Scavare nel centro di Roma. Storie, Uomini, Paesaggi 9788871405117

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Scavare nel centro di Roma. Storie, Uomini, Paesaggi
 9788871405117

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SCAVARE NEL CENTRO DI ROMA Storie Uomini Paesaggi a cura di

Clementina Panella

Edizioni Quasar

SAPIENZA UN IVERS ITÀ DI ROMA

Pubblicato con il contributo di

f'i3-:::1 FONDAZIONE ~ BNC

SCAVARE NEL CENTRO DI ROMA Storie Uomini Paesaggi a cura di

Clementina Panella Testi di Emanuele Brienza (E. B.), Antonio F. Ferrandes (A.F. F.), Clementina Panella ( C. P.), Raffaele Panella (R. P.), Giacomo Pardini (G. P.), Lucia Saguì (L. S.), Sabina Zeggio (S. Z.)

ISBN 978-88-7140-511-7 © Roma2013 Edizioni Quasar di Severino Tognon srl via Ajaccio 41-43, I-00198 Roma

per informazioni e ordini: www.edizioniquasar.it Finito di stampare nel mese di aprile 2013 presso Arti grafiche La Moderna - Roma

Edizioni Quasar

PREFAZIONE

La Fondazione Banca Nazionale delle Comunicazioni (BNC) è lieta di aver contribuito alla pubblicazione di questo volume in cui sono raccolti i risultati del progetto "Curiae Veteres"J una complessa e articolata impresa di archeologia urbana condotta nella Piazza del Colosseo e sulle pendici nord-orientali del Palatino dalla Sapienza-Università di Roma in sinergia con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma) e con il sostegno della stessa Fondazione. Trattandosi di un Ente di origine bancaria a tutti gli effetti) nell'ambito degli indirizzi statutari e della legislazione di riferimento) la Fondazione BNC opera nei settori della ricerca scientifica) dell'istruzione) dell'assistenza alle categorie sociali deboli) della promozione dello sviluppo economico e sociale delle aree meridionali e della conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale) privilegiando le proposte di intervento che si caratterizzano per la loro rilevante valenza sociale. Tra di esse) il progetto "Curiae Veteres" riveste un posto speciale perché coniuga gli obiettivi di uno scavo archeologico realizzato in una delle aree più importanti sotto il profilo storico e monumentale della città di Roma con le finalità della qualificazione professionale delle giovani generazioni. La Fondazione BNC ha creduto fin dall'inizio in questa iniziativa) appoggiando dal 200 l la ricerca sul campo e la comunicazione scientifica dei risultati (mostre) pubblicazioni) conferenze) con un convinto contributo finanziario) confermato di anno in anno) grazie al quale - unitamente alle risorse messe a disposizione dalla Sapienza - è stato possibile riportare alla luce paesaggi e storie della città antica e cogliere quel continuum tra passato e presente che solo Roma è in grado di esprimere. In tale contesto di grande rilievo è stata la scoperta nella Piazza del Colosseo della fontana monumentale conosciuta con il nome di Meta Sudans) edificata da Augusto intorno al 7 a.C.J di cui si supponeva l'esistenza) ma di cui mancava il riscontro archeologico. Accanto alla Meta) altri sono stati i rinvenimenti eccezionali) sia sul piano della conoscenza storico-monumentale e topografica del settore oggetto delle indagini) sia sul piano del recupero di reperti di grande interesse per la storia dell'arte) dell'architettura e delle produzioni artigianali: si pensi) per elencarne solo alcuni) al santuario delle Curie Veteres con il Tempio restaurato da Claudio) distrutto dall'incendio neroniano nel 64 d.C. e ricostruito per volontà degli imperatori flavi) o all'inaspettato ritrovamento delle insegne imperiali attribuite all'imperatore Massenzio. La felice intuizione della Fondazione BNC è stata inoltre quella di considerare anche il profilo didattico delle attività che ruotano intorno a questa operazione scientifica. Infatti) le indagini hanno offerto annualmente un'opportunità formativa agli studenti della Sapienza) estendendosi) nel tempo) agli studenti di altre Università italiane e straniere. È così che l'area pulsante intorno al Colosseo si è trasformata in un'"aula a cielo aperto" nella quale si sono succeduti centinaia di allievi che hanno vissuto un'esperienza professionalizzante preziosa eJ ritengo) irripetibile. Ciò ha reso il progetto un fiore all'occhiello per la Fondazione cheJ soprattutto in un momento di crisi globale come quello attuale) punta alla preparazione e alla specializzazione dei giovani) forza e futuro del nostro Paese.

Aleramo Ceva Grimaldi Presidente della Fondazione BNC 5

INTRODUZIONE

Fig. I. Foto aerea della valle del Colosseo e delle pendici nord-orientali del Palatino. Dinanzi all'Arco di Costantino l'area di scavo della Meta Sudans, ormai reinterrata; sulla sinistra il cantiere del Palatino, che si sviluppa tra la pendice della collina lungo l'attuale via Sacra fìn quasi all'Arco di Tito (2007).

Dagli interventi predisposti per l'Incontro di Studio e per la Mostra dal titolo "Roma: Valle del Colosseo/Palatino nord-orientale. Dallo scavo alla valorizzazione di un settore dell'Area Archeologica Centrale", tenutisi presso l'ex Vetreria Sciarra il 21 dicembre del 201 O (vd. Figg. 1-2) e patrocinati dall'Assessorato alle Politiche Culturali e alla Comunicazione di Roma Capitale e dal Dipartimento di Scienze dell'Antichità della Sapienza-Università di Roma, nasce questo volume, la cui pubblicazione è stata resa possibile da un contributo della Fondazione BNC, che da anni finanzia lo scavo. Si è voluto in quell'occasione e si intende ora ripercorrere venticinque anni di ricerche archeologiche promosse dalla Sapienza con il costante sostegno della Soprintendenza Speciale per Beni Archeologici di Roma, e raccontare una straordinaria stagione di indagini nella piazza del Colosseo e sulle pendici del Palatino, che si presenta per ampiezza e qualità dello scavo e dei ritrovamenti come un grande intervento di archeologia urbana in uno dei luoghi-simbolo della città antica e della città contemporanea. Ma vuole anche illustrare una proposta di un adeguato "trasferimento" delle evidenze attualmente superstiti in un insieme dotato di senso e di forma, utilizzando gli strumenti propri dell'architettura per tradurre le tracce del passato in un testo comprensibile e comunicabile. La prima parte è pertanto dedicata alla presentazione dei risultati delle ricerche archeologiche dirette dal 1986 da chi scrive. Sulla superficie di questo settore urbano, finora abbastanza trascurato dalle indagini archeologiche, insistono monumenti di eccezionale valore architettonico ( Colosseo, Arco di Costantino, Meta Sudans, fronte del Tempio di Venere e Roma, basamento del Colosso), mentre il sottosuolo è attraversato da un insieme di complessi edilizi del tutto inediti e straordinariamente conservati che dall'età dei re raggiungono l'età moderna. Lo scavo ha pertanto confermato ed ampliato i dati già acquisiti in un passato anche prossimo (Colini 1937; Id. 1944; Coarelli 1984, pp. 109-110), ma ha anche modificato le conoscenze di una zona fondamentale nella topografia della città storica, fornendo casi di studio importanti sulle dinamiche insediative e sul loro sviluppo nel tempo. La seconda parte è rivolta all'illustrazione di una proposta di recupero e di sistemazione di questo spettacolare settore urbano, elaborata da un gruppo di architetti del Dipartimento di Architettura e Progetto dell'ex Facoltà di Architettura Ludovico Quaroni, coordinati dal Prof. Arch. Raffaele Panella. Il progetto architettonico dà visibilità a questa lunga storia, inserendola all'interno di alcuni interventi programmati che interessano un'area che è sul piano archeologico-monumentale (la valle del Colosseo) la più importante della città, ma che non è mai stata finora sistemata in coerenza con il suo ruolo eccezionale di vestibolo urbano per il Palatino e per lo stesso Anfiteatro Flavio. In questo scenario oggi prevalgono i frammenti sia pur colossali, ma non sempre disponibili ad essere compresi come parte di sistemi diacronici e sincronici più vasti. L'esperienza progettuale intende perciò trasmettere l'unità e la complessità di questo palinsesto, con la finalità non solo di garantire la perpetuazione dell'esistente, ma anche di coinvolgere il visitatore all'interno di spazi immediatamente interpretabili e fruibili. 7

Fig. 2. Un'immagine della Mostra "Roma: Valle del Colosseo/ Palatino nord-orientale. Dallo scavo alla valorizzazione di un settore dell'Area Archeologica Centrale" nelle ex Vetrerie Sciarra (21 / 12/20 I 02 I /0 I /201 I).

Il titolo del libro riassume dunque gli scopi delle nostre ricerche: ricostruire paesaggi ed insieme storie partendo da strutture, contesti, documenti, ma anche passare dalle cose ai fatti e agli uomini che quelle cose hanno prodotto, usato, riusato, riciclato, scartato (e talvolta riesumato) fino al momento in cui esse sono diventate definitivamente "reperti archeologici': Accade infatti che le ricerche in un sito frequentato da millenni, evidenziando la stratigrafia urbana che lo compone, raccontano sia la grande storia che le tante storie quotidiane di aristocratici, sacerdoti, artigiani, operai, schiavi, che qui hanno vissuto, lavorato e lasciato un segno del loro passaggio. Ma un segno lo hanno lasciato anche i tanti giovani che in questi anni ci hanno seguito, spingendoci con il loro impegno, il loro entusiasmo, la loro intelligenza a continuare le ricerche anche nei momenti più difficili. A tutti loro questo volume è dedicato (Fig. 3). Infine, "scavare nel centro di Roma" è stato per me e per i miei collaboratori ed allievi uno straordinario privilegio, di cui sono sentitamente grata al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e soprattutto alla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, che nel corso del tempo ha appoggiato il nostro lavoro nello spirito di un'aperta e autentica comunanza di intenti. c. P.

PARTE I. Il progetto archeologico

Devo confessare che, chiamata nel 1986 dall'allora Soprintendente di Roma Adriano La Regina ad intervenire nella piazza del Colosseo e a dare un contributo di conoscenza ad un monumento assai maltrattato dalla storia (la Meta Sudans), un progetto non l'avevo. L'ho maturato negli anni, accumulando tematiche di ricerca e correggendo gli obbiettivi di intervento, man mano che nuove scoperte confermavano o contraddicevano le ipotesi di partenza. Aggiungo che la scala urbana dei ritrovamenti (si pensi alla Domus Aurea di Nerone) e i quesiti di natura storica, storico-religiosa, storico-sociale, urbanistica e topografica collegati ai complessi monumentali riportati alla luce hanno comportato una progressiva estensione dell'indagine, a partire dal 2001, dall'originario limite nel settore occidentale della valle del Colosseo, verso Ovest, cioè verso il Palatino, dove si dirigevano tutte le strutture rinvenute e dove si presumeva che non vi fossero mai stati interventi archeologici sistematici e scientifici (Figg. 4-6). In tale quadro occorreva poi che i dati da noi raccolti fossero integrati con quelli già noti, spettanti a zone esterne alle nostre aree di scavo, sul Palatino stesso e sulle pendici della Velia, dell'Oppio, del Celio (Panella 2006bj Panella et al. 2006). La finalità generale è stata dunque quella di definire la genesi e lo sviluppo di diversi contesti urbani, partendo dalla periodizzazione ricavata da una stratificazione scientificamente indagata che copre l'intera vicenda urbanistica e storica di questo comparto centrale della città antica. Parallelamente si è cercato di sviluppare una metodologia di analisi integrata dei dati di diversificata natura e di predisporre un piano di fruibilità e di recupero dell'intera zona in corso di studio. Altrettanto importante è la valenza didattica dell'intervento, un cantiere che è stato in questi 25 anni la palestra di moltissimi giovani archeologi italiani e stranieri.

Fig. 4. Ortofoto del versante occidentale della piazza del Colosseo e dei settori monumentali limitrofi con la sovrapposizione (in bianco) delle strutture rinvenute nei cantieri di scavo della Meta Sudans e delle pendici nordorientali del Palatino (Elab. Marco Fano, Emanuele Brienza) (20 I I).

Fig. 3. Équipe di ricerca e studenti in una foto di gruppo alla fine della campagna di scavo (2008).

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Fig. 7. Carta geologica del Palatino ricostruita sulla base degli affioramenti e dei carotaggi (Elab. Antonia Arnoldus Huynzendveld).

Fig. 5. Ortofotomosaico del cantiere del Palatino nord-orientale alla fìne della campagna del 20 I I sovrapposta ad una foto aerea della zona (Riprese ed elab. Roberto Gabrielli, Cecilia Giorgi, Marco Fano). Fig. 6. Pendici nord-orientali del Palatino. Planimetria delle strutture rinvenute. I colori indicano i periodi individuati (Elab. Emanuele Brienza) (20 I I).

Legenda

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C:J ALTO-REPUBBLICANO C:J MEDIO-REPUBBUCAtm C:J WROO.REPUBBLICANO L J AUGUSTED C:J GIULIO-CLAUDIO

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Fig. 58. Ricostruzione delle fasi cronologiche delle dediche ali · · · trasformazioni del basamento all'interno dell'edicola (d M ta Scasda imlpefinale. S1 presentano le basi singole e le a e a u ans , Ig. 180). Fig. 59. Ricostruzione grafica dell'edicola dedicata ad A ·· · · · · della statua di Agrippina (da Meta Sudans I, fig. 63) . ugusto e agli imperatori g1ul10-claud1 dopo l'eliminazione

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Figg. 56-57.1 frammenti della base in bronzo di Tiberio con dedica del collegio dei musici nel 7 a.C. e sua ricostruzione grafica ( da Meta Sudans I, figg. I 04, I I8a).

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e n. 11) e rappresentano un fenomeno abbastanza tipico di questa età, forse proprio in connessione con la nuova concezione del potere non più elettivo ma ereditario, messo in atto con la nascita del principato.

c. P.

2. La Meta Sudans augustea e il com,pitum Con le eccezionali scoperte effettuate nelle campagne di scavo risalenti agli anni 19981999 nel settore prossimo all'Arco di Costantino, immediatamente a Nord del muro in opera quadrata del temenos dell'area sacra (Zeggio 2000), si pensava che la felice quanto faticosa stagione del cantiere urbano della Meta Sudans, iniziata nel 1986, fosse ormai conclusa. Nel frattempo infatti, per rispondere agli interrogativi lasciati aperti dallo scavo della Meta e per verificare alcune ipotesi, aveva preso forma la decisione di_sondare l'area_ di ~,onta~o tra la valle del Colosseo e il Palatino, interessante quanto sconoscmta per la stona pm antica della città: è del 2001 la prima campagna di scavo nel cantiere delle pendici nord-orientali del Palatino, immediatamente ad Ovest della Meta Sudans, all'interno della recinzione del Parco archeologico del Foro Romano e Palatino, cantiere anche questo che fin dall'inizio non ha deluso le aspettative. Nel 2000 però, grazie all'interesse del Rotary Club-Roma Est, promotore di un progetto di restauro e di

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sistemazione di questo settore della piazza del Colosseo, realizzato _grazie alla spon~orizzazione della Fondazione Banca Naz10nale delle Comunicazioni, le indagin~ nel cantiere della Meta Sudans vengono nprese. Il progetto prevedeva infatti, oltre alla

-~ Fig. 61 . Planimetria generale del cantier~ della 0eta Sudans con l'indicazione delle aree e dei settori. In grigio l'area (I) oggetto dei rinvenimenti (da Cante et a/. 1994-1995, p. 124, fìg. I).

pavimentazione a basolato dell'area intorno all'Arco di Costantino, il ripristino del tamburo fondale flavio della Meta e dell'anello più esterno della fontana, realizzato agli inizi del N ~ecolo. L~, parte meridionale delle fondazioni della fontana flavia, nonché la porzione dell anello pm esterno erano infatti crollate a causa del passaggio al di sotto di esse di una complessa rete di cunicoli medievali che, creando il vuoto, ne aveva provocato il dissesto (Fig. 60). Questa complessa operazione doveva prevedere lo spostamento dei blocchi crollati, in attesa della loro definitiva ricollocazione in opera. L'unica area disponibile per la collocazione momentanea dei crolli fu individuata in un settore che non era mai stato indagato completamente (le indagini in quest'area si erano interrotte nel 1996), situato subito a Sud della Meta flavia (Fig. 61). Il piano d'azione prevedeva lo scavo di questo settore fino ai livelli giulio-claudi, che secondo le aspettative avrebbero dovuto essere caratterizzati dalla presenza della strada diretta dalla valle al Foro. I resti di questa strada, unitamente al suo marciapiede meridionale, erano stati individuati all'esterno del muro in opera quadrata dell'area sacra, in due distinti saggi, durante le campagne del 1998 (Panella - Zeggio 2004; Zeggio 2006a). Opportunamente protetto il basolato stradale avrebbe potuto perciò costituire un solido piano d'appoggio per i resti fondali. Lo scavo è quindi ripreso con l'asportazione dei livelli post-antichi, i quali, come già in altre zone ~i questo sito, avevano intaccato la stratigrafia precedente fin quasi ai livelli giulio-claudi. E proprio durante lo scavo di questo complesso sistema di fosse e di cunicoli che sono stati raggiunti dapprima i resti del bordo della vasca della fontana e poi il tamburo cilindrico in conci di tufo di quella che, per forma ed ubicazione, fu immediatamente identificata come la Meta prima della Meta. Questo inatteso e straordinario rinvenimento risale al gennaio 2002 (Figg. 62-63), mentre è degli ultimi mesi del 2003 la scoperta di un basamento, strettamente connesso alla fontana medesima ed interpretato come compitum. Le indagini si sono concluse nel Fig. 62. La Meta Sudans flavia e la sua antecedente augustea (parzialmente visibile in basso a destra).

Fig. 63 . Le fondazioni della fontana flavia e, a sinistra (in grigio), la posizione della sottostante Meta Sudans augustea (Ricostruzione Matilde Cante).

Fig. 60. I crolli della fondazione della vasca della Meta Sudans di età flavia (da Panella 1990, p. 85, fìg. 42).

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dicembre del 2003 riportando completamente alla luce questo complesso monumentale, carico di valenze topografiche e simboliche (Figg. 64-65). Questa scoperta ha reso più evidenti il significato e la forma della fontana flavia: è chiaro che essa ripropone un preciso ricordo, che ne è anche modello ispiratore, anche se in scala decisamente molto più grande.

Nel settore in oggetto confluiscono cinque assi stradali: di queste strade una, provenendo da NW (Foro Romano), scende dalla sella tra Velia e Palatino, una seconda proviene da Nord (Esquilino), mentre una terza (da Est) costituisce la prosecuzione intramuranea della via Tusculana, una quarta proviene da SE (Celio) e l'ultima (odierna via di S. Gregorio) arriva da Sud ( Circo Massimo). Gli assi appena citati sembrano coincidere con i limiti

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Fig. 64. La Meta Sudans augustea ed il compitum (in basso a destra) risparmiati dalla maglia fondale della Domus Aurea.

2.1. Augusto e la fontana Meta Il ritrovamento. In passato si era già supposto che la Meta Sudans, nella sua redazione flavia, rappresentasse il vertice di alcune Regiones risalenti alla divisione amministrativa di Augusto: un'incongruenza - almeno apparente -visto che esisteva uno scarto cronologico tra la divisione augustea dello spatium urbis e l'edificazione della Meta di età domizianea (qui a pp. 116-118 ); l'ipotesi più probabile era che il monumento flavio riproponesse nome e funzione di un segno preesistente, di una Meta prima della Meta. A sostegno di questa teoria concorrevano infatti il nome della fontana, un unicum nella topografia antica, riferibile certo alle mete del circo, ma interpretabile anche in senso topografico, col significato di "traguardo, limite", nonché il richiamo ad una Meta Sudans in una lettera di Seneca a Lucilio datata intorno al 65 (Sen., Ep. 56), ovvero almeno vent'anni prima della realizzazione della fontana di età flavia ( Zeggio 2006a, pp. 116-118). Il rinvenimento dunque di un monumento analogo alla fontana flavia, presso l'incrocio viario già più volte descritto, ha fornito la prova materiale della veridicità delle connessioni stabilite tra topografia e monumento. La scelta del luogo non è certo un caso: oltre ai legami del princeps con questo comparto della città più volte ricordati, quest'area è fortemente coinvolta nella divisione del tessuto urbano in 14 Regiones attuata da Augusto nel 7 a.C. 60

F!g. 65. Plani'"!1et~ia dell~ fas_e claudia del complesso '."1eta/compitum. Le strutture in fase sono caratterizzate; in grigio quelle re1mp1egate; m bianco quelle appartenenti ad altre epoche (Rii. Giacomo Pardini) .

di alcune regioni augustee: la Regio II ( Caelimontium ), la Regio III (Isis et Serapis ), la Regio IV (Templum Pacis), la Regio X (Palatium) e forse la Regio I (Porta Capena) (vd. Fig. 24); il punto dell'incrocio risulta essere l'unico di Roma in cui convergono quattro (o cinque) - su quattordici - delle regioni in cui Augusto aveva diviso la città (Lanciani 1985). Come la monumentalizzazione dei percorsi ed il restauro dei monumenti gravitanti su quest'area sembra avvenire in questo preciso momento, anche la costruzione della fontana, segno consapevole e materiale di questa nuova organizzazione degli spazi, deve essere datata intorno al 7 a.C. La Meta Sudans, costruita in prossimità di un importante nodo stradale e di fronte agli ingressi del santuario delle Curiae Veteres (Figg. 66-67), rappresenta dunque il vertice della divisione regionaria augustea di questo comparto urbano. Inoltre, strutturalmente connesso con la Meta è stato rinvenuto un piccolo basamento, verosimilmente appartenente ad un piccolo sacello, la cui articolazione ricorda quella dei compita, edicole poste agli incroci stradali e dedicate, dall'età augustea, al Genius di Augusto (vd. oltre). La Meta augustea, edificata come detto in una data prossima al 7 a.C., subisce un totale restauro in età claudia, in seguito all'incendio del SO/ 51 già più volte menzionato a proposito del tempio restaurato da Claudio e viene completamente distrutta dal successivo incendio di età neroniana. 61

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modo leggibili anche sui frammenti marmorei. Ma a sostenerci in questa affermazione sono anche la foggia curvilinea e le misure, che coincidono esattamente con quelle dei resti strutturali conservati in situ. Infine, va sottolineato come molti dei frammenti rinvenuti rechino ancora un deposito di calcare lasciato dallo scorrimento dell'acqua.

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Figg. 66-67. Planimetria e assonometria (vista da NE) del complesso monumentale della Meta Sudans e dell'antistante santuario delle pendici nord-orientali del Palatino ante 64 (Ricostruzione Matilde Cante) .

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All'indomani del catastrofico evento del 64 l'area è interessata, prima dell'interro funzionale all'innalzamento dei piani di calpestio e alla costruzione del blocco strutturale vallivo della Domus Aurea, dalla spoliazione della maggior parte degli elementi in qualche modo riutilizzabili: è il caso dei materiali edilizi in pietra ancora in buono stato di conservazione e degli elementi metallici, sia decorativi che funzionali al sistema idraulico. Le parti di decorazione irreparabilmente danneggiate sono invece abbandonate nell'area, all'interno degli strati che obliterano l'invaso della vasca della fontana: in un primo intervento di interro, funzionale alla creazione di una sorta di 'vespaio' (vd. p. 91 ss.), destinato ad agevolare il tiraggio delle nuove fondazioni neroniane, sono stati rinvenuti un blocco decorato con un fregio dorico, quattro blocchetti di opera isodoma, due frammenti di cornice e una lastra di rivestimento, tutti in marmo bianco di Luni. Altri elementi sono invece stati trovati nei piani di cantiere e negli strati di livellamento, caratterizzati dalla presenza di macerie conseguenti all'incendio e all'abbattimento delle strutture pericolanti. Le decorazioni sono riconducibili per la maggior parte al saliente della fontana, mentre un solo oggetto, una bocca di fontana a testa di animale, è di incerta collocazione ma comunque pertinente, con molte probabilità, al saliente medesimo. Le informazioni che possiamo ricavare dall'analisi di questi reperti, ci fanno dunque intuire con buona approssimazione dimensioni e partizioni architettonico-decorative della struttura, studiate e ricostruite con cura e precisione da Matilde Cante. Siamo certi dell'attribuzione dei frammenti rinvenuti al corpo centrale della Meta augustea, in quanto il "vissuto" delle decorazioni marmoree è lo stesso che si può leggere nelle fasi strutturali della fontana e in tutta l'area circostante: le terre scavate ed i monumenti riportati alla luce in questa porzione della città ci testimoniano due incendi, quello scoppiato intorno al SO/ 51 ( altrimenti ignoto) e quello del luglio del 64, eventi che sono in qualche 62

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Tutti gli elementi architettonici recuperati sono posti in opera nella fase di restauro della Meta, datata tra il 51 e il 54, ma la maggior parte di essi è stata recuperata dalla struttura augustea, mentre solo un frammento può essere considerato con certezza creazione di età claudia (vd. Fig. 72, d). Claudio infatti restaura e ripropone quasi filologicamente l'aspetto originario di questo monumento: la trascuratezza nella rilavorazione dei frammenti e l'esecuzione abbastanza corrente della nuova decorazione dimostrano che l'esecuzione di questo restauro è stata affrettata ed è avvenuta in tempi brevi (stessa sorte accade ai pezzi architettonici pertinenti al tempio della vicina area sacra: Cante 1996). Al restauro claudio si deve inoltre la stesura di un nuovo rivestimento in cocciopesto della vasca della fontana.

Fig. 68. Lastrone in travertino decorato con

kyma ionico e occhio apotropaico, pertinente al parapetto della Meta Sudans augustea, al momento del rinvenimento, reimpiegato nel rifacimento claudio del bordo della vasca della fontana a chiusura di un tombino.

Fig. 69. Particolare dell'occhio sul lastrone del parapetto augusteo della fontana.

L'ipotesi ricostruttiva. La fontana si compone di una profonda vasca pavimentata in cocciopesto, grossomodo rettangolare, lunga m 11,80 ( 40 p.r.) e larga m 4, 70 ( 16 p.r.), animata da due esedre semicircolari a metà dei lati lunghi e di un saliente cilindro-conico centrale alto ca. m 16,50 (56 p.r.).

In realtà, se questa è la forma progettuale della vasca, quella realmente ottenuta è alquanto più irregolare: il lato breve orientale, prossimo all'incrocio stradale, risulta infatti un p~' più largo dell'opposto, rendendo la planimetria leggermente trapezoidale (vd. Fig. 66): 11 lato breve occidentale misura come detto m 4, 70, quello opposto, purtroppo non completamente visibile, dovrebbe raggiungere m 5,40 ca. Questa forma dello specchio d'ac~ua, rastremata verso Ovest, almeno nella fase augustea, potrebbe però essere voluta, per ricordare non solo nella decorazione ma anche nella forma generale la prua di una nave (Zeggio - Pardini 2007, pp. 11-12, 17-18). Questa ipotesi sembra sostenuta dal rinvenimento di un blocco decorato dell'originario parapetto augusteo, un lastrone curvilineo in travertino a sezione trapezoidale (dimensioni m 0,63 x 0,30 x 1,43; Figg. 68-69) con le facce laterali caratterizzate da una solcatura verticale per la giunzione a tenuta stagna. La facciavis~a, fortemente usurata e calcinata dall'incendio di età claudia, è decorata nella parte superiore da un kyma ionico (fascia, gola dritta, ovolo e tondino), al di sotto del quale è presente un grande rilievo irregolarmente triangolare, in cui è iscritto un cerchio. Il significato di questa raffigurazione, enigmatica se letta isolatamente, potrebbe essere chiarito in rapporto 63

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Fig. 70. Particolare del rilievo con nave conservato presso il Museo Palatino (Roma): l'occhio è al centro, in alto, della foto.

Fig. 71. Sezione prospettica N-S (vista da Est) del complesso Metalcompitum (Ricostruzione Matilde Cante).

nella pagina a fianco Fig. 72a-e. I frammenti del rivestimento e della decorazione architettonica in marmo (qui ricollocati nella loro posizione originaria) hanno permesso di riconoscere il disegno del saliente della fontana (Ricostruzione Matilde Cante; rielab. Giacomo Pardini).

alla forma della vasca: parrebbe trattarsi di un occhio apotropaico, così come lo troviamo rappresentato su numerose raffigurazioni di prore di navi. Questo particolare disegno trova infatti numerosi e precisi confronti morfologici su tipi monetali di età ellenistica e romana: compare ad esempio nelle emissioni di Demetrio Poliorcete, sui tipi raffiguranti una prora sormontata da Vittoria (Tav. rv, 1), ma anche sulla maggior parte delle emissioni in bronzo di Roma repubblicana (Tav. rv, 2) e su un denario di Augusto coniato all'indomani della vittoria di Azio e recante al rovescio una prua volta a destra sormontata da trofeo (Tav. rv, 3); è interessante notare come il tipo del verso di questo denario rappresenti uno dei simboli della Vittoria che la propaganda e le maestranze augustee adottano all'indomani della vittoria di Azio: Zanker 1989, pp. 88-91). L'occhio compare inoltre, più o meno stilizzato, su altri generi di rappresentazione, come ad esempio il rilievo augusteo raffigurante una prua di nave conservato nel Museo Palatino di Roma (Fig. 70) ( su questo rilievo, datato intorno al 30 a.C., Tornei 1997, p. 65, nr. 39; Ead. 2008). Ma l'elemento più caratterizzante della fontana è il saliente centrale. Ipotizziamo per la Meta un saliente tripartito con ciascuna sezione marcata da una cornice (Fig. 71). La parte inferiore del saliente è costituita da un tamburo basale cilindrico realizzato per le prime due assise dal basso in conci di tufo rosso (vd. Fig. 80) e per le successive da blocchi più sottili, rivestiti da lastre in marmo bianco con facciavista curvilinea, forse disposte in modo da creare lungo la circonferenza una serie di nicchie. A coronamento di questa prima sezione, la cui altezza è la variabile maggiore di questa proposta ricostruttiva, e immediatamente al di sotto di uno dei frammenti di cornice rinvenuti (Fig. 72, b - in realtà le dimensioni 64

a ridotte di questo frammento di cornice non ci consentono di recuperarne con precisione il diametro ma, dato il maggiore aggetto rispetto alle altre cornici e la necessità per la sua forma di collocarlo in un punto del saliente, abbiamo optato per questa posizione), è posto il fregio di ordine dorico (Fig. 72, a e Fig. 73), il cui diametro ricostruito risulta essere di m 3,57 ca. ( = 12 p.r.), misura corrispondente a quella del tamburo. Le metope di questo pezzo straordinario e unico sono decorate con un bassorilievo costituito da un piccolo fiore centrale a quattro petali, incorniciato da evoluzioni di nastri terminanti con palmette, mentre il registro inferiore è decorato invece con quattro fiori isolati. In generale, il rilievo ricorda le decorazioni delle lastre fittili di età medio- e tardo-repubblicana di tradizione ellenistica: pur non avendo riscontrato un confronto preciso per la composizione d'insieme, i singoli elementi rappresentati all'interno delle metope appartengono alla famiglia dei fiori, delle palmette e dei nastri presenti su produzioni fittili che si inquadrano tra la fine IV-III ed il I secolo a.C. (per un confronto di lastra fittile bipartita con fregio dorico e registro inferiore decorato con singoli fiori si veda Von Rohden - Winnefeld 1911, rv: 2, tav. CXIX, fig. l; il motivo con fiore a quattro petali iscritto all'interno di evoluzioni di nastri è simile a Von Rohden - Winnefeld 1911, Iv: 2, tav. CXVI, figg. 1-2; in generale su questo tipo di lastre fittili Andrén 1940 ). Al di sopra di questa porzione cilindrica s'imposta il secondo tratto, di forma troncoconica. Esso ha una circonferenza di base pari a m 3,55 e si sviluppa per un'altezza di in 2,67 ca. ( = 9 p.r.). Questa misura sembra l'unica dimensione verticale non modificabile di tutto lo sviluppo del saliente ed è stata ricavata in funzione dei seguenti parametri: 1) il diametro 65

10

15cm

Fig. 73. Fregio di ordine dorico pertinente al saliente della

Meta . Età augustea (Dis. Giacomo Pardini) .

della sezione cilindrica sottostante; 2) l'angolo di inclinazione di 86,5° dei blocchetti di rivestimento imitanti l'opera isodoma (Fig. 72, c), collocabili appunto in questo tratto; 3) il diametro, pari a m 3,24 ( = llp.r.), del piano d'appoggio del secondo tipo di cornice rinvenuto (Fig. 72, d), che coronava in alto questo segmento. A compimento del saliente s'imposta infine una cuspide di forma conica, caratterizzata da una base dodecagonale iscritta nella circonferenza rappresentata dal piano di posa della cornice su cui poggia, che risulta avere, come s'è appena detto, un diametro di m 3,24. La forma e l'inclinazione di 78-80° di questa estremità sono state ricavate dall'unica lastra di rivestimento in marmo bianco ad essa attribuibile (Fig. 72, e); in funzione del diametro di base e della suddetta inclinazione l'altezza della cuspide dovrebbe

raggiungere circa m 4 (poco più di 13 p.r.). Al di sopra di essa il saliente doveva certamente terminare con un elemento stilizzato a forma di pigna o fiore o, piuttosto, con un elemento a forma di fiamma, lontano ricordo del braciere accesso presente sui bétili di Apollonia ed Ambracia (vd. oltre), dal quale verosimilmente fuoriusciva l'acqua. Il significato. La sagoma globale del saliente ricorda le mete del circo (Fig. 74), ma significato e forma sono riconducibili all'immagine aniconica del dio Apollo, quel bétilo raffigurato su una lastra "Campana" proveniente dall'area Apollinis, in cui due fanciulle affrontate avvolgono con nastri un oggetto approssimativamente fusiforme decorato con una lira, un arco ed una faretra (Fig. 7 5): la scena, che su questo tipo di supporto risulta essere un unicum, pare dunque volutamente concepita per l'area Apollinis ( Strazzulla 1990, p. 22; la costruzione del tempio palatino, inaugurato il 9 ottobre del 28 a.C., è stata interpretata come la diretta conseguenza di un voto fatto da Ottaviano durante la battaglia di Naulocos, la cui vittoria venne appunto attribuita all'aiuto di Apollo e Diana: Zanker 1989, p. 56; una diversa interpretazione della costruzione del Tempio di Apollo Palatino è in Hekster - Rich 2006). Gli attributi prettamente apollinei raffigurati sul bétilo e la coesistenza di questa lastra con un'altra, il cui soggetto mostra la lotta fra Apollo ed Eracle per il tripode delfico, consentono di riconoscere in questo elemento la rappresentazione aniconica del dio (per l'esegesi di questa lastra e più in generale per tutto l'insieme di lastre fittili proveniente dall'area Apollinis vd. Carettoni 1971-1972 e Strazzulla 1990; in quanto ai bétili, oltre ad essere rappresentati sulle lastre "Campana", dovevano essere collocati anche all'interno del santuario: Zanker 1989, pp. 93-96; per una rilettura dell'area Apollinis e per la presenza all'interno di essa di un lucus e di bétili vd. Gros 2003; per una recente rilettura della casa 66

di Augusto e dello spazio apollineo e delle decorazioni ivi presenti, si rimanda a Carandini 2008). Questa rappresentazione del bétilo sembra peraltro avere precise premesse in età ellenistica: è possibile infatti riconoscere un precedente nelle rappresentazioni della pietra sacra di Ambracia in Epiro, ipòstasi di Apollo .'.A.yu Lruç protettore delle strade e degli incroci (Preller 1894, pp. 276-277; sull'Agyieus e sul suo culto vd. anche Fehrentz 1993); fornite dalla monetazione ènea di questa città (Tav. IV; 4-5). Come il bétilo palatino anche il monumento di Ambracia è caratterizzato da tre partizioni architettoniche del tutto analoghe alla nostra ricostruzione: su un basamento si imposta un saliente cilindrico coronato da una cornice (?) e sormontato da una cuspide conica, sulla cui sommità è un disco orizzontale in cui è accesa una fiamma; in alcuni tipi questo oggetto è decorato da una taenia, esattamente come accade sulla lastra "Campana': Questo simbolo compare ancora sulla monetazione in argento e in bronzo di Apollonia in Illiria (Tav. IV; 6-7) e su tipi monetali coniati da altre città del Mediterraneo orientale, come ad esempio Orikos, Megara (Tav. IV; 8) e Byzantium ( sulle raffigurazioni di bétili vd. anche Di Filippo Balestrazzi 1984). È interessante notare come questa rappresentazione aniconica sia usata principalmente nel culto di Apollo e Afrodite e che, proprio relativamente alla città epirota, il mito narri di una disputa tra i due fratelli divini ed Eracle per il possesso di Ambracia. Considerato che le medesime divinità sono tutte presenti nell'area Apollinis (è nota ad esempio l' esistenza del gruppo statuario di Apollo, Diana e Latona, mentre rimane parte dell'apparato decorativo fittile con le lastre del bétilo, appunto, e della contesa del tripode), non è forse peregrina l'ipotesi che la forma del bétilo apollineo, così come la ritroviamo nel santuario palatino prima e nella Meta Sudans poi1 sia ispirata da precedenti ellenistici ed in particolare dagli esempi di Ambracia ed Apollonia. Nel 44 a.C. il giovane Ottavio si trova proprio in Fig. 75. Lastra fittile di età augustea raffigurante due fan ciulle che ornano il bétilo di Apollo, proveniente dall'area del Tempio di Apollo Palatino (© SSBAR, inv. nr. 379051 ).

Fig. 74. Lastra fittile con scena di naufragium di quadriga: a sinistra le metae circensi (da Tortorella 1981, 93, fig. 25).

67

2

7

Tav. IV. I. Tetradramma coniato dalla zecca di Amphipolis intorno al 294-293 a.C. (Newell 1978, p. 101, nr. 94, tav. VIII, 16 - Numismatica Ars Classica NAC AG, Zurich); 2. Asse di Q. Marcius Libo c~nia~o dalla_zecca di_ Roma nel 148 a.C. (RRC, p. 255, nr. 215/2a, tav. XXXIV, 5 - Collezione privata); 3_. De~ano d1 Ott~v,ano coniato a Roma o a Brundisium tra il 29 ed il 27 a.C. (RIC 12, p. 60, nr. 265a, tav. 5 - Numismatica Ars Classica NAC AG, Zurich); 4. Ambracia, argento, 238-168 a.C. (SNG Cop. Epirus-Acarnania, nr. 21, t~v. I - ~o/lezione privata)_; 5. Ambracia, bronzo, 238-168 a.C. (SNG Cop. Epirus-Acarnania, nr. 23, tav. I- Collezione privata); 6. Apollonia, argento, I secolo a.C. (Fritz Rudolf Kiinker GmbH & Co. KG, Osnabruck, Asta _94 del. 27/09/2004); 7. Apollonia, bronzo, I secolo a.C. (SNG Cop. Thessaly-11/yricum, nnr. 406-1 O, tav. 8 - Col!ez1one privata); 8 .. Megara, bronzo, . ca. 307-243 a.C. (BMCGreek, p. 121, nnr. 35-6, tav. XXI, 13 - Collezione privata); 9. Asse co~_,a_to dalla zecca~' Roma tra il 206 ed il 195 a.C. (RRC, p. 206, nr. 124/3 - Numismatica Ars Classica NAC AG, Zun~h); IO. ~sse ~' Ottaviano coniato dalla zecca di Lugdunum nel 36(1) a.C. (RPC I, p. 151, nr. 515, tav. 35 - Classica/ Num1smat1c Group, /ne., Lancaster) . Immagini fuori scala.

68

quest'ultima città per completare gli studi e è ad Apollonia che apprenderà della morte di Cesare ( Zeggio - Pardini 2007} p. 21). Va infine ricordato che dopo la vittoria di AzioJ che nel golfo di Ambracia si trova} Augusto ricostruirà il santuario di Apollo e fonderà una nuova città} Nicopolis} dove peraltro è stato rinvenuto un bétilo (Hekster - Rich 2006} pp. 166-168 e Tzouvara-Souli 2001} pp. 243-245). La posizione} lo stretto collegamento con uno dei luoghi "romulei" per eccellenza ( Curiae/pomerio)J la forma stessa della struttura vicina all'immagine aniconica di Apollo} divinità tutelare del principe} permettono di attribuire a questo monumento il valore di "segno" e una pluralità di significati topografici} urbanistici} sacrali} ideologici e simbolici. Sembra evidente il richiamo alla casa natale di Ottaviano} sita ad capita Bubula presso le Curiae Veteres e trasformata da Livia in sacrario} ed anche} sulla scorta di Tacito} al pomerio} di cui proprio le vecchie Curie rappresentavano il terzo vertice. Che la Meta abbia potuto simboleggiare un caposaldo pomerialeJ con riferimento quindi diretto a Romolo} è probabile} così come proprio la presenza delle Curiae Veteres} strettamente connesse alla fondazione della città} potrebbe essere uno dei motivi della scelta di quel luogo quale fulcro della riorganizzazione urbana di Augusto} suggerendo velatamente una rifondazione di Roma e con essa dello Stato. La "coincidenza" che il rifondatore dello Stato stesso fosse poi nato proprio nelle vicinanze di quel luogo} non avrebbe che rafforzato la convinzione della ineluttabilità del radioso destino suo e di Roma. Già è stato notato come l'insolita forma del saliente e l'ubicazione di questa fontana possano essere spiegate alla luce di alcune scelte politico-urbanistiche del principe. La sua forma} allungata in senso E-W lungo la strada percorsa dai trionfi} è vincolata dalla preesistente struttura del quartiere} che non poteva o non doveva essere cambiata; pur tuttavia il complesso viene edificato proprio in questo punto} costringendo la via verso il Foro a forzate strozzature (Zeggio 2006a). Se anche nella vasca si potessero rintracciare elementi dell'iconografia ufficiale} quali appunto la forma di prora (il kyma ionico potrebbe rappresentare un'evoluzione in senso decorativo del fasciame della nave: Morello 2001} pp. 5-8) simbolo di vittoria} saremmo di fronte ad un monumento che nella sua interezza rientrerebbe nei canoni della propaganda augustea} nato dall'unione degli elementi significanti più cari ad Augusto} che finiranno per divenire i simboli di un'epoca: si ricorda che l' associazione prua/Meta o} più genericamente bétiloJ è già presente sugli assi di Roma repubblicana (Tav. Iv, 9) eJ non è un caso} se compare inoltre su un'emissione coniata dal giovane Ottaviano (Fig. Iv, 1O). Se quanto descritto è valido per la fase augustea} l'esito del rifacimento claudio della vasca è invece assai diverso: il continuo rialzamento dei livelli stradali comporta infatti la parziale obliterazione del parapetto} che risulterà ben poco sporgente dalla strada e dunque mal riconoscibile nella decorazione. I Flavi ricostruiranno in forme più colossali} dopo la parentesi neroniana} nello stesso punto} ma in una topografia dei luoghi del tutto mutata} una seconda Meta Sudans} i cui resti sono ancora visibili di fronte all'Arco di Costantino. 2.2. 11

compitum

Come abbiamo visto} la Meta augustea si trova lungo il lato settentrionale della via valle-Foro. Di questo antico percorso viario (Zeggio 2006a), pavimentato in poligoni di basalto e realizzato successivamente alla messa in opera del parapetto della fontana, si conservano tre lacerti, il più grande dei quali è stato rinvenuto all'estremità orientale del lato 69

meridionale della fontana: quest'ultimo tratto, i cui basoli non mostrano i segni dell'usura da calpestio ma recano ancora le tracce di cava, viene utilizzato fin dall'inizio come piattaforma di appoggio per un piccolo basamento grosso modo rettangolare anch'esso conservato nella sua redazione tiberiano-claudia (Fig. 76). Alla fase originaria di questa struttura, costituita da un recinto realizzato per tre lati con muri a blocchi di tufo rosso litoide lionato (il quarto, oggi spoliato, era rappresentato dal parapetto in travertino della Meta) e riempito da un nucleo di terra compattata, pertiene probabilmente il muro orientale (con andamento N-S) costituito da blocchi disposti per taglio su un unico filare di tre assise, lavorati ad ascia-piccone ( dolabra) e messi in opera a secco (Fig. 77, a). A causa dei danni provocati dall'incendio del 27 (Zeggio 2006a, pp. 96-97), evento che comporta anche il rifacimento del manto stradale della via valle-Foro, il podio subisce un restauro. I lavori di ripristino del basamento (lati meridionale ed occidentale, Fig. 77, b-c) sono preceduti dai resti di quello che, con tutte le cautele del caso, può forse essere interpretato come un rito di 'riconsacrazione' di questa struttura ( Zeggio 2006a, p. 96, n. 120). Al di sotto dei blocchi del lato occidentale del basamento, nel punto d'intersezione di esso con l'esedra meridionale della fontana, è praticata una piccola buca sub-circolare: in essa, previamente rivestita di un sottile strato preparatorio sabbio-argilloso, è installato un dolio privo della parte superiore. Il passaggio di un cunicolo medievale, che ha asportato il soprastante blocco di tufo, l'eventuale contenuto del dolio e forse anche un'ulteriore porzione della sua spalla, impedisce di comprendere con certezza la funzione di questa installazione. La sua collocazione in un punto poi completamente Figg. 76-77. Podio del compitum appoggiato sulla via basolata occultato ed in occasione di una ricodi età augustea visto da Sud e da Nord. struzione del podio, farebbe però supporre che si tratti di una deposizione rituale, forse per una sorta di 'riconsacrazione' del sacello compitale. Terminato il rito ed interrato il dolio, si procede al ripristino vero e proprio del basamento: il riposizionamento di due muri legati tra loro, quello meridionale e quello occidentale, in blocchi di tufo rosso litoide lionato, avviene sulla strada basolata, che continuerà ad essere sfruttata come stabile piano d'appoggio. I due nuovi lati sembrano ricostruiti con blocchi di reim70

piego messi in opera a secco, ancorati alla strada per mezzo di un sottile e discontinuo strato di malta pozzolanica violacea. Il nuovo recinto viene dunque riempito da un nucleo di terreno argilloso fortemente compattato, misto a scaglie di marmo bianco e travertino di dimensioni medio-grandi. Le dimensioni generali del podio, disposto coi lati lunghi paralleli alla fontana, restano da ora presumibilmente costanti fino alla sua definitiva obliterazione e spoliazione, e sono di m 3,25 X 3 ca. ( 11 X 10 p.r., compresa la parete in comune con il

Fig. 78. Le impronte lasciate dal parapetto della fontana e dalla pavimentazione del compitum su una delle fondazione dei corpi vallivi della Domus Aurea.A sinistra il pavimento in cocciopesto della vasca della fontana; a destra il basolato augusteo della via valle-Foro.

parapetto della fontana), mentre l'altezza è di m 1,20 ca. ( 4 p.r. ) . Il basamento doveva essere completato da un rivestimento esterno marmoreo (?) e da una pavimentazione superiore in lastroni di travertino (Fig. 77, d), della quale rimane in situ un solo frammento; così completo il podio risultava alto m 1,50 (1 passus = 5 p.r.). Questo pavimento si conserverà anche dopo gli interventi conseguenti l'incendio del luglio 64: la fondazione neroniana N-S, tangente al lato orientale della fontana e del podio, reca infatti a tutt'oggi le impronte del bordo vasca e del lastricato pavimentale (Fig. 78), spogliati in età post-antica. L'ultima evidenza afferente al restauro di questa struttura è costituita dalla scala di accesso al basamento (Fig. 79), ricollocata sul lato corto occidentale e restituita dallo scavo fortemente intaccata da interventi seriori, tale da non Fig. 79. Particolare della scala in travertino consentirci di ricostruire con certezza l'intero ingomdel compitum (vista da Nord). In alto la lastra di travertino di pavimentazione del bro, che doveva però con tutta probabilità uguagliare la piccolo edificio; al di sotto di essa il muro occidentale in blocchi di tufo del basamenlarghezza del podio giungendo a contatto con l'esedra to; in basso i basoli della strada augustea. della fontana. Della scala, larga m 0,80, si conservano tre blocchi sovrapposti: dei due inferiori, uno, appoggiato direttamene al muro del podio, è di tufo rosso; ad esso si affianca un lastrone di travertino a formare il primo gradino; entrambi sostengono il terzo blocco, sempre di travertino e dal profilo lavorato a scala. Il tutto forma tre pedate da m 0,30-0,35 con alzate disuguali, che variano da m 0,30 dell'inferiore a m 0,21 delle superiori. Il rifacimento claudio dell'unico tratto della via tra la valle e il Foro individuato in questo settore di scavo, è situato immediatamente ad Ovest del podio. Di esso si conserva un solo basolo mentre tratti di questa 71

Fig. 80. Particolare del saliente centrale della Meta Sudans augustea (vista da Sud).

medesima refezione stradale sono stati trovati nel corso della campagna del 1996 immediatamente all'esterno del temenos dell'area sacra e nella campagna del 1998 nel Settore NW dell'Area I (vd. Fig. 61 ). Che queste evidenze siano da porre in relazione con la strada claudia posteriore all'incendio del SO/ 51 è sicuro: nella sua preparazione sono stati rinvenuti infatti alcuni frammenti architettonici del tempio bruciato sotto Claudio (informazione di Sabina Zeggio). In questa fase la strada è più alta di m 0,80 rispetto alla redazione augustea, di conseguenza la scala di accesso al basamento viene completamente obliterata dai livelli di ruderatio posteriori all'incendio del SO/ S 1 e il basamento supera ora il manto stradale di appena m 0,40 (anche il parapetto della fontana scomparirà in parte sotto le preparazioni relative a questo rifacimento, e proprio in questo innalzamento dei piani d'uso andrà ricercata la motivazione del restauro che vede una sopraelevazione del bordo della Meta (Figg. 81-82). Per la connessione con il restauro dell'adiacente santuario la datazione di questo intervento è da porsi con certezza in uno degli anni tra il S 1 e il 54. Mentre possiamo essere ragionevolmente certi delle valenze simboliche della fontana, resta da risolvere il problema dell'identificazione della piccola struttura ad essa connessa. Purtroppo i dati recuperati non ci consentono di comprenderne l'esatto aspetto; tuttavia, considerata la sua collocazione ed il rinvenimento di alcuni frammenti lapidei, pertinenti forse ad una transenna, possiamo azzardare l'ipotesi che il basamento sostenesse un altare sub divo piuttosto che un'edicola (Pan ella - Zeggio 2004, pp. 7 5-77; Zeggio - Pardini 2007); il confronto invece con costruzioni simili individuate in passato e la riflessione sul contesto generale di rinvenimento ci consentono di proporre almeno un'ipotesi circa la sua destina72

zione. Questo monumento, come dimostra la stratigrafia, è strutturalmente e cronologicamente connesso alla Meta Sudans augustea, in stretto rapporto alla viabilità di questo settore urbano, ed è posizionato, sulla via valle-Foro, a ridosso dell'importate nodo stradale più volte descritto. Se l'impianto riportato alla luce è solidale alla fontana, che per i motivi appena visti possiamo datare agli anni intorno al 7 a.C., ne consegue che la costruzione di questo edificio, deve risalire agli stessi anni. È interessante sottolineare come agli anni compresi tra il 12 ed il 7 a.C. risalga, non solo la divisione augustea in Regiones ma anche la divisione politico-amministrativa dello spatium urbis in 265 vici (Plin., NH 3, 66: ... ipsa dividitur in regiones xnn compita Larum CCLXV... ) : organizzazioni amministrativo-religiose affidate ai magistri vicorum, curatori scelti fra la plebe (in realtà a questa data sembra piuttosto risalire l'estensione capillare di queste forme associative: Fraschetti 1990, pp. 204-273; per la discussione relativa all'inizio dell'era vicana e per le complesse problematiche relative ad essa si rimanda a Cavallaro 1975-1976; vd. anche Fraschetti 1990, pp. 265-268). Esse sono caratterizzate dalla presenza, presso i crocicchi, di edicole dedicate ai Lares e al Genius di Augusto, introdotti dal principe in sostituzione degli originari culti dei Lares Compitales (Flambard 1981, pp. 161-164; Fraschetti 2000). Se, come sembra possibile, dobbiamo dunque riconoscere nel nostro monumento, il basamento di un compitum, un confronto può venire dal compitum Acilium (Pisani Sartorio 1993a; Palombi 1997, pp. 39-43), rinvenuto nel 1932 durante i lavori per l'apertura di via dell'Impero (odierna via dei Fori Imperiali: Colini 1961-1962). Infatti, pur notando alcune differenze strutturali (il podio del compitum Acilium, direttamente a contatto col manto stradale, ha un nucleo in calcestruzzo e la scala, posizionata sempre sul lato breve, è rivestita con lastre marmoree: Palombi 1997-1998), le dimensioni di quest'ultimo sembrano abbastanza simili a quelle del piccolo edificio addossato alla Meta; identici sono anche l'orientamento, con i lati lunghi paralleli alla via, e la disposizione della scala sul lato breve. Possono offrirci qualche indizio anche la struttura (podio con altare?) rinvenuta presso S. Martino ai Monti, con dedica a Mercurio ( Gatti 1888; l'iscrizione è in CIL VI, 30974 = ILS 92; per una recente rilettura, che ne esclude l'attribuzione ad un compitum, De Angeli 2001, pp. 196-201) e quella analoga, base con altare e dedica alla Concordia augusta, situata nel Foro Boario ( Colini 1970-1971; vd. Pan ella - Zeggio 2004, pp. 83-84).

Fig. 81. Il bordo occidentale (l'unico conservato) della vasca della Meta Sudans: a sinistra il pilastro di età augustea sormontato dal blocco relativo al restauro claudio (visibile l'incasso della fistula, di cui è stato trovato un lungo tratto nella vasca, e i perni per una bocca di fontana); a destra il lastrone in travertino augusteo, rivestito di cocciopesto e sormontato dalla lastra del rialzamento di età claudia.

73

I e Regio X: in tal modo il compitum Fabricium si troverebbe presso il nodo stradale ove è costruita la Meta Sudans ( Colini 1944, p. 440; Pisani Sartorio 1993b). Alla luce delle ultime scoperte avvenute nel cantiere della Meta Sudans, quest'ultima ricostruzione potrebbe trovare una conferma. È difficile infatti, date le strette connessioni topografiche e la presenza in quest'area di nuove ed inaspettate evidenze, sottrarsi alla suggestione di mettere in relazione il piccolo monumento addossato alla fontana augustea e prossimo alle Curiae Veteres con il compitum Fabricium menzionato da Pesto e di conseguenza identificare la via di S. Gregorio con il vicus Fabrici della Base Capitolina. G. P.

Fig. 82. Prospetto E-VV, visto da Sud, dell'insieme Meta/compitum (Ricostruzione Matilde Cante).

Accettando questa ipotesi, non possiamo esimerci dal provare a dare un nome al compitum e per riflesso al vicus a cui esso apparteneva (Panella - Zeggio 2004, pp. 84-85). Un possibile suggerimento ci è offerto da un passo di Pesto: « Novae Curiae proxim(a)e compitum Fabricium aedificatae sunt, quae parum amplae erant Veteres a Romulo factae, uhi is populum et sacra in partes triginta distribuerat, ut in is ea sacra curarent. Quae cum ex veteribus in novas evocarentu'1 VII curiarum per religiones evocari non potuerunt: itaque Foriensis, Raptae, Veliensis, Velitiae res divinas .fiunt in veteribus Curiis» (Pest. 180 L.) e da un'ipotesi già avanzata da Christian Hiilsen (Jordari - Hiilsen 1907, p. 200 e n. 2). L'interpretazione del testò di Pesto e la corrispondenza topografica tra le Curiae Veteres e le Curiae Novae sono sempre state controverse (per una disamina sulla relazione tra questi due complessi si rimanda a Panella 1996a, pp. 71-74; da ultimo Carandini 2010, fig. 1 e p. 33; Id. 2012, tav. 89, che identifica, in via di ipotesi, il nostro santuario veliense - vd. sopra, p. 20 - con le Curiae Novae, normalmente assegnate al Celio: Torelli 1993, p. 336), così come dibattuti sono i confini tra Regio I, II e X. Alcuni studiosi inseriscono nella gola tra Celio e Palatino uno stretto cuneo che assegnano alla Regio I (Jordan - Hiilsen 1907, loc. cit.; Platner-Ashby 1929, s.v. Regiones Quattuordecim; Lanciani 1985; Coarelli 1988, p. 257, fig. 52). Colini nella monografia sul Celio prospetta a questo proposito due soluzioni. Nella prima mette in relazione il compitum con il vicus Fabrici citato dalla Base Capitolina del 136 ( CIL VI, 975 = ILS 6073 )e ubicato nella medesima nella Regio I. In base a questi dati (corrispondenza topografica tra compitum Fabrici, Curiae Novae e vicus Fabrici) situa la Regio I sulle pendici meridionali del Celio fino all'odierna Piazza di S. Gregorio, facendo coincidere con la valle tra Palatino e Celio, fino alla Meta, il confine tra Regio X e Regio II ( Colini 1944, p. 72, n. 23; p. 52, fig. 22; così Castagnoli 1979, p. 347). In uno degli Addenda di questo stesso volume riprende invece l'ipotesi di Hiilsen e suggerisce dubitativamente l'identificazione della strada tra Palatino e Celio con il vicus Fabrici stabilendo lungo l'attuale via di S. Gregorio il confine tra Regio 74

75

PARTE V. L'incendio del 64 e il cantiere della Domus Aurea

In tale quadro topografico e insediativo, con isolati ben definiti dalla viabilità e certamente tutti edificati e con una forte valenza sacrale e residenziale scoppia l'incendio più rovinoso tra i tanti che la città avesse fino ad allora registrato. Gli interventi edilizi attuati da Nerone dopo la catastrofe stravolsero le destinazioni d'uso di questo intero settore urbano, dall'Esquilino al Celio e dal Palatino alla Velia, inglobandolo nel perimetro della nuova residenza imperiale, nota dalle fonti scritte con il nome di Domus Aurea, la "casa d'oro" 1 •

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IX giorno VIII giorno

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Fig. I05a-c. Materiali di età arcaica e alto-repubblicana. a. Statuetta antropomorfa in osso (575-525 a.C.) ; b.Antefìssa a busto di Menade (500-480 a.C.); e.Antefissa a testa di Sileno (420-380 a.C.).

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Fig. I 06. Coroplastica votiva (a-b) e strumenti fittili (c) di età mediorepubblicana.

nile (gruppo Torcop: Fig. 107b) e, per quanto riguarda la ceramica sovradipinta, coppe e skyphoi che recano figure maschili drappeggiate ( Gruppo Sokra) o civette ( Glaukes: Fig. 107c), piattelli e piccole kylikes con una decorazione 'a stella' al centro della vasca. Pochissimi sono i fondi stampigliati in ceramica a vernice nera attribuibili a questa fase e tutti riferibili a kylikes con anse orizzontali (per i quali si veda da ultimo Ferrandes 2008a). Il numero degli oggetti databili nella seconda metà del IV secolo a.C., tutto sommato esiguo se consideriamo solo i materiali sopra citati, è notevolmente incrementato dalla ceramica a vernice rossa opaca, una classe di vasi - composta prevalentemente da coppe, ma anche da piattelli su piede e patere miniaturistiche - abbondantemente documentata nel contesto (quasi mille esemplari integri e frammentari); il confronto con altri nuclei di materiali dimostra che se le prime attestazioni di questa classe possono essere riferite già alla fine del V /inizi del IV secolo a.C., l'apice delle presenze si data tra la metà del IV e gli inizi III secolo a.C. Va inoltre aggiunto che se i pesi da telaio, la coroplastica e, forse, le ceramiche figurate hanno verosimilmente costituito - in virtù della propria 'specializzazione' - un'offerta autonoma, non si può escludere che le migliaia di coppette ( tanto in ceramica a vernice rossa, quanto a vernice nera) siano state utilizzate per conte88

nere offerte di altra natura, come le primizie (Fig. 108). La parte più consistente del materiale medio-repubblicano app~rtiene tuttavia al sessantennio compreso tra la fine del IV e la metà del III secolo a.C. (Ferrandes 2006b). A questo periodo possono infatti essere riferiti i piattelli di Genucilia con decorazione geometrica (Fig. 109a) e, tra le ceramiche sovradipinte, una coppa con anse verticali sormontati e ramo d'ulivo (Fig. 109b), gli skyphoi e le oinochoai con una figura maschile dalla resa sommaria (gruppo del Fantasma), skyphoi e askoi del gruppo meridionale della Palmetta, skyphoi con ulivo e ramoscelli; dall'area apula provengono inoltre alcuni vasi a decoro vegetale. Tra le ceramiche a vernice nera, quasi interamente ascrivibili ad officine locali, si segnalano - per quantità delle attestazioni - coppe carenate ( tipo Morel 96) e coppe emisferiche con orlo rientrante (tipo Lamboglia 27), attestate in più classi dimensionali (Fig. 109c); la maggior parte degli stampigli compare proprio sui fondi di quest'ultimo tipo. Tra le forme dalla spiccata connotazione votiva - anche in virtù della miniaturizzazione - si segnalano patere (Fig. ll O), attingitoi, kylikes e skyphoi. Non si può infine escludere che almeno una parte delle coppe a vernice rossa opaca appartenga a questi decenni. Come per la quasi totalità dei depositi noti di Roma, anche nel nostro caso sono pochissimi (e peraltro di dubbia attribuzione al nucleo votivo originario) i frammenti riferibili agli anni centrali o alla seconda metà del III secolo a.C., periodo al quale possiamo attribuire pochi fondi caratterizzati da uno stampiglio unico centrale ( quasi esclusivamente rosette) e coppe con H suddipinta (l'unica produzione figurata - forse legata al culto di Ercole - che supera in ambito urbano gli anni della prima guerra punica). Sono del tutto assenti, invece, materiali con sicura destinazione sacrale data-

b

Fig. I0?a-c. Ceramiche databili tra la metà e la fine del IV secolo a.C. a. Piattello di Genucilia con profilo femminile; b. Skyphos con volto femminile del gruppo Torcop; c. Kylix del gruppo della Civetta.

Fig. I 08. Un esempio delle offerte - in questo caso farro - che potrebbero essere state contenute nelle coppe in ceramica a vernice rossa opaca.

89

2.1.2. L'opera di drenaggio Tra i numerosi contesti di età neroniana indagati nell'area della Meta Sudans si segnala, per la peculiarità della deposizione, un consistente riporto di terreno e materiali, principalmente ceramici, che ha obliterato la fontana augustea dopo che era stata quasi interamente spogliata delle tubature metalliche e della decorazione (Fig. 111). Si tratta di un insieme che si differenzia dagli analoghi scarichi utilizzati dalle maestranze neroniane nei vicini settori del cantiere per quantità e qualità dei manufatti presenti (una disamina delle stratigrafie successive all'incendio in questo settore urbano è in Pan ella 2011 b). Accanto ai pochi elementi pertinenti all'elevato della fontana (vd. Figg. 64, 80), ad una trentina di monete (Zeggio 2003-2004) e a diversi oggetti in vetro (Fig. 112), metallo ed osso lavorato, sono stati infatti raccolti circa 30.000 frammenti (appartenenti in origine a quasi 1000 vasi), riferibili alle principali classi ceramiche in circolazione a Roma nei contesti di questa età (Rizzo 2003 ). L'abbondanza del materiale rivenuto e la quasi totale assenza di 'residui' - ovvero di oggetti non più in uso da tempo al momento della costituzione del deposito - fanno sì che questo ritrovamento restituisca una testimonianza di eccezionale importanza non solo per le vicende del settore urbano da cui provengono; ma, più in generale, per la stotia della cultura materiale di Roma nella prima età imperiale. Tra il vasellame fine da mensa si segnalano piatti e coppe in "terra sigillata", una classe ceramica caratterizzata da un rivestimento rosso corallino; fatta eccezione per i pochissimi esemplari importati dal Nord della Siria ( Eastern Sigillata A), la maggior parte degli oggetti proviene dall'area centro-italica (sigillata italica: Fig. 113 ), come indicano i bolli presenti all'interno dei vasi; le forme ricorrenti sono la scodella Conspectus 3.3 e la coppa Conspectus 36.4. Tra le produzioni decorate a matrice, oltre a pochi frammenti di origine italica sono documentati alcuni esemplari attribuibili alla Gallia meridionale (sigillata sud-gallica). Accanto a queste classi di materiali, utilizzate soprattutto per il consumo di cibi solidi e semi-solidi, compaiono vasi impiegati principalmente per bere (bicchieri/boccalini e coppe) caratterizzati da pareti spesse pochi millimetri (ceramica a pareti sottili: Fig. 113). Ad eccezione di un discreto numero di importazioni dalla penisola iberica, la maggior parte di

Fig. I 09a-c.Vasellame databile tra la fìne del IV e la metà del lii secolo a.C. a. Piattello di Genucilia con decorazione geometrica; b. Coppa con anse sormontanti e ramo d'ulivo del tipo Aléria I, 1399; c. Coppe in ceramica a vernice nera della serie 2787 di More!.

Fig. I I I. Sezione E-W vista da Sud della Meta augustea e della stratigrafia di età neroniana (Dis. Giacomo Pardini).

Fig. I I O. Patere miniaturistiche in ceramica a vernice nera. ~

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2:_.. I bili nel corso del II secolo a.C., quando muta il regime dell'offerta e non vengono più destinate alla divinità intere classi di oggetti che avevano 'popolato' per secoli i santuari dell'area etrusco-laziale.

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Fig. I 12. Bicchiere, coppe e balsamari in vetro.

questi vasetti è realizzata nell'Italia centrale. Alcuni di essi potrebbero provenire dall'officina localizzata presso il sito della Celsa, alle porte della città (che fabbrica ad esempio il tipo più attestato del contesto, il boccalino monoansato Marabini XV corrispondente al tipo la di Carbonara - Messineo 1991). Sempre al servizio da mensa - ed in particolare a forme destinate a contenere liquidi, come nel caso della brocca biansata di Fig. 113 - possono essere infine attribuiti pochi frammenti di ceramica invetriata (ovvero caratterizzata da un rivestimento piombifero verde-azzurro), la cui produzione comincia, in area centro-italica (Lazio e Campania), proprio alla metà del I secolo. Di particolare rilievo, per quantità delle attestazioni e varietà morfologica, è la ceramica comune, collegata da una parte alla preparazione e alla conservazione degli alimenti (ceramica comune da mensa e dispensa) Fig. I 13. Ceramiche fini da mensa. In alto, sigillata italica; in base dall'altra alla loro cottura (ceramica so, boccalini a pareti sottili e - al centro - brocca in ceramica invetriata. da fuoco). Al primo gruppo appartengono i vasi utilizzati per contenere e versare i liquidi (bottiglie e brocche, anforette, borracce) e i recipienti impiegati per alimenti semi-solidi (olle con i relativi coperchi) (Fig. 114a). Tra le forme di dimensioni maggiori sono invece presenti i catini e i mortai usati nella preparazione dei cibi ed i grandi contenitori per conservare derrate ( dolia), tra i quali si segnala un esemplare bollato da uno schiavo di un personaggio, Statius Marcius Restitutus (Fig. 114b), la cui produzione di ceramica pesante (laterizi e opera doliare) era prevalentemente destinata a Roma e alle sue immediate vicinanze (Pallecchi 2002, pp. 209-211). Più 92

limitato - anche per il valore strettamente funzionale della classe - è il repertorio formale della ceramica da fuoco, che vede accanto agli oggetti usati in cucina (olle, pentole/ casseruole, tegami e relativi coperchi) manufatti con funzione diversa, come i bruciaprofumi. Per quanto riguarda l'origine di questo materiale, accanto alle produzioni locali, che costituiscono la quasi totalità del campione, si segnalano diversi esemplari provenienti dalla Fig. I I4a-b. Ceramiche Campania, tra cui i tipici tegami comuni da mensa e dispensa. a.Tappi, un cocon rivestimento antiaderente, la perchio ed un vasetto cosiddetta ceramica a vernice rossa piriforme; b. Orlo di dolio bollato da Statius interna. Marcius Restitutus. Abbondanza delle attestazioni e varietà morfologica caratterizzano le lucerne, cioè la suppellettile da illuminazione (Fig. 115 ). Sono documentati tipi prodotti dall'età augustea e giulio-claudia ( tra di essi esemplari a becco triangolare, uno a sostegno plastico con la raffigurazione di Minerva ed esemplari a becco tondo), tipi che cominciano ad essere realizzati proprio in questo periodo (come quelli a vasca quadrangolare) e addirittura tipi che fino ad ora erano noti solo a partire dall'età flavia, come le lucerne Bailey Ov, spettanti all'Italia centrale ed alla Campania. Anche per questa classe i bolli rimandano a produzioni prevalentemente centro-italiche; tra i nomi più documentati quello del ceramista Myron1 la cui attività sembra cominciare proprio in età neroniana. La percentuale più consistente del materiale raccolto (quasi il 90% dei frammenti) appartiene tuttavia alle anfore, ovvero ai contenitori adibiti al trasporto su lunghe distanze di derrate alimentari come il vino, l'olio e le salse di pesce. Alla penisola italica possono essere attribuiti contenitori prevalentemente vinari, provenienti tanto dal versante adriatico (Dressel 6A, Dressel 2-4) che da quello tirrenico (Dressel 2-4). Accanto ad essi compaiono alcuni tipi di piccole dimensioni a fondo piatto prodotti nella valle del Tevere (le c.d. anfore di Spello: Ostia II, 521/ Ostia III, 369-370) che trasportano vini comuni principalmente destinati ai consumi della plebe urbana; dalla stessa regione potrebbero provenire altri tipi, sempre contraddistinti da dimensioni ridotte e dal fondo piatto (Fig. 116). Queste stesse caratteristiche ricorrono anche su un altro gruppo di anfore ben documentate nel nostro contesto ed attribuite alla Sicilia orientale (il tipo Ostia II, 523 prodotto negli impianti di Naxos e altrove); dal versante occidentale dell'isola provengono inoltre anfore dagarum e conserve di pesce (Dressel 21-22), mentre a Lipari spetta il tipo Richborough 527 che trasportava allume. Al vino sono da collegare anche le anfore provenienti dalla Gallia meridionale ( Gallica 4 e 5) e dalla regione di Tarraco (Dressel 2-4), mentre più vario è il contenuto di quelle provenienti dal resto della penisola iberica: dalla 93

valle del Baetis ( odierna Andalucia) il vino smerciato nelle Dressel 2-4 e nelle Dressel 28, il vino e il defrutum (una specie di vin cotto con o senza olive) nelle Haltern 70 (Fig. 117a), ma soprattutto l'olio nelle Dressel 20, l'anfora di cui è costituito quasi per intero il Monte Testaccio. Al trasporto delle conserve di pesce realizzate negli impianti costieri della Betica era invece destinata un' eteFig. I 15. Lucerne. rogenea famiglia di contenitori dall'imboccatura più o meno ampia (Dressel 7-11, 12, 14 e Beltran IIA), imitati anche nella vicina Lusitania (Dressel 14 similis). Prodotti della pesca ed olio (e forse anche vino) caratterizzano in questa fase le produzioni anforarie dell'Africa Proconsolare (Hammamet 1, Dressel 2-4, forma LIX di Ostia) e della vicina Tripolitania (Tripolitana I e II e la piccola Mau XXXV: Fig. 117b). Questi tipi si affiancano ad anfore di tradizione punica, ovvero dal corpo a siluro e con anse impostate sulle spalle. Al Mediterraneo orientale possono essere infine attribuiti alcuni contenitori prevalentemente vinari, tra cui si segnalano da una parte le anfore di Creta ( Cretesi 1-4), di Rodi ( Camulodunum 184) e di Cos (Dressel S) e dall'altra quelle dell'area siro-palestinese (forse utilizzate anche per lo smercio di datteri, come si suppone per le Kingsholm 117) e della provincia d'Asia (da Cnido: Mau XXXVIII; dalla valle del Meandro: Agora F 65-66). Ma veniamo, infine, all'interpretazione del contesto. L'impiego massiccio di anfore frantumate rimanda alla realizzazione di un 'vespaio', ovvero di un apprestamento finalizzato a migliorare il drenaggio dell'acqua, mentre il suo impiego in questo settore del cantiere dipende quasi certamente dalla presenza della fontana augustea, che con la pavimentazione in cocciopesto della sua vasca avrebbe potuto ostacolare il deflusso idrico, compromettendo il tiraggio delle nuove fondazioni. Un apprestamento analogo è stato registrato - per citare un altro esempio urbano - a Trastevere, nei pressi di via Sacchi, all'interno di un giardino databile in età augustea (Filippi 2008). Va tuttavia osservato che la maggior parte delle sistemazioni per il drenaggio delle acque documentate all'interno della città prevede la messa in opera di contenitori integri, disposti tanto in maniera ordinata (come nella prima fase del giardino di via Sacchi: Ferrandes 2008b, o nell'edificio sottostante il e.cl. Santuario Siriaco: Attilia 2008), quanto con disposizione caotica (come è più volte documentato nella zona di S. Giovanni durante le indagini per la realizzazione della Linea C della metropolitana: Rea 2011, p. 29 ss. e figg. 9, 14, 20). Per quanto riguarda infine la formazione di questo contesto, la cronologia e lo stato di conservazione dei pezzi (gli attacchi sono frequenti ed in molti casi rimandano ad una rot94

Fig. 116. Anfora vinaria centro-italica a fondo piatto.

Fig. 117. Anfore. a. Anfora betica da vino o defrutum (Haltern 70); b. Anfora tripolitana da vino (Mau XXXV).

tura in posto) fanno supporre che il materiale misto a terra sia stato prelevato dagli immondezzai di quartiere spettanti agli anni immediatamente precedenti all'incendio o all'inizio dei lavori per la nuova reggia. A.F.F 2.1.3. Le monete con contromarca NCAPR I rinvenimenti. Tra i materiali raccolti nei contesti relativi all'incendio del luglio del 64, scavati presso le pendici nord-orientali del Palatino, sono presenti reperti numismatici (assi, dupondi e sesterzi) che ci informano del numerario circolante in epoca neroniana: si tratta di monete in lega di rame (rame, bronzo, oricalco) destinate alle piccole transazioni economiche quotidiane. Di particolare interesse risultano essere tre pezzi, un dupondio di Tiberio (Fig. 119a) e due sesterzi di Claudio (Fig. 119b-c), per la presenza della contromarca N CAPR (Fig. 120), la cui datazione, fino ad oggi incerta (da Nero ne a N erva), grazie alle nostre indagini può essere definitivamente fissata al principato di Nerone (Pardini 2009 ). Le monete infatti sono state rinvenute negli strati pertinenti alla fase edilizia successiva all'incendio del 64 e relativi al cantiere per la costruzione del portico meridionale della via che dall'attuale valle del Colosseo conduceva al Foro Romano (Carbonara 2006; Ferrandes 2011 con bibliografia; Saguì 2009; vd. inoltre il contributo di Emanuele Brienza in questo volume). Il significato. Generalmente questa contromarca è scomposta in due sezioni distinte dove la prima parte 'NCA' viene messa in relazione alla figura di Nerone (Nero Caesar Augustus), mentre la parte finale 'PR' viene a volte connessa al Popolo Romano e quindi sciolta in Populus Romanus (variamente declinato), altre volte correlata alla precisa operazione di verifica del peso e della bontà del metallo analogamente alle contromarche PROB e PRO (probatum). I maggiori studiosi di questa contromarca, C.M. Kraay (Kraay 1956a e 1956b) e D.W Mac Dowall (Mac Dowall 1971), hanno cercato di capire in quale 95

Fig. I I 8a-c. Le monete con contromarca NCAPR rinvenute nello scavo delle pendici nord-orientali del Palatino. a. Dupondio di Tiberio, zecca di Roma, 22-23 d.C. (R/C I, p. 97, nr. 47); b. Sesterzio di Claudio, zecca di Roma, 41-54 d.C. (R/C I, p. 128, nr. 99, tav. 16 o ibidem, p. 130, nr. I 15); c. Sesterzio di Claudio, zecca di Roma, 41-50(?+) d.C. (R/C I, 128, nr. 96). Fuori scala.

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momento Nerone avesse voluto contromarcare monete di epoca precedente. Il Kraay, mettendo in relazione le due lettere finali con il Popolo Romano, suggerisce di leggervi Nero Caesar Augustus Populo Romano, individuando nel congiarium del 5 7 il motivo dell'apposizione di questa contromarca (Kraay 1956b). Il Mac Dowall invece, concordando con lo scioglimento di PR in Populus Romanus, declina però i termini in modo diverso: lo studioso suggerisce Neronis Caesaris Augusti Populique Romani, interpree tazione questa che nasce da una rilettura storica della politica monetaria neroniana unita ad un riesame di tutti i dati relativi alle monete recanti questa contromarca. Mac Dowall, contrapponendosi al Kraay, individua nella riforma del 63-64 il momento dell'apposizione, quando l'amministrazione neroniana riprende la coniazione dell' aes con tutti i nominali coniati in oricalco. Il contributo dello scavo delle pendici nord-orientali del Palatino. Se l'ipotesi del Mac Dowall trova il consenso di molti studiosi e allo stato attuale della ricerca poco può essere aggiunto, un contributo per una nuova riflessione può venire dalla lettura delle nostre stratigrafie neroniane a sostegno dell'ipotesi del Kraay, che suggerisce la relazione della contromarca con le distribuzioni di denaro avvenute durante il congiarium del 57 (Tac., Ann. 13, 31: Nerone iterum L. Pisone consulibus [ ... ] plebeique congiarium quadrigeni nummi viritim Fig. I 19. Particolare della contromarca NCAPR sul rovescio del sesterzio di Claudio rappresentato a Fig. 118b.

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porticata, rispetto agli spazi interni, talvolta mai finiti), ossia durante la riforma del 63-64. Questo consente di affermare con una certa sicurezza che il dupondio di Tiberio, i sesterzi di Claudio, e più in generale tutte le monete recanti N CAPR circolavano a Roma prima di questa data. Se questa affermazione può risultare ovvia, non è però altrettanto automatico che la stratigrafia costituisca un terminus ad quem per l'apposizione della contromarca agli anni 63-64: va infatti notato che tutto il numerario rinvenuto negli strati neroniani delle pendici palatine è precedente al principato di Nerone e che nessuna moneta di questo imperatore è stata rinvenuta in contesti databili all'età neroniana (la stessa situazione si verifica per i rinvenimenti effettuati nell'area della Meta Sudans: Molinari 199 5 e Zeggio 20032004). Vista quindi l'assenza nelle stratigrafie successive all'incendio di monete neroniane, sia precedenti che posteriori alla riforma del 63-64 d.C, tra le quali secondo la proposta di Mac Dowall rientrano a pieno titolo anche quelle contromarcate NCAPR, si potrebbe supporre che il nuovo numerario non avesse fatto in tempo ad entrare in circolazione (dobbiamo consentire alle monete di circolare, prima di essere perdute!). La presenza dei nostri pezzi contromarcati NCAPR parrebbe invece indizio di una piena circolaziòne al momento dell'incendio, tanto da far pensare ad una produzione di qualche anno precedente la riforma. Questo dato potrebbe quindi far propendere per un innalzamento della data dell'operazione di contromarcatura, suggerendo una sua appartenenza al congiarium del 57 e convalidando la proposta del Kraay.

G.P.

dati, et sestertium quadringenties aerario inlatum est ad retinendam populi fidem). I contesti di rinvenimento delle monete si sono formati tra il 64 ed il 68, ma probabilmente la data è più vicina al 64 (alcuni dati di scavo suggeriscono infatti che nell'ambito del cantiere della Domus Aurea fosse data priorità alla realizzazione dei percorsi e delle quinte scenografiche, come appunto la via 97

PARTE VI. La Domus Aurea

~,. ~~--· Fig. 120. Il complesso della Domus Aurea sulla pendice nord-orientale del Palatino, visto da SE. Il basamento, che fornisce in questo punto la controspinta del taglio del declivio collinare, è formato da vani semipogei disposti a pettine e corridoi di passaggio. Sulla destra dell'immagine la fondazione del muro di fondo del portico meridionale che accompagnava la salita verso il Foro. Si notino gli squarci operati ovunque dalle spoliazioni medievali e moderne. Sullo sfondo il Tempio di Venere e Roma.

Interpretata dagli studiosi moderni come una casa "che si fa villa" ( domus-villa) e/ o come una villa "che è casa" ( villa-domus), la Domus Aurea viene presentata dagli scrittori antichi come l'esito di un'appropriazione dell'intera città: per due volte, dice Plinio il Vecchio ( NH 36, ll 1), Roma è stata circondata, da una domus, da quella di Caligola (che si era spinta fino al Campidoglio, passando per il Tempio dei Castori) e da quella aurea di Nerone: una domus-urbs (Royo 2007). Si tratta di un'iperbole retorica che ricorre anche in Marziale (Spect. 2, 4) e in Svetonio (Nero 39, 2), ma che dimostra la novità di un progetto che aveva modificato le relazioni topografiche tra la città e il palazzo, utilizzando a tal fine le progettazioni o le riprogettazioni (Domus Tiberiana sul Palatino), le trasformazioni d'uso (il tempio di Claudio sul Celio trasformato in ninfeo), le ricostruzioni (Tempio di Fortuna nella casa che era stata di Seiano, prefetto del pretorio di Tiberio ucciso nel 31, da localizzare sull'Esquilino: Coarelli 2001; Carandini 2010, p. 251, fig. 84), i corpi di fabbrica costruiti ex novo (nella valle e sull'Oppio) e il recupero e la riconfigurazione dei parchi già esistenti (degli Horti di Mecenate e probabilmente degli Horti Lamiani et Maiani), contestuali alla creazione di nuovi giardini. Limitare il suo impatto ad un unico comparto (al padiglione dell'Oppio, il solo che per decenni è stato identificato con la Domus Aurea) rischia di far perdere di vista il disegno complessivo di questa operazione che non può essere letta come semplice giustapposizione di parti. D'altro canto un altro passo di Plinio (NH 36, 163 ), ove si ricorda che il Tempio di Fortuna sopra menzionato era stato ricostruito da Nerone ed "incluso nella Domus Aurea", sembra dimostrare che anche per i contemporanei la denominazione "domus aurea'' comprendesse più luoghi ed avesse un'accezione ampia (per la planimetria complessiva dei principali nuclei finora rinvenuti vd. Fig. 25). Ai fini della comprensione di un sistema così complesso ci sembra più utile cercare di riportare ad un'unità di progetto i diversi interventi che interessano gli spazi interessati dall'attività edilizia promossa da Nerone all'indomani dell'incendio, fermo restando che essa riflette non solo scelte di carattere urbanistico, sui cui modelli (ellenistici, alessandrini) si è a lungo dibattuto, ma anche politiche, sociali, religiose, filosofiche, ideologiche. Su ciascuno di questi aspetti si è esercitata la critica moderna, con conseguente vastissima bibliografia. Né va sottovalutata la valenza di ciò che rimane delle recJ.lizzazioni di Severus e Celer sul piano della prassi costruttiva (tecnologia), edilizia (tipologia) e architettonica (Viscogliosi 2011): basti pensare alla cupola con oculus centrale impostata su una pianta ottagonale nel padiglione dell'Oppio o alla turris della terrazza della Vigna Barberini (Tornei 20ll). I. La reggia nella valle e sulle pendici del Palatino e della Velia Rimanendo all'interno della nostre aree di intervento, sono stati riportati alla luce in corrispondenza della Velia il fronte orientale dell' atrium-vestibulum che avanzava nella valle molto di più di quanto non si estenda il successivo podio del Tempio di Venere e Roma; in prossimità del Colosseo due blocchi edilizi paralleli che si configurano, nella nostra interpretazione, come sostruzioni di terrazze e di aree porticate scenograficamente disposte 99

intorno allo stagnum, che, sulla scorta di Marziale (Ep. 2, 5-6), dobbiamo immaginare nel sito su cui sorgerà in seguito il Colosseo; sul Palatino le fondazioni dei portici che accompagnavano la salita verso il Foro e le sostruzioni di una terrazza che regolarizzava il primo salto di quota tra valle e collina. I rinvenimenti effettuati nella valle in momenti diversi hanno permesso inoltre di avanzare ipotesi sulla forma (rettangolare) e sulle dimensioni del lago (Medri 1996, p. 185, fig. 166), collocato in una scenografica cornice architettonica. La valle tra Palatino, Celio e Esquilino diventa in tal modo il bacino "naturale" intorno a cui ruota l'intero progetto realizzato dopo l'incendio. Va segnalato che prima delle nostre ricerche la configurazione degli spazi di questa parte della Domus Aurea non era noto (Fig. 121). Ciò ci ha spinto a tentare una ricostruzione prima bidimensionale (Meta Sudans I, pp. 182-187, figg. 162-167) e poi tridimensionale, che è partita dalla valle per poi estendersi all'intero complesso (Fig. 122; una ricostruzione in 3D che tiene conto anche dei nostri ritrovamenti è da ultimo in Viscogliosi 2011, p. 156 ss., figg. 1-4, che aggiorna i contributi suoi e dei suoi allievi già editi). 1.1. Le vie Nonostante il totale sovvertimento della topografia di questo settore urbano operato dopo il 64, permangono nell'area in esame i due assi stradali documentati dalle età più antiche, benché con orientamento e altimetria modificati: la via per l'Esquilino e quella per il Foro (quest'ultima riproposta dall'attuale via Sacra). La rotazione del sistema urbanistico comporta lo spostamento verso Nord dell'incrocio tra queste due strade (Fig. 123 ). Su quell'incrocio era stata realizzata in età augustea la Meta Sudans. Oltre la sella del Palatino, la via diretta al Foro si immette ora nel c.d. clivo Palatino, anch'esso ampliato e regolarizzato.

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Fig. 121. Planimetria dei blocchi edilizi della Domus Aurea nella valle che sarà del Colosseo e sulle pendici del Palatino e della Velia. Ipotesi ricostruttiva nel contesto della topografia antica e moderna.

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parte in età adrianea l'atrium-vestibulum; quello meridionale rientra nell'area dello scavo del Palatino. Di quest'ultimo abbiamo rinvenuto le fondazioni del muro interno per tutta l'area indagata, dalla valle fin quasi all'Arco di Tito. Esse procedono lungo la strada che è in forte salita con salti di quota regolari e conservano in corrispondenza di tali dislivelli le tracce di grandi blocchi in travertino quasi tutti asportati dagli interventi medievali e moderni, rinforzati lungo la percorrenza interna da pilastri di sostegno di età flavia (per un'ipotesi ricostruttiva vd. oltre, Figg. 124-128). Questi ultimi interventi sembrano essere serviti al consolidamento delle volte secondo una modalità riscontrata anche lungo i portici della Sacra via (Palatium e Sacra Via II). C'è da osservare infatti che l'intero sistema che raccorda con vie porticate la valle all'area del Palatino e al Foro subisce una sostanziale ristrutturazione da parte dei Flavi, molto probabilmente a causa sia di problemi statici non risolti dal progetto neroniano, sia a causa del nuovo piano urbanistico imposto all'intero comparto dopo la morte di Nero ne. Sulla via valle-Foro si innesta (ora o in età flavia) un diverticolo ortogonale in direzione del Circo Massimo, che corre (ovviamente ad una quota molto più alta) sugli ambienti ( tabernae e vani abitativi) della domus tardo-repubblicana/ augustea. Esso consente l'accesso da Ovest al primo piano del blocco edilizio che maschera il salto di quota tra valle e collina e sostruisce verso la valle il primo e il più orientale dei tagli della pendice effettuato dalle maestranze neroniane. Più incerta è la sistemazione della strada proveniente dal Circo Massimo, che potrebbe aver perduto il valore di asse di collegamento tra l'accesso meridionale alla città (Porta Capena) e i quartieri centrali del Palatino e dell'Esquilino, svolgendo nel disegno di questa parte della reggia solo la funzione di raccordo tra i diversi corpi di fabbrica. Forse il suo ingresso nella valle era segnato da una struttura monumentale (una porta?), alla cui possente fondazione si addosserà secoli dopo quella dell'Arco di Costantino (Zeggio 1999). Tuttavia già in questo punto o in corrispondenza dell'incrocio con la strada diretta al Palatino essa parrebbe trasformarsi in una via tecta, consentendo al corpo di fabbrica spettante all'atrio-vestibolo di proiettarsi verso lo stagno, con una soluzione forse analoga a quella adottata dagli architetti di età adrianea nella realizzazione dell'avancorpo verso il Foro della Domus Tiberiana, avancorpo che contiene al suo interno il clivus Victoriae (Tornei - Filetici 2012). Non vi è più traccia nella valle delle altre vie che convergevano prima dell'incendio nel punto occupato dalla Meta augustea, sia della strada che scendeva a valle dalla pendice occidentale del Celio, sia di quella proveniente dal Laterano sul prolungamento della via dei SS. Quattro Coronati. Manca all'appello un'altra via, parallela a quest'ultima e alla via Labicana che attraversava la valle in direzione E-W, rinvenuta nello scavo dell'area della Meta (vd. Fig. 24). E cosa succede, sul limite settentrionale, alla stessa via Labicana, tra il Celio e l'Oppio, altro percorso fondamentale dall'età più antica? Si tratta in tutti i casi menzionati di assi a cui era affidato il compito di collegare i quartieri periferici con il centro cittadino e viceversa. Se è vero che la viabilità interna ed esterna alla Domus Aurea rappresenta uno degli elementi irrisolti nella ricostruzione dell'intero progetto anche in funzione dell'individuazione delle funzioni pubbliche e private dei diversi nuclei della residenza, l'eliminazione di questi assi stradali ripropone l'immagine di una domus che si appropria di una parte della città troncando, o meglio spostando oltre i suoi confini, le precedenti infrastrutture urbane. 102

Sul piano topografico infine i due assi viari principali dividono questo settore urbano in tre isolati: ad Ovest quello palatino e quello veliense, ad Est il complesso dello stagnum con i suoi portici e terrazze. c. P. 1.2. Il portico neroniano La ricostruzione della via porticata E-W, che metteva in comunicazione lo stagnum Neronis, ove poi sorgerà il Colosseo, con il Foro è stata effettuata in base ai dati raccolti presso gli scavi della Meta Sudans e delle pendici nord-orientali del Palatino: il percorso si riallacciava, nel piano urbano voluto da Nerone, con i coevi portici progettati presso l'area forense ( ampia la bibliografia a partire dai lavori di Van Deman 1923 e di Van Deman Clay 1925 e, in anni recenti, di Medri 1996, pp. 168-172 e figg. 156, 160, 162; Sepio 2002, pp. 72-74 e fig. 10; Mar 2005, pp. 130-133 e tav. 4; Viscogliosi - Borghini - Carlani 2006; Carandini 2010, pp. 251-260). Le evidenze archeologiche messe in luce mostrano che le fondazioni dei portici, che correvano su entrambi i lati della via, sono di età neroniana, così come la pavimentazione stradale, mentre in età flavia si procedette ad un restauro o forse al completamento del complesso, con alcune modifiche rispetto al progetto iniziale e con l'arretramento del fronte prospiciente la piazza del Colosseo (Rea - Beste - Lancaster 2002, pp. 341-346, fig. 2; si confronti in questo volume la planimetria a Fig. 129 con quella di età flavia a Fig. 145). Con l'età adrianea la pendice meridionale della Velia fu occupata dal Tempio di Venere e Roma: non è chiaro se con questa costruzione il portico situato sul fianco del monumento sia stato abolito; sull'altro versante è invece certo, grazie ai nuovi dati di scavo, che fu mantenuto in uso e fu obliterato solo in seguito, in età severiana, dagli ambienti di un horreum (vd. oltre, il contributo di Lucia Saguì). I portici affiancavano una strada baso lata lunga circa 175 m che terminava davanti al sito ove in seguito sorgerà l'Arco di Tito: il tragitto, che superava un dislivello complessivo di circa m 10, era caratterizzato da una pendenza abbastanza accentuata, calcolabile tra il 5 e il 6 % (Figg. 124, 127). Nello scavo della Meta Sudans, lungo i lati della strada antica, sono state rinvenute due coppie di fondazioni cementizie parallele, disposte in senso E-W, e un piccolo tratto della pavimentazione originaria della carreggiata, realizzata in basoli: questi si appoggiavano direttamente sulle strutture fondanti, non lasciando spazio per un marciapiede. Presso lo scavo delle pendici nord-orientali del Palatino, lungo il limite Nord dell'area d'indagine, é stata messa in luce, in più tratti distinti, la continuazione della fondazione del muro di fondo del portico meridionale (vd. Figg. 120, 154, 161). Uno degli elementi determinanti per l'ipotesi ricostruttiva è costituito dalle tracce di blocchi visibili in negativo lungo i lati della fondazione e riferibili a pilastri, originariamente incassati nel cementizio, che avevano forma quadrata di m 1,20 di lato ed una distanza costante fra loro di m 3,60 (Figg. 124-125): tale scansione è confermata da una serie di fondazioni in cementizio di età flavia che andavano a rinforzare i suddetti pilastri e che sono riferibili al successivo ripensamento e completamento del monumento. Sono stati rinvenuti inoltre tratti del piano di camminamento interno che aveva un andamento inclinato per seguire la pendenza della strada. Le fondazioni parallele, infine, per garantire una stabilità strutturale complessiva erano raccordate a cadenza alternata da volte trasversali in cementizio, gettato su centine in argilla, con un procedimento definibile "a barulla"(Fig. 126; su questo tipo di tecnica edilizia Giuliani 2007 2, p. 166 e fig. 4.). 103

Datl dagli scavi della Meta Sudans e delle Pendici Nord Orientali del Palalino

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Fig. 124. Pendici nord-orientali del Palatino. Pianta e prospetto ricostruttivi della via porticata valle-Foro (Elab. Emanuele Brienza). Fig. 125. Prospetto r icostruttivo del portico Sud (particolare) (Elab. Emanuele Brienza).

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Fig. 126. Sezione trasversale ricostruttiva della via porticata (Elab. Emanuele Brienza). Fig. 127. Ricostruzione 3D dei portici visti da Est (Elab. Emanuele Brienza). Fig. 128. Ricostruzione 3D del portico Sud (particolare) (Elab. Emanuele Brienza).

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A questi dati si aggiungono altri elementi utili ai fini della ricostruzione: si tratta di capitelli corinzi e di frammenti di fusti di lesene rudentate, in marmo di Luni, riferibili alla decorazione architettonica del porticato (Pensabene - Caprioli 2009, p. ll0, fig. 1\ rinvenuti negli scarichi tardoantichi dell'Ambiente 1 (vd. p. 127). I portici erano ad archi, tipologia ben documentata a Roma e offrivano un aspetto monumentale alla strada su entrambi i lati, fungendo da cerniera fra questa e i complessi architettonici retrostanti; allo stesso tempo svolgevano funzioni specifiche quali il riparo dalla pioggia e dal sole mentre i piani alti potevano essere utilizzati come punti strategici per lo spegnimento degli incendi. Ciascun portico doveva svolgersi in settori architettonici distinti per seguire la pendenza (Fig. 124): il piano pavimentale aveva un andamento inclinato mentre la trabeazione, mediante l'innalzamento progressivo dei pilastri all'interno di ogni partizione architettonica, era orizzontale; in tal modo il passaggio dalla strada al portico era permesso presso ogni varco lasciato dalle arcuazioni. La fronte era caratterizzata da una serie di archi aventi una luce di m 3,60 che si impostavano su pilastri, sui quali erano applicate lesene alte m 5,80 e poggianti su plinti progressivamente più alti. Vitruvio ( De Arch. III, 3, 1O) indica la crassitudo della colonna come misura modulare, corrispondente al suo diametro inferiore. Rimane controverso il punto ove prendere questa misura se all'altezza della base del fusto ovvero a quella del listello delimitante inferiormente l'apofisi (su tale questione vd. Gros 1990, p. 102 e Appendice, pp. 203-207; Gros 1997, pp. 299-300, nota 88). Recenti studi, che si basano sulla misurazione di numerose architetture romane, sembrano indicare che il modulo vada ricavato all'altezza del listello (WilsonJones 2000, pp. 147-149 eAppendiceB, pp. 221-225). Le lesene avevano relazioni geometriche ed aritmetiche specifiche con le dimensioni del portico: il loro modulo, oltre ad avere un rapporto di 1:2 con la larghezza dei pilastri, corrisponde alla radice quadrata della distanza che intercorre tra essi. Riguardo a questo tipo di relazione geometrica, ricorrente nell'architettura romana grazie all'efficacia che poteva avere durante i processi di progettazione e costruzione degli edifici, si rimanda a Geertman 1980, p. 207 ss.; De Laine 1997, pp. 49-56; De Laine 1999, pp. 157-160; Heinz 1999, pp.186-188; WilsonJones 2000, pp. 87-94 e da ultimo Taylor 2003, pp. 36-42. Nell'ambito di un dialogo specifico che, per ragioni di progettualità costruttiva, doveva intercorrere tra i vari elementi, è probabile che l'altezza dell'imposta degli archi, misurata partendo dalla base delle lesene, fosse pari alla loro luce, mentre l'intradosso fosse alla stessa altezza del sommoscapo (De Laine 1997, pp. 57-60; WilsonJones 2000, pp. 121-122).Asua volta la trabeazione era forse alta m 1A5 e cioè¼ dell'altezza totale delle lesene (Figg. 125, 128 ). Il muro di fondo delimitava la zona immediatamente retrostante e doveva pertanto avere murature fra i pilastri, forse realizzate in laterizio: tale ipotesi è suffragata dalla presenza, lungo i lati della fondazione, di tracce di porte che si aprivano nei muri. L'aspetto della parete interna, in mancanza di dati, rimane congetturale: secondo l'ipotesi qui avanzata, i pilastri avevano una risega sporgente che ricalcava la stessa scansione ritmica presente in facciata. Su un piano puramente ipotetico rimane anche la ricostruzione delle coperture. Il presupposto sistema ad arcate porta a pensare a volte cementizie: giacché i pilastri, nella loro successione, compongono spazi perfettamente quadrati si è ipotizzata l'esistenza di volte a crociera, intervallate da costolature disposte in senso trasversale rispetto al portico (Fig. 128 ). La volta a crociera, oltre ad essere suggerita dalla forma planimetrica, risulta più funzionale di quella a botte nel punto di incontro delle trabeazioni su diversi livelli dei differen106

ti settori: l'uso di volte a crociera in età neroniana è noto presso due ambienti del quartiere della Sala Ottagona dell'ala esquilina della Domus Aurea (Fabbrini 1995, p. S8; Ball 2003, pp. 207-218); secondo alcuni studi, inoltre, la volta a crociera sarebbe stata particolarmente cara agli architetti di quest'epoca ed avrebbe caratterizzato anche le Terme di Nerone nel Campo Marzio (Ball 2003, pp. 238-249). Un esempio cronologicamente vicino di uso di volte a crociera, infine, è costituito dalle coperture dei deambulatori interni del Colosseo (Lancaster 2002, pp. 363-365 e Taylor 2003, pp. 152-170) così come una copertura con volte a crociera è stata proposta per il portico, prospiciente la Sacra via, della basilica Aemilia (Bauer 1988, pp. 201-202 e tav. 97; NiinnerichAsmus 1994, pp. 64-69 e tav. 30). Per il tetto, sempre a livello congetturale, è stata proposta una copertura piana a terrazza: questo tipo di soluzione si inserisce bene nell'ambito della pianificazione urbanistica generale del sito, avvenuta in età neroniana, impostata su livelli decrescenti e terrazzati. D'altronde, in corrispondenza con quanto tramandato dalle fonti letterarie antiche (Tac., Ann. 15, 40 e 43; Suet., Nero 16), è possibile immaginare che tali terrazze fossero agibili, comunicanti tra loro mediante scale e utilizzabili come piani strategici per domare gli incendi, seguendo i provvedimenti urbanistici promulgati da Nerone dopo la catastrofe del 64 (Homo 1951, pp. 303-312, 614-626; Bejor 1999, pp. 82-91). Il portico, nella ricostruzione proposta trova confronti con monumenti dello stesso tipo dell'architettura romana: il suo aspetto è molto simile alla ricostruzione dei portici neroniano-flavi che fiancheggiavano la Sacra via (Sepio 2002, pp. 72-74, tavv. 8-9, ll), con il portico che correva lungo il lato meridionale della Villa delle Colonne a Mosaico a Pompei (di età flavia), e con la parte superstite del portico ad arcate sul lato Nord del decumano massimo di Volubilis in Mauretania anche se di età più tarda (Thouvenot 1949, pp. 33-34, tav. III; Étienne 1960, pp. ll-17, 27-29, tavv. XL-XLI; Bejor 1999, pp. 86-87; Risse 2001, pp. 70-73, figg. 100, 104). La ricostruzione, dati i pochi resti in elevato, rimane ipotetica: poiché non sappiamo quanto riuscì a realizzare Nerone e quali siano state le modifiche effettuate in età flavia, più che riprodurre l'aspetto di un edificio realmente esistito, suggerisce l'aspetto che doveva avere secondo il progetto neroniano. E.B. 1.3. L'isolato del Palatino nord-orientale Nell'isolato del Palatino, ridefinito dalla via che sale al Foro e dalla via che si dirige verso l'Esquilino, e portato uniformemente ai livelli raggiunti dai nuovi piani d'uso della valle (m 20 slm), si riconoscono, in prossimità dell'area occupata in seguito dall'.Arco di Costantino e le pendici del colle, tre grandi aule e corridoi di passaggio (Fig. 129 ). Queste strutture coprono le macerie e i crolli della Meta augustea e del santuario delle Curiae. Completamente spogliate in età antica e post-antica la loro funzione non è determinabile, ma nel progetto dovevano avere un impatto monumentale notevole, come sembra di poter intravedere sia dalla larghezza delle fondazioni, sia dagli elevati N-S in opera quadrata di travertino. Dietro di esse e perpendicolarmente al porticato meridionale della via diretta al Foro, il Palatino risulta sostruito con un basamento formato da concamerazioni semipogee (almeno sei stanze supponibili ad Ovest e tre corridoi paralleli ad Est), che assorbivano in questo punto il salto di quota tra valle e pendice (vd. Figg. 120-121, 123 ). Questo nuovo blocco edilizio riutilizza, addossandosi ad Ovest, il lungo muro in opera quadrata di tufo (vd. Fig. 43) che sembra

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Fig. 129. Planimetria delle strutture della Domus Aurea rinvenute nello scavo dell'area della Meta Sudans e del Palatino nord-orientale aggiornata al 20 I I (in grigio le fondazioni, in nero i pochi elevati conservati) (Rii. e dis. Emanuele Brienza, Antonio F. Ferrandes).

aver costituito, dagli inizi del I secolo a.C., il confine tra l'area destinata al culto (le Curiae) e la parte abitativa occupata dalla domus tardo-repubblicana/augustea (vd. Figg. 165-166). Lo spazio interessato dall'antica strada diretta al Foro, che - come si ricorderà - correva in obliquo e più accostata alla pendice (vd. Fig. 24), viene bloccata da una nuova fondazione posta sul prolungamento del muro a blocchi, fondazione che si salda ortogonalmente a quella meridionale del portico del nuovo asse stradale, diventando la parete di fondo dell'Ambiente 1 (Fig. 130). A monte corre il diverticolo, di cui si è già parlato, che si staccava dalla direttrice valle-Foro dirigendosi verso Sud e attraversando a mezza costa (fin dove?) la pendice orientale del colle. Lo scavo del 2011 (ogni campagna apporta delle novità) ha rivelato che i vani semipogei addossati al colle (Ambienti 1-4) sfruttano preesistenti fondazioni, forse di età tiberiana o claudia che erano state già previste negli spazi del santuario. Ma poiché il taglio del declivio collinare operato dalle maestranze neroniane (alla quota di m 20 slm), era più basso dei precedenti piani di calpestio, le strutture fondali preesistenti vengono lasciate a vista e mascherate da intonaco (Fig. 131). Resta da sottolineare che l'isolato creato da questo intervento ha il suo limite occidentale esattamente nel punto di confine tra area 108

sacra e zona residenziale, e reimpiega con una certa disinvoltura le strutture più antiche, demolendo quelle meno utili al progetto o più dan~eggiate, ma conservando il preesistente limite tra spazi pubblici e privati. Dei vani semipogei, i cui elevati sono realizzati in laterizi rossi e gialli aperti sull'Ambiente 5 con piccoli dadi di testata, si sono conservate parzialFig. 130.Veduta frontale (da Est) del basamento neroniano con mente le volte a botte con generatrice i suoi vani seminterrati che si appoggiano, sostruendola, alla pendice del Palatino. Sulla destra dell'immagine la fondazione disposta lungo i lati lunghi. I corridoi del muro di fondo del portico meridionale che accompagnava la salita verso il Foro; in lontananza l'arco di Tito. erano invece coperti forse con volte a crociera appoggiate a pilastri. È possibile che la terrazza soprastante, accessibile dal diverticolo della ·via· per il Foro, ospitasse un'area centrale scoperta, delimitata in quest'epoca da una serie di ambienti disposti a pettine verso il Palatino e forse da un portico o da un loggiato sul fronte opposto. Va infine segnalato che i setti murari E-W dei quattro vani conservati in elevato presentano aperture centrali con archivolto in mezzi bessali (Fig. 132), difficilmente utilizzabili come passaggi in quanto più alte dei pavimenti. Il Fig. 13 I . Reimpiego disinvolto delle fondazioni giulio-claudie dislivello era forse superato mediante nell'Ambiente / (visto da Nord). Ben visibili le tracce di intonaco che riveste la fondazione e il muro del vano. scale in legno ( una tuttavia fu chiusa in corso d'opera o subito dopo, vd. Fig. 131). L'organizzazione degli spazi di questo blocco edilizio non è di immediata comprensione sia perché esso viene completamente ristrutturato a distanza di pochi anni, sia perché vive su se stesso con modifiche fino al V secolo avanzato, sia perché subisce pesantissime spoliazioni in età post-antica (radicali sono le asportazioni operate da un'enorme fossa del XVII secolo). Le incertezze dipendono anche dai pochi dati sul sistema decorativo. Per quanto riguarda i pavimenti, solo l'Ambiente 3 conserva un rivestimento in opera spicata contestuale alla realizzazione del complesso, che si prolunga nell'Ambiente 5 (Fig. 133). Ciò farebbe pensare che la soluzione di suddividere i corridoi con piccoli tramezzi in età flavia, adrianea e tardoantica era forse già prevista (per l'Ambiente 5) nel progetto originario (vd. Fig. 145). Per le decorazioni parietali, invece, disponiamo di un nucleo di intonaci rinvenuti in una fossa di età flavia: le incisioni preparatorie visibili su alcuni frammenti indicano che almeno parte di questa decorazione doveva essere ancora in corso di completamento nel momento in cui venne smantellata. Il quadro che possiamo tuttavia ricavare dai frammenti rifiniti, riporta alla presenza di grandi superfici bianche, ripartite tramite linee in rosso e in bruno; al centro dei pannelli potevano campeggiare piccoli quadri o figure libere, a cui 109

Fig. 133. La pavimentazione in opera spicata dell'Ambiente 3 e la sua prosecuzione nell'Ambiente 5 (viste da Est).

Fig. 132. Le aperture che attraversano gli Ambienti /-4 visti in successione da Sud.

rimandano gli elementi monocromi e quelli decorati. Questo tipo di decorazione trova confronto in alcuni corridoi del coevo padiglione dell'Oppio e in ambienti secondari di alcune domus, e all'interno di tabernae. Tutti questi elementi farebbero propendere per una lettura di questi spazi in questa fase come vani di servizio (Ferrandes 2011, pp. 133-134 e fig. 13 ). A.FF. 1.4. L'isolato della Velia: l'atrium-vestibulum e il Colosso Il grande atrio pubblico dalla Domus Aurea, occupa la porzione orientale della Velia e si estende dalla Sacra via fino alla valle (vd. Fig. 121). Qui la terrazza poggia su massicce sostruzioni, formate da vani rettangolari e regolari rinforzati da dadi di testata in mattoni, che si aprono sulla via diretta all'Esquilino (Fig. 134). È ipotizzabile una loro copertura con volta a botte, con "cervello" coincidente col lato lungo dell'ambiente. Nulla resta dei due o tre piani che queste strutture sorreggevano. Una scala (ma un'altra è immaginabile simmetricamente sul lato opposto) consentiva di raggiungere la piattaforma su cui sorgeva l'edificio. Nulla si sa dell'allestimento della terrazza, su cui si sovrappone in età adrianea, ma fortemente arretrato, il Tempio di Venere e Roma. Possiamo immaginare che essa ospitasse un portico dominato dal Colosso (vd. Fig. 136), la statua di Nerone/Sole, opera del bronzista greco Zenodorus, alta cento piedi (ca. 30 metri: Plin., NH 34, 7 e 18). La gigantesca statua non si è conservata. Alla sua ricostruzione concorrono i testi letterari (Suet., Nero 31, 1; Mart., Spect. 2) e le iconografie antiche (Ensoli 2000 ). Esistono dubbi, alimentati dalla discordanza delle fonti, su chi l'avesse realmente eretta" in summa sacra via", se il committente (Nerone) o i Flavi (Lega 1989-1990). Si deve supporre che questa parte della reggia sia rimasta ad occupare l'area per oltre un cinquantennio, ma non si possono escludere interventi e ristrutturazioni anche sostanziali da parte degli architetti flavi. L'arretramento del fronte che prospettava sulla valle, forse fino a coincidere con l'estensione del podio del Tempio di Venere e Roma, è certamente avvenuto contestualmente ai lavori per la costruzione dell'Anfiteatro e per l'allestimento dell'area di rispetto intorno ad esso. Il Colosso invece rimase al suo posto fino a che Adriano non lo fece spostare (dopo il 121) nella piazza di fronte all'Anfiteatro (SHA, Hadr. 19, 12) per far posto al nuovo edificio (Fig. 135). 110

Fig. 134.Area della Meta Sudans.Veduta di una parte del fronte orientale dell'atrio-vestibolo (in primo piano a destra nella fot~) d.oc.u.men~ato nella vall.e da ~~a. maglia sostruttiva con dadi di testata in laterizio a cui corrispon?ono le sostruzioni d1 _identica forma dei port1c1 intorno allo stagnum (a sinistra). Sull'intero sistema neroniano si imposta la fontana flav1a (al centro).

I .S. Le sistemazioni intorno allo stagnum La via diretta all'Esquilino delimita verso il Colosseo due blocchi edilizi paralleli all'atriovestibolo e allo stagno. Uno gravita verso la Velia, l'altro verso il sito ove è possibile localizzare il lago della Domus Aurea. Insieme creano una specie di diaframma architettonico che si può supporre proseguisse lungo tutto il margine della valle approssimandosi verso Nord alle pendici dell'Oppio (vd. Fig. 121). Se un tratto del primo corpo di fabbrica è stato rinvenuto nel nostro scavo (vd. Fig. 123), parte del secondo, attraversato e distrutto dalla Metro B, è stato raggiunto solo dalle trincee per la messa in opera di servizi moderni ( Schingo 2001) e, verso l'Oppio, da un saggio di scavo condotto di recente dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma (Rea 2009). Affidata quindi in gran parte a notizie di archivio e a resti frammentari, l'interpretazione di questo insieme di strutture risulta non solo difficile, ma può dare adito a soluzioni assai diverse, come quella proposta da Andrea Carandini, che colloca tra il vestibolo e lo stagno il corpo di fabbrica principale della reggia con la cenatio rotunda sul bordo-lago (Carandini 2010, pp. 251-260, figg. 85-91; in part. p. 256 e figg. 88-91; Id. 2011; Id. 2012, tav. 11 O). Nonostante l'interesse di questa ricostruzione, mantengo tuttavia l'ipotesi di un paesaggio fatto di terrazze e di portici intermedi, una proposta relativamente "minimalista" che mi sembra più aderente alla tipoFig. 135. Moneta di Gordiano 111, coniata a Roma tra il logia e alle caratteristiche delle strutture 241 e il 244, con l'Anfiteatro flavio, il Colosso e la Meta rinvenute. Su tutta quest'ala le fondazioni (a sinistra) (Gnecchi 11, p. 89, nr. 23, tav. I 04, 5; da Panella 2007, p. 156, fìg. 9). e gli elevati sono infatti meno poderosi di quelli dei corpi di fabbrica che fronteggiano il Palatino e la Velia (vd. Fig. 134), così come il rapporto tra riseghe di fondazione ed elevati è nettamente inferiore. Ciò può far presumere che esse sostenessero strutture leggere piuttosto che massicci blocchi edilizi di carattere residenziale. 111

Il corpo di fabbrica che fiancheggia la via per l'Esquilino è costituito da ambienti rettangolari che si aprono con due ingressi contrapposti sulla strada e su un corridoio retrostante (certamente coperto) che lo divide dal secondo blocco edilizio. In corrispondenza con tali ingressi i muri sono rinforzati con dadi di testata in laterizio, del tutto simili quelli dei vani sostruttivi della Velia. La copertura doveva essere a botte. Qualora l'asse stradale su cui gli ambienti si affacciavano fosse realmente una via tecta, si potrebbe pensare che, utilizzati al livello della strada come magazzini, sostenessero una terrazza (con portici? giardini?), posta ad un quota più bassa dell'atrio-vestibolo, funzionale alle percorrenze di collegamento sia orizzontali che verticali fra i diverse plessi della Domus (Medri 1996, p. 177, fig. 160; p 182, fig. 162; Panella 2011c) (Fig. 136). Il secondo blocco, che avanza notevolmente nell'area occupata in seguito dal Colosseo, è a sua volta costituito da una doppia fila di ambienti, rinforzati anch'essi da dadi di testata. I vani che si aprono sul corridoio che separa questo corpo di fabbrica da quello che prospetta sulla via per l'Esquilino, sembrano avere le stesse dimensioni degli ambienti disposti lungo l'asse stradale, mentre quelli più vicini al bacino, sono apparentemente molto più grandi (darsena per le barche?). Questo plesso che si aprirebbe al piano terra sul lago forse con un porticato che ne definirebbe il bordo occidentale, potrebbe costituire la sostruzione di un'ulteriore terrazza: circumsaeptum aedificiis ad urbium speciem è lo stagnum nella descrizione di Svetonio (Nero 31, 1). L'analogia con i prospetti di ville marittime noti dalla pittura pompeiana aiuta a dare una rappresentazione assai suggestiva di questo insieme (Medri 1996, p. 183, figg. 163164; Carandini 2010 e 2011; Viscogliosi 2011, pp. 156-158, figg.1-4). 1.6. Lo stagnum Una lunga tradizione di studi ha messo in relazione l'esistenza di una palude nel fondovalle con la costruzione del lago della Domus Aurea ponendo su uno stesso piano spaziotemporale situazione preurbana e città imperiale. Sappiamo ora che la bonifica della valle, ottenuta mediante la realizzazione di condotti fognari, era già stata attuata in età arcaica (Zeggio 2006a, pp. 67-68 e qui pp. 30-31) e che tutta l'area che accoglie il bacino della reggia era prima dell'incendio del 64 fittamente urbanizzata. Resti di muri e pavimenti sono state rinvenuti sotto la pavimentazione flavia degli ipogei del Colosseo, dimostrando tra l'altro che lo scavo per la creazione dell'invaso dell'acqua non può essere sceso al sotto delle quote a cui queste preesistenze fanno riferimento (Rea et al. 2000). Ne consegue che da secoli non esistevano più i corsi d'acqua che in età preistorica avevano inciso e poi parzialmente colmato la valle. Lo specchio d'acqua al centro della Domus nella valle (vd. Figg. 121-122) fu pertanto creazione completamente artificiale sia per quanto attiene alle strutture che dovevano contenerlo e delimitarlo, sia per quanto attiene al rifornimento dell'acqua, che doveva far capo all'acquedotto Celimontano tramite il Ninfeo del Celio, interpretato come "un sistema degradante di passaggi e fontane'~ per la cui realizzazione gli architetti neroniani riutilizzarono in tutto o in parte le sostruzioni del Tempio del Divo Claudio (Colini 1944; Von Hesberg 2011; Viscogliosi 2011, p. 159, fig. 5). Si può inoltre aggiungere che nel luogo scelto per tale realizzazione la dinamica dell'intervento neroniano appare diversa da quella adottata per la creazione degli edifici destinati a circondarlo. Nell'area che doveva ospitare il lago i lavori si arrestarono alla rimozione delle domus bruciate sulle quali fu realizzato lo specchio d'acqua, mentre tutt'intorno i livelli dei piani di calpestio furono elevati di oltre 4 metri. Si creava così una differenza di quote che dovrebbe pertanto corrispondere alla profondità 112

del bacino. Va comunque osservato che nessuna traccia relativa ad una sua eventuale pavimentazione è stata ritrovata nei molti saggi effettuati negli ipogei del Colosseo, laddove al di sotto dello spesso pavimento di età flavia compaiono solo i resti delle case repubblicane e proto-imperiali precedenti l'incendio accuratamente rasate (Rea et al. 2000). Qualora la costruzione del bacino fosse giunta a compimento, il fondo andrebbe forse ricercato ad una quota leggermente più alta di quella raggiunta dai piani pavimentali dell'.Anfiteatro. La presenza delle domus bruciate indica tuttavia che il fondo non può essere sceso al di sotto della quota a cui esse si attestano (ca. m 16 slm). Lo stagnum appare inquadrato da un complesso che ha lo stesso orientamento dell'.Anfiteatro e del Tempio di Venere e Roma, dove, come si è visto, era il vestibolo della reggia. L'asse ancora riconoscibile Anfiteatro -Tempio di Venere e Roma è la sopravvivenza dell'antico asse lago-vestibolo, il quale per altro non corrisponde a quello della Sacra via nella sua fase neroniana. La divergenza tra i due assi, che è di 3, 7 gradi, è forse dovuta a preesistenze inamovibili sul percorso di quest'ultima strada. Non disponiamo invece di elementi che ci consentano di cogliere nella sua realtà materiale l'estensione e la forma del bacino. Tuttavia, le strutture fin qui descritte, integrate con alcuni altri resti trovati in passato in altri punti della valle, consentono di supporre che il lago della Domus Aurea si estendesse su un'area più piccola di quella occupata in seguito dall'.Anfiteatro Flavio. Nella nostra ricostruzione esso risulta inserito all'interno di un triportico colonnato di circa 200 metri di lato (più precisamente di 650 x 700 p.r. pari a m 195 x 205: Medri 1996, p. 185, fig. 166). La scenografia complessiva non doveva essere dissimile da quella di un altro grande stagnum voluto da Nerone, quello di Baia, il cui prospetto ci è trasmesso da alcune fiaschette vitree di età tardoantica ( Ostrow 1979). Infine l'assenza di edifici neroniani nella zona del Ludus Magnus porta a escludere il versante del Celio dalle sistemazioni relative allo stagno. Qui era forse previsto uno di quei parchi ricordati dalle fonti come uno degli elementi caratterizzanti la reggia (Suet., Nero 31, l; Tac., Ann. 15, 42).

c. P. Fig. 136. Ricostruzione 3D dell'atrio-vestibolo e dello stagnum guardando verso il Palatino/Velia. (Elab. Marco Fano).

113

PARTE VII. Gli interventi Flavi tra trasformazione e continuità

Fig. 137. Una delle ricostruzioni di Italo Gismondi della Meta Sudans flavia (da Pan ella 2007, p. 156, fìg. 5).

I. Topografia e ,propaganda Nei quattro anni in cui si svolse questa frenetica attività (cioè dal 64 alla morte di Nerone avvenuta nel 68) quasi nessuno degli isolati rintracciati nella nostra area di ricerca sembra essere stato portato a termine. Probabilmente in questa vasta zona fu data priorità alla sistemazione degli assi stradali e dei portici che raccordavano le diverse parti della Domus, lasciando incompleti e allo stato di cantiere i settori nascosti dietro questi fondali architettonici. Mentre infatti abbiamo ritrovato un tratto del basolato della via diretta al Palatino sotto l'attuale via Sacra e frammenti della decorazione architettonica del porticato che la ornava, la mancanza di pavimentazioni e rivestimenti di tutti i corpi di fabbrica scavati da noi nella valle e sul Palatino e più recentemente dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma nella piazza del Colosseo (Rea 2009) e l'assenza di qualsiasi struttura di questa età nel tratto più alto della pendice nord-orientale dello stesso Palatino (quello più vicino all'Arco di Tito) indicano che in questo vasto comparto l'opera non fu terminata, né valsero a tal fine le decine di milioni di sesterzi stanziati dall'imperatore Otone (nel 69 ), come ricorda Svetonio ( Otho 7), per il suo completamento. L'avvento dei Flavi nel 69 comporta una nuova e straordinaria stagione di operazioni urbanistiche in questa vasta area, che segnano la discontinuità rispetto al progetto del predecessore. Lo stagnum è cancellato; si abbattono i porticati che lo delimitavano per far posto alla realizzazione delle possenti fondazioni dell'Anfiteatro (un vuoto viene sostituito da un pieno). Si taglia il fronte dell' atrium-vestibulum della Velia per consentire l'accessibilità ai servizi del Colosseo (un pieno viene sostituito da un vuoto). Gli isolati della reggia vengono cioè sacrificati per la realizzazione di una piazza funzionale alle operazioni degli addetti ai servizi e capace di accogliere e distribuire le grandi masse di spettatori che assistevano ai giochi. Contestualmente si respinge verso il colle il fronte dell'isolato costruito sulla pendice nord-orientale del Palatino, abbattendo le grandi aule che fiancheggiavano la via diretta all'Esquilino e definendo con un nuovo muro il limite orientale dell'isolato. Lo spazio così ricavato offre la possibilità di ripristinare in forme monumentali la Meta Sudans sull' incrocio delle due vie dirette rispettivamente al Foro e all'Esquilino, così come esso era stato ridisegnato nel progetto neroniano, contrappunto architettonico dell'Arco di Tito, innalzato sul Palatino in asse con la fontana. Si ricostruisce sulla terrazza del Celio il Claudiano, trasformato in ninfeo da Nerone. I giardini che in genere vengono immaginati tra l'Oppio e il Celio sono a loro volta occupati dalle caserme e dalle palestre (chiamate Ludi) e da altre strutture di supporto agli spettacoli gladiatori. A fronte di tali sconvolgimenti, alcuni elementi di continuità vanno segnalati in relazione ad una serie di operazioni che sfruttano le strutture create da Nerone, ricucendo da una parte e completando dall'altro i blocchi edilizi rimasti incompiuti. È ciò che accade al vestibolo, che non viene eliminato, anzi forse ultimato, benché veda la sua facciata orientale tagliata ed arretrata per la realizzazione dell'area di rispetto intorno all'Anfiteatro. Al suo interno continuerà ad innalzarsi il Colosso che raffigura ora il dio Sole, sino ad età adrianea (dopo il 121), quando la costruzione _del Tempio di Venere e Roma comporterà il sue;, trasferimento nella 115

valle (SHA, Hadr. 29, 12). Se per dar spazio al ripristino della Meta Sudans si taglia e si arretra verso la collina l'insieme architettonico costruito sul versante nord-orientale del Palatino, la terrazza con il suo basamento permane nella sua posizione originaria. Queste operazioni costringono a reintervenire sui portici della via per il Foro che pur perdendo le arcate più Figg. 138-139. Foto storiche della Meta Sudans flavia durante e vicine alla nuova piazza, vengono dopo il completo abbattimento ( 1936). Una lastra circolare in travertino segna il centro del saliente della Meta Sudans e l'iscrizione rinforzati all'interno dei passaggi menziona la data dell'intervento di smontaggio dell'elevato. con massicci pilastri, che restringono i passaggi e determinano probabilmente il rifacimento delle coperture. Lo stesso tipo di consoI' . , lidamento viene condotto sui ben . .: ; . 1 ' .. . più ampi porticati della Sacra via. Resiste infine fino alla costruzione - ' (I - delle Terme di Traiano, inaugurate nel 109, il padiglione dell'Oppio, progressivamente spogliato dei suoi marmi, delle sue statue e del suo apparato decorativo e danneggiato da un incendio scoppiato nel 104, ma si completano (a meno che non siano state costruite ex novo) le terme della reggia note con il nome di Terme di Tito. Tra gli interventi non previsti nell'originario progetto neroniano si segnala invece, nello spazio che si è configurato con la realizzazione di plessi edilizi della Domus Aurea in questo comparto come il nuovo vertice nord-orientale del Palatino, la costruzione di un piccolo m a lussuoso edificio, probabilmente da identificare con un piccolo tempio in cui i Flavi ripristinano il culto praticato presso il santuario esistente sulle pendici del colle fin dall'età regia (le Curiae Veteres). È verosimile che dopo questa realizzazione anche la terrazza disposta alle sue spalle rientri negli annessi dell'area sacra, come sembra indicare il livello qualitativamente alto della nuova decorazione pittorica degli ambienti seminterrati. Fatta eccezione per gli interventi tardoantichi, la terrazza e il piccolo tempio antistante manterranno a lungo l'assetto acquisito in età flavia: a differenza dei vicini settori quest'area non subirà nel lungo periodo modifiche sostanziali e anzi costituirà - sul piano urbanistico e monumentale - uno straordinario elemento di continuità per tutta l'età imperiale (vd. p. 118 ss.).

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2. La Meta Sudans: la riproposizione di un segno La seconda Meta è spostata di pochi metri a Nord rispetto alla fontana augustea. Occupa tuttavia, come nel passato, l'incrocio tra la via diretta al Foro e quella diretta all'Esqui116

lino, così come era stato ridefinito nell'organizzazione urbanistica neroniana. Della fontana restano solo le fondazioni, mentre l'elevato è stato definitivamente demolito nel 1936 (Figg. 138-139), unitamente alla base del Colosso, in quanto ritenuti di intralcio alla connessione delle due nuove arterie: via dei Trionfi e via dell' Impero (Colini 1937). Nel nostro scavo pertanto sono state trovate immediatamente sotto l'asfalto moderno della Piazza solo le poderose fondazioni della vasca e del saliente, che consistono in due cerchi con- · centrici di calcestruzzo, il più interno dei quali sosteneva il saliente, il più esterno la vasca. Le canalette di adduzione e di smaltimento delle acque completavano le evidenze sopravvissute agli interventi fascisti (Figg. 140-142). Se le fondazioni del saliente sono rimaste relativamente intatte, il lato meridionale di quelle della vasca è crollato a causa di vuoti lasciati nel sottosuolo dai cunicoli medievali e moderni (vd. Fig. 60); ad essi deve essersi aggiunto un terremoto, forse uno di quelli (del 1231 o del 1349) che hanno danneggiato gravemente anche le arcate rivolte a Sud dell'ambulacro esterno del Colosseo. Nonostante l'assenza di precise rappresentazioni antiche e la selvaggia spoliazione che ha fatto sì che non sia giunto a noi nessun frammento della decorazione attribuibile con certezza a questo monumento, l'integrazione dei dati architettonici conservati fino al 1936 con le rappresentazioni numismatiche (moneta di Tito, Fig. 143, e quelle del III secolo di Severo Alessandro e di Gordiano III, vd. Fig. 135) ha permesso però le accurate ricostruzioni grafiche di Italo Gismondi, che

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Fig. 140. Sezione della fontana flavia (in grigio le fondazioni; in bianco l'elevato ripreso dal disegno di Guglielmo Gatti realizzato al momento della distruzione del rudere: Colini 1937, p. 31, fìg. 13) (da Meta Sudans I, p. 88, fìg. 69) . Fig. 141 . Planimetria delle fondazioni della Meta flavia. Nel disegno i crolli della vasca sono stati rimontati nella loro posizione originaria (da Meta Sudans I, p. 86, fìg. 67) . Fig. 142. Ricostruzione del sistema di smaltimento dell'acqua della vasca (da Meta Sudans I, p. 87, fìg. 68).

117

· con Antonio M. Colini e Guglielmo Gatti, fu spettatore oculare della demolizione e attento "restitutore" dei resti (vd. Fig. 137) (Panella 2007). La forma della vasca è ora circolare con un diametro di m 16, e sia questa che il saliente, alto almeno 18 metri su un diametro di m 7 e cavo al centro per conFig. 143. Sesterzio di Tito, coniato a Roma negli anni 8081 d.C. con l'Anfiteatro e la Meta visibile a sinistra (RIC sentire il passaggio dell'acqua, assumono 11.12, p. 21 O, nr. 184, tav. 97 - Numismatica Ars Classica NAC dimensioni monumentali, in linea con AG, Zurich). la colossalità delle strutture realizzate in quest'area dagli architetti flavi. Anche il saliente della Meta flavia risulta diviso in tre sezioni: una cilindrica inferiore, una seconda troncoconica animata forse da nicchie, su chi si impostava la terza di forma conica. Sulla sommità dobbiamo immaginare un fiore, una pigna, una sfera. Poche sono le evidenze relative all'adduzione dell'acqua che attraverso .fistulae in piombo doveva verosimilmente immettersi da Nord, cioè dall'Esquilino, mentre è certo che lo smaltimento era assicurato dalla canaletta esterna al saliente collegata al fognalo circolare che circondava la vasca garantendo il deflusso dell'acqua nell'antico canale diretto a Sud, verso il Circo Massimo e di qui al Tevere (vd. Fig. 142) (Panella l996bj Ead. 2001). Lo scavo ha confermato la datazione ad età flavia ( tra l' 80 e il 90), già suggerita dalle fonti antiche, mentre un ampliamento che porta la vasca a oltre m 25 metri di diametro è risultato databile agli inizi del IV secolo, probabilmente in relazione con gli interventi massenziani nell'area o con la costruzione dell'Arco di Costantino (Zeggio 1996c). Il ripristino di questo "segno" da parte degli imperatori Flavi, insieme alla ricostruzione di un piccolo tempio sull'angolo nord-orientale del Palatino (vd. oltre), si iscrive all'interno di un preciso programma politico, volto a cancellare il ricordo di Nerone e a legittimare il potere della nuova dinastia attraverso la restituzione di segni cari alla città e il richiamo costante al fondatore dell' impero. La ricostruzione di una fontana con forma simile al modello, ma dalla perfetta simmetria radiale funzionale al diverso spazio, avviene perciò nel punto ove nel nuovo piano urbanistico cade l'incrocio dei due percorsi principali, l'asse Circo Massimo-Esquilino e quello valle-Foro: anche in un paesaggio completamente mutato quel "punto" era un elemento di cui non si poteva eliminare il ricordo (Fig. 144). c. P. 3. Il ripristino delle Curiae Veteres Dopo la caduta di Nerone e l'ascesa al potere dei Flavi, l'isolato posto sulla pendice nord-orientale del Palatino - occupato nel progetto originario da vani seminterrati al di sopra di quali si sviluppava un'ampia terrazza (vd. sopra), viene arretrato verso il colle e delimitato tramite un muro obliquo, un vero e proprio muro di recinzione, che rompe l'ortogonalità _del sistema neroniano e separa il Palatium da quella che ora diviene un'immensa piazza (Fig. 145). Il basamento e lo spazio soprastante, che nella planimetria complessiva della reggia costituivano uno degli elementi di raccordo tra le strutture realizzate in valle e quelle forse solo progettate sulla retrostante collina, sembrano mutare in questa fase la loro 118

destinazione d'uso: se infatti i pochi elementi restituiti dallo scavo per l'età neroniana (un pavimento in opus spicatum e intonaci bianchi con decorazioni lineari, generalmente utilizzati in ambienti secondari o funzionali) fanno pensare ad un utilizzo di questi ambienti_ nel progetto neroniano_.:_ come vani di servizio, le variazioni apportate in età flavia (nuovi pavimenti in lastre, decorazioni pittoriche più complesse) e la costruzione di un piccolo, ma lussuoso edificio in cui si è riconosciuto un tempio (vd. Fig. 146), rimandano ad un impiego del tutto diverso di questi spazi che - come vedremo - potrebbero costituire ( tutti, in parte?) gli annessi della rinnovata area sacra. Stratigrafie e strutture di questo periodo rimandano a due diverse fasi costruttive. La prima è riferibile al principato di Vespasiano e comprende da una parte il completamento dei lavori intrapresi dalle maestranze neroniane e dall'altra la realizzazione di nuove strutture, non previste nella planimetria della Domus Aurea. Tra le prime operazioni finalizzate al completamento dei lavori realizzati tra il 64 e il 68 va segnalato il recupero pressoché sistematico dei dadi in travertino utilizzati nelle fondazioni dagli architetti di Nerone e la loro sostituzione con gettate di calcestruzzoj una simile operazione implica naturalmente la ricostruzione sistematica di tutto il settore interessato dall'intervento (Ambienti 5- 7). Se ne risparmia invece il limite occidentale (Ambienti 1-4), che manterrà fino alla fine dell'antichità elevati e coperture originari, sui quali ci si limita ad effettuare operazioni di consolidamento, come la tamponatura di alcuni passaggi e la costruzione - tra gli Ambienti

Fig. 144. Sovrapposizione di "segni". In grigio la riproposizione flavia della Meta e del tempio nel santuario delle Curiae (da Panella 2009, p. 292, fìg. 5).

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Fig. 145. Pendici nord-orientali del Palatino. Planimetria ricostruttiva del complesso neroniano-flavio (in grigio le fondazioni, in nero gli elevati conservati) (Dis. Emanuele Brienza, Antonio F. Ferrandes).

1 e S - di due pilastri di rinfianco, raccordati da una piattabanda in opera laterizia (Fig. 147). L'aggiunta di analoghi pilastri di rinforzo sembra invece essere stata solo avviata, ma non portata a termine, all'interno degli Ambienti Se 6, dove sono state rinvenute due fosse quadrangolari, estremamente regolari, scavate e colmate nella stessa fase, probabilmente per una variazione del progetto in corso d'opera. Per quanto riguarda le coperture di questo spazi, infine, alle volte a botte con asse E-W che coprono fin dall'età neroniana gli Ambienti 1-4, si affiancano da questo momento (ma erano sicuramente previste già nel progetto originario) crociere in corrispondenza dell'Ambiente S e degli spazi posti a Sud di esso e, al di sopra dei corridoi paralleli che occupano il limite orientale della terrazza (Ambienti 6- 7), lunghe volte a botte, stavolta con asse N-S. Anche all'interno del portico che fiancheggia la via diretta al Foro, si segnala l'aggiunta di alcuni pilastri di rinforzo, che potrebbero implicare un restauro delle coperture e che sicuramente comportano un restringimento delle percorrenze interne, secondo una prassi attestata anche lungo i coevi portici del versante forense (Buranelli Le Pera - D'Elia 1986; Sepio 2002). Il fatto che nessuno degli elementi decorativi riferibili al portico sia attribuibile all'età flavia potrebbe indicare che sia stata integralmente riutilizzata la decorazione della fase precedente (per il portico e per il suo apparato decorativo vd. le osservazioni riportate in Pensabene - Caprioli 2009; qui a p. 106). 120

È infine possibile che in questo momento ( o forse nella successiva età domizianea) si intervenga sul sistema fognario, con la realizzazione di tre nuovi condotti in opera laterizia subito a monte della terrazza neroniana (la nostra Area I) ed un quarto _ radicalmente restaurato agli inizi del II secolo - che attraversa con andamento E-W tutto il basamento (Ambienti 1 e S-7); questi bracci implementano la rete di deflusso idrico in uso, ancora in buona parte costituita dalle grandi arterie fognarie esistenti prima dell'incendio del 64. Agli interventi sulle strutture e sul sistema di smaltimento delle acque segue la sostituzione dei rivestimenti realizzati nel periodo precedente. Per quanto riguarda i piani d'uso, ai pavimenti in opera spicata dell'età neroniana si sostituiscono ora, quando non vengono realizzati per la prima volta, pavimenti in lastre, di cui lo scavo ha rintracciato le preparazioni cementizie (vd. a titolo d'esempio Ferrandes 2011, p. 139, fig. 17). Considerazioni sulle decorazioni parietali di questa fase sono invece possibili grazie ad un nucleo di intonaci relativi ad alcuni soffitti rinvenuti all'interno di una più tarda trincea di età adrianea (Fig. 148). Fattura e temi di questa decorazione testimoniano come le variazioni apportate in età flavia sui rivestimenti originari potrebbero essere collegate ad una variazione d'uso degli ambienti: agli intonaci prevalentemente bianchi, infatti, si sostituisce ora un sistema decorativo articolato in più campi, in cui si alternano le dominanti cromatiche del rosso e del giallo e su cui sono state registrate decorazioni di vario tipo, che trovano diversi punti di contatto con le poche decorazioni urbane sicuramente attribuibili all'età flavia e che rimandano ad una funzione di questi vani diversa da quella che aveva caratterizzato il progetto più antico. Questi cambiamenti potrebbero essere collegati ad alcuni interventi non previsti nell'originario progetto neroniano tra cui si segnala, proprio nell'isolato della pendice nord-orientale, la costruzione di un piccolo (5,60 metri di larghezza, una lunghezza ri-

Fig. 147. Il pilastro di età flavia che rinfianca la testata neroniana dell'Ambiente / (visto da Ovest); sulla destra parte della tamponatura del passaggio al limitrofo Ambiente 2.

Fig. 146. Parte posteriore del piccolo tempio (visto da Ovest) realizzato in età flavia in una delle grandi aule di età neroniana.

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costruita di ca. 12 metri ed un' altezza compresa tra gli 8 ed i 9 metri), ma ricco edificio rivestito in marmo grigio di Luni e dotato di una decorazione architettonica a paraste e di un pavimento in crustae marmoree; le caratteristiche della struttura (un complesso su podio a cui si accede tramite una scalinata rivolta verso la piazza dell'Anfiteatro e dotato di una base laterizia posta contro il muro di fondo, in posizione assiale), la ricchezza dell'apparato decorativo ed il rapporto esistente con la nuova Meta Sudans - che ripropone quello esistente tra il tempio restaurato da Claudio e la Meta augustea prima dell'incendio neroniano (Panella 2009; vd. Fig. 144) - hanno fatto avanzare l'ipotesi che la struttura sia da identificare con il tempio in cui i Flavi ripristinano il culto praticaFig. 148. Frammenti di intonaco rinvenuti all'interno di una to presso il santuario esistente fin trincea di età adrianea ed attribuiti alla decorazione flavia delle volte degli ambienti seminterrati. dall'età regia sulle pendici del colle, identificato con le Curiae Veteres. È verosimile che dopo la realizzazione di questo edificio la terrazza posta alle sue spalle rientri negli annessi dell'area sacra, con cui è peraltro in diretta comunicazione grazie a due aperture poste sul prolungamento dei corridoi che costeggiano a Nord e a Sud il tempietto. Fatta eccezione per piccoli interventi tardoantichi, terrazza e tempio manterranno fino al V secolo avanzato l'assetto acquisito in età flavia: a differenza dei vicini settori ( domus tardo antica delle pendici orientali, terrazza di Vigna Barberini, area delle "Terme di Elagabalo", Tempio di Venere e Roma), che proprio a partire da questo momento saranno interessati da una fitta successione di interventi edilizi, quest'area costituisce sul piano urbanistico e monumentale uno straordinario elemento di continuità per tutta l'età imperiale (Fig. 149), confermando la forte valenza simbolico-sacrale di questo luogo, citato, se l'identificazione con le Curiae cogliesse nel segno, ancora agli inizi del IV secolo dai Cataloghi Regionari. Una certa attività edilizia è registrata, per questa fase, anche nel settore posto a Sud del tempietto flavio, dove compaiono pilastri e muri in opera laterizia e la messa in opera di un pavimento in opus spicatum. Ad una fase successiva dell'età flavia, coincidente con il principato di Domiziano, sono state attribuite importanti opere sul sistema fognario, che prevedono la dismissione dei condotti in uso prima dell'incendio neroniano (conservati, almeno in questo settore, fino a questo momento), e la realizzazione di nuovi collettori. La loro costruzione è verosimilmente da collegare ai grandi lavori di sostruzione della terrazza di Vigna Barberini (Vil122

Fig. 149. Ricostruzione 3D degli edifici di età flavia ubicati tra la valle dell'Anfiteatro e il Palatino/Velia (Elab. Marco Fano).

ledieu 2007) ed alle accresciute necessità di smaltimento delle acque, che dalla sommità del colle andavano convogliate verso le fogne di fondovalle. A.F.F.

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PARTEVIII. La media e tarda età imperiale

L'ordinaria manutenzione caratterizza le operazioni registrate nel II secolo presso il piccolo tempio di età flavia e la retrostante terrazza, a differenza di quanto accade nel vicino isolato delle "Terme Elagabalo" (la nostra Area IV), che proprio in età adrianea - in concomitanza con lo spostamento del Colosso (Lega 1989-1990), la costruzione del Tempio di Venere e Roma (Liljenstolpe 1996) e gli interventi documentati sulla terrazza di Vigna Barberini (Villedieu 2007) - vede l'avvio di importanti operazioni edilizie che porteranno alla costruzione di un horreum, sostituito alla fine del secolo da un nuovo edificio dalla medesima destinazione (vd. p. 138 ss.). Tra gli interventi di maggiore impatto registrati all'interno dei vani seminterrati, va segnalata la costruzione di due muri in opera mista con andamento E-W (Fig. 151) che tramezzano gli Ambienti 6 e 7, alterandone l'impianto originario, in cui dovevano apparire come due lunghi corridoi paralleli. Si procede inoltre - in questa fase o nella successiva età antonina - alla realizzazione di alcune murature che rinforzano i pilastri su cui si impostano le volte a crociera ricostruite in età flavia in corrispondenza dell'Ambiente 5 e degli spazi posti a Sud di esso. Restauri delle strutture di età neroniana e flavia, rifacimenti del sistema fognario (come il radicale restauro del condotto di età flavia che attraversava con andamento E-W tutta l'area di scavo), delle decorazioni parietali (viene dismesso ora il soffitto dipinto: vd. Fig. 148) e pavimentali (alcuni degli ambienti ricevono una decorazione a mosaico) chiudono il panorama degli interventi di questa fase. L'uso dell'opera mista è documentata anche al di fuori della terrazza, nel settore limitrofo al piccolo tempio flavio, dove si procede al radicale restauro del muro che delimitava a Sud l'ambiente pavimentato in opera spicata (vd. sopra, p. 122). I pochi interventi dell'età antonina riguardano la manutenzione delle fogne, che sono talvolta restaurate radicalmente, la ricostruzione di alcuni elevati in opera laterizia e restauri sulla decorazione interna (nuovo pavimento, sempre in sectilia marmorei) ed esterna del

Fig. 150. Proposta ricostruttiva delle insegne imperiali (Dis. Marco Ricci; elab. Monica Cola) .

tempietto flavio. È tuttavia solo tra la fine del II e gli inizi del III secolo che si registra una serie di importanti operazioni edilizie di maggior impatto (Fig. 152), probabilmente da collegare ai più imponenti lavori intrapresi sulla terrazza della Vigna Barberini dopo l'incendio del 191-192 (che porteranno alla realizzazione del tempio dedicato durante il principato di Elagabalo alla divinità di Emesa Sol Invictus, poi, sotto Severo Alessandro, a Iuppiter Ultor: Chausson 1997; Villedieu 2007), come sembrano suggerire vistose tracce di bruciato

Fig. 151. Pendici nord-orientali del Palatino. Uno dei setti in opera mista realizzati in età adrianea all'interno dei van i seminterrati, visto da Sud.

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