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Italian Pages 1632 [1633] Year 2022
Table of contents :
Cover
Occhiello
Indice Sommario
Curatori parti
Principi
Parte I Ordinamento giuridico Capitolo 1 Ordinamento giuridico e realtà sociale
Capitolo 2 Diritto privato
Capitolo 3 Fonti e applicazione del diritto (Efficacia e interpretazione)
Parte II Categorie generali Capitolo 1 Soggetto e persona
Capitolo 2 Beni giuridici
Capitolo 3 Rapporto giuridico e situazioni giuridiche soggettive
Capitolo 4 I fatti giuridici. effetti, vicende e circolazione
Capitolo 5 Autonomia privata (Il negozio giuridico e l’autonomia negoziale)
Capitolo 6 Iniziativa economica (L’impresa e il mercato)
Capitolo 7 Principi generali e clausole generali (L’ordine pubblico)
Parte III Tutela dei diritti Capitolo 1 Tutela giurisdizionale dei diritti
Capitolo 2 Prove
Capitolo 3 Tecniche alternative di risoluzione delle controversie (Degiurisdizionalizzazione)
Istituti
Parte IV Soggetti capitolo 1 Persona fisica
Capitolo 2 Diritti della personalità
Capitolo 3 Enti
Parte V Famiglia capitolo 1 Famiglia e ordinamento giuridico
Capitolo 2 Matrimonio
Capitolo 3 Crisi coniugale
Capitolo 4 Filiazione
Parte VI Proprietà e diritti reali capitolo 1 Proprietà
Capitolo 2 Acquisto e tutela della proprietà
Capitolo 3 Diritti reali di godimento su cosa altrui
Capitolo 4 Comunione e condominio
Capitolo 5 Possesso
Parte VII Obbligazioni Capitolo 1 Rapporto obbligatorio (Caratteri e tipologie)
Capitolo 2 Modificazioni del rapporto obbligatorio (Vicende modificative)
Capitolo 3 Estinzione del rapporto obbligatorio (Vicende estintive)
Capitolo 4 Inadempimento e mora (Responsabilità e risarcimento)
Capitolo 5 Garanzie del credito e responsabilità patrimoniale (La garanzia generale)
Capitolo 6 Cause legittime di prelazione (Le garanzie speciali)
Capitolo 7 Estensione della responsabilità patrimoniale (Garanzie di terzi)
Capitolo 8 Gestione della debitoria (Crisi di impresa e sovraindebitamento)
Parte VIII Contratto capitolo 1 Autonomia contrattuale
Capitolo 2 Conclusione
Capitolo 3 Contenuto
Capitolo 4 Forma
Capitolo 5 Regolamento contrattuale
Capitolo 6 Efficacia
Capitolo 7 Esecuzione
Capitolo 8 Sostituzione nell’attività giuridica
Capitolo 9 Anomalie genetiche (Difetti della formazione)
Capitolo 10 Anomalie sopravvenute (Difetti dell’attuazione)
Parte IX Singoli contratti Capitolo 1 Contratti di alienazione di beni
Capitolo 2 Contratti di prestazione d’opera e di servizi
Capitolo 3 Contratti di cooperazione giuridica
Capitolo 4 Contratti di godimento
Capitolo 5 Contratti aleatori
Capitolo 6 Contratti risolutivi di una controversia
Parte X Fatti illeciti e responsabilità civile Capitolo 1 Struttura del fatto illecito
Capitolo 2 Risarcimento del danno
Parte XI Altre fonti di obbligazione Capitolo 1 Atti e fatti diversi da contratto e fatto illecito
Capitolo 2 Titoli di credito
Parte XII Successioni per causa di morte Capitolo 1 Successione in generale
Capitolo 2 Criteri di vocazione
Capitolo 3 Diritti dei legittimari
Capitolo 4 Comunione e divisione ereditaria
Parte XIII Donazioni Capitolo 1 Contratto di donazione
Capitolo 2 Altri atti di liberalità
Parte XIV Pubblicità Capitolo 1 Pubblicità in generale
Capitolo 2 La pubblicità immobiliare ordinaria
Capitolo 3 La pubblicità immobiliare tavolare
Indice analitico-alfabetico
Ultimato di stampa
Diritto privato
Fernando Bocchini - Enrico Quadri
Diritto privato NONA EDIZIONE - 2022
© Copyright 2022 – G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100 http://www.giappichelli.it
ISBN/EAN 978-88-921-4369-2
G. Giappichelli Editore
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INDICE-SOMMARIO
pag.
PRINCIPI PARTE I ORDINAMENTO GIURIDICO CAPITOLO 1 ORDINAMENTO GIURIDICO E REALTÀ SOCIALE 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
L’esperienza giuridica tra società e diritto Correlazioni del diritto con altre esperienze culturali La valutazione giuridica della realtà materiale Ordinamento giuridico Diritto positivo e diritto naturale La scienza giuridica e le categorie I principali sistemi giuridici: civil law e common law
3 3 5 6 8 12 13 15
CAPITOLO 2 DIRITTO PRIVATO
17
1. 2.
17
3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15.
Relatività della nozione di diritto privato Evoluzione medievale e diritto comune. Lo “Stato moderno” e il diritto privato (le nuove categorie) Le codificazioni in senso moderno. Codice civile francese (cod. nap.) e codice civile del 1865; i codici di commercio Il codice civile tedesco (BGB) Il codice civile del 1942 Le Costituzioni degli Stati moderni La Costituzione repubblicana. Il primato della persona umana Segue. Il pluralismo ordinamentale e sociale Capacità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione Il diritto privato europeo Ambito attuale del diritto privato e il diritto pubblico Il diritto dei privati Segue. La nuova lex mercatoria Globalizzazione e convivenza mondiale Azione privata conformata e azione pubblica collaborativa
18 24 27 28 30 31 34 35 38 41 43 44 45 46
VIII
INDICE-SOMMARIO
pag. 16. Verso un diritto privato uniforme 17. La società tecnologica. Bioetica e ecologia 18. Segue. La rivoluzione digitale. Piattaforme, algoritmi, tecnocrazia e diritti
49 50 52
CAPITOLO 3 FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO (Efficacia e interpretazione)
57
1. 2.
Regole giuridiche e fonti del diritto Tecniche di normazione e caratteri delle norme giuridiche
57 58
3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
A) FONTI DEL DIRITTO Fonti di produzione e fonti di cognizione Tipologia e gerarchia delle fonti di produzione Costituzione e leggi costituzionali (il controllo di legittimità costituzionale) Diritto europeo (fonti e armonizzazione) Leggi (statali e regionali) Regolamenti Usi Emersione di nuove fonti
62 62 63 65 67 71 72 73 75
11. 12. 13. 14. 15. 16.
B) APPLICAZIONE DEL DIRITTO Efficacia nel tempo (obbligatorietà delle norme) Efficacia nello spazio (diritto internazionale privato) Interpretazione delle norme giuridiche (criteri e valori) Risultati dell’interpretazione. L’analogia L’equità Diritto vivente (nomofilachia e overruling)
77 77 79 81 85 87 88
PARTE II CATEGORIE GENERALI CAPITOLO 1 SOGGETTO E PERSONA
93
1. 2. 3.
93 94 96
Soggettività e personalità Tipologia Soggetto e status
CAPITOLO 2 BENI GIURIDICI 1. 2. 3. 4.
Cosa, bene e oggetto di diritti Beni immobili e beni mobili Distinzioni ulteriori Il danaro
99 99 103 105 107
INDICE-SOMMARIO
IX pag.
5. 6. 7. 8. 9. 10.
Rapporti di connessione tra le cose. Le pertinenze Le universalità Azienda Frutti Patrimonio Beni pubblici
CAPITOLO 3 RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 1. 2. 3. 4. 5.
108 111 112 113 114 116
119
Interessi, rapporto giuridico e situazioni giuridiche soggettive Diritto soggettivo (nozione) Diritto soggettivo (contenuto e limiti) Abuso del diritto Tipologia dei diritti soggettivi (e corrispondenti situazioni giuridiche soggettive passive: dovere e obbligo) 6. Diritto potestativo 7. Potestà 8. Aspettativa 9. Interesse legittimo 10. Interessi collettivi e diffusi 11. Onere
127 132 133 135 136 141 143
CAPITOLO 4 I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE
145
1.
Fenomenologia materiale e rilevanza giuridica
145
2. 3. 4. 5. 6. 7.
A) TIPOLOGIA DEI FENOMENI GIURIDICI Fatti ed effetti giuridici (la causalità complessa) Struttura dei fatti giuridici Rilevanza dei fatti giuridici. Fatti giuridici in senso stretto Segue. Atti giuridici (tipologie e caratteri) Attività Titoli di acquisto e vicende giuridiche. La circolazione giuridica
146 146 149 149 150 153 154
8. 9. 10. 11. 12.
B) INFLUENZA DEL TEMPO. (PRESCRIZIONE E DECADENZA) Funzione del tempo. Computo dei termini La prescrizione Segue. Sospensione e interruzione Le prescrizioni presuntive La decadenza
157 157 158 162 165 167
C) INFLUENZA DELLO SPAZIO 13. La correlazione territoriale 14. Individuazione del diritto applicabile
119 120 122 124
169 169 169
X
INDICE-SOMMARIO
pag.
CAPITOLO 5 AUTONOMIA PRIVATA (Il negozio giuridico e l’autonomia negoziale)
170
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.
170 172 175 177 178 181 182 183 187 189 190
I principi ispiratori La categoria del negozio giuridico ed il suo sviluppo storico La realtà dell’autonomia negoziale Negozio e negozialità Elementi del negozio giuridico Soggetti e parte del negozio. La legittimazione La volontà dei gruppi Le fondamentali categorie di negozi giuridici Segue. I negozi di disposizione e i terzi Presupposti del negozio giuridico L’incidenza tributaria (bollo e registrazione)
CAPITOLO 6 INIZIATIVA ECONOMICA (L’impresa e il mercato)
192
1. 2. 3. 4. 5.
192 195 196 198 202
Iniziativa economica, impresa e società L’azienda e i segni distintivi L’iniziativa economica nella Costituzione e nella normativa europea Concorrenza e mercato. L’economia sociale di mercato Aree e fattori dell’azione economica
CAPITOLO 7 PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI (L’ordine pubblico)
206
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.
206 209 211 214 218 220 221 225 226
Principi generali e diritti fondamentali Le clausole generali Il personalismo (dignità, solidarietà, autoresponsabilità, pluralismo) La buona fede. Buona fede soggettiva (affidamento e apparenza) Segue. Buona fede oggettiva (lealtà e correttezza) L’informazione (trasparenza e conoscenza) La certezza del diritto (adeguatezza, proporzionalità e ragionevolezza) La sussidiarietà (orizzontale e verticale) Lo stato sociale di diritto e l’ordine pubblico interno e internazionale
INDICE-SOMMARIO
XI pag.
PARTE III TUTELA DEI DIRITTI CAPITOLO 1 TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI
231
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
231 235 239 240 241 242 243 245 246 247
Tutela effettiva dei diritti e giurisdizione I principi della giustizia civile Processo di cognizione Processo di esecuzione Procedimenti speciali Volontaria giurisdizione Azione di classe (procedimenti collettivi) Il diritto processuale uniforme Le Corti europee La tutela rimediale
CAPITOLO 2 PROVE
248
1. 2. 3. 4.
248 249 252 257
La prova dei fatti giuridici Prove legali (tipiche). Prove precostituite Segue. Prove costituende Prove atipiche
CAPITOLO 3 TECNICHE ALTERNATIVE DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE (Degiurisdizionalizzazione)
258
1. 2. 3. 4.
258 258 260 263
Generalità La giustizia privata (arbitrato) Gli strumenti negoziali (mediazione e negoziazione assistita) L’autotutela
ISTITUTI PARTE IV SOGGETTI CAPITOLO 1 PERSONA FISICA 1.
A) PERSONA FISICA E CAPACITÀ GIURIDICA Capacità giuridica
267 267 267
XII
INDICE-SOMMARIO
pag. 2. 3. 4. 5.
Acquisto della capacità giuridica. Il concepito Fine della persona Scomparsa, assenza e morte presunta Localizzazione della persona
269 275 276 279
6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16.
B) CAPACITÀ DI AGIRE Capacità di agire Minore Responsabilità genitoriale Tutela Emancipazione Cause modificative della capacità di agire e protezione dell’incapace Interdizione giudiziale Inabilitazione Amministrazione di sostegno Interdizione legale Incapacità naturale
281 281 282 285 290 293 295 296 300 301 307 308
CAPITOLO 2 DIRITTI DELLA PERSONALITÀ
310
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12.
310 314 317 321 322 334 338 341 343 349 355 357
Persona e diritti fondamentali Caratteristiche Tutela Dignità della persona Vita, integrità fisica e salute Integrità morale. Onore e reputazione (e relativi limiti: cronaca, critica, satira) Immagine e corrispondenza Riservatezza Trattamento e protezione dei dati personali Nome Identità personale Identità sessuale (di genere)
CAPITOLO 3 ENTI
360
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
A) PROFILI GENERALI Persona fisica e persona giuridica Elementi costitutivi. Ente e soggettività giuridica Tipologia degli enti Riconoscimento Capacità Attività Responsabilità per illecito
360 360 363 364 367 368 369 370
8.
B) FIGURE Associazione riconosciuta
371 371
INDICE-SOMMARIO
XIII pag.
9. 10. 11. 12. 13. 14.
Associazione non riconosciuta Fondazione Estinzione della persona giuridica. Liquidazione e devoluzione dei beni. Trasformazione Comitato Gli enti non profit nella legislazione speciale ed il “Terzo settore” Particolari categorie di enti del Terzo settore
377 382 387 389 391 401
PARTE V FAMIGLIA CAPITOLO 1 FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO
407
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
407 408 411 415 427 428 430 432
La famiglia nella società e la sua disciplina giuridica Nozione giuridica di famiglia La disciplina della famiglia: Costituzione, codice civile e altre fonti Convivenza, famiglia di fatto e unioni registrate Caratteri degli atti e dei diritti familiari Parentela e affinità Gli alimenti Ordini di protezione contro gli abusi familiari
CAPITOLO 2 MATRIMONIO
434
1.
Matrimonio e famiglia
434
2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
A) ATTO Le forme matrimoniali Libertà matrimoniale e promessa di matrimonio Il matrimonio civile. Requisiti Formalità e celebrazione Invalidità del matrimonio Conseguenze della invalidità Il matrimonio concordatario
436 436 437 438 442 443 447 448
9. 10. 11. 12. 13. 14.
B) EFFETTI Rapporti personali tra coniugi Regime patrimoniale della famiglia. Il regime primario Convenzioni matrimoniali Comunione legale Regimi convenzionali Impresa familiare
454 454 458 461 463 468 471
C) UNIONE CIVILE 15. Unione civile e matrimonio
472 472
XIV
INDICE-SOMMARIO
pag. 16. Costituzione della unione civile 17. Effetti della unione civile
474 475
CAPITOLO 3 CRISI CONIUGALE
479
1. 2. 3. 4. 5. 6.
479 480 488 491 495 502
Unità e crisi della famiglia Separazione personale dei coniugi Effetti della separazione personale Divorzio Effetti del divorzio Scioglimento della unione civile
CAPITOLO 4 FILIAZIONE
505
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.
505 509 511 515 521 521 526 529 537 542 550
Filiazione: attuale articolazione della disciplina L’atto di nascita Accertamento della filiazione Accertamento della filiazione fuori del matrimonio Legittimazione dei figli (cenni storici) Procreazione medicalmente assistita Tutela del minore privo di assistenza. Affidamento Adozione Il rapporto di filiazione Crisi familiare e tutela dell’interesse dei figli Assegnazione della casa familiare
PARTE VI PROPRIETÀ E DIRITTI REALI CAPITOLO 1 PROPRIETÀ
555
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
555 561 564 566 568 571 574 578 580 584
Nozione Contenuto e caratteri Atti emulativi Contenuto della proprietà e garanzia costituzionale Proprietà fondiaria Immissioni Rapporti di vicinato Proprietà agraria Proprietà edilizia “Appartenenza” e beni immateriali: la c.d. proprietà intellettuale
INDICE-SOMMARIO
XV pag.
CAPITOLO 2 ACQUISTO E TUTELA DELLA PROPRIETÀ
588
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
588 589 591 591 596 597 599 601
Modi di acquisto Occupazione Invenzione Accessione Unione e commistione. Specificazione. Accessioni fluviali Azioni a difesa della proprietà. Azione di rivendicazione Altre azioni a tutela della proprietà Azioni di nunciazione
CAPITOLO 3 DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI
603
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
603 605 607 610 613 615 619 621 624 625
La categoria. La tutela Superficie Enfiteusi Usufrutto Uso e abitazione Servitù prediali. Caratteri e tipologia Servitù coattive (o legali) Servitù volontarie Usi civici e proprietà collettive Oneri reali
CAPITOLO 4 COMUNIONE E CONDOMINIO
627
1. 2. 3.
627 630 635
Comunione Condominio negli edifici Multiproprietà
CAPITOLO 5 POSSESSO
638
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
638 641 643 646 647 649 651 655
Nozione e fondamento Possesso e detenzione Oggetto e vicende Possesso di buona fede Effetti del possesso. Diritti e obblighi del possessore nella restituzione della cosa Possesso di buona fede di beni mobili (art. 1153) Usucapione Azioni a tutela del possesso
XVI
INDICE-SOMMARIO
pag.
PARTE VII OBBLIGAZIONI CAPITOLO 1 RAPPORTO OBBLIGATORIO (Caratteri e tipologie)
659
1. 2. 3.
Rilevanza sociale e evoluzione storica della fisionomia Sistemazione del codice civile e nuovi radicamenti dei rapporti obbligatori Fonti dell’obbligazione (vicende costitutive)
659 662 664
4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
A) CARATTERI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO Struttura del rapporto e nozione integrale dell’obbligazione Soggetti (l’ambulatorietà) Contenuto. La pretesa Segue. La prestazione Oggetto Dovere di correttezza (lealtà, protezione e esigibilità) Obbligazioni naturali
665 665 668 670 670 674 676 678
11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19.
B) ALCUNE SPECIE DI OBBLIGAZIONI TIPICHE Le tipologie. Generalità Obbligazioni plurisoggettive. Le obbligazioni parziarie Segue. Le obbligazioni solidali Obbligazioni alternative e facoltative Obbligazioni divisibili e indivisibili Obbligazioni pecuniarie (debiti di valuta e debiti di valore) Il regime degli interessi Segue. L’anatocismo Obbligazioni con funzioni tipizzate
682 682 683 683 692 694 695 698 702 703
CAPITOLO 2 MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO (Vicende modificative)
704
1.
Generalità
704
2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
A) MODIFICAZIONI NEL LATO ATTIVO L’acquisizione del credito altrui (e successione nel credito) Cessione del credito. Titolo e divieto di cessione Segue. Efficacia della cessione Segue. Cessione di pluralità di crediti. Il factoring Segue. Cartolarizzazione dei crediti Pagamento con surrogazione Delegazione attiva
705 705 705 708 712 714 715 718
B) MODIFICAZIONI NEL LATO PASSIVO 9. L’assunzione del debito altrui (e successione nel debito) 10. Delegazione passiva 11. Espromissione
719 719 721 725
INDICE-SOMMARIO
XVII pag.
12. Accollo
726
C) MODIFICAZIONI OGGETTIVE 13. Modificazioni non novative 14. Surrogazione reale
729 729 729
CAPITOLO 3 ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO (Vicende estintive)
730
1.
Tipologie e modi di estinzione
730
2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
A) ADEMPIMENTO Attuazione del rapporto obbligatorio Esattezza dell’adempimento. Diligenza e correttezza Segue. Modalità dell’adempimento e imputazione del pagamento Adempimento del terzo Dazione in pagamento. La cessione di credito di imposta Mora del creditore. La posizione soggettiva del creditore Segue. Costituzione in mora e liberazione dall’obbligazione
731 731 733 737 743 744 746 747
9. 10. 11. 12. 13. 14. 15.
B) MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO I modi di estinzione indirettamente satisfattivi Compensazione Confusione I modi di estinzione non satisfattivi Novazione (oggettiva e soggettiva) Remissione del debito (e pactum de non petendo) Impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore
749 749 750 754 754 754 758 760
CAPITOLO 4 INADEMPIMENTO E MORA (Responsabilità e risarcimento)
764
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.
764 765 773 778 779 785 787 789 791 792 794
Configurazione dell’inadempimento La responsabilità per inadempimento (responsabilità contrattuale) La responsabilità da contatto sociale qualificato L’adempimento coattivo Il risarcimento del danno Mora del debitore Segue. Effetti della mora La liquidazione del danno Concorso del fatto colposo del creditore (autoresponsabilità) I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali Il trattamento dei crediti deteriorati
XVIII
INDICE-SOMMARIO
pag.
CAPITOLO 5 GARANZIE DEL CREDITO E RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE (La garanzia generale)
795
1.
La realizzazione coattiva del credito
795
2. 3. 4.
A) RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE DEL DEBITORE Responsabilità patrimoniale e concorso dei creditori Segue. Il patto commissorio e il patto marciano L’espropriazione
796 796 799 802
5. 6. 7. 8. 9.
B) MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE Generalità Azione surrogatoria Azione revocatoria. Presupposti Segue. Effetti della revocatoria Sequestro conservativo
804 804 805 806 812 813
10. 11. 12. 13. 14.
C) MECCANISMI INDIRETTI DI GARANZIA Generalità Cessione dei beni ai creditori Anticresi Rimedi di autotutela Esecuzione su beni oggetto di atti dispositivi a titolo gratuito
815 815 815 816 817 818
CAPITOLO 6 CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE (Le garanzie speciali)
819
1.
Principi generali
819
2. 3.
A) PRIVILEGI Fondamento Tipologia ed efficacia. Concorso di garanzie
820 820 821
4. 5. 6. 7. 8. 9.
B) PEGNO E IPOTECA (GARANZIE REALI) I caratteri comuni Pegno Figure speciali di pegno Ipoteca Titolo dell’ipoteca Pubblicità ipotecaria e formalità
823 823 825 828 830 833 836
10. 11. 12. 13. 14. 15.
C) GARANZIE REALI CON ESECUZIONE STRAGIUDIZIALE Il sostegno finanziario alle imprese e ai consumatori Contratti di garanzia finanziaria Pegno mobiliare non possessorio Credito alle imprese con trasferimento di immobile condizionato all’inadempimento Prestito vitalizio ipotecario Credito ipotecario ai consumatori per acquisto di immobile residenziale
839 839 840 840 842 843 845
INDICE-SOMMARIO
XIX pag.
CAPITOLO 7 ESTENSIONE DELLA RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE (Garanzie di terzi)
847
1.
Garanzie legali e volontarie
847
2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
A) GARANZIE PERSONALI Generalità Fideiussione Contratto autonomo di garanzia Mandato di credito Avallo Lettera di patronage Garanzie collettive
848 848 848 853 855 856 856 857
9.
B) GARANZIE REALI Cenni e rinvio
858 858
CAPITOLO 8 GESTIONE DELLA DEBITORIA (Crisi di impresa e sovraindebitamento) 1. 2. 3. 4. 5.
Dal debito alla debitoria Crisi di impresa. Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi Segue. Procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza. La liquidazione giudiziale Sovraindebitamento. Procedure di composizione della crisi e di liquidazione del patrimonio Esdebitazione
859 859 861 863 864 866
PARTE VIII CONTRATTO CAPITOLO 1 AUTONOMIA CONTRATTUALE
869
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.
869 871 873 875 876 878 879 881 883 886 887
Autonomia negoziale e autonomia contrattuale La figura del contratto nel codice civile Elementi e requisiti del contratto Tipicità di singoli contratti I contratti nell’esperienza giuridica Uguaglianza tra libertà e giustizia. Gli interventi normativi riequilibratori Contratto e mercato: doveri di informazione e misure correttive Contratti di impresa e abuso di posizione dominante Contratti dei consumatori e degli investitori Terzo contratto e condizione degli imprenditori deboli Contratto e rapporto di lavoro
XX
INDICE-SOMMARIO
pag. 12. Contratti e accordi della pubblica amministrazione. L’evidenza pubblica 13. Il diritto europeo dei contratti 14. Il controllo giudiziale dell’autonomia contrattuale
888 893 894
CAPITOLO 2 CONCLUSIONE
899
1. 2. 3.
Le parti e i requisiti soggettivi. La legittimazione Formazione dell’accordo e conclusione del contratto. Il contratto plurilaterale Contratti consensuali e contratti reali
899 901 902
4. 5. 6. 7. 8.
A) ACCORDO DELLE PARTI Volontà negoziale e intento comune I modi di manifestazione della volontà Volontà e dichiarazione. La tutela dell’affidamento L’assenza di volontà negoziale L’erosione della volontà nei contratti di massa
903 903 904 905 906 907
9. 10. 11. 12.
B) VIZI DEL CONSENSO Generalità Errore (vizio e ostativo; errore materiale) Dolo (determinante e incidente; comunicazioni di massa) Violenza morale (e timore reverenziale)
907 907 908 913 916
C) MODI DI CONCLUSIONE DEL CONTRATTO Scambio di proposta e accettazione. La proposta irrevocabile Offerta al pubblico Il contratto aperto Conclusione senza apposita accettazione Predisposizione di condizioni generali di contratto (contratti per adesione tra codice civile e codice del consumo) 18. Contratti conclusi fuori dei locali commerciali e a distanza 19. Rapporti contrattuali per contatto sociale
13. 14. 15. 16. 17.
918 918 924 925 926 928 935 938
20. 21. 22. 23. 24.
D) VINCOLI A CONTRARRE E FORMAZIONE PROGRESSIVA Vincoli all’autonomia contrattuale Trattative (puntuazioni, minute, lettere di intenti) La prelazione e l’opzione Il contratto preliminare Il divieto di alienazione
939 939 940 941 946 956
25. 26. 27. 28. 29.
E) RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE Le ipotesi tipizzate di responsabilità La clausola generale del trattare lealmente I danni risarcibili La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione La responsabilità precontrattuale degli intermediari finanziari
958 958 960 962 963 964
INDICE-SOMMARIO
XXI pag.
CAPITOLO 3 CONTENUTO
966
1.
Determinazione del contenuto contrattuale. L’assetto di interessi
966
2. 3. 4.
A) OGGETTO Nozione Requisiti dell’oggetto. Il contratto incompleto Beni futuri
967 967 967 972
13. 14. 15. 16. 17. 18.
973 B) CAUSA Evoluzione del concetto di causa. La causa concreta 973 Il tipo contrattuale 976 Assenza di causa e astrazione dalla causa 977 Causa illecita 979 Il contratto in frode alla legge 980 Motivi 982 La presupposizione 983 Combinazione di fasci di prestazioni: contratto complesso (specie misto) e collegamento negoziale 985 Simulazione. L’accordo simulatorio 989 Segue. Regime e effetti della simulazione (tra le parti e verso i terzi) 993 Segue. Azione di simulazione e prova della simulazione 995 Negozi indiretti e fiduciari 998 Il trust 1001 Le dicotomie fondamentali 1003
19. 20. 21. 22. 23.
C) ELEMENTI ACCIDENTALI L’ampliamento del contenuto contrattuale Condizione. Caratteri e tipi Segue. Pendenza della condizione ed avveramento Termine Onere
5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12.
1007 1007 1007 1011 1013 1014
CAPITOLO 4 FORMA
1015
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
1015 1017 1023 1023 1024 1026 1028
Evoluzione del formalismo La forma per la validità La forma per la prova La forma per la opponibilità La forma dell’informazione Il documento informatico. Firma elettronica e digitale Lo smart contract
XXII
INDICE-SOMMARIO
pag.
CAPITOLO 5 REGOLAMENTO CONTRATTUALE
1030
1.
Atto di autonomia e valutazione ordinamentale
1030
2. 3. 4.
A) INTERPRETAZIONE Le norme sull’interpretazione Il procedimento ermeneutico legale L’interpretazione secondo buona fede
1030 1030 1032 1037
5.
B) QUALIFICAZIONE Qualificazione giuridica del contratto
1038 1038
6. 7. 8. 9. 10.
C) INTEGRAZIONE Integrazione del contratto. Il concorso di fonti La legge e gli altri atti normativi. La Costituzione Gli usi L’equità La buona fede integrativa
1039 1039 1042 1043 1044 1045
D) CONTROLLI 11. La conformità ordinamentale 12. Il controllo di liceità e meritevolezza
1046 1046 1047
CAPITOLO 6 EFFICACIA
1051
1.
Efficacia e inefficacia
1051
2. 3.
A) EFFETTO GENERALE (Vincolo contrattuale) Il vincolo contrattuale e i modi di scioglimento. La risoluzione consensuale Il recesso (caparra penitenziale e multa penitenziale)
1052 1052 1053
4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.
B) EFFETTI PARTICOLARI (Effetti negoziali) La tendenziale relatività della efficacia del contratto Tipologie di effetti Effetti obbligatori e effetti reali Il consenso traslativo e il regime del rischio. Proprietà e consegna Contratti bilaterali e contratti unilaterali Effetti negoziali (diretti) verso i terzi Segue. Il contratto a favore di terzi La manovra degli effetti del contratto (condizione e termine: cenni e rinvio)
1057 1057 1058 1058 1060 1064 1065 1066 1068
12. 13. 14. 15. 16.
C) EFFICACIA RIFLESSA (Effetti indiretti) Gli effetti riflessi (indiretti) del contratto Cessione del contratto e subcontratto Limitazioni convenzionali del potere di disposizione Promessa del fatto del terzo e disposizione di beni altrui Il conflitto di diritti. L’opponibilità
1068 1068 1069 1073 1076 1078
INDICE-SOMMARIO
XXIII pag.
CAPITOLO 7 ESECUZIONE
1080
1. 2. 3. 4. 5. 6.
1080 1082 1083 1084 1089 1091
L’attuazione del risultato programmato. L’esecuzione secondo buona fede Modalità dell’esecuzione L’esecuzione dei contratti nell’economia dei servizi Misure rafforzative dell’esecuzione (clausola penale e caparra confirmatoria) Sopravvenienze e adeguamento del contratto Segue. La rinegoziazione
CAPITOLO 8 SOSTITUZIONE NELL’ATTIVITÀ GIURIDICA
1095
1.
Sostituzione nella cura degli interessi
1095
2. 3. 4. 5. 6. 7.
A) RAPPRESENTANZA Gestione e rappresentanza La procura Il negozio concluso dal rappresentante L’abuso di potere (conflitto d’interessi) Il difetto di potere (rappresentanza senza potere) La rappresentanza apparente
1096 1096 1100 1103 1104 1106 1109
B) ALTRE FIGURE 8. Contratto per persona da nominare 9. Contratto per conto di chi spetta 10. Gestione di affari altrui (cenni e rinvio)
1110 1110 1112 1112
CAPITOLO 9 ANOMALIE GENETICHE (Difetti della formazione)
1113
1. 2. 3.
L’atto e il rapporto contrattuale Irregolarità e inefficacia del contratto Inesistenza e invalidità
1113 1114 1115
4. 5. 6. 7.
A) NULLITÀ Configurazione della nullità Le cause di nullità Le nullità di protezione Conservazione (sanatoria, conversione, nullità parziale, contratto plurilaterale)
1117 1117 1122 1124 1127
B) ANNULLABILITÀ 8. Configurazione dell’annullabilità 9. Le cause di annullabilità 10. Conservazione (convalida, rettifica, contratto plurilaterale)
1131 1131 1134 1136
C) RESCISSIONE 11. Configurazione della rescissione 12. Le cause di rescissione 13. Rescissione ed usura. La c.d. usura bancaria
1138 1138 1139 1141
XXIV
INDICE-SOMMARIO
pag.
CAPITOLO 10 ANOMALIE SOPRAVVENUTE (Difetti dell’attuazione)
1144
1. 2.
1144 1145
La inattuazione del regolamento contrattuale La rinegoziazione (cenni e rinvio)
5. 6. 7.
A) AUTOTUTELA 1145 Generalità 1145 Preservazione della corrispettività (eccezione di inadempimento, mutamento condizioni patrimoniali, diritto di ritenzione e altri strumenti) 1147 Attuazione coattiva del credito (esecuzione in danno e patto marciano) 1151 Scioglimento coattivo del contratto (recesso e risoluzione unilaterale) 1151 Definizione dell’operazione e controllo dell’autotutela 1153
8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16.
B) ETEROTUTELA Lo strumentario I) Inadempimento. Configurazione Adempimento coattivo Risoluzione del contratto. Presupposti e conseguenze Segue. Risoluzione giudiziale e risoluzione di diritto Risarcimento del danno II) Impossibilità sopravvenuta. Configurazione Segue. Effetti e sopportazione del rischio III) Eccessiva onerosità. Configurazione e effetti
3. 4.
1154 1154 1155 1158 1159 1161 1168 1169 1172 1174
PARTE IX SINGOLI CONTRATTI CAPITOLO 1 CONTRATTI DI ALIENAZIONE DI BENI 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
A) VENDITA Lo schema generale Le obbligazioni del venditore. Le garanzie Le obbligazioni del compratore Limitazioni dei diritti del compratore (patto di riscatto e riserva di proprietà) Le vendite immobiliari (statuto degli immobili) Vendita e promessa di vendita di immobili da costruire Le vendite mobiliari (cose e prodotti) Vendita di beni di consumo Vendita di beni mobili registrati Vendita di eredità
1177 1177 1177 1179 1184 1184 1187 1193 1195 1199 1201 1202
INDICE-SOMMARIO
XXV pag.
11. 12. 13. 14. 15.
B) ALTRI CONTRATTI Permuta Contratto estimatorio Rent to buy Condhotel Riporto
CAPITOLO 2 CONTRATTI DI PRESTAZIONE D’OPERA E DI SERVIZI
1203 1203 1204 1205 1206 1206
1208
1. 2. 3. 4.
A) APPALTO Lo schema generale Appalti pubblici Appalto di interventi edilizi Subappalto
1208 1208 1214 1218 1220
5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16.
B) ALTRI CONTRATTI Contratto d’opera Somministrazione Subfornitura Deposito e parcheggio Segue. Deposito in albergo e deposito nei magazzini generali Trasporto Segue. Trasporto di persone e trasporto di cose Contratto di viaggio e vendita di pacchetti turistici Logistica Engineering Catering Costruzione di nave e aeromobile
1221 1221 1224 1227 1228 1231 1232 1234 1239 1241 1242 1243 1243
CAPITOLO 3 CONTRATTI DI COOPERAZIONE GIURIDICA
1244
1. 2. 3. 4. 5. 6.
A) MANDATO Lo schema generale Mandato e rappresentanza Le obbligazioni derivanti dal mandato L’estinzione del mandato Commissione Spedizione
1244 1244 1246 1248 1250 1252 1253
7. 8. 9.
B) ALTRI CONTRATTI Agenzia Mediazione Affiliazione commerciale (franchising)
1254 1254 1259 1266
XXVI
INDICE-SOMMARIO
pag.
CAPITOLO 4 CONTRATTI DI GODIMENTO
1268
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.
1268 1272 1274 1279 1280 1286 1288 1290 1294
Locazione Obbligazioni del locatore e del conduttore Locazione di immobili urbani Affitto Leasing Comodato Mutuo Onerosità del mutuo e obbligazione degli interessi Mutuo di scopo
CAPITOLO 5 CONTRATTI ALEATORI 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
Rendita Vitalizio alimentare e contratto di mantenimento Giuoco e scommessa Assicurazione Contratto di assicurazione Assicurazione contro i danni Assicurazione della responsabilità civile Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile (in particolare, derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) 9. Assicurazione sulla vita 10. Riassicurazione
1297 1297 1300 1301 1303 1305 1310 1314 1317 1321 1323
CAPITOLO 6 CONTRATTI RISOLUTIVI DI UNA CONTROVERSIA
1324
1. 2. 3.
1324 1327 1330
Transazione Compromesso e clausola compromissoria Sequestro convenzionale
PARTE X FATTI ILLECITI E RESPONSABILITÀ CIVILE CAPITOLO 1 STRUTTURA DEL FATTO ILLECITO
1331
1. 2. 3. 4.
1331 1335 1337 1338
Nozione e funzione Fatto e nesso di causalità Danno ingiusto Ampliamento della sfera del danno ingiusto
INDICE-SOMMARIO
XXVII pag.
5. 6. 7. 8. 9.
Cause di esclusione dell’antigiuridicità Imputabilità e colpevolezza Superamento del criterio della colpa: responsabilità aggravata e responsabilità oggettiva Criteri di propagazione della responsabilità Regimi peculiari di responsabilità
1342 1344 1348 1350 1354
CAPITOLO 2 RISARCIMENTO DEL DANNO
1364
1. 2. 3. 4.
1364 1369 1375 1379
Illecito, risarcimento del danno e tecniche di tutela degli interessi lesi Modalità del risarcimento e valutazione del danno Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale Danno non patrimoniale e danno alla persona
PARTE XI ALTRE FONTI DI OBBLIGAZIONE CAPITOLO 1 ATTI E FATTI DIVERSI DA CONTRATTO E FATTO ILLECITO
1393
1.
Fonti negoziali e fonti legali
1393
2. 3. 4.
A) PROMESSE UNILATERALI Negozi unilaterali e promesse unilaterali Promessa al pubblico Promessa di pagamento e ricognizione di debito
1394 1394 1395 1396
5. 6. 7. 8. 9.
B) OBBLIGAZIONI EX LEGE Generalità Gestione di affari Pagamento dell’indebito Arricchimento senza causa Obbligazione tributaria
1399 1399 1400 1402 1406 1409
CAPITOLO 2 TITOLI DI CREDITO
1411
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
1411 1413 1414 1415 1417 1419 1421
Funzione, natura, caratteri Le eccezioni opponibili dal debitore La natura dei diritti incorporati I meccanismi di circolazione Cambiale e assegno Collocazione degli strumenti finanziari e tutela degli investitori La dematerializzazione dei titoli di credito
XXVIII
INDICE-SOMMARIO
pag.
PARTE XII SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE CAPITOLO 1 SUCCESSIONE IN GENERALE
1423
1. 2.
Concetto di successione per causa di morte Divieto dei patti successori
1423 1426
3. 4. 5.
A) APERTURA DELLA SUCCESSIONE Vocazione e delazione Capacità e indegnità Posizione del chiamato all’eredità
1428 1428 1429 1431
6. 7. 8. 9. 10. 11. 12.
B) ACQUISTO DELL’EREDITÀ Accettazione dell’eredità Accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario Rinunzia all’eredità Rappresentazione e trasmissione del diritto di accettazione Separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede Eredità giacente La petizione di eredità e l’erede apparente
1432 1432 1434 1437 1438 1440 1441 1441
CAPITOLO 2 CRITERI DI VOCAZIONE
1444
1. 2. 3. 4.
A) SUCCESSIONE LEGITTIMA Presupposti e fondamento Successione dei parenti Successione del coniuge Successione dello Stato
1444 1444 1445 1446 1447
5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17.
B) SUCCESSIONE TESTAMENTARIA Il testamento Istituzione di erede e legato. La institutio ex re certa Legati (tipologia e disciplina) Capacità di ricevere per testamento e capacità di disporre per testamento Forma del testamento Pubblicazione Invalidità. Fiducia testamentaria Disposizioni condizionali e a termine Onere Sostituzione ordinaria e sostituzione fedecommissaria Diritto di accrescimento Revocazione delle disposizioni testamentarie Esecutore testamentario
1448 1448 1450 1452 1454 1454 1457 1458 1459 1460 1462 1463 1464 1466
INDICE-SOMMARIO
XXIX pag.
CAPITOLO 3 DIRITTI DEI LEGITTIMARI
1468
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
1468 1470 1472 1473 1475 1478 1479
Nozione di legittimario Categorie dei legittimari Posizione del legittimario Azione di riduzione Azione di restituzione Cautela sociniana. Legato in sostituzione di legittima e legato in conto di legittima Patto di famiglia
CAPITOLO 4 COMUNIONE E DIVISIONE EREDITARIA
1482
1. 2. 3. 4. 5.
1482 1483 1484 1487 1490
Comunione ereditaria Divisione fatta dal testatore e norme date dal testatore per la divisione Collazione Divisione ereditaria: divisione giudiziale e divisione contrattuale Annullabilità e rescindibilità della divisione ereditaria
PARTE XIII DONAZIONI CAPITOLO 1 CONTRATTO DI DONAZIONE
1493
1. 2. 3. 4. 5.
1493 1495 1496 1499 1501
La donazione nel codice civile del 1942 Donazione e atto a titolo gratuito. Il c.d. negotium mixtum cum donatione Disciplina del contratto di donazione Responsabilità del donante. Invalidità. Revocazione Ipotesi particolari di donazione
CAPITOLO 2 ALTRI ATTI DI LIBERALITÀ
1504
1. 2. 3. 4.
1504 1505 1506 1508
Atti di liberalità diversi dalla donazione: le donazioni indirette Le fattispecie. Atti di natura contrattuale Atti a struttura unilaterale Atti materiali
XXX
INDICE-SOMMARIO
pag.
PARTE XIV PUBBLICITÀ CAPITOLO 1 PUBBLICITÀ IN GENERALE
1511
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
1511 1513 1514 1516 1516 1519 1520 1520
La pubblicità legale Oggetto e funzione generale della pubblicità Tipologie di pubblicità Apparati, registri e sistemi La pubblicità delle persone fisiche La pubblicità di enti La pubblicità di imprese e società La pubblicità riguardante specifici beni
CAPITOLO 2 LA PUBBLICITÀ IMMOBILIARE ORDINARIA
1523
1.
I servizi di pubblicità immobiliare ordinaria
1523
2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18.
A) TRASCRIZIONE NEI REGISTRI IMMOBILIARI Impianto e impostazione dei registri immobiliari Le formalità pubblicitarie: trascrizione, iscrizione e annotazione Esecuzione della trascrizione. Tipicità dei risultati e atipicità degli atti Efficacia tipica della trascrizione (responsabilità per doppia alienazione) Continuità delle trascrizioni e acquisto a titolo originario Atti soggetti a trascrizione con efficacia tipica Atti soggetti a trascrizione con effetti particolari Trascrizione degli acquisti a causa di morte Trascrizione di contratti preliminari Trascrizione di atti di destinazione Trascrizione di atti costitutivi di vincoli a favore di enti pubblici Trascrizione di domande giudiziali Trascrizione di sentenze Trascrizione di atti incidenti sul regime patrimoniale familiare Trascrizione prevista da leggi speciali La disposizione dei diritti tra proprietà e pubblicità L’allocazione dei beni tra sicurezza giuridica e solidarietà
1524 1524 1526 1526 1529 1533 1535 1538 1539 1542 1543 1546 1546 1550 1550 1552 1553 1554
B) INTESTAZIONE CATASTALE 19. Impianto e impostazione del catasto 20. Funzioni del catasto (determinazione e estimo degli immobili) 21. L’allineamento catastale delle unità immobiliari urbane
1555 1555 1557 1558
INDICE-SOMMARIO
XXXI pag.
CAPITOLO 3 LA PUBBLICITÀ IMMOBILIARE TAVOLARE
1561
1. 2. 3. 4.
1561 1563 1564 1566
Impianto e impostazione dei libri fondiari. La intavolazione Modalità della iscrizione tavolare Efficacia della iscrizione tavolare Avvicinamento dei sistemi pubblicitari
Indice analitico-alfabetico
1569
XXXII
INDICE-SOMMARIO
FERNANDO BOCCHINI ha curato le seguenti parti: PARTE I (Ordinamento giuridico) PARTE II (Categorie generali), capp. 4-7 PARTE III (Tutela dei diritti) PARTE VII (Obbligazioni) PARTE VIII (Contratto) PARTE IX (Singoli contratti), capp. 1-3 PARTE XI (Altre fonti di obbligazione) PARTE XIV (Pubblicità)
ENRICO QUADRI ha curato le seguenti parti: PARTE II (Categorie generali), capp. 1-3 PARTE IV (Soggetti) PARTE V (Famiglia) PARTE VI (Proprietà e diritti reali) PARTE IX (Singoli contratti), capp. 4-6 PARTE X (Fatti illeciti e responsabilità civile) PARTE XII (Successioni per causa di morte) PARTE XIII (Donazioni)
XXXII
PARTE IV – FAMIGLIA
PRINCIPI SOMMARIO: PARTE I.
PARTE II.
PARTE III.
ORDINAMENTO GIURIDICO. – Cap. 1. Ordinamento giuridico e realtà sociale. – Cap. 2. Diritto privato. – Cap. 3. Fonti e applicazione del diritto (Efficacia e interpretazione). CATEGORIE GENERALI. – Cap. 1. Soggetto e persona. – Cap. 2. Beni giuridici. – Cap. 3. Rapporto giuridico e situazioni giuridiche soggettive. – Cap. 4. I fatti giuridici. Effetti, vicende e circolazione. – Cap. 5. Autonomia privata (Il negozio giuridico e l’autonomia negoziale). – Cap. 6. Iniziativa economica (L’impresa e il mercato). – Cap. 7. Principi generali e Clausole generali (L’ordine pubblico). TUTELA DEI DIRITTI. – Cap. 1. Tutela giurisdizionale dei diritti. – Cap. 2. Prove. – Cap. 3. Tecniche alternative di risoluzione delle controversie (Degiurisdizionalizzazione).
2
PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO
CAP. 1 – ORDINAMENTO GIURIDICO E REALTÀ SOCIALE
3
PARTE I
ORDINAMENTO GIURIDICO
CAPITOLO 1
ORDINAMENTO GIURIDICO E REALTÀ SOCIALE
Sommario: 1. L’esperienza giuridica tra società e diritto. – 2. Correlazioni del diritto con altre esperienze culturali. – 3. La valutazione giuridica della realtà materiale. – 4. Ordinamento giuridico. – 5. Diritto positivo e diritto naturale. – 6. La scienza giuridica e le categorie. – 7. I principali sistemi giuridici: civil law e common law.
1. L’esperienza giuridica tra società e diritto. – È antica l’affermazione che ubi societas ibi ius. Ogni comunità ha bisogno del diritto 1 per vivere pacificamente, assicurando il diritto le regole della convivenza civile necessarie per organizzare il presente e progettare il futuro, così nei rapporti esistenziali e sociali come nelle scelte economiche e operative. Il diritto rappresenta l’approdo e il crocevia delle tante articolazioni culturali della società, permeate di religione, economia, filosofia, scienza; anche i climi, penetrando spiriti e comportamenti, orientano le organizzazioni dei popoli: insomma il diritto esprime la vita stessa di una società. È pure antica l’affermazione ex facto oritur ius. Nella sua essenza il diritto è un complesso di regole (c.d. norme giuridiche) che disciplinano le condotte umane in una comunità, secondo principi e valori nei quali la società storicamente si riconosce e intende muoversi. Il diritto proviene dall’uomo ed è in funzione dell’uomo, che, ad un tempo, è attivatore e destinatario delle norme giuridiche. La convivenza civile si nutre di una es1 Nel diritto romano classico il termine impiegato per indicare il diritto era i u s . Correlativamente il termine “giuridico” deriva dal latino iuridicus, composto di ius (diritto) e dicere (dire); il termine “giudice” deriva dal latino iudex (colui che dice il diritto); il termine “giurisprudenza” deriva dal latino iurisprudentia, derivato di iurisprudens (esperto del diritto). Letteralmente il termine “diritto” deriva dal tardo latino medievale d i r e c t u s con una inflessione morale di considerare i fatti giuridici sub specie recti, perciò diretto a certi fini: è con tale inflessione che si sviluppa nel resto d’Europa (francese droit, spagnolo derecho, tedesco Recht).
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PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO
senziale relazionalità sociale regolata dal diritto: già nella famiglia 2 e poi nelle varie articolazioni comunitarie (scuola, lavoro, tempo libero); l’attuazione di molti interessi, implicando l’impiego di beni e mezzi, necessita della cooperazione tra gli uomini e della aggregazione in gruppi (associazioni, società, ecc.). L’ordine di una comunità non è assicurato dal solo catalogo dei precetti giuridici, spesso non conosciuti, ma è sostenuto anche dal concorso di dettami etici, precetti religiosi, tradizioni di comportamenti, che attingono alla complessiva organizzazione sociale. Ad es., nelle famiglie, pulsa un complesso di valori ideali, costumi tramandati o attinti all’ambiente sociale, dettami religiosi, sentiti e vissuti con maggiore intensità e severità delle regole giuridiche e che, accanto a queste ultime, caratterizzano la complessiva vita della comunità familiare; nelle relazioni commerciali, operano prassi e consuetudini costantemente rispettate dai singoli operatori economici, avvertite addirittura con maggior rigore delle prescrizioni di legge: sono fasci di doveri che si intrecciano con la imperatività delle regole dell’ordinamento giuridico. Comprendere (e interpretare) il diritto significa conoscere (e valutare) la realtà sociale che lo esprime e di cui si alimenta: il relativo intreccio forgia la complessità della esperienza giuridica, quale effettività di convivenza della comunità civile, con valori condivisi e regole applicate. Nel concetto di diritto è insito il criterio del limite, così nelle relazioni individuali che nei gruppi e a maggior ragione verso la comunità, perché le varie sfere giuridiche possano coesistere nella convivenza civile. Con l’avvento dello Stato moderno (di cui appresso), come referente della totalità del diritto, emergono fondamentali dilemmi della modernità, per il progressivo divario tra regole giuridiche formalizzate e realtà materiale vissuta. Di tale complessa esperienza giuridica vanno colte fondamentali declinazioni, che serbano alcuni criteri e prospettano nuovi 3. In tale evoluzione la società è stata prima attraversata e poi sovrastata dalla crisi della modernità, con l’emersione di una età che si interroga sul percorso della vita e valorizza la collocazione sociale e umana delle persone: rileva il condizionamento umano rispetto alla famiglia, alla comunità, al territorio e all’epoca, con radicamenti della persona secondo proprie istanze e identità (homme situé). La pandemia sanitaria del Covid degli anni 2020-2022 ha acuito il senso del limite e della fragilità umana, evidenziando la essenzialità della coesione civile. In tale articolato percorso, regole, principi e istituti giuridici vanno calati nell’ambien2 La famiglia, formalizzata o di fatto, si atteggia sempre più come comunità relazionale, dove convivono e vicendevolmente si prestano assistenza e collaborazione più generazioni, cementate dall’amore. 3 La vita, per la sua poliedricità e problematicità, è irriducibile ad astratti modelli normativi; eppure c’è l’esigenza della certezza del diritto come collante di convivenza civile, contro immunità, privilegi e angherie delle pregresse società stratificate per classi, e per la calcolabilità delle azioni umane. Gli scambi commerciali trascurano le specificità delle persone, nelle singole realtà e con le particolari appartenenze; eppure il rafforzamento e l’espansione della produzione e dei consumi hanno consentito l’appagamento di antiche precarietà e di nuovi bisogni. La democrazia, come governo del popolo, è influenzata dalla composizione del popolo abilitato al suffragio elettorale, che detta le regole per tutti; eppure la formazione dal basso della volontà della comunità resta l’unico modello di governo espressivo di libertà personale e civica. L’azione pubblica ha favorito corruzioni e piegamenti sociali; eppure l’affermazione di strutture pubbliche organizzate ha consentito approdi e riparo a disagi umani e sociali. Gli status delle persone, documentati nelle forme giuridiche, sovrastano la realtà delle relazioni umane dove si nasce, si muore, si sviluppano amori e intessono convivenze nella “ontologia sociale”; eppure la formalizzazione degli stati consente presidi e tutele specie ai più deboli della società.
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te sociale ove storicamente si muovono le vicende umane, alla stregua delle condizioni naturali, delle appartenenze sociali e delle conoscenze acquisite. Anche la effettività della giustizia passa attraverso la contestualizzazione dei fatti e l’attualizzazione dei precetti.
2. Correlazioni del diritto con altre esperienze culturali. – Varie esperienze umane e sociali e molti saperi culturali si atteggiano come ragioni di sostegno alla esperienza giuridica. La morale e la religione 4 additano peculiari modelli di precettività. La medesima condotta, moralmente o religiosamente impegnativa, può essere considerata rilevante anche dal diritto: si pensi ad es. ai precetti di non uccidere e non rubare, che sono peccati per la visione cristiana e reati per gli ordinamenti statali. Solo che la dimensione morale si esaurisce nell’intimità della coscienza, e quella religiosa attinge ad una finalità trascendente; mentre la dimensione giuridica si svolge ontologicamente nella relazionalità sociale attraverso l’apparato ordinamentale: il diritto si proietta nelle regole impegnative di convivenza, affinché le aspirazioni e le passioni dei singoli possano esprimersi in modo socialmente compatibile, così da realizzare equilibrio e coesione tra i consociati. Talvolta vi è maggiore permeabilità, talaltra più stridente antitesi, tra precetti etici e religiosi e regole giuridiche; è essenzialmente con l’illuminismo che la teoria dei “beni giuridici” si secolarizza o laicizza, assumendo rilevanza giuridica solo interessi tutelati dall’ordinamento. La storia, come dialogo con il passato, ha sempre svolto un’importante azione di verifica del diritto. Senza coscienza storica non è possibile capire il presente e quindi progettare il futuro: essenziale è conoscere le regole del passato, non tanto per le prescrizioni realizzate, quanto per le idee che le avevano ispirate e i conflitti che ne avevano determinato l’adozione. La filosofia ha sempre svolto una essenziale funzione intellettuale di analisi dell’uomo e della società per le vocazioni immaginate o assegnate (divine o terrene) e di congruenza logica e etica delle regolazioni giuridiche. Le scienze stanno dischiudendo ampi scenari di intreccio con l’esperienza giuridica. Si pensi solo alle problematiche suscitate dalle nuove tecnologie e specificamente dalla telematica, rispetto al controllo ormai sistematico della persona, con ispezione del corpo e indirizzamento di vita. È ormai ricorrente l’intreccio tra “principio di innovazione” che tende a fare applicazione di tutti i risultati della scienza e “principio di precauzione” che mira a segnare limiti di intervento per la salvaguardia di fondamentali valori etici. Nelle relazioni interpersonali stanno crescendo gli ausili delle scienze cognitive, che ormai hanno per oggetto lo studio dei generali processi cognitivi, umani e artificiali. Le tecnologie applicate alla vita umana e alla natura suscitano complessi problemi di bioetica e di salvezza dell’equilibrio naturale del pianeta, che il diritto deve armonizzare con la dimensione umana. La economia ha assunto nelle società moderne un nesso importante con il diritto, specie a seguito dell’affermazione del mercato, come generatore di ricchezza, soggetto alla regolazione giuridica: in connessione con il diritto è parametro essenziale di programmazione di uno “sviluppo sostenibile”; orienta la formazione del diritto, ma è al 4 Il termine “religione” deriva dal latino religio derivato dal verbo religare “legare” per intendere il valore vincolante del singolo e del gruppo agli obblighi sacrali. Il riferimento alla religione non è tanto alle pratiche di culto quanto alle motivazioni di fede.
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tempo stesso indirizzata e regolata dal diritto, dovendo il diritto esprimere la complessità della morfologia sociale e il bilanciamento degli interessi coinvolti 5. Sempre più al giurista si chiede di raccordare, attraverso la propria analisi, i valori espressi dall’ordinamento con i presupposti economici necessari ad un efficiente funzionamento del sistema; come all’economista si chiede di apprestare soluzioni che tengano conto del quadro istituzionale della società civile. La raffigurazione del diritto risente dei vari angoli di osservazione dei delineati saperi culturali, in ragione degli obiettivi che la singola scienza che lo esamina si prefigge 6. Il diritto attraversa tutte le declinazioni della vita umana, suscitando problematiche spesso contrapposte e che pure deve bilanciare, tra libertà e autorità, tra individuo e comunità, tra economia e società. Il giurista guarda al diritto come una complessiva esperienza giuridica, che consente la convivenza civile improntata ai valori operanti nella società e riflessi nell’ordinamento; con la sua azione contribuisce alla formazione della cultura giuridica che ispira e media i precetti giuridici con l’ambiente sociale, svolgendo così una importante funzione civile. La formazione di una società globale, interconnessa, comporta una relativizzazione culturale di concetti e valori 7: sono traiettorie che attraversano per intero il diritto, stimolandone l’emersione e forgiandone percorsi e obiettivi.
3. La valutazione giuridica della realtà materiale. – Non ogni relazione sociale e in genere non ogni interesse e non ogni fatto materiale (comportamento umano o accadimento naturale) sono anche giuridicamente rilevanti: essenziale si rivela la valutazione che degli stessi compie l’ordinamento giuridico. Sia in relazione ad un interesse che ad un fatto materiale (umano o fisico) il diritto può assumere un duplice atteggiamento: di indifferenza, in quanto considerati ininfluenti e quindi non meritevoli di disciplina; di rilevanza, in quanto involgenti valori rilevanti dell’ordinamento e quindi da disciplinare. In questa seconda ipotesi può tenere una posizione di apprezzamento, e quindi proteggerli e talvolta incentivarli, o di contrarietà, e quindi vietarli e talvolta punirli (illeciti). Un fenomeno diviene giuridico quando l’interesse o il fatto materiale (umano o naturale) incide sul modo di essere e sentire della comunità sociale, sicché la stessa società avverte l’esigenza di prevederlo e regolarlo. Il diritto è dialogico, in quanto esprime il rapporto e la proporzione di ogni soggetto con il resto della comunità 8; svolge una funzione complessa in quanto tende a ga5 Se lo sviluppo delle comunicazioni mercantili ha favorito la dissoluzione della c.d. “società chiusa”, è anche necessario che dei processi di dispiegamento del mercato, quale significativa espressione della c.d. “società aperta” (Popper), siano partecipi tutti i protagonisti della società civile. Anche l’economia deve essere partecipe dei vincoli di solidarietà sociale e di tutela della qualità della vita delle persone. 6 Lo storico analizza il diritto nel suo emergere ed evolversi; il filosofo guarda al diritto essenzialmente nella sua radice e nei modi di imporsi; il sociologo è attratto dall’impatto del diritto nella organizzazione del consenso sociale; l’economista, più disincantato, osserva il ruolo che il diritto esercita nello svolgersi dei processi produttivi e così via. 7 La cultura greca era solita considerare la tecnica come necessariamente correlata all’etica e all’estetica, trovando in queste un limite insormontabile. Analogamente non ogni scoperta può confluire in un diritto senza il consenso sociale: la scienza non può da sola determinare “diritti individuali” senza la mediazione della politica che riconosca i portati della scienza compatibili con i valori etici storicamente vissuti dalla società. 8 È ormai acquisita alla speculazione più moderna una prospettiva dialogica del diritto, che radica nel dialogo e dunque nel consenso l’essenza della esperienza giuridica. Una concezione ontologica del diritto (che
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rantire l’ordinato dispiegarsi delle relazioni e aspirazioni umane nella pace sociale e a perseguire gli obiettivi di sviluppo secondo i valori accolti 9. Nelle democrazie della contemporaneità il diritto è, a un tempo, presidio di garanzia delle posizioni personali e ragione di promozione dei valori socialmente condivisi, con sostegno delle posizioni umane più deboli. Società e diritto implicano concetti sinergici, esprimendo sostanza e forma, ovvero profilo materiale e profilo strutturale, di una medesima esperienza. Perciò il diritto è storicizzato e cioè localizzato nel tempo e nello spazio, come espressivo della vicenda storica di una determinata società e dei valori nei quali la stessa si riconosce. Anche l’assiologia, quale teoria filosofica dei valori e canoni interpretativi della realtà, è votata ad ammodernare storicamente i referenti: nelle varie epoche, principalmente, la divinità, l’individualismo, la persona umana. Per imporsi alla intera comunità con regole vincolanti, il diritto ha bisogno della mediazione formale del comando: quanto maggiormente la ricaduta del diritto sui consociati si conforma al consenso popolare, tanto più l’ordinamento (e dunque lo Stato) è democratico; quanto maggiormente se ne discosta, tanto più si rivela autoritario 10. In una società organizzata democraticamente il diritto trae origine dalla volontà dei consociati e ricade e si impone coattivamente sui consociati stessi come complesso di regole di carattere autoritativo (norme giuridiche), restando in vita fin quando perdura il consenso sociale (espresso attraverso i sistemi di rappresentatività). In tal senso le varie ricostruzioni emerse del diritto e dell’ordinamento giuridico sono suscettibili di una composizione funzionale 11. cioè ravvisi il diritto nella realtà) conduce a riconoscere una giuridicità preconcetta rispetto alle relazioni sociali, riposta nella natura delle cose o nella natura della persona umana, salvo ricondurla in ultima istanza ad una divinità o altro: ha il limite di essere riconoscibile solo da alcuni soggetti o solo dai sapienti, prestandosi a possibili deviazioni, spesso nefaste (dittature, fondamentalismi, ecc.). 9 Esistono convivenze che si fondano su basi religiose; altre che si riconoscono in ideologie della vita sociale; e così via. La convivenza di cittadini in quanto tali, su un medesimo territorio, realizza una comunità civile, che può essere su base locale, nazionale o più vasta: la convivenza sociale implica la necessità di un ordinamento in grado di permettere l’ordinato svolgersi della singola comunità. 10 Al fondo di tali problematiche c’è il tema generale della legittimazione del diritto e dunque del potere, che storicamente è stato variamente avvertito in ragione di diverse motivazioni. Nelle visuali religiose, e specificamente nella tradizione cattolica e aristotelico-tomista, il diritto è l’ordine naturale oggettivo al quale il singolo deve conformarsi: il limite dei diritti è l’ordine naturale giusto. Nella ricostruzione laica moderna, che inizia col rinascimento e si approfondisce con il giusnaturalismo razionale, il diritto diventa prerogativa dell’individuo, che autonomamente agisce nella società: il limite dei diritti è il diritto altrui. La deriva della prima impostazione è la oppressione in nome della giustizia; la deriva della seconda è l’abuso della debolezza altrui. Come si vedrà, sono le Costituzioni del sec. XX a segnare una svolta profonda, in funzione di protezione della dignità umana (II, 7.1). 11 È possibile aggregare le varie ricostruzioni che storicamente sono emerse del diritto e che hanno influenzato la ricostruzione dell’ordinamento giuridico intorno ad alcuni nuclei fondamentali: da un lato, dottrine c.d. normative che valorizzano l’aspetto strutturale del diritto, ricostruendo il diritto come “sistema di comandi”, la cui legittimazione, meramente formale, è espressa dall’autorità che lo emana (concezioni c.d. volontaristiche o soggettive); dall’altro, dottrine in vario senso sociali, che ne esaltano il profilo sostanziale di interazione con la società, ricostruendo il diritto come “sistema di valori”, la cui legittimazione, assolutamente funzionale, è radicata nel consenso sociale (concezioni c.d. organicistiche o oggettive ovvero, con specifica attenzione ai valori, c.d. assiologiche). In una dimensione particolare si muovono le dottrine c.d. istituzionali, che pongono come prius dell’esperienza giuridica l’istituzione e cioè la struttura, l’organizzazione più o meno stabile di una società unitariamente intesa (l’istituzione è essa stessa diritto, in quanto non è ammissibile una società senza organizza-
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Una tradizionale raffigurazione porta ad attribuire due peculiari significati al diritto, in senso oggettivo e in senso soggettivo. Il diritto oggettivo indica l’insieme dei precetti giuridici vigenti, su cui si fondano i rapporti tra consociati o tra le diverse comunità (es. la normativa sulla proprietà). Il diritto soggettivo in senso ampio indica il potere attribuito al soggetto di assumere un determinato comportamento per realizzare un proprio interesse (es. il diritto del proprietario di godere e disporre di un bene) 12. Le due accezioni sono sinergiche: in tanto un soggetto può vantare un diritto (e dunque un potere) in senso soggettivo in quanto sussiste un precetto giuridico oggettivo che lo riconosce e ne consente l’attuazione; al diritto oggettivo spetta anche apprestare gli strumenti di attuazione coattiva del diritto soggettivo quando lo stesso è leso da altro soggetto (es. invasione arbitraria del fondo altrui) o non è soddisfatto dal soggetto che è tenuto ad osservarlo (es. inadempimento del debitore del suo obbligo) (VII, 1.4).
4. Ordinamento giuridico. – L’ordinamento giuridico, nella sua essenza, è il complesso di regole vincolanti che ordina una comunità. Detta le regole di condotta dei consociati, disciplinando gli interessi e le relazioni umane e fissando i diritti e i doveri dei consociati (norme materiali o sostanziali). Inoltre detta le regole di produzione delle norme e di presidio delle stesse, con la istituzione di organi di tutela dei diritti lesi e di reintegrazione dell’ordine violato (norme strutturali o formali). L’ordinamento, imposto autoritativamente o emerso democraticamente, non è uno mondo astratto, ma è partecipe della società, esprime una configurazione della realtà, regolandone cadenze e articolazioni (la natura e l’ecologia; le libertà e le azioni pubbliche; la vita e le tecnologie; l’economia e i modelli produttivi; le relazioni umane e i meccanismi di coesione sociale), secondo i valori di cui la società si dota in un determinato periodo storico. Le singole norme non operano quindi autonomamente, ma sono integrate in un complessivo ed unitario sistema che tutte le comprende. Correlativamente la regolazione dei fatti non si esaurisce nelle norme di settore che specificamente prevedono i singoli fenomeni materiali, ma coinvolge l’impianto dei principi generali dell’ordinamenzione). Altro filone, valorizzando la dimensione soggettiva del diritto, considera il diritto come un sistema di rapporti giuridici. In realtà le varie impostazioni non sono alternative ma complementari, per esprimere ognuna insopprimibili aspetti del diritto, che, nella sua essenza, vive in quanto sentito e osservato nella società; e per la sua osservanza necessita di comandi e strutture che ne garantiscono l’applicazione; per sua intima destinazione è rivolto alla regolazione della relazionalità. Negli ordinamenti democratici, come quello italiano, la legittimità del potere sta nella sovranità popolare: per l’art. 12 Cost. “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”; inoltre i cittadini hanno pari dignità sociale e giuridica, con obbligo della Repubblica di favorire lo sviluppo della persona umana (art. 31 Cost.). Il degrado istituzionale e la inefficienza delle leggi a governare la contemporaneità ripropongono la valutazione delle radici del diritto. Osserva P. Grossi: “il diritto, anche se le sue manifestazioni più vistose sono in solenni atti legislativi, appartiene alla società e quindi alla vita, esprime la società più che lo Stato, è il tessuto invisibile che rende ordinata la nostra esperienza quotidiana, consentendo la convivenza pacifica delle reciproche libertà”. Ciò è sicuramente vero, e nei settori con maggiore pervasività umana come la famiglia è la prassi; è però anche vero che solo l’attingere delle relazioni sociali alla forza dell’ordinamento nella sua complessità garantisce l’esercizio dei diritti e delle libertà democratiche, assicura l’attuazione dei doveri individuali e sociali, consente la realizzazione dello stato sociale. 12 L’esperienza anglosassone esprime i due versanti del diritto con i termini Law (per indicare il diritto in senso oggettivo) e Right (per indicare il diritto in senso soggettivo). Una duplicità terminologica era già in diritto romano, con le due espressioni norma agendi e facultas agendi.
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to, come le elaborazioni concettuali e le traiettorie giurisprudenziali che assicurano l’intelligenza e l’applicazione del sistema. L’analisi di un ordinamento permette di penetrare la storia della comunità che l’ha voluto e adottato a proprio sistema di convivenza civile. Si vedrà della perenne esigenza di adeguamento dell’ordinamento alla realtà storica dei fatti da regolare, attraverso un bilanciamento proporzionato delle regole di settore con i principi e tra i vari principi operanti. Il sistema evolve storicamente in ragione dei mutamenti dei valori sociali. Una fisionomia complessiva dell’ordinamento è ricostruibile attraverso tre fondamentali traiettorie: l’impianto sistematico, la trama normativa e le istituzioni organizzative. a) L’impianto sistematico è la sintesi articolata della esperienza giuridica. Il sistema 13 esprime una realtà composita, coinvolgente il modello di sovranità, le tecniche di governo, le istituzioni costituite, il modello di giurisdizione; nella dimensione normativa esprime il complesso di regole e principi, come di interpretazioni e prassi, che operano in maniera coordinata in un contesto storico, così nella regolazione delle relazioni sociali che nella organizzazione degli apparati istituzionali. L’articolazione del sistema riflette la fisionomia dell’ordinamento giuridico. Sono frequenti ipotesi di conflitti tra valori espressi dall’ordinamento giuridico: si pensi ad es. al diritto di cronaca e critica (art. 21 Cost.), rispetto alla tutela dell’onore e della privacy (art. 2 Cost.); si pensi alla tutela esistenziale dell’individuo (art. 21 Cost.) a fronte dei doveri di solidarietà verso la comunità familiare e la società in genere (artt. 22 e 22-31 Cost.). Nasce l’esigenza di bilanciamento tra normative di diversa provenienza e tra valori di differente emersione, attraverso criteri di adeguatezza e proporzionalità: spesso l’equilibrio tra i valori muta nel tempo, sicché, pur nella continuità formale delle disposizioni, si modifica il precetto imperativo. Il sistema è connotato dei caratteri di effettività e completezza. La effettività esprime la garanzia di osservanza delle regole (materiali e strutturali), attraverso vari meccanismi (sanzioni o incentivi). La effettività rimanda dunque all’esistenza di una autorità, normativamente regolata, che garantisce lo svolgimento delle attività e assicura l’attuazione dei diritti e l’irrogazione delle sanzioni. Con l’affermazione dello stato sociale rileva anche la effettività di azioni per assicurare lo sviluppo della persona umana (art. 32 Cost.) (ampiamente in seguito). La completezza indica che ogni fatto della vita deve trovare regolazione all’interno dell’ordinamento. È un profilo della certezza del diritto: la unitarietà dell’ordinamento in cui si collocano nel tempo le varie regole consente di apprestare soluzione anche a casi non espressamente previsti, purché involgenti interessi rilevanti per il diritto. Con l’edificazione dello stato moderno la comunità statale, radicata su un territorio definito e sorretta da un popolo con relativa cittadinanza, è apparsa come la più pervasiva delle comunità; sicché l’ordinamento statale è stato configurato come sovraordinato agli statuti delle formazioni sociali sussistenti sul territorio statale, a presidio della stabilità di organizzazione della comunità nazionale. 13
Il termine “sistema” proviene dal verbo greco istemi (stare) con il prefisso syn (insieme). Il sistema è pertanto un insieme di elementi che, non solo coesistono, ma stanno insieme e quindi convivono. L’odierna esortazione a “fare sistema” vuole appunto indicare che non è sufficiente coesistere, ma bisogna orientare in modo coordinato iniziative e comportamenti.
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Nell’età contemporanea, per intanto, all’apice degli ordinamenti giuridici statali sono le Costituzioni, quali tavole di valori nei quali le società civili si riconoscono, e che perciò devono essere il più possibile condivisi dal corpo sociale 14. Inoltre il diritto tende sempre più a non esaurirsi nell’ordinamento statale e nelle leggi che dallo stesso promanano. Si dipana una pluralità di fonti, di formazione anche non statale, per cui il diritto vigente è di diversificata provenienza. Come si vedrà, per l’art. 10 Cost. l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (vi è l’apertura al diritto internazionale consuetudinario e convenzionale); per l’art. 11 Cost. l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo (la norma fu immaginata con riferimento alle Nazioni unite, ma poi è diventata la base di legittimazione della costruzione dell’istituzione europea e del diritto europeo); per l’art. 2 Cost. la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (è la base per lo sviluppo del pluralismo sociale e del riconoscimento degli statuti dei gruppi) (I, 2.8). La valorizzazione del pluralismo sociale e ordinamentale conferisce rilevanza a organizzazioni operanti secondo proprie regole e finalità. Emergono ordinamenti particolari di gruppi e autonomie che regolano la vita e l’azione degli stessi e dei soggetti che vi afferiscono, secondo le finalità prefisse (c.d. pluralità degli ordinamenti), da svolgere nella cornice e secondo i principi dell’ordinamento giuridico generale (v. appresso: I, 2.8). b) La trama normativa indica la varietà di esplicazione della precettività. Il tessuto normativo è penetrabile con l’impiego di concetti, che consentono di raffigurarne la fisionomia, e di un linguaggio come rappresentazione dialogica condivisa. Secondo i concetti e il linguaggio più diffusamente utilizzati, la trama dell’ordinamento è ricostruibile attraverso le norme, gli istituti e i principi. La norma giuridica 15 è la unità elementare dell’ordinamento e cioè la singola regola di comportamento o di organizzazione della società 16, più spesso caratterizzata da un precetto e da una sanzione per la sua inosservanza. Quando il precetto imposto da una norma è correlato con altri precetti posti da altre norme, la regola di condotta impegnativa per i consociati consegue al combinato disposto di più norme secondo un criterio sistematico di interpretazione ed applicazione del diritto. La norma è inglobata nel sistema ordinamentale che concorre a formare e dal quale, nel suo insieme, riceve la linfa precettiva (se ne parlerà in seguito: I, 3.2). L’istituto giuridico esprime il compendio delle regole che disciplinano un singolo fenomeno giuridico, talvolta ampiamente inteso (es. proprietà, matrimonio, contratto, ecc.), talaltra considerato in uno specifico profilo (accessione, comunione legale, 14 Per Capograssi una Costituzione rappresenta la determinazione precostituita del modo di procedere per la formazione intrinseca dell’esperienza giuridica: essa è dunque il punto fermo, il centro stabile di una società, la condizione e il segno del profondo ordine che regge o non regge la società. 15 Il termine “norma” deriva dal latino norma (letteral. squadra, intesa come strumento, figur. regola). 16 Talvolta un’unica norma esaurisce il contenuto di un singolo articolo, talaltra più norme coesistono nel medesimo articolo. Ogni articolo, a sua volta, è spesso contraddistinto da vari capoversi: c.d. commi. Di sovente l’articolo ha una sua titolazione: c.d. rubrica, che non è partecipe della disposizione ma contribuisce alla comprensione del significato della stessa.
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forma del contratto, ecc.). È dunque un formante della disciplina di singoli fenomeni giuridici. I principi hanno un’accezione molteplice, con varie significazioni. Spesso indicano i criteri logici di scelte normative adottate. Ad es., secondo la nomenclatura dell’esperienza romana, il principio nemo venire potest contra factum proprium (nessuno può accampare diritti in contrasto con un proprio comportamento) è un criterio etico di salvezza della relazionalità; il principio nemo ad factum cogi potest indica la incoercibilità fisica della persona negli obblighi di fare. Ancora, secondo le specifiche discipline, il principio di non contraddizione; il principio di relatività delle qualificazioni giuridiche. Si vuole anche intendere le tecniche organizzatorie di singoli fenomeni (es. i principi che presiedono alla conclusione dei contratti o alla redazione degli atti, il principio del consenso traslativo che presidia il trasferimento dei diritti). In una visione complessiva e assiologia, esprimono i valori fondamentali attingendo ai principi generali inderogabili, talvolta espressamente formulati, talaltra desumibili dalla combinazione di più normative e dalla complessità ordinamentale (si pensi ai diritti fondamentali della persona umana) (II, 7.1); nella medesima prospettiva si collocano le c.d. clausole generali, quali tecniche di normazione di completamento di fattispecie concrete, elastiche ed adattabili alle evoluzioni della realtà materiale e giuridica (es. buona fede) (II, 7.2). c) Le istituzioni organizzative sono gli apparati che consentono la produzione delle regole, il rispetto dei diritti e l’assolvimento dei doveri, così verso lo stato e la società che nelle relazioni personali. Sono strutture di presidio della convivenza, segnando l’intreccio delle libertà individuali con gli interessi comuni: sono limitative ma anche garanti delle libertà, consentendo l’integrazione delle libertà nella comunità. Il riferimento ricorrente della Costituzione alla “Repubblica” ha riguardo alle istituzioni pubbliche della stessa: per l’art. 5 Cost. la Repubblica adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. Nello stato moderno liberale, quale stato di diritto, si è affermata da tempo la divisione dei poteri e delle connesse istituzioni 17. La divisione consiste nell’individuazione di tre funzioni pubbliche nell’ambito della sovranità dello Stato, attribuite a tre distinti poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) ciascuno indipendente dagli altri poteri 18. La storia delle istituzioni democratiche presenta varie forme di coordinamento e di bilanciamento tra i tre poteri, in ragione della rilevanza attribuita ai diritti umani, alla efficienza economica e al funzionamento del sistema. Con la pluralizzazione delle fonti emergono anche istituzioni sovranazionali di organizzazione delle relazioni sociali e di definizione delle controversie, come si affermano istituzioni di autonomie territoriali e di specifiche competenze. 17 Il principio, delineato da Locke, veniva affinato da Montesquieu, divenendo uno dei capisaldi del liberalismo. 18 I tre poteri sono raffigurati nella Parte II della Costituzione, intitolata “Ordinamento della Repubblica” (artt. 70 ss. Cost.): il potere legislativo spetta al Parlamento, con bicameralismo perfetto (artt. 70 ss.); il potere esecutivo al Governo, cui sottendono gli uffici ministeriali e altri gerarchicamente sottoposti, espressivi della pubblica amministrazione (art. 92 ss.); il potere giudiziario alla Magistratura (artt. 101 ss.), e la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario (art. 102). Lo sviluppo delle autonomie ha riproposto le medesime cadenze (artt. 114 ss.). La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni (art. 117) (se ne parlerà nelle fonti del diritto).
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PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO
Nel presente volume, le prime tre parti, articolate sotto la titolazione di “Principi”, vogliono fare emergere, in via generale e complessiva, valori, criteri logici e categorie che sovrintendono alla disciplina del diritto privato e alla tutela delle situazioni soggettive. Le parti successive, raggruppate sotto la titolazione di “Istituti”, analizzano i singoli fenomeni giuridici e le discipline che li regolano.
5. Diritto positivo e diritto naturale. – Le relazioni sociali implicano competizione e spesso contrasto tra idee come tra interessi. La soluzione dei conflitti può essere affidata all’ordinamento o rimessa al sentire spontaneo. Il diritto positivo 19 è il complesso delle regole, adottate attraverso le procedure formali di produzione del diritto, costituenti l’ordinamento giuridico. L’osservanza del diritto positivo, come si vedrà, vale a garantire la certezza del diritto e dunque la prevedibilità dell’applicazione delle regole. A sua volta il diritto positivo si svolge in due dimensioni: diritto materiale e diritto strumentale (alle quali si è già accennato). Sono versanti distinti ma necessariamente correlati, in funzione della effettività dell’ordinamento giuridico. Il diritto materiale (anche detto diritto sostanziale) regola i rapporti tra i soggetti, selezionando gli interessi considerati meritevoli di tutela e quelli destinati a soccombere, così attribuendo diritti e obblighi: tali sono ad es. il diritto civile e il diritto penale. Il diritto strumentale (anche detto diritto formale) disciplina i meccanismi necessari per l’attuazione degli interessi protetti e dunque regola i mezzi di tutela dei diritti accordati dall’ordinamento: tali sono tipicamente il diritto processuale e il diritto internazionale privato. Va però rilevato che, in tale grande ripartizione, sono molte le ipotesi di intreccio tra norme materiali e norme strumentali, così nel diritto sostanziale 20 come nel diritto processuale 21. Il diritto naturale indica l’insieme di principi che si fanno derivare da fonti non formali, quali (nelle diverse ideologie) la natura umana o la divinità o la ragione, ecc. Esprime le aspirazioni delle società antagoniste alla legge formalmente posta: è una antica e tradizionale risorsa contro il diritto positivo, quando lo stesso impone regole non condivise dalla società, sicché la legalità si inaridisce e non rispecchia più il sentire comune fino a divenire mero presidio del potere. È l’antico dilemma tra ethos e nomos 22. Fu così per il diritto naturale cristiano delle origini che si ispirava alla “legge divina”, come lo fu successivamente per il diritto naturale protestante (iscritto da Dio nel cuore di tutti gli uomini) destinato ad evitare la corruzione ecclesiale; lo è stato per il giusnaturalismo razionale dell’età moderna, emancipato dalla teologia morale ed ancorato ad un sistema di “diritto di ragione” 23. 19
Il termine “positivo” deriva dal latino positivus (viene posto); da cui l’espressione ius in civitate posi-
tum. 20 Nel diritto privato, ad es., le normative relative alla pubblicità delle persone fisiche, delle imprese, della circolazione dei beni immobili e mobili registrati. 21 Alcuni principi di diritto processuale esprimono valori sostanziali di una società: es. il rispetto del contraddittorio tra le parti in lite fissato nel diritto processuale civile. 22 La figura di Antigone, proposta da Sofocle, tuttora esprime il divario tra la legge statale (impersonata dal re Creonte, che vietava la sepoltura di Polinice come traditore di Tebe) e il diritto derivante dal sentire sociale e religioso (al quale si appella e ricorre Antigone per dare sepoltura al fratello Polinice, portandola al forzato suicidio). 23 Il “diritto naturale”, come antagonista del diritto positivo, non è assoluto: risente della confessione reli-
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La legge stessa, quando vuole regolare un fenomeno giuridico secondo le cadenze che assume nella realtà sociale, valorizza la dimensione “naturale” del fenomeno: tipico esempio è la definizione della famiglia come “società naturale” (art. 29 Cost.). Talvolta la legge ricorre a tale accezione quando vuole definire un fenomeno che trae vita da un fatto diverso da quelli previsti e regolati dalla legge: così per le “obbligazioni naturali”, come prestazioni spontaneamente eseguite in esecuzione di doveri morali o sociali (art. 2034).
6. La scienza giuridica e le categorie. – La scienza giuridica è, insieme, pratica e teorica: da un lato, individua i conflitti suscitati dalle relazioni umane nella realtà socio-economica osservata; dall’altro, elabora i formanti logici necessari alla traduzione del dato reale in soluzioni giuridiche. La scienza giuridica trova il proprio nutrimento nella realtà materiale, ma si esprime inevitabilmente attraverso i concetti, che sono rappresentativi dei singoli fenomeni e dei beni giuridici tutelati. I concetti assurgono a essenziali costruttori di elaborazione delle scelte e di dialogo di vedute, consentendo la costante discutibilità dei risultati conseguiti 24. La struttura logica del trattamento dei problemi è essenziale risorsa della democrazia, perché consente di verificare la individuazione dei problemi assunti e la coerenza delle soluzioni apprestate, ripercorrendo il procedimento usato per arrivare al risultato. La verifica del procedimento logico seguito consente di individuare i fattori materiali osservati e le componenti giuridiche utilizzate nel ragionamento che conduce al risultato. Anche nella scienza giuridica, come in ogni scienza, resta il dato insormontabile espresso dalla logica moderna, filosofica e matematica, del divario tra “verità”, che attinge alla sfera metafisica e “dimostrabilità” che attiene alla esperienza umana. Nei giudizi rileva la dimostrazione della soluzione espressiva di logica verosimiglianza. Il dialogo giuridico coinvolge il ruolo del linguaggio impiegato. Spesso il linguaggio dei giuristi si esprime con astrazioni e per metafore, ad imitazione di fenomeni reali (es. persone giuridiche, modellate sulle persone fisiche; bene giuridico, come trasposizione di entità materiali o immateriali): tale progredire logico richiede consapevolezza dell’astrazione rispetto alla realtà materiale. Per di più la provenienza dei testi normativi da istituzioni diverse (Unione europea, Stato, Regioni, ecc.) comporta l’impiego di nomenclature non sempre omogenee e una artificiosa collocazione dei testi. Si aggiunga la essenziale interdisciplinarietà nella maturazione di molte scelte normative, che implica un variegato tessuto lessicale. Il linguaggio riflette il pensiero; analizzando la formulazione del linguaggio si risale alla struttura del pensiero: l’uso di un linguaggio condiviso è utile mezzo di comunicazione. Nell’opera di regolazione della esperienza sociale si rivela essenziale la formulazione di categorie giuridiche intese quali meccanismi logici di rappresentazione e qualificazione dei fenomeni giuridici. Per essere fondamentali schemi ricostruttivi di fenomeni giosa e dell’ideologia politica che lo sostengono, dell’epoca storica e del contesto sociale di riferimento, delle evoluzioni tecnologiche in grado di liberare nuove prospettive di svolgimento della persona. 24 Per K. POPPER (1934) il metodo scientifico deve essere connotato da un criterio di falsificazione: una teoria, per essere controllabile, perciò scientifica, deve essere “confutabile”.
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giuridici, sono inevitabilmente in perenne evoluzione con il cambiamento della società e dei suoi valori e il mutarsi dell’ordinamento 25. Le categorie, formulate in concetti, sono espressive di un impianto teorico che riflette la realtà storica del tempo di elaborazione e dunque il fluire storico della vita degli uomini: da ciò la necessità di verificare costantemente l’attualità ordinamentale delle categorie giuridiche. Molte categorie, storicamente emerse nella prospettiva della proprietà immobiliare e della sua appartenenza (ricchezza statica), trovano difficoltà a supportare una attualità alimentata dall’attività economica e dalla collocazione dei prodotti (ricchezza dinamica); un crescente sostegno all’economia reale, attraverso l’aiuto alle imprese e la stimolazione dei consumi, sta enucleando meccanismi difficilmente riconducibili a tradizionali modelli fondati sul rispetto della proprietà fondiaria. Analogamente categorie forgiate nella prospettiva della indipendenza delle sfere giuridiche individuali stentano a intrecciarsi con percorsi culturali di perseguimento di valori solidaristici della modernità. La forza della concettualizzazione, come sostegno al principio della certezza del diritto, aveva condotto ad una elaborazione di categorie giuridiche, come autonome e alternative: invece più spesso esiste una complementarietà di situazioni e esperienze di vita, che vanno decifrate e valutate. Categorie giuridiche generali come “personalità”, “proprietà”, “contratto”, “responsabilità”, e ancora “popolo”, “cittadino”, “sovranità” ecc., esprimono criteri di rappresentazione di interessi e valori emersi in varie epoche e in più contesti e culture sociali, composti e organizzati in concetti fruibili dalla comunità. Le strutture sociali e le dinamiche economiche segnano, ad un tempo, la nascita e l’ancoraggio delle categorie, che vanno costantemente ammodernate, dovendosi sempre ricercare i principi immanenti e le innovazioni nel sistema, pur nella continuità formale di alcuni precetti; tanto più con l’emergere di una tendenza alla uniformazione sovranazionale del diritto. C’è anche un problema di perduranza di categorie emerse in singoli settori dell’ordinamento trapiantate in settori diversi: ad es. il diritto tributario erode sempre maggiormente categorie civilistiche per scopi fiscali. Un ruolo essenziale nella esperienza giuridica (nella formazione, nella interpretazione e nell’applicazione del diritto) assume la scelta del metodo 26, volto a individuare la fattualità delle vicende materiali (la condizione dei soggetti coinvolti come la natura degli interessi attuati o sacrificati) 27, alla cui stregua verificare l’attualità delle categorie utiliz25 Le categorie giuridiche sono destinate ad emergere, vivere e declinare coerentemente allo svolgersi dei modelli di coesione sociale, ed eventualmente risorgere quando si ripresentano analoghi conflitti sociali (come si sta verificando con la crescente tutela accordata alla pluralità di situazioni giuridiche insistenti sul medesimo bene, che richiama la logica dei plura dominia). L’affermazione dei diritti umani e l’emersione di un diritto dell’economia forgiano nuove esperienze giuridiche, che talvolta si mescolano e combinano con altre pregresse, talaltra le sovrastano, in funzione del formarsi di nuovi equilibri sociali e giuridici, spesso ricostruibili con nuove tecniche, ma non di rado regolabili con consolidati moduli. 26 Il termine “metodo” proviene dal greco antico, dall’unione delle parole metà (dopo) e òdos (via, strada). Adottare un metodo quindi vuol dire scegliere una strada e seguirla. Come si vedrà è il problema proprio della interpretazione giuridica: seguire un percorso per pervenire ad una soluzione che fissi la regola del singolo fatto. 27 Fondamentale la elaborazione di F. VON HAYEK e K. POPPER della idea di “logica della situazione”, come metodo di comprensione della società attraverso le interazioni che i soggetti razionali o irrazionali coinvolti in una vicenda storica via via mostrano.
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zate 28, secondo le scelte ordinamentali di settore e dei principi generali. Vi è una normatività del fatto, nel senso di proporsi costantemente come referente di differenti funzioni nei rinnovati contesti sociali e giuridici. La scienza giuridica deve cogliere i fatti dell’esperienza secondo quanto la volontà degli uomini costruisce, lo spirito dei tempi propone e l’ambiente sociale organizza; e valutarli attraverso una interazione tra realtà fattuale, regole specifiche e valori ordinamentali, attingendo alla complessità del sistema storicizzato.
7. I principali sistemi giuridici: civil law e common law. – Pur accentuandosi la tendenza alla uniformazione di valori, principi e regole giuridiche, specie in ragione dell’affermazione universale dei diritti umani e della espansione dei traffici commerciali oltre i confini nazionali, permane un fondamentale divario di modelli di sistemi giuridici, relativamente alla formazione e all’applicazione delle regole giuridiche. Le esperienze giuridiche dei singoli paesi, in ragione della organizzazione tecnico-giuridica, sono fondamentalmente ricollegabili a due famiglie ordinamentali, di civil law e di common law, che hanno avuto origini e sviluppi diversi 29. Il sistema di civil law è il modello ordinamentale dominante a livello mondiale; si riconducono a tale modello il nostro paese e i paesi dell’Europa continentale, compresa la Russia; vi afferiscono anche i paesi del Sud America e dell’America centrale, la Cina e molti paesi asiatici, nonché quasi tutti i paesi del continente africano. È edificato in Europa dopo la lunga esperienza del diritto comune dell’epoca medievale, quando, per più ragioni (politiche, economiche e sociali), l’illuminismo giuridico aveva maturato la cultura della legge come base di certezza del diritto uguale per tutti (anche se poi si scorgerà di trattarsi di una uguaglianza solo formale). È un diritto di fonte legislativa. I giudici sono tenuti ad applicare il diritto espresso dalle leggi; i precedenti giudiziari non sono vincolanti, svolgendo una funzione solo persuasiva dei giudici. Il sistema del Common law è un modello ordinamentale di matrice anglosassone. È attualmente in vigore in Gran Bretagna, Irlanda, Stati Uniti d’America (escluso lo Stato della Louisiana), Canada (esclusa la regione del Quebec), Australia. Alcune nazioni han28 Il datato dilemma scientifico tra metodo induttivo, per cui l’indagine si eleva dalla percezione dei fatti verso la elaborazione di principi, e metodo deduttivo, per cui dai principi provengono i criteri di osservazione della realtà, va composto in una logica di circolarità del pensiero attraverso una costante relazione tra concetti ed esperienza: i fatti della realtà, nutriti dei valori storicamente operanti, inducono alla elaborazione di categorie e regole giuridiche, che a loro volto delineano la disciplina dei casi concreti. È altrettanto errato ricostruire il passato attraverso le categorie del presente, come interpretare il presente servendosi acriticamente delle categorie del passato. La omogeneità delle nomenclature non può prescindere dalla individuazione delle “strutture di legittimazione” del diritto nelle varie epoche storiche. La dimensione storica delle categorie consente di svelare le radici sociali e culturali delle stesse, e dunque di verificare le continuità e le fratture rispetto al passato, pur nella persistenza delle nomenclature. 29 Relativamente al civil law, hanno particolarmente influito: la formazione universitaria del giurista; la selezione burocratica dei giudici; la frammentazione delle Corti fino all’assolutismo; l’elevato ruolo della dottrina nella formazione del diritto. Relativamente al common law, hanno particolarmente influito: la formazione pratica del giurista; la selezione dei giudici fra i migliori avvocati superiori (barrister); la centralizzazione ed elevato prestigio delle Corti superiori; il ridotto ruolo della dottrina giuridica universitaria nella formazione del diritto; la mancanza delle codificazioni; la mancanza del notariato di tipo latino, le cui funzioni sono svolte dagli avvocati.
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no adattato il sistema del common law alle loro tradizioni, creando un sistema misto (per esempio, l’India e la Nigeria attuano il sistema del common law frammisto a regole giuridiche di stampo religioso). È un diritto a formazione essenzialmente giudiziaria (judge made law), sviluppatosi storicamente attraverso i precedenti delle decisioni giurisprudenziali, con richieste espresse in formule processuali, prima più stringenti (writs), poi più ampie ed elastiche; vi è un ridotto intervento del diritto legislativo. È fondamentale la regola dello stare decisis, per cui il precedente giudiziario è vincolante per i giudici di pari grado o di grado inferiore che successivamente giudicano il medesimo caso. Per discostarsene bisogna motivare circa la novità del caso (nella struttura o quanto meno rispetto a sopravvenuti principi dell’ordinamento o anche all’evoluzione della società) attraverso le tecniche del distinguishing 30 e del overruling 31, che consentono al giudice di individuare la regola del caso di specie, indipendentemente dalla vincolatività del precedente. Si vedrà come lo svolgersi della globalizzazione, con circolazione di esperienze economiche e di modelli giuridici, sta comportando un avvicinamento delle due aree giuridiche tradizionalmente distinte. Nei paesi di civil law sta emergendo una tecnica di case law, con la esaltazione della specificità del caso concreto e la valorizzazione dell’azione della giurisprudenza, specie quando le sue decisioni, per ripetersi nel tempo, diventano un “indirizzo giurisprudenziale”. Nei paesi di common law sta acquisendo una crescente rilevanza la funzione della legge (statutory law) 32, specie in ragione dello sviluppo del welfare state. Va così delineandosi una progressiva osmosi dei due sistemi, nello sforzo di una regolazione uniforme dei rapporti socio-economici.
30 La tecnica del distinguishing implica distinguere un caso dall’altro, trovare cioè un elemento per cui un caso nuovo si differenzia dall’altro precedente, sempre che le differenze si possano considerare rilevanti per la questione da decidere, così da applicare una diversa regola. Il procedimento logico inverso è detto harmonizing, con il quale il giudice considera irrilevanti le differenze tra la nuova controversia e quella decisa dal precedente, così applicando la regola del precedente caso. 31 Con la tecnica del overruling la regola precedente viene sostituita con una nuova regola, che forma un nuovo precedente, attraverso una più approfondita analisi della fattispecie ovvero in ragione del mutamento delle circostanze di fatto o dell’interesse pubblico. 32 È da registrare la differente rilevanza attribuita agli atti normativi a seconda che siano assunti con Statutory ovvero con Regulation, che lascia più spazio all’interpretazione giudiziale.
CAPITOLO 2
DIRITTO PRIVATO Sommario: 1. Relatività della nozione di diritto privato. – 2. Evoluzione medievale e diritto comune. Lo “Stato moderno” e il diritto privato (le nuove categorie). – 3. Le codificazioni in senso moderno. Codice civile francese (cod. nap.) e codice civile del 1865; i codici di commercio. – 4. Il codice civile tedesco (BGB). – 5. Il codice civile del 1942. – 6. Le Costituzioni degli Stati moderni. – 7. La Costituzione repubblicana. Il primato della persona umana. – 8. Segue. Il pluralismo ordinamentale e sociale. – 9. Capacità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione. –10. Il diritto privato europeo. – 11. Ambito attuale del diritto privato e il diritto pubblico. – 12. Il diritto dei privati. – 13. Segue. La nuova lex mercatoria. – 14. Globalizzazione e convivenza mondiale. – 15. Azione privata conformata e azione pubblica collaborativa. – 16. Verso un diritto privato uniforme. – 17. La società tecnologica. Bioetica e ecologia. – 18. Segue. La rivoluzione digitale. Piattaforme, algoritmi, tecnocrazia e diritti.
1. Relatività della nozione di diritto privato. – Si è visto come una fondamentale funzione del diritto sia quella di garantire la pacifica convivenza dei consociati: è una funzione primaria e generale che consente la coesione di una comunità e giustifica lo stesso formarsi di un ordinamento giuridico. Vi è però anche una funzione ulteriore e specifica di selezionare gli interessi (generali o particolari) in conflitto secondo la scala di valori di cui la singola comunità si dota. Pure l’area delle relazioni tra i privati (cui tradizionalmente ha avuto riguardo il diritto privato) risente degli equilibri nel tempo instauratisi tra gli interessi particolari dei privati e l’interesse generale della società (alla cui tutela ha tradizionalmente provveduto il diritto pubblico); come è attraversata dalla selezione degli interessi privilegiati dall’ordinamento. La configurazione del diritto privato è inevitabilmente relativa (in quanto correlata all’area di espansione del diritto pubblico) e storicizzata (perché destinata a mutare in ragione della evoluzione della società civile e della sua struttura politica). Avviene così che settori appartenenti in un’epoca al diritto pubblico siano in altra epoca considerati come propri del diritto privato e viceversa. Il diritto dei rapporti tra privati ha per primo elaborato nomenclature, categorie logiche, costruzioni teoriche, che poi hanno pervaso l’intero sapere giuridico (si parla di una “priorità storica” del diritto privato): ciò ha fatto sì che tradizionalmente proprio l’insegnamento delle Istituzioni di diritto privato abbia fornito quell’essenziale bagaglio culturale e tecnico necessario nella formazione giuridica. A sua volta la concettualizzazione del diritto pubblico ha apprestato categorie e tecniche di tutela che ha inciso sulla configurazione del diritto privato, nel riequilibrio di interessi particolari con quelli generali della società.
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Una riflessione sulla evoluzione storica del diritto privato e sulle diversificate correlazioni con il diritto pubblico consente di delineare il volto attuale del diritto privato. La rilevazione delle età culturali, delle dinamiche sociali e delle regolazioni che si sono succedute fanno comprendere il contenuto e i limiti delle categorie giuridiche del diritto privato della contemporaneità.
2. Evoluzione medievale e diritto comune. Lo “Stato moderno” e il diritto privato (le nuove categorie). – Per comprendere le connotazioni attuali del diritto privato è necessario ripercorrere lo svolgersi dell’esperienza giuridica premoderna. a) Esauritasi l’attualità dell’ordinamento romano 1, non venne meno l’eredità del diritto romano, che contribuì a formare l’identità culturale, politica e giuridica dei paesi europei e a modellare una comune coscienza europea. La elaborazione giustinianea del Corpus juris civilis (534) 2 veniva ripresa dal Decretum di Graziano per il diritto canonico (1142) 3. L’Europa medievale era ancora caratterizzata dalla inveterata stratificazione sociale, sostenuta dalla dottrina degli status escludenti, imposti secondo regole e procedure costitutive, con privilegi e immunità, determinativi di una stratificazione giuridica, con diversificati statuti di diritti e obblighi. Anche lo sfruttamento dei beni avveniva con numerosi e vari vincoli di natura personale e reale: maturava la dottrina del dominio diviso, con la coesistenza di plura dominia. Specie dal sec. XI si svolgeva una pluralità di fonti del diritto: da una parte, il diritto romano giustinianeo; dall’altra, il diritto della Chiesa; dall’altra ancora, il diritto particolare dei regni (iura propria) con le connesse consuetudini, cui si aggiungeva il sistema di diritto feudale in alcuni territori. Tale molteplicità di fonti, espressiva di un pluralismo giuridico, non fu di ostacolo al formarsi di un diritto comune, sia per il comune retaggio del diritto rimano e del diritto canonico in tutti i paesi europei, sia per la comune lingua utilizzata dai giuristi (il latino), sia ancora perché la generalizzata coesistenza era assicurata attraverso un meccanismo per cui i diritti particolari trovavano di regola ap1
Nella tradizione romana il diritto privato si sviluppava come primo ed essenziale modello di regolazione dei rapporti sociali. Le Istituzioni di Gaio si aprivano con il seguente passo “Ogni popolo che si governa sulla base di leggi e consuetudini utilizza in parte un diritto suo proprio ed in parte un diritto comune a tutti gli uomini: infatti, ciò che ciascun popolo si è dato come diritto è suo proprio ed è chiamato diritto civile (ius civile), in quanto diritto di quella città; ciò che, invece, la ragione naturale ha stabilito tra tutti gli uomini e viene custodito allo stesso modo presso ogni popolo è chiamato diritto delle genti (ius gentium), nel senso che tutte le genti ne fanno uso”. E aggiungevano: “L’intero diritto di cui facciamo uso si riferisce alle persone, alle cose o alle azioni”. Lo sviluppo dei traffici diversificherà il diritto privato dal diritto pubblico. La cultura di Roma veniva, più che travolta da forze esterne, erosa dall’affermarsi del cristianesimo che prospettava, in luogo dello splendore della vita terrena comunque precaria, una rassicurante vita ultraterrena (sursum) che valorizzava le virtù soccombenti sulla terra: influenzerà anche la visione del diritto, specie del diritto privato per intingere nelle relazioni sociali. 2 Era diffusa l’analisi del corpus juris giustinianeo, prima dalla scuola bolognese dei Glossatori (sec. XIIXIII specie con Irnerio e Accursio), poi dai Commentatori (sec. XIV-XV specie con Bartolo e Baldo). Le glossae e le summae erano considerate alla stregua del testo giustinianeo, mentre una scienza giuridica sapienziale svolgeva una essenziale funzione di mediazione tra le varie fonti del diritto. 3 Il Decretum, arricchito dalle successive norme canoniche (extravagantes), avrebbe dato luogo al corpus iuris canonici (1582) (rimasto in vigore fino al codice pio-benedettino del 1917).
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plicazione solo in assenza del diritto romano e canonico 4: lo ius commune in tutta Europa era quindi utrumque ius, ovvero l’uno e l’altro diritto (romano e canonico); mentre il diritto feudale, legato allo sfruttamento della terra, trovava applicazione in specifiche aree 5. All’unitarietà del “Sacro romano impero” (unum imperium) durato per circa mille anni, corrispondeva un pluralismo giuridico, secondo gli ordinamenti locali dei vari popoli, con varie eterointegrazioni: alla concezione universalistica del sacrum imperium faceva riscontro una visione universalistica del diritto (ius commune), volto a disciplinare la vita giuridica di tutti i popoli riuniti nell’impero. Il diritto comune medievale, maturato in una comune cultura giuridica e spirituale europea, sarà la matrice da cui si dirameranno i diritti nazionali, spesso distanti ma che lo presupponevano 6. b) Con il sec. XIII, pur perpetuandosi i valori soprannaturali cristiani, emergevano valori terreni egualmente salvifici, come la valorizzazione del lavoro e la positività del danaro e dei mercati, in uno all’affermazione della innovazione tecnologica e del progresso culturale. L’evoluzione europea dei centri urbani in “comuni” favorisce una economia monetaria sorretta dalla classe borghese, che si organizza in corporazioni influenti negli affari e nelle scelte politiche; mentre nelle aree interne l’organizzazione feudale si dissolverà lentamente. Sul piano giuridico si irradiava lo spirito della Magna Charta inglese del 1205, che riconosceva la libertà dei cittadini e affermava il principio di legalità, 4 Convivevano più complessi di norme, rivolti a disciplinare campi diversi dell’esperienza umana. Il diritto romano regolava i rapporti civili, mentre il diritto canonico regolava le materie spirituali; con frequenti sovrapposizioni e contrasti, per la influenza ecclesiastica nella sfera temporale. Relativamente ai diritti particolari, operavano ulteriori articolazioni e specificazioni del diritto delle singole città. Si aggiunga la penetrazione della cristianità nella cultura dell’epoca che orientava la vita e le aspirazioni delle persone e guidava la organizzazione del potere e delle istituzioni. 5 Il diritto feudale, pur nella varietà delle forme assunte nei molti territori dei paesi europei in cui si era affermato, era caratterizzato da un complesso di rapporti giuridici, di carattere pubblico e privato, personale e patrimoniale. In virtù di un contratto feudale, una persona (vassallo) giurava fedeltà (c.d. omaggio) ad un signore, assumendo in suo favore obblighi di servizio militare e personali e ricevendo dallo stesso il beneficio della concessione in possesso e godimento di una terra (c.d. investitura), con poteri di imposizione tributaria, polizia e giurisdizione. Un meccanismo gerarchico di successive investiture e concessioni dava vita ad una stratificazione (sociale e giuridica) della società in classi caratterizzate dai vari status, ciascuna con specifici privilegi e doveri. Il frazionamento dei poteri pubblici tra le varie gerarchie feudali e la corrispondente patrimonializzazione degli stessi consegnava ai feudatari autorità e poteri nei singoli territori, a scapito dello stesso potere regio. 6 Si è soliti ricondurre la formazione della prima esperienza europea all’epoca carolingia, contrassegnata dalla incoronazione papale di Carlo Magno quale imperatore nel Natale dell’800 e dai tentativi di realizzare una unità giuridica e monetaria per l’intero impero (la moneta, chiamata “denaro”, portava da un lato il monogramma “Carolus” e sul rovescio il luogo di conio). Anche Ottone I il Grande, della dinastia del Sassoni (succeduta a quella carolingia), si fece incoronare imperatore a Roma nel 962: questo impero, in seguito chiamato “Sacro romano impero della nazione germanica”, sarà anche difensore della cristianità: sarà però una stagione breve per essere caratterizzato il medioevo dal periodico conflitto, a volte cruento, tra papato e impero come due poteri universali. Osserva R.S. LOPEZ (2004): “Oggi chi dice Europa non pensa a una religione unica né a uno Stato universale, ma a un insieme di istituzioni politiche, di conoscenze secolari, di tradizioni artistiche e letterarie, di interessi economici e sociali che cementano un mosaico di opinioni e di popoli indipendenti”. Rileva J. LE GOFF (2003): è a partire dall’XI secolo e nei due secoli successivi che il continente europeo ha preso forma; è la “bella Europa” delle città, delle cattedrali e delle Università, ma anche dei mercanti, dell’architettura gotica, dei chierici mendicanti, della “discesa dei valori dal cielo sulla terra”. Osserva P. GROSSI (2007): il sostantivo Europa ha nel corso del Medioevo un contenuto esclusivamente geografico; “è con l’Umanesimo che assume il significato di un complesso di valori spirituali e culturali, avviando un filone riflessivo che trova più tardi la sua pienezza”.
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con soggezione alla legge anche del potere sovrano 7. Il tradizionale assetto sociale e giuridico è scosso da un nuovo modo di formazione di ricchezza attraverso l’attività economica e la collocazione di prodotti, che determineranno altre forme di divario sociale con la manovra del mercato. Si delinea la c.d. rivoluzione commerciale. Non si tratta solo di un aumento quantitativo dei traffici: a fianco della ricchezza immobiliare, che continua a svolgersi, si sviluppa la ricchezza mobiliare, legata alla moneta, al commercio, al credito. Il potere economico si emancipa dal potere politico, attraverso un rapporto dialettico con il potere sacro e quello secolare. Il prodotto interno lordo, piatto da secoli secondo la staticità della ricchezza agraria, inizia a crescere stimolando lo “sviluppo economico moderno”. Si afferma uno ius mercatorum che si discosta sia dalla tradizione del diritto romano, essenzialmente incentrato sulle esigenze di difesa del diritto di proprietà e di stabilità dei rapporti sociali, che dal diritto canonico, pervaso da istanze salvifiche dell’uomo proprie di una comunità ecclesiale; emergono categorie giuridiche che si diversificano profondamente anche da quelle del diritto feudale 8. La progressiva ascesa della classe dei mercanti nella gestione del potere consente alla stessa di formulare un’autonoma lex mercatoria, imperniata sulla organizzazione di rinnovate corporazioni (cui si appartengono i singoli mercanti), che gradualmente si dota di autonoma giurisdizione: è un diritto creato dai mercanti, che regola l’attività dei mercanti, dove trovano ingresso le consuetudini invalse nei rapporti tra mercanti. Emergono, nella spontaneità dei commerci, istituti che sarebbero giunti fino a noi, come la polizza di carico e lo strumento dei carati per condividere i rischi della navigazione; e ancora, la cambiale, la lettera di cambio (corrispondente all’attuale assegno bancario), le lettere di credito, la presenza delle banche a sostegno delle intraprese economiche. L’incontro con la dottrina canonistica e quella romanistica è sul tema della bona fides come fondamento del mercato. L’affermazione della riforma protestante dal XVI sec., con la trasformazione di molte chiese cattoliche in chiese “riformate”, stimola fortemen7 La Magna Carta (Magna Charta Libertatum) era un documento, scritto in latino, che il re d’Inghilterra Giovanni Senza terra fu costretto a concedere il 15 giugno 1215 a seguito di una rivolta dei baroni del Regno d’Inghilterra, propri feudatari diretti, per l’inasprimento delle imposte. Si elaborava il divario tra rule of law (governo della legge), che sottoponeva il potere alla legge, e rule by law (governo attraverso la legge) che consentiva il governo (quindi anche l’arbitrio) attraverso la emanazione di leggi. È introdotto il principio dell’habeas corpus (letteralmente “che tu abbia il corpo”) per cui nessuno può essere arrestato, imprigionato [...] o danneggiato in alcun modo, eccetto dal giudizio legale dei suoi pari e dalla Legge del Paese: è la prima forma di limitazione del potere politico sui corpi delle persone, che, affinata, si estenderà a tutte le democrazie dei paesi occidentali. 8 Dalla fine del medioevo al settecento campeggia la figura del mercante, che si impone ai proprietari terrieri e ai produttori artigiani come artefice del collocamento dei prodotti in aree geografiche sempre più vaste Le fonti di produzione sono la terra e la bottega artigiana, le cui attività sono sempre più svolte su commessa del mercante in vista dei mercati dove collocare i prodotti. Osserva LOPEZ come i comuni ed in particolare le città marinare, non solo diedero slancio al commercio, ma favorirono il formarsi di una cultura mercantile, una vera rivoluzione commerciale, che valorizzava il rischio tra le virtù umane, così preparando quello sviluppo della società che caratterizzerà l’esperienza dell’Umanesimo e del Rinascimento, in cui l’uomo assurgerà a centro della storia. Si verifica uno sviluppo nella tecnica degli affari, che segna la rivoluzione commerciale del Medioevo. Secondo BRAUDEL (1983), si realizza una “economia-mondo”, con rapporti stabili tra regioni europee e verso il mondo asiatico attraverso le vie del mare, al cui centro assurge Anversa (in Italia assumono grande importanza Venezia e Genova), con l’effetto di arricchire le città, i luoghi e gli operatori che vi partecipano e impoverire il resto delle popolazioni, aggravando gli squilibri politici ed economici.
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te l’intrapresa economica e la vita degli affari e segna i prodromi della intermediazione finanziaria e dello sviluppo capitalistico 9. La Controriforma perseguitò i religiosi ma non riuscì a sopprimere la nuova visione della vita 10. Emerge una poliedricità giuridica: a seconda della natura della controversia e della condizione dei soggetti coinvolti, trovano applicazione ora il diritto comune ora i diritti statutari municipali ora quello delle corporazioni; o ancora le regole della investitura feudale. E tutti tali corpi giuridici comportano autonome giurisdizioni, che giudicano secondo il proprio diritto (c.d. particolarismo giuridico), con profonda difficoltà nella individuazione del diritto applicabile e dunque anche con molti arbìtri. c) Dopo la rovinosa guerra europea dei trent’anni, la pace di Westfalia del 1648 segna il declino in Europa dell’egemonia imperiale e del Papato 11, generando la formazione di diritti nazionali con la nascita dello Stato moderno, quale ordine politico sovrano, che non conosce altra autorità al di sopra dello stato 12. La massima del re francese Luigi XIV “lo Stato sono io” diviene l’emblema della nuova organizzazione nazionale dei territori. Il processo di restaurazione delle monarchie nazionali comporta una ristrutturazione dei poteri e dei rapporti, sia pubblici che privati, che legano i soggetti tra loro e con il potere regio. La statalizzazione è vissuta come concentrazione nello Stato della produzione e dell’applicazione delle regole giuridiche 13. A partire dal ’600 e per tutto il 9 Con la riforma protestante, tesa a ripulire la chiesa di Roma dalla corruzione e sintetizzata nei 95 punti che il monaco tedesco Martin Lutero affisse fuori della chiesa di Wittenberg, la ricerca del profitto acquista anche un fondamento religioso attraverso la concezione luterana del beruf (vocazione o compito), affinata dalla visione calvinista, che impone agli uomini di adempiere i doveri professionali secondo la propria vocazione. Secondo M. WEBER (1970) l’ascesi protestante intramondana ebbe l’effetto di liberare l’attività lucrativa dalle inibizioni dell’etica tradizionalista cristiana per assumere una funzione ascetica di valorizzazione capitalistica dei propri averi, utile per le finalità dell’individuo e della collettività, secondo il disegno divino: la formazione delle grandi organizzazioni economiche private e pubbliche nutrirà il pessimismo dell’autore che lamenta la scomparsa dell’ascesi mondana nella “gabbia d’acciaio” del capitalismo. 10 Il tormentato Concilio di Trento (1545-1563) che, nelle aspirazioni degli organizzatori, doveva conciliare la chiesa cattolica con il protestantesimo, si rivelò una cruda Controriforma, intransigente nelle sue tradizioni: le religioni e le chiese, come le istituzioni economiche e giuridiche si divaricarono, assumendo connotazioni più mercantiliste nei paesi protestanti e maggiormente solidali nei paesi cattolici. 11 La guerra dei trent’anni (1618-1648) fu una guerra che coinvolse tutta l’Europa: iniziata come guerra di religione tra stati protestanti e cattolici, si sviluppò come conflitto politico per l’egemonia europea. Con i trattati di Münster e di Osnabrück (entrambe città della Westfalia) del 1648 si realizzò, pur sotto l’ombrello del sacro romano impero, una essenziale autonomia dei singoli territori. 12 La filosofia politica dello Stato moderno, attraverso le varie evoluzioni del patto sociale istitutivo dell’ordine politico, dal leviatano di Hobbes alla society di Locke, alla volontà generale di Rousseau, alla legge morale di Kant, aveva delineato, con varie articolazioni, i concetti di sovranità, rappresentanza, uguaglianza davanti alla legge, diritti e libertà per l’astratto soggetto di diritto, nutriti delle idee del giusnaturalismo e dell’illuminismo. Da tali connotazioni si muoveranno le riflessioni della postmodernità che, ad eccezione delle deviazioni totalitarie novecentesche, porranno al centro della riflessione politica la condizione dell’uomo e la persona umana in una società condivisa e solidale. 13 L’esperienza mercantilista del ’600 e del ’700 accresce la vocazione alla intrapresa economica e alla formazione di ricchezza privata, ponendo le basi dello sviluppo capitalistico. Le antiche corporazioni perdono gradualmente di autonomia, rimanendo assorbite nell’organizzazione statale come pubbliche istituzioni. L’ordinamento dei rapporti commerciali perde la tendenziale uniformità europea della lex mercatoria per divenire diritto statale dei singoli Stati assoluti. Rimarranno molte delle regole di favore che si erano dati i mercanti nel periodo comunale, sotto forma di “privilegi” accordati dallo Stato assoluto, che può in ogni momento revocarli. La stessa qualità di commerciante, per le connesse regole di favore, è accordata dallo stato e perciò dal sovrano: la disciplina dei mercati diviene diritto dello Stato.
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’700 si svolge una laicizzazione della società con riconversione dell’attenzione dal celeste al terreno, dal divino all’umano 14. Anche il sapere giuridico europeo è attraversato da un forte filone di pensiero: si afferma il giusnaturalismo razionale che innerverà le idee dell’illuminismo e le categorie da questo elaborate. Pur nella varietà delle voci 15, c’è un’assoluta fiducia nella ragione quale principio e fondamento di ogni regola: gli unici mezzi di accesso all’ordine della natura sono l’osservazione e la razionalità. Una simile concezione alimenta la rivoluzione liberale contro la stratificazione della società per classi di appartenenza, consegnata dalla tradizione degli stati assoluti. Può considerarsi manifesto essenziale della nuova epoca la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, approvata dall’assemblea costituente francese il 26 agosto 1789, nella quale, sulla scorta di affermazioni di principio già contenute nella dichiarazione inglese (il Bill of Rights del febbraio 1689) e in quella americana (la Costituzione degli Usa del 1787), vengono affermati i diritti naturali ed imprescindibili dell’uomo, dove “libertà” e “uguaglianza” si incontrano con “fratellanza”, additando un nuovo filone ideologico. La forza rivoluzionaria della libertà è coniugata con la potenza vitale della volontà. Emergono le categorie giuridiche della modernità, modellate nella dimensione del soggetto astrattamente concepito e unitariamente inteso: queste categorie perverranno fino all’attualità, alimentando i primi elementi dei diritti umani, quali saranno in seguito articolati e ampliati. L’unitarietà del soggetto di diritto, legata alla nascita, recide la stratificazione sociale in classi con diversificati statuti di diritti e obblighi: il soggetto, come tale, è portatore di diritti e doveri verso e contro lo Stato, con i corollari della uguaglianza dei soggetti davanti alla legge e della inviolabilità dei diritti dell’uomo anche da parte dei poteri pubblici. L’esplicazione della volontà, quale momento terminale di processi individuali (più o meno) razionali, realizza il contenuto dei diritti naturali. È valorizzato il concetto di soggettività dell’individuo contro il potere assoluto. Trova massima espressione la categoria dei diritti soggettivi , considerati connaturati alla natura umana ed espressivi del “potere della volontà garantito dal diritto”. L’imperio dello Stato (e dunque del diritto oggettivo) vale a garantire la esplicazione dei diritti innati degli individui. Sulla forza della libera volontà si svolge la elaborazione teorica della categoria del negozio giuridico, inteso quale atto concettualmente unitario, esplicativo della manifestazione di volontà del soggetto, rivolta ad uno scopo pratico tutelato dall’ordinamento, atteggiandosi il soggetto come artefice degli effetti giuridici. È valorizzato il fondamento naturale del diritto di proprietà, come espressione di libertà: è un diritto necessariamente unitario e tendenzialmente assoluto e illimitato, potendo incontrare solo i limiti previsti dall’ordinamento in numero chiuso (tipicamente i diritti reali limitati), non essendo consentito ai privati introdurre altri vincoli. La rivendicata libertà di sfruttamento dei terreni comporta l’eliminazione dei tradizionali limiti e 14 C’è molto in comune nel ’600 fra la luce pittorica di Rembrandt (che squarcia le ombre) e il razionalismo filosofico di Cartesio (che riscopre l’esistenza nell’esercizio del dubbio), rivoluzionando la filosofia moderna: l’insistenza all’autoritratto del primo si coniuga con l’affermazione del se stesso del secondo, come essenziali riflessioni sulla esistenza umana. 15 A partire da Grozio, e poi, tra gli altri, Pufendorf, Thomasius, Diderot, Voltaire, Montesquieu.
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oneri (quali decime, livelli, ecc.) tradizionalmente spettanti all’aristocrazia quando gli stessi venivano dati in uso. La proprietà ancora concorre al tessuto sociale e giuridico dello stato moderno: è solo divenuta “contendibile” e acquisibile in modo pieno in ragione del principio di libertà economica, con eliminazione dei tradizionali vincoli e privilegi in favore di nobiltà e clero. La rivendicata libertà di sfruttamento dei terreni comporta l’eliminazione di limiti ed oneri (quali decime, livelli, ecc.) tradizionalmente spettanti all’aristocrazia quando gli stessi venivano dati in uso. La proprietà ancora concorre al tessuto sociale e giuridico dello stato moderno: è solo divenuta “contendibile” e acquisibile in modo pieno in ragione del principio di libertà economica, con eliminazione dei tradizionali privilegi e vincoli di nobiltà e clero. Analogamente il diritto di intrapresa economica è libera espressione dell’uomo naturale, che implica libertà economica di accesso alla proprietà dei mezzi di produzione, di commercializzazione dei beni prodotti e di accesso al mercato con connessa libertà di concorrenza. Il diritto di credito è avvertito e tutelato nella essenziale e astratta struttura formale di rapporto tra consociati, isolato dai contesti socio-economici nei quali matura il ricorso alla cooperazione altrui e di come il rapporto è eseguito. Una considerazione volontaristica attraversa pure la responsabilità civile, atteggiandosi come meccanismo sanzionatorio per il soggetto che non fa buon uso della libertà, con una condotta ingiusta in quanto non conforme all’ordinamento, che arreca danni a terzi; con il corollario che in assenza di volontarietà dell’azione non c’è responsabilità, senza riguardo alle esigenze della vittima. Fondamentale collante è il principio di certezza del diritto come ragione di prevedibilità della norma applicata. È un fondamentale principio dello stato moderno, con un duplice obiettivo: da un lato, di conoscenza degli effetti giuridici dell’azione umana e di calcolabilità economica degli investimenti, come presupposti di efficienza economica; dall’altro, di liberare il cittadino dalle sopraffazioni del potere con l’applicazione di norme a proprio piacimento, come garanzia di libertà e uguaglianza davanti alla legge. Il principio era anche di agevole applicazione in ragione del monopolio statale della legge e della sua applicazione, come delle forze armate; la certezza era modulata sulle sole norme di fonte statale. Gli atti di stato civile, quali fonti di statuti giuridici di diritti e doveri, hanno fatto da formidabile sostegno alla certezza del diritto. Si vedrà come, nella postmodernità, l’ampliamento delle fonti del diritto e la valorizzazione dei contesti di svolgimento della persona umana hanno reso più complessa e ardua la garanzia di conoscenza dell’applicazione del diritto. All’esito di tale percorso il diritto privato si pone come disciplina dei rapporti tra privati sostenuti dalla libertà di autodeterminazione, mentre il diritto pubblico si caratterizza quale disciplina della organizzazione dello Stato e dei rapporti tra Stato e cittadini, nella realizzazione di interessi generali. In tal guisa diritto privato e diritto pubblico esprimono diverse sfere di incidenza in ragione della natura degli interessi regolati: secondo l’antica ricostruzione ulpianea, il diritto privato fissa l’ambito degli interessi particolari (di individui e gruppi) per il cui soddisfacimento è predisposto, mentre il diritto pubblico segna il campo degli interessi generali, alla cui cura è preordinato. Più in generale, il diritto privato è espressione della “società civile”, mentre il diritto pubblico è imposto dal
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potere sovrano, che regola la “macchina dello Stato” e le “condizioni essenziali” della vita civile 16. Si vedrà della funzione essenziale assunta dalle categorie privatistiche, non solo nella elaborazione dei codici civili, ma anche nella formazione delle carte costituzionali dell’ottocento: gli stessi codici civili si atteggiano con valenza fondativa ordinamentale per fissare i diritti del civis inviolabili dallo Stato.
3. Le codificazioni in senso moderno. Codice civile francese (cod. nap.) e codice civile del 1865; i codici di commercio. – Il delineato volto del diritto privato permea l’esperienza delle codificazioni in senso moderno. Vocazione somma è di edificare un diritto unitario per il civis come tale, astrattamente considerato. I codici, per il carattere generale e astratto dei principi e delle categorie che li sostanziano, sono considerati universali ed immutabili e perciò utilizzabili nel tempo e in più paesi. Nella compilazione, il codice si presenta come un sistema di norme strutturato in modo organico (per riguardare un intero settore) e sistematico (per il coordinamento logico che lo sorregge), realizzando una semplificazione nel rinvenimento della disciplina: un testo ordinato ed ordinante di regole e principi, che abbandona particolarismi giuridici in funzione dell’unità del soggetto di diritto. Fondamentali codici sono ancora vigenti (v. appresso); discipline successive ai codici (c.d. novelle), talvolta entrano in tali testi aggiungendo o sostituendone parti, talaltra si collocano al di fuori, in ogni caso orientando la disciplina complessiva. a) Massima espressione di tale impostazione è il code civil des français promulgato il 21 marzo 1804 (c.d. code napoléon per essere stato voluto e influenzato da Napoleone), forgiato secondo i principi espressi dalla rivoluzione francese 17 (tuttora in vigore sebbene variamente novellato). Il diritto privato, con il codice napoleonico, diviene diritto dello Stato, che fa propri i valori e le aspirazioni della società civile e specificamente delle sue classi dominanti: lo stesso diritto civile si atteggia a dottrina del codice civile. Fiorisce una scienza giuridica casistica ed esegetica, di esposizione ed analisi della lettera della legge 18. Il codice napoleonico rovescia il sistema pluralistico delle fonti espresso dal diritto comune, inaugurando la stagione delle codificazioni moderne che da quella esperienza prenderanno le mosse. Si presenta come prima forma significativa di un diritto privato codificato, di ispirazione laica e individualistica. Muta anche il modello di regolazione: la disciplina dei rapporti tra privati è espressa in leggi generali ed astratte da valere per un 16 È la sistemazione concettuale che trova compiuta espressione specie in DOMAT, Les lois civiles dans leur ordre naturel (1689). 17 Il codice recepiva la tradizione del diritto romano, rielaborata nella prospettiva giusnaturalistica da Domat; ma si apriva anche all’esperienza del diritto consuetudinario (coutumes) maturato nella vita dei traffici, che Pothier aveva riorganizzato nel solco del diritto romano. In Francia il codice civile provenne dagli autori della rivoluzione e dal suo principale tribuno (Napoleone); nel resto dell’Europa i codici derivarono da un potere regio illuminato: es. il codice prussiano del 1794 e il codice austriaco del 1811. 18 Nell’ispirazione concettuale la interpretazione esegetica avrebbe implicato il formarsi di una giustizia uniforme, in quanto dedita solo all’applicazione della legge. Fiorirono imponenti commentari del code civil (come quelli di Duranton, Demolombe, Troplong). La scuola della esegesi finì però con l’irrigidire l’interpretazione sulla volontà del c.d. legislatore storico (cioè di quello che emana la legge), non consentendo una interpretazione evolutiva delle norme.
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lungo periodo per il cittadino come tale. Più tardi, con analogo ordine logico, sarà teorizzata la unitarietà del cittadino commerciante e del cittadino che agisce in giudizio o che delinque: è del 1806 il codice di commercio (code de commerce); del 1807 il codice di procedura civile e del 1810 il codice penale. Al codice napoleonico si conformeranno i codici dei singoli Stati italiani preunitari 19; ciò spiega perché, dopo pochi anni dall’unita d’Italia (1861), fu possibile redigere agevolmente il cod. civ. del 1865 per il Regno d’Italia, secondo le indicazioni dei codici preunitari. Tale nuovo codice, nel prendere a modello il cod. nap. 20, ebbe il torto di non riflettere la realtà socio-economica quale nel frattempo era andata evolvendo, in particolare non prestando attenzione ai problemi che l’industrializzazione faceva già emergere. Il cod. civ. unificato, al pari del modello francese, ruota per intero intorno alla “proprietà”: dei tre libri di cui si compone, il primo è dedicato alle persone e alla famiglia, il secondo riguarda i beni, la proprietà e le sue modificazioni, il terzo regola i modi di acquisto della proprietà. In tal guisa anche il contratto, le successioni, i patti matrimoniali sono accorpati e valutati nella unitaria prospettiva di meccanismi di circolazione della proprietà. Significativamente sia l’art. 544 code civil che l’art. 436 cod. civ. del 1865 recitano: “La proprietà è il diritto di godere e disporre delle cose nella maniera più assoluta, purché non se ne faccia un uso vietato dalle leggi o dai regolamenti”. Si ripropone una riorganizzazione e concentrazione dei poteri sulle cose secondo il modello già impiegato da Giustiniano, ma con una diversa ispirazione politica. I Digesta di Giustiniano avevano formalizzato il principio del numerus clausus dei diritti reali, contro la varietà dei vincoli alla utilizzazione dei beni espressa dalla fiducia dei romani nelle potenzialità dell’autonomia dei privati. Il cod. civ. del 1865 riprendeva il principio di tipicità dei diritti reali, contro la dottrina del dominio diviso (plura dominia) espressa dalla esperienza feudale, come reazione alla stratificazione in classi della società nell’utilizzo delle cose. La esaltazione della volontà individuale comportava che i contratti avessero forza di legge tra le parti (artt. 1134 code civil e 1123 cod. civ. 1865) 21. La possibilità di trasmettere i diritti per effetto del consenso, da un lato, garantiva all’aristocrazia di non essere privata dei propri beni senza il proprio consenso; dall’altro, consentiva alla borghesia commerciale di accedervi facilmente, convogliando verso la proprietà le risorse economiche che la rivoluzione industriale stava progressivamente formando. L’affermazione 19 Il codice napoleonico entra in vigore per il regno italico (cisalpino) nel 1806 e farà da modello ai codici estense, parmense e del regno delle due Sicilie del 1819 (il più fedele al modello francese). 20 Con accenti retorici rilevava Pisanelli, massimo ispiratore del cod. civ. del 1865, come, in realtà, il cod. nap. rispecchiasse principi del diritto romano e perciò fosse un diritto “restituito” all’Italia. 21 Ampio è il riconoscimento dell’autonomia privata, di cui è garantita la volontà degli autori dell’atto (artt. 1109 ss. code civil e artt. 1108 ss. cod. civ. 1865). La laicità dello Stato comporta la configurazione del matrimonio civile quale unica forma di matrimonio (art. 165 code civil e art. 93 cod. civ. 1865) (consentendo il code civil anche il divorzio: artt. 229 ss.). I contratti di matrimonio, quali atti di sistemazione patrimoniale della vita familiare, sono annoverati tra i modi di acquisto della proprietà (art. 1587 code civil e art. 1378 cod. civ. 1865); ed in materia successoria sono soppressi fedecommessi, maggiorascati, ecc., vuoi per la discriminazione che contenevano tra membri di una medesima famiglia, vuoi per la sottrazione di beni alla libera commerciabilità. C’è una indifferenza, se non un’ostilità, verso le forme di vita associata in quanto limitano l’esplicazione della libertà dei singoli: si ha riguardo ai soli “corpi morali legalmente riconosciuti” (art. 2). Il rapporto di lavoro è collocato nello schema del contratto di locazione, che può avere ad oggetto le cose come le opere (art. 1708 code civil e art. 1627 cod. civ. 1865).
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del diritto di libertà economica consentiva poi alla classe industriale emergente di sottrarsi al controllo e alle ingerenze che avevano caratterizzato l’azione delle monarchie assolute. b) Dopo la fondamentale rivoluzione scientifica che aveva consentito all’uomo di dominare la natura, a seguito delle innovazioni tecnologiche del settecento, prima con le applicazioni della macchina a vapore di Watt e poi con l’affermazione del motore a scoppio e di nuove fonti di energia, si svolge la c.d. rivoluzione industriale che segna la definitiva trasformazione del modello di vita e di organizzazione sociale. La introduzione dell’automazione nei processi produttivi innova il sistema economico, determinando la formazione di una ricchezza che dapprima affianca ma che poi sovrasterà la rilevanza e la logica proprietaria 22. In luogo del mercante che traeva profitto dal divario di valore tra i beni acquistati e quelli collocati sui mercati, anche lontani, il nuovo imprenditore forma il lucro attraverso la produzione, realizzata al più basso costo possibile e in quantità sempre maggiore e collocata sul mercato al più alto prezzo possibile. Con l’industrializzazione si completa il definitivo contrasto all’assetto agrario-feudale intrapreso dalla precedente borghesia mercantile, anche perché i privilegi e le immunità che competevano all’aristocrazia sono ormai disgiunti dalle funzioni pubbliche (di difesa militare e di governo) che in passato li legittimavano, sì da apparire come odiosi e ingiustificati: veri e propri “abusi feudali”. Inizia un percorso di produzione di massa che andrà progressivamente intensificandosi e dilatandosi fino a coprire i mercati mondiali. Con i piedi piantati nella economia commerciale ma con il volto rivolto ad assecondare le affioranti esperienze della produzione industriale, emergono i primi modelli di codici di commercio. Sull’esempio del cod. comm. francese del 1806, il cod. comm. del 1865 e ancor più il cod. comm. del 1882 introducono una legislazione particolare per gli atti di commercio. I contratti sono riguardati non più come modi di accesso alla proprietà (immobiliare), quale ricchezza finale (come era nella indole del code nap. e del cod. civ. del 1865), ma valutati e regolati quali strumenti dell’attività economica, rivolti all’approvvigionamento dei fattori della produzione e alla collocazione dei prodotti, dal cui scambio deriva la (nuova) ricchezza finale. Molti contratti trovano disciplina differente nel cod. civ. e nel cod. comm. (ad es. c’è la vendita civile e la vendita commerciale), con significative diversità in favore dell’impresa. In virtù dello stesso diritto statale è operata una diversità di regolazione giuridica in ragione della possibilità o meno di qualificare l’atto compiuto come “atto di commercio” per la qualifica degli autori dell’atto; gli atti 22 Negli opifici collocati nelle aree urbane accorrono e si concentrano soggetti che alienano la propria forza fisica in corrispettivo di salari: artigiani e contadini affluiscono progressivamente negli opifici, cedendo non più un prodotto finito (come per il passato) ma senz’altro una prestazione lavorativa alle dipendenze di chi organizza la produzione. Emerge la figura dell’imprenditore in senso moderno, come colui che combina e organizza i fattori della produzione, creando nuova ricchezza. Scriverà C. CIPOLLA (2005): “Da allora il mondo non fu più lo stesso”. La rivoluzione industriale – prosegue l’Autore – trasformò l’uomo da agricoltore-pastore in manipolatore di macchine azionate da energia inanimata. La maggior parte della popolazione tende a vivere in grossi agglomerati urbani; l’esasperata divisione del lavoro e il lavoro di gruppo implicano un più continuo, più preciso e nel contempo più impersonale e più opprimente rapporto con altri simili. Ormai anche tra i romanisti sta emergendo l’idea che, con il modello di produzione industriale, la storia è “spezzata” (A. SCHIAVONE 1996). Derivano forti mutamenti sociali, formandosi una classe operaia composta di contadini sradicati dalle campagne e artigiani allontanati dalle botteghe, che vanno ad ingrossare una platea indistinta di dipendenti nelle fabbriche, ormai sciolti dai legami di appartenenza sociale e territoriale.
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compiuti dal cittadino con un commerciante sono soggetti alla legge commerciale, di favore del commerciante 23.
4. Il codice civile tedesco (BGB). – Con le codificazioni le esperienze del giusnaturalismo e poi dell’illuminismo avevano trovato il proprio trionfo ma anche segnato l’inizio del declino, in quanto i principi di diritto maturati si depositavano in leggi scritte nazionali, perdendo il connaturato carattere di universalità ideale. Si sviluppa in Germania nella prima metà dell’800 la c.d. scuola storica del diritto 24 che ricostruisce la società come attraversata da una perenne evoluzione, contro la statica universalità razionale dei giusnaturalisti, che ormai si rivela una mera astrazione. C’è una riscoperta del diritto romano come essenziale antecedente dello sviluppo del pensiero giuridico; sull’esperienza di studio medievale del diritto romano si dà luogo ad un usus modernus pandectarum 25. Il diritto positivo, come per i giusnaturalisti, rimane l’unica realtà osservata dai giuristi; però è organizzato con criterio sistematico, sì da enucleare ed elaborare principi generali che ispirano l’ordinamento, onde governare logicamente l’applicazione del codice a nuove figure (c.d. dogmatica) 26. Massima espressione della dogmatica pandettistica fu l’elaborazione del codice civile tedesco (Burgerliches Gesetzbuch), comunemente indicato con le iniziali BGB, adottato nel 1896 e in vigore dal 1° gennaio 1900 (tuttora in vigore sebbene variamente novellato). La tradizione del diritto romano permea l’intero codice, adattata alla realtà socio23
Il cod. comm. del 1882 si apre con la indicazione: “In materia di commercio si osservano le leggi commerciali. Ove queste non dispongano, si osservano gli usi mercantili … In mancanza si applica il diritto civile” (art. 1). “Se un atto è commerciale per una sola delle parti, tutti i contraenti sono per ragione di esso soggetti alla legge commerciale, fuorché alle disposizioni che riguardano le persone dei commercianti, e salve le disposizioni contrarie della legge” (art. 54); a tale norma si connette l’altra, per cui “se l’atto è commerciale anche per una sola delle parti, le azioni che ne derivano appartengono alla giurisdizione commerciale” (art. 870). Ciò importava che, nei rapporti con le imprese, i comuni cittadini (cioè i consumatori) venivano assoggettati alla legge di favore per le imprese: scelta vivacemente criticata da C. VIVANTE (1895). 24 Lo studio storico del diritto è essenziale criterio di rilevazione e di comprensione del formarsi delle regole giuridiche: il diritto non proviene dalle sole fonti statali, assumendo un ruolo fondamentale la consuetudine. Per Savigny uno “spirito del popolo” (Volksgeist) attraversa ogni comunità nazionale informando le espressioni della cultura, compreso il diritto. Esiste una connessione tra materia (la realtà sociale espressa dalla storia) e forma (il diritto quale strumento di organizzazione sistematica della prima). 25 Il diritto romano, che mai aveva smesso di operare, riceve rinnovata vitalità. Con lo sviluppo della Scuola storica del diritto (sec. XVIII-XIX specie con Savigny), attraverso l’opera di Puchta, si ritornava al corpus giustinianeo studiando criticamente le Pandette ad opera della Pandettistica (nel sec. XIX specie Windscheid riassunse i risultati dell’intero movimento). 26 È il trionfo della c.d. scuola sistematica, che si oppone alla scuola esegetica formatasi nel segno del codice napoleonico. L’intero ordinamento è organizzato sistematicamente intorno a principi generali (come espressioni dello spirito del popolo) da cui derivano in forma piramidale i concetti di grado man mano inferiore e dunque le regole di ogni istituto giuridico. Sulle indicazioni del formalismo kantiano si afferma la funzione ordinante delle categorie logiche nella conoscenza scientifica, tendendo le costruzioni dottrinali a inquadrare logicamente la realtà: la verità scientifica è saggiata dalla coerenza interna delle categorie utilizzate. Osserva WINDSCHEID, figura emblematica della corrente c.d. pandettistica, come “considerazioni di carattere etico, politico o economico in quanto tali non sono materia propria del giurista”. All’autorità spetta solo di fissare la forma di organizzazione politica che garantisca la libertà individuale (sia personale che nell’utilizzo dei beni) in un contesto di uguaglianza formale dei privati e di neutralità del diritto, rinunziando a formulare un contenuto assiologico (impianto in prosieguo vivacemente contestato).
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economica del tempo, ormai pervasa dalla industrializzazione 27. Con un linguaggio colto e tecnico la materia del diritto privato è pensata ed organizzata secondo categorie logiche, generali ed astratte. Elaborato da professori, non è accessibile all’uomo comune ma ai tecnici del diritto, manifestando profondità culturale e valenza didattica 28. È significativa della struttura del codice la Parte generale dedicata alla disciplina di persone (fisiche e giuridiche), cose, negozi giuridici, decadenza e prescrizione, esercizio dei diritti e tutela 29. Il processo di astrazione in funzione della unità del soggetto di diritto trova la massima espressione con la formulazione della figura del negozio giuridico, come manifestazione di volontà rivolta ad uno scopo tutelato dall’ordinamento giuridico. Prende slancio da tale generale definizione un approfondito filone di elaborazione scientifica del negozio giuridico, che durerà a lungo 30.
5. Il codice civile del 1942. – Il legislatore italiano, che alla metà degli anni ’30 dà avvio all’opera di rinnovazione del codice civile, assimila i modelli di entrambe le grandi codificazioni del diritto privato 31. Il codice civile del 1942 32 muove dall’impianto del code nap. (e dunque del cod. civ. del 1865), ma utilizza tecniche di generalizzazione proprie del BGB, come la previsione di “disposizioni generali” (es. artt. 456 ss., 832 ss., 1470 ss.) e l’introduzione di “clausole generali” (es. artt. 1366, 1375). Quanto al contenuto, lo stesso, benché veda la luce durante il fascismo, non è pervaso dalle istituzioni proprie del regime (come il corporativismo), che sono regolate fuori dal codice nella Carta del lavoro 33, alla quale si rinvia mediante richiami: ciò ha fatto sì che, alla caduta del regime, sia stato possibile eliminare le sovrastrutture del regime mediante l’abrogazione dei richiami 34, perché il codice potesse continuare a svolgere la sua funzione. Il codice, nella sostanza, 27 Ha osservato F. WIACKER (1980) come il codice tedesco, quale diritto privato generale ed astratto, “orienta fondamentalmente il proprio sistema non a principi sociali di vita bensì alle manifestazioni concettuali del diritto soggettivo”. Il medesimo autore descrive la situazione della società da cui esso nasce come caratterizzata da una “rivoluzione industriale avanzante che fa della libertà contrattuale ed associativa mezzi di accumulazione di potere sociale ed economico”. 28 Influenzato dal codice civile tedesco, ma con felice sintesi tra diritto comune e tradizioni locali e un’apertura all’intervento del giudice, è il codice civile svizzero (codice della Confederazione elvetica), adottato il 10 dicembre 1907 e in vigore dal 1912; è del 1911 la legge federale di complemento del codice civile contenente il libro quinto relativo al diritto delle Obbligazioni (comprensivo del diritto commerciale). 29 Un epilogo di tale pensiero si avrà con la c.d. dottrina pura del diritto elaborata da KELSEN. Contro la deriva del naturalismo giuridico, il diritto è ricondotto alla sua ontologica matrice formale di comando, depurato di connotazioni sociali. L’attenzione è rivolta alla struttura del diritto, presentandosi il diritto come complesso organico di norme: il metodo di analisi e di elaborazione concettuale non può che essere quello positivista, per i caratteri di positività ed effettività del diritto. Anche questa dottrina sarà criticata. 30 La scuola sistematica si diffonde nei nostri studi, divenendo metodo generalmente accolto: la formazione della “Triplice alleanza” con Austria e Germania (dal 1882 al 1915) apre la cultura italiana e dunque anche gli studi giuridici ad una forte permeazione tedesca. 31 Significativa era stata la posizione di E. GIANTURCO che, già alla fine dell’800, invitava a non imitare i tedeschi o copiare i francesi, là dove era necessario disporsi a quel “giusto mezzo a cui inconsapevolmente tende l’intelletto italiano”. 32 Il codice è approvato con R.D. 16.3.1942, n. 262, ed entra in vigore il 21.4.1942, sostituendo i libri del codice stesso in precedenza autonomamente approvati. 33 La Carta del Lavoro è uno dei documenti fondamentali del fascismo: approvata il 21 aprile 1927, ne esprime i principi sociali, la dottrina del corporativismo, l’etica del sindacalismo e la politica economica. 34 Vedi R.D.L. 9.8.1943, n. 721, e D.Lgs.Lgt. 27.11.1944, n. 369.
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esprime la vicenda economico-sociale propria dell’Europa di quegli anni: codifica le grandi conquiste ideali del liberalismo dell’800, modellando i singoli istituti secondo le esigenze emerse dal mondo delle attività economiche o connaturate allo sviluppo dei traffici 35. Manca a tale codice (come del resto era mancata al codice tedesco) quella dimensione ideale rivoluzionaria che aveva caratterizzato il codice napoleonico. Quest’ultimo aveva consacrato l’esito di una lunga stagione di lotta per la conquista delle libertà dell’individuo contro il potere assoluto; al tempo della codificazione del 1942 tali ideali erano ormai un portato acquisito e comune delle società europee. L’esperienza tedesca della Costituzione di Weimar del 1919, che aveva formulato la tavola dei diritti sociali della persona umana, aveva avuto breve vita per essere stata travolta nel 1933 dall’avvento al potere del nazismo. Il nostro codice si attesta, per così dire, a metà strada: adotta scelte umanamente più avanzate oltre che tecnicamente più raffinate di quelle del cod. civ. del 1865; però rispecchia gli sviluppi del capitalismo dell’epoca e introduce ragioni di equità sociale. Tratto saliente del codice civile è la unificazione della normativa civilistica e di quella commercialistica in un unico codice, mentre nel resto d’Europa rimaneva la distinzione tra codice civile e codice di commercio 36. In realtà il cod. civ. del 1865 regolava in via esclusiva persone, famiglia, successioni e proprietà; mentre la disciplina di impresa e società (e della navigazione) era esclusivamente collocata nel codice di commercio: solo dunque obbligazioni e contratti erano disciplinati in entrambi i codici. Sicché la unificazione nel 1942 dei due codici di diritto privato (e l’autonoma organizzazione di un codice della navigazione) comportava sostanzialmente la unificazione della disciplina di obbligazioni e contratti. E in tale fusione, in presenza di un divario di disciplina tra i due codici, furono essenzialmente le norme del codice di commercio (quale codice dell’impresa) a prevalere sulle tradizionali regole del codice civile (quale codice della proprietà) 37. La tecnica legislativa adoperata fu il metodo dell’economia (come si usava dire al tempo della codificazione), perché le forme giuridiche corrispondessero alla sostanza economica dei fenomeni. Tale metodo fece prediligere soluzioni più congrue ad esigenze socio-economiche piuttosto che rispondenti ad elaborazioni concettuali. Non è prevista la categoria del negozio giuridico (come invece è presente nel codice civile tedesco), ma 35 Ha osservato R. NICOLÒ (1960): “Per la prima volta l’istituto giuridico dell’impresa, come situazione oggettiva che fa capo all’imprenditore, si pone al centro del sistema del diritto privato. Proprietà e impresa, come categorie parallele, costituiscono insieme alla categoria parallela del lavoro, i filoni fondamentali del nostro codice, e sotto questo profilo rappresentano esattamente gli aspetti primari della nostra organizzazione sociale e della nostra struttura economica”. 36 Per la Relaz. cod. civ. si voleva formulare un codice organico e unitario che contenesse la “disciplina dell’economia organizzata”, dove al concetto di “cittadino” della rivoluzione francese si sostituisse quello di “produttore”, cioè della persona che partecipa attivamente con la propria azione individuale all’azione comune di aumento della potenza e del benessere della Nazione, come potenza e benessere di tutti. Dal 1888 era venuta anche meno la duplicità della giurisdizione civile e commerciale. 37 Osserva la Relaz. cod. civ., n. 554, come l’unità del diritto delle obbligazioni fu realizzata riconoscendo virtù espansiva ad alcune norme del codice di commercio, nate nella vita rigogliosa e agile dell’attività mercantile, con tale duttilità che in gran parte potevano dimostrarsi adatte a soddisfare pure le nuove esigenze dell’economia nazionale.
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è regolato il contratto, come figura più aderente alla vita dei rapporti economici. E il contratto è disciplinato con particolare riguardo alla sua funzione di strumento di scambio in una economia di mercato 38. Il codice civile del 1942 è tuttora in vigore. A tale longevità hanno concorso due fondamentali circostanze: l’una interna al codice, per l’ampio impiego di clausole generali (come buona fede, diligenza, ecc.) che hanno consentito di attingere a criteri e regole di comportamento aderenti al mutare dei tempi; l’altra esterna al codice, per il processo di novellazione cui è continuamente assoggettato, vuoi con la sostituzione o modificazione di normative (es. la riforma del diritto di famiglia, la riforma della disciplina delle società di capitali e delle società cooperative), vuoi con l’aggiunta di nuove discipline (es. la normativa sull’amministratore di sostegno, quella sul patto di famiglia). Altre normative, anche rilevanti, sono fiorite accanto al codice civile (es. la normativa sul divorzio, il codice del consumo, il t.u. dell’intermediazione finanziaria, ecc.). Nonostante l’incalzare di leggi complementari, il codice civile conserva un ruolo sistematico fondamentale per esprimere, non solo la disciplina più nutrita del diritto privato, ma anche una trama di concetti e un linguaggio in grado di guidare la razionalizzazione e la sistemazione della frammentaria legislazione complementare. L’impianto concettuale del codice civile è di recente sottoposto a notevoli strappi e ripensamenti in conseguenza delle normative di origine europea spesso espressive di logiche e categorie estranee alla tradizione giuridica del codice. Le aree maggiormente stravolte risultano, da un lato, il diritto delle persone e della famiglia per l’emergere di nuovi modelli di relazioni familiari e l’affermazione dei diritti della persona umana, e dall’altro l’impresa per evolvere la sua rilevanza nel più generale diritto dell’economia, connotato dalle esigenze sociali della produttività, del mercato e dell’occupazione; anche la legge fallimentare che nello stesso anno vedeva la luce (R.D. 16.3.1942, n. 267), funzionale alla esecuzione concorsuale del credito, è sopravanzata dalla esigenza di salvezza della impresa in crisi (cui ha riguardo il D.Lgs. 12.1.2019, n. 14). L’affermazione dei diritti fondamentali della persona umana, secondo i valori espressi dalla Carta costituzionale e dal diritto europeo, costringe il codice civile ad una penetrante rilettura delle singole previsioni, per fornirne una interpretazione ammodernata ai nuovi valori emersi.
6. Le Costituzioni degli Stati moderni. – I valori che pervasero i codici di inizio ’800 orientarono anche le Costituzioni degli Stati moderni, che sancivano le conseguite libertà e garanzie dei cittadini verso lo Stato, segnando i rapporti tra lo Stato stesso ed i consociati (c.d. Stato costituzionale). Il costituzionalismo liberale (nella sua generale accezione) raffigura un potere rispettoso dei fondamentali diritti naturali del cittadino, di vita (nel senso del corpo fisico), di libertà (nel senso di non invadenza) 39 e di proprietà (l’interesse pubblico giustificante l’intervento sulla proprietà deve essere legalmente ac38 Significativamente, oggetto del contratto non è più “la cosa” (art. 1116 cod. civ. 1865), come in una economia proprietaria, ma “la prestazione” (artt. 1346 ss.), connaturata ad un’economica fondata sull’attività e sull’impresa. Per altre indicazioni, v. la Parte VIII. 39 Funzione precipua dello Stato è quella di garantire la coesistenza degli uomini consentendo a ciascuno di esplicare la libertà all’interno della propria sfera giuridica. Il ruolo della legge è nel definire le libertà dei cittadini, gli strumenti di tutela e i modi di partecipazione al potere.
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certato). Una successiva evoluzione delineerà un costituzionalismo democratico, che valorizza la rappresentatività democratica dei cittadini. È affermato il generale modello di Stato di diritto, caratterizzato dai seguenti principi: divisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario); principio di legalità (tutti sono soggetti alla legge, anche i pubblici poteri; uguaglianza dei cittadini davanti alla legge (cui si connette uguaglianza di tutela giudiziaria). A tale principio si connetteva quello della certezza del diritto: non solo della esistenza della regola giuridica, ma anche della sua applicazione e tutela. Criterio guida dell’impianto era la garanzia di libertà e uguaglianza davanti alla legge. È il modello di stato che forgerà i codici della modernità, con le integrazioni valoriali della postmodernità. È un impianto che ha avuto il grande merito di consacrare le libertà faticosamente conseguite, ma che presenta il lato debole di essere svincolato dalla morfologia delle relazioni sociali, astraendo dai condizionamenti delle scelte volitive e dei contesti di vita 40. Espressione di tale stagione fu in Italia lo Statuto albertino 41 del 1848, emanato a seguito di vari moti rivoluzionari, poi esteso al regno d’Italia nel 1861. Ispirato alla costituzione francese del 1830, lo statuto (ottriato, flessibile e breve) regolava la organizzazione dello Stato con una doppia anima: da un lato, di presidio della “Corona” e del potere regio (nel Preambolo veniva definito Legge fondamentale perpetua e irrevocabile della monarchia); dall’altra, di rappresentazione di un governo parlamentare, con articolazione dei tre poteri. Con soli 9 articoli regolava “Dei diritti e dei doveri dei Cittadini”: proclamava l’uguaglianza di tutti davanti alla legge; attribuiva i diritti civili e politici, compreso il diritto di accedere alle cariche politiche, civili e militari; riconosceva i diritti di libertà personale, di domicilio, di stampa e di riunione. Non si faceva però menzione del diritto di associazione, che sarà uno dei diritti fondamentali della successiva Carta repubblicana. Tra i diritti garantiti, accanto a quello di libertà e come espressione dello stesso, c’era il diritto di proprietà: per l’art. 29 “Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili”.
7. La Costituzione repubblicana. Il primato della persona umana. – Dalla seconda metà dell’800 affiorano più eventi che sconvolgono il tessuto socio-conomico che aveva fatto da sfondo alle moderne codificazioni e alle costituzioni dell’epoca. Sul piano economico, la rivoluzione industriale progressivamente affianca, fino a sovrastare, la ricchezza agraria: emerge l’importanza della concentrazione dei capitali e dei valori mobiliari, con l’esigenza di tutela dei vari operatori del mercato; si formano associazioni di 40 Come si vedrà, entrambi i fondamenti dello stato di diritto sono scossi: l’unità del soggetto di diritto è smembrata nei tanti volti assunti dall’uomo nella varietà dei contesti in cui opera e in funzione delle appartenenze che lo connotano; la libertà incontra vari condizionamenti: il passato di ognuno, e poi la dimensione naturale e biologica, l’impellenza del bisogno economico, l’affettività vissuta. Anche la generale acquisizione del metodo democratico non mette al riparo dalla formazione di una autorità della maggioranza: si sviluppa il tema dei rapporti tra indipendenza individuale e controllo sociale, tra libertà e autorità; alla metà dell’Ottocento sono dirompenti i contribuiti di Tocqueville (sulla democrazia in America) e di Stuart Mill (sulla libertà). 41 È una Costituzione di carattere ottriato (in quanto derivante da una concessione del sovrano), ma con una sorta di approvazione popolare legata alle pronunce nei plebisciti. È inoltre una Costituzione flessibile in quanto modificabile con legge ordinaria.
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tutela dei consumatori per trasparenza contrattuale e riequilibrio delle regole imposte da moduli e formulari. Sul terreno sociale la industrializzazione determina la concentrazione della forza lavoro nelle aree industriali, con le rivendicazioni dei lavoratori per migliori condizioni salariali e di vita sul lavoro: si intensifica un “contromovimento” delle classi operaie in forme collettive sempre più organizzate fino alle formazioni sociali sindacali. In campo politico, l’universalismo proclamato dai giusnaturalisti è contraddetto dalla diversità delle realtà nazionali e dagli equilibri di potere che la borghesia emergente volta a volta instaura con le classi tradizionalmente detentrici del potere 42. Acquisiti come irrinunciabili i portati della rivoluzione liberale dei diritti del civis contro lo Stato, si guarda da più parti allo Stato per conseguire ausili all’azione economica e tutela delle debolezze esistenziali e sociali. Dal tronco del Settecento “illuminista” e dell’Ottocento “borghese” evolve una nuova fase storica che si è soliti delineare di “postmodernità”, che si svolge, dentro lo Stato, con l’affermazione di autonomie locali, società intermedie e gruppi organizzati; e oltre lo Stato, con l’apertura a relazioni internazionali, partecipazione alla comunità europea e crescita delle fonti del diritto. L’individuo isolato e astrattamente unitario, che aveva orientato la formazione dei codici moderni, viene reintegrato nella realtà delle relazioni sociali in cui vive ed opera, valorizzandosi appartenenze e contesti di collocazione 43 e i conflitti sociali determinati. Le tradizionali categorie giuridiche della rivoluzione illuministica escono ridisegnate, a cominciare dal diritto soggettivo che è ricostruito come “interesse giuridicamente protetto”, con ciò aprendosi la strada ad una generale limitazione dei diritti individuali, valorizzandosi il trattamento giuridico degli interessi. Il principio di uguaglianza davanti alla legge è considerato espressivo di uguaglianza formale, valorizzandosi una uguaglianza nella effettività di titolarità ed esercizio dei diritti. Si afferma un nuovo valore, del primato della persona umana, che il costituzionalismo moderno riassume nella indicazione del rispetto della “dignità umana”, come sintesi indistinta di libertà, uguaglianza e solidarietà. La Costituzione tedesca del 1949 si apre con l’affermazione “La dignità umana è inviolabile”, ripresa dalla Carta dei diritti fon42 L’illusione della “volontà generale” (Rousseau) quale fondamento di legittimazione del potere è smentita dalla ristretta base sociale avente diritto al voto. Anche la “divisione dei poteri” (Locke e Montesquieu) non impedisce che i singoli poteri siano espressioni delle medesime classi sociali. 43 Emergono più filoni teorici. L’istituzionalismo (specie con Hauriou) valorizza tutte le forme di organizzazione rivolte a realizzare uno scopo; elaborazione che, in modo distorto, è stata in prosieguo impiegata con riferimento a talune comunità (famiglia, associazioni, ecc.), per designare la prevalenza dello scopo comune rispetto alla persona dei componenti. Il socialismo giuridico (specie con A. Menger 1887 e A. Loria 1893) riceve dal socialismo materiale la lezione che non sussiste una eguaglianza degli individui concreti, per essere gli stessi costretti dalle specifiche condizioni socio-economiche (anche la c.d. libertà negoziale si rivela una mera astrazione): le rivendicazioni delle classi lavoratrici sono incanalate verso un catalogo di “diritti economici fondamentali”, sul modello dei diritti politici fondamentali conseguiti nel secolo precedente; rileverà G. SOLARI (1906), uno dei massimi studiosi italiani del socialismo giuridico, come non si possono impunemente rinnegare secoli di lotta per la conquista delle libertà individuali consacrate nei Codici; il socialismo giuridico si è ritratto da questo errore e anziché contrapporre individuo a società tende a conciliarli sul terreno del diritto privato. Il neogiusnaturalismo, con varie impostazioni, tende a porre un limite alla onnipotenza legislativa con l’affermazione di indisponibilità di alcuni valori essenziali: nella dimensione laica, espressi da acquisizioni etico-giuridiche irreversibili, rivelatrici della dignità umana; nella dimensione cristiana (specie cattolica), abbandonata l’idea di trasferire nella società civile il progetto divino salvifico dell’uomo, ricondotti alla dottrina sociale della Chiesa.
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damentali U.E. nel suo primo articolo. È il senso del costituzionalismo moderno, di imporsi ai cittadini, allo stato e allo stesso legislatore. In questo nuovo contesto le vite delle persone non sono riducibili ad astratti modelli normativi. Intrecciato con lo Stato di diritto, si sviluppa lo Stato dei diritti, che poi diventerà l’Europa dei diritti. Lo Stato di diritto ha riconosciuto libertà in natura, senza costi; lo Stato dei diritti assicura i diritti fondamentali, con soddisfacimento di bisogni che implicano costi di realizzazione, sostenibilità finanziaria e progressività tributaria. Le due declinazioni sono intrecciate, per essere essenziale la garanzia formale dei diritti fondamentali. L’impianto si ritrova nella nostra Costituzione. Una sinergia ideologica sorregge le scelte della Carta: le idee della rivoluzione liberale del secolo precedente e le nuove aspirazioni verso uno Stato socialista-marxista si intrecciano con i dettami della “dottrina sociale” della Chiesa cattolica (specie della enciclica Rerum novarum di Leone XIII del 1891), dando un contenuto sociale alla edificata democrazia (c.d. patto o compromesso costituzionale) 44. La Carta costituzionale, per un verso, reitera l’autonomia dei tre poteri formali tradizionali (legislativo, esecutivo e giudiziario), come esplicazione di neutralità operativa e di garanzia del cittadino; per altro verso, integra i principi di libertà, uguaglianza e fraternità nel primato della persona umana nella sua integralità di dignità umana e nel correlato dovere di solidarietà. A differenza dello Statuto albertino, la Costituzione repubblicana è rigida, in quanto la revisione richiede una procedura aggravata, non quella di modifica delle leggi ordinarie (art. 138). Contiene una disciplina nutrita dei valori essenziali, con la previsione di “Principi fondamentali” (artt. da 1 a 12) e di una Parte I dedicata a “Diritti e doveri dei cittadini” (artt. da 13 a 54). La Costituzione dovrà essere fedelmente osservata come “Legge fondamentale della Repubblica” da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato (disp. XIV). Anche per l’epoca di formazione, la Costituzione si chiude con la previsione che la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale (art. 139), ma la Corte costituzionale ha ampliato l’area della inderogabilità ai valori essenziali 45. Gli artt. 2 e 3 delineano la tavola fondamentale del principio personalista, dal quale tutti gli altri valori derivano. Entrambe le norme sono strutturate nel medesimo modo: una prima parte è rivolta a riconoscere e garantire la inviolabilità dei diritti dell’uomo (espressi dalla tradizione o man mano emergenti); una seconda parte è indirizzata a imporre (a privati e pubblici poteri) l’obbligo di solidarietà politica, economica e sociale per realizzare in fatto il pieno sviluppo della persona umana. In particolare, il vincolo di so44
Sull’idea del primato della persona umana convergevano le ideologie fondamentali che diedero vita alla Carta, anche se le giustificazioni erano diverse: per i cattolici, rappresentava la “trascendenza” della persona, espressiva della divinità; per i marxisti, indicava l’approdo alla “scomparsa dello Stato” nella fase finale del comunismo; per i liberali e laici in genere, significava la “garanzia dei diritti” degli uomini verso lo Stato. Secondo l’immagine che fu data della Carta, la stessa si presentava come una “piramide rovesciata” con un criterio di socialità progressiva: l’uomo è considerato prima nella sua individualità, poi all’interno delle comunità minori, quindi nell’ambito del lavoro e infine dentro la comunità politica; segue quindi la organizzazione statale. 45 Con la fondamentale sent. 29-12-1988, n. 1146, la Corte ha affermato che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale “principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”.
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lidarietà dell’art. 2, da un lato, favorisce la partecipazione di tutti i consociati allo sviluppo del paese; dall’altro, vale a fronteggiare le posizioni di disuguaglianza, imponendo a ognuno il necessario supporto al superamento dello svantaggio altrui. L’art. 3, da un lato, fissa il divieto di discriminazioni (co. 1); dall’altro, impone azioni positive di favore verso posizioni svantaggiate (co. 2) (v. appresso II, 7.3): così l’intervento pubblico di aiuto diviene sostegno dello stesso principio di uguaglianza. Si delinea uno Stato sociale di diritto (v. appresso II, 7.8): ne sono significative espressioni il divieto di svolgere attività economiche in contrasto con l’utilità sociale e la dignità umana (art. 41), la funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), il diritto del lavoratore ad una retribuzione in grado di assicurare una vita familiare libera e dignitosa (art. 36), l’attuazione di più diritti sociali pretensivi (quali il diritto alla salute, all’istruzione, al gratuito patrocinio), la progressività tributaria (art. 53) 46. Con la modifica degli artt. 9 e 41 Cost. (ad opera della L. cost. 11.2.2022, n. 1) l’ambiente ha assunto direttamente rilevanza costituzionale. I principi si irradiano sull’intero ordinamento, incidendo anche sul diritto privato: emerge una normativa costituzionale del diritto privato, sicché il codice civile e i testi normativi complementari vanno riletti alla luce della Carta costituzionale (si parlerà a lungo della evoluzione del principio di buona fede nella dimensione della solidarietà sociale: II, 7.5).
8. Segue. Il pluralismo ordinamentale e sociale. – Come portato dei nuovi valori ordinatori della società, è erosa la visione statalista del diritto che aveva contrassegnato l’epoca precedente, per cui il diritto si esauriva nella legge statale. C’è la fiducia del costituente nelle autonomie locali e nelle formazioni sociali, quali luoghi di svolgimento della persona umana, sicché la Repubblica deve favorirne la formazione e valorizzarne la vita democratica, tutelando le istanze dei gruppi e l’interesse dei singoli nei gruppi (art. 2, 2a parte). Vi è un’attenzione privilegiata alle comunità nelle quali l’uomo, sin dalla nascita, è inserito e poi liberamente si dispiega: gli statuti delle varie comunità (private e pubbliche) regolano i rapporti di appartenenza, con la previsione di regole di comportamento e la comminatoria di sanzioni in ragione della natura delle singole aggregazioni; solo l’irrogazione della pena della carcerazione, per l’afflizione fisica che comporta, è riservata alle strutture giudiziarie statali, a seguito di un giusto processo (artt. 25 e 111 Cost.). L’ispirazione pluralistica si esprime in due direzioni: ordinamentale e sociale. a) Il pluralismo ordinamentale (in senso stretto) sviluppa l’esperienza delle autonomie all’interno dell’ordinamento giuridico statale. Il criterio si lega alla dottrina della c.d. “pluralità degli ordinamenti” che aveva avuto già modo di considerare il coordinamento dell’ordinamento statale con il diritto convenzionale della comunità internazionale e con l’ordinamento della Chiesa cattolica: prospettive riprese e regolate dalla Carta repubblicana 47. 46 Secondo l’efficace immagine di SANTI ROMANO, “il diritto costituzionale è il tronco di un albero da cui si diramano le varie partizioni del diritto come singoli rami”. La Costituzione si configura come il tronco di un albero ad alto fusto da cui si dipartono molti rami, metaforicamente diritto pubblico, diritto amministrativo, diritto privato, diritto penale, diritto tributario, ecc., la cui linfa si ricollega al tronco. 47 Nella prospettiva internazionale, per l’art. 101 Cost., l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute; e per l’art. 11 Cost., l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Secondo
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In tale ordine di idee si sviluppa un pluralismo istituzionale caratterizzato dall’articolazione del potere e delle decisioni in più strutture. Sono valorizzate le autonomie locali, accordando rilevanza giuridica ai rispettivi statuti: per l’art. 5 Cost., la Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali; per l’art. 1142 Cost., i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione 48; per l’art. 117 le Regioni hanno potestà legislativa concorrente con lo Stato in particolari materie ed esclusiva nelle materie non espressamente riservata alla legislazione statale. Un peculiare campo di azione di tale esperienza è quello del fenomeno sportivo e delle relative articolazioni 49. L’autonomia dei singoli ordinamenti non importa separatezza degli stessi: la varietà di discipline è in ragione delle specifiche materie oggetto di regolazione; ogni statuto è assoggettato alla normativa costituzionale e comunitaria e alle normative di cornice e di competenza esclusiva nazionali. b) Il pluralismo sociale si è atteggiato dapprima come pluralismo politico e delle organizzazioni degli interessi dei gruppi. È stato visto come espressione di favore per le formazioni sociali giuridicamente rilevanti, valutate come mezzi privilegiati di sviluppo della persona umana (art. 2 Cost.). A tale atteggiamento si connette una imitazione del diritto statale in favore degli statuti dei gruppi (II, 7.3; IV, 3.1). Più di recente il pluralismo sociale si è aperto alle specificità dei soggetti reali, non solo attraverso l’attribuzione di diritti sociali che si affiancano ai tradizionali diritti civili, ma anche con l’attenzione alle particolarità identitarie delle persone: rilevano le connotazioni umane, le affettività di genere, le formazioni culturali e religiose e i percorsi personali di vita, attraverso una perenne costruzione della coesione sociale alimentata dal basso. Una correlazione di cittadinanza attiva e di responsabilità civica attraversa la relazionalità sociale e sostiene la convivenza civile. Sullo sfondo c’è la storia di un costituzionalismo nato e sviluppatosi come diritto interno statale (lo spazio della sovranità), presidiato dalla cittadinanza statale, e che tende a diventare universale per inerire alla dimensione esistenziale degli uomini: c’è una comune umanità al fondo del costituzionalismo dell’attualità.
9. Capacità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione. – Coerentemente con le idee sopra delineate è in corso una progressiva attribuzione agli enti pubblici di qualificazioni e prerogative proprie dei soggetti privati, coinvolgenti la capacità e l’attività della pubblica amministrazione. l’art. 1171 Cost. “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Nei rapporti con le confessioni religiose, è accordata rilevanza costituzionale ai “patti lateranensi” (art. 7 Cost.) e sono previste “intese” con le altre confessioni religiose (art. 8 Cost.). 48 Cfr., L. 5.6.2003, n. 131, Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. cost. 18.10.2001, n. 3; D.Lgs. 18.8.2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali. 49 Per l’art. 1 D.L. 19.8.2003, n. 220 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), conv. con modif. con L. 17.10.2003, n. 280, la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale; i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo.
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a) Quanto alla capacità, per l’art. 11 c.c. le province, i comuni e gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico 50. Manca il riferimento allo Stato, ma è opinione unanime che tutte le amministrazioni pubbliche, compresa quindi quella statale, godano di diritti e sono dunque dotate di capacità generale di diritto privato 51. Tutti gli enti pubblici sono dotati di personalità giuridica 52, mentre gli enti privati possono essere o meno dotati di personalità giuridica. Sul modello della capacità riconosciuta ai soggetti privati e agli enti privati, la capacità di diritto privato della pubblica amministrazione consiste nell’attitudine della stessa ad essere titolare di diritti e doveri (capacità giuridica) e di compiere atti giuridici (capacità di agire) (IV, 3.5). Perciò tutta la normativa di diritto privato (contenuta nel codice civile e in norme complementari) è di regola applicabile agli enti pubblici, tranne che norme particolari non vi deroghino espressamente. È conseguito da ciò (come si vedrà) che fondamentali categorie del diritto privato – come il dovere di buona fede, il principio del neminem laedere, la protezione del contraente nei contratti predisposti da una sola parte – siano state applicate dalla giurisprudenza nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Una persona giuridica pubblica può essere nominata amministratore di sostegno (art. 408, ult. co.). b) Quanto all’attività, all’esito di un percorso di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, la riscrittura dell’art. 1 della L. 7.8.1990, n. 241, relativo ai “principi generali dell’attività amministrativa” (ad opera dell’art. 1 della L. 11.2.2005, n. 15 e poi dell’art. 7 L. 69/2009) ha fissato alcuni fondamentali principi: l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario (art. 11); la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga 50 La capacità della pubblica amministrazione di stipulare contratti, correlata alla soggettività giuridica riconosciuta ex art. 11 c.c., sussiste quando sia esercitata conformemente alle procedure definite dal legislatore e alla delibera autovincolante per l’amministrazione, per il perseguimento di finalità di pubblico interesse (Cons. Stato 1-3-2010, n. 1156). 51 Ha rilevato M.S. GIANNINI (1950) che “l’ente pubblico è prima di tutto un ente (inteso come soggetto agente secondo il diritto comune), poi è pubblico”; e ha osservato A. FALZEA (1939) che “la qualità di soggetto giuridico non consiste in altro, se non nella posizione, in parte attuale e nella maggior parte potenziale, di destinatario degli effetti giuridici di un ordinamento, senza distinzioni od esclusioni di campi”. La giurisprudenza è ormai concorde nel riconoscere che “la capacità di diritto privato delle persone giuridiche è potenzialmente generale”, ma per gli enti pubblici incontra “il limite della competenza attribuita all’ente, che è delimitata da norme qualificabili come imperative” ai sensi dell’art. 1418 c.c., sicché la loro violazione comporta la radicale invalidità dell’atto compiuto dall’ente, in quanto affetto da incapacità negoziale (Cass. 21-4-2000, n. 5234). E ancora: “i divieti posti alle persone giuridiche pubbliche di svolgere determinate attività non toccano la capacità giuridica dell’ente, intesa come ‘astratta attitudine ad acquistare diritti ed a contrarre obblighi’, ma si configurano come limitazioni della legittimazione negoziale” (Cass. 10-6-1981, n. 3748). 52 La qualificazione come pubblica amministrazione di un’istituzione può risultare da forme diverse, potendo ricorrere per effetto del riconoscimento della personalità giuridica di diritto pubblico che rende l’istituzione un ente pubblico o anche allorquando l’istituzione si presenti come un’articolazione di una pubblica amministrazione, ovvero di un ente pubblico, eventualmente dotata di una soggettività distinta da esso, nel senso che sia abilitata ad agire senza il suo tramite, sebbene sempre per realizzare i suoi fini (Cass., sez. un., 8-9-2016, n. 17751; anche n. 17754).
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diversamente” (art. 11bis); i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede (art. 12bis, comma aggiunto dall’art. 121, lett. 0a), D.L. 16.7.2020, n. 76, conv. con L. 11.9.2020, n. 120). Il procedimento deve svolgersi in una ragionevole durata (art. 2), e il provvedimento deve essere motivato (art. 3) 53. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 11ter sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento (art. 2 bis) 54. Si è anche affermata una responsabilità civile della P.A. connessa ad attività provvedimentale illegittima 55. Gli enti pubblici economici vengono soggetti ad una disciplina di diritto privato 56. In una diversa angolazione sta imponendosi la consapevolezza che anche l’attività della P.A. debba esplicarsi in modo efficiente. Opera un metodo di contabilità parallelo a quello degli organismi privati 57, per cui le pubbliche amministrazioni agiscono secondo disposizioni di legge nel rispetto dell’equilibrio dei bilanci 58 e della sostenibilità del debito pubblico. Quando gli enti pubblici agiscano mediante strumenti di diritto privato (precipuamente i contratti), c’è da coniugare il principio dell’autonomia privata, improntato all’autodeterminazione e alla libertà di perseguimento degli interessi, con il principio di legali53 Il dovere di motivare i provvedimenti amministrativi rappresenta espressione dei principi di pubblicità e trasparenza che, ex art. 1 L. 241/1990, sovraintendono all’intera attività amministrativa, in quanto diretti ad attuare sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), sia la tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti della stessa amministrazione (Cons. Stato 13-1-2021, n. 414). 54 Le pubbliche amministrazioni e i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento (art. 2 bis); l’azione amministrativa, anche se indirizzata alla repressione di condotte illecite, non si sottrae ai principi di economicità, adeguatezza ed efficacia allo scopo perseguito, sanciti dall’art. 1 L. 241/1990 che si riflettono sulla ragionevole durata del procedimento (Cons. Stato 14-2-2022, n. 1081). 55 Pur confermandosi la c.d. pregiudizialità amministrativa, l’amministrazione deve essere convenuta davanti al giudice ordinario in tutte le ipotesi in cui l’azione risarcitoria costituisca reazione alla lesione di diritti incomprimibili (come la salute o l’integrità personale), ovvero quante volte la lesione del patrimonio del privato sia l’effetto indiretto di un esercizio illegittimo o mancato di poteri, ordinati a tutela del privato (ad es. nell’ipotesi di occupazione “usurpativa”) (Cass., sez. un., 13-6-2006, n. 13659). 56 È irrilevante il fatto che gli enti pubblici economici “perseguano le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato” (Cass., sez. un., 22-12-2003, n. 19667). Con L. 9.1.2008, n. 2, la Società italiana degli autori e editori (SIAE) è configurata ente pubblico economico a base associativa, la cui attività è disciplinata dalle norme di diritto privato; anche le controversie concernenti le attività dell’ente sono devolute alla giurisdizione ordinaria. 57 La L. cost. 20.4.2012, n. 1, introduce il principio di “pareggiamento di bilancio”, modificando l’art. 81 Cost. nel senso che “lo stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”, e modificando l’art. 119 Cost. nel senso che “i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci”. 58 L’equilibrio di bilancio, lungi dal rappresentare un mero dato ragionieristico, è stato concepito e riguardato come “bene pubblico” nel senso che è funzionale a sintetizzare e rendere certe le scelte dell’ente pubblico, in ordine all’acquisizione delle entrate e alla individuazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche (art. 81 Cost.); è una “clausola generale” del sistema contabile, in funzione dei principi di solidarietà sociale (art. 2 Cost.), di pluralismo e di autonomia (art. 5 Cost.), di concorso al sostegno della spesa pubblica (art. 53 Cost.), di eguaglianza formale e sostanziale (art. 3 Cost.) (Corte cost. 20-7-2016, n. 184; sent. 192/2012).
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tà dell’azione pubblica, per cui i pubblici uffici sono organizzati secondo “disposizioni di legge” in modo che siano assicurati il “buon andamento” e la “imparzialità” dell’amministrazione (art. 97 Cost.), al fine del perseguimento di interessi pubblici 59. L’intreccio dei due profili è reso possibile dal dovere di osservanza di un procedimento di evidenza pubblica, che è un procedimento interno all’ente, che precede la stipula dell’atto negoziale ed è svolto secondo scansioni fissate dalla legge al fine di garantire la realizzazione dell’interesse pubblico. La procedimentalizzazione amministrativa (cioè il susseguirsi concatenato e formalizzato di atti tipici da parte della pubblica amministrazione) nella determinazione dell’interesse da realizzare, nonché nella individuazione dei mezzi necessari allo scopo e nella scelta del contraente, consente di verificare il rispetto della legge e l’uso corretto della discrezionalità, garantendo la trasparenza dell’azione della pubblica amministrazione (che è presupposto essenziale per un controllo democratico della stessa quando compie attività di amministrazione mediante strumenti del diritto privato) 60; in tale azione opera la comune responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi 61. L’evidenza pubblica doppia la stipula privata, rappresentando la prima il presupposto della seconda ed operando la delibera amministrativa e il contratto stipulato come collegati. È inoltre riconosciuto alla pubblica amministrazione il potere di riesame del provvedimento amministrativo in autotutela, come espressione dell’interesse pubblico, che consente il ritiro del provvedimento, nella forma dell’annullamento o della revoca 62 (III, 3.4). I terreni dove maggiormente si svolge l’intreccio tra attività amministrativa di evidenza pubblica e impiego di moduli di diritto privato sono quelli dei contratti della pubblica amministrazione, specie appalti pubblici (IX, 2.2), e della costituzione di società (o partecipazione a società) della pubblica amministrazione.
10. Il diritto privato europeo. – Una esperienza giuridica europea si è formata nel tempo e proviene sin dal medioevo, non disgiunta da mire espansionistiche di singoli popoli, nello svolgersi di una complessa storia giuridica europea (v. sopra par. 2). 59
Per l’art. 3, lett. d, D.Lgs. 18.4.2016, n. 50 (codice dei contratti pubblici), si intende per “organismi di diritto pubblico”, qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell’allegato IV. 60 L’ordinamento comunitario ha valorizzato il principio della imparzialità della pubblica amministrazione anche come divieto di discriminazione tra soggetti in ragione della provenienza nazionale al fine di realizzare un mercato unico effettivamente concorrenziale. Come si vedrà, la pubblica amministrazione, quando fa uso della capacità di diritto privato e dunque opera nel mercato, è soggetta alle regole di tutela della concorrenza e del mercato (II, 6.4). 61 La responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale che da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non di responsabilità da inadempimento contrattuale; è pertanto necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita, mentre per la quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano, in virtù dell’art. 2056 c.c. – da ritenere espressione di un principio generale dell’ordinamento –, i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza del danneggiato, ex artt. 1223 e 1227 c.c., e non anche il criterio della prevedibilità del danno ex art. 1225 c.c. (Cons. Stato, ad. plen., 23-4-2021, n. 7). 62 Il decorso di un significativo lasso temporale (ad es. un periodo di oltre dieci anni) tra l’adozione di un provvedimento ed il ritiro in sede di autotutela determina un legittimo affidamento in ordine alla stabilità del provvedimento (Cons. Stato 20-8-2008, n. 3984).
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a) L’Europa quale istituzione è maturata più di recente, dopo le tragedie della seconda guerra mondiale, nutrita delle idee forti di pace e di civile convivenza e di rispetto della persona umana, che attingono alla tradizione del cristianesimo che aveva pervaso la società medievale e ai principi illuministici dello Stato di diritto affermatisi nell’età moderna, intrecciandosi con le matrici culturali comuni greco-latine della civiltà occidentale. Falliti l’ideale di una unità politica ed anche l’obiettivo di una federazione europea 63, più filoni di pensiero si sono intrecciati verso un processo di integrazione europea economica e sociale e in prospettiva politica 64 (in seguito si parlerà dell’attuale organizzazione normativa europea, trattando delle fonti del diritto: I, 3.6). L’U.E. ha aderito alla Convezione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4.11.1950 (rat. e resa esec. con L. 4.8.1955, n. 848), cui sono seguiti vari protocolli: i diritti fondamentali della Convenzione fanno parte del diritto dell’Unione in quanto “principi generali”; anche se l’adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati (art. 62,3 TUE) 65. L’U.E. ha riconosciuto la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, approvata a Nizza nel 2000 e confluita nel Trattato di Lisbona, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati, senza però estendere le competenze dell’Unione definite nei trattati (art. 61 TUE). È maturata una “Europa dei diritti”, in cui la dignità della persona umana, correlata alla solidarietà, è valore essenziale di coesione dell’unificazione giuridica. Si è delineato un acquis communautaire, quale insieme di principi giuridici ed obiettivi politici che accomunano e vincolano gli stati membri. b) Sta anche emergendo una “Europa del diritto”, legiferante regole uniformi di attribuzione di diritti e di condotte economiche e organizzative. Si vedrà come, affianco al diritto convenzionale, si sta dilatando il diritto derivato, che tocca versanti sempre più ambi della vita civile, sociale e economica. L’evoluzione del sistema giuridico europeo è sempre maggiormente opera delle Corti europee, specie attraverso il c.d. “rinvio pregiudiziale” (la Carta costituzionale, con gli artt. 10 e 11, si era aperta alle regole della vita 63 Era l’idea del “Manifesto di Ventotene”, che aveva come titolo “Per un’Europa libera e unita”, redatto da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi durante il loro confino nell’isola pontina (uscito clandestinamente nel 1941), e che ispirò nel 1943 la formazione del Movimento federalista europeo. 64 Il primo approccio alla cooperazione europea in senso moderno avveniva con il Trattato di Parigi del 1951 istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), che sottoponeva sotto un’unica autorità la produzione carbo-siderurgica dei vari paesi, essenziale fattore di sviluppo economico dell’epoca, con lo scopo anche di mettere insieme le materie prime dell’armamento e così evitare ulteriori scontri bellici. Dopo vari progetti di integrazione e unificazione, veniva firmato a Roma il 25.3.1957 il Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE) (nota come “mercato comune”) con alcuni obiettivi importanti: la libera circolazione di beni, persone e capitali, cui si affiancavano l’unione doganale, la tariffa unica verso l’esterno, una politica commerciale e agricola comune, la valorizzazione delle aree sottosviluppate. L’Atto unico Europeo del 17.2.1986 fissava l’obiettivo di creare un mercato interno e unico europeo anche di servizi e capitali. Il Trattato di Maastricht del 7.2.1992 istituiva l’Unione europea (U.E.); il 1° gennaio 2002 nasceva l’euro come moneta unica europea, anche se non tutti i paesi (es. Gran Bretagna) partecipavano all’eurozona. È seguito il Trattato di Amsterdam del 2.10.1997, con specifica attenzione ai diritti dell’uomo, all’occupazione e alle posizioni sociali deboli. 65 La Convenzione sui diritti dell’uomo (conclusa a Roma nel 1950) ha un proprio sistema di garanzia affidato alla Corte europea dei diritti dell’uomo con sede a Strasburgo; in virtù della detta adesione l’Unione deve sottoporsi alla Convenzione sui diritti dell’uomo con una conseguente modifica del proprio sistema di garanzia, sicché anche la Corte di giustizia U.E. è costretta ad uniformarsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che diventa la suprema corte giurisdizionale per il rispetto dei diritti fondamentali.
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internazionale) (I, 3.6). Uno strumentario logico e lessicale del diritto romano attraversa la cultura giuridica europea orientando dialoghi e scelte. L’Europa si presenta oggi come espressiva di uno spazio comune dove circolano persone, lavoro, capitali, cose, merci, servizi, diritti, in un quadro normativo di economia sociale di mercato. L’adozione dell’euro quale moneta unica europea ha comportato la cessione della sovranità nazionale nella politica monetaria, con la definizione delle istituzioni europee del patto di stabilità e crescita europea. In seguito, si parlerà del diritto europeo tra le fonti del diritto (I, 3.6). c) È in atto un processo di formazione di un diritto privato europeo attraverso un duplice percorso: da un lato, con la formazione di un diritto dell’Unione europea e cioè di una disciplina uniforme del diritto privato proveniente dall’alto, attraverso le Convenzioni europee (diritto europeo convenzionale) e l’intervento normativo delle istituzioni europee (diritto europeo derivato) (I, 3.6); dall’altro, con la elaborazione di un diritto comune e cioè di un insieme di criteri e categorie uniformi provenienti dal basso, mediante l’opera di centri culturali, studiosi e operatori del diritto. Il diritto privato europeo si atteggia quale insieme di principi e valori generali e di principi riferiti a singoli settori, che stimolano la modernizzazione degli ordinamenti nazionali (si pensi alla riforma del BGB del 2001-2002, alla riforma del code civil francese del 2016-2018); tali principi rappresentano un riferimento nella interpretazione non solo di disposizioni europee ma anche del diritto interno dei singoli Stati, funzionando come criteri di soluzione delle controversie, sia in sede giudiziale che negli arbitrati specie internazionali 66. Ormai tutti i settori del diritto privato sono in qualche modo attraversati dalla forza unificatrice del diritto europeo. Gli interventi necessariamente settoriali e frammentari delle istituzioni europee mettono a dura prova la organizzazione di un “diritto privato generale”. Talvolta si dà luogo alla formazione di un diritto strumentale uniforme che assicura la certezza di giurisdizione e la circolazione dei provvedimenti giudiziari in ambito europeo. Più spesso si dà luogo a normative di diritto materiale uniforme, con la regolazione uniforme di singoli settori. È emerso un diritto europeo dei contratti e dei consumatori, destinato a formare il nucleo forte di un futuro (eventuale) codice europeo di diritto privato. Come si vedrà, le varie direttive europee che si sono succedute hanno determinato la graduale sedimentazione di complesse normative a tutela del consumatore e relativamente ai contratti dei consumatori 67, principalmente confluite nel codice del consumo (D.Lgs. 6.9.2005, n. 206), continuamente emendato (v. appresso). Sono anche emerse nuove figure di responsabilità civile (come ad es. la responsabilità del produttore). Si aggiunga una nutrita normativa in materia di servizi e con riguardo al mercato e alla concorrenza; sono 66
È da tempo in corso l’aspirazione alla formazione di un codice civile europeo, attraverso progetti elaborati da scuole giuridiche europee. Allo stato sono fondamentali i Principi di diritto europeo dei contratti (PECL) del 1995, i Priciples of international commercial contracts (PICC) Unidroit del 2016 e il Draft Common Frame of Reference (DCFR) del 2008-2009, che è il progetto più complesso per contenere un insieme coordinato di regole relative a contratti, proprietà e responsabilità civile. 67 Vedi direttiva UE/2019/771 sulla garanzia legale di conformità e sulle garanzie commerciali per i beni di consumo (attuata con D.Lgs. 4.11.2021, n. 170); direttiva UE/2014/17 sui contratti di credito ai consumatori relativa a beni immobili residenziali (attuata con D.Lgs. 21.4.2016, n. 72).
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in corso altri significativi interventi europei di uniformazione della disciplina dei contratti. Per le operazioni compiute a mezzo internet è stata approvata la direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, attuata con D.Lgs. 70/2003; rilevante anche la direttiva UE/2019/770. Ampio sviluppo ha avuto una normativa di tutela dei risparmiatori rispetto alla circolazione e alla gestione dei prodotti finanziari (v. appresso). Una normativa nutrita riguarda le società commerciali, al fine di tutela dei diritti delle minoranze, di garanzia della verità e precisione delle scritture contabili e di analiticità dei bilanci. Anche con riguardo alla proprietà, nonostante il c.d. “principio di neutralità” sancito dall’art. 345 TFUE – secondo cui “I trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri” –, la previsione dell’art. 17 Carta dir. fond. U.E. fissa uno statuto base della proprietà. Più lenta è la formazione di un diritto uniforme delle persone e della famiglia, per il radicamento territoriale delle discipline nazionali (dove convergono consuetudini di vita, precetti religiosi, costumi sociali, tradizioni culturali, ecc.); sono però molte le raccomandazioni e le risoluzioni delle istituzioni europee verso un diritto uniforme e emergono principi uniformi 68. Pure in materia successoria la Commissione europea ha pubblicato il 1° marzo 2005 il libro verde “Successioni e testamenti” ove si evidenzia l’esigenza di uniformazione del diritto successorio. In tale disorganica emersione di normative europee l’attività delle Corti europee (Corte di giustizia U.E. e Corte europea dei diritti dell’uomo) elabora i formanti giurisprudenziali che circolano nei vari Stati (v. appresso).
11. Ambito attuale del diritto privato e il diritto pubblico. – Si è visto come, nella formazione degli stati moderni, la separatezza tra diritto privato e diritto pubblico si fonda su un divario tra società civile e Stato, per cui lo Stato non deve interferire con il naturale svolgersi delle relazioni private. Si è visto però come, con l’avvento della industrializzazione, la originaria forza della iniziativa individuale è erosa rispetto alla organizzazione e alla centralizzazione delle attività economiche e della società; la tradizionale idea della parità giuridica contrattuale è smentita dalla esperienza della produzione e distribuzione di massa, caratterizzata dalla predisposizione unilaterale dei contratti, cui l’altra parte può solo aderire (c.d. contratti per adesione). Anche il potere pubblico ha abbandonato la posizione di estraneità rispetto allo svolgersi delle relazioni economico-sociali, intervenendo nella sfera dei rapporti privati per orientare lo sviluppo sociale in funzione di benessere generale 69. È in atto una progressiva sinergia tra diritto privato e diritto pubblico, che ne ridisegna le sfere. 68 Con la Convenzione Edu del 1950 ha inizio una normazione europea per principi delle relazioni familiari (artt. 8 e 12), proseguita dalla Carta dir. fond. U.E. di Nizza del 2000 (artt. 7 e 9). In sostituzione del Reg. n. 1347/2000 del 29.5.2000 (c.d. Bruxelles 2), veniva approvato il Reg. n. 2201/2003 del 27.11. 2003 (c.d. Bruxelles 2 bis), che introduce la emblematica previsione di una “responsabilità genitoriale”, incidente nella configurazione delle relazioni familiari. Con il Reg. UE/1111/2019 è intervenuto “Il nuovo regime di circolazione dei provvedimenti cautelari ed urgenti in materia di famiglia”. 69 È un intervento che si snoda in più direzioni: ad es. incentiva certe aree geografiche disagiate e favorisce l’accesso a determinati beni di prima necessità; regola lo statuto di certi beni di interesse generale (es. beni artistici o ambientali) e controlla la gestione dei mezzi di produzione (per l’impatto sulla società); partecipa a società con privati, assume la gestione di servizi di pubblica utilità (es. sanità, trasporti).
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a) Resiste il criterio distintivo ulpianeo fondato sulla natura degli interessi regolati, per cui al diritto pubblico inerisce la cura dell’interesse generale, mentre al diritto privato è demandata la realizzazione degli interessi particolari (degli individui e dei gruppi) 70. È bene precisare che pure il diritto privato ha un fondamento di tutela nell’interesse generale della società, ritenendosi che il perseguimento degli interessi individuali, oltre che nutrire i diritti di libertà, sia anche maggiormente in grado di assicurare la produttività dei beni e la collocazione ottimale dei prodotti, che si riverberano a beneficio della società. b) Ha assunto rilevanza un criterio che ha riguardo alla tipologia dei mezzi per il perseguimento degli interessi, in ragione della natura degli strumenti utilizzati, se connessi a poteri autoritativi di sovranità o affidati a meccanismi di parità giuridica. Il meccanismo dell’autorità pubblica impegna istituzionalmente il diritto pubblico e realizza interessi generali; mentre il meccanismo della parità giuridica involge il diritto privato e realizza interessi particolari (di singolo o di gruppo). L’interesse generale è però realizzabile, oltre che con i meccanismi istituzionali del diritto pubblico (espressivi di sovranità), anche con gli strumenti del diritto privato (esplicativi di parità giuridica). Molto spesso, interessi di carattere generale possono essere realizzati con maggiore efficienza mediante strumenti di diritto privato: ad es., volendo la P.A. acquisire un’area per realizzare un’opera pubblica, può imporre un provvedimento di espropriazione oppure ricorrere a un contratto di compravendita; ancora, avendo urgenza di realizzare un presidio di forza pubblica o un posto sanitario o un plesso scolastico, può assumere un provvedimento amministrativo di requisizione di un edificio dal proprietario oppure stipulare un contratto di locazione con il proprietario dell’edificio. Spesso l’attività dello stato o di enti pubblici in economia è svolta con l’impiego di strumenti di diritto privato, quali principalmente il contratto e la società 71: è il percorso proprio dei contratti della pubblica amministrazione e delle società partecipate (di cui appresso). È diffusa l’esperienza di società con prevalente partecipazione pubblica per la gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica (c.d. società in house): sono organismi di struttura privatistica che perseguono interessi pubblici 72. Quando è imboccata la strada del diritto privato, si dà luogo ad accordi tra pubblica amministrazione e privati con moduli negoziali 70 Secondo il celebre passo di Ulpiano: “Publicumjus est quod ad statum rei romanae spectat; privatum, quod ad singulorum utilitatem” (Dig. 1.1.1.2). Tale ripartizione resisterà a lungo nel pensiero giuridico. Minor seguito ha ricevuto la formulazione di Cicerone che radicava la distinzione nella fonte di provenienza del diritto: lex, senatus consultum, foedus nel diritto pubblico per riferirsi al populus; mentre tabulae, pactum conventum, stipulatio nel diritto privato per riflettere i privati. 71 Talvolta l’ente pubblico prende esso stesso la forma privatistica (specie s.p.a.), adottando atti che tendono a mutuare dal diritto privato i singoli effetti; talaltra l’ente pubblico rimane tale sul piano soggettivo, ma ricorre al diritto privato nell’esplicazione dell’attività. Nella prima ipotesi c’è vestimentum privatistico dello stesso ente; nella seconda ipotesi vestimentum privatistico della sola attività. 72 Il D.Lgs. 19.8.2016, n. 175 (t.u. in materia di società a partecipazione pubblica) detta regole per la costituzione di società da parte di amministrazioni pubbliche, nonché l’acquisto, il mantenimento e la gestione di partecipazioni da parte di tali amministrazioni, in società a totale o parziale partecipazione pubblica, diretta o indiretta. L’affidamento di servizi pubblici a una società in house ha natura ordinaria e non eccezionale e la relativa decisione dell’amministrazione, ove motivata, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salva l’ipotesi di macroscopico travisamento dei fatti o di illogicità manifesta (Cons. Stato 18-7-2017, n. 3554).
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funzionali all’esercizio dell’attività amministrativa di realizzazione dell’interesse generale: la tecnica del consenso assurge a schema dialogico nell’esercizio della potestà pubblica. Per converso, con la valorizzazione dei diritti umani, si va ampliando la materia riferita al diritto privato, che ormai è possibile delineare nella duplice direzione di diritto privato patrimoniale (di più antica tradizione) e diritto privato non patrimoniale (di più recente emersione), con categorie giuridiche di riferimento di differente indole: nella prima direzione, caratterizzato da conflitti economici, sono attrattive le figure di proprietà, contratto, impresa, società e mercato; nella seconda direzione, connotata da dimensioni esistenziali, sono al centro le figure di persona, famiglia e associazionismo. È diffusa l’esperienza dell’impiego da parte dei privati di strumenti di diritto privato per la realizzazione di interessi generali: è il mondo del volontariato e del non profit (c.d. terzo settore o privato sociale) che realizza interessi sociali con strumenti privatistici. In definitiva, si è in presenza del diritto privato quando i soggetti, compresi lo stato e in genere l’ente pubblico, si comportano su un piano di parità giuridica, senza operare poteri autoritativi. Si è in presenza del diritto pubblico quando lo Stato e in genere l’ente pubblico si avvalgono della potestà pubblica di imperio esercitando poteri autoritativi che la legge conferisce per la realizzazione di interessi generali. Il diritto privato ha nel tempo acquisito la connotazione di diritto comune ai soggetti privati e ai soggetti pubblici, quando questi ultimi operino su un piano di parità giuridica con i privati. Le discipline relative a contratti, obbligazioni, proprietà, responsabilità civile, trovano applicazione sia ai soggetti privati che ai soggetti pubblici (tranne che, per qualche ragione, non assuma rilevanza la qualificazione pubblica di qualche profilo, come ad es. la condotta penalmente rilevante del funzionario che ha compiuto l’atto). c) Una ulteriore distinzione risiede nella tipologia delle di sanzioni. La violazione del diritto pubblico fa scattare, anche di ufficio (e dunque automaticamente) la sanzione, che può consistere anche nella coercizione fisica per la violazione di alcune norme di diritto penale (previo controllo dell’autorità giudiziaria che l’irroga); viceversa la violazione di una norma di diritto privato comporta, di regola, la reazione dell’ordinamento su impulso e richiesta del privato (di regola del soggetto leso), e la sanzione è di carattere economico o di ripristino (previo controllo dell’autorità giudiziaria che l’irroga). In molti paesi dell’area del common law (es. Inghilterra), più spesso il potere pubblico persegue interessi generali ricorrendo agli strumenti del diritto privato, rilasciando l’intervento autoritativo amministrativo alla tutela di esigenze fondamentali dello Stato (ad es., la sicurezza pubblica, la difesa dello stato, ecc.). Per una generale circolazione dei modelli giuridici anche da noi è in corso una espansione degli strumenti privatistici, specie nel settore dei servizi pubblici 73.
12. Il diritto dei privati. – Accanto al diritto dettato dallo Stato per i rapporti tra privati, pulsa un diritto espresso dagli stessi privati nei gruppi come nell’esplicazione delle relazioni commerciali. 73 L’art. 2 del D.Lgs. 6.9.2005, n. 205, prevede, tra i fondamentali diritti del consumatore, quello alla “erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza”. Già la L. 14.11.1985, n. 481, garantiva la promozione della concorrenza e dell’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità, nonché adeguati livelli di qualità nei servizi medesimi in condizioni di economicità e di redditività, assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale.
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a) La vita dei gruppi sviluppa una autonomia collettiva che si esplica attraverso statuti che si impongono come diritto proprio delle singole comunità, spesso presidiato da sanzioni previste dagli stessi statuti. Fondamentale limite all’esplicazione dell’autonomia collettiva è che lo statuto si riveli coerente con i valori dell’ordinamento (in particolare è essenziale il rispetto del metodo democratico interno, come presidio di attuazione della stessa funzione dell’ente di valorizzare la personalità dei partecipanti al gruppo) (IV, 3.1). Collegato all’esperienza dei gruppi è il fenomeno delle associazioni di categoria con codici di autodisciplina, non solo all’interno ma anche nei rapporti esterni dei partecipanti. Stanno emergendo con rilevanza sempre più incisiva codici deontologici apprestati dai vari ordini professionali 74. b) Nelle relazioni commerciali rilevano formulari standard nella regolazione giuridica. Dopo una lunga stagione di “diritto dell’economia”, sta riemergendo un’esperienza di “economia del diritto”. Resiste, sul piano formale della organizzazione delle fonti, il criterio che solo gli usi normativi sono fonti di diritto e dunque operanti anche contro la volontà delle parti (I, 3.9); ma l’esperienza moderna dei rapporti commerciali è sempre maggiormente espressa da contratti-tipo o attraversata da clausole di significato standardizzato che si impongono sul mercato nei contratti di massa.
13. Segue. La nuova lex mercatoria. – Si è visto come un incremento del diritto consuetudinario era già avvenuto nel medio evo, con lo sviluppo del commercio e dei traffici marittimi. L’inadeguatezza del diritto romano a regolare le nuove esigenze favorì la formazione spontanea di uno ius mercatorum per coprire i rischi di spedizioni marittime, rastrellare risparmi, consentire circolazione di capitali. Le misure protezionistiche dei sec. XVI e XVII e successivamente la statalizzazione della legge e della giustizia segnarono un regresso di tale esperienza. Ma lo sviluppo della rivoluzione industriale, attraverso produzioni e distribuzioni di massa, rendeva necessaria l’apertura dei mercati oltre i confini degli stati nazionali: da alcuni anni la globalizzazione ha ripreso a far pulsare il cuore antico dello spontaneismo del diritto, attraverso un crescente fenomeno di elaborazione privata del “diritto” usato dagli operatori economici, che si è ormai soliti qualificare come una nuova “lex mercatoria”. È l’esperienza propria del commercio internazionale, dove principalmente operano prassi e modelli contrattuali e si riflettono le varietà di fonti e tipologie di regolazioni. L’ammodernamento delle tecniche di produzione e distribuzione di massa, l’evoluzione delle capacità e modalità di erogazione dei servizi, la dilatazione dei mercati finanziari, la diffusione e velocizzazione delle linee di 74
Si pensi ai codici previsti dall’art. 20 della Conv. internaz. contro il doping nello sport del 19.10.2005 (ratif. con L. 26.11.2007, n. 230); si pensi anche ai codici i fa riferimento nella normativa contro le pratiche commerciali scorrete nell’art. 19 cod. cons. Per Cass., sez. un., 10-7-2003, n. 10842, le disposizioni dei codici deontologici predisposti dagli ordini (o dai collegi) professionali, se non recepite direttamente dal legislatore, non hanno né la natura né le caratteristiche di norme di legge, come tali assoggettabili al criterio interpretativo di cui all’art. 12 prel., ma sono espressione di poteri di autorganizzazione degli ordini (o dei collegi), sì da ripetere la loro autorità, oltre che da consuetudini professionali, anche da norme che gli ordini (o collegi) emanano per fissare gli obblighi di correttezza cui i propri iscritti devono attenersi e per regolare la propria funzione disciplinare; le suddette disposizioni vanno interpretate nel rispetto dei canoni ermeneutici ex artt. 1362 ss., risultando denunciabile, anche in cassazione, la violazione o falsa applicazione dei suddetti canoni, con la specifica indicazione di quelli disattesi.
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trasporto intermodale, favoriscono lo sviluppo di relazioni economiche tra paesi e aree del mondo sempre più diverse e lontane. Talvolta sono categorie professionali e merceologiche a predisporre singoli formulari, più spesso sono società multinazionali ad imporre tecniche comportamentali e modelli contrattuali; talaltra ancora sono istituzioni private a predisporre regole da imporsi agli operatori. Un ruolo importante in tale direzione, per la vastità della ricaduta, è svolto dal W.T.O. (Organizzazione mondiale per il commercio), ormai fonte importante di un diritto convenzionale globalizzato. Per la tensione delle imprese ad una disciplina uniforme dei contratti, si muove ed ha fortuna anche l’opera della Camera di commercio internazionale che appresta regolazioni uniformi dei rapporti più significativi degli scambi internazionali 75. Sono regole normalmente richiamate dai contratti, assumendo la forza di patti contrattuali; in assenza di richiamo, operano come usi negoziali, perciò (come si vedrà) non funzionare contro la volontà delle parti. La circolazione di tali modelli e prassi fa emergere la formazione di culture giuridiche e di principi universalmente introitati e sentiti come diritto vigente.
14. Globalizzazione e convivenza mondiale. – Le nuove tecnologie informatiche e segnatamente le telecomunicazioni accompagnano la espansione di un mercato globale che segna una mondializzazione in senso moderno. La globalizzazione non è nuova 76: di nuovo ci sono il controllo del mercato globale ad opera di singole potenze economiche multinazionali e la coscienza umana globalizzata correlata alla totalità dell’esperienza umana. Si va delineando un nuovo ordine mondiale dell’economia e dei rapporti sociali: le strategie economiche si muovono più velocemente delle scelte politiche, come dimostrano le recenti ripercussioni mondiali delle crisi finanziarie che hanno esercitato una forte pressione sulla coesione sociale. Non vi è una universalizzazione di istanze ed esigenze, ma si rafforza un fenomeno di controllo privato dell’economia: la grande impresa riesce ad imprimere una standardizzazione comportamentale che non solo si dispiega nella uniformazione contrattuale, ma involge anche la organizzazione dei mercati e l’articolazione dei rapporti di lavoro. È in gioco pure una nuova frontiera delle relazioni industriali: dopo lunghi periodi di conflitti antagonistici affiorano modelli di sindacalismo partecipativo per la salvaguardia dell’occupazione. La competizione globalizzata non è più solo nella collocazione delle merci ma si è ampliata alla erogazione dei servizi. Di recente sta emergendo anche una competizione dei saperi, con la formazione di centri elitari di cultura che sovrastano e orientano le conoscenze mondiali, come tra l’altro mostra la gara tra le grandi università private mondiali, anche attraverso l’istruzione telematica, per rappresentare la conoscenza la più penetrante ragione di sviluppo di un paese. Espressione della moderna globalizzazione è la c.d. rivoluzione finanziaria dell’e75 Sono regolazioni adottate su base convenzionale dagli operatori. Fondamentali sono le Regole internazionali per l’interpretazione dei termini commerciali (c.d. Incoterms), le Norme ed usi uniformi relativi ai crediti documentari, le Norme uniformi relative agli incassi, le Regole applicabili ai documenti di trasporto multimodale. Da qualche tempo tali regole compaiono nelle Raccolte provinciali di usi, sotto una indefinita etichetta di “Appendice”. La diffusa e costante applicazione delle stesse fa immaginare il progressivo avanzamento a usi normativi, imponendosi in tal guisa anche contro la volontà delle parti. 76 Si è visto come il XV secolo avesse già segnato una “economia-mondo”, aperta ai mercati asiatici, attraverso una più efficace produttività del trasporto marittimo.
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conomia e del capitalismo, con l’accentuazione della mobilizzazione e della dematerializzazione della ricchezza. Come si vedrà, l’economia finanziaria che consente di orientare le sorti dell’economia sovranazionale e financo l’affidabilità degli stati e dei “debiti sovrani” con la commercializzazione di titoli finanziari e la speculazione sugli stessi. Le legislazioni nazionali si rivelano inadeguate a fronteggiare una economia finanziaria globalizzata. C’è un problema di regolazione globale dei flussi finanziari, in uno con la necessità di armonizzazione delle politiche economiche con quelle fiscali. Si sviluppa nel tempo una intersecazione tra regionalismo e multilateralismo, dapprima governato da istituzioni internazionali, poi acquisito dall’autoregolazione del mondo economico. La globalizzazione, come è stata perseguita, ha prodotto diseguaglianze e rivalse che hanno inciso le basi del consenso delle società coinvolte, esercitando una forte pressione sulle politiche di liberalizzazione e favorendo un progressivo regionalismo di ritorno, con riformulazione delle catene del valore. In generale le grandi migrazioni mondiali, sull’onda della ricerca del lavoro o degli insediamenti industriali, pongono problemi di confronto tra religioni, tradizioni e culture diverse, che una democrazia pluralista e multietnica non può ignorare, ma deve armonizzare al rispetto dei valori fondamentali espressi dalle convenzioni sui diritti umani: va compiuto un generale riconoscimento delle diversità, individuando nella tolleranza 77 e nella dignità della persona umana 78 i criteri essenziali di coesistenza di diverse lingue, religioni e culture. È in atto una sfida di crash of civilizations che impone una nuova sensibilità mondiale di gestione degli scontri e di regolazione delle convivenze.
15. Azione privata conformata e azione pubblica collaborativa. – All’esito del percorso compiuto emerge una complessità del rapporto tra diritto e potere, con molte interazioni della sfera privata con la sfera pubblica. È emersa la crescita di vincoli legali all’agire dei privati e dei pubblici poteri per le necessarie azioni di bilanciamento dei valori in campo. Si delineano un’area privata sinergica con istanze e prescrizioni di rilevanza pubblica, e un’area pubblica, attraversata da visuali privatistiche di parità di condizione giuridica con l’azione del privato. 77 Sono significative le stagioni di intolleranza religiosa ed umana. Si ricordi la persecuzione dei cristiani ad opera di Diocleziano (editti del 303 d.C.). Dopo la breve parentesi della libertà di culto ad opera di Costatino (editto di Milano 313 d.C.) che valse all’imperatore a rafforzare il reclutamento militare contro Massenzio, non fu meno crudele la persecuzione delle religioni diverse da quella cristiana ad opera di Teodosio: i non cristiani sono denominati “dementi e pazzi” (editto di Tessalonica 380 d.C.). Si pensi alla esperienza delle crociate nel segno di “Dio lo vuole” per combattere il male negli uomini e conquistare la salvezza eterna. Seguirà ancora un tormentato millennio di guerre espansionistiche, intrise di fanatismi religiosi e discriminazioni razziali. Ritorna di incredibile attualità la preghiera (laica) che VOLTAIRE rivolgeva a Dio nel Trattato sulla tolleranza (1763): “Tu non ci hai dato un cuore perché ci odiassimo, e meno che mai perché ci sgozzassimo. Fà che ci aiutiamo reciprocamente a tollerare il fardello d’una vita penosa e passeggera: che le minime differenze tra le vesti che coprono il nostro debole corpo, tra le nostre lingue insufficienti, tra tutti i nostri ridicoli costumi, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre insensate opinioni, tra tutte le nostre condizioni così sproporzionate ai nostri occhi e così simili davanti a Te; che tutte le minime sfumature che distinguono gli atomi chiamati uomini non siano segnali di odio e di persecuzione; impieghiamo l’attimo della nostra esistenza a benedire in varie lingue… la Tua bontà che ci ha accordato questo attimo”. È il manifesto dell’ecumenismo laico alla tolleranza e del relativismo culturale, che la storia recente talvolta ha seguito, talaltra ignorato e spesso negletto! 78 Sono idee comuni alle ideologie laiche e alle confessioni religiose di tutti i paesi occidentali, innanzi delineate e di cui si vedranno i riflessi nei vari campi.
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a) L’azione privata interagisce con la dimensione pubblica, sia in senso attivo di incidenza del diritto privato sulle modalità di svolgimento dell’attività della pubblica amministrazione, sia in senso riflessivo di svolgimento dell’azione privata secondo vincoli pubblicistici. L’azione privata deve risultare compatibile con la realizzazione degli interessi generali e dei fondamentali valori ordinamentali della dignità umana e della utilità sociale. In molte aree è attraversata da limitazioni comportamentali, come ad es. per talune condizioni familiari e dei minori 79 ovvero per le esplicazioni dell’autonomia privata con asimmetria di potere contrattuale 80, o anche rispetto all’uso di beni di interesse diffuso 81. In settori sensibili all’uso del territorio e all’equilibrio ecologico, si sono sviluppati statuti giuridici di azione privata conformata, che deve svolgersi secondo standard predeterminati di conformità amministrativa, con riguardo alla regolarità urbanistica e edilizia 82 e alla salvaguardia della natura e dell’ambiente 83; rilevanti sono anche l’area di rispetto della continuità storica e artistica 84, e quella di apertura alla digitalizzazione 85. L’azione privata ha inoltre rilevanza in diritto penale con la previsione come reati di molti comportamenti: basta pensare ai delitti contro la persona umana (artt. 575 ss. c.p.) e ai delitti contro il patrimonio (artt. 624 ss. c.p.). Poiché tutti i cittadini sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, secondo criteri di progressività, i redditi privati e gli atti dispositi79 Si pensi ai regimi imperativi degli stati familiari, come ad es. il regime primario di contribuzione del matrimonio (artt. 143 e 159 cc.) e dell’unione civile (art. 111 L. 20.5.2016, n. 76), ovvero l’assetto dello stato unico di figlio (art. 315 bis c.c.) e la condizione minorile che valorizza l’interesse preminente del minore nella sua integrità morale e psicofisica (art. 337 ter c.c.). 80 La problematica, già presente nel codice civile con la previsione di predisposizione di condizioni generali di contratto (artt. 1341 e 1342), ha assunto diffusa rilevanza nell’ottica di tutela dei consumatori, con una nutrita normativa europea confluita nel codice del consumo (D.Lgs. 6.9.2005, n. 206). 81 È la problematica dei c.d. “beni comuni”, ovvero di beni di interesse generale, indipendentemente dalla titolarità formale di appartenenza. È avanzata l’idea di conferimento di un potere giuridico diretto alla comunità che ne gode, con una pratica di “commoning”, traducibile con “fare comune”, secondo un’antica esperienza medievale di usi civici, cui si avrà riguardo in seguito. 82 Ad es. è introdotta una conformazione dell’edificazione attraverso una particolareggiata disciplina del permesso di costruire (D.P.R. 6.6.2001, n. 380), che riguarda gli interventi subordinati al permesso (art. 10), le caratteristiche del permesso (art. 11), l’efficacia temporale e la decadenza del permesso (art. 15). Il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve seguire un provvedimento dell’amministrazione, che accerti l’impossibilità del rispetto del termine (Cons. Stato 10-1-2022, n. 149). Rilevano anche altri titoli abilitativi: Comunicazione di Inizio Lavori Asservata (CILA), Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) e Super SCIA. 83 Le attività suscettibili di incidere sull’ambiente devono svolgersi secondo i criteri e i percorsi fissati dal Codice dell’ambiente (D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, costantemente aggiornato e integrato, da ultimo con D.L. 1.3.2021, n. 22, conv. con L. 22.4.2021, n. 55). Nella Parte II del cod. amb., artt. 4 ss., sono fissate procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione d’impatto ambientale (VIA), e per l’autorizzazione ambientale integrata (IPPC). Sono procedure amministrative di controllo con funzione di bilanciamento dell’equilibrio ambientale con lo sviluppo socio-economico. Si tenga altresì conto delle periodiche determinazioni legislative e regolamentari in materia di transizione ecologica. 84 Rilevante è il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 22.1.2004, n. 42, aggiornato e integrato, da ultimo con D.L. 16.7.2020, n. 76, conv. con L. 11.9.2020, n. 120). 85 Il settore della digitalizzazione del valore certificativo dei relativi risultati è regolato dal Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 7.3.2005, n. 82, periodicamente aggiornato, da ultimo con D.L. 16.7.2020, n. 76, conv. con L. 11.9.2020, n. 120). Sono molte le normative per la transizione digitale.
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vi di beni patrimoniali hanno rilevanza per il diritto tributario: basta pensare alle imposte sui redditi (D.P.R. 22.12.1986, n. 917) e alla imposta di registro (D.P.R. 26.4.1986, n. 131). b) L’azione pubblica interagisce con la dimensione privata, sia quando adotta moduli privatistici sebbene soggetti ad evidenza pubblica, sia quando opera con criteri pubblicistici secondo i nuovi canoni di svolgimento dell’attività pubblica, di cui si è detto. Alla stregua dell’art. 12bis L. 241/1990, che fa obbligo alla pubblica amministrazione di improntare i rapporti con i privati ai principi della “collaborazione” e della “buona fede” si è affermata un’azione pubblica collaborativa. È prevista una partecipazione al procedimento amministrativo, con comunicazione al destinatario di “avvio del procedimento” (art. 7) 86, dei “motivi ostativi” all’accoglimento dell’istanza (art. 10 bis) 87 e con la formazione di “accordi integrativi o sostitutivi” del provvedimento (art. 11) 88. È in generale delineato il diritto di accesso degli interessati ai documenti amministrativi (artt. 22 ss.) 89. In sede penale sono molte le previsioni di avvisi e informazioni all’indagato, di cui fondamentale è la “informazione di garanzia” 90. Vi è poi l’ampia previsione della L. 241/1990, per cui l’azione pubblica deve svolgersi secondo fondamentali criteri privatistici di economicità ed efficacia, nel rispetto di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza (art. 11); la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria (art. 13): tutti criteri volti ad assicurare una produttività istituzionale. Emblematica in tale direzione è la novellazione del Capo 4 della L. 241/1990 intitolato “Semplificazione dell’azione amministrativa” (artt. 14 ss.), che fissa vari strumenti di semplificazione. Fondamentale è la conferenza di servizi 91, che può essere indet86 Per l’art. 9 qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento. Le garanzie procedimentali non solo devono essere osservate ma devono anche essere offerte in tempo utile al soggetto interessato, così da permettergli di presentare le proprie osservazioni in una fase preparatoria, nella quale siano aperte tutte le possibili opzioni (Cons. Stato 13-1-2021, n. 41). Le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo vanno interpretate nel senso che la comunicazione è superflua – con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell’azione amministrativa – quando l’interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono all’apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti (Cons. Stato 28-8-2020, n. 5263). 87 Per l’art. 10 bis, nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. 88 Per l’art. 11, in accoglimento di osservazioni e proposte presentate ex art. 10, l’amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo (co. 1); per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato (co. 4). 89 l diritto di accesso è un diritto soggettivo con consistenza autonoma, indifferente allo scopo per cui viene esercitato; prevale sull’esigenza di riservatezza di terzi quando sia esercitato per consentire la cura o la difesa processuale di interessi giuridicamente protetti e concerna un documento amministrativo indispensabile a tali fini, non altrimenti surrogabile (Cons. Stato 9-3-2020, n. 1664). 90 Per l’art. 369 c.p.p. novell. quando il pubblico ministero deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere, invia alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa una informazione di garanzia con indicazione delle norme di legge che si assumono violate della data e del luogo del fatto e con invito a esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia. 91 La conferenza è indetta dalla pubblica amministrazione quando c’è necessita di esaminare contestual-
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ta anche su richiesta del privato interessato, quando la sua attività sia subordinata ad atti di consenso di più amministrazioni pubbliche (art. 143). Con riguardo alla erogazione di servizi pubblici, un apposito titolo introdotto nel cod. cons., racchiuso nell’art. 101, fissa il fondamentale principio che il rapporto di utenza deve svolgersi nel rispetto di standard di qualità predeterminati e adeguatamente resi pubblici (co. 2) 92. La legge stabilisce per determinati enti erogatori di servizi pubblici l’obbligo di adottare, attraverso meccanismi diversificati in relazione ai settori, apposite carte dei servizi (co. 4). In definitiva, più si amplia la rilevanza degli interessi generali, maggiormente si dilata la conformazione pubblica dell’azione privata, per la emersione di nuovi valori da realizzare; correlativamente più avvertite sono la dignità della persona umana nelle relazioni sociali e il mercato nello sviluppo economico, maggiore è la pervasività dell’azione pubblica di strumenti privatistici, per la rilevanza delle garanzie civiche e l’esigenza di produttività istituzionale.
16. Verso un diritto privato uniforme. – Dopo la stagione del diritto comparato, teso allo studio del confronto tra vari ordinamenti nazionali (e dunque statali), è da tempo in corso una lunga marcia verso un diritto uniforme, stimolata dalla mobilità di persone, capitali e merci a seguito della produzione di massa e dello sviluppo dei trasporti e delle nuove tecnologie, e rinfocolata dalla diffusione dei diritti umani. Dapprima si è sviluppato un diritto strumentale uniforme e propriamente un diritto internazionale privato uniforme, allo scopo di fissare criteri uniformi di individuazione dell’ordinamento applicabile alla fattispecie che presenti elementi di collegamento con più ordinamenti (I, 3.12). Più di recente è in atto un percorso di formazione di un diritto processuale civile uniforme, volto a delineare criteri uniformi per la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni (III, 1.8). Con l’accrescersi delle relazioni tra cittadini di paesi diversi è fortemente avvertita l’esigenza di un diritto materiale uniforme e cioè di una regolazione uniforme delle singole materie, allo scopo di realizzare maggiore certezza dei rapporti giuridici. Aree sempre più vaste del diritto privato sono regolate dal diritto convenzionale, con la stipulazione di convenzioni internazionali rese esecutive nell’ordinamento interno. Tra le convenzioni più risalenti si pensi a quelle in materia di titoli di credito 93. Spesso convenzioni internazionali sono stipulate su impulso di singole organizzazioni 94 e specificamente dell’ONU: esemplare è la Convenzione sulla vendita di beni mobili di mente i vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo o in più procedimenti amministrativi connessi riguardanti i medesimi risultati e attività (c.d. conferenza di servizi istruttoria ex art. 141,3), oppure qualora debba acquisire intese, concerti, nullaosta o assensi, di più amministrazioni (c.d. conferenza di servizi decisoria ex art. 142, 1a parte, e 14 ter9). 92 Lo Stato e le regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, garantiscono i diritti degli utenti dei servizi pubblici attraverso la concreta e corretta attuazione dei principi e dei criteri previsti della normativa vigente in materia (co. 1). Agli utenti è garantita, attraverso forme rappresentative, la partecipazione alle procedure di definizione e di valutazione degli standard di qualità previsti dalle leggi (co. 3). 93 Convenzioni di Ginevra del 7 giugno 1930 sulla cambiale e il vaglia cambiario e sull’assegno bancario, che diedero vita al R.D. 14.12.1933, n. 1669 e al R.D. 21.12.1933, n. 1736. 94 Sono molteplici le convenzioni sulla tutela del lavoro stimolate dalla Organizzazione internazionale del lavoro (OIL).
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Vienna 95 del 1980 che, pur tra paesi caratterizzati da ordinamenti non omogenei, ha ispirato molta normativa europea e legislazioni nazionali (es. codice del consumo). In altri settori, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali di Roma del 1950, la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989. Delle varie convenzioni internazionali si darà conto nelle singole sedi. Allo stato, è ancora impossibile o molto difficile prefigurare un governo mondiale dell’economia e in generale una disciplina universale delle relazioni umane 96. Sono le categorie giuridiche del diritto privato e del diritto pubblico a dovere tessere la trama di principi e concetti di relazioni giuridiche sopranazionali, fissando le regole fondamentali della convivenza mondiale, improntate alla difesa dei diritti umani e alla tutela del mercato. Mentre spetta alle varie istituzioni sociali (pubbliche e private), a cominciare dalla famiglia e dalla scuola, educare alla cultura della relazionalità di convivenza umana mondiale. L’uomo moderno, che si è liberato dall’oppressione politica, non deve cadere sotto il controllo dell’organizzazione tecnologica che il mondo contemporaneo ha creato.
17. La società tecnologica. Bioetica e ecologia. – Le scienze e le scoperte scientifiche, specie quando assumono le caratteristiche di rivoluzioni tecnologiche, non si limitano ad arricchire la conoscenza ma attraversano le declinazioni della realtà materiale, come potenti fattori di modificazione della vita umana e delle relazioni sociali, ai quali gli ordinamenti stentano ad adeguarsi e fanno fatica a governare. È ormai ricorrente l’intreccio tra “principio di innovazione” che tende a fare applicazione di tutti i risultati della ricerca scientifica e “principio di precauzione” che mira a segnare limiti di intervento alla scienza 97, attraverso un percorso di interazione tra scienza, etica e diritto 98. C’è da ergere vincoli, con controlli di diritto pubblico, perché l’azione privata non sia in contrasto con l’utilità sociale o di danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, secondo un bilanciamento tra più beni. a) Con riguardo alla bioetica, il governo tecnologico della vita attraversa la persona nelle sue potenzialità e espressioni 99. È in atto una progressiva penetrazione della scienza 95 Dopo l’esperienza delle due Convenzioni dell’Aja del 1964, è maturata la Convenzione di Vienna del 1980, ratificata e resa esecutiva con L. 11.12.1985, n. 765. 96 Anche l’e-government non si può tradurre in una trasformazione digitale di consuete azioni fisiche e pratiche burocratiche, ma implica riprogettazione dei meccanismi di coordinamento organizzativo e di regolazione delle relazioni sociali attraverso un nuovo sistema di interazione tra pubblica amministrazione e società civile. 97 Le tecnologie condividono con i farmaci un medesimo destino: utili strumenti di beneficio umano (si pensi all’ausilio e recupero di funzioni fisiche assenti o perdute, ovvero di acquisizione di conoscenze), ma anche ragioni di prostrazione della persona umana, così del suo corpo (attraverso un biopotere) come della sua cultura (mediante un divario di informazioni). Nel greco antico il termine phàrmakon indicava rimedio e veleno: le due traiettorie dell’impiego utile della salubrità o dell’utilizzo nocivo della tossicità. 98 La cultura greca era solita considerare la tecnica come necessariamente correlata all’etica e all’estetica, trovando in queste un limite insormontabile. Le scoperte scientifiche non si limitano ad arricchire la società, spesso la trasformano, incidendo sul modello di vita. Perciò la scienza non può da sola determinare “diritti individuali” senza la mediazione della politica che riconosca i portati della scienza compatibili con i valori storicamente vissuti dalla società. 99 Il corpo umano è sempre più spesso avvertito come un insieme di funzioni biologiche, i cui organi possono essere sottoposti a sostituzioni e trasformazioni, come a finire la vita prospettata. L’editing genetico consente ormai di intervenire sulle sequenze del DNA, dipanandosi sullo sfondo il tormentato problema della clonazione umana, che, per certe parti del corpo, è già in atto.
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nel corpo umano attraverso lo sviluppo delle biotecnologie. Ampie applicazioni stanno facendosi con l’utilizzo del DNA in varie direzioni, dal rintraccio di autori di reati alla ricerca di genitorialità, all’intervento di genetica procreativa. Anche quando è la stessa persona a disporre del proprio corpo, emergono egualmente inquietanti interrogazioni: entro quali limiti è eticamente lecito disporre del proprio corpo? Allo stato hanno trovato una regolazione giuridica l’interruzione della gravidanza, la rettificazione di sesso e la procreazione medicalmente assistita, con la procreazione per altri (maternità surrogata); ma l’uso delle tecnologie trascina verso la eutanasia, la clonazione e forse un domani verso la procreazione meramente tecnologica 100 (V, 4.6). Una fondamentale cultura della responsabilità deve attraversare e impegnare gli operatori delle tecniche (ricercatori, sanitari, intermediari) che, a vario titolo, stimolano, plasmano e organizzano la trama bioetica. In tale logica è emerso il problema della connessione della bioetica alla eugenetica: emerge il poliedrico divario tra bioetica e ricerca, che, in una prospettiva religiosa, attinge al dilemma tra fede e scienza. b) Rispetto alla ecologia, vengono in rilievo le tecnologie di produzione intensiva inquinante e di consumo indiscriminato di suolo. A fronte del volto benefico dell’edilizia che permette il soddisfacimento di esigenze abitative, il supporto delle attività economiche, il presidio della natura e la valorizzazione dell’arte, sussiste l’impiego distorto che si svolge in più direzioni, con compromissione di ambiente e territorio, oltre che di vivibilità e bellezza dei luoghi, e come alimento delle ricchezze illecitamente formate. L’acquisito dominio (illusorio) della natura attraverso le tecnologie alimenta una spietata logica estrattiva e un’intensiva attività di fabbricazione, squassando l’armonia della natura e l’equilibrio ecologico, pur di trarre profitto 101. Affianco agli interventi di presidio del territorio e dell’equilibrio ecologico, c’è da operare in più direzioni; da un lato, vietare lo spaccio degli immobili abusivi attraverso le comminatorie di invalidità degli atti dispositivi, oltre le sanzioni penali e amministrative; dall’altro verifica il tracciamento delle risorse economiche utilizzate e dei proventi conseguiti. Il Reg. UE/2020/852 (relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili) stabilisce i criteri per determinare se un’attività economica possa considerarsi ecosostenibile, anche al fine di individuare il grado di ecosostenibilità di un investimento finanziario. 100 Per la Conv. di Oviedo del 1997 sui diritti dell’uomo e la biomedicina, gli Stati contraenti sono tenuti a “proteggere l’essere umano nella sua dignità e nella sua identità e a garantire ad ogni persona, senza discriminazione, il rispetto della sua integrità e dei suoi altri diritti e libertà fondamentali riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina” (art. 1), con la prescrizione che “Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto” (art. 21); per la Carta dir. fond. U.E. “ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica” (art. 31), con il “divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro” (art. 32, lett. c). Intorno ai differenti versanti si snoda il tormentato bilanciamento tra il diritto al figlio come compimento esistenziale dell’aspirante genitore e il diritto del figlio come prerogativa della persona a nascere senza malformazioni e in equilibrio psicofisico. Fondamentale il principio solidaristico dell’art. 1 Conv. europea di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei fanciulli e dell’art. 2 Conv. ONU di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, organizzato in una dimensione di alterità di tutela dell’interesse superiore del minore. 101 Sono sempre più diffuse azioni, sostenute da tecnologie, di spianare pendici dei monti, ingabbiare rovesci dei mari, riscaldare fresche valli; come anche realizzare edificazioni intensive che modificano i luoghi delle città con la realizzazione di ghetti abitativi, presto fatiscenti, che diventano incubatori di emarginazioni e disperazioni. Ad opera del grande capitale, si realizzano di sovente periferie informi, con agglomerati edilizi senza anima, riducendosi anche le occasioni delle condivisioni sociali urbane e accentuandosi la crisi delle città, già in difficoltà nel fronteggiare le sfide dell’inquinamento e della multietnica che stenta a integrarsi e diventare interculturale.
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18. Segue. La rivoluzione digitale. Piattaforme, algoritmi, tecnocrazia e diritti. – È la più coinvolgente tappa della società tecnologica per innescare una dialettica sempre più stretta tra l’uomo e la tecnica 102, con vari risvolti socio-economici 103. a) Rispetto alle tecniche utilizzate, le piattaforme (hardware e software) sono ambienti dove sono sviluppati e/o eseguiti programmi o applicazioni che, interagendo, fissano le oscure regole comportamentali di accesso e navigazione. Gli algoritmi, collegati a specifiche piattaforme, segnano lo sviluppo ordinato e finito di tali regole, con la elaborazione di passi (operazioni o istruzioni) verso un determinato risultato. La Commissione europea ha presentato il 21.4.2021 una proposta di Regolamento U.E. con regole armonizzate sull’intelligenza artificiale (IA) e con modifica di alcuni atti legislativi dell’Unione 104. La bipolarità dell’informazione, attraverso il dovere di renderla e il diritto di acquisirla, ormai si accompagna ad una fluidità della comunicazione, per cui la interconnessione telematica comporta una naturale attivazione di informazioni della persona (della sua collocazione, della sua cultura come della sua condotta), divenendo costante terminale di controlli e pressioni: sono frequenti i furti di identità (con messaggi e immagini virali) per le finalità più varie (economiche, delinquenziali, sessuali, ecc.). Attraverso l’informatica (che realizza automazione) e la telematica (che determina comunicazione) è emersa una società digitalizzata connotata dalla interazione delle reti 105, dove il ciberspazio è, ad un tempo, “spazio comune” di dialogo mondiale e “bene comune” di accesso per soggetti, gruppi e istituzioni. Informatica e telematica ostentano una oggettività di relazionalità, con coerenza logica comportamentale e comunicativa; ma la storia si ripete: anche dietro la ingegneria robotica di neutralità e inevitabilità delle scelte, operano i “padroni del vapore” che organizzano la razionalità tecnologica attraverso algoritmi pensati e calcolati per competere nei mercati della produzione e degli scambi e catturare adesioni nelle maglie istituzionali; gli agenti telematici elaborano le regole sociali e morali che orientano l’ordine dei popoli e nell’universo, in luogo del confronto ideologico e religioso degli uomini. b) C’è l’esigenza di governo dell’impatto sociale delle tecnologie digitali, sia per garan102
Si va delineando una esperienza onlife e cioè di vita che scorre immersa nelle tecnologie interattive. Si prospetta una intelligenza artificiale produttiva di un “uomo aumentato” o addirittura di un “postumano”: le istanze sociali e politiche sono necessariamente destinate ad intrecciarsi con le fedi religiose circa il senso della vita. 103 Ad es., in campo giuridico, per la razionalizzazione e circolarità della giurisprudenza, applicate al processo; in campo economico, per la valutazione del merito creditizio e del rischio, nonché in azioni di marketing per alimentare desideri e bisogni; in campo medico per diagnosi e interventi sul corpo, oltre che come sistema di comprensione delle dinamiche neurologiche. Le videosorveglianze certamente rafforzano la sicurezza, ma indeboliscono la riservatezza. 104 Per l’art. 1 del Progetto, il Regolamento stabilisce: a) regole armonizzate per l’immissione sul mercato, la messa in servizio e l’uso dei sistemi di intelligenza artificiale (“sistemi di IA”) nell’Unione; b) il divieto di determinate pratiche di intelligenza artificiale; c)requisiti specifici per i sistemi di IA ad alto rischio e obblighi per gli operatori di tali sistemi; d) regole di trasparenza armonizzate per i sistemi di IA destinati a interagire con le persone fisiche, i sistemi di riconoscimento delle emozioni, i sistemi di categorizzazione biometrica e i sistemi di IA utilizzati per generare o manipolare immagini o contenuti audio o video; e) regole in materia di monitoraggio e vigilanza del mercato. 105 È in corso una unitizzazione della rete: il ricorso di cittadini, imprese e istituzioni all’uso della rete ha ormai sviluppato una economia di rete (net economy), espressione da preferire a quella più consueta di new economy, che, per la sua genericità, non esprime un aspetto contenutistico.
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tirne l’accesso generalizzato sia per la difesa dei singoli dagli attacchi nocivi 106. La garanzia di accesso alla rete prospetta un versante fondamentale di giustizia sociale, per la connessione del sapere al potere, che caratterizza la società dell’informazione 107. L’accesso alla rete costituisce un nuovo diritto fondamentale, per essere divenuto il più importante mezzo comunicativo, così da condizionare lo sviluppo individuale e sociale della persona 108 e quindi la stessa agibilità democratica della società 109. È un diritto di rilevanza costituzionale, per prevedere l’art. 21 Cost. il diritto di tutti di manifestare liberamente il proprio pensiero con “ogni mezzo” di diffusione, tra cui è oggi annoverabile Internet: è enucleabile dalla norma un principio di “pluralismo informativo”; il diritto di manifestare il proprio pensiero si ricollega allo “sviluppo della persona umana” e alla “effettiva partecipazione” all’organizzazione politica, economica e sociale (art. 32 Cost.). Consegue l’inclusione di tale diritto tra i diritti sociali, con il necessario sostegno finanziario pubblico, anche in partenariato con i privati, che consenta effettività di accesso alla connessione e alla conoscenza dei contenuti. Il digital divide, cioè lo squilibrio nella distribuzione (territoriale e individuale) delle tecnologie di accesso a web, rappresenta oggi una essenziale (anche se non l’unica) ragione di discriminazione nella distribuzione del benessere: ad es., tra gli obiettivi strategici dell’Europa, c’è la realizzazione di una società dell’informazione “inclusiva” (e-inclusion) ossia una società dell’informazione per tutti 110. La protezione dall’attacco della rete si svolge in più direzioni. C’è anzitutto da intensificare l’educazione alla selezione del sovraccarico di informazione, perché si produca effettiva conoscenza. Inoltre c’è da contrastare gli effetti perversi della comunicazione permanente dei dati della persona: la diffusività e la pervasività di internet consentono la circolazione 106 La telematica, consentendo immediatezza e universalità di comunicazione e dialogo, rischia di offuscare virtù individuali per attestarsi come il vero “idolo” della società moderna, omologante di opinioni e comportamenti. Il tremendo racconto biblico di Abramo e del figlio Isacco, con la voce di Dio “Non vi farete idoli”, ancora oggi ci interroga sul rapporto tra fede e ragione, tra diritto e morale, rispetto ad un cammino della civiltà verso l’idolo della tecnologia crescente che offusca ogni retroterra etico e religioso. 107 L’espressione società dell’informazione allude ad un sistema che fonda i rapporti interpersonali e l’assetto economico sull’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, pervenendo alla dematerializzazione di atti e di operazioni economiche. La possibilità di estrarre informazioni, di selezionarle, metterle in relazione ed elaborarle consente la produzione di nuovi beni da immettere sul mercato; ma anche di realizzare utilità rilevanti nelle dimensioni sociali, culturali, politiche. Perciò l’accesso all’informazione diventa oggetto di contesa sociale ed economica. 108 Sul piano nazionale, significativa è la “Carta dei diritti in Internet”, approvata il 28.7.2005, il cui art. 2 riconosce l’accesso ad Internet come “diritto fondamentale della persona” e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale, in condizioni di parità; mentre, per l’art. 6, ogni persona ha diritto di “accedere ai propri dati”, quale che sia il soggetto che li detiene e il luogo dove sono conservati, per chiederne l’integrazione, la rettifica, la cancellazione secondo le modalità previste dalla legge. 109 Nella prospettiva istituzionale si agita il delicato tema della democrazia digitale, che alimenta i due grandi fronti di ripensamento della mediazione dei partiti (democrazia rappresentativa) e di esaltazione della volontà generale espressa nelle forme telematiche (democrazia diretta). 110 Già la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni di iniziativa europea 2010 di “partecipare alla società dell’informazione”, secondo l’indirizzo “e-inclusion: be part of it”. È seguita la Comunicazione della Commissione “Europa 2020”, con le conclusioni del Consiglio d’Europa del 17.6.2010, che delinea un quadro dell’economia di mercato sociale europea per il XXI sec. con “una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”, caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale e con tre priorità che si devono rafforzare a vicenda: crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.
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PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO
universale di dati personali senza consenso del soggetto interessato (è l’esperienza propria dei social networks), con violazione dei diritti alla immagine, di autore, e della verità 111, con l’esigenza di tutela del diritto all’oblio 112 o almeno alla deindicizzazione 113. C’è poi il grande dilemma della identificazione elettronica in rete rispetto alla identità personale. L’informatica sviluppa una realtà di tracciamento della esperienza di vita, che consente una profilazione della esistenza umana, indirizzabile e economicamente utilizzabile e spendibile 114. La stimolazione del protagonismo nella rete fa acquisire conoscenze da utilizzare per l’orientamento all’assorbimento di beni e servizi. La tutela della privacy si atteggia come una questione politica centrale dell’era dell’informatica. L’art. 8 Carta dir. fond. U.E. riconosce il diritto alla protezione dei dati personali come un diritto fondamentale, con precisi vincoli al trattamento dei dati personali 115. Fondamentale il Reg. UE/2016/679 del 27.4.2016 (General Data Protecion Regulation o GDPR), relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati. 111
Si consideri anche il fenomeno, egualmente odioso, della disinformazione attraverso le fake news, con lesione della dignità umana e con riflessi sul mercato, spesso con offese all’onore e travisamenti della identità morale di soggetti (persone o enti). Una persona giuridica la quale lamenti che, con la pubblicazione su Internet di dati inesatti che la riguardano e l’omessa rimozione di commenti sul proprio conto, sono stati violati i suoi diritti della personalità, può proporre un ricorso diretto alla rettifica di tali dati, alla rimozione di detti commenti e al risarcimento della totalità del danno subito dinanzi ai giudici dello Stato membro nel quale si trova il centro dei propri interessi (foro della vittima) (Corte giust. U.E., grande sez., 17-10-2017, causa C-104/16). 112 La menzione di fatti trascorsi deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (Cass., sez. un., 22-7-2019, n. 19681). 113 Per l’art. 17 GDPR l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano nei casi elencati nel medesimo articolo. Il diritto all’obblio nei casi riguardanti i motori di ricerca si concretizza con il concetto di deindicizzazione che “consente un’operazione sostanzialmente differente dalla rimozione/cancellazione di un contenuto: non lo elimina, ma lo rende non direttamente accessibile tramite motori di ricerca esterni all’archivio in cui quel contenuto si trova”. La deindicizzazione con cancellazione delle copie cache va bilanciata con l’interesse alla diffusione dell’informazione (Cass. 8-2-2022, n. 3952). 114 I cittadini sono contenti di usare servizi digitali online gratuiti; ma così consegnano la propria identità nella rete: le grandi piattaforme guadagnano vendendo spazi pubblicitari ritagliati su misura sugli utenti e per farlo li profilano. Il meccanismo della profilazione era già emerso in ambiente criminale attraverso il c.d. “criminal profiling”, attraverso lo studio degli omicidi seriali con il fine di penetrare le dinamiche psicologiche e comportamentali degli autori dei delitti. Significativa in tal senso è Corte giust. U.E. 5-4-2022, causa C140/20 che ha considerato contrastare con il diritto europeo misure legislative che prevedano, per finalità di lotta alla criminalità grave e di prevenzione delle minacce gravi alla sicurezza pubblica, la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico e all’ubicazione, rimodellando l’intero assetto di data retention secondo un principio di proporzionalità. 115 Ai sensi dell’art. 82 della Carta dir. fond. U.E. i dati di carattere personale devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o ad un altro fondamento legittimo previsto dalla legge; ogni persona ha diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica. La Corte di giustizia U.E., con sent. 13-5-2014, nella causa C-131/12, ha stabilito che, nel caso in cui, a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, l’elenco di risultati mostri un link verso una pagina web che contiene informazioni sulla persona in questione, questa può rivolgersi direttamente al gestore oppure, qualora questi non dia seguito alla sua domanda, adire le autorità competenti per ottenere, in presenza di determinate condizioni, la soppressione di tale link dall’elenco di risultati.
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Vi è poi la drammatica esperienza delle relazioni con i minori, frequentemente oggetto di abusi, che stimolano una tutela rafforzata della personalità degli stessi, sia con interventi strutturali di rete, che attraverso un sistema di “parental control”. c) Insidioso è il problema della imputazione giuridica dei fatti e degli atti compiuti a mezzo internet. Gli investimenti globali sulla intelligenza artificiale e la maturazione generalizzata di una cultura dell’AI potranno portare un domani (forse non troppo lontano) alla imputazione diretta degli atti e delle azioni alle piattaforme, attribuendo alle stesse una soggettività per la paternità degli algoritmi e degli effetti favorevoli o nocivi prodotti: è il terribile dilemma del rapporto tra l’uomo e la macchina, nel quale l’umo potrebbe essere condizionato e governato dalla macchina! Allo stato, c’è già una esigenza di razionalizzazione del sistema e di imputazione di atti e risultati dei meccanismi telematici, perché l’azione tramite internet, mentre è produttrice di vantaggi, non resti priva di controlli e di sanzioni per i danni inferti a persone, strutture e istituzioni. Si è aggiunto l’ulteriore problema di imputazione dei poteri privati esercitati dalle piattaforme: si può utilizzare un generale criterio di imputazione in capo a chi ha la disponibilità della tecnologia e specificamente del software. Si può guardare con interesse alla soluzione utilizzata, nella economia delle cose, attraverso la disciplina della responsabilità per danni da cose in custodia (art. 2051 c.c.), ovvero può guardarsi alla responsabilità per danni da prodotti difettosi (artt. 114 ss. cod. cons.). Può pensarsi che, non solo la responsabilità per danni, ma anche l’imputazione di fatti e atti vada ricondotta in capo a chi ha la disponibilità della tecnologia, salva la prova del caso fortuito; più correttamente va configurata senz’altro una responsabilità oggettiva del soggetto che ha il controllo delle piattaforme. d) Sta emergendo una tecnocrazia come esercizio del potere al tempo di internet. È il c.d. governo dei tecnici, con il pericolo che una classe dirigente di tecnocrati, depositaria di conoscenze e in grado di orientare informazioni e contegni, possa indirizzare i processi di selezione e le organizzazioni socio-economiche, senza una base di legittimazione democratica ma solo sostenuta dalle competenze tecniche e capacità gestionali. Accanto ai tre poteri giuridico-formali (legislativo, esecutivo e giudiziario) declinati dalla Carta costituzionale, stanno emergendo poteri di fatto. È da tempo maturata la formazione di un c.d. “quarto potere” 116, rappresentato dai mass media e dalla videocrazia, in qualche modo regolato (art. 21 Cost.); sta ora imponendosi un c.d. “quinto potere” 117, rappresentato dalla tecnocrazia informatica e dalla digitalizzazione in grado di massificare le persone e di indirizzarle e talvolta costringerle verso scelte razionalmente assunte secondo calcoli di efficienza economica. Si delinea un problema di democrazia politica contro i poteri di fatto, che orientano sia la concorrenza economica che la competizione politica e il confronto ideologico. Le tecnologie digitali hanno accentuato la globalizzazione dell’economia e delle relazioni sociali. È ora necessaria una governance egualmente globalizzata di presidio delle 116 L’espressione è nata in Inghilterra nel 1787, durante una seduta della Camera dei Comuni, allorché un parlamentare, rivolgendosi alla stampa, esclamò: “Voi siete il quarto potere”. Da allora la formula ha espresso le correlazioni degli organi di informazione con i tre poteri costituti, di denunzia o di asservimento. 117 L’espressione trae origine dal famoso film omonimo (network) del 1976, come graffiante satira del mondo televisivo statunitense degli anni settanta.
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PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO
imputazioni e di garanzia delle debolezze. Ormai sono tanti i terreni di articolazione del potere digitale. Si pensi solo all’attività lavorativa, dove l’algoritmo manageriale caratterizza una intelligenza artificiale datoriale che automaticamente organizza il lavoro e il personale: c’è la necessità di salvaguardare una interfaccia personale consapevole della realtà dei lavoratori, con articolazione di una subordinazione lavorativa umana. Le tecnologie applicate all’azione amministrativa stanno poi facendo emergere un problema di bilanciamento tra esigenza di digitalizzazione della pubblica amministrazione e necessità di garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini, per evitare che l’algoritmo di una intelligenza artificiale possa incidere automaticamente sulla vita delle persone, senza l’osservanza delle garanzie dello stato sociale di diritto. Va a tale scopo tutelato il diritto all’accesso all’algoritmo per conoscere il modulo digitale utilizzato con gli addestramenti impartiti, gli eventuali pregiudizi contenuti come gli obiettivi assegnati. Con la valorizzazione dell’accesso all’algoritmo, in un’ottica di trasparenza dell’azione amministrativa 118, è anche tutelato il diritto sostanziale all’impugnazione della determinazione del sistema informatico. L’Unione europea tende anche a rendere più sicure le tecnologie dell’informazione (TIC), secondo le previsioni degli artt. 179 ss. TFUE 119. La proposta di Regolamento relativo a un mercato unico dei servizi digitali (c.d. “legge sui servizi digitali”) del 15.12.2020 rappresenta una delle misure chiave nell’ambito della strategia europea per il digitale 120. In tale multiforme direzione volgerà la dialettica della politica con la scienza, nella sinergia tra obiettivi sociali e competenze necessarie nella società tecnologica, nella ricerca di uno stato di sviluppo sociale come sintesi di prosperità economica e benessere esistenziale.
118 Fondamentale Cons. Stato 8-4-2019, n. 2270: L’algoritmo attraverso il quale si concretizza la decisione robotizzata della P.A. deve essere “conoscibile”, secondo una declinazione rafforzata del principio di trasparenza, che implica anche quello della piena conoscibilità di una regola espressa in un linguaggio differente da quello giuridico; la conoscibilità dell’algoritmo deve essere garantita in tutti gli aspetti: dai suoi autori al procedimento usato per la sua elaborazione, al meccanismo di decisione, comprensivo delle priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale e dei dati selezionati come rilevanti; ciò al fine di poter verificare che gli esiti del procedimento robotizzato siano conformi alle prescrizioni e alle finalità stabilite dalla legge o dalla stessa amministrazione a monte di tale procedimento e affinché siano chiare – e conseguentemente sindacabili – le modalità e le regole in base alle quali esso è stato impostato. Vedi anche Cass. 25-5-2021, n. 14381. Il consenso al trattamento di dati personali è validamente prestato se espresso liberamente e specificamente in riferimento a un trattamento chiaramente individuato; nel caso di una piattaforma web (con annesso archivio informatico) preordinata all’elaborazione di profili reputazionali di singole persone fisiche o giuridiche, incentrata su un sistema di calcolo con alla base un algoritmo finalizzato a stabilire i punteggi di affidabilità, il requisito di consapevolezza non può considerarsi soddisfatto ove lo schema esecutivo dell’algoritmo e gli elementi di cui si compone restino ignoti o non conoscibili da parte degli interessati. 119 Fondamentali sono il Reg. 910/2014/UE sull’identità digitale, il Reg. 679/2016/UE sul trattamento dei dati personali, la direttiva UE/2016/1148, recante misure per un livello comune elevato di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi nell’Unione. 120 Nella comunicazione del 19.2.2020, “Plasmare il futuro digitale dell’Europa”, la Commissione si è impegnata ad aggiornare le norme orizzontali che definiscono le responsabilità e gli obblighi dei prestatori di servizi digitali, in particolare delle piattaforme online, dichiarando che “le persone hanno diritto a tecnologie di cui possono fidarsi” e che “ciò che è illecito offline deve esserlo anche online”.
CAPITOLO 3
FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO (Efficacia e interpretazione) Sommario: 1. Regole giuridiche e fonti del diritto. – 2. Tecniche di normazione e caratteri delle norme giuridiche. – A) FONTI DEL DIRITTO. – 3. Fonti di produzione e fonti di cognizione. – 4. Tipologia e gerarchia delle fonti di produzione. – 5. Costituzione e leggi costituzionali (il controllo di legittimità costituzionale). – 6. Diritto europeo (fonti e armonizzazione). – 7. Leggi (statali e regionali). – 8. Regolamenti. – 9. Usi. – 10. Emersione di nuove fonti. – B) APPLICAZIONE DEL DIRITTO. – 11. Efficacia nel tempo (obbligatorietà delle norme). – 12. Efficacia nello spazio (diritto internazionale privato). – 13. Interpretazione delle norme giuridiche (criteri e valori). – 14. Risultati dell’interpretazione. L’analogia. – 15. L’equità. – 16. Diritto vivente (nomofilachia e overruling).
1. Regole giuridiche e fonti del diritto. – Il tema delle “fonti del diritto” ha una fondamentale importanza per caratterizzare la fisionomia dell’ordinamento giuridico. Anzitutto le fonti del diritto fissano la specificità delle regole giuridiche tra le tante regole (morali, religiose, di cortesia, ecc.) che sorreggono le relazioni sociali. Inoltre delineano l’organizzazione della società e perciò sono destinate ad evolvere con i mutamenti della stessa. In tal guisa le fonti del diritto sono esse stesse regolate. La disciplina delle fonti del diritto regola i modi nei quali sono generate le norme giuridiche e rese conoscibili ai consociati. Il tratto maggiormente caratterizzante lo Stato di diritto rispetto allo Stato assoluto sta proprio in ciò: la produzione delle norme giuridiche è disciplinata in modo vincolante, perché tutti (pubblici poteri e privati) siano soggetti alla legge (principio di legalità) e sia certa l’esistenza delle regole (principio di certezza del diritto). Correlativamente è anche essenziale una disciplina dell’applicazione del diritto, perché sia possibile pervenire ad una attuazione tendenzialmente uniforme del diritto, pur nella varietà delle vicende concrete e della formazione culturale dei soggetti che sono chiamati ad applicare il diritto. Si vedrà peraltro come le regole di settore sono sinergiche ai principi generali dell’ordinamento, che ne corroborano la precettività e ne orientano l’interpretazione. A suggellare l’importanza di tali esigenze, in apertura del codice civile sono dettate Disposizioni sulla legge in generale 1, con una normativa relativa alle “fonti del diritto” (artt. 1-9) ed un’altra relativa alla “applicazione della legge in generale” (artt. 10-16). La 1 Il R.D. 16.3.1942, n. 262, recante l’approvazione del testo del codice civile, testualmente dispone: “È approvato il testo del codice civile, il quale, preceduto dalle Disposizioni sulla legge in generale, avrà esecuzione a cominciare dal 21 aprile 1942, sostituendo da questa data i libri del codice stesso”.
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PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO
collocazione della disciplina si giustifica per il valore storicamente avuto dal codice civile, come disciplina fondamentale e generale dei rapporti tra cittadini. Per tale collocazione le disposizioni sulla legge in generale sono anche comunemente denominate disposizioni preliminari al codice civile o senz’altro, in modo abbreviato, preleggi, per indicare appunto che precedono, costituendone quasi la premessa, la legge generale per antonomasia, cioè il codice civile. Vanno però subito compiute due notazioni, che l’analisi successiva svilupperà: per un verso, le disposizioni delle preleggi devono intendersi applicabili a tutti i rami dell’ordinamento e non solo al codice civile; per altro verso, le stesse preleggi vanno integrate con le fonti che successivamente sono emerse, specificamente la Carta costituzionale e i Trattati di diritto europeo, che essendo di rango superiore si applicano anche alle preleggi e prevalgono sulle stesse 2. È ormai tramontato il monopolio statale nella produzione del diritto. Come si vedrà, fonti di diversa provenienza (nazionale, europea e internazionale) e di diversa natura (pronunzie giurisprudenziali e regolamenti amministrativi, scelte delle attività professionali e delle prassi contrattuali) concorrono assieme alle leggi alla formazione del diritto vivente. L’affermazione dei diritti umani nei moderni ordinamenti impone poi applicazioni adeguatrici delle singole regole giuridiche ai diritti fondamentali e ai valori dell’ordinamento, come si è visto con l’analisi della evoluzione del diritto privato. La complessità delle vicende umane ed economiche implica interdisciplinarietà, come integrazione di saperi, nel comprendere e risolvere i problemi suscitati dall’esperienza giuridica (problem solving). Si dipana una valutazione storicizzata del diritto, che coinvolge la valutazione delle fonti del diritto.
2. Tecniche di normazione e caratteri delle norme giuridiche. – Trattando dell’ordinamento giuridico, si è anticipato della trama della normativa, per delineare le connessioni tra le varie regole (I, 1.4). Bisogna ora parlare delle tecniche e dei criteri di formulazione delle norme, e cioè della struttura delle norme. a) Tecniche di normazione. Esistono più tecniche di normazione, che di recente stanno ricevendo l’apporto dall’esperienza europea. 1) La tecnica tradizionale e più diffusa è per fattispecie (facti species). L’ordinamento prevede il fatto astratto, al cui realizzarsi in concreto conseguono gli effetti previsti dall’ordinamento. Con un percorso logico si procede alla sussunzione del caso concreto alla norma giuridica: si svolge un sillogismo tra una fattispecie astratta che prevede il fatto astratto regolato dall’ordinamento (premessa maggiore) ed una fattispecie concreta o materiale (premessa minore) che esprime il fatto concreto realizzatosi: la riconducibilità della fattispecie concreta alla fattispecie astratta comporta l’applicazione della norma. Più spesso la fattispecie astratta è formata da un precetto, che fissa la regola di comportamento (norma primaria), e da una sanzione, che stabilisce la conseguenza della inosservanza del precetto (norma secondaria), con funzione intimidatoria che esprime la imperati2
È ormai avvertita anche in Italia l’esigenza di una preventiva “analisi di impatto della regolazione” (Air), secondo lo strumento noto negli ambienti internazionali di “Regulatory Impact Analysis” (Ria). È un sistema consistente nell’esame delle possibili opzioni di intervento normativo per realizzare un determinato obiettivo, attraverso la verifica del prevedibile impatto sociale della regolazione, in termini di costi e benefici sui cittadini, sulle imprese e sulle pubbliche amministrazioni, così da incidere sulla qualità della regolazione (better regulation). Nelle formulazioni più evolute il metodo è aperto alle implicazioni sul territorio e sull’assetto istituzionale.
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO
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vità dell’ordinamento giuridico. Sono queste le c.d. norme perfette (anche dette norme sanzionatorie o coercitive) per connettere all’antigiuridicità del comportamento la sanzione della relativa violazione. Più spesso i due profili (precetto e sanzione) sono contenuti nel medesimo articolo: ad es., chi cagiona ad altri un danno ingiusto è obbligato a risarcirlo del danno (art. 2043); il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno (art. 1218). Talvolta i due profili sono regolati da norme distinte: ad es., gli artt. 1325 ss. prescrivono i requisiti di validità del contratto, mentre gli artt. 1418 ss. e 1425 ss. dispongono le conseguenze della inosservanza con la sanzione, rispettivamente, di nullità o annullabilità del contratto. Non è raro che, ad un precetto (norma primaria), si connettano più sanzioni (norme secondarie), sia di diritto civile che di diritto penale (con formula di gergo, opera il “combinato disposto” di più norme): ad es. il comportamento (colposo o doloso) che cagiona ad altri un danno ingiusto, mentre integra l’illecito civile ex art. 2043 (con l’obbligo di risarcimento del danno a carico dell’autore), può integrare anche un illecito penale (reato) (con le relative pene afflittive imposte all’agente) 3. Non mancano precetti la cui osservanza è rimessa alla prospettiva di un vantaggio (c.d. norme premiali): tipici esempi sono le norme che prevedono incentivi e sussidi per chi investe in aree depresse o agevolazioni tributarie per chi reinveste nell’impresa gli utili prodotti. Esistono anche norme che si limitano ad una mera indicazione della condotta, senza prevedere conseguenze immediate, né per la violazione né per l’osservanza. Ciò avviene quando la norma intende solo fissare principi generali e valori del sistema o additare indirizzi generali di comportamento: sono considerate norme imperfette, per non connettere al precetto una conseguenza immediata e diretta (es. l’art. 315 bis fissa il dovere per il figlio di “rispettare i genitori”), ma indirizzano l’interpretazione e l’applicazione di tante norme giuridiche. Il lato debole di tale tecnica normativa, fondata su una operazione logica, è che, trascurando la morfologia della realtà, tende ad astrarre dalle circostanze concrete in cui il fatto concreto si realizza e dalla personalità degli autori del fatto. Il procedimento della sussunzione è stato perciò progressivamente adattato al rinnovato sistema giuridico o talvolta abbandonato in funzione di una valorizzazione della natura degli interessi coinvolti e del contesto di svolgimento delle vicende umane, secondo i valori ordinamentali di riferimento. La normazione per fattispecie, per comportare una operazione logica di applicazione della norma, ha il vantaggio della certezza della regola applicata e quindi della calcolabilità del comportamento da tenere; presenta però l’inconveniente di trascurare la morfologia della realtà, per astrarre dalle circostanze di verificazione del fatto, dalla natura degli interessi coinvolti e dalla personalità degli autori del fatto. Il procedimento della sussunzione è stato perciò progressivamente adattato al rinnovato sistema giuridico, con la valutazione del caso concreto nel contesto di sviluppo e secondo la complessità ordinamentale. 3
È il terreno delle sanzioni civili in sede penale: per l’art. 185 c.p. “ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili; se abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui” (ai sensi degli artt. 2043-2059 c.c.).
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2) È sempre più diffusa una tecnica di normazione per clausole generali. Il contenuto precettivo delle clausole non è determinato in modo compiuto, con la previsione di un comportamento, ma attraverso l’impiego di formule generali che si completano e concretizzano in ragione della varietà dei casi concreti e della evoluzione dell’ordinamento, operando come integrative e correttive degli atti e dei comportamenti dei privati (es. la clausola generale di buona fede) (II, 7.2). 3) Una più recente tecnica di normazione è per risultato. L’ordinamento si limita a prevedere l’obiettivo da realizzare, lasciando a enti e privati la scelta degli strumenti per conseguirlo. Un chiaro impiego è nella normativa europea, specie attraverso le direttive, rimettendosi agli stati membri la individuazione dei modi di attuare i risultati indicati. È una tecnica di normazione che spesso involge una tutela rimediale, per additare protezioni funzionali al caso concreto e alla tipologia e natura degli interessi coinvolti (III, 1.10). b) Caratteri delle norme giuridiche. Esprimono le proprietà delle norme e dunque sono essenzialmente modulati sulle tecniche di normazione utilizzate. È possibile delineare due fondamentali traiettorie, a seconda che esprimano caratteri riguardanti tutte le norme giuridiche (caratteri generali), ovvero riguardino tratti caratterizzanti di tipi di norme (caratteri particolari). I caratteri coesistono e si sovrappongono in ragione dell’angolo visuale della norma. 1) I caratteri generali hanno riguardo all’essenza della normatività delle regole giuridiche come disciplinatrici di vita sociale: sono la esteriorità e la plurilateralità. La esteriorità indica che le norme giuridiche sono riferite ai comportamenti giuridicamente rilevanti. La esteriorizzazione assicura la relazionalità civile; diversamente operano le regole non giuridiche (morali, religiose, di galateo, ecc.) che, per propria essenza, toccano la coscienza degli uomini. La plurilateralità (o alterità) indica che le norme sono rivolte a regolare le relazioni dei soggetti tra loro e con le istituzioni. Tutto l’ordinamento è in funzione degli uomini e dunque le singole norme segnano modi e misure di rapportarsi ed organizzarsi delle persone. La plurilateralità è connotata dal fondamentale principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 31 Cost.), applicato secondo i fondamentali criteri di ragionevolezza e proporzionalità (artt. 2 e 32 Cost.), non potendosi arbitrariamente introdurre una disparità di trattamento di situazioni uguali e non potendosi immotivatamente trattare in modo uguale situazioni materiali differenti (come più ampiamente si vedrà in seguito: II, 7.7). Trattamenti differenziati sono giustificati, in relazione ai privati, allo scopo di rimuovere gli ostacoli che, in fatto, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 32 Cost.); con riguardo alla pubblica amministrazione, in ragione del buon andamento e dell’efficienza economica, nel rispetto della imparzialità (art. 97 Cost.). 2) I caratteri particolari hanno riguardo al contenuto delle singole norme e sono declinabili in ragione della struttura, della funzione e della efficacia delle norme. – Rispetto alla struttura, rileva la formulazione della norma. Con la edificazione dello Stato moderno hanno preso a funzionare norme generali e astratte quali connotati della unitarietà del soggetto di diritto e della eguaglianza (formale) dei soggetti davanti alla legge (I, 2.3). Specificamente la generalità ha riguardo al profilo soggettivo del precetto, per indicare che la norma si applica a tutti i soggetti che si trovano nella particolare
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situazione o che hanno tenuto il determinato comportamento; l’astrattezza inerisce al profilo oggettivo del precetto, e vale ad indicare la situazione o il comportamento regolati dalla norma, prefigurati in astratto e cioè in via ipotetica, attraverso un processo di enucleazione dei caratteri tipici del fenomeno 4 (es. artt. 2043 e 1218). Pure in tale contesto opera un particolarismo giuridico per la specificità dei contesti o delle attività o degli obiettivi. Si articola in norme speciali (o di diritto speciale) che ineriscono a singole materie o a particolari settori (es. la materia della navigazione 5); ovvero riguardano categorie di soggetti deboli (es. disabili, lavoratori, consumatori) o sono applicabili in determinate aree o specifici luoghi (es. zone da sviluppare). Talvolta le norme speciali si atteggiano come norme eccezionali (e danno vita ad un diritto straordinario) per operare in circostanze specifiche o per far fronte ad evenienze particolari (ad es., leggi emergenziali in conseguenza di calamità naturali o sanitarie). Per l’art. 14 prel. le leggi penali e quelle che fanno eccezione alle leggi generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati; sono norme di stretta applicazione, non suscettibili di applicazione analogica. È in atto un processo di c.d. amministrativizzazione della legge, per cui si ricorre a leggi c.d. formali per imporre imperativi relativi a casi concreti e/o con riferimento a soggetti determinati (c.d. norme singolari o anche dette norme-provvedimento). – Rispetto alla funzione, rileva lo scopo perseguito dalla norma, in ragione degli interessi attuati: si distinguono norme strumentali e norme materiali. Le norme di diritto strumentale o formale (c.d. ordinative) sono organizzative dell’azione pubblica e dell’attività giuridica, tra le quali rientrano anche tutte le norme processuali per far valere in giudizio i propri diritti. La reazione dell’ordinamento per inosservanza di tali norme è la inefficacia in senso ampio dell’atto compiuto (per invalidità o altre ragioni); non si producono oppure vengono eliminati gli effetti, sicché il risultato perseguito con l’atto non è realizzato: ad es., l’assenza di uno degli elementi costitutivi del contratto comporta la nullità e quindi la inefficacia dell’atto (artt. 1325 e 1418); la mancata annotazione di una convenzione matrimoniale o la mancata trascrizione di una vendita immobiliare comporta la inopponibilità dell’atto ai terzi (artt. 162 e 2644). Le norme di diritto materiale o sostanziale (c.d. proibitive) sono attributive di situazioni giuridiche soggettive, conformative di interessi individuali o di gruppi. La reazione dell’ordinamento per la lesione di un interesse giuridicamente protetto è la imposizione di obblighi di reintegrazione del soggetto leso, con connesso risarcimento del danno inferto: es. l’obbligo di restituire le cose illegittimamente sottratte al proprietario o al possessore (artt. 948 e 1168); l’obbligo di risarcimento del danno per inadempimento del contratto o per lesione di un diritto altrui (artt. 1218 e 2043). È frequente che un medesimo fatto dia luogo alla violazione sia di una norma strumentale che di una norma materiale, così operando le sanzioni connesse a entrambi i tipi di norme violate: ad es., a fronte di un contratto che manca di uno degli elementi 4 La dicotomia è riassunta con il concetto di ripetibilità. Riferendosi la norma a uno schema astratto di situazione o comportamento, il precetto è destinato a ripetersi quante volte un soggetto si troverà nella situazione ipotizzata o compirà il comportamento prefigurato. 5 In ragione del mezzo tecnico impiegato (nave o aeromobile) il diritto della navigazione si atteggia quale “diritto speciale” in quanto si innesta nel diritto comune apportandovi gli adattamenti necessari a realizzare specifiche esigenze: gli aspetti non disciplinati, ove non operi l’analogia, sono soggetti al diritto comune.
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costitutivi per la sua validità, consegue senz’altro la nullità e dunque la inefficacia dell’atto (art. 1418) (norma strumentale); se però una delle parti conosceva la causa della nullità e non ne ha dato notizia all’altra, ha leso la libertà di autodeterminazione della controparte e perciò è tenuta a risarcire il danno da questa risentito (art. 1338) (norma materiale). È possibile che un contratto sia conforme alla norma strumentale e quindi valido, ma il comportamento di una parte sia in contrasto con una norma materiale per risultare lesivo di un interesse giuridicamente protetto: ad es., il dolo incidente non è causa di annullamento del contratto ma obbliga l’autore dei raggiri al risarcimento dei danni (art. 1440). – Rispetto alla efficacia, rileva la operatività della norma, che è graduata, a seconda che siano o meno in gioco valori fondamentali dell’ordinamento e dunque le basi stesse della coesistenza sociale. Si delineano norme imperative e norme dispositive. Le norme imperative (anche dette cogenti o inderogabili) non consentono deroghe dai privati: sono applicate anche contro la volontà delle parti (ad es. l’art. 160 vieta ai coniugi di derogare ai diritti e agli obblighi previsti dalla legge per effetto del matrimonio; l’art. 1229 dichiara nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore). Le norme dispositive aprono alla valutazione di convenienza dei soggetti: sono norme sì operative, ma non operano contro la volontà dei destinatari. Le norme dispositive, a loro volta, si atteggiano in duplice modo: come norme dispositive in senso stretto, quando sono derogabili dai privati (ad es. l’art. 1282 prevede la naturale fecondità del denaro, per cui i crediti liquidi ed esigibili producono di diritto interessi, “salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente”); come norme suppletive, quando operano in via residuale, allorché i privati non abbiano apprestato una diversa regola pattizia (ad es. l’art. 159 impone il regime di comunione legale “in mancanza di diversa convenzione” dei coniugi).
A) FONTI DEL DIRITTO 3. Fonti di produzione e fonti di cognizione. – Il tema delle fonti porta ad esaminare i modi e le forme di derivazione del diritto e di conoscenza dello stesso. a) Le fonti di produzione sono le fonti in senso stretto del diritto: sono i fatti generatori delle regole giuridiche, rispetto ai quali le norme rappresentano il risultato ovvero il prodotto. Si è visto che, affinché tale effetto si produca, è necessario che le fonti siano previste e disciplinate da specifiche norme giuridiche, al fine di rendere noto il meccanismo di generazione delle norme: perciò sono “fonti legali” del diritto. La tipologia delle fonti determina anche il procedimento di formazione: ad es., le leggi ordinarie vanno formate secondo gli artt. 70 ss. Cost.; le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate secondo l’art. 138 Cost. Il risultato del procedimento di formazione, della legge come di ogni altro atto normativo, si concretizza in un testo che, debitamente pubblicizzato, consente di attingere la conoscenza della regola giuridica. b) Le fonti di cognizione sono fonti in senso lato del diritto: sono gli atti e gli strumenti pubblici rivolti a procurare la conoscibilità delle regole giuridiche; non sono dunque produttive di diritto, ma solo ne consentono la conoscenza. Nello stato di diritto la
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conoscenza del diritto è un presupposto essenziale della certezza del diritto: fonti di cognizione sono, ad es., la Gazzetta Ufficiale e il Bollettino Ufficiale della Regione 6. Quando, in singoli settori, più normative si stratificano nel tempo, è frequente il ricorso a testi unici che riordinano organicamente la disciplina di un settore, al fine di facilitarne la cognizione 7. Di regola i testi unici, redatti dal governo su delega del parlamento, si limitano a riorganizzare le norme esistenti, che mantengono la propria originaria forza precettiva; ma non mancano ipotesi in cui la legge delega attribuisca al governo anche il potere di modifica ed integrazione della normativa esistente. Con la legge delega 29.7.2003, n. 229, è stata prevista l’emanazione di codici di “riassetto normativo” di specifici settori, con finalità, sia di riforma sostanziale secondo un criterio di semplificazione, sia di raccolta organica delle norme del settore 8. Nonostante l’enfatico impiego del termine “codici”, si tratta di testi monotematici: il termine “codice” è quindi utilizzato in una accezione differente rispetto a quella tradizionale (emersa con lo stato moderno), di indicazione di un testo normativo complesso e organico di una intera materia (come i codici civile, penale, di procedura civile, di procedura penale, della navigazione) (I, 2.3).
4. Tipologia e gerarchia delle fonti di produzione. – Si è soliti distinguere le fonti di produzione del diritto in due grandi categorie: fonti-atto e fonti-fatto. Le fonti-atto afferiscono all’attività di particolari autorità cui è attribuita la potestà di produrre norme giuridiche (c.d. fonti soggettive o volontarie). Il diritto proveniente da fonti-atto è dunque tipicamente diritto scritto (es. leggi). Le fonti-fatto esprimono l’oggettivo operare di comportamenti e situazioni cui l’ordinamento attribuisce rilevanza giuridica, limitandosi a fissare i meccanismi di tale rilevanza (c.d. fonti oggettive). Proprio per l’emergere spontaneo del diritto dal corpo sociale trattasi di diritto non scritto (es. usi). Le disposizioni sulla legge in generale (preliminari al codice civile del 1942) prevedevano originariamente quattro specie di fonti del diritto, gerarchicamente organizzate: le leggi, i regolamenti, le norme corporative e gli usi (comprendendosi tra le “leggi” anche i codici, quali fondamentali discipline giuridiche delle singole branche). Da quella previsione sono sopravvenuti più fatti che hanno ridisegnato il sistema delle fonti. Anzitutto, dopo pochi anni, si verificava la caduta del regime fascista, che implicava la soppressione dell’ordinamento corporativo (R.D.L. 9.8.1943, n. 721) e delle connesse organizzazioni sindacali (D.L.L. 23.11.1944, n. 369). Si dava quindi luogo alla formazione della Costituzione repubblicana, approvata con deliberazione dell’assemblea costituente nella seduta del 22.12.1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948, che assumeva il ruolo di carta 6
La pubblicazione di leggi e regolamenti statali avviene nella Gazzetta ufficiale della Repubblica; la pubblicazione di leggi e regolamenti regionali avviene nel Bollettino ufficiale della Regione; la pubblicazione di regolamenti di Province e Comuni mediante affissione all’albo rispettivo. Per gli usi v. dopo. 7 Es.; testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. 1.9.1993, n. 385); testo unico dell’edilizia (D.P.R. 6.6.2001, n. 380). 8 Ad es., codice della proprietà industriale (D.Lgs. 10.2.2005); codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 7.3.2005, n. 82); codice del consumo, che contiene il riassetto normativo in materia di tutela dei consumatori (D.Lgs. 6.9.2005, n. 206); codice delle assicurazioni private, che contiene il riassetto normativo in materia di assicurazioni (D.Lgs. 7.9.2005, n. 209); codice della normativa statale in tema di ordinamento del turismo (D.Lgs. 23.5.2011, n. 79); codice dell’insolvenza (D.Lgs. 12.1.2019, n. 14). Anche tali codici sono soggetti a emendamenti.
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fondamentale dello Stato repubblicano, gerarchicamente sovrastante alle leggi. Iniziava poi un lungo percorso di integrazione europea che sarebbe approdato alla formazione della Comunità europea e poi dell’Unione europea, determinando la formazione di un diritto europeo sovraordinato rispetto alle leggi (l’art. 10 e più incisivamente gli artt. 11 e 117 Cost. contengono una chiara autolimitazione della sovranità dell’ordinamento nazionale in favore di quello europeo); si è anche dilatato un diritto di provenienza delle convenzioni internazionali, che però richiede una norma di ricezione nell’ordinamento (art. 10 Cost.). La L. cost. 18.10.2001, n. 3, ha poi modificato il titolo V della Parte II della Carta costituzionale, con ampliamento della potestà legislativa delle regioni. Dal susseguirsi di avvenimenti il sistema delle fonti (di produzione) del diritto esce profondamente modificato rispetto al quadro originario e perciò così ridisegnato e gerarchicamente organizzato: 1) Costituzione e leggi costituzionali; Diritto europeo; 2) Leggi (statali e regionali) e atti assimilati; 3) Regolamenti; 4) Usi. Con il ridimensionamento del primato della legge statale, convivono ormai vari livelli di legalità (europea, costituzionale, di legislazione statale e regionale). Discusso è il rango delle norme internazionali introdotte nell’ordinamento interno, in particolare la loro prevalenza o soccombenza rispetto a norme posteriori incompatibili. Per quelle consuetudinarie, si ritiene che l’incorporazione mediante l’art. 10, par. 1, Cost., attribuisca garanzia costituzionale. Per quelle pattizie il rango è invece, in linea generale, quello stesso del provvedimento di attuazione (legge costituzionale, legge ordinaria, decreto, etc.), salvo riconoscere ad esse una speciale “resistenza”, atta a farle prevalere su norme successive di pari rango (secondo un principio di specialità sui generis, accolto nell’art. 1171 Cost., come riformato dalla L. cost. 3/2001). All’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali concorrono, nell’esercizio delle rispettive competenze, tutti gli organi dello Stato; per la competenza delle Regioni, opera l’art. 1175 Cost. Alla stregua della nuova gerarchia delle fonti si articola anche il principio iura novit curia, che impone al giudice di “seguire le norme del diritto” (art. 113 c.p.c.), imponendo quindi al giudice di conoscere e rinvenire le fonti del “diritto applicabile” quale strutturato nell’ordinamento 9. Anche la scienza giuridica di ogni branca del diritto non si identifica più con la dottrina del codice di riferimento, ma è aperta al sistema (ad es. il diritto civile non ha più come unico referente il codice civile; allo stesso modo il diritto penale non ha più come unico referente il codice penale).
9 Il principio “iura novit curia” si riferisce alle vere e proprie fonti di diritto oggettivo, cioè a quei precetti contrassegnati dal duplice connotato della normatività e della giuridicità, dovendosi escludere dall’ambito della sua operatività sia i precetti aventi carattere normativo ma non giuridico (come le regole della morale o del costume), sia quelli aventi carattere giuridico ma non normativo (come gli atti di autonomia privata, o gli atti amministrativi), sia quelli aventi forza normativa puramente interna (come gli statuti degli enti e i regolamenti interni) (Cass. 20-12-2019, n. 34158). La natura di atti meramente amministrativi dei decreti ministeriali osta all’applicabilità del principio “iura novit curia” di cui all’art. 113 c.p.c., da coordinare con l’art. 1 delle disp. prel. c.c. (che non li comprende tra le fonti del diritto), con la conseguenza che spetta alla parte interessata l’onere della relativa produzione, la quale non è suscettibile di equipollenti (Cass. 15-10-2019, n. 25995): Conf. Cass. 12-2-2015, n. 2737.
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5. Costituzione e leggi costituzionali (il controllo di legittimità costituzionale). – La tradizionale discussione se dovesse considerarsi fonte gerarchicamente superiore la Carta costituzionale o il diritto europeo è oggi abbastanza superata con l’ormai acquisita evoluzione dell’ordinamento dell’Unione europea verso principi di democraticità e rispetto dei diritti umani, sicché l’osservanza dell’ordinamento europeo si armonizza con il rispetto della legalità costituzionale. Fondamentale in tale direzione è l’art. 6 del Trattato di Maastricht, che indica le tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri come “principi generali del diritto comunitario”. Dopo una stagione di stretto ossequio alla normativa europea 10, è ormai principio acquisito della Corte costituzionale che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscono “controlimiti” alle limitazioni di sovranità (art. 11 Cost.), per rappresentare gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale. Operano come un limite all’ingresso delle norme internazionali generalmente riconosciute (art. 101 Cost.) e all’ingresso delle norme dell’Unione europea, oltre che all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (art. 7 Cost.). È l’affermazione di uno spazio di sovranità intangibile, che dapprima è stato fatto valere nei riguardi del diritto internazionale convenzionale e segnatamente nei confronti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) 11, poi anche con riguardo alla produzione giuridica dell’Unione europea 12. La Costituzione della Repubblica italiana è una Costituzione c.d. rigida, occorrendo uno speciale procedimento per la sua revisione (art. 138). Le leggi costituzionali, di revisione o integrazione della Carta costituzionale, quando non sono approvate da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi, sono sottoposte a referendum popolare (art. 138 Cost.). Si apre con la formulazione dei “Principi fondamentali”, che esprimono i valori portanti della Carta repubblicana; seguono due distinte parti: la prima, intitolata “Diritti e doveri dei cittadini”; la seconda, “Ordinamento della Repubblica”. In particolare i Principi fondamentali e la Prima parte attraversano il diritto privato, per riguardare le prerogative dei cittadini e i rapporti del cittadino con l’autorità pubblica, la dignità della persona e la solidarietà nei rapporti etico-sociali e nei rapporti economici (se ne è parlato innanzi: I, 2.7 e 8); i relativi articoli hanno efficacia precettiva e sono immediatamente efficaci nei confronti dello Stato e verso i privati e nei rapporti dei privati con lo Stato. 10 Si delineava una “ritrazione” dell’ordinamento italiano, sicché, nelle materie regolate da norme comunitarie direttamente applicabili, il giudice nazionale deve applicare le norme comunitarie “disapplicando” quelle interne incompatibili (Corte cost. 8-6-1984, n. 170; Corte cost. 14-6-1990, n. 285). 11 Con le c.d. sentenze gemelle nn. 348 e 349 del 24.10.2007, si è affermato che la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, pur essendo dotata di una particolare natura che la distingue dagli obblighi nascenti da altri Trattati internazionali, non assume, in forza dell’art. 11 Cost., il rango di fonte costituzionale né può essere parificata, a tali fini, all’efficacia del diritto comunitario nell’ordinamento interno. 12 Cfr. Corte cost. 22-10-2014, n. 238. Nel riconoscere il primato del diritto dell’U.E., ai sensi dell’art. 11 Cost., la giurisprudenza costituzionale afferma che l’osservanza dei principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona è condizione perché il diritto dell’Unione possa essere applicato in Italia (Corte cost. 26-1-2017, n. 24; anche sent. 284/2007, 73/2001, 168/1991). Sul carattere accentrato del controllo di costituzionalità, con la spettanza alla sola Corte costituzionale della verifica di compatibilità con i principi fondamentali dell’assetto costituzionale e di tutela dei diritti umani, v. sent. 120/2014, 284/2007.
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La Seconda parte disegna l’organizzazione e la struttura dello Stato e degli altri organi costituzionali, con la previsione delle garanzie e delle tutele del cittadino, ed è perciò di specifico interesse del diritto pubblico (diritto costituzionale e diritto amministrativo). La “costituzionalizzazione” della sovranità statale ha delineato nella modernità la formazione di uno stato costituzionale di diritto. Alla Corte costituzionale è rimesso il controllo di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni (art. 134 Cost.) 13: è la c.d. giustizia costituzionale, quale controllo giurisdizionale di rispetto della Costituzione. La questione di legittimità costituzionale è sollevata, da una delle parti o di ufficio, innanzi al giudice dove pende un giudizio, che formalmente la incardina 14. Con la sentenza di accoglimento la Corte dichiara la illegittimità costituzionale della norma di legge o di altro atto avente forza di legge: la norma cessa di avere effetto dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione (art. 136 Cost.), normalmente con efficacia retroattiva, ma con salvezza degli effetti realizzati e dei rapporti esauriti 15. Si va delineando un indirizzo di modulazione degli effetti temporali della sentenza, secondo un criterio di bilanciamento dei valori costituzionali, in una visione unitaria del sistema costituzionale 16. Spesso le sentenze di accoglimento intervengono sul contenuto della disposizione impugnata (c.d. sentenze manipolative), con distinte modalità di intervento 17. 13 Tra gli “atti aventi forza di legge” si comprendono i decreti legislativi e i decreti legge. Sono esclusi dal controllo della Corte costituzionale i regolamenti: questi sono soggetti al controllo del giudice amministrativo, che può annullarli per contrasto con leggi e atti aventi forza di legge e con la Costituzione. 14 Il giudice, rilevata la pregiudizialità della legittimità costituzionale della norma da applicare nel giudizio in corso e verificata la non manifesta infondatezza della questione, con ordinanza di rimessione sospende il giudizio e rinvia gli atti alla Corte costituzionale, dando inizio al procedimento per il controllo di costituzionalità (c.d. giudizio incidentale). 15 Le pronunce di accoglimento, dichiarative di illegittimità costituzionale, eliminano la norma con effetto ex tunc, con la conseguenza che essa non è più applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, perché l’illegittimità costituzionale ha per presupposto l’invalidità originaria della legge – sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale – per contrasto con un precetto costituzionale; gli effetti dell’incostituzionalità non si estendono ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo ovvero per essersi verificate preclusioni processuali o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità (Cass. 27-6-2018, n. 16990). V. anche Cass. 27-6-2008, n. 17746; Cass. 21-3-2008, n. 7698. 16 Con riferimento ad una imposizione tributaria, si è stabilito che gli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale decorrono dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione nella Gazzetta Ufficiale al fine di evitare che l’impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari connesse alla pronuncia determini uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva, e anche per non venir meno al rispetto dei parametri cui l’Italia si è obbligata in sede di Unione europea ed internazionale e, in particolare, alle previsioni annuali e pluriennali indicate nelle leggi di stabilità (Corte cost. 11-2-2015, n. 10). 17 Si distinguono: illegittimità di una sola parte della disposizione (c.d. sentenze di accoglimento parziale); illegittimità della disposizione nella parte in cui non prevede quanto avrebbe dovuto prevedere conforme a Costituzione, integrato dalla Corte (c.d. sentenze additive). Le sentenze additive si articolano a loro volta come: sentenze additive in senso proprio, che hanno efficacia immediatamente precettiva, risolvendosi automaticamente la dichiarazione di illegittimità della omissione in quella, speculare, di necessità costituzionale della inclusione del quid omissum nel testo normativo; sentenze additive di principio, che dichiarano la illegittimità costituzionale della mancata tutela di diritti fondamentali ovvero di meccanismi idonei a renderli effettivi (Corte cost. 26-6-1991, n. 295; v. anche Corte cost. 15-3-1996, n. 74); sentenze sostitutive, con dichiarazione di illegittimità della disposizione nella parte in cui prevede una disposizione anziché un’altra diversa conforme a Costituzione, sostituita dalla Corte.
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Con la sentenza di rigetto la Corte dichiara “non fondata” la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla ordinanza di rimessione. Sono frequenti sentenze interpretative di rigetto con le quali la Corte dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale perché il dubbio sollevato dal giudice si fonda su una errata interpretazione della disposizione impugnata: la Corte, nel rigettare la questione, fornisce nella motivazione la interpretazione “conforme a Costituzione” che vale ad evitare la illegittimità costituzionale della disposizione impugnata (c.d. sentenze adeguatrici) 18. Diversamente si atteggia la dichiarazione di inammissibilità, con la quale la Corte non entra nel merito della questione, ma si ferma ad accertare la insussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per una pronuncia sulla fondatezza della questione, più spesso relativa a difetti riguardanti il giudizio a quo. Talvolta si dà luogo a decisioni c.d. monito o di indirizzo, con le quali si invita il parlamento a legiferare, per evitare che si pervenga ad una successiva dichiarazione di incostituzionalità.
6. Diritto europeo (fonti e armonizzazione). – È ormai acquisito il divario tra diritto internazionale e diritto europeo. Il diritto internazionale è formato da regole concordate tra Stati, che attuano nel territorio nazionale il diritto concordato con leggi di ratifica ed esecuzione; l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (art. 10 Cost.). Il diritto europeo supera l’ottica del diritto internazionale, per consentire allo Stato, in condizioni di parità con altri stati, “limitazioni di sovranità” necessarie ad uno ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni, promuovendo e favorendo le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo (art. 11 Cost.). Per l’art. 47 TUE l’Unione ha personalità giuridica. In virtù della cessione di sovranità statale, nel quadro costituzionale, si caratterizza come una complessa organizzazione, con competenze legislative, esecutive e giudiziarie. Anche il diritto europeo opera come un sistema di diritti e di tecniche organizzative che si impongono allo Stato, entro i controlimiti di rilevanza costituzionale, con un duplice livello di armonizzazione: minima, con il solo coordinamento delle normative nazionali; massima, con l’unificazione delle normative nazionali attraverso la formazione di un diritto uniforme europeo 19. Collante permanente del diritto europeo con gli ordinamenti statali è costituito dai “diritti fondamentali” che assurgono a principi generali del sistema 20, dei cui riflessi sul diritto pri18
Di fronte ad una interpretazione consolidata della giurisprudenza ordinaria, la Corte assume la stessa come “diritto vivente”, cioè quale diritto applicato dalla giurisprudenza ordinaria, valutandone la conformità alla Costituzione. 19 Il giudice nazionale è tenuto a disapplicare le disposizioni contrastanti della legge interna, anteriore o posteriore, e ad interpretare il diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo del diritto europeo; e a ciò sono tenute anche le corti nazionali di ultimo grado. Analogo obbligo si è andato delineando con riguardo alla giustizia amministrativa, per il cui art. 1 cod. proc. amm. “la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”. La L. 24.12.2012, n. 234, reca Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea (specie artt. 29 ss.). 20 Da tempo si confrontano una concezione monista di un ordinamento unitario (professata dalla Corte di
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vato si è già detto (I, 2.10). Va infine formandosi un indirizzo che tende a cristallizzare la nozione degli istituti fissata dall’ordinamento europeo quando non vi è rimessione agli Stati nazionali 21. Si è già visto della formazione di una Europa del diritto, legiferante regole comuni di condotta e di organizzazione, cui si connette una Europa dei diritti, per l’attribuzione di diritti fondamentali individuali (I, 2.10). Il diritto europeo, in ragione della formazione, si caratterizza come diritto convenzionale dei trattati, diritto derivato dalle organizzazioni europee e diritto giurisprudenziale maturato dalle Corti. a) Il diritto convenzionale (c.d. primario) è rappresentato dai Trattati con i quali la Comunità europea prima e la Unione europea dopo si sono costituite e gradualmente modificate. Naufragato il progetto di un Trattato sulla Costituzione europea del 2004, il Trattato di Lisbona del 13.12.2007 (ratific. e reso esec. con L. 2.8.2008, n. 130, in vigore dal 1.12.2009) segna il nuovo volto delle istituzioni europee. Emerge dal Trattato di Lisbona una istanza di legittimità democratica per il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo e per un maggiore coinvolgimento dei Parlamenti nazionali; è anche riconosciuta una “iniziativa dei cittadini” 22. Con tale Trattato il termine “Unione” sostituisce sempre quello di “Comunità”. Resta in vita il Trattato sull’Unione europea 23, con le modifiche apportate, contenente il diritto materiale convenzionale; mentre il Trattato C.E. diventa il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea 24, con le modifiche apportate, contenente il diritto strumentale convenzionale 25. Il Trattato di Lisbona ridisegna i criteri di equilibrio tra regole accentrate e scelte nazionali: sono riformulati i principi di “attribuzione”, “sussidiarietà” e “proporzionalità”, ora regolati dall’art. 5 TUE e che sono penetrati negli ordinamenti nazionali. Per il principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che sono ad essa attribuite dagli Stati membri nei i trattati, per realizzare gli giustizia) e una concezione dualista di una duplicità di ordinamenti (sostenuta dalla Corte costituzionale), rinfocolata dalla previsione dei “controlimiti” costituzionali. 21 Dalla necessità di garantire un’applicazione uniforme del diritto dell’Unione discende che, laddove una sua disposizione non rinvii al diritto degli Stati membri per quanto riguarda una determinata nozione, quest’ultima deve essere oggetto, nell’intera Unione europea, di un’interpretazione autonoma e uniforme, da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione stessa e della finalità perseguita dalla normativa in questione (Corte giust., 7-9-2017, causa C-247/16). 22 Con il Trattato di Lisbona è accentuata la marcia da un assetto intergovernativo a una integrazione di cittadini, con i diritti civili e sociali che li connotano. 23 Versione consolidata pubblicata in G.U. Un. eur. 26.10.2012, n. C 326. L’unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, della uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze; valori comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini (art. 2). L’Unione instaura un mercato interno; si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente; promuove il progresso scientifico e tecnologico (art. 3). 24 Versione consolidata pubblicata in G.U. Un. eur. 26.10.2012, n. C 326. Vi è “competenza esclusiva” e competenza concorrente” dell’Unione con gli Stati membri. Ampiamente nelle Fonti del diritto I,3.6. 25 L’adesione dell’U.E. alla CEDU e alla Carta dir. fond. U.E. non incide sulla competenza (art. 6 TUE). Diritti e principi previsti dai due testi normativi rilevano per l’Unione europea in quanto risultino di competenza della stessa (c.d. competenze di attribuzione).
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obiettivi da questi stabiliti. Vi è “competenza esclusiva” e “competenza concorrente” con quella degli stati membri (art. 52 TUE, art. 2 TFUE). Per il principio di sussidiarietà, di cui specificamente si dirà (II, 7.8), è realizzato un equilibrio di intervento tra U.E. e Stati membri, nel senso che, nei settori che non sono di competenza esclusiva, l’Unione interviene soltanto quando gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri (art. 53 TUE) 26. Per il principio di proporzionalità, di cui specificamente si dirà (II, 7.7), il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati (art. 54 TUE). In definitiva, a seguito di un lungo percorso, la Unione europea non è più solo uno spazio di libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali, secondo le istanze dei trattati originari; è anche una unione monetaria e vuole essere uno spazio di azione dei diritti fondamentali (dignità umana, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, sicurezza e giustizia) (c.d. Europa dei diritti) (I, 2.10). L’Unione Europea riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti dalla Carta dir. fond. U.E. (art. 61 TUE); aderisce alla Conv. eur. dir. uomo (art. 62 TUE), in entrambe le ipotesi senza modifiche di competenze. È in atto un processo di “europeizzazione” anche del diritto processuale civile e del diritto internazionale privato, oltre che di altri rami del diritto, mentre crescono le iniziative per il conseguimento dell’obiettivo finale di edificazione di un diritto materiale uniforme (anche se sporadicamente non mancano significative remore di alcuni stati). b) Il diritto derivato (c.d. secondario) è costituito dagli atti normativi che provengono dalle istituzioni europee 27. Il diritto convenzionale è gerarchicamente sovraordinato al diritto derivato. Le fonti del diritto derivato, già regolate dall’art. 249 del Trattato C.E., sono state confermate dal Trattato di Lisbona, che vi ha apportato le precisazioni emerse nella giurisprudenza della Corte di giustizia 28. Per l’art. 288 TFUE, per esercitare le competenze dell’Unione, le istituzioni adottano regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri. Il regolamento ha portata generale: è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, anche in deroga a leggi nazionali incompatibili. Non necessita di un atto di adattamento dell’ordinamento interno. Spesso convenzioni internazionali sono trasfuse in regolamenti. La direttiva è, di regola, sfornita di immediata applicabilità: vincola lo Stato membro cui è rivolta relativamente al risultato da raggiungere, restando salva la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. È richiesto un atto di adattamento dell’ordinamento interno; con l’attuazione della direttiva si realizza una efficacia della stessa nei rapporti tra cittadini (c.d. efficacia orizzontale). La Corte di giustizia, al fine di favorire l’operatività del diritto europeo nei casi in cui lo Stato ne ritardi 26
Un’applicazione di tale principio è nella direttiva UE/2019/1771 sulla vendita di beni di consumo. Gli artt. 223 ss. TFUE fissano le Istituzioni dell’Unione, individuate in Parlamento europeo, Consiglio europeo, Commissione, Banca centrale europea, Corte dei conti e Corte di giustizia dell’Unione europea, alla quale ultima è conferito il controllo del rispetto del diritto dell’Unione e dunque anche dei “diritti fondamentali” da parte del diritto derivato. 28 La L. 24.12.2012, n. 234, detta le norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea (specie artt. 1 e 30). 27
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l’attuazione, ha ritenuto che, se la direttiva è precisa e priva di condizioni relativamente alla fattispecie e alla disciplina (c.d. “direttive dettagliate”), la relativa normativa è immediatamente operante e vincolante (autoesecutiva o self-executing) 29: opera nei rapporti tra cittadini e stato (efficacia verticale), non nei rapporti tra cittadini (efficacia orizzontale). Se è omessa o ritardata l’attuazione della direttiva e la direttiva non è autoesecutiva, lo Stato è obbligato al risarcimento dei danni nei confronti del cittadino danneggiato dalla mancata o ritardata o incompleta trasposizione nell’ordinamento interno (per inadempimento di obbligazione ex lege) 30, con il termine ordinario di prescrizione 31. La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari designati. La raccomandazione e il parere non sono vincolanti. c) Va formandosi un diritto giurisprudenziale europeo delle Corti europee. Alla Corte di giustizia U.E. spetta il controllo del rispetto del diritto europeo; alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte Edu) spetta il controllo di applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) (del funzionamento delle Corti si dirà in seguito: III, 1.8). È un importante strumento di dialogo tra giudici nazionali e europei che agevola la sicurezza giuridica tramite un’applicazione uniforme del diritto dell’Unione europea. Con29
Secondo Corte cost. 18-4-1991, n. 168, occorre far riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia C.E., secondo cui la diretta applicabilità, in tutto od in parte, delle direttive comunitarie non discende unicamente dalla qualificazione formale dell’atto fonte, ma richiede ulteriormente che la prescrizione sia incondizionata (sì da non lasciare margine di discrezionalità agli Stati membri nella loro attuazione) e sufficientemente precisa (nel senso che la fattispecie astratta ivi prevista ed il contenuto del precetto ad essa applicabile devono essere determinati con compiutezza, in tutti i loro elementi), e che inoltre lo Stato destinatario – nei cui confronti il singolo faccia valere tale prescrizione – risulti inadempiente per essere inutilmente decorso il termine previsto per dare attuazione alla direttiva. 30 Per Corte giust. U.E. 7-8-2018, C-122/17, un giudice nazionale, investito di una controversia tra singoli, è tenuto a procedere all’interpretazione conforme nel caso di contrasto tra il diritto interno e il diritto U.E. contenuto in una direttiva non recepita correttamente; se però non è possibile procedere all’interpretazione conforme del diritto nazionale, malgrado la direttiva abbia tutte le condizioni per produrre un effetto diretto, il giudice nazionale non è tenuto, sulla sola base del diritto dell’Unione, a disapplicare le norme interne nel caso di controversie tra privati; la parte lesa dalla non conformità del diritto nazionale al diritto dell’Unione può agire per ottenere dallo Stato membro inadempiente il risarcimento del danno subito. Per Cass., sez. un., 17-4-2009, n. 9147, in caso di omessa o tardiva trasposizione nel termine prescritto di direttive comunitarie non autoesecutive, sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, quale responsabilità contrattuale, di natura indennitaria, dovendosi considerare la condotta dello Stato inadempiente come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno; il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria all’ordinario termine decennale di prescrizione. Conformi Cass. 12-2-2015, n. 2737; Cass. 10-3-2010, n. 5842. 31 Si è chiarito da Cass. 17-5-2011, n. 10813, che il termine decennale di prescrizione del diritto al risarcimento inizia a decorrere dal giorno in cui entra in vigore la normativa italiana di recepimento; se lo Stato non provvede alla trasposizione dell’atto U.E., non potrà essere applicato alcun termine di prescrizione. Per Corte giust. U.E. 19-5-2011, causa C-452/09, in virtù del principio di equivalenza e effettività, il termine di prescrizione può essere calcolato anche prima del recepimento della direttiva a condizione che lo Stato non sia responsabile dei ritardi nell’azionabilità dei ricorsi; è irrilevante il preliminare accertamento da parte della Corte U.E. della violazione dello Stato nei casi in cui la violazione sia evidente.
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corre alla enucleazione di principi generali dell’ordinamento europeo non sempre specificamente dichiarati dal diritto positivo europeo, atteggiandosi come diritto complementare europeo di carattere giurisprudenziale 32. Le interpretazioni delle Corti si riflettono sull’operato del giudice nazionale che è tenuto ad applicare il diritto europeo nella significazione espressa dalle stesse.
7. Leggi (statali e regionali). – La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni, nel rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento europeo e dagli obblighi internazionali (art. 1171). È ripartita tra Stato e Regioni, con l’attribuzione di alcune materie alla legislazione esclusiva dello Stato (art. 1172) e di altre materie alla legislazione concorrente di Stato e Regioni (art. 1173): ogni altra materia, non espressamente riservata alla legislazione (esclusiva o concorrente) dello Stato, spetta alla legislazione esclusiva delle Regioni (art. 1174). È un sistema complesso (ed eccessivamente intricato) di ripartizione della funzione legislativa, sicché da molto tempo si dibatte per una sua semplificazione e modifica, con un’accentuazione di competenze esclusive alle regioni (c.d. devolution). a) Quanto alla legislazione statale, la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (art. 70 Cost.) in più modi. Il modo normale è quello che si svolge secondo le procedure regolate dagli artt. da 71 a 75 Cost., che portano all’adozione di leggi in senso stretto (o in senso formale): sono le c.d. leggi ordinarie. Altre procedure coinvolgono l’attività del Governo, che si affianca a quella delle Camere, dando vita ad atti aventi forza di legge (decreti legislativi e decreti-legge) 33. Sono meccanismi che valorizzano il ruolo del governo a scapito del parlamento (il cui abuso esautora la rappresentanza democratica). Le leggi (e gli atti aventi forza di legge) che recepiscono normative europee (es. direttive) assumono un rango superiore rispetto alle leggi ordinarie, per il primato del diritto europeo. Assimilati alle leggi e con il medesimo ordine nella gerarchia delle fonti sono i codici (nell’accezione tradizionale), quali testi organici ordinati e ordinanti di un’intera materia. Di specifica importanza per il diritto privato è il codice civile: la relativa normativa, per la vastità della materia regolata, la organicità della sistemazione, il linguaggio tecnico utilizzato e le categorie giuridiche rinvenienti, assume un ruolo fondamentale nella regolazione dei rapporti privati e nella elaborazione dello strumentario tecnico della materia (come innanzi si è visto). Diversa funzione assumono i codici di settore, che esprimono essenzialmente “riassetti” di disposizioni normative esistenti (talvolta con alcune aggiunte); spesso operanti come testi unici di riunione sistematica di varie normative vigenti in una stessa materia. 32 Tutte le disposizioni dell’Unione Europea, comprese le sentenze della Corte di giustizia, hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale: Corte Cost. sent. nn. 113/1985, 170/1984, 168/1981. V. anche Corte giust. 18-12-2008, C-349/07. Cass. 30-12-2003, n. 19842 riconosce “valore normativo” alle sentenze della Corte di giust. 33 Con il d e c r e t o l e g i s l a t i v o o delegato la funzione legislativa è esercitata dal Governo su delegazione delle Camere, che, nella “legge delega”, determinano principi e criteri direttivi, nonché il limite di tempo e l’oggetto definito su cui legiferare (art. 76 Cost.). Con il d e c r e t o - l e g g e la funzione legislativa è esercitata dal Governo senza delegazione delle Camere, “in casi straordinari di necessità e d’urgenza”, ma il Governo deve il giorno stesso presentarlo per la conversione; il decreto perde efficacia sin dall’inizio se non è convertito in legge entro sessanta giorni dalla pubblicazione (art. 77).
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Nella prospettiva del diritto privato, lo Stato ha legislazione esclusiva in tema di: rapporti internazionali e con l’Unione europea; rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; tutela del risparmio e mercati finanziari e tutela della concorrenza; cittadinanza, stato civile e anagrafe; ordinamento civile nella lata accezione di diritto privato; giurisdizione e norme processuali; determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 1172 Cost.). b) Quanto alla legislazione regionale, spetta alla regione potestà legislativa concorrente con lo Stato in specifiche materie, riservandosi allo Stato la determinazione dei principi fondamentali (art. 1173); spetta inoltre alla regione potestà legislativa esclusiva residuale in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione statale (art. 1174). È dibattuta l’ammissibilità di un diritto privato regionale 34. Le leggi regionali devono rimuovere ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovere la parità di accesso fra donne e uomini alle carriere elettive (art. 1177): sono principi generali dell’ordinamento. Quando il Governo ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale; analogamente può fare la Regione quando ravvisi una lesione alla sua sfera di competenza ad opera di una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di altra Regione (art. 127 Cost.). Sono attribuiti al Governo poteri sostitutivi dell’inerzia delle Regioni nel legiferare in particolari materie 35. Il divario di competenze legislative si riflette nei meccanismi di ricezione delle direttive europee. Ogni Stato recepisce le direttive secondo l’ordine interno di competenze: in Italia secondo il divario di competenze (esclusive o concorrenti) tra Stato e Regioni; nell’inerzia delle regioni, intervengono i poteri sostitutivi del governo (art. 1202 Cost.).
8. Regolamenti. – La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni; spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite (art. 1176 Cost.; art. 7 D.Lgs. 18.8.2000, n. 267) (c.d. “principio di parallelismo” tra funzioni legislative e funzioni regolamentari). Per l’art. 3 disp. prel. il potere regolamentare del Governo è disciplinato da leggi di carattere costituzionale; il potere regolamentare di altre autorità è esercitato nei limiti delle rispettive competenze, in conformità delle leggi particolari. Esiste un doppio ordine gerarchico: tutti i regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi (art. 41 disp. prel.); i regolamenti emanati da autorità diverse dal Governo non possono nemmeno dettare norme contrarie a quelle dei re34 La Corte cost. ha considerato per il passato non illegittimi alcuni interventi regionali in settori del diritto privato: ad es., sent. 29-9-2003, n. 300; sent. 6-11-2001, n. 352. Per Corte cost. 6-7-2021, n. 138, l’ordinamento del diritto privato si pone quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull’esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire sul territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti tra privati; conf. Corte cost. 21-4-2021, n. 75; Cass. 11-12-2006, n. 26319. 35 Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nei casi tassativamente fissati dall’art. 1202 Cost.
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golamenti emanati dal Governo (art. 42 disp. prel.) 36. La valutazione di legittimità dei regolamenti è operata dal giudice ai soli fini della disapplicazione 37; ma l’annullamento degli stessi è di competenza del giudice amministrativo. È frequente che una legge rinvii ad un regolamento di esecuzione per determinare i modi di applicazione della legge 38. Nel diritto privato assumono una particolare rilevanza i regolamenti comunali edilizi per effetto del richiamo di questi ad opera degli artt. 871 e 873 c.c.: in tal guisa le norme dei regolamenti diventano integrative di quelle del codice civile relativamente alle costruzioni e alle distanze tra le stesse 39. Diversi sono gli atti e provvedimenti amministrativi che sono espressioni di potestà amministrativa, non di potestà normativa 40, con la conseguenza che, per i regolamenti, quali fonti del diritto, vale il principio iura novit curia, che non vale per gli atti amministrativi. Le circolari sono atti interni all’amministrazione privi di rilevanza normativa. Mirano ad indirizzare e disciplinare in modo uniforme l’attività degli organi inferiori: sono dunque atti amministrativi.
9. Usi. – Come si accennava, gli usi si qualificano come fonti-fatto in quanto espressivi di comportamenti e situazioni cui l’ordinamento attribuisce rilevanza giuridica (I, 3.4). Proprio per l’emergere spontaneo del diritto dal corpo sociale trattasi di diritto non 36 I regolamenti sono tradizionalmente qualificati fonti normative secondarie (rispetto alla legge): sono espressioni del potere delle amministrazioni, alle quali le norme sulla competenza assegnano la potestà regolamentare e demandano la disciplina di settori specifici. Per i regolamenti governativi, ministeriali e interministeriali, v. L. 23.8.1988, n. 400. Relativamente agli enti locali, v. D.Lgs. 18.8.2000, n. 267. 37 Per la fondamentale regola dell’art. 5 L. 20.3.1865, n. 2248, All. E, le autorità giudiziarie applicano gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi. Quindi sia il giudice ordinario che il giudice amministrativo possono disapplicare il regolamento considerato illegittimo (per violazione di legge ovvero per eccesso di potere o incompetenza). Anche le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente (art. 7 D.Lgs. 546/1992). 38 Quando la legge rinvia a prescrizioni di decreti ministeriali l’attuazione particolareggiata del dettato legislativo, i decreti assumono la natura di disposizioni normative di carattere secondario, continuamente aggiornate, che completano il precetto normativo (cfr. Cass. 13-5-2020, n. 8883). 39 Il giudice deve applicare le norme dei regolamenti locali indipendentemente da ogni attività assertiva o probatoria delle parti, acquisendone conoscenza o attraverso la sua scienza personale o attraverso la collaborazione delle parti o attraverso la richiesta di informazioni ai Comuni (Cass. 3-2-1998, n. 1047). Anche il piano regolatore generale e le norme tecniche di attuazione dello stesso, per essere volti a disciplinare l’attività amministrativa per un migliore assetto dell’agglomerato urbano e i rapporti di vicinato in modo equo, sono fonti normative, facendo sorgere a favore del vicino danneggiato il diritto di chiedere la riduzione in pristino, ai sensi dell’art. 872 c.c. (Cass. 28-11-2006, n. 25225). 40 Gli atti e provvedimenti amministrativi generali sono destinati alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili; mentre i regolamenti sono espressione di una potestà normativa attribuita all’amministrazione, con carattere secondario rispetto a quella legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolamentazione attuativa o integrativa della legge, ma egualmente innovativa rispetto all’ordinamento giuridico esistente, con precetti che presentano i caratteri della generalità ed astrattezza (Cass., sez. un., 28-11-1994, n. 10124; analogamente Cass. 27-9-2006, n. 20958). Per l’art. 174 Cost. i regolamenti governativi e quelli ministeriali ed interministeriali devono recare la denominazione di “regolamento”; inoltre l’esercizio della potestà normativa deve svolgersi con l’osservanza di un particolare procedimento (sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale).
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scritto, legato al contegno dei consociati. La rilevanza degli usi, tradizionalmente operante nelle relazioni commerciali 41, è andata riducendosi contestualmente all’accrescersi della statualità del diritto: l’assunzione da parte dello Stato di funzioni di riequilibrio di condizioni sociali deboli è antitetica allo spontaneismo di regole giuridiche; anche se si assiste al riemergere di una c.d. lex mercatoria (I, 2.13). Gli artt. 1, 8 e 9 disp. prel. preferiscono il termine “uso”, proprio della tradizione privatistica, a quello di “consuetudine”, di più generale accezione nel linguaggio giuridico: ma trattasi di mera variante terminologica. Sono i c.d. usi normativi, appunto come fonti di diritto. La laconica regolazione sollecita tre ordini di problemi, relativi ai requisiti, alla rilevanza e alla conoscenza e dunque alla prova dell’uso. a) Quanto ai requisiti, nulla è detto dalla legge, sicché la relativa configurazione è rimessa alla elaborazione che tradizionalmente ne hanno fatto dottrina e giurisprudenza. È principio comunemente accolto che, per la configurabilità di un uso normativo, debbano ricorrere due requisiti: uno, di carattere oggettivo, relativo al comportamento tenuto, consistente nella uniforme e costante ripetizione di un dato comportamento; un altro, di carattere soggettivo o psicologico, relativo alla convinzione serbata, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza ad un precetto giuridico (c.d. opinio iuris ac necessitatis). La giurisprudenza insiste sulla ricorrenza del requisito soggettivo, altrimenti il fenomeno consuetudinario si ridurrebbe alla mera prassi 42. b) Quanto alla rilevanza, per cominciare, gli usi non sono menzionati nella Carta costituzionale, sicché la rilevanza degli stessi non può mai interferire con quella di norme primarie (costituzionali o di derivazione europea). L’art. 8 disp. prel. si limita a prevedere che “nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti, gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati”. Si delineano tre categorie di usi: secundum legem, praeter legem e contra legem. Gli usi secundum legem si caratterizzano per essere un atto normativo (legge o regolamento) a rinviare all’uso, che dunque assume la forza dell’atto normativo di richiamo. Tipici esempi ricorrono in tema di vendita, dove l’art. 1510 detta specifiche regole circa la consegna della cosa, che operano solo “in mancanza di patto o di uso contrario”: è cioè la legge stessa che rinvia all’uso della consegna, solo in assenza del quale trova applicazione la legge; analogamente, nella esecuzione dell’obbligazione, dove, per l’art. 1182, se il luogo di esecuzione della prestazione “non è determinato dalla convenzione o dagli usi” e non può 41 L’art. 1 del cod. comm. 1882 prevedeva che, ove le leggi commerciali non disponessero, trovassero applicazione gli usi mercantili (con prevalenza di quelli locali o speciali su quelli generali), e che, in mancanza di usi, si applicasse il diritto civile. 42 Nell’affermare tale principio la Suprema Corte ha escluso la natura di usi normativi delle norme bancarie uniformi emanate dall’Abi, qualificandole come usi negoziali ex art. 1340, perché imposte al cliente in base ad una mera prassi, sia pure ineludibile in quanto richiesta dall’istituto bancario (Cass. 8-5-2008, n. 11466; Cass. 28-3-2002, n. 4498). Analogamente le norme e gli usi uniformi della camera di commercio internazionale hanno natura giuridica di usi negoziali, ossia di clausole d’uso integrative della volontà dei contraenti, con la conseguenza che la loro interpretazione, effettuata dal giudice di merito con motivazione adeguata e non illogica, non è censurabile in sede di legittimità (Cass. 14-10-2009, n. 21833). È anche escluso il ricorrere dell’uso normativo nell’uso aziendale, trovando lo stesso origine nel comportamento dell’imprenditore di attribuire spontaneamente e per liberalità (e non sulla base del convincimento della sussistenza di un obbligo) a tutti i dipendenti (o soltanto ad un gruppo di essi) un trattamento non previsto né dal contratto individuale né dal contratto collettivo (Cass. 25-7-2000, n. 9764).
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diversamente desumersi, si applicano le norme previste dal medesimo articolo: la legge stessa rinvia all’uso di esecuzione delle prestazioni, in assenza del quale opera il criterio legale. Gli usi praeter legem operano nelle materie non regolate dalle leggi o dai regolamenti (art. 18). L’assenza di richiamo in leggi o regolamenti impedisce che l’uso possa essere in contrasto con una fonte normativa sovraordinata. Il sopraggiungere di legge o regolamento incompatibili con l’uso paralizzerà l’operatività di questo. Sono inammissibili gli usi contra legem: l’uso non può operare contro la legge o il regolamento, in quanto gerarchicamente subordinato 43. Il fenomeno ha assunto una particolare rilevanza con riferimento alla normativa sulle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori: non può assumere rilevanza giuridica un uso che integri un significativo squilibrio giuridico a carico del consumatore (o di altro imprenditore debole) in quanto in contrasto con l’art. 33 cod. cons. (VIII, 2.16). c) Quanto alla conoscenza, integrando l’uso (come si è visto) una fonte-fatto e perciò non scritta, emerge il problema della prova della esistenza. Operano all’uopo raccolte ufficiali di usi, come quelle del Ministero dell’Industria per gli usi generali e quelle delle Camere di commercio per gli usi locali 44, che però essenzialmente raccolgono usi negoziali (art. 1340 c.c.). Per l’art. 9 disp. prel. gli usi pubblicati nelle raccolte ufficiali degli enti e degli organi a ciò autorizzati si presumono esistenti fino a prova contraria: la pubblicazione dell’uso implica una presunzione legale semplice di esistenza, che ammette la prova contraria di non sussistenza o permanenza 45. Di diversa natura ed efficacia sono gli usi contrattuali e gli usi interpretativi, legati all’attività contrattuale specie commerciale (VIII, 5.8). Diversi sono pure gli usi civici, che affondano le radici nella storia del feudo e della proprietà collettiva (VI, 3.9).
10. Emersione di nuove fonti. – Alle fonti del diritto, formalmente indicate come tali e gerarchicamente organizzate, si vanno aggiungendo ulteriori fonti, non sempre coordinate con le prime, che assumono una influenza sempre più rilevante. a) Anzitutto rileva l’attività delle Autorità amministrative indipendenti, in ragione della complessità istituzionale che le caratterizza e della varietà di poteri attribuiti (poteri di regolazione e indirizzo, nonché di controllo e repressione) 46. Sono ispirate alla 43 La regola dell’art. 1 cod. nav., per cui gli usi prevalgono sul diritto civile, si giustifica per la “prevalenza” del diritto speciale sul diritto comune. Non sono derogabili norme imperative o di ordine pubblico. 44 Il compito di accertare e revisionare periodicamente gli usi e le consuetudini, collegati alle attività economiche e commerciali, venne attribuito alle Camere di Commercio con L. 20.3.1910, n. 121, per il cui art. 34 ogni cinque anni sono istituite Commissioni provinciali per la revisione degli usi; poi ribadito dal R.D. 19.2.1911, n. 245 e dal D.M. 16.5.2000, rientrando fra le funzioni camerali in materia di armonizzazione del mercato previste dall’art. 2 della L. 580/1993. Con D.L. 4.7.2006, n. 223, conv. con L. 4.8.2006, n. 248, si è previsto che “dei Comitati tecnici istituiti presso le Camere di Commercio per la rilevazione degli usi commerciali non possono far parte i rappresentanti di categorie aventi interesse diretto nella specifica materia oggetto di rilevazione”: questi sono ora solo interpellati tramite specifiche audizioni, mentre il Comitato è composto da rappresentanti di organi professionali ed esperti super partes. 45 Per la Suprema Corte gli usi normativi – contemplati dall’art. 1, n. 4, disp. prel. – sono norme giuridiche che il giudice ha l’obbligo di applicare se le conosce, ma non ha l’onere di indagare personalmente per accertarne l’esistenza, disponendo ex officio attività istruttorie per sopperire all’inerzia delle parti (Cass. 21-11-2000, n. 15014). In tal senso già Cass. 17-4-1968, n. 1131; Cass. 19-12-1968, n. 2962. 46 L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è organo amministrativo dotato di poteri discrezio-
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tradizione anglosassone, la cui istituzione è giustificata da istanze eterogenee; sono dotate di strutture organizzative diversificate e soggette a discipline variegate e operano in aree nelle quali maggiormente è avvertita l’esigenza di un’azione tecnica specializzata di pubblici poteri. Sono indipendenti dal Governo e dunque dalla politica: non c’è responsabilità ministeriale per l’operato delle stesse; né alle autorità indipendenti possono imporsi direttive ministeriali o attuarsi forme di controllo. Per il conseguimento degli obiettivi prefissi sono accordati poteri normativi (comunque sublegislativi) 47 e poteri amministrativi, oltre che poteri di giustiziabilità (III, 3.1). Nella prospettiva del diritto privato una generale funzione svolge l’Autorità del Garante per la protezione dei dati personali: l’Autorità ha la finalità di garantire che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali (così l’art. 2 del D.Lgs. 30.6.2003, n. 196, recante il codice in materia di protezione dei dati personali); per l’art. 153 del codice il Garante opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione 48. Una rilevante funzione assume anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (connessa alla regolazione antitrust) (AGCM), istituita con L. 10.10.1990, n. 287, i cui poteri sono stati man mano ampliati (cfr. D.Lgs. 8.11.2021, n. 185). Altre Autorità operano in specifici settori 49. b) Ulteriori fonti provengono dal basso, attraverso i codici di autodisciplina, formulati da singole categorie e che si impongono in modo vincolante ai soggetti che vi aderiscono. Il più rilevante è il codice di autodisciplina pubblicitaria, caratterizzato anche da una propria giurisdizione interna (il Giurì). Più di recente è lo stesso ordinamento che, in un processo di delegificazione, rimette alla elaborazione di categorie sociali la formazione di codici di deontologia e buona condotta per specifici settori, rimettendo a strutture pubbliche il controllo di non contrarietà all’ordinamento 50. Ciò avviene principalmente in settori caratterizzati da frequenti innali, privo dell’essenziale requisito della terzietà e non qualificabile quale giudice neanche ai limitati fini del giudizio di costituzionalità (Corte cost. 31-1-2019, n. 13). 47 I regolamenti delle Autorità indipendenti rientrano nel potere normativo delle stesse e sono pertanto atti con valore normativo. La legittimazione costituzionale del potere normativo è nel fondamentale canone costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 98 Cost.). 48 Il Garante per la protezione dei dati personali è organo amministrativo ed è investito di un procedimento di natura amministrativa: non ricopre una posizione di terzietà assimilabile a quella assicurata dal giudice nel processo, escludendosi che il provvedimento di talea autorità sia idoneo al passaggio in giudicato (Cass. 8-2-2022, n. 3952; Cass. 18-6-2018, n. 16061; Cass. 25-5-2017, n. 13151). 49 Si pensi alla Banca d’Italia, per la vigilanza sulle banche, i gruppi bancari e le società finanziarie; alla Consob per il controllo delle società quotate in borsa; all’Isvap per la vigilanza delle attività assicurative private. Grande rilevanza hanno anche le autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, quali l’Autorità per l’energia elettrica e il gas; l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Una particolare funzione svolge l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), che nel 2014 incorpora l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP). Si pensi anche all’Organismo Italiano di Contabilità (OIC), come fondazione privata che emana i principi contabili nazionali, per la redazione dei bilanci secondo le disposizioni del codice civile, perseguendo finalità di interesse pubblico. 50 Si è ritenuto che le regole deontologiche poste dagli ordini professionali sono soggette al controllo giurisdizionale quando violino precetti costituzionali o inderogabili o principi generali dell’ordinamento e in quanto incidano su oggetti estranei alla deontologia professionale (Cass. 4-6-1999, n. 5452).
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novazioni scientifiche e tecnologiche, che si tende a disciplinare anche con il ricorso a fonti più flessibili e maggiormente capaci di penetrare nella coscienza e nella professionalità delle categorie coinvolte 51: si pensi al Codice di deontologia medica; al Codice deontologico forense 52 e ai Principi di deontologia professionale dei notai 53.
B) APPLICAZIONE DEL DIRITTO 11. Efficacia nel tempo (obbligatorietà delle norme). – Delineate le fonti del diritto, bisogna aver riguardo all’applicazione delle norme nel tempo e nello spazio, oltre che delineare i modi di interpretare e applicare il diritto. Il capo II disp. prel. c.c. usa la formula “applicazione della legge in generale” per rappresentare a quell’epoca la legge il parametro della normatività. La disciplina va riferita a tutte le norme giuridiche, con i debiti coordinamenti rispetto alle singole fonti (sopra, par. 1). La efficacia della norma nel tempo indica la durata della obbligatorietà della stessa, cioè il tempo in cui la norma è vigente: tra l’entrata in vigore e la perdita di vigore. a) Per la entrata in vigore della norma non è sufficiente che sia esaurita la procedura di formazione; è anche necessario che la norma sia resa pubblica (pubblicata) e cioè legalmente conoscibile (par. 3). Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione, tranne il diverso termine indicato dalle Camere (art. 73 Cost.). Di regola è previsto un termine per l’entrata in vigore di leggi e regolamenti per consentirne la conoscenza 54: di solito nel quindicesimo giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto (artt. 10 disp. prel. e 73 Cost.) (c.d. vacatio legis) 55. In particolari circostanze è dichiarata la obbligatorietà della legge con la pubblicazione (c.d. leggi catenaccio). 51
Emblematico è il D.Lgs. 196/2003 sulla protezione dei dati personali, per il cui art. 12 il Garante promuove, nell’ambito delle categorie interessate, la sottoscrizione di codici di deontologia e di buona condotta per determinati settori, ne verifica la conformità alle leggi e ai regolamenti e contribuisce a garantirne la diffusione e il rispetto. 52 Testo modificato dal Consiglio nazionale forense il 23.2.2018, in vigore dal 12.6.2018. Le deliberazioni con le quali il Consiglio nazionale forense procede alla determinazione dei principi di deontologia professionale e delle ipotesi di violazione degli stessi, costituiscono regolamenti adottati da un’autorità non statuale in forza di autonomo potere in materia che ripete la sua disciplina da leggi speciali; trattandosi di legittima fonte secondaria di produzione giuridica, va esclusa qualsiasi lesione del principio di legalità (Cass., sez. un., 29-12-2017, n. 31227; Cass., sez. un., 11-7-2017, n. 17115). 53 Testo aggiornato dal Consiglio nazionale del notariato il 5.4.2008. Per Cass. 3-2-2017, n. 2979, la sanzione disciplinare ha come destinatari gli appartenenti ad un ordine professionale (nella specie notarile) ed è preordinata all’effettivo adempimento dei doveri inerenti al corretto esercizio dei compiti loro assegnati, sicché ad essa non può attribuirsi natura sostanzialmente penale. 54 L’art. 101 disp. prel. non si applica ai decreti ministeriali che recepiscono, senza trasformarli in regolamenti governativi, gli atti emanati da autorità non statali in forza di un potere normativo attribuito da leggi speciali (art. 32, disp. prel.), sicché i medesimi, anche se debbono essere pubblicati sulla G.U., non sono assoggettati ad periodo di “vacatio legis” e sono quindi immediatamente applicabili atteso il carattere di esecutorietà proprio degli atti amministrativi (Cass. 25-7-2016, n. 15315). 55 Gli effetti di uno “ius novum” più favorevole al reo sono applicabili, in pendenza di giudizio, anche durante il periodo della “vacatio legis”, in quanto la funzione di garanzia per i consociati, perseguita dagli artt. 733 Cost. e 10 prel., non preclude al giudice di tener conto di quella che è già una novazione legislativa (Cass. pen. 14-5-2019, n. 39977).
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Ogni atto normativo non può che disporre per l’avvenire, e perciò non ha effetto retroattivo (art. 11 disp. prel.): non può applicarsi a fatti verificatisi anteriormente alla entrata in vigore (principio della irretroattività della legge); è espressione del fondamentale principio di legalità, che si traduce nella salvezza dei diritti quesiti 56. La generale previsione di irretroattività è contenuta esclusivamente nelle disposizioni preliminari al codice civile; mentre la Carta costituzionale si limita a prevedere la irretroattività della sola norma penale, stabilendo che nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso (art. 252 Cost.). Fuori della materia penale è perciò emerso il principio che una legge o altra normativa possa regolare rapporti in corso, ancorché riferiti a fatti avvenuti in precedenza, purché ciò risulti espressamente o comunque in modo non equivoco dalla stessa normativa applicata che tende a regolare la sostanza del rapporto piuttosto che la costituzione dell’atto 57. Si pensi all’esperienza della legge sul divorzio del 1970 applicata alle coppie in precedenza coniugate, o alla riforma del diritto di famiglia del 1975 applicata alle famiglie in precedenza costituite. Eccezionalmente (sempre fuori della materia penale) la legge incide sul fatto generatore del rapporto (c.d. norme retroattive in senso stretto), previa espressa previsione. b) Quanto alla perdita di vigore, leggi e regolamenti sono abrogati, rispettivamente, da leggi e regolamenti successivi in modo espresso o tacito. Si ha abrogazione espressa quando c’è testuale abrogazione da parte dell’ordinamento; si ha abrogazione tacita quando le nuove disposizioni sono incompatibili con le precedenti o perché la nuova normativa regola l’intera materia già regolata in precedenza così da assorbirla (art. 15 disp. prel.). Per l’abrogazione è necessario che la normativa abrogante sia di grado superiore o omogeneo a quello della normativa abrogata. Se si determina un contrasto tra norme di pari grado prevale quella cronologicamente successiva. Uno speciale modo di abrogazione di leggi e atti aventi forza di legge è il referendum popolare, ammesso quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali (art. 75 Cost.). L’abrogazione non fa perdere efficacia alla norma per il tempo in cui è stata in vigore. Anche se una norma è abrogata, continua a regolare i fatti intervenuti sotto il suo vigore: è il principio regolatore della successione nel tempo delle leggi, per cui la validità degli atti è regolata dalla legge in vigore al tempo della formazione (tempus regit actum). In tale divenire normativo si rivela la importanza del diritto transitorio, che regola la efficacia intertemporale dei testi normativi (es. norme transitorie al codice civile, per i rapporti in corso alla data di entrata in vigore del codice). Profondamente diversa è la dichiarazione di incostituzionalità di una norma, cessando questa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione e con efficacia di regola retroattiva (art. 136 Cost.) (sopra par. 5). 56 In materia di rispetto delle distanze, lo “ius superveniens” che contenga prescrizioni più restrittive incontra la limitazione dei diritti quesiti e non trova applicazione con riferimento alle costruzioni che, al momento della sua entrata in vigore, possono considerarsi già sorte, in ragione dell’avvenuta realizzazione delle strutture organiche, costituenti punti di riferimento essenziali per la misurazione delle distanze (Cass. 23-10-2018, n. 26886). 57 La disciplina sopravvenuta è applicabile ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o venute in essere alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai nuovi fini, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi dal collegamento con il fatto che li ha generati (Cass. 2-8-2016, n. 16039). V. anche Corte cost. 14-9-2021, n. 24719; Cass. 16-4-2008, n. 9972.
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12. Efficacia nello spazio (diritto internazionale privato). – Lo sviluppo della industrializzazione e della globalizzazione ha comportato la crescita di circolazione di persone, capitali e merci; ha favorito la mobilità per ragioni di lavoro o anche solo di turismo, così instaurandosi relazioni tra persone soggette ad ordinamenti diversi. Può avvenire che un contratto sia stipulato tra soggetti di differente nazionalità o anche tra due cittadini relativamente ad un bene situato all’estero; come può avvenire che un cittadino italiano sposi una straniera o che due cittadini abbiano un figlio all’estero ovvero che intervenga separazione tra gli stessi in un paese diverso. In tali ipotesi la fattispecie, vuoi per la nazionalità dei soggetti, vuoi per la collocazione territoriale del bene o per altre ragioni, presenta profili di estraneità rispetto all’ordinamento italiano e viceversa criteri di collegamento con più ordinamenti, i quali per singoli versi potrebbero trovare applicazione. Quando non opera un diritto materiale uniforme bisogna accedere a regole giuridiche che consentano la soluzione dei c.d. conflitti tra ordinamenti, sì da stabilire la legge applicabile. C’è cioè l’esigenza di individuare l’ordinamento dello Stato dove “localizzare” il singolo rapporto per risultare l’ordinamento meglio in grado di regolarlo, nell’interesse dei singoli autori, ma più in generale per la certezza delle relazioni giuridiche. Lo sviluppo degli stati nazionali ha favorito la formazione di un diritto internazionale privato, che regola tali conflitti spaziali. Il diritto internazionale privato è un diritto interno che regola i rapporti tra privati e con enti aventi punti di contatto con più ordinamenti, determinando il diritto applicabile; è anche un diritto strumentale in quanto non è immediatamente regolatore della fattispecie ma si limita ad individuare l’ordinamento che deve regolarla. In Italia tale normativa è oggi costituita dalla L. 31.5.1995, n. 218, recante la riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, che ha abrogato gli artt. da 17 a 31 delle disp. prel. c.c., che originariamente lo regolavano; resta in vigore l’art. 16 disp. prel. relativo al “trattamento dello straniero” (per cui lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali; analogamente avviene per le persone giuridiche straniere). Una integrazione della L. 218/1995 è avvenuta ad opera della L. 19.1.2017, n. 7, in attuazione della L. 20.5.2016, n. 76, con riguardo all’unione civile tra persone dello stesso sesso. Per l’art. 141 l’accertamento della legge straniera è compiuto di ufficio dal giudice. In tempi più recenti la marcia verso un diritto uniforme ha toccato anche il diritto internazionale privato, con l’emergere di un diritto internazionale privato uniforme, sia di origine convenzionale che di formazione europea. Nella prima direzione, di grande importanza è la Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, ratif. e resa esec. con L. 18.12.1984, n. 975, confluita nel Reg. CE/593/2008 (“Roma 1”), sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (a tale disciplina rinvia l’art. 57 L. 218/1995) 58. Nella seconda direzione, con il c.d. Programma dell’Aja pubblicato sulla G.U. del 3 marzo 2005 sono menzionati più regolamenti europei di diritto internazionale privato uniforme: significativo è il Reg. CE/864/2007 (“Roma 2”) concernente i conflitti di leggi in relazione alle obbligazioni extracontrattua58 Rilevante anche la Conv. Aja 1.7.1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento (L. 16.10.1989, n. 364).
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li 59. Consegue che lo spazio rilasciato al legislatore nazionale di legiferare in materia di diritto internazionale privato risulta sempre più ristretto. Alla stregua della normativa nazionale, il procedimento di individuazione dell’ordinamento applicabile si articola in due fondamentali passaggi. a) Anzitutto va compiuta la qualificazione del rapporto: bisogna cioè definire la natura del rapporto da regolare: es. rapporto coniugale, obbligatorio, successorio, ecc. Ciò avviene di regola in base all’ordinamento davanti al quale è posta la questione da decidere (c.d. lex fori). b) Successivamente si deve fissare il collegamento della fattispecie (come qualificata) con uno specifico ordinamento secondo i criteri fissati dalle norme di diritto internazionale privato. Ad es. il possesso e i diritti reali sono regolati dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano (art. 51); le obbligazioni contrattuali sono regolate dalla richiamata Convenzione di Roma del 1980 (art. 57); la promessa unilaterale è regolata dalla legge dello Stato in cui viene manifestata (art. 58); la separazione personale e lo scioglimento del matrimonio sono regolati dalla legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda, in mancanza si applica la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale risulta prevalentemente localizzata (art. 31); rispetto al minore è di regola applicata la legge di maggior favore per il minore (artt. 31 ss.). Le norme del diverso ordinamento valgono all’interno dell’ordinamento dello Stato quando questo compie un rinvio a tali norme 60. È regolata l’ipotesi di un eventuale rinvio dell’ordinamento richiamato ad altro ordinamento 61. In ogni caso sussistono due limiti all’applicazione della legge straniera. Anzitutto operano le c.d. norme di applicazione necessaria 62; per l’art. 17 L. 218/1995, sui criteri di collegamento fissati dalla normativa di diritto internazionale privato, prevalgono le norme italiane che, in considerazione del loro oggetto e del loro sco59 Rilevanti anche Reg. UE/1259/2010 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale; Reg. UE/650/2012 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli obblighi in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo; il Reg. 2019/1111/UE, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori. 60 Il rinvio è f i s s o (c.d. materiale o recettizio), quando è richiamato uno specifico atto in vigore in altro ordinamento, ordinandosi ai soggetti dell’applicazione del diritto (giudici e pubblica amministrazione) di applicare le norme di tale atto normativo come norme interne; è invece m o b i l e (c.d. formale o non recettizio) quando è richiamato non uno specifico atto di altro ordinamento ma una fonte di esso, così adeguandosi a tutte le modifiche che intervengono nella normativa posta dalla fonte richiamata. 61 Poiché il rinvio ad una legge straniera potrebbe incrociare una norma che a sua volta rinvia ad altro ordinamento (e così all’infinito) o addirittura allo stesso ordinamento italiano (come un gioco di ping-pong), la L. 218/1995 limita l’efficacia del rinvio dell’ordinamento straniero, stabilendo che si tiene conto del rinvio operato dal diritto straniero alla legge di un altro Stato solo se il diritto di tale Stato accetta il rinvio o se si tratta di rinvio alla legge italiana (art. 131). Il rinvio dell’ordinamento straniero ad altro ordinamento è escluso se l’applicazione della legge straniera è avvenuta sulla base della scelta effettuata in tal senso dalle parti interessate e in altre specifiche ipotesi (art. 132). 62 Le norme di applicazione necessaria sono spazialmente condizionate e funzionalmente autolimitate – perciò destinate ad applicarsi, nonostante il richiamo alla legge straniera – quali, tra le altre, le leggi fiscali, valutarie, giuslavoristiche, ambientali (Cass., sez. un., 5-7-2011, n. 14650). Sono norme della lex fori, operanti come limite all’applicazione del diritto straniero eventualmente richiamato da una norma di conflitto (Cass., sez. un., 20-2-2007, n. 3841).
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po, debbono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera: ad es., lo straniero che vuole contrarre matrimonio nello Stato è soggetto alle disposizioni contenute negli artt. 85, 86, 87, n. 1, 2 e 4, 88 e 89 (art. 1162 c.c.); sono di applicazione necessaria le norme del diritto italiano che sanciscono l’unicità dello stato di figlio (art. 334 L. 218/1995). È un meccanismo paralizzante del funzionamento dei criteri di collegamento (controllo preventivo). Inoltre, quand’anche la legge straniera risulti formalmente applicabile, non è applicata se i suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico (art. 16 L. 218/1995) (controllo successivo). L’ordine pubblico, quale limite all’applicabilità della legge straniera in Italia, è il c.d. ordine pubblico internazionale, che si identifica nelle norme di tutela dei diritti fondamentali 63; il divario con l’ordine pubblico interno, quale insieme delle norme inderogabili dell’ordinamento, tende a ridursi per la funzione assorbente assunta dai diritti e valori fondamentali in entrambe le direzioni (II, 7.9).
13. Interpretazione delle norme giuridiche (criteri e valori). – Ogni fenomeno dell’esperienza si presta ad essere analizzato e valutato. Uno spartito musicale, un dipinto, un libro, una pellicola cinematografica destano nell’osservatore sensazioni e stimoli per il messaggio che dagli stessi promana; ed ognuno avverte e dunque interpreta tali fenomeni in ragione della propria sensibilità, della propria formazione culturale, della propria professione politica o fede religiosa, e così via. Le percezioni, sia sensibili che intellettive, sono trasposte nella coscienza personale che le connota: da un oggettivo dato fenomenico derivano suggestioni diverse e colti significati differenti a seconda di ciò che si sceglie di valorizzare del fenomeno (il mero accadimento, la persona degli autori o delle vittime, la natura degli interessi coinvolti) e del tipo di rilevanza che si intende attribuire ai contesti nei quali i fatti si svolgono. Non diversamente avviene rispetto alla norma giuridica: anche questa si compone di un dato fenomenico, rappresentato dal testo e cioè dalla formula, e di un messaggio derivante da tale formula, che costituisce propriamente il precetto (la regola vincolante per i destinatari). Anche la norma giuridica ha bisogno di essere interpretata e richiede un’attività intellettiva di determinazione del relativo significato. C’è però un divario di destinazione dell’interpretazione: il fine della interpretazione artistica si esaurisce nella intimità dell’interprete, mentre il fine della interpretazione giuridica si proietta nella realtà esteriore, imponendosi come regola di comportamento (si è visto innanzi che caratteri 63 È indirizzo consolidato della giurisprudenza considerare, come ordine pubblico interno, le norme imperative dell’ordinamento civile, e come ordine pubblico internazionale i principi fondamentali e caratterizzanti l’atteggiamento etico-giuridico dell’ordinamento in un determinato periodo storico (Cass. 22-8-2013, n. 19405; Cass. 6-12-2002, n. 17349). Il problema è particolarmente avvertito con riguardo al riconoscimento delle sentenze straniere, che incontra, appunto, il limite dell’ordine pubblico (art. 64, lett. g), comunemente considerato quale ordine pubblico internazionale. Si è ad es. stabilito che il giudice italiano, chiamato a valutare la compatibilità con l’ordine pubblico dell’atto di stato civile straniero, i cui effetti si chiede di riconoscere in Italia, a norma degli artt. 16, 64 e 65 della L. 31.5.1995, n. 218 e dell’art. 18 del D.P.R. 3.11.2000, n. 396, deve verificare non già se l’atto straniero applichi una disciplina della materia conforme o difforme rispetto ad una o più norme interne, seppure imperative o inderogabili, ma se esso contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, desumibili dalla Carta costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cass. 30-9-2016, n. 19599).
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comuni alle norme giuridiche sono appunto la esteriorità e la plurilateralità: par. 2). Ciò implica una connotazione relazionale del risultato dell’interpretazione, funzionale all’applicazione del diritto. L’ordinamento giuridico esprime una complessiva visione e regolazione della realtà in un determinato periodo storico, attraverso un ponderato bilanciamento tra normative di settore e principi generali e tra gli stessi principi operanti (I, 1.4); per cui l’interpretazione delle norme deve svolgersi attraverso conoscenza giuridica e oculata prudenza (secondo l’etimologia della parola) 64. Si è già detto della funzione del metodo (I, 1.6). L’interpretazione come l’applicazione del diritto devono svolgersi con metodo funzionale finalizzato alla regolazione della realtà materiale. Bisogna quindi procedere sia alla intelligenza della complessità del fatto (accadimenti, contesti e interessi coinvolti), che alla valutazione del diritto applicabile, individuando le regole del fatto concreto secondo l’ordinamento attuale (si suole intingere nella “assiologia” con l’intento di richiamare la prospettiva filosofica della ‘dottrina dei valori’, per alludere a una scala di valori da tenere presente nella regolazione del fatto concreto). L’applicazione del diritto deve svolgersi secondo un metodo di apprezzamento funzionale, comprensivo sia della intelligenza del fatto (accadimenti, contesti e interessi coinvolti), che della valutazione delle norme, al fine di selezionare le regole applicabili al fatto secondo l’ordinamento attuale. Consegue che l’attività interpretativa delle norme è bipolare, rivolta alla individuazione di una regola dell’ordinamento attraverso l’analisi dei valori coinvolti dal fatto, riconosciuti dall’ordinamento (si suole parlare di “assiologia” con l’intento di richiamare la prospettiva filosofica della ‘dottrina dei valori’, per alludere a un giudizio di valore e a una scala di valori). L’unica interpretazione vincolante è l’interpretazione autentica, che è l’interpretazione proveniente dallo stesso organo che ha emanato la norma: tale interpretazione ha la funzione di chiarire i dubbi sollevati dalla relativa applicazione attraverso l’indicazione precettiva del significato da attribuire alla norma in modo retroattivo (c.d. norme interpretative) 65; peraltro anche le norme interpretative sono, a loro volta, soggette a interpretazione. L’art. 12 disp. prel. c.c. indica un catalogo di criteri di “interpretazione della legge”, perché l’interpretazione, da chiunque provenga, possa tendenzialmente pervenire ad un risultato omogeneo, sebbene con le ineliminabili varianti della personalità di ogni interprete. Si è visto però che, successivamente alla emanazione del cod. civ., sono intervenuti 64 Ad es., si è fatto rientrare lo jus eligendi sepulchrum nella categoria dei diritti della personalità e, come tale, non oggetto di trasferimento mortis causa ma esercitabile dal congiunto; eseguita la scelta indicata dal congiunto, il giudice, accertato che il luogo di sepoltura era stato originariamente determinato dal titolare del relativo diritto, deve valutare con oculata prudenza le giustificazioni addotte per pretendere di operare un trasferimento che comporta esumazione e ritumulazione del cadavere, posto che è avvertita dalla sensibilità degli uomini l’esigenza che le salme dei defunti non vengano, senza adeguate e gravi ragioni, trasferite da un luogo ad un altro (Cass. 14-11-2019, n. 29548). 65 La natura interpretativa di una disposizione normativa, comportando una deroga al principio della irretroattività della legge, nel senso di determinare l’applicazione della nuova disposizione anche al passato, principio senz’altro valido anche nel diritto comunitario, deve risultare chiaramente dal suo contenuto, il quale deve non solo enunciare il significato da attribuire ad una norma precedente, ma anche la volontà del legislatore di imporre questa interpretazione, escludendone ogni altra (Cass. 21-12-2012, n. 23827; Cass., sez. un., 29-4-2009, n. 9941). Conf. Cass. 19-1-2017, n. 1336.
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l’introduzione della Carta costituzionale e la formazione del diritto europeo, oltre che diffondersi convenzioni internazionali ratificate e rese esecutive, che hanno ridisegnato la gerarchia delle fonti (par. 4). Pertanto anche le regole dell’art. 12 disp. prel. vanno integrate nella tavola dei principi generali dell’ordinamento e applicate combinate con questi. In tale direzione le norme del codice civile e in generale tutte le norme sono sottoposte a una rilettura alla luce dei valori espressi dalla Carta costituzionale e dal diritto europeo, che non solo sono sopraggiunti al codice, ma l’hanno sopravanzato nella gerarchia delle fonti. C’è la necessità di una interpretazione conforme ai valori della Costituzione, prima di investire la Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale della singola norma: è ormai comune nelle decisioni dei giudici una “lettura costituzionalmente orientata” delle norme giuridiche 66. La pregnanza del diritto europeo sollecita poi una uniformità interpretativa delle regole di provenienza europea nei singoli paesi: nel dubbio, deve prevalere l’interpretazione conforme ai principi di diritto europeo. Nell’attualità i canoni ermeneutici dell’art. 12 disp. prel. si atteggiano come criteri tecnici del percorso interpretativo che involgono (non solo la legge ma) la complessità dell’ordinamento, per dovere ogni precetto risultare coerente al sistema, dal quale, nel suo insieme, deriva la regola applicabile. Per l’art. 121, nell’applicare la legge, non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Emergono dunque un criterio letterale e un criterio logico; a tali criteri è sempre immanente un criterio teleologico che tenga conto della finalità dell’interpretazione. In ogni caso bisogna svolgere una interpretazione evolutiva perché la regola da applicare risulti conforme all’ordinamento attuale. I vari criteri indicati dall’art. 12 disp. prel. concorrono alla determinazione della regola applicabile, intingendo comunque in una interpretazione valutativa, che attraversa l’intera esperienza giuridica, dei fatti sociali come degli atti normativi. a) L’interpretazione letterale è rivolta all’analisi delle parole, non solo nel loro significato lessicale, ma anche nel contesto in cui le stesse sono inserite secondo una connessione sintattica della proposizione normativa. b) L’interpretazione logica tende a penetrare e cogliere “l’intenzione del legislatore”. È preliminarmente da rilevare che l’impiego del termine “legislatore” si lega ad una visione antropomorfica risalente ad epoche in cui il potere normativo si esauriva in una persona fisica (il sovrano), dal quale tutto il diritto derivava: nei paesi di democrazia occidentale l’espressione, pure perpetuata nella nomenclatura, ha perduto il suo originario referente, per alludere oggi all’autorità dalla quale il diritto promana (più spesso il parlamento). Nella determinazione della “intenzione del legislatore” è essenziale la ricerca del fondamento della norma e dello scopo perseguito dal legislatore e cioè l’interesse soddisfatto con la emanazione della norma: la c.d. ragione giustificativa (ratio legis). Tali finalità sono conseguibili attraverso più percorsi. Anzitutto bisogna procedere ad una ricostruzione storica degli eventi che diedero luogo alla formazione della nor66 In ordine all’impossibilità di pervenire ad un’interpretazione adeguatrice, è sufficiente che il rimettente abbia plausibilmente escluso tale possibilità, anche solo perché improbabile o difficile, perché la questione debba essere scrutinata nel merito (Corte cost. 5-5-2021, n. 89).
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ma (la c.d. occasio legis). Un ruolo essenziale in tale direzione assumono i lavori preparatori e specie le relazioni che di regola accompagnano la emanazione degli atti normativi: ciò fa comprendere le istanze che ne reclamarono l’introduzione, come le motivazioni socio-economiche che ne sorressero l’elaborazione (interpretazione teleologica). Inoltre, un ruolo importante svolge la cornice ordinamentale in cui la specifica norma si collocava e dalla quale riceveva alimento: le norme vanno interpretate le une per mezzo delle altre, sicché il significato della singola disposizione è completato e chiarito dalle altre disposizioni (interpretazione sistematica). Ad es., per l’art. 1470, la vendita ha ad oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo: ma il significato del termine proprietà si ricava dagli artt. 832 ss. e dall’art. 42 Cost. In sostanza l’interpretazione logica è ad un tempo teleologica e sistematica. Si è a lungo discusso, e tuttora è oggetto di dibattito, se debba aprirsi ai criteri ermeneutici logici in presenza di chiarezza e univocità della lettera della legge. La giurisprudenza, specie di legittimità, è tradizionalmente attestata su posizioni negative, secondo l’antico aforisma in claris non fit interpretatio in funzione della certezza del diritto 67; anche se emerge una valorizzazione del significato logico 68. A ritenere che l’interpretazione logica debba operare pure in presenza di chiarezza della lettera vale già il dato testuale dell’art. 12, che congiunge con una “e” il criterio letterale e quello logico nell’attività di rendere palese il significato della legge. Anche l’invocata esigenza di certezza del diritto, che meglio sarebbe soddisfatta dalla riduzione del criterio logico a criterio sussidiario di interpretazione, non può sacrificare l’altro fondamentale valore della effettività del diritto: isolare la formula della proposizione normativa dalla ratio della sua introduzione e dal contesto dell’ordinamento significa recidere il radicamento sociale dell’ordinamento unitariamente inteso. c) La interpretazione evolutiva, anche se non prevista dall’art. 12 disp. prel., è essenziale criterio per attualizzare la norma nel contesto in cui è destinata ad operare. Anzitutto la norma da interpretare va integrata nell’ordinamento in cui si è formata, per ricercare la valutazione originaria del legislatore che la volle (c.d. legislatore storico); quindi va 67 Il primato dell’interpretazione testuale è un principio pacifico, che esprime l’assiomatica verità per cui l’ordinamento giuridico è costruito attraverso proposizioni formali, i cui enunciati son espressi in formulazioni linguistiche, con lo scopo di rendere chiaro e intellegibile il significato delle regole poste; la certezza del diritto è garantita innanzitutto dalla precisione del linguaggio e dalla univocità della relazione tra il significante ed il significato; gli altri canoni ermeneutici vengono in rilievo solo se l’interpretazione testuale è ambigua (Cons. Stato 5-5-2021, n. 3524. Conf. Cons. Stato 25-5-2020, n. 3298; Cons. Stato 30-6-2017, n. 3233; Cass. 14-10-2016, n. 20808). 68 In sede di interpretazione della legge, si deve preferire quella che attribuisce un senso alla frase, piuttosto che quella che la rende priva di senso e di effetti pratici; si deve inoltre preferire l’interpretazione più corrispondente alla ratio legis ed alla presumibile volontà del legislatore (ricostruibile anche mediante il riferimento al contesto politico-programmatico, alla evoluzione storica della legislazione, ecc.), e più coerente con il sistema (Cons. Stato 14-2-2014, n. 730). Tra le varie interpretazioni in astratto possibili debbono scegliersi quelle che non si pongono in contrasto con la Costituzione, e va privilegiata quella ad essa più conforme (Cass. 22-10-2002, n. 14900). Il criterio logico può assumere rilievo prevalente nell’ipotesi in cui l’effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo, invece, consentito all’interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell’ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica della norma stessa (Cass. 4-10-2018, n. 24165).
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reintegrata nell’ordinamento nel quale opera al momento della interpretazione, per delineare la valutazione dell’ordinamento rinnovato (c.d. legislatore attuale). L’interpretazione evolutiva si atteggia come interpretazione valutativa dovendosi ricercare nella norma un significato coerente con l’evoluzione del sistema, con i principi e i valori che lo ispirano: è possibile ricavare, in epoche diverse, dal medesimo testo precetti differenti coerenti con il mutare dell’ordinamento nel suo complesso 69. Si delinea quindi una interpretazione assiologica, in relazione ai valori storicamente operanti dell’ordinamento. La reintegrazione dell’art. 12 disp. prel. nel sistema di pluralità delle fonti non può sconfinare nella creazione del diritto, dovendo operare secondo un criterio di elasticità del testo della norma secondo i principi e valori generali dell’ordinamento 70. Oltre il testo scritto, a parte la fonte normativa degli usi, si svolgono la tradizione di un popolo e lo sviluppo della coscienza civile che un testo scritto non può prevedere: l’interpretazione segna il costante adeguamento della legge scritta alla complessiva esperienza giuridica che si rinnova 71. In sostanza emerge la necessità di una interpretazione che può sinteticamente indicarsi come evolutiva-valutativa. Le fattispecie concrete vanno collocate nel contesto delle circostanze e dei rapporti socio-economici in cui emergono: l’interprete è chiamato a cogliere la trama materiale della singola vicenda, e poi a ricercare la regola ordinamentale adeguata al fatto della vita secondo criteri di proporzionalità (come proporzione del sacrificio al risultato realizzato, ovvero della sanzione alla gravità dell’azione) e di ragionevolezza (quale logicità e coerenza della scelta operata) (II, 7.7).
14. Risultati dell’interpretazione. L’analogia. – Lo svolgimento del procedimento interpretativo, attraverso l’impiego dei criteri delineati, conduce a determinare la portata della regola applicabile, talvolta attinta ad una sola norma, talaltra come esito del collegamento di più norme. a) I risultati della interpretazione sono altrettanti esiti dell’attività ermeneutica, secondo la dialettica tra canone letterale e canone logico nelle varianti indicate. Il modello più elementare è quello della interpretazione dichiarativa: la portata della regola coincide con il significato fatto palese dal testo normativo. Più spesso accade che si determini un distacco: si ha interpretazione estensiva quando il significato ricostruito della regola è più ampio di quello ricavabile dal testo della norma; all’opposto, si ha interpretazione restrittiva quando il significato ricavato è più limitato rispetto a quello derivante dal testo. 69 Secondo la suggestiva immagine di P. CALAMANDREI, gli articoli di legge, una volta usciti dalla mente del legislatore, sono come i figli mandati per il mondo in cerca di fortuna: messi a lottare con le difficoltà della pratica, talvolta tradiscono le speranze dei genitori e talaltra le sorpassano. 70 Un ormai consolidato indirizzo delle sezioni unite ha chiarito che la linea di confine oltre la quale l’attività interpretativa trasmoda in attività creativa, con invasione della sfera di attribuzioni del legislatore, è data dal limite di tolleranza ed elasticità del significante testuale, nell’ambito del quale la norma di volta in volta adegua il suo contenuto, in guisa da conformare il predisposto meccanismo di protezione alle nuove connotazioni, valenze e dimensioni che l’interesse tutelato nel tempo assume nella coscienza sociale, anche nel bilanciamento con contigui valori di rango superiore, a livello costituzionale o sovranazionale (Cass., sez. un., 20-12-2016, n. 26271; già Cass., sez. un., 15144/2011 e 27341/2014). 71 P. CALAMANDREI considerava “l’interpretazione evolutiva, l’analogia, i principi generali, finestre aperte sul mondo, dalle quali, se il giudice sa affacciarsi a tempo, può entrare l’aria ossigenata della società che si rinnova”.
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Quando un caso non sia riconducibile ad una specifica norma giuridica, pure interpretata estensivamente, il giudice è stretto tra due opposti principi: non può creare una nuova norma, perché ciò spetta al legislatore; ma neppure può negare giustizia, per il principio di completezza dell’ordinamento (I, 1.4). È il fenomeno delle c.d. lacune dell’ordinamento, in relazione alle quali si prospetta la necessità di porre rimedio mediante l’analogia. b) L’analogia è un criterio supplementare di applicazione del diritto. Per l’art. 12, co. 2, “se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo a disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato” (c.d. procedimento analogico). Quando dunque il caso concreto non è previsto dal legislatore, bisogna anzitutto ricorrere alla disciplina di “casi simili o di materie analoghe” (analogia legis). È questa la vera e propria analogia, appunto perché la regola del caso concreto è (pur sempre) mutuata da uno specifico testo normativo 72. Presupposto essenziale per il ricorso alla analogia legis è che il caso non regolato sia riconducibile alla ratio (e cioè alla ragione giustificatrice) di una specifica norma che regola una diversa fattispecie; il caso concreto, ancorché non previsto e regolato, sollecita un conflitto di interessi analogo a quello risolto da una disposizione di legge per una fattispecie diversa: il giudice può attingere a tale disposizione i criteri per risolvere il caso nuovo; da ciò consegue un analogo trattamento anche del caso non previsto dalla norma (principio di coerenza dell’ordinamento). In tal senso la interpretazione analogica si distingue dalla interpretazione estensiva: la “interpretazione analogica” tende a regolare un caso non previsto dalla legge attraverso un trattamento ispirato a norme che regolano casi o materie simili; la “interpretazione estensiva” tende a ricavare da una norma un significato più ampio di quello testualmente espresso, sì da applicare il relativo precetto anche a casi ulteriori (ma la distinzione, in concreto, non sempre è agevole) 73. Quando la verifica sopra indicata non sortisce alcun effetto, perché mancano nell’ordinamento disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe (con identità di ratio), bisognerà ricorrere all’applicazione dei “principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato” (c.d. analogia iuris). Trattasi di una norma di chiusura del sistema: la regola del caso concreto non è ricavabile dalla ratio di alcuna specifica disciplina, ma attinge ai principi generali immanenti nel sistema, quale complesso di valori che informano l’intero ordinamento 74. È bene chiarire: ogni norma deve essere valutata ed applicata in 72 Il ricorso all’analogia è consentito dall’art. 12 prel. solo quando manchi nell’ordinamento una specifica disposizione regolante la fattispecie concreta e si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto normativo altrimenti incolmabile in sede giudiziaria (Cass. 5-5-2015, n. 8946). 73 Ad es., l’art. 844 c.c., che riconosce al proprietario il diritto di far cessare le propagazioni derivanti dal fondo del vicino che superino la normale tollerabilità, deve essere interpretato estensivamente, nel senso di legittimare all’azione anche altri titolari di diritti reali (il superficiario, l’enfiteuta, il titolare di usufrutto, di uso o di abitazione) e, inoltre, è applicabile per analogia a chi sia titolare di un diritto personale di godimento sul fondo (come il conduttore ovvero il promissario di vendita immobiliare che abbia ricevuto la consegna del bene in anticipo rispetto alla conclusione del contratto definitivo) (Cass. 11-11-1992, n. 12133). 74 Il riferimento all’ordinamento giuridico dello Stato risente dell’enfasi politica dell’epoca della codificazione. Il legislatore del 1865, più realisticamente, aveva avuto riguardo ai “principi generali del diritto” (art. 3 prel.). Oggi che la statualità del diritto è erosa dalle tante fonti non statali (basti pensare al diritto di
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coerenza con i valori espressi dalla Carta costituzionale e dal diritto europeo, come principi generali immanenti e sovraordinati dell’ordinamento giuridico, secondo quel criterio evolutivo-valutativo sopra delineato; nell’analogia juris vi è di peculiare che il caso concreto rimane regolato direttamente e soltanto dai principi generali 75. Le leggi eccezionali e le leggi penali non sono applicabili “oltre i casi e i tempi in esse considerati” (art. 14 disp. prel.). L’esclusione delle leggi eccezionali si giustifica per la deroga alle regole generali: ad es., le norme agevolative fiscali rispetto ai regimi generali di imposizione tributaria. L’esclusione delle leggi penali si giustifica per la limitazione che possono comportare alla libertà personale, essendo consentita la restrizione della libertà personale solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge (art. 132 Cost.). Consegue che, di tali norme, è consentita l’interpretazione estensiva ma non quella analogica 76. Anche per tali norme si delinea il problema della coerenza al sistema 77.
15. L’equità. – Nel nostro sistema giuridico l’equità non è fonte del diritto, e del resto non è annoverata tra le fonti previste dall’art. 1 disp. prel.: non esprime perciò la predeterminazione di regole per il futuro. Essa è invece un criterio di giudizio di cui si avvale il giudice per risolvere una controversia insorta, quando, per la peculiarità del caso concreto ovvero per la particolarità delle circostanze che lo accompagnano, la rigida applicazione delle regole giuridiche condurrebbe a risultati avvertiti come ingiusti (il criterio è tradizionalmente indicato come una giustizia del caso concreto); però il giudice non può decidere in contrasto con le norme, può solo far funzionare le stesse alla luce dei principi generali e in aderenza al caso concreto 78. Il ricorso all’equità non può contrastaderivazione europea) la formula di rinvio all’ordinamento giuridico dello Stato si rivela maggiormente incongrua. 75 Varie fattispecie, emerse nella società in virtù di nuovi valori affermatisi o a seguito di scoperte tecniche compiute e primieramente regolate con criterio analogico, hanno col tempo costituito oggetto di apposita disciplina (si pensi alla esperienza dei trasporti aerei, dapprima regolati con applicazione analogica della normativa sui trasporti marittimi e poi oggetto di autonoma disciplina nel codice della navigazione e in molte Convenzioni internazionali e leggi successive). 76 L’interpretazione estensiva di disposizioni “eccezionali” o “derogatorie”, se pure in astratto non preclusa, deve ritenersi circoscritta alle ipotesi in cui il plus di significato che si intenda attribuire alla norma interpretata non riduca la portata della norma costituente la regola con l’introduzione di nuove eccezioni, bensì si limiti ad individuare nel contenuto implicito della norma eccezionale o derogatoria altra fattispecie avente identità di ratio con quella espressamente contemplata (Cass. 1-9-1999, n. 9205). 77 L’eccezionalità che preclude l’estensione analogica ex art. 14 prel. va, per comune intendimento, acquisita come predicato di una norma che non sia riconducibile ai principi generali o fondamentali dell’ordinamento giuridico, ma che anzi faccia eccezione a detti principi o sia in contrasto con ess (Cons. Stato, sez. V, 2-8-2021, n. 5641). 78 La rilevanza della equità era già avvertita da ARISTOTELE, il quale poneva il problema dell’applicazione della legge al caso concreto che la norma non può prevedere nella sua singolarità. Era proposto un criterio di “convenienza” e di “adattamento” come correttivo all’astrattezza della norma, così da realizzare il giusto (chiamato equità) che va oltre la legge scritta; era anche avvertito il problema di equilibrio dell’intervento, in quanto la generalità è un ostacolo alla giustizia, rendendo necessario il correttivo dell’adattamento, ma è anche una garanzia della uguaglianza, potendo l’intervento di adattamento aprire la strada all’arbitrio e all’ingiustizia. L’equità è stata vista con disfavore dallo Stato moderno che ha ricondotto il diritto alla legge scritta: la crisi del diritto statuale, con l’ampliamento delle fonti del diritto, ha fatto riemergere il dibattito intorno alla rilevanza dell’equità.
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re il fondamentale principio di legalità (di rilevanza costituzionale) su cui si fonda sia la soggezione del giudice alla legge (art. 1012 Cost.), sia la garanzia di tutela giurisdizionale dei diritti (art. 241 Cost.) 79. L’equità trova espressa previsione nel codice di procedura civile quale regola di giudizio (artt. 113 e 114 c.p.c.). Il giudice può pronunziare secondo equità o perché la legge espressamente gli accorda il potere in tal senso (art. 113 c.p.c.) 80 o perché c’è concorde richiesta delle parti, quando si tratta di diritti disponibili (art. 114 c.p.c.). Esistono ipotesi nelle quali la legge consente il ricorso a criteri equitativi anche solo per la definizione di singoli profili della decisione, come ad es. per la determinazione del danno o di una indennità (es. artt. 1226, 1450, 20472, 2056) 81. Una significativa applicazione dell’equità è in materia contrattuale, configurandosi la stessa quale fonte di integrazione del contratto (artt. 1374, 1384, 1526) (VIII, 5.9) o criterio interpretativo residuale di equo contemperamento degli interessi delle parti nei contratti a titolo oneroso (art. 1371) (VIII, 5.3). Il ricorso al criterio di equità tende oggi a interagire con l’applicazione del principio di buona fede, specie nell’accezione di recente emersa nella giurisprudenza quale espressione del dovere di solidarietà (II, 7.5).
16. Diritto vivente (nomofilachia e overruling). – Si è visto come uno dei principi fondamentali dello stato di diritto è il principio di legalità: per l’art. 1012 Cost. “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”. La crescita delle fonti del diritto e la valorizzazione del principio di effettività della giurisdizione (di cui appresso) pongono il complesso problema dell’adeguatezza della decisione alla realtà sociale in cui il caso è calato. Inoltre, con l’affermazione dei diritti umani e del solidarismo quali portati del costituzionalismo liberale e sociale si è affermata la rilevanza della persona umana nella concretezza delle sue condizioni di vita e di relazioni sociali. In tale contesto è accresciuta la funzione del diritto vivente quale diritto applicato. Connotazione del diritto vivente è l’aderenza delle soluzioni giuridiche alle evoluzioni ordinamentali e sociali, con la elaborazione di soluzioni giuridiche adeguate alla morfologia del caso concreto e coerenti con l’attualità del sistema giuridico. Il diritto vivente 79 Il tradizionale dilemma, se l’equità costituisse un’alternativa al diritto positivo o se dovesse essere ad esso correlato, è risolto nel secondo senso dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione. Secondo Corte cost. 6-7-2004, n. 206, la sola funzione che può essere attribuita alla giurisdizione di equità è quella di individuare l’eventuale regola di giudizio non scritta che, relativamente al caso concreto, consenta una soluzione della controversia che risulti conforme alle caratteristiche specifiche della fattispecie concreta, “secondo i principi cui si ispira la disciplina positiva”, i quali non potrebbero essere posti in discussione dal giudicante attraverso una contrapposizione con le proprie categorie soggettive di equità e ragionevolezza. La sentenza secondo equità è quindi impugnabile in Cassazione anche per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 3601, n. 3, c.p.c. 80 Il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità (art. 1131 c.p.c.). Per l’art. 1132 c.p.c. il giudice di pace decide secondo equità alcune questioni; ma la Corte cost., con sent. additiva n. 206/2004 cit., ha dichiarato la illegittimità della norma nella parte in cui non prevede che il giudice di pace debba osservare i principi informatori della materia. 81 Il problema si è posto, in particolare, con riferimento al potere accordato dall’art. 1226 al giudice di valutare equitativamente il danno, quando questo non può essere provato nel suo preciso ammontare (come si vedrà in tema di risarcimento danni: VII, 4.3). Anche l’assegno divorzile concordato dai coniugi in unica soluzione (una tantum), deve essere ritenuto equo dal tribunale (art. 54 l. div.) (V, 3.5).
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trova la propria linfa, non solo nelle norme prodotte dalle fonti formali del diritto, ma nella complessità della esperienza giuridica quale si realizza nella società, attingendo a tutte le componenti che, in vario modo, applicano il diritto nella quotidianità 82. Si è detto della normatività del fatto (I, 1.6). Fondamentale importanza assume l’interpretazione della giurisprudenza, che segna la effettiva portata del diritto 83. La norma vive nella realtà giuridica nel significato normativo che ad essa attribuisce la giurisprudenza che l’applica 84. La giurisprudenza, pur non creando istituzionalmente diritto, concorre alla formazione del diritto in quanto decide i casi sottoposti al suo vaglio alla stregua dell’ordinamento giuridico storicamente operante, perciò anche secondo i valori sopravvenuti alla emanazione delle regole. Il giudice, quando ricorre a principi generali, deve indicarne e motivarne l’esistenza e l’attualità perché il risultato del giudizio sia coerente al sistema vivente e la motivazione concretamente controllabile, in grado di evidenziare come il processo logico abbia generato la sentenza. Quando ravvisa che una regola giuridica sia in contrasto con la Costituzione solleva la questione di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni innanzi alla Corte costituzionale (art. 134 Cost.). Una essenziale rilevanza assumono le sentenze della Corte costituzionale, per l’adeguamento compiuto delle norme ai principi costituzionali (di cui sopra). Non esiste nel nostro sistema di civil law il valore vincolante del precedente, operante nel common law (dove vige il principio dello stare decisis) (I, 1.7), svolgendo il precedente una forza di persuasione. Esistono però pronunzie giurisprudenziali che, per l’autorevolezza degli organi da cui promanano, assumono una funzione di orientamento nell’applicazione successiva delle regole giuridiche. Fondamentali sono, anzitutto, le pronunzie della Corte di giustizia della Unione europea, per formulare il diritto europeo applicato, quando non è in contrasto con la Costituzione; grande rilevanza assumono anche le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo (per l’attività delle due Corti, v. III, 1.9). 82
In tema di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l’ordine pubblico, richiesta dagli art. 64 ss. L. 218/1995, deve essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nelle disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozioni di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico (Cass., sez. un., 8-5-2019, n. 12193). 83 Le sentenze sono rinvenibili nelle pubblicazioni specializzate (cartacee, banche dati su DVD o via internet). Talvolta sono riportate integralmente, più spesso sono indicate in modo sintetico, con le seguenti indicazioni: estremi della sentenza (organo giudicante, data e numero); rubrica (gli argomenti della sentenza); massima (il principio di diritto applicato). 84 Per la Suprema Corte, nel sistema costituzionale delle fonti, la disposizione è considerata parte di un testo non ancora confortato dal lavorio interpretativo, mentre la norma, in un’accezione più ristretta di quella comunemente adoperata, è un testo già sottoposto ad elaborazione interpretativa rilevante (il che si verifica più agevolmente quando, per il tempo intercorso tra l’emanazione della legge e la sua applicazione, siano intervenute pronunce dei giudici di legittimità o del giudice delle leggi); tali operazioni interpretative determinano la formazione di un “diritto vivente” in continua evoluzione che risulta più o meno differenziato dall’originario significato della disposizione scritta, introdotta in una certa epoca dal legislatore (Cass., sez. un., 2-8-1994, n. 7194).
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Forte autorevolezza hanno le decisioni delle Supreme Corti nazionali (Corte di cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti) e specialmente della Corte di cassazione per quella funzione di nomofilachia 85 che alla stessa è assegnata dall’ordinamento giudiziario: per l’art. 65 R.D. 30.1.1941, n. 12, la Corte suprema di cassazione, “quale organo supremo della giustizia”, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzione, ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge” 86. La funzione nomofilattica svolge un ruolo di incisivo orientamento specie se la sentenza è sorretta da un approfondito percorso logico e valoriale aderente alla evoluzione della società 87. Di recente è stata irrobustita la funzione nomofilattica accrescendosi l’autorevolezza delle sezioni unite, per cui se la sezione semplice non condivide il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, è tenuta a rimettere a queste ultime la decisione del ricorso con ordinanza motivata (art. 3743 c.p.c.) (III, 1.2): così le sentenze delle sezioni unite hanno una funzione nomofilattica rinforzata rispetto a quella delle sezioni semplici 88. Nella formazione del diritto vivente rileva anche, con differente rilevanza, la giurisprudenza di merito (ordinaria, amministrativa, contabile, tributaria) come di tutte le istituzioni che amministrano la giustizia (es. le Autorità indipendenti). Con l’acquisita rilevanza della interpretazione giurisprudenziale sta emergendo l’esigenza di una stabilità del precedente specie quando proviene dalla Corte di cassazione, per quella funzione nomofilattica delineata. La giurisprudenza delle sezioni unite ha fatto applicazione dell’overruling (I, 1.7), enucleando un principio di affidamento sulla perpetuazione della interpretazione antecedente 89; è stata anche ammessa la regolazione temporale degli effetti della sentenza 90. La Corte costituzionale ha applicato il principio 85 Il termine “nomofilachia” proviene dal greco ed è composto da nòmos (norma) e dal verbo fulàsso (proteggere con lo sguardo). 86 Il principio è stato più volte ribadito dalla Suprema Corte: cfr. Cass., sez. un., 6-5-2000, n. 295. 87 Anche un giudice di grado inferiore può motivatamente discostarsi dalle pronunce della Cassazione: il giudice di rinvio è tenuto ad uniformarsi al “principio di diritto” enunciato dalla Cassazione (art. 384 c.p.c.). 88 Oltre che nei casi specifici, il primo Presidente può disporre che la Corte pronunci a sezioni unite quando c’è contrasto tra le sezioni semplici su una questione di diritto o quando i ricorsi presentino una questione di particolare importanza (art. 3742 c.p.c.). Cfr. Cass., sez. un., 21-3-2017, n. 7155. 89 La innovativa interpretazione, imprevedibile e repentina rispetto al consolidato orientamento, costituisce un “overruling” processuale che non può recare pregiudizio alle parti che abbiano fatto affidamento sull’assetto interpretativo precedente (Cass., sez. un., 8-11-2018, n. 28575; Cass. 16-11-2018, n. 29506). Si è precisato: il rimedio dell’overruling è riconoscibile solo in presenza di stabili approdi interpretativi del giudice di legittimità, eventualmente a sezioni unite, se connotati dai “caratteri della costanza e ripetizione”, mentre non può essere invocato sulla base di alcune pronunce della giurisprudenza di merito, le quali non sono idonee ad integrare un “diritto vivente”; è invocabile dalla parte che abbia tenuto una condotta processuale ossequiosa delle forme e dei termini previsti dalla legge processuale, come interpretata dall’indirizzo interpretativo del giudice di legittimità dominante al momento del compimento dell’atto, al fine di evitare le conseguenze processuali negative (decadenze, inammissibilità, improponibilità) cui sarebbe esposta se dovesse soggiacere al sopravvenuto e imprevedibile indirizzo interpretativo di legittimità (Cass., sez. un., 12-2-2019, n. 4135). 90 In materia tributaria va dichiarata la cessazione degli effetti delle norme dichiarate illegittime dal giorno della pubblicazione della decisione nella Gazz. Uff., al fine di bilanciare i valori costituzionali coinvolti, ossia i principi di uguaglianza e di solidarietà, il vincolo dell’equilibrio di bilancio ed il rispetto degli obblighi comunitari e internazionali connessi (Corte cost. 11-2-2015, n. 10). V. anche Cass., sez. un., 21-5-2015, n. 10453; Cons. Stato, ad. plen., 22-12-2017, n. 13.
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dell’overruling anche rispetto all’efficacia di interpretazioni antecedenti a successive leggi di interpretazione autentica 91. Funzione peculiare ha l’apporto della dottrina, cioè degli studiosi del diritto, segnatamente del mondo universitario. È un’opera di interpretazione e di stimolo alla elaborazione di percorsi di assestamento e di rinnovamento dell’ordinamento giuridico. Con autorevolezza “morale” orienta la interpretazione giurisprudenziale e le soluzioni concrete, delineando formanti di sviluppo e applicazione del diritto. Un apporto significativo proviene anche dalle professioni. Una significativa rilevanza assumono la giustizia arbitrale e i pareri pro veritate resi da esimi giuristi. Nell’opera di adeguamento della norma alle esigenze della realtà materiale un ruolo particolare svolgono il notariato e l’avvocatura, quali figure di frontiera chiamate, nella immediatezza, ad elaborare soluzioni alle domande emergenti nella realtà sociale. Il notariato è una fondamentale fonte di fiducia dei cittadini nella veridicità delle informazioni acquisite (il logo del Consiglio nazionale del notariato è: fidei et veritatis anchora). Il notariato ha una natura duale, per svolgere una funzione pubblica sorretta da una professione privata. Il notaio è anche presidio di legalità, nel senso di corrispondenza all’ordinamento delle operazioni compiute, assicurando certezza dei risultati perseguiti e quindi stabilità al sistema. L’avvocatura è tradizionale ed essenziale trincea di difesa dei diritti dei cittadini. La democraticità di un ordinamento si rivela anche dalla rilevanza accordata alla funzione dell’avvocatura. Il bene giuridico della difesa ha una rilevanza costituzionale: per l’art. 24 Cost. la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del giudizio; è anche un diritto sociale pretensivo, per cui sono assicurati ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione: il diritto alla difesa si atteggia con analoga rilevanza di altri diritti pretensivi, quali il diritto alla salute (art. 32 Cost.) e il diritto all’istruzione (art. 34 Cost.). Rilevante è pure la c.d. prassi amministrativa della pubblica amministrazione, che opera come fatto orientativo della interpretazione del diritto 92. Il fenomeno è ben visibile nel settore tributario dove circolari, interpelli e prassi dell’amministrazione finanziaria orientano la interpretazione delle norme tributarie. Tra le varie componenti dell’opera interpretativa si svolge una costante sinergia di decisioni, studi, opinioni, azioni che coinvolgono un’ampia “comunità interpretante” che matura la cultura giuridica della società. L’apertura ai “valori”, quali collanti del sistema, orienta l’interpretazione dell’ordinamento, delineando “giudizi di valore” circa i fatti della vita concreta. In tal guisa l’ermeneutica giuridica, forgiando l’applicazione del diritto, involge sempre maggiormente la formazione del diritto vivente che si delinea come diritto vigente. 91 Con riguardo ad una questione previdenziale relativa ad avvocati, i giudici delle leggi hanno considerato scusabile l’affidamento su un’opposta interpretazione in precedenza maturata in giurisprudenza, superata dalla legge d’interpretazione autentica (Corte cost. 22-4-2022, n. 104). 92 La prassi amministrativa – di cui sono espressione gli atti regolamentari, le circolari, le risoluzioni o i singoli provvedimenti della P.A. – non è suscettibile di produrre alcun diritto vivente vincolante per il giudice nell’interpretazione di disposizioni di legge, ma può contribuire, come dato fattuale concorrente con i dati linguistici del testo, ad orientarne l’esegesi nei limiti consentiti dal dettato normativo e dalle indicazioni della giurisprudenza (Cass. 24-11-2015, n. 23960).
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PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO
PARTE II
CATEGORIE GENERALI
CAPITOLO 1
SOGGETTO E PERSONA Sommario: 1. Soggettività e personalità. – 2. Tipologia. – 3. Soggetto e status.
1. Soggettività e personalità. – Il codice civile non offre – e neppure impiega – la nozione di soggetto giuridico (o di diritto), dandola evidentemente per scontata. Nei primi due titoli del libro I, in effetti, i destinatari delle regole di cui si sostanzia l’ordinamento giuridico sono senz’altro identificati nelle persone fisiche (titolo I) e nelle persone giuridiche (titolo II): è così che anche il nostro ordinamento giuridico, come ogni altro, assolve alla essenziale funzione di individuare i propri soggetti, i titolari, cioè, degli interessi presi in considerazione e disciplinati mediante le regole (norme) finalizzate, appunto, alla risoluzione dei relativi conflitti. Tenendo presente che la composizione degli interessi di volta in volta coinvolti nelle relazioni regolate dall’ordinamento giuridico (rapporti giuridici) avviene attraverso l’attribuzione di situazioni giuridiche soggettive attive (favorevoli come i diritti) e passive (sfavorevoli come gli obblighi) (II, 3.1), con la formula di soggetto giuridico (o di diritto) si intende alludere, allora, alla qualità di possibile punto di riferimento di rapporti giuridici e, quindi, di possibile titolare di situazioni giuridiche soggettive. Una simile qualità, secondo la corrente elaborazione concettuale, risulta, insomma, frutto delle scelte dell’ordinamento, al quale compete l’individuazione dei centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive. In tale prospettiva, quella di soggetto giuridico è una nozione di carattere eminentemente formale, in quanto esclusivamente collegata alla potenziale titolarità di situazioni giuridiche soggettive, con il riconoscimento, da parte dell’ordinamento, di quella attitudine ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive che viene definita capacità giuridica (IV, 1.1). L’ordinamento, ovviamente, non può prescindere dalla realtà che vede l’uomo come naturale protagonista della vita associata. Con la elaborazione dell’accennato concetto di soggetto giuridico, però, soprattutto in vista delle esigenze di una organizzazione socioeconomica sempre più complessa, si è perseguito lo scopo di ritenere svincolato, almeno entro certi limiti, l’ordinamento stesso dalla realtà naturalisticamente intesa, consideran-
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
do autonome le sue valutazioni in ordine alla selezione dei destinatari delle proprie regole ed alla individuazione dei potenziali titolari delle situazioni giuridiche soggettive conseguentemente attribuite. Indubbio peso, al riguardo, ha assunto la constatazione che non sempre a tutti gli uomini è stata riconosciuta l’attitudine ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive, relegandone taluni, addirittura, al rango di mero oggetto di situazioni giuridiche altrui. Il conseguente riconoscimento dell’autonomia delle valutazioni dell’ordinamento in materia è risultato essenzialmente funzionale, comunque, alla estensione della capacità giuridica anche ad entità diverse dall’uomo. Ed è questo, probabilmente, il senso più significativo dell’operazione concettuale che ha condotto, nella elaborazione teorica del secolo XIX, alla formulazione della nozione di soggetto giuridico, quale categoria unitaria (di carattere, come sottolineato, formale), atta a comprendere sia le persone fisiche, sia le persone giuridiche. Le prime considerate senz’altro soggetti di diritto in quanto uomini, le seconde considerate soggetti di diritto solo in quanto riconosciute tali attraverso meccanismi specificamente predisposti dall’ordinamento. Il codice civile, nel suo impianto, risulta muovere, dunque, proprio dalla sostanziale identificazione del concetto di soggettività con quello di personalità, considerando, poi, suscettibile di articolazione e di graduazione la capacità giuridica, a seconda delle caratteristiche del soggetto (a seconda, cioè, che si tratti di persona fisica o giuridica, ovvero, addirittura, con una scelta ormai storicamente superata e moralmente condannata, discriminando tra loro le stesse persone fisiche). Ma il codice non manca, nello stesso libro I (precisamente, nel capo III del relativo titolo II), di contemplare la figura delle associazioni non riconosciute (artt. 36 ss.), finendo col trattarle, in realtà, forse pure al di là delle intenzioni e delle dichiarate posizioni di principio, quali veri e propri centri (in quanto caratterizzati da una larga autonomia) di imputazione di situazioni giuridiche. Di qui, anche in dipendenza della evoluzione dell’ordinamento (e, in particolare, della valorizzazione, nella Costituzione, delle formazioni sociali come luogo di sviluppo della personalità dell’uomo: IV, 3.1), la da tempo dominante tendenza – in dottrina e in giurisprudenza – a riferirsi ad una nozione di soggettività giuridica più ampia di quella presupposta, almeno in linea di principio, dal codice e non più coincidente con quella di personalità, in quanto tale da ricomprendere in essa, accanto alle persone (fisiche e giuridiche), gli enti privi di riconoscimento (peraltro legislativamente in misura sempre maggiore avvicinati, dal punto di vista della disciplina, a quelli riconosciuti come persona giuridica: IV, 3.8-9).
2. Tipologia. – Sono considerate soggetti giuridici, innanzitutto, le persone fisiche. Il codice civile non ha potuto che prendere atto del carattere assolutamente imprescindibile, nel quadro di una concezione moderna di società e di ordinamento giuridico, del riconoscimento ad ogni uomo, in quanto tale, della qualità di soggetto giuridico. Il carattere del tutto scontato di un simile riconoscimento – ulteriormente rafforzato, in un momento successivo, dall’essere stata concepita, con la Costituzione (in particolare, alla luce degli artt. 2 e 3), la persona umana quale reale centro di gravità dell’intero ordinamento giuridico 1 – ha indotto a ritenere inutile qualsiasi espressa dichiarazione in pro1 L’uomo è, infatti, in quanto tale considerato senz’altro titolare di “diritti inviolabili”, che la “Repubblica riconosce e garantisce” (art. 2 Cost.): il “pieno sviluppo della persona umana” rappresentando, del resto, l’obiettivo da perseguire in via del tutto prioritaria per l’ordinamento (art. 32 Cost.). Proprio valorizzando la
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posito, reputandosi opportuno semplicemente stabilire, come si legge nella Relaz. cod. civ., n. 35 2, “i requisiti necessari all’esistenza di una persona fisica quale soggetto di diritti”. E ciò si è fatto col ricollegare al “momento della nascita” l’acquisto della capacità giuridica (art. 11: IV, 1.2). Il riconoscimento – dato dunque per scontato – della uguale qualità di soggetto giuridico ad ogni uomo (in quanto considerato, come persona, centro di imputazione di situazioni giuridiche attive e passive), nell’impianto originario del codice civile non valeva, peraltro, ad evitare discriminazioni sul piano della capacità giuridica. In particolare, oltre alla persistenza di discriminazioni storiche, come quella caratterizzante la posizione della donna nella famiglia e nella società, l’ordinamento veniva ad orientarsi nel senso di una nuova odiosa discriminazione sulla base della razza. Alla legislazione del 1938 in materia, l’art. 13 c.c. faceva riferimento col prevedere che “le limitazioni alla capacità giuridica derivanti dall’appartenenza a determinate razze sono stabilite da leggi speciali” (e l’art. 292 poneva, poi, in particolare, lo specifico “divieto di adozione per diversità di razza”) 3. A prescindere dalla intervenuta abrogazione, nel 1944, di tali previsioni, è del tutto evidente come la persistenza – e l’eventuale introduzione – di qualsiasi discriminazione in tema di capacità sarebbe destinata a trovare un insormontabile ostacolo nell’art. 3 Cost., con il sancito principio della pari dignità sociale e della eguaglianza davanti alla legge “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, compito dell’ordinamento essendo, anzi, quello di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” 4 (IV, 1.1). Quanto alle persone giuridiche, per “le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato” (secondo la formulazione dell’abrogato art. 12 e, ora, dell’art. 11 D.P.R. 361/2000) l’acquisto della personalità giuridica (e, quindi, della qualità di soggetto giuridico) è ricollegato al riconoscimento (in relazione agli enti disciplinati nel libro I, prospettiva costituzionale, non si è mancato di distinguere, con riguardo all’“uomo”, tra l’idea di “soggetto” e “soggettività”, espressiva del suo collegamento con l’ordine giuridico positivo, e quella di “persona” e di “personalità”, riferita alla sua appartenenza all’ordine sociale (condizione di cui l’ordinamento giuridico non potrebbe che prendere atto col riconoscimento dei diritti che a tale appartenenza risultano indissolubilmente legati, identificati, appunto, quali diritti della personalità: IV, 2.1). Con riguardo alla corrente – e dianzi delineata alla luce della impostazione del codice – nozione di “soggetto”, pur senza negarne l’importanza sul piano storico (quale rottura – nella prospettiva della eguaglianza – col precedente ordine fondato sulla rigida diversificazione giuridica degli stati personali), si tende sempre più diffusamente ad evidenziarne i limiti, sottolineando, in particolare, come essa, per il suo carattere unitario e formale, prescinda da qualsiasi considerazione circa la concreta posizione della “persona” nel contesto economico-sociale in cui si trova collocata (“gli ostacoli di ordine economico e sociale” al cui sviluppo l’art. 32 Cost. impone di rimuovere, in vista della realizzazione di una eguaglianza non più solo formale, ma anche sostanziale). 2 Vi si legge che nel titolo I (del libro I) si “sono raggruppate le norme che definiscono la persona fisica soggetto di diritto e fissano la disciplina dei principali diritti della personalità”. Non è sembrata necessaria, al riguardo, la previsione, pure contemplata nel progetto preliminare del libro I del codice civile, secondo la quale “l’uomo è soggetto di diritti dalla nascita fino alla morte”. 3 Nella Relaz. cod. civ., n. 35, la previsione era elevata addirittura al rango di principio, per il quale “l’appartenenza a determinate razze può influire sulla sfera della capacità giuridica delle persone”. 4 Ulteriore barriera nei confronti di qualsiasi discriminazione è ora eretta dagli artt. 20 (“uguaglianza davanti alla legge”) e 21 (“non discriminazione”) Carta dir. fond. U.E. (che, all’art. 23, contempla anche lo specifico principio della “parità tra uomini e donne”).
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ad esito di uno specifico procedimento: IV, 3.4) 5. È il formale riconoscimento, cioè, nella sistematica cui si ispirano i primi due titoli del libro I, ad assumere un valore costitutivo della qualità di soggetto giuridico, evidenziandosi, così, per gli enti, la dipendenza di tale qualità dalla volontà creatrice dell’ordinamento (espressa, in via generale e di principio, con la previsione della tipologia degli enti ammessi al relativo godimento; concretamente, poi, di volta in volta, attraverso lo specifico procedimento, appunto, di riconoscimento) 6. Nel contemplare la figura dell’associazione non riconosciuta (artt. 36 ss.), disciplinandola, in realtà, quale centro di imputazione di situazioni giuridiche 7, lo stesso codice civile, peraltro, ha finito col porre le premesse per mettere in crisi l’idea di una perfetta coincidenza tra qualità di soggetto giuridico e riconoscimento della personalità giuridica. Come dianzi accennato (e meglio si vedrà oltre: IV, 3.2, 3.4 e 3.9), la successiva evoluzione, soprattutto a livello costituzionale, dell’ordinamento, ha indotto a far venire meno qualsiasi remora all’estensione della qualità di soggetto giuridico anche agli enti pur se “non riconosciuti come persone giuridiche” (secondo la terminologia impiegata dall’art. 361: enti non riconosciuti). Proprio sfruttando la via aperta dall’avvenuto accreditamento di una nozione di soggettività giuridica estesa al di là del riconoscimento della personalità giuridica, col relativo acquisto della generale capacità giuridica, si è cercato, di recente, di conciliare il principio per cui tale acquisto avviene esclusivamente “dal momento della nascita” (art. 11) con quella dignità di uomo, che anche al concepito si tende a ritenere connaturata (alla luce, in particolare, degli sviluppi recenti della legislazione e della stessa giurisprudenza costituzionale). Il riferimento alla qualità di soggetto giuridico di quest’ultimo, così, è sembrato tale da assicurare il soddisfacimento delle esigenze sempre più imperiosamente avvertite al riguardo, col rispetto, allo stesso tempo, dei principi esistenti in materia di capacità giuridica (IV, 1.2).
3. Soggetto e status. – L’essere gli ordinamenti moderni fondati – a partire dalla fine del secolo XVIII, ma con un percorso che, come si è visto, ha dovuto affrontare ostacoli anche recenti – sul principio di eguaglianza, consente di guardare all’uomo come tale nella veste di soggetto giuridico, in una prospettiva unitaria, cioè, che prescinde da ogni considerazione relativa al suo stato o condizione sociale, intesi nel senso di appartenenza a classi, ceti e caste 8. Quello del superamento di qualsiasi rilevanza, dal punto di vista giu5
Per le società l’art. 13 rinvia alle disposizioni contenute nel libro V. È, secondo la Relaz. cod. civ., n. 60, solo il riconoscimento ad elevare l’ente “alla dignità di persona giuridica e le dà la qualità di soggetto di diritto”. 7 Nella stessa Relaz. cod. civ., n. 60, quale unico indice della affermata “condizione più ristretta di quella stabilita per le persone giuridiche”, in effetti, risulta evidenziato il solo carattere c.d. imperfetto della (già alla luce della disciplina codicistica e maggiormente di quella successiva) sussistente autonomia patrimoniale dell’ente (IV, 3.9). 8 Il riferimento è al tipo di organizzazione della società – fino alla rivoluzione francese e al modello di Stato da essa tenuto a battesimo – fondato sulla diversificazione delle regole giuridiche applicabili in base alla condizione sociale del soggetto (anche senza arrivare alla più remota contrapposizione tra liberi e schiavi, si pensi alla rilevanza accordata alla situazione di nobile, ecclesiastico o mercante), con conseguente diversificazione dei diritti e degli obblighi di cui ciascuno era (e poteva essere) titolare. L’affermazione dell’unità del soggetto di diritto – come destinatario delle norme e, conseguentemente, potenziale titolare di situazioni giuridiche – 6
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ridico, dell’appartenenza a classi, ceti e caste, in effetti, rappresenta il momento di passaggio dalla vecchia alla nuova concezione di organizzazione della società (e, di riflesso, di ordinamento giuridico), con l’affermazione – che sta, invero, storicamente alla base della idea medesima di codice civile (I, 2.3) – dell’applicabilità delle medesime regole a tutti i consociati: tutti, appunto semplicemente come uomini, riconosciuti portatori di una identica capacità giuridica, con le uguali potenzialità che ne derivano, quanto a titolarità di diritti e di obblighi. Con il concetto di stato (o status), allora, non ci si intende più riferire ad una qualità del soggetto, ricollegata alla classe, ceto o casta di appartenenza e atta a condizionarne e diversificarne la generale capacità. Si allude, piuttosto, ad una situazione giuridica soggettiva che indica la posizione del soggetto rispetto a determinati gruppi sociali organizzati e costituisce il presupposto dell’insieme di diritti e obblighi che si ricollegano alla relativa appartenenza 9. È da sottolineare che non si tratta di una mera modalità di comodo per indicare riassuntivamente l’insieme delle situazioni giuridiche attive e passive che derivano al soggetto dalla sua relazione col gruppo, ma di una autonoma situazione giuridica, la quale, proprio in quanto presupposto di tali specifiche situazioni, viene come tale tutelata dall’ordinamento. Particolare importanza assumono, pure sotto il profilo storico, lo stato di cittadino (status civitatis) e lo stato familiare (status familiae) del soggetto. Il primo, anche se preso in considerazione dai codici ottocenteschi (tra cui quello italiano del 1865) in apertura della parte dedicata alle persone, per la sua attinenza al diritto pubblico risulta attualmente disciplinato nel contesto della legislazione concernente le vicende della cittadinanza (L. 5.2.1992, n. 91) 10. Interessano, invece, il diritto privato gli status familiari (coniuge, genitore, figlio, nonché, a seguito della L. 20.5.2016, n. 76, unito civilmente e convivente): per l’importanza sociale che l’ordinamento conferisce alla famiglia ed alle relazioni al suo interno, i c.d. diritti di stato – quelli che competono, cioè, alla persona in ordine al riconoscimento ed al godimento della sua posizione familiare – costituiscono una categoria peculiare di diritti (reputati assoluti), assimilabili, quanto a caratteristiche, ai diritti della personalità (IV, 2.2). risulta, in effetti, costituire l’esito, proprio quale reazione ai preesistenti assetti sociali (ed alle relative giustificazioni), di una elaborazione concettuale che, attraverso le ideologie giusnaturalistiche e razionalistiche del secolo XVIII, si pone alla base delle codificazioni civili (il cui modello di riferimento è il code civil del 1804). 9 Pare opportuno, quindi, accennarne – anche per motivi di carattere storico – in questa sede, nel quadro, cioè, della delineazione della nozione di soggetto giuridico, piuttosto che più oltre (II, 3), nel contesto della tipologia delle situazioni giuridiche soggettive. 10 La condizione dello s t r a n i e r o – cui si riferisce l’art. 16 disp. prel. (I, 3.12) – viene disciplinata dalla L. 6.3.1998, n. 40 (e dal conseguente D.Lgs. 25.7.1998, n. 286). La “condizione di reciprocità”, alla quale l’art. 16 disp. prel. subordina il godimento dei diritti civili da parte dello straniero (peraltro contestata alla luce del nostro sistema costituzionale), risulta ridimensionata dal relativo art. 21, che riconosce “allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato … i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi del diritto internazionale generalmente riconosciuti”, nonché dall’art. 22, che estende allo “straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato” i “diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l’Italia o la presente legge dispongano diversamente”. Si tenga presente che, ai sensi dell’art. 9 TUE e degli artt. 20 ss. TFUE, “chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro” gode, con le relative prerogative, della “cittadinanza dell’Unione”, la quale “si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce”.
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Al riguardo, bisogna tenere presente come, se è vero che i fatti cui si riconnette la costituzione o la modificazione di uno status familiare possono dipendere dalla volontà dei soggetti interessati (si pensi al matrimonio), sia pur sempre l’ordinamento a fissarne rigidamente le condizioni e gli effetti in ordine allo status del soggetto: di qui il principio – tradizionale, anche se nei tempi più recenti contestato, almeno nella sua rigida assolutezza – della indisponibilità degli status familiari e delle azioni (azioni di stato, quali quelle previste in materia di filiazione: V, 4.3 e 4.4) tendenti a farli valere da parte dei soggetti cui per legge competono (per tali azioni risulta significativamente previsto l’intervento obbligatorio del pubblico ministero: art. 701, n. 3, c.p.c.). Al di là degli status familiari, si ritiene diffusamente possibile utilizzare il medesimo concetto con riguardo alla posizione del soggetto – con conseguente titolarità, da parte sua, della corrispondente situazione giuridica soggettiva – quale membro di altri gruppi organizzati, come associazioni e società (associato, socio). L’assenza di quella essenziale rilevanza sociale ricollegata dall’ordinamento agli status familiari rende comunque inapplicabili, al di fuori di tale materia, i principi che si è dianzi accennato caratterizzare i diritti di stato e le relative azioni. Piuttosto che di status, ove manchi un gruppo organizzato rispetto al quale si ponga il problema del riconoscimento della posizione del soggetto, pare il caso di parlare di sue particolari qualità (con riferimento, cioè, a quelle talvolta prese specificamente in considerazione dall’ordinamento giuridico, al fine di ricollegare una peculiare disciplina ai rapporti di cui il soggetto medesimo sia parte, appunto, in tale sua qualità). Si pensi, in proposito, a qualità connesse a situazioni dotate di una certa stabilità, in quanto relative all’attività abitualmente svolta dal soggetto 11, come quelle, ad es., di imprenditore e lavoratore subordinato. Una qualità che costituisce punto di riferimento di una disciplina peculiare dei rapporti in cui il soggetto assuma una simile veste è, poi, quella di consumatore, cliente o utente, la quale, peraltro, non attiene ad una posizione in cui il soggetto stesso si trovi costantemente, ma che è presa in considerazione per le esigenze di tutela di chi nel singolo caso rivesta, di volta in volta, il corrispondente ruolo nel rapporto 12.
11 In considerazione di ciò, tali qualità vengono spesso attualmente accostate a dei veri e propri status, data l’importanza che esse assumono complessivamente per la vita del soggetto e per la conseguente importanza sociale della disciplina dei relativi rapporti. Un simile richiamo, peraltro, non manca di essere ritenuto improprio e, comunque, inopportuno, perché atto a fare rivivere sul piano concettuale, almeno entro certi limiti, forme di organizzazione della società fondate su troppo rigide differenziazioni di stati personali (frequentemente, come il passato insegna, fonte anche di ingiustificati privilegi). 12 Peraltro, è da tenere presente che, in Germania (con una legge del 27.6.2000), nella parte iniziale del codice civile (libro I, sezione I, titolo I, conseguentemente ora intitolato “Persone fisiche, consumatore, imprenditore”), sono stati aggiunti i §§ 13 e 14, rivolti a definire, rispettivamente, il consumatore e l’imprenditore. Con ciò, indubbiamente, si è inteso conferire a tali qualità del soggetto una notevole rilevanza, fino a farne dipendere – evidentemente in una prospettiva di rottura dell’idea di unitarietà concettuale del soggetto giuridico come destinatario delle regole dell’ordinamento – una vera e propria generale caratterizzazione del soggetto sul piano complessivo dei rapporti economico-sociali e della relativa disciplina. In una prospettiva non dissimile, può essere intesa anche la raccolta delle norme destinate a tener conto, a fini di tutela, della qualità di consumatore – in contrapposizione a quella di professionista – in un unico testo (codice del consumo: D.Lgs. 6.9.2005, n. 205).
CAPITOLO 2
BENI GIURIDICI
Sommario: 1. Cosa, bene e oggetto di diritti. – 2. Beni immobili e beni mobili. – 3. Distinzioni ulteriori. – 4. Il danaro. – 5. Rapporti di connessione tra le cose. Le pertinenze. – 6. Le universalità. – 7. Azienda. – 8. Frutti. – 9. Patrimonio. – 10. Beni pubblici.
1. Cosa, bene e oggetto di diritti. – Come si è visto (II, 1.1), destinatari delle regole dell’ordinamento (norme) sono i soggetti, titolari degli interessi da organizzare per comporre i relativi conflitti rispetto a beni. L’interesse, infatti, può essere visto come una sorta di tensione tra soggetto e bene. Soggetti e beni costituiscono, allora, i termini di riferimento delle relazioni di cui l’ordinamento si occupa, organizzando con le proprie regole gli interessi dei soggetti rispetto ai beni. Ciò avviene con l’attribuzione di situazioni giuridiche soggettive (II, 3.1): il profilo oggettivo di esse è rappresentato, quindi, dai beni, in quanto entità atte a soddisfare interessi ritenuti meritevoli di considerazione e di tutela dall’ordinamento (beni giuridici). È in una simile prospettiva che è da leggere la definizione dell’art. 810, con la quale si apre il libro III del codice civile, secondo cui “sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”. Dalla definizione, risulta evidente come quella di bene sia una nozione strettamente giuridica, come tale indipendente dalla realtà naturale: nozione legata ad una valutazione, da parte dell’ordinamento, di attitudine a soddisfare interessi – considerati rilevanti – in (attuale o potenziale) conflitto, così da farne possibile oggetto di diritti. Non tutte le cose, stando all’art. 810, sono suscettibili di essere considerate beni (e, quindi, possibile oggetto di diritti), così come oggetto di diritti (e, quindi, beni, per la relativa attitudine a soddisfare interessi) possono essere anche entità diverse dalle cose. L’idea di un esclusivo collegamento dei diritti alle cose, intese nella loro accezione naturalistica e materiale, quale loro unico possibile oggetto, è propria di una concezione della società e del diritto (e, in particolare, di quello privato) lontana nel tempo da quella attuale. Di fronte all’esigenza di allargare l’area degli interessi regolati dall’ordinamento e, quindi, dei beni considerati rilevanti (sia pure sempre in una prospettiva esclusivamente patrimonialistica), si è seguito, allora, l’indirizzo concettuale di configurare, accanto alle cose materiali (res corporales), delle cose immateriali (res incorporales), via via annoverando in una simile categoria tutto ciò che, pur privo di materialità, l’ordinamento veniva prendendo in considerazione quale fonte di possibile utilità economica per i soggetti, come tale da assoggettare a regole per comporre i conseguenti eventuali conflitti di interessi (con l’attribuzione di veri e propri diritti in ordine al relativo sfruttamento) (VI, 1.1 e
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
1.10). In proposito, basti pensare alle opere dell’ingegno 1 ed alle invenzioni industriali, con l’esigenza, caratterizzante una realtà socio-economica ormai evoluta, di assicurarne lo sfruttamento, attraverso diritti quali quelli di autore (art. 2575) e di brevetto (art. 2584). Prevale, ormai, la tendenza ad abbandonare, in quanto artificioso, un simile tentativo di salvare ad ogni costo l’idea della univoca corrispondenza tra cosa e oggetto di diritti, riconoscendosi, piuttosto, una volta inteso il bene quale entità atta a soddisfare interessi giuridicamente rilevanti, una simmetria tra il concetto di bene e quello di oggetto di diritti. Ciò con la conseguenza di annoverare tra i beni giuridici (quale possibile oggetto di diritti), da una parte, i beni materiali (le cose) 2, dall’altra, i beni immateriali. Tale ultima categoria vale a comprendere sia le figure più tradizionali, come quelle già ricordate delle opere dell’ingegno e delle invenzioni industriali, disciplinate dal codice e nel quadro della legislazione ad esso collegata (L. 22.4.1941, n. 633, sul diritto di autore, e R.D. 29.6.1939, n. 1127, sui brevetti per invenzioni industriali, ora abrogato e confluito nel D.Lgs. 10.2.2005, n. 30, codice della proprietà industriale), sia i “prodotti” più recenti dell’evoluzione tecnico-scientifica, come, in particolare, il software (D.Lgs. 29.12.1992, n. 518) e le banche di dati (D.Lgs. 6.5.1999, n. 169). L’accennata bipartizione si limita a prendere in considerazione entità (materiali o ideali) che, comunque, si risolvono in utilità di carattere economico, con il conseguente riconoscimento di diritti patrimoniali che le hanno ad oggetto 3. La sempre maggiore attenzione dell’ordinamento – soprattutto, ovviamente, nel contesto del vigente sistema costituzionale – per la persona ed i suoi valori fondamentali ha indotto ad estendere con decisione l’area degli interessi ritenuti giuridicamente rilevanti, avvertendosi l’esigenza di provvedere alla tutela di quelli di natura personale attraverso il riconoscimento di corrispondenti diritti non patrimoniali (II, 3.2 e 3.5, nonché IV, 2.1-2). Il concetto di bene, così, ne è risultato ampliato, allargandosi a comprendere, quindi, anche ciò che costituisce fonte di quelle utilità, evidentemente non economiche, che il soggetto trae dall’esplicazione della sua personalità, nelle varie manifestazioni (fisiche e morali) che la caratterizzano, il godimento delle quali (libero da altrui interferenze) viene garantito, insomma, appunto quale vero e proprio bene oggetto di diritti soggettivi 4. 1 All’idea di appartenenza delle “produzioni dell’ingegno … ai loro autori” si riferiva già il codice civile del 1865 (art. 437), il quale comunque, quasi in contrapposizione al regime della proprietà delle “cose” (quale definita nell’art. 436), ne demandava la disciplina alle “norme stabilite da leggi speciali”. 2 La cui nozione resta, quindi, nel codice civile vigente, opportunamente limitata alla realtà del mondo materiale, sia pure, come si vedrà, intesa in senso ampio. È, in effetti, ad una concezione materiale delle cose che si riferiscono le disposizioni concernenti la rilevanza dei collegamenti tra esse (artt. 816-819), nonché, sempre nel libro III, la disciplina (e la nozione stessa) della proprietà e, in genere, dei diritti reali, quali diritti assoluti di carattere patrimoniale, aventi, appunto, ad oggetto una cosa (II, 3.5). Da ultimo, comunque, non si è mancato di estendere la nozione di “cosa” anche ai dati informatici e, in particolare, al file (in quanto entità pur sempre caratterizzata da “una dimensione fisica costituita dalla grandezza dei dati che lo compongono”: Cass. pen. 13-4-2020, n. 11959, ai fini dell’applicazione della disciplina penalistica concernente l’appropriazione delle “cose mobili”). 3 Il concetto di bene, nell’ampia accezione che lo ricollega a ciò che costituisce fonte di utilità economica, come tale possibile oggetto di diritti, tende ad essere esteso anche ai comportamenti umani e, in genere, ai s e r v i z i , ossia a quelle prestazioni del genere più vario che il soggetto si procura attraverso rapporti contrattuali con altri, al fine di soddisfare proprie esigenze esistenziali o professionali. 4 È da sottolineare, peraltro, come la sempre più estesa ammissibilità di un possibile lecito sfruttamento commerciale di aspetti legati alla personalità, quali l’immagine e la notizia, rendendoli fonte di utilità economica
CAP. 2 – BENI GIURIDICI
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Un ulteriore allargamento del concetto di bene in senso giuridico deriva, inoltre, dal fatto che anche gli stessi diritti (di natura patrimoniale) sono, almeno per certi riguardi, reputati tali 5. I diritti patrimoniali vengono presi in considerazione, cioè, di per se stessi, come entità dotate di una propria apprezzabilità in termini economici e possibile oggetto di rapporti giuridici e delle corrispondenti situazioni soggettive (si pensi, in particolare, alla circolazione dei diritti di credito, attraverso la relativa cessione, artt. 1260 ss.) 6. Del resto, solo in via traslata il soggetto può essere considerato titolare del bene: il bene, infatti, costituisce l’oggetto del diritto e, quindi, dal punto di vista giuridico, il soggetto è titolare del diritto avente ad oggetto il bene (e il patrimonio, come si vedrà, risulta formato, ove si voglia essere concettualmente precisi, non da beni ma da diritti relativi a beni). Il linguaggio legislativo stesso si presenta alquanto equivoco, come è attestato dall’art. 27401, laddove stabilisce che “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”. In realtà, infatti, a rispondere per le sue obbligazioni è il patrimonio del debitore (c.d. responsabilità patrimoniale), formato da diritti sui beni (proprietà, diritti reali, di credito, ecc.). Semmai, è da rilevare come sia in relazione alla proprietà che il legislatore (sia pure in modo concettualmente scorretto e secondo quanto accade, peraltro, nel linguaggio comune) tende ad immedesimare il diritto col suo oggetto, parlando talvolta di beni del soggetto 7 (è questo il senso che sembra da attribuire, ad es., ad una disposizione come quella dell’art. 3231, in cui si allude ai beni e diritti del minore) 8. Quanto alle cose che sono reputate beni, perché possibile oggetto di diritti (art. 810), è da tenere presente come un ampliamento della relativa nozione – indubbiamente da considerare legata alla realtà materiale – derivi dall’art. 814, che assimila ai beni (in particolare mobili) le energie naturali che hanno valore economico (le quali pur sempre afferiscono al mondo fisico). Ciò significa che la tutela accordata relativamente ai beni (si pensi a quella possessoria: VI, 5.8) è accordata anche con riguardo alle energie, risultato per il soggetto cui si riferiscono e per chi ne abbia acquisito il diritto di utilizzazione, induca ormai a ravvisare in essi anche dei veri e propri beni economici. In tale prospettiva, è alla stessa notorietà, intesa in senso comprensivo, cui non si manca di alludere come bene suscettibile di costituire oggetto di rapporti giuridici patrimoniali (IV, 2.2). Ancora più in generale, si pone in evidenza, “a fronte della tutela del dato personale quale espressione di un diritto della personalità … il fenomeno della ‘patrimonializzazione’ del dato personale, tipico delle nuove economie dei mercati digitali”, in considerazione del quale i dati personali “possono costituire un ‘asset’ disponibile in senso negoziale, suscettibile di sfruttamento economico e, quindi, idoneo ad assurgere alla funzione di ‘controprestazione’ in senso tecnico di un contratto” (T.A.R. Lazio 10-1-2020, n. 260). 5 Indubbia rilevanza assume, in proposito, l’art. 813, il quale espressamente assoggetta al regime dei beni anche i diritti (distinguendoli a seconda della relativa natura mobiliare o immobiliare). 6 In una simile prospettiva, sono da considerare possibile oggetto di rapporti giuridici, potendo essere come tali inclusi nel novero dei beni in senso giuridico, le azioni, le obbligazioni, le quote di fondi comuni di investimento e, in genere, i c.d. strumenti finanziari, in relazione ai quali evocativamente il legislatore parla di “prodotti” (prodotti finanziari sono definiti “gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”: art. 11, lett. u, D.Lgs. 24.2.1998, n. 58, testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria). 7 Una traccia di ciò sembra forse riscontrabile proprio nell’art. 2740, quasi che il legislatore (in una prospettiva legata, invero, a passate concezioni), parlando, appunto, di beni, abbia voluto alludere alle proprietà del soggetto ed ai suoi diritti, in quanto assimilabili a proprietà perché economicamente rilevanti. 8 Pure in relazione al possibile oggetto del pegno si allude separatamente ai “beni mobili” e agli “altri diritti aventi per oggetto beni mobili” (art. 27842).
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
dell’intervento dell’uomo sull’ambiente fisico, come quella elettrica o nucleare e le stesse onde radioelettriche nell’etere. Non tutte le cose sono beni in senso giuridico 9. Non possono costituire oggetto di rapporti privati (e, in tale sfera di rapporti, non possono, quindi, essere considerate beni), le cose incommerciabili (res extra commercium), quali i beni demaniali (II, 2.10) 10. Un discorso particolare richiede il regime delle parti separate del corpo umano, solo per alcune delle quali è senz’altro ammessa una situazione di vera e propria proprietà, con conseguente libera disponibilità e circolazione (ad es., i capelli). Per altre parti, la situazione si presenta peculiare, in quanto, ferma la relativa incommerciabilità di massima, una limitata disponibilità ne è riconosciuta al soggetto e, comunque, senza mai possibilità di ricavarne un lucro (in tali limiti è consentita la c.d. donazione del sangue e di taluni tessuti e organi) 11. Non si considerano beni, secondo l’opinione tradizionale e ancora prevalente, le cose comuni a tutti (res communes omnium), in quanto, essendo liberamente disponibili in natura, risultano illimitate (quindi superiori ai bisogni) ed il loro godimento non è fonte di conflitti di interessi, che richiedano una regolamentazione da parte dell’ordinamento. Tali sono, almeno se considerate nel loro insieme, l’aria o l’acqua del mare. L’intervento dell’uomo può, peraltro, determinarne un valore economico, dandosi così luogo, sotto certi profili, all’esistenza di un bene anche per il diritto (si pensi allo sfruttamento dell’atmosfera come luogo di propagazione delle onde radioelettriche, da reputare beni mobili, ai sensi dell’art. 814) 12. 9 Anche se pare da precisare che qui si è, evidentemente, in presenza di concetti relativi: si pensi a quanto accennato a proposito dello sfruttamento delle possibilità (attualmente ma non in passato) consentite dall’etere, ovvero a quanto sarà precisato circa le parti del corpo umano, di cui potrebbe ipotizzarsi, in un ambiente culturale e giuridico ovviamente ben diverso dal nostro, una più o meno estesa commerciabilità. 10 Nell’ordinamento attuale, la medesima cosa si presta spesso ad essere vista quale punto di riferimento di una pluralità di interessi giuridicamente rilevanti di diversa natura, privati e generali, come tale finendo per rappresentare, contestualmente, il referente materiale di una pluralità di beni giuridici, a loro volta di diversa natura. Si pensi ai beni d’interesse storico e artistico (art. 839) e ai c.d. beni ambientali (nel cui ambito particolare rilevanza assume il paesaggio, con i valori che vi risultano connessi): in relazione ad essi è possibile considerare, allo stesso tempo, la medesima cosa come oggetto di proprietà (o altri diritti patrimoniali) di privati e come oggetto di aspettative di fruizione generale e di conseguente necessaria conservazione e valorizzazione in vista di preminenti interessi sociali (di rilevanza per l’ordinamento, che quindi detta regole specifiche per assicurarne il rispetto: D.Lgs. 22.1.2004, n. 42, codice dei beni culturali e del paesaggio, in attuazione dell’esigenza fondamentale di tutela prospettata dall’art. 92 Cost., col relativo riferimento al “paesaggio” ed al “patrimonio storico e artistico della Nazione”; D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, norme in materia ambientale; L. 6.12.1991, n. 394, in materia di “aree protette”). La necessità di tutelare “ambiente”, “biodiversità” ed “ecosistemi”, “anche nell’interesse delle future generazioni”, si è inteso ora sottolineare espressamente nell’art. 93 Cost., quale introdotto ai sensi della L. cost. 11.2.2022, n. 1 (e v. anche la contestuale modifica dell’art. 412-3 Cost., con riguardo ai limiti dell’iniziativa economica privata ed alla finalizzazione dell’intervento pubblico in ordine allo svolgimento dell’attività economica). Per l’esigenza di “un livello elevato di tutela dell’ambiente”, v., del resto, l’art. 37 Carta dir. fond. U.E., nonché l’art. 1912 TFUE. 11 Il discorso si risolve, in realtà, in quello dei limiti previsti per gli atti di disposizione del proprio corpo (art. 5), che sarà sviluppato a proposito della tutela della persona (IV, 2.5). Problematica particolarmente delicata, poi, è quella dei limiti entro cui sia da ammettere la possibilità di guardare allo stesso embrione – ed ai gameti umani, in particolare all’ovulo – in un’ottica economica di prodotto (IV, 1.2). 12 Non si manca di sottolineare, peraltro, come simili cose comuni a tutti tendano oggi ad essere considerate – per le esigenze connesse al relativo sfruttamento (anche proiettato nel tempo) – oggetto di interessi ritenuti giuridicamente rilevanti della collettività e di ogni soggetto come suo membro, assurgendo, così, alla qua-
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Sono da considerare senz’altro beni anche le cose che, al momento, non costituiscono oggetto di diritti, ma sono suscettibili di diventarlo, attraverso la relativa appropriazione. Si tratta delle cose di nessuno (res nullius), come i pesci nel mare e le cose abbandonate (res derelictae) intenzionalmente dal proprietario (a differenza di quelle smarrite, diversamente considerate dal legislatore; il tema sarà approfondito con riguardo ai relativi modi di acquisto, occupazione e invenzione: V, 2.2 e 2.3) 13. Materia di crescente riflessione è anche la collocazione sistematica – in quanto essere senziente – dell’animale, se non addirittura in una prospettiva di soggettività, almeno come punto di riferimento di una disciplina che tenga adeguatamente conto di una simile sua peculiarità e della specificità delle sue relazioni con le persone 14.
2. Beni immobili e beni mobili. – Il codice civile vigente ha conservato la tradizionale (e persistentemente rilevante) distinzione tra beni immobili e beni mobili 15. L’art. lità di veri e propri beni giuridici. Così, ad un regime pubblicistico di protezione si affiancano, in effetti, pure strumenti di tutela accordati ai soggetti, in quanto loro diretti fruitori (la problematica si riconduce al tema degli interessi diffusi e della relativa tutela: II, 3.10). Per il dibattito concernente i c.d. beni comuni, II, 2.10. 13 In relazione a tale categoria di cose, ci si riferisce alla distinzione tra cose in patrimonio e cose fuori patrimonio (res in patrimonio e res extra patrimonium), per evidenziare che esse, pur essendo in commercio (in quanto suscettibili di costituire oggetto di diritti), sono, almeno per il momento, fuori patrimonio (non appartenendo ad alcuno). Deve trattarsi sempre, comunque, di cose mobili, poiché gli immobili non possono mai trovarsi nella condizione di cose fuori patrimonio, dato che, per l’art. 827, i beni immobili che non risultano di proprietà di alcuno (c.d. vacanti) spettano al patrimonio dello Stato (ai sensi dell’art. 67 dello Statuto Trentino-Alto Adige, D.P.R. 31.8.1972, n. 670, al patrimonio della Regione). Materia di discussione sono la possibilità e le conseguenze dell’abbandono del fondo da parte del proprietario: VI, 2.2. 14 Si pensi, al riguardo, alla disciplina concernente la relativa tutela penale, significativamente intitolata ai “delitti contro il sentimento per gli animali”, introdotta, con gli artt. 544 bis ss. c.p., dalla L. 20.7.2004, n. 189, e modificata dalla L. 4.11.2010, n. 201, di ratifica della “Convenzione europea per la protezione degli animali di compagnia”, Strasburgo, 13.11.1987. Esemplare può essere considerata anche la previsione dell’art. 77 L. 28.12.2015, n. 221, che ha integrato l’art. 514 c.p.c., disponendo l’assoluta impignorabilità degli “animali di affezione o da compagna tenuti presso la casa del debitore o negli altri luoghi a lui appartenenti, senza fini produttivi, alimentari o commerciali”, nonché degli “animali impiegati ai fini terapeutici o di assistenza del debitore, del coniuge, del convivente o dei figli”. In tale ottica, indirizzata a considerare le problematiche concernenti l’animale come estranee a quelle proprie delle “cose” (e v., in Germania, già nel 1990, l’introdotto § 90a BGB, secondo cui, espressamente, gli “animali non sono cose”; parla di “esseri viventi dotati di sensibilità” l’art. 515-14 code civil, quale inserito nel 2015; l’art. 13 TFUE allude al necessario rispetto delle esigenze “in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”), si è ipotizzato – secondo un orientamento, per cui v., ad es., Trib. Roma 15-3-2016, tendente ad applicare analogicamente la disciplina concernente i minori, nonché, ad es., Trib. Sciacca 19-2-2019 (ma v., contra, Trib. Milano 27-2-2015) – di disciplinare specificamente l’“affidamento” dell’animale in caso di separazione, divorzio o morte del proprietario (secondo il criterio del suo “maggiore benessere”: PP.DD.LL. n. 795, Camera, XVII legislatura, e n. 16, Camera, XVIII legislatura). Peraltro, Cass. 25-9-2018, n. 22728, con riferimento al tema della compravendita, considera – una volta esclusa senz’altro la possibilità di reputarlo quale “soggetto di diritti” – anche l’animale (pure d’affezione) pur sempre “cosa mobile” in senso giuridico e, in particolare “bene di consumo”. E Cass. 23-10-2018, n. 26770, ha negato la stessa risarcibilità di un danno non patrimoniale per la “perdita, a seguito di un fatto illecito, di un animale d’affezione”. Comunque, notevole rilevanza sistematica risulta ora destinato ad assumere il secondo periodo del nuovo art. 93 Cost., quale introdotto dalla L. cost. 1/2022, in cui si prevede che “la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. 15 È da evidenziare come alla ricordata definizione di “bene”, enunciata dall’art. 810, seguisse, nell’abrogato – a seguito della soppressione, nel 1944, dell’ordinamento corporativo – art. 811, la previsione per cui “i beni sono assoggettati alla disciplina dell’ordinamento corporativo in relazione alla loro funzione economica e alle esigenze della produzione nazionale”: quello che la Relaz. cod. civ., n. 386, definisce quale “criterio fonda-
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
8121-2 individua specificamente i beni immobili, mentre beni mobili sono considerati “tutti gli altri beni” (art. 8123). Per l’art. 8121, sono beni immobili “il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo”. In proposito, è da rilevare che il termine “alberi” deve essere riferito a tutte le piante che traggono necessariamente vita dal suolo e che essi diventano beni mobili nel momento in cui si distaccano dal suolo. Immobili vengono anche considerati, ad es., i distributori di carburante, i serbatoi interrati, nonché le c.d. case mobili, in quanto, ai fini della relativa utilizzazione, devono essere fissate al suolo (pur se non definitivamente nello stesso luogo), anche per consentirne i necessari allacciamenti. Sono “reputati” 16 beni immobili, ai sensi dell’art. 8122, i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti, a condizione che siano saldamente assicurati alla riva o all’alveo e, soprattutto, debbano necessariamente esserlo ai fini della loro utilizzazione (si pensi ai ristoranti lungo le rive dei fiumi o alle sedi di associazioni sportive fluviali). I beni mobili vengono identificati in via residuale (art. 8123), essendo ritenuti tali tutti i beni non rientranti tra quelli considerati immobili (ai sensi dell’art. 8121-2). Le energie naturali aventi valore economico, come già accennato, risultano espressamente assimilate ai beni mobili (art. 814). La disciplina concernente i beni immobili si applica anche ai diritti reali aventi ad oggetto beni immobili (servitù prediali, superficie, usufrutto relativo ad un immobile, ecc.) ed alle azioni relative 17. Quella concernente i beni mobili si applica “a tutti gli altri diritti” (art. 813). Decisiva per l’individuazione della disciplina applicabile è, insomma, la natura dell’oggetto (immobiliare o meno) del diritto: ai fini dell’applicabilità del regime dei beni mobili opera, dunque, pure per i diritti, il criterio (negativo) della residualità. È da sottolineare come, anche alla luce di tale disposizione, tra i beni mobili – categoria cui si ritiene appartenere il danaro – siano da annoverare pure le azioni di società, le obbligazioni e, in genere, i titoli di credito 18. La distinzione tra beni immobili e mobili ha sempre avuto notevole rilevanza, costituendo punto di riferimento di una disciplina notevolmente differenziata, essenzialmente sul presupposto della maggiore importanza economica della proprietà fondiaria. Si tratta, peraltro, di un assetto economico della società ormai da tempo largamente superato, mentale di distinzione dei beni nel nostro ordinamento, desunto dalla importanza dei beni stessi nell’economia produttiva della Nazione” (II, 2.10 e VI, 1.1). 16 L’impiego di tale termine da parte dell’art. 8122 induce taluno a parlare, al riguardo, di immobili per determinazione di legge, in contrapposizione agli altri, considerati immobili per natura. 17 L’allusione alle azioni è piuttosto equivoca, dato che esse, in quanto strumento (processuale) per far valere il diritto, non possono essere considerate entità economicamente autonome, non essendo trasferibili separatamente dal diritto cui si riferiscono. Il regime dei beni immobili, quanto all’assoggettamento a trascrizione dei relativi contratti, viene applicato dall’art. 2643, n. 2 bis, ai diritti edificatori (VI, 1.9). 18 Ciò era espressamente previsto dall’art. 418 cod. civ. 1865 (che in proposito parlava, nel quadro della elencazione dei beni mobili, di “mobili per determinazione della legge”) e si ricava attualmente dal combinato disposto degli artt. 8123 e 813. Per Cass. 26-5-2000, n. 6957, ad es., anche la quota di una società a responsabilità limitata costituisce “bene immateriale equiparabile al bene mobile non iscritto in pubblico registro ai sensi dell’art. 812 c.c., onde ad essa possono applicarsi, a norma dell’art. 813 c.c., le disposizioni concernenti i beni mobili”.
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dato il peso preponderante assunto dall’attività produttiva legata allo sviluppo industriale (e, comunque, non connessa allo sfruttamento del suolo, peraltro anch’esso sempre più dipendente dall’impiego di macchine e da conseguenti consistenti investimenti). A completare il quadro della c.d. mobilizzazione della ricchezza, poi, è l’accennato carattere di bene mobile – oltre che del danaro – conferito dall’ordinamento agli strumenti giuridici operativi degli investimenti (azioni di società, obbligazioni, titoli di credito, ecc.). In generale, ci si può limitare qui a sottolineare (rinviando ai diversi luoghi ove le rispettive problematiche saranno trattate) come la disciplina della circolazione dei diritti concernenti i beni immobili resti persistentemente circondata da maggiori formalità (si allude, in particolare, alla forma – atto scritto – richiesta per i relativi atti, nonché al complesso sistema, fondato sull’impiego di appositi registri, della pubblicità immobiliare, per assicurare certezza agli acquisti: artt. 1350 e 2643 ss.), rispetto a quella dei diritti concernenti i beni mobili, senz’altro notevolmente più snella (i relativi atti non richiedono forme particolari e la certezza degli acquisti è affidata al possesso: art. 1153) 19. In relazione alla loro particolare natura (e alla loro rilevanza economica), il codice riserva una peculiare disciplina – che li avvicina, in una certa misura, ai beni immobili – a talune categorie di beni mobili (navi e alcuni altri natanti, aeromobili, autoveicoli e taluni altri veicoli), per i quali è prevista l’iscrizione in pubblici registri (beni mobili registrati). L’art. 815 prevede che tali beni sono soggetti alle specifiche regole che li riguardano (con riferimento, in particolare, agli effetti del possesso, agli atti, alle garanzie, al sistema della pubblicità per quanto concerne la loro circolazione, ecc.). Solo in mancanza di simili regole di carattere specifico (alcune comuni, altre differenti a seconda della categoria cui appartiene il bene, dettate dal codice civile e da numerose leggi speciali) si applicano le disposizioni relative, in genere, ai beni mobili (dato che si tratta pur sempre di beni di tale tipo).
3. Distinzioni ulteriori. – Relativamente alle cose sono operate altre distinzioni, in quanto ne vengono a dipendere significative differenziazioni della disciplina concernente i diritti e gli atti che le riguardano. a) Una prima rilevante distinzione è quella tra cose generiche e cose specifiche. Si definiscono generiche le cose che vengono prese in considerazione semplicemente per la loro appartenenza ad un genere (ad un certo tipo, cioè, individuato sulla base di caratteristiche comuni: un cane pastore tedesco, una copia di un certo romanzo) 20. Specifiche, invece, sono le cose determinate, considerate per la loro individualità (il cane Rex, la copia del romanzo con una dedica dell’autore) 21. La distinzione si presenta rilevante in relazione alle regole di circolazione dei beni: nei contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà di cose generiche (ad esempio, vendita) non basta, per trasmetterla (con le conseguenze che ne derivano, in par19 Conseguentemente diversi risultano anche i diritti reali di garanzia cui possono essere assoggettate le due categorie di beni: pegno per i mobili (artt. 2784 ss.), ipoteca per gli immobili (artt. 2808 ss.). 20 Si tende a ritenere che proprio la genericità e la fungibilità rappresentino caratteristiche del fenomeno della c.d. produzione di massa. 21 Si tratta, quindi, di una distinzione fondata non tanto su di un carattere naturale delle cose, quanto sul modo in cui le cose sono considerate dalle parti, come punto di riferimento dei loro interessi. La distinzione riguarda essenzialmente i beni mobili, anche se, eccezionalmente, gli stessi beni immobili possono essere considerati genericamente.
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ticolare, sulla sopportazione del rischio del relativo perimento), il semplice consenso (come per quelle specifiche: art. 1376), ma ne occorre anche la concreta individuazione (o specificazione) nell’ambito del genere (art. 1378: VIII, 6.7). Per le obbligazioni aventi ad oggetto cose generiche vale, poi, il principio per cui il debitore deve prestare cose di qualità non inferiore alla media (art. 1178). Anche la responsabilità del debitore si ritiene atteggiarsi diversamente per le cose generiche, dato che la relativa prestazione non può diventare mai impossibile (artt. 1218 e 1256), poiché il genere, in quanto tale, non è suscettibile di perimento (genus numquam perit) 22. b) Ulteriore distinzione è quella tra cose fungibili e cose infungibili. Essa si fonda sulla considerazione delle cose come interscambiabili (sostituibili, cioè, le une con le altre, in quanto di pari utilità). Fungibili sono tutte quelle considerate a peso, numero e misura (tipicamente tali sono le derrate alimentari ed i prodotti industriali). È da tenere presente che la qualifica di genericità e quella di fungibilità non corrispondono: a seguito della individuazione, la cosa generica viene considerata specifica (in particolare, in relazione alla sopportazione del relativo rischio di perimento), ma il suo carattere di fungibilità non viene meno. Significativo, al riguardo, si presenta il prestito che, a seconda della fungibilità o meno delle cose prestate, è mutuo (art. 1813) o comodato (art. 1803) (IX, 4.6-7). In proposito, è da rilevare come, dopo la consegna, ad es., di un certo quantitativo di grano, oggetto di contratto di mutuo, la cosa non sia più reputata generica, essendone avvenuta l’individuazione (il rischio del relativo perimento, da tale momento, grava sul mutuatario), ma la relativa fungibilità (la interscambiabilità, cioè, della cosa con altre dello stesso tipo) giustifichi la regola per cui dovranno essere restituite non le stesse cose consegnate, bensì “altrettante cose della stessa specie e qualità”: il mutuatario potrà dare alle cose a lui consegnate la destinazione che preferisce (le può soprattutto consumare, onde il mutuo è anche definito quale prestito di consumazione), essendo tenuto semplicemente a restituire il tantundem eiusdem generis. Nel caso del comodato, invece, concernendo esso cose considerate come infungibili, il comodatario è tenuto a restituire, dopo l’uso (il comodato è definito quale prestito d’uso), “la stessa cosa ricevuta” (art. 1803). La compensazione legale opera per i debiti reciproci relativi, oltre che al danaro, esclusivamente a cose fungibili (art. 1243). c) Si distingue, inoltre, tra cose consumabili e cose inconsumabili. Sono consumabili le cose la cui utilizzazione normale (per soddisfare, cioè, l’utilità in vista della quale sono prese in considerazione) ne comporta la distruzione quale entità (derrate alimentari, carburante, ecc.) 23. Sono inconsumabili quelle che si prestano ad una utilizzazione normale ripetuta nel tempo (libro, mobile, macchinario), anche se, ovviamente, non indefinitamente. La distinzione è rilevante, oltre per quanto dianzi accennato in relazione al prestito, soprattutto con riguardo all’usufrutto, dato che quando esso concerne cose con22 Proprio in relazione alle accennate problematiche, si presenta, a sua volta, come peculiare la disciplina delle cose appartenenti ad un genere limitato (genus limitatum: bottiglie di vino di una certa qualità, marca ed annata; cavalli di un certo allevamento). 23 L’art. 996 allude, in modo evocativo, alle cose consumabili come a quelle che si consumano “in un tratto”. Tale disposizione si riferisce, contrapponendole alle cose consumabili (e assimilandone, quindi, in sostanza, il trattamento a quello delle cose inconsumabili), alle cose deteriorabili (quelle, cioè, che “si deteriorano a poco a poco”). Una specifica disciplina è riservata alle cose deteriorabili, sempre in contrapposizione a quelle consumabili, ad es., in tema di collazione (art. 7502-3) e di mora del creditore (art. 1211).
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sumabili (c.d. quasi usufrutto), l’usufruttuario può servirsene (appunto consumandole), essendo tenuto a pagarne il valore al termine dell’usufrutto (art. 995) (mentre in tutti gli altri casi l’usufruttuario può servirsi delle cose secondo il loro uso cui sono normalmente destinate, dovendole restituire, alla fine dell’usufrutto, anche se deteriorate dall’uso, semplicemente nello stato in cui si trovano: cose deteriorabili, art. 996) 24. d) Importante è anche la distinzione tra cose divisibili e cose indivisibili. A tale fine il criterio di distinzione ha carattere essenzialmente economico-funzionale (dal punto di vista strettamente fisico, infatti, tutte le cose si presentano come scomponibili in entità più semplici). La divisibilità deve considerarsi sussistente quando la cosa può essere scomposta in parti omogenee (tra loro diverse solo dal punto di vista quantitativo), idonee allo stesso uso cui era destinata la cosa intera e solo di utilità e valore proporzionali all’intero (indivisibile è un quadro, un mobile, un animale vivo). Le conseguenze della indivisibilità si avvertono, oltre che in materia di obbligazioni (obbligazioni indivisibili, art. 1316), in relazione alla impossibilità di sciogliere la comunione operando la divisione in modo diretto (attraverso, cioè, una divisione materiale), occorrendo una diversa (e più complessa) procedura, che sia atta a salvaguardare comunque la pluralità degli interessi economici concorrenti sulla cosa (art. 720). L’indivisibilità, oltre che essere tale – come negli esempi accennati – per natura, può esserlo per legge (come, ad es., le parti comuni di un edificio in condominio: artt. 1117 e 1119), ovvero per convenzione (quando le parti abbiano considerato indivisibile una cosa che lo sarebbe, invece, per natura: art. 1316). e) La distinzione tra cose produttive e non produttive, dipende dall’attitudine della cosa alla produzione di frutti (II, 2.8). Ad essa è conferita rilevanza, in particolare, con la previsione di una specifica disciplina della locazione, quando abbia per oggetto il godimento, appunto, di una “cosa produttiva, mobile o immobile” (affitto: artt. 1615 ss.). f) È da tenere presente come, di recente, l’ordinamento riservi una disciplina sotto taluni profili peculiare ai c.d. beni di consumo, evidentemente nella prospettiva della tutela di chi, sul mercato, si presenti nella veste di consumatore (in contrapposizione al produttore). In proposito, assume particolare rilevanza la specifica e articolata regolamentazione della vendita dei beni di consumo, ora disciplinata negli artt. 128 ss. D.Lgs. 6.9.2005, n. 206, codice del consumo (IX, 1.8). Tale provvedimento (art. 3), oltre a individuare la nozione di “consumatore o utente” (“la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”), contiene anche una generale definizione di “prodotto”, come “qualsiasi prodotto destinato al consumatore” (con talune precisazioni) 25.
4. Il danaro. – Nelle categorie accennate è usualmente inquadrato anche il danaro. Esso viene, nella teoria dei beni, correntemente qualificato come cosa mobile, generica, fungibile, consumabile, divisibile: in realtà, in ogni caso in cui il riferimento a simili categorizzazioni potrebbe risultare utile, si ritiene necessario, comunque, considerare in ma24
La qualifica di consumabilità deve essere distinta da quella di fungibilità: vi sono cose fungibili non consumabili (libri, macchine) e cose consumabili non fungibili (l’ultima bottiglia di vino di una certa annata). 25 L’art. 1282 definisce, in relazione alla specifica disciplina della vendita dei beni di consumo, il “bene di consumo” come “qualsiasi bene mobile, anche da assemblare” (con alcune eccezioni: beni oggetto di vendita forzata; acqua e gas non confezionati per la vendita; energia elettrica).
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niera autonoma le problematiche relative al danaro, avvertendosi il bisogno di operare precisazioni. Ciò emerge, del resto, dallo stesso linguaggio legislativo, in cui si tende a specificare, di volta in volta, la riferibilità pure al danaro delle regole che prendono in considerazione gli altri beni secondo determinate categorie 26. Anche con riguardo a un tipo tradizionale di circolazione monetaria, fondata su pezzi monetari (monete metalliche e banconote) aventi corso legale (art. 1277), è evidente, infatti, come questi, a differenza delle altre cose, assumano semplicemente una funzione strumentale, quale espressione, cioè, del valore patrimoniale di cui il soggetto è messo – sulla base di un ragguaglio numerico (somma) con l’unità valutaria dell’ordinamento valutario cui i pezzi stessi si riferiscono – in condizione di disporre, nella forma più astratta che una disponibilità patrimoniale possa rivestire (si parla, con riguardo alla funzione del danaro quale mezzo di scambio universale, di liquidità). È questo il motivo per cui il danaro e le obbligazioni che lo concernono (debiti pecuniari o di somma di danaro: VII, 1.16) ricevono un trattamento differenziato rispetto a qualsiasi altro bene ed ai relativi rapporti giuridici. È da tenere presente, poi, come, da una parte, la moneta assolva pure all’essenziale funzione di generale misura dei valori; dall’altra, il danaro si presenti in una pluralità di modi nei rapporti che lo riguardano 27. La perdita di peso, nella circolazione monetaria, degli accennati mezzi tradizionali di pagamento (pur sempre materiali) tende, inoltre, a rendere sempre più ideale non solo l’unità valutaria (ormai da tempo non definita in termini di equivalenza con una determinata quantità di metallo prezioso), ma anche lo stesso strumento di circolazione della moneta. Si tratta del fenomeno della c.d. smaterializzazione della moneta e del relativo trasferimento (quale moneta scritturale o bank money), che avviene oggi prevalentemente sul piano contabile, cioè attraverso sistemi che si avvalgono delle tecnologie maggiormente aggiornate (in proposito, si parla correntemente di moneta elettronica) 28.
5. Rapporti di connessione tra le cose. Le pertinenze. – In relazione ai diritti ed agli atti che le concernono, assume notevole rilevanza la considerazione unitaria o meno delle cose, sulla base dei collegamenti tra di esse, naturali od opera dell’uomo. 26 Così, ad es., in tema di compensazione, si allude a “debiti che hanno per oggetto una somma di danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere” (art. 12431) e nella definizione del mutuo si parla di consegna di “una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili” (art. 1813). 27 Basti qui solo accennare al diverso modo di atteggiarsi del danaro come mezzo di pagamento e come capitale (in tale ultima veste presentandosi sicuramente tutt’altro che consumabile ed assumendo, invece, soprattutto nelle moderne economie, un carattere produttivo). 28 Sui complessi problemi legati all’emissione della moneta elettronica – definita come “il valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso per effettuare operazioni di pagamento … e che sia accettato da persone fisiche e giuridiche diverse dall’emittente” (art. 12h-ter) – v. il titolo V-bis D.Lgs. 1.9.1993, n. 385, introdotto dalla L. 1.3.2002, n. 39, poi sostituito dal D.Lgs. 16.4.2012, n. 45. Di grande attualità è la discussione in ordine alla natura delle valute virtuali (c.d criptovalute, quale, ad es., il bitcoin), definite come “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente” (art. 12qq, D.Lgs. 21.11.2007, n. 231, quale modificato dal D.Lgs. 25.5.2017, n. 90 e dal D.Lgs. 4.10.2019, n. 125, significativamente prese in considerazione nel contesto della disciplina tendente alla prevenzione e repressione del fenomeno del riciclaggio).
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Si reputa cosa semplice quella che empiricamente risulta tale, dato che l’integrazione degli elementi (in cui qualunque cosa risulta pur sempre tecnicamente scomponibile) che la compongono ha fatto perdere la loro individualità (animale, forma di pane, coperta). Nella cosa composta, invece, gli elementi che concorrono a formarla conservano la propria individualità materiale, essendo possibile la relativa scomposizione, ma si presentano come complementari, onde consentire alla cosa di svolgere la sua funzione tipica (ruote, sterzo, proiettore, scocca, carburatore e moltissimi altri elementi compongono un’automobile). È da sottolineare come decisiva non sia la unione materiale dei diversi elementi, bensì la necessaria complementarietà economica, rilevante risultando la relativa unitarietà funzionale (ciascun elemento è parte della cosa composta). Cosa composta, così, è – secondo quanto, del resto, emerge anche dal linguaggio comune – un paio di guanti: manca, almeno secondo la normale destinazione economica della cosa (e, quindi, nella considerazione sociale cui l’ordinamento si adegua), almeno finché una simile destinazione viene conservata, l’individualità economica dei singoli elementi (con la conseguente autonomia giuridica). La distinzione in questione assume, comunque, scarso rilievo, dato che anche le cose composte, come quelle semplici, costituiscono oggetto unitario dei diritti e degli atti che li concernono. Il codice civile ha ritenuto opportuno definire il rapporto che si può venire ad instaurare tra cosa principale e cosa accessoria, precisando la nozione di pertinenza, nonché le conseguenze, sul piano giuridico, di un simile eventuale rapporto di connessione tra cose. La connessione per accessorietà si ha, appunto, quando tra più cose si venga ad instaurare un rapporto caratterizzato dall’essere l’una cosa principale e l’altra accessoria, pur conservando esse una propria individualità materiale ed economica (in ciò consistendo la differenza rispetto alla relativa confluenza nella cosa composta) 29, con la conseguenza di far seguire, almeno in linea di massima, alla cosa accessoria le vicende di quella principale 30. Per l’art. 8171, pertinenze sono “le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”. La cosa non perde, quindi, la sua individualità e autonomia 31: ai fini della ricorrenza del concetto di pertinenza è determinante la instaurazione 29
Taluno distingue, nel quadro della accessorietà, la incorporazione dalla pertinenza, sotto il profilo, nel primo caso, della compenetrazione materiale di una cosa con un’altra, pur in assenza di quella complementarietà necessaria che caratterizza la cosa composta (statua nella nicchia predisposta nella casa). Il regime prospettato a seguito dell’incorporazione (in cui dominerebbe l’idea di completezza), data la supposta perdita, da parte della cosa incorporata, della propria oggettività economica, sembra peraltro finire sostanzialmente col coincidere con quello della cosa composta. 30 È da tenere presente che se le pertinenze vengono senz’altro ricondotte al concetto di accessorietà, non si manca di considerare non del tutto coincidenti i due concetti, reputando più ampio quello di accessorietà, fino a comprendervi anche i frutti. Nell’incertezza concettuale dei rapporti tra le categorie in questione – la stessa Cassazione talvolta (21-1-1972, n. 160) è parsa assumere un concetto di cosa accessoria come “parte integrante della cosa principale”, tale da risultarne funzionalmente inscindibile; talvolta ha reputato, invece, meno stretto di quello pertinenziale il vincolo che lega la cosa accessoria alla principale (18-1-1969, n. 101), con conseguente inapplicabilità del relativo regime – il legislatore, pur menzionandole distintamente, tende ad accomunarle, comunque, nel trattamento. Così, in tema di obbligazioni del venditore, per l’art. 14772, “la cosa deve essere consegnata insieme con gli accessori, le pertinenze e i frutti dal giorno della vendita” (in uguale prospettiva si pongono l’art. 2912, in materia di estensione del pignoramento, nonché l’art. 559 c.p.c., a proposito dell’obbligo di custodia dell’immobile pignorato). 31 La Relaz. cod. civ., n. 390, evidenzia che “le pertinenze non diventano parti della cosa principale ma
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di un legame di carattere economico-giuridico (per cui la pertinenza vale a conferire alla cosa principale maggiore utilità e/o pregio). L’esistenza di un legame anche materiale, peraltro, non ne esclude necessariamente la configurabilità: pertinenza è considerato, così, lo scaldabagno, ancorché congiunto al muro dell’abitazione (parti essenziali della cosa composta sono reputati, invece, l’ascensore e la caldaia dell’edificio in cui sono istallati, così come le imposte sulle finestre). Il rapporto di connessione funzionale instaurato – essendo richiesta una destinazione durevole – deve, inoltre, essere stabile e non legato ad esigenze di carattere occasionale (come gli ornamenti apportati ad edifici in occasione di particolari eventi) 32. Il rapporto di pertinenza può intercorrere tra cose mobili (cornice e quadro, piedistallo e statua), tra cosa mobile e cosa immobile (antenna televisiva ed edificio), tra cose immobili (la cantina rispetto all’appartamento, un’area adibita a stenditoio o a parco giochi rispetto all’edificio) 33. Un peculiare rapporto di pertinenza è stato legislativamente disciplinato con riferimento alle aree di parcheggio rispetto agli edifici 34. Particolarmente importanti, anche sul piano storico, sono i rapporti pertinenziali in campo produttivo: si tratta della pertinenza agricola (comprendente le scorte vive e le scorte morte, cioè gli animali, le attrezzature, le sementi e tutto ciò che si presenta come necessario alla conduzione del fondo) e della pertinenza industriale (l’attrezzatura di una miniera; i macchinari, ma solo nel caso che l’immobile assuma una funzione preminente sul piano economico-produttivo). conservano la loro individualità giuridica, nella stessa guisa che conserva la propria individualità ciascuna cosa mobile nella universalità di mobili”. 32 I requisiti soggettivi e oggettivi caratterizzanti il vincolo pertinenziale sono sintetizzati da Cass. 16-5-2018, n. 11970, in cui si accenna, in particolare, al “requisito oggettivo della contiguità, anche solo di servizio, tra i due beni, ai fini del quale il bene accessorio deve arrecare un’utilità a quello principale, e non al proprietario di esso”. 33 Si tenga presente che “la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie che la differenziano da quella civilistica, dal momento che il manufatto … deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all’edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico” (con conseguente necessità, per la relativa realizzazione, di “conseguire il permesso di costruire”: Cons. Stato sez. VI, 4-1-2016, n. 19). 34 In materia di parcheggi privati (tali sono da intendere i posti auto scoperti, i boxes ed i garages), si è distinto tra obbligatori, facoltativi e liberi. Parcheggi obbligatori sono definiti quelli che devono essere necessariamente previsti nelle nuove costruzioni (a partire dalla L. 6.8.1967, n. 765). Dalla L. 28.2.1985, n. 47 era stato considerato derivarne un vincolo pertinenziale di carattere legale (e un diritto reale d’uso in favore dei condomini): tale configurazione è risultata superata, però, dalla L. 28.11.2005, n. 246, la quale ha stabilito che gli spazi di parcheggio realizzati ai sensi della legislazione in questione “non sono gravati da vincoli pertinenziali di sorta né da diritti d’uso a favore dei proprietari di altre unità immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse” (disciplina, questa, che Cass. 24-2-2006, n. 4264, negatone il carattere interpretativo o, comunque, retroattivo, ha reputato “destinata ad operare solo per il futuro, e cioè per le costruzioni non ancora realizzate o per quelle realizzate, ma per le quali non siano iniziate le vendite delle singole unità immobiliari”). Parcheggi facoltativi sono quelli realizzati in base alla c.d. legge Tognoli (L. 24.3.1989, n. 122), con particolari agevolazioni urbanistiche e civilistiche (in relazione alle maggioranze necessarie per le relative delibere condominiali istitutive). Il trasferimento della loro proprietà separatamente da quella dell’unità immobiliare di cui costituiscono pertinenza (anch’essa di carattere legale) è vietato (con conseguente nullità dell’atto con cui tale operazione è effettuata: Cass. 16-2-2012, n. 2248). I parcheggi liberi, che sono quelli non rientranti nelle due tipologie precedenti, non si presentano assoggettati a particolari vincoli, restando pienamente sottoposti alla disciplina generale del codice civile, al pari di qualsiasi altra pertinenza immobiliare. Le diverse tipologie di parcheggi privati, alla luce della evoluzione del quadro legislativo, sono con precisione individuate da Cass. 1-8-2008, n. 21003.
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Essenziale, perché sorga il rapporto di pertinenza, è la destinazione, la quale può essere effettuata esclusivamente dal proprietario della cosa principale (o dal titolare di un diritto reale su di essa) (art. 8172). Si ritiene trattarsi non di un atto negoziale, ma di un atto giuridico in senso stretto. Perché si abbia la costituzione del rapporto occorre che il proprietario della cosa principale sia tale anche della cosa accessoria. Circa la rilevanza del rapporto pertinenziale, l’art. 8181 prevede che gli atti e, in genere, i rapporti giuridici concernenti la cosa principale comprendono anche le pertinenze, salvo che non sia diversamente disposto. La vendita ed il legato della cosa principale, così, comprendono anche le pertinenze (artt. 14772 e 6671). Per escludere la operatività di tale regola occorre una inequivoca manifestazione di volontà. Le pertinenze, peraltro, poiché conservano la loro individualità giuridica, possono formare oggetto di atti e rapporti separatamente dalla cosa principale (art. 8182). La cessazione del rapporto pertinenziale non è opponibile ai terzi, salvo che non sia avvenuta prima dell’acquisto, da parte loro, di diritti sulla cosa principale (tale cessazione può avvenire, in particolare, con l’alienazione separata delle pertinenze rispetto alla cosa principale) (art. 8183). I diritti di terzi sulla cosa non possono essere pregiudicati dalla sua destinazione a pertinenza (da parte del proprietario dei beni coinvolti nel vincolo). Tuttavia, se la cosa principale è un immobile (o un mobile registrato), tali diritti sono opponibili agli acquirenti (della cosa principale) in buona fede solo ove risultino da scrittura privata avente data certa anteriore al loro acquisto (art. 819).
6. Le universalità. – Il rapporto di connessione tra le cose risulta più attenuato nel caso di universalità di mobili, anche se esso rileva per l’ordinamento sotto taluni profili: ad un simile insieme di beni, infatti, viene riservato un trattamento giuridico, almeno sotto certi profili, diverso da quello previsto, in via generale, per i beni mobili (e che si accosta, per certi versi, addirittura a quello degli immobili). Le universalità di mobili (tradizionalmente definite universalità di fatto: universitates facti) sono definite dall’art. 8161 come “pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria”. Si tratta di complessi di cose – che si ritiene dover essere omogenee – le quali conservano in pieno la propria individualità e autonomia economico-funzionale (e, di riflesso, giuridica). Esempi tradizionali e tipici sono rappresentati da un gregge, una biblioteca, una collezione di quadri o di francobolli (il carattere di unificazione tra le cose che ne fanno parte risulta significativamente già dall’impiego di una specifica terminologia per indicare l’insieme). Il collegamento (giuridicamente rilevante) tra le cose deriva, innanzitutto, dalla comune appartenenza ad uno stesso soggetto. Occorre, poi, la relativa destinazione unitaria (da intendere come destinazione economico-funzionale), la quale sembra – pur nel silenzio della legge – poter essere impressa solo dal proprietario, in quanto solo soggetto competente a scegliere e ad imprimere alle cose la relativa destinazione economica (anche se taluni ritengano a ciò legittimato pure il possessore in quanto tale). Il tratto unificante delle cose, che conservano la propria identità in modo più marcato che nel caso dell’accessorietà (mancando il rapporto di subordinazione economica tra cosa principale e cosa accessoria), è dato dalla funzione complessiva che esse sono chiamate a svolgere a seguito dell’atto di organizzazione del soggetto che imprime la comune destinazione. A seguito di tale organizzazione funzionale, il complesso di beni assume,
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per l’ordinamento, una propria distinta fisionomia economico-giuridica (quale bene, insomma, considerato autonomo) 35, in quanto valutato come idoneo a realizzare uno specifico interesse, ulteriore rispetto a quello soddisfatto dai singoli beni che ne fanno parte. Con una regola simile a quella dettata in tema di pertinenze, l’art. 8162 prevede che le singole cose facenti parte dell’universalità di mobili possono formare oggetto di separati atti e rapporti giuridici. L’universalità di mobili si atteggia, in quanto tale, come possibile autonomo oggetto di atti dispositivi (vendita, legato) e la sua disciplina, come bene complessivo, tende a discostarsi da quella dei beni mobili. Essa risulta, così, in larga misura assimilata agli immobili sotto il profilo possessorio: si estende alla sua tutela l’azione di manutenzione (art. 1170); la regola possesso vale titolo (art. 1153) non si applica (art. 1156); l’usucapione è disciplinata, in sostanza, come per gli immobili (art. 1160). Regole particolari concernono, poi, l’usufrutto della mandria e del gregge (art. 994). Dalle universalità di mobili (o di fatto) si distinguono le universalità di diritto (universitates iuris). La considerazione unitaria di un complesso di beni non si presenta qui quale conseguenza di un atto di destinazione economica e organizzazione funzionale del proprietario, bensì di una valutazione normativa, la quale, alla luce di peculiari esigenze, vale a imprimere una destinazione unitaria ad una serie di rapporti della più diversa natura. L’universalità di diritto comprende, insomma, situazioni giuridiche soggettive attive e passive assolutamente non omogenee (relative a beni mobili e immobili, diritti reali e di credito, così come obblighi), quando il legislatore reputi opportuno, per certi aspetti, unificarne il regime. La ricorrenza della figura viene correntemente individuata nell’eredità (esempio tipico e, per molti, unico di universalità di diritto, di cui, non a caso, non si manca di contestare non solo l’accostamento alle universalità di fatto, ma anche la possibilità di assumerla come figura di carattere generale). Non solamente il patrimonio ereditario è trasferito nella sua globalità all’erede (si parla, infatti, di successione in universum ius), ma la sua gestione unitaria è assicurata prima dell’accettazione (artt. 528 ss.), la tutela ne è pure unitaria (art. 533) e ne è possibile la vendita come bene unico (artt. 1542 ss.), addirittura con specifici requisiti di forma (art. 1543).
7. Azienda. – Taluni annoverano, quale universalità di diritto, anche l’azienda , definita dall’art. 2555 come “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. Proprio in considerazione della rilevanza dell’intervento di organizzazione, atto ad imprimere ai beni una nuova e specifica funzione economica, altri preferiscono un accostamento dell’azienda alle universalità di fatto (che troverebbe, del resto, espressa conferma nell’art. 670, n. 1, c.p.c., il quale, a proposito del sequestro giudiziario, allude a “aziende o altre universalità di beni”) 36. Si tende, comunque, a precisare che l’azienda, rispetto ad ogni altra universalità, risulta avere caratteristiche peculiari. 35 È stato, al riguardo, sottolineato come, nell’universalità di mobili, i singoli beni concorrano a formare un nuovo bene senza perdere la loro rilevanza individuale, continuando a costituire oggetto di distinti diritti autonomamente tutelabili. Significativo del carattere di bene autonomo della universalità di mobili risulta l’art. 27842, concernente la relativa assoggettabilità a pegno. 36 All’azienda come “pluralità di beni unificata da una attività di organizzazione”, con la conseguente “possibilità di negozi giuridici” che l’abbia ad oggetto “quale entità produttiva autonoma distinta dagli stessi beni aziendali singolarmente considerati”, allude Cons. Stato, sez. IV, 29-2-2016, n. 811.
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Alla luce dell’art. 2555, l’azienda, quale complesso di beni, si distingue dall’impresa, consistente nell’attività economica in vista del cui esercizio un simile complesso di beni è organizzato dall’imprenditore (II, 6.2). In ogni caso, è da sottolineare come il codice detti regole specifiche relativamente a tale figura (nella prospettiva, appunto, di complesso di beni unitariamente considerato e da preservare nella sua autonoma rilevanza economica). Ciò, in particolare, per quanto concerne l’alienazione (da provare per iscritto, salva l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che la compongono: art. 25561), comportante un fenomeno di successione in tutti i rapporti giuridici (contratti, crediti, debiti) ad essa attinenti (artt. 2558 ss.), nonché l’usufrutto (art. 2561) e l’affitto (art. 2562) 37.
8. Frutti. – Tra i beni, il codice disciplina i frutti, distinguendoli in frutti naturali e frutti civili. Anche se, tradizionalmente, si reputa possibile abbracciare ambedue le figure in una nozione unitaria 38, si sottolinea spesso la profonda disomogeneità della categoria. Una simile disomogeneità risulta già a prima vista palese, trattandosi, nel primo caso, di cose materiali derivanti fisicamente dalla cosa madre, nel secondo, invece, di un reddito pecuniario che si trae da rapporti giuridici concernenti il bene. Sono considerati frutti naturali quelli che provengono dalla cosa direttamente, con o senza l’intervento dell’uomo (quelli, insomma, che la cosa produce in senso naturalistico) (art. 8201). Nell’idea di fruttificazione si tende a ritenere insita la conservazione della cosa madre nella sua sostanza e nella sua idoneità alla produzione normale e ricorrente (reditus) di cose economicamente apprezzabili. Peraltro, la disposizione ricordata, ponendo accanto ad esempi come “i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali” quello dei “prodotti delle miniere, cave e torbiere”, ha sicuramente allargato la nozione di frutto rispetto ad una simile idea, non trattandosi, in tale ultimo caso, di produzione, ma di sfruttamento che, progressivamente (anche se in tempi indubbiamente lunghi), impoverisce la stessa cosa madre. I frutti naturali seguono la sorte della cosa fruttifera fino alla separazione (art. 8202), ne fanno, cioè, parte fino a tale momento, che segna il momento dell’acquisto (come bene autonomo) da parte dell’avente diritto. È possibile, tuttavia, disporre di essi prima della separazione come cose mobili future (art. 8202), con applicazione, per la relativa vendita, dell’art. 1472, relativo, appunto, alla vendita di cose future. La separazione – il distacco dalla cosa madre, sia esso naturale ovvero opera dell’uomo – vale a determinare una autonoma identità giuridica dei frutti, facendo sorgere un diritto di proprietà su di 37 Circa la discussa configurabilità di un possesso dell’azienda nella sua unitarietà (con conseguente ammissibilità della relativa tutela possessoria con l’azione di manutenzione), Cass., sez. un., 5-3-2014, n. 5087, una volta reputata decisiva “l’oggettività dell’azienda, considerata unitariamente come oggetto di diritti”, ha ritenuto, “ai fini della disciplina del possesso e dell’usucapione”, “l’azienda … bene distinto dai singoli componenti, suscettibile di essere unitariamente posseduto e … usucapito”. È da sottolineare come la peculiarità dell’azienda con riferimento al fenomeno successorio risulti, in considerazione della rilevanza della sua funzione economica, alla base del nuovo istituto del patto di famiglia (XII, 3.7). 38 Considerandosi frutto tutto ciò che una cosa rende o di per sé o attraverso rapporti giuridici che ad essa si riferiscono, si valorizza, quale tratto comune, l’idea di proventi normali economicamente apprezzabili della cosa stessa (che troverebbe anche una testuale conferma nell’art. 1499, in cui si parla, a proposito degli interessi compensativi, di “cosa che produca frutti o altri proventi”).
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essi. Tale proprietà spetta al proprietario della cosa fruttifera (art. 8211), salvo che spetti ad altri soggetti quale effetto di un diritto di godimento vantato relativamente alla cosa madre (o in virtù della vendita che dei frutti sia stata fatta come cosa futura, ai sensi dell’art. 14721). Vale il principio per cui chi fa propri i frutti deve, entro il limite del relativo valore, comunque rimborsare colui che abbia fatto spese per la produzione ed il raccolto (artt. 8212 e 1149; per l’usufrutto, nei rapporti tra usufruttuario e proprietario in caso di successione nel godimento della cosa fruttifera nel corso del periodo produttivo, vale la regola specifica dell’art. 984). È da tenere presente come la disciplina relativa ai frutti, nel caso in cui il possessore debba restituire la cosa, abbia riguardo alla sua buona o mala fede (art. 1148) 39. Per frutti civili (categoria reputata già di per se stessa disomogenea) si intendono quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che ne sia attribuito ad altri (quindi indirettamente, come effetto, cioè, di un rapporto giuridico di cui la cosa sia oggetto, diventando, così, fonte di reddito). L’art. 8203 elenca – non tassativamente, trattandosi di una elencazione di carattere solo esemplificativo – gli interessi dei capitali, i canoni enfiteutici, le rendite vitalizie e ogni altra rendita, nonché il corrispettivo delle locazioni 40. Anche i frutti civili, come quelli naturali, spettano al proprietario della cosa fruttifera, ovvero a chi abbia un diritto di godimento sulla cosa medesima. Il loro acquisto avviene a seguito della relativa maturazione (essi, infatti, si acquistano “giorno per giorno, in ragione della durata del diritto” a percepirli: art. 8213) 41.
9. Patrimonio. – Il patrimonio viene correntemente inteso come l’insieme delle situazioni giuridiche di rilevanza economica, di cui il soggetto è titolare. Ne restano, quindi, esclusi i diritti di natura non patrimoniale. Esso, finché la persona è vivente, non viene considerato dall’ordinamento quale unitario possibile oggetto di vicende giuridiche. Specifico apprezzamento unitario (quale universitas iuris), secondo quanto si è visto (II, 2.6), è riservato a seguito della morte, invece, al patrimonio ereditario. Una considerazione in prospettiva di unitarietà dell’insieme delle situazioni giuridiche di cui il soggetto risulti titolare indubbiamente si ricollega, comunque, alla previsione del principio per cui ciascuno risponde dell’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 27401, intitolato alla responsabilità patrimoniale) 42. Una rilevanza del patrimonio del soggetto nel suo complesso sembra, del resto, anche emergere, in particolare, dalla disciplina dell’azione revocatoria (art. 2901). È da tenere presente come, nel suo significato economico (a diffe39
Si è posto in evidenza come, in realtà, proprio alla luce dell’art. 1148, per cui chi possiede in buona fede la cosa madre fa suoi i frutti naturali separati ed i frutti civili maturati fino al momento della domanda giudiziale, sul titolare del diritto di godimento prevalga, appunto, il possessore di buona fede. 40 È controverso se possano essere considerati frutti civili anche i dividendi delle azioni. 41 Per cui, come evidenzia la giurisprudenza (già, ad es., Cass. 27-1-1964, n. 191), ai fini del calcolo dell’ammontare dei frutti civili (e, in particolare, degli interessi), si procede dividendo l’importo complessivo annuale per il numero dei giorni che compongono l’anno (365) e moltiplicando, poi, il quoziente per il numero di giorni di durata del diritto alla percezione dei frutti stessi. 42 Come si è accennato (II, 2.1), a seconda che le cose siano o meno nel patrimonio di qualcuno (solo quelle mobili, data la regola dell’art. 827 per gli immobili), si distinguono in cose in o fuori patrimonio.
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renza, quindi, che in quello giuridico dianzi accennato), il patrimonio tenda ad essere considerato al netto, dedotte, cioè, le passività. Ogni soggetto ha un solo patrimonio nel senso indicato, ma l’ordinamento riserva, talvolta, una considerazione peculiare a talune situazioni giuridiche facenti capo al soggetto, tenendole distinte dalle altre di cui egli sia titolare: ciò essenzialmente ai fini dell’atteggiarsi della sua responsabilità patrimoniale. In vista della rilevanza di specifiche esigenze, il legislatore consente, insomma, che a taluni rapporti giuridici del soggetto venga impressa una peculiare destinazione (si parla, infatti, al riguardo, di patrimoni di destinazione), dandosi vita, così, in particolare, a quelli che vengono definiti patrimoni separati 43. Ne risulta conseguentemente alterata l’operatività dell’accennato principio della responsabilità patrimoniale (di cui all’art. 27401), dato il diverso trattamento riservato ai creditori, a seconda della inerenza o meno delle obbligazioni del soggetto nei loro confronti al perseguimento delle esigenze avute di mira. Si deve, allora, ritenere che – nonostante un consistente indirizzo esegetico tendente a valorizzare, al riguardo, l’autonomia degli interessati – spetti esclusivamente al legislatore la previsione delle ipotesi in cui ciò possa avvenire, sulla base di una valutazione e di un bilanciamento degli interessi in gioco (come sembra confermato, del resto, dall’art. 27402, secondo cui “le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”). Esempi significativi del fenomeno in questione sono offerti: dalla destinazione di beni che avviene con la costituzione del fondo patrimoniale (artt. 167 ss.: V, 2.13), con conseguente trattamento differenziato dei creditori (a seconda dell’essere stati essi a conoscenza o meno dell’inerenza del debito contratto al soddisfacimento di bisogni della famiglia: art. 170); dai fondi speciali per la previdenza e l’assistenza (art. 2117); dalla possibile costituzione, da parte di una società per azioni (e ora anche da parte degli “enti del Terzo settore dotati di personalità giuridica ed iscritti nel registro delle imprese”: art. 10 D.Lgs. 3.7.2017, n. 117), di patrimoni destinati ad uno specifico affare (artt. 2447 bis ss.). La crescente propensione del legislatore per il ricorso alla tecnica della separazione patrimoniale risulta indubbiamente attestata dalla – discussa sotto molteplici profili – inserzione nel codice dell’art. 2645 ter (con la L. 23.2.2006, n. 51, di conv. del D.L. 30.12.2005, n. 273), con cui sono stati regolati – ammettendo la possibilità della relativa trascrizione onde rendere opponibile ai terzi il vincolo che ne deriva (XIV, 2.11) – gli effetti degli atti di destinazione di beni immobili (o mobili registrati), finalizzati alla “realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche, ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma” 44. 43
Di patrimonio autonomo, poi, si parla tradizionalmente con riferimento alla considerazione unitaria, da parte del legislatore, di un complesso di rapporti non collegati ad un soggetto cui sia riconosciuta una distinta capacità giuridica (in particolare, nel caso che essi facciano capo ad una pluralità di soggetti, non elevata dall’ordinamento, appunto, al rango di soggetto in senso giuridico). A tale categoria si tendeva a ricondurre il fondo comune delle associazioni non riconosciute, in una prospettiva, peraltro, ormai superata (IV, 3.1 e 3.9). Al concetto di patrimonio autonomo viene riferita da taluni anche l’eredità accettata col beneficio d’inventario (artt. 484 ss.), da altri, invece, considerata – a testimonianza dell’incertezza esistente nella delimitazione delle categorie in questione – esempio di patrimonio separato. 44 Alla figura dell’art. 2645 ter, accomunandola ad altre figure (come trust e “fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario”), allude la L. 22.6.2016, n. 112, finalizzata all’“assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare” (c.d. “dopo di noi”). Sulla figura del trust nel nostro ordinamento, VIII, 3.17.
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10. Beni pubblici. – Nell’intento di offrire un quadro tendenzialmente completo dei rapporti economico-sociali, il codice civile non ha mancato di delineare anche la particolare condizione giuridica dei beni appartenenti allo Stato ed agli enti pubblici. Al riguardo, peraltro, il codice si limita a prospettare alcuni principi di fondo, rinviando per la disciplina specifica – necessariamente articolata e complessa, oltre che prevedibilmente in continua evoluzione, in uno Stato che andava progressivamente accrescendo il proprio ruolo nell’economia – alla legislazione settoriale dettata in materia 45. Dai principi enunciati dal codice (che qui pare il caso semplicemente di accennare, costituendo la materia oggetto di approfondimento da parte delle discipline pubblicistiche e, in particolare, del diritto amministrativo), si può, in linea di massima, ricavare come, fermo restando che non tutti i beni sono suscettibili di essere indifferentemente pubblici o privati, ad assumere rilievo, più che la possibilità di appartenenza dei beni, sia la peculiarità delle regole disciplinanti il relativo regime in caso di appartenenza a soggetti diversi dai privati 46. In proposito, pare anche opportuno rilevare come, nel risultare decisive per determinare il carattere di bene pubblico, ad un tempo, l’appartenenza allo Stato o ad un ente pubblico e l’attitudine del bene all’immediato soddisfacimento di un interesse pubblico, non sempre interessi di carattere generale siano soddisfatti da beni pubblici. Interessi di tal genere possono essere soddisfatti, infatti, attraverso una peculiare regolamentazione del loro godimento e della loro circolazione, pure da beni di proprietà privata, appunto per questo identificati come beni di interesse pubblico 47. Proprio l’attenzione alla natura degli interessi che gravitano intorno al bene, considerando, in particolare, la relativa funzionalità allo sviluppo della persona (anche nella prospettiva delle esigenze delle generazioni future), non manca, poi, di indurre a delineare, con peculiari caratteristiche tipologiche, la categoria dei beni comuni 48. 45
Nell’originaria sistematica del codice civile, alla luce dell’ideologia politico-economica del regime fascista del tempo, assumeva un peso rilevate, nel contesto della disciplina complessiva dei beni, l’art. 811, relativo ai beni interessanti l’ordine corporativo: beni sottoposti, appunto, alla peculiare disciplina dell’ordinamento corporativo, “in relazione alla loro funzione economica e alle esigenze della produzione nazionale” (II, 2.2). In sostanza, si veniva, così, a delineare, come si legge nella Relaz. cod. civ., n. 386, una contrapposizione fondata non sull’appartenenza (anche, quindi, eventualmente privata) dei beni, ma sull’interessare essi “la produzione nazionale” o servire “all’uso o al godimento individuale”. La norma fu abrogata dal D.Lgs.Lgt. 14.9.1944, n. 287. Alla definizione generale del regime di appartenenza dei beni provvede, ora, l’art. 421 Cost. (per talune particolari categorie dei quali dispongono gli articoli successivi), sancendo il principio secondo cui “la proprietà è pubblica o privata” e “i beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati”, con ciò intendendo evidentemente evitare, come scelta di fondo in materia economica, preclusioni di principio in ordine all’appartenenza dei beni a seconda della loro funzione economico-produttiva (e facendosi salva, ovviamente, l’articolazione della relativa disciplina) (VI, 1.1). 46 La Relaz. cod. civ., n. 392, dopo avere delineato la disciplina (dianzi esaminata) dei beni in generale, sottolinea, appunto, che “l’appartenenza di beni allo Stato, ad altri enti pubblici e agli enti ecclesiastici determina per taluni di questi beni un regime particolare”. 47 Un esempio significativo è offerto dall’art. 839 per i b e n i d ’ i n t e r e s s e s t o r i c o e a r t i s t i c o , che rinvia alle leggi speciali in materia la specificazione delle regole finalizzate a consentire, nel caso di “cose di proprietà privata, immobili o mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico”, il contemperamento delle ragioni del proprietario col rispetto delle esigenze della collettività legate alla conservazione, fruizione e valorizzazione di simili beni (la cui disciplina è ora contenuta nel D.Lgs. 22.1.2004, n. 42, codice dei beni culturali e del paesaggio: II, 2.1). 48 Facendo leva sugli artt. 2, 9 e 42 Cost., con la conseguente “esigenza interpretativa di ‘guardare’ al tema dei beni pubblici oltre una visione prettamente patrimoniale-proprietaria per approdare ad una prospettiva
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Taluni beni fanno parte del demanio pubblico (beni demaniali) per necessità, in quanto non ne è ammessa l’appartenenza a privati (c.d. demanio naturale o necessario): lido del mare, spiagge, rade e porti, fiumi, torrenti, laghi e altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia, opere destinate alla difesa nazionale (art. 8221). Fanno parte del demanio pubblico, solo se appartenenti allo Stato (o ad altri enti pubblici territoriali: art. 824) (c.d. demanio artificiale o accidentale) i numerosi altri beni elencati nell’art. 8222 (tra cui: strade, strade ferrate, aerodromi, immobili di interesse storico, archeologico e artistico, raccolte dei musei), che si riferisce, in genere, anche agli “altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico”. I beni demaniali sono inalienabili e possono formare oggetto di diritti di terzi solo nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano (art. 8231) (si pensi alle concessioni a privati del lido del mare per la realizzazione di stabilimenti balneari, ovvero di superfici marine o lacustri per impianti di acquicoltura) 49. L’autorità amministrativa, cui compete la tutela di tali beni, può provvedere a tale tutela o in via amministrativa (con gli strumenti pubblicistici, cioè, appositamente previsti), ovvero avvalendosi dei mezzi in via generale previsti a difesa della proprietà e del possesso (art. 8232). Risulta ammessa la c.d. sdemanializzazione – il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato o dell’ente pubblico territoriale cui appartengono – da parte dell’autorità amministrativa attraverso particolari procedure (art. 829) 50. personale-collettivistica”, Cass., sez. un., 14-2-2011, n. 3665, ha concluso che “là dove un bene immobile, indipendentemente dalla titolarità, risulti per le sue intrinseche connotazioni, in particolar modo quelle di tipo ambientale e paesaggistico, destinato alla realizzazione dello Stato sociale, detto bene è da ritenersi ‘comune’, vale a dire, prescindendo dal titolo di proprietà, strumentalmente collegato alla realizzazione degli interessi di tutti i cittadini”. Evidente sembra il riferimento al dibattito concernente il tema dei c.d. b e n i c o m u n i , la cui essenzialità per la collettività – in vista della quale “l’aspetto dominicale della tipologia del bene … cede il passo alla realizzazione di interessi fondamentali indispensabili per il compiuto svolgimento dell’umana personalità” – si ritiene reclamare garanzie giuridiche idonee a renderne compatibile una generalizzata accessibilità con la salvaguardia per le generazioni future. Alla elaborazione di una nuova categorizzazione dei beni – fondata su di una tripartizione (beni comuni, beni pubblici, beni privati) – sono stati, in effetti, finalizzati i lavori della Commissione Rodotà, istituita con D.M. 14.6.2007, le cui conclusioni, recepite nel D.D.L. n. 2031 (Senato, XVI legislatura) e, in larga misura nella P.D.L. n. 1744 (Camera, XVIII legislatura), sono risultate di recente oggetto di una proposta di legge di iniziativa popolare (n. 2237, presentata il 5.11.2019). Nel relativo testo, rivolto ad innovare anche il “regime della demanialità e della patrimonialità” dei beni pubblici, i “beni comuni” – oggetto di una peculiare disciplina di tutela e i cui “titolari … possono essere persone giuridiche pubbliche o soggetti privati” – sono individuati, appunto, come “cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona”, prevedendosi che “i beni comuni devono essere tutelati e salvaguardati dall’ordinamento giuridico anche a beneficio delle generazioni future”. Ad una categoria di beni, identificati come b e n i c o l l e t t i v i , ha riguardo la L. 20.11.2017, n. 168 (“Norme in materia di domini collettivi”, VI, 3.9). 49 Essi, in quanto beni fuori commercio, sono anche insuscettibili di usucapione, ai sensi dell’art. 11451, secondo cui è senza effetto il possesso delle cose di cui non si può acquistare la proprietà. Peraltro, una tutela possessoria riguardo ai beni demaniali è riconosciuta dall’art. 10452-3 nei “rapporti tra privati”. Gli atti tra privati concernenti beni demaniali sono, ovviamente, nulli. Si è anche precisato che “colui il quale occupa abusivamente il bene demaniale non vanta alcuna aspettativa giuridicamente rilevante o alcun titolo preferenziale al rilascio della concessione” (Cons. Stato, sez. VI, 31-1-2017, n. 394). 50 Si tende a ritenere, comunque, che il provvedimento (di declassificazione) dell’autorità amministrativa, quale previsto dall’art. 829, abbia “natura esclusivamente dichiarativa, cioè soltanto ricognitiva della perdita di destinazione ad uso pubblico del bene” (“il passaggio del bene pubblico al patrimonio disponibile dello Stato” consegue, insomma, “direttamente al realizzarsi del fatto della perdita della destinazione pubblica del bene, cosiddetta sdemanializzazione tacita” e, quindi, “prescinde dal provvedimento dell’autorità amministra-
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I beni appartenenti allo Stato e agli altri enti territoriali non compresi tra quelli considerati demaniali fanno parte del relativo patrimonio 51. Una distinzione è, al riguardo, da operare a seconda che essi facciano parte o meno del patrimonio indisponibile. Di quello dello Stato, fanno parte i beni indicati nell’art. 8262 (miniere, cave e torbiere, cose d’interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, i beni costituenti la dotazione della presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari, le navi da guerra). Di quello dello Stato o dell’ente pubblico territoriale cui appartengono, fanno parte gli edifici destinati a sede di uffici pubblici con i relativi arredi e gli altri beni destinati a un pubblico servizio (art. 8263) 52. I beni che fanno parte del patrimonio indisponibile – il regime dei quali è sostanzialmente corrispondente a quello dei beni demaniali 53 – sono comunque vincolati alla loro destinazione e non possono essere ad essa sottratti se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano (art. 8282). Per i beni dello Stato e degli enti pubblici territoriali che non fanno parte del patrimonio indisponibile (beni patrimoniali disponibili) opera, invece, la disciplina dettata in generale dal codice civile per i diversi tipi di beni, almeno ove non siano previste regole particolari da leggi speciali (come in relazione alle procedure contrattuali che li concernono ed alle relative formalità) (art. 8281). Ciò vale anche per i beni appartenenti agli enti pubblici non territoriali (art. 8301), salvo che si tratti di beni destinati ad un pubblico servizio, applicandosi, in tal caso, la regola per cui essi non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalla legge (art. 8302) 54.
tiva, diversamente da quanto invece previsto dall’art. 35 c. nav. per il demanio marittimo e dall’art. 947, comma 3, c.c. per il demanio idrico”: Cass., sez. un., 7-4-2020, n. 7739). 51 Si ricordi come al patrimonio dello Stato spettino anche i beni immobili “che non sono in proprietà di alcuno” (art. 827). I beni immobili, dunque, non potranno mai essere cose di nessuno (res nullius). 52 È considerata costituire patrimonio indisponibile dello Stato, per esigenze di tutela ambientale, anche la fauna selvatica, ai sensi dell’art. 1 L. 11.2.1992, n. 157. 53 Anche in relazione ai beni patrimoniali indisponibili, come per quelli demaniali, la Cassazione (22-11-1993, n. 11491) ritiene, “attesa la comune destinazione alla soddisfazione di interessi pubblici”, che il relativo godimento possa essere attribuito a privati soltanto nella forma della concessione amministrativa. A definire il futuro assetto dei rapporti tra lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali, con riguardo alla titolarità e valorizzazione dei beni pubblici, risulta finalizzato il D.Lgs. 28.5.2010, n. 85, attraverso, appunto, l’attribuzione a tali enti di “beni statali … a titolo non oneroso” (art. 21,5), pure in vista di una loro eventuale alienazione (previa relativa “valorizzazione”), avvenendo il trasferimento – con talune eccezioni (come, in particolare, con riguardo al “demanio marittimo, idrico e aeroportuale”) – al “patrimonio disponibile” degli enti beneficiari (art. 4). 54 Una considerazione particolare meritano i beni degli enti ecclesiastici. Per essi l’art. 8311 prevede l’assoggettamento alla disciplina generale dei beni, salvo quanto specificamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano. Circa i beni appartenenti ad enti cattolici, una specifica regolamentazione risulta attualmente dettata dalla L. 20.5.1985, n. 222. In particolare, gli edifici destinati al pubblico culto cattolico, anche ove appartengano a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione, almeno finché questa non venga a cessare in conformità alle norme che li riguardano (art. 8312). Essi sono, quindi, alienabili, restando comunque assoggettati alla loro specifica destinazione al culto.
CAPITOLO 3
RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE Sommario: 1. Interessi, rapporto giuridico e situazioni giuridiche soggettive. – 2. Diritto soggettivo (nozione). – 3. Diritto soggettivo (contenuto e limiti). – 4. Abuso del diritto. – 5. Tipologia dei diritti soggettivi (e corrispondenti situazioni giuridiche soggettive passive: dovere e obbligo). – 6. Diritto potestativo. – 7. Potestà. – 8. Aspettativa. – 9. Interesse legittimo. – 10. Interessi collettivi e diffusi. – 11. Onere.
1. Interessi, rapporto giuridico e situazioni giuridiche soggettive. – La funzione della regola giuridica (norma), come accennato, va ricercata nell’esigenza di ordinare le relazioni umane: ciò avviene, in particolare, per quanto riguarda la sfera delle relazioni cui ha riguardo il diritto privato, risolvendo i conflitti di interessi che, di volta in volta, si vengano eventualmente a determinare tra i diversi soggetti con riferimento ad un bene (II, 2.1). Se l’interesse può essere visto proprio come una sorta di tensione tra soggetto e bene, ne consegue la possibile (anzi inevitabile) insorgenza di conflitti, ove una pluralità di soggetti si presentino interessati allo stesso bene. L’ordinamento giuridico, allora, interviene con le sue regole per organizzare gli interessi in gioco, almeno quando si tratti di interessi meritevoli di essere presi in considerazione, in quanto coinvolti in relazioni che l’ordinamento stesso ritiene opportuno disciplinare (estranee alla disciplina giuridica e materia di ordini differenti di regole restando, così, le relazioni che si esauriscono sul piano della morale, della religione o della cortesia). Con il concetto di rapporto giuridico ci si intende riferire, dunque, alla relazione intersoggettiva che l’ordinamento disciplina, determinando quale tra gli interessi coinvolti sia da considerare meritevole di tutela ed assicurandone, di conseguenza, la realizzazione. A tal fine, l’ordinamento riconosce ai soggetti portatori degli interessi coinvolti nella relazione la titolarità di una situazione giuridica soggettiva, la quale, in sostanza, costituisce il riflesso, sul piano soggettivo, della regola giuridica (del diritto, cioè, inteso in senso oggettivo). La situazione giuridica soggettiva di cui risulta investito il soggetto a seguito dell’intervento regolatore dell’ordinamento è per lui di carattere favorevole, ove sia il suo interesse a venire considerato maggiormente meritevole di tutela e realizzazione, ovvero sfavorevole, ove sia il suo interesse a risultare subordinato a quello altrui. Si definisce attiva la situazione giuridica soggettiva di vantaggio, attribuita al soggetto del rapporto (definito, appunto, soggetto attivo del rapporto) per assicurargli la realizzazione del suo interesse; passiva la situazione soggettiva di svantaggio, attribuita
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al soggetto del rapporto (soggetto passivo) tenuto a rendere possibile col suo comportamento la realizzazione dell’interesse altrui contrapposto al suo nella relazione regolata dal diritto. Anche se il rapporto giuridico si può atteggiare, a seconda dei casi, in modo assai diverso, esso rappresenta la struttura di base del diritto privato, rispecchiandone l’essenziale funzione di composizione dei conflitti intersoggettivi di interessi 1. Le situazioni soggettive attive e passive, pur nella loro conseguente diversità, acquistano senso proprio in quanto correlate tra loro nel rapporto giuridico. Ciò può risultare talvolta di più immediata percepibilità, come nel caso in cui il soggetto passivo sia tenuto ad uno specifico comportamento, strumentalmente finalizzato proprio alla realizzazione dell’interesse del soggetto attivo (situazione tipicamente ricorrente, come si vedrà, nel campo dei diritti di credito). Ma la configurabilità di un rapporto giuridico non pare venire meno neppure quando il comportamento cui è tenuto il soggetto passivo consista nel generico dovere di rispettare la posizione di vantaggio assicurata dall’ordinamento al soggetto attivo (come tipicamente si verifica nel campo dei diritti reali). In ambedue i casi, in effetti, ad una situazione di vantaggio di un soggetto corrisponde una situazione di indiscutibile svantaggio altrui rispetto allo stesso bene 2. Lo studio delle situazioni giuridiche soggettive deve, allora, procedere tenendo presente una simile correlatività, nel rapporto giuridico, di situazioni attive e passive. Di tali situazioni sono titolari i soggetti giuridici, destinatari delle regole giuridiche, i quali sono presi in considerazione, appunto, dall’ordinamento come (e correntemente definiti) centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive (II, 1.1).
2. Diritto soggettivo (nozione). – Nel codice civile – e, più in generale, nel linguaggio legislativo – la situazione giuridica soggettiva favorevole (attiva) riconosciuta ad un soggetto in relazione ad un bene è correntemente identificata con il termine di diritto (diritto al nome, diritto di proprietà, diritto di superficie, diritto di credito, diritto al risarcimento del danno, ecc.) 3. Si parla di diritto (inteso, quindi, in senso soggettivo) ogniqualvolta ad un soggetto viene garantita dall’ordinamento la realizzazione del suo interesse, riconoscendogli il potere di pretendere da colui (o da coloro) i cui interessi sono stati subordinati al suo il comportamento (attivo o di mera astensione) che tale realizzazione renda possibile, a questo fine anche azionando gli strumenti attuativi che l’ordinamento stesso gli mette a disposizione. La categoria del diritto soggettivo è stata elaborata nel secolo XIX proprio nello sfor1 Non si è mancato, invero, di considerare in termini di rapporto giuridico non solo la relazione giuridicamente rilevante tra persone, ma anche la relazione tra persone e beni. In realtà, se il diritto ha la funzione accennata nel testo (“ius est … hominis ad hominem proportio”, secondo la proverbiale definizione di Dante), riesce difficile configurare un rapporto giuridico tra persone e beni, questi ultimi rappresentandone, piuttosto, il profilo oggettivo, quale punto di riferimento degli interessi regolati, sempre facenti capo a soggetti. Di qui la prevalente prospettiva per cui il rapporto giuridico non possa necessariamente presentarsi che quale sintesi di situazioni giuridiche soggettive tra loro correlate. 2 Per identificare la posizione di subordinazione del soggetto passivo si parla, utilizzando il termine in un’accezione generale, di obbligo o, ancora più genericamente, da parte di altri, di dovere. 3 Ai diritti, del resto, alludono, da una parte, già l’art. 12 c.c. (a proposito della capacità giuridica e dei “diritti che la legge riconosce a favore del concepito”: IV, 1.2), dall’altra, l’art. 241 Cost. (per il quale “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”).
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zo di unificare nella relativa definizione tutte le possibili ipotesi in cui una simile situazione di favore ricorra. Il momento di unificazione fu inizialmente ricondotto, nel quadro della preminenza accordata nella dinamica del diritto alla volontà del soggetto, al potere di agire attribuito, appunto, alla volontà del soggetto. Successivamente, l’accento è stato posto, piuttosto, sul profilo funzionale dell’interesse giuridicamente tutelato. La difficoltà, comunque, è sempre stata quella di abbracciare in un concetto unitario, contestualmente, il campo dei diritti assoluti (in particolare dei diritti reali) e quello dei diritti relativi (in particolare dei diritti di credito), i due modelli fondamentali, cioè, di diritti riconosciuti dall’ordinamento: solo nei secondi, infatti, si presenta in primo piano e di maggiore evidenza la pretesa, cioè il potere di esigere, da parte del titolare del diritto (il creditore), uno specifico comportamento cui risulta tenuto un altro determinato soggetto (il debitore) 4. Ad aggravare quella che viene spesso definita la “crisi” del concetto di diritto soggettivo, trattandosi di figura inizialmente concepita in considerazione (e in vista della tutela) di interessi di natura patrimoniale, è stata, poi, la crescente attenzione dell’ordinamento agli interessi di natura eminentemente personale (come quelli legati all’integrità fisica e morale della persona e, in genere, all’esplicazione della personalità). Pure in relazione alle esigenze di tutela di simili interessi, di indubbia utilità si è presentato, peraltro, il riferimento allo schema del diritto soggettivo: solo un simile riferimento, in effetti, ne ha assicurato, in caso di lesione, la piena e diretta tutela, in particolare con quello strumento del risarcimento del danno, che del diritto soggettivo rappresenta, per così dire, la tradizionale rete di sicurezza 5. Di qui la prevalente ricostruzione (da parte della stessa giurisprudenza) in termini di diritto soggettivo anche delle situazioni giuridiche soggettive riconosciute al soggetto in vista della protezione degli emergenti interessi di natura personale. Piuttosto, pare da sottolineare come l’esigenza di assicurare la concreta realizzazione degli interessi legati alla salvaguardia della persona e del suo sviluppo abbia spinto l’ordinamento ad arricchire il tradizionale strumentario di garanzia degli interessi ritenuti meritevoli di tutela, fondato, appunto, essenzialmente sul risarcimento del danno (IV, 2.3). La categoria del diritto soggettivo, insomma, se ha visto decisamente ampliare la propria area di utilizzazione, al contempo, ha finito col perdere, almeno in parte, la sua utilità di formula riassuntiva (ed evocativa) di uno schema unitario di tutela, essendosi dovuto riconoscere come la diversità della natura degli interessi considerati meritevoli di protezione imponga, a seconda della relativa tipologia, strumenti e modelli di tutela diffe4
Nei diritti reali, il cui modello è rappresentato dalla proprietà, la pretesa all’altrui comportamento si è diffusamente ritenuta restare solo sullo sfondo, data l’indeterminatezza dei relativi destinatari (soggetti passivi del rapporto), in primo piano presentandosi, piuttosto, la facoltà di agire del soggetto titolare del diritto (soggetto attivo) in ordine ad un bene della vita, per soddisfare (immediatamente) su di esso il proprio interesse. 5 È da tenere presente come l’impostazione tradizionale, tendente a saldare in un binomio indissolubile il riconoscimento di meritevolezza dell’interesse del soggetto (con la sua configurazione in termini di diritto soggettivo) ed il relativo strumento di tutela (il risarcimento del danno in caso di violazione), risulti in certa misura superata dalla giurisprudenza, la quale ha significativamente ammesso il risarcimento del danno (ai sensi dell’art. 2043) in ogni caso di “lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento”, indipendentemente, cioè, dalla “qualificazione formale della posizione vantata dal soggetto” quale diritto soggettivo (Cass., sez. un., 22-7-1999, n. 500).
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renziati. Anche se la sua rilevanza, quindi, pare da ricercare ormai essenzialmente sul piano descrittivo delle scelte dell’ordinamento in merito alla selezione degli interessi reputati meritevoli della forma più intensa di tutela, sembra comunque da condividere la – persistentemente prevalente – tendenza a continuare ad avvalersi di tale categoria per inquadrare tutti i casi in cui viene riconosciuta una situazione di piena e diretta tutela dell’interesse del soggetto, con l’attribuzione al soggetto stesso del potere, garantito dall’ordinamento, di soddisfarlo 6.
3. Diritto soggettivo (contenuto e limiti). – È da tenere presente come il codice utilizzi correntemente la terminologia di diritto e diritti per indicare non la situazione giuridica di diritto soggettivo nel suo insieme, ma il suo contenuto. Ciò risulta chiaro, ad es., nell’art. 832, relativo al diritto di proprietà: la rubrica allude al “contenuto del diritto”, mentre il testo enuncia che “il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose”. Nell’uso legislativo, quindi, il termine “diritto” risulta alquanto ambiguo, in quanto spesso riferito, contestualmente, al diritto soggettivo ed al suo contenuto. In proposito, esattamente si sottolinea, allora, come i comportamenti che la norma consente al titolare della situazione giuridica soggettiva – nell’esempio fatto, al proprietario quale titolare del diritto di proprietà – non siano, in realtà, pur se indicati in termini di diritti, situazioni giuridiche soggettive autonome, bensì le consentite manifestazioni (il contenuto) dell’unico diritto soggettivo attribuito al soggetto. Tali manifestazioni, che valgono a delineare la concreta posizione del titolare del diritto, sono spesso descritte come facoltà. Così, sempre con riguardo all’art. 832, si dovrebbe più propriamente parlare, quindi, di facoltà di godere e di facoltà di disporre delle cose, quali comportamenti espressamente consentiti al titolare del diritto per soddisfare il suo interesse (in quanto considerato meritevole di tutela). Peraltro, neppure una simile enunciazione del contenuto del diritto risulta conforme a quella che sembra la più corretta impostazione concettuale della materia. Con maggiore precisione, infatti, a proposito del contenuto del diritto soggettivo, si tende ad operare una distinzione tra facoltà e poteri, anche se, nel linguaggio legislativo, una simile distinzione non emerge, alludendosi genericamente, come si è visto, al diritto (del titolare) di fare qualcosa, ovvero senz’altro a ciò che il titolare può fare: il proprietario “può fare qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino” (art. 8401), “può chiudere in qualunque tempo il fondo” (art. 841), “le luci possono essere aperte dal proprietario del muro contiguo al fondo altrui” (art. 9031), “il proprietario 6 A differenziare nettamente, rispetto a quella originaria (o comunque più risalente), la concezione attuale del diritto soggettivo, vale, inoltre, la chiara consapevolezza che il riconoscimento di una simile situazione di vantaggio non può esimere dal considerare come l’esigenza di protezione dell’interesse sovraordinato, in quanto reputato maggiormente meritevole di tutela, debba in ogni caso essere contemperata con quella di non sacrificare l’interesse altrui al di là di quanto sia da ritenere strettamente necessario per la sua realizzazione. Una simile prospettiva – tendente ad evidenziare i limiti del diritto soggettivo ed a valorizzare la complessità della relativa situazione, in dipendenza della contestuale previsione di doveri a carico del suo titolare – affiora, come si avrà modo di vedere nel paragrafo che segue e nella successiva specifica trattazione, già nella delineazione dei diversi istituti nel codice civile e trionfa, poi, con l’impostazione solidaristica della Costituzione, attraverso il fondamentale ed energico richiamo (di cui all’art. 2 e sviluppato nell’intero testo costituzionale) dei consociati all’“adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, politica, economica e sociale”.
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di un fondo contiguo al muro altrui può chiederne la comunione” (art. 874), “il proprietario che vuole atterrare un edificio sostenuto da un muro comune può rinunziare alla comunione di questo” (art. 883). È da osservare, in proposito, che mentre nei primi tre casi si tratta di attività consentite (lecite) al titolare rispetto al bene oggetto del suo diritto, nei rimanenti due si tratta di condotte del titolare cui l’ordinamento ricollega la produzione di specifiche conseguenze giuridiche (effetti giuridici): i due ordini di situazioni sono rispettivamente da qualificare, appunto, come facoltà e poteri. In relazione a quelli che l’art. 832 definisce – al fine di delineare il “contenuto del diritto” di proprietà – genericamente “diritti” del proprietario, allora, risulta più preciso parlare di facoltà di godimento e di potere di disposizione (tale intendendosi la possibilità riconosciuta al titolare di una situazione giuridica di porre in essere atti considerati dall’ordinamento idonei ad incidere su di essa, come, in particolare, estinguerla o trasferirla ad altri) 7. Il diritto soggettivo si presenta, dunque, quale situazione complessa, sintesi di facoltà e poteri. Proprio l’accrescersi di una simile complessità ha rappresentato il tratto forse più significativo dell’evoluzione recente della concezione della figura. Ciò soprattutto a seguito dell’abbandono di una visione tendente a guardare al diritto soggettivo nell’ottica di situazione di vantaggio attribuita incondizionatamente al soggetto ed esercitabile senza controlli, in quanto sfera di assoluta libertà riconosciuta alla volontà del soggetto stesso. Accanto alle facoltà ed ai poteri, ai fini della conformazione della posizione del titolare, così, si sono con sempre maggiore chiarezza evidenziati i relativi limiti, fino a giungere ad addossargli veri e propri obblighi, in vista della realizzazione di un socialmente opportuno contemperamento della situazione di vantaggio – che rappresenta per definizione il profilo qualificante del diritto soggettivo – con gli interessi degli altri soggetti che si trovano con lui in rapporto. Anche il medesimo diritto di proprietà, tradizionalmente espressione estrema del potere del titolare nei confronti degli altri consociati (e, in quanto tale, prototipo della figura del diritto soggettivo), già nel codice civile (art. 832), pur venendo configurato come situazione di massimo riconoscimento dell’interesse del soggetto rispetto ad un bene (“il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”), trova programmaticamente tutela solo “entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. E basta scorrere la disciplina della proprietà – a partire dal divieto degli atti d’emulazione (art. 833) e dalla delimitazione verticale della situazione del titolare (art. 8402) – per accorgersi come la previsione di limiti alle prerogative del proprietario abbia assunto una curvatura spiccatamente attenta a quella esigenza di salvaguardia di interessi altrui, di carattere particolare o generale, che è alla base, poi, addirittura dell’imposizione a suo carico di obblighi della più diversa natura (VI, 1.1) 8. Né meraviglia, allora, che pure – e forse a maggior ragione – con riguardo al diritto di credi7 Così, per fare un altro esempio, “l’usufruttuario può cedere il proprio diritto” (art. 9801) e “ha diritto di godere della cosa” (sia pure non illimitatamente: art. 9811): nel primo caso si dovrebbe parlare di potere (di produrre l’effetto giuridico di trasferire ad altri il diritto), mentre nel secondo di facoltà (di svolgere lecitamente un’attività di godimento del bene oggetto del diritto). 8 La Relaz. cod. civ., n. 386, evidenzia come “quell’aspetto di diritto-dovere, pur dichiarato nella definizione stessa (art. 832)” della proprietà, sia destinato, poi, ad emergere diversamente, a seconda del tipo di beni che ne costituisce oggetto, in vista della loro “differente funzione economico-sociale”.
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to, il creditore, titolare del diritto, sia assoggettato ad obblighi significativi, in vista della necessaria considerazione da prestare all’interesse del debitore (esemplare quello di correttezza: art. 1175) 9. L’evoluzione della concezione del diritto soggettivo, nel senso di una sempre maggiore attenzione per le esigenze di contemperamento degli interessi in conflitto, indubbiamente già palese negli orientamenti del codice civile, ha ricevuto un decisivo impulso – in una nuova prospettiva solidaristica – con l’avvento del sistema costituzionale, ispirato al principio della promozione di quella uguaglianza sostanziale tra i consociati (art. 32), irrealizzabile al di fuori dell’“adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2). Esplicita è l’allusione al perseguimento della funzione sociale, quale obiettivo della disciplina della proprietà (art. 422), così come la previsione di limiti, indirizzi e controlli all’iniziativa economica privata, in vista della salvaguardia della utilità sociale e della integrità della salute, dell’ambiente, della libertà e della dignità umana, nonché del relativo coordinamento a fini sociali e ambientali (art. 412-3, quale ora integrato ai sensi della L. cost. 11.2.2022, n. 1). Simili scelte dell’ordinamento costituiscono, in effetti, in una con il rispetto degli accennati valori fondamentali di solidarietà, lo sfondo di un’attività del legislatore e dell’interprete (in primo luogo, quindi, della giurisprudenza) indirizzata a definire il contenuto dei diritti di volta in volta riconosciuti al soggetto alla luce di una valutazione della meritevolezza degli interessi da tutelare, tale da evitare ogni ingiustificato – sul piano economico e sociale – sacrificio di interessi altrui.
4. Abuso del diritto. – Si è avuto modo di vedere come, nella prospettiva fatta propria dagli ordinamenti moderni, alla conformazione del contenuto del diritto soggettivo concorrano, accanto a facoltà e poteri, anche limiti e, addirittura, obblighi. È tramontata, insomma, l’idea che alla volontà del soggetto, in vista della tutela del suo interesse, debba essere assicurata una sfera di assoluta libertà e che a ciò risulti finalizzato, appunto, il riconoscimento di un corrispondente diritto soggettivo. Si è affermata, cioè, l’esigenza di tenere sempre presente la necessità di evitare il sacrificio degli interessi altrui al di là di quanto sia strettamente necessario alla soddisfazione dell’interesse proprio ritenuto meritevole di tutela. Questo ha posto in primo piano il problema dell’opportunità o meno della previsione di un espresso divieto dell’abuso del diritto, quale limite generale all’esercizio del diritto soggettivo, ovvero, in mancanza di previsione espressa, della sua ricostruzione in via interpretativa, sulla base dei principi di fondo dettati dal legislatore in ordine alle varie figure di diritto soggettivo. Quello in questione si atteggia, appunto, come limite di carattere generale, consistente nel ritenere consentiti al titolare esclusivamente modi di esercizio del diritto conformi allo scopo, in vista del cui perseguimento l’interesse del soggetto sia stato valutato come meritevole di tutela. In una tale prospettiva, quindi, al di fuori di ciò che risulti concretamente funzionale alla realizzazione di un simile scopo, gli atti di esercizio del diritto – in quanto finalizzati, in realtà, alla realizzazione di uno scopo diver9 Proprio l’espressa previsione di limiti di portata così generale del diritto soggettivo e di obblighi di indubbia rilevanza a carico del titolare induce a riflettere circa la configurabilità, pure nel quadro del nostro ordinamento, della figura dell’abuso del diritto, esaminata nel paragrafo successivo.
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so da quello favorevolmente valutato dall’ordinamento 10 – restano non coperti dalla garanzia apprestata all’interesse del soggetto con il riconoscimento di un corrispondente diritto soggettivo 11. Il nostro legislatore, a differenza di altri 12, nel codice civile non ha previsto, in maniera esplicita e generale, un simile divieto: il timore che ne potesse venire troppo compromessa la certezza del diritto ha indotto a ritenere preferibile la formulazione del divieto stesso specificamente a proposito dei singoli istituti. L’esigenza che è alla sua base, così, ha trovato ampio riscontro nella disciplina generale delle figure fondamentali di diritti soggettivi, con norme di portata tale da consentire, in sostanza, il perseguimento degli obiettivi avuti di mira proprio con il richiamo alla figura dell’abuso del diritto. Il riferimento è, innanzitutto, all’art. 833 (che prevede, per il proprietario, il divieto degli atti emulativi: V, 1.3), ma, forse più 13, all’art. 1175, che impone anche al creditore (oltre che al debitore) di comportarsi secondo le regole della correttezza: prescrizione, quest’ultima, cui si ricollega il costante richiamo alla buona fede, quale fondamentale criterio di condotta delle parti nelle diverse fasi della vicenda contrattuale (artt. 1337, 1358, 1366, 1375) (II, 7.5) 14. Ed è significativo che, nell’ordinamento in cui il divieto dell’abuso del 10 Anche in giurisprudenza ci si riferisce espressamente alla ricostruzione dottrinale dell’abuso del diritto, ritenuto consistere, appunto, “nell’esercitare il diritto per realizzare interessi diversi da quelli per i quali esso è riconosciuto dall’ordinamento giuridico” (Cass. 18-10-2003, n. 15482). Al riguardo, Cass. 18-9-2009, n. 20106 (in un’ottica condivisa, ad es., da Cass. 30-9-2021, n. 26541; Cass. 29-5-2020, n. 10324; Cass. 7-5-2013, n. 10568), parla di “utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal legislatore” (con la conseguenza di “una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrificio cui è soggetta la controparte”). 11 Il carattere funzionale del riconoscimento di poteri al soggetto si pone in termini diversi nel caso di relativa attribuzione per la tutela di interessi altrui (come si vedrà a proposito delle potestà: II, 3.7). In tale ipotesi, infatti, maggiormente scontata si presenta l’esigenza che l’esercizio dei poteri stessi resti strettamente vincolato allo scopo in vista della cui realizzazione essi risultano riconosciuti, predisponendo l’ordinamento gli strumenti di controllo ritenuti opportuni ad evitare ogni abuso in tal senso. Un discorso particolare sembra meritare pure il problema del controllo dell’esercizio dei diritti potestativi, almeno quando essi siano espressione di una posizione complessiva di supremazia di una delle parti: in relazione ad essi, non a caso, da un lato, lo stesso legislatore impone spesso, quale limite alla relativa discrezionalità, il perseguimento di determinate (verificabili) finalità; dall’altro, la giurisprudenza utilizza le potenzialità offerte dal richiamo al principio della buona fede contrattuale (II, 3.6 e 3.9). 12 Il codice civile svizzero del 1907 prevede espressamente che “il manifesto abuso del proprio diritto non è protetto dalla legge” (art. 22). Una esplicita previsione al riguardo era contenuta nel progetto, elaborato tra le due guerre (1928), di un codice unico italo-francese delle obbligazioni. Il progetto ministeriale del codice civile, nella parte generale (art. 7), disponeva che “nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per cui il diritto medesimo gli è riconosciuto”. In una prospettiva peculiare, al “divieto dell’abuso del diritto” allude l’art. 54 Carta dir. fond. U.E. 13 Il tenore letterale dell’art. 833, indiscutibilmente restrittivo del divieto degli atti emulativi (con la preclusione al proprietario dei soli atti i quali abbiano esclusivamente lo scopo di nuocere o molestare altri), potrebbe, in effetti, prestarsi ad un giudizio di cautela – se non del tutto negativo – circa l’accoglimento, da parte del nostro ordinamento, dell’esigenza di un controllo dell’esercizio dei diritti soggettivi nella prospettiva dell’abuso del diritto. Si ricordi come il divieto in questione (Schikaneverbot) trovi, in Germania, col § 226 BGB, una collocazione nel quadro delle regole generali concernenti l’esercizio del diritto, traendosene argomento, di conseguenza, per una generale configurabilità del divieto dell’abuso del diritto. 14 La giurisprudenza non manca di ricordare che “specifica ipotesi di violazione dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto viene considerata proprio l’abuso del diritto, individuato nel comportamento del contraente che esercita verso l’altro i diritti che gli derivano dalla legge o dal contratto per realizzare uno
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diritto ha trovato esplicito accoglimento (art. 22 cod. civ. svizzero), esso si presenti quasi corollario, appunto, del riferimento alla buona fede, quale criterio fondamentale cui deve essere sempre improntato l’esercizio dei propri diritti (oltre che l’adempimento dei propri obblighi) 15. È anche chiaro come la portata delle norme accennate 16 sia risultata decisamente esaltata dall’entrata in vigore della nostra Costituzione. Il relativo sistema si caratterizza, infatti, proprio per il ruolo riconosciuto alla solidarietà come regola basilare di comportamento per i consociati nei loro rapporti (art. 2 Cost.), anche in vista della realizzazione di un ordine sociale fondato su una effettiva uguaglianza (art. 3). Impostazione solidaristica, questa, la quale, già di per se stessa, è diffusamente ritenuta atta a influenzare la ricostruzione della posizione delle parti in ogni rapporto giuridico (II, 7.3). Essa, comunque, non può non costituire imprescindibile chiave di lettura delle disposizioni del codice civile e, ovviamente, soprattutto di quelle che già conferiscono, nell’esercizio dei diritti riconosciuti al soggetto, un peso decisivo alle esigenze di rispetto degli altrui interessi pure nel perseguimento dei propri 17. scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati” (Cass. 15482/2003). Sottolinea Cass. 20106/2009 che, se “la buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell’equilibrio e della proporzione”, “criterio rivelatore della violazione dell’obbligo di buona fede oggettiva è quello dell’abuso del diritto”: “i due principi si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti … e prospettando l’abuso la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per il quale essi sono conferiti”. 15 Per l’art. 21, infatti, “ognuno è tenuto ad agire secondo la buona fede così nell’esercizio dei propri diritti come nell’adempimento dei propri obblighi”. 16 Alla luce delle quali, insomma, pare consentito solo un esercizio del diritto rispettoso della salvaguardia degli interessi altrui, pur nella legittima ricerca della realizzazione del proprio interesse entro i limiti in cui sia reputato meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. Una simile prospettiva viene ritenuta operante anche in campo processuale, dato che il processo non potrebbe essere considerato “giusto” (ai sensi dell’art. 111 Cost.) “ove frutto di abuso, appunto, del processo, per esercizio dell’azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale, che segna il limite, oltreché la ragione dell’attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi” (Cass., sez. un., 15-11-2007, n. 23726, con riferimento al “frazionamento giudiziale di un credito unitario”). Al principio dell’abuso del diritto si è fatto ricorso, oltre che nella materia dei rapporti di lavoro (in particolare, in tema di condotta antisindacale del datore di lavoro, Cass. 8-9-1995, n. 9501; con riguardo ai comportamenti del lavoratore, Cass. 23-1-2016, n. 1248), anche in quella tributaria (in funzione antielusiva: Cass., sez. un., 23-10-2008, n. 30055; e v., in materia, l’art. 10 bis L. 27.7.2000, n. 212, concernente la “Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale”: VIII, 3.9). 17 L’idea che il “dovere (inderogabile) di solidarietà, ormai costituzionalizzato (art. 2 Cost.)”, valga a dare un senso preciso alla “osservanza del dovere di correttezza (art. 1175 cod. civ.), che si porge nel sistema come limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva, attiva o passiva”, onde evitare che “l’ossequio alla legalità formale non si traduca in sacrificio della giustizia sostanziale”, è energicamente affermata dalla giurisprudenza e applicata, in particolare, alla materia contrattuale, con il richiamo del “principio secondo cui ciascuno dei contraenti è tenuto a salvaguardare l’interesse dell’altro, se ciò non comporti un apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio” (Cass. 20-4-1994, n. 3775). Ripetutamente è stata evidenziata la rilevanza da accordare, nei rapporti negoziali, ad “un concorrente dovere di solidarietà nei rapporti intersoggettivi (art. 2 Cost.)” (Cass. 24-9-1999, n. 10511), alla luce del quale la clausola generale della buona fede e correttezza si traduce nel “dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell’interesse della controparte” (Cass. 15-3-2004, n. 5240). La “regola di correttezza e buona fede” è senz’altro intesa, insomma, come “specificativa (nel contesto del rapporto obbligatorio) degli ‘inderogabili doveri di solidarietà’, il cui adempimento è richiesto dall’art. 2 Cost.” (Cass. 23726/2007), fino a ritenersi, portando alle estreme – non da tutti condivise – conseguenze una simile prospettiva, che “il precetto dell’art. 2 Cost.” entri “direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale, nella misura in cui non collida con
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Alla luce della presenza e della centralità di simili principi nell’ordinamento, non si è mancato di concludere, da parte di taluni, come ormai addirittura superato si possa considerare il problema della autonoma rilevanza dell’abuso del diritto (in quanto il contenuto stesso del diritto soggettivo ne risulterebbe conseguentemente in ogni caso delimitato) 18. Certo è, comunque, come si presenti difficilmente contestabile che, ai fini del giudizio di legalità del comportamento del titolare del diritto, il sacrificio degli interessi altrui non si possa spingere al di là di quanto necessario alla realizzazione dello scopo, in vista del quale il diritto risulti attribuito, dato che solo in considerazione di un simile scopo l’ordinamento ha bilanciato gli interessi in conflitto 19. Ed è pure chiaro come la valutazione del comportamento stesso debba avvenire tenendo conto delle circostanze concrete in cui il soggetto si trovi ad operare, senza alcuna possibilità, per il soggetto medesimo, di approfittarne, invocando un formalistico ossequio delle prerogative presuntamente inerenti al suo diritto 20.
5. Tipologia dei diritti soggettivi (e corrispondenti situazioni giuridiche soggettive passive: dovere e obbligo). – La categoria del diritto soggettivo, si è visto, rappresenta il risultato dello sforzo tendente ad una ricostruzione in chiave unitaria delle situazioni in cui l’ordinamento garantisce al soggetto piena e diretta tutela del suo interesse relativamente a un bene. Situazioni la cui varietà dipende, ovviamente, dalla diversità degli interessi che l’ordinamento reputa meritevoli di tutela e dalla conseguente diversità delle modalità di realizzazione che li contraddistingue. In considerazione di una simile varietà, sulla base del peculiare atteggiarsi degli interessi e dei relativi modi di tutela, soprattutto con riferimento alle situazioni soggettive passive correlate nel rapporto, sono correntemente prospettate talune distinzioni di fondo e operate corrispondenti l’interesse proprio dell’obbligato” (Corte cost. ord. 2-4-2014, n. 77). Di recente, in una simile prospettiva, Cass. 14-6-2021, n. 16743 ha ritenuto “la Verwirkung” – intesa come “consumazione dell’azione processuale” – “nel senso appunto di abuso del diritto … istituto idoneo a venire in gioco anche nel nostro ordinamento” (con riferimento all’esercizio repentino del diritto – nella specie, richiesta dei canoni di locazione pregressi da parte del locatore – nonostante una “assoluta inerzia nell’escutere il conduttore”, caratterizzata da durata “assai considerevole … e suffragata da elementi circostanziali oggettivamente idonei a ingenerare nel conduttore una remissione del diritto di credito”). 18 In tale prospettiva, i comportamenti non rispettosi dell’esigenza solidaristica si collocherebbero, infatti, senz’altro al di fuori dall’area di quelli consentiti al titolare, in quanto appunto del tutto estranei al contenuto del diritto: il relativo compimento non costituirebbe, quindi, neppure esercizio del diritto, eventualmente da valutare in termini di abuso del diritto. Non si tratterebbe, insomma, di uno sviamento (abuso) del diritto, ma di un eccesso dal diritto. 19 Anche con riferimento alla proprietà, riguardo alla quale la norma dell’art. 833 sembrerebbe, come accennato, restringere le possibilità di controllo sull’esercizio del diritto, non è da dimenticare come il principio di solidarietà si rifletta nella previsione della relativa funzione sociale: questa, rappresentando l’obiettivo da perseguire costantemente nella sua disciplina (art. 422 Cost.), pare di conseguenza costituire anche imprescindibile criterio di valutazione dei comportamenti del titolare. 20 Si tenga presente come la circostanza rappresentata dalla situazione di inferiorità, sul mercato, di una delle parti del rapporto tenda ad essere assunta – nell’ottica della repressione di comportamenti abusivi – a fondamento di espressi interventi riequilibratori dell’ordinamento, come quelli diretti a vietare l’abuso di posizione dominante (art. 3 L. 10.10.1990, n. 287) e l’abuso di dipendenza economica (art. 9 L. 18.6.1998, n. 192). In un simile contesto, Cass. 20106/2009 allude alla più generale necessità che “il controllo e l’interpretazione dell’atto di autonomia privata” sia condotto “tenendo presenti le posizioni delle parti, al fine di valutare se posizioni di supremazia di una di esse e di eventuale dipendenza, anche economica, dell’altra siano stati forieri di comportamenti abusivi, posti in essere per raggiungere i fini che la parte si è prefissata”.
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
classificazioni (pur con inevitabili varianti terminologiche e concettuali nella loro delineazione, in quanto frutto di elaborazione dottrinale). a) Una prima fondamentale (e preliminare) distinzione, basata sulla natura degli interessi considerati meritevoli di tutela, è quella tra diritti patrimoniali e diritti non patrimoniali, a seconda della relativa valutabilità o meno in termini economici. È da tenere presente che, tradizionalmente, il sistema del diritto privato è stato costruito essenzialmente con riguardo ai diritti patrimoniali, caratterizzati da un valore di scambio, allo scopo di regolare gli interessi economici ed i traffici che li concernono, solo di recente prestandosi sempre maggiore attenzione alle esigenze di tutela degli interessi personali. Proprio ciò ha costretto, da una parte, a elaborare nuovi strumenti di tutela, maggiormente idonei ad assicurare il soddisfacimento di simili interessi (come si vedrà a proposito della tutela dei diritti della personalità: IV, 2.3), dall’altra, ad adattare quelli tradizionali come il risarcimento del danno (con riferimento, in particolare, al problema del danno alla persona: X, 2.4). Carattere patrimoniale hanno il diritto di proprietà (nonché i diritti reali che su di esso si modellano) e i diritti di credito 21, mentre carattere non patrimoniale hanno i diritti finalizzati ad assicurare la tutela e lo sviluppo della persona (diritti della personalità), anche nelle relazioni familiari (diritti familiari). I diritti di natura personale non sono riconosciuti in considerazione del loro valore di scambio e, quindi, non fanno parte del patrimonio del soggetto (formato, appunto, dai diritti patrimoniali: II, 2.9), restando estranei, come tali, alla responsabilità patrimoniale del debitore (art. 27401). Anche quando essi presentano risvolti economicamente apprezzabili, come il diritto agli alimenti (V, 1.7), la natura personale dell’interesse in vista della cui realizzazione sono funzionalmente disciplinati ne condiziona, in modo decisivo, il regime, diversificandolo da quello dei diritti patrimoniali (basti pensare ai relativi caratteri di imprescrittibilità, irrinunciabilità, incedibilità e impignorabilità). b) Sotto il profilo strutturale, la distinzione di fondo si ritiene correntemente essere tra diritti assoluti e diritti relativi. Essa deriva, in sostanza, dalla generalizzazione della contrapposizione, in campo patrimoniale, tra il modello della proprietà (e degli altri diritti reali) e il modello dei diritti di credito. La distinzione si basa sul diverso modo in cui la posizione del soggetto titolare del diritto (soggetto attivo) si correla, nel rapporto, con la posizione di chi (soggetto passivo) col suo comportamento deve consentire la realizzazione dell’interesse che l’ordinamento ha reputato meritevole di tutela, collocandolo in posizione sovraordinata 22. 21
L’art. 1174, a proposito del rapporto obbligatorio, prevede che l’interesse del creditore possa essere anche non patrimoniale. La patrimonialità del diritto di credito deriva dal dover risultare la prestazione, oggetto dell’obbligazione, comunque “suscettibile di valutazione economica”. Il carattere della non patrimonialità dell’interesse resta, quindi, estraneo alla struttura del rapporto, non influenzandone il regime, disciplinato, piuttosto, in considerazione del valore economico che la prestazione assume secondo le correnti valutazioni sociali (sulla relativa problematica, VII, 1.7). 22 La distinzione in questione si proietta, secondo l’impostazione concettuale tradizionale, in quella dei modelli di responsabilità operanti in caso di violazione del diritto da parte del soggetto passivo del rapporto: responsabilità extracontrattuale (o aquiliana) per i diritti assoluti, responsabilità contrattuale per i diritti relativi. Il riconoscimento della c.d. tutela aquiliana dei diritti di credito ha indubbiamente inciso, almeno entro certi limiti, sulla armonica simmetria di un simile impianto logico (X, 1.4).
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
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Nel diritto assoluto, la realizzazione dell’interesse del titolare del diritto è assicurata dal dovere della generalità dei consociati di astenersi dall’interferire nell’esercizio delle prerogative (facoltà, poteri) riconosciute dall’ordinamento relativamente al bene. La caratteristica del diritto assoluto è individuata, quindi, nel potere del titolare di pretendere, da parte della generalità dei consociati, l’osservanza di un dovere negativo di rispetto, con conseguente possibilità di far valere la propria posizione nei confronti di tutti i consociati stessi (erga omnes) 23. Il titolare del diritto assoluto, insomma, non ha bisogno di una specifica attività di cooperazione altrui per realizzare il proprio interesse, in quanto egli lo realizza direttamente da sé (immediatezza). Per questo, nel tipo di situazione in questione, il rapporto si ritiene, da parte di taluni, intercorrere tra il soggetto (titolare del diritto) ed il bene. In realtà, anche se, indubbiamente, la posizione soggettiva passiva appare qui piuttosto sfumata, in quanto – almeno fino al momento dell’eventuale violazione – indeterminata, non si può trascurare che è pur sempre un comportamento altrui (sia pure di mera astensione da ingerenze) che consente l’attività realizzativa del proprio interesse da parte del titolare, risultando, così, sussistente il carattere intersoggettivo del rapporto. Ciò vale quale che sia la natura del bene, l’interesse al quale viene dall’ordinamento tutelato erga omnes: anche ove si tratti, cioè, non di un bene materiale, ma di un bene immateriale (II, 2.1), ovvero di un profilo della stessa personalità (fisica o morale) del titolare del diritto. La categoria dei diritti assoluti, nella sua corrente configurazione, vale, infatti, ad abbracciare – proprio per il peculiare atteggiarsi delle modalità di realizzazione dell’interesse del titolare e della conseguente struttura del rapporto e delle situazioni giuridiche soggettive in esso correlate – la proprietà (e, in genere, i diritti reali), i diritti sui beni immateriali (che risultano storicamente ricostruiti cercando di adattare il modello dei diritti reali alla particolare natura del bene, in quanto pur sempre preso in considerazione come fonte di utilità economiche) e i diritti della personalità. Nel diritto relativo, invece, la realizzazione dell’interesse del titolare è assicurata dall’obbligo di osservare uno specifico comportamento da parte del soggetto passivo, come tale preventivamente determinato. La caratteristica del diritto relativo è individuata, quindi, nel potere del titolare, nei confronti di un determinato soggetto passivo, di pretendere l’osservanza dell’obbligo di comportamento su di lui gravante, con conseguente possibilità di fare valere la propria posizione specificamente nei suoi confronti (in personam) 24. Il titolare del diritto relativo, quindi, ha bisogno, per realizzare il suo interesse, di una specifica attività di cooperazione da parte del (predeterminato) soggetto passivo del rap23
In relazione alla situazione passiva correlata, nel rapporto, a quella del titolare del diritto assoluto si tende, quindi, a utilizzare in un senso tecnicamente preciso la terminologia di dovere. Si ricordi come, peraltro, il termine dovere sia da taluni impiegato per identificare genericamente la posizione di subordinazione del soggetto passivo nel rapporto giuridico, in contrapposizione alla titolarità del diritto da parte del soggetto attivo (mentre altri preferiscono parlare, al riguardo, pure utilizzando il termine in un’accezione generale, di obbligo). Di recente, Cass. 13-10-2015, n. 20560, ha contrapposto al concetto di (“generico”) “dovere” (quale “obbligo di comportamento imposto al fine del soddisfacimento di esigenze di carattere generale”) quello di (“vero e proprio”) “obbligo” (quale “dovere specifico”, finalizzato “alla realizzazione di un particolare interesse di un soggetto determinato: sacrificio di un interesse proprio per il soddisfacimento di un interesse altrui”). 24 Il carattere relativo del diritto non muta nel caso di eventuale pluralità di soggetti passivi nel rapporto, restandone immutata la struttura. È da tenere presente, poi, come l’obbligo di comportamento del soggetto passivo possa anche avere carattere negativo e consistere, quindi, in un non fare.
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
porto. È per questo che si ritiene da taluni attagliarsi solo alle situazioni di tipo relativo l’idea di rapporto giuridico, almeno se inteso in senso intersoggettivo. Non si manca anche di contrapporre ai diritti assoluti, quali situazioni finali, i diritti relativi, quali situazioni strumentali, in quanto mezzo per conseguire un bene, già a disposizione del titolare, invece, nei primi, a prescindere dall’altrui cooperazione. La categoria dei diritti relativi, nella sua corrente configurazione, abbraccia, oltre ai diritti di credito (o di obbligazione), contraddistinti dalla valutabilità in termini economici del comportamento dovuto, pure situazioni caratterizzate da uno specifico dovere di comportamento di natura strettamente personale di un soggetto determinato, atto a realizzare l’interesse (ovviamente non patrimoniale) del titolare del diritto, come si ritiene verificarsi, in particolare, in campo familiare (art. 1432, relativamente agli obblighi – di fedeltà, di assistenza, di collaborazione, di coabitazione – reciproci dei coniugi) 25. c) In campo patrimoniale, come si è avuto dianzi modo di accennare, la distinzione tra diritti assoluti e diritti relativi si concretizza in quella – di cui, del resto, ha costituto storicamente, in buona sostanza, una generalizzazione – tra diritti reali (a loro volta modellati sulla proprietà) e diritti di credito. La caratteristica dei diritti reali è quella di attribuire al titolare un potere immediato su una cosa 26, consentendogli di realizzare, così, direttamente il suo interesse, attraverso l’esercizio delle facoltà e dei poteri conferiti dall’ordinamento rispetto alla cosa stessa (immediatezza del diritto reale). Tale realizzazione non necessita, quindi, della collaborazione di alcuno, a tutti i consociati essendo imposto – in quanto diritti assoluti – il dovere (negativo) di astenersi dal turbarne l’esercizio. Proprio in considerazione della peculiare posizione riconosciuta al titolare del diritto reale rispetto alla cosa che ne costituisce oggetto e del conseguente stretto collegamento tra situazione giuridica soggettiva e cosa stessa, si parla anche di inerenza del diritto reale alla cosa. Ciò vale a connotare l’azione a sua difesa quale azione reale (actio in rem), in quanto indirizzata contro chiunque turbi l’esercizio delle prerogative del titolare sulla cosa, che può essere perseguita, per consentire il ripristino di tali prerogative, nelle mani di chiunque essa si venga a trovare (diritto di seguito). L’inerire i diritti reali alla cosa, conformando stabilmente l’assetto delle utilità che è consentito trarne, rappresenta la giustificazione, di radice economica, del principio di tipicità dei diritti reali (i quali si ritengono tradizionalmente costituire, di conseguenza, un numero chiuso, limitato, cioè, alle sole figure espressamente disciplinate dal legislatore, evidentemente a seguito di un giudizio di bilanciamento tra le posizioni riconosciute rispetto alla cosa stessa, soprattutto con riguardo al rapporto, con riferimento ad essa, tra il diritto di proprietà e gli altri diritti reali: VI, 3.1). 25 Proprio alla luce della terminologia impiegata nell’art. 143 e altrove (ad es., artt. 147 e 315 bis, con riguardo ai figli), prevale la tendenza a parlare, con riferimento alle situazioni passive correlate a diritti relativi concernenti comportamenti di natura strettamente personale, di doveri o di obblighi, riservando il termine obbligazioni ai soli rapporti di carattere patrimoniale. Di obbligo o dovere si parla, in particolare, pure a proposito della contribuzione ai bisogni della famiglia, cui sono tenuti i coniugi (art. 1433) ed eventualmente i figli (art. 315 bis4), in considerazione, più che dei relativi indubbi risvolti economici, della sua funzionalità a realizzare valori personali nel nucleo familiare (V, 2.9-10). 26 La definizione di reali, evidentemente, deriva ai diritti qui in esame dal loro riferimento, appunto immediato, ad una cosa (in latino, res).
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
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La proprietà si presenta come prototipo – tanto sul piano storico, quanto su quello concettuale – dei diritti reali (VI, 1.1-2). Significativamente, gli altri diritti reali, che si risolvono in una compressione della proprietà (come si coglie, del resto, dalla loro definizione quali diritti su cosa altrui: iura in re aliena), vengono qualificati, proprio in contrapposizione alla pienezza caratterizzante la proprietà, limitati (ovvero anche parziari o minori) (VI, 3.1). Essi si distinguono correntemente, a seconda dell’interesse in vista del quale il potere (immediato) sulla cosa risulta garantito dall’ordinamento, in diritti reali di godimento (superficie, usufrutto, servitù prediali, ecc.) e diritti reali di garanzia (pegno, ipoteca). Sul piano sistematico, mentre l’esame dei primi viene accostato a quello della proprietà, quello dei secondi – di cui non si manca diffusamente di negare l’omogeneità rispetto ai primi – è preferibilmente operato in connessione con il tema dell’obbligazione, in vista del cui adempimento risultano sostanzialmente strumentali. I diritti di credito (o di obbligazione) – in quanto diritti relativi (il cui concetto, del resto, risulta ricostruito tenendo essenzialmente presente proprio la categoria dei diritti di credito) – si caratterizzano per la pretesa che il titolare (creditore) ha nei confronti di uno o più soggetti determinati (obbligato/i o debitore/i) a che questi tengano uno specifico comportamento positivo o negativo (prestazione), suscettibile di valutazione economica (1174). È proprio (ed esclusivamente) tale comportamento che vale a soddisfare l’interesse del titolare del diritto, il quale, quindi, necessita della cooperazione del soggetto tenuto al comportamento stesso. All’immediatezza del diritto reale si contrappone, così, la mediatezza del diritto di credito, solo il comportamento del soggetto passivo permettendo la realizzazione dell’interesse considerato dall’ordinamento meritevole di tutela 27. L’azione a tutela del titolare (creditore), proprio perché indirizzabile esclusivamente nei confronti del soggetto passivo (debitore), il solo comportamento del quale vale a consentire la realizzazione dell’interesse dedotto nel rapporto obbligatorio, ha carattere personale (actio in personam) 28. È da tenere presente come l’accresciuta importanza dei diritti di credito nelle economie moderne – per la loro maggiore duttilità e conseguente funzionalità alle esigenze di una economia complessa e dinamica – abbia finito, nel passaggio dal codice civile del 1865 a quello del 1942, con lo spostare il baricentro della disciplina dei rapporti patrimoniali dalla proprietà (e diritti reali) alla obbligazione.
27 Questo vale anche per i c.d. diritti personali di godimento, nei quali l’accesso al godimento della cosa da parte del titolare e l’esercizio delle relative facoltà vengono considerati dall’ordinamento pur sempre mediati dal comportamento di chi si sia impegnato a mettere la cosa stessa a sua disposizione. Esemplare, al riguardo, è la differenza tra la configurazione dell’usufrutto e della locazione: nel primo caso, nella prospettiva propria del diritto reale, il titolare trae direttamente dalla cosa le utilità consentite (981 e 982); nel secondo, il godimento (iniziale e successivo) della cosa da parte del titolare è assicurato attraverso l’assolvimento degli obblighi a ciò specificamente finalizzati del locatore (1571 e 1575), presentandosi, quindi, la relativa posizione del titolare dipendente dalla sua. Peraltro, non si è mancato di sottolineare come profili di tutela erga omnes della posizione del titolare – tali da rendere alquanto ibrida la figura – risultino, in particolare, dal potere costui agire direttamente nei confronti delle molestie di terzi (che non accampino diritti sulla cosa: 15852). 28 Ciò non esclude che, rappresentando indubbiamente il diritto di credito un valore nel patrimonio del creditore, si ritenga, ormai da tempo, che costui trovi tutela anche contro comportamenti di soggetti estranei al rapporto, tali, però, da impedire la realizzazione del suo interesse. Si tratta della già accennata problematica della c.d. tutela aquiliana dei diritti di credito (X, 1.4).
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
6. Diritto potestativo. – Le precedenti classificazioni in tema di diritti soggettivi non sono sembrate tali da dar conto della peculiarità della posizione in cui si trova il soggetto, quando gli sia conferito dal legislatore il potere di determinare unilateralmente la modificazione di una situazione giuridica, realizzando così senz’altro il suo interesse. È stata, di conseguenza, individuata ed elaborata – dalla dottrina tedesca – una categoria, quella dei diritti potestativi, i cui caratteri (se non, addirittura, la loro stessa configurabilità quali veri e propri diritti soggettivi), peraltro, restano persistentemente materia di discussione. L’essenza della figura del diritto potestativo è da ricercare, come accennato, nel potere riconosciuto al soggetto di incidere su una situazione giuridica – costituendola, modificandola o estinguendola – con una propria manifestazione unilaterale di volontà 29. Il carattere particolarmente energico della tutela dell’interesse del soggetto cui sia conferito un simile potere risulta chiaro ove si tenga presente la correlatività, nel rapporto giuridico, tra ogni situazione giuridica soggettiva attiva e la corrispondente situazione giuridica soggettiva passiva. Al potere conferito al soggetto titolare del diritto potestativo corrisponde, infatti, una posizione di soggezione del soggetto passivo, che si trova nella condizione di essere costretto a subire, nella sua sfera, gli effetti giuridici derivanti dall’esercizio del diritto potestativo: la modificazione, cioè, deriva senz’altro dall’iniziativa del titolare del diritto. L’interesse di quest’ultimo, insomma, non si realizza attraverso un comportamento altrui (sia pure solo di doverosa astensione dal turbamento della posizione attribuita al titolare, come nei diritti assoluti), secondo quanto accade nelle altre ipotesi di diritto soggettivo: il risultato vantaggioso avuto di mira dal titolare viene ottenuto direttamente, quale conseguenza immediata della sua manifestazione di volontà. Proprio in dipendenza di ciò risulta del tutto indifferente l’atteggiamento del soggetto passivo esposto agli effetti determinati dall’esercizio del diritto potestativo, nulla dovendo (ma neppure potendo) fare, se non, appunto, soggiacere al potere del titolare del diritto 30. Le ipotesi ascritte alla categoria del diritto potestativo sono numerose. Un esempio è quello offerto dall’art. 874, concernente la comunione forzosa sul muro di confine: l’effetto costitutivo della situazione di comunione deriva immediatamente dall’iniziativa del proprietario del fondo contiguo al muro, non potendo l’originario proprietario esclusivo del muro fare altro che soggiacere ad un simile effetto 31. Analogamente si atteggiano il diritto di affrancazione del fondo che compete all’enfiteuta (art. 971), il diritto di prelazione eventualmente conferito dalla legge (prelazione legale, come negli artt. 230 bis5 e 732), ovvero, in materia contrattuale, indicativamente, il diritto di riscatto del venditore, in caso di vendita con patto di riscatto (art. 1500), il diritto di recesso unilaterale attri29 In considerazione di una simile configurazione della situazione del titolare, si è ricorsi anche all’espressione di diritti formativi o costitutivi, così traducendosi l’originario termine tedesco (Gestaltungsrechte). Dato il peso che assume la discrezionalità del titolare in ordine al relativo esercizio, si tende anche a parlare di diritti discrezionali. 30 In considerazione del fatto che il diritto potestativo inerisce ad una relazione tra soggetti determinati, esso si è ritenuto assimilabile ai diritti relativi. Si tratta, comunque, di un mero accostamento, dato che, come si è visto, manca qui quella situazione di obbligo (di cooperazione) del soggetto passivo, caratterizzante i diritti relativi, in quanto l’interesse del soggetto attivo si realizza del tutto indipendentemente dal suo comportamento. 31 È da sottolineare che nell’art. 874 (come spesso risulta contestualmente previsto in caso di attribuzione di diritti potestativi) si ritiene contemplato anche un onere (quello, in particolare, del pagamento di una somma di danaro) a carico del soggetto che intenda esercitare il diritto potestativo di rendere comune il muro di confine.
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
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buito ad una delle parti (art. 1373), il diritto di opzione (art. 1331), il diritto di avvalersi della clausola risolutiva espressa (art. 1456). In tutti questi casi, infatti, l’effetto giuridico avuto di mira dal titolare del diritto potestativo consegue alla sua manifestazione unilaterale di volontà, restandone la controparte semplicemente assoggettata 32. Dagli esempi fatti sembra anche confermata l’idea che i diritti potestativi presentino effettivamente un carattere di accessorietà rispetto ad un rapporto o diritto principale (risultandone, quindi, possibile il trasferimento solo contestualmente alla situazione cui accedono). Resta controverso se siano annoverabili tra i diritti potestativi pure quelle situazioni in cui la produzione dell’effetto, atto a soddisfare l’interesse del titolare, non consegue immediatamente ad una sua manifestazione di volontà, ma richiede una pronuncia giudiziale, sia pure su iniziativa del titolare stesso (il cui potere consiste e si esaurisce, quindi, nella possibilità di proporre la relativa domanda) 33. Esempio corrente è quello del diritto di ottenere la costituzione di una servitù coattiva (art. 1032): in caso di disaccordo, tale effetto deriva da una sentenza (costitutiva), pronunciata su iniziativa del soggetto che si trova nelle condizioni stabilite dalla legge. Altra ipotesi viene individuata nel potere riconosciuto a ciascuno dei partecipanti di domandare lo scioglimento della comunione (art. 1111). Nella stessa prospettiva, poi, sono prese in considerazione le azioni di impugnazione del contratto, come quelle di annullamento (art. 1441) e di risoluzione per inadempimento (art. 1453).
7. Potestà. – Caratteristica costante (e fondamentale) delle situazioni giuridiche soggettive attive sin qui considerate è quella di comportare l’attribuzione di poteri per la soddisfazione di interessi propri di coloro cui risultano attribuite. Talvolta, però, un pote32 Talvolta, a tutela della controparte, nelle situazioni caratterizzate da una posizione – secondo la valutazione fattane dal legislatore – di istituzionale supremazia di uno dei soggetti nel rapporto, la discrezionalità che caratterizza l’esercizio del diritto potestativo viene normativamente limitata, risultando espressamente subordinata alla ricorrenza di talune condizioni. Così, ad es., la disdetta del contratto di locazione da parte del locatore presuppone, in taluni casi, la sussistenza di sue esigenze abitative o di altre sue specifiche necessità (artt. 29 L. 27.7.1978, n. 392 e 3 L. 9.12.1998, n. 431). Nella medesima prospettiva, la ricorrenza di una giusta causa è richiesta per il licenziamento del lavoratore da parte del datore di lavoro (art. 1 L. 15.7.1966, n. 604). Sul piano giudiziale, poi, evidentemente in mancanza di più puntuali criteri legislativi finalizzati a delimitare la discrezionalità del titolare nell’esercizio del suo diritto, si presenta estesamente utilizzato, a fini di controllo dei poteri discrezionali, il richiamo al principio generale della buona fede contrattuale. Alla luce di tale principio tende, così, ad essere controllata la discrezionalità dell’imprenditore nell’esercizio dei suoi poteri nei confronti dei lavoratori: ad es., in relazione alla scelta di quelli da collocare in mobilità, è stata evidenziata la necessità di “valutare l’esecuzione del contratto a norma della disposizione generale dell’art. 1375 c.c.” (Cass. 9-9-2000, n. 11875). Anche in ambito associativo la giurisprudenza si mostra diffusamente orientata nel senso di controllare l’esercizio dei poteri di supremazia, facendo applicazione del principio in questione: in particolare, ne è stato dedotto il carattere di illegittimità della delibera assembleare, pur formalmente regolare, “adottata a proprio esclusivo vantaggio dai soci di maggioranza di una società di capitali in danno di quelli di minoranza” (Cass. 26-10-1995, n. 11151; Cass. 11-6-2003, n. 9353). In via generale, Cass. 18-9-2009, n. 20106, reputa necessario un controllo – secondo “i principi della buona fede oggettiva e dell’abuso del diritto” – dell’esercizio del convenuto potere di recesso, affinché esso, in presenza di “provata disparità di forza tra i contraenti”, non si trasformi “in un recesso arbitrario” (v. anche, ad es., Cass. 29-5-2020, n. 10324 e, in relazione ai rapporti bancari, ad es., Cass. 24-8-2016, n. 17291, nonché, sempre nell’ottica della valorizzazione del “principio di buona fede, sancito dall’art. 1375 c.c.”, Cass. 22-12-2020, n. 29317, con riguardo al recesso ad nutum della banca dal rapporto di apertura di credito). 33 Al riguardo, si parla, per distinguerli dagli altri diritti potestativi, di diritti potestativi giudiziali, sulla scia di una analoga distinzione terminologica operata dalla dottrina tedesca (Gestaltungsklagerechte).
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
re è riconosciuto al soggetto in vista della tutela e realizzazione di un interesse altrui. Tale peculiare situazione giuridica soggettiva è usualmente definita potestà 34. Un potere del genere può essere conferito dallo stesso titolare dell’interesse in gioco, come accade nel caso della rappresentanza diretta, nella quale al rappresentante è attribuito dal rappresentato il potere di concludere un contratto, destinato a produrre i suoi effetti direttamente nel patrimonio di quest’ultimo (art. 1388) (VIII, 8.2). I casi di maggiore interesse, comunque, anche per la complessità delle situazioni che ne derivano, sono però quelli in cui è la legge a conferire un tale potere: ciò avviene, in particolare, quando sussistono peculiari esigenze di tutela di interessi che, altrimenti, ne resterebbero privi. Esempi significativi di una simile situazione sono quelli della tutela (artt. 343 ss.) (IV, 1.9) e della responsabilità genitoriale (artt. 316 ss., secondo la impostazione del rapporto tra genitori e figli privilegiata – già sul piano terminologico col superamento del previgente riferimento alla potestà dei genitori – dalla L. 10.12.2012, n. 219, nonché sviluppata nel D.Lgs. 28.12.2013, n. 154, destinato ad attuarne i principi) (IV, 1.8 e V, 4.9). L’attribuzione del potere nell’interesse altrui determina una rilevante deviazione nei modi di esercizio del potere medesimo, rispetto ai casi in cui esso sia esercitato dal medesimo titolare dell’interesse da soddisfare. L’esercizio del potere, infatti, non si presenta, secondo quanto accade in genere, libero, bensì vincolato, appunto, alla realizzazione dell’interesse, in vista della cui realizzazione è attribuito. Ciò comporta l’evidente esigenza di prevedere forme di controllo dell’esercizio del potere (secondo modalità ovviamente diverse, quale riflesso della diversità delle singole situazioni). Nell’ipotesi della rappresentanza diretta, così, il titolare dell’interesse su cui il potere (di rappresentanza) è destinato ad incidere può reagire, chiedendone l’annullamento, contro gli atti di esercizio abusivo dello stesso, come si verifica in caso di contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi col rappresentato (art. 1394) e di contratto del rappresentante con se stesso (art. 1395). Ove, poi, poteri vengano conferiti dalla legge per la tutela di interessi altrui nel quadro di un rapporto intersoggettivo complesso e destinato a durare nel tempo, come è caratteristico delle accennate potestà disciplinate in vista della protezione di soggetti incapaci (quali il minore o l’interdetto), il controllo sul relativo esercizio, oltre (e, forse, più) che riguardare singoli atti (come nel caso di conflitto di interessi: artt. 3206, 321, 323, 3601, 378), tende a coinvolgere, complessivamente, l’attività del soggetto cui la potestà è attribuita. La relativa investitura, infatti, avviene in vista della prioritaria esigenza di tutelare interessi che l’ordinamento reputa a tal punto rilevanti, da volerne assicurare comunque un’adeguata protezione. L’esercizio dei poteri connessi alla potestà viene ad assumere, di conseguenza, per il soggetto cui essa è attribuita, un carattere di vera e propria doverosità 35: è questo il moti34 Non vi è dubbio che, risolvendosi comunque nell’attribuzione di un potere al soggetto (sia pure con le precisazioni di seguito accennate), la potestà sia da considerare quale situazione giuridica soggettiva attiva. La relativa problematica si ricollega al controverso concetto di legittimazione, correntemente intesa quale potere riconosciuto al soggetto di agire con effetti su una determinata situazione giuridica (propria o altrui), disponendo degli interessi in essa coinvolti (VIII, 2.1). 35 È da sottolineare come un simile carattere di doverosità si ritenga riguardare anche la stessa assunzione della potestà, come si avrà modo di vedere esaminando le singole ipotesi.
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vo per cui situazioni di questo tipo vengono correntemente identificate pure in termini di potere-dovere o di ufficio di diritto privato (munus). Del tutto coerente, allora, nella regolamentazione di simili situazioni, si presenta la previsione della possibile rimozione del soggetto dalla titolarità della potestà, in caso di relativo esercizio tale da pregiudicare il soggetto i cui interessi sono in gioco. Esemplare, in tale prospettiva, si presenta l’articolato controllo sulla responsabilità genitoriale, fino alla possibile pronuncia della decadenza da essa (art. 330) 36, quando non siano sufficienti misure di minore gravità (quali quelle previste negli artt. 333 e 334). E particolarmente significativa risulta, in proposito, l’estensione della possibilità di richiesta di un simile controllo anche al pubblico ministero (art. 3361) 37.
8. Aspettativa. – Dalla situazione giuridica di diritto soggettivo si distingue la situazione di aspettativa, quando i requisiti che l’ordinamento pone per il sorgere del diritto soggettivo stesso (e la relativa attribuzione al soggetto) non si siano ancora completamente realizzati (quando, cioè, secondo l’impostazione concettuale corrente, non sono ancora presenti tutti gli elementi della fattispecie costitutiva). Quella di aspettativa può essere considerata, a sua volta, una situazione giuridica soggettiva, sia pure diversa dal diritto soggettivo al cui sorgere risulta preordinata. Ciò avviene ove (ed entro i limiti in cui) l’ordinamento riconosca al soggetto, in considerazione dell’essersi già realizzati taluni degli elementi necessari per il sorgere del diritto soggettivo, una qualche tutela del suo interesse a vedere completata la fattispecie costitutiva del diritto avuto di mira. Si tratta, quindi, per definizione, di una tutela e di una situazione giuridica di natura provvisoria e meramente strumentale all’acquisto, da parte del soggetto, della titolarità di un diritto, in quanto destinate a venire comunque meno o con il sorgere del diritto o con la definitiva interruzione del procedimento di formazione della fattispecie costitutiva del diritto stesso 38. Affinché si possa parlare di aspettativa, nel senso accennato (aspettativa giuridica o di diritto), occorre, dunque, che l’ordinamento consideri già attualmente meritevole di tutela un interesse del soggetto (quello, cioè, al regolare svolgimento del procedimento di formazione della fattispecie acquisitiva del diritto). Diversa è la situazione di mera speranza di un futuro diritto, ove l’ordinamento non consideri attualmente meritevole di tutela un interesse del soggetto, non essendosi ancora realizzato alcuno degli elementi della fattispecie costitutiva del diritto (ovvero la realizzazione degli elementi della fattispecie apparendo ancora insufficiente, in vista del riconoscimento di una qualche tutela del soggetto). Si parla, al riguardo, di aspettativa di fatto. Un esempio ne viene visto nella situazione in cui si trova il soggetto in ordine all’eredità di chi sia ancora vivente, anche se si tratti di uno di quei soggetti (come, ad es., i figli) che hanno diritto a una 36 Tale decadenza dalla responsabilità genitoriale può essere significativamente pronunciata, oltre che in caso di abuso dei relativi poteri, anche ove il genitore violi o semplicemente trascuri quelli che sono esplicitamente definiti quali doveri ad essa inerenti. 37 In analoga prospettiva, è da ricordare, in particolare, la possibile rimozione e sospensione del tutore, non solo nel caso di negligenza o di abuso dei poteri conferitigli, ma anche quando costui si sia semplicemente dimostrato inetto nell’adempimento dei suoi poteri (art. 384). 38 Le situazioni di aspettativa si ricollegano, quindi, alle ipotesi di c.d. fattispecie a formazione progressiva (II, 4.3), parlandosi significativamente, al riguardo, di diritto soggettivo in itinere o di un suo stadio anteriore.
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quota della relativa eredità, dato che è solo con la morte del soggetto da cui si conta di ereditare (e con la conseguente apertura della successione) che comincia a realizzarsi la fattispecie successoria (divenendo, allora, solo in tale momento giuridicamente rilevanti le aspettative in ordine all’eredità). Ipotesi esemplare di ricorrenza di una situazione di aspettativa di diritto si ritiene essere quella di chi acquisti un diritto sotto condizione sospensiva o l’alieni sotto condizione risolutiva (VIII, 3.21). Nella fase in cui è incerto l’avverarsi o meno della condizione (nella fase, cioè, della relativa pendenza, secondo quanto accade tipicamente in conseguenza dell’utilizzazione del meccanismo condizionale: art. 1353), non solo il soggetto può disporre della sua situazione, appunto di aspettativa, rispetto al diritto (in particolare trasferendola ad altri) (art. 1357), ma vede tutelato, in maniera incisiva, l’interesse al rispetto della sua aspettativa, da parte di chi sia controinteressato. Così, egli può compiere gli opportuni atti conservativi (art. 1356); la controparte deve “comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte” (art. 1358); la condizione, soprattutto, si considera avverata (c.d. finzione di avveramento) “qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa” (art. 1359), col conseguente realizzarsi della situazione giuridica avuta di mira dal soggetto titolare della relativa aspettativa 39.
9. Interesse legittimo. – Quella di diritto soggettivo si presenta come situazione di piena e diretta tutela dell’interesse del soggetto. Non tutti gli interessi del soggetto ricevono, però, una simile tutela. Prescindendo dai c.d. interessi di fatto (o semplici), definiti tali proprio perché del tutto irrilevanti per l’ordinamento, taluni interessi sono considerati meritevoli di protezione, col conseguente riconoscimento di una situazione giuridica soggettiva, ma al titolare non è conferito un potere di carattere autonomo in vista del relativo soddisfacimento. Il soddisfacimento di un interesse di questo tipo, infatti, viene a dipendere dall’esercizio di un potere attribuito ad altri, nel senso che l’esercizio del potere da parte del soggetto cui è attribuito, nel soddisfare immediatamente l’interesse in vista del quale il potere stesso è conferito a tale soggetto, vale anche a soddisfare in via indiretta e mediata l’interesse del titolare della situazione giuridica soggettiva in questione. Con la terminologia di interesse legittimo si allude, appunto, ad una simile situazione, caratterizzata, secondo l’impostazione concettuale tradizionale, da una tutela solo indiretta dell’interesse del soggetto che ne è titolare. La categoria dell’interesse legittimo è stata teorizzata – in alcuni ordinamenti, tra cui il nostro, che si ispirano storicamente a quello francese – con riferimento al diritto pubblico ed all’esercizio dei poteri amministrativi, per definire la posizione del soggetto privato rispetto al loro esercizio nell’interesse pubblico, quando esso concerna un bene cui il soggetto stesso sia interessato 40. L’interesse del soggetto privato viene tutelato in 39 Una ipotesi di aspettativa giuridica viene ravvisata da taluno, con riferimento alla materia successoria (art. 462), nella peculiare situazione del nascituro (IV, 1.2). Ciò in considerazione del carattere conservativo e provvisorio della tutela riconosciuta alla relativa posizione, considerata assimilabile, secondo una simile opinione, a quella di chi abbia acquistato un diritto sotto condizione sospensiva. 40 La materia, di conseguenza, viene qui solo accennata, costituendo oggetto di specifico approfondimento nel quadro del diritto pubblico e, in particolare, del diritto amministrativo.
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quanto coincidente con l’interesse pubblico e si sostanzia nella pretesa ad un esercizio corretto del potere da parte della pubblica amministrazione (si ricordi, al riguardo, come l’art. 981 Cost. imponga che “siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”) 41. L’esigenza di una tutela dell’interesse del privato è particolarmente avvertita, ovviamente, in quei casi in cui l’interesse legittimo risulti tale in seguito all’esercizio di poteri della pubblica amministrazione incidenti su una precedente situazione di diritto soggettivo, come accade, ad es., nel caso di espropriazione per pubblico interesse (artt. 834 e 423 Cost.): il proprietario è, come tale, titolare di un diritto soggettivo, ma, in considerazione del potere riconosciuto alla pubblica amministrazione di espropriare beni, quando ciò sia necessario nell’interesse generale, nei confronti della pubblica amministrazione la sua posizione degrada a quella di titolare di un mero interesse legittimo al corretto esercizio del potere di espropriazione (con riguardo alle ipotesi del genere si tende a parlare di diritti affievoliti). La distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi ha assunto storicamente rilevanza, nel nostro ordinamento, sotto diversi profili: innanzitutto, dal punto di vista delle competenze in ordine alla relativa tutela giurisdizionale (comunque assicurata per ambedue le situazioni, ai sensi dell’art. 241 Cost.), operando per la tutela dei diritti soggettivi la competenza del giudice ordinario, mentre per la tutela degli interessi legittimi quella del giudice amministrativo (c.d. riparto delle giurisdizioni) (III, 1.1); inoltre, sotto il profilo della diversità delle modalità di tutela degli interessi legittimi rispetto a quella dei diritti soggettivi (il risarcimento del danno risultando limitato alla violazione dei diritti soggettivi); infine, per la diversità dei poteri del giudice amministrativo rispetto a quelli del giudice ordinario (al primo essendo consentito solo eliminare l’atto illegittimo e non condannare al risarcimento del danno, anche se dal provvedimento annullato sia derivata la lesione di un diritto soggettivo). Un simile quadro consolidato e tradizionale della materia è, peraltro, profondamente mutato negli anni più vicini. Con importanti interventi del legislatore (D.Lgs. 31.3.1998, n. 80 e L. 21.7.2000, n. 205), sono state, infatti, sempre più estese le materie in relazione alle quali il giudice amministrativo è stato ritenuto competente a giudicare anche le controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi (c.d. giurisdizione esclusiva del giudice am41 Un esempio ricorrente è quello della posizione del soggetto con riferimento ad un concorso pubblico. Il concorrente – a differenza del cittadino in quanto tale che è portatore, al riguardo, di un mero interesse di fatto – ha un interesse giuridicamente rilevante (interesse legittimo) ad uno svolgimento del concorso secondo le regole stabilite dalla legge per disciplinare le relative procedure: regole dettate in vista del soddisfacimento di un interesse pubblico (quello alla scelta dei candidati maggiormente idonei a ricoprire i posti messi a concorso), ma il cui rispetto può essere preteso dal concorrente stesso in vista del soddisfacimento del suo interesse personale (ad accedere, se meritevole, al posto messo a concorso), in quanto coincidente con quello pubblico. Al soggetto privato, di conseguenza, è riconosciuta, in una simile situazione, la possibilità di azionare strumenti di controllo (in particolare giudiziale) sull’operato della pubblica amministrazione, in modo da vedere tutelato, in una con l’interesse pubblico, il suo interesse personale. Il campo cui ci si riferisce, secondo la corrente distinzione in materia, è quello delle c.d. norme di azione, che disciplinano il buon funzionamento della pubblica amministrazione; altre norme (c.d. norme di relazione), invece, disciplinano specifici rapporti tra privati e pubblica amministrazione, determinando il sorgere di diritti e obblighi reciproci. Così, continuando l’esempio dianzi proposto, con l’assunzione in servizio viene ad esistenza un rapporto di impiego, in dipendenza del quale l’impiegato pubblico ha un vero e proprio diritto soggettivo al pagamento della retribuzione.
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ministrativo) (in particolare, edilizia, urbanistica e servizi pubblici) e al giudice amministrativo è stato conferito, in tali materie, il potere di condannare la pubblica amministrazione al risarcimento del danno conseguente ad un provvedimento illegittimo (prima rientrante nella sola competenza del giudice ordinario, in un separato giudizio successivo a quello di annullamento del provvedimento illegittimo da parte del giudice amministrativo) 42. La giurisprudenza, da parte sua, con un fondamentale intervento della Cassazione a sezioni unite, ha sancito, da un lato, in via di principio, la risarcibilità del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo, ai sensi dell’art. 2043 (precedentemente, come accennato, categoricamente esclusa), sia pure con opportune precisazioni circa le concrete ipotesi di risarcibilità (in dipendenza della tipologia degli interessi legittimi in gioco) 43; dall’altro, ha riconosciuto al giudice ordinario la possibilità di giudicare le controversie concernenti la violazione di interessi legittimi, eventualmente condannando la pubblica amministrazione al risarcimento del danno (senza necessità, quindi, del previo annullamento del provvedimento illegittimo da parte del giudice amministrativo) 44. Tale ultimo intervento giurisprudenziale – prescindendo qui dalla sua fondamentale importanza sistematica in tema di responsabilità civile (X, 1.3) – risulta ispirato ad una concezione dell’interesse legittimo e della relativa distinzione rispetto al diritto soggettivo alquanto differente da quella più tradizionale (cui si è fatto cenno dianzi). All’attribuzione di un interesse legittimo si è inteso conferire valore di riconoscimento, da parte dell’ordinamento, di rilevanza sostanziale all’interesse del titolare ad un bene della vita: come tale, quindi, in caso di relativa lesione, suscettibile – appunto in quanto interesse giuridicamente rilevante per l’ordinamento – di tutela di carattere risarcitorio (alla pari, insomma, del diritto soggettivo). In una simile prospettiva, allora, l’interesse legittimo finisce con l’assumere la veste di interesse direttamente protetto (e non protetto solo indirettamente, in quanto coincidente con l’interesse pubblico), quale situazione giuridica soggettiva di vantaggio riconosciuta ad un soggetto rispetto ad un bene della vita, tutelata 42 Peraltro, Corte cost. 6-7-2004, n. 204, ha alquanto ridimensionato, sulla base dell’art. 1031 Cost. (concernente la giustizia amministrativa), l’area della giurisdizione esclusiva riconosciuta al giudice amministrativo, conservando, comunque, a tale giudice il potere di disporre il risarcimento del danno (v. anche III, 1.1). Ulteriori precisazioni circa la legittimità della devoluzione di materie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ha operato Corte cost. 11-5-2006, n. 191. Si ritiene, comunque, consentito affidare al giudice amministrativo anche la “tutela dei diritti costituzionalmente protetti” (Corte cost. 27-4-2007, n. 140). 43 Stando all’impostazione di Cass., sez. un., 22-7-1999, n. 500 (seguita dalla successiva giurisprudenza: ad es., Cass. 13-10-2011, n. 21170 e, più di recente, Cass. 12-1-2018, n. 651), viene in rilievo, in proposito, la corrente distinzione “tra ‘interessi oppositivi’ e ‘interessi pretensivi’, secondo che la protezione sia conferita al fine di evitare un provvedimento sfavorevole ovvero per ottenere un provvedimento favorevole: i primi soddisfano istanze di conservazione della sfera personale e patrimoniale del soggetto, i secondi istanze di sviluppo della sfera personale e patrimoniale del soggetto”. In materia di interessi pretensivi, così, si tende a seguire criteri ispirati a maggiore cautela, subordinando il risarcimento conseguente alla relativa lesione “all’accertamento, in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, della spettanza del bene della vita oggetto dell’aspettativa giuridicamente tutelata” (Cons. Stato, sez. V, 19-8-2019, n. 5737; ad una “situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, in base a un criterio di normalità, ad un esito favorevole”, allude Cons. Stato, sez. IV, 27-2-2020, n. 1437). 44 È da segnalare, peraltro, come la problematica del riparto di giurisdizione in materia risarcitoria sia rimasta persistentemente controversa, con ricorrenti contrasti tra la giurisprudenza ordinaria e quella amministrativa.
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mediante il conferimento al titolare di un vero e proprio potere di realizzare il suo interesse (non diversamente che in caso di diritto soggettivo) 45. La problematica in esame è stata, da ultimo, disciplinata in maniera sistematica dal D.Lgs. 2.7.2010, n. 104, con cui ha avuto attuazione l’art. 44 della L. 18.6.2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo 46. Con il fondamentale – e atteso – art. 30, si è inteso tentare di risolvere i contrasti insorti circa l’esperibilità dell’azione risarcitoria indipendentemente dalla necessità di impugnare il provvedimento amministrativo lesivo 47. In proposito, si è stabilito che l’azione di condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria può essere proposta anche in via autonoma (c.d. azione risarcitoria pura) 48. 45 Cass. 500/SU/1999, ha con decisione affermato che “anche nei riguardi della situazione di interesse legittimo, l’interesse effettivo che l’ordinamento intende proteggere è pur sempre l’interesse ad un bene della vita”, “la cui lesione (in termini di sacrificio o di insoddisfazione) può concretizzare danno” (come tale risarcibile): “ciò che caratterizza l’interesse legittimo e lo distingue dal diritto soggettivo è soltanto il modo o la misura in cui l’interesse sostanziale ottiene protezione”. L’interesse legittimo viene, inteso, insomma, in aderenza ad una concezione più attuale della materia, “come la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente nell’attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione dell’interesse al bene” (analogamente, in sostanza, pure Cons. Stato, ad. plen., 23-3-2011, n. 3). La risarcibilità della relativa lesione consegue, poi, al rientrare, in via del tutto generale, nell’“area della risarcibilità” ogni “lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento”, indipendentemente dalla “qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto” (in termini, cioè, di diritto soggettivo), purché risulti che “l’ordinamento assicura tutela all’interesse danneggiato … manifestando una esigenza di protezione”. 46 La sempre controversa (dianzi accennata) materia della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è stata ora regolata nell’art. 133. 47 Sulla questione della c.d. pregiudiziale amministrativa persistente si era dimostrato il contrasto tra la giurisprudenza del Consiglio di Stato e quella della Cassazione. Quest’ultima, infatti, ha continuato a sostenere l’erroneità dell’avviso della prima (Cons. Stato, ad. plen., 22-10-2007, n. 12), ferma nel negare la “tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata preventivamente richiesta e dichiarata in sede di annullamento” (così sintetizza l’opinione criticata, Cass., sez. un., 23-12-2008, n. 30254; v. anche Cass., sez. un., 3-3-2010, n. 5025 e, di recente, Cass. 20-6-2018, n. 16196). La svolta legislativa, nel senso dell’“abbandono del vincolo derivante dalla pregiudiziale amministrativa”, viene evidenziata da Corte cost. 4-5-2017, n. 94. 48 Si è anche contemplata la possibilità, sussistendone i presupposti previsti dall’art. 2058 (X, 2.2), di chiedere il risarcimento del danno in forma specifica. La giurisprudenza amministrativa si è orientata – “per l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa” – nel senso “della riconducibilità del danno per lesione di interessi legittimi al modello della responsabilità per fatto illecito”, in considerazione di quella “asimmetria delle posizioni” tra pubblica amministrazione e privato, che vale a caratterizzare “il rapporto amministrativo … per l’esercizio unilaterale del potere nell’interesse pubblico” (così che la prima “non possa essere assimilata al ‘debitore’ obbligato per contratto ad ‘adempiere’ in modo esatto nei confronti del privato”: Cons. Stato, ad. plen., 23-4-2021, n. 7). Peraltro, la giurisprudenza civile (anche ai fini del deferimento delle relative controversie alla giurisdizione ordinaria) tende a ricostruire – “nei casi in cui il danno derivi non dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo, ma dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui la pubblica amministrazione è tenuta a conformarsi al pari di qualunque altro soggetto” – la “responsabilità da lesione dell’affidamento del privato entrato in relazione con la pubblica amministrazione in termini di responsabilità da contatto sociale” (“responsabilità relazionale o da ‘contatto sociale qualificato’”, come tale riconducibile, quindi, “allo schema della responsabilità contrattuale”: VII, 4.3; X, 2.3): Cass., sez. un., 28-4-2020, n. 8236, seguita da Cass., sez. un., 15-1-2021, n. 615. Da ultimo, Cons. Stato, ad. plen., 29-11-2021, nn. 19, 20 e 21, alla luce del proprio consolidato indirizzo favorevole all’applicabilità delle regole di correttez-
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Un disincentivo, comunque, all’esercizio in via autonoma dell’azione risarcitoria per la lesione di interessi legittimi – tale da indurre a reputare evanescente la concreta rilevanza della relativa affermata possibilità – deriva dalla previsione della esclusione del risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso gli strumenti di tutela previsti 49. Inoltre, da una parte, si è riservata alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi (nonché per lesioni di diritti soggettivi nelle materie di giurisdizione esclusiva) 50; dall’altra, si è assoggettato l’esercizio dell’azione risarcitoria ad un breve termine di decadenza (120 giorni: disciplina, questa, della cui legittimità costituzionale non si è mancato immediatamente di dubitare) 51. Non meraviglia che, ad esito degli accennati interventi legislativi e giurisprudenziali, i quali hanno reso sicuramente più problematica – e, tutto sommato, assai meno significativa che in passato – la distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo, crescente consenso riceva l’opinione nel senso di un radicale superamento della distinzione medesima, pure in base alla considerazione secondo cui, nel contesto dell’Unione europea, solo gli ordinamenti di taluni paesi la conoscono e continuano ad ispirarsi ad essa (un simile superamento potendo valere, allora, anche a semplificare le relazioni all’interno della nostra area giuridica continentale). za e buona fede anche all’attività della pubblica amministrazione, hanno reputato senz’altro tutelabile l’affidamento del privato sul legittimo esercizio, da parte di essa, del potere pubblico, e ciò anche in relazione al caso di annullamento di provvedimento favorevole su ricorso di terzi. Discorrendosi di “apparenza ingenerata sul piano extracontrattuale”, pare emergere, però, la propensione della giurisprudenza amministrativa per una qualificazione, anche in tal caso, della responsabilità in questione in chiave aquiliana, con devoluzione al giudice amministrativo delle relative controversie (e, quindi, in contrasto col ricordato orientamento della giurisprudenza civile). 49 Nel quadro di simili strumenti di tutela, un rilievo preminente assumendo, evidentemente, proprio l’esperimento dell’azione di annullamento dell’atto, alla cui illegittimità si ricollega la lesione dell’interesse legittimo. Con ciò, in pratica, costringendo quasi sempre il danneggiato a proporre – nel previsto termine di 60 giorni (art. 29) – l’azione di annullamento dell’atto da cui pretenda di essere stato leso. Si è ritenuto (Cons. Stato, ad. plen., n. 3/2011) che, così, il legislatore, suggellando “un punto di equilibrio capace di superare i contrasti ermeneutici registratisi tra le due giurisdizioni”, “ha mostrato di non condividere la tesi della pregiudizialità pura di stampo processuale al pari di quella della totale autonomia dei due rimedi, approdando ad una soluzione che, non considerando l’omessa impugnazione quale sbarramento di rito, aprioristico ed astratto, valuta detta condotta come fatto concreto da apprezzare, nel quadro complessivo del comportamento delle parti, per escludere il risarcimento dei danni evitabili per effetto del ricorso all’annullamento”. In tale prospettiva, Cons. Stato, sez. V, 2-11-2011, n. 5837, ha ritenuto che “la tardività dell’impugnazione giurisdizionale proposta costituisce fattore di mitigazione del danno risarcibile” (richiamandosi al collegamento operato nella decisione dianzi ricordata tra l’art. 303 D.Lgs. 104/2010 e i principi enunciati dal codice civile agli artt. 1175 e 1227). 50 Si ricordi come sia previsto che, nei casi di giurisdizione esclusiva, possa essere anche chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. 51 La previsione del termine di decadenza in questione è stata considerata legittima da Corte cost. 94/2017, in quanto “espressione di un coerente bilanciamento dell’interesse del danneggiato di vedersi riconosciuta la possibilità di agire anche a prescindere dalla domanda di annullamento (con eliminazione della regola della pregiudizialità), con l’obiettivo, di rilevante interesse pubblico, di pervenire in tempi brevi alla certezza del rapporto giuridico amministrativo, anche nella sua declinazione risarcitoria”, nonché con “l’interesse, di rango costituzionale, di consolidare i bilanci delle pubbliche amministrazioni” (la diversità di disciplina rispetto “all’azione risarcitoria del danno da lesione di diritti soggettivi” risultando comunque giustificata “dalla non omogeneità delle posizioni soggettive poste a raffronto”).
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È da tenere presente come della figura dell’interesse legittimo sia stata proposta l’utilizzazione anche al di fuori dei rapporti con la pubblica amministrazione, per definire particolari situazioni ricorrenti nei rapporti che interessano il diritto privato. Questo, in particolare, in quelle ipotesi in cui il soggetto si venga a trovare in una situazione di soggezione a poteri discrezionali altrui (entro certi limiti comparabile, quindi, con la situazione in cui il privato si viene a trovare nei confronti della pubblica amministrazione), come accade con riguardo all’azione delle c.d. autorità private (di cui si ritengono esempi famiglia, associazione e impresa). Per tale via si è perseguito lo scopo di conferire rilevanza giuridica (e conseguente tutela) all’interesse del soggetto ad un corretto esercizio dei poteri in questione (pure se attribuiti al titolare nel proprio interesse), quando siano destinati ad incidere sulla sua sfera giuridica 52. Peraltro, almeno nelle situazioni socialmente più rilevanti, l’esigenza di controllo sull’esercizio dei poteri privati risulta assicurata dallo stesso ordinamento attraverso strumenti appositamente a ciò finalizzati (si pensi alla materia dell’esercizio dei poteri dell’imprenditore in tema di licenziamento del lavoratore, ovvero a quella dell’esercizio della responsabilità genitoriale in ordine alle decisioni relative ai figli). Maggiormente garantistico si presenta, del resto, l’indirizzo che propende per il riconoscimento, in capo al soggetto sottoposto al potere altrui, di una situazione di vero e proprio diritto soggettivo (con conseguente invocabilità dei relativi strumenti di tutela e, in particolare, del risarcimento del danno, eventualmente per violazione del dovere di buona fede, quale criterio di comportamento cui deve ispirarsi, nei rapporti intersoggettivi, pure l’esercizio di ogni potere) 53.
10. Interessi collettivi e diffusi. – Carattere comune delle situazioni giuridiche soggettive fin qui considerate è quello di tutelare l’interesse del soggetto, conferendogli una specifica posizione di vantaggio rispetto ad un bene: differenziando, insomma, la sua posizione rispetto a quella degli altri soggetti eventualmente interessati allo stesso bene (ove ritenuto possibile oggetto di diritti individuali, di carattere anche non patrimoniale: II, 2.1). Nella evoluzione più recente dell’ordinamento, soprattutto in considerazione della centralità in esso assunta dalla persona umana con le sue esigenze di sviluppo, crescente attenzione è stata prestata per interessi facenti capo al soggetto in quanto appartenente ad una determinata collettività (gli appartenenti alla quale hanno, evidentemente, interessi omogenei), ovvero semplicemente in quanto membro della comunità nel suo complesso. La tutela del primo genere di interessi, correntemente definiti interessi collettivi, ha presentato (e presenta) difficoltà minori, dato che trova il suo naturale punto di riferimento nell’attribuzione del potere di agire per la relativa salvaguardia ad enti, di struttura tipicamente associativa, espressione della organizzazione dei soggetti portatori degli 52 La problematica accennata finisce col concernere, in sostanza, la delineazione dei limiti posti all’esercizio dei poteri inerenti a situazioni classificabili in termini di diritto potestativo e potestà, anche alle cui trattazioni, quindi, si rinvia (II, 3.6-7). 53 Per il controllo giudiziale, alla luce del principio di buona fede, dell’esercizio dei poteri discrezionali da parte del datore di lavoro e in campo associativo, v. quanto accennato in tema di esercizio dei diritti potestativi (II, 3.6).
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
interessi omogenei (si pensi agli appartenenti ad una categoria professionale, i cui interessi sono fatti valere attraverso l’azione del rispettivo ordine professionale, ovvero, più in generale, al ruolo legislativamente riconosciuto alle rappresentanze sindacali per la tutela del lavoratore dipendente, anche con riguardo, ad es., alla sua salute ed integrità fisica: art. 9 L. 20.5.1970, n. 300, c.d. statuto dei lavoratori) 54. Più problematica risulta la tutela degli interessi del secondo genere, identificati come interessi diffusi. Si tratta di interessi che, in genere, si ricollegano a valori di rango costituzionale, come quelli relativi alla salvaguardia della salute e dell’ambiente (alla luce degli artt. 92 e 32 Cost.), ovvero alla protezione dei consumatori (nella prospettiva dell’art. 412 Cost., che impone all’iniziativa economica di non “recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”) 55. Al di là della tutela che simili interessi trovano, sul piano generale, con la repressione penale dei comportamenti posti in essere in spregio ad essi, nonché, sul piano individuale, quando i comportamenti stessi possano reputarsi lesivi di specifiche situazioni giuridiche soggettive (in tal caso essendo l’interessato ammesso ad azionare gli ordinari strumenti previsti per la tutela dei suoi diritti), con crescente frequenza la via seguita dall’ordinamento consiste nella selezione (e nella promozione) di enti, ai quali riconoscere il potere di agire (o almeno di intervenire nei giudizi) a difesa, appunto, degli interessi diffusi 56. Così, in tema di ambiente, il D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, pur abrogando la precedente disciplina del danno ambientale (ora regolamentata nei relativi artt. 298 bis ss.: X, 2.1), ha fatto salvo proprio il co. 5 dell’art. 18 L. 8.7.1986, n. 349, che consente alle associazioni competenti in materia l’intervento nei giudizi per danno ambientale, oltre alla possibilità di ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi. Nel campo della tutela dei consumatori, gli artt. 139 e 140 D.Lgs. 206/2005 (codice del consumo), ora abrogati dalla L. 12.4.2019, n. 31 (“Disposizioni in materia di azione di classe”), conferivano alle associazioni dei consumatori (individuate ai sensi dell’art. 137) la legittimazione ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti, quali risultanti essenzialmente dalla enunciazione dei “diritti dei consumatori” di cui all’art. 2. È anche da ricordare come un ulteriore strumento di tutela – utilizzato largamente altrove e di cui si è a lungo discusso circa l’introduzione anche nel nostro ordinamento – sia costituito dalla previsione di azioni collettive (o di categoria: class actions, secondo la terminologia in uso negli ordinamenti che le conoscono), consistenti nel consentire (se54 È la stessa attività sindacale ad essere considerata meritevole di tutela, in particolare attraverso il riconoscimento del potere di azione agli organismi sindacali: art. 28 L. 300/1970, concernente la repressione della condotta antisindacale. 55 La “protezione dei consumatori” è contemplata, ad esito della costante attenzione prestata a tale materia in ambito comunitario, dall’art. 38 Carta dir. fond. U.E., che garantisce ad essi “un livello elevato di protezione” (l’art. 35 assicura un “livello elevato di protezione della salute umana” e l’art. 37 un “livello elevato di tutela dell’ambiente”). Con D.Lgs. 6.9.2005, n. 206, nell’intento di riunire e riordinare i diversi provvedimenti a protezione dei consumatori, è stato emanato il “codice del consumo”. 56 In relazione alla sempre maggiore valorizzazione della funzione degli enti esponenziali di interessi di carattere superindividuale, si tenga presente come l’art. 91 c.p.p. consenta, in via del tutto generale, a enti e associazioni senza scopo di lucro aventi “finalità di tutela degli interessi lesi dal reato” la possibilità di esercitare nel procedimento penale “i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato”.
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
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condo particolari e non ovunque identiche modalità) a soggetti singoli o ad enti di prendere l’iniziativa contro i comportamenti lesivi di interessi diffusi, in rappresentanza di tutti i soggetti interessati, per ottenere la relativa inibizione (oltre che forme particolari di risarcimento). Solo con la L. 24.12.2007, n. 244, si è avuta la definizione di uno strumento del genere (azione collettiva risarcitoria), la cui disciplina, introdotta nel codice del consumo (art. 140 bis), è stata, poi, radicalmente innovata dalla L. 23.7.2009, n. 99, con la previsione di una azione di classe, diretta a tutelare (nel testo successivamente risultante ai sensi del D.L. 24.1.2012, n. 1, conv. in L. 24.3.2012, n. 27) “i diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti” (nonché “gli interessi collettivi”), potendo agire, “a tal fine ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa”. Infine, a conclusione di una lunga e controversa gestazione, è intervenuta, nella prospettiva della generalizzazione della portata dello strumento in questione, la ricordata L. 31/2019, la quale ha abrogato, oltre agli art. 139 e 140 del codice del consumo, anche il relativo art. 140 bis, introducendo un titolo VIII bis del libro IV del codice di procedura civile (intitolato “Dei procedimenti collettivi”: artt. 840 bis ss.), appunto finalizzato a tutelare, in via del tutto generale (ai sensi dell’art. 840 bis), “i diritti individuali omogenei”, attraverso la disciplina dell’“azione di classe” da parte di “un’organizzazione o un’associazione senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei predetti diritti … ferma la legittimazione di ciascun componente della classe” (e contestualmente prevedendosi, pure in termini generali, un’“azione inibitoria collettiva”: art. 840 sexiesdecies) (III, 1.7) 57.
11. Onere. – La legge utilizza, talvolta, la medesima terminologia impiegata per indicare la posizione del soggetto passivo del rapporto – definendo, cioè, doverosi taluni comportamenti – anche per alludere ad una diversa situazione: quella nella quale un soggetto sia tenuto ad un certo comportamento, non al fine di realizzare un interesse altrui (come tipicamente accade nell’obbligo), ma in vista della realizzazione di un interesse proprio. Il sacrificio di un proprio interesse (in ciò si risolve, in sostanza, la necessità di tenere il comportamento prescritto dall’ordinamento), insomma, è imposto per soddisfarne un altro, sempre proprio. Tale figura viene correntemente qualificata come onere. Al di là della non sempre facile individuazione delle relative singole ipotesi, data l’accennata ambiguità del tenore letterale delle norme che le contemplano, alquanto incerta risulta, addirittura, la medesima collocazione dell’onere tra le situazioni giuridiche soggettive passive o tra quelle attive. Il comportamento stesso, infatti, è libero (dato che la sua inosservanza non comporta, a carico del soggetto, il sorgere di alcuna responsabilità nei confronti di altri, secondo quanto accade, invece, in caso di inosservanza di un obbligo), ma al contempo necessitato (ove il soggetto intenda realizzare il suo interesse al conseguimento di una certa situazione giuridica di carattere favorevole) 58. 57 Circa “la compatibilità del risarcimento del danno non patrimoniale con il ricorso alle forme processuali dell’azione di classe” (ovviamente dove ne “siano posti rigorosamente in risalto i tratti in qualche modo comuni a tutti i membri della classe”), v. Cass. 31-5-2019, n. 14886. 58 Sinteticamente, Cass. 13-10-2015, n. 20560, chiarisce che “la figura dell’onere (c.d. dovere libero) si concreta in un comportamento necessitato per legge, imposto per la realizzazione di un interesse proprio dello stesso titolare”. Da non confondere con la figura di situazione giuridica soggettiva in questione, è l’onere di-
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Esempio corrente, in proposito, è quello dell’onere della prova. Ai sensi dell’art. 26971, “chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”. L’attività (probatoria) – anche se la legge usa il termine “deve” – non è oggetto di un obbligo (in quanto, se non la esplica, il soggetto non incorre in alcuna responsabilità), ma è per lui necessitata, nel senso che, in mancanza, non riuscirà a far valere il suo diritto in giudizio (e vederlo conseguentemente tutelato) 59.
sciplinato in materia di liberalità (testamento: artt. 647 e 648; donazione: artt. 793 e 794), definito anche modus, il quale si ritiene rientrare, invece, nella categoria dell’obbligo (XII, 2.13). 59 Analogamente, l’art. 2643 prevede che taluni atti “si devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione”: si tratta anche qui di un onere, dato che, in mancanza di trascrizione, la sola conseguenza è che il soggetto non potrà godere dei relativi effetti, a lui favorevoli, stabiliti dall’art. 2644. Talvolta si individuano ipotesi di oneri anche quando il legislatore parla di obblighi, come nel caso dell’art. 1502, a proposito degli “obblighi del riscattante”, in tema di vendita con patto di riscatto. Alla figura dell’onere tende ad essere ricondotta pure la frequentemente prevista necessità di attivazione del soggetto per evitare decadenze (come nel caso della denunzia dei vizi della cosa per potersi avvalere della relativa garanzia nella vendita: 14951).
CAPITOLO 4
I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE Sommario: 1. Fenomenologia materiale e rilevanza giuridica. – A) TIPOLOGIA DEI FENOMENI GIURIDICI. – 2. Fatti ed effetti giuridici (la causalità complessa). – 3. Struttura dei fatti giuridici. – 4. Rilevanza dei fatti giuridici. Fatti giuridici in senso stretto. – 5. Segue. Atti giuridici (tipologie e caratteri). – 6. Attività. – 7. Titoli di acquisto e vicende giuridiche. La circolazione giuridica. – B) INFLUENZA DEL TEMPO. (PRESCRIZIONE E DECADENZA). – 8. Funzione del tempo. Computo dei termini. – 9. La prescrizione. – 10. Segue. Sospensione e interruzione. – 11. Le prescrizioni presuntive. – 12. La decadenza. – C) INFLUENZA DELLO SPAZIO. – 13. La correlazione territoriale. – 14. Individuazione del diritto applicabile.
1. Fenomenologia materiale e rilevanza giuridica. – Ogni fatto materiale (naturale o umano) è preso in considerazione dall’ordinamento in quanto incida su interessi rilevanti giuridicamente (I, 1.3). Peraltro ogni struttura sociale produce il suo diritto, sicché il mutare della realtà sociale ed economica, con il connesso evolvere della tavola di valori che innerva l’ordinamento, fa sì che un certo fatto possa subire nel tempo una modificazione di giudizio e dunque di rilevanza giuridica. Così fatti considerati indifferenti per l’ordinamento in una epoca storica possono diventare, a seguito dell’evoluzione tecnologica, fonte di interesse (si pensi al progressivo utilizzo che hanno ricevuto l’atmosfera, come strumento di attraversamento delle frequenze sonore, o le radiazioni solari quali fonti alternative di energia). La emersione e il progressivo evolvere della telematica stanno facendo emergere nuovi campi di incidenza del diritto, vuoi per le operazioni economiche realizzate (si pensi al commercio elettronico), vuoi per la tutela del diritto d’autore (si pensi alla sottrazione di dati protetti), vuoi per la tutela della persona (si pensi alle diffamazioni compiute e alla protezione dei dati personali in rete), vuoi anche per la diffusa profilazione delle persone: rispetto a tutti tali aspetti si pone il problema della tutela giudica dell’utente. Analogamente, è possibile che comportamenti considerati meritevoli in un’epoca storica vengano successivamente ritenuti difformi dall’ordinamento (si pensi ai comportamenti ispirati a modelli di organizzazione delle relazioni familiari fondati sulla supremazia del marito come capofamiglia, un tempo considerati normali e dunque leciti e poi vietati in ragione del principio di uguaglianza (artt. 2, 3 e 29 Cost. e 143 c.c.); si pensi anche ai prestiti di danaro con interessi convenzionali elevati, di recente considerati usurari e causa di reato (ex art. 18152). All’opposto, fatti considerati vietati, sono successivamente ritenuti ammessi: si pensi alla procreazione medicalmente assistita, che tende pro-
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gressivamente ad ampliare le maglie della liceità (prima con la L. 40/2014, poi con le sentenze additive della Corte costituzionale).
A) TIPOLOGIA DEI FENOMENI GIURIDICI 2. Fatti ed effetti giuridici (la causalità complessa). – Nel quadro delineato si snodano le varie categorie di fenomeni giuridici. Manca una disciplina generale dei fatti e degli effetti giuridici: trattasi di categorie logico-giuridiche ricostruite sul sistema, in grado di comprendere e ordinare le varie figure in funzione della normativa applicabile. a) I fatti giuridici sono gli accadimenti della realtà materiale (naturale o umana) rilevanti per l’ordinamento giuridico. Non ogni fatto materiale è anche giuridicamente rilevante: perché ciò avvenga è necessario che sia preso in considerazione dall’ordinamento come ragione di produzione di un effetto giuridico. Quando il fatto materiale è considerato dall’ordinamento, è raffigurato come “fattispecie” astratta disciplinata; talvolta l’ordinamento prende in considerazione una pluralità di fatti, unitariamente considerati, cui attribuisce rilevanza giuridica, dotandoli di effetti giuridici connessi. Va tenuto distinto il fatto dall’eventuale documento che lo rappresenta, che è aggiuntivo rispetto al fatto che ne sta a fondamento: ad es. l’atto di stato civile rispetto al matrimonio o alla nascita o alla morte; il testo scritto rispetto al contratto stipulato: un documento può contenere più fatti giuridici; come un fatto giuridico può risultare da più documenti: tipicamente un contratto tra persone lontane, dove la proposta e l’accettazione sono contenute in documenti diversi ma che concorrono alla formazione dell’unitario fatto giuridico del contratto (art. 1326). Come si vedrà, il documento rappresenta una prova tipica, precostituita, di quanto in esso rappresentato; la data vale a collocarlo nel tempo e nello spazio (III, 2.2). Si vedrà peraltro come, talvolta, tali prove esprimano documentazioni vincolate di volontà negoziale, rilevando come forma a pena di nullità (forma ad substantiam) (VIII, 4.2) o come mezzo di prova (forma ad probationem) (VIII, 4.3). Si è già detto del funzionamento del c.d. sillogismo giuridico, per cui la riconduzione della fattispecie materiale alla fattispecie astratta determina l’applicazione del diritto (I, 3.2). Tale tecnica è stata profondamente scossa dalla formazione dei diritti fondamentali quali principi generali del diritto, ad opera della Carta costituzionale, dei Trattati dell’Unione europea e delle Convenzioni internazionali, atteggiandosi i principi generali quali fonti primarie del diritto (II, 7.1), che si impongono alle regole organizzative delle fattispecie, orientando la valutazione dei fenomeni giuridici secondo un bilanciamento dei valori, quali periodicamente evolvono e si impongono (c.d. sistema multilivello). Così le fattispecie, pure iscritte nell’ordinamento, sono rigenerate dai principi generali che ne orientano l’applicazione secondo criteri di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza. Peraltro la fluidità delle vicende economiche, in un mercato dinamico e tendenzialmente globalizzato, mal si presta ad essere irretita in una previsione stabile e predeterminata di fattispecie. Quando si fa applicazione di valori e principi dell’ordinamento non si indulge a ideologie politiche o filosofiche, ma si fa applicazione del diritto positivo, nella sua sistematicità e vitalità, secondo la sua evoluzione storica. b) Gli effetti giuridici esprimono le conseguenze giuridiche della rilevanza assunta dal fatto materiale nell’ordinamento giuridico. I fatti non sono produttori materiali e naturalistici di effetti giuridici: alla produzione degli effetti concorrono più concause.
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE
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Anzitutto la materialità del fatto come avvenimento naturale o umano che produce un evento, vuoi naturalistico vuoi personale. Rappresenta il prodotto della forza naturale e/o o il risultato della mente umana. Vi è poi la valutazione dell’evento come essenziale opera di interpretazione del fatto, che vale a comprendere le componenti dell’azione materiale e dell’evento e individuare gli interessi coinvolti. In tale opera si compie anche una selezione gerarchia degli interessi coinvolti. L’interpretazione del fatto svolge una funzione mediativa rispetto all’ordinamento: gli stessi fatti, osservati in epoche diverse, implicano differenti valutazioni in ragione della evoluzione dell’ordinamento e della vita sociale. In tal senso la valutazione dei fatti vale a corroborare il fatto materiale nell’esperienza, facendone emergere contesti e peculiarità, indirizzando la regolazione dell’ordinamento. Vi è infine la rilevanza giuridica che è l’esito della valutazione che ne compie l’ordinamento giuridico, quale risposta che l’ordinamento fornisce alla sollecitazione dei concreti fenomeni reali. Vi è una costante osmosi tra la valutazione del fatto e la rilevanza nell’ordinamento in quanto l’evoluzione storica dell’ordinamento conferisce ammodernate chiavi di lettura del fatto: col tempo può modificare la gerarchia degli interessi da tutelare con conseguente evoluzione della valutazione del fatto e della rilevanza giuridica: basti solo pensare all’affermazione dell’interesse del minore, diventando il best interest of the child principio informatore di valutazione delle relazioni familiari e di applicazione della normativa a tutela del fanciullo Il tradizionale dibattito tra causalità materiale o causalità legale degli effetti giuridici, a seconda che siano imputati al fatto materiale o all’ordinamento, va superato in una ricostruzione di causalità complessa che coinvolge sia la realtà materiale che quella giuridica attraverso l’opera mediativa della interpretazione del fatto e dell’ordinamento, che consente la intelligenza del fatto e la riconduzione del fatto all’ordinamento. Il fatto rileva in funzione degli accadimenti, dei contesti e degli interessi coinvolti, oltre che della condizione dei soggetti autori del fatto, tutti profili che orientano la rilevanza giuridica e quindi l’efficacia giuridica, secondo l’ordinamento storico operante (I, 3.13). Si realizza una normatività del fatto, nel senso che il fatto concreto indirizza la disciplina da applicare. La rilevanza giuridica del fatto materiale determina la produzione di effetti giuridici che, talvolta, coincidono con le conseguenze materiali, talaltra le sovrastano per essere più ampi o di minore portata (ad es. la morte della persona fisica comporta naturalisticamente la fine della persona, e così anche per l’ordinamento, con l’iscrizione della morte negli archivi di stato civile (artt. 10 e 71 D.P.R. 396/2000); ma l’ordinamento ricollega al fatto naturale della morte ulteriori effetti quali l’apertura della successione del defunto: art. 456). Non bisogna essere tratti in inganno da alcune formulazioni letterali: ad es., “fonti dell’obbligazione” sono il contratto, il fatto illecito o “ogni altro atto o fatto” idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico” (art. 1173); analogamente, con riguardo alle previsioni che il “contratto” produce effetti tra le parti (art. 1372) e che il “fatto illecito” produce l’obbligo di risarcimento del danno (art. 2043): non è la materialità del contratto o del fatto illecito, come tale, a produrre naturalisticamente effetti giuridici; è la rilevanza del fatto per l’ordinamento a determinare la determinazione di effetti giuridici (si vedrà come gli effetti giuridici del contratto, talvolta coincidono con quelli perseguiti dalle parti, talaltra li sovrastano attraverso la integrazione: art. 1374; analogamente l’obbligazione di risarcimento del danno conseguente al
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fatto lesivo si atteggia diversamente in ragione della rilevanza che assumono nell’ordinamento la posizione dell’autore del danno e la circostanza del fatto dannoso: artt. 2047 ss.). È un periodare diffuso: sono anche previsti gli “effetti del possesso” (artt. 1148 ss.), quali effetti connessi dalla legge al potere di fatto sulla cosa con le caratteristiche previste dalla legge stessa; sono pure previsti gli effetti del matrimonio, quali diritti e doveri previsti dalla legge in funzione della relazione coniugale (artt. 143, 144, 160); significativamente, per l’unione civile non opera l’effetto del dovere di fedeltà per la diversa considerazione ordinamentale dell’unione civile (co. 11, L. 76/2016). Certo i privati, agendo nella realtà giuridica, perseguono effetti giuridici; ma è la rilevanza del fatto per l’ordinamento a dotare il fatto di effetti giuridici. All’attività giudiziaria spetta la delicata mediazione tra la verifica del fatto materiale e la ricerca degli effetti giuridici, secondo un percorso che si diparte dall’interpretazione e accertamento del fatto materiale per poi spingersi alla qualificazione giuridica dello stesso e dunque alla individuazione degli effetti che sono attribuiti dall’ordinamento giuridico 1. L’effetto consiste nella modificazione della realtà giuridica (ovvero della realtà materiale giuridicamente rilevante). Più spesso l’effetto è coevo al fatto (efficacia immediata): ad es., nei contratti di trasferimento della proprietà di cosa determinata o di altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono per effetto e al momento del consenso (art. 1376). Altre volte la produzione dell’effetto avviene in un momento diverso, che può essere successivo (efficacia differita) (ad es. le parti differiscono la produzione dell’effetto di un contratto ad un tempo successivo), o anche antecedente (efficacia retroattiva) (ad es., l’eredità si acquista con l’accettazione, ma l’effetto dell’accettazione risale all’apertura della successione e cioè al momento della morte: art. 459). Più specificamente, l’effetto giuridico determina vicende di situazioni giuridiche soggettive: con la produzione dell’effetto, si realizzano (e permangono) nella realtà giuridica le situazioni soggettive prodotte dagli effetti giuridici. Si vedrà come le vicende effettuali si atteggiano come costitutive, estintive o modificative in ragione della dinamica delle situazioni giuridiche (II, 4.7). Dallo stesso fatto possono derivare più effetti: ad es., dal contratto di vendita derivano sia l’effetto traslativo del diritto sul bene che l’effetto costitutivo della obbligazione di pagamento del prezzo (artt. 1470 ss.). Non mancano peraltro vicende di diverso tenore, come in particolare l’accertamento di una situazione giuridicamente dubbia: in tal caso l’effetto giuridico sta nella produzione, nella realtà giuridica, di una certezza in luogo della originaria ambiguità. Sul modo di operare delle vicende giuridiche si parlerà in seguito (par. 7) è più diffusamente con riguardo al rapporto obbligatorio, rispetto al quale maggiormente operano e hanno diffusa disciplina (VII, 1.1, 2 e 3). Si distinguono due fondamentali categorie di effetti giuridici: effetti necessari (o inderogabili), nel senso che provengono dall’ordinamento e non è consentito ai privati derogarvi; effetti naturali (o dispositivi), nel senso che, pur provenendo dall’ordinamento, è consentito derogarvi (la formula legislativa è di regola espressa con un inciso del genere “salvo patto o uso contrario”). 1 È compito del giudice individuare gli effetti giuridici derivanti dai fatti dedotti in causa, sicché la enunciazione che la parte faccia delle ragioni di diritto sulle quali la pretesa si fonda può valere a circoscrivere la cognizione del giudice nella misura in cui essa stia a significare che la parte ha inteso trarre dai fatti esposti soltanto quelle conseguenze (Cass. 27-10-2000, n. 14142; Cass. 13-12-1996, n. 11157).
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3. Struttura dei fatti giuridici. – La peculiarità di ogni fatto concreto non consente una ferrea articolazione dei fatti giuridici. Possono solo delinearsi generali categorie logiche di rappresentazione, che è possibile ricondurre a due fondamentali traiettorie: la struttura del fatto, cioè la composizione del fenomeno (di cui si parla nel presente paragrafo) e la rilevanza giuridica del fatto, cioè l’attitudine alla produzione di effetti (di cui si parla nei successivi paragrafi). La struttura del fatto risente del modello di formazione. Sono istantanei quando si esauriscono nell’unità di tempo; sono di durata quando si protraggono nel tempo; e ancora: sono positivi quando si realizza un accadimento, come ad es. il comportamento attivo del soggetto, che compie un’azione; sono negativi quando rileva giuridicamente il non verificarsi di un accadimento, come ad es. il contegno di astensione o comunque inerte di un soggetto. La struttura del fatto connota la fattispecie giuridicamente rilevante, che si atteggia come semplice, complessa o a formazione progressiva. La fattispecie semplice si esaurisce in un unico accadimento: ad es. la nascita, ai fini dell’acquisto della capacità giuridica (art. 1); la morte, ai fini dell’apertura della successione (art. 456). La fattispecie complessa comprende più fatti, che rilevano come elementi costitutivi dell’unitaria fattispecie produttiva di effetti giuridici; ad es., per realizzarsi l’acquisto per usucapione decennale, devono concorrere: il possesso (continuo, pubblico e pacifico), l’atto di acquisto (astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà), la buona fede dell’acquirente, la trascrizione dell’atto e il decorso di dieci anni dalla trascrizione (art. 1159). La fattispecie a formazione progressiva è una variante della fattispecie complessa, quando i vari fatti sono previsti dall’ordinamento in sequenza cronologica ma logicamente coordinati (c.d. procedimento): la sequenza degli atti e fatti giuridici, provenienti da uno o più soggetti, è finalizzata alla validità ed efficacia dell’atto terminale del procedimento. È una ritualità propria dell’azione della pubblica amministrazione, in funzione dell’atto terminale del provvedimento, all’esito del procedimento. Come nel diritto amministrativo, anche nel diritto privato può strutturarsi una procedimentalità, con progressiva verificazione temporale di fatti elementari costituenti la fattispecie; è spesso accordata dall’ordinamento una protezione dell’aspettativa rispetto al conseguimento del risultato finale. Ad es., nel contratto condizionato, la produzione dell’efficacia contrattuale è subordinata al prodursi dell’evento futuro e incerto; ma intanto alcuni effetti si producono in capo alle parti (VIII, 3.21). 4. Rilevanza dei fatti giuridici. Fatti giuridici in senso stretto. – La rilevanza dei fatti giuridici esprime la considerazione dell’ordinamento per l’accadimento materiale (naturale o umano). Connessa è la efficacia dei fatti giuridici, che indica la situazione effettuale apprestata dall’ordinamento, conseguente alla valutazione di rilevanza. Rimangono fuori dell’area dei fatti giuridici i fatti che si connettono a interessi di mero fatto (futili o comunque indifferenti) ai quali la società (e dunque l’ordinamento) non conferisce alcuna rilevanza (né di approvazione né di contrasto). Nella qualificazione dei fatti giuridici assume una fondamentale importanza verificare se l’ordinamento presti tutela all’accadimento come tale oppure anche alla parteci-
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pazione umana al fatto. Il criterio di rilevanza accordato alla partecipazione umana alla formazione del fatto dà luogo ad una fondamentale distinzione dei fatti giuridici, che è possibile ricondurre alla dicotomia di “fatti giuridici in senso stretto” e “atti giuridici”. Per fatti giuridici in senso stretto si intendono i fatti materiali (naturali o umani) rispetto ai quali l’ordinamento prescinde da ogni verifica di carattere soggettivo per la produzione dell’effetto giuridico. Il fatto come tale (e perciò l’interesse immediato attuato) assume importanza per l’ordinamento, prescindendosi dalla circostanza che esso provenga o meno dall’uomo e che sia o meno volontario. Sono fatti in senso stretto, innanzi tutto, i meri accadimenti naturali (ad es., gli spostamenti di terreni, conseguenti ad alluvione e avulsione, producono l’acquisto della proprietà in favore del proprietario del fondo cui la parte di fondo si è unita: artt. 941 e 944). Sono anche fatti in senso stretto i fatti che ineriscono all’uomo ma rispetto ai quali rileva il mero dato fenomenico dell’accadimento in sé: anzitutto nascita o morte, ma anche altri fatti: ad es. le opere fatte sopra o sotto il suolo comportano l’acquisto della relativa proprietà per accessione (art. 934); la costruzione (di un fabbricato come di una nave o di un aeromobile) comporta la specificazione e dunque l’acquisto della proprietà della res nova da parte dello specificatore (art. 940). In tutte tali ipotesi la capacità di agire del soggetto e la volontarietà e consapevolezza del fatto, quand’anche esistenti, sono irrilevanti.
5. Segue. Atti giuridici (tipologie e caratteri). – Sono atti giuridici i fatti umani compiuti consapevolmente da persona capace cui l’ordinamento ricollega effetti giuridici. A differenza dei fatti giuridici in senso stretto rileva lo stato soggettivo degli autori dell’atto e precisamente la volontarietà e la consapevolezza del comportamento tenuto. Non sono dunque semplicemente emanazione dell’uomo bensì espressione della individualità umana realizzatasi concretamente 2. Con la conseguenza che rilevano giuridicamente la capacità di agire del soggetto e la volontarietà e consapevolezza del fatto. È possibile distinguere gli atti giuridici in varie classi in ragione di specifici criteri: la tipologia di incidenza umana; la modalità di esplicazione; la valutazione che ne compie l’ordinamento. È possibile delineare tre tipologie di atti giuridici in funzione di specifici criteri, quali la incidenza umana; la esplicazione dell’atto; la valutazione ordinamentale. a) In ragione della incidenza umana nella realizzazione degli effetti giuridici si svolge una fondamentale distinzione tra atti giuridici in senso stretto e negozi giuridici. Il termine “atti” è utilizzato in modo generico nell’ordinamento, riferendosi talvolta agli atti in senso stretto, talaltra ai negozi giuridici, talaltra ad entrambe le categorie, anche per l’assenza di una testuale previsione dei negozi giuridici (come si vedrà). Gli atti giuridici in senso stretto (o meri atti giuridici), più spesso delineati solo come “atti giuridici”, sono i fatti dell’uomo per i quali assume rilevanza la mera volontarietà e consapevolezza della materialità dell’atto. L’ordinamento cioè considera gli interessi attuati da tali atti degni di tutela, sol che il fatto sia compiuto con volontarietà e consapevolezza, indipendentemente dalla previsione degli effetti e dalla volontà di conseguirli 2 Efficace è la distinzione nel diritto canonico tra actus hominis ed actus humanus. Il primo, pure essendo connesso alla natura umana, è riconducibile al genere dei corpi animati in quanto irragionevole e quindi non controllabile: avviene indipendentemente dalla volontà dell’uomo e perciò rileva come fatto giuridico in senso stretto. Il secondo indica l’atto assunto con deliberazione: è riferito alla sua ragione e alla sua volontà libera (actus voluntatis) e perciò rileva come atto giuridico.
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE
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da parte degli autori dell’atto; anzi molto spesso gli effetti intervengono contro la volontà degli autori dell’atto. In sostanza la volontà è connessa alla struttura e non alla funzione dell’atto e cioè al risultato perseguito: la produzione degli effetti prescinde, non solo dalla volontà di conseguirli, ma anche dalla conoscenza degli stessi. È sufficiente la capacità naturale di intendere e volere. Si pensi alla richiesta di adempimento fatta per iscritto dal creditore al debitore (art. 1229): tale atto comporta per legge la costituzione in mora del debitore, con tutti gli effetti previsti dalla legge (risarcimento del danno, assunzione del rischio per la sopravvenuta impossibilità della prestazione di consegna: artt. 1218 e 1221), indipendentemente dal fatto che il creditore voglia o anche solo conosca gli effetti della richiesta di adempimento (VII, 4.2). Si pensi ancora all’atto di adempimento del debitore: la sussistenza di un obbligo ad adempiere comporta per legge l’estinzione dell’obbligazione, anche senza la sussistenza di un animus solvendi (artt. 1176 ss.) (VII, 3.2); rileva il campo dei c.d. atti dovuti che alcuni autori considerano come “fatti in senso stretto”. Essendo gli effetti giuridici preordinati dall’ordinamento indipendentemente da un intento degli autori, gli atti in senso stretto sono per necessità tipici (cioè tassativamente previsti dall’ordinamento), sia nella struttura e quindi nella formazione, che nel contenuto e dunque nel risultato attuato: il fatto materiale, come tale, è presupposto degli effetti disposti dall’ordinamento. Manca una disciplina generale degli atti in senso stretto, essendo i correlativi effetti connessi ai singoli schemi di atti approntati dalla legge. Agli stessi non si applica neppure l’art. 1324 se non per analogia, essendo la norma rivolta ad estendere le norme sul contratto agli atti negoziali tra vivi a contenuto patrimoniale. Una particolare fisionomia assumono le c.d. dichiarazioni di scienza; sono atti che hanno la unica funzione di affermare la verità o formulare la ricognizione intorno a fatti avvenuti: si pensi alla confessione (art. 2730) e alle registrazioni nelle scritture contabili (art. 2709). I negozi giuridici 3 sono atti giuridici esplicativi della “autonomia privata”. Strutturalmente sono manifestazioni di volontà rivolte ad uno scopo pratico tutelato dall’ordinamento; rilevano giuridicamente, non solo la volontarietà e consapevolezza del comportamento, ma anche la volontarietà degli effetti e cioè del risultato perseguito (tipico esempio è il contratto: art. 1321): è proprio questo secondo profilo del perseguimento di un risultato a segnarne la caratterizzazione all’interno della generale categoria degli atti giuridici. Funzionalmente sono autoregolamenti di interessi, cui l’ordinamento connette effetti giuridici tendenzialmente conformi agli scopi perseguiti dai privati (previa valutazione di meritevolezza e liceità dell’assetto di interessi realizzato) (saranno approfonditi trattando dell’autonomia privata: II, 5). b) In ragione della esplicazione dell’atto, gli atti giuridici si presentano secondo i modelli della dichiarazione e del contegno. – Quando sono contrassegnati dalla dichiarazione (atti dichiarativi), gli atti sono orientati ad esprimere all’esterno, ed effettivamente esprimono, a destinatari (specifici o alla generalità) l’intento volitivo, mediante lo scritto, la parola o altri segnali. Alcune volte gli atti dichiarativi comunicano alcuni fatti giuridici, come ad es. la notificazione di una sentenza, la comunicazione di convocazione di un’assemblea, ovvero la comunicazione di un 3 Il termine “negozio” deriva dal latino negotium, composto di nec e otium. Però l’otium romano non indicava inerzia ma solo riposo dagli affari e dal lavoro, per dedicarsi alle espressioni dello spirito.
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contegno da cui derivano effetti giuridici (es. costituzione in mora ex art. 1219). Altre volte gli atti dichiarativi manifestano una volontà di perseguire uno scopo, come nella formazione dei negozi giuridici (es. proposta di contratto): delle dichiarazioni di volontà negoziale si parlerà diffusamente nel prossimo capitolo trattando dell’autonomia privata. Per riferirsi la dichiarazione al linguaggio, le modalità dichiarative mutano con la modificazione del linguaggio; col tempo emergono nuovi modelli linguistici che gradualmente depongono altri precedentemente in uso. Gli atti dichiarativi si distinguono a loro volta in recettizi e non recettizi. Sono atti recettizi gli atti dichiarativi rivolti a terzi che producono effetto nel momento in cui pervengono a conoscenza del destinatario. Sono dunque atti affidati alla comunicazione ad uno o più destinatari, assumendo efficacia in ragione (e quindi a seguito) di tale comunicazione (es. la disdetta da un rapporto locativo, al fine di impedire il rinnovo del contratto in corso: art. 1596) 4. Opera nel nostro ordinamento il principio della cognizione (e non della recezione), temperato da una presunzione di conoscenza fissata dall’art. 1334, per cui “la proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia”: a fronte dell’arrivo della comunicazione all’indirizzo del destinatario, spetta al destinatario fornire la prova della impossibilità di prenderne conoscenza. Il rifiuto del destinatario di ricevere un atto recettizio non esclude che la comunicazione debba ritenersi avvenuta e produca i relativi effetti. Dall’impianto dell’art. 1334 che, sotto la rubrica di “efficacia degli atti unilaterali” regola gli atti recettizi, si ricava il principio che, di regola, gli atti unilaterali sono recettizi. Sono atti non recettizi quelli che non sono destinati a terzi e pertanto producono effetto in virtù della mera redazione; peraltro l’efficacia dell’atto può essere subordinata ad eventi futuri, come ad es. il testamento rispetto all’evento morte (art. 587). – Quando sono contrassegnati dal contegno (atti attuosi), l’atto, pur non contenendo una compiuta determinazione volitiva, presenta indici della stessa dai quali è possibile ricostruirla: es. l’accettazione tacita dell’eredità desunta dal compimento di atti che il chiamato all’eredità non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede (art. 476). A volte è la legge a fare derivare alcuni effetti da specifici comportamenti: es. c’è attribuzione legale dell’eredità a seguito di vendita, donazione o cessione dei diritti successori che il chiamato compie in favore di estranei (art. 477). Una specifica categoria è quella dei c.d. negozi di attuazione, nel senso che l’atto rileva giuridicamente, ad un tempo, come espressivo di intento e come esecutivo; nel suo stesso svolgersi attua la modificazione del mondo esterno (es. l’occupazione di una cosa mobile abbandonata: art. 923): come si vedrà, è una categoria in continua crescita con l’intensificarsi dell’automazione indotta dalle ricerche tecnologiche. 4
Quando l’atto deve essere comunicato entro un termine preciso ed è utilizzato un procedimento notificatorio che impegna un ufficio per la notificazione dell’atto, vale il principio della scissione degli effetti della notificazione tra notificante e destinatario, per cui l’atto si considera notificato per il soggetto notificante al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e per il destinatario al momento della consegna al destinatario o in cui ne abbia legale conoscenza (art. 1493 c.p.c.). Il principio è esteso alle comunicazioni a mezzo posta, anche dell’Amministrazione finanziaria (Cass. 21-10-2014, n. 22320).
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c) In relazione alla valutazione, vale la distinzione tra atti leciti e atti illeciti, a seconda della conformità o meno all’ordinamento giuridico. Gli atti leciti sono atti voluti dall’agente e conformi all’ordinamento giuridico, ai quali l’ordinamento riconduce effetti giuridici prefissati (se atti in senso stretto) ovvero tendenzialmente conformi a quelli perseguiti dalle parti (se negozi giuridici). Gli atti illeciti sono atti contrari all’ordinamento giuridico. Possono riguardare la violazione di doveri generali comportamentali, che si riflettono sulla collettività (es. un atto di inquinamento); come possono integrare la violazione di obblighi particolari verso singoli soggetti, con lesione di interessi specifici protetti dall’ordinamento: in tale direzione, vuoi con l’inadempimento di un obbligo assunto (illecito da inadempimento), vuoi con la lesione di un una situazione soggettiva altrui, sia relativa alla persona (es. diffamazione o violenza) che riguardante cose (es. disturbo all’esercizio della proprietà). Anche se l’art. 2043 definisce genericamente gli atti illeciti come “fatti illeciti”, la rilevanza degli stessi è di regola connessa alla “imputabilità” del fatto dannoso all’autore del fatto: per l’art. 2046 non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva “la capacità d’intendere o di volere” al momento in cui lo ha commesso (la generale formulazione di “fatti illeciti” tende a includere anche le ipotesi di responsabilità oggettiva, quando cioè la esigenza di tutela del danneggiato comporta la riconduzione della responsabilità indipendentemente dallo stato soggettivo dell’agente: se ne parlerà in seguito X, 1.7). A parte le diverse tipologie di sanzioni apprestate dall’ordinamento, di ordine penale e amministrativo, la sanzione civilistica è sempre nell’obbligo di risarcimento del danno (di cui si dirà: X, 2.1). In ogni caso si produce un effetto giuridico (la sanzione) che addirittura è in contrasto con il fine perseguito dall’autore del fatto dannoso.
6. Attività. – Di sovente singoli fatti e atti giuridici rilevano per l’ordinamento, oltre che isolatamente considerati, anche nella connessione tra gli stessi. Si dà luogo in tali casi alla c.d. attività, che è la coordinazione di più fatti e atti preordinati e svolti verso il conseguimento di uno scopo unitario. I singoli atti, quand’anche possano rilevare autonomamente, sono altresì presi in considerazione dall’ordinamento come frammenti di una serie coordinata e teleologicamente orientata con una continuità e direzione ad uno scopo. È la unificazione dei singoli atti sul piano sociale per il raggiungimento di un risultato unitario a dare luogo ad una rilevanza di tale unificazione come peculiare fattispecie giuridica. L’ordinamento attribuisce all’insieme degli atti effetti ulteriori e diversi rispetto a quelli ricollegabili ai singoli atti, autonomamente considerati. Si pensi all’attività economica che contraddistingue l’esercizio dell’impresa: per l’art. 2082 “è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”; e per l’art. 2247, “con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”; c’è un riferimento all’attività anche nella regolazione della concorrenza (es. art. 2596) (II, 6): i singoli fatti economici e giuridici rilevano come attività rivolta a uno scopo. Nella materia del lavoro, rileva la prestazione continuativa del lavoratore subordinato (art. 2094); analogamente per tutte le attività professionali, relativamente alla esecuzione del contratto d’opera (art. 2222). Spesso poi sono gli stessi privati a programmare un c.d. collegamento negoziale di più atti verso il perseguimento di uno scopo unitario (VIII, 3.12).
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7. Titoli di acquisto e vicende giuridiche. La circolazione giuridica. – Le relazioni socio-economiche comportano un costante mutamento nella titolarità e nella vita delle situazioni giuridiche e dei rapporti giuridici cui più spesso sono correlate le singole situazioni soggettive (II, 3.1). In tal senso rilevano i titoli di acquisto e le vicende giuridiche realizzate, che producono la circolazione giuridica. a) I titoli di acquisto sono i fatti giuridici posti a fondamento delle singole vicende acquisitive e dunque della circolazione dei diritti. È possibile distinguere i titoli di acquisto in due grandi categorie: a titolo derivativo e a titolo originario. Gli acquisti a titolo derivativo producono la vicenda acquisitiva del diritto in capo ad un soggetto in ragione di un rapporto giuridicamente rilevante con il precedente titolare, che è necessario presupposto. Esprimono il fenomeno successorio nella titolarità della situazione giuridica: un soggetto perde il diritto (come dante causa o alienante) a vantaggio di un soggetto che acquista il diritto (come acquirente o avente causa); si suole ricorrere alla qualificazione del soggetto che perde il diritto come dante causa (o alienante) e del soggetto che acquista il diritto come acquirente (o avente causa); si è anche soliti parlare, rispettivamente, di autore e di successore. Rispetto a tali acquisti vale il principio che nessuno può traferire maggiori diritti di quelli che ha (nemo plus iuris in alium trasferre potest quam ipse habet); cui si collega l’ulteriore criterio che regola l’acquisto a titolo derivativo, per cui il venir meno del diritto del dante causa fa venire meno anche il diritto di chi abbia da lui acquistato (resoluto iure dantis, resolvitur et ius accipentis): si vedrà peraltro delle deviazioni a tali criteri logici per l’esigenza di tutela della circolazione giuridica. Limiti all’acquisto possono essere imposti dalla legge con vincoli rispetto ad alcuni beni (es. art. 839) o per taluni soggetti (es. art. 1471) o dall’autonomia privata con limitazioni convenzionali del potere di disposizione (es. art. 1379) (v. VIII, 2.22). Gli acquisti possono intervenire per atto tra vivi (con scambio di dichiarazioni) o a causa di morte (per disposizione del testatore o della legge), per essere entrambi i trasferimenti connessi al rapporto con il precedente titolare. Entrambe le specie di successione possono avere un oggetto specifico o riguardare una pluralità di beni. Si ha successione a titolo universale quando si subentra nella complessiva posizione (attiva e passiva) di un soggetto; si ha successione a titolo particolare quando si subentra in una specifica situazione soggettiva (attiva o passiva). Per la successione a causa di morte si parla di eredità (acquisto a titolo universale) e di legato (acquisto a titolo particolare) (XII, 1.1). La rilevanza assunta dal debito nella moderna realtà economica come essenziale strumento di finanziamento dell’azione economica ne ha comportato una crescente circolazione per la sua attuazione; perciò la successione nel debito rileva, non solo con riguardo al fenomeno successorio nel rapporto obbligatorio, ma anche per la collocazione che se ne suole fare sul mercato con l’assunzione da parte di singoli o più spesso di soggetti finanziariamente specializzati; le vicende circolatorie vanno dunque riferite alla circolazione delle situazioni soggettive attive e passive, con le proprietà di ciascuna categoria e in ragione dei contesti di svolgimento (v. VII, 2.9). Gli acquisti a titolo derivativo, a loro volta, si distinguono in due sottocategorie (derivativo traslativo e derivativo costitutivo). Si ha acquisto a titolo derivativo-traslativo quando il diritto acquistato è lo stesso che era in capo al dante causa, che pertanto lo perde. C’è trasmissione del medesimo diritto, che si perde dall’un soggetto per acquistarsi dall’altro. Ad es. la vendita realizza la vicen-
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da traslativa del diritto dal venditore al compratore, producendo nel patrimonio del venditore la perdita e nel patrimonio del compratore l’acquisto. Si ha acquisto a titolo derivativo-costitutivo quando il diritto acquistato non esisteva nella realtà giuridica, per non sussistere come tale in capo all’alienante; però promana dal diritto dell’alienante, comportandone una restrizione: l’acquisto della nuova situazione avviene in forza del rapporto con il precedente titolare. Si pensi alla costituzione di un diritto di usufrutto: prima della costituzione non esisteva nella realtà giuridica un diritto di usufrutto; ma questo è costituito dal proprietario in ragione della proprietà piena che ha sul bene, sicché, a seguito della costituzione, esistono nella realtà giuridica ed insistono sul medesimo bene una proprietà dal contenuto più ridotto (c.d. nuda proprietà) in capo al dante causa e un diritto reale limitato di usufrutto in capo all’avente causa; si pensi anche alla costituzione dei diritti reali di garanzia di pegno e ipoteca. Gli acquisti a titolo originario realizzano l’acquisto di un diritto nuovo, indipendentemente da un rapporto con l’originario titolare. L’acquisto avviene, talvolta, in assenza di un diritto di altro titolare su un bene (es. occupazione: art. 923), talaltra addirittura contro il precedente titolare che conseguentemente lo perde. L’usucapione, fondata sul possesso continuato, non violento e non clandestino, costituisce il modo più diffuso di acquisto a titolo originario della proprietà di beni immobili, di beni mobili e di universalità di beni mobili, come di diritti di godimento sugli stessi (artt. 1158 ss., 1160 e 1161) (VI, 5.7). b) Le vicende giuridiche sono i mutamenti delle situazioni giuridiche e dei rapporti (c.d. modificazioni dei diritti): esprimono la dinamica delle situazioni giuridiche, dalla nascita fino all’estinzione, determinando la sorte dei corrispondenti poteri e obblighi in capo ai singoli titolari. Si distinguono vicende costitutive, modificative e estintive. Le vicende costitutive segnano la nascita di situazioni giuridiche soggettive e dunque l’acquisto in capo ad un soggetto di un diritto che non esisteva o di cui non era titolare. Ad es., con il contratto di locazione, nasce in capo al locatore il diritto al corrispettivo del canone e l’obbligo di far godere il bene (art. 1571); a seguito del possesso continuato con alcune caratteristiche di un bene, il possessore acquista la proprietà per usucapione (artt. 1158 ss.). Le vicende estintive segnano la cessazione di situazioni giuridiche soggettive, nel senso della perdita della situazione soggettiva per il titolare: la situazione (prima esistente) in capo ad un soggetto viene meno. L’estinzione può realizzarsi a seguito del soddisfacimento del diritto (es. l’adempimento dell’obbligazione produce il soddisfacimento del creditore e quindi l’estinzione del rapporto obbligatorio ex artt. 1176 ss.); come senza soddisfacimento (es. impossibilità sopravvenuta della prestazione ex art. 1256); analogamente gli atti abdicativi, tra i quali la remissione del debito (art. 1236). Si può anche dare luogo alla sostituzione di rapporto, che si estingue, con costituzione di nuovo rapporto (es. novazione ex art. 1230). Le vicende modificative determinano il mutamento di una situazione giuridica, più spesso rispetto al soggetto, eccezionalmente con riguardo all’oggetto. Di regola il mutamento non incide sulla esistenza del rapporto, che continua a vivere. Bisogna verificare in concreto se si sia voluta (anche) una sostituzione del rapporto (con la estinzione dell’originario e costituzione di uno nuovo) ovvero valutare la coerenza della modificazione con la sostanza del rapporto, tale da non implicarne una sostituzione.
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La modificazione soggettiva produce il mutamento della titolarità della situazione giuridica, attiva o passiva, tecnicamente indicata come successione. Quando la perdita di un diritto per un soggetto si intreccia con l’acquisto per un altro soggetto (c.d. acquisto derivativo) si ha trasferimento della situazione soggettiva. La successione può essere volontaria (es. cessione volontaria del credito) o legale (es. per espropriazione e vendita coatta). Si vedrà, trattando delle obbligazioni, come sia più agevole la successione nel lato attivo (es. cessione del credito ex art. 1260), perché di regola è indifferente per il debitore il destinatario del pagamento; mentre più complessa è la successione nel lato passivo perché rileva per il creditore la persona del debitore (l’assunzione del debito altrui non può compiersi contro la volontà del creditore ex artt. 1268 ss.). Esistono anche situazioni soggettive indisponibili per la natura degli interessi coinvolti, che l’ordinamento intende preservare: si pensi al diritto di uso e di abitazione (art. 1024) e al diritto agli alimenti (art. 447). La modificazione oggettiva determina un mutamento nell’oggetto o nel contenuto del rapporto, in modo coerente con la sostanza del rapporto giuridico, che permane: ad es. la rinegoziazione nel periodo di pandemia per Covid 19, con la riduzione dell’ammontare del canone di locazione; la surrogazione reale, con subingresso del creditore nei diritti del debitore in dipendenza del fatto che ha causato l’impossibilità della prestazione (art. 1259); la costituzione di un vincolo di destinazione sul bene (art. 2645 ter). Come si è visto, è anche possibile dare luogo alla sostituzione del rapporto, con estinzione del rapporto originario e costituzione di un nuovo rapporto (es. novazione oggettiva ex art. 1230). c) La circolazione giuridica rappresenta la dinamica delle situazioni giuridiche intrecciando le singole vicende giuridiche con i titoli di acquisto. È essenziale meccanismo di coesione sociale per realizzare lo spostamento tra gli uomini dei beni, consentendo la utilizzazione da parte di più soggetti (in modo successivo o anche concorrente), allo scopo di soddisfare un bisogno o esplicare un’attività economica. La tutela della circolazione giuridica è anche esigenza fondamentale della economia di mercato perché tende ad assicurare la collocazione dei prodotti in modo veloce e sicuro. Una tutela privilegiata dei diritti soggettivi e segnatamente della proprietà osserva il mutamento giuridico nella prospettiva del titolare, perché la modificazione sia espressiva della volontà del titolare (come era per il cod. civ. del 1865). Una tutela privilegiata della produzione valuta il mutamento giuridico nella prospettiva dell’acquirente, perché resti protetto l’affidamento legittimamente riposto nel mutamento e specificamente nell’acquisto compiuto (è il sistema accolto dal cod. civ. del 1942) (v. quanto si dirà sull’affidamento: II, 7.4) e in tema di pubblicità (XIV, 2.17). Gli ind ici di circolazione sono i segnali della circolazione giuridica, che rendono conoscibili le vicende giuridiche. Sono apprestati dall’ordinamento al fine di risolvere i conflitti tra situazioni giuridiche incompatibili. Il più diffuso indice di circolazione è rappresentato dalla pubblicità. Si parlerà in seguito ampiamente del ruolo che assume la pubblicità, degli atti soggetti a pubblicità, della efficacia e delle modalità di esecuzione della stessa (XIV, 1.2). All’uopo sono predisposte strutture pubbliche depositarie di pubblici registri dove è possibile scritturare e visionare i dati di cui si vuole assicurare la notorietà (es. registri di stato civile, registri immobiliari, registri dei mobili registrati, registro delle imprese): è questa propriamente la c.d. pubblicità legale. L’esistenza di un apparato pubblicitario produce la c.d. cono-
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scenza legale dei dati ivi riportati perché si prescinde dal conseguimento della conoscenza effettiva. È ancora l’ordinamento a ricondurre al fatto della pubblicità specifici effetti giuridici, quali la mera conoscenza, la opponibilità ai terzi o addirittura la costituzione di diritti. Con riguardo alla circolazione degli immobili e dei mobili registrati, la trascrizione degli atti dispositivi vale a risolvere i conflitti tra più aventi causa dal medesimo autore titolare del diritto, prevalendo tra più acquirenti dal medesimo alienante quello che per primo ha trascritto il proprio atto di acquisto (artt. 2644 e 2684). Altro indice di circolazione è la consegna, che implica un’apprensione materiale della cosa. Ad es., se con diversi contratti una persona cede a più persone un diritto personale di godimento sulla stessa cosa (locazione o comodato), prevale tra i cessionari quello che per primo ha conseguito il godimento della cosa. Fondamentale indice di circolazione è infine il possesso che implica un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Si vedrà come il possesso rappresenti il più alto grado di manifestazione dell’apparenza di titolarità del diritto. Con riguardo alla circolazione dei beni mobili (non registrati), non potendo operare registri di pubblicità, tra più acquirenti dal medesimo alienante titolare del diritto prevale chi per primo ne ha acquistato il possesso in buona fede (art. 1555). Diversamente operano la comunicazione e la notificazione che indirizzano la conoscenza verso specifici soggetti. Ad es. con riguardo alla cessione del credito, tra più cessioni dello stesso credito, prevale quella che per prima è stata notificata al debitore o per prima è stata accettata dal debitore con atto di data certa (art. 1265).
B) INFLUENZA DEL TEMPO. (PRESCRIZIONE E DECADENZA) 8. Funzione del tempo. Computo dei termini. – Ogni fenomeno giuridico incide nella realtà materiale e dunque rileva nella realtà giuridica in una duplice dimensione: temporale e spaziale. Tempo e spazio esprimono le modalità, cronologica e spaziale, di svolgimento dei fatti giuridici: sono modi di essere dei fatti giuridici, che influenzano la determinazione delle vicende giuridiche e perciò la stessa vita delle situazioni giuridiche. Il tempo può rilevare nel suo correre e perciò con riguardo alla durata o può rilevare con riferimento ad un momento specifico e perciò come data. Ad es., in un contratto di locazione, il tempo fissa il termine di efficacia del contratto (la durata della locazione), e segna il termine di scadenza del pagamento del canone (es. entro il cinque di ogni mese). Il tempo ha assunto un’autonoma rilevanza anche nel diritto amministrativo, dove è emersa la risarcibilità del danno da ritardo come interesse in sé endoprocedimentale, che è diverso dall’interesse finale al conseguimento del provvedimento. Il tempo diventa, come tale, un bene della vita la cui lesione obbliga la P.A. al risarcimento del danno prodotto (art. 2 bis, L. 241/1990, introdotto dalla L. 69/2009) 5. Per l’essenziale rilevanza della dimensione temporale dei fatti giuridici, la legge dedi 5 Il ritardo nell’emanazione di un atto amministrativo è elemento sufficiente per configurare un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento, nel caso di procedimento amministrativo lesivo di un “interesse pretensivo dell’amministrato”, ove tale procedimento sia da concludere con un provvedimento favorevole per il destinatario; ciò in quanto il tempo è un “bene della vita” per il cittadino ed il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento ha sempre un costo (Cons. Stato 7-3-2013, n. 1406).
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
ca una specifica normativa al computo dei termini. Il codice civile la colloca nel capo dedicato alla prescrizione (artt. 2962 e 2963) ed a quest’ultima la riferisce; ma si tratta di una disciplina applicabile a tutte le ipotesi di computo del termine, anche per l’assenza di una diversa normativa in proposito (un espresso rinvio all’art. 2963 è nell’art. 1187 per il computo del termine di adempimento dell’obbligazione). Regola generale è che i termini contemplati dal codice civile e dalle altre leggi si computano secondo il calendario comune, con le precisazioni introdotte. Il riferimento al tempo non è limitato al momento della giornata ma al giorno per l’intera durata (24 ore). Solo in ipotesi tassativamente indicate rileva il momento della giornata: ad es., in tema di iscrizione ipotecaria, “l’ipoteca prende grado dal momento della sua iscrizione” (art. 2852). Non si computa il giorno iniziale del termine e si computa invece il giorno finale. Il computo dei termini a mesi si fa con riguardo al mese di scadenza e nel giorno di questo corrispondente al giorno del mese iniziale; se nel mese di scadenza manca tale giorno, il termine si compie con l’ultimo giorno dello stesso mese (es. il termine di un mese con decorrenza 5 febbraio scade il 5 marzo, anche se il mese di febbraio è di 28 giorni). Analogamente, per il computo del termine ad anni, si deve avere riguardo all’anno di scadenza con riferimento al giorno e al mese corrispondenti a quelli iniziali. Di regola il termine si considera continuo, comprensivo cioè anche dei giorni festivi, tranne che questi non siano espressamente esclusi. Solo se l’ultimo giorno è festivo, è prorogato al giorno successivo non festivo. Particolare rilevanza assumono, per l’incidenza del tempo nella vita dei diritti soggettivi, gli istituti della usucapione (anche detta prescrizione acquisitiva 6) per l’acquisto di alcuni diritti reali e della prescrizione estintiva (anche detta soltanto prescrizione) e decadenza per l’estinzione dei diritti. Si parla in questa parte della prescrizione estintiva e della decadenza, per l’influenza esclusiva del tempo nella realizzazione delle stesse; si rinvia invece alla trattazione dei diritti reali l’esame dell’usucapione per incidere anche il possesso dei beni: l’usucapione premia il possesso dei beni (artt. 1158 ss.) (VI, 5.7).
9. La prescrizione. – La prescrizione c.d. estintiva si atteggia quale generale modo di estinzione dei diritti per mancato esercizio (art. 2934): il decorso del tempo rileva nella prospettiva della durata di non esercizio dei diritti. a) È da sempre dibattuto il fondamento dell’istituto della prescrizione. Tradizionalmente e più diffusamente è stato ravvisato nell’inerzia del titolare nell’esercizio del diritto, come espressione di non interesse alla titolarità del singolo diritto. Talvolta si è fatto riferimento ad una sorta di sanzione per il soggetto che si disinteressa dei suoi diritti, non esercitandoli e lasciando deperire i beni; talaltra si è invocata una esigenza di liberazione 6 In passato si era soliti anche parlare di prescrizione acquisitiva con riguardo al diverso ed opposto fenomeno dell’acquisto dei diritti per il maturare del tempo: l’art. 2105 cod. civ. abr. considerava la prescrizione come un mezzo con cui, col decorso del tempo e sotto condizioni determinate, taluno acquista un diritto o è liberato da un’obbligazione. Era un sistema che si fondava sulla presunzione che il proprietario e il creditore che per lungo tempo non esercitavano i propri diritti avessero inteso abbandonarli. Il nuovo codice configura l’usucapione come modo di acquisto della proprietà (artt. 922 e 1158 ss.), orientando l’osservazione sull’attività del soggetto che in fatto utilizza un bene altrui attuando il contenuto della proprietà o di altro diritto reale.
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dai vincoli che gravano sui beni o comprimono la libertà di comportamento delle persone. Più di recente è stato riposto nella esigenza di tutelare l’affidamento dei terzi circa la corrispondenza della situazione di fatto a quella di diritto. In realtà le varie spiegazioni concorrono a delineare il diversificato fondamento nelle singole ipotesi, tutte tenute insieme da una esigenza di ordine pubblico di certezza delle situazioni giuridiche, per l’adeguamento nel tempo delle qualifiche formali di diritto alle situazioni materiali di fatto 7. Altro tradizionale dibattito è quello relativo all’oggetto della prescrizione: l’art. 2135 cod. civ. abr. lo riferiva alle azioni (“tutte le azioni, tanto personali che reali, si prescrivono col decorso di trent’anni); il nuovo cod. civ. lo riferisce senz’altro ai diritti: per l’art. 2934 c.c. “ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge”, ove l’estinzione del diritto comporta naturalmente l’estinzione dell’azione. Non mancano ipotesi nelle quali il riferimento è alla prescrizione dell’azione, quando rilevano situazioni giuridiche opposte paralizzanti l’azione: ad es. sono imprescrittibili l’azione di rivendicazione (art. 9483), l’azione di petizione di eredità (art. 533), l’azione di nullità del contratto (art. 1422), salvi gli effetti dell’usucapione altrui; le azioni di contestazione e reclamo dello stato di figlio (artt. 2482 e 2492), in vista della continuità affettiva del figlio. Analogamente è disposta la imprescrittibilità dell’eccezione (es. la imprescrittibilità dell’eccezione di annullamento del contratto proposta dalla parte convenuta per l’esecuzione ex art. 14424), che fa valere una situazione giuridica opposta. Sono imprescrittibili i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge (art. 29342). Tra questi rientrano massimamente i diritti della personalità e quelli connessi agli stati e alle responsabilità familiari. Una situazione articolata si realizza rispetto alla filiazione: l’azione di disconoscimento del figlio nato durante il matrimonio è imprescrittibile per il figlio, mentre si prescrive in un anno per il marito della madre (art. 244); analogamente l’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità è imprescrittibile per il figlio mentre si prescrive in un anno per l’autore del riconoscimento (art. 263). Tra i diritti patrimoniali è imprescrittibile il solo diritto di proprietà, come si ricava dalla non prescrizione dell’azione di rivendicazione (artt. 9483, 9352), vuoi per essere il non uso una forma di esercizio, vuoi, ancor più, per il riconoscimento compiuto dal legislatore del 1942 alla categoria come configurata dalla tradizione liberale dell’epoca: l’equilibrio è stato realizzato facendosi salvo l’acquisto per usucapione della proprietà e con la previsione di limiti negativi e obblighi positivi introdotti al contenuto del diritto di proprietà, per assicurarne efficienza economica e coerenza con il generale sistema produttivo (tipicamente art. 838, ma anche artt. 833, 840 e 844 c.c.) e i generali criteri di collaborazione e solidarietà (artt. 851 e 860) 8. I beni immobili vacanti spettano al patrimonio dello stato (art. 827); le cose mobili abbandonate sono oggetto di occupazione (art. 923). 7 La Relaz. cod. civ., n. 1065, rileva: “l’inerzia o il silenzio troppo a lungo protratti determinano degli assestamenti di fatto, che non sarebbe ormai provvido turbare, anche se intrinsecamente e in origine potessero dar luogo a legittime azioni o reazioni altrui”. 8 Per la Relaz. al cod. civ. “La proprietà è riconosciuta e protetta perché è considerata come lo strumento più efficace e più utile per la produzione” (n. 23); “il titolare del diritto non può rimanere inerte; il lavoro è un dovere sociale e il proprietario deve provvedere all’utilizzazione dei propri beni per conseguirne la massima produttività” (n. 25).
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In ragione della tutela di esigenze generali, la disciplina della prescrizione è di ordine pubblico, nel senso che non è derogabile dai privati. È nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione (art. 2936), che pertanto non è derogabile, né è prorogabile o abbreviabile. Le disposizioni generali sulla prescrizione, quelle relative alle cause di sospensione e d’interruzione e al computo dei termini si osservano, in quanto applicabili, rispetto all’usucapione (art. 1165) (VI, 5.7). b) L’operatività della prescrizione è conseguenziale. Non essendo coinvolti valori fondamentali, la prescrizione non è rilevabile d’ufficio dal giudice, ma deve essere opposta (art. 2938) (c.d. eccezione in senso stretto), in coerenza con il principio che il giudice non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti (art. 112 c.p.c.), ma individua le norme applicabili. È cioè rimessa alla valutazione del soggetto interessato la decisione se avvalersi o meno della prescrizione; se intende avvalersene, ha l’onere di opporre la prescrizione, con allegazione della stessa 9. Non è sufficiente una formulazione generica, dovendosi indicare il fatto costitutivo 10, mentre non sono necessarie formule sacramentali, anche rispetto a diritti reali 11. La prescrizione può essere opposta da terzi interessati (art. 2939) 12. La valorizzazione della certezza delle situazioni giuridiche giustifica la inderogabilità delle norme sulla prescrizione : è nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione (art. 2936), sia rispetto alla operatività che alla durata della prescrizione. Un ulteriore risvolto è in tema di rinunzia alla prescrizione. Non può rinunziare alla 9 Nel processo civile il convenuto deve proporre, nella comparsa di risposta, a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio (art. 167 c.p.c.), tra cui rientra, ex art. 2938 c.c., quella di prescrizione. Ciò implica che alla parte sia fatto onere soltanto di allegare l’inerzia del titolare e di manifestare la volontà di profittare di quell’effetto, non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso specifica menzione della durata dell’inerzia) le norme applicabili al caso di specie, l’identificazione delle quali spetta al potere-dovere del giudice, con la conseguenza, sia della possibilità di una diversa indicazione del termine nel corso di giudizio, sia che il riferimento della parte ad un termine non priva il giudice del potere officioso di applicazione (previa attivazione del contraddittorio sulla relativa questione) di una norma di previsione di un termine diverso (Cass., sez. un., 25-7-2002, n. 10955). Conformi Cass. 19-4-2016, n. 7749; Cass. 21-3-2013, n. 7130). Solo in caso di pluralità di crediti azionati, il convenuto deve precisare il momento iniziale dell’inerzia in relazione a ciascuno di essi (Cass. 8-3-2004, n. 4668). 10 L’eccezione di prescrizione deve sempre fondarsi su fatti allegati dalla parte ed il debitore che la solleva ha l’onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del termine, ai sensi dell’art. 2935 c.c., restando escluso che il giudice possa accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso (Cass. 18-6-2018, n. 15991). Non viola il principio dispositivo della prescrizione (art. 2938) né quello della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.) la decisione che accolga l’eccezione di prescrizione ordinaria sulla base di una ragione giuridica diversa da quella prospettata dalla parte che l’ha formulata, poiché spetta al giudice individuare gli effetti giuridici dei singoli atti posti in essere, attribuendo o negando a ciascuno di essi efficacia interruttiva o sospensiva della prescrizione (Cass. 21-1-2020, n. 1149). 11 La prescrizione delle servitù per non uso, ex art. 1073 c.c., formando oggetto di un’eccezione in senso proprio, deve essere specificamente opposta, anche senza l’impiego di forme sacramentali, dalla parte che intenda avvalersene (Cass. 18-3-2019, n. 7562). 12 Conformemente ad un principio generale che consente al creditore di s u r r o g a r s i al proprio debitore nell’esercizio di diritti ed azioni che questi trascura di esercitare verso terzi (art. 2900), la prescrizione può essere opposta anche dal creditore e da chiunque vi ha interesse, qualora la parte non la faccia valere; e può essere opposta anche se la parte vi ha rinunziato (art. 2939).
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prescrizione chi non può disporre validamente del diritto (art. 29371). È vietata la rinunzia preventiva alla prescrizione o intervenuta durante il decorso del termine di prescrizione, al fine di evitare abusi di una parte a danno dell’altra (ad es. all’atto della conclusione di un contratto o durante l’esecuzione): si può rinunziare alla prescrizione solo quando questa è compiuta (art. 29372), perché il soggetto cui profitta ritiene più utile non avvalersene, anche solo per ragioni morali o sociali. La rinunzia può essere espressa o tacita e cioè risultare da un fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione (art. 29373). Il condebitore che ha rinunziato alla prescrizione non ha regresso verso gli altri debitori liberati in conseguenza della prescrizione medesima (art. 13103). Per una ragione morale e proprio in quanto la prescrizione non opera di diritto, non è ammessa la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto (art. 2940), situazione che si è soliti qualificare come obbligazione naturale (art. 2034), rispetto alla quale opera la regola della c.d. soluti retentio (VII, 1.10) 13. La prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935) (actio nondum nata non prescribitur, secondo l’impostazione romana che radicava nell’azione la sostanza del diritto). Fino a quando il diritto non è costituito non può neppure operare la prescrizione per inerzia dell’esercizio. Perciò, rispetto a un diritto la cui nascita è sottoposta a condizione sospensiva o a termine iniziale, la prescrizione comincia a decorrere dall’avveramento della condizione o dalla scadenza del termine. In ogni caso non corre la prescrizione quando il diritto non può essere fatto valere (contra non valentem agere non currit praescriptio) 14 (v. anche art. 1166). Deve trattarsi di una impossibilità giuridica, a nulla rilevando gli impedimenti di fatto o soggettivi all’esercizio del diritto 15, salve le eccezioni stabilite dalla legge. Molto spesso è la legge stessa a specificare il giorno dal quale decorre il termine della prescrizione (ad es. con riguardo all’azione di annullamento del contratto ex art. 1442). Nelle prestazioni periodiche è importante la configurazione delle singole rimesse 16. 13 Tale profilo, unitamente a quello della non rilevabilità di ufficio, ha fatto diffusamente dubitare della natura della prescrizione come causa estintiva del diritto, ed avanzare l’idea che, con la prescrizione, il diritto non si estingua ma solo si indebolisca. 14 L’impossibilità di far valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 c.c., è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto (Cass. 31-7-2019, n. 20642; Cass. 11-9-2018, n. 22072; Cass. 7-12-2016, n. 25253; Cons. Stato 26-4-2016, n. 1616). Nel caso di obbligazione solidale al risarcimento dei danni ex art. 2055 c.c. la prescrizione dell’azione di regresso di uno dei coobbligati decorre dall’avvenuto pagamento e non già dal giorno dell’evento dannoso, poiché il diritto al regresso, ex art. 2935 c.c., non può esser fatto valere prima dell’evento estintivo dell’obbligazione (Cass. 11-10-2019, n. 25698). 15 In materia di risarcimento del danno, la decorrenza della prescrizione inizia nel momento in cui il danneggiato, con l’uso dell’ordinaria diligenza, è in grado di avere conoscenza dell’illecito, del danno e della derivazione causale dell’uno dall’altro, nonché dello stesso elemento soggettivo del dolo o della colpa che connota l’illecito (Cass. 21-2-2020, n. 4683; Cass. 18-7-2016, n. 14662). Il danno deve essere attuale e non solo potenziale, nonché oggettivamente percepibile e riconoscibile da parte di chi intenda ottenerne il ristoro (Cass. 7-4-2016, n. 6747). Ad es., il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale inizia a decorrere non dal momento in cui la condotta del professionista determina l’evento dannoso, bensì da quello in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da parte del danneggiato (Cass. 22-9-2016, n. 18606). 16 Con riguardo a prestazioni periodiche, bisogna verificare se le stesse sono frazioni di una prestazione unitaria o autonome prestazioni. Nella prima ipotesi, la prescrizione decorre dalla data della mancata esecu zione della prima frazione: i singoli importi, avendo contenuto patrimoniale, sono soggetti alla comune regola
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c) La durata della prescrizione è diversificata. Regola generale è che i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni (c.d. prescrizione ordinaria), salvi i casi in cui la legge dispone diversamente (art. 2946). Sono però molte le ipotesi per le quali è previsto un termine diverso di prescrizione: talvolta più lungo (ad es. i diritti reali di godimento su cosa altrui si prescrivono per non uso protratto per venti anni: artt. 954, 970, 1014, 1073); talaltra più breve (c.d. prescrizione b reve) (artt. 2947-2952). In ragione della specificità dei singoli diritti, sono previste varie prescrizioni brevi: ad es. il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni, e al risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli si prescrive in due anni (art. 2947) 17; in cinque anni si prescrive il diritto agli interessi e, in generale, a tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi (art. 2948, n. 4) 18. Quando, riguardo ai diritti soggetti a prescrizione breve, è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, i diritti restano soggetti alla prescrizione ordinaria (art. 2953): ciò in quanto la fonte originaria del diritto è sopravanzata dalla novità e stabilità della sentenza passata in giudicato 19.
10. Segue. Sospensione e interruzione. – Quando il diritto è nato e può essere fatto valere, rilevano due distinte serie di ragioni che diversamente operano sulla prescrizione: la sospensione e la interruzione. a) Si ha sospensione della prescrizione quando il mancato esercizio del diritto è dalla
che tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termine più breve si prescrive in cinque anni (art. 2948, n. 4, c.c.). Nella seconda ipotesi, decorre dalle date di scadenza delle singole prestazioni. Relativamente alla prescrizione del diritto all’assegno di mantenimento, la periodizzazione del pagamento, di regola mensile, determina una attualizzazione periodica del debito: trattandosi di prestazioni autonome e periodiche, la prescrizione non decorre da un unico termine (la data della sentenza di separazione o di divorzio o del passaggio in giudicato), bensì dalle singole scadenze di pagamento, iniziando a decorrere dal mese successivo a quello di riferimento. Analogamente per i tributi, dove il termine prescrizionale per una debitoria per più annualità è calcolato con riferimento alle singole annualità. 17 Se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile di risarcimento danni (art. 29473). Anche se il giudizio penale non sia stato promosso, l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato si applica all’azione di risarcimento “quando il giudice civile accerti, incidenter tantum e con gli strumenti probatori e i criteri propri del procedimento civile”, la sussistenza del fatto-reato (Cass., sez. un., 18-11-2008, n. 27337). Se però il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive, secondo i primi due commi dell’art. 2947, con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile (art. 29473). 18 Per ulteriori prescrizioni quinquennali, v. artt. 2948 e 2949; per prescrizione annuale, v. artt. 2950 e 2951. Un termine differenziato in materia assicurativa (art. 2952). 19 La prescrizione decennale da actio iudicati ex art. 2953 decorre dal passaggio in giudicato della sentenza e, se appellata, dalla declaratoria giudiziale che rende definitiva la decisione, effetto questo che, rispetto al giudizio di ottemperanza ex art. 70 D.Lgs. 546/1992, si produce anche con riguardo ad una pronuncia di rito, in quanto idonea a chiudere il processo in senso sfavorevole a una parte, fondando la definitività della pretesa avanzata dall’altra (Cass. 16-12-2019, n. 33039). Nel caso in cui la sentenza penale di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della persona offesa, costituitasi parte civile, sia passata in giudicato, la successiva azione volta alla quantificazione del danno non è soggetta al termine di prescrizione breve ex art. 2947 c.c., ma a quello decennale ex art. 2953 c.c. decorrente dalla data in cui la sentenza stessa è divenuta irrevocabile, atteso che la pronuncia di condanna generica, pur difettando dell’attitudine all’esecuzione forzata, costituisce una statuizione autonoma contenente l’accertamento dell’obbligo risarcitorio in via strumentale rispetto alla successiva determinazione del quantum (Cass. 18-6-2019, n. 16289).
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legge giustificato in considerazione di specifiche situazioni che impediscono o anche solo ostacolano l’esercizio del diritto 20. Trovando il suo fondamento nella giustificazione del mancato esercizio, opera con riferimento al solo periodo del protrarsi dell’inerzia giustificata. Per effetto della sospensione il periodo anteriore al verificarsi della causa di sospensione si somma al periodo successivo alla cessazione della sospensione. Il periodo di sospensione esprime una parentesi nel computo del termine di prescrizione: il tempo dell’inerzia giustificata non è calcolato ai fini del compimento della prescrizione. La legge prevede due categorie di fattispecie, riconducibili a due fondamentali ragioni di giustificazione. La prima categoria è inerente alla relazione giurid ica che lega il titolare del diritto con il soggetto passivo (art. 2941). La prescrizione rimane sospesa tra i coniugi 21 (art. 2941, n. 1) e tra le parti dell’unione civile (art. 118 L. 76/2016) 22; è altresì sospesa tra chi esercita la responsabilità genitoriale o tutoria e le persone che vi sono sottoposte, come tra il curatore e il minore emancipato o l’inabilitato (art. 2941, n. 2-4); tra l’erede e l’eredità accettata con beneficio d’inventario, tra le persone con patrimonio soggetto ad amministrazione e gli amministratori, tra le persone giuridiche e i loro amministratori (art. 2941, n. 5-7); tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore finché il dolo non sia stato scoperto (art. 2941, n. 8) 23. 20 L’eccezione di sospensione della prescrizione ex art. 2941, n. 8, integra un’eccezione in senso lato e, pertanto, può essere rilevata d’ufficio dal giudice, anche in grado di appello, purché sulla base di prove ritualmente acquisite agli atti (Cass. 12-7-2019, n. 18771). 21 La previsione della sospensione della prescrizione “tra i coniugi” (art. 2941, n. 1) ha sollevato il problema dell’applicazione della norma durante il periodo di separazione, specie ai fini del conseguimento del mantenimento. A fronte di una tradizionale interpretazione letterale che considerava operare la sospensione fino al perdurare del vincolo coniugale (che viene meno con l’annullamento o il divorzio) (Corte cost. 19-2-1976, n. 35), una interpretazione evolutiva e adeguatrice della norma riferisce la sospensione al rapporto coniugale nella sua interezza e cioè in comunione di vita, con esclusione della sospensione della prescrizione tra coniugi relativamente al credito dovuto per l’assegno di mantenimento previsto nel caso di separazione personale, non ritenendosi più sussistere la riluttanza a convenire in giudizio il coniuge, collegata al timore di turbare l’armonia familiare (Cass. 4-10-2018, n. 24160; Cass. 7981/2014; Cass. 18078/2014). 22 In relazione ai conviventi, Corte cost. 29-1-1998, n. 2, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma per mancata previsione della convivenza, in ragione della esigenza di certezza e stabilità del rapporto quale risulta dal matrimonio. Ma con la introdotta possibilità di registrazione anagrafica della “stabile convivenza” (art. 137 L. 76/2016), il presupposto della incertezza di risultanza della relazione è venuto meno, sicché la questione si ripropone. Anzi è da ritenere che, già in via di interpretazione estensiva o analogica, possa accedersi all’ammissione di sospensione della prescrizione tra conviventi durante il tempo di registrazione della convivenza. 23 L’operatività della causa di sospensione ex art. 2941, n. 8, ricorre quando sia posto in essere dal debitore un comportamento intenzionalmente diretto ad occultare al creditore l’esistenza dell’obbligazione, sì da comportare, per il creditore, una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito (Cass. 25-10-2019, n. 27393; Cass. 7-3-2019, n. 6677). La norma ha un correlato con la sospensione della prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale, che si prescrive in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta (art. 12 L. 20/1994): tale norma presuppone un’attività consapevole del titolare del rapporto di servizio diretta ad occultare il fatto generatore del danno erariale ed un elemento obbiettivo dato da una situazione che precluda la scoperta del fatto stesso (Corte dei Conti 12-7-2016, n. 308; Corte dei Conti 12-5-2016, n. 493). Altre ipotesi di sospensione operano: 3) tra il tutore e il minore o l’interdetto soggetti alla tutela, finché non sia stato reso e approvato il conto finale, salvo quanto è disposto dall’art. 387 per le azioni relative alla
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
La seconda categoria riguarda la condizione del titolare del diritto (art. 2942). Ad es. la prescrizione rimane sospesa contro i minori e gli interdetti per il tempo in cui non hanno rappresentante legale e per sei mesi successivi alla nomina del medesimo o alla cessazione dell’incapacità 24; analogamente per i militari in guerra. Non rilevano condizioni soggettive di mero fatto 25. b) Si ha interruzione della prescrizione quando intervengono fatti giuridici di esercizio del diritto. Nella sospensione c’è giustificazione dell’inerzia; nella interruzione c’è cessazione dell’inerzia. L’eccezione di interruzione non integra una eccezione in senso stretto e perciò è rilevabile di ufficio dal giudice 26. Per effetto della interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione (art. 29451). A differenza della sospensione, il periodo antecedente alla interruzione non è calcolato nel computo del termine della prescrizione. La legge tipizza le ipotesi di interruzione. Regola generale è che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio 27 (anche se il giudice adito è incompetente 28), o dell’atto di accesso arbitrale (art. 2943), o anche dalla comunicazione alle altre parti della domanda di mediazione (art. 56 L. 28/2010). Nel caso di domanda giudiziale, la prescrizione non corre fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio (art. 29452) 29; analogamente, nel caso di domanda di accesso arbitrale, la prescrizione non corre sino al momento in cui il lodo che definisce il giudizio non è più impugnabile ovvero passa in giudicato la sentenza resa sull’impugnazione (art. 29454). Con riguardo ai rapporti obbligatori, la prescrizione è inter
tutela; 4) tra il curatore e il minore emancipato o l’inabilitato; 5) tra l’erede e l’eredità accettata con beneficio d’inventario; 6) tra le persone i cui beni sono sottoposti per legge o per provvedimento del giudice all’amministrazione altrui e quelle da cui l’amministrazione è esercitata, finché non sia stato reso e approvato definitivamente il conto; 7) tra le persone giuridiche e i loro amministratori, finché sono in carica, per le azioni di responsabilità contro di essi. È da ritenere che la disciplina della sospensione valga anche nei rapporti tra amministratore di sostegno e beneficiario per la specifica relazione intercorrente tra gli stessi, assimilabile a quella intercorrente tra tutore o curatore e interdetto o inabilitato. 24 La disposizione deve valere anche rispetto al beneficiario di amministrazione di sostegno, con la conseguenza che la prescrizione dei diritti di cui è titolare l’amministrato rimane sospesa per i sei mesi successivi alla nomina dell’amministratore di sostegno (Trib. Roma, 5-9-2011; Trib. Roma, 1-9-2011). 25 Ai fini della sospensione del termine di prescrizione rileva l’impossibilità che derivi da cause giuridiche, non anche impedimenti soggettivi o ostacoli di mero fatto, tra i quali devono annoverarsi l’ignoranza del fatto generatore del diritto, il dubbio soggettivo sull’esistenza di esso e il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento (Cass. 14-1-2022, n. 996). 26 L’eccezione di interruzione è una eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile d’ufficio dal giudice in qualunque stato e grado del processo sulla base di prove ritualmente acquisite agli atti (Cass., sez. un., 27-7-2005, n. 15661; Cass. 14-3-2006, n. 5490). 27 La Corte cost. ha stabilito che la notificazione si perfeziona, nei confronti del notificante, nel momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario (sent. 23-1-2004, n. 28; sent. 26-11-2002, n. 477); con la conseguenza che consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario è sufficiente a produrre l’effetto interruttivo della prescrizione, che si consolida definitivamente con il perfezionamento del procedimento di notificazione. 28 L’atto di citazione – anche se invalido come domanda giudiziale e, dunque, inidoneo a produrre effetti processuali – può tuttavia valere come atto di costituzione in mora ed avere, perciò, efficacia interruttiva della prescrizione qualora, per il suo specifico contenuto e per i risultati a cui è rivolto, possa essere considerato come richiesta scritta di adempimento rivolta dal creditore al debitore (Cass. 8-1-2020, n. 124). L’effetto interruttivo della prescrizione si estende solo a quei fatti che siano conseguenti alla vicenda cui essa si riferisce, vale a dire che costituiscano il logico sviluppo di un dato presupposto necessario (Cass. 20-12-2019, n. 34154). 29 Se il processo si estingue, rimane fermo l’effetto interruttivo, e il nuovo periodo di prescrizione comincia dalla data dell’atto interruttivo (art. 25453).
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rotta da ogni altro atto di manifestazione della volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo, con l’effetto di costituirlo in mora (art. 29434) 30. La prescrizione è anche interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale è fatto valere (art. 2944): non è richiesta una formula sacramentale, ma deve emergere la volontà di riconoscere il diritto 31; anche la richiesta di rateazione del pagamento può essere sintomo di riconoscimento del debito 32. Le disposizioni generali sulla prescrizione, quelle relative alle cause di sospensione e interruzione e al computo dei termini si osservano, in quanto applicabili, rispetto all’usucapione (art. 1165) (VI, 5.7).
11. Le prescrizioni presuntive. – La prescrizione presuntiva ha natura e disciplina diverse dalla prescrizione estintiva. Come si è visto, la prescrizione estintiva si atteggia come causa estintiva del diritto per mancato esercizio del diritto per un determinato periodo di tempo, perseguendo l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici; la prescrizione presuntiva (o impropria) muove dalla presunzione che un determinato debito, per la particolare natura, sia stato adempiuto o sia comunque estinto 33. In tal guisa le prescrizioni presuntive stabiliscono la presunzione di estinzione del diritto. La caratteristica di tali prescrizioni è di operare sul terreno della prova, nel senso che la legge presume che alcuni rapporti siano usualmente estinti in un breve lasso di tempo e senza formalità (rilascio di ricevute, ecc.) 34: le prescrizioni presuntive sono tutte brevi. 30 L’atto interruttivo della prescrizione, quale mero atto unilaterale recettizio, produce effetti anche quando il suo destinatario sia un incapace naturale, purché gli pervenga nel rispetto delle previsioni di cui agli artt. 1334 e 1335 (Cass. 23-5-2018, n. 12658). Nel contratto di vendita costituiscono atti interruttivi della prescrizione dell’azione di garanzia per vizi ex art. 14953 le intimazioni stragiudiziali compiute nelle forme di cui all’art. 12191 con cui il compratore manifesta la propria volontà di avvalersi della garanzia (Cass., sez. un., 11-7-2019, n. 18672). 31 Il soggetto che riconosca l’altrui diritto compie una dichiarazione di scienza, avente ad oggetto il diritto della controparte, dagli effetti esclusivamente interruttivi della prescrizione, diversamente dall’istituto della rinuncia alla prescrizione che è caratterizzato dalla manifestazione di una volontà negoziale con effetto definitivamente dismissivo, avente ad oggetto il proprio diritto alla liberazione dall’obbligo di adempimento (Cass. 6-2-2020, n. 2758). Il riconoscimento del diritto, idoneo ad interrompere la prescrizione, può anche essere tacito e rinvenibile in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore; il pagamento parziale, ove non accompagnato dalla precisazione della sua effettuazione in acconto, non può valere di per sé come riconoscimento, rimanendo rimessa al giudice di merito la valutazione di fatto (Cass. 2-9-2019, n. 21947; Cass. 27-3-2017, n. 7820). Il riconoscimento dell’altrui diritto non ha natura negoziale, ma costituisce un atto giuridico in senso stretto di carattere non recettizio, che non richiede in chi lo compie una specifica intenzione ricognitiva, occorrendo solo che esso rechi, anche implicitamente, la manifestazione della consapevolezza dell’esistenza del debito e riveli il carattere della volontarietà (Cass. 12-4-2018, n. 9097). 32 Si è precisato che la rateizzazione chiesta dal contribuente sulla cartella di pagamento non costituisce di per sé acquiescenza al contenuto imperativo della stessa cartella e, pertanto, non rappresenta una manifestazione di rinuncia al diritto di contestare in giudizio la pretesa e non comporta interruzione della prescrizione (Cass. 8-2-2017, n. 3347). V. però Cass. 26-4-2017, n. 10327. 33 È giurisprudenza costante: es. Cass. 3443/2005, Cass. 8735/2014. 34 Le prescrizioni presuntive, trovando ragione nei rapporti che si svolgono senza formalità, dove il pagamento suole avvenire senza dilazione, non operano se il credito trae origine da contratto stipulato in forma scritta; tuttavia delle stesse si può avvalere anche un soggetto obbligato a tenere le scritture contabili, non interferendo tale disciplina con quella dei requisiti di forma dei contratti (Cass. 13-1-2017, n. 763).
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
Sollevano il debitore dall’onere della prova dell’adempimento o di altra causa di estinzione dell’obbligazione 35, potendo limitarsi ad allegare il decorso del termine di prescrizione previsto dalla legge: ad es. si prescrive in sei mesi il diritto degli albergatori e degli osti per l’alloggio e il vitto (art. 2954); in un anno, il diritto dei commercianti per il prezzo delle merci vendute a chi non ne fa commercio (art. 2955, n. 5); in tre anni, il diritto dei professionisti per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative (art. 2956, n. 2) 36. Regole particolari ineriscono alla decorrenza delle singole prescrizioni (art. 2957). La prescrizione decorre anche se vi è stata continuazione di somministrazioni o di prestazioni (art. 2958). Anche la prescrizione presuntiva va eccepita dal soggetto che intende avvalersene (debitore), ma con funzione peculiare: il tempo trascorso (fatto noto) fa presumere l’avvenuto pagamento o comunque l’estinzione (fatto ignorato), attraverso un meccanismo di presunzione semplice di estinzione 37, vincibile in due modi, rispettivamente dal creditore o dal debitore. Da parte del creditore, con il deferimento al debitore del giuramento decisorio: colui al quale la prescrizione è stata opposta può deferire all’altra parte il giuramento per accertare se si è verificata l’estinzione del debito (art. 29601). Il giuramento può anche essere deferito al coniuge superstite e agli eredi o ai loro rappresentanti legali affinché dichiarino se hanno notizia dell’estinzione del debito (art. 29602). Se il debitore, giurando il falso, dichiara che l’obbligazione è stata adempiuta o in altro modo estinta, il diritto si considera estinto 38: se però non c’è stata estinzione, il debitore incorre nel reato di falso giuramento, per avere, come parte in giudizio civile, giurato il falso (art. 371 c.p.). Da parte del debitore, con l’ammissione del mancato adempimento: se chi oppone la prescrizione ha comunque ammesso che l’obbligazione non è stata estinta, la prescrizione non opera, e quindi la relativa eccezione deve essere rigettata (art. 2959): l’ammissione dell’inadempimento può risultare anche implicitamente, ad es., contestandosi la validità del titolo o l’entità della somma richiesta o chiedendosi una rateazione 39. 35 Mentre il debitore, eccipiente, è tenuto a provare il decorso del termine previsto dalla legge, il creditore ha l’onere di dimostrare la mancata soddisfazione del credito, e tale prova può essere fornita soltanto con il deferimento del giuramento decisorio, ovvero avvalendosi della ammissione, fatta in giudizio dallo stesso debitore, che l’obbligazione non è stata estinta (Cass. 14-3-2018, n. 6245). 36 A fronte di un divario se possa eccepirsi solo il pagamento, la giurisprudenza più recente è incline a ritenere che le prescrizioni presuntive riguardino, non soltanto il pagamento, ma ogni ipotesi di estinzione dell’obbligazione per effetto di tutti gli altri modi previsti dalla legge ex artt. 1230 ss. (Cass. 20-1-2022, n. 1768. Per l’incompatibilità, Cass. 1970/2019; Cass. 2124/1994). 37 Se sia formulata genericamente un’eccezione di prescrizione, senza che il tempo per quella estintiva sia decorso, il giudice del merito può esaminare quella presuntiva, malgrado la logica incompatibilità con la prima, desumendone l’implicita proposizione dalla proposizione della difesa in mancanza di maturazione della prescrizione estintiva (Cass. 5-7-2017, n. 16486; Cass. 18-1-2017, n. 1203). 38 In tema di prescrizione presuntiva, mentre il debitore, eccipiente, è tenuto a provare il decorso del termine previsto dalla legge, il creditore ha l’onere di dimostrare la mancata soddisfazione del credito, e tale prova può essere fornita soltanto con il deferimento del giuramento decisorio, ovvero avvalendosi dell’ammissione, fatta in giudizio dallo stesso debitore, che l’obbligazione non è stata estinta (Cass. 25-1-2021, n. 1435; Cass. 785/1998). 39 L’indagine sul contenuto della dichiarazione del debitore, se importi o meno ammissione della non avvenuta estinzione del debito agli effetti dell’art. 2959, dà luogo ad apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass. 1-3-2022, n. 6727). Se il debitore nega l’autenticità della
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE
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12. La decadenza. – Inerisce alla dimensione temporale nella sua oggettività, senza riguardo alla persona del titolare della situazione soggettiva. C’è la necessità oggettiva che un diritto, molto più spesso un potere, sia esercitato “entro un determinato termine” (art. 2964): il decorso del tempo, a differenza della prescrizione, rileva non come durata del comportamento di inerzia nell’esercizio del diritto ma nella prospettiva della scadenza del termine entro il quale il titolare del diritto avrebbe potuto esercitarlo, senza riguardo alle ragioni soggettive del mancato esercizio. Alla base è l’esigenza rinforzata di certezza delle situazioni giuridiche, indipendentemente dalle condizioni dei soggetti e dalle ragioni del non esercizio. Per il modo di operare della decadenza, se ne propone spesso la qualificazione come fattispecie in cui il decorso del tempo determina impedimento all’acquisto di un diritto o all’esercizio di un potere (es. scadenza del termine di presentazione di una domanda) 40. Più spesso la decadenza è di origine legale: la legge qualifica testualmente il termine come di decadenza (ad es., il termine di impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea di condominio: art. 1137); sono anche di decadenza molti termini relativi allo svolgimento del processo, che la legge qualifica come “perentori” (es. artt. 326 e 327 c.p.c.); in materia tributaria, il termine di notifica dell’avviso di accertamento (art. 43 D.P.R. 688/1973). Talaltra la natura del termine deriva dalla ratio della norma (ad es., l’azione di disconoscimento della paternità: art. 244). Talaltra ancora la legge, con riguardo alla medesima figura, prevede espressamente termini di diversa natura: ad es., per la vendita di cose mobili, il termine di denunzia dei vizi (di otto giorni dalla scoperta) è di decadenza; mentre il termine di proposizione dell’azione (entro un anno dalla consegna) è di prescrizione (art. 14951, 3) 41. In ragione della funzione assolta dalla decadenza, per l’art. 2964, non si applicano le norme relative alla interruzione della prescrizione; del pari non si applicano le norme che si riferiscono alla sospensione, salvo che sia disposto altrimenti 42. Più specificamente, quanto all’interruzione, rilevando per l’ordinamento il fatto in sé dell’esercizio del diritto, con il compimento dell’atto viene meno la stessa ragione
propria sottoscrizione su alcuni buoni di consegna, tiene una linea difensiva “incompatibile con la presunzione di estinzione dell’obbligazione” (Cass. 23-1-2007, n. 1381). La contestazione, da parte del debitore, dell’esattezza dei conteggi allegati dall’attore a fondamento di una pretesa creditoria “implica l’ammissione della mancata estinzione dell’obbligazione” e comporta il rigetto dell’eccezione di prescrizione presuntiva (Cass. 27-11-1999, n. 13291; Cass. 3-3-2001, n. 3105). 40 All’istituto della decadenza non è applicabile la regola di efficacia dell’eccezione anche oltre i limiti temporali segnati dall’intervenuta decadenza (“quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum”), non potendo rivivere, sotto forma di eccezione, il diritto ormai estinto perché non fatto valere nel termine perentorio (Cass. 6-10-2021, n. 27062). 41 Il divario tra i due istituti ha specifica rilevanza in materia tributaria, dove, tendenzialmente, la decadenza attiene allo svolgimento del procedimento amministrativo da parte dell’amm. finanz., ovvero alla omissione di un comportamento attivo da parte del contribuente; mentre la prescrizione inerisce all’esercizio del diritto di credito acquisito. 42 La giurisprudenza tende a configurare la normativa sulla decadenza come di stretta interpretazione, considerando inapplicabili alla decadenza soltanto le norme relative alla interruzione ed alla sospensione della prescrizione e ritenendo anzi che le norme disponenti decadenze devono essere interpretate in senso favorevole al soggetto onerato e, quindi, secondo il criterio del tempo utile. Così, in tema di computo dei termini di prescrizione, l’art. 29633, secondo il quale “se il termine scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo”, è considerato un principio generale applicabile, in assenza di diversa previsione, anche in materia di decadenza (Cass. 13-8-2004, n. 15832).
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
della decadenza; sicché la interruzione non è di per sé ammissibile 43. Quanto alla sospensione, è di regola irrilevante la motivazione dell’inerzia stante l’esigenza di esercitare senz’altro il diritto “entro un dato tempo”. Raramente e in modo testuale la legge, in considerazione della condizione giuridica del titolare del diritto, accorda la sospensione del termine: nell’esempio fatto, se la parte interessata a proporre l’azione di disconoscimento di paternità si trova in stato di interdizione per infermità di mente, la decorrenza del termine è sospesa nei suoi confronti sino a che dura lo stato di interdizione (art. 245). Talvolta è disposta la sospensione a seguito di eventi eccezionali. La decadenza, di regola, non può essere rilevata di ufficio dal giudice; con la conseguenza che, per la sua operatività, deve essere eccepita dalla parte (come la prescrizione). Può essere rilevata di ufficio dal giudice quando, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti, il giudice debba rilevare le cause d’improponibilità dell’azione (art. 2969 c.c. e art. 112 c.p.c.) 44. Se la decadenza è connessa alla proposizione di una domanda giudiziale, segue la sorte del processo 45. È consentita la fissazione di una decadenza contrattuale; ma è nullo il patto con il quale si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente difficile a una delle parti l’esercizio del diritto (art. 2965). Il termine di decadenza deve essere congruo in relazione alle circostanze del caso concreto e perciò con riguardo, sia alla durata del termine pattuito, che alla situazione del soggetto obbligato a svolgere l’attività prevista per evitare la decadenza. È vessatoria la clausola contrattuale che sancisce decadenze a carico di un contraente aderente a un contratto predisposto dall’altra parte (artt. 13412) e in particolare nell’ipotesi di adesione del consumatore a un contratto predisposto da un professionista (art. 332, lett. t, D.Lgs. 206/2005). Se si tratta di un termine stabilito da un contratto o da una norma di legge relativa a diritti disponibili, la decadenza può essere impedita con il riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto soggetto a decadenza (art. 2966). Quando la decadenza è impedita, il diritto rimane soggetto alle disposizioni sulla prescrizione (art. 2967). Le parti possono anche modificare la disciplina legale della decadenza e rinunziare alla decadenza medesima (art. 2968) 46. Con riguardo ai diritti indisponibili, le parti non possono modificare la disciplina legale della decadenza, né possono rinunziare alla decadenza medesima (art. 2968). 43 La comunicazione alle altre parti della domanda di mediazione impedisce la decadenza per una sola volta; se il tentativo fallisce, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale definitivo presso l’organismo (art. 56 L. 28/2010). 44 È materia sottratta alla disponibilità delle parti non solo quella relativa a diritti per loro natura indisponibili ma anche quella disciplinata da un regime legale che escluda qualsiasi potere di disposizione delle parti. (Cfr. Cass. 19-10-2012, n. 18078; Cass. 28-11-2001, n. 15131). 45 La domanda giudiziale è un evento idoneo ad impedire la decadenza di un diritto non in quanto costituisce la manifestazione di una volontà sostanziale, ma perché instaura un rapporto processuale diretto ad ottenere l’effettivo intervento del giudice, sicché l’esercizio dell’azione giudiziaria non vale a sottrarre il diritto alla decadenza, qualora il giudizio si estingua, facendo venire meno il rapporto processuale (Cass. 14-3-2018, n. 6230; Cass. 7-11-2017, n. 26309). 46 La rinuncia ad avvalersi della decadenza può avvenire anche per facta concludentia. Si è così ravvisata la rinuncia del venditore ad eccepire la decadenza del compratore dalla garanzia per vizi se, malgrado la denuncia oltre il termine di legge, quegli ha inviato un suo tecnico per esaminare il guasto o ha richiesto l’invio del bene per tentarne la riparazione (Cass. 24-4-1998, n. 4219; Cass. 30-1-1990, n. 587).
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE
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C) INFLUENZA DELLO SPAZIO 13. La correlazione territoriale. – La persona opera nello spazio, assumendo importanza il rapporto che instaura con un determinato luogo. Rilevano la residenza, come dimora materiale abituale (art. 432); il domicilio, come sede principale di affari e interessi (art. 431). Nei rapporti di famiglia, ciascuno dei coniugi ha il proprio domicilio nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei propri affari o interessi; il minore ha il domicilio nel luogo di residenza della famiglia o quello del tutore; se i genitori sono separati o il loro matrimonio è stato annullato o sciolto o ne sono cessati gli effetti civili o comunque non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive (art. 45) (V, 4.11). Il trasferimento della residenza non può essere opposto ai terzi di buona fede se non è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge (con pubblicità nel registro dell’anagrafe: D.P.R. 30.5.1989, n. 223, recante il nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente); quando una persona ha nel medesimo luogo il domicilio e la residenza e trasferisce questa altrove, di fronte ai terzi di buona fede si considera trasferito pure il domicilio, se non si è fatta una diversa dichiarazione nell’atto in cui è stato denunciato il trasferimento della residenza (art. 44). Rispetto agli enti, quando la legge fa dipendere determinati effetti dalla residenza o dal domicilio, si ha riguardo al luogo in cui è stabilita la loro sede (art. 46). Residenza e domicilio rilevano anche ai fini della determinazione del foro generale territorialmente competente nelle procedure giudiziarie (artt. 18 ss. c.p.c.). Lo spazio segna anche la collocazione territoriale dei fatti giuridici e dunque delle vicende giuridiche che ne derivano, come luogo di attuazione dei diritti: così, con riferimento alle obbligazioni, l’adempimento deve avvenire nel luogo determinato nel contratto o, se non è stabilito, in uno di quelli fissati dall’art. 1182 (VII, 3.2). Rispetto agli immobili, la collocazione è criterio di determinazione dello statuto del bene (in ragione degli strumenti edilizi del luogo), influenzandone il godimento e la circolazione. La collocazione territoriale individua i registri di pubblicità immobiliare. 14. Individuazione del diritto applicabile. – Nei rapporti tra soggetti di differente nazionalità lo spazio rileva come collegamento per la individuazione del diritto applicabile a situazioni con profili di estraneità rispetto all’ordinamento: determinandosi un conflitto di leggi nello spazio, bisogna ricorre alle regole del diritto internazionale privato. C’è la necessità di ricercare, attraverso criteri di collegamento legislativamente previsti, il diritto applicabile al singolo fatto giuridico o alle singole situazioni. Vedi trattazione sull’applicazione della legge nello spazio (I, 3.12).
CAPITOLO 5
AUTONOMIA PRIVATA (Il negozio giuridico e l’autonomia negoziale)
Sommario: 1. I principi ispiratori. – 2. La categoria del negozio giuridico ed il suo sviluppo storico. – 3. La realtà dell’autonomia negoziale. – 4. Negozio e negozialità. – 5. Elementi del negozio giuridico. – 6. Soggetti e parte del negozio. La legittimazione. – 7. La volontà dei gruppi. – 8. Le fondamentali categorie di negozi giuridici. – 9. Segue. I negozi di disposizione e i terzi. – 10. Presupposti del negozio giuridico. – 11. L’incidenza tributaria (bollo e registrazione).
1. I principi ispiratori. – L’espressione autonomia privata indica tecnicamente il potere dei privati di darsi autonomamente le regole impegnative 1. L’autonomia è dunque storicamente collocata in opposizione all’eteronomia, che allude a regole provenienti dall’esterno rispetto ai soggetti. L’autonomia è concetto più complesso dell’autodeterminazione: questa esprime la mera tensione individuale volitiva verso un risultato; l’autonomia, come è nella sua radice semantica, mira anche a dettare una regola e quindi a governare. Si è già detto come, tradizionalmente, l’autonomia privata si sia esplicata attraverso la categoria, concettualmente unitaria, del negozio giuridico (II, 4.7); come è stato delineato il contesto storico di emersione della categoria del negozio giuridico (I, 2.2). Va però approfondito come il principio di autonomia privata sia evoluto e come sia sentito e operi nell’attualità. Al fondo del riconoscimento dell’autonomia privata c’è una duplice scelta dell’ordinamento, ideale e economica: sul piano ideale, di ritenere l’autonomia privata quale essenziale espressione delle libertà fondamentali, per cui libertà e autonomia privata insieme si tengono o insieme cadono; sul piano economico, di considerare l’autonomia privata, con la connessa economia di mercato, come sistema maggiormente in grado di procurare il benessere generale. Rispetto a entrambi i postulati conseguono due fondamentali controspinte normative: da un lato, garantire che l’autonomia privata si dispieghi in una guisa da consentire l’eguale esplicazione di autonomia dei soggetti coinvolti; dall’altro, proteggere e valorizzare le posizioni (sociali ed economiche) deboli che da un mercato senza regole rimarrebbero espunte o sacrificate, determinando anche il fallimento del mercato. 1 Il termine “autonomia” proviene dal greco autonomia, composto di autos (stesso) e deriv. di nemo (governare): significa letteralmente governarsi con leggi proprie, senza ingerenze da parte di altri. È contrapposto a “eteronomia”, dal greco heteros (altro, diverso) e deriv. di nemo: letteralmente essere governato da altri e precipuamente dalla normativa di derivazione statale o di altre autorità.
CAP. 5 – AUTONOMIA PRIVATA
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Sia nella Costituzione che nel diritto europeo non c’è un espresso e formale riconoscimento dell’autonomia privata, ma la sua rilevanza giuridica deriva indirettamente dal complessivo contesto che necessariamente la implica, con i limiti di compatibilità con l’ordinamento. Nella Carta costituzionale l’art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, come singolo e nelle formazioni sociali, limitandone l’esercizio con il rispetto di doveri inderogabili di solidarietà, quale generale espressione del principio personalista (I, 2.7). Specifico riscontro è nella c.d. costituzione economica: la proprietà privata è riconosciuta e garantita, determinandosi i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti (art. 422 Cost.); l’iniziativa economica privata è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno all’ambiente, alla salute, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (oltre che rimanere soggetta agli ulteriori limiti derivanti dalla previsione di controlli, indirizzi, riserve e trasferimenti coattivi di imprese di carattere generale) (artt. 41 e 43 Cost.) 2; è incoraggiato e tutelato il risparmio, favorendo l’accesso del risparmio popolare alle c.d. proprietà personali (la proprietà dell’abitazione e la proprietà diretto-coltivatrice) e all’investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese (art. 47 Cost.) 3. Il diritto europeo prevede un mercato interno caratterizzato da una “economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale” (art. 3 TUE). Per la Carta dir. fond. U.E. è riconosciuta la libertà d’impresa, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali (art. 16); ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità (art. 17). Dal complessivo impianto deriva una copertura costituzionale e di diritto europeo dell’autonomia privata, come mezzo per esercitare l’impresa e accedere alla proprietà. Analogamente il codice civile non contiene una generale formulazione dell’autonomia privata. Però la previsione del contratto (artt. 1322 ss.), del testamento (artt. 587 ss.), del matrimonio (artt. 84 ss.) e di altri negozi unilaterali (artt. 1987 ss.), come il riconoscimento della libertà di costituzione dei gruppi e dell’elaborazione degli statuti delle organizzazioni collettive ne implicano il riconoscimento. È anche riconosciuta autonomia di organizzazione e di indirizzo del gruppo familiare (art. 144). Dalla complessiva normativa emergono alcuni essenziali principi ispiratori dell’autonomia privata, che è possibile delineare come di seguito. a) Compatibilità con l’ordinamento. L’autonomia privata è espressione di libertà, con i vincoli fissati dall’ordinamento. L’autonomia privata non è funzionalizzata ad un risultato ordinamentale, ma deve risultare compatibile con la complessità delle relazioni 2 L’autonomia contrattuale dei singoli è tutelata, a livello costituzionale, indirettamente, in quanto “strumento di esercizio di libertà costituzionalmente garantite”; ad es. l’art. 411 Cost. “tutela l’autonomia negoziale come mezzo di esplicazione della libertà di iniziativa economica”, la quale si esercita normalmente in forma di impresa (Corte cost. 30-6-1994, n. 268). È anche consolidato indirizzo che le restrizioni dell’autonomia privata rispondono ad interessi pubblici e, come tali, “sono ammissibili, entro limiti di ragionevolezza e sempreché non comportino totale soppressione o grave affievolimento del diritto di libertà dei singoli” (Corte cost. 28-11-1986, n. 248). 3 La costituzione economica esprime le tre matrici ideologiche che diedero vita alla Carta costituzionale: l’idea liberale della garanzia della libertà di esplicazione dell’autonomia; l’anima cattolica, specialmente emersa nella enciclica rerum novarum, di conciliare le libertà con la solidarietà; il progetto marxista di presenza forte di uno Stato nell’economia attraverso specifici piani e nazionalizzazioni.
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sociali sulle quali incide; in tal guisa rileva giuridicamente entro i limiti segnati dai valori che storicamente la società e dunque l’ordinamento si pongono. La incidenza è tanto più penetrante quanto maggiormente sono coinvolte identità esistenziali, ovvero interessi generali o interessi di fasce sociali che l’ordinamento mira a proteggere, attraverso un controllo di liceità e meritevolezza del contenuto degli atti di autonomia (limiti funzionali); in talune materie sono addirittura previsti solo atti tipici (es. matrimonio, testamento). Rispetto alla formazione dell’atto negoziale e alla sua struttura operano dei limiti perché l’atto sia consapevole esplicazione di autonomia privata e conforme all’ordinamento (limiti strutturali) (es. artt. 1325 ss.). b) Tendenziale ind ipendenza d elle sfere giuridiche individ uali . È un fondamentale criterio di competenza dell’autonomia privata rispetto agli interessi regolati, per cui è possibile comandare in casa propria, non in casa altrui. E ciò in un duplice senso: con la propria volontà si può modificare la sfera giuridica propria; non si può incidere la sfera giuridica altrui contro la volontà del titolare (il contratto è il simbolo della necessità dell’accordo per disporre la regolazione di interessi tra due o più parti: art. 1322). Nello spirito di solidarietà che anima il nostro ordinamento è consentito ed anzi incentivato procurare unilateralmente un vantaggio ad altri, non però contro la volontà del beneficiario: per gli atti tra vivi, quando non interviene il consenso del beneficiario (come nella donazione: art. 769), questi ha comunque diritto di rifiutare il beneficio accordatogli (art. 1333) 4; in materia successoria, l’eredità si acquista con l’accettazione (art. 459), e il legato si acquista automaticamente ma è oggetto di rinunzia (art. 6491) (rectius rifiuto). c) Normale conservazione d ell’attività giuridica negoziale . Di regola l’attività giuridica non deve andare sprecata essendo essenziale risorsa del sistema economico, salvo regolarne modi e termini di svolgimento (es. art. 1367). Alla base c’è l’idea chiave dell’economia di mercato di considerare l’autonomia privata come sistema privilegiato di realizzazione dell’interesse economico collettivo. Nella contemporaneità si è aggiunta l’ulteriore motivazione di preservare la disponibilità dei beni acquisiti (specie da fasce sociali più deboli). Anche la conservazione dall’attività negoziale deve svolgersi in conformità ai valori ordinamentali.
2. La categoria del negozio giuridico ed il suo sviluppo storico. – Si è anticipato che i negozi giuridici si specificano rispetto agli atti giuridici in senso stretto in quanto assumono rilevanza, non solo la consapevolezza e volontarietà dell’atto nella sua materialità, ma anche la consapevolezza e volontarietà degli effetti, apprestando l’ordinamento effetti giuridici tendenzialmente conformi allo scopo pratico-giuridico perseguito dagli autori (II, 4.5). Tradizionalmente il dibattito sulla autonomia privata si è riflessa sulla discussione intorno alla categoria del “negozio giuridico”, come massima esplicazione della stessa: l’autonomia negoziale indica l’autonomia privata espressa mediante negozi giuridici (c.d. autonomia privata negoziale). Va approfondito come la categoria del negozio sia emersa e sia evoluta e come sia sentita e operi nell’attualità. a) Si è visto come una consapevole elaborazione della categoria del “negozio giuridi 4 Il tema è diventato di grande attualità a seguito dell’approvazione del Codice del terzo settore (D.Lgs. 3.7.2017, n. 117), che regola le finalità, l’organizzazione e l’attività del c.d. privato sociale.
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co” sia maturata essenzialmente tra il sec. XVIII e gli inizi del sec. XIX, nello sviluppo del pensiero del giusnaturalismo razionale e della successiva scuola storica, con gli apporti dell’illuminismo, attraverso la coniugazione della forza rivoluzionaria della libertà con la potenza vitale della volontà. Da tale intreccio derivava uno strumentario di categorie giuridiche che attraversava più ricostruzioni e vari istituti (diritti soggettivi, proprietà, contratto, responsabilità), cementati dal riconoscimento al soggetto, come tale, del diritto naturale inviolabile di regolare i propri interessi e di rispondere per i soli atti di esercizio della libera volontà (I, 2.2). Il negozio giuridico rileva come atto di volontà regolatore di interessi privati, la cui nozione è di “manifestazione di volontà rivolta a uno scopo pratico tutelato dall’ordinamento”, così atteggiandosi come atto indirizzato a produrre effetti giuridici che l’ordinamento realizza in quanto voluti dagli autori e conformi all’ordinamento (c.d. teoria soggettiva). Dal punto di vista dei soggetti, ciò significava riconoscere la unità del soggetto di diritto (unitarietà astratta del civis), contro la stratificazione sociale e giuridica di derivazione medievale. La volontà, quale espressione della libertà dell’individuo, è la forza creatrice degli effetti giuridici: volontà e libertà si pongono come un’endiadi indissolubile. La valorizzazione della signoria della volontà tende a garantire che l’atto di disposizione sia il frutto di una libera e consapevole scelta: ogni anomalia nella formazione della volontà o/e nella sua manifestazione vulnera la validità dell’atto. Dal punto di vista dell’atto, ciò comportava la elaborazione di una categoria unitaria, generale ed astratta, dell’agire giuridico: il negozio giuridico esprime una categoria logico-giuridica ordinante dei rapporti privati, con astrazione dalla complessità del tessuto sociale (contratto, matrimonio, testamento sono accomunati come esplicazioni di volontà). La costruzione unitaria riduce il negozio a struttura (visione statica del negozio) in grado di determinare effetti giuridici in quanto formulato secondo i requisiti previsti dall’ordinamento (c.d. elementi o requisiti essenziali dell’atto). In una prospettiva economica, il perseguimento individuale del proprio interesse avrebbe condotto alla realizzazione dell’interesse economico generale, secondo i postulati del liberismo. La tutela di una libera volontà, per un verso, garantiva all’aristocrazia di non essere privata della proprietà senza una propria volontà, e, per l’altro verso, assicurava alla borghesia di accedere alla proprietà e ai mezzi di produzione con un proprio atto di volontà. La categoria del negozio presidiava anche la proprietà: significativamente il cod. civ. nap. e poi il cod. civ. del 1865 collocavano il contratto nel Libro III dedicato ai “Modi di acquistare e trasmettere la proprietà”, quale meccanismo di circolazione di ricchezza. In definitiva si elaborava una categoria logica (per l’astrazione dalle singole morfologie della realtà) che diveniva anche categoria ideologica (per l’espressione di un unitario atto di libertà in funzione di un unitario soggetto giuridico). Una previsione dei “negozi giuridici” come categoria generale penetrava nel codice civile tedesco del 1900 (BGB), collocata nel libro I dedicato alla parte generale, mentre non faceva ingresso né nel cod. civ. nap., né nel cod. civ. del 1865 (dai quali era però presupposta). Una remora alla teoria soggettiva proveniva dalla teoria della responsabilità (specificamente autoresponsabilità) nel senso che l’autore della dichiarazione non poteva accampare una volontà interna diversa da quella dichiarata quando il divario fosse imputabile a sua colpa.
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b) Con lo sviluppo dell’industrializzazione e dunque di un’attività economica di impresa, emergeva la funzione del negozio come strumento di autoregolazione di interessi (visione dinamica del negozio). Il negozio rilevava come un atto economico, con la conseguenza che il controllo di conformità dell’atto di autonomia privata all’ordinamento era compiuto, bensì sulla struttura dello stesso, ma avendosi massimamente riguardo all’assetto di interessi attuato dai privati. Fedele al c.d. metodo dell’economia, per cui le forme giuridiche devono riflettere la sostanza dei fenomeni materiali, il cod. civ. del 1942, non solo non contiene una normativa generale sul negozio giuridico come atto (come aveva già fatto il cod. civ. abr.), ma disancora la disciplina del contratto dalle vicende della proprietà per impegnare l’intera realtà economica: il contratto è collocato nel Libro IV dedicato alle “Obbligazioni”, come rilevante fonte delle stesse (art. 1173), mentre la proprietà è collocata in un autonomo Libro III, intitolato alla “Proprietà”. Per la Relaz. cod. civ., n. 604, il contratto è “centro della vita degli affari”; riceve una trattazione autonoma quale generale strumento di regolamento di interessi nella vita economica 5. Il contratto è sospinto verso la organizzazione dei rapporti obbligatori, funzionale all’attività di impresa. Correlativamente assume rilevanza la esternazione della volontà ed il modo come la stessa è avvertita nella società, perché c’è da garantire la certezza degli scambi. È accordato valore prevalente alla dimensione sociale dell’atto di autonomia (c.d. teoria oggettiva): la prevalenza della dichiarazione è coerente all’esigenza di sicurezza del traffico giuridico, quale postulato essenziale di una economia di mercato, che reclama la spedita e certa collocazione dei prodotti di impresa. In tale quadro il contratto (e specificamente l’atto di scambio) si atteggia come strumento di formazione di ricchezza per il ruolo essenziale svolto nell’esplicazione dell’attività dell’impresa (nella organizzazione dell’attività economica, come nella collocazione dei prodotti). Una remora alla teoria oggettiva proviene dalla teoria dell’affid amento, nel senso che il destinatario della dichiarazione o altro soggetto interessato non può accampare il valore della dichiarazione contro la volontà dell’autore quando il divario sia imputabile a sua colpa (rilevante è solo l’affidamento incolposo) 6. c) L’evoluzione dei diritti umani ai valori della persona umana e della solidarietà apre l’autonomia privata alla complessità della relazionalità, facendosi funzionare, per un verso, le esigenze economiche del mercato e della concorrenza, e per altro verso le circostanze di esercizio dell’autonomia privata e le connotazioni degli autori dell’atto. Il negozio rileva, non solo come fatto regolante, ma anche come fatto regolato in ragione dell’assetto di interessi attuato. È aperta la strada ad una valutazione dei modi e delle circostanze di emersione e composizione degli interessi nel concreto atto negoziale: vengono in rilievo i contesti sociali di maturazione degli scambi e in genere di attuazione degli assetti di interessi e le tecniche impiegate di formazione e in genere di conclusione 5 Per E. BETTI (1950) il negozio giuridico è essenzialmente un precetto dell’autonomia privata in ordine a concreti interessi propri di chi lo pone. Rileva la Relaz. cod. civ., n. 602, i “negozi di diritto familiare” non sono sostanzialmente omogenei agli altri che hanno un oggetto patrimoniale e quindi la relativa disciplina deve essere in gran parte diversa. 6 Secondo l’efficace sintesi di F. SANTORO-PASSARELLI (1944, ult. ed. 1966), dalle varie norme del codice civile si trae un principio del “rischio del dichiarante per l’affidamento senza colpa del destinatario o di altro interessato nella dichiarazione” (es. artt. 428, 1431, 1439, 1445).
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dell’atto; inoltre rilevano la specificità degli autori del negozio e delle qualifiche ricoperte, come rilevano la natura degli interessi coinvolti. La figura del negozio, come categoria generale, esce ridisegnata 7. Anzitutto il carattere patrimoniale del contratto sollecita criteri di soluzione dei conflitti di interessi che non si addicono ai negozi con contenuto non patrimoniale (es. negozi familiari), che coinvolgono la esplicazione di una dimensione esistenziale. Inoltre, anche con riguardo al contratto, la libertà di contrarre (cioè di stipulare un contratto) non si accompagna più indissolubilmente con la libertà di contrattare (cioè di incidere sul contenuto del contratto). È evidente il divario tra la compravendita di un immobile tra due privati e l’acquisto di un prodotto di serie collocato dalla impresa: nella prima ipotesi, c’è esercizio di autonomia, sia di contrarre che di contrattare, svolgendosi tra le parti una negoziazione circa il trasferimento del diritto e l’ammontare del prezzo; nella seconda ipotesi, in capo al compratore (consumatore) emerge solo autonomia di contrarre e dunque di scelta del contraente e del prodotto, con mera adesione ad un contenuto unilateralmente predisposto dalla controparte, senza possibilità di incidere sull’assetto di interessi. Si vedrà come emerge e si diffonde la valutazione della specificità dell’operazione (causa concreta) (VIII, 3.5). Peraltro lo sviluppo della pubblicità sublimale induce spesso all’accesso compulsivo a beni di consumo con riduzione della valutazione e consapevolezza della scelta. In tale contesto l’efficacia giuridica del negozio è legata al trattamento che l’ordinamento compie del singolo negozio, secondo la struttura e la funzione dello stesso. L’ordinamento può non dotare di effetti giuridici il singolo negozio, per considerarne la formazione viziata ovvero valutarne il contenuto e/o il risultato perseguito illeciti o comunque non meritevoli di tutela; come può ridurre o integrare o anche sostituire imperativamente parte del risultato programmato, con la privazione di alcuni effetti giuridici o l’attribuzione di altri che sopravanzano lo scopo perseguito o sono più limitati rispetto allo stesso (fondamentali sono gli artt. 1339 e 1374).
3. La realtà dell’autonomia negoziale. – Una valutazione complessiva della problematica delineata può consentire una generale rimeditazione del percorso storico, delineando i profili originari di perdurante attualità e le molte innovazioni indotte dalla sopravvenuta realtà sociale e ordinamentale. a) Rispetto alla elaborazione dottrinale della categoria, è possibile avvertire come le due fondamentali teorie storiche (volontaristica e dichiarazionistica) del negozio, sfrondate dei relativi eccessi, non siano alternative ma esprimano differenti prospettive di osservazione di una unitaria realtà (l’autonomia privata): la prima enfatizza la tensione soggettiva verso il risultato, che però inevitabilmente si concreta in un autoregolamento di interessi; la seconda valorizza l’assetto di interessi attuato, che però necessariamente implica una manifestazione di volontà che lo sorregge e persegue. Un articolato filone dottrinale rileva la insufficienza della volontà nella difesa dei propri interessi, per non essere la stessa sempre in grado di esplicarsi adeguatamente, 7 Una lucida e appassionata difesa della categoria del negozio giuridico a garanzia della libertà dei soggetti, pure nel nuovo codice civile del 1942, è compiuta da L. CARIOTA FERRARA (1948), di cui già il titolo dell’opera (“Il negozio giuridico nel diritto privato italiano”) esprime l’idea culturale di accreditare la categoria del negozio giuridico anche alla stregua di un codice e di un modello economico fondati sulla centralità dell’impresa.
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reclamandosi un intervento eteronomo correttivo o di sostegno; e d’altra parte denunzia come l’assoluta dimensione produttivistica non si traduce automaticamente in benessere economico collettivo. Le varie dimensioni, come si vedrà, sono destinate a convivere in una società che si riconosca nei valori della libertà e della solidarietà, nonché della economia di mercato. La fiducia nell’autonomia privata (come ragione di sviluppo della società) e nel mercato (come meccanismo di allocazione delle risorse e dei beni) deve conciliarsi con le identità esistenziali e le appartenenze sociali degli autori dell’atto, come con le articolazioni del mercato in cui il singolo negozio si colloca: a meccanismi di garanzia di esplicazione dell’autonomia privata vanno affiancati interventi di riequilibrio autoritativo del regolamento di interessi, con interventi di regolazione del mercato e di neutralizzazione delle asimmetrie informative e di conoscenza, oltre che di sostegno delle posizioni deboli. Si aggiunga che la globalizzazione fa emergere una autonomia privata del grande capitale e delle organizzazioni di categoria che escogitano modelli e equilibri che si impongono anche agli imprenditori deboli e addirittura al potere normativo dei singoli Stati. Emerge dunque l’esigenza di una governance dell’autonomia privata che impegna le organizzazioni internazionali (a cominciare dall’Unione europea) per un riequilibrio tra libertà e giustizia, tra produttività e vivibilità. b) Con riguardo alla realtà legislativa, in assenza di una disciplina del negozio giuridico, il contratto, per avere ricevuto nel codice civile ampia disciplina, ha finito di fatto con l’influenzare le riflessioni sulla elaborazione della categoria del negozio. Si aggiunga la problematicità di un dato testuale: per l’art. 1324, “salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”; la norma ha rappresentato il più importante crocevia di osservazioni circa l’accoglimento o meno nel nostro ordinamento giuridico di una “categoria del negozio giuridico”. A tale norma hanno fatto riferimento sia gli assertori della tesi positiva, vedendo nella stessa l’orientamento di estendere la disciplina del contratto agli atti negoziali unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, sia i sostenitori della tesi negativa, rinvenendo nel richiamo alla compatibilità un ostacolo fondamentale alla configurazione di una categoria unitaria. In realtà la norma fornisce una duplice indicazione: da un lato, subordina a una verifica di compatibilità l’applicazione della normativa sui contratti ai negozi unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale 8; dall’altro, implicitamente, esclude una generale compatibilità di applicazione della normativa sui contratti sia agli atti bilaterali a contenuto non patrimoniale, sia agli atti mortis causa. Si conferma, sul piano testuale, come non sia configurabile nell’ordinamento una ca 8
La giurisprudenza ha fatto ricorso all’art. 1324 in più direzioni. Anzitutto con riguardo alla interpretazione dei negozi unilaterali: Cass. 7-5-2004, n. 8713; Cass. 2-3-2004, n. 4251. La presunzione ex art. 1352 di riferimento della forma convenzionale alla validità del contratto si applica al recesso per il quale le parti abbiano convenuto la forma scritta, in quanto atto negoziale unilaterale di contenuto negativo che pone fine agli effetti sostanziali della permanenza del contratto rispetto al quale si esplica (Cass. 9-7-2019, n. 18414). La domanda di partecipazione ad una procedura di gara, cui si accompagna l’offerta dell’operatore economico, costituisce un atto unilaterale recettizio, che contiene la proposta contrattuale poiché l’operatore economico dichiara la propria volontà di stipulare il contratto con la pubblica amministrazione e, dunque, la disponibilità ad accettare le condizioni previste dal bando per la realizzazione dell’opera, del servizio o della fornitura: ai sensi dell’art. 1324, sono applicabili gli artt. 1427 ss. c.c. che disciplinano l’annullabilità del contratto per errore (Cons. Stato 20-6-2019, n. 4198).
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tegoria del negozio giuridico quale atto unitario, mentre mantenga perdurante attualità la categoria dell’autonomia negoziale, quale espressione della generale prerogativa di autodeterminazione dei privati. In questa prospettiva è possibile rappresentare l’autonomia negoziale come un ordito logico, per essere generale strumento di regolazione delle relazioni sociali ed economiche, e una prerogativa ideologica per la rivendicazione ai privati della (tendenziale) libertà di autoregolare i propri interessi, al riparo da due fondamentali crinali: da un lato, rimanere giuridicamente soggetti esclusivamente all’eteronomia pubblica; dall’altro, soggiacere in fatto all’abuso di posizione dominante. Il dato significativo della contrattazione di massa è proprio che i contratti conclusi sono in debito di autonomia negoziale per l’asimmetria di potere delle parti. Nel delineato ordine di idee l’area dell’autonomia negoziale si amplia progressivamente. Si sviluppa l’autonomia negoziale collettiva dei gruppi e delle formazioni sociali, a cominciare dalla famiglia, estesa a sindacati e partiti e a tutto il mondo dell’associazionismo. Si dilata l’area di svolgimento dell’autonomia negoziale assistita, con strutture di supporto a soggetti deboli nella conclusione di contratti. Di recente moduli negoziali sono anche operanti nella esplicazione dell’attività della pubblica amministrazione, con il correlato ritrarsi della sovranità (art. 1 L. 241/1990, come modificato e integrato dall’art. 1 L. 15/2005) (I, 2.17). Una tecnica negoziale ha pervaso pure il campo della tutela dei diritti, con conseguente erosione del dogma della statualità della giurisdizione, attraverso le varie tecniche degiurisdizionalizzate di soluzione delle controversie (III, 3.3).
4. Negozio e negozialità. – La concettualizzazione del negozio giuridico quale categoria ordinante dei rapporti privati, per l’epoca in cui maturò, ebbe il merito di rappresentare gli esiti di uno sviluppo storico di valorizzazione della dignità dell’individuo come tale, e perciò dell’unità del soggetto giuridico. Tale costruzione ebbe però il limite di astrarre i propri risultati dall’esperienza storica dalla quale aveva tratto le maggiori sollecitazioni, fino a configurare i risultati stessi come espressivi della verità assoluta ed immutabile di un dogma, che mal si addice ad un ordinamento civile il cui scopo è quello di regolare le relazioni della società civile, in perenne evoluzione. A distanza di tempo si può anche immaginare che forse quel processo di ipostatizzazione della realtà, con la connessa astrazione logica, possa essere stato consapevolmente sorretto dalla necessità di preservare i risultati conseguiti di uguaglianza contro ritorni al passato di divari sociali e privilegi di classe; ma la deriva dogmatica che accompagnò i risultati conseguiti ha finito con il travolgere la stessa essenza del problema che la categoria del negozio intendeva risolvere e cioè il rapporto tra individuo e ordinamento giuridico (e perciò tra libertà e autorità). La categoria del “negozio”, quale figura unitaria e astratta, è certamente incongrua rispetto all’emergere di articolazioni del mercato indotte dallo sviluppo della grande impresa (industriale e di distribuzione), oltre che essere pericolosa, perché non lascia evidenziare il tasso di effettiva esplicazione dell’autonomia negoziale esercitata dai singoli autori degli atti. La vicenda storica che viviamo fa emergere un’accentuazione degli obblighi di trasparenza e informazione, come efficaci antidoti alla sopraffazione economica, e un’amplificazione di eteronomia e integrazione come rimedi di recupero di interessi restati esclusi o inappagati. Nella descritta logica di formulazione di autonomia negoziale, bisogna guardare alla
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negozialità come categoria di frontiera da recuperare, per verificare la partecipazione attiva dei soggetti alla regolazione privata. Deve dunque trattarsi di una autonomia negoziale, non solo presupposta in capo ad ogni cittadino come garanzia di uguaglianza e libertà, ma anche presidiata nella effettività di esercizio, quale segno di esplicazione della persona umana. Consegue che l’osservazione ordinamentale non può essere circoscritta alla struttura dell’atto (volontà e dichiarazione) ma deve aprirsi al contenuto regolamentare (assetto di interessi) nel contesto in cui il singolo negozio matura e si svolge. Il divario di forza contrattuale può essere colmato dall’ordinamento attraverso due meccanismi: a) riarmand o la libertà dei privati (autonomia), con la predisposizione di strumenti accentuativi di doveri di informazione e di presidio alla trasparenza, sì da garantire consapevolezza delle scelte operate ed effettività del consenso prestato (anche con il ricorso a meccanismi di sostegno e assistenza: c.d. autonomia assistita); b) intervenendo autoritativamente (eteronomia), con disposizioni che integrano il regolamento dei singoli negozi, amputandone e/o ampliandone il contenuto oltre la volontà degli autori dell’atto. Si vedrà come significative indicazioni in entrambe le direzioni sono già nel codice civile e vanno dilatandosi negli interventi normativi (VIII, 5.6). Va emergendo un quadro variegato di rimedi che affiancano quelli tradizionali nella tutela dei diritti: da un lato, un controllo preventivo, per inibire clausole contrattuali e comportamenti lesivi di interessi dei consumatori, indipendentemente dall’insorgere di una lite; dall’altro, una tutela di massa, attraverso le associazioni di categoria; dall’altro ancora, la previsione di autonomi interventi istituzionali (es. Ministeri o Camere di Commercio); dall’altro ancora, il ricorso a organismi di autodisciplina. Sta anche emergendo una tecnica di tutela collettiva di classe (III, 1.7). Nel quadro innanzi delineato può ancora riuscire utile il riferimento al “negozio giuridico”, inteso come espressione di negozialità, e cioè come esercizio di autoregolazione, per verificare la partecipazione attiva alla regola privata assunta. Peraltro la categoria del negozio, per la prolungata tradizione che la sorregge e la vastità di studi che ha sollecitato, ha finito con il maturare nel tempo un significativo strumentario di concetti, tecniche e nomenclature, tuttora utilizzato nella pratica e nella vita giudiziaria per la verifica delle esplicazioni dell’autonomia dei soggetti (parlandosi correntemente di volontà negoziale, effetti negoziali, ecc.), anche solo per fare emergere simulacri di volontà e dunque assenza di negozialità. È comunque da rilevare che la categoria del negozio non ha riscontri in significativi ambienti europei (la c.d. area del common law). Il processo di uniformazione del diritto privato si muove nella direzione del contratto e non del negozio: sicché inevitabilmente la categoria unitaria del negozio è destinata a stemperarsi nei singoli atti impiegati nella realtà (contratto, testamento, matrimonio, ecc.) nei quali si esplica una negozialità. Con tale consapevolezza, è possibile delineare alcuni tratti comuni dell’autonomia negoziale, che poi vanno a specificarsi in relazione ai singoli schemi utilizzati e con riguardo ai particolari atti compiuti.
5. Elementi del negozio giuridico. – Una nutrita elaborazione dottrinale ha delineato specifici “elementi del negozio giuridico”, variamente intesi, quali tratti costitutivi essenziali del negozio, che continua a orientare criteri e logiche di valutazione dell’esercizio dell’autonomia privata. Mancando una formulazione del negozio giuridico, neppu-
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re sussiste una indicazione degli elementi; gli stessi sono attinti alla disciplina degli atti negoziali più rilevanti, specialmente del contratto che contiene la disciplina più nutrita, attraverso un’opera di generalizzazione logica 9. Gli elementi del negozio sono tradizionalmente costruiti come essenziali, accidentali e naturali (rectius effetti naturali): non sono autonomi e distinti, ma operano come profili di una realtà unica ed unitaria di esercizio di autonomia privata, assumendo specifica impronta in ragione della tipologia di atti e con riferimento ai concreti negozi. a) Elementi essenziali. Sono gli elementi costitutivi del negozio, tradizionalmente identificati come volontà negoziale, manifestazione, causa, forma vincolata. La mancanza di uno di tali elementi rende il negozio nullo (art. 14182). Con riguardo al contratto, sono qualificati come “requisiti del contratto” (artt. 1325 ss.), per alludere alla validità dell’atto. Sono terminologie correlate: costituiscono elementi essenziali della struttura dell’atto in quanto requisiti di validità per l’ordinamento (VIII, 1.3). Anzitutto rileva la volontà negoziale, quale autodeterminazione libera e consapevole di conseguimento di uno scopo: rileva nella duplice prospettiva, sequenziale, della formazione, come azione dinamica di intento (volere), e della regolazione come assetto di interessi attuato (voluto). Nel significato proprio di “autonomia” la volontà negoziale esprime la volontà di darsi autonomamente regole e quindi autoregolare i propri interessi. Sussistono statuti di disciplina delle anomalie della volontà negoziale, per assenza o vizi della stessa (errore, violenza e dolo), che operano diversamente in ragione della natura dell’atto, tra vivi o a causa di morte, e della struttura dell’atto, bilaterale o unilaterale. La manifestazione della volontà è essenziale strumento di rilevanza sociale di ogni determinazione volitiva. A differenza degli ordinamenti religiosi, che hanno una rilevanza nel foro interno delle persone, negli ordinamenti civili le regole rilevano nei rapporti con i consociati: perciò è necessario che la volontà negoziale sia manifestata, e cioè esteriorizzata. Quale che possa essere la forma richiesta dell’atto, una manifestazione non può mai mancare. Come ogni regola giuridica, anche la regolazione privata ha necessità di effettività sociale: implica dunque una manifestazione di volontà 10. Più spesso la volontà è manifestata attraverso apposita dichiarazione (negozi dichiarativi). La dichiarazione è espressa se è palese, indicando lo scopo perseguito (es. contratto di vendita di un bene: art. 1470); è tacita se è ricavata da una diversa volontà negoziale, che non si potrebbe compiere senza una implicita e ulteriore volontà (es. la vendita di diritti ereditari implica accettazione tacita dell’eredità: artt. 476 e 477). 9 Gli atti negoziali tradizionalmente ricondotti alla categoria del negozio giuridico trovano regolamentazione in distinte parti del codice civile, coerentemente con la materia cui afferiscono: il matrimonio, nel libro primo in tema di famiglia (artt. 79 ss.); il testamento, nel libro secondo dedicato alle successioni (artt. 587 ss.); il contratto, nel libro quarto intitolato alle obbligazioni (artt. 1321 ss.). 10 Si è tradizionalmente posto il problema se la tensione dei privati debba essere verso uno scopo materiale o verso gli effetti giuridici disposti dall’ordinamento. In realtà è necessario che l’intento dei privati sia rivolto a conseguire una finalità pratica rilevante per l’ordinamento giuridico, nel senso che si intende realizzare con l’atto un risultato pratico concreto giuridicamente efficace (perciò uno scopo pratico-giuridico), anche se poi gli effetti attribuiti dall’ordinamento non sempre sono conformi a quelli divisati dagli autori dell’atto. È sufficiente che i soggetti del negozio siano consapevoli della giuridicità degli effetti che dall’atto di autoregolamento derivano. Il tema è particolarmente avvertito con riguardo ai tanti rapporti interpersonali quotidiani, dettati da cortesia o amicizia o altruismo, che, quand’anche coinvolgano interessi patrimoniali, di regola non sono compiuti con l’intento di conseguire un risultato anche giuridico.
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Talvolta la volontà è manifestata unitamente all’attuazione dello scopo, senza una preventiva dichiarazione (negozi attuativi) (es. conclusione del contratto mediante esecuzione ex art. 1477). Si vedrà come i fondamentali mezzi di manifestazione della volontà sono: il linguaggio, che incarna una dichiarazione esplicita della volontà, con parole, scritti, alfabeti convenzionali, ecc.; il contegno, che realizza una manifestazione di volontà attraverso una specifica condotta, da valutare in funzione delle circostanze (VIII, 2.5). Con riguardo al contratto, è necessario che le manifestazioni di volontà di due o più parti si combinino in un accordo (artt. 1326 ss.), che incarna la concorde volontà delle parti ed integra, così, la necessaria (e unitaria) volontà negoziale. Si vedrà dei vari modi previsti dalla legge per la formazione del consenso (VIII, 2.13). La causa indica la funzione concreta svolta dal singolo negozio, come autoregolamento di interessi; in essa si condensa lo scopo pratico-giuridico perseguito dell’autore del negozio. La presenza della causa consente il controllo ordinamentale dell’atto di autonomia privata, al fine di verificare la meritevolezza e la liceità dello scopo perseguito; ciò che apre alla verifica anche dell’oggetto dell’atto, come rappresentazione dei beni dedotti nell’atto. La correlazione della causa con l’oggetto delinea il contenuto dell’atto che fissa il regolamento negoziale voluto (se ne parlerà ampiamente rispetto al contratto: VIII, 3). La forma vincolata (o necessaria) rileva quando è richiesta dalla legge a pena di nullità. Una manifestazione non può mai mancare, in quanto mezzo di esteriorizzazione della volontà negoziale; talvolta la manifestazione è assoggettata ad una forma vincolata per la validità dell’atto (c.d. forma ad substantiam). Quando è richiesta una specifica forma della manifestazione, si parla di negozi solenni (es. gli atti di trasferimento della proprietà di immobili ex art. 1350). Si vedrà come un vincolo di forma possa essere prescritto in ragione di più esigenze (richiamo della ponderazione dell’autore dell’atto dispositivo, circostanze della formazione dell’atto, natura dello scopo perseguito, tipologia degli interessi coinvolti, ecc.: è in atto una evoluzione del formalismo in funzione di tutela di interessi deboli (v. VIII, 4.1). Se nulla è prescritto dalla legge, la modalità di manifestazione è rimessa alla libertà degli autori del negozio. b) Elementi accidentali. Sono determinazioni che arricchiscono lo schema negoziale ampliandone il contenuto. Possono o meno sussistere senza influenzare la validità dell’atto; se presenti, arricchiscono il contento del negozio, non senza rilevanza. L’accidentalità è rispetto allo schema negoziale tipico utilizzato; quando sono adottati interagiscono con l’assetto di interessi, concorrendo alla elaborazione della volontà negoziale; perciò di tali ulteriori determinazioni bisogna tenere conto nella valutazione dell’assetto di interessi. Per la diffusione che sempre li ha caratterizzati, sono regolati specificamente nel codice civile condizione, termine e onere. La condizione e il termine realizzano una manovra degli effetti; il modo amplia la portata degli effetti. La condizione incide sulla sorte degli effetti, subordinando l’efficacia o la risoluzione dell’atto ad un avvenimento futuro e incerto (condizione sospensiva o risolutiva). Il termine incide sul tempo degli effetti, segnando l’inizio o il termine della produzione degli effetti (termine iniziale o finale). Il modo amplia gli effetti degli atti di liberalità, imponendo un obbligo in capo al beneficiario (donatario o erede).
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Alcuni negozi non consentono l’apposizione di elementi accidentali, per non essere modificabile lo schema tipico previsto (c.d. atti puri o legittimi): ciò avviene essenzialmente per i negozi relativi a diritti indisponibili (es. matrimonio e riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio). Si parlerà ampiamente di tali elementi trattando del contenuto del contratto (VIII, 3.19 ss.) e del testamento (XII, 2.12 e 13). c) Elementi (effetti) naturali. Sono gli effetti legali derogabili. Tradizionalmente venivano configurati come elementi naturali, per distinguerli dagli elementi essenziali e accidentali di cui si è detto. È da tempo che si parla più correttamente di effetti naturali per dipendere dalla legge, consentendosi ai privati di escluderli o limitarli: ad es. la garanzia legale per evizione e vizi della cosa venduta, che può essere esclusa dalle parti (artt. 1487 e 1490); la corresponsione degli interessi al mutuante, salvo diversa volontà delle parti (art. 1815).
6. Soggetti e parte del negozio. La legittimazione. – La valutazione del negozio giuridico nella prospettiva soggettiva fa emergere le figure di soggetti, parte e legittimazione. a) I soggetti sono gli autori dell’atto; non sono elementi dell’atto, restandone all’esterno come artefici dello stesso. È necessario che i soggetti, quali autori dell’atto, abbiano la capacità giuridica, come idoneità alla titolarità di diritti e doveri (art. 1), e la capacità di agire, come capacità di intendere e di volere, che di regola si acquista con la maggiore età, tranne che non sia stabilità una età diversa (art. 2) (IV, 1.1 e 6). b) La parte esprime il centro di interessi, che può riguardare un solo soggetto (c.d. parte semplice o unisoggettiva) o involgere più soggetti, persone fisiche o enti (c.d. parte complessa o plurisoggettiva). Il riferimento all’interesse inciso dal negozio diversifica la figura di parte da quella di soggetto e tanto più da quella di persona fisica. Il riferimento all’interesse inciso dal negozio. La figura non si riduce a quella di soggetto e tanto meno a quella di persona fisica. Esprime il centro di interessi, che può riguardare un solo soggetto (c.d. parte semplice o unisoggettiva) o involgere più soggetti, persone fisiche o enti (c.d. parte complessa o plurisoggettiva). Nell’ipotesi di atto compiuto da una parte plurisoggettiva emerge l’esigenza di delineare come concorrono le singole volontà all’assunzione della decisione finale. Si ha atto complesso quando si determina la fusione delle varie volontà in una volontà unitaria, nel senso che tutte le volontà devono concorrere alla decisione finale. In tal senso si realizza una dichiarazione complessa, per cui, se una volontà è viziata, è viziato lo stesso atto: ad es. nell’atto compiuto dal soggetto inabilitato con il curatore, se è viziata la volontà di uno dei due l’atto è invalido. Si ha atto collettivo quando si realizza la somma delle volontà verso un risultato comune, conservando ogni volontà autonoma rilevanza, e rilevando la maggioranza delle volontà espresse secondo criteri stabiliti dalle parti o dalla legge (es. deliberazione dei partecipanti di una comunione). Una specificazione è l’atto collegiale, che impegna il terreno proprio dei gruppi e delle organizzazioni collettive (società, associazioni): le singole volontà concorrono al perseguimento di un interesse del gruppo, e l’atto è riferito all’ente esponenziale che lo incarna, quale soggetto diverso da quelli che lo compongono. Sempre le dichiarazioni di voto sono soggette a controllo circa la regolare formazione e manifestazione delle volontà individuali (anche rispetto alla conoscenza dell’ogget-
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to). Se è viziata una volontà la cui mancanza non altera la maggioranza richiesta, risulta validamente dichiarata la volontà del gruppo (c.d. prova di resistenza). La formazione della dichiarazione di volontà, talvolta, integra un negozio giuridico come negozio unilaterale (plurisoggettivo) (es. disdetta da un contratto di locazione); talaltra, integra un atto unilaterale (plurisoggettivo) non negoziale, destinato a combinarsi con dichiarazioni di altre parti per dare vita ad un negozio bilaterale o plurilaterale e specificamente ad un contratto (es. dichiarazione di proposta o di accettazione di un contratto). c) La legittimazione indica la competenza del soggetto di incidere sugli interessi disposti (VIII, 2.1). Più spesso l’autore formale dell’atto è anche titolare dell’interesse inciso dal negozio 11: in tal caso vi è sovrapposizione di prospettive. Talvolta c’è una dissociazione, quando l’autore dell’atto non coincide con il titolare del diritto inciso: tipicamente ciò avviene con riguardo alla rappresentanza, per cui un soggetto (rappresentante) agisce e conclude un contratto in nome e per conto di altro soggetto (rappresentato) che è titolare dell’interesse, in virtù di conferimento di potere rappresentativo da parte della legge o del soggetto interessato (procura), sicché il contratto concluso dal rappresentante produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato (art. 1388) (VIII, 8.2). In tale contesto logico si svolge da tempo una esigenza di tutela del soggetto che acquista da chi non è titolare senza esserne a conoscenza, come meccanismo di presidio della sicurezza della circolazione dei beni. Rilevano le problematiche dei negozi sul patrimonio altrui (II, 5.9) e quelle sulla tutela dell’affidamento e dell’apparenza (II, 7.4), di cui si parlerà in seguito.
7. La volontà dei gruppi. – È importante distinguere il profilo genetico dell’ente (espresso dall’atto costitutivo e dallo statuto) inteso quale negozio giuridico, con il quale uno o più soggetti 12 stabiliscono di costituire l’ente e di svolgere un’attività fornendo i mezzi economici necessari, dal profilo funzionale inteso quale organizzazione, con cui l’ente (associazione o società) opera quale centro di imputazione di diritti ed obblighi, autonomo rispetto al soggetto o ai soggetti che lo hanno eretto e/o lo compongono (associati o soci), assumendo le varie deliberazioni (c.d. delibere). Nella prima direzione rilevano le singole volontà delle parti, nella seconda direzione rileva la delibera adottata. Le delibere sono atti unilaterali plurisoggettivi, integrino o meno un negozio giuridico, ricondotte all’organo di una entità giuridica autonoma (ad es. la decisione di assemblea di società o di associazione o di condominio). Il tratto comune è espresso dal concorso delle singole dichiarazioni verso una unica dichiarazione di volontà. Si è visto sopra del modo di disporsi delle volontà negli atti plurisoggettivi, attraverso la dicotomia di atto complesso e di atto collettivo e specificamente collegiale (par. 6): nella formazione della volontà dei gruppi, l’esigenza di funzionamento della organizzazione privilegia il metodo collegiale dando vita ad un atto collegiale (la delibera), con imputazione del risultato voluto in capo all’ente. 11 Il fenomeno trova un significativo riscontro nel processo civile, dove il potere di azione è correlato alla titolarità della situazione giuridica dedotta: per l’art. 81 c.p.c. nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui, tranne diversa previsione normativa (III, 1.2). 12 È consentito costituire una società a responsabilità limitata unipersonale con atto unilaterale (art. 2463) e una società per azioni unipersonale con atto unilaterale (art. 2328), da indicare negli atti e nella corrispondenza della società (art. 2250, ult. co.).
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La delibera assunta dalla organizzazione collettiva mira al perseguimento dello scopo proprio di un soggetto giuridico (l’ente) diverso da quelli che concorrono a formare la volontà dell’ente: è la regola organizzativa interna, imposta dalla legge o prevista dallo statuto, che consente di riferire all’ente la delibera assunta senza unanimità. In ragione del metodo collegiale, se è viziato un voto la cui mancanza non altera la maggioranza richiesta, la delibera rimane valida e dunque risulta validamente manifestata la volontà dell’ente (c.d. prova di resistenza). Poiché la vita del gruppo è scandita normalmente dalla formazione di una maggioranza e di una minoranza, affianco alla illegittimità della delibera assunta per violazione di norme di legge e/o dello statuto, è da tempo emersa una figura di illegittimità della delibera in ragione della funzione svolta e che, mutuata dal diritto amministrativo, è delineata come “abuso o eccesso di potere” per abuso della regola della maggioranza 13.
8. Le fondamentali categorie di negozi giuridici. – Si vogliono in questa sede delineare alcune fondamentali categorie di negozi giuridici in ragione di generali criteri direttivi, rinviando l’analisi delle varie figure alla trattazione riservata ai singoli istituti. È bene subito chiarire che il criterio della liceità o della meritevolezza non valgono a delineare contrapposte categorie di negozi (negozi leciti e meritevoli ovvero negozi illeciti o non meritevoli) in quanto la liceità e la meritevolezza sono criteri di valutazione di tutti i negozi giuridici per delineare la conformità o meno all’ordinamento. Il senso di delineare criteri di raggruppamento di negozi è in funzione della rilevanza giuridica che assumono le singole classi, per gli effetti che ne conseguono. Perciò uno stesso negozio è ascrivibile a più categorie in ragione del criterio di osservazione. a) Soggetti. Si suole distinguere tra negozi unilaterali, negozi bilaterali e negozi plurilaterali a seconda del numero delle parti (e cioè dei centri di interesse) che concorre alla determinazione dell’intento negoziale, indipendentemente dal fatto che la parte (al suo interno) sia unisoggettiva o plurisoggettiva. 1) Il negozio è unilaterale quando proviene da un sola parte: esprime la manifestazione di intento negoziale di un solo centro di interessi, tanto se l’intento è espresso da un solo soggetto, perciò atteggiandosi quale negozio unilaterale unisoggettivo (es. testamento), quanto se l’intento negoziale è il risultato del concorso delle volontà di più soggetti, perciò atteggiandosi come negozio unilaterale plurisoggettivo (es. disdetta da un contratto di locazione proveniente dai coniugi comproprietari dell’immobile); in tale ipotesi gli interessi dei soggetti, ancorché separati e sorretti da giustificazioni diverse, non si presentano in conflitto, ma concorrono verso uno scopo unitario. La vocazione dei negozi giuridici a incidere la sfera giuridica di soggetti diversi dall’agente comporta che, di regola, i negozi unilaterali sono tipici nel senso che sono fissati e regolati dalla legge, che li considera meritevoli di tutela. C’è un principio di tipicità dei negozi unilaterali che sono fonti di obbligazioni (per l’art. 1987, la promessa unilaterale 13
L’abuso della regola di maggioranza (c.d. abuso o eccesso di potere) è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società – per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale – oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza “uti singuli” (Cass. 29-9-2020, n. 20265; Cass. 27387/2005).
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di una prestazione non produce effetti obbligatori se non nei casi previsti dalla legge). Fuori di tale ambito, quando incidono sulla sfera giuridica altrui, incontrano il generale limite della tendenziale indipendenza delle sfere giuridiche, di cui sopra (par. 1), per cui anche l’effetto favorevole è oggetto di rifiuto da parte del beneficiario (invito beneficium non datur): non è possibile incidere la sfera giuridica altrui contro la volontà del titolare. Gli atti unilaterali sono di regola recettizi, nel senso che producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza del destinatario (art. 1334): la previsione esprime un criterio generale di applicazione per tutti gli atti unilaterali, anche di natura negoziale. Gli atti non recettizi producono effetto a prescindere dalla conoscenza del terzo (es. testamento, la cui efficacia è legata al fatto della morte: art. 587) (II, 4.5). 2) Il negozio è b ilaterale quando proviene da due parti: esprime un regolamento di interessi in grado di apprestare soluzione alle tensioni di due parti tendenzialmente conflittuali. Se ha un contenuto patrimoniale, in quanto verte su un oggetto suscettibile di valutazione economica, integra un contratto (es. vendita, appalto, trasporto, ecc.). A nulla rileva che la parte al suo interno sia formata da più soggetti: ad es. due coniugi vendono un cespite che è acquistato da altri due coniugi (il contratto è bilaterale per correre tra una parte venditrice e una parte compratrice). Un esempio emblematico di negozio bilaterale non contrattuale (in quanto a contenuto non patrimoniale) è il matrimonio o l’unione civile. 3) Il negozio è plurilaterale quando è finalizzato al soddisfacimento degli interessi di più di due parti, più spesso attraverso il conseguimento di uno scopo comune (es. costituzione di una società con più di due soci), talvolta anche senza comunione di scopo. I contratti plurilaterali con comunione di scopo sono regolati dagli artt. 1420, 1446, 1459, 1466, estensibili a tutti i contratti plurilaterali. L’art. 1321 qualifica il contratto come l’accordo di due o più parti. b) Contenuto. Una fondamentale dicotomia è articolata intorno alla natura patrimoniale o meno degli interessi attuati; delle varie specificazioni relativamente ai contratti si parlerà in seguito (VIII, 3.18). 1) Sono negozi con contenuto patrimoniale quelli che incidono su interessi di natura economica dei soggetti, vuoi con attribuzioni patrimoniali (specie con spostamenti di ricchezza), vuoi con assunzione di obbligazioni, vuoi con la costituzione di vincoli di destinazione; possono attuare senz’altro interessi patrimoniali (es. un contratto di vendita) o anche interessi di carattere non patrimoniale, purché trovino una contropartita in un valore economico (es. contratti per assistere ad una competizione sportiva o a una rappresentazione teatrale, ecc.). Nel prossimo paragrafo si parlerà specificamente dei negozi di disposizione per le correlazioni che si determinano con i problemi della circolazione giuridica. Correlata a tale qualificazione è la distinzione tra negozi a titolo oneroso e negozi a titolo gratuito, in ragione della connessione o meno del sacrificio subito con un vantaggio corrispettivo e perciò in funzione o meno di uno scambio. Tra i negozi a titolo oneroso (che coprono pressoché l’intera area della vita economica), si pensi ai contratti di vendita, appalto, trasporto, ecc.; tra i negozi a titolo gratuito, si pensi al testamento come atto di attribuzione gratuita di ultima volontà; per gli atti tra vivi si pensi alla donazione (connotata dai caratteri della liberalità e del depauperamento del donante e della forma solenne), oltre le ulteriori liberalità non donative. 2) Sono negozi con contenuto non patrimoniale quelli che incidono sulla sfera esistenziale dei soggetti, nella dimensione personale del soggetto o nella dimensione col-
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lettiva delle formazioni sociali, senza che una previsione di carattere economico, quand’anche presente, possa assumere la funzione di corrispettivo. Per la dimensione personale, si pensi agli atti di disposizione del proprio corpo, ammessi solo in quanto non cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica o non siano contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume (art. 5). Si pensi anche agli atti di consenso informato rispetto agli interventi sanitari (art. 32 Cost.) 14; alle dichiarazioni di volontà in ordine alla donazione di organi e tessuti del proprio corpo successivamente alla morte per fini di prelievi o trapianti (art. 4 L. 1.4.1999, n. 91); agli atti autorizzativi dell’uso della propria immagine (art. 10) (IV, 2.2). Per la dimensione collettiva, si pensi ai negozi giuridici familiari, a cominciare dal matrimonio, che hanno causa nella relazione affettiva (5.1.5). Si pensi anche ai negozi connessi al variegato mondo dell’associazionismo e del volontariato (IV, 3.2). c) Forma. Si è anticipato come una manifestazione della volontà non può mai mancare per esternare l’intento negoziale. Talvolta la manifestazione assume una forma vincolata. Sono negozi solenni (o con forma vincolata) quelli per i quali è prescritta una determinata forma per la validità dell’atto (VIII, 4). Più spesso il vincolo è di provenienza legale (es. artt. 1350, 601); talvolta può derivare da un preventivo accordo scritto degli autori dell’atto (es. art. 1352). Sono negozi non solenni (o con forma libera) tutti gli altri, per i quali vale un principio di libertà di forma, nel senso che la volontà può essere manifestata nei modi ritenuti più opportuni dagli autori dell’atto. Si vedrà peraltro come una forma vincolata possa essere richiesta a più fini (VIII, 4). Sussiste un generale principio di libertà di forma, nel senso che la volontà può essere manifestata nei modi ritenuti più opportuni dagli autori dell’atto, salvo espressa imposizione di vincolo di forma. Si vedrà come stia emergendo un nuovo volto del formalismo, non di ponderazione dell’alienante, ma di riflessione degli acquirenti, nella evoluta funzione di tutela dei soggetti deboli; una forma vincolata può essere richiesta a più fini (VIII, 4). d) Efficacia. Una fondamentale distinzione è tra negozi con “effetti reali” e negozi con “effetti obbligatori”. In realtà ogni negozio (come si è visto) tende in senso lato a incidere su determinati interessi e quindi a disporne: con la ripartizione in esame si ha riguardo a un significato specifico e tecnico della disposizione. 1) I negozi con effetti reali , anche detti negozi di alienazione 15 (o dispositivi in senso stretto), realizzano lo scopo perseguito dai privati, non solo in virtù del negozio ma anche per effetto dello stesso, ricollegandosi direttamente al negozio l’effetto finale avuto di mira. Si pensi agli acquisti a titolo derivativo: i negozi derivativo-traslativi realizzano il trasferimento del diritto con la perdita per un soggetto e l’acquisto per un altro (es. vendita della proprietà o di altro diritto); i negozi derivativo-costitutivi realizzano la costituzione del diritto in capo ad un diverso soggetto (es. costituzione del diritto di usufrutto o di altro diritto reale) (fondamentale è il titolo di acquisto: II, 4.7). 14 Per l’art. 5 Conv. di Oviedo del 4.4.1997 sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina (ratif. e resa esec. con L. 28.3.2001, n. 145) un intervento nel settore sanitario può avvenire soltanto previo consenso libero e consapevole dell’interessato. Il consenso informato è definito e disciplinato dalla L. 22.12.2017, n. 219, che detta anche legge sulle disposizioni anticipate di testamento (biotestamento). 15 Il termine “alienazione” deriva dal latino alienare, derivato di alienus (altrui), da cui l’espressione alienum facere.
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2) I negozi con effetti obbligatori , anche detti senz’altro negozi obbligatori, producono la costituzione di obbligazioni a carico delle parti, sicché la realizzazione dello scopo perseguito attraverso il negozio avviene solo successivamente a seguito dell’adempimento delle obbligazioni. L’esatta esecuzione della prestazione dovuta soddisfa l’interesse del creditore e dunque realizza lo scopo programmato dalle parti. Ad es., con un contratto di appalto, l’appaltatore assume l’obbligazione di compiere un’opera: solo l’esecuzione dell’opera e dunque l’adempimento dell’obbligazione assunta attua l’interesse del committente. Come si vedrà, è frequente che risultino combinati effetti reali ed effetti obbligatori: es. la vendita realizza il trasferimento del diritto dal venditore al compratore e costituisce in capo al compratore l’obbligo di pagare il prezzo. 3) Una categoria autonoma, sempre controversa, è quella dei c.d. negozi d i accertamento. Secondo una impostazione diffusa, da tali negozi non consegue una vera e propria modificazione della realtà giuridica esistente, avendo la sola funzione di eliminare, immediatamente e con efficacia retroattiva, il dubbio circa un determinato rapporto. Funzione del negozio di accertamento, che ne segna l’essenza e ne segna l’efficacia, è la produzione di una certezza giuridica in luogo della pregressa situazione controversa. Perciò i negozi di accertamento sono destinati ad operare con riguardo sia ai rapporti con contenuto patrimoniale che ai rapporti con contenuto non patrimoniale (es. accertamento del contenuto di un negozio simulato) 16. Contigua ma diversa è la transazione che muove, sì da una situazione di dubbio, ma presuppone l’esistenza di una lite incominciata o che può sorgere e che le parti conciliano con reciproche concessioni (art. 1965) (IX, 6.1). e) Vita/morte. In una logica diversa dalle categorie di negozi sopra delineate si colloca la distinzione tra negozi tra vivi e negozi a causa di morte per rilevare le vicende delle persone. Alla prima categoria (inter vivos) appartiene la più diffusa esplicazione dell’autonomia privata, specie mediante l’esercizio dell’autonomia contrattuale (es. vendita, appalto, ecc.). Alla seconda categoria (mortis causa) appartengono i negozi per i quali la morte assume una efficienza causale nella produzione degli effetti, realizzandosi la successione nei rapporti giuridici del defunto alla morte e per la morte del dichiarante. Negozio tipico mortis causa è il testamento, quale atto di disposizione di ultima volontà, con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte o di parte delle proprie sostanze (art. 587): tale peculiarità comporta una specificità della relativa disciplina, non potendo l’atto essere ripetuto dopo la morte. Vi è l’espresso divieto dei patti successori (art. 458), a salvaguardia della libertà del volere del testatore fino alla morte; ma si vedrà come la regola trovi ormai smentite normative (es. patto di famiglia: art. 768 bis) e critiche nella elaborazione della dottrina. f) Previsione normativa. L’ordinamento regola alcuni schemi negoziali, la cui funzione è preventivamente considerata meritevole di tutela (c.d. negozi tipici o nominati) (es. vendita, locazione, appalto, donazione, ecc.), salva la valutazione in concreto dell’assetto di interessi realizzato mediante l’impiego di tale schema. 16 La funzione e l’efficacia retroattiva dell’accertamento sono incompatibili con l’effetto traslativo della proprietà (Cass. 9-12-2015, n. 24848). Se non rileva l’intento negoziale, non si è in presenza di negozi di accertamento ma di atti giuridici in senso stretto: es. la confessione (art. 2730), il riconoscimento di figlio fuori del matrimonio (art. 250).
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È consentito elaborare ulteriori schemi negoziali o modificare quelli previsti (c.d. negozi atipici o innominati), purché meritevoli di tutela. Vi è nell’ordinamento una generale fiducia nella capacità dei privati di autoregolare i propri interessi patrimoniali, perciò è attribuita ai privati un’ampia facoltà di organizzare relazioni economiche non previste dall’ordinamenti: per l’art. 1322, intitolato all’autonomia contrattuale, “le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge”; possono “concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”. Nella materia dei rapporti personali e specificamente familiari opera una tipicità dei negozi giuridici, per essere la materia maggiormente sensibile a emotività e debolezze degli autori e per volere l’ordinamento valutare le organizzazioni umane instaurate. Però anche in tale campo si sta dilatando l’area dell’autonomia negoziale e sempre maggiormente stanno ottenendo rilevanza giuridica rapporti affettivi instaurati in fatto senza la mediazione di negozi familiari tipici.
9. Segue. I negozi di disposizione e i terzi. – Propulsore del dinamismo delle situazioni giuridiche soggettive è il potere di disposizione del titolare, espressione dell’esercizio di diritti soggettivi. Gli atti dispositivi determinano anche ragioni di conflitto tra soggetti aventi causa di diritti incompatibili, con l’esigenza di tutela della circolazione giuridica (II, 4.7). Indipendentemente dalla ricostruzione del potere di disposizione, dentro il diritto soggettivo (come partecipe del contenuto) o fuori del diritto soggettivo (come espressione della capacità), sempre l’esercizio del potere di disposizione attua vicende di situazioni giuridiche. a) È possibile declinare i negozi di disposizione in tre fondamentali classi: negozi di attribuzione, negozi di dismissione e negozi di destinazione. Si vedrà come il nostro ordinamento è caratterizzato dal principio del consenso traslativo per cui i diritti (proprietà o altro diritto) si trasferiscono e i diritti reali si costituiscono per effetto del consenso legittimamente manifestato (art. 1376); analogamente avviene per i negozi di dismissione e per quelli di destinazione. I negozi di attribuzione sono atti con i quali si procura un vantaggio ad altri soggetti, con corrispondente titolarità di diritti, a fronte di una diminuzione del proprio patrimonio. Si declinano in due varianti: negozi di trasferimento del diritto da un soggetto ad un altro, con la perdita del diritto per l’alienante e l’acquisto del medesimo diritto per l’acquirente (con titolo derivativo traslativo); negozi di costituzione di nuovi diritti in capo ad un soggetto in virtù della titolarità del diritto (con titolo derivativo-costitutivo) (della dicotomia si è già parlato: II, 4.7). A tale categoria è possibile accomunare i negozi costituivi di una obbligazione, per l’obbligo di comportamento assunto dal debitore di procurare un bene (come utilità) al creditore. I negozi di dismissione sono atti di abdicazione di una situazione giuridica. Tipica è la rinunzia in senso stretto, consistente in un negozio unilaterale di dismissione di un diritto dal patrimonio del rinunciante (rinunzia abdicativa) 17. La rinunzia comporta solo 17 La rinunzia abdicativa si differenzia dal r i f i u t o che integra la manifestazione di volontà di precludere l’incremento della propria sfera giuridica: può essere impeditivo, in quanto impedisce l’ingresso del diritto nella pro
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
perdita del diritto non anche liberazione dalle posizioni passive, comprese obbligazioni, che si connettono alla titolarità del diritto. L’eventuale acquisto del diritto dismesso dal rinunciante è un effetto ulteriore derivante dalla legge: es. la consolidazione della proprietà per rinunzia ai diritti reali limitati in virtù della elasticità della proprietà (VI, 1.2); rinunzia al credito e correlazione con la remissione del debito (VII, 3.14). Un problema si è posto con riguardo alla ipotizzabilità della rinuncia alla proprietà per la natura di diritto pieno e assoluto 18. Figure specifiche di rinunzia sono quelle del c.d. abbandono liberatorio, ad es. con riguardo al diritto di proprietà su beni comuni (art. 1070) o al diritto di proprietà su immobili gravati da una servitù (art. 1104). Si è in presenza di obbligazioni reali, in quanto sono connesse alla titolarità di un diritto reale, sicché il relativo adempimento è necessario per l’esercizio del diritto reale. La rinunzia al diritto reale si atteggia come mezzo per liberarsi dalle obbligazioni allo stesso connesse. Diversa è la c.d. “rinunzia traslativa”, che implica una volontà di trasferimento a terzi, di regola compenetrata in un contratto, regolata come negozio di attribuzione. I negozi di destinazione sono atti costitutivi di vincoli alla utilizzazione di un bene, funzionali ad un dato scopo; sono determinativi della conformazione dello statuto del bene e dunque dei diritti che vi ineriscono (art. 2645 ter). Quando la destinazione si connette ad un’attribuzione si realizza, insieme, il trasferimento del diritto o la costituzione di un diritto nuovo con il limite della destinazione ad uno scopo. I negozi di destinazione possono essere compiuti sia con negozi unilaterali che bilaterali: si tende a ricondurre a tali negozi il trust, il cui atto costitutivo più spesso è compiuto con altro soggetto, ma anche ammesso come “autodichiarato”, in cui soggetto disponente e trustee coincidono nello stesso soggetto (v. VIII, 3.17). b) La posizione dei terzi assume una importante rilevanza nell’esercizio del potere di disposizione. Si è già anticipato che più ragioni militano a favore della circolazione giuridica dei beni (II, 4.7): c’è l’esigenza di conoscenza degli atti dispositivi a beneficio dei consociati perché, sulle risultanze di tali atti, possano organizzare con sicurezza l’azione economica. I risultati perseguiti dai negozi di disposizione vanno coordinati con le esigenze di certezza reclamate dal mercato attraverso indici legali di conoscenza (specialmente la pubblicità, il possesso, la consegna): la tutela dei terzi può provocare l’attribuzione di diritti in modo diverso da come il logico e naturale dispiegarsi del potere di disposizione comporterebbe. È prevista la trascrizione degli atti di disposizione di immobili,
pria sfera giuridica (es. rifiuto della proposta con obbligazioni del solo proponente ex art. 1333); eliminativo, in quanto elimina gli effetti già prodotti e non ancora stabilizzati (es. rifiuto del terzo ex 1411 o rinuncia al legato). 18 È ipotizzabile la rinunzia alla proprietà, come deriva da alcuni elementi testuali in materia di forma (art. 1350, n. 5) e di trascrizione (art. 2643, n. 5). Viene però in rilievo l’effetto riflesso relativo ai “beni immobili vacanti”, per cui i beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello stato (art. 827), con un acquisto a titolo originario. Per assicurare l’ordinamento una “funzione sociale” (art. 422 Cost.), è da escludere la possibilità della rinunzia quando si persegua lo scopo di disfarsi di una proprietà damnosa (es. per immobili fatiscenti e inquinanti ovvero antieconomici), ribaltando sullo stato i costi di riattivazione o demolizione ovvero gestione dell’immobile; in tal caso, secondo un generale principio di buona fede, è da consentire alla pubblica amministrazione di rifiutare l’ingresso della proprietà nella propria sfera giuridica (Cfr. T.A.R. Lombardia Milano 18-12-2020, n. 2553). Per T.A.R. Piemonte Torino 28-3-2018, n. 368, il legislatore ha ammesso solo quelle fattispecie di rinunzia abdicativa a diritti immobiliari che non determinano una vacatio nella titolarità del bene, con conseguente nullità dei negozi potenzialmente idonei a determinarla e, su tutti, della rinunzia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare.
CAP. 5 – AUTONOMIA PRIVATA
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sia di attribuzione e rinunzia (art. 2643), che di destinazione (art. 2645 ter), come meccanismo di soluzione dei conflitti di posizioni incompatibili (XIV, 2.7). Una problematica particolare si pone con riferimento agli atti di disposizione del patrimonio altrui. Si vedrà come, per il cod. civ. del 1942, a differenza del cod. civ. del 1865, la vendita di cosa altrui è valida ma inefficace, produce i suoi effetti nel momento in cui il venditore acquista la proprietà dal titolare di essa (art. 1478) (VIII, 6.15). Fuori di tale ipotesi, sono accordate tutele all’avente causa in buona fede dal non proprietario (acquisto a non domino), con la previsione di specifici presupposti di acquisto rispetto alle singole tipologie di diritti 19, determinando un acquisto a titolo originario 20; e si è propensi a ritenere che si acquisti la proprietà della cosa libera da diritti altrui sulla cosa non risultanti dal titolo se l’acquirente è di buona fede (c.d. usucapio libertatis), interpretandosi analogicamente l’art. 11532. Per l’assenza di atto dispositivo, la maturazione dell’usucapione diventa titolo privilegiato di acquisto contro il titolare del diritto e gli aventi causa dallo stesso. In definitiva sussiste nel codice civile un tendenziale favore per la circolazione giuridica, prediligendosi la certezza dell’acquisto alla conservazione della titolarità dei diritti. La naturale logica della disposizione dei diritti soccombe rispetto all’esigenza economica di conservazione delle posizioni acquisite: nella prospettiva del diritto dell’economica, le esigenze del mercato prevalgono sulle ragioni della proprietà. Si vedrà come sono emerse ragioni di tutela, connesse a posizioni personali, più forti anche della generica esigenza di circolazione (es. prelazione legale) (XIV, 2.18).
10. Presupposti del negozio giuridico. – In relazione a singole operazioni assumono rilevanza specifici presupposti dell’atto, quali fatti giuridici (positivi o negativi) che non concorrono alla formazione dell’atto, ma che la relativa esistenza incide sul regime dell’atto. È una categoria articolata, anzitutto rispetto alla provenienza dei presupposti, per essere imposti dalla legge o considerati dai privati, e poi per la differente rilevanza, incidendo sulla validità e/o sulla efficacia dell’atto. Viene in gioco la generale prospettiva dei presupposti della fattispecie, per cui non può compiersi un fatto giuridico senza il fatto presupposto. 19 In relazione ai beni immobili, la trascrizione del titolo e il successivo decorso decennale del possesso consentono l’usucapione abbreviata (fattispecie complessa) (art. 11591); la stessa disposizione si applica nel caso di acquisto degli altri diritti reali di godimento sopra un immobile (art. 11592). Analoghi principi valgono per l’acquisto a non domino della piccola proprietà rurale, con la previsione di un possesso di cinque anni dalla trascrizione (art. 1159 bis), di beni mobili iscritti in pubblici registri, con la previsione di un possesso di tre anni dalla trascrizione (art. 1162), di universalità di mobili (art. 1160), con la previsione di un possesso di dieci anni ma con esclusione della trascrizione per non sussistere registri di pubblicità. Per i beni mobili (non registrati e non oggetto di universalità di mobili), per l’assenza di registri di pubblicità, vale il principio “possesso vale titolo” per cui sono sufficienti il titolo astrattamente idoneo al trasferimento e il possesso di buona fede per acquistarne la proprietà (libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell’acquirente) (art. 11531-2); nello stesso modo si acquistano i diritti di usufrutto, di uso e di pegno (art. 11533) (VI, 5.6). In ogni caso, si acquista la proprietà per usucapione dei beni immobili con il possesso continuato ventennale (art. 1158) e dei beni mobili con il possesso continuato decennale (art. 1161). Talvolta si fa a meno anche del possesso, come ad es. nell’ipotesi di acquisto dall’erede apparente (art. 534). Se ne parlerà ampiamente nelle sedi specifiche. 20 Come ha rilevato L. MENGONI, l’alienazione del bene altrui ottiene rilevanza giuridica non come negozio ma come fatto che concorre con altri fatti (tra cui, immancabile, la buona fede dell’acquirente) a integrare una fattispecie legale di acquisto, predisposta a tutela dell’affidamento del terzo.
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
Anzitutto rilevano i presupposti legali quali situazioni soggettive o fatti richiesti dalla legge, che incidono, talvolta, sulla validità dell’atto (es. alcune qualifiche soggettive), talaltra sulla efficacia (es. legittimazione) (par. 6). Vi è poi l’ampio campo delle autorizzazioni amministrative, la cui assenza, a seconda della situazione di riferimento, è in grado di incidere sia sulla validità che sulla efficacia. Altre volte è l’ordinamento a fissare la sequenza dei fatti: si pensi all’occupazione di cosa mobile che presuppone l’abbandono del titolare (art. 923 c.c.). I presupposti di fatto di regola incidono sulla efficacia dell’atto; il tema si intreccia con il fenomeno della condizione (VIII, 3.20). Una figura peculiare di presupposto dell’atto è la presupposizione, quale situazione di fatto o di diritto tenuta presente dalle parti e inespressa; non è prevista ma da tempo analizzata e considerata rilevante (v. VIII, 3.11).
11. L’incidenza tributaria (bollo e registrazione). – Si è visto come ogni fatto giuridico e a maggior ragione l’esplicazione dell’autonomia privata si svolge nella complessità dell’esperienza giuridica. Un ruolo sempre maggiore assume il carico tributario, calcolato in misura fissa o proporzionale al valore economico dell’operazione compiuta. Tipicamente operano il bollo e la registrazione (di cui appresso): si pensi all’imposta ipotecaria e catastale per il trasferimento di immobili (D.Lgs. 31.10.1990, n. 347); si pensi all’imposta sul valore aggiunto (iva) sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio di imprese o di arti e professioni (D.P.R. 26.10.1972, n. 633). Ormai la imposizione tributaria non è più componente accessoria nella esplicazione dell’autonomia privata ma fattore concorrente nelle determinazioni dei privati. Interventi diffusi sono il bollo e la registrazione, con implicazioni anche civilistiche. Il bollo è essenzialmente regolato dal D.P.R. 26.10.1972, n. 642 (Disciplina dell’imposta di bollo) 21. L’omesso od insufficiente pagamento dell’imposta ed omessa o infedele dichiarazione di conguaglio non incide sulla validità o efficacia dell’atto, ma lo rendono irregolare; l’atto va regolarizzato con pagamento dell’imposta e comminatoria della sanzione amministrative a carico dei soggetti dell’atto (art. 25) e dei pubblici funzionari e altri soggetti che li ricevono per le incombenze cui sono tenuti (artt. 19 e 24). Il bollo svolge una funzione sostanziale rispetto ai titoli di credito 22. La registrazione è essenzialmente regolata dal D.P.R. 26.4.1986, n. 131 (t.u. disposizioni concernenti l’imposta di registro – TUR) 23. Gli artt. 20 ss. regolano le modalità di 21 La Tariffa allegata è riferita a atti, documenti e registri soggetti all’imposta fin dall’origine (Parte I); atti e scritti soggetti all’imposta di bollo solo in caso d’uso (Parte II), cui segue una Tabella indicante atti, documenti e registri esenti in modo assoluto dall’imposta di bollo. 22 La cambiale, il vaglia cambiario e l’assegno bancario non hanno la qualità di titoli esecutivi se non sono stati regolarmente bollati sin dall’origine e, provenendo dall’estero, prima che se ne faccia uso; il portatore o possessore non può esercitare i diritti cambiari inerenti al titolo se non abbia corrisposto l’imposta di bollo e pagato le sanzioni amministrative; la inefficacia come titolo esecutivo deve essere rilevata e pronunciata dai giudici anche d’ufficio (art. 20). 23 La Tariffa allegata è riferita a atti soggetti a registrazione in termine fisso (Parte I); atti soggetti a registrazione solo in caso d’uso (Parte II), cui segue una Tabella di atti per i quali non vi è obbligo di chiedere la registrazione. L’imposta di registro si applica, nella misura indicata nella Tariffa, agli atti soggetti a registrazione e a quelli volontariamente presentati per la registrazione (art. 1).
CAP. 5 – AUTONOMIA PRIVATA
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applicazione dell’imposta, delineando le specifiche vicende degli atti registrati; è una imposta riferita agli atti in funzione delle operazioni esposte 24. L’art. 10 indica gli ulteriori soggetti (oltre i soggetti dell’atto) obbligati a richiedere la registrazione, tra cui rileva massimamente per il diritto privato la figura del notaio, come responsabile di imposta solidalmente obbligato con i soggetti dell’atto, ormai operante come obbligato principale 25. La mancata registrazione dell’atto comporta mera irregolarità dell’atto: chi omette la richiesta di registrazione degli atti e dei fatti rilevanti ai fini dell’applicazione dell’imposta, ovvero la presentazione delle denunce di eventi successivi alla registrazione ex 19, è punito con la sanzione amministrativa (art. 69), oltre sanzioni ulteriori per infrazioni più gravi (artt. 74 e 75). La registrazione svolge anche una funzione sostanziale: attesta l’esistenza degli atti ed attribuisce “data certa” di fronte ai terzi a norma dell’art. 2704 c.c. (art. 181) (III, 2.2).
24 Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto (art. 21) (es. l’accettazione tacita dell’eredità contenuta in un atto di alienazione); se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate (art. 22). 25 Per l’art. 10, lett. b, i notai (e gli altri soggetti ivi indicati) hanno l’obbligo di richiedere la registrazione per gli atti da essi redatti, ricevuti o autenticati. Per gli artt. 57 e 58 i notai sono coobbligati solidali con le parti contraenti per il pagamento dell’imposta dovuta per la registrazione degli atti stessi, con diritto di surroga, in tutte le ragioni, azioni e privilegi spettanti all’amministrazione finanziaria, per il recupero dell’imposta pagata nei confronti dei soggetti nei cui confronti fu richiesta la registrazione. La intervenuta obbligatorietà della registrazione telematica da parte del notaio, attraverso il Modello unico informatico (MUI), sta caricando la figura del notaio di una funzione ulteriore di liquidazione e pagamento dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale (art. 3 bis D.Lgs. 463/1997 e D.P.R. 308/2000); emerge un obbligo di corresponsione come debitore principale nei confronti dell’ente impositore, cui si connette la modifica dell’art. 22 l. not.) (cfr. Cass. 5016/2015, 18493/2010 e 13653/2009).
CAPITOLO 6
INIZIATIVA ECONOMICA (L’impresa e il mercato)
Sommario: 1. Iniziativa economica, impresa e società. – 2. L’azienda e i segni distintivi. – 3. L’iniziativa economica nella Costituzione e nella normativa europea. – 4. Concorrenza e mercato. L’economia sociale di mercato. – 5. Aree e fattori dell’azione economica.
1. Iniziativa economica, impresa e società. – Nell’accezione comunemente impiegata l’iniziativa economica è l’attività di combinazione e organizzazione dei fattori dell’azione economica (significativamente capitale e lavoro) per creare ricchezza. Il concetto di iniziativa economica è pertanto sinergico con quello di impresa: il codice civile contiene la definizione di “imprenditore” e non di impresa per essere l’imprenditore, secondo il metodo dell’economia utilizzato nella codificazione, il soggetto reale che esercita l’attività economica. Intorno alla vita dell’impresa e delle società si svolge una significativa area di esplicazione dell’attività dei privati e quindi del diritto privato. Lasciando al diritto commerciale e al diritto del lavoro l’esame delle singole categorie, è importante in questa sede fissare le generali coordinante dell’azione economica regolate dal diritto privato. a) È imprenditore “chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata ai fini della produzione o dello scambio di beni o di servizi” (art. 2082). Non è dunque necessario che l’imprenditore sia proprietario dei mezzi di produzione: è sufficiente che se ne assicuri la disponibilità. Mediante i contratti l’imprenditore si procura i mezzi di produzione (materiali e immateriali) in proprietà e/o in mero godimento, attinge ai finanziamenti necessari, stringe i rapporti di lavoro con la mano d’opera, si approvvigiona delle risorse necessarie alla produzione, colloca sul mercato i prodotti (cose o servizi). Essenziale è la “organizzazione” dell’attività economica, come combinazione dei fattori dell’attività. La qualifica dell’attività come “economica” implica un’attività in grado di conseguire la remunerazione dei fattori produttivi mediante il risultato della stessa, anche senza prefiggersi necessariamente il conseguimento di un profitto (c.d. lucro oggettivo) 1. Inoltre, deve essere un’attività esercitata professionalmente e cioè stabilmente e con 1 È il fenomeno proprio dell’attività imprenditoriale di enti non profit e di enti pubblici, che realizzano scopi di natura culturale, ricreativa, assistenziale, ecc., mediante un’attività economica (e perciò remunerativa) senza produzione di utili. Per Cass. 26-9-2006, n. 20815, il fine spirituale o comunque altruistico perseguito dall’ente religioso non pregiudica l’attribuzione del carattere dell’imprenditorialità dei servizi resi, ove “la pre stazione sia oggettivamente organizzata in modo da essere fornita previo compenso adeguato al loro costo”.
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abitualità, seppure non continuativamente (si pensi alle attività economiche stagionali) e non in via esclusiva (lo stesso soggetto può svolgere più attività economiche). Infine, l’attività di impresa può indirizzarsi verso la produzione di nuovi prodotti (attività industriali) oppure verso lo scambio degli stessi (attività commerciali): sono le essenziali componenti del sistema economico, per inerire la prima alla realizzazione di nuovi beni e servizi e la seconda alla distribuzione degli stessi. La qualifica di imprenditore si acquista in fatto in ragione dell’attività economica svolta, quale serie coordinata di atti funzionale alla produzione o allo scambio di beni e servizi (v. II, 4.6). L’imprenditore assume il rischio della intrapresa e cioè del divario tra costi dell’attività economica e ricavi, che può comportare un passivo (perdite) come procurare un attivo (utili) 2; dirige il processo produttivo: è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori (art. 20861), nei limiti atti a tutelare l’integrità fisica e la personalità dei prestatori di lavoro (art. 36 Cost.; art. 2087 L. 20.5.1970, n. 300). Uno specifico statuto è riservato alle imprese commerciali, prevedendosi, per tali imprese, l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese (art. 2195) 3 (XIV, 1.3); la tenuta delle scritture contabili e la soggezione a fallimento (oggi liquidazione giudiziale: VII, 8.3) (artt. 2188 ss. c.c.); inoltre sono attribuite a figure tipiche di ausiliari dell’imprenditore (institore, procuratore, commessi) specifici poteri rappresentativi (artt. 2203 ss.). Non sono soggetti a tale statuto il piccolo imprenditore (art. 2083) e l’imprenditore agricolo (artt. 2135 ss.) 4. b) Le società rappresentano le imprese di maggiore rilevanza economica. L’impresa può essere esercitata in forma individuale o in forma collettiva, dando luogo, appunto, alle società. Per l’art. 2247, con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Trattasi di un contratto con comunione di scopo, per conferire le parti le singole prestazioni al fine dell’esercizio in comune dell’attività economica 5 (VIII, 3.18). È stata consentita la costituzione di società a responsabilità limitata unipersonale con atto unilaterale (art. 2463) e la società per azioni unipersonale con atto unilaterale (art. 2328). L’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva ha il dovere di istituire un assetto
Talvolta i detti enti perseguono anche uno scopo di lucro, ma questo è strumentale rispetto allo scopo istituzionale in quanto gli utili realizzati non sono distribuiti ma sono rivolti a perseguire (indirettamente) lo scopo istituzionale (è il caso di associazioni che svolgono attività imprenditoriali per il perseguimento degli scopi ideali associativi). 2 Nella redazione del bilancio si distingue tra contenuto dello stato patrimoniale (art. 2424) e contenuto del conto economico (art. 2425). 3 Per costante giurisprudenza la disposizione dell’art. 2195 sostanzialmente esaurisce, ai nn. 1 e 2, l’ambito della nozione di imprenditore (di cui all’art. 2082) mediante la previsione delle imprese industriali e di quelle commerciali in senso stretto, sicché “le successive previsioni, contenute nei numeri 3, 4 e 5 sono mere specificazioni delle categorie generali dei primi due punti” (Cass. 27-1-2006, n. 1727). 4 L’esercizio di nave (assunto dall’armatore) o l’esercizio di aeromobile (assunto dall’esercente), che pure integra una c.d. “impresa di navigazione” (artt. 265 ss. e artt. 874 ss. cod. nav.) non comporta di per sé il ricorso della figura dell’imprenditore secondo il codice civile, dovendo a tal fine ricorrere tutti i presupposti dell’attività imprenditoriale. 5 Nella società la contitolarità dei diritti è funzionale allo svolgimento di un’attività economica comune per ricavare da questa un profitto. Invece nella comunione la contitolarità dei diritti reali è indirizzata al mero godimento dei beni, per realizzare una utilizzazione di questi (diretta o a mezzo di altri ricavandone una rendita) (Cass. 6-2-2009, n. 3028; Cass. 1-4-2004, n. 6361) (VI, 4.1).
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale (art. 20862) (VII, 8.2). I conferimenti, in danaro o in natura, suscettibili di valutazione economica, vanno a formare il patrimonio della società (c.d. fondo sociale) 6 (artt. 2254, 2255, 2342); l’attività economica deve essere rivolta ad uno scopo produttivo (c.d. lucro oggettivo) al fine del conseguimento di utili e cioè di profitto per i soci (c.d. lucro soggettivo): profilo quest’ultimo che (come si è visto) non è invece essenziale nella impresa come tale, per la quale è sufficiente la economicità dell’attività. Sussistono più tipologie di società, variamente articolate (art. 2249): lucrative, mutualistiche e consortili. Le società lucrative hanno per oggetto l’esercizio di un’attività commerciale con lo scopo del conseguimento di utili, distribuito ai soci; devono costituirsi secondo i tipi previsti dalla legge (art. 22491). Si distinguono in società di persone, con responsabilità illimitata dei soci, quali la società in nome collettivo, l’accomandita semplice (con responsabilità illimitata dell’accomandatario); e in sono società di capitali, con responsabilità limitata al patrimonio sociale, quali la società a responsabilità limitata, la società per azioni e la società in accomandita per azioni (con responsabilità illimitata degli accomandatari). Entrambe le tipologie di società sono, di diritto, imprese commerciali e perciò soggette al relativo statuto con riguardo a rappresentanza, scritture contabili e insolvenza (artt. 2203 ss.). Le società che hanno per oggetto l’esercizio di un’attività diversa sono regolate dalle disposizioni sulla società semplice, tranne che i soci abbiano voluto costruire la società secondo uno dei tipi sopra indicati (art. 22492) 7. Le società mutualistiche forniscono beni, servizi o occasioni di lavoro direttamente ai membri dell’organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che i soci stessi otterrebbero sul mercato. Assumono una connotazione particolare le “società cooperative” (art. 22493): sono società a capitale variabile con scopo mutualistico, iscritte presso l’albo delle società cooperative (artt. 2511 ss.); si specificano in “cooperative a mutualità prevalente”, in ragione del tipo di scambio mutualistico (artt. 2512 ss.). Si differenziano le “mutue assicuratrici” caratterizzate dal fatto che le obbligazioni sono garantite dal patrimonio dei soci (artt. 2546 ss.). c) I consorzi svolgono una funzione particolare: non perseguono un fine di distribuzione di utili ma di migliorare la redditività delle imprese aderenti, coordinando la produzione e gli scambi o lo svolgimento di determinate fasi dell’attività produttiva (artt. 2602 ss.); è possibile la costituzione di società consortili (art. 2615 ter). Sono dettate specifiche disposizioni penali in materia di società, consorzi ed altri enti (artt. 2621 ss.). Una generale disciplina penale regola i delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio (artt. 499 ss. c.p.). 6
Nelle s.p.a. non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi (art. 23425). La trasformazione di una società da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorché connotato di personalità giuridica, non si traduce nell’estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di uno nuovo, ma configura una vicenda evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, comportando soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa, senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all’originaria organizzazione societaria (Cass. 22-10-2020, n. 23030). 7
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2. L’azienda e i segni distintivi. – L’azienda è “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” (art. 2555): esprime un concetto distinto dall’impresa ma a questa correlato 8. Come si è accennato, non è necessario che l’imprenditore sia proprietario degli strumenti della produzione: è sufficiente che ne abbia la disponibilità. L’azienda esprime una organizzazione complessiva, comprensiva sia del lavoro sia di tutti gli altri fattori della produzione; l’imprenditore organizza appunto l’attività economica con la destinazione di tali beni alla produzione o allo scambio. L’azienda indica una entità economico-giuridica autonoma rispetto alla titolarità dei singoli fattori della produzione, che si presta perciò ad essere oggetto di distinta situazione soggettiva di proprietà 9 o anche di possesso 10 dell’imprenditore: la titolarità dell’impresa è correlata alla titolarità dell’azienda 11. La disciplina dell’azienda è scarna: è rivolta unicamente a regolarne la circolazione, con l’alienazione a terzi della stessa o anche solo la concessione in usufrutto o in affitto, mantenendosi l’unità economica del complesso dei beni e dei rapporti contrattuali inerenti all’azienda 12. Una disciplina particolare regola la successione nei contratti inerenti l’azienda: contrariamente alla norma generale che consente la cessione del contratto “purché l’altra parte vi consenta” (art. 1406), l’acquirente dell’azienda, se non è pattuito diversamente, “subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale” (art. 25581) 13; però l’alienante non è liberato dai debiti ine 8 L’azienda, quale complesso unitario di beni funzionalmente organizzati per la produttività, va tenuta distinta dall’impresa, quale attività economica organizzata per la gestione di un’azienda, la quale, in quanto tale, “è inseparabile dall’imprenditore di cui costituisce un modo di operare e, perciò, ha un carattere eminentemente soggettivo”; la cessione o affitto di azienda, quindi, non comporta il passaggio al cessionario o all’affittuario anche dell’impresa, ma determina normalmente una situazione di continuità tra la precedente e la nuova gestione (Cass. 13-12-2006, n. 26674). 9 La unitarietà del valore dell’azienda è operante anche nella prospettiva tributaria, rilevando, per gli atti che hanno ad oggetto aziende o diritti reali su di esse, il valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento, al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa (proporzionalmente al valore dei beni) tranne quelle che l’alienante si sia espressamente impegnato ad estinguere (art. 514, D.P.R. 26.4.1986, n. 131). 10 L’azienda è un bene distinto dai singoli componenti, suscettibile di essere unitariamente posseduto e, nel concorso degli altri elementi di legge, usucapito (Cass., sez. un., 5-3-2014, n. 5087). 11 Per le imprese soggette a registrazione i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda devono essere provati per iscritto, salva l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto (art. 2556). 12 Si ha cessione di azienda quando le parti abbiano inteso trasferire un complesso organico di beni unitariamente considerato, dotato di potenzialità produttiva tale da farne emergere ex ante la complessiva attitudine anche solo potenziale all’esercizio di un’impresa; è irrilevante che le singole parti che la compongono siano state cedute globalmente o con più atti separati, decisiva essendo unicamente la causa reale del negozio e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguiti dai contraenti (Cass. 3-12-2009, n. 25403). Il problema si è posto in particolare per il divario con il contratto di locazione: nell’affitto di azienda il singolo immobile è considerato come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni (mobili ed immobili) legati tra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo (Cass. 17-2-2020, n. 3888). 13 Applicazioni di tale principio sono in materia di contratto di lavoro e di contratto di locazione. Per l’art. 2112, in caso di trasferimento dell’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano; il cedente e il cessionario sono obbligati in solido per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Per l’art. 36 L. 27.7.1978, n. 392, il conduttore può sublocare l’immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme cedu
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renti all’azienda, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito (art. 2560). Chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta (art. 2557): si tende ad assicurare al cessionario l’avviamento dell’azienda, che di regola influenza la quotazione del prezzo dell’azienda stessa. Segni distintivi dell’azienda, che ne connotano la rilevanza economica e giuridica, sono la ditta, l’insegna e il marchio. L’imprenditore ha il diritto all’uso esclusivo di tali segni, secondo i criteri della novità e della verità. La ditta identifica la titolarità: comunque sia formata, deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore, salva l’ipotesi del trasferimento dell’azienda (art. 2563) 14. L’insegna connota il luogo ove è esercitata l’attività (arg. 2568). Il marchio contraddistingue il prodotto (bene o servizio) (art. 2569) 15. La materia ha formato oggetto di un intervento organico normativo con il D.Lgs. 10.2.2005, n. 30, recante il Codice della proprietà industriale, e il D.Lgs. 27.6.2003, n. 168, istitutivo delle Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale presso tribunali e corti d’appello (per la pubblicità, XIV, 1.6).
3. L’iniziativa economica nella Costituzione e nella normativa europea. – Agli inizi del ’900 la forte stagnazione economica e l’aumento della disoccupazione proponevano il divario tra le due grandi scuole di pensiero: da un lato, la tradizione liberale, fiduciosa nel mercato che, nel lungo periodo, si sarebbe autoregolato anche se con alcuni sussulti; dall’altro, l’ostilità al sistema economico capitalistico che non sarebbe stato in grado di autoregolarsi, con la prospettazione di statalizzazione della grande produzione. Sullo sfondo il dilemma tra l’esigenza di libertà e la necessità di sicurezza, variamente intese, che propugnavano l’assenza o l’intervento dello stato in economia per garantire il benessere sociale. Negli anni ’30 del secolo scorso, in risposta alle catastrofi della grande depressione e della seconda guerra mondiale si sviluppava la “terza via” che propugnava l’intervento pubblico nell’economia per salvare il potenziale di crescita del capitalismo correggendone le distorsioni 16; mentre si affermava una esigenza di “equilibrio” tra le
ta o locata l’azienda, dandone comunicazione al locatore, il quale può opporsi per gravi motivi; il locatore, se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte. Le ragioni della proprietà sono sacrificate alle esigenze dell’impresa: il locatore deve subire il nuovo locatario che ha il merito di mantenere in vita l’esercizio dell’impresa. 14 In tema di legittimazione processuale, l’imprenditore, pur senza specificare la sua qualità, è legittimato ad opporsi ad un decreto ingiuntivo emesso nei confronti della relativa ditta, non avendo quest’ultima soggettività giuridica distinta ed identificandosi essa con il suo titolare sotto l’aspetto sia sostanziale che processuale (Cass. 19-4-2010, n. 9260). 15 Va delineandosi l’idea di unità dei segni distintivi. In ragione di tale principio anche l’impiego di un domain name su Internet, che riproduce la ditta o l’insegna o il marchio altrui, è comunque considerato in grado di ingenerare confusione nel pubblico e dunque integrare contraffazione, con sviamento della clientela. Né rileva che il nome a dominio sia stato assegnato dall’Autorità di registrazione (R.A.), non rientrando tra i compiti di questa la verifica di confondibilità con segni distintivi non elettronici. 16 Fondamentale J.M. KEYNES (1936), secondo cui le amministrazioni pubbliche dovevano apprestare efficienti progetti di investimenti pubblici, da finanziare anche con debito all’avvio, nel momento in cui l’economia fosse in depressione o ristagno e non si riuscisse a risollevarla attraverso la sola politica monetaria. Ne gli anni successivi la terza via si è incanalata nei tradizionali settori d’influenza delle politiche di welfare, come
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prosperità del mercato e i bisogni umani, evolvendo la sicurezza pubblica (come quiete civica) in sicurezza sociale (come garanzia di benessere) 17. Emergeva l’affermazione di un welfare state che maturerà la welfare society. In questo contesto il cod. civ. del 1942 si dispiegava nel segno della economia di mercato, con tendenziale assenza di vincoli all’attività di impresa e con tutela indifferenziata della circolazione giuridica, intervenendo il potere pubblico solo a sostegno della produzione. Il disegno che vi faceva da sfondo è evidente: il funzionamento del mercato era causa di prosperità, mentre il fallimento del mercato era motivo di impoverimento della società. L’esperienza economica ha però mostrato che, anche in assenza di fallimento del mercato, il funzionamento dello stesso non sempre ha garantito uno sviluppo della intera società, reclamando un intervento di correzione coattiva nelle varie direzioni in cui si svolge l’aspirazione socio-economica di una società. Quando, all’indomani del secondo dopoguerra, si poneva mano alla formazione della Carta costituzionale si prospettavano all’assemblea costituente i delineati modelli economici, con le connesse ideologie di riferimento, che orientarono la disciplina dei “rapporti economici” (la c.d. costituzione economica, ex artt. 35 ss. Cost.) (I, 2.7) 18. In tale contesto maturava la sinapsi valoriale di raccordo delle esigenze del libero marcato con i bisogni della persona umana. Fondamentale è la regola compromissoria secondo cui “l’iniziativa economica privata è libera” (art. 411 Cost.); ma “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno all’ambiente, alla salute, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (art. 412 Cost.): sono limiti scheletrici e dunque ontologici alla stessa libertà di iniziativa, che non è funzionale alla società ma non può svolgersi contro la stessa 19. Perché la libertà della iniziativa economica non sia piegata dai pubblici poteri è prevista una riserva di legge per apprestare i “programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” (art. 413). È ancora prevista una riserva di legge perché, a fini di utilità generale, si possa “riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o cate
povertà, disoccupazione, pensioni, salute, ma ha avuto una speciale incidenza sulle politiche attive per stimolare l’occupazione e favorire l’istruzione. Nella modernità se ne reclama l’intervento verso sanità, sicurezza del territorio, ambiente, infrastrutture materiali e immateriali. 17 Efficace la lezione di K. POPPER (1945): la libertà non è un impedimento né per avere sicurezza né per ottenere benessere; la libertà è la precondizione senza la quale non c’è sicurezza. 18 La ideologia liberale che aveva incarnato la edificazione dello Stato moderno reclamava mani libere in economia, nella convinzione che il perseguimento dell’interesse individuale in una economia di mercato stimolasse lo sviluppo economico e realizzasse naturalmente l’interesse economico collettivo. Sul fronte opposto la rivoluzione socialista evidenziava la necessità di un intervento pubblico per riequilibrare i rapporti di forza della società, perciò prospettando meccanismi di pianificazione degli investimenti e dello sviluppo economico della società. Con una ispirazione religiosa la dottrina sociale cattolica valorizzava la dignità della persona umana (creata ad immagine e somiglianza di Dio) prospettando limiti alla gestione privata dei beni in grado di equilibrare le libertà dell’individuo con le esigenze della collettività, secondo un modello solidaristico di esperienza umana. Sullo sfondo della Carta repubblicana echeggiava anche il pensiero degli istituzionalisti americani del new deal. 19 Si è ad es. stabilito che la tutela dell’ambiente, preordinata alla salvaguardia dell’habitat nel quale l’uomo vive, è imposta da precetti costituzionali ed assurge a valore primario ed assoluto, con la conseguenza che il diritto all’ambiente, espressione della personalità individuale e sociale, costituisce un limite ai principi dell’iniziativa privata previsti dagli artt. 41 e 42 Cost. (Cons. Stato 21-9-2006, n. 5552).
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gorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale” (art. 43 Cost.). È acquisito il principio che l’impresa può essere esercitata anche da enti pubblici, con gli strumenti propri del diritto privato, secondo un fenomeno di progressiva neutralizzazione delle forme rispetto ai risultati perseguiti 20. Tale atteggiamento, comune a tutte le democrazie dei paesi europei, ha ispirato anche la normativa europea, trovando piena esplicazione nel Trattato di Lisbona del 2007 (I, 2.12; I, 3.6). Per la Carta dir. fond. U.E. è riconosciuta la libertà di impresa conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali (art. 16); al fine di promuovere la coesione sociale e territoriale dell’Unione, questa riconosce e rispetta l’accesso ai servizi di interesse economico generale, previsto dalle legislazioni e prassi nazionali conformemente ai trattati (art. 36). Lo sviluppo della globalizzazione, con la connessa delocalizzazione delle imprese globalizzate, ha reso stringente l’esigenza che, affianco alla ricerca del profitto, operi una responsabilità sociale di impresa che ponga le implicazioni di carattere etico all’interno della visione strategica d’impresa, specialmente nelle direzioni di rispetto dell’ambiente e del territorio, di salvaguardia di posti di lavoro e di sicurezza e trattamento dei lavoratori, di contrasto al lavoro minorile, di soddisfacimento dei creditori 21. In sede europea si è fatto obbligo alle grandi imprese di fornire adeguate informazioni sull’attività svolta: con D.Lgs. 30.12.2016, n. 254, è stata attuata la direttiva 2014/95/UE, recante modifica alla direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni 22. Sullo sfondo si svolge il dibattito circa il ruolo e la dimensione dello stato sociale (welfare state) e più in generale sull’intervento pubblico in economia e di come la spesa pubblica debba supplire o orientare il mercato quando fallisce nella sua funzione sociale. Verso tali obiettivi concorrono la politica monetaria, la manovra finanziaria, la leva fiscale, la promozione e l’attuazione dello stato sociale, attraverso normative non sempre riconducibili a categorie logiche generali, per il carattere compromissorio e articolato degli scopi perseguiti.
4. Concorrenza e mercato. L’economia sociale di mercato. – Tradizionalmente la concorrenza è stata configurata come conseguenza della libertà di iniziativa economica: la libertà di iniziativa dei singoli operatori si traduce nella concorrenza tra gli stessi quan 20
Rileva la distinzione tra enti che esercitano in via esclusiva o principale attività di impresa (indicati come enti pubblici economici) ed enti per i quali l’esercizio dell’impresa costituisce attività secondaria, considerandosi solo i primi imprenditori commerciali e perciò soggetti alla disciplina propria degli stessi (artt. 2188 ss.). Alla stregua dell’art. 2093, i primi sono senz’altro soggetti alla normativa del libro V del cod. civ.; i secondi vi sono soggetti solo relativamente alle imprese esercitate. 21 Sta emergendo un trend culturale valutativo anche dei prodotti di impresa, perché siano apprezzati, non solo per le essenze strutturali e funzionali, ma anche per la storia di realizzazione, rispetto ai valori rispettati e agli interessi attuati. 22 L’informazione, nella misura necessaria ad assicurare la comprensione dell’attività di impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta copre i temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, che sono rilevanti tenuto conto delle attività e delle caratteristiche dell’impresa (art. 3). L’art. 5 fissa la collocazione della dichiarazione e il regime di pubblicità.
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do, in un determinato tempo e/o area geografica, più operatori offrono o domandano i medesimi prodotti (cose o servizi). Il mercato era circoscritto ad una unità fisica, dove materialmente si incontravano e dialogavano i soggetti del processo produttivo (come ancora avviene nelle fiere): l’incontro fisico tra domanda e offerta determinava il prezzo dei beni. Nella contemporaneità il mercato esprime uno spazio ideale, sempre più virtuale e globalizzato, dove impulsi elettronici segnano le impersonali dichiarazioni dei singoli operatori. Più i confini del mercato si dilatano, maggiormente è avvertita l’esigenza di garantire informazione e trasparenza, quali connotati essenziali di funzionamento del mercato: una asimmetria informativa, già di per sé, segna un fallimento del mercato, sia in termini di efficienza economica che nella prospettiva di equilibrio sociale; si aggiungano le debolezze non neutralizzabili neppure con l’informazione e che reclamano interventi correttivi (VIII, 1.7). È emerso poi che, intorno alla vita delle aziende, ruotano interessi di vario genere, sia diretti che riflessi. In una prospettiva di diritto dell’economia, sta svolgendosi un indirizzo di attenzione privilegiata al recupero dell’impresa in crisi per i molti interessi coinvolti dall’azienda, a cominciare dalla forza lavoro e per l’indotto che determina nel reticolo economico di operatività (VII, 8.1). In tal senso la vitalità dell’impresa nel mercato svolge una funzione sociale che non si esaurisce nel soddisfacimento del titolare dell’impresa. Atteggiandosi il mercato quale volano dello sviluppo economico, il relativo funzionamento non può essere rilasciato ad uno spontaneismo senza regole, con l’inevitabile vittoria della legge del più forte e il soffocamento della concorrenza: non garantirebbe il libero accesso a tutti gli operatori economici e dunque una corretta gara tra gli stessi, che rappresentano i presupposti di funzionamento dello stesso mercato. Le ricorrenti crisi economiche, specie dei mercati finanziari, stanno accentuando (non solo in Europa) l’esigenza di una generale regolazione del mercato, sempre più riguardato come ordo legalis (conformato cioè dall’ordinamento), attraverso regole che tendano a delineare un ordine pubblico economico di presidio di accesso e di azione per tutti gli attori. L’esperienza giuridica europea ha articolato il mercato nelle direzioni sinergiche della concorrenza e della socialità: da un lato, sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno (art. 101 TFUE); dall’altro, l’Unione si adopera per uno sviluppo sostenibile, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su una economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente; promuove il progresso scientifico e tecnologico (art. 3 TUE). Così concorrenza e mercato diventano, ad un tempo, essenziali ma cedevoli rispetto a valori socio-economici pubblici, attestandosi su modelli economici concorrenziali equi. La formula della “economia sociale di mercato”, sin dal suo apparire 23, ha rappresentato una terza via tra il libero mercato e la pianificazione sta 23 È comune opinione ricondurre la formula all’ambiente culturale tedesco durante il periodo della Repubblica di Weimar (con il contributo di L. von Mises). Successivamente le idee vennero riprese dall’Ordoliberalismo della scuola di Friburgo di Walter Eucken. L’idea basilare, che giungerà fino a noi, era che il mercato non rappresentasse un ordine naturale ma un ordine istituzionale e quindi legale, che dovesse
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tale, con lo scopo di riconoscere le libertà economiche dell’individuo e sostenere la giustizia sociale. Protagonisti del mercato non sono più considerati i soli imprenditori: affianco ad essi rilevano i fruitori dei prodotti delle imprese e segnatamente i consumatori, che, in una economia consumeristica, con i loro comportamenti attivano la produttività e dunque l’economia 24. La struttura concorrenziale del mercato diventa il presupposto della libertà di iniziativa economica privata: è il bene oggettivo rispetto al quale l’iniziativa economica privata deve confrontarsi e dal quale i consumatori traggono alimento per la scelta dei prodotti. Vi è una correlazione tra iniziativa economica e autonomia privata, per risentire l’organizzazione della prima anche l’assestamento della seconda: lo squilibrio contrattuale tra le parti altera non soltanto l’esplicazione dell’autonomia negoziale, ma anche la dinamica concorrenziale tra imprese. La garanzia del mercato concorrenziale deve aprirsi a tutte le traiettorie che infrangono la parità delle condizioni di gara: vuoi mediante le visibili restrizioni convenzionali e gli abusi di posizione dominante, vuoi attraverso le tecniche più insidiose delle violazioni di doveri pubblici (negli approvvigionamenti, nella lavorazione e nella collocazione dei prodotti; nell’utilizzo della manodopera e nelle dimensioni assicurativa e previdenziale; nel rispetto delle prescrizioni tributarie, urbanistiche e di difesa dell’ambiente): la tutela dei diritti delle persone coinvolte e il rispetto dei doveri pubblici imposti sono fondamentali fattori, anche di rilevanza economica, di svolgimento della gara. Esistono peraltro prodotti dannosi per il contesto sociale e paesaggistico o per l’ecosistema che reclamano la mano pubblica interdittiva e l’incentivazione della economia verde (green economy) 25. Il codice civile prevede alcune restrizioni alla concorrenza in funzione di qualificati interessi imprenditoriali. Così limitazioni legali della concorrenza operano nella prospettiva di tutela degli imprenditori, al fine di evitare che resti erosa o svuotata l’iniziativa economica 26. La disciplina sulla concorrenza sleale è volta a disciplinare la concor
essere definito in un quadro istituzionale. Il crollo della economia socialista e alcuni fallimenti della economia di mercato facevano emergere la essenzialità di un libero mercato regolato dai valori indeclinabili della dignità umana. 24 Osservava KEINES (1936): le due categorie di attori che di fatto dominano gran parte dell’attività economica sono i consumatori e gli imprenditori. I consumatori scelgono quale frazione dei loro introiti destinare al consumo e quale no; di quest’ultima il consumatore può decidere di tenerla improduttiva nel suo portafoglio o assegnarla al risparmio produttivo affidandola ad un imprenditore (di solito una banca) in cambio di un interesse. Per tale calcolo bisogna contrapporre gli aspetti psicologici e irrazionali (animal spirits), che tendono a trasmettersi per contagio e di conseguenza a rafforzarsi. 25 Per la Commissione europea è “un’economia che genera crescita, crea lavoro e sradica la povertà investendo e salvaguardando le risorse del capitale naturale da cui dipende la sopravvivenza del nostro pianeta”. Il Green Deal europeo prevede un piano d’azione volto a: promuovere l’uso efficiente delle risorse passando a un’economia pulita e circolare; ripristinare la biodiversità e ridurre l’inquinamento. Si va sviluppando un modello di economia sostenibile che coinvolge sia i materiali utilizzati e le energie impiegate che gli ambienti realizzati e le tecnologie applicate. 26 Si pensi in particolare al divieto di concorrenza nel caso di alienazione d’azienda (art. 25571) e al divieto di concorrenza del prestatore di lavoro in pendenza del rapporto di lavoro (art. 2105) (è possibile la stipulazione di patto di non concorrenza con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo al contratto di lavoro nei limiti previsti dall’art. 2125). Ulteriori divieti sono in materia societaria (artt. 2301, 2318, 2390, 2464, 2487, 2516, 2547).
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renza tra imprenditori e perciò nella direzione di tutela degli operatori concorrenti 27. È rimesso agli imprenditori disporre della libertà di concorrenza con la stipula di divieti convenzionali di concorrenza, talvolta articolati in intese restrittive dell’attività economica, talaltra attraverso cartelli impositivi di determinati comportamenti: le prescrizioni imposte ai patti limitativi della concorrenza (art. 2596) sono rivolte alla tutela della libera concorrenza degli stessi imprenditori. Una norma a tutela della generalità del pubblico è quella relativa all’obbligo di contrattare nel caso di monopolio: per l’art. 2597 chi esercita un’impresa in condizione di monopolio legale ha l’obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa, osservando la parità di trattamento 28. Lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di concorrenza, unitamente alle materie riguardanti la moneta, la tutela del risparmio e dei mercati finanziari, il sistema valutario, i sistemi tributario e contabile dello Stato, la perequazione delle risorse finanziarie (art. 1172, lett. e, Cost.): tale accorpamento rende evidente che la tutela della concorrenza costituisce una delle leve della politica economica statale 29. In applicazione dei delineati principi, l’Unione europea ha emanato la direttiva 2014/104/UE del 26.11.2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea, attuata con D.Lgs. 19.1.2017, n. 3, che disciplina, anche con riferimento alle azioni collettive, il diritto al risarcimento in favore di chiunque ha subìto un danno a causa di una violazione del diritto della concorrenza da parte di un’impresa o di un’associazione di imprese (art. 1) 30. A presidio della concorrenza è istituita l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (L. 10.10.1990, n. 287), con poteri di regolazione e di emettere diffide e sanzioni 31. 27
L’art. 2598 enumera le attività di concorrenza sleale. All’imprenditore sono accordati due azioni di contrasto alla concorrenza sleale (spesso concorrenti): di inibizione (tendente a ad impedire la continuazione della concorrenza sleale) e di rimozione (tendente a distruggere le cose nelle quali si concretizza la concorrenza sleale) (art. 2599). Se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o con colpa, l’autore è tenuto altresì al risarcimento dei danni ex art. 2043, presumendosi la colpa dello stesso; può anche essere ordinata la pubblicazione della sentenza (art. 2600). 28 Una specifica applicazione è in tema di pubblici servizi di linea: per l’art. 1679 coloro che, per concessione amministrativa, esercitano servizi di linea per il trasporto di persone o di cose sono obbligati ad accettare le richieste di trasporto che siano compatibili con i mezzi ordinari dell’impresa, secondo le condizioni generali stabilite o autorizzate nell’atto di concessione e rese note al pubblico. 29 La tutela della concorrenza “non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali” (Corte cost. 13-1-2004, n. 14). La tutela della concorrenza non esclude interventi promozionali dello Stato: la configurazione della tutela della concorrenza “ha una portata così ampia da legittimare interventi dello Stato volti sia a promuovere, sia a proteggere l’assetto concorrenziale del mercato” (Corte cost. 27-7-2004, n. 272). 30 Il risarcimento comprende il danno emergente, il lucro cessante e gli interessi e non determina sovra compensazioni (art. 1). La violazione del diritto della concorrenza si ritiene definitivamente accertata verso l’autore quando è constata da una decisione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato non più soggetta ad impugnazione davanti al giudice del ricorso o da una sentenza del giudice del ricorso passata in giudicato (art. 7). 31 L’Autorità, valutati gli elementi comunque in suo possesso e quelli portati a sua conoscenza da pubbliche amministrazioni o da chiunque vi abbia interesse, ivi comprese le associazioni rappresentative dei consumatori, procede ad istruttoria per verificare l’esistenza di infrazioni ai divieti stabiliti negli artt. 2 e 3 (art. 12).
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In attuazione di varie direttive europee, è stata elaborata una normativa delle pratiche commerciali scorrette e dei diritti dei consumatori (artt. 18 ss. cod. cons.).
5. Aree e fattori dell’azione economica. – Le dimensioni dell’attività economica sono state progressivamente segnate dall’agricoltura, dall’edilizia, dalla produzione e distribuzione dei prodotti attraverso l’economia prima commerciale e poi industriale e infine attraverso l’economia digitale, impegnando gran parte del diritto privato, attraverso un intreccio costante di ricerca e innovazione. a) Nell’economia reale, la crescita dimensionale delle imprese ha accentuato il ruolo fondamentale del consumo, atteggiandosi l’assorbimento dei beni pilastro fondamentale della economia di mercato. Secondo un circolo economico, l’aumento dei consumi accresce produzione e distribuzione che consentono l’assunzione di nuova mano d’opera, che a sua volta spende di più e quindi genera consumo (c.d. economia dei consumi); se calano i consumi, si spende di meno e quindi diminuisce l’azione economica che si trascina la disoccupazione, impoverendo le famiglie che non sono più in grado di accedere al consumo. Così l’occupazione, già avvertita quale esigenza valoriale della dignità umana, è acquisita dall’economia di mercato anche come leva economica delle imprese per l’intreccio virtuoso con i consumi 32. È necessaria una normativa inderogabile di tutela dei consumatori, della quale si darà conto nelle trattazioni specifiche 33. Emerge la essenzialità di una trama di fattori economici, tenuta insieme dalla capacità dell’imprenditore di stimolare consumo, attrarre risparmio e ottenere credito 34. È un’esperienza che attraversa massimamente il grande capitale maturando la formazione di gruppi, con attività di collegamento, direzione e coordinamento tra più società (artt. 2947 ss. c.c.).
I ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi dell’Autorità garante rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (T.A.R. Lazio) (art. 331). 32 È fondamentale la rilevazione del Pil (prodotto interno lordo), quale valore monetario di tutti i beni e i servizi finali prodotti in un anno sul territorio nazionale al lordo degli ammortamenti (tenendo conto di stipendi e altri redditi, utili societari, esportazioni nette, ecc.). Più il Pil cresce maggiormente sale il benessere, su cui innestare una politica di solidarietà sociale; quando il Pil cala, diminuiscono anche le entrate dello Stato, squilibrando i conti pubblici e così complicando gli interventi di riequilibrio sociale. 33 Per un verso, non vanno indebolite le tutele dei soggetti che aderiscono ai contratti standardizzati predisposti dalle imprese; dall’altro, non siano somministrati indirizzi di spesa di nessuna utilità per il consumatore, che ne indeboliscano la capacità di scelta e la utilità alla persona, peraltro bruciando ogni propensione al risparmio. Da tempo si è affermato un marketing responsabile di domanda orientato all’analisi delle componenti del mercato, ai protagonisti che ivi si muovono e agli interessi perseguiti: si suole anche parlare di un marketing sociale appunto perché presta attenzione ai bisogni e agli interessi a lungo termine dei consumatori. In tale ottica si muovono oggi essenzialmente le imprese start up attraverso un customer-oriented finalizzato alla ricerca di cosa il consumatore vuole e alla organizzazione della struttura aziendale in grado di procurare tali obiettivi: il cliente percepisce il valore conseguito attraverso la comparazione tra il beneficio ottenuto e il prezzo pagato. 34 Un mercato efficiente determina un circolo virtuoso tra concorrenza, ricerca ed innovazione: la concorrenza stimola la ricerca per realizzare innovazione, che a sua volta genera concorrenza. In una economia sociale di mercato la crescita economica è assicurata essenzialmente dall’i n n o v a z i o n e negli obiettivi perseguiti e nelle tecnologie e gestioni adoperate, attuata con la osservanza della legalità dei comportamenti tenuti e nella consapevolezza dei risvolti sociali della produttività. Fondamentale resta l’intuizione di SCHUMPETER nella teoria dello sviluppo economico (1912) circa la realtà dinamica introdotta dalla “innovazione” come nuovo concetto di equilibrio del mercato: le innovazioni rompono il flusso circolare del reddito secondo modalità rutinarie, conquistando guadagni di produttività e crescita di lungo periodo; il credito finanzia gli investimenti delle imprese innovatrici.
CAP. 6 – INIZIATIVA ECONOMICA
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Di recente è accresciuta la valorizzazione dei servizi (c.d. terziario) che affianca i tradizionali fattori primari dell’agricoltura 35 e dell’industria 36. Il terziario assicura servizi sia ai cittadini che alle imprese (basti pensare a commercio, finanza, trasporto e logistica, informazione e comunicazione, turismo, distribuzione, prestazioni online); è anzi in corso una progressiva esternalizzazione di funzioni aziendali sotto forma di servizi (Outsourcing). Anche nei contratti di scambio di diritti sulle cose hanno assunto un ruolo determinante dell’assetto di interessi la natura e l’entità dei servizi di assistenza dopo vendita. b) Sta emergendo una economia circolare che si atteggia con varie modalità e in differenti campi. A fronte di una economia lineare, per cui le risorse vengono usate e poi distrutte, sta emergendo una economia collaborativa, connotata dal “riciclo” di risorse per essere riutilizzate in un nuovo ciclo. Stanno svolgendosi approcci ad una economia circolare e della condivisione (sharing economy), con la organizzazione di un uso collettivo dei beni, attraverso pratiche di scambio e condivisione di beni materiali, servizi o conoscenze: le prime esperienze significative riguardano gli immobili (spese per case di vacanza) e i mezzi di trasporto (specie nelle città) con una mobilità condivisa di veicoli in sharing (auto, scooter, bici) 37. Sta emergendo una evoluzione nei comportamenti di spesa, attraverso una experience economy (economia esperienziale), considerandosi la esperienza di vita comunitaria più appagante di possedere e ostentare oggetti. Nella consapevolezza che il tessuto sociale è un bene comune alla società, sta maturando una cultura dei beni comuni imposta o favorita dalle pubbliche istituzioni, che punta a modulare la regolazione degli stessi non sull’appartenenza formale (pubblica o privata) ma sull’uso sociale e quindi sulla fruizione dei beni (es. acqua, paesaggio, beni culturali, ma anche web), quando le connotazioni strutturali e le destinazioni dei beni 38 siano suscettibili di utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali e al libero sviluppo della persona 39. 35 L’agricoltura, pur subendo una contrazione di rilevanza produttiva, ha ripreso a svolgere una essenziale funzione culturale, contribuendo alla tenuta degli ecosistemi e alla conservazione dei paesaggi; inoltre mantiene viva la rete dei centri rurali e allarga l’offerta turistica. 36 Vi è una generalizzata svolta della politica industriale verso la green economy, favorendosi l’high tech ecologico e la produzione di energie rinnovabili (D.Lgs. 28.12.2015, n. 221), con la valorizzazione della filiera del singolo prodotto. 37 Secondo la formula della Commissione europea, sono modelli imprenditoriali in cui le attività sono facilitate da piattaforme di collaborazione che creano mercato aperto per l’uso di beni o servizi spesso forniti da privati. 38 Fondamentale resta il contributo di E. FINZI sulle moderne trasformazioni del diritto di proprietà (1922), dove l’A. valorizzava l’uso della cosa e la materialità del diritto. 39 Significativo un atteggiamento delle sezioni unite: dalla applicazione diretta degli artt. 2, 9 e 42 Cost. si ricava il principio di tutela del “paesaggio”, con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislativa-codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della “proprietà” dello Stato, ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione, risultino, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività e che – per tale loro destinazione alla realizzazione dello Stato sociale – devono ritenersi “comuni”, prescindendo dal titolo di proprietà; il connotato della “demanialità” esprime una duplice appartenenza, alla collettività ed al suo ente esponenziale, dovendosi intendere la titolarità in senso stretto come appartenenza di servizio, nel senso che l’ente esponenziale può e deve assicurare il mantenimento delle specifiche caratteristiche del bene e la sua concreta possibilità di fruizione collettiva (Cass., sez. un., 16-2-2011, n. 3813; Cass., sez. un., 16-2-2011, n. 3811; Cass., sez. un., 14-2-2011, n. 3665).
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
c) Sta diffondendosi una economia digitale , caratterizzata dall’impiego delle nuove tecnologie, che attraversa tutte le dimensioni dell’azione economica oltre che generare essa stessa meccanismi e dispositivi di digitalizzazione. La stessa coinvolge i diritti della persona, il mercato, l’amministrazione pubblica, la giustizia. Si delinea una tecnocrazia, come governo dei tecnici, in grado di orientare le organizzazioni socio-economiche, senza una base di legittimazione democratica (v. I, 2.15). Anche rispetto a tali modelli economici si sviluppa l’esigenza di tutela degli utenti. Specifici interventi normativi sono nel codice delle comunicaz. elettroniche (approvato con D.Lgs. 1.8.2003, n. 259) sempre integrato 40, e nella nuova disciplina del cod. cons. (approvato con D.Lgs. 6.9.2005, n. 206), dove sono confluiti due corpi di norme, peraltro di difficile coordinamento negli ambiti di applicazione e nel contenuto 41. d) Assume una crescente rilevanza la economia finanziaria, amplificata dalla globalizzazione dei mercati finanziari 42, per cui gli spostamenti di partecipazioni societarie e l’intermediazione nella collocazione di prodotti finanziari (azioni, obbligazioni 43, ecc.) segnano gli assestamenti delle imprese e i modelli proprietari e manageriali di controllo delle aziende. Quanto più è dilatato il distacco dell’indirizzo del risparmio rispetto all’attività operativa, maggiormente si pone un problema di gestione dei rischi nell’allocazione del risparmio e negli investimenti finanziari 44 (è significativa l’esperienza dei c.d. fondi comuni di investimento, con una composizione variegata di prodotti finanziari, maggiormente di rischio o più tranquilli). Lo sviluppo dei “derivati”, per modularsi su fenomeni sempre maggiormente incerti, sta accrescendo i rischi dell’investimento finanziario. In un’economia globalizzata il risparmio ha lo sbocco più frequente e naturale verso gli investimenti finanziari con una correlata finanziarizzazione dell’economia reale. e) Sostegni essenziali di ogni attività di impresa sono il credito e il risparmio. Negli acquisti individuali (acquisizione di immobili e beni di consumo) come nel 40 Il D.Lgs. 8.11.2021, n. 207, attuativo della direttiva 2018/1972/UE istitutiva del codice europeo delle comunicazioni elettroniche, ha apportato numerose modificazioni al cod. com elettr. 41 Il D.Lgs. 4.11.2021, n. 170, attuativo della direttiva UE/2019/771, disciplina la vendita di beni mobili con “elementi digitali” (art. 1282, lett. e). Il D.Lgs. 4.11.2021, n. 173, attuativo della direttiva UE/2019/770, disciplina i contratti di “fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali” (artt. 135 octies ss.). 42 Per il D.Lgs. 24.2.1998, n. 58 (TUIF) si intendono per “prodotti finanziari” gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria (art. 1, lett. u); prodotti finanziari possono essere emessi anche da imprese di assicurazione (art. 1, lett. w-bis). I prodotti finanziari implicano investimenti con un impiego di risorse economiche dirette al conseguimento di un corrispettivo. Una specificazione è rappresentata dagli “strumenti finanziari” con il cui termine si fa riferimento ai valori mobiliari (es. partecipazioni societarie, titoli obbligazionari), agli strumenti del mercato monetario (es. buoni del tesoro, certificati di deposito e carte commerciali), alle quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio e ai contratti su strumenti derivati (es. contratti di opzione, future, swap). 43 In ambito finanziario l’obbligazione (bond in inglese) è un titolo di debito emesso da società o enti pubblici che attribuisce all’investitore, alla scadenza, il diritto al rimborso del capitale prestato all’emittente, più un interesse su tale somma. È tipica l’esperienza dello Stato che, avendo bisogno di danaro per far fronte a spese e servizi, raccoglie liquidità dei risparmiatori con l’emissione di titoli (Bot, Btp, Cct, ecc.) che vanno a formare il debito pubblico. 44 I grandi investitori professionali, attraverso investimenti e disinvestimenti massici, sono in grado di orientare le quotazioni dei titoli, rispettivamente, al rialzo o al ribasso; ulteriori flussi sono legati a iniziative economiche di aziende o a politiche economiche di autorità monetarie e/o di governi.
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l’esercizio di iniziative economiche di piccole e grandi imprese, il credito è linfa vitale di una economia di mercato 45. La formazione di c.d. “crediti deteriorati” (non performing loans; NPL), per mancata restituzione di prestiti, incrina il complessivo sistema bancario, determinando crisi bancarie per l’impossibilità di pagare interessi e restituire i depositi ricevuti 46. Essenziale risorsa è anche il risparmio, tutelato dall’art. 47 Cost., che ha una duplice valenza: è una importante virtù civile in quanto esprime previdenza per il futuro, per le esigenze che potranno insorgere per sé e per la famiglia in una prospettiva di continuità generazionale; ed è uno strumento di capitalizzazione delle imprese, attraverso l’investimento nell’acquisto di partecipazioni societarie e nella sottoscrizione di altri prodotti finanziari ovvero attraverso i depositi bancari. Nell’economia di mercato essenziale è la funzione intermediatrice delle banche che raccolgono risparmi delle famiglie e prestano a famiglie e imprese (impieghi). La tutela dei risparmiatori è indirizzo di politica economica e di azione giuridica di ogni modello di economia.
45 Il piano di ammortamento indica le entità e le modalità di restituzione e di estinzione del debito. Il nuovo trend (auspicato dagli accordi di Basilea) è di valorizzare, nella concessione del credito, la fattibilità del progetto, oltre naturalmente che valutare la serietà del richiedente e la sua situazione economica; tuttora però le garanzie offerte giocano un ruolo assorbente. 46 Dall’1.1.2016 in Italia e nei paesi dell’eurozona sono cambiate le regole di salvataggio delle banche in crisi. Con il recepimento della direttiva 2014/59/EU (BRRD: Banking Recovery and Resolution Directive), attuata con D.Lgs. 16.11.2015, n. 180 e n. 181, viene introdotto lo strumento del c.d. bail in (risanamento interno), secondo cui, in caso di gravi difficoltà finanziarie delle banche siano gli azionisti, obbligazionisti e correntisti della banca stessa a contribuire al salvataggio della propria banca, con eccezione solo per i clienti delle banche che detengono un deposito inferiore a 100 mila euro, che viene integralmente protetto dal Fondo di Garanzia dei Depositi; è così abbandonato un tradizionale sistema di c.d. bail out (risanamento esterno) che prevedeva un intervento diretto dello Stato nel piano di salvataggio delle banche attraverso i soldi di tutti i contribuenti.
CAPITOLO 7
PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI (L’ordine pubblico)
Sommario: 1. Principi generali e diritti fondamentali. – 2. Le clausole generali. – 3. Il personalismo (dignità, solidarietà, autoresponsabilità, pluralismo). – 4. La buona fede. Buona fede soggettiva (affidamento e apparenza). – 5. Segue. Buona fede oggettiva (lealtà e correttezza). – 6. L’informazione (trasparenza e conoscenza). – 7. La certezza del diritto (adeguatezza, proporzionalità e ragionevolezza). – 8. La sussidiarietà (orizzontale e verticale). – 9. Lo stato sociale di diritto e l’ordine pubblico interno e internazionale.
1. Principi generali e diritti fondamentali. – Si è visto come, con il termine “principi”, si tenda a esprimere una pluralità di concetti, vuoi rappresentativi di criteri logici di singole discipline, vuoi espressivi di scelte generali dell’ordinamento per attingere ai diritti fondamentali o fare da lievito a clausole generali (I, 1.4). È nelle ultime direzioni che ora si porta l’approfondimento. La trama dei principi generali connota storicamente un ordinamento giuridico, per segnare la guida dell’azione pubblica e dell’agire privato ed esprimere il criterio di valutazione dei comportamenti individuali e delle relazioni sociali (I, 1.4), oltre che di corroborazione delle regole di settore (I, 3.13). Non devono essere necessariamente formulati in modo specifico in testi scritti, essendo desumibili dalle tante tessere dell’ordinamento, che progressivamente si sovrappongono e si modificano, delineando il sistema valoriale dell’ordinamento: ogni nuova norma, per essere portatrice di una scelta dell’ordinamento, irradia sul sistema la nuova visuale ed è dal sistema orientata. Come si è visto, la funzione dei principi generali, oggi, non è più solo quella di riempire le lacune dell’ordinamento attraverso l’analogia, come addita l’art. 12 delle disp. prel. c.c., ma anche di indirizzare l’applicazione delle regole giuridiche o addirittura di imporsi direttamente, secondo l’attualità dei valori fondamentali. I principi generali hanno una portata composita in quanto, talvolta, additano espressamente diritti fondamentali (es. il principio personalista e il principio di solidarietà), talaltra si svolgono in regole strutturali di organizzazione e di comportamento della società e delle istituzioni giuridiche in grado di realizzare i valori fondamentali (es. il principio del giusto processo: III, 1.1.). I diritti fondamentali delineano sempre imprescindibili situazioni giuridiche sostanziali di tutela (par. 8). I principi generali, talvolta, sono espressamente previsti da specifiche normative in
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singoli settori dell’ordinamento 1, talaltra sono desunti dal sistema nella sua interezza. È tradizionale e tuttora ricorrente il dibattito se i principi generali siano derivazione dell’ordinamento, ricavati in via induttiva da regole specifiche, o si aprano alla vitalità della realtà sociale, comprendendone le novità. Si tende a ritenere che, nella prima direzione, non svolgerebbero alcuna funzione siccome sintesi di regole già presenti nell’ordinamento, mentre solo l’aderenza alla società che muta vi conferirebbe pregnanza e utilità. La problematica è articolata: l’impianto dei testi normativi potrebbe con il passare del tempo risultare non coerente con l’evoluzione della società e gli stessi diritti fondamentali iscritti in singole statuizioni potrebbero ricevere nel tempo accezioni diversificate o trovare differenti rilevanze sociali. La valenza dei principi generali va comunque ancorata a generali indici ordinamentali quali essenziali fattori di prevedibilità e di coesione sociale, cogliendo dall’attualità del sistema la evoluzione storica dell’ordinamento Il tradizionale divario tra legge, diritto e giustizia va ricomposto proprio nella prospettiva dei principi generali 2, che coinvolgono i diritti fondamentali operanti nel diritto vivente come progressivamente si va formando. Principi generali sono presenti in più testi di grande rilevanza giuridica, con sostanziale assonanza di valori. La Carta costituzionale si apre con un catalogo di “Principi fondamentali” (artt. 112), che fa da sfondo a tutte le previsioni successive; tra gli stessi campeggiano le previsioni degli artt. 2 e 3 ove sono affermati i diritti della persona umana e i doveri di solidarietà, che tutti li comprende (I, 2.7). L’art. 101 detta un fondamentale principio di adattamento dell’ordinamento giuridico italiano alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute 3. Vi è una tavola di diritti e doveri dei cittadini (artt. 13 ss.). Con l’affermazione dei diritti civili e sociali della persona e dei doveri di solidarietà, espressi dalla universalità dei diritti umani, le costituzioni del novecento modulano un liberalismo sociale che supera l’impostazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cit 1 Ad es., la L. 27.7.2002 (recante lo Statuto del contribuente), all’art. 1, prevede che le disposizioni della legge, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., costituiscono “princìpi generali dell’ordinamento tributario” e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. Peraltro la declinazione di essere attuazione di principi costituzionali, li rende principi generali dell’ordinamento. 2 È il divario tra legge e diritto (e giustizia), che da sempre attraversa il grande dilemma della giuridicità della società. Nell’antica Grecia resta scolpita la vicenda di Antigone, conclusa con il suicidio della stessa. Nella modernità resta sempre attuale il dilemma emerso nel processo di Norimberga: a fronte della tesi della difesa di rispetto della legge da parte dei gerarchi del nazismo, la Corte rilevò come l’atrocità delle condotte fosse in contrasto con il principio generale di valore dell’uomo di tutte le democrazie occidentali. 3 Le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute che tutelano la libertà e la dignità della persona umana come valori fondamentali, e che configurano come crimini internazionali i comportamenti che più gravemente attentano all’integrità di tali valori, sono parte integrante dell’ordinamento italiano e costituiscono parametro dell’ingiustizia del danno causato da un fatto doloso o colposo altrui (Cass., sez. un., 11-3-2004, n. 5044). Si è successivamente precisato: L’immunità dalla giurisdizione civile degli Stati esteri per atti “iure imperii” costituisce una prerogativa (e non un diritto) riconosciuta da norme consuetudinarie internazionali, la cui operatività è preclusa nel nostro ordinamento, dopo la sentenza di Corte cost. 238/2014, per i delicta imperii, per quei crimini, cioè, compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens, in quanto tali lesivi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali, segnando il punto di rottura dell’esercizio tollerabile della sovranità (Cass., sez. un., 13-1-2017, n. 762; Cass., sez. un., 29-7-2016, n. 15812). Allo Stato straniero non è accordata un’immunità totale dalla giurisdizione civile dello Stato territoriale, in presenza di comportamenti di tale gravità da configurarsi quali crimini contro l’umanità (Cass., sez. un., 14201/2008; Cass., sez. I, 11163/2011).
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tadino del 1789, espressa dalla rivoluzione francese, orientata a forgiare un patrimonio di garanzia e inviolabilità della persona. Nel diritto europeo, assume un ruolo fondamentale la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, alla quale l’Unione attribuisce lo stesso valore dei Trattati (art. 61 TUE) (I, 2.10). Per il Preambolo della Carta l’Unione si fonda sui valori comuni (individuali e universali) della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà, ed è basata sui principi della democrazia e dello Stato di diritto; pone la persona al centro della sua azione, istituendo la cittadinanza dell’unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. L’Unione aderisce anche alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 62 TUE), i cui diritti fondamentali, risultanti dalle “tradizioni costituzionali comuni agli stati membri”, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto “principi generali” (art. 63 TUE). Dai richiami del Trattato U.E. alla Carta dir. fond. U.E. e alla Convenzione Edu consegue che i diritti fondamentali nutriscono i principi generali con valore di sovraordinazione nell’assetto delle fonti 4. I valori delineati sono riproposti dal Trattato sull’Unione europea novellato, con la prescrizione di una società caratterizzata da pluralismo, non discriminazione, tolleranza, giustizia, solidarietà e parità tra donne e uomini, basata su un’economia sociale di mercato competitiva che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, a un elevato livello di qualità dell’ambiente, alla solidarietà tra generazioni e alla tutela dei diritti del minore (art. 2); è correlato il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, secondo cui l’Unione mira a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale (art. 10). Altri principi generali provengono da specifici strumenti europei: ad es. il principio europeo “chi inquina paga”, espressione del principio della sostenibilità ambientale, di cui alla direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale. Si è però visto della rilevanza che hanno assunto, nella giurisprudenza della Corte costituzionale, i c.d. controlimiti costituzionali all’intervento del diritto europeo nel territorio nazionale, a garanzia dei principi della Carta costituzionale (I, 3.5). Ulteriori principi generali provengono dalle Convenzioni internazionali ratificate dal nostro paese. Tra le Convenzioni di carattere generale, specialmente, la Convenzione ONU di Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e la richiamata Convenzione Edu del 1950, come modificata dal Protocollo del 2004. Tra le convenzioni di settore, in particolare, la Convenzione di Oviedo del 1997 sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, nonché Protocollo sul divieto di clonazione di essere umani del 1998; la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1991; la Convenzione ONU sui diritti delle 4 Significative alcune pronunzie della Corte di giustizia U.E. Quando adottano misure attraverso le quali attuano il diritto dell’Unione, gli Stati membri sono tenuti a rispettare i principi generali di tale diritto, nel novero dei quali figurano, in particolare, i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento (Corte giust. U.E. 26-5-2016, n. 260/14). Quando le disposizioni di una direttiva lasciano agli Stati membri un margine di discrezionalità per definire misure di trasposizione che siano adeguate alle diverse situazioni possibili, sono tenuti, non solo a interpretare il loro diritto nazionale conformemente alla direttiva di cui si tratti, ma anche a fare in modo di non basarsi su un’interpretazione della stessa che entri in conflitto con i diritti fondamentali o con gli altri principi generali del diritto dell’Unione (Corte giust. U.E., grande sez., 15-2-2016, n. 601/15).
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persone con disabilità, con Protocollo opzionale, del 2006; la Carta sociale europea, con annesso, di Strasburgo del 1996. Si comprende come i principi generali non sono riferibili ad uno specifico settore (diritto civile, diritto penale, diritto amministrativo, ecc.) ma alla complessità e unitarietà dell’ordinamento nella sua evoluzione, e sono perciò vincolanti per il giudice, che deve applicarli (iura novit curia): per un verso, orientano l’applicazione delle norme, colmandone lacune ovvero interpretandone il significato per adeguarlo all’attualità dell’ordinamento; per altro verso, indirizzano la ricostruzione delle fattispecie concrete, valorizzando circostanze e contegni nell’ambiente sociale di riferimento. Significativamente l’art. 13 della Costituzione tedesca prevede che i diritti fondamentali “vincolano la legislazione, il potere esecutivo e la giurisdizione come diritti direttamente applicabili”. Il grande tema della contemporaneità è quello delle condizioni e dei limiti dell’applicazione diretta (Drittwirkung) dei principi costituzionali e di diritto europeo, quali fonti primarie, nei rapporti tra privati, di cui si è detto. Caratteristica dei principi è anche quella di esprimere una “trama aperta” in duplice senso: per assumere linfa dall’evoluzione dell’ordinamento e della società; per apprestare una disciplina alle novità non ancora regolate. Poiché peraltro i principi sono destinati ad operare in contiguità e spesso a confliggere (si pensi ai valori di libertà e solidarietà in materia di famiglia, ai valori di informazione e riservatezza nelle relazioni sociali), c’è l’esigenza di un bilanciamento tra i vari principi che segna l’equilibrio tra gli stessi o anche la prevalenza dell’uno sull’altro in ragione della natura degli interessi coinvolti, della tipologia dei valori eccitati e degli specifici contesti di emersione. Il bilanciamento non è statico e assoluto ma è mutevole e relativo, destinato a evolvere perennemente in coerenza con l’emergere di nuovi beni della vita e nuove sensibilità sociali che storicamente ridefiniscono le scale di valori, prospettando differenti equilibri sociali e giuridici, e così di seguito secondo un perenne mutamento della scala dei valori.
2. Le clausole generali. – Si è anticipato come l’aderenza dell’ordinamento all’evolversi della realtà sociale venga assicurata in gran parte dalla tecnica di normazione per clausole generali (I, 3.2). La natura delle clausole generali è molto controversa e molte sono le definizioni delle stesse 5. In effetti il ricorso alle clausole generali esprime la necessità degli ordinamenti di far fronte a due fondamentali esigenze: da un lato, l’impossibilità di disciplinare tutti i casi della realtà materiale e delle ipotesi che successivamente possano emergere; dall’altro, e il dato è accentuato negli ordinamenti moderni, l’esigenza di tenere conto del mutamento dei valori nei quali la società si riconosce. Le clausole generali si nutrono essenzialmente dei principi generali, con una funzione integrativa e correttiva delle fattispecie concrete, per renderle compatibili con il sistema: sono perciò connotate da elasticità e adattabilità. Si pensi alle previsioni di buona fede, correttezza, diligenza, buon costume, interesse del minore, ecc.: sono norme necessariamente elastiche, per essere caratterizzate da una formulazione generale e necessariamente ampia che si riempie di contenuto attingendo ad ulteriori fattori di determinazione volta a volta 5 Le clausole generali, talvolta, sono definite come concetti giuridici indeterminati, concetti o norme valvola o in bianco, standards valutativi, principi generali, ecc.; talaltra sono distinte da tali formule, per attribuirsi autonomi significati. In realtà quando le clausole generali involgono l’operatività di principi generali dell’ordinamento è inevitabile una contiguità fino ad un’assimilazione con questi ultimi.
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operanti nel tempo; proprio per questo sono adattabili ai casi concreti che man mano si prospettano, consentendone un adeguamento all’ordinamento. Secondo un orientamento, la genericità della clausola generale andrebbe riempita con il riferimento al concreto evolvere ed atteggiarsi della società e perciò secondo i valori avvertiti dalla coscienza sociale: tale impostazione consente all’ordinamento di essere costantemente aderente alla realtà materiale, ma ha il limite di esporre la individuazione del contenuto della clausola alla ideologia del singolo interprete, perciò imprevedibile e non controllabile 6. Si ripropone per le clausole generali il medesimo divario operante per i principi generali, se cioè vadano ricavate in via induttiva da regole specifiche, o si aprano alla vitalità della realtà sociale. Anche per le clausole generali, nella prima direzione, non svolgerebbero alcuna funzione siccome sintesi di regole già presenti nell’ordinamento; mentre nella seconda direzione sono suscettibili di arbitri 7. Come si è visto per l’applicazione dei principi generali, il rispetto della fondamentale esigenza sociale ed economica di prevedibilità del diritto applicato deve spingere verso un referente normativo che tenga conto del sistema ordinamentale storicamente operante. Si comprende così come una stessa clausola generale possa nel tempo riempirsi di contenuti diversi in ragione dell’evolvere dei valori positivamente espressi. Si vedrà, ad es., come il contenuto della buona fede (che è la clausola generale per antonomasia), con l’avvento della Carta costituzionale, abbia assunto un significato ulteriore rispetto a quello ricavabile dal codice civile; analogamente la clausola di responsabilità è valsa ad apprestare tutela alla lesione di tutti gli interessi costituzionalmente rilevanti e garantiti (non solo espressivi di diritti soggettivi ma anche connessi a interessi legittimi). Alcune di tali clausole sono già diffusamente presenti nel codice civile: con vocazione più generale, come le clausole di “buona fede” (es. artt. 1337, 1358, 1366, 1375) e “correttezza” (es. art. 1175), di “diligenza” (es. artt. 1176, 1101), di “buon costume” (es. artt. 1343, 2035); oppure con riferimento più specifico, come le clausole di “normale tollerabilità” con riferimento alla verifica delle immissioni (art. 844 c.c.), di recesso per “giusta causa” nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato (art. 2119), di “ordinaria e straordinaria amministrazione”, per segnare le competenze nella cura di interessi comuni (es. art. 180 relativamente alla comunione legale), di “equo contemperamento degli interessi delle parti” nella interpretazione dei contratti a titolo oneroso (art. 1371). Sono proprio tali clausole, che hanno assunto nel tempo ampiezza e valenza ulteriori, a consentire vitalità e longevità al codice civile, per il perenne adeguamento alla legalità costituzionale e europea. 6
L’applicazione delle clausole generali comporta un’operazione valutativa da parte del giudice di merito che non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell’applicazione della clausola generale, poiché l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali, e dalla disciplina particolare (anche collettiva) in cui la concreta fattispecie si colloca (Cass. 22-4-2000, n. 5299). 7 L’applicazione delle clausole generali comporta un’operazione valutativa da parte del giudice di merito che non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell’applicazione della clausola generale, poiché l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali, e dalla disciplina particolare (anche collettiva) in cui la concreta fattispecie si colloca (Cass. 22-4-2000, n. 5299).
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Altre clausole generali stanno emergendo in virtù della legislazione successiva al codice civile, sotto l’influsso della Carta costituzionale o perché impiegate nella normativa europea o in convenzioni internazionali. Il diritto di famiglia è di recente attraversato da molte clausole generali: formule come “interesse del minore”, “intollerabilità della convivenza”, “bigenitorialità”, comportano l’attribuzione al giudice di un incisivo potere per la determinazione del reale contenuto delle stesse nelle singole fattispecie. In diritto societario, fondamentali i principi di chiarezza, verità, correttezza e prudenza nella redazione dei bilanci (artt. 2423 ss. novell. c.c.). Nella normativa di provenienza europea emblematica è la clausola generale del “divieto di abuso del diritto”, contenuta nelle fondamentali convenzioni europee sui diritti dell’uomo e sulle libertà fondamentali e ormai applicata in più direzioni (II, 3.4) 8; molto impiegata è anche la clausola generale del “divieto di significativo squilibrio” a tutela dei consumatori nei contratti per adesione (es. art. 33 D.Lgs. 206/2005) e quella del “divieto di posizione dominante” a presidio di imprenditori deboli (art. 9 L. 192/1998 in tema di subfornitura). La normazione per clausole generali svolge un ruolo essenziale nello sviluppo del diritto europeo, favorendo l’adattamento di principi comunitari alle diverse esperienze giuridiche nazionali 9. Si ha di seguito riguardo ai principi generali (e connesse clausole generali) espressivi di fondamentali valori dell’ordinamento e perciò di più diffusa applicazione, rinviando alle singole sedi la trattazione di principi e clausole operanti nelle specifiche materie.
3. Il personalismo (dignità, solidarietà, autoresponsabilità, pluralismo). – Nel delineare lo sviluppo storico dell’attuale diritto privato, si è visto come filo conduttore della modernità sia stato il conseguimento delle libertà dell’uomo: la forza rivoluzionaria della libertà si coniugava alla potenza vitale della volontà, delineando gli istituti espressivi della libera volontà umana. Con il costituzionalismo del sec. XX è maturata la consapevolezza della essenziale rilevanza del personalismo, per la realizzazione della persona umana nella sua effettività di svolgimento. Il principio personalista rappresenta il valore fondamentale che ispira e attraversa l’intera Carta costituzionale e irrora l’intero ordinamento; nella prospettiva del diritto privato, essenzialmente si svolge nella dignità della persona umana, nella individualità e nella relazionalità sociale, cui si connettono i principi di uguaglianza e solidarietà, sostenuti dal pluralismo. 8 Per il § 226 BGB l’esercizio di un diritto è inammissibile se può avere “solo lo scopo di arrecare danno a un altro”. In Italia un riferimento è nel divieto introdotta in materia tributaria della clausola generale antielusiva: per l’art. 10 bis L. 27.7.2000, n. 212 (che assorbe l’art. 37 bis L. 29.9.1973, n. 600, inserito dall’art. 71 D.Lgs. 8.10.1997, n. 358) configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti; tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni. 9 Ad es., si legge nella motivazione di Corte giust. C.E. 6-2-2003, C-245/00, che la nozione di “equa remunerazione” che figura nell’art. 8, n. 2, della direttiva 92/100 deve essere interpretata in modo uniforme in tutti gli Stati membri ed attuata da ciascuno Stato membro, il quale determina, nell’ambito del proprio territorio, i criteri più pertinenti per assicurare, entro i limiti imposti dal diritto comunitario, ed in particolare dalla suddetta direttiva, l’osservanza di tale nozione comunitaria.
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a) Il valore della dignità della persona umana opera, così di fronte all’ordinamento che nelle relazioni sociali (art. 3 Cost.) (I, 2.7; IV, 2.4). La tutela della dignità della persona umana ha ispirato la legislazione successiva, come ha orientato l’interpretazione della legislazione precedente. L’art. 1 della Costituzione tedesca (Legge fondamentale per la Repubblica Federale di Germania del 23 maggio 1949) è perentorio: “La dignità dell’uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”. Lo stesso principio sarà ripetuto dall’art. 1 della Carta dir. fond. U.E.: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. La dignità genera vari valori, come la uguaglianza, la relazionalità, la solidarietà. Certamente si nasce con le proprie caratteristiche fisiche e intellettive e con la propria indole caratteriale; si cresce svolgendo intrinseche capacità, attitudini e sensibilità, secondo le peculiarità della persona; il tutto in un ambiente territoriale e in un contesto di appartenenza familiare e sociale, che orientano la formazione culturale, professionale e financo la sensibilità della persona. Il principio di uguaglianza si svolge con riguardo alla rilevanza giuridica delle persone e cioè rispetto al trattamento giuridico riservato. Per l’art. 31 Cost. “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Vi è una uguaglianza nella dignità sociale e nei diritti (a cominciare dai diritti previsti dalla Carta cost. agli artt. 13 ss.), con pari trattamento giuridico (uguaglianza formale). Il principio si lega all’altro principio del divieto di discriminazione, eliminandosi le ragioni di odiosa diversità (si pensi alla razza e al sesso) e le aree di indulgenti immunità e dispense (si pensi alle confessioni religiose) che avevano caratterizzato le epoche precedenti (art. 31). Intorno a tale tema si svolge il dibattito sulla eguaglianza di genere, ai fini del trattamento non discriminatorio delle relazioni omoaffettive nei rapporti interni e nella collocazione sociale. Per l’art. 32 Cost. “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Vi è la consapevolezza del divario di fatto delle condizioni materiali dei cittadini, per le specificità naturali o sociali o culturali di riferimento, per cui è necessario accordare le stesse opportunità e rimuovere i fattori di disparità sociale e economica (uguaglianza sostanziale). Si vedrà in seguito delle articolazioni dello stato sociale per rendere effettivo il diritto di uguaglianza. Intorno al principio di uguaglianza è informata anche l’azione pubblica: i pubblici uffici sono organizzati secondo i criteri del buon andamento e della imparzialità (art. 97 Cost.); ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti al giudice terzo e imparziale (art. 111 Cost.). b) La Carta costituzionale ha rimosso il principio di solidarietà dal campo economico, nel quale l’aveva racchiuso il codice civile, per connetterlo all’area del personalismo. Negli artt. 2 e 3 Cost. è raffigurata una solidarietà, come posizione di dovere connessa a quella dei diritti: la Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art. 22). Nella Carta diritti fond. U.E. un intero titolo (IV) è dedicato alla “Solidarietà”, che ormai coinvolge tutte le libertà ed è presidio della democrazia nell’attuale atteggiarsi della convivenza civile. Il dato nuovo dell’attuale configurazione della solidarietà è la connessione alla personalità: il personalismo, correlato al solidarismo, si svolge attraverso una tavola di diritti la
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cui realizzazione implica un catalogo di doveri correlati 10, che conferiscono effettività alla dignità umana nella società. In definitiva è consolidato il catalogo delle libertà (etica, religiosa, politica e di iniziativa individuale) con i relativi pensieri, sentimenti e impulsi, come fattori essenziali di progettualità e sviluppo; ma ogni azione individuale incontra il limite scheletrico dell’altruità, non solo come inviolabilità dall’altro, ma anche come dovere di intervento per l’altro, nei limiti di un ragionevole sacrificio: è proprio il dovere di prestazione in favore dell’altro a segnare la cifra del costituzionalismo liberale sociale, per esprimere il senso di appartenenza ad una comunità e più in generale all’umanità, condividendone problemi, rischi, bisogni, prospettive: la solidarietà si atteggia come criterio fondamentale di civiltà e convivenza umana, cui, con ispirazioni diverse, tendono più ideologie politiche e culturali e diffuse professioni religiose: in alcuni spazi della vita diventa addirittura sofferta esperienza di sopravvivenza umana 11. Alla solidarietà è ricondotto anche il principio di buona fede (di cui appresso). C’è una interazione tra efficienza e solidarietà, non sussistendo l’una senza l’altra, entrambe essenziali alla coesione sociale 12. È il fondamentale intreccio tra diritti e doveri, di cui si avverte esplicita espressione nel mondo del lavoro: l’art. 4 Cost., da un lato, riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro (co. 1), promuovendo la repubblica le condizioni che rendano effettivo tale diritto; dall’altro impone a ogni cittadino il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (co. 2). È l’idea forte di comunità a orientare sia l’attribuzione di diritti che l’assolvimento di doveri. c) Il principio dell’autoresponsabilità è maturato sul terreno dell’autonomia negoziale come limite alla teoria della volontà, per cui l’autore della dichiarazione di volontà risponde per il comportamento colpevole (doloso o colposo) avuto nella formazione del negozio, ingenerando la fiducia nell’esistenza di una situazione giuridica in realtà inesistente. La responsabilità nel suscitare l’affidamento del terzo supplisce l’assenza di volontà negoziale, sicché il negozio produce egualmente effetto; ciò che vale anche ad assicurare la certezza del diritto. 10 Efficace il vigoroso discorso sulla Costituzione del 1955 di P. CALAMANDREI che, parlando a giovani milanesi, li esortava a un impegno morale e civile a difesa della Costituzione, rilevando come la stessa non fosse solo una polemica contro il passato, per la riattivazione delle libertà giuridiche e politiche, ma contenesse anche una polemica contro il presente per essere l’affermazione solenne della solidarietà sociale ed umana: “è la carta della propria libertà, della propria dignità di uomo”. 11 Per l’art. 485 cod. nav., avvenuto un urto tra navi, il comandante di ciascuna nave è tenuto a prestare soccorso alle altre, al loro equipaggio ed ai loro passeggeri, sempre che lo possa fare senza grave pericolo per la sua nave e per le persone che sono a bordo. Si pensi alla vita nelle asperità della montagna o tra i pericoli del mare. È efficace l’espressione di H. Harmon: “Tutti i mortali sono, chi più chi meno, naufraghi, e i soccorritori, con il gesto che compiono, salvano una parte di se stessi, rinascono mentre assicurano la vita”. 12 Il problema è particolarmente avvertito a seguito della L. cost. 20.4.2012, n. 1, che ha inserito nella Carta costituzionale il principio di pareggiamento del bilancio (artt. 81 e 119 Cost.), di cui al Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria firmato il 2.3.2012 (c.d. fiscal compact), ratif. e reso esec. con L. 23.7.2012, n. 114, alla stregua del criterio di “sviluppo sostenibile” in una “economia sociale di mercato” indicato dall’Unione europea (art. 23, TUE), che realizza la solidarietà sociale in un contesto di sopportabilità economica.
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Più di recente il principio è evoluto nel dovere di responsabilità nelle relazioni sociali, connettendosi al principio di solidarietà, coniugando autodeterminazione e responsabilità, per cui ogni soggetto ha diritto di esplicare liberamente la propria azione, ma risente le conseguenze pregiudizievoli della propria condotta: ognuno risponde dei propri comportamenti, sia quando sono consapevoli e volontari, sia quando non sono assunte le necessarie cautele e adottate le regole di comune diligenza, ragionevolmente esigibili nei comportamenti della vita sociale. Analogamente risponde quando, nelle relazioni sociali, non svolge l’azione utile alla tutela di posizioni aliene. Una significativa applicazione è in tema di responsabilità da inadempimento, per concorso del fatto colposo del creditore (art. 1227), che l’art. 2056 estende al fatto del danneggiato per fatto illecito altrui. d) Al personalismo si lega anche il valore del pluralismo come essenziale mezzo di sviluppo della personalità dell’uomo. Per l’art. 2 Cost. “La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. È un principio che si irradia nella complessa vita delle relazioni umane, come criterio di professione della fede religiosa, di organizzazione della vita politica e di scelte del potere pubblico, di svolgimento della vita culturale; il pluralismo dell’informazione e degli studi è lievito della ricerca scientifica ed è presidio essenziale di democraticità. È il fondamento di formazione e coesistenza di uomini e gruppi di orientamento diverso sul piano etnico, razziale, religioso, culturale, politico, ecc., con pari partecipazione alla vita pubblica. Sono disciplinate specifiche formazioni sociali, considerate fondamentali: es. associazioni (art. 18); confessioni religiose (art. 19); famiglia fondata sul matrimonio (art. 29); scuola (art. 34); sindacati (art. 39); partiti (art. 49). È un elenco non tassativo: l’ampia formula dell’art. 2 Cost. consente di ricollegarvi altre aggregazioni sociali, come ad es. le convivenze familiari di fatto che sono esperienze di vita convissuta, peraltro di recente anche con rilevanza giuridica (IV, 3.1). L’interesse particolare si atteggia nella duplice direzione di interesse individuale (del singolo) e interesse collettivo (del gruppo). Si è visto come il pluralismo operi, non solo nella organizzazione sociale, ma anche nella strutturazione ordinamentale e nella conformazione istituzionale (I, 2.8).
4. La buona fede. Buona fede soggettiva (affidamento e apparenza). – Tra le clausole generali assume un primario rilievo la clausola di buona fede, fino a potersi considerare come assorbente di ogni altra, per essere idealmente presupposta da ogni altra clausola. Nella sua essenzialità la buona fede esprime l’aspirazione ad una relazionalità civile cementata da un vincolo di fiducia come affidabilità tra i consociati 13. In tal senso 13 La fides, nella Roma specie repubblicana, esprimeva un principio fondamentale dell’etica politica: il politico otteneva consensi, godeva di prestigio per la fiducia che ispirava, che volta a volta poteva significare onestà, lealtà, serietà, rispetto della parola data e alla promessa fatta. Nei rapporti tra superiori e inferiori e anche nei rapporti tra governo di Roma e popoli alleati o sottoposti fides indicava il complesso di obblighi reciproci, mutua assistenza, solidarietà in momenti di bisogno o di pericolo, rispettivamente protezione e devozione. La società moderna, smarrendo alcuni fondamentali valori, rende la fiducia una virtù sempre più rara; lo sviluppo poi delle tecnologie di internet sottopone ad una costante decifrazione della verità delle notizie apprese.
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il dovere di buona fede, già immaginato come attenzione alle situazioni reciproche 14, è stato innestato nel dovere di solidarietà, irrelato con i diritti della personalità (art. 2 Cost.), di cui si è detto. La clausola di buona fede si specifica in due fondamentali direttive di svolgimento in ragione della prospettiva di osservazione della relazione sociale, con riguardo al destinatario o all’autore del comportamento: emerge così la distinzione tra buona fede soggettiva e buona fede oggettiva: della prima si parla di seguito, della seconda successivamente. La buona fede soggettiva esprime uno stato soggettivo (o psicologico) conoscitivo, come ignoranza della realtà. La legge tutela la situazione soggettiva del soggetto che, senza colpa, ignora la esistenza di un fatto o di un diritto, ovvero considera esistente in quanto apparente un fatto o un diritto che non sussiste. a) La tutela dell’affidamento è principio cardine del codice civile del 1942, maturato a seguito di un lungo percorso storico. Intorno agli atti di disposizione dei beni tradizionalmente si sono svolti due atteggiamenti in perenne tensione: uno, di remota derivazione romanistica, rinverdito dalle aspirazioni giusnaturalistiche e illuministiche, di garantire la inviolabilità e la conservazione della proprietà con la tutela preferenziale della libertà e della volontà del titolare che si disfa del bene; un diverso atteggiamento, di emersione più recente, legato allo sviluppo della economia produttiva, di favore per la circolazione e lo scambio dei beni, con la protezione preferenziale del soggetto che accede al bene. La tutela dell’affidamento del destinatario e dei terzi che ripongono fiducia sulla dichiarazione del disponente pervade l’intero codice civile. Tale tutela non esprime un principio di socialità, per prescindere dalla natura degli interessi coinvolti e dall’appartenenza sociale del destinatario della dichiarazione come dei terzi. Con la protezione indifferenziata del destinatario della dichiarazione e dei terzi che hanno fatto affidamento sulla dichiarazione del disponente è piuttosto introdotto un criterio funzionale alla economia di mercato di assicurare la certezza degli scambi economici e della collocazione dei prodotti; non si comprenderebbe altrimenti perché la posizione del destinatario della dichiarazione o dei terzi sia valutata degna di maggiore tutela rispetto a quella dell’autore della dichiarazione. Essendo gli atti giuridici (e specificamente i negozi giuridici) destinati ad operare nella realtà sociale, sussistono nell’ordinamento criteri correttivi della rilevanza degli atti nei rapporti sociali, attraverso i principi della autoresponsabilità dell’autore della dichiarazione e dell’affidamento del destinatario della dichiarazione (o del terzo). Lo svolgimento delle relazioni sociali implica affidabilità nei comportamenti; ciò però non può comportare deresponsabilizzazione e mancata verifica della realtà, a tutela della stessa sicurezza giuridica: anche quando esiste un dovere di informare, non può venire meno un dovere di informarsi. Perciò la legge tutela non la negligente ignoranza ma solo lo stato psicologico dell’affidamento incolpevole (c.d. affidamento legittimo) 15. 14
Nella Relaz. minist. cod. civ., il dovere di buona fede “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore”. 15 Secondo la Relaz. cod. civ., n. 652, la sicurezza del credito e degli scambi ha imposto di dare rilevanza giuridica solo all’affidamento creato dal significato che socialmente può darsi alla dichiarazione, nel quale soltanto si concreta e vive l’unico intento che il diritto riconosce e tutela. Secondo la sintesi di F. Santoro Passarelli, dalle varie norme del codice civile si trae un principio del “rischio del dichiarante per l’affidamento senza colpa del destinatario o di altro interessato nella dichiarazione”.
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Le regole fondamentali sulla buona fede soggettiva sono dettate con riguardo al possesso di buona fede (art. 1147) 16 (VI, 5.4). La norma qualifica possessore di buona fede “chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto”, stabilendo due principi: la buona fede non giova se la ignoranza dipende da colpa grave; la buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell’acquisto. Relativamente ai beni mobili, la buona fede sostiene il principio “possesso vale titolo” (art. 1153) e orienta la preferenza tra più aventi causa (art. 1155). Altre ipotesi sono disseminate nel codice civile 17. Il principio ha trovato applicazione anche con riferimento all’improvviso mutamento giurisprudenziale (overruling), dal quale conseguirebbero preclusioni processuali (I, 3.16). b) Una specificazione dell’affidamento è l’apparenza giuridica, rinvenibile quando lo stato soggettivo di affidamento si fonda sull’apparente esistenza di una situazione giuridica, in realtà inesistente: è cioè attribuita rilevanza giuridica a situazioni socialmente apparenti come giuridiche, benché tali non siano. Il principio dell’apparenza giuridica è collegato all’esigenza di tutela della certezza del diritto e della circolazione giuridica, quali fondamentali esigenze del sistema economico 18. La tutela dell’apparenza compromette però altri interessi, il cui bilanciamento ha generato un divario di rilevanza quale apparenza pura o come apparenza colposa.
Si è rilevato come tale principio resti incomprensibile se guardato nella prospettiva del singolo atto, non comprendendosi perché la posizione di un destinatario della dichiarazione e in genere di terzi sia maggiormente meritevole di tutela rispetto alla posizione dell’autore della dichiarazione o del titolare del diritto, che si trova a subire gli effetti di un negozio non voluto e spesso contro la sua volontà. Il principio si comprende (anche se non sempre si giustifica) se riguardato nella generale prospettiva dell’organizzazione economica: la tutela dell’affidamento è correlata alla sicurezza del traffico giuridico, quale esigenza connaturata allo sviluppo economico fondato sulla iniziativa privata e sul mercato. In tale quadro, nella disciplina del codice, il principio dell’affidamento presidia la circolazione dei beni, favorendo la collocazione dei prodotti e il mercato. 16 Quando le norme facciano riferimento alla buona fede senza nulla dire in ordine a ciò che vale ad integrarla o ad escluderla, ovvero al soggetto tenuto a provarne l’esistenza o ad altri profili di rilevanza della stessa, si deve, in linea di principio, fare riferimento all’art. 1147 (Cass. 4-3-2002, n. 3102). 17 Una nutrita normativa è anche in tema di successione relativamente all’acquisto dall’erede apparente (art. 534). Molte altre ipotesi sono in tema di obbligazioni e contratti: ad es., il pagamento al creditore apparente (art. 1189), l’acquisto di diritti dal titolare apparente (artt. 1415 e 1416); in tema di rappresentanza senza potere, il falso rappresentante è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella efficacia del contratto (art. 1398). Di ampia portata è la previsione che l’annullamento del contratto, che non dipende da incapacità legale, non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede (che cioè ignoravano o comunque non potevano conoscere con la ordinaria diligenza la causa di annullabilità), salvi gli effetti della trascrizione della domanda giudiziale (art. 1445) (VIII, 8.6). Anche con riguardo al matrimonio nullo, se i coniugi lo hanno contratto in buona fede (cioè ignorando la invalidità) (c.d. matrimonio putativo), il matrimonio produce tra i coniugi gli effetti del matrimonio valido fino alla sentenza che pronunzia la nullità (art. 1281) (V, 2.6). 18 L’apparenza del diritto non integra un istituto a carattere generale con connotazioni definite e precise ma, al contrario, opera nell’ambito dei singoli negozi giuridici secondo il vario grado di tolleranza di questi, in ordine alla prevalenza dello schema apparente su quello reale (Cass. 25-3-2013, n. 7473). Per Cass., sez. un., 8-4-2002, n. 5035, il principio dell’apparenza del diritto – ancorché riconducibile a quello più generale della tutela dell’affidamento incolpevole – ha, però, una sua innegabile specificità e peculiarità, venendo in considerazione solo in presenza dell’esigenza di tutelare il terzo in buona fede in ordine alla corrispondenza fra la situazione apparente e quella reale (si è escluso che sia applicabile nei rapporti tra condominio e singolo condomino). Per Cass. 31-3-2006, n. 7629, tale principio è di natura sostanziale e non processuale.
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Si ha apparenza pura quando è sufficiente che ricorrano due soli presupposti: uno stato di fatto formalmente rispondente ad una realtà giuridica; l’incolpevole convincimento del terzo che le due situazioni coincidano. Figure di apparenza pura sono già nel codice civile: ad es., il debitore che esegue il pagamento a un creditore apparente, è liberato se prova di essere stato in buona fede (art. 1189) (anche se, come si vedrà, la giurisprudenza tende a richiedere anche l’azione colposa del creditore); in materia successoria, sono salvi i diritti dei terzi che abbiano acquistato a titolo oneroso dall’erede apparente quando provano di aver contrattato in buona fede (art. 534) (cioè ignorando senza colpa che l’alienante non fosse erede). Si ha apparenza colposa (o colpevole) quando, in aggiunta ai due presupposti sopra indicati, è richiesto l’ulteriore presupposto della condotta colpevole del soggetto che ha ingenerato l’apparenza, secondo un criterio di autoresponsabilità. Tale modello di apparenza è stato essenzialmente ricostruito con riferimento alla rappresentanza apparente (di cui si parlerà in seguito: VIII, 8.7) e alla società apparente 19 e poi impiegato in varie altre ipotesi 20. Anche fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge, la giurisprudenza tende a valorizzare il principio dell’autoresponsabilità, per cui l’effettivo titolare della situazione giuridica non può ricevere pregiudizio dall’affidamento altrui senza il concorso di una propria responsabilità nella creazione dell’apparenza: la condotta colpevole del titolare del diritto (generatrice dell’altrui affidamento incolpevole) è ricondotta all’alveo generale della responsabilità civile. In entrambe le forme, come si è anticipato, l’apparenza non può rilevare in presenza di un comportamento del terzo negligente, per non avere verificato la legalità di atti e comportamenti apparenti o non avere compiuto le verifiche che il sistema consente di attuare 21. Quando gli atti siano formalizzati in pubblici registri, l’apparenza del diritto non può essere invocata da chi trascuri di ispezionare i registri pubblicitari: la pubblicità, procurando la conoscibilità legale, costituisce un limite legale all’efficacia dell’apparenza giuridica 22 (XIV, 1.2). Apparenza e pubblicità sono gli essenziali modelli di rilevanza e opponibilità di fatti e atti giuridici nei confronti dei terzi. L’ordinamento giuri 19
Per la giurisprudenza la società di fatto, sebbene inesistente nella realtà, può apparire esistente di fronte ai terzi quando due o più persone operino nel mondo esterno in modo da determinare l’insorgere dell’opinione ragionevole che essi agiscano come soci e del conseguente legittimo affidamento circa l’esistenza della società stessa: a tutela della buona fede dei terzi, è sufficiente che il soggetto che abbia trattato col socio apparente provi un comportamento che, secondo l’apprezzamento insindacabile del giudice di merito, sia idoneo a designare la società come titolare del rapporto (Cass. 20-4-2006, n. 9250; Cass. 21-6-2004, n. 11491). La società apparente tutela il mercato a danno dei creditori dei soci. 20 Ad es. l’intermediario finanziario può essere chiamato a rispondere di un illecito compiuto in danno di terzi da chi appaia essere un suo promotore, ed in tale apparente veste abbia commesso l’illecito, ogni qual volta l’affidamento del terzo risulti incolpevole e alla falsa rappresentazione della realtà abbia invece concorso un comportamento colpevole (ancorché solo omissivo) dell’intermediario medesimo (Cass. 7-4-2006, n. 8229). Altra ipotesi è stata ravvisata con riferimento alle obbligazioni contratte separatamente dai coniugi (Cass. 610-2004, n. 19947; Cass. 7-7-1995, n. 7501). 21 Ad es. la verifica di forma scritta della procura alla vendita di immobili (Cass. 25-3-2013, n. 7473). Con riferimento alla rappresentanza delle persone giuridiche, la legge prescrive speciali mezzi di pubblicità mediante i quali sia possibile controllare la consistenza effettiva dell’altrui potere, come accade in ipotesi di organi di imprese commerciali regolarmente costituiti (Cass. 18-5-2005, n. 10375). 22 Nella efficace sintesi di A. FALZEA: “l’apparenza è uno strumento elastico, idoneo a penetrare nei campi in cui il formalismo giuridico non ha avuto possibilità di esplicarsi”.
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dico ricollega ad entrambe le figure un dovere informativo in una duplice direzione: come obbligo di informare gli altri (c.d. informazione transitiva) e come dovere di informarsi (c.d. informazione riflessiva), connettendo ad entrambe le attività e alle relative omissioni conseguenze giuridiche.
5. Segue. Buona fede oggettiva (lealtà e correttezza). – A differenza della buona fede soggettiva che esprime uno stato soggettivo conoscitivo, la buona fede oggettiva è riferita al contegno, ed indica un dovere di comportamento e più precisamente il dovere di comportarsi con lealtà e correttezza. Il principio esprime un fondamentale valore dell’ordinamento che ingloba sia un dovere negativo di non gabellare gli altri con la menzogna o la reticenza sia un dovere positivo di comportamento collaborativo verso gli altri: il dovere si specifica volta a volta in relazione al contesto di interessi in cui opera (con riguardo alla qualità dei soggetti, alle circostanze del fatto e alla natura degli interessi coinvolti). Il principio di buona fede è assurto a generale parametro di verifica del comportamento dei soggetti, sovrintendendo all’applicazione di ogni precetto giuridico, come criterio di “chiusura” del sistema 23, indicando la conformità del comportamento a standard giuridicamente esigibili, secondo un fondamentale dovere di solidarietà 24: si è configurato un generale dovere di salvaguardia dell’interesse altrui nei limiti di un sacrificio sostenibile e cioè nella misura in cui non comporti un apprezzabile sacrificio a proprio carico 25. È ormai acquisita l’idea che, per determinare il concreto contenuto dei parametri di correttezza e buona fede, sia necessario riferirsi ai fondamentali principi di solidarietà sociale previsti dalle generali previsioni degli artt. 2 e 3 e degli artt. 36, 37, 39, 41 e 42 23
Tradizionalmente si contendono il campo due fondamentali orientamenti, a seconda che la buona fede sia collegata allo svolgimento del concreto rapporto e perciò al contesto nel quale il rapporto è maturato (le circostanze del contratto, le trattative, ecc.), ovvero venga connessa a valori generali (di carattere ordinamentale o in senso lato sociale): nella prima direzione, la clausola assume il significato di obbligo di lealtà e correttezza secondo lo specifico regolamento di interessi (giustizia commutativa); nella seconda direzione, acquista il significato più ampio di necessaria aderenza dei comportamenti e dei rapporti ai valori dell’ordinamento (giustizia distributiva). In realtà bisogna compiere una sintesi dei due criteri e avere riguardo ai valori dell’ordinamento applicati al caso concreto. 24 Il principio di correttezza e buona fede, quale dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost., esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile (Cass., sez. un., 25-11-2008, n. 28056). L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, applicabile in ambito contrattuale ed extracontrattuale, in quest’ultima ipotesi designando una regola di comportamento in base alla quale il soggetto è tenuto, a prescindere dalla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui (nei limiti dell’apprezzabile sacrificio), dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità (Cass. 29-1-2018, n. 2057; Cass. 8154/2014; Cass. 1178/2014). 25 Il precetto dell’art. 2 Cost. (come adempimento dei doveri di solidarietà) entra direttamente nel contratto, unitamente con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa, con conseguente rilevabilità ex officio della nullità della clausola, in caso di contrasto, ai sensi dell’art. 1418 c.c. (Corte cost. 2-4-2014, n. 77). Il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto impone a ciascuna delle parti il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge (Cass. 11-2-2021, n. 3543).
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Cost., nonché degli artt. 27 ss. dalla Carta dir. fond. U.E. Trova specifica previsione in tema di obbligazioni e contratti, per il vincolo che si determina tra le parti del contratto e in generale tra i soggetti del rapporto obbligatorio; è prescritto sia nella disciplina generale del contratto 26 che con riferimento a singoli contratti 27. È applicato anche con riguardo alla responsabilità extracontrattuale nella valutazione dei comportamenti tenuti 28. Pure nel processo le parti devono comportarsi con lealtà e probità (art. 88 c.p.c.). Il dovere di buona fede è distinto da quello, contiguo, del dovere di diligenza nell’adempimento dell’obbligazione (es. art. 1176). Quest’ultimo allude al dovere della parte di comportarsi senza colpa e cioè, in generale, di non incorrere in negligenza, imprudenza o imperizia. Invece la buona fede allude alla lealtà e correttezza dei rapporti: i due doveri esprimono due prospettive di osservazione del generale dovere di collaborazione cui deve informarsi il comportamento di ciascuno nelle relazioni giuridiche. La giurisprudenza, sulla scorta della regola del divieto degli atti emulativi (art. 833), ha ricollegato al principio di buona fede oggettiva la elaborazione di un principio generale di divieto dell’abuso del diritto, nel senso di un esercizio del diritto volto a conseguire effetti diversi da quelli per i quali il diritto stesso è conferito 29 (II, 3.4). Questo articolato impianto privatistico di tutela della buona fede, declinata in soggettiva e oggettiva, è ormai un criterio guida anche dell’azione della pubblica amministrazione, così nell’operato materiale che nell’attività amministrativa. Per l’art. 12bis L. 241/1990, i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede 30. La lesione dell’aspettativa del privato può sorgere 26 Già nella formazione dell’accordo e durante le trattative le parti sono obbligate a comportarsi secondo buona fede (artt. 1337 e 1338); analogamente, chi ha alienato o acquistato sotto condizione, durante la pendenza della stessa, deve comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte (art. 1358). Inoltre il contratto deve essere interpretato secondo buona fede (art. 1366) e deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375); criterio che trova il suo correlato in tema di obbligazioni nella previsione dell’art. 1175 che impone ai soggetti del rapporto obbligatorio (debitore e creditore) di comportarsi secondo correttezza. e nella previsione dell’art. 14602 per misurare la legittimità del rifiuto di esecuzione del contratto con opposizione dell’inadempimento dell’altra parte. 27 Ad es. nella vendita (artt. 1479 e 1491), nell’assicurazione (art. 1892). Quando sono integrati gli estremi del dolo, vi è senz’altro annullabilità del contratto (art. 1439). 28 L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza è applicabile in ambito contrattuale ed extracontrattuale, in quest’ultima ipotesi designando una regola di comportamento in base alla quale il soggetto è tenuto, a prescindere dalla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui (nei limiti dell’apprezzabile sacrificio), dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità (Cass. 29-1-2018, n. 2057; Cass. 1178/2014; Cass. 8154/2014). 29 In tal senso Cass. 18-9-2009, n. 2016, che fa conseguire all’abuso del diritto la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni subiti. V. anche Cass. 23-11-2020, n. 26568. 30 La tutela dell’affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione è ormai considerato canone ordinatore dei comportamenti delle parti coinvolte nei rapporti di diritto amministrativo, ovvero quelli che si instaurano nell’esercizio del potere pubblico, sia nel corso del procedimento amministrativo sia dopo che sia stato emanato il provvedimento conclusivo. Anche la disciplina dell’annullamento di ufficio reca un limite temporale all’intervento, a tutela della buona fede del cittadino, tranne responsabilità del cittadino nella determinazione del provvedimento illegittimo (art. 29 bis L. 241/1990). Il principio di buona fede (come del resto quello di diligenza) trova applicazione con riguardo all’attività della pubblica amministrazione, sia quando operi con gli strumenti autoritativi dell’attività amministrativa, sia quando si avvalga dei moduli del diritto privato (come tipicamente avviene con i contratti) (Cons. Stato 8-4-2014, n. 1651; Cons. Stato
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sia con provvedimento legittimo che con provvedimento illegittimo, diversi essendo i profili della legittimità dell’atto e della correttezza della condotta 31. È un’acquisizione convinta sul piano materiale, vuoi per lesione di contatto sociale qualificato, con giurisdizione ordinaria 32, vuoi più in generale per lesione di ogni situazione soggettiva protetta (diritto soggettivo o interesse legittimo), con giurisdizione amministrativa 33.
6. L’informazione (trasparenza e conoscenza). – Nelle società complesse e tecnologiche dell’attualità l’informazione si atteggia come bene giuridico che permette di conseguire la conoscenza della realtà e, nei rapporti tra consociati, verificare beni e servizi negoziati. In tal guisa diventa anche fattore di efficienza economica e di trasparenza del mercato: il dovere di informazione presidia l’azione di tutti gli operatori del mercato (imprenditori e consumatori), come specifica esplicazione del dovere di buona fede oggettiva. L’agire leale e corretto è comportamento che immediatamente tutela i soggetti del rapporto, ma mediatamente si risolve a vantaggio del funzionamento del mercato in quanto consente di selezionare le imprese virtuose efficienti attraverso un corretto gioco della concorrenza. L’asimmetria di informazione è considerata una delle cause prime di fallimento del mercato per non consentire l’ottimale allocazione dei prodotti e la fruttuosa selezione tra le imprese concorrenti. Un’applicazione di tali principi è anche nella regolazione della vita interna dei gruppi organizzati, a beneficio delle minoranze rispetto all’azione del gruppo di maggioranza, specie rispetto alla tenuta della contabilità e ai rendiconti forniti, con particolare riguardo alla redazione dei bilanci delle società. Nei rapporti commerciali il dovere di informazione si appunta al contenuto del contratto, alla composizione e filiera del prodotto, alle modalità del servizio e al regime giu
20-12-2013, n. 6147). Il principio informa anche lo “Statuto del contribuente”, per il cui art. 10 L. 27.7.2000, n. 212, “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”. 31 Già Cons. Stato, ad. plen., 5-9-2005, n. 6; Cons. Stato, ad. plen., 4-5-2018, n. 5, cui si rifanno le sent. nn. 19, 20 e 21 del 2021, cit. 32 Per la Suprema Corte spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie relative a una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento incolpevole del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione difforme dai canoni civilistici di correttezza e buona fede, sia nel caso in cui il danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un provvedimento amministrativo, sia nel caso in cui nessun provvedimento sia stato adottato e il privato abbia riposto senza colpa il proprio affidamento in un mero comportamento; in entrambi i casi la responsabilità della pubblica amministrazione è inquadrabile in quella di tipo contrattuale secondo lo schema della responsabilità da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. (Cass., sez. un., 28-4-2020, n. 8236). 33 Il Consiglio di Stato, ad. plen., con tre sentenze del 29.11.2021, ha affermato i seguenti principi: è configurabile una lesione dell’affidamento da atto amministrativo annullato in sede giurisdizionale, escluso solo in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento, con devoluzione alla giurisdizione del giudice amministrativo (sent. n. 19); è escluso l’affidamento in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro il provvedimento (sent. n. 20); c’è responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, nelle procedure di affidamento di contratti pubblici, per violazione dei canoni di correttezza e buona fede, quando il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento nella stipula del contratto, in relazione al grado di sviluppo della procedura, quando l’affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa (sent. n. 21). In definitiva è riproposto il limite civilistico che debba trattarsi di un affidamento incolpevole.
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ridico dell’operazione; in generale alla portata e alla modalità della pubblicità (non menzognera o ingannevole e non subliminale). Nell’attuale esperienza di produzione di massa e globalizzata, la scelta non è tra prodotti ma tra rappresentazioni di prodotti, sicché l’informazione, determinando trasparenza e conoscenza, diventa leva essenziale di un mercato non solo efficiente ma anche equo: sono molte le informazioni da rendere ai consumatori, alcune dovute sempre e in generale (artt. 5 ss. cod. cons.), altre specifiche come informazioni precontrattuali (art. 48 cod. cons.), con ulteriori informazioni nei contratti a distanza e fuori dei locali commerciali (artt. 49 ss. cod. cons.); altre informazioni sono dovute dalla società dell’informazione nel commercio elettronico (D.Lgs. 9.4.2003, n. 70). Sono anche vietate le pratiche commerciali scorrette tra imprese per concorrenza sleale (artt. 2598 ss. c.c.), come sono vietate pratiche commerciali scorrette, ingannevoli e aggressive nei confronti dei consumatori (artt. 18 ss. cod. cons.). Spetta all’ordinamento giuridico riequilibrare le posizioni degli attori del mercato (imprenditori e consumatori) segnando i livelli essenziali dell’informazione, per attestarsi trasparenza e conoscenza quali postulati essenziali di un mercato che si erge a volano dello sviluppo economico e sociale. Come si vedrà, nei settori e nei comparti dove c’è maggiore concentrazione di capitale, sicché più spiccato è il divario di forza economica tra gli operatori, la garanzia dell’informazione rappresenta solo uno stadio (anche se essenziale) di protezione della debolezza sociale, in quanto l’autonomia individuale va supportata da interventi ordinamentali imperativi di riequilibrio economico e giuridico del contenuto delle singole operazioni realizzate.
7. La certezza del diritto (adeguatezza, proporzionalità e ragionevolezza). – Il diritto non si esaurisce nella soluzione dei conflitti insorti tra i consociati, ma vale anche ad orientare le condotte dei consociati perché, consapevoli delle regole vigenti, possano indirizzare la propria vita e compiere le proprie scelte sociali ed economiche. In tale logica si svolge il problema della certezza del diritto, come prevedibilità delle regole applicabili ai fatti della vita. In una prospettiva socio-economica consente la conoscenza degli effetti giuridici dell’azione umana e la calcolabilità economica delle operazioni intraprese. Si è visto come il principio di certezza del diritto rappresenti una connotazione dello stato moderno di diritto, in grado di eliminare privilegi e immunità e difendere il cittadino dalle sopraffazioni del potere (I, 2.2). Nella stagione di affermazione dei diritti umani, la sua ipostatizzazione ha però comportato spesso un distacco con la effettività di giustizia nel caso concreto. Va dunque ripensata la portata e l’attualità di tale valore nella complessità della contemporaneità, rendendo coerente il diritto con la giustizia (I, 1,1). Il principio di certezza del diritto, riferito alle singole norme giuridiche, si rivela nell’attualità una chimera di difficile applicazione per essere emersa, attraverso una pluralità di fonti del diritto, una graduatoria di interessi e valori, volta a volta da bilanciare tra gli stessi e con le normative di settore. Basti solo pensare all’applicazione del principio normativo del c.d. best interest del minore, formulato dalla Convenzione ONU sui diritti del minore, che richiede una verifica specifica dei fatti (la condizione fisica e di vita del minore, la condotta accudente o rifiutante delle persone conviventi ovvero lo stato di abbandono, il contesto abitativo), per delineare la soluzione più consona e adeguata all’equilibrio psico fisico del minore. È proprio della contemporaneità il dibattito
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sul divario tra normativismo stabile e decisionismo episodico, ovvero tra legalità da rispettare e giustizia da realizzare. Per intanto la norma richiede una mediazione umana per l’applicazione; anche l’impiego di un robot giuridico, come operatore automatico applicativo di norme, implica la mano umana che sceglie gli algoritmi di lettura dei fatti. E poi la norma, come ogni testo letterario, è soggetto ad interpretazione, e l’interpretazione risente della personalità dell’autore, con possibilità di più esiti (significativamente esistono più gradi di giudizio). Inoltre, all’epoca dell’affermazione del principio di certezza del diritto, il diritto si esauriva nella legge e specificamente per il diritto privato nel codice civile che (massimamente) raccoglieva, in modo ordinato e ordinante, regole uguali per l’unitarietà (astratta) del soggetto di diritto (I, 2.3), per cui al giudice era sufficiente un’azione di sussunzione del caso esaminato alla tavola organica del codice. La storia successiva ha determinato la provenienza del diritto da fonti ulteriori e gerarchicamente superiori e perciò fuori degli orditi codicistici. Sono emersi principi valoriali (diversi da quelli sottesi ai codici), depositati nella Carta costituzionale, nel diritto europeo e in convenzioni internazionali, ai quali il giudice deve uniformare la decisione, come effettività di tutela giuridica (I, 3.13). Gli artt. 541 e 1012 Cost. fissano il fondamentale dovere di osservare le leggi e la Costituzione; gli artt. 10 e 11 Cost. aprono all’osservanza delle convenzioni internazionali e del diritto europeo. Il principio di certezza del diritto, quale connotato dello stato di diritto, non è venuto meno, ma è solo evoluto in funzione del complessivo sistema giuridico. La prevedibilità non va (più) riferita a singole norme come atomi logico-formali, ma va indirizzata alla complessità dell’ordinamento come realtà unica ed unitaria, con le norme di settore e con i principi e valori che ne fanno da cemento e sostegno. La certezza del diritto va ragguagliata all’ordinamento positivo nella sua sistematicità e vitalità storica. Come si è visto trattando dei fatti giuridici, vi è una causalità complessa (materiale e legale) nella determinazione degli effetti giuridici (II, 4.2). La prevedibilità è rivolta alla sinergia tra i fatti e l’ordinamento, dovendosi decifrare le specificità dell’accadimento, del contesto e del conflitto di interessi per accedere alla ragionevole previsione della regola applicabile. La Corte di giustizia U.E. reitera il richiamo alla certezza del diritto europeo come valore fondamentale per la tenuta della Unione europea (significativa è la direttiva 2014/24/UE) 34, riaffermando la prevalenza della propria interpretazione del diritto europeo 35. Anche la nomofilachia della Corte di cassazione, quale giudice di legittimità, 34 I principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea. A tale titolo, essi devono essere rispettati non solo dalle istituzioni dell’Unione, ma anche dagli Stati membri nell’esercizio dei poteri ad essi conferiti dalle direttive dell’Unione (Corte giust. U.E. 30-4-2020, n. 184/19). Ciascun caso in cui si ponga la questione se una norma procedurale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di tale norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali; si devono considerare segnatamente, se necessario, la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (Corte giust. U.E., 14-5-2020, n. 749/18). 35 Significativa Corte giust. U.E., grande sez., 25-6-2020, n. 24/19: Solo la Corte può, eccezionalmente e per considerazioni imperative di certezza del diritto, concedere una sospensione provvisoria dell’effetto di
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puntella il principio di certezza del diritto, quale criterio fondamentale di coesione sociale oltre che di deflazione giudiziaria 36; pur restando soggetta alla evoluzione storica dei valori che sottendono le singole decisioni (I, 3.13 e 16). L’esigenza di correlazione delle regole con la realtà regolata ha fatto emergere essenziali criteri di operatività. Oltre le prescrizioni particolari sul percorso interpretativo della legge ex art. 12 disp. prel. (I, 3.13), come integrate dalla esigenza di interpretazione evolutiva valutativa (I, 3.13), è necessaria una costante interazione tra realtà materiale e realtà giuridica. Risulta essenziale stabilire ciò che si sceglie di valorizzare rispetto ad ogni fatto, in funzione degli interessi coinvolti e dei valori implicati, che aprono alla regolazione ordinamentale. In tale opera si sono affermati i principi di adeguatezza e proporzionalità, con il connesso principio di ragionevolezza, spesso indicati anche con generiche qualifiche di razionalità, coerenza, congruenza, ecc., con ambiguo significato. Tali criteri agiscono quali generali parametri sia di normazione che di valutazione dei fatti da esaminare. Nella prima direzione, operano come limiti all’operare del legislatore, impedendo un esercizio arbitrario del potere legislativo; nella seconda direzione, sono utilizzati dalla giurisprudenza (di merito come di legittimità ed anche costituzionale) nella individuazione delle regole da applicare al caso concreto. L’adeguatezza è stata specificamente utilizzata nel diritto amministrativo per indicare che la singola entità amministrativa deve avere un’organizzazione adeguata all’esercizio della funzione svolta. Il principio è richiamato dall’art. 1181 Cost., unitamente ai principi di differenziazione e sussidiarietà. Un’applicazione è nel Reg. Consob 1.7.1998, n. 11522, di attuazione del D.Lgs. 58/1998, che impone di rilevare il profilo dell’investitore, sicché l’operazione deve essere adeguata all’investitore per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione (art. 30). In sede civile vengono in rilievo interessi autonomi e di varia natura, per cui c’è l’esigenza di equilibrio dei vari interessi (di natura patrimoniale e/o esistenziale). L’adeguatezza è orientata alla verificazione di congruenza del bene giuridico richiesto rispetto al mezzo giuridico utilizzato. La proporzionalità trae origine dall’esperienza tedesca ed è ormai diffusa nel costituzionalismo contemporaneo europeo, sia nell’azione della pubblica amministrazione che nei rapporti tra cittadini; è anche iscritta tra i principi fondamentali dell’Unione europea (art. 54 TUE), per cui “il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati” 37. Opera essenzialmente nei giudizi relativi alla tutela dei diritti fondamentali e al loro bilanciamento: valuta gli effetti dell’atto legislativo e i benefici realizzati, a fronte dei sacrifici imposti ad altri
disapplicazione esercitato da una norma di diritto dell’Unione rispetto a norme di diritto interno con essa in contrasto; se i giudici nazionali avessero il potere di attribuire alle norme nazionali il primato sul diritto dell’Unione, anche solo provvisoriamente, in caso di contrasto con quest’ultimo, ne risulterebbe pregiudicata l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione. 36 Per Cass., sez. un., 18-9-2020, n. 19596, la frontale contrapposizione di decisioni non giova al sistema, per cui l’intervento nomofilattico del Supremo consesso appare quanto mai opportuno: l’effetto della prevedibilità delle decisioni giudiziarie si va affermando come un valore prezioso da preservare, anche in termini di analisi economica del diritto. 37 Il principio di proporzionalità costituisce parte integrante dei principi generali del diritto dell’Unione e esige che gli strumenti istituiti da una disposizione del diritto dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non vadano oltre quanto è necessario per raggiungerli (Corte giust. U.E. 21-6-2018, n. 5/16).
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diritti. Trova testuale previsione in sede penale tra i criteri di scelta delle misure cautelari: per l’art. 275 c.p.p. “ogni misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata”; ancora in sede penale, viene in rilievo la propulsione dell’azione del reo: si pensi alla proporzionalità della pena inferta in ragione della intensità della condotta criminosa e della natura del bene giuridico protetto. In sede civile, vengono in rilievo interessi correlati, convergenti o contrapposti, che devono trovare composizione: si pensi alla proporzionalità del risarcimento dovuto in ragione della gravità del fatto lesivo e della natura del danno sofferto. La ragionevolezza deriva dalla esperienza anglosassone, largamente impiegata dalla giurisprudenza. Le disposizioni normative devono essere adeguate o congruenti rispetto al fine perseguito dal legislatore e al sistema ordinamentale. L’emergere della ragionevolezza come limite generale della legislazione si ricollega alla perdita di centralità della legge, con la sostituzione della Costituzione come fonte primaria di diritto, con l’esigenza di bilanciamento tra i principi costituzionali. Così anche il controllo di costituzionalità non investe più solo la legittimità tecnica ma anche la congruenza valoriale: il criterio non si esaurisce nella mera razionalità astratta, quale espressione del principio logico di non contraddizione, ma si apre alla verifica dell’impatto della norma sulla realtà materiale, valutandone la coerenza esperienziale alla stregua dei valori dell’ordinamento. Come sviluppo del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), si è considerato irragionevole trattare situazioni uguali in modo differente, come trattare situazioni differenti in modo uguale. Il criterio trova ampia applicazione nella giustizia tributaria 38. Il meccanismo del c.d. “automatismo legislativo” (secondo cui, al verificarsi di un determinato avvenimento, è ricollegata l’automatica conseguenza giuridica predeterminata da una fattispecie), è sottoposto dalla Corte costituzionale al vaglio di ragionevolezza, dichiarandosi l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che non permettono al giudice (o alla pubblica amministrazione) di tenere conto delle peculiarità del caso concreto e perciò di modulare gli effetti della regola in relazione alle peculiarità delle specifiche situazioni coinvolte 39. Applicazioni del principio di ragionevolezza sono in tutte le branche del diritto; al criterio di ragionevolezza è stata anche collegata l’esigenza di razionalità delle scelte normative 40. 38 Si è stabilito che, quando il contribuente subisca un concreto pregiudizio dal metodo di accertamento scelto dall’Amministrazione finanziaria, apparendo irragionevole ed incongrua la redditività accertata rispetto alla situazione concreta, il giudice tributario può sindacare la metodologia adottata per la raccolta degli elementi utilizzati per la rettifica (Cass. 3-2-2017, n. 2873). 39 Ad es., è dichiarato costituzionalmente illegittimo – per violazione degli artt. 3 e 27 Cost. – l’art. 5672 c.p. (delitto di alterazione di stato di famiglia del neonato commesso mediante falso), nella parte in cui prevede la pena edittale della reclusione da un minimo di cinque a un massimo di quindici anni, anziché la pena edittale della reclusione da un minimo di tre a un massimo di dieci anni, per risultare la severa cornice edittale censurata, sul piano della ragionevolezza intrinseca, manifestamente sproporzionata al reale disvalore della condotta punita, ledendo congiuntamente il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del fatto commesso (art. 3 Cost.) e quello della finalità rieducativa della pena (art. 27 Cost.) (Corte cost. 10-11-2016, n. 236). V. anche Corte cost. 15-12-2016, n. 268; Corte cost. 23-2-2012, n. 31). Nella giurisprudenza di legittimità, ad es. Cass. 5-4-2017, n. 17061. 40 Ad es., è stata considerata costituzionalmente illegittima la previsione, tra i criteri di competenza per territorio applicabili ai procedimenti concernenti lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matri monio, di quello del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi, in quanto manifestamente irragionevole
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In definitiva la ragionevolezza è un criterio di giudizio che pervade sia l’adeguatezza che la proporzionalità, per procedersi ad un bilanciamento tra più beni giuridici con l’esigenza di fissarne i limiti di operatività e di gradualità 41. La complessità della realtà sociogiuridica porta con sé le stimmate della incertezza, così delle relazioni umane, come delle relazioni economiche, come ancora delle regolazioni giuridiche, alle quali deve porre mano il giurista nel ricostruire la trama logica della esperienza giuridica.
8. La sussidiarietà (orizzontale e verticale). – Il principio di sussidiarietà, pure emerso nella filosofia greca con Aristotele, ha ricevuto compiuta formulazione e massima esplicazione nella dottrina sociale della Chiesa cattolica del XIX sec., per esprimere la rilevanza della personalità dei fedeli e dei corpi sociali intermedi (famiglie, associazioni, confessioni religiose, ecc.), intrecciata con il dovere di solidarietà 42. Con tale principio viene introdotta nella vita politica, economica e sociale e dunque nel sistema ordinamentale una visione globale della persona e della società, per cui il conseguimento del bene dei cittadini (es. istruzione, educazione, assistenza, ecc.) deve appartenersi anzitutto a chi è più vicino alle persone, ai loro bisogni e alle loro risorse. La sussidiarietà opera in senso orizzontale e in senso verticale. a) La sussidiarietà in senso orizzontale riguarda il rapporto tra azione privata e poteri pubblici (ex art. 118 Cost) 43. Il principio delimita e protegge la sfera dell’autonomia dei privati dall’intervento pubblico, che ha ragione di svolgersi quando determinate esigenze non sono realizzabili attraverso l’azione dei privati. Il potere pubblico deve sostenere l’azione dei privati e dei corpi intermedi e intervenire solo quando gli scopi perseguiti non siano assolvibili dai privati e dai corpi sociali ovvero siano meglio realizzabili dal potere sovrano.
ove si consideri che, nella maggioranza delle ipotesi, la residenza comune è cessata, quanto meno dal momento in cui i coniugi, in occasione della domanda di separazione, sono stati autorizzati a vivere separatamente, sicché non è ravvisabile alcun collegamento fra i coniugi e il tribunale individuato dalla norma (Corte cost. 23-5-2008, n. 169). 41 Il rispetto degli obblighi internazionali non può essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quella già predisposta nell’ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa. Di conseguenza, il confronto fra tutela prevista nella Convenzione e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione della garanzia, concetto nel quale deve essere compreso il necessario bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, cioè con altre norme costituzionali che a loro volta garantiscono diritti fondamentali che potrebbero essere incisi dall’espansione di una singola tutela; tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca; la tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro (Corte cost. 28-11-2012, n. 264). 42 Fondamentale è l’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII (1891), cui faceva seguito l’enciclica Quadragesimo Anno di Pio XI (1931). Successivamente altre encicliche riprendevano il medesimo criterio. In tale ottica, l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società è quello di aiutare in maniera suppletiva (subsidium) le membra del corpo sociale (c.d. corpi intermedi tra cittadino e stato), non già distruggerle e assorbirle: lo Stato non deve privare queste “società di ordine inferiore” delle loro competenze, ma piuttosto sostenerle – anche finanziariamente – e al massimo coordinare il loro intervento con quello degli altri corpi intermedi. 43 Nel senso orizzontale (c.d. sussidiarietà orizzontale), il principio ha trovato applicazione interna specie con la riforma dell’art. 1184 Cost., ad opera della L. cost. 18.10.2001, n. 3, secondo cui Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
Tende anche a diffondersi una c.d. sussidiarietà circolare per valorizzare l’azione del terzo settore (privato sociale) attraverso una cittadinanza attiva in grado di sostenere il welfare per quelle attività di solidarietà che i privati riescono a svolgere più efficacemente dei poteri pubblici. Un’applicazione precipua di tale modello di sussidiarietà si ha in materia di famiglia, prevedendo l’art. 31 Cost. che la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Inoltre l’art. 33 Carta dir. fond. U.E. garantisce la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale. A fronte di tale sussidiarietà dei pubblici poterei verso la famiglia, è peraltro in corso un’ampia area di sussidiarietà della famiglia verso le giovani coppie che non sono in grado di fare fronte alle esigenze delle nuove famiglie costituite. Anche con riguardo all’istruzione, dopo la previsione che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi, si stabilisce che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, attribuite per concorso (art. 34 Cost.). b) La sussidiarietà in senso verticale riguarda la ripartizione dei poteri tra le diverse istituzioni, e impegna anche i poteri sostitutivi del Governo (ex art. 120 Cost.) 44. La correlazione con il principio di adeguatezza (di cui innanzi) comporta che, se l’ente territoriale cui è affidata una funzione amministrativa per essere più vicino al cittadino amministrato non ha la struttura organizzativa per rendere il servizio, questa funzione deve essere attribuita all’entità amministrativa territoriale superiore adeguata. Il principio funziona anche come raccordo tra la supremazia dell’Europa nei confronti degli Stati e il presidio di sovranità degli Stati nei confronti dell’Europa: è contenuto tra i principi fondamentali dell’Unione europea (art. 53 TUE), in virtù del quale “nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione” 45.
9. Lo stato sociale di diritto e l’ordine pubblico interno e internazionale. – All’esito del percorso condotto è possibile fissare le fondamentali coordinate dell’assetto di Stato che attraversano il diritto privato della contemporaneità. Alcune si legano alla matrice politico-culturale dell’illuminismo settecentesco, che elaborò a partire dal ’700 un insieme di principi fondamentali di garanzia dei diritti del cittadino, connotati dalla egua 44 Nel senso verticale (c.d. sussidiarietà verticale) il principio ha trovato applicazione interna specie con la riforma dell’art. 120 Cost., ad opera della L. cost. 18.10.2001, n. 3, secondo cui, nel fissare le materie in cui il Governo può sostituirsi ad organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni (tra l’altro per mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria), la legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione. 45 Si è anche parlato di sussidiarietà verticale c.d. ascendente, ricorrendosi all’immagine dell’ascensore per risultare il principio in grado sia di limitare la competenza degli Stati quando la relativa azione non si riveli in grado di raggiungere un obiettivo del Trattato, sia di limitare la competenza delle istituzioni europee quando l’azione degli Stati emerga come idonea a raggiungere gli obiettivi europei, con la conseguenza di dovere ricercare in concreto l’equilibrio tra i due possibili sensi vettoriali.
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glianza e dalla legalità (c.d. Stato di diritto). Altre si legano alle carte costituzionali del ’900, che tendono a colmare le diversità di fatto, ponendo la persona umana al centro dell’organizzazione sociale e dell’ordinamento giuridico, con una vocazione interventista e solidarista (c.d. Stato sociale o Welfare State). a) Il modello generalmente accolto dalle moderne democrazie, e fatto proprio dalla nostra Costituzione, è quello dello Stato sociale di diritto, nel quale, a difesa della dignità della persona umana, sono accolti entrambi gli ordini di valori (seppure con gradazioni diversificate). È la nuova stagione dei “diritti umani”, espressi da diritti civili (inviolabili) e diritti sociali (da realizzare) che trovano tutela sinergica e complementare nella edificazione della “dignità umana”. A tale modello giuridico è ormai ispirato anche l’ordinamento europeo, che da tempo sta evolvendo verso una regolazione coerente e solidale delle relazioni sociali, indirizzando bisogni e risorse verso uno “sviluppo equilibrato e sostenibile”. La dimensione dello “Stato di diritto” involge il terreno dei c.d. diritti civili, considerati inviolabili da parte sia dei poteri pubblici che dei privati (art. 2 Cost.) (es. diritti di libertà di pensiero, di fede religiosa, di professione politica, di riunirsi e associarsi, ecc.: artt. 13 ss. Cost.). Connesso con tali valori è il principio di libertà in campo economico, nei limiti fissati dalla Carta cost. (artt. 41, 42 e 43). Correlato è il principio di eguaglianza (c.d. eguaglianza formale), collocato tra i principi fondamentali della Costituzione (art. 31 Cost.), per cui tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge 46. La dimensione dello “Stato sociale” (Welfare State) involge i c.d. diritti sociali , quali pretese verso i poteri pubblici di prestazioni in grado di colmare le limitazioni in fatto della personalità (es. diritti al lavoro, alla salute, allo studio e al gratuito patrocinio per i non abbienti, ecc.) (c.d. diritti pretensivi). È una dimensione proiettata verso 46 Il funzionamento dello Stato di diritto è presidiato da più principi. C’è innanzi tutto il principio di legalità, per cui tutti sono soggetti alla legge. La “legalità” è oggi un concetto ampio che include l’intero ordinamento giuridico, con all’apice la Costituzione e il diritto europeo. Il rispetto della legalità è un essenziale e irrinunciabile presidio della libertà individuale, oltre che essere garanzia di ordine sociale. Anche i giudici sono soggetti soltanto alla legge (art. 101 Cost.): la giurisdizione si attua mediante il giusto processo, caratterizzato dalla terzietà del giudice (art. 111 Cost.); connesso è il diritto di difesa, per cui a tutti è consentito agire in giudizio per la tutela dei diritti: il diritto di difesa è inviolabile (art. 24 Cost.). I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione (art. 972 Cost.): contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa (artt. 97 e 1131 Cost.). Per la XVIII disp. trans. Cost. la Costituzione dovrà essere fedelmente osservata da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato come “legge fondamentale della Repubblica”. Ad evitare abusi dei pubblici poteri opera il principio della divisione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario): le rispettive funzioni sono attribuite a istituzioni separate, con norme che segnano l’equilibrio tra i poteri. Alla Corte cost. spetta il giudizio di legittimità delle leggi e quello sui conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato e su quelli tra Stato e Regioni e tra Regioni (art. 134 Cost.). Altro principio è la certezza del diritto, riferito non solo alla esistenza del diritto ma anche alla sua applicazione (principio di effettività), secondo lo svolgimento del sistema operante (di cui si è detto). Operano inoltre principi democratici nella organizzazione della vita pubblica, con la partecipazione di tutti i cittadini alle scelte politiche mediante un sistema di democrazia rappresentativa. Suggello dell’impianto di democraticità, pubblicità e trasparenza della pubblica amministrazione e stimolo di efficacia e efficienza della relativa azione è la previsione del diritto di accesso ai documenti amministrativi (L. 241/1990) e il nuovo accesso civico a dati e documenti con diffusione di informazioni (D.Lgs. 33/2013 e 97/2016), che rafforza il controllo dell’attività pubblica e dunque il rapporto tra cittadino e P.A.
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
una valutazione delle appartenenze socio-economiche dei soggetti, in funzione della realizzazione della personalità, conformata sul dovere di solidarietà, nei rapporti dei privati con i poteri pubblici come nei rapporti tra i privati. Secondo il fondamentale precetto del co. 2 dell’art. 3 Cost., è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto il pieno sviluppo della persona umana 47. b) I principi indicati segnano anche il c.d. ordine pubblico inderogabile 48. Tradizionalmente sono maturate due dicotomie costruttive dell’ordine pubblico: una di ordine pubblico materiale, come quiete pubblica e pace sociale, e un’altra di ordine pubblico ideale, quale complesso di principi sui quali si fonda la convivenza civile (si parla così di un ordine pubblico economico, un ordine pubblico sociale, ecc.). Entrambe le dicotomie sono intrecciate da una ulteriore dicotomia che ha riguardo alla organizzazione istituzionale con la quale l’ordine pubblico (materiale e ideale) è conseguito: un ordine pubblico statico come democrazia centralista, connotata da un potere monolitico e di vertice, e un ordine pubblico dinamico quale democrazia aperta, caratterizzata da pluralismo sociale e istituzionale. Si tende a ritenere che l’ordine pubblico interno sia un limite all’autonomia privata, indicato dalle norme imperative di diritto interno (es. illiceità del contratto ex artt. 1343 e 1418); mentre l’ordine pubblico internazionale rappresenti un criterio di preclusione all’applicazione di una norma straniera (art. 16 L. 218/1995) o di una sentenza straniera (art. 64, lett. g, L. 218/1995), ispirato ad esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’ordinamento (I, 3.12). È in corso un articolato percorso di erosione del divario verso la formazione di un unitario reticolo di ordine pubblico (interno e internazionale) nutrito dei diritti umani, essenzialmente desumibili dalla Carta costituzionale, dai Trattati dell’U.E., dalla Carta dir. fond. U.E. e dalla Convenzione Edu 49, e forgiato dal diritto vivente 50. In tale pro 47 Nella dimensione pubblica, strumentali all’attuazione dei diritti sociali sono i doveri verso lo Stato e la società, a cominciare dalla fedeltà tributaria, per cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva, secondo criteri di progressività (art. 53 Cost.) e di sopportabilità della pressione; ogni cittadino ha il dovere di svolgere un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art. 42 Cost.). Nella dimensione privata, l’agire individuale dei soggetti è contrassegnato da limiti e obblighi per assicurarne la compatibilità con l’utilità sociale (significativamente sul terreno economico gli artt. 41 e 42 Cost.). Lo stato sociale rappresenta la più rilevante istituzione umana e giuridica del secondo dopoguerra che ha sostenuto la stessa coesione sociale, perciò da valutare e promuovere come collante essenziale della vita democratica. 48 Rimane sempre efficace la definizione data da Karl Binding dell’ordine pubblico come “Rumpelkammer von Begriffen”, ripostiglio di concetti. 49 L’ordine pubblico è ricostruito come sistema di tutele approntate a livello sovraordinato rispetto a quello della legislazione primaria, sicché occorre far riferimento alla Costituzione e, dopo il trattato di Lisbona, alle garanzie approntate ai diritti fondamentali dalla Carta di Nizza, elevata a livello dei trattati fondativi dell’Unione europea dall’art. 6 TUE (Cass. 21-1-2013, n. 1302). Vedi anche Cass., sez. un., 5-7-2017, n. 16601; Cass. 15-6-2017, n. 14878. 50 In tema di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l’ordine pubblico, richiesta dagli art. 64 ss. L. 218/1995, deve essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nelle disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, la cui opera di sintesi e ricom-
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spettiva è possibile delineare più versanti dell’ordine pubblico: come presidio delle libertà e della dignità della persona umana, a garanzia di inviolabilità e a supporto di realizzazione (ordine pubblico personalista in senso stretto); come limite fondamentale alla organizzazione istituzionale, costituendo il metodo democratico come limite all’azione dei singoli e dei gruppi (ordine pubblico politico o istituzionale); come connotato della vita economica e sociale, atteggiandosi la struttura concorrenziale del mercato e la protezione di fasce sociali deboli come limiti all’iniziativa economica e all’esercizio dell’autonomia contrattuale (ordine pubblico economico e di protezione). Trattando del diritto internazionale privato, si è visto dei limiti frapposti dall’ordine pubblico all’ingresso di norme straniere (I, 3.12). Anche lo stato di cittadinanza sta evolvendo: dalla sembianza di appartenenza allo stato-nazione 51 alla condizione inclusiva e relazionale con una comunità socio-politica, con connotazioni multietniche e multiculturali 52. È il volto nuovo della cittadinanza, che si atteggia come cittadinanza costituzionale per additare le prerogative e le implicazioni della relazionalità civile, come base di coesione comunitaria. Con la pluralità delle fonti del diritto e la tutela dei diritti fondamentali ha assunto rilevanza anche la “cittadinanza europea” secondo una sequenza di cerchi concentrici e di partecipazione ad un ordinamento multilivello (art. 20 TFUE). Si delinea uno spazio pubblico dove acquistano importanza le identità delle persone e assumono rilevanza i bisogni e le istanze di ciascuno: sono le facce diverse e intrecciate del costituzionalismo moderno, che ripone nel rispetto e sostegno della dignità umana la sintesi delle prerogative della persona umana. Sullo sfondo c’è la generale preoccupazione per il modello di vita lasciato in eredità alle generazioni future: il riscaldamento globale, il cambiamento climatico, l’insicurezza della vita quotidiana, la precarizzazione del lavoro, la marginalità economica e politica di interi territori e strati sociali, le interazioni con culture e bisogni portati dalla emigrazione sono fattori che devono orientare i valori ordinatori delle moderne società complesse, non solo con politiche istituzionali nazionali ma anche attraverso una governance internazionale. Come la famiglia intercetta più generazioni, forgiando le responsabilità verso i nuovi nati, anche la società deve fruire del mondo nella prospettiva e nella responsabilità di preservarlo vivibile per chi verrà. Come le famiglie intercettano più generazioni, forgiando le responsabilità verso i nuovi nati, anche le società devono fruire del mondo in una prospettiva di futuro, modellando le responsabilità di preservarlo vivibile per chi verrà.
posizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozioni di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico (Cass., sez. un., 8-5-2019, n. 12193). V. anche Cass. 11-11-2014, n. 24001; Cass. 22-8-2013, n. 19405. 51 Lo stato di cittadinanza (l’antico status civitatis) è stato tradizionalmente regolato in ragione del relativo acquisto (R.D. 15.11.1865, n. 2602 e R.D. 9.7.1939, n. 1238), considerandosi l’appartenenza allo Stato una condizione di soggezione all’autorità statale e di titolarità di diritti civili e politici nella comunità statale; il c.c. 1865 si apriva con la disciplina della cittadinanza; successivamente v. L.13.6.1912, n. 555, sulla cittadinanza italiana, reg. esec. R.D. 2.8.1912, n. 949; e ancora L. 5.2.1992, n. 91, reg. esec. D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572; art. 32 D.L. 21.6.2013, n. 69, conv. L. 9.8.2013. 52 L’attribuzione di diritti civili e sociali al cittadino (art. 16 disp. prel. c.c.) non esclude che anche il non cittadino (straniero o apolide) goda dei diritti umani, indipendentemente da un rapporto di reciprocità con gli stati di provenienza: è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità (art. 18 TFUE); possono assumersi provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, le disabilità, l’età o l’orientamento sessuale (art. 19 TFUE).
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PARTE II – CATEGORIE GENERALI
PARTE III
TUTELA DEI DIRITTI
CAPITOLO 1
TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI Sommario: 1. Tutela effettiva dei diritti e giurisdizione. – 2. I principi della giustizia civile. – 3. Processo di cognizione. – 4. Processo di esecuzione. – 5. Procedimenti speciali. – 6. Volontaria giurisdizione. – 7. Azione di classe (procedimenti collettivi). – 8. Il diritto processuale uniforme. – 9. Le Corti europee. – 10. La tutela rimediale.
1. Tutela effettiva dei diritti e giurisdizione. – L’ordinamento si caratterizza per un generale principio di effettività, dovendo essere in grado di garantire la conoscenza e l’applicazione delle norme giuridiche. Se la società è sorretta dal diritto, la salvaguardia del diritto diventa essenziale per la coesione della società; e la salvaguardia del diritto è assicurata dalla giurisdizione. Agli istituti di diritto sostanziale (o materiale) che riconoscono diritti e impongono obblighi, si connettono meccanismi di diritto strumentale (o formale), che consentono l’attuazione giudiziaria nel caso in cui i diritti non siano rispettati ovvero gli obblighi non siano osservati 1. 1 Il codice civile colloca nel libro sesto, dedicato alla “Tutela dei diritti” (artt. 2643 ss.), più normative che in vario modo hanno un qualche riguardo alla tutela dei diritti, senza organicità di trattazione ma tenute insieme dal labile filo della unitaria prospettiva protettiva. Per la Relaz. cod. civ., n. 1065: “Tutti i diritti soggettivi, seppur variamente secondo la loro varia natura e le varie possibili contingenze, richiedono infatti una protezione, che sarà più o meno intensa, più o meno affidata o condizionata alla iniziativa delle parti interessate, ma senza della quale la loro efficacia o il loro vigore pratico si dissolverebbe o rimarrebbe esposto ad offese senza rimedio”. È una riunione forzosa di discipline che si svolgono lungo due fondamentali traiettorie. Una è dedicata alla vita dei diritti soggettivi e il relativo esercizio: trovano cosi collocazione la normativa sulla trascrizione (artt. 2643-2696), come meccanismo di tutela dei diritti verso i terzi, con particolare riguardo alla soluzione dei conflitti tra diritti incompatibili; la normativa su prescrizione e decadenza (artt. 2934-2969), che ha riguardo alla durata dei diritti e in genere alla dimensione temporale dei fenomeni giuridici; la normativa relativa alla responsabilità patrimoniale del debitore e le cause di prelazione (artt. 2740-2906), che in realtà disciplina le garanzie del credito. Un’altra ha riguardo alla tutela giurisdizionale dei diritti (artt. 2907-2933): trovano colloca-
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PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI
Al centro del complesso sistema di tutela si colloca la giurisdizione 2. Il portato dello stato moderno è nell’attribuire allo stato, non solo il potere legislativo ma anche quello giurisdizionale come essenziale attributo della sovranità statale, funzionale alla realizzazione del diritto oggettivo. La procedura di delibazione delle sentenze straniere finisce con il nazionalizzare le stesse rendendole coerenti con i principi fondamentali dell’ordinamento. Il monopolio statale della giurisdizione ha comportato anche che i giudici siano dipendenti dello Stato 3. Ha trovato rara applicazione l’art. 102 Cost. di previsione della partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia (i c.d. laici). La tutela giurisdizionale dei diritti comporta un sistema di diritto processuale (formale o strumentale) che opera quando le norme sostanziali siano violate e dunque le situazioni soggettive lese o anche solo contestate, con funzione di tutela (e reintegrazione) di queste. La progressiva emersione di interessi considerati “meritevoli di tutela” alla stregua dei valori costituzionali e del diritto europeo, anche se non formalmente espressi in specifici diritti soggettivi, dilata fortemente il terreno della tutela giurisdizionale. Talvolta è proprio la natura del rimedio apprestato dall’ordinamento per la protezione dell’interesse leso a evidenziare la rilevanza accordata dall’ordinamento al singolo interesse 4. Più di recente anche la giurisdizione è vista come servizio pubblico volto alla soluzione delle controversie secondo il dispiegarsi dei bisogni e degli interessi dei cittadini in una società pluralista e personalista. Questa mutata concezione della giurisdizione comporta che l’impegno riformatore sia sempre più orientato a soddisfare la efficienza del sistema giudiziario utilizzato dagli utenti. È il fondamentale principio della effettività della tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost., per cui il processo deve realizzare le utizione le norme sulla efficacia dei provvedimenti come “usciti” dal processo e altre norme relative alle prove (artt. 2697-2739), con un intreccio di profili sostanziali ad altri processuali. 2 Il termine “giurisdizione” deriva dal latino iurisdictio, composto di ius (diritto) e dicere (dire) ed indica la funzione del giudice di applicare la legge, individuando la regola di diritto da applicare al caso concreto. 3 Rilevava MORTARA (1910): sia che il potere di amministrare la giustizia si facesse derivare da consacrazione divina, o fosse privilegio della casta sacerdotale, od inerente al dominio territoriale, sempre l’analisi della giustizia ci conduce nelle varie epoche passate a trovarne l’ultimo fondamento nel principio dell’autorità del sovrano o della casata dominatrice; solamente quando cominciò a prevalere il principio della uguaglianza giuridica degli uomini si intravide che la funzione della giustizia si connetteva ad un potere sovrano organizzato e funzionante mediante il concorso ed il riconoscimento dei cittadini. Ma l’A. continuava di non farsi “soverchio ottimismo” del mutato assetto giudiziario, in quanto “uomini ignoranti o corruttibili, o solo mediocri o negligenti, potrebbero occupare ora, come occuparono nei tempi antichi, i seggi delle giustizia, e fare strazio di questa, o cadere in gravi errori, talvolta purtroppo senza rimedio”. 4 Una fondamentale dicotomia, di origine romanistica, ha tradizionalmente pervaso la tutela dei diritti in ragione della natura del diritto vantato: l’a c t i o i n r e m è emersa a difesa dei diritti reali, cioè di quei diritti che assicurano un potere immediato sulla cosa (res), per poi estendersi alla difesa dei diritti della persona per l’immediatezza che li caratterizza, esercitabile verso tutti (diritti assoluti); l’a c t i o i n p e r s o n a m riguarda la difesa verso un determinato soggetto tenuto ad uno specifico comportamento, perciò diretta contro la persona dell’obbligato (diritti relativi). Più di recente la originaria accezione si è scolorita, per la emersione di una logica di t u t e l a r i m e d i a l e che mira a ristabilire il bene giuridico protetto indipendentemente dalla natura assoluta o relativa della situazione giuridica che lo sostiene: l’actio in rem tende alla reintegrazione del diritto violato (es. la reintegra del posto di lavoro da parte del lavoratore ingiustamente licenziato); viceversa l’actio in personam mira all’ottenimento di un equivalente dell’interesse leso (es. risarcimento di una somma di danaro per la lesione subita). Si vedrà come una clausola generale di responsabilità civile (art. 2043) attraversi ormai entrambe le tutele.
CAP. 1 – TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI
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lità riconosciute dall’ordinamento 5. È un’idea che attraversa tutti i processi, al fine di assicurare effettività di protezione 6. Sussistono principi fondamentali sulla giurisdizione, pervasi dalle idee dello stato moderno correlate con la legalità costituzionale ed europea, di seguito analizzati. a) Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi: la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (art. 242 Cost.); sono assicurati ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione (art. 243 Cost.). b) Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.): la individuazione del giudice della singola controversia deve cioè essere preventivamente e oggettivamente determinata dalla legge. c) I giudici sono soggetti soltanto alla legge e la giustizia è amministrata in nome del popolo (art. 101 Cost.). La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere (art. 104 Cost.). d) La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge (art. 1111 Cost.): ogni processo deve cioè svolgersi nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti al giudice terzo e imparziale (c.d. terzietà del giudice), in una ragionevole durata 7. La correttezza del procedimento dovrebbe tendere ad una sentenza giusta. e) I provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati (c.d. obbligo della motivazione) (art. 1115 Cost.). Il rispetto di tale principio è essenziale per il controllo del corretto esercizio della giurisdizione. La giurisdizione è essenzialmente ripartita in due forme: quella ordinaria (giustizia civile e penale) e quella amministrativa (giustizia amministrativa). Per l’art. 113 Cost., contro gli atti della pubblica amministrazione (di seguito P.A.) è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi della giurisdizione 5 Secondo la felice indicazione di CHIOVENDA (1934) “Il processo, per quanto possibile, deve dare praticamente a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello che ha diritto di conseguire alla stregua del diritto sostanziale”, così realizzandosi il bene della vita congiunto alla composizione della controversia: è il trapasso dalla procedura civile al diritto processuale civile. 6 Per l’art. 1 cod. proc. amm. “la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”. Così la giustizia amministrativa è evoluta da sistema tradizionalmente impugnatorio dell’atto (imperniato sulla struttura dell’atto) a sistema valutativo della funzione e degli interessi coinvolti (assumendo la veste di giudice della funzione amministrativa). In tale direzione si sta muovendo anche la giurisdizione tributaria che tende sempre maggiormente a valorizzare il rapporto tributario oltre la tipologia degli atti impositivi. 7 Secondo l’art. 6 della Conv. Edu, resa esecutiva con L. 26.10.1955, n. 848, ogni persona ha diritto ad un processo equo, che si svolge attraverso un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta. La L. 24.3.2001, n. 89 (c.d. legge Pinto), prevede un’equa riparazione per irragionevole durata del processo. Per costante orientamento della Suprema Corte l’ambito della equa valutazione della riparazione è segnato dal rispetto della Conv. Edu per come essa vive nelle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cass. 17-6-2009, n. 14069), con applicazione dunque anche al periodo antecedente alla L. 89/2001 (Cass. 17-6-2009, n. 14087). Anche gli enti personificati (oltre che le persone fisiche) hanno il diritto di ottenere la riparazione dei danni non patrimoniali (Cass. 12-3-2020, n. 7034; Cass. 15-6-2005, n. 12854). L’obbligazione all’indennizzo per l’irragionevole durata del processo insorge autonomamente per ciascuna parte del giudizio “presupposto”, sicché nel giudizio di equa riparazione non si dà eventualmente luogo a litisconsorzio necessario, bensì a litisconsorzio facoltativo (Cass. 12-3-2020, n. 7031).
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ordinaria o amministrativa. Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali; possono solo istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie (art. 1022 Cost.). La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e in altre fissate dalla legge; i tribunali militari hanno giurisdizione per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate (art. 103 Cost.). La giurisdizione tributaria rientra tra le giurisdizioni speciali ed è organizzata in Commissioni tributarie provinciali e regionali (D.Lgs. 31.12.19992, n. 545). La giurisdizione ordinaria (civile e penale) opera quando è leso un diritto soggettivo ovvero altra situazione giuridica soggettiva (es. il possesso) o comunque un interesse giuridicamente protetto, così del singolo che della collettività; sono tutelati in sede penale quegli interessi la cui tutela involge una ragione di allarme sociale, sicché è interesse generale che siano protetti. Si è visto peraltro come esista un terreno di diritto comune patrimoniale nel quale la pubblica amministrazione opera iure privatorum, secondo un criterio di parità con i privati (I, 2.12), e perciò soggetta alla giurisdizione ordinaria 8. Alla giustizia civile si avrà specifico riguardo in seguito. La giurisdizione amministrativa opera, di regola, a tutela di posizioni giuridiche soggettive di interesse legittimo (II, 3.9), lese dall’attività esercitata dalla pubblica amministrazione iure imperii, quale autorità titolare di poteri autoritativi attribuiti dalla legge per la realizzazione di interessi generali (art. 103 Cost.): si collega di regola alla violazione di norme di azione 9. Il giudice amministrativo conosce dei diritti soggettivi nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva per materia, indipendentemente dalla natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio 10; inoltre conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte 8 La L. 20.3.1865, n. 2248, All. E (legge sul contenzioso amministrativo), attribuisce alla giurisdizione ordinaria anche tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione (art. 2); quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, ma l’atto amministrativo potrà essere revocato o modificato solo dall’autorità amministrativa, che si conformerà al giudicato dei tribunali in quanto riguarda il caso deciso (art. 4). Di fronte a un atto della P.A. che lede un diritto soggettivo, il giudice ordinario può sempre accertare l’illegittimità dell’atto amministrativo e disapplicarlo nell’ambito del giudizio in corso e, se convenuta la P.A., condannare la stessa al risarcimento del danno. 9 Con D.Lgs. 2.7.2010, n. 104, è stato approvato il “codice del processo amministrativo”, che ha operato un riordino del processo amministrativo: la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo (art. 1); attua i principi della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo attraverso una ragionevole durata del processo (art. 2). I tribunali amministrativi regionali (T.A.R.) decidono sui ricorsi contro atti e provvedimenti della P.A. illegittimi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge. Contro le sentenze dei tribunali amministrativi è ammesso ricorso al Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale. In tale prospettiva un interesse legittimo può essere leso solo da un atto della P.A.; invece un diritto soggettivo può essere leso sia dai privati che dalla P.A. 10 Ad es., il D.Lgs. 31.3.1998, n. 80, e la L. 21.7.2000, n. 205, hanno devoluto alla giurisdizione esclusiva amministrativa le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla L. 14.11.1995, n. 481; le controversie inerenti gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia. La Corte cost. (sent. 6-7-2004, n. 204) ha però nuovamente ristretto i confini della giurisdizione del giudice amministrativo, affermando che l’attribuzione di una giurisdizione esclusiva secondo “blocchi di materie” è in contrasto con l’art. 108 Cost. che si riferisce a “materie particolari” connotate da un intreccio tra situazioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo. Sul fronte opposto, ad es., il D.Lgs. 30.3.2001, n. 165, in conseguenza dell’avvenuta privatizzazione del
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le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale; restano riservate all’autorità giudiziaria ordinaria le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio, e la risoluzione dell’incidente di falso (art. 8). Nel contesto delineatosi risulta sempre meno giustificata la differenziazione di giurisdizione.
2. I principi della giustizia civile. – Con il codice di procedura civile del 1942 si realizza un “rafforzamento dell’autorità del giudice” (così la Relaz. al Re) nel quadro di una costruzione del processo civile quale mezzo di attuazione della legge nel caso concreto. Il diritto processuale civile indica la serie di regole sul come procedere giudiziariamente per conseguire la tutela dei diritti: il codice di procedura civile regola la struttura del processo, i poteri degli organi giudiziari, le posizioni processuali delle parti, la scansione delle fasi processuali e le modalità di articolazione delle prove. Le forme processuali, quando non sono meramente sterili o piegate a scopi di potere, rappresentano essenziali garanzie di tutela dei diritti. Il processo è organizzato attraverso più gradi di giurisdizione, al fine di consentire un riesame della questione decisa dal giudice per primo adito. Giudici di primo grado sono il tribunale (ordinario) e il giudice di pace; l’appello avverso le sentenze dei primi giudici si propongono, rispettivamente, alla Corte di appello e al tribunale nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunziato la sentenza (art. 341 c.p.c.) 11. Le sentenze pronunziate in grado d’appello o in unico grado sono impugnabili con ricorso alla Corte di Cassazione (art. 360 c.p.c.) 12. Con il D.Lgs. 40/2006 è valorizzata e resa più incisiva la funzione di nomofilachia della Cassazione 13 (II, 7.7). rapporto di impiego, ha devoluto al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. La L. 205/2000, sulla scorta di Cass., sez. un., 22-7-1999, n. 500, ha attribuito al giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, il potere di disporre il risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica. Tale disposizione è stata ritenuta dalla indicata sentenza n. 204/2004 della Corte cost. compatibile con il sistema di riparto della giurisdizione delineato dalla carta costituzionale in quanto il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova “materia” bensì uno strumento di tutela ulteriore rispetto a quello classico demolitorio, atto a rendere effettiva la tutela del cittadino nei confronti della P.A. È caduta la c.d. “pregiudiziale amministrativa”, per cui è ammessa la tutela risarcitoria per lesione degli interessi legittimi anche senza preventivo ricorso alla tutela demolitoria, con l’annullamento dell’atto lesivo. 11 Per l’art. 3393 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. 2.2.2006, n. 40, le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità ai sensi dell’art. 1132 c.p.c. sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia. 12 Si è precisato che il ricorso in Cassazione è manifestamente infondato e dunque va rigettato se la decisione di merito impugnata si presenta conforme alla giurisprudenza della Corte e il ricorso non prospetta argomenti per modificarla (Cass., sez. un., 6-9-2010, n. 19051). 13 Le modifiche apportate dal D.Lgs. 40/2006 introducono due importanti novità, in grado di incidere fortemente sulla organizzazione delle fonti del diritto e della giurisdizione: la impugnabilità in Cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e di contratti e accordi collettivi di lavoro conferisce a questi ultimi una natura giuridica normativa (di antica memoria) che si rivela non coerente con la configurazione dell’autonomia collettiva nella Carta costituzionale; inoltre la impugnabilità della sentenza per una deficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio finisce con l’estendere la conoscenza della Cassazione al merito del giudizio.
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Nel quadro dei valori generali sulla giurisdizione (di cui sopra) vanno delineati i principi specifici ed essenziali della giurisdizione civile. a) Tendenziale correlazione tra titolarità del potere di azione e titolarità della situazione giuridica dedotta, per cui nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui, tranne espressa previsione normativa di sostituzione processuale (art. 81 c.p.c.) (legittimazione ad agire). b) Alla disponibilità dei diritti sostanziali si connette la disponibilità della relativa tutela (principio di disponibilità della giurisdizione). c) Chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente (principio della domanda: art. 99 c.p.c.). Per l’art. 2907 c.c., alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda di parte, e, quando la legge lo dispone, anche su istanza del pubblico ministero 14. Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse (interesse ad agire: art. 100 c.p.c.) 15, cioè avere bisogno di tutela giurisdizionale; ma è fatto divieto dell’abuso del processo 16. Per stare in giudizio è necessario avere la capacità processuale 17. L’onere della prova grava su chi invoca i fatti a fondamento delle proprie ragioni (art. 2697) (III, 2.1). d) Salvo che la legge disponga diversamente, il giudice non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa (principio del contraddittorio ex art. 1011 c.p.c.); per l’art. 1112 Cost. “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti al giudice terzo e imparziale; la legge ne assicura la ragionevole durata”. È una espressione del già rilevato, fondamentale, diritto di difesa (art. 242 Cost.). Il principio del contraddittorio riguarda, non solo il rapporto tra le parti del giudizio, ma anche il rapporto tra le parti e il giudice, per cui il giudice, se vuole porre a fondamento della decisione una que14
Il pubblico ministero esercita l’azione civile nei soli casi stabiliti dalla legge (art. 69 c.p.c.). Interviene, a pena di nullità rilevabile di ufficio, nelle cause che egli stesso potrebbe proporre; nelle cause matrimoniali, comprese quelle di separazione personale dei coniugi; nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone; negli altri casi previsti dalla legge; in ogni causa davanti alla Corte di Cassazione; in ogni altra causa in cui ravvisa un pubblico interesse (art. 70 c.p.c.). Nel giudizio promosso ex art. 67 L. 218/1995, avente per oggetto il riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero e un cittadino italiano, il Pubblico ministero riveste la qualità di litisconsorte necessario, in applicazione dell’art. 701, n. 3, c.p.c., ma è privo della legittimazione a impugnare, non essendo titolare del potere di azione, neppure ai fini dell’osservanza delle leggi di ordine pubblico (Cass., sez. un., 8-5-2019, n. 12193). 15 Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui (art. 81 c.p.c.): è cioè necessario che sussista la legittimazione ad agire, così nel lato attivo (attore è il soggetto che si dichiara titolare del diritto leso o contestato), che nel lato passivo (convenuto è il soggetto che si afferma violare o contestare il diritto sostanziale). Un’ipotesi di sostituzione processuale si ha con riguardo all’azione surrogatoria (art. 2900) (VII, 5.6). 16 Per Cass., sez. un., 15-11-2007, n. 23726, è contraria alla regola generale di correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e si risolve in abuso del processo (ostativo all’esame della domanda) il frazionamento giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito unitario. 17 Per l’art. 75 c.p.c. sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che si fanno valere; diversamente possono stare in giudizio se rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità. Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto; le associazioni e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate nello statuto ai sensi degli artt. 36 ss. Inoltre le parti non possono stare in giudizio senza il patrocinio (ministero o assistenza) di un difensore, salvo diversa previsione espressa (art. 82 c.p.c.).
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