La persona di Gesù Cristo nei quattro vangeli 8839405291, 9788839405296

Il disagio per il metodo storico-critico, che ha portato la ricerca su Gesù a risultati molto differenti, ha indotto l&#

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La persona di Gesù Cristo nei quattro vangeli
 8839405291, 9788839405296

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Questo saggio vuol essere di stimolo a ripensare questioni fondamentali. Il di­ sagio per il metodo storico-critico, che ha portato la ricerca su Gesù a risultati molto differenti, ha indotto l'autore a tentare un approccio diverso alla per­ sona di Gesù Cristo, persona storica vi­ vente ancora nella chiesa. Questo ten­ tativo prende le mosse dalla visione di fede dei quattro evengelisti, la quale si basa su tradizioni storiche e ha prodot­ to in ciascuno di loro un'immagine pro­ pria di Gesù Cristo, diversa a seconda del tempo e delle circostanze. Seguen­ do l'impianto e le intenzioni delle sole fonti disponibili, i quattro vangeli, è tuttavia possibile oltrepassare questo orizzonte storico e chiedersi,

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stante tutte le difficoltà relative a tradi­ zione e redazione, che cosa quei testi vogliano effettivamente dire. Il libro si colloca quindi tra fede e storia. È l'ope­ ra di un credente che, nonostante l'in­ certezza provocata dalla ricerca scien­ tifica e dal dialogo critico, non cessa d'interrogarsi sulla sua fede nella figura di Gesù Cristo salvatore e redentore. Rudolf Schnackenburg, professore eme­ rito di esegesi del Nuovo Testamento al­ l'Università di Wiirzburg, al lettore ita­ liano è noto soprattutto per il suo cele­ bre commento al vangelo di Giovanni (in 4 volumi), edito nel «Commentario teologico del Nuovo Testamento». In que­ sti «Supplementi» ha pubblicato la più esaustiva introduzione all'etica neotesta­ mentaria oggi disponibile: Il messaggio morale del Nuovo Testamento (in 2 volu­

mi, 1989, 1990). ISBN 88.394.0529.1

PAIDEIA EDITRICE

Commentario teologico del Nuovo Testamento A cura di Alfred Wikenhauser t, Anton Vogtle, Rudolf Schnackenburg

Supplementi

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Paideia Editrice

Rudolf Schnackenburg

La persona di Gesù Cristo nei quattro vangeli

Paideia Editrice

Titolo originale dell'opera: Rudolf Schnackenburg

Die Person]esu Christi im Spiegel der vier Evangelien Traduzione italiana di Franco Bassani

Opera pubblicata con il contributo della fondazione lnter Nationes, Bonn © Verlag Herder, Freiburg im Breisgau 1993 © Paideia Editrice, Brescia 1995

ISBN

88.394·0529.1

PER L'OTTANTESIMO COMPLEANNO DEGLI STIMATISSIMI COLLEGHI

E COMPAGNI DI STRADA, PROF. D. DR. HEINZ SCHÙRMANN, ERFURT

(18.1.1913),

PROF.D. DR. EDUARD SCHWEIZER, ZÙRICH (18.4.1913), IN SEGNO DI GRANDE RICONOSCENZA

PREMESSA

Il disagio per il metodo storico-critico, che ha portato a risul­ tati molto differenti nel campo della ricerca su Gesù, nella quale mi sento impegnato fin dall'avvio dell'esegesi biblica cattolica con l'enciclica Divino Afflante Spiritu (1943), mi ha indotto a tentare, per una volta, un approccio diverso alla per­ sona di Gesù Cristo, venuto storicamente e, a un tempo, vi­ vente ancora presso Dio e nella chiesa. Questo tentativo pren­ de le mosse dalla visione di fede dei quattro evangelisti, la quale si basa su tradizioni storiche e ha portato ciascuno di lo­ ro a un'immagine di Gesù Cristo che varia in base al tempo e alle circostanze dei vangeli. In tal modo, le basi storiche ven­ gono innalzate a un'immagine di fede che si rispecchia in ma­ niere differenti nei quattro vangeli, ma che consente di indivi­ duare una convinzione comune di fede, rimasta come guida determinante per i secoli successivi fino al nostro tempo. Sono ben consapevole della problematicità di una tale in­ trapresa. Ho esitato a lungo prima di pubblicare questo libro, che in definitiva intende servire a far incontrare il Gesù vi­ vente, che continua a vivere e che ci sollecita nel presente. Il libro è problematico perché gli uomini d'oggi, in virtù della spiegazione biblica razionale, della scienza storica e dei mezzi moderni, sono spinti di continuo a chiedersi che cosa è accadu­ to realmente, che cosa possiamo sapere effettivamente e affer­ mare con sicurezza di Gesù di Nazaret. Credo tuttavia che, seguendo l'impianto e le intenzioni delle sole fonti che abbia­ mo a disposizione, i quattro vangeli, noi dobbiamo oltrepassa­ re questo orizzonte storico e chiederci, nonostante tutte le difficoltà relative a tradizione e redazione, che cosa quei testi vogliono dirci realmente. È chiaro che il destinatario cui guar-

IO

Premessa

dano, ciascuno dalla sua situazione e con una specifica inten­ zione, è la comunità dei credenti. Il libro si colloca quindi tra fede e storia, non senza richiamare la ricerca critica su Gesù, di cui ho tenuto in considerazione i risultati, ma che non in­ tendo discutere nei particolari. Amici e colleghi mi hanno in­ coraggiato a osare questo tentativo. Nel corso del lavoro mi sono attenuto a quel che ho creduto di individuare nei singoli vangeli e ho quindi seguito l'esposi­ zione degli evangelisti (capp. 2-5), per tentare poi una visione d'insieme e una sintesi. I singoli capitoli richiedevano una ve­ rifica critica di tutto quel che l'esegesi ha acquisito riguardo a modi di procedere e intenzioni degli evangelisti. Non mi è tut­ tavia possibile addentrarmi qui nella vasta e contrastante let­ teratura in materia. Mi sono quindi limitato a ciò che ho cre­ duto di individuare come risultato difendibile, in grado di ri­ scuotere consenso e di portare avanti. Non s'intenda quindi il mio scarso ricorso alla letteratura come se avessi voluto misco­ noscere e trascurare i molti lavori di dotti e critici colleghi. Il mio libro, nato da lunghi anni di studio e riflessione, vuoi es­ sere uno stimolo a ripensare di nuovo questioni fondamentali. Vuol essere un servizio per cristiani credenti che, resi oggi in­ certi dalla ricerca scientifica e dal dialogo critico, conservano la fede nella persona di Gesù Cristo, portatore della salvezza e redentore del mondo. Devo ringraziare soprattutto la Signora Hannelore Ferner, per l'aiuto infaticabile nella digitazione su computer, e il Si­ gnor Franz ]ohna, lettore del Verlag Herder, per la cura del manoscritto. Wi.irzburg, febbraio 1993.

RUDOLFSCHNACKENBURG

INDICE DEL VOLUME

Premessa

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Capitolo primo. Fede e storia............................

I. Gesù di Nazaret - Gesù Cristo...................... 2. Il vangelo.......................... . .............. 3. Il «vangelo quadriforme» .............· ..............

Capitolo secondo. Marco ............................... La descrizione dell'attività di Gesù................... I. L' annuncio . d.1 Gesu ' ............................... 2. L'insegnamento di Gesù ........................... 3. Guarigioni di malati ed esorcismi .................... 4· Opere di potenza ed epifanie........................ 5. Confronti e conflitti............................... 6. Il cammino di passione e morte di Gesù............... r.

II. Denominazioni onorifiche e titoli di Gesù............. I.

Il figlio di Dio....................................

2. Il figlio dell'uomo................................. 3· Altri titoli di Gesù ................................ 4· Il cosiddetto segreto messianico ..................... Capitolo terzo. Matteo .................................

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La storia di Gesù nel racconto di Matteo.............. I. Il quadro della storia di Gesù in Matteo, più ampio di quello ai Marco ...................................... 2. L'orizzonte giudeocristiano ed etnicocristiano della storia di Gesù ......................................... 3· La chiesa come ambito in cui prosegue l'opera di Gesù ... r.

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II. 1. 1.

L'immagine di Gesù Cristo nel vangelo di Matteo ......

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I predicati cristologici di Gesù ...................... Colui che adempie le profezie e le promesse dell'Antico Te.

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I6 26 32 37 37 37 4I 48 53 59 68

75 75 85 96 I02 II5

I1 6 II6

IJI 139 1 47 1 47

stamento ........................................ 3· L'inviato di Dio che esige una nuova e superiore giustizia. I7I .

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Indice del volume

Capitolo quarto. Luca ................................... I95 I. La concezione fondamentale ......................... I99 I. L'inviato da Dio nella potenza dello Spirito santo........ I99 2. L'annunciatore del vangelo di grazia .................. 206 3. Il salvatore, messia e signore offerto a giudei e greci ...... 2I4 4· Il Signore che, in virtù di morte e risurrezione, è stato innalzato a Dio ........................................ 225 5. La guida alla salvezza ............................... 2 37 6. Il Stgnore che ritorna ......... ....... ......... ..... 248 II. Singoli aspetti ..................................... 262 I L, umaru"t'd. a 1 Gesu ' ................................. 26 2 2. L'impegno di Gesù a favore dei poveri e dei sofferenti .... 274 3. L'attenzione di Gesù per le donne ..................... 286 4· Gesù e la preghiera ......... . . . .................. .. 30I .



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Capitolo quinto. Giovanni ............................... 3 I3 I. Il vangelo di Giovanni e la sua cristologia .............. 3I4 I. L'orizzonte storico ................................. 3I6 2. Il vangelo di Giovanni come scritto evangelico .......... 324 3· La struttura del vangelo di Giovanni .................. 328 4· L'immagine giovannea di Cristo e i vangeli sinottici ...... 343 5. Approccio ermeneutico all'immagine giovannea di Cristo . 347 II. Singoli predicati della cristologia giovannea ............ 352 I. L'inviato ......................................... 353 2. L'unione del figlio col Padre ........................ 360 3· Il figlio dell'uomo disceso dal cielo e al cielo riasceso . ... 367 4· Il profeta escatologico .............................. 382 5· L'agnello di Dio ...... ...... ..................... 390 6. Il Logos preesistente e fatto uomo .................... 399 .

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Capitolo sesto. Il vangelo quadriforme come testimonianza poliedrica e tuttavia unitaria su Cristo........ . ............. I. Un'immagine diversificata di Gesù Cristo .............. I. L'immagine nei vangeli ............................. 2. Le varianti di Matteo all'immagine marciana di Gesù ..... 3· L'immagine lucana di.Gesù a confronto con Marco e Matteo ....................................... ...... 4· Il passaggio alla cristologia giovannea ................. II. L'immagine unitaria di fede che sta alla base dei diversi profili di Gesù Cristo .................................. I. La convinzione che Gesù è il messia .................. 2. La fede in Gesù, il figlio di Dio ....................... 3· Gesù portatore di salvezza .......... ............... .

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Indice del volume

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4· Il totalmente altro, testimone tra gli uomini di Dio e della sua maestà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 438 III. Gesù Cristo nell'immagine di fede degli evangelisti in rap­ porto al Gesù di Nazaret storico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 I Per guardare avanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 449

CAPITOLO PRIMO

FEDE E STORIA

Fede e storia stanno tra loro in un particolare rapporto reci­ proco. Nel corso della storia si sono presentati di continuo movimenti religiosi che hanno influenzato e modificato il cam­ mino della storia. Con le convinzioni della loro fede, perso­ naggi eminenti hanno trascinato con sé uomini e popoli, fa­ cendosi seguire sulla propria via .. Dalla storia si leva una fede e questa fede agisce a sua volta sulla storia. Gli effetti deri­ vanti . da queste convinzioni di fede non riguardano soltanto la sfera personale, quel che l'uomo singolo fa e non fa, ma si estendono anche alla situazione culturale, sociale e politica. Anche i capi politici sono influenzati da visioni del mondo e ideologie. Dominatori e capi di eserciti, propagatori e annun­ ciatori di programmi di riforma del mondo, tutti sono domi­ nati da idee che traggono origine da un determinato modo di pensare. Nessuna, però, di queste idee potenti ed efficaci va tanto a fondo quanto un messaggio religioso che prenda gli uomini nel loro intimo più profondo, spingendoli a una nuo­ va maniera di vedere il mondo e di dar forma alla loro esi­ stenza. La filosofia e la religione sono le sorgenti della rifles­ sione e della ricerca degli uomini, le molle nascoste degli . ac­ cadimenti esterni del mondo. Da un messaggio religioso è venuto anche il cristianesimo, che da quasi duemila anni anima la vita spirituale, culturale e sociale di una gran parte dell'umanità. Proprio nel cristiane­ simo si manifesta l'interdipendenza di fede e storia, non solo esteriormente, ma fin dalla sua origine e nell'intimo della sua struttura. Per il cristianesimo il problema del nesso. di fede e storia si pone, per così dire, nella sua stessa culla. Gesù Cri­ sto, infatti, è una figura storica che ha conseguito la sua effi-

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Fede e storia

cacia universale solo mediante la fede nella sua permanenza presso Dio e nella risurrezione del Crocefisso. Proprio al rapporto tra il Gesù di Nazaret storico e il Cristo della fede, che . da più di duecento anni, dall'Illuminismo, domina nella ricerca scientifica e nella discussione nell'ambito della fede, è dedicato anche il presente lavoro; qui però si adotta un'im­ postazione nuova, che muove dall'inconoscibilità e inindaga­ bilità del Gesù «storico» e si rivolge alla visuale degli evange­ listi, che hanno avanzato ciascuno una particolare immagine di Gesù Cristo. 1.

Gesù di Nazaret- Gesù Cristo

È sempre stimolante chiedersi chi era quel Gesù di Naza­ ret che compare come figura storica all'inizio della nostra era. Agì in pubblico solo per due o tre anni, percorse la piccola regione della Galilea, proclamò il suo annuncio, il «vangelo», guarì malati e compì opere stupefacenti. Attrasse e tenne in suo potere grandi folle e raccolse intorno a sé dei discepoli; suscitò anche avversione in persone che erano alla testa del suo popolo e che infine lo menarono alla morte. Non si potrà mai tener abbastanza presente quanto sia stato limitato il tempo in cui egli agì. Visse circa trent'anni in silenzio, in seno alla famiglia di un artigiano, nell'irrilevante città di Nazaret, venne poi al Giordano e si fece battezzare da Giovanni Bat­ tista. Non rimase però nel movimento penitenziale avviato dal predicatore del deserto, ma si fece avanti con un annuncio di salvezza: « È compiuto il tempo e il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete nel vangelo! » (Mc. 1 , 1 5 ). La sua predi­ cazione fu come una scintilla che appicca il fuoco ed ebbe un'efficacia potente, soprattutto dopo la sua morte, allorché i suoi discepoli annunciarono il Crocefisso come colui che da Dio era stato risuscitato e destinato a essere il salvatore. Non rimase in grembo alla morte, ma divenne un vivente che per gli uomini continuava a vivere presso Dio. Da quel momento ricevette il nome onorifico di «Gesù Cristo»; questo nome duplice fu in origine una professione di fede: Gesù di Nazaret

Gesù di Nazare t- Gesù Cristo

è l' «unto», il cristo, il messia. 1 Di questo Cristo un'antica formula di fede confessa: «Cristo è morto per i nostri peccati, secondo la Scrittura, ed è apparso a Cefa, poi ai Dodici» (I Cor. 1 5 ,3 - 5 ). È questo il «vangelo», l'annuncio di salvezza di cui Paolo s'impadronisce (I Cor. 1 5 ,1 s.) e proclama agli uo­ mini per la loro salvezza. È tutta qui l'intera storia di Gesù di Nazaret, la «storia di un vivente»/ Solo questa prosecuzione della comparsa terrena di Gesù, con la sua croce e la sua ri­ surrezione, ha suscitato quel movimento della storia univer­ sale che chiamiamo «cristianesimo» e che ancor oggi attira milioni di uomini a una fede che segna di sé la loro vita, indu­ cendoli ad azioni che fanno diversa la faccia della terra. Gesù Cristo è l'origine e, a un tempo, il centro della fede cristiana. Quando se ne parla come di uno dei «fondatori di religioni» si usa una definizione del suo significato molto e­ strinseca e affatto inadeguata. Lo si vede in un'unica serie in­ sieme con altri «fondatori di religioni» come Mosè, Maomet­ to, Zaratustra, Budda; ma non si coglie l'influsso vivo che viene da lui e che ne fa ancora una figura inconfondibile. Per questo sono determinanti le due cose: il suo comportamento terreno, le sue parole e le sue azioni da un lato, e dall'altro il suo destino, la spaventosa morte in croce che, nella fede dei suoi seguaci, porta alla risurrezione. Solo le due cose insieme danno un'immagine adeguata di «Gesù Cristo», poiché il Ge­ sù terreno non va inteso senza il Cristo risuscitato, e per la 1. M. Karrer, Der Gesalbte. Die Grundlagen des Christustitels (FRLANT I 5 I ), Got­ tingen I990, ha seguito con una ricerca minuziosa il formarsi del titolo di Cristo. A suo avviso la denominazione di Cristo non deriva dall'attesa di un messia con carat­ teri di sovrano {regali) e nemmeno di un messia sacerdotale, ma, come testimonia il ricco materiale relativo all'idea di unzione, messia è colui che è particolarmente vici­ no a Dio in quanto l'unto, unito a Dio in un modo che non ha rivali, offertosi con la sua morte per Dio e per gli uomini. 2. Cfr. E. Schrlleheeckx, Jezus, het verhaal van een levende, Bloemendaali974, li976 {tr. it. Gesù. La storia di un vivente, Brescia I976); H. Kessler, Sucht den Lebenden nicht bei den Toten. Die Auferstehung ]esu in biblischer, fundamentaltheologischer un d systematischer Sicht, Diisseldorf I9 8 5, spec. 3 I I-3 62: il Crocefisso risorto come centro e paradigma della fede cristiana. «Chi si appoggia a lui, il Terreno, Crocefisso e Innalzato, perviene alla totalità e pienezza della vita» {p. 3 5 6). La domanda storica ha di mira il Gesù passato e non può farlo presente e vivo. Il Signore crocefisso e in­ nalzato è «non un solitario Cristo 'celeste', ma il vivente Christus praesens» {p. 364).

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Fede e storia

chiesa primitiva il Crocefisso e Risuscitato non è altri che il Gesù di Nazaret che ha agito sulla terra. In quest'unione di fenomeno storico e di presente sovrastorico, colto con la fede e operante in ogni tempo, c'è del resto una tensione: come possono i dati storici, irrimediabilmente concreti, essere uniti e fatti coincidere con la fede, la cui comprensione riposa su un altro piano ? Per la fede questo è evidente: «Gesù Cristo, il medesimo ieri, oggi e nell'eternità» (Ebr. 1 3 ,8). Ma Gesù Cri­ sto è lo stesso Gesù di Nazaret che compare nei vangeli? Il Cristo predicato è lo stesso che secondo ·i vangeli predica? Tra il Gesù che ci viene incontro nei vangeli e il Crocefisso­ Risuscitato non c'è un «ampio, orribile fossato», come si af­ ferma a partire dall'Illuminismo ? È singolare che Paolo, il qua­ le non ha conosciuto Gesù secondo la carne, costruisca tutta la sua predicazione sul fatto della croce e della risurrezione di Gesù Cristo e che possa quindi cavarsela quasi senza alcuna considerazione del Gesù storico. Questa predicazione non attinge in tal modo al «kerygma» tutto quel che possiamo e vogliamo sapere di Gesù? Per secoli questo non è stato un problema per la fede cri­ stiana. Quel che Gesù ha predicato sono parole del figlio di Dio fatto uomo; vanno accolte e attuate nel loro senso evi­ dente come rivelazione divina. Ma il loro senso è sempre così evidente, e si tratta proprio delle parole reali del Gesù stori­ co ? Non nasce in tal modo un'altra immagine del Gesù che, molto più semplicemente, è vissuto e ha operato come uomo tra gli uomini del suo tempo ? L' «autorità» di Gesù nella pa­ rola, nell'interpretazione della legge (Mc. 1 ,22; Mt. 7,29), nel­ la remissione dei peccati (Mc. 2, 1o), nella guarigione dei ma­ lati (Mc. 1 ,27; 3 , 1 5; 6,7; cfr. 6, 5 5 s. ecc.) è l'autorità di colui che è stato innalzato accanto a Dio (cfr. Mt. 28, 1 8). Il suo cam­ minare sulle acque (Mc. 6,4 5 - 5 2) e la sua trasfigurazione sul monte (Mc. 9,2- 10) vengono raccontati come storie di epifa­ nie, dietro le quali c'è la fede nella risurrezione. Per questo ai testimoni della trasfigurazione viene imposto di non rivelare a nessuno il fatto, fino a che il figlio dell'uomo non sia risu­ scitato dai morti (Mc. 9,9; Mt 1 7,9). La via verso la passione

Gesù di Nazaret- Gesù Cristo

e la morte è immersa nella luce della risurrezione (Mc. 8,3 I; 9,3 I; I0,3 3 ). Non si dovrà togliere la coloritura sovrapposta dalla fede, per riuscire a vedere il Gesù storico reale? In fon­ do, tutto il vangelo di Marco è un libro di «epifanie segrete» (Martin Dibelius) in cui il figlio di Dio si manifesta allo sguardo della fede e solo a questo. Tutto quel che viene rac­ contato e tramandato è così strettamente intrecciato con la ri­ sposta di fede della comunità, che non se ne può separare quan­ to è accaduto a quel tempo. Senza un atteggiamento credente e aperto, in cui l'uomo sa a lui rivolte le parole di Gesù, capi­ sce le sue azioni come azioni che lo riguardano, comprende il suo cammino nella passione e nella morte come cosa che lo concerne e lo esige, tutto ciò che i vangeli riferiscono di Gesù rimane un che di estraneo; lontano e incomprensibile. Senza la fede ci troviamo di fronte a un muro, urtiamo in enigmi e oscurità, come accade, secondo l'esposizione di Marco, ai di­ scepoli, i quali non possono capire e vengono rimproverati da Gesù per la loro cecità e sordità e perché hanno un cuore in­ durito (6, 5 2; 8 , 1 7 s.). Chi si avvicina alla figura di Gesù con il distacco freddo dello storico non può rispondere alla que­ stione che riguarda il mistero della persona di Gesù, la forza che irradia da lui, il vivo potere delle sue parole e azioni, la potenza coinvolgente del suo patire e morire. Ciononostante, non si può considerare fuorviante o sba­ gliato il tentativo di conoscere Gesù di Nazaret nella sua ap­ parizione storica, di impossessarsi delle sue parole e azioni reali. Se vi fosse solo l'annuncio del Crocefisso e Risuscitato, sorgerebbe il pericolo di un'idealizzazione della sua persona, di una mitizzazione, di una speculazione teorica. La confes­ sione di fede rischia in questo caso di perdere il terreno reale sotto i piedi. La chiesa primitiva ne era ben consapevole. Es­ sa, infatti, per ordine del Risorto, voleva diffondere proprio quel che Gesù aveva annunciato e insegnato, onde conquista­ re alla fede in Gesù Cristo il mondo delle nazioni. «Insegnate loro a credere tutto quel che vi ho affidato » (Mt. 28,20). Gesù di Nazaret crocefisso, nessun altro, divenne per loro messia e signore (Atti 2,3 6) e da questo Gesù crocefisso sotto Ponzio

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Pilato si attendeva la remissione dei peccati (Atti 2,3 8 ; J , I 8 s.; I 3,J 8). Dacché si è percepito il fossato che separa il Gesù predica­ to dal Cristo che predica, sono iniziati gli sforzi per liberare Gesù di Nazaret da ogni sovrapposizione dogmatica e portar­ lo allo scoperto nella sua figura storica. Sulla base delle fonti, a dispetto della loro insufficienza, si voleva arrivare a cogliere il Gesù reale «della storia», delimitandolo rispetto al Cristo della fede. A partire da Hermann Samuel Reimarus, l'autore che sta dietro i Wolfenbuttelsche Fragmenten (Frammenti di Wolfenbuttel, 1778) pubblicati da Gotthold Ephraim Lessing, ha preso avvio la «ricerca sulla vita di GesÙ» che ha dominato tutto il XIX secolo. Questa non ha tuttavia portato a risultati convincenti, ma solo a differenti immagini di Gesù, avanzate sulla base di condizionamenti soggettivi e di visioni del mon­ do pregiudiziali. Era giocoforza che questo sforzo concentra­ to della ricerca fallisse, dal momento che i vangeli non sono scritti orientati prevalentemente in senso storiografico, ma inseriscono senz'altro tutto quel che è storicamente traman­ dato nell'immagine del Gesù Cristo della fede. Il Gesù stori­ co è strettamente legato alla confessione di fede in Gesù Cri­ sto. Albert Schweitzer ha ripercorso, in una splendida espo­ sizione, la storia della «ricerca sulla vita di GesÙ». Nella sua riflessione conclusiva egli scrive: «Il fondamento storico del cristianesimo come è stato presentato dalla teologia raziona­ listica, liberale e moderna non esiste più, ma ciò non significa che il cristianesimo abbia perduto per questo il suo fonda­ mento storico ... Gesù è qualcosa per il nostro mondo, perché una grande corrente spirituale è nata da lui e pervade anche il nostro tempo. Nessuna conoscenza storica può scuotere o rafforzare questo dato di fatto».3 In realtà lo stesso Schweit­ zer ha proposto un'immagine di Gesù che prendeva le mosse dall'attesa ravvicinata del regno di Dio ma che non rende giustizia ai testi. Gesù avrebbe predicato un' «etica interinale» 3· A. Schweitzer, Geschichte der Leben-Jesu-Forschung, Tiibingen 6195 1 , 632 (tr. it. Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Brescia 1 986, 745).

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che, nelle angustie del tempo che precede la fine, sollecita il singolo nel modo più rigoroso. Sarebbe un'etica del servizio e della penitenza, per essenza individualistica e negatrice del mondo. La concezione sostenuta in nome dell' «escatologia conseguente» (Johannes Weiss) esagera e rapporta a un ter­ mine temporale (posto già all'epoca di Gesù) l'orientamento escatologico del regno di Dio_, per sé visto con esattezza; ignora il riferirsi collettivo della predicazione di Gesù al po­ polo di Dio e il carattere cosmico-universale del regno di Dio. Quel che, invece, Schweitzer ha messo in evidenza con energia, e ha cercato di realizzare nella sua propria vita come medico nella foresta vergine, è l'ethos prepotentemente esi­ gente di Gesù, che pone implacabilmente l'uomo davanti a Dio («rispetto della vita»). La ricerca venuta dopo, che lavorò sulle rovine della ricer­ ca sulla vita di Gesù, non condusse fuori del vicolo cieco. William Wrede vide nel vangelo di Marco il tentativo di con­ ciliare il Gesù non storico con la fede protocristiana in Gesù Cristo, messia e figlio di Dio.4 In tal modo il «fossato» si fece ancor più evidente. N el periodo successivo alla prima guerra mondiale s'iniziò poi a vedere il vangelo dal punto di vista della storia delle forme; si trovò che la maggior parte delle parole di Gesù erano state formate e modificate ad opera del­ la fede della chiesa primitiva e si considerarono le azioni che di lui erano riferite, in particolare i miracoli, come costru­ zioni della comunità. Rudolf Bultmann pervenne alla con­ clusione che il materiale narrativo era stato plasmato in forma di leggenda e che le storie di Gesù hanno in parte la loro ori­ gine nel culto cristiano.s Ciononostante Bultmann ha scritto un libro su Gesù in cui pone a base della sua esposizione l'an­ nuncio portato da Gesù, quale fu accolto dalla comunità e da essa trasformato e tramandato. Della vita e della personalità di Gesù potremmo anche non saper più nulla, dato che le W. Wrede, Das Messiasgeheimnis in den Evangelien. Zugleich ein Beitrag zum Verstandnis des Markusevangeliums, Gottingen (1901) l 1 963. S· R. Bultmann, Geschichte der synoptischen Tradition, Gottingen 8 1 970, 260-369.



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fonti cristiane non se ne sono interessate.6 D'altro canto Bult­ mann dice: «Se noi sappiamo poco della vita e della persona­ lità di Gesù, sappiamo invece molto della sua predicazione, tanto che siamo in grado di farcene un'immagine coerente».7 Egli interpreta l'insegnamento etico di Gesù come appello a una comprensione nuova dell'esistenza mediante la quale l'uo­ mo deve vedersi in modo nuovo e diverso che per l'innanzi e deve sapersi sollecitato a un'obbedienza radicale. Il regno di Dio è «una potenza che determina totalmente il presente, benché sia totalmente futuro. Determina il presente per il fatto che spinge l'uomo alla decisione; e questi è, in un senso o nell'altro, determinato in tutta la sua esistenza presente, come eletto o come reietto».8 Per quanto quest'interpreta­ zione esistenziale sia di grande effetto, sorgono tuttavia dub­ bi che in questo modo si soddisfino le esigenze di una com­ prensione di Gesù conforme ai suoi presupposti giudaici, so­ prattutto per quanto riguarda la sua posizione nei confronti della legge giudaica, ma anche la sua interpretazione del re­ gno di Dio. La critica radicale dell'attendibilità storica della tradizione relativa a Gesù incontrò opposizione nella stessa scuola di Bultmann.9 Ernst Kasemann vede giustamente che «i vangeli attribuiscono il loro kerygma - qualunque sia la loro origine - proprio al Gesù terreno, e gli attribuiscono perciò, innega­ bilmente, un'autorità insigne. Per quanto notevoli siano le lo­ ro divergenze sul modo di vedere la storia di Gesù, e per quanto il vero dato storico su Gesù possa essere nascosto sot­ to la loro predicazione, è solo grazie al loro interesse per que­ sta storia che in sostanza sono sorti ed hanno assunto quella forma che li contraddistingue in maniera così caratteristica dal resto del Nuovo Testamento e dalla letteratura del loro 6. R. Bultmann, Jesus, Tiibingen I 926 ecc. (I95 I), I I (tr. it. Gesù, Brescia 1972, 3 1 984, 9). 7· Op. cit., I4 (tr. it. 1 2). 8. Op. cit. , 46 (tr. it. 43). 9· E. Kasemann, Das Problem des historischen ]esu: ZThK 5 1 (1954) 1 2 5 - 1 5 3 (tr. it. Il problema del Gesù storico, in Idem, Saggi esegetici, Casale Monf. 1985, 30- 5 7).

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tempo».1 0 Si annunciava così, su un piano critico nuovo, una ricerca su Gesù che s'interrogava più decisamente sul rappor­ to tra «il Gesù storico e il Cristo carismatico».11 Non è ne­ cessario seguirla qui nei particolari; i metodi di ricerca si affinarono. Ci si interrogò sui criteri di un'autentica tradizio­ ne su Gesù e, per quanto riguarda le parole e le azioni di Ge­ sù, ci si incamminò su un terreno più solido. L' «approfondi­ mento dell'indagine su Gesù» riebbe il suo posto legittimo.12 È questa la situazione in cui si trova ancor oggi la ricerca. Si pubblicano di continuo libri e saggi che studiano a fondo il fenomeno del Gesù storico, del suo annuncio e delle sue in­ tenzioni, collegando a tutto questo la questione cristologica di come dal Gesù storico sia nato il Cristo kerygmatico e di come questa fede si sia sviluppata e differenziata dalla primi­ tiva cristologia agli stadi più evoluti della confessione cristo­ logica. Una retrospettiva sulla ricerca su Gesù, dal I 9 5 o al 19 80, ci è offerta dalle recensioni di Werner Georg Kiimmel sulla Theologische Rundschau, concernenti questa vasta let­ teratura, · raccolte ora in un cospicuo volume. 13 La massa delle pubblicazioni su tutti gli aspetti storici del Gesù della storia è per lui spaventosa e pressoché incalcolabile. Ma ancor più spaventosa è la quantità delle posizioni tra loro contrastanti, che in molti casi si escludono reciprocamente, dando l'imIo. Op. cit., I 39 {tr. it. 38). I 1 . Questo problema ha massicciamente occupato la ricerca negli anni 'so e '6o. Cfr. l'opera collettanea di H. Ristow e K. Matthiae, Der historische Jesus un d der keryg­ matische Christus, Berlin 196o; si veda inoltre la bibliografia elencata da W.G. Kiim­ mel, Dreissig ]ahre Jesusforschung (I9JO-I98o), KonigsteinfTs.-Bonn 1985, 2- 5 . Ma la discussione è continuata anche in seguito. 12. Cfr. K. Kertelge (ed.), Ruckfrage nach Jesus. Zur Methodik und Bedeutung der Frage nach dem historischen ]esus' (QD 63), 1974 (contributi fondamentali di F. Hahn, F. Lentzen-Deis, F. Mussner); Schillebeeckx, Gesù, 6o-7o; R. Riesner, Jesus als Lehrer. Eine Untersuchung zum Ursprung der Evangelien-Oberlieferung, Tiibin­ gen 1 1 984, 87-95 ; J. Gnilka, Jesus von Nazaret. Botschaft und Geschichte, Freiburg­ Basel-Wien 1990, 11993, 28- 32 {tr. it. Gesù di Nazaret. Annuncio e storia, Brescia 1993, 37-41). 1 3 . W.G. Kummel, Dreissig ]ahre ]esus-Forschung. Nel frattempo sulla Theologische Rundschau sono apparse altre rassegne: 53 (I988) 229-249; 54 ( 1 989} 1 - 5 3 ; 5 5 ( 1 990) 1 I-45; s6 (199 1 ) 2 7- 5 3. 39 I -42o.

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pressione di una totale babele di opinioni. 1 4 Ciò nondimeno Kiimmel non dubita della possibilità di aprirsi un varco verso il Gesù della storia servendosi degli strumenti della storia­ grafia critica. Nella discussione sui metodi e i criteri della ri­ cerca su Gesù vengono esclusi principi erronei e si dimostra­ no insostenibili le esposizioni unilateralmente tendenziose. Le tesi positive di Kiimmel sono le seguenti: 1 . Non è certo possibile scrivere una biografia di Gesù ma, in dipendenza e per contrasto con le concezioni fondamentali del giudaismo contemporaneo, si possono tuttavia riconoscere i tratti fon­ damentali della predicazione di Gesù e, insieme, l'acuto dissi­ dio con le cerchie dominanti del suo popolo in cui Gesù ven­ ne a trovarsi e che condusse infine alla sua morte violenta. 2. Si delinea un consenso sul fatto che la predicazione di Gesù è dominata fondamentalmente dall'attesa della venuta del re­ gno di Dio, comunque poi si definiscano presente e futuro del regno di Dio. 3 · Si riconosce ampiamente, infine, che alla base della predicazione di Gesù sta la sua rivendicazione di un'autorità assoluta, che si collega con l'annunciato regno di Dio. 15 Gesù è consapevole della sua missione da parte di Dio, del suo incarico e della sua autorizzazione ad opera di Dio, della sua autorità che ha in Dio il proprio fondamento. L'esegesi scientifica storico-critica può quindi fornire un effettivo contributo alla conoscenza della persona di Gesù Cristo, chiarendo le circostanze storiche della sua comparsa e del suo operato, mettendone in luce la predicazione nei suoi tratti essenziali e facendo vedere l'esigenza di Gesù che vi sta dietro. 16 Ciò non costituisce soltanto un'immagine di Gesù I4. Op. cit. , 5 3 5 · I 5· Op. cit. , 540. I 6. Per le circostanze storiche cfr. G. Bornkamm, Jesus von Nazareth, Stuttgart I956 ecc., 24-47 {tr. it. Gesù di Nazareth, Torino I 968, 23-54); K. Schubert, Die judischen Religionsparteien im Zeitalter ]esu, in Idem, Der historische ]esus und der Christus unseres Glaubens, Wien I 962, I 5- I o I (tr. it. I partiti religiosi ebrei del tempo neo te­ stamentario, Brescia 1976); G. Baumbach, Jesus von Nazareth im Licht der judischen Gruppenbildung, Berlin 1971; J. Jeremias, ]erusalem zur Zeit ]esu, Gottingen )1963 {tr. it. Gerusalemme al tempo di Gesù, Roma 1989}; B. Reicke, Neutestamentliche Zeitgeschichte. Die biblische Welt 500 v. bis roo n. Chr. , Berlin 1965; H.G. Kippen-

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pensata criticamente, ma apre anche la porta alla questione del Cristo della fede; niente di più, certamente. Varcare que­ sta porta è possibile, tuttavia, soltanto a chi, con la chiesa primitiva, crede nella risurrezione di Gesù crocefisso. L'ap­ profondimento dell'indagine su Gesù è per la fede inevitabile, costituisce una premessa della domanda che muove propria­ mente il credente: chi è Gesù Cristo per me, per la comunità dei credenti, per tutti gli uomini? Gli evangelisti si volgono indietro al Gesù storico da questo punto d'osservazione e vo­ gliono farne risplendere, nella sua azione e nel suo destino, il significato permanente. Essi non hanno un interesse isolato per il Gesù storico; il loro sguardo è sempre già rivolto al Cristo glorificato, a colui che rimane signore della sua comu­ nità. Egli è per loro Gesù Cristo, il messia promesso e figlio di Dio, e ciò si rivela in tutte le storie di Gesù. Martin Kahler - che col suo scritto Der sogenannte historische ]esus und der

geschichtliche, biblische Christus (Il cosiddetto Gesù degli sto­ rici e il Cristo storico della Bibbia, 1 892, 319 53)* ha portato un

attacco vigoroso, anche se insufficiente, alla ricerca su Gesù e alla visione ristretta del Gesù «degli storici» - scrive: «Che al­ tro sono i racconti, in sé e per noi, se non esempi di come egli usava agire, come era, come è?· In ogni goccia del prato irro­ rato di rugiada si riflette con i suoi raggi la luce del sole; così in ognuna delle piccole storie ci viene incontro l'intera perso­ na di nostro Signore». 17 C'è da dire di più: il reale Gesù storico si sottrae ai nostri sguardi e non ci diventa più percepibile per opera della ricer­ ca critica storiografica. Quel che vien fuori nella ricerca im­ postata con grande strumentazione metodologica è una co­ struzione conforme a modi di procedere che sono comune­ mente adoperati nella scienza storica, ma che restano del tutberg - G.A. Wewers, Textbuch zur neutestamentlichen Zeitgeschichte, Gottingen 1979; Gnilka, Jesus von Nazaret, 3 5-74 {tr. it. 47-96). *Tradotto in italiano con il titolo Il cosiddetto Gesu storico e l'autentico Cristo bibli­ co (Napoli 1 992). 17. M. Kahler, Der sogenannte historische ]esus und der geschichtliche, biblische Christus, riedito da E. Wolf, Miinchen 1953, 6o s. {tr. it. 95).

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to inadeguati nel caso di una figura così inusuale come Gesù di Nazaret, figura che può essere colta soltanto nella fede. Ge­ sù, infatti, non è una personalità come Cesare, Napoleone o altri grandi della storia universale, che rientrano nel corso de­ gli eventi mondiali; egli spezza e sovrasta la storia. Neppure è un genio, come Platone, Aristotele e altri filosofi, bensì uno che parla da un altro orizzonte, che intende rispondere alla domanda, che tocca tutti gli uomini, del senso dell'esistenza umana e dei compiti del vivere umano, a partire da una visio­ ne più profonda del radicarsi dell'essere umano in Dio, dalla verità che si fonda in Dio (Gv. 1 8,37)· Il cristianesimo primi­ tivo è permeato da questa convinzione e tutti i testi disponi­ bili su Gesù Cristo si collocano sul terreno della compren­ sione religiosa. Tutti i vangeli, così come le epistole, presup­ pongono questo piano comunicativo. Ciò appare già dal ge­ nere dell'esposizione, il genus litterarium, impiegato dagli e­ vangelisti per la loro presentazione della condotta di Gesù. 2. Il vangelo Marco, l'evangelista più antico, apre la sua esposizione con le parole: inizio del vangelo di Gesù Cristo, oppure anche: concernente Gesù Cristo. L'aggiunta testualmente incerta «il figlio di Dio» potrà ritenersi originaria perché nel vangelo di Marco Gesù Cristo appare appunto come «(il) figlio di Dio» La voce di Dio al momento del battesimo e della trasfigura­ zione lo attesta come tale ( I , I I; 9,7); i demoni - resistendo e controvoglia - lo professano come «figlio di Dio (l' Altissi­ mo)» (J , I I; 5,7); nella parabola del vignaiolo malvagio Gesù è il «figlio diletto» (I 2,6); il centurione pagano, dopo la morte di Gesù, lo riconosce come «veramente» figlio di Dio ( I 5 , 3 8). 18 L' «inizio» del vangelo è oggetto di discussione. Si vuo1 8. In generale, nelle cristologie del N.T., anche senza riferirsi in particolare a Marco, la designazione di Gesù come «figlio di Dio» viene considerata abituale. Un modo di vedere particolare viene sviluppato da Ph. Vielhauer, Erwiigungen zur Christologie des Markusevangeliums, in E. Dinkler (ed.), Zeit und Geschichte. Dankesgabe an R. Bultmann, Tiibingen 1964, 1 5 5- 1 69: apoteosi del figlio di Dio nel battesimo, sua pre-

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le con ciò designare l'inizio della sua comparsa in pubblico in unione con Giovanni Battista (fino a I , I J), o si intende il tempo fino alla predicazione del vangelo (fino a I , I 5 ) , oppure l' «inizio» si riferisce a tutta l'azione storica di Gesù fino alla sua morte, che trova poi la sua prosecuzione nella predica­ zione della chiesa? Secondo altri passi, quest'ultimo significa­ to dovrebbe convenire a «vangelo»; il vangelo, infatti, deve continuare a essere annunciato e a operare anche dopo Gesù (cfr. 8,3 5; I0,29); dev'essere predicato fra tutti i popoli ( I J, I o; cfr. 14,9). Ci si può chiedere, infine, se nell'esordio Gesù ha funzione di predicatore del vangelo di Dio (cfr. I , I 4) («van­ gelo di Gesù Cristo», genitivo soggettivo) oppure se egli sia il contenuto privilegiato del vangelo («vangelo concernente Ge­ sù Cristo», genitivo oggettivo). Si possono addurre ragioni per ambedue i significati. Per Paolo, la concezione dominante è quella del vangelo concernente Gesù Cristo, il Crocefisso e Risuscitato; ma in quanto egli lo annuncia in qualità di «ser­ vitore di Dio», esso è allora il «vangelo di Dio» ( 1 Tess. 2 , 2 . 8 . 9; Rom. I , I ; I 5,1 6; 2 Cor. I I ,7 ). Se però il vangelo di Marco è lo strato più antico della predicazione evangelica, in relazione a I , 1 4 è più ovvio considerare Gesù come il predicatore del vangelo di Dio, ossia del sopraggiungente regno di Dio. 19 Il termine più istruttivo in quest'introduzione del vangelo di Marco è però «il vangelo», che fa conoscere la specie, il genere dello scritto. Esso designa originariamente, insieme col verbo «annunciare», l'annuncio orale del messaggio di salvezza ed è diventato termine designante un genere solo per opera del titolo di Marco e del suo scritt0.10 Tutta l'opera sta sentazione nella trasfìgurazione, intronizzazione sulla croce. È però un modo di ve­ dere discutibile. Sull'intera questione cfr. la monografia di C.R. Kazmierski, Jesus the Son of God. A Study of the Markan Tradition and its Redaction by· the Evangelist (FzB 3 3), Wiirzburg 1 979. 19. Cfr. G. Strecker, Das Evangelium Jesu Christi, in Id. (ed.), ]esus Christus in Hi­ storie und Theologie. Festschrift H. Conzelmann, Tiibingen 1 975, 503-548: 5 3 5 - 537; G. Dautzenberg, Die Zeit des Evangeliums. Mk I,I-IJ und die Konzeption des Mar­ leusevangeliums: BZ 2 1 ( 1 977) 2 1 9-234; 22 ( 1 978) 76-9 1 ; H. Frankemolle, Evange­ liHm. Begriff und Gattung. Ein Forschungsbericht (SBB 1 5), Stuttgart 1988, 1 4 1 - 1 44· 10. Cfr. G. Strecker, Das Evangelium, 5 1 7-5 23. 524- 5 3 1 ; P. Stuhlmacher, Das pauli­ nische Evangelium, in Idem (ed.), Das Evangelium und die Evangelien, Tiibingen

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quindi sotto il segno del sopraggiungente regno di Dio. Pun­ to di partenza dell'esposizione di Marco dovrebbe essere la profezia di /s. 5 2,7: «Quanto son graditi sui monti i passi del messaggero di gioia che porta l'annuncio della pace, che pro­ clama il bene e promette salvezza, che dice a Sion: il tuo Dio è re». Per la chiesa primitiva questo messaggero di gioia che porta l'annuncio è Gesù, anche se non è certo che Gesù abbia considerato se stesso, alla luce del passo di Isaia, come questo messaggero di gioia.11 Nella stessa serie s'inserisce un secondo passo, quello in cui l'unto di Dio dice: «Mi ha mandato ad annunciare ai po­ veri una buona novella e a salvare tutti coloro il cui cuore era spezzato, ad annunciare la libertà ai prigionieri e la liberazio­ ne ai detenuti» (/s. 61 , 1 ). Questo passo viene introdotto nella predica di Gesù a Nazaret, riferita in Le. 4, 1 8 s., e riassume l'attività salvifica di Gesù. L'origine e la.storia della tradizio­ ne del sostantivo «vangelo» non è facile da chiarire.11 · Non si può dimostrare una dipendenza dall'uso linguistico ellenisti­ co-romano (omaggio all'autorità, culto dell'imperatore); si può dimostrare, invece, la ripresa cristiana del verbo dall'uso linguistico del Deutero-Isaia. Comunque si sia pervenuti al­ l'assunzione del termine «vangelo», che Marco l'abbia fatto proprio ha notevoli conseguenze per la comprensione della sua opera. Questa si è formata in un'epoca in cui la distanza temporale dalla predicazione di Gesù ne richiedeva una defi­ nizione per le necessità missionarie e catechetiche della chiesa primitiva. Ciò ebbe luogo in una versione che raccoglie tradi­ zioni su Gesù e, al tempo stesso, le trasferisce nella luce della fede in Cristo. Se si vuole cogliere la specificità di questa par­ ticolare raffigurazione letteraria, che stimolò e influenzò i 1983, 1 5 7- 1 82; H. Merklein, Zum Verstandnis des paulinischen Begriffs «Evange­ lium», in Idem, Studien zu Jesu und Paulus, Tiibingen 1987, 278-295; H. Frankemol­ le, Evangelium, I JO- I J 6. 2 1 . Cfr. H. Frankemolle, Jesus als deuterojesajanischer Freudenbote? Zur Rezeption von ]es 52,7 und 6r,r im Neuen Testament, durch ]esus und in den Targumim, in H. Frankem olle - K. Kertelge (ed.), Vom Urchristentum zu ]esu. Festschrift ]. Gnilka, Freiburg-Basel-Wien 1 989, 34-67. 22. Cfr. la monografia di H. Frankemolle, Evangelium, 204-214.

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successivi vangeli di Matteo, Luca e Giovanni, occorre ren­ dersi conto anche di quanto segue: 1 . Il «vangelo» non è una biografia di Gesù secondo il mo­ dello antico, 23 nemmeno una creazione che si possa ascrivere agli «scritti di memorie» in cui si raccolgono ricordi della vita di grandi uomini, né, infine, un'elencazione celebrativa delle imprese di «uomini straordinari» (aretalogia). In generale non è un'opera che voglia esaltare l'uomo Gesù. Non è un' «opera di storia kerygmatica». 2. Il «vangelo» vuole mostrare in Gesù e su Gesù l'agire di Dio che conduce alla liberazione degli uomini dall' oppres­ sione interna e dalla miseria esterna. Si tratta di remissione dei peccati, guarigioni di malati, superamento di potenze dan­ nose e malvagie (cacciata di demoni). Tutto avviene a partire da Dio; Gesù è solo la presentificazione della volontà e della potenza salvifica di Dio, l'esecutore del piano di Dio, il brac­ cio efficace del suo operare nel mondo. 3 · Non si traccia quindi un' «immagine della personalità» di Gesù. Non vien detto nulla del suo aspetto esteriore. Solo occasionalmente si fa menzione di affetti (compassione, pietà, ira), ma non per descriverne le passioni umane, bensì per metterne in luce l'umanità e l' a�ore per gli uomini conve­ nienti al suo compito. Egli ha pietà per gli uomini che gli si avvicinano con fiducia, si adira con coloro che ignorano o cercano di contrastarne l'opera di salvezza. È venuto per chiamare non i giusti ma i peccatori (Mc. 2, 1 7), per salvare vite non per rovinarle (3,4). 4· Particolare attenzione viene rivolta alla passione e alla morte di Gesù. La storia della passione viene esposta parti­ colareggiatamente (capp. 14- 1 5) in maniera teologicamente ponderata, secondo il modello del giusto sofferente, sostenu­ to da Dio nella sua fiducia e nella sua obbedienza, che è infi23. Ph.-L. Shuler, The Genre(s) of the Gospels, in D.L. Dungen (ed.), The Interrela­ tions of the Gospel. ]erusalem Symposion, Louvain 1990, 459-483, ha cercato di re­ cente di dimostrare la parentela del «vangelo» con le biografie ellenistiche (encomia); la cosa è tuttavia problematica, cfr. la replica di P. Stuhlmacher, ivi, 484-494, con ul­ teriore bibliografia.

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ne giustificato e innalzato. Il cammino della croce è stabilito fin dall'inizio (cfr. 2,20) e domina il pensiero a tal segno che i vangeli potrebbero essere definiti come «storie della passione con un'ampia introduzione» . 24 5 . All'attenzione rivolta a Gesù si unisce immediatamente quella per la comunità di fede che lo segue sul suo cammino. Dopo l'annuncio della via della passione e della morte di Ge­ sù si trova, in modo programmatico, l'esortazione: «Chi vuoi venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda su di sé la sua croce e mi segua! » (Mc. 8,34). In questo contesto Marco menziona il «vangelo»: «Chi perderà la sua vita per me e per il vangelo, la salverà» (8,3 5 ). Il vangelo è un appello alla co­ munità, soprattutto quando si tratta delle esigenze etiche che vengono da Gesù. 6. Si include anche il culto della comunità. L'ultima cena, coll'istituzione dell'eucaristia (Mc. I4,22-25), è uno degli even­ ti importanti precedenti la passione, e viene continuato nella comunità come permanente ricordo della sua morte e speran­ za nel compimento del regno di Dio. Allo stesso modo, la vi­ ta di preghiera della comunità è resa feconda dalle parole di Ge­ sù sulla preghiera certa di venire esaudita (I I ,23-25). 7· Ripetutamente compare la prospettiva della venuta del figlio dell'u·o mo (8,3 8; I 3,26; I4,62) che, nel modo d'intende ­ re della comunità, non è altri che Gesù. La maniera escatolo­ gica di vedere è il necessàrio complemento dell'operare pre­ sente di Gesù; il regno di Dio ha il suo compimento solo nel futuro. Risulta nel complesso che il «vangelo » è un genere di tipo affatto particolare, non paragonabile ad altre creazioni lette­ rarie del tempo. È sorto dall'attività di Gesù, è nato dal suo spirito, si è sviluppato in rapporto al Gesù terreno, che anco­ ra vive presso Dio ed è presente nella sua comunità. Il van­ gelo non solo mantiene fermo il ricordo di Gesù, ma trova conforto in colui che è venuto non per essere servito ma per 24. M. Kahler, Der sogenannte historische ]esus, 6o {tr. it. 94 n. 48).

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servire e dare la sua vita come riscatto per molti (Mc. 10,4 5). In questa presentazione, la figura di Gesù diventa compren­ sibile solo nel suo dono di sé agli uomini, nella «pro-esisten­ za» di Gesù. Fin qui si è preso in considerazione il solo vangelo di Mar­ co. N egli altri tre vangeli Gesù compare in accentuazioni dif­ ferenti, con altri tratti. La vita di Gesù si amplia nella prato­ storia matteana (Mt. 1 -2) e nella lucana storia dell'infanzia (Le. 1 -2) e trova un prolungamento nelle apparizioni del Ri­ sorto. Ciascun evangelista conferisce all'immagine di Gesù una propria coloritura a seconda delle premesse che hanno portato alla formazione del rispettivo vangelo e delle inclina­ zioni proprie che lo hanno sollecitato. Nel colloquio coi con­ temporanei, nell'ambiente culturale si formano tipi determi­ nati di redazione del vangelo. È cosa ben diversa che la fede cristiana venga formulata in ambiente palestinese, oppure in una cerchia giudeo-ellenistica, oppure a contatto col mondo pagano. Intendiamo seguire questi tipi di raffigurazione di Gesù; i quattro vangeli ne sono esempi eminenti. Anche il vangelo di Giovanni, che Bultmann vuole escludere come fonte dell'annuncio di Gesù, 2 s entra in gioco al pari dei tre si­ nottici. Pur trascurando che possono esservisi conservate tra­ dizioni particolari derivanti dall'operato di Gesù, 16 in esso l'immagine di Gesù si riflette in una maniera che gli è pro­ pria: la rivendicazione di Gesù alla propria autorità viene po­ sta in maniera più forte e viene mostrata la potenza perma­ nente della parola di Gesù per tutti i credenti. L'attività terre­ na di Gesù è inserita in una prospettiva cristologica che, già in terra, fa compiere al Cristo glorificato «segni» significativi e gli fa tenere discorsi che oltrepassano di molto le parole dette a suo tempo da Gesù. I quattro vangeli non tracciano Bultmann, Jesus , I 5 (tr. it. I J). 26. Cfr. C.H. Dodd, Historical Tradition in the Fourth Gospel, Cambridge - New York I 96 3 (tr. it. La tradizione storica nel quarto vangelo, Brescia I 98 3 ); B. Lindars, Behind the Fourth Gospel, London I97I; G. Schille, Traditionsgut im vierten Evan­ gelium: Theol. Versuche 1 2 ( I 98 I) 77-89; B. Schwank, Ortskenntnisse im vierten Evangelium?: Erbe und Auftrag 47 ( I 9 8 1 ) 427-442. 15.

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«ritratti morali» di Gesù, ma immagini di fede che, guardan­ do indietro a Gesù, conservano il suo modo di presentarsi storico e il suo cammino fino alla croce, rispecchiando lo splendore del Risorto-Glorificato.

J . ll «vangelo quadrifornze» Ireneo di Lione (t 202 ca.) chiama i quattro vangeli cano­ nici il «vangelo quadriforme».17 Non vi sarebbero né più né meno di questi quattro vangeli, poiché quattro sono le re­ gioni del cielo sotto cui ci troviamo e quattro gli spiriti uni­ versali. La chiesa è diffusa su tutta la terra e il vangelo è la colonna e il fondamento della chiesa, lo spirito di vita. Di conseguenza essa avrebbe quattro colonne, che da ogni parte irraggiano immortalità, vivificando gli uomini. Il Logos, il fondatore del mondo che troneggia sui cherubini, che tiene strette tutte le cose ed è apparso agli uomini, ci ha dato un vangelo quadriforme, unito in un unico spirito. Ireneo allude poi alla visione di Ezechiele dei quattro esseri viventi che hanno volto diverso: quello di un uomo, di un leone, di un toro e di un'aquila (Ez. 1 , 1 o); sono i cherubini, come vengo­ no descritti in seguito anche nella visione del carro del trono di Dio, ma con diversa designazione dei volti (Ez. 10, 1 4). Ireneo si riferisce ai quattro volti di Ez. 1 , 1 0 e assegna a ogni evangelista una figura simbolica: a Giovanni il leone, a Luca il toro, a Matteo l'uomo e a Marco l'aquila. La sua ripartizione si scosta quindi dalle interpretazioni successive, secondo cui il leone appartiene a Marco e l'aquila a Giovanni. Partendo dai quattro vangeli accolti nel canone del Nuovo Testamento, lreneo perviene dunque a una visione simbolica in cui persi­ no il numero quattro è per lui stabilito in conformità del pia­ no con cui Dio ha fatto il mondo, cioè secondo le quattro di­ rezioni del cielo. Per ciascuno dei quattro simboli degli evangelisti il vesco­ vo sa dare una sua interpretazione: il leone (Giovanni) simbo27.

A dversus haereses J , I 1 ,8 {Harvey 11, 46-50).

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leggia la forza che agisce, il comando di chi è in posizione re­ gale, il toro (Luca) si riferisce a vittime e sacerdozio, l'uomo (Matteo) all'apparizione in forma umana, l'aquila (Marco) allo spirito che si diffonde sulla chiesa. Su questo concordano i vangeli: in essi dimora e troneggia Cristo Gesù; quadriformi sono solo gli animali, quadriforme il vangelo, quadriforme la disposizione del Signore. Le singole interpretazioni che Ire­ neo escogita, traendole di volta in volta da parole del vangelo in questione, sono arbitrarie e non dicono molto. La tradi­ zione successiva, che vede in Giovanni l'aquila che dall'alto domina tutto col suo sguardo e in Marco il leone che rappre­ senta con energia la vita di Gesù, ci pare forse più appropria­ ta. Quel che importa, però non sono queste interpretazioni simboliche delle figure degli animali, ma l'idea che ogni van­ gelo contenga un'immagine determinata di Cristo che ha qualcosa da dirci. La chiesa insegna sempre il medesimo Si­ gnore, ma ogni volta da una prospettiva particolare. Non si può fare a meno di nessuno di questi vangeli; vani, incolti e oltre tutto temerari sono coloro che non prestano attenzione al genere del vangelo, vuoi adducendone più forme di quante non ne sono nominate, vuoi meno.28 Il servizio ·che Ireneo rende alla teologia rendendo così fissi i quattro vangeli è la presa di coscienza che, in tutti e quattro i vangeli, Gesù Cri­ sto è presente come loro centro, ma che ogni volta vi si pre­ senta in una forma propria. Il Gesù storico da cui tutti i vangeli partono e che tutti riflettono da una prospettiva postpasquale in ciascuno di essi viene tuttavia rispecchiato in maniera diversa. Poiché non si può separare, nel pensiero dell'evangelista, il Gesù storico dal Cristo della fede, l'attenzione è rivolta alla figura complessiva di Gesù Cristo, anche se ogni volta in una maniera particola­ re. Proprio questo si vuoi mettere in luce nel nostro studio, e dovrà risultare fino a che punto queste immagini di Gesù Cristo concordino oppure si scostino l'una dall'altra. 28. Op. cit. 3 , 1 1 ,9 (Harvey 11, 50- 5 2) con attacchi a Marcione che limita il vangelo e ai valentiniani che si vantano di avere più vangeli, soprattutto il «Vangelo della verità».

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Non è possibile partire da un'immagine sicura di Gesù Cri­ sto, conseguita in modo storico-critico, e vagliare poi su di essa il ritratto di Gesù Cristo dei singoli evangelisti. Occorre, invece, tenere sempre ben presente che la stessa immagine storica di Gesù Cristo è condizionata dalle diverse conce­ zioni del Cristo. Nei quattro vangeli Gesù di Nazaret si ri­ specchia in maniere diverse, perché è preso dentro una visio­ ne di Cristo che per gli evangelisti nasce dalla loro fede. Infine si dovrà dimostrare se il vangelo quadriforme è uni­ to in un solo spirito. A tal riguardo è verosimile che si possa­ no ravvisare tratti affini e tendenze divergenti. Può delinearsi in tal modo anche una progressiva evoluzione della cristolo­ gia. Quest'evoluzione non si è prodotta senza rapporto con l'immagine del Gesù storico, ma ha influito su quest'immagi­ ne e l'ha rimessa al suo posto. Il problema del rapporto tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede» si pone così in modo nuovo: l'immagine di Gesù, su cui si è sovrapposto il Cristo della fede, è offerta in modo diverso nei quattro vangeli; in virtù della prospettiva cristologica, il Gesù di Nazaret della storia appare ogni volta in forma diversa. Questo conduce a un'interpretazione della persona di Gesù Cristo che può es­ sere valutata solo nel suo insieme. Proprio a quest'immagine di Gesù Cristo nello specchio dei quattro vangeli è rivolta la nostra attenzione. La differenza tra il nostro modo di vedere rispetto ai molti libri e saggi che si occupano della figura di Gesù Cristo si può chiarire in questo modo: di solito ci si interroga su Gesù di Nazaret, come compare nei vangeli con il suo annuncio e le sue azioni, avendo di mira la sua manifestazione storica, e lo si confronta e mette in luce rispetto alla prospettiva cristo­ logica, che si delinea nelle denominazioni onorifiche e nei ti­ toli, nelle storie di miracoli e nei racconti di epifanie, nel suo parlar.e provocatorio e nei suoi scontri con gli avversari. Si cerca di ottenere un'immagine di Gesù Cristo unendo tratti storici con l'interpretazione protocristiana. Al contrario, noi rinunciamo a una precisa messa in evidenza di ciò che è stori­ co, poiché esso è inscindibilmente fuso con l'immagine cristo-

Il «vangelo quadriforme»

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logica, e chiediamo senz'altro quale sia stata quella prospetti­ va complessiva su Gesù Cristo che, mediante il ricordo di Gesù Cristo, ogni evangelista ha sviluppato dalla prospettiva cristologica. Come sempre è stato nella chiesa primitiva, l'interesse che ci guida non è storico, ma kerygmatico: in che modo, a parti­ re dalla fede nella risurrezione del Crocefisso, il Gesù storico viene annunciato e fatto capire alle comunità nel suo signifi­ cato salvifico ? L'immagine del Gesù terreno è inserito in que­ sto annuncio e, a partire di qui, rielaborato e plasmato. Tratti storici della figura di Gesù sono certo ancora sufficientemen­ te ricono� cibili; ma per il nostro progetto il definirli non pare un compito urgente. Vogliamo arrivare a vedere Gesù nella prospettiva di fede dei singoli evangelisti e confrontare tra loro i diversi progetti. Così facendo si dovrà fare attenzione al dislivello che presen­ ta la storia della tradizione. Marco, il primo evangelista, ha proposto di Gesù Cristo un'immagine di fede che era già pre­ sente agli altri sinottici, Matteo e Luca, di cui ha contribuito a foggiare in maniera decisiva la prospettiva. Anche Giovanni non è pensabile senza la tradizione sinottica; egli però si è in­ nalzato enormemente su di essa e ha proposto un'immagine di Gesù Cristo sviluppatasi dalla sua teologia ma che è nata dal Cristo della fede e oltrepassa di gran lunga il piano stori­ co. Il vangelo quadriforme contiene una quadruplice cristo­ logia che tuttavia non abbandona il terreno del Gesù di Na­ zaret storico.

CAPITOLO SECONDO

MARCO

L'immagine che dalla prospettiva postpasquale Marco pre­ senta di Gesù non consente una determinazione univoca. Troppe sono le questioni connesse alla redazione del vangelo di Marco, soprattutto col cosiddetto segreto messianico, che fa concludere vi siano certe finalità redazionali. 1 Abitualmen­ te si concentra la cristologia di Marco nelle due designazioni onorifiche o titoli «il figlio di Dio» e «il figlio dell'uomo». Prima di rivolgere la nostra attenzione a questi testi è consi­ gliabile seguire la descrizione delle attività di Gesù, nella sua comparsa in pubblico in Galilea e in seguito in Giudea­ Gerusalemme. Le affermazioni positive sull'attività pubblica di Gesù offrono, più di ogni altra cosa, la garanzia di arrivare a cogliere l'immagine del Gesù terreno che Marco aveva pre­ sente. I. LA DESCRIZIONE DELL ' ATTIVITÀ DI GESÙ

1 . L 'annuncio di Gesù Dopo il battesimo nel Giordano e la tentazione nel deser­ to, ma subito dopo la consegna di Giovanni Battista, Gesù si fa avanti con un annuncio: « È compiuto il tempo ed è vicino il regno di Dio; convertitevi e credete all'evangelo» ( 1 , 1 5). È questo un compendio della sua predicazione, il nocciolo di quanto egli voleva dire agli uomini. Il verbo usato a questo I . Questo complesso tematico, in seguito all'opera di W. Wrede, Das Messiasgeheim­ nis, viene trattato in maniera estremamente vivace e differenziata. Cfr. gli elenchi bi­ bliografici in R. Pesch, Das Markusevangelium 11, Freiburg-Basel-Wien 3 1 984, 46 s. {tr. it. [sulla 2a ed. ted.] Il vangelo di Marco 11, Brescia 1982, So ss.) e 572 s. Tornere­ mo sull'argomento alla fine del capitolo.

Marco

scopo (xl)puaaetv)2 riprende la predicazione del Battista ( 1 ,4. 7), ma le dà un altro contenuto: l' «evangelo di Dio» del regno di Dio che sta irrompendo. Questo grido di messaggero do­ mina in seguito l'attività pubblica di Gesù; questo annuncio è il suo primo e più importante compito. Quando a Cafarnao, dove ha guarito molti malati, i discepoli lo vogliono trattene­ re, Gesù spiega loro: «Andiamo anche altrove, nelle borgate confinanti, affinché anche là io annunci; per questo, infatti, sono uscito» ( 1 ,3 8). Così egli andava «annunciando nelle loro sinagoghe per tutta la Galilea e scacciando i demoni» ( 1 ,39). Che questa fosse la cosa più importante che gli stava a cuore, si vede anche dal fatto che invia, con lo stesso scopo, anche i discepoli conquistati nel frattempo: li volle inviare «affinché annunziassero e avessero potere di cacciare i demoni» (3, 1 4 s.). È un annunciare con autorità e potere, come indicano due fatti: l'annuncio è unito alla cacciata di demoni e Gesù costi­ tuisce il gruppo dei Dodici. La cacciata dei demoni è un se­ gno esterno, visibile, che la signoria di Dio avanza e supera le forze del male. Nel successivo scontro coi dottori della legge, che lo so­ spettano di essere posseduto da Beelzebul, il capo dei demo­ ni, e di scacciare per mezzo suo i demoni, Gesù spiega che nessun regno può reggersi se è diviso in se stesso (3 ,24). L'e­ sempio del regno non è scelto senza motivo; la metafora fa intravedere il regno di Dio che Gesù è venuto a instaurare; combattendo il regno dei demoni, egli apre la via alla signoria di Dio. Gli avversari di Gesù non comprendono quel che ac­ cade in quei giorni. Esteriormente si tratta di guarigioni di malattie particolarmente gravi e ripugnanti (cfr. 5 , 1 - 1 0); ma esse simbolizzano le potenze del male che ostacolano l'avan­ zata della sua signoria liberatrice. Nell'annuncio di Gesù è presente la potenza salvifica di Dio, come i casi di cacciata dei demoni che l'accompagnano rendono realisticamente visibile. Gesù è colui che avvia l'annuncio salvifico. Con questo 2. Cfr. G. Friedrich in ThWNT III ( 1 93 8) 701-714 {tr. it. GLNT Merk in EWNT II ( 1 98 1 ) 7 1 1 -720 (su Mc. : 7 1 5 s.) .

v,

44 1 -472);

O.

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egli vuole raggiungere l'intero popolo di Dio e, a tale scopo, costituisce il gruppo dei Dodici, che sottolinea simbolica­ mente la pretesa sull'intero Israele.3 Egli invia questi dodici dando loro la stessa autorità di cacciare i demoni (6,7). In quanto portatore dell'annuncio, Gesù si prende cura che il suo annuncio si diffonda, che gli uomini si convertano e che insieme si producano anche i segni, ossia guarigioni e cacciata di demoni (6, 1 3). Gesù diventa l'iniziatore di una predicazio­ ne di salvezza che deve raggiungere anzitutto Israele, popolo di Dio, ma che poi abbraccerà anche tutti i popoli ( I J , I O). Per Marco, nel suo annuncio Gesù non si limita alla sua presenza terrena, ma fa riecheggiare la sua parola nell'evangelo anche oltre. L'evangelo conserva tutto quello che è avvenuto al tempo di Gesù, non ultima la sua morte, che pure rientra in questo annuncio. In occasione dell'unzione di Gesù a Beta­ nia, ove la donna, presaga, unse il corpo di Gesù per la sepol­ tura - così viene interpretata la sua azione - così dice Gesù: «Ovunque nel mondo, dove sarà annunciato l'evangelo, ci si ricorderà di lei e si racconterà quello che ha fatto» ( 1 4,8 s.). C'è qui un modo d'intendere l'annuncio che include nel­ l' evangelo il destino di morte di Gesù. In conseguenza della collocazione di questa pericope all'inizio del racconto della passione, tutta l'esposizione successiva è posta nella luce di questo annuncio. Tutto quello che in seguito si dice della passione e della morte di Gesù ha un senso profondo ed entra nella predicazione della chiesa primitiva. Nelle parole elogia­ tive riferite alla donna, così come nel discorso sul figlio del­ l'uomo (14,2 1 .4 1 ), Gesù dimostra di essere uno che sa del propr�o des �ino; egli si fa, in tal modo, l'annunziatore della propria passione. Vi sono anche passi in cui non si parla dell'annuncio di Ge3· L'istituzione dei Dodici ad opera di Gesù è stata, invero, spesso contestata, ma nel quadro della missione di Gesù a Israele è ben fondata anche storicamente. Per Marco la cosa è certa, cfr. J. Roloff, Apostolat-Verkundigung-Kirche, Giitersloh, 1965, 1 3 8 1 5 2 ; G . Schmahl, Die Zwiilf im Markusevangelium (TihSt 30), Trier 1 974; K . Stock, Boten aus dem Mit-Ihm-Sein, das Verhiiltnis zwischen ]esus und den Zwiilf nach Markus (AnBib 70}, Rom 1975·

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sù e dei suoi discepoli, ma dell'annuncio mediante persone guarite. Al lebbroso da lui guarito Gesù impone di non dire nulla a nessuno (1 ,44). Ma quello se ne va e comincia «ad an­ nunciare Gesù e a propalare il fatto» ( 1 ,4 5 ). Dopo che Gesù ha guarito l'ossesso di Gerasa e l'ha mandato a casa, è detto che quello se ne andò e annunciò nella Decapoli quel che Ge­ sù gli aveva fatto ( 5,20). Dopo la guarigione, nella Decapoli, del sordomuto, i testimoni dell'accaduto «tanto più» (7,36) diffondevano la notizia, benché Gesù glielo avesse espressa­ mente vietato. L'impressione per queste guarigioni straordi­ narie è così forte che non si riesce a tenerne nascosta la noti­ zia. In tal modo Gesù si fa annunciatore non solo coi suoi di­ scorsi, ma anche con le sue azioni portentose, persino in territorio dei gentili. La guarigione del sordomuto segue im­ mediatamente la liberazione della figlia della sirofenicia dal demonio che la rendeva malata (7,24-30). In tutti e due i casi ci troviamo in territorio non giudaico, e questo oltrepassa­ mento dell'ambito d'azione del giudaismo nell'intenzione del­ l' evangelista allude alla diffusione dell'evangelo nel mondo pa­ gano.4 Quel che qui viene raccontato a mo' di esempio riceve la sua piena attuazione nella predicazione universale dell' evan­ gelo ( I J, I O). Il Gesù che annuncia con la parola e con l'opera estende la sua azione anche al di là della sua comparsa storica. Nello specchio del vangelo di Marco, il Gesù che si presenta in terra è legato al Cristo che, dopo la pasqua, continua ad annunciare attraverso la chiesa. Marco sa, tuttavia, che nel corso della sua vita Gesù si è limitato a Israele (cfr. 7,27). Il Gesù terreno si adopera per tenere segrete le sue guarigioni miracolose - tratto singolare, se confrontato con le antiche 4· K. Kertelge, Die Wunder fesu im Markusevangelium. Eine redaktionsgeschichtli­ che Untersuchung {StANT 23), Miinchen 1970, 1 54- 1 56; L. Schenke, Die Wunderer­ zahlungen des Markusevangeliums (SBB}, senza data ( 1974}, 261 s.; D.-A. Koch, Die Bedeutung der Wundererziihlungen fur die Christologie des Markusevangeliums (BZNW 42}, Berlin - New York 1975, 9 1 s.: «Secondo Marco, quindi, la missione della chiesa è legittimata da Gesù stesso (cfr. Mc. I J ,Io!), pur non avendola avviata egli stesso:.. Si deve in generale prestare attenzione a questo aspetto concernente la teologia della missione.

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storie di miracoli; la potenza del suo annuncio è però di una tale forza che con essa si avvia, come un incendio, la storia di un annuncio che, dopo la pasqua, abbraccia tutta la terra. Secondo Mc. 1 , 1 4 s. il contenuto dell'annuncio di Gesù va nel senso dell'evangelo di Dio, che consiste nell'avvento della signoria di Dio. Quando in seguito si riferisce che Gesù o i discepoli annunciano (1 ,39; 3 , 1 4; 6, 1 2), questo non viene me­ glio precisato. Là dove si rappresenta e si svolge in parabole il regno di Dio (cap. 4), non si parla più dell'annuncio di Gesù, ma del suo insegnamento (4, 1 .2). Poiché l'immagine di Gesù come maestro assume ampie dimensioni, dobbiamo ora dedi­ care speciale attenzione a questa caratterizzazione. 2.

L 'insegnamento

di Gesù

Nel vangelo di Marco si parla dell'insegnamento di Gesù quindici volte e solo una volta di quello dei suoi discepoli (6, 30), ma in un contesto in cui tale loro insegnamento appare come un incarico di Gesù. L'immagine di Gesù maestro è rafforzata dal frequente appellativo di maestro, sia da parte dei discepoli (4,38; 9,3 8; 1 0,3 5 ; I J ,I) sia anche da parte di al­ tri. In questi casi ci troviamo di fronte all'abituale appellativo rispettoso con cui ci si rivolge a un maestro giudaico, non an­ cora riservato al colto dottore della legge, semplice traduzio­ ne dell'aramaico «rabbi» o «rabbuni».5 Poiché in molti passi del vangelo di Marco il termine viene impiegato al posto di «maestro» (9, 5; 1 0, 5 r; r r ,2 r ; 1 4,4 5), in questo appellativo non si potrà vedere in genere un particolare riferimento all'attività d'insegnamento di Gesù. Nel caso della domanda dell'uomo che cerca: «Maestro buono, che devo fare per ereditare la vita eterna ?» ( 1 o, r 7), nella risposta di Gesù relativa all'agire retto è riconoscibile l'insegnamento di Gesù, così come nel caso della domanda relativa al primo dei comandamenti (r 2,3 2). Nelle domande sul tributo, dei farisei ed Erodiani adulatori S · Cfr. G. Dalman, Die Worte ]esu, Leipzig 1 1930, 272-2_8o; E. Lohse in ThWNT VI ( 1 9 S 9) 962-966 {tr. it. GLNT XI, 91 1 9 22); R. Riesner, ]esus als Lehrer (WUNT 2/7), Tiibingen 1 1984, 266-276. -

Marco

( I 2, I 4) e in quelle dei sadducei sulla risurrezione dei morti ( I 2, I 9), l'appellativo ha solo un carattere rafforzativo, con lo scopo d'indurre Gesù a rispondere. Nel complesso, dall'ap­ pellativo «maestro» o «rabbi» rivolto a Gesù non si può co­ munque concludere a una sua prevalente funzione d'insegna­ mento; si tratta di «un uso in gran parte irriflesso».6 L'immagine di Gesù come maestro 7 viene in primo piano solo là dove si parla espressamente dell' «insegnamento» di Gesù. Gesù insegna nella sinagoga ( I ,2 I ; 6,2), nel tempio ( I 4, 49), oppure anche all'aperto, presso il Lago di Genesaret (2, I 3; 4, I ), in giro per i villaggi (6,6). Si mette ad ammaestrare una grande folla, perché era come un gregge di pecore senza pastore (6,34), e insegna a grandi moltitudini che, dalla Giu­ dea e oltre il Giordano, accorrono a lui ( I o, I ). Perché qui si parla di «insegnare» e non di «annunciare» ? Si deve supporre che ciò si connette al fatto che l'annuncio di Gesù della si­ gnoria di Dio che irrompe diventa un insegnamento che si prolunga nella comunità. L'annuncio salvifico di Gesù fa sor­ gere questioni che sono attuali per la vita della chiesa. Parti­ colarmente istruttiva al riguardo è l'annotazione redazionale di I o, I: «Ed egli, com'era solito, li ammaestrò ancora». Segue immediatamente la controversia sul rilascio di un atto di di­ vorzio, ossia la questione della liceità del divorzio ( I o,2- I 2). Segue infine la benedizione dei bambini, importante per la posizione dei bambini nella comunità ( I O, I J- I 6). La lunga composizione su ricchezza e povertà (Io, I 7-J I) è tutta domi­ nata dall'interesse della comunità per la rinuncia alla ricchez6. F. Hahn, Christologische Hoheitstitel. Ihre Geschichte im fruhen Christentum (FRLANT 83), Gottingen 1 963 (1 1974), 77· 7. L 'immagine di Gesù maestro è stata più volte trattata, cfr. F. Normann, Christus Didaskalos. Die Vorstellung von Christus als Lehrer in der christlichen Literatur des ersten und zweiten ]ahrhunderts (MBTh 32), Miinster i. W. 1 967, e l'ulteriore biblio­ grafia menzionata in R. Riesner, Jesus als Lehrer, 74-79. l'opera più ampia è quella di R. Riesner che con essa intende offrire una «ricerca sull'origine della tradizione e­ vangelica» (sottotitolo). Il lavoro ha di mira più la storicità del maestro Gesù e della sua attività di maestro in Israele, che non l'immagine del maestro quale viene raffigu­ rata dagli evangelisti. Riesner perviene a una valutazione decisamente positiva dell'at­ tività didattica del Gesù storico, che nei particolari susciterà qualche opposizione (cfr. la ricapitolazione, pp. 499-502).

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za e la ricompensa per la povertà. A conclusione, dopo l'in­ serimento della predizione della passione di Gesù ( r o,J 2-34), con la pretesa dei figli di Zebedeo ai primi posti nel regno di Dio viene sollevato il tema del comandare e del servire ( r o, 3 5 -4 5 ). Sono tutte questioni riguardanti la vita concreta della comunità, che vengono risolte con parole di Gesù.8 Gli uo­ mini accorsi intorno a Gesù fanno venire in primo piano per il lettore l'immagine della chiesa. Da annunciatore, Gesù di­ viene il «maestro» della sua comunità; l'immagine di Gesù viene ampliata nell'immagine di Cristo come «maestro». Il legame con l'annuncio del regno di Dio diventa partico­ larmente evidente nella pericope della benedizione dei bam­ bini: «Chi non accoglie il regno di Dio come un bimbo non può entrarvi» ( r o, I 5). La comunità, che deve accettare e acco­ gliere in sé i bambini («non ostacolateli ! »), è il gradino pre­ liminare per il regno di Dio, il luogo di raccolta dei candidati al regno di Dio. I bambini, che per il loro modo di essere, per la loro fede e fiducia fanciullescamente immediate sono chia­ mati al regno di Dio, non devono essere esclusi. Gesù li strin­ ge tra le proprie braccia e li benedice. La comunità deve di­ ventare la famiglia di Dio; in essa trovano la loro casa, anche se ancora sono perseguitati, coloro che hanno lasciato fami­ glia, parenti, averi per Gesù e per l'evangelo, e possono così attendere la vita eterna con Dio (ro,29 s.). Il regno di Dio, nel suo avvento dinamico e sensibile nel mondo e nella promessa in esso contenuta del suo splendore futuro, è destinato ai membri della comunità. I figli di Zebedeo si fanno idee sba­ gliate sul futuro regno di Dio e s'insegna loro che la strada che vi conduce passa per la partecipazione alla passione e morte di Gesù. Anche l'esortazione a servire, che Gesù rivol­ ge a tutti i discepoli, viene collocata nella situazione concreta: i potenti della terra opprimono i loro popoli con la forza; ma per i discepoli di Gesù vale un altro principio: chi vuole esse­ re grande deve essere servitore e chi vuoi essere il primo deve 8. K.-G. Reploh, Markus - Lehrer der Gemeinde (SBM 9), Stuttgart 1 969, I 7J-2 I o; R. Busemann, Die Jungergemeinde nach Markus 10 (BBB 57), Konigstein/Ts.-Bonn 1 98 ] .

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essere lo schiavo di tutti (10,43 s.). Perciò viene richiamato l'esempio di Gesù, che nella sollecitudine estrema del servire dà la propria vita per molti ( 1 0,4 5 ). Quel che Gesù insegna si attua nella sua persona. Marco vede quindi in Gesù non il predicatore di un an­ nuncio astratto, ma una potenza che irrompe nella realtà ter­ rena e che esige inoltre un comportamento e un agire conse­ guenti. Queste esigenze non vengono avanzate solo per i di­ scepoli di quel tempo, ma anche per la successiva comunità. La signoria di Dio deve imporsi e affermarsi nella realtà della chiesa, nel tempo che precede e volge ormai alla fine. Se si ri­ flette a questo, si dovrà vedere in una luce diversa anche il di­ scorso in parabole (cap. 4). Gesù raccoglie intorno a sé, pres­ so il Lago di Genesaret, una grande folla e dalla barca la am­ maestra. Sale, per così dire, sulla sua cattedra e li istruisce su molte cose in parabole (4, 1 s.). È questa un'immagine dell'in­ segnamento impartito alla comunità sulle cose che, in conse­ guenza dell'annuncio del regno di Dio, essa deve considerare per la propria vita. Marco ha scelto solo tre parabole: quella dello spargimento della semente (4,3 -9), quella del seme che cresce da sé (4,26-29) e quella del granello di senape (4,30-32). Per quanto diverse siano le interpretazioni offerte dalla ricer­ ca, si dovrà comunque prestare attenzione anzitutto al rappor­ to con la situazione della comunità. Nella versione marciana di queste similitudini della crescita, come e quando siano sta­ te proposte da Gesù nella sua predicazione, è impossibile non sentire che vi viene interpellata la comunità nella sua propria situazione. 1 . La parabola della semente che viene sparsa9 deve ricor­ dare alla comunità i pericoli e gli ostacoli all'accoglimento della parola, ma anche rafforzare la fiducia che alla fine la pa­ rola di Dio porta ricchi frutti. 2. Dopo la parabola dello spar­ gimento della semente Marco inserisce una riflessione sul si9· La parabola è stata interpretata in modi molto diversi; la si chiama la «parabola del seminatore», riferendola così in parte più a Gesù stesso; oppure la si chiama la para­ bola «dei campi differenti», intendendo che si tratta della natura del terreno. La «se­ mente sparsa» si riferisce invece al carattere d'immagine.

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gnificato dei discorsi in parabole (4, I O- I 2), che rende eviden­ te come si abbia presente la comunità già con la sola contrap­ posizione tra i discepoli, cui è confidato il segreto della signo­ ria di Dio, e coloro che stanno fuori. 3 · Anche l'immediata «spiegazione» che viene accolta della parabola, che nella sua interpretazione allegorica va oltre il paragone iniziale (4, 1420), è interamente determinata dall'interesse missionario e parenetico, sorto nella comunità postpasquale. 4· Anche le pa­ role sulla luce che si addice al candelabro (4,2 1 s.) e sull'ascol­ to corretto e fruttuoso (4,24 s.) sono rivolte alla comunità che accoglie l'annuncio. In questa composizione, di non facile comprensione, di parole figurate e di detti sentenziosi, l'at­ tenzione per la comunità può servire da filo conduttore. Ad essa non è consentito porre in luogo oscuro quella luce che le si schiude con l'annuncio e l'insegnamento di Gesù. Tutto deve essere portato in pubblico - un appello alla predicazione missionaria/o Il richiamo che invita all'ascolto (4,23) fa da transizione al detto sulla misura conveniente, originariamente autonomo, riferito probabilmente al giudizio escatologico. In misura piena si deve ascoltare, accogliere tutto ciò che si è ascoltato e considerare le conseguenze (4,24 s.). In confronto a Mt. 7,2 e Le. 7, 3 8 qui l'adattamento alla situazione della comunità è particolarmente vistoso. Nei logia sinottici affini non si parla della misura dell'ascolto; ma per la comunità è un compito importante accogliere pienamente le parole di Gesù, per spingersi sempre più a fondo nella loro comprensione. Per chi non ascolta rettamente il significato delle parole va perduto; a chi le comprende è rivolta la promessa che Dio compenserà oltre misura l'accoglimento dell'annuncio. Il du­ plice detto costituisce un forte stimolo; «si sottolinea inten1 o. Le due unità di detti 4,2 1 s. e 4,24 s. vanno considerate come unità che per senso si completano. Il detto relativo alla lampada fonda «la proclamazione che, come Ge­ sù con la sua dottrina, è destinata a venire portata in pubblico; la parola di Gesù non può essere confinata nel segreto di circoli esoterici» (Pesch, Markusevangelium 1, Freiburg-Basel-Wien 1 1977, 2 50; tr. it. Il vangelo di Marco 1, Brescia 1980, 401). Come suggerisce 4,24 s., i discepoli devono «credere nella futura signoria di Dio e fa­ re di questa fede il metro del loro impegno missionario» (op. cit. , 2 54; tr. it. 406}. Cfr. anche Reploh, Markus, 67-71 .

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samente la responsabilità di chi ascolta». 5 . La similitudine del seme che cresce da sé colloca la comunità entro il tempo della signoria di Dio, che cresce per la forza di Dio, e intende anche metterla in guardia dalla falsa fiducia nella sua propria attività. La terra porta da sé i suoi frutti e, alla fine, viene il tempo del raccolto. 1 2 6. La parabola del grano di senape getta infine uno sguardo, con la gioia della vittoria, al regno di Dio universalmente compiuto. Il regno di Dio è una realtà dina­ mica che, da inizi minimi, abbraccia la terra intera - ancora una prospettiva sulla missione della chiesa, in cui diviene per­ cepibile il crescere del regno di Dio. Quel che Gesù qui «in­ segna» si compie nella chiesa e ha di mira l'accoglimento del regno di Dio. «La causa di Gesù, cioè il regno di Dio dive­ nuto prossimo, si realizza in un modo particolarmente con­ densato nella parola, non in un qualsivoglia appello astratto a favore della fede».13 Ai discepoli Gesù spiega tutto quello che le parabole contengono, e benché siano intese a far compren­ dere l'annuncio e la dottrina di Gesù, divengono comprensi­ bili solo allorché Gesù ne dischiude il senso (cfr. 4,3 3 s.).14 Il «maestro» Gesù assume dunque l'annuncio della signo­ ria di Dio e lo trasferisce nell'ambito della comunità. Con ciò Marco oltrepassa il quadro storico e propone un'immagine di n

I I . R. Pesch, Mk I, 254 (tr. it. 407). I2. Il tempo del raccolto non è da intendersi qui, alla maniera di Gl. 4, 1 3 e di altri testi giudaici, come il giudizio, bensì come tempo di gioia (cfr. 9,2; Sal. I 26,5 s.). Cfr. J. Schmid, Das Evangelium nach Markus, Regensburg 3 I954, I02 s. (tr. it. L 'Evange­ lo secondo Marco, Brescia I 961, 1 3 8 s.); il grido del mietitore è un grido di giubilo, cfr. J. Jeremias, Die Gleichnisse ]esu, Gottingen 6I962, I 5 I (tr. it. Le parabole di Ge­ sù, Brescia % 1 973, I 86). Diversamente Pesch, Mk 1, 257 s. (tr. it. 4 1 1 s.) (prospettiva sul giudizio). I 3 . J· Ernst, Markus. Ein theologisches Portrait, Diisseldorf 1987, 3 5 (tr. it. Marco. Un ritratto teologico, Brescia 1990, 38. 14. C'è una certa tensione tra Mc. 4,3 3-34a e 4,34b, in quanto gli ascoltatori non comprendono le parabole (cfr. 4, I I s.) e Gesù deve manifestarne il senso ai suoi pro­ pri discepoli. Si dovrà distinguere fra tradizione (4,3 3-34a) e redazione (4,34b). Gnil­ ka, Das Evangelium nach Markus, Ziirich-Neukirchen 3 I 989, I, 190 (tr. it. [in un unico volume] Marco, Assisi % 199 I , 2 5 7) vorrebbe attribuire il v. 34a all'evangelista e i vv. 33 e 34b a una redazione premarciana; ma il v. 34b tradisce una tendenza mar­ ciana, cfr. xa-t'lòlav 6,3 I ; 9,2.28; I 3,3. Cfr. anche H. Raisanen, Die Parabeltheorie im Markusevangelium, Helsinki I 973, 48-64.

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Cristo che rende visibile la permanente presenza di Gesù nel­ la parola. Ci si può chiedere se, nella prospettiva di Marco, nel «seminatore» non si veda Gesù Cristo stesso; ma poiché l'attenzione è rivolta al destino della semente e il seminatore compare solo all'inizio, quest'interpretazione non è sicura. Ma in quanto egli è colui da cui proviene la parola dell'evan­ gelo che si riversa poi nella chiesa, col seminatore può essere inteso anche Gesù. Nella spiegazione della parabola, che an­ cor più marcatamente conduce nell'ambito della comunità, si potrebbe pensare anche agli annunciatori e missionari della chiesa primitiva che seminavano la «parola» (4, 1 4); ma anche questa è, ancora, un'osservazione introduttiva, e tutto l'inte­ resse si concentra sull'accoglimento della parola e sugli uo­ mini che, con la loro disposizione, le offrono un terreno buono o cattivo. È sufficiente che il Gesù che «insegna» apra una porta all'ulteriore predicazione della chiesa. Più volte si parla, in un contesto storico, dell' «insegnamen­ to» di Gesù (1 ,22.27; 4,2; 1 1 , 1 8; 1 2,38). Gesù viene collocato nella serie dei maestri giudei del suo tempo 15 e, insieme, se­ parato da loro. Quanti lo sentirono insegnare nella sinagoga di Cafarnao «furono sconvolti dalla sua dottrina; infatti egli li istruiva come uno che ha autorità e non come gli scribi» (Mc. 1 ,22). Dopo la cacciata dei demoni la gente dice: «Che cos'è questo ? Una dottrina nuova insegnata con autorità, ed egli comanda agli spiriti immondi e gli obbediscono» ( 1 ,27). Non ci è detto che cosa Gesù insegnasse nella sinagoga, ma solo come venne accolto il suo insegnamento. È un parlare con autorità divina, un insegnamento «nuovo». Quest'impressio­ ne prodotta dal suo «insegnamento» viene sottolineata me­ diante la cacciata di demoni e, in seguito, anche con l'espul­ sione dei mercanti dal recinto del tempio (1 1 , 1 8). Il popolo ascoltava volentieri il suo insegnamento, come qualcosa ch_e contrastava col modo d'insegnare dei dottori della legge, qua­ si una provocazione (cfr. 1 2,3 8). Quel che Gesù insegnava al popolo nelle sinagoghe e ovunque nel paese non può quindi 1 S·

Cfr. K.H. Rengstorf in ThWNT II (193 5) 1 5 5- 1 5 8 (tr. it. GLNT II, 1 1 37-1 148).

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essere circoscritto a temi determinati, come ad esempio l'istru­ zione morale (cfr. 6,2.6). «Molte cose» insegnava agli uomini in parabole (4,2). Il maestro Gesù acquisisce il suo profilo so­ lo per contrasto con le autorità dell'insegnamento giudaico. Egli parla con un'autorità assoluta dietro la quale c'è Dio, di­ venendo poi il maestro della sua comunità che, con la stessa autorità, egli istruisce nelle questioni della sua vita. Il Gesù che insegna al popolo del suo tempo trapassa così, senza scos­ se, nel Cristo che parla alla comunità. Soltanto così si può com­ prendere anche come la passione e morte di Gesù vengano designate come «insegnamento» per i discepoli (8,3 I ; 9,3 I). L' «insegnamento» di Gesù include anche quel che i credenti sono in grado di afferrare solo dopo la pasqua. 3·

Guarigioni di malati ed esorcismi

Già dopo l'insegnamento autoritativo e la cacciata dei de­ moni ( I ,2 I -28) Marco racconta di guarigioni di malati, dap­ prima la guarigione dalla febbre della suocera di Pietro ( I ,283 I ), poi, in un resoconto cumulativo, di molte guarigioni ed esorcismi dopo lo spirare del sabato ( I ,3 2-34). Benché sia usci­ to per predicare, Gesù si rivolge di continuo ai malati: guari­ sce un lebbroso ( I ,40-4 5), un paralitico (2, I - I 2) e poi un uo­ mo con una mano irrigidita (3, I -6). Al discorso in parabole seguono diversi miracoli: la tempesta sul lago placata (4,3 5 4 I ), la guarigione dell'indemoniato di Gerasa ( 5 , I -2o), la gua­ rigione dell'emorroissa e la risurrezione della figlia di Giairo ( 5 ,2 I -43). In un resoconto cumulativo vengono descritte gua­ rigioni di malati a Genesaret ( 6, 5 3 - 5 6), poi ancora la guari­ gione della figlia della sirofenicia (7,24-30) e la guarigione del sordomuto (7,3 I -3 7). A B etsaida restituisce la vista a un cieco (8,22-26). Dopo la trasfigurazione sul monte, Gesù guarisce il ragazzo epilettico (9, I4-27). Ormai sulla via di Gerusalemme, presso Gerico, Gesù ha compassione del mendicante cieco Bartimeo e gli rende la vista. Le guarigioni, dunque, accom­ pagnano tutta l'attività di Gesù, fino al suo ingresso in Geru­ salemme.

La descrizione dell'attività di Gesù

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Questi racconti di guarigioni, che Marco desume dalla tra­ dizione, contribuiscono in maniera decisiva all'immagine di Gesù. Egli è l'esorcista e il terapeuta che guarisce i malati me­ diante trasmissione di forza risanante, mediante un contatto risanante o con un mezzo risanante. Benché esorcismi e azio­ ni terapeutiche siano assai vicini tra loro, «si distinguono chia­ ramente l'uno dall'altro quel che è specificamente esorcistico da quel che è specificamente terapeutico. Lotta e trasmissione di forza risanante sono cose diverse». 16 La forza risanatrice è descritta nel modo più chiaro nel resoconto cumulativo di Mc. 6, 5 3 - 5 6, dovuto alla redazione di Marco. «La gente per­ corse di fretta tutta quella regione e cominciò a portargli su barelle i malati, appena udiva dove egli si trovava. E ogni vol­ ta che egli arrivava in un villaggio o in una città o in un caso­ lare, si portavano i malati sulle strade e lo pregavano che po­ tessero toccare almeno il lembo della sua veste. E quanti lo toccarono furono risanati». Come già nella storia dell'emor­ roissa, da Gesù promana un'energia risanatrice. Il racconto cumulativo che descrive l'attività terapeutica di Gesù nella zona preferita, lungo la riva settentrionale del Lago di Gene­ saret, dev'essere considerato espressione tipica dell'azione di Gesù. 17 È un tratto ben fermo della sua vita terrena, che lo caratterizza come il terapeuta che ripristina la benedizione della creazione di Dio e apre la via al tempo messianico. Do­ po la guarigione del sordomuto nella Decapoli, i presenti so­ no sbalorditi e dicono: «Ha fatto bene ogni cosa, fa che i sor­ di odano e i muti parlino» (7,37). Si tratta di una citazione che combina Gen. I ,J I LXX, dove Dio riguarda l'opera della sua creazione e la trova «assai buona», con !s. 3 5 ,5 s., dove si descrive la benedizione del tempo messianico. In questa prospettiva Marco ha visto questa storia come segno del tempo della salvezza: Dio vuole sanare le debolezze e le infermità, ma a questo scopo si serve di quest'uomo, Ge­ sù. Ciò avviene finanche in territorio pagano: tutti gli uomini __

1 6. G. Theissen, Urchristliche Wundergeschichten, Giitersloh 1974, 1 02. 1 7. Sui racconti cumulativi di Mc. 1,3 2-34; 3,7- 12; 6,53-56 cfr. Kertelge, Die Wunder ]esu, 30-39; Koch, Wundererzahlungen, 1 60- 1 7 1 .

Marco

devono aver parte alla nuova creazione del mondo. Il guarda­ re verso il cielo (7,34) indica che la guarigione avviene solo per la forza di Dio, i contatti materiali rendono visibile il po­ tere, donato a Gesù da Dio, di eliminare le infermità corpo­ ree. L'aprirsi delle orecchie avviene mediante una parola (effata, cioè «apriti»), e insieme si sciolgono anche i lacci della lingua. Con questa guarigione l'uomo torna a essere uno cui si può rivolgere e che rivolge la parola, è ripristinato come persona e reso capace di una nuova vita. 1 8 La descrizione delle guarigioni in conformità alle vedute della prassi terapeutica del tempo intende rappresentare Gesù non come un mago taumaturgo, ma come colui che amministra le energie risana­ triei di Dio. È per questo che anche in questo caso, come in quello del paralitico ( 1 ,44), ci viene riferito di un comando di tacere cui anche questa volta non si ottempera. «Quanto più lo comandava loro, tanto più quelli diffondevano la notizia» (7,36). Un'analoga tendenza si può riconoscere nell'episodio della guarigione del cieco di Betsaida (8,22-26). Anche qui Gesù conduce il cieco fuori del villaggio e compie la guarigione lontano dalla gente. Questa volta essa avviene per gradi. Dap­ prima Gesù mette della saliva sugli occhi del cieco e gli im­ pone le mani. L'uomo riesce ora a vedere le persone «come alberi». Poi Gesù gli impone di nuovo le mani, dopo di che l'uomo è in grado di riconoscere le cose chiaramente. La gua­ rigione per tappe, che Marco riprende dalla tradizione, do­ vrebbe indicare la gravità del caso e il perdurare della forza di Gesù. Le due storie di guarigioni sono strettamente imparen­ tate: guarigioni che avvengono lontano dalla gente, ma con un'intensa applicazione di Gesù, e poi ancora una presa di distanza dalla moltitudine. C'è anche un senso simbolico che non si può ignorare. I discepoli, rimproverati in precedenza di cecità (8,1 8), dovranno a poco a poco essere resi capaci della 1 8. Si dovrà prestare attenzione anche alla tendenza cristologica. K. Kertelge, Die Wunder ]esu, 1 60 dice: «In questo modo avviene già, in maniera figurata, quel che Gesù opererà sui suoi discepoli e su tutti i credenti dopo la sua risurrezione {cfr. 9, 9)». Ciò tuttavia non si ricava immediatamente dal racconto.

La descrizione dell'attività di Gesù

visione vera. 1 9 La guarigione della loro cecità avviene me­ diante la morte di Gesù (8,3 1-32a) e la sua successiva risurre­ zione (9,9 ). Le ingiunzioni di Gesù di mantenere il silenzio (1 ,44; 5 ,43; 7,3 6) e i suoi sforzi per rimanere nascosto ( 5 , 1 9; 8,26), e poi l'infrazione di questi comandi e il diffondersi della fama di Gesù come taumaturgo, danno origine a un quadro ricco di contrasti: da un lato le opere meravigliose di Dio non debbo­ no entrare nell'opinione pubblica come opere di un portento; dall'altro, l'effetto di questi avvenimenti nascosti è tanto grande che non se ne può trattenere la notizia. Ambedue gli aspetti sono contenuti nella visione che l'evangelista ha del­ l' attività terapeutica di Gesù. «Divieto di diffondere la notizia e infrazione del divieto non vanno quindi assegnati l'uno alla tradizione l'altro alla redazione, ·ma proprio la simultanea sottolineatura dei due momenti caratterizza qui (cioè in 7,3 6) la redazione marciana».10 L'azione di Gesù come terapeuta ed esorcista ( 5 , 1 -20) si colloca quindi nella prospettiva del­ l'agire di Dio, che è nascosto e celato, ma possiede un inaudi­ to potere di diffusione. Gli uomini non possono sottrarsi al­ l'impressione dell'operare con potenza di Gesù, ma non lo comprendono e se ne scandalizzano (6,2 s.). Fino a che punto questa particolare maniera di rappresentare le cose si connet­ ta col «segreto messianico», resta da approfondire. Per l'attività terapeutica di Gesù sono istruttive alcune os­ servazioni ulteriori. Nel caso della guarigione dell'emorroissa (5,25-34) Gesù è circondato da una moltitudine che gli fa res­ sa intorno. La donna, volendo segretamente profittare della forza risanatrice emanante da Gesù, gli tocca la veste. Gesù se ne accorge e chiede chi sia stato. Tremante di paura, la donna si fa avanti e gli dice la verità. La donna tutta impaurita, che sa di aver fatto cosa proibita secondo la legge giudaica, sta davanti a Gesù che non la condanna, ma le si rivolge affettuo­ samente chiamandola «figlia» e innalza su un piano superiore 1 9. Cfr. Gnilka, Mk 1, 3 1 5 (tr. it. 43 5): «Occorre aderire a Gesù se si vogliono ottene­ occhi che vedono, ossia la comprensione di fede della sua parola».

re

zo.

Koch,

Wundererziihlungen, 73 ·

Marco

la credenza magica della donna. La fiducia in Gesù l'ha «gua­ rita» (5,34) e l'ha portata, corpo e anima, nella pace di Dio. In Gesù la forza risanatrice di Dio è tanto presente che anche una fede non ancora purificata conduce alla guarigione. Sul tema fede e guarigione si riflette ulteriormente nell'epi­ sodio del giovane epilettico. I discepoli non vorrebbero libe­ rare l'infelice giovane della sua grave malattia, che viene spie­ gata come possessione ad opera di uno spirito muto (9, 1 7). Il padre disperato si rivolge a Gesù e lo prega: «Se puoi qualco­ sa, aiutaci, abbi misericordia di noi!». Ma Gesù gli obietta: «Se puoi qualcosa? Tutto può chi crede! », dopo di che caccia lo spirito muto e cieco. Le parole di Gesù non si possono in­ tendere che in questo modo: Gesù si accinge a guarire il gio­ vane in un'inaudita fiducia in Dio e, al tempo stesso, inco­ raggia il padre a condividere con lui questa fiducia.11 La po­ tenza risanatrice di Gesù ha le sue radici nella sua unione profonda col Padre celeste, che egli ritiene capace di ciò che è umanamente impossibile. Ciò è confermato dall'insegnamen­ to dato ai discepoli. Gesù dice loro: «Questa specie può esse­ re cacciata solo mediante la preghiera» (9,29). Gesù si è rivol­ to a Dio con una preghiera piena di fiducia, che oltrepassa ogni obiezione e difficoltà. La storia viene trasferita nell'oriz­ zonte postpasquale della comunità, in cui riecheggiano le pa­ role di Gesù sulla fede che muove le montagne (Mc. 1 1 ,22-24; cfr. Mt. 1 7, 1 9 s.). La forza risanatrice di Gesù continua ad operare anche nella comunità, se questa rimane nella fede piena di fiducia. In maniera ancora diversa è visto il rapporto con Gesù di un uomo provato dal dolore, in occasione della guarigione, a Gerico, del cieco Bartimeo ( 1 0,46- 5 2). All'invocazione di pie­ tà Gesù non si sottrae. Il cieco si rivolge a Gesù, animato dal­ la fede che egli sia il figlio di David; Gesù si ferma e lascia che quello lo chiami. È un'immagine dell'umana pietà di Gesù, ma anche della fede che egli richiede. Anche al cieco, come 2 1 . Gnilka, Mk n, 48 {tr. it. 494): «Il modello della fede non è il Padre, ma Gesù. Soltanto lui può pronunciare la frase dell'onnipotenza del credente».

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all'emorroissa, Gesù dice: «Vai, la tua fede ti ha guarito». In tal modo Gesù conduce con sé l'uomo nella comunità, così che questi si unisce a Gesù e lo segue nel suo cammino ( 1 o, 5 2). Gesù ha conquistato come discepolo il risanato e questi lo segue sulla via di Gerusalemme, ossia sulla via della pas­ sione. Ancora una volta la vista si apre verso la comunità po­ steriore. 22 Sono dunque assai diversi i contesti in cui vengono collo­ cate le guarigioni operate da Gesù. A seconda della tradizione di cui dispone, Marco delinea un'immagine di Gesù esorcista e terapeuta che mette in evidenza la forza risanatrice conferi­ tagli da Dio, ma anche la sua prossimità e il suo calore nel­ l'incontro coi sofferenti. Vi sono tratti che ricordano gli «uo­ mini divini» ellenistici; ma quel che predomina è il rapporto di Gesù con Dio, suo padre, la cui potenza egli invoca con il­ limitata fiducia. L'immagine di Gesù che guarisce i malati è sfaccettata, ma nel complesso serve alla predicazione della messianicità di Gesù e della sua qualità di figlio di Dio. Il Ge­ sù che annuncia è anche colui che opera con potenza e guari­ sce le ferite dell'umanità. 4· Opere di potenza ed epifanie Quel che abitualmente si designa come «miracolo sulla natura» comprende episodi differenti, che vanno distinti se­ condo i generi: miracoli di salvataggio (in Marco, il salvatag­ gio dalla burrasca), miracoli di dono (le grandi moltiplica­ zioni di cibi), epifanie (la trasfigurazione sul monte e il cam­ minare sulle acque). 2 3 Quando nel vangelo di Marco si parla di «opere di potenza» (òuva(Jwet�, 6,2. 14), l'espressione si rife­ risce a fatti che appaiono eccezionali, portentosi, soprattutto 1 1 . Sulla fede in Marco si veda la voluminosa opera di Th. Soding, Glaube bei Mar­ leus. Glaube an das Evangelium, Gebetsglaube und Wunderglaube im Kontext der markinischen Basileiatheologie und -christologie (SBB I 2 } , Stuttgart 1985; sulla fede nelle opere di potenza, pp. 3 8 5-5 I I . 1 3 . Cfr. Theissen, Wundergeschichten, 1 02- I 14.

Marco 54 guarigioni e cacciata di demoni. Gli abitanti di Nazaret, che guardano Gesù scettici e increduli, si meravigliano che gli sia data una simile sapienza (nel parlare) e che per mano sua ac­ cadano opere potenti. Si tratta della stessa combinazione di insegnamento autoritativo e dimostrazioni di potenza straor­ dinarie che il popolo osserva a Cafarnao, dopo l'insegnamen­ to di Gesù nella sinagoga e la cacciata dei demoni (1 ,27). Nel caso delle «opere di potenza» cui alludono gli abitanti di Na­ zaret, si sarà pensato ai miracoli raccontati nel cap. 5 : la cac­ ciata dello spirito impuro dal posseduto di Gerasa, la guari­ gione dell'emorroissa, il risveglio della figlia di Giairo. La fama di Gesù taumaturgo si è spinta fino nella sua città d'ori­ gine, Nazaret. Quivi Gesù, a causa dell'incredulità degli abi­ tanti, non può compiere alcuna opera di potenza. Solo ad al­ cuni malati impone le mani, guarendoli. Questa non viene evidentemente considerata una particolare dimostrazione di potenza. Per Marco Gesù, nelle sue opere di potenza, va oltre l'attività di terapeuta e diventa un taumaturgo straordinario. Il re Erode Antipa ha sentito dei miracoli di Gesù e si as­ socia all'opinione popolare che in Gesù operino forze simili poiché in lui è risuscitato dai morti Giovanni Battista, che Erode �; ha fatto decapitare (6, 1 4- 1 6). Anche qui «opere di po­ tenza» è un'espressione generale e comprensiva per l'operato prodigioso di Gesù. Di Giovanni Battista non si conoscono opere del genere; qui però vengono manifestamente presup­ poste. L'operare con forza ed efficacia di Giovanni si è tra­ sferito, rafforzato, in Gesù; con ciò, tuttavia, non si aggiunge un tratto nuovo all'immagine di Gesù. Non si pensa nemme­ no alla risurrezione di Gesù; secondo la concezione popolare, Giovanni è «risuscitato dai morti» in Gesù (6, 1 4), senza che si dovesse perciò pensare a una risurrezione escatologica dei morti. �4 Egli è un precursore di Gesù che, in base a Mc. 9, 1 3 , può essere visto come quell'Elia che precede il messia e che Gnilka, Mk 1, 248 (tr. it. 3 3 9 s.): «La documentazione di un'attesa giudaica dell'epoca di Gesù, secondo la quale il profeta escatologico avrebbe condiviso un de­ stino di morte e di risurrezione, non può essere considerata sicura... Non si tratta di un'idea escatologica della risurrezione,..

24. Cfr.

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nel suo destino preannuncia la passione e la morte di Gesù, ma non la sua risurrezione. Il Giovanni Battista «risuscitato» in Gesù compie le sue opere di potenza sulla terra. Nelle narrazioni di epifanie, invece, dietro l'immagine di Gesù che ha potere in terra, è visibile il Cristo risorto. Gesù è il figlio di Dio, come Dio lo attesta all'inizio nel battesimo e poi nella trasfigurazione. Anche il battesimo è un racconto epifanico in cui l'essere di Gesù viene manifestato mediante la teofania divina. Questa testimonianza di Dio all'inizio del­ l'azione di Gesù, lo squarciarsi (aprirsi) del cielo e la voce di Dio, in Marco sono percepiti solo da Gesù: egli vede il cielo aperto e lo Spirito che discende in forma di colomba; egli ode le parole di Dio a lui rivolte: «Tu sei il mio figlio diletto, in te mi sono compiaciuto» ( 1 ,9- 1 1). In realtà, la scena del battesi­ mo ha anche la funzione di presentare alla comunità il salva­ tore inviato da Dio. Solo nella trasfigurazione sul monte i di­ scepoli presenti odono la voce di Dio che indica loro con for­ za Gesù: «A lui dovete prestare ascolto» (9,7). Il Gesù tra­ sformatosi davanti a loro, rivestito di vesti lucenti, che parla con personaggi celesti, è un'immagine che anticipa il Cristo risorto. È una visione del Cristo glorificato, schermata col riferimento alla vita terrena di Gesù. Che significa questo per l'immagine di Gesù dell'evangeli­ sta ? N el Gesù che sulla terra annuncia e insegna, guarisce e caccia i demoni, · c'è già, sopito e nascosto, lo splendore futu­ ro che sarà manifesto nella risurrezione. La sua passione e morte sono il necessario presupposto, voluto da Dio, del ma­ nifestarsi di quello splendore. L'opera terrena di Gesù, com­ battuto e minacciato dagli avversari, è sotto la guida segreta di Dio. Quanto l'episodio della trasfigurazione si collochi nella luce del Cristo risorto è mostrato dall'ingiunzione di non parlare che Gesù impartisce ai tre discepoli durante la di­ scesa dal monte: non dovranno raccontare nulla dell'accaduto «fino a quando il figlio dell'uomo non sarà risorto dai morti» (9,9 ). Fino ad allora lo splendore di Gesù, manifestato in un'anticipazione, non deve essere rivelato. La comunità deve comprendere che nell'attività terrena di Gesù è op �rante la

Marco

sua autorità divina, quantunque ancora coperta da un velo che si solleva solo per la fede. Un avvenimento epifanico analogo è descritto nel racconto di Gesù che cammina sulle acque (6,4 5 - 5 2). Il camminare di Gesù sulle onde agitate rappresenta visivamente la potenza di Dio sulle forze del male. Dio cammina «sulle profondità del mare» (Giob. 9,8); egli ha il suo trono in alto, al di sopra di tutto il mugghiare dei flutti (Sal. 93,2 ss.); egli può salvare da acque tumultuose (Sal. 144, 7). Questa superiorità di Dio su tutte le potenze minacciose viene ora trasmessa a Gesù. Po­ tente, egli cammina sulle onde e il suo «passare davanti» ai di­ scepoli ricorda la gloria di Dio che passava davanti a Mosè (Es. 3 3 ,2 1 -23) o a Elia. (1 Re 19, 1 1 s.). La potenza di Dio si manifesta in una vicinanza protettiva. Così questa cristofania è, a un tempo, il salvataggio dei discepoli. Con la sua auto­ manifestazione, Gesù li incoraggia: «Sono io, non temete ! » . Poi sale con loro nella barca e il vento s i quieta. I l motivo del salvataggio richiama l'episodio della tempesta sul lago sedata (4,39). Anche in questo episodio, attraverso il velo dell'avve­ nimento esterno, traspare la divinità di Gesù. Per i discepoli, che credono di vedere «un fantasma», egli diventa il rivelato­ re che con potenza divina doma le onde e li libera dalla loro condizione di necessità. Ma i discepoli sono sbigottiti e non comprendono il senso dell'accaduto, come già in occasione della grande distribuzione di cibo; il loro cuore è chiuso. Questa incomprensione dei discepoli fa parte del «segreto messtantco». Tra le opere di potenza di Gesù sono da annoverare anche le grandi distribuzioni di cibo. Gesù compie un'azione che ha già il suo modello nella distribuzione di venti pani d'orzo a centoventi persone ad opera del profeta Eliseo (2 Re 4,42-44). Gesù supera di gran lunga la distribuzione del profeta, come mostrano gli elevati dati numerici dei due racconti. Se Marco e Matteo riportano due distribuzioni di cibo di questo genere (Mc. 6,3 1 -44 l Mt. 14, 1 5-2 1 ; Mc. 8, 1 - 1 0 l Mt. 1 5 ,32-39), si ba­ sano sulla tradizione di un solo fatto nel luogo isolato, pre­ sente a Marco (e rispettivamente a Matteo) in due varianti.

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Questi racconti ricadono così nella problematica della tradi­ zione storica e della sua interpretazione ad opera degli evan­ gelisti. Si deve tenere in considerazione anche il tempo della chiesa primitiva, in cui essa si appropriò di questa tradizione, mettendola a frutto, dalla sua prospettiva, per la sua vita, si­ curamente con idee di vario genere cresciute in seguito e con tratti di simbolismo. Di tutto questo non possiamo occuparci qui; intendiamo soltanto !imitarci a chiederci che cosa appor­ tino all'immagine di Gesù i due racconti di distribuzione di cibo riportati da Marco. Gesù appare come un «uomo di Dio», analogamente al profeta Eliseo, che egli supera però di gran lunga. Gesù opera il fatto miracoloso in forza della potenza di Dio, come fanno capire il suo alzare lo sguardo verso il cielo ( 6,4 I ) e la pre­ ghiera di benedizione. Nelle due narrazioni si mette in evi­ denza come Gesù abbia pietà del popolo, nel primo caso per­ ché quella gente era come gregge senza pastore (6,34), nel se­ condo perché ormai da tre giorni era con Gesù senza aver nulla da mangiare ed era possibile che venisse meno lungo il cammino (8,2 s.). I motivi dell'iniziativa di Gesù sono quindi indicati in modi diversi. Al gregge senza pastore, col suo in­ segnamento Gesù dà direzione e scopo; il maestro è anche la guida del popolo di Dio. La citazione può essere presa da Num. 27, I 7 o da Ez. 34, 5 . In Num. 27 viene introdotto Gio­ suè come guida della comunità, in Ez. 34 si lamenta l'inca­ pacità dei precedenti pastori, ma poi si promette anche un buon pastore, un pastore unico, che conduce le pecore al pa­ scolo. Dio lo insedia come «il mio servo David» (34,23). È possibile che in Marco si pensi per sottintesi al messia della casa di David. Dopo l'insegnamento, la sera, segue la distri­ buzione del cibo; anch'essa dovrebbe ancora essere circonfu­ sa della pietà di Gesù. Il motivo della distribuzione di cibo echeggia già nel raccordo: i discepoli non avevano trovato nemmeno il tempo per mangiare, tanta era la gente che veniva e andava ( 6,3 I ) . 25 A differenza dei discepoli, Gesù non vuole 2

s. Schenke,

Wundererzi:ihlungen, 2 1 8:

«La notizia che i discepoli non avessero nep-

Marco

mandar via la gente, ma darle da mangiare egli stesso. Il pasto viene descritto in modo tale da rendere trasparente l'avveni­ mento per la comunità posteriore. È il popolo di Dio che si riunisce in comunità di commensali (di cento o cinquanta persone) e celebra col messia una festa gioiosa. È fuori dub­ bio l'allusione al pasto eucaristico;16 ma se colui che ospita è Gesù, lo sguardo si spinge fino alla comunità cui egli dispen­ sa i suoi doni. Anche le dodici ceste, menzionate a causa dei dodici uomini scelti da Gesù (cfr. J , I J - 1 6), e il grande nume­ ro di coloro che vengono saziati, appartengono ai tratti sim­ bolici che rinviano alla comunità posteriore. L'operare attua­ le di Gesù acquista un significato più profondo che, in verità, nemmeno i discepoli sono in grado di comprendere; essi non capiscono quale significato avesse il miracolo del pane (6, 5 2; 8, 1 7-2 1 ). L'incomprensione dei discepoli aleggia sul grande miracolo; ciò va inteso nell'ambito del «segreto messianico» . I l secondo racconto di distribuzione di cibo s i sofferma di più sulla umana compassione di Gesù per gli uomini affaticati ed è più intensamente calato nella situazione del momento. È dubbio che sia questa la variante più antica, 17 dato l'orizzonte ellenistico del racconto. In 8,6 le espressioni impiegate allu­ dono assai chiaramente al pasto eucaristico. Anche la bene­ dizione e distribuzione dei pesci può essere un ricordo dei pasti del Signore che si prolungano nell'eucaristia (cfr. Gv. 2 1 , 1 2 s.). Con la gente che viene da lontano e che si unisce ai giudei in comunità conviviale è possibile si pensi ai pagani, chiamati al pasto escatologico (Le. 1 3,29). Nella celebrazione eucaristica della comunità, quindi, si delinea già il compimen­ to escatologico.18 Tutte queste sono soltanto possibilità di una comprensione simbolica che conferisce una coloritura più pure trovato il tempo di mangiare a causa dell'accalcarsi del popolo (cfr. 3,2o) do­ vrebbe anticipare, con sottile allusione, la distribuzione di cibo descritta nei vv. 3444, indicando quindi quest'ultima come avvenuta in grazia dei discepoli».

26. Gnilka, Mk 1, 26 1 (tr. it. 3 5 8). 27. Cfr. Schenke, Wundererzahlungen, 220-228 (le due narrazioni avrebbero subito una rielaborazione secondaria); A. Seethaler, Die Brotvermehrung - ein Kirchenspie­ gel?: BZ 34 (1990) 108- 1 12. 28. Cfr. Schenke, Wundererzahlungen, 296; più cauto Seethaler 109.

La descrizione dell'attività di Gesù

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ricca a quanto avviene nel deserto. È difficile conoscere con esattezza il simbolismo immesso nei due racconti di distribu­ zione di cibo: i due racconti hanno comunque il loro posto nella vita della comunità. Per Marco, Gesù che compie sulla terra tali miracoli diventa il Cristo postpasquale presente nella comunità. Si delinea l'immagine di Gesù, compassione­ vole salvatore del popolo e sollecito signore della comunità. 5.

Confronti e conflitti

Tutta la vita pubblica terrena di Gesù è percorsa da conflit­ ti coi capi del popolo. Subito, all'inizio, si trova una raccolta di cinque «dispute» che mettono in luce la superiorità di Ge­ sù sugli avversari e, ancor più, la sua sovranità nel giudicare e nell'agire (2, 1 -J,6). 29 In occasione della guarigione del parali­ tico (2, 1 - 1 2), cui Gesù inizialmente assicura il perdono dei peccati, alcuni dottori della legge se ne scandalizzano e pen­ sano in cuor loro: «Come può quest'uomo parlare così, egli offende Dio. Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo ?». Ma, con la guarigione del paralitico, Gesù dimostra che il fi­ glio dell'uomo ha l'autorità di rimettere i peccati sulla terra. Se i pensieri dei dotti rimangono nascosti nel loro intimo, Ge­ sù li scopre e il conflitto non scoppia apertamente, ma si av­ via. Al pranzo nella casa del pubblicano (2, 1 5 - 1 7), i dottori della legge dei farisei attaccano i discepoli di Gesù, per il solo fatto che questi siede a tavola con pubblicani e peccatori, ma Gesù giustifica il proprio comportamento con la sua missione presso i peccatori, cui egli testimonia la misericordia di Dio. Nella questione del digiuno (2, 1 8-22), osservatori scettici di Gesù e dei suoi discepoli gli si avvicinano, chiedendogli di spiegare perché egli e i suoi discepoli non digiunino, come fanno invece gli allievi di Giovanni e i farisei. Gesù li respinge 19. L'espressione è stata introdotta da M. Albertz, Die synoptischen Streitgespriiche, Uerlin 1 91 I. L'ampiezza di questa raccolta è discussa; cfr. H.- W. Kuhn, Altere Samm­ lungen im Markusevangelium (StUNT 8), Gottingen 1971; W. Thissen, Erziihlungen dtr Befreiung. Eine exegetische Untersuchung zu Mk 2, 1-3,6 (FzB 2 1}, Wiirzburg 1 976; Schenke, Wundererziihlungen, 149- 1 51; Gnilka, Mk I, 1 3 1 s. (tr. it. 1 7 1 s.) .

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col richiamo al tempo di salvezza e di gioia che egli è venuto a portare. È degna di nota la sua anticipazione del tempo in cui lo sposo sarà sottratto agli invitati alle nozze (2,20). Nel pensiero di Marco è questa una prima occhiata antici­ patrice sulla passione di Gesù e sulla mutata situazione della comunità. Questa osservazione supplementare per Marco è importante, poiché consente la transizione dal tempo del­ l'agire terreno di Gesù a quello successivo alla sua morte. Ge­ sù ha già presente il suo futuro e dà una veduta profetica sul tempo che seguirà la sua passione. Nella disputa sulla raccolta delle spighe (2,23 -28), in questione è il sabato. Di nuovo Ge­ sù giustifica il comportamento dei discepoli e dà una risposta fondamentale: «Il sabato è per l'uomo, non l'uomo per il sa­ bato». Questa definizione, comprensibile anche a giudei, è tuttavia data da Gesù in qualità di figlio dell'uomo operante con autorità sulla terra (cfr. 2, 1o): «Il figlio dell'uomo è si­ gnore anche del sabato» (2,28). Il conflitto viene spinto al­ l' estremo in occasione della guarigione, di sabato, dell'uomo dalla mano inaridita (3 , 1 -6). Pieno d'ira Gesù guarda gli av­ versari che lo spiano, «sdegnato per la durezza del loro cuo­ re». Appena Gesù ha guarito l'uomo, i farisei escono dalla si­ nagoga e, insieme con gli Erodiani, prendono la decisione di eliminare Gesù. Con ciò è già fissato il corso ulteriore dello scontro di Ge­ sù con gli avversari ottusi e malevoli. In questa contesa Gesù dimostra di essere colui che combatte per il volere santo di Dio contro ogni umana angustia, colui che annuncia un tem­ po nuovo (cfr. 2,2 1 s.) che richiede un nuovo agire. Nell'im­ magine di Gesù, pur con tutto l'amore per i peccatori, sono riconoscibili anche indignazione e ira per gli avversari male­ voli che lo aggrediscono. L'attacco contro Gesù s'intensifica nel dialogo su Beelzebul (3,22-Jo). Quelli attribuiscono i suoi esorcismi al capo dei demoni, cercando di tirarlo dalla parte di Satana (cfr. 3,26) Gesù respinge il loro attacco con lucida intelligenza, ma minaccia anche coloro che in tal modo offen­ dono lo Spirito santo, che non troveranno perdono in eterno (3,28 s.). .

La descrizione dell,attività di Gesù

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Nel rinvio dei parenti, che vogliono riportare a casa Gesù con la forza ritenendolo impazzito (3 ,20 s.), e nella pericope di Nazaret (6, 1 -6a) si scopre un nuovo tratto dell'immagine marciana di Gesù: egli è l'incompreso e lo straniero proprio là dove avrebbe dovuto trovare accoglienza. I parenti non ne comprendono la dedizione e il sacrificio per gli uomini, tanto da non riuscire, lui e i suoi discepoli, a prender cibo (3,20). Gesù si rifiuta alla madre e ai fratelli, rinviando alla sua vera famiglia che sono per lui coloro che accolgono il suo inse­ gnamento e fanno la volontà di Dio (J,J I -3 5) - ancora un'a­ pertura sulla comunità posteriore dei credenti. Questa estra­ neità e questa incomprensione si accrescono nel rifiuto oppo­ stogli dai suoi conterranei di Nazaret. Questi stupiscono, certo, davanti alla sua sapienza e ai suoi miracoli, ma non si spingono fina a credere (6, 1 -6a). Egli è il profeta disprezzato in patria che può solo meravigliarsi dell'incredulità di chi gli è più vicino. Sempre più netta è la divisione in credenti e non credenti: l'operare di Gesù è una forza che separa. Le espe­ rienze della chiesa primitiva si riflettono già in quel che Gesù ha vissuto sulla terra. La teoria della parabola secondo la qua­ le a coloro che son «fuori» tutto rimane incomprensibile (4, I I s.) è uno specchio delle esperienze missionarie della comu­ nità postpasquale. Altri scontri vengono dalla questione della purità (7, I - 1 3). Il rituale lavarsi le mani prima di mangiare, che alcuni disce­ poli di Gesù omettevano, conduce alla provocazione di scribi e farisei che domandano perché i discepoli di Gesù non si at­ tengano alla tradizione degli antichi. Ne nasce un dibattito di principio sul rispetto dei comandamenti e sull'interpretazione delle prescrizioni che erano state date nel giudaismo primiti­ vo per il rispetto dei comandamenti di Dio. Gesù attacca i farisei e gli scribi perché, in base al voto di qorban, omettono la cura dei genitori, contravvenendo a un rigoroso comanda­ mento di Dio.30 Nonostante il duro attacco di Gesù, non si JO. Il voto di

qorban (7, 10- 1 2}, mediante il quale un figlio poteva sottrarre ai genitori il diritto di usufrutto della sua proprietà, dichiarando il bene assegnato a Dio, è un esempio concreto di quel che, con /s. 29, 1 3 LXX, viene rimproverato a farisei e seri-

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giunge a misure contro di lui. Tutta la composizione 7, I -23 assolve un interesse didattico. Per questo Gesù raccoglie la gente, dicendole una parola su quel che rende impuro l'uo­ mo: nulla di quanto entra nell'uomo dall'esterno, ma solo quel che esce dall'uomo (7, I 5). La questione si è spostata sul­ le prescrizioni alimentari. In seguito Gesù spiega ai discepoli, in privato (in «casa»), il senso del detto enigmatico (7, 1 7-26). È un insegnamento per tutta la comunità, sui pensieri e sulle passioni malvagie che salgono dal cuore. Con questo esempio didattico si riflette sull'atteggiamento etico fondamentale e lo si colloca concretamente nella situazione esistenziale umana. Per l'immagine di Gesù questo significa che, come maestro di morale, Gesù trova più che mai il suo profilo nel confronto con la concezione giudaica della legge. Dopo la distribuzione di cibo a quattromila persone, i fari­ sei riprendono a disputare con Gesù. Essi pretendono un se­ gno dal cielo, benché i miracoli compiuti da Gesù dovrebbe­ ro persuaderli della sua missione. Chiedono una conferma straordinaria mediante un segno celeste, che Gesù però rifiu­ ta (8,1 I - I 3). Gesù si sottrae alla generazione incredula che non crederebbe nemmeno dopo un tale segno: lascia i farisei e si trasferisce sull'altra sponda. A questo punto mette in guardia i discepoli dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode (8, I 5). L'ostilità, già annunciata in precedenza, di questi due gruppi (3,6) animati da uno spirito malvagio (lievito),3 1 si fa bi: «Quel che insegnano è solo decisione di uomini» {7,7). La disputa sulla concezio-. ne giudaica della legge trova una risposta di principio in Mc. 7, 1-23. Malgrado la rie­ laborazione redazionale è possibile ricondurla a Gesù (soprattutto 7, 1 5). Cfr. W. Pa­ schen, Rein und Unrein {StANT 24), Miinchen 1970, 1 77- 1 8 7; W.G. Kiimmel, Aus­ sere und innere Reinheit des Menschen bei jesus, in Das Wort und die Worter. Fest­ schrift G. Friedrich, Stuttgart 1973, 3 5 -46; J. Lambrecht, ]esus and the Law. An ln­ vestigation of Mark 7, 1-23 : EThL 53 ( 1 977) 24- 52; H.-J. Klauck, Allegorie und Alle­ gorese in synoptischen Gleichnistexten (NTA N.F. 1 3), Miinster 1978, 268 s. Di avvi­ so diverso H. Rais anen, jesus and the Food Laws. Reflections on Mark 7,1J : JSNT s

( 1 982} 79- 100. 3 1 . Così, nel giudaismo, viene per lo più intesa l'immagine del lievito; cfr. H. Win­ disch in ThWNT II ( 1 9 3 5 ) 904-908 {tr. it. GLNT III, I S S S - 1 5 70); P. Billerbeck, Das Evangelium nach Matthiius, erliiutert aus Talmud und Midrasch I, Miinchen 1922, 728 s. In Marco, dove, a differenza di Matteo e Luca, non viene data nessuna deter­

minazione più precisa del «lievito», si deve piuttosto pensare all'incredulità che in-

La descrizione dell,attività di Gesù

più minacciosa. Ma i discepoli non comprendono né questo pericolo né l'ambito di protezione e benedizione divina, assi­ curato loro dalle grandi moltiplicazioni di cibo (dialogo sul pane e sul lievito di 8 , I 7-2 I ). Con la loro disposizione d'ani­ mo terrena e con la loro insufficiente attenzione per l'agire di Gesù, anch'essi sono in pericolo di perdere la fede - un av­ vertimento per la comunità posteriore. Un conflitto più acuto si sviluppa solo quando Gesù è sul­ la via di Gerusalemme e vede davanti a sé le sofferenze della sua morte. In termini sempre più chiari egli annuncia che sarà respinto dal sinedrio, l'organo rappresentativo del giudaismo, consegnato ai pagani e ucciso (8,3 I ; 9,3 I ; I o,3 3 ) Il confronto fin qui verbale diventa una minaccia esistentiva. Marco allude al conflitto col giudaismo mediante la maledizione e l'inari­ dimento dell'albero di fico (I I , I 2- I 4.20 s.). Il singolare com­ portamento di Gesù che, per fame, cerca frutti nel fico e, non trovandone, lo maledice, non è spiegabile storicamente ed è da intendersi solo simbolicamente.3� Non era nelle intenzioni di Gesù un miracolo punitivo su un albero, e Marco non rac­ conta il fatto per rappresentare Gesù nelle vesti di giudice che punisce Israele; piuttosto, la comunità deve riflettere sul fal­ limento d'Israele, il fico piantato da Dio, e sulle conseguenze che ne derivano. Al suo ritorno al fico inaridito, Gesù esorta i discepoli alla fede e alla preghiera certa del proprio esaudi­ mento ( I I ,20-24). Di fronte a un Israele incredulo e privo di frutti, la comunità cristiana deve porre tutta la sua fiducia in Dio. Il conflitto mortale con Israele non si risolve in uno scontro umano, ma viene posto nelle intenzioni e nel potere di Dio. «Abbiate fede in Dio ! » (I 1 ,22): è un invito a portare frutti, mediante la preghiera che confida nella potenza di Dio. Tra la maledizione del fico e il suo inaridimento Marco ha .

duce al rifiuto di Gesù e all'ostilità nei suoi confronti; cfr. Schenke, Wundererzah­ lungen, 301 -307; a ragione questi accenna alla contemporanea situazione di fede della comunità {pp. 305-307). ) l . Cfr. G. Miinderlein, Die Verfluchung des Feigenbaums: NTS 10 ( 1963/64) 891 04; H. Giesen, Der verdorrte Feigenbaum - eine symbolische Aussage ? Zu Mk II, 12-r4.2o f: BZ 2o ( 1976) 9 5 - 1 1 1 .

Marco

inserito la purificazione del tempio ( 1 1 , 1 5 - 1 9). Questa viene così collocata nella prospettiva dello scontro con Israele e, al tempo stesso, caratterizzata come azione simbolica di Gesù. Non v'è alcun dubbio su tale intervento di Gesù contro l'at­ tività commerciale nell'atrio dei gentili. È una protesta contro la pratica cultuale della gerarchia sadducea del tempio, un fatto che sta a significare il rifiuto di un'angusta pietà del tempio.33 Se Marco pone la purificazione del tempio all'in­ terno dell'azione simbolica di Gesù sul fico, quella diventa una conferma che Israele è un fico sterile, come mostra la condotta fuori luogo dell'aristocrazia sacerdotale dominante. Al tempo stesso si apre per Marco la prospettiva sulla nuova comunità cultuale. La citazione, aggiunta «didatticamente», da /s. 5 6,7: «La mia casa è casa di preghiera per tutti i popo­ li», fa cenno alla comunità che raccoglie in sé gli adoratori di Dio da tutti i popoli, anche pagani. Quest'idea sta alla base anche del «logion sul tempio» tramandato nel racconto della passione, che collega all'annuncio della distruzione del tem­ pio la prospettiva di un altro tempio, «non fatto da mano d'uomo» (1 4,5 8). Malgrado tutte le incertezze riguardo all'in­ terpretazione del logion sul tempio, con ciò si dovrebbe in­ tendere la nuova comunità di Dio.34 Anche nella purificazio­ ne del tempio il Gesù marciano non si ferma alla critica del giudaismo ma passa a una profezia sulla comunità salvifica. Per Marco il confronto non è mai un mero fatto di lotta, ma è anche l'occasione per far sentire in positivo pensieri e inten­ zioni di Gesù. 3 3 · Cfr. M. Trautmann, Zeichenhafte Handlungen ]esu. Ein Beitrag zur Frage nach dem geschichtlichen ]esus (FzB 37), Wiirzburg 1980, 1 19- 128. Degna di nota è l'in­ terpretazione di J. Roloff, Das Kerygma und der irdische ]esus, Gottingen 1970, 89100, che intende l'azione di Gesù come segno profetico mirante a ottenere, alla fine dei tempi, penitenza e conversione da Israele (p. 9 5 ). 34· Cfr. O. Michel in ThWNT IV ( 1 942) 8 8 8 (tr. it. GLNT VII, 8 5 9 s.); W. Grund­ mann, Das Evangelium nach Markus, Berlin 2 1 959, 3 0 1 ; E. Schweizer, Das Evange­ lium nach Markus, Gottingen ( 1 967) 1975, 1 80 (tr. it. Il Vangelo secondo Marco, Brescia 197 1 , 3 50). Secondo Pesch, Mk 11, 434 (tr. it. 638) il nuovo tempio non co­

struito da mano d'uomo è il «tempio messianico degli ultimi giorni»; diversamente Gnilka, Mk n, 280 (tr. it. 83 1 ), che pensa alla risurrezione di Cristo. Questa interpre­ tazione vale per Gv. 2,2 1 , ma difficilmente per Mc. 14,58.

La descrizione dell'attività di Gesù

Tuttavia gli avversari, sommosacerdoti e scribi, reagiscono alla purificazione del tempio in maniera dura e irrecuperabile. Cercano l'occasione di eliminare Gesù (1 1 , 1 8). I rappresen­ tanti del sinedrio chiedono conto a Gesù del diritto con cui egli fa questo. Alla domanda sulla sua autorità (1 1 ,27-3 3) Ge­ sù non risponde esplicitamente ma in modo coperto, ponen­ do a sua volta una domanda: il battesimo di Giovanni era dal cielo o dagli uomini? I capi del popolo non osano dire che il battesimo di Giovanni era dal cielo, poiché non gli hanno creduto. Gesù li sorprende nella loro inconseguenza: non do­ vrebbero anche riconoscere che la sua autorità viene da Dio ? Ma essi non · vogliono e si nascondono nel silenzio. Gesù racconta poi la parabola dei vignaioli malvagi ( 1 2, 1 1 2). È un attacco evidente ai capi del giudaismo, che hanno sempre perseguitato, bistrattato e ucciso i servi di Dio. L'epi­ sodio viene però raccontato come una parabola il cui punto culminante sta nell'invio del figlio e nella sua uccisione. Per la comunità cristiana il senso del racconto è chiaro: l'ostilità dei capi sospinge Gesù, il «figlio diletto» di Dio, verso la morte; ma Dio concede la vigna ad altri vignaioli, cioè alla chiesa cri­ stiana. Dio fa della pietra rifiutata dai giudei la pietra d'ango­ lo di questa comunità. In tale situazione di conflitto in veste di parabola il Gesù marciano svela lo sfondo e l'andamento del conflitto. Ma all'evangelista preme anche la rivelazione cri­ stologica della persona di Gesù: il figlio diletto che, dopo la sua morte, è stato innalzato da Dio e fatto pietra d'angolo della nuova casa di Dio. Questa narrazione è quindi il punto culminante dello scontro di Gesù coi capi giudei. Gesù qui combatte a viso scoperto; solo nella scena davanti al sinedrio Marco porta l'attacco dei capi giudei fino all'interrogazione diretta ad opera del sommosacerdote e all'aperta confessione di Gesù della propria dignità di messia. Dopo la narrazione della parabola Marco dice espressamente: «Si erano accorti che con questa parabola egli si riferiva a loro». Avrebbero volentieri fatto imprigionare Gesù, ma temevano la folla. Quanto in seguito si racconta ancora in fatto di dispute e dialoghi didattici { 1 2, 1 3-37a) lascia intendere ulteriormente la

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tensione tra i gruppi dirigenti e Gesù, ma non conduce ad al­ cuna situazione pericolosa. Si deve anche considerare che le questioni trattate - la tassa per l'imperatore, la risurrezione dei morti, il primo comandamento, la questione di Cristo fi­ glio di David - devono servire all'ammaestramento della co­ munità. Questi dialoghi vengo_no inseriti qui per dare collo­ cazione alla superiorità di Gesù sui suoi avversari, ma anche ai suoi insegnamenti per la comunità. La tendenza positiva si rivela particolarmen.te nel dialogo dottrinale di Gesù con gli scribi a proposito del comandamento più importante. Per Marco non . si tratta di una disputa, ma dell'insegnamento fondamentale sulla condotta di vita cristiana, .c he abilita alla partecipazione al regno di Dio (1 2,34). Al termine s'incontra tuttavia l'osservazione: «E nessuno osava più porre domande a Gesù» (1 2,34c). Con le parole di Gesù ogni questione è de­ finita. In .s eguito Gesù solleva di sua iniziativa anche la que­ stione 4el messia ( 1 2,3 5-37a) che mette sotto gli occhi della comunità come Gesù sia più del figlio di David: egli è il «Signore» che Dio stesso accredita come tale. I confronti e gli scontri, così come le guarigioni e i miraco­ li, percorrono l'intero vangelo, finché il conflitto inconciliabi­ le tra Gesù e i capi del giudaismo non scoppia apertamente nel procedimento dinanzi al sinedrio. Alla domanda solenne posta dal sommosacerdote, se egli sia · il messia, il figlio del Benedetto, Gesù risponde con un «sÌ» chiaro: «Lo sono, e voi vedrete il figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza venire sulle nubi del cielo» (1 4,64). Ora Gesù confessa aper­ tamente la sua messianicità, elevandola tuttavia a un orizzon­ te più ampio con quanto dice in seguito, che egli è il figlio dell'uomo che siede alla destra di Dio e verrà sulle nubi del cielo. Si tratta di una formulazione che allude a Sal. I 1 0, 1 e Dan. 7, 1 3, due passi che svolgono una funzione importante nella cristologia protocristiana.35 Davanti al sinedrio, dun3 5 · Per Sal. 1 10, 1 cfr. Mc. 1 2,36 par.; 16,19; Atti 2,J4 s.; 7,.5 6; 1 Cor. 1 5 ,2 5 ; Ef 1 ,2o; Col. 3 , 1 ; Ebr. I ,J . 1 3 ; 8,1; 1 0, 1 2 s.; 1 2,2. Per Dan. 7, 1 3 : Mc. 8,3 8 par.; 1 3 ,26 par.; Mt. 1 9,28; Gv. 5,27; Atti 1,7. 1 3 ; I 1 , 1 5; 14,14. Su Sal. 1 10, 1 cfr. Hahn, Christologische Ho­ heitstitel, I 26- I 3 2.

La descrizione dell'attività di Gesù

que, Gesù rivendica le funzioni che gli vengono attribuite nella chiesa primitiva, del figlio dell'uomo che è stato innalza­ to presso Dio e che verrà un giorno nella potenza. Si può du­ bitare che Gesù abbia sfidato in questo modo il sommosacer­ dote, che abbia impiegato quelle parole; rimane però come storicamente verosimile che egli abbia dato una autotestimo­ nianza del suo ruolo messianico. Nell' «ora della verità» Gesù non sfugge alla domanda del sommosacerdote, ma esprime chiaramente la consapevolezza della sua missione.36 Al tem­ po stesso, nella risposta di Gesù, col giudizio che il figlio del­ l'uomo terrà, c'è una pesante minaccia. Gesù apostrofa diret­ tamente il sommosacerdote e i membri riuniti del consiglio: « Voi vedrete». È, questa, la provocazione più forte del giu­ daismo rappresentato nel sinedrio, la quale, a causa dell'in­ credulità giudaica, porte.rà necessariamente al conflitto mor­ tale. La reazione del sommosacerdote, che sente in quelle pa­ role una bestemmia, è fin troppo comprensibile. Se ci si chiede che cosa significhi per l'immagine marciana di Gesù questa dichiarazione davanti al sinedrio, si deve dire: 1 . Per Marco, Gesù è il «figlio di Dio», in quanto risponde positivamente alla domanda del sommosacerdote, ed è il «fi­ glio dell'uomo» che, secondo la profezia di Dan. 7, 1 3 , un gior­ no verrà come Signore e Giudice, in potenza e splendore. Dio giustifica Gesù, assegnandogli il posto alla sua destra e affi­ dandogli il giudizio. Quelle parole sono la ricapitolazione e condensazione di tutta la cristologia marciana (cfr. sotto, II). 2. Il confronto col sinedrio avviene nel momento in cui si de­ cide il destino di morte di Gesù. Marco ha scelto consapevol­ mente questo momento e questo uditorio per contrassegnare la passione che Gesù assume come punto finale del suo cam­ mino terreno. Gesù percorre la sua strada avendo in vista co­ stantemente questo esito, e la percorre senza paura sino alla fine. 3 · Nel far questo Gesù ha lo sguardo rivolto anche alla comunità, cui egli si manifesta come colui al quale essa guar­ da come il vivente presso Dio, che essa attende come il figlio 36. August Strobel, Die Stunde der Wahrheit (WUNT 21}, Tiibingen 1980, 69-71 .

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di Dio che verrà. Dal momento che la domanda del sommo­ sacerdote è posta nel senso della confessione protocristiana del Figlio e la risposta di Gesù fa proprie le idee cristologiche dominanti, non si può ignorare il rapporto con la comunità. «La comunità deve capire che è in discussione la sua causa».37 Gesù diventa in tal modo l'antesignano della sua comunità. I confronti e i conflitti coi capi ostili del popolo giudaico fanno parte necessariamente dell'immagine di Gesù Cristo, poiché introducono alla sua passione, che per Marco è il pun­ to prospettico verso cui corre la storia di Gesù. Ma in questi scontri si fa anche riconoscibile l'altezza di Gesù, che respinge con superiorità tutti gli attacchi smascherandoli, in forza del­ la sua unione con la volontà di Dio, come semplice pensiero umano e dimostrandone l'inanità. Col Gesù che annuncia e attua nelle sue opere il suo annuncio salvifico si compone il Gesù combattivo, difensore della causa di Dio, che non cura e supera le opposizioni, che prende con sé la sua comunità sulla via della croce, ma le assicura anche, nell'immolazione della sua morte, la vittoria mediante la sua risurrezione. 6.

Il cammino di passione e morte di Gesù

Con logica consequenzialità, l'esposizione di Marco sfocia nella passione. Già dall'estensione della narrazione si ricono­ sce il peso che l'evangelista dà al cammino di passione e morte di Gesù. Anche per il contenuto, d'altra parte, la storia della passione dal processo di Gesù mira al culmine, carico di tensione, della morte, con le tenebre e il grido di Gesù, lo squarciarsi del velo del tempio e la confessione del centurione pagano. Si discute fino a che punto Marco accolga qui mate­ riale tradizionale, fornendolo di accentuazioni sue proprie, e fino a che punto un'analisi critico-letteraria e di storia delle tradizioni possa condurre a risultati evidenti. Rispetto a tutte queste ricerche divergenti, R. Pesch si è di­ stinto per il suo tentativo di ricostruzione di una storia della 37· Gnilka, Mk 11, 2 8 1 {tr. it. 832).

La descrizione dell'attività di Gesù

passione premarciana che, a suo parere, inizia con 8,27-3 3 e, attraverso tre annunci della passione e risurrezione e altre par­ ti, conduce al racconto della passione dei capp. 1 4- 1 6,8, fino ad oggi considerato come l'esposizione vera e propria della passione.38 Marco avrebbe quindi accolto, completandolo qua e là, il racconto premarciano della passione, da collocare mol­ to presto, quando era ancora in carica il sommosacerdote Ca­ iafa {fino al 3 7 d.C.) e, conformemente ad esso, avrebbe an­ che proposto la propria immagine della passione, morte e ri­ surrezione di Gesù. È indubbio che Marco ha ripreso molto materiale a sua disposizione. Resta però discutibile, malgrado la minuziosa indagine di R. Pesch, l'esatta determinazione del­ le sue dimensioni. Particolarmente discutibile resterà l'am­ piezza di questo «evangelo della comunità primitiva»,39 che risale fino alla confessione messianica di Pietro (8,27-30). Ma se nella sua esposizione della passione Marco segue un antico resoconto formatosi agl'inizi della chiesa primitiva, questo si­ gnifica soltanto che egli ha fatto propria, e ha sviluppato con­ seguentemente, quest'immagine di Gesù Cristo. In seguito vedrà la figura di Gesù alla luce di questa descrizione forma­ tasi prima di lui. Per l'immagine di Gesù Cristo è da prestare attenzione anzitutto all'integrazione di questa estesa esposizione della passione. Marco vuoi rendere visibile quanto già si annuncia­ va nelle insidie e nell'intenzione di ucciderlo degli avversari di Gesù (3,6; 8 , 1 5 ; 1 1 , 1 8; 1 2, 1 2). Mentre all'inizio si viene mes­ si in guardia da farisei ed Erodiani (3 ,6; 8,1 5 ), dopo la purifi­ cazione del tempio gli attori sono il sommosacerdote e gli seri­ bi (I I , I 8; 1 4, 1 ), posizione, questa, più consona alla situazione storica. Marco vedrà le cose in termini tali per cui la purifica­ zione del tempio (1 1 , 1 5 - 1 9) è il fattore che provoca la deci­ sione di uccidere, di «cercare» un'occasione «di prendere in loro potere con l'astuzia» Gesù (14, 1 ). L'intera passione, con il procedimento notturno contro Gesù, il processo davanti a 3 8 . Pesch, Mk n, 1-27 {tr. it. 1 8 -54), excursus «La storia premarciana della passione)). 39· Cfr. R. Pesch, Das Evangelium der Urgemeinde (Herder-Biicherei 748), Frei­ hurg-Basel-Wien 1979 (tr. it. L 'e'Vangelo della comunità primitiva, Brescia 1984).

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Pilato e l'esecuzione della condanna a morte, scorre in modo coerente. Vi sono inseriti singoli racconti che rendono com­ prensibile lo svolgimento dei fatti: il tradimento di Giuda, l'uscita al Monte degli Ulivi, la cattura nello stesso luogo.40 In secondo luogo l'immagine di Gesù viene illuminata dalle interpretazioni della teologia della passione. Gesù è il «figlio dell'uomo» che deve «patire molto», che viene «rifiutato» da­ gli anziani, dai sommosacerdoti e dagli scribi (8,J I) e viene consegnato in mani d'uomini (9,3 1) o, più chiaramente, viene consegnato ai sommosacerdoti e scribi e rimesso ai gentili ( r o,J J). Queste affermazioni legate al titolo di «figlio dell'uo­ mo» acquistano una dimensione più profonda ad opera delle parole stesse del figlio dell'uomo inserite nel racconto della passione. Nell'annuncio del tradimento Gesù dice: «Il figlio dell'uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quel­ l'uomo mediante il quale il figlio dell'uomo viene consegna­ to» ( 1 4,2 1 ). Ogni cosa, anche l'evento oscuro del tradimento ad opera di uno dei discepoli più stretti, è prevista nel piano di Dio. Nell'orto del Getsemani, agli altri discepoli che dor­ mono nell'ora della sua lotta nella preghiera e non sanno che cosa rispondergli, Gesù dice: « È venuta l'ora in cui il figlio dell'uomo sarà dato nelle mani dei peccatori» ( 1 4,4 1 ). Il venir meno dei discepoli, che si presenterà in modo ancor più gros­ solano nel diniego di Pietro, è in contrasto col figlio dell'uo­ mo che prende volontariamente si di sé la passione. Quel che già è risuonato in 10,4 5 come atteggiamento fondamentale ·di Gesù, ossia che egli, il figlio dell'uomo, è venuto per servire e dare la sua vita in riscatto per molti (cfr. anche 1 4)24), trova ora compimento nel suo cammino verso la morte. La diffe­ renza per cui qu i la passione di Gesù è vista come prezzo del­ l'espiazione per molti, mentre quest�idea manca nell'espos.iDibelius, Die Formgeschichte des Evangeliums, Tiibingen 4 I 96 I , I 78 s. vede nell'episodio dello spargimento dell'unguento un racconto isolato che esulerebbe dal quadro della storia della passione. Ma la maggior parte degli studiosi ritengono che. la storia della passione si sia formata dalla coalescenza di singoli episodi. Ad essi. appar­ tiene anche quello dello spargimento dell'unguento, che è stato posto all'inizio del­ l' evento della passione a motivo delle parole «Ella ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura». 4o. M.

La descrizione dell'attività di Gesù

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zione della passione, dove è rappresentata sullo sfondo del giusto sofferente, non disturba l'immagine che Marco si fa di Gesù che va verso la morte. Egli non fa che assumere dalla tradizione diversi tratti della teologia della passione. In terzo luogo si deve tener conto che il cammino attraver­ so passione e morte conduce alla risurrezione. Ciò corrispon­ de all'immagine del figlio di Dio che agisce con piena autori­ tà, del figlio diletto che Marco ha fatto vedere ai discepoli sul monte (9,7) e, nella parabola dei vignaioli, ha indicato ai capi dei giudei che lo rifiutano come la pietra che il Signore ha scelto ( 1 2, I I s.). L'idea della risurrezione di Gesù viene fatta capire ai discepoli nella discesa dal monte della trasfigurazio­ ne: a nessuno dovranno raccontare quanto hanno visto, fino a quando il figlio dell'uomo non sarà risorto dai morti (9,9 ). È un evento che sconvolge gl'intendimenti umani, che viene da Dio ed «è mirabile ai nostri occhi>> ( 1 2, I I). Per questo negli annunci della passione è sempre aggiunto lo sguardo sulla ri­ surrezione di Gesù il terzo giorno (8,3 1 ; 9,3 1 ; I0,34). Mal­ grado l'oscurità che grava sull'evento della passione, c'è sem­ pre la luce che viene dalla morte di Gesù. Il centurione paga­ no che lo vede morire confessa: «Veramente quest'uomo era figlio di Dio» ( I 5 ,39). Questa diventa appieno una trionfante certezza nell'annuncio dell'angelo alle donne presso il sepol- . ero: «Voi ce�cate Gesù di Nazaret, il crocefisso; è rìsorto, non è qui» (1 6,6). Dall'abbandono di Dio, gridato da Gesù sulla croce,. nasce la massima prossimità a Dio, . l'insediamen­ to di Gesù nella signoria presso Dio (cfr. 1 2,3 6). Marco ha davanti a sé l'immagine che risulta dal netto contrasto tra il Gesù terreno e il Cristo risuscitato. In quarto luogo, la storia della passione si mostra orientata alla comunità. Sul suo cammino di passione e morte Gesù pensa alla futura comunità che in questo modo viene chiama­ ta a seguirlo, che dovrà celebrare la memoria della sua morte c che compare come il nuovo tempio che Gesù vuole edifica­ re. Lo stretto nesso tra passione di Gesù e sequela della pas­ sione da parte dei discepoli è evidente subito dopo il primo annuncio della passione: «Chi vuoi essere mio discepolo rin-

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neghi se stesso, prenda su di sé la sua croce e mi segua! » (8, 34). È un invito a tutta la comunità: Gesù chiama a sé la folla e i suoi discepoli. ·P In affermazioni successive viene fondata la necessità di sacrificare, per Gesù e il vangelo, persino la propria vita (9,3 5-3 8). La via della croce di Gesù diventa il paradigma della vita del singolo. Come Gesù e con Gesù, questa è posta nella situazione del giusto perseguitato. Nel secondo annuncio della passione viene posto davanti agli oc­ chi dei discepoli e di tutta la comunità un fanciullo, allo sco­ po d'illustrare la rinuncia al potere e alle differenze di rango (9,3 3-37). Chi, per amore di Gesù, accoglie tale fanciullo, ac­ coglie lui stesso, fattosi servitore di tutti. Dopo il terzo an­ nuncio della passione, che descrive in modo ancor più chiaro la via ignominiosa di Gesù, la disapprovazione della preghie­ ra dei figli di Zebedeo porta a enunciare la regola fondamen­ tale, valida per tutti i discepoli di Gesù: «Chi tra voi vuole es­ sere grande, deve essere vostro servitore», e ciò viene fondato espressamente con l'esempio del figlio dell'uomo che dà la sua vita in riscatto per molti ( 1 0,3 5-4 5 ). I tre annunci della passione sono quindi disposti in un crescendo della richiesta fondamentale che la via della croce di Gesù obblighi la co­ munità a seguirlo sulla via del servizio e della passione. Per la concezione della comunità collegata con la morte di Gesù è istruttiva l'ultima cena. Per quanto vi si connettano difficili problemi di storia della tradizione ed esegetici, è tut­ tavia assodato per l'evangelista che Gesù vuole istituire una particolare celebrazione conviviale che custodisce il ricordo della sua passione e morte e procura ai commensali la par­ tecipazione al corpo di Gesù e al suo «sangue dell'alleanza» ( 1 4,22-2 5 ). Si apre qui la visione della comunità postpasquale 4 I. I sinottici riportano in modo diverso i destinatari delle parole di Gesù: Mt. I 6,24: «i suoi discepoli»; Le. 9,23: «tutti». In tutti e tre i sinottici, tuttavia, c'è l'intenzione di guardare alla comunità. La folla (�'X.Ào�), che in Mc. 8,34 viene menzionata insieme ai discepoli, ha spesso anche altrove una sfumatura «ecclesiale», cfr. 6,34; 7,I4; 8,1 s.; I o, I ; 1 I , I 8; I 2,3 8a. Sovente in Matteo i discepoli rappresentano la posteriore co­ munità di fede, cfr. U. Luz, Die funger im Matthiiusevangelium: ZNW 62 ( I 971) I 4 I - 1 7 1 , spec. 1 59· Con «tutti» Luca distingue il seguito dai discepoli in senso stretto nominati in precedenza.

La descrizione dell'attività di Gesù

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che celebrò questa festa e, nel suo cammino verso il compi­ mento del regno ( 1 4,2 5), sperimentò costantemente la pre­ senza del Signore crocefisso. Il pensiero del regno di Dio e della sua venuta che, malgrado la propria morte, Gesù vide approssimarsi di una vicinanza palpabile, muove la comunità in vista di Gesù crocefisso e risuscitato. La vigilia della sua passione, quando ormai il traditore intinge al piatto insieme con Gesù e questi annuncia che il figlio dell'uomo deve essere consegnato (14, I 8-2 I), la comunità deve prendere coscienza che sarà salvata solo mediante Gesù. Essa vive in presenza dell'annuncio che saranno tutti dispersi, ma anche con la cer­ tezza che rivedranno Gesù in Galilea (cfr. 14,27 s.) - un'aper­ tura verso l'evento della pasqua ( 1 6,7). Nell'ora del Monte degli Ulivi, a tutti è rivolta l'esortazione: «Vegliate e pregate, perché non cadiate in tentazione» (14,3 8). Tutto viene narrato in vista della comunità la quale, come Gesù, deve procedere attraverso contestazioni e sofferenze. Un'altra occhiata alla comunità si trova nell'affermazione sul tempio che i falsi testimoni riferiscono, davanti al sine­ drio, contro Gesù ( 1 4, 5 6) , ma che, nel modo in cui l'intende Marco, esprime pure qualche cosa di vero: dopo la distruzio­ ne del tempio antico, in breve tempo Gesù costruirà un altro tempio, non proveniente da mano d'uomo;'�1 A. Vogtle ha proposto una nuova interpretazione ragguardevole.43 Addu­ cendo la scena di 1 5 ,3 8 (lo strapparsi del velo del tempio) co­ me scena che interpreta 1 4, 5 8, egli si pronuncia chiaramente per l'interpretazione riferita alla comunità salvifica, nel senso della sostituzione della comunità del tempio con la comuni­ tà salvifica di Gesù Cristo (p. 1 84 ) . L'affermazione che Gesù 41. A motivo delle diverse varianti (Mt. 26,6 1 ; Gv. 2,19; Atti 6, 14) non si può più sta­ bilire la forma originaria del detto sul tempio; esso ha però avuto un ruolo nel rac­ conto della passione, come mostra la sua ripetizione quando Gesù viene irriso sotto la croce (Mc. 1 5,29; Mt. 27,40). L'espressione ((distruggerÒ» {diversamente Gv. 2, 19), che tuttavia dovrebbe essere originaria, ha condotto al fraintendimento dei testimoni. 43· Das markinische Verstiindnis der Tempelworte, in U. Luz - H. Weder, Die Mitte des Neuen Testaments. Fs. E. Schweizer, Gottingen 1983, 362-3 83, rist. in Idem, Of­ fenbarungsgeschehen un d Wirkungsgeschichte, Freiburg-Basel-Wien 198 5 , 1 68-1 8 8 (citato da questa edizione).

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distruggerà il tempio fatto da mani d'uomo fa difficoltà per­ ché con essa pare $'intenda la distruzione dell'edificio di pie­ tra, il tempio di Erode (cfr. I J ,2). Questo potrebbe aver cau­ sato il fraintendimento dei falsi testimoni. Secondo Vogtle anche l'abbattimento del tempio di Gerusalemme è da inten­ dersi metaforicamente, nel senso della cessazione del culto del tempio causata dalla morte di Gesù,44 come si manifesta nello strapparsi del velo del tempio. Si è trovata così un'interpretazione unitaria del detto sul tempio:· con la morte di Gesù viene distrutto il tempio antico, che simbolizza il culto giudaico, e insieme vengono poste le fondamenta dell'edificio di un altro tempio, la nuova comuni­ tà salvifica. Quando Marco intende così la profezia sul te m­ pio di I 4, 5 8, «si coglie il centro dell'annuncio salvifico neote­ stamentario».45 L'interpretazione riferita alla chiesa si racco­ manda per i motivi seguenti: I . le parole della Scrittura citate da Marco in occasione della purificazione del tempio, «la mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli» (I I , I 7 ), sono un'apertura sulla chiesa universale, cui appartengo­ no anche i gentili. 2. La metafora dell' «edificio» della comu­ nità s'incontra nei testi di Qumran, ed è facile immaginarne la trasposizione alla comunità cristiana.46 3 . Il nesso, enucleato da Vogtle, coi fenomeni che accompagnano la morte di Gesù (le teneb·re, lo squarciarsi della cortina del tempio, la confes­ sione del centurione), che paiono u-n'interpretazione del detto sul tempio, rende assai verosimile l'interpretazione ecclesiale di Mc. I 4, 5 8. Per Marco la morte di Gesù è il momento della nascita della nuova comunità salvifica. Nel complesso, l'immagine del Gesù perseguitato, che su­ bisce la passione e muore è l'elaborazione della figura di Ge44· Op. cit. , I 77· I 8o. I 83 . 4 5 · Op. cit. , I 8 8. 46. Cfr. I QS 5,5 s.; 8,7- Io; I QH 6,2 5-28; 4 QpPs 37: 3,16. In proposito J. Maier, Die Texte vom Toten Meer 11, Miinchen-Basel I96o, 93 s.; B. Gartner, The Tempie and the Community in Qumran and the New Testament (SNTSMS I}, Cambridge 1965; G. Klinzing, Die Bedeutung des Kultus in der Qumrangemeinde u�d im Neu­ en Testament (StUNT 7), Gottingen 1971, 202-205 .

Denominazioni onorifiche e titoli di Gesù

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sù Cristo · secondo il Crocefisso e Risorto confessato dalla chiesa primitiva. In questo processo l'accento è posto sull'e­ vento della croce, cui è associata, come una vista luminosa, la risurrezione. Il Risorto resta per sempre «il Crocefisso» (Mc. I 6,6). «Il figlio terreno di Dio, che insegna il volere di Dio · e compie opere potenti, è al tempo stesso colui il cui servizio ha raggiunto il culmine sulla croce».47 II. I.

DENOMINAZIONI ONORIFICHE E TITOLI DI GESÙ

Il figlio di Dio

Nel vangelo di Marco la designazione di Gesù come «figlio di Dio» compare cinque volte ( 1 , 1 I ; 3,1 I ; 5 ,7; 9,7; I 5 ,39), ol­ tre a quella di I , I in una lezione non del tutto sicura. Lo spettro si allarga se si aggiunge la parabola dei vignaioli mal­ vagi, che allude a Gesù come il «figlio diletto» ( I 2,6). Occor­ re prestare attenzione anche alla domanda del sommosacer­ dote, nella quale a. «il Cristo» viene apposto «il figlio del Be­ nedetto». Merita infine considerazione 1 3 ,32 dove, per la ve­ rità, non si parla del «figlio . di Dio», ma si menziona «il fi­ glio» senza aggiunte. «Di quel giorno o quell'ora (della paru� sia) nessuno sa nulla, neppure gli angeli in cielo, neppure il Figlio, ma solo il Padre». È indiscusso che Marco ha preso dalla tradizione protocristiana la denominazione di Gesù co­ me figlio di Dio. L'origine e la storia della tradizione di que­ sto titolo cristologico sono materia di discussione.48 Non è 47· J.D. Kingsbu ry, ]esus Chnst in Matthew, Mark and Luke, Philadelphia 198 1, 58. 48. Della ricca bibliografia cfr. O . Cullmann, Die Christologie des Neuen Testa­ ments, Tiibingen l 1963, 276-3 1 3 {tr. it. Cristologia del Nuovo Testamento, Bologna 1 970, 403 -45 1); Hahn, Christologische Hoheitstitel, 280-3 33; E. Schweizer in ThW NT VIII { 1 969) 367-392 {tr. it. GLNT XIV, 1 86-247) (su Mc. , pp. 3 80 s. [tr. it. coli. 2 1 7 ss.]); F. Mussner, Ursprunge und Entfaltung der neutestamentlichen Sohnes-Chri­ stologie, in L. Scheffczyk (ed.), Grundfragen der· Christologie beute (QD 72), Frei­ burg-Basel-Wien 1975, 77- 1 1 3 ; C.R. Kazmierski, Jesus, the Son of God. A Study of the Markan Tradition and its Redaction by the Evangelist (FzB 33), Wiirzburg 1 979; M. Hengel, Der Sohn Gottes, Tiibingen 1975 e 1977) {tr. it. Il figlio di Dio, Brescia 1 984); Gnilka, Mk I, 6o-64 {tr. it. 67-72).

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qui possibile seguire questo difficile problema. Vogliamo ten­ tare di sondare il senso e la portata di questa designazione di sovranità di Gesù nell'ambito del vangelo di Marco. Nel far questo non è tuttavia possibile prescindere dallo sfondo che è presupposto nella tradizione. Conformemente al nostro te­ ma, ci domandiamo più precisamente: quale significato ha la designazione di Gesù come «figlio di Dio» per l'immagine di Gesù Cristo nel vangelo di Marco ? L'immagine di Gesù è profondamente permeata dall'idea della figliolanza divina di Gesù. Il titolo ricorre in passi im­ portanti e si trova nella confessione del centurione pagano (I 5 ,3 9) al culmine dell'evento della passione. Si presenta qui, senz'altro, come la formula in cui si cristallizza la compren­ sione che si ha di Gesù. Perciò la presentazione contenuta nella soprascritta, «evangelo di Gesù Cristo il figlio di Dio» ( I , 1 ), è sicuramente da accettare come testo originario. In questo modo il vangelo di Marco è incorniciato entro la pro­ fessione di fede nel figlio di Dio e c'è da supporre che il figlio di Dio sia una categoria interpretativa della vicenda terrena e l'operato di Gesù. Questi compie la sua missione come «fi­ glio di Dio» e come figlio di Dio patisce la spaventosa morte sulla croce. Proprio la via della croce è rischiarata, oltre che dalle parole sul «figlio dell'uomo» {vedi sotto, 2), dal rappor­ to del «figlio diletto» col Padre ( 1 2,6). In Luca la confessione del centurione sotto la croce recita: «Realmente quest'uomo era un giusto» (23 ,47), benché anche qui l'ultima parola di Gesù abbia la forma di una preghiera al Padre: «Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito» (23 ,46). Matteo riprende la confessione «Veramente costui era (il) figlio di Dio» {27, 54) e sottolinea la manifestazione di potenza di Gesù morto me­ diante i grandi eventi cosmici che si producono: l'aprirsi dei sepolcri e l'uscita dei santi defunti, insieme con un terremoto (27,5 2-54). Marco rinuncia a simili eventi terribili e riferisce solo lo squarciarsi del velo del tempio, che certamente per lui è un segno simbolico.49 Non spaventato dagli eventi cosmici, 49· Il significato simbolico del fatto viene inteso o come segno della punizione per la cessazione del culto del tempio (cfr. 14,58; 13,2}, o come aprirsi dell'accesso al tem-

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ma riferendosi al fatto che Gesù «è morto così (con un alto grido)», il centurione dice: «Veramente quest'uomo era figlio di Dio». Il contrasto fra «uomo» e «figlio di Dio» fa risplen­ dere nella morte la dignità e la sovranità di Gesù. Ma chi è questo figlio di Dio la cui sovranità alla fine si di­ svela? Ne sentiamo una prima fondaméntale interpretazione dalla voce di Dio nel battesimo di Gesù: «Tu sei il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto» ( I , I I ). Si devono, fin da principio, respingere due concezioni: una figliolanza di Dio metafisica, per la quale Gesù avrebbe in sé la stessa natu­ ra divina di Dio padre. In quest'espressione ciò non è detto; piuttosto, in base alla formula «in te mi sono compiaciuto», Dio ha accolto Gesù come figlio, lo ha assunto nel suo amo­ re. Parimenti da respingere è la concezione contraria che Ge­ sù è figlio di Dio solo in un senso metaforico, equivalente, ad esempio, a quello dei figli di Dio di cui parla l'ellenismo. L'apostrofe, infatti, rimanda a uno sfondo preciso: riecheggia testi veterotestamentari e si radica in concezioni giudaiche. Se però si guarda più dappresso il testo della voce divina, si han­ no diversi possibili riferimenti. In sostanza sono stati presi in considerazione quattro possibili testi fondamentali, con la lo­ ro gamma di significati: I . il messia regale, secondo Sal. 2,7: «Tu sei mio Figlio, og­ gi ti ho generato»; 2. il sommosacerdote messianico, sulla base della connes­ sione di Sal. 2,7 con !s. 42, I , che portava all'attesa di un ffi es­ sia sacerdotale, eventualmente accanto al messia politico da­ vidico (cfr. i testi di Qumran I QS 9, I I; CD I 9, I o; 2o, I e i Testamenti dei dodici Patriarchi: Test. Lev. 4,2; I 7 ,2; I 8,6 s.); 3 · il servo di Dio, secondo !s. 42, I ; pio anche ai gentili. Se gli evangelisti pensano al velo che sta davanti al santo dei san­ ti, è perché «vogliono dire che la morte di Gesù apre l'accesso al santo dei santi» (C. Schneider in ThWNT III (1938] 63 1,28-33 [tr. it. GLNT v, 254]); cfr. E. Linnemann, Studien zur Passionsgeschichte (FRLANT 1 02), Gottingen 1970, 1 5 8- 1 63. Allo stesso modo, inoltre, può trovarvisi un accento polemico contro il culto del tempio fin qui praticato e un accenno positivo all'accesso alla nuova comunità di Dio (cfr. 1 5,39), come avviene in 14,5 8. Questa questione molto dibattuta non consente una chiarifi­ cazione definitiva.

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4· il figlio diletto, secondo il sacrificio («il venir legato ») di Isacco da parte di Abramo secondo Gen. 22,2. 1 2. 1 6.5 0 Tutte e quattro le derivazioni non mancano di ragioni, nei testi veterotestamentari e protogiudaici, per spiegare la singo­ lare immagine del figlio diletto della voce divina; una definizione univoca non è tuttavia possibile. 1 . Sal. 2,7 per la verità viene citato in Le. 1 ,22 secondo al­ cuni manoscritti (occidentali, D e it), ma solo in via seconda­ ria, d9po riflessioni cristologiche. Il salmo descrive l'introniz­ zazione del figlio del re davidico, la sua assunzione a domina­ tore universale, il suo insediamento come messia. In Marco non è una scena d'intronizzazione, ma la dichiarazione di chi è Gesù: il figlio diletto, quale in Sal. 2,7 non è detto. L'ag­ giunta «nel quale mi sono compiaciuto» proviene da /s. 42,1 (testo ebraico) e dipende quindi dal «servo di Dio». 2. È vero che si attendeva un messia sommosacerdotale, che parla con Dio come proprio padre (Test. Lev. 1 7,2), ma il collegamento con la scena del battesimo in cui lo «spirito del­ l'intelletto e della salvazione» viene su di lui ( I 8,7) fa sorgere il sospetto che si tratti di un testo d'influenza cristiana. Del resto non è dato avvertire traccia alcuna di una simile cristo­ logia, se non forse nel titolo «il santo di Dio» (1 ,24).51 3 · La derivazione dal «servo di Dio» di /s. 42, 1 , sostenuta particolarmente da Joachim Jetemias, poggia sulla tesi che il «servo», in base al duplice significato di 7tatc;, «servo» e «bam­ bino», in Marco è diventato «figlio».51 Questo è senz'altro possibile, ma non spiega il riferimento insistito al «Figlio, il diletto». Quanto meno si dovrà allora ammettere un c.onsa·

50. Cfr. Kazmierski, Son. of God, 3 5-6 1 . 5 1 . L'attesa di u n sommosacerdote è sostenuta soprattutto da G . Friedrich, Beobach­ . tungen zur messianischen Hohenpriestererwartung in den Synoptikern: ZThK 5 3 (1956) 266-3 1 1 ; critico al riguardo Hahn, Christologische Hoheitstitel, 23 t -24 1,· se­ condo il quale non vi è alcun indizio (tranne che nella lettera agli Ebrei) di un'inter­ pretazione dell'operato di Gesù secondo la messianologia sommosacerdotale. 52. J. Jeremias in Idem, Abba. Studien zur neutestamentlichen Theologie und �eitge­ schichte, Gottingen 1 966, 192- 198 [per la tr. it. v. sotto, p. 224 n. 47]; Idem, Neute­ stamentliche Theologie, 1. Die Verkundigung ]esu, Giitersloh 1 97 1 , 6o s. (tr. it. Teologia del Nuovo Testamento, 1. La predicazione di Gesù, Brescia 1 1'976, 68). ·

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pevole cambiamento di Marco rispetto al testo veterotesta­ mentario, così che nel contesto marciano il «servo di Dio» acquista un profilo nuovo . . 4· I l paragone con !sacco legato può richiamarsi alla carat­ terizzazione di !sacco come il «figlio diletto» (Gen. 22,2 «il figlio unico, che tu ami»). È il figlio unico, che Abramo è pronto a non risparmiare (Gen. 22, I 2. I 6). Questa tipologia d'Isacco ha influenzato la cristologia protocristiana (Rom. 8, 3 2; forse Mc. I 2,6); che stia anche dietro Mc. I , I I è però pro­ blematico. Se si considera il testo in tutti i suoi elementi, nes­ suno di questi antecedenti basta a spiegarlo interamente e uni­ tariamente.53 In esso convergono diverse reminiscenze di te­ sti veterotestamentari, soprattutto di /s. 42, I ; queste, tuttavia, portano a un'immagine specifica e quindi di una novità unica del figlio diletto che Dio si è scelto. La scena del battesimo, che Marco accoglie dalla tradizio­ ne, contiene ancora due tratti che è necessario considerare. Gesù vede il cielo aperto e lo Spirito discende su Gesù in for­ ma di colomba. In /s. 63 ;I9 si dice: «Ah, se tu aprissi i cieli e discendessi ! » . Quello che in quest'ora si compie in Gesù è un evento escatologico. Il discendere di Dio avviene nella forma del venire dello Spirito su Gesù. Lo Spirito è il segno dell'un­ to per an�onomasia, il messia, che deve possedere lo Spirito in pienezza (/s. I I ,2; 6 I , I ). Anche nel canto del servo di Dio, Dio pone il suo spirito sull'eletto, il che fa propendere per la derivazione anzitutto da fs. 42, I . Ma colui che Dio ha scelto non è più il servo di Dio, bensì il figlio diletto che è in un rapporto particolarmente stretto con Dio� In questo linguag­ gio simbolico confluiscono diversi motivi che provano come Gesù sia il messia promesso in un senso che oltrepassa tutte le aspettative. Il messia davidico (Sal. 2,7) liberatore terreno, qual è quello che i giudei attendono, non basta a spiegare la vicinanza con Dio di Gesù. Vi si oppone il dialogo sul figlio di David di I 2,3 5-37a. Gesù riprende l'asserzione degli scribi 5 3 · Cfr. Kazmierski, Son of God, 6 1 . Per Mc. 1 ,9- 1 1 egli assume un'evoluzione in due tappe: prima da Is. 42, 1 , poi da Gen. 22; quest'ultima non mi pare tanto sicura.

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che il messia è il figlio di David e, sulla base di Sal. 1 I o, I , espone una difficoltà che sorge da questo passo: come può David, ripieno dello Spirito santo, chiamare «Signore» suo fi­ glio ? Non si contesta che il messia sia figlio di David. La do­ manda con cui Gesù risponde, che muove da un'apparente contraddizione della Scrittura (domanda di tipo aggadico), mette sotto gli occhi un'immagine del messia che oltrepassa di gran lunga le attese giudaiche. Gesù ha una dignità supe­ riore, una maggior vicinanza con Dio, e tutto parla in favore del fatto che, di nuovo, per Marco vi sia dietro l'idea del fi­ glio di Dio o del figlio dell'uomo. Egli è più che il re teocra­ tico; egli è colui che siede sul trono di Dio insieme con lui, il «Sign�re», come la chiesa primitiva lo venera dopo la sua ri­ surrezione. Lo Spirito di Dio discende su Gesù in forma di colomba, rendendo così visibile il suo essere ripieno dello Spirito. Que­ sto sospinge il figlio diletto di Dio nel deserto, dove viene tentato dal demonio. Ma con la forza dello Spirito santo Ge­ sù respinge tutte le tentazioni. Sta insieme con gli animali e gli angeli vengono a servirlo. Si rinnova la pace del paradiso ( 1 , 1 2 s.). La vicinanza a Dio si rivela nella vittoria sul male, e questo è come un programma per l'intera vita di Gesù. Nella cacciata degli spiriti malvagi e nello scontro coi suoi avversari si rivela quel possesso dello Spirito conferito a Gesù nel bat­ tesimo ricevuto da Giovanni Battista. All'inizio della vita pub­ blica di Gesù, Marco mette davanti ai suoi lettori quest'im­ magine del figlio amato da Dio, che è separato da ogni male e resiste a tutti gli attacchi di Satana, offrendo così un punto d'orientamento per comprenderne le guarigioni e cacciate di demoni, l'annuncio della signoria di Dio e la sua avanzata. Il demone scacciato da Gesù nella sinagoga di Cafarnao lo apostrofa con le parole: «lo so chi tu sei, il santo di Dio» ( 1 , 24). Poiché in altre cacciate di demoni gli spiriti impuri apo­ strofano Gesù con «Tu sei il figlio di Dio» (3,1 1 ) o con «fi­ glio di Dio l'Altissimo» (5 ,7), deve esservi una parentela tra le due designazioni «figlio di Dio» e «santo di Dio». Quando in 1 ,24 lo spirito impuro rifiuta Gesù in quanto santo di Dio,

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opera ancora l'idea del possesso dello Spirito da parte di Ge­ sù. Tra lo Spirito santo e lo spirito impuro «vi è un contrasto insanabile».54 Nelle parole di scongiuro dei demoni (J , I I ; 5 , 7) che riconoscono in Gesù il «figlio di Dio», più forte di lo­ ro, rivestito della forza di Dio, e recalcitrano alla cacciata dal­ la dimora umana, c'è il riconoscimento della sua dignità e po­ tenza divine. In 5 ,7 il demone scongiura Gesù «davanti a Dio» di non tormentarlo. Ma questo richiamo a Dio non ser­ ve a nulla, poiché Gesù viene da Dio e opera nella forza di Dio. Gesù proibisce con insistenza ai demoni di proclamarlo (3 , 1 2). Non vuole che il suo segreto sia svelato da spiriti im­ puri, nemici di Dio e più in generale vuole rimanere nascosto. Questo potente lottatore è al tempo stesso il figlio diletto di Dio, colui nel quale Dio ha posto il suo compiacimento. Quando, nella parabola dei vignaioli malvagi, il «figlio dilet­ to», l'ultimo inviato di Dio, il solo che Dio ha ancora, viene messo a morte, il figlio di Dio entra nel mistero della passio­ ne e morte. Non si può dire che questo pensiero risuoni già nella voce di Dio nel battesimo; ma nel complesso del vange­ lo non è possibile lasciar fuori questo sguardo rivolto all'esito terreno del figlio di Dio. Proprio · nella morte di Gesù il cen­ turione pagano confessa che Gesù è il figlio di Dio. In quanto è il «figlio diletto» Gesù sta in una serie di uomini di Dio che sono stati bistrattati e uccisi. Egli è colui in cui Dio, il padro­ ne della vigna, ha posto tutta la sua speranza; ma anche lui i vignaioli hanno buttato fuori della vigna, fuori da Israele ( 1 2, 8). ss Sul figlio ed erede gli uomini falliscono; Dio lo ha fatto pietra d'angolo della sua nuova costruzione ( 1 2, I o s.), la co54· O. Proksch in ThWNT I ( 1 933) 102,28 s. (tr. it. GLNT I, 272). s 5. Lo sfondo delle molteplici missioni di inviati di Dio è costituito dalla concezione deuteronomica del destino violento dei profeti, cfr. O .H. Steck, Israel un d das ge­ waltsame Geschick der Propheten (WMANT 23), Neukirchen 1967, spec. 1 10-264. Sull,intera pericope di Mc. 1 2 , 1 - 1 2 cfr. J. Blank, Die Sendung des Sohnes. Zur christo­ logischen Bedeutung des Gleichnisses von den bosen Winzern Mk 12, 1-12, in J. Gnil­ ka (ed.), Neues Testament und Kirche. Fs. R. Schnackenburg, Freiburg-Basel-Wien 1 974, 1 1 -4 1 , il quale a ragione afferma che il «figlio» è !,ultimo inviato di Dio escato­ logico prima del giudizio. Con lui le missioni di inviati raggiungono il culmine e la conclusione (p. 1 7).

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munità che sorge dopo la pasqua (cfr. 14,5 8). Nella morte e risurrezione di Gesù si compie un evento paradossale, un mi­ racolo che Dio ha compiuto e che è stupefacente per gli uo­ mini. La dedizione del figlio diletto diventa il punto di svolta nella storia di Dio col suo popolo. N el figlio diletto col suo destino di morte, lo sguardo si apre verso la comunità futura. Come dopo il battesimo e la tentazione di Gesù comincia a raccogliersi il popolo di Dio, così dalla sua morte ha origine il nuovo edificio divino. Il «fi­ glio di Dio» che nella scena del battesimo viene presentato alla comunità dei lettori ha una dimensione ecclesiale. Come negli insegnamenti e nelle gUarigioni di Gesù si guarda già sempre alla com1:1nità futura, così davanti a questa splende sempre il figlio di Dio ripieno dello Spirito, che va verso la morte ed è risuscitato da Dio. Ciò si fa particolarmente evi­ dente nella scena della trasfigurazione; qui, infatti, alle parole di · Dio che, come al battesimo, testimoniano che Gesù è il «fi­ glio diletto», si aggiunge: «A lui dovete prestare ascolto» (9, 7). Viene così ripresa la profezia del profeta escatologico co­ me Mosè (Deut. 1 8,1 5 ), di cui viene arricchita l'immagine del figlio di Dio - questo per la comunità che gli deve prestare ascolto. I tre testimoni della trasfigurazione vengono attirati dentro la. «nube», che rivela e protegge, della presenza divina; la nube li «ricopre della propria ombra», così come la nube ricopriva la tenda della rivelazione per la generazione del de­ serto (Es. 40,3 5 LXX). La voce divina ha qui la stessa autorità che aveva, nel deserto, la parola di Dio per il popolo d'Israe­ . le; ora essa però indica Gesù, il figlio diletto, come rivelatore, guida e maestro. Se si osserva nel suo complesso l'immagine di Gesù che ri­ sulta dalla predicazione che lo dice figlio di Dio, vi si ricono­ scono tratti di sovranità, specialmente nella vittoria su Satana e nella potenza sui demoni, ma anche affermazioni differenti che riflettono il suo cammino di passione e morte. Egli è il servo di Dio che percorre obbediente la sua strada come fi­ glio diletto di Dio. È il figlio di Dio manifestantesi nella sua morte che, nella più profonda indigenza del suo essere uomo,

Denominazioni onorifiche e titoli di Gesù

disvela la sua sovranità e divinità nascoste. La preghiera per l'abbandono di Dio si trasforma nella certezza di essere ac­ colto da Dio. L'impressione prevalente che il vangelo di Mar­ co comunica del figlio di Dio è quella della vicinanza di Gesù a Dio, la quale non viene soppressa nemmeno nella morte. 56 D'altro canto, contrasta con quest'immagine del figlio di Dio che sta vicino a Dio il detto che si trova nel discorso si­ nottico sulla fine dei tempi: «Nessuno conosce il tempo e l'ora, non gli angeli del cielo, nemmeno il Figlio, ma solo il Padre» ( I J ,J 2). Qui «il Figlio» è palesemente contrapposto al «Padre», il quale soltanto è a conoscenza del momento della fine dei tempi. Per la verità, non si parla qui del «figlio di Dio», ma del «Figlio». Si dovrà concludere che questo modo di esprimersi proviene da un'altra tradizione, da una tradizio­ ne apocalittica in cui, oltre che di un'attesa prossima, si dice anche dell'ignoranza del momento in cui la fine sopraggiun­ gerà. 57 Il «Figlio» è posto in relazione col «Padre», come av­ viene anche nel «grido di giubilo» di Mt. I 1 ,27 par. Le. I o, 22.58 Ma mentre nel grido di giubilo al Figlio è rimessa da Dio «ogni cosa», sì che il Figlio può rivelare il Padre «a chi vuole», Mc. 1 3 ,32 pone una riserva, una limitazione notevole. La conoscenza del momento della parusia rimane riservata al Padre. L'espressione in crescendo «non gli angeli, nemmeno il Figlio» fa intravedere il valore attribuito al �iglio; ma come a Dio solo spetta distribuire i posti nel regno di Dio ( I o,4o), così pure il Figlio non è a conoscenza del corso degli eventi finali. Queste parole, che proverranno da una tradizione pre­ cedente, già premarciana, vanno intese, nella cornice del di­ scorso sulla fine dei tempi, com� un contrappeso alla pro­ messa di Mc. I J ,JO: «Non passerà questa generazione prima che tutto questo accada» . Quelle parole sono inserite in que­ sto contesto, ma conservano tuttavia il loro peso. Ci si deve s 6. Circa il grido di Gesù sulla croce per l'abbandono di Dio cfr. la monografia di G. Rossé, The Cry of]esus on the Cross, New York 1987. S7· Cfr. Zacc. 1 4,7; Ps. Sal. 1 7,23; Bar. syr. 2 1 ,8; 4 Esd. 4, 52. Cfr. Pesch, Mk II, 3 10 (tr. it. 462). s 8 . Cfr. Hahn, Christologische Hoheitstitel, 327-329.

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chiedere in che modo Marco ha potuto combinarle con la propria cristologia del «figlio di Dio» sommamente vicino a Dio.s9 Non c'è discussione che possa risolvere la tensione fra la cristologia del «figlio di Dio» e queste parole sul «Figlio». In ogni modo Marco non vi vedeva evidentemente difficoltà alcuna; il «figlio di Dio» rimane sottomesso a Dio padre in amore e obbedienza. Se già nella scena del battesimo si può supporre che vi si proponga un'immagine particolare del messia, il rapporto col messia compare anche nella domanda del sommosacerdote: «Sei tu il messia, il figlio del Benedetto ?» ( 1 4,61 s.). In bocca al sommosacerdote le due espressioni possono essere intese nello stesso senso. Il «figlio del Benedetto» diventa una defe­ rente espressione per il messia. I giudei potevano pure desi­ gnare il messia come «figlio di Dio» (cfr. 2 Sam. 7, 1 4; Sal. 2,7; 4 QFlor 1 , 1 1 ; 4 Q243). Ma è anche possibile che l'aggiunta «figlio del Benedetto» provenga dal modo di vedere cristiano. I due titoli messianici «così come si presentano sono stati af­ fatto familiari alla comunità protocristiana ellenistica. L'e­ spressione 'figlio del Benedetto' precisa il titolo di Cristo sulla base del suo rapporto unico con Dio».60 Al sommosa­ cerdote Gesù risponde affermativamente; al tempo stesso, tuttavia, la sua risposta corregge la concezione giudaica del messia: egli è il figlio dell'uomo che siede alla destra di Dio e che verrà sulle nubi del cielo ( 1 4,62). In tal modo il «figlio di Dio» si presenta in una luce diversa. Egli è colui che è stato innalzato presso Dio, il figlio dell'uomo che tornerà in po­ tenza. La cristologia del figlio di Dio si congiunge con quella del figlio dell'uomo. Il titolo >. Nel passo parallelo di Le. 1 9, 1 0 viene invece introdotto anche il titolo di figlio dell'uomo: «Poiché il figlio dell'uomo è venuto a cercare e salvare quel che era perduto». Se per la chiesa primitiva «figlio dell'uomo» era un titolo di sovranità, l'affermazione sul suo servire è tanto più singolare. «Paradossalmente, l'umile servire del ser­ vo viene affermato proprio del figlio dell'uomo nella sua so­ vranità». Il titolo di figlio dell'uomo «definisce l'autorità di Gesù, sottolineando così il carattere insolito del suo agire come servo sulla terra» .73 Come si è giunti a tanto ? La sovranità del figlio dell'uomo non è ancora manifesta sulla terra. Egli è disprezzato e mal­ trattato. L'umiltà del figlio dell'uomo è espressa anche nel detto della fonte dei logia: «Il figlio dell'uomo non ha un luo­ go ove posare il capo» (Mt. 8,19 .par. Le. 9, 5 8). Malgrado pre­ valgano le affermazioni sulla sovranità del figlio dell'uomo, ve ne sono quindi anch·e sull'umiltà del suo agire terreno. Vi rientra anche il detto sul servire di Mc. 1 0,4 5 · L'agire di Gesù viene qui proposto ai discepoli come modello per la loro ri­ nuncia al potere; ma questo servizio del figlio dell'uomo, la sua «proesistenza» in favore degli altri, trova il suo vero compimento solo nella sua morte per i molti, nel suo sa­ crificio per la salvezza degli uomini. Questo è riservato a Ge­ sù e non è più un esempio per i discepoli; è piuttosto ciò che rende possibile la loro esistenza · di discepoli a partire dall'o­ pera salvifica di Gesù.74 73 . K. Kertelge, Der dienende Menschensohn, in Jesus un d der Menschensohn. Fs. A. Vogtle, 225-239: 23 5; cfr. Scholtissek, Die Vollmachtfesu, 234-23 8. 74· Cfr. Todt, Der Menschensohn, 190: «Non si tratta soltanto di emulare un model-

Denominazioni onorifiche e titoli di Gesù

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Si discute se il detto relativo al servire e al prezzo del ri­ scatto costituiscano un'unità fin dall'origine, o se invece il detto sul prezzo del riscatto fosse in origine autonomo (cfr. 1 Tim. 2, 5 s ..) e sia stato collegato con quello sul servire solo in un secondo momento. Nel suo approfondito studio su Mc. 10,4 5 V. Hampel difende l'unità del passo, logion unitario che sarebbe stato raccordato da un redattore premarciano, per altro «maldestramente e bruscamente», al v. 44/s Me­ diante il «figlio dell'uomo» il detto sul servire e quello sul prezzo del riscatto vengono di fatto strettamente congiunti. È lo stesso figlio · dell'uomo che è venuto a servire e che dà la sua vita per i molti. Le. 22,26 s., dove l'affermazione sul ser­ vire è inserita nella situazione della cena e riferita e attualizza­ ta alla situazione de�la chiesa primitiva, sarà dovuto alla re­ dazione lucana. Gesù che serve a tavola è il punto di collega­ mento per la celebrazione della cena della comunità. In Gv. I J , 1 - 1 0. 14- 1 8 quest'idea viene illustrata nella lavanda dei piedi, che fa intravedere la morte di Gesù. In Luca il pensiero della morte di Gesù è già contenuto nella già descritta istitu­ zione della cena (22, 1 9 s.). Se nel testo di Luca non viene ac­ colto il detto sul prezzo del riscatto ciò può dipendere dall'at­ tualizzazione per i discepoli di quello sul servire. Il detto marciano sul prezzo del riscatto - che V. Hampel non vuole far derivare da /s. 5 3 , 1 0- 1 2 ma da Prov. 2 1 , 1 8 e /s. 43,3 76 mostra anche un'inconfondibile parentela con Mc. 1 4,24, il detto sul calice della cena, così che si può concludere a una comune concezione della vicaria morte espiatrice di Gesù. Come che si sia pervenuti alla formazione di Mc. 1 0,4 5 ,77 Marco ha accolto nella sua teologia del figlio dell'uomo l'umil­ tà terrena di Gesù, il figlio dell'uomo, e l'effetto espiatorio dello; il comportamento di Gesù / figlio dell'uomo rende semmai possibile questo capo­ volgimento». 7S· Hampel, Menschensohn, 304-3 1 3, spec. 306. 76. Op. cit. , 326-3 33. 77· Pesch, Mk n , 162 s. {tr. it. 249 ss.) lo attribuisce alla prima comunità giudeocri­ stiana ellenistica; Hampel, Menschensohn, 339 s. lo considera un detto autentico di Gesù. Cfr. H. Patsch, Abendmahl und historischer Jesus, Stuttgart 1972, 1 70- 1 80.

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la sua morte. Le due cose sono ordinate l'una all'altra: «Il dono che Gesù fa di sé nella sua vita di servizio sulla terra trova la sua ultima e più densa espressione nella sua morte e, viceversa, il dono espiatorio di sé che Gesù compie nella sua morte è preparato e sostenuto dall'opera di servizio di tutta la sua vita»/8 L'umiltà terrena di Gesù, il figlio dell'uomo, e l'efficacia espiatoria della sua morte sono espressioni nuove nella cristo­ logia marciana del :figlio dell'uomo. Il :figlio dell'uomo che, secondo gli annunci della passione, s'incammina verso la mor­ te come il giusto perseguitato, entra in una visuale ulteriore; si tratta di una riconsiderazione del suo agire terreno e di un'interpretazione approfondita della sua morte. Per Marco, che ha trovato già costituita questa tradizione, ciò significa che nel suo agire terreno il :figlio dell'uomo può essere visto sia nella sua altezza (2, 10.28), sia anche nella sua umiltà ( 1 o, 4 5 ). In Marco sono ben sviluppate tutte e tre le dimensioni della concezione del figlio dell'uomo: la sua futura venuta nella potestà, il suo cammino attraverso la passione e la morte e il suo presente operare sulla terra; ma tutto il peso è posto sulla sua passione, morte e risurrezione. Marco si è appro­ priato di quest'immagine del :figlio dell'uomo viva nella chie­ sa primitiva perché corrisponde alla sua visione del :figlio del­ l'uomo, terreno e poi innalzato ( 1 4,62), e riproduce il cammi­ no di Gesù. 3·

Altri titoli di Gesù

Oltre ai due titoli principali di Cristo, «figlio di Dio» e «:figlio dell'uomo», nel vangelo di Marco s'incontrano anche altre denominazioni che in parte sono in rapporto col «:figlio di Dio» e in parte introducono anche aspetti nuovi. Li elen­ chiamo qui, illustrandone in breve il significato per la cristo­ logia marciana. 78. Kertelge, Der dienende Menschensohn, 237· Per l'interpretazione riferita alla pro­ esistenza autoritativa di Gesù in Scholtissek, Die Vollmacht]esu, cfr. nota 7 1 .

a) Il messia e il «re d'Israele»

o

«dei giudei»

L'espressione «il messia» non ricorre di frequente, a rigore solo in 8,29; 1 2,3 5; 1 3 ,2 1 ; 14,61; 1 5 ,3 2, inoltre senza articolo in 9,4 1 e nella soprascritta di 1 , 1 soltanto come appendice al nome. Il caso più rilevante è la confessione di Pietro: «Tu sei il messia» (8,29); ma Gesù proibisce ai discepoli di parlare con chiunque di lui (8,3o). Evidentemente Marco vuole evita­ re che la denominazione di messia sia fraintesa; potrebbe es­ sere compresa in senso politico-terreno, che non corrisponde all'idea che Gesù aveva di se stesso, il figlio dell'uomo che va verso la passione e morte, come illustra il duro attacco a Pie­ tro di 8,3 3 . Il nudo titolo «il messia» non soddisfa quel che Gesù pretende per sé. Matteo ha reso possibile che Gesù ac­ cetti la confessione di Pietro grazie all'aggiunta «il figlio del Dio vivente» ( 1 6, 1 6). Anche in altri passi colpisce la riserva di fronte al titolo di messia. Nel dialogo sul figlio di David (1 2,3 5 -37) l'attesa giu­ daica viene decisamente tralasciata. Nel discorso sulla fine dei tempi Gesù mette in guardia da seduttori che additano messia servendosi di parole d'ordine menzognere ( 1 3,2 1 ), mettendo così l'immagine del messia in una luce ambigua. La domanda del sommosacerdote, se Gesù è il messia, il figlio del Bene­ detto ( 1 4,61 ), è una domanda subdola e lo scherno del som­ mosacerdote e dei dottori della legge sotto la croce (1 5 ,32) si attiene all'idea del «messia, il re d'Israele». Essi rifiutano a Gesù questo titolo, ma nella mente dell'evangelista l'irrisione del sommosacerdote e dei dottori della legge esprime invece la dignità di Gesù. Secondo la concezione giudaica il «mes­ sia» era il figlio di David, il re d'Israele che doveva sconfigge­ re i nemici e restaurare il regno d'Israele in giustizia e santità (cfr. Ps. Sal. 1 7,2 1 .23 -5 1 ). «Re d'Israele» era dunque un titolo onorifico (cfr. Gv. 1 , 5 o; 1 2, 1 3 ), mentre «re dei giudei» si pre­ senta in una luce ambigua. Davanti a Pilato Gesù viene accu­ sato come «re dei giudei» e alla domanda del romano rispon­ de: «Tu l'hai detto». Se la domanda avesse riguardato la spe­ ranza di salvezza d'Israele, Gesù avrebbe dovuto rispondere

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con un «SÌ» (cfr. I4,62), benché anche in tal caso sarebbe oc­ corsa una precisazione. Poiché invece in bocca al giudice ro­ mano la domanda si riferisce alle pretese politiche, Gesù ri­ sponde evasivamente/9 Pur persuaso dell'innocenza di Gesù, Pilato si piega alla massa del popolo che chiede la libertà per Barabba e per Gesù esige la crocifissione (I 5,7- I 5 ). Gesù vie­ ne irriso dai soldati romani e infine crocefisso come «re dei giudei» ( I 5 , I 6-2o). Un'iscrizione sulla croce indica la sua col­ pa: è il re dei giudei (I 5,26). Il possibile equivoco del ribelle politico rende inadatto e inaccettabile, per Marco, il titolo di re; il Crocefisso per lui è di più: il figlio di Dio (I 5 ,39 ). b ) /l figlio di David Si è già visto come nel dialogo sul figlio di David ( I 2,3 5 3 7) non si metta in questione il figlio di David ma lo si ponga in secondo piano rispetto alla vera dignità di Gesù (in quanto figlio di Dio e figlio dell'uomo). «Figlio di David», nell'acce­ zione giudaica del tempo, non bastava per il Gesù marciano. La relativizzazione della qualità di figlio di David si può os­ servare anche in altri passi. In occasione dell'ingresso di Gesù in Gerusalemme, il popolo acclama: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore; benedetto il regno che viene del nostro padre David» (I I ,9 s.). Matteo non si fa scrupolo di far acclamare al popolo: «Osan­ na al figlio di David; benedetto colui che viene nel nome del Signore» (2 I ,9). Luca parla del re che verrà nel nome del Si­ gnore (Le. I9,3 8). In Marco la formulazione è più cauta; il popolo rivolge la propria speranza al regno venturo «del no­ stro padre David». Se Gesù accetta quest'acclamazione, la si potrà intendere come espressione riferita al regno venturo di pace che si attendeva dal messia della stirpe di David. Ma non è nemmeno sicuro come il popolo s'immaginasse il regno venturo del figlio di David: l'attesa del popolo è lasciata nel vago. Dall'aggiunta «osanna nell'alto del cieli» si ricava sol79· Gnilka, Mk 11, 300 {tr. it. 859) parla di «ambivalenza del titolo».

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tanto che sarà un regno portato da Dio, che verrà dall' «alto». Tutto questo poteva essere accettato dal Marco che pensa­ va alla signoria di Dio annunciata da Gesù; tuttavia non era possibile un'interpretazione più precisa del regno di David. Marco interpreta l'ingresso di Gesù sul dorso d'asino, che Matteo intende messianicamente con la citazione di Zacc. 9 ,9 , come atto di sovranità compiuto consapevolmente da Gesù; ma le idee che si connettono al fatto non vengono fuori. Così il figlio di David rimane piuttosto sullo sfondo. C'è un riflesso della superiorità di Gesù su David nella di­ sputa sulla raccolta delle spighe di sabato (2,2 3 -28). Qui, in­ fatti, Gesù si richiama a David che si cibò di pani sacri della presentazione dandone da mangiare anche a chi lo accompa­ gnava (2,2 5 s.). Si potrà completare così il ragionamento: se già David fece cosa proibita dalla legge, quanto più il figlio dell'uomo può prendersi il diritto d'infrangere il comanda­ mento del sabato (conclusione a minori ad maius). Il figlio dell'uomo è signore del sabato; Matteo rafforza ulteriormen­ te: «Qui è uno che è più del tempio» ( I 2,6). Se per Marco «figlio di David» non è un titolo cristologico adeguato, stupisce che Gesù accetti ed esaudisca la ripetuta preghiera lamentosa del cieco Bartimeo: «Figlio di David, ab­ bi pietà di me !» ( 1 0,48 ·4 9 ) . Al riguardo si deve considerare che: 1 . l'invocazione a gran voce del mendicante aveva radici nella tradizione, come lascia intendere l'estensione della stessa in­ vocazione in Matteo ad altri due ciechi (9 ,27- 3 1 ) . 2. Gesù si trova sulla strada per Gerusalemme, vicino ormai alla città, e quanto più si approssima alla capitale, dove dovrà compiersi il suo destino, tanto meno vuoi tenere nascosto il suo segreto messianico. Gesù non ingiunge al cieco guarito di tacere e nella sua entrata in Gerusalemme accetta l'acclamazione sul regno venturo del padre David. 3 . Il grido «Figlio di David, abbi pietà di me» è espressione della fede popolare nel mes­ sia. Questa fede si può invero interpretare in vari modi; Gesù può tuttavia riferirsi a questa fede, così come gli basta anche la fede «magica» dell'emorroissa per collegarvi la sua idea profonda della fede, assicurandole la guarigione ( 5 ,2 5 - 3 4).

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Coll'invocazione del mendicante non è detto che Gesù accol­ ga questa fede intendendola in senso strettamente teocratico. Nel complesso, nell'immagine di Gesù che ha Marco, il «:figlio di David» ha un ruolo puramente marginale. c) Il «signore» Le cose stanno diversamente con la denominazione di Ge­ sù come «signore» (x.uptoc;). Che per Marco questo titolo fos­ se importante si desume dal dialogo sul figlio di David, dove Gesù viene proclamato «signore» di David, secondo la cita­ zione di Sal. I I O, I (I 2,36-37a). La citazione esplicita «metto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi» rimanda alla signoria di colui che è stato innalzato. Questi ha una posizione di potere fon­ data sul suo innalzamento alla destra di Dio. Nelle parti nar­ rative Gesù viene più volte apostrofato o nominato come «signore». Non ha molto senso che la sirofenicia lo apostrofi con «signore» (7,28). È tuttavia singolare lo stile della narra­ zione prima dell'ingresso in Gerusalemme. «Il Signore ne (del giovane asino) ha bisogno» ( 1 1 ,3). Nel brano narrativo affine sulla preparazione della sala della cena, si dice: «Dite al padrone di casa che il Maestro dice: Dov'è la sala dove coi miei discepoli possa fare il pasto pasquale ?'» (14,14). «Signo­ re», «maestro» o anche «mio maestro» (pe1��ouvet, 1 0, 5 1 ) han­ no lo stesso valore semantico. Anche i discepoli apostrofano Gesù con «rabbi» (9, 5; 1 0,2 1 ; 14,4 5 ). In questa locuzione tro­ va espressione quantomeno la profonda considerazione per l'essere signore di Gesù. Notevole è anche il passaggio da 5 , 1 9 a 5 ,20: il guarito deve raccontare alla sua famiglia quanto il Signore Dio ha fatto per lui, e l'uomo va e annuncia quel che Gesù ha fatto per lui. Quel che Dio, il Signore, ha fatto per lui si realizza in ciò che ha fatto Gesù. In prospettiva escatologica, infine, Gesù diventa il padrone di casa di cui non si sa a che ora giunga ( 1 3 ,3 5 ). Tutte queste non sono che prospettive laterali sull'essere signore di Gesù. Questo essere signore si realizza solo nel suo innalzamento alla destra di Dio e nel suo ritorno. Soltan=

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to anticipando si può dire anche del Gesù terreno: «Il figlio dell'uomo è signore del sabato» (2,28). Solo il rapporto col «figlio dell'uomo» pone nella sua giusta luce l'essere signore di Gesù. d) Il più forte Già il Battista annuncia il «più forte» che verrà dopo di lui (1 ,7) e, secondo il modo in cui ciò è inteso da Marco (cfr. 1 ,7b), ci si dovrebbe riferire a Gesù.80 Gesù è designato come «uno più forte» che vince il forte (Satana o il principe dei demoni) in 3 ,27. Questo pensiero viene sviluppato in due pa­ rabole: Satana non può cacciare Satana, poiché in tal modo distruggerebbe il proprio regno (3,23-26); nessuno, poi, può far irruzione in una casa, cioè nella dimora di un demone, se non sopraffà il padrone di casa. Nel contesto viene detto in­ direttamente che Gesù caccia i demoni con la forza dello Spirito santo (cfr. v. 29). Quest'interpretazione non è impor­ tante solo per i casi di cacciata dei demoni, ma anche per l'immagine di Gesù che vi sta dietro. Fin dal battesimo e dalla tentazione Gesù è armato dello Spirito santo e, in quanto figlio di Dio, è superiore a Satana. In tal modo la descrizione del «più forte» sfocia nella più ampia concezione del «figlio di Dio». e) Profeta In un caso soltanto Gesù parla di sé come di un profeta, e unicamente nell'espressione proverbiale «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria» ( 6,4). In questo incontro con la sua gente di Nazaret Gesù si lamenta del disprezzo che gli è riservato. Con ciò egli non intende in alcun modo spacciarsi 8o. J. Becker, ]ohannes der Taufer und ]esus von Nazareth (BSt 63), Neukirchen 1972, 34-37 discute cinque diverse possibili interpretazioni e decide per la figura del figlio dell'uomo. M. Reiser, Die Gerichtspredigt ]esu (NTA N.F. 23), Miinster 1990, 1 7 1 - 1 73 si oppone a quest'interpretazione e sostiene che ci si riferisce a Dio stesso; Hampel, Menschensohn, 222-226 interpreta nel senso del «messia».

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per profeta, ma solo paragonare la sua esperienza con quella di un profeta. Se la gente lo considera un profeta ( 6, I 5 ; 8,28), ciò non corrisponde alla pretesa che egli avanza. N ella scena di Cesarea di Filippo, quando chiede ai discepoli per chi lo prenda la gente, non è d'accordo quando gli si riferisce: «Per uno dei profeti»; egli è di più, e accetta senza contraddirla la risposta di Pietro: «Tu sei il messia», anche se poi, col suo di­ vieto di parlarne, manifesta riserve sull'ambiguo titolo di mes­ sia (8,27-30). Nella scena dei soldati romani che si prendono gioco di lui e vogliono indurlo a indovinare chi l'ha colpito (I4,6 5), è chiaro il suo rifiuto del ruolo di profeta. In Marco non trova mai eco l'espressione popolare, intesa in senso positivo, « È il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea» (Mt. 2 I , I I ; cfr. 2 I ,46). Gesù viene tenuto lontano, nel modo più asso­ luto, dall'essere giudicato un profeta. Tutte queste denominazioni - messia, figlio di David, pro­ feta - sono inadatte a esprimere la vera dignità di Gesù. Al fondo di tutto c'è l'idea del figlio di Dio o del figlio dell'uo­ mo. Solo questi due titoli corrispondono all'autocompren­ sione di Gesù; in essi si rispecchia per Marco la rivendicazio­ ne del Gesù storico; non c'è da pensare che con ciò egli abbia deformato l'immagine di Gesù.81 4·

Il cosiddetto segreto messianico

Dopo questo sguardo alla cristologia marciana è venuto il momento di trattare del «segreto messianico», che inconte­ stabilmente è in parte costruzione redazionale di Marco ma la cui interpretazione è estremamente discussa.8 2 Nel suo studio 8 1 . Hampel, Menschensohn, sostiene ora con decisione l'idea che Gesù si sia pensato come il messia - figlio di Dio designato fin da prima d'esser certo della passione, ma che in seguito abbia acquisito la consapevolezza di dover prendere la propria strada, per volere di Dio, attraverso la passione e morte (cfr. pp. 239-242). Propendono per quest'idea anche altri, come W.G. Kiimmel, di solito critico: Die Theologie des Neuen Testaments nach seinen Hauptzeugen ]esus, Paulus, ]ohannes, Gottingen 1969, 68-76 (tr. it. La teologia del Nuovo Testamento. Gesù Paolo Giovanni, Brescia 1976, 92-104). 82. Cfr. H.J. Ebeling, Das Messiasgeheimnis und die Botschaft des Markus-Evangeli-

103 sul segreto messianico nei vangeli (Das Messiasgeheimnis in den Evangelien. Zugleich ein Beitrag zum Verstandnis des Markusevangeliums, 1901, 3 1 963), W. Wrede ha sviluppato Denominazioni onorifiche e titoli di Gesù

una teoria fortunata: col «segreto messianico» Marco ha volu­ to accordare l'attività terrena di Gesù, vissuta non messiani­ camente, con la fede cristologica della chiesa primitiva in Ge­ sù, il messia e figlio di Dio. Il segreto messianico, d'altra par­ te, non sarebbe un'invenzione di Marco, ma si troverebbe già nella tradizione di cui egli disponeva.83 Per la sua tesi Wrede ricorre alle unità seguenti: le intimazioni di tacere, la teoria delle parabole di Mc. 4, 1 1 s. e l'incomprensione dei discepoli. Il segreto messianico sarebbe una concezione unitaria, non proveniente dal Gesù storico, ma solo dalla tradizione di Marco. La chiave gli è stata fornita da Mc. 9,9: la messianicità di Gesù deve essere tenuta sotto silenzio fino alla risurrezio­ ne. La storia della ricerca ha stabilito senz'altro il significato unitario del segreto messianico, nonostante ne siano state da­ te interpretazioni differenti.84 Raisanen distingue un'interpre­ tazione apologetica, una epifanica, una orientata alla teologia della croce e una orientata alla storia della rivelazione. Se il segreto messianico fosse stato una concezione unitaria di Marco, ne verrebbero notevoli conseguenze per l'immagi­ ne marciana di Gesù. A poco a poco, tuttavia, si è preso a du­ bitare che dietro i singolari dati testuali summenzionati vi fosse una concezione unitaria. Un tentativo notevole fu com­ piuto da Ulrich Luz, che distingue tra il «segreto del mira­ colo» e il vero e froprio segreto messianico in relazione alla persona di Gesù. s Per i racconti di miracoli con relativa insten (BZNW 19), Berlin 1939; G. Strecker, Zur Messiasgeheimnistheorie im Markus­ evangelium: StEv III (TU 88), Berlin 1964, 87- 104; E. Schweizer, Zur Frage des Mes­ siasgeheimnisses bei Markus: ZNW 56 (1965) 1-8; u. Luz, Das Geheimnismotiv und die markinische Christologie: ZNW 56 (1965) 9-3o; G. Minette de Tillesse, Le secret , messianique dans l Évangile de Mare (LD 47), Paris 1 968; H. Raisanen, Das «Mes­ siasgeheimnis» im Markusevangelium, Helsinki 1976 (con bibliografia); Pesch, Mk n, 36-47 (tr. it. 68-82} (con ulteriore bibliografia). 83. Das Messiasgeheimnis, 145 s. 84. Cfr. la panoramica in Raisanen, Das «Messiasgeheimnis», 33 -44. 8 s. Luz, Das Geheimnismotiv.

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giunzione di mantenere il segreto, Luz afferma che «quel che va tenuto segreto non sono né la messianicità di· Gesù né la sua discendenza divina, ma l'evento del miracolo di guarigio­ ne».86 Le cose stanno diversamente per l'ordine di tacere dato ai demoni (1 ,3 4b; 3 , 1 1 ): a loro non è concesso di rivelarlo co­ me persona, di annunciarlo come figlio di Dio.87 Anche l'in­ comprensione dei discepoli trova posto in questa cornice cristologica: i discepoli non capiscono perché il mistero di Gesù si schiuderà loro solo con la risurrezione. 88 Ancor più avanti si spinge H. Raisanen nel suo penetrante saggio sul se­ greto messianico nel vangelo di Marco (Das Messiasgeheimnis

im Markusevangelium. Ein Redaktionskritischer Versuch,

Helsinki 1976), secondo il quale i singoli temi richiedono cia­ scuno una trattazione a sé: l'insegnamento esoterico ai disce­ poli, le ingiunzioni di tacere, le narrazioni di miracoli con le loro ingiunzioni di tacere in parte trasgredite in parte rispet­ tate, l'ordine di tacere dato ai demoni e quello dato ai disce­ poli, infine l'incomprensione dei discepoli. La teoria della pa­ rabola è lasciata fuori dal segreto messianico, poiché rientra in un altro contesto né può essere intesa come concezione di Marco.89 In queste ricerche la questione della tradizione e redazione occupa un ruolo notevole. Mentre prima si attribuiva molta importanza alla redazione di Marco, ritenendolo un teologo che lavorava in modo molto programmatico, oggi si è di nuo­ vo più inclini a dare la precedenza nella sua opera alla tradi­ zione e alla sua dipendenza dalla tradizione.90 Poiché le di88. Op. cit. , 26-28. 86. Op. cit. , 1 7. 87. Op. cit. , 19 s. 89. Das «Messiasgeheimnis», 5 1 - 5 3 e 160. 90. Di questo avviso è soprattutto Pesch, Mk n, 3 7 (tr. it. 69}: «Marco non ha co­ struito alcuna teoria del segreto, bensì ha solamente sviluppato motivi già presenti nelle sue tradizioni». Nel suo Das Evangelium der Urgemeinde, in cui vuole mettere in risalto, nella seconda parte del vangelo di Marco, la tradizione di un evangelo della passione {8,27- 1 6,8}, egli scrive che «l'evangelista Marco è un redattore di tendenza conservatrice che solo raramente elabora, amplia e collega con parti che fungono da cornice le tradizioni di Gesù che egli accoglie nel suo vangelo» (p. 5 8 [tr. it. s s]). Le singole prese di posizione a favore del «vangelo della comunità primitiva» sono pe­ raltro discutibili (cfr. l'articolazione in gruppi di tre, pp. 89-9 1 [tr. it. 86-8 8]}.

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v erse tendenze di Marco nell'esposizione dell'attività di Gesù si possono riconoscere solo separando tradizione e redazio­ ne, e poiché questo lavoro di separazione va incontro a limiti, i risultati possono anche non essere chiari. È consigliabile stu­ diare le singole unità del cosiddetto segreto messianico, ognu­ na per conto suo, e trarne poi le conseguenze. a) L 'ingiunzione di tacere in occasione di guarigioni In occasione di guarigioni si trova tre volte l'ordine di ta­ cere: 1 ,43; 5,43; 7,3 6. Vi si annovererà anche 8,26 ove, dal con­ fronto tra «Lo mandò a casa sua» e «Gli disse: Non andare nel villaggio», si può cogliere il divieto di dare pubblicità. Di contro, vi sono non pochi racconti di guarigioni in cui non compare alcun ordine di tacere.91 Nella maggior parte di que­ sti racconti, d'altronde, l'ordine di tacere non avrebbe senso, perché si è riunita una grande folla (2,2; 9, 1 4), tutti nella sina­ goga osservano Gesù (3, 1 -6), vi era una gran ressa ( 5 ,3 1 ), molta gente accompagnava Gesù (1 0,46). In altri racconti ciò non avviene; evidentemente nella tradizione non se ne parla. Viceversa ci si può chiedere se là dove Marco formula un di­ vieto di dare pubblicità non vi sia già materiale della tradizio­ ne. L'ordine di conservare il segreto è abbondantemente do­ cumentato anche in antiche storie di miracoli, soprattutto do­ po formule magiche.92 G. Theissen giunge a questa conclu­ sione: «Tutte le ingiunzioni di tacere che si trovano nei rac­ conti di miracoli sono tradizionali ... , tutte quelle al di fuori dei racconti di miracoli sono redazionali». E ancora: «Tutte le ingiunzioni di tacere fuori dei racconti di miracoli si rap­ portano strettamente al segreto della persona di Gesù, il che non avviene entro i racconti di miracoli».93 Marco ha ripreso il motivo tradizionale del mantenere il segreto per interpretarlo a modo suo, come si vede dal fatto 9 1 . Mc. 1 ,29-3 1 ; 2, 1 - 1 2; 3,1 -6; 5,25 -34; 7,24-30; 9, 14-27; 1 0,46-52. 92. Cfr. Theissen, Wundergeschichten, 144 s. 93· Op. cit., I 53·

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che questi divieti vengono infranti ( 1 ,45; 5,2o). Benché Gesù volesse serbare il suo segreto, non fu possibile impedire che una guarigione straordinaria divenisse palese. Come l' evan­ gelista sia giunto a questa posizione si desume nel modo più evidente da 7,36 s.: dopo la guarigione del sordomuto, la folla cominciò «tanto più a divulgarlo» e, al colmo dello stupore, diceva: «Ha fatto bene tutte le cose, fa udire i sordi e parlare i muti» (7,3 7). In quest'uomo risanato si fa manifesta la poten­ za creatrice di Dio che Gesù amministra. La trasgressione del comando di tacere serve a far risplendere la potenza di Gesù. Le infrazioni all'ingiunzione di tacere indicano la mano del­ l' evangelista, almeno in 1 ,4 5 e 5 ,20. Il segreto messianico, a questo punto, non sta nelle ingiunzioni di tacere, ma nell'epi­ fania segreta che così si produce. Ciò rientra nella cristologia marciana, che sta tutta nella prossimità a Dio di Gesù, nella sua qualità di figlio di Dio avvertibile in ogni sua azione. Quest'interpretazione epifanica,94 tuttavia, non è rintracciabi­ le in tutti i testi. C'è anche il segreto del figlio dell'uomo, il suo dover patire e morire, il suo non svelarsi proprio nel suo splendore. C'è il divieto di parlare dello splendore che si fa visibile nella trasfigurazione, prima che il figlio dell'uomo sia risorto dai morti (9,9). Si presuppone qui uno svolgimento nella rivelazione di Gesù, non ancora percepibile nelle epifa­ nie dei racconti di miracoli. b) L 'ordine di tacere ai demoni cacciati Anche nella cacciata dei demoni sentiamo parlare di co­ mandi di tacere impartiti da Gesù ai demoni che dimorano nei posseduti ( 1 ,25 .34; 3 , 1 2), e questi comandi vengono rego­ larmente rispettati. Perché Gesù proibisce ai demoni che lo 94· È quanto sostiene soprattutto Ebeling, Das Messiasgeheimnis: «La manifestazio­ ne della salvezza divina in Cristo, fattasi certa nel fatto della risurrezione, costituisce l'idea guida dell'evangelista, non la caratterizzazione psicologica del Gesù terreno o dei suoi discepoli» (p. 1 7 1 ); «agli occhi del lettore si presenta non solo il figlio di Dio nascosto e velato, ma in ugual misura quello epifanico, così come era vivo per l'evan­ gelista» (p. 1 78).

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riconoscono come il «santo» ( 1 ,24) o il «:figlio di Dio» (3 , 1 1 ; 5,7), di farlo conoscere ? Proprio perché essi capiscono il suo segreto e Gesù non vuole che venga propalato ! Gesù vuole quindi preservare il suo profondo segreto. Egli è il figlio di Dio nascosto, che in verità è già stato presentato al lettore credente dalla voce risuonata nel battesimo, ma resta e vuole restare ancora nascosto nel suo agire terreno. Questo è il vero segreto messianico che Marco vede realizzato nella figura ter­ rena di Gesù. La tensione che ne nasce tra manifestazione di potenza e nascondimento è segnata, per Marco, né è soppri­ mibile, nell'immagine del Gesù terreno. c) I divieti di parlare imposti ai discepoli In due passi s'ingiunge ai discepoli di non parlare: in 8,30 dopo la confessione di Pietro e in 9,9 dopo la trasfigurazione. La confessione messianica di Pietro per il Gesù marciano non è sufficiente, perché il titolo di messia può anche venire frainteso. Può trattarsi della liberazione per opera di un so­ vrano terreno-politico, il «figlio di David», che per Marco esige un'interpretazione che includa la sua vicinanza a Dio, il suo «essere signore» come coreggente alla destra di Dio (cfr. 1 2,3 5 -3 7). Anche i figli di Zebedeo sono ancora prigionieri dei loro sogni di potenza politica ( I 0,37). Gesù non respinge la confessione messianica di Pietro; dopo tutto, a differenza dall'opinione popolare, questi confessa Gesù come figura sal­ vifica. Questa confessione rappresenta dunque un punto cul­ minante, pur non essendo senz'altro accettabile per Gesù. Per questo egli ne proibisce la diffusione tra il popolo e inizia, su­ bito dopo, a svelare ai discepoli la sua vera messianicità, il mi­ stero del «figlio dell'uomo» che per disposizione divina do­ vrà patire e morire. Dietro il divieto di parlare c'è già il pen­ siero del figlio dell'uomo che solo manifesta, in tutta la sua ampiezza, il mistero di Gesù. Il secondo divieto di parlare, dopo la trasfigurazione di Gesù, ai tre discepoli che sono stati testimoni della manife­ stazione della sua maestà, è formulato a partire dalla prospet-

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tiva postpasquale. Solo quando il figlio dell'uomo sarà risorto il suo segreto dovrà essere svelato. Il divieto presuppone che la comunità abbia sperimentato tutta l'ampiezza dell'evento connesso al figlio dell'uomo: la sua passione, morte e risurre­ zione (8,3 I ). Dalla prospettiva della risurrezione diventa chia­ ro tutto il percorso di Gesù. Evidentemente il narratore vuole impedire che si diffonda un'immagine del Cristo glorificato improntata unicamente all'epifania. Il divieto di parlare rima­ ne quindi nell'orizzonte della cristologia del figlio dell'uomo qual è illustrata in 8,3 I ; ma dopo la pasqua dovrà di nuovo affermarsi l'idea del figlio dell'uomo che verrà in potenza (cfr. 8,3 8). Tutto ciò è detto avendo presente la comunità dei credenti. Questo divieto di parlare ha quindi una funzione di­ versa da quella dei divieti dei racconti di guarigioni o di cac­ ciata di demoni. Ha un'intenzione di copertura limitata nel tempo, che fa parte della storia della manifestazione del figlio dell'uomo. Anche la conversazione lungo la discesa rispecchia ancora il cammino verso la risurrezione attraverso la passione e morte (9, I o- I 3 ). È difficile dire se il divieto di parlare faces­ se già parte della pericope tradizionale della trasfigurazione o se sia stato aggiunto solo da Marco. In ogni caso a Marco premeva per la sua cristologia del figlio dell'uomo. d) L 'incomprensione dei discepoli In taluni passi l'incomprensione dei discepoli si presenta in maniera così marcata che vi si deve supporre dietro un'in­ tenzione dell'evangelista. Ciò avviene in modo speciale dopo l'episodio di Gesù che cammina sull'acqua: come Gesù sale sulla barca, i discepoli vanno del tutto fuori di sé ( 6, 5 I ). Que­ sto andar fuori di sé, di cui si parla anche in altre storie di mi­ racoli (2, I 2; 5 ,42), descrive il terrore numinoso che assale chiunque allorché accade un fatto del tutto inusuale che ol­ trepassa i limiti dell'umano. In questo caso, però, ciò non porta alla fede nel Cristo-epifania ma, come indica il seguito, a un irrigidimento incredulo: «Poiché non avevano capito che cosa era successo coi pani e il loro cuore era indurito» (6, 5 2).

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Il camminare sulle acque di Gesù, così come il miracolo della moltiplicazione dei pani, avrebbe dovuto condurli a ricono­ scere chi fosse in verità Gesù; ma questa conoscenza è preclu­ sa ai discepoli, perché il loro cuore è indurito. Quanto fosse importante per l'evangelista quest'incom­ prensione dei discepoli risulta dal secondo passo, cioè dal dialogo sul pane e il lievito, in cui si getta una luce violenta sull'incapacità di comprendere dei discepoli (8,1 4-2 1 ). Esso rimanda in modo ancor più chiaro e netto al loro indurimen­ to di fronte al miracolo dei pani e dei pesci. I discepoli sono tutti occupati a procacciare pane e non pensano alla situazio­ ne critica in cui si sono messi, alla pari dei farisei e di Erode, col loro atteggiamento malvagio, il «lievito» dei farisei e di Erode. In definitiva è un'incredulità che nasce dal miscono­ scimento della rivelazione di Dio che avviene in Gesù Cristo. I farisei, che non capiscono la guarigione dell'uomo dalla ma­ no inaridita, compiuta da Gesù di sabato, · hanno il cuore in­ durito (3,5) e suscitano l'ira di Gesù. Gli Erodiani, che sono in stretto rapporto col re Erode, sono legati ad essi (3 ,6). Il re Erode considera Gesù Giovanni Battista risuscitato (6, 1 6), mancando così a sua volta il mistero della persona di Gesù. A giudizio di Marco i miracoli alimentari avrebbero dovuto aprire gli occhi ai discepoli. Ma per il loro attuale atteggia­ mento c'è da temere che essi abbiano occhi ma non vedano, orecchie ma non odano. Non comprendono nulla e hanno un cuore incallito. La cosa viene sottolineata da Marco in do­ mande provocatorie. È evidente che Marco definisce l'incom­ prensione dei discepoli come un atteggiamento pericoloso. L'avvertimento dà l'impressione di un commento che svilup­ pa 6, 5 2, commento introdotto dall'evangelista, come mostra il riferimento ai due miracoli alimentari da lui tramandati. Perché Marco insiste sull'incomprensione dei discepoli ? Per sé questo è un motivo tradizionale. Nella tempesta sul la­ go (4,3 5 -4 1 ) Gesù biasima la fede insufficiente dei discepoli, perché non riflettono sulla potenza e l'aiuto di Dio, presenti a loro in Gesù. Essi non comprendono le parole enigmatiche di Gesù di 7, 1 5 (7, 1 7 s.). Non comprendono il senso delle paro-

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le relative alla consegna del figlio dell'uomo, ma non osano interrogarlo (9,3 2). La disputa su chi sia tra loro il maggiore è la testimonianza di un grossolano fraintendimento del suo in­ segnamento (9,3 3-3 5 ). Il loro rigetto di un esorcista estraneo è contrario all'intenzione di Gesù e manifesta una disposizio­ ne d'animo differente (9,3 8-40). Anche il loro allontanare i fan­ ciulli che vengono a Gesù rivela che non hanno chiaro il suo insegnamento sull'ingresso nel regno di Dio (1o, 1 J - 1 6). Poco hanno capito i figli di Zebedeo che vorrebbero i primi posti nel regno di Dio ( 1 0,3 5-40). Tutti questi tratti dell'immagine dei discepoli sono già pre­ senti nella tradizione. Marco tuttavia accentua la mancanza di comprensione nei discepoli. Dopo la parabola del seminato­ re Gesù chiede: «Se non comprendete questa parabola come comprenderete allora tutte le (altre) parabole?» (4, 1 3). Le azio­ ni di Gesù rimangono loro chiuse nel loro senso, come testi­ monia l'indurimento di cuore, tanto vivamente sottolineato dopo le storie di moltiplicazione di pani. Illuminanti in pro­ posito sono anche le spiegazioni supplementari per i discepo­ li che spesso vengono aggiunte nel vangelo di Marco (4, 1 0.34; 7, 1 7; 9,28 s.3 3 ; 1 0, 1 0; 1 3 ,3). Per lo più (tranne che in 7, 1 8) es­ se non vengono tuttavia giustificate con l'incomprensione dei discepoli, ma vengono inserite a mo' di aggiunta nello svol­ gimento dell'azione. È un procedimento redazionale che de­ riva da un'intenzione diversa da quella di criticare i discepoli. È pressoché indubbio che ciò avviene avendo un occhio per la comunità che, attraverso queste istruzioni esoteriche dalla bocca di Gesù, deve ricevere direttive per la sua vita e istru­ zioni per la sua condotta.95 Per il comportamento morale ciò è evidente in 7, 1 7 e 10, 1 0- 1 2. Tuttavia vi sono anche ammae­ stramenti sull'interpretazione delle parabole (4, 1 0.34), sulla necessità della preghiera e di una fede forte (9,28 s.) e sugli eventi da attendere alla fine dei tempi (I J,J). Tali ammae­ stramenti esoterici presuppongono sì anch'essi mancanza di comprensione, non però un indurimento riprovevole. 95· Cfr. Reploh, Markus - Lehrer der Gemeinde, 75 -78.

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Per quanto riguarda l'incomprensione dei discepoli si do­ vranno quindi distinguere motivi differenti. L'incomprensio­ ne per il destino di passione e morte di Gesù (8,3 2; 9,3 2), sot­ tolineata dall'evangelista, Marco la trovava sì nella tradizione, ma egli l'ha aggravata. Si tratta qui di una chiusura di fronte al destino di morte di Gesù, che Marco vuole sottolineare energicamente, guardando alla comunità, chiamata a seguire il Cristo crocefisso (8,34-3 8). Il comando di tacere ai tre di­ scepoli, dopo la trasfigurazione di Gesù, per il quale non de­ vono dire nulla a nessuno di quel che hanno visto prima che il figlio dell'uomo sia risorto dai morti (9,9) è, per contro, il tentativo di spiegare la via verso la risurrezione attraverso passione e morte. Solo con la risurrezione di Gesù diventa comprensibile il passaggio del figlio dell'uomo attraverso la passione e la morte (cfr. anche la conversazione lungo la di­ scesa, 9,9- I 3 ). A legare il Gesù terreno col Risorto-Glorifica­ to è un motivo cristologico. Il Gesù terreno è già sempre nel­ la prospettiva del Glorificato che verrà nella sua potenza. L'incomprensione per le storie di guarigione collega il mo­ tivo cristologico, per cui Gesù rivela nascostamente la sua so­ vranità nelle sue opere terrene, con quello ecclesiologico per cui si conduce la comunità a una comprensione più appro­ fondita. L'immagine negativa dei discepoli diventa un appello positivo alla comunità ad aprirsi all' automanifestazione di Gesù.96 L'attenzione per la comunità diventa affatto evidente nelle istruzioni esoteriche ai discepoli. Gesù dischiude il si­ gnificato dei suoi discorsi ai discepoli e, quindi, alla comunità posteriore. L'incomprensione dei discepoli serve quindi, da un lato, alla tendenza a tener nascosto il segreto di Gesù, come quando si ordina ai demoni di tacere, dall'altro a manifestarlo alla comunità nell'ammaestramento. Il figlio di Dio può farsi manifesto solo attraverso i suoi discorsi e le sue azioni; ma solo dopo la pasqua può diventare riconoscibile per la comu­ nità (9,9 !), allorché questa accetta il destino di morte del fi­ glio dell'uomo, comprendendolo come un invito per la dire96. Cfr. op. cit. , 76-78. 8 1 -86.

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zione della propria vita (cfr. 8,34-3 8). In questo senso il se­ greto messianico, che compare nell'incomprensione dei di­ scepoli, ha una funzione dialettica: nascondimento e ma­ nifestazione sono stretti l'uno all'altra. e) La teoria della parabola Anche per il complesso del segreto messianico W. Wrede ricorre alla teoria della parabola, secondo cui il «segreto della signoria di Dio» è rivelato (da Dio) ai discepoli ma è precluso agli estranei, così che costoro devono vedere e udire ma, pur vedendo e udendo, non comprendono (Mc. 4, 1 I s.).97 Il pro­ blema, tuttavia, è se il_ «segreto della signoria di Dio» nel suo complesso riguardi il segreto di Gesù in quanto messia e figlio di Dio, oppure non si colleghi all'interpretazione delle parabole da parte della comunità primitiva. La comunità, rappresentata qui da coloro che stanno intorno a Gesù insie­ me coi Dodici (4, 1 0), è in grado di comprendere le parabole che trattano della signoria di Dio, mentre coloro che stanno fuori non ne sono in grado.98 Il segreto della signoria di Dio dev'essere quindi inteso in riferimento all'insegnamento se­ greto, limitato alla cerchia dei discepoli, che dopo la pasqua hanno la responsabilità dell'istruzione della comunità.99 Que­ sto insegnamento fa quindi parte degli insegnamenti esoterici impartiti ai discepoli, indirizzati alla comunità posteriore. La teoria dell'ostinazione di coloro che sono fuori ha una punta 97· Das Messiasgeheimnis, 54-67 (interpreta il «segreto» riferendolo alla dignità mes­ sianica di Gesù). 98. Cfr. Schuyler Brown, «The Secret of the Kingdom of God» (Mark 4,1 r): JBL 92 (1973) 60-74. Con lui si schiera Pesch, Mk I, 240 (tr. it. 3 86}, il quale a ragione osser­ va che il detto «riflette l'efficacia della missione, e per questo si prestava di per sé ad essere inserito in Mc. 4» (p. 238 [tr. it. 3 84]). Cfr. anche H. Raisanen, Die Parabel­ theorie im Markusevangelium, Helsinki 1973, 1 2 1 - 1 27 (concezione modificata di Marco). Diversamente Gnilka, Mk I, 1 70- 1 72 (tr. it. 228-23 1): «Il segreto marciano è concepito in senso cristologico (diversamente dal modello antecedente} e si colloca nel passaggio tra la predicazione del regno fatta da Gesù e la predicazione su Cristo fatta dalla chiesa» (p. 1 7 1 [tr. it. 230]). Egli ritiene appropriato parlare del segreto del messia o del figlio di Dio (p. 165 [tr. it. 220]). 99· Così Sch. Brown, Secret, 74; similmente Raisanen, Messiasgeheimnis, 53·

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polemica contro coloro che permangono nell'incredulità, ri­ manendo fuori della comunità. Matteo, che introduce il testo marciano sull'ostinazione, «affinché vedan o », con