «uno dei Dodici» . E tuttavia, dopo una morte tragica e igno­ miniosa, lo risuscita , donandogli una nuova esistenza e una nuova presenza presso i suoi discepoli. Il Dio che Gesù rivela è un Dio po­ tente per salvare , ma non per distruggere , neppure i suoi nemici. Ciò apparirà in modo ancor più chiaro nella teologia di Luca e di Giovanni.

Conclusione La teologia di Mc non è dunque apocalittica , non è neppure che­ rigmatica nel senso paolina (che tutto fonda sulla morte-risurrezione di Gesù ) , non è neppure messianica nel senso del messianismo giu­ daico ; I'AT prepara la venuta del Messia, ma in modo enigmatico , interpretato da Gesù e dalla sua tragica vicenda. La teologia di Mc si potrebbe forse definire una cristologia soteriologica , rivelazione di un mistero di salvezza. Parla dell'inizio di una nuova èra , il regno di Dio , realizzata da Gesù , Figlio di Dio e Figlio dell'uomo , che deve continuare nella sua comunità, dove è presente con la memoria della sua vita , morte e risurrezione , con la sua autorità trasmessa ai «Do­ dici», con la sua via che diviene la via dei discepoli , nutriti lungo questa via dal pane eucaristico, pregustazione del regno futuro {14,22-25). Gesù ha percorso la sua via fino in fondo ; il compimento 1 69

è venuto con la sua risurrezione. Così è anche per la famiglia di Ge­ sù , la sua comunità. Deve percorrere la via aperta da lui, aperta al futuro suo avvento come Figlio dell'uomo.

5.

L'AUTORE «MARC0»83

Per stabilire l'identità dell'autore del secondo Vangelo partiamo dall'«autore implicito» nel Vangelo stesso per passare poi alla testi­ monianza di Papia e infine verificare la tradizione petrina.

5 . 1 . L'autore implicito Diversi esegeti , anche nelle classiche introduzioni al NT (Kiim­ mel , Vielhauer, Schenke-Fischer . . . ) , sostengono che l'autore di Mc non può essere stato un giudeo-palestinese , perché dimostra di igno­ rare la geografia della Palestina, 84 il computo del tempo giudaico85 ed è inesatto circa i costumi giudaici . 86 Sarebbe quindi un etnico­ cristiano ellenista. Ma questa tesi , secondo M. Hengel, denota scar­ sa e acritica conoscenza storica . In realtà l'autore implicito non può essere che un giudeo-cristiano, che parla greco e comprende bene l'aramaico. Lo dimostrano le 12 parole aramaiche che riporta con esattezza e che spesso traduce (cf. sopra) . Va notato inoltre che la maggior parte di queste parole non vengono riportate da Mt e Le . Probabilmente proveniva da Gerusalemme , perché mentre conosce bene la città santa , non conosce altrettanto bene la geografia della Galilea. Senza una carta geografica era d'altronde difficile essere preciso per uno che abitava lontano dal luogo descritto . È interessante l'analogia che G. Theissen87 stabilisce su questo punto fra Plinio il Vecchio e Mc 7,31 . La successione dei luoghi è la 83 Si vedano gli articoli e la monografia di M. Hengel citati alle note l e 56. Qui teniamo presente soprattutto l'articolo «Probleme», riprodotto anche nella traduzio­ ne i �lese Studies in the Gospel of Mark, 31-58. K. NIEDERWIMMER, «Johannes Markus und die Frage nach dem Verfasser des zweiten Evangeliums», in ZNW 58( 1967) , 172- 188 (si veda l'aspra critica di HENGEL, «Probleme» , 243 , nota 50) . 85 S. ScnuLZ , Die Stunde der Botschaft, Hamburg 1967, 127-287 e 1 39: pensa che l'evangelista si sia sbagliato nell'indicazione temporale di Mc 14,12; va notato però che Marco utilizza già un calendario cristiano (cf. A. STROBEL, Ursprung und Ge­ schichte des frahchristlichen Osterkalenders (TU 121 ] , Tiibingen 1977 , 49 : vede in Mc 14,10 «Un colorito dell'uso cristiano») . 86 NIEDERWIMMER, «Johannes MarkUS», 185 (cf. la critica di HENGEL , «ProbJe­ me» , 244 , nota 52) . 87 THEISSEN , Lokalkolorit, 255-256.

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stessa; va ricordato che Plinio sembra sia stato in Palestina . Ecco il parallelo: NatHist V, l 7. 77 Tiro Sarepta Si done Libano Antilibano Decapoli Tetrarchie Palestina.

Mc 7,31 Tiro

Sidone Decapoli Mare di Galilea

Scagionato dall'ignoranza della geografia, la stessa cosa va detta per la conoscenza dei costumi giudaici in Mc 7 ,3-4, con cui l'evange­ lista polemizza e perciò esagera. 88 Del resto per la precisione geo­ grafica e storica Marco regge il confronto con lo storico Giuseppe Flavio e con Luca. Sempre secondo M . Hengel i critici sono troppo esigenti con Marco , perché lo valutano secondo i criteri di oggi e non secondo quelli del suo tempo . 89 Sembra perciò di poter dire che dal Vangelo emerge la figura di un autore implicito giudeo-cristiano di probabile origine gerosolimitana, che conosceva abbastanza bene il greco e comprendeva l'aramaico . Non quindi un etnico-cristiano, come spesso è affermato con sicurezza anche negli studi recenti. 90

5 .2. La testimonianza di Papia91 Di fondamentale importanza per la sua antichità è la testimo­ nianza di Papia , datata fra il 120 e il 130 d.C. , al tempo dell'impera­ tore Adriano , e riportata da Eusebio nella sua «Historia Ecclesiasti­ ca» : «Era proprio quello che il presbitero era solito dire : - Marco , che era stato interprete (hermeneutes) di Pietro, scrisse con accura­ tezza, ma non in ordine (ou mentoi taxei) quanto ricordava delle co­ se dette o compiute dal Signore. Egli infatti non aveva ascoltato né

88

HENGEL, «Probleme» , 244, nota 52. 89 HENGEL, «Probleme» , 244. 90 Cf. lo stesso POKORNY, «Das Markusevangelium», 2020. 91 J. KORZINGER, Papias von Hierapolis und die Evangelien ments (Eichstlitter Materialien 4) , Eichstatt 1983 .

des

Neuen Testa­

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seguito il Signore , ma più tardi , come ho detto , ascoltò e seguì Pie­ tro . Questi dava le sue istruzioni secondo le necessità (degli uditori) e non come una sintesi ordinata (syntaxin) delle parole (del Signo­ re), cosicché Marco non ha commesso alcun errore a metterne per iscritto alcune (enia) come se le ricordava (apemnémoneusen) . Non ebbe infatti che una preoccupazione : non omettere nulla di ciò che aveva udito e in esse non falsare nulla» (H .E. 111 .39 , 1 5 : trad. mia, condotta sul testo originale) . Valutiamo l'importanza della testimonianza, prima sotto il profi­ lo dei tradenti e poi sotto quello dei contenuti . Il tradente è Papia , vescovo di Gerapoli . Nella sua opera del 120-130 egli si rifà al presbitero (Giovanni) dell'Asia Minore , vissu­ to una generazione precedente verso il 90-120 ; è quindi una notizia non molto lontana nel tempo dalla composizione del Vangelo verso il 70. Non la si può squalificare col dire che ha carattere apologetico , perché egli vorrebbe attribuire il Vangelo a un apostolo ; tanto meno si può dimostrare che dipenda da 1Pt 5 , 1 3 . 92 Dal punto di vista lette­ rario , a parte il nome Markos, non vi è nulla in comune tra 1Pt 5 , 13 e la notizia di Papia; se ne dipendeva , ci si sarebbe aspettati che avesse aggiunto a «Marco» almeno «caro a Pietro come un figlio» (cf. 1Pt 5 , 13) . E viceversa non c'è nulla in 1Pt 5,13 che parli della funzione che aveva Marco nei riguardi di Pietro. È perciò un pregiu­ dizio gratuito asserire che la notizia è un'invenzione di Papia, sugge­ rita da 1Pt 5 , 13 . 93 Le due tradizioni di Marco , discepolo di Pietro , sono perciò parallele . Quanto al contenuto , di solito tutto il brano viene considerato come tradizione del «presbitero» , riportata da Papia; ma potrebbe darsi che del presbitero sia solo la prima proposizione, e il seguito con i due gar sia di Papia. Più importante è la discussione che riguar­ da l'interpretazione di alcune espressioni della «notizia» . Ne pren­ diamo in considerazione quattro . Anzitutto il presbitero dice che Marco divenne «hermeneutés» (interprete) di Pietro. Cosa vuol dire? Papia commenta che Marco seguì Pietro e memorizzò le sue istruzioni . In questo caso l'interpre­ tazione più ovvia di hermeneutés sembra sia quella di «portavoce»

92 Lo ripete senza provarlo lo stesso PoKORNY («Das Markusevangelium» , 2020) , rimandando in nota a U.J. KoRTNER, , in ZNW 71( 1980) , 160-173. 93 Anche Kortner su questo punto è prudente («Markus als Mitarbeiter» , 161 e 172) .

172

(cf. 1Cor 14 ,28) , in quanto Pietro non padroneggiava bene il greco come appare dal fatto che la sua lettera è scritta da Silvano (1Pt 5, 12) . 94 In secondo luogo , secondo il presbitero, Marco «non scrisse con ordine» . Papia però scagiona Marco, facendo ricadere il difetto sullo stesso Pietro , sua fonte , che parlava secondo le necessità degli udito­ ri, e non seguendo un ordine sistematico (syntaxis) nell'esporre i detti del Signore . Di solito gli autori pensano95 che Papia contrap­ ponga implicitamente l'ordine di Mt con l'apparente disordine di Mc, specie nel riportare i discorsi del Signore , che interessano Pa­ pia. M. Hengel giustamente lo contesta osservando che nella notizia su Matteo P apia non parla di ordine ; semmai di varie traduzioni in greco (Eusebio , H. E. III ,39 , 16) . A che ordine pensavano dunque il presbitero e/o Papia? Sempre secondo Hengel l'ordine sarebbe quello cronologico, in quanto Papia preferirebbe quello del quarto Vangelo , che egli conosceva; 96 ma la sua dimostrazione è piuttosto laboriosa e poco convincente. È probabile invece che l'ordine si rife­ risse sia alle parole che alle azioni del Signore , di cui il presbitero parla all'inizio , e quindi all'ordine sia tematico che cronologico . In terzo luogo va notato nella notizia l'accento posto sulla me­ moria: «scrisse . . . quanto ricordava» (il presbitero) ; e Papia com­ menta: «Marco perciò non commise alcun errore nel mettere per iscritto le cose come se le ricordò» . Giustino parla delle apomnemo­ neumata ton apostol6n, che si leggevano nelle assemblee liturgiche ; tra di esse vi era certo anche il Vangelo di Marco , che Giustino co­ nosce (Dia/ 103 ,8) . Si tratta delle «Memorie» degli apostoli e dei lo­ ro successori (Dia/ 103,8) come Marco. Un'ultima nota riguarda «Marco» , nome di un personaggio se­ condario nella chiesa primitiva. Se fosse stato inventato , si sarebbe potuto scegliere un personaggio più in vista, ad esempio Barnaba. In conclusione , la notizia dev'essere storica, anche se espressa in modo convenzionale : «non omise nulla di quanto aveva udito e non disse nulla di falso». Se ciò viene preso rigorosamente alla lettera, sareb­ be in contraddizione con quanto ha detto poco prima : «mise per iscritto alcune (cose) come se le ricordò» . Pertanto la notizia del pre­ sbitero (90-120 d.C.) e di Papia (120-130 d.C.) non è frutto di un'in-

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96

P. GXcHTER, «Die Dolmetscher der Apostel>>, in ZKT 28( 1936) , 161 - 1 87 . Cf. a d esempio KoRTNER, «Markus als Mitarbeiten> , 173. HENGEL, «Probleme>>, 247-250.

173

venzione in funzione apologetica (di cui fra l'altro non c'era bisogno nel 120-130) né è tratta da 1Pt 5 , 13 . È una notizia che ha valore sto­ rico e si fonda sul «ricordo» marcano della predicazione di Pietro . Siamo cosi giunti al rapporto di Marco con Pietro.

5.3.

Marco e Pietro

Papia non dice quando Marco scrisse : se mentre Pietro era anco­ ra in vita o dopo la sua morte , come sembra suggerire implicitamen­ te la frase «quanto si ricordava» e «come si ricordò» . Concentra la sua attenzione solo sul fatto del rapporto del Vangelo di Marco con la predicazione, non sistematica , di Pietro. A questo punto ci chiediamo: è plausibile il rapporto di Marco con Pietro ed è arguibile dal secondo Vangelo? Che Pietro avesse bi­ sogno di un interprete o portavoce per la sua poca dimestichezza col greco è sicuro. Che possa essere stato Giovanni Marco , nella cui ca­ sa Pietro trovò rifugio dopo la prodigiosa liberazione dal carcere (At 12, 12ss) , può essere plausibile . Giovanni Marco accompagnò Bar­ naba e Paolo ad Antiochia (At 12,25) e poi li seguì nel primo viaggio missionario (13,5). Marco poco dopo però li abbandonò (13, 13) e questo fu il motivo (non certo l'unico) per cui Barnaba non accom­ pagnò Paolo nel suo secondo viaggio e se ne andò a Cipro con suo cugino (At 15 ,37-39) . Non c'è nessuna valida ragione per pensare che il «Marco» di cui parla Paolo nelle sue lettere non sia la stessa persona; lavora insieme con lui per il regno di Dio e lo consola (Col 4,10; Fm 24 ; 2Tm 4 , 1 1 ) . 97 In 1Pt 5 , 13 Pietro ne parla come di «figlio mio>> , che insieme con lui saluta i destinatari della lettera . Marco quindi sarebbe stato dapprima in contatto personale con Pietro, poi con Paolo ed infine di nuovo ancora con Pietro. Queste notizie che riguardano Marco hanno una loro interna coerenza . Niente impedisce che Marco a Roma avesse contatto con ambedue i grandi apostoli, che vi morirono martiri . Essendo Marco «cittadino>> di Gerusalemme , a differenza di Pietro, provinciale , e appartenendo egli a una famiglia ricca , poteva ben aver imparato il greco in modo più corretto che non Pietro . Dal Vangelo poi si può arguire il suo contatto personale con Pie­ tro . Abbiamo già rilevato sopra, parlando dell'ambiente comunita-

97 Prescindiamo dal problema dell'autenticità di Col e 2Tm, perché si tratta co­ munque sempre di «tradizione paolina».

174

rio di Marco, che Mc è il Vangelo che nomina relativamente di più «Simon Pietro»: 25 volte . Alcuni di questi testi sono significativi , co­ me Mc 1 ,36 dove il gruppo apostolico viene caratterizzato con l'e­ spressione singolare : «Simone e quelli con lui» . Pietro è il primo a seguire Gesù e l'ultimo ad abbandonarlo . Solo lui alla fine viene chiamato per nome fra i «Dodici» come destinatario dell'incontro col Signore risorto (Mc 16,7) . L'insistenza sulla figura di Pietro, anche se tipicizzata in una tra­ dizione cherigmatica, deve avere pure una sua ragione. E questa può ben essere , al di là del suo ruolo storico all'interno del gruppo apostolico , anche la vicinanza dell'autore del Vangelo alla persona di Pietro . Tanto più che , a differenza del Quarto Vangelo , non viene contrapposta a lui nessun'altra figura. Lo stesso Giacomo, «fratello del Signore» (Mc 6,3) , non vi assurge a quell'importanza che avrà dal 42 al 62 come capo della comunità giudeo-cristiana di Gerusa­ lemme . Mi sembra che in tal modo si spieghi da un lato la tradizione ora­ le su cui ha insistito la critica morfologica , e dall'altro l'unità dell'o­ pera di Marco , su cui insiste la recente critica letteraria . La tradizio­ ne orale può essere ben stata anche quella di Pietro ; l'unità lettera­ ria e teologica del Vangelo è dovuta invece a Marco. Si abbandona così sia la tesi dell'evangelista «raccoglitore di tradizioni» anonime sostenuta dalla prima Formgeschichte ed anche quella più recente di un anonimo letterato etnico-cristiano , dotato di spirito poetico , pa­ trocinata in particolare da Schmithals. E si ritorna a un maestro del­ la parola , a un teologo e pastore che ha scritto per la sua comunità appoggiandosi all'autorità di Pietro , di cui era interprete e portavo­ ce . In lui , che per primo ha scritto un Vangelo , si riassumono la tra­ dizione cherigmatica di Paolo e quella narrativa di Pietro . Perché non pensare che proprio dal gruppo apostolico di Pietro, nella prima comunità di Gerusalemme sia nato , in terreno palestinese , anche il termine «Vangelo>> col suo significato singolare , insieme cherigmati­ co e narrativo? È quanto sostiene Hengel . 98 Ma di ciò abbiamo già discusso nel primo capitolo.

98

HENGEL, , in RivBib 37( 1989) , 1 85-205 ; lo. , «Strutturazione degli Atti e storiografia antica», in Cristiane­ simo nella storia 12(1991), 251-263 con bibliografia. 4 BETORI, «Alla ricerca» , 204.

179

solyma (4 nel Vangelo e 22 negli «Atti») e 64 su 76 nella forma semi­ tica, più solenne , lerousalem (27 nel Vangelo e 37 negli «Atti») ; su un totale di 139, ben 90 nell'opera lucana, quasi due terzi. . Il Vangelo dell'infanzia (1 ,5-2,52) inizia a Gerusalemme nel tempio (1 ,8ss) , dove pure arriva al suo climax (2,22. 25-38) per con­ cludere ancora con Gesù dodicenne al tempio (2 ,41 -52) . E Luca ter­ mina con le apparizioni di Gesù a Gerusalemme , da dove si irradia­ no nel mondo i testimoni a portare il suo messaggio di salvezza «fino ai confini della terra» (24,47; At l ,8) . E alla fine degli «Atti» Paolo ricorda ancora una volta che «da Gerusalemme (egli) fu consegnato nelle mani dei romani» (28 , 17) . Infine tutti gli esegeti moderni sono d'accordo sull'importanza teologico-strutturale del motivo «andare verso Gerusalemme» , che cadenza quattro volte il cosiddetto «viaggio lucano» , cuore del Van­ gelo (9,5 1 ; 13,22 ; 17, 1 1 e 19 ,28) . Anche negli «Atti)) Gerusalemme assume una funzione strutturale , rivelatrice della mano di Luca . In­ fatti nella prima parte (At 1-15), dove l'evangelista dipende di più da fonti semitiche, lerousalem ritorna ben 27 volte sul totale di 37 , mentre nella seconda (At 16-28) la forma ellenistica Ierosolyma vi compare 16 volte sul totale di 22. Fino ad At 8 , 1 la chiesa si espande sempre a Gerusalemme , dove entra in conflitto con le autorità del tempio ; tale conflitto si conclude per un verso con la soluzione paci­ fica di Gamaliele I (5 ,33-41), per l'altro con la persecuzione dei cri­ stiani giudeo-ellenisti e la lapidazione di Stefano (6,1-8,1). Gerusa­ lemme è la città in cui viene celebrato il concilio, cuore degli «Atth) (At 15). La città santa è ancora il punto di arrivo del secondo viaggio di Paolo e l'inizio del terzo (18,23) ; Gerusalemme è anche la meta del terzo viaggio. Una cesura letteraria importante dell'ultima parte è At 19,21 , che narra il piano di Paolo : andare a Gerusalemme e di là a Roma. Il programma si realizzerà , ma in modo diverso da quello architettato dall'apostolo. Interessante è nell'ultimo tratto del viag­ gio di Paolo a Gerusalemme il presentimento della minaccia di mor­ te che lo avrebbe aspettato (20,16.22; 2 1 ,4. 12. 13 . 15 . 17), motivo analogo a quello della predizione della morte di Gesù durante il suo viaggio verso Gerusalemme . Gerusalemme è quindi un elemento strutturante , più chiaro nel Vangelo che negli «Atth) . B.

Criteri letterari per la macrostruttura

Una seconda serie di criteri per la struttura letteraria proviene dal confronto fra gli inizi e le conclusioni dei due libri che costitui­ scono l'opera lucana . I due prologhi (Le 1 , 1-4; At 1 , 1-2) si richiama180

no. Ma anche l'introduzione narrativa dei due libri (1 ,�,44; At 1 ,3-8 , 1 ) ha un elemento comune nella forte presenza dello Spirito (18 volte su 36 in Le 1-4; ca. 23-24 su 70 in At 1-7) . E pare abbia un ruolo strutturale negli «Atti» il rapporto tra lo Spirito e il «parlare in lingue» (2, 1 -4; 4,31 ; 8, 17-18; 9 , 17-18; 10,44- 1 1 , 1 5 ; 15 ,8; 19,6).5 Anche la conclusione del Vangelo ( Le 24) e l'inizio degli «Atti>> (At l) sono strettamente intrecciati fra loro . Ci limitiamo ad elenca­ re i paralleli : Vangelo

l . Gli apostoli «testimoni» (24,48) 2. «da Gerusalemme» (24 ,47) 3. Gesù invia «la promessa del Pa­ dre» (24,49) 4. Gli apostoli sono rivestiti della «potenza dall'alto» 5. L'ascensione (24,50-53)

Atti 1 ,8 «in Gerusalemme» (l ,8) 1 ,4

«riceveranno la potenza dello Sp. Santo» (1 ,8) L'ascensione (1 ,9-1 1 ) .

Una maggiore importanza come preludio dei discorsi riportati specie nella prima parte degli «Atti» rivestono le parole di Gesù in Le 24 ,44-47 : «Sono queste le parole che vi dicevo quand'ero ancora con voi: bisogna (dei ) che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè , nei Profeti e nei Salmi. Allora aprì loro la men­ te all'intelligenza delle Scritture e disse : - Così sta scritto : il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno , e nel suo nome sa­ ranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme» . 6 Queste parole di Gesù sono come un arco che , attraverso tutti i discorsi degli «Atti», arriva alla sua conclusione-inclusione nelle battute finali del secondo libro . Dopo aver citato per l'ultima volta la Scrittura ( Is 6,9-10) che si compie nel rifiuto ufficiale della fede da parte dei capi ebrei di Roma, Paolo conclude : «Sia dunque noto a voi che alle genti fu inviata questa sal­ vezza di Dio; loro sì ascolteranno» (28,28) . L'annuncio della salvezza, partito da Gerusalemme, perverrà a tutte le genti .

5 J. DuPONT, Studi sugli Atti degli apostoli (Parola di Dio 6) , Roma 1971 (orig. 1967) , 839-84 1 . 6 S i veda l a parte terza d i DUPONT, Studi: «Il ricorso alle Scritture>> , 415-666.

181

C. I criteri tematici, ossia i paral/elismi La tecnica del parallelo è tipica di Luca. Agisce sia all'interno del Vangelo (si veda la synkrisis tra Giovanni Battista e Gesù nel proemio narrativo) sia nelle corrispondenze fra il primo e il secondo libro. Ci fermiamo alle seconde . Anzitutto lo stesso Vangelo dell'in­ fanzia e in particolare l'inno degli angeli (2 , 10- 1 1 ) trova un'eco sia nel Vangelo (19,38) che negli «Atti» (10,36) ; allo stesso modo l'inno di Simeone (2,30-32) risuona alla fine di «Atti» (28,28) . Un altro pa­ rallelo , venato di ironia , è quello fra i re delle genti «che vengono chiamati euergetai/benefattori da quelli che essi dominano» (22,25) e Gesù che passò veramente «facendo del bene/euerget6n» (At 10 ,38) - nel discorso di Pietro a Cornelio . Un altro evidente parallelo è tracciato fra la morte di Gesù e quella di Stefano : l'invocazione finale (Le 23 ,46 e At 7 ,59) e il per­ dono chiesto al Padre per coloro che li uccidono (Le 23 ,46; At 7 ,60) . Infine un terzo paralello , già sopra ricordato , si può ravvisare tra il viaggio di Gesù e quello di Paolo verso Gerusalemme col preannuncio di una morte violenta. , Dei criteri strutturali ricordati, i più ut ili per lo studio della strut­ tura sono il criterio geografico e quello letterario ; al tematico ricor­ reremo solo in seconda battuta. Iniziamo dal prologo.

1 .2. Il prologo dell'opera (1 , 1 -4) Già A. Bengel nel '700 so�teneva nel suo «Gnomon» che il pro­ logo di Le 1 , 1-4 riguarda ambedue i l�bri. 7 L'ultimo è forse O'Fear­ ghail, del 1991 , cit. alla qota l . In che senso e in che modo è prologo dei due libri? Oggetto della dièg�sis (narrazione storica) di Luca so­ no «gli avvenimenti compiutisi (peplèrophorèmenon) in mezzo a noi» ( 1 , 1 ) . Quali sono questi «avvenimenti» e cosa significa «com­ piutisi»? 8 I pragmata significano non sem plicemente «fatti storici» , ma «eventi salvifici» secondo la qualifica dell'aggettivo verbale che li precede : «compiutisi» . Ora, tali «eventi salvifici» sono quelli che ri­ guardano il Gesù storico dalla nascita fino all'ascensione al cielo

7 A. BENGEL, Gnomon Novi Testamenti, Ulma 2 1763 : «Dedicatio brevis, ad utrumque Lucae pertinens librum ; sive proemium . » (p. 219) . 8 Una fondazione documentata d i quanto segue si può trovare i n FrrzMYER, The Gospel, l, 292-293. . .

182

(1 ,5-24,53) , ma che continuano anche nella sua comunità con l'invio dello Spirito e la missione dei degli «eventi salvifici» è interessata non solo la Scrittura , bensl anche la parola di Gesù . In Le 24 ,44 il Signo­ re risorto ricorda ai discepoli che egli aveva predetto «quelle cose» quand'era con loro, a partire da Le 9,22. Il futuro della sua comunità e della missione mondiale , guidata e animata dallo Spirito , è prean­ nunciato pure da Gesù all'inizio degli «Atti» (l ,8) . Gli eventi rac183

contati da Luca hanno compiuto la Scrittura che parlava di Gesù e hanno pure compiuto la parola di Gesù , che preannunciava la s�a missione futura e quella della sua comunità. Da quanto abbiamo detto perciò l'idea-guida che secondo il prologo dà unità a Le-Atti sembra essere quella di «compimento» del disegno di salvezza di Dio nella persona e nell'opera di Gesù , preannunciata da «Legge , Profeti e Salmi» e annunciata dallo stesso Gesù . Sia il compimento dell'AT sia quello della parola di Gesù riempiono di significato sal­ vifico-escatologico gli eventi narrati, un significato che viene confer­ mato dallo stesso genere di fatti narrati . La solidità (asphaleia) della catechesi ricevuta da sua eccellenza Teofilo si fonda quindi sulla narrazione di una storia, preannunciata neli' AT e annunciata da Gesù ; una storia perciò non abbandonata al caso o alla semplice volontà degli uomini , ma guidata da una discre­ ta regia divina , che si propone un preciso fine da raggiungere : la sal­ vezza del popolo d'Israele e di tutte le genti . E la raggiunge parados­ salmente attraverso una cocente e tragica sconfitta umana: la croce di Gesù , la persecuzione e la morte dei suoi primi testimoni . Non so­ lo le predizioni , ma la stessa trama dei fatti ( l'ordine della composi­ zione ) conferma la profondità del loro significato salvifico .

1 . 3 . Il proemio narrativo (l ,5-4 ,44)9 Tra il prologo ( 1 , 1-4) e la vera e propria diegesis ( 5 , l ss) Luca premette quella che Dionisi di Alicarnasso ( I sec. ) chiama prokata­ stasis ed Ermogene ( II sec. ) prodiegesis, 1 0 un proemio narrativo ( 1 ,5--4,44) costruito con scene parallele in funzione di una synkrisis11 o confronto tra Giovanni Battista a Gesù. Ciò contrasta con quanto afferma Conzelmann a p. 9, nota 2 del suo Die Mitte: «At 1 , 1-2 sem­ bra riassumere il contenuto del primo libro cosi da non inserirvi il Vangelo dell'infanzia. L'arche e l'archesthai in Le designa un punto ben preciso , "l'inizio in Galilea"». Tale inizio però non dovrebbe a mio avviso identificarsi col battesimo, ma semmai con 4, 14ss ; noi qui sosteniamo che l'inizio vero e proprio della narrazione è il mo­ mento in cui Gesù chiama i primi discepoli-testimoni (5 , lss ) . Perciò l ,5--4 ,44 ha il carattere di proemio-programma dell'attività messia­ nica di Gesù. 9

Per questo paragrafo cf. l'opera di O'FEARGHAIL, The lntroduction . O'FEARGHAIL, The Introduction , 153. 1 1 O'FEARGHAIL, The lntroduction, 33-36.

10

184

L'unità di questo proemio narrativo è data fondamentalmente dal confronto fra Giovanni Battista e Gesù e si articola in due grandi sezioni successive : 1 ,5-2,52 e 3, 1-4,44, il Vangelo dell'infanzia e i prodromi della vita pubblica . Le due parti presentano infatti diversi legami fra loro: l . In l ,80 Giovanni «era in luoghi deserti» e in 3 ,2 lo troviamo ancora «nel deserto>> , raggiunto ivi dalla parola di Dio . 2. Giovanni predica «il battesimo di penitenza per la remissione dei peccati» (3,3 ) com'era stato preannunciato nel cantico del «Be­ nedictus» ( l , 77 ) . 3. In 3 ,21 Gesù viene introdotto come personaggio noto e di lui si dice che è «Figlio di Dio» ( 3,22 ; 4,3.9 ) come nel Vangelo dell'in­ fanzia ( 1 ,35 ) . 4. Le sequenze narrative finiscono sempre col ritorno a Nazaret ( 1 ,56; 2,39-40.51 e 4, 10-16ss ) ed è da Nazaret che Gesù discende a Cafarnao (4,3 lss) . Dobbiamo confessare però che vi sono anche delle notevoli di­ versità fra le due sezioni. La figura di Giovanni , ad esempio, in 1 , 1617 viene letta sullo sfondo di MI 3 , 1 e 4,5-6, mentre in 3,4-6 viene presentata esplicitamente come compimento della profezia di Is 40,3-5 ; questa seconda lettura di Giovanni è più chiaramente orien­ tata alla persona di Gesù. Le due parti dunque , pur con strutture autonome , presentano interessanti paralleli , che ne evidenziano l'unità compositiva e fun­ zionale . Presentiamo perciò dapprima le strutture autonome , per metterle poi a confronto. La struttura letteraria del Vangelo dell'infanzia proposta da R . Laurentin, 1 2 fondata sul parallelismo delle due annunciazioni e delle due nascite , pur essendo stata ampiamente recepita, andrebbe ri­ pensata. Oltre al parallelismo a dittico , va infatti tenuta presente la successione cronologica, per cui Giovanni deve preparare (hetoima­ sai) «un popolo ben disposto» ( 1 , 17 } ; ora tale preparazione , nella seconda parte (3 , 1-22 ) , corrisponde concretamente al compito di predisporre il popolo alla missione di Gesù. Il «prima» dell'annun­ cio e della nascita di Giovanni non significa superiorità su di lui , ma preparazione della sua missione escatologica, preludio di quanto viene raccontato nella seconda parte del proemio narrativo ( 3 , 112 R. LAURENTIN, Structure et théo/ogie de Luc 1-11 (EBib) , BROWN , La nascita del Messia secondo Matteo e Luca , Assisi

Paris 1957 (cf. R.E 1981, 329-335) .

185

4,44) . Propongo perciò un'articolazione in due trittici successivi e paralleli (1 ,5-56 e 1 ,57-2,40) con un epilogo (2,41-52) . Primo trittico (1 ,5-56) A) Annuncio a Zaccaria della concezione di Giovanni e della sua missione di > . La notte del tradimento (22,39-65) viene accennata solo dopo, implicitamente, al v . 66: «E quando si fece giorno . . >> . La struttura è indicata dalla serie degli avvenimenti successivi : la tentazione nel­ l'orto, superata con la preghiera (22,39-46 ; 4,13 e 22,28) ; il tradi­ mento e l'arresto (22,47-53) col richiamo all'insegnamento di Gesù nel tempio (22 ,53) ; il rinnegamento di Pietro e lo sguardo del Mae­ stro che lo fa piangere amaramente (22,54-62 : cf. Io strapheis del v. 61 con l'epistrepsas del v. 32) ; Gesù schernito come profeta (22,63-65) . Del giorno dei processi e della morte (22 ,66ss) vengono date, nel corso della narrazione , solo due precisazioni : le tenebre dall'ora se­ sta alla nona (23 ,44) , e che «Stava per iniziare il sabato» al momento della sepoltura (23 ,54) . In quest'arco di tempo , più o meno di 12 ore , vengono narrati i seguenti avvenimenti : il processo religioso da­ vanti al sinedrio che si risolve in tre confessioni cristologiche : Mes­ sia, Figlio dell'uomo e Figlio di Dio (22,66-7 1 ) ; il processo politico davanti a Pilato (23 , 1-5 . 13-25) interrotto dall'invio di Gesù ad Ero­ de (23 ,6-12) ; in tale processo viene dichiarato innocente ben quattro volte (23 ,4. 14. 15.22) . La prima accusa falsa riguarda il tributo da pagare all'imperatore (23 ,2; cf. 20,25) ; ancor più falsa è l'altra accu­ sa di essersi dichiarato re (23 ,3) . E Pilato Io riconosce . Il racconto della crocifissione è costruito con cura e sembra quasi una nuova sezione con l'inizio: «E quando lo condussero . . . » simile a .

202

22 ,66. Dopo il cenno iniziale a Simone di Cirene (23 ,26) , entrano in scena le donne (23 ,27-31 ) , che vi ritornano di nuovo solo dopo la morte (23 ,49) e al sepolcro (23,55) . La scena centrale della crocifis­ sione (23 ,32-43) ha per cornice i due malfattori crocifissi con Gesù, nominati all'inizio (23 ,32-33) ed attivi alla fine contro (23 ,39) o in fa­ vore (23 ,40-41) di lui ; alla domanda di quest'ultimo Gesù promette : «Oggi sarai con me nel paradiso» (23 ,42-43) ; all'interno di questa camice si hanno il perdono di Gesù (23 ,34a) , la divisione delle vesti (23 ,34b) e gli insulti dei capi (23,35-38) . La morte è preceduta dalle tenebre e dalle parole di abbandono nelle mani del Padre (23 ,44-46) . Il centurione confessa: «Veramente costui era un uomo giusto» (23 ,47) , e la gente si batte il petto (23 ,48) , mentre le donne venute con lui dalla Galilea sono testimoni oculari (23 ,49) . La sepoltura affrettata eseguita da Giuseppe d'Ari­ matea conclude la giornata poco prima che inizi il sabato (23 ,50-54) . 3) Il giorno della risurrezione, della missione e dell'ascensione (23,55-24,53)

Il raccordo di questa sezione con la precedente è dato dal gruppo delle donne di Galilea, discepole di Gesù , che assistono alla sepoltu­ ra , riposano il sabato e vanno al sepolcro il giorno primo della setti­ mana, portando gli aromi che avevano preparato (23 ,55-24 , 1 ) . I racconti della risurrezione sono unificati nella cornice d i una giornata: al mattino avviene il primo episodio delle donne al sepol­ cro (24,1b-12) ; durante «lo stesso giorno» (24, 13) ha luogo l'incon­ tro di Gesù con i discepoli di Emmaus (24, 13-34) ; e la sera, quando tornano i due discepoli da Emmaus, Gesù «in persona stette in mez­ zo a loro» (24 ,36-53) . Le finali della prima e della seconda sequenza si corrispondono nella persona di Pietro, che va al sepolcro vuoto (24, 12)23 e cui Gesù risorto «è apparso» (24,34) . Tutte e tre le sequenze poi sono legate insieme dal motivo comune della interpretazione della morte e glori­ ficazione : predetta da Gesù in Galilea (24,6b-7) , preannunciata «da Mosè e da tutti i profeti» (24,26-27) , compimento di «tutto quello

23 La lezione di Le 24,12 può essere oggi considerata sicura: F. NEIRYNCK , «The Uncorrected Historic present in Lk XXIV, 12>> , in ETL 48( 1972) , 548-553 ; J. Muom­ MAN , «A Note on Reading Luke XXIV, 12>> , in ETL 48( 1972) , 542-548. Una prova ulteriore può essere considerata la struttura parallela delle finali delle due prime se­ quenze .

203

che era scritto nella Legge di Mosè e nei Profeti e nei Salmi» (24,44) di lui , per cui «il Cristo doveva patire queste cose ed entrare nella sua gloria» (24,26) . Il compimento delle Scritture è il compimento della missione di Gesù (13 ,32) . La sua missione continua e si compie in quella della comunità con l'invio dello Spirito, «promessa del Pa­ dre» e «potenza dall'alto» (24,49) . Allora i discepoli potranno essere testimoni iniziando da Gerusalemme (24,47-48) . Sulle colline di Ge­ rusalemme «verso Betania)) Gesù si congeda dai discepoli con l'a­ scensione (24 ,50-53). Ed è l'epilogo del primo libro. L'inizio del se­ guente sintetizza la precedente storia di Gesù e riprende nel suo pro­ logo l'epilogo del primo libro, l'ascensione (At 1 ,6- 1 1 ) . L'idea-guida del Vangelo di Luca è il compimento della missione di Gesù come attuazione della volontà di Dio espressa nella Scrittu­ ra. Il luogo del compimento è Gerusalemme: nel Vangelo dell'infan­ zia è la città in cui si rivela; nella seconda parte è la meta cui è orien­ tato il viaggio missionario insieme ai discepoli per arrivare al suo compimento; è il teatro di azione della terza parte , che racconta la passione , morte e risurrezione. L'interesse teologico prevale su quello biografico. Nonostante le molte somiglianze formali con quella ellenistica, la storiografia lucana è diversa, in quanto Luca in­ tende inserire la storia di Gesù in una storia più vasta che la prepara e la preannuncia : la storia di Dio col suo popolo , consegnata nella Scrittura ( Legge , Profeti e Salmi ) .

1 . 5 . La struttura letteraria degli AttF4 Sulle varie proposte di strutturazione in due , tre , quattro e cin­ que parti offre un buon panorama critico G. Betori nei due articoli segnalati in nota. Per orientarci ad una scelta è necessario previamente richiamare i criteri di strutturazione ormai acquisiti: l'importanza del comando di Gesù agli «Undici)) in At 1 ,8 come abbozzata struttura geografi­ co-missionaria; la centralità del c. 1 5 , il concilio di Gerusalemme; la presenza di sommari e ritornelli , frequenti fino al c. 15 e quasi man­ canti dopo , eccetto 16,5 e 21 , 10 . Da At 15 ,36 in poi il racconto dei viaggi di Paolo procede senza cesure , arricchito dov'egli rimane qual-

24 Mi

204

limito a ricordare i due ottimi articoli di G. Betori , già citati alla nota 3.

che tempo (Filippi , Tessalonica , Corinto , Efeso , Atene) da qualche aneddoto o discorso. Nel delineare la strutturazione di Atti saremo più brevi e mette­ remo in luce l'apporto offerto dal tener presente l'unità letteraria di Le-Atti. Tornando ai criteri, At 1 ,8 rappresenta una indicazione di mar­ cia, l'itinerario dei testimoni , riempiti dello Spirito , «da Gerusa­ lemme alla Giudea, alla Samaria e sino ai confini della terra» , Roma. Nessuna chiusura all'interno del popolo ebraico , ma neppure alcun cenno ai pagani. Sarà lo stesso Signore glorioso a superare questo limite , donando a sorpresa lo Spirito a Cornelio ancor prima che Pietro gli conferisca il battesimo (10,44-48) . A Paolo convertito sulla via di Damasco è Gesù stesso che comanda di portare il suo nome ai pagani (9 , 1 5 ; 22,21 ; cf. 28,28) . Il concilio di Gerusalemme regolerà tale apertura alle genti , per cui la testimonianza degli apo­ stoli può essere portata «sino ai confini della terra» , perché la fede cristiana è liberata dal fardello della Legge , che caratterizzava il popolo d'Israele e lo separava dagli altri popoli . Le due principali linee unitarie degli Atti sono quindi la missione progressiva dei testi­ moni abilitati dallo Spirito (At 1 ,8} e la graduale apertura di tale missione alle «genti» fino alla profezia conclusiva di At 28 ,28: «Sia a voi noto che alle genti è stata inviata questa salvezza di Dio. Loro sì ascolteranno>>. Ma l'anima e il motore della missione nella crescita costante del popolo di Dio (At 6,7; 12 ,24; 19 ,20) sono il comando di Gesù e la guida dello Spirito , mentre il compimento della Scrittura nei discorsi si riferisce principalmente all'evento cristologico , compiuto piena­ mente solo con la Pentecoste . Il ricorso alla Scrittura per la vita e la missione della chiesa è di carattere giustificativo o esplicativo come appare nel discorso di Giacomo al concilio (15,16-17) e nelle ultime parole di Paolo agli ebrei che rifiutano ufficialmente la fede com­ piendo in tal modo la profezia di Is 6 ,9-10 (28,26-27) . Nel proporre la struttura letteraria di Atti terremo conto di vari criteri , ma principalmente di quelli letterari. La tesi strutturale è la seguente: dopo un breve prologo (1 , 1 -2) ed un proemio narrativo (1 , 3-26) il libro si struttura in due grandi parti (2, 1-1 4,28 e 15, 36-28, 31) con al centro 15, 1 -35. Le due parti principali si possono strutturare in modo diverso ; importante ed essenziale è portare delle ragioni plausibili per la strutturazione proposta. Qui cercherò di provare che ciascuna delle due parti si può articolare in tre sezioni . 205

Parte prima : La missione della primitiva comunità di Gerusa­ lemme e la sua irradiazione sino ad Antiochia (At 2 , 1-14,28)

Questa prima parte corrisponde bene al comando iniziale dato da Gesù agli apostoli di essere suoi testimoni col dono dello Spirito Santo «in Gerusalemme e in tutta la Giudea e Samaria e sino ai con­ fini della terra)) ( 1 ,8) . Si può considerare strutturata in tre sezioni : l) la missione apostolica e la fondazione della chiesa a Gerusa­ lemme (2, 1-8,3) ; 2) la diffusione della comunità cristiana in Samaria e nella Giu­ dea sino ad Antiochia (8,4-12,24) ; 3) il primo viaggio missionario a Cipro e nell'Asia Minore , orga­ nizzato dalla comunità di Antiochia e guidato da Paolo e Barnaba (13,1-14,28) . l) La missione apostolica e l 'espansione della chiesa a Gerusalem­ me (2, 1-8,3) La delimitazione di questa prima sezione potrebbe essere segna­ lata dal nuovo inizio in 8,lb: «Egeneto de en ekeinei tei hemerai/Ora si abbatté in quel giorno» della morte di Stefano per lapidazione , una grande persecuzione sulla chiesa. Il breve sommario seguente (8,lb-3) è in realtà una pericope-cemiera tra quanto precede (sepol­ tura di Stefano ucciso e persecuzione da parte di Saulo) e quanto se­ gue (i cristiani giudeo-ellenisti dispersi predicano il vangelo nella Sa­ maria e nelle città ellenistiche arrivando sino ad Antiochia) . All'interno di At 2 , 1-8,3 sono facilmente identificabili quattro unità letterarie, che iniziano tutte col racconto di un evento signifi­ cativo: il battesimo nello Spirito a Pentecoste , la guarigione di un paralitico, l'attività taumaturgica ed evangelica di Pietro , infine l'e­ lezione dei «sette uomini» . Il primo breve ciclo (2,1-47) è incentrato sulla discesa dello Spi­ rito e il conseguente dono delle «lingue » ; il discorso esplicativo e di­ mostrativo di Pietro (2, 14b-36) presenta la struttura usuale dei di­ scorsi lucani in Atti: parte dall'evento cristologico , lo spiega ricor­ rendo alla Scrittura e conclude con la parenesi . 25 Questa prima se­ quenza termina col sommario di 2 ,42-47 . 25 La monografia fondamentale rimane quella di U . WILCKENS, Die Missionsre­ den in der Apostelgeschichte (WMANT 5) , Neukirchen 1963 ; si veda la lunga recen­ sione valutativa di J. DuroNT in Studi sugli Ani degli Apostoli, Roma 197 1 , 215-265 ; per una sottolineatura della diversità dei discorsi e della loro giusta collocazione nel­ l'attuale contesto narrativo si veda R.C. TANNEHILL, ( 1 1 , 1 8) . Il seguente sviluppo della chiesa presso i pagani ad Antiochia ( 1 1 , 19-30) per opera dei giudeo208

ellenisti dispersi dalla persecuzione è giustificato perciò dall'autore­ vole opera missionaria di Pietro . L'unità letteraria del c. 12 è congiunta con quella precedente (9,32-1 1 ,30) per mezzo delle figure di Pietro (12, 1-19) di Barnaba e di Saulo (12,25) . La cornice è fornita dalla persecuzione del re Ero­ de Agri ppa I contro i capi della chiesa di Gerusalemme (12,1-4) e dall'orrenda sua morte come persecutore blasfemo (12,20-23) . Al centro sta il lungo racconto dell'imprigionamento di Pietro e della sua prodigiosa liberazione (12,5-19) , mentre al termine della sezione ritorna il motivo della «Parola che cresce e si diffonde» (12,24) . La breve notizia finale su Saulo e Barnaba che tornano ad Antiochia, portando con sé Giovanni Marco , introduce la sezione seguente (12,25) . 3) L 'opera missionaria cui sono chiamati Saulo e Barnaba (13, 114,28) La terza sezione è la più unitaria. Il primo viaggio missionario di Saulo col compagno Barnaba è qualificato all'inizio (13 ,2) e alla fine (14,26) a mo' di inclusione come «l'opera» cui Saulo e Barnaba sono chiamati dallo Spirito Santo (13,2) , «opera» che alla fine risulta «compiuta» (14,26) . In questa grande inclusione è narrato il viaggio dei due grandi missionari a Cipro , poi ad Antiochia di Pisidia dove Saulo tiene un discorso analogo a quello precedente di Pietro (13, 16b-41) ; passano quindi ad Iconio e a Listri, dove Saulo pronuncia un breve discorso in ambiente pagano (14, 15-17) ; alla fine raggiungono Derbe , quindi ritornano consolidando le comunità e predicando ancora a Perge prima del ritorno da Antalia ad Antiochia, da dov'erano partiti . Il viaggio , oltre che dalle peripezie di Saulo , di Barnaba e del suo cugino Giovanni Marco (che li abbandona dopo Cipro) , è dun­ que caratterizzato anche dai due discorsi rivolti a due ambienti di­ versi , giudaico e pagano . Il commento finale suona : Dio «ha aperto ai gentili la porta della fede» (14,27b ) , forse nel senso che per la pri­ ma volta erano state fondate comunità cristiane di soli pagani, con­ vertiti alla fede cristiana. Già molto prima infatti Dio aveva aperto la porta della fede ai pagani : all'eunuco etiope , a Cornelio , ai pagani di Antiochia. In ogni caso , al di là della coerenza storica, il commen­ to finale dei missionari Saulo e Barnaba intende introdurre il proble­ ma dei pagani convertiti, trattato nel concilio di Gerusalemme . 209

Parte centrale : Il concilio di Gerusalemme ( 1 5 , 1 - 3 5 ) 26 n concilio è

l'ambiente ufficiale in cui viene legittimata l'entrata ·dei pagani nella chiesa senza passare per la religione ebraica con la circon­ cisione e l'osservanza della Legge mosaica. La struttura letteraria è ab­ bastanza lineare. Al prologo (15, 1-5) corrisponde l'epilogo (15,30-35) ; oltre alla relazione narrativa fra l'andata iniziale da Antiochia a Geru­ salemme e il ritorno finale da Gerusalemme ad Antiochia, vi sono altri tre motivi comuni: il «discendere» (15 ,1/15,30) , l'«insegnare» (15, 1115 ,35) e il tema lucano della «gioia» (15 ,3/15,31). 27 All'interno vengono riportati i due discorsi paralleli di Pietro (15,7b-11) e di Gia­ como (15, 13-21) con il breve intermezzo del resoconto di Barnaba e Paolo (15,12) . Giacomo fonda la tesi di Pietro, secondo la quale gli et­ nico-cristiani non dovevano essere sottoposti alla circoncisione e alla Legge, ricorrendo al profeta Amos 9 , 1 1-12 (At 15, 16-17) e chiedendo loro qUélttro limitazioni per una serena convivenza con i giudeo-cristia­ ni. Il decreto apostolico (15 ,22-29) sancisce la proposta di Giacomo. L'epilogo termina con un breve sommario: «Paolo e Barnaba rimasero ad Antiochia insegnando ed evangelizzando, insieme a molti altri, la parola del Signore» (15 ,35) . Ormai Paolo, missionario dei pagani, ha via libera. Di qui inizia la seconda parte degli Atti che si concentra sull'attività missionaria dell'apostolo di Tarso. Parte seconda: Le missioni di Paolo dall' Asia all ' Europa . . . a Roma ( 1 5 ,36-28 , 3 1 )

La struttura è meno chiara della prima, perché Luca segue la progressiva attività missionaria di Paolo senza vedervi delle nette ce­ sure. Tuttavia mi sembra vi si possano rilevare almeno due passaggi redazionali, strutturanti l'attività dell'apostolo in tre sezioni, di cui la seconda corre parallela al viaggio di Gesù verso Gerusalemme . Le due cesure orientano ambedue a Roma, dove si conclude il racconto di Atti: 19 ,20 è un ritornello (cf. 6,7; 12 ,24) conclusivo («Cosl assecondata dalla forza del Signore la Parola cresceva e si raf­ forzava>>) ; e il seguente 19,21 introduce il futuro programma missio26 Sul concilio di Gerusalemme e in particolare sul discorso di Pietro cf. l'impo­ nente opera di S. PANIMOLLE, li discorso di Pietro all'assemblea apostolica: l. li Con­ cilio di Gerusalemme (Atti 15, 1-35); l/. Parola, fede e Spirito (Atti 15, 7-9); Ili. Legge e grazia (Atti 15, 10-11) , Bologna 1976, 1977 e 1978. Per la struttura letteraria in parti­ colare : l, 175-198. 27 PANIMOLLE , l/ discorso, l, 176-177.

210

nario di Paolo che l'avrebbe portato da Efeso a Gerusalemme ed in­ fine a Roma ; 23 , 1 1 è la seconda cesura , che forma una grande inclu­ sione con 19,21 : mentre Paolo è in prigione il Signore gli si fa vicino e gli dice : «Abbi fiducia ! Come infatti hai attestato quanto mi ri­ guarda a Gerusalemme , così devi testimoniare anche a Roma». In tal modo la seconda parte risulta articolata in queste tre sezioni : 15 ,36-- 1 9,20; 19,21-23 , 1 1 ; 23 ,12-28,31 .

l) Il secondo e terzo viaggio di Paolo fino ad Efeso (15,3fr.-19,20) L'unità letteraria di questa prima sezione è giustificata dal nuovo inizio: «Dopo un certo tempo . . . » (15 ,36) e dal ritornello conclusivo (19,20) , di cui abbiamo già detto. L'introduzione (15 ,36-41) narra l'accesa discussione (paroxy­ smos) tra Paolo e Barnaba sull'opportunità o meno di prendere con sé il cugino di Barnaba , Giovanni Marco , che nel primo viaggio mis­ sionario ad un certo punto li aveva piantati in asso . La disputa si conclude con la separazione e la divisione del campo di lavoro : Ci­ pro per Barnaba e Marco , di cui poi non si parlerà più ; l'Asia Mino­ re per Paolo e l'accompagnatore Sila. Di seguito si narra il secondo viaggio missionario di Paolo e l'ini­ zio del terzo (16,1-18,23) senza interruzioni , mentre il suo itinerario attraverso l'Anatolia per raggiungere Efeso (19,1-10) è messo in pa­ rallelo con l'abbandono di Efeso da parte di Apollo , che va a Corin­ to (18,24-28) . L'aneddoto brioso e umoristico dei figli di Sceva esor­ cisti «nel nome di Gesù», che serve ad accrescere l'efficacia della fe­ de cristiana ad Efeso (19 , 1 1-19) , conclude la sezione ; la pennellata finale del ritornello (19 ,20) segna il passaggio alla sezione seguente . La struttura narrativa è geografica ; l'itinerario missionario di Paolo è sviato e rioerientato dallo Spirito solo per il passaggio dal­ l'Asia alla Macedonia in Europa (16,6-10) . Ad ogni tappa importan­ te viene raccontato qualche aneddoto ; l'unico discorso di rilievo , al centro di questa sezione , è quello di Paolo agli intellettuali dell' Ae­ ropago di Atene (17 ,22-3 1 ) . 2 ) Il viaggio di Paolo verso Gerusalemme . . . e Roma (19,21-23, 1 1)28

La delimitazione della seconda sezione è segnalata dall'inclusio­ ne letteraria fra 19,22 e 23 , 1 1 , che orienta ripetutamente l'itinerario di Paolo verso Roma . Essa narra la conclusione del terzo viaggio 28 Per il rapporto di Paolo con Gesù cf. W. RAoL, Paulus und Jesus im lukani­ schen Doppelwerk. Untersuchungen zu Parallelmotiven im Lukasevangelium und in der Apostelgeschichte (EHS.T 23/49) , Bern-Frankfurt a.M. 1975 .

21 1

missionario a Gerusalemme , dove l'apostolo viene catturato e im­ prigionato. La sezione è caratterizzata dal cammino (poreuesthai) di Pàolo verso Gerusalemme (20,16.22-23 ; 21 ,4. 12 . 13 . 15 . 17) , che ricalca il viaggio di Gesù verso la città santa , raccontato nella parte centrale del Vangelo (9 ,5 1 ; 13, 12; 17 , 1 1 ; 19 ,28) . I testi più significativi, che preludono il futuro pericolo di morte, sono 20,22-23 dove l'apostolo preannuncia ai presbiteri di Efeso che a Gerusalemme lo attendono «catene e sofferenze» , e 21 , 1 1-12, dove il profeta cristiano Agabo a Cesarea predice a Paolo con un gesto simbolico che a Gerusalemme «lo legheranno e lo consegneranno nelle mani dei gentili» (cf. Le 21 , 1 8) . Mentre i suoi amici non vorrebbero che salisse a Gerusalem­ me (21 , 12) , Paolo invece si dice disposto a essere legato e a morire «per il nome del Signore Gesù» , e allora insieme pregano come Ge­ sù al Getsemani: «Sia fatta la volontà del Signore» (At 21 , 14/Lc 22 ,42) . La salita dell'apostolo a Gerusalemme prepara l'incontro consa­ pevole con la persecuzione a morte . Il presentimento e la profezia si compiranno. Paolo , dopo un tumulto con la folla sulle scalinate del tempio , viene imprigionato e portato davanti al sinedrio . La folla lo vuol togliere di mezzo con le stesse parole con cui aveva chiesto la morte di Gesù : «Togli dalla terra quello là» (At 22,22/Lc 21 ,26) . Nel sinedrio , per un'abile mossa di Paolo , i farisei dichiarano la sua in­ nocenza come Pilato aveva proclamato quella di Gesù (At 23 ,9/Lc 23 ,4. 14.22) . È perciò evidente che l'itinerario dell'apostolo verso Gerusalemme viene descritto sulla falsariga di quello di Gesù . Perfi­ no il discorso di addio ai presbiteri della chiesa di Efeso (20,18-35) , centro e cuore di questa sezione , è parallelo al discorso di addio che solo Luca fra i sinottici riporta in modo più ampio durante l'ultima cena (Le 22,14-38) . La predizione, fatta dal Signore a Paolo durante una notte di pri­ gionia («Come l'aveva testimoniato a Gerusalemme così doveva te­ stimoniarlo a Roma») (23 , 1 1 ) , conclude la sezione con un motivo di speranza .

212

3) Paolo sfugge alla morte, si appella a Cesare e viene inviato a Ro­ ma (23, 12-28,31)

In una prima parte (23 ,12-26,32) di questa terza sezione vengo­ no narrate le vicende di Paolo , prigioniero per due anni a Cesarea nel pretorio del procuratore romano Felice e poi di Festo con le udienze e le apologie (24, 10-21 ; 26, 1 -29) . In una seconda parte (27 ,1-28 ,31) viene raccontato con vivacità e dovizia di particolari l'avventuroso viaggio di Paolo per mare a Roma. Nelle peripezie del viaggio si rivela la sua sicurezza di essere guidato dal Signore fino a Roma, pur subendo un naufragio . La finale degli Atti , a Roma (28, 17-3 1 ) , è significativa sotto il profilo strutturale , perché rimane aperta come profezia sul futuro della chiesa fra le genti . Ai capi giudei , che rifiutano la fede , ma an­ che ai lettori Paolo annuncia: «Sia dunque noto a voi che alle genti è stata inviata questa salvezza di Dio (to sòterion tou theou) . Loro sì ascolteranno» (28,28) . Questa finale , aperta alla speranza, è confor­ tata dalla libera predicazione di Paolo a Roma «Senza impedimenti» (28,31) e dall'implicito richiamo al proemio narrativo del Vangelo: Simeone infatti aveva cantato : « . . .i miei occhi han visto la tua sal­ vezza (to sòterion sou) , . . . luce da rivelare alle genti» (Le 2,30. 32) . La testimonianza degli apostoli raggiungerà certo «i confini della terra» (1 ,8) , come aveva comandato Gesù .

1 . 6. Conclusione La struttura letteraria degli Atti , brevemente delineata , dimo­ stra che furono concepiti come «secondo libro»: l'evento salvifico si compie e continua nella storia della chiesa . Il vangelo , che contiene la testimonianza degli apostoli su Gesù , dev'essere annunciato in tutto il mondo . Gli Atti ne descrivono il primo difficile e accidentato itinerario , percorso da uomini animati da entusiasmo e da gioia nel­ lo Spirito, pronti sempre a tutto, anche alla morte nel nome di Gesù ( Stefano , Pietro, Giacomo e Paolo ) . Tale forza indomita deriva loro dall'esperienza del Signore risorto e dalla potenza dello Spirito da lui donato . La destinazione universale della «salvezza di Dio» viene espressa con l'apertura della predicazione cristiana e della chiesa al­ le «genti» e concretata con la loro liberazione dalla circoncisione e dalla Legge mosaica, sancita dal concilio di Gerusalemme , cuore de­ gli Atti . 213

A conclusione dell'analisi strutturale di Luca-Atti vogliamo rica­ pitolare in un breve schema l' u nità dell'opera lucana. Elenchiamo a tale scopo gli evidenti richiami di Le ad Atti: l) Le 1,1-4 ed At 1 ,1 -2: il secondo prologo si richiama al primo e a tutto il libro precedente. 2) Le 1 ,5-4,44 e At 1 ,3-4,3 1: in ambedue i proemi narrativi vi è una forte presenza dello Spirito Santo. 3) Le 2,30.32 e At 28,28: all'inizio e alla conclusione dell'intera opera, Gesù viene presentato come «salvezza di Dio per le genti». 4) Le 9,51-1 9,44 o 19,48 e At 19,21-23,1 1 : al viaggio di Gesù verso Gerusalemme, dove si compirà la sua missione, corrisponde l'itinera­ rio di Paolo verso la città santa, dove prevede persecuzione e morte. 5) Le 23,34.46 e At 7,59-60: analogia fra la morte di Gesù e quella di Stefano. 6) Le 24,44-53 e At 1,2- 1 1 : ultime promesse di Gesù e sua ascen­ sione al cielo. Gli stretti rapporti fra i due libri dimostrano che sono stati con­ cepiti come un'opera letterariamente e strutturalmente unitaria. E sotto il profilo teologico significano che nella chiesa, per mezzo degli apostoli e dei missionari, si compie quanto è stato annunciato di Ge­ sù e da Gesù: la salvezza divina per ebrei e pagani tutti, partendo da Gerusalemme, dove si è attuata nel Signore, morto e risorto (Le 1-2; 24 e A t l , 1 1 e 28,17). ·

2.

COMPOSIZIONE E LINGUAGGIO DI LUCA-ATTI29

Studiare la struttura letteraria di Luca-Atti è stato anche studia­ re la composizione letteraria lucana. In questo secondo paragrafo però ci occuperemo delle fonti di Luca e di come le ha utilizzate e, in 29 Bibliografia: S. ANTONIADJS, L 'évangile de Luc. Esquisse de grammaire et de sty­ le, Paris 1 930; H.J. CADBURY, The Style and Literary Method of Luke (HTS 6/1 ), Cam­ bridge/MA 1 920 (per l'uso delle fonti, 73-205); J. DAWSEY, The Lukan Voice, Macon/ GA; J C. HAWKINS, Horae Synopticae, seconda ed. rivista ed aumentata, Oxford 1968: J. JEREMIAS, Die Sprache des Lukasevangeliums. Redaktion und Tradition im Nicht­ Markusstoff des dritten Evangelisten (KEK Sonderband), Gottingen 1 980; E. NoRDEN, Die antike Kunstprosa, II, Darmstadt 1983, 488.492; E. PLOMACHER, «Lukas als grie­ chisch Historiker>>, in RE (Pauly-Wissowa), Suppl XIV, Miinchen 1974, 235-264: C.H. TALBERT, Literary Patterns, Theological Themes and the Genre of Luke-Acts (SBL MS 20), Missoula 1 974: N. TURNER, «The Style of Luke-Acts», in Io., A Grommar of New Testament, IV: Style, Edinburgh 1976, 45-63 (con bibliografia). .

214

secondo luogo , del linguaggio e del patrimonio culturale cui ha fatto ricorso per comporre la sua opera. 2. 1 .

L'uso delle fonti

Anche se non è nostro compito trattare delle fonti di Luca-Atti, tuttavia, per studiare l'uso lucano delle sue fonti , siamo costretti a scegliere una delle ipotesi attualmente accettate . Che Luca, come gli storiografi a lui contemporanei , abbia usato delle fonti lo si evince dal prologo (Le 1 , 1-4) . «Molti» prima di lui avevano tentato la stessa sua impresa. Egli sa pure che le fonti rac­ colte sono a loro volta frutto di una «tradizione»l«paradosis» di te­ stimoni oculari , divenuti poi «servi tori della parola» (Le l ,2) . Stan­ do dunque a quanto ci dice l'autore nel prologo della sua opera, dobbiamo presupporre che egli abbia avuto a sua disposizione fonti scritte e tradizioni orali. Possedendo altri tre Vangeli , mediante il confronto sinottico , siamo in grado di individuare con una certa pro­ babilità qualcuna delle fonti cui Luca ha attinto . L'ipotesi oggi più diffusa e che permette una verifica del lavoro redazionale è quella delle due fonti (Mc e Q) . Le fonti documentabi­ li per il terzo Vangelo sono dunque il Vangelo di Marco o una sua forma più arcaica, una raccolta di detti di Gesù in comune con Mt che si designa con Q, e infine un'ipotetica terza fonte , che potrebbe essere una o molteplice, orale o scritta, indicata con L. Per gli Atti il problema delle fonti è più difficile e complesso , perché non abbiamo materiale di confronto sinottico come per il Vangelo . Le ipotesi avanzate sono molte ; le ha raccolte e presentate criticamente J. Dupont. 30 Come ha utilizzato Luca le sue fonti e se ne può avere un con­ trollo? Dobbiamo anzitutto distinguere la composizione propria di Luca, come i due prologhi (Le 1 , 1-4 ed At 1 , 1-2) e la redazione di fonti scritte od orali ; e inoltre ciò che nella redazione è proprio del redattore e ciò che appartiene alla tradizione. L'ordine della narrazione, che Luca stesso decise di seguire co­ me risulta dal programma esposto nel prologo (Le 1 ,3) , è la via più praticabile per scoprire il suo modo di usare le fonti. A differenza di Matteo , che intreccia, specie nei discorsi , materiale proveniente da

30

J. DuPONT,

Les sources du Livre des Actes. Etat de la question , Bruges 1960.

215

varie fonti , Luca segue invece l'ordine della sua fonte principale ; semmai a volte la interrompe per inserirvi materiale da altre fonti . Esporremo perciò anzitutto il filo principale della narrazione lu­ cana , quello di Mc, e le modifiche che vi apporta. Passeremo quindi alla fonte Q ed infine alla L per arrivare ad una sintesi conclusiva sulla redazione lucana delle tre fonti. Luca, dunque , nel suo Vangelo segue l'ordine di Mc, apportan­ dovi delle modifiche : omettendo, inserendo o spostando . Rileviamo anzitutto, nelle tre grandi parti le due inserzioni e le omissioni, po­ nendo in parallelo Le e Mc. Luca 1 ,5-2,42: Vangelo dell'infanzia

Marco nessuna sequenza

Ministero in Galilea (3, 19,50)

l.

3 , 1--6,19

1 , 1-3 , 10

6,20-8,3: piccola inserzione

solo 3,31-35 ( Le 8,19-21)

8,4--9 ,50

4, 1-9 ,50 , eccetto 6,45-8,26: la grande omissione

. 2. Verso Gerusalemme (9,511 9,27)

9,51-18,14: la grande inserzione

piccola omissione (9,41-10, 12)

18, 15-19,27

10,13-52 con spostamento di Mc 10,42-45 a Le 22 ,25-27

3. A Gerusalemme (19,28-24,53)

1 1 , 1-16,8 (20)

Oltre alle due omissioni e alle due inserzioni , Luca introduce an­ che delle inserzioni minori nella sequenza della tradizione principa­ le . Le elenchiamo : Le 3,7-14: la predicazione di Giovanni Battista Le 3 ,23-38: la genealogia di Gesù Le 4,2b-13: le tentazioni Le 5 , 1 -1 1 : la pesca miracolosa Le 19, 1-10: la conversione di Zaccheo Le 22,28-33 .35-38: il discorso di addio all'ultima cena Le 23 ,6-16: Erode e Pilato 216

Le 23 ,27-3 1 : le parole alle donne sulla via del Calvario Le 23 ,39b-43 : il colloquio con Gesù dei due malfattori giustiziati as­ sieme a lui Le 23 ,47b-49 : la morte di Gesù. Le grandi aggiunte all'inizio (Vangelo dell'infanzia) e alla fine (i racconti di risurrezione) non toccano l'ordine della narrazione cen­ trale . Sembra perciò che Luca abbia seguito sostanzialmente l'ordi­ ne di Marco. Come abbiamo rilevato nella precedente analisi strut­ turale , la grande inserzione (9 ,50-18, 14) è fuori di un particolare ambito spazio-temporale a parte la cornice narrativa del «viaggio verso Gerusalemme». Oltre alle omissioni , inserzioni ed aggiunte, in Le si hanno anche sette trasposizioni di materiale marcano. Le elenchiamo nell'ordine progressivo in cui compaiono: l) L'imprigionamento di Giovanni Battista (Mc 6, 17-18) è spo­ stato indietro in Le 3 , 19-20 per concludere la storia del Battista pri­ ma del ministero e addirittura prima del battesimo di Gesù . 2) La visita di Gesù a Nazaret (Mc 6, 1-6) è trasferita all'inizio del suo ministero (Le 4,16-30) e ampliata nel contenuto (forse da al­ tra tradizione) allo scopo di presentare il suo programma. 3) La chiamata dei primi quattro discepoli (Mc 1 , 16-20) è spo­ stata in Le 5 , 1-1 1 , ma in realtà è un'altra scena, in cui si rivela il ruolo di Simone «pescatore» di uomini ; i discepoli vengono chiamati dopo che Gesù aveva iniziato il suo ministero . E, come abbiamo visto nell'analisi strutturale, è l'inizio vero e proprio della «narra­ zione)) . 4) La scelta dei «Dodici») (Mc 3 , 1 3-19) e i l sommario taumatur­ gico delle folle che seguono Gesù (Mc 3,7-12) vengono invertiti in Le 6, 12-16 e 6, 17-19; in tal modo la folla costituisce un conveniente scenario al discorso della pianura (Le 6,20-49) . 5) La scena dei familiari che cercano Gesù (Mc 3 ,31-35) , sposta­ ta in Le 8,19-21 dopo la parabola del seminatore e la sua interpreta­ zione , diviene una illustrazione del rapporto fra discepolo e parola di Dio . 6) La predizione del tradimento durante l'ultima cena (Mc 14,18-21) diviene parte del discorso di addio in Le 22,21-23 , unito ad altri tre logia (Le 22,24-30.3 1-34. 35-38) . 7) L'ordine di interrogazione davanti al sinedrio , che si ha in Mc 14 ,55-72 è invertito in Le 22,63-72. La sequenza in Mc 14 è la se­ guente : Gesù interrogato (14,55-64a) , maltrattato (14,64b-65) e rin217

negato (14,66-72) , mentre in Le 22 Gesù è prima rinnegato (22 ,5462) , poi maltrattato (22,63-65) ed infine interrogato (22 ,66-71) solo al mattino in un'unica seduta del sinedrio. Chiaramente la trasposizione del materiale marcano non è l'uni­ ca spiegazione possibile . Talora Luca potrebbe aver avuto fonti di­ verse da Marco . Ma in ogni caso non si mette in discussione che il fi­ lo conduttore della narrazione sia quello di Marco . Neppure le concordanze minori di Mt e Le contro Mc3 1 possono mettere radicalmente in questione il fatto che l'ordine narrativo sia quello di Mc. Come spiegarli allora? Anzitutto Mt/Lc omettono in tutto circa 30 versetti di Mc: 1, 1 ; 2,27 ; 3,20-21 ; 4,26-29 ; 7,2-4. 32-37 ; 8,22-26; 9,29.48-49; 13 ,33-37; 14,51-52. Ma la maggioranza di essi (1 , 1 ; 2,27 ; 3 ,20-21 ; 7,2-4.32-37 ; 9,29.48-49 ; 13 ,33-37) sono redazio­ ne marcana; e perciò mancavano nella ipotetica fonte usata da Luca. Vi sono poi omissioni verbali minori o cambiamenti comuni a Mt/Lc contro Mc, che potrebbero far presupporre un'altra fonte. ·

Passiamo cosi alla fonte Q. La maggioranza degli esegeti moder­ ni ritengono utile l'ipotesi della seconda fonte di Le, comune con Mt , anche se viene criticata, giustamente , l'ideologia storico-lettera­ ria che vi si costruisce sopra: la comunità, la teologia e l'ambiente che ne starebbero all'origine . Comunque sia, gli esegeti sono anche concordi nel ritenere che sia Luca a seguire l'ordine di questa ipote­ tica fonte, e non Matteo . Dall'introduzione di Fitzmyer32 ne ripor­ tiamo l'elenco numerato: l . Le 3 ,7-9/Mt 3 ,7b-10: La predicazione del Battista (A) 2. Le 3 , 16b-17/Mt 3 , 1 1-12: La predicazione del Battista (B) 3. Le 4,2b-13/Mt 4,2b-11a: Le tentazioni di Gesù 4. Le 6,20-23/Mt 5 ,3.6.4. 1 1-12: Le beatitudini 5. Le 6,27-33/Mt 5 ,44. 39-42.46-47: L'amore ai nemici (A) 6. Le 6,35b-36/Mt 5 ,45 .48: L'amore ai nemici (B) 7. Le 6,37a. 38b/Mt 7 , 1-2: Sul giudicare (A) 8. Le 6,39bc/Mt 15 , 14b: Sul giudicare (B) 9. Le 6,40-42/Mt 10,24-25 ; 7,3-5 : Sul giudicare (C) 10. Le 6,43-45/Mt 7 , 16-20 (cf. 12,33-35) : L'albero e i frutti

31 Cf. F. NEIRYNCK ET AL. , The Minor Agreements of Matthew and Luke against Mark with a Cumulative List (BETL 37) , Gembloux 1974 . 32 FrrzMYER, The Gospel, l, 77-79.

218

1 1 . Le 6,46-49/Mt 7 ,21 .24-27 : Ascoltare e praticare la parola di Gesù 12. Le 7, 1b-10/Mt 8,5-10. 13: Guarigione del servo del centurione 13. Le 7 , 18-23/Mt 1 1 ,2-6: La domanda del Battista 14. Le 7,24-28/Mt 1 1 ,7-1 1 : La testimonianza di Gesù al Battista 15. Le 7,31-35/Mt 1 1 , 16-19: Il giudizio di Gesù sulla sua generazione 16. Le 9,57-60/Mt 8 , 19-22: I tre aspiranti discepoli 17. Le 10,2-12/Mt 9 ,37-38 ; 10,7-16: La missione dei settanta 18. Le 10, 13-15/Mt 1 1 ,21-23 : I guai alle città del lago 19. Le 10, 16/Mt 10,40: I discepoli rappresentano Gesù 20 . Le 10,21-22/Mt 1 1 ,25-27 : Inno di lode al Padre 21 . Le 10,23-24/Mt 1 3 , 16-17: La beatitudine dei discepoli 22. Le 1 1 ,2-4/Mt 6,9-13: Il «Padre nostro» 23 . Le 1 1 ,9-13/Mt 7,7-1 1 : L'efficacia della preghiera 24. Le 1 1 ,14-23/Mt 12 ,22-30: La controversia su Beelzebul 25 . Le 1 1 ,24-26/Mt 13 ,43-45 : Il ritorno dello spirito maligno 26 . Le 1 1 ,29-32/Mt 12,38-42: Il segno di Giona 27. Le 1 1 ,33-35/Mt 5 , 1 5 ; 6,22-23 : Detti sulla luce 28 . Le 1 1 ,39-40.42-44 .46-52/Mt 23 ,25-26 .6-7 .4.29-30 + 23 ,13.34-35 : Detti contro i farisei 29 . Le 12,2-9/Mt 10,26-33 : Esortazione ad una confessione di fede coraggiosa 30. Le 12, 10/Mt 12,32: Sullo Spirito Santo (A) 31 . Le 12 , 1 1 -12/Mt 10,19-20: Sullo Spirito Santo (B) 32. Le 12,22b-31/Mt 6,25-33 : Non preoccuparsi delle cose terrene 33 . Le 12 ,33b-d .34/Mt 6,19-21 : Il tesoro in cielo 34. Le 12,39-40.42b-46/Mt 24 ,43-5 1 : Detti sulla vigilanza e fedeltà 35 . Le 12,5 1 . 53/Mt 10,34-36: La missione enigmatica di Gesù 36. Le 12,58-59/Mt 5 ,25-26: Accordo col proprio avversario 37 . Le 13,18-21/Mt 13,31-33 : Le due parabole del grano di senape e del lievito 38. Le 13,24-29/Mt 7, 13-14; 25 , 10-12; 7 ,22-23 e 8 , 1 1-12: Entrata o esclusione dal Regno 39. Le 13,34-35/Mt 23 ,37-39: Il lamento su Gerusalemme 40 . Le 14,16-21/Mt 22,2-10: La parabola del grande banchetto 41 . Le 14,26-27/Mt 10,37-38: Le condizioni del discepolato 42 . Le 14,34-35/Mt 5 , 13: La parabola del sale 43 . Le 15 ,4-7/Mt 18, 12-14: La parabola della pecora perduta 44 . Le 16,13/Mt 6,24: Servi e padroni 45 . Le 16,16-17/Mt 1 1 , 12-13; 5 , 18: Due detti sulla Legge 219

46. 47 . 48. 49 . 50. 51. 52. 53. 54. 55 .

Le 16,18/Mt 5 ,32: Sul divorzio Le 17,3b-4/Mt 18,21-22: Sul perdono Le 17 ,5-6/Mt 17 ,20: La fede come un grano di senape Le 17,23-24/Mt 24,26-27 : I giorni del Figlio dell'uomo (A) Le 17,26-27/Mt 24,37-38: I giorni del Figlio dell'uomo (B) Le 17,33/Mt 10,39 : I giorni del Figlio dell'uomo (C) Le 17,34-35/Mt 24,40-41 : I giorni del Figlio dell'uomo (D) Le 17 ,37b/Mt 24,28: I giorni del Figlio dell'uomo (E) Le 19 , 13 . 15b-24.26/Mt 25 , 14-30: La parabola delle mine Le 22 ,28b. 30b/Mt 19 ,28: Ricompensa escatologica dei «Do­ dici».

Si discute se alcune delle pericopi sopra elencate appartengano alla Q per la troppa diversità tra la formulazione di Le e di Mt; così ad esempio le pericopi dei nn. 38, 40, 43 e 54. 33 Anche ad uno sguardo superficiale risulta subito evidente che la maggior parte del materiale preso dalla Q è incluso nella piccola (Le 6,20-8,3) e grande (9 ,51-18, 14) inserzione lucana. Fuori di queste rimangono solo tre pericopi : la predicazione del Battista (3 ,79. 16b-17) , le tentazioni di Gesù (4,2b-13) e il premio escatologico dei «Dodici» (22 ,28-30) . D'altronde , essendo dialoghi o discorsi, non richiedono la collocazione in una narrazione continua, ma piut­ tosto in un discorso continuo. Luca dunque ha conservato l'ordine della fonte con modificazioni redazionali verificabili . Mentre evita i doppioni nelle narrazioni che trova in Mc (ad esempio la moltiplicazione dei pani) , vi sono invece nel suo Vangelo doppioni di sentenze, che sembra abbia trovato in due fonti diver­ se . 34 Ne offriamo un elenco indicando le due fonti :

33 Alcuni esegeti , per spiegare la diversità a volte notevole fra Le e Mt, ricorrono all'ipotesi di due recensioni della Q: W. BussMANN, Synoptische Studien , Halle 1925193 1 , 1 10- 156; M. SATO, Q und Prophetie ( WUNT 2. Reihe 29) , Tiibingen, 409. 34 H. ScHORMANN, «Die Dubletten im Lukaseveangelium», in ZKT 75(1953), 338-345 ; lo. , «Die Dublettenvermeidungen im Lukasevangelium>> , in ZKT 76( 1954) , 83-93 ; i due articoli sono stati ristampati in lo. , Traditionsgeschichtliche Untersuchun­ gen zu den Synoptischen Evangelien , Diisseldorf 1968 , 272-278 e 279-289.

220

Da Marco

l . Le 8,8c (Mc 4,9.23) «Chi ha orecchi da intendere intenda» 2. Le 8,16 (Mc 4,21) La lucerna sul candelabro 3. Le 8 , 17 (Mc 4,22) Nascosto/manifesto 4. Le 8,18 (Mc 4,25) «A chi ha sarà dato . . . >> 5 . Le 9,3.4.5 (Mc 6,8. 10. 1 1 ) Discorso missionario 6. Le 9 ,23-24 (Mc 8,34-35) «Se qualcuno vuoi venire die­ tro di me . . . » 7. Le 9,26 (Mc 8,38) «Chi si vergognerà. . . Chi mi confesserà . . . » 8. Le 9,48 (Mc 9,37) «Chi accoglie questo bambino . . . » 9. Le 20,46 (Mc 12,38-39) Monito contro gli scribi 10. Le 21 , 14-15 (Mc 13 , 1 1 ) L a risposta nei tribunali (molto diverso ! ) 1 1 . Le 21 , 18 (da L ? ) Non cadrà u n capello dal capo 12. Le 18, 14b (da L ?) Chi si esalta sarà umiliato .

Da Q

Le 14,35 (Mt 1 1 , 1 5 ; 13 ,9) Le 1 1 ,23 (Mt 5 , 15) Le 12,2 (Mt 10,26) Le 19 ,26 Le 10,4. 5 + 7 , 10-1 1 (Mt 10, 1014) Le 14,27; 17 ,33 (Mt 10,38-39) Le 12 ,8-9 (Mt 10,32-33) Le 10,16 (Mt 10,40?) Le 1 1 ,43 (Mt 23 ,6-7) Le 12, 1 1-12 (Mt 10, 19-20) Le 12,7 (Mt 10,30) I capelli contati Le 14 , 1 1 (Mt 18,4; 23 , 12)

E veniamo , infine , alle altre fonti, che abbiamo indicato con L. Fedele al suo proposito di fare una ricerca più ampia possibile sulle fonti (Le 1 ,3) , Luca ha utilizzato , oltre a Mc e Q, altre fonti, che co­ prono i1 45 ,50% del suo Vangelo (8. 887 parole su 19.448) . Ecco la li­ sta delle pericopi proprie di Le: l . Racconti dell'infanzia, una fonte a sé (1 ,5-2 ,52) 2. La predicazione del Battista (3 , 10-14) 3. La genealogia di Gesù (3 ,23-38) 221

4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21 . 22. 23 . 24. 25 . 26. 27 . 28 . 29 . 30. 31. 32 . 33 . 34. 35 . 36 . 37 . 38. 39. 40. 41 . 42. 222

La predicazione di Gesù a Nazaret (4, 17-21 .23.25-30) La pesca miracolosa (5 ,4-9a; cf. Gv 21 , 1- 14) Vino vecchio migliore (5 ,39) Risuscitamento del figlio della vedova di Nain (7, 12-17) Le donne galilee discepole di Gesù (8,1-3) Rifiuto dei samaritani di accogliere Gesù che va a Gerusalemme (9,52-55) Rifiuto di un aspirante discepolo (9,61-62) Ritorno dei settantadue discepoli (10,17-20) Il comandamento «per ereditare la vita eterna» (10,25-28 ; cf. Mc e Q) La parabola del buon samaritano (10,29-37) L'apoftegma biografico di Marta e Maria (10,38-42) L'ambientazione del «Padre nostro>> ( 1 1 , 1) La parabola dell'amico importuno ( 1 1 ,5-8) La vera beatitudine ( 1 1 ,27-28) Il lievito dei farisei (12,1) Monito contro l'avidità e la cupidigia (12,13-15) La parabola del ricco stolto (12, 16-21) La similitudine dei servi vigilanti (12,35-38) La ricompensa del servo (12,47-48) La missione di «fuoco» (12,49) I segni dei tempi (12,54-56; cf. Mt 16,2-3 : Q?) Invito alla conversione (13, 1-5) La parabola del fico sterile (13 ,6-9) La guarigione di una donna curva in giorno di sabato (13, 10-17) Gli ultimi primi (13 ,30; cf. Mt 19,30; 20,16; Mc 10,31) Erode vuol uccidere Gesù (13,31-33) La guarigione di un idropico (14,1-6) Comportamenti nell'invito a pranzo (14 ,7-14) Condizioni del discepolato ( 14,28-32) La parabola della dramma perduta e trovata (15 ,8-10) La parabola del padre e dei due figli ( 1 5 , 1 1-32) La parabola del fattore disonesto (16,1-Sa) La parenesi conseguente (16,8b-12) Rimprovero agli avari farisei che deridono Gesù (16, 14-15) La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (16,19-3 1) I doveri del servo ( 17,7-10) La guarigione dei dieci lebbrosi (17, 12-18) La venuta del Regno (17,20-21) I giorni del Figlio dell'uomo (17 ,28-32)

43 . 44. 45 . 46. 47 . 48 . 49 . 50. 51. 52. 53. 54. 55 . 56. 57. 58. 59. 60. 61 . 62. 63 . 64 . 65 . 66. 67.

La parabola del giudice disonesto (18,1-8a) La parabola del fariseo e del pubblicano (18, 10-14) Zaccheo (19, 1-10) Risposta ai farisei seccati dal trionfo di Gesù (19,3-40) Lamento su Gerusalemme (19,41-44) La forza distruttrice della pietra scartata (20, 18) La distruzione di Gerusalemme (21 , 18.21b.22.24.28) Esortazione alla vigilanza (21 ,34-36) Sommario del ministero a Gerusalemme (21 ,37-38) Satana entra in Giuda (22,3a; cf. Gv 13 ,27) Parole di Gesù all'ultima cena (22, 15-18. 19c-20) Chi è più grande . . . (22,27) Profezia del rinnegamento di Pietro (22,31-33) Il detto delle due spade (22 ,35-38) Maltrattamenti e interrogatorio di Gesù (22,63-71) Gesù inviato ad Erode (23 ,6-12) Il giudizio di Pilato (23 , 13-16) Le donne sulla via al Calvario (23,27-32) Testimoni alla crocifissione (23 ,34a.35a.36-37) La morte di Gesù (23 ,46.47b-49) Le donne preparano la sepoltura (23,55-56) L'apparizione ai discepoli di Emmaus (24,13-35) Apparizione ai discepoli in Gerusalemme (24,36-43 ; cf. Gv 20) Missione di Gesù risorto ai discepoli (24 ,44-49) Ascensione di Gesù (24,50-53) .

Ed ora qualche osservazione a commento dell'elenco stilato. Il materiale proprio di Le non necessariamente proviene da un'unica fonte. Si è dato ormai l'addio al Protoluca, il cui più grande sosteni­ tore fu V. Taylor. 35 Per il Vangelo dell'infanzia l'evangelista sembra abbia avuto una fonte propria, come pure per il racconto della pas­ sione. Il resto di L ricorre quasi totalmente nelle due inserzioni luca­ ne : i nn. 7-8 nella piccola (Le 6,20-8,3) e i nn. 9-44 nella grande (9,51-18, 14) ; rimangono fuori solo cinque unità dopo il Vangelo dell'infanzia (nn . 2-6) e sei prima della passione (nn. 45-50) .

Js V. TAYLOR, Behind the Third Gospel: A Study of the Proto-Luke Hypothesis , Oxford 1926; Io. , The first Draft of St. Luke's Gospel, London 1 927; D . M . PARROT, «The Dishonest Steward (Luke 16,1-Sa) and Luke's Special Parable Collection» , in NTS 37( 1991), 488-5 15: fonte unitaria con 14 parabole , da quella dei due debitori (7,41-42) a quella del fariseo e del pubblicano (18,9-14) .

223

È probabile che anche nell'usare fonti proprie Luca abbia segui­ to di volta in volta l'ordine della fonte da cui attingeva, anche se dif­ ficilmente lo possiamo provare. 36 Dalle analisi delle tre fonti principali di Le possiamo raccogliere alcune linee di tendenza della redazione lucana senza pretesa di com­ pletezza: l) Una prima linea di tendenza consiste nell'essere conservatore nei discorsi di Gesù e innovatore nella parte narrativa. Secondo B. Rigaux infatti i caratteri letterari propri di Luca si trovano per 1'82% nelle sezioni narrative e solo per il 18% in quelle discorsive. 37 Inter­ viene sulla fonte per correggerne stile e linguaggio. Tipica al riguar­ do è la finale del discorso della pianura (Le 6,46-49/Mt 7,24-27). 2) Luca abbrevia sovente i racconti di Mc, omettendo dettagli di corcostanze o di cronaca non richiesti. Si vedano ad esempio la para­ bola del seminatore (Le 8,4-8/Mc 4, 1-19) e l'indemoniato di Gerasa (Le 8,26-39/Mc 5,1 -20). 38 3) Seguendo un principio di economia, l'evangelista evita quelli che considera doppioni. Forse anche l'omissione dell'unzione di Be­ tania (Mc 14,3-9 parr.) è conseguenza di questo principio, in quanto Luca descrive una scena analoga nel racconto della peccatrice anoni­ ma (Le 7,26-50). Però non tutte le omissioni lucane di Mc si possono spiegare in base a questo principio. Alcune sono dovute al fatto che i destinatari del Vangelo erano etnico-cristiani, come l'eliminazione di thalitha koum di Mc 5,41 in Le 8,54. 4) La concentrazione della narrazione su Gerusalemme spiega la grande omissione di Mc 6,45-8,26, in cui Gesù esce dalla Palestina. La promessa apparizione ai discepoli «in Galilea» dopo la risurrezio­ ne (Mc 14,28) diviene in Le 24,6 la predizione della passione morte e risurrezione «fatta in Galilea». Luca infatti, a differenza di Mt/Mc, pone le apparizioni del Risorto a Gerusalemme o nell'area circo­ stante. 5) Parte delle modificazioni va attribuita alla sensibilità delicata di Luca che tende ad eliminare le scene violente. Non viene raccon­ tata la morte del Battista (Mc 6,17-29); vi si accenna in Le 9,9. Così

·16 Per le parabole proprie di Luca si può ricorrere a C.L. 8 LOMBERG, The Tradi­ tion History of Parables Peculiar to Luke 's Centra/ Section , Diss. Aberdeen 1 982 (Dir. I.H. Marshall ) ; e a G. D I AMOND, «Reflections upon Recent Developments in the Stu­ dy of Parables in Luke>>, in AusBR 29( 1981 ), 1 -29. 37 RIGAUX, Testimonianza, 64. JH Un elenco completo lo si può trovare in FlTZMYER, The Gospel, I, 93.

224

Luca elimina l'opinione negativa dei familiari di Gesù (Mc 3,21 ) . Nel racconto della cacciata dei venditori dal tempio d i Mc 1 1 , 15-16, Le 19 ,45 toglie i particolari più violenti ; e così i maltrattamenti di Gesù nel processo davanti al sinedrio (Mc 14,62-65/Lc 22,70) , la fla­ gellazione (Mc 15, 15) appena suggerita in Le 23 , 16.22.25 , ed infine scompaiono spine ed insulti (Mc 1 5 , 1 6-20) . 6) Luca evita pure la descrizione marcana delle forti emozioni di Gesù : la compassione (Mc 1 ,41/Lc 5 , 13) , l'indignazione (Mc 1 ,43/Lc 5 , 14) , lo sguardo pieno d'ira e di tristezza (Mc 3 ,5/Lc 6, 10) ; la com­ passione di Gesù per la folla nel luogo deserto (Mc 6,34/Lc 9 , 1 1 ) ; l'i­ ra (Mc 10,14/Lc 18, 16) ; lo sguardo di amore al giovane ricco (Mc 10,21/Lc 18 ,22) ; l'abbraccio dei bambini (Mc 9,36; 10,16/Lc 9,48 ; 18, 17) ; l'angoscia di Gesù di fronte alla morte (Mc 14,33-34/Lc 22 ,40) ed infine il grido sulla croce (Mc 15 ,34) . 7) Per lo stesso motivo Luca dimentica alcuni comportamenti negativi dei discepoli : il loro silenzio imbarazzato quando chiede di cosa discutevano (Mc 9 ,34/Lc 9 ,47) ; Gesù rimprovera Pietro (Le 9 ,22) , ma non lo chiama «Satana» (Mc 8,33) . Luca omette il lamen­ to dei discepoli a Gesù di non curarsi di loro (Mc 4,38b/Lc 8,24) , la richiesta inopportuna dei figli di Zebedeo (Mc 10,35-40) e la fuga vergognosa alla sua cattura (Mc 14,49) . Invece, vicino alla croce , pone non solo le donne , ma anche i «conoscenti» di Gesù . E si po­ trebbe continuare . 39 Più difficile risulta configurare la redazione delle fonti degli Atti, non possedendo validi termini di confronto come per il terzo Vange­ lo. Raffrontando Atti e letteratura paolina, si nota comunque che Luca tende ad attenuare i contrasti e a smussare i toni delle contro­ versie in modo da dipingere un quadro ideale ed armonico della co­ munità cristiana primitiva e dei suoi protagonisti , in linea con i ca­ ratteri rilevati nel Vangelo .

2.2. Il linguaggio di Luca40 Per quanto concerne le somiglianze e le differenze di lingua e sti­ le fra Luca ed Atti , un documentato «status quaestionis» si può leg­ gere in un breve articolo recente di J. Dawsey. 41 Egli non mette in 39

Un più ampio resoconto sull'uso lucano delle fonti in CADBURY , Style, 73-205 . Oltre agli studi specialistici, elencati sopra alla nota 29, ho trovato utile il IV capitolo dell'introduzione al Vangelo di Fitzmyer su linguaggio e stile lucano , con bi­ bliografia ( The Gospel, l, 107-127) . 41 DAWSEY , . 40

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discussione l'unità letteraria dei due libri , ma porta alla luce i pro­ blemi posti da notevoli differenze, cui si deve, in ogni caso, dare una risposta. È noto che Luca possiede un vocabolario ricco ed usa uno stile più elegante degli altri evangelisti ; nel prologo arriva addirittura allo stile attico . Ci accosteremo al linguaggio di Luca-Atti esaminando anzitutto il vocabolario, passeremo quindi allo stile per concludere con un cenno al rapporto di Luca-Atti con fonti influenzate dall'ara­ maico e dall'ebraico. Secondo Morgenthaler42 il vocabolario di Luca annovera 2.055 parole di cui 971 hapax legomena e 352 che ricorrono due volte ; mentre in Atti si hanno 2038 vocaboli , di cui 943 hapax legomena e 335 che ricorrono due volte. Sotto questo profilo ancora formale vi è una somiglianza fra Le e Atti; lo stesso si può dire del rapporto tra i vocaboli usati e il complessivo numero di parole (rispettivamente 19.404 e 18.374 e la percentuale di 9 ,44 e 9 ,015) . Luca-Atti ha più hapax legomena che non tutti gli altri scritti del NT, anche di Paolo . Contiene quindi il vocabolario più ricco. J .C. Hawkins ha approntato delle liste di vocaboli e frasi caratte­ ristiche di Luca-Atti. Anche da qui risalta la superiorità di Luca su­ gli altri due sinottici : mentre elenca 95 vocaboli e frasi tipiche di Mt e 41 di Mc, ne elenca ben 1 5 1 per Luca-Atti . Per «caratteristiche» Hawkins intende parole e frasi che ricorrono almeno quattro volte nel Vangelo e non si trovano in Mt e Mc, oppure che in Le ricorrono almeno il doppio o anche più di volte che in Mt e Mc. Pensiamo sia utile per chi studia Luca-Atti riportare la lista alfabetica di Haw­ kins43 ponendo fra parentesi il numero di volte che compare in Luca­ Atti: l . agathopoiein (fare il bene: 4 + O); 2. adikia (ingiustizia: 4

+

2); 3. adikos (ingiusto: 4 + l); 4. athetein (rigettare, rifiutare: 5, di

cui 4 in Le 10, 16 + O) ; 5. an + ottativo (4 + 5); 6. anastas, anastan­ tes (part. aoristo di anistanai, alzarsi: 16 + 18) ; 7. aner (uomo: 27 + 100); 8. anthrope («uomo» al vocativo: 4 + 0); 9. apo tou nyn (d'ora in poi: 5 + l) ; 10. apolambanein (accogliere: 4 + O); 1 1 . apostolos (apostolo: 6 + 28); 12. archontes (capi dei giudei: 4 + 5); 13. autos ho (. . . stesso: 11 + 2); 14. aphairein (togliere: 4 + O);

42 R. MoRGENTHALER, Statistik des neutestamentlichen Wortschatzes, Frankfurt a.M.-Ziirich 1958, 27. 43 HAWKINS, Horae, 16-23 .

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15. aphistanai (abbandonare: 4 + 6); 16. achri (fino a: 4 + 15); 17. ballantion (borsa: 4 + O); 18. bios (vita: 4 + O); 19. brephos (bam­ bino: 5 + l); 20. ge (infatti: 8 + 4); 2 1 . gegonos to (l'accaduto: 4 + 3); 22. ginesthai + epi + l'accusativo (venire su: 6 + 5); 23 . goneis (genitori: 6 + 0); 24. deisthai (chiedere: 8 + 7); 25 . deka (10 + l); 26. de kai (e inoltre: 25 + 7); 27. dialogismos (pensiero: 6 + O); 28. dianoigein (aprire: 4 + 3); 29 . diatassein (autorizzare: 4 + 5); 30. dierchesthai (attraversare: 10 + 20); 3 1 . dikaioun (giustificare: 5 + 2); 32. doxazein ton theon (lodare Dio: 8 + 3); 33. egeneto + kai (avvenne pure: 1 1 + l ?); 34. egeneto + verbo finito (22 + O); 35 . egeneto + infinito (5 + 16); 36. ei de mege (se no: 5 + O); 37. eie (ottativo del verbo einai: 7 + 4); 38. einai col dativo (avere: 15 + 10); 39. einai + prep. + art. : 7 + 3); 40. eipen parabolen (disse una parabola: 7 + O); 41 . eipen o eipan de (ma disse o dissero: 59 + 15); 42. eirene (pace: 13 o 14 + 7); 43 . eispherein (introdurre: 4 + l); 44. elachiston (una cosa molto piccola: 4 + O); 45 . elegen de; elegon de (ma disse; dissero: 9 + O); 46. eleos (misericordia: 6 + O); 47. en miai ton hemeron (in uno dei giorni: 5 + O); 48. en tais hemerais tautais (in quei giorni: 4 + 3); 49. en toi + infinito (32 + 7); 50. enopion (davanti: 22 + 13); 5 1 . exapostellein (inviare da: 4 + 7); 52. erchesthai apo (uscire da: 13 + 3); 53. epairein (alzare, alzarsi: 6 + 5); 54. epididonai (trasmettere: 5 + 2); 55. epithymein (desiderare: 4 + l); 56. epilambanesthai (prendere: 5 + 7); 57 . epi­ states (presidente: 7 + O); 58. erotan (chiedere: 15 + 7); 59. heteros (altro: 33 + 1 7); 60. etos (anno: 15 + 11); 6 1 . euaggelizesthai (evangelizzare: 10 + 15); 62. euphrainein (essere contento: 6 sem­ pre nelle parabole + 2); 63 . ephistanai (porsi vicino: 7 + 11); 64. echein + inf. (5 + 6); 65 . thaumazein epi (meravigliarsi di: 4 + l); 66. therapeuein apo (guarire da: 4 + O); 67 . thyein (sacrificare: 4 + 4); 68. iasthai (guarire: 11 + 4); 69. idou gar (ecco infatti!: 5 + l); 70. Hierousa/em (27 + 36); 71. kath 'hemeran (ogni giorno: 5 + 6); 72. kai nell'apodosi (4 + l); 73 . kai autos (ed egli: 41 + 8); 74. kai houtos (e questo: 8 + l); 75 . kaloumenos con nomi o appellativi (chiamato/nominato: 11 + 13); 76. kataklinein (adagiarsi: 5 + O); 77 . katanoein (vedere chiaramente: 4 + 4); 78. keisthai (giacere: 6 + O); 79. klaiein (piangere: 11 + 2); 80. klinein (adagiare: 4 + O); 81. koilia (ventre: 7 + 2); 82. krites (giudice: 6 + 4); 83 . krouein (bussare: 4 + 2); 84. ho Kyrios usato di Gesù nella narrazione (il Signore: 13 + O); 85 . laos (popolo: 36 + 48); 86. legein parabolen (dire una parabola: 6 + O); 87. limne (lago: 5 + O); 88. limos (fa­ me: 4 + 2); 89. ho logos tou theou (la parola di Dio: 4 + 13); 90. lychnos (lampada: 6 + O); 91 . meta tauta (dopo queste cose: 5 + 4); 92. men (mese: 5 + 5); 93 . mimneskesthai (ricordare: 6 + 2); 94. mna (mina: 7, tutte in Le 19, 13-25); 95. nomikos (giurista: 6 + O); 96. nyn (ora: 14 + 25); 97. oikonomos (economo: 4 + O); 98. oikos (casa/famiglia: 7 + 7); 99. homoios (a somiglianza: 11 + O);

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100. onoma (il cui nome: 7 + l); 101 . onomati (di nome: 7 + 22); 102. hos (relativo di attrazione: 11 + 23); 103 . ouchi, alla (no, ma: 5 + O); 104. para (oltre: 4 + O); 105 . para tous podas (ai piedi: 4 + 5); 106. paraginesthai (essere presente: 8 + 20); 107. parachrema (immediatamente/all'istante: 10 + 6); 108. parechein (offrirelpre� sentare: 4 + 5); 109. paslhapas ho laos (tutto il popolo: 10 + 6); 1 10. peirasmos (tentazione: 6 + l); 1 1 1 . pempein (inviare: 10 + 11); 1 12. pimplanai (riempire: 13 + 9); 1 13. p/ethos (moltitudi­ ne/assemblea: 8 + 16); 1 14. plen (eccetto: 15 + 4); 1 1 5 . plousios (ricco: 11 + O); 1 16. prassein (fare: 6 + 13); 1 17. pros (usato con verbum dicendi: 99 + 52); 118. prosdechesthai (aspettare: 5 + 2); 1 19. prosdokan (attendere: 6 + 5); 120 prostithenai (aggiungere: 7 + 6); 121 . prosphOnein (rivolgersi a . . . : 4 + 2); 122. rhema (paro­ la: 19 + 14); 123 . strapheis (voltatosi: 7 + O); 124. syggeneusleslis (parente: 5 + l); 125 . syllambanein (concepire/capire: 7 + 4); 126. syn (con: 23 + 52); 127. synechein (stringere/premere: 6 + 3); 128. synkalein (chiamare insieme: 4 + 3); 129. soteria (salvezza: 4 + 6); 130. te (e: 9 + circa 134); 131 . tis (chi? con ottativo: 7 + 4); 132. tis ex hymon (chi di voi?: 5 + O); 133. tis con nomi (un certo: 38 + 63); 134. to tis/to ti (che cosa?: 5 + l); 135. tolta (articolo prima delle preposizioni: 8 + 15); 136. tou (+ infinito: 20 + 18); 137. touton (lui/quello: 7 + 10); 138. hyparchein (essere presente/esiste­ re: 15 + 25); 139. hypostrephein (ritornare: 21 + 11); 140. hypsi­ stos (altissimo: 7 + 2); 141 . hypsoun (elevare/alzare: 6 + 3); 142. phatne (mangiatoia: 4 + O); 143 . philos (amico: 15 + 3); 144. pho­ beisthai (temere, riferito a Dio: 6 + 5); 145 . phylassein (osservare: 6 + 8); 146. phone (con ginesthai: 4 + 4); 147. chairein (godere: 11 + 5); 148. charis (favore: 8 + 1 7); 149. chera (vedova: 9 + 3); 150. hOs (quando: 19 + 29); 151. hosei (come: 9 + 6).

Hawkins aggiunge altre tre liste in tre appendici che pure ripor­ tiamo : l) Parole che compaiono quattro volte di più in Luca-Atti che in Mt/Mc: l. hagios (santo: 20 + 53); 2. agein (portare/guidare: 13 + 26); 3. hikanos (parecchio/i: 9 + 18); 4. ho (con parole inserite fra l'articolo e il nome: 7 + 20); 5 . hou (dove: 5 + 9) . 2) Parole e frasi che compaiono in Le due o tre volte e almeno sei volte in Luca-Atti , mentre non ricorrono in Mc e solo in sei ca­ si una volta in Mt: l . ainein (lodare: 3 + 3); 2. anagein (tirar su: 3 + 1 7); 3. anairein (togliere: 2 + 19); 4. apodechesthai (accoglie­ re/riconoscere: 2 + 5); 5. apologeisthai (difendersi: 2 + 6); 6. ate­ nizein (fissare: 2 + 10); 1. boule (consiglio/piano: 2 + 7); 8. gno­ stos (conosciuto: 2 + 10); 9. dioti (poiché: 3 + 5); 10. eiin (permet­ tere: 2 + 7),· 1 1 . ethos (costume/abitudine: 3 + 7); 12. eisagein (in-

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trodurre: 3 + 6); 13. eperchesthai (sopravvenire: 3 + 4); 14. Heme­ ra con ginesthai (3 + 6); 15. katerchesthai (discendere: 2 + 12); 16. latreuein (venerare: 3 + 5); 17. oikoumene (mondo abitato: 3 + 5); 18. paraklesis (consolazione: 3 + 5); 19. pauesthai (cessare: 3 + 6); 20. peritemnein (circoncidere: 2 + 5); 2 1 . kata polinlkata poleis (di città in città: 3 + 3); 22 . pynthanesthai (chiedere: 2 + 7); 23 . si­ gan (tacere: 3 + 3); 24. statheislstathentes (disposto/collocato: 3 + 6); 25 . strategos (capitano: 2 + 8); 26. symballein (ponderare/com­ plottare: 2 + 4); 27. charizesthai (donare, dare gratuitamente: 3 + 4); 28. chronoi (tempi: 3 + 3) .

Da queste liste risulta lampante l'unità del vocabolario di Luca­ Atti , anche se vi è qualche strana eccezione , come il te (e) così fre­ quente in Atti. Per quanto concerne l'origine di questo ricco vocabolario lucano, H.J. Cadbury-44 ha confrontato il vocabolario di Luca con quello de­ gli scrittori attici di prosa, i poeti classici e i più recenti scrittori atti­ ci . Ne risulta certo una considerevole differenza rispetto agli scritto­ ri classici, e tuttavia la lingua dell'opera lucana è, fra gli scritti del NT, la più vicina agli scrittori greci. Il 90% del suo vocabolario è in­ vece presente nella LXX: particolarmente in Giudici-Re e soprattut­ to in 2Mac. Va distinto inoltre il vocabolario giudeo-ellenistico da quello propriamente cristiano. Per fare solo qualche esempio : agge­ los (Le 1 , 1 1 ) , azyma ( Le 22,17; cf. Mc 14, 1 . 12) , amèn (Le 4,24; 12,37 . . . ) , pascha ( Le 22,7) , sikera (ebr. shekar, aram. shikra in Le 1 , 15) provengono dal vocabolario giudeo-ellenistico , mentre Chri­ stos, christianos (At 1 1 ,26; 26,28) , euaggelion (At 15 ,7; 20,24) e apostolos ( Le 6,13; 9 , 10 . . . ) sono di origine cristiana. Dal vocabolario passiamo allo stile lucano. Secondo gli studiosi Luca si servirebbe di tre stili diversi nella sua opera: di quello attico, più elevato , nel prologo (Le 1 , 1-4; meno riusciti sono Le 3 , 1 -2 e At 1 , 1-2) , di quello semitico nel Vangelo dell'infanzia (Le 1 ,5-2,52) e infine di un greco medio-alto nel corpo di Vangelo-Atti , anche se pure qui si notano differenze di stile fra At 1-12 e At 13-28 . Potreb­ be darsi che , almeno in parte , queste diversità di stile dipendano dalle diverse fonti usate . Accantonando però questo problema diffi­ cile, che ci porterebbe troppo lontano , ci vogliamo fermare invece a

44

CADBURY , Sty/e,

4-39 .

229

quello della derivazione dello stile lucano : è uno stile greco , mutua­ to per lo più dal greco della LXX, o è invece un greco di traduzione dall'ebraico o dall'aramaico?45 Fitzmyer nella sua introduzione sta decisamente per la prima tesi , ricordando che il greco della LXX è pure un greco di traduzione . Però in Luca-Atti vi sono talora delle espressioni chiaramente dipendenti dall'ebraico , perché non si leg­ gono nella LXX, come ad esempio, la formula egeneto de + infinito . Mi sembra semplicistico risolvere la questione dicendo, come sostie­ ne Fitzmyer, che Luca, in questi casi , amplia in greco altre forme più vicine all'ebraico , che si trovano nella LXX. 46 Il problema si pone con particolare urgenza per Le l .�2,52, dove la lingua greca è an­ cor più vicina alla LXX e dove i semitismi si moltiplicano , anche se vi si mescolano pure molti lucanismi; un problema analogo si pone per At 1-12. Al di là delle questioni aperte, su cui si continuerà an­ cora a discutere , pensiamo sia utile offrire una lista dei Settuagenti­ smi, degli aramaismi , degli ebraismi e dei semitismi presenti nello stile lucano. 47 I Settuagentismi sono i più numerosi : l ) anastas (Le 1 ,39 ; 6,8; 15 ,20 . . . ) ; spesso nella LXX (Gen 19,15; 22 ,3 . . . ); 2) aprokitheis eipen (Le 1 , 19; 5 , 5 ; 7 ,22 . . . ) ; spesso nella LXX traduce wayyo'mer (Gen 18,9) ; 3) doxazein ton theon (Le 2,20 ; 5,25-26 ; 7,16; 13, 13) nella LXX: Es 15,2; Dn 3,51 ; 4) ek koilias métros (Le 1 , 15) nella LXX : Gb 1 ,2 1 ; Sal 7 1 ,6 ; 5) epairein tous ophtalmous (Le 6,20; 16,23; 18,13 . . . ) nella LXX: Gen 13,10; 2Sam 18,24; lCr 21 ,16; 6) epithymiai epethymésa (Le 22 , 15) nella LXX: Gen 31 ,30 . . . ; 7) enopion (Le 1 ,5 ; 4,7; 15, 18.21) ricorre ra­ ramente nel greco popolare dei papiri , ma è frequente nella LXX: Gen 1 1 ,28 ; Es 3 ,6; At 1 ,8 . . . ; 8) kata prosopon + gen. (Le 2,31 . . . ) nella LXX: Gen 23 ,17; 25 , 1 8 ; Es 26,9 . . . ; 9) legon (Le 3 , 16; 8,8; 12,17 . . . ) nella LXX traduce l'inf. costrutto enfatico lé'mor: Gen 1 ,22.28; 4,25 ; Es 1 ,22 . . . ; 10) il vocativo ho theos (Le 18, 1 1 . . . ) nel­ la LXX è presente soprattutto nei salmi : 44, 1 ; 48 , 10 . . . ; 1 1 ) poiein eleos meta (Le 1 ,72 ; 10 ,37 . . . ) nella LXX: Gen 24,12; Gdc 21 ,26; . . . ; 12) poreuein eis eirénén (Le 7 ,50; 8,48) nella LXX: Gdc 18,6;

4s Per una traduzione da un originale ebraico del Vangelo dell'infanzia si è pro­ nunciato recentemente S. M u riloz IGLESIAS, Los Evangelios de la infancia, III (BAC 488), Madrid 1987, 270-280. 46 FrrzMYER, The Gospel, l , 1 1 8. 4 7 FrrzMYER, The Gospel, l , 1 14-125.

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lSam 1 , 17; 20,42 . . . ; 13) poreutheis + verbo finito (Le 7,22; 9, 12.52; 13 ,32; 22,8) spesso nella LXX: Gen 27,13. 14; 37,14 . . . ; 14) pro prosopou + gen. (Le 7 ,27 in una cit. ; 9,52; 10,1) nella LXX: Es 23,20; 33,2; Lv 18,24 . . . ; 15) prosopon lambanein (Le 20,21 . . .) nella LXX : Lv 19, 1 5 ; Lam 4,16; Sir 4 ,22.27; 16) prost­ heis + verbo finito nel senso di «fare di nuovo» (Le 19, 1 1 ) nella LXX: Gb 27 , 1 ; 29 , 1 ; 36, 1 . . . ; 17) prostithenai + infinito (Le 20 , 1 1 12) nella LXX: Gen 4,2. 12; 8 , 12.21 . . . ; 18) rhema (= cosa) (Le 1 ,37.65 ; 2,15. 19.5 1 ; At 5 ,32; 13 ,42) nella LXX: Gen 30 ,31 ; 34 ,19; lSam 4,16 . . . ; 19) stornati machairas piptein (Le 21 ,24) nella LXX: Sir 28,18; 20) tithenai en tei kardiai. . . (Le 1 ,66; 2 1 , 15) nella LXX: lSam 2 1 , 1 3 ; 29, 10; Sal l3,2; 21) huios nel senso di «figlio di . . . » in luogo dell'aggettivo (Le 5 ,34 ; 10,6; 20,34. 36) nella LXX: Gen 6,2; Dt 32,43 ; 22) phobeisthai phobon megan (Le 2,9) nella LXX: Ez 27 ,28 ; lMac 10,8; 23) pros + ace. dopo un verbum dicendi (Le 1 , 13; 4,36 . . . e molto spesso anche negli Atti) è raro negli altri due sinottici , mentre attraversa tutti i livelli di Luca-Atti . Dal Tumer48 è chiamato giustamente un «semitismo», anche se è allo stesso tempo un «settuagentismo» in quanto ricorre molto spesso nella LXX (Gen 19,5 ; Es 7,1 .8 . . . ). I settuagentismi attraversano i vari livelli delle fonti fino alla redazione , anche se , come abbiamo già ricordato , sono più frequenti in Le 1-2.

Gli aramaismi non sono numerosi e possono spiegarsi con le tra­ dizioni, radicate in Palestina. Fitzmyer, specialista in questo campo , rimanda per alcuni testi di Le a paralleli nei manoscritti di Qumran : l) Le 1 ,32-35

40246 1 , 1 .7; 2,1.5

«Sarà chiamato figlio dell'Altissimo» (l ,32) «sarà grande» (l ,32) «regnerà per sempre . . . regno eterno» (1 ,33) , 851 17; e alla recente monografia di D . L . BocK , Proc/amation from Prophecy and Pat­ tern. Lucan 0/d Testament Christology (JSNT SS 12) , Sheffield 1987, anche se si fer­ ma solo al Vangelo. Per l'ambiente ellenistico , fondamentale rimane E. PLOMACHER, Lukas als hellenistischer Schriftsteller. Studien zur Aposte/geschichte (SUNT 9) , Got­ tingen 1972 . 50 Per Atti cf. l'articolo di W.K.L. CLARK, «The Use of Septuagint in Acts>> , in F.J . FoAKEs-K. LAKE , The Beginnings of Christianity, l, The Acts of the Apostles , vol . 2, London 1922, 66-205 .

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ebraico o del Targum , patrocinato da M. Wilcox ,5 1 può essere spie­ gato dalle fonti cui attinge Luca. Perciò ne prescindiamo attenendo­ ci alla redazione lucana. Partiamo, come per Mt e Mc, da un elenco delle citazioni esplici­ te e implicite per discutere alla fine il modo tipico lucano di usare l' AT in funzione della cristologia e per spiegare la destinazione della fede cristiana alle genti : 52 l. Le 1 ,17 = MI 4,5-6 e 3 , 1 2. Le 1 ,37 = Gen 18,14 3. Le 1 ,46-55 = 1Sam 2, 1-10 4. Le 1 ,48 = 1Sam 1 , 1 1 5 . Le 1 ,68 = Sal 41 , 1 3 ; 72,18; 106,48 6. Le 1 ,76 = Is 40,3 ; MI 3 , 1 7. Le 1 ,78-79 = I s 9,2; 58,8; 60,1-2 8. Le 2,23 = Es 13,2. 12. 15 9. Le 2 ,24 = Lv 12,8 10. Le 2,52 = 1Sam 2 ,26 1 1 . Le 3 ,4-6 = Is 40,3-5 (cit .) 12. Le 4,4 = Dt 8,3 (cit .) 13. Le 4,8 = Dt 6, 13-14 (cit. ) 1 4 . Le 4,10- 1 1 = Sal 91 , 1 1-12 (cit. ) 15. Le 4,12 = D t 6 , 1 6 1 6 . Le 4, 18-19 = I s 61 ,1-2; 58,6 (cit. ) 1 7 . Le 7,22 = I s 35 ,5 ; 61 , 1 1 8 . Le 7,27 = M I 3 , 1 ; cf. E s 23 ,20 (cit. ) 1 9 . Le 8 , 10 = I s 6,9-10 20. Le 9,54 = 2Re 1 , 10-12 21 . Le 10,15 = Is 14, 13. 15 22. Le 10,27 = Dt 6,5 e Lv 19,18 (cit.) 23 . Le 12,53 = Mi 7 ,6 24. Le 13 ,35 = Sal 1 18,26 25 . Le 18,20 = Es 20, 13-16; cf. Dt 5,17-20 26. Le 19,38 = Sal 1 18,26 27 . Le 19 ,46 = Is 56,7 e Ger 7 , 1 1 28 . Le 20,9 = Is 5 , 1 29 . Le 20, 17 = Sal 1 18 ,22

M. WtLCOX, The semitisms of Acts, Oxford 1965. Come al solito , ci rifacciamo alle indicazioni dell'edizione internazionale del NT. 51

52

234

30. 31 . 32. 33 . 34 . 35 . 36. 37 . 38 . 39 . 40.

Le Le Le Le Le Le Le Le Le Le Le

Atti53 l . At 2. At 3 . At 4 . At 5 . At 6. At 7 . At 8. At 9. At 10. At 1 1 . At 12. At 13 . At 14. At 15. At 16. At 17. At 18. At 19. At 20. At 21 . At 22. At 23 . At

20,37 = 20,42 = 21 ,26 = 21 ,27 = 22,37 = 22,69 = 23 ,30 = 23 ,34 = 23 ,35-36 23 ,36 = 23 ,46 =

Es 3 ,2 Sal 1 10,1 (cit.) Ag 2,6.21 Dn 7,13 Is 53,12 (cit. ) Sal 1 10 , 1 O s 10,8 Sal 22,18 = Sal 22,7-8 Sal 69,21 Sal 3 1 ,5

1 ,20a = Sal 69,25 1 ,20b = Sal 109,8 (cit.) 2,17-21 = Gl 2,28-32 (cit. ) 2,25-28 = Sal 16,8- 1 1 (cit . ) 2,30 = Sal 132, 1 1 ; cf. 2Sam 7 ,12-13 2,31 = Sal 16,10 2,34-35 = Sal 1 10,1 3 , 1 3 = Es 3 ,6 3,22-23 = Dt 18, 15-16. 19 (cit. ) 3 ,25 = Gen 22,18 4,11 = Sal 1 18,22 4,24 = Es 20, 1 1 ; cf. Sal 146,6 4,25-26 = Sal 2, 1-2 7,3 = Gen 12,1 7,5 = Gen 12,7 7,6-7 = Gen 15, 13-14 7 , 10 = Gen 41 ,31-39.40-44 7 , 1 1 = Gen 41 ,54 7 ,26-28 = Es 2, 13-14 7,30-31 = Es 3 ,2-3 7,31-34 = Es 3 ,4-10 7 ,35 = Es 2 , 14 7,37 = Dt 18,15

53 Sono state proposte due liste : una d a CLARK, «Septuagint i n Acts» , 85-105 ; ed un'altra da DuPONT, Studi sugli Atti, 478-479; ma non coincidono; perciò seguiamo il solito metodo delle indicazioni nell'edizione internazionale del NT.

235

24. 25 . 26. 27 . 28. 29. 30. 31. 32. 33 . 34. 35 . 36.

At At At At At At At At At At At At At

7,40 = Es 32, 1 .23 7,42-43 = Am 5 ,25-27 7,49-50 = Is 66, 1 -2 ( cit. ) 8,32-33 = I s 53,7-8 (cit. ) 13 ,22 = lSam 13,14 13 ,33 = Sal 2,7 (cit. ) 13 ,34 = I s 55,3 (cit. ) 13 ,35 = Sal 16, 10 (cit . ) 13,41 = A b 1 ,5 13 ,47 = Is 49,6 14,15 = Es 20, 1 1 ; cf. Sal 146,6 1 5 , 16-17 = Am 9 , 1 1-12 (cit. ) 28,26-27 = Is 6,9-10 (cit. )

D a questo elenco delle citazioni esplicite e implicite , i n tutto 76, di Luca-Atti tentiamo di trarre qualche conclusione . Anzitutto nei primi quattro capitoli di Le e degli Atti le citazioni sono più frequenti che nel resto di Luca-Atti . Gli inizi della storia di Gesù e della chiesa sono narrati come «compimento» di profezie e promesse della Sacra Scrittura. Ma il compimento non è espresso al­ lo stesso modo di Mt che interviene con un commento redazionale , citando il testo scritturistico che si compie in quell'evento. In Le in­ vece le promesse e le profezie dell' AT sono inserite nella stessa nar­ razione , mentre negli Atti sono incluse nei discorsi . Per quanto concerne le citazioni scritturistiche negli Atti , notia­ mo che delle 36 quivi registrate , 19 ricorrono nel discorso di Stefano (At 7 ) e in quello di Paolo ad Antiochia di Pisidia. Se passiamo a considerare i testi citati, ci accorgiamo che Luca predilige Isaia , il libro dei «Dodici profeti» e i Salmi. Isaia è citato 10 volte in Le e 5 in Atti ; il libro dei «Dodici profeti» viene citato 5 vol­ te in Le e 4 in Atti ; il libro dei Salmi 10 volte in Le e 9 in Atti: con un totale di 25 citazioni su 40 in Le e 16 su 36 in Atti . Un discorso a parte meriterebbe la tipologia, S4 trascurata dalla monografia di M. Rese , 55 e messa in luce da Bovon e Bock . A tal proposito ricordiamo brevemente la figura di Abramo , presente 15 + 7 volte in Luca-Atti contro 7 in Mt , l in Mc e 11 in Gv ; quella di

54

55

1969 .

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BovoN , Luc le Théologien , 98-104. M . RESE, Alttestamentliche Motive in der Theologie des Lukas, Giitersloh

Mosè, che ricorre 10 + 19 volte in Luca-Atti contro le 7 di Mt , le 8 di Mc e le 12 di Gv ; e infine quella di David, ricordato 13 + 1 1 volte in Luca-Atti, mentre in Mt ricorre 17 volte , 7 in Mc e 2 in Gv. Queste tre grandi figure dell'AT hanno in primo luogo una consistenza sto­ rica, ma rivestono indubbiamente anche un carattere tipologico , ta­ lora in analogia, talaltra per compimento o superamento . La maggior parte delle citazioni sono utilizzate in funzione cri­ stologica ( cf. Rese e Bock ) . Tale funzione termina con At 13. In At 15, 16-17, Am 9 , 1 1-12 viene citato da Giacomo per giustificare l'am­ missione dei pagani nel «popolo di Dio» (At 15 , 14) , mentre Is 6,9-10 in At 28 ,26-27 intende spiegare il rifiuto ufficiale degli ebrei di acco­ gliere il regno di Dio portato da Gesù. Già P. Schubert nel 195456 aveva attirato l'attenzione degli stu­ diosi su Le 24 per il ricorso alla Scrittura, che interpreta la tragica vi­ cenda del Messia Gesù . Anzitutto alla tomba vuota i due «uomini)) biancovestiti ricordano la predizione della morte e risurrezione , fat­ ta loro da Gesù (24 ,5-7) . Nel racconto dei due discepoli di Emmaus Gesù si accompagna loro in incognito , dimostrandosi sommo e caldo interprete della Scrittura (24,25-27) . Infine , apparendo agli undici, per l'ultima volta ricorda quanto egli stesso aveva detto: «che devo­ no compiersi tutte le cose scritte di me nella Legge di Mosè e nei Profeti e nei Salmi)) (24,44) . In Le 24 l'evangelista espone una tesi ermeneutica della Scrittura, che verrà poi sviluppata ampiamente nei discorsi degli Atti. Anzitutto è Gesù stesso che compie e nello stesso tempo inter­ preta la Scrittura (24,4-5 .44) . Luca presenta Gesù interprete e com­ pimento escatologico della Scrittura già nel discorso programmatico a Nazaret (4,16-2 1 ) . Perciò egli è convinto che l'interpretazione apo­ stolica della Scrittura , contenuta nei discorsi degli Atti , sia fondata ultimamente nello stesso insegnamento di Gesù . La Scrittura, nelle sue tre parti ( Legge , Profeti e Scritti ) , è pro­ fezia che deve compiersi in Gesù e nella sua comunità, rivela perciò in lui la volontà salvifica di Dio . L'AT ha certamente funzione erme­ neutica, quando interpreta un evento misterioso come la morte di Gesù, la venuta dello Spirito , l'entrata dei gentili nella chiesa, il ri­ fiuto della fede cristiana da parte della comunità ebraica. Ma ha nel-

56 P. ScHUBERT, «The Structure and Significance of Luke 24>> , in W. ELTESTER, a cura , Neutestamentliche Studien. Fs. R. Bultmann , Berlin 1954, 165- 186.

237

lo stesso tempo funzione rivelativa della volontà di Dio che si è com­ piuta e in qualche caso riveste pure carattere apologetico (Le 22 ,37; At 2,25-28.31). Al di là della funzione ermeneutica, teologica ed apologetica, il ricorso alla Scrittura mira a confermare la fede di sua eccellenza Teofilo e dei cristiani come lui. La solidità dell'insegnamento impar­ tito non è semplicemente quella storica, ma, e ancor più , quella sto­ rico-salvifica, che si legge attraverso l'A T, usato col metodo inse­ gnato da Gesù . Quale metodologia pratica Luca nell'interpretare l' AT? Non vi è dubbio che vi sia un influsso di quel metodo che si trova nel rabbini­ smo . Tale metodo prendeva talora il testo alla lettera, a volte lo in­ terpretava richiamandosi al contesto oppure accostava testi diversi per illuminarli a vicenda. Fra gli esegeti si discute soprattutto l'uso dell' AT nei discorsi degli Atti. E sembra siano sempre più d'accordo su due punti: l) la mano del redattore è intervenuta nei discorsi de­ gli Atti e quindi anche nell'interpretare l' AT; 2) ma nello stesso tempo si rileva , specie nella prima parte degli Atti , l'ampio utilizzo di tradizioni palestinesi della chiesa giudeo-cristiana. Senza addentrarci nella discussione quale testo della Bibbia usi Luca e quale metodologia segua, mi sembra che un punto fonda­ mentale di partenza rimanga Le 4 e 24, dove si rivela la mano e la mentalità dell'evangelista. Le 4 interpreta con Isaia, in prospettiva, la futura missione salvifica di Gesù , mentre Le 24 la interpreta, con tutta la Bibbia, in retrospettiva, concentrandola nella sua morte e glorificazione . Questi due punti di vista: - la missione escatologica di Gesù interpretata dal suo inizio e la fine tragica di Gesù letta , Bibbia alla mano, a partire dalla sua glorificazione - trovano la loro unità nei discorsi di Pietro (At 2,14b-36 e 10,34-43). Luca, sia forse per la sua frequentazione della sinagoga ellenisti­ ca sia attraverso la liturgia e la tradizione cristiana, conosceva certa­ mente la Bibbia greca della LXX e la utilizzò come chiave ermeneu­ tica nell'interpretare «le cose che si sono compiute in mezzo a noi>> (Le l , l ) . Alla cultura ellenistica ricorre per rendere più familiare ai suoi lettori etnico-cristiani il messaggio evangelico ; e forse anche per avvicinare le persone colte del suo ambiente alla fede cristiana e su­ scitare in loro simpatia per la persona di Gesù e la sua opera salvifi­ ca. Ma la cultura-base della sua opera rimane quella biblica e cristia­ na. È essa che illumina la storia di Gesù , la collega all'AT, conside­ rato tuttavia più come opera letteraria che non come preparazione storico-salvifica alla missione di Gesù. Le due componenti culturali , 238

biblica ed ellenistica, sono armonicamente unite insieme , anche se a volte si fa sentire più la voce dell'una che dell'altra . Comunque la voce , la parola ultima è sempre quella di Gesù stesso e della salvezza dell'uomo, che si è compiuta in lui e continua a compiersi nella chie­ sa mediante il suo Spirito .

3.2. L'ambiente socio-comunitario 57 Sono noti anche in Italia gli studi di sociologia del NT di G. Theissen sulla tradizione evangelica e su Paolo . Di data più recente è l'interesse per i singoli Vangeli. L'opera lucana , risentendo di più del mondo socio-culturale greco-romano , meglio si presta a tale nuovo genere di indagine . In due passi successivi tenterò di introdurre nel mondo socio­ culturale di Luca-Atti e quindi nella comunità cristiana che vi si ri­ flette . Ad illustrare concretamente il primo porterò il modello «pa­ trono-mediatore-cliente»; la figura della comunità emergerà invece dall'analisi critica del fine che si propose Luca nel comporre la sua opera. La domanda iniziale che si pone lo studioso è se e quanto Luca descriva un tempo e un ambiente relativamente lontano da lui, cioè quello di Gesù (Vangelo) e quello della chiesa delle origini (Atti) , o se invece presenti, in filigrana, anche l'ambiente socio-culturale in cui vive la sua comunità. In alcune opere recenti l'attenzione critica viene concentrata sull'ambiente socio-culturale del redattore quasi descrivesse questo ambiente e non quello che narra. Un tale meto­ do, radicalizzato , è certo discutibile . Vi è il pericolo di ridurre tutto , anche la teologia, al socio-culturale, e dimenticare soprattutto la storia che l'evangelista intende raccontare . Ma il metodo , come ve­ dremo , si presta anche a porre in maggior luce la novità del Vange­ lo. Dobbiamo dunque presupporre che un autore , quando scrive una storia vissuta dai fondatori della propria comunità che la conti­ nua al presente , abbia tenuto conto del suo ambiente e della sua 57 Bibliografia: P.F. EsLER , Community and Gospel in Luke-Acts. The Social and Politica/ Motivation of Lucan Theology ( SNTS MS 57 ) , Cambridge 1987 ; MAo­ oox , The Purpose; H. MoxNES , The Economy of the Kingdom. Social Conflict and Economie Relations in Luke's Gospel (Ouvertures to Biblical Theology) , Phila­ delphia 1989; J .H. NEYREY , a cura , The Social Wor/d of Luke-Acts. Models for lnter­ pretation, Peaboby/Massachusetts 1991 ; W . STEGEMANN, Zwischen Synagoge und Obrigkeit. Zur historischen Situation der lukanischen Christen ( FRLANT 152) , Got­ tingen 1991 ; S . G . WILSON , The Genti/es and Genti/es Messiah in Luke-Acts ( SNTS MS 23 ) , Cambridge 1973 .

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mentalità e cultura, anche per farsi capire meglio . Lo illustriamo con due esempi, sia pure congetturali , per dilungarci poi nella descrizio­ ne del modello patrono-cliente. Nella tradizione ecclesiale l'opera lucana è sempre stata conside­ rata la più sensibile al problema sociale dei poveri ed emarginati; il divario fra ricchi e poveri , la pericolosità della ricchezza quando di­ viene fonte di sicurezza al posto di Dio; la necessità per i ricchi cri­ stiani di condividere i loro beni con i bisognosi o addirittura di met­ terli a servizio della comunità, ad esempio una «domus» spaziosa co­ me luogo di incontro della comunità cristiana: sono altrettanti temi cari a Luca che dovrebbero configurare il volto sociale della sua co­ munità. E tuttavia colpisce la quasi assenza della «colletta» , su cui Paolo invece insiste nelle sue grandi lettere fino a dedicarvi due ca­ pitoli, 8 e 9, della 2Cor. Luca parla certo, brevemente , di una collet­ ta della chiesa di Antiochia per le comunità della Giudea al tempo di una grande carestia sotto l'imperatore Claudio (At 1 1 ,27-30) ; ma della grande colletta di Paolo vi è solo un cenno di sfuggita nel suo discorso apologetico davanti al procuratore Felice (At 24, 17) . Tale relativa assenza si potrebbe spiegare per il fatto che la colletta non aveva grande importanza nella sua comunità, mentre all'interno del­ le singole comunità si richiedeva la condivisione dei beni e la solida­ rietà fra ricchi e poveri , di cui erano mediatori gli apostoli all'inizio (At 2 ,44-45 ; 4,34-35) e i responsabili delle chiese locali in seguito . Un secondo caso è quello dei missionari itineranti . Forse nel­ l'ambiente di Luca non erano più presenti i missionari itineranti del tempo di Gesù (Le 9, 1-6; 10,1-11) e della chiesa siro-palestinese , se Le 22 ,35-38, in cui Gesù propone un cambiamento delle direttive date nel discorso di missione (Le 9-10) , riflette una condizione diver­ sa («Quando vi mandai . . » , «Ma ora . . . ») da quella delle origini . Queste sono indubbiamente solo congetture , che partono però da osservazioni sul testo , cui si pongono interrogativi nuovi . Meno congetturale e fondato solidamente su una documentazio­ ne esterna, parallela ai testi di Luca, mi sembra il caso del modello socio-culturale «patrono-cliente» o «patrono-mediatore-cliente», molto diffuso nell'ambiente romano del I secolo, modello studiato da Moxnes. Due costatazioni sulla redazione lucana ci possono in­ trodurre al problema. Il racconto lucano della guarigione del servo del centurione (Le 7 , 1-10) è più lungo di quello di Matteo (8,5-10) , perché il padre , invece di andare incontro direttamente a Gesù , gli invia ben due delegazioni. La prima è quella degli «anziani» del pae­ se che motivano la richiesta dicendo : « È meritevole che tu lo esaudì240

sca, perché ama il nostro popolo e ci ha costruito proprio lui la sina­ goga» ( Le 7 ,4b-5 ) . La seconda è quella degli «amici» , che riportano la risposta del centurione alla decisione di Gesù di andare a casa sua : «Signore , non disturbarti ( a venire ) . Non sono infatti degno che tu entri sotto il mio tetto ; per questo non mi sono ritenuto neppure de­ gno di venire da te. Comanda con una parola e il mio servo sarà gua­ rito» ( Le 7 ,6c-7 ) . Ora la prima delegazione rappresenta il gruppo dei «clienti» nei confronti del centurione «patrono» e benefattore ; e la seconda quella degli «amici», che fanno da «mediatori» fra il «clien­ te» centurione e il patrono-benefattore Gesù . Ambedue questi mo­ delli sono ben presenti nell'ambiente romano. In particolare l'im­ portanza della figura degli «amici» si può riscontrare anche in tutta l'opera lucana nel confronto col resto del NT: delle 29 volte che phi­ /os/amico ricorre nel NT ben 18 compare in Luca ( 15 ) e Atti (3) , mentre nei Vangeli si trova solo una volta in Mt e 6 in Gv. È nota l'importanza e l'influsso degli amici d'infanzia del re o dell'impe­ ratore come di qualsiasi persona che aveva potere politico o econo­ mico . Ma sostiamo un po' sul modello patrono-cliente . Mentre il clien­ telismo nella nostra società attuale è un fenomeno giudicato negati­ vamente e giustamente condannato , non così era nell'ambiente gre­ co-romano di Luca. La struttura personale «patrono-cliente» era considerata fondamentale per la solidità dei rapporti sociali a partire dall'imperatore fino all'ultimo degli uomini che possedevano mezzi materiali e potere politico . Le caratteristiche del rapporto patrono­ cliente erano le seguenti : l) scambio simultaneo di vari tipi di beni : il patrono offriva mezzi materiali e protezione politica , mentre il cliente in cambio dava la sua lealtà e solidarietà; 2 ) un forte vincolo di solidarietà, legato all'onore personale e agli obblighi ; 3) i rapporti erano lunghi e duraturi, ma volontari e perciò si sarebbero potuti anche sciogliere ; 4) tali rapporti erano basati su un forte senso di di­ seguaglianza e differenza di potere ; il patrono aveva il monopolio sulle risorse che erano di vitale importanza per il cliente ; ed era quindi anche benefattore. Talora si aggiungeva una terza figura, quella del mediatore o agente fra patrono e cliente. Ora in Le si riflette questo modello sociale , non solo nell'episo­ dio della guarigione del servo del centurione , sopra riportato, ma anche in alcune parabole . Nella breve parabola del servo , fedele an­ che quando il padrone tarda a tornare , mentre Mt (24,45-5 1 ) parla solo di «servo» , Le invece ( 12,42-46 ) , proprio nell'introduzione del­ la parabola, parla di un «economo fedele , che è saggio» (Le 12 ,42 ) , 241

un termine tecnico per indicare il manager, il mediatore fra il padro­ ne-patrono e i suoi clienti . Ancor più evidente è il modello nella pa­ rabola , propria di Luca, del manager disonesto, che, mediatore fra il padrone e i suoi clienti, utilizza le sostanze del padrone per divenire patrono di «clienti» , che poi lo aiuteranno , quando sarà licenziato (Le 16,1-8) . E Gesù a conclusione invita i ricchi a farsi degli «amici» e quindi clienti nelle «dimore eterne» col «mammona iniquo>> (16,9). Se il modello è presente in Luca-Atti , non viene però giudi­ cato favorevolmente dall'autore, perché egli dipinge i ricchi sempre in termini negativi (basti pensare alla parabola del ricco epulone) , eccetto Zaccheo , un capo dei pubblicani , modello di generosità nel suo incontro con Gesù (19,1-10) . Il modello viene applicato anche ai rapporti dell'uomo con Dio. Dio Padre è Benefattore e Patrono , che però ha come clienti privile­ giati i poveri e gli umili (Le 1 ,5 1-53) ; egli rovescia le situazioni mon­ dane (Le 6,20-26) . Gesù poi è il grande Mediatore dei benefici di Dio, in particolare nelle guarigioni ; e rende mediatori anche i suoi discepoli , che partecipano al suo servizio umile e alla sua gloria futu­ ra (Le 22,24-30) . Una categoria particolare di persone presente nel racconto di Luca sono le donne , che , guarite da Gesù e quindi suoi clienti , di­ vengono poi sue benefattrici , lo «servono>> (4,38-39; 8, 1-3) . Una fi­ gura eminente di patrona di Paolo e dei suoi collaboratori è la ricca mercantessa Lidia che , accolta la fede, offre loro ospitalità e assi­ stenza (At 16,14-15) . Il modello nell'opera lucana viene però trasformato. I patroni cristiani devono essere «servi»> ed «ultimi» in modo da non creare la dipendenza dei «clienti>> . La comunità cristiana è la «familia Dei» di fratelli e sorelle uguali, anche se con compiti diversi . La parabola che meglio illustra il rovesciamento del modello è quella lucana del tipo di invito che dovrebbe fare un ricco patrono cristiano : «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini perché anch'essi non ti invitino a lo­ ro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario quando dai un banchetto , invita poveri , storpi , zoppi , ciechi ; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti . Riceverai infatti la tua ricompensa alla ri­ surrezione dei giusti» ( 14 , 12b-14) . Il donare non deve quindi più ser­ vire per crearsi dei clienti . Abbiamo visto che elemento fondamen­ tale del rapporto patrono-cliente è la disuguaglianza e il potere . Se Gesù vuoi togliere la reciprocità significa che intende togliere ogni elemento di potere nel rapporto fra ricco e povero . E Luca negli 242

Atti (2 ,43-47; 4,32-37) descrive la comunità cristiana fondata su que­ sto nuovo modello. Cosa dedurre da queste sommarie indicazioni sulla presenza e la trasformazione del modello patrono-cliente sotto il profilo dell'am­ biente sociale della comunità lucana? Moxnes58 ammonisce ad esse­ re prudenti perché «non vi è un consenso fra gli studiosi sulla collo­ cazione sociale . . . della comunità lucana». Si è voluto arguire dalla critica ai ricchi che il Vangelo fosse rivolto ad un gruppo cristiano che comprendeva molti ricchi. Ma altri hanno osservato che il giudi­ zio negativo sui ricchi fa pensare che fossero piuttosto persone al di fuori della comunità. È più probabile quindi che la comunità lucana fosse un gruppo non elitario che guardava con sospetto alle ricche élites che li circondavano. Non si esclude però la possibilità che vi fossero differenze sociali ed economiche nella comunità, e quindi ci fossero anche alcuni molto ricchi. Nelle città ellenistiche i gruppi non elitari erano di diversa estrazione : schiavi, liberti , mercanti stra­ nieri e artigiani, liberi cittadini ma poveri , ecc. Le prime comunità cristiane che ci descrive Luca erano formate principalmente da que­ sti gruppi con all'interno alcune donne di alto rango. Il meccanismo patrono-cliente poteva ripetersi anche in seno alle comunità cristia­ ne . Di qui il monito di Luca a non usare dei benefici per farsi dei clienti . Dall'ambiente socio-culturale passiamo ora alla comunità cristia­ na di Luca che viveva in tale ambiente . Per configurarla occorre par­ tire dalla domanda: quale fu lo scopo che si propose l'evangelista nel comporre la sua opera in due libri? Sono state date molte risposte e tanto diverse59 da indurre qualche studioso allo scetticismo60 Ma ten­ tiamo l'avventura, iniziando ad elencare brevemente le sette teorie principali finora proposte: tre presuppongono che l'opera lucana sia rivolta ai non cristiani e quattro ai cristiani . Le prime tre sono ormai abbandonate dagli esegeti a causa del contenuto di Luca-Atti. È infatti un'opera ben diversa dalle apolo­ gie cristiane del II e III secolo rivolte ai non cristiani . l ) Gli uni dun­ que sostengono che l'opera lucana avrebbe avuto uno scopo missio-

58 MoxNES , The Economy, 59 Oltre al libro di Maddox,

267 . già citato, si veda l'articolo di G. ScHNEIDER, «Der Zweck des lukanischen Doppelwerkes>> , in BZ 21 ( 1977) , 45·66, che fa una rassegna dal 1841 al 1975 . 60 GASQUE, A History of Criticism , 308 .

243

nario : è rivolta ai non cristiani per convertirli alla fede . 2) Altri inve­ ce la considerano un'apologia di Paolo in vista del suo prossimo pro­ cesso ; ma ciò varrebbe solo per At 21-28. 3) Infine vi sono alcuni che ravvisano nell'opera un intento politico : difendere i cristiani agli oc­ chi del governo romano o nel senso che la religione cristiana era una religio licita o nel senso che non era sovversiva (va in questa direzio­ ne anche l'opera recente di Ester, citata alla nota 57) . Che l'opera lucana sia rivolta a dei cristiani viene sostenuto dalle quattro seguenti teorie: 4) Luca avrebbe scritto la sua opera per di­ fendere la memoria di Paolo contro le accuse dei giudeo-cristiani ; ma la teoria non tiene conto del Vangelo. 5) Famosa e diffusa per un certo tempo in ambiente tedesco, soprattutto ad opera di H. Conzel­ mann, fu la teoria che la «storia della salvezza» di Luca fosse una ri­ sposta al ritardo della parusia: all'escatologia sarebbe subentrata la storia. 6) Meno influsso ha esercitato la proposta di C . H . Talbert, 6 1 per il quale Luca-Atti sarebbe servita a combattere la gnosi. 7) L'ul­ tima teoria, piuttosto vaga, ispirandosi al prologo di Le 1 , 1-4 sostie­ ne che lo scopo sarebbe stato quello di «confermare il Vangelo». R. Maddox dedica un libro intero al problema (cf. nota 57) . Do­ po aver presentato e criticato le sette teorie precedenti , ne propone lui stesso una nuova. Luca-Atti sarebbe stato scritto intorno agli an­ ni 85-90 in una situazione socio-religiosa simile a quella della prima edizione del Quarto Vangelo, la situazione venutasi a creare con l'e­ sclusione dei giudeo-cristiani dalla sinagoga ad opera di Gamaliele II con la dodicesima benedizione inserita nelle «Diciotto benedizio­ ni» . 62 Il testo più chiaro al riguardo sarebbe At 28,22 dove i capi giu­ dei di Roma dicono a Paolo: «Di questa setta sappiamo che trova ovunque opposizione» . È vero che il riferimento al concilio di Jamnia è il dato cronologi­ co più sicuro. Ma è anche il punto più fragile della sua tesi , a mio pa­ rere . Gli altri elementi costitutivi della tesi sono invece plausibili . L'opera lucana è rivolta ad una comunità cristiana, e la sua composi­ zione suggerisce che riguarda la chiesa nel suo rapporto , da un lato , col Signore Gesù e , dall'altro , col giudaismo. L'autore intende di­ mostrare anzitutto il legame radicale della chiesa col Gesù storico , che raggiunge il suo climax con l'ascensione e l'invio dello Spirito ,

61 62

244

CH . TALBERT, Luke ad Gnostics ,

MAooox, The Purpose, 184.

Nashville 1966.

cerniera tra il primo e il secondo libro . Il rapporto col giudaismo si qualifica come una separazione irreparabile ormai avvenuta e per­ manente (At 28 ,14b-31 ; cf. Le 4,16-30) . I capi ufficiali dei giudei han rifiutato la fede cristiana , mentre i pagani hanno accolto con entu­ siasmo la salvezza portata da Gesù col regno e la sua morte-risurre­ zione . In questa situazione i cristiani si sarebbero interrogati sulla loro identità e avrebbero dubitato della loro fede : se sono considera­ ti «eretici>> dal giudaismo ufficiale , sarebbe allora errata la loro fede , dato che si radica profondamente nelle promesse consegnate nelle Scritture ebraiche? È a questo barcollare nella fede che risponde­ rebbe l'opera lucana. La risposta suona: le promesse della salvezza si sono avverate proprio nella chiesa, mentre i capi ebrei che hanno rifiutato la fede sono sotto il giudizio di Dio , preannunciato da Is 6,9-10 (At 28 ,26-27) . Su questo sfondo acquistano il loro pieno si­ gnificato due parole importanti del prologo: peplerophoremenon e asphaleian. «L'opera tratta di quelle cose che si sono compiute in mezzo a noi . Il suo scopo è quello di permettere ai lettori di percepi­ re la "plausibilità" (storico-teologica) del messaggio che hanno udito in modo da rassicurare la comunità cristiana sul significato della tra­ dizione e della fede in cui vive . La storia di Gesù, degli apostoli e della chiesa nascente è una storia "di compimento" in più di un sen­ so» . 63 Luca incoraggia i suoi lettori non solo a guardare innanzi, al compimento di tutte le cose alla fine dei tempi , ma ad apprezzare la salvezza presente per l'azione di Dio che ha inviato il Figlio suo Ge­ sù. Tale compimento si è realizzato «fra noi», cioè nella comunità cristiana. La fede in Gesù non è «aberrazione» , come sostenevano i capi ebrei , ma è il fine ultimo cui mirava Dio nell'eleggere il popolo d'Israele. « È in Gesù , loro Signore , che si sono compiute le promes­ se delle antiche Scritture. È Gesù colui che invia lo Spirito Santo , di cui i cristiani esperimentano l'influsso potente . È Gesù , nel cui no­ me viene anche oggi la salvezza» . 64 Questa è l'assicurazione che l'e­ vangelista offre a sua eccellenza Teofilo e alla sua comunità. Il punto più fragile della tesi è la cronologia proposta, collegata alla decisione del concilio di Jamnia, in analogia con quanto molti studiosi ammettono per la comunità giovannea. Gli argomenti che Maddox porta in suo favore non sono affatto cogenti. Esaminiamoli brevemente .

63 MAooox, The Purpose, 186-1 87. 64 MAooox, The Purpose, 1 87 .

245

l} Anzitutto l'opera lucana non si può porre dopo il 90, perché non vi è alcuna traccia della persecuzione di Diocleziano ; 65 è vero , però è altrettanto certo che non vi è alcuna traccia nemmeno della persecuzione di Nerone del 64, e perciò l'argomentazione potrebbe valere altrettanto per datare l'opera prima del 64. 2) Il rifiuto della fede cristiana da parte dell'ambjente ufficiale giudaico non va necessariamente fatto coincidere con il decreto di Jamnia, che tra l'altro non riguardava solo i cristiani . È presente an­ che prima. Lo confessa lo stesso Maddox. Basti pensare solo a Rm 9-1 1 . La differenza di Rm 9-1 1 rispetto a Luca-Atti sarebbe - sem­ pre secondo Maddox - che nell'opera lucana il fossato fra la chiesa e il giudaismo è più profondo e vasto , perché per l'evangelista non vi è più speranza che i giudei accettino il vangelo (At 28,25-28) , mentre per Paolo tale speranza ci sarebbe, anche se , a dire il vero, in un lon­ tano futuro. Non va neppure dimenticato che circa 7-8 anni prima della lettera ai Romani, nel 51-52, lo stesso Paolo denunciava una rottura ben più aspra col mondo ufficiale giudaico nella sua prima lettera ( lTs 2, 14-16) . 3) Rimangono poi due fatti che lo stesso Maddox nel primo capi­ tolo del suo studio considera «enigmatici». 66 Anzitutto come mai Luca non parla della morte di Paolo mentre Gv 21 , 19 parla di quella di Pietro, e anche di quella , problematica, del «discepolo che Gesù amava» (Gv 21 ,20-23)? È vero che la morte di Paolo negli Atti viene preannunciata (20,22-25 .37-38; 2 1 , 10-14} , ma è il presentimento della morte violenta a Gerusalemme in parallelo col viaggio di Gesù verso la città santa. Inoltre come mai Atti non menziona mai la di­ struzione di Gerusalemme se l'opera fu scritta dopo il 70? A questo riguardo si fa usualmente ricorso a Le 21 ,20-24 come descrizione post eventum della distruzione di Gerusalemme ; ma il Dodd ha di­ mostrato che qui Luca utilizza il linguaggio della LXX nel descrivere l'antica distruzione della città santa. A mio parere non vi è alcuna prova sicura dall'interno dell'opera che Gerusalemme sia ormai di­ strutta. 4) Lo stesso argomento preso da At 28,22, dove i capi giudei di­ cono a Paolo che la chiesa è «Una setta contraddetta ovunque>> , è molto fragile per dimostrare la tesi dell'esclusione ufficiale dei «cri-

65

66

246

MAooox , The Purpose, 180. MAooox, The Purpose, 8.

stiani» dalla sinagoga. Infatti può essere spiegato sufficientemente da quanto Luca ha raccontato nel suo secondo libro. In conclusione non si ha alcun solido argomento per collocare la composizione di Luca-Atti fra 1'85 e il 90 come risposta al decreto del concilio di Jamnia . Rimane perciò più probabile l'ipotesi che po­ ne la composizione prima del martirio di Paolo. Quali sono allora i lineamenti accertati della comunità cui appar­ tiene l'illustre Teofilo , forse un magistrato romano come si può evincere dall'applicazione dello stesso appellativo «kratiste» ai pro­ curatori romani Felice (At 23 ,26; 24,3) e Festo (At 26,25)? Sia il nome «Teofilo» sia la carica che l'appellativo presuppone orienta ad un cristiano greco-romano , proveniente dall'ambiente pagano, appartenente quindi a quei «gentili» , cui è destinata la salvezza di Dio , offerta loro dopo che l'ambiente ufficiale ebraico l'aveva rifiu­ tata : «Vi sia dunque noto che alle genti fu inviata questa salvezza di Dio . Loro sì ascolteranno» - conclude e profetizza Paolo (At 28,28) . È indubbio quindi che la comunità cristiana cui Luca scrive sia costi­ tuita in maggioranza da cristiani provenienti dalle «genti». E tutta­ via questi cristiani dovevano conoscere bene le Scritture , l'A T greco , che contiene quelle promesse di salvezza che «si sono com­ piute in mezzo a noi» (Le 1 , 1 ) . Sia all'inizio del Vangelo (Le 4, 1630) sia alla fine del secondo libro (At 28,25-28) Luca racconta il rifiuto ufficiale della fede cristiana da parte del mondo giudaico e l'annuncio della sua accoglienza da parte delle «genti». Una tale situazione era comunque già ben delineata verso i1 60, com'è docu­ mentato nella Lettera ai Romani . La storia che Luca racconta è una storia significativa, una storia della salvezza. Qual è dunque la sicurezza che l'evangelista vuoi tra­ smettete all'illustre Teofilo già catechizzato? La fondatezza sta nel legame col Gesù storico (Vangelo), sta pure nel legame della sua opera con la storia e la profezia di Israele e infine nell'assicurazione fondata sui testimoni oculari (Le 1 , 1-4 e At 1 ,21-22) e su Paolo . I te­ stimoni sono anche i continuatori dell'opera salvifica di Gesù me­ diante lo Spirito , da lui inviato dopo la sua ascensione al cielo . Ma perché mai l'illustre Teofilo e la sua comunità sentivano la necessità di essere rassicurati e consolidati nella fede ricevuta? L:a ri­ sposta a questa ulteriore domanda è aleatoria . Certamente non è il ritardo della parusia. Maddox avanza l'ipotesi che si tratti di una ri­ sposta al rifiuto ufficiale e alla persecuzione morale della comunità cristiana da parte del mondo ufficiale giudaico. Ma potrebbe anche darsi fosse sorto qualche dubbio sull'attendibilità storico-teologica 247

della catechesi ricevuta. L'opera lucana «mostra» più che «dimostra­ re»; mostra come la salvezza viene da Gesù e dall'accogliere tale sal­ vezza mediante la fede in lui e il battesimo. Non solo la storia di Ge­ sù, ma anche quella della chiesa è entusiasmante . La chiesa supera ogni ostacolo e si diffonde «sino ai confini della terra» , come aveva promesso Gesù mediante il dono dello Spirito (At 1 ,8) . Della tesi di Maddox si può accettare che il rapporto della chiesa col giudaismo costituisse un duplice problema: storico e teologico­ interpretativo. Da Le 24 e da tutti i discorsi degli Atti appare chiaro comunque che la chiesa lucana si è appropriata delle Scritture ebrai­ che e le ha interpretate come «Scritture proprie» , che promettevano il Messia-Servo-Salvatore-Signore e ne delineavano in anticipo la tragica vicenda. L'identità della chiesa e del cristiano è costituita non solo da Gesù e dalla sua missione salvifica, ma anche dalla sto­ ria e dalle Scritture ebraiche, che fondano e danno significato alla vi­ cenda storica di Gesù . Ora, le profezie dell'AT annunciavano già che la salvezza da Israele si sarebbe allargata a tutte le genti come appare sia dal Vangelo dell'infanzia (Le 2,32) sia dal primo discorso di Gesù nella sinagoga di Nazaret dove egli ricorda storie di pagani che ricevono la salvezza mentre gli ebrei la rifiutano (Le 4,25-27) sia infine dal discorso di Giacomo, capo della comunità giudeo-cristia­ na, al concilio di Gerusalemme in cui cita a comprova la profezia di Amos (At 15, 13-17 = Am 9 , 1 1-12) . L'interesse per l'apertura uni­ versalistica alle «genti» è così chiaro che si deve presupporre un'in­ tenzione nell'autore ed una corrispondente situazione nella sua co­ munità. Possiamo da tutto il discorso fin qui fatto ricavare qualche tratto della chiesa di Luca? Mi sembra di sl. È una chiesa composta princi­ palmente di cristiani provenienti dalle «genti>) che , in un tempo di tensione col mondo giudaico , si interrogano sulla loro identità e sul­ la fondatezza della loro fede . Però non possiamo identificare tale tensione col decreto del concilio di Jamnia. Il secondo libro è una continuazione del primo , nel senso che gli apostoli , testimoni origi­ nari , costituiscono il legame sicuro con la storia di Gesù , ne spiega­ no il valore salvifico e lo dimostrano con l'azione dello Spirito , alla luce delle Scritture sacre . Per Luca la storia di Gesù non è da porre in u� passato storico chiuso in sé , ma è sempre presente ed attuale . Questo è il senso di «salvezza nella storia)) . E questa è certo anche l'esperienza spirituale della sua comunità. Con l'ausilio dell'analisi socio-culturale e socio-religiosa abbia­ mo delineato qualche tratto della carta di identità della comunità 248

lucana . Collocata nell'ambiente socio-culturale greco-romano, lo ri­ flette , ma anche lo critica , configurando rapporti sociali nuovi in una comunità alternativa, la comunità di Gesù . Nel suo interno vi sono certo poveri e ricchi , ma in un rapporto nuovo tra loro, in modo che la ricchezza non diventi potere e dominio e la povertà dipendenza . Per quanto concerne l'aspetto religioso nella comunità la maggio­ ranza proviene dalle «genti», ma vi è certo ancora una minoranza giudeo-cristiana. Il mondo giudaico ufficiale ha però già rifiutato la fede e ha perseguitato i suoi apostoli e missionari. I cristiani della comunità si interrogano sulla fondatezza della vicenda storica di Ge­ sù e del suo rapporto con la storia e la promessa delle Scritture , pro­ prio perché i giudei , cui appartengono le Scritture, non hanno accol­ to Gesù e non hanno letto in esse la promessa della salvezza , realiz­ zata da Cristo . Questo scenario storico socio-comunitario dell'opera lucana non elimina la storia che racconta , ma ci fa comprendere meglio la sua fondatezza e la sua attualità. Se Luca ha reso attuale il suo racconto e «rispondente» alla mentalità ed alle attese della sua comunità, ciò significa che la sua storia deve continuare a rispondere ai problemi che via via si pongono alla chiesa nella storia . 3.3.

Le coordinate spazio-temporali

Sulle coordinate spazio-temporali dell'opera lucana si trova a di­ sagio anche il Theissen. 67 Solo due dati mi sembrano convincenti per determinare il luogo in cui viene scritta l'opera . Le 12 ,54-56 parla del «Noto» come di «vento del sud» , che porta un'ondata di caldo, e presuppone una località ad occidente della Pa­ lestina, dove invece il vento caldo viene dall'est. Inoltre l'autore do­ veva trovarsi in prossimità del mar Mediterraneo che conosce bene come risulta dal viaggio di Paolo a Roma . Per Luca il «marelthalassa» è il mare Mediterraneo (la prima volta in At 10,6) ; mentre invece , a differenza degli altri due sinotti­ ci, egli chiama «lago» e non «mare» quello di Tiberiade (Le 8,22 .23.33) . Dei 19 testi di Mc in cui compare «thalassa» , in Le ne sono rimasti solo due (Le 17,1 .6) . Va notato inoltre che il solo Luca

67

THEISSEN , Loka/ko/orit, 264-270.288-295 .301 -303 .

249

dà al lago di Tiberiade il nome popolare di «Genesaret» (Le 5 , 1 ) . Sembra perciò che l'autore scriva d a u n luogo lontano dalla Palesti­ na, ma che vi sia passato perché conosce il nome popolare del lago. Tutto ciò è solo una congettura. Conferma tuttavia il dato tradi­ zionale, che Luca avrebbe scritto il suo Vangelo in Grecia. Ripren­ deremo comunque questo discorso quando parleremo dell'autore.

4.

LA TEOLOGIA DI LUCA-ATTI : STORIA E TEOLOGIA DELLA SALVEZZA68

La teologia di Luca-Atti , a partire dal saggio pionieristico di H. Conzelmann del 1954 ha conosciuto e conosce tuttavia una grande fioritura. Sono state pubblicate contemporaneamente nel 1976 due importanti rassegne di teologia lucana: quella di E. Rasco e quella di F. Bovon , riedita quest'ultima dieci anno dopo, nel 1988, con un breve aggiornamento. Un'ampia presentazione della teologia di Lu­ ca-Atti, forse la più ampia finora , anche se indulge all'analisi de­ scrittiva piuttosto che alla sintesi teologico-ermeneutica, è rappre­ sentata dalle 120 pagine ad essa dedicate nell'introduzione di Fitz­ myer al Vangelo di Luca. Nel quadro del presente lavoro , dobbiamo necessariamente limitarci ad una sintesi , che profili , nella sua specificità, la teologia lucana , lasciando da parte le questioni particolari, che si potranno leggere nelle ottime monografie di Rasco e Bovon . Non vi è dubbio che Luca abbia interesse per la storia, ma per una storia in cui è entrata la salvezza mediante la parola e l'opera di Gesù «centro del tempo» (Mitte der Zeit: titolo della monografia di Conzelmann). Perciò , !asciandoci guidare dalla prospettiva storico-temporale , con­ centriamo la teologia lucana in tre punti fondamentali: l) tempo di salvezza e suo centro in Gesù Salvatore ; 2) escatologia a lungo ter­ mine ; 3) l'uomo nuovo e la comunità nuova.

68 Bibliografia: BovoN , Luc le Théologien ; H. CoNZELMANN , Die Mitte der Zeit. Studien zur Theologie des Lukas , Tubingen 1954 ; 4 1962 ; BocK, Proclamation ; J . A . FITZMYER, « A Sketch o f Lucan Theology» , i n In. , The Gospel, I, 143-258; F. W . HoRN , Glaube und Handeln in der Theologie des Lukas ( GTA 26) , Gottingen 1983 ; 2 1986; I . H . MARSHALL, Luke: Historian and Theologian , Exeter 1970; RAsco, La teo­ logia de Lucas; G. SEGALLA, «Teologia dei Sinottici» , in Dizioflll rio Teologico Interdi­ sciplinare, Torino 1977, III, 370-387.

250

4. 1 .

Tempo di salvezza e suo centro in Gesù Salvatore

Per Luca la storia ha certamente un valore teologico , non come «storia» , ma perché in questa storia è entrato il Salvatore e con lui la salvezza. E in questa storia ha particolare importanza l' «inizio» (ar­ che) : già nel prologo programmatico l'evangelista parla della tradi­ zione dei testimoni oculari «fin dall'inizio» (Le l ,2) ; e tale «inizio» viene identificato nel breve prologo degli Atti con «quanto Gesù ini­ ziò e a fare e ad insegnare» (At 1 , 1 ) ; ed è lo stesso di cui parla Pietro nel suo discorso a Cornelio: Gesù «inizia» dalla Galilea (At 10,37) ; ma vi è pure un nuovo inizio con la Pentecoste e la discesa dello Spi­ rito di cui parla lo stesso Pietro in difesa di sé davanti ai responsabili della comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme ; a proposito di Cornelio egli afferma: «Quando cominciai a parlare , lo Spirito San­ to scese su di loro come su di noi all'inizio (en archei) » (At 1 1 ,15). L'inizio della storia della salvezza viene inserito nel quadro della storia del tempo : sia la nascita di Gesù (Le 2, 1-5) sia l'inizio della sua missione preceduta da quella del Battista (Le 3 , 1-2) ; un inizio solenne e programmatico è anche la predicazione di Gesù nella sina­ goga di Nazaret (Le 4, 16-21) , mentre gli inizi della chiesa sono nar­ rati in At 1-2. Sia gli inizi della vita e della missione di Gesù (Le 1-4) sia quelli della chiesa (At 1-2) sono caratterizzati dalla presenza dello Spirito , principio della nuova era di salvezza. La teologia di Luca è quindi radicata nell'arche di Gesù e della sua comunità , non al di là del tempo come in Gv, ma nel centro della storia, e come suo «nuovo inizio». L'elevazione di Gesù (Le 9,51), l'ascensione alla fine di Le e al­ l'inizio di At divide i due inizi , quello di Gesù e quello della chiesa, di modo che il primo diviene il centro del tempo , il punto di arrivo del «compimento» della profezia e del modello di salvezza (presenza salvifica di Dio nella storia) dell'Antico Testamento . 69 Per cui con Fitzmyer si potrebbero ravvisare tre tempi nella storia lucana della salvezza: l) il tempo di Israele (Le 1 ,5-3 , 1 ) ; 2) il tempo di Gesù, al centro (Le 3 ,2-24,5 1 ) ; 3) il tempo della chiesa (Le 24,52-At 28,3 1 ) . 70 Quest'ultimo poi è suddiviso a sua volta secondo At l ,8 in salvezza predicata a Gerusalemme e agli ebrei , quindi a partire da At 6-7 nel-

fiJ 70

Cf. BocK, Proclamation. FrrzMYER, The Gospel, l , 185.

251

l'apertura ai pagani fino ad arrivare a Roma, «i confini della terra» (At 22 ,21 ; 28 ,28) . La salvezza , che all'inizio della vita di Gesù (Le 1 ,69 .71 .77; 2,30) e durante la sua missione terrena (Le 19 ,9) è offer­ ta al popolo d'Israele , dopo l'ascensione al cielo , e con la venuta del­ lo Spirito viene annunciata a tutte le genti (At 28,28) . È un grande arco (Le 2,30-31 e At 28 ,28) , che alla fine si apre a tutti gli uomini ed abbraccia tutta la loro storia futura. La salvezza di Gesù mediante lo Spirito non si compie però se non col libero consenso degli uomini . Il compimento della salvezza ha carattere cosmico. Non abbrac­ cia solo il mondo e la storia, ma anche il cielo , come annuncia il bre­ ve inno lucano: «Pace in terra e gloria nel più alto dei cieli» (Le 19,38; cf. 2, 14) . Ma come sta Gesù al centro della storia della salvezza? Gesù Messia e Profeta-Servo sta al centro della storia della salvezza, pre­ parata ed annunciata nell'AT; come Salvatore di tutti gli uomini si colloca al centro della salvezza universale; come Signore si pone al di sopra della storia cui dà impulso mediante la presenza nella chiesa della sua potenza salvifica e dello Spirito Santo , da lui promesso ed inviato .

4. 1 . 1 . Gesù Profeta-Servo e Messia Luca attribuisce a Gesù il titolo di «profeta» più spesso che non gli altri evangelisti : sette volte (Le 4,24 ; 7, 16.39 ; 9,8.19; 13,33 ; 24 , 19) , mentre Mt glielo conferisce solo cinque volte e Mc addirittu­ ra solo tre . Gesù stesso usa per sé questa qualifica (Le 4,24; 13 ,33) , ma anche la folla (Le 7 , 16.39) e i discepoli (Le 24 , 19) lo chiamano così . In lui si armonizzano e si compiono i dati caratteristici del «pro­ feta» : uomo di Dio , inviato da lui per portare la rivelazione e la sal­ vezza. Negli Atti sarà chiamato «il profeta» escatologico (At 3,2224; 7 ,37) . Ma anche nel Vangelo appare come il profeta , che compie la rivelazione della salvezza . Scende su di lui lo Spirito ed è guidato dallo Spirito ; si attua in lui la profezia del Profeta-Servo , annunciato da Is 61 ,2 e 58,6 (Le 4 , 19) . Come tale dà il buon annuncio della sal­ vezza: «evangelizzare» ricorre 9 volte in Le mentre solo l volta in Mt e nessuna in Mc. È superiore al profeta Elia (Le 7,1 1-17; 8,42 ; 9,3842) ; per questo Luca tralascia l'identificazione del Battista con Elia, presente nella tradizione marcana (Mc 1 ,6/Mt 16, 10-13) . Più di Mo­ sè è «Un profeta potente in opere e parole», inviato da Dio per libe­ rare Israele (Le 24, 19.21 ; At 7,22-35 ) . Come «profeta ultimo» e sommo è il migliore interprete della Scrittura, modello di ogni inter252

prete cristiano ( Le 4,16-21 ; 9,44-45 ; 18,3 1-34 ; 24,27.44.46) . L'inter­ pretazione profetica della Scrittura operata da lui continua nei di­ scorsi degli Atti . Gesù è profeta e martire come spesso furono i profeti ( Le 13 ,33 ; 22,43) fino alla morte . Si colloca perciò al vertice di tutta la tradizio­ ne e rivelazione profetica dell'A T. Lo stesso titolo «Cristo/Messia» , dato spesso a Gesù, viene reinterpretato alla luce della figura del «Profeta-Servo» , obbediente a Dio sino alla morte. Gesù infatti dice ai discepoli di Emmaus: «Non doveva (edei) il Cristo sopportare queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» ( Le 24,26) . L'aspet­ tativa del Messia glorioso è cosi reinterpretata in chiave di sofferen­ za e morte, attraverso cui il Servo deve passare per entrare nella glo­ ria ( Is 52,13-53 , 12) . La dialettica passione/gloria è il compimento della volontà di Dio già espressa nell' AT come profezia. Il Cristo­ Servo entra nella sua gloria e dona lo Spirito , che porterà l'annuncio della salvezza nel mondo intero.

4. 1 .2. Gesù, Salvatore degli uomini Gesù non è solo il profeta che annuncia la salvezza , ma attua la salvezza che annuncia. Perciò è anche il Salvatore e come tale sta al centro della storia umana. È il nuovo Adamo , capostipite di una nuova generazione (cf. la genealogia in Le 3 ,23-38 che arriva fino ad Adamo ) . Fin dalla sua concezione entra nella storia umana per sal­ varia. Fra gli evangelisti Luca è quello che applica più spesso il titolo di «Salvatore» a Gesù ( Le 1 ,47 ; 2, 1 1 ; At 5 ,31 ; 13,23 ) ; la salvezza è attribuita a lui (1 ,69.71 .77 ; 2,30; 19 ,9) come pure l'azione di «salva­ re» (17 volte ) . Il verbo è usato sempre in senso spirituale ; per la gua­ rigione fisica egli adopera un altro verbo , dias6zein ( raggiungere la salvezza passando attraverso un pericolo ) . «Salvatore>> compare so­ lo nel Vangelo dell'infanzia in ambiente giudeo-cristiano ( Le 1 ,47 ; 2 , 1 1 ) , mentre «Strumento di salvezza» (soterion) ricorre all'inizio del Vangelo ( Le 2,30) e alla fine degli Atti ( At 28,28) . In Le 3,6 «s6te­ rion» deriva chiaramente dall'AT nella citazione di Is 40,3-5 , e l'o­ rizzonte della salvezza è universale : «e ogni carne vedrà la salvezza di Dio». Nel cantico di Simeone Gesù viene proclamato «mezzo di salvezza , che il Signore ha preparato davanti a tutti i popoli» ( Le 2,30) ; e lo stesso afferma Paolo in At 28 ,28, qui però a causa del pre­ cedente rifiuto ufficiale da parte dei capi ebrei di Roma . In che cosa consiste questa salvezza portata da Gesù Salvatore? Il contenuto viene rivelato nel discorso programmatico di Gesù a 253

Nazaret (Le 4 , 1 8) : la liberazione dei prigionieri , la guarigione dei ciechi , la libertà agli oppressi , la buona novella ai poveri . L'evange­ lista conseguentemente sottolinea l'attività taumaturgica di Gesù fi­ no a descrivere due risuscitamenti: il figlio della vedova di Nain e la figlia di Giairo. Quanto alle guarigioni dall'oppressione del demo­ nio , il terzo evangelista e solo lui nota dopo la guarigione di una donna posseduta per 18 anni dal demonio: «Se invece io scaccio i de­ moni con il dito (la potenza) di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio» (Le 1 1 ,20) . La salvezza ha dunque una dimensione messianico-escatologica . Significativo a tale riguardo è l'episodio di Zaccheo: «Oggi è entrata la salvezza in questa casa , perché anch'egli è figlio di Abramo. Il Fi­ glio dell'uomo infatti è venuto a cercare e salvare ciò che era perdu­ to» (Le 19,9-10) . E al brigante pentito egli apre le porte del cielo : «Oggi sarai con me in paradiso» (Le 23 ,43). La salvezza si attua dunque nella missione e nella passione di Gesù , preannunciata dalla profezia di Simeone (Le 2,34-35) e richia­ mata spesso durante il viaggio verso Gerusalemme. In questo even­ to salvifico, che si conclude tragicamente , si compie la volontà di Dio (Le 2,49 ; 4,43 ; 9,22 ; 13 ,33 ; 17,25 ; 21 ,9; 22,37 ; 24,7.26.44) . An­ che se la morte di Gesù non riveste valore espiatorio come in Mc 10 ,45/Mt 20,28, è tuttavia una «morte per voi» (cf. in Le 22,19-20: il corpo dato per voi e il sangue versato per voi) e quindi salvifica , ne­ cessaria per entrare nella sua gloria, per coinvolgere tutti nella sua stessa via di passione e di gloria. Emblematiche negli Atti , a questo riguardo , sono le figure di Stefano e di Paolo, che seguono , sia pure in modo diverso , la via di Gesù . La salvezza di Gesù viene offerta ai poveri e ai peccatori . L'anno che inizia col ministero di Gesù è «l'anno di grazia del Signore» (Le 4, 18) , l'anno di liberazione dalla schiavitù e dai debiti. Nessun evan­ gelista ha esaltato come Luca l'amore misericordioso di Gesù per i poveri e i peccatori . Indimenticabili sono le tre toccanti parabole della misericordia nel c. 15. Gesù è la personificazione dell'amore misericordioso di Dio che perdona e salva. Il suo cuore è quello del padre che attende ed accoglie a braccia aperte il figlio perduto. Per quanto concerne la povertà invece Luca non ha una dottrina elaborata. Gesù tra i suoi amici ha pure dei ricchi, che condividono i loro beni con i poveri, come Zaccheo . Ma vi sono anche dei ricchi malvagi , che vengono condannati. Il povero beatificato non va iden­ tificato col «povero di spirito» (come in Mt 5 ,3) . Il povero è colui che vive nell'indigenza ed è disprezzato per la sua condizione socia254

le . Basti leggere i quattro «guai» contrapposti alle quattro beatitudi­ ni (Le 6,20-26) . Gesù è stato inviato ad evangelizzare «questi pove­ ri» ; per questo li dichiara «beati» ed è per loro il regno futuro di Dio (Le 6,20) . La dialettica escatologica è evidente. Nel futuro regno di Dio le sorti dei ricchi e dei poveri si invertiranno . Ma la sorte dei po­ veri inizia a mutare già con l'avvento di Gesù . Il discepolo di Gesù infatti è invitato a mettersi nello stato volontario di povertà, abban­ donando tutto e dandolo ai poveri (Le 14,33 ; 18,22) . Nel quadro ideale della chiesa delle origini Luca vede attuato comunitariamente questo invito (At 2,44-45 ; 4,32-34) , anche se vi erano pure n modelli positivi come Barnaba (At 4,36-37) ed esempi negativi come i coniu­ gi Anania e Saffira (At 5 , 1- 1 1 ) . La salvezza portata da Gesù è universale. L'universalismo appa­ re nel Vangelo dell'infanzia e riappare dopo l'ascensione di Gesù e il dono dello Spirito. Nella sua vita pubblica il Gesù di Luca , a diffe­ renza di quello descritto da Mt/Mc, non supera mai i confini della «Giudea» . Solo dopo la sua morte-risurrezione-ascensione i disce­ poli sono inviati come testimoni di Gesù «sino ai confini della terra)) (At 1 ,8 ; 28,28) . Gesù dunque come Salvatore sta al centro di tutta la storia uma­ na. L'uomo è perduto, è schiavo delle potenze del male . Con Gesù entra nel mondo la misericordia salvifica di Dio per donare agli uo­ mini peccatori il perdono dei peccati, la liberazione dal male e per annunciare la beatitudine dei poveri ed offrire cosl l'entrata nel re­ gno mediante la fede e la condivisione dell'amore.

4. 1 .3. Gesù Signore al di sopra della storia La cristologia lucana, da quella del Messia-Servo-Salvatore si sposta verso la fine del Vangelo a quella di Gesù Signore , che predo­ mina poi negli Atti. Fra i titoli elevati dati a Gesù, il più tipico di Lu­ ca è certamente questo di «Kyrios/Signore)) : ricorre 103 volte nel Vangelo e 107 negli Atti contro le 18 di Mc, le 80 di Mt e le 52 di Gv. Nel suo significato più elevato lo si trova già nel Vangelo dell'infan­ zia (Le 2,10-11) e in quello della risurrezione (Le 24,3 . 34) . All'inter­ no del suo Vangelo Luca segue la tradizione prepasquale , che si ri­ volge a Gesù con l'appellativo aramaico di cortesia mari o maré ( = Signore). Ma questo nome di cortesia, nel contesto lucano, si carica talora di potenza e di autorità (Le 5 , 12; 20,41-44) e si tinge di colore escatologico (Le 6,46/Mt 7,22) . Signore è Gesù nel giorno del giudi­ zio , il Cristo risuscitato ed esaltato in cielo (At 2,36; 4,34; 1 1 ,17; 255

21 ,23 . . . ). Gesù Signore si rivela con poteri divini come colui che sta al di sopra della storia e la porta al suo compimento. L'esaltazione di Gesù come Signore alla destra di Dio secondo il Sal 1 10 , 1 (At 2,34 ; cf. Le 20,42-43) l o rivela non solo centro della storia, m a Signore di una storia, che conduce a compimento mediante il suo Spirito.

4.2. Escatologia a lungo termine Entriamo così nel problema della escatologia, dimensione essen­ ziale della storia della salvezza. Conzelmann pensava che il proble­ ma cui Luca intendeva rispondere con la sua concezione di «storia della salvezza» fosse quello del ritardo della parusia. In luogo del­ l'attesa di una prossima venuta del Figlio dell'uomo sarebbe suben­ trata un'escatologia a lungo termine , spazio in cui si poteva colloca­ re la storia della chiesa. Ma questa tesi di Conzelmann ha dovuto su­ bire diverse critiche. In realtà Luca anche nell'escatologia unisce dialetticamente due termini, il presente e il futuro , la storia e l'esca­ tologia. Storia ed escatologia, in altre parole , non vanno poste in al­ ternativa. Leggiamo infatti in Luca-Atti una serie di testi che rivelano un'e­ scatologia realizzata e quindi presenziale. I più tipici sono i seguenti: «Ma se io caccio i demoni col dito di Dio , allora è giunto a voi il re­ gno di Dio» (Le 1 1 ,20) ; «> prima della Pentecoste (A t l ,22-26) . Al di là di questa distinzio­ ne importante per la fondazione storica della fede , tutti , apostoli e discepoli , devono seguire Gesù, Signore e Capo, sulla sua via . A se­ guire Gesù sono chiamati tutti , incluse le donne (Le 8, 1-3 ; 10,38-42; 23 ,49 e alcune donne protagoniste negli Atti , tra cui spicca Lidia) . 72 Gesù per il discepolo non è, come in Mc, «colui che lo immerge nell'evento» né è il Maestro di una nuova giustizia come in Mt, ma piuttosto il.Capo e il Modello , che si deve seguire sulla via della pas­ sione per entrare con lui nella gloria: «Se qualcuno vuoi venire die­ tro di me , rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno (pro­ prio di Le) , e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita la perderà , ma chi perderà la propria vita per me , la salverà» (Le 9,23-24) . Que­ sta solenne dichiarazione di Gesù , che ha avuto grandissima eco nel­ la chiesa delle origini , viene subito dopo la predizione della passione come volontà di Dio. Il discepolo deve accettare la stessa condizione

n Sul tema delle donne in Luca-Atti si veda l'articolo recente di M.R. D'ANGE­ LO con buona bibliografia: «Women in Luke-Acts: A Redactional View», in JBL 109 (1990), 3, 441-461 .

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del Maestro . Simone di Cirene è divenuto perciò il modello concreto del «portare la croce>) dietro di lui (Le 23 ,26) . «Portare la croce ogni giorno» non allude solo alla croce portata da Gesù sulla via del cal­ vario, ma anche alla via che ogni cristiano deve percorrere, la stessa di Gesù. Con la semplice aggiunta «ogni giorno» Luca trasforma la passione e la croce del Salvatore nel simbolo della vita quotidiana del cristiano. Tre sono le caratteristiche dell'uomo nuovo che provengono dal­ la tradizione comune con i Vangeli sinottici: il pentimento, che in Luca-Atti conserva l'aspetto fondamentale del «ritorno a Dio» (Le 3,8; At 26,8-23), accentuando gli aspetti pratici (Le 3, 10-14) ; il pen­ timento si esprime positivamente nella fede , che Luca identifica col «seguire Gesù»: una fede personale e pratica (Le 8 , 12-13; 24,25-26; e in At 3 , 16; 6,5-8; 1 1 ,24; 13,8; 14,9.22.27 ; 15,9; 16,5; 17,31 ; 20,21 ; 24,24 ; 26, 18) . E infine gli si conferisce il sigillo del battesimo «nel nome di Gesù (At 2,38; 10,48 . . ) e quello nello Spirito (Le 3,16; At 2; 4,31 . . . ) . M a Luca caratterizza l'uomo nuovo anche in un modo suo pro­ prio. Il discepolo di Gesù è presente dovunque c'è una sofferenza da lenire (cf. il buon s&maritano) , è distaccato da tutto e in primo luogo dalla ricchezza. Tale abbandono di tutto , anche della famiglia, viene cosi radicalizzato da chiamarlo «odio» (Le 18,29-30) . Al discepolo viene richiesto di essere deciso , di non voltarsi indietro una volta messa mano all'aratro (Le 9,62) . Libero da tutto e da tutti per il suo Signore e i fratelli , esperi­ menta questa libertà interiore nella gioia, che si esprime nella pre­ ghiera di lode : il tutto animato dallo Spirito . Il Vangelo di Luca si apre e si chiude col trionfo della gioia escatologica e continua nell'e­ sperienza delle prime comunità cristiane, segno indubbio della sal­ vezza presente in Gesù mediante il suo Spirito . Tutto il Vangelo è animato dal «proclamare la buona novella che porta gioia» (Le 8 , 1 3 ; 1 0 , 1 7 ; 15 ,7. 10; 24,42.44) : l'entusiasmo nella missione dei discepoli (Le 10,7.20) , la gioia per Zaccheo (Le 19,6) e nelle parabole della misericordia (Le 15 ,9-10. 17.20-24.32) , dove la gioia della terra ri­ flette quella del cielo. La gioia dà voce alla lode, che diviene canto nei quattro inni ini­ ziali , cui corrisponde la conclusione del Vangelo : «Ed essi , dopo averlo adorato , tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stava­ no sempre nel tempio lodando Iddio» (Le 24,52-53) . Gioia e lode percorrono pure tutto il racconto degli Atti (5 ,41 ; 8,8.39 ; 1 1 ,23 ; 12,14; 13,48.52 ; 15 ,3.23.31 ; 20,24) . .

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L'uomo nuovo è un uomo in continua preghiera. 73 Gesù stesso ne è il primo modello . Luca ce lo presenta nove volte in preghiera dall'inizio della vita, nel battesimo e durante la vita pubblica sino al­ la croce ( Le 3 ,21 ; 1 5 , 15-16; 6,12; 9,18-22 .29; 10,17-21 ; 1 1 , 1 ; 22,3146 ; 23 ,34.46) . È proprio di Luca l'insegnamento di Gesù sulla pre­ ghiera (Le 1 1 , 1 1-13) ed è significativa l'introduzione redazionale alla parabola della vedova che chiede giustizia al giudice iniquo : «Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi» ( Le 1 8 , 1 ) . La preghiera è particolarmente importante quando il cri­ stiano si trova di fronte alla prova , che ha carattere escatologico , es­ sendo lotta contro Satana. Lo fu anche per Gesù. La più caratteristi­ ca , a tale riguardo, è la scena del Getsemani, tutta incentrata sulla preghiera (Le 22 ,39-45), dove ritorna per ben quattro volte il motivo della «preghiera per non entrare in tentazione» . Gesù è il martire che vince la potenza di Satana. La preghiera quindi aiuta la fedeltà e la costanza nella prova della croce per arrivare alla gloria. Il discepolo di Gesù non segue da solo il Maestro , ma entra a far parte di una comunità nuova. Essa è preparata già durante la vita terrena di Gesù dal gruppo dei «Dodici» . Gesù Messia-Servo soffe­ rente diviene Maestro e Guida degli «apostoli» ( Le 9 , 1 -6) e dei «di­ scepoli>> , che allena già con la missione (Le 10,1-12) . Trasmette loro il suo potere salvifico: l'annuncio del regno, il potere di guarire e di cacciare i demoni . Ma essi dovranno passare attraverso la crisi della fede ed essere quindi ri-convocati dopo la morte-risurrezione di Ge­ sù ( Le 22 ,32) . Solo a partire dalla Pasqua-Pentecoste lo Spirito dà consistenza al gruppo dei «centoventi» per cui saranno «chiesa» (At 5,11 . . .). L'appello ad entrare nella nuova comunità, che non sostituisce Israele , ma lo rinnova, viene rivolto anzitutto agli ebrei come primi destinatari ; ma in seguito si indirizza anche ai pagani , per cui in At 15 ci viene presentata, nel concilio di Gerusalemme , una comunità cristiana come «popolo» di Dio , che viene anche «dalle genti» (At 15 , 14) . La chiesa e la salvezza in essa offerta sono per tutti , ebrei e pagani . Mentre la chiesa delle origini afferma la centralità di Israele e la stessa identità ebraica, assumendo le tradizioni giudeo-cristiane , si apre però nello stesso tempo all'universalismo .

73 L. MoNLOUBOU, La preghiera secondo Luca (Studi biblici 7) , Bologna 1979 (orig. frane. , Paris 1976) .

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Secondo Bovon 74 la chiesa in Atti presenta tre caratteri esem­ plari della prima comunità cristiana: strumentale , fondatore e dina­ mico. Strumentale, giustamente non nel senso che sia mediatrice essa stessa della salvezza; è solo Gesù che opera la salvezza. Ma, nell'as­ senza di Gesù , in seguito all'ascensione , Luca vede conferita alla chiesa una duplice funzione : di comunicare la parola di Dio e di fare da ponte tra il presente e gli eventi fondatori degli inizi. Il secondo carattere la configura > ab­ bia già il senso di «missionari», inviati dallo Spirito Santo ( At 13,2) . Viene ricordato poi i l gruppo dei «Sette» (At 6,5-6) , tra cui emergo� no le figure di Stefano e Filippo. Inoltre Paolo stabilisce nelle comu­ nità da lui fondate un gruppo di «presbiteri» . Alla fine del suo terzo viaggio incontra a Mileto i presbiteri della chiesa di Efeso, chiamati da lui nel commovente discorso di addio «episkopoilvescovi» ( At 20 ,29) , termine funzionale e non ancora istituzionale . Anche a Ge­ rusalemme accanto agli apostoli , Pietro e Giacomo troviamo i pre­ sbiteri ( At 1 5 ,2.4.6.22-23 ; 16,4 . . . ) Oltre a questi tre gruppi (i Dodici apostoli , i sette , i presbiteri delle singole comunità) , vi sono persone che ricoprono un'autorità superiore , come Pietro fra i «Dodici» , Paolo nella missione fra i pa­ gani, Giacomo «fratello del Signore» nella chiesa giudeo-cristiana di Gerusalemme. Le autorità però prendevano le decisioni più impor­ tanti insieme all'assemblea dei cristiani : i centoventi della prima co­ munità per eleggere il successore di Giuda, la comunità di Gerusa­ " lemme nel primo concilio . La comunità cristiana aggregava a sé i nuovi membri con il rito del battesimo «nel nome di Gesù» . Non è sempre coerente l'ordine in cui viene conferito il battesimo e donato lo Spirito. In Samaria il battesimo viene prima e il dono dello Spirito per le mani di Pietro e Giovanni dopo ( At 8) , mentre nel caso di Cornelio lo Spirito scende sul centurione romano prima del battesimo , per cui Pietro si vede costretto a conferirgli il battesimo per aggregarlo alla comunità cri­ stiana ( At 10) . In conclusione , l'uomo nuovo, il cristiano , non è il singolo cre­ dente , ma colui che si aggrega alla comunità cristiana, la chiesa loca­ le . Le chiese locali si moltiplicano, si legano tra loro mediante la stessa fede e la vita cristiana, ma anche mediante un'autorità supe­ riore: quella di Paolo per le comunità fondate da lui , quella di Pietro e di Giacomo per le chiese giudeo-cristiane . L'espansione della chie­ sa cristiana conta su tempi lunghi ed è descritta da Luca come una realtà dinamica che realizza continuamente il comando di Gesù (At 1 ,8) , animata e guidata dallo Spirito , dagli apostoli e da coloro che essi stessi hanno messo a capo delle comunità. Abbiamo qualificato la teologia lucana come «salvezza nella sto­ ria» entrata con Gesù , portata da lui a compimento e consegnata nel .

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suo nome e con la potenza dello Spirito alla chiesa , che continua nel tempo l'opera salvifica di lui per tutti gli uomini , fino alla sua parusia.

5.

L'AUTORE «LUCA»75

Mentre l'opera lucana è anonima, la tradizione invece ha dato un nome all'autore : Luca , compagno di Paolo (Fm 24; Col 4,16; 2Tm 4 , 1 1 ) . L'essere scettici nei confronti di questa tradizione è dive­ nuta quasi una moda, specie in ambiente tedesco . Le obiezioni più consistenti sono desunte da due ambiti : quello storico e quello teolo­ gico . W.G. Kiimmel, nella sua classica introduzione al NT sintetizza le obiezioni di carattere storico : 76 Luca non può essere stato il com­ pagno di Paolo, perché confrontando il «Paolo» di Atti con quello delle lettere vi si riscontrano dei contrasti insormontabili : mentre nelle lettere non si trova il viaggio di Paolo a Gerusalemme (At 1 1 ,30) , Luca per altro verso non menziona il compromesso di Paolo con le colonne della chiesa di Gerusalemme (Gal 2 , 1-10) ; Paolo inoltre sembra non conoscere il concilio di Gerusalemme , cui secon­ do At 15 avrebbe partecipato . Ph . Vielhauer77 sintetizza il contrasto teologico del Paolo delle lettere con quello degli Atti su quattro temi : la legge naturale , la leg­ ge mosaica, la cristologia e l'escatologia. Si è cercato di scalzare an­ che il forte argomento utilizzato da A. Hamack per attribuire a Lu­ ca, compagno di Paolo, Atti e Vangelo: le sezioni-noi degli Atti (16, 10-17; 20,5-21 , 17 ; 27 ,1-28,16) , ossia quella specie di diario di viaggio dell'autore con Paolo. Ultimamente V . K . Robbins78 ha avanzato l'ipotesi che si tratti di un genere letterario diffuso: il racconto di viaggio per mare ; il solito argomento letterario contro la fondatezza storica delle narrazioni neotestamentarie . 75 La trattazione più esauriente , fondata direttamente sulle fonti , è quella di H.J. CADBURY ET AL. , «The ldentity of the Editor of Luke and Acts», in F.J. FoA­ KES-K. LAKE, a cura, The Beginnins of Christianity, London 1922, l , vol. 2, 205-239. Una messa a punto recente la si può leggere in FrrzMYER, Luca Teologo , 9-28 . 76 KOMMEL, Einleitung21 , 1 16-1 19. 77 PH . VtELHAUER , «Paulinismus der Apostelgeschichte», in EvT 10( 1950) , 1-15, ripreso negli scritti seguenti. 78 V.K. RoBBINS, «The We-Passages in Acts and Ancient Sea Voyages» , in BR 20( 1975) , 5-18.

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Una convincente e dettagliata critica a quest'ultima obiezione si può leggere in Fitzmyer. 79 Noi però seguiremo un itinerario diverso , non meno critico, ma più sicuro per risolvere il problema dell'autore di Luca-Atti . Propo­ niamo anzitutto la figura dell'autore implicito, il suo identikit come si ricava dall'opera stessa. In secondo luogo vaglieremo le testimo­ nianze della tradizione e la loro plausibilità storica , includendovi i testi del NT che parlano di Luca. In un terzo passo confronteremo l'identikit dell'autore implicito con quello che risulta dalla tradizio­ ne. I caratteri dell'autore implicito fungeranno da criterio per stabi­ lire i tratti leggendari aggiunti dalla tradizione più recente. Mi sem­ bra metodologicamente errato risolvere i problemi solo confrontan­ do i dati storici e teologici degli Atti con la letteratura epistolare paolina, in quanto Atti e letteratura paolina sono generi letterari di­ versi con finalità diverse , destinatari diversi e autori diversi . Semmai ci si devono aspettare delle diversità invece che escluderle a priori . Siamo d'accordo che alcuni enigmi rimangono, ma non possono mettere in questione tutta una solida tradizione .

5 . 1 . L'autore implicito80 Quali sono dunque i caratteri con cui si presenta l'autore nella sua opera? Li elenchiamo : l) L'autore anzitutto non fu un testimone oculare del ministero di Gesù , perché egli stesso nel prologo afferma di aver assunto le sue fonti dalla tradizione dei «testimoni oculari» (Le 1 ,2) . È quindi un cristiano della seconda o terza generazione. 2) Non è di origine palestinese, anche se forse ha visitato la Pale­ stina, come abbiamo sopra notato per il nome popolare del lago di Genesaret. Egli evita infatti di parlare di questioni giudaiche e tra­ spone l'ambiente culturale palestinese in quello ellenistico ( Le 6,46-49). 3) È una persona colta , uno scrittore di vaglia, che conosce le tradizioni letterarie dell' AT, ma anche le tecniche letterarie elleni­ stiche .

79 FITZMYER, Luca Teologo, 22-28. 80 V . K . RoBBINS , «The Social Location of the Implied Author of Luke-Acts», in NEYREY, a cura , The Socilll World of Luke-Acts, 305-332, che conferma, sia pure in modo più generale , quanto diremo.

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4) È probabilmente un cristiano di origine pagana , in quanto scrive ai cristiani di origine pagana. 5) Conosce bene la comunità cristiana di Antiochia (At 1 1 , 1930; 13, 1-3 ; 14,21-28; 15, 1-5 . 30-35 ; 18 ,22) . 6) Se prendiamo in considerazione le «sezioni - noi» degli Atti come un diario dell'autore (l 'ipotesi più probabile) , allora egli fu compagno di Paolo nel suo secondo viaggio che lo portò nella Mace­ donia a Filippi (At 16, 10-17) . Poi non compare più se non verso la fi­ ne del terzo viaggio dalla Macedonia a Troade fino a Gerusalemme (At 20,5-21 , 1 ) . Riprende infine la sua compagnia nell'ultimo av­ venturoso viaggio verso Roma (At 27, 1-28, 16) . L'autore dunque fu collaboratore di Paolo e suo compagno per alcuni tratti del suo se­ condo e terzo viaggio e in quello che lo portò a Roma. Dove fu dal 50 al 57-58 non ci è dato di saperlo dagli Atti . Forse rimase a Filippi o nella Macedonia fino all'ultimo viaggio di Paolo. Possiamo perciò arguire che egli abbia viaggiato molto anche dall'ampio orizzonte geografico della sua opera che spazia dall'Elam a Roma, dall'Etio­ pia a Cirene e alla Spagna. Se non è stato testimone del ministero di Gesù , lo è stato , in parte , del ministero di Paolo ; e ciò spiega la sua ammmirazione per questo personaggio, protagonista della seconda metà di Atti. Si deve supporre che abbia intrapreso dei viaggi anche per racco­ gliere le fonti da cui attinse la sua lunga storia. Data la natura di queste notizie , non c'è dubbio che egli sia stato anche in Palestina e in particolare a Gerusalemme. Pur con tutti i dati impliciti sopra elencati , non siamo ancora in grado di dare un nome all'autore implicito, perché molti sono stati i collaboratori di Paolo che conosciamo dalle sue lettere e non abbia­ mo alcun criterio per scegliere tra di loro l'autore di Luca-Atti. 81 Si deve escludere quindi che la tradizione postuma abbia potuto inferi­ re dall'opera lucana stessa il nome del suo autore . Devono averlo sa­ puto da altra fonte: dalla tradizione ecclesiale .

5 .2. La tradizione gli dà il nome di Luca Occorre dunque ricorrere alla tradizione per dare un nome al­ l'autore . Ci limitiamo ad esaminare i documenti più antichi, inzian­ do dall'antico titolo «Euaggelion kata Loukan» , che si legge nel pa-

81 FITZMYER, Luca Teologo , 17-18.

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piro Bodmer XIV (P75 ), datato fra il 175-225 e che certamente risale ad una tradizione antecedente. Il «kata Loukan» indica l'autore let­ terario (cf. 2Mac 2,13). Se da questo dato ritorniamo al NT, Luca compare tre volte nel «corpus paulinum»: l) in Fm 24: «Ti salutano ... Epafra ... Marco, Aristarco, Dema, Luca, miei collaboratori»; 2) in Col 4,14: «Vi saluta Luca, il caro amico, e Dema»; 3) in 2Tm 4,1 1 : «Luca è i l solo con me» (con Paolo, che si trova sotto custodia vigila­ ta). Le lettere ai Colossesi e a Filemone sono in stretto rapporto tra loro perché inviate ambedue alla città di Colosse e portate ambedue da Onesimo, schiavo di Filemone. I tratti del Luca, collaboratore di Paolo, corrispondono bene a quelli sopra elencati dell'autore implicito: collaboratore di Paolo, con lui a Roma, medico e quindi persona colta. Fra i tratti dell'auto­ re implicito non abbiamo elencato quello di medico, dedotto dal vo­ cabolario delle malattie più specifico rispetto agli altri due sinottici. La dimostrazione di W.K. Howard del l 882 fu contestata nel l912 da H.J. Cadbury: i vocaboli usati da Luca per le malattie sono comuni alla LXX e ad autori colti non medici come Flavio Giuseppe, Lucia­ no e Plutarco; lo stesso medico Galeno poi dice di usare un vocabo­ lario comune. Tuttavia rimane il fatto che Luca usa un linguaggio da persona colta, che poteva essere quello di un medico, anche se non necessariamente. Per lo meno non c'è alcun motivo interno all'opera lucana per negare a Luca la professione di medico. Vi è anzi la più alta probabilità che lo fosse. 82 Dal nome e da quanto ne conosciamo dal «Corpus paulinum» passiamo ora alle notizie della tradizione ecclesiale, percorrendo in breve i sette documenti più antichi. l) Il canone Muratoriano nella redazione attuale del IV secolo conserva un documento che viene anche oggi usualmente ascritto al 170-180 d.C. A proposito di Luca ci offre la seguente notizia: « ... Il terzo libro del Vangelo, secondo Luca. Questo Luca, medico, dopo l'ascensione di Cristo, Paolo lo avrebbe preso con sé come compa­ gno del suo cammino, compose nel suo proprio nome, fondandosi su voci (ex opinione). Tuttavia, non vide lui stesso il Signore nella car­ ne e perciò, in quanto poté seguire (gli eventi), li pose così e comin­ ciò il suo resoconto con la nascita di Giovanni)) (linee 2-8). «Ma gli Atti di tutti gli apostoli furono scritti in un solo volume. Luca compi-

82

266

FITZMYER,

Luca Teologo, 51 -53.

lò per l'illustre Teofilo tutte quelle cose che furono compiute singo­ larmente in sua presenza come egli dimostra omettendo sia la morte di Pietro come anche la partenza di Paolo dalla città (di Roma) , quando partì per la Spagna» (linee 34-39) . Il canone mette in contra­ sto terzo Vangelo ed Atti , in quanto degli avvenimenti raccontati nel primo Luca non fu testimone , mentre lo fu di quelli narrati nel secondo. A parte il nome di Luca , la sua professione di medico e il fatto di essere stato compagno di Paolo, non si ricava niente di nuovo da questo primo documento . 2) lreneo , in Adv. Haer. 3 , 1 ; 3 , 14. 1-4, se la prende contro gli ere­ tici che accorciano Luca (marcioniti) o che inventano dottrine segre­ te di Paolo . Il testo di 3 , 14. 1-4 è una compilazione di Luca-Atti, mentre l'unica notizia breve è quella che si trova all'inizio di 3 , 1 : «Et Lucas autem sectator Pauli , quod ab illo praedicabatur Evangelium, in libro condidit» (Sagnard , SC 34) . Luca avrebbe redatto il vangelo di Paolo (Rm 2, 16) come Marco quello di Pietro . Ovviamente tale notizia non è storica, ma leggendaria, perché è in contrasto con i tratti dell'autore implicito. 3) Il prologo greco, cosiddetto «antimarcionita» , è molto antico, del II secolo. 83 Contiene due paragrafi: il primo , breve , riporta noti­ zie diverse da quelle che si possono ricavare dal NT, mentre il secon­ do è parallelo alla notizia di Ireneo, a parte quella sul luogo in cui sarebbe stato scritto , l' Acaia. Riportiamo perciò solo il primo para­ grafo: «E Luca siro antiocheno , di arte medico, divenuto discepolo degli apostoli , e alla fine avendo seguito Paolo sino al suo martirio , avendo seguito il Signore senza distrazione , non sposato , senza figli , morì in Beozia all'età di 84 anni , pieno di Spirito Santo» . Questo prologo ci offre qualche notizia in più : che Luca sarebbe stato di An­ tiochia di Siria , che era quindi un siriano , ovviamente ellenizzato . La dicitura delle qualifiche morali di Luca echeggiano 1Cor 7,35 ed è quindi una notizia sospetta, mentre il luogo in cui morì (la Grecia) può essere plausibile , perché non è ricavabile da altre fonti e non è guidata da un interesse teologico . 84 4) Tertulliano agli inizi del II secolo , nel 207-208 scrive contro Marcione (Adv. Marc. IV,2) . Egli distingue fra gli apostoli (Matteo

83

Da ALANO, Synopsis , 533. Il prologo latino è più recente e non dice niente di nuovo (CADBURY ET AL. , The Identity , 242-245) . Il testo in ALANO, Synopsis , 539. 84

267

e Giovanni) e gli uomini apostolici (Marco e Luca) . Luca è collocato dopo Paolo e da lui ispirato . Il vangelo di Luca è «il vangelo del suo maestro» , una sintesi del vangelo di Paolo (IV,5 ,3). 5) Origene nelle sue omelie su Luca commenta il prologo del Vangelo , ma non riporta nessuna notizia nuova (PL 26,23 1ss) . Più interessante è la citazione di Origene in Eusebio: «E terzo venne il (Vangelo) secondo Luca, che fu fatto per gli etnico-cristiani , lodato da Paolo» (Eusebio, H. E. VI,25.6: GCS IX,2 [Schwartz) , 576) . 6) Eusebio nel 303 così scrive nella sua Storia (III ,4.6: GCS IX, 1 92ss) : «Luca poi , di Antiochia per nascita, di professione medi­ co , essendo stato per molto tempo in compagnia di Paolo, e associa­ to intimamente col resto degli apostoli , ci ha lasciato due modelli dell'arte di curare le anime . . . in due libri divinamente ispirati: il Vangelo che egli testifica di aver scritto secondo quanto gli hanno trasmesso i testimoni, quelli dall'inizio , divenuti poi ministri della parola . . . e gli Atti degli apostoli che compose non più per sentito di­ re , ma per la testimonianza dei suoi stessi occhi. . . » . 7 ) Infine Girolamo ( De viris illustribus VII : ed. Richardson , TU XIV , l) non fa che riassumere la tradizione precedente . Da queste sette testimonianze non si ricava molto di più di quel­ lo che si sapesse già. Il maggior numero di notizie nuove rispetto al NT le si registra nel prologo greco del II secolo, e vengono poi ripe­ tute: l) Luca era un siriano di Antiochia; 2) scrisse il suo Vangelo in Grecia ed ivi morì in età avanzata. Tutte le altre notizie , soprattutto il suo stretto rapporto con Paolo, o sono leggendarie o si fondano su testi del NT. È certamente leggendaria la notizia noiosamente ripe­ tuta che il Vangelo di Luca è una sintesi del vangelo di Paolo . 5.3.

Confronto critico fra autore implicito e dati della tradizione

Che sia Luca l'autore di Luca-Atti è plausibile per il fatto che non è un personaggio di spicco del NT e d'altronde non si possono addurre ragioni teologiche per la sua identificazione . Se Luca è quello di cui parla Paolo nelle sue lettere (lasciando da parte il pro­ blema della loro autenticità) , le notizie su di lui sono perfettamente coerenti con l'identikit dell'autore implicito . Che fosse medico corri­ sponde al fatto che è , in ogni caso , una persona colta. Che fosse coo­ peratore e compagno di Paolo per una certa parte della sua vita si ri­ cava dalle «sezioni-noi» degli Atti . Anche le notizie in più della tra­ dizione corrispondono all'autore implicito: che fosse siriano di 268

Antiochia corrisponde perfettamente a quanto possiamo arguire da­ gli Atti e non abbiamo nessuna ragione per dire che tali notizie sono ricavate dagli Atti . Tanto meno lo si può affermare del luogo in cui scrisse il suo Vangelo e morì, in quanto corrisponde alla collocazio­ ne spaziale che si ricava dall'opera lucana. L'autore di Luca-Atti ha dunque un nome e un volto , quello di Luca. Sappiamo che era un siriano ellenista di Antiochia , convertito alla fede cristiana forse già nei primi tempi , compagno saltuario e cooperatore di Paolo a partire dal secondo viaggio verso il 50. Lo ac­ compagnò a Roma e scrisse poi la sua opera, forse in Grecia, dove morì. Era una persona colta e forse medico di professione. Egli si nasconde dietro alla sua opera, anche se non nasconde le sue inten­ zioni e il suo carattere. Gli dobbiamo essere grati perché ci ha lascia­ to il più bel Vangelo sotto il profilo letterario e con gli Atti ci ha fat­ to capire che il vangelo di Gesù continua nella chiesa mediante lo Spirito , inviato dal Signore risorto e glorificato. Gli esegeti sono e saranno ancora divisi sul tempo di composi­ zione dell'opera, se prima o dopo la distruzione di Gerusalemme . Ma non ha grande importanza, in quanto Luca ha voluto finire la sua opera con la dimora di Paolo in Roma per due anni in domicilio coatto con la sicura speranza che la salvezza compiuta da Gesù e testimoniata dagli apostoli sarebbe stata accolta dalle genti e si sarebbe realizzato il comando di Gesù risorto di essere suoi testi­ moni «sino ai confini della terra)) ( At 1 ,8) . A lui interessava la diffu­ sione del vangelo di Gesù e con esso la speranza della salvezza per tutti gli uomini.

269

Capitolo sesto L'opera giovannea (Vangelo-Lettere )1

Introduzione La letteratura giovannea (Vangelo-Lettere e, in seconda istanza, l'Apocalisse) è un campo di battaglia su cui si confrontano in modo privilegiato i nuovi metodi di esegesi, la nuova critica letteraria e quella sociologica. L'una esamina il testo nella sua unità narrativa (il Vangelo) o discorsiva (le lettere) e il modo in cui funziona per dare senso al lettore (implicito); l'altra, muovendo dalla funzione del te­ sto in relazione ai suoi lettori storici - la comunità in cui è nato e per cui è stato scritto il Vangelo - pretende non solo di ricostruire la sto­ ria del testo ( Traditionsgeschichte/Storia della tradizione), ma anche le sue diverse funzioni in relazione a fasi successive della comunità giovannea. La critica letteraria tradizionale è divisa fra un uso dialettico (analisi delle tensioni o addirittura contraddizioni del testo) in ordi­ ne a mettere in luce stadi successivi fra loro contrastanti (da Bult1 Data l'ampiezza della bibliografia sulla letteratura giovannea, mi limito a se­ gnalare le ottime fonti bibliografiche specializzate e le rassegne in ordine cronologico. A) Fonti bibliografiche: E. MALATESTA: St. John 's Gospel 1 920-1965. A Cumula­ tive and Classified Bibliography of Books and Periodica/ Literature on the Fourth Gospel (AnB 32), Rome 1967; G. VAN BELLE, Johannine Bibliography 1966-1985. A Cumulative Bibliography on the Fourth Gospel (B ETL 82), Leuven 1988; R. RABANOS EsPJNOSA-D. MuNoZ LEON, Bibliografia Joanica. Evangelio, Cartas y Apocalypsis /960-/986 (Biblioteca Hispana Biblica 14), Madrid 1 990. B ) Rassegne: oltre a quelle già segnalate in VAN BELLE, Johannine, 1 -6, mi limito a ricordare le più recenti, ivi non recensite: J. BEUTLER, «Die Johannesbriefe in der neuesten Literatur>> ( 1 978- 1 985 ), in ANR W II 25.5 ( 1 988), 3773-3790; Io., «Méthodes et problèmes de la recherche johannique aujourd'hui», in J.D. KAESTLJ­ J.M. PoFFET-J . ZuMSTEJN, a cura, La communauté Johannique et son Histoire. La tra­ jectoire de l 'évangile de Jean aux deux premiers siècles (Le monde de la Bible), Geoève 1990, 1 -38 (con bibliografia); H. THYEN, , in JBL 76( 1957) , 208-21 5 . 11

.

275

Esodo , Levitico , Numeri, Giosuè e 1Re , Sahlin sostiene che il Gesù giovanneo si rivela come nuovo Mosè , nuovo Giosuè e nuovo Salo­ mone , e scopre delle corrispondenze a questi tre «tipi» nelle tre parti in cui sarebbe diviso il QV (1-9; 10-1 1 ; 12-19) . La tipologia più radi­ cata nel testo è quella di Mosè (Gv 1 , 17; 3 , 14; 5 ,45-46; 6,32 . . . ) ; più tenue risulta la tipologia di Giosuè e di Salomone . G . Ziener 15 però ha dimostrato che l'ordine seguito dal QV nel racconto dei «segni>> non è quello dell'Esodo , ma quello della Sa­ pienza . Nel commento al QV di Mateos-Barreto viene utilizzata la sim­ bologia della creazione e dell'alleanza della nuova Pasqua, già pro­ posta dal Boismard. Inoltre il numero sei , che ricorre spesso nel QV (Gv 2,6; 4,6; 12, 1 ; 19,14 ; le sei feste . . . ) , indicherebbe il periodo pre­ paratorio al compimento del settimo giorno . Il giorno sesto è quindi il giorno dell'opera del Messia (2, 1-19 ,42) , mentre il settimo è quel­ lo della nuova creazione (20,1-3 1 ) . 4 ) Le strutture fondate s u u n procedimento letterario complessi­ vo, che abbraccia tutto il QV, hanno la palma di una complessa arti­ ficiosità, pur apportando anch'esse dei contributi all'analisi struttu­ rale . Il difetto comune di queste strutturazioni è quello di voler sco­ prire nel QV una unità teologico-letteraria troppo massiccia , che fi­ nisce per imporsi al testo più che essere da esso ricavata . A questo gruppo appartengono la struttura chiastica di Webster, 16 la chiasti­ co-simbolica di Deeks , 17 la simbolico-concentrica di Willemse , 1 8 la simmetrico-ritmica di Rau . 1 9 5) C.H. Dodd nella sua opera classica L'interpretazione del Quarto Vangelo20 presenta una struttura letteraria del QV che si po­ trebbe definire «tematica>> ; i successivi episodi , caratterizzati dallo stretto legame tra narrazione e discorso , sarebbero unificati da un

15 G. ZIENER, «Weisheitbuch und Johannesevangelium» , in Bib 38( 1957) , 396418; 39( 1958) , 37-60 . 16 E . C . WEBSTER, «Pattern in the fourth Gospel» , in D . J . A . CLINES-D . M . GuNN-A . J . HAUSER , a cura , Art & Meaning: Rhetoric in Biblica/ Literature ( JStOT Suppl. Series 19) , Sheffield 1982, 230-257. 17 D . DEEKS , «The Structure of the Fourth Gospel», in NTS 15(1968-1969) , 107129. 18 WtLLEMSE, Het vierde evangelie. 19 C. RAu, Struktur und Rythmus im Johannesevangelium. Eine Untersuchung uber die Komposition des vierten Evangeliums, Stuttgart 1972. 20 C . H . Dooo, L'interpretazione del Quarto Vangelo ( Biblioteca teologica 1 1 ) , Brescia 1974 ( orig. 1953), 359-541 .

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tema. Tuttavia nella seconda parte o «libro della gloria» (Gv 13,120 ,31 ) , il discorso di addio precede la narrazione della passione e ri­ surrezione. La struttura proposta dal Dodd ha influito sulla struttu­ razione in due parti: dopo il prologo (1 , 1-18) e il proemio narrativo dei primi testimoni ( 1 , 19-5 1 ) , si hanno il «libro dei segni» (2, 112,50) e il «libro della passione» (13,1-20,3 1 ) . Il «libro dei segni» sa­ rebbe costituito da sette episodi , ciascuno dei quali sviluppa un tema particolare : l . Il nuovo inizio (2, 1-4,42) ; 2. La parola che dà la vita (4,46-5 ,47) ; 3. Il pane di vita (6, 1-71); 4. Luce e vita; rivelazione e rifiuto (7 , 1-8 ,59) ; 5 . Il giudizio mediante la luce (9, 1-10 ,39) ; 6. La vittoria della vita mediante la morte ( 1 1 , 1-53) ; 7. La vita attraverso la morte ossia il significato della croce (12, 1-36) . La difficoltà di que­ sta struttura proposta dal Dodd si rivela nella impossibilità di inte­ grarvi alcune parti : 3,22-36; 6,60-71 ; 10,22-39 e 21 , 1-25 . Ma l'espres­ sione del Dodd «libro dei segni» per designare la prima parte del QV è entrata ormai nell'uso comune . 6) La struttura drammatica legge nel QV un dramma che si svol­ ge intorno a Gesù in una lotta senza quartiere tra la fede e il rifiuto della fede in lui . Alla fine sembra prevalere il mondo che rifiuta la fede ed elimina Gesù , ma questi ne esce vittorioso insieme ai «Suoi>) . Una prima proposta di struttura drammatica cronologico-geo­ grafica fu avanzata da M.C. Tenney già nel 1953 ; ma era piuttosto artificiosa e rimase senza seguito. 21 Più interessante , anche perché pratica una nuova metodologia, è la proposta più recente di R.A. Culpepper Y Egli utilizza la nuova critica letteraria del racconto. Anche se il suo studio è più analitico che sintetico , tuttavia la trama del dramma (the plot of the drama) dà un'idea della dinamica narrativa organica, che evidenzia l'unità letteraria del QV. D dramma si svolge intorno alla identità di Gesù : come si viene a conoscerlo e riconoscerlo e come al contrario non viene riconosciuto ed è respinto. Tale dramma non si rivela solo nel­ l'insieme del QV, ma ogni episodio della narrazione evangelica svi­ luppa ripetutamente lo stesso dramma, che contiene sempre il me­ desimo messaggio. Caratteristiche del dramma giovanneo sono la lotta tra fede e rifiuto della fede , la ripetizione del dramma in ogni episodio , il ruolo dei dialoghi nello sviluppo dei temi , i personaggi

2 1 MLAKUZHYIL, Literary Structure, 22 R. A. CuLPEPPER, Anatomy of the

Philadelphia 1983.

55-58. Fourth Gospel. A Study in Literary Design ,

277

del dramma, le sequenze degli episodi, l'unità del racconto e l'effica­ cia della narrazione . 23 7) Numerose sono le proposte che vedono nella rivelazione pro­ gressiva di Gesù l'idea-guida della struttura letteraria del QV. Nella rassegna del Mlakuzhyil ben sei sono le proposte strutturali che scel­ gono questo principio euristico . 24 Westcott, nel suo commento, è il primo a proporla e rimane classico. Dopo il prologo ( 1 , 1-18) egli de­ finisce la narrazione ( 1 , 19-21 ,23) «rivelazione di Cristo» al mondo ( 1 , 19-12,50) e quindi ai discepoli (13, 1-21 ,23). La divisione per te­ mi è però soggettiva. Mentre Westcott intuiva l'idea-guida che strut­ tura il QV, non possedeva ancora gli strumenti per un'analisi strut­ turale vera e propria. H. Van den Bussche non solo propone una struttura incentrata nella «rivelazione della gloria» , ma porta a comprova i criteri cui si è ispirato per fondarla: introduzioni, conclusioni , inclusioni e temi teologici . 25 Il QV, dopo il prologo ( 1 , 1-18) risulterebbe strutturato in due grandi parti : l. Il giorno di Gesù, ossia la sua vita pubblica co­ me rivelazione velata della gloria (2-12) : introduzione a questa pri­ ma parte ( 1 , 19-5 1 ) ; la sezione dei segni , ossia la rivelazione del Mes­ sia (2-4) ; la sezione delle opere , ossia la rivelazione del Figlio del­ l'uomo (5-10) ; la salita a Gerusalemme (1 1-12) . Il . L'ora di Gesù, ossia la rivelazione della sua gloria (13-20) : la lavanda dei piedi (13,1-30) e i due discorsi di addio (13,31-14,31 e 15-16) ; la preghiera sacerdotale (17) ; la passione e le apparizioni del Risorto ( 18-20) ; fi­ ne del Vangelo (20,30-31 ) . Il c. 21 è un'appendice. La struttura in due grandi parti è oggi comunemente accettata, mentre le suddivi­ sioni del Van Bussche sono spesso arbitrarie . l . De la Potterie propone una struttura fondata sia su criteri let­ terari (inclusioni , ripetizioni . . . ) che sull'unità tematica della «rivela­ zione progressiva della Parola incarnata, Messia e Figlio di Dio» . 26 Anch'egli , dopo il prologo , considera il QV strutturato in due grandi parti: la rivelazione al mondo (Gv 1-12) e il culmine della rivelazio­ ne nell'ora di Gesù (Gv 13-20) . Ad ogni tappa della rivelazione vie­ ne notata la duplice risposta ad essa riservata: l'accoglienza nella

23

CuLPEPPER, Anatomy , 91-98. MLAKUZHYIL, Literary Structure, 62-83 . 1j H. VAN DEN BusscHE, «La structure de Jean I-XII», in M.-E. BoiSMARD-F. M . BRAUN ET AL , L'Evangi/e de Jean, études e t problèmes (Recherches bibliques 3) , Bruges 1958, 61-1{)9 (63); Io . , Jean, Bruges 1967 , 52. 26 I. DE LA PorrERIE, «L'Evangelo», 893 . 24

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fede o il rifiuto. In sintesi ecco la sua proposta: l . La rivelazione al mondo (Gv 1-12) : all'introduzione storica di Gesù Messia ( 1 , 19-5 1) seguono due dittici di rivelazione. Al primo dittico (il segno del vino e il segno del tempio in Gv 2) fanno seguito le diverse risposte della fede : Nicodemo (Gv 3) , la samaritana (Gv 4,1-42) e l'ufficiale regio (Gv 4,46-54) . Al secondo dittico di rivelazione (segno del paralitico e segno del pane in Gv 5-6) si risponde col progresso della fede da una parte e con la cecità dei giudei dall'altra (Gv 7-10) . Gv 1 1-12 prefigura e prepara l'ora di Gesù . Il . Il culmine della rivelazione nel­ l'ora di Gesù (Gv 13-20) : il discorso dopo la cena (Gv 13-17) ; la pas­ sione e la morte di Gesù (Gv 18-19) e la risurrezione (Gv 20) . Que­ sta struttura, elaborata da De La Potterie , ha influito per la giusta centralità che vi ha l'idea-guida della rivelazione . Per M. Gourgues27 criterio strutturale del QV è la risposta alla rivelazione. La macrostruttura, consueta, comprende , oltre al prolo­ go e all'appendice , due grandi parti : il libro dei segni (Gv 1-12) e il libro dell'ora (Gv 13-20/21) . Il libro dei segni sarebbe organizzato intorno alle due fasi della rivelazione di Gesù: la prima è il tempo delle opzioni ( 1 , 1�,7 1 ) , la seconda quello del rifiuto (7-12) . Il li­ bro dell'ora (Gv 13-20/21) viene strutturato nel modo usuale . Il me­ todo è in sé valido (molteplicità di criteri), ma poi l'autore ne usa so­ lo un paio e il risultato non è convincente . V. Pasquetto28 propone da parte sua una struttura narrativa­ rivelatoria; ed io stesso ho proposto nel mio commento al QV una struttura narrativa rivelatoria di tipo eclettico , nel senso che essa si fonda su criteri diversi e articolati per evitare l'unilateralità di molte strutture finora proposte . La riprenderò più avanti in modo detta­ gliato, modificando la seconda parte. R.E. Brown nel suo ben noto commento al QV propone una struttura tematica senza una precisa idea-guida unitaria, che sembra tuttavia quella della rivelazione. La macrostruttura è la solita: prolo­ go ed epilogo , libro dei segni (1-12) e libro della gloria (13-20) . La prima parte è suddivisa in quattro sezioni: i giorni iniziali della rive­ lazione di Gesù ( 1 , 19-2 , 1 1 ) ; da Cana a Cana con diverse risposte al ministero di Gesù (2-4) ; da notare che 2,1-1 1 conclude la prima

27 M. GouRGUES, Pour que vous croyiez. Pistes d'exploration de l'évangile de Jean , Paris 1983 , 73-101 . 28 V. PASQUETIO , Da Gesù al Padre. Introduzione alla lettura esegetico-spirituale del Vangelo di Giovanni, Roma 1983 , 107-109.

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sezione ed apre la seconda; la terza sezione è quella delle feste giu­ daiche (Gv 5- 10) , introdotte da 4,46-54; nella quarta sezione Gesù muove verso la morte e la gloria (Gv 1 1-12) ; la conclusione valuta il ministero di Gesù (12,37-50) . La seconda parte, il libro della gloria (Gv 13-20) è strutturato nelle solite tre sezioni: ultima cena (13-17) , passione (18-19) e risurrezione (20) . Accenniamo , infine , alla struttura proposta da M. Rissi, incen­ trata come criterio-guida sui viaggi di Gesù. 29 Dopo il prologo , si hanno due parti principali, ciascuna di tre sezioni : le tre sezioni della prima corrispondono a tre viaggi di Gesù a Gerusalemme , rispetti­ vamente Gv 1 , 19-3-36 ; 4, 1-5 ,47 ; 6, 1-10,39 . Le tre sezioni della se­ conda sono pure centrate su altri tre viaggi: l'ultimo viaggio (Gv 10,40-12,41 ) , l'addio ai suoi discepoli (13 , 1-14,31) e il ritorno al Pa­ dre (18, 1-20,31 ) . Gv 12 ,42-50; 15-17 e 21 sarebbero interpolazioni posteriori. 8) Un'attenzione particolare merita la proposta di Mlakuzhyil , avanzata nella sua monografia sulla struttura cristocentrica del QV, fondata su un'accurata base criteriologica. 30 Dinanzi a questo serio tentativo di scoprire la struttura letteraria del QV si rimane colpiti dall'impegno profusovi . Ancora una volta si percepisce una caratte­ ristica fondamentale del QV: la ricchezza semantico-teologica retro­ stante a un'apparente semplicità; ricchezza che emerge proprio dal­ l'intreccio narrativo-teologico e dalla trama del racconto, perché so­ stanzialmente di un racconto si tratta. L'idea-guida unitaria da Mla­ kuzhyil viene studiata solo alla fine 3 1 perché non influisca sui criteri letterari che devono fondare la struttura. L'idea-guida, come appare dal titolo, è costituita da un cristo­ centrismo teologico progressivo: da Gesù che si rivela Messia e im­ plicitamente Figlio di Dio (2, 1-4 ,54) si passa alla rivelazione del Fi­ glio di Dio (5 ,1-10,42) : in ognuna delle cinque sezioni si presenta sempre come «Datore della vita» (aspetto salvifico) . L'idea-guida si condensa nella introduzione cristologica ( 1 , 1-2, 1 1 ) , che corrisponde chiasmaticamente alla conclusione cristocentrica (20,30-31 ) : all'inno testimoniate dell'inizio (l , 1-18) corrisponde la conclusione soterio­ logica (20,3 1d) , al kerygma testimoniate (1 , 19-52) fa riscontro quel­ lo cristologico (20 ,31abc) e all'introduzione storica dei segni (2, 1 - 1 1 )

M. Rtssi , «Der Aufbau des vierten Evangeliums» , in NTS 29(1983), 48-54. MLAKUZHYIL, Literary Structure, 87-135. 31 MLAKUZHYIL, Literary Structure, 243-247.

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la conclusione storica dei segni (20,30) . L'idea-guida sarebbe quindi tematica e non drammatica. La struttura letteraria proposta è, in breve , la seguente : I . Il li­ bro dei segni di Gesù (2,1-12,50) in tre sezioni : l . I segni e gli incon­ tri iniziali di Gesù , ossia da Cana a Cana (2, 1-4 ,54) . 2. I segni, le opere e le discussioni di Gesù , ossia le feste giudaiche (5 , 1-10,41). 3 . Il segno «climax» e l'arrivo dell'ora di Gesù o sezione-ponte ( 1 1 , 1-12 ,50) . Il . Il libro dell'ora di Gesù ( 1 1 , 1-20,29) in tre sezioni : 4. Il segno «climax» e l'arrivo dell'ora (1 1 , 1-12,50) . 5 . L'addio del­ l'ora di Gesù all'ultima cena (13, 1-17 ,26) . 6. L'ora di Gesù , ossia passione-morte-risurrezione (18, 1-20,29) . Il c. 21 è considerato un'appendice Y A questa proposta strutturale , finora la più ampiamente argo­ mentata , facciamo seguire qualche breve notazione di rilievo. Gv 2 , 1 - 1 1 è considerato un episodio-ponte, come in Brown. Anche la sezione centrale Gv 1 1 , 1-12 ,50 fungerebbe nel suo insieme da ponte tra la prima e la seconda parte . Ma anche altri brani , più brevi , rive­ stirebbero il ruolo di ponte tra due sezioni . Va pure notato che il racconto della risurrezione non costituisce una sezione a sé , ma è unita al racconto della passione ; infine il c. 21 non sarebbe un epilo­ go, ma una semplice appendice . Solo un breve cenno , infine , alla pretesa somiglianza del QV con la struttura della tragedia greca : prologo , cinque episodi ed epilogo , 33 che però non convince , anche se l'accostamento è suggestivo . Da questa carrellata di proposte strutturali per il QV vorrei trar­ re qualche riflessione conclusiva. l) L'enorme varietà di strutture letterarie proposte rivela la complessità e la ricchezza del QV sotto un'apparente semplicità. 2) Al di là della fantasia creatrice dei singoli esegeti e per evitare lo sconfinamento nel soggettivo , occorre attenersi alla lettera del te­ sto e addurre perciò criteri letterari a fondamento della struttura proposta. 3) Negli ultimi anni tra le proposte più motivate si registra ormai un consenso minimo sui seguenti punti: ovviamente il prologo innico (1 , 1-18) e l'epilogo (Gv 21), anche se quest'ultimo viene qualificato ancora come appendice o aggiunta. In secondo luogo , le due grandi parti in cui si struttura il QV: Gv 1-12 e 13-20 con la conclusione 32 33

MLAKUZHYIL, Literary Structure, 238. MLAKUZHYIL, Literary Structure, 189-191 .

281

(20,30-31 ) . Solo il Thyen qualifica Gv 20,30-31 come «riassunto» e non come «conclusione» . 34 All'interno della prima parte vi è pure un consenso diffuso su tre sezioni, anche se divergono nei particolari e sulla loro funzione : Gv 2-4; 5-10 e 1 1-12. Allo stesso modo si registra un largo consenso sulle tre sezioni della seconda parte: i discorsi di addio (Gv 13-17) , il racconto della passione (Gv 18-19) e quello. del­ la risurrezione (Gv 20) . Chi si serve di un criterio tematico per la struttura talora unisce il racconto della risurrezione a quello della passione, come Mlakuzhyil; ma sotto il profilo letterario è chiara l'inclusione di 18,1 e 19,41 in «kepos/giardino» e la conseguente uni­ tà letteraria della sezione Gv 18-19.

1 . 2. La criteriologia35 Già nel mio commento al QyJfi sostenevo che per stabilire la struttura letteraria è necessario usare diversi criteri. Si deve perciò diffidare sia delle strutture proposte senza riflessione critica sia di quelle che scelgono un unico criterio organizzatore come le feste , i viaggi , numeri particolari come il 7 o 1'8. Proprio per questo , prima di analizzare la struttura letteraria del QV, passiamo in rassegna la criteriologia che poi metteremo in atto. Si possono distinguere due grandi complessi di criteri , letterario e teologico . Trattandosi di struttura letteraria, dovrà prevalere il cri­ terio letterario ; i temi teologici potranno costituire semmai l'idea­ guida che dà unità semantica. Mlakuzhyil giustamente ha esaminato i criteri teologici in un secondo momento . Invece di stendere un elenco analitico dei vari criteri, li raggrupperemo in sette categorie : l) La prima è data da tre elementi letterari, che delimitano una pericope o una parte dell'opera letteraria e sono: a) le introduzioni come il prologo ( 1 , 1-18) o I'«inizio dei segni» (2, 1 1 ) , l'introduzione alla seconda parte in Gv 13, l ; b) le conclusioni, di cui le più note so­ no le due del QV (20,30-31 e 21 ,24-25) ; anche 10,40-42 ha carattere di conclusione e ancor più 12 ,37-50; c) le inclusioni, infine, sono an­ cora più importanti , perché più frequenti nel QV: la grande inclusio­ ne tra il prologo ( 1 , 1-18) e 20,24-29 (Gesù è Dio) ; l'unità letteraria di Gv 2-4 indicata dall'inclusione in «Cana» (2,2 e 4,46) , come pure

34

THYEN, >, che. si estendono poi a tutto il racconto della passione e potrebbero segnalare l'introduzione al dramma del rifiuto e della morte di Gesù; c) infine i temi teologici potrebbero risultare utili alla ricerca del­ la struttura. Io stesso ho utilizzato questo criterio per studiare la struttura teologico-letteraria dei discorsi di addio. 40 Da quanto esposto si ha un'idea di quanto ampio sia l'arco della criteriologia per l'analisi strutturale. Ma il criterio fondamentale, da cui non si può prescindere, è che si deve sempre partire dal testo e ri­ tornare al testo; anche quando si partisse da forme letterarie esterne a questo, esse devono trovare un riscontro molto preciso nel testo del QV. 1 .3 .

La struttura letteraria del Quarto Vangelo

Ricordiamo ancora una volta che consideriamo il Vangelo nel suo stato attuale di 21 capitoli come una unità letteraria complessiva, creata dal redattore finale. Va anche detto, previamente, che ci inte­ ressiamo dell opera in sé e non dell'autore e del suo progetto. Proce­ deremo a stabilire la struttura letteraria in tre momenti successivi: determinazione dell'idea-guida che dà unità semantica all'opera, configurazione della macrostruttura, evidenziazione della micro­ struttura. '

1.3. 1 . L 'idea-guida

L'idea-guida che dà unità e anima il QV è la finalità che si è pro­ posto l'evangelista. Lo dice lui stesso espressamente nella prima conclusione (20,30-3 1 ) : la narrazione della rivelazione di Gesù allo 40 G. SEGALLA, «Il libro dell'addio di Gesù ai suoi», in 356-374.

Parole di Vita,

1 5 ( 1 970),

285

scopo di credere che egli è «il Cristo, il Figlio di Dio» e credendo aver vita nel suo nome . La rivelazione di Gesù è presentata però non come un dogma, ma come un dramma, cui partecipare median­ te la fede personale ( 12 ,24-26) . La trama di questo dramma divino viene sintetizzata da Gesù stesso verso la fine del suo discorso di ad­ dio: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo . Di nuovo la­ scio il mondo e vado al Padre» (16,28) . In forma più breve l'aveva già detto l'evangelista nell'introduzione all'ultima cena: « . . . sapendo che tutto il Padre gli aveva dato nelle mani e che da Dio era uscito e a Dio ritornava . . . » (13,3). In questi due testi viene presentato in breve sintesi l'itinerario della rivelazione storica, in cui Gesù è divenuto la via al Padre . Nel­ la formula pronunciata da Gesù, la più completa, il suo itinerario si articola in due momenti : l} l'uscita dal Padre , ritmata nel prologo come «incarnazione del Verbo» (1 , 14) , che «all'inizio era presso Dio» ( 1 , 1 -2) e ha posto la sua tenda in mezzo a noi con l'incarnazio­ ne per narrare , rivelare il Padre , lui solo ( 1 , 18) e donare vita (1 ,4) , «grazia e verità» ( 1 , 17) . Il prologo canta l'uscita del Verbo dal Pa­ dre, il suo «essere inviato» da lui nel mondo. La sua permanenza in mezzo agli uomini per rivelare il Padre e richiedere la fede nel Rive­ latore è raccontata nella prima parte (Gv 1-12) ; 2) il ritorno al Padre viene narrato nella seconda parte (Gv 13-20) . La macrostruttura in due grandi parti è indicata perciò dal Vangelo stesso . Oltre al dramma del Figlio uscito e inviato dal Padre , il quale , compiuta la sua missione e la sua «opera» (17 ,4) , ritorna al Padre , è raccontato un secondo dramma , quello dell'uomo. Esso spiega il modo tragico in cui Gesù è ritornato al Padre . Anche la tragedia del­ la morte di croce è però descritta dall'evangelista in modo parados­ sale come una vittoria e una proclamazione della regalità universale di Gesù, per cui egli vince in tal modo il principe di questo mondo , il mondo e la stessa morte . Il dramma antropologico si svela nella divi­ sione degli uomini di fronte alla rivelazione del Padre nel Figlio suo incarnato. Il testo che meglio esprime questo dramma è Gv 3,16-21 : «Questo è il giudizio (di condanna) : che la luce (Gesù Verbo incar­ nato) è venuta nel mondo , ma gli uomini hanno amato più le tene­ bre che la luce, perché le loro opere erano malvage . . . Chi invece fa la verità (credendo ed amando realizza la rivelazione portata da Ge­ sù) viene alla luce , perché le sue opere si svelino come operate in Dio» (3 , 19.21). L'accoglienza del Rivelatore del Padre nella fede e il suo rifiuto fino a volerlo eliminare accompagna tutto il QV fin dal prologo (Gv 1 ,5 . 10-13) e si rivela in modo progressivo soprattutto a 286

partire da Gv 5 . Dietro al rifiuto radicale dei «giudei» vi è il mondo , vi è il principe di questo mondo . Lo scontro avviene non solo a livel­ lo antropologico , ma anche a livello superumano tra potenze che in­ fluiscono sull'uomo : da una parte Gesù e il Padre che vogliono por­ tare la vita all'uomo , la vita divina e l'amore ; dall'altra il principe di questo mondo ossia il diavolo , «bugiardo e omicida fin dall'inizio» (8,44) , che nega la verità, odia, perseguita e vuoi eliminare Gesù e la sua comunità. L'idea-guida, che dà unità semantica al QV è dunque la progres­ siva rivelazione storica di Gesù , Verbo di Dio incarnato, Figlio di Dio inviato dal Padre, datore della vita eterna mediante segni e di­ scorsi di rivelazione (Gv 1-12) , fino all'elevazione alla croce e alla gloria (Gv 13-20) col ritorno al Padre ; e il dramma della doppia ri­ sposta umana: l'accoglienza nella fede o il rifiuto della rivelazione. Ovviamente il Vangelo è stato scritto per orientare il lettore a rico­ noscere Gesù , quale Messia e Figlio di Dio, a vedere in lui la rivela­ zione del Padre , che vuoi donare la vita divina all'uomo mediante la fede nel Figlio , in modo che attraverso di lui sia condotto nello stes­ so mistero di Dio. Mentre il dramma cristologico si può strutturare in due parti , let­ terariamente distinte , quello antropologico accompagna invece , in primo o secondo piano, tutta l'opera.

1 . 3.2. La macrostruttura È suggerita già dalle due parti implicite nell'idea-guida , appena illustrata, con l'aggiunta del prologo ( 1 , 1-18) e dell'epilogo (21 , 1 23) : i l prologo, partendo dal presente della grazia e verità , divenute realtà in Gesù , si volge al passato per trovarne il fondamento ultimo nella preesistenza eterna del Verbo e nella sua incarnazione ; l'epilo­ go , partendo pure dall'evento presente della morte scioccante del DA, mira al futuro della chiesa nel mondo e al ritorno di Gesù nella parusia. È difficile qualificare le due grandi parti con un titolo ade­ guato, ma esso potrebbe essere il seguente: la prima è il libro dei se­ gni e dei discorsi di rivelazione (Gv 1-12) , la seconda il libro del com­ pimento dell'opera e del ritorno al Padre (Gv 13-20) . Proseguendo nell'analisi strutturale delle due parti , si può vede­ re come ciascuna si articoli in tre sezioni, precedute da un prologo narrativo ( 1 , 19-5 1 ) . I l prologo narrativo ( 1 , 19-5 1) è articolato i n due dittici e quattro scene successive da un'indicazione temporale ricorrente : «l'indoma-

287

ni» (l ,29.35 . 43). Il carattere di introduzione è indicato da tre ele­ menti letterari : l) il primo dittico contiene in due scene la testimonianza iniziale di Giovanni ( 1 , 19-36) , che rivela ad Israele chi è Gesù: Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (aspetto salvifico e rimando im­ plicito a 19,36) e Figlio di Dio (identità personale) ; 2) il secondo dittico (1 ,35-42.43-5 1) racconta l'incontro dei primi discepoli con Gesù , che provoca in loro una fede esplicita in lui, Messia (1 ,41 .45) e Figlio di Dio (1 ,49) ; l'evangelista presenta la figu­ ra del discepolo-modello in azione : cercare Gesù , seguirlo , incon­ trarlo , confessare che egli è il Messia e comunicarlo ad altri ; 3) un ultimo particolare intende creare nel lettore l'aspettativa di quanto seguirà. A Natanaele , meravigliato che l'abbia visto sotto il fico, Gesù preannuncia: «Cose ben più grandi di queste vedrai !» ( 1 ,50) ; segue l'«inizio dei segni» (2, 1- 1 1 ) . Sono incerto se includere nel prologo narrativo anche il segno di Cana. Non si può invocare in suo favore il «terzo giorno» iniziale (2 , 1 ) , non coerente con la sequenza narrativa precedente (sarebbe semmai il quinto giorno !), a meno di contare arbitrariamente dal primo incontro con i discepoli . Più plausibile è il ricorso al carattere introduttorio di 2 , 1 1 : «Questo inizio/arche dei segni fece Gesù . . . e rivelò la sua gloria . . . e credettero in lui i suoi discepoli» . Si possono qui rilevare due richiami al prologo ionico: l) l'arche rimanda forse all'«In principio», incipit del Vangelo ( 1 , 1 ) ; 2) la «gloria» rinvia alla «gloria» di 1 , 14: «e abbiamo visto la sua gloria . . . ». Più chiara e volu­ ta dallo scrittore è invece l'inclusione letteraria fra 2 , 1 . 1 1 e 4,46: «Venne poi di nuovo a Cana di Galilea dove cambiò l'acqua in vi­ no» . Si potrebbe comunque pensare che Gv 2,1-12 sia una pericope­ cerniera fra il prologo narrativo e la prima sezione . La prima sezione del «libro dei segni» (Gv 2,1-4 ,54) è delimita­ ta, come abbiamo già detto , dall'inclusione da Cana (2, 1 . 1 1) a Cana (4,46) ed è caratterizzata dalla prima rivelazione di Gesù con segni e dialoghi e dalla prima risposta di fede : dei discepoli , prima (2, 1 1 ) , e dopo (2 ,22) la risurrezione, di Nicodemo (Gv 3) , della samaritana e dei samaritani (Gv 4,4-42) , dell'ufficiale regio (Gv 4,46-54) . La seconda sezione ( Gv 5 , 1-10,42) è segnalata dali 'inclusione tra 5 , 1 8 e 10,30-33 : all'inizio ed alla fine ricorre l'accusa mossa a Gesù dai «giudei» di farsi uguale a Dio ; per di più 10,32 ha carattere con­ clusivo in quanto vi si parla di «opere buone» compiute prima da Gesù ; infine e ancor più 10,40-42 è una conclusione intermedia (col riferimento per l'ultima volta a Giovanni : 1 ,28) di carattere ottimi288

stico, mentre quella di tutto il libro dei segni è sconsolata (12,36b-50) . Questa seconda sezione è ormai comunemente chiama­ ta «sezione delle feste giudaiche» in quanto i segni e i discorsi di ri­ velazione di Gesù reinterpretano alcune feste giudaiche: il sabato (Gv 5), la Pasqua (Gv 6) , la festa delle Capanne (Gv 7-9) e quella della Dedicazione (Gv 10) . Segni e discorsi si richiamano a vicenda. Infine in questa sezione si fa sempre più forte il rifiuto e l'opposizio­ ne dei «giudei», fino al tentativo di lapidare Gesù (9 ,59 ; 10,31 ; cf. 1 1 ,8 con riferimento a questa sezione) . La terza sezione ( 1 1 , 1-12,50) è meno unitaria delle due prece­ denti . Letterariamente è marcata da due conclusioni : quella della sezione precedente già ricordata (10,40-42) e quella di tutta la prima parte (12,36b-50) . Inizia col racconto della risurrezione di Lazzaro , che porta al climax l'opposizione a Gesù fino alla sua condanna a morte ( 1 1 ,46-52) . Gli episodi seguenti collegati e separati da som­ mari ( 1 1 ,54-57; 12,9-1 1 ; 12, 17-19) preludono all'imminente morte di Gesù , già decisa dal sinedrio . La scena che più fatica a inquadrarsi in questo orizzonte ermeneutico è l'entrata trionfale a Gerusalemme (12, 12-15) , orientata peraltro dal sommario seguente (12, 17-19) , in cui si registra lo scoraggiamento dei farisei : la crescente ondata di entusiasmo intorno a Gesù non può essere più arginata se non con la sua eliminazione . La duplice conclusione , dello scrittore (12,36b-43) e di Gesù (12 ,44-50) , sintetizzano l'opera rivelatrice del «Verbo incarnato» ri­ spettivamente nei segni e nei discorsi di rivelazione ; l'evangelista co­ stata con amarezza l'incredulità ufficiale dei «giudei» (12,36b-41), mentre Gesù pronuncia il suo ultimo appello : «> (12 ,46) . La seconda parte, ossia «il libro del compimento dell'opera e del ritorno al Padre» (Gv 13-20) , è pure strutturato in tre sezioni , dopo un breve prologo narrativo (13, 1-3). La delimitazione letteraria del­ le tre sezioni a mio parere è indiscutibile : l) i discorsi di addio prece­ duti dalla lavanda dei piedi e conclusi dalla solenne preghiera sacer­ dotale (13 ,4-17,26) ; 2) il racconto della passione marcato nella sua unità dall'inclusione in «orto» all'inizio (18,1) ed alla fine (19,40) della narrazione ; 3) il racconto del Signore risorto, strutturato in due dittici (20,1-18. 19-29) , che termina con la conclusione di tutto il libro (20,30-3 1 ) . Come si possono caratterizzare le tre sezioni? La prima sezione (13, 1-17 ,26) raccoglie «la rivelazione di Gesù ai suoi», alla comunità credente dei discepoli sullo sfondo , al tempo 289

stesso triste e pieno di speranza, del ritorno di Gesù al Padre attra­ verso la morte , propiziata dal tradimento di Giuda, strumento di Sa­ tana (13 ,27) . La comunità credente, col suo capo Gesù , è minacciata dal mondo , guidato dal «principe di questo mondo» (14 ,30; 16, 1 1 ; cf. 12,31), ma deve trovare in Gesù il centro di unità e di forza per vivere nella fede e nell'amore scambievole in modo non solo da vin­ cere il mondo , guidato dal diavolo , ma anche da portare il mondo degli uomini alla fede in lui . Ciò però non sarà reso possibile che dal ritorno di Gesù al Padre e dal conseguente invio del Paraclito . La seconda sezione (Gv 18-19) trova il suo centro di unità nella rivelazione progressiva di Gesù , re di un regno che non appartiene a questo mondo e che tuttavia ne guida misteriosamente la storia «dal­ l'alto». 4 1 La morte di croce è insieme compimento della sua opera e sua esaltazione . Il tema del compimento (19,30) collega il racconto della passione con l'inizio (13,1) e la conclusione (17,4) dei discorsi di addio. La terza sezione (Gv 20, 1-3 1) narra che Gesù Risorto deve salire al Padre (20, 17) da dov'era venuto ; glorificato (7 ,38-39) può donare lo Spirito ai suoi discepoli (20,22-23). La venuta e la visione del Si­ gnore risorto, che si presenta nella sua identità di crocifisso e trafitto (20 , 1 8 . 1 9-20.24s) , rallegra i discepoli e fuga ogni dubbio fino alla professione di fede di Tommaso: «Signore mio e Dio mio ! » (20,28) , che richiama la solenne apertura del prologo ( 1 , 1-2) . Della conclu­ sione (20,30-31) abbiamo già detto. Va solo aggiunto che il libro vie­ ne considerato una selezione dei «segni» operati da Gesù e certa­ mente anche dei discorsi a essi collegati. È stato detto l'essenziale per formulare la professione di fede in Gesù, Cristo e Figlio di Dio , cosl da avere la vita nel suo nome . A conclusione della nostra analisi riassumiamo in un quadro prospettico la macrostruttura del QV: Prologo innico ( 1 , 1-18) Prologo narrativo ( 1 , 19-5 1) l . Libro dei segni e dei discorsi di rivelazione (2 , 1-12,50) l . Prima sezione: da Cana a Cana (2 , 1-4,54) , ossia la rivelazio­ ne progressiva di Gesù e la sua accoglienza nella fede da parte di persone diverse . 41 Sul testo di Gv 19, 1 1 a si veda A. URBAN , El origen divino del poder. Estudio filologico e historia de la interpretacwn de Jn 19, lla (Estudios de Filologia Neotesta­ mentaria 2) , Cordoba 1989.

290

2. Seconda sezione : Gesù e le feste giudaiche (5 , 1-10,41) , in cui scoppia un conflitto ed un'opposizione sempre maggiore contro di lui nell'ambiente giudaico di Gerusalemme ; segni e discorsi di rive­ lazione in rapporto fra loro e conclusione intermedia (10,40-41). 3 . Terza sezione: Gesù e la sua prossima morte ( 1 1 , 1-12,36a) : segno climax della risurrezione di Lazzaro e cammino verso l'ora della morte come morte salvifica ( 1 1 ,49-52 ; 12,23-33). Conclusione della prima parte (12,36b-50) . Il . Libro del compimento dell'opera e del ritorno al Padre (13, 120,29) l. Prima sezione: discorsi di addio che si concludono con la pre­ ghiera sacerdotale (13, 1-17,26) . 2. Seconda sezione: narrazione della passione e morte come esaltazione di Gesù re e compimento della sua opera salvifica (18,119 ,42) . 3. Terza sezione: racconto della tomba vuota, delle apparizioni di Gesù , del dono dello Spirito e infine la suprema rivelazione del Signore crocifisso a Tommaso con la suprema professione di fede (20 , 1 -29) . Conclusione generale (20,30-3 1). Epilogo aperto alla futura storia della chiesa fino alla parusia (21 , 1-23) . Seconda conclusione generale (21 ,24-25).

1 . 3 .3. La microstruttura Se la macrostruttura è abbastanza chiara, più difficile è indivi­ duare le microstrutture e il rapporto tra loro. A questo livello , più profondo , il consenso degli esegeti è meno frequente e le opinioni sono spesso divergenti , a cominciare dal prologo . Si proporrà qui una microstruttura motivata, senza entrare in discussione critica con altre proposte; al più le segnaleremo qualche volta nella bibliografia a piè di pagina. Per ognuna si indicherà la struttura interna e il suo rapporto col resto del QV.

291

Il prologo innico (1 , 1-18) È strutturato a chiasmo (Boismard-Lamouille) secondo lo sche­ ma seguente :

a) Il Verbo presso Dio (1 , 1-2)

a ' ) L'Unigenito Dio verso il Padre ( 1 , 18)

b) Mediatore della creazione (1 ,3)

b') Mediatore dello nuova creazione (grazia/verità) ( l , 17)

c) Dono di vita-luce (l ,4-5)

c') Dono sovrabbondante della grazia ( 1 , 16)

d) Testimonianza di Giovanni (1 ,6-8)

d') Testimonianza di Giovanni ( 1 , 15)

e) Venuta del Verbo nel mon­ do (1 ,9)

e') Incarnazione e abitazione (1 , 14)

f) Coloro che rifiutano la fede ( 1 , 10-1 1 )

f') I credenti ( 1 , 12-13)

Gli elementi del chiasmo che più convincono sotto il profilo let­ terario sono a a' , b b' , d d' ed f f' . Meno convincenti sono le corri­ spondenze di c c' ed e e'. Al centro del chiasmo emerge il dramma del Verbo incarnato , che viene in questo mondo come Rivelatore del Padre e incontra , da una parte , il rifiuto , dall'altra l'accoglienza della fede . La testimonianza di Giovanni (d e d') anticipa l'inizio del prologo narrativo (1 , 19ss) . L'inno al Verbo incarnato , Rivelatore del Padre , respinto ed ac­ colto , non preannuncia solo i temi principali , che verranno sviluppa­ ti nel racconto evangelico (luce-tenebre , vita-morte , testimonianza di Giovanni , la visione della gloria dell'Unigenito, la verità da lui portata, il mondo , i suoi . . . ) , ma preannuncia pure il dramma della lotta fra luce e tenebre (l ,5) , tra rifiuto ed accoglienza del Verbo , Figlio di Dio ( 1 , 10-13). Tuttavia il dramma è già implicitamente ri­ solto in quanto l'inno stesso è la confessione di una comunità cre­ dente , che si esprime nel «noi» della seconda parte ( 1 , 14. 16-17) . Questo prologo innico , con la sottolineatura (4 volte) della testi­ monianza di Giovanni (1 ,6-8. 15) , intende introdurre più immediata­ mente al prologo narrativo : «E questa è la testimonianza di Giovan­ ni» ( 1 , 19) , titolo del primo dittico (1 , 19-34) . Va notata la grande in­ clusione della testimonianza di Giovanni all'inizio del Vangelo con la testimonianza del DA e della sua comunità alla fine dell'epilogo 292

(21 ,24) . Il QV si rivela nella sua stessa struttura un vangelo testimo­ nia/e: una testimonianza a Gesù . Il prologo narrativo (1, 1 9-51) È strutturato in due dittici , di due scene ciascuno , separate dal­ l'indicazione temporale «l'indomani» (1 ,29.35.43) . Il primo ha per protagonista Giovanni , che nella prima scena ( 1 , 19-28) nega di essere il Messia e ne preannuncia la venuta; nella seconda (1 ,29-34) gli rende testimonianza davanti ad Israele (1 ,31) e per rivelazione dello Spirito (l ,33) lo riconosce «Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (1 ,29) e «Figlio di Dio>> (1 ,34) . Il secondo dittico (1 ,35-5 1) illustra la figura del discepolo-model­ lo. La prima scena (1 ,35-42) si apre ancora con Giovanni e due dei suoi discepoli. Egli ripete l'annuncio : «Ecco l'Agnello di Dio>> e poi scompare dalla scena ; Giovanni è l'anello che collega i due dittici e segna il passaggio dei discepoli dalla sua sequela a quella di Gesù. Le due scene del dittico hanno caratteri comuni : l'esperienza gioiosa di Gesù Messia (1 ,41 .45), l'entusiasmo nel comunicarlo ad altri ( a Simon Pietro nella prima scena, a Natanaele nella seconda ) portan­ doli a ripetere la loro stessa esperienza. In questo prologo narrativo si ha già una cristologia quasi completa; Gesù è dichiarato Messia, Figlio di Dio, Figlio dell'uomo, «Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» , «Colui che battezza nello Spirito Santo» (1 ,33) . Nelle sequenze successive del QV si ripete sempre di nuovo il messaggio cristologico (Culpepper) . La relazione col prologo ionico l'abbiamo già menzionata; rile­ viamo qui i rapporti col resto del QV. Anzitutto 1 ,28 , conclusione della prima scena, viene ripreso in un'altra conclusione-inclusione intermedia (10,40-42) , che riassume in una sintesi finale il rapporto fra Giovanni e Gesù , di cui si è ripetutamente parlato (3 ,22-36 ; 4, 1-3 ; 5 ,35) : il primo , a differenza del secondo , non ha compiuto al­ cun segno , mentre si è avverato quanto aveva detto di Lui . Alla fine del prologo narrativo , Gesù preannuncia a Natanaele ( e al lettore ) : «Vedrai cose più grandi di queste . . . » (1 ,50) : è l'inizio dei «segni» . I discepoli , che compaiono per la prima volta qui , ricompaiono poi nell'epilogo di Gv 21 : Simon Pietro , Natanale di Cana di Galilea , i figli di Zebedeo , di cui uno è forse l'anonimo discepolo che insieme ad Andrea abbandona Giovanni, cerca e segue Gesù (21 ,2) . È il ri­ torno nostalgico ai luoghi e al tempo della prima chiamata? La pesca miracolosa (21 ,3-14) lo farebbe pensare (cf. Le 5 , 1-1 1 ) .

293

Parte prima: Libro dei segni e dei discorsi di rivelazione (2, 112,50)

Abbiamo già dimostrato che si articola in tre sezioni: da Cana a Cana , le feste giudaiche e i prodromi della passione e morte. Sezione prima: da Cana a Cana (2, 1-4,54)

Le scene che si susseguono sono legate fra loro da quattro som­ mari di transizione (2, 12.23-25 ; 4, 1-3 . 43-45). La cornice è fornita dai due segni avvenuti ambedue a Cana di Galilea e raccontati dal nar­ ratore come «inizio dei segni» (2, 1 1) e «secondo segno» (4,54) . Il se­ condo sommario (2,23-25) racconta che Gesù ha compiuto dei «Se­ gni» non specificati (2,23) , per cui Nicodemo è convinto che «Dio è con lui» (3 ,2) . Ma l'evangelista ci dice che , nonostante la fede susci­ tata dai «segni» , Gesù non si fidava di loro: «perché egli conosceva quello che era nell'uomo» (2,25). Gerusalemme e la Giudea sono luoghi in cui egli viene aspramente contestato e sono quindi perico­ losi per lui ( 1 1 ,7-10. 16) . La Galilea e la Samaria invece sono luoghi in cui si rivela con segni e discorsi e viene accolto con fede come ri­ sposta ai segni che rivelano la sua gloria (2 , 1 1 ; 4,53) e al contatto personale con lui e la sua parola (4,6-42) . Nei dialoghi opera la tecnica della incomprensione , tipica del QV: nel dialogo di Gesù con sua madre (2,3-4) , nel detto enigmatico sul segno del tempio (2 , 19) , nel dialogo con Nicodemo (3 , 1-10) ana­ logo a quello con la samaritana (4 ,6-26) e i discepoli (4,31 -38) . Non ci addentriamo nello studio strutturale delle prime scene contrappo­ ste: il segno di Cana (2, 1-11) e il segno del tempio (2, 13-22) , unite dal sommario-ponte di 2 , 12 e dal tema del segno : «l'inizio dei segni» e il segno ultimo, supremo della morte-risurrezione di Gesù . Il sommario conclusivo (2,23-25), che parla di «segni» compiuti a Gerusalemme , fa da ponte al seguente colloquio di Gesù con Nico­ demo (3 , 1-21 ) , esempio tipico della tecnica giovannea: dal dialogo con Nicodemo (3,1-10) si passa quasi inavvertitamente al monologo (in 3 , 1 1 Gesù passa dal «tU» al «voi») , abbandonando nell'ombra il «maestro d'lsrele» (3 , 10: nota l'ironia e l'inclusione con 3,2!). Con 3 , 1 3 si passa dalla prima plurale alla terza singolare (3 , 13-21) : è un commento dello stesso evangelista che ci parla del dramma di Gesù : sarà innalzato come il serpente da Mosè nel deserto; il Padre ha inviato il Figlio nel mondo solo per salvare , ma gli uomini che lo respingono, rifiutano la salvezza e sono già ora condannati (3 ,18) ; 294

motivo di tale rifiuto è una vita malvagia, da cui non vogliono convertirsi. La pericope seguente (3,22-36) è collegata con la sequenza di Ni­ codemo dal tipico «meta tauta» (3 ,22) . Riprende il rapporto di Gesù con Giovanni sotto il profilo del «battesimo» (3 ,22-23 .26) . Si ha an­ che qui un cambiamento di scena, più improvviso di quello tra il se­ gno di Cana e la cacciata dei venditori dal tempio ; tanto più sorpren­ dente in quanto si dice che Gesù «venne nella terra di Giudea» , men­ tre nella scena precedente si trovava già a Gerusalemme (2,23-3,2) . Si presuppone quindi che provenga da qualche altra parte , ma non si sa da dove ; forse dalla Galilea? Al narratore evidentemente non in­ teressa . Potrebbe darsi che le due scene , come suggeriscono molti esegeti , siano collegate dal tema del battesimo cristiano , che sostitui­ sce quello di Giovanni , come Gesù subentra al suo ministero. Le scene parallele del battesimo impartito da Gesù e dai discepoli (3 ,22) e di quello di Giovanni ad Enòn vicino a Salim (3 ,23) prepa­ rano lo scenario della disputa fra i discepoli di Giovanni e un giudeo sulla «purificazione» (3,25 ; cf. 2,6) , e quella più impegnativa fra gli stessi discepoli di Giovanni e il loro maestro sul crescente successo di Gesù nell'attività battezzatrice (3,26) , tanto che «tutti vanno da lui>> . Una nota parentetica (3,24) ricorda che Giovanni non era an­ cora stato imprigionato , ma poi non si racconta né l'imprigionamen­ to né la morte (che peraltro si presuppongono note ai lettori ) . La funzione della disputa di Giovanni con i suoi discepoli su Gesù , che battezza e attira tutti a sé , è quella di porre sulle sue labbra l'ultima testimonianza a lui , sposo della nuova alleanza. Giovanni, amico dello sposo, è lieto di sentire la voce dello sposo e costatare che la sposa ( il popolo d'Israele ) va a lui: «Lui deve crescere , io diminuire» (3,30) - sono le sue ultime parole . Anche qui il discorso di Giovanni si prolunga , come nella scena precedente di Nicodemo , in un discor­ so su Gesù in terza persona (3 ,31-36) . L'unità letteraria di Gv 3 è indicata dall'inclusione in « ano ­ then/dall'alto» (3 ,3.31), per cui l'anothen della nuova nascita del cri­ stiano dall'acqua e dallo Spirito (3,5) risponde all'an o then di Gesù che è «dal cielo» (3,31b) . Si articola in due scene , in qualche modo parallele (3 , 1-21 e 3 ,22-36) , di cui protagonisti attivi sono rispettiva­ mente Gesù nella prima e Giovanni nella seconda. Da una parte e dall'altra si ha un dialogo che finisce in un monologo e infine un commento in terza persona. Sullo sfondo di un ricordo storico, l'attività battezzatrice paralle­ la di Giovanni e di Gesù, l'argomento unitario delle due scene è il 295

battesimo cristiano , ri-nascita o nascita «dall'alto da acqua e Spiri­ tO>> . Tale battesimo è fondato per un verso nel Figlio inviato dal Pa­ dre e nella fede in lui, e per l'altro nell'attività battesimale del Gesù storico , Messia-Sposo che incontra la sua sposa. A conclusione evidenziamo i paralleli fra le due scene:

l) Dialogo iniziale sulla nasci­

Discussione su battesimo e pu­ rificazione (3 ,22-26)

ta dall'acqua e dallo Spirito (3 , 1-5) 2) Nascita dalla carne ' e dallo Spirito (3 ,6-8)

Colui che viene dall'alto e chi viene dalla terra (3 ,31)

3) Ciò che abbiamo visto testi­ moniamo e non accogliete la nostra testimonianza (3 , 1 1 )

Ciò che ha visto e udito testi­ monia, e nessuno accoglie la sua testimonianza (3 ,32)

4 ) Dio non h a inviato il Figlio nel mondo per condannarlo , ma per s:dvarlo (3 , 17) 5) Divisione fra chi crede e non viene condannato e chi non crede ed è condannato (3 , 1 8-21)

Colui che Dio ha inviato parla le parole di Dio (3 ,34) Chi crede nel Fi glio ha vita eterna; ma chi disobbedisce al Figlio non vedrà vita (3 ,36) .

Sullo sfondo del battesimo cristiano si intrecciano cristologia sal­ vifica e antropologia cristiana dualistica. Il legame immediato col capitolo precedente l'abbiamo già men­ zionato. La discussione sulla «purificazione>> (3 ,25) richiama l'acqua della «purificazione» giudaica in 2,6. Il brano di Giovanni continua e conclude in modo sublime la sua testimonianza iniziata nelle due scene del primo dittico (1 , 19-34) . L'attività battesimale di Gesù e del suo gruppo viene ricordata anche nell'introduzione della sua missione in Samaria (4 , 1-3) . Il c. 4, dopo la breve introduzione (4 , 1-3) , è costruito in modo più lineare del precedente . I sommari e gli interventi del redattore richiamano quanto era narrato nei precedenti cc. 2-3 : 4, 1-3 riassume 3,22-36; 4,43-45 rimanda al sommario dei segni in Gerusalemme (2 ,23-25) e 4,46 al segno iniziale di Cana (2, 1 . 1 1) , per cui si intreccia progressivamente a ritroso fino a raggiungere «l'inizio dei segni» . I due episodi narrati in questo capitolo sono strutturati a loro volta in modo esemplare ; quello della samaritana è addirittura un capola­ voro : due dialoghi paralleli di Gesù con la samaritana (4,6-26) e con i discepoli (4 ,31-38) , rispettivamente sull'acqua «viva» da bere e sul 296

cibo da mangiare con l'intervallo per il cambio di scena (4,27-30) , in cui la samaritana, sollecita missionaria, va a chiamare i suoi paesani perché incontrino il Messia, come avevano fatto nel primo incontro con Gesù i due discepoli-modello , Andrea e Filippo . Alla fine tutti i personaggi della scena ( samaritana, samaritani e discepoli ) si uni­ scono in un unico coro che proclama solennemente : « . . . e sappiamo che costui è veramente il Salvatore del mondo» (4 ,42) . D colloquio con la samaritana ha a sua volta una struttura interna. La prima parte ruota intorno all'«acqua vivente» ( 4,6-15) ed è delimi­ tata dall'inclusione nella «sorgente» di Giacobbe all'inizio (4,6) e nella «sorgente di acqua zampillante verso la vita eterna» alla fine (4,14) . L'enthade/qui di 4,15 è la parola-gancio che lega la prima con la secon­ da parte del dialogo: «Va' a chiamare tuo marito e torna quilenthade» (4, 16) . È un nuovo inizio, in cui Gesù si rivela come «profeta» , per cui può parlare della nuova autentica adorazione di Dio «in Spirito e veri­ tà» sullo sfondo della controversia fra samaritani e giudei concernente il luogo del vero culto a Dio, Gerusalemme o il Garizim (4,16-26) . Alla fine, nella progressiva scoperta dell'identità di Gesù, la samaritana vie­ ne posta di fronte alla sorprendente rivelazione conclusiva: «Sono io che ti parlo (il Messia) » (4,26) . Fra il riconoscimento di Gesù-Messia e quello finale di lui come «Salvatore del mondo» vi è il dialogo con i discepoli , che parla di una mietitura apostolica straordinaria in forma simbolica (4,31-38) . Narrativamente la missione di Gesù presso i samaritani è una stazione di passaggio nel viaggio di ritorno dalla Giudea alla Galilea (4 , 1 ) . Lo ricorda anche il sommario seguente (4 ,43-45) , costruito con due elementi di tradizione , apparentemente contraddittori, ma riferentisi ovviamente a due episodi diversi: l'accoglienza entusiasti­ ca di Gesù in Galilea per i segni compiuti a Gerusalemme (4,43 .45) e il ricordo del suo rifiuto nella propria patria , Nazaret (4,44 ; cf. Mt 13 ,57/Mc 6,4; Le 4,2ss ) . Il passaggio al racconto del secondo segno rimanda il lettore all'inizio di questa sez.ione , al segno di Cana (4,46) . Il racconto della guarigione del figlio dell'ufficiale regio , se­ condo segno , a parte Gv 4,48, è condotto sulla falsariga di un rac­ conto di miracolo , con la conclusione tipica di Giovanni : la fede del­ l'ufficiale e di tutta la famiglia come risposta al segno (4,53) . Questa prima sezione (2 , 1-4,54) è costruita con grande mae­ stria . Il tessuto narrativo è costituito da scene diverse per luogo , tempo e personaggi ; ma viene tenuto insieme letterariamente da sommari-ponte e dall'intreccio redazionale, e cristologicamente dal­ la progressiva rivelazione di Gesù , cui risponde la fede dei vari per297

sonaggi che incontra: i discepoli , Nicodemo, la samaritana e i suoi paesani, l'ufficiale regio. La difficoltà con i giudei , in questa prima sezione, è appena accennata nel racconto della purificazione del tempio (2,18.20) , mentre la risposta positiva e negativa dell'uomo alla rivelazione viene affermata come una tesi in due riprese {3 , 1 821 e 3 ,36) , ma non ancora narrata. Il rifiuto da parte dei giudei viene raccontato nella sezione seguente. Sezione seconda: le feste giudaiche (5 , 1-10,42) La struttura narrativa di questa seconda sezione è più tenue . Il trapasso da una scena all'altra è segnato dalla generica e scialba indi­ cazione cronologica : «meta tauta/dopo queste cose» (5 , 1 ; 6 , 1 ; 7,1) o «totelallora» (10,22) . Un episodio è accostato all'altro talora con un semplice «kaile» come nel Vangelo di Marco (Gv 9,1 ; cf. Mc 1 , 16) . L'unità letteraria della sezione è dimostrata da tre fattori : l) il primo, di carattere letterario , è l'inclusione tra 5 , 18 e 10,30-33 e tra 5 ,36 e 10,25.37-38 ; 2) il secondo, di contenuto , sono le feste giudai­ che , per cui Gesù si trova quasi sempre a Gerusalemme , eccetto la parentesi galilaica del pane di vita (Gv 6) ; 3) il terzo fattore è dram­ matico: in ognuna delle sequenze, di cui si compone la sezione, è presente una minaccia di morte (5 , 16. 18; 6,64.71 ; 8,59; 10,33) . Sono le feste giudaiche a delimitare le sequenze narrative . l dia­ loghi, che ora seguono (Gv 5 e 6) e ora precedono (Gv 7-9) il segno , finiscono sempre in aspre controversie con i giudei , che raggiungono il culmine nel capitolo 10. In questa sezione è concentrata anche la cristologia più elevata: Gesù si pone sullo stesso piano di Dio (Gv 5 , 18; 8,24.28 ; 10,30-33). Le quattro sequenze corrispondenti alle quattro feste sono auto­ nome (Gv 5 ; 6; 7-9 ; 10) ; solo qualche tenue legame fra loro come 7,21 che richiama l'opera compiuta in 5 , 1-16; o 10,21 .32 che riman­ da alla guarigione del cieco (Gv 9) . Solo 10,40-42, una conclusione intermedia, segnala che la sezione è conclusa. Passiamo perciò all'esame delle quattro sequenze . La prima è strutturata intorno al sabato (5 , 1 -47) ; all'inizio si par­ la solo di «Una festa dei giudeh> che , secondo la nota aggiunta a con­ clusione del racconto (5 ,9a) , coincideva con un sabato . La cornice narrativa del «segno» è quindi liturgica, mentre la cornice teologico­ ermeneutica è il «segno» qualificato come «opera» del Padre (5 , 1617. 36) . Il dialogo del guarito con i «giudei» non arriva all'identifica298

zione dell'incriminato (5 , 10-13) . Con l'usuale stilema «meta tauta» viene inserito l'intermezzo in cui Gesù incontra l'uomo guarito e lo ammonisce a non peccare più, perché non gli capiti di peggio (5 ,14) ; e l'uomo risanato riporta subito ai giudei il nome di Gesù (5 , 15) . Stranamente i giudei non parlano; la loro risposta è la persecuzione (5 , 16) , perché Gesù aveva operato in giorno di sabato; l'ultimo bre­ ve tratto del dialogo è costruito nella forma a b a' : a) «Per questo lo perseguitavano i giudei perché . . . lo faceva di sabato» (5 , 16) . b) La risposta di Gesù: «> che viene poi spiegata .

301

che alla fine chiede: «Signore, dammi quest'acqua!» {4, 15). Rispetto al seguente, questo primo dialogo è preparatorio. Il secondo (6,3558) procede in forma triadica , ripetuta in due battute successive : la proposta del rivelatore Gesù {6,35-40 e 48-51), la conseguente con­ testazione dei «giudei» (6,41-42 e 52) e la risposta asimmetrica e de­ finitiva di Gesù (6,43-47 e 53-58}. Gv 6,59 conclude il discorso, indi­ candone il luogo . La quinta scena, la reazione dei discepoli (6,60-71) , presenta una struttura simile alla seconda parte del discorso dialogico: la conte­ stazione dei discepoli (6,60) al discorso precedente , la risposta di Gesù (6,61-65) e l'abbandono definitivo dei discepoli. L'unità narra­ tiva è rivelata dall'inclusione in 6,60.66 ( «molti ( la maggioranza? ] dei suoi discepoli» ) . L'ultimo breve episodio (6,67-71) è pure deli­ mitato da un'inclusione letteraria nei «Dodici» (6,67.70-71 ; cf. 20,24) ed è un epilogo drammatico con al centro la confessione di Pietro (6,68b-69); questo finale rimanda alla vigilia della passione (6,70-71) , vicina pure alla Pasqua. La festa delle Capanne (7 ,2) è il centro della terza sequenza (7, 19,41) . Due riti la caratterizzavano: l'acqua della fonte sacra sparsa sull'altare a propiziare la pioggia ( cf. 7,37-39) , e l'illuminazione del­ la città con i quattro lampioni ai lati del cortile del tempio ( cf. Gv 8, 12) . Va giustificata anzitutto l'unità letteraria 7,1-9,41 . Si può di­ mostrarla con tre argomenti : l) l'inclusione tra 7,3 e 9,3 in paralleli­ smo antitetico: i parenti di Gesù lo spingono in pubblico a Gerusa­ lemme «perché i tuoi . . . vedano le opere che tu fai» (7 ,3); mentre Ge­ sù in 9,3 parla delle «opere di Dio che si rivelano in lui» ; 2) il tema della luce unisce il segno della luce (9, 1 -41 , in particolare 9,5) col di­ scorso di rivelazione (8, 12) ; lo stesso Mlakuzhyil pone in parallelo Gv 7-8 e 9 ; 3) la festa delle Capanne con i suoi due motivi della luce e dell'acqua fa da sfondo liturgico unitario , anche se l'ultima indica­ zione della festa si ha in 7,37.

302

Riporto nel seguente schema la macrostruttura da me studiata in una breve nota:44 A) I fratelli di Gesù vogliono che mostri le sue opere (7,1 -13)

A') Gesù dice che in lui devo­ no rivelarsi le opere di Dio (9,1-41)

B) Discussione sull'origine di Gesù, ritenuto indemoniato (7,20) e tentativo di prenderlo (7,29)

B') Discussione sull'origine di Gesù, ritenuto indemoniato (8,48-52) e tentativo di uccider­ lo (8,59)

(7,14-31)

(8,39-59)

C) Discussione sull'identità di Gesù: Messia o no? (7,32-52)

C') L'identità divina di Gesù, rivelata da lui stesso: «> (10,24) . La risposta di Gesù ha l'aria di una propositio o tesi , che offre pure la divisione in due parti della stessa controversia: l) «Ve l'ho detto e non credete» ( ossia il rifiuto della fede ) ; «le opere che faccio nel no­ me del Padre mio , queste testimoniano di me» (10,25) . Le due parti sono intercalate dal tentativo di lapidare Gesù (10,3 1 ) . Nella prima parte della controversia (10,26-30) Gesù spiega co­ me mai loro , i giudei , non credono, nonostante la testimonianza del­ le sue opere : «Non siete delle mie pecore» (10,26) . Proprio per que­ sto nei vv. 26-29 viene ripreso il motivo pastorale, sviluppato in 10, 1-18, per rendere ragione non solo dell'incredulità dei giudei, ma anche della violenza messa da loro in atto per strappare le pecore dalla sua mano e da quella del Padre (10,28-29) . Chi rifiuta di crede­ re in Gesù e non ascolta la sua voce di buon pastore dimostra di non appartenere alle sue pecore . Il motivo del «rapire», ovviamente «per uccidere e disperdere» (10,12) , va contro la volontà amorosa di Gesù di unire e di donare la vita. L'unità di azione salvifica del Fi­ glio e del Padre si fonda sulla loro unità: « , scritto in tre lingue, la cui importanza è evidenziata dal fatto che le vengono assegnati quattro versetti (19,19-22). Anche qui entra in gioco l'ironia giovannea: contro la volontà dei sommi sacerdoti (19,21), Pilato proclama Gesù «re» nelle tre lingue della religione (ebraico), della cultura (greco) e del potere politico (romano): una proclamazione universale! La divisione delle vesti fra i soldati è preannunciata nel Sal 22,18 (19,23-24). Al centro la scena della ma­ dre di Gesù e del DA, cui ella viene affidata (19,25-27). Due brevi scene narrano che Gesù porta a compimento la Scrittura e quindi la volontà di Dio, la sua opera di amore: «Ho sete», l' estrema parola:

«È compiuto» (19,28-30); e il colpo di lancia al petto, da cui escono sangue ed acqua. L'evangelista vede qui realizzarsi due «Scritture»:

il rituale dell'agnello pasquale, cui non è spezzato alcun osso (19,36=Es 16,46; cf. 1,29), e la profezia del primogenito trafitto cui ri­ volgeranno lo sguardo coloro che lo hanno ucciso (19,37=Zc 12,10). La morte di Gesù alla luce delle Scritture e delle ultime sue parole

viene letta come «morte salvifica», compimento della volontà del Padre e dell'opera di amore a lui affidata. La quinta sequenza (19,38-42), introdotta dal consueto «meta

tauta/dopo queste cose», racconta la sepoltura nell' «Orto» in un se­

polcro nuovo, preludio della risurrezione. Sezione terza: I due dittici del Signore risorto (20,1-29) e la conclu­ sione del Vangelo (20,30-31t9 È la più breve. Racconta in quattro scene, strutturate in due dittici

(20,1-18.19-29), l'evento della «risurrezione di Gesù dai morti» (20,9). 4�

Su questo capitolo si veda l'ampia monografia di A. GANGEMI, 2 voli., Acireale 1990.

pasquali nel Vangelo di San Giovanni,

314

l racconti posi­

Il primo dittico descrive , in due quadri successivi : l) l'andata al sepolcro di un gruppo (Maria Maddalena, Simon Pietro e il DA) per costatare che è vuoto (20,1-10) , e la conseguente fede nella risurre­ zione da parte del DA (20,8-9) ; 2) l'incontro di Gesù risorto con la Maddalena che rimane al sepolcro (20,11-18) e riceve il comando di annunciare ai fratelli : «Ho visto il Signore» (20,17-18) . Il secondo dittico , parallelo al primo , riporta pure due scene : l) Gesù risorto , con i segni della morte di croce , incontra dapprima il gruppo dei discepoli nel cenacolo e dona loro lo Spirito come Signo­ re glorificato (20,19-22); 2) otto giorni dopo si presenta in particola­ re per Tommaso (20 ,24-29) che professa la fede più alta: «Signore mio e Dio mio!>> (20,28; cf. 1,1-2). La beatitudine per «coloro che non hanno visto ed hanno creduto» (20,29) fa da buona premessa al­ la conclusione finale del Vangelo, scritto «perché crediate che Gesù è il Cristo, Figlio di Dio e credendo abbiate vita nel suo nome» (20,30- 31).

L'epilogo (21,1-15) L'epilogo, introdotto dal consueto meta tauta (21,1) , si struttura in due sequenze (21,1-14. 15-23). La prima sequenza , evidenziata dall'inclusione in ephanerosen/ apparve (21, 1.14) , racconta la «terza» rivelazione del Signore risorto «lungo il mare di Tiberiade» ; è insieme la narrazione di una pesca miracolosa e di un pasto offerto ai discepoli dal Signore ; nel bel mezzo compare come un lampo il DA per suggerire a Simon Pietro che la figura sulla spiaggia «è il Signore» (21,7) ; il DA ricomparirà solo nel dialogo seguente , quale partner di Simon Pietro. Come «terza» apparizione è in continuità narrativa con le due precedenti ai discepoli ; ma sembra essere un'apparizione autonoma, in Galilea, sulla scia di Mc 14,28; 16,7 e di Mt 28,16-20. Il carattere di epilogo è più tipico della seconda sequenza (21 ,1523): il dialogo del Signore risorto con i due protagonisti della scena precedente , Simon Pietro e il DA. Gesù affida loro una missione per la sua comunità , che durerà nel tempo fino alla sua parusia: Simon Pietro lo rappresenterà come buon pastore che pasce le sue pecore (21,15-19) fino a dare la sua vita per lui ; al DA promette di «rimane­ re» fino al suo ritorno nella parusia (21,20-23), promessa che causò sconcerto nella comunità giovannea alla morte del DA in tarda età. 315

Questi , in realtà, «rimane» con la testimonianza del suo Vangelo come recita la prima conclusione del v. 24; il v. 25, che arieggia 20,30 («Vi sono molte altre cose che Gesù fece . . . »), è una riflessione retorica dell'evangelista , che ha però un profondo significato: di Gesù non si finirà mai di scrivere , perché il suo significato per l'uomo appare sempre maggiore e più profondo quanto più si pro­ cede nella storia. È questo il messaggio proprio, singolare e vero del QV. E raggiunge , sia pure in forma più dimessa, le altezze del prologo . Arrivati alla fine della nostra analisi strutturale , che ha messo progressivamente in luce l'idea-guida (la rivelazione di Gesù in segni e discorsi e il supremo disvelamento col ritorno al Padre) , la macro­ struttura (prologo ionico e narrativo, due parti ed epilogo) e la mi­ crostruttura in sezioni e sequenze, siamo ora in grado di esprimere un giudizio letterario e teologico. Il QV è un'opera letteraria densis­ sima , studiata nei minimi particolari , fino alla scelta delle parole , con una unità interna che non ha uguale nel NT; unità creata anche dall'intreccio e dai richiami espliciti o allusivi dell'evangelista a quanto ha già raccontato o a quanto racconterà e , in fin dei conti , dalla figura insieme solenne ed umana di Gesù , che campeggia in ogni pagina . Invece di imbatterci nel disordine che molti studiosi han cercato di dimostrare secondo una loro logica , abbiamo costata­ to che quanto più si scava in profondità, tanto più vi si rivela un'uni­ tà simbolica ricchissima ed aperta , che spiega la quantità di proposte strutturali finora avanzate . Attraverso la sua ricchezza simbolica e la sua unità di linguaggio e di pensiero il QV ci offre un'alta teologia, cui può star vicino solo quella di Paolo. Per comprenderlo occorre leggerlo e rileggerlo con attenzione come un tutto, che trova la sua unità nella persona divino-umana di Gesù .

2.

LA TECNICA COMPOSITIVA E IL LINGUAGGIO DEL QUARTO VANGELO

Lo studio della struttura letteraria del QV ci ha dato già un'idea della sua unità narrativa-drammatica e dell'accuratezza con cui è stato composto seguendo una logica simbolica, diversa dalla nostra. Passando ora dal profilo sincronico a quello diacronico , per poter 316

parlare del «modo di comporre» dell'evangelista si dovrebbe aver accesso alle fonti e tradizioni che egli ha elaborato; ma questo per­ corso per il QV, a differenza dei sinottici, è molto più arduo se non impossibile. Più facile invece sarà il discorso sulle caratteristiche di lingua e di stile, elaborate nel confronto con quelle degli altri autori del NT. Esaminiamo perciò in due momenti successivi la tecnica compositiva e la lingua e lo stile del QV. 2. 1 . La tecnica compositiva: tradizione e interpretazione

La moderna critica letteraria, a partire già dal grande J. Wellau­ sen e da E. Schwartz agli inizi del nostro secolo,50 ha proposto ipotesi spesso contraddittorie sull 'origine del QV e perciò sulla redazione dell'evangelista. 51 Vi si rilevano due tendenze. La prima, partendo dal Vangelo attuale, a ritroso va alla ricerca delle ipotetiche fonti letterarie. La più nota è quella di R. Bultmann, esposta nel suo grande commento: egli presuppone tre fonti (dei se­ gni, dei discorsi di rivelazione e della passione-risurrezione) e due redazioni successive. Delle tre ha maggiormente resistito alla critica la fonte dei «segni»; ma anche questa ormai sta perdendo terreno, nonostante il recente lavoro di R. Fortna che riprende e modifica la sua ipotesi precedente. 52 L'abbandono è dovuto alla difficoltà di tro­ vare criteri stilistici e compositivi per dimostrarne la plausibilità. Che si abbandoni la teoria delle fonti non significa però affermare che il QV sia opera di invenzione letteraria, come qualcuno ha pro­ posto per i testi del DA. 53 L'evangelista ha utilizzato una tradizione ben profilata e a volte ha combinato in modo per noi «strano» diver­ si motivi di tradizione giovannea e di tradizione sinottica (si ve-

·'"' E. ScHWARTZ, «Aporien im vierten Evangelium>>, in NGWN.PH (1 907), 342372; ( 1908), 115-148; 1 49-1 88; 497-560; J. WELLHAUSEN, Erweiterungen und Aenderun­ gen im vierten Evangelium, Berlin 1 908.

51 U. ScHNELLE, Antidoketische Christologie im Johannesevangelium. Eine Unter­ suchung zur Stellung des vierten Evangeliums in der johanneischen Schule (FRLANT

144), Gottingen 1987, 156, nota 3. 52 R.T. FoRTNA, The Fourth Gospel and lts Predecessor. The Narrative Source to Present Gospel, Edinburgh 1989. 5·' J. KOGLER, Der funger, den Jesus liebte (Stuttgarter Biblische Beitrage 16), Stuttgart 1988 (cf. una recensione dello scrivente in RivB 37(1989], 351 -363). 317

da ad esempio Gv 4,43-45). Ciò che comunque emerge in primo pia­ no è la libertà con cui l'evangelista nella sua composizione elabora le diverse tradizioni, a cominciare dalla Scrittura . La seconda tendenza seguita dalla critica letteraria per stabilire l'attività compositiva dell'evangelista, partendo da un nucleo primi­ tivo (il «Grundevangelium») , pretende di scoprire le varie redazioni successive , fino all'attuale (Wilckens, Richter, Langbrandtner . . . ) . Per poter stabilire tali strati successivi si deve presupporre una pro­ gressiva contrapposizione di senso e di interpretazione . Anche le va­ rie teorie di questa seconda tendenza sono giudicate oggi con diffi­ denza perfino da H. Thyen . 54 Abbandonata la via delle fonti a ritroso e quella delle successive redazioni dal primo abbozzo di Vangelo all'attuale , siamo ricondotti al rapporto fra l'evangelista e le tradizioni che egli ha utilizzato e cui ha dato unità compositiva nella scrittura del Vangelo . Possiamo far­ ci un'idea di come ha elaborato le tradizioni? A tal proposito dob­ biamo anzitutto distinguere la parte narrativa e quella discorsiva. I sommari risultano composti a mosaico con tessere che proven­ gono da varie parti ; ad esempio Gv 4,43-45 nei vv. 43 .45 riferisce una tradizione giovannea che parlava di Gesù accolto con entusia­ smo dai galilei quando ritorna dalla festa della Pasqua in Gerusa­ lemme, mentre il v. 44 ne riporta un detto con introduzione tipica­ mente giovannea («Gesù aveva testimoniato>> ) : «Un profeta non ha onore nella sua patria>> , eco del rifiuto di Gesù nella sua patria Naza­ ret, narrato dai sinottici (Mt 13 ,57/Mc 6,4/Lc 4,24) . Per chi conosce la tradizione sinottica l'allusione è evidente. Rimane enigmatico l'accostamento di due tradizioni opposte tra loro. Però Giovanni lo fa anche quando elabora tradizioni proprie . Si veda già nel prologo la contrapposizione tra 1 , 10-1 1 (il Verbo non riconosciuto , non ac­ colto) e 1 , 12-13 (quanti lo accolsero e credono nel suo nome). La stessa dialettica compositiva sull � stesso tema ricompare nella con­ clusione del libro dei segni: in 12 ,37 sembra che nessuno abbia cre­ duto mediante i segni, uno scandalo appena addolcito dalla previsio­ ne di Isaia (12,30-4 1 ) ; ma subito dopo l'autore imperterrito conti­ nua : «Pur tuttavia anche fra i capi molti credettero in lui . . . » (12 ,42) . Non solo nei sommari, ma anche nei racconti si registra una composizione a mosaico , la cui unità consiste nel mettere sempre in

S4

318

H. THYEN , «Johannesevangelium», in TRE XVII( 1987), 200-225.

primo piano l'iniziativa di Gesù . Prendiamo la moltiplicazione dei pani (Gv 6, 1-15) , utilizzando l'analisi di U. Schnelle . 55 Nel brano si hanno 1 1 coincidenze verbali con Mc 6,32-44/8, 1-10; 6 concordanze reali e poi concordanze anche nella forma letteraria (ambientazione , dialogo , indicazione indiretta del miracolo e sua costatazione) . Ma vi sono anche 12 divergenze importanti, che elenchiamo: l) mentre in Mc 6,33 la folla attende Gesù , in Gv 6,2a lo segue ; 2) Gesù sale sul monte (Gv 6,3, che forma inclusione con 6,15); 3) nel racconto giovanneo manca invece il motivo della compassione per la gente (Mc 6,34;8,2) ; 4) per quanto concerne il tempo: mentre in Gv 6,4 vi è solo l'indicazione della vicinanza della Pasqua, in Mc 6,5 è sera e in 8 ,2 la folla lo segue da tre giorni ; 5) in Mc 6,35 ; 8,4 sono i discepo­ li a chiedere , in Gv 6 ,5 è Gesù che chiede; 6) in Gv 6,7 non si parla dei 200 danari (Mc 6 ,37b); 7) i pani sono «di orzo» in Gv 6,9. 13, che usa opsarion invece di ichthys; 8) in Gv 6,9 la gente si adagia sull'er­ ba verde , ma non a gruppi di 50 o 100 come in Mc 6,40; 9) in Mc 6,41 sono i discepoli a distribuire , mentre in Gv 6 , 1 1 è Gesù stesso; 10) Giovanni non racconta che Gesù alza gli occhi al cielo e spezza i pani (Mc 6,41 ; 8,8) ; 1 1 ) solo in Gv (6, 12b) Gesù ordina ai discepoli di raccogliere i «frammenti» ; 12) e infine solo in Gv (6, 14-15) viene descritta la reazione entusiasta della folla che vuoi fare Gesù re , mentre egli si ritira sul monte , solo . Le pietruzze giovannee del mosaico riguardano i movimenti del­ la persona di Gesù, la sua iniziativa, la sua centralità; egli è nello stesso tempo il regista e il protagonista dall'inizio alla fine . Metà cir­ ca dei tasselli del mosaico provengono da una tradizione comune con i sinottici, se non direttamente da Marco. Ciò che dà unità al racconto è la composizione di Giovanni. Ancor più evidente è il la­ voro redazionale nel seguente racconto del cammino di Gesù sul la­ go (Gv 6, 16-21) : un'epifania di Gesù , mentre in Mc 14,24-27 è un miracolo di salvataggio. Più singolare ancora è la composizione della unzione di Betania (Gv 12, 1-8) . Le pietruzze del mosaico , qui rac­ colte , nella tradizione sinottica ricorrono in tre episodi diversi: la donna anonima, che unge Gesù in casa di un certo Simone (Mt 26,613/Mc 14 ,3-9) viene identificata da Gv 12,3 con Maria sorella di Laz­ zaro pure presente (cf. 1 1 ,2) ; Marta « serviva)) (Gv 12 ,2) come nel­ l'apoftegma biografico di Le 10,38-42 ; Maria poi, invece di spargere

55

ScHNELLE, Antidoketische,

120-123.

319

l'unguento sul capo di Gesù (Mc 14,3) , unge i suoi pied� e li asciuga con i capelli (Gv 12,3) come la peccatrice anonima di Le 7 ,38. Il mo­ saico composto con tessere prese da varie tradizioni presenta però una sua unità e funziona bene nell'attuale contesto giovanneo ; non è insomma un'accozzaglia di elementi eterogenei . Il servizio di Marta prelude al servizio di Gesù ai discepoli (Gv 13 ,2-17) ; così il lavare i piedi di Gesù con l'unguento e l'asciugarli con i capelli prelude alla lavanda dei piedi che significa la sua morte (Gv 12,7; 13 ,8) . Infine la presenza del cassiere Giuda (12,4-6) prepara l'episodio di Gv 13 ,2829 nel quadro di 13 ,21-30. Potremmo continuare nell'esemplificazione , ma ci fermiamo qui . I racconti analizzati dimostrano che l'evangelista ha utilizzato con grande libertà e maestria le tradizioni che aveva a disposizione , le proprie e le comuni con la tradizione sinottica, componendo uno splendido mosaico , ben compatto nella sua unità narrativa-dramma­ tica. Possiamo supporre che abbia adoperato la stessa tecnica com­ positiva anche là dove non abbiamo la possibilità di metterla in luce , perché non possediamo tradizioni parallele . I racconti sono perciò una composizione dell'evangelista (la scena nel mosaico) ; ma i tas­ selli sono presi principalmente dalla tradizione giovannea con l'ag­ giunta di altre tradizioni. Diversa è la tecnica compositiva nei discorsi, anche se l'ermeneu­ tica soggiacente è uguale a quella dei racconti : dalla tradizione alla interpretazione mediante un midrash , cioè un commento che la svi­ luppa in forma di dialogo od omelia. Caso tipico , dimostrato da P. Borgen , è il discorso sul pane di vita (Gv 6,31-50) . 56 Punto di parten­ za è la moltiplicazione dei pani . Nella tradizione sinottica aveva già acquisito una colorazione eucaristica, 57 che si riflette nell' euchariste­ sas di Gv 6,10, ripetuto nel sommario successivo (6,23) . L'omelia inizierebbe col testo scritturistico , citato in 6,31: «Un pane dal cielo diede loro da mangiare>>. Credo sia inutile cercare di stabilire con precisione il testo citato , data la tecnica a mosaico dell'autore . Qui infatti sono uniti insieme , ancora una volta con questa tecnica, i due testi di Es 16,15 e del Sal 78 ,24 sulla manna come «pane dal cielo». I due temi del testo scritturistico (il pane dal cielo e il «mangiare») vengono sviluppati separatamente: il pane dal cielo nella prima par­ te (6,32-48) con elementi della tradizione giovannea (6,33-40) e si56 P. BoRGEN , Breadfrom Heaven. An Exegetical Study in the Concept of Manna in the Gospel ofJohn and the Writings of Philo (Supplement to Novum Testamentum 10), Leiden 1965 . 57 A . HEISING , La moltiplicazione dei pani (SB 12), Brescia 1970 (orig. 1 966) .

320

nottica (6,42/Mt 13,55 parr. ) ; nel cuore di questa prima parte viene citato anche un testo dell'aftarah (= interpretazione , ossia la secon­ da lettura sinagogale dai «Profeti») , Is 54,13 (Gv 6,45 ) , per spiegare l'origine divina della fede in Gesù . La seconda parte dell'omelia svi­ luppa il tema del «mangiare» il pane disceso dal cielo (6,49-50 o 6,49-58) , che Gesù darà (6,27 . 5 1 ) . La conclusione dell'omelia ritor­ na all'inizio (6,49-50 o 6,58) . Da dove provengono le brevi unità let­ terarie , i tasselli che compongono l'omelia? Certamente da una tra­ dizione propria a Giovanni , intrecciata con altre tradizioni di cui tro­ viamo profonda traccia nei sinottici . L'unità dell'insieme è data dal­ l'ermeneutica cristologico-eucaristica dell'evangelista , coerente con la sua cristologia incarnazionista (6,5 1c e 1 , 14; si veda anche la corri­ spondenza fra 6,46 e 1 , 18) . 58 Si potrebbe dimostrare questa stessa tecnica «a mosaico» anche nei discorsi di addio e nel racconto della passione . Giovanni , che ha composto il Vangelo , possedeva una sua erme­ neutica teologica della persona e della missione di Gesù , presente già in sintesi sublime nel prologo ionico . È questa ermeneutica che divenne il principio unificante delle tradizioni narrative e discorsive , selezionate e introdotte nel suo racconto evangelico . La sua «inven­ zione» letteraria e teologica consiste nell'unificare in un nuovo , ma­ gnifico «mosaico» le tradizioni raccolte da varie parti , ma che già prima della redazione avevano acquisito una loro identità, derivante dalla particolare interpretazione illuminata dalla gloria del Signore risorto (2,19-22 ; 12, 16) e attribuita all'azione del Paraclito (14,26; 16, 12-15) . Data questa tecnica compositiva, che traspone libera­ mente in un mosaico originale tradizioni diverse , testi della Scrittura e interpretazioni carismatiche, risulta arduo, ma non impossibile , per l'esegeta distinguere tradizione e redazione nel QV: più difficile comunque nella parte discorsiva che in quella narrativa. 2 . 2 . Lingua e stile59

Giovanni compone in lingua greca per lettori che sanno solo il greco (traduce fra parentesi le parole ebraiche o aramaiche) ; com­ pone con lingua e stile propri, come propria è la tecnica compositiva «a mosaico» . 58 Per una dimostrazione più ampia cf. G. SEGALLA, Gesù pane dal cielo. Cristolo­ gia ed eucaristia in Giovanni 6, Padova 1976. 59 Bibliografia: E . A . ABBOTI, Johannine Vocabulary, London 1905 , rist. 1968 ; Io. , Johannine Grammar, London 1906, rist . 1968 ; S. BROWN, «From Burney to

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Il vocabolario è relativamente povero ; utilizza 101 1 vocaboli diversi su 15.416 parole /li> mentre Matteo ne usa 1691 , 1345 Marco e 2055 Luca, il doppio. Il suo non è un greco letterario come quello cui talora si avvicina Luca; ma non è nemmeno un greco popolare. È il greco della koine non letteraria, usato con correttezza da un semita, che conosce bene il greco della LXX. In uno studio interes­ sante G . D . Kilpatrick61 ha dimostrato che il 96% del vocabolario giovanneo è comune con quello della LXX ; solo 24 vocaboli pre­ senti nel QV mancano nella LXX. Si avvicina pure molto a quello di Flavio Giuseppe (85% ) , molto meno a quello di Filone (65 %) ed ancor meno agli Scritti ermeti Ci. Per cui «Vi è un notevole divario fra Giuseppe e la LXX da una parte , e Filone e l'Hermetica dall'altra» . 62 Anche se il vocabolario del QV è ristretto , le parole usate sono cari­ che di un ricco significato teologico , che rivela l'originalità di Gio­ vanni. Basti pensare ad espressioni frequenti nel QV e rare nei sinottici come:

agapiinlagape aletheialaiethes/alethinos gignoskein eimi (l persona) zoe Ioudaioi kosmos martyrlialion/rein menein pater (di Dio) phos

Gv

Mt

Mc

Le

44

9

6(5)

14

46

2 20 14 7 5 8 4 3 45(44) 7

4 13 4 4 6 2 6 2 4

4 28 16 5 5 3 5 7 17(16) 6

57(56) 54 36(35) 67(66) 78 47 40(39) 118 21

l

Black : The Forth Gospel and the Aramaic Question>>, in CBQ 26( 1 964} , 323-339 (con buona bibliografia} ; C.F. BuRNEY, The Aramaic Origin ofthe Fourth Gospel, Oxford 1922; A.J. FEsrumtRE, Observations stylistiques sur l'évangile de S. Jean , Paris 1974 ; M.J. LAGRANGE , Evangile selon Saint Jean (EB}, Paris 1936, XCIII-CXIX; C.C. ToR­ REY , Our Translated Gospels: Some of the Evidence, London 1 937. 60 R. Mo RGENTHALER , Statistik des neutestamenthichen Wortschatzes , Frankfurt a . M . -Ziirich 1958, 166. 61 G . D . KILPATRICK, «What John tell us about John?», in Studies in John (Mélan­ ges J.N. Sevenster), Leiden 1970, 75-87. 62 KILPATRICK, «What John tell US» , 77.

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Al contrario mancano nel vocabolario giovanneo parole fre­ quenti e tipiche dei Vangeli sinottici come dynamis, eleein e derivati, euaggel/ionlisesthai, keryssein, metanloia/oein, parabolè, proseuchlèl

ecc. Infine il vocabolario del QV contiene vocaboli ebraici o aramaici in quantità superiore agli altri Vangeli: Rabbi: 7 volte contro le 4 di Mt e le 4 di Mc Rabbouni (20,16; cf. Mc 10,5 1) Messias ( 1,41 ; 4,25) Kèphas (1 ,42) Siloam (9,7) Thomas (11,6; 21,2) Osanna (12,3; cf. Mt 21 ,9/Mc 11,9) Kedron (18, 1) Amèn Amèn: forma duplicata dell'Amèn sinottico Manna (6,3 1.39; cf. Eb 9,4; Ap 2,17) . esthai,

I seguenti nomi di località vengono detti «ebraici»: ( 19,13), Golgotha ( 19,17; cf. Mt 27 ,33/Mc 15 ,22). A parte Amèn comune a tutti i Vangeli, 4 altri dei 12 vocaboli elencati sono comuni con Mt/Mc, ma non con Luca; i rimanenti 7 so­ no propri del QV. È evidente perciò che il greco del QV, anche se non è traduzione dall'aramaico o dall'ebraico, come sosteneva in passato qualche au­ tore, è tuttavia il greco parlato da un ebreo, che conosce parimenti l'ebraico-aramaico e il greco biblico della LXX. L'evangelista de­ v'essere stato perciò un semita, che conosceva abbastanza bene il greco parlato nelle sinagoghe della diaspora. La sintassi, ancor più del vocabolario, dimostra l'influsso della sintassi semitica. Anche se sostanzialmente corretta, offre alcune particolarità. Per quanto concerne i verbi, ignora l'uso del participio, dell'infinito futuro e dell'ottativo (lo usa solo Luca fra gli evangeli­ sti), forme che caratterizzano il greco letterario. Però adopera i tem­ pi in modo intelligente: nella narrazione alterna l'aoristo e il presen­ te storico (usato 164 volte), rendendo così più vivace il racconto; nel­ la mia versione (Nuovissima Versione della Bibbia) l'ho sempre ri­ spettato. Per i tempi dei verbi perciò si avvicina a Marco, mentre Lu­ ca evita il presente storico. Il QV inoltre usa frequentemente il per­ fetto col suo valore proprio come in 1,32, oppure per dare più solen­ nità allo stile come in 4,38. Impiega talora la perifrastica per dare va­ lore al participio (Gv 1,9.28; 3,23; 18,30). Gabbatha

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Anche il rapporto delle proposizioni è per qualche aspetto singo­ lare : in luogo della subordinata, Giovanni giustappone le frasi con l'asindeto oppure le raggruppa con la paratassi (kai) . K. Beyer63 ne offre alcuni esempi : Gv 1 , 10. 1 1 ; 7,21 .22.26.34.36; 8,52.57; 9,34; 10,12; 1 1 ,8; 14,9a; 16,22. Per la condizionale , il QV ricorre volen­ tieri al participio, sia in una proposizione principale come in una subordinata (ad es. in 3 , 16; 1 1 ,26; 12,46 . . . ). Con i verbi di perce­ zione o di elocuzione , invece dell'infinito classico , impiegato da Luca e Paolo , Giovanni usa volentieri l'hoti. La particella hina è fre­ quente nel senso finale e consecutivo , e talora anche in quello epese­ getico come in 6,39.40; 13 ,34; 1 5 , 12. A differenza degli autori classici , il QV ricorre poco alla varietà delle particelle greche . Il frequentissimo kai può avere senso di con­ giunzione , ma può indicare pure un'avversativa come in 1 , 10. 1 1 . La particella oun (dunque o poi) , che ricorre 200 volte , caratterizza pure lo stile giovanneo : accanto all'uso corretto nel senso conse­ quenziale o argomentativo («dunque») , è molto frequente (146 volte) l'uso del narratore popolare che prosegue il suo racconto con «allora . . . allora . . . » o «poi . . . poh> . Nonostante la relativa povertà dei mezzi lessicali e sintattici impiegati , l'evangelista è un grande scrittore che sa concentrare l'at­ tenzione dei suoi lettori nell'essenziale. 64 In risposta a R. Bultmann che pretendeva di isolare tre fonti del QV, facendo appello a criteri linguistici (diversità dello stile del­ l'evangelista dalle sue fonti) , 65 furono e sono degli esegeti svizzeri a controbattere con una ricerca sempre più raffinata dello stile giovan­ neo . Il primo , già nel 1939, fu E. Schweizer, che esaminò critica­ mente l'ipotesi delle fonti del QV , eliminando i termini di valore teologico e conservando quelli che presentano piccole particolarità letterarie . 66 Le 33 particolarità positive e un minor numero di negati­ ve (presenti nei sinottici e non nel QV) , così isolate , sono presenti in

63 K. BEYER , Semitische Syntax im Neuen Testament. Band l: Satzlehre Teil l ( SUNT 1 ) , Gottingen 1962, 280. 64 FESTUGIÈRE, Observations, 7. 65 Si veda la lista delle 32 caratteristiche dell'evangelista, in opposizione alle fon­ ti , approntata da D . M . SMITH, The Composition and Order of the Fourth Gospel. Bultmann's Literary Theory, New Haven!London 1965 , 9-1 1 . 66 E . ScHWEIZER , Ego eimi. Die religionsgeschichtliche Herkunft und theo/ogi­ sche Bedeutung der johanneischen Bildreden, zugleich ein Beitrag zur Quel/enfrage des vierten Evangeliums ( FRLANT 56) , Gottingen 1939; 2 1965 .

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tutte le parti del Vangelo. L'unità stilistica del QV perciò non per­ mette di isolare delle fonti, anche se non si può dimostrare che non ve ne siano state , perché l'evangelista, nell'usarle , le ha inserite col suo stile nei suoi racconti e nei suoi discorsi , come abbiamo già visto sopra. Il mosaico unitario , disegnato con tessere prese da varie tra­ dizioni, non permette di togliere tali tessere e ricomporle in altro modo , come pretendeva Bultmann. Tutti i tentativi fatti sinora sono giudicati dalla critica «soggettivi» , anche se le analisi letterarie del testo sono sempre utili. La via aperta pionieristicamente da E. Schweizer fu ripresa da diversi altri come J. Jeremias, Ph . H . Ménoud . Ma il più noto dei so­ stenitori dell'unità letteraria del QV dopo Schweizer è un altro sviz­ zero , E. Ruckstuhl, che ha riedito nel 1987 con un'aggiunta la sua opera classica del 195 1 ; con tale opera ha avuto il merito di mettere a tacere per vent'anni la critica letteraria. 67 Egli porta a cinquanta le caratteristiche stilistiche del QV, rigorosamente scelte , e le riporta alla fine della seconda edizione con le citazioni corrispondenti del QV e delle lettere giovannee. E . M . Boismard utilizza in modo mol­ to personale e in funzione della sua teoria sull'origine del QV più di 400 caratteristiche letterarie ; ma data la funzionalità alla sua teoria, anche se utili, sono difficilmente utilizzabili. 68 Recentissimamente E. Ruckstuhl insieme a un suo discepolo , P. Dschulnigg, ha affrontato di nuovo , in modo più ampio e approfon­ dito, il problema dello stile giovanneo, confrontandolo con tutti e singoli gli scritti del NT e per di più con 32 scrittori ellenisti che van­ no dal 100 a.C. al 150 d.C. 69 La rigorosa ricerca stilistica avrebbe di­ mostrato l'unità di autore non solo del QV, ma anche delle lettere . In questa sede non possiamo dilungarci sul metodo . Mi sembra utile però offrirne ai lettori i risultati : i 153 caratteri stilistici del QV (e lettere) sono distribuiti in tre categorie , chiamate A , B e C; nel gruppo A sono inclusi i 26 stilemi più singolari del QV, che ne rive-

67 E . RucKSTUHL, Die literarische Einheit des Johannesevange/iums. Der gegen­ wiirtige Stand der einschliigigen Forschungen , Fribourg 195 1 ; (NTOA 5), Fribourg­ Gottingen 2 1987 . 68 M . E . BOISMARD-A. LAMOUJLLE , L'évangile de Jean (Synopse des qua tre Évan­ giles 3), Paris 1977 . w E. RucKSTUHL-P. DscHULNIGG , Stilkritik und Verfasserfrage im Johannesevan­ gelium. Die Johenneischen Sprachmerkmale auf dem Hintergrund des Neuen Testa­ ments und des zeitgenossischen hellenistischen Schriftums (NTOA 17) , Fribourg­ Gottingen 1991 .

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lano il carattere unico ; il gruppo B raccoglie altre 65 caratteristiche linguistiche , tipiche per numero e significato , pur essendo meno pe­ culiari del gruppo A ; il gruppo C infine raggruppa altri 62 stilemi , meno caratteristici perché ricorrono più spesso nel materiale di con­ fronto, anche se con minor frequenza ; questi ultimi non possono es­ sere quindi usati come proprietà tipiche del QV, perché rivelano l'autore in forma più debole e sbiadita. Offriamo qui di seguito l'elenco completo in ordine alfabetico dei 153 caratteri dello stile giovanneo, indicando tra parentesi a qua­ le delle tre categorie (A, B e C) appartengono: 70 l . agomen/andiamo (C); 2. aitein ti/chiedere qualcosa (C); 3. alloi (de) e/egonla/tri dicevano (A); 4. hamartia (sing.)lpeccato + pron. pers. in genitivo plur. (B) ; 5. hamartian echein/avere peccato (B) ; 6. amen amen/in verità in verità (C); 7. anoigein (tous) oph­ thalmous/aprire gli occhi (C); 8. ap'hemautou/apo seautou laph'heautou = da me stesso, da te stesso, da se stesso (B) ; 9. ape­ krithe (asindetico/oun) (autOilautois) (ho Jesouslaltri nomi, sost. o pronomi) per introdurre un discorso diretto (A) ; 10. apekrithe (asindetico/o un) kai eipen ( + forme finite analoghe) per introdurre il discorso diretto (A) ; 1 1 . aperchesthai pros tina (C) ; 12. aposyna­ gogos/cacciato dalla sinagoga (B); 13. ginoskein con seguente do­ manda indiretta (B); 14. goggyzein peri con gen. (B); 15. daimo­ nion echeinlavere un demonio (riferito a Gesù) (B); 16. dia ton phobon ton Ioudaion/per timore dei giudei (B); 17. dia touto + le­ gein + hoti (B); 18. ean (me) tis (tis precede sempre il verbo o l'au­ siliare) (C); 19. hebraisti (C); 20. eggys enlen . . . eggyslera vicino (A); 21 . ego e hymeis (riferiti l'uno all'altro) (B); 22. ei. . . nyn de (B); 23. einai (. . . ) en toi topoi (di luogo senza precisazione) (B); 24. einailginesthai mathetes/essere, divenire discepolo (C); 25 . ei­ nai ek/essere da (in senso figurato), gennethenai eklessere nati da (C); 26. eis ta idiala casa sua (C); 27. eis ten heortenlalla festa (B); 28. heistekeilheistekeisan (B); 29. ek partitivo (per distinguere una parte di un gruppo di persone) (B); 30. ekeinos/ekeine al singolare personale, a sé stante, non usato come attributivo e non precisato da attributo (B) ; 3 1 . ekeinoslkakeinos come ripresa del precedente oggetto della frase (A); 32. (e)me e hymas (riferiti uno all'altro) (C); 33. en kryptoilin privato (B); 34. en tei heorteilne/la festa (C); 35 . (en) tei eschatei hemerailnel/'ultimo giorno (C); 36. en (toi)

70

326

Per un facile utilizzo basta usare una qualsiasi concordanza greca.

sabbatoilnel sabato (C); 37 . enteuthen (di luogo) (B); 38. entole + hina (B); 39. entolenllas didonaildare un comandamento, dei co­ mandamenti (B); 40. ergazesthai ta erga/operare le opere (C) ; 41. ergonlopera (per «miracolo») (C); 42. erchesthai eklvenire da (B); 43 . erchesthai hinalvenire affinché (finale) (A); 44. er6tdnldoman­ dare (C); 45 . erotdn peri tinoslchiedere in favore di qualcuno (C); 46. erotdn + hinalchiedere che (C); 47 . estinlèn gegrammenonlalè scritto (A); 48 . echein en heautoilavere in sé (C); 49 . zètein apok­ teinailcercare di uccidere (B); 50. zoèn didonaildare la vita (C); 51 . zoèn echeinlavere la vita (C); 52. èlemellen apothneskeinlstare per morire (B); 53. èmen + avverbio di luogo (eccetto opou èn); 54. enlesan de + indicazione di tempo (C); 55. en de (kai)lesan de + soggetto della frase (A); 56. èn (. . . ) Ioannès (. . . ) baptizon!Giovanni battezzava (B) ; 57. Th6mas(. . . ) ho legomenos Didymos (B); 58. idelidete accanto ad un altro imperativo (C); 59. ta Hierosoly­ ma (C); 60. hinalhoti epesegetico (A); 6 1 . hina hè graphè (. . . ) plè­ rothèilaffinché la Scrittura si compisse (in questa sequenza) (B); 62. hina ho logos (. . . ) plèrothèilaffinché la parola si compisse (B); 63 . hina . . . di'autoulautès (in fine di frase) (B); 64. Ioudas Simonos Iskariotou (B); 65 . kath6s. . . kai ( houtos) (A); 66. karpon phe­ reinlportare frutto (C); 67. kraugazeinlgridare (B); 68. lalein eklparlare da (B); 69. lambanein tinalaccogliere qualcuno e così ri­ conoscer/o (B); 70. legeillegousin (solo in terza persona al presen­ te) asindetico + dativo + soggetto della frase, per introdurre un di­ scorso dir. (A); 71. lelalèka hyminlve l'ho detto (nel discorso diret­ to di Gesù ) (B) ; 72. martyrein peri tinosltestimoniare di qualcuno (B); 73 . menein + hèmera (C); 74. meta toutoldopo questo (C); 75 . mè (interrogativo) kai + pronome personale (A); 76. mikros (del tempo) (B); 77. nipteinllavare (C); 78. nomos + precisazione dell'applicazione (C); 79. (ho) allos mathètès lhoi alloi mathètai (C); 80. ho archon tou kosmoulil principe del mondo (C) ; 8 1 . ho elth6nlhoi elthontes (come attributo) (C); 82. ho logos (. . . ) hon ei­ penlla parola che ho detto (A); 83. ho mathètès (. . . ) hon ega­ palephileilil discepolo che amava (C); 84. ho pempsas me/colui che mi ha mandato (e forme analoghe) (C); 85. ho topos opoulil luogo dove (A); 86. ho tr6g6nlchi mangia (C); 87. hoi archiereis kai hoi pharisaioili sommi sacerdoti e i farisei (B); 88. oida, collegato a una domanda indiretta (C); 89. oidamen (senza particella) hoti (C); 90. honlhèn hymeis ouk oidatelche voi non conoscete (B); 91 . hon (. . . ) hymeis legete hoti (B) ; 92. hopou èn esanldov'era, dov'e­ rano (C) ; 93 . ou dynamai (. . . ) poiein (. . . ) ouden/non posso fare nulla (C); 94. ou(deis) mentoi (B); 95 . ou peri. . . alla peri (B); 96. ou . . . all'hina (ellittico) (A); 97 . ou (mè) . . . , ean me (B); 98. ou me. . . eis ton aiona (B); 99. oudepolnon ancora (B); 100. oun narrativo (A); 101 . tote oun narrativo (C); 102. oun . . . kai + verbo finito. . . kai + verbo finito (in caso di uguale soggetto della frase) (A); 103. oupolnon ancora (C); 104. oup6 garlnon ancora in=

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fatti (C); 105 . oupo elèlytheilnon è ancora venuto (B); 106. houtos estin aléthos ho/questi è veramente il + titolo cristologico (C); 107 . ouch hoti. . . all'hotilnon che, m a che (C); 108. opsarionlpesce (C); 109. parrésiai al dativo senza preposizione, articolo e attributo (A); 1 10. peran col genitivo (C); 1 1 1 . piazeinlprendere (B); 1 12. pi­ steuein + dia (con indicazione del motivo o della mediazione) (B); 113. pisteuein eis ti(na) (C); 1 14. pisteuein hoti (C); 1 15. ploia­ rion/barca (C); 1 16. pothen eimildi dove sono (C); 1 17. poiein se­ meionlsemeia l fare un segno, dei segni (per i miracoli) (C); 1 18. poiein + pronome riflessivo in accusativo + attributo (C); 1 19. pou hypagein/dove andare (C); 120. popote, unito ad una negazio­ ne (B); 121 . pos dynamai (successivi), seguito da infinito (B); 122. pos sy legeislcome tu dici (B); 123. rabbilrabbouni (appellativo di Gesù ) (C); 124. sémainon poioi thanatoilsignificando di quale morte (B); 125. Simon Petros (A); 126. skotia/skotos (B); 127. sy (dopo il verbo) (C); 128. schisma (. . . ) egeneto lén + dativo (B); 129. tarassesthai (passivo) unito a kardia, pneuma e psyché (B); 130. teleioun to ergonlta erga/portare a compimento l'opera/le ope­ re (C); 131 . térein tas entolaslosservare i comandamenti (C); 132. térein ton logonlosservare la parola (singolare) (C); 133. tiltina zé­ teisl zéteite/che cosa o chi cercate (senza precisare) (B); 134. tithé­ nai tén psychénl tas psychaslrimetterci la vita (B); 135. to pro­ ton/dapprima (B); 136. toutoltauta (senza precisare cui vada riferi­ to), seguiti da verba dicendi (B); 137. hymeis legete hoti /voi dite che (B) ; 138. hymeis ouk oidatel hemeis ouk oidamenlvoi non sa­ pete o noi non sappiamo (B); 139. hypagein, poreuesthai, aper­ chesthai, aphienai, metabainein: espressioni metaforiche per la morte di Gesù (C); 140. hypantan tini/andare incontro, incontrare (C); 141 . chara con plérousthai (passivo) per indicare la gioia com­ pleta (B); 142. hOra con genitivo possessivo del pronome corri­ spondente, riferito a persone o a cose (B); 143 . hora èn hOs + nu­ mero ordinale (B); 144. hOra hinalhotelen èi (B); 145 . asindeto epi­ co (A); 146. nome proprio + holapo + nome di luogo (C); 147. nome proprio unito a un + participio . . . + verbo finito (A); 148. plurale di persone sostituito dal neutro singolare (A); 149. sostanti­ vo con articolo senza ulteriore precisazione, usato come attributo (A); 150. pronome possessivo con articolo posto dopo come «hé chara hé emé» (A); 151 . nome di luogo + tés Galilaias (C); 152. pron. personale al genitivo plurale prima di hé kardialtén kardian al singolare (B); 153. ripresa (B) .

Alla stilistica, che visualizza in modo analitico l'unità letteraria del QV e delle lettere, aggiungiamo alcuni procedimenti letterari tipi­ ci. Ne diamo un semplice elenco , aggiungendo per ciascuno qualche testo di riferimento. 328

l) Anzitutto il parallelismo asindetico (Gv 3 ,31.36; 8,15) con de

(3 ,18 ;4,13-14 . . . ) e con alla (4,14; 6,27). 2) Frequenti sono le strutture a chiasmo (Gv 6,36-40) e le inclu­

sioni (Gv 1,28 e 10,40). 3 ) La gravità usuale dello stile non esclude l'ironia , a volte deli­ cata (Gv 3,10 ) , a volte rude (Gv 18,28: chi ha paura di contaminarsi è deciso ad uccidere un innocente!) . 4 ) Si incontrano spesso parole a doppio senso come egeirein nel senso di «rialzare» (il tempio) e «risuscitare» (il corpo di Gesù) , op­ pure an6then nel possibile doppio senso: «dall'alto» o «di nuovo» ; Nicodemo lo fraintende nel secondo senso ( 3,3 ) ; nello stesso brano pneuma può significare «vento» o «Spirito» ( 3,8). 5 ) Il malinteso è un'altra forma letteraria tipica del QV, che pre­ senta la seguente struttura funzionale di cinque elementi : a) all'ori­ gine un'affè rmazione di Gesù , b) che suscita il malinteso nell'udito­ re , c) perché la comprende in senso materiale (la nascita dall'alto , l'acqua, il mangiare la sua carne e bere il suo sangue . . . ) ; d) Gesù in risposta ripete la parola non compresa , e) e spiega ulteriormente op­ pure rimane il malinteso finale. Questa forma letteraria è stata stu­ diata da H. Leroy7 1 in undici testi : Gv 2,19-22 ; 3,3; 4,10. 31-24; 6,4142 .51; 7 ,33-36; 8,21-22 .31-33 .51-53 .56-58. L'ambiente vitale sareb­ be quello di un gruppo minoritario , che adotta un linguaggio da ini­ ziati , per distinguersi. Ma si potrebbe interpretare anche come > , in K . W . TR6GER, a cura , Gnosis und Neues Testament. Studien aus Religions­ wissenschaft und Theologie, Berlin 1973, 205-229 (su Gv pp. 226-228). 90 E. KXsEMANN, L 'enigma del quarto vangelo. Giovanni: una comunità in con­ flitto col cattolicesimo nascente? (Sola Scriptura 6) , Torino 1977 (orig. 197 1 ) ; recen­ sione dello scrivente in StPat 25(1978) , 176- 178. 89

,

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ticolo influente di un autore americano , W .A. Meeks, comparso in inglese e in traduzione tedesca: «L'uomo dal Cielo nel settarismo giovanneo)). 9 1 Per quanto riguarda, in particolare , le fonti mandaiche , su cui si fondava la tesi gnostica di R. Bultmann, secondo cui la setta avreb­ be avuto origine da un gruppo battista, va tenuto conto, ora , della critica radicale condotta sulle fonti dal nostro E. Lupieri, che ha di­ mostrato come la figura di Giovanni Battista sia marginale nella set­ ta mandaica. 92 Mentre motivi gnostici si trovano anche nel I secolo , pure nel NT (cf. l'articolo di Schenke) , sull'origine dello gnostici­ smo , che si sviluppò nel II secolo , si discute ancora se debba essere considerato una eresia cristiana o un sincretismo pagano che ha assi­ milato elementi cristiani per aver successo fra le classi colte. La letteratura gnostica di Nag Hammadi , scoperta in concomi­ tanza con i manoscritti di Qumran, non ha portato elementi nuovi di soluzione in favore di una gnosi precristiana . In particolare , non si può pensare che i trattati più vicini a Giovanni, l'Apocrifo di Gio­ vanni e la Protennoia trimorfica, siano stati scritti prima del QV; tut­ to lascia pensare che siano piuttosto influenzati anche dal QV. 93 In· somma non è ancora documentata una gnosi precristiana, dei cui elementi si sarebbe servito l'autore del QV. Sono presenti invece nelle prime due lettere di Giovanni degli elementi non unitari , cioè non appartenenti ad un sistema, che compariranno poi nel doceti­ smo . Secondo U. Schnelle la polemica antidocetista sarebbe presen­ te non solo nelle lettere , ma anche nella redazione finale del QV. Tutta la discussione sullo sfondo gnostico della cristologia gio­ vannea, in cui vengono proposte teorie spesso contraddittorie , di­ mostra tuttavia che un problema c'è , ed è il problema della singolare originalità della cristologia giovannea e, in dipendenza da essa, anche dell'antropologia (l'uomo rigenerato dall'alto), nuova rispetto alla tradizione sinottica. lo sono dell'avviso che si debba anzitutto sgom-

9 1 W . A . MEEKS , «The Man from Heaven in Johannine Sectarianism» , in JBL 9 1 ( 1 972) , 44-72 ; In. , «Die Funktion des von Himmel herabgestiegen Offenbarers fti r das Selbstverstandnis der johanneischen Gemeinde», i n In. , Zur Soziologie des Ur­ christentums (Theologische Bucherei 62) , Miinchen 1979, 245-283 . 92 E . LUPIERI , Giovanni Battista fra storia e leggenda (Biblioteca di cultura reli­ giosa 53) , Brescia 1988, 193-395 . 93 Secondo l'autorevole giudizio , riportato nell'opera The Nag Hammadi Libra­ ry in English , curata da J . M . Robinson (Leiden l 977), l Ap ocrifo di Giovanni risali­ rebbe almeno a prima del 185 (F. Wisse), mentre la redazione definitiva della Proten­ noia lrimorfica andrebbe posta verso il 200 (J . D . Turner) . '

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berare il campo dal pregiudizio del metodo storico-religioso , per. il quale la fede cristiana sarebbe un sincretismo di varie correnti reli­ giose , presenti nell'impero romano del I secolo. Se la fede cristiana non è originaria, singolare e specifica, allora è necessario farla deri­ vare da qualche altra corrente religiosa; anche la cristologia giovan­ nea. Se invece si accetta anche l'ipotesi che la fede cristiana sia origi­ naria , ovviamente e necessariamente espressa con categorie che non poteva non prendere dal linguaggio e dalla cultura del tempo, allora si accetta anche la novità cristiana , che deriva tutta dall'assoluta no­ vità e singolarità di Gesù di Nazaret. Il QV l'ha espressa nella ma­ niera più elevata e misteriosa. Data l'impossibilità di definire con precisione storico-letteraria l'ambiente ellenistico del QV allo stesso modo con cui si può defini­ re quello biblico-giudaico (Scrittura ebraica , LXX, Targum , Qum­ ran, Filone , ambiente samaritano e battista) , il QV rimane per noi un enigma non ancora risolto e che forse non sarà sciolto neppure nel futuro, perché possediamo , da un lato, la terminologia giovan­ nea, povera quantitativamente , ma ricca e aperta semanticamente , e dall'altro una documentazione problematica delle correnti pregno­ stiche del I secolo, ricavata per lo più dallo stesso QV, dalle prime due lettere di Giovanni e da qualche altro scritto della letteratura «paolina» . Si deve certo ammettere che l'evangelista adopera una termino­ logia familiare al mondo ellenistico come «logos», «essere dall'al­ to/dal basso» , la «rigenerazione» , l'interesse per la «verità» , il duali­ smo «mondo terrestre/mondo celeste)) e così via. E tuttavia anche questa terminologia, che trova profonde risonanze nel mondo elle­ nistico, viene riempita di significati nuovi , che hanno una nuova col­ locazione nel mosaico unitario costruito dall'autore . Così , ad esem­ pio , «nascere dall'alto)) ed «essere dall'alto)) viene letto come «na­ scere dallo Spirito)) ed «essere dallo Spirito)) in contrapposizione al­ l'«essere dalla carne)) (3 ,6) , un'antitesi , questa , «carne/spirito)) tipi­ camente biblico-giudaica. Lo stesso dicasi dello schema cristologico «discesa/ascesa)) del Figlio dell'uomo, in riferimento alla figura del «figlio dell'uomo)) danielico che viene «con le nubi del cielm) (Dn 7 ,14) , senza parlare delle Apocalissi giudaiche che raccontano di grandi personaggi del passato saliti fino a Dio per rivelare agli uomi­ ni il mistero di Dio nella storia. E tuttavia l'incarnazione del Verbo è un evento singolare , per cui Giovanni alla fine del prologo afferma polemicamente e solennemente : «Nessuno ha mai visto Dio. L'Uni­ genito Dio che è volto verso il seno del Padre , lui l'ha spiegato)) . Di341

verso è il clima della lGv , dove ciascuno degli appartenenti al «gruppo dissidente» può avanzare la pretesa di «vedere Dio» , di averne un'esperienza mistica ( l Gv 3,6; 4, 12.20; 3Gv 1 1 ) . 94 Qui ci muoviamo in un clima religioso diverso , vicino a quello del I trattato ermetico «> , un in­ flusso proveniente da correnti ellenistiche di carattere mistico . Siamo così introdotti all'ambiente comunitario del QV. I suoi let­ tori dovevano conoscere il mondo culturale biblico-giudaico e muo­ versi in esso come in casa propria perché era stata la casa in cui era vissuto Gesù . Vivendo però in ambiente culturale ellenistico , ne re­ spiravano il clima, le aspettative e ne assumevano talora la termino­ logia senza legarsi ad alcuna corrente filosofica e religiosa particola­ re . L'evangelista ha impiegato un linguaggio familiare a questo mondo , in modo che non vi risuonasse estraneo . Ma in realtà il suo linguaggio , come significato , rimane «estraneo>> sia al mondo tipica­ mente giudaico sia a quello specificamente ellenista . Doveva quindi produrre un effetto duplice e opposto , di familiarità col linguaggio dell'ambiente , ma di estraneità nel messaggio che comunicava. Non si tratta della demitizzazione e reinterpretazione del «mito gnostico» del redentore , ma piuttosto di una cristologia ed antropologia origi­ nali , in continuità con la tradizione , che esplicitavano con le catego­ rie che l'autore aveva a disposizione , da qualsiasi parte venissero . Più di qualsiasi altro autore del NT Giovanni fa percepire la profon­ dità del mistero di Cristo , Figlio di Dio , e della sua opera salvifica , e nello stesso tempo la profondità del mistero dell'uomo alla luce di Cristo . Sono rivelati ambedue e tuttavia mantegono il loro carattere

96 R.E. BROWN , Le lettere di Giovanni (Commenti e Studi Biblici), Assisi 1986 (orig. 1982); recensione dello scrivente in StPat 34( 1987), 372-378.

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di mistero. Nei primi secoli della fede cristiana si assiste ad una lotta intorno a questo mistero, che continua quella di Giovanni: comuni­ care il mistero e mediarlo culturalmente, ma senza eliminarlo o tra­ dirlo. 4.

LA COMUNITÀ GIOVANNEA97

Dalla precedente metodologia storico-religiosa passiamo ora a quella storico-sociologica per ricavare, se è possibile, dal QV e dalle lettere giovannee la configurazione della comunità giovannea e le tappe attraverso cui è passata. L'idea di una «comunità giovannea» è ormai entrata nel patri­ monio dell'attuale scienza neotestamentaria, mentre quella di «scuola giovannea», patrocinata da A. Culpepper, non lo è ancora. 98 I motivi della difficoltà di configurare una «scuola giovannea» sono due: per un verso, quando si parla di «comunità giovannea» vi è in­ cluso il fondatore che le ha dato l'impronta, il DA, e perciò anche il gruppo responsabile intorno a lui, in certo qual modo una «scuola»; per l'altro le ragioni addotte per una vera e propria «scuola giovan­ nea>>, responsabile comunitariamente degli scritti giovannei,99 sono

cn Bibliografia essenziale: R.E. BROW N, La comunità del discepolo prediletto, As­ sisi 1982 (orig. 1979); O . CuLLMANN, Der johanneische Kreis, Tiibingen 1975; Io., Le milieu johannique, Genève 1 975; R.A. CuLPEPPER, The Johannine School (SBL DS 26), Missoula 1975; J.D. KAESTu-J.M. PoFFET-J. ZuMSTEIN, a cura, La communauté jo­ hannique et son histoire (Le monde de la Bible), Genève 1990; K. QuAsT, Peter and the Beloved Disciple. Figures for a Community in Crisis (JSNT SS 32), Sheffield 1989; J.L. MARTYN, llistory and Theology in the Fourth Gospel, 2 ed. rivista ed aumentata, Nashville 1979; T. OKURE, The Johannine Approach to Mission. A Contextual Study of John 4:1-42 (WUNT. 2. Reihe 3 1 ). Tubingen 1988; T. ONUKI, Gemeinde und Welt im Johannesevangelium. Ein Beitrag zur Frage nach theologichen und pragmatischen Funktion des johanneischen «Dualismus» (WMANT 56), Neukirchen 1 984; N.R. PE­ DERSEN, The Gospel of John and the Sociology of Light, Trinity Press, Valley Forge [PA] 1993; D. STEMBERGER, Overcoming the World. Politics and Community in the Gospel of John, London 1 988; A. STIMPFLE, Blinde sehen. Die Eschatologie im tradi­ tionsgeschichtliche Prozess des Johannesevangeliums, Berlin 1990; F. VouoA, Le cadre historique et l'intention théologique de Jean, Paris 1977; K. WENGST, Bedriingte Ge­ meinde und verherrlichter Christus. Der historische Ort des Johannesevangeliums als Sch/iissel seiner lnterpretation (BThSt 5), Neukirchen 1981 ; D. B RUCE WoLL, lohanni ­ ne Christianity in Conflict (SBL Dissertations Series 60), Chico/California 1981 ; J. PAINTER, The Quest for the Messiah. The History, Literature and Theo/ogy of the Jo­ hannine Community, Edinburgh. 98 CuLPEPPER, The Johannine School. '�'� CuLPEPPER, The Johannine Schoo/, 274-275.

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piuttosto fragili . Le elenchiamo sinteticamente : l) la tradizione pa­ tristica (Canone Muratoriano) che parla dei «discepoli di Giovan­ ni» ; 2) la grande unità e somiglianza degli scritti giovannei ; 3) l'uso accurato dell'A T; 4) i tratti tipici delle «scuole>> : l'amicizia che uni­ sce tra loro i membri, il richiamarsi al fondatore e l'apprezzare i suoi insegnamenti (Gv 21 ,24) da parte dei discepoli , l'importanza della «scrittura», il pasto in comune , le regole per l'ammissione e l'esclu­ sione , la distanza dal mondo esterno , l'organizzazione dei mezzi per continuare la scuola. 100 Ora l'unità degli scritti giovannei (Gv e 1-3Gv) può spiegarsi con una forte personalità che ne sta all'origine , un autore di primo rango che ha dato un'impronta propria alla comunità di cui fu fondatore . I discepoli possono essere tali senza costituire una scuola vera e pro­ pria, come lo furono i discepoli di Gesù . L'uso dell' AT nel QV è molto libero e sembra legato più a una tradizione orale (G. Reim) che non a una scuola preoccupata della precisione letterale . I tratti tipici della scuola giovannea sono comuni alle chiese cristiane delle origini , a parte il richiamo esplicito all'autorità del testimone garan­ te della tradizione . L'insegnamento faceva certamente parte dell'at­ tività comunitaria come ne fa fede la 1-2Gv col riferimento a quanto i destinatari hanno udito «fin dall'inizio» ( l Gv 2,7.24 ; 4 , 1 1 ; 2Gv 6) . Ma non costituiva il centro della comunità come nelle scuole filosofi­ che o rabbiniche . Il fondatore , più che un interprete autorevole del­ la realtà (scuole filosofiche) o della tradizione scritta ed orale (scuo­ le rabbiniche) , era considerato in primo luogo il testimone di una persona e della sua missione salvifica. Il vero centro della comunità era la vita personale e comunitaria improntata alla fede in Gesù , Cristo e Figlio di Dio , e alla vita comunitaria nata nel battesimo , nu­ trita dall'eucaristia , animata dallo Spirito e fondata sull'amore reci­ proco. Di questa vita faceva parte anche l'insegnamento della fede e l'ascolto della parola autorevole del testimone interprete di Gesù e del gruppo dei «discepoli» . Se non abbiamo dunque elementi suffi­ cienti per parlare di una «scuola giovannea» , ne abbiamo per parlare di una «comunità giovannea» . Accontentandoci dunque di penetrare attraverso il QV nella co­ munità giovannea , come possiamo arguirne la configurazione? Il QV stesso ne è anzitutto una prova. L'evangelista ha scritto il dram-

1 00 CuLPEPPER, The Johannine School, 287-289.

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ma di Gesù , ma sullo sfondo lascia trasparire anche il dramma e la vita della comunità cui il Vangelo è destinato . Insomma il QV va let­ to su due piani , quello della storia di Gesù e quello della comunità giovannea . Gli studi recenti di questo secondo piano l'hanno così enfatizzato da dimenticare talora il primo . Essendoci noi proposti lo studio della redazione , dobbiamo concentrarci proprio su questo se­ condo piano. Vorrei perciò esaminare tre passaggi tematici dal Gesù storico alla comunità giovannea (dai discepoli di Gesù alla comunità dei credenti , dai segni ai sacramenti , da Gesù buon pastore ai pastori della comunità) e due caratteristiche proprie della stessa comunità (non del mondo ma per il mondo, in conflitto con la sinagoga e con i «falsi profeti») . 4 . 1 . Dai discepoli di Gesù alla comunità dei credenti

Giovanni invita i suoi lettori a riconoscersi nei «discepoli di Ge­ sù» . Il QV è quello che usa più spesso il termine mathétésldiscepolo : 78 volte contro le 73 di M t, le 46 di Mc e le 37 di Le; per di più la pre­ senza dei «discepoli» si infittisce nei capitoli che maggiormente ri­ flettono il tempo della chiesa: 13 volte in Gv 6 e 20 volte in Gv 202 1 . Il termine corrispondente di rabbi compare 8 volte e altrettante didaskalos/maestro . La relazione di Gesù con il gruppo originario dei discepoli è il modello del rapporto che esiste fra il Signore glorio­ so e la comunità dei credenti : beati perché credono senza vedere (Gv 20,29) . Modello per eccellenza è il DA, che segue Gesù fino ai piedi della croce ( 19 ,26) ed è primo al sepolcro vuoto (20,8) . Il gruppo dei discepoli raffigura anche aspetti storici della comu­ nità giovannea. La fede in Gesù è una relazione personale con lui , che comporta delle conseguenze pratiche: i discepoli vivono con Ge­ sù, lo accompagnano e parteciperanno alla sua missione evangeliz­ zatrice (4,31-38) ; sperimentano il segno della moltiplicazione dei pa­ ni e, solo loro , quello del cammino di Gesù sulle acque del lago di Galilea. Ma viene poi la crisi: la crisi galilaica (6,60-66) , in cui molti discepoli si allontanano da Gesù per il suo linguaggio «duro» ( 6,60) ; la crisi dei parenti di Gesù (7 ,3-5) e quella dei discepoli nella Giudea (8,31-32ss). Gesù rimane solo con i «Dodici». Nel «libro del ritorno al Padre» (Gv 13-17) , i «Dodici» sono an­ cor più stretti intorno a lui ; con la lavanda dei piedi , azione simboli­ ca, il Maestro insegna ai discepoli ad amarsi scambievolmente con un servizio �mile (13,12-15.34-35) . 346

La comunità dei discepoli appare unita nella fede e nell'amore come segno «perché il mondo creda» ( 17 ,6-26 ) ; proprio per questo i discepoli , santificati «nella verità» , vengono inviati al mondo come Gesù è stato inviato dal Padre ( 17, 17-19 ) . Alla risurrezione vengono chiamati «fratelli» ( 20,17 ) ; viene loro donato lo Spirito dal Signore glorioso e sono da lui inviati col potere di rimettere i peccati ( 20,2123 ) . Nei discepoli che seguono Gesù e in particolare nei «Dodici» , nella crisi che il gruppo dei discepoli attraversa, nell'invio in missio­ ne e nella persecuzione futura annunciata ( 16, 1-3 ) si intravvede in fi­ ligrana la comunità giovannea: comunità fraterna di discepoli , che credono in Gesù, seguono il suo modello di vita, si amano tra loro e si sentono inviati al mondo per attrarlo alla fede . 4 . 2 . Dai segni ai sacramenti101

L'universo del QV è un universo simbolico. Segni e simboli co­ stituiscono un tessuto, le cui fibre sono talmente connesse da perde­ re la loro identità se venissero separate dal loro intreccio simbolico . Il QV racconta i «segni» che rivelano chi è Gesù per l'uomo : pane di vita , luce del mondo , buon pastore . . . I segni sono le «opere del Pa­ dre>> in Gesù , che rivelano perciò la sua unità con «colui che l'ha mandato» ( 10,30 nel contesto di 10,26-39 ) . Nei «sacramenti» della chiesa giovannea ( battesimo , eucaristia e perdono dei peccati ) opera lo Spirito Santo , donato dal Figlio glorificato presso il Padre ( 3,3-5 ; 20 ,21 -23 ; 6,63 ) . Che relazione vi è fra i «sacramenti» ed i «segni» nel QV? Alla domanda sono state date due risposte diametralmente opposte . Per Bultmann il Cristo giovanneo è il Rivelatore , che mette in questione l'esistenza umana e chiede una decisione di fede che dà la vita, men­ tre il rifiuto della fede porta la condanna e la morte. La parola di Gesù , accolta e interiorizzata nella fede , purifica dal peccato ( 15,3; 17,17 ) ; l'evangelista avrebbe diffidato dei segni esteriori , che distol­ gono dall'adorazione di Dio «in Spirito e verità» (4,23-24 ) . Tutti i te­ sti sui sacramenti sarebbero dovuti invece al redattore ecclesiastico ( 3 , 5 ; 6,51c-58 ; 19,34b-35 ; 1Gv 5 ,6-8) . Secondo Bultmann dunque i sacramenti sarebbero una via alternativa alla salvezza in luogo della fede nella parola del Rivelatore . 101 P.R. TRAGAN , a cura, Segni e sacramenti nel vangelo di Giovanni (Studia An­ selmiana 66) , Roma 1 977 ; I n . , a cura , Fede e sacramenti negli Scritti giovannei (Studia Anselmiana 90), Roma 1985 .

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O. Cullmann ,102 al contrario , interpreta i sacramenti del QV co­ me sostituto dei «segni» operati da Gesù nel tempo della chiesa. Giovanni stabilisce «una relazione tra il culto cristiano del suo tem­ po e gli eventi della storia di Gesù». 1 03 Ora, nessuna delle due risposte è accettabile . La rottura fra la teologia dell'evangelista e quella del redattore ecclesiastico, presun­ ta da Bultmann , va contro la profonda unità letteraria e simbolica del QV. D'altro canto due obiezioni si possono muovere alla tesi di Cullmann : l) l'evangelista distingue nettamente i segni storici di Ge­ sù dai sacramenti , opera del Signore glorioso, che invia il suo Spirito alla chiesa . I segni vanno quindi rispettati nella loro singolarità stori­ co-cristologica ; tuttavia essi rivelano talora una continuità di signifi­ cato con i sacramenti , come il segno della moltiplicazione dei pani e l'eucaristia in Gv 6. 2) Cullmann estende troppo l'ambito dei sacra­ menti senza una rigorosa criteriologia. 104 I segni sono dunque distinti dai sacramenti , ma non sono ad essi opposti . Direi che sono in conti­ nuità simbolica con i segni, perché anche i sacramenti sono simboli reali, che comunicano la vita stessa di Gesù: una vita nata (3 ,3-8) , purificata (20,23) e illuminata (16, 12-15) dallo Spirito , una vita in comunione con Gesù e per mezzo di lui col Padre (6,57-58) . Si devo­ no certo stabilire dei criteri per leggere i sacramenti nel QV (Brown) , ma è ancora più importante capire che i sacramenti fanno parte di quell'universo simbolico che significa e dona la vita divina di Gesù . I sacramenti non vanno compresi in senso sacramentalista co­ me presupporrebbe Bultmann . Quando Gesù afferma: «La mia car­ ne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda» (6,55) , non vuoi dire che nell'eucaristia è presente Gesù (semmai lo presuppone) , ma vuol dire : «la mia carne (l'umanità del Figlio di Dio incarnato) è ci­ bo autentico dell'esistenza umana, che fa crescere la vita di Gesù in noi» (6,56-57) . Lo stesso dicasi della «nascita dall'acqua e dallo Spi­ rito>>: all'interpretazione biologica di Nicodemo («nascere di nuo­ vo») si oppone l'interpretazione simbolica di Gesù : «la nuova nasci­ ta dall'alto» , che dona una nuova esistenza mediante lo Spirito (3 ,3-5 ; cf. 1 , 12-13) . Le allusioni ai sacramenti sono più numerose di quelle presup­ poste da Bultmann, come ad esempio il segno del cieco nato in Gv 9

102 O . CuLLMANN, La foi et le culte de l'Eglise primitive, Neuchàtel-Paris 1963 . 103 CULLMANN , La foi, 133. 104 Si veda a questo riguardo R.E. BROWN , Giovanni, Assisi 1979, I, CXXXIV­ CXXXVIII .

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e la lavanda dei piedi in Gv 13. Ma ciò che è importante è compren­ dere che i sacramenti sono in continuità con l'attività salvifica del Gesù storico nei segni e nelle parole che salvano. La comunità gio­ vannea vive la fede in Gesù come i primi discepoli e riceve dal Figlio glorificato lo Spirito , che opera nei sacramenti e rende presente in forma simbolica il Signore , che dona la vita e la speranza della risur­ rezione futura, operata da lui . 4 . 3 . Da Gesù buon pastore ai pastori nella chiesa

La comunità giovannea è stata presentata talora come una co­ munità carismatica, la cui guida è la parola di Gesù , mentre il Para­ dito la interpreta. 105 Non emerge certo dagli scritti giovannei l'istitu­ zione solida della chiesa rispecchiata nelle lettere di Ignazio e nep­ pure certi ministeri che troviamo nella letteratura epistolare paolina come i diaconi , presbiteri ed episcopi , a parte la loro difficile identi­ ficazione . Ma va ricordato che il QV rimane «vangelo» e la comuni­ tà giovannea ne traspare solo in forma simbolica. D'altronde nelle lettere giovannee compare già un conflitto di autorità, che la presup­ pone , anche se non è istituzionalmente configurata, per cui dà luogo ad interpretazioni opposte , istituzionali o antiistituzionali, come ad esempio la figura di Diotrefe nella 3Gv 9-10. Nel QV è registrato il passaggio da Gesù buon pastore a coloro che saranno i rappresentanti o meglio i mediatori di Gesù buon pa­ store . In Gv 10, 16 Gesù dice : «E ho altre pecore che non sono di questo ovile ; anch'esse devono essere condotte a me e ascolteranno la mia voce e diverranno un solo ovile , un solo pastore». Ciò presup­ pone che nel tempo della chiesa vi siano persone che rappresentino Gesù e che facciano sentire nella loro voce l'eco della sua e l'invito a credere in lui ; lo stesso si può dire di Gv 17,18-20. Ciò diviene ancor più evidente nell'ultimo capitolo del QV, dove Gesù affida a Simon Pietro la sua missione pastorale (21 , 15-19) . Pietro , al momento delle redazione del QV, sembra già aver glorificato Dio col suo martirio (2 1 , 19) ; la sua missione pastorale va letta quindi sullo sfondo della grande chiesa che ha avuto origine dai «Dodici» , di cui capo scelto e riconosciuto da Gesù fu Pietro . 105 E . ScHWEIZER, «Die Konzeption des Johannes und ihre Nachwirkungen», in Io. , Gemeinde und Gemeinde Ordnung im Neuen Testament (AThANT) , Ziirich 1959, 105-125 ; in inglese Io. , > , ma di un regno «che non è di que­ sto mondo>> e tuttavia è nel mondo in modo diverso , in contrasto sia con l'autorità romana (mentre l'evangelista mette ironicamente in bocca ai giudei l'affermazione : «Non abbiamo altro re che Cesare» , Gv 19, 15) sia con la violenza politica degli zeloti contro tale autorità (Barabba) . La sua sovranità è superiore (l'autorità è data a Pilato dall'alto, Gv 19, 1 1 ) , ma non appartiene solo al mondo futuro ; essa si esercita anche in questo mondo: lo contesta, lo condanna e lo vince con la vittoria dell'amore che si dona fino alla morte. La comunità giovannea, pur avendo qualche tratto «settario» , è una comunità che vive nel mondo e per il mondo; ma proprio perché il regno di Gesù, il regno della verità, è «diverso», non è di questo mondo , vie­ ne a porsi in conflitto sia con l'autorità giudaica sia con quella politi­ ca. E tuttavia nella sua coesione interna, data dalla fede confessante e dai sacramenti , trova la forza per mantenere la sua identità e soste­ nere il conflitto col mondo e con la comunità giudaica, accettando la condizione di una debolezza giuridica e politica, ma rafforzando in tal modo anche la sua coesione socio-religiosa interna. 4 . 5 . In conflitto con la sinagoga e con i falsi profeti

Da quanto detto , pare che il conflitto con la sinagoga e col mon­ do politico-religioso pagano abbia favorito la coesione interna della comunità e l'accentuazione della sua identità cristologica così da re­ sistere alle difficoltà esterne ed interne , nell'apertura missionaria al mondo. Ma vi sono delle indicazioni nel QV che trovino corrispon­ denza in fonti esterne, così da rendere storicamente plausibile la 353

situazione di conflittualità con la sinagoga e col mondo? Nella storia più recente della comunità giovannea si possono distinguere due momenti successivi di conflitto , uno esterno con la sinagoga ed uno interno alla comunità con i «falsi profeti» . 110 Che al momento della composizione del Vangelo fosse in atto un conflitto con l'ambiente ufficiale giudaico è attestato dal Vangelo stesso in diversi modi. l) Anzitutto vi leggiamo la singolare espressione aposynago­ gos/escluso dalla sinagoga , unica nel NT, che ricorre tre volte nel QV: in relazione con la confessione pubblica che Gesù è il Cristo (9 ,22) ; in rapporto con la pubblica confessione di fede senza dirne il contenuto (12,42) : qualifica negativamente i credenti «giudei» che temevano di confessare pubblicamente la loro fede per non essere cacciati dalla sinagoga. Secondo R. E. Brown questi avrebbero costi­ tuito nella comunità giovannea il gruppo. dei «criptocristiani» . 111 Il terzo testo si riferisce esplicitamente al tempo futuro della comunità giovannea . Gesù nel discorso di addio preannuncia la persecuzione futura : «Vi si escluderà dalla sinagoga/aposynagogous poiesousin hy­ mas . . » (16,2a) . Essere esclusi dalla sinagoga significava essere ta­ gliati fuori dalla comunità giudaica e perdere tutti i privilegi giuridici e sociali ad essa connessi . 2) Si nota nel QV un modo di parlare della «Legge» e delle «fe­ ste giudaiche» che rivela in chi scrive la coscienza di appartenere ad un altro gruppo : «Mosè ha dato a voi una legge» (7 , 1 9) ; «Non è scritto nella vostra legge . . . ?» (10,34) , « . . . la parola scritta nella loro legge» (15 ,25). Ancor più evidente è il senso di distacco nel parlare delle «feste» : «Era vicina la Pasqua, la festa dei giudei» (6,4) ; «Era vicina la festa dei giudei, quella delle Capanne)) (7 ,2) . 3) Tali indicazioni che rivelano il distacco della comunità giovan­ nea da quella giudaica ricorrono proprio nei cc. 5-10, che riferiscono l'aspro conflitto fra Gesù e i capi giudei di Gerusalemme . Al di là delle controversie di Gesù con le autorità giudaiche , attestate anche nei sinottici , si intravvede chiaramente lo scontro fra la comunità giovannea e quella giudaica, che verte sulla confessione pubblica .

1 10 Secondo uno studio, che mi è stato inviato in questi giorni e che non ho potu­ to esaminare a fondo , il QV rifletterebbe anche il rapporto dei cristiani con l'impero romano e la sua autorità , e in particolare con la persecuzione ; e intenderebbe perciò animare i cristiani in tale situazione di crisi (R.J . CASSIDY, John's Gospel in New Per­ spective. Christology and the Realities of Roman Power, Maryknoii-New York 1992). 111 BRoWN , La comunità, 82-84.

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della messianità divina di Gesù . È perciò documentato nel QV il conflitto della comunità con la sinagoga, conclusosi con la separazio­ ne fra i due gruppi . La linea di confine era la confessione che Gesù è il Cristo , Figlio di Dio (Gv 20,30-3 1 ) . Nelle fonti giudaiche s i è cercato u n evento storico rispondente a quanto racconta il QV. J .L. Martyn l'ha ravvisato nella birkat-ha­ minimlla maledizione degli eretici, fatta inserire da Gamaliele II fra 1'80 e il 90 nelle «Diciotto benedizioni» , che si recitavano nel rito si­ nagogale : «Siano distrutti (i Nazareni) e i Minim in un istante e sia­ no cancellati dal libro della vita e non siano iscritti insieme con i giu­ sti» . 11 2 Anche se è contestata da qualcuno (ad es. Kimelman) la sua datazione e validità di testimonianza , si può ammettere che origina­ riamente siano stati scomunicati i Minim (in cui erano inclusi anche i cristiani), mentre i Nozrim sarebbero stati aggiunti dopo; si può am­ mettere pure che sia difficile dimostrare la persecuzione e la sua am­ piezza nel I secolo . Tuttavia è certo che ai primi tempi della chiesa qualche capo cristiano rimase ucciso: Stefano nel 35/36, Giacomo apostolo nel 42 e Giacomo «fratello del Signore» nel 62 ; e vi fu un conflitto fra la comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme e le auto­ rità del tempio. Anche se non si può dimostrare che la persecuzione dell'autorità giudaica di Javne arrivasse fino ad Efeso, ad ogni buon conto è il QV stesso che attesta l'ostilità e la separazione ormai av­ venuta fra le due comunità . Il conflitto doveva essere ancora in atto quando fu scritto il Vangelo e deve aver creato divisioni anche all'in­ terno della comunità giovannea: giudeo-cristiani che preferirono ri­ tornare nella comunità giudaica, abbandonando quella giovannea; giudeo-cristiani che , pur credenti , non professavano apertamente la loro fede per non perdere la loro appartenenza alla sinagoga e i suoi privilegi . Una situazione conflittuale con la sinagoga sembra essere attestata anche da due lettere dell'Apocalisse che parlano della «si-

112 I principali interventi recenti su questo problema sono i seguenti: P. ScHAFER, «Die sogenannte Synode von Jabne . Zur Trennung von Juden und Christen im er­ sten/zweiten Jahrhundert n. Chr.», in Judaica 3 1 ( 1975), 54-64 . 1 1 6-124; G. STEMBER­ GER, «Die sogenannte "Synode von Jabne" und das friihe Christentum», in Kairos 19 (1977) , 14-21 ; F. MANNS, «L'Evangile de Jean réponse chrétienne aux dècisions de Jabne>>, in SBLFA 30( 1980) , 47-92 e Io. , «Note complémentaire», in SBLFA 32 ( 1 982) , 85-108; R. KlMELMAN , «Birkat-Ha-Minim and Lack of Evidence for an Anti­ Christian Jewish Prayer in Late Antiquity», in E. P. SANDERS , a cura , Jewish and Christian Definition , Philadelphia-London 1981 , II, 226-244.391-403 ; M.E. STONE, «The Benediction of the Minim», in JTS 33( 1982), 19-61 ; B. BEN-ZioN , «Birkat-Ha­ Minim and the Ein Gedi Inscription», in lmmanuel 21(1987) , 68-79.

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nagoga di Satana» (Ap 2,9; 3 ,9) a Smirne e a Filadelfia; va notata qui, inoltre , la somiglianza con la definizione polemica dei «giudei» ostili a Gesù come «figli di Satana» (Gv 8,44) ; lo stesso dicasi dei dissidenti cristiani nella lGv 3 ,8. Il QV e le fonti giudaiche concor­ dano dunque nell'attestare un conflitto fra la comunità giovannea e la sinagoga, che al momento della redazione del Vangelo era già sfo­ ciata in una netta separazione . Più tardi , ma secondo altri prima (G. Strecker, U . Schnelle, U.C. von Walde) della redazione finale del QV, la comunità giovan­ nea sofferse per un conflitto ancor più doloroso, perché interno alla stessa comunità, attestato dalle lettere giovannee, in cui «il presbite­ co» (2Gv l ; 3Gv l) che scrive potrebbe essere identificato con lo stesso evangelista, portavoce del gruppo dirigente, che si esprime col «noi» nel prologo della l Gv 1 , 1-4. Egli scrive alle comunità dif­ fuse nella provincia romana dell'Asia mettendole in guardia dai «fal­ si profeti» ( l Gv 4 , 1 ) , chiamati più spesso «anticristi» ( l Gv 2,18.22; 4,3; 2Gv 7) , e anche «menzogneri» (1Gv 2,4.22 ; 4,20) . 1 1 3 Essi divi­ dono Gesù dal Cristo , negano l'incarnazione (1Gv 4,2-3 ; 2Gv 7) e il valore salvifico della morte di Cristo ( 1 Gv 5 ,6) , non osservano i co­ mandamenti di Gesù e in particolare quello dell'amore scambievole ( 1 Gv 2,7-17; 3 , 10; 4 ,20) , sono animati da uno spirito diverso da quello di Gesù (si ritenevano carismatici? Tesi difesa ultimamente da Van Walde ma giustamente contestata da J. Lieu) , 1 1 4 uno spirito che non viene da Dio (1Gv 4 , 1 ) e si ritengono talmente perfetti da essere senza peccato (1Gv 1 ,8) . I mezzi offerti dal «presbitero» per difendersi da questa falsa interpretazione della tradizione giovannea sono : attenersi a quanto hanno udito «dall'inizio» nella catechesi battesimale ; usare conseguentemente i due grandi criteri della fede cristologica autentica e dell'amore convalidato dall'osservanza dei comandamenti e in primo luogo quello dell'amore scambievole . La 2Gv , nella lotta contro gli «ingannatori» (2Gv 2. 7) e i «progressisti , che non rimangono nella dottrina» (2Gv 9) , arriva a tal punto d i se­ parazione sociale , da comandare ai «fedeli» di non rivolgere loro il saluto (2Gv 10) . Il conflitto dottrinale scatena uno scontro anche fra

113 Sul conflitto intorno alla tradizione giovannea, che si rivela nella 1Gv, si veda il libro recente di U . C . VoN WALDE, The Johannine Commandments. l John and the Strugg/e [or the Johannine Tradition, New York-Mahwah 1990 e la recensione critica dello scrivente in Bib 73(1992) , 130-136. 1 14 J . LtEU , The Second and Third Epistle of John (SNTW), Edinburgh 1986.

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i responsabili delle varie comunità all'interno del gruppo giovanneo (3Gv) . Potrebbe darsi che Diotrefe non abbia accettato i missionari itineranti del «presbitero» , perché , esigendo una chiarezza dottri­ nale a costo di rotture (2Gv) , suscitavano conflitti nella sua comu­ nità. Gli avversari «dottrinali» stigmatizzati da 1-2Gv non sono ancora né «doceti» né «gnostici» (nel senso posteriore) ; però sepa­ rando Gesù dal Cristo e negando valore salvifico alla morte di Gesù , centro del kerygma cristiano , aprono la strada alle future più elabo­ rate «eresie» . L a comunità giovannea, portatrice dell'autentica fede, conservò accuratamente i documenti che la fondavano (il QV) e la giustifica­ vano (le lettere giovannee) e integrandosi nella fede della grande chiesa li consegnò a quel patrimonio ufficiale della rivelazione cri­ stiana che sarà il canone del NT. La comunità giovannea, per quanto si può arguire dal QV, non fu mai una setta chiusa in sé e contrapposta al mondo circostante , soddisfatta della propria fede e vita comunitaria. Nonostante i con­ flitti che crearono tensioni e divisioni con altri gruppi e perfino al­ l'interno del proprio , mai perdette la coscienza di essere , come Ge­ sù , inviata al mondo per salvarlo, di essere e dover rimanere nel mondo , pur non essendo del mondo. Il comando ricevuto da Gesù di essere testimoni della fede in lui, dell'amore che ha in lui la sor­ gente e il modello più alto, era in funzione della missione agli uomi­ ni, anche di quelli che in un primo tempo potevano aver rifiutato , per ricondurli sempre di nuovo di fronte all'opzione della fede che salva. La comunità giovannea è una comunità che percorre , nella sofferenza, nell'umiliazione e perfino nella defezione dei suoi mem­ bri , la strada percorsa da Gesù stesso. La percorre con coraggio , senza risentimenti. Odiata, non odia. E quando prende le distanze dal mondo e dai suoi stessi «fedeli» che tradiscono la vera fede , lo fa per conservare l'identità di fede in Gesù Messia e Figlio di Dio, fon­ damento della sua stessa esistenza, della sua esperienza di fede e di amore e del suo messaggio al mondo. Si presenta come una società alternativa nei confronti del «mondo», chiuso in sé , assolutizzato e contrapposto a Dio , sia esso da identificare con la sinagoga o con l'autorità politica romana o con i gruppi rivoluzionari o con i «falsi profeti». Insomma non si sente fuori del mondo, e non vuol essere fuori del mondo. È la comunità di Gesù, presente nel mondo, che intende trasformare e portare dalle tenebre alla luce , dall'odio all'a­ more e dalla morte alla vita mediante la fede .

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5.

LA TEOLOGIA GIOVANNEA DELLA RIVELAZIONE115

Prima di esporre i tratti fondamentali della teologia giovannea (Gv e 1-3Gv) , vanno affrontate un paio di questioni previe nella vi­ vace problematica attuale degli studi giovannei: anzitutto se la teo­ logia del QV sia unitaria o sia simile ad un tel/ archeologico di strati successivi , corrispondenti alle successive redazioni con diverse o ad­ dirittura contraddittorie teologie ; in secondo luogo come la teologia giovannea si rapporti a quella dei sinottici e a quella paolina . 5 . 1 . L'unità coerente della teologia giovannea

Quasi tutti gli esegeti attuali concordano nel sostenere che il QV abbia avuto due edizioni successive come dimostrato all'evidenza dalle due conclusioni di Gv 20,30-31 e 2 1 ,24-25 . 1 16 Il problema con­ seguente si può formulare cosl: il secondo editore del QV ha solo ag­ giunto l'ultimo capitolo a mo' di epilogo (o appendice) oppure ha riordinato l'edizione precedente, magari aggiungendovi altro mate­ riale di tradizione? Quale prospettiva teologica ha guidato il secon­ do editore? Era in continuità con la teologia della prima edizione o rie era in contrasto? In questi ultimi anni molte sono state le teorie redazionali proposte. È doveroso presentarle brevemente per esclu­ dere criticamente quelle che negano l'unità teologica del QV e la in­ tendono ricostruire o all'indietro, riandando con la critica letteraria

m Bibliografia essenziale: F.M. BRAUN , La foi chrétienne selon Saint Jean , Paris 1976; J . M . CASABO, La teologia mora/ de San Juan , Madrid 1970; l. DE LA PorrERIE, Studi di cristologiJJ giovannea, Genova 21986; l. DE LA PoTIERIE-S . LYONNET, La vita secondo lo Spirito , Roma 1967 ; Dooo, L 'interpretazione; A. FEUILLET, Le mystère de /'amour divin dans la théologie johannique (EB), Paris 1972 ; FoRTNA, The Fourth Go­ spel, 223-314; D. MoLLAT, lnitiJJtion à la Lecture Spirituelle de Saint Jean (Collecion Vie Chrétienne 1 ) , Toulouse 1964; Io. , Giovanni Maestro Spirituale, Roma 1980; S. A. PANIMOLLE, L'evangelista Giovanni. Pensiero e opera letteraria del quarto vange­ lo, Roma 1985 ; G . SEGALLA, S. Giovanni (Maestri di spiritualità) , Fossano 1972 ; Io. , «L'esperienza spirituale nella tradizione giovannea», in R . FABRIS, a cura, La spiri­ tualità del Nuovo Testamento , Roma 1985 , 339-397 ; D . Mooov SMITH , Johannine Christianity, Edinburgh 1987 (orig. am. 1 983); S.S. SMALLEY, John: Evangelist and Interpreter, Exeter 1978; W. STAEHLIN , Das Johanneische Denken , Witten 1954; G. STEMBERGER, La simbolica del bene e del male in San Giovanni, Milano 1972 ; M. SYL­ VIA, Pauline and Johannine Mysticism, London 1964; C. TRAETS, Voir Jésus et le Père en lui selon I'Evangile de Saint Jean , Roma 1 967. 1 16 ScHNELLE, Antidoketische, 25 , nota 94, elenca gli autori favorevoli rispettiva­ mente alla secondarietà od originarietà di Gv 2 1 .

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dalla redazione ecclesiastica a quella precedente dell'evangelista (R. Bultmann) , o in avanti , considerando valida l'ultima edizione , ma in contrasto con quella precedente (W. Langbrandtner) , impossibile da ricostruire (H . Thyen) ; si arriva ad ipotizzare addirittura tre teo­ logie diverse , in contrasto fra loro (G. Richter) . L'ultima proposta di U. Schnelle salva l'unità teologica del QV nel suo insieme ; però sarebbe costituita dall'unilaterale orientamento antidocetista del­ l'ultimo editore , che avendo aggiunto , oltre a Gv 21 , anche Gv 1 , 1418; 6,5 1c-58, ecc. , rappresenterebbe l'ultima risposta teologicamen­ te consistente della scuola giovannea alla controversia nata nella stessa comunità. L'inizio della controversia sarebbe da ravvisare nella 2Gv, il confronto critico nella 1Gv e per ultimo verrebbe il confronto teologico nel QV, dove la controversia è ormai superata. L'ultimo redattore sarebbe da identificare col «presbitero» della 2-3Gv . Questa tesi di U. Schnelle per un verso è in linea con quella di H . Thyen che esalta l'unità teologica attuale data dall'evangelista, un teologo di primo rango , per l'altro , per quanto concerne la suc­ cessione degli scritti giovannei, si allinea con G. Strecker nel suo re­ cente grande commento alle lettere giovannee . Ma percorriamo bre­ vemente la varie proposte a partire da Bultmann. R. Bultmann con la sua problematica e non accettata ricostruzio­ ne dell'ordine originale del QV mette in contrasto la teologia dell'e­ vangelista (opzione di fede salvifica di fronte al Rivelatore in contra­ sto col «mondm>: vita come conseguenza della fede e giudizio per il suo rifiuto) con quella del redattore ecclesiastico (salvezza mediante la chiesa e i sacramenti ; fede dogmatica ed escatologia futura) . Tale contrasto non regge nel confronto col tessuto strutturale e teologico del testo. Portiamo solo un esempio: secondo Bultmann Gv 5 ,28-29 è del redattore ecclesiastico, perché annuncia un'escatologia futura ; ma il testo è strettamente legato all'unità letteraria di Gv 5 , 19-30 ; in­ fatti l'uguaglianza del Figlio col Padre è rivendicata per il fatto che ambedue «risuscitano i morti» (Gv 5 ,21). Chi sostenesse la tesi di Bultmann potrebbe dire che Gv 5 ,21 è pure un'aggiunta del redatto­ re ; il guaio è che 5 ,21-23 formano un'unità letteraria compatta. Nel confronto con l'analisi strutturale oggi praticata , la teoria «teologi­ ca» di Bultmann perde ogni credibilità. W. Langbrandtner, praticando una serrata critica letteraria, se­ para con acritica sicurezza uno «scritto di base» , che propone un dualismo cosmico come fondamento di una salvezza attuale senza sacramenti, propria di una comunità settaria: Gesù, unica Parola della rivelazione divina, porta all'uomo la volontà di Dio e rende 359

possibile il passaggio dalla sfera inferiore a quella superiore ; chi si decide per il rivelatore raggiunge la salvezza. La teologia del redat­ tore avrebbe cambiato la concezione dualistica cosmica in quella in­ tramondana di «comunità e mondo», per cui la cosmologia dei due mondi (di sopra e di sotto) perde il suo carattere soteriologico ; cen­ tro della nuova soteriologia sono l'ecclesiologia, la morte espiatrice di Gesù, il sacramentalismo e l'escatologia futura . È evidente in questa teoria la ripresa della tesi bultmanniana, sia pure modificata: la teologia bultmanniana dell'evangelista corrisponde a quella dello «scritto di base» e quella della redazione è la stessa. Vale per Lang­ brandtner la stessa obiezione: fosse anche possibile ricostruire lo «scritto di base» (ciò che è discutibile) , non si riesce a capire perché il redattore l'avrebbe assunto per correggerlo invece di abbandonar­ lo per una propria teologia più coerente . G. Richter parte dal presupposto stori co che a ogni azione corri­ sponda una reazione simmetrica. Il QV non sarebbe unitario . La cri­ tica letteraria vi scopre la storia della comunità giovannea e quella della sua teologia in tre strati letterari successivi : il primo , giudeo­ cristiano (ebionita) , comprendeva la trama narrativa del Vangelo attuale senza i discorsi e una cristologia bassa, in cui Gesù era pro­ clamato Profeta-Messia. Il secondo stadio si distingue dal primo , perché vi aggiunge la cristologia elevata dei discorsi , che valorizza la preesistenza e la figliazione divina di Gesù . Ora tale cristologia ele­ vata suscita una reazione nella comunità, che si divide , per cui l'evangelista crea una nuova comunità fuori del giudeo-cristiane­ simo, mentre la comunità del primo stadio continua nel suo ebioni­ smo. Il terzo stadio è caratterizzato dall'effetto perverso causato dalla cristologia elevata (il docetismo) ; e la recezione docetista del­ l'evangelista spiega la reazione antidocetista del redattore finale , che si concretizza nelle aggiunte al Vangelo precedente con la sotto­ lineatura dell'incarnazione (Gv l , 14-18) , della corporeità del croci­ fisso risuscitato (Gv 19 ,34-35 .39-40 ; 20,2-10.24-29) , ecc. Anche se suggestiva nel suo insieme , questa ricostruzione manca di una plau­ sibile fondatezza storica: dove trovare una conferma dei gruppi , pre­ supposti dalla critica letteraria? È inoltre metodologicamente discu­ tibile la linearità coerente dei vari stadi , insieme alla dialettica nel rapporto sincronico. H. Thyen afferma con forza l'unità conclusiva del QV, per cui lo si deve interpretare a partire dal c. 2 1 . Questa redazione finale sa­ rebbe caratterizzata da una polemica contro il docetismo ingenuo dello scritto primitivo , che però non è più ricostruibile . Proprio in 360

vista della lotta antidocetistica il redattore aggiunse la seconda parte del prologo (Gv 1 , 14-18) , l'escatologia futura e i sacramenti (Gv 6,22.48-58 . . . ). Si scorge subito l'affinità di questa teoria con la pro­ posta di U. Schnelle , riportata sopra. Al di là delle varie ricostruzioni , nelle ultime proposte di Lang­ brandtner, Richter, Thyen e Schnelle si intravvede un elemento co­ mune : la redazione finale del QV sarebbe o antignostica (Lang­ brandtner) o antidocetista (Richter, Thyen e Schnelle) , in contrasto col docetismo ingenuo dell'edizione precedente (Thyen) o con l'in­ terpretazione docetista, consciamente combattuta dal redattore (Richter, Thyen e Schnelle) . L'ultimo redattore afferma con forza l'unità di Gesù col Cristo , Figlio di Dio e l'unità del Verbo incarna­ to . La proclamazione centrale del QV sarebbe quindi l'umanità del Verbo incarnato; mentre l'affermazione principale dell'edizione precedente sarebbe stata la divinità dell'uomo Gesù . J . Beutler, esa­ minando queste proposte recenti , conclude cosi la sua relazione su «La recherche Johannique aujourd'hui»: «Sotto il profilo teologico , la questione posta da Bultmann cinquant'anni fa non è ancora risol­ ta: il centro teologico di Giovanni è la confessione della divinità del­ l'uomo Gesù o la confessione dell'umanità del Logos?». 11 7 Mentre Gv 21 non ci è di alcun aiuto , perché ha carattere ecclesiologico , il resto del Vangelo confessa simultaneamente la divinità e l'umanità di Gesù: nel prologo (la divinità in 1 , 1-13, l'umanità in 1 , 14-18) e nel capitolo 20 conclusivo (l'umanità identificando il Signore risorto col Crocifisso in 20,21-27 e la divinità nella confessione di Tommaso in 20,28) . La critica letteraria ha diviso e continua a dividere ciò che l'evangelista ha unito e che viene dimostrato chiaramente dallo stu­ dio strutturale del QV. Riteniamo perciò unitaria la teologia del QV, il cui centro è la professione di fede nella divina umanità di Ge­ sù , fondata nell'incarnazione del Verbo-Dio. 5 . 2 . La specificità della teologia giovannea

Dalla questione dell'unità e coerenza interna della teologia gio­ vannea passiamo ora a quella della sua specificità nei confronti della teologia sinottica e paolina.

117 J .

nauté, 32.

B EUTLER, «La recherche» , in KAESTU - POFFET - ZUMSTEIN , La commu­

361

Rispetto ai sinottici il QV sposta il centro di interesse dal futuro regno di Dio alla persona divino-umana di Gesù e dall'appello alla conversione all'invito pressante a credere in Gesù, Cristo e Figlio di Dio (Gv 20,30-3 1 ) . In base alla sua scelta, Giovanni ha selezionato il materiale di tradizione (Gv 20,30) . Fermiamoci un momento a con­ siderare i due fuochi , in cui si articola la scelta giovannea: la fede personale in Gesù e la conseguente salvezza, già presente nel cristia­ no. Nella predicazione del Gesù sinottico la salvezza viene identifi­ cata con l'avvento del regno di Dio, la sua sovranità sul mondo , già iniziato nella persona di Gesù , ma aspettato nel futuro prossimo ; per avere la vita eterna in questo regno futuro occorreva convertirsi ed entrare nel movimento iniziato da Gesù . La salvezza viene pro­ spettata in categorie temporali, come nell'ambiente giudaico: l'eone presente e l'eone futuro. È nell'eone futuro che si compie la salvez­ za , ma solo entrando con la conversione nel regno di Dio, portato da Gesù. Dopo la risurrezione di Gesù nel tempo della chiesa la salvez­ za, oltre al polo futuro ne acquista un secondo , nel passato che è presente: Gesù con la risurrezione ha già raggiunto la salvezza inte­ grale e ce la dona se noi ci affidiamo a lui , Signore e Salvatore. Tut­ tavia deve ritornare come Figlio dell'uomo; la trepida attesa di Gesù si rivela nell'invocazione «Marana tha/Signore nostro vieni!>> (1Cor 16,22 ; cf. Ap 22,20) . Ora, nel QV la salvezza viene espressa col termine «vita» , «vita eterna» , e in termini spaziali invece che temporali: il mondo dall'al­ to/dal cielo e il mondo dal basso/dalla terra (Gv 3 , 3 1 ) , corrisponden­ te alla nascita rispettivamente dalla «carne» e dallo «Spirito» (Gv 3,6) . Secondo questa nuova prospettiva, il rivelatore discende dal cielo, dall'alto in questo mondo avvolto nelle tenebre (Gv 3 , 1 3 ; 6,33 .38.41 .42.50.5 1 .58 . . . ) per dare l a vista a i ciechi , l a vita a i morti e risalire poi di nuovo in cielo da cui era venuto (Gv 6,62 ; 16 ,28 ; 20, 17) . Da n , da presso il Padre chiama a sé gli uomini, all'intimità della fede e dell'amore (Gv 12,32 ; 14,18-23) . La vita eterna è donata al credente ora , la salvezza viene sperimentata ora mediante una nuova nascita dall'acqua e dallo Spirito , entrando in tal modo nel re­ gno di Dio (Gv 3 ,3-5). La vita eterna tuttavia non è una concezione totalmente diversa da quella sinottica del futuro regno di Dio. Infat­ ti il termine ebraico 'olam (eone) può significare sia un tempo lungo sia l'eternità. Dell' 'olam habbah/eone futuro Giovanni ha privilegia­ to 'olam , dandogli il senso di «eternità» . Il credente in Gesù possie­ de quindi una vita eterna già ora; ma non viene cancellato il futuro , come pensa Bultmann . Rimane aperto il compimento nel futuro con 362

la risurrezione operata da Gesù (Gv 6,39.40.44.54; 1 1 ,24-26) ; la morte fisica è un incidente secondario, superato già nella fede (Gv 1 1 ,25-26; cf. 8,51-52) . Unendosi mediante la fede a Gesù che ha la vita dal Padre , anche il credente riceve la vita divina, che continua al di là della morte . L'altro aspetto tipico della teologia giovannea è la fede personale in Gesù. La vita divina si realizza in un nuovo spazio, in una nuova dimensione : la relazione personale con Gesù . L'espressione lingui­ stica che meglio la connota è pisteuein eis/credere in , che non ricorre mai nella LXX e neppure nel greco profano ed è perciò tipicamente cristiana. Ora, tale espressione , mentre si registra solo 8 volte nel re­ sto del NT, nel QV ricorre ben 34 volte e 3 nella 1 Gv ; è perciò speci­ fica della teologia giovannea. «Credere in>> non può assumere che un oggetto personale ; non può avere come oggetto la legge ; e difatti il prologo proclama , che mentre Mosè è mediatore della legge , Gesù invece è all'origine di una nuova creazione : «la grazia della verità» (Gv 1 , 17) . Il rapporto personale con Gesù , aperto dalla fede , si con­ suma nel mistero dell'intimità col Padre mediante lo Spirito (Gv 6,5 1-58; 14,18-24 ; 17 ,6-26) . Un breve cenno , infine , alle somiglianze e differenze con la teo­ logia paolina . Ambedue , Giovanni e Paolo, sono teologi della fede . Ma in Paolo la parola più frequente per esprimerla è il sostantivo pi­ stis/fede, da cui si riceve gratuitamente la giustificazione e la salvez­ za ; mentre Giovanni la enuncia con l'espressione verbale pisteuein eis/credere in (solo una volta pistis nella 1Gv 5 ,4b) , l'atto del crede­ re , l'affidarsi alla persona di Gesù , Verbo incarnato. L'uno è pole­ mico nel proclamare la giustificazione mediante la fede contro la giustificazione mediante le opere della legge , mentre per Giovanni Gesù è il compimento della rivelazione storica fatta ai patriarchi , a Mosè e ai profeti ; è perciò in lui che il giudeo-cristiano ravvisa il compimento della volontà salvifica di Dio ; e a lui saranno condotte anche le «altre pecore», i «figli di Dio dispersi» (Gv 10,16; 1 1 ,52) . La salvezza in Cristo è per tutti senza distinzione sia per Paolo che per Giovanni, anche se espressa con categorie diverse (giustificazio­ ne e vita eterna) . 5 . 3 . I tratti fondamentali della teologia giovannea

Non potendo dilungarci nell'esporre anche solo una sintesi della teologia giovannea, ci limitiamo a delinearne alcuni tratti fonda­ mentali: l'inizio della teologia con la distanza storica, la tensione 363

verso l'unità, il simbolismo con cui si esprime , il dualismo dialettico , l'interiorizzazione e infine la prospettiva ecclesiale . 5.3. 1 . La distanza storica e l'inizio della teologia giovannea

Giovanni è l'unico evangelista che dice ai suoi lettori il momento in cui ha iniziato a capire quanto aveva visto e sentito durante la vita terrena di Gesù , il momento in cui aveva cominciato a capire la sua fede , cioè a fare teologia. Più che la distanza storica come tale , è un momento storico , che pone la vita di Gesù nel passato , ma la con­ templa in una luce nuova , quella della sua risurrezione-glorificazio­ ne, dietro la guida del «Paraclito» che rappresenta Gesù presso i di­ scepoli. Alla luce della risurrezione-glorificazione sotto la guida del­ lo Spirito i discepoli interpretano l'evento di Gesù col ricorso alla Scrittura (Gv 2,22 ; 12,16; 14,26) . Il riferimento alla Scrittura come concreto principio ermeneutico viene ricordato dall'evangelista pro­ prio nel momento in cui il DA vede il sepolcro vuoto e crede : «Non avevano infatti ancora capito la Scrittura , che egli doveva risuscitare dai morti» (Gv 20,9) . In Giovanni dunque , come in Paolo, l'inizio della teologia è l'annuncio della morte-risurrezione di Gesù, com­ preso alla luce della Scrittura . La mediazione del «Paraclito» , inter­ prete di Gesù , è solo indirettamente legata alla risurrezione , in quanto lo Spirito viene donato solo dal Signore glorificato (Gv 7 ,39; 16,7; 20,22) . Ma i detti sul Paraclito , interprete di Gesù , sono tutti inseriti nel discorso di addio (Gv 14,16.26; 15 ,26 ; 16,7) , mentre il ri­ ferimento alla risurrezione come momento di «apertura alla com­ prensione» si legge nella prima parte del QV (Gv 2,22 ; 12, 16) . La coordinazione fra risurrezione come momento dell'intelligenza della fede e il Paraclito come interprete di Gesù nella comunità giovannea è perciò solo implicita. E d'altro canto le funzioni del Paraclito sono molteplici : agisce da avvocato e testimone di Gesù nel processo del mondo contro di lui (Gv 15 ,26-16, 1 1 ) , da consolatore e sostegno dei discepoli nella persecuzione (Gv 14, 16-17; 15 ,26-27) , da interprete della tradizione di Gesù (14,25 ; 16, 12-15), da santificatore mediante il battesimo (Gv 3 ,3-5) e il perdono dei peccati (Gv 20,22-23) . Ponte di collegamento dalla tradizione di Gesù alla sua interpre­ tazione teologica nel tempo della chiesa è il DA, testimone della vita di Gesù, della sua morte (Gv 19,26-27 .31-36) e risurrezione (Gv 20 ,9) . Il Paraclito ha guidato lui e la sua comunità alla verità tutta (Gv 16, 13) . Qual è questa verità? 364

5.3.2. La tensione verso l'unità della rivelazione in Gesù

Nella risposta a questa domanda si svela il tratto più fondamen­ tale della teologia giovannea , la sua tensione verso l'unità e totalità della rivelazione salvifica di Dio Padre nel Figlio suo Gesù , Verbo incarnato , che , innalzato sulla croce e glorificato , dona lo Spirito per continuare la sua opera come interprete della rivelazione e mediato­ re della salvezza. La tensione verso l'unità è rivelata già dallo specifico vocabola­ rio del QV che impiega 4 volte il neutro singolare hen per significare l'unità della comunità credente (Gv 17 , 1 1 .21 .21 .22) ; l'aggettivo nu­ merale heis-hen viene usato poi altre 6 volte (Gv 1 ,3 ; 7,21 ; 10,16.30; 1 1 ,52 ; 17 ,23) in senso forte : per proclamare l'unità del Figlio Gesù col Padre ( 10,30) , l'unità del gregge e del Pastore ( 10, 16) , la raccolta in unità dei figli di Dio dispersi ( 1 1 ,52) , l'unità perfetta della stessa comunità (17,23) . Come D. Marzotto ha dimostrato nella sua mono­ grafia, 1 1 8 il motivo dell'unità, com'è formulato in Gv, ricorre solo nella filosofia greca , che va alla ricerca dell'unica origine del molte­ plice ; il suo significato salvifico Giovanni lo attinge però dal motivo profetico della riunificazione del popolo di Dio disperso nella nuova alleanza (cf. in particolare Ez 37 , 19) . Qui mi interessa comunque notare soltanto come il principio di unità agisce all'interno del mes­ saggio giovanneo, così da unire insieme realtà apparentemente con­ trastanti come l'umanità e la divinità di Gesù , l'escatologia presente e futura, la fede e i sacramenti , la persona e la comunità e così via. Vorrei illustrare l'influsso del principio di unità nell'ermeneutica teologica del QV in tre ambiti: la cristologia , l'antropologia e l'ec­ clesiologia. Per la cristologia abbiamo già ricordato il problema che secondo J . Beutler rimane ancora aperto: centro della teologia giovannea è la proclamazione dell'umanità del Verbo incarnato (contro un ini­ ziale docetismo) o della divinità dell'uomo Gesù (contro una cristo­ logia bassa di matrice giudeo-cristiana)? Mentre con le nostre cate­ gorie logiche tendiamo a dividere, Giovanni invece tende ad unire gli opposti. Egli contempla la divinità del Logos, Figlio unigenito del Padre nel Logos incarnato (Gv 1 , 1-5 .9-14) , allo stesso modo che nel­ la scena conclusiva del Vangelo Tommaso contempla la divinità nel

1 18 D. MARZOTIO, L 'unità degli uomini nel Vangelo di Giovanni (Supplementi al­ la Rivista Biblica 9}, Brescia 1977.

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Signore Gesù crocifisso (Gv 20,28) . Lo stesso principio ermeneutico dell'unità agisce nei discorsi di rivelazione , dove Gesù afferma nello stesso tempo la dipendenza assoluta dal Padre (Gv 5 , 19.30) e l'ugua­ glianza con Lui nel donare la vita e nel giudicare (5 ,17.20-22) in mo­ do che si onori il Figlio come si onora il Padre (5 ,23) . Lo stesso mo­ vimento si ripete in Gv 10,25-30, in cui Gesù afferma la sua unità col Padre nell'opera della salvezza ; e subito i giudei la interpretano in senso antologico e perciò lo accusano di bestemmia (10,31-33) . Un caso ancor più clamoroso si ha in Gv 8,28, dove l'uguaglianza (« , in EstBib/ 45(1981) , 403-492; G. SEGAllA, «"ll discepolo che Gesù amava" e la tradizione giovannea», in Teologia 14(1989) , 217-244 ; la redazione definitiva, leg­ germente modificata, è apparsa in Ricerche Storico Bibliche 2(199 1 ) , 1 1 -35 ; M. HEN­ GEL, The Johannine Question , London-Philadelphia 1989. 125 SEGALLA, «"Il discepolo che Gesù amava">>. 1 26 M.E . 80ISMARD-E . CoTHENET, La tradizione giovannea (Introduzione al Nuovo Testamento 4, a cura A. George e P. Grelot), Roma 1978 (orig. 1977) , 249272 ; D . Muriio z LEoN , «(,Es el apostol».

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Prima di addentrarmi nella soluzione del problema, vorrei rias­ sumere il dibattito recente che , data l'enigmaticità e la complessità dei dati , ha acuito l'ingegnosità e stimolato la fantasia degli esege­ ti . 1 27 Tuttavia ultimo giudice di ogni questione sono sempre i dati obiettivi , esaminati con una critica non pregiudiziale . Tralasciando le proposte non più attuali , elenchiamo brevemente quelle attual­ mente in circolazione . l} L'ipotesi più radicale considera il DA una figura ideale (Loi­ sy , Kragerud) o una finzione letteraria (Kiigler} , per cui scompare il portatore storico e il testimone di tradizioni affidabili . Il QV sarebbe un'opera di carattere letterario e teologico, ma non storico. Solo una minoranza degli esegeti abbraccia questa prima ipotesi . 128 2) Una seconda ipotesi sostiene che il DA è sl una persona stori­ ca, ma non un discepolo di Gesù . Fu il fondatore della scuola gio­ vannea, un cristiano di Gerusalemme legato alla comunità di Qum­ ran (E. Ruckstuhl) . Il parallelo col Maestro di giustizia, fondatore della comunità di Qumran , viene invocato per asserire la storicità del personaggio (J . Roloff) . 3) C'è chi identifica il DA non solo con un personaggio storico , fondatore della �omunità giovannea, ma con un anonimo discepolo gerosolimitano del Signore, allo scopo di spiegare il suo interesse per la città santa , per la Giudea e le sue conoscenze nell'ambiente sacerdotale presupposte da Gv 18,15 (proposta da R. Schnacken­ burg e R.E. Brown dopo aver scritto il loro commentario, ove espo­ nevano l'ipotesi più tradizionale) . M. Hengel nella sua recente mo­ nografia lo identifica più precisamente col «presbitero Giovanni>> , discepolo del Signore, che compare insieme ad Aristione nel testo di Papia , citato da Eusebio (H. E. , 111,39.4) . Siccome l'apostolo Gio­ vanni sarebbe morto martire , bisognerebbe cercare un altro «Gio­ vanni>> come autore del QV e questi sarebbe appunto il «presbitero Giovanni» , che avrebbe scritto da giovane (al tempo di Nerone) l'A­ pocalisse (ma «Giovanni>> dell'Apocalisse potrebbe essere anche uno pseudonimo) , poi il QV e da vecchio le lettere che danno come autore appunto «il presbitero». 1 29 4) L'ipotesi più diffusa nell'ambiente esegetico europeo non te­ desco è quella sostenuta nel suo grande commento da R.E. Brown. 1 27 HENGEL, The Johannine Question , 130. 128Si veda l'opera recente di H.J . KOGLER, Der Junger, den Jesus /iebte, Stuttgart 1988 e la mia recensione critica in RivB 37(1989) , 351 -363 . 1 29 Una convincente e accurata critica dell'ipotesi di M . Hengel è condotta da MuNoz LEòN, «i.,? Es el apostol», 543-563 . 373

Egli ritiene che la concezione moderna di «autore letterario» do­ vrebbe essere modificata quando viene applicata ai Vangeli e in par­ ticolare al QV; nell'«autore» dovrebbero essere incluse due perso­ ne: il DA , Giovanni figlio di Zebedeo che sta all'origine della tradi­ zione , e l'evangelista che scrisse il Vangelo . 5) Infine vi è chi identifica autore e scrittore col DA , Giovanni apostolo (J . A.T. Robinson, L. Morris ) . Invece di addentrarmi ad esaminare queste varie ipotesi , preferi­ sco proporne una, che meglio risponde , a mio avviso , ai dati storico­ letterari a nostra disposizione. Procederò quindi per tre tappe suc­ cessive studiando successivamente : l'autore implicito , l'autore del QV proposto dalla tradizione e il confronto fra i due . 6 . 1 . L'autore implicito

Il QV, a differenza dei primi tre , dà al suo autore il nome onori­ fico di «discepolo che Gesù amava» ( Gv 13 ,23 ; 19,26 ; 20 ,2; 21 ,7.20) . Non è lui però che parla della sua opera e del suo metodo come fa Luca nel prologo del suo Vangelo (Le 1 , 1 -4) . È il gruppo dirigente la comunità che esce allo scoperto , ma solo alla fine , per dirci: «Questi ( il DA ) è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte , e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera» (21 ,24) . È quel discepo­ lo , da poco scomparso, la cui morte ha suscitato uno scandalo nella comunità perché Gesù risorto aveva detto a Pietro : «Se voglio che lui rimanga finché io ritorno , che interessa a te?» (21 ,22) . Ed è que­ sto forse l'argomento più forte a sostegno della consistenza storica del DA. Nell'ultimo versetto del QV lo scrittore si presenta però col suo volto , al singolare , concludendo con questa bella iperbole: «Vi sono molte altre cose che fece Gesù ; se fossero scritte ad una ad una , pen­ so neppure il mondo potrebbe contenere tutti i libri che si scrivereb­ bero» (21 ,25). Negli ultimi due versetti del QV (21 ,24-25) è conte­ nuto il segreto del suo autore : l) un discepolo testimone sta all'origi­ ne delle cose scritte nel libro ; 2) un gruppo dirigente si fa garante presso i lettori che la testimonianza del discepolo è verace ; 3) un au­ tore , che alla fine , esprime la sua opinione sulla straordinaria impor­ tanza di ciò che fece Gesù , non di ciò che è Gesù (che è comunque presupposto ) . Ciò che si deve credere sia Gesù , l'aveva già detto l'autore nella finale precedente , per certi versi simile : «Molti altri segni fece ovviamente Gesù davanti ai suoi discepoli . . . Questi sono stati scritti , affinché crediate che Gesù è il Cristo il Figlio di Dio e 374

credendo abbiate vita nel suo nome» (20,30-3 1 ) . Oltre che in 21 ,2425 , la diversità fra testimone ed evangelista compare anche in 19,35 , dove l'autore letterario rimanda in terza persona a l testimone privi­ legiato ai piedi della croce e invita i lettori a credere come farà nella prima finale di 20,30-3 1 . Dalla conclusione del QV e dal modo in cui l'autore parla del DA si può dunque dedurre che l'evangelista è di­ verso dal DA, il testimone garante della tradizione . Con questo dato , ricavato dal QV, procediamo alla lettura dei testi sul DA. Vi sono sei testi , a partire dall'ultima cena, che sicura­ mente si riferiscono alla sua figura e sono letterariamente appaiati: il primo (13 ,23-25) e l'ultimo (21 ,20-23 , in cui 21 ,20 si richiama insi­ stentemente a 13,23-25) fanno da cornice ; due testi lo descrivono ai piedi della croce : 19,26-27 ( Gesù gli affida la Madre ) e 19,35 (è testi­ mone del colpo di lancia ) ; due infine lo fanno testimone del Signore risorto (20,2-10 e 21 ,7) . Escludiamo 18,15 che parla di «un altro (allos) discepolo>> che introduce Simon Pietro nel cortile del sommo sacerdote : non vi si legge la formula usuale «il discepolo che Gesù amava», non è indicato come «l'altro/ho allos discepolo», nel qual caso si potrebbe identificare con «l'altro discepolo , che Gesù amava» di 20,2; può trattarsi di un discepolo occulto di Gesù come lo furono Nicodemo o Giuseppe di Arimatea, certamente di Geru­ salemme. In conclusione: l) il DA è il testimone che il gruppo giovanneo assicura garante della tradizione scritta nel Vangelo (21 ,24) ; 2) è il discepolo più intimo di Gesù ; 3) compare vicino a Pietro , in suo aiu­ to (13,24-26; 21 ,7) o in concorrenza con lui (20,2-10; 21 ,20-23) ; 4) è testimone delle ultime vicende drammatiche di Gesù , a partire dal­ l'ultima cena al Calvario , alla tomba vuota, fino al Signore risorto ; 5) è probabile che fosse uno dei primi discepoli , per cui si potrebbe identificare con l'anonimo discepolo che incontra per primo Gesù con Andrea; una tenue prova in questo senso potrebbe essere la sua qualifica di «akolouthon» in 1 ,38. 40 e 21 ,20; 6) è pure probabile che fosse della Galilea, perché lo troviamo tra i sette che pescano sul la­ go di Tiberiade (21 ,7) ; 7) è testimone e interprete ed è pure il vene­ rato fondatore della comunità giovannea, cui appartiene il gruppo che ufficialmente testimonia alla fine del Vangelo . Dal DA e da questa sua carta di identità passiamo ora all' e van ­ gelista. Dove trovarne la carta di identità? È implicita nella stessa composizione del QV. Dev'essere stato uno che conosceva abba­ stanza bene il greco , quello parlato in ambiente giudaico. Conosce­ va molto bene la Scrittura tanto da poterla impiegare liberamente 375

per interpretare la persona e la missione di Gesù . Doveva vivere pe­ rò in ambiente ellenistico tanto da assorbirne la mentalità diffusa e le espressioni più comuni. Dev'essere stato in contatto con gruppi giudaici marginali , come i qumraniti, i samaritani e i battisti . Ma so­ prattutto dev'essere stato un teologo di primo piano , che sapeva esprimere pensieri profondi con un linguaggio semplice , ma carico di significato. Egli usa a tale scopo il simbolismo , l'enigma , motivi che hanno risonanze in mondi diversi , come il Logos del prologo . Egli utilizzò tradizioni diverse con uno stile fortemente unitario: sti­ le nel senso letterario e semantico . Potrebbe essere lui anche l'auto­ re delle lettere, perché vi si riflette lo stesso stile , anche se più sbia­ dito , dovuto forse all'età (M. Hengel) . Certamente era del gruppo del DA ; potrebbe darsi sia stato anche lui «discepolo del Signore», ma non lo sappiamo . È probabile comunque che sia di origine pale­ stinese ; ma non è escluso fosse un giudeo ellenista della diaspora . Ciò spiegherebbe meglio la sua affinità e diversità con la cultura el­ lenistica. Oggi si è sempre più scettici invece verso l'ipotesi di una scuola o di una comunità come responsabile dell'unità stilistica e teologica del QV e delle lettere . 6 . 2 . L'autore del QV nella tradizione ecclesiale

Va detto subito che la tradizione ecclesiale non distingue , come facciamo noi moderni, fra DA ed evangelista; per essa sono un tut­ t'uno . Il problema quindi si riduce al nome da dare al DA. Il titolo del Vangelo, già nella primissima tradizione manoscritta agli inizi del III secolo (P66 e P76 ) , porta la specificazione «Secondo Giovan­ ni» , ma non dice di quale Giovanni si tratta, anche se è ovvio pensa­ re all'apostolo. Non intendiamo qui ripercorrere criticamente le testimonianze della tradizione e tanto meno discuterle ; i testi e la loro discussione si possono leggere in qualsiasi buona introduzione al QV. Intendia­ mo piuttosto illustrare il valore storico della tradizione ecclesiale sul­ l'autore del QV, fondandolo sulla datazione antica e la qualità dei testimoni . Va detto subito che la tradizione è unanime sul nome dell'auto­ re: Giovanni apostolo. La contestazione di questa tradizione è nata non per testimonianze diverse, magari di una tradizione più antica, ma per motivi di controversia teologica o di coloro che combatteva­ no i millenaristi e quindi l'Apocalisse , o di altri che lottavano contro

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i montanisti che strumentalizzavano in loro favore la dottrina del «Paraclito» , o contro gli gnostici che svisavano e interpretavano in loro favore il QV (Teodoto, Eracleone . . . ) Quanto alla datazione è errato dire che la tradizione di Giovanni apostolo , autore del QV, data dalla fine del II secolo a partire da Ireneo e Teofilo di Antiochia. Si hanno due attestazioni già verso la metà del II secolo. La prima è quella di Leucio Carino nel libro apo­ crifo Gli Atti di Giovanni, un libro pieno di leggende e intriso talora di docetismo, ma che attesta una tradizione già presente ad Efeso verso il 150. Più importante ancora è la testimonianza di alcuni documenti ar­ meni della metà del II secolo 1 30 i quali affermano che Papia conosce­ va il QV e lo attribuiva all'apostolo Giovanni ; tale testimonianza è confermata da un'altra , indipendente , il cosiddetto «prologo latino antimarcionita» datato a circa il 170, che attribuisce pure a Papia l'asserzione che Giovanni apostolo sarebbe stato autore del QV. La notizia, attestata da due fonti diverse e non smentita da Eusebio, che di Papia cita solo ciò che gli interessa, farebbe risalire a Papia e quindi verso il 120 la tradizione che Giovanni apostolo sarebbe auto­ re del QV. Fra le testimonianze della seconda metà del II secolo la più im­ portante è quella di Ireneo, perché proveniva dall'Asia e perciò por­ tava con sé tradizioni di quell'ambiente. Aveva ascoltato Policarpo che a sua volta era venuto in contatto con l'apostolo Giovanni , come egli stesso dice nella Lettera a Fiorino. 1 3 1 La notizia che ci offre Ire­ neo è molto sobria a differenza di altre, più leggendarie , come quel­ le di Policrate e del Canone Muratoriano . La sua testimonianza dun­ que non fa che confermare una tradizione documentata già prima di lui fino ad arrivare indietro alla metà del II secolo . Data la massiccia e concorde testimonianza della tradizione ecclesiale antica , mi pare che si debba per lo meno verificare se tale notizia può avere un buon .

130 Si tratta di citazioni di Papia. Siccome non si trovano nelle usuali introduzio­ ni, mi permetto di rimandare per la documentazione a F. SIEGERT, «Unbeachtete Pa­ piaszitate bei Armenischen Schriftstellem», in NTS 27( 1981 ) , 605-614; una loro valo­ rizzazione per il Vangelo di Marco , fatta da M. Hengel, in P. STUHLMACHER, a cura , Das Evangelium und die Evangelien (WUNT 28) , Tiibingen 1983 , 244-252; per il QV si può consultare D. Mu No z LEON , «Juan el presbitero y el discipulo amado>> , in Estu­ dios Biblicos 48(1 990) , 543-563 (552) . 131 Da EusEBIO , H. E. V, 20:5-8.

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fondamento storico ed essere quindi plausibile . Passiamo perciò ad un confronto fra l'autore implicito nel QV e l'autore proposto dalla tradizione . 6 . 3 . Il DA è l'apostolo Giovanni?

La tradizione così antica , che attesta essere Giovanni apostolo l'autore del QV, non è certo critica come la scienza moderna. Ha ca­ rattere testimoniale . Non percepisce certo il problema storico-lette­ rario né la complessità del QV. Tuttavia non è priva di due elementi interessanti : l) viene anzitutto segnalata la presenza dei discepoli nell'impulso a comporre il Vangelo (Canone Muratoriano e Cle­ mente Alessandrino) ; 2) inoltre viene registrata nel prologo anti­ marcionita latino del 170 una polemica implicita ( «adhuc in corpo re constituto») contro coloro che collocavano il Vangelo dopo la morte del DA, come fa lo stesso redattore finale (Gv 2 1 ,22-23). Mentre è unanime il consenso sul nome dell'apostolo Giovanni , i particolari sul modo in cui egli avrebbe composto il Vangelo sono diversi e controversi. E la controversia che coinvolge l'autore conti­ nua fino ad oggi. Verifichiamo dunque la plausibilità del nome dato al DA, autore del QV. L'apostolo Giovanni , come lo conosciamo dalle altre fonti (Vangeli sinottici, Atti e Paolo) , risponde quasi per­ fettamente a tutti i connotati del DA : l) fu uno dei tre discepoli più intimi di Gesù ; 2) fu compagno di Pietro ancor prima di divenire discepolo di Gesù , perché sembra che insieme al fratello Giacomo costituisse una specie di azienda ittica con Pietro e il fratello Andrea a Cafar­ nao (Le 5 , 10) ; 3) lo si trova a dirigere con Pietro e Giacomo la primitiva comu­ nità di Gerusalemme secondo i primi capitoli degli Atti e Gal 2,9; 4) un punto critico è invece il fatto che fosse vicino al Calvario alla morte di Gesù , quando i sinottici dicono che i discepoli erano fuggiti e solo un gruppo di donne discepole di Gesù guardavano «da lontano» ; 5) così non vi sono nei sinottici e in altre fonti racconti particolari sulla sua esperienza del Signore risorto , a parte le apparizioni ai «Dodici» in cui certo era incluso ; 6) circa la conoscenza particolare della Giudea e della città san­ ta, rivelata dall'autore del QV, potrebbe essere dovuta agli anni tra­ scorsi a Gerusalemme nella comunità delle origini. 378

L'unico punto veramente critico in questi tratti della carta di identità del DA è la presenza di Giovanni al Calvario ; un debole in­ dizio in suo favore potrebbe essere la presenza della «madre dei figli di Zebedeo)) in M t 27 ,56 fra le donne sul Golgota; con la madre po­ teva esserci il figlio Giovanni . Le altre difficoltà che si sollevano contro l'identificazione del DA con Giovanni apostolo sono a mio avviso di poco conto : l) la qualifica di «pescatore)) galileo ( = provinciale) e quella di «illetterato)) in At ( 4, 13) non rendono impossibile la sua funzione di testimone intelligente e personale ; come pescatore apparteneva a quella che oggi si chiamerebbe «classe media)), L'«essere illetterato)) riguarda, infine , la sua preparazione culturale e non la sua intelli­ genza. Ricordiamo inoltre che , secondo la nostra ipotesi , egli non va identificato con l'autore letterario del QV. 2) Una seconda obiezione viene mossa dal fatto che il DA aveva delle conoscenze nell'ambiente del sommo sacerdote ; ma il testo a cui ci si appella (Gv 18, 15) non necessariamente riguarda il DA . Vorrei , infine , riportare due ulteriori ragioni per identificare il DA con l'apostolo Giovanni : l) solo così infatti si può dare una risposta plausibile ad un fatto che altrimenti rimane un mistero, come confessa lo stesso Brown , pur essendo egli di opinione diversa: 1 32 la mancanza assoluta nel QV del nome degli apostoli Giacomo e Giovanni , a parte «i figli di Ze­ bedèo)) di Gv 21 ,2. Nel QV sono citati per nome ben 6 discepoli di Gesù ; come mai non compaiono né Giacomo né Giovanni , che , se­ condo la tradizione sinottica, appartenevano al gruppo dei tre inti­ mi? Se DA è la qualifica onorifica data all'apostolo Giovanni dalla sua comunità, si spiega perché egli campeggi nella seconda parte del Vangelo. 2) Una seconda ragione è l'accordo fra il dato conclusivo della seconda edizione del QV (Gv 2 1 ,20-23) che presuppone il DA mor­ to in tarda età e il dato di Ireneo (Adv. Haer. 111,3 :4) , riportato an­ che da Eusebio (H. E. , 111,23 : 4) , che Giovanni rimase nella chiesa di Efeso sino all'epoca di Traiano (98-1 17 d.C. ) , e ciò sarebbe coerente anche col titolo di «presbitero)) con cui si qualifica l'autore della 2-3Gv . Esaminati gli argomenti pro e contro l'identificazione di Giovan­ ni apostolo col DA, sembra che egli sia ancora il miglior candidato . Con ciò non è certo tutto risolto quanto riguarda l'autore . L'autore 132

BROWN , La comunità, 35 , nota 47 .

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letterario e teologico , cioè l'evangelista, rimane ancora senza nome , all'ombra di quello di Giovanni e confuso nel gruppo dirigente della scuola giovannea; compare col suo volto sfuggente nell'ultima breve proposizione dell'ultimo versetto del Vangelo (Gv 21 ,25b) . L'unità stilistica , letteraria e teologica del QV e delle lettere fanno pensare a uno stesso autore . Ma anche se si ipotizzassero autori diversi , appar­ terrebbero tutti certamente al gruppo giovanneo. L'unità di ispira­ zione originaria della tradizione giovannea va però e comunque at­ tribuita al DA, cioè all'apostolo Giovanni , discepolo del Signore e fondatore della comunità giovannea. Lo scrittore , uomo di una certa cultura giudeo-ellenistica, sensi bile al mondo greco-romano , nono­ stante la sua opposizione al mondo chiuso alla fede , ha redatto con grande accuratezza e maestria la tradizione giovannea, imprimen­ dole una forte unità letteraria e teologica. 6 . 4 . Le coordinate spazio-temporali

Più facile che per gli altri Vangeli è la determinazione del luogo e del tempo in cui fu composto il QV. La tradizione del II secolo è concorde sulla dimora di Giovanni a Efeso e sulla conseguente com­ posizione del QV nella stessa città (Leucio Carino, Ireneo e Policra­ te) ; l'archeologia conferma la notizia di Policrate sulla tomba di Giovanni a Efeso. 1 33 Le lettere dell'Apocalisse orientano pure alla provincia dell'Asia come ambiente delle comunità giovannee. Efe­ so , capitale di provincia, era una città cosmopolita, culturalmente vivace , se pensiamo che Celso vi possedeva una biblioteca privata famosa nell'antichità , di cui rimangono ancora imponenti rovine . L'alternativa più frequente ad Efeso è Antiochia, per l'affinità del QV con le «Odi di Salomone» e con le lettere di s. Ignazio di Antio­ chia. Ma è troppo poco . Quanto alla data, una volta tanto gli studiosi sembrano quasi tutti d'accordo sullo scorcio del I secolo , sia per le testimonianze della tradizione sia per i riferimenti interni al QV, separazione dalla sinagoga e lotta contro iniziali movimenti eretici . Vi è però qualche esegeta che insiste a spostare ancora più avanti la data della compo­ sizione finale del QV, come G. Strecker e il suo discepolo U. Schnelle : verso la metà del II secolo . Ma ciò sarebbe in contrasto

1 33 F. M . BRAUN, Jean le Théologien, et son Evangile dans l'Eglise ancienne, Paris 1 959, 365-374.

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con la notizia di Papia che verso il 120 conosceva già il QV. Al lato opposto J . A .T. Robinson pone la data della composizione prima del 70; ma la sua proposta, per quanto acuta ed intelligente , è rimasta isolata.

CONCLUSIONE

Il QV ci ha impegnato più a lungo che i Vangeli sinottici . Il moti­ vo è oggettivo . Proprio intorno a questo Vangelo si è sempre com­ battuto dai primi tempi della chiesa fino ad oggi. Rinnegato o stru­ mentalizzato dagli eretici , cavallo di battaglia nelle controversie cri­ stologiche del IV e V secolo , rimane ancor oggi al centro di accese controversie . È il Vangelo più affascinante per il mistero che lo cir­ conda e che corrisponde al grande mistero della persona di Gesù . Nessuno ha osato volare così in alto e cercare cosi lontano l'origine di questo mistero nella preesistenza divina del Logos e nella sua in­ carnazione , neppure Paolo . In nessuno scritto del NT si trova una cristologia cosi elevata e una dottrina trinitaria così esplicita. È com­ prensibile perciò che sia affascinante per chi accoglie , nella fede , la persona di Gesù di Nazaret, Cristo e Figlio di Dio , Salvatore del mondo ; ma è nello stesso tempo «duro» e scandaloso per chi non lo accetta. Su una cosa sono tutti d'accordo : nessuno è riuscito ad esprimere con tanta potenza e nello stesso tempo con mezzi sempli­ cissimi l'enorme impatto della personalità di Gesù nella storia, sia in quella del Gesù storico , sia in quella seguita alla risurrezione e alla glorificazione e sia in quella del Signore presente nella chiesa e at­ traverso di essa nella storia umana mediante la sua autorità salvifica di amore e il suo Spirito. Vicinissimo all'ambiente ebraico , eppure così diverso , simpatizzante con l'ambiente ellenistico , eppure cosi ad esso opposto . Forse proprio perché è il più cristologico e cristiano dei libri del NT.

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Capitolo settimo La storia di Gesù nella storia degli uomini

Terminata la lunga analisi delle redazioni evangeliche , vogliamo ora raccogliere una breve riflessione conclusiva per un quadro di in­ sieme a livello letterario , storico e teologico. l.

I VANGELI-ATI! COME LETIERATURA

Nel genere letterario «vangelo>>, rappresentato dai quattro Van­ geli canonici , ciò che maggiormente stupisce il lettore è il fenomeno dell'anonimia . Apparentemente fa eccezione il QV che alla fine ci dà il nome onorifico dell'autore , il DA ( Gv 21 , 14) ; ma è in realtà so­ lo un titolo di onore , che nasconde il vero nome , sul quale infatti , come abbiamo visto , tuttora si discute . Neppure il terzo evangelista ci concede il suo nome , pur spiegando al lettore , secondo il costume letterario del tempo , il metodo e il fine del suo lavoro ( Le l, 1-4) ; un nome viene fatto , quello di «sua eccellenza Teofilo» , cui è dedicata l'opera ; ma anche di costui non sappiamo nulla al di là del nome . Il fenomeno dell'anonimia letteraria è comune con la letteratura storiografica dell'AT e non con quella greco-romana. Lo stesso Fla­ vio Giuseppe , grande storiografo giudeo-ellenista, non solo parla di sé , ma ne parla molto e con toni di autoesaltazione . Data questa anonimia «biblica», siamo stati costretti a rincorrere l'autore implicito nell'opera e a confrontare il suo identikit con i dati della tradizione ecclesiale su di lui; ci soccorre , a questo riguardo, già l'inscriptio iniziale ( «Vangelo secondo Matteo . . . » ) , che risale al tempo in cui i Vangeli cominciarono ad essere letti nella liturgia, quindi molto presto ; come abbiamo visto , ricorre già nei papiri più antichi della fine del II secolo e inizi del III. Le testimonianze eccle­ siali però , quando parlano degli autori dei Vangeli , si interessano di loro non sotto il profilo letterario , ma piuttosto sotto quello dell'ori­ gine apostolica della tradizione , da loro messa per iscritto. Trattando del QV, sulla scorta di J . Roloff, abbiamo già notato l'affinità tra il DA e il Maestro di Giustizia in Qumran quali fonda383

tori di comunità ; ma nell'affinità vi è anche una profondissima diffe­ renza , in quanto la qualifica di «discepolo che Gesù amava» dice il suo rapporto essenziale con la persona del Maestro e Signore unico : di Lui il DA è testimone autentico . E così perveniamo forse al vero motivo ultimo dell'anonimia. Nessun evangelista ha osato porre il suo nome accanto a quello di Gesù, di cui raccontava la persona e la storia. È Lui )'«Unico Maestro» ( Mt 23 ,8) , è Lui l'«Unico Pre­ cettore» ( Mt 23 , 10) ; è Lui il vero protagonista e autore ultimo dei Vangeli . Un secondo motivo dell'anonimia potrebbe essere stato origina­ to dal carattere ecclesiale del «vangelo» ; l'evangelista r�dasse una tradizione apostolica particolare sulla persona e la storia di Gesù in funzione di una comunità. È questo il presupposto obiettivo su cui si fonda l'attuale ricerca del volto della comunità in cui e per cui sono stati redatti i Vangeli. In altre parole , anche se il Vangelo è alla fine l'opera di un singolo autore di alto livello , tuttavia egli intende esse­ re testimone di Gesù e interprete della chiesa più che un vero e pro­ prio «autore» che esprime il suo genio letterario e teologico. Più che la pseudonimia , sarebbe dunque da studiare l'anonimia dei Vangeli, proprio perché implica un profondo significato cristolo­ gico ed ecclesiale . L'evangelista è e si sente un «uomo di chiesa» che per essa raccoglie e interpreta la tradizione apostolica su Gesù . Ciò vale per tutti i Vangeli , anche per quello di Luca, che , seguendo le convenzioni letterarie del tempo , dedica la sua opera in due libri a