En pase grammatike kai sophia. Saggi di linguistica ebraica in onore di Alviero Niccacci, OFM [Multilingual ed.] 8862401299, 9788862401296

Il titolo di questa miscellanea ("In ogni scrittura e sapienza"), dedicata al prof. Alviero Niccacci ofm in oc

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English, Tedesco, Italian Pages 450 [458] Year 2011

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En pase grammatike kai sophia. Saggi di linguistica ebraica in onore di Alviero Niccacci, OFM [Multilingual ed.]
 8862401299, 9788862401296

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78 STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM

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© 2011, Edizioni Terra Santa - Milano

Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma rivolgersi a: Edizioni Terra Santa Via G. Gherardini 5 - 20145 Milano (Italy) tel.: +39 02 34592679 fax: +39 02 31801980 http://www.edizioniterrasanta.it e-mail: [email protected] oppure a Franciscan Printing Press P.O.B. 14064 - 91140 Jerusalem (Israel) tel.: +972-2-6266592/3 fax +972-2-6272274 http://www.custodia.org/fpp e-mail: [email protected]

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Ἐν πάσῃ γραμματικῇ καὶ σοφίᾳ En pase grammatike kai sophia

Saggi di linguistica ebraica in onore di Alviero Niccacci, ofm

Gregor Geiger (ed.) in collaborazione con Massimo Pazzini

Franciscan Printing Press

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Edizioni Terra Santa

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Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti.

Proprietà letteraria riservata Edizioni Terra Santa s.r.l. - Milano Finito di stampare nel luglio 2011 da Corpo 16 s.n.c. - Bari per conto di Edizioni Terra Santa s.r.l. isbn 978-88-6240-129-6

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Indice generale

Prefazione

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Abbreviazioni

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Collaboratori

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BOTTINI G. Claudio Scheda bio-bibliografica di Alviero NICCACCI

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31

BARTELMUS Rüdiger !"! (!#!): Sein oder werden? Sein und werden! Ein hebräisches (aramäisches) Allerweltswort und das Phänomen des lebenslangen Lernens .....................................

53

CHIESA Bruno Divagazioni tiberiensi

75

BARANOWSKI Krzysztof J. The Article in the Book of Qoheleth

..........................................................................

CRIMELLA Matteo Il Signore vede il cuore! Fra analisi sintattica e narratologia. Il caso di 1 Sam 16,1-13 ESKHULT Mats Thoughts on Phrases and Clauses Expressing Circumstance in Biblical Hebrew Narration

85

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107

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123

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129

FASSBERG Steven E. The Shift from qal to piel in the Book of Qoheleth GEIGER Gregor Erzählte Welt und wayyiqtol

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Ἐν πάσῃ γραμματικῇ καὶ σοφίᾳ

GROSS Walter wa=yiqtol für Anknüpfung/Wiederaufnahme: Stilmittel und redaktionelles Verfahren ...............................................

153

ISAKSSON Bo The Textlinguistics of the Suffering Servant: Subordinate Structures in Isaiah 52,13-53,12

173

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JOOSTEN Jan A Neglected Rule and Its Exceptions: On Non-Volitive yiqtol in Clause-Initial Position

...............................

213

MESSINA Paolo Il sistema verbale dell’Aramaico Biblico: Un approccio linguistico-testuale .........................................................

221

NOTARIUS Tania Text, Discourse and Tenses in the Victory Song in 2 Sam 22,33-46: In Search of the Underlying Literary Convention

...............................

257

PAZZINI Massimo The Peshi!ta of the Twelve Prophets and the Texts of the Dead Sea ..............................................................

283

PIERRI Rosario Perifrasi verbali con "#$%&'( ed )*+,-' nei LXX

295

..............................

TALSTRA Eep Sinners and Syntax: Poetry and Discourse in Jeremiah 5

....................

337

VOLGGER David Die Bestattung Jakobs (Gen 50,1-14) – oder: Die Tora Israels auf dem Weg von Ägypten nach Kanaan

..................

357

WATSON Wilfred G. E. Alcuni brani dell’Antico Testamento e testi dal Vicino Oriente antico ...........................................................

371

W.GRZYNIAK Wojciech La problematica temporale dei verbi nei salmi 14 e 53

....................... 381

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Indice generale

ZEVIT Ziony Syntagms in Biblical Hebrew: Four Short Studies

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393

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405

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415

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423

ZEWI Tamar On "(' !%$ &$ and ! )*!' +# !%$ &$ in Biblical Hebrew

Sintesi degli articoli Abstracts

Indici dei passi e degli autori citati

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Alviero Niccacci, ofm

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Prefazione

Il titolo di questa Festschrift, /$ 01*2 "3'&&'+(-4 -'5 *%6#7, dedicata al Prof. Alviero NICCACCI, ofm, in occasione del suo 70esimo compleanno, vuol sottolineare due campi di studi ai quali il festeggiato ha contribuito maggiormente, sia nell’insegnamento sia nella ricerca e pubblicazione: la grammatica, ossia la linguistica testuale ebraica, e la sapienza, ossia i libri sapienziali vetero-testamentari. I contributi qui raccolti si concentrano principalmente sul primo di questi campi. Tuttavia trattando la linguistica ebraica, i contributi (ed i contributori) si distinguono per una varietà notevole. È un grande piacere vederne qui uniti venti e ringrazio di cuore tutti i contributori. Tra di loro si trovano allievi dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, quindi allievi di P. Alviero, ma anche molti altri. Ci sono coetanei di P. Alviero, oramai professori emeriti, docenti di varie generazioni e anche dei giovani studiosi, che presentano qui per la prima volta i frutti della loro ricerca. Sono qui riuniti rappresentanti di vari paesi europei, dell’America e della Terra Santa. Hanno contribuito confratelli di P. Alviero, membri della famiglia Francescana, come pure fedeli di varie confessioni cristiane ed Ebrei; è un bel segno che la parola di Dio unisca fedeli di varie religioni, bello specialmente qui a Gerusalemme, dove capita che venga usata come arma contro l’altro. Alcuni contributi rispecchiano lo stesso approccio linguistico-testuale di Alviero NICCACCI, mentre altri seguono metodi diversi, non sempre compatibili con l’approccio e la terminologia che usano NICCACCI ed i suoi discepoli; è segno di una feconda discussione trovare in questa Festschrift anche articoli di studiosi che criticavano (e criticano), a volte molto apertamente, il sistema di NICCACCI. Il fattore che unisce tutti i contributori è l’interesse, o meglio la passione, per la Bibbia ebraica e per la lingua ebraica, ma è anche la stima per Alviero, che alcuni esprimono nei loro contributi, mentre altri l’hanno dimostrata in modo più personale. Ringrazio il Decano della Facoltà di Scienze Bibliche e Archeologia (Studium Biblicum Franciscanum), il Prof. G. Claudio BOTTINI, ofm, che ha dato l’inziativa a questa Festschrift. Ringrazio molto cordialmente il Prof. Massimo PAZZINI, ofm, che l’ha accompagnata fin dall’inizio e si è reso disponibile in ogni momento a portarla avanti. Ringrazio due collaboratrici instancabili dello Studium Biblicum Franciscanum, Osvalda COMINOTTO e Sinéad MARTIN. 9

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Ἐν πάσῃ γραμματικῇ καὶ σοφίᾳ

Mi sia permesso esprimere qui un ringraziamento personale ad Alviero. Non è stato solamente il maestro che mi ha introdotto nel suo sistema di sintassi ebraica e che ha accompagnato e sorretto i miei primi passi in questo campo (e che continua a farlo). Egli era anche il rettore dello Studium Biblicum Franciscanum quando arrivai per la prima volta a Gerusalemme come giovane studente di teologia nel 1992, e lo devo alla sua iniziativa se alcuni anni dopo potetti tornarvi per approfondire i miei studi e per inserirmi nel corpo docente dello Studium Biblicum come suo collega. Il titolo /$ 01*2 "3'&&'+(-4 -'5 *%6#7, preso dalla versione di Teodozione di Dan 1,17, letto nel suo contesto non sembra perfettamente adatto per una Festschrift in onore di un 70enne; infatti si parla lì del giovane Daniele e dei ) ;, P ' =1 UO() 2+ F- X1 b&1 %M1 U"&L ) X+ %Happy are you, o land whose king is a free man and whose ministers eat at the proper time, in strength, and not in drunkenness.

Here the time reference is to a specific moment during the day; hence the word .5) is properly accompanied by the article. There is a tendency to use the article with expressions of time because the moment to which they refer is seen as specific or because the time of their reference is naturally identifiable. The first explanation is valid for the article with 0"%' =$ !- 0"7' $_!- in 2,16 or in the prepositional phrase 0E_=- in 12,3. The second justification accounts for the frequent use of the article with words such as day and night, morning and evening. The article and the organization of information Throughout our analysis it has become clear that the use and non-use of the article is motivated largely by the perspective that the author wants to convey. The article is therefore a means of organizing information. It may mark the topic of the sentence in opposition to a comment which contains a new piece of information. It may also be used with an element that is in the focused position of the sentence.41 Qoh 10,19 illustrates very well the use of the article as means of focusing and organizing information: R2I(N !;. - %1 !H/1 5Y -" K:O1 (1 !- +# 0"P_' >- >FL - 8- +" , '"mO"- +# 0>1 21 M 0"8IL ' 5 WE> J 8+ 2' A banquet is made for laughter, and wine makes life merry: but money answers every need.

The verse lists three positive objects with the emphasis on the last one since it presents a radical and global solution to all needs. The focus on the last phrase is increased with the article, which otherwise seems unexpected. A similar explanation can be accepted for Qoh 6,7:

41 LYONS, Definiteness, 227-236. The use of the article in these instances may produce the impression that the article functions also as an emphatic particle. See CROATTO, L’article. It must be then stressed that “focus” or “emphasis” are not independent usages of the article but are the effects obtained at the level of the text and that they are due to the basic grammatical meaning of the article as a means of expressing definiteness. In this context one may wish to recollect that in the language of medieval Spanish Hebrew poetry the letter ! with a &ewa could be added at the beginning of a word for emphasis (for example "2!, “indeed to me”). See GOLDENBERG, Hebrew, 656.

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‫ם־ה ֶנּ ֶ֖פשׁ ֥ל ֹא ִת ָמּ ֵ ֽלא׃‬ ַ ַ‫ל־ע ַ ֥מל ָה ָא ָ ֖דם ְל ִ ֑פיהוּ וְ ג‬ ֲ ‫ָכּ‬ All the labor of man is for the sake of his mouth, and yet the appetite is not filled.

Here the focus is on the appetite which is never satisfied in spite of all human efforts. The opposition between two noun phrases is explicit and strong thanks to ‫וְ גַ ם‬. Masterful use of opposition can be seen also in the formulation of a proverb in 9,4: A living dog is better than a dead lion.

‫ן־ה ַא ְר ֵי֖ה ַה ֵ ֽמּת׃‬ ָ ‫חי ֣הוּא ֔טוֹב ִמ‬ ֙ ַ ‫ְל ֶכ ֶ֤לב‬

The use of the article (with its individualizing and demonstrative force) contributes to build the following picture: any dog that is living is better than this lion which is dead. The article on “lion” reinforces the opposition between one and many which is implied by the lack of the article with “dog.” Qoheleth’s discourse is frequently organized in what may be called “pictures” and “case studies.” Each of these can be seen as a small and separate world of references which serves to deliver a specific statement or a particular piece of information. The use and non-use of the article is one of the means of constructing these “pictures” and “case studies.” It follows that the use of the article with any word may differ because the world of the references in that “picture” is different. In other words, the fact that the article appears with a certain word in chapter 3 does not necessarily mean that the same word will have the article in chapter 7. Therefore one should expect logic and regularity of the use of the article within the boundaries of a “picture” or “case study” rather than throughout the entire book. Indeed, this is the case, as can be seen in the following examples. In 2,4-9 Qoheleth speaks about his enterprise and his amassing riches. Although the single components of Qoheleth’s wealth are specific from a semantic point of view (as they belong to a particular person), they are presented in a generic perspective without the article. It is noteworthy that, with two exceptions, the article is never used: ‫וּפ ְר ֵדּ ִ ֑סים וְ נָ ַ ֥ט ְע ִתּי ָב ֶ ֖הם ֵ ֥עץ‬ ַ ‫יתי ֔ ִלי גַּ נּ֖ וֹת‬ ִ ‫ ָע ִ ֣שׂ‬5 ‫֤יתי ִ ֙לי ָבּ ִ֔תּים נָ ַ ֥ט ְע ִתּי ִ ֖לי ְכּ ָר ִ ֽמים׃‬ ִ ‫ ִהגְ ַ ֖דּ ְל ִתּי ַמ ֲע ָ ֑שׂי ָבּ ִנ‬4 7 ‫וּשׁ ָפ ֔חוֹת‬ ְ ‫יתי ֲע ָב ִ ֣דים‬ ֙ ִ ִ֙‫צוֹמ ַח ֵע ִ ֽצים׃ ָקנ‬ ֥ ֵ ‫יתי ִ ֖לי ְבּ ֵר ֣כוֹת ָ ֑מיִ ם ְל ַה ְשׁ ֣קוֹת ֵמ ֶ֔הם ַי ַ֖ער‬ ִ ‫ ָע ִ ֥שׂ‬6 ‫ל־פּ ִרי׃‬ ֽ ֶ ‫ָכּ‬ 8 ‫׃ ָכּ ַנ ְ֤ס ִתּי ִ ֙לי‬nֽ‫ירוּשׁ ָל‬ ָ ‫י־ביִ ת ָ ֣היָ ה ִ ֑לי ַגּ֣ם ִמ ְקנֶ ֩ה ָב ָ ֨קר וָ ֤צ ֹאן ַה ְר ֵבּ ֙ה ָ ֣היָ ה ֔ ִלי ִמ ֛כֹּל ֶ ֽשׁ ָהי֥ וּ ְל ָפ ַנ֖י ִבּ‬ ֖ ַ ֵ‫וּבנ‬ ְ ‫יתי ֜ ִלי ָשׁ ִ ֣רים וְ ָשׁ ֗רוֹת וְ ַת ֲענוּ ֹ֛גת ְבּ ֵנ֥י ָה ָא ָ ֖דם ִשׁ ָ ֥דּה‬ ִ ‫וּסגֻ ַ ֥לּת ְמ ָל ִ ֖כים וְ ַה ְמּ ִדינ֑ וֹת ָע ִ֨שׂ‬ ְ ‫ם־כּ ֶ֣סף וְ זָ ָ֔הב‬ ֶ ַ‫גּ‬ ‫ ַ ֥אף ָח ְכ ָמ ִ ֖תי ָ ֥ע ְמ ָדה ִ ֽלּי׃‬n֑‫ירוּשׁ ָל‬ ָ ‫הוֹס ְפ ִתּי ִמ ֛כֹּל ֶשׁ ָה ָי֥ה ְל ָפ ַנ֖י ִבּ‬ ַ֔ ְ‫וְ גָ ַ ֣ד ְל ִתּי ו‬9 ‫וְ ִשׁ ֽדּוֹת׃‬ I multiplied my possessions. I built myself houses; I planted vineyards. I made myself gardens and groves and I planted every kind of fruit tree in them. I made myself pools of water, to irrigate with them a forest springing up with trees. I bought male and female slaves and stewards; also I had cattle, a lot of herds and flocks, above all that were before me in Jerusalem. I further amassed for myself silver and gold and treasures of kings and of the provinces; and I got myself male and female singers and the luxuries of the sons of men, coffers and coffers

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The Article in the Book of Qoheleth

of them. Thus I became great and I gained more wealth than anyone before me in Jerusalem. In addition, my wisdom stood by me.

Two occurrences of the article in this passage are by no means erratic. The article with ‫ ָא ָדם‬appears in conformity to its use when the word refers to mankind. The article with the word ‫ ְמ ִדינוֹת‬is used because the reference is not to some provinces but the provinces par excellence, the provinces of the Persian Empire. Besides these two instances in which the article is used in a meaningful manner, the article is never used, giving the impression of coherency and regularity of its non-use within the “picture” built by the author in Qoh 2,4-9. Another case of a consistent and methodical use of the article is found in the famous poem on the darkness of death in chapter 12: ‫נוֹת ִ ֣כּי ִמ ֵ֔עטוּ וְ ָח ְשׁ ֥כוּ ָהר ֹ֖אוֹת‬ ֙ ‫וּב ְט ֤לוּ ַה ֽטֹּ ֲח‬ ָ ‫שׁי ֶה ָ ֑חיִ ל‬ ֣ ֵ ְ‫עוּ שׁ ְֹמ ֵ ֣רי ַה ַ֔בּיִ ת וְ ִ ֽה ְת ַעוְּ ֖תוּ ַאנ‬ ֙ ‫ ַבּיּ֗ וֹם ֶשׁיָּ ֙ ֻז‬3 ‫ל־בּנ֥ וֹת ַה ִ ֽשּׁיר׃‬ ְ ‫קוּם ְל ֣קוֹל ַה ִצּ ֔פּוֹר וְ יִ ַ ֖שּׁחוּ ָכּ‬ ֙ ָ‫וְ ֻסגְּ ֤רוּ ְד ָל ַ֙תיִ ֙ם ַבּ ֔שּׁוּק ִבּ ְשׁ ַ ֖פל ֣קוֹל ַ ֽה ַטּ ֲח ָנ֑ה וְ י‬4 ‫ָבּ ֲא ֻר ֽבּוֹת׃‬ ‫ ָה ָא ָד ֙ם‬N֤‫יּוֹנ֑ה ִ ֽכּי־ה ֵֹל‬ ָ ‫ וְ יָ נֵ ֤אץ ַה ָשּׁ ֵק ֙ד וְ יִ ְס ַתּ ֵבּ֣ל ֶ ֽה ָח ֔ ָגב וְ ָת ֵ ֖פר ָ ֽה ֲא ִב‬N‫אוּ וְ ַח ְת ַח ִ ֣תּים ַבּ ֶ ֔דּ ֶר‬ ֙ ‫ ַגּ֣ם ִמגָּ ֤בֹ ַהּ יִ ָ ֙ר‬5 6 ‫עוֹל ֔מוֹ וְ ָס ְב ֥בוּ ָב ֖שּׁוּק ַהסּ ְֹפ ִ ֽדים׃ ַ ֣עד ֲא ֶ ֤שׁר ֽל ֹא־יֵ ָר ֵת ֙ק ֶ ֣ח ֶבל ַה ֶ֔כּ ֶסף וְ ָת ֻ ֖רץ גֻּ ַלּ֣ת ַהזָּ ָ ֑הב‬ ָ ‫ל־בּ֣ית‬ ֵ ‫ֶא‬ ‫ל־ה ֽבּוֹר׃‬ ַ ‫וּע וְ נָ ֥ר ֹץ ַהגַּ ְל ַגּ֖ל ֶא‬ ַ ‫ל־ה ַמּ ֔בּ‬ ַ ‫וְ ִת ָ ֤שּׁ ֶבר ַכּ ֙ד ַע‬ In the day when the keepers of the house shall tremble, and the men of valor shall bow themselves, and the grinders cease because they are few, and the ladies that peer through the windows shall grow dim, and the doors shall be shut in the street, when the sound of the mill is low and one shall start up at the voice of the bird, and all the daughters of the song shall be brought low; also when they shall be afraid of that which is high, and terrors shall be in the way; and the almond-tree shall blossom, and the grasshopper shall be burdened, and the caper berry shall fail because the man sets out for his eternal abode; and the mourners shall go about in the street; before the silver cord is snapped and the golden bowl is shattered, and the jar is broken at the spring and the wheel is shattered into the pit; then the dust will return to the earth as it was, and the spirit will return to God who gave it.

The frequent occurrence of the article in this passage is noteworthy.42 Moreover, it is not immediately clear why the article should occur with some words, for instance with “mill,” “bird” or “grasshopper.” Should one think that the author had in mind a specific mill that is known to the reader or that there is a certain species of birds which sing on ominous days and they are referred to as “the bird”? It seems that a separate explanation of each article would not be convincing. Indeed, the context larger than the sentence must be taken into account. In Qoh 12,3-7 the author transfers the reader into an imaginary world

42 The article is not used only with four nouns, ‫ ְדּ ָל ַתיִ ם‬, ‫גָּ ב ַֹהּ‬, ‫ ַח ְת ַח ִתּים‬, and ‫ ַכּד‬. However, the lack of the article with these words does not nullify the general effect of the occurrence of the article. Moreover, the occurrence of the article with all the words would seem not natural to the reader as in the normal language pattern arthrous and anarthrous words alternate. The author, who was conscious of the natural language uses, chose to omit the article in a few instances.

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and builds a precise picture of it. The frequent occurrence of the article signals to the reader that he should be familiar with the references in this world and that he should be able to identify them.43 The use of the article helps to portray this specific world and time as a unified and tangible reality. In conclusion, the author of the book of Qoheleth is aware of the textual effects of the article. He uses it appropriately to organize his discourse into single parts of information and to build and convey his own perspective. Non-use of the article before the nota accusativi In seven instances Qoheleth uses the nota accusativi ‫ ֵאת‬before an anarthrous word. In four of them (4,4; 8,9; 9,1; 12,14) the article is not used with a word ָ ‫ ֶא‬. These occurrences are not as problematic as that follows the syntagma ‫ת־כּל‬ they may seem since this syntactic option is well attested elsewhere in the Hebrew Bible (Gen 1,21.29.30; 8,21; 39,23; 41,48; Lev 4,35; 11,15; Num 3,42; Deut 2,34; Josh 10,39; 2 Sam 6,1; 2 Kgs 25,9; Jer 25,23; 47,4; Ezek 27,5; Job 41,26; Est 2,3; 8,11; 9,29). Moreover, the word ‫ ָכּל‬implies determination when the article does not occur because of its semantics. Indeed, the word ‫ ָכּל‬expresses inclusiveness and in this function it overlaps with the article.44 This is why the noun ‫ ָכּל‬implies a certain determination and is treated like a determinate noun.45 In 7,14 the nota accusativi occurs before the demonstrative pronoun ‫זֶ ה‬. This case also poses no great difficulty since demonstratives are inherently definite and hence the “rule” (or rather our expectation) of the use of the nota accusativi before a determinate object is not violated.46 One should observe that in three of the seven problematic cases (8,9; 9,1; 12,14) the nota accusativi is employed before the syntagma ‫ ָכּל זֶ ה‬. Therefore, the two explanations provided above concur in these cases to account for the use of the nota accusativi. The use of ‫ ֵאת‬with an indeterminate noun in 3,15 and 7,7 does not pose an insurmountable difficulty, as the nota accusativi may be used in the Hebrew Bible to indicate clearly the object also with indeterminate nouns (Ex 21,28; Lev 26,5; Num 21,9; Is 10,2; 41,7; 50,4; 64,4).47 One wonders, of course, why in these two instances the author did not use the article. The reason is the generic nature of the statements in which these direct objects occur. In 3,15 ‫ֶאת־נִ ְר ָדּף‬

LYONS, Definiteness, 5-6: “The idea is that the use of the definite article directs the hearer to the referent of the noun phrase by signaling that he is in a position to identify it.” 44 LYONS, Definiteness, 32.148. 45 JOÜON-MURAOKA, § 125 h. 46 LYONS, Definiteness, 107; JOÜON-MURAOKA, § 125 g. 47 JOÜON-MURAOKA, § 125 h. For a possible occurrence of ‫ ֵאת‬before an indeterminate noun in Epigraphic Hebrew see DAVIES, Use, 19-20. 43

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The Article in the Book of Qoheleth

refers to “whatever is pursued” in contrast to the arthrous ‫ת־הנִּ ְר ָדּף‬ ַ ‫“ ֵא‬the one who is pursued.” Similarly, in 7,7 the article and the nota accusativi are used in order to disambiguate the syntactic roles of the nouns in the generic statement. In the first stych the article clearly marks the subject while in the second stych the nota accusativi indicates the direct object. It is clear that in both cases the author wants to maintain the broad scope of his statement, and this explains apparent inconsistencies. In conclusion, the non-use of the article with the words that follow the nota accusativi poses no problems, if other similar examples in the Hebrew Bible are considered. The use of ‫ ֵאת‬before an indeterminate noun is an example of how Qoheleth explores all syntactic possibilities available in Biblical Hebrew and cannot be considered erroneous. Conclusions It is true that the use and non-use of the article in the book of Qoheleth may be perplexing at first sight. It was not my goal to treat exhaustively all possible exceptions and discrepancies. My intent was rather to show that careful consideration of these cases leads to discovery of possible explanations that are valid for single instances. This method of investigating the article is necessary because its use is highly contextual. Moreover, the article is a powerful tool in advancing discourse and thought. Indeed, it serves as a means of organizing information and it contributes to building a specific perspective in which the author perceives reality. All these suggest that one should try to understand the nuances of the meaning that the use or non-use of the article may produce and judge problematic cases in the light of these nuances. In this way one finds that the article in the book of Qoheleth is used not in a chaotic or erratic manner but is employed meaningfully in order to convey the intricacies of the author’s message. The use of the article is only a small detail of the peculiar style and vocabulary characteristic of the author of this formidable book. Nevertheless, these details confirm the characterization of Qoheleth as one of the first great Jewish thinkers made by Robert GORDIS48 already a half century ago: In any age Qoheleth would be an outstanding figure and his style would naturally mirror this characteristic difference. Moreover, his task was further complicated by the fact that he was a pioneer in the use of the Hebrew for quasi-philosophic purposes, a use to which the language had not been previously applied. A thousand years later, medieval translators like the Tibbonides, who rendered Saadiah, Maimonides, Judah Halevi and other Jewish philosophers into Hebrew,

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GORDIS, Qoheleth and Qumran, 407.

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Krzysztof J. Baranowski

still found that the language had not yet fully developed the flexibility, precision and vocabulary necessary for the treatment of philosophic themes. As a linguistic pioneer in this use of the language, Qoheleth found no models in Hebrew literature to imitate, no earlier texts that would lead him to classicize or archaize his style. He wrote as he thought. Krzysztof J. Baranowski, ofm University of Toronto

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!"! (!#!): Sein oder werden? Sein und werden! Ein hebräisches (aramäisches) Allerweltswort und das Phänomen des lebenslangen Lernens

Mancher Leser, vielleicht auch der Jubilar, dürfte sich schon bei der Lektüre des Inhaltsverzeichnisses dieses Bandes verwundert die Augen gerieben haben. Wie ist es möglich, dass in der Liste der Beiträger zur Festschrift für Alviero NICCACCI der Name eines Autors erscheint, dessen Stellungnahmen zu älteren Arbeiten des Jubilars mit dem Adjektiv „unfreundlich“ zu qualifizieren eine Verharmlosung darstellen würde? Indes: „Tempora mutantur et nos mutamur in illis“. Diese Binsenweisheit gilt nicht nur für Alviero NICCACCI, der in einer seiner neueren Veröffentlichungen freimütig zugestanden hat, jahrelang von einem Vorurteil betreffs der temporellen Funktion der hebräischen Verbalformen ausgegangen zu sein, das er nunmehr als einen Irrweg erkannt habe1. Sie gilt ebenso für den Autor dieses Beitrags, den der Auftrag, für das ThWQ den Artikel zu hyh (hwh) zu schreiben, dazu gebracht hat, ein von ihm vermeintlich bereits abschließend geklärtes wissenschaftliches Problem neu zu durchdenken. Hatte er in seiner Studie zu hyh den Umstand, dass es auch eine ganze Reihe von Belegen gibt, in denen hyh im nifal erscheint, noch recht unbedarft damit erklärt, dass in der Spätzeit unter dem Einfluss des Aramäischen eben manches möglich wurde, was in der „klassischen“ Phase undenkbar gewesen wäre, und zudem praktisch die Möglichkeit ausgeschlossen, dass ein Hebräer das Partizip qal von hyh anders als in der Nebenfunktion zum Ausdruck des „futurum instans“ gebraucht haben könne2, fielen ihm bei der Durchsicht der Qumran-Belege der Wurzel hyh plötzlich Schuppen von den Augen, Vgl. NICCACCI, System, 247. Die nach der grundsätzlichen Distanzierung von früheren Positionen gebotene Tabelle zu den „functions of the verbal system“ (248) zeigt überdeutlich, wie weit sich Kollege NICCACCI inzwischen von seinen früher vertretenen Extrempositionen distanziert und der in den siebziger Jahren des vergangenen Jahrhunderts im Münchener Kreis entwickelten Sicht des hebräischen Verbalsystems angenähert hat. (Der Umstand, dass die Schüler von A. DENZ und W. RICHTER nicht in allen Punkten identische Positionen vertreten, muss hier nicht ausführlich diskutiert werden – es geht um den gemeinsamen methodischen Ansatz). 2 Vgl. BARTELMUS, HYH, 170, Anm. 177 bzw. S. 89. 1

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deren Vorhandensein er vorher schlicht geleugnet hätte3: Die exorbitante prozentuale Steigerung der Belege für eine Verwendung des nifal und des Partizips qal von hyh, die in den Qumran-Texten (im Vergleich mit dem AT) wahrnehmbar ist, hat nichts mit aramäischem Spracheinfluss zu tun4 und stellt auch keinen Systembruch dar. Dass das nifal von hyh (wie auch das Partizip qal) in Qumran häufiger vorkommt als im AT erklärt sich vielmehr aus der Begegnung mit dem griechischen bzw. hellenistischen philosophischen Denken5. Anders als die Mehrheit der Juden, die um die Zeitenwende entweder aramäisch oder griechisch bzw. lateinisch sprach – z. T. auch schon mittelhebräisch –, hielt man in extrem konservativ orientierten Gruppen innerhalb der QumranGemeinschaft am alten Hebräisch fest, freilich ohne sich deshalb der Möglichkeit zu begeben, am aktuellen Diskurs teilzuhaben: Um bestimmte philosophische Denkfiguren, denen die Bevölkerung von Palästina bis dahin nicht oder nur ganz am Rande begegnet war, in der eigenen Sprache ausdrücken zu können, musste man keineswegs neue Worte (oder gar eine gänzlich neue Sprache) erfinden – man aktivierte vielmehr bis dahin ungenutzte, im eigenen Sprachsystem aber von Haus aus angelegte Ausdrucksmöglichkeiten, um Antworten auf zeitspezifische Fragestellungen zu formulieren bzw. um letztere ins Gespräch mit den alten Glaubenswahrheiten bringen zu können. Im folgenden soll die damit nur angedeutete neue, erweiterte Sicht auf hyh anhand von Beispielen ausführlicher dargestellt werden6. Dass dabei wiederholt auch aramäische Texte angesprochen werden, in denen natürlich hwh anstelle von hyh erscheint, ist dem Umstand geschuldet, dass das Corpus der Qumran-Bibliothek nun einmal mehr aramäische Texte enthält als das AT und dass man davon ausgehen kann, dass die semantisch nahezu gleichwertigen Wurzeln in unmittelbar vergleichbarer Weise gebraucht wurden7. Eine Ausnahme hinsichtlich der Vergleichbarkeit bildet naturgemäß die Verwendung der Wurzel im nifal, da diese Form der Stammbildung im aramäischen System fehlt. – Gerne widme ich diese Überlegungen dem Kollegen NICCACCI, mit dem mich augenscheinlich nicht nur eine Leidenschaft für das alte Hebräisch und die Überzeugung verbindet, dass Paulus recht hat, wenn er unser Wissen als

3 Unbeschadet seiner gut begründeten massiven Distanzierung von dem seinerzeit noch von vielen für wegweisend gehaltenen Opus von BOMAN, Das hebräische Denken (1952), war der Vf. damals offenbar zumindest latent immer noch von den Gedanken BOMANS beeinflusst. 4 Im Aramäischen fehlt diese Stammesmodifikation ja ohnehin! 5 Diese Möglichkeit hatte der Vf. seinerzeit zwar bereits „angedacht“, aber nicht weiter verfolgt; vgl. dazu BARTELMUS, HYH, 170, Anm. 177. 6 Dass sich dabei inhaltliche Überschneidungen mit dem erwähnten, bisher freilich noch nicht erschienenen Lexikon-Artikel ergeben, ist naheliegend; ich hoffe, der Jubilar nimmt daran keinen Anstoß. 7 Unmittelbare Angleichungen lassen sich v. a. im Bereich der Orthographie nachweisen.

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„Stückwerk“ qualifiziert (1 Kor 13,9), sondern neuerdings auch die Anerkennung der Tatsache, dass „different verbal forms need play different functions“8. I. Die oben angesprochene auffällige Häufung von Belegen für eine Verwendung des nifal und des Partizips qal von hyh in den Qumran-Texten anhand einer sauber gearbeiteten Statistik bis in Zehntel-Prozente hinein einigermaßen exakt aufzuweisen, ist im Falle der Qumran-Texte – anders als im AT9 – schlicht nicht möglich: Weit mehr als 10 % aller in den Konkordanzen aufgelisteten Belege für die Wurzel stammen aus Ein- bzw. Zweiwort-Fragmenten, die z. T. von den Editoren um Buchstaben ergänzt worden sind, die im Original fehlen, also aus Text-(Re-)Konstruktionen, und können somit nicht als sichere Belege gelten. Zieht man dann noch in Betracht, dass bei Verwendung einer reinen Konsonantenschrift selbst in komplett überlieferten Texteinheiten, wo durch den Kontext einige im Prinzip mögliche Lesungen polyvalenter Buchstabenkombinationen oft ausgeschlossen sind, nicht immer eindeutig geklärt werden kann, welche Formen/Lexeme der Autor „gemeint“ hat, wird vollends deutlich, dass man nur von Näherungswerten aus argumentieren kann: Wer – außer fundamentalistische Verfechter der Authentizität der masoretischen Vokalisation – wollte sich etwa im Falle von Jer 7,3 anmaßen, mit hundertprozentiger Sicherheit sagen zu können, ob die Lesung der Masoreten oder die im Apparat von BHS gebotene alternative Lesung der Intention des Autors der Tempelrede entspricht10? Wenn im folgenden unbeschadet dieser Relativierung mit Prozentzahlen argumentiert wird, ist das dem Bedürfnis nach Veranschaulichung geschuldet – „sichere“ Ergebnisse im Sinne naturwissenschaftliche Exaktheit sind im philologischen Bereich nun einmal nicht zu erzielen11. NICCACCI, System, 247. Vgl. dazu BARTELMUS, HYH, 80-89. Anspruch auf Exaktheit im naturwissenschaftlichen Sinn erheben die dort gebotenen statistischen Ausführungen freilich nicht. 10 Bezieht man den Kontext ein, in dem darauf verwiesen wird, dass Jahwe einst auch Silo verlassen hat, spricht eigentlich mehr für die Lesung im Apparat, die u. a. von der Vulgata gestützt wird. Mir scheint es freilich am wahrscheinlichsten, dass der Autor die Polyvalenz der Buchstabenfolge Mkt) hnk#)w nicht nur „billigend in Kauf genommen“, sondern bewusst eingesetzt hat: Wenn Jahwe eine Stadt verlässt, verlieren die Bewohner seinen Schutz und können dort nicht weiter leben. Mit den durch das Schriftsystem ermöglichten Ambivalenzen zu „spielen“, ist für Autoren im semitischen Kulturkreis eine Selbstverständlichkeit – dies nicht nur im Bereich der (erotischen) Poesie, sondern auch und gerade in theologischem Kontext. Gute Theologen wissen: Eindeutige Aussagen über Gott zu machen, hieße die Freiheit Gottes nicht ernst zu nehmen. 11 Leser, denen diese Ausführungen zu oberflächlich erscheinen, mögen den einschlägigen Passus im ThWQ zu Rate ziehen (BARTELMUS, hājāh). Dort finden sich auch Ausführungen zu 8 9

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Die Menge der Qumran-Belege deutet darauf hin, dass die Wurzeln hyh / hwh auch in Qumran die Rolle eines „Allerweltswortes“ beibehalten haben, mit dem Aussagen über Sachverhalte verzeitet werden, die beim Zeitbezug Gleichzeitigkeit/Gegenwart ohne verbales Element in Form von Nominalsätzen ausgedrückt werden12. Diese naheliegende erste Folgerung aus dem Blick in die Konkordanzen wird durch die Verwendung der beiden Lexeme in den Texten nicht nur bestätigt, es zeigt sich vielmehr, dass sich das hebräische hyh – aller Wahrscheinlichkeit nach unter dem Einfluss des aramäischen syntaktischen Systems13 – offenbar immer stärker in Richtung auf ein Hilfszeitwort hin entwickelt hat, was das (biblisch-) aramäische hwh schon war (a). – Dass auf der anderen Seite – dies offenbar unter dem Einfluss der hellenistischen Umwelt – eine Art Gegenbewegung in Richtung auf eine Verwendung der Wurzel als Vollverb stattgefunden hat, ist freilich ebenso festzustellen. Von da aus wurde es möglich, theologisch-philosophische Gedanken über „Sein“ und „Werden“ bzw. über „das Seiende“ und das „Werdende“ (“sich Anbahnende“)/„Gewordene“ zu artikulieren (b). a) Am deutlichsten lässt sich die Tendenz, hyh als bloßes Funktionswort zu verwenden, anhand der in Qumran breit belegten periphrastischen Fügung hyh qotel belegen, also der Kombination einer finiten Form von hyh mit dem Partizip aktiv eines beliebigen Verbs. Sie kommt zwar bereits im AT vor, spielt dort aber in den älteren Texten allenfalls eine Nebenrolle, um dann in der Spätzeit immer häufiger gebraucht zu werden: Gesamthaft gesehen repräsentieren nur rund 4,7 % aller alttestamentlichen Belege von hyh dieses Phänomen. Rund ein Drittel davon findet sich auffälligerweise in sicher nachexilischen Textkomplexen. Zieht man – ausgehend von dieser Wahrnehmung – nicht nur die von der Tradition als nachexilisch ausgewiesenen biblischen Bücher in Betracht, sondern berücksichtigt auch die unstrittigen Erkenntnisse der redaktionsgeschichtlichen Forschung, steigt die Zahl der nachexilischen Belege für diese Fügung auf weit mehr als die Hälfte14. Unterzieht man darüber hinaus die Vorkommen der Fügung hyh qotel im hebräischen Teil des AT einer genaueren Analyse, kann jedenfalls für die älden verschiedenen Lesemöglichkeiten der einschlägigen Buchstabenkombinationen. Eine Festschrift ist nach Meinung des Vf.s nicht der angemessene Ort für aufwändige Ausführungen zu Fragen der Statistik. 12 Vgl. dazu BARTELMUS, HYH, passim. 13 Diesen Hinweis auf aramäischen Spracheinfluss wird der Vf. – im Gegensatz zu dem oben bei Anm. 4 erwähnten – voraussichtlich nicht zurücknehmen müssen. – Anders argumentiert übrigens V. PEURSEN, Periphrastic Tenses, 158.162. 14 Bei hwh liegen die Dinge etwas anders, zumal die einschlägigen Texte unzweifelhaft spät sind: Fast drei Viertel aller Belege von hwh im aramäischen Teil des AT repräsentieren die Fügung hwh qatel.

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teren Texte die Feststellung getroffen werden, dass sie dort auf Fälle beschränkt ist, in denen dem Autor des jeweiligen Textes daran lag, die Dauer der angesprochenen Handlung zu betonen15. Dementsprechend geht es bei 71,7 % der Belege um Handlungen, die in der Vergangenheit stattgefunden haben, also um Ereignisse, bei denen die Information darüber, ob ein Sachverhalt schnell abgeschlossen war oder aber einige Zeit in Anspruch genommen hat, für den Leser bzw. Schreiber relevant war (ist). Warum umgekehrt immerhin bei knapp einem Drittel der Belege ein Zukunftsbezug gegeben ist, ist weniger leicht nachzuvollziehen: Die Frage der Dauer einer Handlung in der Zukunft kann ja sinnvoller Weise eigentlich nur in Gottesreden eine Rolle spielen – nur in seltenen Fällen reflektieren Menschen darüber, wie lange eine zukünftige Handlung dauern bzw. ob sie einen längeren Zeitraum in Anspruch nehmen wird. Ganz anders stellen sich die Dinge in den Qumrantexten dar: Hier scheint ab einer bestimmten Zeit die periphrastische Formulierung die einfache Darstellung von Sachverhalten mit finiten Verbformen zwar nicht gänzlich verdrängt, aber doch in den Hintergrund gedrängt zu haben. In der Tempelrolle etwa erscheint in knapp einem Drittel aller Belegstellen für hyh die Fügung hyh qotel, und dies – entsprechend dem präskriptiven Charakter dieser Schrift wenig überraschend – ausschließlich unter Verwendung von Formen aus dem Spektrum Imperfekt/Jussiv bzw. w-Perfekt. Dass hier hyh praktisch überall als bloßer „time indicator“ fungiert, (d. h. dass die Dauer des mit dem folgenden Partizip angesprochenen Vorgangs keine Rolle spielt), lässt sich exemplarisch anhand von 11QT 34,7 verdeutlichen. Dort ist betreffs der Priester die Anweisung gegeben: Myxbw+ wyhy bzw. Mysnwk wyhyw – es geht um die Schlachtung von Jungstieren und die dann folgende Blutapplikation. Dass der Schreiber auf die Dauer beider Handlungen abheben wollte, ist von der Sache her ausgeschlossen: Zumindest die Schächtung muss ja blitzschnell mit einem einzigen Schnitt erfolgen. Nicht viel anders liegen die Dinge in 11QT 31,7, wo es um die Beschreibung des Ortes geht, an dem man gewöhnlich in das Obergeschoss des Tempelhauses eintritt (My)b wyhy r#)16) – beim Weg ins Heiligtum trödelt man nicht! Auch in 1QM, der Kriegsrolle, lässt sich eine gehäufte Anwendung der Fügung wahrnehmen (wieder v. a. in präskriptiven Sätzen); hier liegt die Menge der Belege aber deutlich unter einem Drittel. Eher vereinzelt finden sich entsprechende Fügungen auch in anderen Textkomplexen. Wie weitgehend sich die periphrastische Formulierung in dieser Zeit im Alltag durchgesetzt hat, kann aus den Murabbaˁat-Verträgen entnommen werden. Dort, wo es um die Vgl. BARTELMUS, HYH, 206 mit Anm. 7.8, bzw. V. PEURSEN, Periphrastic Tenses, 158f. Die PK von hyh ist hier in Nebenfunktion zum Ausdruck des generellen Sachverhalts verwendet. 15 16

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Zahlungsmodalitäten geht, verwendet der Schreiber die Fügung hyh qotel17 – dass auf die Dauer des Zahlungsvorgangs analog Ratenzahlungen im modernen Sinne abgehoben sein sollte, ist auszuschließen. Umgekehrt ist festzustellen, dass dort, wo sich Schreiber darum bemüht haben, archaisierend im Stil der biblischen Texte zu schreiben (so in CD, 1QS und 1QH), Belege für die Fügung nur ganz vereinzelt zu finden sind. Als Beispiel für die redundante Verwendung der periphrastischen Formulierung beim aramäischen Äquivalent hwh sei auf 1QGenAp verwiesen. Mehr als die Hälfte aller Belege von hwh repräsentieren hier den Fügungstyp hwh qatel. Wie selbstverständlich aramäisch sprechende bzw. schreibende Angehörige der Qumran-Gemeinschaft nicht mehr die „einfachen“ Verbformen gebrauchten, sondern eine Formulierung des Typs hwh qatel bevorzugten, lässt sich anhand des Vergleichs eines in 1QGenAp „nacherzählten“ Textes aus der Genesis mit dem ursprünglichen Text erschließen. So ist aus dem knappen Mkyw („er schlug sie“) in dem Bericht von Abrahams Sieg über die vereinten Truppen der Ostkönige (Gen 14,15) in 1QGenAp 22,8 ein Nwhb l+q )wwhw geworden. Die Annahme, in solchen Fällen sei mit dem Gebrauch der periphrastischen Fügung die Konnotation der Dauer verbunden, kann mit hoher Wahrscheinlichkeit ausgeschlossen werden. Andernfalls müsste man die Verwendung der Fügung in Fällen wie 1QGenAp 21,7 bzw. 22,1.2.9 als hypertrophen Sprachgebrauch einstufen: Dort sind nämlich Verben mit hwh verbunden, die von Haus aus einen länger dauernden Vorgang bezeichnen, nämlich bty bzw. 18 Pdr („wohnen“/„bleiben“ bzw. „verfolgen“) : Die periphrastische Fügung (w)hwh qatel ist in dieser Zeit offenbar Standard in der aramäischen Erzählkultur – nicht viel anders als in (alt-)hebräischen Erzählungen bevorzugt wayyiqtol verwendet wird. Immerhin: Dort, wo im Zusammenhang mit Traumerzählungen bzw. Visionen die Fügung tywh )zx erscheint19, könnte man darüber spekulieren, ob durch diesen Fügungstypus evtl. darauf angespielt sein könnte, dass es sich nicht um eine bloße kurze Wahrnehmung gehandelt hat, sondern um eine längere „Schau“. Zieht man zum Vergleich das Danielbuch heran, wird diese Denk-Möglichkeit indes relativiert, denn dort wird – etwa in Dan 2,26ff20 – die Fügung promiscue mit finiten Formen des Verbums )zx gebraucht, ohne dass

Mur24 B,15; C,13; E,11. Eine relative Häufung des Fügungstyps taucht übrigens auch in den Fragmenten 4Q529-537 auf, die midraschartige Fortschreibungen von Gen 6 beinhalten (= 4QEnGiants); es handelt sich um Bestandteile der Henoch-Literatur. 19 „Ich sah“; so etwa 4Q206 4,I,18; vgl. auch 1QGenAp 23,9.10.11 bzw. 4Q530 2,II,6.9. Die Abfolge der beiden Lexeme variiert. 20 Anders als in den oben (Anm. 19) erwähnten Texten erscheint hwh hier nicht in der 1., sondern in der 2. Pers. 17 18

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unterschiedliche Bedeutungsnuancen zwischen den beiden Ausdrucksweisen feststellbar wären. b) Was den Bedeutungszuwachs der Wurzel in Richtung auf ein Vollverb betrifft, ist dieser auf die hebräische Wurzel hyh21 beschränkt. Als „primum movens“ kann man mit guten Gründen den Umstand vermuten, dass von hyh schon in alttestamentlicher Zeit eine Reihe von nifal-Bildungen belegt ist – eine Form der Stammbildung, die auf der einen Seite bei einem Zustandsverb auf den ersten Blick hin überrascht (jedenfalls wenn man gewohnt ist, das nifal vereinfachend als Passivum bzw. Reflexivum zu sehen22), und die auf der anderen Seite beim aramäischen hwh schon allein deshalb nicht vorkommen kann, weil das Aramäische diesen Stamm, dessen Funktion man mit dem von E. JENNI vorgeschlagenen Stichwort „Manifestativ“ angemessen umschreiben kann23, überhaupt nicht kennt. Dem Stamm nifal, der prinzipiell von jedem Verb gebildet werden kann, eignet – wie E. JENNI überzeugend dargelegt hat – die Funktion, „das Geschehen eines Vorgangs oder einer Handlung am Subjekt selber ohne Rücksicht auf die Art oder den Grad der Mitwirkung dieses Subjekts an diesem Geschehen“ zu beschreiben24. Wendet man diese Beschreibung mutatis mutandis auf das nifal von hyh an, ist es gleichsam dazu prädestiniert, in Opposition zum statisch konnotierten hyh qal das Phänomen des Eintretens, (Manifest-)Werdens, Geschehens lexikalisch auszudrücken, das bei der Verwendung von hyh qal gewissermaßen „unterschlagen“ wird: Ein Satz wie br( yhyw (Gen 1,5) drückt nun einmal – streng genommen – nur aus, dass der Zustand des Abend-Seins eingetreten ist: „dann war es Abend“. Wie es dazu gekommen ist, dass der Abend da war, ob der Vorgang ein prozesshaftes Geschehen war bzw. was gegebenenfalls alles abgelaufen ist, bis der mit dem Satz markierte (End-)Zustand erreicht war, ist für den Schreiber ohne Interesse und deshalb auch nicht ausgedrückt. Wenn alttestamentliche Autoren diese semantische Nuance einmal hervorheben wollten, griffen sie zu periphrastischen Fügungen wie etwa halok weqatol25. Ein Lexem-Paar, das – analog den griechischen Verben εἶναι und γίγνεσθαι – die Opposition Sein vs. Werden zum Ausdruck bringt, kennt das AT jedenfalls nicht; es wurde in älterer Zeit wohl auch nicht vermisst. Als „Lücke“ im Sprachsystem wurde dieser Umstand in der jüdischen Sprachgemeinschaft offenbar erst empfunden, als man im hellenistischen Zeitalter mit philosophischem Gedankengut konfrontiert wurde. Durch eine bewusste Differenzierung zwischen hyh qal und nifal konnte die Lücke indes unschwer geschlossen werden. 21 22 23 24 25

Sie erscheint freilich auch in der ans Aramäische angeglichenen Form hwh. Vgl. dazu unten Anm. 59. Vgl. JENNI, Funktion, und JENNI, Aktionsarten, bes. 70f. JENNI, Funktion, 63; vgl. aber auch JENNI, Präposition Beth, 101. Vgl. z. B. Gen 8,3.5.

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Worauf es bei diesem differenzierenden Gebrauch von hyh ankommt, lässt sich gut erkennen, wenn man nachvollzieht, wie hyh nifal bereits im AT, in Dan 12,1, in konsequenter Opposition zu hyh qal gebraucht ist: Nach der Ankündigung, dass eine Zeit der Not sein wird (hyh qal – w-Perfekt), ist dort ein erklärender Relativsatz eingeschoben. In ihm ist ausgeführt, dass eine solche Not noch nie eingetreten ist (hyh nifal – Perfekt), seit es Menschen gibt (hyh qal – Infinitiv). Auf der Basis der damit klar ausformulierten Opposition hat sich in Qumran dann ein vermehrter (und stark philosophisch konnotierter) Gebrauch von hyh nifal durchgesetzt: Machen im AT die Belege für hyh nifal gerade einmal 0,6 % aller Belege der Wurzel aus26, haben sich die Relationen in Qumran um den Faktor 15 verschoben: 9,3 % aller Belege von hyh stehen hier für das nifal, und mehr als die Hälfte von ihnen sind Partizipien: Das Phänomen des Werdens (Werdenden) bzw. Gewordenseins (Gewordenen) wird nun offenbar bewusst reflektiert. Analog dazu wurde in der Qumran-Gemeinschaft eine Möglichkeit entwickelt, in Opposition dazu mit eigensprachlichen Mitteln das Phänomen des Seienden zu reflektieren. Auch sie war im (alt-)hebräischen Sprachsystem zwar im Prinzip schon immer vorhanden, aber sie war doch nie realisiert worden: Im AT ist das Partizip qal von hyh zur Bezeichnung „des Seienden“ jedenfalls nirgends belegt27. Das liegt zum einen darin begründet, dass die Wurzel in alttestamentlicher Zeit augenscheinlich als bloßer „Funktor“ ohne semantischen Eigenwert verwendet wurde, um Sachverhalte mit einem „time indicator“ zu versehen, die beim Zeitbezug Gleichzeitigkeit/Gegenwart ohne jedes verbale Element in Form von Nominalsätzen ausgedrückt werden; auf der anderen Seite manifestiert sich darin das Desinteresse des AT an philosophisch-spekulativem Denken. Die Relation zwischen der Gesamtmenge aller Qumran-Belege von hyh qal und denen für das Partizip ist hier zwar nicht so auffällig wie im Falle des nifal (nur 2 % aller Belege sind Partizipien); berücksichtigt man freilich den Umstand, dass das Partizip von hyh – verwendet in seiner Grundfunktion – im AT vollkommen fehlt, ist die Zunahme dennoch exorbitant28. Noch einmal etwas anders liegen die Dinge beim Infinitiv, also bei der Form, mit der man „das Sein“ (im philosophischen Sinne) ausdrücken kann: Sind im AT etwa 4,85 % aller Belege von hyh Infinitive, ist dieser Anteil in Darunter findet sich mit Spr 13,19 nur ein – zudem unspezifisch gebrauchtes – Partizip! Zum Spezialfall Ex 9,3 – einem Partizip in der Funktion des futurum instans – vgl. BARTELMUS, HYH, 89. 28 Die beiden Belege für ein Partizip der Wurzel hwh in hebräischen Kontexten (Koh 2,22 und Neh 6,6) sind sicher nachexilisch und wohl aramäischem Spracheinfluss zu verdanken. Sie können von daher hier vernachlässigt werden, dies umso mehr, als im Falle von Neh 6,6 das Partizip ohnehin wohl in der Funktion des futurum instans gebraucht ist, der Beleg also als ein Sonderfall wie Ex 9,3 einzustufen ist. 26 27

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Qumran nahezu um den Faktor 4 gesteigert: Hier sind ca. 16,4 % der Belege Infinitive29. Auch wenn die Schreiber der Qumran-Texte bei ihrer Verwendung der Form in den wenigsten Fällen an das „Sein“ im philosophischen Sinn gedacht haben dürften, erlaubt diese statistisch relevante Verschiebung in der Verteilungshäufigkeit der Formen den Schluss, dass man in Qumran hyh allmählich wie ein vollwertiges Verbum zu gebrauchen begann. III. Sieht man von der Zunahme der Belege für das nifal, den Infinitiv und das Partizip bzw. für die periphrastische Fügung hyh qotel einmal ab, liegen keine signifikanten, jedenfalls keine theologisch relevanten Differenzen zwischen der Verwendung der Wurzel hyh im AT und der in Qumran vor. Lediglich in der Verteilungshäufigkeit der verschiedenen mit hyh „transformierten“ Nominalsatztypen gibt es Unterschiede, was zweifellos damit zusammenhängt, dass in Qumran andere Textgattungen dominieren als im AT. Und dementsprechend unterscheiden sich die Korpora auch in der Verteilungshäufigkeit der Tempora bzw. Modi, in denen die Wurzel hyh erscheint. Im AT halten sich die nachzeitig-futurisch konnotierten bzw. auslösenden Formen30 in etwa die Waage mit den vorzeitig-darstellenden Formen31. In den hebräischen Texten aus Qumran dominieren demgegenüber eindeutig die nachzeitig-futurisch konnotierten bzw. auslösenden Formen (67,8 %)32. Am größten ist die Differenz im Falle von wayyiqtol (AT: 28,7 % – Qumran: 6 %), was nicht nur dem Umstand geschuldet ist, dass mehrere Texte bereits mittelhebräischen Sprachduktus aufweisen; es hängt vielmehr ganz offensichtlich damit zusammen, dass – abgesehen von Aufnahmen bzw. Fortschreibungen alttestamentlicher narrativer Texte – keiner der in Qumran entdeckten hebräischen Texte dem Literatur-Typus „Erzählung“ zugeordnet werden kann. Anders gewendet: Im hebräisch formulierten Teil der Qumran-Literatur dominieren Texte mit präskriptiver Ten29 Im Blick auf den prozentualen Anteil der Belege, in denen der Infinitiv von hyh mit der Präposition l gefügt ist, unterscheiden sich die Texte aus Qumran nur wenig von den alttestamentlichen Texten. Da die Verwendung dieser finalen Konstruktion mit den hier diskutierten Fragen indes kaum etwas zu tun hat, gehe ich auf dieses Spezialfall der Verwendung von hyh hier nicht näher ein; einige Beispiele werden weiter unten diskutiert. 30 yiqtol, weqatal, qetol. Zählt man zu den auslösenden Formen den Infinitiv mit der Präposition l, ergibt sich ein kleines Plus im Blick auf diese Formen – zieht man allerdings die Fälle ab, in denen yiqtol und weqatal in Nebenfunktion zum Ausdruck von generellen bzw. iterativen Sachverhalten verwendet sind, liegt das Plus bei den vorzeitig-darstellenden Formen. 31 qatal, wayyiqtol. 32 Dieser auffällige Befund wird durch den Umstand, dass die Verwendung von yiqtol und weqatal auch in Qumran noch gelegentlich in der oben (Anm. 30) erwähnten Nebenfunktion vorkommt, nur geringfügig relativiert.

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denz – diese seit langem bekannte Tatsache wird durch den Befund bei hyh statistisch untermauert33. Entsprechend dem geringen Anteil von Formen des Typs wayyiqtol fehlen in den originären Qumran-Texten Belege für die Verwendung von yhyw als Tempusmarker für die Vergangenheit34. Aber auch im Blick auf die Verwendung von hyhw als Tempusmarker für die Zukunft resp. zur Einleitung von Konditionalsätzen liegt die Menge der Belege prozentual weit unter der im AT, ein deutliches Indiz für den Sprachwandel hin zum Mittelhebräischen. Auch hier sind die wenigen eindeutigen Belege zumeist Zitate aus dem AT, v. a. aus dem Dtn, so etwa 4Q175 6 und mehrere Stellen in 11QT 61; 62. Die übrigen (z. B. 1QS 6,4 par. 4Q258 2,9; 4Q398 14-17,I,5) sind wohl als bewusste Angleichungen an die Sprache des Gesetzgebers Mose zu deuten, können also nicht als repräsentativ für den Sprachgebrauch der Qumran-Gemeinde gelten. Was die verschiedenen Funktionen betrifft, die verblosen Nominalsätzen im Hebräischen eignen und die in der Verzeitung durch hyh im AT mehr oder minder breit belegt sind, d. h. die Funktionen Identifikation, Klassifikation, Qualifikation und Existenzaussage, fällt auf, dass die erstgenannte in Qumran so gut wie überhaupt nicht belegt ist – es sei denn man nimmt etwa im Falle von 4Q251 14,2 den Artikel vor Mrx semantisch ernst und übersetzt: „And the (nicht „a“) dedicated field shall be the holding of [the priest]“35. Allenfalls könnte man noch CD 8,3 hier verorten, jedenfalls sofern man nicht mit J. MAI36 ER nach 4Q266 3,III,25 emendiert bzw. erweitert und stattdessen den ʾašær37 Satz in Anlehnung an E. LOHSE als Objektssatz auffasst: „Die Fürsten Judas sind in den Zustand gekommen, dass du über sie den Zorn ausgießen wirst“. Überraschend ist dieser Befund nicht, hält sich doch auch im AT die Zahl der Belege für verzeitete Nominalsätze mit der Funktion „Identifikation“ in engen Grenzen. Das hängt auf der einen Seite damit zusammen, dass Sätze dieses Typs aufgrund ihrer semantischen Struktur eine Affinität zur Gegenwart aufweisen38; auf der anderen Seite hat dieser Befund damit zu tun, dass TextzuAnders liegen die Dinge im Bereich der aramäischen Texte, d. h. im Falle von hwh: Der Bestand an Formen des Bildungstyps q(e)tal (mit und ohne w copulativum) ist hier etwas größer als der bei den Formen mit auslösender bzw. nachzeitiger Funktion (q(e)tal/uqtal ca. 51 %; yaqtul/q(e)tul ca. 48 %). Das dürfte daran liegen, dass die „Henoch-Literatur“ wie auch das Genesis-Apokryphon – zusammen bilden diese beiden Komplexe einen gewichtigen Teil der aramäisch überlieferten Texte – narrativen Charakter aufweisen. Dass die darin integrierten direkten Reden demgegenüber häufig auch Direktiven bzw. zukunftsbezogene Aussagen enthalten, steht auf einem anderen Blatt, dürfte sich aber in jedem Fall auf die Menge der Formen mit auslösender bzw. nachzeitiger Funktion ausgewirkt haben. 34 Der einzige diesbezügliche Beleg (4Q252 I,12) ist ein Zitat aus Gen 8,6. 35 Anders J. M. BAUMGARTEN in DJD XXXV z. St. 36 Vgl. MAIER, Qumran-Essener I, 19. 37 Vgl. LOHSE, Texte, 81. 38 Vgl. BARTELMUS, HYH, 117-120. 33

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sammenhänge wie Gen 9,18; 10,10; 36,11ff. etc., in denen es um die Identifikation von Personen geht, in den hebräischen Texten von Qumran fehlen39. Weit mehr Belege finden sich im Blick auf die übrigen o. g. Funktionen, vor allem aber im Blick auf Sätze mit präpositionalen Fügungen. Als Beispiele für die Funktion „Klassifikation“ seien vier Stellen mit unterschiedlichen Tempus- bzw. Modus-Formen von hyh genannt. In 11QT 57,8 ist formuliert: „Alle Ausgewählten, die er (sc. der König) auswählen wird, sollen zuverlässige Männer (tm) y#n) wyhy) sein“. In 4Q398 14-17,II,1 – einem Fragment aus Miqṣat maˁaśe ha-torah – heißt es demgegenüber mit präteritalem Bezug: „Denke [an] David, der ein Gnadenmann war“40. In CD 6,16 erscheint eine mit lihyot eingeleitete Fügung gleicher Funktion; es geht um Witwen, die (zur) Beute (von Gottlosen) werden (könnten). Wenn schließlich in 1QSb 5,25f in den Benediktionen für den Maskil formuliert ist: „Es wird sein Gerechtigkeit der Gürtel [deiner Lenden]“, lässt sich daraus unschwer erschließen, dass der Schreiber in der Sprache des AT quasi „zu Hause war“, wendet er doch ein Zitat aus Jes 11,5 auf den Maskil an (wie er auch in der Folge mit Zitaten aus dem AT spielt). Ein Unterschied gegenüber dem Sprachgebrauch im AT ist auch bei anderen Sätzen mit der Funktion „Klassifikation“ nicht zu erkennen. Analoges gilt auch für Sätze, in denen die Funktion „Qualifikation“ vorliegt, zumal im Hebräischen keine klare Grenze zwischen Substantiven und Adjektiven gezogen werden kann41. Wenn in den Ermahnungen Miqṣat maˁaśe ha-torah die Fügung M(y)rwh+ twyhl erscheint (so 4Q394 3-7,I,18 bzw. 4Q395 10), ist es letztlich nur eine Frage deutschen Stilempfindens, ob man übersetzt „um rein zu sein“ oder aber „um Rei(n)e zu sein“42. Wenn demgegenüber in 11QT 47, wo über mehrere Zeilen hin das Thema „Reinheit“ diskutiert wird (3-18), einmal das Substantiv hrh+ (10) in Verbindung mit hyh verwendet wird, während sonst das Adjektiv rwh+ (4-7) Verwendung findet, geht es um die Unterscheidung von abstrakt und konkret, nicht aber um die Unterscheidung von Substantiv und Adjektiv. Mutatis mutandis gilt das auch, wenn hier #wdq neben #dqm erscheint: Unterschieden werden der heilige Ort und die Qualität „heilig“, die durchaus Personen oder Sachen eignen kann; haben letztere die Qualität „heilig“, sind sie „Heilige“/„Heiliges“. Auch wenn sich die Menge der Belege für Existenzaussagen, die mit hyh verzeitet sind, in Qumran und im AT prozentual nicht wesentlich unterschei39 Im aramäischen Genesis-Apokryphon dagegen gibt es dergleichen, so etwa wenn in 1QGenAp 12,10 von den Söhnen Sems die Rede ist oder wenn der Pharao feststellt, dass Sara, die ihm als Schwester Abrahams vorgestellt worden war, in Wirklichkeit die Ehefrau Abrahams ist (1QGenAp 20,27). 40 So MAIER, Qumran-Essener II, 375; ob die Wahl des Terminus „Gnadenmann“ für Mydsx #y) allerdings im Kontext einer Belehrung über die Tora theologisch angemessen ist, kann man mit guten Gründen bezweifeln – näher läge „ein [gesetzes-]treuer Mann“! 41 Vgl. BARTELMUS, HYH, 134. 42 So MAIER, Qumran-Essener II, 364 bzw. 367.

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det – hier gibt es dennoch einen gewissen Unterschied, und zwar im Blick auf den Abstraktionsgrad. Das hat aller Wahrscheinlichkeit nach mit dem erwähnten und unten (IV.) ausführlicher diskutierten Phänomen zu tun, dass im Gefolge der Hellenisierung des Orients philosophisch-theologisches Nachdenken über Sein und Werden, über das „Sein“ bzw. das „Seiende“, auch im Judentum eine Rolle zu spielen begann und demzufolge auch in Qumran Einzug hielt. Einen Satz wie CD 2,20: „sie wurden, als ob sie nie gewesen wären“43, findet man im AT nur ganz am Rande in einer späten Schrift44. Und wenn (Pseudo-) Ezechiel Jahwe die Frage stellt: hl) wyhy ytm „wann sollen diese Dinge geschehen?“ (4Q385 6,9)45, gibt es dafür keine unmittelbare alttestamentliche Parallele. Als weitere Beispiele erwähnt seien noch zwei, die ähnlich oder real auch im AT belegt sind. So heißt es in 1QS 4,18: „Gott … hat einen Zeitraum für den Bestand des Unrechts gegeben“46. Und in 11QT 61,3 findet sich die konditionale Fügung: „Wird sich das Wort nicht verwirklichen“47. Dies ist schlicht ein Zitat aus Dtn 18,22, das belegt, dass bereits im AT gelegentlich die Existenzmöglichkeit von Sachverhalten (rbdh) diskutiert wurde. Was die Fülle der Fügungen betrifft, in denen hyh in Kombination mit Präpositionalgruppen erscheint, erübrigt sich eine ausführliche Auflistung von Beispielen. Praktisch alle im AT mehrfach belegten Fügungen erscheinen auch in Qumran. Herausgehoben seien immerhin zwei besonders häufig vorkommende Fügungen, zum einen solche mit l in der Funktion des Lamed revaluationis bzw. ascriptionis48, zum anderen Fügungen, in denen der Infinitiv von hyh in Kombination mit den Präpositionen b oder l (einmal auch mit assimiliertem Nm) erscheint – sind letztere doch sehr spezifische Elemente der hebräischen Syntax49. Unter den vielen Belegen, in denen ein Lamed ascriptionis erscheint (in älterer Literatur spricht man in diesem Zusammenhang von der „Haben-Relation“), seien nur zwei theologisch relevante hervorgehoben: 1QM 6,6 und 4Q491 11,II,17. In beiden Fällen wird Obd 21 frei zitiert: „Die KönigsherrSo übersetzt LOHSE, Texte, 71 die Fügung wyh )lk wyhyw. So in Obd 16; vgl. Sir 44,9. 45 Die Übersetzung von MAIER, Qumran-Essener II, 349, stellt eine Anpassung an das deutsche Sprachempfinden dar – im Prinzip ist nur gesagt: „Wann wird das sein?“. 46 MAIER, Qumran-Essener I, 176; der deutende Begriff „Bestand“ steht für das hebräische twyhl, das man genauso gut mit „Sein“ oder „Existenz“ wiedergeben könnte. 47 MAIER, Tempelrolle, 265 – einmal mehr unter Vermeidung des Worts „sein“ verdeutlichend übersetzt. 48 Vgl. JENNI, Präposition Lamed, 33-41.54-66. 49 Für letztere Fügungen gibt es im aramäischen Teil des AT überhaupt keine und im aramäischen Teil der Qumran-Literatur nur drei Beispiele mit l (4Q213a 1,18; 4Q530 7,II,7; 11Q10 15,5), von denen lediglich das erstgenannte einigermaßen sicher zu interpretieren ist: Es geht dort um die Nähe zu Gott, und der Sprecher möchte ihm gehören. 11Q10 15,5 ist demgegenüber eine Übersetzung des schon an sich kaum verständlichen Verses Ijob 30,1 – also wohl ein Hebraismus, und bei 4Q530 7,II,7 ist die Lesung unsicher und der Kontext unklar. 43 44

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schaft wird dem Gott Israels gehören“ bzw. „… wird Gott gehören und seinem Volk“. Die Tradition der Malkut JHWH – in ihrer kriegerischen Variante – ist in Qumran lebendig geblieben. Dazu fügt sich 1QHa 11,37 – ein erstes Beispiel für die Verwendung des l in der Funktion des Lamed revaluationis: „Du bist mir eine feste Mauer gewesen“. Alles andere als kriegerisch klingt demgegenüber 1QHa 17,24 par. 4Q381 33+35,3: „Es wurde mir deine Zurechtweisung zur Freude“. Ähnliches wird auch in 4Q381 1,1 artikuliert, nur ist dort wohl eher auf Zukünftiges angespielt und statt von Zurechtweisung ist vom Gesetzesanweiser die Rede. Aber auch ins Negative gewendet erscheint die Fügung, so in 4Q166 II,12, einem Peschär zu Hosea: Gott schlug sein Volk, dass sie „zu Schanden werden und zur Schmach vor den Völkern“. Numerisch häufiger, v. a. aber theologisch gesehen weit wichtiger sind die Stellen, an denen mit dieser Fügung die Zuwendung Gottes zu Einzelnen bzw. zu seinem Volk ausgedrückt wird, so etwa in 4Q174 1-2,I,11, wo die Nathan-Verheißung zitiert wird (2 Sam 7,14); fragmentarische Erinnerungen an diesen Satz bieten wohl auch 4Q382 104,3 und 4Q418a 19,3. In 4Q381 76-77,15 wird schließlich der Topos der Erwählung Israels aus allen Völkern erwähnt, damit Israel „für ihn (JHWH) zum Volk wird“, und in 11QT 59,13 wird sogar die Bundesformel (Lev 26,12 bzw. Jer 7,23) fast wörtlich zitiert, allerdings unter Verwendung der 3. statt der 2. Pers. (wie in Ez 37,23), dazu in 11QT 29,7 ein weiteres Mal in freier Variation: „damit … sie für mich zum Volk werden. Und ich werde auf Weltzeit für sie (da) sein“50. Was den Infinitiv von hyh in Kombination mit den Präpositionen b oder l betrifft, dominieren im Falle von twyhb die Beispiele für die Funktion, punktuelle Zukunft auszudrücken51. Daneben finden sich zwei Beispiele, in denen wohl ein Beth instrumenti vorliegt, so in 1QS 10,10 par. 4Q258 9,10; man könnte in letzterem Fall im Prinzip auch von einer Kombination von Existenzaussage und Präposition sprechen, dann käme „das Sein“ in den Blick. Dem gegenüber ist der einzige Beleg für twyhm (4Q502 1,6) zu fragmentarisch, als dass von ihm aus theologisch relevante Rückschlüsse gezogen werden könnten. Was die vielen Beispiele für twyhl betrifft, stehen sie zumeist für die intentionale Verknüpfung, gelegentlich auch für die admissionale bzw. konsekutive Verknüpfung52: Etwas oder jemand zu sein bzw. eine Qualität zu haben, hat einen Zweck bzw. Folgen. Andere Beispiele mit twyhl, in denen hyh eine eigenständige semantische Rolle spielt, wurden bereits weiter oben angesprochen.

So MAIER, Tempelrolle, 131; gemeint ist natürlich „für immer“. So JENNI, Präposition Beth, 325. Beispiele: 1QS 3,16; 8,4.12; 9,3 par. 4Q258 6,6; 7,4; 4Q265 7,7; 4Q396 1-2,III,7; 4Q402 4,4; 4Q463 1,2; 11QT 48,16. 52 Vgl. JENNI, Präposition Lamed, 154ff. 50 51

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Unbeschadet dessen, dass die häufige Verwendung des nifal von hyh eine Eigentümlichkeit der Qumran-Texte darstellt, bedürfen Stellen wie 1QM 1,12; 18,10 oder 4Q418 126,II,5, wo hyh nifal im Perfekt verwendet ist, keiner gründlicheren Erörterung, ist doch bereits in den (spät-)nachexilischen Schriften des AT eine Tendenz festzustellen, Eingetretenes, (neu) Gewordenes von bloß gegebenem zu unterscheiden; für ersteres steht hyh nifal, für letzteres hyh qal53. Eingehender zu betrachten sind demgegenüber Beispiele, in denen eindeutig eine Qumran-spezifische theologisch-philosophische Verwendung der Wurzel hyh vorliegt, also die Stellen, in denen das Partizip (aktiv) verwendet ist – sei es qal, sei es nifal. Um sie sinnvoll diskutieren zu können, muss vorher freilich noch einmal kurz in Erinnerung gerufen werden, welche Funktion das Partizip (aktiv) im hebräischen Sprachsystem hat. Ein Vergleich der deutschen, englischen und französischen Übersetzungen der Qumran-Texte lässt ein solches Verfahren jedenfalls unumgänglich erscheinen – zu krass sind deren Unterschiede im Blick auf die temporelle Wiedergabe der einschlägigen Formen: Letztere sind so groß, dass man gelegentlich auf den Gedanken kommen könnte, den Übersetzern hätten unterschiedliche Texte vorgelegen54. Anders als das Partizip im Deutschen spielt das hebräische Partizip (aktiv) eine wichtige Rolle im Tempussystem. Figurativ gesprochen: Es ist kein Stiefkind der Syntax, sondern kommuniziert „auf Augenhöhe“ mit den finiten Verbformen qatal und yiqtol bzw. wayyiqtol und weqatal55. Konkret formuliert: qotel ist eine Verbalform mit den Basis-Konnotationen Gleichzeitigkeit, Imperfektivität, Durativität und steht in totaler Opposition zu qatal mit den Konnotationen Vorzeitigkeit, Perfektivität, Punktualität und in partieller Opposition zu yiqtol mit den Konnotationen Nachzeitigkeit, Imperfektivität, Punktualität 56. In Nebenfunktion steht es – sofern der Relationspunkt der Gegenwartspunkt des Sprechenden ist – für den Ausdruck der unmittelbar bevorstehenden Zukunft, das „futurum instans“. Noetisch gesehen reicht ja jeder in der Gegenwart andauernde Sachverhalt ein Stück weit in die Zukunft hinein – auch das deutsche Präsens kann man in dieser Nebenfunktion verwenden. Wenn jemand sagt: „Ich gehe“, muss er nicht hic et nunc unterwegs sein, er kann damit auch sagen, dass er in nächster Zukunft aufbrechen möchte: „Mental“ ist der Vorgang bereits Realität, die Ausführung wird sogleich erfolgen. Vgl. das oben zu Dan 12,1 Gesagte. Näheres dazu s. u. und Anm. 66. 55 Diese Erkenntnis teilt NICCACCI, System, 248 mit dem Vf. 56 Vgl. dazu BARTELMUS, Einführung, 204-206, u. ö. Hier ist nicht der Ort, um ausführlicher auf die „zusammengesetzten Tempora“ wayyiqtol und weqatal einzugehen oder die Unterschiede zwischen der Verwendung der einschlägigen Formen in Rede und Erzählung bzw. außerhalb der Artikulationsebene „Darstellung“ anzusprechen. Im Fokus steht hier allein das Partizip. 53 54

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Ins Hebräische übertragen: Angesichts einer Fügung wie ry+mm ykn) (Gen 7,4) muss man den Kontext zu Rate ziehen, um herauszufinden, ob Jahwe schon dabei ist, es regnen zu lassen, oder aber ankündigt, dies in unmittelbar bevorstehender Zukunft zu tun – hier ist dank der Zeitangabe „nach sieben Tagen“ jeder Zweifel ausgeschlossen. Ex 9,3 (und viele andere – zumeist mit hnh eingeleitete – Sätze wie Ex 23,20) zeigen indes, dass es nicht zwingend einer solchen Zeitangabe bedarf, um ein „futurum instans“ diagnostizieren zu können57. (Ganz anders stellen sich die Dinge natürlich dar, wenn ein Partizip durch den Artikel determiniert ist, also als reines Nomen fungiert; dann ist der [relative] Zeitbezug aus anderen Elementen im Satz zu entnehmen). All das Gesagte gilt nun aber nicht nur für das Partizip aktiv qal, sondern auch für das Partizip nifal.58 Die Beispiele dafür sind Legion, erwähnt seien nur Ex 14,25 (Mxl Partizip nifal) bzw. Jes 19,18 ((b# Partizip nifal): In Ex 14,25 ist davon die Rede, dass die Ägypter erkennen, dass Jahwe hic et nunc für Israel streitet. Und in Jes 19,18 – einer Weissagung über Ägypten – ist klar, dass der Vorgang des Schwörens nicht in der Vergangenheit liegen kann. So lange man freilich davon ausging, das nifal sei ein Passiv zum qal59, wurde dem Partizip nifal oft latent eine Konnotation unterstellt, die im Falle des echten Passivs zum qal – repräsentiert in der Form qatul – Fakt ist, nämlich die Konnotation der Perfektivität. Vereinfacht gesagt: Weil das hebräische Partizip passiv qal weitgehend dem lateinischen Partizip Perfekt passiv entspricht, muss – so wurde gefolgert – auch das als Passiv verstandene Partizip nifal etwas mit dem Perfekt zu tun haben. – Selbst wenn (was der Vf. ausschließt) diese Assoziationskette ein Körnchen Wahrheit enthielte, würde sie im Falle von hyh in die Irre führen – ist hyh doch ein Intransitivum. Eine über das Passiv laufende Assoziationskette verbietet sich angesichts dessen von selbst. Die Übersetzung von hyhn (Partizip nifal) mit „geworden“/„Gewordenes“, die sich v. a. in der deutschen Textausgabe von J. MAIER60 häufig findet, kann von daher nur schlicht als falsch bezeichnet werden. In den Übersetzungen der Reihe DJD erscheint für hyhn zumeist eine Formulierung mit futurischer Konnotation; daneben wird in einigen Fällen präsentisch übersetzt. Eine Ausnahme bilden die wenigen Stellen, wo das Partizip a 61 hyhn mit Artikel gefügt ist (vgl. dazu etwa 1QH 11,33) . Unbeschadet des Vgl. dazu oben (Anm. 27) mit dem Verweis auf BARTELMUS, HYH z. St. Natürlich auch für das Partizip piel, hitpael und hifil; diese Stammbildungen kommen bei hyh indes nicht vor, können also außer Betracht bleiben. 59 Schon GK, § 51 h, hatte sich vehement gegen diese Sicht verwahrt; dennoch hielt sich diese Sicht bis in die Gegenwart. Die meisten Schulgrammatiken beschreiben die Funktion des nifal nach wie vor mit reflexiv und passiv zum qal (häufig sprechen sie auch noch von „Bedeutung“ statt von „Funktion“!), so etwa SCHNEIDER, Grammatik, 101. Und selbst dort, wo die Forschungsergebnisse von JENNI (s. o. Anm. 22) aufgenommen sind, wird als erste „Ersatzkonstruktion“ zum Übersetzen das Passiv empfohlen (so bei KRAUSE, Hebräisch, 130f). 60 MAIER, Qumran-Essener I + II, passim – Beispiele werden weiter unten zitiert. 57 58

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Umstands, dass das Partizip als Grundfunktion den Ausdruck der Dauer bzw. der Gleichzeitigkeit aufweist, ist die futurische Übersetzung zumindest im Falle der geprägten Wendung hyhn zr in jedem Falle vorzuziehen (knapp die Hälfte aller Belege des Partizips nifal sind mit zr gefügt!), zumal das nifal im Falle von hyh – noetisch gesehen – geradezu paradigmatisch erkennen lässt, warum dem Partizip als Nebenfunktion der Ausdruck des futurum instans eignet: Das „Werdende“/„im Werden befindliche“ ragt immer ein Stück weit über die Gegenwart hinaus in die Zukunft hinein. Demgegenüber verfehlt eine präteritale Übersetzung des indeterminierten hyhn den Sinn der Form in jedem Fall. Belege für eine Verwendung des Partizips finden sich überraschender Weise nicht nur im Kontext spezifisch sapientialer Komplexe wie 4Q416-418 (415; 423) oder 1Q2662, wo man sie am ehesten erwarten würde: Mit Ausnahme der Tempelrolle enthalten vielmehr alle umfangreicheren hebräischen Textkomplexe und viele Einzeltexte einschlägige Belege. Rigides Insistieren auf gesetzestreuem Verhalten und Aufnahme von aktuellem Gedankengut aus der Umwelt bildeten in der Qumran-Gemeinde ganz offensichtlich keinen prinzipiellen Gegensatz: Wohl nicht ganz zufällig hat man in Qumran auch Texte in griechischer Schrift gefunden. Zudem ist es sattsam bekannt, dass die Qumran-Manuskripte alttestamentlicher Texte relativ häufig andere Textversionen bieten als die Textvorlage des MT: In solchen Fällen besteht relativ häufig eine Übereinstimmung mit dem Textverständnis der LXX bzw. mit der als Vorlage der LXX zu vermutenden hebräischen Textfassung, was auf (wie immer geartete) Verbindungen zwischen der hellenistischen Judenheit in Alexandrien und der Qumran-Gemeinde schließen lässt. Eine kritische Aufnahme bzw. Adaption fremder Traditionen stand ohnehin in keinem Fall in Gegensatz zum Selbstverständnis der frühen Judenheit (die Qumran-Gemeinde verstand sich als das wahre Israel!) – war doch ein entsprechender Umgang mit Traditionen unterschiedlicher Herkunft bereits im AT vorgegeben und konnte somit als Vorbild dienen. Letzteres Verfahren lässt sich exemplarisch etwa anhand von 1QHa 20,4-11 aufzeigen63. Eingangs wird in diesem Abschnitt unmissverständlich auf Gen 1,14-19 rekurriert – einen Teil der priesterschriftlichen Schöpfungsgeschichte, die ihrerseits zum größten Teil aus neu interpretierten Traditionen aus der altorientalischen Umwelt konstruiert ist. Die durch den Mund Gottes geschaffene Ordnung der Abfolge von Licht und Finsternis, Tag und Nacht, wird in der Folge als hwwh tdw(t bezeichnet (1QHa 20,9)64. Diese innovative hebräische theologische Formulierung ist – wie man aus dem danach folgenden sp) Ny)w erschließen kann – wohl im Sinn von „verbürgtem“ (also absolut sicherem) 61 62 63 64

Dies fügt sich gut zu dem oben generell Gesagten. Zu dieser Qualifikation der hier verhandelten Texte vgl. HARRINGTON, Raz nihyeh, 549f. Ein fragmentarisches Duplikat davon bietet 4Q427 2,II. MAIER, Qumran-Essener I, 103, übersetzt dies mit: „Bezeugung von Seiendem“.

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Seiendem zu verstehen. Die alte Überlieferung ist damit gewissermaßen „modernisiert“: Das einst von Gott Geschaffene ist nichts anderes als das Seiende (τὸ ὄν), über das die Philosophen der hellenistischen Umwelt nachdenken. Damit gibt sich der Autor indes nicht zufrieden, er vertieft die Aussage vielmehr, indem er das den Griechen vertraute, aber auch schon im AT belegte Drei-Zeiten-Schema anwendet65: Die hier und jetzt existierende Ordnung wird auch weiterhin sein, d. h. Bestand haben (hyht): Außer ihr ist nie eine andere Ordnung gewesen (hyh) und wird nie eine andere sein (dw( hyhy )wlw), denn „der Gott der Erkenntnis(se) hat sie festgesetzt. Ähnlich wie der Beter von 1QHa 20, wenn auch weniger differenziert und ohne konkreten Bezug auf Gen 1, wohl aber auf die Genesis insgesamt (es erscheinen Begriffe wie twdlwt bzw. twrwd) argumentiert auch der Autor von 1QS 3,13ff., wenn er in einer Belehrung für den Maskil (Unterweiser) feststellt: „Vom Gott der Erkenntnis(se) ist (stammt) alles Seiende (hwwh) und Werdende (hyyhn)“ (3,15)66. Bemerkenswert an 1QS 3,13ff ist darüber hinaus, dass der Autor die Aussage von Gott als dem Urgrund des Seienden und Werdenden konsequent zu Ende denkt und in Z. 15f so etwas wie eine Vorstufe der Prädestinationslehre ausformuliert: „Bevor sie waren/sind, hat er ihr ganzes Planen festgelegt, wenn sie da sind, erfüllen sie entsprechend dem verbürgten Plan seiner Herrlichkeit ihr Werk, und es gibt keine Änderung“. Die damit ausformulierte Überzeugung, Gott habe einen feststehenden Plan für diese Welt, und dieser sei bestimmten Personen zugänglich, teilt die QumranGemeinde mit dem apokalyptischen Daniel-Buch. In diesen Kontext gehört auch 1QS 11,11, ebenso vielleicht das etwas anders ausformulierte Fragment 4Q402 4,12 par. Mas1k 1,2, wo freilich das Perfekt hyhn (wyhn) verwendet ist: „Durch sein Wissen ist alles geworden und alles Seiende lenkt er nach seinem Plan, ohne ihn geschieht nichts“ bzw. „vom Erkenntnis-Gott her …“; schon kurz vorher ist in 1QS 11 vom „ewig Seienden“ (5) bzw. von Erwählung (7) die Rede und danach wird die Aussage noch einmal mit determiniertem Partizip nifal und dem Stichwort „(Wohl-)Gefallen“ anstelle von „Wissen“ reformuliert (vgl. dazu auch 1QHa 9,20 – dort Perfekt). Einen deutlich anderen Akzent setzt demgegenüber der Beter/Sänger von 4Q511 10,10f, wenn er Gott als denjenigen preist, der in Gerechtigkeit Recht schafft für die ewig Seienden und die (vor/in?) Äonen gewordenen (Dinge/LeVgl. dazu R. BARTELMUS, Strukturprinzip. MAIER, Qumran-Essener I, 173, übersetzt hier wie auch an den meisten anderen Stellen h(y)yhn präterital, womit er sich gegen einen breiten, gut begründeten Konsens in der Forschung stellt. Dass er im Falle von 1QS 10,5 par. 4Q256 19,3 einmal nicht präterital übersetzt und hyhn Cq richtig mit „eintretende(n) Zeit“ wiedergibt, ist angesichts dessen mehr als inkonsequent, noch mehr der Umstand, dass er hyhn zr einmal sogar mit „Geheimnis des Seins“ wiedergibt (1Q26 1,1; ebd. 237), während er sonst „Geheimnis“ bzw. „Mysterium des Gewordenen“ verwendet. 65 66

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bewesen)67. Hier erscheint die Welt überraschender Weise einmal nicht so invariabel determiniert wie an den übrigen in diesem Zusammenhang angesprochenen Stellen. In einer an weisheitliche Mahnreden erinnernden Passage schließlich, in der einmal mehr Gott als ein Gott der Erkenntnis erscheint (CD 2,2ff.), wird wiederum die Ordnung der Zeit angesprochen und in diesem Kontext auf das ewig Seiende und das Werdende abgehoben68. Die Erkenntnis Gottes wird hier in der Damaskusschrift als so weit in die Vorzeit reichend dargestellt, dass Gott die Werke der Frevler (My(#r) schon kennt, bevor letztere überhaupt geschaffen bzw. „gegründet“ wurden, und sie reicht bis dahin, dass er weiß, was am Ende dessen sein wird, das jetzt im Werden ist (CD 2,9f bzw. 4Q268 2,I,8). Änigmatisch verkürzt und auf den „Aufseher“ hin umformuliert erscheint Entsprechendes auch in CD 13,8; dass Werdendes bereits vor seiner Erschaffung in seinem Tun und Ergehen festgelegt ist, ist zudem in 4Q180 1,1f angesprochen. In all diesen Fällen ist eine gewisse Korrelation zwischen deterministischem bzw. prädestinatianischem Gedankengut und der Rede vom Seienden bzw. Werdenden wahrzunehmen, wobei die theologisch brisantere der beiden Varianten zweifellos darin liegt, dass auch das Werdende (d. h. das nicht bereits von Urbeginn an Existierende bzw. am Anfang von Gott geschaffene) durch Gottes Plan festgelegt ist. Eine andere Form prädestinatianischen Denkens begegnet in 1QM 17,5: In hypertroph chauvinistischer Akzentsetzung greift der Autor auf das Begriffspaar „Seiendes“ und „Werdendes“ zurück und behauptet, dass Israel Anspruch auf alles Seiende und Werdende habe, und zwar in allem, was immer (in Äonen) noch werden wird. Ins Universalistische gewendet – sei es in Kombination mit lwk, sei es mit (My)mlw(, sei es mit beiden Elementen zusammen – erscheinen Partizipien von a hyh schließlich auch noch in 4Q403 1,I,22; 4Q405 13,6 (qal) bzw. in 1QH 5,18; 19,14; 21,12 und 4Q418 69,II,7 (nifal). So einfach die Kombination des Partizips qal von hyh mit (My)mlw( nachzuvollziehen ist, so wenig ist verständlich erscheint auf den ersten Blick die Kombination des Partizips nifal mit diesem Lexem. Mit einer gewissen Wahrscheinlichkeit kann man davon ausgehen, dass letzteres hier nicht im eingeschränkten Bedeutungsspektrum des AT gemeint ist: Mlw( meint in diesen Texten offenbar nicht „Ewigkeit“, sondern Mit den ewig Seienden gemeint sind wohl die Engel; das lässt sich mit hoher Wahrscheinlichkeit aus der parallelen Formulierung im Folgesatz erschließen, wo von Göttern und Menschen die Rede ist. 68 Die pluralischen hebräischen Formulierungen sind wohl als Abstraktplural zu interpretieren. Weisheit und Einsicht, Klugheit und Erkenntnis sind hier übrigens (nicht anders als die Weisheit im alttestamentlichen Buch der Sprüche) quasi als Hypostasen bzw. eigenständige Wesen gesehen, jedenfalls heißt es von ersteren, dass Gott sie vor sich hingestellt hat und von letzteren, dass sie Gott dienen – eine Formulierung, die wohl als synonymer Parallelismus membrorum einzustufen ist: Wer vor Gott steht, ist dessen Diener (vgl. 1 Kön 17,1b). 67

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bereits so etwas wie „Äon“, „Zeitalter“: Es ginge dann um das je und je im Verlauf von Äonen (eines Äons) Werdende. Die Übernahme der seit Hesiod im griechischen Bereich geläufigen Äonenspekulation durch die Judenheit – dokumentiert etwa in Dan 2 – hätte gemäß dieser Annahme Folgen für die Semantik von Mlw( gehabt; die Vermutung wird durch den mittelhebräischen Sprachgebrauch in gewisser Weise gestützt. Ganz auszuschließen ist allerdings auch nicht die Annahme, dass (My)mlw( in diesem Zusammenhang schlicht „für immer“ meinen könnte; (My)mlw( müsste dann als explikative Asyndese mit „und zwar für immer“ übersetzt werden. Unstrittig ist allein – das ist Konsens in den Lexika –, dass zwischen dem Sing. und dem Pl. von Mlw( in Qumran kein semantischer Unterschied zu erkennen ist. Massiv von apokalyptischen Vorstellungen geprägtes Denken manifestiert sich schließlich in der Fügung hyhn zr, auf die knapp die Hälfte aller Belege des Partizips nifal entfällt – „in the vast majority of cases … prefaced by the preposition b“69. Das aramäische (ursprünglich aus dem Persischen stammende) Lexem zr („Geheimnis“, „Mysterium“) ist im Daniel-Buch schon für sich allein Terminus technicus für bereits im Plan Gottes feststehende Sachverhalte, die sich in der Zukunft ereignen werden und die nur qua Offenbarung durch Gott selbst (hlg) und Deutung durch einen angelus interpres oder einen von Gott selbst informierten „Weisen“ zugänglich werden70. Erscheint der Terminus in hebräischen Kontexten als Lehnwort in Kombination mit hyhn, kann auch von daher kein Zweifel daran bestehen, dass das Partizip (gemäß den oben vorgestellten noetischen Überlegungen) angemessen nur als „future“ – genauer als futurum instans –, jedenfalls nicht als „past“ zu übersetzen ist71. Die Fügung kann geradezu als Musterbeispiel für die noetische Struktur des futurum instans gesehen werden: In der göttlichen Welt steht bereits fest, was sich (demnächst) ereignen wird, für Menschen ist es aber noch ein Geheimnis, das zu lüften allein dem Apokalyptiker vorbehalten ist. Auch wenn angesichts des fragmentarischen Zustandes des „Livre des mystères“ (1Q27) nicht eindeutig festgestellt werden kann, wer der Sprecher/ Schreiber ist, ist klar, dass nur Eingeweihte, d. h. vom „Lehrer der Gerechtigkeit“ bzw. von dem „Maskil“ instruierte Angehörige der Qumran-Gemeinschaft, um das hyhn zr wissen können. Nicht Eingeweihte kennen das Geheimnis des – demnächst – Eintretenden/im Werden Befindlichen nicht und können sich (ihre „Seele“) daher nicht vor ihm retten (1Q27 1,I,3.4 par. 4Q300 3,4)72. HARRINGTON, Raz nihyeh, 551. Vgl. dazu WILLI-PLEIN, Geheimnis, 68-74. 71 So dezidiert J. T. MILIK in DJD I, 104. 72 Letztere Stelle ist neben 4Q416 2,III,21 der einzige Beleg für eine Kombination der Fügung mit der Präp. Nm. Außer 1Q27 1,I,3 bieten nur noch 4Q416 2,III,14 und – vielleicht – 4Q418 77,2; 172,1 die Fügung ohne präfigierte Präp.; die letztgenannten Stellen sind aber so fragmentarisch, dass auf ihrer Basis keine weitergehenden Erkenntnisse gewonnen werden kön69 70

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In allen übrigen Fällen erscheint die Fügung mit präfigiertem b. Die Funktion dieser Präp. im jeweiligen Kontext wird in der Forschung alles andere als einheitlich gedeutet – dies nicht nur aus dem Grund, dass die Wendung in den Texten mit unterschiedlichen Verben gefügt erscheint. Die Einschränkung der Deutungsmöglichkeiten auf den lokalen und instrumentalen Gebrauch, wie sie D. J. HARRINGTON73 vornimmt, ist in jedem Fall zu wenig differenziert. Immerhin: Im Falle des einzigen Belegs für die Fügung, der nicht aus dem von der Forschung aus vielen Fragmenten rekonstruierten „Sapiential Work“ (1Q26; 4Q415-418; 423) und auch nicht aus dem „Livre des mystères“ (1Q27) stammt, aber sehr wohl sapiential konnotiert ist – d. h. im Falle von 1QS 11,3f – liegt eindeutig lokaler Gebrauch vor, genauer der Teilaspekt „geistiger Kontakt“74. Der Sprecher (aller Wahrscheinlichkeit nach der Maskil) erklärt, er sei aus der Quelle der Erkenntnis Gottes gewissermaßen „erleuchtet“ worden und fährt danach fort: „Auf seine Wunder schaute mein Auge und mein erleuchtetes Herz auf/in das Geheimnis des Werdenden/sich Anbahnenden und des ewig Seienden“ (+bn hifil)75. Eine andere Form des „geistigen Kontakts“ ist gegeben, wenn jemand dazu aufgefordert wird, Tag und Nacht über „das Geheimnis des Werdenden/sich Anbahnenden“ nachzusinnen (4Q418 43-45,I,4 par. 4Q417 1,I,6), es zu (be-) greifen (4Q418 77,4), im Blick auf das Geheimnis des Werdenden etwas zu prüfen (4Q415 6,4) oder etwas zu (unter-)suchen (4Q416 2,III,9)76. Dass diese Fügung indes auch so verstanden werden kann, dass durch die Präp. b das direkte Objekt bezeichnet ist77, ergibt sich aus der kurz darauf folgenden Formulierung in 4Q416 2,III,14. Dann wären beide Stellen als Aufforderung zu verstehen, das Geheimnis des sich Anbahnenden zu (unter-)suchen, d. h. sich mit ihm forschend auseinanderzusetzen. Weniger einfach zu deuten ist die Verwendung der Präp. in den mit r#)(k) eingeleiteten Sätzen, in denen davon die Rede ist, dass Gott das (die) Ohr(en) einer Person hyhn zrb geöffnet hat – in 1Q26 1,4 par. 4Q416 2,III,17f; 4Q418 nen (zu 4Q416 2,III,14 s. u.). 73 HARRINGTON, Raz nihyeh, 551. Er hat offenbar JENNI, Präposition Beth, nicht konsultiert. Deutschsprachige Literatur wird im anglo-amerikanischen Sprachraum bedauerlicherweise kaum mehr zur Kenntnis genommen, selbst wenn sie (wie in diesem Fall) von einem der bedeutendsten Hebraisten stammt, Grundlagenforschung darstellt und in einem renommierten Verlag erschienen ist – ein Armutszeugnis für den internationalen Wissenschaftsbetrieb. 74 Vgl. dazu JENNI, Präposition Beth, 248. 75 Imperativisch gewendet erscheint eine ähnliche Fügung (freilich ohne Verweis auf das ewig Seiende) in 4Q416 2,I,5 und 4Q417 1,I,18 (vielleicht auch 4Q417 2,I,11 und 4Q418 43-45,I,2; an beiden Stellen von den Herausgebern ergänzt – in ersterem Fall gestützt auf 4Q416 2,I,5). 76 Die Stelle ist dunkel, könnte aber mit den Herausgebern von DJD XXXIV evtl. als einziger Beleg für ein Beth instrumentale gewertet werden: „By the zr that is to come study the origins thereof“. 77 Vgl. dazu unten zu rxb.

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10a,1; 4Q418 184,2; 4Q418 190,2 ist ein „du“ angesprochen, in 4Q418 123,II,4 ist in der 3. Pers. von den „Verständigen“ die Rede. Instrumentaler Gebrauch der Präp. kann nicht vorliegen – das Geheimnis des im Werden Begriffenen ist schwerlich das Mittel, sondern doch wohl der Inhalt der Offenbarung. Somit könnte auch hier „geistiger Kontakt“ angenommen werden, und zwar in Analogie zur Verwendung der Präp. bei rxb78: Im Falle von rxb kann das direkte Objekt bekanntlich ohne erkennbaren Unterschied sowohl als Akkusativ erscheinen wie auch durch b markiert sein. Da hier nun die Position des direkten Objekts bereits mit „Ohr“ besetzt ist, könnte somit (quasi im Sinn eines doppelten Akkusativs) mit der Fügung das eigentliche Objekt der Offenbarung mit b hervorgehoben sein: Er hat die Ohren geöffnet „in Bezug auf“ das Geheimnis (und so das Geheimnis gelüftet). Zu erwägen ist aber auch eine Klassifikation als Spielform des Beth comitantiae79, oder als ein Beth communicationis80. Was – unabhängig von der genauen Klassifikation des b – freilich alle zuletzt diskutierten Stellen verbindet, ist die feste Überzeugung der von apokalyptischem Gedankengut geprägten Autoren (des Autors?), dass sich gemäß dem Plan Gottes (umwälzende) Ereignisse anbahnen: Allein den Lehrern der Qumran-Gemeinde wurde diese Tatsache durch den Einblick in die „Quelle der Erkenntnis Gottes“ zugänglich gemacht, und sie informieren die Gemeinde auf literarischem Weg über das „Geheimnis des Werdenden“. Da der Vf. kein Angehöriger der Qumran-Gemeinde, kein vom Maskil Belehrter ist, fehlt ihm der Zugang zum Geheimnis des im Werden Befindlichen. Immerhin meint er hoffen zu können, den Schleier über dem Geheimnis des „Seienden“ – der sprachlichen Gegebenheiten in Qumran – ein wenig gelüftet zu haben. Wenn es gelungen sein sollte, dem Jubilar damit ein wenig Freude zu bereiten, hat der Aufsatz in jedem Fall seinen Zweck erfüllt. Rüdiger Bartelmus Prof. em. Uni Kiel, Planegg

Bibliographie BARTELMUS R., „Tempus als Strukturprinzip. Anmerkungen zur stilistischen und theologischen Relevanz des Tempusgebrauchs im »Lied der Hanna« (1 Sam 2,1-10)“, in Biblische Zeitschrift. Neue Folge 31 (1987) 15-35 (= id., Auf der Suche nach dem archimedischen Punkt der Textinterpretation. 78 79 80

Vgl. JENNI, Präposition Beth, 256. JENNI, Präposition Beth, 93-96; hlg ist freilich kein Verbum der Bewegung. JENNI, Präposition Beth, 160-170; 169.

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Studien zu einer philologisch-linguistisch fundierten Exegese alttestamentlicher Texte, Zürich 2002, 133-157). BARTELMUS R., HYH. Bedeutung und Funktion eines hebräischen »Allerweltswortes« – zugleich ein Beitrag zur Frage des hebräischen Tempussystems (ATS 17), St. Ottilien 1982. BARTELMUS R., Einführung in das biblische Hebräisch, Zürich 22009. BARTELMUS R., „‫ ָהיָ ה‬hājāh“, in H.-J. FABRY - U. DAHMEN (ed.), Theologisches Wörterbuch zu den Qumrantexten I, Stuttgart 2011, 762-779. BOMAN T., Das hebräische Denken im Vergleich mit dem Griechischen, Göttingen 1952. HARRINGTON D. J., „The Rāz nihyeh in a Qumran Wisdom Text (1Q26, 4Q415-418, 423)“, Revue de Qumran 17 (1996) 549-553. JENNI E., „Zur Funktion der reflexiv-passiven Stammformen im Biblisch-Hebräischen“, Proceedings of the Fifth World Congress of Jewish Studies:Volume IV, Jerusalem 1973, 61-70 (= id., Studien zur Sprachwelt des Alten Testaments I, Stuttgart - Berlin - Köln 1997, 51-60). JENNI E., Die hebräischen Präpositionen. Band 1: Die Präposition Beth, Stuttgart - Berlin - Köln 1992 JENNI E., Die hebräischen Präpositionen. Band 3: Die Präposition Lamed, Stuttgart - Berlin - Köln 2000 JENNI E., „Aktionsarten und Stammformen im Althebräischen: Das Piˁel in verbesserter Sicht“, ZAH 13 (2000) 67-90 (= id., Studien zur Sprachwelt des Alten Testaments II, Stuttgart -Berlin - Köln 2005, 77-96 KRAUSE M., Hebräisch. Biblisch-hebräische Unterrichtsgrammatik, herausgegeben von M. PIETSCH und M. RÖSEL, Berlin - New York 2008. LOHSE E., Die Texte aus Qumran. Hebräisch und deutsch. Mit masoretischer Punktation, Übersetzung, Einführung und Anmerkungen, Darmstadt 1964 MAIER J., Die Qumran-Essener: Die Texte vom Toten Meer, Band I: Die Texte der Höhlen 1-3 und 5-11, UTB 1862, München - Basel 1995. MAIER J., Die Qumran-Essener: Die Texte vom Toten Meer, Band II: Die Texte der Höhle 4, UTB 1863, München - Basel 1995. MAIER J., Die Tempelrolle vom Toten Meer und das »Neue Jerusalem«, UTB 829, München - Basel 31997. NICCACCI A., „The Biblical Hebrew Verbal System in Poetry“, in S. E. FASSBERG - A. HURVITZ (ed.), Biblical Hebrew in Its Northwest Semitic Setting. Typological and Historical Perspectives, Jerusalem - Winona Lake 2006, 247-268. V. PEURSEN W. Th., „Periphrastic Tenses in Ben Sira“, in T. MURAOKA - J. F. ELWOLDE (ed.), The Hebrew of the Dead Sea Scrolls and Ben Sira (STDJ 26), 1997. SCHNEIDER W., Grammatik des Biblischen Hebräisch, München 51982. WILLI-PLEIN I., „Das Geheimnis der Apokalyptik“, VT 27 (1977) 62-81. 43

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1. Nel mare dell’India, non lontano dallo Yemen – scriveva il poligrafo al-Masˁūdī1 –, vi è un’isola chiamata ‘isola della ragione’, e in essa si trovano acque chiamate ‘acque della ragione’; per questo, molti naviganti fanno rotta verso l’isola: tali acque, infatti, hanno un’eccezionale efficacia sul rinvigorimento di chi è dotato di ragione.

In realtà, al-Masˁūdī non diceva esattamente così,2 ma così gli fa dire il poeta andaluso Mosè Ibn Ezra (morto dopo il 1135),3 per aggiungere subito dopo: La stessa città di Tiberiade, per quanto si trovi nella provincia di Siria (waˀin kānat šāmiyya) – la sua aria e il suo lago, da cui si beve, sono speciali per l’affinamento della lingua, la sua purezza e il parlar fiorito.4

In altre parole, un’area della «Giordania» (al-ˀUrdun), una delle cinque province della Siria islamica (al-Šām),5 era equiparabile, secondo la teoria classica dei «climi», alla penisola arabica, considerata – quest’ultima – il migliore dei paesi, perché collocata nel migliore dei climi (il quarto sui sette canonici). Questa teoria sarà sottoscritta anche da Yehudah ha-Lewi (m. 1141 circa),6 come bene appare dalla risposta data al re dei Càzari, che aveva dichiarato senza mezzi termini di non avere mai sentito parlare di una qualche superiorità degli abitanti della Siria sulle altre popolazioni.7 Ma, mentre Yehudah ha-Lewi A Tiberiade nel 926 d. C. e morto probabilmente a Fusṭāṭ (Cairo Vecchia) nel 956 o 957; cfr. HUART, Littérature, 182-183. 2 Cfr. Prairies d’or, 35. – Del tutto casuale sarà il riapparire del concetto nel “Land des reinen Verstandes”, subito dopo qualificato come “Insel”, di I. KANT (cfr. Kritik der reinen Vernunft, edizione Hamburg 1956, 287) o ne L’Île de la raison di Pierre Carlet DE MARIVAUX (1727). 3 Sull’autore, cfr. DÍEZ MACHO, Mose ibn Ezra; ulteriore bibliografia in COHEN, Aesthetic, 282. 4 Kitāb al-muḥāḍara, ed. HALKIN, 30.68-72; ed. ABUMALHAM MAS, II, 34. 5 Cfr. MARMARDJI, Textes, 6. 6 Cfr. PIATTELLI, Khàzari. 7 Kūzarī II,19, ed. BANETH - BEN-SHAMMAI, 47s; cfr. ALTMANN, Torat ha-ˀaqlimim (ora accessibile anche in versione inglese, a cura di L. SCHRAMM: Theory of Climates). 1

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sottolineava, comprensibilmente, la centralità della terra d’Israele, nel passo di Mosè Ibn Ezra desta sorpresa la precisazione che il caso di Tiberiade è eccezionale («per quanto si trovi nella provincia di Siria»). Secondo N. ALLONY la ragione di questa ammissione a denti stretti sarebbe da ricercare nella situazione storica del tempo dell’autore, con le scuole masoretiche tiberiensi in declino e la Palestina in mano ai crociati.8 Checchè ne sia, è interessante seguire il ragionamento di Mosè Ibn Ezra, che così continua, senza un legame logico apparente: (… parlar fiorito), al punto tale che quanti dalla nostra diaspora si sono recati nel loro paese, intendo dire nel paese degli Arabi, e vi si sono stabiliti, hanno guadagnato una pronuncia più fluida, raffinato la lingua e ingentilito la propria poesia, perché si sono allontanati dall’aria umida della Siria per raggiungere l’aria del Ḥijāz, secca a confronto di quella.9

A riprova, l’autore ricorda come tra i poeti pre-islamici vi fossero personaggi dei quali (a lui) appariva indubbia l’appartenenza al giudaismo, come al-Samawˀal bin ˁĀdiyāˀ10 e altri. Ma dopo qualche divagazione su temi astrologici, Mosè Ibn Ezra ritorna all’«isola della ragione»: Gli Ismailiti, per il fatto di abitare su quell’isola già descritta e per lo stretto contatto con i paesi della Persia, dell’Iraq e della Siria, hanno ingentilito il proprio parlare, abbellito la poesia e raffinato l’eloquio, più ancora degli arabi puri, i Qaḥṭāniti, abitanti del deserto, che dimorano in tende, figli che Abramo ebbe da Qeṭurah, di cui è detto: Quanto ai figli delle concubine di Abramo (Gen. 25,6) – anche se noi non conosciamo se non quelle due, Hagar e Qeṭurah.11

In qualche modo Mosè Ibn Ezra è riuscito, quindi, a spostare quanto basta un dato geografico su cui poggiava la ˁarabīya12 e, pur ammettendo l’eccezionalità del caso, a recuperare tra i centri dell’elezione linguistica Tiberiade, la casa madre dei masoreti a cui si deve la sua, e nostra, Bibbia ebraica. L’impresa, del resto, non era così difficile. Già al-Yaˁqūbī (m. dopo l’872) aveva ricordato le acque calde di Tiberiade,13 capitale della Giordania (al-ˀUrdun).14 Dal canto suo, al-Muqaddasī (n. Gerusalemme nel 945) aveva più in generale sottolineato la temperatura media del clima della Siria e come essa si collegasse naturalmente al Ḥijāz, per aggiungere che l’efficacia terapeutica delle acque di Tiberiade era tale che, al tempo di Aristotele, il re della città era ALLONY, Reaction, 3s, con ulteriore bibliografia, in buona parte ora accessibile in ALLONY, Resurgimiento; su tutto il passo, cfr. anche CHIESA, Notizia, nonché ROTH, Jewish Reactions. 9 HALKIN 30.73-75; ABUMALHAM MAS, 34. 10 Cfr. MARGOLIOUTH, Relations, 71ss. 11 HALKIN 34, 7-11; ABUMALHAM MAS, 38. – Sui Qaḥṭāniti, cfr. KROPP, Geschichte. 12 Come dire la dottrina della superiorità della lingua araba; cfr. FÜCK, Arabiya. 13 Le qualità delle acque del lago erano ben note già a Giuseppe Flavio; cfr. Bellum 3, 506 (III, X, 7). 14 Kitāb al-buldān, ed. DE GOEJE, Leiden 1891, 327; traduzione francese in MARMARDJI, Textes, 5. 8

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stato costretto a far abbattere gli impianti in cui si curavano le più diverse malattie al fine di evitare che i medici restassero senza lavoro e pazienti. Al-Muqaddas" rilevava altresì che proprio a Tiberiade esisteva una scuola scribale di tradizione veneranda e – così come in Egitto – appannaggio esclusivo dei cristiani (sic!).15 Successivamente, e in termini più generali, al-Qazw"n" (m. 1283) riprenderà un dato della haggadah giudaica,16 ricordando come “il bene” fosse stato, a suo tempo, diviso in dieci parti, nove delle quali riservate alla Siria e una sola al mondo intero; “il male”, egualmente ripartito in dieci parti, assegnato per una sola parte alla Siria, il resto a tutta la terra, perché: La Siria è la terra santa, che Dio ha eretto a dimora dei profeti e dei giusti, e in luogo in cui discende la rivelazione. Il suo clima è eccellente, la sua acqua dolce. Gli abitanti sono i migliori in quanto a fisico e a morale, per l’aspetto e per i costumi.17

2. L’intrecciarsi di questi spunti leggendari può avere forse una qualche ricaduta sul problema dell’identificazione di un personaggio tradizionalmente collegato a Tiberiade, quell’Ibr#h"m al--abar!n,, che nell’anno 820 avrebbe sostenuto una disputa con ˁAbd al-Ra>m#n al-H#?im". Tutti i principali elementi autobiografici ricordati da questo personaggio, che si dichiara «della stirpe di Adamo, della famiglia di Qa>!#n, di Tiberiade di Siria, che abita in capanne (al-ˀakw!.), sorgente di scienza (ˁilm) e racconti (o: tradizioni, ˀa.b!r)», si ritrovano – come si vede – nell’esposizione, per quanto contorta, di Mosè Ibn Ezra, sicché è difficile sfuggire al sospetto che si tratti, anche in questo caso, di una ricostruzione di fantasia. Per contro, diventa pienamente comprensibile anche l’aggiunta che si ritrova nella recensione lunga del Dialogo, ovvero l’elogio fatto dall’emiro delle capacità oratorie del monaco, qualificato come fa%,$ wa-jayyid al-kal!m, «forbito e dal discorrere perfetto».18 A$san al-taq!s,m, 179.185s. (182 per gli scribi); MARMARDJI, Textes, 95.101; LE STRANGE, Palestine, 336 e 21-22 (alle p. 334-341 in traduzione inglese le principali fonti arabe su Tiberiade). Cfr. al-Muqaddasi, La migliore divisione. Apparentemente nessuna menzione di Tiberiade compare nei frammenti del Kit!b al-buld!n di al-J#>"@ (m. 869): cfr. PELLAT, Nouvel essai, 134, nr. *55 (ringrazio Francesca BELLINO per avermi indicato quest’opera). 16 Cfr. bQidd. 49b, sulle nove misure di bellezza assegnate a Gerusalemme, la sola restante al mondo. 17 /0!r al-bil!d, ed. WÜSTENFELD, 137; MARMARDJI, Textes, 106s. 18 Cfr. MARCUZZO, Le dialogue, § 20, p. 274-275 (e n. 16 per l’aggiunta, secondo il ms. di Parigi, ar. 215, f. 50v). MARCUZZO propende, invece, per la storicità del personaggio e identifica alˀakw!. con un toponimo ricordato in Y#q!t, Muˁjam I, 241, che lo definisce «località della regione di B#ni#s, poi di Damasco» (cfr. p. 108s). È difficile, comunque, che l’espressione «sor15

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3. Tra le altre figure leggendarie legate in qualche modo a Tiberiade – questa volta per le eccezionali doti di scriba e «lettore» – si può ancora ricordare il misterioso al-Ḫiḍr (o al-Ḫaḍir), a cui si allude già nel Corano (18:59-81).19 Abū Rifāˁa ˁUmāra b. Wathīma b. Mūsā b. al-Furāt al-Fārisī al-Fasawī, morto in Egitto nel 902, raccolse nel suo Libro sull’origine della creazione e le storie dei profeti tradizioni in parte già riunite dal padre, morto nell’851.20 Trattando del personaggio in questione, l’autore ricorda che egli fin dall’infanzia si distinse per una calligrafia senza pari e per l’espressività, ineguagliata, della lettura, tanto che il suo maestro, che proveniva da Tiberiade, affermò di non aver mai visto nulla di simile nel corso della propria vita. Quando poi il re ˁAmāˀīl bandì una gara per designare il più provetto degli scribi e ognuna delle mille città del suo regno selezionò il migliore dei propri scribi, la città di Tiberiade non trovò, tra tutti gli scribi che risiedevano in essa o nei dintorni, alcuno più bravo di al-Ḫiḍr. Inutile dire che il nostro risultò primo anche nella selezione generale, scoprendosi per giunta anche figlio del re. Il racconto ha, evidentemente, una coloritura tutta fiabesca, ma pare difficile non riconoscere nell’insistenza sulla rinomata scuola scribale tiberiense un’allusione alla scuola masoretica che rese famosa la città.21 4. Una vexata quæstio legata alle vicende storiche di tale scuola è l’affiliazione religiosa degli ultimi e più rappresentativi suoi adepti, la famiglia di masoreti ben Asher. Uno dei più strenui difensori della loro piena ortodossia, ovvero della loro appartenenza alla corrente rabbanita, anziché caraita, è A. DOTAN, il quale ha dedicato al tema una monografia non molto ampia, ma densa di argomentazioni.22 Tra gli argomenti addotti per provare tale tesi vi è la dimostrazione che il ben Asher contro il quale Saadia Gaon23 scrisse il poemetto ˀEśśa mešālī non è gente di scienza e racconti» si riferisca ad al-ˀakwāḫ e non, piuttosto, a Tiberiade. 19 Su questo personaggio e le sue metamorfosi in ambito islamico e giudaico, cfr. DE HOND, Beiträge, nonché TOTTOLI, Stories, spec. 105-106. 20 Cfr. LEVI DELLA VIDA, Manoscritti, 167; il testo è stato edito da KHOURY (Wiesbaden 1978); cfr. CHIESA, Fonti, 53s. 21 Il testo è nell’ed. cit., p. 6ss. La possibilità che il racconto contenga «una sorta di allusione alla scuola degli scribi (masoreti) di Tiberiade» era stata adombrata già da VAJDA, Rec. KHOURY, 142. 22 DOTAN, Creed. 23 Cfr. MALTER, Saadia Gaon; ROSENBLATT, Book of Beliefs.

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uno dei masoreti di Tiberiade, ma un qualche polemista caraita contemporaneo dell’autore stesso. In altri termini, non potendosi certo dimostrare che Saadia non scrivesse contro un caraita, si individua, quale destinatario della polemica, un caraita di nome ben Asher, che non fosse un masoreta. Ricerca non difficile, perché si ha memoria di un certo Samuel ben Asher ben Manṣūr, «conosciuto come Abū al-Ṭayyib al-Jabalī», caraita e non masoreta. La sola difficoltà è data dalla cronologia di tale personaggio: chi lo menziona, infatti, lo dice contemporaneo di Abū ’l-Faraj Hārūn,24 e poiché quest’ultimo terminò il suo Kitāb al-muštamil nel 1026 è difficile capire come Saadia (m. nel 942) possa averlo fatto bersaglio di un attacco personale. Per ovviare alla difficoltà, DOTAN propone di identificare il Samuel ben Asher ben Manṣūr, «conosciuto come Abū al-Ṭayyib al-Jabalī», con l’Abū alṬayyib, «soprannominato al-Jabalī», ricordato da Sahl b. Maṣliaḥ come uno dei confutatori di Saadia. E poiché Sahl b. Maṣliaḥ fu attivo nella seconda metà del sec. X,25 è da presumere che la sua informazione sia più attendibile di quella fornita da Ibn al-Hītī, l’autore della Cronaca dei dottori caraiti,26 del XV sec., da cui si desumeva l’altra cronologia. Il cerchio viene quindi a chiudersi in modo perfetto: Abbiamo così dimostrato chiaramente che Samuel ben Asher, conosciuto come Abū al-Ṭayyib al-Jabalī, fu un attivo polemista caraita, contemporaneo (e forse più vecchio) di Saadia Gaon. Da tutto ciò che sappiamo non c’è ragione per cui non dobbiamo ammettere che egli fosse il ben Asher contro il quale Saadia compose l’Essa meshali.27

Peccato che la cronologia di Ibn al-Hītī sia pienamente corretta: Abū al-Ṭayyib Samuel ben Asher ben Manṣūr è, difatti, il destinatario di un responsum del caraita Yūsuf al-Baṣīr, autore attivo nel primo terzo dell’XI sec.,28 come risulta ora da un manoscritto dello stesso secolo (!), conservato nella National Library of Russia di S. Pietroburgo tra i materiali delle collezioni Firkovich.29 Naturalmente si può anche scrivere che, alla fin fine, «il problema dell’identità della persona contro cui Saadia abbia scritto l’Essa meshali non ha peso per il punto principale della discussione»: quel che conta è l’aver provato che Aharon ben Asher e suo padre Mosè non erano caraiti.30 Basterebbe provarlo, appunto, e con argomenti più solidi.31 Su questo autore caraita cfr. da ultimo: KHAN - ÁNGELES GALLEGO - OLSZOWY-SCHLANGER. DOTAN, Creed, 84. 26 MARGOLIOUTH, Chronicle. 27 DOTAN, Creed, 64; le conclusioni di DOTAN sono state accolte da GIL, History, 182 (cfr. anche p. 179). 28 Cfr. VAJDA, Muḥtawī, 4. 29 St. Petersburg, National Library of Russia, II Firkovich Coll., Arab.-Yevr. 33, f. 1r; cfr. SKLARE, Judaeo-Arabic, 108. 30 DOTAN, Creed, 85. 31 Per un quadro sicuramente più attendibile, e avvincente, della questione del caraismo e i 24 25

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5. Per avviare a conclusione questa serie di aneddoti, che intendono colmare in qualche misura una raccolta più ampia di fonti sulla storia della scuola masoretica di Tiberiade,32 diamo notizia di un’ulteriore testimonianza circa la purezza della locale tradizione di lettura del testo biblico. A parlare (verso il 938 d. C.) è, questa volta, il caraita irakeno Ya‘qūb alQirqisānī, nel suo commento a Gen 49,21: Neftali … cerva libera e veloce. Con queste parole si alluderebbe alla preminenza dei figli di Neftali tra le altre tribù «per l’impareggiabilità del parlar forbito e del discorrere squisito». Altri vorrebbero, invece, vedervi un’allusione a Baraq figlio di Abinoam, che si scagliò contro Sisera (Gdc 4,16), così come con l’espressione «parole bellissime» (della fine del versetto) si alluderebbe al Canto di Debora (e Baraq) di Gdc 5,1-31. Un altro autore, però – continua al-Qirqisānī –, propone di intendere quest’ultima come un riferimento alla «lettura e recitazione (tilāwa) della Scrittura propria della gente di Tiberiade, perché Tiberiade è parte del retaggio di Neftali e la loro lettura della Scrittura è la più bella e la più corretta».33 Bruno Chiesa Università di Torino

masoreti si veda DRORY, Models; DRORY, Le rôle. 32 Cfr. CHIESA, Emergence (uno dei pochi scritti che abbia retto alle critiche di BARTHÉLEMY: cfr. Critique, xvi s). La documentazione letteraria ed epigrafica di età greca, romana e bizantina sulla città è stata adeguatamente studiata da ADINOLFI, Il lago, e da CAMPAGNANO DI SEGNI, Tiberiade; per i riferimenti alla città nelle fonti rabbiniche, cfr. SPERBER, City, p. 196 dell’indice, s. v. Tiberias; sempre fondamentale BALDI, Enchiridion. 33 S. Pietroburgo, National Libr. of Russia, II Firkovich Y.-A. I.4529, f. 101v (recensione breve del Kibāb al-riyāḍ). – Di ḥusn qirāˀat shèveṭ Naftali, ovvero della «eccellenza della lettura della tribù di Naftali», in specie della gente di Tiberiade, parla in riferimento allo stesso passo l’anonimo compilatore di un commento alla Genesi (S. Pietroburgo, National Libr. of Russia, II Firkovich Y.-A. I.1907, f. 2r), non senza rilevare la diversità di opinioni tra i commentatori e palesare la propria preferenza per un collegamento con Debora e Baraq. – Da ultimo, si può ricordare quanto scritto nel Sefer Pitron Torah (URBACH, 343), databile tra la fine del IX e l’inizio del X sec: «Tiberiade usa nella (lettura della) Torah un linguaggio chiaro più di chiunque al mondo, dacché essi hanno una pronuncia gradevole»; cfr. anche BEIT-ARIÉ, ‫מבוא‬, 5-28.

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Bibliografia a) Fonti al-Fārisī, ˁUmāra ibn Wathīma, Kitāb badˀ al-khalq, ed. R. G. KHOURY, Les légendes prophétiques dans l’islam depuis le Ier jusqu’au IIIe siècle de l’hégire, Wiesbaden 1978. Flavius Iosephus, De Bello Iudaico (Flavii Josephi opera 6), ed. B. NIESE, Berolini 1895 (rist. 1955). Ibrāhīm al-Ṭabarānī - ˁAbd al-Raḥmān al-Hāšimī, Dialogo, ed. G. B. MARCUZZO, Le dialogue d’Abraham de Tibériade avec ˁAbd al-Raḥmān al-Hāšimī à Jérusalem vers 820, Rome 1986. al-Jāḥīẓ, Abī ˁUthmān ˁAmr ibn Baḥr, Kitāb al-buldān, Baghdad 1970. al-Masˁūdī, Abū l-Ḥasan ˁAlī ibn al-Ḥusain, Les prairies d’or. Texte et traduction par C. Barbier de Meynard et Pavet de Courteille, III, Paris 1864. Mosè Ibn Ezra, Kitāb al-muḥāḍara wal-muḏākara. Liber discussionis et commemorationis (Poetica Hebraica), ed. A. S. HALKIN, Jerusalem 1975. Mosè Ibn Ezra. Kitāb al-muḥāḍara wal-muḏākara, ed. M. ABUMALHAM MAS (2 vol.), Madrid 1986. al-Muqaddasī, Muḥammad ibn Aḥmad, ˀAḥsan al-taqāsīm fī maˁrifat al-ˀaqālīm. Descriptio imperii moslemici, ed. M. J. DE GOEJE, Leiden 1906. al-Muqaddasi, La migliore divisione per la conoscenza delle regioni, traduzione italiana in I cammini dell’Occidente: Il Mediterraneo tra i secoli IX e X, a cura di A. VANOLI, presentazione di G. VERCELLIN, Padova 2001. al-Qazwīnī, Zakarīyā ibn Muḥammad, ˀĀṯār al-bilād wa-ˀaḫbār al-ˁibād, ed. G. WÜSTENFELD, el-Cazwini’s Kosmographie II: Die Denkmäler der Länder, Göttingen 1848. Sefer Pitron Torah: A Collection of Midrashim and Interpretations, ed. E. URBACH, Jerusalem 1978. Talmud babilonese, trattato Qiddushin: H. FREEDMANN (tr.), Kiddushin (“The Soncino Babylonian Talmud”), London 1936. Yāqūt al-Ḥamawī, Muˁjam al-buldān I, Beyrouth 1955. al-Yaˁqūbī, Aḥmad ibn Abī Yaˁqūb, Kitāb al-buldān, ed. M. J. DE GOEJE, Leiden 1891. Yehudah ha-Lewi. Kitāb al-radd wa-’l-dalīl fī ’l-dīn al-dhalīl, ed. D. H. BANETH - H. BEN-SHAMMAI, Jerusalem 1977. Yehudah ha-Lewi. Il re dei Khàzari, ed. E. PIATTELLI, Torino 1960 (rist. 1991).

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b) Studi ADINOLFI M., “Il lago di Tiberiade e le sue città nella letteratura greco-romana”, LA 44 (1994) 375-380. ALLONY N., “The Reaction of Moses ibn Ezra (MiE) to ˁArabiyya (Arabism)”, in G. VAJDA (ed.), Études hébraïques. Actes du XXIXe Congrès international des Orientalistes, Paris 1975, 3-4. ALLONY N., El resurgimiento de la lengua hebrea en al-Andalus, a cura di C. DEL VALLE, Madrid 1995. ALTMANN A., “Torat ha-ˀaqlimim le-rabbi Yehudah ha-Lewi”, Melilah 1 (1944) 1-17 (versione inglese, a cura di L. SCHRAMM: “Judah Halevi’s Theory of Climates”, Aleph 5 [2005] 215-246). BARTHÉLEMY D., Critique textuelle de l’Ancien Testament III, Fribourg - Göttingen 1992. BALDI D., Enchiridion locorum sanctorum: Documenta S. Evangelii loca respicientia, Jerusalem 21955. ‫ כתב־יד בית הספריה‬:‫ ספר פתרון תורה … מהדורה פקסימילה‬:‫ בתוך‬,‫ מבוא‬,‫בית־אריה מ׳‬ .‫ ירושלים תשנ״ה‬,Heb. 4o 5767 ‫הלאומי והאוניברסיטאי בירושלים‬ CAMPAGNANO DI SEGNI L., “Tiberiade romano-bizantina attraverso le sue iscrizioni”, in F. ISRAEL et al. (ed.), Hebraica: Miscellanea di studi in onore di Sergio J. Sierra, Torino 1998, 115-163. CHIESA B., The Emergence of Hebrew Biblical Pointing: The Indirect Sources, Frankfurt a. M. 1979. CHIESA B., “Notizia ed estratti dalla Poetica ebraica di Mosheh ibn Ezra”, Annali di Ca’ Foscari 20/2 (1981) 127-136. CHIESA B., “Alcune fonti per la conoscenza della storia del testo dell’Antico Testamento ebraico nel secolo X d. C.”, in F. PARENTE (ed.), Atti del terzo convegno [dell’AISG] tenuto a Idice, Bologna, nei giorni 9-11 novembre 1982, Roma 1985, 35-56. COHEN M., “The Aesthetic Exegesis of Moses ibn Ezra”, in M. SÆBØ (ed.), Hebrew Bible / Old Testament: The History of Its Interpretation, I/2: The Middle Ages, Göttingen 2000, 282-301. DÍEZ MACHO A., Mose ibn Ezra como poeta y preceptista, Barcelona 1953. DOTAN A., Ben Asher’s Creed: A Study of the History of the Controversy, Missoula 1977. DRORY R., Models and Contacts: Arabic Literature and its Impact on Medieval Jewish Culture, Leiden 2000. DRORY R., “Le rôle de la littérature karaïte dans l’histoire de la littérature juive au Xe siècle”, Revue des Études Juives 159 (2000) 99-111.

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FÜCK J., Arabiya. Untersuchungen zur arabischen Sprach- und Stilgeschichte (Abhandlungen der Sächsischen Akademie der Wissenschaften zu Leipzig, Philologisch-hististorische Klasse 45/1), Berlin 1950 (anche in traduzione francese: Arabi3a. Recherches sur l’histoire de la langue et du style arabe, trad. par Claude DENIZEAU. Avec une préface de l’auteur et une introd. par Jean Cantineau, Paris 1955). GIL M., A History of Palestine, 634-1099, Cambridge 1992. DE HOND M., Beiträge zur Erklärung der El.i*r-Legende und von Qorân, Sure 18,59 ff, Leiden 1914. HUART C., Littérature Arabe, Paris 1902. KHAN G. - ÁNGELES GALLEGO M. - OLSZOWY-SCHLANGER J., The Karaite Tradition of Hebrew grammatical thought in its classical form: A critical edition and English translation of al-Kit!b al-k!f, …, Leiden 2003. KROPP M., Die Geschichte der ‘reinen’ Araber vom Stamme Qa$'!n, Frankfurt a. M. 1982. LEVI DELLA VIDA G., “Manoscritti arabi di origine spagnola nella Biblioteca Vaticana”, in Collectanea Vaticana in honorem A. M. Card. Albareda II, Città del Vaticano 1962, 133-189. MALTER H., Saadia Gaon: His Life and Works, New York 1929. MARGOLIOUTH D. S., The Relations between Arabs and Israelites prior to the Rise of Islam, London 1924. MARGOLIOUTH G., “Ibn Al-H"t"’s Arabic Chronicle of Karaite Doctors”, The Jewish Quarterly Review 9 (1897) 429-443. MARMARDJI A.-S., Textes géographiques arabes sur la Palestine, Paris 1951 (dell’opera esiste anche un’edizione interamente in arabo [Beirut 1948], ristampata nel 1987). PELLAT Ch., “Nouvel essai d’inventaire de l’œuvre j#>"@ienne”, Arabica 31 (1984) 117-164. ROSENBLATT S., Saadia Gaon: The Book of Beliefs and Opinions, New Haven 1948. ROTH N., “Jewish Reactions to the ˁArabiyya and the Renaissance of Hebrew in Spain”, JSS 28 (1983) 63-84. SKLARE D., Judaeo-Arabic Manuscripts in the Firkovitch Collections: The Works of Yusuf al-Basir. A Sample Catalogue, Jerusalem 1997. SPERBER D., The City in Roman Palestine, New York - Oxford 1998. LE STRANGE G., Palestine under the Muslims, London 1890. TOTTOLI R., The Stories of the Prophets by Ibn Mu'arrif al -araf,, Berlin 2003. VAJDA G., recensione di R. G. KHOURY, Les Légendes prophétiques dans l’Islam … (Codices Arabici Antiqui 3), Wiesbaden 1978, in Revue des Études Juives 139 (1980) 140-143. VAJDA G., al-Kit!b al-mu$taw, de Y+suf al-Ba%,r, Leiden 1985.

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I. L’analisi sintattica Fra i molti contributi del professor Alviero NICCACCI nei vari campi degli studi biblici, indubbiamente spiccano i suoi saggi sulla sintassi ebraica1. Prendendo le mosse dalla teorizzazione di WEINRICH, il nostro festeggiato ha studiato la prosa dell’Antico Testamento, mettendone a punto il sistema sintattico. Tre sono gli aspetti posti in luce dalle sue ricerche: anzitutto l’attitudine linguistica (raccontare o commentare); poi la messa in rilievo (distinguendo il piano principale della narrazione e lo sfondo); infine la prospettiva linguistica (ovverosia l’informazione recuperata, il grado zero e l’informazione anticipata). Non è inutile offrire qui di seguito una breve sintesi del suo metodo. Nella prima fase occorre determinare l’attitudine linguistica, se cioè la proposizione appartenga al mondo narrato o al mondo commentato: il mondo narrato è caratterizzato dalla presenza della terza persona, mentre il mondo commentato (o discorso diretto) è dominato dalla prima e dalla seconda persona2. Osserva NICCACCI: «In ebraico la forma verbale della narrazione è il WAYYIQTOL, mentre lo YIQTOL è la forma principale del discorso. WAYYIQTOL e YIQTOL sono perciò le forme fondamentali della prosa ebraica (non YIQTOL e QATAL come suppongono le grammatiche tradizionali), in quanto esse vengono identificate dall’opposizione mondo narrato (WAYYIQTOL) – mondo commentato o discorso (YIQTOL)»3. A questa prima fondamentale distinzione ne segue una seconda: occorre individuare se la proposizione sia di tipo verbale o nominale. Le proposizioni 1 Esprimo un vivissimo ringraziamento alla comunità dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme (e in particolare al decano padre G. C. BOTTINI, ofm) la cui ospitalità nei mesi estivi del 2010 mi ha permesso di preparare il presente contributo. 2 Cf. WEINRICH, Tempus, 18-21. 3 NICCACCI, Sintassi, 18.

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verbali sono caratterizzate dal verbo in prima posizione (wayyiqtol, weqatal, weyiqtol e forme volitive in prima posizione), mentre le proposizioni nominali hanno un elemento non verbale in prima posizione (sostantivi, pronomi, congiunzioni, etc.). Queste ultime si dividono ulteriormente: abbiamo una proposizione nominale semplice laddove vi sono unicamente forme nominali (fra cui anche participi e infiniti); abbiamo invece una proposizione nominale complessa dove c’è un verbo ma non in prima posizione (quest’ultima categoria vede i costrutti x-yiqtol e x-qatal, dove x indica l’elemento non verbale in prima posizione). V’è un’ulteriore distinzione riguardante la messa in rilievo della proposizione (primo piano o sfondo) e la sua prospettiva linguistica (informazione recuperata o linea principale della comunicazione o informazione anticipata), in relazione al progredire della comunicazione testuale4. Di norma la linea principale della narrazione vede una catena di wayyiqtol, mentre le altre proposizioni verbali e nominali comunicano informazioni di secondo piano o di sfondo. Nel discorso, invece, il primo piano è indicato con x-yiqtol indicativo, forme volitive, (x)-qatal e la proposizione nominale semplice, mentre lo sfondo è segnalato da una proposizione nominale semplice (laddove si vuole indicare una circostanza contemporanea) e da waw-x-qatal (quando v’è una circostanza anteriore). Circa le forme di secondo piano (o di sfondo) NICCACCI afferma: «nella narrazione l’informazione recuperata (retrospezione o antefatto) è espressa con WAW-x-QATAL iniziale, il grado zero con WAYYIQTOL, […] l’informazione anticipata con YIQTOL»5. Invece nel discorso «Si usa QATAL retrospettivo, solo oppure preceduto da kî, ˀăšer, ecc., per l’informazione recuperata; YIQTOL (iussivo), imperativo, forme volitive, o proposizione nominale semplice per il grado zero; YIQTOL (indicativo), weQATAL, proposizioni finali, ecc. per l’informazione anticipata»6. La teorizzazione di NICCACCI oltre che essere un interessante strumento euristico per l’analisi sintattica della prosa biblica, si presta pure ad essere un’ottima base di partenza per lo studio del punto di vista, all’interno di un’indagine tipicamente narrativa. Bisogna però introdurre, sia pur brevemente, i termini della discussione a proposito della focalizzazione o punto di vista.

4 Afferma WEINRICH, Tempus, 56-57: «Über die Regulierung der Sprechhaltung durch die Tempus-Gruppen der besprochenen und der erzählten Welt hinaus sind im Tempus-System Unterscheidungen angelegt, die eine Orientierung im Verhältnis zur Textzeit ermöglichen. Sie erlauben insbesondere eine relativ freie Verfügung über die Textzeit. Es kann nämlich auf diese Weise Information entweder nachgeholt oder vorweggenommen werden». 5 NICCACCI, Sintassi, 76. 6 NICCACCI, Sintassi, 82.

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II. La focalizzazione o «punto di vista» Lo studio del punto di vista7 deve molto alla teorizzazione di GENETTE, che ha dominato per più di trent’anni8. Punto di partenza della riflessione del linguista francese è la domanda: chi vede nella narrazione e come vede? Oppure: con lo sguardo di chi il narratore sceglie di far vedere l’azione? E, di riflesso: chi percepisce ciò che sta accadendo, cioè l’avvenimento nel racconto? A partire da queste domande GENETTE distingue tre punti di vista (o focalizzazioni). Anzitutto la focalizzazione zero (o discorso non focalizzato): il narratore esce dai confini spazio-temporali entro i quali si svolge l’azione e offre un’informazione che non è percepibile rimanendo all’interno del racconto; il narratore ne sa più del personaggio. V’è poi la focalizzazione interna: il narratore accede all’interiorità del personaggio, rivelando che cosa pensa e/o desidera; il narratore ne sa come il personaggio. Infine v’è la focalizzazione esterna: essa corrisponde a ciò che ogni spettatore della scena è in grado di osservare; si tratta di una visione “dal di fuori” o “esterna” (esterna al personaggio, non alla scena) e inferiore rispetto a quello che può sapere un personaggio; il narratore ne sa meno del personaggio. Tale classificazione si è imposta, pur non mancando gli echi critici. L’affondo più significativo è venuto da BAL che ha rimproverato a GENETTE di non distinguere fra il soggetto della focalizzazione (focalizor) e l’oggetto della focalizzazione (the focalized object)9. In altre parole, il linguista francese si limiterebbe ad individuare il punto di vista che scaturisce dal narratore, senza riuscire a spiegare come e con quali modalità il narratore deleghi il suo punto di vista ai personaggi del suo racconto oppure lo assuma come un’affermazione propria. Nel pertugio aperto dalla BAL s’inserisce la più ampia riflessione di RABATEL. Il linguista di Lione ha elaborato una teoria del punto di vista che prende le mosse proprio dalla distinzione fra focalizzatore e focalizzato. Egli, in particolare, rifiuta la tesi GENETTEiana che vi sia un punto di vista esterno e un punto di vista zero10. La sua definizione è totalmente inclusiva:

Cf. la rassegna panoramica di MARGUERAT, Le point de vue, 97-102. Cf. GENETTE, Figures III, 206-211. La sua teoria è entrata anche nei manuali di analisi narrativa della Bibbia: cf. SKA, Our Fathers, 65-81. 9 Cf. BAL, Narratology, 142-161. 10 Afferma: «La définition de la focalisation externe a toujours posé problème : les considérations nombreuses et, surtout, fluctuantes, autour de ce soi-disant type “neutre“, “objectif“, “impartial“ témoignent des difficultés à définir son statut. Ce qui frappe le spécialiste, c’est d’abord l’absence de critères contrastifs linguistiques discriminant les différents types de focalisation, cette absence se faisant particulièrement sentir pour la focalisation zéro» (RABATEL, L’introuvable focalisation, 88; corsivi dell’autore). L’opera teoreticamente più impegnativa è: RABATEL, La construction textuelle. 7 8

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On nommera point de vue tout ce qui, dans la référenciation des objets (du discours) révèle, d’un point de vue cognitif et axiologique, une source énonciative particulière et indique, explicitement ou implicitement, ses représentations, et, éventuellement, ses jugements sur les référents.11

Secondo RABATEL v’è sempre un punto di vista perché il discorso enuncia sempre una percezione della realtà. In altre parole egli si congeda dall’idea di una neutralità enunciativa mentre difende la tesi che pure laddove il racconto sviluppa il punto di vista di un personaggio, esso costituisce contemporaneamente il punto di vista del narratore sul personaggio e sul punto di vista del personaggio, dando luogo ad una dissolvenza incrociata (fondu enchaîné). La differenza dei punti di vista si evince dalla presenza di alcuni segnali linguistici che denotano o connotano l’istanza enunciativa all’origine della referenziazione. Parole, pensieri, percezioni possono essere rapportati e/o rappresentati secondo schemi sintattici ed enunciativi identici. Proprio a questo livello l’elaborazione di RABATEL s’intreccia con le prospettive di WEINRICH e dunque di NICCACCI a proposito della prosa biblica. Il linguista francese offre la seguente classificazione: v’è anzitutto un punto di vista raccontato che corrisponde allo svolgersi dei fatti a partire dalla prospettiva di uno degli attori dell’enunciato (personaggio o narratore), senza pertanto ch’egli si esprima. Il segnale linguistico è il racconto in primo piano: la narrazione appare essere obiettiva e nasconde quasi interamente l’enunciatore. Si tratta cioè di un punto di vista embrionale, minimale, quasi assente. V’è poi un punto di vista rappresentato che permette al narratore di descrivere con parole sue (come locutore) le percezioni e i pensieri dei personaggi che ne sono la fonte enunciativa ma che rimangono quasi mascherati dietro il racconto. Si realizza dunque una disgiunzione fra il locutore e l’enunciatore. Il segno più evidente è il passaggio al racconto in secondo piano. Infine il punto di vista asserito corrisponde al discorso diretto i cui segnali linguistici sono più facilmente riconoscibili. Va aggiunta ancora un’osservazione: non è immediato distinguere fra il punto di vista del personaggio e quello del narratore, soprattutto perché la voce del narratore è sempre presente. Spesso si crea una vera e propria polifonia, cioè una dissolvenza incrociata di punti di vista: qualunque sia la forma del punto di vista (raccontato, rappresentato e asserito) e il soggetto del punto di vista, il narratore è dappertutto in sovrimpressione. Sulla base di questo breve duplice schizzo teorico, lo studio della pericope dell’unzione di Davide (1 Sam 16,1-13) mostrarà come l’analisi sintattica secondo il metodo linguistico-testuale sviluppato da NICCACCI si rivela essere un ottimo supporto per la ricerca del punto di vista secondo il modello posto in luce da RABATEL12. 11 12

RABATEL, Points de vue, 23. Istruttivi i contributi di WÉNIN che applicano ai racconti biblici le categorie di RABATEL:

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III. L’unzione di Davide (1 Sam 16,1-13) Dopo la campagna contro Amalek e la disobbedienza a Dio (1 Sam 15,1-9), il re Saul viene respinto dal Signore (v. 10-23); Saul implora invano il perdono da Samuele (v. 24-31); la divergenza fra re e profeta è tale che il veggente arriva a uccidere di spada il re Agag (v. 32-33). A questo punto le strade di Saul e di Samuele si dividono. E tuttavia il racconto non manca di osservare che non v’è solo una rottura fra il re e il profeta; la decisione di Dio a proposito di Saul rattrista il profeta, al punto che si delinea una sorta di spaccatura fra Samuele e il Signore (v. 34-35). 1. Esposizione (v. 1)13

v. 1

‫מוּאל‬ ֵ֗ ‫ל־שׁ‬ ְ ‫הוה ֶא‬ ֜ ָ ְ‫אמר י‬ ֶ ֹ ‫וַ ֨יּ‬

E disse YHWH a Samuele:

a

‫ל־שׁ ֔אוּל‬ ָ ‫תי ַא ָתּ ֙ה ִמ ְת ַא ֵבּ֣ל ֶא‬ ֙ ַ ‫ד־מ‬ ָ ‫ַע‬

b

‫ ַעל־יִ ְשׂ ָר ֵ ֑אל‬AC֖ ‫וַ ֲא ִנ֣י ְמ ַא ְס ִ֔תּיו ִמ ְמּ‬

c

‫ ֶ֗שׁ ֶמן‬H֜ ְ‫ַמ ֨ ֵלּא ַק ְרנ‬

d

A֤‫וְ ֵל‬

e

‫ית־ה ַלּ ְח ִ֔מי‬ ַ ‫ ֶאל־יִ ַ ֣שׁי ֵ ֽבּ‬H֙ ‫ֶ ֽא ְשׁ ָל ֲח‬

f

‫׃‬A‫יתי ְבּ ָב ָנ֛יו ִ ֖לי ֶ ֽמ ֶל‬ ִ ‫י־ר ִ ֧א‬ ָ ‫ִ ֽכּ‬

g

«Fino a quando tu farai lutto su Saul mentre io l’ho rifiutato dal regnare su Israele? Riempi il tuo corno di olio, e va’, voglio mandarti da Iesse il Betlemmita, perché tra i suoi figli ho visto un re per me».

Il locutore dell’esposizione del racconto è la voce narrativa che si mostra fin dall’inizio onnisciente, rivelando di conoscere le parole del Signore a Samuele. Il sintagma la, rma (nella tipica forma narrativa in wayyiqtol) introduce un discorso riportato e indirizzato che corrisponde al punto di vista asserito del locutore. Chiari i segnali enunciativi: il pronome personale (hT'a;) rinvia al destinatario del discorso; l’avverbio temporale (yt;m'-d[;)14 e il participio (lBea;t.mi) manWÉNIN, Marques linguistiques; id., Le point de vue. 13 Il testo e la traduzione sono disposti graficamente in modo differenziato per evidenziare a colpo d’occhio i vari livelli: | Linea principale della narrazione ↑ Sfondo | Linea secondaria (antefatto) | Discorso diretto La strutturazione del testo è secondo lo schema quinario (cf. MARGUERAT-BOURQUIN, Pour lire, 58-66), ponendo in luce la moltiplicazione di “complicazioni”. 14 Commenta HABEL, The Form, 312: «Moreover, the expression ytm d[ normally implies a

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tengono il discorso nel presente, riprendendo quanto il narratore aveva già detto a proposito del profeta (15,35): Samuele fa lutto per Saul. E tuttavia a rivelare le azioni del profeta è lo stesso Signore mediante il rimprovero. In contrapposizione al lutto15 del profeta, un waw-x-qatal segnala un ritorno indietro nel tempo, ovverosia un’analessi che introduce un secondo piano, recuperando un contenuto proposizionale già offerto precedentemente (cf. 15,26); così il locutore (il Signore) ribadisce la scelta già compiuta e sulla quale non intende tornare. Né il narratore prima (15,35) né il Signore ora (16,1) esplicitano il motivo del lutto del profeta. Una tale ritenzione d’informazione, invece di essere colmata con varie ipotesi di ordine storico o psicologico16, ha da essere compresa anzitutto come strategia narrativa17. Ciò infatti che risulta è la divaricazione tra il profeta e Dio, facendo crescere l’attesa per quanto avverrà. I verbi all’imperativo (aLem; e %le) e in forma volitiva (^x]l'v.a,), poi, dirigono l’attenzione ancora su Samuele che, nonostante lo scacco, è nuovamente chiamato in gioco dallo stesso Signore. Con una nuova proposizione x-qatal si ritorna su un’informazione di livello secondario del discorso diretto che esprime la motivazione del nuovo incarico del veggente e rappresenta, narrativamente, la soluzione del problema benché ancora indeterminata: il Signore ha visto18 un re. «Non sarà dunque il “che cosa” succederà a mantenere la tensione narrativa a livello stilistico, ma il “come”»19. In altre parole non si tratterà di un intreccio di risoluzione (dove l’azione trasformatrice opera a livello pragmatico) tone of indignation rather than of tenderness». L’espressione è tipica dei rimproveri profetici: 1 Sam 1,14 (Eli rimprovera Anna per la sua presunta ubriachezza); 1 Re 18,21; Ger 4,14.21; Zac 1,12 (cf. KESSLER, Narrative Technique, 547, n. 21). 15 Il verbo lba all’hitpael ha il senso di «fare lutto» (cf. HALOT, 7); precisa BAUMANN, lb;a', in ThWAT I, 48-49: «Im Bereich des Gerichts bzw. der Gerichtsdrohung wird lba immer im Hinblick auf eine mögliche Wendung der Dinge vollzogen. […] Auch 1 Sam 15, 35; 16, 1 wird von hier aus zu verstehen sein». 16 Scrive POLZIN, Samuel, 154: «God had rejected someone whom Samuel had so successfully molded to his own power-driven specifications». 17 Come osserva FOKKELMAN, Narrative Art, 115: «The reader’s imagination fills in the text which itself leaves a blank here». 18 Compare qui per la prima volta il verbo har: il suo significato fondamentale è «vedere», anche se il verbo può indubbiamente anche assumere il senso di «scegliere, eleggere» (cf. HALOT, 1159); tuttavia si preferisce il primo significato (senza escludere il secondo) perché tutto l’episodio è giocato sulla differenza fra il vedere di Dio e il vedere di Samuele. Annota ALTER, The Art, 148-149: «The verb “chosen” (raˀho be) points neatly in two thematic directions. It is an antonym of “reject” (maˀos be) and “to choose not” (loˀ baḥor be), which function as Leitwörter referring both to the turning away of Saul and the choices not to be made among Jesse’s sons. At the same time, the literal meaning of the idiom is “to see in”, and the verb “to see” will be the other dominant thematic key-word of the story». 19 VIRONDA, Gli inizi, 265-266. Conviene ricordare la definizione offerta da BARONI, La tension narrative, 18: «La tension est le phénomène qui survient lorsque l’interprète d’un récit est encouragé à attendre un dénouement, cette attente étant caractérisée par une anticipation teintée d’incertitude qui confère des traits passionnels à l’acte de réception».

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ma di un intreccio di rivelazione (in cui v’è un aumento di conoscenza)20. Ricorrendo al linguaggio degli “universali narrativi” si può parlare di curiosità21: un elemento del passato (la scelta del nuovo re) sfugge al lettore perché il narratore ha deciso di passarlo sotto silenzio, mettendo in moto una ricerca basata sulle inferenze. 2. Prima complicazione (v. 2-4b)

v. 2

֙‫מוּאל‬ ֵ ‫אמר ְשׁ‬ ֶ ֹ ‫וַ ֤יּ‬

E disse Samuele:

a

A‫ ֵא ֔ ֵל‬A‫ֵ ֣אי‬

b

‫וְ ָשׁ ַ ֥מע ָשׁ ֖אוּל‬

c

‫וַ ֲה ָר ָג֑נִ י‬

d

«Come potrò andare? Certamente Saul sentirà e mi ucciderà».

e

‫הוה‬ ֗ ָ ְ‫אמר י‬ ֶ ֹ ‫וַ ֣יּ‬

E disse YHWH: H‫ֶעגְ ַל֤ת ָבּ ָק ֙ר ִתּ ַ ֣קּח ְבּיָ ֶ ֔ד‬

f

‫וְ ָ ֣א ַמ ְר ָ֔תּ‬

g

‫אתי׃‬ ִ ‫יהו֖ה ָ ֽבּ‬ ָ ‫ִלזְ ֥בֹּ ַח ַ ֽל‬

h

«Una giovenca dell’armento prenderai nella tua mano e dirai: “Per sacrificare a YHWH sono entrato”!

v. 3

‫את ְליִ ַ ֖שׁי ַבּ ָזּ ַ֑בח‬ ָ ‫וְ ָק ָ ֥ר‬

E chiamerai Iesse al sacrificio,

a

‫ר־תּ ֲע ֶ֔שׂה‬ ַ ‫ ֵ ֣את ֲא ֶ ֽשׁ‬H֙ ‫אוֹד ֲיע‬ ֽ ִ ‫וְ ָ ֽאנ ִֹ֗כי‬

b

‫׃‬H‫וּמ ַשׁ ְח ָ ֣תּ ֔ ִלי ֵ ֥את ֲא ֶשׁר־א ַ ֹ֖מר ֵא ֶ ֽלי‬ ָ

c

mentre io ti farò conoscere quanto dovrai fare e ungerai per me colui che ti dirò». v. 4

‫הוה‬ ֔ ָ ְ‫שׁר ִדּ ֶבּ֣ר י‬ ֣ ֶ ‫מוּאל ֵ ֚את ֲא‬ ֵ֗ ‫וַ ַיּ ַ֣עשׂ ְשׁ‬

E fece Samuele quanto aveva detto YHWH

a b

‫וַ ֖יָּב ֹא ֵבּ֣ית ָל ֶ֑חם‬

ed entrò in Betlemme.

Cf. MARGUERAT-BOURQUIN, Pour lire, 80-81. Cf. la teorizzazione di STERNBERG, Expositional, 65: «Suspense derives from a lack of desired information concerning the outcome of a conflict that is take place in the narrative future; […] curiosity is produced by a lack of information that relates to the narrative past». «For surprise, however, the narrative first unobtrusively gaps or twists its chronology, then unexpectedly discloses to us our misreading and enforces a corrective rereading in late re-cognition» (id., How Narrativity, 117). 20 21

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Il narratore riprende la linea principale del racconto, introducendo la risposta di Samuele. La domanda diretta del veggente (v. 2b-d) ha la forma dell’obiezione e introduce un ulteriore elemento di tensione, legato al pericolo della sua stessa vita22. Occorre osservare che il profeta si sente minacciato da Saul, non dal re: l’utilizzo del nome proprio invece che del titolo regale, segnala che il veggente, nonostante la sua interiore opposizione, ha accettato l’inappellabile decisione di Dio. La risposta divina all’obiezione di Samuele introduce un nuovo punto di vista asserito del Signore e dunque un nuovo cambio di locutore. Narrativamente l’intervento di Dio ha una duplice funzione: da una parte rappresenta l’azione trasformatrice che supera la prima complicazione, dall’altra fa avanzare il racconto introducendo una novità: l’unzione di uno dei figli di Iesse (già annunciata nel primo ordine [v. 1]) avverrà nel contesto di un sacrificio. La precisazione tuttavia non chiarisce l’identità del futuro re che rimane ancora sconosciuta. La linea principale del discorso diretto del Signore è interrotta da una proposizione di tipo waw-x-yiqtol (v. 3b) che esprime contemporaneità ma pure un sottile contrasto con quanto è stato detto precedentemente: l’accento cade sul pronome personale ykinOa' che rimanda solennemente al locutore23. A guidare tutta l’azione è il Signore: Samuele dovrà semplicemente agire di conseguenza24. L’enfasi sul ruolo da protagonista del Signore è ribadito da un altro segnale enunciativo, il complemento preposizionale yli (v. 3c) che richiama quanto già detto al v. 125. Il comando del Signore pone non pochi problemi; se dal punto di vista narrativo esso rappresenta l’azione trasformatrice, la sua interpretazione è discussa. Non pochi commentatori moderni parlano di “sotterfugio” per proteggere il profeta26; e tuttavia i commentatori ebrei medievali erano di tutt’altro avviso. Kimchi, menzionando l’interpretazione del midrash, pone in bocca al Signore questa espressione: «$twa grwh ym harnw ayshrpb $l»27. In altre parole: a fronte del timore di Samuele Dio ordina al profeta di compiere un sacrificio pubblico, così che l’unzione del nuovo re sia “ufficiale”. 22 Notevoli sono i parallelismi fra l’obiezione di Samuele e quella di Mosè (Es 3): 1. ambedue sono inviati: ^x]l'v.a, %lew> (1 Sam 16,1) e ^x]l'v.a,w> hk'l. hT'[;w> (Es 3,10); 2. v’è l’obiezione del chiamato: %leae %yae (1 Sam 16,2) e %leae yKi ykinOa' ymi (Es 3,11); 3. ricorre il motivo del sacrificio: ytiaB' hw"hyl; x:Boz>li (1 Sam 16,2) e hw"hyl; hx'B.z>nIw> (Es 3,18). Cf. HABEL, The Form, 297-305. 23 Come nota COSTACURTA, Con la cetra, 35: «Il pronome “io” è sovrabbondante per la sintassi ebraica, e perciò enfatico, sottolineando l’iniziativa di Dio e il fatto che tutto si deve risolvere tra Lui e il re». 24 Commenta FOKKELMAN, Narrative Art, 116: «This pair [v. 3bc] tresses the relationship of Samuel with his God, assumes his obedience, and pacifies him concerning his task: God himself assists him». 25 I due valori di dativus commodi e dativus possessoris sembrano essere entrambi pertinenti (cf. GKC, § 119 r-s). 26 Così SMITH, A Critical, 144. 27 83 ,twlwdg twarqm ,!hk.

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Col passaggio (v. 4a) alla linea principale della narrazione (per mezzo di una proposizione con wayyiqtol), la parola ritorna alla voce narrativa che annuncia l’esecuzione dell’ordine da parte del profeta. Se la prima complicazione ha trovato la sua soluzione per mezzo dell’azione trasformatrice (l’ordine del Signore), l’esecuzione di Samuele si realizza solo a metà. Allorché egli entra a Betlemme il narratore introduce una seconda complicazione. E tuttavia proprio l’esecuzione dei comandi divini (sintetizzati dal verbo f[;Y:w:, con una notevole accelerazione del racconto), pone finalmente il profeta in sintonia con la volontà di Dio28. 3. Seconda complicazione (v. 4c-5) ‫אתוֹ‬ ֔ ‫יר ִל ְק ָר‬ ֙ ‫וַ יֶּ ֶח ְר ֞דוּ זִ ְק ֵנ֤י ָה ִע‬

Gli anziani della città vennero incontro a lui trepidanti

v. 4

c d

‫אמר‬ ֶ ֹ ‫וַ ֖יּ‬

e si disse29:

e

‫׃‬H‫בּוֹא‬ ֽ ֶ ‫ם‬C֥ ‫ָשׁ‬

«Pace il tuo entrare»30?

v. 5

‫אמר ׀‬ ֶ ֹ ‫וַ ֣יּ‬

E disse:

a

‫ָשׁ ֗לוֹם‬

b

‫אתי‬ ִ ‫ִלזְ ֤בֹּ ַח ַ ֽליהוָ ֙ה ָ֔בּ‬

c

‫ִ ֽה ְת ַק ְדּ ֔שׁוּ‬

d

‫אתם ִא ִ ֖תּי ַבּ ָזּ ַ֑בח‬ ֥ ֶ ‫וּב‬ ָ

e

«Pace. Per sacrificare a YHWH sono entrato. Santificatevi, così entrerete con me al sacrificio»! ‫ת־בּ ָ֔ניו‬ ָ ‫שׁי וְ ֶא‬ ֙ ַ ִ‫וַ יְ ַק ֵ ֤דּשׁ ֶאת־י‬

f

‫וַ יִּ ְק ָ ֥רא ָל ֶ ֖הם ַל ָזּ ַֽבח׃‬

g

E fece santificare Iesse e i suoi figli e li chiamò al sacrificio.

Continua la catena di wayyiqtol nella linea principale del racconto in bocca al narratore. È introdotta una seconda complicazione, proveniente dagli anziani di Betlemme, la quale corrisponde pure ad un rallentamento narrativo che fa crescere la suspense. Ancora una volta non è detto il motivo della trepidazione Cf. VIRONDA, Gli inizi, 268. Alcuni manoscritti hanno il plurale che sembrerebbe più coerente. GKC, § 144 d, lo interpreta come un impersonale. 30 La Septuaginta aggiunge a questo punto o` ble,pwn, variante attestata anche a Qumran: harh (4QSamb 4,4). 28 29

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timorosa degli anziani, come non si diceva da che cosa fosse causato il lutto di Samuele31. È possibile un’inferenza a partire da una costante dei capitoli precedenti: allorché Samuele si sposta (cf. 13,10.13-14; 15,12.13.15-23) v’è sempre un giudizio nei confronti della realtà (là la monarchia)32. Diventa così forse comprensibile il timore degli anziani a fronte della visita del profeta33. Se la risposta che Samuele offre agli anziani risolve subito la complicazione creatasi con il suo arrivo, l’ordine del profeta inizia a dare attuazione al comando ricevuto da Dio (cf. v. 2h). In realtà dopo il dialogo fra gli anziani e il veggente, il passaggio alla linea principale del racconto (v. 5fg) rappresenta un restringimento del campo d’azione del profeta: degli anziani e degli abitanti di Betlemme non si dirà più nulla; tutta l’attenzione si concentra su Iesse e i suoi figli. 4. Terza complicazione (v. 6-10)

v. 6

‫בוֹאם‬ ָ֔ ‫וַ יְ ִ ֣הי ְבּ‬

E avvenne che, nel loro entrare,

a

‫יאב‬ ֑ ָ ‫ת־א ִל‬ ֱ ‫וַ ַיּ ְ֖ רא ֶא‬

b

‫אמר‬ ֶ ֹ ‫וַ ֕יּ‬

c

vide Eliab e disse:

d

‫יחוֹ׃‬ ֽ ‫הו֖ה ְמ ִשׁ‬ ָ ְ‫ ֶנ֥ גֶ ד י‬A‫ַ ֛א‬

«Certamente è di fronte a YHWH il suo unto»! ‫מוּאל‬ ֵ֗ ‫ל־שׁ‬ ְ ‫הוה ֶא‬ ֜ ָ ְ‫אמר י‬ ֶ ֹ ‫וַ ֨יּ‬

Ma disse YHWH a Samuele:

v. 7

a

b «Non prestare attenzione al suo aspetto e all’altezza della sua statura ‫ִ ֣כּי ְמ ַא ְס ִ ֑תּיהוּ‬ c perché l’ho rifiutato, ‫ִ ֣כּי ׀ ֗ל ֹא ֲא ֶ ֤שׁר יִ ְר ֶא ֙ה ָה ָא ָ ֔דם‬ d perché non [è] ciò che vede l’uomo; ‫קוֹמ ֖תוֹ‬ ָ ‫ל־מ ְר ֵ ֛אהוּ וְ ֶאל־גְּ ֥בֹ ַהּ‬ ַ ‫ל־תּ ֵבּ֧ט ֶא‬ ַ ‫ַא‬

31 I commentari propongono diverse soluzioni: HERTZBERG, Die Samuelbücher, 105-106, afferma: «Der Empfang durch die Ältesten, die weit mehr geängstigt als geehrt erscheinen, mag darauf beruhen, daß sie von dem Zerwürfnis zwischen Samuel und Saul wissen und fürchten, Unannehmlichkeiten zu bekommen, wie später die Bewohner der Priesterstadt Mob». Di diversa opinione è KLEIN, 1 Samuel, 160: «Their trembling may reflect their general reverence for Samuel, […] but it also shows a good deal of apprehension». 32 Cf. VIRONDA, Gli inizi, 269. 33 Diversa, ma a nostro avviso meno fondata, l’interpretazione di CAQUOT-DE ROBERT, Les livres, 188: «La crainte manifestée par les anciens de Bethléem veut évoquer probablement le caractère extraordinaire de la mission de Samuel (cf. 21. 2). Par ailleurs, le rôle de celui-ci dans la célébration du sacrifice et l’insistance sur la sanctification rituelle le font apparaître sous des traits sacerdotaux».

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e

‫יהו֖ה יִ ְר ֶ ֥אה ַל ֵלּ ָ ֽבב׃‬ ָ ַ‫ו‬

f

l’uomo infatti guarda negli occhi34 ma YHWH vede il cuore»35.

v. 8

‫ל־א ִ ֣בינָ ָ ֔דב‬ ֲ ‫שׁי ֶא‬ ֙ ַ ִ‫וַ יִּ ְק ָ ֤רא י‬

Iesse chiamò Abinadab

a

‫מוּאל‬ ֑ ֵ ‫וַ יַּ ֲע ִב ֵ ֖רהוּ ִל ְפ ֵנ֣י ְשׁ‬

b

‫אמר‬ ֶ ֹ ‫וַ ֕יּ‬

c

e lo fece passare davanti a Samuele, e [questi] disse:

d

‫הוה׃‬ ֽ ָ ְ‫א־ב ַ ֥חר י‬ ָ ֹ ‫ם־בּ ֶז֖ה ֽל‬ ָ ַ‫גּ‬

«Nemmeno costui ha scelto YHWH»!

v. 9

‫וַ יַּ ֲע ֵ ֥בר יִ ַ ֖שׁי ַשׁ ָ ֑מּה‬

Iesse fece passare Sammà,

a b

‫אמר‬ ֶ ֹ ‫וַ ֕יּ‬

e [Samuele] disse:

c

‫הוה׃‬ ֽ ָ ְ‫א־ב ַ ֥חר י‬ ָ ֹ ‫ם־בּ ֶז֖ה ל‬ ָ ַ‫גּ‬

«Nemmeno costui ha scelto YHWH»! ‫מוּאל‬ ֑ ֵ ‫וַ יַּ ֲע ֵ ֥בר יִ ַ ֛שׁי ִשׁ ְב ַ ֥עת ָבּ ָנ֖יו ִל ְפ ֵנ֣י ְשׁ‬

E Iesse fece passare i suoi sette figli davanti a Samuele ‫מוּאל֙ ֶאל־יִ ַ֔שׁי‬ ֵ ‫אמר ְשׁ‬ ֶ ֹ ‫וַ ֤יּ‬

e disse Samuele a Iesse:

v. 10

a b c

‫הו֖ה ָבּ ֵ ֽא ֶלּה׃‬ ָ ְ‫א־ב ַ ֥חר י‬ ָ ֹ‫ל‬

«YHWH non ha scelto fra questi».

34 Si preferisce questa traduzione (sacrificando la ripetizione del verbo «vedere»), perché idiomatica in italiano. 35 Il testo massoretico è difficile. La Septuaginta l’ha esplicitato in questo modo: o[ti ouvc

w`j evmble,yetai a;nqrwpoj( o;yetai o` qeo,j\ o[ti a;nqrwpoj o;yetai eivj pro,swpon( o` de. qeo.j o;yetai eivj kardi,an (così nel codice Vaticanus; il testo antiocheno è lievemente differente: o[ti ouvc w`j a'n i;dh| a;nqrwpoj( ou[twj o;yetai o` qeo,j …). Commenta MCCARTER, I Samuel, 274:

«The text of MT is defective (yr′h h′lhym having fallen out by homoioarkton), reading ky l′ ′šr yr′h h′dm ky h′dm yr′h l′ynym wyhwh yr′h llbb, “For it is not what (the) man sees, for (the) man looks into the eyes, but Yahweh looks into the heart.” Space considerations suggest that 4QSamb shared the longer reading of LXX». Difende la lezione del testo massoretico BARTHÉLEMY, Critique textuelle, 189: «Mieux vaut admettre que le grec, ou plutôt sa Vorlage […] ont glosé un texte sobre de type massorétique». Anche la Peshitta ha una lezione diversa (al v. 7d): )$N) )zXd kY) D[Yg tYwh )L. Sostiene JOOSTEN, 1 Samuel, 229: «Though the MT is not clear, it gave the translator no cause to introduce a 1st person (pronoun or verb). I submit, therefore, that here, as in v. 6, the Syriac must be explained as being based on a variant Hebrew text. The following is a possible retroversion of the Syriac into Hebrew: kī lōˀ kaˀªšer yirˀeh hāˀādām ˀªnî (ˀānōkī), “I am not similar to what man sees”». E conclude: «It would seem that the MT is indeed secondary to the text preserved by the Peshitta version» (p. 231). Pure la Vulgata rende con la prima persona singolare: «nec iuxta intuitum hominis iudico». La differenza delle versioni testimonia la difficoltà del testo massoretico che, proprio per questa ragione, deve essere mantenuto.

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La terza complicazione è introdotta dal costrutto yhiy>w:, definito da NICCACCI un «segno macrosintattico della narrazione»36, con la funzione di rendere verbale la circostanza temporale che introduce. All’interno di uno schema sintattico a due membri37 la voce narrativa introduce i personaggi, in prima battuta senza svelarne l’identità (v. 6a), poi chiamandoli per nome (v. 6b.8a.9a). Quali sono le strategie narrative poste in essere dal narratore? In primo luogo la voce narrativa informa che Samuele (in realtà il soggetto non è espresso ma lo si può facilmente dedurre dal contesto) «vide Eliab» (v. 6b). Una tale informazione è della massima importanza perché proprio intorno al campo semantico del “vedere” è costruito tutto l’intreccio38. Il lettore sa che il Signore ha visto (e/o scelto) un re tra i figli di Iesse (v. 1) e conosce l’ordine divino dato al profeta (v. 3c). Il lettore attende dunque che il profeta individui il futuro re. E tuttavia, a dispetto delle attese dell’udienza narrativa, il narratore introduce una serie di elementi ritardanti che hanno l’effetto di far crescere la suspense, la quale è tanto più intensa quanto più prolungata; inoltre associa il lettore prima al punto di vista asserito di Samuele (v. 6d), poi a quello di Dio (v. 7b-f). Il dialogo tra il profeta e Dio è interamente giocato sulla contrapposizione di punti di vista. In realtà l’affermazione di Samuele a proposito di Eliab più che rappresentare il suo punto di vista asserito, intende esprimere il punto di vista di Dio. La presenza dei segnali enunciativi lo mostra: l’assenza della seconda persona, il riferimento a hwhy, l’uso del pronome di terza persona (Axyvim.) e la forma asseverativa spingono a cogliere nelle parole del profeta una troppo frettolosa (ed errata) anticipazione del giudizio di Dio39. In realtà la risposta divina, espressa ancora una volta per mezzo di un punto di vista asserito, capovolge la prospettiva40. Eliab è infatti descritto come un alter Saul: se il suo aspetto e la sua statura richiamano la bellezza e l’altezza del primo re d’Israele (cf. 9,2; 10,23), la reazione del Signore è ancora una volta il rifiuto (cf. 15,23; 16,1)41. Con un passaggio ad una proposizione nominale semplice (v. 7d)42, Cf. NICCACCI, Sintassi, 21. Lo schema sintattico a due membri è costituito da una protasi (preposizione + infinito costrutto [v. 6a]) e da un’apodosi (wayyiqtol [v. 6b]) (cf. ibid., 83-100). 38 Cf. l’analisi di FOKKELMAN, Narrative Art, 121-125, a proposito del verbo har. 39 Commenta STERNBERG, The Poetics, 97: «Ironically, the prophet commits his worst mistake in the first and easiest test. What would be more natural than to disqualify or at least distrust (with the reader) the candidate who shares the rejected king’s most salient feature? But Samuel again puts a favorable construction on physical stature and beauty (cf. 10:24), with ignominious results». 40 La formula d’introduzione (laeWmv.-la, hw"hy> rm,aYOw: – v. 7a) ricalca esattamente quella iniziale (v. 1a), offrendo così al lettore un indizio di rimprovero (cf. KESSLER, Narrative Technique, 546-547). 41 Si può anche ipotizzare che il suffisso del verbo (WhyTis.a;m.) si riferisca alle caratteristiche fisiche, sicché sarebbero proprio queste (aspetto e altezza) ad essere rigettate. 42 FOKKELMAN, Narrative Art, 122-123, individua nel v. 7d il centro del discorso di Dio, tro36 37

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sempre all’interno del discorso diretto del Signore, s’introduce l’opposizione fra il vedere dell’uomo e quello di Dio. L’uomo vede secondo la misura di ciò che percepisce con gli occhi43, ovverosia di ciò che appare44, il Signore invece scruta il cuore, cioè la ragione e la volontà. Nella contrapposizione dei due punti di vista emerge l’ironia drammatica, tutta a spese del profeta il quale, nonostante il suo stato e il suo ruolo ben riconosciuto, si ritrova in dissonanza con il Signore45. La contrapposizione dei punti di vista fa crescere la competenza di Samuele e del lettore. Se, come già si è osservato, v’è un intreccio di rivelazione, l’esplicitazione dei criteri divini offre una preziosa informazione a proposito delle caratteristiche del futuro re. Tuttavia cresce pure l’opacità: il testo infatti non esplicita (se non per negazione) quali siano i criteri corrispondenti al cuore di Dio. Il lettore poi è informato a proposito del dialogo fra Dio e il suo profeta, trovandosi così in una posizione di superiorità rispetto a Iesse il quale, invece, ignora la parola divina a Samuele. Per mezzo di questo scarto, allorché il padre presenta al veggente Abinadab, Sammà e gli altri figli, il lettore, ascoltando le tre sentenze del profeta che riferiscono il punto di vista celeste (v. 8-10), è pure in grado di inferire (almeno negativamente) il motivo della scelta di Dio, rigorosamente taciuto a Iesse: i suoi figli (che sembrano essere tutti i suoi figli) non corrispondono ai criteri richiesti da Dio per l’elezione del re. La narrazione, iniziata con una giusta velocità (v. 6), rallenta a motivo di una pausa descrittiva46 e riflessiva (v. 7), equivalente ad un’estrema lentezza narrativa ma, per mezzo della presentazione degli altri due giovani (v. 8-9), rivandosi in mezzo fra due yKi. 43 Per ben due volte si ripete il sintagma l. har; il lamed può indicare l’oggetto della visione (quindi: «vedere l’apparenza» e «vedere il cuore») oppure essere considerato come lamed normæ (cf. FOKKELMAN, Narrative Art, 724; JOÜON, Grammaire, § 133 d;). Nella stessa linea si pone JONGELING, La préposition, 97: «Il me semble que le deuxième L (LLBB) doit être compris dans le même sens que le premier (LcYNYM), et qu’il faut traduire: “YHWH voit selon (la norme) le (du) cœur”. Pour l’homme les yeux sont la norme selon laquelle il voit et juge, pour Dieu c’est le cœur». JENNI, Präposition Lamed, 281 parla di «normative Relationen („gemäß”)» e a proposito del nostro passo afferma: «bb'Lel; / ~yIn:y[el; „(sehen = beurteilen) nach den Augen/nach dem Herzen”» (p. 282). È forse possibile che l’espressione sia anfibologica: da una parte si dice che il Signore «vede il cuore», dall’altra che «vede secondo il cuore», coerentemente con quanto era stato annunciato in 13,14. Interessante è la versione dell’intero v. 7 offerta da BUBER e ROSENZWEIG: «ER aber sprach zu Schmuel: Blicke nimmer auf sein Aussehn, auf seinen ragenden Wuchs, denn ich habe ihn verworfen, denn nicht was der Mensch sieht ists, denn: der Mensch sieht in die Augen, ER aber sieht in das Herz» (BUBER-ROSENZWEIG, Bücher der Geschichte, 197). 44 DHORME, Les livres, 141-142 commenta: «Le mot ~yIn:y[e signifie l’aspect extérieur (cf. le v. 12 ; Lev. XIII, 5, 37, 55 ; Num. XI, 7). Le grec des Septante a traduit par pro,swpon». 45 Come già affermava Rashi (82 ,twlwdg twarqm ,!hk): «hawr $nyaX $[ydwm yna !ak ,(jy,j a‫״‬X) ‫״‬hawrh ykna‫ ״‬lwaXl trmaX ,‫׳‬hawr‫ ׳‬$mc[l tarqX p‫[״‬a». 46 La “pausa descrittiva” è un «ralentissement extrême de la narration, où un segment du récit correspond à une durée nulle sur le plan de l’histoire racontée» (MARGUERAT-BOURQUIN, Pour lire, 123).

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prende una velocità normale (dove il tempo del racconto equivale al tempo della storia) per aumentare ancor più con il sommario finale (v. 10a). Un simile stratagemma porta la tensione narrativa al suo acme. Infatti per mezzo dell’ultimo e autorevole giudizio di Dio (v. 10c) la complicazione sembra prendere il sopravvento sul programma iniziale (v. 1.3) sancendone il fallimento. A tirare una simile conclusione contribuisce pure l’utilizzo del numero «sette» che normalmente indica completezza. 5. Azione trasformatrice (v. 11-12)

v. 11

‫מוּאל ֶאל־יִ ַשׁ֮י‬ ֣ ֵ ‫אמר ְשׁ‬ ֶ ֹ ‫וַ ֨יּ‬

E disse Samuele a Iesse:

a b

‫ם‬ ֒ ‫ֲה ַ ֣תמּוּ ַהנְּ ָע ִרי‬

«Sono proprio finiti i ragazzi»?

c

‫אמר‬ ֶ ֹ ‫וַ ֗יּ‬

E disse: ‫עוֹד ָשׁ ַ ֣אר ַה ָקּ ָ֔טן‬

d

‫וְ ִה ֵנּ֥ה ר ֶ ֹ֖עה ַבּ ֑צּ ֹאן‬

e

«È rimasto ancora il più piccolo, ed ecco sta pascolando il gregge».

f

‫שׁי‬ ֙ ַ ִ‫מוּאל ֶאל־י‬ ֤ ֵ ‫אמר ְשׁ‬ ֶ ֹ ‫וַ ֨יּ‬

E disse Samuele a Iesse: ‫ִשׁ ְל ָ ֣חה‬

g

‫וְ ָק ֶ֔חנּוּ‬

h

‫ִ ֥כּי לֹא־נָ ֖סֹב ַעד־בּ ֹ֥אוֹ ֽ ֹפה׃‬

i

«Manda e prendilo perché non ci metteremo [a tavola] finché non sarà entrato qui»! v. 12

‫וַ יִּ ְשׁ ַל֤ח‬

E mandò

a

‫הוּ‬ ֙ ‫יא‬ ֵ֙ ‫וַ ִיְב‬

b

↑ ‫֑ר ֹ ִאי‬

c

e lo fece entrare ‫מוֹני ִעם־יְ ֵ ֥פה ֵע ַינ֖ יִ ם וְ ֣טוֹב‬ ִ֔ ‫וְ ֣הוּא ַא ְד‬

ed egli era rossiccio, con bellezza di occhi e piacevole d’aspetto.

‫הו֛ה‬ ָ ְ‫אמר י‬ ֶ ֹ ‫וַ ֧יּ‬

E disse YHWH:

d

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e

‫ְמ ָשׁ ֵ ֖חהוּ‬

f

‫י־ז֥ה ֽהוּא׃‬ ֶ ‫ִ ֽכּ‬

g

«Alzati, ungilo perché è lui»!

La domanda di Samuele a Iesse (v. 11b) introduce l’ultima azione trasformatrice che conduce alla soluzione; la questione del profeta rilancia la narrazione47 ma insieme riporta il lettore alla verità della parola pronunciata da Dio: «Samuele sospetta che ci siano ancora altri ragazzi, perché sa che la parola del Signore nel v. 1 deve essere vera»48. Ad essere sbugiardato è Iesse che non ha presentato al profeta tutti i suoi figli. Che il dialogo fra i due introduca qualcosa di nuovo lo si comprende dalla duplice introduzione del narratore (v. 11a.f) nel quale si esplicitano nuovamente sia il locutore come l’allocutore. Se la presentazione dei sette figli di Iesse e il relativo rifiuto divino avevano gettato un’ombra di sospetto sulla promessa divina e sulla missione del profeta facendo crescere la suspense, la narrazione riprende vigore per mezzo di una sorpresa che per modalità e contenuto contraddice gli indizi precedenti: Iesse ha un ottavo figlio il cui nome non è ancora esplicitato. Il ragazzo è presentato secondo il punto di vista asserito del padre come «il più piccolo»49, ora occupato nella cura del gregge come pastore. Il profeta e il lettore, a differenza di Iesse, conoscendo i criteri dati da Dio (v. 7), colgono nella presentazione del «più piccolo» il contraltare di Eliab e di Saul (cf. 9,2; 10,23), caratterizzati per l’altezza della loro statura. La stessa valenza ironica ha il riferimento al pastore del gregge: sulla bocca di Iesse denota una semplice circostanza, alle orecchie del lettore, invece, evoca una delle caratteristiche del re, pastore del suo popolo50 più che uomo d’armi. All’ordine di Samuele di convocare il giovanetto (v. 11g-i) corrisponde la pronta esecuzione di Iesse (v. 12a-b). Nel momento in cui il «più piccolo» entra51 la narrazione è al suo climax: l’intreccio di rivelazione è giunto alla sua soluzione. Ma, a dispetto delle attese, il narratore frena il racconto introducendo una descrizione (la cui velocità narrativa corrisponde a zero) e frustrando le Cf. CAQUOT–DE ROBERT, Les livres, 189. VIRONDA, Gli inizi, 274. 49 Commenta KLEIN, 1 Samuel, 161: «Perhaps we should see in the word !jqh (v 11) the connotation of “smallest”, as well as youngest». 50 Contro CAQUOT–DE ROBERT, Les livres, 189, che affermano: «La qualification de David comme “berger” a été surexploitée par certains théoriciens de la “royauté sacrée” qui voient en tout “pasteur” un titre royal». 51 FOKKELMAN, Narrative Art, 123, nota che le ricorrenze del verbo awb sono otto (v. 2h.4b.e. 5c.e.6a.11i.12b), così come (accettando la lezione della Septuaginta al v. 7d) quelle della radice har (v. 1g.6b.7b.d [2x].e.f.12c); ciò corrisponde al numero dei figli di Iesse. 47 48

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aspettative: «Ed egli era rossiccio, con bellezza di occhi52 e piacevole d’aspetto» (v. 12c). Prima di individuare la fonte enunciativa dell’apprezzamento del ragazzo occorre porre in luce le relazioni intertestuali. Due sembrano essere le allusioni reperibili nella descrizione del giovanetto. La prima allusione, legata alla bellezza/bontà (bwOj), ricorda la figura del neonato Mosè che proprio in questo modo (aWh bAj-yKi) era caratterizzato (Es 2,2). Se la bellezza di Mosè era la ragione della sua salvezza e quindi della sua crescita, la bellezza di Davide prelude ad uno splendido futuro. La seconda allusione è ad Esaù che alla nascita aveva l’inconsueto colore rossiccio (ynImod>a;) della pelle e/o dei capelli (Gen 25,25). «Due personaggi molto diversi tra di loro, ma con un importante punto in comune: ambedue hanno a che fare con il capovolgimento delle usuali graduatorie d’importanza tra fratelli. […] Forse c’è, velatamente, un gioco di personaggi, una strana somiglianza nel destino cui sono destinati, a parti invertite, questi due “rossi” protagonisti della storia d’Israele»53. Ma, al di là delle pur importanti allusioni, il lettore non tarda a cogliere la problematicità di un simile apprezzamento. Esso infatti riprende quasi letteralmente le espressioni utilizzate per tratteggiare Eliab e per offrire un nuovo modello di discernimento (v. 7b.e); il fatto poi che la descrizione del ragazzo culmini con l’espressione yairo bAj, echeggia l’importante motivo del “vedere” (har), filo rosso dell’intera narrazione, ma sembra smentire palesemente i criteri offerti da Dio per la scelta del re54. ESLINGER, prendendo le mosse da questa osservazione, afferma: «Of his [di Davide] heart, supposedly so central to the choice, the reader hears nothing at all. This selectivity of description, along 52 Sulla difficile espressione ~yIn:y[e hpey>-~[i v’è una discussione aperta. Scriveva DHORME, Les livres, 142: «La construction de ~[i avec un adjectif est difficilement admissible. Graetz et Krenkel ont proposé, chacun de son côté, de lire ~l,[, “jeune homme” (cf. XVII, 56 ; XX, 22), et cette conjecture est généralement admise. Inutile alors de recourir à une seconde correction de Krenkel qui voudrait remplacer ~[i par ~[in" “aimable” (II Sam. I, 23 ; Cant. I, 16)». Tuttavia nota KLEIN, 1 Samuel, 161: «Proposals to emend the text (e.g. ruddy and attractive; McCarter), fail to convince because of the nearly identical expression in 17:42». 53 COSTACURTA, Con la cetra, 43. Espressioni molto simili ritornano nel capitolo seguente in bocca al narratore ma, per mezzo di un décrochage sintattico, esprimono il punto di vista rappresentato di Golia: «Il filisteo guardò fisso e vide Davide e lo disprezzò perché era giovane, rosso (ynImod>a;) e bello all’apparenza (ha,r>m; hpey>-~[i)» (1 Sam 17,42). Evidente la torsione ironica delle espressioni, come ha finemente notato RABATEL, Points de vue, 22: «Le lecteur comprend en effet […] que le terme “gamin”, la mention de “la jolie figure”, à la grâce quasi féminine, tout comme celle du teint clair, qui caractérise davantage les femmes que les hommes, tout cela connote le mépris du mâle viril en son âge mûr pour un jeunot qui lui paraît appartenir sinon au monde des femmes, du moins ne pas faire partie du monde des hommes virils, et n’est, à ces titres, pas un adversaire digne de sa force». 54 La difficoltà dell’espressione è testimoniata anche dalla Septuaginta che glossa: avgaqo.j o`ra,sei kuri,w| (secondo il codice Vaticanus; il testo antiocheno legge: avgaqo.j th/| o`ra,sei kuri,ou). «Le “plus” de la LXX, “selon le regard du Seigneur”, est à mettre en relation avec l’exposition entre le regard de l’homme et celui de Dieu» (GRILLET-LESTIENNE, Premier livre des Règnes, 287).

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with the profuse descriptors of physical appearance marks the narrator’s forceful efforts to highlight the incongruity between what God has said and what he has done. God said, ‘don’t judge according to appearance’ (marˀēhû, v 7) and then he picks David, who is good to look at (rōˀî)»55. La conclusione di ESLINGER si basa sul fatto che l’apprezzamento del v. 12c rappresenti il punto di vista del narratore. Annota infatti: «There is no indication, in v 12, that the description of David’s appearance belongs to any other than the narrator. There are no distinctive linguistic qualities in the description that suggest or allow the reader to think that this is Samuel’s view expressed through the voice of the narrator»56. Occorre tuttavia chiedersi se davvero manchino segnali linguistici che permettano di riconoscere un differente punto di vista. Unendo considerazioni di tipo sintattico secondo il metodo di NICCACCI e la teoria dei punti di vista di RABATEL del v. 12c può essere offerta una differente interpretazione. Sintatticamente v’è una proposizione nominale semplice con ruolo di commento, dunque di sfondo: all’interno di un racconto dove tutte le informazioni appartenenti al mondo narrato sono collocate nella linea principale (cioè sono caratterizzate dall’utilizzo del wayyiqtol), la proposizione del v. 12c è la sola interruzione; è l’unico décrochage dell’intera narrazione: come interpretarlo? Secondo il linguista di Lione il passaggio sintattico dal primo al secondo piano può segnalare un punto di vista rappresentato, ovverosia un punto di vista nel quale avviene una disgiunzione fra locutore ed enunciatore57. L’osservazione ben si adatta a questo caso: la frase è detta dal narratore ma mette in scena un enunciatore intratestuale, Samuele, fonte enunciativa di un punto di vista, senza che questo punto di vista corrisponda a un discorso del profeta. La parafrasi corrisponderebbe ad una sorta di monologo interiore di Samuele che il narratore riporta per mezzo di parole sue; alla percezione è dato un carattere più oggettivante, con l’effetto di mascherare il personaggio che esprime i propri pensieri58. Su questo difficile aspetto analisi sintattica e studio del punto di vista mostrano la loro feconda reciprocità. In altre parole: non è qui espresso il punto di vista del narratore (come vorrebbe ESLINGER), perché questo condurrebbe al vicolo cieco dell’incongruenza fra i criteri divini di elezione e la loro concreta applicazione; v’è, invece, il punto di vista rappresentato di Samuele il quale sino alla fine, nonostante sia guidato dal Signore, non riesce a vedere se non con gli occhi, cioè secondo quanto appare59. Fino all’ultimo il punto di vista ESLINGER, A Change, 356. ESLINGER, A Change, 356, n. 21. 57 Cf. RABATEL, Points de vue, 22-23. 58 Rifacendosi alle teoria di GENETTE, FOKKELMAN, Narrative Art, 130-131, riconosce un caso di focalizzazione interna legata a Samuele (cf. anche VIRONDA, Gli inizi, 275-276). 59 Contro VIRONDA, Gli inizi, 276, che afferma: «[Samuele è un] personaggio che funge ormai decisamente da soggetto, senza più le valenze negative dell’inizio (oppositore)». 55 56

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dell’uomo (addirittura del profeta) differisce da quello di Dio. Lo scarto persiste, senza possibilità di soluzione. Ne consegue che la narrazione nega al profeta la capacità di vedere secondo il cuore (v. 7f), riservandola unicamente a Dio che guida la vicenda dell’elezione del nuovo re60. La scelta del re è solo opera di Dio, realizzata con criteri che superano la visione umana (e pure profetica) ma che non sono ancora del tutto espliciti. L’ordine dato a Samuele da Dio (v. 12e-g) segna ancora un passaggio al punto di vista asserito del Signore: v’è un’ulteriore indicazione della differenza fra il punto di vista del profeta e quello di Dio. Infatti l’ultima e definitiva parola detta da Dio a Samuele (aWh hz$ Y&. N$ !. +# 4t. D. 1>$ &>$ D$ !. … 1" '\9B" goats: putting the flesh in a basket, and putting the broth in a pot; Gen 21,14: sk) F. +" .# !K$ (' “and he searched, having begun (a3d1&I$%U) with the eldest, he ended with the youngest”.29 In principle, the circumstantial clause does not refer to the principal verb only, it rather describes both the subject and the verbal action. Ch. RABIN, discussing the pes+q hamm!%!7 “static clause”, in 2 Sam 18,14: 1M4Z$ O+ %. O4) D+ 19) Y$ /+ '` .# "F. J*LM9 3 “he thrust them into the heart of Absalom, while he was still alive”, states that ˁ52ænn+ $ay qualifies Absalom, not the verb or the clause as a whole.30 The circumstantial clause is not easily defined. In some passages a circumstantial clause even borders on an attributive clause, since the added information refers to the nounal parts of the main clause, e. g., Gen 24,22: Fx. '` .# M4Y$ Z+ '- %$ $# und setzte meine Seele in meine Faust, ,MNS 9. "@0) DB4 + %3 !Q &$ D+ 9+ %3 #8 $ vor schritt ich gegen die Söhne Ammons. "LE ' $"D+ !=#! $ +" 1:0) f+ '` .# und ER gab sie in meine Hand – U"D8 ' 1F3 K: $ !' 4+ !=\3 !. 1M :`!. "54. %) 1/" : 3 4' 9[ !+ '" MN@ 9. "=0) k+ L1 2;." 1 =N ) 7' B/>+ /- q %Y 0"&e ' GI+ 5 „Wir ziehen von Betlehem in Jehuda nach dem Rückrand des Gebirges Efrajim, c " e non mi hanno sbranato

NICCACCI, Sintassi, §§ 8.40. Cfr. Dan 2,41d.43a.45a-c. COOK, Word, 7, afferma che per il «qetal there is a marked correlation of Verb-Object (VO) constructions with the narrative or consecutive use, while Object-Verb (OV) constructions are more frequently found with a perfect/pluperfect and remotive (remote past, time indifferent) signification». 17 È quello che NICCACCI, Sintassi, § 50, chiama criterio semantico. 18 Un caso particolare è rappresentato da Dan 7,27, in cui l’x-qetal è posto sullo Sf dell’asse temporale del futuro indicativo. Credo che tale costrutto esprima un’azione futura antecedente ad un’altra e che vada tradotto con il futuro anteriore. ROGLAND, Remarks, 424-426, lo tratta come un caso di perfetto profetico nell’AB. Egli ritiene che «many languages occasionally use past tense form as a rethorical device to refer to future events “as if” they had already taken place»; tuttavia conclude che è possible che l’autore si riferisca anche ad una passata decisione di Dio. GZELLA, Tempus, 232-233, non considera Dan 7,27 come un perfetto profetico, in quanto sarebbe l’unica attestazione di tale uso del perfetto nell’AB. Egli esclude anche l’idea di considerarlo come un futurum exactum, che si trova solo nella protasi di un periodo ipotetico. Infine afferma: «vielmehr könnte es sich um ein „Perfekt“ mit Vergangenheitsbezug handeln, das die Vision zitiert» (cioè questo versetto farebbe riferimento a Dan 7,14). LI, Verbal, 32, parla di un «futur anterior/resultative function». 16

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Daniele, appena uscito dalla fossa dei leoni, racconta al re quello che è accaduto. La prima proposizione è costituita da un x-qetal (a), mentre le due successive informazioni sono date attraverso due waw-qetal (b.c), di cui il secondo è negato. Tutti e tre i costrutti sono di PP. 1.4 yiqtul Nella Nar ci sono solo due attestazioni di una PV con lo yiqtul iniziale. Entrambe si trovano nel libro di Daniele e appartengono all’antefatto (Dan 4,2b; 5,2b)19. Il waw-yiqtul indica un avvenimento contemporaneo a quello espresso dal precedente x-qetal, descrivendo l’azione nel suo svolgimento. Nel DD lo yiqtul è attestato sul PP dell’asse temporale del futuro indicativo e del futuro volitivo. Nel primo caso indica semplicemente un’azione futura. Dan 7,17 b a['r>a;-!mi !WmWqy> !ykil.m; h['B.r>a; 18a

b

quattro re sorgeranno dalla terra

!ynIAyl.[, yveyDIq; at'Wkl.m; !WlB.q;ywI

e riceveranno il regno i santi dell’Altissimo

aY"m;l.[' ~l;[' d[;w> am'l.['-d[; at'Wkl.m; !Wns.x.y:w>

e possederanno il regno per l’eternità e per l’eternità dell’eternità

Daniele sta chiedendo il senso della visione che ha di fronte. Uno dei presenti (Dan 7,16b) gli parla e descrive ciò che avverrà. I due yiqtul (18ab) di PP seguono un x-yiqtul che, quando compare all’inizio della linea temporale del futuro, occupa la linea principale. Si può fare un parallelo tra il (waw-)qetal come forma continuativa dell’asse del passato nel DD e il (waw-)yiqtul come forma continuativa nella linea del futuro indicativo20; entrambe le forme infatti sono di PP ma non iniziano mai un’unità discorsiva. Lo yiqtul assume un senso iussivo ed appartiene, quindi, all’asse temporale del futuro volitivo quando è all’inizio di una catena temporale21, oppure nella forma breve, oppure si trova insieme alla negazione la;22. Per gli altri casi in cui si presenta una forma neutra dello yiqtul l’assegnazione all’asse del futuro volitivo o all’asse del futuro indicativo deve essere valutata a seconda del contesto.

19 In generale, per l’uso di questo tempo nel campo del passato, si veda BLAU, Minutiae, 8. SHEPHERD, Verbal, 112, riferendosi allo yiqtul in Dan 4,2, afferma che esso non fa avanzare la narrazione. GZELLA, Tempus, 290, invece considera Dan 5,2b una proposizione finale introdotta da waw. Per il rapporto yiqtul – waw-yiqtul cfr. sotto (1.5). 20 Cfr. quanto NICCACCI, Sintassi, § 57, afferma per il weqatal. 21 Cfr. NICCACCI, Sintassi, § 64,1, per lo yiqtol in ebraico. 22 MURAOKA, Notes, 162; LI, Verbal, 125. La negazione la; è attestata solo quattro volte nell’aramaico biblico: tre con uno yiqtul di forma breve (Dan 4,16e; 5,10ef); una con uno yiqtul di forma neutra (Dan 2,24d), il cui senso volitivo appare dal contesto.

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Il sistema verbale dell’Aramaico Biblico: Un approccio linguistico-testuale

Non è del tutto chiaro se il waw-yiqtul che segue un costrutto volitivo (imperativo23, x-imperativo24) assuma un senso finale, sulla scia della successione “forma volitiva – weyiqtol” in ebraico25, oppure semplicemente una sfumatura di conclusione come la sequenza “forma volitiva – weqatal”26. Non avendo argomenti a favore dell’una o dell’altra interpretazione, preferisco non trarre conclusioni che rischiano di essere non corrette27. Lo yiqtul si trova talvolta nello Sf dell’asse temporale del futuro indicativo come yiqtul*c e segue un precedente x-yiqtul di Sf o un yDI-(x-)yiqtul28. 1.5 yiqtul e waw-yiqtul NICCACCI distingue il weqatal come forma continuativa di un x-yiqtol nell’asse del futuro indicativo, in cui il waw iniziale è parte della forma stessa, dal weyiqtol, che invece è una forma volitiva29. Nell’AB tale distinzione non è possibile. Nel DD30 ci sono tre casi di uno yiqtul in prima posizione con valore volitivo, sempre senza la congiunzione waw: Dan 2,20c e 4,11g (forma neutra); Dan 5,10e (forma breve). Tuttavia questa indicazione può essere assunta come una condizione necessaria ma di per sé non sufficiente per l’individuazione di tale forma. Infatti esi-

23 24

litivo.

Cfr. Dan 4,11fg. Cfr. Dan 5,10de. Non ci sono casi in cui è attestato un (waw-)yiqtul dopo un x-yiqtul vo-

NICCACCI, Sintassi, § 64. NICCACCI, Sintassi, § 156. 27 In Dan 2,9f un waw-yiqtul segue un x-imperativo. In questo caso sono possibili due letture: “Perciò ditemi il sogno, affinché io sappia” oppure “Perciò ditemi il sogno cosicché io saprò”. Quanto detto vale anche per l’x-yiqtul. Per maggiore chiarezza riporto la seguente tabella: 25 26

(waw-)yiqtul

(waw-)x-yiqtul

imperativo

Dan 4,11fg

x-imperativo

Dan 2,9ef; 5,10de

Dan 2,4cd.24ef; Esd 4,21ab; 5,15de; 6,7ab

Dan 4,24bc; 5,17de; Esd 4,22ab; 7,19a-20a.25ab

In essa sono raccolti i casi di una sequenza costituita da una forma volitiva del tipo imperativo o x-imperativo, a cui segue un costrutto (waw-)yiqtul oppure (waw-)x-yiqtul. Le attestazioni di questo tipo non sono molte e solo in due casi questa successione coinvolge uno yiqtul con senso volitivo (cfr. forme sottolineate). In corsivo sono riportati i casi di yiqtul in forma lunga; gli altri sono in forma neutra. 28 Dan 2,40e; 4,32c; Esd 4,15bc solo per citare alcuni casi. 29 NICCACCI, Sintassi, § 5. 30 Come detto in precedenza nella Nar ci sono solo due casi di waw-yiqtul di antefatto e non è mai presente uno yiqtul senza waw. Questa assenza potrebbe far pensare ad una differenza tra l’uso dello yiqtul e del waw-yiqtul in tale atteggiamento linguistico, ma non ci sono altre basi per una solida argomentazione.

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ste anche uno yiqtul senza waw appartenente all’asse del futuro indicativo. Un esempio di questo tipo si ha in Dan 2,44c: Dan 2,44 c qDIT; farà in pezzi

d at'w"k.l.m; !yLeai-lK' @yset'w> e finirà tutti quei regni

Il primo di questi due costrutti (c) è uno yiqtul di PP, a cui segue in 44d un waw-yiqtul. La congiunzione waw non modifica né la messa in rilievo, né l’asse temporale, e le due forme yiqtul e waw-yiqtul sono identiche. Concludendo si può affermare che lo yiqtul con senso volitivo si trova sempre senza waw, mentre lo yiqtul nell’asse temporale del futuro indicativo con waw oppure senza. Comunque la congiunzione waw ha solo una funzione stilistica di coordinazione. 1.6 x-yiqtul L’x-yiqtul nella Nar occupa sempre la linea secondaria31. Una funzione di questa PNC è quella di descrivere un’azione nel suo svolgimento32. In Dan 4,16b al costrutto di PP segue un x-yiqtul con il quale l’autore espone la reazione di Daniele alle parole del re. Daniele è al contempo spaventato e turbato. L’x-yiqtul può indicare anche un’azione abituale o ripetuta33. In Dan 4,30cd appare chiaro che il re Nabucodonosor non si nutre di erba e non è bagnato dalla rugiada del cielo solo una volta, ma per tutto il periodo in cui egli si trova in questo stato di esilio in mezzo alle bestie della campagna. Nel DD invece l’x-yiqtul è attestato nell’asse temporale del passato come costrutto di Sf, con le stesse caratteristiche individuate per la Nar. In Dan 5,21de si ritrova lo stesso avvenimento narrato in Dan 4,30, riportato con le stesse forme ma in un differente atteggiamento linguistico. Daniele infatti racconta a Baldassar l’espulsione del padre dal consesso umano. Egli vuole solo richiamare alla memoria dell’attuale re gli avvenimenti passati, per mettere in evidenza da un lato la capacità di Nabucodonosor di ravvedersi e dall’altro l’orgoglio smisurato di Baldassar. Il racconto è posto sullo Sf. In Dan 4,30cd e Antefatto: Dan 4,2d; Sf: Dan 6,3b, per citare solo un esempio. BAUER-LEANDER, § 78 q. 33 In questo senso si può comprendere anche il caso di Dan 6,20: LI, Verbal, 106, considera lo yiqtul presente in questo versetto come una circumstantial clause. Altri autori, tra cui ROGLAND e GZELLA, lo interpretano in maniera differente. Il primo (ROGLAND, Remarks, 429) lo pone in parallelo alla costruzione ebraica za' + yiqtol e dunque lo traduce con un passato remoto, sulla scia di BAUER-LEANDER (§ 78 q, n. 3). Il secondo (GZELLA, Tempus, 146) invece riguardo a ~Wq afferma: «als „Perfekt“ wird in einer solchen Verbindung gegenüber dem nachfolgenden „Perfekt” zum Hilfsverb degradiert»; allora per evitare questo fraintendimento e sottolineare che il verbo ha il senso di “alzarsi” l’autore utilizzerebbe la forma ~Wqy>. 31 32

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Dan 5,21de pur non essendoci una perfetta corrispondenza di termini, il tempo verbale tuttavia è identico nei due casi. Dan 4,3034 b dyrIj. av'n"a]-!miW e (lontano) dagli uomini fu cacciato c lkuayE !yrIAtk. aB'f.[iw> e come i buoi mangiava erba

Dan 5,21 a dyrIj. av'n"a] ynEB.-!miW e (lontano) dai figli dell’uomo fu cacciato d HNEWm[]j;y> !yrIAtk. aB'f.[iw> come ai buoi gli davano in pasto erba

d [B;j;c.yI Hmev.GI aY"m;v. lJ;miW e [B;j;c.yI Hmev.GI aY"m;v. lJ;miW e dalla rugiada del cielo il suo e dalla rugiada del cielo il suo corpo era bagnato corpo era bagnato

Nell’asse temporale del futuro indicativo l’x-yiqtul è di PP quando si trova all’inizio della linea temporale. La forma continuativa di questo costrutto è (waw-)yiqtul. La presenza di un successivo x-yiqtul determina il passaggio della comunicazione dal primo piano allo Sf35. Dan 2,44 a Wkl.m; aY"m;v. Hl'a/ ~yqiy> !WNai aY"k;l.m; yDI !AhymeAyb.W Ai giorni di quei re farà sorgere il Dio dei cieli un regno,

lB;x;t.ti al' !ymil.['l. yDI

che per sempre non sarà distrutto,

b qbiT.v.ti al' !r"x\a' ~[;l. ht'Wkl.m;W e il regno non sarà concesso ad un altro popolo c qDIT; farà in pezzi d at'w"k.l.m; !yLeai-lK' @yset'w> e finirà tutti quei regni e aY"m;l.['l. ~WqT. ayhiw> ma esso rimarrà in eterno

L’x-yiqtul in 44a apre una nuova serie di proposizioni che si trovano nell’asse temporale del futuro indicativo e predice, per la prima volta all’interno della storia, l’avvento di un regno. Lo yiqtul (c) e il waw-yiqtul (d) seguenti costituiscono la linea principale della comunicazione. I due x-yiqtul (b.e) interrompono invece il flusso delle informazioni e forniscono alcune specificazioni. Lo yiqtul in questa classe di PNC può essere di forma breve. In questo caso l’x-yiqtul appartiene all’asse temporale del futuro volitivo ed assume una sfumatura di comando. Dan 4,16 e %l'h]b;y>-la; arEv.piW am'l.x, rC;av;j.l.Be Baltazzar il sogno e la sua interpretazione non ti turbino

SHEPHERD, Verbal, 129, n. 40, parla di anomalous uses in questo caso come anche negli altri in cui si trova uno yiqtul in un contesto dove prevale invece la forma qetal. 35 NICCACCI, Sintassi, § 55. 34

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Dan 4,16e è un x-yiqtul di PP perché è iniziale, ed è volitivo perché lo yiqtul è di forma breve ed è preceduto dalla negazione la;. Se l’x-yiqtul volitivo segue una forma imperativale o uno yiqtul volitivo, è invece di Sf (Dan 5,10f)36. 1.7 Participio e x-participio NICCACCI considera le proposizioni che contengono un participio come proposizioni nominali semplici37, in quanto non presentano una forma finita del verbo. Durante l’analisi dei testi ho notato che nell'AB il participio può occupare la prima posizione della proposizione (“participio”), sia dopo un elemento x (“xparticipio”) con un uso particolare nella Nar e nel DD38. Ho preferito quindi distinguere le proposizioni che contengono un participio, per il quale si può presupporre un uso verbale, e le PNS, tra cui sono classificate le proposizioni senza verbo finito, quelle che contengono un participio con funzione nominale (attributivo o sostantivato) e quelle con la particella yt;yai39. Il comportamento del participio di prima posizione nella Nar sembra essere del tutto simile al (waw-)qetal40. In Dan 3,26f-27b, p. es., si susseguono tre participi di PP: Dan 3,26 f ar"Wn aAG-!mi Agn> dbe[]w: %v;yme %r:d>v; !yqip.n" !yId:aBe Allora vennero fuori di mezzo al fuoco Sadrach, Mesach e Abdenego 27a aK'l.m; yrEb.D"h;w> at'w"x]p;W aY"n:g>si aY"n:P.r>D:v.x;a] !yviN>K;t.miW e si radunarono i satrapi, i governatori, i prefetti e i consiglieri del re

36 NICCACCI per l’ebraico biblico afferma che «normalmente il costrutto (waw-) x-yiqtol è iussivo quando è preceduto da una forma volitiva diretta, ad esempio nella sequenza imperativo (waw-) x-yiqtol […]. È ugualmente iussivo quando è seguito da un weyiqtol, cioè nella sequenza x-yiqtol weyiqtol. […] Il costrutto (waw-) x-yiqtol è invece indicativo quando è preceduto da un weqatal» (Sintassi, § 64). Nell’AB non sempre è possibile distinguere tra x-yiqtul indicativo o volitivo soprattutto quando si trova sullo Sf. In alcuni casi tale distinzione risulta chiara da alcuni indicatori (Esd 4,21b; 6,7b), in altri invece no (Esd 5,15e; 7,20a). Occorre quindi ricorrere di volta in volta al criterio semantico. 37 NICCACCI, Sintassi, § 4,1 (b); NICCACCI, Types, 243. La PNS è una proposizione «in cui non compare alcuna forma finita del verbo» (NICCACCI, Sintassi, § 6). 38 In un primo momento del mio studio non ho preso in considerazione le attestazioni dei participi dei verbi hn"[] e rm;a], che secondo parecchi autori rappresentano solo una formula caratteristica dell’aramaico per introdurre il discorso diretto (cfr. BAUER-LEANDER, § 81 u; SEGERT, Grammatik, § 6.6.3.4.7 c; COHEN, Phrase, 414-415; GZELLA, Tempus, 134-135; LI, Verbal, 43-45). Secondo me occorreva prima studiare l’uso del participio come costrutto, cercare di comprendere quando esso si trova nel PP o nello Sf, e solo successivamente inquadrare nello schema verbale così rinvenuto anche la formula rm;a'w> hnE[.' 39 I casi in cui il participio si trova unito al verbo aw"h] in costruzione perifrastica saranno discussi più avanti (1.12). 40 BROCKELMANN, Grundriss, § 84 b; GZELLA, Tempus, 122-123.

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b

%Leai aY"r:b.gUl. !yIz:x'

videro quegli uomini

Il re Nabucodonosor richiama dalla fornace di fuoco Sadrach, Mesach e Abdenego. Dopo un DD la Nar riprende con un costrutto !yId:a/ + participio41 e prosegue con due participi iniziali42 (a.b), che esprimono due azioni susseguenti: i satrapi e gli altri ufficiali si radunano e osservano cosa sia successo ai tre giovani43. La differenza tra il participio in prima posizione e l’x-participio si può comprendere considerando Dan 6,11b-f: Dan 6,11 b Htey>b;l. l[; Andò a casa sua c ~l,v.Wry> dg lbeq\-lK' o !yId:a/ come segno macrosintattico, che riporta sul piano principale della narrazione i costrutti in cui tali sintagmi sono posti all’inizio, sarà discusso più avanti (1.11). 42 Per l’esattezza si tratta di un waw-participio e di un participio, ma anche per questo tipo di costrutto il waw iniziale non modifica il senso o il valore dello stesso. 43 GZELLA, Tempus, 128. 44 Cfr. Dan 5,6cd in cui due x-participio di Sf seguono un x-yiqtul di Sf. 45 Cfr. Dan 3,4a; 4,4bc; Esd 5,3b. 46 BOMBECK, Verwendung, 5; cfr. Esd 5,2c. 41

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ci sono solo tre casi di x-participio di Sf, ma nessuna attestazione del participio in prima posizione47. In Dan 5,15b il participio iniziale nel passato segue un costrutto di PP del tipo ![;K.-qetal e continua sullo stesso livello principale48: Dan 5,15 b hy"w"x]h;l. at'L.mi-rv;P. !ylih]k'-al'w> e non sono stati capaci di indicare il significato della cosa

Sono attestati casi di participio iniziale nello Sf dell’asse temporale del passato. Essi vanno considerati come costrutti continuativi di una forma che è già nella linea secondaria49. Il participio*c si comporta allo stesso modo dell’x-participio di Sf del passato nel DD. Entrambi i costrutti possono indicare o delle azioni puntuali (Dan 4,11b; 5,23c; 7,20d.21b; Esd 4,19e)50 o un’azione continua o abituale (Esd 4,20c). Nell’asse temporale del presente il participio non si trova mai all’inizio della linea temporale ma solo dopo un costrutto del tipo x-participio o PNS51 di PP e continua sullo stesso livello quanto alla messa in rilievo. L’x-participio è di PP, se all’inizio dell’asse del presente (Dan 3,25c; Esd 5,16c), negli altri casi è sempre sullo Sf ed esprime contemporaneità con l’azione della linea principale oppure assume una funzione descrittiva. Infine un caso di costrutti xparticipio di Sf nell’asse temporale del futuro indicativo si trova in Dan 4,22ad, i quali, collegati agli x-yiqtul (b.c.e) presenti nello stesso versetto, descrivono la futura punizione che toccherà in sorte a Nabucodonosor52. Da quanto esposto si possono trarre alcune conclusioni: • Nella Nar è stato osservato un particolare uso del participio in prima posizione come forma di PP53, come il qetal. Tale impiego distingue questo costrutto dalle normali PNS che non si trovano mai sulla linea principale della Nar54. Si può allora comprendere l’uso della formula rm;a'w> hnE[', non come un’ecce-

Cfr. n. 108 per Dan 6,27b e Esd 6,10a. In Esd 4,16a il participio iniziale si ricollega al precedente waw-qetal in 14b ed è di PP sull’asse temporale del passato. 49 Tali participi*c si trovano: 1) dopo un x-participio (Dan 7,10b.21c); 2) dopo una PNS (Dan 2,31e; 7,7de); all’interno di una proposizione relativa (Dan 7,19a). È da notare che in tutti questi casi il soggetto del participio in prima posizione non è espresso nella proposizione. 50 GZELLA, Tempus, 251, parla di un uso del participio per indicare la «Vorvergangenheit» quando si trova in proposizioni subordinate. 51 Cfr. Dan 4,34a-c ed Esd 5,11bc. 52 BAUER-LEANDER, § 81 g; SEGERT, Grammatik, § 6.6.3.4.6. GZELLA, Tempus, 220, analizzando questo versetto, considera il participio come espressione di un «futurum imminens», ma conclude che dai pochi esempi presenti nell’AB si può osservare solo una «freie Variation». 53 COOK, Word, 14. 54 GZELLA, Erscheinungsformen, 401.406, afferma che il participio verbalizzato può assumere il ruolo di «Erzählform» ma esso, a differenza del qetal, non apre mai una sezione narrativa ed è una «sekundäre Vergangenheitform». Lo stesso autore considera l’uso del participio come forma narrativa in aramaico in relazione allo sviluppo di un presente storico in questa lingua ad opera proprio del participio. 47 48

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zione oppure un’espressione precostituita dell’AB ma come un uso normale di due participi di PP nella narrazione. • Nel DD participio e x-participio, con alcune differenze, ricoprono tutti e tre gli assi temporali. Nell’asse temporale del passato è attestato un participio di PP, a differenza delle PNS, che in tale asse sono sempre sulla linea secondaria55. • Non viene meno il principio per il quale il participio sia una forma verbale atemporale56, ma la linguistica testuale ha evidenziato i diversi usi nella Nar e nel DD e ha aiutato a comprendere come deve essere inteso nei vari casi57. • Rimane aperta la questione se le proposizioni che contengono un participio siano da considerarsi verbali o nominali. Il problema è connesso al modo di intendere tale forma: se da un lato, infatti, il participio in prima posizione e l’x-participio sembrano assumere un comportamento simile alle PV (qetal, yiqtul) e alle PNC (x-qetal, x-yiqtul), piuttosto che a quello delle PNS, in altri casi, ad esempio quando è unito alla particella yt;yai o ad una forma del verbo aw"h] in costruzione perifrastica esso ha una chiara funzione nominale58. 1.8 PNS Con PNS, come detto, intendo le proposizioni che non contengono un verbo finito o un participio con funzione verbale. Sono inserite invece tra le PNS quelle proposizioni in cui è presente un participio con funzione nominale (attributiva o sostantivata) o la particella yt;yai, sia da sola sia insieme ad un participio59. Nella Nar la PNS appartiene sempre alla linea secondaria ed esprime essenzialmente contemporaneità con l’azione della linea principale, o svolge una funzione descrittiva60. In Dan 3,1bc, p. es., l’autore fornisce con due PNS le misure della statua fatta erigere da Nabucodonosor. Nel DD tale costrutto si trova in tutti e tre gli assi temporali. Nel passato assume un valore simile a quello visto per la Nar61. Nel campo del presente la 55

1.11).

A meno che non sia preceduta dalla particella presentativa Wla] (cfr. paragrafo sui SgM

56 MURAOKA, Notes, 157, afferma che «the indication of time as such is not the proper function of the participle, but this arise from the general context». 57 Non si può accettare una soluzione troppo semplificata come quella di COHEN, Phrase, 411: «le participe est narratif en contexte narratif, c’est un présent en contexte de discours direct». 58 Per una trattazione più analitica ed esauriente della questione del participio come forma nominale o verbale rimando a GEIGER, Partizip, §§ 477-480. 59 SEGERT, Grammatik, § 6.5.5; GZELLA, Tempus, 219. Io ho scelto di dare più importanza ad eventuali tense marker (LI, Verbal, 89), sia in questo caso come anche nelle costruzioni perifrastiche. 60 NICCACCI, Sintassi, §§ 33.43; GZELLA, Tempus, 195. 61 Cfr. Dan 2,32a-d; 4,9abc; 5,21c; 7,6cd.7ch; Esd 4,20b.

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PNS può appartenere sia al foreground che al background 62. Infine nell’asse del futuro è sempre sullo Sf, ed esprime contemporaneità in questo asse temporale63. 1.9 Imperativo e x-imperativo L’imperativo è un modo verbale con il quale viene espresso un comando o un desiderio64 e si trova solo all’interno del DD65, occupando l’asse del futuro volitivo66. Si distingue tra “imperativo”, se il verbo si trova in prima posizione, e “x-imperativo”, nel caso in cui sia preceduto da uno o più sintagmi. Nell’AB l’imperativo può trovarsi all’inizio della catena temporale come costrutto di PP, ma può anche essere una forma di continuazione, rimanendo inalterata la messa in rilievo67 (Dan 4,11c-f; Dan 7,5ef68), coordinato sia con waw (Dan 3,26de) che senza (Esd 5,15bcd). L’x-imperativo, quando si trova all’inizio dell’asse temporale del futuro volitivo, è sempre di PP69; quando, invece, segue un’altra forma volitiva appar62 Per questo motivo nel caso di una successione nel testo di due PNS non è semplice distinguere se la messa in rilievo cambi oppure no (Dan 4,16hi), a meno che non ci siano chiari segnali testuali come la presenza di una congiunzione subordinante (Dan 3,17a) o della particella relativa yDI (Dan 2,10d). 63 Dan 4,12bd.20fh.23b.29b; Esd 6,3de.4b. A questi casi se ne devono aggiungere due la cui assegnazione al campo del futuro non è così chiara. Dan 7,27b riporta un’affermazione che può essere intesa legata sia all’asse del futuro che a quello del presente. Tale PNS può essere compresa anche come un commento da parte della voce narrante, la quale inserisce, all’interno di questo quadro rivolto al futuro, l’affermazione che il regno di Dio “è un regno eterno”. Considerato, però, il contesto immediato, la lettura al futuro a mio parere è da preferire. In Esd 4,16d è presente la particella yt;yai il cui uso è attestato per lo più nell’asse temporale del presente. Per tale motivo alcuni studiosi non esitano a tradurre il testo in questione proprio con questo tempo verbale. Tuttavia il fatto che tale PNS sia preceduta da costrutti appartenenti all’asse temporale del futuro indicativo, insieme al significato proprio della frase, indicano che Esd 4,16d sta nell’asse del futuro. SEGERT, Grammatik, § 5.5.5.2, cita questo caso e propone la traduzione «es gibt»; BDB (ad vocem yt;yai) riporta questo versetto di Esd solo per notare che la particella yt;yai è posta prima del soggetto; HALOT (ad vocem yt;yai) riporta «there is»; VOGT (ad vocem yt;yai [2]b) invece traduce al futuro: «si Jerusalem munitur, in Transpotamia pars (i. e. dominatus et reditus) … tibi non erit». 64 BAUER-LEANDER, § 84; SEGERT, Grammatik, § 6.6.6.4. 65 «L’imperativo è una forma verbale che presenta affinità strutturali con le forme verbali commentative» (WEINRICH, Tempus, 265). 66 NICCACCI, Sintassi, § 4,1 (d). 67 Per l’ebraico biblico NICCACCI, Sintassi, § 65, ritiene possibile una sequenza di imperativi non coordinati da waw. Inoltre egli considera l’ûqetol una forma volitiva di continuazione, in cui il waw ha solo una funzione coordinante e il cui valore sintattico è uguale a quello dell’imperativo iniziale (ibid., § 61). Ciò vale anche per l’AB. 68 SEGERT, Grammatik, § 6.6.6.4.4, afferma che l’azione espressa dal secondo verbo è logisch subordiniert alla prima, e traduce il versetto: «steh auf, iß», che secondo lui equivale: «steh auf, um zu essen». Io invece ritengo che le due azioni si possano considerare successive l’una all’altra. 69 Dan 2,4b; 5,10d; 6,7c.22b. Per il senso da dare a queste formule cfr. BAUER-LEANDER,

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tiene allo Sf (Dan 4,12a.20e). All’interno del DD l’x-imperativo segna il passaggio da altri assi temporali a quello del futuro volitivo ed in questi casi si pone sul PP70. 1.10 Proposizioni con yDI iniziale La particella yDI è usata con diverse funzioni in AB. In modo generale, la funzione di tale particella71 è di nominalizzare l’elemento seguente, sia quando esso è solo un sostantivo72, sia quando è costituito da una intera proposizione verbale o nominale, che in tal caso si pone sullo Sf73. In questo secondo caso la particella yDI può essere legata ad un qualche elemento della proposizione precedente74 (Dan 3,7b) o assumere il valore di una congiunzione subordinante75, da sola o unita ad una preposizione76 (Dan 2,34a): Dan 3,7 b ab'h]D: ~l,c,l. !ydIg>s' adorarono la statua d’oro

aK'l.m; rC;nk;Wbn> ~yqEh] yDI

che il re Nabucodonosor aveva eretto § 84, e la risposta di MURAOKA, Notes, 161, alla loro interpretazione. In Esd 4,22a secondo SEGERT, Grammatik, § 6.6.3.6.4, è attestato l’uso dell’imperativo di aw"h] in costruzione perifrastica, con il valore di un semplice imperativo. SEGERT cita altri casi di imperativo perifrastico al di fuori dell’AB. In realtà il problema è connesso alla forma !yrIyhiz> e al modo in cui essa è analizzata. SEGERT, appunto, la considera un participio peil della radice rhz [BDB ad vocem rh;z>], ma sia VOGT che HALOT la trattano come un semplice aggettivo [VOGT ad vocem ryhiz>; HALOT ad vocem ryhiz>]. GREENFIELD, Imperative, 207, ha studiato l’imperativo perifrastico in vari documenti in lingua aramaica ed arriva alla conclusione che «this form is not known from Biblical Aramaic». 70 Una tale funzione non si riscontra mai con l’imperativo iniziale. Questa, se non è all’inizio del discorso diretto, segue sempre un x-imperativo (Dan 2,4c; 3,26e; Esd 5,15c; 6,7a) e in un caso viene dopo un x-yiqtul volitivo di PP (Dan 2,24e). 71 Per l’ebraico rv,a] cfr. NICCACCI, Sintassi, § 6. 72 In questo caso yDI esprime il genitivo in concorrenza con lo stato costrutto (MURAOKA, Notes, 152-153). Per le varie funzioni di yDI inquadrate nello sviluppo storico delle lingue semitiche, con un’attenzione particolare all’ebraico rv,a], cfr. ROSÉN, Vorgeschichte, 318-321. 73 Un’eccezione a questa regola l’ho fatta nei casi in cui yDI introduce un discorso diretto. Tutto il DD seguente si può intendere come un complemento oggetto del verbum dicendi da cui dipende (BAUER-LEANDER, §§ 109 d.110 c; SEGERT, Grammatik, §§ 7.4.6.6; 7.5.6.1). Questo particolare uso si può paragonare al greco o[ti o all’ebraico yKi (HALOT ad vocem yDI [3b]; cfr. Dan 2,25c; 4,31f; 5,7d; 6,6b.14c). Interessante a tal proposito è ciò che afferma MILLER, Representation, 116, per il yKi e la posizione di PAT-EL, Syntax, 69-70, per yDI. 74 Si può pensare che la proposizione relativa abbia una funzione attributiva rispetto all’elemento a cui la particella yDI si riferisce. Ho lasciato queste proposizioni all’interno dello stesso riquadro. 75 COHEN, Phrase, 404; per l’ebraico cfr. NICCACCI, Sintassi, §§ 99.146.150.155. Ho evidenziato la dipendenza dalla proposizione precedente con il simbolo “÷”, posto alla fine di questa e all’inizio della yDI-P. 76 BAUER-LEANDER, § 110; SEGERT, Grammatik, § 7.5.6. Si può pensare che le yDI-P siano complementi (di tempo, di causa, di fine, ecc.) retti dal verbo della proposizione principale (LI, Verbal, 121).

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Dan 2,34 a ÷ t'y>w:h] hzEx' PP Stavi guardando b !b,a, tr,zt.hi yDI d[; ÷ Sf finche si staccò una pietra

Si possono distinguere: 1) yDI-P in cui la forma verbale segue immediatamente la particella yDI: yDI-qetal (Dan 3,18d; 6,25b); yDI-yiqtul (Dan 3,6a; 5,29d); yDI-participio (Dan 5,5c); 2) yDI-P in cui tra la particella yDI e la forma verbale si interpone un elemento x: yDI-x-qetal (Dan 2,23c; 5,22b); yDI-x-yiqtul (Dan 4,3b); yDI-xparticipio (Dan 2,11a; Esd 4,19d); 3) proposizioni in cui alla particella yDI segue una proposizione senza verbo: yDI-PNS77 (Dan 4,5a; 5,23e). Tutte queste proposizioni hanno un duplice carattere. Da un lato sono strettamente legate ad un’altra proposizione sovraordinata, dall’altro presentano un proprio comportamento che deriva dal tipo particolare di costrutto che la particella yDI introduce: yDI-(x-)qetal; yDI-(x-)yiqtul; yDI-(x-)participio, yDI-PNS. Inoltre l’ analisi comparata di tali costrutti ha mostrato che la presenza o l’assenza dell’elemento x, tra la particella relativa e la forma verbale, non cambia il senso delle singole forme, per questo, nel precedente elenco è posto tra parentesi. 1.11 Segni macrosintattici NICCACCI suggerisce che compito dei segni macrosintattici è quello di collegare le diverse parti di un testo in modo da non interrompere l’unità narrativa78. WEINRICH afferma che tale funzione nella lingua è svolta dagli avverbi79. Nell’AB ho individuato tre categorie di SgM: !yId:a/80, presente per lo più nella Nar; ![;K., attestato solo nel DD; Wla]/Wra], esclusivo del DD. La presenza di un SgM lungo il racconto indica che quanto alla messa in rilievo la proposizione seguente si trova sul PP, anche se è costituita da un costrutto che normalmente si trova sullo Sf. !yId:a/ e ![;K. possono anche introdurre nella linea principale – senza interromperla – una proposizione duplice costituita da una protasi81, che indica una circostanza temporale, causale o condizionale, e da un’apodosi. I SgM più ricorrenti nella Nar sono !yId:a/ e !yId:aBe, a cui molti autori riconoscono un ruolo particolare82. Questa classe di SgM si unisce prevalentemente al 77 Per PNS qui intendo lo stesso tipo di proposizioni analizzate in precedenza in 1.8. Non sono inseriti in questa categoria i casi in cui yDI esprime la funzione di genitivo, ma si considerano yDI-PNS quelle proposizioni in cui l’antecedente funge da soggetto, il quale non viene ripreso nella proposizione relativa, ad esempio %d"ybi-yDI in Esd 7,25a (cfr. BAUER-LEANDER, § 98 f.v). 78 NICCACCI, Sintassi, § 12. Per l’ebraico egli individua tre tipi di SgM: yhiy>w:, hNEh(i w>), hT'[(; w>). 79 WEINRICH, Tempus, 244; li chiama «Segnali macrosintattici di articolazione» (ibid., 254s). 80 In questa categoria ho raggruppato anche altri avverbi e sintagmi: !yId:aBe, hn"D> lbeq\-lK', an"m.zI-HBe, ht'[]v;-HB;, hn"D> rt;aB', !yrEx\a' d[;w>. 81 Cfr. NICCACCI, Sintassi, §§ 19.31.96, per i termini “protasi” e “apodosi”. 82 BUTH, ˀĕḏáyin/tote, 35.37. Lo stesso autore, nel medesimo articolo, tenta una distinzione

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qetal o a x-qetal, ma è attestato un loro uso con il participio e l’x-participio e, solo in un caso, rispettivamente con una PNS, con lo yiqtul e l’x-yiqtul 83. Nella Nar questo segna l’inizio del PP, dopo i costrutti di antefatto84. Nel DD !yId:a/ si trova legato all’asse temporale del passato all’interno di un racconto orale85 (Dan 5,24a). In Dan 3,7a un SgM mantiene sul PP una proposizione duplice costituita da un yDI-participio (righe 2 e 3), la protasi, e da un participio iniziale (4), l’apodosi. Il primo membro fornisce le indicazioni temporali, il secondo riporta l’azione principale ed è seguito da un altro participio (Dan 3,7b), che si trova sul PP della Nar. La presenza del segno macrosintattico permette al racconto di procedere senza interruzioni e nello stesso tempo di inserire delle circostanze secondarie86. Dan 3,7a 1) an"m.zI-HBe hn"D> lbeq\-lK' SgM

2)

Protasi

3)

4)

Allora, in quel tempo

at'yqiArv.m; an"r>q; lq" aY"m;m.[;-lK' !y[im.v' ydIK.

quando sentirono tutti i popoli il suono del corno, del flauto, ar"m'z> ynEz> lkow> !yrIjen>s;P. ak'B.f; [sArt.q;] (srtyq) della cetra, della sambuca, del salterio, e di ogni genere di strumenti musicali

aY"n:V'liw> aY"m;au aY"m;m.[;-lK' !ylip.n"

Apodosi si prostrarono tutti i popoli, le nazioni e le lingue

tra il significato da attribuire ai due avverbi. In un precedente lavoro (Word, 127.132.134) BUTH aveva affermato che !yId:a/, !yId:aBe, come anche hn"D> lbeq\-lK', sono «clausal relators [that] were not counted as occupying the first constituent position of the clauses». an"m.zI-HBe, ht'[]v;-HB; e hn"D> rt;aB' degradano, a suo dire, la proposizione allo Sf, se ricoprono la prima posizione di una proposizione. POLAK asserisce che l’uso di !yId:a/ crea una «highly schematic sequence, quite suitable for oral narrative» (POLAK, Daniel, 256, in particolare la n. 24). SEGERT, Grammatik, § 6.6.3.1.7, afferma che queste particelle servono per specificare l’appartenenza ad un determinato asse temporale delle diverse forme verbali. LI, Verbal, 106, considera !yId:aBe, non un «temporal marker», ma «a discourse marker introducing clause clusters». ROSÉN rappresenta, in questo quadro, una voce discordante. Egli afferma che questi avverbi hanno una funzione di «hypotactic syndesis» (ROSÉN, Tenses, § 3,41). 83 hn"D> lbeq\-lK' una volta con x-yiqtul e an"m.zI-HBe una volta con yiqtul. Un caso particolare è rappresentato da Esd 5,5d dove c’è la forma !yId:a/w< insieme ad uno yiqtul di Sf nella Nar. In questo caso, come in Esd 5,16c dove si trova lo stesso avverbio unito alla preposizione !mi, !yId:a/ non assume la funzione di SgM bensì quella di avverbio con valore temporale. 84 Dan3,3a; 4,4a; 5,3a; 7,1c; Esd 4,9a. 85 NICCACCI, Sintassi, § 25. 86 Per questo SgM vale ciò che NICCACCI, Sintassi, § 36, afferma per il yhiy>w: ebraico, esso infatti assume «la funzione di rafforzare la “testualità” (cioè la coerenza e la consistenza) del testo». Cfr. anche Dan 6,15a; Esd 4,23a; 6,13a.

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In Dan 4,33a si può osservare l’esistenza in AB di un waw di apodosi87: Dan 4,33a1) an"m.zI-HBe SgM

2)

Protasi

3)

In quel momento

yl;[] bWty> y[iD>n>m;

mentre il mio senno mi tornava

yl;[] bWty> ywIzIw> yrId>h; ytiWkl.m; rq;yliw>

Apodosi e per la gloria del mio regno il mio onore e il mio splendore

4) 5)

mi tornavano

!A[b;y> yn:b'r>b.r:w> yr:b.D"h; yliw>

e mi cercavano i miei consiglieri e i miei nobili

tn:q.t.h' ytiWkl.m;-l[;w>

sul mio regno fui riposto (letteralmente: la cosa fu posta in ordine)

Al SgM (1) seguono tre x-yiqtul (2;3;4) che descrivono azioni contemporanee a quella della proposizione di apodosi (5), un x-qetal preceduto appunto da un waw, che nella traduzione può essere tralasciato riporta l’informazione principale che l’autore vuol fornire. ![;K.88 può essere paragonato all’ebraico hT'[;. Il suo valore è cioè temporaleargomentativo89, nel senso che con esso viene indicata la conseguenza di un’azione o si specifica la conclusione a cui si giunge in seguito a ciò che viene detto precedentemente. Anche questo avverbio riporta sul PP un costrutto che, dato il contesto, potrebbe essere assunto come di Sf. ![;K. si trova con forme del passato (Dan 5,15a), del presente (Dan 4,34a) e del futuro (Dan 3,15a; Esd 4,13). In Esd 4,14a ![;K. regge sul PP un’intera proposizione duplice90:

87 NICCACCI, Sintassi, §§ 96.122. GRELOT, Waw, 39, ha individuato un waw di apodosi nell’aramaico d’Egitto, ma non in quello di Daniele, per il quale egli ritiene che «l’apodose qui suit les propositions conditionnelles est généralement introduite sans aucun avertissement». Occorre sottolineare tuttavia che l’uso dei termini protasi e apodosi è ristretto da questo studioso solo ai casi di periodi ipotetici introdotti dalla congiunzione subordinante !he. WESSELIUS, Literary, 275-283, ammette l’esistenza di un waw di apodosi in aramaico biblico, anche se lo pone in relazione con yDI lbeq\-lK'. 88 In Esd 5,16c tale avverbio temporale è preceduto dalla preposizione d[; e non sembra ricoprire alcuna funzione macrosintattica. Essa è l’unica attestazione in cui non compare all’inizio di una proposizione [cfr. HALOT ad vocem ![;K.]. 89 NICCACCI, Sintassi, § 73; GZELLA, Tempus, 212; VOGT, Lexicon, ad vocem ![;K.. 90 Il versetto in questione permette anche un’altra interpretazione che non toglie alcun valore alla funzione macrosintattica dell’avverbio temporale ![;K.. Infatti è possibile considerare come protasi solo il yDI-x-qetal (riga 2) e come apodosi la waw-PNS (riga 3), la quale però, essendo un costrutto di PP, si dovrebbe porre sull’asse temporale del presente. Seguendo questa ipotesi la congiunzione coordinante w> sarebbe un waw di apodosi e il successivo x-qetal inizierebbe l’asse temporale del passato. La traduzione, che ne deriva, è la seguente: “Ora, poiché noi abbiamo mangiato il sale del palazzo, l’ignominia del re non è appropriato a noi vedere; abbiamo mandato su questo (una lettera)”.

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Esd 4,14a 1)

SgM

2)

Protasi

3)

Protasi

4)

![;K.

Adesso

an"x.l;m. al'k.yhe xl;m.-yDI lbeq\-lK'

poiché noi abbiamo mangiato il sale del palazzo

azEx/m,l. an"l; %yrIa]) al' aK'l.m; tw:r>[;w>

e l’ignominia del re a noi non era appropriato vedere

an"x.l;v. hn"D>-l[;

Apodosi su questo abbiamo mandato (una lettera)

Wla] ed Wra] sono due SgM che rendono presente e vivo all’ascoltatore un fatto o un elemento su cui l’autore vuole richiamare particolarmente l’attenzione. Tali segni si possono porre in relazione con la particella presentativa hNEh91 i , che svolge un ruolo simile nella sintassi ebraica92. A differenza di hNEhi, però, Wla] ed Wra] sono presenti solo nel DD93, e nel caso dell’AB tutte le attestazioni sono legate all’asse del passato e ricorrono in racconti di sogni o di visioni. Wla] ed Wra] mantengono sul PP il costrutto seguente, che, senza la presenza di tali particelle, sarebbe di Sf. 1.12 Costruzione perifrastica Nella costruzione perifrastica ho dato preminenza al tense marker94 ed ho classificato le proposizioni in cui il participio è unito al qetal o allo yiqtul di aw"h]95 come (x-)qetal o (x-)yiqtul 96. In ogni attestazione ho messo in evidenza se il participio segue (aw"h] + participio) o precede (participio + aw"h]) la forma del verbo essere. Ho puntato il mio interesse sulle eventuali differenze nella costruzione perifrastica a seconda dell’ordine participio/aw"h97 ] , indipendentemente dal tempo di quest’ultimo98. Ho messo, quindi, a confronto l’uso dell’una e dell’al91 Secondo COHEN, Phrase, 425, Wla]/Wra] non sono interiezioni, quanto piuttosto degli elementi che introducono un predicato, sia nominale che verbale. 92 NICCACCI, Sintassi, §§ 70-72. COHEN, Phrase, 426, pensa che «cette construction avec Wla]/ Wra] pour introduire une phrase explicitant le contenu d’un rêve ou d’une vision est très exactement parallèle à celle qu’on trouve en hébreu dans les textes prophétiques». 93 Wla]/Wra] si trovano con l’x-qetal (Dan 7,8b), l’x-participio (Dan 7,2e) o con una PNS (Dan 7,8d). 94 LI, Verbal, 89. MURAOKA, Notes, 158, parla di «time marker» e considera il participio «neutral». 95 Cfr. n.69 per il caso di costruzione perifrastica participio + imperativo di aw"h]. 96 Solo in tre casi il verbo essere si trova all’inizio della proposizione: Dan 2,20c.43c; Esd 4,24b. 97 Per BAUER-LEANDER, § 81 p, la terza persona del verbo aw"h] si trova prima del participio, mentre nelle altre persone lo segue. GREENFIELD, Imperative, 206, considera delle eccezioni i casi in cui il participio precede il verbo essere. Secondo lui alcuni di questi casi si possono spiegare come scelta stilistica dell’autore, in quanto la forma che ci si dovrebbe attendere normalmente è aw"h] + participio. 98 Ritengo valido ciò che affermano gli studi consultati cioè che la costruzione perifrastica con il qetal del verbo aw"h] indica la durata di un evento nel passato o un’azione abituale (MURAO-

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tra costruzione perifrastica in contesti simili e ho verificato inoltre l’influenza di un elemento x anteposto alla costruzione perifrastica, indipendentemente dall’ordine dei costituenti della costruzione perifrastica99. La costruzione perifrastica aw"h] + participio è attestata nella Nar sia con qetal che con yiqtul ed è presente sia nel PP (Dan 6,4a)100 sia nello Sf (Dan 6,11g)101. La costruzione participio + aw"h] nella Nar si trova solo una volta come xqetal di Sf (Dan 4,26a)102. Dal raffronto si evince che non vi sono differenze tra aw"h] + participio e participio + aw"h] in tale atteggiamento linguistico. Inoltre nella Nar la presenza di un eventuale elemento x prima della costruzione perifrastica è determinante quanto alla messa in rilievo. Infatti i costrutti del tipo x-aw"h] + participio oppure x-participio + aw"h] sono relegati al background. Solo la presenza di un SgM permette che tali costrutti si trovino sul PP (Dan 6,4a; 6,5a). Quando invece il verbo aw"h] si trova in prima posizione (Esd 4,24b), la proposizione occupa la linea principale. Nell’asse temporale del passato del DD è presente sempre il qetal di aw"h]. Mentre i costrutti che contengono la perifrastica aw"h]-participio si trovano sempre sullo Sf e sono tutti del tipo x-aw"h] + participio (Dan 5,19a-e), quelli contenenti la successione participio + aw"h103 ] sono presenti solo sul PP, sia con sia senza un elemento x davanti al participio. La formula participio del verbo hz"x] + qetal del verbo aw"h] ricorre nel contesto o di sogni (Dan 2,31a.34a; 4,7a.10a) o di visioni (Dan 7,2d.4c.6a.7a.9a.11ab.13a.21a) e sembra dare un ritmo al racKA,

Notes, 158; GZELLA, Tempus, 249-250; LI, Verbal, 80-81); la combinazione del participio con lo yiqtul del verbo essere esprime invece un futuro continuo (LI, Verbal, 82) o durativo (GZELLA, Tempus, 265). 99 Occorre infatti sottolineare che quasi mai un sintagma si interpone tra il participio e aw"h], indipendentemente dall’ordine della loro successione. Solo in due casi su 44, Dan 6,3a (yDI-yiqtul nella Nar) e Dan 2,20c (yiqtul di PP nell’asse del futuro volitivo nel DD), aw"h] e participio non sono posti l’uno accanto all’altro. Per Esd 6,10a cfr. n.108. 100 A riprova di quanto sia complesso assegnare un determinato aspetto modale alla costruzione perifrastica basti considerare che gli autori non sempre giungono alla stessa conclusione per un medesimo esempio. Nel caso del versetto citato sopra GZELLA, Tempus, 246, suggerisce che, nel contesto in cui si trova, esso assume il senso di «andauernde oder wiederholte Sachverhalte» e traduce: «Darauf pflegte sich dieser Daniel vor den hohen Beamten und den Provinzstatthaltern auszuzeichnen». LI, Verbal, 81, cita lo stesso caso per fare un esempio di passato «progressive» oppure di aspetto incoativo della perifrastica e traduce: «then this Daniel was distinguishing himself [or began to distinguish himself] over the supervisors and satraps». Dan 6,5a è citato da STEVENSON, Grammar, § 22,4, come un caso di iteratività: «they sought repeatedly to find an excuse»; MURAOKA, Notes, 159, indica lo stesso versetto come un’istanza di «incoative»: «began to seek», mentre LI, Verbal, 81, come un esempio di «inceptive»: «began trying [or, kept trying] to find». 101 Sull’aspetto iterativo che la costruzione perifrastica esprimerebbe in questo contesto convengono sia GZELLA, Tempus, 246, che LI, Verbal, 81. 102 LI, Verbal, 87 riconosce in questo caso alla costruzione perifrastica un aspetto progressivo. 103 In questo tipo di costruzione perifrastica non è mai presente un sintagma tra il participio e aw"h], indipendentemente dall’ordine participio/verbo essere.

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conto, riportando la messa in rilievo sulla linea principale (Dan 7,8a). Tale formula indica che l’autore sta per descrivere un’altra scena, utilizzando poi dei costrutti di Sf104 per tratteggiarla nei suoi particolari. Nell’asse temporale del futuro105 è presente sia il costrutto aw"h] + participio sia participio + aw"h]. Un confronto tra Dan 2,20c e Esd 4,12a106 mette in evidenza che non ci sono differenze di senso o di uso di queste due forme: Dan 2,20c

%r:b'm. ah'l'a/-yDI Hmev. awEh/l,

Sia il nome di Dio benedetto

Esd 4,12a

aK'l.m;l. awEh/l, [:ydIy>

Noto sia al re

Entrambe le occorrenze presentano la stessa persona del verbo aw"h], sono di PP nell’asse del futuro ed assumono una funzione performativa. In Dan 2,43bc107 è possibile osservare tutti e due i tipi di costrutti insieme: Dan 2,43 b av'n"a] [r:z>Bi !wOh/l, !ybir>['t.mi (le parti) saranno mischiate con seme umano

c hn"D>-~[i hn"D> !yqib.D" !wOh/l,-al'w> e non saranno legate tra di loro

La prima parte (b) è un x-yiqtul di PP nell’asse temporale del futuro indicativo; questa è seguita da un waw-yiqtul negato che continua la linea principale. In questo come in tutti i casi esaminati non si notano differenze rispetto ai costrutti x-yiqtul o waw-yiqtul in cui è assente la costruzione perifrastica, né diversità dovute alla sequenza verbo/participio. Nella linea secondaria del futuro non ci sono esempi di costruzione perifrastica del tipo participio + aw"h] ma si trova solo la sequenza aw"h] + participio (Dan 2,42c), talvolta legata alla particella relativa yDI. Dan 6,27 b laYEnId"-yDI Hhel'a/ ~d"q\-!mi !ylix]d"w> [!y[iy>z"] (!y[az) !wOh/l, ytiWkl.m; !j'l.v'-lk'B. yDI che in tutto il dominio del mio regno si tremerà e si avrà timore davanti al Dio di Daniele

104 In questo senso dissento da GZELLA, Tempus, 248, che invece considera queste costruzioni appartenenti all’Hintergrund. 105 COXON, Syntax, 109, afferma che l’uso del participio con lo yiqtul del verbo essere esprime un’azione che è continua o ripetuta. 106 Altre attestazioni di questa formula sono Dan 3,18b e Esd 5,8a. 107 LI, Verbal, 87 analizza separatamente le costruzioni perifrastiche in cui il participio è passivo e arriva alla conclusione che «the occurrences of aw"h] with the passive participle consist of the verb “to be” with an adjectival predicate».

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In Dan 6,27b il verbo aw"h] è posto prima di due participi108 ed è legato ad entrambi. L’x-yiqtul specifica il contenuto del decreto del re, analogamente a quei casi in cui è utilizzato un costrutto simile senza costruzione perifrastica. Anche nel DD la presenza di un elemento x prima della costruzione perifrastica pone tali costrutti sullo Sf, indipendentemente dal tempo del verbo aw"h] (Dan 2,42c). Nei due casi in cui lo yiqtul è in prima posizione (Dan 2,20c; 2,43c) o nei casi in cui non vi è nessun elemento prima della costruzione perifrastica, il costrutto invece occupa sempre il PP109. Da quanto detto posso trarre le seguenti conclusioni: 1) Sia nella Nar che nel DD non si osservano differenze tra le costruzioni aw"h] + participio e participio + aw"h110 ] . 2) Nella costruzione perifrastica è il verbo aw"h] che determina il tempo del costrutto e nel DD l’asse temporale in cui esso deve porsi. 3) Il tipo di costrutto all’interno del quale si trova una costruzione perifrastica è determinato dalla posizione del verbo aw"h] e non del participio; tutti i casi sono classificabili in una delle seguenti categorie: (waw-)qetal; (waw-)x-qetal; (waw-)yiqtul; (waw-)x-yiqtul. 4) La presenza di uno o più sintagmi prima della costruzione perifrastica, a prescindere dall’ordine degli elementi (participio, aw"h]), è rilevante per la determinazione della messa in rilievo di tale costrutto, sia nella Nar che nel DD.

108 Cfr. Dan 5,19a ed Esd 6,10a. Il secondo participio si può anche considerare come una proposizione a sé stante. Nel caso di Dan 5,19a sarebbe un participio*c nell’asse del passato, simile ad altri casi attestati in tale piano linguistico. In Dan 6,27b e Esd 6,10a i due waw-participi dovrebbero essere posti nello Sf dell’asse temporale del futuro indicativo. Essi costituirebbero però le uniche attestazioni di un participio iniziale in questo asse temporale. Preferisco dunque seguire l’opinione di LI, Verbal, 79, n. 1, il quale afferma che il secondo participio è «a continuation of the complex verb phrase hwh + participle» e non costituisce un «indipendent participle». 109 Ci sono alcuni esempi di participio + aw"h] che sembrano, però, contraddire quanto detto, in quanto tale costruzione occupa la linea principale nonostante un elemento x compaia prima del participio. In realtà, considerando più da vicino i singoli casi, si nota che tale elemento x o è un casus pendens (Dan 2,31a) oppure è parte di un x-qetal (Dan 4,7a) o di un x-yiqtul (Dan 2,41b), i quali si trovano all’inizio dei rispettivi assi temporali del passato e del futuro. In Dan 7,6a.7a.11b.13b il costrutto x-participio + aw"h] è tenuto sul PP grazie alla presenza di un SgM. 110 ROWLEY, Aramaic, 98, giunge ad una conclusione simile. Egli afferma infatti che «in Biblical Aramaic the participle may stand either before or after the auxiliary». LI, Verbal, 96, ritiene che nella costruzione perifrastica l’ordine dei costituenti muti perché «has not yet become fixed».

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2. Narrazione 2.1 Antefatto La narrazione111 inizia sempre con dei costrutti di livello secondario che con NICCACCI chiamo antefatto112. Essi forniscono una specie di introduzione al successivo racconto, presentano il personaggio narrante o riassumono brevemente l’oggetto principale della vicenda. L’antefatto in AB si apre sempre con un xqetal 113. Gli antefatti presenti nel testi presi in considerazione nel mio studio sono114: • Dan 3,1a-2a: costituito da un x-qetal (1a), seguito da due PNS (1bc) e da un qetal continuativo (1d), chiuso infine da un secondo x-qetal (2a); • Dan 4,1a-3b: i due x-qetal (1a;2a) che aprono questo capitolo sono seguiti da un waw-yiqtul (2b), da una PNS (2c) e da un x-yiqtul (2d); l’antefatto procede con un x-participio (3a) e si chiude con un yDI-x-yiqtul (3b); • Dan 5,1a-2b: inizia con un x-qetal (1a) seguito da un x-participio (1b); quindi si conclude con un secondo x-qetal (2a) e un waw-yiqtul (2b); • Dan 7,1ab: il breve antefatto in questo caso serve per indicare il tempo del sogno (x-qetal, 1a) e per fornire una breve specificazione (PNS, 1b); • Esd 4,8a: l’x-qetal riprende il versetto ebraico precedente e inquadra il racconto successivo. I capitoli 5 e 6 di Daniele, così come Esd 4,28-6,18 possono considerarsi come un unico lungo episodio. Le diverse parti, infatti, sono connesse insieme alla fine di un capitolo e all’inizio dell’altro o da forme di sfondo o da forme di PP115. La fine dell’antefatto e l’inizio del PP della Nar è segnato dalla presenza dell’avverbio !yId:aBe, legato a differenti costrutti116. Cfr. Appendice 1. Nello schema non ho riportato le yDI-P sia per non renderlo eccessivamente complesso, sia perché quanto alla messa in rilievo esse si comportano sostanzialmente come le corrispondenti proposizioni che presentano un elemento x davanti al verbo o, nel caso delle yDI-PNS, come le PNS senza particella relativa. 112 NICCACCI, Sintassi, § 6. 113 NICCACCI, Sintassi, § 15, distingue un (waw-)x-qatal iniziale come costrutto di antefatto per distinguerlo da un (waw-)x-qatal non iniziale che si trova sullo Sf. Anche per l’AB i costrutti di antefatto e di Sf sono identici. La loro distinzione può essere fatta in base alla loro posizione prima o dopo il SgM che apre la narrazione (ibid., §§ 19.27.36). 114 Un antefatto è presente anche in Dan 2, ma esso non è stato analizzato perché non fa parte del corpo aramaico del testo masoretico. Seguendo le regole della sintassi ebraica proposta da NICCACCI, esso è costituito da un x-qatal (2,1a), seguito da un wayyiqtol continuativo (2,1b) ed ancora da un secondo x-qatal (2,1c). Con il rm,aYOw: che apre il v. 2 inizia la linea principale della narrazione. 115 Il capitolo 5 di Esdra si chiude con la conlusione della lettera di Tattenai e Setar Boznai e il successivo capitolo 6 si apre con forme di PP nella Nar (Esd 6,1a-2a). 116 Participio in Dan 3,3a; 4,4a; qetal in Dan 5,3a; x-qetal in Dan 7,1c; PNS in Esd 4,9a. In questa ultima occorrenza si trova !yId:a/. 111

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2.2 Sfondo Le proposizioni che nella narrazione occupano lo Sf sono del tipo x-qetal (azione unica), x-yiqtul (azione abituale, ripetuta o descritta nella sua durata), x-participio117; essi sono tutti costrutti in cui la forma verbale non si trova in prima posizione nella proposizione. Anche la PNS nella Nar non occupa mai il PP. Dan 2,48a-49c si apre con un !yId:a/-x-qetal di PP. Esso fornisce l’informazione principale, che di per sé è sufficiente a conoscere ciò che è accaduto dopo l’interpretazione del sogno del re da parte di Daniele. I successivi costrutti di sfondo specificano questo avvenimento e ne offrono alcuni dettagli. I primi tre (48bcd) sono rispettivamente un x-qetal, un qetal*c e una PNS. Essi non indicano azioni posteriori a quella dell’elevazione di Daniele a un rango superiore da parte del re, ma ci informano su ciò che la decisione reale ha comportato: Daniele ricevette dei doni, fu posto a capo della provincia di Babilonia e dei saggi di quella regione. Il waw-x-qetal in 49a pone un elemento di contrapposizione: alla generosità manifestata dal re Daniele, “da parte sua”, espone un’ulteriore richiesta e il waw-qetal*c (49b) dà la notizia dell’immediata promozione anche dei tre amici di Daniele118. La PNS finale (49c) indica un fatto contemporaneo al precedente costrutto. Questi costrutti finali forniscono il setting per il successivo episodio119. Il lettore viene a sapere che le vicende dei quattro protagonisti in qualche modo si separano: i tre amici, Sadrach, Mesach e Abdenego120 subiranno la denuncia da parte dei Caldei per non avere adorato la statua fatta erigere nella valle di Dura (Dan 3), in un luogo lontano dalla reggia; il personaggio di Daniele ricompare invece nel capitolo 4, in un racconto ambientato nel palazzo del re (Dan 4,1a).

117 Secondo BLAU, Minutiae, 8-9, le forme verbali yiqtul e participio possono indicare simultaneità all’azione espressa dal «preceding perfect or temporal adverb»; l’alternanza di questi costrutti mostrerebbe la fusione di due diversi sistemi utilizzati in questa lingua per indicare, appunto, un’azione contemporanea, di cui «the earlier one with the imperfect and the later one with the participle». ESKHULT, Studies, 113, riguardo al Late Biblical Hebrew, parla di un uso del participio in concorrenza con lo yiqtol. Occorre sottolineare però che nell’AB l’x-participio può anche descrivere un’azione unica nel passato (Dan 3,4a; 4,4bc; Esd 5,3b). Dunque mentre l’uso dello yiqtul nella narrazione sembra fissato, lo stesso non avviene per il participio, che appare una forma verbale ancora in evoluzione in questo tipo di costrutto di Sf (ROSENTHAL, Grammar, § 178; GZELLA, Tempus, 143-144). 118 Questo secondo waw-qetal potrebbe essere interpretato anche come un costrutto di PP. Le due informazioni poste sulla linea principale sarebbero, in questo modo, da un lato la promozione di Daniele, dall’altro il nuovo incarico che i tre amici hanno ricevuto dal re. L’interpretazione che ho esposto sopra mi sembra, però, più coerente con il contesto immediato. 119 COLLINS, Daniel, 173. 120 MEADOWCROFT, Aramaic, 124.

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2.3 Primo piano Il PP della narrazione è occupato da due forme: (waw-)qetal, (waw-)participio. Il qetal può essere coordinato ad una precedente forma di PP sia attraverso waw sia per asindeto121, senza alcuna modifica della messa in rilievo. In questo secondo caso è possibile pensare ad una piccola interruzione nella sequenza di tali costrutti122. Un caso particolare si ha quando si presenta un segno macrosintattico che nella Nar è solo della classe !yId:a/. Esso mantiene sul PP il costrutto seguente, anche se non del tipo elencato prima, oppure una intera proposizione duplice. Una sequenza relativamente lunga di forme di PP nella Nar si trova in Dan 3,7a-9b. hn"D> lbeq\-lK' apre la catena e mantiene sul PP una proposizione duplice costituita da un yDI-participio, a cui si può assegnare un valore temporale, e dal participio !ylip.n", l’apodosi, che descrive il fatto principale. Un participio coordinato per asindeto (7b) indica la successiva azione. Nuovamente un SgM123 mantiene sulla linea principale un x-qetal (8a), il quale è seguito poi da un waw-qetal (8b). Infine il qetal del verbo hn"[] (9a) e il participio !yrIm.a'w> (9b) introducono un DD. Una più ampia sezione narrativa si trova in Dan 6,17-21. Essa presenta in prevalenza una serie di qetal, mentre il participio si trova solo nelle formule introduttive del DD (17de; 21bc). La sequenza si apre con un !yId:a/-x-qetal (17a); i waw-qetal seguenti (17bc) si riferiscono ad azioni successive all’ordine del re. Dopo il breve DD la Nar continua con tre waw-qetal (18a-c) di PP, a cui segue un yDI-yiqtul (18d) di Sf: Dan 6,18 a hd"x] !b,a, tyIt'yhew> PP Fu portata una pietra

b aB'GU ~Pu-l[; tm;fuw> PP e fu messa sopra la bocca della fossa c yhiAnb'r>b.r: tq'z>[ib.W Hteq.z>[iB. aK'l.m; Hm;t.x;w> PP e il re la sigillò con il suo anello e con l’anello dei suoi dignitari d laYEnId"B. Wbc. anEv.ti-al' yDI Sf perché non cambiasse niente riguardo a Daniele

La descrizione delle singole azioni in successione costituisce un rallentamento della dinamica narrativa del racconto e crea un effetto di attesa nel lettore. La Nar ritorna sul PP con la forma !yId:a/-qetal di 19a124. Questa procede con un sucTale fenomeno si riscontra anche nel caso del participio (cfr. Dan 3,27b; 5,7a). Questo comportamento differisce dall’ebraico biblico, in cui la forma continuativa di un wayyiqtol di PP è solo un altro wayyiqtol, e nella narrazione non è possibile incontrare un qatal nella prima posizione della proposizione (NICCACCI, Sintassi, §§ 9.15). 123 Solo in Dan 3,7a.8a, si combinano insieme due SgM: hn"D> lbeq\-lK' e an"m.zI-HBe. 124 Paragonando questo costrutto con il precedente waw-qetal in 18a non si notano differenze tra i due: entrambi riportano il racconto sul foreground dopo una interruzione della catena narrativa. È difficile dire se l’autore, utilizzando in questo caso un costrutto diverso abbia voluto 121 122

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cessivo waw-qetal (19b), ancora sulla linea principale, e con due x-qetal (19cd) sullo Sf, i quali descrivono i dettagli della notte insonne del re. Dan 6,20 a aK'l.m; !yId:aBe SgM

Protasi

Allora il re

ah'g>n"B. ~Wqy> ar"P'r>P;v.Bi

all’alba si alzava sul far della luce

lz:a] at'w"y"r>a;-ydI aB'gUl. hl'h'B.t.hib.W

Apodosi e in fretta andò alla fossa dei leoni 21a Sf

q[iz> byci[] lq"B. laYEnId"l. aB'gUl. Hber>q.mik.W

e, quando arrivò alla fossa, con voce angosciata gridò a Daniele

L’avverbio !yId:aBe in 20a segnala che la Nar è di nuovo sul PP. Esso regge una proposizione duplice, in cui la protasi è costituita da un x-yiqtul125, e l’apodosi da un x-qetal. Un’ulteriore interruzione del racconto è data dall’x-qetal in 21a, che sposta la scena dal palazzo del re alla fossa dei leoni. Infine i due participi rm;a'w> hnE[' (21bc) introducono un nuovo DD126. 3. Discorso diretto Per il DD occorre distinguere oltre alla messa in rilievo anche i diversi assi temporali: passato, presente, futuro indicativo, futuro volitivo127.

segnare l’inizio di un nuovo passo nell’episodio, sottolineando il cambiamento di scena dalla fossa dei leoni al palazzo del re, oppure se la sua scelta sia stata determinata da una semplice variazione stilistica. Altri simili esempi si trovano in Dan 6,13a; Esd 4,24a; 5,2a. Il mio interesse, comunque, è di dimostrare che entrambi i costrutti contenenti (waw)-qetal e !yId:a/-(x)-qetal hanno il medesimo comportamento quanto alla messa in rilievo. 125 Cfr. n. 33. Nella traduzione ho preferito mantenere il senso originale del verbo, traducendolo con un imperfetto. Inquadrato nel più ampio contesto di questa sequenza, penso che un senso che si può attribuire a questa forma verbale sia quello di descrivere l’azione nel suo svolgimento, in modo da rallentare il tempo del racconto e creare una maggiore attesa nel lettore (BAR-EFRAT, Narrative, 146). MEADOWCROFT, Aramaic, 91, riguardo ai versetti in esame, afferma: «the suspense over what is happening is achieved by keeping each scene distinct. The suspense is not relieved until the reader with Darius discovers the events of the night. This method of “shaping space” is a characteristic of biblical narrative». 126 Riassumendo l’analisi fatta, in questa parte narrativa ci sono in totale 13 forme di PP (tre !yId:a/-qetal; sei waw-qetal; quattro (waw-)participi) e quattro forme di Sf (tre waw-x-qetal; un yDI-yiqtul, a cui si deve aggiungere l’x-yiqtul che costituisce la protasi della proposizione duplice del v. 20a). 127 Cfr. Appendice 1. Anche in questo caso non ho riportato la posizione né delle yDI-P, né dei SgM per non rendere più complesso lo schema.

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3.1 Passato L’asse temporale del passato si apre sempre con x-qetal. Sia tale forma che il semplice qetal possono essere preceduti da un SgM128. La catena sintattica procede sull’asse principale con forme del tipo qetal o participio (Dan 5,15ab; Esd 5,11de.16ab) Quando si presenta una delle forme che si trovano sullo Sf si ha un’interruzione della sequenza narrativa. In Dan 2,35a l’!yId:a/.-qetal iniziale indica che il costrutto è di PP. Questo è seguito da due waw-qetal (35bc) che rimangono sulla linea principale della comunicazione, mentre l’x-qetal di Sf (35d) pone maggiore enfasi sulla forza del vento, che ha spazzato via i pezzi della statua. Un altro x-qetal (35e) crea un contrasto con quanto detto prima: nonostante la forza del vento la pietra non viene rimossa, ma diviene una montagna. Il waw-qetal*c (35f) chiude la scena, in relazione con la proposizione precedente, dà un’informazione che ne è la diretta conseguenza. 3.2 Presente Nell’asse temporale del presente all’inizio si trova un x-participio o una PNS. Esso prosegue poi sul PP con una successiva PNS o con un participio iniziale129. In tale asse temporale la comunicazione si sposta dalla linea principale a quella secondaria o con costrutti del tipo x-participio (Dan 3,12d; 4,32ab), o con una PNS di Sf (Dan 6,27de)130. Dan 4,34 a xB;v;m. rC;nk;Wbn> hn"a] ![;K. PP Adesso, io Nabucodonosor, lodo

b ~meArm.W PP ed esalto c aY"m;v. %l,m,l. rD:h;m.W PP e glorifico il re del cielo

In Dan 4,34a-c, p. es., i tre costrutti si trovano sul PP131. Il primo (a) è un x-participio, introdotto dal SgM ![;K., seguito da due waw-participi (b.c). In Dan 2,23ab, l’asse del presente inizia con un x-participio (a) e continua con un waw-participio (b). Un esempio, invece, di due PNS di PP nel presente è dato da Dan 4,16hi. In Dan 3,25cde si trova ancora una successione di costrutti appartenenti tutti all’asse del presente. Nabucodonosor si accorge che qualcosa di strano sta avvenendo nella fornace ardente e proclama apertamente la sua incredulità. Il Nel DD può essere del tipo !yId:a/ o ![;K. oppure Wla]/Wra]. Non sono stati rilevati costrutti con qetal o yiqtul in questo asse temporale. 130 Sono attestati participi*c in questo asse temporale. Essi si trovano solo in continuazione di un precedente x-participio o di una PNS di Sf. 131 Anche SHEPHERD, Verbal, 114, pensa che questo versetto sia da analizzare come discorso diretto e non come narrazione. 128 129

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primo (c) di questi costrutti è un x-participio. Esso inizia la linea temporale del presente, segue poi PNS (d), anch’essa di PP. La presenza di un successivo xparticipio (e) fa variare la messa in rilievo. Sull’elemento x, HwErE, è posta l’enfasi della proposizione132. 3.3 Futuro Indicativo L’asse del futuro indicativo inizia con x-yiqtul e prosegue nella linea principale attraverso una successione di (waw-)yiqtul. Quando lungo la catena si incontra un altro x-yiqtul, la messa in rilievo cambia e dal foreground si passa al background. Dan 7,23b-27d presenta una lunga sequenza di proposizioni appartenenti tutte all’asse temporale del futuro indicativo. Un personaggio misterioso (7,16a), presente nella visione di Daniele, spiega a costui il senso di ciò che sta osservando: Dan 7,23b 1) at'y>["ybir> at'w>yxe Casus pendens Riguardo alla quarta bestia

2)

a['r>a;b. awEh/T, [ha'['ybir]> (ay[ybr) Wkl.m;

3)

at'w"k.l.m;-lK'-!mi anEv.ti yDI

PP

c

PP

d

PP

e

PP

un quarto regno sarà sulla terra che sarà diverso da tutti i regni

a['r>a;-lK' lkuatew>

e divorerà tutta la terra

HN:viWdt.W

e la calpesterà

HN:qiD>t;w>

e la stritolerà

L’interpretazione del sogno si apre con un casus pendens (23b1) che annuncia l’argomento seguente. L’x-yiqtul (23b2) apre l’asse del futuro indicativo; ad esso è unito un yDI-yiqtul (23b3), che dà una specificazione riguardante il futuro regno. Seguono altri tre waw-yiqtul (23cde) che comunicano le azioni che il regno compirà.

132 Solo in un caso si osserva una sequenza del tipo PNS di PP/PNS di Sf: Dan 3,16c.17a. La seconda PNS, però, è la protasi di un periodo ipotetico, l’apodosi del quale è costituita dal successivo x-yiqtul. Quindi i due costrutti, seppur vicini, sono in realtà semanticamente separati tra di loro. Le PNS di Sf in questo asse si trovano per lo più dopo la congiunzione subordinante !he (Dan 3,15a.17a; Esd 5,17a) o all’interno di una yDI-P, in particolar modo dopo una yDI-PNS (Dan 5,23e; 6,27de).

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Dan 7,24a 1)

rf;[] aY"n:r>q;w>

Casus pendens E riguardo ai dieci corni

2)

!Wmquy> !ykil.m; hr"f.[; ht'Wkl.m; HN:mi

b

!AhyrEx]a; ~Wqy> !r"x\a'w>

PP Sf

c

Sf

d

Sf

25a Sf

b

Sf

c

PP

d

PP

da quel regno sorgeranno dieci regni ma un altro sorgerà dopo di essi

ayEm'd>q;-!mi anEv.yI aWhw>

ed esso sarà diverso dai precedenti

lPiv.h;y> !ykil.m; ht'l't.W

e tre re abbatterà lLim;y> [ha'L'[i] (ayl[) dc;l. !yLimiW e proferirà parole contro l’Altissimo

aLeb;y> !ynIAyl.[, yveyDIq;l.W

e i santi dell’Altissimo logorerà

td"w> !ynIm.zI hy"n"v.h;l. rB;s.yIw>

esso avrà intenzione di mutare i tempi e il giudizio

!D"[i gl;p.W !ynID"[iw> !D"[i-d[; HdEyBi !Wbh]y:t.yIw>

ed essi saranno dati nella sua mano per un tempo, tempi e metà di un tempo

I v. 24-25 permettono di osservare l’alternanza dei costrutti di PP e di Sf. Il casus pendens e l’x-yitul (24a) indicano l’inizio di una nuova catena con un cambio di argomento. Non si parla più del quarto regno ma dei successivi dieci che sorgeranno da quello. Il racconto, poi, passa sullo Sf per la presenza di un secondo x-yiqtul (24b) che crea un contrasto con quanto detto in precedenza. Esso annuncia l’avvento di un successivo regno diverso dai dieci. Attraverso una serie di x-yiqtul di Sf ne vengono descritte le caratteristiche (24c) e il comportamento nei confronti di altri tre re non meglio specificati, dell’Altissimo e dei suoi santi (24d.25ab). Quando, però, l’autore elenca le azioni di questo regno in relazione ai dieci regni, che costituiscono il tema dei v. 24-25, egli usa dei costrutti di PP del tipo waw-yiqtul (25cd), posti in relazione diretta con xyiqtul iniziale di PP (24a). I v. 26-27133 presentano, invece, dei costrutti di Sf diversi tra loro: tre x-yiqtul (26ab.27c), un waw-yiqtul continuativo di Sf134 (27d), una PNS (27b) e un x-qetal (27a)135. Essi annunciano la fine di questo ultimo regno, in contrasto 133 Per i problemi relativi alla traduzione di questi versetti cfr. MEADOWCROFT, Aramaic, 217-221. 134 Il waw-yiqtul*c si trova solo in continuazione di un precedente x-yiqtul di Sf sull’asse del futuro indicativo. 135 Cfr. n. 18. SHEPHERD, Verbal, 122, spiega la presenza in questo contesto di tale tempo verbale tipico, a suo dire, solo della narrazione, come una costruzione che ricorda la successione wayyiqtol/x-qatal nell’ebraico biblico, in cui i verbi all’imperfetto inverso e al perfetto appartengono alla stessa radice. Egli richiama il caso di Gen 1,5 dove si contrappongono le forme ar"q.YIw: e ar"q". Nel testo in esame lo stesso fenomeno si verificherebbe tra Dan 7,25d e Dan 7,27a. «Here

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con la potenza che esso sembrava avere nel precedente passaggio, e la venuta del regno del popolo dei santi dell’Altissimo. 3.4 Futuro Volitivo L’asse del futuro volitivo può iniziare con un imperativo (Dan 4,11c), con un x-imperativo (Esd 5,15b), con un x-yiqtul (Dan 2,24d) o con uno yiqtul (Dan 2,20c). Esso prosegue solitamente con un imperativo in prima posizione nella proposizione, con o senza waw. Nel successivo schema propongo queste costruzioni in sinossi: (waw-)imperativo

← ← ← ← Costrutti iniziali

Dan 4,11cd yhiApn>[; WcCiq;w> e spezzate i suoi rami Esd 5,15bc lz/# is reconstructed. This verbal idiom (.>/ piel “press down the bow”, i. e., set it or bend it) is attested also in Ugaritic.21 In any case, both readings have a weqatal construction; its grammatical function is to be cleared up.22 The second accusative on the piel verb D?72 is introduced by the 2 of accusative (!7$ >$ 2+ F' 2- , v. 35).23 l.I+ /5Y -# of v. 36 is v.&@5# in 4QSama. Ps 18 has l.+ -# +/5- +# and enlarges this verse by another clause " '/D) 5$ :+ .' l +/"7"' '#; LXX suggests a longer version as well.24 A rare grammatical form of the preposition with nun " '/f) >+ f- is found in v. 37.25 Ps 18 omits nun and 4QSama omits the whole prepositional phrase. The colon "C$ :p &+ W- BD5Y 7$ %I2 +# seems to be supralinearly added in 4QSama.26 The clauseinitial full yiqtol form G">' &+ f- looks like G[">]&. in 4QSama, partly broken, but the full spelling is reconstructed.27 In v. 38 the lengthened form !9$ 6+ &+ %1 is not transmitted in Ps 18: … KE6&+ %1 0 )A"}' %- . 0D") 7' X+ %- $# is lacking in Ps 18. The use of the waw-less lengthened ˀäqtol form in the presumably narrative/story-telling function is quite rare.28 Two verb forms 0d) >$ 7+ %1 $# 0C) 7% in 4QSama without the waw consecutive. Yiqtol forms with or without waw seem to be in free distribution in different versions.29 See HALOT, 736.1709. D. PARDEE (in HALLO, Context, 348, note 50) lists this idiom among “formulae, attested in variants forms, for divine travel and arrival at ˀIlu’s abode”. 20 Cf. Deut 32,4 for similar vocabulary. 21 On the parallel phrase ‘to bend or stretch the bow’ in the Ugaritic context see CROSS, Canaanite Myth, 23, especially note 57 and p. 176, note 127. 22 See the discussion in paragraph 3.4.3 below. 23 See KEIL-DELITZSCH, Biblical Commentary, 480. 24 See the discussion in CHISHOLM, Study, 90-91. 25 See GKC, § 103. The prepositions can have nun in Ugaritic and Phoenician; see DAHOOD, Psalms, 116, who pointed to the nun-suffixed prepositions in Ugaritic and Phoenician and claimed that the forms with nun are archaic and original. 26 See the wider discussion in MCCARTER, II Samuel, 460. 27 Thus according to DJD XVII, 181. 28 According to GKC, § 108 e, this might be a conditional sentence “if I determined to pursue, then ….” WALTKE-O’CONNOR, 576, interpret the form as a pseudo-cohortative without waw for past narrative; cf. the discussion in paragraph 3.4.2 below. 29 Cf. CROSS-FREEDMAN, Royal Song, 83: “An examination of the material shows that the use of the conjunction follows no determinable set of rules. Rather, it seems to be distributed at random, haphazardly inserted in one text, omitted in the other.” 18 19

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In v. 40 " '0&) +Hf. .#, with a syncope of intervocalic aleph, corresponds to "0&H%/[#] in 4QSama.30 9". &' C+ f. is rendered by 9&C/# in 4QSama—a hifil verb with defective spelling and with waw. The defective spelling does not necessarily indicate the short form of the prefix conjugation.31 This case, together with O"F' &+ f. in v. 37, is an example of a full form of the prefix conjugation in clause-initial position, apparently for the past tense use.32 The epistemic modal ,J' &+ f- (37) :0.EC $ (- D5- GBX%$ %I2 +# +D+ f- "7- W$ 5" - &' $ 2+ F' 2- 2 '">- $ X+ %1 +#, v. 43, and B& +Q>+ -" +#, v. 46.57 However, the text does not disclose any explicit or implicit indications of such changes of illocutionary force. 3.2.3 Aspectual entities and the viewpoint aspect Most aspectual entities that shape this passage are dynamic bounded events (&f) -_ -#, v. 33; " '/D) 7' 5Y -", v. 34; ,f1 f' -#, v. 36; etc.). The dynamic bounded events tend to be interpreted as perfective non-present, or rather past.58 One cannot exclude progressive on-going activity as an aspectual interpretation for at least some of Cf. to the translation in ANDERSON, 2 Samuel, 259. Narrative is usually characterized by the spatial-temporal dislocation from the speaker and listener (see TOOLAN, Narrative, 5), or the detachment from Speech Time (see SMITH, Domain, 605). 54 Report, on the contrary to the narrative, is characterized by wider involvement of the communication participants and the constant reference to Speech Time; cf. SMITH, Domain, 606. 55 On the illocutionary force of the narrative see TOOLAN, Narrative, 4-6. For details on the aspectual and temporal arrangement of the passage see paragraphs 3.2.3 and 3.2.4 below. 56 Cf. KEIL-DELITZSCH, Biblical Commentary, 479-480. 57 For the critics of the morphosyntactic value of the waw and its vocalization in interpreting biblical poetry see CROSS-FREEDMAN, Royal Song, 84: “It can no longer be doubted, however, that the imperfect form of the verb was the common, generally used verb form in old Israelite poetry, as in old Canaanite poetry, and that its time aspect was determined by the context, not the presence or absence of the conjunction.” 58 On the basis of the Bounded Event Constraint, the default temporal interpretation will be past tense, see SMITH, Time in Navajo, 45-46. For this interpretation see MCCARTER, II Samuel, 454-455.470-472. CROSS-FREEDMAN, Royal Song, 84, theoretically support this approach to tenses, but do not always apply it to their translation (see CROSS-FREEDMAN, Royal Song, 92-93). 52 53

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especially due to the demonstrative particle !$ in the opening (4%) !$ , v. 33). This aspectual interpretation will mean that Event Time embraces Reference Time, but the temporal interpretation can differ: if Reference Time overlaps with Speech Time, the tense is present progressive; if Reference Time is located in the past (anterior to Speech Time), the tense will be past progressive; if Speech Time is metaphorically relocated into past narrative, the tense is historical present.59 Theoretically, dynamic verbs can be used in habitual or even generic sayings.60 However, such an interpretation seems unlikely for most verbal sayings in the passage, especially in the second part: habitual sayings suggest generalizations about the situation pattern and generic sayings suggest the agent’s characterization.61 Both possibilities contradict the eventive non-generic character of the military activity described in the passage. Some utterances, especially in the third part, can imply an iterative, or rather a distributive meaning, especially due to the plurality of the agent or patient (J9Z+ '", v. 42; " '0Lp O+ 9. .", v. 44; JZF[ (. /+ '", v. 45; etc.). These sentences can even be interpreted as present habitual, taken as the pattern-characterization of the miserable situation of the enemies.62 However, the text lacks clear formal indications of such a shift from dynamic eventualities to general statives. 3.2.4 Temporal arrangement The temporal interpretation of the passage is a highly hazardous issue, since the text does not provide sufficient information about the exact temporal locations. The egocentric elements (" '0L) I- /) si trova nei seguenti passi biblici: Gen 5,29-32; 6,8-9,29; 10,1.32; Is 54,9; Ez 14,14.20 e 1 Cr 1,4. Occorre anche nell’apocrifo Sir 44,17 e nei testi di Qumran: 4QCommGenA 1,1.4.13.21; 2,1.4.5.7; 4QCommGenD 3,2; CD 3,1; 4QPrFêtesb 3,2; 5QRègle 1,73. Finora, il nome dell’eroe del diluvio è rimasto un mistero. Di solito viene spiegato, rispetto al racconto del Diluvio, col significato di “riposo”4. In Gen 8,3-4 si legge: 1 Ringrazio il professor Fabrizio A. PENNACCHIETTI che ha avuto la gentilezza di correggere il mio italiano e anche per le citazioni di testi antichi in italiano. 2 NICCACCI, Cantico dei Cantici; NICCACCI, La lode del creatore; NICCACCI, Diluvio; NICCACCI, Isaiah xviii-xx. A questi si può aggiungere WATSON, Reflexes of Akkadian Incantations in Hosea. 3 CLINES, Dictionary of Classical Hebrew V, 652. 4 “No firm etymology for the name Noah … has been established, but it is generally derived from the root nw$, to rest, settle down, repose, etc; thus ‘Noah’ may mean ‘rest’ ” – BAILEY, Noah and the Ark, 1123b. Vd. anche HALOT, 684b-685a.

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Alcuni brani dell’Antico Testamento e testi dal Vicino Oriente antico

Le acque diminuirono dopo centocinquanta giorni e nel settimo mese, nel diciassette del mese, l’arca si posò sulle montagne dell’Ararat5.

Così, il nome ebraico >I- / viene derivato dallo stesso verbo >/ (qui > -/f$ -#). Troviamo una spiegazione molto simile in Gen 5,29: E (Lamech) lo chiamò Noè, dicendo: «Costui ci consolerà del nostro lavoro e della fatica delle nostre mani, a causa del suolo che il Signore ha maledetto».

Ma forse non sono altro che etimologie popolari6. Invece, si può citare un altro passo, cioè Gen 9,20-21: Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò …

Il verbo egiziano nw$ significa “bere; ubriacarsi; ubriacare”7 e perciò, alla luce di questo brano del libro della Genesi, non è da escludere che il nome ebraico “Noè” si spieghi come derivante da un verbo preso in prestito dalla lingua egiziana o da una lingua affine a quella8. Non sarebbe un caso isolato perché appunto la parola ebraica per l’arca, cioè !G$ f) è ben conosciuta come un prestito dalla lingua egiziana – probabilmente dalla parola egiziana tb.t, “cassa”9. 2. Il transito del Mar Rosso È risaputo che Mosè, alzando la mano, fece dividere le acque del Mar Rosso per lasciare passare gli israeliti dopodiché fece ritornare le acque al loro solito posto. Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte, risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare sull’asciutto, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra … (Es 14,21-23) Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto … (Es 14,27; vd. Es 14,15-17; 15,8)

Nel testo egiziano intitolato “Racconto della Corte del re Cheops”10 troviamo un episodio simile. Nel racconto, il faraone stava su una barca remata da venti Traduzione: NICCACCI, Diluvio, 17. Una spiegazione completamente diversa sarebbe “longevo” da >#/ “essere disteso, riposare”; vd. CLINES, Dictionary of Classical Hebrew V, 899. 7 Eg. nw$, “trinken; sich betrinken; trunken machen” (ERMAN-GRAPOW, Wörterbuch 2, 224.3-7); cf. anche Eg. nw$, “Trunkenheit” (ERMAN-GRAPOW, Wörterbuch 2, 224.8-9), “drunkenness” (WILSON, Ptolemaic Lexikon, 498). 8 Sul significato della ubriachezza di Noè si veda STEINMETZ, Vineyard, Farm, and Garden. 9 Vd. HALOT, 1677b-1678; e per la parola egiziana tb.t vd. ERMAN-GRAPOW, Wörterbuch 5, 261.6 (“Kasten”). 10 Papiro Westcar, c. 1600 a. C. Per una traduzione vd. SIMPSON, Literature of Ancient Egypt, 15-30 (“King Cheops and the Magicians”), oppure PARKINSON, Tale of Sinuhe, 102-127 (“The Tale of King Cheops’ Court”). 5 6

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donne e andava su e giù per un lago. Però, la donna che fungeva da capovoga lasciò cadere nell’acqua un suo pendente di turchese a forma di pesce. Così, smise di remare finchè non fosse ritrovato quel ciondolo perduto, poiché ne rifiutava un sostituto. Per risolvere il problema il faraone fece venire il sacerdote-lettore Djadjaemankh, il quale pronunciò parole magiche: Allora egli mise una parte dell’acqua del lago al di sopra dell’altra parte e trovò il pendente a forma di pesce sopra un coccio. Lo riprese e lo diede alla sua padrona. L’acqua era profonda dodici cubiti al centro e finiva a ventiquattro cubiti, una volta piegata. Poi pronunciò le sue parole magiche e fece tornare le acque del lago al loro solito posto11.

Anche qui si vede che l’autore biblico ha adoperato un tema egiziano nel suo racconto che tratta appunto del faraone e del suo esercito e che si svolge proprio in Egitto. 3. Un rituale con buoi Nell’occasione di una pestilenza che aveva colpito Israele durante il regno del re Davide, costui fu consigliato dal profeta Gad di costruire un altare sull’aia di Araunà, il Gebuseo. Il re andò sull’aia e Araunà gli venne incontro: Poi Araunà disse: «Perché il re mio signore viene dal suo servo?» Davide rispose: «Per acquistare da te quest’aia e innalzarvi un altare al Signore, perché il flagello cessi di colpire il popolo.» Araunà disse a Davide: «Il re mio signore prenda e offra quanto gli piacerà! Ecco i buoi per l’olocausto; le trebbie e gli arnesi dei buoi serviranno da legna». (2 Sam 24,21-22)

Così Davide comprò l’aia, mise su un altare e fece gli appositi sacrifici. In questo modo la pestilenza cessò. In un altro passo, questa volta dal primo libro dei Re, si narra di come Eliseo lasciò i suoi genitori per seguire il profeta Elia, concludendo l’atto con un rito simile a quello sopra descritto. Partito di lì, Elia incontrò Eliseo figlio di Safàt. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé … Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con gli attrezzi per arare ne fece cuocere la carne e la diede alla gente, perché la mangiasse. (1 Re 19,19-21)

In tutti e due i casi, il rito che includeva il bruciare un aratro ed il sacrificio di buoi fa pensare a un simile rituale ittita. Come parte di un rituale funerario, il decimo giorno si bruciava un aratro e le ceneri venivano trasportate sul luogo dove erano già state bruciate le teste di cavalli e di buoi12: 11

Traduzione sulla base di PARKINSON, Tale of Sinuhe, 111.

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Disfacciano un aratro e lo brucino nello stesso luogo. Le ceneri le prenda una vecchia e le butti dove le teste dei cavalli e le teste dei buoi sono state incenerite. Taglino i buoi a pezzi e i cuochi li prendano13.

Secondo HOFFNER14 questo è un tentativo di trasformare sia il bestiame che l’aratro in una forma che possa seguire il defunto nell’oltretomba. Nel caso di Eliseo, invece, il rito probabilmente sta a significare che il profeta non avrà più niente a che fare con la sua vita di prima. Nell’azione di Davide, invece, sembra che il sacrificio sia stato fatto per placare un dio che aveva inflitto la pestilenza15. In questo caso il nome ‘Araunà’ sembra essere anatolico, forse urrita16, il che va d’accordo con il parallelo altresì anatolico, cioè ittita. 4. Bel e il Drago La narrativa di cui ora parliamo è il racconto in lingua greca intitolato “Bel e il Drago” che costituisce un’aggiunta tardiva al Libro di Daniele, scritto in aramaico17. Il secondo episodio dell’aggiunta, “La distruzione del serpente”, incomincia così: Vi era un gran drago e i Babilonesi lo veneravano. (Dn 14,23)

Daniele propose di uccidere il drago senza nemmeno una spada o un bastone: Daniele prese allora pece, grasso e peli e li fece cuocere insieme, poi ne preparò focacce e le gettò in bocca al drago che le inghiottì e scoppiò. (Dn 14,27)

Un avvenimento molto simile fa parte del racconto ittita “Il mito di Illuyanka”18. Nel mito, l’episodio in questione ha inizio con la lotta, nella città di Ki?kilu??a, tra un serpente (in ittita, illuyanka) e il dio della tempesta, lotta che si conclude con la sconfitta del rettile. In seguito il dio della tempesta invitò tutti gli dèi a partecipare a una festa preparata dalla dea Inara: Lei preparò ogni cosa in gran quantità – coppe di vino, recipienti di marnuwan (una bevanda) e coppe di wal.i (un’altra bevanda): nei recipienti ne aveva versato in abbondanza.

GURNEY, Some Aspects of Hittite Religion, 61 (“On the tenth day a plough is burned and the ashes are brought to the place where ‘the heads of the horses and cattle were burned’ ”). 13 HOFFNER, Alimenta Hethaeorum, 44-45. 14 HOFFNER, Alimenta Hethaeorum, 45 (“Here is an attempt to convert livestock and plow into a form in which they can follow the deceased into the after-life”). 15 Nella tradizione ittita esistono diverse preghiere contro la peste (si vedano le cinque preghiere di Mursili al riguardo tradotte da SINGER, Hittite Prayers, 56-69) che furono pronunciate durante rituali non conservati. 16 Al riguardo si vede WYATT, Araunah the Jebusite, 39-40 (“The Hurrian rather than the Hittite form of the word appears to be the more likely source of the biblical form”). 17 Bel e il Drago v. 23-42 (Il testo segue l’edizione di RAHLFS). 18 Per una edizione del mito vd. BECKMAN, Myth of Iluyanka. 12

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Poi la dea Inara si recò alla città di Ziggaratta, dove incontrò un uomo di nome Aupa?iya e invitò anche lui alla festa. Questi accettò l’invito, a patto però di potersi accoppiare con lei, richiesta a cui lei acconsentì. Dopodiché la dea l’accompagnò alla festa dove egli si nascose. In seguito la dea Inara indossò tutti i suoi abbigliamenti e invitò il serpente alla festa. Allora il serpente comparve assieme alla [sua prole] e mangiarono (e bevvero) – essi scolarono ogni coppa e si saziarono. Non riuscirono però a tornare nella (loro) tana, (cosicché) Aupa?iya giunse e legò il serpente con una corda. (Poi) il dio della tempesta arrivò e ammazzò il serpente.

Le somiglianze tra i due racconti sono chiare, ma evidentemente divergono in alcuni punti. Nel mito anatolico il serpente e la sua prole mangiano in tale quantità da non riuscire più a tornare nella loro tana. Così il serpente viene legato (da un essere umano) per essere ucciso (da un dio)19. Invece nel racconto del Libro di Daniele, il serpente, per conto suo20, mangia tanto che finisce per scoppiare. Quello che i due racconti hanno in comune è la capacità di un essere umano di superare in furbizia un serpente, ovviamente un motivo folclorico21. Per quanto riguarda il primo episodio di “Bel e il Drago” (Dn 14,1-22), vi si racconta che Daniele venne portato dal re persiano Ciro di fronte ad un grande idolo di bronzo, oggetto di particolare venerazione da parte dei Babilonesi: I Babilonesi avevano un idolo chiamato ‘Bel’, al quale offrivano ogni giorno dodici sacchi di fior di farina, quaranta pecore e sei barili di vino. (Dn 14,3)

In questo brano, Daniele dimostra che a mangiare e a bere le offerte non è l’idolo, bensì i sacerdoti e le loro famiglie. Per documentare la cosa, la sera prima egli aveva sparso della cenere sul pavimento del tempio, sicché il mattino seguente si videro le impronte di piedi umani. In questo brano, che parla di Bel, l’idolo babilonese, c’è un’eco dell’enorme quantità di cibo e di bevande che nel racconto ittita faceva parte dei preparativi per la festa. 5. Giuditta e Oloferne Nel Libro di Giuditta troviamo un brano dove Oloferne, comandante in capo di Nabucodònosor, re dell’Assiria, invita Giuditta a un banchetto. Egli si deliziò talmente della sua presenza e della sua bellezza che “bevve abbondantemente tanto vino quanto non ne aveva mai bevuto solo in un giorno da quando era al “Although the Storm-god needs a mortal’s help to trap and disarm the serpent, the execution must be carried out by the Storm-god himself”: HOFFNER, Hittite Myths, 134. 20 Il riferimento alle famiglie nell’episodio del Libro di Daniele sembra echeggiare questo aspetto del mito ittita. 21 Altri esempi in WATKINS, How to Kill a Dragon. 19

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mondo” (Gdt 12,20), si ubriacò e si addormentò nella sua tenda. Lasciata sola con lui, Giuditta mise in atto il suo piano: Avvicinatasi alla colonna del letto che era dalla parte del capo di Oloferne, ne staccò la scimitarra di lui; poi, accostatasi al letto, afferrò la testa di lui per la chioma … E con tutta la forza di cui era capace lo colpì due volte al collo e gli staccò la testa. Indi ne fece rotolare il corpo giù dal giaciglio e strappò via le cortine dai sostegni. Poco dopo uscì e consegnò la testa di Oloferne alla sua ancella, la quale la mise nella bisaccia dei viveri e uscirono tutt’e due … (Gdt 13, 6-10) Giuditta disse loro: «Ascoltatemi bene, fratelli: prendete questa testa e appendetela sugli spalti delle vostre mura.» (Gdt 14,1) Quando spuntò il mattino, appesero la testa di Oloferne alle mura. (Gdt 14,11)

Questo atto è riassunto in un versetto in poesia nello stesso libro: I suoi sandali rapirono i suoi occhi, la sua bellezza avvinse il suo cuore, e la scimitarra gli troncò il collo. (Gdt 16,9)

Nell’episodio dell’Epopea di Gilgame? chiamato nella tradizione sumerica “Gilgame? e Huwawa” si narra come Enkidu decapitò il mostro Huwawa, guardiano della foresta dei cedri, tagliandogli la testa al collo e mettendola in un sacco di cuoio. Appena Huwawa gli disse questo, Enkidu, pieno di ira e di collera, gli troncò il collo. Misero (la testa) in un sacco di cuoio, entrarono davanti ad Enlil. Dopo aver baciato la terra davanti ad Enlil, gettarono giù il sacco di cuoio ed estrassero la testa. La misero giù davanti ad Enlil22.

Invece, nella tradizione babilonese, è Gilgame? a uccidere Huwawa: [Escuchó Gilgame? las palabras] de su amigo, se sacó [la espada del] flanco. Gilgame? le alcanzó de lleno en la nuca23.

Poi, in quella tradizione, è sempre Gilgame? che porta la testa di Huwawa24, ma il risultato rimane lo stesso. In più, il motivo di appendere la testa tagliata come un trofeo (Gdt 14,1.11) si trova spesso nei rilievi assiri25. Nuovamente nel racconto biblico, che sembra svolgersi in Babilonia, troviamo dei motivi ti“Als (Huwawa) das zu ihm gesagt hatte, trennte ihm Enkidu voller Wut und Zorn den Hals durch. Sie steckten (den Kopf) in einen Ledersdack, sie traten zu Enlil ein. Nachdem sie vor Enlil den Boden geküßt hatten, warfen sie den Ledersack hin und holten das Haupt hervor. Sie legten es vor Enlil hin” – EDZARD, Gilgame?, 190 (linee 178-184). 23 Tavola V 261-264, traduzione: SANMARTÍN, Epopeya de Gilgame?, 176. 24 Tavola V 302-303; cf. SANMARTÍN, Epopeya de Gilgame?, 180. 25 Per es., nel rilievo che mostra Assurbanipal e la sua regina in un banchetto nel giardino reale mentre la testa del re elamita pende da un albero; vd. REED, Blurring the Edges, 129-130, fig. 12 e 13. 22

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pici della civiltà babilonese ed assira, in questo caso la decapitazione di un tiranno e il fatto di appendere la sua testa alla vista di tutti. 6. Il libro di Giona In un famoso brano del libro di Giona leggiamo come un verme abbia assalito la pianta che gli dava l’ombra, così che essa si seccò. Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino (,M"Y"$ Y' ) al di sopra di Giona per far ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino (,M"Y"$ Y' ). Ma il giorno dopo, allo spuntar del sole, Dio mandò un verme (/9. 4Mf . ) a rodere il ricino (,M"Y"$ Y' ) e questo si seccò. Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d’oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venir meno e chiese di morire, dicendo: «Meglio per me morire che vivere». (Gn 4,6-8)26

Il nome ebraico di questa pianta è ,M"Y"$ Y' , e il nome del verme è /9. 4Mf . . Sembra che la parola ebraica ,M"Y"$ Y' corrisponda alla parola accadica kukkan,tu che significa “ricino” (cioè la pianta di ricino)27. In più, una delle parole accadiche riferite ad un insetto, probabilmente un verme, è q+q!nu, scritta anche g+g!nu e guqq!nu28. È possibile, dunque, che il testo ebraico presenti una versione di un gioco di parole sulla base della lingua accadica? Ossia che la pianta chiamata in accadico kukkan,tu (= eb. ,M"Y"$ Y' ) sia stata distrutta da un insetto chiamato nella stessa lingua quq!nu?29 Non è per caso che Oloferne viene da Ninive, e così termini assiri nel suo riguardo non sarebbero fuori luogo30. Come conclusione si può dire che questo contributo dimostra come uno sguardo alle parole, ai testi ed alle usanze delle civiltà antiche vicine a quella ebraica possa approfondire ancora una volta la nostra conoscenza della tradizione biblica. Wilfred G. E. Watson Northumberland (GB) Traduzione: NICCACCI, Syntactic Analysis of Jonah, 16-17. ,M"Y"$ Y' è “most probably the castor-oil plant” (HALOT, 1099) e corrisponde all’eg. k3k3, “ricino”. Per questa parola vd. SANDY, Egyptian Terms for Castor. Invece, AHRENS, Was ist q"q#j&n, propone il significato di “zucca vuota” (gourd), che corrisponde al greco -c-$%U con lo stesso significato. Anche ROBINSON, Jonah’s Qiqayon Plant, accetta il significato di “gourd”. STOL, Cucurbitaceae, 84, sotto il titolo “Jonah’s «tree»”, commenta: “Later tradition has always identified the plant as cucurbitaceous; specifically the gourd, in Syriac qarˀ!”. 28 Vd. CAD Q, 312; SODEN, Akkadisches Handwörterbuch II, 928; e BLACK, A Concise Dictionary, 291. 29 Questa parola è un prestito entrato nell’aramaico giudaico nella forma di quqy!nâ. 30 Per simili casi di impiego di parole straniere in un contesto appropriato (per es., parole egiziane in un oracolo contro l’Egitto) vd. RENDSBURG, Linguistic Variation. 26 27

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Wojciech Wùgrzyniak La problematica temporale dei verbi nei Salmi 14 e 53

Il problema dei tempi1 in ebraico è notoriamente il problema principale, a volte trascurato, e nonostante i diversi tentativi “si è ancora lontani da una soluzione accettata”2. La situazione è ancora più spinosa nel campo dei testi poetici3. Basta guardare come vengono tradotti i verbi finiti nei diversi testi poetici per notare che gli esegeti si sentono molto liberi se non perplessi davanti al mysterium verborum Hebræorum. Lo scopo di questo articolo è spiegare il valore temporale dei verbi presenti nei Salmi 14 e 53 seguendo principalmente la teoria linguistico-testuale proposta da A. NICCACCI4. Anche se l’autore ha sviluppato il sistema basandosi inizialmente sui testi narrativi, negli ultimi anni ha fornito alcuni principi per analizzare anche i testi poetici5. 1. Il testo I Salmi 14 e 53 sono pertinenti non solo perché il testo di ambedue è quasi uguale e le maggiori differenze toccano soltanto alcuni versetti (14,5-6; 53,6). 1 L’articolo presente è una leggera modificazione di un paragrafo della mia tesi dottorale intitolata Lo stolto ateo: Studio dei Salmi 14 e 53, scritta sotto la guida di prof. A. NICCACCI e difesa allo Studium Biblicum Franciscanum a Gerusalemme il 30. 01. 2010. 2 NICCACCI, Sintassi, § 1; JOÜON-MURAOKA, § 111 a. Per un esempio di come gli esperti possano presentare diversi pareri cf. le due constatazioni: “qatal and yiqtol mark distinctions of aspect, not of tense” (GIBSON-DAVIDSON, § 55) e “Hebrew temporal forms express at the same time tenses and modalities of action. As in many languages, they mainly express tenses” (JOÜONMURAOKA, § 111 c). 3 Cf. l’opinione di NICCACCI: “It was and still is fairly a common opinion among scholars, although not always openly declared, that the verbal forms in poetry, more than in prose, can be taken to mean everything the interpreter thinks appropriate according to his understanding and the context” (Poetry, 247). 4 NICCACCI, Sintassi. 5 NICCACCI, Proverbi 22,17-23,11; Sintassi, § 168-174; Jonah; Proverbi 23,12-25; Proverbi 23,26-24,22; Malachi; Poetry; NICCACCI-CORTESE, Poveri.

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La problematica temporale dei verbi nei Salmi 14 e 53

È interessante che in questi Salmi in pratica non c’è neppure un verbo finito che sia tradotto nello stesso asse temporale da tutti i commentatori moderni6. La traduzione proposta sotto è una traduzione piuttosto letterale. La traduzione dei verbi cerca di seguire la teoria di NICCACCI. Dato che i titoli dei Salmi non contengono i verbi finiti e non influiscono sul valore temporale dei verbi nel salmo, vengono omessi nella traduzione. Salmo 14

1 2 3 4 5

1"!6 E ' %7 ,"%@ ) MD4' D + 4@O$ $0 &) P98 ,"%@ ) !4"$ d 4' 9[ JO"9: ' /+ !8 ' J/"Fd' Z+ !8 ' 1L: $ %B" Ç$ )0DB4 + 98 . R"Y^Å ' Z+ !' Ä1 '"+ '" /9JZ Å . +" Ä,M`_' ' X+ !' ) descrivono due azioni parallele nel passato, nella stessa linea principale di &7- %$ 12. Poi viene impiegata la proposizione nominale GET;!8I) 5 ,"%) che esprime una linea secondaria della comunicazione e indica una circostanza concomitante. Alcuni ritengono che BG"5' .+ !' B.">' X+ !' sono due azioni da porre in un altro asse temporale rispetto al precedente &7- %$ 13. Tuttavia non si vedono ragioni per una tale operazione. NICCACCI, Poetry, 247. Cf. la sua opinione sulla differenza tra poesia e discorso diretto: “The main difference is that direct speech, as prose in general, consists of pieces of information conveyed in a sequence, while poetry communicates segments of information in parallelism. The result is linear vs. segmental communication. As a consequence, poetry is able to switch from one temporal axis to another even more freely than direct speech. This results in a greater variety of, and more abrupt transition from, one verbal form to another” (ibid. 248). 8 NICCACCI, Malachi, 59. 9 Così la LXX (IL0I$). Nei Salmi &7- %$ occorre 13 volte e sempre viene tradotto nella LXX con l’aoristo IL0I$. Con il passato traducono BAETHGEN, BARNES, BRIGGS, CRAIGIE, EWALD, KIRKPATRICK, PODECHARD, VESCO. Per il qatal del passato che inizia la narrazione in poesia cf. GIBSONDAVIDSON, § 58 d. 10 NICCACCI, Poetry, 248. Il motivo per rendere &7- %$ con il presente è chiarito ad es. da DELITZSCH, Psalmen, 154 (“Ausdruck einer allgem., von vielen einzelnen Fällen abgezogenen Erfahrungsthatsache”) o CASTELLINO, Salmi, 788 (“lo stolto non si è espresso una volta ma ugualmente e ripetutamente”). GUNKEL, Psalmen, 233, invece suppone uno specifico stile profetico (“Scheltreden”) in cui il qatal va interpretato nell’asse del presente. 11 Cf. soprattutto &7I) % !f$ %- !f$ 5- +# (1 Re 18,11.14); inoltre: W"6' d- 5X$ &$ 2+ &7I) % (Pr 24,24); &7I) % 2EW %&$ W+ (Is 40,6); G%$ 2+ &7I) % "E! (Is 45,10); b&1 %$ " '/D) &E" ' "7' E=2' =+ &7I) % (Abd 3). 12 Così la LXX (F(V6QI(3'$ -'5 /gFIJcOQ,*'$, Sal 14; F(I6Q13,*'$ -'5 /gFIJcOQ,*'$, Sal 53), BRIGGS, VESCO. 13 Come un passaggio dal passato (&7- %$ ) al presente (BG"5' .+ !' B.">' X+ !' ) è inteso ad es. da CRAIGIE e PODECHARD vedi n. 9; invece dal presente al passato da CASTELLINO e SABOURIN. BARNES e KIRKPATRICK rendono B.">' X+ !' con il presente, invece BG"5' .+ !' con il passato. 7

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Wojciech Węgrzyniak

La situazione cambia nel Salmo 53, dove il qatal J/"F' Z+ !' è seguito da un weqatal JO"9' /+ !' +#14. Secondo NICCACCI il weqatal può designare il passaggio all’asse del futuro15, oppure esprimere una linea secondaria della comunicazione nell’asse del passato16. Se accettiamo la prima interpretazione, il testo trasmette l’idea di ‘totalità temporale’ delle azioni dei malvagi (nel passato, nel futuro e nel presente espresso dalla proposizione nominale che segue). Invece il prevalere della linea della comunicazione nel passato può esprimere diversi aspetti quali abitudine o descrizione17. Da parte mia preferisco collocare anche l’azione 4 3#9$ JO"9' /+ !' +# nel passato. 14,2-3 (53,3-4) Il passaggio dai verbi in qatal della prima posizione nel v. 1 (53,2) a x-qatal nel v. 2 (R"Y' Z+ !' 1 '"