I Sabei di Harrān e la scuola di Atene
 9788878017665, 8878017663

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Nuccio D'Anna I SABEI DI HARRAN E LA SCUOLA DI ATENE

JOUVENCE

Il libro esamina la condizione dottrinale degli ultimi neo­ platonici della Scuola di Atene e mostra l'effetto dirompente dell'Editto di Giustiniano che portò alla chiusura della celebre Istituzione. Tutto ciò impose il forzato esodo verso la Persia ai rappresentanti di questa antica sapienza. L'arrivo dei neoplato­ nici in Persia provocò una serie di conseguenze positive sul pia­ no spirituale e persino rituale. Tuttavia, a poco a poco quasi tutti i neoplatonici tornarono in Occidente e continuarono il loro insegnamento millenario in scuole di alto livello speculativo. In Oriente i neoplatonici ebbero significativi scambi con le élites nestoriane, mazdee e in certi casi persino con alcuni manichei, ma il momento più significativo di questa straordinaria vicenda fu l'arrivo ad Harran. Qui, per secoli, i neoplatonici alimenta­ rono autorevolmente l'importante tradizione sacra della comu­ nità sabea, che vide anche l'apporto dell'Ermetismo, dei culti astrali caldei e di forme rituali di antichissima origine. Per la prima volta in Italia, il libro spiega in modo articolato non solo le dottrine che sostanziavano questa straordinaria e poco co­ nosciuta forma tradizionale, ma anche i loro rituali di realizzazio­ ne spirituale, vere e proprie tecniche meditative che sotto molti aspetti sembrano potersi accostare a quelle elaborate in contesti religiosi molto sofisticati come quelli indù o estremo-orientali.

Jouvence l Sophia www.jouvence. i t

20,00 euro

Nuccio D'Anna si occupa di sim­ bolismo, dottrine spirituali e storia delle religioni. Ha scritto oltre due­ cento fra libri, studi scientifici, arti­ coli divulgativi e relazioni pubblicate negli Atti dei tanti Convegni ai quali ha partecipato.

È membro della So­

cietà Italiana di Storia delle Religioni (SISR) e da sette anni dirige la rivista trimestrale di religioni, simbolismo e spiritualità "Atrium". Alcuni dei suoi libri più recenti hanno esaminato il mondo classico: n Gioco Cosmico. Tempo

ed eternità nell'antica Grecia (Q0062); Pu­ blio Nigidio Figulo. Un pitagorico a Roma nel 1· secolo a. C. (Qoo8); Da Oifeo a Pitago­ ra. Dalle estasi arcaiche all'armonia cosmi­ ca (Qo n); Sapieru:P sacra ed esperienze esta­ tiche. L'aurora della Grecia (QOI4); Le radici sacre della monetazione (2017). Per i tipi di Jouvence ha pubblicato: La profezia di Virgilio. n fanciullo divino e il mistero della IV egogla (QOI83). Numerosi anche i suoi libri che esa­ minano le correnti mistiche del Me­ dioevo: La sapieru:P nascosta. Linguaggio e

simbolismo in Dante (QOOI); n segreto dei trovatori. Sapieru:P e poesia nell'Europa me­ dievale (2005); n Santo Graal. Mito e real­ tà (2009); n cristianesimo celtico. I pellegrini della luce (2010); Melkitsedek. n mistero di una figura biblica (QOI4); Guglielmo IX, Duca d'Aquitania. I fondamenti esoterici della poesia proveru:Ple (2019).

Nuccio D'Anna

ISABEI DIHARRAN ELASCUOLA DI ATENE

JOUVENCE SOPHIA

© 2020 Editoriale Jouvence (Milano)

Collana: Sophia, n. 26 isbn 9788878017665 www.jouvence.it [email protected] Te!: +39 02 24411414 © Mim Edizioni srl

via Monfalcone 17/19 20099 Sesto San Giovanni (Mi)

INDICE

I. Giustiniano e la Scuola di Atene

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Il. Arte, teurgia e rituali sacri

19

III. Mazdak, Khusraw e Giustiniano

33

IV. Meditazione e realizzazione spirituale

51

V. L'esodo dei Neoplatonici verso l a Persia

63

VI . Il ritorno in Occidente

69

VII. Neoplatonici, Nestoriani e Manichei

79

VIII. I Neoplatonici ad Hardin

1 03

IX. I Sabei di Hardin

1 23

Addendum Rituali teurgici e tecniche estatiche nel Neoplatonismo

153

Bibliografia

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I GIUSTINIANO E LA SCUOLA DI ATENE

L'atto legislativo forse più celebre dell'imperatore Giustiniano proibiva di esercitare ogni attività che in qualche modo potesse costituire opera di insegnamen­ to del pensiero pagano1 • Era il 529. Immediatamente prima che Uranio, un modesto filosofo di tradizione bi­ zantina, si recasse presso la corte persiana di Khusraw I Anushirwan ( 5 3 1 -579)2, lo storico Giovanni Malalas poté attingere alla versione greca di quelli che chiama "libri persiani" trasmessigli da "custodi e prefetti de1

Gli studi su questo evento sono sterminati. Per la loro ricchez­ za espositiva ci limitiamo a segnalare Berthold Rubin, Das Zeitalter lustinians, 2 voli., Gruyter, Berlin 1 960; A. Frantz, Pagan Phitosophers in Christian A thens, in "Proceedings of the Americans Philosophical Society" , 1 1 9, 1 975, pp. 29-3 8; J. Irmscher, La politica religiosa dell'imperatore Giustiniano contro i pagani e la fìne della scuola neoplatonica di Atene, in " Cristianesimo nella Storia " , 1 1 , 1 990, pp. 5 79-5 92; E. Watts,

Where to Live the Philosophical Life in the Sixty Century ? Damascius, Simplicius and the Return (rom Persia, in " Greek,

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Roman and Bysantine Studies " , 45, 2005, pp. 285-3 1 5 ; Ph. Hoffmann, Damascius, in R. Goulet (cur. ) , Dictionnaire des philosophes antiques, Il, CNRS, Paris 1 994, {pp. 5 4 1 -5 9 3 ), pp. 555-563; P. Athanassiadi, Pagan Monotheism in Late Antiqui­ ty, Clarendon Press, O xford 1 999, (pp. 1 4 3- 1 8 3 ) , pp. 3 9-52; V. Napoli, Note sulla chiusura della Scuola neoplatonica di A tene, " Schede Medievali " , 42, 2004, pp. 5 3 -95. V d. pure P. Chuvin, Cronaca degli ultimi pagani, Paideia, Brescia 20 12, pp. 1 3 8 - 1 52. Cfr. Gherardo Gnoli, Cosroe dall'Anima Immortale o del­ la doppia felicità, in Aa. Vv. , Un ricordo che non si spegne: [ . . . ] in memoria di Alessandro Bausani, Istituto Universitario Orientale,1 995 [ 1 9 96], 1 1 9 - 1 46 .Vd. anche il ricco Geo Wi­ dengren, Xosrau Aniisurvan, Les Hephtalites et /es peup/es tures, " Orientalia Suecana " , I, 1 952, pp. 69-94.

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I SA B E I DI H A R R AN E LA SCUOLA DI AT ENE

gli archivi reali". Assieme ad altri filosofi, cosmologi

e medici, Khusraw aveva voluto a corte Uranio per esercitarvi l'arte medica e, contemporaneamente, per insegnare filosofia ellenica alla ristretta élite di dotti che si erano radunati attorno alla sua persona3• Gio­ vanni Malalas, invece, era originario di Antiochia, la città diventata uno dei centri dottrinali più antichi ed autorevoli del Cristianesimo d'Oriente. La possibilità di consultare direttamente l'archivio imperiale gli con­ sentì di scrivere la sua famosa testimonianza: "durante il consolato di Decio [a. 529] l'imperatore in persona

emise un decreto che fece pervenire ad Atene ordinan­ do che nessuno continuasse ad insegnare la filosofia e il diritto " ( Chron. XVIII). E tuttavia, l'Editto giustinianeo non si limitava solamente a proibire gli insegnamenti che toccavano il piano dei princìpi dottrinali e le elaborate forme speculative esposte nella Scuola, ma elencava anche una serie di antiche discipline e arrivava a menziona­ re esplicitamente !"'astrologia " [àcnpovoJl{av, come secondo la lezione del Cod. Vaticanus gr. 163; l. Thurn] e persino il gioco dei " dadi "4 ( Chron. XVIII, 3

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Khusraw resterà sempre entusiasta dei servigi di Uranio e di­ chiarerà di non aver mai conosciuto un filosofo del suo livello. Sulla particolare personalità del filosofo e medico Uranio cfr. A. Cameron, Agathias on the Sassanians, " D umbarton Oaks Pa­ pers" , 33-34, 1 96 9-70, (pp. 67-1 83), pp. 1 74 e sgg. Lo stretto rapporto che esisteva nel mondo ellenico fra medicina e filosofia è stato studiato da L. G. Westerink, Philosophy and Medicine in Late Antiquity, Brill, Leiden 1 965, part. pp. 1 69-1 77. Già in Omero il gioco dei dadi faceva parte di un simbolismo rituale molto importante e non è mai collegato con aspetti su­ perstiziosi. Ogni " gettata " determinava una realtà, fissava un destino e dava origine ad un sistema di regole strutturate sui ritmi che ordinano lo scorrimento del mondo. Dalla traietto­ ria disegnata dai dadi, dal numero scaturito dalla "gettata" e dalla stessa posizione dei dadi sul tavolo, il veggente-indovino interpretava il significato sacro della " gettata " e i riferimenti cosmici sottesi dalla somma dei numeri indicati dai dadi. Il

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47; PG XCVII, cl . 6 6 1 c ) 5 • Si tratta di un'attestazione d i grande importan­ za che non solo elenca alcune delle usuali materie discusse nella Scuola di Atene, ma indirizza senza al­ cun dubbio verso il sostrato di arcaica religiosità che ha sostanziato le forme spirituali coltivate dai neo­ platonici a partire dalle stesse origini del movimen­ to . D'altronde, la Scuola di Atene costituiva l'ultimo, autorevole baluardo dell'élite che da sempre veniva considerata la custode del patrimonio dottrinale del mondo antico. E se esteriormente si presentava come l' unica istituzione accademica che ancora intendeva continuare il venerando insegnamento "platonico " , i n realtà l a sua "filosofia " appariva sempre più av­ volta da un'aura sapienziale costantemente alimen­ tata da rituali teurgici e da esperienze concretamente "vissute " di tipo estatico ed illuminativo. Da questa estrema isola di resistenza della civiltà classica sembrava irradiarsi una vera e propria tradi­ zione sacra che innanzitutto permeava la personalità degli stessi diadochi e poi si riversava, vivificando ed informando di sè le diversificate manifestazioni esteriori, nell'ambiente religioso, culturale e politi-

5

fatto che questo gioco venga menzionato esplicitamente negli ordinamenti imperiali antipagani mostra la piena consapevo­ lezza da parte dei bizantini del suo valore sim bolico. V d. il testo in I. Thurn (cur. ) , Ioannis Malalae, Chronographia, De Gruyter, Berolini-Novi Eboraci 2000. Su tutta la questione cfr. Edward Watts, Justinian, Malalas and the End of Athenian Philosophical Teaching in A. D. 529, "journal of Roman Studies " , 94, 2004, pp. 1 6 8 - 1 82. Anche Enea di Gaza, un neoplatonico convertito a l cristianesimo che aveva ricevuto la notizia da !erode di Alessandria e poi ne parlò ampiamente nel suo epistolario, testimonia che l'Editto giustinianeo aveva forti collegamenti con il rifiorire della filosofia neoplatonica ad Atene, e aggiunge che " l'ostilità [verso i maestri neoplatonici] è causata dai sacerdoti, tradizionali banditori di pace. Se viene da qui la rovina, da dove potrà venire la salvezza, quale via di scampo rimane ?" (Ep. XVI ) .

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co circostante. E tutti i diadochi hanno continuato a tramandare la loro carica direttiva come se avessero dovuto perpetuare non uno dei tanti abituali inse­ gnamenti accademici, ma una vera e propria rivela­ zione divina alimentata da rituali riconducibili per molti aspetti ai medesimi princìpi dai quali all'alba dell'Ellade era emersa la misteriosofia classica. Nella prospettiva dei numerosi avversari del­ la Scuola, le loro dottrine potevano apparire solo come mere speculazioni filosofiche lontane da ogni radicamento sacro , per di più " appesantite " dalla pratica delle sopravviventi arti divinatorie, consi­ derate dalle nuove classi dirigenti bizantine come estreme forme di superstizione prive di qualsiasi valore concreto. Persino lo splendore di l uce che abitualmente illuminava il corpo trasfigurato di Ipazia durante le lezioni6, testimoniato anche dai suoi discepoli cristiani come, per es . , il diacono sant'lsidoro di Pelusio e il celeberrimo Sinesio di 6

Spiega Platino: "Poiché questa Luce proviene da Lui, o me­ glio, è Lui stesso [ . . . ]. Questo è il vero fine dell'anima: toccare quella Luce e contemplarla mediante quella stessa Luce, non con la luce di un altro, ma con quella stessa con la quale essa vede. Poiché la Luce dalla quale è illuminata, è la Luce che essa deve contemplare" (Enn. V, 3, 1 7, 3 0 ) . E' la medesima "luce dei teurghi che gli dèi benevoli e propizi fanno abbondante­ mente risplendere" , cui accennava anche Giamblico (De Myst. I, 1 2 ) . Eunapio attesta che durante l' usuale adempimento dei riti, anche il corpo di Giamblico si sollevava da terra e splen­ deva di un'aureola di luce. Sul significato spirituale di questa realtà così importante per tutti i neoplatonici, cfr. N. Aujoulat,

Le corp lumineux chez Hermias et ses rapports avec ceux de Synésios, d'Hiérocles et de Proclos, " Les Études Philosophi­ ques " , III, 1 9 9 1 , pp. 2 8 9-3 1 1 . Su Ipazia seguiamo da vicino j. M. Rist, Hypatia, " Phoenix" , 1 9, 1 96 5 , pp. 2 1 4-225 . Con­ temporaneamente, dalla cella in cui usualmente si ritirava a pregare San Benedetto da Norcia, usciva un'aura sovrannatu­ rale emanata dal suo corpo che, come nell'India classica o nel Tibet tradizionale, oltrepassava le pareti chiuse e si diffondeva nell'area circostante.

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Cirene, poi diventato vescovo di Tolemaide7, venne minimizzato o addirittura sottaciuto al fine di deni­ grare la realtà spirituale che da sempre sostanziava profondamente ogni aspetto della " filosofia " neo­ platonica . È la medesima esperienza vissuta dallo stesso Plotino, come avrà cura di ricordare Porfi­ rio: "quando parlava lo stesso Novç brillava sul suo viso e lo illuminava con la sua luce" CV. Plot. 13 , 5-7) . La Luce divina si svela come una vera e pro­ pria rivelazione celeste che avvolge la creatura, è la stessa " Realtà essenziale " che ritrova Se stessa nel contemplativo . Ovunque nel mondo, lo splendore emanato dal corpo del myste rivela la realtà arche­ tipale e principiale nella quale egli dimora; docu­ menta il totale distacco da ogni pur minimo residuo di pesantezza corporea. È una condizione trionfale e vittoriale che rende manifesta la dimensione sa­ pienziale e trascendente che in lui sfolgora gloriosa e si effonde nel mondo come luce trasfigurante . Per­ ciò, spiegava Henry Corbin, il simbolo del fulgore richiama fin nei dettagli la dottrina tipicamente ne­ oplatonica dell ' " iD..J a)l\jltç q>roncr)l6ç (= lo " splendo­ re di luce " ) , chiamando il fenomeno di irradiazione della Luce primordiale come fenomeno originario dell'Essere e della Rivelazioone dell'Essere "8• ..

7

8

M. Pasquale Barbanti, Filosofia e Cultura in Sinesio di Cirene, La Nuova Italia, Firenze 1 994, p. 4 1 , così descrive il clima spirituale creatosi attorno ad lpazia: " Dalle lettere di Sinesio si desume chiaramente che le " orge " della scuola di lpazia , piut­ tosto che consumarsi in riti magici o teurgici, si esaurivano nell'attenzione della mente verso la filosofia neoplatonica di matrice plotiniana, il cui fine era appunto la pura contempla­ zione " . Nell'Ep. 1 3 7 Sinesio spiega che lpazia "presiede ai mi­ steri della filosofia " . Restano pochi dubbi sulla presenza del diacono sant'lsidoro fra i discepoli di lpazia. Su questo tema cfr. Ch. Lacombrade, Synésios de Cyrène, helléne et chrétien, Paris 1 95 1 , pp. 54 e sgg. Così H. Corbin, Suhrawardl, Luni, Milano 2 0 1 7, p. 1 8 .

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La cultura ufficiale tardo-antica ormai rimane­ va lontana da simili verità e perciò, quasi obbliga­ toriamente, era portata ad ignorare i legami rituali della teurgia9 o " scienza degli dèi " (8e&v 8epa1teia, secondo la definizione di Damascio, V. Is id 3 ) , con l'intero sistema simbolico e ascetico-realizzativo che aveva alimentato profondamente la speculazio­ ne neoplatonica fin dagli inizi della sua storia . L'Editto imperiale conteneva due Statuti ( Cod. I, XI, 9 - 10 ) esplicitamente concepiti per abbattere le ulti­ me isole di resistenza della spiritualità e della cul­ tura pagana . Si trattava di impedire la stessa tipo­ logia di fondo sulla quale si basava l'insegnamento tradizionale e di eliminare l'intero cursus educativo articolato da sempre su tre livelli dottrinali fonda­ mentali: metafisica ( "filosofia " ) , cosmologia ( " astro­ logia " ) e arti o scienze tradizionali ( dr. l'allusione ai " dadi " dell'atto legislativo cui si riferisce Giovanni Malala s ) 1 0 • E tuttavia l'Editto imperiale non costi­ tuisce un episodio isolato e, anzi, appare come l'e­ sito conclusivo di una serie ininterrotta di provve­ dimenti ami-ellenici disposti già a partire dal 527, quando ancora Giustiniano regnava assieme allo zio Giustino. L'obiettivo immediato sembra essere sta­ to quello di impedire definitivamente che potessero acquistare concreto spessore politico eventuali ten­ tativi di restaurazione delle antiche forme culturali .

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Un ricco panorama sulla teurgia è stato tracciato da G. Mu­ scolino, Teurgia. Riti magici e divinatori nell'età tardo-antica, Ester, Bussoleno-Torino 20 1 7; v d. anche Id., I diversi significati della teurgia. Aspetti dottrinali ed operativi, in "Atrium " , 2, 2 0 1 9, pp. 5 -22. Cfr. Edward Watts, Justinian, Malalas and the End of A thenian Philosophical Theaching in A. D. 529, "The Journal of Roma Studies " , 94, 2004, (pp. 1 6 8 - 1 82 ) , pp. 1 7 1 - 1 75 .

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o religiose1 1 • Non solo, ma come spiegava Johannes Irmscher12, agli occhi delle autorità bizantine si trat­ tava anche di ricondurre verso una effettiva omoge­ neità e sostanziale unità le molte tradizioni e le di­ versissime culture che da secoli si trovavano disperse nei vasti territori bizantini. Lo scopo era quello di rendere irreversibile il nuovo ordinamento statale che si era organizzato attorno all'ortodossia cristia­ na e alle istituzioni bizantine. D 'altronde, il Cristia­ nesimo stava diventando il " polo " di orientamento e il "principio essenziale " che poteva dare contenuti dottrinali e forma organica alla stessa struttura giu­ ridica con la quale era stato plasmato integralmente il nuovo edificio imperiale. Nell'ambito di questo disegno governativo che investiva sempre più direttamente la religione, la cultura e le stesse articolazioni sociali, si sviluppò un vasto programma di repressione antipagana . La violenza fisica e le continue costrizioni miravano ad impedire concretamente ai notabili neoplatonici, e alla residua élite politica pagana che li sosteneva, di assumere persino quel profilo di " bassa intensità " ipotizzato da Edward Watts che, forse, avrebbe po­ tuto proteggerli o almeno limitare i maltrattamenti più pesanti . Molto probabilmente sono state pro11

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È l'ipotesi di Raban von Haeling, Damascius und die heid­ nische Opposition im Vte ]ahrhundert nach Christus, "Jahr­ bush fiir Antike und Christentum " , 23, 1 980, pp. 82-95. Molto utili le riflessioni di P. Athanassiadi, Persecution and re­ sponse in late Paganism: the evidence o( Damascius, "Journal of Hellenic Society " , 1 1 3 , 1 993, pp. 1-29. Cfr. anche A. De Libera, La philosophie médiévale, PUF, Paris 1 993, p. 5, che attribuisce a Giustiniano la volontà di chiudere la Scuola di Atene perché avrebbe alimentato una filosofia pagana concor­ rente diretta del Cristianesimo. J. Irmscher, La politica religiosa dell'imperatore Giustiniano

contro i pagani e la fine della scuola neoplatonica ad A tene, " Cristianesimo nella Storia " , 1 1 , 1 990, (pp. 5 79-592 ), p. 5 84.

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I SABEI D I H A R R AN E LA SCUOLA D I AT ENE

prio queste ultime vessazioni a convincere i maestri neoplatonici che era arrivato il momento di abban­ donare definitivamente la venerata Scuola di Atene. Ormai era diventato impossibile persino accogliere gli eventuali nuovi allievi. Giovanni Malalas ( Chron. XVIII ) ricorda che l'Editto imperiale era stato preceduto da vessazioni di ampia portata che avevano privato gli ultimi pa­ gani dei propri averi, vietato l'assunzione di cariche pubbliche, impedito la trasmissione dei beni ai loro eredi rimasti fedeli alla tradizione classica e proibito ogni pur minima perpetuazione, anche privata, dei culti pagani . Il Codex Iustinianus (1, 5 , 18 , 4 ) precisa che il divieto di insegnare le antiche dottrine era in­ dirizzato in modo particolare verso " coloro che sono

contagiati dalla follia e dall'empietà che pervade ancora i pagani". Come appare evidente, è nell'am­

bito di questo ampio progetto di uniformizzazione istituzionale, educativa e pedagogica che acquista significato politico anche la volontà di Giustiniano di presentarsi come il supremo principio ispiratore delle leggi e l'unico garante delle multiformi attività educative dello stato. E poiché negli altri territori dell'impero non vi erano più istituzioni pedagogiche di elevato presti­ gio in grado di perpetuare un rigoroso insegnamento delle dottrine radicate negli ancestrali valori religio­ si, diventava evidente che le disposizioni dell'Editto giustinianeo si riferivano in modo diretto e premi­ nente alla prestigiosa Scuola di Atene. L'unica ecce­ zione poteva essere considerata l'attività culturale che si svolgeva nella città di Alessandria, diventata un importante centro di filosofia " ellenica" apprez­ zato da tutti . Prima di trasferirsi definitivamente ad Atene, anche il futuro diadoco Dama scio ( 4 70-

G I U S T I N I A N O E LA S C U O L A D I A T E N E

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544 ) 1 3 per u n breve periodo aveva studiato i n questa prestigiosa Accademia riuscendo ad ottenere persino l'importante incarico di insegnare retorica . Tuttavia, le scuole cristiane di Alessandria non erano rimaste confinate in attività didattiche superficiali e, anzi, ormai rivaleggiavano da tempo con le istituzioni pedagogiche pagane. Sempre più velocemente sosti­ tuivano le articolazioni educative legate agli antichi thiasoi che fin dal tempo dei Tolomei ne avevano ar­ ricchito la cultura, andavano radicandosi in profon­ dità nel tessuto sociale della città ed erano riuscite persino ad acquisire uno status giuridico dominante. Nel suo Commentario all'Alcibiade I ( 14 1, 1-3 ) Olimpiodoro sostiene che sul finire del 5 3 1, ma forse addirittura all'inizio del 5 3 2 1 \ si procedette anche alla requisizione dei cospicui beni derivati dai lasciti dei molti benefattori che già al tempo di Proclo arrivavano a dare un gettito annuo di oltre 1000 VOJltcrJla'ta CV. Isid. 15 8 ; 265 ) . La somma è giudicata importante dagli esperti , e tale da assicurare per lungo tempo la perfetta autonomia amministrativa dell'Istituzione. La confisca dei beni della Scuola impedì definitivamente che continuassero i lasciti di altri devoti " ellenisti " . Non solo, ma mentre le disposizioni legislative di Giustiniano avevano reso impraticabile persino la remota eventualità di una regolare attività pedagogica, la mancanza di fondi fece diventare impossibile la pratica quotidiana dei 13

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Cfr. H . J . Blumenthal, Alexandria as a Centre of Greek Phi­ losophy in Later Classica/ Antiquity, " I llinois Classica) Stud­ ies " , 1 8 , 1 993, pp. 307-325. Indicazioni importanti sulla vita dell'ultimo diadoco si trovano in F. Tra battoni, Per una biografia di Damascio, " Rivista di storia della filosofia " , 40, 1 9 8 5 , pp. 1 79-20 1 . Seguiamo A . Cameron, The Last Days of the Academy at Athens, " Proceedings of the Cambridge Philological Society" , 1 5 , 1 969 (ma 1 985, pp. 7-30), p. 11 e sgg; pp. 13 e sgg.

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I SABEI DI H A R R .ÀN E LA SCUOLA DI AT ENE

costosi sacrifici e, dunque, la stessa trasmissione rituale dell'antico patrimonio spirituale vivificato dal grande Damascio. L'ultimo diadoco, infatti, non solo aveva elevato il già notevole prestigio culturale della veneranda istituzione, ma era riuscito anche a far aumentare il numero dei discepoli diretti e persino quello degli " uditori " , gli abituali frequentatori che, pur non facendo parte della cerchia interna radicata nei valori tradizionali e nell'intensa vita rituale, usavano affollare le lezioni esterne dei maestri neoplatonici. È una realtà che aveva registrato un notevole successo già a partire dalle origini del neoplatonismo . Si ricorderà, per es. , che le famiglie dei senatori facenti parte della ristretta cerchia di ascoltatori che a Roma seguivano normalmente le lezioni di Plotino, usavano affidare a questo straordinario maestro di origine egizia non solo l'educazione dei figli, ma spesso persino la custodia dei loro beni. La separazione fra discepoli diretti e sempli­ ci " uditori " era stata unanimemente osservata in tutte le scuole di filosofia della storia ellenica e rimase molto rigida sino al tramonto del mondo classico. Quasi sicuramente si è trattato del riadat­ tamento " laico " di ordinamenti derivati dal mondo dell' antica misteriosofia che spesso andava a toc­ care direttamente anche le istituzioni profane. La partecipazione ai Misteri , infatti, era da sempre as­ sol utamente interdetta ai profani e rimaneva un di­ ritto esclusivo ed inalienabile degli iniziati. I rituali più qualificanti dovevano rimanere segreti e persi­ no la salmodia dei legomena, i supporti meditativi che evocavano uno status interiore nel quale si ri­ teneva possibile ottenere aperture di grado illumi­ nativo, doveva restare sconosciuta ai semplici fedeli esterni, anche nelle loro eventuali formulazioni più

GIUSTINIANO E LA SCUOLA DI ATENE

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semplici e comprensibili. E per oltre u n millennio nessuno aveva osato pensare che si potesse alterare una simile prescrizione sacra .

II ARTE, TEURGIA E RITUALI SACRI

Recenti scavi archeologici effettuati nel lato nord dell'Areopago hanno portato alla luce parecchie sta­ tue di divinità 1• Il sito si trova non lontano dal Parte­ none in cui si presume dovesse trovarsi l'elegante edi­ ficio della Scuola e forse la stessa residenza del primo diadoco Plutarco. Marino ricorda (V. Procli 2 9 ) che la casa di Plutarco era stata costruita nel cuore della città, non lontano dal tempio della dèa Athena sull'A­ cropoli, in una zona molto vicina ai templi di Asclepio e di Dioniso. Durante gli anni della sua direzione an­ che Proclo ebbe il privilegio di stabilire nella casa di Plutarco la propria redidenza. Come appare eviden­ te, anche questi aspetti esteriori fanno emergere con forza la profonda adesione ai valori tradizionali da parte dell'élite che dirigeva l'Accademia, e la volontà di custodire inalterati gli antichi rituali qui praticati da sempre e senza interruzione. Ed è proprio questa stessa ambientazione a permettere di ipotizzare che l'edificio, con le sue molte effigi di divinità e con la fila ininterrotta di statue che onoravano personalità di ri­ lievo, agli occhi dei dignitari neoplatonici era diventa­ to l'immagine di un vero e proprio centro spirituale, un simbolico Umbilicus Mundi. l

Cfr. A. Frantz, From Paganism to Christianity in the Temples of A thens, " Dum barton Oaks Papers " , XIX, 1 965, pp. 1 87207; Id., Pagan Philosophers in Christian Athens, " Proceedings of Amerièan Philosophical Society" , 1 1 9, 1 975, pp. 29-3 8; H . Thompson, Athenian Twilight, "Journal of Roman Studies " , 4 9 , 1 959, pp. 6 1 -72.

l SA BEI DI H A R R .ÀN E LA SCUOLA DI AT ENE

Fra i molti reperti riportati alla luce, sono emer­ se non solo le statue di Herakles ed Hermes ---le due divinità che usualmente avevano lo specifico compi­ to di proteggere il Gymnasium---, ma anche quelle di alcuni importanti personaggi che avevano dato lustro alla Scuola . Per sottrarle alla furia distrutti­ va delle autorità. bizantine che volevano cancellare quanto restava dell'insegnamento tradizionale, le sculture erano state nascoste con estrema cura dagli ultimi neoplatonici poco prima della definitiva chiu­ sura. Significativamente, si è trovato anche un busto che quasi certamente raffigura l'austero Plutarco di Atene, il primo diadoco della Scuola. Plutarco era il nipote del " divino " Nestorio, un teurgo famoso per i suoi poteri sovrannaturali, poi onorato dal successore, il diadoco Siriano che gli dedicò persino un Inno. Aveva rifondato la Scuola come se avesse dovuto continuarne l'attività nelle medesime forme praticate dall'antica Accademia platonica, ma con­ temporaneamente si curava di alimentare il proprio magistero con l'intensa pratica della teurgia2• D'al­ tronde, Plutarco non aveva mai preteso di presentar­ si come uno dei tanti insegnanti di qualche sofistica­ to, e tutto profano, sistema filosofico dispiegantesi esclusivamente su un piano di astrazione logica e descrittiva. La sua figura splendeva come quella di un vero e proprio maestro spirituale che, ripetendo antiche consuetudini ben conosciute anche in mol­ te altre religioni d'Occidente e d'Oriente, non solo aveva ospitato a casa sua Siriano e Proclo, i suoi mi­ gliori allievi, ma li aveva ammessi anche alla sapien2

Cfr. l'importante D. P. Taormina, Plutarco di A tene, Università di Catania, Catania 1 9 89, che contiene (pp. 1 07- 1 44) tutti i frammenti rimasti. V d. pure E. Èvrard, Le maftre de Plutarque d'Athène et /es origines du néoplatonisme athénien, "L'Anti­ quité Classique " , 29, 1 960, pp. 1 0 8 - 1 3 3 .

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z a segreta trasmessagli dal suo celebre avo, il teur­ go Nestorio. In virtù di queste tradizioni custodite scrupolosamente nella sua famiglia che, d'altronde, resteranno pienamente vitali almeno fino alla chiu­ sura della Scuola di Atene, Plutarco venne sempre considerato uno degli ultimi detentori della sapienza veicolata da rituali molto riservati. Si tratta di un antico retaggio che comprendeva anche preghiere ( évruxia) e supporti evocativi ( EÀ.E 1tavm ( "Spogliati di tut­ to!"; Enn. V, 3 , 17) . Non solo, ma tutto il sistema di rappresentazione grafica, le invocazioni e le formule incantatorie spesso si accompagnavano anche a quel vero e proprio veicolo di trasfigurazione costituito 15

L a sua importanza è stata colta d a V. Manzelli, L a policromia nella statuaria greca antica, "Studia Archaeologica " , 69, L'Er­ ma di Bretschneider, Roma 1 994, pp. 3 3-90, e F. Portai, Sui colori simbolici, Luni, Milano 1 997, pp. 1 5-30. Com'è noto, il simbolismo che sottende l'uso rituale dei colori si trova, fra l'altro, anche in a lcune speculazioni che hanno sostanziato il sufismo islamico: H. Corbin, Realismo e simbolismo dei colori nella cosmologia shtita, SE, Milano 2 0 1 1 .

A R T E , T E U R G I A E R I TU A L I SAC R I

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dalla musica sacra che, i n speciali condizioni di pie­ nezza interiore, doveva ricondurre il myste a quella che Angelo Sodano ha chiamato l ' " anamnesi dell'ar­

monia divina da parte dell'anima" .

Le dottrine armonicali sono state costantemente coltivate dai pitagorici di tutti i tempi innanzitutto per le loro implicazioni aritmosofiche, poi per il ric­ co simbolismo cosmico che ne sostanziava la com­ plessa formulazione, infine per la speciale articola­ zione recitativa che consentiva al myste di accedere a ritmi riferibili ad una vera e propria " gerarchia celeste " 16• Si ricordi, per es. l'importanza attribuita da tutti i neoplatonici al Manuale di Armonica di Nicomaco di Gerasa che completava gli altri suoi scritti sul simbolismo numerico e geometrico17• Tutti insieme, questi libri formavano un articolato com­ plesso di sapienza aritmosofica che possono sempli­ cisticamente minimizzare o relativizzare solo quanti ignorano la portata rituale delle scienze aritmosofi­ che ed armonicali dell'antichità. Spiegava Giambli­ co: "noi diciamo che suoni e melodie sono consacrati

singolarmente a ciascun dio, che ad essi è stata asse­ gnata una connaturalità in maniera proporzionata al rango e alla potenza propri a ciascuno, ai movimenti dello stesso universo, ai suoni armonici che romba­ no da questi movimenti" (Myst. III, 9, 119 , Sodano ) . Come appare evidente, nella prospettiva soteriologi-

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Cfr. N . D'Anna, Da Orfeo a Pitagora, Simmetria , Roma 2 0 1 1 , pp. 224-236. Cfr. F. R . Levin, The Manual of Harmoni es of Nicomachus the Pythagorean, Grand Reprinds, MI, 1 994 (il testo era stato cu­ rato da K. von Jan in Musici Scriptores Graeci, Lipsiae 1 8 95, rist. Hildesheim 1 962). Nicomaco visse fra il I e il II sec. d. C. e fra i suoi molti scritti, utilizzati correntemente nei libri dei neoplatonici, qui ricordiamo solo l'Introduzione A ritmetica, l'Introduzione alla Geometria, il celeberrimo Theologoumena arithmeticae e persino una Vita di Pitagora.

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ca di questo straordinario maestro neoplatonico, l'e­ sperienza mistico-contemplativa non è solo la mèta che dà significato universale ad ogni costruzione meramente astratta . Al contrario, si presenta come l'unica autentica realtà in grado di elevare alla vera conoscenza, quella che supera infinitamente il livello logico-riflessivo e tocca la dimensione della pura tra­ scendenza . Ogni speculazione filosofica, infatti, pro­ prio per la sua caratteristica essenziale di muoversi esclusivamente sul piano mentale, può essere consi­ derata solamente una semplice preparazione teorica nei processi di trasfigurazione interiore che supera­ no la condizione umana e intendono avviare verso l'esperienza diretta della dimensione sovrannaturale . In ogni civiltà radicata nei valori tradizionali, i simboli non sono mai astrazioni grafiche, " graziose " pittografie o rozze immagini senza alcun valore, ri­ conducibili alla fantasia di qualche artista-artigiano, oppure ad un aspetto di quella che alcuni studiosi moderni hanno chiamato, con malcelata disistima, " mentalità primitiva " . Al contrario, agli occhi di ogni autentico myste si svelano come importanti supporti rituali che raffigurano graficamente "pia­ ni " , " livelli " o " gerarchie celesti " in grado di agire sulla stessa volontà degli dèi. Hanno una concreta funzione evocativa e addirittura questo loro potere sacro viene messo in stretta relazione con le diverse forme di sacrificio, con i vari gradi di preghiera e, soprattutto, con !'"incantazione" che agisce sui ritmi che ordinano la molteplicità degli stati dell'essere ed indirizza il myste verso la dimensione spirituale. Si può aggiungere che i rituali comprendevano anche un articolato uso della "potenza " veicolata dai co­ siddetti " nomi mistici " e da speciali suoni ritmati secondo modalità in grado di elevare direttamente verso la dimensione divina. Disponendo, per es . , le

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vocali dell'alfabeto in corrispettivo dei segni dei sette pianeti e le consonanti in rapporto alle costellazioni zodiacali, il teurgo intendeva agire ritualmente sulla struttura " sottile " dell'intera manifestazione ed ele­ varsi verso il divino Logos che ne ha determinato l'esistenza e l'ordine complessivo. Non solo, poiché ogni astro era considerato il veicolo di manifestazio­ ne di una determinata divinità , questa stretta corri­ spondenza fra lettere, fonemi, astri e ritmi cosmici evidenziava anche l'importante ruolo coperto dalle varie "potenze divine " nei rituali che toccavano l 'in­ tera cosmologia arcaica. Animati dalle operazioni sa­ cre e dalla speciale liturgia incantatoria che ritmava fonemi e suoni, si riteneva che questi grafismi, segni, immagini e figure potessero evocare una determina­ ta entità divina, far emergere prospettive cosmolo­ giche, significati e realtà celesti sulle quali ordinare i ritmi di una vita ormai trasfigurata e ricondotta alle sue scaturigini trascendenti 1 8 • L e dottrine fonetiche esposte da Proclo nell'In Cratylum19, assieme alle raffinate formulazioni er­ meneutiche che intendevano dare un significato non transeunte alla costruzione delle parole, dei termini e della frase, fanno ritenere che questo sistema sim­ bolico doveva possedere anche un potere anagogico che in virtù dell'intensa pratica rituale trasfigurava l'anima dell'iniziato, ormai perfettamente purificata, e risvegliava la presenza del Divino. Questa speciale dottrina fonetica secondo Proclo era ben conosciuta anche da Platone che ne parla in alcuni punti della

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Su questi aspetti magico-teurgici dell'uso dell'alfabeto resta imprescindibile F. Dornseiff, Das Alphabet in Mystik und Ma­ gie, (coli. "Stoicheia " , VII ) , Leipzig-Berlin 1 927. S i vd. Proclo. Lezioni sul " Crati/o " di Platone, Introduzio­ ne, traduzione e commento di Francesco Romano, L' Erma di Bretschneider, Roma 1 9 8 9 .

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sua opera ---come dire che veniva considerata patri­ monio dell 'élite spirituale dell'intera Ellade. Nel suo aspetto più immediato, intendeva trasporre il signi­ ficato dell'articolazione linguistica, e persino quello della formulazione delle singole parole che nel lin­ guaggio quotidiano sembrano prive di ogni auten­ tica vitalità e consistenza, in una realtà " sottile " che trascende il transeunte e può indirizzare verso la di­ mensione sacra . È probabile che la potenza evocativa attribuita all'uso rituale di quello che aveva tutte le caratte­ ristiche di un linguaggio sacro, si rivelava in modo speciale in occasione delle invocazioni dei nomi e degli attributi delle divinità, della loro ripetizione modulata oppure durante la recita di quel tipo di incantazioni indicate da Giamblico e dagli altri mae­ stri neoplatonici come caratteristiche delle operazio­ ni teurgiche . Perciò, spiega Proclo, "la creazione dei

nomi non appartiene a chicchessia, ma a chi contem­ pla l'Intelletto e la natura degli enti" 2 0• Per i maestri

neoplatonici la formulazione di una termi riologia sacra non può in alcun modo essere attribuita al ri­ sultato di una inesplicabile casualità legata agli ac­ cadimenti empirici e transeunti, ma assume caratteri quasi-demiurgici, sempre ignorati dai retori ellenici prigionieri dalla loro abituale vita profana, ma ben conosciuti da coloro che intendevano restare radica­ ti nella loro millenaria tradizione. Come si vede, operare in una dimensione liturgi­ co-sacramentale in grado di coniugare suoni, termi­ ni, simboli, numeri e divinità, permetteva al teurgo di agire direttamente su una vera e propria gerarchia di piani, livelli o gradi dell'essere universale. L'inten­ to era quello di far emergere l ' " essenza " più autenti-

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lvi, p. 6.

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c a dell'intera manifestazione che si dispiega a partire dalla realtà corporea fino alle gerarchie più elevate, là dove dimorano gli stessi dèi.

III MAZDAK, KHUSRAW E GIUSTINIANO

In una importante memoria del 19 8 3 , che no­ nostante il tempo trascorso non ha perso nulla del suo interesse, Gianfranco Fiaccadori 1 ha mostrato che è possibile collegare il celebre provvedimento legislativo di Giustiniano, da un lato alla comples­ sa lotta politica che in Oriente si stava sviluppando per l'affermazione definitiva della tradizione zara­ thustriana e, dall'altro, alla persecuzione dell'eresia mazdakita2 condotta da Khusraw I Aniishirwan ( = l

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G. Fiaccadori, Il tramonto dell'Accademia. I. Kavadh, in A A . Vv. , XXX Corso di cultura sull'arte ravennate e bizantina. Semina­ rio giustinianeo, Ravenna 6/ 1 4 marzo 1 983, pp. 255-2 7 1 . Utile anche le indicazioni di Christelle Jullien, VI' siècle, un temps de réformes en Iran. É chos dans l'Église syro-orientale?, " Parole de I'Orient" , 2008, pp. 2 1 9-232. Un'eccellente analisi comparativa che valorizza ampiamente i ricchi contributi dell'iranistica, ha fatto Beniamino Melasecchi, Il L6gos esiliato. Gli ultimi A c­ cademici alla corte di Cosroe, in Lanciotti-Melasecchi (curr. ) , Scienze tradizionali i n Asia. Principi e d applicazioni, Formari Editore, Perugia 1 996, pp. 1 1 -43. Franco Trabattoni (Per una biografia di Damascio, " Rivista di Storia della Filosofia " , 40, 1 985, pp. 1 79-20 1 ) ha mostrato l'importanza dell'insegnamen­ to di Isidoro nel periodo finale della Scuola di Atene. Nel mazdakismo sono state trovate anche tracce di dottri­ ne neoplatoniche e neopitagoriche. Cfr. F. Altheim-R. Stiehl, Mazdak und Porphyrios, in "La Nouvelle Clio " , V, 1 953, pp. 356-376. Sempre importante A. Christensen, Le règne du roi Kaviidh I et le communisme mazdakite, Copenhague 1 925; Id., L'Iran sous /es Sassanides, Copenhague 1936, pp. 3 1 1 -357. Cfr. O. Klima, Mazdak. Geschichte einer sozia/en Bewegung im sassanidischen Persien, Praha 1 95 7, pp. 2 1 2 e sgg.; G. Pu­ gliese Carratelli, Genesi e aspetti del Mazdakismo, " La Parola del Passato " , 27, 1 972, pp. 6 6 - 8 8 . Eccellente sintesi in A. Bau-

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"Anima immortale " )3 • Sarà proprio Khusraw, con­ siderato il custode dell'ortodossia mazdea, ad assu­ mersi il compito di riparare i gravi scossoni provo­ cati nell'impero sassanide dal movimento eterodosso dei mazdakiti. La loro predicazione, infatti , alterava non solo le basi religiose dell'impero regolato attor­ no ai valori e ai simboli della religione zarathustria­ na, ma anche la sua stessa gerarchia feudale che sin dai tempi indo-iranici reggeva l'ordinamento sociale e civile4• Gianfranco Fiaccadori ritiene che l'Editto giustinianeo a bbia voluto impedire non solo alla esigua élite di dotti da lui qualificati come " elleniz­ zanti " , ma anche alle variegate correnti gnostiche e manichee che percorrevano da anni l'impero bizan­ tino, di dare vita a tentativi di alterazione politica o a sommovimenti sociali accostabili a quelli che in Persia avevano visto l'emergere del comunismo fra i fedeli laici di Mazdak. Si può notare che la grande importanza assunta dalle numerose sette gnostiche, i cui predicatori girovagavano continuamente nell'im­ pero e in tutto il Vicino Oriente, probabilmente era

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sani, La Persia religiosa, Milano 1 95 9, pp. 1 2 0 - 1 3 0 . Vd. anche G. Widengren, Les Religions de l'Iran, Payot, Paris 1 96 8 , pp. 3 4 1 -343. Sul ruolo complessivo del re Khusraw e sulla costruzione dello stato sassanide cfr. F. Altheim -- R. Stiehl, Ein Asiatischer Staat. Feudalismus unter Sasaniden und ihren Nachbern, Limes-Verl, Wiesbaden 1 954, pp. 1 29-255, che riprende (pp. 1 8 9-206) an­ che il suo precedente saggio su Mazdak e Porfirio (poi ripre­ sentato ancora in Id., Geschichte der Hunnen, 5 voli., Berlin 1 95 9-62, III, 1 9 6 1 , pp. 6 1 - 8 0 ) . Cfr. anche la ricca analisi di Ri­ chard Frye, La Persia preislamica, Il Saggiatore, Milano 1 963, pp. 292-297. Seguiamo essenzialmente Geo Widengren, Der Feudalismus

im alten Iran. Miinnerbund, Gefolgswesen, Feudalismus in der iranischen Gesellschaft im Hinblick auf die indo-germanischen Verhiiltnisse, Springer Verlag, Koln, 2 0 1 3 , part. pp. 9-44; pp. 64-95 . Cfr. anche Pio Filippani Ronconi, Zarathustra e il Mazdeismo, Irradiazioni, Roma 2007, pp. 60-83.

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dovuta anche a l fatto, certo non secondario, che per esigenze espositive legate allo speciale ambiente in cui operavano, oppure per semplice chiarezza dot­ trinale, nei loro testi spesso venivano rimodulate speculazioni riconducibili alla veneranda tradizione pitagorica e ad alcuni aspetti dell'ineludibile fondo "platonico " della cultura tardo-antica. Secondo Gianfranco Fiaccadori la straordinaria coincidenza temporale del rigido provvedimento an­ tipagano voluto dal governo bizantino con la durissi­ ma persecuzione contro i mazdakiti di Persia, mostre­ rebbe gli intenti politici sottesi dall'azione legislativa di Giustiniano. La sua autentica portata oggi si fa persino fatica ad individuare nei fondamenti più ca­ ratterizzanti . Assieme a quasi tutti i dignitari del suo movimento, lo stesso Mazdak verrà ucciso nel 529 in occasione della festa del dio Mithra (Mihragiin) , forse con l'intento di ripetere i l medesimo archetipo rituale che aveva portato secoli prima il re Dario a sterminare i Magi ribelli seguaci di Gaumata duran­ te la festa di Mithrakiina5• La somiglianza di questi due episodi della storia religiosa mazdea, conclusi entrambi con una importante ristrutturazione degli equilibri religiosi e politici, non può in alcun modo essere considerata casuale. Potrebbe persino sugge­ rire che per i mazdei l'annientamento dei mazdakiti assumeva una dimensione quasi-escatologica che esi­ geva un intervento palesemente purificatorio: la rea­ zione del clero ortodosso doveva riflettere e riattua­ lizzare un aspetto dell ' e k pyros is finale . Mazdak era stato convocato a corte da Khusraw per affrontare i sacerdoti zarathustriani in quella che il Denkard e 5

Cfr. le insuperate indicazioni di Arthur Christensen, Le regne de Kavadh I et le communism mazdakite, Lunos, Kopenhague 1 925. Cfr. anche G. Widengren, Les Religions de l'Iran, cit. , p. 343.

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lo Zand l Wakman Yasn6 confinano nell'ambito di una delle continue ed abituali dispute fra dotti. In realtà, tutto sembrerebbe indicare che si è trattata di una vera e propria ordalia sacra che ha investito di­ rettamente le più alte gerarchie sacerdotali delle due tradizioni, con conseguenze disastrose ed irreversibi­ li per Mazdak e per l'intera élite che guidava il suo movimento. Agli occhi di ogni Elleno radicato nei costu­ mi patrii doveva apparire veramente fatidica questa coincidenza storica che vedeva i due imperi avviarsi quasi contemporaneamente verso una rigida ortodos­ sia "nazionale" che diventerà il segno distintivo delle loro tradizioni anche nei secoli seguenti. Ugo BianchF ha sottolineato l'importanza di questa straordinaria contingenza e ha fatto rilevare, cosa che non può cer­ to essere considerata casuale, che proprio dall'incer­ to limes che divideva i due imperi emergerà l'Islam col suo impeto travolgente che trasformerà profon­ damente il tardo-antico. L'Islam non solo assorbirà e convertirà molte di queste antichissime tradizioni, ma con la sua inesauribile energia riuscirà a far emergere nuove forme spirituali, culturali e politiche in tutta l'area compresa nello sterminato arco geografico che va dalla Spagna fino all'India. Con ogni probabilità, l'evidente timore dell'im­ peratore bizantino che attorno alle sopravviven-

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Si rinvia a C. G. Cereti, The Zand i Wakman Yasn. A Zoroa­ strian Apocalypse, Roma 1 995, pp. 1 8 1 e sgg. Nei due testi si è conservata anche memoria di una durissima polemica anti­ manichea protrattasi ben oltre la conquista islamica dell'Iran. U. Bianchi, Sviluppi della teologia zoroastriana in età tardo­ antica, in L. Lanciotti (cur. ) , Incontro di religioni in Asia tra il III ed il X secolo, Olschki, Firenze 1 984, (pp. 55-78), p. 6 3 . V d . anche G. Gnoli, Universalismo e nazionalismo nell'Iran del III secolo, ivi, pp. 3 1 -54; Id., The Idea of Iran. An Essay on its Origin, ISMEO, Roma 1 9 89, pp. 1 5 7- 1 74.

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ti istituzioni pagane s i potessero coagulare istanze destabilizzatrici, poggiava su motivazioni molto concrete. Nonostante l'élitaria attività culturale e l'ormai ridotto interesse degli aristocratici pagani per la Scuola di Atene, proprio per il suo prestigio che nonostante tutto non trovava eguali neanche nel contemporaneo insegnamento neoplatonico di Ales­ sandria, già in passato attorno a questa istituzione accademica erano emerse consistenti istanze anti­ governative. Si voleva perciò impedire che l'esigua cerchia di aristocratici ancora saldamente legati al mondo che stava tramontando, potesse acquisire un ragguardevole spessore politico. È lo storico bizantino Agathias8 a dare rilievo a questa straordinaria congiuntura temporale che vedeva la contemporanea apparizione da un lato dell'Editto antipagano di Giustiniano e, dall'altro, delle Ordinanze persecutorie contro i mazdakiti nel vicino impero persiano: "L'esatta verità di quel che

avvenne prima e dopo l'età sua [c.d. Kavadh] è stata adeguatamente spiegata nelle narrazioni dei sapienti di un tempo [t6is pii/ai s6phois]. Ma i miei predeces­ sori hanno tralasciato un punto che è bene spiegare perché penso sia opportuno conoscerlo: è stupefacen­ te, infatti, che in quel tempo sia presso i Romani che presso i Persiani si siano svolti i medesimi avvenimen­ ti, quasi che contemporaneamente emergessero circo­ stanze contrarie ad ambedue gli stati. E così avvenne che nelle più alte autorità di entrambi sopraggiunges­ sero straordinari cambiamenti . . . " (Hist. IV, 29, 1-2) . 8

Seguiamo il testo stabilito da S. Costanza (cur. ), Agathias Scho­ lasticus, Historianum libri quinque, " Biblioteca di Helikon. Testi e Studi VII " , Università degli Studi, Messina 1 969. Cfr. anche A. Cameron, Agathias, Clarendon Press, Oxford 1 970, e il ricco Id., Agathias on the Sassanians, " Dum barton Oaks Press " , 3 3-34, 1 96 9- 1 970, pp. 6 7- 1 8 3 . Si ritiene che Agathias a bbia scritto la sua opera attorno al 5 8 0 d. C.

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La vitalità di questi eterogenei fermenti religiosi e politici che percorrevano il mondo tardo-antico può essere avvertita con chiarezza nelle numerose agita­ zioni sociali che affioravano continuamente in molte regioni dell'impero. Ma forse è possibile cogliere il loro reale significato anche in quei veri e propri in­ dizi di una profonda attività anti-governativa costi­ tuiti dai cospicui frammenti anti-cristiani attribuiti a Proclo e analizzati con rara perspicacia da H. D. Saf­ frey9. Lo studioso non solo ha riportato in un alveo propriamente religioso tutta una serie di dispute dot­ trinali e para-politiche coperte da un tenue velo che le faceva apparire come semplici contese filosofiche, ma ha anche elencato quelle che chiama "espressio­ ni stereotipate" abitualmente adoperate da Proclo e Marino per designare spregiativamente gli avversari cristiani. Si tratta di una serie di parole e vocaboli co­ struiti su una struttura espressiva che esalta il ruolo sovvertitore dei cristiani (e dell'intera tradizione cri­ stiana ), spesso identificati con entità della mitologia tradizionale personificanti il caos e l'empietà : "estra­

nei al nostro mondo" , "giganti-avvoltoi" , "venti titerribile" ' "atei" ' "disordine" ' l1onici" ' l. ' "con1usione "empietà", "ignoranza", "coloro che ribaltano i comandamenti divini" , "coloro che [nei rituali] toccano con mano quello che non si deve toccare", ecc. Secon­

do queste indicazioni del diadoco Proclo, l'attivismo, la forza di conversione, il successo travolgente della nuova religione e la conseguente proibizione di ogni attività sacrificale che interrompeva la comunicazione con la sfera celeste, avrebbero consentito prima l'evo­ cazione e poi l'affioramento nel nostro mondo di tutte 9

Cfr. D. H. Saffrey, Allusions anti-chrétiennes chez Proclus, le diadoque platonicien, ora in Id., Recherches sur le Néoplato­ nisme après Plotin, Librairie Philosphique J. Vrin, Paris 1 990, pp. 20 1 -2 1 1 .

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le entità malefiche alluse tramite queste "espressioni stereotipate" . Solo così queste entità malvagie avreb­

bero avuto la possibilità di precipitarsi concretamente nella realtà umana e sociale della civiltà classica, pro­ vocando l'alterazione o addirittura il vero e proprio sovvertimento delle residuali basi sacrali sulle quali era stata edificata . Come si vede, la funzione complessiva di questi termini molto particolari va molto oltre la semplice polemica filosofica , l'ingiuria politica o l 'irrisione nei confronti di avversari giudicati ignoranti ed incapaci di cogliere le profondità della cultura tradizionale. La loro stessa formulazione da parte di Proclo, con­ siderato unanimemente un raffinato maestro nella composizione della frase e dei suoi termini, sugge­ risce la precisa volontà di far emergere quello che doveva apparire come un sostrato psichico di ori­ gine " tifonica" dal quale avrebbe preso consistenza la nuova forma religiosa che intendeva sostituire le antiche tradizioni . Perciò nel suo dotto studio sull'In Cratylum Proclo insisterà ripetutamente sull'impor­ tanza dottrinale, simbolica e rituale della costruzio­ ne dei nomi e sull' uso di una fraseologia sacra molto articolata che trasforma l'ermeneutica in una vera e propria " forma antologica " . Spiega Raoul Mortley: " le parole teurgiche sono soltanto un aspetto della più ampia e profonda tendenza [dei neoplatonici] a inserire il linguaggio dentro l'ambito di competenza dell'ontologia"10• Ed è di tutta evidenza che lo specia­ le " meta-linguaggio" che aveva in vista Proclo, pro­ prio per i suoi legami con i simboli e con il sostrato teurgico che li animava, avrebbe dovuto evidenziare, fra l'altro, anche le condizioni di degrado, disordine, 10

R. Mortley, From Word t o Silence, Bonn 1 9 86, II, p . 1 56, i n F. Romano-A.Tisè, Questioni neoplatoniche, Università di Cata­ nia, 1 9 8 8 , p.20.

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alterazione e sovvertimento nelle quali ormai sem­ bravano affondare le antiche forme religiose. Come si vede, l'uso di parole costruite su per­ sonaggi, immagini o figure mitologiche che doveva­ no personificare le potenze del caos, non risponde affatto ad una semplicistica e transeunte polemica derisoria contro avversari considerati privi di ogni pur minimo valore. Al contrario, si tratta di aspetti che rinviano ad un vero e proprio combattimento portato su un piano " sottile " , là dove si credeva pos­ sibile cogliere la radice inudibile del suono (il " suono puro " o il " suono-che-non-suona " , avrebbero detto i Pitagorici l 1 ) , ed ha preso consistenza la realtà delle " potenze notturne " che si intendeva combattere. Lo scontro, perciò, deve svilupparsi sullo stesso piano pre-formale nel quale operano le " forme formanti " che hanno dato consistenza alle potenze estranee che insidiano il mondo classico . È una lotta " sotti­ le" che probabilmente ha avuto inizio all'alba stessa del neoplatonismo, forse a partire dal momento in cui Platino scrisse il suo celebre trattato contro gli gnostici e Porfirio ritenne necessario compilare una biografia del suo maestro ricca di simboli ancestrali. Si tratta di testi che documentano indubitabilmente l'ostilità dei pensatori "platonici " nei confronti di tutti coloro che evocavano la distruzione delle anti­ che forme religiose. D 'altronde, già nella celebre Vita Platini è possibile trovare tutta una serie di "sottin­ tesi anti-cristiani" formulati con l'intento di trasfor­ mare questo conosciutissimo testo agiografico del 11

Sulla dottrina armonicale del pitagorismo e sul simbolo del

lambdoma, cfr. N. D'Anna, Da Orfeo a Pitagora, cit., pp. 224236; Id., Hans Kayser e l'armonia del mondo, Libreria Editrice Aseq, Roma 2 0 1 5 , pp. 37-64, che qui sviluppa anche alcuni punti del celebre libro di Albert von Thimus, Die Harmonikale Symbolik des Altertums, 2 voli . , Koln 1 8 6 8-76 (rist. G. Holms, Hildesheim-Ziirich 1 9 8 8 ) .

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paganesimo, i n quello che Lucien Jerphagnon ha considerato un "manifesto " neoplatonico, un vero e proprio " contro-vangelo di Platino" scritto quando gli stessi membri della corte imperiale cominciavano a considerare indifferibile lo scontro diretto e senza quartiere con il cristianesimo12• Damascio ricorda che il legittimo e fondato ti­ more di complotti contro la sua vita aveva costretto anche i.l diadoco Marino a fuggire da Atene e a riti­ rarsi ad Epidauro: "a causa della sedizione Marino si

ritirò da Atene ad Epidauro temendo intrighi contro la sua vita" (V. Isid. 266). Da parte sua il cristiano Fozio (Bibl. II, cod. 18 1) elenca una serie di dure

critiche mosse a Damascio dalle gerarchie religiose bizantine che lo accusavano di empietà ed idolatria per la sua adesione alla religione tradizionale, e ad­ dirittura lo additavano come un pericoloso avver­ sario a causa dei ripetuti attacchi contro le dottrine cristiane. D 'altronde, nei suoi scritti Damascio (V. Isid. 18 5 ) non solo aveva ricordato i continui soprusi e le pesanti bastonature subite dal fratello Giuliano ad Alessandria, ma era andato oltre non risparmiando nessuna critica agli avversari . Si era curato perciò di elencare la lunga serie di persecuzioni subite nel pe­ riodo degli studi da Giuliano e da tutti coloro che

12

Seguiamo le articolate analisi di Lucien Jerphagnon, Les sous­ entendus anti-chrétiens de la Vita Plotini ou l'È vangile de Plotin selon Porphyre, "Museum Helveticum " , 47, 1 990, pp. 4 1 -52; Id., La Vita Platini et la polémique anti-chrétienne. Le contre-évangile de Plotin selon Porphyre, in Aa.Vv. , Metexis, Athene 1 992, pp. 1 5 3 - 1 6 1 . Sulla complessa temperie culturale che in quel tempo emergeva con forza, possono risultare uti­ li A. Garzya, Ideali e conflitti di cultura alla fine del mondo antico, "Maia " , 20, 1 96 8 , pp. 301 -320; Maria Di Pasquale Barbanti, Note sulle trasformazioni filosofiche e religiose della tarda antichità, in "Xp6voç" , 1 0, 1 998, pp. 1 3 -3 1 .

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intendevano restare ancora fedeli alle proprie radi­ ci " elleniche " : devastazione dei templi più venerati, maltrattamento dei sacerdoti, riconversione forzata di molti santuari, distruzione del tempio di Iside, de­ molizione del celeberrimo Serapeo, uccisione di Ipa­ zia , ecc. Fozio (Bibl. II, cod. 126 a 16 - 18 ) conclude la sua relazione accusatoria contro l'ultimo diadoco di Atene dicendo che "lo [ = Dama scio] si vede parlare

contro la nostra santa fede, anche se gli manca il co­ raggio di mostrare apertamente il suo malanimo " . I n V. Isid. 2 5 8 si trova un cenno non benevolo di Damascio alla fìdes christiana e nel successivo fr.

3 6 0 emergono alcune sue durissime proteste sulla miseria morale e umana favorita dall'inarrestabi­ le successo dei tempora christiana. Come ogni pio pagano del suo tempo, egli l'attribuiva senza alcuna esitazione all'empietà della nuova fede che non te­ meva di incoraggiare la distruzione dei venerati tem­ pli e di rendere impossibili i sacrifici agli dèi. In V. Isid. 103 troviamo anche un'accusa contro i vescovi (oi �yq.t.6veç) le cui insanabili divisioni dottrinali e le rivalità politiche a suo parere favorivano le san­ guinose lotte intestine, i continui scontri e i disor­ dini civili incontrollati . A conferma delle eccellenti informazioni di Damascio sulla concreta situazione del cristianesimo nell'impero, troviamo persino un breve cenno sulla figura di Sant'Atanasio (V. Isid. 179 ) , il patriarca di Alessandria che ai suoi tempi era emerso potentemente come uno dei rarissimi difensori dell'ortodossia cristiana dagli assalti della montante eresia · ariana, subendo angherie e maltrat­ tamenti molto simili a quelli che stavano soffrendo gli ultimi " Elleni " . Dal punto di vista della religione tradizionale, il trionfo del cristianesimo comportava l'inarresta­ bile interruzione di ogni collegamento rituale con la

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realtà trascendente. Non solo, m a l a stessa proibizio­ ne dei sacrifici sacri, voluta dagli imperatori cristia­ ni, non poteva certo essere considerata " innocua " o priva di effetti reali perché aveva comportato, come conseguenza immediata, le immani distruzioni pro­ vocate dalle invasioni barbariche e lo stesso saccheg­ gio di Roma del 4 10 ad opera dei Goti . Com'è noto, la difesa da quest'accusa infamante fu uno dei moti­ vi di fondo che convinsero Sant'Agostino a scrivere un intero capitolo del De Civitate Dei (cap. I, 1- 10 ) per mostrarne l'inconsistenza. Tuttavia, nel testo a noi pervenuto del De prin­ cipiis e dell'In Parmenidem, forse le due opere più importanti di Damascio, non si trova nessun cenno che possa far pensare ad una critica, anche episodi­ ca, delle dottrine cristiane. Secondo molti studiosi la cosa può essere spiegata agevolmente tenendo pre­ sente l'insanabile disprezzo da lui nutrito nei con­ fronti dei suoi avversari . Come si vede, si tratta di una lunga serie di segni, indicazioni e testimonianze che attestano non una occasionale polemica contro singoli aspetti del cristianesimo trionfante, ma mo­ menti significativi di un ampio scontro fra civiltà considerate antagoniste . L'intento vero era quello di far assumere al conflitto contorni politici che pote­ vano incidere direttamente sui valori di quella "lot­ ta per l'ortodossia nel platonismo tardo " descritta minutamente da Polymnia Athanassiadi in un suo fortunato libro con quel titolo. Si può anche notare che la stessa città di Atene appariva profondamente intaccata da correnti politiche e spirituali di diversa provenienza, ma tutte concordi nella volontà di eli­ minare alcuni elementi fondamentali della sua iden­ tità tradizionale. In quello straordinario documento filosofico, culturale e dottrinale sul tardo-antico che è la sua

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celebre Vita Isidori, Damascio annoterà il pullulare disordinato ad Atene di una folla di autoproclama­ tisi grammatici, sofisti e retori che si incontravano ovunque, girovagando senza alcun freno o la mini­ ma decenza . Opportunisti e avventurieri senza radi­ ci, costoro arrivavano in città senza mostrare mai interesse o attenzione per i valori sacri e contribui­ vano, allegramente e inconsapevolmente, a demolire l'ordine intellettuale che per secoli aveva alimentato le Accademie della città 1 3 • Lo stesso " Grande Isido­ ro " era diventato celebre anche per quel suo "gran rifiuto " della nuova religione cristiana che, a suo pa­ rere, non lasciava alcuno spazio d'azione per i filo­ sofi di tradizione " platonica " intenzionati a svolgere la propria funzione completamente separati da ogni rapporto col nuovo potere costituito. D amascio ha sempre esaltato l' abituale rigore morale del suo maestro ricordando che "somigliava

[ . . . ] ad un Veggente nel punto in cui coglieva la stes­ sa Verità " ( V. Isid. , 3 7) . La Suda 33 attesta che !si­

doro si considerava un continuatore delle dottrine di Giamblico, dal quale aveva ereditato indicazioni importanti su quella che chiamava } ' " illuminazione spirituale " (EUJ.lotpia) che lo aveva reso in grado di avere un rapporto diretto con la dimensione divina celata dietro le apparenze del mondo corporeo. E Damascio aggi unge che non era raro vederlo splen­ dere di luce: il suo corpo si trasfigurava rivelandosi come "l'apparizione luminosa di colui che, puri­ ficato ed ispirato dal dio, accoglie in sé tò Kattòv 1tVEUJ.la. Questa luce divina risplendente nell'intimo

di Isidoro emanava più fortemente allorché l'ani13

Cfr. M. D i Franco, L a città dei filosofi. Storia di A tene da Mar­ co Aurelio a Giustiniano, Olschki, Firenze 2006, (vd. in part. il cap. IV, pp. 1 1 5- 1 79, dove viene studiata la filosofia politica ellenica da Plutarco a Damascio) .

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m a s i sottraeva alla sfera delle influenze delle cose sensibili" 14• Esattamente come tutti i " profeti " e i maestri delle tradizioni riemerse nel tardo-antico, Isidoro era considerato anche un a utorevole veggente che, fra l'altro, riusciva a prevedere con estrema esattez­ za gli accadimenti futuri ( V. Isid. 12-14, 25 ) . Non era un gran lettore di libri, detestava la vuota re­ torica che invece affascinava le classi dirigenti el­ lenizzate, evitava le eleganti, ma inutili discussio­ ni, apprezzava poco la poesia perché riteneva che l'ambito nel quale poteva esser concepita restava solo quello linguistico-formale e puramente astrat­ to, la stessa sua capacità espositiva era considerata mediocre, certo non all'altezza dei grandi retori o dei maestri di oratoria dell' antica Ellade. Tuttavia, spiega ancora Dama scio, "sembra che Dio abbia

voluto mostrare che era tutto anima e non una sin­ tesi di anima e corpo, e che non aveva introdotto la filosofia in questa unione, ma nella sola anima " ( V. Isid. 1 4 ) . Poi aggiunge : " lasciando ad altri la ca­ denza ritmica delle parole [ incantazioni, preghie­ =

re, invocazioni e inni sacri elevati durante i rituali teurgici e la meditazione] , si applicava a rivelare le

stesse realtà proferendo concetti più che parole. E tuttavia non illustrava meri concetti, ma l'essenza delle cose" ( V. Isid. 3 7 D ) .

L a breve durata della sua direzione della Scuo­ la di Atene aveva rivelato l'intento di restituire alle dottrine di Giamblico una assoluta centralità per­ ché profondamente permeate di forme misterio­ sofìche correlate all' arte teurgica. Isidoro, infatti, riteneva che proprio la loro ricchezza rituale po-

14

Così Rita Masullo, Retorica e realtà nella Vita Isidori, cit. , p . 224.

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tesse aiutare gli ultimi eredi del mondo classico a costruire un autentico baluardo " operativo " contro il cristianesimo trionfante . È evidente che un simi­ le disegno faceva emergere esigenze che andavano oltre le semplici necessità accademiche e, anzi, da­ vano un respiro universale alla stessa sua volontà di arrestare la decadenza della venerata istituzio­ ne, correntemente attribuita alla chiusura verso il mondo esterno da parte di alcuni dei più antichi ed autorevoli allievi di Proclo: Ulpiano, Egia, Zeno­ doto, Pericle di Lidia, Pamprepio ( secondo Dama­ scio, V. Isid. 109 , costui ebbe anche un ruolo molto importante alla corte dell'imperatore Zenone ) , et a/ii. Tutti questi neoplatonici, infatti, sembravano ignorare la dimensione " sottile " che alimentava la forza di conversione quasi incontenibile dei loro avversari . Preferivano restare immersi in un alveo puramente rituale e mistico-teurgico che li rende­ va quasi totalmente estranei agli accadimenti che li stavano travolgendo. La superficialità dei loro gi u­ dizi storici li allontanava sempre più velocemente dall'a utentica tradizione " platonica " che sempre aveva saputo intrecciare politica e forme religiose con sapiente equilibrio. Erano diventati incapaci di combattere le conseguenze sovvertitrici delle tra­ sformazioni di portata epocale che si sviluppavano sempre più velocemente davanti ai loro occhi . Non riuscivano nemmeno a cogliere la gravità delle de­ vastazioni che colpivano la religione tradizionale e percio sottoval utavano pesantemente le conseguen­ ze rovinose di questi sovvertimenti che ormai si svi­ luppavano ad ogni livello, anche in quello stretta­ mente istituzionale 15•

15

Cfr. F. Trabattoni, Per una biografia di Damascio, " Rivista di Storia della Filosofia " , 40 , 1 9 85, (pp. 1 79-20 1 ) , pp. 1 94- 1 95 .

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L a stessa abituale mitezza di Isidoro, arricchita sempre da una fierezza diventata celebre, non gli ha certo impedito di esprimere un durissimo giudizio su quel tipo umano che popolava il mondo a lui con­ temporaneo soffocando ogni aspirazione superiore:

"non compiva nulla di nobile né di liberale, era ser­ vi/e e fatuo, misura la felicità col ventre e il sesso" ( V. Isid. 1 8 ) . Per indicare lapidariamente la nuova realtà

politica, culturale e spirituale che aveva reso impos­ sibile ai neoplatonici operare in piena libertà , il suo allievo Damascio ( V. Isid. 3 8 ) userà l'espressione •a nap6vra ( "la situazione attuale "). Clemens Zintzen, il curatore della biografia isidoriana, riteneva di po­ ter rendere al meglio il significato di questa espres­ sione traducendola come "religionem Christianam" , mentre Alan Cameron pensava che l a formulazione più esatta fosse "regime cristiano " . Come si vede, la situazione di Atene e delle altre città nelle quali continuavano il loro insegnamento alcune residua­ li istituzioni educative di tipo " tradizionale " , sem­ brava ormai essersi stabilizzata in una direzione che impediva totalmente quell 'armonioso interagire di dottrine spirituali e istituzioni politiche auspicato da sempre da ogni autentico pensatore ellenico radicato saldamente nell'antico " platonismo " 16• Simplicio (Agathias, Hist. II, 30), originario del­ la Cilicia e senza dubbio alcuno il più importante fra gli allievi conosciuti di Damascio, aggiungerà (In Encheir. 32) che in tali condizioni il "filosofo " per quanto possibile deve restare in disparte al fine di

16

Per comprendere queste dimensioni sacre, rimaste sempre vi­ tali nel corso di tutta la storia del platonismo, restano impor­ tanti Julius Stenzel, Platon der Erzieher, Leipzig 1 928; Hein­ rich Friedemann, Platon. Seine Gesta/t, Berlin 1 93 1 ; Kurt Hildebrandt, Plato. Der kampf der Geistes um Macht, Berlin 1 933.

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non lasciarsi contaminare da una società diventata ostile, irrimediabilmente preda della corruzione e di una empietà generalizzata . Simplicio non sarà mai tenero nella lotta contro il cristianesimo trionfante . Persino nella sua dura polemica contro il teologo monofisita Giovanni Filopono, la spiegazione del si­ gnificato più veritiero della trascendenza divina ver­ rà inserita in un contesto di articolati attacchi contro la nuova religione . Fra l'altro, Simplicio intendeva mostrare anche che la difesa del patrimonio cultura­ le del mondo pagano non era un fine in sé, ma do­ veva sempre essere accompagnata dalle più elevate prospettive religiose radicate nella tradizione17• Assieme a Giovanni Filopono, suo importante condiscepolo poi diventato celebre come teologo mo­ nofisita, nella Scuola di Alessandria Simplicio aveva frequentato assiduamente le lezioni del maestro neo­ platonico Ammonio. Senza dubbio alcuno, Ammonio era stato uno dei più promettenti discepoli di Proclo, 17

Seguiamo Philippe Hoffmann, Sur quelques aspects de la polémique de Simplicius contre ]ean Philopon. De l'invective à la réaffermation de la trascendence du Ciel, in l. Hadot (cur. ) , Simplicius. Sa vie, son oeuvre, s a survie, cit. , pp. 1 8 3-22 3 . Come vedremo meglio in seguito, sarà Simplicio il vero protagonista dell'articolata presenza neoplatonica ad Harran . Philippe Hoffman riporta ( ivi, p. 2 0 6 ) anche una sua preghiera che mostra la profondità della sua spiritualità. Quattro preghiere di Simplicio che documentano l'elevatezza della sua esperienza spirituale sono state tradotte da l. Hadot, Le probléme du néoplatonisme alexandrin, cit. , p. 35-36 n. 9. Un profilo del suo collega alessandrino Giovanni Filopono diventato un teologo monofisita che, tuttavia, ha permeato profondamente alcune sue opere con un simbolismo numerico di origine pitagorica, si trova in G. Giardina, Giovanni Filopono matematico, CUECM, Catania 1 9 99, pp. 3 - 3 5 . Cfr. anche H. D. Saffrey, Le chrétien

]ean Philipon et la survivance de I' È cole d 'Aiexandrie au VI siècle, "Revue des Études Grecques " , 6 7 , 964, pp. 3 96-4 1 0 , che si spinge fi n o ad ipotizzare, andando troppo oltre, che la Scuola neoplatonica di Alessandria divenne totalmente cristiana grazie a ll'azione di Giovanni Filopono.

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assurto alla notorietà per l'ineguagliata perizia ma­ tematica e per le ampie conoscenze astronomiche. E tuttavia, venne spesso biasimato dall'irreprensibi­ le Damascio per alcune sue interpretazioni dei testi considerate superficiali e, soprattutto, per la nota ed incontenibile avidità. Fra i suoi numerosi discepoli di­ venne meritatamente popolare per i ricchi commen­ ti alle opere di Platone e Aristotele. Ammonio aveva frequentato assiduamente le lezioni di Proclo assieme all'altro suo celebre confratello Asclepiodoto (Me­ taph. 271 , 3 e sgg.), apprezzato per il rigoroso stile di vita, per la pia abitudine di frequentare i templi e per i notissimi poteri taumaturgici CV. Isid. 1 1 6; 1 3 9; Suda, s. v. 'AcrKÀ:rprt6oo'toç). Sarà proprio Asclepiodoto a testimoniare l'importanza che tutti attribuivano alle interpretazioni di Ammonio sul simbolismo aritmoso­ fico ereditato dal pitagorismo. Particolare di notevole interesse che attesta una continuità polemica svilup­ pata principalmente su un piano di alto valore dottri­ nale, Asclepiodoto (Metaph. 2 7 1 , 3 3 ; 292, 26) ricorda che, come altri importanti maestri neoplatonici, anche Ammonio divenne noto per la sua durissima e mai in­ terrotta critica delle basi dottrinali che alimentavano il manicheismo di cui coglieva la fondamentale estra­ neità al mondo tradizionale ellenico . Dopo la morte di Ammonio, avvenuta forse dopo il 529, per breve tempo Giovanni Filopono resse la Scuola di Alessan­ dria, ma probabilmente si è trattato di un incarico de facto, momentaneo e limitato, non de jure, poiché la sua formazione era alquanto lontana dalle prospettive metafisiche che costituivano da sempre la mèta e il cul­ mine dell'insegnamento neoplatonico alessandrino18• 18

Così K. Verrycken, The development o f Philoponus ' thought and his Chronology, in R. Sora bj i (cur. ) , Aristotle Transfor­ med. The ancient Commentators and their Influence, London 1 990, (pp. 233-274 ) , p.24 1 .

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Giovanni Filopono pubblicherà un· numero ri­ levante di scritti che comprendevano, come era or­ mai usuale, anche un importante Commentario alla Introduzione aritmetica di Nicomaco di Gerasa. Si tratta di un'opera sull'ariti:Tiosofia sacra chiaramente riconducibile al simbolismo neopitagorico e, ovvia­ mente, al patrimonio più propriamente "platonico " . E tuttavia, l'altro suo libro, De aeternitate contra Proclum dove, fra l'altro, veniva criticata duramente la teoria pan-ellenica dell'eternità del mondo, aveva reso inevitabile il distacco definitivo dai suoi antichi maestri e persino dagli allievi rimasti ancora fedeli agli usi, ai costumi e alle dottrine ancestrali.

IV MEDITAZIONE E REALIZZAZIONE SPIRITUALE

È evidente che la radicale posizione antigoverna­ tiva dei neoplatonici implicava l'inevitabile e totale rottura con la tradizione cristiana, ormai stabilmen­ te consolidata e tesa ad " informare " interamente le strutture imperiali con le proprie dottrine 1 • Per capire la portata delle posizioni di un diadoco come Isido­ ro che avrà un ruolo fondamentale nella formazione degli ultimi neoplatonici, è opportuno ricordare che nella biografia scritta dal discepolo Damascio sono presenti anche importanti indicazioni sugli aspetti ascetico-realizzativi della sua abituale vita interio­ re. Prima di diventare diadoco della Scuola di Ate­ ne, Isidoro preferì lasciare l'Egitto assieme ad ogni pur residuale legame con l'ambiente nel quale si era formato: avrebbe voluto entrare nel più totale ano­ nimato e persino farsi dimenticare2• Rita Masullo, autorevole studiosa di questo straordinario maestro neoplatonico, ha ritenuto di classificare l'insieme 1

2

Cfr. M. Di Branco, La città dei filosofi. Storia di A tene da Mar­ co Aurelio a Giustiniano, Leo Olschki, Firenze 2006, pp. 1 7 8 e sgg. Così ritiene M. Tardieu, Les paysages reliques. Routes et haltes syriennes d'Isidore à Simplicius, Peeters, Louvain-Paris 1 990, p. 2 1 : "Per Isidoro, il soggiorno nel paese di colui che l'aveva accolto durante i giorni oscuri di Alessandria, sem bra piutto­ sto una rottura. Rottura anche per Damascio. Nessuno dei due tornerà in Egitto " .

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delle pratiche contemplative da lui indicate come "esercizi spirituali "3• L o stesso termine O.crlCT]crt.ç ( '' ascesi " ) , che nell'ambito di queste discipline meditative sta alla base di ogni esposizione operativa e di ogni prospet­ tiva dottrinale, secondo le indicazioni di Isidoro si articolava su tre livelli di trasformazione interio­ re: fisico, morale e religioso. E mentre i primi due agiscono su un piano che ancora tende ad ordinare l'esperienza fenomenica senza alcuna possibilità di trascendere il corporeo, nel terzo grado viene supe­ rato ogni limite inerente gli accadimenti esteriori e lo stesso impulso formativo proprio all'etica, e "si

perviene alla repressione delle passioni e all'eserci­ zio del bene in funzione del conseguimento di una capacità superiore di comunicare con il divino o di piacere a Dio "4• Isidoro s i è curato di spiegare che l'esperienza mistica che pervadeva per intero la propria esistenza non era il frutto di una solitaria scoperta o di una predisposizione individuale e personale, ma derivava direttamente dalla sapienza custodita e trasmessa dai sacerdoti egizi ( V. Isid. 5 ) . Si tratta di una dimensione radicata direttamente nel trascendente, e il suo iniziale compito è quello di restituire all'uomo l'unità interiore che come tale annulla ogni dispersione nel molteplice e nell'illusione del divenire . Perciò anche la fantasia va soggiogata, educata, persino " fermata " in modo da impedire il suo consueto ed incessante fluire disordinato, il divagare di una mente instabile e

3

4

Cfr. Rita Masullo, Il tema degli esercizi spirituali nella Vita Isidori di Damascio, in Taì..apicrKoç. Studia graeca Antonio Garzya sexagenario a discipulis oblata, D' Auria, Napoli 1 987, pp. 225-242. Così R. Masullo, Il tema degli esercizi spirituali, cit., p. 226, che seguiamo nel modo più diretto.

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ondeggiante che impedisce quelle che Isidoro chiama "rappresentazioni corrette" . Queste, d'altronde, possono emergere stabilmente e con chiarezza solo se l'anima si è staccata dall'abituale dissipazione e dall'immersione nello scorrere del variopinto divenire. È proprio questa realtà fluida a sollecitare immagini transitorie, instabili, astratte, ill usorie, passive, modellate da impulsi che subiscono solo il dominio dei sensi e della loro inafferrabile variabilità . Accanto allo spegnimento della parola deve emergere perciò anche il " silenzio interiore " , l'im­ mobilità assoluta dello stesso impulso originario che porta a comunicare, ad esternare sentimenti, sensa­ zioni, gesti, parole e suoni. Il " silenzio interiore " non è una privazione, un limite o una deficienza operante sulla sensibilità periferica o su una vita psichica tra­ ballante e variabile . Al contrario, si sviluppa come una vera e propria potenza dell'anima che " agisce­ senza-agire " , informa l'intera struttura psichica dell'asceta , ne plasma le capacità percettive e con­ sente di elevarsi oltre gli accadimenti transeunti che avviluppano inesorabilmente il quotidiano. A questo proposito Damascio ricorda che Isidoro "diceva che

l'anima, durante le sacre preghiere, davanti al mare intero del divino, da principio si raccoglie in se stes­ sa separandosi dal corpo, poi si distacca dai suoi comportamenti propri e si allontana dai pensieri ra­ zionali per dirigersi verso quelli che sono congeneri all'intelletto; infine, in terzo luogo, è posseduta dal divino e si trasferisce in una serenità inusuale, con­ forme a Dio e non umana " ( Fazio, 242, 240 ) . Una

conseguenza diretta, concreta, visibile esteriormente persino ai profani, del "ritorno in sé " e della riacqui­ sita unità interiore è quella vera e propria " l uce di­ vina " (•ò Kanòv 1tVEUf.la) che splendeva abitualmente dal corpo di Isidoro quando si immergeva nella pre-

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ghiera, restava staccato totalmente dal mondo delle apparenze fenomeniche e, quasi " liberato " dal dive­ nire, veniva elevato al cospetto dell'Unità divina. Una enigmatica notizia conservata da Damascio ( V. Isid., 200) assicura che Isidoro si esercitava ad imitare il verso degli uccelli più piccoli (cr'tpou8ot) , quello intonato quando spiccano il volo per la pri­ ma volta . E poi continua spiegando a Proclo, il suo interlocutore, che non si tratta di un aneddoto, ma di una pratica "caldea " . Il dato può sembrare biz­ zarro, ma la cosiddetta "lingua degli uccelli " ha un preciso valore simbolico in tutte le civiltà antiche. Una quantità di storie, leggende e miti spiegano che colui che ha superato la condizione umana ottiene la conoscenza di questo " linguaggio " assimilato alla stessa " lingua degli dèi " . Ovunque, i veggenti, i va ti o i mistici hanno potuto conoscere questo " codice sacro " che rappresenta la reintegrazione nello sta­ to di interezza e perfezione precedente la deviazione primordiale, quella che per il cristianesimo è stata la ribellione a Dio e il peccato originale . E poiché gli uccelli rappresentano gli stati superiori dell'essere o lo stesso status angelico, la " lingua degli uccelli " sim­ boleggia non solo l'elevazione verso la trascendenza da parte del myste, ma anche la conoscenza diret­ ta della realtà celeste. In questo caso il testo sembra voler cogliere anche il significato del primo canto e del primo volo dell'uccello, l'accesso alla dimensione estatica come era abituale fra gli asceti egizi che me­ ditavano gli Oracoli Caldaici. Il caso forse più caratteristico (e certamente meno noto } di un contemplativo del tardo neopla­ tonismo assimilabile sotto tutti i punti di vista ad un bhik�u, un sadhu o un saf!lnyasin indù, è quello di Sara p ione di Alessandria che " cercava ininterrot­

tamente la Verità ed era un contemplativo " ( V. Isid.

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4 1 ; Suda, 1 9-20 ) . Sarapione era stato i l vero mae­ stro di ascesi dello stesso " Grande Isidoro " (ò Méyaç 'Icrioropoç). E per quanto si conosce attraverso la te­ stimonianza del suo allievo Damascio, Isidoro è stato anche l' unico ad avere avuto il privilegio di ricevere la trasmissione spirituale e l'insegnamento dottrina­ le direttamente da questo stupefacente asceta egizio, un solitario itinerante rimasto sempre sdegnosamen­ te lontano da qualsiasi forma di notorietà e da ogni legame di tipo accademico . La "ricchezza " interiore di questo eccezionale rappresentante di una " mistica pagana " pochissimo conosciuta, fa presumere l'esi­ stenza di solitari, asceti e contemplativi di grande valore appartenenti ad altri movimenti spirituali, dei quali ormai è possibile recuperare solo qualche sparsa notizia5• Sarapione trascorse tutta la vita nel­ la solitudine più totale e nell'assol uto distacco dalle contingenze, peregrinando tra gli antichi e venerati santuari di Alessandria, sempre immerso nella soli­ taria preghiera , nella vita rituale e nella meditazione degli unici testi che possedeva, Le Rapsodie Orfìche e gli Oracoli Caldaici, poi lasciati in eredità ad Isido­ ro, il suo unico allievo. Tutte le biografie dei maestri neoplatonici supe­ rano ogni intento puramente agiografico . In realtà, sono state concepite come modalità interpretative della veneranda tradizione operativa che si voleva

5

Cfr. Jean Maspéro, Horapollon et la fin du paganisme égyptien, "Bulletin Institut Français d' Archéologie Orientale" , 1 1 , 1 9 1 4 , ( p p . 1 63- 1 95 ) , p. 1 6 6 e sgg., h a dimostrato che ad Alessandria operavano asceti e contemplativi di tradizione pagana non riconducibili al neoplatonismo. V d. pure Edwards Jay Watts, City and School in Late Antique A thens and Alexandria, Uni­ versity of California Press, Berkeley 2006, (pp. 204-23 1 ) , part. pp. 222-225.

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preservaré. I contenuti religiosi che vi si trovano esposti abbondantemente rispondono all'esigenza di influire direttamente sulla formazione dei neofiti e di indicare le forme più elevate di un mondo che sembrava smarrirsi sempre più. Spesso si configura­ no persino come veri e propri " manifesti " nei quali le dottrine filosofiche vengono esposte a beneficio di coloro che intendono seguire quelli che si rivelano come valori tradizionali "esemplari " , simboli sacri formulati per la formazione del contemplativo. Que­ ste biografie non si esauriscono in superficiali intenti agiografici, ma appaiono concepite fondamental­ mente come indicazioni "esemplari " di elevate di­ mensioni mistico-contemplative. E spesso, quasi per inciso, qua e là affiorano veloci indicazioni su anti­ che metodologie realizzative la cui complessa artico­ lazione operativa sembra essersi persa nel generale naufragio della civiltà antica . Accennate fuggevol­ mente, vi si trovano persino rapide informazioni sui rituali assiduamente praticati da questi contemplati­ vi, filosofi e teurghi rimasti saldamente radicati nella loro tradizione sacra . Questa dimensione sacramentale rimaneva lega­ ta anche ad un altro aspetto della vita religiosa non limitata alle pratiche teurgiche o ai culti ancestrali, ma in rapporto diretto con quella che alcuni studiosi hanno definito realizzazione spirituale. In quasi tutti i maggiori rappresentanti del neoplatonismo, infatti, si ritrovano precise allusioni a metodi e ad opera­ zioni rituali il cui scopo fondamentale era quello di adeguare non solo il pensiero, ma l'intera " struttu­ ra " interiore ai ritmi dell'Oggetto Divino contem­ plato. Non si tratta affatto di confondere l'abituale, 6

Cfr. le attente osservazioni di Rita Masullo, La biografia filo­ sofica nel tardoantico, "Vichiana " , III, 1 994, (pp. 225-237), p. 235.

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irrequieta e d inafferrabile fantasia con l e immagini mentali derivate dai sacri riti?. Al contrario, si rite­ neva necessario ordinare la vita interiore dell'asceta attorno a " forme" meditative e a simboli presenta­ ti non come semplici abilità esteriori ed in se stesse transeunti, ma come un organico sistema operativo dal valore sacramentale. Mediante queste forme me­ ditative i vari pensatori ritenevano di poter ottenere non solo una perfetta concentrazione mentale, ma una vera e propria unità interiore in grado di con­ durre al totale distacco dal divenire e dal mondo del­ le apparenze. Le stesse modalità usate per elencare le loro bre­ vi indicazioni fanno ritenere che possano rappresen­ tare le vestigia di un metodo di controllo del pensiero avente carattere di grande costanza e, forse, persino di uniformità operativa ---quasi un modus essendi di tipo rituale, una vera e propria tradizione sacramen­ tale emersa dallo stesso " fondo " misteriosofico che alimentava i loro variegati sistemi speculativi . Da Numenio agli Oracoli Caldaici ---sempre studiati, commentati e meditati da tutti i più autorevoli mae­ stri neoplatonici come un vero e proprio depositum sapientiae---, da Platino a Porfirio, da Giamblico a Proclo, da Damascio a Simplicio, è possibile seguire costantemente cenni ed indicazioni di temi, figure, frasi ed immagini che avviano verso elaborati metodi di distacco dal corporeo e persino di concentrazione mentale (vd. Addendum)8• Qui è sufficiente segnala7

8

Utili le riflessioni di A. Sheppard, Phantasia and Menta/ Ima­ ges. Neoplatonic Interpretations of De Anima 3 .3, " O xford Studies in Ancient Philosophy " , (suppl. v. 1 75- 1 8 9 ) , 1 99 1 , pp. 1 65- 1 73 . Sui metodi ascetico-realizzativi dei neoplatonici cfr. Nuccio D'Anna, La disciplina del silenzio, Il Cerchio, Rimini 1 995

( '' Rituali teurgici e tecniche estatiche nel Neoplatonismo " ) , pp. 1 2 3 - 1 49. Utili raffronti con l e forme meditative dello yoga

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re un Oracolo di Apollo menzionato da Porfirio e da lui commentato in una prospettiva essenzialmente realizza ti va 9:

"La corrente che si separa in alto dallo splendore di Febo e racchiusa nel puro respiro sonoro dell'aria ricade incantata mediante canti e parole ineffabili sul capo del ricevente puro: riempie il soffice rivestimento delle tenere membrane, ascende attraverso lo stomaco e, sorgendo ancora, produce un amabile canto dallo strumento mortale ". Il commento di Porfirio, che utilizza una termi­ nologia quasi sicuramente derivata dal mondo della misteriosofia, così spiega il significato di questo ec­ cezionale Oracolo apollineo: "Nessuna descrizione

potrebbe essere più chiara, più divina e più in accor­ do con la natura. Poiché lo pneuma che discende, es­ sendo entrato come un efflusso del potere celeste nel corpo organico ed animato, e usando la psiche come base, emette un suono attraverso la bocca come at­ traverso uno strumento" . Innanzitutto è da rilevare che l'Oracolo è stato trasmesso come patrimonio appartenente al cosiddetto culto di Apollo, ossia fluisce da quella speciale forma religiosa fondata su

9

possono trovarsi in Id., Haf!lsa Upani$ad, "Atrium " , l, 201 9, pp. 98-1 1 2 . Ringraziamo il prof. G. G. Filippi, docente di san­ scrito e dottrine indiane all'Università Ca' Foscari di Venezia, conoscitore profondo del Vediinta, per le preziose indicazioni dateci su alcuni metodi di controllo del priit;�a praticati nello yoga . Eusebio, Praep. Evang. , V, 8, 1 1 e sgg.; cfr. H. Lewy, Chaldean Oracles and Theurgy, Il Cairo 1 95 6 , pp. 43 e sgg.

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u n tipo d i esperienze estatico-contemplative che or­ mai gli studiosi usano ricondurre a quella variegata ed indefinita area di culto chiamata " sciamanesimo apollineo " . Poi, e con più aderenza al piano tecnico­ operativo, importa notare non solo il rapporto pneu­ ma/psiche, considerato il tramite indispensabile per­ ché si possa emettere quel " canto " che è la signatura di uno speciale aspetto della condizione estatica, ma anche il movimento dello pneuma/soffio che " di­ scende " dall'alto cielo sul "ricevente puro " , riempie i polmoni e lo stomaco per poi "risalire " nuovamente . Si tratta della medesima condizione " tecnica " ordi­ nata attorno ai classici movimenti del priiiJa o " sof­ fio vitale " ( inspirazione o piiraka, arresto o kumbha­ ka, espirazione o recaka), praticata ancora oggi in ambiti ascetico-rituali molto elaborati come quelli di alcune scuole indù di raja-yoga . L'ultimo aspetto che emerge con forza da questo stupefacente Oracolo è quello che tocca il " canto amabile" e il "suono che esce dalla bocca " , da riferire ad aspetti più propria­ mente realizzativi inerenti la preghiera e l'incanta­ zione, quasi sicuramente assimilabili agli stati che lo yoga riferisce a niida, il " suono-energia" o " vibrazio­ ne primordiale " che usualmente viene localizzata nel cakra del cuore. Anche l' ultimo diadoco ha conservato tracce rivelatrici dell'esi stenza di simili metodi che confer­ mano l'ampia conoscenza di quelli che possono es­ sere spiegati come veri e propri rituali ascetico-con­ templativi . Scrive Damascio (de principiis I, 4 ): "se

noi facciamo operare anche l'Intelletto unitario, e se questo si raccoglie in se stesso con gli occhi chiusi, allora quest'ultimo giustamente si semplifica risalen­ do fino all' Uno, ove sia ancora possibile parlare di

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qualche conoscenza dell'Uno" 1 0 • È probabile che la concentrazione mentale allusa velocemente in queste righe possa corrispondere sul piano operativo a quel " silenzio assoluto " dell'Ineffabile che aveva indicato già Platone in parecchi punti delle sue opere . Si trat­ ta di una dimensione inesprimibile che esclude ogni pur minima o residuale forma di speculazione razio­ nale ancorata sempre al semplice piano mentale. La sua esperienza diretta esige, invece, quiete assoluta, un pensiero immobile nel quale viene totalmente as­ sorbita la sua abituale inafferrabilità o mobilità, la " stasi" o " permanenza " ( �ovfJ } del fluire psichico e dei moti interiori che ne derivano, il distacco da ogni forma di divenire e il totale "ritiro " ( = " assorbimen­ to " ) in se stessi . Simplicio, che resta senza dubbio alcuno il più importante discepolo di Damascio, credeva di · poter attribuire persino al Manuale di Epitteto un origina­ rio intento realizzativo e nella sua trattazione farà emergere aspetti del testo particolarmente ricchi di indicazioni che oltrepassano ogni piano sempli­ cemente razionale . Con ricca documentazione, Il­ setraut Hadot ha mostrato che il Commentario al testo di Epitteto è stato scritto "con l'intenzione di praticare lui stesso questi esercizi di meditazione ed evidenziare le verità fondamentali enunciate nel Manuale" 1 1 • Secondo Simplicio la stessa composizio­ ne scritta di questo Commentario deve rappresenta­ re una vera e propria pratica, un esercizio spirituale 10

11

Seguiamo i l testo e l a tr. d i Joseph Combès, Damascius. Traité des premiers Principes, 3 voli . , Les Belles Lettres, Paris 1 986, I, p. 1 0 . Cfr. I . Hadot, L e problème du néoplatonisme alexandrin, cit., pp. 1 64 - 1 6 5 ; P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Ei­ naudi, Torino 1 9 8 8 , pp.29- 6 8 ; pp. 1 3 5 - 1 54; N. D 'Anna, La disciplina del silenzio, Il Cerchio, Rimini 1 995, pp. 8 3 - 1 02; pp. 1 23 - 1 4 9 .

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che sembrerebbe avere avuto una corrispondenza di­ retta anche fra i discepoli di Epicuro. Come si vede, si tratta di un problema molto complesso . D'altron­ de, il fatto che forme di meditazione e speciali me­ todologie di controllo del pensiero possono essere seguite, con caratteri di grande costanza e di sostan­ ziale uniformità, dall'inizio del neoplatonismo sino al suo compimento, può avere un solo significato. Per quella sua caratterizzazione essenziale che ten­ deva a preservare e persino a far riemergere l'intero patrimonio tradizionale ellenico, il neoplatonismo ha saputo risvegliare speciali rituali, ereditati da misteriosofie arcaiche, le cui finalità illuminative e mistico-contemplative comprendevano un articolato sistema di tecniche di realizzazione spirituale rimaste sconosciute a tutte le altre scuole filosofiche elleni­ che.

v

L'ESODO DEI NEOPLATONICI VERSO LA PERSIA

Lo storico bizantino Agathias assicura - e la

Suda (Lex. IV) conferma autorevolmente queste

importanti informazioni - che dopo l'emanazione dell'Editto giustinianeo gli ultimi sette neoplatoni­ ci abbandonano quasi immediatamente ( = " s ubito " , aùtiKa) i l baluardo " tradizionale " d i Atene, "poiché a tutti loro non piaceva la concezione del divino [c. d . il cristianesimo] trionfante fra i Romani" (Hist. II, 30, 3 ) . Agathias aggiunge che i maestri neoplatonici erano stati costretti ad andar via da Atene "poiché

non si conformavano all'ordine costituito e le leg­ gi impedivano una vita pubblica sicura" (Hist. , 30, 4 ) . Accanto a Damascio, l 'ultimo autorevole diado­ co della Scuola che però ormai aveva superato i 70 anni t , troviamo Simplicio di Cilicia2, Prisciano di

l

Cfr. Rudolf J. Asmus, Das Leben des Philosophen Isidoros, Meiner, Leipzig 1 9 1 1 , p. 1 8 7. Le sue ipotesi sulla vita di Damascio sono state accettate da Leendert G. Westerink,

Damascius. Lectures on the Philebus wrongly attributed to Olympiodorus, North-Holland Publishing Company, 2

Amsterdam 1 959, p. 7 e sgg. Cfr. l. Hadot, La vie et l'oeuvre de Simplicius d'après des sources grecques et arabes, in Simplicius. Sa vie, son oeuvre, sa suivre. De Gruyter, Berlin 1 987, pp. 3-40. Cfr. anche S. Thiel, 'A propos de la biographie de Simplicius, "Revue Philosophi­ que de Louvain " , 83, 1 99 1 , pp. 5 06-5 1 4 .

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Lidia3, Eulamio di Frigia\ i fenici Ermia e Diogene, Isidoro di Gaza: il "fior fiore del pensiero ellenico " , spiega con l a consueta chiarezza Agathias (Hist. II, 28 e 30). Non s i tratta d i vaghe indicazioni prive d i u n concreto rapporto c o n la realtà d e i fatti storici, m a di conoscenze dettagliate e per molti aspetti persino meticolose, conservate da uno storico che viveva a Costantinopoli e sembra aver avuto rapporti diretti con importanti personalità della corte imperiale . Ed è da rilevare anche il valore di quelle sue conside­ razioni che vanno a toccare la stessa conservazione di un patrimonio sacro custodito da questi ultimi dottrinari di un'antica sapienza5• E non si deve con­ siderare occasionale o fortuita neanche la struttura­ zione linguistica adoperata dallo storico bizantino. In essa, infatti, si trovano riarticolate ad hoc espres­ sioni tecniche (come per es. tÒ UKpOV UO>tOV, "il fior fiore" ) usate normalmente nell'ambito di quel vero e proprio " linguaggio mistico " peculiare agli Ora­ coli Caldaici e ad alcuni maestri del tardo neopla­ tonismo. Si tratta di un insieme di testi concepiti 3

Un'analisi della dottrina dell'anima in Prisciano ha fatto Car­ los Steel, Il Sé che cambia, Edizioni di Pagina, Bari 2007, pp. 1 97-22 8 . Cfr. anche P. M. Huby, Priscian of Lydia as Evidence far Iamblichus, in H. ]. Blumenthai-E. G. Clarck (curr. ) , The Divine Iamblichus. Philosopher an d Man of God, Bristol Clas­ sica) Press, London 1 993, pp. 5 - 1 3 ; I . Hadot, Simplicius or

Priscianus ? On the Author of the Commentary on Aristotele 's De Anima. A Methodological Study, " Mnemosyne " , 5 5 , 2002, 4 5

pp. 1 5 9- 1 99. Nel suo elenco la Suda riporta quasi sempre la dizione Eùì..Qì.toç. Un importante iranista come il prof. R. C. Zaehner (Zoroa­ stro e la fantasia religiosa, Il Saggiatore, Milano 1 962) così riassume l'evento storico: " Khusraw si interessò perciò perso­ nalmente di filosofia greca e diede asilo alla sua corte a sette filosofi ateniesi che avevano abbandonato l'Impero bizantino quando erano state chiuse le scuole di filosofia" ( ivi, p. 220 ) .

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essenzialmente come veicoli di meditazione, proba­ bilmente indirizzati a membri di cenacoli chiusi e molto élitari , commentati dai neoplatonici per una lunga continuità di secoli. Il loro aspetto dottrinale e persino operativo può apparire stupefacente solo se vengono considerati, sbagliando completamente, come testi formulati con intenti puramente specu­ lativi, privi di un reale e concreto rapporto con i quotidiani rituali teurgici e con i metodi di realiz­ zazione spirituale. In realtà , è possibile enucleare persino un articolato sistema speculativo che dove­ va fungere da supporto teorico a rituali con finalità concrete, " viventi " 6 • Il linguaggio usato da Agathias, variamente ri­ modulato, ma di grande interesse per i suoi riferi­ menti a fatti e personaggi, in qualche caso minuta­ mente conosciuti e descritti anche da Damascio (cfr. V. Isid. 3 10; 3 19 ) � verrà ripreso in diversi aspetti dei sistemi di molti pensatori del movimento. Si tratta di una ulteriore testimonianza che documenta la ca­ pacità di Agathias di utilizzare conoscenze dirette ed autentiche che nulla hanno a che fare con vaghe e non controllate ipotesi cui ha pensato frettolosa­ mente qualche studioso7• Secondo quanto afferma lo

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Ci limitiamo a segnalare Giovanni Reale, Storia della filosofia antica 4 voli . , Milano 1 97 8 , IV, pp. 444-456; H. Lewy, Chal­ daean Ora cles and Theurgy, Paris 2 0 1 1 3; Édouard Des P la­ ces, Oracles Caldaiques, Les Belles Lettres, Paris 1 97 1 ; H.-D. Saffrey, Les néoplatoniciens et /es 'Oracles Caldaiques ', " Re­

vue des É tudes Augustiniennes " , 27, 1 9 8 1 , pp. 209-225; Lu­ ciano Albanese, Giuliano il Teurgo e gli Oracoli Caldaici, in "Atrium " , 2 0 1 9, pp. 65-86 (con ampia bibliografia specialisti­ ca). L'autorevolezza di Agathias ha convinto Geo Widengren a dare adeguata importanza al testo di Hist. II, 2 6 , dove si fa cenno anche ai rituali segreti mazdei: "Artaxser era un adepto convinto della religione dei Magi e celebrava personalmente i loro riti segreti " (Les Religions de l'Iran, cit., p. 275 ) .

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stesso Agathias (His t . , IV, 30, 3 e 5 ) , egli ebbe persi­ no la possibilità di consultare direttamente e perso­ nalmente gli Annali Reali che la sua guida ed inter­ prete Sergio, un siriano convertito al Cristianesimo, traduceva e commentava8• In realtà, è del tutto evidente che la sparuta li­ sta di maestri neoplatonici fornita da Agathias desi­ gna solo una piccola cerchia di adepti dalle evidenti caratteristiche simboliche. L'elenco configura sola­ mente la ristrettissima gerarchia costituita dall'élite di un cenacolo di alto livello contemplativo . È una prospettiva che assume i tratti di una vera e propria " metafisica della storia " intesa a sottolineare la por­ tata epocale della chiusura della Scuola di Atene e la conclusione del ciclo che aveva visto lo splendore del mondo ellenico . Come si vede, gli ultimi neoplatoni­ ci hanno voluto riprendere coscientemente il simbo­ lo dei Sette Sapienti che all'alba della civiltà olimpica assolsero una importante funzione fondativa e creati­ va, in se stessa principiale, derivata direttamente dalla tradizione apollinea . Si tratta di un richiamo dall'in­ dubbio valore originario che per ogni Elleno di an­ tica tradizione riconduceva a significati archetipici. Platone (Prot. 343 a-b) ricorderà che i fondamenti sapienziali di questi antichi Patriarchi emergono in­ teramente dalla spiritualità custodita nel santuario di Delfi, il cuore dell'Ellade . Menzionando solo sette filosofi "platonici " , e omettendo volutamente di ri­ cordare gli altri discepoli diretti9 e i molti frequen8

Seguiamo le attente analisi di A. Cameron, Agathias on the

Sassanians, cit., pp. 74 e sgg.; pp. 1 1 2 e sgg. 9

Si sono conservati i nomi di alcuni importanti neoplatonici che non seguirono i Sette in Persia: Asclepiodoto, Asclepio e Teodoto, discepoli di Ammonio, un altro Asclepiodoto celebre anche per la sua perizia medica, poi Doro, un amico di Dama­ scio, Siriano l'Ateniese discepolo di Isidoro, il poeta Aitherios, fratello di Simplicio, ecc. Si può presumere che anche altri dot-

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tatori esternil0 che verosimilmente continuavano a d operare anche nelle altre città dell'impero, Agathias sembra addirittura evidenziare l'esistenza di una ge­ rarchia interna a questa sparuta cerchia . E senza ad­ durre una pur minima motivazione esplicativa, defi­ nisce i primi due filosofi di questo minuscolo elenco come "Attici " e gli altri cinque come "Accademici " . D opo aver attraversato l e pericolose regioni desertiche di un confine rimasto sempre fluido, in­ stabile e poco definito, attorno al 5 3 1 il gruppetto dei "filosofi-teurghi " raggiunge finalmente la corte persiana il cui re sembrava voler realizzare qualcosa che potesse corrispondere alle loro aspettative . Una scoperta di Gonzalo Fernandez 1 1 aiuta ad illuminare un altro aspetto che potrebbe spiegare l'enigmatica sollecitudine dei filosofi neoplatonici nell'organizza­ re il loro viaggio nella Persia di Khusraw l . Nel già menzionato Commentario al Manuale di Epitteto, Simplicio si cura di spiegare che quando trionfano ineluttabilmente quelli che il maestro neoplatonico chiama i "sistemi politici perversi" [c . d . l'impero

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11

trinari neoplatonici siano rimasti in Occidente e qualcuno di loro, come Mario Vittorino, si sia convertito al Cristianesimo. S i tratta d i una divisione assolutamente normale fra i discepoli delle scuole neoplatoniche. G. Fowden ( The platonist Philoso­ phers and his Circle in Late Antiquity, "Philosophia " , 7, 1 977, pp. 359-3 8 3 ) ha mostrato che gli uditori occasionali costitui­ vano una vera e propria "cintura esterna" di discepoli devoti. Il caso più noto e celebre resta quello della variegata cerchia che attorniava assiduamente Plotino a Roma . Cfr. G. Fermandez, ]ustiniano y la clausura de la scuela de A tenas, " Erytheia " , 2, 2, 1 9 8 3 , (pp. 24-3 0 ) , p. 27. Vd. anche Dominic O 'Meara, Simplicius an the Piace of the Philosopher in the City (in Epictetum chap. 3 2 ) , " Mélanges de l'Université Saint-Joseph " , 57, 2004, (pp. 89-9 8 ) , p. 8 9 . Importante lo stu­ dio del Commentario al Manuale di Epitteto scritto da Simpli­ cio e contenuto in I. Hadot, Le Problème du Néoplatonisme alexandrin Hiéroclès et Simplicius, Études Augustiniennes, Pa­ ris 1 978, pp. 147- 1 9 1 .

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bizantino] , è consentito al filosofo di abbandonare ogni cosa e andare via, oppure celarsi dietro quello che chiama "muretto " per preservare la propria inte­ grità o purezza dottrinale. La speciale terminologia usata da una personalità autorevole come Simplicio conferma che si tratta di convinzioni ben radicate anche fra gli altri suoi confratelli. In molti punti ri­ sulta identica ad alcune formulazioni linguistiche adoperate anche da Damascio nella biografia del suo maestro Isidoro . Nel suo importante e ricco libro sul neoplato­ nismo alessandrino 12, Ilsetra ut Hadot faceva notare che Agathias non sempre riesce a nascondere l'avver­ sione verso Khusraw, e addirittura considera le sue personali ambizioni culturali come la tipica bizzarria di un sovrano orientale. In realtà, lo storico bizanti­ no non è mai indulgente né verso il cerimoniale fu­ nerario mazdeo che imponeva l'esposizione del ca­ davere e ne proibiva sia l'inumazione che l'arsione, né soprattutto nei confronti delle consuetudini ince­ stuose della corte persiana. Agli occhi di ogni Elleno di cultura antica, infatti , queste pratiche disordinate che mostrano tutti i tratti di una religiosità crepu­ scolare, ma ben radicate anche fra il popolo, pote­ vano apparire solamente come forme estreme di una barbarie ed inciviltà al limitare dell'empietà : "Dopo

aver parlato con il re la loro speranza divenne eva­ nescente. Era un uomo che ambiva filosofare, ma non riusciva a cogliere nulla delle cose elevate. Non condivideva la loro visione delle cose, ma affermava altro . . . " (Hist. II, 3 1 , 1 ) .

12

Cfr. l. Hadot, Le Problème du néoplatonisme alexandrin, cit., pp. 20-32.

VI IL RITORNO IN OCCIDENTE

Tuttavia, la speranza di prol ungare in Persia l'in­ segnamento neoplatonico in una sorta di rinnovata Accademia protetta da Khusraw, si rivelò un vano sogno. Si è quasi sicuri che sia stato lo stesso Dama­ scio ad elaborare l'ardito progetto di rifondare una scuola "platonica " . Tuttavia , sembra poco probabile che il loro programma si potesse attuare concreta­ mente nella realtà dell 'impero sassanide, anche se tutti loro avevano, verosimilmente, una conoscenza minima delle rigide regole religiose e culturali del mondo che doveva ospitarli. Secondo Ilsetraut Hadot, è persino possibile che alcuni dei sette neoplatonici provenienti dalle regioni situate in prossimità dell 'ecumene imperiale persia­ na, come Damascio ( Siria ) , Ermia ( Fenicia ) , Diogene ( Fenicia ) , Isidoro ( Gaza) ·e lo stesso Simplicio ( Ciii­ eia ) , conoscessero correntemente l'aramaico. Non si tratta di una sorta di stravaganza culturale, ma della lingua adoperata usualmente anche da alcune specia­ li élites dell'impero sassanide che miravano ad esten­ dere sempre più lo " spazio " iranico e ad uniformare le grandi differenze linguistiche fra le varie regioni che, in molti casi, potevano sembrare insormontabi­ li. L'aramaico era parimenti la lingua usata sia nelle famose accademie nestoriane di Nisibi che nelle nu­ merose città del deserto siriano poste a presidiare il

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variabile confine che delimitava i due imperi 1 • Persi­ no alcune fra le più antiche sette gnostiche radicate in Siria usavano l'aramaico come lingua liturgica e " dotta "2, forse addirittura in diretta relazione con gli insegnamenti dottrinali impartiti ad Edessa, quando ancora la città copriva un ruolo fondamentale nella formazione delle élites sacerdotali di quelle regioni. Com'è noto, l'antica lingua siriaca era la principale tra le tante varietà dell'aramaico ed era quella utiliz­ zata nelle istituzioni culturali di Edessa. Sant'Efrem ha potuto definire lo gnostico Bardesane ( 1 54-222 ) " il filosofo degli aramei " (filosofa d-Aramayé) anche per il suo solido radicamento nelle tradizioni siria­ che che lo hanno fatto considerare il creatore della poesia siriaca. Gli Inni di Bardesane, che apparten­ gono alla fase forse più antica di queste tradizioni letterarie e linguistiche, furono composti in siriaco antico e si articolano su un metro pentasillabico. Per rendere ancora più chiara l'importanza che assumevano questi contatti linguistici è forse utile ricordare anche un documento attestante la vivacità culturale che arricchiva queste regioni della Siria . Si l

2

Sull'importante ruolo della lingua aramaica nell'impero per­ siano seguiamo Altheim F.-Stiehl R., Die aramiiische Sprache unter den Achaimenischen, Klostermann, Frankfurt am Main 1 96 3 ; Id., Supplementum aramaicum. A ramaisches aus Iran Anghang, B. Grimm, Baden-Baden 1 95 7 ; Altheim. -Stiehl, Die Araber in der alten Welt, 5 voli. , De Gruyter, Berlin 1 964-69, V, part. 2, ( "Aramaische Inschriften " ), pp. 24-3 5 ; Geo Widen­ gren, Iranisch-semitische Kulturbegegnung in parthischer Zeit (Arbeitsgemeinschaft ftir Forschung des Landes Nordrhein­ Westfalen, Geisteswissenschaften, Heft 70), Koln-Opladen 1 960. Cfr. anche i l vecchio, ma ancora valido Siegmund Fraen­ kel, Die aramaischen Fremdworter in Arabischen, Brill, Leiden 1 8 86, pp. 295-3 1 2 ; pp. 3 1 3-320 ( "Aramaische" ) , che elenca una serie di dati di notevole rilievo filologico. Cfr. A. Adam, Ist die Gnosis in aramaischen weisheitsschulen entstanden ?, in Ugo Bianchi (cur. ) , Le origini dello Gnostici­ smo. Colloquio di Messina, Brill, Leiden 1 96 7, pp. 2 9 1 -30 1 .

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tratta del cosiddetto Codice manicheo d i Colonia ( P. Colon. inv. nr. 478 0 ) , un rarissimo testo che contiene la biografia di Mani in una versione greca derivata da un originale siriaco e la cui datazione è ricondu­ cibile al V secolo3 • Come ormai appare evidente, la conoscenza dell'aramaico da parte dei maestri neo­ platonici si pone all'interno di quella speciale con­ giuntura definita da Franz Altheim4 come una stra­ ordinaria " contemporaneità " storica caratterizzante molti aspetti del tardo-antico. È il tempo in cui le molteplici e variegate tradizioni che attraversavano i due imperi, si organizzarono come vere e proprie "religioni del libro " che esigevano testi scritti e uno speciale linguaggio idoneo ad esprimere valori e dot­ trine di fondamentale portata spirituale. Per quanto riguarda il neoplatonismo c'è da annotare alcuni fattori essenziali. Il primo riguarda la formulazione dottrinale fatta mediante elabora­ ti testi speculativi che indagavano i princìpi primi, i simboli sacri e lo stesso significato della Realtà Asso­ luta . A questo fine veniva utilizzata anche una serie lunghissima di commenti molto eruditi, intesi a deli­ neare quella che un grande studioso ha definito "ci­ viltà del commento " da contrapporre ad una labile e transeunte "civiltà della critica "5• Il secondo aspetto va a toccare i fondamenti testuali di questo sofistica3

4

5

Cfr. A. Heinrichs-L. Koenen, Ein griechischer Mani- Codex (P. Colon. inv.nr.4 780; vgl. Tafel n. IV-V), "Zietschrift fiir Papiro­ logie und Epigraphik " , 5, 1 970, pp. 97-2 1 6 . Sul generale fenomeno chiamato da Franz Altheim " contem­ poraneità " che attorno al IV secolo d. C. vide la nascita del­ le " Religioni del libro" e dei rispettivi " l inguaggi sacri " che cristallizzarono forme sapienziali antichissime, cfr. F. Altheim La religion romaine antique, Payot, Paris 1 95 5 , pp. 1 1 2 - 1 3 5 ; Altheim .-Stiehl, Die Ara ber in der alten Welt, cit., I I I , ( " Die Sonnengott. Buch religionen " ) , pp. 1 54-222. Così Elémire Zolla, Storia del fantasticare, Bompiani, 1 97 1 , pp. 7-34.

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to sistema dottrinale che si appoggia essenzialmente ad un corpus variegato di opere considerate, nel loro insieme, un organico canone sacro: i dialoghi di Pla­ tone, gli scritti di Aristotele, il Corpus Hermeticum, gli Oracoli Caldaici, i testi sull'aritmosofia pitagori­ ca. Si può aggiungere che nelle città siriache già da secoli si incontravano con continuità le più diverse religioni. In molti casi le loro élites condividevano persino la formulazione di un medesimo linguaggio " tecnico " in grado di rivelare verità che spesso con­ vergevano in aspetti rilevanti dei rispettivi sistemi dottrinali. Agathias riferisce che inizialmente i neoplatonici avevano pensato di restare in Persia per il resto della loro vita. Ma è da escludere una loro duratura per­ manenza nella città di Ctesifonte. Il ruolo di centro spirituale e di custode dell'ortodossia mazdea co­ perto dalla loro capitale, infatti , elimina decisamen­ te ogni eventuale presenza duratura di ospiti total­ mente estranei a quella che per i Persiani restava la Buona Religione. È una situazione identica a quella verificatasi a Costantinopoli che Giustiniano ambi­ va far diventare l'equivalente cristiano della capitale mazdea . Quello che può avere un interesse diretto per il nostro assunto, perché aiuta ad illuminare al­ cuni aspetti molto particolari della funzione com­ plessiva coperta da tutti i neoplatonici, è il fatto che i rituali di inauguratio, consecratio e dedicatio che fondarono la " nuova Roma " , non furono officiati secondo i canoni della liturgia cristiana . Costantino, anzi, volle che venissero riprese le medesime cerimo­ nie che secondo la tradizione avevano dato vita alla Roma primordiale ed ordinò di compiere la conse­ cratio (Eunapio, V. Soph. 462, 2 e sgg. ) addirittura a due discepoli diretti di Giamblico, i teurghi Ermo­ gene e Sopatro celebri per le loro conoscenze sacre.

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I due maestri neoplatonici assolsero pienamente il loro compito e, a compimento del rituale di fonda­ zione, imposero alla città ormai diventata a tutti gli effetti l'altera Roma, il nome di Anthousa perché considerato l'equivalente del latino Flora6• Come si vede, una varietà di importanti dati indiriz­ za a seguire le numerose indicazioni attestanti la si­ stemazione dei maestri neoplatonici a Gondesahpiir che qui poterono insegnare in piena libertà almeno durante gli anni 5 3 0-5327• La città era stata edificata dai prigionieri romani catturati dai Parti assieme al loro imperatore Valeriano I nel 260, in seguito alla sconfitta di Edessa, ed era rimasta meno legata alle consuetudini mazdee. Ben presto era diventata cele­ bre come sede di importanti studi "filosofici " dalle ampie prospettive universali8• D'altronde, proprio questa apertura intellettuale dei sovrani persiani ave­ va permesso ai nestoriani perseguitati in Occidente d i trovare q u i un ri fugio sicuro , dopo l a condanna proclamata contro di loro dal Concilio d i Efeso del

6 7 8

Seguiamo da vicino le indicazioni complessive di A. Alfoldi, Costantino tra paganesimo e cristianesimo, Laterza , Bari 1 976. Seguiamo i risultati degli studi di Carmela Baffioni, Storia del­ la filosofia islamica, Mondadori, Milano 1 99 1 , p. 3 1 . Cfr. M. Fakhry, Histoire de la philosophie islamique, Paris 1 9 89, pp. 58-59; S. H. Nasr, Scienza e civiltà nell'Islam, Mila­ no 1 977, p. 1 5 5 : "qui [ = Gondesiihpiir] cercarono rifugio an­ che gli ultimi filosofi e scienziati di Atene quando, nel 529 d. C. Giustiniano ordinò la chiusura della scuola di tale città " . Cfr. le ricche analisi di Paolo Delaini, La scuola di Gundesabiir. La

conoscenza del corpo umano (anatomia e fisiologia) e la tra­ smissione delle teorie medico-scientifiche nel mondo sasanide e post-sasanide, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, ( diss.) , 2 0 1 2 . Utile anche Heinz H. Schoffler, Die Akademie von Gondischapur. Aristate/es auf dem Wege in den Orient, Verlag Freies Geistesleben, Stuttgart 1 9 80, che però sembra trascurare troppo l'apporto della metafisica neoplatonica an­ dato ben oltre il commento ai testi aristotelici o l'insegnamen­ to della cosmologia e delle scienze matematiche.

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4 3 1 , e persino di riadattare la loro tra dizione fino a config ur arla , spiega Alessandro Bausani, come una vera e propria chiesa nazionale persi ana. Anche in

epoca islamica Gondesahpiir continuò a conservare il proprio prestigio scientifico con il suo articolato insegnamento di " filosofia platonica" e con le sue scuole di medicina che coniugavano scienza greca, persiana e indiana (qui si studiava anche il sanscri­ to ) . La prestigiosa istituzione accademica della città era stata vol uta da Khusraw I Aniishirwan attorno al 5 5 0 e quasi subito divenne uno dei centri primari per la diffusione del Nestorianesimo prima nella stessa Persia e poi in alcune importanti regioni dell'Orien­ te, come il Tibet e la Cina9• L'indiscussa autorità di questa Istituzione scientifica veniva attribuita an­ che al sostegno diretto di Sapore I, il re sassanide che ambiva far diventare questa città la diretta ri­ vale della cristianissima Antiochia anche sul piano dell'insegnamento dottrinale. Verso la fine del 532 questi ultimi maestri, ormai considerati i custodi e gli eredi diretti dell'antica sa­ pienza "platonica " , tornarono in Occidente protetti dal trattato di pace stipulato con i Persiani col qua­ le i Bizantini si impegnavano a tollerare la presenza dei " filosofi-teurghi" neoplatonici. Erano autorizza­ ti a continuare solo privatamente ( "a modo loro " ,

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Secondo Tor Andrae (Les origines de l'Islam et le Christiani­ sme, Maisonneuve, Paris 1 95 5 , p. 34) la massima espansione del Nestorianesimo di Persia si ebbe fra il 5 7 8 e il 605. Alcune brevissime indicazioni di René Guénon rendono probabile che sia proprio questo il periodo nel quale i Nestoriani e i Sabei formavano la " copertura esteriore" di quel sim bolico " Cen­ tro Supremo " sul cui significato dottrinale Guénon ha insisti­ to molto spesso. Più in generale cfr. Edward Watts, Where to

Live the Philosophical Life in the Sixth Century ? Damascius, Simplicius and the Return (rom Persia, " Greek, Roman and Byzantine Studies " , 45, 2005, pp. 2 8 5 -3 1 5 .

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