Da Courbet a Manet. La scuola di Barbizon e l'impressionismo. L'opera su carta 8887582300, 9788887582307

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Da Courbet a Manet. La scuola di Barbizon e l'impressionismo. L'opera su carta
 8887582300, 9788887582307

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DA COURBET A MANET La scuola di Barbizon e l’impressionismo.

L’opera su carta

a cura di

Marco Goldin

In copertina Henri-Joseph Harpignies, Paesaggio parigino particolare, 1872 Szépmiuvészeti Mizeum, Budapest

È

DA COURBET A MANET

sia

La scuola di Barbizon e l’impressionismo.

Organizzazione Lie

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L’opera su carta i 4 Conegliano, Palazzo Sarcinelli 10 settembre 2000 —- 14 gennaio 2001

74

Direttore Marco Goldin

Concezione generale Marco Goldin

Responsabile attività

Design interno

Silvia Carrer

Eleonora Mantese Edoardo Gherardi

(80)

Responsabili area prestiti internazionali Davide Martinelli Saba Ranzato

Città di Conegliano

Assessorato alla Cultura

Coordinamento lavori Comune di Conegliano

Settore Lavori Pubblici, Responsabile book-shops Rossella Florean

Assessore

Loris Balliana Responsabile personale in mostra Annalisa Civelli

Assistenza generale Maria Lisa Patuzzo

Responsabile attività didattiche Federica Bortolotti Responsabile ufficio iconografico Federica Bevilacqua

Segreteria generale Silvia Vianello ;

Responsabile call center Federica Bertagnolli

-

Altre operatrici Stefania Sordi Raffaella Traviglia Servizio

È

°

Documentazione a Parigi

servizio manutenzioni Settore Servizi Generali, servizio cultura

Opere in cartongesso Edil Decò snc, San Vendemiano Climatizzazione Tiemme srl, Cazzago di Pianiga Fornitura apparati illuminanti Le Lux spa, Villorba Pitture esterne Fratelli Dal Mas, Conegliano

Guardaroba e book-shop Falegnameria Gianfranco Titton e figli sas, Follina

Assicuratore ufficiale Assicurazioni Generali spa

Catalogo

Trasportatore ufficiale

Concezione generale Marco Goldin

Tratto snc, Venezia 4ssistenza amministrativa,

contabile

e bancaria

Studio Cattarin, Treviso

Progetto grafico Studio Camuffo, Venezia

Paola Lovat (Studio Casonato, Treviso)

Alessandra Furlanetto (Cassamarca, filiale di Conegliano)

Con il contributo di Piero De Luca

Assistenza informatica

Coordinamento

Domenico Marangoni

Stefano Bortoli

Assistenza pratiche Siae Michele Foffano

Redazione Federica Bevilacqua Maria Maddalena Di Sopra Elisabetta Righes

Affissioni

redazionale

Gallo Pubblicità srl, Montebelluna

Segnaletica stradale Sadi spa, Altavilla Vicentina

Realizzazione Grafiche Antiga, Cornuda Coordinamento

Organizzazione trasferte Maria Zago (Cusinato Viaggi, Treviso) Immagine della mostra

Piero De Luca

Impaginazione a video Marianna Antiga

Studio Camuffo, Venezia

Ufficio stampa Studio Esseci di Sergio Campagnolo, Padova

Collaborazioni Debora Rodella Moris Semenzin

se

Ringraziamenti

Dopo un anno di interruzione, riprendono a Conegliano le grandi mostre internazionali, adesso con un deciso salto di qualità, come non era mai avvenuto finora. Mi è quindi gradito ringraziare il sindaco della città, Floriano Zambon, l’assessore alla cultura, Loris Balliana, e tutta la giunta municipale per l'appoggio che hanno voluto dare

a questa manifestazione. Unitamente al direttore generale Salvatore Minardo e al vice segretario generale Franco Canal, sempre disponibile nella risoluzione dei problemi. Così come il dirigente del settore Lavori Pubblici, Dino De Zan. Come ogni altra volta, il mio pensiero affettuoso e grato va a Maria Lisa Patuzzo, direttrice della Biblioteca civica, preziosissimo appoggio per tutte le iniziative culturali del Comune.

Grazie ai componenti del comitato scientifico, che si sono prodigati affinché la mostra potesse raggiungere i migliori livelli di qualità. ua

Sylvain Amic, sir Jack Baer, Paula Casajus, Elizabeth Conran, Howard Coutts, Andrea Cszére, Kate de Rothschild, Chris Dercon, Jan Piet Filedt Kok, Maria José Garcia, Jorge Glusberg, Nick Grant, Audrey Grant, Geneviève Lacambre, Fred Leeman, A.W.EM. Meij, Miklés Mojzer, Janet Nelson, Peter Oliver, Mr e Mrs Jack O’Neill, Stephen Ongpin, Linda Oram, Sabrina Santagata, Alistair Smith, Vilmos Tatrai, Cindy van Weele, Margreet Wafelbakker.

Grazie, per l’indispensabile contributo recato alla mostra, a Gianfranco Zoppas, Ugo Avvanzini e ai fratelli Antonio, Fiorenzo, Gaspare e Giancarlo Lucchetta. Grazie per il loro contributo a Luisa Campagnaro, Giorgio De Lena, Giorgio Ottavian, Tiziano Marson, Antonio Palazzi, Pio Grollo, Giovanni Garatti, Arnaldo Compiano.

i

Grazie al Musée Fabre di Montpellier, al Musée Moreau di Parigi, al Museo Nacional de Bellas | Artes di Buenos Aires, al Bowes Museum di Bar_mard Castle, al Museum Boijmans Van Beunin-

gen di Rotterdam, al Rijksmuseum di Amster-

Grazie a Paola Lovat per il contributo sempre importante nella gestione e nel controllo di ogni aspetto amministrativo e contabile. Così come ad Alessandra Furlanetto per la gestione della contabilità bancaria.

dam, al Szépmiivészeti Mizeum di Budapest, Whitworth Art Gallery di Manchester, a tutte +: gallerie e i collezionisti per il gentile prestito lle opere esposte. Grazie a Florende Aalbers,

Grazie per il loro apporto qualificato a Claudio Campagna, Leonardo Carrer, Melania Granzo, Emanuela Rampazzo, Francesca Rottigni, Ivana

Tocchetto, Antonella Zanchetta, Stefania Bortolot, Hélène

Carquin, David

Graham,

Karin

Reubel,

George Thomson, Mary Thomson.

Grazie ancora per l’aiuto importante a Ottaviano Del Turco, Gionata Chierici, Guido Antoniazzi,

Stefania Elevati, Stefano Righetto, Rossella Martignoni. Grazie ai titolari e al personale delle Grafiche Antiga per l’attaccamento dimostrato nella preparazione e nella stampa del catalogo e di tutti i materiali di corredo. Vorrei in modo particolare ricordare il lavoro così dedicato di Piero De Luca e Marianna Antiga. Grazie a tutti i miei collaboratori per la passione e l’impegno: Federica Bevilacqua, Federica Bertagnolli, Silvia Carrer, Annalisa Civelli, Rossella Florean, Davide Martinelli, Saba Ranzato, Silvia Vianello.

Devo così tanto alla comprensione affettuosa di Ketty, e Veronica MARCO GOLDIN

e Maddalena.

La Galleria Comunale di Palazzo Sarcinelli, che per un decennio ha ospitato gli esiti migliori della pittura italiana contemporanea, già dal 1996 si è aperta a rassegne anche | di studio europeo. Credo però che la presente esposizione possa ritenersi a buona ragiosd ne, tra tutte, quella che colloca la sede coneglianese all’interno del ristretto cerchio delle » strutture italiane che producono attività di notevole livello. __ Lavicinanza poi con Treviso, e l’ideale collegamento con la mostra contemporanea La nascita dell’impressionismo, ne fa quasi di diritto una prosecuzione, che ci consente di | leggere in modo più chiaro la grande vicenda dell’arte francese nel XIX secolo. Qui a | Conegliano seguendo una strada apparentemente nascosta, quella dell’opera su carta. Che invece ha assunto subito un’importanza fondamentale sia per gli artisti di | Barbizon prima, che per gli impressionisti poi. I quali ne hanno fatto un vanto, un l'inezzo non solo preparatorio per i dipinti ma anche un’espressione autonoma del pensiero figurativo. La bellezza dei fogli adesso presenti in Palazzo Sarcinelli, ne è fedele dero ringraziare la Giunta regionale del Veneto per avere con noi contribuito alla e? della mostra. E inoltre il mio ringraziamento più sentito va a Zoppas es, Erreti ed Euromobil, che hanno scelto di appoggiare la nostra iniziativa, —

tro duzione

2

M CO Goldin

La scuola di Barbizon e l’opera su carta a Baradel

;

Da La Courbet a Manet: l’opera su carta. bb bi e

lle note d’arte

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)GRAFIE

DEGLI ARTISTI

ca Bevilacqua e Martinelli

Introduzione Marco Goldin

Possiamo considerare questa mostra, con il lavoro su carta degli artisti di Barbizon e degli impressionisti, idealmente come la quinta sezione della rassegna che contemporaneamente

si tiene a Treviso ed è dedicata a La nascita dell’impressionismo.

Ne è

infatti la logica prosecuzione e integrazione, e rappresenta il capitolo conclusivo del progetto nella sua completezza. Inutile dire infatti, ovvia com’è la cosa, dell’importanza che il disegno, ma anche l’acquerello e il pastello, ebbero per entrambi questi gruppi, e sarà sufficiente scorrere l’elenco delle opere raccolte nell'esposizione del 1874 da Nadar per averne immediata conferma. Molto varia fu la disposizione dei diversi pittori nei confronti del lavoro su carta, che non sempre venne inteso come semplice attività preparatoria. Emblematico il caso di Rousseau da un lato e quello di Degas dall’altro, che al disegno in senso largo affidarono alcuni tra gli esiti più belli di tutta la loro attività. Ma anche ricordare come Cézanne considerasse il disegno una sorta di parola detta all’alba del mondo, ciò da

cui tutto doveva cominciare. Questa mostra mette in evidenza, accanto a pittori ampiamente Corot, Courbet, Daubigny,

Rousseau,

che indicano

della natura

riconosciuti

come

il lato di maggiore

forza realistica, anche alcuni altri autori che affidano alla pratica dell’acquerello la descrizione di un paesaggio più largo, quasi arabescato. È il caso, per esempio, dei fogli così fascinosi di Huet e Harpignies, che il pubblico italiano conoscerà quasi per la prima volta. E del resto soprattutto il secondo, proprio con i suoi acquerelli, ebbe larga fortuna nei Salon parigini, dove fu spesso premiato. Si ha in questo modo del tempo di Barbizon una scansione più borghese, arieggiata, con la particolare forza della luce offerta da questa tecnica tanto leggera. Da Barbizon si passa poi all’impressionismo ancora con l’acquerello, cui si dedicano con grande fortuna Boudin e Jongkind, tra l’altro coinvolgendo in questa pratica en plein air quel giovane allievo che rispondeva al nome di Claude Monet. Il disegno diventa adesso un punto di forza della descrizione, e come detto soprattutto Degas e Cézanne lo portano a livelli di perfezione. Fu Octave Mirbeau a scrivere come Degas, appunto nel disegno, avesse superato addirittura il venerato Ingres. Anche Manet, comunque, considerò il lavoro su carta tappa imprescindibile per la creazione, e in questo senso fu anche grande grafico, soprattutto nella prima parte della sua carriera. Quello che resta, è la sensazione di un pensiero che copre certi spazi che la pittura non riusciva a trarre per sé e da cui si aggirava lontano. Forse non è inutile mostrare adesso anche questo aspetto, per amare alcune distanze o altri contatti, per rendere quanto più possibile completo il senso di un’avventura.

15

La scuola di Barbizon e l’opera su carta Virginia Baradel

Fontainebleau è un luogo noto a tutti gli amanti della storia dell’arte per due buoni motivi: il bellissimo castello e la grande foresta. Il primo fu residenza di caccia dei re

di Francia sin dal XII secolo ma fu nel Cinquecento che divenne un gioiello di architettura rinascimentale, affrescato e decorato da artisti italiani manieristi quali Rosso Fiorentino, il Primaticcio, Nicolò dell’Abate, il Vignola, Sebastiano Serlio, Benvenuto

Cellini. La seconda è un vero capolavoro della natura ancora integra. Si estende per circa diciassettemila ettari di superficie arenaria frammezzata da gole, caverne, rocce, dirupi che si susseguono in forme caotiche e sorprendenti. È percorsa da strade e sentieri, attraversata da corsi d’acqua e trapuntata da laghi e stagni: la Senna non è lontana. Padroni assoluti della scena sono gli alberi, grandi, possenti, secolari: querce, faggi, betulle, pini silvestri si stagliano netti o si sommano rigogliosi, formando un continuum di rara suggestione. Tra le foreste attorno a Parigi fu soprattutto Fontainebleau ad attrarre gli artisti che cercavano ispirazione nella natura. La riforma del paesaggio che molti, nel crogiolo delle inquietudini etiche e letterarie del romanticismo, avevano in animo di sortire aveva bisogno di luoghi di intatta potenza naturale in grado di trasfondere nuova linfa agli animi e alla pittura. Il luogo appariva dotato di una verginità primordiale, ideale

come alternativa alla città diventata caotica e alienante, ma nemmeno poi così distante da Parigi, dove poter riportare, confrontare ed esporre le nuove esperienze pittoriche. Sul piano artistico la foresta con la sua grandiosità sorgiva, non civilizzata, poteva fornire un’infinità di spunti per rigenerare tanto la capacità dell’occhio di vedere quanto quella dell’artista di rappresentare la natura. L'obiettivo, infatti, era quello di liberare il paesaggio dalla servitù della maniera, di emanciparlo dalle convenzioni accademiche che lo avevano ridotto ad anemico sfondo di accompagnamento, cliché per quadri storici e mitologici sulla falsariga dei grandi interpreti del «paesaggio ideale», Lerrain e Poussin. Una natura selvaggia, indomita, piena di meraviglie e di creazioni spontanee era quello che ci voleva per fare del paesaggio un protagonista della pittura, un soggetto autonomo. Ai bordi della grande foresta sorgevano, allora come ora, alcuni villaggi. Il più noto è senza dubbio quello di Barbizon, collocato sul margine occidentale. Negli anni venti dell’Ottocento arrivarono per primi a Barbizon Théodore d’Aligny, Jacques Raymond Brascassat, Camille Flers, Paul Huet, Frangois-Louis Francais e Camille Corot che vi soggiornò prima di partire per l’Italia. La locanda Ganne di Barbizon divenne ben presto il punto di riferimento per gli artisti che incominciarono ad affluire anno dopo anno. Il tripudio di ombre fitte e verdi pastosi incominciò così a fiorire dei punti bianchi dei grandi ombrelli dei pittori che si disponevano a dipingere quel luogo incantato ma, soprattutto, carico di sollecitazioni per l’occhio che si stava

rieducando a «vedere» senza filtri e secondi fini. Giunsero, poco dopo, Théodore Rousseau, Narcisse Diaz de la Pea, Louis Cabat, 15

|

BAPTIS

|

{l

Pittori al lavoro

nella

di Fontainebleau, Collezione

E

COROT

foresta

1855

privata

Francois Millet, Charles Jacque e Constant Troyon. Jules Dupré e Charles-Frangois

Daubigny venivano periodicamente. Ognuno aveva un suo stile personale ben definito: Barbizon non fu mai una vera scuola, con un programma e una teoria. Si partì sfoderando l’enfasi romantica di ritrovare il vero volto della natura e si finì con l’inflazio-

JEAN-FRANGOIS

MILLET

Il pozzo di Gruchy, circa 1854 Collezione privata

ne di paesaggisti del pittoresco en plein air. I protagonisti iniziatori avevano in comune il desiderio di captare l’infinita e sincera potenza della natura, di ricominciare a vedere la realtà naturale a partire dall’osservazione diretta, da una fedeltà senza riserve e senza precedenti. Per fare questo, per esercitare dal vivo queste virtù di contemplazione attiva, essi dovevano abbandonare la città, ritrovare la natura e se stessi, al di fuori dalla routine di un gusto consolidato, prono alle aspettative dei «notabili», ammannito dagli artisti accreditati presso l’aristocrazia e la borghesia cittadina che dettavano legge riguardo alla politica espositiva dei Salon. Courbet e Daumier, in prima fila tra gli artisti di piglio rivoluzionario, furono tra i complici attivi e partecipi di questa avventura artistica che individuava nel paesaggio una sorta di iper testo per le prove generali delle trasformazioni della pittura e per l’avvento della realtà tale e quale s’incontra nella vita, maggiorata, semmai, del pregio dell’autenticità. Gli artisti di Barbizon non inventarono del tutto l'en plein air, altri sporadicamente se ne erano avvalsi all’interno di un rinnovamento del genere del paesaggio, ma essi ne fecero un imprescindibile dato di partenza, una condizione basilare condotta da qualcuno, per esempio Daubigny, sin quasi a una forma di fissazione. Il primato dell’occhio, l’en plein air, atteggiamento globale di profondo rinnovamento, lo scioglimento dei vincoli accademici della pittura in nome dell’evidenza sensoriale catturata dall’oc-

chio fanno della scuola di Barbizon un antefatto certo dell’impressionismo. Tuttavia molte sono anche le differenze, non ultimo lo scarto temporale che, all’epoca dell’affacciarsi degli impressionisti, aveva già trasformato il realismo naturalista nell’ultima pittura di moda. I maestri di Barbizon raggiunsero in meno di vent'anni fama e quotazioni considerevoli sostenuti dalla nuova classe dirigente repubblicana, sorta dalla rivoluzione del 1848, che vedeva di buon occhio i propositi in corso nella foresta di Fontainebleau, in sintonia con la svolta democratica intrapresa. I paesaggisti di Barbizon divennero sì famosi, ma all’interno di un panorama complessivamente assai conservatore. Ancora nei primi anni sessanta il maestro di Monet e Renoir, Gleyre, deprecava il soggetto naturale e riteneva il paesaggio «un’arte decadente.» Quando nella primavera del 18635 Monet, Renoir e Bazille si recarono nella foresta di Fontainebleau e incontrarono i barbizonniers lo fecero trasgredendo di proposito alle sue istruzioni.' Gli artisti di Barbizon esordirono ufficialmente nel Salon del 1831° e vennero definitivamente consacrati dall’Esposizione universale del 1855. All’epoca delle mostre impressioniste Rousseau e Millet raggiungevano già quotazioni altissime.

Del resto, nonostante una schiera ben nutrita di critici (a partire dallo stesso Zola) 16

abbiano sempre riconosciuto il ruolo svolto da Barbizon nella nascita dell’impressionismo, non sempre e non tutti considerarono tale scuola come un primo passo verso l’impresa di Monet e compagni. Nella visione ampia e documentata di Lionello Venturi, per esempio, l’accenno alla scuola di Barbizon è d’obbligo e di sfuggita. L’assunto formalista dello storico dell’arte italiano fa piegare l’ago della bilancia in direzione di Manet e di Degas, mentre sono piuttosto Monet e Renoir ad appassionarsi ai pittori della foresta di Fontainebleau. Del resto nelle storie dell’arte dell'Ottocento Barbizon appartiene interamente al capitolo sul romanticismo, ed è certamente vero che fu una disposizione romantica quella che sconvolse i termini della rappresentazione del paesaggio, ne scardinò la compostezza accademica e la diligenza formale, terremotò gli sfondi naturali d’ordinanza. Nel paesaggio romantico irruppe, senza moderazione, la natura quale doveva essere prima del governo della forma e della storia. Illustri precedenti da cui trarre esempio e ispirazione furono i paesaggi nordici dei pittori olandesi del Seicento e quelli inglesi contemporanei che si potevano ammirare anche ai Salon. Constable vi partecipò nel 1824. Costoro, in modi e con intenti diversi, avevano

THÉODORE

ROUSSEAI

Scorcio della foresta di Fontainebleau,

1855 Collezione privata

già da tempo eletto la natura

«vivente» a cardine del paesaggio senza investimenti letterari o idealizzanti, l'avevano resa capace di un protagonismo che scavalcava i confini del genere, sovrastava la stes-

sa figura umana e provocava grandi emozioni nell'animo. Alcuni precursori della scuola di Barbizon, come Louis Moreau e Georges Michel, avevano fatto tesoro di queste posizioni, limitandosi a quadri di piccolo formato. Molti artisti francesi (tra cui il maestro di Rousseau, Guillon-Lethière) avevano più volte traversato la Manica. Rousseau stesso collezionava stampe di artisti olandesi. Gli artisti di Barbizon fecero il passo ulteriore e decisivo nell’impostare la questione della rappresentazione come un rapporto tra due soggetti, l’artista e la natura. Essi, infatti, intendevano osservarla e renderla sulla tela con la complice passività del ritrattista che si lascia condurre e sedurre dalla fedeltà alle fattezze del soggetto che alla sua devota ammirazione completamente si svela. Del resto tale realismo naturalista non si sottrae, Courbet docet, all’interpretazione,

intendendo aggiungere cioè verità alla realtà.

E dunque ecco entrare in gioco il ruolo

riformato dell’attacco romantico sur le motif e l'incidenza del transfert emotivo, del

rispecchiamento empatico e della restituzione sensoriale del vero. Tali considerazioni risultano vieppiù inevitabili nel momento in cui ci si accinge a considerare e ammirare le opere su carta degli artisti di Barbizon. Nelle opere su carta, infatti, la complessità dei retaggi e delle intenzioni si fa scoperta a prescindere dal tipo di tecnica impiegata. L'analisi delle opere grafiche ci permette di considerare come questi artisti si muovessero, più o meno consapevolmente, tra le acquisizione e gli insegnamenti della tradizione e la volontà risoluta di togliere ogni schermo, ogni

vincolo all’occhio. 17

|

RE

R

Margine

Musée Cabinet

SEA

del

du

bosco,

1856-1859

Louvre,

des

Dessins,

Parigi

In tal senso ricopre un valore fondamentale il disegno, lo schizzo, l’abbozzo su carta

inteso come studio, non solo e non tanto preparatorio, ma proprio come allenamento

della vista e traduzione del suo raccolto in segno, come proprietà prima della ricerca di una nuova e superiore obiettività nell’osservazione del vero. L'importanza del disegno nella storia dell’arte francese è, com’è noto, determinante,

disegno da intendersi sia come studio, come prova di composizione che come scrittura autonoma

dei singoli artisti. Tuttavia dato il valore precipuo di ricerca insito nel

disegno e, più in generale, nell’opera su carta, sarà proprio nel periodo dei maggiori

cambiamenti, dei grandi travagli delle forme, dei metodi, degli stessi presupposti dell’arte che esso diventerà prezioso banco di prova, di verifica delle intuizioni: «Se la messa in opera pittorica rimane una questione di laboratorio nella stragrande maggioranza dei casi, la freschezza dello schizzo ricorda che le arti grafiche furono le prime a prendere contatto con la luce naturale e i sogni che può innestarvi un artista,

JEAN-FRANCOIS

MILLET

Le lavandaie, circa 1857-1858

Collezione privata

quando questi cerchi di sottomettervi un grafismo dapprima sensibile al movimento delle forme della vita vegetale. È una nuova organizzazione dello spazio che si sta così preparando.»' Si moltiplicano e si perfezionano le tecniche: piombaggine, lapis nero, sanguigna, carboncino con o senza sfumino, matita grassa Conté, mine e matite colorate...

Il disegno diventa così un vero test sulla relazione che si istituisce tra occhio e segno. Mentre è intento al disegno, tracciato al cospetto della natura, l'artista, nello spirito di Barbizon, riflette e si pronuncia sull’identità dell’arte. Quelle prove grafiche acquistano così anche il pregio dell’esperimento in «diretta», il peso specifico del tentativo in corso di dare vita e forma a un nuovo criterio di intendere l’arte. Dunque il disegno come messa a punto di un metodo e di una qualità dell’evidenza che poi si dispiegheranno sulla tela. Ancora, nella minorità pratica della sua misura, della tecnica e della celerità di esecuzione, il disegno possiede il bene dell’infinita variazione, fondamentale per i grandi artisti inquieti, dediti alla sperimentazione e intenzionati a lasciarsi condurre dalla bussola dell’occhio. Il disegno, nel suo carattere di parzialità e provvisorietà, possiede la virtù del ripasso, dell’approfondimento e persino dell’accanimento riproduttivo dell'apparenza. Il disegno scandisce il ritmo della ripetizione, del ritorno sui propri passi e tormenti, rendendo esecutiva la ricerca evocativa del vero, che è altro dall’esattezza naturalistica e, proprio per questo, più affannosa e creativa. Rousseau ritoccava di continuo la tela,e tendeva a non finire mai un quadro nell’illusione di giungere alla resa perfetta del vero, veduto e percepito con tutto il proprio essere. Certo è che gli artisti di Barbizon poggiano l’occhio su un’impalcatura di cognizioni assodate, per esempio per quel che riguarda la successione in profondità che avanza

verso la linea dell’orizzonte. Ecco allora che i nostri artisti affidano al disegno (e, in maniera ancora più decisa, all’incisione) la funzione di strutturazione aerea, di impo18

GUSTAVE

COURBET

Foresta, circa Museum

1858

Boijmans

Van

: Beuning

en

Rotterdam

stazione dei rapporti tra le luci e le ombre, la disposizione spaziale e l’individuazione

THÉODORE

delle forme.

Il limitare del bosco

Su questo terreno, che è tutto interno alla grande tradizione del disegno, troveremo

ROUSSEAI

Collezione privata

che la lezione di Corot risulta esemplare perché da un lato è animata da un sentimento della natura assai «compenetrante», affine a quello dei barbizonniers, dall’altro però il grande equilibrio, la limpida armonia compositiva, la delicata eppure ferma evidenza della visione, distanziano innegabilmente i caratteri della sua produzione grafica da quella degli altri. In lui l'apparenza coincide ancora con la forma e la linea tende a sagomare e a ombreggiare pur mirando a una chiara unità spaziale. Con gli altri, Rousseau in primo luogo, l’apparenza acquista, invece, un valore in sé, propedeutico alla verità, alla presa del reale, acquista un corpo di tangibile evidenza superficiale che si accampa con l’autorità di una cortina di emozioni sensoriali. Per questo i disegni di Rousseau sono certamente più analitici, abbondano di segni e di ritocchi, pos-

siedono un ordito fitto e movimentato che si esalta nelle incisioni. Nel massimo espodella scuola di Barbizon è sempre ben chiara la scansione dei piani, la

nente

panoramica della veduta. Per quanta iniziativa possa prendere il vivo volteggio della matita o del carboncino che simula l’accidentata plasticità di una corteccia, di una terra grassa, di un dirupo roccioso o l’esuberante verdeggiare di una fronda, la trascri-

19

CONSTANT

TROYON

L’abbeveratoio Kunsthalle,

Brema

zione di una forma

è pur sempre

accompagnata

dalla sua collocazione

spaziale,

magari a incastro tra altre occorrenze visive. Il fitto brusio unitario di Rousseau è

distribuito in una articolazione spaziale che non tradisce l’impianto prospettico tradizionale mentre mette a fuoco la singolarità concreta del particolare. Del resto non va

dimenticato che questi artisti possedevano una formazione che prevedeva le copie dai E nel codice del paesaggio, anche se

grandi pittori del passato, soprattutto italiani.

sciolto da ogni vincolo di cliché, rimane pur sempre l’impianto scenografico. I piani di profondità vengono sconvolti, esaltati, variegati, ma in nessun modo sotta-

ciuti; la plasticità delle cose non sarà più quella chiaroscurata d’accademia ma la solida potenza visiva di un tronco, di una roccia, di un fronda copiosa dovrà trovare modo, come prima e più di prima, di sollevarsi dalla tela e farsi intendere nella sua originale fisicità. L’impostazione spaziale, dunque, aumenta il grado di complessità, si affida a tutte le risorse grafiche in grado di restituire la varietà dello schermo delle apparenze ma non licenzia le modalità tradizionali di composizione dell’insieme. Guardiamo ancora i disegni a carboncino, a matita, o pastellati di Rousseau. Essi suggeriscono le forme e gli andamenti tramite il folto aggrupparsi di brevi linee marcate: erbe, cespugli, rami, morfologia del terreno, ma anche cieli e profili di nubi. Le espan-

sioni aeree appaiono come una dinamizzazione del medium disegnativo che culmina in un diradamento pressoché totale nel momento di massima emergenza della forma. Quelle terrene appaiono come una continua variazione del tratto che, mutando di misura, incisività

e andamento

arricchisce la strutturazione compositi-

va di effetti, di intrecci di luci, di trame improvvise. È all’interno di queste proce-

dure, nelle quali l’osservazione si tramuta in segno e calibra la posizionatura dei rapporti spaziali sul filo dell'apparenza e non della sostanza (per cui un cirro sospeso tra cielo e fronda darà segno di esistenza visiva tramite un’apnea del tratto contrappuntata da tracce di contorno), che il fatidico «punto di vista» si tramuta, piano piano, in point d’optique il quale si nutre di tutto lo spazio consentito ora all’occhio. Dunque, negli artisti di Barbizon, grazie a una formazione tradizionale non esautorata bensì subordinata a un programma di riscatto del vero naturale, l'occhio non è mai completamente solo e mentre accompagna la mano che traccia un convincente ritratto della natura, attinge a quanto ha appreso in materia di riporto sul foglio bidimensionale della polifonia di forme di un paesaggio. L'occhio, del resto, ha pieno mandato di esplorazione da parte della soggettività dell’artista e dunque possiede già il richiamo di un’attrazione nel dirigersi a cogliere i diversi aspetti del paesaggio. È proprio nei disegni che questa ambivalenza si manifesta con maggiore evidenza poggiando, da un lato, sull’esperienza grafica acquisita (anche se resa più scattante e abbreviata) e dall’altro su più spericolate evoluzioni del mezzo secco (matita, penna, 20

carboncino ecc.) arricchito da apporti cromatici (acquerello, gouache, lumeggiature

PAUL HUET

ecc.) per rendere più calzante il «colpo d’occhio.»

Studio di alta marea, Granville,

L'impianto compositivo tradizionale si fa sentire con maggiore autorità in Dupré e Troyon. Nel primo è possibile riscontrare un vero e proprio dosaggio nelle direzioni di

1850

Collezione privata

sviluppo dei vari elementi, tra verticali e orizzontali, tra linee curve e oblique; mentre nel secondo la distribuzione accorta degli elementi del paesaggio finirà col tramutarsi in ambiente e rendersi perfettamente idonea ad accogliere i suoi celebri animali. Diaz, dal canto suo, più che rinnegare gli schemi compositivi cercò di tradurre nelle prove grafiche tutta la densità cromatica, le luci a effetto, le ombre fitte, i colpi di scena delle sue pitture. Nemico giurato della linea, negato per il disegno, preferì servirsi dei forti contrasti e delle scabre densità del carboncino. Baudelaire non fu certo tenero con le capacità di compositore di Diaz. Commentando il Salon del 1846 ebbe a dire: «Per il disegno... non c'è neanche da parlarne; le membra di tutte queste figurine stanno su all’incirca come certi fagotti di stracci o come braccia e gambe disseminate dall’esplosione di una locomotiva.»° Mentre il critico e poeta è assai bendisposto nei confronti di Paul Huet che considera uno degli ultimi artisti di paesaggio romantici, in grado di immettere dell’immaginazione poetica entro il magro bottino del paesaggio naturalista che, a suo dire, si accontenta di pareggiare il conto con la realtà. Le opere su carta di Huet fanno vibrare le corde di una travolgente liricità, architettano il sublime naturale muovendosi tra grandiosità e tragedia, elaborando con grande perizia il punto di vista, i rapporti di luce e le proporzioni. Egli possedeva un’ottima padronanza dei mezzi grafici (disegno, incisione, litografia e acquerello) delle cui proprietà costruttive si conserva memoria anche nelle pitture spinte talvolta, dalla stessa perizia, sino al limite dell’illustrazione. Moderato, poco incline ai sussulti romantico-realisti e volto piuttosto a imborghesire la lezione di Corot, Henri Harpignies elabora in modo garbatamente descrittivo i suoi acquerelli (così come i suoi olii) pervenendo a una scrittura piuttosto convenzionale del paesaggio, che concorrerà alla grande diffusione del genere dopo la metà del secolo. Ma è con Courbet e Millet che l’assunto realista di Rousseau acquista fervore comunicativo e feconda ragion d’essere. La disposizione realista nutrita di pathos e poesia che, in modo ben diverso, riguarda entrambi, non si smentisce ma anzi talvolta sem-

bra alzare il tiro nelle opere grafiche. La robusta esemplificazione, schietta, investigativa di Courbet riesce a creare una sintesi eloquente del soggetto, tanto che si tratti di figure che dipaesaggi, in grado di superare la precisione con la sincerità. La gamma bassa e ristretta delle sue preferenze cromatiche si traduce in un uso energico e modellante della linea tracciata con la matita 0 con il carboncino, irrobustita con il gesso e con rinforzi di colore. Millet, dal canto suo, rivela proprio nel procedere sintetico e incalzante della linea

quella volontà di espressività narrativa, di efficacia comunicativa, che muove i suoi 21

quadri realisti. Nei disegni Millet sembra animato da un’urgenza di pervenire e di far emergere l’essenziale, senza dispersione, senza varietà. Sembra interessato solo alle linee di forza, quelle che attribuiscono certezza di esistenza a un soggetto. Tuttavia nel

puro paesaggio la sola operosità del segno inanimato, senza figura, sembra vacillare, indebolirsi, osare appena una ricognizione approssimativa. Poco più che schizzi privi di trama e di tensione i paesaggi naturali si rianimano, acquistano vigore e capienza in presenza delle figure umane. Millet non è un paesaggista. Egli condivide e trasferisce all'uomo l’enfasi realista che Rousseau riserva alla natura, agli alberi. L'energia figurante attribuisce piuttosto al colore e alla sua duttilità plastica, che corrobora JEAN-FRANCOIS MILLET

anche la funzione della linea, la proprietà di interpretare la verità del soggetto. Conse-

Il giardino di Millet

guentemente nell’opera su carta è soprattutto il pastello a venire impiegato, una tecni-

a Barbizon

Musée Bonnat, Bayonne

ca in cui il colore oppone una certa resistenza al foglio (a differenza dell’acquerello) e che si tesse effondendosi senza azzittire il gesto che l’ha generato. Di ben altra e opposta natura i disegni di Daubigny sembrano muovere su amplissime rotte, avviarsi agili verso vasti orizzonti. I segni sciamano fluidi

e rumorosi come se

nella vista del paesaggio prevalesse la mutevolezza, si mirasse a cogliere l’istante. Il suo accanimento

en plein air si abbina a una sincera urbanità, della quale fa parte

anche la sua grande esperienza come grafico. Egli intende l’immersione nella natura come evasione e si bea della ricchezza delle sue sollecitazioni visive. La trama fitta e mistilinea dei suoi disegni sgrana la forma delle figure creando un ordito disomogeneo in cui, con ogni evidenza, è la luce a pilotare l’aggregazione dei segni. È, dunque, proprio nelle opere su carta che Daubigny appare chiaramente come il meno barbizonniere il più pre-impressionista della compagnia di Fontainebleau.

!' J. Rewald, La storia dell’impressionismo, Milano 1991, p. 85.

? In quel Salon del 1831 (anno in cui Stendhal pubblica /l rosso e il nero) Rousseau espone Paesaggio. Sito d'4lvernia realizzato su schizzi raccolti in viaggio osservando dal vero i paesaggi tra Lione e l’Alta Alvernia. Nello stesso Salon Delacroix espose La libertà guida il popolo e Corot un paesaggio di Fontainebleau. Rousseau aveva avuto

una formazione tradizionale dapprima al pensionato di Auteuil e dopo presso l’atelier di Rémond, vincitore del Grand Prix de Rome per il paesaggio eroico. Tuttavia, ancora adolescente, aveva anche potuto ammirare e vivere in

simbiosi con i luoghi delle foreste di Chaux, di Joux, di Chailluz e di Levier dove ebbe modo di soggiornare. Cfr. J. Bouret, L’Ecole de Barbizon et le paysage francais au XIX* siècle, NeuchAtel 1972, p. 91. ' L. Venturi, La via dell’impressionismo, Torino 1970.

‘ M. Sérullaz, A. Sérullaz, L’Ottocento francese, in I disegni dei maestri, Milano 1970, p. 18. * C. Baudelaire, IZ Salon del 1846, in Scritti sull’arte, Torino 1981, p. 86.

Da Courbet a Manet: l’opera su carta. Delle note d’arte Belinda Thomson

Nei decenni che precedettero il primo gruppo di esposizioni degli impressionisti tra il 1870 e il 1880 ci fu la crescente urgenza di interrogarsi sui valori tradizionalmente esaltati nella pittura a olio, una pittura altamente rifinita e curata nella composizione, e di rivalutare le fresche qualità d’improvvisazione insite nello studio dal vero. Era logico che sorgesse allora, come parte integrante di tale processo, un nuovo interesse per le opere su carta. L'importanza del disegno in alcuni pittori della scuola di Barbizon, maggiormente noti per i loro lavori a olio, apparve evidente quando in varie vendite postume tenute nei loro studi negli anni 1860-1870 furono scoperti pacchi di disegni, talvolta rilegati in album, di cui si ignorava l’esistenza. La fama di questi artisti era talmente in ascesa sul mercato che spesso, purtroppo, i loro album furono smembrati in modo da poter distribuire singoli disegni ai molti smaniosi compratori. A questa regola fecero eccezione Millet e Daumier, entrambi ben noti come disegnatori. Oltre ai suoi numerosi studi di figura a carboncino, generalmente collegati a quadri, Millet realizzò, per venderli, alcuni disegni in cui abbinava inchiostro e acquerello; negli ultimi dieci anni della sua vita firmò anzi un invidiabile contratto con il collezionista Emile Gavet al quale prometteva di fornire pastelli di buona fattura in cambio di un regolare assegno mensile. Anche Constant Troyon - che si era specializzato nella tradizione decorativa settecentesca per la manifattura di porcellane di Sèvres — era un ottimo pastellista, capace di portare il suo lavoro a un alto grado di finitezza. Daumier, che all’inizio della carriera si guadagnava da vivere come disegnatore inviando caricature a riviste satiriche quali «Le Charivari», soltanto più tardi intraprese la strada della pittura a olio e dell’acquerello. La sua stretta amicizia con gli artisti di Barbizon gli consentì - benché non lo ricordiamo come paesaggista - di motteggiare, con pungente ironia, la loro ostinata ricerca delle bellezze naturali (Paesaggisti al lavoro, 1862). Molti dei disegni presenti in questa mostra furono realizzati non tanto per essere venduti quanto come attività privata preparatoria: essi fanno luce sul modo di pensare degli artisti, che con il disegno registravano la loro immediata risposta al soggetto naturale, prendevano appunti e abbozzavano l’impostazione compositiva. Nel contempo ci sono esempi della cura meticolosa riposta nei disegni che dovevano essere presentati prima della realizzazione di un’opera, e dell’ampia varietà di tecniche contemplate dal termine «opera su carta»: dalla matita al carboncino e al gessetto nero con lumeggiature bianche, dalla penna e inchiostro al pastello e all’acquerello. Théodore Rousseau, come ci ricorda il suo biografo, generalmente lavorava a matita dal vero; poi, la sera, lontano dal soggetto, spesso rielaborava gli schizzi con penna e inchiostro e colori a guazzo.' Possiamo immaginare che questo sia stato il modo in cui realizzò il bel disegno a penna e inchiostro La strada di Bas-Bréau, poiché sarebbe stato sicuramente difficile conseguire all’aperto quell’omogeneità del segno e quel fine

‘equilibrio dei toni. Vi sono tracce di un sottostante disegno a matita morbida: è possi-

CHARLES-FRANCOIS Il maiale nell’orto,

bile che queste prime annotazioni siano state fatte in loco. Il soggetto era una scena

DAUBIGNI 1860

immediatamente

Bibliothèque Nationale,

Département des Estampes et de la Photographie, Parigi EDGAR

DEGAS

Studi da Benozzo

Rijksmuseum,

Gozzoli,

Amsterdam

riconoscibile,

menzionata

in ogni guida di viaggio; questo fatto,

insieme a una pregiata esecuzione a penna e inchiostro fa ritenere che il disegno fosse

1860

stato pensato come base per un’eventuale incisione. Sebbene Rousseau abbia prodotto relativamente poche stampe, l’incisione e la litografia erano pratica comune tra molti paesaggisti della sua cerchia, fra cui Corot, Millet e Daubigny (/! maiale nell’orto, 1860), e contribuivano a far conoscere le loro opere ai collezionisti e agli altri artisti. In ciò questi pittori si rifacevano ai paesaggisti olandesi del XVII secolo, di cui conoscevano il lavoro tramite le stampe; in effetti, verso la fine della sua vita, Rousseau

prese a collezionare stampe di antichi maestri. Nei suoi disegni di paesaggi Corot, diversamente dal gruppo di Barbizon, si rifà alla tradizione classica italianeggiante. Spesso si tratta essenzialmente di schemi compositivi che rivelano una percezione sintetica della natura, la quale viene strutturata in distinti piani di visione e zone di luce e ombra. All’artista questi abbozzi servivano per lo più come promemoria quando lavorava ai dipinti. In contrasto con la visione stringata di Corot, Veduta della fore-

sta di Fontainebleau (cat. 27) di Ortmans, un tempo allievo di Rousseau, si presenta come uno studio ad acquerello e guazzo profusamente lavorato. Quest'opera è un interessante esempio del persistere di taluni espedienti classici nella strutturazione del paesaggio — l’alternanza dei piani di luce e ombra, gli elementi di risalto attentamente equilibrati - insieme a un’intensità di colore e individualità di risposta al paesaggio naturale più vicine allo spirito romantico. Sono relativamente pochi i disegni di Courbet ancora esistenti. In essi si osserva un minor desiderio di sperimentare tecniche diverse. Senza indugiare sul dettaglio minimo o sul peculiare carattere dei singoli alberi, l’artista utilizzò con grande effetto il carboncino e il gesso, allorché, per esempio, cercò di rendere l’atmosfera di un interno di foresta. In qualche caso gli effetti vaporosi del carboncino si avvicinano agli effetti conseguibili con la fotografia di paesaggio; in verità, nelle radure e nei sentieri della foresta di Fontainebleau i fotografi erano una presenza altrettanto familiare di quella dei pittori er plein air. In alcuni artisti, per esempio Corot e il suo amico Constant Dutilleux, la conoscenza e la sperimentazione del mezzo meccanico sono rilevabili nell'approccio al paesaggio adottato in opere più tarde: un paesaggio evocato in termini di masse di forme morbide e indefinite. L'educazione artistica del pittore di figura poneva grande enfasi sul disegno, che tendeva a seguire fasi di elaborazione prestabilite: si cominciava con la copia di incisioni, poi si passava al disegno di calchi di gesso, sia bassorilievi sia sculture a tutto tondo, soltanto dopo lungo addestramento l’allievo poteva accostarsi al modello. L'idea era che con questi precedenti di esperienza artistica alle spalle, l’allievo sarebbe stato in grado di idealizzare le imperfezioni della figura umana. Noi possediamo alcuni disegni dal vero realizzati da Manet, Bazille e Cézanne, ma raramente essi rispettano i cri24

teri di idealizzazione codificati. Nel caso di Manet, come in quello di Constantin Guys,

per il quale sia l’artista sia Baudelaire avevano grande ammirazione, ci sono ben più croquis informali, eseguiti rapidamente con pennello e inchiostro o con matita morbida, che disegni finiti. Di fatto, anche se Manet continuò a tracciare schizzi per tutta la

vita, abbandonò la maggior parte delle tecniche di disegno formale per dipingere invece direttamente dal vero, alla maniera di Velazquez. Nel suo commento sulla mostra degli impressionisti del 1874, Giuseppe De Nittis fece un’interessante osservazione sulle finalità degli organizzatori: «la prima idea è stata quella di allontanare tutto quello che poteva essere quadro di vendita o arte commerciabile, ma di rappresentare bensì ogni sorta di schizzi e di studi che fossero, se così posso esprimermi, delle note d’arte.»? È significativo che fin dalla prima volta in cui gli impressionisti si costituirono in gruppo per esporre le proprie opere venisse dato un tale positivo risalto al lavoro preparatorio, alla prima intuizione, agli schizzi e agli studi, e possiamo essere certi che l’ispiratore dell’idea fu Degas, dato che fu lui a invi-

tare il suo amico italiano a partecipare. Degas era un autentico disegnatore. Le sue maggiori innovazioni riguardano nuove e audaci tecniche compositive, in altre parole l’abilità di concettualizzare l’opera in maniera lineare. Il modo in cui trattò soggetti moderni, quali i fantini e le ballerine, gli derivò naturalmente dalle copie che, ancora

studente, eseguiva guardando

le complesse composizioni

degli antichi maestri, si

BERTHE MORISOT Sulla scogliera, 1875 Musée du Louvre, Cabinet des Dessins, Parigi

(Donazione Moreau-Nélaton) CAMILLE PISSARRO La raccolta delle mele,

1870-1875

York City Art Gallery, York

HoNnoRE DAUMIER Paesaggisti al lavoro, 1862 Bibliothèque Nationale,

pensi per esempio ai suoi Studi da Benozzo Gozzoli, 1860. L'importanza attribuita alla linea risale ai primi anni di formazione dell’artista e alla sua grande ammirazione per

Département des Estampes

Ingres. A ogni mostra, Degas esponeva opere su carta, talvolta in numero

eguale a

et de la Photographie, Parigi

quello dei dipinti; nel 1874 il suo esempio fu seguito da altri: Berthe Morisot inviò

pastelli e acquerelli all'esposizione, mentre Pissarro, in anni più tardi, presentò varie opere su carta, pastelli, acquerelli, ventagli e stampe.

Tuttavia, per quanto riguarda

l’importante spazio riservato al disegno all’interno della propria pratica artistica, questi tre pittori furono un caso abbastanza isolato: nell’estetica impressionista il disegno non aveva un posto granché rilevante. Alcuni critici ostili ritennero che l’attributo più distintivo della nuova maniera pittorica fosse la sua deplorevole negligenza delle tecniche preparatorie tradizionali insegnate all’Ecole des Beaux-Arts. Negli anni ottanta

anche un sostenitore del movimento espresse l’opinione che l’impressionismo avesse

ormai eliminato il disegno: «L’impressionista vede e rende la natura così com'è, ossia solamente in termini di vibrazione di colore. Niente disegno, niente luce, niente modelli, niente prospettiva, niente chiaroscuro.»

26

CLAUDE

MONET

Tramonto

sul mare,

Ashmolean

Museum,

satira sociale da lui preferito - ne fecero un eroe per le generazioni che stavano giungendo a maturità negli anni sessanta-settanta. Lo stesso Manet fu avvisato che, se non

CONSTANTIN

GUYS

avesse corretto il suo stile sinottico, sarebbe diventato «nient’altro che il Daumier del

Rotterdam

1865-1870 Oxford

Per certo il disegno, come processo intellettuale, come strumento compositivo incentrato sui contorni e sulle misure, non trovava spazio nella pratica impressionista. In realtà, però, questi artisti non abbandonarono il disegno, bensì si accostarono ad esso in modo

nuovo: invece di adottare la tradizione raffaellesca tramandata

da Ingres,

guardarono a tradizioni alternative, talora non ortodosse.

Delacroix può ben occupare, nella storia dell’arte, un posto importante come esponente del colore, ma fu anche un disegnatore d’eccezione. La libertà e la spontaneità dei suoi disegni a penna e inchiostro e dei suoi pastelli resero queste opere oggetti da col-

lezione dopo la sua morte, avvenuta nel 1864: furono ammirati da artisti quali Degas (più avanti negli anni egli fu in grado di comperarne), Fantin-Latour e Cézanne. Era

possibile, come l’opera di Delacroix dimostrava e come poi svelò il suo diario, evocare su carta sensazioni della natura senza ricorrere alla tirannia di una linea che chiudesse la forma. Analoga libertà di immaginazione e composizione emerge dai disegni a carboncino e dalle litografie di Fantin-Latour — quale contrasto con i suoi sobri ritratti e nature morte! Verve e movimento sono caratteristiche anche dei disegni di Daumier, la cui capacità di vedere in modo sintetico, di sopprimere dettagli distraenti e di tradurre l’essenza del soggetto — fu, questo, il segreto del suo successo nel campo della Donna con velo, circa 1855-1865 Museum

Boijmans Van Beuningen,

suo tempo.» Anche Degas e Cézanne imitarono quella maniera.

Il poeta e critico Charles Baudelaire, il quale indagò le nuove idee sul disegno in molti dei suoi commenti scritti in occasione dei Salon tra il 1845 e il 1859 ed elogiò gli eco-

nomici disegni di Costantin Guys, un autentico artista-giornalista, fu il principale interprete delle idee di Delacroix per la futura generazione di impressionisti. Sicuramente egli percepì la somiglianza tra i vigorosi studi del cielo eseguiti a pastello da Delacroix e l’opera dell’artista normanno Eugène Boudin. Gli inizi di Monet come pittore della luce devono molto alla possibilità che egli ebbe di lavorare a fianco di Boudin sulla spiaggia di Trouville. La notevole libertà di Boudin nell’uso del pastello contrastava nettamente con l’esecuzione più rigida dei paesaggi presentati ai Salon. Generalmente sui suoi pastelli, in cui il soggetto unico era costituito dal mare e dal cielo, l’artista annotava l’ora del giorno, ma secondo Baudelaire, il quale durante una

vacanza a Honfleur ebbe occasione di visitare lo studio del pittore, tale era la verità di quelle opere che l'annotazione dell’autore era assolutamente inutile.' Baudelaire descrisse il modo in cui Boudin lavorava con improvvisazione: «davanti al mare e al cielo [...] raffigurando ciò che vi è di più immediato, di più inafferrabile nella forma e nel colore, raffigurando onde e nuvole.» Quando, probabilmente su insistenza di

Monet, Boudin accettò di unirsi alle file degli impressionisti all’epoca della loro prima esposizione, egli ebbe l’opportunità di presentare alcuni suoi disegni a pastello. Nel 27

circa

1867

vy Galerie

Schmit,

Parigi

(da sinistra

a destra: Johan-Barthold

longkind,

Emile Van

Monet

(?) e Père

Marcke,

Claude

Achard)

contempo inviò l’abituale numero di paesaggi al Salon di quell’anno. Il suo esempio di

pastellista fu imitato da Degas, il quale, fatto strano per un artista che si divertiva a deridere gli «erbivori» istinti dei paesaggisti, dedicò l’estate del 1869 a eseguire vedute della costa intorno a Dives e Houlgate, precise nella geografia ma vaghe nella resa dell’atmosfera.

Berthe Morisot fu un altro esponente

della pittura paesaggistica a

pastello; nel 1874 espose una veduta del Villaggio di Maurecourt realizzata con tale tecnica. Anche Guillaumin, in un suo tipico lavoro con soggetto banale, // quai di Bercy (cat. 52), ritenne che il pastello fosse il mezzo adatto per catturare il movimento e i riflessi colorati del cielo. Fu durante le sue estati in Normandia, probabilmente alla tenuta Saint-Siméon, un ospitale ritrovo sulle scogliere sovrastanti Honfleur, che Monet ebbe fruttuosi incontri con il paesaggista olandese Jongkind e con il pittore di nature morte Bonvin. La convivialità delle loro riunioni è rivelata da uno schizzo casuale, lasciato da Boudin, di un

Autoritratto al sole, 1850

gruppo di pittori seduti a bere: fra loro si riconoscono Jongkind, Emile Van Marcke e il Père Achard (l’identificazione di Monet è molto meno certa). Benché meglio noto

Musée du Louvre,

come pittore di nature morte alla Chardin, Bonvin era in realtà un abile acquerellista,

Cabinet des Dessins, Parigi

come dimostra il suo Aa locanda (cat. 28). L'uso dell’acquerello faceva generalmente pensare alla scuola paesaggistica inglese, sebbene dal 1850 in poi conquistasse popolarità anche tra i francesi. L'amicizia di Paul Huet con il pittore inglese Bonington lo aiutò a conseguire una relativa freschezza e chiarezza nei suoi paesaggi spesso ispirati alle spiagge della costa francese settentrionale, paesaggi che l’artista eseguiva con mano rapida. L’acquerello fu la tecnica preferita anche dall’artista olandese Jongkind per dipingere all’aperto le sue marine; egli lavorò in molti siti diversi lungo la costa della Manica ma anche nella campagna francese. La tavolozza «bionda» e la composizione informale delle scene portuali realizzate da Monet tra il 1860 e il 1880 molto devono alla possibilità che l’artista ebbe di osservare Jongkind mentre lavorava e agli effetti trasparenti che quest’ultimo otteneva applicando rapidamente velature di acquerello sopra nervose linee a matita, permettendo al bianco della carta di giocare un ruolo attivo. Ciò nonostante il disegno di per sé ebbe un’importanza relativamente limitata nel lavoro di Monet. In effetti, in senso generale l’affermazione di Laforgue che l’impres-

JOHAN-BARTHOLD JONGKIND

(Donazione

Moreau-Nélaton)

sionista vede la natura soltanto in termini di colore è soprattutto vera nel caso di Monet e di Sisley. L’atmosferica Marina (cat. 59) di Monet, disegnata schematicamente su carta colorata con gessetto nero e lumeggiature bianche, data probabilmente tra il 1860 e il 1870, quando il pittore stava concentrando tutte le sue energie artistiche nel perfezionare la sua raffigurazione del paesaggio di mare. La marina era il soggetto che più frequentemente egli inviava al Salon, e la sua convinzione che ci fosse un vuoto da sfruttare in questo genere poetico può indicare una sua lettura del Salon del 1859 di Baudelaire, in cui il poeta francese sosteneva tale ipotesi. Gli occasionali 28

pastelli di Monet sono incredibilmente evocativi delle atmosfere en plein air; quando però gli fu chiesto, per motivi di riproduzione, di tradurre in bianco e nero uno dei suoi dipinti, la trasformazione fu per lui un vero tormento, probabilmente perché non aveva uno schizzo cui riferirsi. Nel 1885, per esempio, gli chiesero di realizzare un disegno della Veduta di Rouen per accompagnare un articolo sulla sua prima mostra personale; la tela era stata dipinta circa dieci anni prima. I segni che egli tracciò approssimativamente miravano soprattutto ad accennare quale doveva essere il lavoro del pennello: a noi ora dicono più sulla sua tecnica pittorica nel 1885 che sul modo in cui progettò in origine la sua composizione.’ Traduzione dall’inglese di Viviana Tonon.

In anni recenti due pubblicazioni hanno trattato il tema del disegno in riferimento agli impressionisti: C. Lloyd, R. Thomson, /mpressionist Drawings, Arts Council of Great Britain, 1986, e N. Wadley, /mpressionist and Post-Impressionist Drawing, 1991. Il presente saggio si richiama a entrambe le pubblicazioni. Per la pratica del disegno della scuola di Barbizon ho consultato il saggio di M. Clarke, Das graphische Werk der Kiinstler von Barbizon, in Corot, Courbet und die Maler von Barbizon, catalogo della mostra, Monaco di Baviera 1996, pp. 542-352.

' A. Sensier, Sowvenirs sur Th. Rousseau, Parigi 1872, citato in M. Clarke, op. cit., p. 551. ? G. De Nittis, Corrispondenze: Londra, in «Il Giornale artistico», Firenze, 1° luglio 1874 (datato 10 giugno), pp. 25-

26. ® J. Laforgues, /mpressionnisme, circa 1881-1885; pubblicato per la prima volta in «La Revue Blanche», 1896; ristampato in Laforgue, Textes de Critique d4rt, a cura di M. Dottin, Lilla 1988; citato da N. Wadley, op. cit., p. 59.

*C. Baudelaire, Salon de 1859, in Curiosités esthétiques. L'art romantique et autres @uvres critiques, Parigi 1962, p.

577. ? Il disegno accompagna A. de Lostalot, Ezposition des @uvres de M. Claude Monet, in «Gazette des Beaux Arts», I,

1885, p. 546; si veda anche N. Wadley, op. cit., pp. 152-153.

Claude Monet Veduta di Rouen, circa

1885

Sterling and Francine Clark Institute, Williamstown

Art

_

CATALOGO

pagina

precedente

1. PAUL

HUET

\lberi ai bordi di uno stagno, 1826 acquerello su carta, mm 350 x 240

Musée Fabre, Montpellier

2. PAUL HUET Marina carboncino e biacca su carta, mm 285 x 440

Musée Fabre, Montpellier

3. PAUL HUET Paesaggio acquerello su carta, mm

Musée Fabre, Montpellier

220 x 295

4. PAUL

5. JEAN-FRANCOIS MILLET

HUET

Studio d’alberi a Saint-Cloud,

acquerello e matita su carta, mm

56

Paesaggio con colline, 1866-1867 matita, penna, inchiostro

e acquerello su carta, mm

220 x 140

Hazlitt, Gooden

1850

& Fox, Londra

167 x 254

Szépmivészeti Muzeum, Budapest

DI

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FIST A

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Man pendii a ARIA

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6. JEAN-FRANCOIS MILLET

7. JEAN-FRANCOIS MILLET

Madre con bambino alla finestra

La casa natale di Millet

pastello e biacca su carta,

matita, pastello e biacca su carta,

mm

mm

506 x 251

Rijksmuseum,

Amsterdam

580 x 470

Musée Fabre, Montpellier

8. NARCISSE-VIRGILE DIAZ DE LA PERA Piccolo bosco pastello su carta, mm

111 x 215

Rijksmuseum, Amsterdam

9. JEAN-BAPTISTE MILLET Paesaggio estivo con la casa dell’artista pastello su carta, mm

150 x 212

Kate de Rothschild, Londra

I

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Paesaggio.

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1850

a

nchiostro 167

11. THÉODORE

e acquerello su carta,

x 159

Szépmiivészet i Muzeum,

di Bas-Bréau,

penna,

acquerello,

e gouache

Budapest

ROUSSEAI

Strada

mm

144

circa

1840

inchiostro

su carta,

DIR x 22

Hazlitt, Gooden

& Fox, Londra

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44

Foa

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12. THÉODORE ROUSSEAI

15. THÉODORE ROUSSEAI

Paesaggio. Palude

La foresta di Fontainebleau, circa 1850

matita su carta, mm

550 x 560

Musée Fabre, Montpellier

pastello e biacca su carta,

mm

180 x 556

Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam

14. THÉODORE

15. THEODORE ROUSSEAU

ROUSSEAI

’aesaggio

inchiostro su carta, mm

290 x 555

Musée Fabre, Montpellier

Ceppi d’albero pastello e biacca su carta, mm 296 x 467 Rijksmuseum,

46

Amsterdam

pagine seguenti

16. CHARLES-FRANCOIS DAUBIGNY Paesaggio con fiume, circa 1850-1855 gesso e pastello su carta, mm 550 x 490 Museum

Boijmans Van Beuningen, Rotterdam

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Le rocce

19

292

nere a Vilers

acquerello su carta, mm Rijksmuseum,

50

550 x 505

Amsterdam

20. EUGENE Scogliera

rta

DELACROIX a Dieppe

acquerello su carta, mm Rijksmuseum,

52

Amsterdam

152 x 199

55

HEN Paesaggio acquerello

JOSEPH parigino, su

Szépmiivészeti

HARPI

NIES

1872

carta, nm

Muzeum,

510 x 688

Budapest

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24. HENRI-JOSEPH Paesaggio

HARPIGNIES

sul fiume,

1871

acquerello su carta, mm Musée Fabre, Montpellier

56

245 x 540

pagine

seguenti

25. HENRI-JOSEPH

HARPIGNIES

Paesaggio nel sud della Francia, 1861 acquerello su carta, mm 259 x 416

Rijksmuseum,

Amsterdam

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9x262

olnaghi,

60

Londra

ORTMANS

di

Fontainebleau,

e biacca

su carta,

1872



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ARSLARCT

LHERMITTI icatori

di sabbia

sull’argine,

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su carta,

mm

The

Whitworth

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circa

280 x 465

Art Gallery,

of Manchester,

Manchester

1867

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pene tr

Dì—_1

MOREAI di

Roma.

giardini

llo

Colosseo

dell’Angelicum,

su carta, mm

Gustave

64

Il

Moreau,

225 x 285 Parigi

1858

52. JEAN-BAPTISTE CAMILLE COROT Paesaggio

55. CAMILLE PISSARRO

carboncino e matita su carta,

pastello su carta, mm 295 x 465

mm 452 x 508

Rijksmuseum, Amsterdam

Museo Nacional de Bellas Artes,

Buenos Aires

Paesaggio con fiume, circa 1860-1870

35. GUSTAVE

COURBET

La sorgente

del fiume

Loue,

1864

pastello, matita e acquerello su carta, mm 594 x 604

Szépmiivészeti

Muzeum,

Budapest

\ Te

E-LOUIS In

cal

BARYI

la

querello e gouache su carta,

mm

270

x 580

Musée Fabre, Montpellier

70

39.

LOUIS-HECTOR-FRANCOIS

Valle

di Beaunandon,

nchiostro, nm

240

Musée

i (SO)

seppia

e biacca

x 520

Fabre,

ALLEMAND

1872

Montpellier

su carta,

74

41. LOUIS-HECTOR-FRANCOIS

40. JACQUES-RAYMOND BRASCASSAT Paesaggio con alberi e rocce

inchiostro e seppia su carta, mm

Musée Fabre, Montpellier

560 x 520

ALLEMAND

Paesaggio dell’Ain, 1870 inchiostro, seppia e biacca su carta, mm

240 x 3550

Musée Fabre, Montpellier

“i I

45.

EUGENE

BOUDIN

Una spiaggia vicino Trouville, circa

76

pastello su

carta, mm

l'he Bowes

Museum,

252 x 590 Barnard

Castle

1874

77

BOUDIN

Studio

per “La spiaggia”, circa

1862-1865

matita e acquerello su carta, mm

150

lhe

Whitworth

| niversitv

78

x 185

Art Gallery,

of Manchester,

Manchester

»

7. JOHAN-BARTHOLD JONGKIND Il porto di Rotterdam, 1857 acquerello su carta, mm

245 x

50

Collezione privata

P

DECCA If}

80



mie

SI

| omo

matita

SAR

19. EDOUARD MANET

DIEGAS

a cavallo,

cirea

su carta, mm

Museum Rotterdam

Boijmans

1861-1865

502 x 225

Van Beuningen,

Il balletto spagnolo, 1862-1865

matita, acquerello, penna e inchiostro su carta, mm 252 x 415 Szépmiivészeti Mizeum, Budapest

“è

50. HENRI FANTIN-LATOUR

51. HENRI

Autoritratto,

La lettrice, circa

carboncino

1854-1856 su carta, mm

Szépmiivészeti Mizeum,

FANTIN-LATOUR 1860

288 x 257

carboncino

su carta,

mm

150 x 156

Budapest

The Whitworth Art Gallery, University of Manchester, Manchester

85

3. HENRI

FANTIN-LATOUR

Studio per “Les princesses au Palanquin”, circa

1860-1865

carboncino

su carta, mm

248 x 525

l'he Whitworth Art Gallery, University of Manchester, Manchester

34 Paut, CÉEZANNE Studio con ritratto del figlio matita su carta sul retro di una litografia di Toussaint Duchemin, mm 310 x 442 Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam

55. CLAUDE MONET Cinque ragazzi, studio, circa 1864

gesso e pastello su carta, mm

142 x 164

Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam

RO

57, PAUL INbDO

CEZANNE

Studi da “La battaglia di Cascina” matita

su carta, mm

Museum Rotterdam

Boijmans

510 x 258 Van

Beuningen,

58

ALFRED

circa

59. CLAUDE

SISLEY

Studio per “Prima

neve a Louveciennes”,

su carta,

Szépmiivészeti

1870

pastello e biacca su carta, mm 210 x 500

1871-1872

pastello

MONET

Marina, circa

mm

180 x 505

Mizeum,

Budapest

Duncan

Lawrie Collection

ma

=» I IS UO te

BIOGRAFIE DEGLI ARTISTI

LOUIS-HECTOR-FRANCOIS ALLEMAND Lione, 1809-1886

ANTOINE-LOUIS BARYE Parigi, 1796 - Parigi, 1875

FRANCOIS

Allemand riceve i primi insegnamenti artistici nell'ambiente familiare: il padre infatti era un

Dopo un apprendistato come incisore e orafo, Antoine-Louis Barye entra nell’atelier dello scultore Frangois Bosio e in quello di Antoine Gros, prima di prepararsi per l'ammissione all’Ecole des Beaux-Arts. Si appassiona agli animali feroci, che osserva e disegna al Jardin des Plantes, in compagnia dell'amico Eugène Delacroix. Invia una scultura al Salon del 1827, dove esordisce assieme a Jean-Baptiste Corot e a Paul Huet. Scultore animalista, Barye è anche pittore, e uno tra i primi a lavorare dal vero. Molto lega-

La vocazione del pittore Francois Bonvin ha un che di eroico fin dall’inizio. Dopo aver perso a quattro anni la madre, morta di tisi, il bimbo segue la vita caotica del padre, ex soldato dell’impero, nei suoi spostamenti per motivi di lavoro: Vaugirard, Vanves o Montrouge. Quando questi si risposa con una cucitrice,

disegnatore dilettante, e la madre una miniaturi-

sta, già allieva di Gros e di Gérard. Fino al 1845, data in cui il suo impegno come artista diventa esclusivo, Allemand si divide tra la sua principale passione e il lavoro di sellaio. A partire dal 1846, espone a Lione e in breve tempo arrivano gli inviti a esporre a Parigi, dove partecipa al Salon del 1848 e all'Esposizione uni-

versale del 1855. È nella città natale, tuttavia, che il pittore preferisce rimanere, frequentando i suoi amici e colleghi Ravier, Appian, Flandrin e Harpignies. Nel 1877, dopo aver subito l’anno prima una paralisi che lo costringerà a dipingere con la mano sinistra, dà alle stampe il saggio Causeries sur le paysage, nel quale conferma ancora una volta la sua vocazione pressoché esclusiva di paesaggista. La sua arte, secondo un parallelo istituito dall’artista stesso

con

il mondo

della musica,

ha un

respiro «più da camera che da grande orchestra.» Pittore, disegnatore e soprattutto incisore abilissimo, Allemand dichiara nello stile l’influenza di Barbizon, di Corot, di Appian e dei maestri olandesi del XVII secolo delle cui opere, dopo un proficuo soggiorno in Olanda, fu anche appassionato collezionista. [d.m.]

to a Théodore

Rousseau,

Paul Huet, Alexandre

Decamps e Narcisse Diaz de la Pea, che ritrova

alla locanda Ganne, è assiduo di Fontainebleau fin dal 1855. Come

Corot e Bodmer,

ma

in toni

verderame e bruni che gli sono peculiari, dipinge l'albero soprannominato /! «Rabbioso» dai guardaboschi, e come Caruelle d’Aligny studia il caos delle rocce e delle dune. Negli anni sessanta affitta la casa di Olivier de Penne a Barbizon e si lega a Jean-Frangois Millet. Lascia numerosi disegni, acquerelli e tele che non espone mai, nei quali la natura onnipresente rivela il suo vero temperamento di paesaggista. Saranno la mostra postuma all’Ecole des Beaux-Arts nel 1875 e l’asta dopo la sua morte del 1876 a rivela-

re queste vedute ispirate ai siti di Fontainebleau.

[Lg]

BONVIN

Parigi, 1817- 1887

la condizione del giovane peggiora ulteriormente. Bonvin descriverà in Ma vie la miseria mate-

riale e affettiva di questa famiglia, che arriva a contare dieci figli (molti dei quali muoiono in giovane età), una miseria fatta di paura, soprusi, percosse quotidiane e precarietà. Grazie alla generosità di un notabile, Duval, che nota le sue doti per il disegno, Frangois Bonvin può frequentare la celebre Ecole gratuite du dessin, in rue de Ecole de Médecine, con maestri come Perron, Dutertre e Monvoisin. I rivolgimenti politici e le ristrettezze economiche lo costringono ad abbracciare una professione: nel 1852 è apprendista tipografo da Béthune et Plon, diventa quindi operaio compositore presso vari tipografi, entra infine come impiegato alla prefettura di polizia, pur continuando a disegnare nei momenti liberi. Incoraggiato dal dottor Nélaton, torna a frequentare tra il 1842 e il 1844 l’Ecole du dessin, dove scopre Lecoq de Boisbaudran (il futuro maestro di Whistler e Fantin-Latour) e Viollet-le-Duc, quindi l’atelier dei Gobelins e l’Académie Suisse, dove conosce Courbet con il quale condivide l'entusiasmo per la pittura nordica e spagnola durante le frequenti visite al Louvre. Verso il 1845 Bonvin incontra il celebre pittore provenzale Frangois-Marie Granet, conservatore

al dipartimento dei dipinti del Louvre, accorto collezionista e membro dell’Institut de France, che considera il suo vero maestro. Nel 1847 viene ammesso al Salon con il Ritratto dello storico Augustin Challamel, ma fin dall’anno seguente comincia a specializzarsi nella pittura di genere, per la quale si rivela particolarmente dotato. Rassegna le dimissioni dalla prefettura per realizzare un’opera: su commissione, La scuola

97

JACQUES-RAYMOND BRASCASSAT Bordeaux, 1804 — Parigi, 1867

EUGÈENE-LOUIS BOUDIN Honfleur,

delle orfanelle,

esposto

nel

1851

(medaglia

di

seconda classe).

Erede di Chardin Louvre), Bonvin

(che copia studiosamente

al

ha lasciato un gran numero

di

1824 - Parigi, 1898

La famiglia di Boudin si trasferisce a Le Havre nel 1835. Figlio di un marinaio e a sua volta ex mozzo, Boudin apre poi una cartoleria. Incoraggiato a dipingere dai suoi clienti di passaggio,

nature morte (tra cui la Natura morta del 1864

Millet, Troyon, Isabey, s’iscrive all’Ecole munici-

al Musée Ingres di Montauban).

pale du dessin di Le Havre.

I soggetti mode-

sti e anonimi, scene quotidiane, gesti senza tempo - La cuoca, I bevitori (1849), La taverna (1859), La panchina dei poveri (1865) ecc. — riallacciano la pittura di Bonvin alla tradizione realista dei fratelli Le Nain, che egli fa rivivere attraverso la precisione e la sincerità dell’osser-

vazione, la semplicità della composizione, la schiettezza dei colori e una varietà di effetti luminosi che gli valgono gli elogi dei critici realisti

come Champfleury. È insignito della Legione d’onore nel 1870.

La fine della sua vita è triste. Nonostante un intervento, versa in condizioni disperate e muore cieco. [K.s.]

Nel 1849, su richiesta del barone Taylor, Boudin

percorre assieme allo scultore Rochet la Francia settentrionale,

quindi il Belgio, dove ammira

i

maestri fiamminghi e olandesi. L'anno seguente espone al Salon della Société des amis des arts di Le Havre e ottiene dal consiglio municipale una borsa di studio di tre anni. Boudin espone per la prima volta al Salon nel 1859 (Perdono di sant’Anna Palud) e poi regolarmente dal 1864 al 1892. A partire dal 1854 Bou-

din frequenta la fattoria Saint-Siméon, nei pressi di Honfleur, dove d’estate ritrova gli amici Harpignies, Diaz, Troyon, Cals, Corot. Un primo viaggio in Bretagna nel 1855 sarà seguito da numerosi altri soggiorni alla continua ricerca di motivi. Nella bottega di Le Havre Boudin conosce nel 1858 il giovane Monet e lo porta a dipingere en plein air, iniziandolo a un genere che costituirà la sua gloria. Monet, a sua volta, lo presenta a Jongkind di cui diventa amico; assieme a lui dipinge sulle spiagge di Trouville. Nel 1859 conosce l’eminente Courbet, che prova ammirazione per lui: assieme dipingono le coste della

Manica,

nei

pressi

della

fattoria

Saint-

Siméon. Gli elogi di Baudelaire, che incontra a Honfleur nello stesso anno, costituiranno la gloria

del pittore al Salon del 1859. Il pittore comincia a conoscere una vera notorietà e agiatezza in seguito a un’asta del 1868. Viaggia in continuazione, percorrendo Normandia, Bretagna, Olanda, Nord e Sud della Francia, arrivando fino a Venezia. Interprete della cangiante mobilità delle acque, delle nubi, dell’ondeggiare della folla, dei riflessi di luce, Eugène Boudin ha un ruolo di grande importanza nella storia del paesaggio francese, e il suo lavoro è determinante per le ricerche degli impressionisti. Gli impressionisti lo invitano alla prima mostra del gruppo nel 1874. [K.s.]

98

Dopo aver frequentato l’Ecole municipale de peinture di Bordeaux, Jacques-Raymond Brascassat viene notato dal paesaggista Théodore Richard che decide di essergli maestro per la sua formazione artistica. È su sua raccomandazione, infatti, che frequenta nel 1824 l’atelier parigino dell’amico Hersent, dove sempre più il suo gusto si affinerà sull'esempio dei maestri olandesi del XVII e XVIII secolo. Nel 1825 decide di partecipare al Prix de Rome nella categoria del paesaggio storico: La caccia di Meleagro gli vale il secondo premio, ma grazie all’intervento della duchessa di Berry, Bras-

cassat ottiene dal re Carlo X una pensione eccezionale che gli permetterà di perfezionare i suoi studi in Italia dal 1826 al 1829. È questo il periodo in cui Brascassat instancabilmente si dedica allo studio della natura, documentato da nume-

rosi disegni. Rientrato in Francia, orienta il suo gusto al genere degli animali che lo rese, insieme a Rosa Bonheur e Constant Troyon, tra i più celebri pittori realisti intorno alla metà dell’Ottocento, grazie anche alla meticolosa attenzione per i dettagli e a un vivace colorismo. Presso il suo atelier, comincia il proprio apprendistato anche Charles-Frangois Daubigny. [d.m.]

PAUL CEZANNE Aix-en-Provence,

JEAN-BAPTISTE CAMILLE COROT Parigi, 1796 - Ville-d’Avray, 1875

1839-1906

Nel 1861 Paul Cézanne ottiene dal padre il permesso di recarsi a studiare pittura a Parigi e di raggiungere Emile Zola, suo amico d’infanzia. Intimidito dalla vita parigina e ferito dall’incomprensione a cui va incontro, continua a spostarsi tra la Provenza e la capitale. Una volta a Parigi, Cézanne si iscrive all’Académie Suisse, dove incontra Armand Guillaumin e Camille Pissarro, e frequenta assiduamente il Louvre. Ammira in particolar modo l’opera di Eugène Delacroix, i cui quadri sono esposti al Museo del Luxembourg, dedicato agli artisti viventi. Nonostante gli sforzi, viene respinto al concorso di ammissione all’Ecole des Beaux-Arts, mentre le sue opere vengono regolarmente rifiutate al Salon. Si guadagna la stima dei futuri impressionisti, che incontra tramite Frédéric Bazille, e intrattiene con loro relazioni costellate di rotture. Rompe con Zola, il suo più fedele sostegno, quando si riconosce in un personaggio del romanzo L’opera, il pittore fallito Claude Lantier. La sua prima maniera cowillarde («cogliona»), che fa ricorso alla spatola, a colori cupi e a forti contrasti di luce e ombra, affronta una tematica in cui sono spesso associate sensualità e morte. Verso il 1872, sotto l’influsso di Camille Pissarro

che ritrova a Pontoise, comincia a frenare il proprio temperamento e lavora essenzialmente a paesaggi en plein air. Ma, se da una parte alleggerisce la pennellata e schiarisce la tavolozza, dall’altra Cézanne si orienta verso un’arte costruita in cui è la pennellata a strutturare lo spazio pittorico. In solitudine, a Aix o a L’Estaque, imbocca una via che lo allontana dall’impressionismo. Durante gli ultimi vent'anni realizza la sintesi lirica delle proprie ricerche riprendendo instancabilmente gli stessi motivi: giocatori di carte, bagnanti - uomini e donne - inseriti nella

natura, vedute della montagna Sainte-Victoire. La sua pittura trionfa in occasione della personale organizzata da Ambroise Vollard nel 1895,

e poi al Salon d’Automne del 1904. La giovane generazione si entusiasma per la sua arte; Emile Bernard,

Maurice

Denis

e Ker-Xavier

vengono a incontrarlo a Aix. [lg]

Roussel

Nato da una famiglia della piccola borghesia parigina, proprietaria di un negozio di mode in rue du Bac, il piccolo Jean-Baptiste rimane a balia fino ai quattro anni nei dintorni di L’'IsleAdam, quindi entra in convitto in rue du Vaugirard fino al 1807. Dopo poco convincenti studi a Rouen e a Poissy, è destinato dai genitori a una carriera di commerciante di stoffe. Nel 1817 la coppia acquista una proprietà a Ville-d’Avray, rifugio e fonte d’ispirazione del futuro pittore, che vi farà ritorno lungo l’intero arco della sua vita.

Nel 1822 Camille Corot è allievo prima di Achille-Etna Michallon, il primo pittore insignito del Prix de Rome per il paesaggio storico, poi, alla sua morte, di Victor Bertin. Nel 1825 si reca a Roma, dove rimane per tre anni. Qui incontra Lapito, Robert, Schnetz e lavora nella campagna romana con Caruelle d’Aligny e Edouard Bertin. Nel 1827 invia da Roma una prima tela al Salon, la Veduta eseguita da Narni. Nel 18354 compirà un secondo viaggio

e in questa occasione Napoleone III acquista per la propria collezione personale il Ricordo di Marcoussis (come pure il Ricordo di Mortefontai neal Salon del 1864).

Corot incarna da solo le maggiori qualità della tradizione del paesaggio francese classico da Poussin e Lorrain in poi: dotato di un sentimento poetico

molto

personale,

le trasmuta

in una

visione nuova in virtù dello studio attento della natura e delle qualità della luce en plein air, che riproduce con una raffinata sapienza dei valori mediante la varietà della tecnica e la libertà del l'esecuzione. Paesaggista e pittore di figura, prelude con la dualità del suo talento a tutta la pittura moderna. Corot non impartisce lezioni nel suo atelier (con l'eccezione di Pissarro e Berthe Morisot), ma

nu-

merosi sono i pittori in cerca di consiglio che egli generosamente aiuta, come Cals, Chintreuil, Harpignies, Lépine o Guillemet. All’apice della

gloria negli anni sessanta, ha la fortuna e il prisia l'ammirazione

vilegio di avere sia la fama

che lo condurrà a Genova, Pisa, Firenze e Vene-

unanime

zia. Tornerà infine a Roma in un terzo viaggio nel 1843. Al suo ritorno nel 1828, lavora dal vero a Marlotte e a Chailly. Presto si lega a tutti i pittori di Bar-

aver ascoltato le parole del maestro: «Il bello nell’arte è la verità pervasa dell’impressione che abbiamo della natura.» [/.s.]

della giovane generazione, che sembra

bizon, in particolare a Daubigny (dal 1852 in poi faranno spesso viaggi assieme). Percorre la Francia: la Normandia, la Borgogna, la Provenza (18356, con Marilhat), l’Alvernia (1839, incontra Ravier), il Midi, Avignone (1843), l’Alta Savoia, il Nord (Douai e Arras, presso Dutilleux), la Bretagna, la Charente (1862, incontra Courbet). Visita la Svizzera, l'Olanda (1854) e l’Inghilterra (1862). La critica gli è favorevole fin dai primi anni quaranta: Gautier scrive versi ispirati alla sua pittura, Baudelaire riconosce in lui e in Théodore Rousseau i due capiscuola del paesaggio france-

se, ha l’appoggio di critici d'avanguardia come Thoré e Champfleury. Nel 1846 è nominato cavaliere della Legione d’onore. Nel 1848, alla caduta del regime, partecipa al rinnovamento della giuria del Salon. Riceve una medaglia di prima classe all'Esposizione universale del 1855,

99

GUSTAVE Ornans.

CHARLES-FRANCOIS DAUBIGNY Parigi, 1817 - Auvers-sur-Oise, 1878

COURBET Doubs,

1819

- Tour de Peltz, Svizzera,

1877 Nato

da

una

famiglia

unita

e benestante



il

padre è proprietario terriero — il pittore manifesterà per tutta la vita il proprio attaccamento alla famiglia e alla natura del paese natale. Allievo di padre Baud (discepolo di Gros) al seminario di Ornans, quindi al collegio reale di Besancon, dove segue le lezioni di Flajoulot, Courbet ha vent'anni quanto giunge a Parigi. Iscritto alla facoltà di legge, trascura questi studi per seguire le lezioni di Steuben e Hesse, e quindi frequenta l’Académie Suisse, dove incontra Bonvin. Lo si può vedere soprattutto al Louvre, dove copia gli olandesi, i fiamminghi e gli spagnoli.

Fin dal 1841 dipinge i paesaggi della foresta di Fontainebleau. A Parigi frequenta la birreria Andler, «il tempio del realismo» (Champfleury), dove incontra Decamps, Corot, Daumier, Barye, Baudelaire. Esordisce al Salon nel 1843 con un Autoritratto o Courbet con cane nero. Allo scioglimento della giuria nel 1848, Courbet espone dieci tele, Dopopranzo a Ornans segna la nascita del realismo. L'artista esporrà ai Salon

fino al 1870, in due occasioni (1855 e 1867) curando di persona la presentazione delle proprie opere in un padiglione appositamente costruito. Nel 1855 Courbet dipinge il monumentale manifesto della sua pittura: L’atelier del pittore, allegoria reale fissante una fase di sette anni della mia

vita artistica. Nel 1862, assecondato da Castagnary, apre un atelier provvisorio in rue de Notre-Dame-desChamps - assai apprezzato dagli allievi, tra cui Fantin-Latour - dove propugna un’arte scevra di convenzioni («Fa’ quel che vedi, quel che senti, quel che vuoi»). Nel 1854 è a Montpellier presso Alfred Bruyas, e nella sua tavolozza si può avvertire la crudezza della luce del Midi. I dintorni di Ornans rimangono la sua prima fonte d’ispirazione, e dal 1860 in poi Courbet si dedica maggiormente al paesaggio. Verso il 1856 appaiono le scene di caccia che hanno per cornice il Giura e le sue foreste.

L'artista torna continuamente a lavorare nella

100

foresta di Fontainebleau, dove nel 1865 ritrova Monet a Chailly e incontra Renoir a Marlotte.

Sempre nel 1865 si reca a Trouville, e nel 1869 a Etretat, dove lavora accanto a Boudin, Monet, Whistler. | Courbet ha un ruolo essenziale nella formazione degli impressionisti per il suo gusto del colore sontuoso e lo splendore della luce, i suoi grandi formati (quella «maniera ampia»), la sua tecnica pittorica che ispira in taluni un senso nuovo della pittura pura, ricca di futuro. Alla fine del Secondo impero Courbet è all’apogeo della gloria, ed è acclamato in Germania, Belgio, Olanda. «Sono l’uomo più celebre di Parigi», scrive ai familiari nel 1870, poco dopo aver rifiutato la Legione d’onore. Di lì a pochi mesi i tragici eventi della Comune provocheranno la sua rovina. Incarcerato a Sainte-Pélagie, tradotto di fronte al Consiglio di guerra, Courbet viene condannato a sostenere per trent'anni le spese di ricostruzione della colonna Vendòme, della quale ha simbolicamente auspicato la distruzione. I suoi quadri vengono rifiutati al Salon del 1872. Il suo atelier, i suoi

beni venduti all’asta. Courbet va esule in Svizzera e muore nel momento in cui comincia a trionfare quella giovane scuola che tanto gli è debitrice. [k.s.]

Charles-Frangois Daubigny sembra predestinato dall'ambiente familiare a una carriera artistica: pittori sono il padre, Edme Daubigny, del quale è allievo (e che è a sua volta allievo di Bertin), nonché lo zio e la zia. Pittore sarà anche suo figlio. Verso i diciotto anni compie il viaggio in Italia, visitando i grandi musei di Firenze, Roma, Napoli ecc. Di ritorno un anno dopo, viene assunto da Granet, conservatore al Museo del Louvre, come restauratore dei quadri, attività che il giovane artista reputa «un lavoro di profanazione.» Nel 1838 entra nell’atelier del pittore di storia Paul Delaroche per prepararsi al concorso per il Prix de Rome, al quale dimentica di presentarsi. Nello stesso anno figura al Salon con una Veduta della chiesa di Notre-Dame-de-Paris. Si guadagna da vivere come illustratore, disegnando soprattutto per l’incisione su legno, ed espone alcune acqueforti ai Salon del 1841 e del 1845. Comincia ad affermarsi come pittore agli inizi degli anni cinquanta e ottiene un vero successo al Salon del 1857, dove espone La primavera, La chiusa della valle di Optevoz, Il sole tramontato, che gli vale la nomina a cavaliere della Legione d’onore. La predilezione per la freschezza delle acque immobili, che traspare nelle sue vedute di stagni, fiumi e corsi d’acqua mostrati in tutte le ore e da tutte le angolazioni, lo porta a sistemare una barca-atelier chiamata «Botin» per studiare più da vicino la natura acquatica dal vero. Dipinge a volontà la Senna, l’Oise, la Yonne, l’Epte, pur mantenendo Auvers come porto d’immatricolazione. L’arte di Daubigny prelude all’impressionismo per il suo bisogno di un contatto diretto con la natura (Monet lo imiterà costruendosi un atelier sull'acqua a Argenteuil) e si distingue per una fedeltà un po’ ingenua al soggetto, che lo riallaccia all’arte dei paesaggisti della metà del secolo.

Gautier vede in lui il primo dei paesaggisti 0ggettivi: «I suoi quadri sono pezzi di natura ritagliati e circondati da una cornice d’oro.»

HILAIRE-GERMAIN-EDGAR

DE GAS

detto DEGAS

Parigi, 1854-1917

Nelle giurie è l’unico, assieme all'amico Corot, a pronunciarsi a favore dei giovani Monet, Boudin, Sisley, Bazille, Jongkind e tanti altri, contribuendo ad aprire il Salon alle nuove tendenze. Di fronte all’interdetto che colpisce i suoi favoriti, rassegna le dimissioni nel 1870, seguito da Corot. Rifugiatosi a Londra durante l’invasione prussiana, vi ritrova Pissarro e Monet, che presenta al gallerista Durand-Ruel. Dopo il 1870 la sua casa è aperta a tutti i giovani pittori residenti nella regione e la sua arte, nel momento in cui l’impressionismo va affermandosi, sembra ispirarsi esclusivamente a questo movimento. [k.s.]

Discendente di un’antica famiglia aristocratica emigrata a Napoli, dove il nonno aveva fondato una banca, Edgar è nato a Parigi da padre,

anch’egli banchiere, per metà italiano e da madre americana di origine creola. Diplomatosi al liceo Louis-le-Grand, s’iscrive provvisoriamente alla facoltà di Legge, ma si dedica essenzialmente a studi artistici nei musei e, dopo un breve passaggio nel 1855 all’Ecole des Beaux-Arts nel-

olio, olio diluito con trementina, matita, grafite, acquerello, pastello, ma anche incisione e scul

tura.

Al pari dei compagni

(Manet, Monet, Pis

sarro ecc.) tenta la fortuna al Salon (dal 1865 al 1870), ma

i suoi quadri

non

richiamano

grande

attenzione. Nel

1870, arruolatosi

volontario

nella

guardia

nazionale, soffre di gravi disturbi alla vista che

non

lo abbandoneranno

più per tutta

la vita:

l’atelier di Lamothe, ex allievo di Ingres, di cui fa

Degas morirà cieco.

suo l’insegnamento: («Faccia delle linee, amico mio»), rinuncia al Prix de Rome e decide di par-

Dal 1874 al 1886 impressioniste.

tire per l’Italia a proprie spese. Dal 1856 al 1859 soggiorna a Roma dove ritrova gli amici Bonnat, Delaunay del gruppo dei cald’arrosti, a Pisa dove studia i primitivi, a Napoli presso la famiglia, esercitandosi nel ritratto, a Firenze, dove frequenta al caffè Miche-

minuire, rinuncia a poco a poco alla pittura per il pastello, il monotipo e la scultura. «Inventore del chiaroscuro sociale» (Duranty) per il suo acuto senso della «modernità» con le serie di soggetti della vita quotidiana, Degas è -

langelo i macchiaioli, la cui estetica naturalista

per

si fa sentire nella sua opera. All’inizio del 1858 incontra Gustave Moreau che gli fa scoprire Van Dyck, Rubens, ma anche Chassériau, il cui obiettivo — unire Ingres a Delacroix - è un po’ anche il suo sogno. Al suo ritorno in Francia, Degas conduce una vita ricca e intensa: trascorre le serate all’opera, va alle corse di Longchamps, caccia a cavallo, si appassiona all’arte dell'Estremo Oriente, frequenta gli habitués del caffè Guerbois, dove Manet appare come il capofila dei futuri impres-

ricerca del movimento

sionisti. Qui incontra Zola Madeleine Férat gli ispira

si prodiga

per

le mostre

Dopo il 1890, Degas, la cui vista comincia a di

il gusto

dell’impaginazione

neità, la tecnica

originale,

la

colto nella sua istanta-

pittorica («lo sono

un colorista

con la linea») e le prese di posizione intellettuali — una personalità a sé all’interno del gruppo impressionista, del quale costituisce la ricchezza. [K.s.]

(il cui romanzo La violenza) e

Duranty, che lo esortano a guardare a una realtà popolare dalla quale è ancora piuttosto lontano. Degas si fa temere e rispettare per la sua cultura, il disprezzo del denaro e della pubblicità, la

conversazione disinvolta, le posizioni intransigenti e il carattere pieno di eccessi, dalla sensibilità a fior di pelle, che unisce fascino e humour a ferocia e repentini sbalzi d'umore. Si cimenta in tutti i generi: copia, ritratto, pittura di storia, paesaggio, pittura religiosa o scene di

genere, senza tralasciare gli studi di nudo e qualche rara natura morta. A questa eterogeneità si accompagna la varietà delle tecniche:

101

FUGENE

NARCISSE-VIRGILE

DELACROIX

Charenton:Sainti-Maurice,

Già

nel

cata

propensione

corso

dell'infanzia

a frequentare, teller

Guérin.

fondamentale le sue

infatti,

Delacroix

A questa

vere

nel

presenta

giudicato

serie di importanti

spic

condurrà

esperienza Delacroix

e Rubens — e l'amicizia

re Oéricault, Quando

una

che lo

il giovane

Jordeaux,

18605

lo studio di artisti del passato

chelangelo esprimere

manifesta

il disegno

neoclassica,

giungerà

viene

per

Parigi,

dopo gli studi classici liceali,

di Pierre

matrice

1798

Va di ag

» Mi

con T'héodo

per incoraggiario a

inclinazioni

1822,

artistiche,

il ventiquattrenne

la sua prima opera al Salon

provocatorio,

La barca di Dan

te, oggi al Louvre, suscita scalpore per la forza eda drammaticità della composizione, Il cam mino

artistico

del

pittore

scente determinazione

cademica

con

nella direzione

cere

antiac

intrapresa, esponendolo alle critiche

dei sostenitori sentata

continuerà

della pittura classicista, rappre

decorazioni

murali

zo del Luxembourg alcune,

Le opere

rispecchiano

un

commissioni a palazzo

pubbliche:

Bourbon,

le

al palaz

e al Louvre, per citarne solo degli

anni

trenta

e quaranta

ulteriore passaggio a una

pittu

ra rasserenata e, in accordo con lo spirito della committenza ufficiale, attenta alla cultura del l’antico, I precario stato di salute dell'artista risente gra vemente della mole di commissioni tanto da costringerlo ad alternare il lavoro a frequenti soggiorni di riposo nella quiete della Normandia, La sua ultima opera, la decorazione della cap pella degli

Angeli

a Saint-Sulpice,

che

rappre

senta il suo testamento spirituale, precede di soli due anni la morte, |£b.]

DIAZ

1807 - Mentone,

DE LA PENA 1876

Nato in Francia da genitori esuli spagnoli, orfano

in giovane

età, Diaz

viene

allevato

da

un

pastore di Meudon, A dieci anni gli viene amputata una

gamba

in seguito al morso

di un ser-

pente e sarà un morso di vipera a costargli la vita nel 1876. Impiegato presso un tipografo, quindi presso un fabbricante di porcellana, nel cui laboratorio incontra

Raffet, Dupré, Cabat, si accosta alla pit

tura copiando al Louvre Rembrandt e Correggio, mentre contemporaneamente prende lezioni da Souchon, allievo di David. Fin dal 1830 espone al Salon; conosce il successo a partire dal 1844 e sotto il Secondo impero non espone più, tanto deve lavorare per soddisfare gli amatori. Fin dal 1836 lo si può trovare a Barbizon, dove

riceve i consigli di Rousseau, Egli insegue il fuggente, si dedica agli effetti, ai giochi di luce, con-

da Ingres,

La partecipazione al Salon del 1827 con il dipin to La morte di Sardanapalo accende la polemi

ferendo ai paesaggi uno sfavillio che ha fatto parlare di tachisme, i cui diretti discendenti

ca e suscita aspre critiche da parte della giuria,

sarebbero

Ksso è chiaramente

celli, Gautier celebra in questi termini le sue qualità di colorista: «Che meraviglioso accordo nel rapporto tra i colori, in quelle tonalità trasci-

ispirato a una

impostazione

barocca dello spazio pittorico nel quale gli ele menti,

SCOMposti

nalmente

(*

confusi,

percorrono

diago

la tela, Inizia da questo momento

un

Renoir, Fantin-Latour o anche Monti-

nate, impastate, escoriate che si scontrano

in un

periodo di intensa produttività per l'artista che si

tumulto pieno di armonia, in quella pennellata

dedica alla trattazione di soggetti e generi molto

di fiamma che vacilla al vento, in quell’esecuzio-

diversi, passando dalla pittura di storia al ritrat

ne così fine e così rozza al tempo stesso, così meditata e così disordinata in apparenza.» E nel

to e dai temi

letterari ai soggetti

epici, In tutti

emergono l’irruenza espressiva di Delacroix e la sua anima profondamente romantica, Il 1852 costituisce il momento della svolta nel percorso del pittore e coincide con il suo viaggio in Africa settentrionale, al seguito della missione diplomatica del conte di Mornay,

1859; «II tutto sfavillava, brillava, scintillava come quei paesaggi che intravediamo al sole se

La nuova

Napoleone II acquista una Ninfa tormentata dall'Amore all'Esposizione universale del 1855 e una Ninfa rapita da un fauno al Salon del 1860, Dal 1864 in poi, seguendo i consigli degli amici, si dedica sempre più al paesaggio, soggiornando a Barbizon presso Millet, Courbet, Renoir. Intimo dei realisti, sostenitore dei futuri impressio» nisti, Diaz è un personaggio assai amato per la sua esuberanza e la sua generosità, [As].

esperienza

ambienti e popolazioni

di viaggio, il contatto con tanto sconosciuti

quanto

suggestivi, l'immersione in un'atmosfera intrisa di colori e di luce abbagliante generano in Dela

croix l'ispirazione per le sue opere più mature, tratte da schizzi

e memorie

che seguiranno Var

tista anche dopo il suo rientro in Europa, arrie chito dal passaggio per la Spagna e dalla pittura di Goya, Il ritorno in patria colneide con una 102

strizziamo gli occhi, quando i raggi luminosi trasformano ogni nostro ciglio in un prisma in

cui danzano iridi.» Diaz viene nominato cavaliere della

Legione

d'onore

nel

1851,

Lo stesso

HENRI

FANTIN-LATOUR

Grenoble,

ARMANI)

1836 - Buré, 1904

Parigi, 1841

Figlio di un pittore di origine italiana e di madre russa, circostanza che gli fa dire: «Ho un sangue troppo misto nelle vene, perché mi possano turbare questioni di scuola e di nazionalità», Henri Fantin-Latour riceve dal padre un’educazione artistica fin dall’età di dieci anni. Nel 1850 viene autorizzato nonostante la giovane età a seguire i corsi serali della Petite Ecole du dessin, quindi dall'anno seguente fino al 1854 quelli dell’atelier di Horace Lecoq de Boisbaudran, che fonda il suo insegnamento sulla memoria visiva. Dopo un breve passaggio all’Ecole des Beaux-Arts nello stesso periodo di Edgar Degas, FantinLatour decide di lavorare senza professore e copia i maestri del Louvre. Qui incontra Zacharie Astruc nel 1855, Edouard Manet nel 1857, James Abbott Whistler nel 1858, e la futura moglie, Victoria Dubourg. L'anno seguente compie assieme a Whistler un viaggio a Londra che gli consente di scoprire la pittura preraffaellita e d’incontrare dei collezionisti, gli Edwards, che gli assicurano commissioni di nature morte in Inghilterra. Questo lavoro remunerativo, che l’artista esegue con una bella maniera, finirà tuttavia per stancarlo. A Parigi sarà Fantin-Latour a portare

Whistler

e Swinburne

da

Manet,

dal

quale, oltre che da Courbet, porterà anche Dante Gabriel Rossetti. Deluso dalla modestia delle esequie di Eugène Delacroix, per il quale al pari di tanti altri artisti avrebbe auspicato funerali di stato, Fantin-Latour comincia a dipingere un Omaggio a Delacroix (1864) come complemento all’elogio scritto da Charles Baudelaire. Questo ritratto di gruppo, concepito come un manifesto del movimento artistico moderno, sarà seguito da molti altri che presentano le sue amicizie letterarie, artistiche e musicali: L’atelier a

Batignolles (1870), che evoca un incontro al caffè Guerbois di cui è assiduo frequentatore, Un angolo di tavolo (1872) in omaggio a Baudelaire e ai poeti parnassiani, e /ntorno al pianoforte (1885) che presenta i musicisti francesi più innovatori del suo tempo. La rivalità tra gli artisti, che si rifiutano di apparire l’uno accanto all’altro, complicano la realizzazione di questi lavori

e lo portano a dubitare dell’unità del movimento di avanguardia di cui si è fatto paladino. Grande melomane

e fervente

ammiratore

di Wagner,

Fantin-Latour partecipa alle serate del giudice Lascoux, frequentate anche da Gabriel Fauré, Camille Saint-Saéns ed Emmanuel Chabrier; giungerà al punto di rinviare il proprio matrimonio per recarsi al primo festival di Bayreuth nel 1876. Affascinato dall’esperienza di opera d’arte totale alla quale assiste, Fantin-Latour cerca di rendere in pittura e in litografia l’impressione suscitata in lui dalla musica, secondo un’ispirazione già simbolista. Nel romanzo L’opera Emile Zola lo traspone nel personaggio di Gagnère,

«che adora

la musica

saggi grigi, fini, temperati.» [lg]

e dipinge

pae-

GUILLAUMIN - Chateau

de Grignon,

1927

Dopo aver trascorso l'infanzia a Moulins, dove il padre esercita il mestiere di scalpellino, a sedici anni Armand Guillaumin viene mandato a Pari gi come impiegato presso lo zio. Nel 1857 s’iscri ve ai corsi serali dell’Ecole municipale de des sin, quindi all’Académie Suisse, dove si lega a Camille Pissarro e a Paul Cézanne. Nel 18653 Guillaumin partecipa come Cézanne al Salon des refusés e assiste alle riunioni del caffè Guer bois, che raccolgono

intorno a Edouard

Manet

tutta l'avanguardia artistica. Alla fine del 1866 decide di dedicarsi esclusivamente alla pittura, trascorre le giornate al Louvre, lavora en plein air con Camille Pissarro e partecipa alle serate di Emile Zola assieme a Cézanne. Costretto a dipingere tende per vivere, finisce per lavorare nel turno di notte della nettezza urbana, mestiere che gli lascia la libertà di dipingere di giorno. I suoi quadri rappresentano spesso i paesaggi della periferia parigina in cui lo portano le sue mansioni: Bercy, Ivry, Vanves. Anarchico come Pissarro, dipinge paesaggi desolati con una

dimensione sociale, più che le scene ridenti di Renoir e Monet. Dopo l’assedio e la Comune, durante i quali non lascia Parigi, Guillaumin si reca spesso a Pontoise, dove si è stabilito Pissarro, e a Auvers-sur-Oise. Partecipa alla Prima mostra impressionista nell’atelier di Nadar, quindi irregolarmente a quelle successive. Nel 1885 la scoperta del villaggio di Damiette nella valle di Chevreuse gli ispira una serie di opere particolarmente luminose. Lavora ancora sui lungosenna, dove nel 1884 incontra Paul Signac che si entusiasma della sua arte e lo presenta a Georges Seurat. Nel 1891 una grossa vincita al lotto gli consente di dedicarsi interamente alla pittura; intraprende numerosi viaggi e adotta una coloratissima tavolozza che influenzerà i fauves tramite Othon Friesz, incontrato a Crozant nel 1901. [Lg]

105

HENRI-JOSEPH Valenciennes,

Destinato dalla famiglia al commercio,

Parigi, 1805-1869

1916

all’età di

ventisette anni Harpignies decide di dedicarsi alla pittura e diventa allievo del paesaggista Achard, che gli insegna a lavorare en plein air e

a mantenersi fedele alla realtà.

Allo scoppio della rivoluzione del 1848 segue il maestro a Bruxelles e visita le Fiandre e l’Olanda. Nel corso degli anni continua a viaggiare in

Germania

e in Italia, dove soggiorna

nel 1850,

1855, 1863, 1865. Esordisce al Salon nel 1853 con una Veduta di Capri. È grande ammiratore di Corot (soprattutto del periodo italiano degli inizi), che conosce

a Marlotte

nella

foresta

di

Fontainebleau, dove lavora dal 1854 in poi. L’influsso del maestro sul suo stile sarà sensibile sino alla fine degli anni ottanta.

Il gusto dei Salon del Secondo impero gli è favorevole; dopo un rifiuto nel 1863, riceve medaglie in successione nel 1866, 1868, 1869. Nel 1875 viene nominato cavaliere della Legione d’onore e sino alla fine dei suoi giorni sarà ricompensato da onorificenze di ogni genere. Harpignies è soprattutto il pittore della campagna francese, ama in special modo le località nei dintorni di Parigi,

o anche la Costa Azzurra. La

sua abbondante produzione annovera un rilevante numero di paesaggi eseguiti nei dintorni di Saint-Privé, nella Yonne, dove risiede assai spesso dal 1878 in poi. A partire dal 1870 circa, Harpignies trascorre l'estate a Hérisson, dove raccoglie intorno a sé un gruppo di giovani paesaggisti, che venne chiamato «scuola di Hérisson.» Harpignies occupa un posto assolutamente particolare come acquerellista (espone ai Salon, nonché alla New Watercolour Society di Londra). Harpignies dipinge tanto la campagna, i fiumi, quanto il mare o la foresta. I suoi acquerelli, che come i dipinti rivelano una predilezione per il tema del sottobosco, hanno una giustezza di espressione, un’impaginazione talvolta di gusto giapponese, una costruzione a macchie

colorate di grande libertà d’esecuzione. Si può dire che Harpignies è per la scuola di Barbizon quello che Guillaumin sarà per gli impressionisti (Bénézit). [/.s.]

104

VICTOR HUGO Besancon, 1802 - Parigi, 1885

PAUL HUET

HARPIGNIES

1819 - Saint-Privé, Yonne,

Paul Huet s’interessa alla pittura fin dalla più giovane età. Nel

1818 viaggia in Normandia

e

Dai trent'anni in poi lo scrittore Victor Hugo, che si è fatto ricavare un atelier nel sottotetto del suo

nello stesso anno entra nell’atelier di Bonington. Allievo dell’Ecole des Beaux-Arts, frequenta gli atelier di Guérin e di Gros. Viaggia continuamente e i reiterati soggiorni nelle province francesi sono per lui una importante fonte d’ispirazione. Lavora a Saint-Cloud, nella foresta di Compiègne (nel 1857, nominato professore della duchessa d’Orléans, soggiorna a corte), quindi nella foresta di Fontainebleau (a partire dal 1849), in Normandia, che predilige in modo particolare (nel 1851 a Honfleur incontra e dà con-

appartamento in place des Vosges, pratica il disegno come passatempo. Disegna per i propri figli e realizza caricature, ma correda inoltre le proprie lettere di viaggio di schizzi eseguiti dal vero. Lavora anche con le macchie d’inchiostro o i fondi di caffè, dai quali fa sca-

sigli

galleria Georges Petit, presenta oltre settantacinque disegni eseguiti tra il Belgio e Guernesey, passando per l’isola di Jersey e la Spagna. [/.g.]

a Rousseau),

in Alvernia, nei Pirenei, nel

Midi. Molti dei luoghi in cui pianta il cavalletto sono gli stessi su cui cadrà la scelta degli impressionisti: Dieppe, Trouville, Villerville, Honfleur, Chailly-en-Bière. Esordisce al Salon nel 1827 con Dintorni di La Fère, le altre opere inviate non vengono accettate. Esporrà fino al 1869, pur subendo alcuni rifiuti. Il Salon del 1848 gli assegna una medaglia d’oro per la retrospettiva e l’Esposizione universale del 1855 gli fa ottenere un certo successo. Viene insignito di medaglie nel 1835 e nel 1855, e lo stato è spesso acquirente delle sue opere. Nel 1840-1841 Huet viaggia in Italia, nel 1862 partecipa all'Esposizione universale di Londra e nel 1864 visita il Belgio e Olanda, dove ritrova i suoi maestri del XVII secolo. Il suo amore per la natura è quello per i grandi spettacoli romantici, il cui lirismo piace ai suoi amici scrittori: Michelet, Dumas, Lamartine. Alla sua morte nel 1869 Théophile Gautier saluta in lui «il valoroso campione del paesaggio shakespeariano» e Victor Hugo scrive: «Dare l’illusione del vero significa creare. Paul Huet lo ha fatto, di qui la sua potenza. Egli ha inteso la natura come bisogna intenderla, pervasa di realtà e compenetrata d’ideale.» Fin dagli anni 1827-1828 Huet pratica, al pari

dei colleghi inglesi, la tecnica del pastello e dell’acquerello: la libertà nel suggerire le forme e le variazioni atmosferiche, la luminosità nel colo-

rito sono perfettamente impressioniste. [K.s.]

turire paesaggi fantastici. Disegnare è per Hugo un’attività «selvaggia»: i suoi

disegni sono «fantasticherie inconsce», che lo divertono «tra una strofa e l’altra», come ama dire. Una

mostra

postuma,

organizzata

nel 1888 alla

JOHAN-BARTHOLD JONGKIND Lattrop, presso Rotterdam, 1819 - La Còte-SaintAndré, 1891

LÉON LHERMITTE

EDOUARD

Mont-Saint-Père,

Parigi, 1832-1885

Ottavo figlio di un modesto esattore olandese, Jongkind trascorre l’infanzia a Vlaardingen.

Léon Lhermitte è allievo negli anni sessanta di

Destinato alla professione di notaio, è indotto dalla passione per il disegno a seguire invece una carriera artistica. Nel 1857 frequenta all’Aia i corsi di Schelfhout, che lo inizia alla pittura en plein air e all’acquerello. Nel 1845 fa all’Aia un incontro decisivo con il paesaggista Isabey, di cui seguirà i corsi a

Parigi in parallelo all’insegnamento di Picot e Dupuis per la figura. Si lega a Chassériau, Alfred

de Dreux e Cicéri. Fino al 1855 si ispira soprattutto ai quai e ai porti della Normandia (Honfleur, Fécamp, Le Havre, Etretat), dove fa alcuni

soggiorni a partire dal 1849. Frequenta Troyon, Stevens, Cals, i mercanti Beugniet e Martin.

L’insuccesso all'Esposizione universale del 1855 lo riporta in Olanda, dove risiederà fino al 1860.

Gli amici, che temono per lui le conseguenze della sua intemperanza, lo convincono a tornare a Parigi, Cals fa un viaggio a Rotterdam per consegnargli la somma ricavata da una sottoscrizione e da un’asta di quadri presso Drouot organizzata da Martin. Dal 1862 al 1866 trascorre l'estate sulla costa normanna, dove conosce Baudelaire, Monet e Boudin. Il suo metodo di lavoro

consiste nel far precedere ogni quadro da uno 0 più acquerelli assai accurati, la cui delicatezza d’interpretazione e fluidità di colorito influenzano a poco a poco la sua tecnica pittorica. Benché l’artista sia apprezzato da critici come Castagnary («in lui tutto è riposto nell’impressione», 1865), Burty, Zola, o ancora Roger Marx e Goncourt, il suo successo

rimane circoscritto

alla cerchia degli amici e a qualche amatore (il conte Doria, Hazard, Gauchez). Per non subire

nuovi choc emotivi, dal 1875 in poi rinuncia a

presentarsi al Salon. Escluso dalla mostra impressionista del 1874, si

stabilisce a La Còte-Saint-André, viaggia nel Midi e fa dell’acquerello il suo principale mezzo di espressione. Vittima dell’alcolismo, Jongkind muore in un manicomio di Grenoble. [K.s.]

1844 - Parigi, 1925

Horace Lecoq de Boisbaudran all’Ecole impériale de dessin. Qui incontra Jean-Charles Cazin, Alphonse Legros e Henri Fantin-Latour. Nel

1864 esordisce

al Salon

con

un

disegno

e

presenta il suo primo dipinto nel 1866; continua a inviare

disegni

a carboncino

fino

al

1899,

anno in cui ottiene un gran premio all’ Esposizione universale. Durante la guerra franco-prussiana, trova rifugio

a Londra

ed espone

alla galleria

Ruel e alla Royal Academy.

Durand-

Partecipa regolar-

mente alle mostre di disegno B/ack and White di Londra. Al Salon del 1874 ottiene una medaglia

di terza classe per La mietitura, che viene acquistata dallo stato. Negli anni ottanta gode di solida fama grazie alle sue scene contadine. Nell’atteggiamento delle sue figure Lhermitte coglie l’aspetto solenne e immutabile del lavoro nei campi. Il suo realismo si manifesta nell’insistenza dell’osservazione e nella precisione dei particolari. Nel 1890, deluso dal Salon, partecipa alla fondazione della Sociéte nationale des Beaux-Arts assieme a Auguste Rodin, Pierre Puvis de Chavannes, Jean-Charles Cazin e altri artisti. Viene eletto membro dell’Institut de France nel 1905 e nominato commendatore della Legione d’onore nel 1911. Nel 1924 gli viene dedicata una retrospettiva al Salon. Le sue opere, celebri durante la sua vita, vengono riprodotte tramite incisione e vendute sia in Francia che in Inghilterra. [Lg]

MANET

Edouard Manet proviene da una famiglia alto borghese di magistrati e diplomatici parigini. Dopo gli studi al Collège Rollin, tenta il concorso

per l'accademia navale e si arruola come mozzo per Rio. Nel 1859, vincendo l’opposizione paterna entra nell’atelier di Couture, dove per sei anni riceve una solida formazione tecnica. La visita anzitut to del Louvre e quindi dei musei italiani, olan desi e tedeschi

gli dà una

cultura

artistica e gli

ispira un’ammirazione per i maestri classici. L’esempio di Delacroix e l’incontro con Baudelaire lo aiutano a elaborare una propria concezione della pittura che all’ideale, esigente e appassionato, unisce un acuto senso della modernità parigina. Nel 1859 // bevitore di assenzio viene rifiutato, e una prima mostra di sue opere alla galleria Martinet suscita scandalo. Un quadro come Musica alle Tuileries

(1860) sconcerta

il pubblico

per i suoi colori crudi, contrastanti e vibranti, per la composizione giudicata caotica, per la scelta stessa del soggetto. Mantz dichiara di non

poter seguire Manet «sul terreno dell’impossibile.» Nel 1861 viene accettato al Salon con // cantante spagnolo e riceve una menzione d’onore. Da

Lola

di Valenza

(1862)

a Le déjeuner

l’herbe esposto al Salon des refusés nel

sur

18653,

l’indignazione va crescendo per giungere all’ac-

me della violenza con l’Olympia esposta al Salon del 1865. Nel 1866 Emile Zola decide di assumere clamorosamente la difesa di Manet. Per quanto la critica

riconosca

il suo

talento

(Gautier,

Astruc,

Duret), lui vivente, il pubblico non si lascerà mai convincere e la stampa non smetterà mai di presentarlo come un pazzo, un bohémien rozzo o anarchico, ferendo profondamente quest'uomo fine e distinto (dal 1874 Mallarmé sarà suo intimo amico). Ciò nonostante per Manet è un periodo di grande attività, dal Pifferaio del 1866 al Ritratto di

Emile Zola (1868) l’artista diversifica le tecniche (acquerello, acquaforte) e i soggetti: le marine e le nature morte si'alternano alla pittura di storia

105

JEAN-BAPTISTE Gréville,

contemporanea similiano,

1867)

(L'esecuzione dell’imperatore Maso ai ritratti.

/{ balcone

(1868)

rivela le sue affinità con gli artisti, tra cui Monet, Bazille o Renoir, che lo acclamano al caffè

Guerbois. Costoro, che di lì a poco saranno chiamati

impressionisti,

non

possono

non

essere

incoraggiati dalle sue riflessioni (come: «Non si

fa un paesaggio, una marina, si fa l’impressione di un’ora della giornata in un paesaggio, in una marina, su una figura»).

Manet, che ha un temperamento indipendente (nel 1867 si era fatto costruire un proprio padiglione in margine all'Esposizione universale), rifiuta di partecipare alle manifestazioni collettive degli amici, ostinandosi a far riconoscere la propria pittura nei Salon. La propria risposta alle loro ricerche estetiche la darà con quadri come La ferrovia (1873) o Argenteuil (1874), nei

quali sostituisce rapide la tecnica All’inizio degli malattia, Manet

con effetti di luce e pennellate definita «stile mazzo di carte.» anni ottanta, già colpito dalla crea un ultimo capolavoro, /l

bar delle Folies-Bergère (1881).

Dopo aver subito un’amputazione, muore a cinquantun anni lasciando un motto: Manet et manebit e un’opera immensa, alla quale guarda

tutta la pittura moderna. [k.s.]

JEAN-FRANGOIS MILLET Gruchy, La Manica, 1814 - Barbizon, 1875

MILLET

1831 - Auvers-sur-Oise,

1906

Jean-Baptiste è fratello e allievo del grande Jean-Frangois Millet, di diciassette anni più vecchio.

Alla morte

della

madre

nel

1853, Jean-

Baptiste e il fratello minore Pierre, futuro pittore e scultore, lasciano il villaggio natale e raggiungono Jean-Frangois che li accoglie a Barbizon e insegna loro il disegno. Impiega soprattutto l’acquerello e il carboncino, esponendo al Salon tra il 1870 e il 1880. L’ascendente del fratello maggiore è innegabile. Nelle opere di Jean-Baptiste è ben riconoscibile la scelta dei soggetti rustici del maestro di Barbizon: paesaggi e guardiane di greggi, lavandaie e bovare, corti di fattorie e pascoli. Egli ha tanto più assimilato la maniera del fratello in quanto ne ha inciso certe opere. Nel 1876 Jean-Baptiste Millet partecipa alla Seconda mostra impressionista presso DurandRuel con dieci acquerelli che appartengono a mercanti (Petit, Brame, Haro) tra cui: Donna che

custodisce

le vacche, La fattoria,

Il mulino

ad

acqua. La tecnica, il formato delle opere, infine l’approccio stesso al paesaggio sono meno ambiziosi di quelli del fratello: una celebrazione modesta della natura, priva delle implicazioni metafisiche che si scorgono nell’opera di JeanFrangois Millet. Tuttavia la calma precisione delle composizioni, i colori chiari e una trasparenza dell’atmosfera annunciano un abbozzo di adesione

alle dottrine nuove, avvicinando in questo Jean-Baptiste Millet a un Bastien-Lepage. Di lì a qualche anno l’artista si dedicherà alla scultura decorativa lavorando sotto la guida di Viollet-le-Duc a Notre-Dame-de-Paris e alla Madeleine di Vézélay. Nel 1860 Jean-Baptiste sposa Marguerite de Thierry, discendente di un’antica famiglia della nobiltà cavalleresca del Beauvaisis, dalla quale ha un figlio, nato nel 1864, fabbricante di pizzi e ricami a Auvers nel 1906. [K.s.]

106

Primo di otto figli di una famiglia contadina del Cotentin, Millet rivela giovanissimo una predi-

sposizione per il disegno. Compie gli studi a Cherbourg e dal 1853 al 1857 lavora presso i pittori Mouchel e Langlois. Una borsa di studio municipale gli consente di venire a Parigi, dove entra nell’atelier di Delaroche all’Ecole des Beaux-Arts, ma frequenta più volentieri l’Académie Suisse e il Louvre. Si guadagna da vivere eseguendo ritratti e pastelli nello stile di Watteau; dei primi, dipingerà tutta una serie a Le Havre, dove nel 1844-1845 incontra Boudin che incoraggia i suoi primi passi. Nel 1840 un suo ritratto viene accettato al Salon. Nel 1846 incontra Troyon e si lega a Jacque, Rousseau, Dupré e Diaz, che lo presenta a Durand-Ruel nonché ad Alfred Sensier, che diventerà suo biografo. In fuga dal colera, nel 1849 si stabilisce definitivamente con la famiglia a Barbizon. È in questo periodo che Millet si orienta verso quel realismo sociale, idealista e austero, che costituirà la sua gloria. Lo stato gli acquista /! vagliatore (Salon del 1848), quindi il Riposo dei rivoltatori di fieno. Nel 1850 espone /l seminatore e nel 1857 trova con Le spigolatrici uno strenuo difensore in Castagnary. Sotto l'impulso di Rousseau, suo intimo amico dal 1852, Millet si volge sempre più alla pittura di paesaggio. Durante i tre soggiorni tra il 1866 e il 1868 a Vichy, dove sua moglie si sottopone a cure, disegna a penna e ad acquerello numerosi siti della regione. Dal 1865 esegue dei grandi pastelli; questa tecnica, che pratica sempre più correntemente, alleggerisce la pennellata e determina uno schiarirsi della tavolozza. Al Salon del 1866 appare il suo primo grande paesaggio, /l limite del villaggio di Gréville. All’Esposizione universale del 1867 viene dedicata a Millet una vera retrospettiva. L’anno seguente è nominato membro d’onore della Société libre des Beaux-Arts di Bruxelles, mentre in Francia viene fatto cavaliere della Legione d’onore. Durante la guerra franco-prussiana Millet si rifugia nei dintorni di Cherbourg, dove dipinge i suoi paesaggi più belli. [X.s.]

CLAUDE MONET Parigi, 1840 - Giverny, 1926

GUSTAVE

Claude Monet ha cinque anni quando il padre, droghiere grossista, si stabilisce a Le Havre assieme alla famiglia. Il giovane Monet dimostra un precoce talento per il disegno ed esegue caricature di cui si parla molto in città. Verso il 1856 viene notato da Eugène Boudin, che lo incoraggia a dipingere en plein air. Monet giunge a Parigi nel 1859 ed entra nell’atelier di Armand Gautier, un emulo di Gustave Courbet; frequenta inoltre l’Académie Suisse. Nel 1861-1862 assolve il servizio militare in Algeria. Al suo ritorno sulla costa normanna lavora con Eugène Boudin e Johan-Barthold

Jongkind,

che ha cono-

sciuto da poco. Verso la fine del 1862 entra nell’atelier di Charles Gleyre e stringe amicizia con Frédéric Bazille, Pierre-Auguste Renoir e Alfred Sisley. Dipinge assieme a Bazille nella foresta di Fontainebleau nel 1865 e a Honfleur nel 1864. Nel 1865 la giuria accetta le sue prime opere inviate al Salon, due marine. Durante l’estate Monet inizia l’immenso Déjeuner sur l’herbe, che

lascia incompiuto. Al suo posto invia al Salon del 1866 un paesaggio e un ritratto eseguito rapidamente,

Camille, accolto con favore dalla

critica e dal pubblico. Tutte le opere inviate successivamente verranno

MOREAI

Parigi, 1826-1898

rifiutate, in quanto giu-

dicate ancora più audaci di quelle di Edouard Manet. Nel 1865 Monet sposa la propria modella Camille, dalla quale nel 1867 ha un figlio, Jean. La famiglia gli rifiuta qualunque aiuto materiale: presto l’artista comincia a essere perseguitato dai creditori e le preoccupazioni continuano ad aumentare nonostante l’aiuto economico di Frédéric Bazille. Nel 1870, per sfuggire alla guerra Monet va a Londra, dove ammira

le opere di

Turner. Al ritorno si stabilisce ad Argenteuil, dove dipinge assieme a Renoir, Caillebotte e Manet. Negli anni sessanta nutriva l'ambizione di diventare un pittore di figura, ma il paesaggio gli consente di trascrivere meglio gli effetti luminosi dai quali è affascinato. Monet diventa il capofila dell’impressionismo, così battezzato da una sua tela, /mpression. Soleil levant, fulero della prima mostra del gruppo che si tiene nel 1874 presso l’atelier del fotografo Félix Nadar.

Intorno al pittore si forma una piccola cerchia di mercanti, tra cui Durand-Ruel, e soprattutto di amatori,

ma

nonostante

i loro

acquisti

Monet

deve sempre lottare con le difficoltà finanziarie. Nel 1878 si stabilisce a Vétheuil; la malattia e poi la morte di Camille e i rigori dell’inverno 18791880 lo costringono a lavorare a nature morte al chiuso. Il disgelo della Senna nel gennaio 1880 gli ispira una serie di tele. Dopo un breve periodo trascorso a Poissy, Monet si stabilisce a Giverny con Blanche Hoschedé e i figli. Una nuova vita ha inizio per l’artista, le cui mostre in Francia e all’estero vengono ora accolte con favore. Assieme al successo arriva il benessere economico e Monet può viaggiare in Norvegia, in Italia e a Londra. Il suo metodo di lavoro si evolve; nel 1890 l’artista comincia la sua prima «serie», quella dei Covoni. Nel 1895 le Cattedrali,

esposte da Durand-Ruel, sono un evento negli ambienti artistici. La serie delle /Ninfee, iniziata

nel 1897, occuperà gli ultimi trent'anni della sua vita. L’impressionismo ottiene il definitivo riconoscimento in occasione dell’Esposizione universale del 1900, che presenta una retrospettiva delle sue opere. [/.g.]

Una raffinata infanzia borghese, trascorsa tra un

padre architetto libero pensatore e una madre musicista, offre a Gustave Moreau una cultura e delle maniere che non sono frequenti tra i pittori dell’epoca. A diciotto anni intraprende gli studi artistici nell’atelier di Frangois Picot ed entra all’Ecole des Beaux-Arts, che abbandona dopo due insuccessi al Prix de Rome. Incontra quindi Théodore Chassériau, del quale ha visto le decorazioni per la Corte dei Conti, e lavora sotto la sua guida. Disorientato dalla sua precoce morte nel 1856, Moreau avverte presto l’esigenza di proseguire la propria formazione e parte per l'Italia, dove soggiorna dal 1857 al 1859. A Roma conosce Edgar Degas, sul quale esercita subito un notevole ascendente. Le tele che Moreau espone al suo ritorno in Francia sono duramente attaccate dalla critica, che vede un pastiche, un’imitazione di Mantegna o Luini là dove le reminiscenze dei maestri italiani vengono interpretate in grandi fantasie mitologiche. «Io non

credo né a quello che tocco né a quello che vedo. Credo solo a quello che non vedo e a quello che sento», dichiara Moreau a chi non capisce il carattere simbolista delle sue opere. Le critiche che accolgono i lavori esposti al Salon del 1869 inducono l’artista a proseguire la propria opera nella solitudine dell’atelier; Moreau ricompare al Salon solo dal 1876 al 1880. Divenuto membro dell’Istitut de France nel 1889, quindi professore all’Ecole des BeauxArts nel 1892, impartisce un insegnamento estremamente libero e non cerca mai d’imporre uno stile, bensì di stimolare quello degli allievi che, come Georges Rouault, Henri Matisse, Albert Marquet e Henri Evenpoel, saranno note-

voli coloristi. Nel 1897 Gustave Moreau lascia in eredità allo stato la propria casa con tutte le collezioni ivi racchiuse: «La cella nella quale più non penetra il rumore della vita contemporanea, che tuttavia batte furiosamente alla porta del chiostro», descritta da Joris-Karl Huysmans

nel suo romanzo Contro corrente, diventerà il Museo Gustave Moreau nel 1905. [4g]

107

FRANCOIS-AUGUSTE Parigi,

CAMILLE

ORTMANS

1827 - Fontainebleau,

Saint

1884

PISSARRO

Thomas,

Piccole

Antille,



1850

-

Parigi,

1905

Di genitori belgi, accademie

il pittore

prima

Auguste Ortmans frequenta le

di Bruxelles e Anversa

animalista

Eugène

(dove conosce

Verboeckhoven),

di entrare alla fine degli anni quaranta

all’Ecole des Beaux-Arts di Parigi. Diventa allievo

di Rousseau, dividendosi negli anni successivi tra vari indirizzi a Parigi e i frequenti soggiorni a Fontainebleau. Viaggia in Italia, da dove torna con dei luminosi paesaggi di libera esecuzione (Ricordo dei dintorni di Roma), ma la sua natura

romantica è più affine ai profondi silenzi delle foreste in Germania, in Belgio o a Fontainebleau. Termina in atelier le proprie tele dalla composizione sempre perfettamente elaborata, e la sua maniera rivela un forte influsso del maestro. Ortmans esordisce al Salon nel 1850 con la Veduta eseguita a Friedrich-Risch, Germania.

Ricompare al Salon nel 1857 esponendo Foresta di Germania, effetto autunnale e Approssimarsi del temporale, foresta di Fontainebleau, acquistato dallo stato l’anno seguente. A capo di una numerosa

famiglia, è alleviato dal

peso delle difficoltà materiali grazie ad acquisti e commissioni ufficiali: in particolare, nel 1868 viene iscritto nella lista civile di Napoleone III e riceve una commissione per il castello di Com-

piègne (// cervo, Musée d’Orsay). Espone regolarmente sino alla fine della sua vita ai Salon nonché, in più occasioni, alla Royal Academy di Londra. Innamorato della natura, che osserva attentamente nei Suoi particolari attraverso la costanza nella scelta dei soggetti campestri, Ortmans, molto simile a Troyon e, più indietro nel tempo,

ai pittori animalisti fiamminghi, beneficia dell'entusiasmo per la pittura di paesaggio realista. [K.s.]

108

Pissarro è nato nelle Antille danesi dove il padre, un ebreo di Bordeaux di origine portoghese, ha un grosso commercio di chincaglieria. Dal 1842 al 1847 studia in Francia, nel convitto Savary, e mostra predisposizione per il disegno. AI suo ritorno nelle Antille viene notato da un pittore danese, Fritz Melbye, che lo porta con sé in un viaggio di studio di tre anni in Venezuela e lo raccomanda poi al fratello, il pittore Anton Melbye che vive a Parigi. L'arrivo in Francia nel 1855, durante l’Esposizione universale, introduce Pissarro nell'ambiente

dei maestri: Ingres, Delacroix, Courbet, Millet, Rousseau, Corot...

Dopo brevi soggiorni nell’atelier di Picot, di Lehmann e del paesaggista Dagnan, abbandona questo insegnamento per l’Académie Suisse (dove incontra Monet) e per la ricerca di motivi in campagna. a Un Paesaggio di Montmorency viene ammesso al Salon del 1859 e notato da Zacharie Astruc. Nel 1860 Pissarro

conosce

Ludovic

Piette, che

diventa il suo più fedele amico e lo ospita spesso

nella sua proprietà di Montfoucault (Mayenne). Nello stesso periodo l’incontro con Chintreuil, a lui affine per lo spirito indipendente e la scelta dei soggetti, delinea l’affiliazione del giovane pittore a Corot, del quale si dichiarerà allievo fino al 1865. Pissarro non conosce il disprezzo degli ambiente ufficiali giacché, pur esponendo al Salon des refusés nel 1865 e pur non venendo ammesso nel 1867, è regolarmente rappresentato ai Salon dal 1864 al 1870, e ha per difensori Duret e Zola, che nel 1866 fa così la sua ultima cronaca a «L'’Evénement: «Grazie, signore, il suo paesaggio mi ha riposato per una buona mezz’ora durante il mio viaggio nel gran deserto del Salon [...] Una pittura austera e grave, un estremo scrupolo di verità e di precisione, una volontà aspra e forte. Lei è un gran maldestro, signore, lei è un artista che mi piace.» Pissarro si stabilisce a Pontoise a partire dal 1863, quindi a Louveciennes nel 1869. Pittore sincero della natura umile e terrestre, motiva

talvolta con rivendicazioni anarchiche la sua scelta di soggetti rustici: le strade sono già il suo motivo prediletto (Una strada, Louveciennes, effetto di pioggia, 1870). In questo periodo le sue opere riflettono l’influsso di Courbet, del quale riprende le composizioni solide e i contrasti vigorosi e, per qualche tempo, l’uso della spatola, per evolvere alla fine del decennio verso una tecnica impressionista di pennellate più brevi e giustapposte (allo stesso modo intorno al 1885 fa una rapida incursione tecnica sul terreno dei suoi giovani amici pointillistes Signac e Seurat). Nel 1870 si reca a Londra, dove ritrova Monet e conosce Durand-Ruel, organizzatore delle mostre impressioniste fino al 1875. Al suo

ritorno

lavora

a Pontoise,

a Osny

e a

Auvers. Pienamente padrone della propria arte (pratica anche l’acquaforte e la litografia), conosce un periodo fecondo e partecipa a tutte le manifestazioni impressioniste dal 1874 in poi. A capo di una numerosa famiglia, versa talvolta in gravi difficoltà materiali nonostante il sostegno di mercanti come Martin, Tanguy e soprattutto Durand-Ruel, che organizza la sua retrospettiva nel 1892. Lavorando en plein air in comunione di speranze e di ricerche con Guillaumin, Piette, Guillemet e gli amici ispano-americani, Pissarro sarà un maestro particolarmente attento e perspicace per Mary Cassatt, Cézanne e Gauguin. [/.s.]

THÉODORE ROUSSEAL Parigi, 1812 - Barbizon,

ALFRED SISLEY Parigi, 1859 - Moret-sur-Loing,

1867

Figlio di un sarto originario del Giura, Rousseau

Di nazionalità

cresce in un ambiente stimolante; viaggia nella

Parigi nella famiglia di un ricco commerciante di stoffe. Dal 1857 al 1859 soggiorna a Londra

regione

natale

assieme

allo

zio,

lo statuario

inglese,

Alfred

1899

Sisley

nasce

a

Lemaire, quindi si avvia alla pittura a Compiègne con il cugino pittore Pau de Saint-Martin. Nel 1828 la famiglia lo spinge a concorrere al Prix de Rome; Rousseau segue i corsi di Réemond e Guillon-Lethière, ma l'insegnamento accademico lo annoia. Nel 1851 esordisce al Salon con Paesaggio. Sito d’Alvernia. Lavora nella vallata della Senna, a Saint-Cloud,

per impratichirsi negli affari, lì scopre la pittura e ammira i paesaggi di Rubens, Hobbema, Ruysdael, Constable e Turner.

in Normandia:

Louveciennes (Una strada di villaggio, 1870) e soggiornando spesso a Marlotte nella foresta di Fontainebleau. Le prime opere di Sisley, verso il 1865, confermano il suo interesse pressoché esclusivo per il paesaggio e rivelano un influsso di Corot, Courbet e Daubigny che l’artista rivendica apertamente ai Salon — dove espone regolarmente fino al 1870 - come testimonia l’opera Il sentiero dei castagni a La Celle Saint-Cloud del 1867. Tuttavia il formato maggiore rispetto a quello dei pittori di Barbizon rappresenta una novità nell’usuale gerarchia dei generi, e opere

Gronville, Rouen, Honfleur (dove

ritrova Paul Huet), cercando sempre di dare «l’impressione vergine della natura.» Nel 1854 torna nel Giura e poi viaggia sulle Alpi: lo slancio romantico dell’artista è evidente nei quadri schizzati sul colle della Faucille. Ferito dal sistematico rifiuto da parte degli accademici, volge le spalle all’arte ufficiale e si stabilisce nella foresta di Fontainebleau. Stringe amicizia con Diaz, Aligny, Thoré, Barye e Jules Dupré, assieme al quale lavora in un clima di forte complicità e compie numerosi viaggi fino alla rottura nel 1849. Tra i compagni, Rousseau è l’unico che, oltre allo scrupolo di naturalismo, conferisca ‘alla propria opera un’intenzione

intellettuale di ricerca metafisica. Il Salon libero del 1848 gli schiude infine le porte: in questa occasione riceve una medaglia di prima classe e una commissione da parte dello stato per Foresta di Fontainebleau. È cavaliere della Legione d’onore nel 1852. Al-

l’Esposizione universale del 1855 gli viene riservata una sala assieme a Decamps. Nonostante il sostegno degli amici e la popolarità tra gli amatori, Rousseau si sente incompreso e la sua vita continua a essere difficile (nel 1861 ha luogo un’asta dei quadri, seguita nel 1865 da un’asta dei beni). Nel 1867 riceve una medaglia d’onore all’Esposizione universale, appena prima di spegnersi a Barbizon. Paesaggista tra i più importanti della scuola di Barbizon, Théodore Rousseau, al pari

degli amici Diaz e Millet, ha profondamente segnato gli inizi degli impressionisti. [k.s.]

Al suo ritorno a Parigi nel 1862 s’iscrive all’ate-

lier di Gleyre, dove frequenta Bazille, Monet, Renoir e, tramite loro, Pissarro. Tutti assieme si dedicano alla pittura en plein air, facendo brevi escursioni

nei

dintorni

di Parigi

a

Bougival,

come Veduta di Montmartre dalla Cité des Fleurs del 1869 attestano il suo scrupolo nella costruzione, il suo gusto peri cieli immensi e gli spazi profondi. Nel 1870-1871, sullo sfondo degli eventi che sconvolgono Parigi, Sisley vive una tragedia personale: il padre muore

Per redigere

le biografie, gli autori

hanno

con

sultato i testi qui di seguito riportati.

Harambourg

L., Dictionnaire des peintres paysa XIX siècle, Ides et Calendes, Neuchàtel 1985. Harding J., Les peintres pompiers. La peinture académique en France de 1830 à 1880, Flammarion, Parigi 1980. Impressionnisme. Les origines (1859-1869), catalogo della mostra, a cura di H. Loyrette, G. Tinterow, Parigi, Grand-Palais e New York, The Metropolitan Museum of Art, Réunion des musées nationaux, Parigi 1994. Larousse P., Grand Dictionnaire universel du

gistes francais au

XIX siècle, Lacour, Nîmes 1990. Miquel

P., Le

(1840-1900).

paysage

francais

au

XIX

siècle

L’Ecole de la nature, IV, Editions de

la Martinière, Maurs-La-Jolie 1985. Monneret S., L’Impressionisme et son

époque.

Dictionnaire international, Robert Laffont, Parigi

1978-1979. Sillevis J., Kraan H., L’Ecole de Barbizon. Un dia logue franco-néerlandais, L'Aia 1985. Théodore Caruelle d'Aligny et ses compagnons, catalogo della mostra, Musée des Beaux-Arts di Orléans, di Dunkerque e di Rennes, Nantes 1979.

in rovina e l’artista, che

ha moglie e due figli, dovrà d’ora in poi vivere della propria pittura. Sempre vicino a Monet, presso il quale soggiorna a Voisins-Louveciennes (1871) e ad Argenteuil (1872), ma anche a Renoir, Sisley aderisce alle loro ricerche sulle variazioni atmosferiche

di un medesimo sito, alla loro tecnica pittorica di pennellate brevi e rapide e di una tavolozza luminosa. Partecipa alle mostre impressioniste del 1874, 1876, 1877, 1882. Nonostante il sostegno di alcuni critici o mercanti, tra tutti gli impressionisti sarà il più sfortunato sino alla fine dei suoi giorni, e morirà di cancro, disdegnato o ignorato dal pubblico. [k.s.]

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