Alla ricerca del reale. Fisica e oggettività

In quale misura gli apporti della fisica contemporanea consentono di affermare o di negare l'esistenza di una realt

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Alla ricerca del reale. Fisica e oggettività

Table of contents :
Alla ricerca del reale
Colophon
Indice
1. Introduzione
2. Da Democrito a Pitagora
3. Filosofia dell’esperienza
4. La non-separabilità
5. Intermezzi semiseri
6. Sullo scientismo
7. Le obiezioni di Einstein alla filosofia dell’esperienza
8. Altre vie: elementi per uno scetticismo
9. Il reale velato
10. Miti e modelli
11. Scienza e filosofia
12. Non-separabilità e controfattualità
13. Panoramica
14. Conclusione
Appendice 1
Appendice 2
Lessico
Indice analitico

Citation preview

Prove Arens

saggi scientifici

Il mito del cannibale

Braitenberg

I tessuti intelligenti

Bruner e Garton

Crescita umana

Cloudsley-Thompson Curio

I

La zanna e l'artiglio

Etologia della predazione

D 'Espagnat

Alla ricerca del reale: fisica e oggettività

Gell-Mann, Hoyle, Weisskopf e altri ]ones e Bodmer Kuyk

Futuro biologico

Il discreto e il continuo: complementarità in matematica

Lieberman Love/ock

L'origine delle parole Gaia: nuove idee sull'ecologia

Marrama, Pera e Puccinelli Medawar

Rapporto economico sulla Cina

Consigli a un giovane scienziato

Medawar, Lance e Simpson Miller

La natura dell'universo fisico

L'animale consapevole

Griffin

La nuova immunologia

Il dramma del bambino dotato

Pierantoni Vygotskij

L'occhio e l'idea: fisiologia e storia della visione Il processo cognitivo

Bernard D'Espagnat

Alla ricerca del reale Fisica e oggettività

© Editore Boringh ieri società per azioni Torino, corso Vittorio Emanuele 86 S tampato in I talia dalla litografia S ilvestri di Torino CL 6 1-8887- 7

Titolo originale

A la recherche du réel Le regard d 'un physicien © 1981 Bordas - Parigi

Traduzione di Lorenzo Magnani Edizione italiana a cura di Maurizio Bruno

Febbraio 1983

Indice

1 Introduzione

7

2 Da Democrito a Pitagora

16

3 Filosofia dell 'esperienza

21

4 La n on-separabilità

37

5 I n termezzi semiseri

68

6 Sullo scientismo

72

7 Le obiezioni di Einstein alla filosofia dell 'esperienza

81

8 Altre vie : elementi per uno scetticismo

94

9 Il reale velato

106

10 Miti e modelli

136

1 1 Scienza e filosofia

157

12 Non-separabilità e c ontrofattualità

173

13 Panoramica

189

14 Conclusione

211

Appendice 1

219

Appendice 2

222

Lessico

225

Indice analitico

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Capitolo 1 Introduzione

Sarebbe davvero auspicabile che gli specialisti dei vari campi del sapere comunicassero vicendevolmente p iù di quanto di n orma non accada. Tuttavia per motivazioni, convinzioni, modi di pensare, gli uomini differiscono gli uni dagli altri più di quanto non app aia a prima vista. Pertanto è assai difficile get­ tare un p onte tra campi differenti dello sp irito : incompatibilità di nozioni di base, di linguaggio, concezioni diverse del rigore, tutto concorre a rendere l'impresa assai ardua. Per quanto sta in noi vorremmo evitare di stabilire collega­ menti artificiosi e cercare invece, con pazienza, di scoprire quelli che esistono in tutta naturalezz a. Dopo tutto , né la mente umana né il mondo sono divisi in compartimenti stagni, e di conseguenza dovranno pur esservi relazioni tra i diversi domini del pensiero: è sufficiente portarle alla luce. È questa un'impresa tutt'altro che semplice, né sono d 'aiuto, anche se manip olati con virtuosismo , i discorsi brillanti e generici, dal m omento che si fondano unicamente su seducenti intuizioni. Ora, almeno per quanto riguarda la scienza, non si progredisce sulla via dell 'uni" versalità, cui essa ten de, se non con un incessante lavoro di af­ finamen to e di generalizzazione dei princì pi, che h anno finito cos ì col distaccarsi non poco da ogni idea intuitiva. In conside­ razione di queste difficolta, non è difficile capire il perché delle chiusure che condizionano la nostra attività di pensiero e che pure, lo ribadiamo, non sono né n elle cose né in noi.

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Capitolo primo

Il contenuto di questo libro è il frutto di u n tentativo di ampio respiro mirante a superare, per quanto p ossib ile, osta­ coli di questo genere disseminati sulla via delle idee, e ciò attra­ verso l'acquisizione della conoscenza di alcuni fatti. La fisica e il problema del reale sono stati assunti rispettivamente come punto di p artenza e come tema centrale della riflessione. La scelta non è beninteso casuale. Infatti, al di là dei problemi pratici, psichici, sociali, estetici o morali, la ricerca della natura di ciò che è è sempre parsa all'autore come la questione cen­ trale, con la quale tutte le altre necessariamente hanno legami, p iù o meno sottili, finendo così col dipendere da essa p er le loro risposte. Quanto alla fisica, e ssa è oggi abbastanza avan­ zata perché la si possa legittimamente considerare la scienza universale della natura : di quella " natura" che, almeno appa­ rentemente, sembra lecito poter identificare col reale. Anche se quest'ultimo giudizio dovrà alla fine essere attenuato (come vedremo), esso si giustifica come ipotesi di lavoro . I p roblemi di conoscenza pura non figurano certo al primo posto tra le preoccupazioni chiaramente espresse degli uomini del n ostro tempo. I problemi pratici, o p iù in generale inerenti all'azione, focalizzano com 'è ovvio l'attenzione della stampa e dei mass-media, sempre p iù attivi nell'orientare la nostra pro­ blematica esplicita. I noltre l 'idea ( tratta dalla filosofia!) che sull 'essere prevalga l 'azione (umana) è oggi molto comu ne, al­ meno sotto una forma implicita e confusa, al punto da ispirare la maggior p arte di ciò che si scrive . Malgrado ciò, è legittimo affermare che l'interesse per i problemi di conoscenza pura e di pura comprensione resta considerevole ; e il su o vigore è raffor­ zato oggi da una certa disillusione nei confronti delle numerose varianti, ideologiche o pragmatiche, delle filosofie dell 'azione. Si ricordi l'esclamazione attribuita da Malraux , in u na delle sue ultime opere, a un vecchio rivoluzio nario amico suo : " . . . [la frase] d i M arx che tutti citano ' non si tratta soltanto di com­ prendere il mondo, ma di cam biarlo' comincia a infastidirmi. Che ne dici, se si smettesse u n p oco di cambiare il mondo p er tentare di comprenderlo puramente e semplicemente ? " 1 Del resto, i filosofi dell 'azione hanno dominato la scena troppo a lungo perché sia del tutto chiaro l'orientamento generale delle

Introduzione

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persone riguardo alle questioni puramente speculative. Forse proprio questa è una giustificazione accettabile per uno studio un poco circostanziato su tale argomento. " S ì - diranno alcuni - ma non è affatto scontato che un tale studio debba rich iamarsi alla fisica : l 'argomento 'fisica, scienza della natura' n on è probante." Per giun ta, le persone interessate al problema della comprensione di ciò che è sicu­ ramente non si preoccupano tutte della fisica. Vi è infatti chi nega a priori che questa, o qualu nque altra scienza, p ossa mai attingere all 'essere in sé ; e non manca chi, pur estraneo a tale contestazione, ritiene che la fisica ci dia sì la chiarezza, ma su aspetti del reale troppo elementari e banali per meritare atten­ zione : sulle " tubature dell'universo " , per dirla con coloro che si interessano soprattu tto allo studio qu alitativo di strutture più complesse, quali gli esseri viventi, gli esseri umani e le società. Questi non sono che alcuni degli atteggiamenti osser­ vabili a tale rigu ardo. Riserve di tal genere, a prescindere dalla loro fondatezza, non sarebbero sufficienti per motivare u n rifiuto a priori dello stu dio qui annunciato, e tuttavia m ostrano che u n tale studio , anche se condotto su base scientifica, non può ignorare alcuni problemi filosofici di fondo e non può dunque p assare sotto silenzio le soluzioni dei filosofi. Questo non già per redigerne un fastidioso inventario , ma almeno per segnalare ed esaminare quelle grandi intuizioni filosofiche, concernenti il p roblema dell'essere, che sono intelligibili all'uomo di scienza. A maggior ragione ciò è necessario quan do si osservi che tali intu izioni possiedono molto sp esso relazioni di similitudine, di opposi­ zione o di complementarità con le idee che lo studio dei fon­ damenti della fisica conduce a prendere in considerazione. Ancora un'osservazione. L 'ampiezza dello spazio che si of­ friva in passato alla cap acità di riflessione e di immaginazione dei filosofi li h a portati a scoprire un ventaglio di idee possibili estremamente aperto ; di conseguenza, l 'originalità di questo libro non consisterà tanto nella prop osta di nuove visioni del mondo, quanto di nu ovi criteri per valutare l'esattezza di queste o qu elle tra le idee già suggerite da alcuni pensatori eminenti : in altri termini, sarà fatta la cernita fra concezioni

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Capitolo primo

filosofiche opp oste. Sul piano dei risultati il nostro studio dovrebbe dunque, in linea di massima, confortare il filosofo anziché irritarlo, quantunqu e il metodo u tilizzato, il metodo scientifico, gli possa sembrare insolito nel campo in cui è qui applicato. I n ogni caso gli offrirà l'occasione di sfumare il giudizio severo che talvolta egli dà sulla scienza, accusandola di essere mossa dall'unica p assione di dominare e di vincere, laddove la filosofia sarebbe, essa sola, generata dall 'unico desi­ derio di una comprensione disinteressata. Può darsi che alla lettura del libro si scopra che non in questo risiede la reale dif­ ferenza tra le due discipline, ma p iuttosto nel fatto che la scienza, preoccup ata di comprendere quanto la filosofia, co­ n osce meglio per certi aspetti le insidie di u n tale programma, le debolezze di una ragione applicata a ciò che oltrepassa la pratica, e i metodi da " formica" che permettono, m misura notevole, di ovviare a questi inconvenienti. Sarebbe comunque eccessivo accordare una cieca fiducia, nel campo della conoscenza della realtà ultima, al puro metodo scientifico, attribuendo acriticamente valore assoluto ai suoi risultati. I n fallibile o quasi nelle sue equazioni ( che non cono­ scono altro che perfezionamenti su ccessivi in grado di adattarle alla descrizione di un numero semp re più grande di fenomeni), la fisica ha dato luogo nel corso dei secoli a visioni del mondo sempre diverse e contraddittorie, valevoli dunque soltanto in quanto modelli. La critica non è definitiva, visto che la scienza è ancora giovane, e si è p articolarmente sviluppata, generaliz­ zata e assestata durante gli ultimi decenni; tuttavia sarebbe azzardato prendere p er buono quello che essa ritiene oggi il modello migliore, presentan dolo come una descrizione fedele di ciò che è. Di consegu enza non seguiremo questa via. Per affi­ nare la nostra idea ingenua del reale, metteremo alla prova u n certo insieme di affermazioni " ovvie " riguardo ad esso. I n u n primo tempo ricaveremo da queste (senza l 'aiuto d i teorie o modelli) alcune conseguenze, verificabili in linea di principio da misure ; su ccessivamente, dopo aver costatato che tali conse­ guenze sono contraddette dall 'esperienza, concluderemo con certezza per la falsità di almeno una di esse (tra cui ovviamen te

Introduzione

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figura i l postulato che i l risultato di una misura è qualcosa d i reale) . Solo allora c i p renderemo l a libertà d i estrapolare i l ri­ sultato in riferimento a una teoria che lo preveda (insieme ad altri simili) e che, nel dominio appunto della previsione dei fen omeni, abbia dato prova indiscutibile della sua universalità. Un 'obiezione di ordine generale che a priori si p otrebbe ri­ volgere al metodo è che e sso parte da un insieme di fatti molto preciso, e dunque limitato, per giungere a conclusioni di gran­ dissima generalità, un po' come una piramide che poggiasse sulla punta. In risposta a ciò si può tuttavia rilevare che è suf­ ficiente, incontestabilmente, un solo con troesempio, in un dominio preciso di fatti, a distruggere un 'ipotesi generale, a patto di essere fermamente stabilito e di cogliere realmente l 'ipotesi in flagrante delitto di previsione falsa. (Questo è merito sommo del metodo scientifico : nel passato, mirabili costruzioni dello spirito, che testimoniavano le geniali capacità di astrazione e di sintesi dei loro autori, sono spesso crollate per effetto di una confutazione fon data su fatti contingenti e in apparenza irrilevanti, ma scelti a ragion veduta) . Per di p iù i fatti sperimentali in questione, se effettivamente contraddicono alcune ipotesi intuitive riguardanti la realtà e ci obbligano quindi a rivedere le n ostre concezioni a tale riguardo, sono previsti nondimeno dalla meccanica quantistica, cioè da una teoria ( o meglio, collezione di regole di calcolo) a quanto p are universale, e sicuramente ricca di risultati, che costituisce la base della n ostra attuale comprensione dei fenomeni della n atura. Tenuto conto di ciò, per illustrare l'evoluzione delle varie concezioni del reale, avremmo potu to rifarci direttamente a tale teoria. Questo modo di procedere non è stato scelto in quanto non sufficientemente rigoroso e anche per ragioni di esposizione. Esso avrebbe richiesto necessariamente la descri­ zione preliminare degli aspetti tecnici della meccanica quan­ tistica, cioè l'introduzione di lunghe formule e di un vasto apparato matematico, che invece il riferimento diretto ai fatti summenzionati permette di evitare. In tal modo è possibile presentare argomenti accessibili a tutti (perché n on richiaman­ tisi ad alcun a conoscenza preliminare) e che costituiscono

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Capitolo primo

tuttavia, con la loro sintesi, una vera e p ropria dimostrazione. Certamente c i ò imp lica, come controp artita inevitabile , l a presenza nell'esposizione di p assaggi un p o ' aridi e, di conse­ guenza, di scarti di tono nel libro . È così che, malgrado l 'aspetto p ittoresco degli esempi u tilizzati, il capitolo 4, che contiene la dim o strazione in questione, p er essere ben compreso richiede che lo si legga u n po' alla maniera di un matematico che si studi i lavori di qualche collega : lentamente e ritornando indietro qua e là. I n compenso, altri cap itoli si leggono facil­ mente : infatti, e di ciò occorre felicitarsi, non tutto è così strano ! Certi argomenti di imp ortanza cruciale p ossono essere affrontati senza difficoltà p reliminari, p oiché sono in relazione con p roblemi già oggetto di riflessione. Si può ritenere che quell 'inconveniente formale (la discon­ tinuità di esposizione) è più che controbilanciato dal vantaggio che ogni dimostrazione procura al lettore e che riguarda evi­ dentemente la p ossibilità di esprimere su e ssa un giudizio razio­ n ale. In altri termini, il lettore può rendersi conto direttamente , senza doversi affidare all'au tore, s e l a dimostrazione è corretta o falsa : gli è sufficiente richiamarsi ai lumi della sua ragione. Così in questo libro, almeno n elle prime tappe, il lettore dovrà dare credito all 'au tore solo per quanto concerne l 'esattezza di alcuni risulta ti di misure, unanimemente riguardati come cor­ retti dai fisici e dai quali la dimostrazione deduce conseguenze interessanti. È un vantaggio non da p oco, questo, in u n 'epoca in cu i l'adesione alle dottrine p iù disparate è il p iù delle volte sollecitata in base ad argomenti puramente emozionali (quando n on è cedimento a qualche viscerale conformismo di gruppo) ; qui bisogna dire, purtroppo, che nella società occidentale i mass-media, così come sono, tendono a ingenerare indifferenza nei confronti del valore dello sp irito critico. ( La via da noi se­ gu ita, sia detto per inciso, è ben lontana dall 'essere un ritorno al metodo cartesiano, p oiché il riferimento a risultati di misura vi svolge malgrado tu tto un ruolo essenziale. ) Qu alche critico incidentalmente osserverà che, forse, il nostro obiettivo è irrealizzabile ; a noi sfuggirebbe quanto la fisica, co­ struzione eminentemente cumu lativa, sia oggi lontana dai su oi esord i, come pure la difficoltà dei suoi ragio namenti, che per

Introdraione

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forza si avvalgono di tecniche matematiche sofisticate e che riempiono libri ponderosi (all 'università occorrono anni e anni per venirne a cap o ! ) Vogliamo affrontare le questioni fonda­ mentali, le p iù ardue, dimenticando le p arole di Valéry, che "n on c'è p iù p roblema in fisica che sia difficile e al temp o stesso semplice da formulare " ? Come se non sapessimo che quei problemi che avremmo in mente di affrontare con il " nostro " metodo dedu ttivo (falsamente alla portata di tutti) son di quelli su cui invano, negli ultimi cinqu ant 'anni, hanno ricercato una convergenza i cervelli più brillanti del mondo scientifico ! L 'obiezione sembrerebbe formidabile ; per p oterla esaminare è d 'uopo richiamare brevemente la storia dello sviluppo delle idee. È un fatto che da una cinquantina d 'anni gli stessi fisici hanno dovuto procedere a una radicale revisione dei fondamenti della loro scienza ; e ciò sotto la pressione della scoperta della relatività, ma più ancora sotto quella della nuova teoria atomica. Co ntrariamente all 'antica meccanica, la nuova teoria, la mecca­ nica quantistica, si rivelava cap ace di spiegare tu tti i fatti fon­ d amentali (che sono in numero p ressoché infinito ) riguardanti gli atomi e le m olecole. Tuttavia proprio p er questo essa doveva rinunciare a fare uso di alcu ne nozioni, apparentemente prime (come quella di determin ismo), essenziali nella meccanica classica. N ello stesso tempo doveva abbandonare l 'idea, pure elementare, che consisteva nell 'attribu ire agli atomi e alle loro p articelle costitutive, p rotoni, neutroni ed elettroni, u na realtà che sarebbe p ienamente indipendente dai nostri mezzi per osservarla. Non pochi fisici ritengono che i concetti di determinismo, realtà " in sé" di particelle localizzate, e così via, siano perfet­ tamente inutili, sterili e pertanto da scartare come nozioni fondamentali. Altri, pur rinunciando a servirsene, non sono giu nti a conclusioni così radicali, e hanno tentato anzi di costruire teorie che riassorbissero quei concetti e favorissero una spiegazione, della fondamentale fenomenologia atomica e molecolare, non meno convincente di quella della teoria in vigore. Fino a non molto temp o fa sembrava che, messi da parte i criteri di rapidità e di efficacia pratica, l ' impresa fosse

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Capitolo primo

realizzabile, almeno in linea di principio, senza attentare in modo sostanziale al contenuto fondamentale ( determinismo, località) dei concetti da reintrodurre ; questo, certo, con m olta p esantezza in p iù e con m inore generalità. Di qu i si originano in effetti molte di quelle controversie che necessariamente sono situate a un alto livello di tecnicism o . Per inciso, da u n tale stato d i cose molti trattati contemporanei d i filosofia derivano forza argomentativa p er sostenere che la fisica sembra difficilmente applicabile alla chiarificazione dei veri p roblemi fon damentali, e che pertanto la cosa p iù saggia nell 'accostarsi ad essi è di spogliarsi dell 'abito mentale dello scienziato e affrontarli direttamente con la filosofia pura. Nei p rossimi capitoli si cercherà di confu tare questa opi­ n ione fornendo alcune chiare informazioni sui progressi che gli scam bi di vedute tra fisici di queste due tendenze, e le conse­ guenti ricerche teoriche, hanno p ortato intorno a questo argo­ mento. Non si tratterà comunque di un 'esposizione storica e cronologica. In tanti casi gli itinerari esplorati conducevano a vicoli ciechi, e naturalmente non verranno descritti. È soltanto n egli ultimi quindici anni che è stato aperto un vero e p roprio varco in un campo così difficile e lontano dai p roblemi scienti­ fici usuali. Ora, stranamente (e p roprio in ciò sta la risp osta all'obiezione prima descritta) quel varco, realizzato originaria­ mente p er il tramite di strumenti matematici di u so comune nel campo scientifico, si mostra, una volta compreso, suscettibile di essere descritto senza formalismi matematici. Forse non si tratta in questo caso di pura fortuna ; in fondo questo carattere non tecnico è p roprio quello che b isognava attendersi da una scoperta la cui portata è schiettamente filo­ sofica. I n questa sede sarà rivolta ad essa u n 'attenzione p artico­ lare (fin dal cap . 4, in cui ne viene esposta la natura) , e il lin­ gu aggio beninteso approfitterà della possibilità di una descri­ zione non tecnica della questione. Un 'ultima osservazione, di ordine generale : questo libro , semplice e senza formule, vuole essere u n mezzo per introdurre alcuni problemi fondamentali della fisica, senza la pretesa p erò d i essere uno strumento p ropedeutico alla ricerca, ed è facile comprendere il perch é : come tutti sanno, per insegnare in modo

Introduzione

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efficace occorre avere u n a conoscenza della materia, qualunque essa sia, ben più vasta di qu ella rappresentata dalla sua illustra­ z ione didattica. Per la ricerca vale una condizione del tutto simile, anzi ancora p iù stringente . In altri termini, poiché questo libro accenna a problemi di fisica, talvolta altamente specializzati, sembra pu rtropp o impensabile che qualche lettore, per quanto geniale, possa contribuire alla loro soluzione senza avere compiuto lunghi studi di fisica teorica moderna, di livello superiore a quello stesso degli ultimi anni delle facoltà univer­ s itarie p iù prestigiose. Chi si rammarica dell 'esistenza di tali vincoli potrà tuttavia consolarsi pensando all 'universalità della loro occorrenza. " Dieci anni di esercizi di violino p er diventare un musicista appena passabile : ah, la miseria umana! " La sag­ gezza e l'attualità di queste parole di Alfred de Musset, nel Fantasio , sono innegabili. In compenso è lecito sp erare che il percorrere l'itinerario di questo volumetto sia d'aiuto al lettore desideroso di approfondire una problematica generale. Anticipiam o infine che ogniqu alvolta l'approfondimento di cui si è detto porta, agli occh i dell 'autore, a una conclusione plausibile, quest'ultim a costituisce la concezione del reale ve­ lato (introdotta nel cap . 9, p p . 1 09 sgg. ) . L 'inizio dell'opera si presenta come una descrizione circostanziata del labirinto dei vincoli che orientano verso un tale esito ; la p arte finale studia il contenuto e le conseguenze di questa tesi. Note al capitolo prim o 1 A. Malraux, Hotes de passage (Gallimard, Parigi 1 9 75). L 'esp erienza politica contemporanea ha d'altra parte provato che i grand i progetti che si rich iamano espl i­ citamente a schem i aprioristici della realtà possono condu rre a errori clamorosi, im­ putabil i almeno in p arte al semplicismo e dunqu e all'inesattezza di quegli sch em i.

Capitolo 2 Da Democrito a Pitagora

Il bambino, come l 'uomo della strada, crede che accedere al reale sia immediato : che questo oggetto, p ietra o sedia, esista gli sembra chiarissim o, né lo sfiora, lui che crede alle fiabe ! , minim amente u n dubbio sull 'assolutezza di tale idea. Com'è noto, i filosofi p resero a contestare ben presto questo punto di vista e , adducendo a pretesto la deperibilità degli og­ getti, rifiu tarono ad essi una realtà intrinseca. Realtà, dissero , è ciò che si oppone al sogno, cioè la p ermanenza. Quale grado d i realtà possiamo dunque attribuire a oggetti che nascono e mu oiono, che si formano e si dissolvono? Al di sotto, all 'in­ terno e al di sopra deve pur esserci altro : un reale assoluto, non evidente all 'apprensione immediata e al quale p ertanto è diffi­ cile accedere. I n seguito altri e più vali di argomenti (il dubbio cartesiano ad esempio) giunsero a corroborare questa tesi : una tesi che non è del resto soltanto appannaggio dei filosofi. Infatti, a questo grado di generalità ( " la conoscenza dell 'essere è diffi­ cile " ) l'idea app artiene alla m aggior parte delle religioni. Essa si ricongiu nge inoltre al sentimento poetico di una Realtà pro­ fonda (situata dietro o al di là delle cose) che lo stesso spetta­ colo della bellezza ispira forse a m olte p iù persone di quanto non si creda. Sottolineare la difficoltà di cogliere la realtà indipendente (il

Da Demat:rito a Pitagora

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reale, o l'essere) vuol dire porre prima di tutto, contrariamente a quanto fanno altri, il postulato che la nozione stessa di realtà ha un senso che oltrepassa l'uomo, senza però specificare il modo di accostarsi ad essa. Legare in qualche modo una tale possibilità al sentimento del bello è già molto più restrittivo, anche se non totalmente. Allo spirito, che, in modo più o meno chiaro, fa una scelta di questo tipo, si offrono ancora due orientamenti principali, forse complementari, certo diffe­ renti: cercare l'essere nella matematica (pura o applicata) o dietro la bellezza sensibile? Il secondo obiettivo è stato a lungo perseguito, in modo dichiarato, dai poeti. Ormai non è più così, almeno per quelli di professione, che non si perdonerebbero mai di ostentare candidamente un'aspirazione che noi intellettuali abbiamo insegnato a considerare troppo ingenua. C'è di che rammaricar­ sene: infatti, ingenuità per ingenuità, sembra meno grave quella dei poeti antichi, e se ne vedrà il perché, di quella dei grandi retori della letteratura contemporanea o, all'opposto, di certi scienziati pieni di illusioni quanto al senso e alla portata del concetto di oggettività. Questo rifiuto è tuttavia oggi incon­ testabile. Restano le matematiche e prima di tutto la matematica pura. Questa si presenta a prima vista come un insieme di ve­ rità, indipendenti dalle contingenze, universali ed eterne. Non deve sorprendere che molti pensatori vi abbiano visto e vi vedano ancor oggi l'espressione della perfetta permanenza, cioè dell'essere stesso. In qualche misura, le scoperte del nostro secolo hanno mostrato l'ingenuità di una tale visione, mettendo in luce il fatto che la matematica riflette principalmente le capacità operative dell'essere umano. Dico "in qualche misura" unicamente perché non voglio escludere la possibilità di un certo parallelismo strutturale tra l'essere umano e l'essere court,

tout

parallelismo che restituirebbe in parte alla matematica

pura quella trascendenza che le era stata a lungo attribuita. Tuttavia, senza entrare nei dettagli di questioni la cui analisi sarebbe assai lunga, devo almeno notare che le ricerche mate­ matiche recenti hanno ridimensionato l'esagerato prestigio di

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Capitolo secondo

cui ha appunto goduto per molto tempo il concetto di univer­ salità della certezza matem atica. Se la bellezza della matematica pura non è, da sola, u na via sicura verso l 'essere, resta la fisica matematica a tener vive le speranze dei matematici, e in verità non stupisce che questa sembri loro , a prima vista, la soluzione più naturale. Attualmente non pochi uomini di scienza ritengono che comp ito p recipuo della fisica matem atica o fisica teorica (talvolta si distingu e tra le due, ma qui non è necessario) sia appu nto quello di sistema­ tizzare l 'insieme delle conoscenze concernenti il mondo reale . I n vista di u n tale fine, l 'uomo è stato indotto a scegliere lo strumento matematico p er il semplice fatto che esso si è rivelato di gran lunga il p iù efficace per tale tip o di sintesi. Poiché il fisico che voglia farne uso non può fare a meno di u niformarsi a certi canoni di eleganza, ecco che il ricorso alla fisica teorica app are proprio come uno dei modi (a priori fondato) di tentare un 'apprensione del reale che sia guidata d all'idea del bello. Il fatto che i metodi m atematici siano i p iù adatti p er una reductio ad unum dei molteplici asp etti del reale ha conse­ guenze importanti riguardo alle possibili mo dalità di rap pre­ sentazione del reale stesso : infatti il ru olo della matematica in fisica non si limita alla semplice stenografia, ossia a una scrittura abbreviata di relazioni che, disponendo di p iù spazio e tempo, potrebbero tranqu illamente scriversi nel linguaggio corrente . Tale ruolo naturalmente esiste, ma è secondario ; ben p iù significativo è quello svolto dal processo di definizione di nuove entità. Si pensi alla comparsa del concetto di energia : collegato all'inizio a una legge di co nservazione della meccanica razionale, cioè a qualcosa di astratto (secondo cui "la somma del prodotto di queste e quelle quantità e di una certa funzione di certe altre quantità non varia col temp o " ) , rich iama alla mente oggi una merce che si vende e si acquista a caro prezzo. I n m olti casi accade che i concetti astratti elaborati dal fisico teorico, pur senza divenire, come nel caso dell 'energia, p arte della vita quotidiana, giungano un p o ' alla volta a soppiantare quelli p iù antichi, derivati direttamente dall'esperienza ance­ strale, nella descrizione del mondo che la stessa fisica pro-

Da Democrito a Pitagora

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pone. Questa evoluzione è dovuta al fatto che i nuovi concetti p ortano p iù lontano dei vecchi : quello di massa p iù di quello di peso, quello di energia p iù di quello di massa. Ne consegue u n fenomeno che è stato talvolta chiamato, impropriamente, " de-realizzaz ione" del mondo fisico . La parola è ambigua, " de-cosificazione" sarebbe forse migliore, ché qui non si nega ancora la validità del concetto di realtà oggettiva, bensì , e radicalmente, la concezione di realtà tip ica dei profani che si p iccano di scienza, quella che attribu isce valore assoluto ed esclusivo a concetti familiari (ad esemp io quelli di " grano " o di " forza di contatto " ) , apparentemente i p iù scevri di mistero . Si arriva cos ì , progressivamente, a una visione del mondo in cui la materialità delle cose sembra dissolversi in equazioni, una visione in cui il materialismo è sempre più costretto a vol­ gersi verso il matematism o e in cui, se ci è concesso il riferi­ mento, Democrito deve in ultima analisi rifugiarsi p resso Pita­ gora. Che cos'è infatti la materia? C iò che si conserva, si diceva u n tempo. Non è dunque la m assa, a meno che questa non si identifichi con l'energia (salvo l 'unità di misura ) . Ma questa uftima entità, l 'energia, non è forse essa stessa null 'altro che la pura immaterialità di una componente di un quadrivettore in uno spaziotempo, p er di p iù " curvo " ? O piuttosto si identi­ ficherà la materia di un oggetto con l 'insieme dei suoi " atomi di Democrito " ? La conservazione della materia sarà allora quella di questi atomi, cioè quella delle p articelle che la costituiscono? Le cose non devono essere così semplici, se le particelle possono annich ilarsi con le loro antiparticelle, con l 'unico risultato di accelerare p articelle preesistenti. Dunque le particelle stesse non si conservano semp re . È vero che sono conservabili alcuni numeri, alcune differenze tra numeri di p articelle e numeri di antip articelle, ma si tratta ancora una volta di quantità astratte. I n izialmente concepito per rappre­ sentare una proprietà di un insieme, ossia un'entità distinta da quest 'ultimo (una collezione di biglie è cosa ben diversa , si p ensava, dal numero di b iglie della collezione), ecco che il nu­ mero si mostra ora in fisica come l 'unica entità suffidentemente stabile p erché questa scienza lo prenda veramente sul serio. Di qui ad affermare, con i p itagorici, che i numeri sono l 'es-

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Capitolo secondo

senza delle cose, non c'è che u n p asso. È bene aver chiaro che qui n on si tratterebbe di un pitagorismo e dulcorato, bensì di un pitagorismo essenziale, inconciliabile con la visione democritea che p ostula l 'eternità dei grani elementari. In altri termini, non è p iù possibile p rendere a prestito da Democrito la sua concezione fondamentale del reale con la semplice postilla che gli " atomi " interagiscono grazie a forze che obbediscono a certe formule, p er la cu i ricerca il criterio del bello matematico si dimostra assai utile. Un tale tentativo di conciliazione tra Democrito e Pitagora non risolverebbe nulla : infatti, ripetiamo, si vedrebbe che qualunque grano nello spazio , lungi dall 'essere indistrutti­ bile, è passibile di annichilazione e che le sole entità abbastanza stabili, perché la fisica p ossa riguardarle come fondamentali, sono numeri, funzioni o altre grandezze matematiche di forma ancora p iù astratta. " Tutto è geometria" amavano proclamare alcuni specialisti della teoria della relatività generale. Sembra inutile. sviluppare nei dettagl i l 'esp osizione di una evolu zione concettuale ormai vecchia e abbastanza ben cono­ sciuta. La scoperta sperimentale degli antiprotoni, e la c onse­ guente certezza della generalità dei processi di annichilazione e d i creazione, risalgono entrambe agli anni cinquanta. Tuttavia questi fatti erano stati previsti ancor prima dai fisici teorici, ed è noto come essi trovassero nell 'eleganza matematica d el for­ malismo la guida p iù sicura dei loro successi. Cos ì , è soltanto p er mero scrupolo di memoria che ho ricordato un momento e ssenziale, ma non conclusivo, del pensiero della fisica: quello che può essere chiamato· " emergenza del pitagorismo " (benin­ teso a pattò di scartare ogni accezione mistica o magica del1 'espressione). Dopo questi necessari preliminari, mi sia con­ sentito soffermarmi sull 'evoluzione di idee più recenti e meno conosciute e che d i conseguenza devono essere p resentate p iù dettagliatamente .

Capitolo 3 Filosofia dell'esperienza

Se il materialismo risale a Democrito, il p ositivismo è molto p iù recente . Ancor oggi vi è chi confonde materialismo e posi­ tivismo o p erlomeno considera le due dottrine strettamente imparentate . Un simile errore dev'essere subito denunciato, poiché sarebbe in �rado di oscurare i problemi che ci propo­ n iamo di studiare. E vero , molti scienziati h anno dichiarato di aderire al materialismo e molti si sono autodefiniti positivisti ; tuttavia, a una verifica p iù attenta, si constata che p ochissimi h anno abbracciato queste due p osizioni nello stesso tempo e che le eccezioni a questa regola si sono fatte semp re p iù rare nel corso della storia. Il materialismo, p resentandosi in forme diverse, è un p o ' difficile e delicato d a definire. I n prima approssimazione è tuttavia sufficiente collegarlo a quella corrente di pensiero , p iù facilmente definibile, che chiamerò realismo e che include anche sistemi di pensiero non materialisti : ad esempio, il pla­ tonismo, o " realismo delle essenze ". Secondo il realismo è sensato e giusto affermare che una realtà esiste e che è indi­ p endente dallo spirito umano (nel segu ito chiamerò questa realtà indipendente o intrinseca ). I noltre lo spirito umano sa­ rebbe in grado di progredire nella direzione di una conoscenza sempre migliore di una tale realtà ; se si ammette il realismo, è n aturale assegnare alla scienza questo fine, come appunto fanno gli scienziati realisti e , tra questi, i m aterialisti.

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Capitolo terso

Il positivismo è m olto differente, soprattutto nelle sue ver­ sioni moderne, che, per evitare un'an alisi troppo dettagliata, comprenderò sotto il nome generico di " filosofia dell 'esp e­ rienz a " . Tale filosofia non afferma l 'inesistenza della realtà indipendente, ma in modo più sottile ne relega la nozione stessa in secondo p iano, ponendo invece l 'accento sul fatto evidente che ogni p ossibile conoscenza si riferisce esclusivamente all 'in­ s ieme delle osservazioni e delle azioni. Il p iù delle volte la nostra naturale tendenza è di attribuire le nostre p ercezioni a una causa, imm aginando quindi che vi s ia una realtà indipendente a svolgere appunto tale ruolo di causa. La filosofia dell'esperienza non afferma che in tal caso si tratta necessariamente di un errore di giudizio, ma ci ricorda solo che una concezione del genere non è u n 'esigenza di pura logica, 1 e comporta rischi di errore difficilmente valutabili a p riori. La storia delle scienze, in particolare della fisica, giu­ stifica p arzialmente tale riserva ; mostra infatti che tropp o spesso le idee d i p ermanenza, di localizzazione ecc . , molto dif­ ficili da separare dal concetto di realtà fisica, h anno condotto a estrap olazion i ingiustificate, rivelatesi p iù tardi erronee. Per questo motivo la filosofia dell 'esperienza considera che l 'attri­ buzione sistematica dei fenomeni a una realtà indip endente sia in genere u na p ratica che non rientra nell 'ambito ristretto della scienz a ; in molti casi non sarebbe altro che una specie di " m anto " del d iscorso, il p iù delle volte innocuo, talora utile come guida all'immaginaz ione, a lungo andare controprodu­ cente, se lo si assolutizza. Tutto ciò non avrebbe nulla a che ve­ dere con lo scopo della scienza, che infatti dovrebbe essere esclusivamente quello di operare una sintesi delle osserva­ zioni e di fornire regole (il p iù delle volte matematiche) che, a p artire dalle osservazioni p assate, abbiano u n valore p redittivo . Si vede bene come la filosofia dell 'esp erienza si situi, nelle sue intenzioni di partenza, lontano dal pensiero materialista o, p iù generalmente, realista. Con la scienza la filosofia dell 'esperienza ha naturalmente rapporti molto stretti. Essa ha ispirato u na metodologia, effi­ cace p erché p ru dente, che consiste nell 'utilizzare soltanto con-

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cetti il cu i sign ificato sia stato p rima precisato in riferimento o a una classe di equivalenza di operazioni o ad altri concetti definiti in modo analogo . L 'eccellenza di tale metodologia si rivela solo in alcune specifiche discipline di carattere fon da­ mentale ; in altre è p iù rap ido e quindi p iù efficace derivare d irettamente dall 'esp erienza corrente (e in definitiva dalla vita quotidiana) i concetti di base della teoria. È naturale allora che i ricercatori che operano in questo secondo gruppo di disci­ pline, di gran lunga i p iù numerosi, tendano a non p orsi parti­ colari doman de sul significato di certi concetti fondamentali, com 'è quello di oggetto . Ora, tale atteggiamento p orta inelut­ tabilmente ad aderire a u n realismo non critico (quello stesso che regge la vita qu otidiana). Si spiega così come queste p ersone considerino in generale la filosofia dell 'esperienza alla stregu a di un semplice metodo, che non mette per nulla in causa la loro scelta filosofica di fondo : resta, questa, una sorta di ogget­ tivismo " microscopico ", che si appaga di una supposta realtà assolu ta di atomi, molecole ecc. Molto spesso, rip etiamolo, questo accade quando, non essendo ! 'infinitame nte p iccolo l'oggetto prin cipale della ricerca, ci si può permettere di trattare come " scatole nere " le strutture atomiche o molecolari. Tu ttavia anche tra gli scienziati del primo gruppo, i più di­ rettamente interessati a questi problemi (in particolare i fisici teorici), la filosofia dell'esperienza trova solo raramente un 'ade­ sione incondizionata. Molti su oi cultori, e io con loro, sono in fondo realisti e non accettano di ridurre, con Paul Valéry, la scienza a un " insieme di ricette infallibili ". P erché tale infal­ libilità dovrà pur avere una cau sa ! I continui successi della scienza vengono così riferiti all 'esistenza di una realtà indipen­ dente ; in p articolare sarebbe la presenza, in questa, di strutture a garantire la riuscita. Nella visione realista, il principale in­ t eresse che p resenta la scoperta di u na ricetta fortunata risiede proprio in questo : essa ci illumina, almeno si spera, sulle strut­ ture della realtà indipendente . Purtroppo in questo caso si presenta u na d ifficoltà d i prin­ cipio, ben nota ai filosofi. Infatti, finché si rimane nel fattuale , rifiutando ogni ipotesi, si deve riconoscere ch e " l 'illumina­ z ione" in questione non si p roduce realmente. I l successo co-

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Capitolo terzo

stante di una ricetta ci informa soltanto della sua validità ; il p assaggio alle struttu re della realtà sembra richiedere necessa­ riamente l 'introdu zione di postulati sup plementari, del tip o " questo simbolo, questa operazione, che sono u n elemento d ella ricetta, corrispondono a u n certo elemento della realtà " . S e l a ricetta è semplice (del tipo " per osservare u n m ovi­ mento uniformemente accelerato è sufficiente, in p rossimità d ella terra, lasciare cadere nel vuoto un oggetto abbastanza pesante " ) è p rop rio questa l 'op erazione che implicitamente viene fatta : per esempio, si può d ire " l'oggetto è reale ", " indi­ p endentemente dall 'osservazione, esisterebbe " , " in ogni istan­ te, l 'oggetto occupa una p osizione ben precisa, la stessa che avrebbe anche se non fosse osservato " ; oppure tali prop osizioni restano sottintese, tanto sembrano evidenti. Tuttavia, prendere coscienza del fatto che siamo noi stessi a porre tali assiomi può servire da lez ione e avvertimento . S i constata infatti che, quasi inevitabilmente, vi è la tendenza ad assolutizzare come " ele­ menti di realtà " concetti familiari (oggetto, posizione, istante ) ; ora, è proprio qui che, ancora una volta, il realismo mostra il suo tallone di Achille. Di fatto, la fisica moderna offre una galleria di errori clamorosi indotti da questa tendenza e che costituiscono altrettanti importanti argomenti a favore della filosofia dell 'esperienza. Ben noto è l 'esempio della nascita della teoria della relati­ vità ristretta. Le equazioni fondamentali della meccanica rela­ t ivistica esistevano anche prima dell 'intervento di Einstein ; su qu esto pu nto anzi era stata decisiva l 'opera di Poincaré e d i Lorentz ; tuttavia questi due autori erano rimasti ancora p rigionieri dei concetti di spazio assoluto e di tempo universale, che, pure adeguatamente raffinati, sono concetti della vita quotidiana. Il salto qualitativo avvenne solo con la dimostra­ z ione di E instein dell 'impossibilità di definire u nivocamente, mediante operazioni, la simultaneità di eventi distanti ; p iù p re­ cisamente quando egli, traendo spunto da tale imp ossibilità, o sò affermare che " la nozione stessa di simultaneità a distanza n on può essere che relativa" . L a meccanica quantistica, comparsa poco dop o l a relatività, fornì ai sostenitori della filosofia dell 'esperienza argomenti an-

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cora più robusti. E ciò per due ragioni. In prim o luogo la p or­ tata fondamentale dei p rinc ìpi quantistici è ancora maggiore che non nel caso della relatività. 2 Infatti essi governano non soltanto la fisica atomica, ma tu tta la chimica (e di diritto, consegu entemente, una buona p arte della biologia) , la fisica d ei solidi, l'ottica contemp oranea, la fisica nucleare, p er non parlare di altre discipline : brevemente, tutto l 'essenziale delle scienze esatte empiriche. La seconda ragione è che in meccanica quantistica, molto p iù che nella relatività, l'ordinamento gerarchico dei dati speri­ mentali svolge un ruolo decisivo. Tale asserzione si può verificare nel caso concreto . Sia data ad esempio una cellula fotoelettrica, o meglio una " camera a nebbia" , specie di cellula fotoelettrica che contiene u na so­ stanza trasparente. 3 Inviando in essa un 'onda piana (di intensità abbastanza debole) di radiazione elettromagnetica ultravioletta, si constata che la sua energia, lungi dall 'essere distribuita in tutta la camera, come ci si sarebbe potuti aspettare, si manifesta in un sol punto . Questo p er la sottrazione (a un atomo della sostanza) di un elettrone, che si accaparra da solo, se così si può dire, tutta l 'energia. Si sarebbe tentati di concludere che, associati ad ogni onda elettromagnetica, preesistano grani di energia (fotoni), tutti ben localizzati ad ogni istante ; questi corpuscoli, normalmente gu idati dall 'onda (così si sp iegherebbero i fenomeni di inter­ ferenza), potrebbero anche rivelarsi negli urti individuali contro elettron i ; l 'estensione del concetto alle onde di materia , anch 'esse p ilotanti corpuscoli ecc. , segu irebbe in modo del tutto naturale. 4 Peccato che il modello sia certo troppo ingenuo e che l e sue implicazioni talvolta siano smentite dai fatti. Rifiutarlo in blocco, allora, o p erfezionare la teoria, salvandone il principio informatore secondo cui le prop rietà dell 'onda non sono suf­ ficienti a caratterizzare con una p recisione p erfetta il sistema globale? (Nella visualizzazione precedente, una stessa onda po­ teva guidare una particella avente per traiettoria una qualun­ que p arallela alla direzione di p ropagazione . ) La seconda scelta implica l'adesione alla teoria dei parametri nascosti, 5 i cui valori,

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Capitolo terr.o

in aggiu nta a quelli dell'onda, sarebbero indispensabili p er una comp iuta descrizione dello stato di moto del sistema. Non pochi fisici (e neanche dei meno imp ortanti : Louis de Broglie, Einstein ... ) hanno fatto questa scelta, 6 che, se da una parte ha il merito del realismo e della chiarezza concettu ale, dall 'altra, se esplicitata, conduce oggettivamente a equazioni troppo com­ plicate ; inoltre, le teorie cui essa ha dato luogo non hanno, in cin qu ant'anni, fornito alcuna previsione verificabile p iù avan­ zata di quelle fornite da teorie matematiche molto più semplici, che non mettono in gioco parametri nascosti. L 'effettiva sterilità di qu elle teorie è innegabile ed è il ca­ vallo di battaglia di quanti, tra i fisici, si battono a favore della filosofia dell 'esperienza : anche il più acceso fautore di questa, infatti, alla scienza non chiede altro (come si è visto) che di fornire le indicazioni per formulare nel modo migliore previ­ sioni su i fenomeni. Liberi dal problema della rappresentazione d i una realtà sottostante, si può negare tranquillamente l 'esi­ stenza qei parametri nascosti, si deve anzi negarla, vista l 'inuti­ lità di questi ai fini della p revisione. 7 Sarà allora una rappre­ sentazione puram ente matematica dell 'onda, pensata come mero espediente euristico, il m ezzo per determinare, in modo relativamente facile, molte proprietà chimiche e fisiche di atomi e molecole, inaccessibili per altra via. È sufficiente tu tto ciò per dire che l 'onda è reale ? Pretendere questo (nel senso ingenuo della p arola " reale " ) porterebbe, e sarebbe facile dimostrarlo, a imp egolarsi in nuove difficoltà nella interpretazione dei fenomeni osservati. Per giu nta, il n ostro irriducibile sostenitore della filosofia dell 'esperienza obietterebbe che qu i si reintroduce " dalla finestra" p roprio q uel fumoso concetto di realtà che alla vera scienza è del tutto estraneo ; ciò che conta in fondo è solo la p ossibilità, offerta dalla rappresentazione matematica dell 'onda, di prevedere risultati di misure che a loro volta dipendono, per la loro esecuzione, dai risultati di altre m isure già effettuate . Ora, al raggiu ngimento di tale obiettivo si presta molto bene la teoria quantistica usu ale, senza p arametri nascosti.

Filosofia deU'esperiensa

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L' interpretazione d i Copenaghen

È questa, in parole p overe, la spiegazione dell 'interesse degli epistemologi p er la filosofia dell 'esperienza, soprattutto da cinqu an t 'anni a questa parte. Un interesse d 'altronde che non è rim asto puramente p assivo : i fisici teorici infatti non si sono accontentati di apprendere tale filosofia nei libri e di applicarla alle loro ricerche. Alcuni, tra i più imp ortanti, vi hanno lavorato in prima p ersona e ne hanno fornito ristru ttu razioni e affina­ menti notevoli, per meglio adattarla alla fisica contemporanea : in particolare Niels Bohr, il principale artefice di quella che spesso viene chiam ata " interpretazione di Copenaghen " . L 'in­ flu sso delle idee di qu esto autore è stato tale che è qui indispen­ sabile p resentarne almeno u n compendio. Infatti l 'interp reta­ z ione di Copenaghen, nelle sue linee essenziali, è stata accettata senza riserve, fino a tempi recenti, dalla quasi totalità dei fisici. Bohr esordisce con la definizione più generale di ciò che la scienza è, non già riferendola a u na realtà in sé, preesistente, che essa dovrebbe tentare di descrivere, bensì evidenziando il suo carattere di comunicazione intersoggettiva su ciò che gli uni e gli altri " hanno fatto e appreso" . In altri termini, la scienza sarebbe la sintesi di u na p arte dell 'esperienza umana: quella che è comun icabile a tu tti gli uomini dotati di ragione. La n ozione di realtà è posteriore, e io p enso anzi che Bohr avrebbe preferito non parlarne affatto : quando egli non può fare a meno d i introdu rla nella discussione, appare pur sempre qualcosa di costruito, un'etichetta generale apposta indistintamente a una grande quantità di fenomen i ; senza dubbio, Bohr era cosciente del grave rischio di arbitrarietà che la su a assolutizzazione presenta. Ma allora, si dirà, Bohr era un idealista dal punto di vista fi­ losofico ! Il giudizio è azzardato, e il nostro autore lo avrebbe verosi­ milmente contestato : per convincersene basta considerare quel livello intermedio, fra l 'atomo e l 'uomo, e di cui non h o ancora p arlato, che Bohr assegna allo strumento di misu ra. Nella vi­ sione del fisico danese la " realtà dello strumento" sembra

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Capitolo terso

quasi assurgere a idea chiara e distinta ; lo strumento godrebbe di proprietà inammissibili per gli stessi atomi ed elettroni : anche non osservato , si troverebbe sempre in u no stato ben definito e occuperebbe una regione ben determinata dello spazio. Questa considerazione sarebbe sufficiente agli occhi dei suoi numerosi discep oli non idealisti ad assolvere Bohr da qual­ sivoglia taccia di idealism o. Senza entrare nel vivo della que­ stione, mi limiterò a osservare che egli non avrebbe di certo gradito l 'uso del termine " idealismo", così apertò a generaliz­ z azioni vaghe e arbitrarie. Per Bohr il punto fermo è questo (ed è perfettamente chiaro in alcuni suoi libri) : 8 lo strumento è definito relativamente alla fu nzio ne, in altri termini, n on per la sua costituzione fisica, m a in riferimento alla comunità degli umani che ne fanno uso . Pertanto ciò che Bohr chiama realtà, d al momento che è riferito ai fenomeni e quindi agli strumenti, per ciò stesso è innegabilmente riferito all 'uomo. L 'importanza assegnata agli strumenti è tale che è impossi­ b ile p er Bohr p arlare di fenomeno, almeno in modo non am­ b iguo , senza descrivere compiutamente il dispositivo sperimen­ tale utilizzato p er la sua osservazione ; a rigore, anzi, il dispo­ sitivo stesso ne è parte integrante . Così la p ropagazione di una particella nello spazio, da sola, non è u n fenomeno . Solo l 'in­ sieme costituito dal dispositivo emettitore, dalla particella, dal mezzo attraversato e dal ricevitore (nella localizzazione ed eventualmente nell'orientamento specificati) è un fenomeno di cui la scienza fisica può legittimamente p arlare. Nelle parole di Rosenfeld " ora è il tutto indivisibile formato dal sistema e dagli strumenti di osservazione a definire il fenomen o " . 9 Secondo questo punto di vista, e contrariamente all 'intui­ z ione, si nega che la p articella sia dotata di p roprietà quali la p osizione, la velocità ecc. (al massimo essa potrà avere p roprietà generiche, come la massa, comuni a tutte le p articelle di uno stesso tip o, ma questo è un altro discorso). L 'assenza di proprietà intrinseche è fondamentale nella teoria che stiam o esaminando, p erché è così che Bohr rende conto dei famosi paradossi appa­ renti della meccanica quantistica (vedi l 'esperimento delle fenditure di Young10 ecc. ) : difatti questi paradossi sono tali soltanto se si esige che u na p articella p ossieda in ogni istante

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almeno alcune proprietà intrinseche (posizione o velocità e così via ) . " L 'uomo è la misura di tutte le cose " diceva già Protagora. Al p ari di molte affermazioni un p o ' lapidarie di filosofi del passato, anche questa mostra u na certa ambiguità. Da una p arte, p otrebbe significare l 'idealism o puro : l 'uomo è, e le cose sono semplicemente una sua invenzione. Per una filosofia del1 'esperienza che fosse riconducibile a una concezione di questo genere non vi sarebbe realtà al di fuori dei fenomen i : infatti ciascuno di questi sarebbe definito per mezzo di un insieme di d ispositivi di osservazione, che in certi casi può anche (strana " indivisibilità " che si ritroverà ancora ! ) disp iegarsi nello spazio su una grande e stensione. D 'altra p arte, l 'affermazione di Pro­ tagora p otrebbe anche voler dire che gli oggetti naturali e le loro misure (in particolare, le loro p osizioni nello spazio) sono i soli aspetti che, limitati come siamo nella stru ttu ra cerebrale e nelle nostre cap acità, riusciamo a cogliere di una realtà intrin­ seca la cui esistenza non è messa in dubbio, ma che di fatto trova una sp iegazione diversa : un p o ' come se un uomo con­ d annato a portare occh iali blu vedesse solo e semp re immagini monocromatiche in un mondo colorato. Se la filosofia del1 'esperienza è intesa in questo senso, l 'indivisibilità potrebb e essere data dalla diversità fra le strutture di quella c h e è stata denominata realtà intrinseca e le strutture spaziali (o spazio­ temp orali). Sapp iamo bene che è difficile scegliere tra i due punti di vista. Il secondo urta contro le obiezioni dei p ositivisti radi­ cali, per i quali la nozione di realtà intrinseca non è su scetti­ b ile di alcuna definizione soddisfacente (in particolare, non sussiste neppure il problema di forn irne una definizione opera­ z io nale ! ). Il primo sembra ingigantire l 'aspetto misterioso delle regolarità osservate nei fenomeni e p iù ancora, forse, del fatto stesso che possano esistere più esseri umani, ciascuno in grado d i avere percezioni delle cose e di metterle a confronto .

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Capitolo terso

D iscussio ne

La filosofia dell 'esperienza è stata di grande aiuto agli scien­ z iati contemporanei, al punto da diventare un loro abito men­ tale, una sorta di risposta automatica ai problemi. Su questo ha indubbiamente influito l'aver dovuto abbandonare, l 'una dopo l 'altra, quasi tu tte le nozioni " chiare e distinte " , un tempo così utili da sembrare del tu tto natu ral i : ad esempio la no­ zione di tempo universale, o ancora quelle di posizione e di velocità istantanee associate al baricentro dei corp i. A fronte di una tale rivoluzione concettuale, gli scienziati p resero a du­ b itare della validità universale anche di contatti apparentemente owi. Questi dubbi, di cui spesso i non addetti ai lavori faticano a rendersi conto (in verità il dialogo tra uomini di scienza e " uomini di pensiero " è talvolta reso difficile dalla facilità con cui questi assolutizzano, come imperativi logici, idee di cui i prim i hanno riconosciuto il carattere co ntingente), 1 1 sono leciti e necessari ; in ogni caso rivelano un gran vu oto . Apparente­ mente, l 'unica via per colmare questo vuoto è proprio un riferi­ mento molto esplicito all 'esperienza nella definizione dei con­ cetti fondamentali ; perché s ì , i concetti saranno anche tutti inadeguati, diffidarne è d 'obbligo, ma l 'esperienza riprodu cibile, non mente di sicuro ! O almeno le sue menzogne sono le stesse, per tutti e in ogni circostanza : la validità, l 'utilità, il grande interesse della scienza non verrebbero meno, dunque, anche se essa fosse il semplice stu dio delle loro regolarità! E poi, non p otrà fare a meno di chiedersi il filosofo dell 'esperienza, con quale criterio definire menzognero un sistema di apparenze le cui regolarità si ripetono senza eccezioni p er chiunque? Erano d avvero ingenui, quei filosofi del passato, nella loro ostinata ricerca di un reale al di là delle apparenze ! Non si può negare che queste osservazioni, almeno in p arte , s iano p ertinenti. Con l'aumentare delle conoscenze, sono sem­ p re p iù numerose qu elle di cui si può ben dire che, p rima ancora di qualche mondo esterno o verità assoluta, riguardano noi, la nostra stru ttura di esseri umani. Così , non di rado, in passato, la mente del filosofo, non p aga della grossolanità dei dati

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sensoriali, di cui denunciava l ' aspetto ingannevole e " tropp o umano", s i volgeva come a un riferimento ideale alla matema­ tica, supposta per antitesi attingere alla sfera delle realtà asso­ lute : nobile convinzione, questa, speranza luminosa e idea ardita, certo, di cui è illustrazione esemplare l ' opera di Spinoza. In realtà, si sa oggi che i concetti fondamentali della mate­ matica e della logica sono costruiti a poco a poco dal bambino a p artire da operazioni sugli oggetti, con " astrazione delle co­ noscenze a partire dall 'azione " , per dirla con Piaget ; 12 vi è anche la p ossibilità, suggerita da M onod, 1 3 che quei concetti siano stati ereditati dai nostri antenati preominidi che li ave­ vano costruiti in tal modo. Nell 'una come nell 'altra ip otesi essi esp rimono in modo immediato le varie possibilità di azione dell 'essere umano. Sul fatto che riflettano anche, indiretta­ m ente, una realtà eterna si può discu tere ; il problema è de­ l icato, ed è dunque chiara oggi tutta l 'ingenuità di quei temp i in cui la risposta al quesito era un " s ì " irriflessivo e sp ontaneo, come se ciò fosse evidente . Cosciente di queste verità, n o n mi stup irò eccessivamente della riduzione che di tutta la realtà atomica e molecolare si fa nella filosofia di Bohr, ove la si riconduce in definitiva a quella di strumenti, definiti a loro volta soltanto attraverso il loro uso da parte dell 'uomo. Devo tu ttavia riconoscere che in tal modo Bohr ha pressoché demolito la costruzione copernicana : ha rimesso l'uomo al centro della sua rappresentazione dell'uni­ verso, di dove C opernico lo aveva scacciato. Cosa ancora più notevole, in questo movimento di ritorno l'ago della bilancia ha oltrep assato il punto di origine , poiché la concezione p recopernican a del mondo era infin itamente più realista di quella che dovrebbe essere professata dalla stragrande maggioranza degli scienziati odierni, se fossero interamente coerenti con sé stessi per quanto concerne le loro idee generali. Penso a quanti, pur considerando come stabilita la riduzione, in linea di principio, di tu tte le scienze esatte alla fisica atomica e molecolare, al tempo stesso vanno dicendo che il p roblema dell'interpretazione fisica della meccanica quantistica non si p one, dal momento che esso è già stato risolto da Bohr. Certo tale problema è stato risolto, ma nel quadro di u na concezione

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Capitolo terso

in cui la n ozione di realtà delle proprietà degli oggetti sembra proprio essere rigorosamente subord inata a quella di e sperienza umana e avere un significato solo attraverso questa. Per quanto riguarda tale subordinazione e le ragioni per accettarla, è interessante n otare l'opinione di Wolfgang Pau li, uno dei p adri della teoria atomica. 1 4 Discutendo e contestando la concezione realista di Einstein (che coerentemente criticava la formulazione della scuola di Copenaghen), Pauli rileva l'inesattezza della concezione che ad ogni corp o, anche macroscopico , assegna ad ogni istante una posizione almeno approssimativamente deter­ minata. Secondo lui sarebbero perfettamen te concepibili, in linea di principio, esperimenti di diffrazione 1 5 su oggetti ma­ croscopici di dimensioni qualunque, 1 6 e i cui baricentri occu­ passero proprio una p osizione indeterminata (e non, magari, determinata con una certa approssimazione) ; l'esistenza di una posizione ben precisa, nel momento di una nuova osservazione, n onché la costatazione che l' oggetto " è là ", sarebbero creazioni al di fu ori delle leggi naturali. Pauli non ha dubb i : figurarsi che in queste condizioni elementi di realtà, preesistenti all 'os­ servazione , fissino anticipatamente il luogo in cui l'oggetto dovrà trovarsi, sarebbe indulgere a congetture sull 'esistenza di realtà ignote e in definitiva inconoscibili (poiché l'osservazione considerata ci informa direttamente solo su ciò che accade nel momento in cui la si effettua) : " L 'effettiva esistenza di un og­ getto inconoscibile ci dovrebbe interessare tanto poco quanto la vecchia questione di sapere quan ti angeli possano stare sulla cap occhia di uno spillo . " I l baricentro del p ianeta Giove era già nell'orbita i n cui oggi lo si osserva, prima della n otte fatidica in cui, per la prima volta, un membro della comunità umana alzò gli occhi verso il cielo stellato? Questione stupida, dirà uno scienziato preso a caso, poiché ovviamente si impone una risposta affermativa. Que­ s tione assurda, priva di significato, avrebbe senza dubbio detto Pauli, proprio p erché verte su un oggetto inconoscibile . 17 Pur se i due giudizi collimano, le rispettive motivaz ioni sono evidentemente ben diverse. Prendendo per buona quella dello " s cienziato qualunque" , non potrò p iù sostenere che la

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soluzione definitiva, data dalla scu ola di C op enaghen ai pro­ blemi di interpretazione della teoria atomica, rende inutile la rip roposizione di problemi di tal fatta. Adottando invece la motivazione di Pauli n on avrò la minima esitazione a schie­ rarm i da quella parte ; ma che dire di descrizioni scientifiche come quella, ad esempio, dell 'origine del sistema solare ? Pro­ babilmente concluderò che in fondo si tratta di semplici me­ tafore, di miti se si preferisce, in sostanza p aragonabili (anche se naturalmente di p ortata ben più vasta) a quelli con cui i primitivi organizzavano e razionalizzavano le loro concezioni del mondo ; paragonabili anche al "mito " dell 'eclittica, cioè al modello, che resta utile anche oggi, secondo cu i la terra è fissa e il sole p ercorre la sfera delle stelle. Estensione e coe­ renza del modello dell'eclittica sono certamente inferiori a quelle delle moderne teorie planetarie , ma affermare che quello è in teramente falso e queste invece " descrivono ciò che è" sarebbe contrario all 'assunto fondamentale della filosofia dell'esperienza. C ome ben si vede, la filosofia dell 'esperienza stenta note­ volmente a rendere accettabili alla mentalità moderna alcune conseguenze estreme, d ' altronde implicazioni necessarie , della propria concezione antropocentrica del reale. Privi della lucidità di un P auli, molti dei più ferventi sostenitori della su a applicazione alla scienza arretrano davanti alle sue conseguenze ; non di rado sperano, gli ingenui, di p otere aggirare l 'ostacolo trattando la filosofia dell 'esp erienza come un metodo , dandosi la massima di " evitar� ogni filosofia " . Ma i problemi concettuali non si risolvono attraverso norme di comp ortamento ! Il rea­ lista (a p iù forte ragione il materialista), disp osto a prendere alla lettera le descrizioni della paleontologia o dell 'astrofisica, dovrebbe essere letteralm ente assillato dai problemi dei fon­ damenti, né fermarsi nella ricerca prima di averne trovata (senza rifarsi esclusivamente all'opera di Bohr) la soluzione. Di fatto, l'unica definizione di stato di un sistema fisico accettata dai più autorevoli fisici teorici identifica tale stato con un processo di " p reparazione da parte dell'uom o " (si può mostrare che l 'identificazione con una p reparazione naturale, senza inter­ ven to umano, fa risorgere tu tte le difficoltà che il realismo

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Capitolo terzo

incontra sul versante della meccanica qu antistica). Non è una soluzione, di fronte a tale ambiguità, il semplice precetto di rifuggire dalle filosofie. Ma in tutto questo, l'asp etto p iù sorp rendente, per il reali­ sta, è la fecondità dell 'applicazione della filosofia dell 'espe­ rienza alla teoria atomica : qu ella messe di risultati scientifici e tecnologici non è più stata raggiunta da nessun altro metodo. È assodato che le scienze della materia (di cui oggi la stessa biologia si auto definisce una branca), almeno in parte hanno radici nella teoria atomico-molecolare ; occorre allora arrendersi all 'evidenza e ammettere che esse si fondano su una scienza che, secondo una celebre frase di Heisenberg, " non è che u n anello della catena infinita dei dialogh i tra l'uomo e l a natura e non può più parlare semplicemente di n atura in sé ". 1 8 Fino alla scoperta del principio della non-separabilità, che esamineremo più avanti, si p oteva ancora sperare che tutti gli aspetti paradossali della meccanica qu antistica, nell 'in ter­ pretazione della scu ola di Copenagh en, sarebbero scomp arsi sostituendo questa meccanica o la sua interpretazione con teorie p iù complete o p iù sottili. Ora sappiamo che le cose non stanno in questi termini : la non-sep arabilità (uno di quegli aspetti app arentemente p aradossali) si avvale infatti, come si vedrà, di prove sperimentali indipendenti dai prin c ì p i della meccanica quantistica. È sicuro ormai che alcuni antichi presupp osti filosofici (realtà intrinseca dello spaziotemp o fisico, causalità, località) della rapp resen tazione scientifica dell'universo sono da cambiare, e proprio nel senso suggerito dalla meccanica quantistica. Non è comu nque detto che tu tti i suggerimenti di questa siano da p rendere come conclusioni definitive. I n particolare, la rivoluzione anticopernicana, il ritorn o dell' ago della bilancia verso un idealism o semplicemente velato di positivismo sono punti sui quali la discussione è an­ cora aperta. Una discu ssione che sarà tentata nelle p agine che seguono.

Filosofia dell'esperiema

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No te al capitolo terr. o 1 A ch i considera coerente la filosofia di Kant si offre p e r ciò stesso un'alterna­ tiva: in tale filosofia infatti la causalità è solo un elemento a p riori dell 'intelletto um ano, a torto attribu ito alle cose stesse. 2 L'esistenza della teoria della relatività si crede non possa essere ignorata da u na persona di media cul tura, mentre della meccanica qu'antistica chiunque può tranquil­ lam ente ammettere di non aver mai sentito parlare ; qu esto fatto può suggerire inte­ ressanti riflession i su i criteri ch e presiedono alle scelte culturali. 3 Le camere a nebbia hanno usi moltep l ici. Ne consideriamo qu i soltanto uno, quello che le accomuna alle cellule fotoelettriche. 4 Questo è il punto di partenza della teoria delle onde p ilota di Lou is de Brogl ie. 5 La teoria ottenuta incorpora in modo sottile alcune influ enze a distanza; si dice che i parametri nascosti sono non local i. 6 Essi non hanno però col to la non-località dei parametri nascosti, prova della non-sep arabilità che sarà esam inata p iù avanti. 7 Così, nell'esem pio appena descritto non si è mai riusciti a prevedere in quale p arte della camera a nebbia avrebbe avuto luogo il fenom eno di sottraz ione del­ l'elettrone, né per mezzo delle teorie a param etri nascosti né per mezzo di qualsiasi altra teoria. Giustam ente si parla allora di parametri " nascosti" o inesistenti. 1 La stessa ch iarezza non si ritrova in al tre sue opere, che creano notevoli diffi­ coltà di in terp retazione. 9 Vedi la prefazione di Einstein alla raccolta di saggi " Lou is de Broglie physicien et penseur" (Albin M iche!, Parigi 1 9 5 3 ) p. 46. 10 L'esperimento detto delle "fenditure di Young" consiste nell' inviare un fascio di p articelle, per esempio di fotoni, su u no schermo forato con due fenditure ravvi­ c inate. Su un secondo schermo, posto oltre il p rimo, si osservano allora "frange di interferenza'', cioè alternanze di ombra e di luce, che scompaiono se si ottura u na qualunque delle fenditu re. L'ipotesi che ogni p articella abbia in ogni istante una p o­ siz ione ben prec isa rende difficoltosa la sp iegazione del fenomeno : infatti, la par­ t icella passerebbe necessariamente per u na ben determinata fenditura, e di conse­ guenza, quando le due fenditure sono aperte simultaneamente, l' immagine sul se­ condo sch ermo dovrebbe essere una sempl ice sovrapposizione di quelle ottenu te quando è aperta soltanto una delle due ; a m eno di non fare l 'ulteriore ipotesi che la traiettoria di ogni particella passante per u na delle fenditure sia influenzata dall'esser l'altra fenditura aperta o chiu sa (ipotesi artificiosa, questa, nel quadro della fisica tradiz ionale). 1 1 Per esempio l'idea che nessu n oggetto può essere contemporaneamente nello stesso luogo di un altro oggetto. 1 2 Il bambino scopre la possibil ità di definire un numero di oggetti, indipenden­ temente dal loro ordine, raccogl iendo, in concreto o mentalm ente, una collezione di oggetti sim ili, ordinandoli in file o in cerch io e costatando una relaz ione di indi­ pendenza tra queste due op eraz ioni; vedi J . Piaget, Psicologia ed epistem ologia, trad. it. ( Loesch er, Torino 1 971 ). 13 J. Monod, Il caso e la necessità, trad. it. (Mondadori, Milano 1 970). 1 4 Vedi A. Einstein e M. Born, Scienza e vita : lettere 1916-55, trad. it. ( E inaudi, Torino 1 9 73 ). 1 5 Tali esperim enti sono consueti, con i fotoni. 16 In realtà oggi si tende a credere che solidi di massa superiore a 1 0 - • • g circa non possano essere oggetto, neanche in l inea di principio, di esperim enti di diffra­ z ione. Questo perché la distribuz ione di probabilità della posizione del baricentro di qualunque corpo di massa finita è soggetta a fluttuazioni quantistiche dovute all'esistenza delle relaz ioni di indeterm inaz ione. Ora la teoria della relatività gene-

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Capitolo terso

raie fa dip endere la curvatura dello spaz io, e p iù in generale la sua m etrica, dalla di­ stribuzione delle masse. Queste entità du nqu e fluttuano. Ciò può provocare, tra du e term ini di una sostituz ione lineare di onde di materia, differenze di fase ( aleatorie) apprezzabili e dunque distruggere la coerenza. I dee di tal tipo sono state sviluppate in particolare da Karolyhasi ; vedi anche il saggi o di A. Frenkel in J. L. Lopes e M. Paty (a cura di), Quan tum Mecbanics a Hai[ Century Later ( Reidel, Dordrech t 1 9 77). 1 7 A hn eno nel senso letterale del term ine. La filosofia dell'esperienza riconosce sì un senso ad affermaz ion i riguardanti il p assato, ma solo in quanto anelli di u na catena ipotetico-deduttiva che permette di fare previsioni sulle osservazioni future, lim itatamente cioè alla coerenza ch e esse consentono di stabilire nel concatenamento delle percezioni di esseri umani attuahnente viventi (vedi p. 82). 1 8 W. H eisenberg, Das Naturbild der beutigen Pbysik ( Rowohlt, Amburgo 1 956).

Capitolo 4 La non-separabilità

Il metodo scientifico per la verifica di u n 'ip otesi consiste nel dedurre da essa conseguenze osservabili, per p oi cercare di rile­ varle in opportuni esperimenti. Se i risultati sono conformi alle p revisioni, l'ipotesi segna un punto a proprio favore, ma non riceve la conferma definitiva : altre ipotesi infatti avrebbero potuto avere le stesse conseguenze. Al contrario, l'accertata incomp atibilità dei risultati sperimentali con le previsioni dedotte dall'ipotesi è già sufficiente , in linea di principio, per stabilirne definitivamente la falsità. Così si sp iega come il metodo scientifico sia di massimo interesse proprio nel mo­ mento in cui conduce a rifiutare idee alle quali in precedenza si era accordata u na credenza sp on tanea : è allora che, come in un'illuminazione, dobbiamo riconoscere che in realtà ci sono " p iù cose nel cielo e sulla terra" di quante il nostro bu on senso possa cogliere. È questo che si sta tentando di fare da alcuni anni in una branca della fisica atomica e corpuscolare : dimostrare, non già richiamandosi ai soliti argomenti (frequenti in fisica, ma filoso­ ficamente molto criticabili) di plausibilità, di semplicità o mas­ sima utilità, ma al contrario, con tutto il rigore matematico delle dimostrazioni p er assurdo, la segu en te proposizione : " Se al concetto di realtà indipendente dall 'uomo, ma accessibile al suo sap ere, si riconosce u n senso, allora una tale realtà è necessaria-

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Capitolo quarto

mente non separabile . " I ntendendo con ciò che p arti di questa realtà, supposte localizzabili nello spazio, che abbiamo intera­ gito secondo certe modalità, e definite in u n tempo in cui erano vicine, continuano a interagire, qualunque sia il loro allontana­ mento reciproco, e ciò per mezzo di influenze istantanee . Di fatto, tale proprietà re�de ben p o co credibili tutte le ipo­ tesi di inserimento della realtà indipendente in uno spazio o in uno spaziotempo. L ' impatto di una simile proposizione sul nostro modo di vedere il mondo non può che essere notevole ; tenterò di descriverlo nei prossimi capitoli. Ogni dimostrazione ha n ecessariamente aspetti di rigore e questa non fa certo e ccezione (sarebbe sorprendente il contrario, vista l'importanza del fine p erseguito ) . Il rigore della presente dimostrazione è tuttavia u n p o' particolare, non consistendo nell'uso di u n gergo tecnico o di un formalismo matematico per iniziati, ma semplicemente nella diligenza necessaria per seguire il filo dell'argomen tazione . È bene che il lettore sappia fin d'ora che l'interesse di questo capitolo non è dato dai lemmi A e B che saranno illustrati di qui a poco in un caso p articolare né dal teorema della p agina 48 (hanno, questi, un carattere preliminarç:), bensì dal fatto che le conclusioni, e dunque anche le premesse, di quel teorema in alcuni casi si rivelano inesatte (vedi oltre il p aragrafo sulla non-separabilità) . I lemmi A . In una popolazione q ualunque il numero delle do nne di meno di quarant 'anni è minore o uguale al numero delle do nne fumatrici aumentato del numero dei non fumatori di età infe­ riore a quarant'anni (fig. 1 ).

Per la dimostrazione, si consideri una donna di meno di qua­ rant'anni (per brevità, la chiameremo gio vane ) ; si possono prendere in considerazione tu tte le specie di classi di cui fa parte, ad esempio quella dei giovani, quella delle do nne, quella dei b ipedi razio cinanti e così via. In particolare, è chiaro che ella fa necessariamente p arte o della classe delle donne fuma­ trici o di quella dei giovani non fumatori (se è fum atrice fa

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NF

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Figura 1 Il lemma A: U, uomo ; D, donna ; F, fum atore; NF, non fumatore ; + 40 ( - 40), p iù (meno) di qu arant'anni.

parte della prima, se non lo è fa p arte della seconda ) . In una p opolazione qualunque il numero delle giovani donne è dun­ que necessariamente inferiore o al massimo ugu ale al totale delle donne fumatrici aumentato di quello dei giovani non fu­ matori (queste due classi essendo disgiunte ) . È questa la dimo­ strazione del lemma. I metodi della statistica p ermettono di generalizzare questo enunciato. Gli istituti preposti ai sondaggi, le società di assi­ curazione ecc. sanno benissimo che, se si ha a che fare con una p opolazione abbastanza numerosa, è p ossibile selezionare nel suo interno campioni rappresentativi. La legge dei grandi nu­ meri ha come effetto che in tali campioni le p roporzioni degli individu i in possesso di questa o quella qualità sono le stesse che nella p opolazione completa, o almeno vi si avvicinano, con una precisione che può essere migliorata a p iacere aumentando le dimensioni del camp ione. Selezionerò dunque nella p opola­ zione totale tre cani.pioni rappresentativi di uguale dimensione (cioè tutti con lo stesso numero di individui) che indicherò

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Capitolo quarto

con i numeri 1 , 2 e 3 . Ciò consentirà di formulare il lemma B (di cui si dà u n enunciato volutamente semplificato p er evitare di introdurre dettagli irrilevanti p er le future applicazioni) ; 1 la validità di tale lemma deriva dalla validità del lemma A .

B . Quando la dimensione dei campio ni è sufficiente, il numero delle donne di meno di quarant 'anni del campio ne 1 è minore o uguale al numero delle donne fumatrici del campione 2 aumentato del numero di non fumatori di età inferiore a quarant 'anni del campio ne 3. D 'altro canto è chiaro che la dimostrazione di questo lemma n on mette in gioco la natura delle proprietà che servono a ca­ ratterizzare i campioni in questione . Proprio come il lemma A, il lemma B è un lemma di matematica pura, ed è p ertanto ge­ n eralizzabile a proprietà qualunque. Occorre soltanto che que­ ste ultime siano dicotomiche, cioè che le p ossibilità associate a ciascuna si riducano a una semplice alternativa, uomo-donna, fumatore-non fumatore ecc., esprimibile sempre in forma con­ venzionale e con i segni + e -. I l lemma B costituisce una tappa molto importante nell 'ar­ gomentazione qui e sp osta ; la relazione che esso enuncia si collega a un tipo generale di disu'guaglianze, chiamate " disu­ guaglianze di Bell " .

Il caso delle misure

Uno dei contributi più significativi della filosofia è l 'avere posto l'accento sulla nostra impossibilità di avere una cono­ scenza diretta del mondo che ci circonda. 2 Dobbiamo osservare, e, se cerchiamo la precisione, misurare ; ciò che conosciamo allora consiste proprio nei risultati di queste misure . I n generale, le quantità macroscopiche sembrano misurabili senza essere granché modificate dall'operazione stessa : in questo caso è dunque ragionevole affermare che si conoscono proprio le proprietà che si sono misurate . In compenso, quando si ha a che fare con quantità microscopiche, con grandezze as­ sociate all'atomo per esempio, accade non di rado che queste

LA non-separabilità

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siano p erturbate, o chissà, in alcuni casi determinate dallo strumento di misura. L'esistenza stessa di tale possibilità è un chiaro invito ad astenersi da affermazioni awentate : invece di parlare di conoscenza, consegu ente alle misure effettuate , di una certa proprietà del sistema fisico, parrebbe p iù giusto dire solo che l'effettuazione delle operazioni necessarie p er misu rare la proprietà in questione, ha fornito, p er quel sistema, un certo risultato . Pertanto, volendo applicare direttamente i lemmi A e B all'atomo o a qualsivoglia sistema microscopico, la prima do­ manda da p orsi è la seguente : qu esti lemmi, enunciati per proprietà possedute da sistemi (l ' essere di sesso femminile , l 'essere fumatore ecc. ) sono generalizzabili ai risulta ti di mi­ sura, e in particolare lo sono anche quando l 'interazione con gli strumenti rischia di perturbare, o p ersino di generare in qualche modo il risultato ? I lemmi mettono in gioco tre proprietà p ossedute da cia­ scun sistema. Una p rim a mo dalità di generalizzarli è quella di considerare il caso in cui su ogni sistema tali proprietà sono misurate, l 'una dopo l ' altra, in u n ordine scelto una volta per tutte e che deve essere lo stesso p er ciascun sistema . Com'è facile verificare, a meno di un semplice cambiamento di voca­ b olario (sostituzione di " proprietà" con "risultati di misure " corrispondenti) la dimostrazione dei lemmi è ripetibile ; per di p iù la sua validità non viene meno per il fatto che, p er esem­ p io, l 'effettuazione della prima misura possa aver influenzato il risu ltato della seconda. Non svilupperò tuttavia questo primo tip o di generalizzazione, poiché fino ad oggi esso non ha avuto applicazioni in grado di aprire nu ove prospettive. Più interessante, in questo senso , sarebbe una generalizza­ zione (malauguratamente non immediata) del lemma B al caso in cui sul singolo sistema si effettuassero materialmente solo due misure e non tre. Per esemp io , pensiamo di scegliere tre grupp i-campione, di p ari consistenza numerica, da una p op ola­ z ione di studenti, tutti con lo stesso curriculum scolastico. Agli stu denti si chiede di sostenere tre esam i : latino, greco e cinese ; p er ip otesi, ogni stu dente darà due esami distinti, gli stessi in ogni campione. La generalizzazione del lemma B, se fosse vera,

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Capitolo quarto

si enuncerebbe nel modo seguente :

Il numero degli studenti pro mossi sia in latino che in greco è necessariamente minore o uguale al numero degli studenti promossi sia in latino che in cinese aumentato del numero di studenti promossi in greco e respinti in cinese . Tale enunciato in alcuni casi è falso . È sufficiente per esem­ pio che l'esame di cinese abbia luogo prima degli altri due e sia particolarmente faticoso. Al limite, il solo fatto di parteciparvi può stancare il candidato , al punto da rendere inevitabile la bocciatura all 'esame successivo ; invece è normale la percentuale dei promossi tra coloro che si presentano ai soli e sami di latino e di greco. Beninteso tali eccezioni riguardano semplicemente il fatto che, nell'esempio, quelle percentuali riflettono male le attitu­ d ini reali dei candidati. Un enunciato simile al precedente, che tenesse conto di queste (e n on dei risultati registrati agli esami) sarebbe invece esatto . Di qui la domanda : si possono inventare situazioni particolari in cui vi sia la certezza che due sole ope­ razioni di misura bastino a fornire un quadro fedele delle proprietà delle grandezze considerate ? Situazioni che, nel­ l'esempio degli esami, eliminino il fattore fatica o le altre fonti di perturbazione ? L a risposta è affermativa, ma solo i n casi p articolari, c h é a entrare in gioco non sono più popolazioni di singoli, ma di coppie mutuamente correlate . Esporremo ora in dettaglio come si articola il ragionamento che trae spunto da questo concetto. L'esame delle coppie

Si è appena costatato che la disuguaglianza che costituisce l 'enunciato del lemma B non è d irettamente generalizzabile al caso in cui sugli stessi individui siano effettuate due (o più) misure. Come trovare allora situazioni che consentano di affer­ mare con certezza, sotto ragionevoli ipotesi, la validità di una simile disuguaglianza, che p er forza dovrà riguardare diretta­ mente risultati di misura? Chiaramente, v'è bisogno di un 'idea nuova, un 'idea-guida

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con cui percorrere p asso passo, fin dall 'inizio, tu tta l 'argomen­ tazione. La nuova idea che permetterà una tale ap ertura è la seguente : considerare non già misure (o prove) effettuate su u na p opo­ lazione di individui, bensì su una popolazione di coppie . Così , tanto per fare u n esempio che ha a che fare con gli esami, pen­ siamo a u na u n iversità cui p ossano accedere solo coppie di gemelli identici. Per evitare che la fatica di un esame p ossa influ enzare l 'esito di un altro, gli studenti, isolati dai comp a­ gni, sosterranno un esame a testa. Perfezioniamo l 'idea, imma­ ginando altresì che in quella u niversità si sia notato che già da p arecchi anni, ogniqualvolta u na copp ia di gemelli si presenta allo stesso esame, conosce o un doppio successo o un doppio insuccesso (si parla in questi casi di una correlazione stretta positiva ; la correlazione sarebbe stretta e negativa se , al con­ trario, ogni coppia comp ortasse un p romosso e un bocciato ). Accantonato per il momento il problema di trovare imme­ diatamente un analogo del lemma B, limitiamoci in primo luogo a esaminare quelle che, date le circostanze, sono le uni­ che affermazioni possibili. 3 Per semplicità scartiamo p er ora le ipotesi di frode o di qualsivoglia p ertu rbazione. Ecco dunque le statistiche affermare che mai gemello in qu ella u niversità è stato promosso senza che ugual sorte capitasse anche al fratello . Che cosa s e n e conclude? Sicuramente spunti interessanti p er il sociologo o per lo sp ecialista in biologia umana ; in particolare, però, un banalissimo ragio namento per assurdo p ermette di enun ciare, in tutta certezza, la seguente conclusione : non il caso, ma attitudini preesistenti all'esame hanno determinato il suc­ cesso o l 'insu ccesso di ogni candidato . Infatti, se tutti gli stu­ denti, o anche soltanto alcu ni, avessero risposto non secondo le loro tendenze ma affidandosi al caso , in alcune fra le tante cop p ie di gemelli le risp oste dell 'uno e dell 'altro fratello sareb­ bero state discordanti, una giusta e l 'altra sbagliata. Poiché l 'ipotesi esclude questa eventu alità, se ne conclude che nelle risp oste il caso non ha avu to u n ruolo significativo : saranno invece attitudini preesistenti, correlate e fedelmente4 riflesse dalle " misure" ( il risultato statistico) a fornire la corretta

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Capitolo quarto

sp iegazione dei fatti. Che poi una tale correlazione (tra le atti­ tudini dei fratelli ) esista veramente, non comp orta evidente­ mente alcun mistero : i gemelli hanno gli stessi cromosomi e inoltre sono stati educati insieme , hanno seguito gli stessi corsi e cos ì via. Occorre altro per spiegare le loro identiche inclina­ zioni? In tal modo, in p resenza di certi fatti, si è sgomberato il campo dall 'ip otesi di una generazione casuale dei risultati negli anni precedenti ; o almeno tale cértezza si è ottenuta per tutte le copp ie in cui i due fratelli si sono presentati a uno stesso esame, qu alu nque esso fosse. Si può anche dire : "Tutti gli appartenen ti a coppie di fratelli p resentatisi entrambi all 'esame di latino , ancor prima della prova avevano una particolare pre­ disposizione al su ccesso o al fallimento in questa materia, circostanza questa fedelmente rispecch iata dai risultati " ; un'af­ fermazione analoga vale per le coppie di fratelli che hanno sostenuto entrambi l 'esame di greco e cos ì via. Supponiamo ora che nella nostra università il numero degli stu denti sia immensamente grande, che questi seguano tutti gli stessi corsi e che soltanto all'ultimo minuto ciascu no sorteggi l 'unico esame che dovrà sostenere, senza però p oter riferire il risultato del sorteggio né al fratello né ad altri. Fino a quel momento la popolazione dell'università è omogenea : pertanto, se si rilevasse , ancora una volta, una correlazione stretta nei risultati (immensamente numerosi) delle coppie i cui due ele­ menti hanno sorteggiato la stessa materia, sarebbe del tutto arbitrario concludere che, prima della seduta di e sami, soltanto gli studenti il cui fratello avesse in sorte l'esame da loro stessi sorteggiato sarebbero dotati di attitudini tanto caratterizzanti da determinare strettamente il su ccesso o l'insuccesso ! Tale coincidenza è infatti ben p oco probabile : in altri termini, la certezza (precedentemente acquisita) che vi siano studenti in possesso, prima ancora del sorteggio, di attitu dini del tipo de­ scritto, per esempio in latino, dev'essere estesa di fatto a tutti gli studenti, compresi quelli il cui fratello non avrà in sorte il latino e quelli che a loro volta n on sorteggeranno questa ma­ teria. Lo stesso varrà naturalmente per il greco, il cinese e ogni altra materia di cu i gli studenti seguono i corsi.

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Un elementare ragionamento per assurdo non può che confermare il nostro giudizio su questo punto. Poniamo infatti che un numero statisticamente significativo di studenti non abbia alcuna precisa attitudine riguardo a una p articolare ma­ teria (senz 'altra risorsa dunque che quella di rispondere a caso ) ; nel momento del sorteggio potrebbe benissimo accadere che due gemelli (di cui uno almeno in quelle con dizioni) sorteggino entrambi la materia in questione. I n una u niversità molto af­ follata ciò si verificherebbe per non poche coppie : la conse­ guenza, statisticamente inevitabile, sarebbe una correlazione imperfetta nei risultati di queste coppie. 5 Per ipotesi non ac­ cade nu lla di simile ! Ancor prim a del sorteggio tu tti gli studenti hanno du nque ben precise attitu dini in ogn i materia di cui hanno segu ito il corso ; beninteso, viste le correlazioni strette osservate, esse non possono che coincidere per i due elementi di una stessa copp ia. Il teorem a fondamentale

Le premesse di quanto mi accingo a illustrare coincidono con le ultime conclusioni del p aragrafo precedente ; sarà dunque impossibile metterne in discussione la validità senza contestare anche quella del ragionamento che ha condotto ad esse, mo­ strando per esempio che quest'ultimo è errato o si fonda a sua volta su p remesse che non tu tte si impongono con necessità. Brevemente : una vera comprensione del presente paragrafo non può prescindere dal contenuto del paragrafo precedente. Riassumendo, le conclusioni di p rima sono le seguenti (nel­ l'ip otesi di assenza di comunicazione tra candidati) : a ) in quella università gli studenti hanno sempre alla fine dell 'anno (ma anche prim a del sorteggio ) u na sp iccata predisp osizione al successo o al fallimento negli esami di ogni materia insegnata , 6 b ) le rilevazioni effettuate (I 'unico esame sostenuto da ogni individuo) rispecchiano fedelmente tali attitudini, e infine e) i gemelli di una stessa coppia hanno, nel momento della prova, esattamente le stesse attitu dini. Finora l'attenzione si è rivolta principalmente alle coppie di

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Capitolo quarto

gemelli che si trovino a sorteggiare entrambi la stessa materia. Per chiarezza le m aterie insegnate saranno ancora latino, greco e cinese, e verrà mantenuta l'ip otesi di un sorteggio fatto al­ l 'ultimo minuto, per ogni stu dente, della materia d 'esame . Oltre ai tre insiemi di coppie di gemelli che sostengono entramb i l'esame nella stessa materia (rispettivamente latino, greco e cinese ) ve ne sono altri tre, uguali (statisticamente ) come nu­ mero di coppie, 7 in corrispondenza alle varie p ossibilità di estrazione : latino, greco ; latino, cinese ; greco, cinese . Si può allora affermare, in virtù delle precedenti osservazioni, che i risultati degli esami danno informazioni esatte sulle attitudini di ogni coppia in due materie : di quelle ten denze essi sono infatti lo specchio fedele e inoltre ogni studente ha le stesse attitu dini del fratello (vedi paragrafo precedente ) . Consideriamo ad esempio una coppia, in cui un fratello abbia dato l 'esame di latino e l'altro di greco ; da un successo del primo e da una boc­ ciatura del secondo trarrò la seguente informazione : la coppia (cioè ciascuno dei due gemelli della coppia) già prima del sorteggio, era can didata al successo in latino e alla bocciatura m greco. Le attitudini individuali preesistono dunque al sorteggio, e sono anzi molto precise p er qu anto attiene al successo o all 'in­ successo in latino, greco e cinese . Si può dunque ripetere ora parola p er p arola il ragionamento che ha garantito la validità del lemma B : già prima dell'estrazione, l'esser p redisposti al suc­ cesso in latino e in greco indica l'appartenenza o alla classe di coloro che lo sono sia in latino che in cinese, o alla classe di quelli che hanno significative attitudini in greco, ma non in cinese . Le due classi sono disgiunte, e pertanto (nella n ostra università) : Il numero di studenti portati nello stesso tempo al su ccesso in latino e in greco è necessariamente minore o uguale al nu­ mero di studenti che lo sono sia in latino che in cinese aumentato del numero di quelli che soddisfano all 'identica condizio ne per il greco, ma non per il cinese.

Ci si può chiedere se tale enunciato sia verificabile dall 'espe­ rienza, se, in altri termini, le statistiche dei risultati degli esami diano proprio le percentu ali di studenti in questione .

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Sostanzialmente l a risposta è affermativa. Infatti, sempre ri­ ferendosi alle conclusioni del precedente p aragrafo (e sempre che beninteso il voto ottenuto da uno dei fratelli non sia in­ fluenzato dal sorteggio o dal risultato dell 'altro , ipotesi scar­ tata), si sa che le risposte effettive riflettono fedelmente le attitudini della coppia che le ha date . Per esempio, nell 'in­ sieme delle coppie che hanno avuto in sorte il latino e il greco l'analisi dei risultati consente di , vettore di stato che descrive il "vuoto " dei fisici teorici, quel vuoto che, come sanno gli specialisti, pullula di oggetti situati a metà cammino tra il virtuale e l'attuale). A tale riguardo è estremamente interessante notare come l'inadeguatezza dei concetti tratti dall 'esp erienza (o dall 'azio ne) alla descrizione di qualunque oggetto cui si possa pensare come a una realtà indipendente, sia anche un tratto distintivo, p er esempio, del pensiero spinoziano, dove la sostanza è infinita, mentre la nostra azione è sul finito. Talvolta alla sostanza (alla realtà intrinseca) Spinoza dà il nome di natura naturans, cui si contrappone in modo owio la natura natura ta , che nel linguag­ gio attuale indicherebbe, grosso modo, il mondo fenomenico. Tale contrapposizione mostra chiaramente la differenza che bi­ sogna effettivamente stabilire, come si è più volte sottolineato nelle pagine precedenti, tra la realtà intrinseca (l'essere) e quella realtà emp irica, descritta per mezzo dei concetti usuali, in cui proiettiamo tanto di noi stessi. In questo caso il linguaggio spi­ noziano (e si potrebbe dire altrettanto o quasi a p roposito di altri pensatori di quell 'epoca) risulta più vicino alla verità d i quello degli autori moderni, n e i quali l 'uso dell 'unica parola

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Capitolo nono

natura n asconde la distinzione in questione (la stessa obiezione p otrebbe essere rivolta all'uso della parola materia, che troppo spesso serve a designare indistintamente sia l 'essere, in tutto o in parte, sia la realtà empirica dei fenomeni) . Di gran lu nga più significativo è l 'uso della p arola Dio , da p arte di Spinoza, come sinonimo di sostanza. Certo, a volerlo trasportare nel nostro discorso, si incontrerebbe u n ' obiezione simile alla precedente : è facile che alla " realtà indipendente " vengano erroneamente attribu ite qualità che p ossono unica­ mente far parte di modelli emp irici (lo sp irito di decisione, l 'onnipotenza ecc . ) e che, riferite all 'essere stesso, provocano l 'insorgere di difficoltà insolubili. Da un altro punto di vista, si deve riconoscere a S pinoza una certa saggezza, che nulla vieta di imitare. L'aver indicato con Dio la realtà indipendente è u n p orre maggiormente l'accento sulla differenza tra quest'ultima e ogni realtà puramente fenomenica, il che è certo nello spirito della lezione che abbiamo tratto dalla fisica contemporanea. Tale denominazione ha anche il vantaggio di lasciare, malgrad o tutto, aperta la p ossibilità di alcune attribuzioni. È vero che queste u ltime (l'amore divino, per esempio) si p otranno inter­ pretare solo come elementi di un modello ; tuttavia in questo caso u n po' di pragmatismo , nella trad izione di William J ames, non guasta. La significatività del modello si misurerà allora dalla sua utilità, o meglio (secondo l ' au tore citato) dalla sua c apacità di contribuire alla felicità degli uomini (a livello affet­ tivo puro e anche a quello della sensazione di conoscenza ) . I n fisica, finché s i è coscienti di avere a c h e fare c o n u n modello, e non con una descrizione del reale stesso, è lecito non curarsi delle eventuali contraddizioni che comp orterebbe la sua estra­ p olazione a fenomeni diversi da quelli che esso dovrebbe spie­ gare ; si tratta di un vantaggio non da p oco. Ora, non è assurdo estendere il concetto alla metafisica, e p arlare di amore divino n onostante i terremoti e i loro effetti. A pensarci bene, questo p otrebbe voler dire l 'awento di una nuova teodicea ; equivarrà forse questa a quella di Leibniz ? In ogni caso es'sa sarebbe p ro­ babilmente p iù consona alla mentalità della nostra epoca! Malgrado le insidie, l'uso spinoziano della p arola Dio per denominare l 'essere presenta ancora u n vantaggio che conviene

li reale velato

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perlomeno menzionare. Tenuto conto delle remote tradizioni di quasi tu tte le civiltà (con l'eventuale eccezione di quella cinese) esso costituisce senza dubbio il procedimento più di­ retto per significare che l 'essere non è (o p otrebbe non essere) un meccanismo cieco. Certamente, parlando di sp irito a proposito dell 'essere, si corre il rischio di attribu ire a questo , erroneamente, qualità riferibili unicamente alla nostra esperienza : un rischio analogo, se si vuole simmetrico, a quello che comporta il riferirsi all 'es­ sere in termini di campi e particelle (come dimostra l 'analisi dei p rincìpi della teoria qu antistica in relazione alla qualità del tipo " fisico" : particelle o campi ) . C 'è allora il pericolo, gravissimo, di confondere modelli e realtà, in altre parole di essere indotti a descrivere l 'essere in termini di realismo p ros­ simo. L 'insuccesso finale dei tentativi della fisica di mettere insieme una tale descrizione rende ben poco plausibile ogni impresa del genere. D'altra parte, tale è il nostro condizionamento, che il non ri­ ch"iamare la nozione di spirito a proposito dell 'essere è quasi altrettanto ingannevole. Infatti la mente, che non è affatto carente di immagini, colma sp ontaneamente il vuoto così creato con l'immagine di un meccanismo o almeno (se è saggia e dunque prudente) con un richiamo più o meno cosciente al postulato del realismo fisico, considerato allora implicitamente come necessario. Anche in questo secondo caso (quando si crede di avere le spalle al sicuro ) il rischio è presente : infatti, ri­ petiamo, su quel postulato grava un 'ipoteca, dato che il reali­ smo fisico non può oggi in ultima analisi concretizzarsi in teoria. Ciò che si conosce con certezza è solo la propria esp erienza. Ne trarremo dunque conclusioni affrettate a favore dello spiritua­ lism o ? Certamente no, perché, come notava già Aristotele, ciò che è primo nella conoscenza non ha alcuna ragione di essere primo anche nell 'e ssere. Ma perlomeno bisognerà guardarsi dalle conclusioni (ancora più arbitrarie ! ) in senso inverso . L 'uso della parola Dio per denotare la realtà ha, a questo riguardo, il van­ taggio di lasciare aperte alcune porte, anche se ancora una certa cautela s'impone, vista l 'assolu tizzazione dei modelli del divino che è stata compiu ta in passato .

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Capitolo nono

Un ultimo argomento a favore di un uso della p arola Dio p er designare la realtà intrinseca è che non necessariamente ogni comprensione è intellettu ale. L 'intelligenza dell 'uomo non è trascendente ; al p ari dei muscoli o dello scheletro, n onché di certi concetti elementari (vale a dire le nostre più antiche parole), essa si è formata per evoluzione. Non è assurdo pen­ sare che l 'uomo possa anche aver sviluppato altre forme di comprensione : intellettu ale o meno, ogni comprensione è inestricabilmente legata alle parole antiche che la esprimono (come del resto mostra espressamente l 'analisi di Bohr della teoria quantistica per quanto riguarda la comprensione intellet­ tuale della " materia " ) ; in particolare, è legata , almeno in certa misura, alla parola Dio, forgiata nelle centinaia di millenni dell'infanzia della specie umana, come notava lo studioso della preistoria Leakey . Questa parola, dopo tutto, si può anche non amarl a ; e di ragioni, in tal senso, uno storico delle civiltà occidentale e islamica (per parlare solo di queste ) potrebbe darne a bizzeffe ! Si rende dun qu e opportu no un richiamo all 'aureo precetto di Blaise Pascal : "Mai discutere sul nome, a p atto di intendersi sul significato. " Il significato è stato precisato , nei limiti del possibile, nelle pagine precedenti : si tratta dell 'essere e, prima di tutto , di quella unità dell 'essere che è comune alle indica­ z ioni della fisica e a ciò che vi è di essenziale nell 'intuizione di uno S pinoza. Ora, è proprio in questo senso che quel vecchio au tore può di nuovo essere di aiuto al ricercatore moderno. I nfatti, il panorama che si trova dinanzi chi sia giunto al fondamentale concetto di unità dell 'Essere eterno (vale a dire al di fu ori del temp o) può dare un'impressione desolante, di un qualcosa che, nella su a aridità e astrattezza, è del tu tto teorico e certo troppo generale per p oter isp irare chicchessia nell 'esistenza. Ora la lettura di Spinoza (o di altri realisti della sua epoca) mostra come tale senso d i scoramento non sia per nulla moti­ vato, se non, forse, in relazione all 'affermarsi di criteri inganne­ voli di attivismo nella mentalità contemp oranea, in seguito agli imperativi della rivoluzione scientifico-industriale e del culto d ella soggettività. In realtà, sotto l'apparente impassibilità

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spinoziana, u n ' analisi attenta h a da molto tempo scop erto una tensione emotiva intensissima, l'esistenza e la natura della quale possono essere facilmente comprese. Se è vero infatti che, come si è prima notato, l 'amo re " sentito " dall ' Essere eterno p er gli u omini ha valore , nella filosofia di u no S p inoza, solo come elemento di un modello, in compenso il rispetto e l 'amore che gli u omini hanno legittimamente (e che devo no avere) nei confronti dell 'Essere sono realtà quasi necessarie. In un 'opera giovanile del filosofo di Amsterdam, il Breve trat­ tato (dialogo primo) si legge, e la cosa non è p riva di sugge­ stione, che Amore, p ersonaggio allegorico, nella sua ricerca di un oggetto in grado di soddisfarlo pienamente, chiede a Ragione e I ntelletto che glielo indichino : a conclusione di quel dialogo, si afferma che unica garanzia di certezza per Amore è l'unità dell 'E ssere. Spinoza fa intravedere in questo caso un barlume che potrebbe forse aiu tarci a collegare le sue concezioni (e le nostre) a qu ella ch e costitu isce, sotto apparenze diverse e immagini enigmatiche, la maggiore intu izione di tutte le culture e di tutti i temp i. 8 La realtà empirica

Nel p aragrafo p recedente ho fissato alcuni punti che con­ sidero essenziali p er poter considerare nella giusta prospettiva concezioni p iù dettagliate su problemi specifici. Con questo non voglio dire che le altre concezioni siano senza imp ortanza ; mi pare a l contrario che il carattere remoto e p ressoché inco­ noscibile dell'essere giustifich i ampiamente l 'interesse che si può avere per tutta la zona intermedia costituita dalla realtà empirica : questa non contiene, praticamente, tutto ciò che si può apprendere, incluse entità fon damentali, quali lo spazio­ tempo, l'universo e la sua storia, l'irreversibilità della durata, la vita? La grande questione che da p iù di un secolo si p one riguardo a questo tipo di realtà è di sapere se il suo studio sia di p erti­ nenza della filosofia o della scienza. Hegel, Husserl, Bergson, Sartre, . . . non si contano i filosofi che hanno ritenuto d i p oter avocare questo genere di ricerca in m o do p iù o meno esclusivo,

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Capitolo nono

in base al ben noto fatto che " la scienza è solo una collezione di ricette " . Certo, come affermazione generale, l 'argomento non fa una grinza ; noi stessi abbiamo ripetutamente sottoli­ neato il carattere marcatamente p ositivistico delle basi della fi­ sica contemporanea (che è p roprio il punto di ancoraggio delle altre scienze emp iriche) . Tuttavia lo stesso argomento, appli­ cato alla realtà emp irica, è inefficace, ché qui veramente tutto si riduce a ricetta ! Data la generalità della scienza, tutti i fe­ nomeni della realtà emp irica cadono senza eccezione sotto questa legge universale . Un filosofo che rifiuti la scienza per il suo aspetto p ositivistico, per coerenza dovrebbe dunque limitare il suo studio alla pura metafisica, astenendosi inoltre dal fon­ d are le sue intuizioni in tale campo su qualche fenomeno della sua esperienza. Nella scienza, come si è appena detto, ogni fenomeno può trovare la sua giustificazione. La vita fa forse eccezione? Tra i filosofi l'hanno affermato in diversi, e tra essi anche chi, come Bergson, non h a mai avu to di fronte alla scienza l 'atteg­ giamento di rifiu to sistematico. Bergson fondava in primo luogo la sua concezione sul fatto innegabile che la vita è inse­ p arabile dalla durata, cioè dal tempo irreversibile. Il temp o della fisica, egli sosteneva, è comunque tempo reversibile, o in altri termini legato a uno spaz io . . . Ciò che in esso vi è di pro­ p riamente temporale, il flusso della durata, sfugge alla fisica senza speranza. Inoltre, l ' intelligenza umana, e in particolare quella scientifica, è prima di tutto intelligenza dei solidi, come d imostra il fatto che le armi e i manufatti che la specie umana si è data nella su a evoluzione sono corpi solidi inanimati. Di conseguenza la scienza si trova a suo agio soltanto laddove l ' ideale partizione della realtà in p iccoli oggetti separati si ri­ vela u n 'operazione p ro duttiva. Essa non è dunque in grado di cogliere la vita in ciò che quest'ultima h a di essenziale, e cioè il flu ido, il continuo e il mobile. Per certi versi, le analisi di Bergson e di altri filosofi orien­ tati come lui sono ancora attuali. Infatti in esse trovano forma esp licita idee intuitive, e in quanto tali molto diffuse : la maggior p arte degli ecologi sono bergsoniani senza saperlo. Eppure, sul p iano delle idee, c 'è da dire che i dubbi di Bergson sulla capacità

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della scienza a comprendere la vita, se erano in parte giustificati all'epoca in cui furono espressi, lo sono molto meno oggi. I n­ fatti la fisica ha assimilato meglio l'essenza (e i caratteri propri, irriducibili alla cinematica elementare) dei fenomeni irreversibili ecc . , ed è in grado oggi di prevedere quantitativamente, in una varietà di condizioni, l 'evoluzione di ciò che è sp azialmente omogeneo verso il non omogeneo, o, in altri termini, la comp arsa di un ordine a partire dalle fluttuaz ioni. Le strutture che così emergono, note come strutture dissipative , possono evolvere verso complessità semp re p iù grandi e sussistono solo grazie a scambi continui con l 'ambiente. In esse sembra di poter rico­ n oscere almeno alcu ni dei principali tratti della vita ; altri (quelli che studia soprattutto la biologia molecolare) so no più o meno assimilabili a processi di meccanica dei solidi di complessità molto elevata. I n definitiva, mi sembra che ciò che prima abbiamo chiamato " zona intermedia " sia di pertinenza soprattutto, e forse anche unicamente, delle scienze esatte . Si tratta di un dominio im­ menso, in cui vengono a intrecciarsi gli uni con gli altri problemi che si situ ano ai livelli concettuali p iù diversi : alcuni sono del­ l'ordine delle applicazioni, altri sono fondamentali. Pur se gli aggiu stamenti di rotta si rendono continuamente necessari, non c 'è da temere che in un prossimo futuro gli scienziati " puri " si trovino a corto di mo tivazioni valide . Sarebbe dawero un controsenso intendere la nostra scelta ( quella di un realismo non fisico) come negazione dell 'interesse della ricerca scientifica positiva per quanto rigu arda il sapere puro . 9

No te a l capitolo nono 1 Entità denominate ve ttori di stato. Quanto si dirà a proposito del concetto di vettore di stato in teoria dei camp i quantistici ( in questo paragrafo e nel successivo) tocca un aspetto molto delicato e sottile della fisica teorica ; a u na prima lettura lo si può anche tralasciare, senza danno per una comprensione a grandi linee del pre­ sente argomento (per la quale è sufficiente quella del concetto di funzione d 'onda). 2 Vedi E. De W itt e N. Graham (a cura di), Tbe Many Worlds ln terpretation of Quantum Mecbanics (Princeton University Press, Princeton 1 97 3 ) . 3 Vedi per esempio E. P . Wigner, Symmetries and Reflexions ( Indiana University Press, B loom ington 1 967).

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sola.

Capitolo nono

Salvo forse p er corp i la cui velocità è così mal definita che l 'obiezione cade da

5 Vedi L. De Broglie, J. Phys., voi. 5, 225 ( 1 927), e D. Bohm, Phys. Rev. , vol. 85, 1 66 ( 1 95 2). 6 Ove le variabili nascoste sono le " coscienze" ; vedi il già citato volume di De Witt e Graham. 7 S i tratta qu i princip almente dei modelli di W iener e Siegel e di Bohm e Bub, così come dell'esperimento di Pap aliolios; vedi anche F. J. Belinfante, A Survey of Hidden Variables Tbeories (Pergamon, Oxford 1 97 3 ). 8 In questo tentativo anche altri au tori possono esserci di aiuto. Teilhard de Chardin, p er esemp io, aveva evocato con accenti commossi "la traccia e la nostalgia di un Fondam ento unico e di u n'Anima assoluta, di una realtà sintetica, stab ile e universale come la materia, semplice come lo spirito " (Hymne de l 'univers, Seu il, a Parigi 1 96 1 , p. 1 0 5 ; trad it. Inno de/l'universo, li Saggi a tore, 2 ed. Milano 1 98 1 ). Come molti altri m iei contemporanei, trovo tuttavia difficile riconoscere a futuro e finalità un ruolo così importante e mi sem bra perlomeno ambigua l'idea che alla "fine dei tempi" la realtà emp irica trovi compim ento in u na realtà intrinseca, eterna per ipotesi Se anche tutto mi fosse chiaro, esiterei a elevare a certezza u na supposizione così manifestamente conforme ai nostri desideri. Da un altro punto di vista, nella misura in cui la realtà temporale, empirica con­ tiene l' insieme di ciò che noi possiam o apprendere con vera sicurezza, l'importanza che le si attribu isce è ai m iei occh i legittima. In questo senso, le filosofie dell 'evolu­ z ione mi sembrano contenere elementi di profonda verità, soprattutto se, rinnovando gli interrogativi essenzial� giungono in p arte, come qu ella di Teilhard, a riconc il iare l 'intell igenza con il desiderio e il cuore. 9 A questo proposito, resterebbe da rispondere a obiez ioni p iù tecniche, cu i può dar luogo il concetto stesso di reale velato o di realismo non fisico: in particolare a quelle che potrebbero rivolgere molti qu al ificati esponenti della filosofia anglosas­ sone attuale, depositaria di qu anto di vivo resta del m essaggio positivista. Quella fi­ losofia condanna, e a ragione, il realismo m etafisico; ma non è questo molto vicino al realismo non fisico qu i introdotto? Non è certamente il caso di entrare qu i in analisi troppo specialistiche ; mi lim iterò pertanto a osservare che tal i riserve discendono principalm ente da u n'ambigu ità dell'esp ressione " real ismo m etafisico'', che a priori potrebbe anche voler designare u na concezione del reale (molto simile a quella del reale velato), ove il concetto di realtà indip endente è riguardato com e remoto e p ressoché inconoscibile (in effetti, se il postulato della sua esistenza è utile per sp iegare le regolarità dei fenomeni, non permette di inferire nulla di sicuro rispetto a ciò che lo studio di qu esti ultim i può insegnarci riguardo a tale realtà). La filosofia anglosassone però, quando tende a con­ futare il " realismo metafisico", wole riferirsi a qu alcosa di ben diverso, a una teoria secondo cui l'uom o sarebbe in grado di acqu isire certezze reali e dettagliate intorno a u na realtà del tutto indip endente. Tale concez ione può ben essere bersaglio di u na critica! Così, per esempio, si può tentare di dimostrare che non esiste un criterio sicuro per affermare ch e u na certa descrizione di qualche elemento di questa realtà sia p iù esatta di u n' altra. A tal fine sono state tentate alcune generalizzazioni di u n celebre teorem a di logica matematica d i GOdel che rendono inaccettabile una defini­ z ione del vero come " adeguaz ione tra l'intelletto e le cose". Tale conclusione (ri­ guardante verità p arziali e ben precise), lungi dall 'intaccare la concezione del reale velato, è del tutto conforme al suo sp irito. Più in generale, il realismo metafisico che si tenta in questo modo di confutare è di un tipo che chiaramente non ha niente a che fare col realismo non fisico qu i considerato. Quei filosofi p otrebbero formulare un'altra obiez ione, riguardante questa volta il presunto carattere arbitrario del postulato di u na realtà indipendente, che sarebbe a questo punto sicuramente inconoscibile. Contrariamente alla p recedente, questa cri-

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tica n o n p u ò essere confutata con l'anal isi : infatti un giudizio sull'arbitrarietà sem­ bra dipendere in certa m isura dal temperamento di ciascuno. Chi consideri significa­ tive soltanto le domande che iniziano con la p arola " com e" p renderà giustamente sul serio tale obiezione. Chi invece si interroga sulle cause delle regolarità dei feno­ meni osservati dalla nostra soggettività, e ritiene dunque che almeno questa do­ manda, benché fondata su un "perché", abbia un senso, ha bisogno del concetto di realtà indip endente : non potendo considerare questa come una realtà p rossima e descrivibile dalla fisica (proprio in base a considerazioni fisiche), in un realismo remoto e non fisico egli vedrà la sola soluz ione disponibile.

Capitolo 1 0 Miti e modelli

Se Talete pensava che " tutto è acqua" , Descartes , agli albori della fisica-matematica, si era convinto di poter costruire, con le sue sole forze, uno schema esatto della realtà in sé. È naturale che una mente libera da pregiudizi e amante della chiarezza, quando prende a interrogarsi sul mondo in modo disinteressato, consideri possibile dire ciò che è . Non si ferma a considerare che p er questo sono necessarie parole, e che i concetti che que­ ste esprimono, riflettendo essenzialmente dati relativi (quali le possibilità d 'azio ne del bambin o che siamo stati o dei nostri an­ tenati preominidi), non sono necessariamente adatti alla descri­ zione di una realtà che per ipotesi è indipendente dall 'uomo . C o s ì , non è necessario essere un filosofo o un grande geo­ metra per cedere all 'illusione! È il destino di tutti. Il più delle volte l 'illusione cadrà solo dopo che l 'esperienza (di tipo scien­ t ifico, filosofico o, al limite, mistico) a poco a p oco avrà d imostrato tutta la sterilità dei tentativi che mirano ad assolu­ t izzare i concetti della vita comune ; dop odiché la ricerca del­ l 'essere, certo ancora possibile, sarà accomp agnata dalla co­ s cienza dei risch i dell 'impresa. D'altra parte, p er l 'avvicendarsi delle generazioni, tali rischi sono percepiti in ogni epoca da una minoranza e l ' illusione ri­ mane. L 'uomo della strada non rinuncia alla pretesa di avere una descrizione onnicomprensiva, e al temp o stesso elementare,

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schematica della realtà. E chi, se non lo scienziato, " lo speciali­ sta " , potrebbe fornirgliela? Impari quest'ultimo, come qualun­ que tecnico nel proprio campo, a descrivere le cose così come sono, senza seppellire i fatti sotto oscure simbologie, ma li­ mitandosi all'essenziale ! La vera ragione dell'impossibilità di soddisfare tale richiesta senza creare illusioni risiede interamente, come si è detto, nella relatività del linguaggio, che, in certi casi, impone il modello simbolico. Prima di tentare l 'analisi di questa nozione e delle sue relazioni con il concetto di mito, sarà bene p orre Paccento sulla grande difficoltà che vi è a non cedere a u na richiesta tanto diffusa e tanto sentita. In realtà, le grandi religioni in nessu n angolo del mondo vi hanno resistito, spesso a dispetto delle reticenze dei fondatori. I l buddismo stesso, malgrado l 'insegnamento del Perfetto, si frammentò ben presto in visioni legate al realismo prossimo, sotto la p ressione ineluttabile dell'esigenza popolare ; che dire poi del cristianesimo, se non addirittura dell' islamismo ! Ma in questo campo , meno che in qualsiasi altro, l'uomo di scienza non ha il diritto di scagliare la prima p ietra. Tra gli scienziati infatti vi è sempre stato chi, cercando di usare un linguaggio accessibile a tutti , constatata con rammarico l'inutilità dei suoi sforzi, ha finito col seguire l'esempio dei teologi, presentando come verità letterali inter­ pretazioni dettagliate che non p otevano essere altro che simbo­ liche. D 'altra p arte, sia gli uni che gli altri, scienziati e teologi, ebbero spesso la scusante del dubbio : dopo tutto, quella clausola ipotetica " tutto accade come se", che in omaggio alla semplicità veniva omessa, avrebbe anche potu to risultare superflua, e il mondo, esser dawero conforme alle loro descrizioni. In genere, avevano l 'accortezza di servirsi di semplificazioni solo quando il dubbio era comunque destinato a restare . Chiedersi quale sia oggi l 'atteggiamento degli scienziati non è proprio indispensabile. Tuttavia è forse il caso di aprire qui

u na p arentesi e di p arlarne un p oco, per consentire anche ai non addetti ai lavori di penetrare meglio, su un esemp io molto concreto, gli arcani dell 'inevitabile dialettica che u nisce, sepa­ randoli, i concetti di "modello " e "realtà" .

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Capitolo decimo

I d ati del problema p ossono essere analizzati nel segu ente modo. È opinione comune tra gli scienziati che la scienza debba essere conosciuta meglio, in qu anto rappresenta uno degli aspetti p iù seri dell 'attività intellettuale e meno vulnerabili dai veleni delle mode e della ciarlataneria. Per gli stessi motivi, e anche per altri, legati all 'efficienza, si ritiene altresì che la ricerca scientifica di base debba continuare ovunque sia p ossibile . Ora, per avvicinare alla scienza u n pubblico p iù vasto, bisognerebbe spianarne al m assimo l 'accesso, invece di erigere sconcertanti barriere ep istemologiche o concettuali. Allo stesso modo, p erché la ricerca scientifica (che ai giorni nostri, in molti settori richiede notevoli investimenti finanziari) possa continuare, è necessario che gli Stati diano il loro appoggio ; e questo p otrà avve nire in modo durevole soltanto con il consenso di u n 'op inione pub­ blica che è dunque importante compiacere . Requisito fonda­ mentale dell 'esposizione sarà la massima semplicità : in partico­ lare, per risp armiare un eccessivo sforzo d ' attenzione ai desti­ natari del messaggio, si avrà cura di usare solo concetti familiari ai più . Il timore di rimanere isolati in un elitismo che, alla fine, sarebbe distru ttivo, porta dunque scienziati e divulgatori (loro alfieri) a cercare eloquenza e semplicità massima di espressione (vien da p ensare alla magniloquenza dell 'architettura di San Pietro, se mi è consentito il p aragone ) , a servirsi, in altri termini , delle sole parole del realismo prossimo, anche nei casi in cui quasi sicuramente il loro pensiero verrebbe frainteso . Un linguaggio più sfumato e le sottili distinzioni, in luogo di immagini imme­ d iatamente comp rensibili, sarebbero di ostacolo alla trasmis­ sione del messaggio ! Ogni mezzo di divulgazione di massa è du nque buono p er pubblicizz are, sotto l'etichetta della scienza, mo delli semplici, che passano, surrettiziamente , per descrizioni della realtà indip endente . Ecco dunque, parlando p er esemp io di fisica a tomica o nucleare, il nucleo atomico descritto in libri o fil­ mati come un aggregato di palline , e l 'atomo più semplice (quello di idrogeno non eccitato), come sistema solare in miniatura : tutte consegu enze, queste, dell 'aver inteso in u n certo modo quel pressante invito alla semplicità. Sorge il dubbio se queste tendenze siano o no da condan-

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nare. In favore di un'assoluzione si puo mvocare ciò che è l'equivalen te della rag10n di S tato : dopo tutto è impossibile semplificare senza mentire un p ochino, e le nostre menzogne sono minime. Esse p ermettono a p ersone relativamente indif­ ferenti a questi p roblemi (la p opolazione dell 'indu stria, quella degli addetti al commercio, i letterati) di formarsi sulla natura delle cose u n ' idea, magari un p o ' rap ida e grossolana, ma certo preferibile all 'assenza di ogni informazione. Di qui può nascere uno stimolo all 'approfondimento di questa tematica e di con­ seguenza al finanziamento delle ricerche ( il che non è u n ri­ sultato trascurabile). A far pendere la bilancia dalla parte della co ndanna po­ trebbe essere il carattere oscurantista che ogni menzogna, anche minima, riveste, dal momento che la sua enunciazione awalora, con le parole stesse di cui si serve, una visione falsa della realtà, com 'è falsa per esempio qualunque visione c.he si riduca al realismo prossimo. Si pensi alla descrizione che un tempo i preti davano dell 'inferno e del paradiso, o anche, fatte le debite proporzioni, alla rapprese ntazione " planetaria " del­ l 'atomo di idrogeno non eccitato oggi in voga. Quest 'ultima si fonda in teramente su un impossibile equilibrio tra una forza d 'attrazione, certo reale, e una imprecisata forza centrifuga, che in realtà non esiste affatto nell 'atomo, nello stato in cui lo si considera ! Ma vi è un 'altra e p iù profonda ragione p er consi­ derare falsa la descrizione planetaria : essa risulta infatti facil­ mente attaccabile nella su a pretesa, riguardo a un problema di teoria quantistica, di descriverne in termini di oggettività forte una soluzione che non è realmente coerente se non nel quadro epistemologico dell 'oggettività debole. 1 La distinzio ne è fonda­ mentale : non coglierla vuol dire travisare del tutto il me ssaggio della scienza. Su un tema cos ì generale, cui non sono estranee considera­ zioni deontologiche, le poche osservazioni precedenti non pos­ sono evidentemente pretendere di esaurire la controversia. Così i sostenitori della volgarizzazione per omissione (si in­ tende, della distinzione di cui s'è detto ) faranno certamente notare l 'inopp ortunità delle " digressioni ep istemologiche", se veramente si vuole interessare il pubblico alla scienza. L 'osser-

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vazione non manca di efficacia, e neppure è tanto superficiale. Infatti nella scienza, come nella religione , l 'illusione del realismo p rossimo è necessaria ; il ricercatore, per proseguire nell 'impresa, dev'essere convinto che la sua attività riguardi cose reali, e che infine, provando e riprovando, gli riuscirà di capirle nei loro arcani meccanismi, anche qui senza deformazione alcuna. Il nostro n on sarà quindi u n giudizio etico. Quanto si è detto ha il solo fine di demistificare, a p artire da problemi concreti e su esemp i precisi, ciò che viene dato per scontato : contrariamente a un 'intuizione sp ontanea, che genera rivendicazioni acute ma insostenibili, è divenuto impossibile, allo stato delle attuali co­ n oscenze, dare una descriz ione schematica e insieme veritiera dell 'essenza della realtà in termini derivati dal linguaggio usuale. Convergenze e divergenze

Non resta dunque che ricorrere a miti o a modelli, come da sempre ha visto chi ha il gusto dell 'immaginario ; sarebbe assurdo che questo dato di fatto ci irritasse prop rio oggi. Semplicemente, apprendiamo che la realtà è molto p rofonda, e non è questa una bella notizia, dopo le banalità che una certa " scientificità " d i stamp o ottocentesco ci ha fatto tanto a lungo p rendere p er buone? Ancora una volta sarebbe sbagliato limitarsi a una semplice idea generale. Che cosa sono allora i modelli scientifici, miti del nostro temp o o al contrario ami-miti? Se si vuole sfug­ gire a u n sincretismo banale è necessario p orsi questo genere di d omande, e interrogarsi pure sulla stessa p arola " modell o " , il cui campo di applicazione oggi è vastissimo, tanto è inflazionata. Effettivamente, l'affinità tra miti e modelli è sottile , essendo fatta a un tempo di somiglianze e di fondamentali differenze. Tanto per cominciare, ecco il principale fattore di somi­ glianza: entrambi sono simbolici, ed è sempre un errore quello di intenderli alla lettera. Il mito di Prometeo e il modello planetario dell 'atomo sono affatto simili, secondo questo punto di vista. Un altro tratto in comune è che né miti né m odelli sono invenzioni arbitrarie : gli uni e gli altri valgono come de­ scrizioni allusive di qualcosa di reale. La terza e più significativa somiglianza riguarda la loro funzione , insostitu ibile o quasi.

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Infatti, le immagini mitiche dei p oeti dell 'antichità e i m odelli dello scienziato moderno non si devono semplicemente al gusto per ciò che è oscuro e ridondante. In entrambi i c asi, la scelta è dipesa dall 'impossibilità di tradurre fedelmente nelle p arole del linguaggio comune una certa verità : nell 'un o come nell 'altro, sembra esservi in origine u n 'unica causa. Come si è visto, il lin­ guaggio ordinario riflette in primo luogo le p ossibilità di azione sia del bambino sia dell 'uomo di un lontano p assato . Ora queste ultime sono state sì progressivamente affinate , a livello genetico, dalla selezione naturale, ma, p roprio come quelle del bambino, si riferiscono quasi esclusivamente agli oggetti materiali, e, tra questi, ai soli oggetti macroscopici . I l non p oter fare a meno di un linguaggio così limitato , anche per parlare di fenomeni o di idee che sfuggono al suo quadro defi­ nitorio, spiega il ricorso al simbolo. Tutte queste analogie giustificano in qualche misura il nostro attaccamento ai vecchi miti. Se anche il fisico più com­ petente, avendo da descrivere a un pubblico digiuno di cultura matematica un oggetto semplice c ome l 'atomo di idrogeno non eccitato , è obbligato a fare ricorso a una descrizione per immagini, non stupisce che lo stesso, e a fortiori, abbia fatto in passato, parlando dell 'essere in sé, ch i e bbe (o credette di avere ) grandi intuizioni filosofiche o religiose . D'altra parte , per le stesse ragioni, ogni dogma religioso che esiga di essere compreso alla lettera è da considerare c on estremo sospetto . Si stenta proprio a credere che il linguaggio di tutti i giorni, insufficiente a descrivere un atomo, sia atto a esprimere in modo non sim­ bolico verità sull 'essere. Lo si p otrà anche sostenere , certo, ma soltanto in vista dei vantaggi che tale illusione p orterà ; ché di illusione si tratta, p aragonabile a quella di chi, fidando nel rea­ lismo prossimo, pensa che gli atomi esistano "in sé " . La difesa di quell 'opinione può avere una sua giustificazione intellettuale (concediam ol o ! ) almeno fin quando si considera accettabile la difesa dei dogmi dello scientismo ingenu o. Tra modelli e miti le somiglianze non devono dissimulare le differenze ; queste ultime si riferiscono p rincipalmente all 'in­ tenzione . In breve, mentre il mito tende all 'essere , o meglio tenta di farmi p assare dall 'esperienza sensibile alla conoscenza

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delle relazioni generali che uniscono l 'uomo e l 'essere universale, il modello, salvo i casi di estrapolazione arbitraria (fin troppo frequenti ! ), si volge principalmente all 'esperienza. U n modello scientifico come si d eve è un anti-mito, nel senso che u tilizza i pregiu dizi concernenti l'essere per guidare verso l 'accresci­ mento dell'esperienza, per esempio suggerendo nuove previ­ sioni verificabili. Fatta questa affermazione di carattere gene­ rale, occorre insistere sul fatto che nel linguaggio della scienza contemporanea la parola " modello ", abbondantemente utiliz­ z ata, ha parecchi significati, che sarebbe bene distinguere, e le cui relazioni od opposiz ioni col mito non sono tutte ugual­ mente chiare ; rinunciando ad approfondire questo aspetto più d i tanto, si può tentarne una classificazione schematica nel modo che segue. Un primo significato del termine è quello di una semp lifica­ z ione operata d alla mente su d ati reali, giudicati troppo com­ plessi e p oco manip olabili : si pensi ai " modellini" in uso n ell'ingegneria, in qualche modo l 'esemplificazione concreta del concetto. In fisica, ad esempio, è p ressoché banale notare che sistemi fisici rigorosamente isolati non esistono. Ora, per l 'incapacità della mente umana di occuparsi di tutto nello stesso temp o, sorge la necessità di classificare i problemi : in p articolare, di considerare come isolati dal resto del mondo sistemi fisici che a rigore lo sono solo in modo imperfetto . Si ottengono così modelli semplificati, cioè un p rimo tip o di mo­ delli che si prestano al calcolo e dunque alle p revisioni verifica­ b ili. Non di rado, a p osteriori, l'esperienza c onferma la validità dell 'app rossimazione. Più in generale, quando il problema si p resenta tropp o complesso, il fisico non esiterà a uguagliare a z ero influenze giudicate inessenziali ; il modello cui p erviene, costruito a p artire dai dati reali, risp etto ai fenomeni che si propone di stu diare costituisce una idealizzazione, che solo in parte sarà conforme ad essi. È addirittura possibile costruire una gerarchia di questi modelli di primo tip o . Chiaramente, il fisico non approderebbe ad alcun risultato se non mettesse in atto tale strategia, p ienamente giustificata p eraltro dai successi raggiunti. Una secon da accezione della p arola " modello " è frutto dei

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rivolgimenti della teoria. Nell 'antichità nessuno metteva in dubbio che, come affermava la teoria tolemaica, sole, stelle e pianeti si muovessero, secondo leggi d iverse, in orb ite circum­ terrestri, e che il nostro p ianeta restasse immo bile. La sfera ce­ leste, che p orta le stelle, era in genere riguardata come un 'en­ tità senz 'altro reale, rotante in ventiquattro ore attorno al­ l'asse polare ; su di essa gli astronomi avevano individuato il percorso del sole . Pur essendo elementare, questa teoria ren­ deva possibili i calcoli p iù svariati. Com 'è noto, la rivoluzione cop ernicana rappresentò il crollo di queste concezio n i : non esiste sfera celeste e dunque il p ercorso del sole su di essa non è una realtà. Tu ttavia i procedimenti del calcolo fondati su tale rappresentaz ione, e che, ad onta della mediocre precisione, erano validi nell 'antichità per varie previsioni , con tinuano evidentemente a esserl o , a p arte gli stessi errori, anche oggi . La vecchia teoria non scompare dunque al cento per cento ; sem­ plicemente è retrocessa, come si dice, al rango di m o dello . Que­ sto secondo tip o di modello è diverso dal p recedente , che era ancora considerato come un 'approssimazione , schematica s ì , ma veridica, della realtà delle cose . Nel caso presente infatti a nes­ sun o verrebbe in mente di dire che la descrizione antica è appros­ simativamente esatta, che la terra è "quasi immobile ' ' , che la sfera celeste o il cammino del sole h anno "all 'incirca" il requi­ sito dell 'esistenza : tali affermazioni sarebbero p rive di senso . Com'è noto, il passaggio dalla fisica newto niana alla relati­ vità generale ha costituito una rivoluzione simile. Si conteranno sulla punta delle d ita, se pur ve ne sono, i fisici disposti a vedere nello spazio euclideo assoluto, nel tempo universale e nella forza di gravitazione alcunché d i diverso dagli elementi di un mo dello del secondo tip o. I n altri termini, è tu tta la fisica new­ toniana che è ora retrocessa al rango di modello, magari utile per certi calcoli (si p ensi alle traiettorie dei satelliti artificiali, tutte computabili con questo mezzo), ma che non può p reten­ dere di essere una descrizione del reale . I l passaggio dalla meccanica classica a quella quantistica è sotto certi aspetti un fenomeno analogo , e tuttavia più p roble­ matico, per via del consegu ente passaggio epistemologico dal1 'oggettività forte all 'oggettività debole (la fisica quantistica,

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se non altro, continua ad aver bisogno dei concetti fondamen­ t ali del modello classico p er la p ropria formulaz ione, secondo il tip o di interpretazione che il fisico sovietico Landau dava dell 'oggettività debole, quale risulta dall 'analisi di Copena­ ghen ) . Tale transizione può così servire a caratterizzare modelli che chiameremo " del terzo tip o " , e di cui il modello planetario d ell 'atomo è di gran lunga il p iù importante . Come si è visto, il modello del terzo tipo è una metafora che mira a esprimere, n el linguaggio dell 'oggettività forte, una verità che è in realtà coerente soltanto in un quadro epistemologico fondato sull 'og­ gettività debole . L 'esigenza di oggettività forte (cui corrisponde l 'introduzione di variabili nascoste) trasformerebbe la metafora in una contro-verità, poiché allora l 'elettrone sarebbe fisso . L'oggettività forte non può dunque essere p osta. In fisica vi sono ancora altre accezioni del termine modello. Una delle più diffuse è quella di " mo dello matematic o " . Con ciò si intende una regola di calcolo, che può benissimo non es­ sere fondata su un'immagine fisica e che ottiene successi nel calcolo dei fenomeni di un certo tip o . I modelli matematici si rivelano talvolta indispensabili, magari al solo fine di classifi­ care i dati sperimentali e di trasformarli in sistemi coerenti. Uno degli aspetti p iù interessanti di tali mo delli è la loro possi­ b ilità di trasformarsi in teorie . Gli ostacoli da superare in questo senso sono considerevoli, tant 'è che p ochi vi riescono. Bisogna infatti fare i conti c on la potenza della teoria in carica (formale, p ositivistica finché si vuole) , dispiegatasi in un ambito che ricopre all 'incirca tutta la fisica conosciuta . Per conqui­ stare lo status di vera teoria, u n mo dello deve dunque, in linea d i principio, integrarsi al quadro teorico preesistente, sviluppan­ dosi anzi fino a soppiantarlo (com 'è stato per la meccanica quantistica quando ha spodestato quella classica), e occupare altresì lo spazio che p er caso risultasse libero da interazioni con il resto dei fenomeni. Tali casi sono in realtà molto rari. Si n oterà che tra le condizioni che precedono non figura la com­ patibilità del modello con una descrizione intelligibile del reale : questo dipende dal carattere p ositivistico della fisica contem­ p oranea. I nfine occorre ricordare che il modello si utilizza anche in

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riferimento a teorie che pretendono di descrivere il reale stesso, ma la cu i validità, a questo riguardo, p er mancanza di mezzi di verifica, non può essere né provata né smentita. I n questa ac­ cezione la p arola "modello " è stata u sata in diversi p assi del ca­ p itolo precedente. Meno amb iziosi dei miti, i mo delli sono d 'altra parte anche p iù sicuri. Perciò paragonarli alle belle leggende primitive è sotto certi aspetti u n po' ingenuo, ché in tal modo le qualità dell'analisi critica restano in ombra . Ora, lo sforzo che in que­ sto senso è stato comp iuto dalla scienza pura negli ultimi tre secoli rappresenta, p er dimensioni e ricchezza di risultati, u n fen omeno unico nella storia dell 'umanità. Basta considerare che, in questo caso, all 'ingegnosità individu ale si sostitu ì la fu­ sione delle energie intellettuali di generazioni e generazioni ; mai era awenuto qualcosa di simile in precedenza in u n campo come questo, ove l 'affettività non ha un ruolo p rimario . Malgrad o le maggiori garanzie, i mo delli restano per certi versi ambigu i. Non sempre, poi, quello dell 'utilità è il criterio supremo, come si sarebbe portati a p ensare . La storia della fi­ sica insegna che, in tanti casi (fatto e stremamente significativo ! ) idee false hanno condotto a previsioni stranamente esatte : non solo, quantitativamente giuste , anche di una precisione sorpren­ dente (come è stato per il mo dello di Bohr nell 'atomo di idro­ geno). Per quanto riguarda la fu nzione conoscitiva della ragione, tali circostanze non devono dare corpo a fantasmi , alimentando sospetti illegittimi, bensì indurre alla cautela e al rigore dei controlli. In ogni caso, è bene ricordare che, dal momento in cui è riconosciuto come tale, un modello, al contrario di una teoria, non è screditato dalla possibile falsità di una delle sue conseguenze, ma anzi, non di rado viene utilizzato nel suo do­ minio specifico per molto tempo dopo la scoperta di una tale imperfezione . Per analogia, conoscendo tutto ciò, si dovrebbe ancora una volta chiudere u n occhio di fronte all 'ingenuità di certi grandi miti, la cui interp retazione letterale avrebbe conse­ guenze assurde . Contrariamente a certi giu dizi troppo drastici dei non-scienziati, questo non è sufficiente a dimostrare l 'in­ trinseca falsità del mito. Nell 'ambito della religione, chiaramente, le considerazioni

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fatte or ora conducono a una forma di sincretismo . Ogni grande religione h a i suoi miti, che vorrebbero iniz iarci a certi modi dell ' Essere, in relazione anche con l 'umano e l 'osservato . Verso alcuni di essi, in mancanza di criteri certi, si p uò essere genericamente ben disposti, almeno in un p rimo temp o : atteg­ giamento doveroso, questo, per ogni scienziato che si rispetti, vista la grande amb igu ità di ciò che la scienza ha da dire su questi temi (dimostrata abba;;t anza chiaramente, mi p are, nelle p agine precedenti). Peccato che alla disp on ibilità dello scienziato a fare, in questo senso, concessioni all 'u omo di fede non sempre corri­ sponda un adeguato apprezzame nto da parte di quest 'ultimo ; e sistono infatti difficoltà di ordine p sicologico. La p rincipale d ifficoltà dip ende dal fatto che lo sp irito religioso, e più ancora il " credente " , è spesso estremamente riluttante ad accettare u n 'interpretazione simbolica del dogma. Obiezione seria, que­ sta : la fede, per essere tale, esige il dono di sé, e se un simile p rezzo sembra cos ì alto da p agare per amore di una p ersona o di un'ideologia, figurarsi quanto più lo sarà per qualche entità mal definita p erché ineffabile, di cui solo i miti, in forma di pa­ rabole, abbozzano i tratti. È fu or di dubbio che all 'uomo nel­ l 'intimo ripugna un atteggiamento simile, poiché nella sua sete di assoluto egli ha purtu ttavia bisogn o , per strana contraddi­ z ione, di sentire come infinitamente prossimi il lontano e l 'inef­ fabile. Tale esigenza può dare forse un certo fondamento al suo " infinito " , ma in fondo è di carattere irrazionale, e vano sa­ rebbe voler rimuovere con qualche schema intellettuale le resi­ stenze che essa implica. Ciò che si può soltanto far osservare è che b isogna intendersi sul senso di questi termini. Se è vero che qui si afferma il carat­ tere simbolico delle descrizioni religiose, non bisogna neppure d imenticare il carattere in fondo puramente simbolico della descrizione u suale degli oggetti, pensati come p iù o meno rigo­ rosamente separati in uno spazio tridimensionale. Nulla vieta di procedere mentalmente a una " realizzazione " del contenuto dell 'una o dell 'altra di queste descrizioni, dimenticando mo­ mentaneamente la loro natura di simboli. La descrizione degli oggetti, poi, è un 'operazione mentale d otata di un carattere di

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quasi necessità pratica, talché anche gli esp onenti p iù accredi­ tati dell'intellighenzia non vi trovano nulla da ridire . Il con­ cetto di realtà emp irica è destinato a facilitarla, anche p erché non pochi filosofi (tra loro , un gran numero di epistemologi) hanno ridefinito la nozione di realtà in modo da farla coincidere con la realtà empirica. Non si vede bene dunque a quali esigenze di rigore intellettuale quelle stesse autorità del pensiero si siano richiamate per condannare a priori l 'operazione mentale di realizzazio ne delle descrizioni religiose, da cui si origina, nella maggior parte delle religioni, lo sp irito di fede . Pur trattandosi infatti di ambiti lontanissimi, i processi mentali sono nei due casi imperniati su uno stesso princip io, che consiste nel sacrifi­ care un p o ' di coerenza e di rigore intellettuale al fine di otte­ nere una visione risp ondente in un caso al gusto della tecnica e nell 'altro all 'amore dell 'essere (di cui si è prima riconosciuto il carattere fondamentale) . Giustamente, l o scienziato farà osservare che, p er ammettere la validità di un 'affermazione, l 'aver scartato in un modo o nel­ ! 'altro le possibili obiez ioni ad essa non è sufficiente . È anche necessario che l 'affermazione non sia gratu ita, in altri termini, che esistano ragioni positive p er accettarla in luogo di altre opposte. Trattandosi di grandi miti, religiosi o profani, lo scien­ ziato può dunque chiedere quali siano queste ragioni positive . Più p recisamente, abitu ato com 'è a riferire la fondatezza delle asserzioni al loro potere di sp iegazione dei fenomeni, sarà senza dubbio p ortato , proprio come il primitivo cui si indirizza la maggior p arte dei miti, a interrogarsi sul potere di ch iarifica­ zione dimostrato da questi e a farne il proprio criterio di accet­ tazio ne. Ora, secondo questo metro è evidente che molti miti sono inaccettabili. Quello del peccato originale, per esemp io, non è affatto una sp iegazione convincente dei fenomeni del dolore o della morte. Tuttavia l 'applicazione di tale criterio al mito è fuor di luogo, ché proprio in questo, come si è visto, è la diffe­ renza dal modello : nel non mirare all 'esp erienza (contraria­ mente, magari, all 'intenzione dei creatori). 2 In realtà, e forse in questo caso alcuni etnologi o sociologi danno p rova di una comprensione maggiore di quella dei ricercatori delle scienze

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esatte, non b isogna aver timore di accettare un criterio di valu­ tazione del tutto differente , risolutamente fondato sull 'inten­ s ità p iù o meno grande del sentimento di partecipazione all 'es­ sere che il mito considerato è in grado di dare . Alla luce di tale criterio, p er esempio anche il mito d ell 'incarnazione è, come ha sottolineato Whitehead, di quelli che p ossono essere consi­ d erati come veridici. 3 Va da sé che l 'esame di tali questioni non può che essere schematico ; del resto, un 'analisi sottile è forse più gratuita e meno necessaria di una visione a grandi linee, secondo cui, sem­ p licemente, l 'uomo di fede, come chi crede nella tecnica, hanno senza dubbio ragione nella " realizzazione " verso cui p rocedono . Resta il fatto che l 'uomo di pensiero, nella comodità certo un po' facile del suo disimp egno pratico, non h a torto a situarsi su un p iano da cui la visione è ancora più vasta . Da questo punto di vista, le descrizioni oggettive delle diverse scienze sono essenzialmente modelli, e quelle delle religioni, miti : in sostanza, le u ne e le altre sono però vere secondo le loro norme p articolari, o almeno p ossono esserlo senza contraddizioni . A chi criticasse l'astrattezza di una simile concezione, si p otrà rispondere che essa p ossiede almeno u na virtù concreta : senza attentare a ciò che vi è d i profondo nell 'aspirazione religiosa, p ermette di esprimere un giudizio molto severo, dal pu nto di vista intellettuale, nei confronti dei fanatismi in cui purtroppo, come mostra l 'esperienza, frequentemente degenera anche il p iù autentico atteggiamento di fede. An imismo

R eligioni e miti si pongono tutti o quasi come sistemi sp iri­ tuali ; in essi ab bondano, in altre p arole, i riferimenti alla co­ s cienza. Nulla di p iù naturale allora che accostare ad essi quella teoria del " tu tto è sensibile", cui si è già accennato nei cap itoli che p recedono, che pure assegna un ruolo centrale alla nozione d i coscienza. Questa teoria è antichissima ; già p rofessata da Leibniz, e in tempi p iù vicini ai nostri da Whitehead, ha incon­ trato il favore dei poeti. Nell 'avvicinarla alle religioni, la si di­ stingue talvolta da esse introducendo i concetti d i spirituale su-

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periore e spirituale inferiore. Mentre una descrizione fondata sul primo concetto (il teismo di un Berkeley p er esempio) si sforza di spiegare i fenomeni tramite l 'intervento di uno sp irito u n ico, che p ercep isce le cose " dall'alto " (il Demiurgo della se­ conda delle concezioni realiste analizzate nel cap . 9, non asso­ miglia un po' a un tale dio? ), la tesi dell 'esistenza dello sp iri­ tuale inferiore ( quella dell 'animismo o del " tutto è sensibile ") considera l 'ipotesi dell 'esistenza di una moltitudine di " anime delle cose " come il mezzo p iù idoneo a spiegare i fatti nel loro insieme (ivi compresa l 'esistenza della coscienza umana). I n effetti, su questo raggruppamento, religioni e miti da una p arte, tesi animistiche dall 'altra, alcune p recisazioni si imp on­ gono. È innegabile che in passato religioni e miti hanno costan­ temente p reteso di p orsi come spiegazioni dei fenomeni ; in u n certo senso queste dottrine miravano a sp iegare l 'esperienza. Oggi tuttavia in questa loro funzione appaiono superate . Infatti, paragonate al potere di sintesi e di chiarificazione della scienza attuale, le affermazioni mitico-religiose sui fenomeni sembrano molto illusorie. La ragione del persistere di religioni e miti e della loro presa sul mondo moderno è da ricercare altrove , come si è visto, nella speranza di riuscire a cogliere, tramite essi, una rappresentazione simboli ca dell 'essere e la relazione che all 'es­ sere ci lega. I n altri termini, è per una specie di sublimazione del loro contenuto che le religioni restano legittimamente vive . Quanto alla tesi del " tutto è sensibile ", vi è stato s ì tra i p oeti chi l 'h a trasfigurata, ma si è trattato di casi sporadici, e la popo­ larità di quella tesi è soprattutto dovuta alla sua asserita cap acità di sp iegare qualche fenomeno particolare. Sono dunque questi gli asp etti che p iù ci interessa esaminare . La questione è molto amp ia e può essere qui studiata solo in modo schematico. Già in u n 'analisi sommaria occorre tuttavia d istinguere due diverse versioni. La versione p iù p op olare è una dottrina del realismo pros­ sim o . Ogni elettrone (e p iù generalmente ogni particella ele­ mentare) sarebbe dotato di un 'anima o u na coscienza, talvolta d enominata il suo " interno " p er meglio dare alla dottrina una parvenza di profondità. La materialità dell 'elettrone, o la sua

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apparenza (i sostenitori della dottrina spesso non distinguono l 'una dall'altra) è allora denominata il suo " esterno " (ed è sot­ tinteso, quando non lo si afferma in modo esplicito, che l 'in­ terno possiede una realtà più p rofonda dell 'esterno, quasi un valore o una dignità superiori). A partire da questa idea di base è facile interpretare praticamente qualunque cosa . Se una p arti­ cella di un certo tipo ne attrae altre d i tipo diverso, si parlerà di " amore " tra esse ecc. Più in generale, il filosofo che abbia s celto tale indirizzo non h a difficoltà alcuna a spigolare nella fisica, nella biologia o altrove, fenomeni " misteriosi" (per la scienza che se ne occupa) cui fornirà, in un linguaggio spiritua­ l ista elementare, una sp iegazione qu alitativa che gli sembra ab­ b agliante per chiarezza. Naturalmente, n ella quasi totalità dei casi si trova che i fenomeni in questione sono p erfettamente spiegabili da parte della fisica o comunque di una scienza che nella fisica abbia le sue radici. Spesso si è anzi in grado di calcolarne e quindi p revederne lo svolgimento, pur con metodi in cui è inevitabile talvolta il ricorso alla teoria quantistica, ov­ vero (secondo l'inte rpretazione che se ne dà abitualme nte) a una epistemologia positivistica. Solo in questo rispetto si può d ire che nei fenomeni in questione vi è qualche lato misterioso, almeno agli occhi di un realista ; tuttavia quest'ultima osserva­ z ione, se fatta apertamente sembrerebbe implicare la rinuncia al realismo prossimo , quello che gode del favore spontaneo di tutto il pubblico non colto. I più smaliziati tra gli au tori dunque non si pronunciano, preferendo lanciarsi in lunghe disquisizioni di tipo qualitativo sullo sp irito, l 'amore, la partecipazione e simili. In certo modo, questa versione dell 'an imismo è l 'esatta antitesi di quella concezione dello scientismo ingenuo che nel capitolo 6 era stata sottoposta a critica. Per molti versi essa è ancor meno interessante, poiché senza essere p iù coerente non ha la stessa u tilità. Quanto all 'altra versione dell'animismo , il suo principale mo­ tivo di interesse, in rapporto alla prima, è di non sacrificarsi al verbalismo e di non porsi falsi problemi. Ciò che si cerca di ri­ solvere è un problema reale, quello dell ' " appiattimento " (o riduzione) della funzione d 'onda, o dell 'entità matematica

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che la sostituisce, al momento di effettuare una misura . Ricor­ diamo che tale problema è fon damentale p er ogni concezione realista che, pur rifiutando a un temp o l 'ipotesi di variabili na­ s co ste n o n locali e di uno sdoppiamento dell 'osservatore tra due stati macroscopicamen te differenti, esiga tuttavia l'applicabilità della teoria quantistica ad ogni sistema di atomi, grande o p ic­ colo. A dire il vero, condizioni di tal fatta sono troppo restrittive, dal momento che impediscono qu alsiasi soluzione ; ecco dunque la concezione suddetta attenuarne il rigore,4 in u n modo però che ai suoi fautori sembra in fondo il meno arbitrario, se si vuol dare il giusto peso ai fatti osservati. S i fa notare infatti, da parte di costoro, che n essun uomo sarebbe mai cosciente di u na disso­ ciazione siffatta, e che d 'altra parte la teoria quantistica si applica in tutto il suo rigore ovunque sia possibile metterla alla prova del­ l 'esperienza, anche quando si abbia a che fare con sistemi macro­ scopici (ma n on coscienti). S arebbero, questi, indizi non trascu­ rabili a favore dell 'ip otesi secondo cu i gli esseri coscienti, ed essi soli, potrebbero in certi casi violare la teoria quantistica ( per ap­ piattimento della funzione d 'onda di un sistema che li include ). Si tratta ancora di u n 'idea imprecisa. Quali sono infatti i si­ stemi fisici coscienti? A una domanda simile è notoriamente impossibile dare una risposta scientifica, vale a dire fondata sull'esperienza. I n fatti, la reazione a uno stimolo si può sempre interpretare come effetto di un automatismo inconscio, e ciò anche nel caso di reazioni molto complesse a stimoli complicati (si pensi agli elaboratori) . A rigore ciò che so è soltanto di essere, io stesso, un essere cosciente . Mi sembra del tutto owio che anche gli altri u omini lo sian o ; e anche gli animali, con buona p ace di Descartes. A questo punto, non si p otrebbero consi­ derare coscienti tutti i sistemi fisici che p ossiedono un sistema nervoso di una certa complessità (che è possibile p recisare) ed essi soltanto? Questo criterio ha l'aria di essere ragionevole . Certo, si tratta di u n ' ip otesi restrittiva, lontana ancora dall 'ani­ mismo e che per giunta non lega con le conseguenze, cui si è accennato, di una riduzione della fun zione d 'onda. I n una vi­ sione realista che rifiuti le variabili nascoste, tale funzione ha per forza il valore di una realtà universale . Inaccettabile, dun­ que, l'ipotesi di una sua riduzione ad opera del solo sistema

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n ervo so di sp ecie animali esistenti su p ochi corpi celesti, quali la terra ! Così , una volta p resa questa direzione, si finisce inva­ riabilmente col generalizzare l ' ip otesi di u na coscienza p resente n elle cose. Al livello degli oggetti microscop ici si presentano tuttavia nuove difficoltà. Ad esemp io, l 'attribuzione a un elet­ trone di una coscienza rischia di contraddire il fatto elementare (e inoltre ben consolidato dall 'esperienza) che la funzione d 'onda di un elettrone non osservato non è ridotta . Chissà poi se, nell 'esp erimento delle fend iture di Young, u n elettrone che sapesse attraverso quale fenditura passare, contribuirebbe an­ cora alla costruzione delle frange d 'interferenza osservate sullo s chermo . . . Le risp oste a questioni di questo genere sono inevi­ tabilmente u n p o ' arbitrarie, dal momento che l 'amb iguità è insita nella domanda stessa : " C he cosa si intende esattamente per ' coscienza dell'elettrone ' ? " Nulla vieta di pensare che in una teoria futura si possa definire con precisione la nozione di co­ scienza, di modo che ai sistemi fisici ne tocchi in sorte una, e tanto più sfumata quanto p iù elementari sono i sistemi stessi. Può darsi benissimo che, una volta così elaborata, la su ddetta teoria si riveli un vero progresso nella sp iegazione sistematica d ei fenomeni della microfisica. Al momento si tratta di antici­ pazioni estremamente azzardate . U na simile teoria non esiste, non per il fatto che nessun fisico vi abbia mai pensato, ma p erché differenti ragioni tecniche (di cui sarebbe noioso analiz­ zare i dettagli) rendono la su a costruzione spave ntosamente d ifficile (forse anch e impossibile, se non si vuol sconfinare n ell 'arbitrario) . I n tali condizioni possiamo soltanto limitarci a considera­ zioni generali. Occorre allora far buon viso a cattivo gioco e accettare l 'ambiguità che a tali considerazioni si accompagna. Effettivamente, esiste un equilibrio qualitativo tra gli argo­ menti che giocano a favore dell 'ip otesi di microsistemi animati e quelli ad essa contrari. A favore dell 'ip otesi si p otrebbe ripe­ tere anzitutto quanto si era già detto sulla non-esistenza di se­ p arazioni manifeste tra esseri non viventi e viventi, e in questo secondo caso tra esseri non coscienti e coscienti ; si p otrebbe altresì richiamare l ' attenzione sulla consegu ente arbitrarietà di ogni ipotesi che restringesse a una sp eciale categoria di si-

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sterni fisici l 'attribuzione di una qualità (la coscienza) di cui è stata riconosciuta l 'irriducibilità ai fenomeni studiati dalla fisica. Se, in linea di p rincipio, tale argomento non dipende dal detta­ glio delle strutture della teoria fisica che si considera, è stato tuttavia sottolineato (cap . 9) che lo scacco della visione molti­ tudinista, caratteristica della fisica classica, ne rafforza ulterior­ mente la portata. Infatti quel fallimento impone una sceltà : fondare la scienza sulla sola oggettività debole (conferendo u n ruolo cap itale nella descrizione scientifica a quei fatti d i co­ scienza che sono la preparazione degli stati e l 'osservazione delle grandezze fisiche) oppure rinu nciare, almeno, a vedere in camp i e p articelle tante realtà in sé, localizzate e semplici (e nei fatti di coscienza, per deduzione naturale, loro emanazioni, legate a temp oranee stru tturazioni in aggregati ) . L 'analisi del conce tto di non-separabilità ha messo in luce tutta l 'ingenuità di tale descrizione, con la consegu enza, owia, che il fatto di coscienza non è p iù secondario in rapporto a particelle che in fondo non sono altro che semplici p roprietà (illusoriame nte lo­ calizzate) di una realtà non situata nello spazio . Da un altro punto di vista, attribuire ai microsistemi, o almeno a una gran varietà di piccoli sistemi fisici localizzati (grosse molecole, microcristalli e cc . ) coscienze individuali, nell 'ipotesi che queste in qualche modo provochino ! " ' appiattimento " delle funzioni d ' onda, considerate esse stesse come oggettive (in senso forte ), può certamente servire a sp iegare in modo semplice alcuni caratteri della microfisica attuale, ma non per questo basta a far luce su tutti gli aspetti. Precisamente, resta l 'enigma della non-separabilità : il meno che si possa dire è che in una tale visione del mondo questa proprietà non è deducibile e neppure figura a priori in qu alità di ip otesi. I n effetti, p er chi intenda preservare l 'idea di un ru olo eminente della coscienza nei fe­ n omeni fisici, la non-separabilità finirebbe p iuttosto con l 'ac­ creditare la nozione di qualche coscienza cosmica, di cui le coscienze individuali non sarebbero altro che l 'emanazione. A favore della teoria dell 'animismo vi è ancora un argomento, di tip o qu alitativo , che può essere p resentato come segu e . No n c 'è essere cosciente c h e n o n abbia attività p roprie. L 'attività propria (p er quanto difficile sia la definizione di tale concetto)

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può dunque in certo modo valere come caratteristica della p resenza di una coscienza. Ora, non appena esiste " realmente " , il microsistema i n un certo senso è anch 'esso attivo . Senza tra­ d ire il pensiero della scuola di Copenaghen si può infatti dire che un sistema quantistico (un elettrone, per fissare le idee) h a e sistenza attuale solo a l momento della s u a inter-azione c o n u n apparecchio di misura. Ecco dunque c h e n e l caso d e l microsi­ stema, come in quello del sistema animato, l 'esistenza è legata in modo essenziale a una interazione con l 'ambiente . Per di p iù , sia l 'uno che l 'altro sistema si presentano come un tutto organizzato ; da un punto d i vista intuitivo, l 'analogia è sorprendente. Cos ì , i vari stati eccitati di uno stesso atomo differiscono qu alitativamente per le forme dei loro orbitali, senza che possano esistere configurazioni intermedie : vien fatto di pensare alle differenze qualitative tra specie viventi, ma anche, in ugual misura, alle differenze tra i cristalli, tra le armoniche di uno stesso suono fondamentale e così via . Qui si tocca con mano il pericolo delle analogie . Più in generale, il fatto che il microsistema e l 'essere animato si comp ortino en­ trambi come entità indivisib ili non basta a fare di tale analogia un argomento serio in favore della tesi del " tutto è sensibile " . L o stesso può dirsi p e r quanto rigu arda l 'attività dei microsi­ stemi, cui si è accennato. L 'analogia c ol vivente esiste, ma chi p uò dire che sia qualcosa di p iù di u n 'analogia? Tenuto conto delle considerazioni p recedenti, la concezione animistica non sembra né da rifiutare categoricamente né da sostenere senza riserve . Sicuramente non la si può (alme no p er ora) considerare come una teoria scientifica solidamente fon­ data. Occorre dunque guardarsi dal riferirsi ad essa avventata­ mente al fine di sp iegare i fatti d 'esp erienza. In questo senso, la risonanza dei fenomeni p arapsichici può indurre in tentazione, tanto p iù che la loro reale esistenza è c onsiderata come indubi­ tabile da p ersone assolutamente imparziali. A parte queste ec­ cezioni, però , lo spirito critico degli altri, la folla dei seguaci e dei simp atizz anti, è a livelli bassissimi : un dato su cui sarebbe bene riflettere e che dovrebbe invitare a una sana cautela, so­ prattutto perché i vari tentativi di spiegazione teorica dei (pre­ sunti) fenomeni sono ancora a livello di vaghe congetture .

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Quello della parap sicologia in effetti è terreno ideale per grandi operazioni di divulgazione d ' assalto , che nella ricerca del sen­ sazionale, non senza un preciso interesse, finiscono fatalmente con lo stravolgere ogni abbozzo di teoria o modello . In queste condizioni è comprensibile che u n fisico teorico, per sperare d i contribu ire p ositivamente all 'insieme delle conoscenze, scelga di dedicarsi, in modo meno rischioso, a tutt 'altro genere di ma­ terie. O almeno, se di questa egli fa l 'oggetto delle sue riflessioni, è presumibile che non voglia sbilanciarsi fino al momento in cui, superate difficoltà dawero notevoli, gli sia riuscito di ela­ b orare una teoria dei fenomeni esatta, p recisa, ben verificata da un insieme di fatti conosciu ti e inseribile in mo do soddisfa­ cente nella scienza già costituita. Nulla di male, in compenso, nel sentire suggestiva la dottrina del " tutto è sensibile ", alla stregua di un mito grande e ricco di insegnamenti nascosti. Il saggio , che a convinzioni animistiche è giu nto al termine di una lunga meditazione, scoprirà che anche un uomo di scienza può dialogare con lui, e con ciò ar­ ricchire la su a visione del mondo. E se dialogo vi sarà, questo avverrà non già in base a chissà quale comu ne interesse per le tecniche di previsione di fenomeni paranormali, bensì per l 'aspiraz ione di entrambi a comprendere i p ossibili rapporti tra spirito umano e realtà p rofonda che non si riducano a semplice azione. Note al capitolo decimo 1 L'interpretazione per mezzo delle variabili nascoste sicuramente permette di restaurare l'oggettività forte, come è stato osservato. Tuttavia in questo quadro la descriz ione planetaria non è più valida, dal m omento che il calcolo mostra ch e l'elettrone resta fisso! Vedi D. Bohm, Phys. Rev. , voi. 85, 166 e 180 ( 1 952). 2 L'argomento è così vasto e tocca tanti aspetti sconosciuti che sarebbe nece!I" sario sfumare all 'infinito affermaz ioni di qu esto genere. Per esempio, u n 'interpreta­ z ione qu antitativa dei fenomeni di non-equ ilibrio, e di quelli rigu ardanti le strutture d issip ative e le m acromolecole non è che agli inizi; p er ora essa permette valutazioni molto rozze sulla probabilità dell'esistenza di organismi viventi complessi nell'uni­ verso. Allo stato attuale delle conoscenze, si risch ia così di rifiutare perentoriament� ogni valore esplicativo dei fenom eni al m ito dell 'amore divino creatore di forme. E un campo, qu esto, in cui occorre imp arare a p ronu nc iare parole talvolta d ifficili da d ire, quelle che compongono le p iccole frasi " non so" oppure " non so ancora". 3 Per quanto riguarda la rel igione cristiana, si può tentare una sintesi nel modo seguente. Se all ' insieme costitu ito dai fenomeni di coscienza, che nell'uomo si pre­ sentano con peculiare intensità, si dà il nome di "anima", quella della d ivin ità di

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Capitolo decim o

Cristo è allora l' ipotesi secondo cu i l'anima, in ciò che ha di "buono" (concetto da specificare a parte), è u na entità che oltrepassa l 'uomo ind ividu ale e ricoprendo per così dire l ' insieme degli uom in i, si congiunge misteriosam ente all 'Essere. Tale ipotesi non è ovviamente di tipo scientifico, non m irando alla sp iegazione dei fenom eni né alla loro previsione, ma è in grado di d isch iudere all'uomo una p rospettiva verso l ' E ssere che, per quanto enigmatica, lo aiuta positivam ente a situarsi in relaz ione a quest'ultimo e può legittimam ente essere supposta giusta. • Vedi per esempio B. d'Espagnat, I fondamenti concettuali della meccanica q uantistica, trad. it. (Bibliopol is, Napoli 1 980).

Capitolo 1 1 Scienza e filosofia

Qu ella che, in mancanza di un 'espressione più appropriata, devo ch iamare la mia filosofia (o p eggio ancora, la mia conce­ zione del mondo), è stata illustrata a grandi linee nel capitolo 9 ; la definizione di " filosofia del reale velato " la riassume corret­ tamente . Pur non essendo esclusivamente fondata su considera­ z ioni tratte dalla fisica contemp oranea, essa prende molto sul serio i vincoli imp osti da alcuni risultati fisici fondamentali ; ne sono una prova i precedenti capitoli concernenti la non-separa­ bilità e la filosofia dell 'esperienza, nonché i tentativi infru ttuosi di Einstein tendenti a restaurare un realismo puramente fisico fondato sulla località. Come si è visto, quei vincoli conducono naturalmente a riconoscere che (salvo eventuali sottili contro­ argomenti, p eraltro assai improbabili) la sola concezione che sembra compatibile con tutti i fatti è in fondo una sorta di rea­ lismo non fisico. Tale op inione, come d 'altra p arte l 'analisi che ad essa con­ duce, può andare incontro a critiche di varia natu ra, a priori del tutto legittime. C o s ì , alcu ni filosofi avranno da ridire sul metodo seguito : molto discutibile, quell 'idea di prendere in considerazione fatti d 'esperienza e grandi teorie della fisica contemporanea per giungere a risultati che in fondo si sareb­ bero potuti ottenere subito, semplicemente riflettendo sulla mancanza di coerenza interna di ogni realismo scientifico ! Al

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Capitolo undicesimo

contrario, tra gli scienziati saranno in molti a mettere l 'accento sul carattere schematico e qualitativo delle analisi svolte, che hanno portato alla confutazione di ogni realismo fisico. Certo, diranno, nella vita quotidiana analisi come queste possono anche bastare a guidare verso conclu sioni corrette, proprio p erché i concetti cui fanno imp licitame nte ricorso sono pre­ adattati in vista di necessità di questo tipo : come si è detto, essi sono il frutto di un 'elaborazione che può aver avu to luogo n ell'infanzia o nel c orso dell 'evoluzione, o in entrambe . Tut­ tavia, quando si tratta di analizzare la struttura intima della materia (dominio interdetto al bambin o e ai nostri progenitori, p er ovvi motivi) tutto è nuovo, anche i concetti. Vi è il rischio che in queste condizioni i metodi qualitativi, p ropri della ri­ flessione naturale, siano gravemente insu fficienti. È dunque in­ d ispensabile che la nostra analisi sia ben p iù serrata, anche in senso quantitativo, di quanto non ci si possa p ermettere in una panoramica di idee generali ; in particolare, tutto l 'arsenale d elle teorie contemp oranee della fisica dovrà essere sfruttato . Solo in tal modo ci si p otrà eventu alme nte garantire dal p ericolo che appunto qualche argome ntazione sottile venga a d are scacco alle conclusioni cui si giunge natu ralmente, con ragionamenti di tipo qualitativo. È normale, anzi in dispensabile, che riserve di tal genere siano formulate. Il presente capitolo, un p o ' più tecnico dei p recedenti, si p ropone di esaminarle e di sp iegare, almeno a grandi linee, le ragioni della loro insufficienza (a mio p arere) a invalidare le conclusioni generali cui siamo perve nu ti o il metodo di analisi che ha condotto a tali conclusioni. La diversione macroscopica 1

È opportuno esaminare subito quel genere di riserve che abbiamo appena attribuito agli scienziati. A molti di loro p iacerebbe vedere il realismo fisico confermato dai fatti : essi sperano sempre che a un bel momento si riesca, con qualche ragionamento non elementare (o anche con " sottigliezze " , s e i l termine sembra p iù appropriato) a creare le condizioni di u n accordo tra realismo fisico e meccanica quantistica, teoria

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notoriamente efficace nell'illustrare fatti di notevole impor­ tanza. A giudizio della quasi unanimità degli esperti, questa speranza, se mai ha ragione di esistere, è legata alla considera­ zione del carattere macroscopico degli strumenti di misura delle grandezze fisiche . L 'espressione dubitativa s 'impone, non essendo ancora gli specialisti del tu tto concordi in merito alla sufficienza o meno di tale condizione. 2 Quando si tenta di precisare un 'idea simile, la principale d ifficoltà riguarda nello stesso temp o sia la concezione generale che ci si forma degli oggetti sia la definizione dei termini. Gli oggetti macroscop ici sono estesi ; questo significa che è possi­ b ile effettu are idealmente una loro suddivisione in parti, cia­ scu na delle qu ali occupa u na regione ben determi nata dello spazio ; la riunione d i tu tte le regioni è proprio lo spazio totale occupato dall 'oggetto. Poiché le varie parti sono a loro volta scomponibili in modo analogo, è del tutto naturale p ensare a un oggetto macroscopico in termini di costituenti " micro­ scopici " . Che si tratti di un 'intuizione quasi necessaria è con­ fermato dalla stessa fisica, che, con i suoi classici procedimenti sperimentali e dedu ttivi, giu nge anzi a chiarire la natura (mo­ lecole, atomi, elettroni, nucleoni . . . ) d i tali costituenti micro­ scopici degli ' ' oggetti ' '. D'altra parte, supponendo di aver scelto risolutamente tale d irezione, che cosa si potrà chiamare oggetto (o corpo) ma­ croscop ico ? Certamente non un sistema fisico formato da due o tre particelle o atomi. L 'esperienza stabilisce infatti con cer­ tezza che i p iccoli sistem i d i questo tipo obbediscono ancora alle leggi della teoria quantistica (ad esempio danno luogo, proprio come i loro costituenti, a effetti d i diffrazio ne) ; sem­ p re in base all 'esp erienza, si è visto che su essi è possibile effet­ tuare misure che (secondo la teoria quantistica) sono incom­ patibili con l 'ipotesi secondo cui ai suddetti sistemi compe­ terebbero comu nque, in ogni istante, posizioni ben determinate, almeno su scala macroscopica. Ora, p er un possibile accordo tra realismo fisico e meccanica quantistica, è indispensabile che l ' ip otesi della localizzazione possa farsi p er quanto con­ cerne le varie parti (indice, quadrante ecc. ) degli strumenti.

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Ci si può chiedere allora quale sia, in termini di numero di micro sistemi costituenti, la complessità minima dell 'oggetto a partire dalla qu ale quell 'ipotesi è lecita. Il numero in que­ stione sarà trentasette, settantacinque o quaranta milioni? Chiaramente, nessuna di queste risp oste ha reali possibilità di essere giusta, trattandosi sempre di scelte arbitrarie . Di fatto, i fisici teorici che ricercano l 'accordo suddetto p er questa via sono oggi unanimi nel ritenere quel numero infinito (la risp osta è nuovamente fru tto di calcoli elaborati) . Proprio questo è il p unto : volendo rigu ardare, in modo p ienamente coerente, u n sistema fisico complesso come dotato, i n tutte l e circostanze e in ogni istante, di proprietà intrinseche, quali la posizione approssimata del baricentro, la velocità approssimativa ecc . , occorre (condizione necessaria ) c h e i l numero d e i suoi costi­ tuenti elementari sia infinito ; occorre altresì che il sistema in questione si estenda all 'infinito in tutte le direzio ni dello spazio. Secondo alcuni ricercatori, è necessario ancora ip otiz­ zare che, a p arte alcu ne grandezze macroscopiche semplici, le quantità in linea di massima osservabili su un sistema (e alle cui e spressioni matematiche si deve dunque conferire un senso fisico ) possano chiamare in causa solo un numero finito di costituenti elementari del sistema stesso ; o tutt 'al p iù u n nu­ mero il cui rapporto, rispetto al numero totale dei costituenti, sia inferiore all 'unità e soddisfi a condizioni restrittive oppor­ tune. Vi sono altre restrizioni, che p erò in questo contesto non è il caso di esaminare . Nel loro insieme, le precedenti condizioni definiscono una situazione ideale, e i p rimi a riconoscerlo sono proprio coloro che le hanno teorizzate . Tuttavia essi ritengono che l 'idealizza­ z ione sia legittima : infatti, pur non essendo infiniti, i sistemi macroscop ici sono grandissimi, se confrontati con le dimensioni caratteristiche degli atomi e delle molecole . Trattarli come se fossero infiniti non è p iù criticabile del considerare rigorosa­ mente isolato u n sistema che lo è soltanto con buona approssi­ mazione (operazione corrente, questa, su cui nessuno ha n ulla da ridire ! ) . Tale idealizzazione del resto ha già dimostrato la sua efficacia : non è significativo, forse, che un procedimento molto simile a questo p ermetta di costruire la teoria dei cam-

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biamenti di fase? Esiste infine, a dire di questi fisici, u n legame tra l 'accordo proposto (fra teoria quantistica e realismo fisico) e quello che, in modo p iù classico, si potrebbe stabilire tra re­ versibilità delle equazioni della microfisica e irreversibilità del mondo macroscopico. Appellandosi a questi argomenti, essi affermano che tutto sommato teoria quantistica e realismo fisico sono comp atibili. Le motivazioni addotte sono fondate, ma, come si può os­ servare, piuttosto sottili ; anche dopo averle comp rese detta­ gliatamente (al prezzo di un certo studio tecnico) è difficile dire se siano convincenti o meno. Infatti l 'opinione che ci si formerà su esse dipende decisamente dalla maggiore o mi­ nore esigenza, spesso implicita, che si ha riguardo alla scienza e al suo potere descrittivo . Quanto a me, nego che siano perti­ n enti, soprattutto p erché quell 'esigenza non sarà la stessa se in un caso il problema studiato è di natu ra squisitamente scienti­ fica e nell 'altro rigu arda la ricerca di una conoscenza di " ciò che è " . L 'ultima affermazione richiede un chiarimento . Eccolo : lo studio dei camb iamenti di fase della materia, cui si è accennato, è secondo me un esempio di p roblema del primo tip o . Esso in­ fatti riguarda soltanto i fenomeni. Se p er il mo dello idealizzato di un sistema fisico infinito si giunge a costruire una teoria coe­ rente di fenomeni che riproduca qu alitativamente i fatti osser­ vati, il nostro obiettivo può considerarsi raggiunto. I n fondo, non c 'è un motivo serio per ritenere che il caso dei sistemi fi­ niti ma grandi, quantu nque più difficile da trattare in p ratica, sia tanto differente da quello del modello idealizzato . E nulla vieta di pensare che le piccole, inevitabili differenze tra i due casi siano abbastanza tenui da essere sfuggite all 'osservazione . L 'esistenza di tali differenze, che almeno p er scrupolo si dovrà ammettere, non sarebbe quindi motivo di imbarazzo ; questo anche immaginando che un ipotetico sperimentatore sia in grado, con i suoi strumenti sofisticati, di amplificarne e dunque renderne osservabili gli effetti : al limite potrebbe essere il classico diavoletto, dalle antenne ultrasensibili, capace di per­ cepire in un baleno le differenze tra la realtà (empirica) e le previsioni del modello idealizzato. 3 Per noi, che diversamente

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dal diavoletto non abbiamo quel tipo di sensibilità, si tratterà comu nque di un modello valido, ché tale è ogni modello scien­ tifico che, oltre a render adeguatamente conto delle osserva­ zioni già effettuate, consenta di prevedere i risultati di quelle future su qualche nuovo corp o . 4 Si è appena terminato l'esame d e i problemi d e l primo tipo, cioè interni alla scienza. R igu ardo al problema di rendere compa­ tibili teoria quantistica e realismo fisico (d 'ora in poi, semplice­ mente, " problema della compatib ilità") si osservano ora, molto accentuate, somiglianze e• diversità. C ominciamo dalle prime . Anzitutto, anche in questo caso l ' u nica teoria rigorosa degli stru­ menti è fondata sul modello idealizzato di oggetti macroscopici, supposti infiniti. I n secondo luogo , le differenze tra le previsioni di un tale modello e i dati reali relativi a veri e propri sistemi macroscopici (come strumenti o p arti di strumenti) sono anche qui difficilmente rilevabili, e in pratica al di fuori della p ortata dei dispositivi sperimentali. Una terza analogia è data dal fatto che le differenze in questione sono nondimeno reali. Infatti, salvo il caso in cui sia fatta un ' ip otesi ad hoc (di cu i discuterò più avanti ; vedi p . 1 64 ) , il demone precedentemente conside­ rato, in presenza di due oggetti macroscopici reali (non infiniti) che h anno in teragito nel passato, non avrebbe alcuna difficoltà a mettere in evidenza fatti genericamente assimilabili a feno­ meni di interferenza, cioè incompatibili, se la teoria quantistica è esatta, con l ' idea della localizzazione macroscop ica, istante per istante, dei baricentri degli oggetti considerati. I n che cosa allora, nel p resente problema della compatibilità, la situazione è differente da quella del cambiamento di fase, preso ad esempio in precedenza? La risposta è chiara : l'unica diversità è relativa al fatto che questa volta le differenze, che pure esistono in entramb i i casi, tra realtà e p revisioni del mo­ dello, sono viste (ancorché inosservabili) come irrimediabil­ mente contraddittorie rispetto alle nostre istanze realiste, e p ertanto inaccettabili. Qui il gioco dialettico diviene, come ben si vede, abbastanza sottile. Il punto è che il n ostro diavoletto non può assoluta­ mente lasciar p assare l ' affermazione (essenziale per un fautore del realismo fisico ! ) che in tutti i casi e in ogni istante ogni

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del realismo fisico ! ) che in tu tu 1 casi e in ogni istante ogni parte di uno strumento (ogni indice di voltmetro , p er fissare le idee) si trova per intero in qualche ben definita regione dello spazio (si pensi a un intervallino su una scala graduata) : in alcu ni casi egli può infatti effettuare esperimenti a smentita. È dunque falsa la tesi di una universale quasi-lo calità delle parti di strumenti (nel senso appunto della loro localizzazione in domini dati). Si dirà che il diavoletto non esiste ! Certamente, ma ciò che qui conta è il fatto di poterlo immaginare : u na tesi non può essere vera se alcune sue conseguenze, verificabili in linea di p rincipio, sono sicuramente false . Questa imp ossibilità permane anche qu ando tali conseguenze non siano verificabili di fatto, a causa dello stato p oco avanzato delfa tecnologia o per motivazioni simili, certo stringenti ma descrivibili soltanto in riferimento all'umano . La discussione può continuare senza che nessuno dei protago­ nisti ammetta di essere battuto . Secondo me, ciò dipende non tanto da eventu ali carenze logiche nel ragionamento di uno di loro, quanto dal fatto che essi si formano due concezioni diffe­ renti della realtà. Chi sottolinea l'inesistenza del " demone " , e più generalmente fonda i suoi argomenti su alcuni limiti pratici dell'uomo, è per ciò stesso (consapevolmente o meno) un kan­ tiano, il che owiamente non vuol dire che egli sottoscriva inte­ gralmente le tesi di Kant. H eisenberg, per esempio, era consa­ pevolmente un kantiano quantunque rifiutasse la concezione metafisica dell 'a priori di Kant. Il discep olo di Heisenberg chiama dunque realtà tout court una realtà vista dall 'uomo (chi altri, egli domanda, potrebbe vederla? ) e che coincide allora con quella che ho chiamato realtà empirica. Non accettando di considerare come realmente sensata nessu n 'altra concezione della realtà (salvo forse una certa " potenzialità " ) , egli può a buon diritto rifiutare l 'obiezione che è stata prima descritta in termini di " diavoletti" o di sperimentatori da fantascienza. Di conseguenza, l'aver tenuto in conto il concetto di oggetto ma­ croscopico gli sembra una soluzione brillante del problema della compatibilità. Ma in modo altrettanto legittimo (è sempre lo stesso, eterno p roblema ! ) il suo awersario può rifiutarsi di con­ siderare come ultima tale concezione antropocentrica della

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realtà. Per lu i quell 'obiezione resta valida, e p erciò il problema della compatibilità tra teoria quantistica e realismo fisico non si risolve con l 'introduzione del pur u tile concetto di oggetto macroscopico . Per quanto mi riguarda, avendo definito la realtà come indipendente dall 'uomo, u n semplice scru p olo di coerenza mi fa condividere questo secondo punto di vista . I n precedenza, per evitare digressioni troppo dispersive , h o rinviato l'esame di u n 'ipote si p articolare (definita ad hoc ) . È venuto il momento di precisarla e di mostrare che essa non cambia la sostanza dell 'argomentazion e . Si tratta dell'ip otesi (già menzionata a p . 1 60) secondo cui la maggior p arte delle quantità osservabili su un sistema può mettere in gioco soltanto un numero finito di costituenti ele­ mentari di quest'ultimo, o almeno un numero sottoposto a certi vincoli. Alcuni dei fisici che credono che il problema della compatibilità sia risolvibile nei modi qui descritti si basano proprio su questa ipotesi. Io temo tuttavia che la sua apparente utilizzabilità in tal senso dipenda da una imprecisione contenuta nella sua stessa formulazione . Qual è infatti il reale significato della parola " osservabile " che abbiamo appena letto ? Se con essa ci si riferisce soltanto alle possibilità dell 'uomo di oggi, tenuto conto d ei limiti umani e della precisione delle tecniche, allora nulla è da cambiare nell 'argomentazione dei p aragrafi che precedono. Se si intende " osservabile in linea di principio " , allora, effettivamente , l 'obiezione che colà si rivol­ geva contro l'ipotesi della compatibilità non può p iù essere mantenuta nella forma originaria ; in tal caso, neanche il diavo­ letto potrebbe effettuare esperimenti che gli mostrino diffe­ renze tra le previsioni della teoria quantistica e quelle fondate sulla quasi-località universale degli strumenti o delle parti di strumenti. Quell'obiezione tuttavia, e il fatto va sottolineato, compare sotto un'altra forma (ripetiamo che essa riguarda uni­ camente la p o ssibilità di una soluzione al problema della com­ patibilità iscrivibile nel quadro di un realismo fisico, dunque non kantiano e n on alla H eisenberg) . Per ciò che concerne i sistemi reali, nel quadro della teoria quantistica attuale non si intravede ancora il modo di distinguere razionalmente, nell 'in-

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sieme delle entità matematiche (gli operatori hermitiani) in grado a priori di descrivere grandezze fisiche, da una parte quelle corrispondenti a quantità osservabili in linea di p rincip io, dall'altra quelle non significative a tale rigu ardo . Più esatta­ mente, non si vede alcun criterio razionale di op erare questa suddivisione in un modo che apra la via a una descrizione reali­ sta degli aspetti più generali del fenomeno della misura. Il p ro­ b lema è oscuro (non ci dilungheremo qui sui suoi aspetti tecnici) sia perché concerne sistemi reali, dunque non infiniti, sia per il suo carattere esclusivo (tutto o niente ! ) Una quantità matema­ tica data o corrisponde a una grandezza realmente esistente (e du nque " o sservabile in linea di principio " dal diavoletto ) o non corrisponde ad alcuna grandezza del genere . Le categorie in termedie non figurano nel nostro arsenale concettuale . La discussione che si è appena fatta può semb rare ridondante, tuttavia è ancora assai lontana dal riflettere la complessità reale del problema. Per esempio, anche nell 'ipotesi in cui si fossero potuti accordare in modo coerente teoria quantistica e princi­ pio di qu asi-località universale degli strumenti, sarebbe stata necessaria una certa aggiu nta alla teoria in questione, sì da renderla p ienamente compatibile col realismo fisico . Si sareb­ bero dovu te introdurre cioè nuove variabili, in aggiunta alla fu nzione d'onda delle parti di strumenti (come gli indici), corrispondenti alle posiz ioni assunte dagli strumenti stessi dopo una " misura " effettu ata su un sistema qu antistico. I n­ fatti, nel caso generale tali posizioni non sono determinate a priori, e p ertanto non sono specificate dalle funzioni d 'o nda iniziali né , di consegu enza, dalla funzione d 'onda totale del complesso " sistema misurato p iù strumento " . Si tratta così di variabili aleatorie, ch e non p renderebbero valori precisi se non all 'atto della misura stessa. Il problema di determinare il grado minimo di complessità degli strumenti, a partire dal quale si avrebbe la comp arsa di tali variabili, rappresenta un altro aspetto delle difficoltà descritte. Più volte, in riferimento a questi problemi, è stato invocato il concetto di irreversibilità. Ma in ogni caso è ch iaro che in tal modo la difficoltà verrebbe solo sp ostata : infatti gravi ostacoli

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( simili a quelli descritti) si oppongono ai tentativi di definizione " oggettiva in senso forte " (specialmente se si richiede che essa sia applicabile a sistemi non arbitrariamente idealizzati) di ciò che si intende p er fenomeno irreversibile. Nella ricerca di una soluzione alle difficoltà illustrate, si p otrebbe anche tentare di utilizzare la circostanza che i sistemi macroscopici non sono p raticamente mai del tutto isolati, e che pertanto è fuor di luogo applicare ad essi in mo do indiscriminato la teoria quanti­ stica. Tuttavia un esame attento mostra che anche in questo caso si ripropongono alcune delle amb iguità e delle questioni non risolte già incontrate. Come ho sottolineato poco fa, una volta defin ita la realtà come indipendente dall 'uomo, non mi restava, per coerenza, che condividere il punto di vista secondo cui la considerazione del carattere macroscopico degli strumenti non basta a rendere compatibili la teoria quantistica u suale e il postulato del reali­ smo fisico. Si è anche detto, nel corso dei precedenti capitoli, pur se in modo più succinto, che in linea di massima non sem­ bra esistere una concezione generale e non arbitraria in grado d i pervenire a un simile risultato . Malgrado ciò, certi sviluppi teorici, che a giudizio di molti puntano in quella direzione, continuano ad apparirmi estremamente interessanti e istruttivi, per quanto strano p ossa sembrare . 5 I n realtà non c 'è nulla di straordinario in questo, se si considera che p erlopiù gli autori di quegli sviluppi dichiarano di situarsi, come orientamento filosofico, nel filone del pensiero di Heisenberg. In effetti, a questo punto il problema è quello delle relazioni tra la realtà empirica e l 'uomo : un problema ben p osto e anche estrema­ mente ricco e complesso . È inevitabile che l 'uomo ( come certamente l'animale) si senta esistere nello spazio. Pur e ssendo soltanto empirica, una tale realtà è nondimeno p er lui infinita­ mente " reale " , come lo è l 'irreversibilità del tempo, che egli sente scorrere senza possibilità di ritorno. Pur non essendo l 'ar­ gomento della presente opera (guai a voler trattare di tutto ! ) , è appassionante lo studio dettagliato sia delle interconnessioni e dei feedbacks tra le microstrutture fisiche, così come l 'uomo le coglie, sia della loro tendenza a generare, in certi casi, com­ posti macroscopici irreversibili e/o organizzati. Non meno in-

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teressante è l 'esame delle stru tture c h e i l pensiero (comparso i n alcuni di questi composti) p u ò ereditare da tale processo d i formazione, e infine (chiudendo i l circolo ) quello dell 'azione che tali strutture hanno sulle modalità p ossibili di apprensione delle microstrutture fisiche da parte dell 'uomo. I risultati quantitativi di tali ricerche lasciano intravedere, al di là di ogni congettura arbitraria, verità illuminanti sul modo specifico con cui quel che noi uomini chiamiamo " ordin e " può stabilirsi p rogressivamente in seno al disordine, senza violare p er questo le leggi della fisica, nonché su altri temi simili. Stando all 'evidenza, sembrerebbe che gli esseri umani, per definizione, siano capaci di cogliere direttamente la sola realtà empirica ; questa costataz ione, e la possibilità di giungere pro­ gressivamente a scoperte del tipo suddetto a partire dalla sola fisica operazionale (senza l 'introduzione preliminare di alcuna affermazione a priori sull 'essere ), p ossono ingenerare la convin­ z ione che in fondo per l 'uomo conti e abbia senso la sola realtà empirica. È anche comprensibile che quest 'ultimo punto di vista (che è quello, p er esempio, sommariamente illustrato da Wolfgang Pauli nei frammenti delle lettere citate nel cap . 3) sia stato lucidamente adottato da non p ochi fisici teorici ; tuttavia, pur riconoscendo la fondatezza degli argomenti che avvalorano una certa tesi, è lecito adottarne una differente, se gli argo­ menti a favore di quest 'ultima sembrano tutto sommato più convincenti ; il criterio da me segu ito, come ho ricordato, è esattamente questo. Gli argomenti che hanno determinato la mia scelta sono stati ampiamente sviluppati nel corso dei capi­ toli precedenti. Grosso modo, si riassumono in due idee centrali. Una, lo ammetto, è a priori : non accetto volentieri né la tesi (presu ntuosa) secondo cui tutto il reale sarebbe incentrato sul­ l 'uomo, né quella (troppo modesta) che all 'uomo concede uni­ camente l 'accesso a vane app arenze, qu alunque mezzo egli usi! L 'altra idea è invece a posteriori, e si fonda sulla costatazione d el fatto che la non-separabilità è in relazione con la realtà indipendente, e allo stesso tempo accessibile all 'esperienza. Qu est'ultima affermazione è stata dimostrata nel cap itolo 4, la prima lo sarà, e in modo molto esplicito, nel prossimo capitolo . Prese insieme, esse fanno discendere il concetto di realtà indi-

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pendente dal cielo delle grandi idee metafisiche. Gli scienziati, così amanti della concretezza, p ossono perciò ricominciare a p renderlo in consideraz ione. La "linea retta" dei filosofi

Se fin qui ho tentato di difendere la mia concezione di u n realismo n o n fisico dalle p o ssibili contestazioni degli scienziati, è venuto ora il momento di rivolgermi ai filosofi. I n questo caso il punto controverso non rigu arderebbe tanto la tesi in sé quanto questioni di metodo. Ho in mente quei filosofi che , con Alquié, 6 ritengono assurdo a p riori i l realismo fisico e tu t­ tavia dotato di significato il concetto di essere : di qui l 'idea di u n realismo non fisico o di concezioni più o meno simili. Mi p ropongo qui di far vedere che il metodo dimo strativo di questi filosofi (quello che consente loro di giungere rapidamente alla c onclusione, senza dover introdurre alcuna considerazione con­ cernente la stru ttura stessa della fisica, così come l 'esperienza ce la rivela), se ha il pregio della rapidità, è tuttavia meno sicuro d el mio, che si fonda al contrario su " dettagli" di tipo fisico . Vorrei qui ch iarire il mio pensiero i n proposito p er tentare , se p ossibile, una sintesi, o almeno un avvicinamento delle p osi­ z 1om. L 'accettazione della tesi del realismo fisico, cioè, schemati­ camente, dell 'idea che la natu ra possieda una realtà oggettiva indipendente d alle nostre percezioni e dai nostri mezzi di inda­ gine, ma descrivibile in linea di principio per mezzo della fisica, conduce quasi inevitabilmente a definire la realtà fisica come l 'insieme degli oggetti accessibili, in linea di principio, alla nostra conbscenza sperimentale (direttamente o attraverso teorie interposte) e a considerare questa stessa realtà p rioritaria in rapp orto allo spirito ( che rientrerebbe nel concetto onni­ c omprensivo di patu ra) . La critica che quei filosofi rivolgono ai fautori di un simile punto di vista è la segu ente : è contraddit­ t orio, affermano, dopo aver proclamato il primato della realtà fisica sullo spirito , definire questa stessa realtà " al livello del­ l 'oggetto scientifico, cioè, precisamente, come costruzione d ello sp irito " . 7 Essi concludono che ogni oggettivismo scien-

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tifico , p er la precisione, ogni filosofia che definisce la materia al livello dell 'oggetto scientifico (è in particolare il caso del pensiero di Lenin e di non pochi materialisti dalle p retese scientifiche) è semplicemente un idealismo che non si ricono­ sce come tale. Che pensare di una simile argomentazione? Se è fondata, resta da sp iegare come mai sia sfuggita a tanti fini intellettu ali che si dicono materialisti. Se non lo è, si tratta di scop rire l 'errore. Penso che questo tipo di critica sia giustificato se alla scienza si chiede la certezza . A rigore, niente è sicuro se non le opera­ zioni, e di conseguenza, le uniche affermazioni che la scienza può fare, per avere qu el requ isito, saranno esclusivame nte di tipo operazionale . Ora, tutto ciò ha senso solo in riferimento a un operatore. Arrivare a dire, ad esemp io, che l 'elettrone esiste in sé solo perché, a segu ito di certe operazioni, si sono os­ servate alcune regolarità di tipo sperimentale che il concetto di elettrone serve a descrivere, equ ivale a uscire dal camp o delle certezze e qu indi dal quadro scientifico . L 'osservazione è del tu tto generale : la certezza della scienza implica che il con­ cetto di oggetto scientifico sia equivalente , in tutto, a quello di un certo insieme di operazioni che noi possiamo fare e di risul­ tati che il nostro sp irito può p ercepire . Al di là non c 'è nulla, né può esservi nulla tranne l 'incertezza. E quei filosofi hanno ragione: anche se l 'esempio dell 'elettrone aiuta la compren­ sione (sop rattu tto se conosciamo un po ' di fisica mo derna), non è in nessu n modo essenziale. A rigore, l 'argomento è a priori, cioè totalmente indipendente da quelli che sono di fatto i dati sperimentali e la struttura teorica della fisica. D 'altra parte, tale conclusione non esaurisce il tema : chi dice infatti che la scienza debba essere certa ? Una quasi cer­ tezza p otrebbe essere sufficiente. Anzi, così dev'essere, poiché da molto temp o gli epistemologi hanno messo in evidenza la sterilità (anche sul piano strettamente scientifico) dell 'emp i­ rismo integrale o del puro operazionismo, che bisogna in qualche modo superare, se si vuol pervenire a certe generaliz­ zazio ni e al concetto stesso di legge universale (vedi capitolo

1 70

Capitolo undicesimo

seguente ). È una sfasatura, questa, che autorizza dubbi sulla validità delle affermazioni della scienza. Fortunatamente questa stessa scienza insegna che in natura, in certi casi, l 'incertezza è talmente scarsa da equivalere praticamente alla certezza. Come tutti sanno, la probabilità che geli il contenuto di un ebollitore posto sul fu oco non è u guale a zero, ma è cos ì esegu ita da essere trascurabile . C o s ì nelle previsioni della scienza, p iù an­ cora nelle sue interpretazioni, siamo abituati a tollerare una leggera incertezza. Ora, tu tto ciò è sufficiente a modificare completamente i dati del problema. Per rendercene conto, proviamo a pensare a un mondo (una realtà indipendente ) in cui la meccanica newto­ niana elemen tare fosse esatta e non soltanto approssimata ; u n mondo come questo, c o s ì diverso dal nostro , eppur concepi­ bile, dev 'essere esistito nell 'immaginazione dei d 'Alembert, dei Laplace, dei Lagrange e in generale dei teorici della fine del di­ ciottesimo secolo e dell 'inizio del diciann ovesimo. Tutti i feno­ meni vi troverebbero la loro sp iegazione a partire dalla mecca­ nica newtoniana del pu nto materiale e sarebbero analizzabili, alla fin fine, come movimenti di piccoli grani, soggetti a forze provenienti dai grani stessi. L 'affermazione che un mondo sim ile è concep ibile non implica un giudizio sulla sua esistenza reale . Può darsi che u n ' analisi rigorosamente dedu ttiva metta in luce che Laplace aveva torto a priori e, più esattamente, che in un mondo come quello non sarebbe proprio possibile la formazione di corpi solidi stru tturati, di organismi e cos ì via, e dunque nemmeno di in telligenze. Con tutto ciò, n on si tratte­ rebbe certo di una conclusione owia, dal momento che è sfuggita ai più grandi ingegni dell 'ep oca di cui parlavo . È proprio questo il senso della mia affermazione sulla p ossibilità di immaginare un mondo newtoniano. In esso, l 'elaborazione di una fisica renderebbe necessaria l'intro duzione di alcuni concetti basilari, ma questi d 'altra parte sarebbero u nicamente il risultato di operazioni mentali basate sulla qu otidiana espe­ rienza delle proprie p ossibilità di azione : si seguirebbe in so­ stanza la stessa via percorsa, nel mondo reale, dai fondatori

della nostra fisica. A questo livello , il filosofo ha dun que anc ora ragione : anche all 'interno di un mondo così elementare , l 'og-

Scienza e filosofia

1 71

getto scientifico sarebbe, a rigore, una costruzione della mente. E il fisico che volesse considerare la sua scienza c ome un fascio di certezze dovrebbe riconoscere , di nuovo, che queste riguar­ dano solo tutte le possibili esperienze di esseri pensanti e comu­ nicanti, non già la realtà indipendente. Ma se i fisici di questo m ondo newtoniano si accontentassero, al pari dei nostri, di quasi-certezze, avrebbero bu on e ragioni, credo, p er riferirsi al principio secondo cui, se vi è una sola spiegazione semplice e coerente di tutto un insieme di fatti, essa è quasi certamente esatta ; non avrebbero difficoltà allora a sostenere che grani e forze (costruiti) riflettono fedelmente elementi strutturali della realtà indipendente , perché proprio questa apparirebbe la spiegazione di gran lunga più semplice e coerente delle regola­ rità osservate e dell 'insieme del sapere. Più in generale, l 'appli­ cazione di quel principio li p orterebbe a c onclusioni p ositive sulla fondatezza e veridicità dell ' oggettivismo "scientifico " ; e nessu no, secondo la nostra ipotesi di partenza, p otrebbe dar loro torto. Con il ragionamento che precede spero di avere m ostrato che, a meno di non esigere l 'assoluta certezza, ideale improba­ bile, il realismo fisico e le sue varianti non sono confutabili semplicemente ricorrendo alle argomentazioni a priori dei filo­ sofi. 8 Consideriam o p iu ttosto i dati della fisica c os ì com 'è : un insieme applicabile di concetti e p rinc ìpi che, nati dall'esp e­ rienza, vengono affinati dalla riflessione. Come sappiamo, un'interpretazione , oggettiva in senso forte e unica, di queste entità costruite e della loro ipotetica strutturazione in una teoria coerente non è p ossibile. È questa, a mio parere, la vera ragione del fallimento del realismo fisico. Note al capitolo undicesimo 1 Gli argomenti esposti qu i di segu ito, di carattere alquanto .tecnico, non sono indispensabili per una comprensione a grandi linee di problematiche p iù generali, per la quale si rim anda al cap itolo 1 3 . 2 S u i problem i di narura squ isitamente matem atica l'accordo degl i specialisti (per definizione! ) si realizza facilmente. Il permanere di divergenze riguardo al pro­ blema prospettato mostra du nque come la sua difficoltà trascenda il livello della semplice m anipolaz ione dei simboli matem atici (anche se questo svolge u n ruolo insostiru ibile nello srudio di tali questioni).

1 72

Capitolo undicesimo

3 I l che significa che egli sarebbe in grado di m isurare tante grandezze fisiche di­ stinte quante sono, nella teoria, le combinazioni di sim boli matem atic i del tipo di quelle che la teoria stessa fa in generale corrispondere alle grandezze fisiche. Si potrebbero fare le stesse osservaz ioni a proposito della irreversibilità. Senza entrare nel dettagl io di qu esto complesso problem a, si osserva infatti che, per il diavoletto in qu estione, l' irreversibilità sarebbe un fenom eno per certi versi molto meno chiaro che per noi. Anche qu i, non c'è il problem a di negare la realtà delle cor­ rel azioni comp lesse a cu i, diversamente da noi, il demone sarebbe sensibile (e che per esempio renderebbe l' irreversibilità della diffu sione di due flu idi molto meno s ignificativa ai suoi occh i che non ai nostri). 5 Vedi per esempio I. Prigogine in "Connaissance scientifiqu e et philosop h ie", a cura dell'Académ ie Royale de Belgiqu e; questo testo contiene altri riferim enti bibl iografici dello stesso au tore. Di Prigogine, in collaboraz ione con I. Stengers, vedi anche La nuova alleanza, trad. it. ( Einaudi, Torino 1 98 1 ). 6 Vedi, per esemp io, F. Alqu ié, La nostalgie de l 'etre ( P U F , Parigi 1 9 50). •

7

8

Jbid.

Non mi nascondo che su ll 'u so che qu i si è fatto del concetto di probabilità un filosofo potrebbe avere da ridire. Infatti, essendo la probabil ità fondata sull' indu­ z ione, la si dovrebbe appl icare sol tanto a fenomeni ripetibili. Questo giu stifica la diffidenza dei filosofi verso ciò che è solo verosim ile e rende rispettabile (agl i occhi di noi scienziati) la loro esigenza di certezza, manifestata fin dai tempi di Descartes. Ma la certezza non è stata conqu istata da nessuno, e pertanto l'adattarsi al vero­ sim ile non è segno di stol tezza, com e essi dicono.

Capitolo 1 2 Non-separabilità e controfattualità

Pre cedentemente la n on-sep arab ilità è stata dimo strata a p artire dai fatti sperimentali (vedi cap .

4)

.

La dimo straz ione

p resentata u tilizzava, come si ricorderà, l ' an alogia esistente tra le m isure quan tistiche e i risultati di u n esame ipotetic o . A p arte alcu ne riserve,

riguardanti dettagli te cnici dell 'esp eri­

mento, tale dimostrazione è app arsa a quel livello totalmente indip endente da ipotesi preliminari. Da u n altro pu nto di vista, le an alisi successive , in p artico­ lare qu elle dei capitoli

5, 6

e 7 , hanno m o strato che in ge nere

la mente u mana tende ad avere una fidu cia esagerata in sé stessa quando sono in gioco certi argomenti. In p articolare e ssa ha una gran facilità ad assolutizz are quelli che hanno l ' aria di essere con cetti " ch iari e distinti", senza accorgersi che in tanti casi si tratta d i idee contestabili, o di p ortata limitata. Risulta allora d i vitale imp ortanza (n ello stu dio dei fon damenti della fisica e in p articolare in questo contesto ) ricercare sistem aticamente tutti quei casi in cui ip otesi implicite p ossono essersi insinuate , in m o do app arentemente naturale, nel ragionamento. 1 Talvolta accade che la ricerca sia in fru ttuosa : è allora il caso di ralle­ grarsi di questa conferma della validità generale del ragiona­ mento. In altri casi, a conclusione dell 'in dagine si con stata che la fon datezza di u n ' ip otesi è perlomeno dubbia ; ovviamente non si può non vedere in essa u n presupposto del ragionamento.

Capitolo dodicesimo

1 74

La scelta allora è la seguente : dare per buona l ' ip otesi al p ari delle altre, e accettarne, come necessarie , le implicazioni oppure, volendo svincolarsi d a conclusioni dubbie, ammettere che essa

è falsa. Ciò comp orta p recisazioni su p p leme ntari ; d ' altra p arte, tale è talvolta l ' evidenza intuitiva di u n ' ip o tesi, che p u r d i n o n abbandonarla, neanche in p arte, si p referisce ancora aderire a con clu sioni con troverse. I n un libro d estinato a u n pu bblico generico simili disquisi­ zioni non troverebbero certam e n te p osto. Può darsi tu ttavia che la p resen te opera finisca n elle mani di p ersone che hanno t em p o e voglia per imp egnarsi in u na riflessione più tecnica.

È

a loro e soltanto a loro che si rivolge qu esto capitolo ; gli altri lo troverebbero noioso. Del resto , risp etto a quelle studiate in p recedenza, le questioni qui affrontate sono secondarie . Il let­ tore impaz iente perderà quindi ben poche informazioni se, rinunciando a legge re il re sto di qu esto cap itolo , dedicherà q u alche minuto in più alla lettura del successivo. P o iché ogni analisi un p o ' te cnica deve m irare alla conci­ s ione, non è necessario che l ' ordine d i successione degli argo­ menti sia giustificato in modo esplicito all 'inizio : le mo tivaz ioni app ariran n o da sé nello svolgersi del discors o .

Difficoltà ep istemologiche riguardanti la definizione d e i termini disposizionali

È

da molto tem p o che, in risp osta a difficoltà di questo ge­

nere, si c ontinuano a p rop orre s oluzioni p arzial i . Gli epistemo­ l ogi chiamano

termine disposizionale

una p arol a che designa

non u n a proprietà (supp osta esistente) di un sistema fisico

disposizione di un sistema a reazione P " in circos tanze specifi­

direttamente osservabile , bensì la m anifestare questa o quella c ate

P' . 2

I l term ine " magnetico " può servire da esemp i o : in tal

caso si cerca in generale di definire , p er un oggetto d i vista operazionale ) la proprietà

Qx ,

x

( d al punto

di esse re m agnetico,

c ome se fosse una disp osizi one del tip o su ddett o . Per esemp i o , si cerca di definire

Qx p arten do

(P " x ) l 'oggetto x at­ (P 'x ) tali granelli si tro­

dal fatto che

trae granelli di limatura di ferro qu an do

van o nelle immediate vicinanze. I termini disp osizionali ab-

1 75

Non-separabilità e controfattualità

bandano nelle scienze empiriche, come sarebbe facile mostrare con una quantità di esempi. In effetti, dato che le p roprietà della realtà non sono mai a rigore direttamente accessibili , il problema vero sarebbe p iuttosto quello di scoprire denomina­ zioni che non fossero, in ultima analisi, termini disposizionali ! Comunque sia, questo schema di definizione dei termini di­ sposizionali è m olto vago, e perciò è necessario precisarl o ; ma è p roprio a questo livello che emergono alcune difficoltà. In­ fatti la prima idea che viene in mente è scrivere, nel linguaggio della logica formale : Qx = D ef. (P'x

:::>

P"x ) ,

[1]

cioè, per disteso : "x è magnetic o " = D efin iz ione "Se un granello di limatura di ferro è nelle immediate vicinanze di x , allora questo granello [1'] ne è attratto " . 3 Tuttavia in logica formale il simbolo :::> , che si traduce con "se . . . allora . . . " è sempre, sistematic amente , inteso nel senso della cosiddetta implicazione ma teriale, cioè come sinonimo dell 'espressione "non . . . o . . . ". È p ossibile qui conservare tale senso ? Evidentemente no, p erché allora il membro di destra dell 'uguagli anza sarebbe soddisfatto (avrebbe il valore di verità "vero " ) sia nel caso in cui nelle immediate vicinanze di x vi fossero granelli di limatura di ferro e fossero attratti, sia in tutti i casi in cui di simili granelli non ve ne fossero . La defini­ zione [ 1 ] (o [ 1 ' ] ) significherebbe , in p articolare , che ogni og­ getto x è magnetico in assenza di granelli di limatura di ferro nelle sue immediate vicinanze : non è questa, evidentemente , l 'idea che la definizione cercata deve esprimere ! Certo a tale scopo si presta meglio una frase al condizionale del tip o : " x è magnetic o " = D efin izione "Se u n granello d i lim atura di ferro fosse nelle immediate vicinanze di x , allora questo granello sarebbe attratto ". [2' ] Tuttavia il significato di quest'ultima espressione dev'essere anc ora reso totalmente esplicito, in modo tale da coincidere

Capitolo dodicesimo

1 76

con l ' idea che si ha in ge nere di un oggetto magnetico. Tale idea sembra inclu dere d ' altra p arte u n giudizio sulle conseguenze di u n a p remessa contraria ai fatti, qualcosa la cui espressione comp orta una contraddizione apparente.

È

il caso della frase :

" Anche nel c aso in cui in realtà non vi sono granelli di limatura di ferro nelle immediate vicinanze, se ve ne fossero, allora essi s arebbero attratti . " G iu dizi di tal genere sono ch iamati

co ntrofattuali ;

una volta

e sp lic itati, essi appaiono in negab ilmente un po' strani, e in alcun i c asi comportano am b iguità. I logici p ertanto li conside­ rano con u n certo sospetto, e nelle stesse defin izio ni dei termini d isposizionali, alcu n i ep istemologi hanno prop osto d i farne a meno. C o s ì Carnap ha su ggerito di sostituire la definizione [ 1 ] o [ 1 ' ] con qu ella che egli chiama u n a formulata per mezzo di

definizio ne parziale, frasi di riduzio ne . Una frase di ridu­

z io n e che h a come effetto qu ello di in trodu rre u na defin izione p arziale dell 'espressione "x è magnetic o " è del tip o : " Se

x

è s o ttop osto al test che c onsiste nel c oll oc are granelli

di limatura di ferro nelle sue vicinanze, all ora lo si qualifi­ cherà magnetico se e solo se esso attrae qu esti granelli " ; [ 3 ' ] in scrittura simb olic a :

P'x

:::>

(Qx

=

P"x ) .

[3]

(Se P'x , allora Qx se e solo se P"x : il segno = si traduce infatti con " se e solo se " . ) S i osserva così che l a definizione [ 3 ' ] è traducib ile nel lin­ guaggio della logica form ale, in altri termini, che essa è esprimi­ b ile p er mezzo dei soli simboli amm essi dalla logica suddetta ; qu esto non era il caso della definizione [ 2 ' ] . S i verifica agevol­ mente, d 'altronde, che l ' obiezione p recedente alla defin iz ione

[ 1 ] o [ 1 ' ] n o n può essere rivolta a [ 3 ] o [ 3 ' ] . I n comp enso, l a p ortata della definizione [ 3 ' ] è manife sta­ m e nt e molto p iù limitata di qu ella della [ 2 ' ] : ciò è p rop rio do­ vuto al fatto che la [ 3 ' ] non fornisce alcuna in terpretazione per u na frase q u ale " l ' oggetto

x

è m agnetico . e non c 'è limatura di

ferro nelle sue vicinanze " . Alcuni epistemologi sono prop ensi a ritenere c h e la limita-

Non-separabilità e contro/attualità

1 77

z ione in q u e stione n o n sia gravissima, o almeno n o n al p u nto da giustificare il rifiu to ; in riferimento al significato d e i termini scientifici essa conserverebbe anzi u n a certa ap ertura (che si mostra utile ) . S i o sserva a tale rigu ard o che di u n o stesso ter­ mine possono essere date più definizioni p arziali ch e ricoprono un ventaglio di casi (per esempio u n a definizione del tipo i n cu i

P 'x

p erò significh i

"x

[ 3 ],

si mu ove lu ngo l 'asse di u n sole­

n o ide a circu ito chiu so , non c ollegato a u n generatore di ten­ sione " e

P "x ,

" u na corre n te p ercorre il solenoid e " ) . Prese in­

siem e , qu este diverse defin iz ioni e sp rim ono allora una legge p artic olare (in qu esto caso la segu e n te : " Ogni oggetto che si mu ova secondo l ' asse di un solenoide come qu ello descritto, n elle cu i immediate vicinanze si trovi della l imatura di ferro, attrae quest ' ultima se e solo se esso crea u na corrente nel solenoide. " ) Altri ep istemologi, e i o con loro, ritengono a l contrario che i van taggi d ella formulazione data dai sistemi d i definizio n i p ar­ z iali non sian o su fficienti a fare d imenticare la loro mancanza d i generalità. 4 Essi considerano del tu tto inaccettabile il fatto che, una volta enunciato u n insieme fin ito di p arziali, una frase ch iara come

"x è

N

definizioni

magnetico, n o n attraversa

solen oidi, non h a lim atura d i ferro nelle sue vicinanze ecc. "

(N

term ini) p ossa restare incomprensib ile e anche p riva di senso per u n logico ! Se si adotta qu esto punto di vista, sembra p roprio neces­ sario oltrepassare il qu adro della logica formale tradiz ionale ; p er e sempio, utilizzando le frasi controfattuali nella definizione dei termini d isp osizionali. I n tale sp irito , si è p o rtati ad acc or­

dare un senso alla seguente definizione : "X è magnetic o " = D efin iz io n e "Nei casi in cui c 'è limatura di ferro nelle immediate vicinanze di x, essa è attratta e nei casi in cui in realtà non ce n 'è , se ce ne fosse , sarebbe attratta" . [4 ' ] D 'ora innanzi gli enunciati controfattuali del tipo del secondo membro di questa equazione saranno chiamati implica­ zioni condizionali. Per abbreviare il linguaggio, ci si prenderà

1 78

Capitolo dodicesimo

la libertà di tradurre la definizione [ 4 ' ] simbolica :

m

u n 'espressione

[4]

Qx = o ef. (P'x > P"x ),

dove Qx , P'x e Pllx hanno i significati prima precisati e dove il simbolo > significa "se . è vero, allora è vero e se non . . è vero, allora se . . . fosse vero, allora - sarebbe vero " : significato ancora una volta strano, in apparenza paradossale, in una parola " con­ trofattuale" , ma che, come si è visto, riflette in ciò le caratteri­ stiche vere e proprie della nozione di termine disposizio nale così come se la forma la n ostra mente. È quasi superfluo sotto­ lineare che il simbolo di implicazione condizionale utilizzato nella [4] non è collocabile in una logica formale non modale . . .

-

.

Legame con il concetto di legge fisica

Per m olto temp o gli empiristi hanno ritenuto che la c oncla­ m ata universalità delle leggi scientifiche fosse in relazione ne­ cessaria con una loro forma p eculiare : " Ogniqualvolta si danno le con dizioni A si osservano i fatti B . " Tuttavia ricerche epi­ stemologiche recenti h anno messo in luce che non sempre gli enunciati di questo tipo hanno il carattere di leggi scientifiche. A titolo di controesempio valga quello citato da Hempel : " I n tu tti i casi in cui un oggetto è di oro puro si osserva che esso h a una massa inferiore a 1 00 000 chilogrammi. "5 È in negabile che esso è vero in senso letterale e che ha proprio la forma con­ siderata, tuttavia nessuno lo identificherebbe con una legge na­ turale, visto il suo carattere puramente contingente o acciden­ tale. Tale controesemp io mostra a sufficienza come una legge della scienza sia altro da un semplice enunciato vero e di forma universale, nel senso esplicitato dal controesempio in questione. Che cosa, allora, distingue le leggi scientifiche vere e proprie dalle generalizzazioni accidentali? Secondo alcuni ep istemologi, p recisamente questo : diversamente dalle generalizzazioni acci­ dentali, una legge può servire ad avvalorare un 'affermazione controfattu ale. Per esempio, sia data l'affermazione : " Se la z olletta di zucchero che tengo in mano fosse stata messa nel1 'ac qu a per un temp o abbastanza lungo, si sarebbe sciolta. "

Non-separabilità e controfattualità

1 79

Tale affermazione è controfattuale , p oiché la premessa che prende in considerazione non si verifica ; tuttavia si sa che essa è giusta poiché se ne conosce la legge (poco importa che sia stabilita per via deduttiva, empirica o empirico-deduttiva), se­ condo cui i cristalli di zucchero sono solubili nell 'acqua. La legge si differenzia così dalle generalizzazioni accidentali del tipo " tutto lo zucchero che si trova in Martinica è zucchero di canna", poiché anche se questo enunciato è oggi accidental­ mente vero, non può servire per giustificare l 'affermazione : " S e questa zolletta di zucchero che tengo in mano fosse alla Martinica sarebbe una zolletta di zucchero di canna. " Può darsi che, al pari di altri concetti, quello di legge scienti­ fica debba un giorno essere superato. È poco verosimile che ciò awenga con un semplice ritorno alla n ozione di generalizzaziom accidentale, ma se la distinzione è necessaria e se l 'analisi appena riassunta è esatta, bisogna concludere che, conformemente all 'intuizione (e a dispetto delle difficoltà segnalate) , gli enun­ ciati controfattuali non sono obbligatori amente privi di senso. Legame con il realismo fisico applicato agli oggetti

L 'interpretazione naturale della definizione [ 4 ] (che intro­ duce un'implicazione condizionale ), così immediata da aver quasi un carattere di necessità, chiama in causa il concetto di p roprietà posseduta da un sistema fisico. Il secondo membro della [ 4' ] ha significato perché x possiede in sé una certa pro­ p rietà, quella che, giusta la definizione, si conviene indicare con il termine " magnetico". Ciò si può ripetere naturalmente per altri concetti ( quali la durezza di u na pietra, il calore di u n corpo e così via) ; d i conseguenza quello che potrebbe chiamarsi realismo oggettivista o delle proprietà (la filosofia non dichiarata di quasi tutti gli uomini) si rivela strettamente legato alla capa­ cità della mente di considerare come dotata di significato l'in­ plicazione controfattuale : una facoltà talmente diffusa che il suo carattere sorprendente, p er non dire paradossale, appare soltanto a una riflessione meditata, e soprattutto alla luce della filosofia dell 'esperienza. Per chi segua l 'altra c oncezione , infatti, quella che si fonda sul p ostulato del realismo oggettivista, la

Capitolo dodicesimo

1 80

facoltà suddetta riflette semp licemente la no stra p resunzione che esistano cose dotate di qualità. F o rte d i questo dato ini­ z iale (indimostrato), il realista oggettivista si p o n e così alla ri­ c erca delle eve n tu ali regolarità n ell 'esp erienza. per determinare quali siano queste cose e le loro qualità. Per indicare queste u l­ t im e , è natu rale che la sua scelta cada su definizioni del tipo

[ 4 ' ] , che del resto non hanno nulla d i misterio so. In particolare, definizioni come qu este servo no al fau tore d el realismo oggettivista per specificare il significato che egli dà all 'affermazione che una grandezza fisica

a su un oggetto

"A dove

P'x

x.

A

assume il valore

In sim b oli :

assume il valore a su

x " = o ef. (P'x

> P"x )

s ign ifica " si effettuano (si effettuereb bero ) su

manip olazioni fisiche c orrisp ondenti a u n a misu ra d i A ' ', e

"

(5) x le P"x

s ign ifica " si trova (si trovere bbe) il valore a . An cora u n a volta i l segn o > ( traducib ile a p arole come in [ 4 ' ] ) implica l ' in­ t roduzione di u n ' idea realist a : il suo

A

x

avre bbe in sé la proprietà che

assuma il valore a, in m o do del t u tto indip endente dal

fatto che un osservatore umano si curi o meno di misurare

A.

Controfattualità e separabilità I l p resente capitolo si propon e , c ome si è detto , la ricerca d elle ipotesi che sarebbe eventu almente necessario i n trodurre p er d are rigo re alla dimo strazio n e d ella non-sep arabilità, data al capitolo 4 a p artire d a dati sperimentali. Quella dim o straz ione che, come si ricorderà, traeva spunto d all'esemp io dei gemelli, si b asava sul fatto che, viste c erte c or­ relazioni statistich e relative ai risultati d egli anni precedenti, l 'avve nuto su peramento d i u n esame, in u n a data m ateria, da p arte d i u n o dei gemelli rivela con certezza che anche il fratello, in qu ella stessa m ateria, h a le carte in regola p er e ssere p romosso. Ch iaram ente la dim ostrazione si fonda sulla validità d i alcuni e nu nciati controfattu ali che intervengo n o n elle implicazioni condizionali : si sa che il fra tello gemello d i Pietro h a superato l a prova di gre c o , e si sa inoltre (per induzione) che lo stesso Pietro, d ovend o sostenere l 'esame in questa m ateria, sarà pro-

Non-separabilità

m o sso.

È

e

1 81

contro[attualità

n aturale dare di tutto ciò u n 'interpretaz ione realista

e attribuire il successo d i P ie tro a una sua personale p rerogativa . Si è così p o rtati a giustificare (e a considerare vera) l ' afferma­ z io n e controfattuale segu e n te : quella p eculiare p re d isp osizio n e d i Pietro sarebbe oggettivamente esistita a n c h e se il fratell o fosse stato bocciato e lui stesso ave sse dato c o n clude, in b a s e a n c h e

all 'ipo tesi di lo calità

forfait.

Se n e

(ve d i cap . 4 ) , che

la correlaz ione stretta tra i risultati dei gemelli imp lica il p o s­ s esso, in ogni istante e da p arte di ogn i singolo stu dente, di precisi requisiti (decisivi per il successo o l 'i nsuccesso n ell 'esam e ) relativamente a t r e ( o p i ù ) materie . Di q u i le d isuguaglianze d i Bell. Qu este ultime p ertanto risultano, in modo del tutto generale, n o n dedu cibili dalla sola ipotesi d i località (senza influenze p ropagantisi a velocità infinite ) , bensì u nicame nte dalla con­ giu nz ione d i questa con un 'altra : qu ella secondo cui gli enun­ c iati con trofattuali, in casi ben definiti, quando cioè figu rano in implicazioni condizio nali, p o ssono ave re senso . Quan to al problema posto dalla violazione sperimen tale delle disugu aglianze su ddette, ved iamo allora delinearsi l 'ab­ b ozzo (auten tico o ingannevole, anc ora n o n p ossiamo sap ere) di una soluzione differente da quella c on siderata finora nel p resente libro . Tale soluz ione non sarebbe infatti fo ndata sulla n o n-sep arabilità ( cioè sulla violazione d ell 'ip o tesi di località ) , b e n s ì s u l rifiuto d i accordare c omu'n que u n s e n s o alle estra po­ lazioni controfattuali d i enun ciati fattual i dotati di sen so . Come si è detto, gli enun ciati con trofattuali so n o considerati con u n p o ' d i sospetto dai difensori della logica formale ; dal p u n to d i vista d i questa logica, l 'idea d i una soluzione che rifiu­ tasse ad essi un senso è dunque seducente. In p articolare tale soluzione p erme tterebbe di scartare il simbolo

>,

con cui si

sono prima riassu nti gli enunciati di questo tip o , che non si inserisce n ell 'amb ito tradizionale del calcolo delle p roposizioni. Pro seguendo su questa via, si sarebbe indotti, p er quanto ri­ guarda la definizione del valo re di una grandezza fisica in u n i stante dato, a rinunciare alle definiz ioni del tipo [ 5 ] che mettono in gioco quel simbolo e , secondo l ' idea d i Carnap , ad

Capitolo dodicesimo

182

accontentarsi di definizioni p arziali del tipo generale [ 5 ] o [ 3 ' ] , cioè a scrivere, invece della [ 5 ] :

P'x ::> ("A assume il valore a su x " = P"x ),

[6]

dove P'x significa, ancora u n a volta, " si misura (direttamente o meno ) A su x " , e P"x , " si trova a " . Nell'ambito di una definizione come la [ 6 ] si dovrebbe dire (se essa figura da sola) : " È soltanto quando è p resente l 'appa­ recchio di misura destinato a misurare A che ha senso l 'enun­ ciato 'A assume il valore a su x . " Nell 'esempio degli studenti, quand 'è che l 'enunciato " Pietro ha i requisiti per superare l 'esame di greco" può aver senso ? Evidentemente quando u n esaminatore abbia proprio interrogato o s i accinga (almeno) a interrogare il fratello di Pietro o Pietro stesso . Accettando questo punto di vista, si constata facilmente che la dimostra­ z ione delle disuguaglianze di Bell (descritta nel cap . 4) è imp os­ sibile, non avendo p iù significato il passaggio da u n campione all 'insieme. Ecco dunque, in questo caso, un modo formalmente ineccepibile per sp iegare come mai queste disuguaglianze sono talvolta smentite sia dai dati sperimentali sia dalle p revisioni d erivanti dal formalismo della teoria quantistica generale. Considerazioni di questo genere sembrano avvicinarsi alle t esi di Bohr, ma si può anche dire che ne chiariscono il conte­ nuto? I fisici non dovrebbero avere problemi di comprensione, per loro gli scritti di Bohr sono chiari di per sé ; l 'esigenza di un chiarimento potrebbe essere sentita da scienziati di provenienza diversa, che, senza negare la profondità di quel grande, conside­ rano oscuri alcuni punti della sua dottrina. Le precisazioni seguenti sono un tentativo di venire incontro a quella esigenza. La tesi di Einstein su una possibile incompletezza della mec­ canica quantistica, com 'è noto, incontravano l 'obiezione di Bohr. Nel suo ragionamento, questi sottolineava il ruolo fonda­ mentale che il dispositivo sperimentale, nel su o insieme, ha nella definizione stessa del fenomeno. Qualunque sia questo d ispositivo (esso può anche estendersi arbitrariamente nello spazio) Bohr (vedi n ota 6, cap . 7) afferma che le influenze che p ossono esercitare le sue parti non sono di tipo meccanico '

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(capaci quindi di violare il principio di località, se il dispositivo è esteso ) : " Si tratta piuttosto di un 'influenza sulle condizioni

stesse che definiscono i tip i delle previsioni possibili concernenti il comportamento futuro del sistema . " Nell 'interpretazione che proponiamo, a l d i l à della termino­ logia più o meno sibillina, la precedente affermazione coincide in sostanza con la soluzione, prima esaminata, del problema relativo alla violazione delle d isuguaglianze di Bell ; ritoccando opportunamente il linguaggio, potrebbe leggersi come segue : " L 'enunciato 'A assume il valore a su x ' ha un significato non ambiguo solo nel caso in cui, grazie alla presenza di strumenti di misura appropriati, sono determinate le condizioni che defi­ n iscono alcu ni tipi di previsioni possibili concernenti il com­ portamento futuro del sistema. " In altri termini, la frase di Bohr significherebbe che, per qu anto attiene ai sistemi della microfisica, la definizione del valore che una grandezza fisica assume su un sistema dev'essere p er forza parziale , del tipo [ 6 ] . Pensando agli studenti come a sistemi di tal tipo, l a frase " P ietro ha i requ isiti per superare l'esame di greco " avrebbe dunque u n senso (a parte i casi specificati da altre definizioni parziali) solo quando un esaminatore di greco avesse davvero interrogato il fratello di Pietro o Pietro stesso (o almeno si accingesse a farlo ! ). Sicuramente, dal punto di vista formale tale soluzione è ineccepibile ; è bene aver presente però che la generalità del principio su cui poggia (rifiu to degli enunciati controfattuali) è destinata a creare seri grattacap i a chi volesse sostenere coeren­ temente la concezione del realismo fisico. Infatti, se tale prin­ cipio deve riguardare tutti gli enunciati, inclusi quelli della fisica macroscopica, diventa assai problematica la distinzione, peraltro necessaria, tra legge scientifica e m era generalizzazione acci­ dentale. D 'altra parte, la sua restrizione ai "piccoli " sistemi (al cui studio la meccanica quantistica si presta ottimamente) im­ plica che si dia un criterio rigoroso per stabilire la p iccolezza di un sistema, con tutte le difficoltà che comporta una simile di­ stinzione tra il macroscopico e !'infinitamente piccolo . E non è tutto. Si pensi infatti a un test simile a quello che in precedenza (vedi p. 8 7 ) è stato chiamato A . Uno psicologo che abbia sot­ toposto p iù e più volte un gran numero di soggetti a tale test,

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Capitolo dodicesimo

riscontrando regolarmente una uniformità nelle risp oste, dopo che una ripetizione isolata avrà fornito l 'ennesima risposta po­ s itiva, non avrà esitazioni ad attribuire tutto ciò a ben precise tendenze individuali : conclusione ben p iù si� nificativa che il semplice p rendere atto dei dati del passato . E fuor di dubbio inoltre che quelle tendenze sono indipendenti da qualsiasi pro­ getto di ripetizione del testo . Parimenti, se p er avventura le disuguaglianze di Bell risultas­ sero smentite dai fatti in un caso come quello immaginato nel cap itolo 4 (gemelli in correlazione stretta), a nessuno verrebbe in mente di sp iegare violazioni del genere con un 'ipotesi così radicale come quella della non-validità dell 'implicazione condi­ z io nale o, il che è lo stesso o quasi, mette ndo sistematicamente in discussione il significato comunemente ammesso dei termini d isposizionali. Tanto più che a p ortata di mano vi sarebbe una modalità di spiegazione, a ben vedere, molto meno rivoluzio­ n aria, fondata sull 'ipotesi della p ossibile p ropagazione di in­ fluenze a distanza (per esempio tra l 'esaminatore di uno stu­ dente e il fratello di questo che si trovasse in un 'altra stanza) . Tale modalità di spiegazione p iù semplice, compatib ile con la concezione realista, chiama in causa quella che è stata chiam ata la n on-separabilità. Discussione

L'analisi effettuata ha c os ì dimostrato l 'impossibilità di una derivazione rigorosa delle disuguaglianze di Bell a partire dal solo principio di separabilità, cioè dalla sol a idea che non esi­ stano influenze a distanza in grado di violare certe condizioni generali : per questo è infatti necessario attribuire un significato ad alcuni enunciati controfattuali, in p articolare ad alcune definizioni di attributi che su tali enunciati si fon dano . Fortu­ n atamente , p er l 'esattezza della dimostrazione riportata nel c ap itolo 4, non si richiede affatto che ciò accada per ogni p os­ s i bile enunciato controfattu ale . Ad esempio, in essa non è con­ templata la p ossibilità che Pietro e Paolo , che vengono esami­ n ati in aule separate, siano in semplice correlazione parziale (non siano gemelli). I n effetti, in simili c ondizioni, ammessa la

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promozione di Paolo all 'esame di greco, l 'enunciato controfat­ tuale "se Pietro si fosse presentato a un altro esame , anche Paolo sarebbe stato promoss o " direbbe ben p oc o anche a un realista. Questo p erché non sarebbe da esclu dere l 'ip otesi di risp oste casuali da parte di Paolo, e dunque di un successo for­ tuito. La nostra dimostrazione però, diversamente da altri tentativi di ricavare le disuguaglianze di Bell , non prevede che il p recedente enunciato sia esatto, e risulta p ertanto non soggetta a tale critica. Gli enunciati controfattu ali che essa deve supporre come aventi un senso sono soltanto quelli che figurano nelle implicazioni condizionali, rientrano cioè nella categoria degli enunciati cui la logica ammessa nella vita ordinaria impone di attribuire un senso ; in sostanza essi sono paragonabili all 'enun­ ciato : " Se dei granelli di limatura di ferro si trovassero abba­ stanza vicini a questo magnete e non fossero fissati ad alcun supporto, allora sarebbero attratti. " Ciò non toglie che, come si è visto, l'ipotesi della validità universale di simili enunciati si p ossa contestare : è appunto in tale ottica non realista che sembra essersi p osto Niels Bohr. In tal caso non è p iù possibile derivare le disuguaglianze di Bell. Se ne conclude allora che la violaz ione osservata di queste disuguaglianze può essere spiegata senza invocare il concetto di non-separabilità? Questa via d 'uscita è p reclusa al realista, per­ ché ai suoi occhi anche l'altra sp iegazione possibile ( quella fondata proprio sull 'atteggiamento scelto da Bohr) richiama in modo indiretto a tale concetto , o p erlomeno all 'altro (equiva­ lente dal punto di vista filosofico) del tutto indivisibile costi­ tuito dal sistema e dagli strumenti di misu ra. 6 L 'evidenziazione sperimentale della non-separabilità (o del suo equivalente approssimato che è l 'indivisibilità alla Bohr) depone chiaramente a sfavore dell 'ipotesi di un realismo ogget­ tivista esteso ai micro-oggetti o anche, per i motivi prima esposti, applicato soltanto al macroscopic o . 7 Si potrebbe esser tentati di andare per le spicce e affermare che essa depone contro l 'ipo­ tesi realista, o meglio, a favore di una specie di idealismo di cui l 'operazionismo ostentato dalla m aggioranza dei fisici teorici at­ tuali sarebbe un degno riflesso . Soltanto un operazionismo che abban donasse ogni idea di una realtà indipendente sembra infatti

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Capitolo dodicesimo

in grado di eliminare subito le difficoltà concernenti tali pro­ blemi . . . semplicemente decretando che essi sono privi di senso ! Si c onstata, d 'altra p arte, che il concetto di realtà indipen­ dente (con tutte le proprietà che può aver senso attribuire a que­ sta) rientra in un discorso sperimentale molto precis o : esso ap­ p are ora non del tutto slegato dall 'esperienza umana, e c os ì l 'i dea di disfarsene, semplicemente qualificandolo come metafisico e privo di ogni significato, non è più tanto suggestiva. Paradossal­ mente, un certo realismo prekantiano ritrova ai nostri occhi , proprio per questo fatto, e anche in fisica, una sua legittimità. Non-separabilità e nuove logiche

È lecito chiedersi a priori se non sia sottointesa, nella dimo­ strazione delle disuguaglianze di Bell data nel cap itolo 4, l'ipo­ tesi della validità della logica tradizionale (o logica a due valori). Questione pertinente, si direbbe, considerando che la dimostra­ zione del lemma A di quello stesso capitolo fa proprio u n ricorso implicito a tale ipotesi ; infatti essa contiene la frase : " Ogni ' giovane donna' fa necessariamente parte della classe delle donne fumatrici o di quella dei giovani non fumatori. " Trasferita alle particelle, una simile asserzione è necessariamente vera solo quando le proprietà delle particelle sono descrivibili per mezzo di p roposizioni che segu ono le regole della logica classica. Ora, in certe formulaz ioni della meccanica quantistica le possibili proposizioni concernenti le prop rietà delle particelle non seguono questa logica, ma un'altra, detta logica quantistica . In quest 'ultima, il lemma A non è in generale esatto e lo stesso può dirsi per il lemma B (così come è enunciato a p . 40), anch 'esso riguardante proprietà . D 'altra parte, la dimostrazione della più volte citata disu­ guaglianza di Bell non muove dalla considerazione di ipoteti­ che proprietà dei sistemi, bensì da risultati di operazioni di misura, ed è ben noto come le proposizioni relative a questi se­ guano la logica classica. 8 Ora, uno dei risultati della dimostra­ zione suddetta è che, almeno quando vi sia la certezza (otte­ nuta per induzione da osservazioni anteriori) dell 'esistenza di una correlazione stretta, ogni particella che sia elemento di una

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copp ia, me ssa in relazione con un p articolare strumento, gode di proprietà ben precise, nel senso che determina un certo ri­ sultato di misura o il risultato opposto .9 (Tutto qu esto, relati­ vamente a più tip i di misure : nel nostro caso ne bastavano tre . ) Tali proprietà, ancorché n o n realmente conoscibili, seguono dunque la logica bivalente ; quanto alla loro effettiva esistenza, si vede bene l'inutilità di porla a priori come ipotesi supple­ mentare. In altre parole, per interessanti che siano le realizza­ zioni delle logiche quantistiche, neghiamo che esse siano in grado di spiegare la violazione osservata delle disugu aglianze di Beli : infatti, se dovessero valere entrambe le ipotesi della loca­ lità e del realismo (o della sola località, considerando p erò valida l'implicazione condizionale), neppure quell 'amp liamento della logica p orterebbe qualche chiarimento . Accettando invece il concetto di non-separabilità o di tutto indivisibile (nel senso precisato nella n ota 6 ) , la spiegazione è p ossibile anche senza cambiamento di logica. No te a l capitolo dodicesimo 1 (Naturalmente è anche possibile che nel ragionamento si faccia un uso incon­ sapevole di concetti privi di significato ; le presenti osservazioni valgono anch e in questo caso. I 2 La presentaz ione del problema qu i adottata è in sostanza quella di C. G. Hem­ pel in P. Frank (a cura di), " The Val idation of Scientific Th eories" (Collier Books, New York 1 96 1 ) . 3 D i proposito la definizione è esageratamente sempl ificata per quanto riguarda i dettagli quantitativi, che non entrano in gioco nella d iscussione che seguirà. In particolare è ovvio che un oggetto può essere magnetico in certi istanti e non in altri. 4 In fisica quantistica l 'obiezione è ancora p iù pertinente : a rigore, un attribu to vi è definibile attraverso una infinità di tip i di m isure so stanzialmente diversi gli uni dagli altri, e che in linea di principio dovrebbero essere tutti enunciati ! Vedi H . S tein in R. G. Colodny (a cura di), " Paradigms and Paradoxes: The Philosoph ical Chal­ lenge of the Quantum Domain" (Pittsburgh University Press, Pittsburgh 1 972). 5 Ved i C. G. Hem pel, Eléments d 'épistém ologie (Armand Col in, Parigi 1 972). 6 Carnap, Hempel e altri ep istemologi di tendenze affini hanno considerato in particolare il caso dei term ini disposizional i che hanno una certa d ipendenza in rapporto al tempo: per esemp io, un oggetto può essere magnetico in certi istanti e non magnetico in altri. Il concetto di definiz ione parziale introdotto da questi autori è così p ienamente appl icabile a disposizioni dipendenti dal tempo. Tuttavia, nel caso qui studiato, si nota una particolarità, cioè che le condizioni P ' x sono costitu ite da un evento suscettibile di essere separato da u n intervallo d i sp az io­ tempo del " tipo sp azio" dall'evento (Qx ) : " L'oggetto considerato ha la proprietà definita dal term ine disposizio nale. " La possibilità di considerare u na sim ile c irco­ stanza non sembra essere stata esam inata da questi ep istemologi; essa ha come con-

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Capitolo dodicesimo

seguenza (per la coesistenza, rilevata alle pp. 1 74-78, di più definizioni parziali di u na stessa proprietà) la comparsa di leggi particolari che sono qui di carattere non locale. Affinché le disuguaglianze di Beli p ossano non essere soddisfatte occorre allora che leggi di tal tipo siano ,irriducibil i a effetti di cause locali ( quali le correla­ zioni stabilite dalla sorgente). E un'idea di questo genere che traduce l 'espres­ sione " tu tto indivisibile" qui impiegata. 1 Inesistenza di un confine p reciso ; vedi cap . 1 1 . 8 L e uniche ipotesi utilizzate sono quelle d i località e d i realismo, o se s i prefe­ risce, la sola ipotesi di località unita all 'imp iego dell'implicazione condizionale nella definizione dei term ini disposizionali. 9 La prova in questione è p resentata nelle pagine 42-45 ; le proprietà sono l 'equ i­ valente di quelle p articolari "attitudini" di cui si parla nell 'esempio del cap itolo 4.

Capitolo 1 3 Panoramica

Finché lo specialista, u n critico d 'arte, un biologo, un fisico e così via, tratta argomenti di sua competenza, si è general­ mente disposti a dare credito alle sue affermazio ni. Ma non appena egli, uscendo dal suo campo specifico, si avventura in generalizzazioni, si registra un subitaneo calo d 'interesse per ciò che ha da dire : si crede infatti, magari con ragione, che l 'abbandono della specializzazione avvenga a spese della com­ petenza. È dunque con un certo scetticismo a priori che lo ve­ diamo affrontare temi su i quali pensiamo di saperne almeno quanto lui. In effetti, su questioni generali, in certi casi, la vi­ suale dello " specialista " è alquanto angusta . . . Quanto a i filosofi, l e loro idee sono sicuramente più sottili : sia nella forma, che rivela talvolta alcune p erversioni della sot­ tigliezza, quali i preziosismi, i verbalismi, i giochi di parole, sia, non di rado, nella sostanza. Quello delle idee generali sembre­ rebbe dunque un campo di specializzazione come tanti altri, d ove la competenza presuppone u n'applicazione esclusiva e continua. I n tal caso però non ce la sentiamo di considerare il filosofo " specialista dcl generale" a tutti gli effetti ; sembrerebbe infatti contraddittorio definire tale (specialista) chi sistematicamente non facesse mai riferimento ai risultati di qualche particolare settore : specializzazione improbabile, dunque. E volendo anche

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Capitolo tredicesimo

pensare che vi siano in giro esperti siffatti, nasce il sospetto di una certa loro vu otezza, di una certa facilità a lasciarsi ingan­ nare da false evidenze (per esempio intorno al tempo, lo spazio, la vita) che invece proprio gli sp ecialisti delle varie discipline, fisica, biologia ecc. , hanno da temp o individuato. Non avendo mai modo di porre le conclusioni al vaglio dell 'esperienza, i filosofi potrebbero non essere sufficientemente avvertiti sui rischi di arbitrarietà che comunque comporta il rimanere lon­ tani dal quotidiano e dall 'azione. Queste poche osservazioni mettono in luce quanto sia inge­ nuo delegare agli sp ecialisti le risposte alle questioni ultime , o accordare una fiducia incondizionata soltanto a quegli specia­ listi del generale che sono i filosofi di professione. Che fare, allora? La risposta non può che essere individuale : ognuno dovrà formarsi da sé il proprio giudizio, fondandolo su tutto ciò che presenta qualche parvenza di serietà. Indubbiamente, è neces­ saria un'inform azione preliminare sul lavoro dei puri filosofi, fonte inesauribile di idee, tra le quali però si impone una scelta. E qui la scienza può venire in aiuto, riducen do i rischi di ar­ b itrarietà, o almeno facendo s ì che chi la conosce a sufficienza sia in grado di destreggiarsi tra i suoi dati. È bene allora cono­ scere le conclusioni generali cui certi specialisti pervengono in base alla descrizione che loro stessi danno del proprio specifico campo di ricerca. Riconosciuta la giustezza di questa affermazione, non resta che arrendersi all 'evidenza: la conoscenza specifica in un campo non è in sé squalificante per parlare di idee generali ; è anzi alta­ mente auspicabile che chi ne è in p ossesso tenti di correlare la descrizione del suo dominio di ricerche con l 'insieme di idee generali a suo giudizio pertinenti. Naturalmente si d ovrà rinunciare ad affermare una tesi sul1 'essere o sulla natura dei valori con la stessa perentorietà che a molti è abituale a proposito di leggi fisiche o teoremi di geo­ metria. Ogni affermazione , in linea di m assima, sarà dunque pre­ ceduta da espressioni sfumate del tipo "mi sembra che . . . " op­ pure "sembra m olto verosimile che . . . " e via dicendo. Non sa­ ranno certo queste precauzioni linguistiche a rendere le tesi

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meno credibili di quelle dei fil osofi, p oiché espressioni simili sono sistematicamente da leggere tra le righe anche negli scritti di questi ultimi. I l presente capitolo in qualche modo tiene conto di questo tipo di vincolo ; tu ttavia, per evitare un appesantimento intol­ lerabile del testo, la scrittura vera e propria di quelle espressioni è stata omessa quasi ovunque. Sia ben chiaro p erò che esse fi­ gurano implicitamente davanti ad ogni frase ; bisogna solo rico­ struirle mentalmente . C iò che p iù conta, non è il caso (ma ciò senza dubbio è scontato) di attendersi da una simile lettura, anche concepita come abbiamo appena detto , una qualsiasi in i­ z iazione a un sistema generale. Da molto tempo infatti si è persa la fiducia in costruzioni filosofiche di tal genere ; gli uo­ mini di scienza, p oi, sono meno disposti di chiunque altro a interessarsene, coscienti come sono - di quanto stentato e lento sia il progresso sulla via delle certezze, impensabile senza un 'in­ tenso sforzo collettivo. In questo contesto si vu ol dare piuttosto un'idea, magari frammentaria, di come la scienza p ossa contri­ buire a una nuova immagine del mondo e dei valori. Il quadro generale, oggi, non è certo esaltante e neanche tanto chiaro . Non basta osservare, p er esemp io, che l 'uomo moderno è soggiogato dalla miseria o , nel caso migliore, dalla vanità consumistica, come è banale p orre l 'accento sul fatto che tali condiz ionamenti, pur così diversi, generano tutti un infan­ tilismo che a sua volta è causa di oscurantismo . Un semplice cenno al fervore di iniziative nel campo della cultura e della ricerca scientifica in tante parti del mondo civile d ovrebbe ba­ stare a confutare un'analisi così schematica. Soltanto in parte, però, perché queste lodevoli iniziative , oltre a non avere molta presa sulla mentalità della maggior parte dei nostri contempo­ ranei, sono per loro natura essenzialmente frammentarie : pezzi di bravura, mai costruzioni compiute. Varie interpretazioni sono state proposte per sp iegare questo stato di cose. Una in particolare, che pure non è molto seguita, oltre ad essere plausibile in sé (non meno di altre, almeno) , p resenta interessanti connessioni c o n l'argomento del presente libro. Brevemente, l 'uomo contemp oraneo, almeno l 'uomo oc­ cidentale, si sarebbe volontariamente privato di ogni contatto,

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Capitolo tredicesimo

reale o supp osto, c on qualu n qu e cosa si p ossa ragionevol­ mente chiamare " l 'essere " o, in modo meno ambizioso, "la realtà esteriore data" . Certamente, u n a simile p roposizione p u ò essere deformata e resa di conseguenza criticabile. Non bisognerebbe per esemp io farle dire che u n sentimento (veridico o illusorio ) di contatto stretto con l 'essere è p er l 'uomo un fattore automatico di cre­ scita. La storia delle civiltà e delle varie credenze e ideologie , fin o a una data abbastanza recente , testim onierebbe piuttosto il contrario. Tutti sapp iamo infatti come il concetto di Essere e gli altri concetti correlati di destino, di fatalità, di comanda­ mento divino, di legge naturale stessa (la " natura delle cose ") siano stati resp onsabili in p assato delle più svariate forme di oppressione nonché del p erdurare di assurde illusioni. Il " mi­ racolo grec o" , è stato detto, fu l 'invenzione della gioia di vivere eretta a fondamento della cultura. Si potrebbe anche sostenere, in modo p arziale, ma anche suggestivo, che quel miracolo fu l 'invenzione della libertà intellettuale rispetto all 'essere (si p ensi al mito di Prometeo) e anche che le due invenzioni in realtà coincidono. Se in linea di massima tutto ciò è sacrosanta verità, bisogna gu ardarsi dalle generalizzazioni: anche l'uso indiscriminato di u n farmaco può risultare un eccesso ! Così , non c 'è ricetta la cui applicazione automatica garantisca una maggior crescita dell'uomo. Nel nostro secolo, il rifiuto costante di ogni riferi­ mento all 'essere è stato l 'idea-forza di tu tte le avanguardie , in m o do quasi meccanico : è il caso di chiedersi se non vi sia stato in questo alcunché di eccessivo e se i nostri malesseri non pos­ sano esserne i sintomi. Pur p otendo trovare una conferma nella p roliferazione dei modelli della fisica, l ' ipotesi è per certi versi ardita : infatti è facilmente manipolabile, e urta contro troppi tabù perché a qualcuno non venga la tentazione di travisarla in modo strumentale. D 'altra p arte, l 'esigenza di imparzialità non implica il doverla accettare, dal momento che a riguardo esi­ stono, come si è visto, n otevoli perplessità. Francamente, io stesso che scrivo non ne sono sicuro , e in ogni caso non ho cer­ tezze dimostrative . Soltanto, chiedo che la si prenda in consi­ derazione ; sento anzi di dover insistere, perché è l ì che, a mio

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parere, s 'intravede un possibile collegamento tra le considera­ zio ni sviluppate in questo libro e p roblemi più generali, il che sarebbe un aiuto, anche modesto, a contrastare la frammen ta­ rietà e la sterilità della nuova cultura. Formulata una tale richiesta, sento di dover precisare meglio le manifestazioni esteriori di quel progressivo abban dono di ogni riferimento al reale (o all 'essere ) che ha caratterizzato l 'evoluzione della cultura in questo sec ol o . (Quest 'obbligo pre­ liminare dev'essere assolto, anche se ciò può dare momentanea­ mente l 'impressione che ci si stia allontanando dalla fisica. ) In effetti, i sintomi sono svariati e provengono dai settori più disparati : in certi casi essi indicano che si sono imb occate vie senza uscita, in altri hanno invece aspetti positivi. Tra questi ul­ timi non ho esitazioni a indicare la liberalizzazione dei costumi, tradizionalmente riferiti a una legge morale concepita come attributo dell 'Essere stesso o come sua diretta emanazione : l'uomo infatti è mutevole, essendo in gran p arte virtualità , ed è anzi il cambiamento il su o carattere peculiare . Come h anno in­ tuito Nietzsche e Garaudy, l'uomo è proprio " essere delle lon­ tananze" ma nessuno ritiene più che queste debbano essere tutte trascendenti. Tale evoluzione del costume (a p atto di non essere molesta) presenta evidenti vantaggi di ordine pratico, le­ gati ai mutamenti delle condizioni di vita, e in p iù , se attuata con intelligenza, vantaggi sostanziali. Basta ricordare, ma l 'os­ servazione è quasi banale, che in precedenza le sole pulsioni che la morale corrente considerava legittimo soddisfare, traen­ done anzi un sovrappiù di prestigio, erano quelle aggressive o guerriere : una vera stortura, che la liberalizzazione dei costumi ha eliminato, aprendo vie nuove al fiorire del desiderio, e dun­ que alla raffinatezza. Beninteso sarebbe anche compito degli intellettuali e degli u omini p olitici, e dei mass-media che danno risonanza alle loro opinioni, far sì che la gente segua effettiva­ mente queste vie e non quelle antiche e sterili della violenza e del m anicheismo, ahimè ben lontane dall 'essere abbandonate . Per ora, si intravede appena il modo in cui tale obiettivo po­ trebbe realizzarsi. È lecito l'ottimismo per quanto riguarda i domini del b ello,

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Capitolo tredicesimo

p er la p oesia ad esempio ? I n effetti, non p ochi tra i poeti an­ tichi aspirarono a descrivere l 'essere, né Lucrezio fu l 'unico a interessarsi alla natura. Richiaman dosi p iù o meno consapevol­ mente al platonismo, la maggior parte di loro identificava il bello, ch e si sforzava di esprimere, con qualche forma trascen­ dente. È pure un fatto che si tratta di concezioni superate . Lo si è già notato : il poeta moderno, rispettoso in ciò dell 'etimo­ logia, ha da essere prima di tutto homo faber, come un arti­ giano il cu i materiale fosse costituito da p arole. Il suo fine sa­ rebbe quello di metterle insieme secondo una nuova mo dalità, la più ingegnosa possibile, lasciando al lettore il piacere di in­ ventare un senso, un'immagine, o meglio, più immagini distinte, a seconda delle varie combinazioni. Salvo qualche eccezione, egli ha resp into ogni riferimento anche implicito al reale. Seguendo questo indirizzo, i p oeti del primo Novecento pro­ dussero opere pregevolissime . I poeti attuali ne sono in qualche m o do i continuatori, ma non vengono più letti. Può darsi che ciò dipenda da un generale scadimento cultu rale dei loro " clienti " potenziali, gli individui in grado di leggere, ma è pro­ b abile che la causa vera sia molto più specifica ; non sarebbe p oi così assurdo ricercarla nel crescente carattere artificiale del p iccolo mondo dei fabbricanti di frasi : conseguenza p ressoché ineluttabile della nuova via scelta se in essa il nuovo deve valere c ome unico criterio. Del resto, come evitare concretamente che sia questo il criterio pratico determinante, quando gli altri, che avrebbero portato il poeta, anche a sua insaputa, verso il concetto p iù o meno plato nico del bello come essenza del reale, sono stati tu tti eliminati? Semplici domande, le mie, cui non pretendo di dare risp osta, neanche implicitamente, pur ausp i­ cando che le si prenda almeno in considerazione, invece di la­ sciare (noi, l'élite intellettuale del tardo Novecento) che a livello di inconscio collettivo questo o quel tabù decida categorica­ mente al p osto nostro ! Osservazio ni simili, ma ancora p iù provocatorie, visto il p eso materiale degli interessi in gioco, p ossono farsi riguardo a una p arte non trascurabile dell 'arte moderna, che sembra avere anch 'essa come esacerbato , soprattutto nell 'ultimo dopoguerra, una volontà di nuovo, in sé irreprensibile, ma non qu ando an-

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nulla tutto il resto. Per essere più precisi, in molti casi la ten­ denza che si è così sviluppata ha condotto a considerare il nuovo non p iù soltanto come u n criterio decisivo, ma anche come il solo criterio del valore, dissu adendo per ciò stesso, e in modo efficacissimo, la critica e il pubblico da ogni esercizio di una vera e p ropria scelta personale : come già notava Valéry, il criterio del nuovo è di una oggettività totale e gelida e non autorizza alcuna deviazione. Cos ì , p er sapere se questo o quel­ l 'oggetto (insolito o al contrario molto banale) sia stato o n o esp osto è necessaria e sufficiente una biblioteca completa d i c atalogh i ! Ma n o n voglio q u i ingaggiare u na semplice scaramuc­ cia (per mancanza di spazio) per la conqu ista di una roccaforte che si erge ancora minacciosa e in cui il sublime e l 'autentico si mescolano intimamente al trompe l 'reil. Occorre attendere, se si vuole sapere che cosa rimarrà in piedi di quei bastioni. 1 La psicoanalisi ha vuotato molte abbazie , e ciò è facilmente spiegabile. Sapp iamo tutti come, al di là del reale prossimo , ri­ conosciuto come ingannevole, l 'uomo interiore (quello dell 'Imi­ taz io ne di Cristo ) sia in grado d i cogliere una specie di evidenza prima di Dio. Al di là del dato sensibile, al di là anche dei ra­ gionamenti, Dio parla a lui nel silenzio ; è di una tale evidenza, si può dire, che si nutre il cuore del monaco . Ora, la psicologia se la prende proprio con quest 'ultimo bastione interiore. "Quel Dio - ammoniscono i suoi cultori - che credete di sentire, è soltanto il vostro io o una manifestazione del vostro inconscio, o ancora, per usare altre parole, il riemergere di una piccola parte di tutto l ' immenso blocco dei dati affettivi nascosti che hanno accumulato in voi le esperienze dei primi anni di vita . Quelle voci sono proprio le vostre e , ahimè p er la vostra fede, nient 'altro che le vostre ! " P er ciò stesso la psicologia moderna contribu isce non poco a rendere rari, difficili e scomo di quei riferimenti all' Essere che un tempo erano sp ontanei nel genere umano e che lo sono ancora nelle culture meno sofisticate. Non c 'è inoltre da meravigliarsi nel constatare che anche in seno al cristianesimo , o almeno all a sua "ala pensante " , è in atto un 'evoluzione che va anch 'essa nel senso di accantonare (è il meno che si possa dire) i riferimenti tradizionali a un Es-

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sere trascendente. Per una consistente maggioranza di uomin i d i Chiesa di oggi il riferimento a Gesù prevale di gran lunga sul riferimento al P adre. Sono in molti i teologi, cattolici o prote­ stanti, che ritengono di dover porre l 'accento sulla natura u mana d i Cristo, ben più che non su quella divina. E infine, per alcuni di essi, che godono di ampia notorierà e di u n certo fa­ vore, soprattutto da p arte degli intellettuali, esiste in realtà soltanto questa natura umana, dal momento che la nozione di Dio è vista come un qualcosa di oscuro e indefinibile . Per questi ultimi la parabola del buon samaritano è sufficiente a esprimere l 'essenza fondamentale della religione cristiana. S i potrà ribattere che questa eliminazione dell 'idea di Dio verso cui sono incamminate , per vie differenti , la p sicologia e la ricerca teologica, non impedisce veramente di riferirsi al c oncetto di una realtà esterna. Semplicemente , essa p one fine (e ciò è da considerarsi positivo) all 'errore di pensare a questa realtà come a qualcosa di esterno alla natura e in termini antro­ pomorfici. È la scienza stessa, anzi, a far riferimento a u na realtà indipendente e a darcene una descrizione dettagliata. È errato du nque affermare che il concetto di una realtà siffatta è elimi­ nato dal pensiero contemp oraneo : occorre soltanto dire che ora è concep ito in termini scientifici. Un'osservazione d i tal genere, che riporta alla fisica, poteva essere fatta in tutta sicurezza e con mente libera da pregiudizi solo da chi, come i fisici di qualche decennio fa, era perfetta­ mente al corrente delle ricerche scientifiche del suo tempo . Tutto questo n o n accade p iù ormai, come s i sarà capito dalla lettura dei capitoli p recedenti. A distruggere u na così bella ap­ parenza, del resto, bastano alcune brevi osservazioni. L 'affer­ mazione che la scienza è l'unica descrizione corretta del reale si può difendere dall 'accusa di arbitrarietà solo se la scienza è coe­ rente, e questo, p er l 'intrecciarsi delle varie discipline, necessa­ riamente implica la sua unificazione : ma attorno a quali prin­ c ì pi? Verosimilmente attorno a quelli che determinano gli oggetti semplici e regolano le loro interazioni, e di qui, attra­ verso combinazioni molteplici, il comportamento degli oggetti complessi. I nsomma, l 'unificazione della scienza, per essere vera, non è pensabile (volendo evitare virtuosismi nel cui gioco

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la nozione di essere rischia ancora di svanire) se non attorno ai p rincìpi della fisica. ( È facile capire come la biologia sia dedu­ c ibile dalla fisica ; ma si provi a spiegare il comp ortamento degli astri a partire dalla biologia ! ) Ora, se davvero la scienza descrive una realtà indipendente, è indisp ensabile che i princìpi fonda­ mentali della fisica siano enunciabili a prescindere dai limiti d elle facoltà umane ; m a è p roprio questa condizione (di ogget­ tività forte) a non essere attualmente soddisfatta . C 'è di più : quasi tu tte le ricerche in questo camp o vanno oggi in direzione opposta, conducendo a una formulazione di quei princ ì p i in termini di due operazioni, riguardate come elementi primi e irriducibili della teoria : il procedimento di preparazione degli stati e quello di misura. Tra i fisici, non p ochi (e neanche di secondo p iano) sono ancora convinti del­ l 'oggettività forte della fisica ; ma è un vero atto di fede, questo, ché da parte loro si resp inge qualunque analisi : da una parte infatti c 'è il rifiuto di interessarsi al problema (in quanto " mi­ nore " ) , dall 'altra l'incapacità di indicarne una soluzione che resista alla critica. In conclusione, anche la scienza, nel suo riferirsi sempre più e splicito all'operazionismo a proposito dei princ ìpi fondamen­ tali, lungi dal confortare il concetto di realtà indipendente, partecip a di fatto alla sua eliminazio ne : caratteristica comune, questa, alle ricerche comp iute nei campi più diversi negli ultimi cent'anni. A questo punto è bene esaminare , a grandi linee, le implica­ zioni che la generale evoluzione del pensiero contemp oraneo può avere per quanto attiene al problema etico della natura dei valori. Come si è visto, nella filosofia operazionista ogni ipotesi, per essere fondata, deve fare previsioni controllabili ; a questa regola fondamentale dovrà p ertanto obbedire qualunque teoria dei valori che a tale filosofia si ispiri. Viene cos ì a cadere l ' ipo­ tesi (manifestamente inverificabile ! ) secondo cui i valori umani d iscenderebbero da qu alche comandamento divino o più in generale da un richiamo dell 'essere ; diventa anche impossibile, com'è ovvio, giustificare i valori in base a un principio ontologico e p ertanto trascendente il mondo dei fenomeni. Sotto il fuoco

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dell'analisi, è facile rendersi conto che la dedizione a una causa, l 'aspirazione alla libertà e così via non hanno niente a che vedere c on u n p ossibile trascendimento dell 'uom o mediante l 'uomo stess o , né con un avvenire cui si dia un significato più ampio di quello di un semplice meccanismo di sopravvivenza e di sviluppo della specie, così c ome vien fuori dal gioco della selezione naturale. Coerentemente con la visione dell 'operazio­ nismo ( o del behaviorismo), non è lecito infatti accordare un senso a ciò che non è osservabile ; ora, l 'esame della scala dei vi­ venti mostra, nel p assaggio dalle forme più elem entari all 'h o m o

sapiens , una sempre maggi ore autoregolazione dei sistemi (semp re più dotati quindi di autonomia e di "mem oria", nel senso informatic o del termine) e un 'accresciuta capacità di rea­ gire in modo specifico e complesso alle stimolazioni esterne . Non presentandosi m ai la necessità di introdurre alcunché di diverso dal "fenomeno biologico " , il precetto operazionistic o imp one di scartare ogni riferimento ad al tri camp i . Pertanto l o stesso c oncetto di valore ha unic amente un fon damento bio­ logic o . Se tale c onclusione fosse necessaria, allora, nell 'impossi­ bilità di sfuggirvi c on i mezzi dell a ragione, bisognerebbe rasse­ gnarsi : una prospettiva ben p oco esal tante ! La precedente illustrazione, magari un p o ' sommaria, dei vari modi in cu i si man ifesta il p rogressivo abban dono del rife­ rimento al reale, perm ette dunque di trarre alcu ne c onclusioni, in qualche caso positive, talvolta scoraggianti. Soprattu tto , sembra che s i tratti d i u n a strada già molto ben esplorata . I n arte e i n poesia, come i n fisica, s i è oggi ben lontani d a quel senso di meraviglia per le grandi invenzioni o scop erte che eb­ bero luogo agli iniz i della nuova avve ntura dello spirito . E si delineano già alcu ne ripetiz ioni insistenti ; occorrerebbe altro, e lo dimo stra la logica stessa di questo abbandono, che ha p ortato a innalzare il nuovo a valore supremo. C erto, la scoperta delle grandi vie intellettuali è straordinariamente difficile e pertanto non risulta da un mero atto di volontà, che p otrebbe tu ttavia rivelarsi necessario. In u n ' epoca come la nostra, sare bbe au sp i­ c ab ile a questo fine non lasc iare nulla di intentato . La mia proposta ( illustrata nei cap itoli p recedenti) è quella

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di un ritorno p arziale al realismo, che tenga conto però delle limitazioni essenziali che il n ostro sapere attuale impone ad ogni tentativo di identificazione troppo stretta tra il reale e i fenomeni. Si tratterà qui di u n reale velato , ove il nome scelto, come si è detto, riflette l ' impossibilità di accedere ad esso p er mezzo della fisica, o almeno della sola fisica. A questo punto, è naturale chiedersi se tale reale sia inconoscibile o conoscibile almeno in parte, e se p ossa essere esplorato con procedimenti diversi da quelli della fisica. Qui si entra in u n d ominio in cui non soltanto la deduzione è impedita, ma anche una congettura ragionata diventa estremamente difficile e deve troppo spesso cedere il p asso a vaghi argomenti di p lausibilità. Dato che né l 'intuizione, né i sacri testi, né la filosofia tradizionale offrono niente di p iù sicuro, tali argomenti non sono da scartare, anzi! Mi sembra essenziale averli ben presenti, se si vuol andare al di là del quotidiano e acquisire una visione di insieme , veramente moderna, non fatta di brandelli male adattati di tradizioni. Nel difficile problema del reale, occorre dunque riconsiderare alcune idee-guida, ma in m odo essenziale, trascurando per chia­ rezza sviluppi e sfumature . Prima di tu tto, il concetto di essere (o di realtà indip en­ dente ) , contrariamente all 'opinione dei positivisti e di quanti in generale gli negano un senso, è utile e perfino necessario . Infatti, a non volerlo ammettere, riuscirebbe difficile (se non impossibile) in qualunque teoria spiegare in modo soddisfacente la regolarità dei fatti osservati, ovvero la regolarità delle impres­ sio ni che si crede di ricevere da un m ondo esterno (che sarebbe quindi p artecipe dell 'illusorio) : si finirebbe così col rinunciare a p orsi quel genere di domande, con la conseguenza che il principio di induzione (che continuerebbe ad essere utilizzato ! ) diventerebbe un puro atto di fede . I positivisti più conseguenti, loro che negano l ' esistenza in sé di entità generali, p roprio per­ ché non se la sentono di fare, una volta p er tutte, u n atto di fede col valore dell " ' induzione in generale ", finiscono col farne continuamente, in occasione ogni volta di u n'induzione p articolare, il che sembra veramente arbitrario ! Critiche analoghe possono essere rivolte alle teorie che con­ siderano la realtà indipendente come una cosa a sé, le cui strut-

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ture o non esiston o o non h anno niente a che fare con i feno­ meni. Le une e le altre teorie possono , è vero, tentare di spie­ gare quelle regolarità come riflessi della coscienza del soggetto e delle strutture di questa (una specie di " realismo della co­ scienza", insomma), ma sorge allora un nuovo p roblema quando si constata che esiste un accordo intersoggettivo (quello di più soggetti rispetto a ciò che osservano insieme ) . Se è cos ì , l ' idea dell 'esistenza di una realtà indipendente e strutturata, le cui strutture permanenti si rifletterebbero al­ meno in parte nella mente dell 'uomo (spiegando così le regola­ rità fisiche osservate) , lungi dall 'essere vuota e superficiale come si è spesso preteso, appare al contrario ragionevole . C erto, essa non risolve da sola tutti i problemi e, diciamolo pure, non è neanche a questo riguardo così efficace come il " buon senso grossolano " immagina . (Per esempio, essa sposta semplicemente il problema dell 'induzione : perché dovremmo credere che le leggi naturali non possano cambiare bruscamente? Se è in virtù dell 'esperienza p assata, che cosa ne autorizza l 'estrapolazione , se non un atto di fede ? ) Tale idea rende d 'altra parte meno ar­ b itrari i postulati che conducono a soluzioni (cos ì , per quanto riguarda l' induzione, l ' atto di fede è fatto una volta per tutte) . I nfine, e ssa n o n cade sotto i colpi delle confutazioni indirizzate contro il realismo metafisico da parte della filosofia dell 'espe­ rienza, e che si fondano su estrapolazioni del teorema di Gòdel. Infatti, come si è detto, confutazioni di tal tipo pretendono di mostrare che la realtà postulata dal realismo metafisico non è conoscibile con certezza , cosa che il realismo non fisico qui proposto non nega. Ora, se si adotta questo nuovo punto di vista (ugualmente distante dallo scientismo corrente, o dal realismo fisico di u n Einstein, e dal positivismo tradizionale) , i problemi fondamen­ tali che l 'uomo di oggi si trova di fronte appaiono in una luce ben diversa. In tal modo quest 'uomo sfugge alla triste condi­ z ione di tecnico o di giocoliere, in qualche modo di homo faber, cui la nostra cultura del ventesimo secolo pensa di ridurlo . Gli è restituita la sua piena natura di homo sapiens , nel senso che non è p iù obbligato a interpretare la natura che osserva solo c ome uno sterile riflesso del suo operare. Diventa allora per lui

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essenziale partire di nuovo alla ricerca di corrispondenze, anche incerte, tra la realtà indipendente e i c oncetti del suo spirito. Va da sé che in tale tentativo non dev'essere dimenticato ciò che è acquisito . Certo, una volta che, in seguito a ricerche, si sia mostrata la falsità di una corrispondenza, apparentemente giusta, il conservarla sarà impossibile ; ma bisognerà anche guar­ d arsi dall 'errore opposto, cioè dall 'esigere dim ostrazioni di esattezza nel senso scientifico della parola. Altrimenti, proprio in un dominio dove le prove così intese sono impossibili, si fi­ nirebbe col cedere a quella diffusa deformazione della ragione che consiste nel negare l'esistenza di tutto ciò che è indimo­ strabile (tendenza molto criticabile, ché assurdo sarebbe, ad esempio, negare l 'esistenza del p etrolio in tutti i lu oghi in cui le trivellazioni sono impossibili! ) . Il giusto atteggiamento da tenere consisterà dunque nell 'accordare una certa benevolenza anche a idee dai contorni un p o ' vaghi, u nicamente fondate su argomenti di plausibilità, ma di cui d 'altra parte non esistono confutazioni coerenti. I n queste condizioni, la ricerca di c orrispondenze valide p artirà ancora da un esame delle diverse manifestazioni di fa­ stidio per i riferimenti all 'essere che caratterizzano la cultura dei nostri genitori e dei nostri nonni, p er vedere se, nell 'ipotesi d el realismo (anche non fisico) ormai qui adottata, alcune non siano ingiustificate o esagerate. Tale studio conduce prima di tutto a riesaminare il criterio del bello, in p articolare quello della bellezza matematica, le cui basi argomentative sono le più sicure . Per quanto riguarda la matematica pura, la disillusione è già stata notata (vedi ad esempio cap . 3 ) : in breve, mentre ai nostri antenati essa appariva un riflesso fedele dell 'essere, noi abbiamo motivo di vedervi soprattutto un insieme di tautologie o di semplici riflessi della nostra struttura mentale . Ora, nulla imp edirebbe di considerare la stessa mente umana come un ri­ flesso troppo infedele del reale ; questo darebbe indirettamente u n certo credito alla concezione antica (platonica, se si vuole) della matematica. Sfortunatamente, a favore di questa ipotesi non si p ossono p iù portare argomenti convincenti, e p ertanto solo la benevolenza di cui si p arlava, p ortata all 'estremo , può indurci a considerarla accettabile.

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In compenso, la situazione della matematica applicata alla fisica sembra nettamente più favorevole. Sicuramente , come si è visto, la struttura della teoria quantistica impedisce di consi­ derare le descrizioni matematiche della teoria stessa alla stregua di descrizioni ontologiche. ( Era questa, ricordiamolo, l 'obiezione fondamentale al pitagorismo . ) In effetti, quelle de­ s crizioni sono a rigore semplici descrizioni di regole atte a preve­ d ere risultati di osservazioni, e in qu anto tali non si riferiscono esclusivamente al reale, ma anche alla nostra mente . A questo punto, visto c h e l e equazioni fondamentali della teoria quantistica non costituiscono una descrizione della realtà indipendente , se ne deve concludere che esse descrivono unicamente le nostre strutture mentali? Evidentemente no. Sareb be del tutto arbitrario, oltreché inesatto, concludere in tal senso . Per esemp io, l 'equazione dell 'atomo di idrogeno non n e descrive certamente la realtà, ma fornisce soltanto i valori che si osserverebbero misurandone l 'energia di eccitazione, nonché le probabilità dei risultati di questa misura ( o di altre che p otrebbero essere fatte al suo posto ) . Dirò p er questo che tale equazione fa riferimento soltanto a me e ai miei simili? Ciò sarebbe evidentemente assurdo ; in u n certo senso , devo pur dire che essa si riferisce anche a un ambiente naturale che ci resiste, che è distinto da noi e che è comu ne all'insieme degli uomini. In modo vago (e impossibile ahimè da precisare ! ) si finisce dunque col riconoscere che le strutture della fisica ma­ tematica sono almeno un punto d 'incontro tra l 'uomo e l 'es­ sere, e in quanto tali aprono p rospettive lontane e misteriose, ma non illu sorie . Si tratta in fondo di u n risultato plausibile , e ciò mi incoraggia a immaginare una possibilità di estrapolazione in altri camp i. L 'osservazione della n atura, associata a un 'attività cosciente d ella mente, potrebbe fornire risultati che a loro volta aprono insondabili prospettive verso l 'essere. La dimostrazione di ciò mi è impedita, ma, in virtù del criterio della " benevolenza " , mi basta p oter confutare le pseudodimostrazioni d i segno op­ p osto, richiamandomi alla grandissima verosimiglianza della mia tesi almeno in un caso ( quello appunto citato in prece­ denza) , in cui, all 'interno della fisica, sperimentazione e teoria

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sono concordi. A questo punto potrei imb aldanzirmi e riguar­ dare con sufficienza gli o dierni spregiatori dei " divini poeti " . I loro argomenti, che vorrebbero dimostrare la puerilità del­ l 'eterna ricerca del vero nella bellezza vista e sentita, non pro­ vano nulla. Riguardo all 'arte vale la stessa cosa : si tratta di sem­ plici tesi sc olastiche, simili a quelle che vuole inculcarci la cosid­ detta pedagogia "di punta " , praticata a volontà da tante istitu­ zioni ufficiali . Non si fa altro, in esse, che ricamare all 'infinito variazioni su due vecchi dogmi che restano sempre gli stessi : disprezzo dell 'osservazione e ferma rinuncia a ricercare alcun­ ché di enigmatico dietro le cose. Questi dogmi, magari utili circa mezzo secolo fa, si fondano su un 'idea che solo adesso è p ienamente sfruttata e pertanto (secondo la sua stessa logica) sup erata. Quanto all 'enigma, è più plausibile l 'affermazione della sua esistenza che non la negazione. Perciò è bello e sensato che un artista ricerchi questo segreto ultimo, anche se è vero che esso non gli si mostrerà interamente e che il pittore, lo scul­ tore o lo scrittore dovranno porsi nei suoi confronti come New­ ton davanti al mondo : interpreti del nascosto, ma anche fan­ ciulli che giocano sulla sp iaggia e trovano qua e là alcune con­ chiglie lucenti davanti a un oceano inesplorato e misterioso . Tra le conseguenze p iù importanti dell 'attuale rifiu to del concetto di essere si sono notati i suoi effetti (rinforzati dalla psicoanalisi ) sull 'evoluzione del pensiero religioso. Nel caso del cristianesimo , in p articolare, si è accompagnato ad esso il lento focalizzarsi essenzialmente su un u om o , considerato nello stesso tem p o c om e rapp resentativo e come ideale . Si è p oi n otato come questo stesso rifiuto abbia influito sulla c on­ cezione dei valori. Si tratta di fenomeni c om pletam ente di­ stinti, anche se vicini . Per quanto riguarda il primo, almeno una c onseguenza sembra definitivaménte acquisita : l a concezione arcaica, espressa dalle p arole " S ignore " o d " Onnipotente ", non riuscirà p iù come un tempo a placare le inquietudini ontologi­ che. Per chi abbia una sensibilità religiosa, ritrovare l 'Essere sarà ora u n ' impresa p iù sottile della semplice accettazione della volontà divina enunciata nei libri, testimoniata nelle azioni e affermata dai sacerdoti. Ma " p iù sottile " non significa "priva di

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senso " . Se, come p enso di avere mostrato, il rifiuto dell 'essere è solo un 'idea p asseggera, che ha avuto successo ma si è in parte e saurita, allora la sua ricerca è da considerare nuovamente c ome non assurda a priori. È questo un punto fondamentale . Contrariamente a ciò che p ropone una certa frazione (che si vuole moderna) dei teologi, non si può p iù ritenere che la pa­ rabola del buon samaritano, benché essenziale, riassuma da sola tutta la sostanza e le speranze confuse di cui oggi sono p ortatrici le religioni. Quanto al secondo aspetto, è probabile che la negazione d ell'essere abbia avuto consegu enze definitive sull 'idea che l 'uomo accetterà ormai di farsi dei valori. Non è questa la sede per un esame sistematico della teoria dei valori, visto che su tale argomento molto si è già scritto e , in mancanza di spazio, in queste pagine la si p otrebbe unicamente abbozzare in modo semplicistico. Senza deviare troppo dal tema generale di questo capitolo, se ne possono ricordare alcuni punti essenziali, con­ cernenti le possibili risp oste alle domande : " Il bene è oggettivo o soggettivo? " e "Che cosa è bene? ". Il bene, avrebbe detto senza dubbio Aristotele, è l ' altro nome di Dio, " ciò verso cui tutto tende". Tale definizione fa del bene una nozione oggettiva. Si può d ' altra p arte osservare che essa fa implicitamente rife­ rimento agli esseri umani, supposti, nel loro insieme, in tenden­ ziale armonia con il resto della n atura e disposti a esaltarne le caratteristiche. I n questo senso, l 'oggettività della definizione sembra già partecipare dell ' oggettività debole su cui è fondata la fisica contemporanea. Ci riconferma in tale opinione osser­ vando che l 'idea di tendenza implica una distinzione qualitativa tra p assato e futuro, che peraltro è praticamente estranea alle leggi fondamentali della fisica. Si può dunque parlare di " ciò verso cui tutto tende " solo identificando il soggetto " ciò " con la realtà empirica , in una concezione del reale di ispirazione kantiana che non ne fa un 'entità d el tutto indipendente dal­ l 'essere umano. Come è noto, la definizione edonistica identifica il bene col p iacere, p iù esattamente con ciò che mediamente dà il maggior piacere agli esseri umani, c onsiderati nel loro insieme, senza sfa­ vorirne troppo nessuno. Si tratta ancora di una definizione

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oggettiva solo in senso debole . La parola " p iacere " può avere tuttavia un significato più ampio, inglobante le costrizioni che l 'uomo si impone volontariamente in vista di un fine che gli sembra bello, come scalare montagne, o prendersi cura dei lebbrosi, 2 allora un simile piacere non differisce dal fine cui l 'uomo tende , e la definizione edonistica, a parte la restrizione esclusiva all 'uomo del " tutto " di cui parla Aristotele, coincide appunto con quella aristotelica. Le due definizioni sono interessanti e utili. Grazie in parte al sospetto che circonda oggi ogni nozione affine a quella di Es­ sere assoluto, esse hanno ampiamente sopp iantato, nella men­ talità della nostra epoca, la concezione arcaica del bene, identi­ ficato appunto con la conformità ai comandamenti dell 'Essere supremo . Un semplice richiamo alle mostruosità cui ha dato luogo quest'ultima visione porta a comp iacersi di una simile evolu zione e a considerare positivamente l 'idea che si tratti di una svolta definitiva . Da un altro punto di vista, tuttavia, la definizione di Aristo­ tele è gravemente insufficiente , al punto da risultare assurda in alcuni contesti. Se " ciò verso cui tutto tende" è una confla­ grazione nucleare universale , sembra certamente difficile iden­ tificarlo col bene . Si può certo tentare di confutare questa obiez ione traducendo " tendere " con " aspirare a " ; in tal caso , p erò, l 'elemento di soggettività (più esattamente di desiderio) che il " tu tto " di Aristotele acquista equivale a un p ostulato più ampio, che implicitamente rimanda a una soggettività del­ l 'universo simile alla nostra. Poiché quell 'universo coincide con la realtà empirica (è anche il n ostro caso, questo), il meno che si possa dire a tale riguardo è che una simile soggettività non traspare nei dati congiunti dell 'astrofisica e della fisica. Quanto alla definizione edonistica, essa è assai meno vulne­ rabile di quanto troppo spesso non si pensi, e sottovalutarla sarebbe un errore intellettuale . D'altra p arte, si constata che essa suscita una reazione sp ontanea di riserva (talvolta di d isgusto, il p iù delle volte dovuto a qualche fraintendimento del suo contenuto) da parte di persone degnissime . In effetti, la definizione edonistica del bene, anche quando è comp resa in modo corretto, lascia come un vuoto nel cuore dell 'uomo, una

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sorta di inso ddisfazione che si sp iega evidentemente con quel suo carattere di " essere delle lontananze " e che, lo si voglia o n o, bisognerebbe sempre aver presente . I n questo si intravede un qualche rap porto con la frustrazione che all 'uomo deriva d all 'essere immerso nel tempo, e senza via di scampo. Prima si è p arlato della liberalizzazione dei costumi, conseguenza diretta d ell'abbandono dell'antica definizione del bene per quella edonistica. Gli aspetti positivi di tale liberalizzazione non devono far dimenticare che ogni p iacere ha una fine, e che nulla libera dal tempo . Neppure il prodigarsi per l ' altrui felicità è una soluzione, poiché la vecchiaia lo impedisce . I n questo senso è soltanto un raffinamento sottile dell 'edonismo il pensare all ' Essere eterno e vivere di un tale pensiero. Monaci e asceti, interamente votati a questa idea, sono gli unici nella nostra civiltà che potrebbero non curarsi dello scorrere del temp o. È un atteggiamento, il loro, che sare bbe però sbagliato considerare c ome una semplice estensione della filosofia edon istica ; infatti , per essere efficace , il riferimento all ' Essere deve accompagnarsi a un ric onoscimento vero dell 'esistenza, come pure della pre­ minenza, del suo oggetto. Il bene pu ò allora essere definito soltanto in modo secondario rispetto a quest 'ultimo . Semb ra di essere ben lontani dalla fisica. Ma è possibile che sia così , dal momento che essa è universale, nel senso che si è visto? Effettivamene questa scienza ha molto da d ire riguardo al concetto d i essere, come del resto hanno p rovato i capitoli precedenti. Essa mostra in particolare che le sole filosofie rea­ liste accettabili sono realismi remoti, cioè concezioni in cui la realtà indipendente sfugge alle categorie e ai concetti ordinari. In particolare, lo scorrere del tempo, un fatto familiare e che noi abbiamo una tendenza quasi irresistibile a considerare come una realtà prima, diventa in tali concezioni un dato rela­ tivo, legato ai fenomeni e non alla realtà. Se così stanno le cose, il fisico non può ritenere assurde certe ip otesi, pur considerand ole, secondo i suoi criteri, rischiose. Una di esse è quella secondo cui ogni uomo ha la p ossibilità di gettare un p onte verso l 'essere ; spetterebbe a lui trovarne la n atura. Più esattamente, non è escluso che tra ogni singolo

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uomo e l 'essere v i sia una relazione, certamente ineffabile, che si potrebbe rendere nel modo meno rozzo con l 'esp ressione " un richiamo dell 'essere all 'uomo ". Se tale richiamo esiste, è certo semplicistico interpretarlo come u n invito all 'azione, o semplicemente alla realizzazione di sé . La nostra ingenuità è in questo paragonabile a quella di Talete, che dopo aver introdotto (fondando con ciò la scienza ! ) nel discorso umano l 'idea astratta delle leggi generali cui la realtà fisica soggiace, in man­ canza di un concetto e anche d i una parola appropriata, identi­ ficò miseramente con l 'acqua tale realtà. Infatti, nel pensare a simili richiami tendiamo a porre nel tempo la relazione di cui vogliamo parlare, che pure, come tutto ciò che si riferisce alla realtà indipendente (o essere), dovrebbe piuttosto trascendere la dimensione temporale, almeno per certi versi. Si riconosce dunque il carattere essenzialmente speculativo di ipotesi di questo tipo. Sembra infatti imp ossibile dimostrare che certe intuizioni universali, che a priori sarebbero identifi­ cabili con i richiami suddetti, non abbiano esclusivamente una semplice spiegazione psicologica o genetica. Al massimo si può affermare che (dovendosi prendere sul serio il concetto di una realtà remota, situ ata al di là del riferimento spaziotemp orale e " anteriore " alla scissione soggetto-oggetto ) quelle ipotesi non sono assurde. Non vi sono argomenti veramente convincenti che ne dimostrino la falsità e neppure (essendosi scartati i cri­ teri positivistici) la mancanza di significato ; se esse sono vere (princip io di benevolenza), allora offrono la possibilità di una terza definizione del bene e dei suoi valori, questa volta sulla base dell 'oggettività forte, in omaggio a una conformità a questi " richiami " . N o n bisognerebbe p eraltro abusare di u n a definiz ione del genere : si vede subito quali pretesti o p seudogiustificazioni essa potrebbe fornire all 'arbitrio, anche in persone in buona fede. Così sembra opportuno non p orla alla base di una nuova scala dei valori, rovesciando quella fornita p er esempio dalla defini­ z ione edonistica ; sarebbe il caso p iuttosto di riservarla alla con­ templazione o, se si preferisce, al sublime. I n altre parole, pur senza attribu irle effetti apprezzabili sulla scala dei valori, vi si può senz 'altro vedere il vero fondamento di questi ultimi . Su

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tale punto , come del resto su molti altri, l 'aria di sufficienza d ei p ositivisti sarebbe fu ori posto. Non è affatto indifferente fondare i valori ammessi su questa o quella concezione del mondo : dipendono infatti da ciò la colorazione affettiva e dun qu e la serietà che si collegano ad essi, e conseguentemente il livello di serenità, se non addirittura di gioia, in cui si svolge l 'esi­ stenza, come san Francesco aveva scoperto prima di tanti altri ! Sul realismo remoto, come si è visto, è fondato ogni atteg­ giamento realista coerente . Nelle p agine che precedono si è con­ statato come l 'adozione di tale atteggiamento p orti a discostarsi non p oco dalla mentalità corrente, che rifiuta nel profondo l ' idea stessa dell'essere. I nversamente, se si ricercano criteri p lausibili per valutare in quale misura u na certa intuizione possa aprire prospettive sull 'essere , è naturale tenere conto della pro­ pria mutata concezione del mondo. Una sensazione o un 'idea che desti in me gli stessi echi, indip endentemente dalla presenza o meno nella m ia mente dell 'idea di u n essere essenzialmente rem o to (in rapporto alle nostre categorie abituali di p ensiero ) non avrebbe allora alcuna probabilità di oltrepassare la p ortata del fenomeno . Questo è il caso p iù corrente, e in p articolare ne fa parte tutto il contenuto della scienza strettamente positiva. Solo un 'idea o un 'impressione che sentissi intimamente corre­ lata alla presenza nella mia mente di quel concetto di essere p otrebbe dischiudermi quella prospettiva. Accettando tale p rincipio, quello della bellezza matematica, tanto spesso celebrato, resta un criterio valido malgrado le la­ cune del p itagorismo . Infatti, l'eventuale eleganza delle formule m atematiche impiegate p er riassumere un certo numero di fe­ n o meni risveglierebbe in me u n 'eco molto p iù intensa, se, anzi­ ché limitarmi ad essi, mirassi alla descrizione della realtà in sé . Ora, non è questo l 'unico criterio valido . I n verità, l 'appa­ rente grazia di certe forme naturali costituisce, per la maggior p arte degli uomini, magari lontanissimi dall 'idea dell'essere, ma liberi da p regiudizi e non condiz ionati dai mass-media e dalla scuola, l'eloquente testimonianza di qualche verità nascosta. Anch e qui, u n 'ovvia sp iegazione biologica ricondurrebbe tutto alla struttura dei nostri geni, dunque della nostra mente, ma se

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si adotta il criterio ora enunciato non è p iù assurdo vedervi un riconoscimento autentico dell'essere, o almeno di u no dei suoi riflessi al di là delle cose . Le due opinioni sono conciliabili, se si adotta la teoria del microcosmo : secondo questa ipotesi, com 'è noto, il cervello e la mente umana, composti tra i più complessi dell'u niverso, hanno conservato alcune strutture che riflettono abbastanza fedelmente quelle della realtà indipendente da cui emergono. Pur non essendo dimostrabile, l 'ipotesi è plausibile, poiché spiega in modo schematico ma semplice una quantità di fatti, ad esempio la possibilità dell 'uomo di applicare la sua matematica ai fenomeni. Quanto si è detto per la bellezza può essere ripetuto a pro­ p osito del sacro. Esso è certamente suscettibile di una spiega­ zione puramente sociologica, proprio come l 'impressione di bel­ lezza sensibile è suscettibile di una sp iegazione puramente bio­ logica. Ciò non vuol dire che tale sp iegazione esaurisca l 'uno o l 'altro di questi due concetti ; non è affatto vero infatti che basti la sociologia a spiegare il contenuto delle scop erte scienti­ fiche. Non è dunque assurdo pensare che il tendere del sacro all 'essere non sia del tutto a vu oto. Certo una tale idea è valida s oltanto se si tratta dell 'essere remoto , non già della realtà empmca. Per il modo in cu i utilizza i concetti correnti, il sacro si op­ p one così parzialmente alla storia, che intorno ad essi è co­ struita : quei concetti, un po' come i modelli della fisica, servono unicamente a evocare, in un linguaggio semplice, verità che non possono essere oggetto di descrizione. Da questo punto di vista è un vero peccato che nella nostra cultura i servitori del sacro siano stati contagiati dalla moda delle filosofie della storia. È stata questa, forse, la cau sa della fuga della sensibilità giovanile verso culture differenti. Eppure, al di là di tali disawenture, è necessario considerare le cose a fondo. L 'apertura possibile verso l 'essere offerta dal sacro è certamente ipotetica ; ma poiché in questo ambito tutto è in fondo ipotetico, mi pare che una fe­ d eltà sfumata e non letterale alla religione dell 'infanzia sia un atteggiamento mentale consigliabile, per non chiudersi ad ogni prospettiva. Altre considerazioni ancora sembrano guidare all 'essere : in

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Capitolo tredicesimo

particolare quelle legate al concetto di cura (Heidegger) 4 e tutte quelle che, come il misticismo, sono associate a un indeboli­ mento della scissione soggetto-oggetto O aspers) . Ma in tal caso si entra in una densa penombra, e il fisico non ha da dire nulla che il filosofo non abbia già detto . I n conclusione, il miglior modo di porsi nei confronti dell 'es­ s-ere (o del reale, per usare u na p arola p iù amb igua e dunque, come si vedrà, più proficua) sembra quello (la fisica insegna! ) di tentare una " messa a fuoco " simultanea su due piani, corri­ spondenti appunto ai due significati che la filosofia attribuisce alla parola " reale ". Da una p arte vi è quello della realtà indipen­ d ente, la sostanza di Spinoza, che si potrà soltanto contemplare (e neanche in sé, ma come idea) : è questa la fonte dei fenomeni, della bellezza e dei valori, un orizzonte irraggiungibile cui tut­ tavia non si può rinunciare. Dall 'altra, vi è la realtà empirica da considerare, vedendola nella sua vera natu ra, che è quella di una scissione soggetto-oggett o . Il p iano della realtà emp irica è quello delle cose, della vita, dell 'evoluzione, dello stesso uni­ verso . Ora, è p rova di raffinata saggezza attribu ire ad esso la sua reale importanza, la sua autentica " qualità di esistenza" , senza p e r questo identificarlo c o n l 'orizzonte supremo . Note al capitolo tredicesimo 1 Saranno forse, per esemp io, quelle tele spoglie (un rettangolo tutto bianco, o tutto nero, o tutto grigio) in cu i l'artista, all'insegna della massima essenzialità, im ita ed estrapola l'austerità di un teorema? Oppure, nel nom e stesso del nuovo, si finirà con l'accorgersi che, in questo caso preciso, il modello, in cui la riduzione all'essenziale è necessaria e difficile, è di una bellezza molto superiore a quella del­ l'immagine, ove la stessa riduz ione sembra realizzata, in fondo, in modo facile e ar­ bitrario? 2 Va da sé che i p iaceri della vanità e dell'azione (gloria, "buonissima posizione", responsabilità ecc. ) sono veri e propri p iaceri. 3 La dedizione è un bene se e solo se il suo oggetto è un bene. Nella concezione edonistica la dediz ione al benessere materiale e spirituale dei nostri sim ili è qu indi un bene. Nella concezione che identifica il bene con l 'obbedienza a questo o quel comandamento, la dedizione a una causa è un bene se la cau sa è conforme a questi com andamenti La nozione di dedizione non può quindi costituire essa stessa il fon­ damento di u na definizione del bene. 4 (Per Heidegger la cura (Sorge) è l'essenza stessa dell 'essere (Dasein ), inteso come apertura al mondo. ]

Capitolo 1 4 Conclusione

Il contributo della fisica al sistema delle conoscenze è essen­ ziale. Estendendosi in camp i che vanno dalla chimica alla co­ smologia, la fisica di oggi può essere definita la scienza dell 'in­ sieme dei fenomeni della natura (esclusa la vita e la coscienza) 1 d i cui fornisce una descrizione unificata, almeno in linea di principio. Non sempre essa è in grado di svolgere i relativi cal­ coli nei dettagli e in modo diretto , a p artire dai princ ìpi generali, epperò l 'esistenza di veri e propri relè , costituiti dalle costanti fisiche macroscopiche (calcolate per mezzo della teoria quanti­ stica e a partire da un numero e siguo di costanti u niversali) con­ sente, nella fisica classica, la descrizione quantitativa dei feno­ meni sulla nostra scala. Con questi e altri accorgimenti, la fisica contemporanea racchiude in un tessuto descrittivo compatto l 'insieme dei fenomeni, in apparenza così diversi, del mondo intorno a noi ; le sue teorie ed equazioni ne stabiliscono la coe­ renza e ne consentono la previsione, almeno statistica, nella quasi totalità dei casi. È assai improbabile dunque potersi dare una concezione non superficiale e non arbitraria del mondo, e d el significato della presenza in esso dell 'uomo, prescindendo dalla fisica. D 'altra parte, è riduttivo limitarsi a constatare che essa riesce a spiegare l 'insieme dei fenomeni naturali, trascurando ogni informazione intorno ai suoi fondamenti (un p o ' come chi, vo-

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Capitolo quattordicesimo

lendo farsi un 'idea chiara sulla solidità di un edificio, si accon­ tentasse di apprendere che è opera di espert i ! ) I n tal modo infatti ci si ferma alla superficie delle cose, senza d ir nulla sul vero contributo di questa scienza al sapere fonda­ mentale. Secondo la tesi sostenuta in questo libro, esso è da vedere proprio nella tendenza, apparentemente definitiva, della fisica contemporanea a pt>rre una dicotomia tra l 'essere e l 'og­ getto, o tra realtà e fenomeno. L 'oggetto non è l 'essere. Questa verità, intuita da Descartes e da tanti altri filosofi, sembra ora, alla luce della meccanica quantistica o delle esperienze concer­ n enti la non-separabilità, pressoché certa anche p er chi si ispiri a una concezione realista. Dopo tutto, i vecchi razionalisti su un punto avevano ragion e : pur con il supporto della teoria, i sensi, il metodo sperimentale, non possono illuminarci con cer­ tezza su ciò che è. Quello che i razionalisti non avevano previsto (né potevano prevedere ! ) è che, malgrado ciò, le informazioni fornite dai sensi, convenientemente filtrate dal metodo scienti­ fico, si mostrano come un insieme stabile, descrivibile in termini matematici e di una coerenza quasi perfetta : " la fisica", ap­ punto, la scienza che ci permette di avviare a soluzione ogni questione operazionale. I dati sensoriali dei diversi individui, nel loro insieme , sono descrivibili per mezzo di u n modello realista su scala macrosco­ pica, a partire dal concetto di oggetto macroscopico separabile : questo potrebbe spiegare l 'elaborazione, da parte dell 'uomo , di u n linguaggio fondato essenzialmente su quel concetto. La realtà empirica così costruita n on è identificabile con l 'essere, dal momento che l 'idea d i oggetto macroscopico su cui si basa è imprecisa e definita solo in riferimento all 'umano. Inoltre, n on appena si esce dalla sfera del macroscopico, il concetto di sep arabilità viene a mancare, e si possono unicamente azzardare previsioni (statistiche) sui risultati delle osservazioni, il che del resto non presenta difficoltà. Quanto al perché di tutto questo, è bene non illudersi : la spiegazione non è a portata di mano. Anche qui la cautela con­ s iglierebbe di non considerare questioni che esulano dagli aspetti puramente descrittivi. D 'altra parte, non volendo rinunciare a d arsi una ragione, bisogna riconoscere che l ' ipotesi di un 'esi-

Conclusione

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stenza in sé degli oggetti della teoria, indipendentemente dal­ l'uomo, ridotto a semplice osservatore, è p iù convincente, dal punto di vista della sp iegazione, dell'ac � ordo intersogge� t �vo : Non pochi fisici si sono impegnati a ricercare le condmom che rendono plausibile tale ipotesi (il che equivale alla costru­ zione di una teoria realista), e i risultati li abbiamo visti : non inesistenti, ma ambigui. Infatti sono p ossibili varie soluzioni che differiscono profondamente le une dalle altre, e che l'espe­ rienza, competente soltanto per quanto riguarda la realtà em­ p irica, non può evidentemente scegliere e separare ; tutte però h anno un tratto in comune, nel senso che imp ongono all 'essere la non-separabilità, il che nuovamente impedisce la sua identi­ ficazione con gli oggetti osservati. Più in generale, il reale intrin­ seco non è identificabile con l'insieme delle entità matematiche della fisica contemporanea che possiedono la proprietà di loca­ lità (funzioni di un solo punto). Le circostanze ricordate fra l ' altro tolgono credibilità ai tentativi del realismo prossimo di descrivere l 'essere per mezzo di concetti tratti dalla vita comune. Ciò esclude sia le rappresentazioni animistiche o ingenuamente n aturalistiche, sia le rappresentazioni scientifiche. Secondo la tesi qui p roposta di un realismo remoto e non-fi­ sico, l'essere (o realtà intriseca) resta certamente la spiegazione ultima dell 'esistenza di regolarità nei fenomeni osservati, ma gli elementi di tale realtà non sono riferibili a concetti tratti dall'esperienza comune (quali l'idea di cavallo, di " p iccolo grano" ecc. ) né a entità matematiche localizzate. La nostra tesi non dovrà per forza avere un'utilità scientifica, perché la scienza, c ome si è visto, per sua stessa natura deve limitarsi alla realtà empirica. Unico suo obiettivo (ma importante ! ) è di arrivare a una spiegazione esplicita dell'esistenza di quelle famose regola­ rità così ben riassunte dalla scienza. Una volta che vi sia la certezza che l' oggetto non è identico all'essere, è lecito ipotizzare che gli status ontologici dei con­ cetti di oggetto e di soggetto siano paragonabili (in altri ter­ mini, ha senso p arlare di una scissione soggetto-oggetto ). Si constata anzi che l 'ipotesi, per quanto vaga, ha tuttavia una sua attendibilità, ed è significativo, in questo senso, il ruolo sempre p iù importante del concetto di intersoggettività nelle

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Capitolo quattordicesimo

ricerche che mirano a consolidare il rigore della fisica. Visto che non ci muoviamo in un contesto scientifico, quei limiti di imprecisione non sono stati giudicati così gravi da impedire la nostra adesione all 'ipotesi stessa. I riflessi di tale concezione sul p iano filosofico e culturale sono stati trattati in modo sommario, senza trascurare p eraltro l 'aspetto p iù semplice, ma essenziale, dell 'adesione di ogni indi­ viduo al mondo. Da questo punto di vista, un'aura di mistero avvolge, e con­ tinuerà ad avvolgere, il concetto di essere : ciò può apparire de­ ludente alle intelligenze più critiche, ma tale sensazione si atte­ nua considerando le conseguenze ancora p iù sconcertanti che avrebbe l'ip otesi inversa. Basti pensare al totale disinteresse dei fisici per la radioattività beta, dal momento in cui, dop o ven­ t ' anni di ricerche, a quel difficilissimo problema fu trovata una soluzione soddisfacente. Per fortuna ne sono apparsi altri all' orizzonte . . . Con una m etafora si potrebbe dire che è per il bene dell'umanità e di ogni singolo uomo che l'essere ha scelto di restare remoto. Le riflessioni contenute in questo libro non vogliono negare a tutti i costi la possibilità di formarsi una valida visione del mondo prescindendo da una conoscenza approfondita della fi­ sica. È innegabile tuttavia che la totale ignoranza della natura dei problemi riguardanti i fondamenti di questa scienza è svantag­ gio non lieve, perché conduce, in u n modo o nell 'altro, a vicoli ciechi per la ricerca. Da una parte la realtà ultima è identificata con l'insieme degli oggetti, ed è l'itinerario scientista ; dall'altra, il mondo viene visto come l'arena in cui si affrontano forze più o meno magich e : è questo l'itinerario (ancor più seguito) del­ l 'astrologia e anche del naturalismo ingenuo. La sensazione, per fortuna diffusa, della puerilità di tali descrizioni facilmente ingenera scetticismo e dispersione del sapere in conoscenze frammentarie, arbitrariamente gonfiate in importanza, o l 'adesione-rifugio a qualche dottrina au torevole . Una cultura filosofica adeguata può talvolta permettere una revisione, tuttavia quanto oggi si p rospetta in questo campo riflette la più grande incertezza, e rimane il rischio di sbagliare strada. In conclusione la via p iù sicura verso il vero sembra necessa-

Conclusione

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riamente legata a un 'inform azione, sia pure succinta , sui pro­ blemi dei fondamenti della fisica. Tenuto conto dell 'efficacia di questa nella descrizione dei fenomeni e nel dar vita a nuove tecnologie, un tale studio (che rivela anche, come si è visto, i limiti ontologici di questo sapere) permette, forse m eglio di ogni altro, di darsi u n giu dizio equilibrato sui limiti e la forza del pensiero rigoroso, sostenuto dall 'azione e dall 'osservazione dei fatti. No te al capitolo quattordicesim o 1 La vita e la coscienza sono escluse, ma per la prima non può che trattarsi di un'eccezione temporanea.

Appendici

Appendice

1

Dimostrazione del teorema fondamentale nel caso di coppie di barre

Siano rispettivamente A e B i disp ositivi di misura i cui orien­ tamenti sono individuati dai vettori a e b. Chiamiamo risposte (positive o negative ) i risultati individuali notati dallo sperimen­ tatore, cos ì come è esposto il testo. Se l' angolo tra il vettore a e la direzione nord-sud di una certa barra è acuto (ottu so ), si conviene di dire semplicemente che la componente secondo a di tale barra è p ositiva (negativa) . Chiamiamo infine Eab ( + + ), Eab (+ -), Eab (- + ) e Eab (- -) gli insiemi cli tutte le barre che sono membri di coppie misurabili p er mezzo di A e B e dotate , individualmente , di componenti :y ositive secondo a e b ; p osi­ tiva secondo a, negativa secondo b ; n egativa secon do a, positiva secondo b ; n egative secondo a e b. Dato che la direzione di propagazione delle barre (verso destra o verso sinistra) è indi­ pendente dall 'orientamento della coppia nello spazio, ciascuna delle barre appartenenti, diciamo, a Eab (+ -) ha u na probabi­ lità su due di attraversare A e una probabilità su due di attraver­ sare B . Il numero di barre di Eab (+ -) che effettivamente attra­ versano A è dunque (a meno di fluttuazioni statistiche che p ossono essere rese trascurabili) la metà del numero totale delle barre che comp ongono Eab (+ -) (lo stesso accade per quanto riguarda gli altri tre insiem i ). Nell 'attraversare A , u na barra

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Appendice 1

fornisce evidentemente una risposta positiva. La sua p artner (la b arra in izialmente associata nella stessa coppia) attraversa il d isp ositivo B ; p oiché all' intern o di una stessa coppia le com­ p onenti secondo una direzione qualunque delle due barre sono opposte, questa partner è un elemento di Eab (- + ) e pertanto fornisce anch 'essa una risposta positiva. La coppia presa in considerazione fornisce quindi una risposta dopp iamente p osi­ tiva. Si vede allora come, a meno di fluttuazioni statistiche, il numero totale delle coppie che forniscono u na risposta doppia­ mente p ositiva sia uguale alla metà del numero di elementi di Eab (+ -) (o, il che è lo stesso, alla metà del numero di elementi di Eab (- +), dal momento che i due numeri sono manifesta­ mente uguali). Ciò che precede rigu arda le coppie di barre sottop oste a ri­ levazioni effettuate dai disp ositivi A e B , ma può essere ripe­ tuto per un secondo e un terzo insieme di coppie (ugualmente numerosi) riferiti ai dispositivi A , C e B, C. Se questi tre cam­ p ioni di coppie sono veramente rappresentativi, il numero di elementi, per esempio di Eab (+ -), è proporzionale al numero d i barre che hanno componenti positive e negative, secondo a e b rispettivamente, n ella p op olazione totale delle barre. Cia­ s cu na di queste ha, secondo 7:, o una componente p ositiva o una componente negativa. Seguendo il ragionamento svolto nel testo, se ne conclu de che il loro numero è inferiore, o al massimo uguale , al numero di barre della p op olazione totale che hanno, secondo a e 1:, componenti rispettivamente posi­ t iva e n egativa, aumentato del numero di quelle che, secondo b e 7:, hanno componenti rispettivamente negativa e positiva. Di qu i risulta che il numero di elementi di Eab (+ -) è minore o uguale al numero di elementi di Eac (+ -) aumentato del nu­ mero di elementi di Eb c (- + ) . Ora, quest 'ultimo è esso stesso u guale al numero di elementi di Eb c (+ -) per la stessa ragione prima illustrata (struttura "a testa-coda" delle coppie iniziali) . P e r l a prima parte del ragionamento, s e ne conclude c h e il n umero di risposte doppiamente positive, al momento dell'ef­ fettuazione della prima serie di m isure, è n ecessariamente mi­ n ore o uguale alla somma dei numeri di risposte doppiamente positive al momento dell'effettuazione delle due ultime serie.

Appendice 1

221

È ciò che bisognava dimostrare. Naturalmente, nel caso degli spin la dimostrazione vale soltanto nell 'ipotesi della separabilità, d al momento che quest 'ultima (o una ipotesi equivalente) si mostra necessaria per stabilire l 'esistenza simultanea delle com­ p onenti secondo a, b e c.

Appendice

2

I l primo modello presentato, in modo molto sommario, nel cap itolo 9 (pp . 1 1 1 sg. ) p orta il nome di " teoria di Everett e Wheeler" . 1 Secondo Everett, che ne è l 'artefice principale, l 'uni­ verso si sdoppierebbe realmente, al momento delle " misure ", in un mondo in cui l'osservatore è vivo e in u n altro in cui è morto ; sarebbe questa anzi l ' idea centrale del modello . Tuttavia ad altri fisici non è sfuggito l 'aspetto ambiguo di questa tesi. Infatti lo sdopp iamento può soltanto pro dursi o non prodursi : non essendo pensabili casi intermedi, il modello deve specificare quand'è che tale evento si verifica. Ora esso afferma unicamente che la moltiplicazione ha luogo nei " fenomeni del tip o delle operazioni di misura " (FTOM ) . Resta dun que da stabilire in modo p reciso quali fenomeni di interazione siano FTOM . Se ci si riferisce all 'osservatore come a un sistema differente (dal momento che è cosciente ) da tu tti gli altri con cui il si­ stema misurato può interagire, allora nulla si guadagna in rap­ porto per esempio alla concezione di Wigner (presentata p iù avanti nel testo), che h a inoltre il merito di essere p iù semplice. È dunque in un altro modo che il modello deve specificare ciò che esattamente è un FTOM . A tale riguardo esistono varie pos­ sibilità a priori (vedi cap . 1 1 , pp. 1 5 8-6 8 ) , la cui realizzazione è p erò molto delicata e complessa ; soprattutto , non è mai stato interamente chiarito quale ipotesi sia necessario introdurre affinché essa sia p ienamente coerente.

Appendice 2

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Alcuni fisici, consapevoli di queste difficoltà, anziché abban­ donare il modello hanno tentato di salvarne l 'idea centrale (al­ meno quella che reputavano tale) , non tanto cioè la moltipli­ c azione dei mondi, ma il fatto che la funzione d ' onda dell 'uni­ verso non è mai ridotta. Quei fisici non parlano p iù dunque di sdoppiamento di mondi, ma " semplicemente " di moltiplica­ zione dei rami dell'universo. È risaputo che, in uno spazio a p iù dimensioni, la z ona in cui la funzione d 'onda di un sistema ha un'ampiezza apprezza­ b ile può scindersi col tempo in due o più region i ; in effetti questo è quanto accade in generale negli FTOM e in molti altri casi ancora, e di per sé non costituisce un p roblema concet­ tuale. Potendo inoltre la scissione essere graduale o p arziale, n on si ha più a che fare qui con una logica del tipo " tutto o n iente " . Tuttavia, p erché il modello sia in qualche rapporto con l'esperienza, agli stati di alcuni sistemi, o di p arti di essi, dovranno corrispondere dati sperimentali, e dunque perce­ zioni. Supponendo allora che l 'operazione di misura consi­ derata consista nel guardare la spia di qualche strumento , ac­ cesa in certi rami dell'universo, spenta in altri, è certamente un fatto sperimentale il vederla o non vederla accesa al mo­ mento delle misure. A questo punto vi è u n 'unica alternativa : o all " ' io " che vede la spia accendersi ne corrisponde un altro che la vede restare spenta, e allora c 'è proprio u na moltiplica­ zione reale di soggetti, oppure non accade nulla di tutto questo . A p riori sono sostenibili sia l 'una che l 'altra tesi, m a data la loro incompatibilità, occorre scegliere tra le due. Se, per le ragioni viste in precedenza, si rifiuta l 'idea dello sdoppiamento reale del soggetto, occorre riconoscere il fatto che, se p er esemp io il mio " io " vede la spia accendersi, ciò p rivilegia il ramo (o i rami) di universo, o della fu nzione d 'onda, comp ortanti questa accensione. Se i vari rami della fu nzione d 'onda esistono tutti (tesi iniziale), sembra che il modo p iù limpido di descrivere quest'ultima versione del modello considerato comp orti l 'ab­ b andono dell 'espressione, in fondo ambigua e mal definita, " rami di universo " . Più esattamente, sembra preferibile dire che la funzione d 'onda (con tutte le sue componenti) corrisponde a campi fisici quantistici realmente esistenti, e che in oltre esi-

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Appendice 2

stono altri parametri fisici, gli stati di coscienza degli osserva­ tori o alcune variabili fisiche, che li determinano. Questa ver­ sione del modello di Everett-Wheeler ha in fin dei conti mag­ giori rapporti con i modelli a variabili supplementari che non con l 'idea di base di Everett e di chi crede realmente alla mol­ t iplicazione dei mondi. È un po' disdicevole ritrovare nella letteratura specializzata due modelli, in fondo diversissimi, sotto la stessa etichetta. Certo , entrambi sono fondati sullo stesso formalismo matema­ tico, e questo può essere un m otivo ; inoltre è nota la propen­ s ione dei fisici teorici a p rivilegiare le analogie formali a spese d elle differenze di contenuto relative ai concetti. In ogni caso, il fatto illustra molto bene quali difficoltà incontri chi voglia approfondire concezioni di tal genere. I filosofi non sono qui i più competenti, per la mancanza di una p reparazione adeguata, ma neanche i fisici sono del tutto all'altezza della situazione, poiché, pur trovandosi a loro agio tra le e quazioni, non sono granché portati alla speculazione. I n questo camp o si deve dun­ que p rendere atto del permanere di inquietanti oscurità. Note all'appendice 2 1 Vedi H. Everett, Rev. mod. Phys., voi. 29, 4 54 ( 1 95 7 ) ; vedi anche J . A. Wheeler, ibid., voi. 29, 46 3 .

Lessico

Concetto che generalizza quello di causa e la cui definizione si scontra con le medesime difficoltà. I n breve, una definizione che riduca tali concetti a quello di regolarità (nelle successioni di eventi) è insufficiente a esprimerne la sp ecificità. Conviene dunque ricorrere a un'altra modalità di definizione. Cos ì , dati due eventi ripetibili A e B, se A è anteriore a B ed è p er giunta riproducibile a volontà, si potrà prendere p er defini­ z ione il seguente enunciato : " Gli eventi A sono cause degli eventi B se e solo se B ha luogo in tutti i casi in cui si crea A . " Il significato dell'esp ressione "A influenza B " (o meglio "A in­ flu enza in modo apprezzabile B ", ove il senso dell 'espressione in corsivo è da precisare di volta in volta) può essere allora definito sostituendo le connessioni certe con frequenze ; nelle stesse condizioni dunque si dirà : IN F L u E N Z A .

Gli eventi A influenzan o (in modo apprezzabile) gli even ti B se e solo se la frequenza con cui questi si verificano differisce (in modo apprezzabile) a seconda che si imponga o meno agli eventi di A di esistere . A differenza di questa, una definizione fondata sulla sem­ plice osservazione di regolarità ben difficilmente riuscirà a c ogliere la distinzione, essenziale al concetto di causa, tra cor­ relazioni dovute al fatto che gli eventi di una serie sono indivi-

Lessico

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dualmente causa di quelli dell 'altra e c orrelazioni spiegabili in base a u n 'unica (e sempre identica) causa esterna. I N T E R S O G G E T T IV IT À ,

vedi

O G G E T T IV IT À D E B O L E

Principio secondo il quale u n 'operazione effettuata in un certo luogo non può, nello stesso istante , perturbare un sistema situato altrove. L O C A L IT À .

N O N- L O C A L IT À ,

vedi

N O N- S E P A R A B I L IT À

( di u n sistema complesso esteso) a ) Imp ossibilità di considerare il suddetto sistema come effet­ tivamente c ostituito da due (o p iù ) sottosistemi, l ocalizzati cia­ scuno in regioni distinte , non interagenti in modo istantaneo o c omunque con velocità m aggiore di quella della luce . Simili de­ scrizioni, a volte necessarie , sono da riguardare com e immagini imperfette. Cos ì , in generale, due p articelle che si siano recipro­ c amente influenzate in p assato e non abbiano p oi interagito con u n terzo sistema costituisc ono u n sistema non separabile , quale che sia la distanza tra i luoghi in cui saranno rivelate . In mec­ canica quantistica ciò corrisp onde all 'imp ossibilità di attribuire, in queste c on dizioni, una fu nzione d 'onda a ciascuna p articella (cosa p ossibile invece per il sistema delle due particelle) . b ) Esistenza, tra l e p arti localizzate d i un sistema esteso , di interazioni che permettono influenze reciproche istantanee o p iù veloci della luce. a ' ) e b ' ) . Stesse definizioni rispettivamente di (a ) e (b ), ma senza la precisaz ione " istantanee o p iù veloci della luce " . Osservazio ne . Le qu attro definizioni non sono manifesta­ mente equivalenti. Quanto si vu ole p recisare che si tratta di una delle prime due, (a ) o (b ), si p arla talvolta di "violazione della separabilità einsteiniana". Sul piano dei p rinc ìpi è sol­ tanto questa a porre un vero e p roprio problema concettuale : in una filosofia realista essa equivale infatti a violare u n princi­ p io fondamentale della relatività ristretta (spesso chiamato principio di causalità), secondo cui nessun segnale si propaga p iù velocemente della luce. (A tale proposito bisogna tuttavia N O N - S E P A R A B IL IT À

Lessico

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osservare, e nel testo è stato fatto, che influenze p iù veloci della luce non possono comunque trasmettere segnali utilizza­ b ili, e p ertanto la loro esistenza non annulla la validità della teoria della relatività nel senso dell ' operazionism o . ) Del resto , anche nell 'accezione meno restrittiva (a ' ) o (b ' ) , l a non-separa­ b ilità pone ugualmente un serio problema rispetto all 'immagine che possiamo farci del mondo. Infatti, l 'esistenza stessa di in­ fluenze reciproche la cui intensità non diminuisca con la distanza (come indicano teoria ed esperienza) impedisce di dare valore assoluto a descrizioni dell'universo fondate sul concetto di p arti localizzate e app rossimativamente isolate le une dalle altre. Ci si pu ò chiedere infine se le definizioni (a ) e (b) siano o no e quivalenti. Esse differiscono sensibilmente nel linguaggio, dal momento che la seconda ammette implicitamente che ha senso p arlare delle p arti localizzate del sistema esteso considerato, mentre la prima giustamente lo nega. Per questo motivo alcuni autori, c on sfumature individuali, sembrano inclini a dare alle due definizioni nomi distinti : " non-separabilità" per designare la (a ), e "non-località" per la (b ). La non-separabilità app are allora come una proprietà della realtà indipendente, e la non­ località come il riflesso della non-separabilità nelle descrizioni fatte in termini di realtà empirica, cioè di eventi localizzati. In quanto si riferisce al concetto di influenza (vedi IN F L U E N Z A ) , la non-località implica per ciò stesso quello di evento indefini­ tamente ripetibile (nel caso specifico, un'operazione di misura ) . Essendo dunque legata anche alla riduzione del pacchetto d 'o nda, la non-località è difficilmente definibile nel quadro delle teorie che non ammettono tale riduzione (vedi app . 2 ) . Poiché non esistono oggi criteri sperimentali che permettano di distinguere un sistema complesso non separabile da un si­ s tema complesso non locale, si può mettere in dubbio il senso di una distinzione tra i due concetti. Per evitare di prendere partito in una questione di semantica, la cu i imp ortanza non è p rop orzionata alla difficoltà, si è introdotto nel testo uno solo dei due termini. Un enunciato è oggettivo in senso debole se è valido per qualunque osservatore O G G E TT I V IT À D E B O L E D I U N E N U N C IA T O .

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Lessico

(vedi anche p . 76) ; u n enunciato di questo tipo ha in generale la forma di una regola di calcolo. Una teoria è oggettiva in senso debole se contiene enunciati che sono oggettivi soltanto in senso debole.

O G G E T T IV ITÀ D E B O L E D I U N A T E O R IA .

Un enunciato è oggettivo in senso forte se non fa alcu n riferimento essenziale alla comunità degli osser­ vatori u mani (per il significato della parola "essenziale " vedi nota 2 di p . 7 9 ) . O G G E TT IV IT À F O R T E .

O G G ETTO :

a ) Sinonimo di cosa (vedi p p . 2 3 sg. , 3 2 , 2 1 2 ) ; l'oggetto è allora da ritenersi come localizzato . b ) Termine opposto a quello di soggetto (vedi p . 2 1 3 ) ; il suo significato è allora più generale .

(sinonimo di attributo ) . Concetto definibile o per mezzo delle definizioni parziali o per mezzo del metodo che ricorre alla nozione di controfattualità . Nel presente volume, per i motivi esposti nel capitolo 1 2, il termine è da intendere in questa seconda accezione. P R O P R IE TÀ

R E A L E V E LA TO ' vedi R E A L I SM O N O N F I S IC O R E A L ISM O . Concezione secondo cui 1 ) i l concetto d i realtà in­ dip endente (cioè che esisterebbe anche in assenza di osserva­ tori umani) ha significato e 2) una tale realtà esiste . In partico­ lare, il realismo si oppone ad alcune prese di posizione dei posi­ tivisti del Circolo di Vienna, p er i quali sono legittime le sole definizioni di natura operazionale (non avrebbe senso così af­ fermare che la realtà indipendente , da loro detta " e sterna" , e siste, né che non esiste ) . R E A L ISM O F IS IC O . Concezione secondo c u i è possibile descri­ vere la realtà indipendente così com'è veramente, e ciò per mezzo della fisica.

Lessico

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R E A L ISM O N O N F IS I C O (sinonimo di teoria del reale velato ) . Concezione secondo cui è essenzialmen te impossibile descri­ vere la realtà indipendente com 'essa è, anche se si ricorre a concetti non familiari, come quelli costruiti a p artire da algo­ ritmi matematici. R E A L I SM O P R O S S IM O . Tutti gli elementi fondamentali della realtà sono supposti come adeguatamente descritti da concetti p rossimi e fam iliari o da altri facilmente definibili a partire da concetti di questo tipo (un esempio di realismo prossimo è l'atomismo democrite o ) . R E A L I S M o R E M O T O . Concezione secondo cui gli elementi della realtà non sono tutti descrivibili per mezzo di concetti pros­ simi e familiari. I l realismo remoto può essere fisico (è il caso del pitagorismo , e in p articolare dell 'atteggiamento filosofico adottato dalla relatività generale classica) o non fisico (è la concezione adottata nella presente opera in seguito a un'ana­ lisi sistematica dei fatti e delle teorie della microfisica ) . R E A L T À (sinonimo di realtà indipendente, realtà intrinseca, realtà forte, realtà in sé, l'essere, " il reale " ) . Nell 'impossibilità di definire tutto, il concetto racchiuso dalle parole essere o esi­ stenza va considerato come primo . Anche l 'idealista più con­ vinto difficilmente può negare di esistere, in qualche modo, nel momento in cui parla ; d 'altra parte, definire l 'esistenza per mezzo dell 'osservazione darebbe origine a un circolo vizioso, p oiché ogni osservazione presuppone che esista u n osservatore . Altro è il problema di sapere se u n concetto che ci si è formati corrisponda ad alcunché di veramente esistente, e altro ancora l ' in terrogarsi sul significato di un qualcosa che esista anche in assenza di osservatore umano e così via . I l concetto di realtà indipendente ha senso solo se la risposta all 'ultima di queste domande è affermativa e designa questo " qualcosa" nella sua totalità.

(sinonimo di realtà debole ) . È l'insieme dei fen omeni. Tale insieme è strutturato da u n certo numero d i R E A L T À E M P I R IC A

230

Lessico

leggi semplici che, in condizioni appropriate, p ermettono la previsione dei fen omeni almen o in senso probabilistico. L 'ana­ lisi dei princìpi della fisica moderna mostra tuttavia che queste leggi non p ossono tutte essere enunciate in termini di oggetti­ vità forte. Occorre dunque ammettere che la realtà empirica non coincida con la realtà indipendente, ma sia in p arte apparenza, in altri termini, che le sue strutture dipendano in parte da quelle della nostra mente . Espressione u tilizzata essenzialmente da Ein­ stein e dagli altri seguaci del realismo fisico (o dai loro critici). R E A L T À F I S IC A .

S E P A R A B I L IT À ,

vedi

L O C A LIT À .

Indice analitico

Alquié F., 168, 1 72n. Atom ismo democriteo, 1 9, 77 sg. , 96, 103

D io, 1 28 sg. , 149, 1 9 5 sg. , 204 Disuguagl ianze, 3 8-6 3 , 1 8 1 , 1 86 sg. Diversione macroscopica, 1 58-64

Beli J. S., 40, 1 8 1 , 1 86 sg. , 1 88n. Bellezza matematica, 17 sg. , 20, 20 1 , 208 Benevolenza, principio di, 201 , 207 Bergson H., 86, 92n., 1 3 1 sg. Berkeley G., 149 Bohm D., 1 16, 1 3 4n. Bohr N., 27 sg., 3 1 , 3 3, 62 sg., 67n., 83, 91, 92n., 182

Einstein A., 24, 6 7n., 81-92, 94, 1 1 31 5, 1 2 7 Eraclito, 9 5 Esperienza, filosofia dell ', vedi Filoso­ fia Essere, 16 sg. , 94- 1 04, 1 29 sg. , 1 4 1 sg., 146, 192 sg. Everett e Wheeler, teoria di, 222-24 Fenomeni, 26, 29, 6 3 Filosofia: analitica, 92n. anglosassone, 92n. , 1 3 4n. dell'esperienza, 21-34, 81 sg. , 85, 94 Funzione: dell'universo, 1 1 1 sg. , 223 d'onda, 84, 92n., 1 1 1 , 1 1 6 d'onda, ridu zione della, 1 1 2, 1 50-54

Campi quantistici, teoria dei, 1 08, 1 3 3 n. Carnap R., 1 76, 1 8 1 Causa, 22, 3 5n. Concetti fam iliari, 1 9, 24 Controfattualità, 1 7 3-87 Copenaghen, interpretaz ione di, 27-34, 62, 1 1 2 Corpo/oggetto macroscopico, 3 2, 3 5n., 1 5 9, 1 6 2-64 Coscienza, 1 1 1 sg. , 1 1 8, 1 24, 1 49, 200, 224

Geometria, 20, 1 04 Gesù Cristo, 1 56n., 1 95 sg. , 203 Godei, teorema d� 1 34n.

Definizioni: operazionali, 24, 82 parzial� 1 76 sg. Democrito, 1 6-20 Descartes R., 1 26 D ialettica, 96

Hegel G. W. F., 96 Heidegger M., 95 Heisenberg W. , 3 4, 3 6n., 79, 99, 1 08, 1 6 3 , 166 Hume D., 1 1 3 Husserl E., 9 9 sg.

Indice analitico

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Idealismo, 27 sg. , 34, 8 1 , 1 8 5 Implicazione: condizionale, 1 78, 1 88n. materiale, 1 75 Indeterm inismo, 83 Indivisibilità, 29, 62 sg., 66n. I nduzione, 82, 1 99 sg. Influenze a distanza, 48 sg. , 225 Intersoggettività, 76, 79n., 80., 2 1 4, 226-28 Irreversibil ità, 80n., 1 6 1 , 165, 1 7 1 n. , 1 7 2n. j am es W., 1 28 Kant I., 3 5n., 8 3 , 1 6 3 , 204 Legge : fisica, 1 7 8 sg. morale, 1 9 3 Leibniz G. W . von, 1 4 8 Lenin V . I., 169 Località, 9 1 , 213, 226 Logica: formale, 1 7 5 , 1 77 sg., 1 8 1 modale, 1 78 quantistica, 1 86 Malebranche N. de, 1 26 Materia, 1 9 , 68 sg., 1 28 Materialismo, 2 1 , 169 Maxwell, equ azione di, 70, 1 00 Meccanica qu antistica, 1 1 , 2 4 sg., 34, 3 5n., 5 9 sg., 66n. , 1 0 1 Meccanicismo scientifico, 7 0 Merleau-Ponty M., 1 25 Miti, 3 3 , 1 3 6- 5 5 Modello, 1 06 , 1 3 6-5 5 Moltitudinismo, 7 5 , 7 7 sg., 1 1 7, 1 24, 153 Monod J . , 3 1 , 3 5 n., 73 Nietzsche F., 95, 97, 1 9 3 Non-local ità, vedi Non-sep arabilità Non separabilità, 3 7-63, 66n., 92, 1 1 7, 1 3 2 sg. , 1 6 7, 1 7 3-87, 226 sg. Operazione, 23, 169, 1 9 7 Operazionism o, 1 85, 1 9 7 sg. Oggettività, 69-7 1 , 7 3 , 1 3 9, 1 95 debole, 76, 79n., 1 3 9, 143 sg., 1 5 3 , 2 2 7 sg. forte, 7 5-77, 79n. , 1 3 9, 1 5 5n., 1 97, 228 Oggetto, 23 sg., 3 2, 1 1 2 sg., 228

Osservatore, 1 1 1 Osservazione, 22-24 Piaget J . , 3 1 , 3 5n. Pitagora/pitagorismo, 16-20, 1 04, 202 Platonismo, 2 1 , 69, 96, 1 2 2 Poesia, 1 7, 1 94 Positivismo, 22-34, 82, 9 5 , 99, 1 1 9 Parametri nascosti, teoria dei, 2 5 sg. Pauli W., 3 2 sg., 84 sg., 1 6 7 Pragmatismo, 1 2 8 Prigogine I., 1 72n. Proprietà, 40 sg. , 1 08- 1 0, 1 79, 228 Protagora, 29, 71, 87 Reale, il, 1 7, 86-88, 193 sg., 1 96, 1 98, 210 prossimo, 1 95 velato, 1 5, 1 1 8- 3 1 , 1 3 4n., 1 99, 230 Realismo, 21, 23 sg., 94, 1 03 , 228 fisico, 75 sg., 80n. , 109 sg., 1 14 sg. 1 2 1 , 1 26, 1 5 7 sg., 1 6 3 , 168, 1 7 1 , 200, 229 grande/p iccolo, 125 sg. m etafisico, 1 34n., 200 non fisico, 76, 1 2 1 , 1 34n., 1 3 Sn., 229 oggettivista, 1 79 sg. prossimo, 1 22, 1 26, 1 3 5n., 1 3 8 sg., 149, 229 remoto, 1 1 0, 1 22, 1 3 4n., 1 3 5n., 206, 208, 228 scientifico, 1 5 7 Realtà: debole/forte, 1 2 5 elemento di, 89, 229 empirica, 63, 1 25, 1 3 1 - 3 3 , 1 3 4n., 147, 163, 166 sg. , 204, 229 sg. esteriore data, 1 92 fisica, 6 3 , 84-90, 92n., 168, 230 indip endente, 1 6, 22 sg. , 3 7, 94 sg., 1 2 5 , 1 34n. , 1 3 5n., 1 64, 1 70, 1 96 sg., 1 99, 207 intrinseca, 22, 29, 94 sg., 1 2 5 , 1 34n. sottostante, 109 sg. Regolarità, 29 sg., 1 99 Relatività, 24 sg., 3 5n., 64n. 107 Rosenfeld L., 28, 62 Rostand J., 73 Sartre J .-P., 1 3 1 Schopenhauer A., 97 SchrOdinger, equ azione di, 70, 84, 1 00 Scientismo, 7 3 sg.

Indice analitico

Separazione, 49, 58 sg., 1 2 5 Sistem i macroscopici, 82, 1 6 0 Solipsismo, 82 Spinoza B., 3 1 , 1 26- 3 1 , 2 1 0 Stengers I., 1 72n. Strumenti, 27 sg. , 63, 1 59 Strutture dissipative, 1 3 3 Teilhard d e Chardin P., 1 3 4n. Termini disposizionali, 1 74 sg. Universo, concez ione dell' : meccanicista, 1 1 7

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m oltitudinista, 1 1 7 realista, 1 1 7 Valéry P. , 1 3 , 1 9 5 Valori, 73 sg., 1 9 1 , 1 95, 20 3 sg. Variabili supplementari, 1 1 2, 1 1 5 , 1 6 5 Wheeler j . A. 109, 222, 224n. Whitehead A. N. , 148 Wigner E. P. , 1 3 3 n. Wittgenstein L., 1 1 8 sg. Young, fenditure di, 28, 3 5 n., 1 1 8

In quale misura gli apponi della fisica contempo ranea consentono di affermare o di negare l ' esistenza di una realtà oggettiva, accessibile alla ricerca? Questo problema fondamentale , destinato ad essere periodicamente ridiscusso sulla base delle nuove acquisizioni della scienza, è qui oggetto di una riflessione approfondita e originale da pane di uno dei maggiori fisici francesi. D ' Espagnat , che mira a coinvolgere, oltre ai fisici e agli studiosi delle altre scienze esatte , gli epistemologi , i filosofi e p i ù in generale il pubblico delle persone colte, inizia riassumendo i contributi di numerose teorie scientifiche, nonché i vari approcci filosofici , per poi passare a esaminare le prospettive offene oggi dalla fisica e le concezioni filosofiche che si dimostrano compatibili con esse . Recenti scopene sperimentali nel campo della fisica delle panicelle hanno reso l ' argomento nuovamente attuale, liberando la discussione sui fondamenti della fisica dalle secche in cui aveva finito con l' arenarsi cinquant ' anni fa, dopo una fase iniziale memorabile che vedeva le istanze realiste di Einstein contrapporsi alla concezione di Bohr e della Scuola di Copenaghen .

Appassionata e rigorosa, la riflessione di d 'Espagnat investe non soltanto il rappono della fisica con il reale e con le altre scienze, ma l ' intera strategia culturale dell' uomo moderno e lestensione delle sue capacità di conoscenza. La via più sicura verso il vero , afferma l ' autore , sembra necessariamente legata alla conoscenza dei problemi della fisica , ma la tradizione filosofica e persino lo studio dei miti possono offrire informazioni preziose . Bernard d ' Espagnat è direttore del Laboratorio di fisica teorica all 'Università di Parigi X l . Tra l e sue opere è disponibile i n

traduzione italiana: I fundamenti concettuali della meccanica quantistica (Napoli 1 9 80).