Dacia Maraini. Per un nuovo lessico della letteratura e del teatro

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Dacia Maraini. Per un nuovo lessico della letteratura e del teatro

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Indice

LAURA FORTINI

Dacia Maraini: la felicità della scrittura e la forza della parola. Per un nuovo lessico della letteratura e del teatro

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LAURA MARIANI

Ripensare Dacia Maraini donna di teatro

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NADIA SEITI

Dacia Maraini, drammaturga femminista. Invenzione e revisione delle personagge teatrali

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CLAUDIO GIOVANARDI

Sulla lingua del teatro di Dacia Maraini

61

GIORGINA PI

Pensieri a margine del Dialogo di una prostituta con il suo cliente. Alcune note per uno studio drammaturgico

75

LAURA IAMuRRI

Una fotografa per il femminismo e per il teatro: Agnese De Donato

81

GRETA BOLDORINI

Gli anni del Teatro La Maddalena nelle fotografie di Agnese De Donato

89

HANNA SERKOWSKA

L'io nella storia: rileggendo Bagheria

101

Dacia Maraini

6

MoNICAVENTURINI «La forza assoluta di un gesto». Sulla scrittura giornalistica di Dacia Maraini

111

LUISA RlCALDONE

Maraini e le altre: a proposito della fame

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Appendice Una passione per le domande, di Dacia Maraini e Paolo Di Paolo

145

Indice dei nomi e dei luoghi

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LAURA FORTINI

Dacia Maraini: la f eticità della scrittura e la forza della parola. Per un nuovo lessico della letteratura e del teatro

La vastissima produzione letteraria di Dacia Maraini dal 1962, data del suo esordio compiuto con La vacanza, arriva ai nostri giorni e guarda al futuro con determinazione e fiducia nelle sue possibilità, nonostante i tempi incerti, nonostante le difficoltà del presente. Festeggiamo con questo volume la scrittrice, la drammaturga, la giornalista, la femminista e donna di cultura e impegno politico, che tanto ha fatto per la cultura italiana rappresentata in innumerevoli incontri e situazioni in tutto il mondo, dalle università agli istituti di cultura, dalle biblioteche, librerie, centri culturali ai gruppi di lettura di donne e uomini. 1 È infatti ora e tempo di un nuovo lessico della letteratura e del teatro in cui le scrittrici, le drammaturghe, le poete, le giornaliste come Dacia Maraini trovino il loro posto insieme alle altre forme delle scritture a firma di donne: la vasta produzione letteraria di Dacia Maraini per il tanto, tantissimo che ci ha donato è la dimostrazione più efficace di come il canone letterario e teatrale, e tutto il canone cultura-

1. Una documentata rappresentazione della vita di Dacia Maraini è di Paolo Di Paolo, Eugenio Murrali, Cronologia, in Dacia Maraini, Romanzi e racconti, a cura di Iid., Milano, Mondadori, 2021, pp. XLill-XCill. Innumerevoli i volumi in forma di intervista a lei dedicati, fra tutti il riferimento è a Dacia Maraini, Ho sognato una stazione. Gli affetti, i valori, le passioni, conversazione con Paolo Di Paolo, Roma, Laterza, 2005; Dacia Maraini, Eugenio Mmrali, Il sogno del teatro. Cronaca di una passione, prefazione di Dario Fo, Milano, Rizzoli, 2013; fino al recente Joseph Farrell, Dacia Maraini, La mia vita Le mie battaglie, Pisa, Della Porta Editori, 2015. Fondamentale Federica Depaolis Walter Scancarello, Dacia lvfaraini. Bibliogrqfia delle opere e della critica (1953-2014). Una prima ricognizione, con una nota di Attilio Mauro Caproni, saggi di Paolo Di Paolo e Eugenio Mmrali, Pisa, Bibliografia e Informazione, 2015, che insieme al Meridiano Maraini, Romanzi e racconti, costituisce riferimento imprescindibile.

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le della tradizione occidentale nel suo complesso siano ormai da ripensare e da rivoluzionare in modo fermo e certo.2 Molte sono infatti le categorie critiche che possiamo rideclinare a partire dalla sua scrittura e ne traccerò alcune, sostenuta in questo dai saggi contenuti in questo volume e dal contributo della critica letteraria femminista per come si è espressa e andata costituendo in questi ultimi decenni. 3

1. Divenire donne e uomini

La voce delle ragazze protagoniste dei romanzi di Dacia Maraini ci viene incontro fin dagli esordi di La vacanza del 1962, che Alberto Moravia accompagnò con Una prefazione in forma di lettera in cui osservò che: questo personaggio di adolescente è la cosa migliore del romanzo, la tua più felice e complessa invenzione. Essa parla in prima persona e tuttavia non conosciamo i suoi pensieri perché, probabilmente, non li conosce lei stessa, cioè non li pensa. 4 2. La collocazione internazionale delle opere di Dacia Maraini è evidente, ad esempio, da Dacia Marami, Belowul Writing. Fifty Year.s- of Engagement, a cura di Michelangelo La Luna, Rovereto, LiSTn Lab, 2016, traduzioni in inglese di testi antologici di Dacia Maraini in Wl progetto complessivo di edizione delle opere in inglese della scrittrice con il titolo Writing like Breating, in più volumi, su cui si veda Writing lik:e Breating. Racconti, romanzo, poesia. Sessant'anni di letteratura. Dacia Maraini, a cura di Michelangelo La Looa, Roma, Albatros, 2021. Ma si wole qui ricordare a titolo esemplificativo il volume Curiosa di mestiere. Saggi su Dacia Maraini, a cura di Manuela Bertone e Barbara Meazzi, Pisa, ETS, 2017, testimonianza recente dell'affetto e del riconoscimento internazionale per Maraini e le sue opere, grazie all'ampio spettro di contributi provenienti dagli Stati Uniti alla Spagna, dalla Francia alla Germania, e anche dall'Italia; così anche il volume Le tante traduzioni dell'opera di Dacia Marami, a cura di Dagmar Reichardt, Berlin et al., Peter Lang, 2023. 3. Su cui a titolo introduttivo Laura Fortini, Critica femminista e critica letteraria: il contributo della Società Italiana delle Letterate, in Critica clandestina? Studi letterarifemministi in Italia, a cura di Maria Serena Sapegno, Ilenia De Bemardis, Annalisa Perrotta, Roma, Sapienza Università Editrice, 2017,pp. 47-58, e più ampiamente tutto il volume, openaccess al sito: https://www.editricesapienza.it/node./7696; Laura Fortini, Alessandra Pigli~ Rivoluziontla in SIIAabario. Corlflitti e rivoluzioni di femminismi e letteratwa, a cura di Giuliana Misserville, Rita Svandrlik, Laura Marzi, Roma, Iacobelli, 2022, pp. 129-146. 4. Alberto Moravia, Prefazione in forma di lettera, in Dacia Maraini, La vacanza, Milano, Lerici, 1962, pp. 7-13, p. 12; presente in questa edizione, da cui si cita, ma non nel volume Marami, Romanzi e racconti, in quanto si è optato per l edizione 1998: si veda la nota di Eugenio Murrali, Notizie sui testi, in Marami, Romanzi e racconti, pp. 1679-1725, pp. 1681-1686; la prefazione di Moravia è riportata in parte alle pp. 1682-1683. 2

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Si tratta di un personaggio che ha la «singolare capacità di essere al tempo stesso dentro e fuori le situazioni»/ ed effettivamente è così: la ragazzina di nome Anna, che è protagonista e voce narrante del romanzo, parla in prima persona fin dalla pagina di esordio, guardando al mondo da una posizione particolare, abbracciata alla schiena del padre sul sellino della motocicletta che sta trasportando lei e il fratello più piccolo in vacanza. Il suo sguardo a rebours è preludio di quanto narrato poi, ovvero il difficile passaggio dall'infanzia al divenire ragazze e quindi donne, e anche uomini però. Perché la narrazione dal punto di vista di lei è specola per guardare al mondo delle donne come degli uomini, sia esso il padre Murmuri, i ragazzini con cui fa gruppo il fratello Giovanni, i suoi coetanei come Arnaldo che è costretto ad andare alla guerra dalla coscrizione di Salò, fino ad arrivare a uomini più grandi in relazione ai quali lo sguardo è impietoso. Divenire uomini è infatti un percorso che Maraini tratteggia nelle sue componenti di crudele e malmostosa competizione virile, microcosmo speculare a ciò che sta avvenendo nel macrocosmo del tempo storico in cui la narrazione si colloca, ovvero il periodo della conclusione della seconda guerra mondiale. In una località balneare vicino Roma su cui passano gli aerei americani diretti sulla capitale, Anna, undicenne, es spia le donne adulte cercando di carpire il segreto della loro avvenenza, della loro ipotetica e sognata libertà, di contro a un mondo che, anch'esso, non sa che cosa sia la libertà e fatica ad apprenderlo, avvinto da un fascismo esistenziale oltre che politico. La stessa apparente inconsapevolezza è nel romanzo immediatamente successivo L'età del malessere, del 1963,7 ma continuamente ritratteggiata e negoziata nel corso del complesso percorso del divenire donna: in Enrica, voce narrante protagonista, è evidente il malessere dell'essere donne così come la tradizione patriarcale determina da tempo immemorabile. Al tempo stesso però è altrettanto in divenire la consapevolezza crescente della necessità di cambiare la propria vita, divenendo donne altre e diverse dalle precedenti: a partire dalle stesse madri, con il loro carico infinito di stanchezza e fatica del vivere, insieme alla loro speranza di una vita diversa 5. Moravia, Prefazione informa di lettera, p. 12. 6. Nell,edizione del 1998, mentre in quella del 1962 è quattordicenne: si vedaMurrali, Notizie sui testi, p. 1683. 7. Dacia Maraini,L 'età del malessere, Torino, Einaudi, 1996 (prima ed. 1963), anche per la nota dell, autrice.

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per le figlie. Enrica pensa al destino e alla sorte della madre con queste parole: «mi parve di vedere me al suo posto, con un uomo seduto al posto di papà e una cucina identica a questa, con gli stessi odori e gli stessi gesti. Ne provai sgomento». 8 I diciassette anni di Enrica sono infatti assai distanti dai cinquantasette della madre, che la incita a studiare e poco riesce a capire della vita della figlia, tra ragazzi e uomini diversi che si prendono gioco della sua giovinezza e che al tempo stesso sono «ingoffati», termine che ritorna sovente nella narrazione, 9 non solo dai vestiti da cui cercano di liberarsi per fare l'amore, ma soprattutto da vestiti mentali, identitari, che nulla lasciano alla determinazione di sé, donne e anche uomini. La descrizione dell'aborto clandestino, per mano di un'ostetrica che lo effettua nella propria casa, 10 è da antologia per la capacità di descrivere come vi si arrivi per mancanza di consapevolezza sia maschile («E poi in fondo è colpa tua: se non ci pensa la donna, chi deve farlo per lei?»),11 che femminile, preannunciando quel richiamo all'autodeterminazione che Enrica si conquista da sé ma che sarà poi giustamente rivendicato collettivamente dal movimento femminista degli anni Settanta. La conclusione del romanzo è preannunciata dalla consapevolezza che «È una vita idiota, senza senso mi dissi. - Dovrò cercarmi un lavoro e una vita diversa, fuori di qui». 12 Ed è al tempo stesso aperta: L'estate è vicina pensai e presto comincerà per me una nuova vita. Ma intanto dovevo rassegnarmi a tornare alla villa. E il giorno dopo mi sarei alzata all' alba per cercare un impiego.13

Si tratta di un percorso presente già nella Cosima di Deledda, pubblicato nel 1936, 14 come nel gruppo decéspediano di Nessuno torna indietro, 8. lvi, p. 39. 9. lvi, p. 23, a titolo di esempio: «Facemmo atramore con furia, ingoffati dai cappotti e dai vestiti». O altrimenti, dopo la morte della madre, cercando di immaginarla bambina: «Era una bambina esile, ingoffata in un grembiule turchino, con le gambe sporche di fango, che giocava da sola con le pietre. Ma quella ero io. La mamma doveva essere diversa. Non sapevo immaginarla», ivi, p. 61. 10. lvi, pp. 111-128. 11. lvi, p. 89. 12. lvi, p. 172. 13. lvi, p. 195. 14. Laura Fortini, Diventare donne, diventare scrittrici nel primo Novecento italiano, inR romanzo del divenire. Un Bildungsroman delle donne?, a cura di Paola Bono e Laura Fortini, Roma, lacobelli, 2007, pp. 34-59.

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del 1939, 15 e che risuona pure se con accenti diversi nelle scritture di Virginia Woolf: Katherine Mansfield e molte altre, come osserva Simone de Beauvoir in una pagina delle sue Mémoires d'une jeune fille rangée ancora nel 1958, in cui ricorda come, nella sofferenza del sentirsi ai margini, la lettura di The Mill on the Floss di George Eliot fosse stata per lei riflesso dell'immagine del suo esilio: 16 ben diversa la voce autobiografica di Simone de Beauvoir per status e possibilità economiche dall'Enrica di Maraini, ma simile a lei per il disagio esistenziale; tutta di Maraini però l'incisività della rappresentazione del disagio di sentirsi differente per sesso e per classe sociale, ancora oggi vividamente contemporanea. Dacia Maraini ha infatti indagato con continuità come si diviene donne in tutte le sue varie fasi, dall'adolescenza all'età matura. Si tratta di processo che ha connotazioni diverse sia dal Bildugsroman che dai romanzi di formazione della tradizione letteraria occidentale, rispetto alle quali la critica letteraria femminista ha messo in evidenza quanto e come il crescere sia diverso nelle modalità di rappresentazione sia per quanto concerne le opere di scrittrici e scrittori, che per le loro personagge e personaggi. Adriana Chemello ha osservato a questo proposito come siano: Troppe le variabili che rendono poco assimilabile il modello "maschile,, alla difforme funzione storica e sociale del "femmlnHe,, e del suo percorso formativo. Più pertinente e più aderente alla realtà della produzione letteraria di donne mi sembra la denominazione bachtiniana di "romanzo di educazione,, e in particolare di "romanzo del divenire,'. 17

Nel romanzo del divenire a prevalere è l'immagine cangiante della protagonista e i suoi cambiamenti: i romanzi di Dacia Maraini già dai primi esordi sono opere in cui il corpo è fin da subito un corpo di donna che cresce e che cambia, imparando a divenire donna in modo diverso da come la tradizione lo ha prefigurato. Si può quindi con ragione osservare come più che di romanzi di formazione nel senso classico della parola, essi siano romanzi di deformazione e svuotamento radicale del 15. Ead., uNessuno torna indietro" di Alba de Céspedes, in Letteratura italiana. Le Opere, IV,RNovecento, 2,Laricerca letteraria, dir. daAlbertoAsorRosa, Torino, Einaudi, 1996, pp. 137-166. 16. Simone de Beauvoir, Memorie d'tma ragazza perbene, trad. it. di Bnmo Fonzi, Torino, Einaudi, 1978 (ed. or. Paris, Gallimard, 1958; prima ed. it. 1960), p. 144. 17. Adriana Chemello, Una Bildung senza roman. Donne in divenire, in R romanzo del divenire, pp.14-33, in part. p.16; ma si veda tutto il volume nel suo insieme.

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modello patriarcale con cui le donne sono state rappresentate nel corso di millenni, a vantaggio di una costruzione di soggettività continuamente in divenire. Romanzi in cui le altre si affacciano piano piano, progressivamente: è da sottolineare l'assenza della figura materna nelle opere d'esordio, perché sia Anna di La vacanza che l'Enrica di L'età del malessere sono o divengono orfane nel corso della narrazione. E così anche lo è la Teresa protagonista di Memorie di una ladra, 18 romanzo nel quale cominciano ad apparire figure di donne che sembrano prefigurare possibilità di condivisione di quanto appare destino già determinato, come con le amiche libertine, le derelitte dell'ospedale psichiatrico o le altre carcerate, a volte anche di mutuo soccorso come nel caso dell'infermiera del manicomio che la aiuta in più occasioni. Non che le vicende che la personaggia Teresa si trova a vivere attraversando la fame, la guerra e il dopoguerra non abbiano anche come comprimarie quelle che lei stessa definisce «donne incattivite», 19 ma si tratta di donne incattivite, appunto, dalla miseria e la povertà. 2. Diversamente epiche

Le personagge di Dacia Maraini risultano così diversamente epiche rispondenti alle parole chiave "eroina" "impresa" ''mondo" ' ' Sarasini per' quello che' 20 individuate da Paola Bono e Bia "spostamento", non si presenta come una flessione al femminile di un genere da sempre celebrativo di eroi e popoli, ma che ha altre proprie caratteristiche. Difficile infatti definire nei termini classici Teresa la ladra un'eroina, ma la sua vicenda memoriale, che riattraversa i cinquantatré anni della sua vita passando tra innumerevoli peripezie, è però specchio dell'Italia del tempo e si rappresenta come diversamente epica perché ha i caratteri dell'impresa del vivere, del farsi mondo in un mondo ostile insieme ad altre e altri e a volte nonostante altre e altri, dello spostamento come rappresentativo della 18. DaciaMaraini, 1.\lemorie di tma ladra, Milano, Bompiani, 1972, ora in Ead., Romanzi e racconti, pp. 315-613, da cui si cita, nota al testo ivi, pp. 1692-1696. 19. Ivi, p. 394. 20. Paola Bono, Bia Sarasini, Introduzione, in Epiche. Altre imprese, altre narrazioni, a cura di Ead., Roma, Iacobelli, 2014, pp. 7-27, in part. p. 7; si rimanda all'introduzione per l'analisi del termine critico e del dibattito a ciò dedicato dai Wu Ming con bibliografia di riferimento, e a tutto il volume nel suo insieme.

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migrazione interna in un paese che non offriva prospettive: come altrimenti si potrebbe definire la sua vicenda tra fame, bombardamenti, manicomi e carceri sparsi in tutto il territorio? Esemplare a questo proposito il viaggio che Teresa compie per portare beni di prima necessità e soprattutto viveri al suo uomo in carcere in Sardegna, a Isarenas Ardus, dove arriva dopo aver preso la nave, un taxi perché non c'è mezzo pubblico che vi arrivi, un chilometro e mezzo di strada bianca fatta a piedi perché la strada è troppo dissestata e l'autista si rifiuta di procedere; infine le scarpe si rompono ma Teresa pure se a piedi nudi non demorde, anche se riesce a vedere il suo amato solo per pochi minuti perché il regolamento carcerario è inesorabile.21 Antesignana di moderne epigone dello spostamento, che sia quello da un carcere all'altro raccontato da Anna Negri,22 o altrimenti quello di esilio e migrazione di cui ha scritto Lidia Curti, 23 corrispondenti a quanto scrivono Bono e Sarasini: Quale mondo raccontano, le cantatrici dell'epica femminile? Le eroine agiscono, si spostano, fanno imprese. Della guerra raccontano l'orrore, guardano con cuore dolente e coraggioso perdite e lutti, affrontano con determinazione e meravigliata scoperta la vita nuova che possono costruirsi fuori dal matrimonio, dal destino prestabilito. Raccontano con lo stesso empito del poeta cieco le imprese della nascita e della morte, della vita tutta. 24

Anche quando esse attraversano il presente degli anni Settanta del Novecento come nel diario di Donna in guerra, che ha inizio il primo agosto 1970 e si conclude in data 15 dicembre dello stesso anno. L'io narrante è una donna e lo si capisce subito dopo che Giacinto, nel cui nome ha inizio la narrazione, va a pescare: «Giacinto è andato a pescare» e «Ha l'aria di un ragazzo indeciso e solitario». 25 Subito dopo l'io narrante, di cui non sappiamo né il nome né il sesso fa le seguenti cose: Mi sono vestita. Ho pulito la casa. Ho messo a posto il baule, tirando fuori la roba per la pesca: tute di gomma, fucili, arpioni, coltelli, maschere, boccagli, pinne, e una griglia per cuocere il pesce. Quando ho finito erano le dodici. 21. Marami, Memorie di tma ladr~ pp. 529-530. 22. Su cui Laura Fortini, Un altro epos: scrittrici del Novecento italiano, in Epiche. Altre imprese altre narrazioni, pp. 28-54, pp. 51-52. 23. Lidia Curti, Dal fondo del tempo. Epiche di esilio e migrazione, in Epiche. Altre imprese altre narrazioni, pp. 99-132. 24. Bono, Sarasini, Introduzione, p. 25. 25. DaciaMaraini, Donna in guerra, Torino, Einaudi, 1975, p. 3.

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Avevo ancora da preparare i peperoni ripieni. Dovevo pulire l'insalata. Mi facevano male le gambe. E avevo una fitta ai reni. Mi sono buttata su una sedia a sdraio in cortile, la testa ali' ombra, le gambe al sole. Mi sono addormentata. Ho sognato che una talpa scavava un tunnel nel mio ventre. Mi sono svegliata con una fitta, un dolore sordo e fondo. Qualcosa di caldo mi bagnava le cosce. Ho cacciato una mano sotto la gonna L'ho ritirata macchiata di sangue. Ho respirato a fondo per vincere quel senso di tensione al ventre. Non avevo voglia di alzarmi. Ho lasciato che il sangue colasse, dolce, tiepido. Dovrò lavare la tela della sedia, mi dicevo. Dovrò strofinarla col sapone. Dovrò metterla ad asciugare. Dopo. Non avevo voglia di mettermi in piedi. Ho chiuso gli occhi. Il sole batteva vischioso e bruciante sulle gambe nude. 26

La descrizione puntigliosamente esatta del lavoro di cura del vivente qualifica la voce narrante come evidentemente femminile, sia per quanto riguarda il ruolo sociale che il corpo, grazie alla matericità del ciclo mestruale. Vi sono tutti i presupposti per cui si sia una donna in guerra, ma le righe conclusive del diario della giornata invece, dirazzano da quel che noi, lettrici e lettori a quasi cinquanta anni di distanza, ci aspetteremmo: Così comincia la mia vacanza: un rivolo di sangue benefico, la gioia di stare all'aperto, l'odore pungente del basilico. La scuola è lontana. Giacinto tornerà più tardi coi pesci. La casa è in ordine. Le camicie da stirare, il sugo da preparare, le pentole da pulire, sono rimandati a stasera. Ora non voglio pensare a niente. Sono contenta. 27

Da tutto questo sappiamo molto: la quotidianità ripetitiva della donna, l'assenza maschile, il lavoro a scuola - scopriremo poi che insegna - e il suo stato di apparente contentezza che viene però progressivamente messo in dubbio dalle successive pagine del diario, in cui prendono corpo e spessore le vicine rumorose e maleducate di contro alle donne amichevoli che incontra al mercato dove va a fare la spesa, prima Tota poi Giottina, che lavora in una lavanderia situata in una grotta; nello scambio di battute tra le due emerge il nome della voce narrante, Giovanna, Vannina in forma diminutiva;28 e poi l'isola dove sono in vacanza, che si intuisce essere nell'arcipelago napoletano, Napoli e Roma sullo sfondo; il rapporto con Giacinto, fatto di incontri frettolosi e poco soddisfacenti; la scuola a Zagarolo, triste, e molti altri personaggi tra cui Santino, con cui Giacinto 26.lbidem. 27. Ivi, p. 4. 28. Ivi, p. 10.

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sembrerebbe avere un rapporto omosessuale non chiaro neppure a sé stesso. Significativo un dialogo tra una donna di nome Suna che fa notare a Vanoioa che è innamorata del dovere più che di Giacinto e le chiede che cosa pensi di ciò. Vaooioa annota nel suo diario: Niente. Non pensavo niente. Non sapevo che rispondere. Quello che dice Giacinto lo faccio mio. Non mi è venuto in mente di contraddirlo. Penso che è migliore di me, che ha ragione, che lo amo, che quello che dice ha valore per tutti e due. 29

Varie questioni sono presenti nella narrazione: i movimenti degli anni Settanta, i gruppi e l'affacciarsi del terrorismo nell'episodio del direttore del carcere, le differenze di classe intrecciate alla differenza uomo-donna e alle differenze nei rapporti tra gli stessi uomini e tra le donne. Il romanzo è specchio di una generazione che si affaccia al mondo inconsapevole e che lo diviene anche a prezzo della propria vita, fotografando così un passaggio importante della storia italiana. Su tutto il personaggio di V annina, che non ne è solo narratrice nel suo diario, ma che attraversa molte vicissitudini a loro modo diversamente epiche: l'essere rimasta incinta senza volerlo del marito Giacinto, il suicidio dell'amica Suna, un episodio nella scuola elementare di Centocelle dove è stata trasferita in cui viene mimata una violenza sessuale, la decisione di abortire e di andare a vivere a casa di una collega, ritenuta eccentrica dagli altri colleghi. Quando il marito la va a prendere a scuola e si dichiara pronto a riaccoglierla a casa se ritorna la Vannioa di una volta, lei gli chiude il portone in faccia e scrive: «Ora sono sola e ho tutto da ricominciare».30 Occorre molto coraggio per essere diverse dagli eroi ecostruire il mondo a partire da sé, come fa la voce narrante di Donna in guerra, andandosene infine e abbandonando la città in fiamme del patriarcato. Quell'io che sono una donna che prorompe sulla scena del Novecento europeo con Virginia W oolf abita infatti le opere di Maraini attraversando generi e stili diversi, dalla scrittura degli esordi apparentemente realista - così la definì Moravia, ma si trattava di un realismo tutto suo particolare - alla forma diario, una delle più care alle scrittrici e a Marami, come ricorda anche in Amata scrittura.31 Si tratta di una donna protagonista del proprio presente e 29. lvi> p. 90. 30. Ivi> p. 269. 31. Dacia Mariani> Amata scrittura. Laboratorio di analisi, lettw-e, proposte, conversazioni> testi raccolti e curati da Viviana Rosi e Maria Pia Simonetti> Milano, Rizzoli> 2015 (prima ed. 2000), p. 103.

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tesa al futuro, ma non per questo senza antecedenti né genealogia, a partire da quella fondativa, l'essere figlia e figlia di madre come di padre. Con entrambi la corresponsività è stata forma dialogica che ha assunto i tratti della felicità mentale,32 nella forma del riattraversamento del diario giapponese della madre TopaziaAlliatanegli anni 1938-1941, con la quale l'io narrante della voce autoriale interloquisce in La nave per Kobe, e così facendo riattraversa la propria infanzia di «bambinalontana»,33 che ha «perso per sempre quel corpo che nelle fotografie appare così reale, così nitido e consistente»,34 e che ora invece abita un corpo ferito dal tempo. Ma ciò non è d'impedimento, anzi, nel tessere la multiforme tela fatta di parole e immagini dell'amore della e per l'adoratamadre, di cui fanno parte le tracce della nonna paterna Yoi e della nonna materna Sonia, la nascita della sorella Yuld e poi della sorella Toni; e prima ancora la genealogia fondativa, quella della storia, riattraversata e ripercorsa poi ne La lunga vita di Marianna Ucrìa, al cui proposito Maraini scrive che «Ai racconti di mia madre sulla vita a villa Valguamera quando lei era piccola e pullulava di ragazzi (i cugini di primo grado e i cugini di secondo grado), mi sono ispirata per la descrizione della vita di Marianna Ucria e dei suoi fratelli, due secoli prima».35 E così anche nei dialoghi immaginari con il padre Fosco in n gioco dell'universo, in cui sono «citati testi inediti - appunti su taccuini, diari, poesie -che Fosco Maraini ha lasciato alla figlia Dacia»,36 proprio come per i taccuini della madre Topazia Alliata, anch'essi consegnati alla figlia Dacia dal padre. 37 Nel volume si alternano grafie diverse, a sottolineare differenze profonde ma non per questo incomunicanti, anzi: dal 1937, data di inizio dei taccuini, le osservazioni della voce narrante, ancora una volta autoriale, sono infatti sostanzialmente autobiografiche. Dacia Maraini osserva amorevolmente il padre molto amato, cogliendone tratti distintivi, riflessioni, portandoci lei stessa per mano nella vita di un «Fosco giovanissimo, appena venticinquenne con tutta la vita davanti».38 Niente immagini né foto, se non quelle descritte a parole 32. Il rinvio, anche in forma di omaggio, è a Maria Corti, La felicità mentale. Nuove prospettive per Cavalcanti e Dante, Torino, Einaudi, 1983, ed. poi accresciuta 2003. 33. Dacia Maraini, La nave per Kobe. Diari giapponesi di mia madre., Milano, Rizzo-li, 2017 (prima ed. 2001), p. 7. 34.lbidem. 35. Ivi, p. 83. 36. Dacia Maraini, Fosco Maraini, R gioco dell'universo. Dialoghi immaginari tra un padre e una.figlia, Milano, Mondadori, 2007, nota al testo, p. 6. 37. Maraini,La nave per Kobe, p. 7. 38. Marami, Maraini,Jl gioco dell'universo, p. 58.

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dall'album mentale dei ricordi e delle foto di famiglia, qui non riprodotte, quasi a sottolineare l'importanza delle relazioni fatte di parole che accompagnano il divenire del giovane uomo lucido e gentile anziano, fino all'ultimo. Parole che sono: Le etimologie. Altra passione di Fosco, Che miha trasmesso pari pari.Anch'io mi porto appresso vocabolari etimologici di varia forma e natura, Li tengo negli scaffali più a portata di mano: è un modo semplice e rapido per capire meglio la lingua che parli. Ho imparato a usarlo quotidianamente scrivendo Marianna Ucrìa. Mi ero messa in testa di non adoperare mai una parola che fosse nata dopo il 1780. E così, a ogni dubbio, consultavo lo Zingarelli e alla fine avevo imparato molte cose sulle parole italiane, la loro origine, il loro uso, e anche le metamorfosi che subivano nel tempo, passando a volte da un significato ad un altro magari decisamente opposto.39

3. Una continua opera di re-visione e riscrittura

Nonostante la fatica del concludere di cui scrive Maraini nelle ultime pagine dei suoi dialoghi immaginari con il padre, in La grande festa Maraini si volge proprio alla metamorfosi che le persone amate che non vi sono più subiscono nei sogni e nel ricordo: la sorella Yuki, il figlio perduto ancora in grembo, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Maria Callas, Giuseppe, il suo compagno, in una continua opera di riscrittura degli affetti che si dispongono così in forma di festa della memoria, dei «tanti cari morti nel giardino dei pensieri lontani»;40 e anche di ritorno al mito e alle canzoni antiche della cultura popolare, perché «solo le storie sono capaci di colmare gli squarci di del dolore. Solo le storie ci aiutano a sopravvivere ai nostri morti»;n Risale agli anni Settanta un bellissimo saggio di Adrienne Rich dall'evocativo titolo Quando noi morti ci destiamo: la scrittura come revisione,42 in cui la famosa e importante poeta, saggista e docente universitaria statunitense, intervenendo durante il prestigioso convegno annuale 39. lvi:t p. 166. 40. ~ L a grande/e.sta> Milano, Mondador~ 2018 (prima ed. 2011), p. 191. 41. Ivi:t p. 34. 42. AdrienneRich, Quando noi morti ci ridestiamo: la scritttua come re-visione (1971):t in Ead.:t Segreti silenzi bugie. Il mondo comune delle donne> trad. it di Roberta Mazzoni, Milano> La Tartaruga, 1982 (ed. or. NewYodc, W. W. Norton& Company, 1979), pp. 23-42.

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della Modem Language Association a una tavola rotonda dedicata - si era nel 1971 ! - a La donna che scrive nel ventesimo secolo, osservava come «l'atto di guardarsi indietro, di vedere con occhi nuovi, di affrontare un vecchio testo con una nuova disponibilità critica» è «per le donne più di un capitolo di storia culturale»: «è un atto di sopravvivenza». 43 Parole definitive e precursore di quanto avvenuto nei cinquanta anni successivi, al punto che si potrebbe osservare oggi come l'opera di riscrittura di donne del mito e della tradizione a opera delle scrittrici e della critica abbia riportato alla vita opere e personagge altrimenti destinate all'oblio e che si sarebbe potute definire morte, ridestate grazie all'atto di amore che ne è stato alla radice. Che ha un carattere anche visionario, come opportunamente osservato da Paola Bono nella introduzione a un volume collettaneo dedicato nel 2011 alle riscritture d 'amore,44 in cui ripercorrendo i punti fermi di quel saggio seminale nota come si tratti di «una soggettività agente che guarda "in modo differente", in una operazione critica che si iscrive nei testi del passato e li risignifica», con «un investimento creativo che non modifica solo il singolo testo, ma inserendovi nuovi fili ritesse con effetti liberatori l'intera rete "canonica", aprendo la strada a interventi successivi». 45 Si tratta di un'operazione che nelle opere di Dacia Maraini ha acquisito i tratti di una complessiva riscrittura degli affetti, coniugata alla re-visione della tradizione culturale tutta, classica e moderna, che va dal mito in testi teatrali come, uno tra tutti, I sogni di Clitennestra, del 1978;46 a personagge storiche fin da Suor Juana, atto unico del 1979,47 dedicato alla poeta messicana suor Juana Inés de la Cruz, in cui la riscrittura è evidente nelle citazioni a testo dalla sua autobiografia già dall'esordio della personaggia Juana che legge la lettera scritta a suor Filotea de la Cruz datata Messico, primo marzo 1691,48 che diviene azione scenica dell'esame che la suora venne chiamata a sostenere a Corte: modo per dare corpo alla personaggia e alle poesie da lei 43. Ivi> p. 25. 44. Paola Bono., Passeggiate re-visionarie. Riscritture e invenzioni d'amore> in Riscritture d'amore., a cura di Ead.., Rom~ Iacobell~ 20lt pp. 7-53. Il volume ha origine., come molti altri., da un seminario estivo residenziale della Società Italiana delle Letterate> questo svoltosi a Frascat~ r 11-13 giugno 201 O. 45. Ivi> p. 8. 46. In Dacia Mar~ Fare teatro 1966-2000., 2 voll.., Milano> Rizzo~ 2000> t pp. 619-670. 47. Ivi> pp. 675-696. 48. Ivi> p. 678.

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scritte e proseguire poi la narrazione fino alla sua morte. Opera di riscrittura storica che prosegue poi con Maria stuarda, che inaugura gli anni Ottanta:49 tra i più rappresentati dei suoi testi, è una riscrittura schilleriana assai interessante anche per la messa in scena di due donne di potere, in relazione però tra loro, e con le due donne rispettivamente al loro servizio, Kennedy, nutrice di Maria Stuarda, e Nanni, dama di compagnia di Elisabetta. so Allo stesso registro si possono inscrivere Donna Lionora Giacubina, del 1981,51 dedicato a Eleonora Pimentel, protagonista della rivoluzione napoletana del 1799; Norma J/4, del 1986,52 che ambienta in un campo di concentramento la riscrittura della Norma di Bellini; o, ancora, Charlotte Corday, del 1989,53 ambientato nei tre giorni che precedono la sua decapitazione dopo l'uccisione di Marat. Interessante il dialogo che avviene tra Danton e Charlotte in carcere: DANTON: Ogni progetto ha un padre ... una mente che Pha pensato, deciso. CHARLoTIE: Il mio è un progetto senza padre. Ma ha una madre: sono io. 54

Significativa anche la riscrittura teatrale di sé medesima nel caso del grande successo La lunga vita di Marianna Ucrìa, 55 nel 1991. 56 Nella versione teatrale in due atti così scrive Giacomo Camaleo a Marianna Ucria ormai a Roma: CAMALEO: è la vostra mutilazione a rendervi unica: fuori dai privilegi, no-

nostante ci siate dentro per nascita fino al collo, fuori dagli stereotipi della vostra casta, nonostante essi facciano parte della vostra stessa carne ... 57

Sono tutte personagge che nella scrittura di Maraini acquistano voce e corpo anche grazie alle loro mutilazioni, nel caso di Marianna Ucria quella non poi tanto simbolica della parola e dell'udito, potendo così riscrivere la storia a partire da loro. Come accade anche in Veronica, meretrice e 49. Ivi,, pp. 702-741. 50. Su cui diversa la lettura di Giorgio Taffon, Nella storia regine, donne sole nella vita: Maria Stuarda di Dacia Maraini,, in Id., La pagina, lo sguardo, l'azione. Esperienze drammaturgiche italiane,, Roma, Bulz~ 2019, pp. 95-103,, si vedano anche pp. 82-83, pp. 130-143. 51. Maraini,Fare teatro 1966-2000, I, pp. 825-865. 52. Ivi,, II,, pp. 131-175. 53. Ivi,, pp. 283- 325. 54. Ivi,, p. 312. 55. DaciaMaraini,, La lunga vita di Marianna Ucn'a,, Milano, Rizzoli, 1990. 56. In Ead.,,Fare teatro 1966-2000,, II, pp. 343-395. 57. Ivi,, p. 393.

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scrittora, due atti sempre del 1991,58 ironico e scintillante, con citazioni da testo dalle rime di Veronica Franco, Domenico e Maffio Venier; lo stesso in Storia di Isabella di Morra raccontata da Benedetto Croce, atto unico del 1998; 59 fino ad arrivare a J digiuni di Catarina da Siena, atto unico del 1999 ,60 che prefigura e anticipa il volume dedicato a Chiara d'Assisi, ai suoi digiuni e all'elogio della sua disubbidienza. 61 A questo proposito giustamente Laura Mariani nel suo contributo in questo volume osserva come più che ripensare Dacia Maraini nella sua qualità di donna di teatro, occorre ancora prima pensarla come tale, per la sua predilezione del teatro di parola e al tempo stesso sperimentatrice dei linguaggi di scena in tutte le loro forme, grazie a una riscrittura continua della tradizione teatrale e anche letteraria. Occorre quindi ripensare un nuovo lessico, oltre che della letteratura anche del teatro, che tenga nel giusto rilievo le drammaturghe e registe come Dacia Maraini, le attrici, le tecniche delle luci e le molte altre competenze in gioco. Lo ricorda Maraini stessa nel dialogo con Paolo Di Paolo in questo volume: si tratta di un lessico i cui lemmi hanno cominciato a delinearsi e a declinarsi già nell'esperienza del Teatro La Maddalena a Roma negli anni Settanta, ma che ha avuto moltissime altre occorrenze ed esperienze in Italia e in Europa. Laura Mariani rilegge il volume che raccoglie nel 1974 le recensioni teatrali di Dacia Maraini e il cui titolo, Fare teatro, sarà poi ripreso e fatto proprio dai due volumi che raccolgono i testi teatrali di Maraini dal 1966 al 2000, a significare quanto e come vi sia continuità tra l'essere scrittrice e critica teatrale e la drammaturgia, modalità creativa marainiana continuamente e ancora oggi potentemente attiva. Grazie ad essa il rapporto di forza, che sia esso di dominio di classe o sociale, ma sempre tra uomini e donne di tutte le età, viene scardinato da Dacia Maraini con la forza della parola e del gesto teatrale e in questo modo le sue personagge riscrivono la tradizione in modo altro e diverso: in virtù del riattraversamento del mito e delle figure di donna che ci precedono, fino ad arrivare ai passi affrettati delle vittime di violenza,62 sia 58. Ivi:t pp. 397-448. 59. Ivi:t pp. 671-706. 60. Ivi:t pp. 707-724. 61. Dacia Marami, Chiara d'Assisi. Elogio della disubbidienza, Milano, Rizzoli:t 2019 (ed. or. 2013). 62. Ead.:t Passi qffrettati. Guerre, violenze sulle donne:t Rom~ Provincia di Roma Commissione delle Elette:t 2005:t poi riedito più volte in altre vesti editoriali; e anche i racconti di Ead.:t L'amore rubato:t Milano:t Rizzoli, 2012.

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esso stupro o morte inferta, attraverso generi letterari anche diversissimi. Come quello dell'investigazione sui delitti contro le donne, protagoniste la giornalista radiofonica Michela Casanova,63 la commissaria Adele Sò:fìa,64 il maestro Nani Sapienza,65 la giornalista Amara Sironi che indaga l' abisso di Auschwitz e così si imbatte sempre e comunque nei crimini contro l'umanità e le donne, che di essa fanno parte: 66 nomi di investigatrici e investigatori che sono essi stessi riscritture, e di storie talmente fittamente intessute di riferimenti letterari da far pensare che la letteratura e il teatro, nella loro costante re-visione e conseguente rivitalizzazione, siano l'unico baluardo contro la violenza e il dramma della realtà.

4. Divenire personagge

Nella nota all'edizione 1996 de L età del malessere Dacia Maraini ha scritto: 1

Recentemente in una scuola dove avevano letto L età del malessere dei ragazzi mi hanno chiesto: ma Enrica è lei? Certo, Enrica mi assomiglia) ma nello stesso tempo è un'altra da me) lontana e sconosciuta I personaggi nascono da noi, sono carne della nostra carne, ma nello stesso tempo sono diversi da noi) sviluppano un loro carattere autonomi) un loro destino particolare. Un poco come succede con i figli che nascono da un corpo femminile) portano i segni dei caratteri dei genitori, ma poi si sviluppano in modo proprio, spesso perfino imprevedibile e imprevisto. 67 1

Analogamente Nadia Setti nel suo contributo al volume osserva a proposito delle personagge teatrali di Maraini come esse siano vive e capaci di trasformarsi e trasformare anche la realtà, decostruendo in scena il cosiddetto "destino femminile" in un divenire senza finalità immediate. Nadia Setti sottolinea come vi sia un'attenzione continua alle modalità espressive di ogni personaggia, evidenziando come si tratti di un lessico corporale, soggettivo, che mette in scena quanto fino ad allora non aveva avuto voce, come nel caso del Manifesto dal carcere del 1969, del Dialogo di una prostituta con un suo 63. 64. 65. 66. 67.

Ead.:t Voci, Milano:. Rizzoli, 1994. Ead.:t Buio. Milano. Rizzoli:t 1999. Ead.:t La bambina e il sognatore, Milano:. Rizzol~ 2015. Ead.:t R treno dell'ultima notte. Milano, Rizzoli:t 2008. Ead.:t Nota all'edizione 1996:t inL 'età del malessere. pp. 5-6. inpart. p. 6.

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cliente, di Due donne di provincia del 1978; e anche quando vi è una riscrittura teatrale come in J sogni di Clitemnestra del 1978, osserva Setti che le personagge di Maraini sono in guerra con il soggetto-modello sia del femminile come del maschile. In questo contesto il contributo di Claudio Giovanardi al volume si sofferma su commedie che vanno dal 1966 al 1997, notando come le opere degli anni Sessanta e Settanta abbiano anche linguisticamente una funzione di teatro di denuncia, mettendo in rilievo le caratteristiche di quella che Giovanardi definisce la grammatica del parlato teatrale; le opere dei decenni successivi presentano invece caratteri linguistici più colti, anche perché sovente dedicate a personaggi storici e quindi dall'eloquio più forbito, in quanto aderente alle forme di riscrittura della tradizione, arrivando, come notato da Franca Angelini,68 alle radici della cultura occidentale. Appartiene probabilmente a questa forma di riscrittura la presenza di tecnicismi messa in rilievo da Giovanardi, a conferma di scelte effettuate da Maraini orientate su fisionomie e storie diverse. Anche Giorgina Pi, nelle sue note per uno studio drammaturgico del Dialogo di una prostituta con il suo cliente che hanno accompagnato la preparazione della sua lettura nell'incontro a Roma Tre, riflette su come sia importante, nel caso del personaggio del cliente, non ridurlo a uno stereotipo e far convivere in esso coercizione e libertà, violenza e seduzione, pure se stridono continuamente. E ricorda la definizione di transitività che Laura Mariani ha usato a proposito del teatro di Dacia Maraini, sottolineando così il legame stretto tra la scena e la vita, tra le donne e la scena, che è, aggiungo io, politico nel senso proprio della parola soprattutto per come è stato declinato il termine dal movimento femminista, come del resto il teatro di cui è stata regista e drammaturga Dacia Maraini e oggi quello di Giorgina Pi dimostrano. Con Maraini, sia nella scrittura teatrale che in quella narrativa e poetica, più che eroine le protagoniste delle sue narrazioni dialogiche divengono personagge, figura critica messa a fuoco dalla Società Italiana delle Letterate grazie a Nadia Setti e Maria Vittoria Tessitore, 69 e a un convegno

68. FrancaAngelini, Dacia Maraini nel teatro degli anni Sessanta, inScrittw-a civile. Studi sull'opera di Dacia Maraint a cura di Juan Carlos de Miguel y Canuto, con un saggio inedito di Dacia Maraini, Roma, Giulio Perrone editore, 201 O, pp. 13 7-149, ma il rimando è al volume nel suo insieme, con contributi di area spagnola e italiana. 69. Nadia Setti, Personaggia, personagge, in «Altre modernità», 12 (2014), pp. 204213; Maria Vittoria Tessitore, L'invenzione della personaggia, ivi, pp. 214-219, volume

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a esse dedicato nel 2011, poi divenuto volume.70 Seppure possa apparire un neologismo, in realtà si tratta della apparentemente semplice flessione al femminile di un termine che finora è stato declinato in un neutro maschile universale, al limite nella declinazione "personaggio femminile": ma le personagge sono già esistenti nella letteratura, basta pensare a una figura come Emma Bovary, non a caso al centro di riflessioni della stessa Maraini,71 che anticipa così le riflessioni della Società Italiana delle Letterate là dove osserva, ragionando sul rapporto tra gli autori e i loro personaggi, che «perché le lettrici sono più dei lettori, poiché queste lettrici amano identificarsi con i personaggi femminili dei romanzi, succede a volte che si ingegnino a trovare, nelle eroine, qualità che in realtà esse non hanno» e «sono disposte a ogni trasformazione pur di prendere possesso di una merce così rara in letteratura: un carattere femminile forte, con una sua visibile volontà d'azione». 72 Le personagge, pur se sovente già esistenti nei miti, «nascono da narrazioni che lasciano apparire gli effetti innumerevoli della fine degli stereotipi di genere e dei cambiamenti sociali e culturali di cui sono protagonisti donne e uomini» :73 Dunque non il femm1n1le complementare del maschile, iscritto in una tradizione di genere con una precisa collocazione subalterna, ma un femm1n1le che si sottrae al patto del dominio, liberando un'energia indomabile. 74

È questo il caso di una personaggia come Marianna Ucria, opera della quale è da sottolineare la valenza di spartiacque nella narrativa della seconda metà del Novecento equivalente a quella di Il nome della rosa di Umberto Eco, ma anche delle molte moltissime altre protagoniste marainiane. La figura della personaggia, infatti, fin dagli esordi caratterizza la scrittura di Dacia Maraini, come intuito già da Renato Barili nella introduzione al open access consultabile all indirizzo https://riviste.unimi.it/index.php/AMonline/article/ 2

view/4502/4584. 70. L'invenzione delle personagge, a cura di Roberta Mazz.anti> Silvia Neonato> Bia Sarasini> Rom~ lacobelli, 2016. 71. Dacia Maraini> Cercando Emma> Milano, Rizzol~ 1993; si veda anche Ead., Introduzione, a Processo a 1.\ladame Bovary, Palermo> La L ~ 199t pp. 5-18. La fortuna della lettura critica di Emma Bovary arriva :fino a Anilda lbrahimi> Volevo essere Madame Bovary> Torino, Einaudi, 2017. 72. Maraini, Cercando Emma> pp. 8-9. 73. Sett~ Personaggia, personagge> p. 205. 74. Ivi> p. 208.

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romanzo di Dacia Maraini A memoria, del 1967, in cui il critico scrive: «Questo romanzo di Dacia Maraini è dominato da una figura femminile, da una sorta di eroina esistenziale, Maria, il cui programma di vita corrisponde da vicino a quello propugnato ed esemplificato da gran parte della migliore narrativa sperimentale contemporanea»;75 e continua però osservando come «quell'avido ricorrere alle avventure erotiche più audaci e spinte» sia «forse una segreta e quasi inconscia affermazione della femminilità stessa della scrittrice sui caratteri più freddi e raziocinanti proverbialmente appartenenti all'altro sesso», 76 che dimostra come occorrerà ancora molta critica letteraria femminista perché vi sia riconoscimento consapevole della figura della personaggia. In A memoria siamo di fronte a una narrazione che mescola generi diversi anticipando stili e generi che saranno oggetto di approfondimenti successivi, dal dialogo molto teatrale delle prime pagine, che ricorda La famiglia normale per la forma della ripetizione ossessiva, nevrotica: in questo caso però nel rapporto di coppia tra un uomo di nome Pietro e una donna, Maria, sposati da tempo (incerto il quanto tempo), ma comunque appartenenti a una famiglia e a una vita fatta di pranzi, cene, di normalità apparenti e di trasgressioni più o meno evidenti, come la presenza di giovani amanti occasionali di lei. Anche la descrizione degli ambienti e dei gesti che vi ha luogo ha molte caratteristiche teatrali, scene alle quali manca, si potrebbe osservare, solo il sipario. Vi è la forma epistolare, che però nulla conserva dell'epistolografia classica e che anticipa le Lettere a Marina, conservando volutamente l'aderenza del parlato di cui scrive Giovanardi in questo volume, coniugata alla forma diaristica della datazione, anch'essa cara a Maraini e usata per scandire narrazioni nel loro svolgimento cronologico aderente alla quotidianità, anche quella laida del ricatto sui costumi sessuali di Maria da parte della domestica Rachele. Rivelatrice della riflessione allora in corso la lirica Un romanzo, appartenente alla raccolta di poesie Crudeltà all'aria aperta, del 1966: Ho scritto un romanzo stentato e buio. La rossa età spaurita mi cavalca ancora la schiena. La mia precocità è solo apparente. Il biondo feto rannicchiato nel ventre della madre 75. Renato Barilli, Introduzione, in Dacia Maraini, A memoria> Milano, Bompiani, 1967>pp. 7-15>p.7. 76. Ivi> p. 10.

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respira l'ossigeno dal sangue suo vischioso. Ho scritto un romanzo ingenuo e duro come un sasso. Non so ancora se il chiuso ansante feto aprirà gli occhi al mondo e respirerà l'aria con le sue mani umide e dirà a voce alta una parola chiara) netta, appena munta. 77

Che il romanzo «stentato e buio» e «ingenuo e / duro come un sasso» sia A memoria o altre opere appartenenti a un decennio importante per Dacia Maraini non è poi così rilevante in questo contesto, quanto, invece, l'emergere di una personaggia che è la scrittrice, che ha scritto un romanzo che «dirà a voce/ alta una parola chiara, netta», «appena munta». Parola la cui corporeità nella clausola conclusiva rimanda alla sessuazione della parola come della scrittrice, che è evidentemente donna e che diviene personaggia, a volte anche coraggiosamente esposta allo sguardo pubblico, insieme alla sua scrittura. Come accade in Isolina, del 1985, dal significativo sottotitolo La donna tagliata a pezzi,78 in cui la voce narrante autoriale è inizialmente apparentemente assente nella prima parte dedicata a descrivere I fatti inerenti la morte violenta della diciannovenne Isolina Canuti, il cui corpo fatto a pezzi viene ritrovato a Verona il 16 gennaio 1900; ma nella seconda parte Sulle tracce di Isolina la voce narrante si esprime con una prima persona che coincide con la scrittrice e il suo lavoro di ricerca e di investigazione sulla storia di ragazza. Lo nota con la consueta magistrale proprietà Rossana Rossanda nella prefazione alla riedizione del volume nel 1992,79 dopo aver delineato in modo esatto l'orrore della storia di Isolina, il nome ormai dimenticato, anonima di fatto: «Un settembre di ottanta anni dopo, una giovane donna che invece conosce autonomia, libertà e successo, per Isolina parole inafferrabili, va a Verona in cerca della persona che era stata prima di diventare un mucchietto di reperti anatomici», so e molto 77. DaciaMaraini> Cnuleltà all'aria aperta, Milano, Feltrine~ 1966, p. 73; cfr. Niva Lorenzini, Poesia e disarmonia, in Scritttua civilll:, pp. 315-332, assumendo i riferimenti bibliografici ivi contenuti. 78. Confluisce con il solo titolo lsolina in M ~ Romanzi e racconti> pp. 615-762, nota al testo pp. 1696-1700. 79. Rossana Rossanda, Prefazione> in Dacia ~ lsolina. La donna tagliata a pen~ Milano, Rizzoli> 1992, pp. V-XII, datata «Roma, novembre 1991» e quindi di poco successiva a La lunga vita di Marianna Ucria, che infatti viene ricordata come figura altra e diversa da Isolina. 80. lvi> p. VII.

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si comprende così delle motivazioni che hanno spinto Maraini a fare del sé come scrittrice una personaggia con voce propria. A proposito della quale Rossanda osserva: Ma una ricerca che urta sul non detto e sul cancellato del tempo, diventa sulla pagina scritta storia d'una fatica interiore, d'una frustrazione. Così, partita per ridare spessore a un'immagine femminile perduta, Dacia Maraini non trova che se stessa - occhio su una realtà sfuggente, occhio riflettente il vuoto, l'angoscia di una distruzione per troppi aspetti eccessiva. 81

È un percorso che ha tappe progressive, lo evidenzia Hanna Serkowska nel suo contributo in questo volume dedicato a Bagheria, del 1993, di cui indaga le forme dell'auto-narrazione di un io autoriale che guarda al proprio passato da un presente in cui è scrittrice affermata, forte della strada già percorsa. In questo contesto Bagheria è anello che esprime il legame tra le storie raccontate precedenti e successive, osseiva Serkowska, nella ricerca del posizionamento continuamente interrogato sulla relazione con la propria genealogia, anche letteraria. Mentre la corporeità della scrittura e della scrittrice si esprime invece nelle forme della privazione, in particolar modo quelle della fame e del campo di concentramento, la cui memoria è continuamente riattraversata come fondativa della storia del Novecento in Bagheria e nelle opere di scrittrici come Edith Bruck, Teresa Noce, Luce D'Eramo e molte altre, messe a confronto da Luisa Ricaldone nel suo contributo a questo volume: emerge come sia una fame pervasiva, anche quando non si tratta di quella dei lager ma della miseria in senso proprio, di cui Maraini ha indagato diversi aspetti, sia romanzeschi che memoriali e anche storici, come nel caso dei digiuni di Chiara d'Assisi e Caterina da Siena, tornando però sempre alla scrittura come momento di liberazione e di rE'-aUzzazione, osseiva Ricaldone. Il percorso del divenire avviene anche nella forma dell'invecchiamento del corpo, come accade alla personaggia della scrittrice/autrice nel romanzo Colomba, fin dall'incipit: «Quando le chiedono come nasce un suo romanzo, la donna dai capelli corti risponde che tutto comincia con un personaggio che bussa alla sua porta. Lei apre. Il personaggio entra, si siede». 82 A seconda di come esso abita la «casa della sua immaginazione»,83 la personaggia scrittrice comprende se è venuto o meno il momento di scrivere un nuovo romanzo e ha così inizio la storia, 81.lbidem. 82. DaciaMaraini> Colomba> Milano RCS Libri> 2004 p. 9. 83. Ivi> p.10. 2

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con l'ingresso di Zaira, una montanara vestita modestamente che «ha superato l'età delle eroine da romanzo», 84 ma nonostante ciò batte «alla porta di una romanziera» :85 sta cercando di ritrovare la nipote Colomba che è sparita e nessuno le dà retta, la narratrice forse sì. Evidente in questo romanzo forse più che in altri la memoria dei personaggi pirandelliani evocati dallo scrittore anche nelle sue Novelle per un anno,86 ma siamo molto distanti dal «personaggio-uomo» così ben descritto da Giacomo Debenedetti in una famosa conferenza del 1965 :87 sebbene infatti il personaggio-uomo porti sul risvolto della giubba la placca dove sta scritto il motto araldico «Si tratta anche di te», ss come lettrici nel corso del tempo abbiamo imparato, grazie anche a scrittrici come Maraini, ad apprendere che quel «te» passa sì attraverso Proust, Joyce, Ionesco, Beckett e molti altri scrittori pure molto amati, ma anche quando dissolto in una miriade di corpuscoli è sempre un personaggio uomo che parla di loro ad altri uomini, non certo una donna né tantomeno una personaggia, ne parla la stessa Maraini nel dialogo con Paolo Di Paolo in questo volume. Le scrittrici, invece, pongono a protagoniste delle loro narrazioni donne che diventano personagge di tutte le età, da quelle bambine alle anziane, in un ventaglio di rappresentazioni delle figure femminili che hanno fame, sete e un corpo che nel corso del tempo cambia e si trasforma. Come nel caso dell'autrice dai capelli corti che rivolta al padre in una sorta di dialogo immaginario osserva che «il fatto è, papà, che tu sei morto e rimani fermo, mentre io invecchio e mi trasformo», 89 lasciando il passo sempre più al «laccio narrativo che dovrebbe tirare sempre, invece si allenta per seguire altre storie, altri incontri», 90 perché «solo le storie fermano il tempo», 91 quello della metamorfosi dei corpi e dell'invecchiare.92 84.lbidem. 85.lbidem. 86. Ricordata anche dalla scrittrice in Dacia Maraini> Sono loro a bussare alla mia porta, in L'invenzione della personaggia> pp. 74-76: risposte al questionario sulle personagge Come le racconto. Io la vedo cosl a cura di Nadia Setti, ivi, pp. 66-104. 87. Giacomo Debenedetti, Commemorazione provvisoria del personaggio-uomo, in Id.:, Rpersonaggio uomo> prefàzionedi Raffaele Manica, Milano, il Saggiatore:, 2016:,pp. 35-78. 88. Ivi> p. 36. 89. Maraini, Colomba, p. 235. 90. Ivi> p. 221. 91. Ivi> p. 294. 92. Il riferimento è a Passaggi d'età. Scrittwe e rappresentazioni> a cura di Anna Maria Crispino e Monica Luongo, Roma, Iacobelli, 2013> in particolare ai contributi di

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A partire dalla scrittura di Dacia Maraini possiamo così pensare a un lessico della letteratura e del teatro i cui lemmi sono assai diversi da quelli della tradizione e la arricchiscono: non "corpo", ma corpi di donne e uomini di tutte le età; drammaturgie, certo, ma a firma di drammaturghe e drammaturghi, così come spettatrici e spettatori abitano il suo teatro. L'ancora potentissimo Dialogo di una prostituta con il suo cliente fin dal 1973 interloquiva con il pubblico, evidenziando come fossero donne e uomini di carne e sangue ad abitare il teatro e non neutri astratti pallidi e opachi, come Laura Mulvey ci ha già a suo tempo introdotto per il cinema,93 e come ricordano Laura Iamurri e Greta Boldorini nel loro contributo sulle fotografie di Agnese De Donato negli anni del Teatro La Maddalena: il primo teatro femminista italiano che fa a meno anche del palcoscenico, come enuncia l'articolo di «effe» del dicembre 1973, corredato dalle foto di De Donato riprodotte in questo volume, che bene rendono quanto allora avveniva, tra le quinte e anche dietro, in una vivifica commistione tra personale e pubblico, della quale le foto di Agnese De Donato costituiscono un dettagliato racconto visivo, colto nella forma viva della relazionalità. La foto della libreria delle donne in cui vi è anche Dacia Maraini restituisce l'atmosfera di lavoro comune in una immagine di straordinaria eleganza, lo nota Laura Iamurri, e come quella di Dacia Maraini che percuote il tamburo nel teatro femminista di strada bene rappresenta il lavoro febbrilmente allegro delle librerie, delle riviste, dei teatri, cui tanto ha contribuito Dacia Maraini.

5. stile dialogico e corresponsività Grazie all'esperienza condivisa del gruppo del teatro femminista La Maddalena e ai testi teatrali marainiani, infatti, è avvenuta una vera e propria rivoluzione simbolica che ha posto le donne al centro del teatro, al punto che da esse è ormai impossibile prescindere, lo ricorda la stessa Maraini in questo volume e molto di ciò si deve alla sua reinvenzione del dialogo come forma drammaturgica, ricordata anche nel libro con Eugenio Luisa Ricaldone, Scrivere, ancora. Appunti sullo stile tardo, ivi, pp. 21-40;Appunti per una bibliogrqfia, a cura di Edda Melon e Luisa Ricaldone, ivi, pp. 111-118. 93. Laura Mulvey, Visual and Other Pleausures, Indiana University Press, Bloomington, 1989, trad. it. Cinema e piacere visivo, a cura di Veronica Pravadelli, Roma, Bulzoni:, 2013.

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Murrali e nella pluralità di voci diverse che lo anima. 94 Sempre presente e molto amato lo stile dialogico da Dacia Maraini, di cui costituiscono parte importante le redazioni delle riviste da lei fondate, così come il gruppo di Controparola costituitosi nel 1992: vera e propria modalità di interlocuzione attiva con il proprio tempo, su cui si sofferma il contributo di Monica Venturini in questo volume, che ricorda come il "fare gruppo" sia fondamentale per una strategia di riscrittura della storia, che sia quella del Risorgimento o quella del Novecento. Si tratta di un atteggiamento dialogico al confronto con le altre chiaro a Maraini da molto tempo, ne ha scritto anche in Bagheria a proposito degli incontri di autocoscienza descritti come «l'ossatura del movimento delle donne», 95 «l'inizio di un discorso comune sulla violenza antica del mondo dei padri».96 Riecheggia così ancora una volta la forza che emana il dialogo con Michèle Causse e Maryvonne Lapouge, nel prezioso volume di interviste dedicato alle scrittrici italiane nel 1977,97 in cui accanto a Natalia Ginzburg,Alice Ceresa, Goliarda Sapienza, Patrizia Cavalli e molte altre, ad apertura di volume vi è Dacia Maraini, definita già allora «un talent polymorphe»,98 usato « pour dénoncer tout les abus actuellement perpétrés contre les femmes». 99 Un bellissimo dialogo, come i molti altri della sua biografia culturale, a partire dal libro di interviste sull'infanzia a sua firma, 100 tutte memorabili, ma si vuole qui ricordare quelle ad Anna Maria Ortese, Rossana Rossanda e Lalla Romano.1°1 E forma felice di incontro e dialogicità continua ed ininterrotta è il prodigioso e bellissimo libro con Piera Degli Esposti,102 che Laura Mariani

94. Dacia Maraini, Eugenio Murrali, R sogno del teatro. CroMca di uMpassione, prefazione di DarioFo, Milano,Rizzoli, 2013. 95. Ead.,Bagheria, Milano, Mondadori, 1993, ora anche in Ead., Romanzi e racconti, pp. 1021-1120 (da cui si cita), p. 1052. 96. Ivi, p. 1053. , , 97. Michèle Causse, Maryvonne Lapouge, Ecrits, voix d 'ltalie, Paris, Editions des femmes, 1977, concomitante alla trjlduzione in francese di Dacia Marami, F emme en gut2rre, trad. di Michèle Causse, Paris, Editions des femmes, 1977. 98. Michèle Causse, Macyvonne Lapouge, Dacia Maraini, ivi, pp. 20-44, p. 22. 99. lvi, p. 20. 100. Dacia Maraini, E tu chi eri? Interviste su/1 'irifanzia, Milano, Bompiani, 1973 da cui si cita; Milano, Rizzoli, 1998. 101. Ivi, pp. 23-35, pp. 181-196, 215-223. 102. Dacia Maraini, Piera Degli Esposti, Storia di Piera, Milano, Bompiani, 1980.

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nel suo contributo ricorda come dialogo tra donne reali per quell'essere in relazione che è proprio del teatro. Altrettanto presente come forma dialogica lo stile epistolare, lo ricorda anche Paolo Di Paolo, dalle rivoluzionarie settantasette Lettere a Marina del 1981, 103 dedicate all'amore tra donne, di cui tra l'altro è bene ricordare la sottolineatura già allora del «vuoto storico» in cui viviamo,104 profeticamente anticipato e ancora in corso; alle sedici lettere tra una donna d'età e una bambina di Dolce per sé, 105 che in Chiara di Assisi divengono le lettere tra una studentessa siciliana di nome Chiara e la scrittrice, che in questo caso si firma proprio con la sigla «D.M.», 106 aprendo e concludendo la narrazione; e poi le lettere durante la peste del 1743 in Sicilia tra le amiche Annuzza e Agata in Trio, 101 che ragionano insieme della loro amicizia, sola certezza del loro futuro in tempi che molto ricordano la pandemia del 2020; fino ad arrivare alle lettere immaginarie a Pier Paolo Pasolini nel volume a lui dedicato. 108 Se dialogico è anche il rapporto con la tradizione letteraria, continuamente rievocata nelle opere di Dacia Maraini e da lei ricordata e ribadita proprio per la forza prospettica che essa esprime nel dialogo con Paolo Di Paolo in questo volume, costante la riflessione sulla scrittura, all'insegna del piacere di scrivere e prima ancora di leggere. 109 Altrettanto importante è ricordare la generosa forma dialogica con le opere delle altre con innumerevoli forme di accompagnamento in veste di prefazioni, postfazioni, note a sua firma, delle quali qui si ricordano a pur titolo di esempio la riproposta di Lettera aperta di Goliarda Sapienza con un suo bel ricordo 103. Dacia Marami, Lettere a Marina:, Milano, Bompiani:, 2004 (ed. or 198t poi 2000). 104. Ivi, p. 85. 105. Ead., Dolce per sé, Milano, Rizzoli:, 1987. 106. Ead., Chiara diAssisi:,P• 13, poi «DaciaM»:, p. 33. 107. Ead., Trio. Storia di due amiche, un uomo e la peste di Messina, Milano, Rizzoli:, 2020. 108. Ead., Caro Pier Paolo:, Vicenza, Neri Pozza Editore:, 2022. 109. Il riferimento, tra i molti:, è a Ead.:, Amata scrittwa, ma si veda anche R piacere della scrittura. Conversazione con Dacia Maraini, a cura di Paola Gaglianone, con un saggio critico di Maria Serena Sapegno e una nota di Aldo Rosselli:, Rom~ Omicron, 1995; Ead.:, Unafamiglia di scrittori, in Come si scrive un romanzo, a cura di Maria Teresa Serafini, Milano, Bompiani, 1996:, pp. 105-110; TheP/easure of Writing. Criticai Essays on Dacia Maraini, a cura di Rodica Diaconescu-Blumenfeld e Ada Testafefn:, West. Lafayette (Indiana), Purdue Universicy Press, 2000.

Dacia Maraini: la felicità della scrittura e la forza della parola

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della scrittrice, 110 la prefazione alla nuova edizione de Il bambino di pietra di Laudomia Bonanni,111 le pagine dedicate aAlice Ceresa. 112 Moltissime avrebbero potuto essere le parole significative utili per delineare il contributo di Dacia Maraini alla cultura del nostro tempo per questo volume, che vuole essere occasione di festa in suo onore: i termini scelti per rappresentare un percorso di vita e scrittura che non ha eguali sono stati "felicità della scrittura" e "forza della parola", perché le opere di Maraini fin dall'esordio hanno una voce femminile talmente potente e prorompente che possiamo con certezza affermare che la sua produzione letteraria ha i caratteri della ricerca di un tempo futuro sul quale sporgersi a partire da un presente in continuo divenire, sempre. Per questo sguardo e molto altro, grande è la gratitudine nei suoi confronti.

Il 3 marzo 2020 ha avuto luogo nell, Aula Magna della Scuola di Lettere, Lingue e Filosofia delPUniversità Roma Tre una giornata di festa dedicata a Dacia Maraini, da cui questo volume ha origine: promossa dal Dipartimento di Studi Umanistici con il contributo della Società Italiana delle Letterate e della Casa Internazionale delle Donne di Roma e con il sostegno della Call4Ideas 2018 "Lessico del teatro europeo,, di Roma Tre, si è caratterizzata per la partecipazione attenta e assai affettuosa di studenti e docenti dell'università e della scuola e di un pubblico di varia età che le ha voluto dedicare un tributo e un omaggio.

110. Dacia Maraini, Ricordo di Goliarda Sapienza, in Goliarda Sapienza, Lettera aperta, Palermo, Sellerio, 2008, pp. 7-11; si veda al proposito anche Roberta Gandolfi, Goliarda Sapienza, il teatro delle scrittrici a Roma e il femminismo, in Un estratto di vita. Goliarda Sapienza fra teatro e cinema, a cura di Stefania Rimini e Maria Rizzarelli, Lentini, Duetredue Edizioni, 2018, pp. 11-31. 111. Ead., Prefazione, in Laudomia Bonanni, Il bambino di pietra, Roma, Cliquot, 2021, pp. 5-8. 112. Ead., Ho conosciuto Alice Ceresa, in Dacia Maraini, Anna Ruchat Christina Viragh, Scrivere dall 'altrove: intorno ad Alice Ceresa, a cura di Laura Fortini, plaquette della rivista «Quarto», 2021, pp. 7-8.

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Ripensare Dacia Maraini donna di teatro

Penso che il ruolo di Dacia Maraini nella storia del teatro italiano degli ultimi cinquant' anni vada seriamente ripensato. Il mio è solo un approccio parziale alla questione, quasi una testimonianza, anzitutto per l'ampiezza del suo impegno artistico, sia letterario che teatrale, e per la complessità che è riuscita a celare dietro la preminente volontà di guardare il mondo in tutti i suoi aspetti e comunicarlo: elementi tali da richiedere un lavoro che oltrepassa le mie attuali conoscenze. Mi fa però da riferimento una scrittrice da me lungamente studiata e a lei vicina per più aspetti, Colette, che ha scritto più di quarantamila pagine, ha guardato il teatro dietro le quinte e c'è stata dentro in molte vesti, anche da attrice e non occasionalmente, e che ha praticato la scrittura con lo stesso spirito con cui affrontava la preparazione di uno spettacolo o una tournée: con un lavoro quotidiano e una dedizione totale. 1 Alla prima difficoltà se ne lega una seconda di carattere generale: le reticenze diffuse fra i teatrologi in tempi in cui il Nuovo teatro prima e il teatro performativo poi hanno gettato un'ombra pesante sul teatro di prosa e d'interpretazione come cosa del passato. 2 Sicché la sottovalutazione di Dacia Maraini quale donna di teatro in senso pieno e quale autrice drammatica è legata allo scarso interesse italiano per la drammaturgia, più volte 1. Si veda il mio Sarah Bemhardt, Colette e l'arte del travestimento~ Imola, Cue Press, 20162. pp. 112-178. 2. Chiamiamo Nuovo teatro il variegato fenomeno di contestazione della scena ufficiale~ esploso in Italia a partire dagli anni Sessanta del Novecento, in contatto con alcune grandi esperienze internazionali; mentre l'altrettanto variegato teatro performativo insiste soprattutto sul rifiuto del teatro come rappresentazione portatrice di significazione per mettere al centro l'azione in sé stessa e il performer.

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giustamente da lei lamentato e fissato nell'immagine di una tela che continuamente viene disfatta come quella di Penelope. Il punto da cui partire per capire la sua originalità consiste invece proprio nel modo in cui letteratura e teatro si relazionano nelle sue opere e nella sua attività, da posizioni forti e dialetticamente autonome. Come non bastasse, si aggiunge un terzo ostacolo forse anche più tenace: il disinteresse degli studi teatrali italiani nei confronti di un approccio di gender, che penalizza sia Maraini che le studiose interessate. In sostanza, più che di ri-pensare si tratta forse di pensare Dacia Maraini donna di teatro e con lei lo stato della produzione drammaturgica in Italia e quello della cosiddetta questione femminile, che abbiamo giustamente considerato superata ma sembra beffardamente ripresentarsi con altre facce. Un compito enorme al quale vorrei contribuire per così dire lateralmente, analizzando le sue recensioni e gli scritti storico-teorici di teatro per la pregnanza dei contenuti, per come problematizzano il contesto generale e per lo splendore della lingua. Partiamo dalla rottura prodottasi nella nostra storia teatrale con la "seconda avanguardia", succeduta a quella primonovecentesca, e il suo manifestarsi come Nuovo teatro nel Convegno di Ivrea del 1967. È noto che allora si contrapposero due schieramenti: uno puntava soprattutto sulla creazione di nuovi linguaggi scenici non sottomessi al testo e trovò in Carmelo Bene, Leo de Berardinis e Carlo Quartucci i più noti artisti di riferimento, l'altro privilegiava le finalità politiche del teatro e la creazione di nuovi circuiti. Come collochiamo Dacia Maraini rispetto a queste posizioni che parvero inconciliabili sia nel convegno sia a molte realtà che non vi parteciparono? Da un lato, infatti, Maraini sosteneva il valore imprescindibile della parola, del testo, del personaggio inteso anche come entità psicologica, dei contenuti, della comunicazione: elementi invisi o guardati con sospetto dal Nuovo teatro, su cui Maraini non mediò, indifferente al fatto di essere sospettata di subordinazione alla letteratura e forse pensando a un teatro nazionale radicato nella lingua. E, dall'altro, era una protagonista del teatro delle cantine e del teatro di gruppo, fino a praticare teatro di strada; era una sperimentatrice dei linguaggi della scena e la promotrice di un gruppo in cui tutti/tutte facevano tutto in spazi alternativi e in povertà, privilegiando la relazione col pubblico e rompendo la quarta parete. La difficoltà di collocare Maraini, la sua storia teatrale lunga e ricca di opere, di competenze, di relazioni, va al di là della sua vicenda: sugge-

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risce che la storia di quegli anni non si esaurisce nella contrapposizione frontale di due sole forze in campo - teatro di cosiddetta tradizione / teatro sperimentale, teatro istituzionale / teatro di gruppo - ma va considerata l'esistenza di un'area disomogenea che non volle schierarsi eppure seppe talora sostenere il valore delle diversità e delle sfumature. Penso cioè che Maraini abbia declinato a suo modo una posizione che è stata anche di altri, ad esempio di Carlo Cecchi e Luca Ronconi - e con entrambi ha lavorato o di Eduardo e poi del milanese Teatro dell'Elfo, cioè di chi ha cercato il nuovo senza rinnegare il passato e il mestiere, di chi si è posto seriamente il problema del pubblico non limitandosi a posizioni di nicchia: ognuno / ognuna a suo modo, seguendo il suo percorso e la sua poetica. Tutt'altro che una zona grigia, indistinta. Negli anni Ottanta Claudio Meldolesi, sostenitore del Nuovo teatro e insieme studioso dell'affermazione registica in Italia e della cultura attorica, si batté per questa pluralità, per la riunificazione dei teatri nel nome del politeismo, perché può esserci qualcosa di molto più profondo delle divisioni visibili, legato alla cultura di cui la scena è portatrice e alla materialità delle esperienze.3 Maraini, ad esempio, ha scritto che Shakespeare le «ha fatto da capotto felpato» per ripararsi dal freddo del teatro sperimentale che pure la «affascinava con i suoi grandi progetti di rinnovamento» ed era salutare per «lo svecchiamento del teatro tradizionale». 4 Ma anche Leo de Berardinis riteneva che leggere e studiare Shakespeare fosse ''un dovere" per tutti gli attori, e con alcuni testi in particolare si confrontò tutta la vita, passando dalla sperimentazione più ardita de Lafaticosa messinscena dell'Amleto di William Shakespeare del 1967, alla messinscena letterale del testo nel 1985, al rimescolamento di alto e basso di Totò, Principe di Danimarca del 1998. Una misura di quanto Dacia Maraini si sia messa in gioco rispetto al teatro del suo tempo lo fornisce un fatto poco noto. Nel 1982 Leo de Berardinis organizzò a Roma un censimento dei gruppi e degli artisti che si riferivano al Nuovo teatro. Un progetto elaborato in mesi di lavoro, promosso insieme ai maggiori artisti romani della sperimentazione, che in parte poi 3. Claudio Meldolesi, Unificazione e politeismo, inLeforze in campo. Per una nuova cartogrqfia del teatro, Atti del convegno ( M ~ 24-25 maggio 1986), M ~ Mucchi, 1987,pp. 33-40. 4. Dacia Marami, Un sogno teatrale, in Ead., Fare teatro. 1966-2000, Milano, Rizzoli, 2000, I, p. VII.

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si tirarono indietro, e che finì per coinvolgere più di cento realtà, tra cui il Teatro La Maddalena. L'iniziativa, nominata con una formula suggestiva La strage dei colpevoli, nel programma si proponeva come «un'analisi spietata della situazione teatrale romana, prima tappa di un programma di più ampio respiro», non «una rassegna o festival ma come un tirare le somme, un fare i conti, per verificare se [era] possibile e da dove cominciare a ricominciare».5 Era previsto un momento importante di confronto fra artisti, spettatori e spettatrici e critica, «L'albero degli incontri», che doveva essere gestito da Franco Cordelli e Dacia Maraini e che poi fu assunto da Dario Bellezza. Lei ci fu dalla fase iniziale di progettazione fino alla realizzazione, come risulta dal quademone-diario di Leo del 1982,6 ed era già Dacia Maraini, una protagonista nel panorama letterario con una notevole carriera teatrale alle spalle. Nel 1980 aveva pubblicato Maria Stuarda, il più rappresentato dei suoi testi, tradotto in ventidue lingue, ed era impegnata nel Teatro La Maddalena, un'impresa che ha fatto storia. Maraini scrisse della Strage dei colpevoli: «Un teatro estivo/ nella pancia di villa Borghese[ ... ] un tenace sogno romano/ il teatro della verdura [ ... ] i nostri pensieri volano / incontro al lume di una ragione squinternata / ma già pronta a farsi carne e parola / sotto il gioco rapinoso dei riflettori[ ... ]». 7 Dove colpisce la scelta del verso, al quale la scrittrice sembra ricorrere quando 1' osservazione e il racconto rimandano a un vissuto emotivo che non vuole scalfire né chiudere in discorso. In Fare teatro. Materiali, testi, interviste, pubblicato nel 1974, Maraini raccoglie tre anni della sua attività teatrale. Tralascia i sei spettacoli di strada, di cui però rivendica 1'importanza e la specificità nella premessa; fa pochi cenni alla Compagnia del Porcospino ;8 si concentra sull'esperienza 5. Cfr. Roberta Ferraresi, Leo de Berardinisfra 'seconda' e 'terza'vita'. "La strage dei colpevoli" (Roma, 1982):,Acireale-Roma. Bonanno:, 2019. 6. Fondo -Archivio Leo de Berardinis (1967-2001), Dipartimento delleArti dell'Alma Mater Studiorum Università di Bolog11a:, 1.1.6. Maraini aveva recensito criticamente 'O zappatore, sottotitolando Uno spettacolo natw-alistico?, in Dacia Maraini, Fare teatro. Materialt testi, interviste, Milano:, Bompiani:, 1974, pp. 87-90. 1. Ead.:,Rpipistrello vola basso, in Viaggiando conpasso di volpe. Poesie 1983-1991:, intr. di Cesare Garboli, Milano, Rizzoli, 1991, p. 67. 8. La Compagnia del Porcospino fu fondata nel 1967 da Maraini insieme a due scrittori (Moravia e Siciliano), tre attori (Carlotta Barilli, Paolo Bonacelli e Carlo Montagna) e al regista Roberto Guicciardini, allo scopo di mettere in scena testi di scrittori italiani su temi di attualità.

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di decentramento a Centocelle, quartiere periferico di Roma.9 Rimando ai suoi stessi scritti per la ricostruzione di quelle imprese e degli spettacoli che produsse, perché mi preme sottolineare innanzitutto il come di quella ricostruzione. Maraini riesce a essere contemporaneamente testimone, narratrice, poeta, critica, giornalista e storica: dice delle persone che incontra e delle difficoltà di portare il teatro in quel quartiere, descrive i processi di lavoro, ricostruisce la situazione politica e il clima di quegli anni in cui il fare era rallentato da un eccesso di assemblee, critica senza condannare. Mette in storia il presente senza che questo perda un grammo della sua vivezza. Chi studia il teatro di gruppo degli anni Settanta non può fare a meno di questi scritti ora in prosa ora in versi, della sua meravigliosa capacità di raccontare testi, spettacoli, persone, della sua attenzione puntigliosa ai dati materiali, 10 della sua lucidità nel cogliere aspirazioni, limiti e ingenuità, senza mai perdere la capacità di alzare lo sguardo per fissare gli aspetti irripetibili e la carica utopica di quella operosità. Qualità tutte che si manifestano nelle recensioni scritte per il settimanale «Aub> e ripubblicate in Fare teatro, che le conferiscono un posto significativo nell'ambito della critica teatrale, come tra i primi riconobbe Luca Ronconi.11 CUriosamente non sempre Maraini indica la data e il luogo in cui ha visto lo spettacolo né il montaggio segue l'ordine cronologico, è un peccato certo ma con questa scelta l'autrice si allontana dal genere ''recensione" per proporre 9. Alla ricerca di un pubblico popolare Maraini approda nel quartiere romano di Centocelle, dove la sezione del partito comunista mette a disposizione un garage, che viene trasformato in teatro. Dopo il debutto con Manifesto dal carcere, il gruppo lavora sulla storia locale con Centocelle: gli anni de/fascismo (vedi testo in Maraini,Fare teatro [1974], pp. 295-41 O) e con un mimodramma sulla Resistenza e poi sulla controrivoluzione cilena (Il testamento diAllende). La Compagnia Teatroggi, come si chiamò, era composta inizialmente da una trentina di attori. 1O. In R teatro povero fa paura (gennaio 1973), ad esempio, ricostruisce «il disastro economico permanente» di chi fa teatro in povertà: le spese per formare e registrare il gruppo, la ricerca di uno spazio, la sua trasformazione in teatro, i costi dello spettacolo, le perdite e i guadagni irrisori (ivi, pp. 62-66). 11. «Dacia è arrivata a tratteggiare alcuni tra i miei più efficaci ritratti», scrive Luca Ronconi in Dacia 1.\laraini: un modello d'impegno teatrale, in Dedica a Dacia Maraini, a cura di Claudio Cattaruzza, Pordenone, Lint, 2000, pp. 117-120. Ne abbiamo conferma nell'intervista pubblicata in Maraini, Fare teatro [1974], pp. 275-282, condotta come sempre con domande puntuali e con atteggiamento non succube, ma con la simpatia dovuta a un regista capace di seguire «passo passo un testo con la pazienza e la devozione di un innamorato».

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tanti interventi che compongono un macroracconto sul fare teatro negli anni Settanta. Ora si sofferma lungamente sul testo per riservare alla parte finale i commenti teatrali, come era d'uso nelle recensioni; ora punta gli occhi sullo spettacolo per raccontare nei dettagli ciò che vede. Ma l'attenzione al testo è costante così come l'appello a favorire nuove scritture teatrali, nella consapevolezza che solo dal «ribollire» di tante scritture anche brutte si possono tirare fuori «uno o due testi veramente validi ogni dieci anni»; e comunque non è dai grandi teatri stabili che sono venuti i nuovi autori ma dal teatro povero: Vittorio Franceschi, Roberto Lerici, Giuliano Scabia e altri. 12 Nel recensire Pirandello, chi è? di Memé Pedini (Beat 72, gennaio 1973) Maraini si interroga su come spiegare «la morte della parola in teatro e il tripudio dell'irrazionalità». E scrive: «Io che faccio teatro di parola so quanto è infida e logora e incredibile la parola in teatro. Ma io amo le parole e perciò continuo a usarle. È il solo modo che conosco per esprimermi. [ ... ] Pedini però ha ragione. Perché con le sue immagini va al sicuro. Mentre le parole e le strutture drammatiche sono come fate morgane sospese su sabbie mobili». 13 Pone domande di fondo senza rinunciare a descrivere gli spettacoli né a nominare registi e attori, scenografi e costumisti, musicisti e traduttori. Di Anna Maria Guarnieri nella Locandiera di Missiroli scrive che «sulla scena ci sta tranquilla e leggera come un passero su un ramo» e di Dario Fo in uno spettacolo che non le piace dice che è «un grande inventore» («i suoi movimenti ondosi, i suoi passetti cadenzati, la sua voce stridula e opaca, la sua faccia buffa da roditore, le sue gambe impacciate e agilissime, le sue braccia donchisciottesche, le sue mani mulinanti, i suoi piedi elastici, ballerini»). 14 In generale, riconosce i limiti della concezione tradizionalista per cui si dice bravo «di uno che sa "copiare bene". Di uno che sa "impostare la voce". Di uno che è riuscito a cancellare tutti i difetti: difetti di pronuncia, difetti di movimento, cadenze dialettali, voci grasse, voci magre, difetti di camminata, difetti di denti, di gola, di gambe, di testa», diventando «identico agli altri», quello che Meldolesi chiama "attore :funzionale", cioè buono per tutti gli usi. «Il teatro underground è forse il 12. Ead., Dario Fo e la polemica teatrale e R "Risveglio" allafede, in Ead., Fare teatro [1974], pp. 73 e 134. 13. Ead.,R teatro ha perso la parola, ivi, pp. 66-69. 14. Cfr. rispettivamente Ead., Mirandolina vince su Goldoni e Togliatti e il drago, iv(. pp. 220 e 226-227.

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solo teatro che sia riuscito a rompere questa catena pesantissima [ ... ]. Se a questa creazione di un nuovo modo di recitare corrispondesse anche un nuovo modo di scrivere per il teatro, potremmo finalmente dire di avere un teatro nostro autonomo e originale» . 15 Interessante anche l'attenzione dedicata a Marco O., regista francese, che «non vuole più scrivere per il teatro ma solo organizzare forme di teatro vivente, per le strade». Maraini ne riconosce l'attualità intendendo «qualcosa di più profondo della moda, un modo di attingere alle radici del momento storico in cui viviamo». 16 Maraini è coraggiosa nei giudizi, drastica anche, ma pronta a vedere il positivo pure di quello che non le piace. Di Pinocchia scrive che è «un lavoro ermetico, per iniziati, che ha tutta l'arroganza di tm prodotto aristocratico ma puro, non contaminato da alcuna forma di consumismo», «un urlo» che colpisce più di tm ragionamento. 17 Critica attori con cui ha lavorato e che stima grandi come Carlo Cecchi per «l'innesto dei modi e dei ritmi del teatro dialettale italiano nel teatro futurista russo» nella messinscena del Bagno di Maiakovski. 18 Alcune volte si arrabbia proprio, come con Pippo Di Marca per la regia di Giallo cromo di Aldous Huxley, dove camuffa da critica all'alta borghesia «il bisogno urgente di dare corpo ai sogni e alle paure di un inconscio :frastornato e illanguidito»; 19 mentre dopo aver visto Notte di guerra al Prado al Piccolo Globo riconosce di aver «goduto dell'incanto visivo» ma qualcosa è mancato: «torniamo stanchi ma senza aver camminato». 20 Del Living e di Carmelo Bene, arrivati ad «un assoluto irripetibile»,21 vede la grandezza ma anche l 'inimitabilità e dtmque la pochezza di tanti seguaci, pochezza per eccesso d'amore magari ma anche per disprezzo del pubblico. Così Dacia Maraini quando va a vedere Medea del Teatro La Marna di New York: È un, atmosfera che conosco già; la stessa che circonda gli spettacoli di Grotoski [sic]. Un,atmosfera di interdizione sacrale che ha il potere di farti sentire subito insignificante, indegno, profano. Infine alle sei in punto la porta si 15. Ead.:t Alta acrobazia al Beat 72:t ivi, pp. 202-204. 16. Ead.:t Spontaneismo e no. Teatro politico in Francia (1969), ivi:t pp. 258-264. Penso si riferisca a Mare'O:t ali' anagrafe Marc-Gilbert Guillaumin. 17. Ead.:t Pinocchio ePinocchia (featroLavoro, marzo 1973), ivi, pp. 77-80. 18. Di Cecchi in Tamburi nella notte scrive: «è ironico e oggettivo proprio come sarebbe piaciuto a Brecht»: Ead., Attento proletario alle tentazioni della borghesia:t ivi, p. 168. 19. Ead.:t Giallo cromo: i sogni e lepmue Di Marca:t ivi, pp. 178-182. 20. Ead.:t 1936: I personaggi escono dai quadri, ivi:tPP· 99-102. 21. Ead.:t Ubu re a Centocelle:t ivi, pp. 196-199.

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apre. Delle studentesse innervosite dal caldo ci spingono e ci pestano i piedi; degli avvocati in completo latte ci ficcano brutalmente un gomito nella pancia per passare avanti tirando per le braccia le mogli dai capelli cotonati.22

Ricorda l'esperienza di Colette quando vide J Cenci: «Dal modo in cui la folla lottò per aprire una porta semiaperta, vedemmo immediatamente che la serata andava oltre i ristretti limiti di una prova generale abituale», Colette si trovò schiacciata contro una parete, mentre una minorenne arrogante la soffocava col fumo della sua sigaretta.23 Le accomuna il senso dei limiti del teatro, che pure considerano e praticano molto seriamente, e la cura letteraria dei loro scritti teatrali. «Non ci sono trentasei maniere di mangiare un cuore né di fare a pezzi un bambino» dopo di che si dovrà ricorrere ai tormenti spirituali, «ciò che equivale a reintegrare il teatro normale»,24 scrive Colette, e Maraini sempre su Artaud: «Non è un caso che il suo pensiero, delirante e grandioso, fattosi corpo, cioè trasformatosi in teatro, è risultato un fallimento». 25 Dove la posizione di Maraini si spiega in relazione allo spettacolo del Patagruppo ispirato al Viaggio al paese dei Tarahumara, ma non in generale rispetto ad Artaud. Quanto alla scrittura, alla sua brillantezza, valga questo esempio ispirato a Maraini dal Beat 72: Sempre più spesso i nostri teatrini di ricerca danno l'impressione di cercare da una parte sola La loro è una ricerca laboriosa, fervida, appassionata e dura Come dei solitari cercatori d, oro, scavano grotte e budelli nel ventre di un nero terreno.[ ... ] Si prova una simpatia istintiva, che è un misto di pena e di ammirazione per il lavoro logorante e poco redditizio che fanno. L'oro teatrale infatti è quasi finito e le viscere della terra si mostrano sempre più ingrate e minacciose. La cosa assurda però è che, a furia di scavare la terra nera e calda, a centinaia di metri dalla superficie, questi solitari minatori non si sono accorti che intanto il paesaggio sulle loro teste è cambiato. 26 22. Ead.>Medea corpo a corpo> ivi. p. 235. 23. La scrittrice francese reagi con decisione ali~ attacco viscerale condotto al «teatro normale» degli sviluppi psicologici e dei dialoghi. ma concluse scrivendo: «Andate a vedere questa settimana la cattiva nuovapi~e> prima di andare ad ascoltare le altre». Per le due recensioni di Colette (del 13 e del 18 maggio 1893) dr. Mariani. Sarah Bernhardt. pp. 134-136. 24. Ivi> p.136. 25. Maraini, I simboli osC1.Ui diArtaud> inEad.>Fare teatro [1974]>PP· 186-190. 26. Ead.>A/la ricerca dell'oro teatrale. ivi> p. 97.

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Nel convegno organizzato da Juan Carlos de Miguel y Canuto a Valencia nel 2008, Dacia Maraini: scrittura, scena, memoria, femminismo, Claudio Meldolesi aveva proposto una relazione intitolata Pensieri del teatro: una meta altra da quella dei romanzieri, che non poté fare per gravi motivi di salute. Questo l 'abstract: Sarà qui proposta un'ipotesi sull'originalità del fare teatro di Dacia Maraini partendo da due verifiche: del perché non vi hanno trovato sviluppo né la via della «messa nello spazio» delle narrazioni né quella dei «nascondimenti teatrali nel romanzo». Dobbiamo a questa scrittrice, piuttosto, un approfondimento delle dialettiche scena-scrittura refrattarie alle usanze pp. 619-674. 17. Ivi> pp. 563-582.

Dacia Maraini:I drammaturga femminista

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5. Commedia umana e teatro di genere Per ritornare alle osservazioni di Rivolta femminile e in particolare di Carla Lonzi, le personagge di Maraini sono in modo esplicito in guerra contro il soggetto-modello sia esso quello del maschile che del femminile. Quello che è smontato (riprendo apposta il verbo utilizzato dal cliente in Dialogo di una prostituta) non è solo il Soggetto con la maiuscola, sono tutti i soggetti-corpi-persone più o meno minuscoli di modo che un'altra soggettivazione universale umana può apparire e vivere in scena. Proprio il teatro può forse rispondere alla domanda che risuona e continua arisuonare: che ne è del soggetto femminile, della sua esistenza, esperienza, senso? Appunto sulla scena si gioca in alcune ore, questa possibilità di far sentire, percepire, qualcosa non di un supposto e astratto soggetto universale o universalizzabile, ma proprio di quella o quelle donne e uomini, che vivono, alcune ore, o alcuni secoli (visto che la messa in scena può sempre ricominciare altrove, in un altro tempo e contesto). Grazie a Dacia Maraini e alle sue pièces possiamo dire che per la prima volta la commedia umana diventa un teatro di genere in cui le donne non sono più soltanto i personaggi della tragedia patriarcale, ma sono diventate le protagoniste di un' altra scena, di una rappresentazione della differenza sessuale in cui il gioco simbolico, scenico, sessuale è profondamente cambiato. Il che significa che i rapporti di genere non riproducono la dominazione del maschile sul femminile, ma sono ridefiniti secondo il desiderio e i progetti di soggetti femminili liberi. Le personagge di Maraini sono estremamente consapevoli della vecchia lingua, quella del silenzio, dell'oppressione, ma con ironia e lucidità la fanno saltare e parlano una nuova, libera, indomita, allegra lingua che apre spazi e prospettive alla dicibilità di desideri e all'esistenza di soggetti e corpi, secondo le linee della libertà femminile che i femminismi continuano a alimentare e ad esplorare. La lingua e la scrittura teatrale di Maraini restituiscono una storia alle personagge anonime e a quelle che erano già nella Storia. In questo modo è provato che la scena teatrale non è soltanto quella della rappresentazione come ripetizione di identità, discorsi, modelli, ma la scena infinita delle loro possibili trasformazioni, al di là delle sbarre, delle prigioni e dei divieti di pensare e di vivere.

CLAUDIO GIOVANARDI

Sulla lingua del teatro di Dacia Maraini

Il teatro è da sempre un termometro molto sensibile alla temperatura linguistica circostante. Gli autori teatrali hanno ab origine intrattenuto rapporti dialettici con la norma della lingua letteraria, ora adeguandovisi, ora, più spesso, infrangendola, alla ricerca di modalità espressive più consone alle esigenze della comunicazione scenica. Per secoli il problema dei drammaturghi è stato quello di individuare una lingua per la scena, che non fosse (o non fosse interamente) riconducibile alla varietà tutta scritta della tradizione letteraria alta, ma nemmeno al dialetto, che pure vanta un 'illustre e secolare storia nei testi teatrali. 1 È mancata a lungo, per le note vicende storiche e culturali del nostro Paese, una varietà di italiano parlato dall'intera comunità (socio)linguistica, in grado di soddisfare gli occhi e le orecchie dei lettori e degli spettatori dal Piemonte alla Sicilia. Dobbiamo aspettare il Novecento inoltrato perché giunga a compimento il lento processo di formazione di un italiano medio, aperto alle modalità comunicative del parlato, ma al tempo stesso autonomo dal dialetto, sebbene in parte condizionato dalle parlate dialettali retrostanti. 2 Finalmente, dunque, nel Novecento anche per i drammaturghi cessano le tribolazioni patite nella ricerca di uno strumento di comunicazione efficace fin dagli albori comici cinquecenteschi; finalmente la penna del commediogtafo può bagnarsi nell'inchiostro di un italiano non più impolverato 1. Sulle principali vicende della lingua del teatro italiano, mi pennetto di rinviare a Claudio Giovanardi e Pietro Trifone, La lingua del teatro, Bologna, il Mulino, 2015. 2. Un ottimo panorama d'assieme dell'italiano contemporaneo, con molti squarci diacronici, si può trovare in Paolo D,Achille, L'italiano contemporaneo, nuova ed., Bologna, il Mulino, 2019.

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Claudio Giovanardi

nei libri, ma rigenerato dalla :freschezza della conversazione quotidiana, leggero, spontaneo. Ciò non toglie, ovviamente, che ogni singolo drammaturgo compia degli inevitabili esercizi di stile che, seppur dissimulati, sono comunque sempre presenti e, in effetti, misurano la caratura letteraria di ciascuno. Per uno strano scherzo della storia, però, è accaduto che quando la distanza tra scritto e parlato si è attenuata, dopo secoli di irredimibile divorzio, i decenni a noi più vicini ci hanno riservato la sorpresa di alcuni scrittori che nelle loro opere hanno di nuovo approfondito il solco tra lingua comune e lingua teatrale, o recuperando, almeno in parte, una lingua di stampo chiaramente letterario (penso, ad esempio, a Emma Dante, Angelo Longoni e Giuseppe Man:fridi),3 o riproponendo una dialettalità ipercaratterizzata e tutt'altro che mimetica (basti pensare ai napoletani Ruggero Cappuccio, Enzo Moscato e Annibale Ruccello). 4 Dobbiamo ora chiederci come si situa il teatro di Dacia Maraini nel contesto che ho sia pur sommariamente definito.5 Lungo quale crinale si dispone la sua scrittura? La scrittrice segue la linea della riproduzione del parlato medio o preferisce un recupero della tradizione alta? A mio avviso è impossibile valutare l'opera drammaturgica della scrittrice senza tener conto del clima di forte ideologizzazione politica e culturale in cui la Ma3. Sulla lingua della drammaturgia contemporanea, rinvio a: Lingua e dialetto nel teatro contemporaneo, a cura di Neri Binazzi e Silvia Calamai, Firenze, Unipress, 2006; Varietà dell'italiano nel teatro contemporaneo, a cura di Stefania Stefanelli, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2009; mi permetto inoltre di rinviare ai saggi che ho dedicato a Pirandello, Fo e Bene in Claudio Giovanardi, Saggi sulla lingua letteraria 'tra Ottocento e Duemila, Firenze, Cesati, 2020. 4. Sulla scuola teatrale napoletana post-eduardiana, mia sia consentito di rinviare a Claudio Giovan.ardi, Plurilinguismo e antirealismo nel teatro napoletano dopo Eduardo, in Id., Lingua e dialetto a teatro. Sondaggi otto-novecenteschi, Roma, Editori Riuniti, 2007, pp. 91-124. 5. Non ho nozione di studi specifici dedicati alla lingua del teatro di Dacia Maraini. Numerosi, ovviamente, gli interventi di taglio critico-letterario, tra i quali ricordo un recente bel saggio che mette a confronto due figure regali ffl1Ilrninili, Isabella di Spagna (per opera di Dario F o) e Maria Stuarda (protagonista della commedia omonima di Dacia Maraini qui analizzata): Giorgio Taffon, La pagina, lo sguardo, 1'azione. &perienze drammatw-giche italiane del '900, Roma, Bulzoni, 2019, pp. 82-103. Da segnalare anche il saggio, ricchissimo di indicazioni bibliografiche, di Claudia Messina, Scrittrici del Rinascimento in scena: il tea'tro di Dacia Maraini, in La letteratura degli italiani 4. I letterati e la scena. Atti del XVI Congresso Nazionale ADI (Sassari-Alghero, 19-22 settembre 2012), a cura di Guido Baldassarri et al., Roma, Adi editore, 2014 (consultabile in rete nel sito dell'Associazione degli italianisti).

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raini si forma negli anni intorno al Sessantotto, che coincidono più o meno con i suoi esordi teatrali. Sono gli anni delle cantine, delle neoavanguardie, della distruzione del teatro di parola, dell'esaltazione del corpo;6 ma sono soprattutto gli anni in cui, da punti di vista diversissimi, si snoda la lezione di due grandi maestri come Pier Paolo Pasolini e Dario Fo, entrambi fortemente condizionati, nel loro fare teatro, da una salda intelaiatura ideologica che ne orienta sensibilmente anche le scelte linguistiche. 7 In particolare mi pare di poter dire che il modo di intendere il teatro da parte della prima Maraini sia decisamente consentaneo al ''teatro da strada" propugnato da Dario F o nel medesimo tomo di anni. Ha scritto Franca Angelini: Non sorprende che la Maraini [ ___ ] compia questa esperienza con assoluta convinzione, portando il teatro nelle scuole, nei mercati, nei giardini pubblici e nelle periferie romane: valorizzando l'aspetto "immediato", polemico, di denuncia, che la strada consente, parlando contro la guerra nel Vietnam, la disoccupazione, la mancanza di case a Roma. 8

Aggiungerei ancora, nel campo delle influenze e delle contaminazioni, quelle esercitate sulla Maraini dal milieu intellettuale romano, in particolare da personaggi come Flaiano, Moravia e la Ginzburg, tutti cimentatisi con la scrittura drammaturgica, pur essendo in primis scrittori di romanzi, proprio come Dacia.9 In un mio precedente lavoro sulla produzione teatrale di tali autori (ivi compresa anche la Maraini) nel ventennio Sessanta6. Per le vicende teatrali italiane del secondo Novecento rinvio a Paolo Puppa, Teatro e spettacolo nel secondo Novecento, Roma-Bari, Laterza, 1990. 7. Sul pensiero linguistico di Pasolini, con i riflessi anche in campo teatrale, ha ora scritto pagine illuminanti Paolo D,Achille, Pasolini per l'italiano, l'italiano per Pasolini, Alessandria, Edizioni dell20rso 2019. Sul teatro politico di Dario Fo mi pennetto di rinviare a Claudio Giovcmardi, Dario F o e il parlato teatrale dell'uso, in La scienza del teatro. Omaggio a Dario F o e Franca Rame,Atti della giornata di studi (Verona, 16 maggio 2011 ), a cura di Rosanna Bruseg~ Roma, Bulzoni, 2013 pp. 165-187 (ristampato con diversi cambiamenti in Giovanardi, Saggi sulla lingua letteraria, pp. 161-186). Sui due autori è importante anche il contributo di Stefania Stefanelli, Dario F o nella nuova questione della lingua, in L'italiano sul palcoscenico, a cura di Nicola De Blasi e Pietro Trifone, Firenze, AccademiadellaCrusca-goWare 2019 pp.127-137. 8. Cfr. Franca Angelini, Dacia Maraini nel teatro degli anni Sessanta, in Scrittura civile. Studi sull'opera di Dacia 1.\laraini, a cura di Juan Carlos de Miguel y Canuto, con un saggio inedito di DaciaMaraini, Roma, GiulioPerrone Editore, 2010 pp. 137-149 p. 139. 9. Sull, ambiente culturale romano negli anni decisivi attorno al Sessantotto ha scritto pagine di ricostruzione molto incisive Giulio Ferroni, Scrivere a Roma intorno al 168, in Scrittw-a civile. Studi sull'opera di Dacia Maraini, pp. 21-35. 2

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Ottanta, avevo notato come la loro lingua fosse sostanzialmente aderente a un neostandard colloquiale e come gli aspetti più significativi fossero da ricercare nell'assetto sintattico e testuale piuttosto che nella compagine lessicale. 10 Vi era, insomma, in quelle opere e in quei commediografi la certificazione dell'esistenza e della fruibilità di un italiano medio perfettamente calzante al racconto scenico. Per la presente occasione ho preso in esame sei commedie di Dacia Maraini dislocate in un arco di tempo che va dal 1966 al 1997. Questi i titoli: Lafamiglia normale (1966, sigla F), Dialogo di una prostituta con un suo cliente (1973, sigla D), Maria stuarda (1980, sigla MS), Stravaganza (1986, sigla S), Celia Carli, ornitologa (1990, sigla C), Memorie di una cameriera (1997, siglaM). 11 Soprattutto nelle opere degli anni Sessanta e Settanta la lingua usata dalla Maraini nelle sue opere teatrali tende alla calma piatta: volutamente anonima, denotativa e referenziale, priva di qualsiasi aspirazione letteraria. È chiaro che si tratta di un teatro di denuncia sociale, condizionato dai grandi temi del dibattito sessantottesco, come l'oppressione della famiglia patriarcale, il riscatto della figura femminile, la vergogna dei manicomi, con qualche concessione al teatro dell'incomunicabilità e dell' assurdo.1 2 La scrittrice opera quindi una scelta stilistica volutamente minimalista, perché lo spettacolo, se c'è, sta tutto nelle cose e non certo nelle parole che le designano. A fine anni Sessanta, come dicevo in apertura, l'italiano ha finalmente acquisito quella dimensione di lingua parlata comune che per secoli era mancata. L'autore teatrale, quindi, non deve arrampicarsi sugli specchi per ottenere effetti di mimesi dell'oralità, ma può serenamente attingere dalla realtà circostante. 13 1O. A tale riguardo, ancora un rinvio a un mio saggio: Claudio Giovanardi, R romanesco a teatro dal 1870 ai giorni nostri, in Id., Lingua e dialetto a teatro, pp. 62-90. 11. Tutte le opere sono tratte da Dacia Maraini, Fare teatro. 1966-2000, 2 voll., Milano, Rizzoli, 2000. Indico di seguito il volume e le pagine per ognuna delle commedie analizzate: F (I, pp. 8-26), D (I, pp. 394-412), MS (I, pp. 704-741), S (IL pp. 180-213}, C (II, pp. 328-346), M (II, pp. 620-669). 12. Un testo evidentemente ispirato al teatro dell1' incomunicabilità è Lafamiglia normale, del 1966. 13. Un simile privilegio non appartenne, ad esempio, a Pirandello, costretto a costruire effetti di parlato attraverso lo sfruttamento delle risorse pragmatiche dell'enunciazione. Per alcune considerazioni sul parlato del teatro pirandelliano mi permetto di rinviare a Claudio Giovanardi, R parlato in Pirandello, in «Que ben devetz conoisser la plus fina».

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Nei testi di Dacia Maraini troviamo tutti gli ingredienti che contribuiscono a formare la cosiddetta "grammatica del parlato teatrale", ossia quei tratti linguistici che da sempre, potremmo dire già dalla commedia cinquecentesca, caratterizzano il genere comico, anche se hanno trovato diverse modalità di realizzazione nel corso dei secoli secondo l'estro e la penna di ciascun autore. 14 Mi riferisco a: strutture sintattiche marcate in funzione tematizzante o focalizzante (dislocazioni a sinistra e a destra, temi sospesi, frasi scisse, anticipazioni e riprese); colloquialismi sintattici e lessicali (ci attualizzante prima delle forme di avere, c,è presentativo, sconcordanze, collegamenti con il che connettivo polifunzionale, uso di verbi pronominali, nomi generici, disfemismi e parolacce); elementi tipici dell'enunciazione (interiezioni, onomatopee, segnali discorsivi, demarcativi e conclusivi); ripetizione di parole o frasi; sospensioni, interruzioni del discorso, false partenze. Ma se nelle commedie dei primi tempi del teatro della Maraini la proposizione di una lingua grigia e piatta, rigorosamente aderente (pur con le inevitabili stilizzazioni) ai caratteri del parlato comune è quasi senza deroghe, nelle commedie della maturità (vuoi anche per gli argomenti che trattano, talvolta collegati a personaggi storici) non di rado la scrittrice sembra recuperare il gusto per una lingua più ricercata, sensibile a suggestioni colte, che riprende confidenza con le qualità stilistiche del testo letterario nella sua tradizione alta. 15 In questa occasione, originata da una giornata di festa in onore di una scrittrice importante del nostro tempo, mi limiterò a puntare l'attenzione sui fenomeni a mio avviso più interessanti, senza mirare all'esaustività. Non mi soffermerò troppo sui tratti dell'oralità, perché, come ho già detto, largamente attesi a questa altezza cronologica. Dirò piuttosto qualcosa di Per Margherita Spampinato> a cura di Mario Pagano, Avellino, Edizioni Sinestesia, 2018> pp. 369-379 (ristampato col titolo Sul parlato nelle commedie di Pirandello e con diverse modifiche in Giovanardi> Saggi sulla lingua letteraria> pp. 67-78). 14. Sul concetto di ugrammatica del parlato teatrale" rinvio a Giovanardi, Trifone, La lingua del teatro> pp. 18-20. 15. Considerazioni analoghe> dal versante critico-letterario> svolge Taff~ La pagina, lo sguardo, /1azione, pp. 95-96: «V opera [.Maria Stuarda] data proprio all'inizio degli anni Ottanta, quando l'autrice via via lungo gli anni sfuma i connotati di un teatro d'intervento polemico, immediato, per approdare a strutture drammaturgiche di più medi[t]ata riflessione e di tessitura letterariamente più costruita».

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più sugli aspetti linguistici che virano, per certi versi inaspettatamente, in direzione alta. I modi che riproducono un parlato colloquiale, piatto e trascurato, riguardano tanto il lessico quanto la sintassi. Cominciamo dal lessico, dove, accanto a una serie di nomi generici, si noterà l'affiorare di quando in quando di voci romanesche o comunque molto diffuse nell'italiano regionale romano; non comprendo in questa rassegna i reperti di turpiloquio, che andranno semmai visti a parte: Non scocciare S 179; I nervi che zompano S 179; Una roba appena approvata S 182; bicocca S 185 curiosamente riferito a una donna; 16 Elvira mifa 'mi dice' S 187; robaccia S 197; quegli affari che si aprono S 198; Mi avete infinocchiato ben bene S 202; Viene una tizia M 622; faccia tracagnotta M 623 (con una strana combinazione, perché l'aggettivo tracagnotto si riferisce al fisico e non alla faccia); 17 Io ero troppo povera scalognata M 654; quella pappamolla di Marianna M 656; un babbeo con la.fissa delle donne M 667; Che iella! D 396; C'hai un sacco di soldi, eh? D 399; Faccio economia e commercio 'studio economia e commercio' D 399; l'uomo col pelo sul petto D 400 (singolare collettivo); questa cosa del letto D 403; E spegni quell 'amese per favore! D 405; Manco lo sa cos'è il sesso D 405 (con anticipazione cataforica del pronome proclitico lo); nuda e cruda 'nella sua interezza anche sgradevole' D 410; quel magnacciaD 411; spilungone MS 707;si impicciasse degli affari suoi MS 738 (congiuntivo imperfetto invece del presente). Sono presenti alcuni proverbi e modi di dire: far ridere i polli F 12; tu non mi stimi una cicca F 15; Nella guerra e nella pace dove ogni senso giace ... F 18; non ci sono santi 'non c'è niente da fare' D 410. Non numerosi invece gli alterati, ma ricordiamo almeno massaggino D 399, e poi allegrotto, bonaccione, cazzetti, dolcetto, umidiccio tutti da D 400. Un voluto gioco di alternanza 16. Nel Grande dizionario della lingua italiana, diretto da Salvatore Battaglia (poi da Giorgio Bàrberi Squarotti), 21 voli., Torino, UTET, 1961-2002. Con Supplemento 2004, diretto da Edoardo Sanguineti, Torino, UTET, 2004, e Indice degli autori citati nei volumi I-XXI e nel Supplemento 2004., a cura di Giovanni Ronco, Torino, UIET, 2004; e Supplemento 2009, diretto da Edoardo Sanguineti, Torino, UTET, 2008., alla voce bicocca non compare alcun riferimento a persona 17. Nel Grande dizionario della lingua italiana, alla voce t:racagnotto non risulta alcun esempio riferito al viso. In Google ricerca libri ho rintracciato il seguente esempio, tratto dall" e-book La spada di Archon, di D. P. Prior (traduzione di Mauro Piccillo) del 2016: «Una parte di lui voleva proteggere Gastone dare un pugno sulla/accia t:racagnotta di Cadman. Ma non era da Cadman che il ragazzo doveva essere protetto».

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tra disfemismo e cultismo è in uno scambio di battute tra Attilio e Peres in Stravaganza: era spazio per fabbricare un palcoscenico - coincide con il senso di questo teatro: il primo spettacolo) infatti, nasce dalla vita vissuta) dalla vita quotidiana e, sempre, proprio per questo, romanzesca) di alcune donne: (la siciliana, la baraccata romana, la donna sterile vessata da un marito viriloide, che esige un figlio, la sottoproletaria che batte il record degli aborti sul tavolo della cucina, infine la proletaria che diventa una compagna e che tuttavia non riesce a risolvere egualmente i suoi problemi col partner, sempre condizionato, compagno o no, dal ruolo maschile). Testimonianze) è stata quindi la scelta per il primo spettacolo della Maddalena; questo femminista vuole essere infatti un teatro di intervento, con spettacoli informali, alternati) spesso, a dibattiti (se n'è svolto già uno) gremitissimo, sul tema "la legge contro la donna"). 1

Lo spettacolo qui citato, che viene chiamato Testimonianze ma sarà poi noto con il nome di Mara, Maria Marianna, costituiva il debutto, nel dicembre 1973, del Teatro La Maddalena, la compagnia teatrale e femmi1. «effe»:, 4:, gennaio 1974:, p. 55.

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nista fondata da Dacia Maraini, Maria Clara Boggio, Rudith Bruck Risi, Saviana Scalfi, Maria Cristina Mascitelli, Annabella Cerliani, Anna Maria Leone, Giuliana Sacchetti.2 Le fotografie pubblicate (Fig. 1) a corredo della recensione di «effe» sono state realizzate da Agnese De Donato, come si può facilmente ricostruire dal confronto con i sei fogli di provino relativi allo spettacolo conservati nell'archivio della fotografa (Fig. 2). Agnese De Donato è stata una reporter attiva che ha vissuto in prima persona e da vicino tutto quello che fotografava. 3 L'archivio ricalca integralmente questa sua attitudine: nella vasta eterogeneità di temi trattati e nella scarsa organicità dell'archivio stesso che si è costituito per nuclei tematici stratificati, dettati dal ritmo della vita e delle sue scelte. 4 Proprio in virtù della sua formazione, sarebbe opportuno in questo caso parlare di una sedimentazione fotografica piuttosto che di un archivio, caratterizzato invece, secondo la definizione data dall'archivistica, da una costituzione spontanea e da una composizione organica delle sua parti. s Le immagini di Agnese De Donato ritraggono non solo l'aspetto pubblico, ufficiale, della rappresentazione teatrale ma in egual misura, e forse con maggior vicinanza, quello che accade dietro il palcoscenico: le prove, il dietro le quinte ed in particolar modo i rapporti umani, l'aspetto privato, quello giocoso, le risate e gli abbracci fra gli attori. L'analisi dei provini fotografici, nella loro interezza, consente di dar conto di questa sua indole: la sequenza degli scatti e la ricerca della posizione migliore per entrare in sintonia con quello che sta scattando, ci mostrano il processo dietro ad una fotografia più che il risultato finale. 2. Sulla storia della Maddalena si veda Mirka Pulga, Donne in scena. R Teatro femminista della 1\laddalena negli anni Settanta, Roma, Aracne, 2020. 3. Sugli esordi fotografici di Agnese Donato si veda il contributo di Laura lamurri in questo volume. 4. Sull"archivio fotografico di Agnese De Donato rimando al catalogo della mostra Agnese De Donato. Anni '70, io c'ero, a cura di Greta Boldorini, Roma, De Crescenzo & Viesti Galleria d" arte contemporanea, 2017. 5. Si veda a questo proposito Tiziana Serena, L'archivio fotogrqfico: possibilità derive potere., in Gli archivifotogrqfici delle soprintendenze. Storia e tutela. Territori veneti e limitrofi, Atti del convegno (Venezia, 29 ottobre 2008), a cura di Anna Maria Spiazzi, Luca Majoli., Corinna Giudici, Crocetta del Montello, Terra Ferma, 201 O, pp. 103-125; Ead., Per una teoria dell'archivio come ''possibilità necessaria", in Forme e modelli. Lafotogrqfia come modo di conoscenza, Atti del convegno (Noto, 7-9 ottobre 201 O), a cura di Francesco Faeta e Giacomo Daniele Fragapane, Roma-Messina, Corisco, 2013, pp. 23-40.

Gli anni del Teatro La Maddalena nelle fotografie diAgnese De Donato

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Agnese De Donato era una fotoreporter che utilizzava lo stesso approccio in ogni situazione: quello di chi si trova protagonista della storia e prova a raccontarla per immagini. Al lavoro in studio, infatti, preferiva la strada, alla posa costruita dei soggetti la spontaneità della vita che scorre. Da questa sua attitudine, dunque, deriva l'attenzione per i provini così come stampati da lei stessa, interesse ulteriormente alimentato da un 'altra motivazione: la volontà di considerare le fotografie come oggetti sociali, non riducibili soltanto al loro referente esterno, la "cosa rappresentata", ma considerati nella loro fisicità. Utili per chiarire questo aspetto, le parole di Tiziana Serena: Se ridotto alla visione della facciata di tale chiesa, di tale pala d, altare, il significato della fotografia rimanda necessariamente al referente esterno e a quello che è comunemente ritenuto l'unico momento significativo della sua storia d'immagine: quello epifanico in cui il fotografo ha scattato la fotografia. Ma questo momento non può essere disgiunto dalla sua vita di oggetto fotografico, dal carattere sociale che abbiamo dimenticato sovente nel fare la storia delle fotografie. Si tratterebbe quindi di integrare, ad esempio, i significati assunti dal trasferimento delle fotografie da un processo di produzione (lo scatto, la stampa) a uno di conservazione e diffusione (l'archivio, gli archivi) e magari di trasformazione. 6

Si tratta quindi di includere nella nostra analisi i segni di quella che viene definita "biografia sociale" della fotografia che comprende i timbri, i tagli, i segni, le scritte presenti sia sul recto sia sul verso della fotografia e che, come sostenuto da Elisabeth Edwards, mantiene le tracce delle relazioni sociali vissute dalle fotografie stesse, intese qui nella loro fisicità: Photographs and archives might be described, followingAlfred Geli, as cdistributed objects' in that they are, atone level, bound together as objects, yet comprising ccmany spatially separated parts with different micro-histories", that is, materiai parts and their unfolding social relations which are entangled in different and significant ways. Such sets of social relations are manifested archaeologically through the marks, traces, materiai accretions, and disturbed surfaces of the archival objects, and through multiple materiai configurations and multiple formats of the distributed object. They reveal traces of, 6. Tiziana Ser~ Sulla (re) "mise en archive" e sugli oggettifotogrqfici: spigolature., inAttraverso lafotogrqfia. Problematiche di conoscenza de/fondo MPI. incontro/dibattito tenuto a Roma, Istituto Centrale per il catalogo e la documentazione, 22 maggio 2013,, consultabile online: getFile.php (beniculturali.it)

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for instance, systems of truth production at any given historical moment in the ways in which photographs were acquired, owned, stored, displayed, exchanged, and collected. In this the archive becomes a materiai manifestation of social relations in which images are active. 7

Per esempio, allora, nel caso di queste immagini, analizzando il verso dei provini fotografici possiamo raccogliere dati utili quali la data dello scatto o la numerazione d'archivio. Sul recto, invece, è possibile individuare, con segni rossi, le immagini selezionate da Agnese De Donato, quelle che probabilmente lei avrebbe scelto di stampare e di pubblicare. Si possono notare riquadri rossi, che indicano forse il taglio della fotografia da realizzare in camera oscura e segni di altro tipo, quali croci o cerchi, che fanno probabilmente parte di un codice per noi ormai difficilmente decifrabile. Come già evidenziato, Agnese De Donato è stata una testimone attiva di quella incredibile stagione delle cantine romane di cui l'archivio conserva una ricca documentazione, ad oggi quasi del tutto inedita, e del teatro di Dacia Maraini di quegli anni, nello stretto ma prolifico arco cronologico che inizia con l'esperienza del teatro sociale di Centocelle nel 1971 e si conclude con il Teatro La Maddalena. La breve stagione del teatro di Centocelle ha rappresentato, come ricorda Dacia Maraini nell'introduzione al libro Fare Teatro, un'esperienza unica e dalle diverse sfaccettature. C'era al suo interno: la mitica ricerca del pubblico popolare, c'è l'incontro scontro con la realtà culturale della periferia romana. C'è il tentativo continuo e doloroso di mettere alla prova la propria ideologia nei contatti con gli altri, i compagni di lavoro, il pubblico, i politici. [ ... ] c'è il fastidio della politica fatta teatro e nello stesso tempo il bisogno di fare del teatro politico.8

Tra i primi spettacoli documentati, dopo Manifesto dal carcere, dedicato alla condizione femminile nelle carceri che costituisce l'approdo per Dacia Maraini al quartiere di Centocelle e di cui purtroppo non ci sono testimonianze in archivio, va menzionato Centocelle: gli anni del fascismo. Il testo è il risultato di una lunga inchiesta realizzata da Dacia Maraini nel quartiere romano, come ricordato da lei stessa: 7. Elizabeth Edwards, Photographs. Materiai Form and the Dynamic Archive, in Photo archives and the photographic memory of art history, a cura di a cura di Costanza Caraffi, Munich-Berlin, Deutscher Kunstverlag, 2011, p. 49. 8. Dacia Marami, Fare teatro. Materiali, testi, interviste, Milano, Bompiani, 1974,

p.5.

Gli anni del Teatro La Maddalena nelle fotografie diAgnese De Donato

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Il pubblico sembrava molto sensibile ai temi politici. A più riprese è stato proposto di fare qualcosa sulla nascita del fascismo. Per fare questo mi sono messa in giro a interrogare persone che abitavano a Centocelle durante il fascismo, persone che avevano partecipato alla guerra di liberazione, partigiani, gappisti eccetera. Devo dire che queste sono state per me le esperienze più preziose. [ ... ] Con questo materiale di prima mano e un sacco di libri e documenti storici mi sono messa al lavoro. Ho lavorato tre mesi e in autunno avevo pronta una prima stesura della commedia che poi è stata chiamata Centocelle, gli anni del fascismo.t>

Questa prima stesura è stata letta, commentata e modificata nel corso di assemblee al Circolo Centocelle, un processo di due mesi che Maraini ricorda stimolante e appassionante. Lo spettacolo debutta, nel 1971, con la regia di Bruno Cirino e con la sua compagnia Teatroggi. Nello stesso anno, Dacia Maraini cura la regia teatrale dello spettacolo Ragazzo e Ragazza, interpretato da un giovanissimo Riccardo Reim e dedicato a un rapporto omoerotico che suscita nel pubblico grande scalpore. Ancora nel 1972 il teatro decentrato di Centocelle ospita con la regia di Bruno Cirino lo spettacolo del drammaturgo e rivoluzionario tedesco Ernst Toller dal titolo Hinkemann - Il mutilato, che racconta la tragica figura di un operaio evirato a causa di un incidente sul lavoro, schiacciato e incompreso dalla società capitalista (Fig. 3). Dedicato a una rilettura e interpretazione della storia d'Italia, questa volta incentrata sul periodo del Risorgimento, nel 1973 debutta lo spettacolo W l 1ltalia (Fig. 4) in cui Dacia Maraini affidando all'azione teatrale la vicenda del brigantaggio, non poteva dunque che scegliere un linguaggio epico più che drammatico, cioè il linguaggio della storia. Nessun recupero, perciò, di risentimenti subalterni ma il racconto di un dolore antico di genti e di terre "dove solo gli uccelli son contenti", di un dolore maturato e scoppiato sotto il ferro della "libertà''.10

In occasione della messa in scena da parte della compagnia Teatroggi, con la regia di Bruno Cirino, il testo originale dello spettacolo viene tagliato e modificato, di fatto sostituendo il secondo atto con un carnevale di paese. Il teatro politico di Centocelle rivolgeva la sua attenzione, come abbiamo visto, sempre a temi di grande attualità: la rilettura del passato, i rap9. Ivi:. p. 18 10. Lucio V ~ Nota, in Dacia~ Viva l'Italia, Einaud~ Torino, 1973, p. 6.

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porti con il fascismo, quelli tra singolo e società e l'incapacità di quest'ultima di accogliere e includere le differenze. Un simile approccio e intento viene ereditato, al suo scioglimento, dal Teatro La Maddalena, la compagnia femminista in cui l'attenzione alla condizione della donna diventa il punto centrale dell'attività e il coinvolgimento di attrici e professioniste esclusivamente femminili una rivendicazione politica. Il primo spettacolo della compagnia, come già accennato, è Mara, Maria, Marianna, interpretato, tra le altre, da Saviana Scalfi, in cui alcune donne si raccontavano di fatto criticando i ruoli tradizionali: la siciliana Maria, oppressa dalla gelosia del marito; Mara, distrutta dai doppi turni lavorativi; Silvana, segnata dagli aborti (Fig. 2). A differenza delle immagini originali realizzate con un 'inquadratura più larga, le fotografie dello spettacolo pubblicate su «effe» presentano un taglio più ravvicinato: una scelta da imputare probabilmente alla fotografa stessa che ha voluto così ottenere dei ritratti degli attori. Nel marzo del 1974Agnese De Donato documenta il teatro di strada di Dacia Maraini (Fig. 5), un teatro in cui l'azione prevale sulla sceneggiatura e sul testo scritto, gli attori recitano solo poche parole. L'intento era infatti quello di trasmettere dei contenuti chiari e aprirsi nella maniera più immediata possibile al contatto con la città e con quelle persone che solitamente non frequentavano i teatri. Tra i diversi spettacoli immortalati dalla fotografa c'è 8 marzo come si può ricostruire da uno dei cartelli presenti in piazza che fa riferimento all'incendio della fabbrica Cotton a Chicago nel 1909, che aveva causato la morte di molte operaie. Lo sguardo di Agnese De Donato attraversa in quegli anni il movimento femminista, di cui è protagonista oltre che un 'importante testimone diretta insieme ad altre fotoreporter come Paola Agosti, Gabriella Mercadini, Rosanna Cattaneo. Parallelamente alle foto degli spettacoli teatrali, l'archivio permette, infatti, una preziosa ricostruzione di quella stagione politica e sociale. 11 In alcune di queste occasioni, più intime e dedite al confronto e all'analisi, la macchina fotografica di Agnese De Donato incontra, ancora, Dacia Maraini: nel febbraio 1973 ad un convegno sulla prostitu11. Sull'importanza di Agnese De Donato come testimone e protagonista del movimento femminista rimando a: R gesto femminista. La rivolta delle donne.· nel co,po, nel lavoro, nell'arte, a cura di Ilaria Bussoni e Raffaella P ~ Rom~ DeriveApprodi, 2014; Lauralamurri,AgneseDeDonato, il movimentofemministae la rivista "ejfe 11• inArtefuori dall'arte. Incontri e scambi.fra arti visive e società negli anni Settanta. a cura di Cristina Casero, Elena Di Raddo. Francesca Gallo. Milano, Postmedi~ 2017.

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zione organizzato dal collettivo di via Pompeo Magno in occasione della proposta di modifica delle legge Merlin, in discussione in quel periodo; a casa di Adele Cambria con un gruppo di donne, dove viene organizzato un vero e proprio processo a Bertolucci, unico uomo presente; nel 1973 alla presentazione del celebre e ancora attualissimo libro di Elena Gianini Belotti Dalla parte delle bambine, di cui Agnese De Donato aveva realizzato la copertina utilizzando una fotografia dei suoi figli. A conferma, in conclusione, dell'estrema attualità degli spettacoli di Dacia Maraini, ritengo importante citare lo spettacolo La donna perfetta, del 1974, storia di una giovane ragazza che muore in seguito ad aborto clandestino, lasciata sola dal ragazzo, dalla famiglia e dallo Stato (Fig. 6). L'attenzione alla condizione femminile è ancora una volta il fulcro dello spettacolo, in cui il problema dell'aborto viene raccontato con uno sguardo lucido, reale e cinico. Una fotografia di Agnese De Donato scattata durante lo spettacolo immortala una scena cruciale, in cui la ragazza, qui interpretata da una bambola, a rimarcare la poca considerazione e attenzione rivolta alle donne e ai loro corpi, si sottopone all'aborto. I versi finali di Dacia Maraini sottolineano con forza la tragedia vissuta da tante donne prima che l'aborto venisse legalizzato grazie alla legge n. 194/1978 e ci ricordano, oggi, l'importanza di non cedere di un passo sui diritti acquisiti. Spettatori piangete piangete Nina bella è morta e fottuta Un'altra giovane vita vi abbiamo regalato In nome della santità della vita Ma verrà un giorno che tutte Le morte di coltello, di aghi, di cucchiaio, usciranno dalle tombe di pietra per vendicarsi del mondo che le ha volute buone per farle morire con bontà, senza pianti e risentimenti, a gambe aperte e cuore chiuso, in un lago di sangue amoroso, sorridendo e tremando affettuose. Verrà un giorno che tutte le morte Insegneranno alle vive come Abbiamo regalato noi stesse Per un piatto di lenticchie avariate.

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Secoli e secoli passati a lavorare Umilmente per gli altri, in nome Di un destino fatale, e giulivo, che ci fa schiave nella carne e per la carne rassegnate e felici. Verrà un giorno che le morte Si uniranno alle vive in una guerra rabbiosa che ridarà Onore alle donne: due braccia Di ferri per abbracciare la gioia Dei denti di lupo per agguantare La fierezza e non lasciarla mai più. 12

12. DaciaMaraini, La donna peifetta. pp. 47-48.

n cuore di una vergine, Einaudi, Torino, 1975,

Gli anni del Teatro La Maddalena nelle fotografie diAgnese De Donato

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Fig. 1. «effe», 4 (1974)~ p. 55.

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Fig. 2. Agnese De Donato,. Mara, Maria, }Jarianna, 1973,. foglio di provino (courtesy Archivio Agnese De Donato).

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Fig. 3. Agnese De Donato, Hinkemann, n mutilato, 1972 (courtesy Archivio Agnese De Donato). Fig. 4. Agnese De Donato, W L'Italia, 1973 (courtesy Archivio Agnese De Donato).

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Fig. 5. Agnese De Donato:, Teatro femminista di strada:, 1974 (courtesy Archivio Agnese De Donato). Fig. 6.Agnese DeDonato La donnaper.fetta, 1974 (courtesy ArchivioAgnese De Donato). 2

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L'io nella storia: Iileggendo Bagheria

Le riflessioni che seguono, nate dalla ri-lettura di Bagheria attuata a distanza di quasi trent'anni, partono da due spunti. Il primo è legato al quadro dei generi della scrittura all'interno del quale cercare di collocare quest'opera, tendenzialmente ritenuta come l'autobiografia della scrittrice. Ci domanderemo quindi se il romanzo si iscriva entro i confini di un determinato genere, o se invece abbia dei conti aperti e graviti attorno a generi tra loro diversi. 1 Il secondo spunto è determinato dalla curiosità che la trama stessa suscita relativamente al rapporto che vi si instaura con la storia civile d'Italia, e in genere con la realtà extratestuale. Sia quando si parli dell'appartenenza a un genere della scrittura che delle modalità del racconto sul passato, vogliamo tenere ben presente che questa è un'opera della più importante scrittrice femminista del Novecento italiano che sin dal debutto (La vacanza, 1961) ha percorso, e spesso precorso il movimento delle donne nelle sue varie declinazioni e scansioni.2 Quando correva il ventesimo anniversario della Società delle Letterate, Laura Fortini parlava del guardare «alla letteratura e all'arte a firma di donne come effettivi agenti di trasformazione del mondo contemporaneo», e ribadiva il contributo della SIL al costituirsi di una critica letteraria volta alle opere delle scrittrici e alla loro originalità e sapienza creativa nei con12

1. Tra le tematiche dei convegni SIL ricordiamo quello dedicato alle uGt-afie del sé :t svoltosi presso l'Università di Bari nel novembre del 2000:t occasione in cui si sottolineava sia la versatilità che la problematicità delle esperienze di autorappresentazione a opera di donne che privilegiano pertanto, nota Laura Fortini, forme discorsive e artistiche ibride. Si veda Grqfie del sé. Letterature comparate al femminile> Bari> Adriatica, 2002. 2. Rinvio al mio Scrittrici del Novecento, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Letteratw-a, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2017, pp. 783-792.

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fronti del canone. 3 Trasformazione e creatività, dunque, nei riguardi del mondo reale, extratestuale e di quello delle lettere, è una pratica di lettura e di critica tipica delle studiose donne. 1. Primo punto. L 'appartenenza di genere

Cominciamo situando Bagheria (1993) al centro della fase storica della scrittura post-militante (di quella militante era caratteristico Donna in guerra, 1975), ovvero di una fase più riflessiva, meditativa e rivolta a sé, al singolare femminile, quindi sul declinare della seconda ondata del femminismo e a ridosso del crescente disinteresse dell'opinione pubblica nei confronti della politica. 4 A quale genere di scrittura appartiene dunque Bagheria? È una.fiction anche se contiene ampi riferimenti alla realtà presente e passata, fattuale, empirica, biografica, o conviene pensare che sia una non fiction, proprio perché contiene tali prelievi e dato che la non fiction manipola, mescola e vira in direzione narrativa elementi e tipologie della scrittura - di cui molti qui presenti, quali l'autobiografia, il memoir, l 'odeporica che appartengono - per statuto - ad altri linguaggi?5 La lunga vita di Marianna Ucria poteva considerarsi una biofiction, una finzione storico-biografica, 6 Bagheria per 3. Laura Fortini, Critica femminista e critica letteraria italiana: il contributo della Società Italiana delle Letterate, in La critica clandestina. Studi femministi e letterari in Italia, a cura di Maria Serena Sapegno, Ilenia De Bemardis, Annalisa Perrotta, Roma, Sapienza University Press, 2017, pp. 4 7, 49. 4. Di questa fàse fanno parte, oltre a Bagheria, anche Il treno per Helsinki (1984), La lwiga vita di Marianna Ucria (1990), Dolce per sé (1997), La nave per Kobe (2001 ), in cui dialoga con i diari giapponesi della madre, e poi R gioco del'universo. Dialoghi immaginari tra un padre e una.figlia (2007) e La grande festa (2011). 5. La non.fiction contemporanea sarebbe un tipo di discorso narrativo che s, incarica di raccontare storie realmente av-venute e documentabili (in particolare dalla cronaca recente) usando gli strumenti formali e le strategie retoriche della letteratura d, invenzione. Farebbe rientrare il dato reale nel tessuto del romanzo d, invenzione. Vedi Lorenzo Marchese, Storiogrqfie parallele. Cos'è la non-fiction, Macerata, Quodlibet, 2019. 6. Per una definizione del tennine rimando a Riccardo Castellana, La biofiction. Teoria, storia, problemi, (in «Allegoria», 71-72 [2015], pp. 67-97): «Ciò che[ ... ] distingue [la biofiction] dalla biografia propriamente detta è 1, ibridazione del discorso fattuale (biografico) con i tratti testuali della.fiction, sia a livello tematico[ ... ] sia alivelloformale ... » (p. 70). Leggiamo oltre che «[la biofiction si distingue dal] romanzo storico, nella misura in cui [quest'ultimo] è incentrato su uno o più protagonisti fittizi [come Renzo] che interagiscono

L ,io nella storia: rileggendo Bagheria

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converso esula dai moduli tipici di un'auto.fiction, ovvero di un tipo di testo in cui l'io scrivendo, si inventa, cioè "si finge". Tornando sui propri passi, l'io narrante marainiano racconta la storia del proprio diventare donna, adulta, consapevole, capace di comprendere il passato e presente, sé e gli altri - ma non gioca sull'ambiguità del racconto certificato degno di fede e menzognero al contempo. Quel che si crea, nel senso del costituirsi e del divenire, è l'identità di donna (femminista), sovvertitrice dell'ordine (patriarcale) stabilito, nel pubblico e nel privato. E quindi anche nell'infanzia si rinviene ora quel che era sfuggito alla piccola Dacia, ma che chi scrive, già autrice di nove romanzi, non manca di riportare a galla e denunciare. Il rimosso ora riemerso, oltre alla violenza maschile tipica dell'isola, induce inevitabilmente il confronto della narratrice anche con la scomparsa dell'adorato padre, una ferita mai guarita, a giudicare da queste parole: «Dopo, non si sa come, tutto si rompe, prende a sfaldarsi» 7 e «Poi, tutto si è guastato, non so come, non so perché. Lui è sparito lasciandosi dietro un cuore di bambina innamorato e molti pensieri gravi». 8 Scrive Martine Bovo che la lettura di Bagheria è «paragonabile all'ascolto di una lunga confessione» che ripercorre «momenti salienti della vita della scrittrice e consente di capire quanto il vissuto abbia inciso sulle sue scelte tematiche nell'ambito dei testi di finzione». 9 Ma la produzione marainiana non è tutta, pan-autobiograficamente, una dilatata egoscrittura.10 Viene da pensare che non solo quello che oggi si usa definire con personaggi finzionali [c0tne Carlo Borromeo] aventi un ruolo secondario: mentre questo necessita di personaggi fittizi concepiti come «estensioni» del mondo reale, la biofiction può benissimo fare a meno di personaggi fittizi di sfondo» (ivi, p. 73). La lunga vita - data la posizione specifica della voce narrante- appartiene quindi forse alla biofiction.A parlare è un personaggio interno alla storia narrata ma non il protagonista, bensì qualcuno a lui vicino, che può testimoniare in prima persona sulla uveridicità'" dei fatti narrati riguardanti il biografato senza dover ricorrere ai documenti o altre fonti della conoscenza. 7. Dacia Maraini,Bagheria, Milano, Rizzoli, 1993, p.102. 8. Ivi, p. 31. 9. Martine Bovo, Autobiogrqfia e recupero memoriale in Bagheria, in Curiosa di mestiere. Saggi su Dacia Maraini, a cura di Manuela Bertone e BarbaraMeazzi, Pisa, Edizioni ETS, 2017, p. 93. 10. A sentir parlare la scrittrice stessa - sino a La lunga vita di Marianna Ucrìa- il flusso autobiografico era rimasto sbarrato: «Ho scritto otto romanzi prima di La limga vita di Marianna Ucn'a, ma sempre evitando c0tne la peste 1~ isola dei gelsomini e del pesce marcio, dei cuori sublimi e delle lame taglienti» (Dacia Maraini, Bagheria, Milano, Rizzoli, 1993, p. 128).

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come parte del contenitore "scritture del sé" si rivela pertinente all' attribuzione generica del romanzo di cui qui si dibatte, o al riconoscimento delle spinte ispiratrici che lo hanno fatto concepire. Urge sottolineare che è un racconto di chi ha dato molto al femminismo italiano (e quindi motivi di interesse storico-civile rientrano per natura nelle corde del testo), anche al di fuori della scrittura, e chi solo in seguito - forse sull'onda della pratica di autocoscienza, a cui viene fatto cenno nel romanzo 11 - riscopre memorie personali e famigliari e ripercorre la propria formazione e l'identità di donna. Che tipo di auto-narrazione è? Vi si racconta in prima persona una formazione avulsa dalle ispirazioni che provengono da un Bildunsgroman nelle versioni canoniche maschili, ma pur sempre un Bildung che rintraccia il percorso conoscitivo di un carattere e di un 'identità in fieri, di cui Laura Fortini e Paola Bono hanno rilevato la mobilità (infatti lo chiamano «il romanzo del divenire») 12 che è un attributo sostanzialmente femminile. Mobilità, precisiamo - di spirito, di intelletto, di mente, qualora lo spostamento fisico non sia possibile, o anche come movimento fisico, un viaggio di cui Maraini racconta infatti in Bagheria. 13 Ma affinché un Bildung sia femminile, occorre declinare "le prove" che - per un maschio - constavano di viaggio, guerra, conquista, e volgerle, applicarle al vissuto di donna, soggetta anch'essa alle prove che le fanno acquistare la coscienza e la maturità responsabile e appagata, anche se non necessariamente felice. 14 11. «Anni dopo:t fra il '70 e r 80 mi sono trovata, con delle amiche> a mre degli incon-

tri di uautocoscienza" così li chiamavamo allora e costituivano 1, ossatura del movimento delle donne. Ci si riuniva, a pranzo o a c ~ quando eravamo libere dai rispettivi impegni di lavoro e parlavamo> ma con qualche metodo, dandoci dei tempi e analizzando a vicenda le nostre esperienze più lontane che riguardavano la scoperta del sesso, dell, amore> dell, incontro con la violenza, col desiderio di materni~ eccetera» (ivi> p. 45). È interessante quindi un certo ritardo di Maraini, o uno sfasamento della sua auto-narrazione, che era una modalità narrativa tipica del femminismo italiano anni Settanta. 12. R romanzo del divenire. Un Bildungsroman delle donne?, a cura di Laura Fortini e Paola Bono, Guidonia-Roma,Iacobell~ 2007, p.10. 13. In ciò:t Maraini non fornisce prove a carico della divisione ideata da Fortini e Bono, che per il Bildung femminile prevedono che si svolga generalmente in spazi chius~ «in un intus che ha spesso le caratteristiche del viaggio interiore e del mettersi alla prova nel conflitto tra nonna e ribellione; accanto alla protagonista altre donne> che le sono madri, maestre e compagne nel percorso intrapreso» (pp. 11-12). 14. Franco Morett~ viceversa, pone la felicità raggiunta dal personaggio che cresce come requisito del romanzo di formazione: Franco Moretti, R romanzo difonnazione> Torino, Einaud~ 1999 p. 53 (ed. or. London, Verso, 1987). Vedi anche RandolphP. Shaffiier:t

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Bagheria - un Bildung dunque nel senso di seguire le leggi del racconto di un percorso del divenire, dove il divenire donna non consiste però nel viaggiare, lottare e conquistare, bensì nel sottomettersi e subire? 15 Subire il dominio maschile esercitato attraverso la violenza in primis sessuale di cui è punteggiato il racconto del ritorno sull'isola. 16 Un Bildung rivendicato quindi come idoneo al racconto di una maturazione femminile, 17 perché cerca di individuare un punto di risveglio, un momento di svolta, mentre pone enfasi sul percorso di sviluppo che va dall'infanzia all'età adulta. La narratrice, curiosa, si volta indietro per guardare, ma lo fa da scrittrice affermata, forte della strada percorsa. Solo fatte quelle altre esperienze, osa strappare i sigilli della porta - del passato - rimasta per anni sprangata18 e affacciarsi sulla sofferenza mai placata della memoria dell'indigenza, della violenza e della mancanza patema: «Una volta aperta [la porta], mi sono The apprenticeship nove/: a study of the "Bildungsroman" as a regulative type in Westem literatwe with afocus on three classic representatives by Goethe, Maugham, and J.\lann, NewY~Lang, 1984. 15. L, io narrante, quello che compie il ·viaggio in Sicilia, è un soggetto femminile che comunque lotta, viaggia e compie conquiste (per conto del plurale donne), ma queste uprove,, appartengono alla biografia di chi scrive, e non alla trama del romanzo. 16. Pur esulando da un procedere lineare, cronologico - essendo Bagheria una storia costruita di strappi, spiraliforme, ad alta tensione emotiva -1, impulso principale/ la fonte da cui sgorgano le memorie deriva dal viaggio di ritorno (oggi diremmo che era una missione, parte del research dello scrittore) compiuto per rivedere la villa V alguamera in cui approdò tempo prima, reduce del campo di prigionia giapponese, avendo quindi alle spalle la guerra, la carestia, i vermi ... Il viaggio che corrisponde all'oggi della scrittura si compie probabilmente negli anni Novanta, in compagnia della amica siciliana Bice e in vita della zia Saretta, che batte il piede infastidita dalla «nipote che ha sputato sulla famiglia» (p. 117), e che richiama alla realtà la narratrice che si perde nei sogni ad occhi aperti. 17. Si rinvia a un recente saggio di Valentina Pinoia, Formazione mancata o mancanza difonnazione? Alla (ri)scoperta del Bildtmgsroman a/femminile (in Critica clandestina, pp. 89-96) per un, ampia ricostruzione del dibattito critico attorno al Bildung femminile, le diverse proposte tassonomiche (novel of awaking, novel of development, romanzo di educazione, del divenire, di deformazione-conformazione-trasformazione-performazione), alle caratteristiche del genere a struttura aperta (si indica una tendenza, piuttosto che descrivere il raggiungimento di una meta definita) che permette un'autoindagine tramite la scrittura. 18. «Parlare della Sicilia significa aprire una porta rimasta sprangata. Una porta che avevo talmente bene mimetizzata con rampicanti e intrichi di foglie da dimenticare che ci fosse mai stata; un muro, uno spessore chiuso, impenetrabile», Marain.i,Bagheria, p. 129. Tra i motivi del riavvicinamento alla Sicilia, la narratrice menziona la rinnovata frequentazione con alcuni amici palennitani perduti da tempo, e le letture di scrittori siciliani: V erga, Capuana, Meli, Pitrè, Villabianca, Mortillaro, De Roberto.

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affacciata nel mondo dei ricordi con sospetto e una leggera nausea. I fantasmi che ho visto passare non mi hanno certo incoraggiata. Ma ormai ero li e non potevo tirarmi indietro».19 Di sé stessa di prima parla risentita per la propria remissività e cedevolezza tipica degliAlliata (segno di insicurezza: un sorriso di resa «di fronte a chi poteva scacciarmi con un gesto di noia», «un sorriso propiziatorio verso un mondo adulto offuscato») 20 che fuggivano nei sogni quando finivano sotto i piedi del consorte dal temperamento autoritario.21 Bagheria rappresenta infine un anello di una lunga catena che compongono tutti i libri di Dacia Maraini: ogni testo che viene dopo in parte si enuclea dall'anello precedente (qui da La lunga vita di Marianna Ucria) e in parte prelude a quello successivo ( Voci). Questa concatenazione dà prova non solo di un processo di perenne trasformazione di genere: dal romanzo femmjnh,ta, al romanzo storico, al romanzo di memorie/autobiografico, e al romanzo giallo, ma esprime soprattutto il legame tra le storie raccontate. Nella parte finale di Bagheria si infittiscono i richiami a Marianna - protagonista del suo libro precedente - ritratta «idealizzata, mezza dea, mezza scriba sapiente, avvolta nelle pieghe di un vestito regale»,22 «in una posa artefatta»,23 ma con un che di «risoluto e disperato nei grandi occhi chiari». 24 Se è menzionato più volte e descritto in dettaglio il ritratto di quell'ava che Maraini è tornata a vedere, e da cui era tanto attratta, è perché, leggiamo, era «importantissimo per il mio futuro letterario».25 Invece il riferimento a Voci si trova a metà del plot, quando la narratrice ripesca dalla memoria la storia nota a tutti e da tutti taciuta, di un padre che abusò della prima, della seconda e poi della terza figlia, sotto gli occhi della madre e di tutta la comunità.26 Per Bagheria, insomma, passano diverse strade, o linee di raccordo che portano in varie direzioni: nel passato della scrittura (La lunga vita) e del vissuto (Giappone, poi tre anni nella dependance, ovvero la stalla della villa Valguamera), e nel futuro della scrittura (Vocz) e della vita (l'annunciato definitivo congedo della narratrice dalle radici degli aristocratici avi 19.lbidem. 20. Ivi:, p. 85. 21. Ivi:, p. 86. 22. Ivi:, p. 77. 23. Ivi:, p.167. 24. Ivi:, p. 163. 25. Ivi:, p. 69. 26. Ivi:, pp. 144-145.

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materni, e un commiato - non definitivo, se si pensa a Corpo felice - alla materia autobiografica). Uno dei tanti anelli di una lunga catena dei suoi racconti, insomma. 2. Secondo punto. Il rapporto con la storia civile d ltalia 1

(e con la realtà extra testuale) Se si eccettua La lunga vita di Marianna Ucrìa, 27 occorre constatare che Maraini non si è lasciata travolgere dal boom del romanzo storico profilatosi negli anni Ottanta. Non si è "convertita" al genere di scrittura sul tema del passato, e anche in quella sua singolare microstoria (o biofiction) in cui raccontala vita (immaginaria) vissuta da un'ava siciliana-con cui la narratrice pare essersi immedesimata al punto di voler per la prima volta raccontare anche di sé - mostra più interesse per la sorte della donna nel passato che per la Storia con la S maiuscola in sé. Pure in Bagheria i suoi temi sono più civili che storici. Oltre al capitolo introduttivo in cui si accenna alle condizioni di vita nel campo di prigionia durante la guerra (i suoi genitori hanno rifiutato di firmare per la Repubblica di Salò), e alle condizioni precarie in cui la famiglia visse per tre anni dopo il ritorno dal Giappone, la povertà della guerra e del dopoguerra, insomma, Maraini passa a descrivere l'incontro con i bagarioti, compresi i membri della sua stessa famiglia (la nonna che non li amava e non li sopportava),28 l'etimologia del nome del paese (dall'arabo: porta al vento, o dal fenicio: ritorno) e la storia di Bagheria che cedono tutto sommato al suono del reiterato lamento per lo scempio edilizio che distrusse l'architettura delle ville («[le] nuove autostrade che si sono aperte il varco al centro del paese, distruggendo selvaggiamente giardini, fontane, e tutto quello che si trovavano fra i piedi»)29 e per il potere mafioso che opprime la città e l'isola («Bagheria è una città mafiosa, lo sanno tutti. Ma non si deve dire»), 30 ragione per cui a chi narra «si rivolta l'anima», «si chiude la gola», «si rivoltano le viscere», «tutto il corpo è in subbuglio». 31 27. L, interesse per la storia: R treno dell 1ultima notte (2008), Chiara d'Assisi. Elogio della disobbedienza (2013). 28. Marami, Bagheria, p. 31. 29. lvi, p. 34. 30. lvi, p. 133. 31. lvi, pp. 130-131.

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Le numerose fonti che la narratrice consulta ed elenca (libri di storia di Oreste Girgenti e Nino Morreale, relazioni della commissione d'inchiesta sull'attività dell'Assessorato ai Lavori Pubblici, gli scritti di Francesco Alliata in cui la narratrice trova informazioni sull'esproprio voluto dal comune negli anni Cinquanta) devono tutte fornire la risposta al perché della decadenza non antica, bensì recente. Le «arroganze» e «crudeltà»32 della mafia si rivelano nutrite dalle grandi famiglie aristocratiche siciliane, «avide, ipocrite e rapaci» 33 come la sua e da cui veniva quindi gran parte del male dell'isola. 34 Il pianto per il degrado urbano è intervallato dal racconto della parentesi di gloria e sfarzo, settecenteschi della famiglia, e dalle genealogie meno remote: come la storia della nonna cilena Sonia che per tutta la vita ha rimpianto il palcoscenico, una donna "selvaggia" che fino all'ultimo non si fidava nemmeno delle figlie («avevo orrore di assomigliarle»);35 e alcuni estratti dal libro di zia Felicita, «un cumulo di adulazioni e di vanterie», che ritraeva la famiglia come «gente ardita e pia», «sempre pronta a dare soldi per erigere nuove cappelle», 36 inventava «una nobiltà tutta eroismi e sorrisi» e elucubrava sulla «villa dei miei sogni». 37 Al cospetto di tante fantasticherie, il racconto marainiano appare come un'ammenda dettata dalla realtà fattuale e intesa per togliere quasi tutto all'immeritata figurazione edulcorata della propria stirpe e genealogia. Come i suoi avi hanno ripudiato le prevaricazioni compiute in loro nome, così Maraini ora sfronda e ripudia la loro memoria. Rimane ancora da dire qualcosa sul rapporto con il genere che ha la storia per tema. Sembra che Maraini si ponga dalla parte del modello costituito da Confessioni di un italiano, ovvero un romanzo storico con la vicenda narrata in prima persona da un personaggio-testimone, in ragione di quanto visto e vissuto da chi racconta. Con Nievo, notava Margherita 32. Ivi, p. 126. 33. Ivi, p. 80. 34. «Conoscevo troppo bene le arroganze e le crudeltà della Mafia che sono state pro-

prio le grandi famiglie aristocratiche siciliane a nutrire e a fare prosperare perché facessero giustizia per conto loro presso i contadini, disinteressandosi dei metodi che questi campieri usavano in nome loro, chiudendo gli occhi sugli abusi, sulle torture, sulle prepotenze infinite che venivano fatte sotto il loro naso ma fuori dal raggio delicato dei loro occhi. lo non ne volevo sapere di loro. Mi erano estranei, sconosciuti. Li avevo ripudiati per sempre già da quando avevo nove anni ed ero tornata dal Giappone affamata, poverissima... ». iv-i, pp. 125-126. 35. Ivi, p.107. 36. Ivi, p. 125. 37. Ivi, p.162.

L'io nella storia: rileggendo Bagheria

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Ganeri, è avvenuto il passaggio dall'esegesi del documento alla memoria personale. 38 Nell'Ottocento post-manzoniano quel passaggio coincide con (e esprime) l'attenuarsi della fiducia nell'incidenza dell'agire (collettivo) umano nella e sulla storia, e fa prevalere l'anamnesi pseudo-autobiografica (in Bagheria, per converso, la spinta è autenticamente autobiografica) operata dal narratore e testimone in uno. Abbiamo detto che Bagheria appartiene al periodo post-militante, nato dopo il declino della seconda ondata del femminismo, il femminismo politicizzato, e coincide con la definitiva disaffezione dell'opinione pubblica verso la politica.39 Come Nievo, insomma, Maraini sembra mettere in scena un personaggio antieroico dentro una trama che si configura in qualche modo progettuale. Non certo per mostrare la nascita di una comunità (o nazione, come fece l'autore delle memorie di un ottuagenario), quanto per raccontare, senza reticenze, come la società civile si guasti, quali siano i suoi mali e chi i responsabili. È importante notare inoltre, ricordando quanto si è detto sulla struttura da Bildung rinvenibile in Bagheria, che il romanzo di Nievo è considerato il 38. Margherita Ganeri, La ricomparsa dei/atti. Fenomenologia della memoria storica nel romanzo ottocentesco, in «Compar(a)ison», 1-2 (2004), pp. 121-132. 39. Mi preme segnalare una possibile eco presente in Bagheria - in virtù di quella memoria culturale del patrimonio letterario comune - che evoca la storia, ormai diventata un classico del Novecento, il cui protagonista ritorna sull'isola dell'infanzia che, rivisitata da una coscienza adulta, si rivela affatto "libera e gagliardan, ma invece marcata di atti potenzialmente deleteri, violenti, delle tetre passioni degli adulti che sconvolgono e nauseano i piccoli. Leggiamo infatti nel romanzo marainiano: «Erano anni in cui confondevo i sogni con la realtà. [ ... ] Erano per lo più sogni di viaggi, di avventure, di accadimenti straordinari in cui mi crogiolavo con lo spirito di una piccola Alice pronta a precipitare nel pozzo buio pur di scoprire qualcosa di nuovo e divertente. Sognavo anche di volare. [ ... ] Sognavo che mio padre, le rare volte che tornava a Bagheria, mi portava con lui dentro la bocca della balena di Pinocchio [ ... ]. In qualche modo avTei voluto che lui fosse mio :figlio per poterlo tenere chiuso nel ventre anziché vederlo sempre ripartire per luoghi lontani e difficili da immaginare» (Maraini, Bagheria, pp. 64-65). E ancora: «E orribile trovarsi adulti, ormai usciti da quel paradiso dei sensi e degli odori, e capire di avere conservato quella felicità solo in qualche fotografia. Un singulto nel ritrovare nelle narici quegli odori di letti materni e sapere che sono persi per sempre» (ivi, p. 102). Bagheria risente insomma di alcwie atmosfere del romanzo di chi immaginava il suo piccolo eroe innamorato perso del padre, la distrazione o la lontananza del genitore, le partenze, i ritorni, la smania di amore e la pena per la sua scomparsa definitiva. Come l altra isola (Procida), dell'infanzia immaginata felice proteggeva il piccolo eroe che vi si rifugiava dalle offese della storia e dai richiami bellici (banditi insieme al pensiero della grande innominabile, la morte), anche l isola marainiania (la Sicilia) poteva apparire felice agli occhi di una fanciulla undicenne, reduce della guerra e del campo di prigionia. L'incantesimo della :fiaba è destinato presto a rompersi. 11

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capostipite del romanzo di formazione in Italia. 40 Quasi come del piccolo Carlo di invenzione nieviana - senza alcun suo merito se non in virtù di quella santa pazienza (con cui sopporta i capricci dall'adorata Pisana), e bruttezza di chi, quasi una crisalide, sboccerà per aiutare la dama in extremis - così della piccola Dacia del romanzo marainiano, mortificata dalla propria timidezza, abbandonata dal padre e ripudiata dagli avi materni, poco lasciava indovinare - soprattutto a lei stessa di allora - quale sarebbe stato il suo futuro. Due eroi da fiaba - di cui il secondo del tutto reale e autobiograficamente certo - il cui schema prevede il ribaltamento della situazione iniziale.

40. R romanzo di formazione ne/i 'Ottocento e nel Novecento, a cura di Daniele F iorett~ Maria Carla Papini, Teresa Spignol~ Pisa, Edizioni ETS, 2007, pp. 280-281.

MONICA VENTURINI

«La forza assoluta di un gesto». Sulla scrittura gio1nalistica di Dacia Maraini*

Purtroppo le parole non hanno la perfezione e la forza assoluta di un gesto come quello di Antigone. [ ... ]. Le parole non sono mai totali e definitive come le azioni concrete e fisiche. Le parole appartengono a quella relatività carnosa e fragile che esprime la vita del pensiero. Io conosco solo le parole per dissentire e affermare ciò che mi ferisce e mi angustia nella vita del nostro Paese. (Dacia Marami, I giorni di Antigone. Quaderno di cinque anni)

Si intende qui analizzare il rapporto tra letteratura e giornalismo, a partire dall'opera e dal ruolo culturale ricoperto da Dacia Maraini, soprattutto dagli anniNovanta ad oggi, fase di grandi cambiamenti culturali. Senza dubbio, le trasformazioni che hanno coinvolto il rapporto tra cultura e media e l'esigenza di realtà e di un forte riferimento alla storia, proprie degli ultimi trent'anni hanno determinato importanti novità nelle narrazioni contemporanee. Negli ultimi decenni, in particolare, il riferimento alla dimensione storica - e il caso del romanzo storico è emblematico - è dominante e motivo di continua riflessione. Se poi si considera l'importanza e il peso conquistati da molte scrittrici e giornaliste nel corso del Novecento e, in particolar modo, dagli anni Settanta in poi, il quadro si fa notevolmente più complesso, senza dubbio ancora in divenire: *Questo intervento si inserisce in un filone di ricerca avviato nel 2018 dal titolo Le élites culturali jllmminili dal/ 'Otto al Novtlc R ricordo della fame. in «Io Donna», 14 aprile 2015. 4. Ead.> La nave per Kobe. Diari giapponesi di mia madre, Milano> Rizzo~ 200t p. 174. 5. Ead.>Bagheria>Milano> Rizzo~ 2000 (prima ed. 1993), p. 15.

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topi venivano spellati e bolliti: «quando si ha fame si è portati a mangiare qualsiasi cosa» 6 per non morire, sebbene la morte, «cugina idiota» e consanguinea della fame, fosse così presente da sollecitare la sensazione in lei bambina di essere «pronta a perdere la vita come si perde un dente». 7 Come sopravvivere? Con la potenza del pensiero consolatorio, vale a dire con il lavoro dell'immaginazione, che aiuta la piccola Dacia a uscire da quella realtà opprimente e disperata, accompagnandola verso paesaggi interiori opposti e temporaneamente appaganti. Da rilevarsi questo meccanismo, che coincide con l'attitudine intellettuale di Maraini adulta, il cui pensiero pare non permettere il permanere di una tragedia senza almeno adombrare un'idea di cambiamento, se non di riscatto; né sembra esistere situazione tanto orribile da impedire l'ipotesi di un conforto, un sollievo, una consolazione. Molti anni dopo l'esperienza della prigionia, parlando dell'humus nel quale prospera la mafia e della rottura del silenzio da parte dei pentiti, la scrittrice annota: «credo sia giusto che chi ha voce, parli, racconti e ricordi la storia del nostro paese. Fatta di orribili ombre, ma anche di piccole bellissime luci». s Nell'intero corpus di Maraini, le «piccole bellissime luci» vengono differentemente declinate nei vari generi letterari frequentati e si accendono al contatto con la sua visione sociale e politica del mondo. E qualche minuscola intensa luce neppure la fame è riuscita a spegnere, a cominciare dai bagliori di umanità, tenerezza e pietà che Dacia indirizza a una ranocchia acciuffata nel cortile con l'intenzione di destinarla al proprio pasto; avendo sentito contro le dita il battito del cuore della bestiola e visto nei suoi occhi il terrore, decide di liberarla, risparmiandole la vita. Di un'altra luce, intensa e preziosa, la fame è stata motore, l'immaginazione: Dacia gioca infatti con le pietre, che la sua fantasia trasforma in pane, pasticcio di carote, banana, a seconda della struttura, perché «a volte ci si sfama anche con gli occhi». 9 D'altra parte, l'intera famiglia Maraini si àncora alla fantasia durante gli anni nel campo: Più che altro si parlava di cibi, dalla mattina alla sera, per soddisfare con la fantasia quella fame che ci prosciugava la saliva in bocca e ci rattrappiva le 6. Ead.> R ricordo de//afame. 7. Ead.> Bagheria> p. 14. 8. Ead.> Sulla mqfia. Piccole riflessioni personali> R~ Giulio Perrone Editore> 2009>p. 14. 9. Ead.> Bagheria> p. 16.

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viscere. «Ti ricordi la pasta alle melanzane che si mangiava a Palermo? con quelle fettine nere, lucide, sommerse nel pomodoro dolce.» [. _.] «Ti ricordi le sarde a beccafico, arrotolate con dentro l'uvetta, i pinoli, quella tenera polpa di pesce che si sfaldava sulla lingua?» «Ti ricordi i p. 711. 56. Ivi> p. 329. 57. Ead.> Chiara d'Assisi. p. 132 58. AlessandraArachi, Briciole. Storia di un 'anoressia. Milano> Feltrinelli. 2018 (prima ed. 1994). 59. Michela Marzano> Volevo essere una farfalla. Come l'anoressia mi ha insegnato a vivere. Milano. Mondadori, 20lt p. 40. 60. Ivi> p. 105.

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«cannibalismo amoroso», Maraini ne parla come della «resa al mistero vorace del ventre materno», «il regalare me stessa alla "fame" del figlio amante», riscontrandone la presenza nella storia della sessualità e tracce «in molta letteratura». 61 In quell'occasione la scrittrice annuncia che sta lavorando a un nuovo romanzo, Lettere a Marina, che infatti sarà pubblicato due anni dopo. L'occasione di rappresentare letterariamente la forma dell'amore-possesso-inglobamento e di riflettere sulle sue implicazioni deriva da esperienze personali, da un vissuto autobiografico che la scrittrice rielabora al fine di ampliare lo spettro conoscitivo di espressioni dell'eros sulle quali - dice - «manca una riflessione approfondita». L'irritazione che le induce il «sentimentalismo che a volte si fa su questo processo crudele e arcaico del mangiarsi ed essere mangiati»,62 sarebbe responsabile del linguaggio concreto e talvolta crudo che privilegia nei due scritti in questione, ma anche dei momenti di penetrante esplorazione del fenomeno. Vi sono figli che divorano le madri, madri che divorano figlie e figli, amanti che si divorano l'un l'altra e l'altra/o l'una, mentre le metafore, costantemente prelevate dal cibo o dal corpo che si fa cibo, si susseguono: «vuoi assaggiare la mia lingua di zucchero fino?»; 63 «ma siamo così feroci / nel morderci l'un l'altra il collo / mi succhi gli occhi come uova / mi frughi il ventre con la mano ad artiglio/ mi torci la lingua»;64 e gli esempi si potrebbero moltiplicare. Non diversamente nelle Lettere, nelle quali Bianca scorge fin da subito nello sguardo di Marina la volontà di divorare che non lascia scampo: «Mi guatavi. È la parola giusta mi puntavi gli occhi addosso come per capire se ero commestibile» ;65 ma di quella fagocitazione essa stessa è complice, sia pure in un sogno d'infanzia che mette in scena l'innamoramento per la Madonna: «Volevo nutrirla per placarla saziarla perché non mi divorasse pur desiderando profondamente essere divorata da lei». 66 Il repertorio del divorare è qui dispiegato sia nella relazione fra le interlocutrici protagoniste del carteggio, Bianca e Marina, sia nel rapporto che intercorre tra la vicina di casa Basilia, stuprata dal padre e preda di "cannibalismo" da parte del marito e dei figli. Via via la realtà si amplia, investendo madri, 61. Dacia Maraini, Intervista, in «Fermenti», febbraio 1979 (www.fennenti-editrice. it/archivio/lntervista_DaciaMaraini_Fermenti.h1m).

62.Ibidem. 63. Ead., 1.'\langiamipw-e, Torino,Einaudi, 1978, p. 77. 64. Ivi, p. 43 65. Ead., Lettere a 1.\larina, Milano, Bompiani, 1981, p. 30. 66. Ivi, p. 106

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padri e figlie/i, relazioni violente e distruttive ammantate di amore. Viene in mente Ingeborg Bachmann quando, a proposito dei "delitti psicologici", scrive: «questi delitti sono tanto più sublimi che quasi non riusciamo ad accorgercene e a comprenderli, benché vengano commessi ogni giorno nel nostro ambiente, tra i nostri vicini di casa. Anzi io affermo [ ... ] che ancora oggi moltissime persone non muoiono ma vengono assassinate». 67 Nel volume Curiosa di mestiere. Saggi su Dacia Maraini, vi è un capitolo dedicato a Chi mangia chi ?68 nel quale Antonella Mauri ricorda i nomi di Sibilla Aleramo e di Alba de Céspedes (rispettivamente a proposito di Una donna e di Quaderno proibito), autrici che si sono avventurate nei territori della "fagocitazione" familiare fra inizio e metà Novecento. Annie Vivanti ne costituirebbe il modello ideale, essendo I divoratori la storia di relazioni fra divorate e divoratrici/divoratori: la figlia geniale annichilisce la madre («il suo cammino passa sulle mie speranze infrante, e sui miei libri non scritti, ebbene: glieli metterò sotto ai piedini, e le dirò che calpesti, corra, danzi!»),69 e quando la figlia sarà a propria volta madre, verrà anch'essa divorata dal figlio: non a caso il romanzo si apre e si chiude con la «creaturina» che piange e urla «ho fame». 70 Perché la parola "fame" riassume l'urgenza materiale dello stare al mondo che la vince su qualsiasi altra necessità dell'esistenza, anche la più inderogabile, come è quella di accondiscendere alle proprie vocazioni artistiche. Tornando a Maraini e alle Lettere, Marina prende atto del fallimento della relazione con Bianca e, prima di andarsene per sempre, rilegge un brano del romanzo al quale sta lavorando giudicandolo «bruttissimo».71 Si impone qui prepotentemente il richiamo alla scrittura quale momento di liberazione dalla prigionia e dall'angustia sia essa psicologica sia fisica e quale scelta di autonomia e realizzazione. E, prima ancora della scrittura, 67. Ingeborg Bachm~ Il caso Franza I Requiem per Fanny Goldmann, trad. di Magda Olivetti, Milano, Adelphi, 1988 (ed. or. Der Fall Franza. Unvollendeter Roman, in Ingeborg Bachmann, Werke. Dritte Band: Malina und unvollendete Romane, a cura di Christine Koschel, Inge von Weidenbaum, Clemens Munster, Munchen, Piper, 1978, pp. 339-482), p. 12. 68. Antonella Mauri, Amore cannibale: chi mangia chi?, in Curiosa di mestiere. Saggi su Dacia Maraini, a cura di Manuela Bertone e Barbara Meazzi, Pisa, ETS, 2017. 69. Annie Vivanti, J divoratori, a cura di Carlo Caporossi, con uno scritto di Georg Brandes, Palermo, Sellerio, [1910] 2008, p. 433. 70. Ivi, pp. 33 e 524. 71. Marami, Lettere a Marina, p. 203

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abbiamo visto, è l'immaginazione a permettere la sopravvivenza: ancora di recente, intervistata a proposito di Silvia Romano, la volontaria rapita in Kenia e fattasi musulmana, Maraini ritorna con la memoria alla propria prigionia in Giappone e, riaffermando di essersi nutrita di favole, di avere chiesto continuamente il racconto «delle storie con le quali uscire fuori da quel posto orrendo», conclude: «Posso immaginare, perché l'immaginazione è il mio mestiere di scrittrice, che nella mente di Silvia Romano sia scattato qualcosa del genere». 72 Vi è dunque un rapporto diretto fra situazioni drammatiche e invenzione, tra fame e arte della parola: Sharman Apt Russel, esperta di storia naturale, scrive che «gli artisti hanno bisogno della fame come di un verbo. Gli artisti hanno bisogno di desiderare». 73 Da parte sua, Maraini ha dimostrato che l 'affabulazione è il surrogato del cibo che manca.

72. Dacia Maraini, Intervista rilasciata a Nicola Mirenzi, in «Huffpost», 13 maggio

2020. 73. Sharman Apt Russel, Fame. Una storia innatwale, Torino, Codice, 2006 , traduzione italiana di Susanna Bourlot di Hunger. An Unnatural History, Basic Books, 2005, p. 9.

Appendice

DACIA MARAINI,

p AOLO DI PAOLO

Una passione per le domande*

Buongiorno, ringrazio Laura Fortini e tutte le persone che insieme a lei hanno reso possibile questa giornata. Vo"ei richiamare almeno due o tre cose che ho ascoltato negli interventi precedenti. Comincio da ciò che ha detto Laura Fortini sulla difficoltà di pensare gli scrittori contemporanei facendo un lavoro critico che sia pari, per profondità e strumenti, a quello che di solito si fa su scrittori che non sono contemporanei. La contemporaneistica ha oltretutto il difetto di trattare gli sc,:fttori viventi come se fossero una sorta di sottospecie degli scrittori contemporanei. E un difetto universitario. Lo dico cost senza tema di essere smentito o di obieziont perché ho fatto un dottorato di ricerca proprio qui a Roma Tre, e mi rendo conto di quanto l 'ajfanno dei contemporaneisti più avvertiti sia propri.o quello di trattare anche scrittori ancora nel pieno della loro attività. Credo che talvolta sia più stimolante provare a ragionare. Naturalmente, quando c'è un percorso significativo. Non sto dicendo che sia un 'opzione valida per tutti ma se è possibile può essere più stimolante proprio perché sappiamo che quell'opera ha ancora un futuro, uno spazio dove si può essere smentiti, completati nei ragionamenti. Il lavoro dei prossimi anni di una scrittrice come Dacia Maraini, per esempio, potrebbe anche cambiare qualche carta in tavola, e ciò potrebbe essere stimolante per un critico che si fa sorprendere. Solo un passo indietro per sottolineare, sempre partendo dalle premesse di Laura Fortini, un dato che invece ci riguarda come studiosi, in questo caso di genere maschile. Lo sottolineo perché avverto la sensazione, credo confermata *Il dialogo tra Dacia Maraini e Paolo Di Paolo ha concluso la sessione antimeridiana del colloquio internazionale Dacia .i\laraini. Lafelicità della scrittura /afona della parola. Per un nuovo lessico della letteratwa e del teatro e molte sono state poi le domande del pubblico. La trascrizione è a cura di Maria Isabella Giovani> la revisione è di Maraini e Di Paolo. Si riporta in corsivo il parlato di Di Paolo, in tondo le risposte di Maraini.

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Dacia Maraini, Paolo Di Paolo

largamente, non solo di una prospettiva pesantemente misogina che ancora purtroppo in molti ambienti accademici è evidente; ma anche di una certa distrazione, perfino dei critici di nuova generazione, nei confronti del percorso di scrittrici e poetesse. Non si tratta solo di riequilibrare un canone, perché potremmo anche arrivare al punto di sbarazzarci proprio dei canont nel 2020. Qualche tempo fa ho chiesto proprio a Laura Fortini di giocare sul Novecento, visto da lontano, provando a comporre un canone o anticanone. Così, per far circolare dei nomi possibili. Alla domanda «Quali sono cinque narratori su cui scommetterebbe rispetto al futuro?», lei giustamente risponde «Perché non narratrici?». Nel momento stesso in cui fa un'obiezione alla domanda, al modo in cui viene formulata, dimostra che siamo indietro anche rispetto alla quantità di studi che poi confluiscono nelle storie letterarie. Nel senso che a tutt'oggi, se guardiamo al Novecento, le storie della letteratura adottate nelle scuole superiori dedicano al massimo un capitolo a Elsa Morante, e in alcuni casi alle scrittrici. È una cosa abbastanza patetica e inaccettabile rispetto alla sproporzione di pagine su scrittori che di certo non hanno un peso superiore a quello di Anna Maria Ortese o Natalia Ginzburg. E, sinceramente, non è una questione solo di gerarchie. E quindi entro, per l'ultimo tassello del ragionamento, in un 'altra dimensione. Può accadere, come è stato per Dacia, di essere oggetto di una valanga di studi da parte di tutti i dipartimenti di italianistica nel mondo e di sentire allo stesso tempo un certo difetto dai dipartimenti di italianistica in Italia. È un dato incontrovertibile, un punto su cui non accetto nessuna obiezione. Dobbiamo farci qualche domanda. Che cosa succede se la critica, anche attrezzata, e gli italianisti, da noi, evitano di confrontarsi con scrittori che riescono a raccogliere un 'attenzione così trasversale e così puntuale a livello internazionale? Pensiamo, ad esempio, al lavoro sul teatro di Dacia Maraini. Ci sono studi che ormai datano agli anni Settanta, agli anni Ottanta, quasi in tempo reale rispetto alla scrittura. E noi, oggi, ci accorgiamo che forse è il caso, come diceva giustamente Laura all'inizio, di fare il punto. Tardivamente. Parlo chiaramente in termini generali, non di noi seduti a questo tavolo. Pongo un 'ultimissima questione e poi arrivo alla domanda. Quando uno scrittore contemporaneo diventa interlocutore dei suoi studiosi e dei suoi critici può anche aiutarli. Talvolta li depista, ed è il caso di scrittori come Calvino, che quasi si divertiva a depistare i critici. Viceversa, e questa è davvero la premessa essenziale per la prima domanda, con Dacia c'è sempre la possibilità di dialogare, perché si dispone al dialogo come se fosse una parte fondamentale del suo modo di stare al mondo: dialogare, impostare un dialogo, crearlo. Lo si diceva appunto in un intervento precedente proprio rispetto al tessuto della sua narrativa e del suo teatro. Ecco perché abbiamo intitolato con Laura Una passione per le domande questo intervento, perché prima ancora che le risposte Dacia accoglie le domande,

Una passione per le domande

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raccoglie e accoglie le domande. Nel 2005 l'occasione fu un libro per Laterza, ci è capitato di mettere insieme un dialogo, uno dei tanti pubblicati con Dacia Maraini. Si chiamava Ho sognato una stazione. Solo per dire che c'è un pregresso, in questo senso. Mi ricordo di quanto fu anche problematica, la costruzione di quel dialogo: lei diceva «Un conto è un 'intervista, fatta così, estemporaneamente, un conto è la ricomposizione», anche di una strategia, che diventa quasi drammaturgica di un dialogo scritto. Dove deve esserci un ritmo dicevi, no? Parlare è una cosa, scrivere un, altra. Il parlato si prende delle libertà che lo scritto non può permettersi. Libertà che sono compensate dalla presenza della voce, della mimica facciale, dai gesti delle mani. Mentre la scrittura, affidata com'è ai soli segni su un foglio di carta, non può sfuggire a strette regole sintattiche e lessicali.

Una risposta va tagliata in un certo modo. Ricordo il lavoro che lei stessa aveva fatto sulle sue risposte, rimpallando costantemente domande in un movimento che è tipico - ripeto - anche della sua scrittura na"ativa. Arrivo alla prima domanda. Se con un colpo d'occhio proviamo a inquadrare l'intera opera di Dacia Maraini non ci sorprende solo la mole, come si diceva all'inizio: sessant'anni di scrittura, la vastità degli interessi e anche degli esperimenti stilistici. Ci sorprende il fatto che nel caso di Dacia Maraini la scrittura precede il suo stesso cominciare a scrivere, e qui arrivo al/ 'interrogativo. È come se fosse, in fondo, un filo che Dacia Maraini riprende. Non tanto o non subito da una tradizione in senso lato, ma da una tradizione familiare, strettamente familiare. Non so se la parola "vocazione" ti convince fino in fondo, anzi sarebbe bello che tu dicessi se credi alla vocazione. Sicuramente c'è stata, intanto, una dialettica interna a un contesto familiare in cui sembrava impossibile non ereditare, in qualche misura, la scrittura. Ereditarla, oppure rifiutarla totalmente. Però lascio a te di dire come sei cresciuta. Molti ricorderanno, ovviamente, la figura di Fosco Maraini, che è stato uno dei più grandi antropologi del Novecento, studioso di oriente, iamatologo nello specifico. Prima di Fosco, però, c'è tutta una costellazione di scriventi e di scrittori nella tua famiglia, pensi che questo sia stato decisivo, vocazione o no che sia? Ti ringrazio. Dunque vocazione non lo so mi sembra una parola un po' romantica. Mi piace pensare che ci sia un talento affabulatorio che si può anche ereditare, perché effettivamente io vengo da una famiglia che dalla parte di mio padre ha una tradizione narrativa che addirittura risale alla mia trisnonna che si chiamava Cornelia Brekeley, era inglese, e scriveva libri per bambini. Mia nonna Yoi era una donna straordinaria: coraggiosissima, direi quasi temeraria, si metteva lo zaino in spalla e andava in giro per il mondo ai primi del Novecento; persona appassionata di letture, scriveva libri e romanzi di viaggio. Poi mio padre a sua volta, come ha detto giustamente Paolo, per quanto fosse laureato in etnologia e antropologia ha

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Dacia Maraini. Paolo Di Paolo

sempre avuto la passione della scrittura, ed è stato amato dai suoi lettori, infatti ancora oggi i suoi libri sul Giappone e sul Tibet vengono continuamente ristampati. Quindi più che vocazione, credo di avere ereditato una certa capacità affabulatoria. Poi però ci vuole anche la disciplina, non basta la capacità affabulatoria, ci vuole tanta pratica di lettura. La gente mi chiede spesso «Cosa bisogna fare per scrivere?». E io rispondo senza esitare: Soprattutto leggere. Bisogna essere dentro la lettura fino ai capelli, dentro proprio l'acqua della lettura come un pesce. Bisogna leggere tanto tanto perché leggere fa capire che dietro ogni scrittura c, è un piccolo tragitto musicale, una struttura ritmica ed è quella che comunica. Per me non sono né il soggetto, né l'argomento, né la tesi, né la grande scrittura, ma tutto si gioca su quella piccola strutturina musicale che noi spesso non vediamo. La identifichiamo nella poesia, perché la poesia ha un ritmo molto preciso e quindi riconosciamo che la poesia è musicale. Non capiamo che invece dentro la scrittura in prosa c, è un progetto altrettanto ritmico e armonioso. Non si distingue facilmente però chi la sente la riconosce, tant'è vero che è difficilissimo tradurre da una lingua a un, altra, a volte la traduzione distrugge tutto proprio perché quella struttura musicale è legata anche al suono delle parole che si perde moltissimo nelle traduzioni, soprattutto quando c'è una ricerca melodica all'interno del testo. Per questo credo nella lettura, che ci rende familiari alle questioni del ritmo: ecco un'altra esperienza importante che mi appartiene: la lettura Nella mia casa, nella mia famiglia era un valore assoluto e io bambina avevo accesso a tutti i libri, anche quelli per adulti. Quando siamo tornati dal Giappone e io avevo nove anni, quasi dieci, a casa mia non c, era niente, eravamo poverissimi: io andavo in giro con le scarpe risuolate, col cappotto del nonno ritagliato e rivoltato, perché non avevamo un guardaroba decente, salvo un vestito che ci avevano regalato gli americani, ma i libri sì, c'erano ed erano tanti. Ricchezza di libri e povertà di cibo, di vestiti, di tutto insomma. Posso dire che mi sono sempre nutrita di libri: molti erano inglesi perché c'era questa nonna inglese e in famiglia si leggeva e si parlava anche inglese e io mi sono sentita molto dentro la narrativa anglosassone. Addirittura a me succede, credo anche a te perché sei uno scrittore, che confondo le mie memorie con le memorie dei personaggi dei libri. Succede anche a te? È una cosa curiosa, chi legge molto si appassiona ... Ortega y Gasset dice una cosa bellissima: «quando si entra in un libro che ci piace noi ci impaesiamo», che è una magnifica idea. E prosegue: «ci impaesiamo» e quando siamo molto impaesati non vogliamo spaesarci, perché uscendo da un libro ci sentiamo spaesati, è affascinante questa metafora. Per cui effettivamente io quando mi impaeso in un libro, poi certe volte mi rendo conto che confondo le mie memorie con le memorie dei personaggi, perché mi sono totalmente identificata con le vite dei personaggi. Un, altra cosa che molti dicono, anche scrittori importanti è: «ah no, io non leggo perché ho paura di essere influenzato». Ma che cosa vuol dire? Non vuol

Una passione per le domande

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dire niente. È come asserire che non ascolto Bach perché ho paura di essere influenzato e invece bisogna essere dentro completamente dentro la lettura al tal punto da riconoscere lo stile di uno scrittore solo a leggere due righe. Per questo bisogna essere molto familiari con la lettura e questa è la prima fase del rapporto con la scrittura.

Credo che tu abbia ragione soprattutto nel dire che vocazione è una parola romantica perché un po' imprecisa, un po' astratta. La vocazione, poi, presuppone una chiamata e forse anche l'ispirazione. La formazione invece è più interessante, perché a quel punto entra in gioco un altro elemento importante di cui parlavi: di costanza, dedizione, disciplina della scrittura e della lettura. Poniamo il caso di un critico che si trovi a lavorare, come è capitato a Laura stessa e a molti altri, sulla biblioteca di Elsa Morante, sul cercare di capire cosa leggeva Elsa Morante. È una delle fatiche più straordinarie, perché la sua capacità quasi rabdomantica di arrivare alla narrazione è talmente una nube che tu non riesci a riconoscere dei parenti, come fosse un albero genealogico. Con altri scrittori è più semplice, perché magari hanno una biblioteca ordinata, e puoi riuscire a capire cosa hanno letto in certi momenti. Per quanto riguarda te, come tante volte hai raccontato, da ragazzina leggevi tutto il possibile. Quello che trovavo anche in casa, insomma.

Quello che trovavi, ma senza distinzioni. Mi ha sempre colpito quando racconti delle prime letture negli anni dell'adolescenza. Gioco, ovviamente, ma sembrerebbero appartenenti a un canone maschile essendo i grandi romanzi d'avventura, di mare nello specifico. Ecco, come pensi che ciò ti abbia formato? Non necessariamente Conrad, che sei tornata a t:radurre, o Stevenson o Me/ville, grandi raccontatori di avventure anche di mare. In generale le prime letture, magari disordinate, dell 'infanzia, della tarda infanzia e poi dell'adolescenza, come entrano poi in un complesso formativo per lo scrittore? Quando fa la differenza aver letto certi libri e non alt:ri? Per esempio, il fatto che tu sia tornata costantemente a Flaubert, anche lavorando su Emma Bovary in modo critico: che relazione c'è all'interno del cantiere della formazione tra i libri e le scelte che poi uno scrittore fa? Quando ero in Giappone naturalmente io parlavo giapponese, ero piccola, però già amavo i libri ma effettivamente le prime favole che mi raccontavano erano in giapponese. Poi quando eravamo nel campo di concentramento avevo sette anni e libri lì non ce n'erano, però i miei genitori, un po' come nel bellissimo romanzo fantascientifico di Bradbury Fahrenheit 451, erano diventate persone libro. Vi ricordate la storia di Fahrenheit 451 in cui vengono bruciati tutti i libri, come è successo poi coi nazisti, no? I libri nel paese immaginario di Bradbury sono stati inceneriti e cosa fanno le persone che amano le storie? Le imparano a memoria Per cui diventano

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appunto persone libro e io la trovo una metafora molto suggestiva perché suggerisce che la memoria è più importante della dittatura. Bene. Questa cosa meravigliosa della memoria ha funzionato nel campo di concentramento: mio padre mi raccontava di Platone perché aveva una passione per la filosofia, mia madre mi raccontava favole, ma anche Pinocchio. Il primo libro con cui sono venuta a contatto era proprio Pinocchio, che poi ho riletto da adolescente e ho capito che fra l'altro è una narrazione per adulti) cioè da piccini ma anche da adulti perché ha talmente tanti significati che può essere letto in tanti modi diversi> come tutti i grandi libri. Per esempio il tema della paternità non è una cosa da bambini, è una cosa da adulti: ebbene Pinocchio è potentemente un libro sul desiderio di paternità, ed è geniale da questo punto di vista. Inoltre bisogna riconoscere che l'italiano di Collodi è limpido e armonioso. Quindi il primo libro è stato quello> e raccontato dalla bella voce di mia madre acquistava un fascino speciale. Poi dopo, come tu hai detto e come io ho raccontato) mi sono molto appassionata alla letteratura inglese e americana che raccontavano le avventure e i viaggi di mare. Tornando in Italia nel dopoguerra, con una nave su cui ogni giorno si facevano esercitazioni, perché c'era il rischio che esplodesse, ho sempre avuto paura: il mare era pieno di mine e ogni volta ci facevano mettere i giubbotti, pronti a saltare in acqua in pieno oceano, insomma non è stato un viaggio semplice. Comunque questo viaggio ci ha portati in Europa dopo quasi un anno dalla fine del campo di concentramento. Come racconta anche Primo Levi, quando noi siamo tornati dopo un anno di eme e di pranzi abbondanti, ci eravamo ripresi) eravamo un po' ingrassati: «ah però in campo non è che stavate così male» commentavano, non pensando che gli americani ci avevano fatto una cura ricostituente a base di latte condensato, carne in scatola, cioccolata, caffè. Per cui eravamo ingrassati. Insomma ci eravamo ripresi. E ci hanno fotografati, mentre prima nel campo nessuno ci aveva mai fatto una foto) magri e patiti come eravamo. Per queste esperienze credo di essermi appassionata ai libri di viaggio, un po, per tradizione di famiglia, un po' per il mio avventuroso ritorno dal Giappone con la nave, anche se pericoloso e molto lungo. Il problema è che io mi identificavo nei libri che amavo) come hai ricordato tu:i Conrad per esempio che ho amato moltissimo tanto è vero che l'ho tradotto, e Stevenson, Melville, mi identificavo coi personaggi dei grandi romanzi di viaggi di mare. Solo che a un certo punto scoprivo che i protagonisti erano solo maschi. Questi grandi viaggiatori erano tutti ragazzi e leggendo arrivavo sempre al momento in cui la mia identificazione si fermava perché le ragazze non c'erano: non era previsto che una ragazza andasse su una nave e facesse un viaggio di avventure, di scoperta ... Forse lì è cominciato il mio femminismo, perché sentivo che c'era qualcosa di ingiusto: come mai nei libri di viaggio, potevo entrare dentro la storia solo fino a un certo punto, essendo il viaggio come avventura, come scoperta, come processo di conoscenza affidato ai maschi? Questo è stato il mio primo incontroscontro con la letteratura di viaggio.

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Per un autore sono difficili da ricostruire anche gli anni precedenti l'esordio effettivo. Nel caso di Dacia Maraini il primo romanzo è La vacanza, pubblicato nel 1962. In realtà si tratta di un dittico, perché La vacanza e L'età del malessere, uscito nel 1963, sono librt da un certo punto di vista molto compatti, che impongono il nome di Dacia Maraini nel paesaggio della letteratura italiana di quegli anni. Però c'è un prima difficile da ricostruire che è la militanza, e che magari passa anche da racconti pubblicati su rivista. Rivista che tu facevi addirittura negli anni del liceo, se non sbaglio, no? Sì, «Tempo di letteratura». Ecco, tutti materiali un po' dispersi. Adesso, per fortuna, c'è uno strumento, lo dico anche a futuri studiosi e future studiose, si tratta dell'aggiornatissima bibliografia della tua opera curata da Federica Depaolis e Walter Scancarello. Mancano solo gli ultimi anni ma risale proprio a prima del debutto letterario in senso stretto. Volevo però chiederti proprio di questo arrivo alla pubblicazione in una fase storica complicata per una scrittrice. Ricordo che il tuo debutto con L'età del malessere ma anche appunto la pubblicazione de La vacanza erano stati accompagnati anche da qualche diffidenza. Ricordo anche una frase che ti era stata detta, qualcosa come «Maraini lei deve mangiare molte minestre» ... Me l'aveva detto la fondatrice del Premio Strega, la Bellonci. La Bellonci ha detto «Maraini lei deve mangiare molte minestre?». Sì. Mi è rimasta impressa, appunto, ma non ricordavo chi l'avesse detta. Come a intendere "Ci sarà da faticare per trovarsi uno spazio". Ecco, raccontaci come sei arrivata da quellafase iniziale di esperimento su riviste e collettivi all'esordio vero e proprio. Dicci anche quanto è stato faticoso per te, come giovane donna e scrittrice. Io ho cominciato a tredici anni scrivendo sul giornale della scuola Garibaldi a Palermo. C'era un giornale della scuola pensa, già in quegli anni lì, quindi insomma era una scuola abbastanza avanzata e io scrivevo dei racconti su questo giornale. Poi ho sempre scritto e partecipato a riviste fra cui anche quella di Anna Banti e la rivista di Pannunzio e quindi «Nuovi Argomenti» e altre. Il primo romanzo l'ho cominciato a diciassette anni, ma l'ho pubblicato parecchio tempo dopo, perché non è facile la prima volta pubblicare. Ho mandato il manoscritto, come si fa di solito, a vari editori, ma nessuno mi rispondeva. Chi comincia a scrivere e vuole pubblicare sa benissimo che è molto difficile e che spesso gli editori italiani sono maleducati, perché gli editori stranieri rispondono sempre, mentre i nostri neanche

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fanno lo sforzo di mandarti una ricevuta. Alla fine ho trovato un editore che si chiamava Lerici, adesso non c'è più, che mi ha detto «guarda a me interessa questo libro, mi sembra che sia anche popolare ... Però devi trovarmi la prefazione di un grande scrittore». E mi ha fatto i nomi di Calvino, di Bassani, di Moravia, i grandi nomi dell'epoca. «Ma io come faccio a raggiungerli?», ho chiesto. «Eh non lo so, fai tu». Non mi ha aiutato per niente. Allora io sono andata da Rosati a piazza del Popolo, - Rosati dove oggi vanno i turisti cinesi, allora si trovavano gli scrittori più conosciuti: era molto più semplice di ora, un bar ben fornito ma semplice, frequentato soprattutto dagli artisti. Tutti i giorni lì si trovavano registi come Fellini, come Visconti, che andavano a prendere l'aperitivo oppure qualcosa da mangiare. Sono andata lì perché sapevo che qualcuno mi avrebbe aiutato, infatti ho incontrato uno che conosceva mio padre che mi ha detto «ah ma io conosco Moravia, gli posso dire se vuol leggere il tuo manoscritto». Devo dire che Alberto era una persona deliziosa, generosissima, che ha sempre aiutato i giovani: se un giovane andava da lui e gli chiedeva una prefazione, lui lo faceva e infatti ha letto il libro e ha detto «sì mi sembra ben fatto», e ha scritto la prefazione. Subito dopo Lerici ha pubblicato il romanzo, e per fortuna è andato molto bene e da quel momento non ho più avuto bisogno di avalli, di prefazioni né di niente. Con quella pubblicazione ho avuto un buon pubblico che mi ha seguito e mi segue ancora Però all'inizio non guadagnavo quasi niente. Per questo lavoravo: ho fatto la hostess, ho fatto la segretaria, ho fatto l'aiuto fotografa, ho fatto l'archivista. Si dimentica che nel dopoguerra l'Italia era povera, poverissima: non c'era il benessere che c'è adesso, io andavo a piedi, sempre. Mi ricordo che scrivevo le poesie appoggiata contro un muretto o seduta su un gradino aspettando l'autobus e che questi autobus non . . arrivavano mai.

Non è cambiato molto. A un certo punto arrivi a una notorietà, a un successo, a una riconoscibilità che però passa appunto per una serie di tappe. Il tempo che abbiamo a disposizione non ci consente di toccarle tutte. Nel pomeriggio ci si concentrerà sulla tua stagione teatrale, che comincia poi e negli anni Settanta ha un momento di grandissimo fermento e prosegue ininterrotta, perché quel ''fare teatro" che veniva richiamato da Giovanardi è proprio un'espressione precisa per dire cosa tu fai col teatro. Dacia Maraini è stata poi tutta dentro al contesto del teatro: dalla fase delle cantine ai festival che hai curato organizzando, preparando la scena e lavorando su tantifronti. C'è ancora un aspetto che vorrei sottolineare per poi farti ancora due domande: la tua militanza di scrittura sul teatro. L'ho trovato molto sorprendente. Ho scoperto, e lo devo dire proprio perché non si.finisce mai di scoprire le tante cose che hai fatto, che il prodromo di Fare teatro, inteso come i due volumi dedicati al tuo teatro fino alla.fine degli anni Novanta, è proprio un libro che si chiama

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Fare teatro. Un volume pubblicato da Bompiani negli anni Settanta, che raccoglie testi sul teatro di quegli anni. Eugenio Murrali, che poi ha lavorato con te a un testo che si chiama Il sogno del teatro, molto interessante e utile per ricostruire queste vicende, ha dimostrato che tu, in quegli anni, hai portato avanti un costante lavoro di scoperta del teatro degli altri. Non dico quotidianamente, ma sicuramente settimanalmente scrivevi sui giornali di spettacoli teatrali fuori dai circuiti principali. Questo dà l'idea di come l'Italia degli anni Settanta, da un punto di vista del teatro-off, soprattutto, fosse una fucina di novità impressionanti. Ti, chiedo un accento su questo visto che nel pomeriggio ci sarà modo di tornare sul tuo teatro. Vorrei dire una cosa su come ho cominciato a fare teatro: paradossalmente ho preso a far teatro prima di scrivere romanzi, preparando testi per le mie compagne di collegio a Firenze, dove sono stata dai dieci ai tredici anni, alla SantissimaAnnunziata dove si faceva musica e teatro. Ricordo il primo testo che si chiamava Cicche, era una storia sui raccoglitori di cicche quindi dei barboni, e veniva recitato dalle mie compagne perché era un collegio femminile. È lì che mi sono appassionata alla recita, poi ho smesso per un certo periodo, quindi ho ripreso nel '73, nel teatro di via Belsiana: Teatro Porcospino si chiamava così, era un teatro sperimentale, però di parola, non di gesto e di immagine come poi è diventato il teatro sperimentale romano. A me interessava moltissimo la sperimentazione e poi tutti i miei amici facevano teatro di cantina, cominciando da Carmelo Bene, che conoscevo benissimo, ma con cui ho litigato ferocemente quando ha messo in scena uno spettacolo con una donna nuda e muta in scena che girava su un letto nero mentre lui recitava. Intendiamoci, era bravissimo, geniale, però devo dire la verità l'uso che faceva del corpo femminile e il modo con cui trattava le sue attrici era pessimo. __ Io ho avuto un'attrice, Rosamaria Sciarrino, che era straordinaria, un'attrice originalissima e lei aveva cominciato con Carmelo Bene, poi ha fatto un lavoro con me a Centocelle e mi raccontava delle cose tremende su lui, che picchiava le attrici, le trattava a pesci in faccia._. E quindi io conoscevo il suo comportamento come era il suo comportamento con le donne, e lo affrontavo perché eravamo amici, poi a un certo punto ci siamo persi di vista. Però mi interessava quel tipo di teatro ed ero amica di tanti autori e registi da Vasilicò a Perlini, a Nanni-Kustennann e tanti altri: ricordo la bella Carla Tatò con il suo gruppo che ha fatto uno spettacolo con me a Centocelle. _. li ho conosciuti tutti, erano amici, eravamo amici. Anche se appunto io non ho mai perso il rapporto con la parola, mentre loro a un certo punto si sono allontanati a tal punto da abbandonare completamente il testo dedicandosi - certo con eleganza e originalità - alle pure immagini e al puro movimento. Secondo me esistono due modi di fare sperimentazione: uno sulla parola e uno sull'immagine, perché no. Chi teorizza la sperimentazione teatrale, spesso tende a diventare assolutista, asserendo con enfasi: «questo è l'unico modo di fare teatro e tutto il resto fa schifo». E io ribattevo: «ma perché? Si può anche fare la sperimenta-

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zione sulla parola». In base a questo principio ho fondato prima il Teatro di Centocelle che era fatto da attori e attrici insieme, un teatro politico più che altro, sociale diciamo così e infatti abbiamo trattato gli anni del fascismo, la guerra, la nascita del quartiere, eccetera... Poi ho fondato il Teatro della Maddalena che era invece un teatro fatto da donne, perché mi sono resa conto che in Italia non c'erano drammaturghe. Si contavano le attrici naturalmente, ma direttrici, cioè registe e scrittrici di testi per la scena, non ce n'erano. Franca Valeri era la sola forse che scriveva, però era considerata una macchiettista, e in effetti componeva delle piccole cose per il cinema, mentre oggi sappiamo che scriveva testi teatrali del tutto degni di essere rappresentati. Nemmeno Franca Rame ancora aveva debuttato come drammaturga. Solo Natalia Ginzburg ha avuto un certo esito, soprattutto in Inghilterra, ma essendo una romanziera di successo, la si escludeva dal teatro che conta. Quindi mi sono detta: «ma perché le donne non scrivono per il teatro? Perché sono incapaci o perché non si dà loro credito e quindi spazio e fiducia?». Così, con amiche interessate al teatro come Anna Piccioni, Renata Zamengo, Saviana Scalfi, Lou Leone, Edith Bruclc, Maricla Boggio, Annabella Cerliani, Francesca Pansa abbiamo fondato un teatro che desse spazio alle donne. Molti ci hanno criticato dicendo che facevamo un teatro settoriale fatto da donne per le donne. Ma non era così. Noi davamo spazio alle donne perché si esprimessero in prima persona, ma il pubblico era misto, gli uomini erano benvenuti purché ascoltassero con rispetto le nostre parole. Volevamo fare sentire la voce delle donne, la loro visione sul mondo, sulla famiglia, sulla politica e la morale. Abbiamo perfino cercato di creare un settore per le tecniche. Non c'era in effetti una sola tecnica in tutto il teatro romano che sapesse mettere le luci e lavorare con gli effetti sonori. Vi assicuro che era molto difficile, ora ogni cosa è elettronica ed e molto più facile, allora bisognava manovrare tutto di persona Ricordo la macchina per mettere in moto i riflettori, un mobile gigantesco, munito di cento manovelle che si dovevano gestire a mano seguendo i ritmi della scena ... Insomma era molto più complicato. Ma noi non ci siamo scoraggiate, abbiamo chiamato un bravo tecnico che lavorava per il teatro pubblico e gli abbiamo chiesto di fare scuola con le donne della Maddalena Dopo un anno c'erano sei o sette tecniche che poi sono andate anche a lavorare nei grandi teatri. Quindi è stata un'azione positiva, una risposta a quelli che protestano contro le quota rosa. Per noi, a parità di valore, si doveva rompere una tradizione che è quella di dare spazio e fiducia solo agli uomini lasciando da parte le donne. Però vorrei ricordare che il teatro, più di tutte le altre arti, ha una antica tradizione misogina. Le donne sono sempre state escluse dalla scena, che era considerato un luogo sacro e quindi tutto al maschile. Nel teatro greco Medea e Clitemnestra erano uomini che si mettevano una parrucca da donna. Le donne non erano ammesse sul palcoscenico, ricordiamocelo, e spesso nemmeno in platea Nel teatro romano non ne parliamo. Lo stesso avviene nel teatro medioevale. La prima volta in cui le donne sono apparse in scena è stata con la commedia dell'arte, in

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pieno Rinascimento, il momento più rivoluzionario e aperto della storia italiana Non solo le donne hanno avuto accesso al palcoscenico ma si rappresentava il loro bisogno di libertà e di autonomia, cominciando da una libertà molto semplice: quella di scegliersi il fidanzato, il marito. Per il momento storico che risentiva del totalitarismo religioso, era una cosa rivoluzionaria. E ha subito avuto un successo popolare. Spesso questi spettacoli si rappresentavano nelle strade, su dei palcoscenici improvvisati e per farsi capire dal pubblico sceglievano una vena comica, un poco come il neorealismo italiano nel dopoguerra. La leggenda vuole che la commedia dell'arte abbia avuto successo in tutta Europa per via dell'improvvisazione, ma non è vero: si improvvisava molto meno di quello che si dice, perché in teatro non si può sfuggire alla struttura chiusa, in cui il ritmo delle battute deve essere fisso. Poi, all'interno di uno spazio definito si poteva poi decidere di lasciare libertà all'estro dell'attore, ma un testo, qualsiasi testo, per recitarlo in tanti, deve essere codificato, altrimenti si perde il gioco delle parti. Il grande successo della commedia dell'arte in tutta Europa - tant'è vero che in Francia a quell'epoca nasce la Comédie des italiens, un teatro che è durato trecento anni- era dovuto al fatto che le donne per la prima volta parlavano della propria situazione di impotenza, rivendicando la libertà d'amore. Qualcuno potrebbe ribattere: ma le altre libertà, quella sociale, politica? In un'epoca in cui le donne erano segregate in casa, considerate proprietà prima del padre e poi del marito, rivendicare la libertà di scelta dello sposo era una novità che scandalizzava i benpensanti e metteva in subbuglio la Chiesa. Di questa libertà si avvale la grande Isabella Andreini, una scrittrice di teatro che non solo scriveva i suoi testi, ma aveva la sua compagnia, dirigeva gli attori, e decideva dove andare a recitare. Le ultime due questioni che ti pongo sono di ordine generale e hanno a chefare proprio con le molle essenziali del discorso narrativo. Ovviamente questo tocca anche la drammaturgia o altri testi, però nello specifico ali 'interno di un nucleo di romanzi già ricordati. Da Teresa la ladra a La lunga vita di Marianna Ucria, che nel 1990 è stato uno dei successi internazionali più marcati già solo per la quantità delle traduzioni e per l'adattamento cinematografico. Penso anche a libri degli anni successivi, come per esempio Buio, che vince il Premio Strega nel 1999. Tutti danno un 'idea di continuità nell'interrogare la realtà degli ultimi, soprattutto, o di chi sta in silenzio, mi verrebbe da dire. Uso, ovviamente, un 'immagine molto legata anche al discorso su Marianna Ucrìa, una donna infondo privata della parola. C'è, se vuoi, anche un aspetto simbolico. È così anche se prendiamo una raccolta come Buio, in cui raccogli storie ispirate a realtà di violenza perpetrata non solo sui bambini ma in generale sugli emarginati, sui deboli. Ecco, mi sembra che sia costante, nella tua opera narrativa come anche nel tea'tro, il provare a restituire la voce a chi appunto voce non ha. In questo senso mi piacerebbe che tu provassi a descrivere, se vuoi, il nucleo, diciamo cosl tematico dei libri, a partire da un rap-

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porto che sento molto forte nel tuo pensare la scrittura tra immaginazione e realtà. Qualcuno potrebbe dire che c'è una contraddizione, perché la realtà è ciò che si tocca, mentre l'immaginazione è qualcosa che dalla realtà si stacca. Mz sembra di poter dire che invece nella tua opera c'è proprio la volontà non di dimostrare ma di mostrare come l'immaginazione sia addirittura un modo dell'empatia, un canale emotivo. Per cui se tu non immagini la vita degli altri forse non ne senti nemmeno la sofferenza o il dolore. Sembra una contraddizione e invece immaginazione e realtà sono due canali che lo scrittore utilizza per produrre una risposta empatica del lettore, però non so se esagero nell'interpretazione. No, no hai detto benissimo. Io infatti considero l'immaginazione come il motore più potente del nostro corpo, quello che viene chiamato anima, ma per me è immaginazione. Se una persona non riesce ad immaginare, per esempio, la sofferenza altrui, non può avvicinarsi a un problema etico: l'etica nasce dalla capacità di immaginare il dolore degli altri, la sofferenza degli altri, e quindi di pensare in termini di collettività anziché solo dell'io. Per questo per me l'immaginazione è tutto. Ora ecco perché, quando mi chiedono nelle scuole tante volte i ragazzi «ma perché è importante leggere e non possiamo sostituire i libri con le informazioni on line?», io rispondo che è vero, oggi abbiamo degli strumenti straordinari di informazione, però l'informazione riguarda la quantità mentre la formazione riguarda la qualità e la profondità del processo conoscitivo. Tutti gli strumenti tecnologici sono basati sull'informazione e poco sulla formazione, mentre secondo me la lettura è più vicina al processo di formazione dell'individuo e non è una questione di quantità ma di qualità. La lettura alla fine è questo: aiuta l'immaginazione a svilupparsi e a creare consapevolezza. Io dico sempre che quando tu leggi un libro, lo riscrivi. Chi legge un libro lo riscrive a modo suo, lo immagina, lo ricostruisce e questo è un processo creativo. Quando ho letto Madame Bovary, un libro che ho amato particolarmente, immaginavo Emma in un certo modo, vestita sempre di azzurro, che era il suo colore preferito, con gli occhi neri brillanti ... A questo proposito poi ho scoperto una cosa comicissima: Flaubert, che era così attento, voi sapete che era sempre puntuale e preciso nella scelta delle parole che adoperava, proprio lui, all'inizio di Madame Bovary parla degli occhi celesti di Emma e poi improvvisamente li racconta neri. Una cosa curiosa vista la sua maniacale precisione nella scrittura, eppure gli è sfuggita questa distrazione. Io la immaginavo così come lui racconta Emma Bovary, con i capelli divisi in due bande, una giovane donna coraggiosa che andava in giro col cavallo, ma non rinunciava a imbiancarsi le unghie col limone... Quando ho visto il film su di lei sono rimasta malissimo perché l'avevo creata a modo mio e la trovavo completamente diversa. Questa è la potenza della scrittura e della lettura: mentre il film te lo dà già fatto e quindi fai molto meno sforzo e va benissimo, non è che voglio dire che il cinema non sia importante. Però lo sforzo che fai quando parti da una astrazione come la scrittura, ovvero dei segnetti neri sulla carta, che se non conosci la lingua non ti dicono nien-

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te, è uno sforzo molto più grande. Infatti nessuno dice che un paese è civile perché guarda molto la televisione, non mi sembra che si dica questo, mentre si dichiara che un paese è civile - si tratta di un criterio di giudizio internazionale - perché legge. Questo significa che la lettura presume uno sforzo in più, che sviluppa la capacità creativa dell'individuo, una libertà mentale che il solo rapporto con l'itnmagine non dà. L'immagine è importantissima e anche a me piace e infatti vado spesso al cinema, però abolire completamente la scrittura è un suicidio, insomma è una menomazione. Ecco da lì viene quest'idea dell'immaginazione che tu hai giustamente citato. L'ultima domanda è legata anche a un altro tratto che mi pare di vedere, anche se per un 'opera così differenziata cercare delle costanti è facile e difficile allo stesso tempo, si rischia magari di appiattire su alcuni schemi. Mi, sembra però che questa tensione tra immaginazione e realtà produca - e qui torniamo al titolo della nostra conversazione -delle domande etiche, una passione per le domande etiche, che interrogano il mondo, il rapporto con gli altri. La ricorsività dello strumento stilistico dell'interrogativa è molto presente nella tua opera. Tra le prime lo notò Rossana Rossanda leggendo Isolina. Un libro di inchiesta, nei fatti, anche se si tratta di un 'inchiesta retroattiva: lavori come se fosse nel presente, quasi con il movimento del cronista che vuole ricostruire, ma è una storia del passato. Rossanda scrisse un testo molto interessante, che credo sia la prefazione anche nelle ristampe. Dice: «Ecco ho notato che nella Maraini c'è questo insistere con le domande come se a un certo punto la realtà dovesse disvelarsi a forza di domande, cioè più noi domandiamo più capiamo». Trovo che sia assolutamente vero. Quindi domanda, immaginazione, etica. Poi potremmo dire che ci sono dei nuclei, quasi parole chiave della tua opera, e sono sicuramente memoria, che anche intesa come memoria creativa ti sta molto a cuore. Ricordo il finale di un libro secondo me trascurato e che trovo sia uno dei più belli, Dolce per sé. Un libro del '97, epistolare, che quindi già pone l'idea del dialogo come costitutivo di un rapporto col mondo. Sono lettere a una bambina e la donna che racconta parla con una bambina. In più accoglie le domande della bambina e gliene fa altre, quindi è un continuo rimpallo di domande. Dolce per sé si chiude con unafontana dell'eterna giovinezza dove effettivamente sembrerebbero saldarsi, appunto, immaginazione e memoria. Poi c'è il viaggio, che è un 'altra costante, sia in senso simbolico che in senso reale: un collante di moltissime cose, perché è un collante della tua vita. Ma volevo concludere, perché bisogna scegliere e tante sono le cose che si potrebbero interrogare, con la parola corpo, perché mi sembra che sia un 'altra costante della tua riflessione: narrativa, critica, e se vuoi anche proprio antropologica, rispetto alla relazione che si ha col proprio corpo, tanto più se è un corpo negato, che non ha udienza; un corpo che èferito, traumatizzato, un corpo che nega

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sé stesso. Arrivando al punto volevo tendere un filo tra due libri: uno, recentissimo, si chiama Corpo felice. È l'ultimo pubblicato finora, molto interessante. È un genere che tra l'altro haifrequentato sempre più spesso, per esempio in Chiara d,Assist ma anche in altri libri di questi anni dove mescoli le possibilità della nan-ativa e quelle del saggio quasi ibridandole. Un tratto costante del secondo Novecento, ma tu hai negli ultimi anni molto insistito su questa possibilità di tenere insieme narrazione e saggistica. L 'altro è un libro del 1996 che io amo molto e forse è difficilmente reperibile, si chiama Un clandestino a bordo, dove si parla del corpo delle donne, del corpo umiliato delle donne. Qui parti da una riflessione sull'aborto con una lettera a Enzo Siciliano, allora direttore di «Nuovi Argomenti», dove tu cerchi di ragionare a distanza di anni dalla legge 194. Sembrava che ormai sifosse radicata l'idea della responsabilità e del diritto della donna di fare del suo corpo ciò che vuole, e invece nel 1996 registravi che non era così. C'era un nemico di questa libertà nei media, in un modo pubblicitario di raccontare il corpo delle donne. Allora il filo è: in Un clandestino a bordo parlavi con un intellettuale, un uomo adulto ponendogli pure delle questioni che riguardavano il suo essere uomo, anche legato a un potere, seppure limitato come può essere quello intellettuale. Era però una provocazione gentile. Sembra un ossimoro e in realtà si può provocare senza essere necessariamente aggressivi. Corpo felice invece è un dialogo con un figlio immaginario, un figlio maschio a cui tu poni delle questioni che hanno a che fare con il suo corpo e con il corpo delle donne che amerà o insomma degli altri con cui avrà a chefare. Corpi che dovrà cercare di rispettare. La parola corpo, il lemma corpo rispetta una riflessione che è stata costante per te, intanto perché ogni personaggio ha un corpo. Tu lo dici così: «Ecco proprio Pinocchio, se Geppetto si prende un calcio vuol dire che quel corpo esiste», e poi perché guardi al corpo degli altri e alla responsabilità e alla libertà che naturalmente può comportare. Ti ringrazio, hai toccato tanti argomenti. Dunque il primo è il domandarsi. Io in questo sono socratica, cioè non credo alle asserzioni, credo che tutto sia un'interrogazione, cominciando dal nostro stare al mondo: perché siamo qui? Chi siamo? Dove andiamo? Cos, è il tempo? Cos, è l'universo? Sono domande per cui non ho risposte e credo che non ci siano in effetti risposte sicure. C'è chi spiega tutto con la fede, che è una cosa bellissima, io stimo molto chi ha fede, ma si tratta di un sentimento, non è una certezza. Quindi il mio domandarmi è il mio modo di procedere, non ne conosco altri, e so che ogni domanda propone un'altra domanda Sono come le ciliegie, che una ne tira un, altra, così è per le domande e riguardano questioni inquietanti come il nostro rapporto col mondo, con l'universo, col mistero, col futuro, col passato, eccetera. Poi tu hai parlato della memoria, ecco la memoria è per me essenziale. A parte il fatto che uno scrittore lavora con la memoria, perfino quelli che scrivono libri sul futuro partono della memoria: prendono qualche cosa che viene da una memo-

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ria ancestrale, misteriosa e la trasferiscono sul futuro, insomma non esiste niente al mondo che sfugga alla memoria Non solo ma ecco quello che mi porta a essere sempre più attenta verso la memoria: il fatto che noi viviamo in una cultura del mercato, che ci vuole trasformare in bravi compratori e bravi venditori cancellando la nostra capacità di valutazione. Il mercato è nemico della memoria e ci vuole spingere a comprare quello che fa parte del mercato, non quello che preferiamo noi. La memoria aiuta a scegliere e il mercato non vuole scelta, vuole che siamo oggetto di costrizione o di influenza. Voi lo sapete, oggi poi col mondo tecnologico, il mondo globalizzato, siamo tutti dentro a un sistema che ci spinge a diventare compratori e non scegliere ma essere scelti. Questa cancellazione della memoria è molto più subdola di quello che pensiamo, perché invece di costringerci come facevano i regimi dittatoriali, ci seduce con la brillantezza dei prodotti più sofisticati. E, senza che ce ne accorgiamo, ci trasformiamo in bravi compratori, dimenticando che dovremmo essere prima di tutto bravi cittadini. Da questa cancellazione nascono gruppi di persone che negano il passato, che non sanno niente sull'ultima guerra mondiale o della persecuzione degli ebrei e alla fine confondono la libertà con licenza ed egocentrismo. Tutti atteggiamenti molto pericolosi e non riguarda solo nuove generazioni: si tratta di una cancellazione politica, ideologica della memoria come bene comune che aiuta le persone a diventare dei cittadini consapevoli. Senza memoria non c'è consapevolezza, non c'è responsabilità e la responsabilità è fondamentale per la democrazia. Noi assistiamo oggi a una politica che trascura la responsabilità, ovvero quel processo che porta a sapere prevedere le conseguenze delle nostre azioni, questa è la responsabilità. È tristissimo vedere intorno a noi persone che non sono mai consapevoli delle conseguenze delle loro scelte e questa è la cosa più grave che sta succedendo alla nostra politica. Bisogna invece insistere sulla memoria, strumento di resistenza culturale alla globalizzazione consumistica. In quanto al viaggio, sì certamente si trova nel Dna della famiglia perché i miei lontani parenti sono sempre stati viaggiatori, io stessa sono nata viaggiando avendo compiuto due anni sulla nave per il Giappone. Naturalmente il viaggio crea anche dei momenti di crisi, perché ti devi confrontare in continuazione - sempre che non viaggi come un pacco - con delle alterità e con delle culture diverse. Questa per me è stata una esperienza positiva: mi ha insegnato che non ci si può chiudere pensando che devi difendere la tua identità come se fosse un monolite, e che la nostra vita è un continuo confrontarsi con l'altro. E poi dunque ecco il corpo. Il corpo ha un suo linguaggio, io credo che di questo dobbiamo renderci conto. Il corpo quindi è profondamente culturale, non esiste un corpo naturale. È chiaro che esiste una naturalità che abbiamo in comune con gli animali; ma tutto quello che facciamo, dal vestirci, al cucinare, al parlare, la voce che usiamo, i gesti che facciamo, la mimica facciale, è tutto prodotto di cultura. Perciò dico che siamo figli della Storia e le donne hanno una storia del

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Dacia Maraini, Paolo Di Paolo

corpo che è fatta di sacrificio da una parte e di seduzione dall'altra Una delle esperienze più forti della vita di una donna è l,idea del sacrificio, se non gliela danno gli altri se la dà da sola perché sembra che il sacrificio sia una necessità assoluta, un rigore morale per cui la donna che non si sacrifica è immorale. Ma non si tratta di un fatto biologico, bensì storico perché da millenni si è chiesto alle donne di sacrificarsi, oppure di sedurre, due aspetti forzati del suo linguaggio corporeo. Non c'è da stupirsi che le donne nei secoli abbiano finito per introiettare il concetto di sacrificio che la società patriarcale chiedeva loro. Però, come ho detto, nello stesso tempo le donne sono state anche invitate a parlare col linguaggio della seduzione. Lo vediamo nelle immagini della pubblicità, ma anche di tutti i media. Molte donne, ma anche quelle che parlano del clima o del tempo che farà domani, si sentono in dovere di esporsi e di parlare col linguaggio della seduzione. Molte non si rendono conto che quando danno la precedenza al linguaggio del corpo, ovvero della seduzione convenzionale, immediatamente viene cancellato quell, altro linguaggio, quello del pensiero, della parola, della personalità, della storia, della cultura. Molte, le più fragili, ritengono di non riuscire a farsi intendere se non usano il codice della seduzione, che però è un codice molto limitato e secondo me anche offensivo, diciamo la verità, perché si basa sulla esclusione della complessità umana, fatta di pensiero, carattere, desiderio, sogni, abitudini, storia personale ecc. Vi racconto una cosa comica che mi è successa di recente. Ero con una nipotina di mia sorella, e lei mi ha detto, guardando la televisione: «Ma zia, perché lei è quasi nuda e lui è tutto vestito con la camicia, cravatta, e la giacca?». E ha aggiunto: «Ma lui non sente caldo? E lei non sente freddo?». Perché giustamente, osservava lei, «sono nella stessa stanza». Capisci la logica di una bambina che ancora non ragiona in termini di femminismo, però ha fatto un'osservazione perfetta, perché evidentemente sullo schermo lei usava il linguaggio della seduzione, mostrando maliziosamente le cosce, il seno, le braccia nude.__ Mentre lui usava il linguaggio dell'intelligenza, del pensiero, della competenza. Questa è una convenzione, non tutte le donne sono così impaurite di mostrare il proprio pensiero e la propria competenza, ma ancora troppe ritengono che se non adoperano quel linguaggio lì, nessuno le capisca. Troppe donne assimilano questa logica basata sull'eros maschile pensando che sia l'unico che vale e naturalmente molti uomini glielo fanno credere, per cui poi magari non riescono a contare su nessun altro linguaggio. Che il corpo sia linguaggio codificato non lo si dice abbastanza, per cui molti fra uomini e donne non si rendono conto quanto sia discriminante. Non parliamo di certi paesi in cui le donne vanno coperte dalla testa ai piedi. Io sono stata in Afghanistan nel , 69, tanti anni fa, quando c'era ancora il re e mi ricordo che le donne erano come noi oggi in Europa, senza velo, povere sì, ma molto più libere di adesso, dopo una guerra che dura da anni: a Kabul vedevo le ragazze girare vestite come me, come voi. Non si vedeva un burka, una copertura completa del viso, nemmeno fra le popolane, niente. Oggi le donne afgane, se non indossano

Una passione per le domande

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il burqa, se non sono totalmente velate, non possono girare. E perfino le donne europee si devono mettere il velo, se vogliono visitare il paese. E questo che cos'è? Non è un linguaggio del corpo di ispirazione patriarcale? Una negazione totale della presenza del corpo di una donna? Se chiedi a un mussulmano, e io l'ho fatto, se chiedi a un musulmano perché le donne vanno coperte, la risposta è sempre la stessa «per non mettere in tentazione il desiderio maschile». Ma, scusate, non esiste anche il desiderio femm;nlle? La risposta è spesso una risatina imbarazzata. La sessualità femminile non si nomina, non esiste. È completamente cancellata. Da qui si capisce che la nonna, la regola sono concentrate solo sul desiderio maschile e tutto intorno si deve adeguare a questa norma. Scusate se questa non è misoginia, una misoginia forse inconsapevole e formulata da un dio padre. Si potrebbero fare dei discorsi molto lunghi sui monoteismi, perché i politeismi, per quanto arcaici, avevano un senso della parità fra maschio e femmina che è completamente scomparso con l'apparizione del dio unico, padre severo e barbuto: la madre era una presenza sacra, mentre nel monoteismo le donne perdono il rispetto del potere generativo. Nel cristianesimo non esiste la parola dea, c'è un dio padre. Punto. La Madonna è madre ma vergine, ovvero non ha conosciuto la gioia di un abbraccio, la sua gravidanza viene dallo spirito santo e lei resta una persona umana, per quanto venga assunta in cielo, mentre suo figlio è divino, unico erede del Dio di tutto 1'universo ... Il monoteismo fra l'altro ha creato la sessuofobia: la religione cristiana è sessuofobica fino all'ossessione, mentre tutte le religioni arcaiche sono basate sul culto dell'accoppiamento,perché l'accoppiamento crea la vita, quindi il sesso era importantissimo, veniva sacralizzato. Invece per le religioni monoteiste il sesso viene visto come un pericolo mortale, addirittura demoniaco, per cui la sessualità diventa subito una colpa. Le donne sono viste come portatrici di sesso, portatrici di una libertà pericolosissima e questo comporta il bisogno di controllare, reprimere, censurare ogni fonna di libertà sessuale femminile. Insomma io vorrei che ci soffermassimo di più sulla storia che ci ha preceduti perché di quella siamo figli. Tendiamo purtroppo e finiamo per prendere la realtà con leggerezza, senza pensare, per pura abitudine mentale.

Grazie Dacia. Grazie.

Indice dei nomi e dei luoghi*

AdolfHuxley. 39 Afghanistan, 160 Africa. 129 Agosti, Paola, 84, 94 Alceo,56 Aleramo, Sibilla, 140 Alliata, famiglia, 106 Alliata, Francesco, 108 Alliata, Topazia, 16. 126 America. 130 Andreini, Alba, 4 ln Andreini, Isabella, 155 Angeli, Franco. 84 Angelini, Franca, 22 e n, 45 e n, 63 e n, 68 69n Annunziata, Lucia, 112 Antonietti, Colomba, 121 Aprati. Laura, 117 Aquila -. Università. 41 Arachi, Alessandra, 138 e n Arendt, Hannah. 126n Artaud. Antonin, 40 Asia. 12 Asor Rosa, Alberto. 1ln Aspesi, Natalia, 112 Attanasio, Maria. 122 Auci. Stefania, 122 Auschwitz. 21, 130

1

Bach, Johann Sebastian, 149 Bachmann, lngeborg, 140 e n Bagheria.101. 109n Bagheria, villa Valguamera. 16. 105n, 106 Balbi, Rosellina, 112 Baldassarri. Guido. 62n Banti,Anna, 151 Bàrberi Squarotti. Giorgio, 66n Barilli, Carlotta. 36n Barilli, Renato, 23, 24n Bassani, Giorgio, 152 Battaglia, Salvatore. 66n Beauvoir, Simone de, 11 e n, 47 Beckett. Samuel, 27. 41 Bellezza, Dario. 36 Bellini, Vincenzo. 19 Bellonci. Maria, 151 Bene, Carmelo, 34, 39, 62n, 153 Bemhardt. Sarah 43 e n. 55 Bertolucci, Bernardo, 95 Bertone. Mam~ 8n, 103n, 113n, 117n, 140n Betti, Laura, 45 Biferali, Giorgio. 129n Bignardi, Irene, 112 Binazzi, Neri, 62n Biner. Pierre, 82n Birkenau. 132 Blixen-Finecke, Karen Christerice, 125

*Indice a cura di Sara Vetturelli. Il nome di Dacia Maraini non è stato indicizzato in ragione delle molte occorrenze.

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Dacia Maraini

Boggio, Maria Clara (Maricla), 90, 154 Boldorini, Greta, 28, 8 ln, 82n, 85n, 90n Bolognara Calcagno, Giuseppa, 121 Bonacelli, Paolo, 36n Bonanni, Laudomia, 31 e n Boneschi, Marta, 122n Bono, Paola, 10n, 12 e n, 13 e n, 18 e n, 104en Bonsanti, Sandra, 112 Borsellino, Paolo, 117 Bourlot, Susanna, 14 ln Bovo,Martine, 103 en Bradbury,Ray, 149 Brandes, Georg, 140n Brasile, 134 Brecht, Bertold, 39, 45 Brekeley, Cornelia, 147 Bruck Risi, Rudith, 90 Bruck,Edith, 26, 129 e n, 130-131, 154 Bnmo, Francesco, 132n Brusegan, Rosanna, 63n Bucci, Elena, 45 Buonanno, Milly, 112n Bussoni, Ilaria, 83n, 94n Butler, Judith, 50, 115 e n Calamai, Silvia, 62n Callas, Maria, 17 Calvino, Italo, 146, 152 Cambria,Adele, 84 e n, 85 e n, 89, 95, 112 Cambridge (Mass.), 85 Canuti, Isolina, 25 e n Caporossi, Carlo, 140n Caporossi, Riccardo, 82 Cappuccio, Ruggero, 62 Caproni, Attilio Mauro, 7n Capuana, Luigi, 105n Carbonaro, Margherita, 132n Carrafi, Costanza, 92n Carrara, Lorena, 131 e n Casero, Cristina, 85n, 94n Castellana, Riccardo, 102n Caterina da Siena, santa, 26, 69, 13 7 Cattaneo, Rosanna, 94 Cattaruzza, Claudio, 37n

Causse, Michèle, 29 e n Cavalli, Patrizia, 29 Cavani, Liliana, 115 Cavarero, Adriana, 115 Cecchi, Carlo, 35, 39 e n Cedema, Camilla, 112 Ceresa, Alice, 29, 31 Cerliani, Annabella, 90, 154 Chemello,Adriana, 11 en, 12n Chiara d'Assisi, santa, 20, 26, 137 Chicago, 94 Churchill, Caryl, 75n Cibrario, Benedetta, 122 Cinelli, Barbara, 81n Cioni, Paola, 119, 122n Cirino, Bnmo, 93 Colette, Sidonie-Gabrielle, 33, 40 e n, 46 e n Collodi, Carlo, 150 Colombo, Daniela, 84, 85 e n, 89 Comberiati, Daniele, 121n Conrad, Joseph, 149, 150 Contorbia, Franco, 112 e n Corday d'Annont, Marie-Anne-Charlotte de, 19, 50, 69 Cordelli, Franco, 36 Corti, Maria, 16n Costantini, Emilia, 114n Crispi, Francesco, 122 Crispino, Anna Maria, 27n Crociata, Maria Antonietta, 112n, 113 e n, 118n Curti, Lidia, 13 e n Cutrufelli, Maria Rosa, 119n, 122, 136 e n D'Achille, Paolo, 61n, 63n D'Elia, Antonio, 136n D'Eramo, Luce, 26, 131, 132n Dante, Emma, 62 Danton, Georges-Jacques, 19 de Berardinis, Leo, 34-35 De Bemardis, Ilenia, 8n, 102n De Blasi, Nicola, 63n de Céspedes, Alba, 140 De Donato, Agnese, 28, 8 ln, 82, 83n, 8489, 90 e n, 91-92, 94 e n, 95, 98-100

Indice dei nomi e dei luoghi

De Donato:t Diego:t 82 deFanti:t Sylvia, 75n De Filippo. Eduardo. 35 De Gregorio. Concita, 112 De Roberto. F ederico:t 105n Debenedetti, Giacomo:t 27 e n Debord. Guy:t 82n Degli Esposti, Pi~ 29 e n, 42 e n Dele~ Grazia, 1O Depaolis:t Federica, 7 e n, 151 Despentes:t Virgini~ 76-77 Di Bari:t Lu~ 82n Di Caro. Eliana, 119 Di Gaetano:t Luisa, 84 Di Lorenzo:t Enrichetta, 121 Di Marca, Pippo:t 39 Di Paolo. Paolo:t 7n, 20. 27. 30. 113n, 118 en, 145n Di Raddo:t Elena, 85n, 94n Diaconescu-Blumenfeld. Rodica, 30n Doni:t Elena, 11~ 121n, 122n Duro~ Rose. 115n Duse. Eleonora, 43-45 Eco:t Umberto:t 23 Edwards. Elisabe~ 91. 92n Eliot, George (Mary Ann Evans). 11 Elisabetta t regina d lnghilterra, 50. 19 Enrichetta di Lorenzo:t 121 Eschilo.58 Ew-opa:t20.83. 113. 150:t155. 160 Evangelisti:t Valerio:t 121n 1

Faeta, Francesco:t 90n Fallaci, Ori~ 112 Farrell Josep~ 7n Fellini, Federico. 152 Ferraresi, Roberta, 36n Ferroni. Giulio:t 63n Fierro:t Enrico:t 117 Fioretti. Daniele. 110n

Firerrze -:t collegio SantissimaAnnunziata:t 153 Flaiano. Ennio. 63 Flaubert. Gustave:t 149. 156 Fo:tDario:t 7n,2~ 38:t62n. 63 e n

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Fois:t Marcello. 121n Foletti:tLara, 89 Fonseca Pimentel Eleonora de. 19 Fonzi, Bruno, 1 ln Fortini, Laura, 8n, 10n, 13n, 31n, 101n e n, 102n, 104 e n, 123 en, 145-146 Foucault, Michet 49 e n Fracci, Carla, 83:t 85 Fragapan~ Giacomo Daniele:t 90n Francescato, Donata, 89 Franceschi:t Vittorio, 38 Franchini, Silvia, 112n Francia:» 8n, 155 Franco, Veroni~ 20. 69

Frege~86 Frongia,Antonello:t 81n

Frosinone -:»carcere, 135 Fuller:t Margaret, 121 Ga~ Carlo Emilio:t 41 Gaglianone:t Paola, 30n, 119 e n Galimberti:t Claudia, 119:t 122n Gallo:t Frances~ 85n, 94n Gambardella, Marisa, 113 Gambaro. Griselda, 115 Gandolit Ro~ 31n Ganeri, Margherita, 109 e n Garboli:tCesare.36n Garibaldi, Anita, 121 Gell:tAlfred:t 91 Germania, 8n, 13 t 136 Gianini Belotti, Elena, 95 Giannitrapani:tAngela, 113 Giappone, 106-107:t 108n, 126:t 128:t 14t 148-150. 159 Gigante, Claudio, 12 ln Ginzburg:t Natal~ 29:t 63:t 112:t 146. 154 Giovanardi, Claudio:t 22:t 24, 61n, 62n, 63n, 64n, 65n. 68n, 152 Giov~ Maria Isabella, 145n Girgenti:t Oreste:t 108 Giudici:t C ~ 90n Gouges:t Marie-Olympe Gome:t detta Olympe de.55

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Dacia Mara.in.i

Grotowski, Jerzy., 39., 82 Guamieri, Anna Maria., 38 Guicciardini., Roberto, 36n Guidi., Laura., 121n Gulli, Giovanna., 136 e n Hu~ Isabelle, 45 Huxley, Aldous., 39 Iamurri, Laura., 28., 83n, 85n, 86n, 90n., 94n Ibrahimi, Anilda., 23n

India., 11., 130 Inghilterra., 154 Ionesco., Eugène., 27 Irigaray., Luce, 115 Isabella di Spagna, 62n Italia, 8n, 12., 20., 33n., 34-35., 75n., 93., 101, 107., 110., 112 e n., 120., 122., 131., 135136., 146,150, 152-154 Ivrea, 34 Jansen., Hanne., 67n Jesus, Carolina Maria de, 133 e n, 134 Joyce., James, 27 Juana Inés de la Cruz., 18., 69 Kabul., 160 Kafka., Franz, 41

Kenia., 141 Kennedy., Jane., 19 Kirby., Michael, 82 e n Kolinka., Ginette, 132 e n Koschel., Christine., 140n Kuliscioff, Anna., 120 Kustermann., Manuela., 153 La Luna., Michelangelo., 8n Lapouge., Maryvonne., 29 e n Latour, Lucia., 82 Laurenzi., Laura., 112 Lehmann, Hans-Thies, 42 e n Lemes Dias, Claudiléia., 133n Leone, Anna Maria Lou., 90., 154 Lerici., Roberto, 38 LeviNathan, Sara., 121 Levi., Lia., 119

Levi,Primo., 128-129.,150 Lilli, Laura, 112 Loi, Emanuela, 117 Longoni., Angelo., 62 Lonzi., Carla, 54 e n., 59., 82 e n Lorenzini., Niva., 25n Luongo, Monica., 27n Macciocchi., Maria Antonietta., 112 Mafai., Miriam., 112 Magazzeni., Loredana., 113 e n Maiakovski., Vladimir Vladimirovic, 39 Majoli, Luca., 90n Manfridi, Giuseppe, 62 Manica., Raffaele, 27n Mansfield, Katherine., 11 Mara.in.i, Fosco, 16 e n., 17., 126., 147 Mara.in.i, Toni., 16., 126 Mara.in.i, Yuki., 16-17 Marat., Jean-Paul., 19 Marchese., Lorenzo., 102n Marco O. (Marc-Gilbert Guillaumin)., 39 e n Maria Stuarda., regina di Scozia., 19, 51., 62n, 69 Maria Vergine., madre di Gesù., 139., 161 Mariani, Laura., 20., 22, 29., 40n, 79 Marotti., Maria Ornella., 115n Marzano., Michela., 138 e n Marzi., Laura., 8n Mascitelli, Maria Cristina., 90 Masino., Paola., 135., 136 e n J.\lassachusetts., 85 Mauri., Antonella., 140 e n Mazza.nti., Roberta., 23n Mazzoni, Roberta., 17n Meazzi., Barbara., 8n, 103n, 113n, 117n, 140n Meldolesi., Claudio., 35 e n., 38, 41 e n, 42n., 43n Meli,Giovanni, 105 Melon., Edda., 28n Melville., Herman, 149-150 Mercadini., Gabriella., 84., 94 Merlin, Clementina., Tina, 112 Meschini., Michela, 129n }dessina., 136

Indice dei nomi e dei luoghi

Messina, Claudia, 62n Miguel y Canuto, Juan Carlos de, 22n, 41 e n, 42n:. 46n, 63n, 113n Milani, Mino, 121n Milano, 136 -. Teatro dell'Elfo, 135 Minardi, Sabina, 118 e n Mineo, Nicolò, 121n Mirbeau, Octave, 42, 72 Mirenzi, Nicola, 141n Misserville, Giuliana, 8n Missiroli, Mario, 38 Molinari, Renata, 42 e n Montagna, Carlo, 36n Montalbano, Alessandra, 117n Montessori, Maria, 120 Montmasson, Rosalia, 121-122 Morante, Elsa, 146, 149 Moravia,Alberto, 8 e n, 9n, 15, 17, 36n, 63, 133 e n, 152 Moresco,Antonio, 121n Moretti.,Franco, 104n Moretti, Giuseppe, 17 Moretti, Mario, 114n Morra, Isabella, 69 Morreale, Nino, 108 Mortillaro> Antonino Vincenzo, 105n Moscato, Enzo, 62 Mozzoni, Anna Maria, 120 Mucci, Lorenzo, 43n Mwler, Herta, 132 e n Mulvey, Laura, 28 en Munsten, Clemens, 140n Murrali, Eugenio, 7n, 8n, 9n, 29 e n, 42n, 46,153 Musso~ Benito, 135

Nagoya, 126 Nanni, Giancarlo, 82, 153 Napoli, 14, 113 Negri,Anna, 13 Nenni, Pietro, 13 ln Neonato, Silvia, 23n New York -, Teatro La Mama, 39

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Nievo, Ippolito, 108-109 Noce, Teresa, 26, 131 e n Nothomb, Amélie, 125 e n Nussbaun1:,Martha, 115 Olivetti., Mag00:, 140n Ortegay Gasset José, 148 Ortese,Anna Maria, 29, 112, 146 OrtuzarOvalle deOlivars, OriaMariaAmelia uSonia" >16, 108 Pagano>Mario,65n Palermo, 128, 151 -,scuola Garibaldi, 151 Palieri> Maria Serena, 119 Pannunzio> Mario, 151 Pansa, Francesca, 154 Papini, Maria Carla, 11 On Parca, Gabriella, 84 Pasolini, Pier Paolo, 17, 30> 63 e n, 68 Pastior, Oskar> 132 Pastuglia, Lorenzo, 118n Pawlowski Crosse, ComeliaEdith "Yot', 16, 147 Peppa la cannoniera, 121 Perlini,Amelio,Memè,38,82, 153 Perna, Raffaella, 83n, 94n Perrotta, Annalisa, 8n, 102n Pi> Giorgina, 22, 75n Picchietti, Virginia, 116n Piccillo,Mauro,66n Piccioni, Anna, 154 Piemonte, 61 Pigliaru, Alessandra, 8n Pinoia, Valentina, 105n Pirandello, Luigi, 62n, 64n, 68 Pisano, Laura, 112n Pisu, Renata, 112 Pitrè,Giuseppe, 105 Platone, 150 Plutarco, 44 Porciani, Eler1a:, 115 e n Portoghese, Gabriele, 75n Pozzuoli -> carcere, 135 Prato, 58

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Dacia Maraini

Pravadelli:, Veronica, 28n Procida, 109n Prous~ Marcel, 27 Pulga, ~ 90n Puppa, Paolo:, 63n Quartucc~ Carlo, 34 Quondam,Amedeo:, 122n Rame:, Fran~ 154 Ranger~ Norma, 123 Re:, Lucia, 115 e n Reichardt, Dagmar, 8n ReUD.:, Riccardo:, 93 Remondi:, Claudio:, 82 Ricaldone:, Luisa, 26:, 28n Ricciardi:, Cloti, 84 Rie~ Adrienne:, 17 e n Richards00:, B ~ 85n ~ Stefania, 3 ln Ristor~ Adelaide:, 43 Rizzarell~ MarUl:, 3 ln Roccavilla, Lidia, 133 e n Roma:, 9, 14, 19:, 20:, 25, 31, 35, 37:, 63:, 75n, 89, 113, 133n -, carcere di Rebibbia:, 135 -, Centocelle, 15:, 37 e n, 92-93, 153 -, Circolo Centocelle, 93 -, Colosseo:, 68 -:, libreria/galleria Al Ferro di cavallo:, 81-82 -, libreria Maddalenalibri, 84:, 89 -,piazza del Popolo:, 152 -, Piccolo Globo:, 39 -,Stadio dei Marmi, 84 -, Teatro di Centocelle, 92-93:, 154 -, Teatro La i\laddalena, 20, 28:, 36:, 44, 84, 89, 90n, 92:, 94:, 154 -, università Roma Tre, 22:, 3 t 75n, 1 lln, 145 en -, via Belsiana, 153 -, via della Stelletta, 84 -, via Flaminia, 84 -, via Pompeo Magno:, 95 -, via Ripetta, 81 -, villa Borghese, 36 Romano, Laila, 29

Romano:, Silvia, 141 Ronco:, Giovann~ 66n Ronconi, Luca, 35, 37 e n, 42:, 45 e n Rosi, Viviana, 15n Rossanda, Rossana, 25 e n, 26, 29, 112, 157 Rossell~ Aldo, 30n Ruccello,Annibale:,62 Ruchat, Annél:, 3 ln Rugg~ Mari00:, 132n Russell:, ShannanApt, 141 en Ruta, Simon Pietro:, 118n Sabatilll:, Alma, 85 e n, 89 Sabbadm1:, Linda Laura, 119 Sacchett~ Giuliana, 90 Saffo, 56-57 Salò, 9, 107, 126 San Marzano, Cristiana d~ 119 Sancin, Francesca, 119 Sanguineti, Edoardo:, 66n Sapegno,Maria Sere11a:, 8n, 30n, 102n Sapienza, Goliarda, 29-30:, 3 ln Saras~ Bia, 12 e n, 13 e n, 23n Sardegna, 13 Sartre, Jean-Paul, 133 Scabia, Giuliano, 38 Scalfi, Saviana, 90, 94, 154 Scancarello:, Walter, 7n, 151 Scatamacchia, Cristina, 112n Schneider:, Romy, 85 Sciarrino, Rosamaria, 153 Scorranese, Roberta, 119n Scurat~ Antonio, 121n Serafini, Carlo, 113n Serafini, Maria Teresa, 30n Serena, TWalla:, 82n, 90n, 91 e n Serkowska, ~ 26, 121n Se1n:, Mirella, 119 Setti, Nadia, 21, 22 en, 23n, 27n Severinl:, Gina, 81 Shaffuer, Randolph P., 104n Shakespeare:, William, 35, 43 Sicilia, 30, 61, 105n, 109n Siciliano, Enzo, 36n, 158 Simone, Raffaele, 67n

Indice dei nomi e dei luoghi

Simone~ Maria Pia, 15n Soldani, Simone~ 112n Spagna, 8n Spiazzi. Anna Maria, 90n Spignoli. Ter~ 110n Spinella, Mario, 132n Spinelli, Baro~ 112 Stati Uniti, 8n. 85 Stefanelli. Stefania. 62n. 63n Stevenson. Robert Louis. 149-150 Sumeli Weinberg. Maria Grazia. 112n Svandrlik. Ri~ 8n Szondi, Peter, 42 e n Tabucchi, Antonio, 121n Taffon. Giorgio, 19n. 62n. 65n Tatò, Carla, 153 Taviani, Ferdinando, 41, 42 e n Temkine. Raymonde, 82n Tempest. Kae, 75n T essari, Roberto, 4 ln Tessitore, Maria Vittoria. 22 e n Testaferri, Ada, 30n Tibet, 148 Tognazzi. Ugo, 85 Toller, Emst, 93 Tomassini. Francesca, llln Tomabuoni, Lie~ 112 Trifone, Pietro, 61n. 63n. 65n Trivulzio, Cristina, 121 Turone. Danielle, 89 Urdician, Rose Stéphanie, 115n

169

Valencia, 41 Valentini, Chiara, 119 Valeri, Franca, 154 VandenBerghe, Dirle, 121n Vasilicò, Gabriele, 82, 153 Vassalli.Sebastiano, 121n Venier, Domenico, 20 Venier, Maffio, 20 V enturini, Monica, 29, 11 ln Verga, Giovanni, 105n Verona, 25 Vichy, 132 Vietnam, 63 Villab~Francesco MariaEmanuele 105n Villari, Lucio, 93n Viragli. Christina, 31n Visconti, Luchino, 152 Vitti, Monica, 13 5 Vittori, Maria Vittoria, 136n Vivanti, Annie, 140 e n Weidenbaum, lnge von. 140n Wilson. Bob, 45 Wool( Virginia, 11. 15, 56 WuMing, 12n

Yourcenar, Marguerite, 115 Zaccaro, Vanna, 112n Zagarolo, 14 Zambrano, Maria. 115 Zamengo, Renata, 154 Zan~ Marina, 44n Zavattini,Cesare,135