Corte marziale 8817031399, 9788817031394

Impegnati sul fronte finlandese in azioni di sabotaggio dietro le linee nemiche russe, i soldati della compagnia di disc

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Corte marziale
 8817031399, 9788817031394

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Sven Hassel

Corte marziale traduzione di GIORGIO CUZZELLI Titolo originale dell'opera: COURT MARTIAL

Alla memoria di Ernst Ruben Laguksen, comandante del Reggimento corazzato finlandese Dragoni di Nyland La tragedia del soldato tedesco consiste nella convinzione che esistano motivi plausibili per continuare a battersi e perdere la vita. Così persiste a compiere senza tregua sacrifici disumani per una causa già persa da un pezzo. Parole pronunciate dall'Oberst Graf von Stauffenberg prima della sua esecuzione il 20 luglio 1944

Questo libro è dedicato alla città di Barcellona dove ho incontrato un'ospitalità davvero incomparabile e dove ho scritto la maggior parte dei miei libri.

2 La perdita di una gamba o di un piede è di gran lunga meno grave. Le nuove protesi hanno articolazioni che spesso funzionano meglio di quelle vere. Così quando ti becchi l'artrite, te la puoi curare con l'oliatore. Porta a Fratellino, mentre si trovano 200 chilometri a nord del Circolo polare artico

Porta mugola di soddisfazione e le fa posto sulla panchina di legno marcio dove siamo seduti. Lei scoppia a ridere, e la risata si diffonde nel bosco. Ha il sole alle spalle per cui riusciamo a intravedere i contorni del corpo. La gonna grigia dell'uniforme estiva è confezionata con un tessuto sottile, trasparente. Vorremmo che restasse lì, in piedi, per tutta l'eternità. Ha i capelli lunghi, dorati, simili a un campo di grano maturo. Non parla il tedesco. Così dobbiamo farci capire esprimendoci in una strana specie di lingua franca. Porta parla qualcosa che secondo lui dovrebbe essere finlandese, ma la ragazza non lo capisce. Spruzzi d'acqua, simili a grandi gocce di pioggia, si sollevano dalla superficie del fiume. « Sparano », osserva Gregor laconicamente. « Perdono tempo. » « E sprecano munizioni, a quella distanza », soggiunge il Vecchio, accendendo la pipa dal coperchio d'argento. Gli zampilli d'acqua sembrano rincorrersi sulla superficie del fiume. « Non avete paura? » chiede la soldatessa, rassettandosi la gonna. « No », risponde Porta con una risata sprezzante, « Fanno pena, poveri idioti. Godono quando sparano. » « Non mi è mai capitato di vederli sparare,- finora », fa la ragazza allungando il collo per vedere meglio. « Possiamo avvicinarci un po' », suggerisce Porta, aiu-

3 tando la ragazza ad alzarsi. « Qui ci fanno ridere. » « Potrebbe scattarmi una foto? » chiede, lei, allungando la Leica a Heide. Poi si mette in posa sulla vetta della collina. Heide scatta l'istantanea, badando di riprendere anche gli zampilli sollevati dalle pallottole. « Facciamone una con lei tra me e Fratellino! » esclama Porta con un largo sorriso. La ragazza ride e cinge con le braccia i due. Heide si accoscia come se fosse un fotografo di professione. La pallottola esplosiva le strappa via mezza faccia. Brandelli di carne, sangue e frammenti d'osso investono Porta. Un orecchio è finito sul petto di Fratellino ed è rimasto appeso come una medaglia. « Un cecchino! Un fottuto cecchino! » urla Fratellino, lasciandosi cadere lungo disteso accanto a Porta. Poi, i due spostano a strattoni il corpo della ragazza morta davanti a loro, in maniera da creare un riparo.

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IL PONTE « SECONDA SEZIONE, in marcia! » ordina il Vecchio, infilando il braccio nella cinghia della MPI.1 Ha l'aspetto stanco e sfiduciato. La faccia è coperta dai peli grigi della barba non fatta da vari giorni. L'antica pipa dal coperchio d'argento gli pende con aria triste dall'angolo della bocca., Alcuni soldati, pochi, si alzano e cominciano a prendere le armi, i materiali. Porta e Fratellino rimangono sdraiati nella calda buca che sono riusciti a trovare. A vederli, si direbbe che l'ordine appena dato non li riguardi affatto. « Non avete sentito l'ordine? » sbraita Heide con aria d'importanza, gonfiando il petto con aria da vero Unteroffizier. « Ecco che ricomincia », dice Fratellino, furibondo, puntando la MPI contro Heide. « Che cosa si può fare per fargliela piantare? » « Ammazzarlo alla prima occasione », decide Porta, conciso. « Che ne diresti di legarlo a una trave del ponte un momento prima di schiacciare la fottuta leva? Così lo liquidiamo e provvediamo alla cremazione in un colpo solo! » suggerisce Fratellino con entusiasmo. « Porci », ringhia Heide, allontanandosi. « Muovetevi, invece di battere la fiacca! » grida il Vecchio, irritato, dando una spinta a Porta. «Non hai capito niente. Non mi muovo finché non avrò bevuto il caffè che mi spetta », risponde Porta, per MPI, abbreviazione per Mascbinenpistole, pistola-mitragliatrice. (N.d.T.)

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5 nulla impressionato. Fratellino si accinge a fare il caffè. Riempie la cuccuma di neve e ben presto un allegro fuocherello divampa sotto il recipiente. Il Vecchio è paonazzo in volto. « Che ti prende? Ti prude il culo? Vi do cinque secondi per alzarvi in piedi, altrimenti vi preparo una tazza di caffè che ricorderete per tutta la vita! » E solleva il Kalascnikov sopra la testa come un bastone. Porta fa appena in tempo a scansarsi quando il calcio dell'arma si abbassa nel punto dove prima si trovava la sua testa. « Che diavolo, Vecchio! A momenti mi prendevi in pieno! Non c'è bisogno di pestare la gente semplicemente perché vuole una tazza di caffè al mattino! » « Caffè! » urla il Vecchio, furibondo. « Credi forse di essere venuto in gita per goderti l'aurora boreale? » « Me ne frego di sapere perché sono qui », risponde Porta, cocciuto. « Voglio il caffè che mi spetta! Il cervello non mi funziona finché non bevo il caffè. » « Ha ragione », conferma Fratellino. « Con noi, il fottuto esercito non può permettersi di fare quello che vuole. Il caffè è un nostro diritto. Ci spetta. Lo dice il regolamento. Persino quei disgraziati che Ivan ci manda contro prendono il caffè prima di uscire dalle loro buche e farsi ammazzare da noi. » « Ma sentilo! Voialtri non avete diritto di mollare nemmeno un peto! » grida il Vecchio al colmo del furore, « e se non raccogliete subito la vostra roba e non sollevate all'istante i culi da terra, vi farò uscire a suon di pallottole la merda che avete in testa! » « Fallo! Fallo subito, giacché ci sei! » lo sollecita Heide con entusiasmo.

6 Porta sta versando l'acqua bollente sul caffè. Un delizioso aroma sale verso le vette degli alberi.. Le nostre narici si dilatano per aspirare il profumo. Ben presto, l'intera Sezione si è rimessa a sedere e assapora il caffè di Porta. Persino il Vecchio accetta in silenzio, con aria ancora risentita, il gavettino di caffè che Fratellino gli offre con gentilezza. « Andate all'inferno tutti quanti », ringhia il Vecchio, soffiando sul caffè bollente. « La Sezione più sfessata di tutto l'Esercito, e proprio a me doveva toccare! Siete un branco di buchi di culo, ecco che cosa siete! » « Non ha l'aria di essere un signore, ti pare? » osserva Fratellino, rivolto a Porta. « Direi piuttosto che è un cazzone proletario », dichiara l'interpellato. « Vantaggioso come un buco nella testa. » Fratellino si torce dal gran ridere. Trova che quella di Porta è la battuta più spiritosa mai sentita. « Ti lasci dire queste cose? » chiede Guri, il lappone, con un sorriso che va da un orecchio all'altro. « Per chi mi hai preso? » urla il Vecchio con veemenza. «Mi avete sentito? Ho dato un ordine! In marcia! » « Non gridare così », lo avverte Porta. « I vicini potrebbero sentire le puttanate che stai dicendo in tedesco. È pericoloso parlare in tedesco da queste parti. » « Adesso basta! » urla il Vecchio, al colmo del furore, afferrando la sua MPI. « Provati a sparare e ti faccio fuori », minaccia Fratellino, puntando il suo Kalascnikov contro il Vecchio. « Lasciatemi bere il caffè in pace! » fa Porta in tono piagnucoloso. « Niente guerra finché non mi sarò sciacquato le tonsille! » «Così ce l'ho in culo! » commenta rassegnato il Vec-

7 chio e scaraventa tra gli alberi il berrettone di pelliccia russo che aveva in testa. « Bada che potrebbero gelarti i capelli », lo avverte in tono gentile Fratellino. «Questi berrettoni non ci sono stati distribuiti solo per sfilare in parata, sai! » Porta sta preparando tranquillamente un'altra cuccuma di caffè. Di regola ne beve cinque gavettini, al mattino. « Dimmi solo una cosa », fa il Vecchio in un tono sommesso che non promette nulla di buono. « Quanto durerà secondo te questo coffee-party? » « Solo un idiota può pretendere che della gente si metta a scorrazzare in lungo e in largo sulla carta geografica prima di aver bevuto il suo caffè mattutino », risponde calmo Porta, riempiendo di nuovo i gavettini. Il Vecchio accetta, pur scuotendo la testa, il suo gavettino, ma sobbalza quando vede Fratellino abbrustolire delle fette di pane. « Quando ritorneremo alla base, ti denuncerò per rifiuto di obbedienza! » minaccia, fremente di rabbia. « Dimmi », fa Porta, rivolto al Legionario. « Tu sei il membro più anziano di questo circolo di tiro a segno. Quando eri nella Legione straniera, vi mandavano mai a farvi tagliare la gola dai musulmani senza un po' di caffè nello stomaco? » « Non, mon ami, non ricordo che sia mai capitata una cosa del genere », risponde il Legionario, consapevole che sarebbe stato poco saggio dal punto di vista diplomatico e fonte di imprevedibili problemi nel futuro dissentire da Porta nella questione del caffè mattutino. A questo punto, il Vecchio perde la pazienza, getta a terra il gavettino e con un calcio fa volare la fetta di pane dalla mano di Fratellino.

8 « In piedi! Su! Subito! » « Non sprecare in questo modo la roba da mangiare! » lo rimprovera Porta. « Può darsi che tra poco sarai tu ad avere fame. Non si può mai sapere. » « L'ho già detto e lo ripeto: non è un signore », osserva con un sospiro Fratellino, raccogliendo con pazienza la fetta di pane abbrustolito. « Attento alla pressione, Vecchio mio », consiglia Porta. « A furia di esplodere così finirai per abbreviarti la vita! » Poco dopo siamo in marcia, intenti a salire e scendere chine scivolose. Verso mezzogiorno raggiungiamo la rotabile che conduce al porto sgombro dai ghiacci, molto più lontano a nord. Un po' più a levante corre una linea ferroviaria, famigerata perché costruita al prezzo di migliaia e migliaia di prigionieri. Dicono che la massicciata sia formata da ossa umane. Lunghi distesi sulla neve vediamo sfilare a poca distanza interminabili colonne di automezzi pesanti. « Avanti! Dobbiamo raggiungere la strada! » ordina il Vecchio. « Seguitemi in fila per uno! Se qualcuno dovesse fermarci, rispondano solo quelli che parlano bene il russo; gli altri si fingano sordomuti. » « Merde aux vieux! Speriamo solo che Ivan non senta puzzo di bruciato », borbotta il Legionario, dubbioso. Ha l'aria di farsi piccino, piccino. « E Gesù pianse! » sibila il Vestfalo con sarcasmo. « Questa è l'ultima volta che faccio un'escursione dietro la linea dei vicini. Non appena saremo ritornati, mi caccio una pallottola nel piede. » « Ti costerebbe la zucca, se dovessero scoprirti », osserva Porta con un sorriso. Immediatamente a nord-est di Glenegorsk troviamo il

9 primo dei ponti mimetizzati. Quattro lunghi convogli di carri merci, anch'essi mimetizzati, sono fermi su binari in attesa del segnale verde. Un paio di chilometri più indietro, un quinto treno sta aspettando. Prepariamo le cariche esplosive al margine del bosco, al riparo degli alberi. Abbiamo cinque slitte cariche di bombe Lewis del nuovo tipo, in distribuzione da poco tempo. Il primo turno di vedetta tocca a Porta e a me. Ce ne freghiamo in modo assoluto. Tanto non potremmo chiudere occhio in ogni caso. Ci siamo ingozzati di Pervitin in pillole. I russi le chiamano prysciok porok, letteralmente « polvere stimolante », un rimedio per combattere il sonno. Una pillola di Pervitin è capace di tenerti sveglio per una settimana. Quella roba ti può salvare la vita quando devi lavorare dietro le linee nemiche. « Sei impazzito!? » protesto quando vedo Porta accendere una sigaretta. « Quelli ti possono vedere anche da Murmansk! » « Non agitarti, giovanotto », borbotta Porta. « Quelli dell'Armata Rossa sfumazzano allegramente di notte! Perché non dovrei farlo anch'io? » « Sarà colpa tua se ci faranno fuori! » « Non te ne accorgerai nemmeno! » ribatte Porta con cinismo, tirando nel contempo una forte boccata che fa brillare l'estremità della sigaretta. L'indomani mattina, per tempo, siamo tutti riuniti ad ascoltare Heide, il nostro esperto di esplosivi. Heide è in piedi su un mucchio di neve per vederci tutti bene in faccia. « Aprite bene le orecchie, fetenti che non siete altro, e

10 ascoltatemi! » dice a voce alta, quasi gridando. « Come potete vedere, la roba che tengo in mano sembra un pezzo di gomma. Potete farne quello che volete. Non vi capiterà nulla. Se la gettate nel fuoco, si trasformerà in un grumo appiccicoso. Sembra gomma masticata,-ma non lo è. Questo pezzo di merda è composto per un quarto da una miscela di termite e ossido di metallo e per tre quarti da esplosivo al plastico. » « Che cos'è l'esplosivo al plastico? » chiede Fratellino con aria ingenua. « Niente che ti riguardi. Ti basti sapere che si chiama esplosivo al plastico. » Heide mostra un tubo di rame. « Questo è un tubo di rame e alluminio nel quale è alloggiato il detonatore. » « Che cos'è un detonatore? » chiede Fratellino, alzando la mano come uno scolaretto. « Nemmeno questo ti riguarda », lo rimbrotta Heide. « L'unica cosa che tu devi sapere è che si chiama detonatore. E non continuare a interrompermi con domande idiote! Spiegherò tutto quello che devi sapere, e questo basta. Come potete vedere, ci sono otto ghiere sul tubo, che rappresentano gli otto intervalli di tempo. Così possiamo stabilire in anticipo quando l'ordigno deve esplodere. La prima ghiera in basso è quella dei due minuti. Non consiglierei di usarla. Quella più in alto provoca l'accensione dopo due ore. Per quanto riguarda il tubo... » A questo punto lo solleva con fierezza, come se lo avesse inventato lui. « ...il tubo contiene un composto al mercurio. Basta strappare con un morso questa capsula di vetro perché l'acido all'interno defluisca in basso e corroda il sigillo che trattiene il percussore. Il percussore scatta e innesca la bomba. Il processo che porterà allo scoppio è cominciato. »

11 « E la fottuta bomba fa buuumm! » grida Fratellino con un sogghigno. « Idiota! » ringhia Heide, incavolato. « Piantala con le tue interruzioni! Non ti rendi conto che sono un Unteroffizier, un tuo superiore? » « Se fossimo in cavalleria, saresti un Unterwachtmeister. In un reggimento delle truppe di montagna, invece, saresti un Oberjager. Potresti anche essere — se tu fossi, tanto per dire, nei paracadutisti come Gregor qui... » « Una volta iniziato il processo della detonazione », continua Heide con aria di superiorità, « si sviluppa un calore enorme, ed è proprio questo calore che provoca l'accensione della massa di esplosivo al plastico. » « E la bomba fa buuumm! » osserva Fratellino, giubilante. Heide gli lancia un'occhiata che vorrebbe uccidere, se potesse. « L'esplosione fonde in pochi secondi tutti i metalli conosciuti, persino l'acciaio più resistente. Senza questo astuto, piccolo congegno, uno può giocare con l'esplosivo al plastico come gli pare e piace. Non gli accadrebbe nulla. Tuttalpiù s'impiastriccerebbe le dita. Uno potrebbe trovarsi in mezzo al fuoco con questa roba in tasca. Non scoppierebbe! La si potrebbe colpire con una pesante mazza. Niente paura! Ma una volta entrato in azione il detonatore, bisogna stare attenti! Allontanarsi più presto che si può! Una volta staccata la capsula, correte via! Dovete essere distanti almeno sessanta metri quando la bomba scoppia. A distanza più ravvicinata, i polmoni vi uscirebbero dal buco del culo e dalla bocca. Personalmente preferisco essere lontano almeno settanta metri. Durante il corso artificieri ai Deposito di Munizioni di Bamberg abbiamo perso nel corso di una sola

12 esercitazione due esperti artificieri. Credevano di poter scherzare con le bombe Lewis. » « Bamberg! Conosco il posto! » grida Fratellino, giulivo. « Facevamo saltare treni e camion con della roba che chiamavano TNT. Anche da noi, due di quelli che sanno tutto sulle munizioni sono saltati in aria. Uno dei due era addirittura a letto. Poi hanno scoperto che una carogna di caporale gli aveva spinto una carica sotto la branda, per spedirlo in Paradiso per quella strada. » « Capisquadra a rapporto », ordina il Vecchio in tono brusco. « La pace sia con noi », commenta laconicamente Fratellino, estraendo un enorme sigaro dal contenitore della maschera antigas. Fratellino fuma di preferenza sigari: ritiene che diano un tocco di classe. La nostra squadra ha il compito di cercare il ponte a nord di Pulozero. I russi hanno piantato degli alberi per mimetizzarlo e l'hanno fatto così bene che riusciamo a vederlo solo dopo esserci avvicinati a qualche metro di distanza. Si tratta di un enorme ponte ferroviario. Le travature d'acciaio arrivano alla Lapponia. Il nostro distaccamento deve far saltare tutti i ponti e gli argini fino a Pitkul'. Un tratto di circa centocinquanta chilometri. L'operazione dovrebbe interrompere per parecchio tempo il traffico ferroviario e le più importanti comunicazioni stradali. « Mi domando se dopo questa sfacchinata ci daranno un po' di licenza per andare a casa e dare un'occhiata alla Reeperbahn », dice Fratellino con aria sognante. Ha gli occhi lucidi. « Macché! » ribatte con aria cupa Barcelona. « Quelli se ne fregheranno di noi e ci faranno fare un'altra gitarella senza darci nemmeno il tempo di, fare la sauna. »

13 « Sarei dovuto nascere finlandese », osserva con tono deciso Porta. « Quelli, almeno, vengono trattati come esseri umani. » « Non devi vedere solo il lato brutto », fa a voce alta Gre-gor, ottimista. « Di sicuro ci daranno un bel po' di medaglie per questa roba qui. » La chincaglieria gli piace, così come piace a Heide. « Par Allah, a me basterebbe un bel Heimatschuss, una pallottola intelligente che mi faccia tornare a casa, e una buona dormita in un letto pulito in un ospedale », sospira il Legionario con aria stanca. « Accontentati di tornare a casa vivo », gli consiglia in tono asciutto il Vecchio. « Piantatela! » grida Fratellino. « Facciamo saltare questi ponti, tanto per divertirci un po' in questa guerra fottuta. » Ci dividiamo le cariche di esplosivo. Abbiamo gli zaini speciali pieni. Poi ci salutiamo a vicenda, prima di disperderci in silenzio nel deserto bianco ed essere inghiottiti dalla boscaglia sul versante opposto dei laghi coperti di ghiaccio. La nostra squadra evita il letto del fiume e prosegue sulla rotabile che porta a nord. Varie volte, autieri e vedette russi ci danno la voce. Ci prendono per un reparto di sbarramento a causa delle nostre uniformi. Manca poco che Fratellino provochi una catastrofe quando grida «Buco del culo!» in perfetto tedesco, cioè «Arschloch!», all'indirizzo di un camion russo che passando in velocità ci copre di neve. Arrivati al ponte stradale a sud della Lapponia salutiamo il gruppo del Legionario che si stacca. « Fate per benino il vostro lavoretto », li esorta Fratellino con aria paterna. « Fatelo saltare con una sola e-

14 splosione prolungata, figli miei, altrimenti il fottuto ponte resterà in piedi. Se fossi al posto vostro, mi sarei rivolto a me per chiedermi di fare il lavoretto per voi. » « Merde, tu non sei l'unica persona al mondo che sappia far saltare in aria la roba », risponde il Legionario, e scompare alla testa del suo gruppo. « I ponti sono all'incirca le cose più difficili da far saltare », dice Fratellino rivolto a Porta. « Se le cariche non sono giuste, nemmeno un milione di bombe Lewis fanno l'effetto che ci vuole. » « Stai attento di non combinare una fesseria un giorno o l'altro », osserva Gregor con aria scontrosa. Gregor prova un'avversione nevrotica nei confronti di tutto ciò che possa esplodere. « A me non succederà mai! » ribatte Fratellino con molta prosopopea. « Quando devo vedermela con un ponte, è il ponte che finisce con il culo per terra! » Poche ore più tardi arriviamo al nostro ponte. Fratellino si avvicina per esaminarlo e dà con la mano dei colpetti alle massicce travi di ferro. « Dio buono, ma guarda che bel ponte! » dice con un ghigno. Un treno merci lungo un chilometro passa rombando sul ponte. Un soldato impellicciato, di guardia nella garitta del frenatore di un carro, ci saluta agitando la mano. « Quello non sa quant'è fortunato per aver preso questo treno », osserva Porta, soprappensiero. « Il prossimo salterà in aria! » Il ponte è più difficile di quanto ci aspettassimo. È incredibilmente difficoltoso arrampicarsi sul cemento armato levigato dal ghiaccio, e non c'è nulla che possa offrire un appiglio. Soltanto ghiaccio e ruvido cemento

15 armato che lacera le mani riducendole a brandelli. Fratellino dice cose irriferibili tutte le volte che scivola e sdrucciola sul fiume ghiacciato. « Chi sarà l'idiota imboscato che si è dimenticato di farci distribuire i ramponi? » Porta, da parte sua, snocciola una sfilza di bestemmie scelte quando gli capita di scivolare per la ventesima volta a ritroso. Quando finalmente, dopo ore di sforzi bestiali, riusciamo ad arrampicarci fino alla struttura portante del piano ferroviario, incontriamo un nuovo ostacolo che minaccia di scoraggiarci definitivamente. Ci sediamo in silenzio e ci mettiamo a contemplare la massa di reticolato dall'aria sinistra che impedisce l'accesso ai punti più vulnerabili del ponte, quelli dove le travi portanti dei binari sono posate sui piloni. « Cristo, figlio giudeo di un dio tedesco! » esclama Porta. « Adesso ci manca ancora di finire su qualche mina antiuomo per toglierci, imbottiti come siamo di esplosivi, la divisa più in fretta di quanto abbia impiegato Hitler per farcela mettere. » « Sarebbe un bel casino », borbotta tra i denti Fratellino, frugando con lo sguardo sotto il reticolato, « visto che nemmeno un bottone si salverebbe. » « Oh, be', assistiti dalla Beata Vergine e dalla collaudata esperienza tecnica tedesca, probabilmente ce la faremo », ribatte Porta filosoficamente. « Se qualcuno di noi dovesse fare, senza volerlo, anche una sola mossa sbagliata », dice Fratellino, « salteremmo tutti in aria, tanto per cambiare! » « Hai un bel coraggio! » incalza Gregor in tono piagnucoloso. « Attenzione, ha inizio lo spettacolo! » li avverte Porta e comincia a tagliare il filo spinato.

16 I primi frammenti arrugginiti di reticolato •sfrecciano davanti alle nostre facce. Dopo poco tempo, Porta è già stanco e passa il tronchese a Fratellino che attacca il reticolato con l'energia di un bulldozer. « Attento, porco il demonio! Non fare l'idiota! » esclama Gregor, terrorizzato. « Basta che tagli un solo filo sbagliato, e siamo fregati! » « Ecco una troia di mina! » grida Fratellino in tono quasi meravigliato, chinandosi. Poi afferra la mina antiuomo e la tira piano piano. « Ecco i fili! » soggiunge, indicando una matassa di cavi grigi sotto l'ordigno. « Attento, attento! » grida Porta, innervosito. « Lasciala dove si trova e svita il coperchietto in alto! Prima di cominciare, aspetta che scendiamo. Non c'è bisogno che crepiamo tutti! » Senza scomporsi, Fratellino comincia a disarmare il mostro, svita e sfila il detonatore e abbandona la mina che cade e poi si mette a penzolare davanti a noi, appesa ai cavi. Siamo tutti spaventati a morte e tratteniamo il fiato. « Sta' più attento, in nome di Cristo! » grida Porta a Fratellino che ha trovato altre tre mine di un tipo mai visto finora. « Ma guarda, guarda! » esclama lui, profondamente interessato. « Qui c'è un piccolo coso che si può girare] » « Cristo! Non sognarti di girare quella levetta! » urla Porta, spaventato. « Quella è collegata con il detonatore! » « Che cosa devo fare allora, con questa roba? » chiede Fratellino con aria indifferente. « Prenderla a calci? » « Non toccarla, per l'amor del cielo! » geme Gregor in un parossismo di terrore. « Non posso continuare a tagliare il reticolato senza

17 sollevarla », replica Fratellino, dando con cautela un colpetto alla mina più vicina. « Non c'è per caso un coperchietto rosso a cerniera accanto alla levetta? » chiede Porta, mettendosi nel contempo bene al riparo dietro una robusta trave di cemento armato. Un treno merci attraversa sferragliando il ponte. Tutti smettono di parlare mentre passa il convoglio. « Che diavolo! Sta piovendo! » esclama, meravigliato, Fratellino, non appena il treno si è allontanato. « Uno dei compari ti ha pisciato addosso », grida Porta esplodendo in una risata convulsa. « Strozzerò quél figlio di puttana! » ruggisce Fratellino, agitando il pugno nella direzione del treno che sta scomparendo. « Nessuno può pisciarmi in testa e farla franca! Senti, puzzo già come una latrina da campo! Manca solo che i comunisti mi caghino anche in testa! » « Potrai lavarti quando rientreremo alla base », fa Porta con un sorriso malvagio. « Comunque, sarà sempre meglio beccarsi della merda anziché una pallottola. Guarda un po' se quelle mine fottute hanno un bottone rosso sul fianco! » « C'è un pulsante rosso, oblungo », comunica Fratellino, « e anche piuttosto grande. Ci sta scritta tutta la storia della rivoluzione rossa. » « Che cosa c'è scritto? » chiede Porta. « Non mi pagano ancora il soprassoldo come traduttore dal russo », risponde Fratellino con insolenza. « Ora dobbiamo procedere con calma e vedere che cosa succede », fa Porta. « Schiaccia il pulsante rosso e tieni ferma nello stesso tempo la levetta. Se questa si sposta, la mina salta! » « Molto interessante! » grida Fratellino in risposta. La

18 voce rimbomba sotto il ponte. « Roba da manicomio! » geme Gregor, rassegnato, tentando di mettersi meglio al riparo nella neve. « Non c'è bisogno di copertura », esclama Porta, per mettere gli altri a proprio agio. « Qui sotto siamo abbastanza al sicuro, per modo di dire. Le mine esplodono sempre verso l'alto! » « E Fratellino? » chiedo con aria innocente. « Sarà morto per l'onore della Grande Germania. Il suo nome verrà scolpito sul monumento agli eroi che sta nel cortile della caserma », recita Porta con l'aria di uno che accetta il corso fatale degli eventi. « Ho schiacciato il pulsante », grida Fratellino, come se tutta la faccenda non gli facesse né caldo né freddo. « E adesso, che cosa faccio? » « Spingilo nell'interno, ma molto lentamente! Se senti un rumore di scintille, un crepitio, salta giù dove siamo noi, ma come una scheggia, se non ti puzza di campare! » « Per ora non è successo niente », risponde Fratellino. « A meno che non finga di essere morta. » « Adesso solleva il coperchio della mina », spiega Porta. « Infila la mano nella fessura e tasta in giro finché non trovi un piccolo coso quadrato che devi piegare in giù. » « Ci sono! » dice Fratellino con aria soddisfatta. « Adesso sistemo tutta la faccenda in quattro e quattr'otto! » « Attento a quel che fai! » lo mette in guardia Porta. « Bada a non lasciarti scappare la levetta. Potrebbe essere la tua ultima mina! » « Non fartela addosso! » ribatte Fratellino con sicumera. « Nessuna mina è riuscita finora a farmela. Adesso

19 potete venire di nuovo quassù! » « Sta' attento a tagliare il reticolato! » dice Porta. « Potresti troncare per sbaglio qualche cavo elettrico e farci saltare tutti. » Sistemiamo i detonatori neutralizzati sotto i cilindri di acciaio. Porta pensa che in quel punto non possono combinare grossi guai. Così ci spingiamo un po' alla volta attraverso il reticolato verso le travature portanti, badando sempre alle mine. Sto sudando di paura nonostante il gelo artico. Le mine mi terrorizzano così come spaventano Gregor. Durante le successive lunghe ore trascorse a lavorare sotto il ponte, innumerevoli treni ci passano sopra la testa. Ci ripariamo il capo con teli da tenda per evitare quant'è capitato a Fratellino. Eliminato finalmente l'ostacolo costituito dal reticolato comincia un altro pesante lavoro: far salire le cariche esplosive dalle slitte. A me tocca il compito peggiore, quello di trasportare le bombe Lewis dalle slitte ai piedi dei piloni. Dopo un paio d'ore sono così esausto che cado disteso sulla neve e mi rifiuto di continuare senza aver riposato prima un po'. La schiena e le braccia mi fanno talmente male che potrei urlare al minimo movimento. Porta e Fratellino stanno altercando furiosamente per stabilire chi dei due debba piazzare le cariche esplosive. « Se ognuno di noi si occupa di un pilone, faremo più in fretta », dice Fratellino che non vede l'ora di manipolare le bombe Lewis. « Tu farai quello che ti dirò io, cesso ambulante che non sei altro! » grida Porta, scagliando una chiave inglese nella sua direzione.

20 « Tu hai lo stesso grado mio », ribatte Fratellino, infuriato. « Un Obergefreite è un Obergefreite e né Dio né il Demonio può dire a uno di loro ciò che devono fare. Dove andremmo a finire, mi domando, se un fottuto Obergefreite qualsiasi si mettesse in testa di dare ordini ai suoi pari grado? » « Io frequentavo il corso artificieri a Bamberg dove insegnano tutto sulle munizioni e gli esplosivi », ribatte Porta con sussiego, « mentre tu battevi la fiacca a un corso della Sussistenza per cuochi dove hai imparato a rovinare il Sauerkraut! Persino tu dovresti essere capace di capire che in un lavoro come questo tocca a me dare gli ordini! » « Che mi venga un colpo! » risponde risentito Fratellino. « Come se non fossi stato a Bamberg anch'io! Mi hanno dato persino una medaglia per lo zelo eccezionale che è costato la vita a due istruttori! » Dopo molte altre discussioni, i due decidono di dividersi il lavoro tra di loro. Fratellino trova un sistema intelligente per fissare le bombe ai piloni senza che slittino e finiscano dabbasso. Ma la cosa più importante rimane pur sempre quella di stabilire i circuiti elettrici necessari per farle funzionare a dovere. Ormai è notte fonda quando abbiamo finalmente sistemato un lato del ponte. Poi, Porta pretende di avere il rancio serale. « Si vede che il marcio ti è salito dal buco del culo al cervello! » esclama Gregor, incavolato. « Sarebbe un autentico suicidio mettersi a mangiare proprio qui, addirittura sotto il ponte di Ivan! » « Gli verrebbe un bell'infarto, eh?, se ci trovasse qui », commenta Fratellino che non sembra affatto preoccupato.

21 Ma Porta continua a rivendicare il rancio al quale ha diritto in base a quanto stabilito dall'HDV, l’Heeresdienstvorschrift, cioè il regolamento sul servizio in guerra dell'Esercito. Mentre siamo seduti lì, a mangiare, varie pattuglie della NKVD in perlustrazione passano a poche decine di centimetri sopra le nostre teste. Ci basterebbe allungare le mani tra il tavolato del ponte per toccare i loro stivali. L'attraversamento del ponte per raggiungere il lato opposto si rivela un'impresa da acrobati. Varie volte siamo sul punto di cadere. Quando, finalmente, arriviamo sul posto, troviamo altri reticolati da tagliare. Ci lanciamo le cariche esplosive da una base all'altra di ogni pilone. Le cariche d'innesco sono le più pericolose. Basta una percussione violenta per farle esplodere. Se ne lasciassimo cadere una, le guardie della NKVD arriverebbero al galoppo. Sul trattamento che ci riserverebbero non ci facciamo illusioni. « Sei proprio in gamba per questo lavoro », fa Porta, battendo la mano sulla spalla di Fratellino. « Pur di tenere lontano il lupo », ribatte questi con aria compiaciuta, collocando una fila di bombe Lewis intorno alla base di cemento armato più vicina. Poi, con l'agilità di una scimmia, s'inoltra sotto le travi portanti sopra il vuoto per fissare i cavi. Solo a guardarlo mi gira la testa. « Come diavolo riesce a farlo? » mormora Gregor, innervosito. « Per l'amor di sant'Agnese, non chiederglielo! » lo avverte Porta. « Lo faresti cadere! Quello non si rende conto del pericolo che corre. » Un lieve rumore ci fa alzare la testa. Tre agenti della NKVD stanno attraversando il ponte sopra la nostra te-

22 sta. Quello che abbiamo sentito era il metallo del mitragliatore che sbatteva contro le buffetterie. « Qui ci vorrebbe Adolfo per vedere come se la caverebbe », urla Fratellino improvvisamente. La sua voce fende come una pugnalata il silenzio. Sfilo la mia pistola-mitragliatrice dalla spalla e punto l'arma contro i poliziotti sul ponte. Un treno arriva rombando. Il crepitio della raffica annega nel fragore. Tre uomini, che indossano lunghi cappotti di pelliccia, cadono riversi oltre la bassa rete metallica che funge da parapetto e precipitano nel vuoto per scomparire tra i blocchi di ghiaccio. Porta prova a dare una cauta occhiata in giro, infilando la testa tra due traversine. Per fortuna erano solo in tre. Il treno attraversa il ponte con un clangore di ferraglia. « Che diavolo ti prende? Perché hai sparato? » grida Fratellino», sbalordito, affacciandosi da dietro un pilone poco distante. « Vuoi farci venire la caccarella? » « Perché non sei capace di tenere chiuso quel tuo cesso di bocca amburghese », risponde Porta con cattiveria. « Non ti avevo detto di non parlare tedesco da queste parti? » Con l'aiuto di segnali luminosi delle nostre torce riusciamo a spezzare con i denti contemporaneamente le capsule di vetro, in maniera da sincronizzare le esplosioni. Si tratta di un accorgimento molto importante quando bisogna demolire ponti di questo tipo. In caso contrario, infatti, il ponte si spezzerebbe solo in alcuni tratti, il che permetterebbe ai genieri russi di ripararlo'senza molte difficoltà.

23 Porta è l'ultimo a scendere dal ponte. Trascina dietro a sé un sottile cavo elettrico che collega, una volta superata l'ansa del fiume, con il detonatore elettrico portato in spalla da Fratellino. Prendiamo posizione a distanza di sicurezza dal ponte, sul versante opposto del laghetto. Poi, Fratellino si mette a girare vorticosamente la manovella, in maniera da generare l'energia necessaria per provocare l'esplosione, mentre Gregor osserva il voltametro per stabilire quando la tensione avrà raggiunto il livello sufficiente. Fratellino si concede un attimo di riposo dopo la faticaccia e accende uno dei suoi grossi sigari. Un momento solenne come questo è degno, a suo avviso, di un sigaro. Poi, con l'espressione di un cappellano militare che getta una manciata di terra sui resti di un feldmaresciallo caduto in combattimento, sistema il pulsante nella posizione di « pronto » mentre dal fondo dello stomaco gli esce una risata gorgogliante. « Tenetevi stretti, ragazzi! » dice con aria solenne, accarezzando la cassetta del detonatore. « Siamo pronti per la partenza. » « Non schiacciare il pulsante finché non te lo dirò io », lo ammonisce Porta, innervosito. « La carica d'innesco deve saltare per prima, altrimenti il dannato ponte resterà in piedi! » « E Gesù pianse! » esclama Fratellino, inorridito. « Sarebbe come entrare al cinema e scoprire che qualche fottuto di ebreo ha portato al monte il film per impegnarlo. » « Sono cose che possono capitare », osserva Porta con aria grave. « È successo a me una volta, a Berlino. » « Non abbiate paura! » ci rassicura Fratellino. « Nes-

24 sun ponte è stato finora capace di resistermi, e non sarà proprio questo ponticello a farla franca! » « Hai detto ponticello? » chiede Gregor, sorpreso. « È il più grande che io abbia mai visto! » « Goditene la vista, allora », risponde Fratellino con una risata rauca. « Tra un paio di minuti non ci sarà più! » Un treno merci, trainato da due locomotive enormi, si avvicina lentamente al ponte minato. Ogni secondo carro è munito di una bandiera rossa da segnalazione. « Per sant'Agnese, matrigna di Dio! » grida Porta strabuzzando gli occhi..« Un treno carico di munizioni! » « E guarda quelle cisterne piene di benzina », esclama Fratellino, indicando con il braccio teso la rotabile dove una lunga fila di autocarri procede di fianco ai binari della ferrovia. « Cercate di aggrapparvi bene al terreno », fa Porta con aria preoccupata. « Altrimenti rischiamo di saltare in aria anche noi con quel fottuto ponte! » « Speriamo che non si accorgano delle cariche d'innesco quando cominceranno a crepitare », dice Gregor con espressione tetra, osservando con il binocolo la colonna di autocisterne lunga circa un chilometro. « Che Dio abbia pietà di noi. Là c'è abbastanza benzina per un intero esercito! » « Balle! » lo tranquillizza Fratellino con tono paterno. « Quelli saranno già in volo sulla Via Lattea prima di capire che cosa è successo. » « Che idioti siamo stati! Dovevamo accorciare i tempi delle detonazioni », fa Porta con aria scocciata. « Non bisognerebbe mai fidarsi di quello che insegnano quei fessi a Bamberg. Noi sappiamo già adesso molto di più di quanto quelli faranno in tempo a imparare. »

25 « Sembra di essere a Natale, no? Quando guardi attraverso il buco della serratura per vedere l'alberello che il babbo ha fregato da qualche parte o i regali che lui e la mamma hanno preso a credito e non pagheranno mai », commenta Fratellino con un'espressione di felicità sulla faccia. « Se non dovesse funzionare, finiremo sotto processo », fa Gregor cupo, avvicinando di nuovo il binocolo agli occhi. « Se invece funzionerà, e Ivan ci beccherà, finiremo sotto un'altra specie di processo! » ribatte Porta con una risata. « Piantatela con i vostri ragionamenti », esorta Fratellino che è ottimista. « Puoi fare quello che vuoi. Nell'Esercito trovano sempre il modo di mandarti sotto processo! Il tribunale di guerra è sempre lì, che ti aspetta! » Con un rumore simile a un tuono lontano, il treno attraversa rombando il ponte mentre un altro treno, proveniente dalla direzione opposta, imbocca a sua volta il ponte. « Peccato, i carri del secondo treno sono vuoti, di ritorno », osserva con un sospiro Fratellino. Due fiammate guizzano verso il cielo alle due estremità del ponte. « Gli inneschi hanno funzionato! » esclama Porta fissando il lungo ponte con gli occhi sbarrati, in attesa di ciò che deve venire. Fratellino schiaccia con tutto il peso del corpo il pulsante del detonatore elettrico. Un'unica, fantastica fiammata giallo-rossa si alza verso il cielo per distendersi in una nube a forma di fungo, di enormi dimensioni. Il ponte si solleva in tutta la sua lunghezza verso la nube grigia che ha un aspetto terrifican-

26 te. I due treni merci sono sempre sul ponte. Non un solo carro si è rovesciato. Poi, tutto esplode, si disintegra in una miriade di pezzi. Una serie di carrelli si schianta a terra a pochi metri di distanza da noi. Le autocisterne sulla rotabile sono così addossate le une alle altre da non avere lo spazio necessario per voltarsi. Così finiscono per esplodere e cascate di benzina in fiamme si rovesciano sulla superficie gelata del lago. Pesanti autocisterne vengono scagliate verso il cielo come tanti giocattoli. La benzina schizza dappertutto creando nuovi focolai d'incendio che divampano con fiammate rossastre. Poi, con un lieve ritardo, anche noi veniamo investiti dal terribile spostamento d'aria provocato dall'esplosione. Io vengo scagliato sulla superficie gelata a vari metri di distanza, ma tutto accade così presto che non ho nemmeno il tempo di spaventarmi. Fratellino, seguito a ruota dal detonatore elettrico e da una coda di cavi strappati, sorvola come una pallottola il laghetto e scompare tra gli alberi sul versante opposto. Porta viene scagliato in aria, descrive una specie di mezza curva, gira varie volte su se stesso e atterra su un enorme mucchio di neve accumulata dal vento. Gregor è scomparso. Finalmente lo troviamo lontano, a valle, incastrato tra due alberi contorti in fondo a una depressione. Liberarlo costa una certa fatica. « Per santa Barbara! » esclama Porta. « Quelle bombe Lewis non scherzano davvero! » « I russi ci strapperanno i coglioni se ci prendono », vaticina Gregor con aria sinistra, guardandosi nervosamente intorno. « Ivan in questo momento ha altro da fare che cercare

27 proprio noi », ribatte Porta, ottimista. « Così impareranno a viaggiare con i fari accesi, come-se noi non esistessimo! » « Adesso, in ogni caso, sanno che c'è la guerra », osserva Fratellino con un ghigno di soddisfazione. « Muoviamoci! » fa Porta in tono perentorio. « Sono solo poche ore di marcia fino al punto dove dobbiamo riunirci, e quelli non hanno l'abitudine di aspettare! L'idea di ritornare alla base noi quattro da soli non mi piace! » Quando arriviamo sul posto, li troviamo già tutti riuniti, ma l'azione è stata portata a termine non senza gravi perdite. La Prima Sezione è caduta in un'imboscata prima di raggiungere l'obiettivo. Gli uomini sono stati tutti passati per le armi. I corpi sono stati abbandonati sul posto, a disposizione dei lupi.,La Seconda Sezione, quella del Vecchio, ha perso nove uomini. Della Terza Sezione sono rimasti solo in cinque. Gli altri sono rimasti uccisi dall'esplosione prematura delle cariche di demolizione. « Polverizzati », spiega un Gefreite con gesti eloquenti. « A giudicare dal fracasso avete combinato un casino d'inferno », commenta il Vestfalo. « Che diavolo avete fatto? » « Già che c'eravamo, abbiamo fatto saltare anche un pàio di tonnellate di munizioni », risponde Porta con aria spavalda. « E ve la siete cavata così, senza nemmeno una scalfittura? » chiede Barcelona, sbalordito. « Siamo rimasti solo un po' offesi », risponde Fratellino in tono asciutto. Il Leutnant Blücher è scomparso senza lasciare traccia

28 insieme a quasi tutta la Quarta Sezione. Solo otto uomini sono ritornati al punto di riunione, tutti in preda a un tale shock che non riusciamo a farci spiegare che cosa sia successo. Parlano in maniera incoerente di pattuglie della NKVD e di torture. Al ritorno alla base finiranno probabilmente in una delle sezioni psichiatriche dell'Esercito. La strana malattia che colpisce i combattenti impegnati nella guerriglia dietro le linee nemiche ha colpito anche loro. Restiamo per tre giorni rintanati in una balka, in attesa che i russi si calmino, prima di allontanarci. Un paio di volte sentiamo il fruscio dei loro sci sulla neve non molto lontano dal punto dove stiamo aspettando. Nessuno riesce a dormire. Colpa delle pillole di Pervitin. Porta ci rende meno noiosa l'attesa raccontandoci la storia di un Gefreite che ha incontrato al corso artificieri al Deposito di Munizioni di Bamberg. « Era un bel matto, di Dresda », comincia. « Pazzo come quel disertore russo, venuto da noi a Kharkov, che mangiava il panno dell'uniforme, come se fosse una specie di tarma. Questo Gefreite di Dresda faceva da borghese il mangiatore di vetro. Era proprio un professionista. Non appena vedeva uno specchio o un qualsiasi oggetto di vetro di valore, lo prendeva e lo divorava. Ben presto, in tutta la compagnia non c'era più uno specchio. Li aveva mangiati tutti il Gefreite di Dresda. « Gli uomini delle altre compagnie venivano a trovarci di sera con specchi e altra roba di vetro, e quello si pappava tutto. Naturalmente dovevano pagare per assistere allo spettacolo. Io facevo da cassiere. Dopo un po', il tipo si fece fuori tutti gli specchi esistenti nel Reggimento. Proprio tutti. Il prezzo degli specchi subì un notevole

29 aumento. « Siccome gli specchi cominciavano a scarseggiare, cominciammo ad arrangiarci in città, e ben presto non c'era più uno specchio in tutta Bamberg. Com'era ovvio, la faccenda arrivò alle orecchie della KRIPO, la Kriminalpolizei. Da principio, quelli della KRIPO presero la cosa in ridere. Volevano sapere chi fosse tanto matto da andare a fregarsi in giro gli specchi e, tanto per cominciare, misero dentro il tizio che aveva segnalato il fatto. Quando, però, i poliziotti si accorsero che anche i loro specchi erano spariti, cambiarono registro. « Poco dopo scomparve anche lo specchio del Gauleiter.1 E subito dopo, quello del generale comandante del presidio. Era una vera miniera d'oro. Avrei potuto continuare durante tutta la mia permanenza a Bamberg se quel fesso di Gefreite divoratore di vetri non avesse chiesto di essere trasferito all'organizzazione Kraft durch Freude.2 L'idiota si era montato la testa. Convinto di essere un artista, pensava che persino Adolfo si sarebbe divertito a vederlo mangiare specchi. L'ufficiale che dirigeva a Bamberg le attività ricreative dell'Esercito, un cappellano militare, lo cacciò a pedate dall'ufficio. ' Mangiare vetro non è un'arte! ' gli urlò dietro, inviperito. ' Faremo ancora i conti, Gefreite dei miei stivali! ' « La sera stessa, i mastini della polizia militare vennero a prenderlo. Li aveva avvertiti il prete. Mi diedi da fare, naturalmente, per farlo uscire. Con quel tipo si poteva guadagnare un mucchio di soldi. Purtroppo si è impiccato in cella. Sulla parete aveva scritto il suo ultimo messaggio: Mangiare vetro è un'arte! Heil Hitler! » 1 2

Segretario federale del partito nazista. (N.d.T.) Dopolavoro del partito nazista. (N.d.T.)

30 « Ho incontrato una volta un tipo che mangiava lamette da barba e le defecava sotto forma di piccole sbarre d'acciaio », racconta Fratellino. « Poi le vendeva agli ubriachi sulla Ree-perbahn! » Alle prime luci di una mattinata grigia rientriamo nelle nostre linee. I morti dovuti al bombardamento notturno dell'artiglieria russa giacciono ancora in giro. Un atto di vendetta quando si sono resi conto che una volta di più siamo riusciti a farla franca. Più tardi, nel pomeriggio, arrivano gli autocarri per portarci via. Scendiamo a terra in un punto così distante dal fronte da udire il fuoco dell'artiglieria solo come un debole borbottio. Per vari giorni, tuttavia, siamo come suonati e puntiamo il mitra contro chiunque ci venga incontro, gridando nel contempo: « Stoi! », che in russo significa « Altolà ». Da prima abbiamo in testa solo il crepitio dei mitra e il sibilo dei pugnali, ma dopo pochi turni di sauna e qualche passeggiatina con le ragazze in uniforme ridiventiamo un po' alla volta normali. Solo la Quarta Sezione non riesce a scuotersi di dosso l'oscuro male che la affligge. Ne soffre a tal pùnto che siamo costretti a tenere legati gli uomini con le cinghie dei pantaloni fino a quando non è possibile trasferirli alla sezione psichiatrica. Non li rivediamo più. Quando arriva il momento di ritornare in linea e i vuoti nei nostri ranghi sono stati colmati con altri uomini, siamo ristabiliti quasi completamente. Non siamo più ossessionati dalla perpetua paura di essere ammazzati ovunque andiamo.

31 Quando coloro, che in buona fede protestano contro il regno del terrore, vengono mandati in campi di concen-iramemo e bollati come diffamatori, allora vuol dire che ci dev'essere qualcosa di marcio nell'essenza di questo movimento. Generaloberst von Fritsch, 6 giugno 1936

Durante il viaggio di ritorno all'accampamento nella foresta, Fratellino continua a sporgere la testa dal finestrino nella speranza di trovare un po' di refrigerio. Ha la faccia piena di buchi, dopò un accanito scontro di lotta libera con una gigantesca donna finlandese, un match durato ben tre ore. Se l'avesse battuta, avrebbe vinto millecinquecento marchi finlandesi e dodici bottiglie di vodka. « Il premio l'abbiamo praticamente in tasca », aveva detto Fratellino prima di salire sul ring. Tanto per cominciare, la finlandese gli aveva strappato con un morso mezzo naso e poi si era messa a masticarlo come un cane alle prese con una salsiccia. Poi, Fratellino aveva perso una parte dell'orecchio sinistro. Visto che non voleva mollare, la donna gli aveva spezzato subito dopo tre dita della mano destra e strappato via il mignolo della sinistra. Ma Fratellino non aveva mollato e si era dichiarato vinto solo quando lei aveva cominciato a schiacciargli le palle. Mentre tutti e due venivano portati all'ospedale da campo ci meravigliavamo perché la donna camminasse a ritroso. In seguito abbiamo scoperto che Fratellino le aveva girato a forza i piedi di centottanta gradi, in maniera che ora puntavano nella direzione opposta a quella normale. Sul cassone del camion abbiamo un gruppo di soldati davvero strani che ci hanno mandato a prendere. Non fanno altro che urlare e gridare. Quando parlano hanno l'aria di avere in bocca una patata bollente. Nessuno di loro porta distintivi di grado. Appartengono a un battaglione

32 di fortificazioni campali con un numero molto elevato e sono privi di armi. Quando diciamo loro di piantarla, si mettono a ridere, come se avessimo detto qualcosa di buffo. Il Vecchio scopre per primo che si tratta di deficienti, di minorati psichici. Prima dell'inizio della grande offensiva li cacciano allo scoperto agli ordini di alcuni uomini della formazione SS Dirlewanger e li fanno inoltrare nei campi minati per far saltare le mine. Nel 1940, l'esercito francese faceva fare questo lavoro ai maiali. Ora, in base alle nuove leggi tedesche sulla purezza della razza, tutto il materiale umano privo di valore dev'essere eliminato. Così, al comando del 999° Battaglione Fortificazioni Campali è venuta l'idea di utilizzare in qualche modo i deficienti invece dì mandarli a Giessen e ammazzarli con un'iniezione. Un modo di procedere che viene chiamato con un nome che suona bene: eutanasia.

33

IL GRUPPO DI COMBATTIMENTO IL gelo fa scricchiolare gli alberi. La neve farinosa, portata dalla tormenta, investe i volti congelati. Nessuno di noi si era mai immaginato che potesse fare tanto freddo. Siamo ridotti allo stato di carne viva congelata. Sentiamo lo sbatacchiare delle ossa dei nostri scheletri e la pelle si stacca a strisce. Parti di organismi umani e viscere sanguinolenti pendono dai cespugli coperti di neve. Una MG 42 vomita raffiche mortali, mortai pesanti da trincea sputano i loro proiettili con un sordo rumore. Una renna piove dal cielo con le zampe rivolte in alto. L'animale emette grida stridule mentre precipita. Poi si schianta sulla coltre di neve ghiacciata, per dissolversi in una pioggia di sangue e di interiora. Due ufficiali russi con lunghi mantelli di pelliccia sbucano barcollando tra i cespugli. Impossibile dire chi dei due aiuti l'altro. Stanno ridendo come matti. Che siano impazziti? O sbronzi? Uno dei due ha perso il suo colbacco di pelliccia. I capelli rossi, tagliati cortissimi, sembrano setole di maiale. Ha la faccia butterata da tracce di congelamento. Il Legionario punta la mitragliatrice pesante su di loro. Pallottole traccianti colpiscono allo stomaco entrambi gli ufficiali. I due, ancora a braccetto, cadono nella neve che si tinge subito di rosso. La loro pazza risata si spegne in un lungo rantolo. Un « organo di Stalin », il lanciarazzi multiplo, romba e ulula. I razzi strappano gli alberi con tutte le radici e la neve ribolle come polenta sul fuoco. Una velenosa nube grigio-rossastra si stende pian piano come un tappeto sulla neve.

34 Alcuni di noi si mettono la maschera antigas. Il fumo ci brucia i polmoni. Del resto: che ci sarebbe di strano se uno o l'altro dei contendenti avesse deciso di impiegare i gas? Sia noi che loro abbiamo i proiettili a gas, e noi non abbiamo portato i nostri fin qui per divertirci, vi pare? Cerco la mia maschera e poi ricordo di averla buttata via tanto tempo fa. La borsa dove si trovava è piena di altre cose, ma la maschera non c'è. La borsa va bene per tenere le" sigarette all'asciutto, per esempio. E io non sono l'unico che sta cercando inutilmente la sua maschera antigas. La coltre di fumo avanza inghiottendo tutto. Non riusciamo a distinguere alcun bersaglio, ma continuiamo a sparare finché le canne delle armi si arroventano al calor rosso. Una slitta blindata ci passa vicino, simile a un fantasma, vomitando dal suo scudo anteriore lunghe fiammate. Ci passa così vicino che basterebbe stendere la mano per sfiorarne i cingoli. Porta scaglia una mina, facendola cadere all'interno della torretta. Dal portello aperto escono al volo pezzi anatomici umani. Una gigantesca fiammata rossogiallastra dardeggia verso il cielo e un'ondata di calore ci avvolge come una coperta calda. « Diavolo! » borbotta Porta, disgustato, gettando nella neve un braccio umano. Acciaio cozza contro acciaio e la terra gelata scricchiola e geme. Uno stomachevole puzzo di sangue e olio bruciato ci avviluppa. Dalla foresta, da dove provengono urla animalesche, vediamo erompere un'orda di soldati vestiti di pelliccia. Vengono all'assalto. Dalle loro bocche escono nuvolette di fiato condensato. I mitra crepitano finché i caricatori non sono esauriti. Poi, la lotta

35 continua con i pugnali, le baionette, le vanghette dall'orlo affilato. La lotta è così accanita in questo demoniaco corpo a corpo che nessuno ha tempo di aver paura. Gli occhi mi bruciano, le fitte al cuore sembrano tante baionettate. Le mani, piene di sangue, sono attaccaticce. Meno fendenti con la vanghetta come se fosse uno scudiscio. La cosa più importante è conservare la distanza. Sento il ruggito di un lanciafiamms. Nell'aria si diffonde un puzzo di carne bruciata e di olio rovente. Il lanciafiamme è quello di Porta. Fratellino porta in spalla il bidone con la miscela infiammabile. Le orribili fiammate investono senza sosta ruggendo chi viene incontro sulla neve. Tutto brucia: i corpi umani, gli alberi. Persino la neve sembra in preda alle fiamme. Belzebù in persona resterebbe sgomento alla vista di un lanciafiamme in azione, una novità da adottare nell'inferno. Spruzzi di liquido infiammato investono gli occhi. Facce si spezzano come gusci d'uovo. Corpi umani vengono scagliati in alto nel cielo dell'Artide e ricadono sulla neve. Persino i morti continuano a essere dilaniati. Un Rata1 sbuca con un urlo dalle nubi e s'infila, simile a una cometa, nel suolo. Poi esplode come un gigantesco fuoco d'artificio dorato. L'aurora boreale guizza nel firmamento simile a un mare impazzito, in fiamme. La terra si è trasformata in un gigantesco mattatoio e puzza come una latrina da campo in ebollizione. Sento un forte colpo alla spalla, stringo al petto la mitragliatrice pesante e mi precipito avanti tossendo e con il fiato corto. Heide, che mi segue a ruota, incespica e 1

Cacciabombardiere russo, impiegato per la prima volta nella Guerra di Spagna. (N.d.T.)

36 cade lungo disteso su di un declivio. Un mitra balbetta una lunga raffica malvagia. Divarico il bipede della mitragliatrice, mi getto a terra con l'arma davanti a me e appoggio il calcio all'incavo della spalla destra. Heide bada che il lungo nastro delle cartucce non faccia inceppare l'arma. Li vedo. La mia MG martella e le traccianti guizzano tra gli alberi. Una sagoma bianca alza con energia le braccia. Il Kalasc-nikov che teneva in mano vola alto sopra la testa. Un lungo urlo, simile a un ululato. Una bomba a mano rotea nell'aria. Un tonfo cupo, poi, tutto è silenzio. « Muoviamoci! » ringhia Heide. Si è già avviato. Arrotolo il nastro delle cartucce intorno all'otturatore, prendo ad armacollo la mitragliatrice e gli corro dietro. Non voglio essere lasciato a sbrigarmela da solo. « Aspettami! » gli grido. « Vaffanculo! » mi grida in risposta, senza rallentare. Non c'è niente di peggio del ripiegamento. Uno corre con tutto il fiato che ha in corpo e ha la morte alle calcagna. Porta mi raggiunge per sorpassarmi sollevando folate di neve. Fratellino lo segue a fatica, portando in spalla i due pesanti involucri del lanciafiamme. Una mano tiene fermo in testa il suo strano copricapo: una bombetta grigia. Cado, mi appiattisco nella neve. Per un attimo, la paura mi immobilizza. « Alzati! » urla Gregor. « Altrimenti ti do tanti di quei calci in culo da farti diventare blu! » La rabbia mi fa ritornare le forze. Mi rialzo e riprendo ad arrancare nella neve profonda.

37 Ritornati nel fondo della foresta ci riordiniamo e formiamo un gruppo di combattimento. Che strano miscuglio di ogni sorta di reggimenti! Artiglieri senza cannoni, carristi senza carri armati, cuochi, infermieri, autieri, persino un paio di marinai. Una vera accozzaglia di gente! Un Oberst di fanteria mai visto prima assume il comando. Ha il monocolo saldamente incastrato nell'orbita. Sa quello che vuole. « Qui dobbiamo andarcene fuori dai piedi appena potremo », fa Barcelona, inserendo un nuovo caricatore nella MPI. « Sento puzza di eroi e Valhalla! » « Mi domando dove diavolo si è cacciato Ivan », chiede Porta, curioso, affacciandosi con cautela al di sopra del riparo di neve pestata. Nel corso della notte ci trinceriamo e costruiamo con blocchi di neve le postazioni per le mitragliatrici. Poi accendiamo un fuoco e arroventiamo dei ciottoli piatti che leghiamo intorno al meccanismo di caricamento e sparo delle mitragliatrici con l'aiuto di capi di biancheria di lana. La vita nell'Artide ci ha fatto imparare un sacco di cose che nessuno ci aveva mai insegnato prima. Prima ancora di aver portato a termine i nostri lavori di fortificazione siamo costretti a ripiegare di nuovo. Abbiamo con noi oltre trecento feriti, ma non possediamo nulla per aiutarli. I pacchetti di medicazione sono finiti da un pezzo, per cui ci serviamo di sudici brandelli di uniforme per fasciare le ferite. Da questi cadaveri ancora in vita si alza un gran puzzo di marcio. I feriti tendono le braccia scheletrite verso di noi e implorano aiuto. Qualcuno chiede un'arma per mettere fine alla propria infernale esistenza. Altri giacciono senza agitarsi e ci guardano con occhi che chiedono pietà.

38 « Non abbandonarci, camerata », bisbiglia un Feldwebel morente mentre gli passo accanto con la mitragliatrice in spalla. « Non farci cadere in mano ai russi », geme un altro. Mi limito a fissare il vuoto davanti a me. Non voglio guardarli. Per fortuna arrivano gli infermieri che li sollevano su barelle di fortuna fatte con rami d'albero. Li portiamo via con noi, come ha ordinato il colonnello. Nessuno dev'essere abbandonato. Con sottili tronchi d'albero costruiamo delle slitte sulle quali adagiamo poi i feriti. Quando qualcuno di essi muore, lo tiriamo giù e proseguiamo. Quattro giorni più tardi raggiungiamo due colline dall'aspetto strano, simili a pani di zucchero. Il freddo è così intenso da gelare il muco nel naso e trasformare le lacrime in ghiaccioli. Gli oggetti metallici diventano fragili come il vetro e i tronchi degli alberi si spaccano con un rumore di fucilata, Gregor sta contemplando il proprio naso. Lo tiene in mano. Poi tasta con le dita il buco rimastogli nella faccia. Al che guarda di nuovo, perplesso, il naso che tiene in mano. « Ma che diavolo... » esclama, e si mette a urlare. Poi getta lontano il naso e la sua pistola-mitragliatrice. Solo Heide, il super-soldato, conserva la calma. Senza perdere un attimo costringe Gregor a sdraiarsi sulla neve. Il Legionario ha raccolto frattanto il naso. « Tienilo fermo! » ringhia Heide. « Dobbiamo ricucirglielo sulla faccia! » « Ne vale la pena? » chiede con un ghigno Porta. « Tanto non era un naso granché bello! » Senza curarsi delle parole incoerenti balbettate da Gregor, Heide ricuce il naso alla faccia, toglie le bende

39 insanguinate a un morto e le avvolge strette intorno alla testa di Gregor. « Non sarebbe meglio una cucitura doppia? » suggerisce Fratellino, tendendo un rocchetto di filo molto grosso. « Così non potrà strapparselo via! » Gregor piagnucola e geme. Nonostante l'effetto anestetico del gelo prova ugualmente un forte dolore. Heide non è esattamente quel che si dice un chirurgo specializzato in interventi di natura estetica. L'ago del quale si è servito gli è stato dato da un veterinario che lo usava per i cavalli. « Lavativo », dice in tono di rimprovero e dà uno strattone al naso per vedere se è cucito saldamente. « Si può perdere così anche il cazzo, per congelamento? » chiede Fratellino, preoccupato. « Può succedere », conferma ridendo Porta. « L'Istituto militare per la Scienza a Lipsia ha compilato delle statistiche sull'argomento. Da queste si rileva che il trentadue per cento dei soldati esposti al clima artico tornano a casa privi dell'uccello! » « Cristo onnipotente, figlio del Dio tedesco », geme Fratellino. « Che cosa deve dire uno alle puttane se si fa vedere sulla Reeperbahn senza cazzo? » « Comunque non potresti fare nemmeno il magnaccia se gli orsi polari dovessero papparsi il tuo creapopoli », osserva ridendo Barcelona. Un Feldwebel del genio, alto e magro, si alza improvvisamente dal suo giaciglio di rami, si strappa di dosso le bende insanguinate e si mette a correre sul lago gelato prima che qualcuno possa rendersi conto di ciò che sta accadendo. Un paio di infermieri gli corrono dietro, ma l'uomo scompare nella nebbia. Il suo attacco di follia è conta-

40 gioso e, poco dopo, altri due feriti seguono il suo esempio. L'Oberst è furioso e ordina che due uomini montino la guardia ai feriti. Ma le cose cominciano a mettersi veramente male quando uno degli uomini di guardia si addormenta con la pistola-mitragliatrice posata sulle ginocchia. Un Unterscharfühfer delle SS, ferito, si avvicina strisciando nel massimo silenzio e afferra la Schmeisser. Subito dopo, una pioggia di pallottole investe i feriti che si contorcono disperati sui giacigli di ramaglia. Il folle ha la bava alla bocca e gli occhi che sembrano sprizzare fiamme. Quando ha vuotato il caricatore, fracassa il cranio dell'uomo di guardia e attacca i feriti più vicini con il calcio dell'arma. Il Legionario è il primo ad arrivare sul posto. Con mossa fulminea lancia il suo pugnale moresco che si conficca nella gola del pazzo. L'Unterscharführer delle SS si accascia. Sta rantolando. Nell'igloo spruzzato di sangue scoppia l'inferno. I feriti cadono preda di un attacco di follia collettiva. Un Leutnant di fanteria fa hara-kiri conficcandosi la baionetta nello stomaco da dove comincia a tagliare verso l'alto. Le interiora gli colano sulle mani. Un artigliere afferra Porta alla gola e tenta di strangolarlo. Si sente uno sparo. L'artigliere cade riverso. Poco dopo dobbiamo occuparci di altre cose preoccupanti. I russi, appoggiati da un furioso fuoco di mortai, passano al l'attacco. Questo dura solo un paio d'ore. Poi, inghiottiti di nuovo dalla neve, scompaiono come tanti fantasmi. La morte ci è così vicina che ci pare di sentirne il fiato sul collo.

41 Distribuiscono della grappa. A ognuno ne tocca un coper-chietto di bottiglia pieno. Quelli della Seconda Sezione ne ricevono mezzo coperchietto in più. « Sai, no, che cosa significa questo? » fa Porta con il sor-risetto di uno che non si aspetta niente di buono. « Certo non ci danno una razione supplementare di Schnaps per i nostri begli occhi. Questo è il famoso ultimo sorso. » Poi beve con un solo sorso la magra porzione di alcool. « Piscio d'eroi », dice Fratellino con un ghigno. « Dammi un paio di litri di questa roba e mi vedrai partire in tromba e beccarmi la croce di cavaliere con verdura e coltelli. »1 « Nom de Dieu, è più probabile una croce di legno », fa il Legionario sorridendo mentre .versa a Fratellino la sua razione di grappa. Il Legionario è musulmano e non beve alcolici. « Tutta roba destinata a finire in piscio! » brontola il Vecchio succhiando la pipa dal coperchio d'argento. « C'est la guerre! » sospira il Legionario facendosi una sigaretta con un po' di tabacco russo. « Facci fare una tirata », implora Fratellino. Il Legionario gli porge in silenzio la sigaretta storta. Durante tutta la notte continuiamo ad arrancare nella tormenta urlante. I fiocchi di neve sono così fìtti che riusciamo a malapena a distinguere l'uomo che ci precede. Il che va molto bene. Significa che i russi faranno fatica a trovarci. A tratti li sentiamo alle nostre spalle. « Sono così sicure di prenderci, quelle scimmie gialle, che non si prendono nemmeno la briga di nascondere la 1

In gergo militate, l'insegna di cavaliere della croce di ferro con foglie di quercia e spade, una delle massime ricompense al valore della Wehrmacht. (N.d.T.)

42 loro presenza », osserva Porta, scoraggiato. « C'è ancora qualcuno che crede nella vittoria? » chiede Fratellino sghignazzando. « Solo Adolfo e il suo fedele Unteroffizier, Julius Heide », risponde Porta, scoppiando in una tipica risata berlinese. « In fondo mi piacerebbe sapere perché siamo entrati in guerra », si domanda a voce alta Fratellino. « Che cos'hanno i russi che possa fare gola a qualcuno? » « Siamo entrati in guerra perché Adolfo possa vantarsi di essere un grande guerriero », risponde Porta. « Tutte quelle merde che sono salite in scranno avevano bisogno di una guerra per non essere dimenticate mai più. » « Statemi a sentire adesso! » È la voce di Heide nascosto dal nevischio. « Per i disfattisti c'è la forca! » « E per gli aborti deformi e fottuti come te ci sono le gabbie dello zoo! » grida Fratellino in tono aspro. Il giorno dopo, sul tardi, l'Oberst ordina una sosta. Il gruppo di combattimento semplicemente non è più in grado di proseguire. Molti, rimasti indietro, sono stati abbandonati e lasciati morire congelati nella neve. Non abbiamo più viveri. Solo pochi, come Porta, hanno ancora in tasca qualche crosta di pane. Appunto Porta ne sta masticando una, ultimo rimasuglio di una pagnotta dell'esercito finlandese. « Avete fame? » chiede infilando in bocca l'ultimo pezzettino. « Porco schifoso! » ringhia il Vecchio. « Qualcuno ha un po' di vodka? » chiede implorando Gre-gor. La faccia gli si è gonfiata come un pallone e ha assunto una tinta bluastra dopo l'intervento chirurgico di Heide. « A quanto sembra ti è andato a puttane non solo il

43 grugno, ma anche il cervello! » grida Fratellino in tono sfottente, « Vodka! » fa Porta. « È passato tanto di quel tempo da quando abbiamo bevuto per l'ultima volta quella schifezza russa che non ne ricordo più nemmeno il sapore. » « Io sarei capace di divorarmi persino una battona di Valencia in pensione », dichiara Barcelona. « Non ho più sofferto così la fame da quando mi trovavo in un campo di concentramento spagnolo. » Porta e il Legionario cominciano a discutere sul numero di bacche di ginepro che ci vogliono per cucinare la selvaggina. « Sei, direi », sostiene Porta con l'aria di uno che se ne intende. « Impossible », ribatte il Legionario, « ma fa' un po' quel che vuoi. Se dovessi metterci sei bacche, non avrei nemmeno bisogno di assaggiare il sugo. Mi basterebbe il puzzo. Importante è anche la specie di pentola che usi », continua. « Dev'essere quella giusta. Per cucinare bene la selvaggina non puoi servirti di una pentola qualsiasi. » « Questo è vero. Bisognerebbe usare una di quelle pentole all'antica. Le migliori sono quelle di rame. Quando stavo a Napoli sono riuscito a trovarne una che il capocuoco di Giulio Cesare adoperava per cucinare la bouillabaisse per il Kaiser degli spaghetti. » « Prova a fare un salto a Marsiglia per gustare la regina di tutte le zuppe: la Germiny à l'oseille », consiglia il Legionario. « Come secondo piatto suggerirei del pigeon à la Moscovite con contorno di champignons polonaises e salade béatrice. » « A me è capitato una volta di andare a cena con un tipo che, Dio mi perdoni, si era dimenticato di mettere i

44 tartufi nel suo Périgourdin », dice Porta. « Abitava in Gendarmen-markt e voleva festeggiare il suo rilascio dal carcere di Moabit. A dir la verità ci eravamo aspettati tutti di vedere una specie di rudere umano. Era rimasto in galera per cinque anni, per cui non c'era da aspettarsi altro, ti pare? Ci sono tipi che rimangono distrutti per sempre anche solo dopo pochi mesi ' al buio '. Questo qui, invece, era così forzuto che di più non avrebbe potuto esserlo e scoppiava di salute che era quasi un'indecenza. Ma la cosa peggiore che uno possa fare a mio parere è quella di arrivare a tavola in ritardo. Quando sei costretto a ingoiare in fretta e furia la minestra e il pesce per metterti al passo con gli altri, ti rovini proprio l'appetito. » « Hai mai provato a mangiare la trota al forno con sauce béarnaise? » lo interrompe Gregor. « È una cosa semplicemente divina. Piaceva tanto a me e al generale. Era il nostro piatto preferito dopo le battaglie particolarmente sanguinose. » « Spero proprio che saremo nelle vicinanze di questo lago quando comincia la stagione in cui le aringhe depongono le uova », fa Porta pregustando l'avvenimento. « Quando torniamo a casa », interviene Fratellino, intendendo per ' casa ' le linee tedesche, « voglio cucinarmi un'oca intera, riempirla di prugne e mele, e mangiarmela tutta da solo. » « Io preferirei un tacchino », fa Barcelona. « I tacchini sono più grossi! » « Io non resisto più! » grida Porta con la disperazione nella voce e balza in piedi. « Andiamo, Fratellino, prendi il tuo cacafuoco e un bel po' di bombe a mano. » « Dove si va? » chiede lui, caricando rumorosamente la sua pistola-mitragliatrice.

45 « Andiamo dai russi per leggere il loro menu », risponde Porta mettendosi in spalla il Kalascnikov. « Vuoi che porti con me un sacco? » domanda Fratellino, come sempre ottimista. « No. Ivan ha tutti i sacchi che ci occorreranno », riflette Porta. « Chi non è pronto a rischiare per procurarsi il cibo è un fottuto idiota! » esclama Fratellino con una risatina che gli sale dai precordi. « Vi ammazzeranno », li avverte il Vecchio. « Tu sei matto », ribatte Fratellino senza manifestare alcuna preoccupazione. « Siamo noi quelli che ammazzano gli altri. » « Ci aspettiamo di trovare un po' di quell'autentica ospitalità che ha reso famosi i russi », soggiunge Porta mentre entrambi scompaiono nella neve con una breve risatina. « Uno di questi giorni non li vedremo più tornare », borbotta il Vecchio in un accesso di pessimismo. Poi passano varie ore. L'unico rumore è quello della tormenta che fischia e ulula. Improvvisamente, il silenzio viene spezzato da una lunga e sinistra raffica sparata da una pistola-mitragliatrice. « Una Schmeisser! » dice il Vecchio alzando gli occhi. Poco dopo si sentono le esplosioni di tre bombe a mano. Il terreno è rischiarato a giorno dalla luce brillante di vari razzi illuminanti. « Hanno incocciato i vicini », bisbiglia Gregor, terrorizzato. « Se quei due se la cavano », fa il Vecchio con aria preoccupata, « che il diavolo se li porti via entrambi, pazzi furiosi che non sono altro! » « Dovresti fare rapporto e denunciarli », dice Heide

46 con sussiego. « È una grave mancanza disciplinare, quella che hanno commesso. Il nemico potrà utilizzarla per la propaganda. Mi pare già di leggere i titoli sulla Pravda: L'ESERCITO TEDESCO MUORE DI FAME - Missione suicida per rubare un po' di pane all'Armata Rossa! » Poi ci pare di percepire quello che sembra la vampa di volata di un pezzo di grosso calibro che spara raso terra. Seguono delle urla e una lunga serie di esplosioni. Si sente l'abbaiare rabbioso di un paio di mitragliatrici Maxim. Un lungo silenzio cala sul deserto di neve. Sembra che l'Artide intera stia prendendo fiato in attesa di qualcosa di speciale. Una colossale esplosione che ha l'aria di non volersi fermare mai più lacera il silenzio della notte. « Che Dio abbia pietà di noi! » fa con il fiato mozzo Barcelona, davvero scosso. « Quelli devono aver scambiato il deposito di munizioni con la cucina! » « Allarme! Allarme! » gridano istericamente le nostre vedette, certe che sta per arrivare un attacco. Un gruppo di ufficiali, con l'Oberst in testa, sbuca correndo da un igloo. « Che diavolo stanno combinando i russi? » chiede l'Oberst nervosamente. « Possibile che combattano tra di loro?» Poi, rivolto a un Major di fanteria: « Abbiamo fuori qualcuno, da quelle parti? » « Nossignore, il gruppo di combattimento non ha alcun contatto con il nemico. » L'Oberst Frick sistema meglio il monocolo nell'orbita e rivolge un'occhiata inquisitiva al maggiore. « Ne è certo o immagina soltanto che sia così? » Il Major si sente ovviamente a disagio e deve ammettere di sapere in realtà assai poco di ciò che avviene nel gruppo. È un ufficiale del genio addetto ai collegamenti

47 e non ha mai prestato prima servizio in un'unità combattente. Una lunga serie di esplosioni e una ringhiosa salva di mitragliatrice lo inducono a guardare in direzione nordest dove alte lingue di fiamma si vedono sullo sfondo delle nubi rossastre. « Questa faccenda non mi convince », mormora Frick. « Veda un po' di che cosa si tratta. » « Sissignore! » risponde il Major, tutt'altro che entusiasta. Non ha la minima idea di che cosa possa trattarsi. Dopo pochi minuti scarica là faccenda sulle spalle di un Hauptmann. « Voglio sapere con precisione che cosa sta succedendo! Capito? C'è qualcosa che puzza, che puzza maledettamente! » L'Hauptmann scompare tra gli alberi e incontra poco dopo un Leutnant. « Qui c'è qualcosa che puzza, mi ha capito? » gli dice in tono ringhioso. « Venga a riferirmi entro dieci minuti di che cosa si tratta! Qualcuno sta dando fastidio al nemico! » Lo Jager Leutnant s'inoltra su una sottile pista correndo a piccoli passi e incoccia nella Seconda Sezione. Vede per primo il Vecchio e gli punta contro il mitra. « In piedi, Oberfeldwebel! Che cos'è questo casino? Il nemico si agita e io voglio sapere perché. Mi ha capito? Voglio saperlo!. Anche se dovrà chiederlo al comandante russo in persona! » « Signorsì! » risponde il Vecchio e si volta, come se volesse andarci davvero. Il Leutnant scompare tra gli alberi e decide di trovare un nascondiglio dove all'Hauptmann non verrà mai in mente di cercarlo.

48 Il Vecchio si siede tranquillamente e riprende a fumare la pipa. Durante l'ora successiva sentiamo il rumore di spari isolati prima da una direzione, poi dall'altra. « Quelli sono morti da un pezzo », dice Barcelona con aria cupa, ascoltando il rumore di una lunga raffica di pistola-mitragliatrice. Il pezzo che spara raso terra romba, e nel contempo esplodono varie bombe a mano. In mezzo a tutto questo fracasso sentiamo delle formidabili risate. Qualcuno sta ridendo a squarciagola. « Questo è Porta », mormora il Vecchio, tastando con dita nervose il coperchio d'argento della pipa. L'alba è vicina e la tormenta è cessata quasi completamente. Solo a tratti, folate di vento gelido creano mulinelli di neve. « Dubito che li rivedremo », fa Heide. « Nessuno potrebbe trattenersi così a lungo nel bel mezzo di un accampamento nemico senza farsi scotennare. » « Temo che tu abbia ragione », risponde il Vecchio in tono sommesso. « Se solo avessi proibito loro di andare! » « Par Allah, non avresti potuto trattenerli », tenta di confortarlo il Legionario. Un ben noto rumore ci fa balzare in piedi con le armi pronte a sparare. « Sciatori », bisbiglia Heide, eccitato, mettendosi al riparo d'un albero. Io mi sono infilato in una buca. Il calcio della mitragliatrice preme contro l'incavo della spalla. La neve scricchiola. Si sente una specie di strano grugnire. Di nuovo il rumore sibilante di sci che sfrecciano sulla neve gelata. Il mio indice si curva sul grilletto. Tra gli alberi si

49 scorge un'ombra in movimento. « Non sparate! » grida Barcelona, balzando in piedi. Ha visto il cappello a cilindro giallo di Porta che sembra ondeggiare a una strana altezza sopra il suolo, tra gli alberi. « Che diavolo? » esclama il Vestfalo, sbalordito. Con la paura che non se n'è ancora andata tutta fissiamo con gli occhi sbarrati lo strano copricapo che si avvicina ondeggiando. Se è Pòrta che ha in testa quel cappello, dev'essere cresciuto di almeno due metri. Poi, l'enigma si chiarisce. Dalla nebbia sbuca soffiando una renna. A vederla si direbbe che si sia rotolata nella bambagia. Sta trascinando un'akja, una slitta finlandese, stracarica di sacchi e casse. In cima al carico, altissimi, troneggiano Porta e Fratellino. « Siete stati voi a scatenare quell'iradiddio di sparatoria? » grida il Vecchio. « In parte », risponde Fratellino, altero. « Ma anche i compari hanno consumato un bel mucchio di merda dello Zio Stalin. » « Abbiamo incontrato un bel matto di politruk, un commissario politico, con la faccia così magra che avrebbe potuto baciare senza difficoltà una capra dei nostri campi di concentramento tra le corna », spiega Porta, agitando le braccia. « Abbiamo dovuto sparare due volte prima di prenderlo. Poi, un buco di culo russo comincia a gridarci qualcosa in russo e si mette a spararci addosso. Abbiamo preso di mira il punto dove avevamo visto le vampate degli spari e così l'abbiamo presto sistemato. » « Ma avevamo preso la strada sbagliata », interviene Fratellino. « Faceva buio come nel buco del culo di un negro. Così finiamo per sbaglio in una baracca del co-

50 mando dove un gruppo di geni militari sta discutendo come vincere la fottuta guerra. C'era un vojemkom, un commissario reggimentale con la puzza sotto il naso, che stava dicendo un sacco di fesserie. Ho puntato il cacafuoco sulla sua pancia, così ha smesso di parlare subito! ' Germanski! ' grida, ma non gli lascio il tempo di dire altro e lo liquido. Gli altri ha pensato Porta a spazzarli sotto il tappeto! » « Avrai portato le loro carte topografiche, spero? » chiede Heide in tono professionale. Lui pensa solo agli obiettivi militari. « A che diavolo ci servirebbero? » chiede di rimando Fratellino con aria ingenua. « Non erano quello che eravamo andati a prendere. E la strada per ritornare la conoscevamo benissimo! » A Heide non resta da fare altro che scuotere tristemente la testa. « Che razza di casino è scoppiato poi a nord e a sud », spiega Porta. « Quando siamo usciti all'aperto, siamo incocciati in un mucchio di Ivan, e uno stronzo di ufficiale si è messo a farci un cazziatone che non vi dico. Era talmente confuso che non si è nemmeno accorto chi eravamo quando Fratellino gli ha risposto: 'Jawohl, Herr Leutnant! ' »1 « È valsa quasi la pena di rischiare la pelle per essere là in quel momento », prosegue Fratellino, accendendosi un sigaro. « Be', abbiamo continuato per un po' ad andare in giro godendoci la confusione », soggiunge Porta ridendo. « Un maggiore, rosso in faccia come un'aragosta bollita, ci dà una strigliata e ci ordina di aiutare gli altri a mettere in posizione un pezzo anticarro. Be', un ordine è un or1

« Signorsì, signor tenente! » (N.d.T.)

51 dine in qualsiasi esercito del mondo e così ci siamo messi ad aiutare i ragazzi degli anticarro a sistemare la loro siringa là dove voleva il maggiore Ivan. » « Poi è scoppiato un casino d'inferno dall'altra parte del campo », riprende Fratellino. « Era saltato un deposito di munizioni e si sentiva un fracasso del diavolo. Per un momento abbiamo pensato che fosse un lavoretto fatto da voialtri, venuti a darci una mano. Qualcuno soffia nel fischietto per dare l'allarme e tutti quei fetentoni di russi si precipitano da quella parte, dove volano le pallottole. » « A questo punto avevamo un po' di spazio per manovrare », fa Porta con aria importante. « Così abbiamo cominciato ad affacciare le nostre zucche nelle baracche delle compagnie finché non scopriamo, immaginate chi?, i ragazzi della cucina. » « Credo che nessun soldato tedesco in tutta la sua vita abbia visto mai un tale mucchio di ben di Dio che andava mangiato per non andare a male », lo interrompe Fratellino in estasi, alzando gli occhi al cielo. « Avevano proprio di tutto. Lardo, carne di renna affumicata, cetrioli sottaceto. Non mancava niente! » « Sì, un confronto della sussistenza russa con quella tedesca », osserva Porta in tono asciutto, « fa arrivare alla conclusione che solo una robusta fede può farci sperare ancora nella vittoria finale. » « C'era un grassone di sergente capocuoco che si stava godendo un giornalétto con la foto di Marlene Dietrich », dice Fratellino con una risatina piena di sottintesi. « La goduta più grossa della sua vita che si è preso con me è stata anche l'ultima: gli ho piazzato quarantadue traccianti dritto nella pancia! » « A questo punto ci siamo dovuti muovere veramente

52 », fa Porta con una risatina secca. « Così abbiamo cominciato ad arraffare tutto quello che ci capitava a tiro. Quando abbiamo scoperto che non potevamo portare nemmeno la metà di quella roba, siamo usciti per procedere alla liberazione di una slitta. È così che abbiamo fatto conoscenza con questa renna comunista che non ci ha nascosto quello che pensava di tutto il sistema. E siccome aveva con sé un'akja, l'abbiamo arruolata su due piedi. » «Poiché si tratta di un maschio, ho dovuto promettergli una bella figa di renna capitalista finlandese », soggiunge Fratellino con un ghigno. « E l'avrà anche, dovessi personalmente procurargli con la forza un culo della sussistenza tedesca! » « Non venirmi a dire che la nostra Sezione dovrà badare da adesso in avanti anche a una renna! » grida il Vecchio, infuriato. « Possiamo parlarne più tardi », risponde Porta, come se la cosa non avesse importanza. « Mentre i compari si stavano allenando alla guerra tra di loro, sparandosi addosso a vicenda, abbiamo incontrato il magazzino della sussistenza. C'era di guardia un solo uomo, per di più addormentato, per cui non si è nemmeno accorto quando l'abbiamo fatto fuori. » « Dormiva mentre era di sentinella! » grida Heide, indignato. « Quello meritava proprio di morire! » « Be', io constato con soddisfazione che i soldati sono in maggioranza cattivi soldati », risponde Porta. « Beseff! 1 Questo è dovuto al fatto che la maggior parte di loro è povera gente », osserva il Legionario. « La vita ha insegnato loro che possono sgobbare fin che vogliono, ma resteranno sempre poveri. » 1

« Certamente » in arabo. (N.d.T.)

53 « Già! Ma i soldati poveri sono in gamba quando si tratta di ammazzare qualcuno », dice Fratellino. « Hanno la vista acuta e orecchie che sentono tutto. Questo perché sin da quando erano in fasce hanno dovuto tenere gli occhi ben aperti per vedere in tempo il giudice e la pula! » « Quando siamo capitati nel magazzino del macellaio », continua Porta, « Fratellino ci faceva fuori a momenti tutti e due. Ha gettato una bomba a mano in una cassa piena di razzi. I razzi hanno cominciato a schizzare dappertutto e un paio di Ivan sono rimasti secchi subito. Però, la visita era valsa la pena. C'era del caffè, caffè autentico venuto dal Brasile. Credo che nemmeno Adolfo riesca a procurarselo più. È stato come andare dal droghiere e chiedere mezzo chilo di caffè! » « Più facile ancora! » interviene Fratellino, euforico. « Non occorreva nemmeno fare la fila e andare poi dalla ragazza alla cassa. » Durante le due ore successive mangiamo con notevole impegno, come se dovessimo prepararci a tre anni di carestia. « Non dovremmo darne un po' ai feriti? » chiede a un certo punto Heide, in preda al sentimentalismo. Si picca di essere umano. Il boccone di aringa salata con il quale Fratellino si è appena riempito la bocca minaccia di andargli per traverso. « Che, hai il cervello in pappa? Quelli sono destinati a crepare in ogni caso. » « Ma sono nostri camerati! » lo investe Heide, furioso. « Forse tuoi. Io non ne conosco nemmeno uno », ribatte Fratellino con indifferenza, infilandosi in bocca un altro boccone di aringa salata. « Fratellino ha ragione, sai! » interviene Porta. « Se

54 diamo ai feriti anche solo un bocconcino piccolo cosi, avremo subito tra i piedi il colonnello con il suo monocolo. Quello vorrà dividere la roba tra tutti. Secondo me è meglio che pochi di noi ne ricevano abbastanza, piuttosto che dividere la roba tra tutti. La parte che toccherebbe a ciascuno sarebbe troppo piccola per servire a qualcosa. » Improvvisamente, il Vecchio diventa paonazzo. Tenta di darsi con la mano dei colpi sulla spalla. La faccia sta assumendo un colorito rosso cupo. Dalla bocca gli esce una specie di gorgoglio mentre si adagia su un fianco. Sta soffocando. Lo giriamo a pancia in giù e cominciamo a tempestargli la schiena con pugni formidabili. « Questo sta morendo! » dice Porta. Ne sembra convinto. « Che razza di gente! Non si prende la briga di masticare come Dio comanda! » « Non morirà! » esclama Fratellino. Poi afferra il Vecchio per le caviglie, lo solleva e gli fa battere la testa sulla neve gelata mentre il Legionario continua a tempestarlo di pugni sulla schiena. Mezza forma di pàté di fegato schizza dalla bocca dell'infortunato. « Che Dio ci assista! » balbetta il Vecchio, sforzandosi di respirare. « Ci pensate? Morire in combattimento, soffocati da pàté di fegato del nemico! » « È sempre la stessa cosa », dice Gregor con quello che vorrebbe essere un sorriso. « Che tu resti soffocato dal pàté di fegato o che ti facciano saltare le budella con gli esplosivi non fa differenza. » A questo punto interrompiamo la mangiata che riprendiamo peraltro dopo una decina di minuti. Non stiamo più mangiando per placare la fame bensì per pura gola.

55 « Santa Maria del Mar! » geme Barcelona, facendo seguire un lunghissimo rutto. « Sto sognando. Qualcuno mi dia un pizzicotto, così saprò che sono sveglio! » « Sei sveglio », rispondo tagliandomi un robusto pezzo di carne da una coscia di renna affumicata. « Che abbuffata! » esclama lui, lasciandosi cadere nella bocca spalancata come un forno un formaggino di capra intero. « Che diavolo succede? » grida Porta con voce terrorizzata, gettandosi lungo disteso al coperto di un mucchio di neve. Ci disperdiamo come un mucchio di pula investito da un turbine di vento. Nell'attimo successivo siamo tutti appiattiti sulla neve, in attesa del pericolo ignoto che ha preannunziato il suo arrivo. Restiamo così sdraiati per un bel po', aspettando con i nervi tesi. Le armi automatiche sono pronte a entrare in azione. Gli indici sono curvi intorno ai grilletti. « Granate a gas! » dice Porta, impaurito, annaspando alla ricerca della maschera antigas che ha gettato via da un pezzo. Poi, il Legionario prorompe in una risata isterica e indica con la mano tesa il cielo. « Sacre nom de Dieu! Ecco le tue granate a gas! » Guardiamo in alto e non riusciamo a credere ai nostri occhi. Una moltitudine di anatre selvatiche ci sorvola, stormo dopo stormo nella tipica formazione a V, sbattendo furiosamente le ali. « Santa Madre di Kazan! » esclama Porta, alzandosi con un ginocchio a terra. « Un intero magazzino viveri ci passa sopra la testa e noi restiamo qui con le mani in mano! » « Che diavolo ci fanno le anatre da queste parti? »

56 chiede il Vestfalo, impensierito. « Di solito in inverno si dirigono verso le regioni calde. » « Può darsi che siano anatre esquimesi che vanno a rinfrescarsi il culo sui fottuti iceberg », dice Fratellino leccandosi le labbra. La vista delle anatre gli ha fatto dimenticare completamente che non ha più fame. « Non riesco a immaginare che cosa trovino da mangiare da queste parti, per sopravvivere », insiste, cocciuto, il Vestfalo. « Non ce n'è di roba, per i loro stomaci. » « Può darsi che l'agenzia di viaggi dove hanno comperato i biglietti sia fallita », ipotizza Porta, seguendo con lo sguardo le anatre, che scompaiono al di là del lago Lange. « L'anatra selvatica è gustosissima », fa il Vecchio con occhi sognanti. « Se solo avessimo potuto tirarne giù qualcuna! » « Non l'ho mai mangiata », dice Heide. « È buona come quella domestica? » « Migliore », gli assicura Porta. « I re e dittatori la servono nei banchetti ai quali invitano i personaggi più importanti. Conosco la ricetta del re d'Inghilterra per cucinare l'anatra selvatica. L'ho avuta da un cuoco della Guardia Reale Inglese che ho conosciuto in Francia. » « Lo avevi fatto prigioniero? » chiede Heide, interessato. « No, era un tipo che ho salutato sulla spiaggia di Dun-kerque quando l'esercito di Churchill è tornato a Londra per rimettersi in ordine le uniformi. » « Hai permesso a un prigioniero di scappare? » chiede Hei-de, sbalordito. « No, che diavolo! È quello che sto tentando di dirti. Se n'è tornato semplicemente a casa! » « Stanno ritornando! » grida Fratellino, tutto eccitato,

57 indicando con il braccio teso un punto al di sopra del lago. « Che mi venga un colpo se non stanno tornando davvero! » urla Porta, scagliando in aria un sasso nella vana speranza di colpire un'anatra. Il Vecchio afferra un moschetto e si mette a sparare nel folto degli stormi, con Fratellino e Porta che seguono ogni sua mossa come due cani da caccia. Tutti afferriamo chi il moschetto chi la pistolamitragliatrice e una gragnuola di colpi si dirige verso l'alto contro i volatili starnazzanti, senza peraltro colpirne nemmeno uno. Poco dopo, le anatre scompaiono dietro le colline. « Merda! » esclama Porta, deluso, lasciandosi cadere sulla neve. « Se le avessimo prese, sarebbero stati i primi colpi andati giustamente a segno in questa porca guerra! » « Un pilota da caccia avrebbe potuto, volando sotto, raccoglierle con le ali », dice Fratellino, inghiottendo involontariamente a vuoto. Continuiamo a parlare delle anatre selvatiche per un pezzo dopo che queste sono scomparse. « Con la salsa di mele sono particolarmente buone », spiega Porta. « Inoltre - cosa più importante ancora devono essere croccanti, crocchiare sotto i denti. » « In Spagna non lo vogliono capire », interviene Barcelona. « Le riempiono di arance e le fanno cuocere e cuocere finché sembra di masticare un cazzo moscio. » « Bisognerebbe fucilare la gente che fa di queste cose », decide Porta. « È una vera bestemmia rovinare così l'anatra. » Siamo di nuovo in marcia e ci inoltriamo in una stretta spaccatura del terreno sempre parlando di anatre. Su

58 entrambi i lati si ergono ripide pareti di neve e ghiaccio. Un acre puzzo di cadavere ci riempie le narici. Perplessi, ci guardiamo in giro cercando i morti. Solo molto più tardi ci rendiamo conto di essere noi stessi quelli che si trascinano dietro quel puzzo orribile, dolciastro e nauseante. « Puzzeremo di cadavere per il resto della vita », fa il Vecchio in tono pacato. Ha ragione. Dopo quattro anni passati al fronte, il puzzo della morte è penetrato così profondamente in noi che ci sarà difficile liberarcene per lungo tempo, ammesso e non concesso che ce ne libereremo. Mentre marciamo parliamo della pace. Alcuni di noi vestono l'uniforme ininterrottamente dal 1936 e semplicemente non riescono a immaginare che cosa si provi indossando abiti civili, ad andare al gabinetto senza dover chiedere prima il permesso e battere i tacchi. In realtà non crediamo più nell'arrivo della pace. Porta pensa che questa sarà la guerra dei cent'anni. Ha elaborato una complicata equazione che secondo lui spiega come sarebbe possibile ottenere un risultato del genere. Ogni anno, un certo numero di giovani raggiungono l'età per essere chiamati alle armi e si fanno macellare per la Patria. L'argomento è così interessante che facciamo una sosta per discutere i particolari. Alcuni ufficiali del gruppo di combattimento che abbiamo di nuovo raggiunto, tutta gente che non conosciamo, si mettono a gridarci degli ordini, a darci la caccia per costringerci a serrare sotto. Sono tutti impauriti e nervosi. Non sono abituati come noi a trovarsi dietro la linea nemica. Per assolvere compiti del genere ci vuole un tipo speciale di combattente. Un buon guerrigliero prima di tutto non deve essere

59 uno dei soliti fessi che lo fanno per sport e nemmeno un prodotto delle solite accademie militari. Dovrebbe essere invece un tantino malvagio e avere la mentalità di un sedicenne il quale non si rende veramente conto che lui può essere ammazzato con altrettanta facilità come i tizi che lo attaccano e che lui falcia a raffiche di mitra. Ombre sbucano dal buio e ci zompano addosso. Si vedono balenare baionette e le pistole-mitragliatrici sgranano il loro canto mortale. Tutto dura solo pochi minuti. Dell'episodio rimane solo qualche cadavere nella neve. Il gruppo di combattimento - una lunga colonna marcia al passo di strada. Gli ufficiali, irritabili, se la prendono con gli uomini gridando e rimproverandoli, per nascondere la propria paura. La Seconda Sezione si allontana un pochino. Se i vicini dovessero tornare - e noi sappiamo che ritorneranno - ce la caveremo meglio da soli. I reparti siberiani hanno l'abitudine di scatenare attacchi fulminei di brevissima durata, per riscomparire poi come tanti fantasmi nella neve. « Pensa se tutta questa roba dovesse finire domani », fa Gregor con una strana espressione, « e uno dovesse restare fregato proprio oggi! Che bella sorpresa! » « C'est vrai, mon ami, sono cose che possono capitare se uno è sfortunato », risponde il Legionario. « Quando ero al Secondo Reggimento della Legione, avevo un compagno che era stato un po' dappertutto e ne aveva viste di tutti i colori, combattimenti e tutto il resto. Non gli era mai capitato niente. Nemmeno un graffio. Sul petto aveva i nastrini di ogni decora-zione* nessuna esclusa, che un sottufficiale dell'Esercito francese potesse ricevere. Dopo diciotto anni di servizio decise di andare

60 in congedo. Aveva un passato militare senza macchia, così gli avevano procurato un posto alla dogana. Era andato a salutare il colonnello e il nostro comandante di compagnia gli aveva pagato da bere. Mentre scendeva dall'armeria dove aveva consegnato il suo armamento individuale, faceva gli scalini a due a due per la contentezza. Quando arriva al pianerottolo di sotto, non ti va a infilare il piede in un secchio pieno di saponata! Così vola a testa in giù sulla rampa successiva della scala, per andare a sbattere con la testa contro una rastrelliera di fucili che si trovava in fondo. È rimasto secco sul colpo. Si era rotto la testa e l'osso del collo! » « Puoi soffocarti benissimo con un pezzo di carne mentre sei seduto al cesso », osserva Porta che spesso fa colazione in latrina. « Da adesso in poi starò più attento », dice Fratellino, pensieroso. « Rompersi l'osso del collo per colpa di un secchio! Solo a pensarci mi vengono i brividi! » Durante tutta la marcia di ritorno siamo stanchi e in preda al pessimismo. Solo Porta è allegro come un fringuello. Sta vendendo una porta della roba portata via ai russi. Ma, improvvisamente, la sua sempre più frenetica attività commerciale subisce una brusca interruzione. La slitta con le provviste scompare durante la notte. La renna ritorna il giorno dopo, ma con la slitta vuota. Porta piange dalla rabbia. Per un momento, i suoi sospetti cadono su Wolf, un ca-pomeccanico, ma poi scarta subito l'ipotesi. Wolf non si avvicinerebbe mai alla linea di combattimento nonostante la sua addirittura patologica rapacità. « Lasciate solo che riesca a mettere le mani su quel fetente figlio di puttana », ulula Porta, percuotendo con i pugni la neve per sfogare la sua rabbia impotente, « e gli

61 stringerò queste dita così curate intorno al collo e continuerò a stringere finché il figlio di una grandissima baldracca non resterà completamente senza fiato. Dev'essere senz'altro una vecchia carogna di pervertito. Non può essere Wolf! Wolf è un porco di ladro che pensa solo ai soldi, come gli altri graduati, ma non è abbastanza carogna per fare una cosa del genere. Per un certo verso mi assomiglia. Se qualche figlio di puttana dev'essere liberato del peso che la vita dev'essere per lui, siamo disposti ad aiutarlo in maniera piacevole, civile. Conosco Wolf come me stesso. Niente sporche bidonate, a meno che non ci si sia messi d'accordo prima. No, quello non mi fregherebbe mai la roba che mi sono procurato con il sudore della fronte. E anche se dovesse farlo, mi lascerebbe sempre la metà. Ma se non può essere stato Wolf, chi può avere combinato la porcata? Dev'essere per forza qualcuno che non mi conosce. » Poi si mette a seguire con lo sguardo le nubi che passano e congiunge le mani, come per pregare. E prega effettivamente: « Caro buon Dio! Aiutami a mettere le mani su quella sporca vipera, quel maledetto serpente, perché possa ridurgli il sedere a polpette con del filo spinato rovente! » « Che Dio stramaledica la tormenta! » geme Gregor, fermandosi un attimo per ripulirsi la faccia dalla neve. « Non riusciremo mai a farcela », piagnucola il Vestfalo, rassegnato. « Sediamoci e aspettiamo i russi, tanto per farla finita subito! » « Tu sei matto da legare », grida Porta con aria sprezzante. « Non cominciare a fartela addosso ancora prima che faccia buio! » « Non ne posso più! » fa piangendo l'ex gerarchetto della HJ, la Hitler Jugend, con un tono da commuovere anche i sassi, lasciandosi cadere nella neve.

62 « Il ragazzino di Hitler sta capitolando », commenta con un sorrisetto divertito Fratellino, mettendosi in spalla la mitragliatrice pesante come se si trattasse di una pala. « Fatelo alzare in piedi! » ordina il Vecchio con voce rauca. « Su, in piedi! » ringhia Heide, pronto a intervenire. Prepotente di natura, classico tipo del sottufficiale tormentatore di reclute, sono proprio questi gli incarichi che gli piacciono. « Lasciami in pace! » ulula l'ex gerarchetto della gioventù hitleriana, vibrando un calcio nella direzione di Heide. « Ti do dieci secondi di tempo per alzarti, schifoso vigliacco che non sei altro! » sibila Heide, premendo la bocca della pistola-mitragliatrice contro lo stomaco del ragazzo. « Non puoi farlo! » urla terrorizzato il giovane della HJ. « Sarebbe un assassinio! » « Lo credi davvero? » Heide ha un ghigno demoniaco sulla faccia e fa partire una raffica che solleva spruzzi di neve accanto al ragazzo. Questi si rialza in piedi, tutto tremante, e arranca penosamente per raggiungere la Sezione che nel frattempo era andata avanti. « Testa alta, petto in fuori! » urla infuriato Heide. « Gambe tese, muovi i piedi! Tesa la cinghia del fucile! Marcia come si deve, sacco di merda vigliacco che non sei altro, se non vuoi che ti faccia il culo a polpette! » « Ti deve aver dato di volta il cervello! » protesta il ragazzo della HJ. Heide fa un passo di lato, alza la pistola-mitragliatrice come un bastone e colpisce con il calcio dell'arma bru-

63 talmente la faccia del ragazzo. « Questa volta te la cavi per il rotto della cuffia », ringhia con un ghigno satanico, « ma la prossima volta che ti salta in mente di sdraiarti senza aver avuto l'ordine, ti sistemo! Cammina, sfaticato! E di corsa, per favore! » Con la faccia piena di sangue, il ragazzo della HJ raggiunge la Sezione, seguito da Heide. Cammina così svelto da sorpassare a momenti la testa del reparto. « Ehi! Dove stai andando, figlio di Hitler? » grida Fratellino, sbalordito. « Se credi di prendere il treno per andare in licenza, è partito da un pezzo. » « Perché ha la faccia piena di sangue? » chiede il Vecchio in tono minaccioso. « È caduto », fa con un sorrisetto Heide, « ed è andato a sbattere con la faccia contro il proprio moschetto che portava in maniera non regolamentare. Non è così? » domanda poi, rivolto al ragazzo della HJ con un'espressione maligna negli occhi. « Signorsì », grida il giovane con voce stentorea, « sono caduto. » « Fammi vedere la tua MPI! » fa il Vecchio rivolto a Heide e stende la mano per farsi consegnare l'arma. Avutala, ne esamina brevemente la canna. « Se fossi al posto tuo, Unter-offizier Heide, la prossima volta starei molto attento per impedire che la gente cada mentre si trova vicino a te! Ascoltami bene: se dovessi accorgermi che metti le mani addosso a un inferiore, finirai dritto come un razzo a Torgau. E non me ne frega niente se sei aggrappato al culo del Führer! » Heide si fa pallido come un morto e per un istante fissa infuriato il Vecchio con gli occhi sbarrati. « Avresti potuto risparmiarti l'ultima osservazione. Può darsi che un giorno te ne debba pentire amaramen-

64 te! » « Lascia decidere a me di che cosa mi pentirò e di che cosa no », ribatte il Vecchio con un sorriso condiscendente. « Tuttavia starei molto attento se fossi in te! Tu vuoi restare nell'esercito dopo la guerra. Non sei uno stupido, perciò bada a quello che dici. Altrimenti potrebbe darsi che l'esercito non ti vorrà più quando, dopo essere stato ridotto a pezzi, lo rimetteranno insieme! » « Tu pensi che perderemo questa guerra? » chiede Heide con un velato tono di minaccia. « Perché? Tu non lo pensi, forse? » fa di rimando il Vecchio. Poi gira sui tacchi e si allontana. A nord-ovest si scorgono nel cielo i riflessi di un gigantesco incendio. « Petsamo sta bruciando », conferma l'Oberleutnant Wi-sling. Tutti guardano con gli occhi sbarrati a settentrione. Petsamo. Sembra passato un secolo da quando eravamo li. « Merde, alors, mi domando come la gente faccia a vivere in questo dannato paese », si chiede ad alta voce il Legionario, stanco e infreddolito. « Ho una nostalgia per il Sahara e la sabbia rovente che non vi dico! » « Una cosa è certa. Non voglio più sentir parlare di sport invernali per il resto della mia vita », dice con un amaro sorriso Barcelona, battendo le mani per riscaldarsele. Ha la faccia coperta da una maschera di ghiaccio. « Che diavolo pensa di farsene Adolfo di questo paese? » chiede Porta con voce sepolcrale. « lm Osten, da leuchtet ein heiliges Licht... »1 canta Gregor con aria sfottente. 1

«A oriente brilla una luce sacra...» (N.d.T.)

65 Il gruppo di combattimento sosta nei pressi della baia di Motovskij, ben lontano da ogni insediamento umano. Durante la notte, quindici uomini muoiono con una pallottola in testa. Siamo tutti nervosi e irritabili. Il nervosismo è dimostrato dal fatto che tre degli uomini sono stati ammazzati dalle nostre vedette. « Stanno diventando sempre più sfacciati », osserva Porta esaminando con un certo interesse il foro d'entrata della pallottola nel cranio di uno dei cadaveri. « L'hanno preso esattamente tra gli occhi! » « C’est la guerre! Ma perché non facciamo vedere a Ivan che siamo ancora qui? » suggerisce il Legionario. « Già, ecco un'idea! Andiamo a fabbricare un po' di salme russe! » esclama Fratellino con un ghigno omicida, fingendo una sventagliata con il mitra. Viene così formato un gruppo d'attacco agli ordini di un esploratore finlandese, uno di quei micidiali mangiacomunisti che considerano ogni bolscevico vivo un insulto a Dio e alla Finlandia. In silenzio ci inoltriamo carponi sul terreno innevato e ci prepariamo a tendere un'imboscata sul versante opposto della baia, a circa un chilometro di distanza. I russi arrivano un paio d'ore più tardi con gli sci che scricchiolano sulla neve. Procedono in fila per uno e non sospettano di nulla. Continuiamo a sparare finché i caricatori non sono vuoti. I russi cadono in avanti e di fianco come il grano falciato da una falce ben affilata. Li perquisiamo rapidamente e prendiamo ciò che ci può servire. Alcuni sono ancora vivi. A questi ci pensa l'esploratore finlandese. Con la faccia contorta in una smorfia d'odio appoggia la bocca dell'arma tra gli occhi dei feriti e spara. I crani si spaccano come tanti gusci

66 d'uovo. Sono siberiani e hanno le tasche piene di tabacco trinciato sottile. Ben presto, l'atmosfera intorno a noi è impregnata di fumo di tabacco. Inoltre hanno le borracce piene di vodka anziché acqua. Porta manifesta l'opinione che abbiano appena ricevuto la loro razione settimanale di viveri di conforto. Così scopriamo che è martedì, il giorno in cui Ivan riceve la vodka. Forse erano sbronzi quando li abbiamo attaccati. Questo spiegherebbe la mancanza di qualsiasi misura di sicurezza durante la marcia e anche il fatto che siano morti così, senza la minima resistenza. Nei portafogli troviamo fotografie di familiari. Ci sediamo sulle salme che ben presto s'irrigidiscono a causa del gelo e discutiamo le foto. Lasciamo che il vento dell'Artide si porti via quelle che non ci piacciono e teniamo solo quelle delle giovani fidanzate e mogli. Tagliamo via le facce maschili che disturbano le nostre fantasticherie aventi per oggetto le donne. Poco dopo mezzanotte scoppia un gran casino. Armi automatiche vomitano la morte da ogni direzione. Avvolti nei lunghi mantelli bianchi, i russi arrivano sui loro sci corti e ci investono a sorpresa. Hanno persino le facce coperte da maschere bianche. Ci sembra di essere attaccati da un esercito di fantasmi. Di colpo, così com'è cominciato, l'attacco cessa. In molti punti, la neve è imbevuta di sangue finlandese e tedesco. Uomini feriti invocano aiuto con lamenti che straziano il cuore, ma siamo troppo stanchi per andarli a prendere. Poco dopo, il gelo li finisce. La morte arriva presto a nord del Circolo polare artico. Il gruppo di combattimento si sta riducendo. Più della metà della forza presente è costituita dai feriti che ci trasciniamo dietro. Il numero dei combattenti validi di-

67 minuisce di ora in ora. Cominciamo ad abbandonare i feriti che rallentano la marcia. Il cameratismo al quale inneggiamo nelle nostre canzoni non è di molto aiuto a un gruppo di combattimento morente nell'Artide. Molti pongono fine alla propria vita con una pallottola. L'Oberst si china sul proprio aiutante, un giovane Leutnant, che giace nella neve. Gli esplosivi gli hanno distrutto entrambi gli occhi. È morto. L'Oberst gli chiude gli occhi e riprende con volto impassibile la marcia accanto alle file di soldati gementi. Il Sanitàtsgefreite e cappellano militare Krone è in ginocchio accanto al Leutnant Kraus e invoca con voce limpida la misericordia di Dio. L'Oberst Frick sosta per un attimo e guarda il Leutnant Kraus la cui pelle ha già assunto il colore della pergamena, tipico della morte. I suoi denti protrudono stranamente tra le labbra violacee, ritratte in una specie di ringhio canino. La morte dell'eroe non è particolarmente bella, riflette il colonnello amaramente, e non si può dire che assomigli a quella concepita dalla fantasia dei corrispondenti di guerra. Poco dopo, Frick chiama a rapporto gli ufficiali del gruppo. Questi arrivano a uno a uno: il Leutnant Linz della Prima Compagnia, l'Hauptmann Bernstein della Seconda, il Leutnant Paulus della Terza, l'Oberleutnant Wisling della Quarta, il Major Pihl della Quinta, il Leutnant Hansen della Sesta. Per ultimo arriva il Leutnant Schultz. « Sediamoci, signori », dice Frick con un'espressione tetra sul volto. Poi esamina con una breve occhiata le facce degli ufficiali. Conosce quelli sui quali può fare affidamento e quelli che preferirebbero sputargli in fac-

68 cia. « Signori », comincia con voce stanca. « Vi ho chiamati a rapporto per discutere il futuro del gruppo di combattimento. Va da sé che posso imporre con un ordine qualsiasi provvedimento che riterrò opportuno. È per fare questo che sono il comandante e voi dovrete obbedire ai miei ordini. Qualsiasi protesta equivale a un ammutinamento, e nella situazione in cui ci troviamo ciò significherebbe la convocazione di un tribunale di guerra straordinario sul posto e l'immediata esecuzione del colpevole. Questa regola vale in tutti gli eserciti, non solo nel nostro. » S'interrompe, soffia via un po' di neve che è andata a posarsi sull'otturatore della sua pistola-mitragliatrice e ascolta per un attimo i gemiti provenienti dall'igloo dove sono stati ricoverati dei feriti. « A mio avviso, la situazione è assolutamente disperata, irrimediabile. Stiamo per restare senza munizioni. Lo stesso dicasi per le nostre forze. Oltre la metà dei combattenti del gruppo sono feriti. Se continuiamo di questo passo, tra poco saremo morti tutti. Date queste circostanze non desidero dare i miei ordini prima di aver discusso la situazione con voi. Dovete tuttavia comprendere che la decisione finale spetterà sempre a me, quali che possano essere le vostre opinioni. Io non intendo sottrarmi ad alcuna responsabilità. « Conosco benissimo la mia responsabilità e penso prima e anzitutto ai feriti, esposti a terribili sofferenze. Molti hanno la cancrena e noi non disponiamo di medicinali né bende né di tutto il resto che sarebbe necessario per aiutarli. È molto dubbio che riusciremo ad aprirci un varco per rientrare nelle nostre linee. Gli elementi esploranti da me inviati in avanscoperta sono appena ritornati e segnalano la presenza di consistenti forma-

69 zioni di fanteria siberiana davanti a noi. Inoltre dobbiamo tenere conto anche di un battaglione su slitte blindate. Se dovessimo suddividere il gruppo di combattimento in tre formazioni separate, esisterebbe qualche remota possibilità di aprirci un varco combattendo. » S'interrompe di nuovo e cala con forza il calcio della sua arma nella neve. « Ma senza i feriti, questo deve essere chiaro! » Un mormorio risentito si alza dal gruppo degli ufficiali a rapporto. « Abbandonare i feriti, perdio? Che idea! » grida il Leut-nant Schultz, il più giovane dei presenti, che è stato allevato nell'etica dell'eroismo. « Sto parlando, Herr Leutnant Schultz! » ringhia Frick, rintuzzandolo con voce irata. « Lei potrà parlare quando avrò finito. Potremmo anche fermarci qui, costruire altri igloo fino a creare un caposaldo a istrice e sperare di essere liberati prima o poi dalle nostre truppe. Tuttavia penso che una speranza del genere sia priva di fondamento. Secondo me, il comando ci considera perduti da un pezzo. » « E se facessimo intervenire un reggimento delle SS? » chiede Schultz, infantile nella sua speranza. « Se lei, Herr Leutnant, è in contatto con il generale comandante, potrebbe manifestargli questo suggerimento », ribatte in tono canzonatorio l'Oberst. « Nel contempo potrebbe forse anche dirgli dove potrà trovare un reggimento delle SS! » « La Divisione da Montagna Nord delle SS si trova in Finlandia », risponde Schultz con aria trionfante. « Esatto. Solo che nessuno sa dove noi ci troviamo. E anche se lo sapessero, non verrebbero a tirarci fuori! Siamo in una situazione catastrofica. I soldati finlandesi

70 aggregati a noi sono scomparsi durante la notte. Quelli sanno che l'unica possibilità di salvarsi consiste nell'aprirsi un varco combattendo, operando in piccoli gruppi. » « Ma questa è diserzione! » sbraita infuriato Schultz. « Lei si sbaglia », replica Frick con un sorrisetto condiscendente. « I finlandesi non dipendono dai comandi tedeschi. Nessuno di loro ha giurato fedeltà al- Führer. A dieci chilometri da qui, a est, si trova un battaglione di sciatori siberiani, un battaglione avente una forza molto superiore all'organico che ben presto ci attaccherà e ci distruggerà. » A questo punto si toglie il monocolo e comincia a pulirlo soprappensiero con un fazzoletto candido come la neve. « Propongo di lasciare qui i feriti, assistiti da pochi volontari. Questa soluzione può sembrare spietata, persino brutale, ma rappresenta l'unica speranza per il resto del gruppo di combattimento. Fermarsi qui e battersi equivarrebbe a un suicidio. E non appena cessata la lotta, i feriti verrebbero ugualmente massacrati. I feriti danno sempre fastidio, tanto più se si tratta di feriti nemici. Se noi lasciamo i nostri feriti qui con un Unteroffizier incaricato di mettersi in contatto con i russi non appena il gruppo di combattimento si sarà allontanato, esiste la possibilità che il comandante russo non dia ai suoi uomini l'ordine di ucciderli a sangue freddo. » Detto questo, si siede pesantemente sulla neve e punta il dito sul Leutnant Schultz la cui faccia devastata dal gelo ha assunto una tinta rossorame. « Adesso tocca a lei, Herr Leutnant. Sarò molto contento se sarà in grado di proporre un piano migliore del mio! » Il giovane ufficiale balza in piedi e si mette a fissare l'Oberst con gli occhi carichi di odio e disprezzo.

71 « Ciò che lei suggerisce è la proposta più sudicia che io abbia mai sentito in vita mia », dice con voce aspra. « Abbandonare i nostri camerati alla mercé dei bolscevichi non è solo tradimento, ma anche un vero e proprio assassinio premeditato. Lei continua a dire che vuol salvare il gruppo, aprirsi un varco combattendo, come se questi discorsi avessero senso. Solo battersi ha senso! Battersi come si sono battuti i nostri antenati germanici. Quasi tutti noi saremo morti prima della vittoria finale, ma questo non ha importanza. Basta che qualcuno dei migliori sopravviva per vederla. Il costo della vittoria sarà il più elevato mai esatto da una Patria, ma anche tra mille anni, la gente si ricorderà ancora di coloro che avranno pagato questo prezzo. Lei dice di essere un ufficiale tedesco. Per me, lei è un disgraziato, un vigliacco. Fino a questo momento la consideravo un soldato tedesco degno di ogni rispetto, un soldato che faceva il suo dovere, teneva fede al giuramento prestato al Führer e si rendeva conto degli obblighi che questo giuramento comportava. Ora mi rendo conto di essermi sbagliato. Le giuro, comunque, che la sua schifosa proposta non sarà tradotta in atto fino a quando sarò in grado di tenere un'arma in mano. Potrà farlo solo scavalcando il mio cadavere. Inoltre le prometto che farò quanto sarà in mio potere per farla giudicare da un tribunale di guerra qualora dovessimo ritornare entro le nostre linee. » « Ha finito? » chiede Frick senza scomporsi. Poi si volge verso l'Hauptmann Bernstein, comandante della Seconda Compagnia, che rimane seduto e allarga le braccia con rassegnazione. « Che cosa devo dirle, Herr Oberst? Attendo i suoi ordini. Che io sia d'accordo o meno con essi non ha alcuna importanza. Li eseguirò. »

72 « È tutto? » chiede Frick con un sorriso rassegnato. « Sissignore! Non trovo altro da aggiungere. » « Herr Major Pihl! Qual è la sua opinione? » Pihl si alza. È un ufficiale tutto d'un pezzo. Questo appare ovvio. Si alza e si inchina con arroganza, flettendo lievemente le ginocchia, com'è abitudine degli ufficiali prussiani della Guardia. « Herr Oberst, io non la capisco », dice con voce stentorea. « Ha riflettuto a dovere sulla sua proposta? Benché, a pensarci bene, non sono affari miei. Sono d'accordo con Bernstein. Lei dà gli ordini e noi li eseguiamo senza discutere. » Poi, tenendo il busto eretto, siede accanto a Bernstein, si accende una sigaretta e dà l'impressione di non essere ulteriormente interessato a ciò che viene detto. Il Leutnant Linz della Prima Compagnia scatta rumorosamente in piedi, sbatte con fracasso tre volte i tacchi e fa il saluto nazista. « Non usa più il saluto militare prussiano, portando la mano tesa alla visiera del berretto », chiede Frick con un sorriso, « oppure crede di trovarsi con le SS, Herr Leutnant? » Linz, un tipo alto e molto magro, diventa rosso in faccia e tira imbarazzato un piccolo calcio nella neve. Un po' di neve finisce così sulle ginocchia del Major Pihl. « Ciò che ho da dire è già stato detto dal Leutnant Schultz, Herr Oberst! » Poi sbatte di nuovo tre volte i tacchi, salutando peraltro questa volta nel modo prescritto dal regolamento. Quindi siede accanto a Schultz, come se cercasse la sua protezione. Ora tocca al Leutnant Paulus della Terza Compagnia. L'ufficiale si alza senza esibirsi in gesti teatrali, lento e pacato come tutti i figli della Frisia. Non saluta e non

73 sbatte i tacchi. « Herr Oberst », comincia con voce baritonale, parlando lentamente. « Ormai sono quattordici mesi che comando una compagnia del suo reggimento. So che lei non è ciò che il Leutnant Schultz l'accusa di essere. Ritengo che sia addivenuto a questa decisione dopo un lungo e attento esame della situazione. Non sono in grado di stabilire se abbia ragione o torto. Sono alle sue dipendenze e attendo i suoi ordini. » Poi siede accanto all'Hauptmann Bernstein che gli stringe la mano senza aprire bocca. Il piccolo Leutnant Hansen della Sesta Compagnia non brucia proprio dal desiderio di esprimere la sua opinione. In cuor suo è d'accordo con l'Oberst, ma il fatto è che ha trascorso sette mesi di detenzione al carcere militare di Tor-gau per una lieve infrazione. Ora, se c'è un posto al mondo che Hansen vuol evitare di rivedere, questo posto è Torgau. Prima di parlare, guarda con la coda dell'occhio Schultz che lo sta osservando con occhi freddi come il ghiaccio. « Be', Herr Leutnant Hansen », lo sollecita l'Oberst, « qual è la sua opinione? » « Herr Oberst, la sua proposta non mi piace. Il nemico non farà altro che uccidere con poche raffiche di mitragliatore i feriti. Inoltre mi piacerebbe sapere chi rimarrà volontariamente con i feriti. Lei non può ordinare a dei soldati di arrendersi. Ha forse dimenticato l'episodio di Leopoli dove i russi hanno liquidato centinaia di feriti con un colpo alla nuca e crocefisso i sacerdoti inchiodandoli alle porte? Non si possono abbandonare dei camerati a un simile destino. Sono costretto a respingere la sua proposta, Herr Oberst. » Poi si rimette a sedere sulla neve, evitando lo sguardo del-l'Oberst Frick. Si

74 rende conto di essere un vile per aver risposto così, ma lo spettro del carcere di Torgau si erge minaccioso e brutale nel suo pensiero. Ultimo a rispondere è l'Oberleutnant Wisling della Quarta Compagnia. « Herr Oberst, sono perfettamente d'accordo con lei! Non le rimane altro da fare. Se fossi al posto suo, darei l'ordine, e se qualcuno dovesse protestare, convocherei un tribunale di guerra straordinario sul posto per giudicarlo subito. Le opinioni personali non contano. Gli ordini devono essere eseguiti. Ogni recluta lo sa! » « Un altro porco traditore vigliacco! » grida Schultz, indignato. « Al posto suo, Herr Oberst », continua Wisling, ignorando il grido carico di odio di Schultz, « resterei io stesso con i feriti. Altrimenti dovrà affrontare un tribunale di guerra tedesco. Sull'esito di un processo del genere non ci possono essere molti dubbi. » « Grazie, Wisling,- ci vuole del fegato per esprimere la propria opinione come ha fatto lei. Ma la prospettiva di essere processato da un tribunale di guerra tedesco non mi spaventa. Saprò giustificare le mie decisioni se si dovesse arrivare a un processo. » L'Oberleutnant Wisling si stringe nelle spalle. Frick si alza in piedi e si aggiusta il monocolo. « È stato interessante sentire le vostre opinioni, ma queste non m'inducono a mutare la mia decisione. Non permetterò che dei soldati ai miei ordini vengano massacrati. inutilmente. Come comandante del gruppo ho prima di tutto il dovere di riportare entro le nostre linee il maggior numero possibile di combattenti. I soldati morti non servono. » « Scappare davanti a questi Untermenschen, questi su-

75 bumani! » sbraita Schultz nella notte artica, posando con gesto teatrale la mano sulla fondina della pistola. « Ma non c'è proprio nessuno qui che anteponga il dovere nei confronti del Führer e della Patria a qualsiasi altra cosa? Ogni soldato tedesco ha giurato di mettere a repentaglio la propria vita quando gli viene chiesto di farlo. Milioni di valorosi soldati hanno già sacrificato la vita per il Führer. Restare in vita, è questo l'unico suo obiettivo, Oberst Frick? Sia lode al Signore che ci siano solo pochi esemplari della sua risma. Per amore dell'esercito, lei deve revocare l'ordine. Sistemiamoci a difesa in un caposaldo a istrice e combattiamo i bolscevichi. Uccidiamone il maggior numero possibile prima di restare uccisi noi stessi. Lo dobbiamo al Führer e al meraviglioso ideale che egli ha dato al popolo tedesco! » « La discussione è chiusa », interloquisce l'Oberst in tono perentorio. « I feriti resteranno qui. Il gruppo di combattimento riprenderà la marcia tra un'ora, con la Quinta Compagnia in testa. Schultz! Lei formerà la retroguardia con la compagnia armi pesanti. Credo superfluo soggiungere che a cominciare da questo momento la mancata esecuzione del mio ordine comporterà la convocazione di un tribunale di guerra straordinario a tamburo battente. Non tollererò proteste. Sono stato chiaro? » « Chiarissimo, Herr Oberst », risponde Schultz con voce a malapena percettibile. Il Sanitatsgefreite e cappellano più due uomini del reparto sciatori, che hanno i piedi semicongelati, si dichiarano disposti a restare con i feriti. Poco dopo, il gruppo di combattimento si rimette in marcia. L'ultima cosa che vediamo è il cappellano, in piedi su un monticello di neve, che ci saluta agitando il

76 braccio. Circa un'ora più tardi sentiamo alle nostre spalle un ticchettio di armi automatiche. Qualcuno afferma di udire delle urla. Non sapremo mai che cos'è accaduto in realtà con i feriti e i tre volontari. Un rumore di cingoli ci induce a metterci di corsa al coperto. « Panzer! » grida Porta e si getta a capofitto in un mucchio di neve portato dalla tormenta. Lampi arancione guizzano al di sopra del deserto di neve. Il rimbombo del colpo di partenza è breve e smorzato. « Carri con cannoni », geme Heide, terrorizzato. « Merde, alors, i russi devono essere impazziti », commenta il Legionario. « Qui non è possibile impiegare carri armati! » « Tra poco avrai imparato qualcosa di nuovo, cara la mia pulce del deserto », ribatte ridendo Porta in tono sarcastico, mentre sta confezionando un grappolo di bombe a mano destinato a servire da carica esplosiva. « Ivan è capace di combinare cose delle quali non lo credereste mai capace », prosegue, rivolto agli altri. « Vedere per credere! La lingua vi uscirà dai vostri sfinteri germanici quando scoprirete di che cosa è veramente capace. » Sulla riva opposta del fiume ghiacciato, alcuni scatoloni neri dall'aspetto spettrale arrancano lentamente come tanti insetti. Il rumore ci toglie ogni dubbio sulla loro natura. Il gemito dei cingoli a contatto con la neve ghiacciata e l'urlo dei motori ci fanno gelare il sangue. Due, tre, cinque T 34 avanzano sferragliando nella nostra direzione sulla neve, scivolano di lato sul pendio ghiacciato verso la sponda del fiume. Per un attimo ab-

77 biamo la folle speranza che si capovolgeranno, ma i bestioni continuano a marciare imperterriti verso la superficie gelata con un fracasso infernale, sollevando nubi di neve a tergo. Visti così, la loro sagoma appare quasi bella. Un T 34 all'attacco su una distesa di neve offre uno spettacolo impressionante. Sembra un grande carnivoro flessuoso. Tutti gli spigoli sono smussati, levigati per cui si prova quasi un senso di fierezza nel constatare che cosa sono capaci di creare le mani umane con del metallo così resistente. Prendiamo in fretta e furia delle bombe a mano per farne dei grappoli. Le bombe a mano sono l'unica nostra arma efficace contro i carri armati. Mi accoscio sulla gamba destra, pronto a balzare in piedi. Il trucco consiste nell'accortezza di compiere il balzo proprio nel momento giusto, quando uno si trova nell'angolo morto del carro. Sono teso come una bestia che sente di non poter fuggire e sa di potersi salvare solo uccidendo l'attaccante. Il coraggio non c'entra. Solo il terrore, la paura di morire ci spingono al disperato tentativo di fare fuori un T 34 armati solo di un grappolo di bombe a mano e di una pistola-mitragliatrice. La mitragliatrice del T 34 in testa sgrana una serie di raffiche al nostro indirizzo. Una delle nostre squadre che ha tentato di tagliare la corda si liquefa sotto il fuoco concentrato. Non tutti rimangono uccisi. Un Feldwebel si ferma di colpo, alza le braccia al cielo come se volesse dire un'ultima preghiera, cade in avanti e rimane immobile sulla neve. Un'altra squadra corre a zigzag sul ghiaccio. Un T 34 raggiunge i malcapitati. Sentiamo lo scricchiolio delle ossa e delle armi schiacciate dai larghissimi cingoli. Il carro fa dietrofront sul posto, impastando ciò che è

78 rimasto degli uomini con la neve. Il sangue schizza da sotto i cingoli. « Giù le teste! » urla infuriato il Vecchio. Due T 34 compaiono in bilico sul ciglio del pendio davanti a noi. Il più vicino sposta la canna della mitragliatrice un po' a sinistra. « Il porco ti ha inquadrato nel suo alzo! » penso. Mi sembra di sentire l'occhio del tiratore che mi fissa. « Se quello spara, sei fregato. » So che cosa si prova stando all'interno di una di quelle dannate « sale da tè », come chiamiamo i T 34. Il tiratore della mitragliatrice di testa è certamente un carrista esperto. Sa benissimo che non bisogna perdere tempo e riflettere sul da farsi. La parola d'ordine è: agire sempre e alla svelta. « Spara contro tutto ciò che vedi senza domandarti che cos'è! » è l'ordine che viene inculcato nella mente di ogni carrista. « Se vuoi restare vivo, scordati di essere un uomo. Se non li puoi ammazzare con le armi, schiacciali con i cingoli! » Balzo in piedi, mi lascio scivolare sul pendio ghiacciato e finisco su un cumulo di neve ammassata dal vento. Porta mi segue a ruota. « Diavolo! » ansima, preparandosi a lanciare il grappolo di bombe a mano. « Sento puzzo di Valhalla. Stavolta ci lasciamo la pelle! » Il T 34 di testa si ferma con uno scossone. Tratteniamo il fiato in attesa di ciò che sta per accadere. I carri si fermano solo quando devono sparare con il cannone. Con i volti tesi fino allo spasimo aspettiamo di sentire il breve e sinistro tonfo del colpo in partenza e l'urlo del proiettile esplosivo che ci dilanierà. È impossi-

79 bile che non ci abbiano visti. Le feritoie dei T 34 offrono un'ampia visuale e sono molto migliori di quelle esistenti nei nostri carri armati. La deflagrazione del colpo in partenza è assordante. Una fiammata guizza dalla lunga bocca da fuoco. Una ventata rovente ci investe, il fiato caldo dell'inferno. Segue un tonfo smorzato nella neve, a pochi centimetri da noi. « Mancato! » rifletto istintivamente, rannicchiandomi come una bestia spaventata alla mercé di un serpente a sonagli, ma l'esplosione non viene. « Non è esploso! » mormora Porta e guarda affascinato il buco fatto dal proiettile nella neve. « Per sant'Agnese, il proiettile non è esploso! Forse il pastore ha ragione, dopotutto. Il Dio germanico protegge i suoi! » « Andiamocene da qui! » dico, e comincio ad avanzare strisciando verso il carro armato che sta imballando il motore. « Per la Vergine di Kazan! » grida Porta, terrorizzato. « Stavolta siamo fregati! Sta' giù! Quello ci sta venendo addosso! » Il T 34 ha il motore imballato al massimo e sembra quasi rannicchiarsi, pronto a balzare su di noi. All'interno del carro invaso dai fumi dell'olio bruciato, il tenente Pospelov appoggia la fronte al cuscinetto di gomma della feritoia. « Torretta alle due! » ordina. A meno di trecento metri davanti al carro si staglia sulla neve un gruppetto di uomini serrati gli uni addosso agli altri. Il tenente Pospelov sorride soddisfatto e ordina agli altri quattro carri della sua formazione di effettuare una conversione per avere un campo di tiro più ampio. L'uf-

80 ficiale non stacca per un solo attimo gli occhi dalla feritoia. L'istinto del cacciatore prende il sopravvento. Ecco un'azione come se la sogna qualsiasi carrista! La disposizione dei bersagli è perfetta, come se si trattasse di una esecuzione capitale, ciò che del resto è, in realtà. Un pezzo anticarro tedesco da venti millimetri abbaia rabbiosamente e vomita i suoi minuscoli proiettili che vanno a schiantarsi senza conseguenze sull'epidermide del T 34. Il pilota del carro, caporale Baritz, prorompe in una risata. « Quanto sono fessi i tedeschi! Credono di farci fuori con le mitragliatrici! » « Job tvoje madij! »1 fa ridendo il tiratore della mitragliatrice. « Tra poco daremo loro una suonata con la nostra tromba d'oro che levati! » « Granata a frammentazione! » ordina imperturbabile il tenente Pospelov. Il proiettile viene inserito con un rumore metallico nella camera di scoppio. Poi si sente il rumore dell'otturatore che viene chiuso. La mano dell'ufficiale, posata sul pulsante rosso, esita per un attimo, come se l'uomo fosse stato colto da un dubbio, ma poi lo preme. Si ode il rombo del colpo in partenza e dalla volata del pezzo esce una lingua di fuoco. Il T 34 fa come un inchino. Il bossolo rovente cade tintinnando sul pavimento d'acciaio del carro. L'attimo dopo si sente di nuovo lo scatto dell'otturatore e una nuova granata a frammentazione è inserita nella camera di scoppio. La bocca da fuoco continua a sgranare i suoi colpi, 1

Letteralmente: « Va' a fottere tua madre! » un'imprecazione da sempre in voga nell'esercito russo. (N.d.T.)

81 uno dopo l'altro. La distesa di neve davanti al T 34 è nera di fuliggine. Trecento metri più avanti, invece, è rossa di sangue. Sembra che un folle si sia divertito a rovesciare secchi pieni di marmellata sulla bianca distesa. Improvvisamente, milioni di stelle esplodono davanti agli occhi del tenente Pospelov. Qualcosa lo colpisce con violenza al petto. L'ufficiale si accascia e scivola in fondo alla torretta. Un formidabile spintone appiattisce il pilota, caporale Ba-ritz, contro lo schienale del sedile. Il caricatore va a sbattere con la testa contro la mitragliatrice in torretta e si procura una profonda ferita alla fronte. Una formidabile stretta fa uscire ogni traccia di aria dai polmoni del mitragliere addetto alla mitragliatrice di testa, facendogli perdere per un attimo i sensi. « Figli di puttana! » grida inferocito Fratellino, picchiando i pugni sulla neve. L'ordigno da lui lanciato non è stato abbastanza potente per forare la pelle d'acciaio del T 34. Un miracolo ha salvato l'equipaggio del carro russo, impedendo che gli uomini venissero arrostiti vivi. « Bistri, bistri! »1 grida il tenente Pospelov al caporale Ba-ritz, ancora alle prese con i comandi e i pedali. La testa dell'uomo ronza come un alveare. Il caporale si meraviglia di essere ancora capace di muoversi e ragionare. Il carro fa un balzo per allontanarsi da quel tedescone animato da intenzioni suicide che si trova là fuori tutto solo sulla neve e si sta preparando probabilmente a lanciare un altro dei suoi micidiali ordigni. I tipi come quello, che se ne fregano di crepare, sono un pericolo mortale per qualsiasi carro armato. Bisogna o schiacciarli op1

« Svelto, svelto! » (N.d.T.)

82 pure tagliare la corda. Il tenente Pospelov decide di tagliare la corda. « Karbid! »1 urla al caporale Baritz, sferrandogli un calcio nella schiena. Con una bestemmia che farebbe impressione persino a Belzebù, il caporale schiaccia l'acceleratore senza sapere che si sta dirigendo proprio verso la cosa alla quale vorrebbe sfuggire. Porta e io siamo sdraiati nella neve con i nostri grappoli di bombe a mano e aspettiamo il momento giusto per attaccare il mostro che si sta avvicinando a noi, sollevando spruzzi di neve ai due lati. Uno dei portelli della torretta si spalanca e subito dopo compare una testa con il casco di cuoio. « Ammazzateli, questi cani maledetti! » urla il tenente nella direzione del deserto di neve. Quello è l'urlo di un uomo che ha paura. « Sta bene, Ivan Puzzonski », fa Porta con un ghigno satanico, correndo a brevi balzi verso il T 34 che si è fermato ancora per sparare. È veramente sorprendente che il tenente non lo abbia scorto. Il grappolo di bombe a mano raggiunge con un volo la base della torretta. Con un unico lunghissimo balzo, Porta si mette al coperto dietro un monticello di neve nella quale tenta di infilarsi il più possibile per evitare l'imminente grandinata di frammenti d'acciaio. Altri due T 34 lavorano di conserva, dando la caccia ai soldati tedeschi che corrono di qua e di là per sospingerli gli uni verso gli altri e formare così un gruppo unito. Quando sono sicuri della preda, retrocedono di qualche 1

Letteralmente: carburo. Termine usato dai carristi russi per dire « a tutto gas ». {N.d.T.)

83 metro per avanzare poi affiancati. Dopo essere arrivati all'altezza dei due lati del gruppo di tedeschi, invertono la direzione di marcia dei cingoli interni. I due veicoli cozzano così l'uno contro l'altro in una pioggia di scintille, riducendo in una poltiglia sanguinolenta i soldati. « Arrendiamoci! » fa un Unteroffizier della contraerea mentre le lacrime gli rigano la faccia deturpata dalle piaghe aperte dovute al gelo. « Quelli ci stanno macellando! » Porta lo guarda per un attimo, interdetto, e poi scoppia a ridere. « Non dimenticare che siamo in guerra, ragazzo mio, e che entrambi i contendenti hanno tutta l'aria di prenderla sul serio! » « Probabilmente crede che stiamo girando un film. Le silenti rovine di Verdun o roba del genere! » osserva con sarcasmo Gregor, lanciando fulmineamente una carica esplosiva verso il portello posteriore di un T 34 che sta passando rombante. « Tanti complimenti all'inferno! » grida, mettendosi con un balzo al coperto. Come percorso da una martellata di incredibile violenza, il portello scompare all'interno del carro. Il tenente Pospelov, rimasto incastrato tra il pesante portello e il tagliente bordo dell'apertura, strilla come una donna e continua a strillare per parecchio tempo mentre le fiamme cominciano a lambirlo. Dall'altro sportello esce al volo il caricatore per cadere sulla neve dove continua a rotolare urlante in mezzo a un mare di fiamme che sciolgono la neve intorno a lui. L'uomo sfrigola come un pezzo di lardo in padella e dopo un po' si riduce a una mummia incandescente. « Fuori! » urla il pilota del carro, caporale Baritz, spalancando un portello laterale. Sta già correndo quando

84 tocca terra. Una pioggia di mitragliate lo stende secco. Il tiratore della mitragliatrice di testa è emerso a mezzo busto dal portello quando l'intero carro armato vola in aria come un pallone. Il veicolo si capovolge varie volte in aria e poi ricade a terra con uno schianto. Subito dopo, un'esplosione interna lo disintegra in mille pezzi. Un po' più lontano, un altro carro russo sta ruotando intorno a se stesso a velocità sempre maggiore. Dai portelli escono fiammate rosse e volute di fumo nero, oleoso. Solo un uomo dell'equipaggio riesce a uscire da quella bara incandescente e si mette a correre sulla neve, simile a una torcia vivente. Le sue urla sono terribili a sentirsi. « Padaersce, padaersce! » continua a gridare la sua invocazione di aiuto, tendendo le braccia in fiamme nella nostra direzione. Varie pistole mitragliatrici lo prendono di mira. Poco dopo, l'uomo si accascia. Il corpo si riduce un po' alla volta in un troncone informe. Il comandante del T 34 persiste nel tentativo di uscire dalla torretta. Non urla, non chiede pietà, ma compie sforzi sovrumani per uscire dallo scatolone d'acciaio in fiamme. La sua faccia è una maschera nera, coperta da croste. Solo gli occhi, stranamente, brillano. Ha le labbra carbonizzate. Sul cranio si scorgono larghe chiazze dove i capelli si sono bruciati. Il naso è ridotto a un mozzicone di carne informe. Ma il peggio sono le mani. Queste sono ridotte a moncherini anneriti con i quali l'uomo tenta disperatamente di far ruotare il portello sui cardini per spalancarlo. « Dio mio! » gemo, coprendomi la faccia con le mani. Il puzzo di carne umana bruciata mi dà il voltastomaco. Vomito sulla neve.

85 « Piantala! » ringhia Porta. « O noi o loro. Non c'era scelta! Qua siamo in un pasticcio grosso. E poi avevamo promesso una poderosa legnata al nostro grande compare. » « È orribile! » bisbiglio. « È la guerra! » ribatte Porta in tono aspro. « Non sono proprio felice di avere Ivan alle costole. Su, muoviti! Prendi una carica esplosiva! Non possiamo ancora staccare! Ecco che arriva l'ultima delle ' sale da tè '! » Il mitra di qualcuno appostato dietro alcuni cespugli rattrappiti sgrana i suoi colpi. Una raffica colpisce la neve accanto a noi. Scaglio fulmineamente una bomba a mano nei cespugli. Un carrista russo fa un balzo in alto, vomitando un torrente di sangue. Lo falcio con una raffica della mia MPI. L'uomo crolla con un lungo urlo e rotola nella neve. « Che fesso! » commenta Porta in tono di commiserazione. « Com'è stupida la gente! Eroi fino all'ultimo! Be', così c'è un fesso di meno al mondo! » Una formidabile esplosione ci solleva in aria e ci scaglia tra i cespugli. Subito dopo infiliamo, sempre al volo, una stretta spaccatura nel terreno e finiamo con un tonfo sul fondo roccioso dove restiamo entrambi per un attimo privi di sensi. Subito dopo arriva, anch'essa volando e con le quattro zampe distese, la renna di Porta, che va a sbattere con un tonfo sordo contro la parete di ghiaccio spessa un metro. Ho la sensazione di non avere più un solo osso sano. Siamo circondati da rottami roventi che fino all'istante prima formavano ancora un carro armato. Tutt'intorno

86 friggono nella neve come tante braciole gli uomini che ne componevano l'equipaggio. « Queste fottute ' sale da tè ' non sono poi quel granché, una volta che hai imparato a conoscerle! » si vanta Fratellino, emergendo a fatica da un cumulo di neve. « Bisognerebbe che un gorilla ti ricalibrasse il culo, maledetto pazzo! » ringhia Porta, tastandosi ogni parte del corpo. « A momenti ci ammazzavi tutti! » « Non si può fare la frittata senza rompere le uova! » commenta con filosofia Fratellino. « Ti pare? » Sempre combattendo ci apriamo lentamente un varco e proseguiamo la marcia. Intanto arrivano le prime avvisaglie di una tormenta. L'Oberst è quasi finito. Cammina sorretto dall'Oberleut-nant Wisling. Anche il Leutnant Schultz è quasi allo stremo. Incespica continuamente e riesce a rialzarsi solo con difficoltà. Nessuno lo aiuta. Fratellino tenta di fischiettare una canzonetta in voga sulla Reeperbahn di Amburgo, ma non ce la fa. Il Legionario delira e parla del Sahara e di sabbie roventi. Il Vecchio più che camminare rotola sulle gambe storte con quel suo stile particolare. Ha difficoltà con la pipa che minaccia di spegnersi continuamente. Ha le mani sprofondate nelle tasche del pastrano. Porta una pistolamitragliatrice russa appesa sul petto, pronta allo sparo. « Che cosa non darei per essere di nuovo a casa, con un piatto di patate finlandesi e ragù di maiale davanti! » sospira Fratellino. « Spero proprio di trovarmi nelle vicinanze del lago Lange quando le aringhe vengono a deporre le uova », fa Porta, sorridendo con le labbra screpolate dal gelo. Il Legionario alza le braccia verso il cielo ed esclama in arabo: « Che Allah ci protegga! »

87 Non è dignitoso per un tedesco maltrattare i prigionieri inermi. Episodi di questo genere devono essere segnalati immediatamente e i colpevoli puniti con la massima severità. Rudolf Hess, 10 aprile 19)4

« Che Dio ti benedica non appena sarà domenica », fa Porta pestando il piede del portiere quando entra insieme a fratellino da Kempinski, l'elegantissimo e celebre ristorante di Berlino, dove intende festeggiare il proprio compleanno. « Questa è mia sorella », spiega al portiere, indicando una signora piuttosto florida, rientrante nella categoria dei pesi medi. « Allora vuol dire che mio fratello ha chiavato sua sorella! » replica a voce altissima lei, in maniera che tutto l'affollato ristorante la senta. Fratellino si fa largo e raggiunge due sgabelli davanti al banco del bar. « Una doppia vodka e una bottiglia di vino rosso per ognuno di noi, ragazzo », dice, rivolto al barista. Una volta servito, arrovescia la testa e vuota il bicchiere facendo molto rumore mentre beve. « Un altro assaggio, se non ti dispiace », dice poi con un sorriso gioviale. La scena si ripete per ben otto volte. Poi accade qualcosa che in seguito nessuno saprà spiegare. Fatto sta, comunque, che una signora in un elegante abito verde si ritrova improvvisamente con una cesta piena di pesce in testa. Fratellino afferra una scodella piena di marmellata e la scaraventa in faccia al capocameriere. Questi reagisce colpendolo con una bottiglia di birra in testa. Fratellino si vendica infilando una forchetta nel braccio del capocameriere. Questi si precipita, urlando come un pazzo, in strada con la forchetta ancora conficcata nel braccio. La signora rientrante nella categoria dei pesi medi decide di prendersela con gli attributi maschili di un cameriere e li

88 afferra saldamente. Questi lancia un urlo stridulo e ripiega le ginocchia finché queste non gli sfiorano il mento. Un altro cameriere esce a passo di danza dalla cucina reggendo un enorme piatto di portata pieno di arrosto di maiale. Il piatto con l'arrosto vola in alto e raggiunge il soffitto da dove distribuisce equamente il proprio contenuto sui tavoli più vicini. Il cameriere si tuffa a pesce sotto un tavolo. Un gruppo di avventori in abito da sera tenta, dopo aver spalancato tanto d'occhi, di scansare Fratellino che sta scorrazzando nel ristorante con la grazia di un carro armato modello Stalin il quale si sia messo in testa di vìncere la guerra da solo. Poi Fratellino riceve una formidabile botta in testa e ha la certezza di trovarsi in punto di morte. Ma la faccenda non è così grave come sembra. Barcollando riesce a rimettersi in piedi, dà una violenta zuccata a una faccia che gli si è parata davanti e si dirige ondeggiando verso la cucina dove trova Porta che sta litigando furiosamente con il cuoco. Tutti insieme riducono la cucina a un cumulo di macerie. Quando arriva in forze la polizia, ripiegano su un locale chiamato Al Cane Gobbo, situato in piazza Gendarmenmarkt. Là apprendono in seguito che un battaglione di paracadutisti inglesi è atterrato sul ristorante Kempinski.

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CORTE MARZIALE IL Leutnant Schultz non perde tempo dopo il nostro rientro. Non è trascorsa nemmeno un'ora che sta già facendo rapporto all'NSFO, il Nationalsozialistischer Führungsoffizier, cioè il commissario politico nazista dell'unità. Tutti mugugnano. Ce l'hanno a morte con il malvagio Leutnant nazista. Un paio di Jàger finlandesi ci suggeriscono di ridurgli i coglioni a polpette a suon di calci e di spedirlo a pedate dai russi. « Penserò io a farlo fuori! » minaccia Porta, estraendo la Nagan dalla fondina. « Tu resta dove sei! » decide il Vecchio in tono brusco. « Non dobbiamo immischiarci nelle liti tra gli ufficiali. » « Avrebbe potuto essere uno di noi », protesta Porta, risentito. « Quello Schultz è un autentico figlio di puttana. » « Può darsi che lo sia », replica il Vecchio in tono asciutto, « ma non è di uno di noi che sta facendo la spia! Se un ufficiale ha bisogno di essere vendicato, be', lasciate che ci pensino gli altri ufficiali! » « Merda, allora! » ribatte Porta, cedendo all'argomentazione del Vecchio, « ma se quel buco del culo dovesse mai capitare davanti alla bocca del mio mitra, vedrete un paio di coglioni che se ne vanno a spasso per conto loro! » « Ma sarebbe un assassinio! » grida Heide, indignato. « No che non lo sarebbe! » ribatte Porta, furioso. « Un figlio di puttana che fa la spia non conta! » Per parecchio tempo, Schultz rimane l'argomento principale delle nostre discussioni. Una cosa comunque è certa, non appena la discussione, intavolata nella sau-

90 na degli Jàger finlandesi, ha termine: il Leutnant Schultz non avrà bisogno di preoccuparsi della propria vecchiaia. Mentre stavamo parlando, Fratellino ha continuato a limare la testa di tre pallottole appartenenti a cartucce non ancora sparate. Le pallottole dumdum provocano enormi buchi dove colpiscono. Il giorno dopo arriva un Major della Polizia Segreta di Sicurezza che si porta via l'Oberst Frtck. L'Oberleutnant Wis-ling viene prelevato su due piedi mentre si trova ancora in servizio con la truppa. I due vengono fatti salire immediatamente su un Ju-52 e portati in volo al Comando della Sesta Armata a Mùnster per comparire davanti a un tribunale di guerra. La sentenza viene rinviata in attesa di raccogliere ulteriori testimonianze da altri appartenenti al gruppo di combattimento. Gli arrestati vengono spediti nel frattempo al carcere militare di Torgau e là inquadrati nel drappello « degli scarponi » insieme a innumerevoli altri militari in attesa di giudizio. I detenuti già condannati subiscono un trattamento molto più feroce. Ogni uomo inquadrato nel drappello « degli scarponi » riceve ogni mattina dieci paia di scarponi militari nuovi di zecca, di cuoio naturale puzzolente e duro come il legno. Il drappello compie un'ora di marcia con ogni paio di scarponi. Gli uomini marciano in ordine chiuso, al passo, con ritmo accelerato, continuando a fare il giro della piazza d'armi. Trascorsa l'ora squilla un fischietto e ogni uomo si toglie fulmineamente gli scarponi per calzarne un paio di nuovi. Subito dopo risuona l'ordine: « Avanti marc'... passo accelerato... uno... due...! » Questa solfa si protrae senza interruzione dalle cinque del mattino fino alle nove di sera. Qualcuno sviene. I

91 piedi si gonfiano e diventano un po' alla volta un'unica piaga sanguinante. Le vesciche scoppiano e altre si formano. Nessuno bada a queste cose. A Torgau, il termine « pietà » è sconosciuto. È un carcere militare malfamato per la sua severità e il personale di guardia è fiero della propria nomea. « Muovetevi invece di battere la fiacca, muovetevi! » urla il Feldwebel, in piedi su una cassetta al centro della piazza d'armi. « Lo chiamate passo di parata, questo? Alzate quelle gambe, fottuti bastardi! Il collo del piede dev'essere teso! Portare le mani all'altezza della fibbia e poi giù di scatto! Di scatto ho detto! » Un Generalmajor crolla. È un uomo anzianotto che prestava servizio in un presidio periferico, un servizio che non chiedeva alcun impegno fisico. Sul generale-detenuto piovono contumelie e imprecazioni, ma quello rimane a terra. Ci vuole l'idrante per farlo alzare. « Per punizione farai un'ora di marcia in più! » fa il sottufficiale con aria gioviale. « Ti sarà più facile non appena ti sarai liberato di tutto il sudore accumulato a furia di battere la fiacca! » E il Generalmajor continua ad ammorbidire marciando gli scarponi di cuoio durissimo per risparmiare questo inconveniente ai combattenti in trincea. Tutte le sere, tra le nove e le dieci, ogni uomo del drappello consegna nel magazzino del carcere dieci paia di scarponi ammorbiditi per riceverne in cambio dieci paia nuove e durissime. Queste dovranno essere morbide la sera successiva. Davanti all'Oberst Frick marcia un Feldwebel con le spalline rosse, un prigioniero politico. Alle spalle di Frick arranca un Gefreite munito di spalline verdi, un

92 criminale, e dietro a lui un artigliere con spalline color porpora, un deviazionista religioso. Poi viene un Rittmeister, un capitano di cavalleria con le spalline bianche, accusato di aver sabotato lo sforzo bellico. Nel drappello ce ne sono molti con le spalline bianche. Solo due portano spalline nere: hanno insultato il Führer; per loro la pena di morte assicurata. Provengono entrambi dalla marina da guerra. Dopo sei settimane di permanenza nel drappello « degli scarponi », l'Oberst Frick è finito. I suoi piedi sono ridotti a una massa informe di carne sanguinante, a un'unica piaga. Nell'infermeria del carcere gli vengono amputate due dita. L'Oberleutnant Wisling giace nel letto accanto a quello di Frick. Ha varie costole rotte ed è tutto contuso. Era svenuto una volta di troppo marciando nel drappello « degli scarponi ». Il Gefreite von Dienst era di cattivo umore. Ma l'infermeria di Torgau non è un posto dove sia concesso ai detenuti di stare a lungo. Zoppicanti e con le facce contratte in smorfie di dolore, i due ufficiali si presentano all'armiere per essere adibiti temporaneamente a lavori leggeri, un servizio che qualsiasi detenuto di Torgau preferirebbe evitare. Dopo un paio di settimane trascorse nell'officina dell'armiere vengono trasferiti alla squadra convalescenti che effettua esercitazioni di ordine chiuso da mane a sera. A una delle estremità della piazza d'armi c'è un muro sul quale sta scritto a lettere cubitali bianche: GELOBT SEI, WAS HART MACHT.1

La cosa più grave, però, era la presenza a Torgau di 1

Lode sia a tutto ciò che rende resistente l'uomo.» (N.d.T.)

93 Jern Gustav,1 il temuto Hauptfeldwebel del carcere militare che si aggirava con gli stivali muniti di suole di gomma negli ambienti, simile a un corrusco angelo vendicatore nell'uniforme della fanteria tedesca. Costui era ugualmente temuto dai detenuti e dal personale di guardia. Uomini pieni di esperienza che avevano trascorso molto tempo a Torgau su un versante o l'altro delle porte delle celle sostenevano una cosa all'apparenza assurda: era sufficiente che Jern Gustav fissasse un uomo per più di tre minuti perché il disgraziato crollasse stecchito. Un'occhiata glaciale degli occhi azzurri di Jern Gustav bastava per gelare il sangue nelle vene. Un'altra caratteristica di questo sottufficiale piccolo di statura, ma robusto e duro come l'acciaio, era la sua voce che assomigliava al rumore di rami secchi che si spezzano. Jern Gustav parlava il meno possibile, ma ogni sua parola equivaleva al contenuto di un libro. Persino un sordomuto, deficiente per giunta, era in grado di capire le parole che le labbra serrate di Gustav sparavano come tanti proiettili. Non gridava mai, come facevano gli altri sottufficiali. Se non si era vicinissimi, non si riusciva a capire ciò che diceva. Ma questo non era necessario. C'è tra l'altro la storia di un Unteroffizier completamente paralizzato che era ricoverato nell'infermeria di Torgau. La commissione medica superiore di Berlino lo aveva dichiarato totalmente paralizzato. Così era stato deciso di condonargli la pena che doveva scontare e rimandarlo a casa. Si trattava di una notizia così straordinaria e sconcertante che persino i detenuti si erano messi a picchiare sulle sbarre delle celle dopo aver appreso la novità. Il giorno precedente a quello in cui il detenuto 1

Gustavo di Ferro, personaggio già presente in Battaglione d'assalto, dello stesso Autore. {N.d.R.)

94 paralizzato doveva essere rimesso in libertà, comunque, Jern Gustav decise di salire in infermeria e dare un'occhiata a questo strano tipo che stava lasciando Torgau in maniera così irregolare. Con la visiera del berretto ben calata sugli occhi, l'Haupt-feldwebel entrò silenziosamente nella corsia e si mise a fissare il paralizzato. Pochi secondi di questo trattamento bastarono perché l'infermo restasse ancora più paralizzato. Poi, le labbra di Jern Gustav si dischiusero e spararono tre parole all'indirizzo dell'Unteroffizier paralizzato: « Attenti! Diii... corsal » Il male che un'intera commissione medica composta da luminari non era riuscita a curare venne curato nello spazio di pochi secondi dall'Hauptfeldwebel di Torgau. Il paralizzato balzò dal letto come una capra selvatica, uscì di corsa dall'infermeria, attraversò sempre correndo la piazza d'armi e si presentò nella fureria del carcere. Qui sbatté i calcagni dei piedi paralizzati e disse ad altissima voce: « Detenuto 226 dimesso dall'infermeria abile per il servizio in guerra! » Da allora, Jern Gustav visita immancabilmente gli incurabili, dichiarati tali dai medici. Jern Gustav non sa curare solo gli esseri umani. Riesce a rimettere in piedi anche cavalli e muli quando l'ufficiale veterinario non sa più che pesci pigliare. Quando le compagnie di disciplina ritornano a tarda sera a Torgau, Jern Gustav è lì ad attenderle, vestito con la sua giubba bianca come la neve che indossa d'inverno e d'estate. Dice che un vero soldato non ha mai né troppo freddo né troppo caldo. Se ne frega delle condizioni atmosferiche. Qualcuno afferma che Jern Gustav praticamente non

95 si accorge né dell'inverno né dell'estate. Le compagnie di disciplina devono sempre concludere la giornata facendo il girotondo al passo intorno a lui, cantando nel contempo: « Es ist so schón, Soldat zu sein! »1 Questa è l'unica canzone che piace a Jern Gustav. Sabato mattina, la permanenza dell'Oberst Frick e dell'O-berleutnant Wisling a Torgau ha termine. I due ufficiali vengono prelevati mentre la compagnia di disciplina è di servizio. Tre agenti della polizia militare sono in attesa nella fureria del carcere. Il gruppetto lascia alla chetichella Torgau. In serata, i due ufficiali arrivano a Berlino e vengono consegnati al picchetto di guardia alla stazione ferroviaria. L'ufficiale di servizio alla stazione, un Rittmeister molto più anziano di Frick, si sente un tantino a disagio. Se si fosse trattato di due militari di truppa, avrebbe saputo come trattarli: li avrebbe ficcati in due celle separate, in attesa che qualcuno venisse a prenderli. Così, invece, offre all'Oberst e all'Ober-leutnant dei sigari e un bicchiere di vino, benché una simile ospitalità sia vietata dal regolamento. Alle ventidue suona l'allarme aereo. Tutti vanno nei rifugi. Sempre più a disagio e ovviamente imbarazzato, il Rittmeister avverte i due ufficiali che sarà costretto a usare la pistola se dovessero tentare la fuga. « Mi dispiace, ma questi sono gli ordini », spiega, estraendo nel contempo l'arma, una pistola da parata calibro 6,35 con la quale è difficile colpire qualcosa a oltre mezzo metro di distanza. 1

« È tanto bello fare il soldato! » (N.d.T.)

96 Proprio al di sopra della stazione esplode un razzo multiplo per indicare il bersaglio. Sembra un albero di natale con le luci accese. Nel contempo si ode il rombo dei motori dei bombardieri. Nel rifugio, i tre si stringono l'uno all'altro. Il Rittmeister si è messo tra i due detenuti e si rivolge a loro chiamandoli « camerati ». Poi arrivano i bombardieri. Le rotaie vengono ridotte a un ammasso informe di ferraglia contorta, pesanti carri merci volano nell'aria come palle da tennis. Un ferroviere scagliato in aria sorvola tutto lo scalo merci e va a spiaccicarsi contro il monumento ai caduti della guerra '14-18. Rigagnoli di fosforo in fiamme scorrono nelle strade. La carne umana si scioglie in questo strano liquido. Nelle cantine, la gente rimane soffocata. Ci sono molti morti quella notte, a Berlino. I pezzi della contraerea rombano e le bombe scoppiano. Ogni tanto, un bombardiere viene colpito ed esplode in aria, rovesciando sulla città una pioggia di stelle. Nel rifugio, il Rittmeister sta raccontando all'Oberst Frick che cosa apprezza della musica di Sibelius. L'Oberleutnant Wisling tiene gli occhi chiusi e sogna il passato. Pensa alle giornate trascorse a Potsdam quando frequentava il primo corso alla Scuola di Guerra e ricorda le ragazze carine e arrendevoli sedute sulle panchine del parco di Sans Souci. Poi rabbrividisce e maledice se stesso. Ora, tutto è finito per lui, e questo solo per aver rivelato sinceramente ciò che pensava in quella gelida notte sul Circolo polare artico. Avrebbe dovuto tenere chiusa la bocca come il Major Pihl e gli altri. Così avrebbe avuto qualche probabilità di sopravvivere alla guerra. Adesso non ne aveva più alcu-

97 na. Qualsiasi appartenente all'esercito, per quanto cretino, avrebbe saputo dirgli come sarebbe andata a finire questa storia. L'unico punto interrogativo consisteva nell'alternativa: lo avrebbero fucilato o impiccato? Di solito, i militari non venivano decapitati. Solo i civili. Comunque era meglio essere fucilati o impiccati. L'Oberst Frick, al quale hanno restituito il monocolo al momento di lasciare Torgau, lo pulisce accuratamente prima di inserirselo nell'orbita. Poi si mette a esaminare il Rittmei-ster che sembra molto vecchio. Inoltre, l'uniforme gli sta malissimo. « Sibelius è naturalmente un grande compositore, ma temo di capire poco di queste cose. La mia professione è quella del soldato. Avevo quattordici anni quando sono entrato nella Scuola dei Cadetti e non ho mai avuto tempo di occuparmi di musica. » La conversazione viene interrotta da un ululato stridulo e prolungato delle sirene. L'incursione aerea è cessata. Quello è il segnale del cessato allarme. Incendi divampano a Berlino un po' dappertutto. Una nube di fumo acre, puzzolente galleggia sopra la città. « Ecco che se ne vanno i fottuti gangster dell'aria », esclama infuriato un anziano milite della protezione aerea con il distintivo del partito sul petto. « Sono molto abili quando si tratta di ammazzare donne e bambini innocenti! » Nessuno si prende la briga di rispondergli. C'est la guerre, avrebbe detto il Legionario. Per un,breve istante, l'Oberst Frick pensa di scappare. Sarebbe facilissimo dare un colpo in testa al vecchio Rittmeister. Nella città in fiamme regna il panico. Ci sarebbe tutto il tempo per svignarsela, mettersi in salvo, prima che la polizia militare si raccapezzi e si metta a cer-

98 carlo. Frick ha molti amici a Berlino che, pensa, lo aiuterebbero certamente pur sapendo di mettere a repentaglio la loro vita qualora venissero scoperti. Gli basterebbe raggiungere a tappe notturne Osnabrück e poi l'Olanda dove potrebbe mettersi in contatto con la resistenza olandese. Uno dei suoi amici lo ha fatto. Ha disertato da Germersheim mentre era di servizio fuori caserma. Una volta trovata la possibilità di scomparire, uno ha poi buone prospettive di sopravvivere con l'aiuto della resistenza olandese. Dà un'occhiata in giro per trovare un'arma e decide di servirsi delia lampada che il Rittmeister ha sulla scrivania. L'Oberleutnant Wisling lo osserva con gli occhi ridotti a due fessure. I due ufficiali si capiscono al volo. Tra l'ufficio del Rittmeister e il salone d'ingresso della stazione, affollato di gente, non ci sono uomini di guardia. Se riusciranno a raggiungere il salone, saranno salvi. Sarebbe come saltare in una palude: il fango si sarebbe richiuso intorno a loro, nascondendoli. Poi fuori, attraverso una delle uscite, e via per le strade in fiamme! Sullo schienale della sedia è appeso il cinturone del Rittmeister con la fondina della pistola. « Quella dobbiamo portarcela via », riflette Frick. Così fa un cenno con la testa a Wisling che si alza, come per sgranchirsi le gambe. Frick, tremante per l'emozione, tende la mano per afferrare la lampada. Ha già posato la mano su di essa quando la porta si spalanca di botto. Nel riquadro compare un giovane Leutnant con l'elmetto in testa, seguito da cinque fanti armati di pistole-mitragliatrici. I sei entrano con la delicatezza di un carro Tiger all'attacco.

99 Il Leutnant ha l'aria energica, di uno che non vuole perdere tempo. Gli occhi azzurro chiaro spiccano nella faccia annerita dal fumo. Abbozza un saluto approssimativo portando due dita al bordo dell'elmetto e accenna con la testa ai due ufficiali che lo guardano sbalorditi. « Sono questi? » chiede brutalmente, quasi ringhiando. « Sì », risponde il Rittmeister, mettendosi il berretto in testa, confuso com'è. « Questi sono i due signori che la stavano aspettando. » « Signori! Questa è buona! » fa il Leutnant con un sorri-setto cattivo estraendo dalla fondina la pesante P-38 e puntandola contro i due prigionieri. « Be', se vogliamo metterla così, nulla in contrario! Signori! » esclama con voce stentorea, soppesando la pistola. « Ho il dovere di avvertirvi che questa entrerà in azione nell'eventualità di un tentativo di fuga! Che non venga a lorsignori l'idea di suicidarsi inscenando un tentativo di fuga! Non sareste i primi che io abbia colpito all'estremità inferiore della spina dorsale. » Il suo sorriso assomiglia al ringhio di un lupo. È ovviamente abituato a occuparsi di detenuti. « Strano che non sia della polizia militare », riflette Wisling, notando le cordelline bianche, distintivo della fanteria, del Leutnant, ma poi gli viene in mente che la fanteria ha nel contempo i migliori e i peggiori ufficiali dell'esercito. Se cerchi un vero signore, in fanteria lo troverai sempre. Se invece ti serve un autentico mascalzone, troverai anche quello tra i fanti. « Vogliamo andare? » dice il Leutnant, sempre con il sor-risetto, flettendo con impazienza le ginocchia. « Per gentilezza, naturalmente! E ora muoviamoci, signori! Facciamola finita! Non abbiamo alcuna intenzione di restare in vostra compagnia più del necessario. »

100 All'esterno della stazione sono attesi da un autocarro con il cassone coperto da un telone. « In carrozza! » ordina il Leutnant con voce aspra. « Dove stiamo andando? » chiede Frick. « Piantala! » ringhia uno dei giovani militari della scorta, colpendolo con il calcio del mitra. L'autocarro attraversa Berlino a rotta di collo e infila, arrivato nella Bendlerstrasse, il cancello del faraonico edificio del Comando Generale. Da lì, i due ufficiali vengono portati in cantina. Qui ricevono il benvenuto rozzo, ma gentile di un Oberfeldwebel di fanteria. Frick e Wisling devono consegnare ogni oggetto di cui sono in possesso: le cinghie, le bretelle, i lacci delle scarpe. Sarebbe grave se si impiccassero, privando così il tribunale di guerra della sua preda. « Provatevi ad aprire bocca e penseremo noi a spaccarvi il muso! » li avverte un soldato anziano dall'aria brutale che porta sul taschino della giubba il distintivo delle SA. Dieci minuti più tardi li vengono a prendere di nuovo e li portano di sopra. Un grasso Major degli Jàger, seduto con aria arrogante dietro la scrivania, si presenta dicendo di essere il magistrato incaricato di istruire il processo a loro carico. I suoi occhi soppesano i due ufficiali come se si trattasse di buoi di cui contemplasse l'acquisto. Poi si mette a sfogliare rapidamente alcuni documenti che ha davanti a sé e infine adagia con soddisfazione la schiena allo schienale della poltrona. « Signori, ho deciso di fare quanto è in mio potere per avere la certezza che sarete condannati in base all'articolo 91a. » A questo punto fa schioccare le dita. «Ciò significa che è nostra intenzione farvi giustiziare. Sono

101 quasi certo che riuscirò a farvi impiccare. Voi vi siete resi responsabili sul fronte artico di un reato infame. Se il resto dell'Esercito dovesse seguire il vostro esempio, perderemmo ben presto la guerra. Ma grazie a Dio, nell'esercito tedesco ci sono solo pochi individui della vostra risma. Sarete impiccati! » Accarezza con la mano il distintivo dorato del partito, che porta sul petto. « Lo sapevate che possono trascorrere anche venti minuti prima che l'impiccato muoia? » chiede poi con un ghigno sardonico. « Trattandosi di voi, poi, spero che ci metterete il doppio del tempo. È mio dovere occuparmi di ogni esecuzione nella quale sono coinvolto come giudice istruttore. Di solito non vi assisto, ma nel vostro caso sarà un vero piacere per me. Guàrdie! » urla poi, e la sua voce rimbomba nell'ufficio. Sbalorditi, i due fanti entrano con passo pesante, convinti che i due detenuti abbiano aggredito il giudice istruttore. « Portate via questi due mascalzoni! » grida il Major istericamente. « Fuori di qui! Gettateli nella peggiore cella che abbiamo! » Le celle nella cantina della Bendlerstrasse rassomigliano a gabbie nello zoo. Grosse sbarre verticali le separano dal corridoio percorso in continuazione da guardie. « Maiali, sudici maiali! » bisbiglia un Hauptmann di "artiglieria alloggiato nella cella accanto a quella dell'Oberts Frick. Ha la faccia tutta blu e gonfia, un occhio completamente chiuso. « Che cosa diavolo le è capitato? » chiede Frick a bassa voce. Nel contempo comincia a tremare. « Mi hanno picchiato », bisbiglia l'ufficiale di artiglieria. « Mi hanno fracassato i denti, fatto subire scosse e-

102 lettriche. Vogliono che confessi qualcosa che non ho fatto. » « Dove ci troviamo? » chiede l'Oberleutnant Wisling, incuriosito. « Terzo Tribunale di Guerra dell'Esercito, Quarta Sezione, alle dirette dipendenze del Tribunale Militare Supremo », risponde uno Stabszahlmeister.1 « Non si aspetti nulla di buono! La permanenza qui è breve e certo non simpatica. Io mi trovo qui da tre settimane. Sembra di abitare in una stazione ferroviaria. Si ha l'impressione, stando qui, che mezzo esercito debba andare sotto processo. Tra poco non resterà più nessuno. Dicono che siamo a corto di uomini, eppure siamo più svelti dei russi a fare fuori i nostri soldati. » « Che cosa ha commesso lei? » gli chiede Frick. « Nulla », risponde lo Stabszahlmeister. Una risatina sommessa arriva dalla cella dirimpetto. « Per trovare degli innocenti bisogna andare in galera! » osserva con sarcasmo un Obergefreite. « E lei, perché si trova qui? » chiede Frick a un ufficiale di marina, un Kapitànleutnant che canticchia seduto nella sua cella come se non avesse preoccupazioni di sorta. Al posto dell'occhio sinistro ha un grande buco mal rimarginato. « Perché cantavo », risponde questi, sorridendo divertito. « Perché cantava? » ripete Frick, perplesso. « È quello che ho detto. » « Non possono metterla in galera per una cosa del genere », dice l'Oberst. « Certo che possono », risponde l'ufficiale. « Possono metterla dentro anche per molto meno. » E comincia a 1

Ufficiale contabile con il rango di capitano. (N.d.T.)

103 cantare a voce bassa: « Wir werden weitermarschieren / wenn Scbeisse vom Himmel fàllt. / Wir wollen zurùck nach Schlickstadt, / denti Deutschland ist der Arsch der Welt! / Und der Fùbrer kann nicht mehr! 1 Ma i signori con le foglie di quercia sul colletto non hanno gradito questa mia lirica. Così probabilmente mi faranno impiccare ». « Impossibile! » esclama Frick, incredulo. « La gente non viene impiccata per simili fesserie! » « In questo caso sì », ribatte sorridendo l'ufficiale di marina. « Ho cantato questa roba mentre mi trovavo sulla plancia del mio sommergibile di ritorno da una missione di guerra. Stavamo rientrando alla base degli U-Boote a Brest. Impiccheranno anche il mio comandante in seconda. Questi ha chiesto a un alto ufficiale delle SS, venuto per darci il benvenuto in banchina, se il Gròfaz 2 fosse ancora in vita. » « Era sbronzo? » chiede l'Oberst Frick, incuriosito. « No, solo impaziente. Che bevuta ci saremmo fatti se qualcuno avesse messo una bomba sotto il sedere di Hitler mentre noi eravamo in giro a battagliare con la marina inglese. » L'assordante ululato di una sirena avverte che c'è l'allarme aereo e interrompe la conversazione. Un Feldwebel avanza correndo nel corridoio. « Tutti i detenuti a terra con le mani dietro la nuca! Sdraiati a terra si è al sicuro dagli Shrapnel! Chiunque 1

« Continueremo a marciar / dovesse piovere merda dall'alto. / Nella Città del Fango vogliam tornar / poiché la Germania è il tafanario del mondo / e il Führer è finito! » {N.d.T. ) 2 Abbreviazione della frase « Gròsster Führer alter Zeiten » (massimo condottiero di tutti i tempi), usata ingenuamente da un quotidiano tedesco all'inizio della guerra. L'espressione Grofaz, che per l'orecchio tedesco suona quasi sconcia, naturalmente proibitissima, entrò nell'uso comune per vituperare Hitler. (N.d.T.)

104 dovesse alzarsi in piedi sarà abbattuto senza pietà! » urla. Subito dopo, l'edificio viene scosso da un'esplosione. Le luci si spengono e tutta la prigione rimane al buio. A tratti, la luce di una torcia rivela dei volti cinerei per la paura. Un silenzio opprimente cala sulla prigione, rotto ben presto dal fischio e dalle deflagrazioni delle bombe. Pare che le stiano sganciando in rapida successione in prossimità della Sprea. Calcinacci piovono dal soffitto. Sembra quasi che stia nevicando. Si sente un rumore di vetri che vanno in frantumi. Fosforo in fiamme scorre in rigagnoli. Berlino geme in preda ai sussulti dell'agonia. I pesanti pezzi della contraerea, appostati nella Bendlerstrasse, tuonano senza interruzione. « Aiuto! Aiuto! Lasciatemi uscire! Mamma! Mamma! » È la voce stridula di un bambino. « Piantala, marmocchio! » tuona un'aspra voce autoritaria. « Sta' giù! » Si sentono due spari. Si accende una lampada. Una bestemmia repressa e poi tutto torna tranquillo. È l'ora della morte. La morte è dappertutto: fuori, nelle strade, all'interno degli edifici al riparo delle mura. Passa ovunque. Di corsa all'aperto o rannicchiato in un angolo, uno ha quasi la sensazione di esserne sfiorato. Qualcuno ci fa l'abitudine, diventa flemmatico. Altri crollano e finiscono al manicomio. Altri ancora vengono fatti tacere con una fucilata. In tutta la città, i nervi sono tesi fino allo spasimo, al limite del punto di rottura. Sono tesi ovunque: nelle galere, nelle infermerie, nei rifugi antiaerei, nelle strade, nei sommergibili, negli abitacoli puzzolenti d'olio dei carri armati, nelle caserme. Ovun-

105 que si volga lo sguardo, morte e paura regnano sovrane. Un prolungato urlo delle sirene indica il cessato allarme. Ma sarà solo una tregua di poche ore. Poi, i bombardieri con la stella bianca o con i cerchi concentrici rosso-bianco-blu ritorneranno. Berlino sta bruciando. I mezzi dei vigili del fuoco sfrecciano rombando nelle strade. Il loro intervento non offre alcuna speranza. I pompieri di Berlino stanno combattendo senza interruzione, di giorno e di notte, gli incendi appiccati dalle bombe incendiarie. Dal corridoio provengono dei rumori che rivelano disagio, irritazione. Si ode un tintinnare di chiavi, un rumore di ferro che cozza contro altro ferro. « Maledizione! Lo sporco bastardo si è impiccato! » « Una fatica di meno per noi! » esclama un'altra voce in tono aspro. « Dovremmo metterli tutti al muro e farli fuori con la mitragliatrice pesante! » Alle otto, i primi detenuti salgono per comparire davanti al tribunale di guerra. Nel tardo pomeriggio arriva un plotone per portare via i detenuti già giudicati. Vengono portati via per non ritornare mai più. Nessuno sa che cosa accada loro. Una mattina, l'Oberst Frick e l'Oberleutnant Wisling vengono chiamati. Scortati da quattro soldati vengono portati al tribunale di guerra e chiusi in due cellette. Prima di essere portati in aula ricevono il permesso di conferire brevemente con il difensore d'ufficio, un anziano e affabile Oberstleutnant. « Non posso fare molto per voi due », dice questi sorridendo e stringendo la mano a entrambi. « Ma il regolamento prescrive la mia presenza. E come sapete, teniamo molto a un ordinato e corretto svolgimento del pro-

106 cesso. » « Si tratta solo di un interrogatorio preliminare? » chiede speranzoso Frick. « Ammiro il suo umorismo! » esclama l’Oberstleutnant, prorompendo in una risata. « Interrogatorio preliminare? Non è previsto dalla procedura, specialmente nei casi come il suo. Tutto è chiarissimo e l'esito del processo è stato deciso da un pezzo. Mi sorprenderebbe moltissimo se la sua sentenza di condanna non fosse ancora firmata dal Kriegsgerichtsrat.1 Lei ha disobbedito a un ordine del Fuhrer e ha confessato di averlo fatto! Mi piacerebbe vedere un difensore capace di fare qualcosa per lei! Fuma? » Così dicendo apre il proprio portasigarette d'oro e lo porge a Frick. « Il collegio giudicante si riunisce alle dieci. » S'interrompe per dare un'occhiata fuori della finestra. Sta piovendo a dirotto. « Il giudice istruttore vuole vedervi impiccati. Immagino che lo sappiate già, no? Tenterò di ottenere una modifica del verdetto, cioè il plotone di esecuzione. Viste le vostre numerose decorazioni credo che ci riuscirò. Per cose del genere esiste ancora un certo rispetto, benché comincino a capitarci tra le mani detenuti con la croce di cavaliere. Solo sei mesi fa sarebbe stata una cosa inconcepibile. Dio mio! Guardate come siete conciati! Non avete avuto modo di farvi la barba e rimettere un po' in ordine l'uniforme? Sembrate appena arrivati dalla trincea. Il presidente del tribunale ne ricaverà una brutta impressione. » « Non possiamo né farci la barba né lavarci », risponde l'Oberleutnant Wisling con aria mortificata. « Mi dispiace », dice l'Oberstleutnant. « Tutto sta andando a rotoli. Qualche volta abbiamo fino a venti con1

Presidente del tribunale di guerra. (N.d.T.)

107 danne a morte in un solo giorno. Ieri è toccata a tre generali. Non crediate che mi ci diverta! Devo farlo! E sono un soldato! » Si dà un colpetto con la mano sulla coscia. La coscia rimbomba. È una protesi. « Sacca di Kiev! » fa con un sorriso triste. « Comandavo un battaglione di un reggimento di fanteria motorizzata. » « Servizio permanente effettivo? » chiede Frick senza manifestare molto interesse. « G i à ! » sospira l'Oberstleutnant. «Tra poco non ce ne saranno più, della mia specie! » Poi guarda di nuovo fuori. La pioggia investe i vetri della finestra. « Per vincere questa guerra non basta un Gròfaz. Ci vorrebbe molto di più. » « Una vera tragedia », osserva Frick in tono sommesso. « Tragedia? Perché? » chiede di rimando l'Oberstleutnant. « Noi tedeschi siamo cani affamati che rincorrono una salsiccia penzolante davanti al muso. Tentiamo di azzannarla, ma non ci riusciamo mai! » « Quanto tempo richiederà il processo? » domanda Frick, un tantino preoccupato. « Dieci, al massimo venti minuti. I giudici hanno molto da fare. E oggi devono portare a termine un numero davvero notevole di procedimenti. Il vostro caso non presenta particolari difficoltà. Se non fosse prescritta dal codice di procedura penale, la vostra presenza al dibattimento praticamente non sarebbe necessaria. Qualsiasi Feldwebel del personale di guardia avrebbe potuto già dirvi giorni fa quale sarà il risultato. » « In tal caso, tanto varrebbe ritornare subito in cella e fare a meno di tutta la messa in scena », commenta l'Oberleutnant Wisling. « No, in questo lei ha torto. Lei dimentica le prescri-

108 zioni legali. Nessun tedesco trasgredisce le prescrizioni legali. Le prescrizioni e i paragrafi sono una delle necessità della vita », ribatte il difensore con tutta l'aria di essere convinto di ciò che dice. Un agente della polizia militare apre la porta e sbatte i tacchi con sufficiente energia per farsi sentire. « Bene, andiamo a sorbirci la menata », sospira il difensore, alzandosi in piedi. In aula regna lo stesso gelo espresso dalle facce del collegio giudicante. Dall'alto della parete, lo sguardo di Adolf Hitler fissa gli imputati. Quella faccia non promette nulla di buono. Il grande ritratto sembra animato e sprigiona una spietata autogiustificazione. Il pubblico ministero prende posto a un tavolino sulla sinistra del presidente. L'ufficiale posa davanti a sé alcuni documenti. Non molti, ma comunque sufficienti per una sentenza di morte. Poi entrano i giudici, tre ufficiali, che fanno il saluto nazista. Il pubblico ministero si mette a gridare sin dall'inizio. Tutti si aspettano che lo faccia. La faccia diventa rossa come un peperone. La voce raggiunge l'ottava più alta. « Questi traditori », urla, « hanno tentato di pugnalare alla schiena i nostri combattenti al fronte. Essi hanno commesso un delitto mostruoso. E non sono solo traditori, ma anche dei volgari assassini che hanno consegnato degli eroi tedeschi feriti nelle mani di Untermensch sovietici. Ma non basta. Hanno commesso quest'infame crimine solo ed esclusivamente per mettere in salvo le proprie miserabili esistenze. Per di più hanno tentato di persuadere altri soldati tedeschi a partecipare all'esecuzione del loro disegno criminoso. E quando questi soldati tedeschi hanno respinto le folli proposte, l'Oberst

109 ha ordinato a questi valorosi combattenti di diventare suoi complici e di abbandonare i feriti come un mucchio di spazzatura. Chiedo che entrambi gli imputati vengano condannati a morte ai sensi dell'articolo 91a: insubordinazione e attività a favore del nemico; articolo 8, comma 2: tradimento ai danni del popolo e della sicurezza dello stato; articoli 73 e 119, commi 3 e 4: alto tradimento. Non chiedo di prendere in considerazione l'articolo 149: la diserzione. Deploro che non esista una pena più severa di quella della morte. In questo caso, la pena di morte da sola è troppo umana. » I tre giudici scarabocchiano sui fogli di carta che hanno davanti a sé e ascoltano solo con mezz'orecchio ciò che il pubblico ministero sta dicendo, non nascondendo il fatto che per loro tutta la faccenda è estremamente noiosa. Il pubblico ministero si siede e fa un amichevole cenno con la testa all'indirizzo del difensore. Il difensore scartabella per qualche attimo nei documenti davanti a sé. Poi si alza lentamente in piedi, si rassetta la giubba, passa la mano molto curata sui capelli grigi e infine rivolge un sorriso cameratesco al pubblico ministero e al presidente della corte. « Chiedo al tribunale di prendere in considerazione le decorazioni che fregiano i due ufficiali imputati nonché il senso del dovere da essi dimostrato nell'assolvimento dei loro compiti nel passato. Mi rimetto alla clemenza della corte. » « Desiderano gli imputati fare qualche dichiarazione a loro difesa prima che venga pronunciata la sentenza? » chiede il presidente, consultando con impazienza il proprio orologio. L'Oberst Frick si alza e comincia a illustrare la situa-

110 zione disperata venuta a crearsi in quell'inferno artico. « Lei fa perdere tempo alla corte », lo interrompe, brusco, il presidente. « È vero o non è vero che lei ha abbandonato dei soldati tedeschi feriti alla mercé delle truppe russe, sì o no? È vero che ha dato alla sua formazione l'ordine di ripiegare, sì o no? » Frick capisce che è impossibile tenere testa a una logica talmente spietata. « Sì », risponde, lasciandosi cadere pesantemente sulla sedia. « E lei », dice il presidente, rivolgendosi all'Oberleutnant Wisling, « ha dichiarato apertamente di essersi trovato d'accordo con il suo comandante, non è così? » « L'intero processo è un misto di verità e falsi, un infame gioco di prestidigitazione con i fatti », urla Wisling con voce acuta. « Mi rifiuto di riconoscere questa caricatura di un tribunale! Questo è un mattatoio! Qualsiasi giudice degno di rispetto si vergognerebbe di farne parte! » « Si sieda e stia tranquillo! Lei è il peggiore delinquente che abbiamo mai visto in quest'aula! » grida il pubblico ministero, tutto rosso in faccia, truculento. Il presidente annuisce e bisbiglia per un breve istante con i due giudici a latere. Poi, con voce bassa e perfettamente equilibrata si mette a leggere un documento che aveva davanti a sé sin dall'inizio del dibattimento. « Per codardia, per offese al Fuhrer, comandante supremo delle Forze Armate tedesche, per aver dato aiuto al nemico e sabotato gli ordini ricevuti, gli imputati Oberst Gerhard Frick e Oberleutnant Heinz Wisling sono condannati alla pena di morte per fucilazione. Inoltre, i due imputati sono condannati alla perdita dei diritti civili e militari. I loro beni saranno confiscati e incamerati

111 dallo stato. Entrambi gli imputati sono rimossi dal grado rispettivamente ricoperto e retrocessi a quello di fuciliere. Inoltre vengono privati di tutte le decorazioni che possano avere ricevuto. La sentenza dovrà essere eseguita non appena possibile. In vista del valoroso comportamento tenuto in precedenza, ai due imputati viene concessa la facoltà di chiedere la grazia al comando della Terza, Zona di Difesa Territoriale di Berlino/Spandau. » Il presidente si toglie gli occhiali cerchiati d'oro, lancia un'occhiata di gelida indifferenza ai due condannati e fa un cenno agli agenti della polizia militare alla porta. Con movimenti che denotano una lunga esperienza, gli agenti strappano dalle giubbe dei condannati le spalline, le decorazioni e i distintivi. Per ultima viene strappata via l'aquila sul lato destro del petto. « Portateli via! » dice poi in tono ringhioso il presidente, agitando le mani come se stesse scacciando delle mosche. « Avete avuto fortuna », osserva uno della polizia militare mentre stanno scendendo le scale della cantina. « Fortuna? Come sarebbe a dire? » chiede sbalordito l'O-berleutnant Wisling. « Vi è stato concesso di chiedere la grazia », risponde con un sorriso divertito l'Unteroffizier della polizia militare. « Così resterete in vita per altri, pochi, giorni in più o, magari, addirittura qualche settimana. Altrimenti vi avrebbero fatti fuori entro i prossimi due giorni. Siamo un po' a corto di spazio nelle gabbie, così eseguiamo gli ordini non appena li riceviamo! Be', voi due avrete probabilmente tempo in abbondanza per riflettere sulle vostre faccende. Il generale che si occupa di queste cose si trova proprio in questo momento in Russia, da qualche

112 parte. Così ci vorrà probabilmente un po' di tempo prima che riceva la vostra domanda. E dove sta scritto, poi, che avrà tempo di occuparsene quando la riceverà? Quello ha certamente delle preoccupazioni che voi due turisti del paradiso non avete. E poi, quando le vostre carte ritorneranno, chi sa che diavolo potrà essere successo qui nel frattempo. Gli avvenimenti precipitano, di questi tempi. Ivan sta marciando forte! Heute sind wir rot / Mor-gen sind wir tot! »1 mormora sottovoce. « Fuciliere Frick e fuciliere Wisling di ritorno dal tribunale di guerra! » annuncia poi, presentandosi all'Unteroffizier di servizio e sbattendo i tacchi. « Immagino che non siano ritornati per essere messi in libertà! » osserva questi con un sorrisetto sarcastico, segnando una grande croce rossa - il segno della morte nel registro di fianco ai loro nomi. « Per un certo verso, sì », risponde il mastino in tono gioviale. « Qua, ragazzi », fa il sottufficiale di servizio rivolto ai due condannati, offrendo a ognuno di essi una sigaretta. « Sono proprio contento che vi abbiano permesso di chiedere la grazia. Altrimenti sareste finiti al palo già domani mattina. Stiamo radunando una grossa comitiva di turisti. E non venite a dirmi che noi prussiani non siamo umani. Qua le mani, ragazzi! Devo mettervi i ferri. È il regolamento. Quelli che hanno perso il diritto di portare la testa sul collo devono essere incatenati. » Wisling annuisce con aria stanca. La verità comincia a farsi strada nel suo cervello. Prova una contrazione allo stomaco e subito dopo un fiotto di fiele gli sale in bocca. « Là nell'angolo c'è un secchio », dice l'Unteroffizier di servizio, che conosce i sintomi. 1

«Oggi in figura / domani in sepoltura! » (N.d.T.)

113 Wisling raggiunge in tempo il recipiente e vomita. L'indomani mattina, per tempo, vengono fatti uscire dalle celle e incatenati stretti gli uni agli altri, con le mani dietro la schiena. L'autocarro è pieno di detenuti, seduti di traverso nel cassone. Due muscolosi mastini della polizia militare con le MPI pronte a sparare si arrampicano sulla sponda posteriore. Basta che un detenuto si muova perché quelli si mettano a gridare. Al tribunale di guerra dell'aviazione, al campo di Tempel-hof, salgono sul camion altri quattro detenuti, tre avieri e un artigliere della contraerea. Dal tessuto fine delle uniformi dei tre si capisce subito che si tratta di ufficiali ai quali sono stati strappati via i distintivi di grado e le decorazioni. L'autocarro attraversa Berlino e passa Plotzensee, dove il boia ufficiale fa funzionare ogni giorno la ghigliottina. L'automezzo attraversa rombando la Alexander Platz. Il quartier generale della polizia è tutto annerito dal fumo. Alla caserma delle SS a Gross-Lichterfelde vengono fatti salire due ufficiali condannati delle SS. « Su, muovetevi con quei vostri culi! Abbiamo fretta! » gridano i mastini, aiutandoli a salire con rabbiosi colpi dei calci delle MPI nel sedere. I detenuti osservano con nostalgia le strade piene di gente frettolosa. Un tram svolta l'angolo sferragliando. Il suo scampanellare sembra il canto della libertà. « Dove ci stanno portando? » chiede bisbigliando Frick al detenuto seduto accanto, il retrocesso ufficiale di marina.

114 « Silenzio, porco! » urla uno dei poliziotti aggrappati alla sponda posteriore, « altrimenti ti caccio i denti in gola! » Poi solleva la canna della pistola-mitragliatrice, come se fosse pronto a tradurre subito in atto la minaccia. L'autocarro procede a sobbalzi sulla pavimentazione sconnessa. Rovine annerite dal fumo e svuotate dagli incendi sogghignano all'indirizzo delle nubi gonfie di pioggia. Molte rovine, distrutte dalle fiamme durante la notte, fumano ancora. Ovunque, salme vengono estratte dalle cantine crollate. Pattuglie di SS armati fino ai denti percorrono furtivamente le strade annerite dal fumo. Danno la caccia ai saccheggiatori. Chi viene colto sul fatto è liquidato in quattro e quat-tr'otto. I militi delle SS sono muniti di robuste funi e i lampioni abbondano a Berlino. Alcune donne riunite alla bottega del macellaio lanciano occhiate curiose al camion che deve salire sul marciapiede per evitare il cratere prodotto da una bomba nel bel mezzo della via. I mastini aggrappati alla sponda del cassone sembrano godersi l'escursione. Scortare i detenuti è considerato un lavoro leggero, un servizio come tanti altri, come quello di addestrare reclute, portare a destinazione, munizioni oppure vestiario od oggetti di equipaggiamento. Alcuni prestano ormai da anni servizio di guardia all'esterno dei comandi, delle caserme, dei magazzini e dei campi d'aviazione. Innumerevoli soldati combattono al fronte come fanti, artiglieri, carristi. Tutti sparano, ammazzano, giustiziano in una maniera o l'altra. Gli agenti della polizia militare scortano i detenuti. Un compito molto più piacevole che non quello di aggirarsi nelle trincee piene di fango.

115 L'Oberleutnant Wisling li osserva con gli occhi socchiusi. Pensa ancora di tentare la fuga. Dare uno spintone a quei grassi poliziotti dall'aria soddisfatta, seduti in bilico sulla sponda del cassone e farli precipitare in strada per darsela poi a gambe sarebbe niente. Il problema è un altro, quello di arrivare alla sponda posteriore. Dovrebbe superare tre panche. I detenuti sono seduti a strettissimo contatto di gomito e i mastini lo abbatterebbero senza la minima esitazione prima che gli fosse possibile superare anche solo la prima panca. A questo punto gli viene l'idea di sgusciare carponi sotto le panche tra le gambe degli altri detenuti, per cui si cala pian piano sul pavimento del cassone. Il detenuto accanto capisce subito ciò che Wisling ha in animo di fare e lo aiuta coprendolo, ma la faccenda si rivela più difficile del previsto perché l'Oberleutnant ha le mani serrate dalle manette dietro la schiena. Ha raggiunto appena la seconda panchina quando il camion fa una brusca svolta e attraversa il cancello della caserma del Reggimento di Fanteria Gross Deutschland. La caserma è stata trasformata in carcere militare perché tutte le prigioni regolari sono sovraffollate. Benché la Germania sia fra tutti i paesi del mondo seconda solo alla Russia per quanto riguarda il numero delle carceri, queste ora non sono più sufficienti. Ma poiché si registra in Germania anche una catastrofica carenza di reclute, le autorità possono servirsi delle caserme vuote trasformandole in prigioni. Nulla è impossibile a Dio né al popolo tedesco. L'autocarro si ferma con uno scossone e i detenuti cadono dalle panche. Questo fatto è la salvezza di Wisling che così non viene scoperto. L'ufficiale sta quasi piangendo per la delusione quando altri detenuti lo aiutano ad alzarsi in piedi.

116 « A terra, delinquenti! » urlano i poliziotti agitando brutalmente i calci delle MPI. « Di corsa, figli di puttana! Dove credete di essere, in un convalescenziario? » Dappertutto si sentono, urla e grida, minacce e imprecazioni. La cosa più importante per le guardie è quella di essere spietate con i detenuti. Altrimenti la loro piacevole esistenza in caserma potrebbe cessare ben presto. Del resto, chi subisce le angherie e i maltrattamenti non sono altro che dei detenuti, la feccia del Terzo Reich. I detenuti attraversano correndo, incespicando e con le catene tintinnanti, la piazza d'armi. Lo scalpiccio dei passi solleva un polverone. « Di corsa, di corsa, uno-due, uno-due! » urla il Feldwebel della polizia militare, minacciando con un lungo bastone i detenuti più vicini. Alcuni fanti anziani si sono affacciati incuriositi alle finestre aperte della caserma. Questo non perché lo spettacolo sia una novità per loro, ma perché potrebbe accadere - chissà? -qualcosa di nuovo. L'Oberst Frick cade in avanti e finisce con la faccia nella polvere della piazza d'armi. Non ha potuto interrompere la caduta perché ha le mani ammanettate dietro la schiena, ma una sfilza di calci e di colpi vibrati con il mitra usato come bastone lo rimettono ben presto in piedi. Chi è detenuto in un carcere militare tedesco impara con sorprendente rapidità a rimettersi in piedi senza servirsi delle mani. Il gruppo dei detenuti viene fatto correre a suon di grida e urla intorno alla piazza d'armi. Un altro detenuto cade sulla faccia e sbatte con la testa contro un sasso appuntito, riportando una profonda ferita sulla fronte. Il sangue gli cola copioso sul volto. « In piedi, sfaticato! » tuona l'Unteroffizier della polizia militare, sferrandogli un brutale calcio. « Chi ti ha

117 ordinato di sdraiarti? Di corsa, cane che non sei altro! Potrai sdraiarti quando sarai pieno di piombo, porco! » Vengono presi in consegna da un Leutnant della polizia militare con la bocca priva di labbra. L'ufficiale è poco più di un ragazzo e ha ancora la peluria degli adolescenti sulle guance. Ma gli occhi sono quelli di un fanatico. Un prodotto di Himmler della peggiore specie. L'Oberst lo guarda con sinistri presentimenti. Le amare esperienze fatte in passato gli insegnano che questi ragazzi non ancora adulti sono quanto di peggio si possa incontrare. Hanno paura di non apparire sufficientemente duri, e attaccano e aggrediscono tutti e tutto semplicemente per narcotizzare la paura di cui sono animati. « Chi sei tu? » chiede il giovane Leutnant con un tono di voce che non promette nulla di buono, indicando uno dei miserabili detenuti nelle file. « Major von Leissner, 460° Reggimento Fanteria. » Con tutta la forza di cui è capace, il Leutnant colpisce alla faccia l'anziano ufficiale che traballa per un attimo, come se stesse per perdere i sensi. Poi ulula con la voce che si sta incrinando: « Come ti chiami? » « Fante von Leissner! » Di nuovo, il pugno chiuso del Leutnant investe in pieno il volto del maggiore retrocesso che, per età, potrebbe essere suo nonno. « Herr Leutnant, schifosa recluta! Non vedi il mio grado? Cinquanta piegamenti sulle ginocchia! E alla svelta! » « Fante von Leissner, Herr Leutnant, cinquanta piegamenti sulle ginocchia come lei ha ordinato! » Il giovane si avvicina pieno di boria al detenuto suc-

118 cessivo come se l'episodio con il Major non fosse mai accaduto. Anche il detenuto successivo deve assaggiare il suo pugno, poiché il Leutnant trova sempre il pretesto necessario per menare le mani. Il detenuto ha parlato a voce troppo alta oppure con voce non abbastanza forte o anche ha dato una risposta inesatta. Quando il Leutnant ha finito di passare in rassegna le file dei detenuti, nessuno di questi può esibire un volto privo di tracce di sangue. Poi, l'ufficiale si piazza davanti alla formazione e unisce le mani guantate. « Coloro che hanno il diritto di chiedere la grazia facciano due passi avanti, via! » urla in falsetto con la sua voce di ragazzino. Poi conta i detenuti che si fanno avanti e controlla sull'elenco che tiene in mano. « Quarto blocco », ordina in tono brusco. Un gruppo di sottufficiali ringhiami li accompagna al quarto blocco. I sottufficiali si gettano sui detenuti come animali da preda affamati. Tra gli edifici formanti il complesso delle caserme echeggiano ordini isterici, urla e grida. Il giovane Leutnant deambula tronfio come un galletto davanti al gruppo dei detenuti rimasti. Quelli, per essere precisi, che non hanno il diritto di chiedere la grazia! « Godetevi il sole », dice in tono sarcastico, rivolto agli uomini schierati davanti a lui. « Domani mattina vi faremo la festa, a voi che siete rimasti! Quelli che devono farsi sbarbare dal grande rasoio facciano un passo avanti! » Chi si fa avanti è un ufficiale d'artiglieria, un uomo grande e grosso, un tantino obeso, con una faccia malaticcia. Il Leutnant lo guarda come un serpente potrebbe fis-

119 sare un coniglio. « Ufficiale di complemento, eh? » fa con un cattivo sorri-setto. « Sì, Herr Leutnant. » Il tenente lo colpisce con una violenta testata alla faccia in maniera che l'orlo dell’elmetto d'acciaio ferisca la radice del naso. Dalla radice del naso esce uno zampillo di sangue. « Che mi venga un accidente! Guarda un po' questo porco criminale che tenta di raccontarmi un sacco di balle », grida, allargando indignato le braccia. « Si attribuisce dei titoli che non gli spettano! Giù, con la faccia a terra, scimmia! » Come un albero abbattuto, l'ufficiale di artiglieria retrocesso si lascia cadere in avanti. Il viso privo di qualsiasi protezione colpisce il terreno. « Che bravo! » commenta, ridendo divertito, il giovane. I mastini presenti si uniscono doverosamente alla risata. Il buonumore regna sovrano tra coloro che hanno assistito da lontano alla scena. Persino i vecchi fanti curiosi, affacciati alle finestre della caserma, si divertono. « Artigliere Schroder, Oberleutnant di complemento retrocesso dal grado, condannato a morte per insubordinazione, si presenta per prestare servizio come gli è stato ordinato, Herr Leutnant! » « Così va meglio », fa con un sorriso il tenente che poi chiede con sadica giovialità: « E che cosa fa l'artigliere Schro-der nella vita civile? » « Il maestro, Herr Leutnant. » « Ma guarda, guarda! Un maestro! » Un bagliore pericoloso si accende negli occhi di un azzurro slavato del tenente. Senza alcun preavviso sferra un calcio tra le

120 gambe del detenuto, colpendolo contemporaneamente alla faccia con la mano guantata. « Ma guarda, l'artigliere maestro osa abbandonare la posizione di attenti e assumere quella di riposo! Il delinquente pensa di essere ritornato alla scuola del suo villaggio dove può fare ciò che vuole con i bambini indifesi del Führer. Ma no, caro amico, tu ti trovi adesso nell'anticamera della morte. Stai facendo la fila e aspetti che ti facciano la barba con il grande rasoio! Fate sparire questo mucchio di merda », ordina poi a un sottufficiale. « Mi viene la nausea solo a guardarlo! » Il giovane Leutnant continua a divertirsi per un'oretta tormentando i prigionieri finché la sua macabra esibizione non viene interrotta da un Major che ritorna dalla sua cavalcata mattutina nel Tiergarten. Il Leutnant deve subire una formidabile doccia fredda. È costretto a stare sull'attenti e a fissare gli occhi nervosi del cavallo del Major. Il giovane ufficiale è diventato un miserando complesso di inferiorità umane. Ogni traccia di arroganza è scomparsa. Il Major non se ne va finché i detenuti non siano stati avviati al secondo blocco, l'anticamera dell'inferno dove vengono mandati quelli che non hanno il diritto di chiedere la grazia, in attesa di comparire davanti al plotone di esecuzione. Il Major guarda di nuovo l'ufficiale e si china leggermente al di sopra del collo del cavallo. « Le manca il secondo bottone della giubba, Herr Leutnant », dice con una voce che sembra uno squillo di tromba, colpendo contemporaneamente lo stivalone lucido con il frustino. « Lei si presenterà alle quindici al comando della compagnia che deve partire per il fronte. Alla compagnia manca un comandante di plotone. Cre-

121 de che il nuovo incarico sarà di suo gradimento? » « Sissignore, Herr Major! » « Lo immaginavo », ringhia questi, colpendo di nuovo lo stivalone con il frustino. « Una volta arrivato al fronte meridionale, lei troverà molte occasioni per sfogare le sue energie esuberanti. Conosce la destinazione del battaglione complementare? » « No, Herr Major! » « Il battaglione si trasferisce in volo nella sacca circassa. Badi di fare onore al suo reggimento e cerchi di guadagnarsi la Croce di Ferro. » Poi, il Major dà di sprone al cavallo, che fa un sobbalzo e inonda di schiuma la faccia del tenente. Il cavallo pare sorridere tra sé mentre attraversa al trotto la piazza d'armi. I cavalli militari finiscono per acquistare una particolare sensibilità che manca ai cavalli civili. Il Leutnant osa abbandonare la posizione di attenti e tergersi la schiuma dalla faccia solo quando il Major non si vede più. « Fottuto cavallo ebreo », impreca. « Spero che lo mandino nella camera a gas! » Poi si dirige con passo strascicato agli alloggi della compagnia e prepara il proprio bagaglio. Ciò che non riesce a sistemare nella sacca e nella valigia finisce nel fuoco. Non vuol regalare nulla a nessuno. Arrivato al battaglione complementare viene ricevuto da un ossuto Oberleutnant che gli propina immediatamente una tiritera pronosticandogli un futuro poco piacevole. Il giovane ufficiale deve occuparsi della sezione rifornimenti, il che rappresenta ai suoi occhi una vera e propria degradazione. Gli altri ufficiali, tutti reduci dal fronte, lo ignorano. Tre settimane più tardi rimane sepolto in un ricovero

122 di fortuna in linea. Nessuno si prende la briga di scavare per tirarlo fuori. Il suo periodo di permanenza in prima linea è durato esattamente venticinque minuti. I detenuti consegnano le uniformi che indossano al magazzino vestiario e ricevono in cambio uniformi di tela scarlatte. Poi vengono incatenati alle mani e ai piedi con corte catenelle d'acciaio. Fatto questo, vengono rapati a zero in maniera da rendersi perfettamente conto della miseranda situazione nella quale si trovano. Persino i cani da guardia li disprezzano e ringhiano e digrignano i denti non appena vedono avvicinarsi una giubba rossa. Le catenelle ai piedi sono di proposito così corte che i detenuti devono saltellare come tanti passeri. La peggior cosa sono le scale. Fare le scale è un'autentica tortura. E i guardiani continuano a urlare: « Più svelti! Più svelti! Di corsa, di corsa! » L'Oberst Frick è il primo a cadere mentre sale la ripida scala. Calci e legnate con il mitra gli piovono spietatamente sulla schiena e sulle reni. « Che mi venga un colpo se quello non rimane sdraiato! » tuona un Feldwebel premendo brutalmente la bocca della canna della MPI sulla nuca dell'Oberst retrocesso. Più morto che vivo, l'ufficiale raggiunge una cella dove ci sono già altri otto compagni di pena nell'uniforme di tela rossa con numeri gialli sul petto. Arrivato in cella, l'Oberst si vede togliere le catenelle dalle mani, ma non dai piedi. « E pensare che questi uomini sono miei compatrioti », geme Frick lasciandosi cadere pesantemente su uno sgabello di legno. Poi rivolge, scoraggiato, un'occhiata ai compagni di pena vestiti di rosso. « Hugo Wagner », si presenta il più vecchio dei pre-

123 senti, un uomo dritto come una statua e con la faccia severa. « Artigliere, già Generalleutnant e comandante di divisione, condannato in base all'articolo 91b. Immagino che questo le spieghi tutto. E lei? Impiccagione o fucilazione? » « Fucilazione », risponde Frick con un'indifferenza che a lui stesso sembra strana. « Allora ha avuto fortuna. Io invece devo essere impiccato! Continuo tuttavia a sperare che commuteranno la pena nella fucilazione prima che sia troppo tardi. » La porta si spalanca di colpo con gran fracasso e un Feldwebel getta sul tavolino un foglio di carta e una matita. « Ecco qua », grugnisce con aria scontrosa, guardando Frick come se la sola presenza dell'anziano ufficiale fosse un insulto per lui. « Scrivi la domanda di grazia. Tornerò tra venti minuti per prenderla. Bada di avere finito quando verrò! Hai capito? Non è che devi raccontare la storia della tua vita! Non scordartelo, fuciliere di merda! » Poi richiude la porta con tale violenza da provocare una caduta di calcinacci dal soffitto. « Dio sia ringraziato », mormora Frick, sollevato. « Finalmente posso spiegare ciò che è accaduto realmente. Tutta la faccenda è un mucchio di fandonie. Hanno travisato tutto. » « Se permette vorrei sconsigliarle di scrivere in quel tono », lo mette in guardia il comandante di divisione. « Non farebbe altro che mettersi in urto. Quando il generale avrà letto la prima metà della sua domanda redatta in quella maniera, la respingerà e firmerà l'ordine per l'esecuzione. Nessuno di quei signori è minimamente interessato alla sua persona né al suo caso, e se dovessero concederle la grazia — cosa di cui dubito in quanto lei

124 ha un grado troppo elevato — lo faranno solo perché lei potrà essere utilizzato in qualche faccenda estremamente losca. In nessun caso gliela concederebbero in virtù dei suoi meriti personali. Scriva come le dico io: Oberst retrocesso degli Jàger, nome, cognome e data di nascita; la domanda dev'essere indirizzata al generale incaricato dell'evasione delle domande di grazia presso il Terzo Comando Generale. Lasci due dita di spazio ai margini, non se lo dimentichi. Poi: data, ora, condannato a morte dal Tribunale Superiore di guerra di Berlino. Poi: il condannato chiede che la sentenza venga commutata in una pena detentiva. Infine, tre dita più in basso sulla stessa pagina: caserma di fanteria, Berlino-Moabit, data, Heil Hitler e la sua firma. » «Heil Hitler? » chiede Frick, sbalordito. « Crede forse che questa forma di saluto sia stata cambiata per il fatto che lei è stato condannato a morte? » chiede con un sorriso il Generalleutnant retrocesso. Esattamente venti minuti più tardi, il Feldwebel scontroso è di ritorno. Dopo aver dato una rapida scorsa alla domanda annuisce soddisfatto e lascia la cella senza pronunciare parola. « Crede che io abbia qualche probabilità, anche minima, di essere graziato? » chiede Frick con uno sguardo speranzoso. « No, naturalmente. Esiste della gente che viene graziata, ma cosi raramente che il fatto desta scalpore quando si verifica. Nel suo caso particolare escluderei assolutamente questa possibilità. Se lei fosse stato un soldato semplice,, un volgare coscritto, qualche speranzella, seppure minima, poteva esserci. Tutto dipenderebbe in tal caso dal buono o cattivo umore del generale in quel momento. Ma un ufficiale combattente, con-

125 dannato in base all'articolo 91a, no! Lei sarà fucilato! » « Gran Dio! Lei vuol dire che presentare la domanda è stata una pura perdita di tempo? » esclama Frick che comincia a provare un senso di disperazione. « Ci tiene tanto a farla finita subito? » chiede il Generalleutnant in tono sarcastico. « La domanda le consentirà di vivere un po' più a lungo. Finché non ritorna il responso, non potrà accaderle nulla. Non verranno a prenderla qui alle otto di domattina come potrebbe accadere agli altri presenti. Durante i prossimi otto giorni potrà trascorrere le notti in tranquillità, senza provare paura. » « Vengono a prendervi alle otto del mattino? » chiede Frick con voce tremante. Gli pare di sentirsi sfiorare dalla mano gelida della morte. L'intera cella è pervasa da un'atmosfera di paura. Le pareti trasudano terrore, il terrore gocciola dal soffitto, si alza dal pavimento. « Sì, ogni mattina alle otto precise lei sentirà un rumore di passi cadenzati e uno sferragliare di armi nel corridoio. Poi sentirà porte, quelle delle celle, che si aprono e si chiudono. Alle undici precise, dopo l'ultimo rintocco del grande orologio della caserma, per quel giorno non ci sarà più nulla da temere. Noi abbiamo un'altra giornata quasi intera da vivere e tutto il carcere riprende a respirare. La paura arriva di nuovo quando comincia a far buio, mentre siamo sdraiati sulle brandine. Il periodo peggiore è quello dell'alba, tra le quattro e le otto. Durante quelle quattro ore si sentono urla provenienti dalle altre celle. Qualcuno riesce a suicidarsi, ma che Dio lo assista se il tentativo fallisce e lo sciagurato viene richiamato in vita! Le guardie ce l'hanno a morte con questi tentativi. Il motivo c'è: vengono mandate al fronte se un detenuto riesce a sfuggire al plotone di esecuzio-

126 ne. » « Non esiste alcuna possibilità di fuggire? » chiede Frick. « La fuga è assolutamente impossibile », risponde il Ge-neralleutnant respingendo l'idea quasi con sprezzo. « E Je incursioni aeree? » insiste Frick, cocciuto. « Quando regna una grande confusione? » « Non qui », risponde sorridendo l'altro. « Qui chiudono a doppia mandata le porte delle celle e si mettono a giocare a carte. Chi se ne fregherebbe se un paio di bombe dovessero colpirci in pieno? In tal caso, il nemico non avrebbe fatto altro che eseguire una sentenza per conto dei tedeschi. Le nostre vite non contano. Che differenza fa se moriamo un giorno prima o un giorno più tardi? L'unica cosa importante è che le nostre vite vengano spente e che quelli possano scrivere sui registri che la sentenza è stata eseguita! Rinunci a qualsiasi idea di fuggire. Accetti il suo destino e tutto le sarà più facile. » « È terribile », mormora Frick passandosi la mano sulla testa rapata, « tentare di abituarsi all'idea di essere macellati come una bestia. » « Sono d'accordo con lei », ammette il Generalleutnant. « Dove avvengono le esecuzioni? » « Ma da dove viene lei, Oberst Frick? » chiede di rimando Wagner in tono sarcastico. « Non si è ancora accorto di come vengono fatte le cose di questi tempi in Germania? Nella Morellenschlucht, le persone vengono fucilate a gruppi interi. Quasi tutte per piccole infrazioni. » « È lì che impiccano anche la gente? » chiede Frick rabbrividendo. « Naturalmente. Ci sono file di forche. La decapita-

127 zione è l'unica esecuzione che in base a una richiesta delle autorità militari non deve aver luogo sui terreni o negli edifici sotto la giurisdizione militare. Le decapitazioni hanno luogo a Plot-zensee, a cura delle autorità civili. Le sentenze vengono eseguite dal primo boia civile. Quelli che devono finire sotto il grande coltello sono stati radiati in precedenza dalle forze armate e devono essere considerati una specie di civili. » Poco prima dell'ora di andare a letto, l'Oberleutnant Wis-ling viene fatto entrare a spintoni nella cella. Ha la faccia gonfia e piena di sangue. L'ufficiale si siede sul pavimento e guarda gli occupanti della cella con occhi spenti. Ha perso quasi tutti i denti e la rotula di uno dei ginocchi è messa a nudo. Inoltre ha varie costole rotte. Dice che gli fa male respirare. « Sono saltato addosso all'ufficiale di servizio e ho tentato di strangolarlo », spiega in tono sommesso. « Ha fatto una sciocchezza », dice Wagner. « Iniziative del genere si risolvono solo a danno di chi le prende e spesso a danno di altri detenuti innocenti. » « Sì, è stata una sciocchezza », ammette Wisling, palpandosi con cautela il corpo tutto contuso. « In fondo, qui non si sta poi tanto male », spiega il Generalleutnant, sdraiandosi per la notte sul materasso imbottito di alghe, tutto umido e ammuffito. « Sono stato in molti posti dove si stava assai peggio: Torgau, Germersheim, Glatz, Fort Zittau, Admiral Schròder Strasse. Quei posti erano un autentico inferno nel senso letterale della parola. Qui, per lo meno, ci lasciano in pace nelle nostre celle e ci danno da mangiare come ai soldati. Avreste dovuto vedere quello che ci davano a Germersheim! »

128 « Da quanto tempo si trova in carcere? » chiede Frick, incuriosito. « Da quattordici mesi, ma presto sarà finita. Mi aspetto di essere portato via una di queste mattine. L'unica possibilità rimastami è che la guerra finisca all'improvviso e che i signori dell'altra posta militare vengano qui e mi facciano uscire. » « Per questo ci vorrà un bel po', ancora », osserva un detenuto animato da pessimismo. « A Peenemùnde stanno sperimentando freneticamente una nuova arma », dice una voce proveniente dall'angolo della cella. « È un'arma così terribile che nulla di simile si è visto finora. Se riusciranno a perfezionarla, vinceranno la guerra. » « Ho sentito parlare di quell'arma », osserva l'Oberst. « C'entra per qualche verso con l'acqua pesante che fanno venire dalla Norvegia. » « Io ho partecipato alla costruzione di quell'arma », rivela la casacca rossa nell'angolo. « Sono chimico, ma purtroppo una persona che non ha mai imparato a tenere la lingua a freno. È per questo che sono qui. Era una bellissima serata con troppo cognac e tante belle ragazze. La ragazza con la quale sono andato a letto lavorava per la Gestapo. Quelli della Gestapo si sono fatti vedere già il giorno dopo, mentre stavamo ancora smaltendo la sbornia. Giovanotti molto educati vestiti con lunghi cappotti di cuoio e in testa cappelli con la tesa abbassata. Geheime Staatspolizei, una sottile piastrina ovale appesa a una catenella e un ordine espresso in forma estremamente gentile: ' Vuol essere così gentile da venire con noi? Vorremmo mettere in chiaro una piccola faccenda! ' » Il chimico sorride amaramente e indica con il dito il numero che porta sul petto.

129 « La ' piccola faccenda ' ero io! Mi hanno trattato con una certa gentilezza. Dopo un'ora, tutto era finito, l'interrogatorio concluso! Un mese più tardi, un processo di dieci minuti davanti al Tribunale di Guerra, ed eccomi qua! » Alle sei del mattino si sente un rumore di secchielli di ferro nel corridoio. Una chiave percuote la porta. È il segnale di alzarsi e di ripiegare i materassi. Poco dopo arriva la prima colazione. Una fetta di pane, una noce di margarina e una tazza di ferro smaltato, piena di surrogato di caffè tiepido. Poi comincia l'attesa. Il carcere puzza di paura, di terrore. La lancetta dei minuti dell'orologio sulla torre si sposta a piccoli scatti. Poi, la campana suona otto rintocchi e in quel preciso istante risuona nel corridoio il rumore di tacchi ferrati. Segue una sfilza di ordini energici. Un rumore di acciaio che cozza contro altro acciaio. Nelle celle, tutti smettono di parlare. Gli occhi fissano le porte verniciate- in grigio. Il primo gruppo è stato già portato via dalla scorta. Si ode l'eco dei passi cadenzati che si allontanano lungo il corridóio. Un Leutnant medico retrocesso crolla e si mette a singhiozzare disperatamente. « Si faccia coraggio », lo riprende aspramente il General-leutnant Wagner. « Piangere non serve a nulla, anzi, peggiora solo la situazione. Le manifestazioni del genere irritano le guardie. È troppo tardi per i rimpianti. Lei avrebbe dovuto rendersi conto prima che una nullità come un Leutnant medico della marina non può permettersi di criticare Adolf Hitler senza doverne sopportare poi le conseguenze. Che cosa avrebbe detto lei se qualche delinquente le avesse dato del ciarlatano? Si

130 sarebbe messo a ridere, apprezzando lo scherzo? » Un silenzio di piombo cala sulla cella. Da molto vicino si sente un rumore di chiavi e di nomi chiamati ad alta voce. Il più giovane detenuto della cella, un Gefreite di soli diciassette anni, si avvicina furtivamente alla porta per ascoltare. La casacca di tela rossa, la divisa della morte, gli va larga. Un Leutnant retrocesso siede, simile a una statua di pietra, sulla brandina accanto a quella del Generalleutnant e fissa come ipnotizzato la porta. Si spalancherà o non si spalancherà? Ci sarà una faccia dall'espressione rozza che di sotto l'orlo dell'elmetto d'acciaio chiamerà uno o più nomi? L'ufficiale comincia a singhiozzare, perde completamente ogni controllo e si accascia sulla brandina. Da tre settimane, ormai, ogni mattina aspetta. Il Generalleutnant, vecchio abbastanza per essere suo padre, lo guarda per un attimo. « La pianti con queste storie! Si riprenda! Si ricordi che è un soldato, un ufficìalel Su, si alzi, petto in fuori, dentro lo stomaco! Sì, lo so, è cretino ciò che le sto dicendo, ma serve! Glielo hanno insegnato a scuola e nella HJ. Ora le conviene applicare questi princìpi! Ciò che deve accadere accadrà. Piangere non serve a niente. » Il Leutnant comincia a urlare. Sono urla orribili che scuotono i nervi. Wagner afferra al petto il Leutnant e gli molla una serie di potenti sberle. « Si alzi, si domini! » gli ordina in tono severo. Il Leutnant si alza e si mette sull'attenti. È pallido come un cadavere, ma riprende il controllo di se stesso. Gli occhi non sono più vitrei.

131 Da fuori proviene il rumore dei passi della squadra della morte che si avvicina. Ormai non è molto lontana. Dalla cella vicina si sentono urla gorgoglianti. Il Feldwebel della posta militare bestemmia e impreca. « Non ce la faccio più », bisbiglia il chimico. « Divento pazzo! » « Che cosa si propone di fare? » gli chiede Wagner con aria sfottente. « Vuol inginocchiarsi davanti al plotone di esecuzione? Dire ai soldati che lei è innocente e che non devono ammazzarla? » « Dio mio! Vorrei che mi venissero a prendere oggi », geme il chimico in preda alla disperazione. « Così almeno sarebbe finita. » Poi si alza. La bocca sembra un foro rosso nel volto. Prima che gli altri riescano a impedirglielo, si mette a gridare a pieni polmoni: « Venite a prendermi, maledetti assassini! Ammazzatemi! Fucilatemi, figli di puttana nazisti! » Gli altri si precipitano su di lui, lo gettano sul pavimento e gli coprono la bocca con i loro corpi per zittire le urla. Poi ascoltano pieni di paura. Arriveranno le guardie con i lunghi bastoni? Qualsiasi rumore è severamente vietato. Le urla sono considerate un rumore. Ben presto, il chimico è di nuovo tranquillo. Se ne sta seduto in un angolo della cella con labbra tremanti come quelle di un coniglio terrorizzato. « Se qualcuno di voi dovesse, contrariamente a tutte le previsioni, sopravvivere a questa faccenda », dice il Gene-ralleutnant in tono sommesso, « lo prego di andare a salutare mia moglie, Margrethe Wagner, Hohenstrasse 89, Dortmund. Le dica che sono morto bene. Questo le sarà di aiuto. Le spieghi che ogni mio avere è stato incamerato dalla Tesoreria dello Stato tedesco. Per questo

132 motivo non ho potuto nemmeno mandarle la mia fede matrimoniale. » Tutti i detenuti ripetono ad alta voce l'indirizzo per imprimerselo nella memòria: Margrethe Wagner, Hohenstrasse 89, Dortmund. Il Generalleutnant alza gli occhi e guarda il vetro opaco della finestra. Per un po' non dice nulla. Il suo pensiero è lontano, a Dortmund, in Vestfalia. « Ho la sensazione che verranno a prendermi oggi », dice improvvisamente, rassettandosi la casacca rossa. Ma quel giorno non vengono a prenderlo. Poi, l'orologio della torre della caserma batte undici rintocchi. Tutto il carcere tira un sospiro di sollievo. Fino alle otto dell'indomani mattina c'è molto tempo. « Adunata per gli esercizi in ordine chiuso! » Dappertutto si sentono i fischietti dei sottufficiali. Una valanga di rumori proviene da tutte le parti. Si odono i rumori delle catenelle, delle chiavi, dei passi cadenzati. I detenuti nell'uniforme rossa saltellano con il fiato corto. Gli sfortunati che cadono vengono picchiati spietatamente con i calci dei mitra. Una pistola-mitragliatrice abbaia a lungo. Un detenuto che ha tentato di rivolgere la parola a uno dei suoi compagni di pena si accascia in una pozza di sangue. Viene trascinato nella sua cella come un sacco di patate. La testa rimbomba in modo strano mentre sbatte contro i gradini della scala. « Figlio d'un cane, sporco maiale », gli gridano le guardie. Infuriate come sono, non riescono a trovare altri epiteti. Poi arriva correndo un Feldwebel della Sanità con il suo zainetto con la croce rossa. Rivolge un'occhiata maligna al detenuto ferito.

133 « Gettate quel mucchio di merda sul pavimento », ringhia, « farò rinvenire il bastardo abbastanza perché possiate portarlo al palo! » « Che non ti venga in mente di dargli la morfina », fa una delle guardie, con aria tetra. « Non mi verrebbe mai in mente », risponde il Feldwebel della Sanità. « Se fosse per me gli taglierei il cazzo! » Scoppiano a ridere. La piazza d'armi è piena di uomini. Ci sono i condannati nelle loro uniformi rosse, mischiati con i detenuti comuni in grigioverde che si sentono dei re in confronto ai « rossi ». « In colonna per tre », tuona il Feldwebel di servizio. « Colonna, avanti, marc'! Attenti alle distanze e agli intervalli, reclutacce! Su, avanti, cantare, adesso! » « Ich. bin ein freier Wildbrettschùtz und hab' ein weit' Revier, so weit die braune Heide reicht, gehórt das Jagen mir... lek bin ein freier Wildbrettschùtz... »1 Le esercitazioni in ordine chiuso si concludono sempre con ogni sorta di esercizi più o meno stravaganti e sempre faticosissimi, a seconda dell'umore del Feldwebel di servizio. Il pomeriggio trascorre presto. Lentamente le ombre si allungano sulla piazza d'armi e salgono lungo la parete dirimpetto alla finestra. Arriva la sera e poi la notte. Conversazioni bisbigliate; voci che balbettano impaurite. L'ora della morte si avvicina a passi veloci per questi 1

« Libero sono di andare a caccia, / Vado ovunque, vicino e lontano / Dove la brughiera tocca il cielo. / Cacciar ovunque posso... / Libero sono di andare a caccia...» (N.d.T.)

134 uomini. La prima colazione viene consumata in silenzio. Solo pochi hanno un po' di fame. Di nuovo rimbombano dalla torre dell'orologio gli otto rintocchi della morte. Fuori, l'atmosfera risuona di voci e rumori della vita di tutti i giorni, voci e rumori che vengono riflessi dalle pareti degli edifici e penetrano in ogni cella. I plotoni di esecuzione avanzano a passo cadenzato nei corridoi. Il rumore degli scarponi chiodati si avvicina alla cella 109. I nove detenuti trattengono il fiato, fissano a bocca e occhi spalancati la porta. Sanno che il plotone si è fermato proprio davanti alla loro cella. Si sente un tintinnio di pesanti chiavi. L'inserimento della grossa chiave nel buco della serratura fa sobbalzare tutti come lo schiocco di una fucilata. Fa clic, clic, girando due volte. La pesante porta si spalanca di botto. Un elmetto d'acciaio brilla come un sinistro segnale nel riquadro della porta. Si sente uno strisciare di calci di fucili sul pavimento di cemento. Silenzio, silenzio, un silenzio pieno di attesa. Da sotto l'orlo dell'elmetto, una faccia rozza scruta gli uomini nella cella. Di chi sarà il nome che quelle labbra sottili ed esangui pronunceranno? Wagner fa mezzo passo avanti. È sbiancato in volto. Le labbra sono bluastre. Sente il terrore della morte salirgli lungo la spina dorsale. Ha la certezza che sarà chiamato. Il chimico e il Leutnant si rannicchiano più profondamente nell'angolo. Il piccolo Gefreite è in piedi dietro al tavolo con la bocca semispalancata, come se stesse per urlare. Poi, la porta si richiude di colpo. È stato uno sbaglio. Il

135 candidato alla morte si trova nella cella accanto. Un lungo urlo, simile a un ululato, spezza il silenzio colmo di attesa. Un corpo viene trascinato sul pavimento di cemento del corridoio. Tre delle sbarre di ferro della finestra gettano un'ombra, adesso. Quando apparirà la quarta ombra, sottile come un tratto di matita, saranno le undici precise e la vita potrà riprendere. L'atmosfera diventa quasi allegra. « Ora, ora », pensa l'Oberst. L'ombra ha quasi raggiunto il catino del lavabo. Si sentono dei passi pesanti, cadenzati, che imboccano l'ingresso lontano del corridoio e si avvicinano rapidamente. « Non possono assolutamente farcela in tempo! » bisbiglia il Leutnant, fissando con occhi sbarrati dall'orrore il punto dove l'ombra della quarta sbarra comparirà. « Lo vedremo subito », risponde il Generalleutnant, facendo due passi nella direzione della porta. Il giovane Gefreite comincia a singhiozzare spasmodicamente. Nessuno gli bada. Ognuno pensa solo a se stesso. « Vieni, ombra della morte! » implora l'Oberleutnant Wi-sling. Alle undici non possono che mancare pochissimi secondi. I passi cadenzati si avvicinano spietatamente. Nessuno scarpone militare di questo mondo è capace di produrre il rumore minaccioso e sinistro dello stivaletto d'ordinanza tedesco. La calzatura è confezionata in maniera tale da incutere terrore e paura in chi ne senta il rumore. I passi cadenzati superano la porta, fuori. Un po' più avanti nel corridoio risuona un ordine energico. I passi ritornano, si avvicinano, tramp, tramp, tramp, si fermano con uno schianto esattamente davanti alla porta della

136 cella 109. Qualcosa non ha funzionato. La quarta ombra è chiaramente visibile, ora. I detenuti la fissano a occhi spalancati, sì aggrappano a essa come il naufrago s'aggrappa alla pagliuzza nella speranza di non affogare. Dopo le undici non vengono mai a prendere la gente. Non è mai accaduto. Perché dovrebbe accadere proprio oggi? Batti le undici, orologio, per l'amor d'Iddio, batti le undici! Dacci un altro giorno di vita! La vita è così breve, un altro giorno in più è un regalo così meraviglioso, persino in galera. La chiave tintinna. Il rumore che produce entrando nella serratura spezza i nervi. È un rumore che solo un guardiano attaccato al proprio mestiere è capace di produrre. Ma prima che la porta possa spalancarsi, si sentono gli undici rintocchi dell'orologio della torretta. La chiave viene ritirata dalla serratura. In base agli ordini vigenti è proibito procedere a esecuzioni dopo le undici. Una serie di ordini risuona nella prigione. « Spall'arm! Fianco sinist' sinist'! Avanti marc'! » Tramp, tramp! I passi cadenzati si allontanano nel corridoio, si smorzano, scompaiono. « Signore Gesù Cristo! » esclama ansimando il chimico, rannicchiato nell'angolo della cella. « Non avrei mai creduto che un essere umano possa sopportare una cosa simile senza che gli dia di volta il cervello. Ma non hanno un briciolo di pietà?! » « In Germania non esiste pietà », osserva con una risata sarcastica il Generalleutnant. « Di una cosa, comunque, possiamo essere certi: uno di noi sarà portato via domattina tra le otto e le undici! »

137 « Chi? » chiede il Leutnant con voce tremante. « Se lei è molto coraggioso, può bussare al portello e chiederlo », risponde con un sorriso il Generalleutnant, « ma le posso assicurare una cosa: se dovesse essere lei quello, domattina non sarebbe in grado di raggiungere il palo con le proprie forze, senza farsi aiutare! » « Sono disumani! » bisbiglia il Leutnant, infuriato. « Disumani! » Il Generalleutnant prorompe in una risata di scherno. « E lei ha frequentato l'accademia di guerra! Quelli, caro mio non sono più disumani di lei o me. Sono il risultato dell'educazione militare del Terzo Reich. Su, andiamo, sia sincero! Non lo ammirava anche lei, finché non ha imparato a conoscere la giustizia militare tedesca? » Il Leutnant china la testa e in silenzio dà ragione a Wagner. Anziché essere un condannato a morte sarebbe potuto benissimo essere uno degli ufficiali delle guardie carcerarie. Uno scherzo malvagio del destino, invece, ha voluto che fosse un detenuto in attesa dell'esecuzione. L'Oberleutnant Wisling lancia un'occhiata al Generalleut-nant Wagner e si domanda se quell'uomo sia fatto di acciaio. Era certamente lui che erano venuti a prendere poco prima, in ritardo: da troppo tempo indossa la tenuta rossa e deve rendersene conto. « Nel '34 ho partecipato per l'ultima volta alla gara di tiro a segno dei tiratori scelti nella Morellenschlucht », osserva l'Oberst Frick con aria indifferente, guardando la finestra dalle lastre grigie. « Era d'agosto e faceva un gran caldo. Ci siamo ingozzati di amarene mature, di cui il prato era pieno. Gli scoppi delle bombe dei mortai da trincea avevano dato formidabili scossoni agli alberi. Poi abbiamo avuto tutti il mal di pancia... » La porta si spalanca con eccezionale fracasso e un nuo-

138 vo detenuto entra nella cella. Appare tutto impaurito. L'uomo si presenta: « Feldwebel Holst, 133° Reggimento Fanteria, Linz sul Danubio ». « Oberst Frick, 5° Reggimento Granatieri, Potsdam », risponde l'Oberst con un sorriso triste. « Gli aristocratici con i bellissimi berretti », commenta Wagner con sarcasmo. « Io non provengo da un reggimento così nobile. 11° Reggimento corazzato, Paderborn. » « Io sono stato a Paderborn », dice il diciassettenne Ge-freite. « Al 15° Reggimento di cavalleria. » Così dicendo sbatte i tacchi. Sta pur sempre parlando con un generale, anche se questo generale è stato retrocesso e condannato. « Leutnant Pohl, 27° Reggimento di artiglieria, Augusta », si presenta il giovane e spaventato Leutnant. « Quante formalità, tutto d'un tratto! » esclama ridendo Wisling. «Va bene, ci sto: Oberleutnant Wisling, 98° Reggimento Jàger da Montagna, Mittenwald. » « Conosce Schorner? » chiede Wagner. « Comandava, se ricordo bene, il suo Reggimento. » « Sì, era Oberstleutnant, allora. Adesso è Generalfeldmar-schall, sempre odiato come allora », risponde Wisling con un sorriso amaro. « Quando partecipavamo alle gare di tiro per tiratori scelti "| nella Morellenschlucht », continua Frick, « qualsiasi sfottimen- | to della truppa era proibito. Era importante che i tiratori non 1 fossero nervosi quando arrivava il loro turno. Andare nella Morellenschlucht era un divertimento, ma solo d'estate. D'inverno faceva un freddo cane da quelle parti e c'era molto vento. Sembrava che il gelo arrivasse direttamente dalla Russia per diffondersi tra quegli alberi tutti storti. »

139 « E ora, lei sta per perdere la vjta nella Morellenschlucht », osserva in tono asciutto il Generalleutnant. « Lo sapeva che anche ai tempi del Kaiser giustiziavano lì i militari? » « No, non ne avevo la minima idea. » « Ecco una delle caratteristiche più notevoli di noi tedeschi », sospira Wagner con aria apatica. « Non sappiamo mai nulla di quanto accade. Siamo una nazione con i paraocchi. Dio solo sa, quanta gente innocente è stata fucilata nella Morellenschlucht. » « Si prova dolore quando si viene fucilati? » chiede improvvisamente il giovane Gefreite. I compagni di sventura lo guardano sbalorditi. Nessuno di loro si era mai posto questa domanda. Il terrore della morte come tale era così forte che nessuno aveva pensato al dolore fisico che poteva accompagnarla. « Credo che non sentirai proprio nulla », risponde il Generalleutnant in tono rassicurante. « Una sola pallottola può uccidere all'istante una persona. Lo Stato è generoso e te ne concede dodici! » « Credo che non mi fucileranno, » dice il Leutnant con una punta d'isterismo nella voce. « Mi trasferiranno a un reparto di specialisti. Lo sento che andrà a finire così. Lo so\ Quando si accorgeranno in che cosa sono specializzato, si renderanno conto della mia utilità in un reparto di specialisti! Le do la mia parola, Herr Generalleutnant, che andrò a trovare la sua signora per comunicarle l'ultimo messaggio che lei le manda. Io provo un grande rispetto per lei, Herr Generalleutnant, e la ammiro! » « Non lo faccia », sospira Wagner. « Uno dei grandi difetti di noi tedeschi è quello di avere sempre bisogno di qualcuno da rispettare per ammazzare poi per lui la gente. »

140 Dal corridoio viene il rumore del carrello che porta il cibo. L'orologio della caserma suona otto rintocchi. Ordini secchi, un gran sbatacchiare di armi, urla e imprecazioni, un tintinnare di chiavi. Quella mattina tocca a molti. Dal carcere si alza una specie di ronzio, segno che tutti sono nervosi. Ecco di nuovo le ombre di tre sbarre sul pavimento. Presto comparirà la quarta. La porta si spalanca di botto. « Paul Kòbke! » ringhia il Feldwebel. Il chimico che non aveva saputo tenere a freno la lingua, si alza in piedi. « No, no! » geme. « È un errore. Non sono qui da molto. Dev'essere lei, Herr Generalleutnant! » « Piantala, Kobke! » brontola il Feldwebel, irritato, avanzando di un passo nella cella. « Il suo turno verrà come per tutti gli altri. Oggi tocca a te, e sbrigati! La tua comitiva sta aspettando. » Poi dà uno spintone a Kobke che, cade tra le braccia di due Unteroffizier. Questi gli mettono con mosse esperte le manette. « Ci rivedremo presto! » esclama con un ghigno il Feldwebel, chiudendo con un tonfo la porta.

141 La Patria ha il diritto di pretendere da ognuno qualsiasi sacrificio. Ordino perciò che ogni persona capace di tenere un fucile in mano venga immediatamente chiamata alle armi e inviata a combattere il nemico indipendentemente dall'età e dalle condizioni di salute. Adolf Hitler, 25 settembre 1944

« Che vi venga un colpo, a tutti quanti'. » fa il Vecchio, incavolato, quando scende nella cantina e ci vede sdraiati lì, fra tutte quelle bottiglie. « Parla più piano », geme Fratellino. « Mi sembra di avere nel cranio un tipo che pianta furiosamente paletti da tenda! » « Sudicio branco di maiali! » incalza il Vecchio. « Hai perfettamente ragione », risponde con un singhiozzo Gregor. « Non sta bene starsene seduti qui, in una cantina umida, a prendere la sbronza. » « Per sant'Agnese », biascica Porta. « Andando avanti di questo passo diventeremo degli alcolizzati e manderemo in malora il fegato. » « Dio, la testa! » geme Barcelona, completamente disfatto. « Usciamo di qui per vedere che alle volte non abbiano stipulato la pace, mentre stavamo facendo fuori la grappa dell'Armata Rossa. » Il Vecchio continua a scocciare e non la pianta finché non ci sparpagliamo tra gli alberi da frutta per scorgere un elmetto tondo che fa capolino al di sopra di uno sbarramento stradale. Si sente lo schiocco di uno sparo e l'elmetto scompare. Ci gettiamo tutti distesi nell'erba bagnata e prendiamo di mira quel punto. Poco dopo compare un altro elmetto tondo. Il moschetto automatico di Heide vomita fuoco e l'elmet-

142 to rotola a terra da questa parte della barricata. Ci vogliono quasi venti minuti perché compaia l'elmetto successivo. Questa volta è Porta quello che spara. La pallottola devasta la faccia del soldato nemico. Segue un altro, lungo, periodo di attesa. Poi appare un altro elmetto tondo. « Che gli abbia dato di volta il cervello? » brontola il Vecchio, battendosi la palma della mano destra sulla fronte. Mentre sta ancora parlando, romba il fucile di precisione di Fratellino. L'elmetto vola in aria e poi cade con fracasso, capovolto. Dopo un po', quando non vediamo comparire altri elmetti, avanziamo carponi per portarci sul retro della caserma. Eccoli a terra, tutti quanti, con le facce sfigurate. Dopo aver perquisito le tasche e i tascapani dei morti, continuiamo ad avanzare carponi con la massima indifferenza.

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L'ESECUZIONE IL capomeccanico Wolf tiene udienza seduto al grande tavolo tondo nello spaccio della Quinta Compagnia. Due ringhiosi cani lupo montano la guardia ai due lati della sedia, pronti a sbranare chiunque, basta un cenno del padrino che regna sulla mafia della Grande Germania. Anche i due gorilla cinesi montano la guardia, ognuno seduto su una sedia, alle spalle del loro signore e padrone. Per loro, chiunque entra è un potenziale nemico da neutralizzare non appena possibile, Intorno al tavolo si affolla una ghenga di tirapiedi pieni di ammirazione per Wolf, che rimangono nelle retrovie solo fino a quando fa comodo al grande capo. Porta si ferma di colpo e batte la mano sulla fronte fingendo sorpresa. « Ma come, sei ancora vivo, vecchio pisciatoio puzzolente? » grida con l'aria di esserne felicissimo. « Nessuno ti ha mai detto che sembri un vecchio buco del culo tutto slabbrato? Aprite un po' la finestra. Sembra di stare in una fogna! » « Ti lasci dire queste cose? » chiede un armiere, chinandosi con ossequio nella direzione di Wolf che si sta dondolando sulla sedia per imitare i grandi gangster americani visti al cinema. Wolf lancia una lunga occhiata indagatrice a Porta e non si sente per niente insultato. Sentirsi offesi è un lusso che può costare soldi e i soldi sono l'unica cosa che Wolf ami e rispetti, visto che è prima di tutto e soprattutto un uomo d'affari. Gli puoi piazzare uno scaracchio dritto tra gli occhi se sei disposto a pagare questo privilegio.

144 Fratellino afferra l'armiere per l'abbottonatura della giubba e lo solleva come se si trattasse di un coniglio in procinto di essere macellato. « Ma che diavolo! » strilla questi, scalciando terrorizzato nel vuoto. « Piantala, pidocchio! » ringhia Fratellino animato dall'impulso di rompere qualcosa, pestare la gente, fare comunque uno sconquasso, poiché si trova nel suo migliore stato d'animo, quello di combinare qualcosa per farsi notare. Wolf ride divertito all'idea di assistere quanto prima a uno spettacolo destinato a rendere meno pesante l'uggiosa giornata. I suoi sgherri lo assecondano, prorompendo a loro volta in una rumorosa risata. Del resto non oserebbero comportarsi diversamente. « Come, tu osi mettere le mani addosso a un Unteroffizier? » urla l'armiere, tentando di colpire Fratellino in faccia. « Ma che Unteroffizier! » ribatte in tono sprezzante Fratellino, facendolo roteare nell'aria come le pale di un mulino a vento. « Tu non sei altro che un fottuto fottifucili! » « Ammazzalo! » suggerisce Porta in un impeto di filantropia, vuotando con un solo sorso prolungato un grande boccale di birra. Poi rutta soddisfatto e ordina un'altra birra. In quel momento entra a precipizio l'Oberfeldwebel Weiss, il capocuoco, con una P-38 in mano. « Lascialo.andare! » grida, puntando la pistola contro Fratellino. « Credi di essere ancora tra gli esquimesi e di poter fare quello che vuoi? Dove comando io c'è disciplina, specialmente in cucina. Lascia andare quell'uomo! È un ordine! »

145 « Quale uomo? » chiede Fratellino, sollevando ancora di più l'armiere che sta balbettando. « Quello che tieni nelle mani, figlio di puttana! » tuona Weiss, perdendo ogni autocontrollo. « Ma non è un uomo, è un fottifucili », risponde Fratellino, facendo roteare di nuovo l'armiere. «Lascialo andare! » strilla l'Oberfeldwebel Weiss, agitando la pistola nella nostra direzione come se volesse scacciare delle galline. « Va bene, va bene », fa Fratellino con un sospiro rassegnato e scaglia l'armiere attraverso la finestra chiusa. Una pioggia di frammenti di vetro ci investe tutti. Per un attimo, l'Oberfeldwebel contempla con aria indecisa ciò che rimane della finestra attraverso la quale è scomparso l'armiere. Fratellino si mette sull'attenti, saluta e fa con un ghigno: « Ordine eseguito, Herr Oberfeldwebel! » Weiss, rosso in faccia, trae un profondo respiro. Poi apre e chiude varie volte la bocca senza che ne esca il minimo suono. Sembra un pallone sgonfiato. « Non ti permetto di mandare a gambe all'aria il mio spaccio », dice infine in tono piagnucoloso, completamente domato. « Beviti la tua birra, paga al banco, canta buone canzoni tedesche, prega Iddio perché ci dia la vittoria e non fare casino! Se non ti comporti come prescrive il regolamento, ti sbatto fuori! » « Può fidarsi di noi, noi ci battiamo per la religione », lo rassicura Fratellino sporgendosi dalla finestra sconquassata per vedere dov'è andato a finire l'armiere. I tirapiedi vengono cacciati via dal tavolo con pochi cenni come uno sciame di mosche. « Fa' le carte! » ordina Wolf in tono amichevole. « La posta è raddoppiata! »

146 Weiss si fa largo e siede al tavolo. Poi chiede con arroganza le carte. « Chi diavolo ti ha invitato a giocare? » chiede Porta, mostrandosi estremamente sorpreso, ponendo l'accento sul « ti ». « Pensa ai fatti tuoi! » lo avverte Weiss con aria importante. « E poi, chi ti credi di essere? Io sono qualcosa di più di un merdoso Obergefreite! » Porta lo guarda con aria condiscendente. « Che mi venga un accidente! Non lo sai che ho lo stesso grado del comandante supremo, l'Obergefreite Hitler? » « Piantatela con queste puttanate! » interviene Wolf, categorico. « Distribuisci le carte, Porta, e tu, Weiss, chiudi il becco, altrimenti ti sbattiamo fuori! » « Sbattermi fuori dal mio spaccio? » urla agitatissimo il generalissimo dei cuochi, che ha tutta l'aria di voler menare le mani. « Il tuo spaccio? Qui non c'è niente di tuo », ribatte Wolf come se stesse stabilendo un dato di fatto. « Io ho ordinato all'Hauptfeldwebel Hofmann di darti la cucina perché ti consideravo uno dei miei. O mi sono sbagliato, per caso? » « Certo che lo sono. Faccio tutto quello che vuoi! » Il generalissimo delle pentole si è fatto strisciante come un verme. La sola idea di ritornare alla truppa gli fa venire i sudori freddi. « Vuoi più di quattro carte? » chiede Porta con un sorriso malvagio quando i suoi occhi esperti si accorgono che Weiss sta facendo sparire una carta. « Se pensi di farci fessi », tuona Wolf con finta indignazione, « vuol dire che non siamo più amici e che la tua presenza non è più necessaria. Vuol dire che dovrai

147 lasciare come un razzo il calduccio della cucina per ritrovarti in una trincea piena di ghiaccio a combattere la giusta, ma disperata guerra per il Führer e la Patria! » Weiss è imbronciato. La fine del mese è vicina e la sua situazione finanziaria è catastrofica. Ora deve vincere a tutti i costi qualche centinaio di marchi. In questo momento non può « prelevare » altri viveri per venderli al mercato nero. L'ufficiale addetto ai viveri ha già manifestato per la terza volta la sua sorpresa per la quantità di roba scomparsa. Basterebbe un nulla per far crollare il suo castello di carte. « Mi hai tutta l'aria di pensare alla corsa a ostacoli organizzata da Napoleone per arrivare a Mosca », fa con un sorrisetto cattivo Porta, osservando divertito la faccia pallida di Weiss. Wolf vince i primi due piatti e poi i tre successivi e manifesta rumorosamente il suo buon umore. « Di' un po', non stai per caso barando? » chiede Porta con aria indagatrice, guardando con occhi concupiscenti il mucchio di soldi davanti a Wolf. « Respingo le tue sporche insinuazioni con tutto il disprezzo che meritano! » risponde Wolf con arroganza. Gregor, di cattivo umore, si mette a bestemmiare. Ha già perso parecchi soldi. Il Vecchio tace, ma è nervoso. Ha perso duecento marchi che voleva mandare a casa, a Liselotte, la moglie. Weiss è sul punto di piangere, chiede un piccolo prestito a breve scadenza. Spera ancora che i mucchi di soldi davanti a Wolf e Porta possano cambiare padrone. Porta gli passa generosamente cinquecento marchi. « Mi basta una tua firmetta su questo foglietto! » Weiss legge rapidamente ciò che sta scritto sul foglio. « Ottanta per cento di interesse! » ulula poi, indignato.

148 « Ma questo è strozzinaggio bello e buono! Come ti permetti di fare una simile offerta a un tuo superiore, a un capocuoco? Non sai che è contro il regolamento e nella vita civile persino un reato? » « Dobbiamo proprio discutere gli aspetti legali della faccenda? » chiede di rimando Porta, fissandolo negli occhi. « Come la mettiamo allora con il fatto che un Oberfeldwebel si fa prestare soldi da un graduato di truppa? » « Un calcio in culo e addio spalline! » sbotta Fratellino, approfittando del fatto per nascondere due carte. Considera già suoi i soldi che Weiss si è appena fatto prestare. Weiss si rassegna e firma con aria risentita. Poi si affretta a mettere in tasca i cinquecento marchi, come se temesse che qualcuno volesse rubarglieli. Porta si schiarisce rumorosamente la gola. Uno scaracchio finisce in uno dei secchielli accanto alla porta. « Non fare il sozzone! » lo redarguisce Weiss con aria cupa. « Quello non è una sputacchiera, ma il secchiello per il caffè della Terza Compagnia! » « Va bene », risponde Porta all'istante. « La prossima volta ti sputerò in faccia! » Wolf esplode in una risata che sembra un nitrito e vince di nuovo. Anche Gregor si fa prestare dei soldi da Porta, naturalmente con l'interesse dell'ottanta per cento. Weiss depone le carte. Non riesce a capire come mai gli capitino sempre carte così brutte. È pallido come un cadavere. Per un attimo pensa di suicidarsi, ma poi rinuncia all'idea. Dopo tre mani alle quali non ha preso parte implora con un bisbiglio un altro prestito. Porta lo guarda con un'espressione dubbiosa ed esita

149 un bel po', ma poi gli passa trecento marchi, tirando fuori nel contempo un'altra « cambialetta ». « Che diavolo! » urla Weiss, rosso in faccia come un peperone. « Pagabile entro ventiquattro ore! Perché? » « Perché non offri garanzie », risponde con un sorriso spudorato Porta, continuando a distribuire le carte con dita esperte. « Perché non offro garanzie? » mormora Weiss, abbacchiato. Poi: « Che ne sai delle garanzie che posso offrire o no? » « Più di quanto ne pensi tu », ribatte Porta con l'aria di saperla lunga. « Non appena verranno a controllare i registri e a fare l'inventario della tua roba, raggiungerai le file dei grandi eroi ignoti che si battono al fronte. » La faccia di Weiss assume una tinta bluastra. « Stai insinuando che sono un ladro? » « Ho sempre pensato che tu sappia arrangiarti e non ho dubbi in proposito », risponde sfacciatamente Porta con un sorrisetto. Poi sobbalza quando si accorge di avere in mano tre re. Wolf nitrisce di nuovo e batte una manata presumibilmente amichevole sulla spalla di Porta. « Probabilmente hai ragione, Porta. Tu e io sentiamo il puzzo di un ladro di maiali a un chilometro di distanza. E Weiss emana un odorino di innocenza andata a male e di sudore sotto le ascelle che levati! » « Spero proprio che il tuo senso dell'umorismo ti renderà sopportabile la vista di questi », fa con un ghigno Porta, sbattendo sul tavolo con aria trionfante i tre re. « Auguro altrettanto a te », risponde con un sorriso Wolf, mettendo in tavola due assi e una donna. Contemporaneamente stende la mano per incamerare la posta di Porta.

150 « Fermi tutti! » grida Fratellino, facendo vedere due assi e un re. È riuscito a sostituire rapidamente un due con uno degli assi sui quali è seduto. « Non stai per caso barando? » chiede Porta, fissando con occhi duri Fratellino. « Mai lo farei in vita mia », protesta risentito Fratellino. Porta abbraccia con lo sguardo il tavolo. Sa che Fratellino ha barato. Il tre sul quale è seduto, e che ha scambiato con un re, minaccia di bruciargli le natiche. Non ha alcun dubbio che anche Fratellino sia seduto su una carta scambiata. Può chiedere, naturalmente, che l'amico si alzi in piedi per smascherarlo, ma se questi dovesse trovarsi in uno dei suoi piuttosto rari momenti di perfetta lucidità, chiederebbe a sua volta che tutti si alzino in piedi, il che smaschererebbe lo stesso Porta. D'altra parte è probabile che altri stiano in quel momento riscaldando delle carte con il sedere. Ciò significherebbe ricominciare la partita da capo previa restituzione ai proprietari dei soldi vinti. Porta fa un rapidissimo calcolo mentale e decide di lasciare le cose come stanno. Ha avuto una buona giornata con i suoi prestiti all'ottanta per cento e le vincite. Tuttavia si propone di tenere d'occhio Fratellino come un cane alsaziano che fa la guardia a un osso rubato. Porta vince i successivi cinque piatti. Weiss si ritira e scende in cantina per rifocillarsi con pane e zucchero. Ha sentito dire che lo zucchero è una fonte di energia. Porta gli concede un nuovo prestito, ma questa volta Weiss deve dargli in garanzia cinquanta chili di caffè. Che cosa berrà la truppa l'indomani mattina per prima colazione non lo preoccupa minimamente. Da quel momento all'indomani mattina c'è molto tem-

151 po, nel quale possono capitare tante cose. Improvvisamente, la porta si spalanca con fracasso e nello spaccio entra con passo marziale lo Zahlmeister1 Sieg che porta sotto il braccio una grande borsa di cuoio nero dall'aspetto minaccioso, munita dello stemma del Reich, l'aquila nazista. Grasso e pieno di ciccia, il contabile si lascia cadere su una poltroncina malconcia che scricchiola sotto il suo peso. Weiss diventa verde in faccia. « Che cosa diavolo fai tu qui? » chiede Wolf senza preoccuparsi di celare il disgusto per la visita inattesa. « Su, andiamo, che cosa ti prende? » lo interrompe Sieg con aria strafottente, sbattendo la borsa di cuoio sul tavolo dove questa assume l'aspetto minaccioso di una bomba a orologeria. « Sarebbe più intelligente da parte tua moderare un po' i termini, non ti pare? » Poi fa schioccare le dita rivelando con un sorriso maligno una doppia fila di denti anneriti dal fumo. « Forse sarebbe più intelligente da parte tua, figlio mio! » risponde Wolf con un ghigno davvero degno del suo omonimo a quattro zampe, il lupo. Un ghigno che non promette nulla di buono a Sieg. Questi guarda Wolf con le palpebre socchiuse. « Quello che devo vedere un giorno o l'altro è te e Porta imbottiti di piombo prima che finisca la guerra », sibila tra i denti, « dovesse essere l'ultima cosa che farò prima di crepare ». « Povero fesso! » fa Porta con un ghigno arrogante. Poi afferra il bicchiere pieno di vodka che Sieg ha davanti a sé e lo vuota con un unico lungo sorso. Non an1

Ufficiale contabile. Nell'esercito tedesco di Hitler, gli ufficiali contabili erano considerati dei paramilitari che non godevano dell'autorità degli ufficiali di arma combattente. (N.d.T.)

152 cora contento estrae un sigaro dal taschino della giubba di Sieg e chiede del fuoco. Sbalordito, Sieg gli porge il suo accendino d'oro massiccio. Porta impiega parecchio tempo per accendere il sigaro, ma alla fine ci riesce. Dopo aver lanciato alcune enormi boccate di fumo verso il soffitto, si mette in tasca l'accendino. « Non te l'ho mica regalato! » protesta debolmente Sieg. « Tu hai detto: 'Eccotelo', non è così? » lo interrompe Porta con aria condiscendente, « e io adesso ti dico: 'Grazie!' I regali sono sempre graditi. » « Questo non lo tollero! » esplode Sieg, infuriato. « Ti denuncerò, Porta! Sono uno Zahlmeister, io! » « Tu sei un idiota! » ribatte Porta. « Continua così e ti darò tanti di quei calci in culo da sollevarti fino al soffitto! » Sieg vede rosso, balza in piedi e rovescia il boccale di birra di Gregor. Il tavolo è inondato di birra. Gregor gli lancia occhiate di muto rimprovero, poi gli dice: « Attento a non annegare, ragazzo mio », e si mette ad asciugare la birra con la sciarpa da ufficiale di Sieg. « La mia sciarpa! » urla questi fumante di rabbia. « La mia birrai » replica sorridendo Gregor, scagliando la sciarpa fradicia sul pavimento ai piedi del contabile. « Che diavolo ti salta in mente? » grida Sieg serrando, impotente, i pugni. « Questa la pagherai cara! Non sono più un tuo compagno. Adesso sono uno Zahlmeister, e ho degli amici abbastanza potenti per schiacciare dei pidocchi come voialtri! » « Mi sembri un asino in fregola che raglia! » fa Porta

153 con aria sprezzante. « Zahlmeister, il buco del culo dell'Esercito. » « Adesso ti sei fregato con le tue mani! » grida Sieg, minaccioso, facendo roteare al di sopra della testa la sciarpa fradicia di birra. « Abbiamo deciso di toglierti di dosso il pesante fardello della vita », ribatte Porta con un ghigno diabolico. « Io ti darei un calcio in culo, se non avessi paura di perdere lo stivale », dice Wolf, stendendo la gamba che calza uno stivale da ufficiale, di quelli fatti a mano. « Vi dichiaro in arresto! » tuona Sieg, estraendo la Mauser dalla fondina. Poi, arma il cane della pistola e toglie la sicura. Dallo sguardo si capisce che è pronto a sparare. Con mossa fulminea, il Vecchio fa volare la pistola dalla mano dello Zahlmeister infuriato. « Adesso lascio a te la scelta: o sistemiamo la faccenda qui, su due piedi, oppure ti faccio rapporto! Se ti faccio rapporto non resterai più quella specie di ufficiale che sei. Del resto lo sei rimasto anche troppo a lungo! » dice il Vecchio, mettendosi in tasca la Mauser di Sieg. « Che cosa significa 'sistemare la faccenda su due piedi'? » chiede Sieg, interdetto. « Sei proprio un cretino! » fa il Vecchio, annuendo come per sottolineare ciò che ha detto. « Non sei cambiato affatto da quando facevi il sellaio nel nostro reparto. » « Avevo il grado di Oberfeldwebel », lo corregge Sieg, gonfiando il petto, « e ora sono un ufficiale! » « Tutte balle! » lo redarguisce il Vecchio con aria sostenuta. « Tu sei una specie di impiegato borghese in uniforme, nient'altro! E ora, che cosa preferisci? Vuoi che ti pestiamo qui o vuoi batterti con Porta dietro la

154 cucina? » Sieg, in preda all'incertezza, riflette furiosamente. È più alto e robusto di Porta e alla scuola reclute era uno dei pugili migliori. D'altra parte non si può mai sapere con Porta. Quello è capace di ogni sorta di diavolerie. Trascorso circa un minuto, annuisce vigorosamente. « Sono pronto a spaccare la faccia a quel figlio di puttana! » Porta, che si trova alle spalle di Wolf, dietro le quali si era messo al coperto, si alza e si toglie con fare cerimonioso la giubba. « Sono pronto a farmi spaccare la faccia, se quel vigliacco fottuto crede di essere capace di tanto. » Wolf si gira sulla sedia e gli bisbiglia qualcosa all'orecchio che fa prorompere Porta in una convulsa risata. Poco dopo siamo tutti radunati in cerchio dietro la cucina, in attesa dello scontro. Porta e Wolf si avvicinano l'uno all'altro e si mettono a osservare, simili a due vecchi gatti sornioni che la sanno lunga, Sieg. « Possiamo metterci i guanti? » chiede Porta con aria ossequiosa. « Mi dispiacerebbe rovinarmi le mani così curate su una faccia come quella. » « Puoi metterti anche un paio di stivali sulle mani, per quanto me ne frega », grida Sieg con aria sprezzante. « Tanto non colpirai niente. Penserò io a spiaccicarti prima sul muro. » « Lo sapevi che l'ufficiale del commissariato ti chiava la moglie mentre sei impegnato a contare sacchi di patate? » fa Barcelona con un sorrisetto sfacciato. « Vaffanculo! » sbraita Sieg, infuriato. « Mia moglie non è mai andata a letto con nessuno se non con me. Era vergine quando ci siamo messi insieme. »

155 « Se non lo fosse stata, non si sarebbe mai messa con te! » grida Fratellino, per provocarlo. « Con te farò i conti quando avrò sistemato questo qua! » ribatte Sieg con aria torva. « Mettiti quei guanti di merda! » grida poi, avvicinandosi a Porta che è ancora impegnato a infilarsi un paio di guanti neri. « Possiamo cominciare quando vuoi! » fa Porta con un ghigno, tirando bene i guanti. « Prima ripresa », ordina il Vecchio, abbassando la mano. Sieg parte all'attacco come un elefante imbestialito. Porta si scosta di un passo e Sieg gli passa accanto senza colpirlo, per investire invece Gregor che fa un volo e finisce nel campo di patate alle spalle. « Ehilà, io sono qui! » grida Porta che nel frattempo ha ripreso la vecchia posizione. « Perché diavolo te la prendi con Gregor, se devi batterti con me? » Sieg si rialza in piedi tirando su col naso e si strofina il pugno sinistro. « Io ti farò a pezzi a furia di calci! » ringhia. « Ti ridurrò a polpette, perdio! È da un pezzo che ti aspettavo al varco! » « Anch'io brucio dalla voglia di suonartele », fa Porta con un sorriso affabile. « Lo sai che mi viene l'orgasmo tutte le volte che sogno di schiacciarti come un rospo? » Poi si avvicina saltellando a Sieg, proteggendosi la faccia con le mani guantate. Sieg tenta di colpirlo con un potente sinistro, ma Porta non si trova più al posto di prima. Al che, Sieg si volta e vede una massa nera che sta per piombargli addosso. La massa nera lo colpisce in faccia con la violenza di un maglio. La martellata è cosi potente da sollevarlo da ter-

156 ra e scaraventarlo a qualche metro di distanza dove finisce su un fusto colmo di spazzatura. La faccia è ridotta a una specie di poltiglia, come se fosse stata colpita da una pallottola dum-dum. « Chiamate un infermiere », fa il Vecchio in tono brusco. Poi si affretta a rientrare nello spaccio. Non vuole sapere che cos'è accaduto. Wolf prorompe in una lunga risata. « La prossima volta ci penserà bene prima di concedere all'avversario di mettersi i guanti! » « Vorrà dire che avrà imparato qualcosa, no? » osserva ridendo Porta, sferrando con la mano guantata un pugno contro una pesante lastra d'acciaio appoggiata accanto alla porta. Il pugno produce una gobba nella lastra. « Che bello scherzo », grida Fratellino, pieno di ammirazione. « Guanti truccati! » Porta si toglie i guanti neri. Questi sono foderati di piombo. Guanti truccati russi, un'eredità lasciata dal tenente della NKVD caduto in combattimento. « Merde, ca va barder », commenta il Legionario, preoccupato. « Tra un paio di settimane, quando sarà di nuovo in grado di pensare, si renderà conto che quei guanti erano truccati! » « E chi se ne frega? » ribatte Porta, come se la faccenda non lo riguardasse affatto, picchiando con i guanti carichi di piombo sul muro. « Nei momenti difficili di questa guerra finora sono sempre riuscito a non perdere la testa e a cavarmela. » « E se quello ti spara nella schiena? » vuol sapere Fratellino, ben conscio che Sieg è un nemico pericoloso e spietato. « Io sono quello che ammazza la gente, non quello che

157 si fa ammazzare », risponde Porta con aria spavalda. Poi entra nello spaccio e vuota un grande boccale di birra. « Cristo, come piove! » esclama Fratellino, che trema tutto dal freddo, mentre arranchiamo al buio per ritornare in compagnia. Sull'albo della Seconda Sezione, la nostra, l'ordine del giorno per domani prevede un servizio Z.b.V. 1 La cosa ci scoccia. Z.b.V. può significare qualsiasi cosa. Alle sette e mezzo in punto saliamo sul cassone del grande Diesel Krupp che è venuto a prenderci. « Mi raccomando, fate fare bella figura alla compagnia! » tuona PHauptfeldwebel Hofmann quando l'autocarro si mette in moto. « Per dei tipi come voi è un grande onore essere stati prescelti per questa specie di servizio straordinario. Gli occhi del Führer sono posati su di voi! Petto in fuori, su con la testa, banda di avvoltoi che non siete altro! » Arrivati alla Sprea svoltiamo l'angolo e proseguiamo lungo il fiume nella direzione di Spandau. « Lo immaginavo », fa il Vecchio con aria stanca. « Un'esecuzione! » « Be', possiamo essere contenti: finirà presto e così avremo libero il resto della giornata », osserva Porta, cominciando a fare progetti per il pomeriggio. « Se avessi saputo che si trattava di un'esecuzione », fa Barcelona, risentito, « avrei marcato visita ». « È per questo che lo dicono solo all'ultimo momento », spiega Gregor manovrando l'otturatore del suo fucile. « Perché non fanno fare questi servizi di merda alle SS o alla polizia militare? » protesta Barcelona, incavolato. « Noi siamo soldati, non boia! » « C’est la guerre, tu sei uno schiavo del fucile come tutti 1

Zu besonderer Verwendung: servizio straordinario. (N.d.T.)

158 noi », lo ammonisce il piccolo Legionario. « Il soldato non deve ragionare. È un dovere per chi vive sul letamaio militare - sul quale probabilmente finirai anche tu i tuoi giorni. » « State tutti affaticando i cervelli, a furia di pensare troppo », osserva Fratellino con noncuranza. « Che te ne frega di quello che ti dicono di fare? Quando faccio fuori uno di quelli, mi fa lo stesso effetto come buttare in acqua uno di quei pagliacci della Reeperbahn. » « E pensare che a suo tempo tu stesso eri uno di questi pagliacci », osserva con sarcas'mo Porta. « Quando si è in miseria », sospira Fratellino, « anche tre marchi all'ora fanno comodo. » Arrivato in fondo alla Morellenschlucht, là dove crescono sulla sabbia gli alberi tutti sbilenchi a causa del vento, il camion si ferma. Tutti intirizziti saltiamo a terra. Un vento gelido ci scaglia in faccia minuscoli cristalli di neve, obbligandoci a sollevare i colletti dei pastrani pieni di umidità. « Avremmo potuto fare a meno di romperci il culo per pulire gli scarponi », fa Porta, di cattivo umore. « Guarda i miei! Già pieni di fango. Diavolo, adesso dovrò lucidarli di riuovo prima di andare a trovare le puttane al Cane Gobbo. » C'incamminiamo mugugnando sul sentiero di terra battuta dove migliaia di soldati sono passati prima di noi. Davanti a noi, in testa, arranca con le spalle curve il Vecchio. Ha un aspetto tutt'altro che marziale. La pesante P-38 gli pencola dal cinturone. Il caricatore contiene otto cartucce, otto colpi di grazia. Un ossuto Major della polizia militare, dall'aria malvagia, ci sta aspettando e ispeziona senza aprire bocca le

159 nostre armi. Ciò che lo interessa particolarmente sono i fucili. Ci insulta con ogni sorta di parolacce. Per lui non siamo altro che un branco di sudici maiali, indegni di indossare l'uniforme tedesca. La nostra vista gli dà il voltastomaco, e ce lo dice. Solo Julius Heide riceve parole di lode. « Riposo! Fate attenzione a ciò che sto per dirvi », grida l'ufficiale nell'aria ghiacciata. « Noi mettiamo ai condannati le pezze-bersaglio benché non sarebbero necessarie. Il motivo per cui le usiamo consiste nel fatto che abbiamo avuto storie con certi plotoni quando non le usavamo. E ora fate attenzione: voglio che tutt'e dodici le pallottole vadano a segno! Che Dio vi assista se trovo dei buchi in qualche altro posto! L'altro giorno, due fessi hanno colpito l'organo sessuale del condannato. Una trascuratezza imperdonabile! Mancare completamente il bersaglio non vi conviene, vi costerebbe troppo caro. Esercitazioni di tiro continue per tre settimane, di giorno e di notte. » Poi si piega varie volte sulle ginocchia e ci guarda con occhi cattivi. « Oggi dovete rigare dritto », continua con voce stridula. « Alle esecuzioni assisteranno dei testimoni! Non le solite merde del tribunale di guerra, no, ma. gente di rango più elevato, del Partito, della stampa e dell'amministrazione civile. Hanno chiesto il permesso di assistere alle esecuzioni. Vogliono vedere il sangue, bastardi pervertiti che non sono altro! La sezione distaccherà due squadre di sicurezza e nessuno, nemmeno il Reichsmarschall in persona, potrà oltrepassare i limiti di sicurezza. Non voglio in giro più cadaveri di quanto sia necessario. Lei, Oberfeldwebel », abbaia indicando il Vecchio, « è personalmente responsabile nei miei confronti perché vengano giustiziate solo persone condannate a morte. Una volta che me ne sarò an-

160 dato, e quando non sarò perciò più responsabile di tutta la faccenda, può ammazzarli anche tutti, per quanto mi riguarda! Del resto non sarebbe una gran perdita. Ma provatevi a colpire anche un solo osservatore mentre io sono ancora presente e responsabile, e farò trasformare in stringhe per scarponi le vostre budella, perdio! Noi siamo qui per eseguire un ordine e lo eseguiremo come si deve. Spero che non ci siano tra voi delle pappe molli, capaci magari di svenire. Se a qualcuno le ginocchia dovessero fare Giacomo, me ne occuperò personalmente una volta portato a termine il vostro compito. Gli raddrizzerò la schiena a furia di colpi in testa! Che diavolo stai combinando con il tuo elmetto? » grida poi inviperito a Fratellino che ha spostato l'elmetto sulla nuca al putido dsa failo sembrare uno zucchetto. « Come ti chiami? » « Creutzfeldt », risponde Fratellino, sbattendo Ale palpebre per liberarle dai fiocchi di neve. « Generale Creutzfeldt, forse? » tuona il Major, incavola, to. « Non ancora, signore », risponde Fratellino tergendosi dalla faccia un grumo di neve semisciolta. « Sei impazzito? Tieni le zampe luride lontane dalla fàccia quando sei sull'attenti! Oberfeldwebel, si incarichi lei di quell'uomo! » Il Vecchio si avvicina a Fratellino con le sue gambe arcuate, scuro in volto. « I corrispondenti di guerra vorranno fotografare 2 cadaveri », prosegue l'ufficiale, sempre irritato, « ma non vogglio che qualcuno di quei fessi attraversi il cordone pcima che* si sia spenta l'eco degli spari. È già accaduto in passato. C’è sempre il fesso nel plotone che fa partire il colpo quamdo gli altri hanno già sparato per

161 colpire, naturalmente, qualche fesso di spettatore. Io ci farei una risata sopra se non fossi responsabile dello spettacolo ». Heide e io riceviamo l'incarico di legare le vittime, il com-pito peggiore durante un'esecuzione, al che ci scambiamo una occhiata carica d'infelicità soppesando le corte funi che teniamo in mano. Poi ci dirigiamo verso i pali dove verranno legati i condannati. Ne serviranno due, così ci ha detto il Maajor. Infiliamo le funi nei buchi già praticati nei pali che sono poi delle vecchie traversine ferroviarie. Si distinguono benissimo i fori dove erano infilati i bulloni che trattenevano le rotaie. I pali sono dodici in fila. È ovvio, quindi, che um gran numero di esecuzioni possono essere compiute alla svelta, se necessario. Così rimaniamo tutti infreddoliti fermi davanti a questi pali finché non arriva l'ordine di rompere le righe. Tuttavia dobbiamo restare nelle immediate vicinanze, pronti ad assolvere il nostro compito. Degli osservatori straordinari non è arrivato finora nessuno. Abbiamo ancora un mucchio di tempo. I condannati arrivano sempre con almeno mezz'ora di ritardo. I testimoni sono già sul posto. Constatiamo con piacere che anche loro stanno tremando di freddo. Una cornacchia appollaiata su un albero contorto ci osserva con aria triste. Il vento manda folate di pioggia e di neve contro i terrapieni. Le funi infilate nei pali dondolano e hanno l'aria di invocare la presenza dei condannati. « Guarda un po' che razza di tempaccio per morire », sospira il Vecchio, depresso. Poi alza il colletto del cappotto, il che è proibito dal regolamento. « È sempre meglio del sole », riflette ad alta voce Gre-

162 gor. « Con il freddo che fa, l'idea di una bella tomba calda fa piacere. » « Perché, in nome del demonio, non si sbrigano per farci tornare a casa e dalle puttane, mi domando io? » brontola Fratellino, dandosi colpetti sul pastrano per togliersi di dosso la"neve fradicia che continua ad accumularsi. Poi scaglia una mela marcia contro Heide che si abbassa fulmineamente. Così, il frutto marcio lo manca e colpisce in pieno, tra i due occhi, il Major della polizia militare. Tutti osservano in trepida attesa e in silenzio l'ufficiale che si toglie dalla faccia i resti della mela marcia. Poi si toglie dalla testa l'elmetto lucidissimo di sua proprietà personale e lo esamina per un attimo con gli occhi ridotti a due fessure. Anche l'elmetto è coperto di frammenti di mela marcia. A questo punto, il Major si scuote. Con gli occhi che sputano fuoco e i cortissimi capelli ritti sulla nuca come i peli di un cane idrofobo si precipita su Fratellino vomitando un torrente di ingiurie e minacce. « Ti farò uscire le budella dal buco del culo, lurido porco! Che scherzi del cavolo sono questi? » È tutto rosso in faccia e ha l'aria di volersi mangiare vivo Fratellino. Questi, immobile sull'attenti, fissa con uno sguardo vuoto l'orizzonte. « Maiale, sei impazzito? Come ti permetti di bombardare un Major con mele marce? Ti ha dato di volta il cervello? Mi viene voglia di legarti a uno di quei pali al posto di uno dei condannati. » Per un intero quarto d'ora, Fratellino subisce una doccia di improperi. La cornacchia sull'albero contorto gracida con petulanza. Sembra quasi che stia ridendo. Anche il Major ha quest'impressione, a quanto pare, e lancia una pietra nella direzione del volatile, ma questo si solleva in aria

163 solo di qualche centimetro e ricade sul ramo dove comincia a lisciarsi le penne, in maniera da avere l'aspetto regolamentare quando l'esecuzione avrà luogo. Imprecando sottovoce, l'ufficiale si dirige verso una baracca dove il telefono sta suonando con insistenza. Al Major ci vorrà un po' di tempo per dimenticare la Seconda Sezione della Quinta Compagnia. Poi arriva, sollevando spruzzi di fango, un portaordini in motocicletta e chiede del Major. I soldati si scuotono. Qualcosa sta per accadere. Il Major esce dalla baracca. « L'esecuzione è rimandata di tre ore! » grida. Sembra che stia abbaiando. Riceviamo l'ordine di formare le piramidi con i fucili, così come i soldati in attesa hanno sempre fatto da quando sono state inventate le armi da fuoco. Adesso piove a dirotto, e anche il vento, che sta ululando, si è fatto più freddo. « Badate di essere sempre in ordine », fa il Major prima di allontanarsi a bordo della sua vetturetta, una Kùbel. « Tornerò presto! » I testimoni che devono assistere all'esecuzione per dovere d'ufficio sono in piedi accanto alla baracca e tremano dal freddo. Per un qualche motivo che nessuno conosce, l'ingresso alla baracca è vietato. II cappellano militare è blu in faccia. Tra tutti i presenti è : l'unico sprovvisto di pastrano. Questa è la nostra nona esecuzione da quando siamo insieme nella Quinta Compagnia. Prima, i plotoni di esecuzione venivano forniti dal Genio, ma ora si tratta spesso di uomini presi dal reparto di appartenenza del condannato. Il vento minaccia di gelarci la spina dorsale. Infreddoliti proviamo a riscaldarci le mani rosse e gonfie con il

164 fiato. Arriva di nuovo il Major e ordina che venga distribuito il rancio. Il solito fesso si è dimenticato di avvitare bene i coperchi delle casse di cottura, così la sbobba è solo tiepida. « Maledizione! » esplode Porta. « Noi abbiamo diritto al rancio caldo. Questa sbobba di merda », fa, picchiando ripetutamente il cucchiaio sulla gavetta, « è fredda come le chiappe di una scimmia nella stagione delle piogge! » Il motociclista ritorna. L'esecuzione è rimandata di altre due ore. « Significa che comincerà a fare buio quando dovremo farli fuori », constata Porta in tono risentito. « Spero solo che non ci obblighino a farlo con la luce artificiale. Mi è già capitato. Non è piacevole. Hanno dovuto portare il condannato di peso al palo, e quando hanno acceso i fari, abbiamo visto che si trattava di un'ausiliaria, una Blitzmàdel.1 Era davvero troppo. Due uomini del plotone hanno gettato il fucile a terra. Il Leutnant ha dato fuori di matto. Ha spezzato la spada in due sulle ginocchia e ha gettato i tronconi ai piedi del procuratore militare. Naturalmente lo hanno trascinato via e sostituito con un ufficiale della polizia militare. Solo allora abbiamo finito la ragazza dopo che un altro di noi era caduto svenuto a terra. Il fucile, l'elmetto e tutto il resto è finito ai piedi della ragazza che si è messa a urlare, per cui è mancato poco che ci mettessero dentro tutti. Il Leutnant è finito a Tor-gau per ritornare dopo un po' retrocesso a soldato semplice. Un anno più tardi lo hanno fatto fuori a Sennelager per diserzione. Una fucilazione con l'illuminazione artificiale non promette nulla di buono, secondo 1

Ausiliaria addetta ai collegamenti. (N.d.T.)

165 me. » « Una volta è capitato anche a me di partecipare all'esecuzione di una ragazza », racconta Gregor, « ma sotto un magnifico sole. È stato quando ero al Primo Reggimento di Cavalleria a Kónigsberg. Però ci avevano avvertito in anticipo che si trattava di una ragazza. Ci hanno riempiti di grappa. Così eravamo mezzi sbronzi quando l'hanno portata al palo. Pensavamo che fosse già morta, tant'era bianca in faccia. Quando abbiamo caricato i fucili, quella si è messa a vomitare con tale violenza che il vomito è arrivato fino a noi. Ho alzato il mirino in maniera da puntare l'arma in alto, al di sopra della testa. Non me la sentivo di ammazzare una donna! Mi sembrava che si fosse alquanto abbassata prima che noi sparassimo. Pendeva dalle funi in maniera strana, non come al solito quando sono liquidati. L'ufficiale della polizia militare, un po' pallido in faccia, si è avvicinato a lei per sparare il colpo di grazia. Ha fatto fuoco tre volte con la sua Walther. Noi stavamo sul riposo e osservavamo gli infermieri che tagliavano le funi per tirarla via dal palo. Poi arriva l'ufficiale medico e si mette a sacramentare e gridare come se gli avesse dato di volta il cervello. Non una sola pallottola era penetrata nel corpo della signorina! I miei undici compagni avevano avuto la stessa idea mia e sparato di proposito male. Anche l'ufficiale della polizia militare, ancora inesperto, aveva sparato i tre colpi di grazia in terra. « Il procuratore militare, il cappellano militare e tutti gli altri si misero a gridare. Che fregatura, e nemmeno organizzata. Del resto, anche la Blitzmàdel li aveva fregati. Era morta sul colpo per collasso cardiaco. « Naturalmente ce l'hanno fatta pagare cara. Con l'ufficiale della polizia militare in testa siamo finiti a uno

166 dei battaglioni 500 a Heuberg. In seguito ci hanno sparpagliati un po' dappertutto. Da quanto mi risulta, di quel plotone sono rimasto vivo solo io. E anch'io sarei morto da un pezzo se non avessi sorpassato con il mio camion da dieci tonnellate il mio generale. Naturalmente non sapevo che stavo sorpassando la macchina di un generale. Me ne sono accorto solo dopo averla sorpassata quando ho visto due della polizia militare inseguirmi a tutta birra con la loro BMW. Così ho dato gas per frenare subito dopo, di colpo. I due sulla BMW sono finiti nel fosso pieno d'acqua. Il generale, invece, aveva il radiotelefono a bordo della sua Horch. Quando sono arrivato all'incrocio di Kehl, ho trovato un intero esercito della polizia militare a darmi il benvenuto. « Con un sorriso cavallino, il generale mi ha chiesto se sapevo guidare altrettanto bene una vettura come sapevo guidare il camion. Non ho potuto negarlo. Al che ha cominciato ad agitarsi nella sua uniforme di generale a tal punto che il luccicore delle foglie di quercia d'oro sulle mostrine arrivava certamente fino in Francia. « Dopo avermi fatto parlare un po' si è fatto l'idea che dc>-vevo essere nato su un monoblocco, concepito da un paio di valvole. Due giorni più tardi ero il suo autista personale e se non fosse per l'Oberst Warthog lo sarei ancora oggi. Il che mi avrebbe dato la certezza di sopravvivere alla guerra. Essere l'autista di un generale significa essere sicuri della vita. Non ti capita mai di dover andare in posti dove potresti procurarti anche solo un graffio. » « Ma come diavolo fai ad avere tutte quelle croci e medaglie? » gli chiede meravigliato il Vecchio. « Succede a chi lavora alle dipendenze dello stato maggiore », risponde Gregor con fierezza. « Quando

167 davano una croce al mio generale, he davano sempre una, più piccina, anche a me. Quando lui si è beccato la croce di cavaliere con l'insalata, mi hanno dato la croce di ferro. In seguito mi hanno dato l'uovo d'argento al tegamino,1 così potevo anche trasmettere dei segnali ottici, tanto era lucida. » Il Major torna in città con la sua macchina. Noi, per parte nostra, cominciamo a nutrire la vaga speranza che l'esecuzione non avrà più luogo. Quando il Major ci volta la schiena, Porta alza il braccio destro teso e lo colpisce con la mano sinistra all'incavo del gomito, tanto per dirgli che cosa pensa di lui. « Non potresti aspettare fino a quando avrò dato il riposo? » ringhia il Vecchio, incavolato. « Non sarebbe stato divertente », ghigna Porta, irrispettoso. « Se avessi aspettato, lo stronzo sarebbe già stato lontano. » « E così, il nostro pomeriggio libero va a farsi fottere », sospira Fratellino, deluso. « Gli altri saranno già stati tutti in città e così non ci sarà più figa per noi. » « Ricordo quella volta, quando facevo il portiere al Gatto che scotta », interviene ridendo Porta. « Un bel pomeriggio, sul tardi, arriva una specie di matto alla ricerca di qualcosa per mettere a mollo l'uccello. Era un commesso viaggiatore in pentole e padelle e ne aveva tutto l'aspetto. Il tipo scompare nella stanza verde con Birgitte, la Mangiacazzi di Hochster. « 'Pentole e Padelle' comincia a morderle un orecchio. Lei gli dà un pugno e gli dice di piantarla. Un po' più tardi la morde alla mammella sinistra. ' Smettila di mordermi ', grida lei, innervosita. ' Se hai fame, ti porto un 1

La croce d'argento al valore, chiamata « uovo al tegamino » a causa della sua forma particolare. (N.d.T.)

168 cartoccio di noccioline. Questa è una bottega dove si chiava, non un fottuto bar per fare spuntini. Io non sono sul menù. Sono qui per farmi scopare, non per essere masticata! ' « ' Su, fa' la brava ragazza ', dice ' Pentole e Padelle ' con un'espressione furbastra sulla faccia. 'Altrimenti paparino dovrà sculacciarti, non ti pare? ' Poi la abbraccia e stavolta le morde l'altra mammella. Lei s'incavola e tenta di sistemarlo con un paio di ginocchiate nei coglioni, ma l'uomo è diventato un forzuto a furia di portare pentole e padelle in spalla e non si perde d'animo. La prende sulle ginocchia e si mette a sculacciarla a dovere sulle chiappe nude. « Avreste dovuto sentire le urla di lei, ma il tipo si scaldava sempre di più mentre continuava a sculacciare. Il culo di Birgitte era rosso come una stufetta di ghisa ben caricata, prima che la baldracca riuscisse a divincolarsi. Una volta libera, si mette a sputare e quando vede nello specchio grande il culo così malridotto comincia a bestemmiare come uno scaricatore di porto al mattino dopo la sbronza. Gli fa vedere le mammelle che portano ancora i segni dei denti di lui. ' Fottuto cannibale che non sei altro ', grida, fuori di sé. ' La prossima notte non potrò lavorare per colpa tua. Dove troverò l'uomo disposto a venire con me quando vedrà le impronte delle tue zanne sulle mie tette? Ti presenterò a Willy il Grosso, ecco che cosa farò! Quello pesa centoventi chili e ha un'ossatura che va d'accordo con il peso. Ti strapperà i coglioncini come si fa con i maialetti! ' « ' No, non ho alcuna intenzione di conoscerlo ', risponde, un tantino preoccupato, ' Pentole e Padelle '. ' Ho voluto solo divertirmi un po'! ' « ' Ma che carino, figlio di puttana pervertito che non

169 sei altro! ' strilla lei, risentita. ' Le mie tette sono il mio conto in banca, ragazzino! ' « ' Pentole e Padelle ' inghiotte a vuoto un paio di volte. È vero che non brilla per intelligenza, ma questo non vuol dire che debba sbattere la testa contro il muro per far funzionare il cervello. L'idea di incontrare Willy il Grosso sotto l'accogliente tetto del Gatto che scotta lo fa riflettere. Così mette mano alla tasca e tira fuori cinquecento marchi chiedendo se non potrebbero servire ad accelerare la guarigione dei segni lasciati sulle tette. « ' Sei per caso ebreo? ' chiede la Mangiacazzi. ' Sei circonciso? Non voglio storie con quei fottuti della polizia razziale! ' « ' Pentole e Padelle ' assume un'aria offesa e tira fuori il bigolo, un comune cazzo tedesco come ce ne sono tanti. Al che, la Mangiacazzi comincia ad avvicinarsi alla porta. Il tipo capisce il significato del gesto e tira fuori un altro biglietto da cinquecento. « ' Ne hai messo del tempo per arrivarci ', fa lei, sorridendo, e infila la banconota sotto il catino del lavabo. L'idea che potesse trattarsi di soldi falsi non le viene in mente. Così va, tutta contenta, a letto con ' Pentole e Padelle '. « ' Bon appetü, piccolo cannibale ', gorgheggia. ' Mastica tutto quello che vuoi e per altri duecento marchi puoi anche sbattermi. Io fornisco ai miei clienti ciò che vogliono, ma ogni cosa ha il suo prezzo! ' E geme di piacere mentre lui le fustiga con la cinghia le natiche. Quando poi si mette a morderla all'interno delle cosce, lei si mette a miagolare come una gatta alle prese con due esperti gattoni. « ' Tornerò presto ', promette lui, ma lei si rende conto che non manterrà la parola quando la polizia viene ad

170 arrestarla alla banca dove ha tentato di versare sul proprio conto i due biglietti da cinquecento marchi falsi. Lei, naturalmente, dice di non essersi accorta che si trattava di soldi falsi, ma la situazione peggiora quando la polizia trova una banconota balorda da duecento marchi nella sua stanza. È finita dentro e ne avrà per un bel po'. ' Pentole e Padelle ' non si è più rivisto. » « Praticamente non vale più la pena, o quasi, di vivere in Germania da quando abbiamo questa specie strana di socialismo », dice Gregor. « Una volta potevi dire a uno della pula di piantarla e di giocare a guardie e ladri da solo, se proprio ci teneva. Adesso, invece, quelli ti entrano in stanza nel bel mezzo della notte e ti tirano via dalla donna che stai chiavando. E se non confessi immediatamente, ti schiacciano la faccia finché non finisci per assomigliare a un bulldog, al punto che sei pronto a metterti ad abbaiare! » « All'estero dicono che siamo diventati uno stato poliziesco », fa Porta con un largo sorriso. « I diritti costituzionali e civili li puoi schiaffare direttamente nel culo di una puttana della Reeperbahn in pensione! » Fratellino, che sta mangiando pane e zucchero, ingoia con una certa difficoltà un enorme boccone e ne aiuta la discesa con una razione di grappa e un sorso di birra. Poi emette un formidabile rutto prolungato. « Puoi fare quello che vuoi », dice con aria apatica, « ma poi finisci sempre alla Davidsplatz, la stazione di polizia, dove ti fanno sedere su una sedia lucidata a specchio da centinaia di buchi del culo tremebondi. Poi ti dicono a quali domande puoi non rispondere in base agli articoli e ai commi di merda. Puoi avere anche un avvocato per difenderti, dicono, ma prima ancora di averti spiegato da che cosa ti devi difendere, cominciano a in-

171 terrogarti con un sistema capace di far confessare al Padreterno stesso e a Gesù, Figlio di Maria, di aver organizzato l'ultima rapina in banca in piazza Adolf Hitler e di aver fatto la pelle al cassiere perché portava la cravatta rossa. I diritti del cittadino », sibila con aria sprezzante, « sono tutte balle come la roba che sta scritta nella Bibbia! Se abiti a Sankt Pauli, sia la polizia sia i cittadini ti considerano un .delinquente che basta pestare a dovere per fargli confessare chi ha commesso l'ultimo delitto ancora misterioso sul quale loro stanno indagando. E se sei veramente nella merda e vai in una di quelle stradine laterali intorno alla Bernhard Nocht Strasse, là dove le battone riescono a farsi scopare solo al buio più completo, non fanno nemmeno la pantomima legale e ti aizzano contro i cani perché imparino come fare a pezzi un sedere. Hai sentito l'ultima? I cani lupo si sono masticati ben bene un altro povero fesso che non è riuscito a dare la tangente a quel bastardo della mafia! » « Sono proprio malvagi, quei cani. Ti fanno a brandelli il culo senza pensarci su due volte », fa Porta, disgustato. « A me non verrebbe mai in mente di tenere una bestiaccia del genere! Nemmeno se fosse capace di parlare dodici lingue e di scrivere in sanscrito e se conoscesse alla perfezione il regolamento sull'addestramento inglese e quello prussiano per le truppe a cavallo, con la capacità di recitarlo a memoria anche a rovescio. » « Quei cani sono veramente diabolici », fa Gregor con un accento di odio nella voce. « Del resto, tutti i cani sono stupidi. Guardate un po' come si comportano. Uno si mette ad abbaiare perché un ragazzino ebreo gli ha pisciato sul naso. Subito gli risponde da lontano un altro fesso a quattro zampe e poi un terzo. E continuano per tutta la notte, se è necessario. Anche se non c'è alcun

172 motivo per abbaiare. Solo per tenere sveglia la gente. Dio, come odio i cani! Ogni cane dovrebbe essere avvelenato, imbalsamato e montato su ruote in maniera che i fottuti amici dei cani potessero tirarseli dietro senza lasciare una scia di cacche per la strada. » « Dimmi », fa Porta, rivolto a Fratellino, « ti ha pagato Sieg? » « Mi ha riso in faccia e mi ha detto di dirti che sei sulla buona strada per finire in galera, dalla quale uscirai solo in posizione orizzontale con dodici pallottole in corpo », risponde Fratellino con una espressione melanconica sulla faccia. « Se non fosse stato in compagnia di quattro balordi quando me l'ha detto, lo avrei spiaccicato come un rospo. » « Gli farò a pezzi le rotule, a quel bastardo », esplode Porta, « e gli spezzerò i gomiti, tanto per fare un servizio completo. Poi lo farò rientrare nella figa tedesca di sua madre prima di aver finito con lui! » « Facciamogli un bel servizio prima con il coltello e poi con la pistola », suggerisce Fratellino con aria sorniona. « Non sopporto la gente di cui non ci si può fidare! » Porta solleva la gamba destra e fa partire un lungo peto. I signori fermi accanto alla baracca ci rivolgono occhiate cariche di riprovazione. « Badate a legarli bene », avverte il Vecchio, che vuol essere coscienzioso. « Ricordo un'esecuzione a Grafenwohr. Le funi non erano state annodate come si deve e il condannato si è messo a galoppare sul terreno dove avvenivano le esecuzioni come un pollo con la testa tagliata. Che scandalo è stato quello! Tutti sono stati presi dal panico. Il cap-

173 pellano militare restava a momenti secco quando ha visto il plotone di esecuzione dare la caccia al condannato sulla piazzetta. » « Buon Dio! » esclama Barcelona, sbalordito. « È riuscito a scappare? » « Ho detto che correva in giro come un pollo senza testa quando ti sfugge dalle mani », risponde il Vecchio, impassibile. « Roba da far rivoltare sulla sella il vecchio Attila », commenta con un ghigno Porta. « I borghesi non potranno mai capirlo », ammette Fratellino, scuotendo la testa. « È incredibile quello che può accadere nel nostro fottuto esercito. Quando facevo il caporale a Torgau, un bel giovedì mattina riceviamo l'ordine di liquidare una specie di marinaio. Era un tipo davvero strano che aveva fatto un mucchio di cose balorde nella sua vita. Aveva cominciato ad andare a scuola all'età di sette anni riuscendo a trascorrere tre anni nella prima e altri tre nella terza classe. Arrivato in quarta aveva lasciato la scuola. Quel tipo violava sistematicamente tutte le leggi tedesche come se lavorasse in base a un piano prestabilito. Aveva un certificato penale così lungo che ci volevano sei mesi per leggerlo. Al tribunale di guerra lo condannarono alla fucilazione, ma siccome si trattava di un tipo veramente eccezionale, gli commutarono la sentenza, condannandolo all'impiccagione. A Torgau c'era un Feldwebel che sapeva strangolare la gente con un pezzo di fune. Così gli diedero l'incarico di impiccare il marinaio. Solo dopo si sono accorti che il condannato praticamente non aveva collo. La testa era attaccata direttamente alle spalle. Ora, come si fa a impiccare un uomo privo di collo? Per quale altro motivo il buon Dio ha dato il collo all'uomo, mi doman-

174 do? Be', per farla breve, il boia e il condannato discussero la faccenda e si misero d'accordo di fare confezionare dalla Marina una corda speciale per l'occasione. Il Feldwebel promise al condannato di fare un lavoretto pulito e svelto, in maniera da non farlo soffrire, e qui commise il suo errore. Il primo tentativo andò a vuoto perché la corda non era stata stretta abbastanza. Così, almeno, dissero allora. Il marinaio scivolò attraverso il nodo scorsoio e cadde nel vuoto quando si spalancò la botola sul palco. Non si fece assolutamente nulla. Cadde a terra nel sottopalco dove prese a imprecare e bestemmiare. » « Non si sarà fatto male, spero? » chiede Porta, pieno di compassione. « No, per niente, tant'è vero che riuscì a risalire da solo sul palco della forca. Era il meno agitato di tutti noi. Fece una sfuriata al Feldwebel dandogli del fesso maldestro nemmeno buono a impiccare la gente. La volta successiva, la corda venne stretta davvero forte e persino il condannato dichiarò di essere soddisfatto. Ma tutto fu inutile. Il condannato sfuggì di nuovo al nodo scorsoio come un'anguilla. « ' Questo pezzo di corda è sufficiente per ammazzare il negro più robusto mai esistito al mondo ', gridò il marinaio risalendo sul patibolo per la seconda volta. « Il Feldwebel continuò a scusarsi e il rappresentante del tribunale di guerra promise al marinaio che avrebbe avuto salva la vita se l'esecuzione fosse fallita per la terza volta. Potete credermi o no, ma quello sgusciò anche per la terza volta dal nodo scorsoio. Il Feldwebel sembrava impazzito e si mise a correre in su e in giù sul palco della forca come se volesse mordersi il sedere. Poi, prima che qualcuno potesse fermarlo, infilò la testa nel

175 nodo scorsoio e saltò nella buca dove la botola era ancora spalancata. Quando lo abbiamo raggiunto era già morto. Una bellissima impiccagione, perfetta in ogni senso, eseguita dal boia a proprio danno. « Il cappellano militare si mise a conversare in latino con il Padreterno e il rappresentante del tribunale di guerra, il pubblico ministero e l'ufficiale difensore iniziarono una discussione legale che minacciò di finire a sberle. Il marinaio era stato condannato a morte una sola volta e loro lo avevano già giustiziato tre volte di fila. Era una cosa contraria al regolamento, disse il difensore. Così decisero di comune accordo di chiedere istruzioni alla procura militare, dimenticando peraltro che avevano promesso al marinaio la vita salva qualora l'impiccagione non avesse funzionato per la terza volta. « I testimoni se ne andarono come un sol uomo. Non ne potevano più. Impiccare lo stesso uomo tre volte di seguito nella stessa giornata era una cosa che nemmeno lo stomaco più forte di questo mondo poteva sopportare. « Quando tutti se ne furono andati, noi che eravamo di guardia andammo alla botola per tirarlo fuori, ma quello non voleva uscire di lì. Aveva perso la pazienza. « Il sottufficiale di servizio ci diede l'ordine di andarlo a prendere, ma nessuno si sentiva di farlo. « Così siamo andati a prendere un marinaio detenuto in una delle celle, che aveva venduto una lancia ai borghesi del posto mentre prestava servizio in Norvegia. Era un tipo simpatico, affabile che sapeva parlare in maniera convincente. Quello riuscì a far uscire il marinaio dalla botola senza ulteriori inconvenienti. « Be', dopo quell'incidente ci furono molte discussioni in vari tribunali, ma alla fine tutti decisero di comune

176 accordo di far ritornare l'uomo alla Marina per farlo fucilare benché qualcuno esprimesse il dubbio che le pallottole potessero rimbalzare, visto che era tutto pelle e ossa. « Poi, qualche furbastro a Kiel scoprì che l'unico mezzo sicuro per liberarsi di quel marinaio era quello di annegarlo, per cui decisero di farlo passare sotto la chiglia come usava una volta. Come sapete, i condannati a morte, per regolamento, non possono viaggiare in treno, per cui decisero di portarlo a Kiel in macchina. Quella fu la sua salvezza. La vettura, una Kubelwagen, non arrivò mai a Kiel dov'erano già pronti a far passare il marinaio sotto la chiglia. « Nelle vicinanze di Celle, un cacciabombardiere inglese che stava andando a zonzo, scorse la macchina e le piombò addosso. I tre cacciatori di teste finirono al piano di sopra e di loro rimasero solo gli elmetti e qualche distintivo. Il marinaio, invece, rimase perfettamente illeso. La morte proprio non voleva saperne di lui. L'uomo è scomparso da allora e non se ne sono più avute notizie! » « Sacre nom de Dieu, ca commence à bouillir. Come vorrei essere diretto in Francia con tutto ciò che possiedo sulla mia schiena », sospira il piccolo Legionario, accendendosi una Ca-poral. « La Francia, un bicchiere di buon vino e un piattone di bouillabaisse!. Mon Dieu, la nostalgia di casa mia mi sta facendo a pezzi! » « Non avrai per caso l'idea di squagliartela, eh? » chiede Porta, guardandolo con aria preoccupata. « I cacciatori di teste ti beccherebbero subito. » « Se tu dovessi farlo », dice Fratellino, « punta in quella direzione », e indica l'occidente. I testimoni accanto alla baracca passeggiano impazien-

177 ti. La nevicata si è trasformata in una pioggia gelata. Il telefono all'interno della costruzione fa udire il suo squillo petulante. Gli sguardi di tutti si dirigono verso la baracca. « La partenza è stata rinviata di altre due ore », ci grida uno del tribunale di guerra come se stesse annunciando un cambiamento d'orario dei treni. « Che gli venga un colpo! » impreca il Vecchio. « Illuminazione artificiale. » « Forse sono stati graziati », fa il Vestfalo, pieno di ottimismo. « Per la prima volta sarei davvero felice di aver aspettato inutilmente per tanto tempo. » « Nessuno viene più graziato di questi tempi », risponde il Vecchio con aria cupa. « Sono talmente malconci che non possono più permetterselo. » « L'altro giorno, a Halle, hanno tagliato la testa a due ragazze per aver comperato buoni annonari per il burro al mercato nero », racconta Gregor accarezzandosi il collo. « Se è cosi, è meglio mangiare margarina », commenta Fratellino, rabbrividendo. « Quand'è che andiamo a prendere la cena? » grida Porta da dietro un cespuglio dov'è accovacciato con i pantaloni calati fino alle caviglie. « Il Major non ha detto niente », risponde il Vecchio soprappensiero, « ma chi se ne frega! Andate pure a prelevare la roba! » Fratellino e Gregor si dirigono a passo spedito verso il camion. Sembrano due razzi. « Provatevi a toccare la carne di maiale e il minestrone di fagioli prima di essere di ritorno e vi sistemo io con il mitra! » grida Porta da dietro il cespuglio mentre si pulisce il sedere con una grande foglia di castagno.

178 Il minestrone emana un odorino estremamente appetitoso ed è denso e sostanzioso come dev'essere. C'è anche mezza cassa di bottiglie di birra per cui dopo un po' sembra di essere in osteria. « Non ci potrebbe essere nulla di meglio neppure per gli ospiti che stanno per lasciarci », osserva Porta con aria gioiosa, rimpinzandosi vigorosamente. I cucinieri si sono dimenticati di mandarci dei coltelli per cui dobbiamo passarci il grande pezzo di carne di mano in mano per strapparne a turno un morso. Non che per questo la carne sia meno saporita. « Avrebbero dovuto strofinarla con l'aglio, però », continua Porta, strappando con i denti un grosso pezzo di carne. « Sarò contento quando la guerra sarà finita », fa Heide. « Cosi potremo di nuovo partecipare alle grandi manovre, organizzate come si deve. » « Tu devi avere della merda al posto del cervello! » grida Porta scuotendo la testa. « Non appena una guerra è finita, voialtri figli di puttana sentite il bisogno di fare grandi manovre, e prima di sapere come sono andate le cose ne avete già cominciato una nuova per vedere se le manovre erano giuste o sbagliate, non è così? » « Non ci saranno altre guerre », ribatte Heide, sicuro del fatto suo. « La nostra guerra mondiale sarà l'ultima! » « Quale bisogno avremo allora, in nome del demonio, di un esercito e di grandi manovre? » chiede il Vecchio, incuriosito. « Perché l'esercito è un bisogno naturale come le prigioni e la polizia », risponde Heide con sussiego. « C'è qualcosa di vero in quello che dici », conviene Gregor, massaggiandosi soprappensiero il mento. « Un

179 paese senza esercito è come un uomo senza coglioni! » « Ne vuoi un po'? » chiede il Vecchio allo scritturale del tribunale militare che è seduto con noi. « No, grazie, non ho appetito », risponde lo scritturale, un uomo piuttosto anziano. « Tu m'emmerdes », esclama il Legionario, prorompendo in una breve risata. « Questo qui è spaventato quando vede come viene fucilata la gente! » « D'altra parte non è uno spettacolo piacevole », ammette il Vecchio in tono sommesso. « Tutti quelli che chiedono con tanto strepito la pena di morte dovrebbero vedere che cosa significa far fuori un uomo », sentenzia Gregor, tentando di scaldarsi con il fiato le mani rosse e infreddolite. « A Madrid non facevamo tante storie », interviene Barcelona. « Li mettevamo in piedi, in riga uno accanto all'altro, sotto un lungo muro e poi li liquidavamo con la mitragliatrice pesante. Sempre da sinistra a destra. Era come lavorare con la falce in un campo di grano. Dopo lavavano via il sangue con l'idrante e tutto era pronto per l'infornata successiva. Non c'erano testimoni né tutti gli ammennicoli come qui. Non avevamo tempo per roba del genere. Qualcuno dei condannati non era stato nemmeno processato. » « Beviamoci un po' di latte della follia per domare le nostre paure incontrollabili », fa Porta con una risatina, riempiendo i nostri gavettini. « Avete della grappa? » chiede lo scritturale, sorpreso. « Capisco dalla tua voce che questa è la tua prima escursione », fa ridendo Barcelona. « In queste occasioni c'è sempre dell'acqua di fuoco in giro! » Porta tende la mano con la gavetta per farsi dare un altro po' di roba da mangiare. Il suo stomaco sembra di-

180 latarsi a vista. Poi strappa via con i denti un grosso boccone di carne di maiale, lo mastica, lo inghiotte e lo fa scendere innaffiandolo con birra e grappa. « Dio mio, quanto riesci a mangiare », esclama il Vecchio, meravigliato. « Dove la metti, tutta quella roba? » Porta lecca il cucchiaio finché non è perfettamente pulito e poi lo infila tra l'orlo dello stivale e la gamba, in maniera da averlo a portata di mano se dovesse avere di nuovo fame; quindi si sdraia sulla schiena nell'erba bagnata, utilizzando l'elmetto come cuscino. « Passami la carne », ordina a Fratellino. « Non appena la vedo sento di nuovo il morso della fame », spiega con un sospiro. « Sono sempre stato così. » Poi solleva il sedere e fa partire una scoreggia simile a un colpo di tuono la cui eco arriva fino ai testimoni infreddoliti, sempre in piedi vicino alla baracca. « Hai mai avuto l'occasione di riempirti la pància fino a non poterne più? » chiede il Vecchio con un sorriso indulgente. « Mai! Davvero mai, in realtà », ammette Porta. Non ha avuto bisogno di riflettere sulla domanda. « Nel mio stomaco c'è sempre posto per un po' di roba in più. A casa di mio padre nella Bornholmerstrasse, la dispensa era sempre chiusa da due enormi lucchetti per impedire al figlio prediletto di vuotarla a suo piacimento. L'appetito mi ha messo nei guai persino dal verduraio dove lavoravo. L'uomo si accorse che avevo l'abitudine di assaggiare tutte le primizie. » Poi allunga la mano e tira fuori l'armonica a bocca. La voce di basso profondo di Fratellino gli fa eco. « Sie ging von Hamburg bis nach Bremen bis dass der Zug aus Flensburg kam. Holahi-holaho-holahi-holaho! Sie wollte sich das Leben nehmen

181 und legt sich auf die Schienen dann. Holahi-holaho-holahi-holaho. Jedoch der Schaffner hat's gesehen, er bremste mit gewaltiger Hand. Holahi-holaho-holahi-holaho. Allein der Zug, der blieb nicht stehen, ein junges Haupt rollt in den Sand... » 1 Il cappellano militare arriva correndo. È furibondo. « Vi proibisco di cantare quella canzonacela », urla con una voce che gli si spezza varie volte in gola. « Non riesce a controllare i suoi uomini, Feldwebel? » « Sissignore », risponde il Vecchio, restando seduto sull'erba. « Che sconcezza », continua indignato il cappellano militare. « Vi state comportando come dei teppistelli! » « È quello che siamo », fa con un sorriso sfacciato Porta. « Bornholmerstrasse, distretto di Moabit. » « Heyn Hoyer Strasse, Sankt Pauli », gli fa eco Fratellino, scanzonato. « Chiedi al padre di dirci, per favore », fa sorridendo Porta, unendo i tacchi come se volesse mettersi sull'attenti pur restando seduto, « se è mai andato al Cane Gobbo nella Gendarmenmarkt. Ci sono le più belle fighe di tutta Berlino. » « Che impertinente! » esclama, disgustato, il cappellano militare ritornando dagli altri testimoni vicino alla baracca. « La nuova moglie del comandante è un bel pezzo di 1

« Andò da Amburgo a Brema / finché il treno da Flensburg non arrivò. / Holahi-holaho-holahi-holaho! / Voleva togliersi la vita / e sui binari si sdraiò. / Holahi-holaho-holahi-olao. / Ma il capotreno la vide / e con mano possente frenò. / Holahi-holaho-holahi-holaho. / Il treno, però, non si fermò, / e una giovane testa nella sabbia rotolò... » (N.d.T.)

182 figa », dice Porta, atteggiando le labbra in modo strano. « Eppure, in quella donna c'è qualcosa che non va », osserva Gregor, pensieroso. « Ha gli occhi che chiamano il cazzo e mette sempre in mostra tutto quello che ha! » « È una vedova di guerra », dice Barcelona. « È la moglie del comandante », fa il Vecchio guardandolo sbalordito, « e il comandante era vivo stamattina, quando siamo partiti! » « Ciò non toglie che sia vedova di un Kapitanleutnant che si trova in fondo all'Atlantico con il suo U-Boot VII B », spiega Barcelona. « Forse è interessata alle scienze e sta studiando cazzologia », fa Porta, ridendo rumorosamente. « Prima la Marina, poi l'Esercito, e quando il nostro Herr Oberst raggiungerà in volo il Valhalla, quella si trasferirà all'Aviazione o alle SS! » « Eppure è un bel pezzo di donna », osserva Gregor con gli occhi luccicanti. « Gambe lunghe, culo tondo e tette al vento! Da lei non mi farei pregare. Io e il mio creapopoli saremmo pronti a entrare in lei come il coltello nel burro! » « Temo che resteresti deluso », ribatte Porta con l'aria di chi la sa lunga. « Quella puzza di Partito e organizzazione giovanile femminile a un chilometro di distanza. Non mi mera-viglierebbe se avesse infilata nella figa una croce uncinata che gira dalla parte sbagliata e se accettasse solo i cazzi che le assegna il Partito! » « Le troiette con la croce uncinata non sono le peggiori quando si tratta di sdraiarsi », lo corregge Gregor. « Vengono addestrate in speciali scuole per spose. Così possono soddisfare i felici sposi guerrieri quando quelli tornano a casa con la bandiera tedesca tutta lacera e il cazzo congelato! »

183 « Scuole per spose? » chiede il Vecchio con l'aria di assaporare le parole. « Ma esistono davvero? Credevo che fosse solo una barzelletta. » « Ma sentilo! » grida Gregor, indignato. « Il Partito insegna a queste sue troiette tutti i trucchi del mestiere. Del resto non le prendono neppure, se non sono già ben preparate in anticipo. Così, per esempio, infilano a queste ragazze un pezzo di gesso nel culo per insegnarci poi come scrivere: Ein Reich! Ein Volk! Ein Führer!i 1 muovendo opportunamente lo sfintere. Questi esercizi le rendono così attraenti da riuscire a far ricordare a un membro del Partito novantenne che possiede ancora un paio di balle striminzite tra le vecchie gambe arrugginite. » « Ho conosciuto una volta una contessa che era così altolocata da venire solo se le mordevi il culo e le riempivi la figa con champagne », dice il Vestfalo con voce tranquilla, come se stesse facendo una confidenza. « Donne di quella specie si trovano anche al Café Keese », interviene Fratellino con aria d'importanza. « È là che ho incontrato una volta una vera duchessa. Era una Hohenzollern. Alla Reeperbahn veniva in incognito e si faceva chiamare Ina von Weinberg. Era fissata con l'opera. Tutte le volte che si beccava un cazzo, si metteva a cantare a squarciagola roba di Wagner. Tutti nel casino sapevano con precisione quando lei lo prendeva nella potta. » « Ci sono sistemi molto più esotici di quello di farsi mordere il culo e cantare Wagner », fa Porta con un ghigno lascivo. « Dopo aver liberato Parigi abbiamo incontrato per caso un paio di bei pezzi di figa sedute davanti al Café de la Paix, in attesa di qualche cazzo di oc1

«Un unico Reich! Un unico popolo! Un unico Führer! » (N.d.T.)

184 cupazione. Una di esse teneva infilato nel buco del culo un tappo di bottiglia da champagne al quale era attaccata una corda di violino. Quando lei cominciava a gemere e ad agitarsi dovevi tirare lentamente la corda di violino e cavare fuori il tappo. Non potete immaginarvi che cosa usciva da quel culo. Sembrava la Marsigliese suonata a tutta pressione. » « Mi sembra un po' troppo complicato », osserva il Vecchio accendendo la pipa dal coperchio d'argento. « Ho sentito dire », continua Porta, « che la cosa riesce ancora meglio con un chiodo infilato nel tappo. Dovrebbe essere un chiodo del tipo a sezione quadrata, provvisto di scanalature, ma questa roba si può usare naturalmente solo con puttanelle che non hanno le emorroidi. » « Un buco del culo può servire a molte cose », dice Fratel lino con un ghigno. « Il ragazzino del pellicciaio ebreo, Da vid, nella Heyn Hoyer Strasse, era capace di suonare con un fischietto infilato nello sfintere le prime note di Deutscbland, Deutscbland über alles. Naturalmente riusciva a farlo solo dopo essersi riempito la pancia con una bella minestra di piselli. » « Lo suonava con il proprio culo? » chiede Heide, dubbioso. « Naturalmente », risponde Fratellino con aria fiera. « Quel ragazzino ebreo, David, era capace di spetazzare fino a quando gli faceva comodo. Una volta ha fatto impazzire i poliziotti del posto di polizia della Davidsplatz dopo essersi infilato in culo un fischietto da poliziotto. I mastini arrestarono tutti i ventriloqui della Reeperbahn credendo che fossero loro a imitare il fischietto della po-

185 lizia. Una volta siamo finiti non so come in una galleria dov'erano esposti dei quadri. Mentre attraversavamo un corridoio stretto, l'ebreuccio ha mollato un peto così formidabile che tutti i dipinti si sono scrostati, diventando così preziosi esempi della fottuta arte funzionale. » « Mia moglie ha combinato una terribile fesseria », fa il Vestfalo tirando fuori una lettera. « È incinta e non sa a chi deve il regalo. » « Lo deve sapere per forza », osserva Heide disgustato. « Tutte le donne tedesche sanno chi è il padre dei loro figli. » « Tu devi essere nato in un gasometro e raccolto in un i paiolo con un buco in fondo », ribatte il Vestfalo, incavolato. « Prova un po' ad avvicinare il culo a una sega circolare e indicare poi il dente che ti ha spaccato la chiappa. » « Tua moglie è per caso una di quelle? » chiede Heide con aria sprezzante. « Certo che lo è », fa il Vestfalo con aria fiera. « Credi che avrei sposato una di quelle donne che stanno sempre a casa e che riescono a venire solo con un manico di scopa? » « Presto sarà di nuovo Natale », osserva il Vecchio, soprappensiero e tenta di riaccendere la pipa che proprio non vuol tirare. « Mi sembra che sia passato più di un secolo da quando ho trascorso il Natale a casa con Liselotte e i bim-betti. » « Forse avremo un Natale matto come quello dell'anno scorso », fa Porta, speranzoso. « Un'idea balorda o l'altra verrà sicuramente in mente a qualcuno. » « Già, a Natale succede sempre qualcosa », commenta Gre-gor con una bella risata. « Non dimenticherò mai quella volta quando ero con il mio generale. Natural-

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186 mente non ho passato il Natale con lui. Mi mandarono alla mensa dei sottufficiali. Non è stata una scocciatura, comunque. Nel bel mezzo del pranzo, mentre veniva servita la carne, il Feldwebel Berg, il sottufficiale che dirigeva gli uffici del quartiere generale divisionale, tirò fuori la sua P-38 e se la puntò tra gli occhi. Tutti ebbero la netta sensazione che quello avesse l'intenzione di andarsene per sempre. Noi, invece, che eravamo vicinissimi a lui, ci eravamo accorti che aveva tolto il caricatore. Quel sottufficiale era uno che sapeva fare gli scherzi, perdio! « 'Addio, camerati! ' gridò, riuscendo a spremere un paio di lacrime birrose dagli occhi. ' I miei complimenti al Führer ', furono le sue ultime parole. Poi sentimmo un bang e metà della sua faccia fece un volo e finì nel grembo del nostro ca-pomeccanico. Sembrava una maschera carnevalesca, quella roba. Il Feldwebel Berg era celebre anche per la sua trascuratezza. Aveva tolto, sì, il caricatore ma si era dimenticato di avere la pallottola in canna, e questa fu la sua fregatura. Il bossolo della cartuccia finì in cima al budino che stavo mangiando. Non dimenticherò nai l'espressione buffa di metà della sua faccia prima che scivolasse sotto il tavolo. » « Anche a Capodanno di solito c'è gente che ci rimette le bucce », interviene Fratellino. « L'anno scorso mi trovavo a Bamberg. Che festa abbiamo organizzato quella volta! C'era con noi un tipo più scemo di una merda di vacca e proprio a lui avevano dato l'incarico di badare al deposito degli esplosivi. Il tipo si mette a frugare tra la roba nel deposito e ti trova un po' di quelle vecchie bombe da segnalazione che sembrano dei sigari brasiliani. Per accenderle bastava avvicinare un fiammifero o un tizzone. Il tipo scaglia la prima di queste bombe dalla

187 finestra poco prima di cena. Siccome non era facile accenderle, il Feldwebel della cucina gli aveva dato un sigaro acceso. Il tipo accende la bomba, la bomba si mette a friggere e il tipo mette in funzione subito dopo un'altra bomba. Dopo un po' dev'essere diventato matto perché si mette a lanciare bombe dalla finestra come se ne andasse della vita. Siccome, però, è sbronzo, le cose cominciano a mettersi male. A un certo punto, quello ti scaraventa fuori della finestra il sigaro e si mette in bocca la bomba. Tutta la mensa era piena di sangue e brandelli di carne. Il fesso era ancora in piedi e continuava a dondolare di qua e di là. Poi qualcuno grida: ' Buon Capodanno ', e quello finisce di schianto a terra. » « Aveva fumato l'ultimo sigaro, no? » osserva Porta in tono asciutto e si versa una generosa dose di grappa. Poi si mette a cantare ad altissima voce: « Liebe Leute, wollt' Ihr wissen, / was einem Fàhnrich einst gebürte, / ja, für die Nacht ein schònes Màdel / oder fünf und zwanzig Flaschen Bier... »1 I testimoni accanto alla baracca allungano il collo come tante galline che abbiano scorto un avvoltoio. II cappellano militare s'incammina nella nostra direzione, ma arrivato a metà strada rinuncia all'idea e fa dietrofront. È già quasi completamente buio quando una macchina, seguita da un autocarro e da un veicolo per trasporto truppe chiuso, scende rombante dalla collina. Tre della polizia militare in motocicletta con sidecar chiudono la colonna. « Eccoli che arrivano », esclama Porta tendendo il col1

« Cara la mia gente, volete proprio saperlo, / che cosa spettava a quei tempi a un alfiere? / Per la notte una bella ragazza / oppure venticinque bottiglie di birra... » (N.d.T.)

188 lo come un'oca che ha intravisto la contadinella con il mangime. « Che il diavolo se li porti! » brontola il Vecchio risentito, rassettandosi l'uniforme. « In piedi! Mettere l'elmetto! Prendere le armi! Adunata per tre! Muoviamoci! Quel dannato Major sarebbe capace di farcela pagare! Mettiti in ordine, Fratellino! » « Devo mettermi in ordine? » chiede Fratellino, sorpreso, con l'elmetto calato sulla nuca. « So di non essere bello, ma non lo sono mai stato! » « Prendi la tua roba e metti l'elmetto nella posizione giusta », grida il Vecchio, incavolato. I testimoni accanto alla baracca hanno smesso di conver sare. Gli occhi di tutti fissano i veicoli che si sono fermati dopo essersi inoltrati un po' sul terreno erboso. « Plotone at-tenti! » ordina il Vecchio e saluta il Major. « Tutto in ordine, Feldwebel? » « Tutto in ordine, Herr Major! » « Sono già arrivati quelli della propaganda e i guardoni? » chiede l'ufficiale, guardando nella direzione della baracca. « Signornò. Non li ho visti. » « Figli di puttana », ringhia il Major, sputando per terra. « I condannati sono arrivati adesso. Finiranno per crepare di paura se li lasciamo ancora seduti accanto alle bare destinate a loro! Che giornata schifosa! » L'ufficiale rabbrividisce sotto la pioggia gelida e indica il camion. « I fari sono là dentro. Li faccia montare subito, Feldwebel! Dobbiamo liquidarne tre! » « Tre? » esclama il Vecchio con un accento di paura nella voce.

189 « L'ho detto: tre! » La bocca dell'ufficiale si contorce in un ghigno che mette in mostra i denti. « Dovranno èssere fucilati uno alla volta. Così non ci sarà il rischio di dover ripetere l'operazione per qualcuno. Però dovranno essere portati ai pali contemporaneamente. È il sistema più facile. Cominceremo dal primo a sinistra! » « E i colpi di grazia? » chiede il Vecchio ancora attanagliato dalla paura. Il Major lo guarda per un attimo come se volesse indovinare ciò che il Vecchio sta pensando. « Questa faccenda le dà il voltastomaco, Feldwebel, eh? Non si preoccupi! A quella parte della cerimonia ci penserò io. Lei pensi a comandare il plotone senza pause tra un ordine e l'altro. Proceda speditamente! Un caricatore per ogni fucile. Ricaricare e mettere la sicura immediatamente dopo la prima salva. Poi puntare di nuovo. Capito? » « Signorsì! » risponde il Vecchio a voce bassa, inghiottendo saliva. Tre potenti riflettori vengono puntati sulle traversine ferroviarie verticali in funzione di pali da esecuzione. Il Major lancia due pezzi di fune a Gregor che è il terzo uomo del gruppo che dovrà legare i condannati. « Se dovesse accadere qualcosa che non è previsto dal programma normale », fa il Major con fierezza, « tenga presente che chi dà gli ordini sono io, nessun altro. Se do l'ordine di sparare, gli uomini dovranno sparare comunque, magari in faccia al cappellano militare o a un generale o contro chiunque. » Poi tira un profondo sospiro, si terge la faccia brutale e lancia lo sguardo di nuovo nella direzione della baracca. « Non si può mai sapere che cosa possono combinare i testimoni! » Due berline Mercedes grigio scuro, due macchine di

190 lusso con insegne di comando sui parafanghi, compiono un semicerchio e s'inoltrano sull'erba. A un certo punto, i fari delle due macchine investono il veicolo trasporto truppe attrezzato ad ambulanza. Nel malinconico crepuscolo s'intravedono a tratti le mostrine rosse e bianche di qualche generale. « Che Dio ce la mandi buona! » geme il Vecchio, innervosito. « Siamo in buona compagnia davvero. A chi diavolo dobbiamo far fare l'ultimo lungo viaggio questa volta? » « Notte e nebbia », risponde Gregor in tono cupo, riferendosi alle esecuzioni tenute segrete. I generali e gli ufficiali che li accompagnano conversano a voce abbastanza alta. Il profumo dei sigari di lusso che stanno fumando arriva a ondate fino a noi. Quelli della propaganda continuano a scattare istantanee con flash accecanti. Gli spettatori accanto alla baracca scompaiono. Alcuni ridono ad alta voce. Un Oberst offre da bere a tutti dalla fiaschetta tascabile. Poi arriva il Major che consegna quattro piccole pezze di tela bianca al Vecchio. « Ecco i bersagli », dice in tono asciutto. « Non appena i criminali saranno stati legati ai pali, lei appenderà queste pezze-bersaglio intorno al loro collo. » « Sono quattro?» prorompe il Vecchio, confuso. « Ecco il quarto che arriva », fa con un ghigno l'ufficiale indicando un furgone cellulare che scende dondolando dalla collina. Il Vecchio impallidisce. Quattro esecuzioni per un solo plotone! Un incarico davvero pesante! « Che tempo di merda », dice il Major alzando lo sguardo verso le nubi basse e minacciose. « Ha sempre

191 continuato a piovere per tutto il giorno, qui? » « Signorsì. Ha continuato a nevicare e piovere e a fare sempre più freddo », risponde il Vecchio vagando con lo sguardo sul terreno erboso. Il Major alza il colletto del pastrano fino a coprire le orecchie, annuisce con aria infastidita e si mette a osservare quelli della propaganda che continuano a scattare istantanee. « Se non fossi responsabile dell'operazione », dice a voce bassa, « mi piacerebbe tanto vederla far fuori quei maiali. » Poi guarda l'orologio e si rivolge a Heide. « Lei sa come bisogna legarli? Tra dieci minuti porteremo qui i protagonisti! » Però non ci dice perché ci vorranno esattamente dieci minuti. Il telefono nella baracca squilla di nuovo. « Se hanno deciso di mandare altra gente da fucilare », fa il Vecchio a voce bassa, « possono cercarsi un altro comandante di plotone! » « En avant, marche! Niente fesserie! » lo avverte il Legionario. Il Major ritorna dalla baracca con lunghe falcate. « Gruppo di sicurezza avanti marc'! » ordina a voce alta. Heide si dirige a passo cadenzato al veicolo dei condannati tenendosi quattro passi dietro all'ufficiale. In mano tiene i due pezzi di corda di canapa nuova come prescritto dal regolamento. « Quello mi dà davvero il voltastomaco », dice Gregor con disprezzo nella voce, infilando i pezzi di corda nel cinturone. « Non dovremmo andarci anche noi? » chiedo quando vedo che Gregor rimane fermo dove si trova.

192 « Lasciamo che ripeta l'ordine », fa Gregor. « Più prolunghiamo la faccenda e più a lungo resteranno in vita quei poveri diavoli! » « Non credo che ti ringrazierebbero per questo. » « Che diavolo state combinando voialtri? » tuona il Major voltandosi, quando si accorge che Gregor e io non ci siamo mossi. « Credete che sia venuta l'ora di andare a letto? Su, di corsa! » Lo raggiungiamo con una specie di piccolo trotto. I due pezzi di corda sono tenuti saldamente dalla mia mano sinistra. Non oso infilarli nel cinturone come ha fatto Gregor. L'ufficiale apre lo sportello posteriore del veicolo con una chiave speciale. Alquanto discosti, due Unteroffizier del genio si piazzano con le pistolemitragliatrici pronte allo sparo. I tre detenuti, incatenati l'uno all'altro, sono seduti all'interno del cassone su un'asse posta per traverso. Il fondo del cassone è coperto da uno spesso strato di segatura. Lungo una delle fiancate ci sono tre grossi sacchi di carta del tipo che i macellai usano per imballare i quarti di bue. Il battente della porta gira sui cardini e prende in pieno un dito del Major che prorompe in una serie di moccoli. Le gocce di pioggia schizzano dall'elmetto che ha in testa e gli colano sul suo pastrano di cuoio. « Maledetta merda », brontola incavolato, contorcendosi per infilarsi tra i battenti. Poi toglie le catene ai tre detenuti. « Fuori! » ordina con voce rauca, sospingendo i tre uomini. Questi cadono praticamente dal cassone e lanciano un'occhiata nervosa in giro. Il vento gelido non trova un ostacolo nella tela sottile della tenuta rossa che indossa-

193 no. Solo con difficoltà riesco a trattenere il vomito. Improvvisamente provo una tremenda nostalgia per il fronte. Vorrei essere lontano dalle ipocrisie delle sicure retrovie. Il Major in persona va a prendere il quarto prigioniero, un uomo anziano, pallido come un cadavere. Con lui si comporta educatamente, è quasi servile. « Da questa parte, Herr Generalleutnant », dice, indicando i pali per l'esecuzione. Guardiamo con curiosità il detenuto. Un Generalleutnant da fucilare! Raddrizziamo involontariamente la schiena. Il rispetto per un ufficiale di rango cosi elevato è profondamente radicato in noi. Heide gonfia il petto, posa la mano sulla spalla del più giovane dei detenuti e urla con voce gracidante: « Se tenterai di scappare, farò uso della mia arma! » Poi carica rumorosamente la pistola e la agita minacciosamente. « Stronzo fottuto », bisbiglia Gregor, sputando in terra per manifestare il suo disprezzo. Heide gli lancia un'occhiata cattiva e solleva lievemente la sua P-38. Per un attimo sembra che voglia sparare addosso a Gregor. « Non potreste rimandare le vostre contese private fino a quando tutto sarà finito? » chiede a voce bassa uno dei detenuti. Lo riconosciamo. È il nostro comandante del fronte artico. Heide china il capo e rimette la pistola nella fondina. Strettamente affiancati ai detenuti attraversiamo il tratto di erba bagnata. Occhi curiosi seguono dalla baracca ogni nostra mossa.

194 Sentiamo odore di sigaro. Quelli della propaganda preparano le macchine fotografiche e si danno spintoni per conquistare le posizioni migliori. Si insultano a vicenda. Io sto camminando accanto a un Feldwebel della Luftwaffe. Gregor e l'Oberst sono dietro a noi. « Se la squagli, se può, Herr Oberst », fa Gregor, dandogli con gentilezza un piccolo spintone. « Si metta a correre come il demonio. Fino ai ciliegi sono solo centocinquanta metri e nessuno del plotone farà fuoco mirato su di lei! » « Lei ha una fantasia molto fertile, Unteroffizier », mormora a voce bassa l'Oberst. « Dove dovrei scappare, secondo lei? » « Quanta merda », sospira Gregor con aria afflitta. « Fino a oggi, l'esercito mi piaceva. Da questo momento in poi, invece, ce l'ho a morte! D'ora in poi sarò senza pietà. O io o loro! » « Saranno loro », sorride l'Oberst, quasi divertito. « Il fottuto esercito se ne accorgerà! » sibila Gregor, infuriato, sferrando un calcio a un grumo di terriccio che si disperde tra i testimoni. « Hai per caso una sigaretta? » mi chiede il Feldwebel della Luftwaffe. Ne accendo una e gliela do. Poi gli offro il pacchetto. « Molto gentile da parte tua, ma non avrò tempo per fumarlo! » È severamente proibito dare sigarette ai detenuti, ma io non potrei fregarmene più di così. Non mi prendo nemmeno la briga di voltarmi per vedere se il Major se n'è accorto. Che cosa possono farmi, in fondo? Darmi sei settimane di rigore, e sei settimane di prigione di rigore non sono la morte.

195 11 Vecchio scorge l'Oberst Frick. Si avvicina a lui con passo risoluto e gli stringe fermamente la mano. « Muoviamoci », grida il Major, innervosito. « Facciamola finita! » « Quel figlio di puttana dovrebbe venire dalle parti nostre », ringhia Gregor con disprezzo. « Dopo un po' sarebbe trasformato in un colabrodo. » « Schiena appoggiata al palo », ordina il Major, sferrando un calcetto ài piedi del Feldwebel della Luftwaffe per indurlo ad avvicinare i tacchi al palo. Poi gli afferra con mossa brutale le braccia e le unisce dietro al palo. « Lega qui », mi ordina. Gli vomito sugli stivaloni lucidi. Il Major retrocede con un balzo, lanciando un urlo. « Non appena avremo finito qui ti farò pulire gli stivali con la lingua! » Con le mani che mi tremano tutte lego le braccia del Feldwebel dietro il palo. « Lega più stretto », urla il Major, infuriato. « Questo sarebbe un nodo, secondo te? » Poi mi strappa di mano l'altro pezzo di corda e lega personalmente i piedi del sottufficiale. « Tu sei il più malvagio figlio di puttana che io abbia mai conosciuto », dice il Feldwebel, incavolato, e sputa in faccia al Major. « Sei impazzito? » urla l'ufficiale. « Questo ti costerà...! » S'interrompe rendendosi conto che non può fare proprio nulla al sottufficiale. « Lo sai che ti stai comportando in maniera davvero buffa? » fa il condannato con disprezzo nella voce. « Prima o poi qualcuno legherà te a un palo per fucilarti! » «È proprio questo il punto in cui hai torto», ribatte il Major con un ringhio. « Queste cose capitano solo a nul-

196 lità come te. » Poi si volta sui tacchi e raggiunge il palo accanto, dove aiuta Heide che deve legare un soldato semplice. Fatto questo si mette a controllare le corde che tengono legate l'Oberst. Gregor non lo ha legato particolarmente bene. È ossessionato dall'idea che Frick deve scappare. Il Major arrabbiatissimo urla contro Gregor. Poi si occupa personalmente del Generalleutnant condannato. « Le pezze-bersaglio », grida con impazienza, rivolto al Vecchio, « voglio le pezze bianche, Feldwebel! » È talmente arrabbiato che vorrebbe fare tutto da solo. Quando arrivano le pezze, le strappa dalle mani del Vecchio e le appende al collo dei condannati. « Cappellano! » grida poi rivolto al gruppo dei testimoni. « Ma dove diavolo si è cacciato? » Il cappellano militare esce camminando come una donnicciola dalla baracca con la Bibbia in mano. « Per che cosa crede l'abbiamo fatta venire qui? » grida il Major, quasi fuori di senno. Innervosito, il cappellano lascia cadere la Bibbia, la raccoglie e la pulisce. Poi bofonchia parole incomprensibili a ogni prigioniero. Fatto questo ritorna con passi incerti nella baracca, come se volesse nascondersi. « Pronti, Feldwebel », brontola il Major aprendo la fondina della pistola. « Plotone fronte a destr' front'! » ordina il Vecchio con voce rauca. Il plotone esegue il movimento con notevole rumore. Fratellino lascia cadere il fucile. Poi, con un'alzata di spalle, lancia, come per scusarsi, un sorriso al Major che è rosso in faccia come un'aragosta. « Puntate! »

197 Un altro fucile cade con fracasso, e il Vestfalo piomba a terra lungo disteso, a faccia in giù. « Che razza di vecchie donnicciole piene di fifa! » tuona la voce del Major. « Smidollati! Finocchi! » « Fuoco! » ordina il Vecchio. L'esplosione' assomiglia a un terremoto e scuote l'intera Morellenschlucht. I lampi di quelli della propaganda divampano come tante piccole saette. II soldato di fanteria si accascia, trattenuto dalle corde. Ha il petto ridotto a una massa piena di sangue. Il Vestfalo giace ancora svenuto a terra. Nessuno bada a lui. L'elmetto gli è caduto dalla testa e la pioggia lo sta riempiendo. « Caricate! » ordina il Vecchio distogliendo lo sguardo dai pali per dirigerlo oltre l'altura. Gli otturatori scattano e una nuova cartuccia viene spinta nella camera di scoppio. « Puntate! » I fari illuminano il palo successivo. Il viso del Feldwebel della Luftwaffe è bianco come la calce sotto quella luce cruda. Persino il rosso-sangue della sua uniforme da detenuto sembra bianco. « Fuoco! » Ecco di nuovo la tremenda salva e l'eco proveniente dai terrapieni situati sul lato opposto della valle. Il Feldwebel è legato così strettamente al palo da rimanere perfettamente in piedi. La sua faccia ha un aspetto orribile. Una pallottola gli ha strappato via il labbro superiore, spezzato i denti e dilaniato la gengiva. I fari si spengono e per la terza volta risuonano sotto la pioggia i comandi. « Caricate! » « Puntate! »

198 I fasci di luce si concentrano sull'Oberst che ha gli occhi sbarrati e un sorriso sfottente sulla bocca. Con quella luce non può vedere quelli che lo stanno fucilando. « Rimettici i nostri debiti », mormora il cappellano militare con fare ipocrita. « Fuoco! » Ecco la salva. Frick si piega in avanti e rimane appeso come un ramo spezzato alle corde. Si sta facendo sempre più buio. I fari si spengono e la pioggia diventa più forte. I mulinelli del vento sollevano una infinità di foglie secche che si sparpagliano sul terreno. Fratellino lancia, rivolto al mondo sommerso dalla pioggia, una lunga incredibile e feroce bestemmia. Il Major volta di scatto la testa e lo guarda. Fratellino se ne accorge e risponde con un'alzata di spalle. L'ufficiale della procura militare si avvicina al General-leutnant Wagner e gli dice qualcosa che nessuno può udire. Il Major fa un cenno al Vecchio. « Puntate! » ordina il Vecchio. I fari si accendono di nuovo. Sulla faccia del Generalleutnant compare un fiero sorriso. « Fuoco! » gracchia la voce del Vecchio, sopraffacendo il rumore della pioggia. Le canne dei fucili si abbassano. Quattro in fila è troppo. La salva non è una salva. I colpi si susseguono a intervalli irregolari. Il condannato urla. Nessuno dei proiettili ha provocato una ferita mortale. Un paio di fucili cadono con fracasso a terra. Due uomini sono svenuti.

199 Il Major si mette a gridare istericamente: « Fuoco! Fuoco! » Il Vecchio lo guarda interdetto. Non sa che cosa fare. L'intero plotone è andato a pezzi. Porta e Fratellino fanno dietrofront e si allontanano tranquillamente con i fucili sulle spalle, come due cacciatori di anatre che se ne tornino a casa. Qualche lampo dei fotografi spezza il buio della notte. « Spegnete quei fari », urla qualcuno. Un Oberstabsarzt arriva di corsa. Wagner, gravemente ferito, si lamenta da spezzare il cuore. « Ma fate qualcosa, perdio! » grida Barcelona, quasi fuori di senno. Il Major, confuso, lo guarda. È pallido come un cadavere. Poi si scuote, estrae con mossa fulminea la Walther dalla fondina, si avvicina di corsa al palo e appoggia la bocca della pistola alla nuca del Generalleutnant. Ma lo sparo non viene. Si sente solo un clic. Il Major si volta di colpo e fissa interdetto la pistola. Adesso, una strana luce brilla nei suoi occhi. Questo è troppo persino per un incallito ufficiale della polizia militare. Il Vecchio si scuote improvvisamente. « Puntate! » tuona con una voce che sembra quella di un pazzo. Gli uomini del plotone, stravolti, puntano. Con il buio che c'è, il palo si distingue solo vagamente. Nessuno pensa ad accendere i fari. Il Vecchio volta la schiena al palo e guarda il plotone. « Fuoco! » grida con voce stridula. Si sente il rumore degli spari, peraltro spezzati da intervalli. Il Major caccia un lungo urlo stridulo e cade a terra.

200 Tra i testimoni scoppia il panico. Poi arriva correndo un gruppo di ufficiali di stato maggiore con due generali in testa. « Scaricare le armi, mettere la sicurezza, spall'arm! » ordina il Vecchio con la precisione da ben addestrato sottufficiale. I generali si fermano proprio dirimpetto al plotone e guardano, tutti confusi prima noi e poi Wagner giustiziato che pende ancora dalle corde con il petto fatto a pezzi. Quindi guardano il Major che si è accasciato in una pozza di sangue accanto al palo. Ha la faccia a brandelli. Inoltre gli manca una buona parte del collo. Il Vecchio sbatte i tacchi e porta la mano tesa all'orlo dell'elmetto. « Herr General, gli ordini sono stati eseguiti! » « Grazie, grazie », risponde questi con voce sottile, tutto confuso. Non sa ancora bene che cos'è accaduto. L'altro General guarda di nuovo il Major morto. « È stata solo colpa sua », grida, come per giustificarsi. « Secondo il regolamento è proibito camminare davanti a un plotone di esecuzione! Questa faccenda dev'essere considerata alla stregua di un deplorevole incidente! » « E i colpi di grazia? » chiede l'Oberstabsarzt. Un Oberstleutnant estrae improvvisamente la pistola e va con passo fermo da un palo all'altro. Tutte le volte che si ferma, si sente una breve detonazione. L'ultimo colpo di grazia è per il Generalleutnant. L'Oberstleutnant guarda per un attimo il Major prima di rimettere la pistola nella fondina. Poi arrivano due infermieri con sacchi di carta sotto il braccio e infilano le salme con una certa difficoltà in quelle strane bare. « Non potreste darci una mano, voialtri due? » gridano

201 con voce irritata, rivolti a Porta e a Fratellino, che stanno parlando con due soldati del genio accanto all'autocarro più vicino. « Non è affar nostro », risponde Porta, risentito. « Non siamo spazzini! » « Buchi del culo », gridano gli infermieri in risposta. « Volete sfidare la fortuna? » chiede Porta, estraendo il mazzo di carte e suddividendolo in quattro mazzetti sotto gli occhi di quelli del genio. Uno punta cinque marchi, con circospezione, l'altro, due* marchi. « Che diavolo? » grida Porta con tono sprezzante. « Credete che sia una fiera di beneficenza o qualcosa del genere? Non si punta meno di una tonnellata! » « Tu devi essere matto », risponde uno dei genieri, ma estrae una banconota da cento marchi mentre sta ancora parlando. Porta volta il mazzetto sul quale il geniere ha puntato. «Vedi», fa con un sorriso al geniere che ha vinto. «È facile, no? » Poi gli passa duecento marchi. Quando i genieri hanno vinto quattro volte in fila, Porta propone che si giochino tutta la vincita. « Offro cinquecento contro uno », dice con un ghigno palesemente falso. Ma quelli del genio non osano. Puntano quattrocento marchi e vincono di nuovo. « Adesso vi dispiace di non aver accettato la proposta, no? » dice Fratellino con aria subdola, accarezzando una banconota da cento marchi. « Mi sta proprio bene », dice uno dei genieri, deluso, per puntare poi tutto ciò che possiede, più di quanto abbia già vinto.

202 « Ci stai anche tu? » chiede Fratellino dando un piccolo spintone all'altro soldato. Questi annuisce con aria cupa e vuota le proprie tasche. « E tu? » chiede, guardando Fratellino. « Ho una strana sensazione », risponde lui, posando un biglietto da cento marchi. Porta volta il mazzetto. Asso di picche. I due genieri hanno rispettivamente un dieci e un cinque. Fratellino ha un re. « Così va il mondo », sospira Porta incamerando il gruzzolo. « Perché non avete puntato la penultima volta? A quest'ora sareste ricchi. Be', ci vediamo! » dice poi, incamminandosi verso l'autocarro sul quale si sta arrampicando il plotone. Gli infermieri scaraventano l'ultima delle salme nel furgone cellulare. Poi si sente un gran sbattere di sportelli e ben presto i veicoli scompaiono dietro la collina. Non appena rientrati in caserma, ci danno della grappa e una razione viveri speciale. Wolf viene a trovarci. Con il suo solito fare da boss della malavita si accende un gigantesco sigaro e ci soffia il fumo in faccia. « Mi sarebbe piaciuto tanto che ci fosse toccato fucilare te, oggi », fa Porta in tono amichevole. « Ti avrei sparato personalmente nei coglioni! » « Siamo un po' sconvolti, eh? » fa Wolf con un ghigno cattivo. « Lo sarei anch'io al vostro posto. Sembra che abbiate tutti della segatura al posto del cervello. Non vi siete ancora accorti che la merda vi sta arrivando al collo! Quando la guerra sarà finita e qualcuno comincerà a fare i conti, tutti voialtri finirete probabilmente al muro! » « Che cosa significa questo? » chiede il Vecchio, che si

203 è fatto improvvisamente molto attento. « Chi dovrebbe fucilarci? » « Gli Yankees, forse », risponde con un bel sorriso Wolf, « per non parlare di Ivan! » « Chiudi il becco, disgraziato! Hai la fantasia di un topo ammalato », grida Porta, la cui voce tuttavia tradisce una certa preoccupazione. « Ma se quei figli di puttana fanno le stesse cose! » protesta Gregor, arrabbiatissimo. « Certo che le fanno », ribatte Wolf con un sorriso diabolico, « ma chi andrà a dirglielo quando avranno vinto la guerra? I vincitori hanno sempre ragione. La parte del bastone piena di merda tocca sempre ai perdenti! Vedrete come andrà a finire! Vi strapperanno le balle per non esservi rifiutati di procedere a quell'esecuzione! » « Non possono fare una cosa del genere », protesta Fratellino a voce alta. « Chissà dove sarei ora se avessi detto al Major di non volerlo fare? » « Quello ti avrebbe fatto fuori su due piedi », ghigna Wolf, divertito. « Questo lo sanno anche gli Yankees e Ivan », risponde Barcelona con aria preoccupata. Barcelona trema già all'idea di una pace che si sta trasformando da una rosea speranza in una terribile minaccia. « Certo che lo sanno », ribatte Wolf con malizia, mettendo in mostra una chiostra di denti ben curati. «Ma non gliene importerà niente. Avranno bisogno di qualcuno sul quale scaricare il loro desiderio di vendetta e i figli di puttana superflui come te vanno proprio bene per un lavoro del genere! » « Ma quelli non farebbero mai una cosa del genere », protesta Gregor con aria impaurita.

204 « Non hai mai provato ad ascoltare la radio del nemico? » fa Wolf con l'aria di uno che la sa lunga. « Se l'avessi mai ascoltata pregheresti che questa guerra duri cent'anni! » « Devono essere tutti impazziti », osserva il Vecchio, preoccupato anche lui. « Non più di quanto lo siamo noi. » Wolf prorompe in una fragorosa risata. « Devo proprio dire che sono contento di non aver mai preso parte a un'esecuzione, gran Dio! Ma se la cosa può consolarvi, vi assicuro che sarò presente quando vi fucileranno! Io proverò compassione per voialtri, ma voi non mi chiedereste mai, eh?, di crollare quando vi manderanno al Valhalla con dodici buchi di pallottole nel corpo! » « Sembra che dobbiamo fare, di tutto per vincere questa fottuta guerra », dice Barcelona pensieroso, respingendo la roba da mangiare. Non ha più appetito. « Sin dal giorno della mia fottuta nascita ho avuto una sorta di premonizione che la vita sarebbe stata una faccenda non solo da pazzi ma anche cattiva, malvagia », afferma Fratellino con aria convinta. Poi ordina della birra e della grappa e promette un fracco di legnate al Gefreite dello spaccio se non gli porta con la velocità di un razzo ciò che ha chiesto. Noi anneghiamo le nostre paure in secchi pieni di birra e vodka. Poi cominciamo ad aggiungere del vino rosso alla birra e raggiungiamo più presto il traguardo. Quando attraversiamo cantando il cortile della caserma dopo essere usciti dallo spaccio, è già molto tardi. Il « la » ci viene dato da Fratellino con il basso più birroso che si sia mai sentito. « Er wollte mal, er konnte nicht, er hatt' ihn in der Hand, da ist er voli Verzweiflung die Stube lang gerannt.

205 Er wollte mal, er konnte nicht, das Locb war viel zu klein... » 1

1

« Lo aveva in mano, avrebbe voluto tanto, ma non poteva, / così si mise a correre per la stanza disperato. / Avrebbe voluto tanto, ma non poteva, il buco era troppo piccolo.» (N.d.T.)

206 Per ordine del Comando Supremo delle Forze Armate, il criminale venne fucilato il 27.12.1944 alle ore 06,55. La somma di 100 Reichsmark è stata pagata alla signora Vera Bladel per l'assistenza prestata durante l'arresto. Reinold, Major, Geheime Feldspolixei

Due infermieri tengono saldamente il corpo pieno di sangue inchiodato al tavolo. Gli premono un tampone di garze sulla bocca per smorzare le urla. Tutti i sedativi e gli antidolorifici sono stati ormai consumati da un pezzo. L'infermiera russa porge man mano gli strumenti chirurgici all'Oberst-absartz. « Tenetegli ferme le gambe », ordina questi con voce opaca. Poco dopo, la gamba amputata finisce su un mucchio di altre membra amputate. « Deceduto », conferma il Feldwebel di Sanità mentre i suoi occhi incontrano quelli dell'Oberstabsartz che, pallido come un cadavere, fa un breve cenno con la mano. Il carrista morto viene scaraventato fuori come un sacco di patate su un già considerevole mucchio di cadaveri. Domattina per tempo saranno sepolti in una fossa comune tra gli abeti. Una colonna di ambulanze si ferma davanti al kolkhoz che è stato trasformato in un ospedale da campo avanzato. Un orribile puzzo, simile a quello che circonda i mattatoi, appesta l'atmosfera intorno alle ambulanze. Soldati feriti che gemono vengono trascinati nel kolkhoz. Un sottufficiale della Sanità fa il primo esame e decide la loro destinazione. I casi senza speranza vengono spinti da un lato, gli altri trasportati nella sala operatoria. Ma la maggioranza dei casi è senza speranza.

207

LA FUGA NEL corso della notte, la maggioranza dei detenuti, sia i rossi che i verdi, vengono prelevati dalle celle e incolonnati in lunghe file. Le conte si ripetono continuamente. Le guardie diventano sempre più isteriche quando il numero dei detenuti presenti non coincide con quello degli elenchi. « Credi che ci mitraglieranno a file intere? » chiede un Unteroffizier detenuto bisbigliando all'uomo accanto. Nessuno risponde. Nessuno sa nulla. Tutti temono il peggio. Da ogni parte dell'immensa galera arrivano, incitati da ordini energici la cui eco rimbalza dalle pareti, torrenti di detenuti. Dopo una lunga notte di nervosa attesa vengono avviati di corsa al magazzino vestiario dove ricevono ognuno un'uniforme lurida, sprovvista di distintivi. Un Unterfeldwebel retrocesso dal grado ghigna con sarcasmo indicando con il dito dodici fori malamente rammendati. « Il precedente proprietario è deceduto improvvisamente », constata con voce asciutta. « Battaglione di disciplina », mormora un ex Oberfeldwe-bel nell'uniforme verde quando gli danno un'uniforme con grandi macchie di sangue. « Battaglione della morte », lo corregge un ex Wachtmeister dell'artiglieria che indossa la tenuta rossosangue. « Condannati a morte impiegati al fronte. Quelli che Ivan non fa fuori vengono ammazzati per divertimento! » « Per divertimento? » chiede un Leutnant vestito di

208 verde, stringendo gli occhi. « Esatto, per divertimento », risponde l'artigliere. « Sui giornali, naturalmente, scrivono che sono stati uccisi mentre tentavano di scappare. » « Quei tre che sono scappati la scorsa settimana sono stati riportati dai ' mastini ' ieri », spiega un ex Feldwebel accarezzandosi con il dito la gola. « Li hanno crocefissi sulla staccionata la notte scorsa. Hanno cacciato dei chiodi attraverso le mani e le caviglie e li hanno lasciati appesi perché decidessero chi di loro era Cristo e chi i due ladroni! » « Ma è vero tutto questo? » chiede un ex Oberstleutnant che è scampato per un pelo alla condanna a morte. « Li ho visti con i miei occhi », risponde il Feldwebel con una risata asciutta. « Ci hanno fatti sfilare davanti a loro facendoci cantare Edelweiss. Ci è bastato vederli per toglierci ogni voglia di tentare la fuga. » « Quella crocifissione è il motivo per cui ci troviamo qui », dice un ex ufficiale delle SS vestito di rosso. « Qualcuno l'ha fatto sapere al ' Piccolo Dottore ' al quale la faccenda non è piaciuta affatto. Quello sa come verrebbe utilizzata la notizia se arrivasse a Londra. Un bellissimo regalo per la propaganda inglese! Persino il Reichsfuhrer delle SS ha dovuto schiaffarsi sull'attenti davanti al 'Piccolo Dottore'. Quelli che hanno crocefisso i tre sono stati fucilati stamattina e noi veniamo trasferiti a grande velocità altrove perché quelli possano invitare una commissione di neutrali a ispezionare il posto. Spalancheranno le porte e faranno vedere a tutti che qui non è stato crocefisso nessuno. Menzogne, tutte menzogne, dirà il 'Piccolo Dottore'. » « Che Dio ce la mandi buona! » mormora un Leutnant vestito di rosso. « Come finirà tutta questa storia? »

209 « Con il crollo totale del Reich che doveva durare mille anni », risponde il Feldwebel con convinzione. « Ma nessuno di noi lo vedrà, questo crollo. Ci faranno fuori cinque minuti prima della fine e ce lo dicono anche. » « Perché non tenti di scappare? » chiede un ex Gefreite con la faccia da topo. « Provaci tu! » gli risponde con un ghigno l'altro, squadrandolo dall'alto in basso con disprezzo. « Piantatela, sporchi pidocchi! » urla un Unteroffizier delle guardie, scaraventando un fascio di indumenti ai piedi di un ex Oberst. « Ben presto vi toccherà piantarla per sempre », soggiunge con un ghigno diabolico un Feldwebel colpendo un ex Major allo stomaco. « Mi puoi credere sulla parola, merda che sei, che tra due settimane a cominciare da adesso sarai freddo come i coglioni di un orso polare defunto. » Le altre guardie ghignano divertite non perché si tratti di gente particolarmente malvagia, ma semplicemente perché sono contente di trovarsi al sicuro nel deposito. « Dovranno essere liquidati tutti », dichiara un Obergefreite che puzza di birra, sferrando un calcio al detenuto più vicino, un uomo anziano con i capelli bianchi. « In quale reparto di merda ti trovavi prima di finire qui? » « Ero un Generalmajor, Herr Obergefreite. » « Lo avete sentito? » ulula il grasso Obergefreite, pieno di entusiasmo. « Era, che Dio ci assista, un Generalmajor! Ma adesso sei solo un merdoso soldato semplice, figlio mio. Perciò muoviti e va' a farti ammazzare per Führer, Volk und Vaterland! » « La mia giubba è troppo stretta », protesta un ex Rittmeister che sta alla finestra.

210 « Mangia di meno durante le prossime tre settimane », suggerisce il Feldwebel del deposito con molto buonsenso. « Poi ti andrà a pennello! » « Non vivrà così a lungo », fa con un ghigno l'Obergefreite ciccione. « Sarà già da un pezzo nel Valhalla, a cavallo di un ronzino. » Il Rittmeister fa sforzi disperati per tirare dentro lo stomaco e riesce infine con grande difficoltà ad abbottonare la giubba. Tuttavia è perseguitato dalla scalogna e perde durante quest'operazione due bottoni, non solo: subito dopo finisce, privo dei due bottoni, tra le braccia dell'ufficiale di servizio. « Che diavolo! » urla il giovane Leutnant. « Che cosa stai combinando in giro così, mezzo nudo, sconcio a un punto tale da far arrossire persino un poliziotto cieco della squadra del buoncostume? Concialo per le feste », ordina poi al sergente di giornata. Venti minuti più tardi, il vecchio Rittmeister crolla di schianto, morto, vittima di un'emorragia cerebrale. Nel corso della giornata, il reparto che è stato appena rivestito viene portato alla stazione da dove partono i treni per Stettino e chiuso a chiave in due grandi magazzini vicino allo scalo merci. Uno Sturmbahnführer delle SS, con il distintivo della divisione T e il teschio ricamato sulle mostrine, informa gli uomini che saranno abbattuti senza pietà a fucilate al minimo tentativo di fuga. Un po' più tardi, tutti si rendono conto della nuova destinazione, la Brigata Speciale Dirlewanger delle SS, la più infame e orribile grande unità combattente mai esistita al mondo. Il suo comandante, il Brigadeführer delle SS Dir-lewanger, un vecchio pervertito con precedenti penali, era stato prelevato di peso dalla galera e incari-

211 cato di comandare questa autentica « grande unità della morte » che operava principalmente in Polonia e nell'Ucraina rendendosi colpevole di atti di sadismo così gravi da essere semplicemente indescrivibili. Un cordone di guardie del Servizio di Sicurezza delle SS, armate fino ai denti, circonda i due magazzini. Ogni tanto si sentono raffiche di mitragliatrice e le pallottole fischiano al di sopra dello scalo. Poco dopo il momento in cui l'orologio della torretta ha battuto quattro rintocchi, suonano le sirene dell'allarme aereo e varie bombe cadono nelle immediate vicinanze della zona ferroviaria. « Andiamo in cantina », grida un ex Feldwebel con voce isterica, « o volete proprio che ci macellino qui? » « Perché no? » ribatte con un ghigno una delle guardie, simulando con il mitra una falciata il cui vero significato non può essere frainteso. « I maiali come voi non si meritano altro! » La guardia è un giovanissimo milite semplice e appartiene alla categoria più pericolosa dei militari, pericolosa specialmente per i detenuti. « Giù a terra, con la schiena, pezzo di merda. Mani dietro la nuca! Prova a muoverti e penserò io a farti uscire la merda dalla testa! » L'ex Feldwebel si sdraia supino come gli è stato ordinato, convintissimo che il giovane mascalzone sarebbe felicissimo se potesse tradurre in atto la minaccia. L'Oberleutnant Wisling guarda di sfuggita il suo vicino, uno Stabsarzt retrocesso dal grado. « E se provassimo a darcela a gambe? » bisbiglia senza muovere le labbra. « Come? » chiede di rimando il medico tenendo lo sguardo fisso davanti a sé. « Provati a varcare quella porta e la tua fuga sarebbe finita al secondo scalino. »

212 « Non dico di uscire per la porta », bisbiglia Wisling. « Aspetteremo quando la colonna si metterà in moto, quando c'è sempre un po' di confusione. » Lo Stabsarzt Menckel si riempie i polmoni di aria. « È un tentativo disperato, ma se vogliamo riuscirci, dobbiamo provare qui, a Berlino. » « Hai ragione. Quando arriveremo alla Brigata Dirlewan-ger, la fuga non sarà più possibile », dice Wisling. « Là non potremo nemmeno disertare. I partigiani ammazzano subito la gente che proviene dalla Brigata Dirlewanger, quella degli assassini. » « Adunata! » tuona un Feldwebel, facendo scorrere sulle rotelle la pesante porta mobile. « Di corsa, disgraziati! Muovetevi, figli di puttana! » Chi gli è vicino viene colpito dal calcio della sua arma. Vari Unteroffiziere si mettono a correre lungo la colonna degli uomini in fila per tre, per procedere alla conta. Per facilitare le operazioni, la colonna è stata suddivisa in tre compagnie, ma, come al solito, il numero non corrisponde. A un certo punto ci sono alcuni detenuti di troppo. La volta successiva ne manca qualcuno. Lo Sturmbahnführer SS della divisione Totenkopf s'incavola e comincia a bestemmiare, atterrando a calci e pugni qualunque detenuto gli capiti a tiro. A poca distanza, una locomotiva manovra, trascinandosi dietro un lunghissimo treno di carri bestiame. Le aperture sono bloccate da pesanti reti di filo spinato. Attraverso le porte scorrevoli aperte dei carri si vede che il pavimento di questi è coperto da un sottile strato di paglia. Sono i tipici carri usati per il trasporto dei detenuti e prigionieri nell'epoca moderna. Persino i cavalli viaggiano in condizioni migliori. « Ecco il nostro treno », mormora l'ex Feldwebel, la

213 cui testa assomiglia a un teschio. « Muss i denn, muss i denn / zutn Stàdtele hinaus »,1 canta con voce roca un gigantesco e forzuto Obergefreite con la faccia coperta di cicatrici dovute a schegge di bombe a mano. « Cinquanta uomini per carro », ordina un ufficiale delle SS, indicando i carri bestiame. Gli Unteroffiziere suddividono gli uomini. Il primo gruppo di cinquanta si sta già dirigendo verso i binari, tenuto a bada ai due lati da molti mitra. « Ecco l'occasione buona », bisbiglia Wisling, indicando cautamente la recinzione a rete sul lato destro del magazzino. « Si tratta di un balzo di circa due metri. Poi saremo al coperto. Su, vieni! » sibila tra i denti dando uno spintone all'ufficiale medico proprio nel momento in cui le due guardie si voltano, richiamate dall’Obersturmbahnführer delle SS che si trova in piedi accanto al serbatoio idrico. Fulmineamente, i due ufficiali si gettano a terra e sgusciano sotto il magazzino. « Riflessi prontissimi! » esclama il mastodontico Oberge-freite che ha la faccia piena di cicatrici, « ma questo vi costerà la testa quando vi riprenderanno! » I due ufficiali non sentono l'osservazione del graduato. Con tutta la velocità di cui sono capaci s'infilano tra i mucchi di carbone per sgusciare poi sotto un treno che sta manovrando. Menckel incespica, ma Wisling gli dà uno strattone prima che le ruote lo possano tagliare in due. Un manovratore, in -iedi nella garitta del frenatore su 1

« Devo proprio, devo proprio / lasciare questa città », vecchia canzone di soldati in voga nell'esercito tedesco e anche in quello austroungarico da un paio di secoli. (N.d.T.)

214 un carro, li guarda e continua ad agitare il fanale rosso. Si sente uno stridore di freni. Il treno si ferma con un sobbalzo e comincia a retrocedere. Poco dopo passa la locomotiva, avvolta da una nube di vapore e i due fuggiaschi scompaiono nella nube. « Siamo salvi! » bisbiglia Menckel che ha il fiato corto. « Dio mio! siamo salvi! » « Non ancora », mormora Wisling, mettendosi a correre in discesa nella direzione del canale. Non molto lontano alle loro spalle qualcuno grida degli ordini. I due ufficiali s'irrigidiscono, terrorizzati. Che siano già sulle loro tracce, quei carnivori assetati di sangue? Altre grida risuonano nel buio. Si sentono due brevi raffiche di mitra. Delle ombre corrono frettolose lungo le file dei carri merci. « Presto! » fa Wisling, che ha anche lui il fiato corto, afferrando Menckel al braccio. Dopo aver scavalcato un cancello piuttosto basso, i due s'inoltrano carponi seguendo il tracciato del muro perimetrale della stazione. Alcuni ferrovieri li osservano incuriositi. Dal posto di blocco della stazione qualcuno grida qualcosa, ma quando i due fuggiaschi vedono avanzare rombando un direttissimo, si rendono conto che l'uomo del posto di blocco aveva voluto semplicemente avvertirli di lasciare i binari per non essere investiti. « Quello era il treno che ci voleva per noi », fa Wisling con un sorriso indicando le tabelle con le destinazioni, appese alle carrozze: BERLINO-WARNEMUNDE-GEDSERCOPENHA-GEN. « Copenhagen non è molto distante dalla Svezia. » « Gli svedesi ci estraderebbero come disertori », replica Menckel con aria cupa. « Al Forte Zitta c'erano tre

215 che gli svedesi avevano estradato. » « Potremmo dire di essere ebrei », riflette Wisling in un impeto di ottimismo. « Molti lo fanno. Gli svedesi non estradano gli ebrei. » Quando svoltano l'angolo, scorgono una sentinella delle SS, tutta infreddolita, appoggiata con la schiena alla porta di un magazzino. « Quell'uomo è proprio quello che ci vuole per noi », fa Wisling con voce dura, afferrando un pezzo di rotaia trovato in un mucchio di rottami. La sentinella dorme praticamente in piedi e ha alzato il colletto del pastrano coprendo le orecchie. Il vento fischia lungo l'orlo dell'elmetto. L'uomo rabbrividisce e si rannicchia sempre di più nel caldo pastrano. È una notte fredda, umida. Nella mano semichiusa si nota il chiarore rossastro di una sigaretta accesa. Tutte le volte che l'uomo tira una boccata di fumo, volta la testa in una certa direzione, in maniera che il riflesso della sigaretta accesa non possa tradirlo se qualche superiore, intento a ispezionare le sentinelle, dovesse avvicinarsi. Approfittando del buio pesto, Wisling si avvicina in perfetto silenzio all'uomo di guardia. Dal lato opposto arriva in punta di piedi Menckel che tiene in mano una pesante asse di legno. Quando la sentinella si volta di nuovo per cercare rifugio nella nicchia costituita dal riquadro della porta e il chiarore prodotto dalla sigaretta si fa più intenso, Wisling le cala in testa il pezzo di rotaia con tutta la forza di cui è capace. Il milite delle SS si accascia con il cranio fracassato, senza emettere il minimo suono. È morto sul colpo. La sigaretta rotola a terra lungo il muro e il vento l'afferra e la spinge verso i binari dove si spegne in una pozzanghe-

216 ra. « Che Dio ci assista! » geme Menckel, scostando il collo del pastrano del morto dalla faccia di questi. È un ragazzo che non può avere più di diciotto anni. « Che razza di epoca è mai questa, in cui viviamo! » « Quello ci avrebbe ammazzati a fucilate su due piedi se ci avesse visti per primo », ribatte Wisling in tono aspro. Menckel indossa il pastrano della sentinella e si calca in testa l'elmetto; Wisling si infila la giubba e si allaccia il cinturone al quale è appesa ancora la pistola. Menckel prende la MPI del morto e se l'appende alla spalla. La mancanza del cinturone non si nota troppo. Qualche volta, i soldati indossano il pastrano sopra l'uniforme senza cinturone, specialmente quando piove. « Quando lo troveranno scoppierà un bel casino », fa Wisling, preoccupato. « Vedrai che razza di allarme! » « Non sarebbe meglio buttarlo nel canale? » suggerisce Menckel, rabbrividendo. « Penseranno che abbia disertato. Potrebbero passare anche vari giorni prima che il cadavere affiori in qualche chiusa. Ci sono molti cadaveri a spasso nei canali, di questi tempi. » I due ufficiali afferrano il morto uno per le spalle e l'altro per i piedi, lo fanno dondolare due o tre volte come un sacco e lo lanciano nell'acqua limacciosa del canale dove il defunto scompare con un tonfo. « Ho degli amici qui a Berlino », dice Menckel mentre attraversano la Uhlandsstrasse. Potremo nasconderci da loro e procurarci abiti borghesi prima di continuare la fuga; » « Sì, prima di tutto dobbiamo metterci in borghese », concorda Wisling. « L'uniforme è d'inciampo quando si sta scappando. »

217 Si sentono di nuovo le sirene dell'allarme aereo. Prima ancora che abbiano finito di ululare, la contraerea entra in azione e i fasci di luce dei riflettori cominciano a frugare nervosamente il cielo. Un milite della protezione aerea grida loro qualcosa in tono perentorio, ma diventa servile quando scorge le uniformi delle SS. Esplosioni scuotono le case e fiammate giallo-rosse si alzano verso il cielo. Un'autopompa dei vigili del fuoco emerge rombando dal buio nella strada deserta. Un'intera parete precipita sul piano stradale. Un grappolo di bombe cade in una delle strade vicine spruzzando fuoco sulle mura delle case. « Bombe al fosforo », dice Wisling, coprendosi gli occhi. Nei pressi della Lùneburger Strasse, un veicolo anfibio con quattro uomini della polizia militare a bordo svolta intorno all'angolo. Le fiamme prodotte dalle bombe al fosforo si riflettono sulle lucide mostrine da « cacciatori di teste ». Wisling s'infila con un balzo in un portone, trascinandosi dietro Menckel. I due ufficiali afferrano le armi, decisi a riconquistare sparando la libertà se si dovesse arrivare a tanto. La cattura significherebbe la morte certa, e per di più, con ogni probabilità, una morte lenta e orribile. Il motore del mezzo anfibio ronfa come un gatto e si avvicina lentamente. Il faro applicato al parabrezza fruga con il fascio di luce le pareti delle case, le scale che hanno accesso alle cantine, i portoni, gli androni. La polizia militare sa dove cercare la preda. Con le armi pronte allo sparo e trattenendo il respiro, Wisling e Menckel si appoggiano alla parete annerita

218 dalla fuliggine e fissano terrorizzati il mezzo anfibio che si è fermato proprio davanti all'androne nel quale loro sono nascosti. Uno dei « mastini » balza a terra. Il suo impermeabile grigio è bagnato e luccica. L'uomo arma rumorosamente il mitra, accende la lampadina tascabile appesa sul petto e sta per arrivare all'ingresso dell'androne quando un ordine lanciato ad alta voce lo richiama. Con un balzo, il milite salta sul mezzo anfibio che inverte la marcia e ritorna con il motore imballato nella direzione della Lùneburger Strasse. Subito dopo si sente il lungo e malvagio abbaiare di una pistola-mitragliatrice. Un urlo risuona tra le case immerse nell'oscurità. Pochi ordini gridati ad alta voce, una lunga risata soddisfatta e tutto ritorna tranquillo come prima. Le bombe calano a tappeto dalle parti di Charlottenburg. Spruzzi di fosforo salgono al cielo. Le rovine spettrali gettano lunghe ombre sotto la luce crudele delle fiamme. La tettoia della fermata dell'autobus nella piazza Litzen-burger vola in aria, in bilico su una lingua di fiamme, e due corpi umani, anch'essi in fiamme, volano verso il cielo mentre il chiosco usato per controllare il traffico ricade a terra sotto forma di polverosi frammenti di mattoni. Una scrivania vola nell'aria, perfettamente intatta, e va a schiantarsi contro il ponte Hercules. Un telefono rosso arriva volando. La mantella nera di un tranviere scivola sulla strada per adagiarsi con grazia, come un uccello, sull'acqua limacciosa del Landwehr-Kanal. Le bombe cadono a tappeto sulla Lüneburger Strasse dove Wisling e Menckel sono nascosti. Il fischio stridulo prodotto dal-

219 le alette stabilizzatrici degli ordigni sembra penetrare nel midollo delle ossa. « Andiamocene! » mormora Menckel. « Se restiamo qui, siamo finiti! » Con tutta la velocità di cui sono capaci, i due fuggiaschi attraversano il ponte sulla Sprea. Una pesante bomba dirompente cade dirimpetto e fa saltare in aria un'intera fila di case. Nonostante il tuonare delle bombe dirompenti si riesce a distinguere lo strano rumore stridulo delle bombe incendiarie che termina con un suono simile a quello prodotto da una lattina di vernice che cade su un pavimento di cemento. In pochi secondi, la strada è completamente in fiamme. Il fosforo liquefatto cola nelle cantine. La gente scappa colta dal panico — qualcuno ridotto a torcia umana — nella notte per finire in un mare di fiamme. I corpi friggono e si rattrappiscono fino a diventare caricature carbonizzate di umanità. Alti al di sopra della città in fiamme rombano i pesanti bombardieri Wellington. Nelle fusoliere, giovani avieri sgobbano come automi, lanciando il loro carico mortifero. Nessuno di essi riflette, neppure per un istante, su ciò che sta accadendo in quel momento nella città oscurata dove migliaia di esseri umani bruciano vivi. I giovani avieri non vedono l'ora di ritornare alle loro basi, in qualche remoto angolo della Scozia dove sono attesi da uova con pancetta fritta e da una bella tazza di tè bollente. Non appena la prima ondata dei bombardieri ha sganciato il suo carico e si dirige verso settentrione, una nuova ondata di Wellington arriva da nord-ovest, e Berlino viene ulteriormente sommersa da un bombarda-

220 mento. A terra, i pezzi della contraerea vengono manovrati da serventi giovanissimi, ragazzi di quindici-sedici anni. Questi ragazzi continuano a lavorare finché non cadono esausti, o fino a quando gli spezzoni e le bombe incendiarie non li abbiano fatti a pezzi. Il re dei cannoni, il pezzo contraereo da 88 millimetri, continua a tuonare senza posa. Un bombardiere scende in picchiata e riduce al silenzio le quattro batterie contraeree piazzate nei pressi dello zoo. Dei serventi e dei materiali non rimane traccia. Tutto è ridotto in polvere. Pochi secondi prima ancora, questi pezzi vomitavano proiettili come se volessero lanciare una sfida. Ora, invece, enormi vampate di fuoco si alzano verso il cielo nei punti in cui si trovavano i cannoni, vampate che divorano tutto. Una pattuglia del Servizio di Sicurezza proveniente dalla pista riservata all'equitazione nel Tiergarten viene letteralmente scagliata in aria e scompare nella fornace. Un vecchio con entrambe le gambe costituite da protesi giace sotto un ponte e osserva la terribile scena attraverso una fessura nel cemento. Quando lo ritrovano, il calore lo ha ridotto alle dimensioni di una scimmia. Delle gambe artificiali non rimane traccia. Lo scaraventano sul camion adibito alla raccolta dei cadaveri dove ci sono già molte altre mummie rattrappite. Questa è una scena che si ripete a Berlino tutte le mattine. « Tra poco saremo arrivati », mormora Menckel con voce rauca, infilandosi in una casa semidiroccata. In quel momento scorgono una pattuglia del Servizio di Sicurezza all'altra estremità della strada. I militi s'inoltrano lentamente lungo le pareti delle case alla ricerca di vittime. « Dove diavolo sono andati a finire? » bisbiglia Wi-

221 sling, furioso. La pattuglia è scomparsa come se fosse stata inghiottita dalla terra. « Credo che si siano appostati in quell'androne laggiù per tenerci d'occhio », fa Menckel, appiattendosi contro la parete. « Se attraversano la strada e vengono verso di noi, apriamo il fuoco », dice Wisling mettendo il ginocchio a terra. Nel muro c'è una nicchia molto stretta nella quale riesce a infilarsi. « Non ce la faremo mai », balbetta Menckel, tenendo il mitra in posizione di sparo. « Credi forse che dovremmo alzare le mani e lasciare che quelli ci impicchino al più vicino lampione? » ribatte Wisling con sarcasmo. « Quelli non ci darebbero la minima possibilità di scampo. Fanno una sola domanda: 'Documenti?'. E se non ne hai, ti sparano un colpo alla nuca o ti appendono a un lampione con un cartello al collo, sul quale sta scritto: ICH HABE DEN FUHRER VERRATEN! 1 » « Non sono altro che assassini, dei pazzi! » bisbiglia Menckel, tremante di rabbia. « Che importa? » chiede con un sorriso Wisling. « Secondo me, tutti siamo, chi più chi meno, pazzi in questo momento. Persino la nostra fuga è una follia! » Un grappolo di bombe precipita rombando nella strada vicina a loro. I bagliori delle esplosioni illuminano le facce degli agenti del Servizio di Sicurezza appostati sul lato opposto. Sembrano facce scolpite nella pietra. « Avanti! » ringhia una voce abituata a dare ordini e a essere obbedita, e la pattuglia della morte si allontana strisciando lungo le pareti annerite dal fumo. Una mano regge saldamente il caricatore del mitra, l'altra è ag1

«Ho tradito il Führer. » (N.d.T.)

222 grappata al calcio con il dito sul grilletto. La pattuglia si è inoltrata solo di pochi metri nella Leipziger Strasse quando una serie* di spari risuona nel buio, seguita da un brusco ordine dal suono metallico: « Haltl! Hànde hoch! »1 Due donne si dirigono verso il centro della strada con le mani alzate. Compiaciuti, gli uomini della pattuglia le circondano. Tutti ridono. Sembra una comitiva di cacciatori soddisfatti che abbiano appena messo alle strette un animale al quale da un pezzo davano la caccia. « Stavate per caso facendo un po' di saccheggio, signore mie? » chiede il comandante della pattuglia, socchiudendo un occhio come se avesse detto qualcosa di divertente. « Herr Oberscharführer! » balbetta una delle donne. Il sottufficiale le assesta un brutale manrovescio. Il colpo è così forte che la donna cade riversa a terra. Dalla sporta, caduta sull'asfalto, rotolano due pacchetti di burro e un sacchetto di farina. Mani esperte perquisiscono la sua amica. Due anelli, una collana e un fascio di tessere annonarie vengono trovati nelle sue tasche. Nessuno ascolta le spiegazioni e le giustificazioni. « Impiccatele », ordina il sottufficiale e indica un antiquato lampione che risale ai tempi del Kaiser. « Su, andiamo, ragazze », fanno sogghignando due giovani militi del Servizio di Sicurezza. « Dovete salire in alto. Così vi godrete il panorama! » Nella strada echeggia, riflesso ripetutamente dalle case situate nella Spitaler Markt, un lungo urlo di donna. « Piantala, troia, smettila di urlare! » bercia uno delle 1

« Alt! Mani in alto! » (N.d.T.)

223 SS. Ben presto le due donne pendono una accanto all'altra dall'antiquato lampione. Scalciano furiosamente. Con la massima indifferenza, il sottufficiale appende un cartello al collo di ognuna: ICH HABE GEPLUNDERT.1 La pattuglia del Servizio di Sicurezza attraversa con circospezione la Spitaler Markt e si ferma per un istante davanti a un locale chiamato Der gelbe Bar, l'Orso Giallo. Uno degli uomini tenta di aprire la porta, ma questa è chiusa a chiave. « Che scalogna! » impreca. « Proprio adesso avrei avuto bisogno di un paio di birre ghiacciate e di un grappino! Una di quelle stronze mi ha coperto di piscio! » « Lo fanno sempre. Per paura », spiega uno degli altri. La pattuglia non sente la bomba in arrivo. È una di quelle piccole bombe che non fanno molto rumore. Gli uomini hanno appena il tempo di sbattere le palpebre a causa dell'accecante vampata. Subito dopo, l'esplosione scaglia tutti attraverso la parete che si trova alle loro spalle. Il sottufficiale non muore all'istante e guarda sorpreso le proprie gambe che giacciono, staccate dal corpo, accanto a lui. Poi spalanca la bocca e urla: è un lungo ululato come quello di un animale. Ed è già morto. « È qui che sta la moglie del mio amico », dice Menckel quando attraversano la Alexander Platz all'alba. « Eravamo nello stesso reggimento. Lui lo comandava. Affrettiamoci ad andare da lei. » « No », risponde Wisling. « Adesso è troppo tardi. Dobbiamo aspettare che faccia di nuovo buio. Se la portinaia ci vede, siamo fregati. Quella è obbligata ad av1

«Ho saccheggiato.» (N.d.T.)

224 vertire il Servizio di Sicurezza se vede entrare delle persone estranee. » « Figli di puttana », geme Menckel. « Hanno le loro spie dappertutto! » Quando le sirene urlano il cessato allarme, i due ufficiali si stringono istintivamente l'uno all'altro. La gente comincia a uscire dalle cantine e cammina in fretta con facce dall'aspetto grigio, stanco. Gli occhi sono iniettati di sangue, i volti sporchi di fuliggine e polvere. « Andiamocene da qui », dice Wisling e si mette a trascinare Menckel verso un dedalo di piccoli cortili. Nel bel mezzo di un labirinto di passaggi e corridoi trovano un'antica casetta costruita per metà in legno. Una porta dallo stipite basso, mezza marcia, dà accesso a una cantina. Per un attimo, i due uomini si fermano nel buio e rimangono in ascolto. Dal fondo della cantina proviene il miagolare di un gatto. I fuggiaschi avanzano silenziosamente, tastando nel buio per non inciampare in qualcosa. Il gatto miagola di nuovo. Wisling sbatte la testa contro una trave del soffitto basso e si mette a bestemmiare, mordendosi le labbra per il dolore. Molto distante si vede balenare una debole luce. « Attento! » bisbiglia Wisling, fermandosi così repentinamente che Menckel lo investe. « C'è qualcuno qui. Fermati dove sei e proteggimi con il mitra! » Il gatto miagola di nuovo, come se volesse protestare contro la loro presenza. Poi viene lentamente incontro, guarda Wisling, si mette a ronfare e si struscia contro le gambe dell'ufficiale. Nella luce tremolante, i due uomini scorgono una vec-

225 chia sdraiata su un mucchio di sacchi che sta aguzzando gli occhi per vederli nell'oscurità. Nel contempo, Wisling e Menckel vengono investiti da folate di un puzzo di legno umido e marcito. « Chi è? » esclama la vecchia con una voce stridula, asmatica. « C'è qualcuno? » ripete. « Sì », risponde Wisling facendosi avanti. La donna lo guarda con occhi carichi di sospetto. « Che cosa volete? » chiede, ma è subito sopraffatta da un violento attacco di tosse che per un attimo sembra stia per soffocarla. « Possiamo fermarci qui finché farà buio? » chiede Wisling quando l'attacco di tosse è cessato. « Accomodatevi pure », risponde lei con un sorriso stanco. « Qui ci siamo solo io e il mio gatto. » Wisling perlustra con lo sguardo la cantina puzzolente che una volta serviva da carbonaia. Ora, di carbone non ce n'è. La razione è di un secchiello di coke al giorno per ogni abitazione. « Lei abita qui? » chiede il medico, sbalordito, guardando la vecchia. La sua epidermide ha l'orribile colorito blu-grigiastro, proprio della gente che è rimasta per troppo tempo al buio. « Può ben dirlo », risponde la vecchia con un debole sorriso. « Ho vissuto in questa casa per settantasei anni, ma quando quelli si sono portati via tutta la mia famiglia e io sono rimasta sola, mi sono rifugiata qui dabbasso. Ora è da un pezzo che non vengono più qui. Uno dei vicini mi ha detto che sono stata dichiarata morta. Il vicino è un soldato, ma troppo vecchio per essere mandato al fronte. Così gli fanno fare il servizio a Berlino. È uno dei pochi che non hanno paura di portarmi roba da mangiare. » Poi viene colta da un altro violento attacco

226 di tosse. Menckel la aiuta e le terge il sudore dalla faccia. « Non riesce a procurarsi delle medicine? » chiede ingenuamente. « No », risponde lei con un triste sorriso. « Non lo vede? Sono un'ebrea! Per noi non ci sono medicine. Non c'è da meravigliarsi che la gente abbia paura di aiutarci. Quelli ammazzano le persone che ci danno da mangiare. Sono tempi proprio brutti, questi. » « Sì, brutti davvero! » conviene Menckel. « Tempi balordi. » « Signore Iddio! » esclama a un tratto lei, e sembra quasi che sia un grido, quando si accorge che i due sconosciuti indossano l'uniforme delle SS. « Misericordia! Sono una povera vecchia! » Le parole le escono di bocca a tratti, come un balbettio. « Dio mi è testimone che non ho mai fatto del male a nessuno. » Ha difficoltà di respiro. L'aria le esce dai polmoni fischiando. « I mariti di entrambe le mie figlie sono caduti al fronte e il resto della mia famiglia lo avete portato via voi tanto tempo fa. » « Si calmi, si calmi », dice Menckel, « non siamo SS. Le uniformi non significano niente. Eravamo prigionieri, siamo fuggiti. » Dalla strada proviene un rumore di passi. Tutti e tre si mettono in ascolto con gli occhi spalancati dalla paura. « Gli spazzini », fa la vecchia dopo aver ascoltato per un po' in silenzio. Berlino si è svegliata. Le strade sono piene di gente diretta verso le fabbriche e le officine. Tra un'incursione aerea e l'altra, i berlinesi lavorano duramente. L'assenza dal lavoro non giustificata da un motivo valido è considerata sabotaggio. Due assenze ingiustificate dal lavoro

227 comportano la pena di morte. « Di tutta la famiglia è rimasta solo lei? » chiede Wisling rivolgendo un'occhiata piena di compassione alla vecchia. « Sì, gli altri se ne sono tutti andati. Non so se siano vivi o morti. Non ho più avuto loro notizie da quando li hanno portati via. » « È terribile essere ebrei nella Germania d'oggi », dice Menckel. « Immagino che non ne siano rimasti molti », commenta con un sospiro la vecchia. « Il soldato che mi porta da mangiare dice che tempo fa lunghi treni merci pieni di ebrei sono partiti verso levante. Adesso non partono più. Il che vuol dire, forse, che non ci sono più ebrei da mandare via. Ma chi siamo noi, dopotutto? Siamo dei tedeschi come voialtri. La mia famiglia è da sempre tedesca e ha sempre vissuto qui. I miei genitori, i miei nonni. Molti di loro sono stati ufficiali nell'esercito del Kaiser. Mio marito ha prestato servizio nel Primo Reggimento Granatieri della Guardia e si è battuto per la Germania dal 1914 al 1918. Ha riportato tre gravi ferite. Dopo la guerra ha lavorato in un ministero finché non sono venuti a dirgli che era un Untermensch. Lo hanno licenziato nel 1933. Allora, lui si è sparato. Quando sono venuti a prenderlo, quella sera, hanno trovato solo il suo cadavere. Lo hanno coperto di sputi. Hanno detto che era 'un vile maiale ebreo'. Poi hanno calpestato con i tacchi degli stivali le medaglie che il Kaiser gli aveva dato. Sì, siamo tedeschi. Di Berlino. Siamo sempre vissuti qui. Io voglio bene a questa città », continua, e sorride con aria trasognata. « Berlino era una città così felice. Adesso, invece, è ammalata e morirà. Così come morirò io. Prima andavamo ogni domenica in barca sul-

228 la Sprea e a ballare nel Grùnewald. Poi ce lo hanno proibito. » Segue una lunga pausa di silenzio. Tutti ascoltano con le orecchie tese i molti rumori che filtrano dalla strada nella cantina. « Secondo me dovreste sbarazzarvi di quelle uniformi », dice improvvisamente la vecchia. « Conoscevo un uomo che si era nascosto in un'uniforme come queste. Quando lo hanno preso, lo hanno ucciso lentamente, spezzandogli tutte le ossa uno a uno. Le sue orribili grida si sono sentite in tutta la casa. Nessuno ha osato aiutarlo. Abbiamo sentito come hanno continuato a picchiarlo finché non c'era più vita in lui. E pensare .che era così giovane e bello. Un uomo simpatico a tutti. È stato stupido da parte sua ritornare qui. Lo hanno preso nel cortile. Forse non lo avrebbero ucciso se non avesse avuto indosso l'uniforme delle SS. Si sono trasformati in bestie selvagge quando lo hanno visto in quell'uniforme. Dovete assolutamente liberarvi di quelle uniformi. Non conoscete qualcuno che possa darvi degli abiti borghesi? » « Speriamo », risponde Menckel. « Faremo un tentativo quando sarà buio. » « Se non si fossero portati via i vestiti dei miei ragazzi, ve li avrei dati, ma allora mi dissero che venivano confiscati a beneficio dello stato. » Menckel si toglie con un gesto brusco l'elmetto e lo scaraventa a terra. L'elmetto rotola con gran fracasso sul pavimento. Il gatto curva la schiena e si mette a soffiare. « Eravate in prigione? » chiede la vecchia vedendo la testa rapata a zero di Menckel. Entrambi annuiscono. Erano stati effettivamente in prigione.

229 « Dovete lasciare Berlino », fa lei. « Anzi, dovete lasciare la Germania. Qui vi troverebbero presto! » « La signora ha perfettamente ragione », mormora Wisling. « Dobbiamo procurarci degli abiti borghesi a costo di spogliare qualche passante in strada. » Poco dopo mezzogiorno si sente di nuovo l'urlo delle sirene dell'allarme aereo. Stavolta sono gli americani con le loro Fortezze Volanti che avanzano nel cielo di Berlino. Le bombe piovono vicinissime. Le esplosioni assordanti si susseguono. La vecchia casa trema tutta, sembra rabbrividire. Una spessa nube di polvere di calcinacci copre tutti e tre. Per un attimo hanno la sensazione che la casa stia per crollare addosso a loro. Poche ore più tardi, l'incursione ha termine e le sirene suonano il cessato allarme. In alto, sulla strada, passa cantando un reparto di soldati. « Die blauen Dragonen, sie reiten mit klingendem Spiel durch das Tor... »1 Poi sentono dei rumori provenienti dalla strada e qualcuno apre con un calcio la porta della cantina. « C'è qualcuno, qui? » grida una voce rauca. I tre vedono benissimo l'uomo che si è affacciato nel riquadro della porta. È un milite della protezione aerea in tuta blu e con un elmetto nero in testa. « Rispondete, maledizione! C'è qualcuno qui? » Il gatto miagola per alcuni secondi. « Che cos'è quel rumore? » chiede un altro milite scendendo alcuni gradini della scala che porta in cantina. Il gatto si avvicina miagolando a lui. Poi si siede e comincia a lavarsi con la zampetta. 1

« I dragoni azzurri a cavallo / attraversano con la fanfara la porta della città...» (N.d.T.)

230 « Un gatto, un fottuto gatto, nient'altro! » dice uno dei due e richiude la porta con un tonfo. Secondo Wisling, Menckel dovrebbe andare a trovare i suoi amici da solo. L'importante è che non dia nell'occhio. Può darsi che gli amici non abitino più dove stavano una volta. A Berlino, tutto è possibile, con i tempi che corrono. Può darsi che il Partito abbia requisito l'appartamento. Non sarebbe piacevole vedersi accogliere alla porta da un « fagiano dorato », come vengono chiamati i funzionari del Partito con le uniformi rutilanti. Può anche darsi che le autorità abbiano sistemato dei profughi nell'appartamento, lasciando solo una stanza alla famiglia del proprietario. Lunghe colonne di profughi continuano ad arrivare a Berlino. Tutta questa gente dev'essere sistemata e i proprietari degli alloggi privi di aderenze nel Partito finiscono per essere appena tollerati nella propria casa. « Se non mi vedi ritornare tra due ore », dice Menckel, « vorrà dire che mi hanno preso, per cui dovrai andartene da qui al più presto. » E, non appena calato il buio, parte. Con molta abilità riesce a sfuggire alle pattuglie in strada, spostandosi rapidamente da un portone all'altro. Tiene il mitra in posizione di sparo fermamente deciso a non farsi prendere vivo. Maledice l'uniforme delle SS che ha indosso e che moltiplica per dieci le sue difficoltà. La casa che costituisce la sua meta è un vecchio palazzo signorile costruito a cavallo del secolo. All'ingresso sono appese varie targhe di ottone con i nomi degli inquilini. Si tratta di un palazzo abitato da gente delle classi superiori. Per un po', Menckel osserva la casa da un portone che si trova dirimpetto. Lo sguardo riesce a penetrare nel

231 seminterrato riservato alla portineria dove una donna di mezza età, che assomiglia a un topo sul chi vive, è seduta su una sedia. Il naso appuntito della donna si muove in continuazione, come se volesse annusare l'aria. È una di quelle persone orribili che sembrano avere un secondo paio d'occhi nella cervice. Da quella donna, Menckel non può aspettarsi nessun aiuto. Prima del 1933 era certamente altrettanto rossa com'è bruna adesso. E domani, se le dovesse convenire, non esiterebbe un attimo a ridiventare rossa. Sempre pronta a servire la classe dominante, pronta ad assumersi qualsiasi incarico, per sporco che sia, pur di ricavarne un vantaggio. A Berlino ci sono migliaia e migliaia di persone di questa specie. Quando la donna scompare per un attimo in un'altra stanza sul retro della portineria, Menckel attraversa di corsa la strada, s'infila nel portone e sale lo scalone coperto da un tappeto. Arrivato al secondo piano, bussa delicatamente alla porta. Pensa per un attimo di suonare il campanello, ma poi riflette che è meglio non farlo. Il campanello potrebbe essere collegato con un impianto d'allarme alla portineria. Dopo un po', una voce femminile chiede piano: « Che cosa desidera? » Nessun abitante di Berlino apre più la porta senza sapere chi si trova sull'altro versante. « Chi è? » ripete la donna. « Albert Menckel », bisbiglia lui, premendo la bocca contro la porta. Segue un attimo di pesante silenzio. « Frau Peters, porto un messaggio di suo marito », bisbiglia con impazienza Menckel, lanciando preoccupate occhiate sulla scala, come se aspettasse di vedere comparire da un momento all'altro il muso aguzzo della por-

232 tinaia. Se questa dovesse vederlo, gli resta una soia possibilità: quella di ammazzarla. Ammazzarla rapidamente e in silenzio, in maniera che nessuno degli inquilini si accorga di qualcosa. « Frau Peters, apra la porta! È molto importante. » La porta si apre un tantino, ma sempre trattenuta da due catenelle. Dietro la fessura appare una pallida faccia femminile. « Menckel! Credevo che lei fosse morto da un pezzo! » Poi si accorge che il medico indossa l'uniforme delle SS e si irrigidisce. « Apra la porta, presto, poi le spiegherò tutto », bisbiglia lui, disperatamente. « No, se ne vada via! » balbetta lei, ed è quasi un grido. « Non voglio essere coinvolta in niente! » « Lei deve lasciarmi entrare. Ne va della mia vita. Lei è la mia ultima speranza. » La donna sta per chiudere la porta, ma Menckel caccia la punta dello stivale nell'apertura e glielo impedisce. Per un attimo contempla la possibilità di forzare l'ingresso con una spallata. Lei comincia a piangere. « Che cosa vuole da me? Lei mi procurerà terribili guai! Tiri via il piede altrimenti chiamo aiuto! » « Apra la porta! Solo per un attimo! Le prometto che me ne andrò immediatamente. Faccia presto, mi lasci entrare prima che qualcuno mi veda! » Lei lo fissa con gli occhi sbarrati, terrorizzata, e apre la bocca come se stesse per gridare. Improvvisamente annuisce. Menckel tira via il piede. Le catenelle tintinnano e la porta si apre quel tanto necessario per farlo entrare. Con mani tremanti, la signora chiude a chiave la porta e

233 rimette le catenelle. Poi lo fissa con occhi impauriti, l'elmetto bagnato dalla pioggia, il pastrano grigio, quasi nero, delle SS, il mitra con il lungo caricatore. « Lei ha detto di avere per me un messaggio di mio ma-, rito? » chiede con una punta di dubbio nella voce, stringendosi nella vestaglia. « No, l'ho detto solo per indurla ad aprire la porta. Non ho più visto Kurt da quando sono stato arrestato. » Il suo sguardo attraversa la stanza e si posa su un ritratto del suo amico Kurt Peters, dipinto poco prima dell'inizio della guerra. « Allora è da molto che non lo vede », bisbiglia lei. « Sono passati quasi due anni dal momento in cui abbiamo sentito che lei era stato giustiziato. Lo sa che sua moglie sta per risposarsi tra poco? » Menckel si stringe nelle spalle. Che importanza ha tutto questo ora? Che importanza ha Gertrud? Lei gli è venuta meno. Ha testimoniato contro di lui, ha detto tutto ciò che hanno voluto farle dire. Naturalmente, l'avevano minacciata. Lo facevano con tutti, persino con i bambini. Non era necessario restare a lungo nelle cantine della Prinz Albrecht Strasse per crollare. Quelli avevano sempre qualche mezzo per terrorizzare i testimoni. Menckel le racconta in breve ciò che è accaduto e la prega di dare rifugio a lui e a Wisling finché non potranno proseguire nella fuga. « Non ho il coraggio di farlo », balbetta lei. « Qui, anche i muri hanno occhi e orecchie. » « Nessuno mi ha visto entrare », ribatte lui in tono sicuro. « Questo non lo possiamo sapere », risponde la donna, preoccupata, guardando con aria disperata il tappeto, come se stesse tentando di contare i fili, che lo compon-

234 gono. « Solo per una notte », implora lui. « Ce ne andremo non appena ci saremo procurati degli abiti borghesi. » « Non ho il coraggio di farlo », ripete Frau Peters. « Se lei e il suo amico doveste essere trovati qui, ciò significherebbe una sentenza di morte per me. Una cosa del genere è appena capitata a una donna che abitava qui, nella nostra strada. L'hanno decapitata », soggiunge, rabbrividendo. « Lo so che la stiamo esponendo a un gravissimo rischio », fa lui, con gentilezza, « ma lei è la nostra unica speranza. Ce ne andremo non appena avremo degli abiti borghesi. » « Avete qualche documento d'identificazione? » chiede lei, preoccupata. « Non ancora. So dove posso procurarmeli, ma non posso andarci fino a domani. Se lei ci nasconderà finché non ci siamo procurati documenti e abiti borghesi, non dimenticherò mai ciò che avrà fatto per noi. » Lei scuote la testa. « Ho tre bambini piccoli. Me li porteranno via e li metteranno in un campo speciale nazionalsocialista per bambini dove verrà loro insegnato a odiare la propria madre, traditrice del popolo tedesco. Inoltre sapranno che la punizione severa inflittami era meritata. » Poi fa qualche passo nella, stanza, riflette, va a dare un'occhiata ai bambini e infine siede su una poltroncina davanti a una scrivania antica. « Buon Dio, che cosa devo fare? » geme, portando lai mano alla gola. « Non posso consegnarvi a quei criminali! » Poi guarda a lungo, in perfetto silenzio, Menckel, prende in mano un tagliacarte simile a una baionetta, si alza, si avvicina alla finestra oscurata e scosta lievemen-

235 te la tenda nera per lanciare un'occhiata nella strada. Un carro anfibio passa lentamente proprio in quel momento. Porta quattro uomini con elmetti d'acciaio in testa, lucidi per la pioggia. Al che si volta di scatto dopo essersi assicurata che la tenda nera è di nuovo perfettamente chiusa. Il minimo bagliore di luce richiamerebbe l'attenzione di qualche pattuglia che dopo non molto si metterebbe a sferrare calci contro la porta d'ingresso. « È disposto a darmi la sua parola d'onore che se ne andrà domattina, prima che faccia chiaro? E nel caso che dovesse essere catturato, mi promette di non rivelare mai che si è messo in contatto con me? » « Le do la mia parola. Sono già stato torturato in passato e so che cosa sono in grado di sopportare. » « Bene, può restare qui stasera. Vada a prendere il suo amico, ma per l'amor del cielo stia attento a non farsi vedere da nessuno. La portinaia è un autentico demonio. Tirerò fuori qualche abito di Kurt in attesa che lei ritorni. » « La ringrazio », mormora Menckel e sguscia rapidamente attraverso la porta per scendere come un'ombra lo scalone e uscire dal palazzo. Dopo essersi inoltrato abbastanza lontano nella strada, scorge una pattuglia della polizia militare e va a nascondersi con un balzo nell'androne che porta in una cantina. I tre militi marciano a passo cadenzato e si allontanano. Le mostrine a forma di mezzaluna sembrano un sinistro segnale di avvertimento. Pochi metri più lontano la pattuglia chiede i documenti a due soldati che stanno andando in licenza con lo zaino e il fucile in spalla. Le uniformi dei due sono stinte e odorano ancora di trincea. I militi esaminano meti-

236 colosamente i documenti, le date, i timbri e le denominazioni dei reparti. Le fotografie sul piccolo tesserino d'identità grigio vengono attentamente confrontate con la faccia dei soldati. Neppure i medaglioncini d'identità appesi al collo sfuggono all'esasperante esame dei poliziotti. Le munizioni di dotazione dei due uomini che vanno in licenza vengono contate cartuccia per cartuccia. Infine vanno a controllare se la data segnata sul certificato di disinfestazione corrisponde a quella segnata sul foglio di licenza come giorno di partenza. Trascorrono così venti minuti prima che i « mastini » siano soddisfatti. La gente che passa per la strada non bada a loro. Tutti hanno già abbastanza da fare per badare a se stessi. Se quei due sono dei disertori, tanto peggio per loro. « In bocca al lupo! » fa con un sorriso il Feldwebel della polizia militare, portando la mano tesa all'orlo dell'elmetto. I due soldati sbattono rumorosamente i tacchi e fanno un perfetto saluto d'ordinanza. Sanno che quelli della polizia militare possono mandare a monte la licenza se non dovessero essere soddisfatti del loro aspetto. « Figli di puttana », bisbiglia uno dei due quando i « mastini » si trovano già a una certa distanza. « Quando questa maledetta guerra sarà finita, spaccherò il cranio a tutti quelli della loro specie che dovessi incontrare. » « Col cavolo! » esclama l'altro. « Quelli esisteranno sempre. I nuovi capi avranno bisogno anche loro dei 'mastini' e dei fetenti poliziotti in genere. » Menckel riprende a camminare. Si sente un tantino sollevato. Domani avranno abiti borghesi e documenti, e dopo ventiquattro ore saranno molto lontani da Berlino. Magari all'estero, con un po' di fortuna. Finita la guerra

237 provvederà perché la signora Peters riceva una ricompensa per il coraggio dimostrato. All'esterno del ristorante degli artisti nella Kemperplatz c'è una lunga fila di militari e borghesi. Quella è un'oasi nel bel mezzo di Berlino, dove la gente può dimenticare la guerra. Il suono dei violini singhiozzanti arriva fino in strada. Ma Menckel in quel momento non apprezza la musica tzigana. Altre due volte è costretto a nascondersi per sfuggire alle pattuglie della polizia. Per un pelo non finisce in un rastrellamento. Inseguito dalle grida dei poliziotti scompare attraversando vari cortili e saltando un paio di reti. Prima ancora di rendersene conto, si ritrova nella Alexander Platz. Un signore ben vestito con il monocolo getta via il mozzicone della sigaretta che stava fumando. Menckel, senza riflettere, lo raccoglie. Uno spazzino lo guarda trasecolato. Le SS di solito non raccolgono i mozziconi, così agita violentemente il braccio per richiamare l'attenzione di uno Schupo,1 che accortosi del gesto si avvicina lentamente a lui. Sull'elmetto caratteristico brilla minaccioso lo stemma del Ketch. Menckel si accorge che lo spazzino lo sta indicando e parlando con il poliziotto per cui infila rapidamente la prima strada trasversale e si mette a correre con quanto fiato ha in gola. Così arriva tutto ansimante nella strada dove Wisling lo sta aspettando. Una macchina grigia è ferma davanti alla casa. A uno dei parafanghi è appoggiato un milite delle SS nell'uniforme grigio-ardesia. « Buon Dio! » geme Menckel. « Che cosa sta succe1

Schutzpolizei, letteralmente «polizia di protezione», cioè la PS. (N.d.T.)

238 dendo? » Terrorizzato si appiattisce in un recesso della parete. Chi sono venuti a prendere: i due in cantina o qualche altro abitante della casa? Improvvisamente si mettono a ululare le sirene. Allarme aereo. Le bombe cominciano a piovere quasi subito. L'ss appoggiato al parafango della macchina sembra non accorgersene. Con perfetta noncuranza si accende una sigaretta e comincia a trarne lunghe boccate. Non alza nemmeno lo sguardo verso il cielo dal quale le bombe continuano a cadere. È abituato a scene del genere. Dal portone escono quattro figure nell'uniforme grigio-ardesia con le mostrine nere. I quattro gettano ridendo un fagotto nel retro della Kubel. Un braccio ciondola da un lato. I quattro militi saltano a bordo e scompaiono con una formidabile accelerata nel buio. Non appena se ne sono andati, Menckel si precipita nel cortile e da lì giù in cantina. « Wisling! » grida, in preda alla paura. « Dove sei? » Dal buio emerge miagolando il gatto che comincia a strofinarsi alla gamba di Menckel. Questi lo prende in braccio e accarezza la soffice pelliccia grigia della bestiola. Il gatto ronfa contento e gli annusa la faccia, come per dirgli che lo ha riconosciuto. « Che cos'è accaduto? » chiede il medico, grattando la bestiola dietro l'orecchio. « Tu hai visto tutto, ma non comprendi. Credi ancora che tutti gli uomini siano buoni. » Menckel s'inoltra a tentoni nel corridoio buio della cantina, inciampa in una trave, trova per terra un mozzicone di candela e lo accende con molta precauzione. I sacchi sono sparpagliati per tutta la cantina. In un angolo s'intravede un pentolino smaltato in blu, tutto sbrec-

239 ciato, che contiene della roba da mangiare. La vecchia giace dirimpetto, nei pressi della parete. Il suo volto è stato pestato al punto da essere irriconoscibile. Inoltre ha un braccio spezzato. L'osso fratturato, acuminato come un ago, spunta dai muscoli. Più avanti, nel corridoio, giace a terra una bustina da SS. Wisling deve averla gettata lì senza che loro lo vedessero. Menckel sa ora che cos'è accaduto. L'idea minaccia di paralizzarlo. Sembra che tutto il mondo diabolico gli sia crollato addosso. Spera solo che Wisling sia morto. È impossibile immaginare che cosa gli farebbero altrimenti le SS. Un detenuto fuggiasco nella loro uniforme! Un delitto imperdonabile! E scopriranno certamente a chi quell'uniforme apparteneva. Menckel rimette a terra il gatto che lo segue fino alla porta. Poi, la bestiola miagola e ritorna nella cantina per avvicinarsi strisciando al cadavere della vecchia. La luce bianca, brillante, di un razzo illuminante si allarga, simile a un albero di Natale, proprio sopra la casa costruita in parte in legno. L'ufficiale alza lo sguardo e rabbrividisce. Lentamente, il razzo indicatore del bersaglio cala verso tèrra, dondolando lievemente sotto la spinta del vento. Le bombe cadono là dove spuntano gli alberi di Natale. Menckel sente il lacerante urlo prodotto dalle pinne stabilizzatrici delle bombe e ritorna precipitosamente in cantina. Qui cade e s'inoltra disperatamente, carponi, verso un recesso ancora più profondo. Il gatto soffia infuriato e salta da un lato. Le esplosioni continuano a tambureggiare senza interruzione. Una delle travi portanti del soffitto si spezza e i frammenti si sparpagliano in tutto il locale. Metà del soffitto crolla sollevando una nube di polvere. La porta di accesso al cortile cede sotto la pressione dell'aria e

240 vola in cantina come un pezzo di carta afferrato dalla tempesta. Menckel si mette a tossire e ha la sensazione di soffocare. Il fumo e la polvere sono dappertutto. Nonostante il fracasso delle bombe si sente uno strano tuono cupo, continuo. Il medico sa di che cosa si tratta. È la vampa di calore, quella che distrugge tutto e che precede le fiamme delle bombe incendiarie al fosforo. La casa ondeggia simile a una nave investita da un uragano. Una trave cade e schiaccia il gatto. Il sangue della bestiola schizza sul volto dello Stabsarzt. Il cadavere della vecchia rimane sepolto sotto un mucchio di mattoni. Una nube di polvere di mattoni si avvicina a Menckel simile a un pugno chiuso. Il muro di fuoco tra la casa e quella vicina è stato soffiato via. Il medico lancia un'occhiata all'interno. Molti corpi contorti giacciono riuniti in un mucchio. Il sangue è dappertutto. Fiamme spuntano come tante lingue attraverso le fessure delle pareti. Poi arriva un'ondata di calore che tuona come un gigantesco aspirapolvere. L'ufficiale viene risucchiato e scagliato attraverso una parete di legno nell'appartamento della casa vicina. Per un attimo perde i sensi, ma poi rinviene. Ancora tutto frastornato, si passa la mano sulla fronte e si accorge che è piena di sangue. L'elmetto non c'è più, ma Menckel tiene ancora in mano la bustina di Wisling. La testa gli gira, tuttavia si alza e va in cucina. Qui infila la testa sotto il rubinetto e si mette a bere come un animale assetato. Una vampata di aria rovente, incandescente al punto di abbrustolirgli la pelle, lo scaraventa a terra. Tutt'intorno imperversa un rumore infernale, simile a un tuono continuo. Non c'è fuoco, solo una calura indescrivibile.

241 Ciò che è accaduto ora è già accaduto spesso nel passato. Un'altra bomba ha spento con la sua esplosione l'incendio provocato da quella precedente. Il medico inciampa nel cadavere di un Hauptmann. Sembra che il corpo si muova, ma è solo un'illusione provocata dall'intenso calore. Menckel dà un'occhiata a se stesso. Un pastrano da SS senza cinturone. Ha perso il mitra. Nonostante il calore che minaccia di soffocarlo e il rumore infernale, toglie a strattoni l'uniforme al morto, un uomo piuttosto anziano e con la pancia, per cui l'uniforme va troppo larga a Menckel. Il berretto gli copre le orecchie: infila un po' di tessuto bruciacchiato all'interno del berretto per ridurne la circonferenza. Nella tasca sinistra della giubba ci sono i documenti del morto: Hauptmann Alois Ahlfeldt, Quinto battaglione della polizia segreta militare. Nonostante la paura e agitato com'è, Menckel non può fare a meno di sorridere. Ovunque non incontra che poliziotti, così cinge il cinturone giallo da ufficiale con la fondina e la pistola. Chiunque si accorgerà che l'uniforme non è della sua misura, tuttavia è sempre meglio di una uniforme delle SS. È un'uniforme da ufficiale. I tedeschi, tutti, rispettano gli ufficiali. Tutte le pattuglie sono comandate da sottufficiali che ci penserebbero due volte prima di fermarlo. Menckel scende rapidamente con alcuni balzi sul pianerottolo sottostante dove si trova di fronte un muro di fiamme. Le porte e le pareti stanno già diventando nere, la vernice si sta scrostando e brucia con piccole fiamme oleose. Il medico s'infila a capofitto in un lungo corridoio. Le fiamme lo inseguono fameliche nella tromba delle scale, creando intorno a lui una fornace infuocata, ma poi, un colossale vuoto d'aria lo risucchia per scaraventarlo all'aperto.

242 Ovunque ci sono cadaveri che bruciano con fiamme bluastre e gialle. La strada è un inferno. Il caratteristico rumore frusciante delle bombe incendiarie che piovono dal cielo si ode in continuazione. Menckel sente il calore attraverso le suole degli stivali. L'asfalto bolle come se fosse lava. Di corsa supera Nadolny dove i morti giacciono in lunghe file, in attesa che gli autocarri li portino via per accatastarli sull'ultimo grande falò. Le vittime delle incursioni aeree non vengono più sepolte. Ce ne sono troppe. Nessuno bada a lui quando attraversa la Blücher Platz. Non è altro che un Hauptmann coperto di polvere e con gli occhi stralunati. Che importa? Chi non è coperto di fuliggine? Chi non è più o meno impazzito? Un tram deraglia improvvisamente. I sedili bruciano, coperti da piccole fiammelle. Il conducente pende con la metà del corpo dal finestrino fracassato. È senza testa. L'interno del tram è pieno di corpi mutilati. Una nuova pioggia di bombe investe la città. Le case crollano, avvolte da grandi nubi di polvere. Dopo le bombe dirompenti arrivano quelle incendiarie che si schiacciano con un tonfo acquoso al suolo. Nelle strade imperversa l'inferno. Due vecchi che indossano l'uniforme della protezione aerea lo prendono per il braccio. « Herr Hauptmann, ci aiuti », implorano. « Una bomba ha preso in pieno la nostra cantina. Non riusciamo a tirare fuori la gente! » « Lasciatemi stare, idioti! » grida Menckel, infuriato, respingendoli. « Pensate voi a tirarli fuori. È per questo che fate parte della protezione aerea! » Poi si rimette a correre a grandi falcate di casa in casa.

243 Le ustioni gli fanno male. Ogni passo gli procura fitte di dolore. Ha la sensazione di correre su lastre infuocate. Ha perso il berretto. Una delle spalline di tessuto argentato gli penzola dalla spalla. Assomiglia a tutto meno che a un ufficiale prussiano. Con un improvviso balzo evita di essere investito da una colonna di autopompe che arrivano con grande fracasso dalla Blùcher Platz. I vigili del fuoco sono appesi alle autopompe con le facce annerite dal fumo e dalla sporcizia. Uno di essi cade quando l'autopompa svolta un angolo e l'autopompa successiva lo investe in pieno, schiacciandolo, ma la colonna continua a correre senza fermarsi. Che cos'è un morto in più o in meno? Che importanza ha? Nella Burgstrasse, una pattuglia della polizia militare gli grida di fermarsi, ma Menckel accelera e corre verso il Land-wehr Kanal. Uno dei « mastini » punta il suo mitra per sparargli addosso, ma il comandante della pattuglia, un Ober-feldwebel, dà con la mano un colpo alla canna dell'arma. « Lascia andare il fesso », brontola. « È un ufficiale e probabilmente le bombe lo hanno conciato per le feste! » Tutti e tre si mettono a osservarlo mentre corre, ridono fragorosamente e poi riprendono la loro ronda con il passo pesante e sicuro dei poliziotti. Finalmente Menckel raggiunge il palazzo patrizio che è la sua meta, dà rapidamente un'occhiata a destra e a sinistra e s'infila nell'androne proprio nel momento in cui una macchina svolta l'angolo. Con pochi balzi supera lo scalone e preme disperatamente il pulsante del campanello. Quando la porta non si apre immediatamente, continua a suonare.

244 « È impazzito? » chiede la signora Peters quando apre la porta e lo trascina dentro. « Dov'è il suo amico? » « Lo hanno preso le SS! » « E lei viene qui? » esclama la donna, diventando pallida come un cadavere. « Se ne vada! Mi metterò a urlare se non se ne va immediatamente! » « Non si preoccupi », risponde il medico, tentando di calmarla. « Nessuno mi ha visto. » « Come può esserne sicuro? » chiede lei, con voce tremante. « Se ne vada, per l'amor di Dio! Sento che sta per accadere qualcosa di terribile! Saranno qui tra poco! La scongiuro, se ne vada! » Menckel si avvia lentamente verso la porta. « Di chi è quell'uniforme che lei indossa? » chiede Frau Peters, mentre la mano di lui si posa sulle catenelle. « L'ho tolta a un morto », risponde Menckel con voce sommessa, guardandosi. « Anche questo! » geme la donna, guardandolo con occhi terrorizzati. « Lo ha ucciso lei? » Menckel scuote la testa. « Venga qui, » fa lei con voce ferma. « Le darò un abito borghese! » L'ufficiale si cambia rapidamente. La sudicia uniforme da capitano finisce in cucina, nella Credenza. Poi, la donna lo spinge fuori della porta. « Addio », fa lui, ma la porta si è già richiusa con un tonfo. Si sente il rumore delle catenelle. In punta di piedi, Menckel scende lo scalone. Due passi ancora e sarà al sicuro nella strada. Arrivato al portone s'imbatte in un Feldwebel. Come attraverso un sottile velo di nebbia intravede la mezzaluna che pende, trattenuta da due robuste catenelle, dal

245 collo del sottufficiale. Dietro a questi, distanti pochi passi, sono in attesa tre « cacciatori di teste ». La portinaia è appoggiata alla parete, con un sorriso trionfante sulla bocca. Scintille di soddisfazione sprizzano dai suoi occhietti di topo. Nonostante le incursioni aeree, il fuoco e la morte, si è messa in contatto con la polizia militare che è velocissima quando si tratta di dare la caccia a un essere umano. Il muscoloso Feldwebel con le mostrine dei « cacciatori di teste » porta la mano tesa all'orlo dell'elmetto e fa il saluto prescritto. « Documenti! » fa con un sorriso raggelante, tendendo la mano nella mossa tipica. Menckel si stringe nelle spalle. Non gliene importa nulla. « Non ho documenti », risponde con voce tranquilla, infilando la mano in tasca per prendere la pistola. Con orrore si accorge che l'ha dimenticata. Il Feldwebel sorride, imperturbabile. Non è la prima volta che incontra una persona priva di documenti. « Quando è salito, era vestito da ufficiale », mormora la portinaia, tutta eccitata. « Salito dove? » chiede il sottufficiale senza guardarla. Gli piacerebbe darle un calcio. Un bel calcione. Non perché provi pietà per Menckel, ma perché la trova disgustosa. « Peters, al secondo piano », si affretta a precisare lei, ansiosa di rendersi utile. « In quell'appartamento succedono cose strane da un pezzo. Lei è una puttana borghese piena di arie. Non mi dà mai il buongiorno come una buona nazionalsocialista dovrebbe fare! » « Secondo piano, Peters », dice il Feldwebel e si avvia con passo pesante sullo scalone.

246 « No! » protesta Menckel con voce penetrante. « Mente! Non sono andato a trovare nessuno! E neppure vestivo una uniforme! » « Davvero, schifoso traditore del popolo che non sei altro? » urla la portinaia, furiosa. « Venga con noi », dice il Feldwebel con gentilezza, trascinandosi* dietro Menckel. Gli stivali con le punte e i tacchi di ferro echeggiano sulla scala. I fili del tappeto scricchiolano. Orecchie terrorizzate sono incollate alle porte, ascoltano. Tutti sanno che cosa significa il rumore di quei passi. « Era proprio il secondo piano », si vanta la portinaia con voce trionfante. « L'ho visto sul tabellone quando ha suonato il campanello. » Il Feldwebel bussa alla porta ripetutamente, con decisione, in maniera autoritaria, in una maniera di cui sono capaci solo le polizie delle dittature. « In nome del Führer, aprite! » Poi bussa di nuovo, questa volta più forte. « Chi è? » chiede Frau Peters dietro la porta chiusa. « Polizia militare! Apra immediatamente! » Le catenelle tintinnano, la porta si apre di qualche centimetro. « La signora Peters? » chiede il Feldwebel mentre la mano tesa sfiora l'orlo dell'elmetto. È cortese e formale, ma gelido. Quello di arrestare la gente è diventato per lui un compito normale. Lei annuisce, rendendosi conto che tutto è finito. « Lei conosce questo signore? » Lei annuisce di nuovo. « Dov'è l'uniforme? » chiede il sottufficiale e la scosta dalla porta. « Nella credenza », risponde lei con voce rauca.

247 Il Feldwebel fa un cenno a uno degli uomini e poco dopo l'uniforme viene trovata. Il sottufficiale emette un lungo fischio, come per dire che ha capito tutto, quando vede l'uniforme da ufficiale e la fondina giallastra. Con un ghigno simile a quello di un lupo si rivolge a Menckel. « Era questa l'uniforme che lei indossava? » « Sì. » « È sua? » « No. » « Dove se l'è procurata? » « L'ho tolta a un Hauptmann, morto. » Il Feldwebel prende la pistola del morto, toglie il caricatore e conta le pallottole. Ce ne sono cinque. Due mancano. Il sottufficiale annusa la bocca della canna e guarda di nuovo Menckel con le sopracciglia alzate. « Non è passato molto tempo da quando quest'arma è stata usata! È stato lei ad ammazzare l'Hauptmann, no? » Le manette scattano ai polsi di Menckel. L'acciaio gli penetra nella carne. « E pensare che sembra un tipo così simpatico », commenta sorridendo uno dei mastini, « ma dove sta scritto che uno deve assomigliare a Frankenstein per essere un assassino? » « Ha ammazzato un ufficiale! » dice un altro. « Roba grossa! E gli ha fregato anche la fondina! Cristo! Questo le costerà la testa. Può esserne sicuro! » « Vi sbagliate. Non ho assassinato nessuno », protesta Menckel, inorridito. « L'Hauptmann era stato ucciso da una bomba d'aereo quando l'ho trovato. » « Ma guarda! » esclama con un ghigno il Feldwebel. « Ucciso da una bomba! Di solito, non rimane molto di uno che venga colpito da uno di quegli aggeggi. Benché,

248 d'altra parte, qualche volta capitino cose davvero strane! Veniamo all'uniforme, adesso. Stava ben piegata accanto al cadavere fatto a pezzi, immagino, e l'Herr Hauptmann si stava esercitando al tiro con la pistola proprio quando la bomba gli è caduta in testa, no? Questo spiegherebbe le due cartucce mancanti. Ora, ci dica sinceramente: crede davvero che siamo così ingenui? Chi è lei? Un ebreo, un comunista, un disertore? Fuori la verità! Canti, per favore! Tanto, dovrà cantare per forza tra non molto. Perché non risparmiarci questa noia? La testa è persa comunque! Farà meglio ad abituarsi a quest'idea! » a « Stabsarzt Albert Menckel, 126 Divisione di Fanteria. » « Bene, bene », risponde il Feldwebel, ironico. « Perché non addirittura Generalarzt? Sa che è un bel tipo! Gli ufficiali medici tedeschi con la testa a posto non vanno in giro indossando uniformi rubate. Del resto, perché dovrebbero farlo se ce l'hanno già, l'uniforme? E giacché ci siamo, mi descriva l'uniforme di uno Stabsarzt medico. » « Sono fuggito da una colonna di detenuti in trasferimento », confessa Menckel senza guardare negli occhi il sottufficiale, « ma le do la mia parola che la signora Peters non ne sapeva nulla. Le ho detto che ero in licenza. » « Su, andiamo », dice con un ghigno il Feldwebel. « Sembra che lei continui a considerarci degli ingenui. » Poi, rivolto alla signora Peters: « Mi piacerebbe sapere se gli ufficiali in licenza vengono abitualmente qui per scaraventare le loro uniformi nella credenza in cucina. No, lei non troverà mai qualcuno disposto a credere una cosa del genere. La dichiaro quindi in arresto e il dovere

249 m'impone d'informarla che faremo uso delle armi se dovesse tentare di fuggire ». « I miei bambini », bisbiglia Frau Peters, colta dall'orrore. « Avrebbe dovuto pensarci prima », replica il Feldwebel, estraendo dalla tasca un paio di manette. « I braccialetti, signora, tanto perché non commetta sciocchezze per strada. Ora dobbiamo andare! » « Ne nasce uno ogni minuto », fa uno dei militi mentre afferra la signora Peters per il braccio e l'accompagna sulla scala. « Heil Hitler! » strilla la portinaia a voce altissima e alza il braccio nel saluto nazista. La camionetta scende fino alla Sprea lungo le strade illuminate da innumerevoli incendi. Poi, il veicolo svolta nel grande palazzo grigio della Prinz Albrecht Strasse dove le cantine lo inghiottono. Esattamente nello stesso momento, il nostro battaglione, appena riorganizzato, sale a bordo di vari JU-.52 da carico all'aeroporto di Tempelhof per ritornare in Finlandia.

250 Molti ufficiali hanno la sensazione di dover rinunciare sicuramente alla vita per cui desiderano venderla al prezzo più caro possibile. Un ufficiale politico a Hitler nell'aprile 1944

Attraverso la vetrina sudicia del bar Heino, Porta vede un caporale finlandese uscire di corsa dalla banca con la pistola in una mano e una scatola grigia nell'altra. Subito dopo emergono dalla porta girevole altri due soldati. I tre si allontanano correndo sulla strada. « Pensi che si tratti di un assegno fasullo? » chiede Fratellino, con aria interessata. « Qualcosa del genere », risponde Porta. « Di solito nessuno esce dalle banche con la pistola in mano! » « Cristo, una rapina in banca! » esclama Gregor, contento come una pasqua, affacciandosi alla porta per vedere dove i tre soldati con la pistola e la scatola grigia sono andati a finire. « So dove sono andati », dice Fratellino con un sorriso astuto. « Venite, andiamo a chiedergli quanto si sono portati via. » Dopo un po' li trovano finalmente in uno spaccio clandestino di superalcolici. « Allora, quanto abbiamo ricavato? » chiede Porta con aria paterna, sfiorando leggermente con la canna della P38 la fronte del militare finlandese più vicino. Il caporale, un bestione enorme dall'aspetto quanto mai malvagio, sputa in terra e chiede a Porta se è stanco di vivere. « Ho chiesto 'quanto?' », ripete Porta in tono sprezzante, muovendo la sicura della pistola. « Non li abbiamo ancora contati », risponde un sergente che assomiglia in tutto e per tutto a un topo di campagna. « Allora contiamoli », suggerisce Fratellino con un ghigno

251 soddisfatto, stendendo la mano per aferrare la scatola. « Non è divertente avere della grana se non sai quanta è! » Il coperchio della scatola viene spalancato. « Ecco una cosa che non avevo ancora visto! » esclama Gregor con voce rauca, scagliando in aria un fascio di carte ornate con il leone finlandese. Il sergente che assomiglia a un topo di campagna si getta lungo disteso sul tavolo e si mette a singhiozzare. Il mastodontico caporale, non potendo fare altro, riduce tre sedie in minuscoli pezzettini. « Che razza di super delinquenti », fa Porta con una risata rauca. « Che idea di portarsi via dei titoli del Prestito di Guerra non ancora emessü E inoltre la carta è così rigida che non ti puoi nemmeno pulire il culo! » Il giorno dopo, tutti e tre i militari finlandesi vengono fucilati, per dare un esempio. L'esecuzione ha luogo sulla piazza d'armi della caserma di artiglieria. I tre vengono messi al muro che forma una delle pareti della doccia per la truppa. L'operazione viene eseguita da un plotone degli Jàger Sissi. I soldati del plotone arrivano su biciclette che appoggiano alla rete metallica all'esterno della vecchia officina meccanica di riparazione per automezzi. Poiché Fratellino ha sempre desiderato una bicicletta, ne ruba due mentre i rispettivi proprietari stanno fucilando i rapinatori. Quelle biciclette ci sono servite per molto tempo.

252

IL TEDESCO FASULLO IL pesante silenzio della noia più massacrante grava sulla fureria della Quinta Compagnia a Titovka. Heide è stato nominato capofuriere provvisorio della compagnia. Io sono diventato scritturale e devo tenere in ordine i documenti personali. Qualche volta, l'Hauptfeldwebel Hof-man mi fa fare il portaordini; la gamba ferita mi fa ancora male se la sforzo troppo, ma questo non lo preoccupa. « Il moto », dice, « mantiene sani l'anima e il corpo. Dovresti ringraziare Dio e la cattiva mira dei russi perché hai salvato la gamba! » Poi sorride con malizia e mi soffia una boccata di fumo in faccia. La scheggia della granata mi aveva tranciato di netto il polpaccio. Fosse stato l'anno prima, mi avrebbero ricoverato subito in ospedale e concesso poi, con un po' di fortuna, persino una licenza di convalescenza. Quelli, sì, erano bei tempi, ma ora, purtroppo, roba del passato. Due o tre settimane di servizio sedentario e poi uno viene dichiarato di nuovo « abile al servizio incondizionato ». L'Hauptfeldwebel Hofman si è procurato una poltroncina americana a dondolo girevole. Ci sta seduto come su di un trono. I piedi enormi sono poggiati sul tavolo. Rotea tra i denti un gigantesco sigaro. Ci lancia un'occhiata autoritaria e si versa un grosso bicchiere di vodka. « Se vi dovesse mai toccare la fortuna di diventare Haupt-feldwebel, anche voi potrete permettervi il lusso di bervi un piccolo aperitivo al mattino, tanto per svegliarvi! » Il telefono lo interrompe con un fracasso di cui sono

253 capaci solo i telefoni dell'esercito. Nessuno solleva il ricevitore. Tutti fissiamo l'apparecchio in silenzio. « Unteroffizier Heide! Perché non rispondi al telefono, per tutti i demoni? » tuona Hofman. « Che cosa diavolo credi che ti tenga a fare qui? » « Quinta Compagnia, Unteroffizier Heide! » Dopo aver ascoltato per un attimo, passa il ricevitore a Hofman. « È il comando del distretto militare di Paderborn », bisbiglia con aria furtiva. « Hauptfeldwebel Hofman, Quinta Compagnia », tuona Hofman pieno di prosopopea. « Signorsì, Herr Oberstleutnant », piagnucola poi in tono servile, balzando in piedi e diventando a tratti bianco e rosso in faccia. « Ci dev'essere un errore », dice poi a mezza voce. « L'Unteroffizier Bierfreund è morto da lungo tempo. Caduto per il Fuhrer e la Patria. Mezzo ebreo? Impossibile, Herr Oberstleutnant. Non ci può essere stato alcun errore. Quel figlio di puttana è morto come ebreo dopo una passeggiata nella camera a gas! Chiedo scusa, Herr Oberstleutnant! Signorsì! Starò attento a come parlo, Herr Oberstleutnant! » Hofman avrebbe agitato la coda se ne avesse avuta una. « Signornò, no! L'Unteroffizier Muller è vivo e sta benissimo. Presta servizio in questa compagnia. Come contabile, Herr Oberstleutnant. È un ottimo sottufficiale ed è stato proposto recentemente per la promozione a Feldwebel. Naturlamente, Herr Oberstleutnant. Una fotografia, Herr Oberstleutnant? Gliela mando immediatamente. Lo farò fotografare da ogni angolo possibile, Herr Oberstleutnant. Ci penserò personalmente, Herr Oberstleutnant ». Poi ascolta per qualche minuto con aria costernata, spostando il peso del corpo da un piede all'altro. Alla fine conclude con un debole: « Signorsì, Herr Oberstleutnant, faremo tutte

254 le indagini possibili per stabilire se un simile reato mostruoso possa essere stato commesso ». Quindi depone il ricevitore con estrema delicatezza, come se fosse di vetro. Fatto questo, si mette a contemplare l'apparecchio con aria perplessa, come se non riuscisse a credere a ciò che ha sentito. Infine si lascia cadere con rassegnazione sulla poltroncina americana che sotto l'impatto dondola al-l'indietro e lo scaraventa sul pavimento. « Maledetta merda di ebreo! » si mette a imprecare, strofinandosi vigorosamente il sedere. Poi si mette a scartabellare freneticamente tra le scartoffie che tiene sulla scrivania. « Trovami subito Porta e Wolf », tuona, rivolto a me. « Presto! E muovi quelle fottute gambe! Qui siamo nella merda! E se non saremo svelti, svelti come demoni, saremo in viaggio per Torgau prima che sia finita la settimana! » Parto al trotto per eseguire il suo ordine. Wolf lo trovo in un magazzino, intento a battere sulla calcolatrice. « Fuori dai piedi! » esplode quando apro la porta. I due cani lupo si alzano e mi mostrano i denti. « È una cosa importante », grido, avvicinandomi preoccupato di nuovo alla porta, seguito dagli occhi famelici dei due grossi cani. « Importante per chi? » chiede Wolf senza alzare gli occhi dalla calcolatrice. « Non certo per me, lo giurerei! » « Hanno telefonato da Paderborn! Hanno scovato qualcosa, non so bene che cosa, su Bierfreund e Müller! » « Non è una faccenda che mi riguardi », dichiara Wolf in tono brusco. « Di' a Hofman che gli voglio tanto bene e di venire qui, se vuole qualcosa da me! Un capomec-

255 canico non si mette a correre quando lo chiama una merda di Haupt-feldwebel. » Porta si trova nella sauna con tre ausiliarie finlandesi. « Paderborn? » sorride con noncuranza. « Comando del distretto militare! In culo a loro! Non ho mai sentito parlare di qualcuno che si chiamasse Bierfreund! Tutti gli ebrei che conosco sono o in viaggio o in un campo di concentramento dove fanno la coda davanti alla camera a gas. Müller, invece, lo conosco da anni. Un tedesco autentico, degno di ogni rispetto, semmai ve ne fu uno. Il suo albero genealogico risale all'epoca in cui il principale divertimento della domenica era quello di fracassare crani con un randello! » « Stanno arrivando? » chiede Hofman quando ritorno. « Dicono che non vogliono venire, Herr Hauptfeldwebel! » Hofman mi guarda come se non mi avesse compreso. La sua faccia ha l'aspetto di uno che sia stato appena ammazzato da una revolverata. « Vuoi dire che quei due figli di puttana si sono semplicemente rifiutati di venire qui? Muoviti », urla poi con una voce che sembra il ringhio di un gigantesco cane. « Ti strapperò le budella se non tornerai con quei due figli di una baldracca! » Porta mi viene incontro con lunghe falcate decise. « Dove si sta nascondendo il tipo che vuole vedermi? » chiede con sussiego, raddrizzando il cappello a cilindro giallo che porta in testa. Gli indico in silenzio la porta chiusa della fureria. Senza curarsi minimamente del cartello dove sta scritto BUSSARE E ASPETTARE, Porta dà uno spintone al battente ed entra nella fureria con la delicatezza di un T34 che sia penetrato in un negozio di casalinghi. Poi sbatte i

256 tacchi e grida ad altissima voce: « Herr Hauptfeldwebel, l'Obergefreite Porta della Quinta Compagnia, Seconda Sezione, primo gruppo, si presenta come gli è stato ordinato! » « Smettila di fare il fesso », sibila Hofman. « E non gridare così! Chi ha il diritto di gridare qui sono solo io! » Poi si adagia sullo schienale della poltroncina americana. Attraverso la finestra ha intravisto il capomeccanico Wolf che sta attraversando la piazza d'armi piena di fango, saltando da un pezzo asciutto all'altro per non sporcare i suoi stivaloni da ufficiale, cuciti a mano e costati cinquecentocinquanta marchi. « Dio mio! » prega silenziosamente Hofman, « fallo cadere sul sedere in mezzo a tutto quel fango! » Ma Dio non tiene per Hofman. Sempre in piedi, Wolf continua a saltellare da un punto asciutto all'altro finché non approda su un lastrone di pietra. Wang, il cinese, arriva correndo con una pezzuola per lucidare con cura gli stivaloni da cinquecentocinquanta marchi. Il capomeccanico Wolf ritiene che quelle calzature siano una componente importante della sua immagine. Gli stivaloni cuciti a mano e tirati a lucido sono il distintivo di un grande capo. Solo i subumani e i fessi girano con gli stivaletti forniti dal governo. Senza alcuna necessità, rassetta con qualche colpetto l'uniforme grigio-ardesia fatta su misura, non fornita dai magazzini militari. « Heil Hitler! » esclama in tono ironico quando entra in fureria. Poi prende uno dei sigari di Hofman che questi non si è mai sognato di offrirgli. Hofman non tenta di dissimulare ciò che prova. Nulla gli piacerebbe tanto come cacciare quel sigaro nella gola di Wolf. « Se ben ricordo, non ti sei fatto vivo per restituirmi i

257 soldi che ti ho prestato e i relativi interessi », comincia Wolf, stendendo la mano rapace. « Oggi dobbiamo discutere cose più importanti », lo interrompe Hofman con sussiego. « Non immagino di che cosa possa trattarsi », risponde Wolf, sedendosi su un angolo della scrivania, « ma forse ti sarebbe gradita la visita del mio esattore? » « Quanto vuoi? » chiede Hofman con aria risentita, grattandosi dietro l'orecchio. « Lo sai benissimo », replica Wolf con un sorriso furbo, « e così pure sai quello che è capitato di Wachtmeister della polizia militare Brinck che era di due settimane in ritardo con il pagamento del debito e degli interessi! » « Strozzino », ringhia Hofman mentre un tic gli deforma la faccia. Sa benissimo che il Wachtmeister della polizia militare Brinck ha perso un orecchio in circostanze misteriose, e che quest'orecchio gli è stato restituito con un regolare pacco postale inviatogli tramite la posta militare. C'era una voce in giro che il crimine era stato perpetrato dai partigiani, ma in realtà lo avevano commesso gli uomini che chiedevano l'ottanta per cento d'interesse. E non era la prima volta che lo facevano. Hofman fruga in uno dei cassetti della scrivania e consegna a Wolf una grande busta grigia. Le banconote vengono contate con cura e Wolf ispeziona ognuna di esse controluce. « Credi che le abbia stampate io? » chiede Hofman con sarcasmo. « No, sei troppo stupido! » risponde Wolf, sfrontato. « Tu sei il tipo che si fa fregare con la moneta falsa! » « Mi hanno telefonato da Paderborn », annuncia Hofman con aria triste. « Il cesso è in fiamme! »

258 « Chiama i pompieri », suggerisce Wolf. Non ha l'aria di essere preoccupato. « È il loro lavoro! » Porta si piega in due dal gran ridere e picchia i pugni sul tavolo. « Vi divertite, eh? Ma quando vi avrò detto tutto, tornerete con i piedi sulla terra », li avverte Hofman, minaccioso. « Chi mi ha telefonato è stato von Weisshagen in persona. La falsificazione dei documenti matricolari è una faccenda molto grave. Si può finire al muro! Il meno che ti becchi è una lunga, lunga vacanza in galera. » « Ti manderemo ogni anno un pacco-regalo per Natale finché sarai a Torgau », promette Wolf. « Inoltre ti daremo una lettera di raccomandazione per Jern Gustav. Così non ti maltratterà troppo. » « Se io finisco a Torgau », esplode Hofman con voce stentorea, assomigliando in tutto e per tutto a una caldaia in procinto di esplodere per l'eccessiva pressione, « ci finirete anche voi. Tutti quanti! Racconterò tutto ciò che so, e ciò che non so lo immaginerò e lo racconterò! E già che ci siamo: lo sapevate che c'è la pena di morte per chi vende roba al mercato nero? » « Davvero? » chiede Wolf con un sorriso divertito. « Il nostro Herr Hauptfeldwebel conosce forse qualcuno che vende roba al mercato nero? » chiede Porta con un sorriso ipocrita. Wolf emette una specie di nitrito per manifestare il proprio entusiasmo. « Non farmi incazzare, Porta! » minaccia Hofman, lasciandosi ricadere contro lo schienale della sua poltroncina fabbricata in America. «Ti farò scomparire dalla faccia della terra, stronzo che non sei altro! » Poi estrae una rivoltella tutta unta d'olio da un cassetto della scrivania e la punta alternatamente su Wolf e Porta.

259 « Perché non cominci col prendere a revolverate te stesso? » lo sfotte Wolf. « Sarebbe un problema di meno per la Compagnia! » « Un Hauptfeldwebel non deve sopportare un simile linguaggio di merda », grida Hofman, fuori di sé. « Insultami un'altra volta alla presenza di inferiori e sei fregato! Tu sarai il capomeccanico della Quinta Compagnia, ma io sono la Quinta Compagnia! » « Posso toccarti? » chiede Wolf con finto timore reverenziale, stendendo la mano. « Tu sei un grand'uomo, ma certe cose possono accadere anche ai grandi, sai? » « Potrebbe saltare in aria, per esempio », fa in un soffio Porta, mettendo in mostra l'unico dente rimastogli. « State per caso minacciando di morte il vostro Hauptfeldwebel? » tuona Hofman, picchiando la canna della rivoltella sul tavolo. « Potrei benissimo mandarvi sotto processo anche adesso! Avete mai letto i vostri fogli matricolari? Qualsiasi avvocato si metterebbe le mani nei capelli. » Poi sfoglia quello di Porta. « Dopo tre mesi di servizio a Bamberg ti hanno mandato al carcere militare di Heuberg perché erano arrivati alla conclusione che dovevi stare in galera. Furto e incendio doloso! Varie volte! Le uniche osservazioni che si leggono a proposito del tuo carattere sono: subdolo, non dà affidamento, bugiardo, e così via. » Quindi rimette il foglio matricolare di Porta nel cassetto con un'espressione di disgusto. « Ecco qua, puoi leggere il tuo foglio matricolare, se ti va », dice poi, rivolto a Wolf, spingendo verso di lui il documento. « Ne ho visti di peggiori », commenta con un sorriso di fierezza Wolf. « Guarda qui! Dicono che sono un eccellente organizzatore. » « Che il diavolo si porti questa compagnia di ladri, im-

260 broglioni e delinquenti abituali! » esclama Hofman, furioso, rovistando in una catasta di fogli matricolari. « Ecco il foglio matricolare di quel figlio di puttana d'un ebreo », grida, scagliandolo sulla scrivania. « Quello lo strozzerò personalmente con il suo uccello circonciso di giudeo. Gli farò capire che non si diventa tedeschi cambiando semplicemente un nome giudeo in Mùller! Io sono stato sempre contrario a questa fottuta iniziativa delle falsificazioni. Vi ho messo in guardia! Adesso, la merda è finita sul fottuto ventilatore! » « Tutto qui? » fa Wolf con una risatina. « Non dimenticare, comunque, che se siamo stati noi a sostituire i documenti, la firma su quelle carte fasulle ce l'hai messa tu! » Poi afferra il foglio matricolare e lo sventola sopra la testa in segno di scherno. « Ecco che cosa dice qui: 'Si approvano le correzioni. Hofman, Haupt e Stabsfeldwebel'. Quella firma è tua, non ci possono essere errori. Si legge perfettamente. » Hofman dà l'impressione di occupare meno spazio sulla sua poltroncina made in USA. Ha l'aria di disfarsi un po' alla volta. « Questo si chiama falsificazione di documenti », dice con voce appena udibile. « Noi abbiamo trasformato quel giudeo, Bierfreund, in un puro tedesco, Mùller! Dio mio, la faccenda è grave. Con la stessa facilità si potrebbe trasformare il gran capo delle SS, il nostro Reichsheini,1 in un ebreo. Se scoprono questa cosa... » « Chi ha detto che debba venire fuori? » chiede Wolf. « O avevi per caso l'intenzione di raccontarlo sui giornali? » « Nessuna falsificazione di documenti è tale prima che 1

Letteralmente « Enrico del Reich », nomignolo spregiativo dato a Himmler, capo delle SS. (N.d.T.)

261 qualcuno non l'abbia provata. Con una bella confessione, per esempio », spiega Porta con sussiego. « Ma chi potrebbe essere così scemo da confessare una cosa del genere? Bierfreund, il tedesco giudeo, alias Mùller, terrà la bocca chiusa, di questo siamo certi. Proviamo un po' a riflettere su questa faccenda! » « Sì, riflettiamo, per l'amor di Dio », grida Hofman che comincia di nuovo a sperare. « Che cosa dici tu, Wolf? Tu sei capace di far apparire bianco ciò che è nero, se lo vuoi! » « Non ne so assolutamente nulla », dice Wolf in tono gelido. « Non ne ho neppure sentito parlare! » « Nemmeno io », fa Porta con un sorriso allegro. « Che cosa volete dire con questo? » chiede Hofman, perplesso, sentendosi come qualcuno che stia camminando su una sottile lastra di ghiaccio e debba procedere con estrema cautela. « Non è tanto difficile capirlo », dice Wolf con un'espressione subdola negli occhi verdi vitrei. « Tu sei quello che con un tratto di penna ha trasformato un ebreo in un tedesco. E sempre tu lo hai proposto per la promozione a Feldwebel. Un Feldwebel giudeo nell'esercito della Grande Germania! Ecco un bel colpo! Quando quelli della Prinz Albrecht Strasse lo sapranno, partiranno a razzo, come se avessero la polvere pirica nel sedere. » « E chi andrà a raccontarglielo? » chiede Hofman con una punta di paura nella voce. « Quelli che ti hanno telefonato da Paderborn », risponde Wolf con un sorriso sarcastico. « Von Weisshagen non può soffrire quelli della Gestapo! Li detesta», fa Hofman con convinzione. « Chi ti garantisce che voglia bene ai giudei? » chiede

262 Wolf ; con un sorriso malizioso. « Particolarmente quando si tratta di un ebreo che sta per diventare Feldwebel in base a documenti falsificati? » « Neppure a me piacciono gli ebrei », ammette Hofman. « Così, perché, in nome del demonio, avrei dovuto aiutare uno di loro a diventare tedesco? » « Perché se ne intende di contabilità », risponde Wolf in tono di scherno. « Se tu non lo avessi fatto arrivare qui, saresti finito sotto processo da un pezzo per appropriazione indebita. Tutti sanno che non riesci a contare fino a venti se non ti togli gli stivali! Per un tipo come te, un giudeo che sia capace di fare i conti è come manna piovuta dal cielo! » «Quei documenti a Paderborn devono scomparire», stabilisce Porta, strappando in due il fascicolo del Regolamento di Disciplina dell'Esercito. « Come? » chiede Hofman che ha scorto la classica pagliuzza e tenta di aggrappatisi. « Così », fa Porta,, strofinando il pollice contro l'indice, nel gesto internazionale che indica il termine « pagare ». « Non dire fesserie, Porta! Non puoi corrompere l'Oberst-leutnant von Weisshagen! » « Non abbiamo bisogno di lui », fa Porta. « È solo un Oberstleutnant. Noi dobbiamo occuparci di uno pseudotedesco. Ora, io so che a Paderborn esistono vari tipi di questa specie. Se questi tipi con il naso a forma di scimitarra si mettono insieme e d'accordo, schiacceranno quel 'povero Oberstleutnant tedesco come un rullo compressore! » Hofman lancia un'occhiata di ammirazione a Porta. « Tu saresti un ottimo Unteroffizier, Obergefreite Porta. Che ne diresti di mettere una firmetta per ventiquat-

263 tro mesi? » « Mi piacerebbe solo avere il tempo necessario per farlo, Herr Hauptfeldwebel. Ma sono atteso a Berlino! » « Facciamo sbrigare la faccenda a questo figlio di puttana pseudotedesco », tuona Hofman. « Quello dovrebbe essere capace di districare la matassa. Del resto, la faccenda riguarda proprio lui. Su, sbrigati! » mi fa, spingendomi fuori della porta. « Va' a chiamarlo! » Il dragone di Mosè è seduto con uno dei cuochi, l'Unteroffizier Balt, e sta rosicchiando una coscia di renna che intinge ripetutamente in un recipiente pieno di salsa all'aglio. « Hofman sta sospirando a furia di desiderarti », dico, accettando un pezzo di carne di renna bollente. « Che cosa vuole? » chiede l'interpellato con indifferenza, strappando un grosso boccone dalla coscia. « Da Paderborn hanno chiesto per telefono come fai a essere tedesco. Hofman è caduto già varie volte dalla sua poltroncina americana. » « I miei documenti sono a prova di bomba, quant'è vero Iddio », risponde Muller, tracannando un grande bicchiere di birra. « Permetti? » fa poi, rivolto ali'Unteroffizier Balt, intingendo un pezzo di pane nella salsa all'aglio. Mastica come un maiale affamato. Il grasso gli scende dagli angoli della bocca e lungo il mento. L'Unteroffizier Balt va a prendere dell'altra birra e un mazzo di carte. A Hofman farà bene aspettare un po'. Del resto, chi può sapere quanto tempo io ci abbia messo per scovare il dragone di Mosè? L'Unteroffizier contabile può essersi cac-iato ovunque. « Ce ne avete messo del tempo, eh? » tuona Hofman, involato, guardandoci con occhi sospettosi quando torniamo 1 fureria un'ora più tardi.

264 « Che diavolo hai mangiato, Muller? Hai tutta la faccia a sinagoga piena di unto! Non lo sai che ai giudei non è permesso mangiare maiali tedeschi? I maiali tedeschi spetino ai tedeschi! Perché hai poltrito tutta la mattina? » « Sono stato in giro a fare l'inventario », risponde Muller con noncuranza. « L'inventario di che cosa! » brontola Hofman, incredulo. Lo hai già fatto da un pezzo, tanto tempo fa! Da due anni non fai altro che controllare l'inventario! » « Il carico delle munizioni non corrisponde », risponde Muller, come se si trattasse di una cosa inaudita. Mai, da quando il primo soldato tedesco ha cominciato a servirsi delle armi da fuoco, la consistenza effettiva delle munizioni ha corrisposto alle cifre segnate sul registro di carico. « Come, il carico delle munizioni non corrisponde? » tuona Hofman, imbestialito. « Sei impazzito? Perché diavolo credi che ti tenga con me, te e il tuo muso da giudeo? » « Ci mancano dieci cassette di cartucce per fucile », risponde Muller con aria soddisfatta, « e quaranta bombe a mano sono scomparse senza lasciare traccia! » « Che tipo di bombe a mano? » ringhia Hofman. « Esprimiti correttamente! Qui non sei in una sinagoga dove puoi spetazzare in giro con uno zucchetto in testa! » « Schiacciapatate », sospira Muller con aria stanca. « Qualcuno se le dev'essere fregate! » « Hai controllato il materiale del capomeccanico Wolf ? » chiede Hofman in tono di rimprovero. « Che ci si provi! » esclama Wolf con un accento di minaccia nella voce. « Se lo farà, non gli mancherà solo la pellicina del cazzo, ma un bel po' di pelle in tutto il

265 corpo! » Hofman si lascia cadere disfatto sulla poltroncina di fab-ricazione americana. Siccome ha dimenticato di aver staccato la levetta di bloccaggio, poco manca che non finisca un'altra volta col sedere per terra. « Merda fottuta di giudeo! » impreca mentre riacquista con difficoltà l'equilibrio. « Ascoltami, Muller o Bierfreund o quale che sia adesso il tuo fottuto nome. Sai benissimo che se non fosse per me, tu saresti da un pezzo un mucchietto di cenere e tre saponette a buon mercato! Hanno esaminato il tuo foglio matricolare a Paderborn. Per il momento, la faccenda è arrivata solo fino a un Oberstleutnant, l'Oberstleutnant von Weisshagen, quest'è vero, ma non oltre. Ora devi telefonare al Feldwebel che dirige la sezione documenti personali. Si chiama Bernstein, e con quel nome sarei pronto a scommettere che tiene ancora la sabbia del deserto tra le dita dei piedi! Accendigli un bel fuocherello sotto il suo grasso sedere. Raccontagli che sei nei guai e che deve aiutarti. Qui è in pericolo non solo il sangue giudeo, ma anche il prezioso sangue tedesco! E la colpa è tua! Mettitelo in quella testa piena di vene calcificate. Prendi in mano quel telefono! Non preoccuparti di ciò che costerà. Ci penserà l'esercito. Tu devi solo parlare, hai capito? Quello che conta è il risultato che otterrai, e sarà meglio che sia un risultato soddisfacente! » Trascorre parecchio tempo prima che Müller riesca a mettersi in comunicazione con l'Undicesima Panzerersatzabteilung a Paderborn. Finalmente ci riesce. « Vuoi parlare con Bernstein, eh? » fa una voce stridula, gioviale. « Sei in ritardo di esattamente un'ora. È partito! Prova tra tre settimane! » « Chiedigli dove diavolo è andato a cacciarsi! » ringhia

266 Hofman che sta ascoltando in cuffia. « Hai il suo indirizzo? » chiede Mùller, con gentilezza. « Certo che l'abbiamo. Credi forse che non conosciamo il nostro mestiere? » ribatte ridacchiando la voce stridula. « A che cosa ti serve il suo indirizzo? » « Voglio parlargli. » ' « Non puoi! Non è qui! » fa la voce, quasi gridando, a Paderborn. « Dov'è, allora? Voialtri dovete sapere dov'è andato a finire, no? Se tutto dovesse andare a gambe all'aria, dovresti pur sapere .dove cercarlo, non ti pare? » « Se tutto dovesse andare a gambe all'aria, non ritornerebbe comunque », replica ridendo la voce a Paderborn. « Credi che sia un imbecille? È andato in licenza. Può darsi che sia andato a curarsi a Bad Gastein. Ha ventilato questa possibilità. Sei mai stato a Bad Gastein? » « No, mai », geme Müller, quasi quasi deciso a piantare lì tutta la faccenda. « Dicono che sia un posto meraviglioso », fa il gioviale Unteroffizier di Paderborn. « Per tutto il giorno ti tengono sdraiato nel fango caldo e ti danno da mangiare per rimetterti in forma. Ecco che arriva il capo. Ritelefona fra tre settimane, collega, e se Bernstein non è rimasto soffocato nei fanghi, sarà probabilmente qui. » Il telefono si mette a ronzare. La comunicazione è interrotta. Hofman balza dalla poltroncina girevole, fatta in America, come un razzo e sferra un calcio al gatto della compagnia. E, come al solito, lo manca. « A tanto siamo arrivati! » gracida imbestialito. « I giudei vanno in licenza, si curano con i fanghi a Bad Gastein e fanno le acque mentre a noi tedeschi rifiutano la

267 licenza perché la Patria è in pericolo. Questa è la notizia peggiore che mi sia mai capitata di sentire. Adesso comincio a credere davvero che non vinceremo questa guerra! » « Dio solo sa che cosa dirà il Reichsführer quando lo saprà », dice sorpreso Julius Heide. « Chiudi il becco, Unteroffizier Heide. Questa è una di quelle cose che il tuo minuscolo cervello tedesco non capirà mai! Tu, Mùller, non faresti mai una cosa del genere, eh? Andare a Bad Gastein e rendere i fanghi più sporchi di quanto lo fossero prima? Gran Dio del Cielo! Questo è davvero il colmo! Be', torniamo al lavoro! Di quel mascalzone a Bad Gastein ci occuperemo più tardi. Quanti altri pseudotedeschi conosci a Paderborn? Fa' lavorare le meningi! Rifletti! Pensa furiosamente come se fossi costretto a ricordarti l'intero Talmud e metterlo per iscritto! Prendi in mano quel telefono, fa' muovere la sinagoga! » « Forse potrei tentare di telefonare al Wachtmeister Sally al comando del distretto militare », suggerisce Müller, pensieroso. « È un tipo molto gentile. » « Della sua gentilezza non me ne frega proprio niente », grida Hofman, fuori della grazia di Dio. « Deve aiutarci. Ne va della nostra vita, della nostra libertà. Spiegaglielo! » Porta è appoggiato al lavandino, canticchia il coro del Nabucco e si esamina il viso allo specchio. « Smettila di fare quel che stai facendo », tuona Hofman, « e piantala di guardarti allo specchio! Ti verrebbero solo brutte idee! Ti ho detto di stare comodo, ma non che potevi andare a contemplarti allo specchio! » Ci vuole quasi un'ora perché Müller riesca a mettersi in comunicazione con il Wachtmeister Sally.

268 « Far sparire un foglio matricolare? » chiede Sally quando Mùller gli ha spiegato come stanno le cose. « Si può fare, ma che cosa ci guadagno io? » « In che razza di epoca viviamo », geme Hofman, che sta ancora ascoltando in cuffia. « Adesso quel figlio del fottuto deserto tenta di farsi pagare per aiutare della gente che è nei guai! » « Che cosa possiamo offrirgli? » chiede Müller guardando Wolf e Porta. « Dieci scatolette di carne di maiale », suggerisce Porta, generosamente. « Ma no, ma no! » protesta Hofman. « I giudei non mangiano carne di maiale! » « Io possiedo alcune bruttissime macchine da scrivere russe », fa Porta. « Credi che gli piacerebbe scrivere con macchine'da scrivere russe? Dopo la guerra saranno sicuramente di gran moda! » « Quello sta al comando e può avere tutte le macchine da scrivere che vuole », ribatte Hofman, irritato. « Macchine da scrivere tedesche. Trova qualche altra idea, Porta! » « Uova polacche », suggerisce Porta, inarcando un sopracciglio. « Può darsi che sia uno di quei fessi che mangiano omelette a bizzeffe perché credono che le uova li rendano più virili! » « Sarebbe un'idea », fa Hofman, schiarendosi in volto. « Facciamo avere a quel figlio di puttana dieci cassette di uova. Così, il suo cazzo moscio gli verrà duro un po' più spesso. » « Dieci cassette di uova », offre Mùller, generosamente. Il Wachtmeister Sally scoppia in una lunga e fragorosa risata.

269 « Ti rendi conto quanto sei buffo? » chiede quando ha ripreso fiato. « Noi possediamo qui una tale massa di uova che abbiamo cominciato a covarle personalmente. E tanto per sollecitare un po' i tuoi processi mentali ti dirò che è arrivato proprio in questo momento un foglio di informazioni in triplice copia: due Feldwebel sono stati giustiziati lo scorso sabato per aver falsificato dei documenti. Così, che cosa sei disposto a offrire ora? Non quelle uova, comunque! » Mùller rivolge un'occhiata costernata a Wolf. « È quasi un ricatto », ringhia Wolf, disgustato. « Che cosa ti aspettavi da un giudeo? » commenta Hofman. « Adolfo ha ragione. Quelli vogliono una sola cosa: mettere i piedi in testa a noi tedeschi. » « Offrigli una cassetta di whisky scozzese », borbotta Wolf con riluttanza. Ha capito istintivamente che il Wachtmeister Sally non si accontenta facilmente. « Puoi avere una cassetta di whisky scozzese autentico », offre Müller per telefono. « Così va bene », dice Sally in tono soddisfatto. « Di' un po'! Non ci sono per caso Wolf o Porta nelle vicinanze, eh? » Hofman scuote la testa e strizza l'occhio. Mùller capisce. « No, che cosa vuoi da loro? » « Quando li vedi, chiedi se uno di loro sia disposto a comperare una lince. Se la cosa gli interessa, posso mandare il mostro con l'aereo postale. Il trasporto lo pago io. » « Che cosa può farsene uno di una lince qui, al Circolo Polare Artico? » domanda Mùller, meravigliato. « Se hai qualche nemico, quella bestiaccia te lo sistema in quattro e quattr'otto. Se dovesse diventare più a-

270 gitata di quanto lo è ora, sarebbe in grado di far scappare un'intera divisione di fanteria. Resta all'apparecchio e tieni l'orecchio incollato al ricevitore! » Poco dopo attraverso il ricevitore si sente una bestia che sibila, soffia e ringhia. « Che cosa ne pensi? » chiede Sally, fiero. « Hai sentito com'è incavolata? E pensare che questo è il suo temperamento normale. Prova a stuzzicarla un po' e l'unico che è capace di restare qui al comando sono io. Se la dovessi far uscire dalla gabbia, dopo un po' non ci sarebbe più presidio a Paderborn. Volete che ve la mandi? Potreste fare a meno delle sentinelle durante la notte! » « Non abbiamo bisogno di linci da queste parti », grida Hofman. « Digli che gli mandiamo il whisky oggi stesso! » « Gli mandiamo? » brontola Wolf con condiscendenza. « Come se tu avessi del whisky da mandargli! » « Lince », fa Porta, assaporando la parola. « Non è una di quelle bestie con le orecchie triangolari, a punta? » « Esattamente », risponde Wolf. « Sono quelle bravissime bestie. Basta girare al largo. Prova a scaraventarne una nell'inferno e vedrai Satana e sua nonna darsela a gambe e abbandonare l'inferno alla lince! » « Credo che mi sia venuta un'idea », dice Porta, esaminandosi con attenzione ancora maggiore allo specchio. « Lince! Niente male, niente male! » « Niente linci », grida Hofman, innervosito. « Mi hai capito, Porta? Questo è un ordine! » « Benissimo, Herr Hauptfeldwebel », abbaia Porta. « Lince », mormora tra di sé in un bisbiglio poco dopo e guarda Wolf. Questi gli strizza l'occhio. « Hai altri amici con il naso adunco a Paderborn, Mül-

271 ler? » chiede Hofman, misurando a passi concitati l'ingresso. « Se sì, chiamali al telefono e mettili sotto. Conosci quella teoria, no?: non bisogna mai disperdere le forze. Klotzen, nicht klecksen,1 come ci ha insegnato il nostro Panzergeneral Gu-derian. » L'intero pomeriggio e buona parte della serata vengono dedicati alle telefonate. Ma nonostante tutta quest'attività frenetica, la loro unica speranza resta il Wachtmeister Sally. Hofman si assesta di nuovo sulla poltrona girevole e mette i piedi sul tavolo. Il giorno dopo, un pesante silenzio incombe sulla fureria. Tutti noi sobbalziamo ogni volta che suona il telefono. Nero e minaccioso, l'apparecchio si trova al centro della scrivania davanti a Hofman. « Anche se il Führer in persona volesse parlarmi di una cosa, di qualsiasi cosa », tuona Hofman, « io non ci sono! Voialtri non sapete dove mi trovo e neppure quando sarò di ritorno. Avete capito? » Proprio prima di mezzogiorno, il telefono squilla con uno scampanellio forte e stridulo per l'ennesima volta. « Parla la Quinta Compagnia », rispondo. « Come vanno le cose da voialtri, laggiù? » chiede una voce melliflua che dovrei conoscere. « Chi parla? » chiedo. « Non lo immagini? » « No, ma ho già sentito la tua voce. » « Mi fa piacere sentire che riconosci la voce di un vecchio amico. C'è Hofman? Di' a quello stronzo che qual1

Letteralmente: « Spargere l'inchiostro con abbondanza, non a piccole macchie ». Il generale Guderian si riferiva ai carri armati che secondo lui dovevano essere impiegati a grandi masse, non isolatamente. (N.d.T.)

272 cuno vuole parlare con lui. » Io indico il telefono e lancio un'occhiata interrogativa a Hofman, il quale scuote la testa violentemente e indica la finestra. « No, l'Hauptfeldwebel non è in ufficio. Devo riferirgli qualcosa? » « Sì, digli che a quest'ora sentite probabilmente un bel caldo sotto i vostri culi, ma che se io non recito la parte del buon camerata e non tengo la bocca chiusa a proposito di certe cosette che so, i vostri sederi diventeranno così roventi da poterci friggere le uova sopra! » Improvvisamente riconosco la voce. Quella risata la riconoscerei tra mille. È Sieg, il nostro vecchio commilitone! Hofman diventa bianco in faccia. Ovviamente immagina chi è al telefono. « È con lo Zahlmeister Sieg che parlo? » chiedo, molto a disagio. « Ispettore della polizia segreta militare », mi corregge. « Sono stato trasferito alla Geheime Feldpolizei. Queste cose succedono quando uno fa bene il proprio lavoro e riesce ad acciuffare i delinquenti perché ricevano la punizione che gli spetta. Come stanno i miei vecchi amici, Wolf e Porta? Continuano a falsificare documenti in combutta con Hofman? Ho sentito che hanno sostituito le mostrine con la Stella di Davide! » Hofman picchia varie volte silenziosamente il pugno sulla scrivania. È quasi verde in faccia per la rabbia repressa. « Non capisco che stai dicendo. » « Oh, sì che lo capisci! Tu mi comprendi molto bene. Credi forse che non mi sia accorto che razza di giochetti venivano combinati mentre prestavo servizio nella vo-

273 stra fetente Compagnia? Puoi dire agli altri, se già non lo sanno, che c'è la pena di morte per chi lascia in vita un ebreo con l'aiuto dei documenti di un tedesco morto! » « Ma noi, che c'entriamo? » chiedo con un sinistro presentimento. « Non fate i finti tonti! » fa Sieg, e mi pare di vedere il suo malvagio sorriso. « Sapete benissimo che state camminando sul filo di un rasoio! Se dovessi divulgare questa storia, sarete fortunati se salverete la testa. In ogni caso diventerete ospiti permanenti di Torgau! » « Quanto ci vuole per impedire alla tua lingua di agitarsi troppo? » chiedo in tono deciso. Hofman si dà con la palma tesa della destra un colpo sulla fronte e mi lancia un'occhiata come se volesse mangiarmi vivo. Gli offro il ricevitore, ma lui si ritira come se si trattasse di un serpente a sonagli. « Adesso cominci a dimostrare un po' di buonsenso. Voglio cinquantamila Reichsmark per dimenticare il mio dovere nei confronti del nazionalsocialismo, e li voglio entro ventiquattr'ore. Uno di voi s'incontrerà con me sul piccolo sentiero dietro al forte. E non facciamo scherzetti, eh! » Lancio un'occhiata interrogativa a Hofman che sta bisbigliando con Porta e Wolf. « Allora, come la mettiamo? » chiede Sieg, impaziente. « Siete disposti a pagare o devo venire là di persona ad acciuffare il cazzo circonciso? » Lancio di nuovo il mio appello a Hofman. Questi annuisce con aria disgustata. « Sta bene », gli rispondo. « Sarai informato quando saremo sul posto con i ducati. Dobbiamo prima racimo-

274 larli! » « Sarebbe saggio da parte vostra raccoglierli al più presto! » Sieg depone il ricevitore con un colpo secco. « Sporco sciacallo! » esplode Hofman, calando il pugno sulla scrivania con tale violenza da far sobbalzare il telefono. « Bisogna liquidare questo malvagio stronzo! È davvero pericoloso! » « Herr Hauptfeldwebel! Per il momento dobbiamo cedere e mantenere chiare le idee», grida Porta. «Forse abbiamo bisogno di una lince », soggiunge poi, con aria riflessiva. « Una bestia come quella ti riduce in polpette un uomo grande e grosso in un batter d'occhio! » « Non sarebbe più saggio dargli i soldi? » chiede Hofman. « In fondo, cinquantamila marchi potremmo racimolarli! » « Io potrei, non certo tu », osserva Wolf con molta boria. « Non dimenticatevi che ci sono di mezzo anch'io », osserva Porta in tono asciutto. « Se bisogna sborsare dei soldi, a me tocca versarne la metà. Ma io per principio non amo cedere ai ricattatori. Quel figlio di puttana di un negroide non si accontenterà dei cinquantamila. Il tipo è insaziabile. Finiremo per diventare suoi schiavi! » « Emil Sieg è una malvagia vecchia puttana », grida Fratellino, indignato. « Andiamo a fargli la pelle subito! Le cose del genere vanno sistemate immediatamente! » « Quella subdola canaglia pensa di essere un dritto », dice Porta, sputando sul pavimento. Hofman riesce a trattenersi solo con estrema difficoltà. Mai prima d'allora qualcuno ha osato sputare per terra nel suo ufficio. Tanto per sfogare la rabbia impotente, sferra di nuovo un calcio al gatto della compagnia, per mancarlo anche questa volta.

275 « Allora faceva lo stronzo quando ci è toccato sopportarlo in compagnia », continua Porta, prendendo uno dei sigari di Hofman senza averglielo chiesto. « Adesso basta », brontola Hofman, chiudendo la scatola dei sigari in un cassetto della scrivania. « E se dicessimo a Sieg che i vecchi stanno qualche volta meglio da morti che non da vivi? » suggerisce Fratellino in tono mellifluo. « In tal caso il buonsenso gli direbbe forse di farsi trasferire in un posto molto, molto lontano. » « E dobbiamo sorbirci tutte queste puttanate per colpa di uno stronzo di ebreo! » osserva Hofman con amarezza. « Senti, Porta! Trova una soluzione, per amor di Dio. Di solito sei molto svelto quando si tratta di agire senza perdere tempo! » « Facciamoci un caffè », suggerisce Porta e poi, senza che nessuno glielo abbia chiesto, si allontana e scova la preziosa riserva di caffè che Hofman tiene nascosta. « Il caffè schiarisce le idee! » Fratellino porge una tazzina di caffè a ognuno. Quando passa accanto a Hofman, gli fa il saluto militare. Porta beve un lungo sorso di caffè e si guarda in giro, soddisfatto. « Potremmo invitare Emil a trascorrere la serata con noi in qualche locale. Uno di quei posti dove si sono le ragazze della Lapponia. Le conoscete, no? In alto il bicchiere e giù i pantaloni! Al ritorno a casa dopo il trattamento gli diamo un colpo in testa e lo scaraventiamo in una delle fogne. Cosi sistemiamo in un colpo solo sia lui sia il suo corpus delicti! » Fratellino si piega in due dal gran ridere all'idea di Emil che naviga in una fogna. « Sulla Reeperbahn c'era un tizio, una spia, che si chia-

276 mava Emil. Anzi: lo chiamavano Emil il Nano perché lo era! Un bel giorno abbiamo gettato Emil in un canale della fogna nella Davidsstrasse. Dapprima avevamo pensato di gettarlo nel fiume, ma poi a una delle ragazze è venuta la luminosa idea di servirci della fogna. Quando l'abbiamo gettato dentro abbiamo sentito un formidabile risucchio, come quando un gabinetto intasato si svuota improvvisamente. » « Mi sembri molto esperto in faccende del genere. Che ne diresti di fare questo lavoretto insieme a Gregor? » suggerisce Wolf, insidioso. « Perché non lo fai tu? » chiede Gregor, dondolandosi nervosamente sulla seggiola. « Come andrebbe fatto il lavoretto, secondo te? » « L'idea della fogna non è malvagia », osserva Wolf meditabondo, strofinandosi il mento. « Naturalmente potreste andare direttamente nel suo porcile e mitragliare tutti quelli che capitano a tiro. In tal modo sareste certi di prendere Sieg con gli altri. » « Io non ci sto », dichiara Fratellino in tono risoluto. « Come potremmo battere in ritirata con i caricatori vuoti? » « Mentre state facendo il lavoretto potrebbe succedere qualcosa », lo consola Wolf. « Niente da fare », dice Gregor, respingendo con decisione l'idea. « È un'impresa troppo pericolosa. » Dopo molte consultazioni, Fratellino e Gregor si mettono d'accordo per andare a Petsamojoki e portare il lavoretto a termine rapidamente e come si deve. « Ogni sera, Sieg esce dall'ufficio dove presta servizio e ritorna al suo alloggio in via Starkaja », spiega Porta. « Lo stronzo è di solito solo. Sarebbe facilissimo farlo fuori quando sta scendendo il vicolo Jyvàskyla. Se voi due

277 lo attaccate entrambi nello stesso momento, gli farete sicuramente la festa! » « E se dovesse avere con sé una di quelle puttane lapponi? » chiede Gregor, preoccupato. « Se ti dovesse dare fastidio, fa' fuori anche lei », decide Wolf con sussiego. « Le donne di quel tipo devono imparare che è pericoloso farsi vedere in giro con i tedeschi, specialmente se si tratta di uno della polizia militare. Lo scherzetto potrebbe persino avere un valore deterrente, per cui quelli della polizia militare non riuscirebbero più a trovare una sola figa, e questo mi renderebbe davvero felice. » « Non mi piace », ribatte Gregor che si sente a disagio. « L'istinto mi dice che sarebbe sbagliato. C'è un mucchio di gente in giro che spara per un sì e per un no. Le pallottole non fanno distinzione. Colpiscono dove capita e se ne fregano del bersaglio. » Con aria un tantino preoccupata, tutti quanti si arrampicano su un mezzo anfibio che Wolf ha procurato per l'occasione. « Attaccatelo quando svolta nella via Starkaja », suggerisce Hofman. « Là è buio pesto. Lo potrete far fuori con la stessa facilità con la quale un cannibale raccoglie banane! » « Mangiano banane, i cannibali? » chiede Fratellino con aria ingenua. « Non fare domande cretine, Creutzfeldt », ribatte Hofman in tono severo. « Muovetevi invece e toglieteci di dosso uno dei tanti pesi che ci affliggono! » Quando svoltano in via Tòlo, scorgono Emil Sieg. « Santa Madre di Kazan, ecco il nostro bersaglio! » urla Gregor, tutto eccitato. Poi salta con un poderoso balzo dal veicolo e si dirige verso Sieg con l'aria di un carro

278 armato che voglia schiacciare un rospo. Fratellino sterza e porta l'anfibio sul marciapiede proprio davanti a Sieg il quale deve fare un bel salto per non essere schiacciato contro il muro sul quale l'anfibio va a sbattere in pieno. « Perché non stai fermo, vigliacco fottuto? » grida Fratellino, indignato. Sieg lancia un urlo rauco e si guarda disperatamente in giro, in cerca di aiuto. « Maledizione! » tuona Fratellino, balza a terra e si dirige verso Sieg con la pistola in mano. Sieg si volta di scatto. Sa che cosa sta accadendo per cui tenta disperatamente di aprire la fondina della pistola, ma la sua fondina è uno di quei modelli nuovi, eleganti, che non si aprono tanto facilmente. Fratellino solleva la Nagan e stende il braccio. « Adesso creperai, figlio di puttana », urla con espressione omicida. Sieg piomba fulmineamente a terra e s'infila, rotolandosi, sotto un camion che è parcheggiato lì. « Chiama i becchini, tanto è già cadavere! » ulula Gregor, pieno di entusiasmo, mettendosi in ginocchio per liquidare Sieg che secondo lui dovrebbe trovarsi sotto il camion. Ma ciò che vede sono solo gli stivaloni da ufficiale di Sieg che calpestano la neve semisciolta nella disperata fuga, facendola schizzare da tutte le parti. Senza preoccuparsi dei passanti, Gregor apre il fuoco contro gli stivali, ma riesce a colpire solo le gomme di un camion dell'artiglieria finlandese. Tutta la strada è in subbuglio. Tre militi della polizia militare si gettano a terra e aprono il fuoco nella direzione sbagliata. Alcuni soldati della sussistenza affermano di aver visto cinque paracadutisti russi correre in strada trascinandosi

279 dietro, con una corda al collo, un generale tedesco. Fratellino e Gregor balzano sul mezzo anfibio e si mettono a dare la caccia a Sieg che ormai è distante. Sieg s'infila in un vicolo troppo stretto perché l'anfibio possa entrare. « Adesso non può sfuggirci! » ulula Fratellino, simile a un bulldog che abbia ritrovato l'osso rubatogli. I due inseguono a piedi Sieg, il quale si rende conto che la salvezza dipende dalle sue gambe; maledice se stesso per aver tentato il ricatto. Alle sue spalle arrancano rombanti, simili a un treno espresso che stia percorrendo una galleria, i due assassini, pronti a seminare morte e distruzione. « Su, fermati, figlio di puttana bastardo, così potrò cacciarti una pallottola in testa », strilla Fratellino. « Adesso ti sistemiamo una volta per sempre. Puoi contarci! » Nel vicolo rimbombano un paio di spari e le pallottole rimbalzano dai muri delle case. Il vicolo è molto lungo, ma a un certo punto c'è una curva con un passaggio nel quale un uomo può scomparire se ne conosce l'esatta ubicazione. Sieg la conosce. Pochi giorni prima ha acciuffato un disertore proprio in quel passaggio. Gli pare di volare quando, intravisto all'ultimo istante il passaggio, s'infila dentro. Con due secondi e mezzo di distacco, Fratellino e Gregor arrivano correndo e proseguono nel vicolo schizzando la neve mezzo sciolta contro le pareti delle case. Sieg intravede per un attimo la bombetta grigio-perla che Fratellino porta saldamente infilata sulla testa. Il vicolo, cieco, termina improvvisamente davanti a un muro, la parete terminale di un palazzo di cinque piani.

280 I due si fermano di colpo, scivolando sugli stivali chiodati, e guardano sbalorditi l'invalicabile ostacolo. « Dov'è andato a finire quella vacca? » chiede Gregor, che ha la bocca spalancata. « Lassù non può essersi arrampicato », dice Fratellino. « Nemmeno un gatto finlandese ce la farebbe. Sì, lo so, dicono che la paura mette le ali, ma anche questa è una balla. Quel figlio di puttana dev'essere seduto qui, da qualche parte, i in attesa di essere ammazzato. Che Dio lo assista quando : riuscirò ad affondare i denti nel suo sedere. Gli strapperò i gli occhi e poi le orecchie! Che razza di vigliacco! Mettersi ; a scappare in quella maniera quando stiamo arrivando noi per fargli la pelle! » I due infilano in punta di piedi una scaletta e fanno quasi morire di paura una vecchietta che sta scendendo con la pattumiera in mano. Fratellino le chiede se ha visto un uomo che sta per essere ammazzato e la donna gli scaraventa in testa la pattumiera. ; Lui cade a ritroso e trascina Gregor con sé. Entrambi ruzzolano in fondo alla scala. « Sei sicuro che non fosse lui? » chiede Gregor, togliendosi alcune bucce di patate rimaste attaccate sull'uniforme. « Quella era una brutta vecchia lappone », ringhia Fratellino, togliendosi un pezzo di guscio d'uovo dall'orecchio dove si era infilato. « Ci ha scambiati per il bidone delle immondizie! » « Perché? Sembriamo forse dei bidoni per le immondizie? » chiede Gregor che si considera insultato. « Al buio è facile confondersi », ragiona Fratellino, « ma Emil mi pagherà comunque anche questa! Gli strapperò i coglioni e glieli infilerò nel suo puzzolente buco del culo! »

281 Poco dopo scorgono una figura umana appiattita alla parete a una certa distanza nel vicolo. « Santa Madre di Dio, ma quello è lui! » tuona Gregor e vuota il caricatore della sua Nagan con la velocità di tiro di un mitra. Lo sconosciuto scompare in un androne lasciando sul posto una pozza di sangue di considerevoli dimensioni. Le macchie di sangue portano all'ingresso di una casa, ma si disperdono un po' alla volta. « Comunque lo abbiamo bucato », commenta Fratellino con aria soddisfatta, sputando per disprezzo sulle macchie di sangue. « Creperà dissanguato come un topo ammalato », soggiunge Gregor al quale sorride l'idea. « Ma se quel figlio di puttana dovesse sopravvivere », osserva Fratellino, preoccupato, « la nostra situazione non sarà tanto divertente. » « Cristo, hai ragione! » fa Gregor con aria cupa, tergendosi il sudore dalla fronte. « Penso che possiamo tornare a casa e dire che abbiamo bucato quel verme », dice Fratellino, risoluto. « Quella carogna non potrebbe perdere sangue se non avesse un buco da qualche parte, ti pare? » « Quelli ci strozzerebbero se dovessero accorgersi che li stiamo prendendo per il culo », fa Gregor, pieno di pessimismo. « Non piangere », ribatte Fratellino in tono calmo. « Se non gli abbiamo fatto un buco abbastanza grande, vuol dire che la prossima volta lavoreremo meglio. Ma quello deve essere morto. Deve aver perduto almeno venti litri del suo sangue schifoso, il che è più di quanto Dio conceda a un qualsiasi corpo umano! » « Già, questo è strano », ammette Gregor. « Andiamo

282 a dare un'altra occhiata. Preferirei poter affermare, tornato a casa, che abbiamo preso a calci il suo cadavere. Ma il cadavere che abbiamo visto perdeva sangue, no? E i cadaveri di solito non fanno di queste cose! » « Forse lo abbiamo spaventato abbastanza per fargli tenere la bocca chiusa », riflette Fratellino. « Questo è senz'altro possibile », conviene Gregor. « Quello si farà trasferire in qualche posto molto distante dove non possiamo attaccarlo e gli altri non scopriranno mai che il cadavere sta ancora respirando. Noi siamo gli unici due che sappiamo come stanno le cose, e nemmeno noi, del resto, sappiamo come stanno veramente. Perciò dobbiamo essere dei veri credenti. Noi crediamo che sia morto! » « Dimmi adesso », chiede Fratellino, nervoso, spostando la bombetta sulla nuca. « Non avremo per caso colpito qualche altro fesso che poi ha perduto tutto quel sangue che abbiamo visto? » « Penso proprio di sì », annuisce Gregor con convinzione. « Il fesso che abbiamo colpito era troppo grande e grosso per essere Emil. E credo che portasse l'uniforme finlandese! » « O Cristo, Cristo! » grida Fratellino unendo le mani come se stesse pregando. « Come se i guai che abbiamo già. non ci bastassero! Se abbiamo colpito uno di quei tipi che abitano al polo Nord, i finlandesi andranno a lamentarsi dalle autorità tedesche. Emil sa che stavamo per fargli il culo in quel vicolo e proprio la sua Sezione sarà incaricata delle indagini. Non occorre essere Sherlock Holmes per scoprire chi ha sparato addosso all'eroe artico! » « Hai ragione », conviene Gregor, sconcertato. « Le

283 prospettive sono brutte, indubbiamente. Ma noi insisteremo a dire, accada quel che accada, che l'abbiamo liquidato definitivamente. Non ci siamo allontanati dal cadavere finché questo non era coperto di mosconi, hai capito? » « Spero che tu sappia ciò che stiamo facendo », borbotta Fratellino con una smorfia, « ma non dimenticare Porta e Wolf! Quei due sono sospettosi come scimmie e continueranno a chiedere informazioni di qua e di là. Se la carogna è ancora viva, lo scopriranno certamente! » Quella sera ha luogo nell'alloggio di Hofman una rumorosa veglia. Fratellino e Gregor sono ospiti d'onore. « Così bisogna agire con i ricattatori! » grida Barcelona, pieno di entusiasmo. « Niente discorsi! Un'azione fulminea e basta! » La birra è stata corretta con slivovitz e l'allegria della comitiva raggiunge vertici senza precedenti. I canti varcano la terra di nessuno e arrivano fino alla linea russa. « Den wir wissen, dass nach dieser Not uns leuchtet hell das Morgenrot! »1 « L'abbiamo colpito esattamente al centro, tra i due occhi », mente Fratellino con l'improntitudine che gli viene dalla lunga esperienza, tant'è vero che per un attimo ci crede lui stesso. « Le pallottole gli sono entrate in corpo facendo sciaci » si vanta, picchiando entrambe le mani sul tavolo. « E il sangue usciva a zampilli », descrive con un sorriso felice Gregor. « C'era sangue dappertutto! Scendeva nel tombino come un ruscello! È stato un vero e proprio bagno di sangue! » 1

«Abbiamo avuto guai a iosa / or c'attende l'alba radiosa! » (N.d.T.)

284 « Gli ho sparato tre colpi nel sedere prima che ce ne siamo andati », dichiara con impudenza Fratellino. « Merde alors! Che ne avete fatto del cadavere? » chiede il Legionario, abituato a ragionare in termini pratici. « Lo abbiamo scaraventato in una cantina profondissima », spiega Fratellino con slancio. « Avreste dovuto sentire il fracasso quando ha sbattuto a terra, laggiù. » « Immagino che saresti capace di ritrovare quella cantina », osserva Porta con un lampo di sospetto negli occhi. Ma è Hofman quello che l'indomani mattina scopre gli altarini. « C'è stato molto sangue ieri, eh? » chiede in tono sarcastico a Fratellino. « Proprio così », gli assicura questi. « Almeno quindici o venti litri! » « E il cadavere che avete scaraventato nella cantina tanto profonda? » continua Hofman. « Abbiamo sentito il tonfo quando ha battuto sul fondo, parola d'onore », risponde in tono solenne Gregor. « In tal caso vi interesserà forse sapere che ho appena parlato per telefono con il cadavere e che il cadavere ha promesso di occuparsi di noi con particolare attenzione! » Fratellino è sul punto di fare dietrofront e di darsela a gambe quando la bocca della canna di un mitra comincia a premergli lo stomaco. « Sta' fermo », sorride Porta con un'aria che non promette nulla di buono. « Altrimenti ti farò vedere come si liquidano certi figli di puttana bastardi come te! » « Ci dev'essere un equivoco », balbetta Gregor, confuso. « Certo! Un grosso equivoco », ringhia Hofman fa-

285 cendo stridere i denti. « Ma una cosa è certa. L'uomo al telefono, con il quale ho parlato, era Emil Sieg. Forse ti interesserà anche sapere che è stato segnalato un tentativo di assassinare un sergente finlandese e che le indagini sono state affidate a Sieg! » « Non sembra una bella notizia », sospira Fratellino. « Raccontaci adesso la verità », ordina Porta, socchiudendo gli occhi. « Be', c'era un gran bùio come nel buco del culo di un cannibale », spiega Gregor. « Abbiamo colpito qualcuno, quest'è vero, ma sembra che non possa essere stato Emil se l'Herr Hauptfeldwebel ha parlato oggi con lui per telefono. Non capita spesso che i morti si facciano vivi per telefono! » « Non c'è altra via d'uscita », dice Wolf in tono risoluto. « Dobbiamo fare fuori quel figlio di puttana! » « A me lo vieni a dire », ribatte Porta. « Quello è pericoloso come un cobra in un letto caldo e adesso farà fuoco e fiamme per vendicarsi di noi! » « Non potremmo denunciarlo alla polizia? » chiede il Vest-falo, ingenuamente. « Ricattare la gente è un reato. » « Tu sei così cretino che c'è da meravigliarsi che ti ricordi di respirare! » grida Fratellino in tono sprezzante. « Solo i deficienti vanno a chiedere aiuto ai 'mastini'! » « Propongo di prendere d'assalto il suo covo e di riempirgli la testa di pallottole », dice Gregor, riempiendo i bicchieri con la roba proveniente dalla riserva di Wolf. « Sarebbe difficile arrivare fino a lui », fa Barcelona, dubbioso. « Quello se ne sta seduto nel bel mezzo del vecchio forte. Il portone è resistente come quello di una prigione. » Porta prende il suo bicchiere di birra e beve a lungo.

286 Poi strappa con i denti un morso di carne di maiale bollente. « Conosco quella merda d'un forte. L'unico sistema per entrarci è una grossa, grossa carica di tritolo. Ciò significherebbe farli saltare in aria tutti, ma potrebbe essere la morte improvvisa anche per noi, se dovessimo fare qualche sbaglio. Dammi una tazza di caffè. Mi farò venire in mente qualcosa d'altro. » « Io avrei un piano », dice Fratellino, rigirando tra le mani la sua pistola-mitragliatrice. « Invitiamolo a una bevuta per dargli poi il trattamento speciale. Conosco un sistema per trasformarlo in un cittadino bravo e coscienzioso. » « Niente da fare », ribatte Porta. « Quello è un delinquente e non la smetterà finché non ci avrà portato via tutto. » « Io sono capace di trasformarlo in un catechista », grida Fratellino con molta sicumera. « Ascoltate! È davvero un bel piano. Quando arriva gli offriamo il bicchiere del benvenuto, tanto per ricordare il passato. Poi provvediamo a farlo stare bene. Tanto per cominciare, avrà senz'altro bisogno del pedicure. Io tiro fuori il mio pugnale e gli taglio via il mignolo del piede sinistro, così gli stivaloni da ufficiale che porta non gli andranno così stretti. Se dovesse ancora rifiutarsi di ragionare, gli diremo che sia noi sia lui stiamo sprecando inutilmente del tempo, per cui tanto varrebbe tornare a casa. Uscendo dalla porta ci accorgeremo che il povero fesso sta zoppicando perché il numero delle dita del piede sinistro non corrisponde a quello del piede destro. Ora, che cosa farebbero dei vecchi amici per aiutare il pidocchio? » chiede guardando con aria fiera gli altri. « Un colpo alla nuca », suggerisce Porta, sempre gene-

287 roso. « No, no! Niente cose brutali », ribatte Fratellino respingendo la proposta. « Quelle cose le facciano i nazisti e i comunisti. Noi siamo umani. Noi non ammazziamo un uomo solo perché zoppica. No, noi gli togliamo, invece, lo stivale destro e ristabiliamo l'equilibrio tagliando il mignolo del piede destro. Così, gli stivali gli vanno di nuovo a pennello e per di più non ha più da temere i calli! » « Non credo che questo trattamento sarà di suo gusto », dice Barcelona, contemplando con tenerezza i propri piedi. « Nessuno pretenderebbe tanto da lui », osserva Fratellino in tono socievole. « Tuttavia immagino che quello sarebbe disposto a fermarsi con noi per discutere un po' la faccenda. In ogni caso rifletterebbe che possiede ancora otto dita ai piedi, dieci dita sulle mani, due orecchie a sventola e un gran naso brutto nel bel mezzo del muso, tutte cose che potremmo tagliargli via a una a una. » « Non ti dimenticare che possiede anche il cazzo », esplode Porta. « Quello dovremmo tagliarglielo e ficcarglielo in bocca. Così penserebbe di essere finito tra una comitiva di finocchi. » « Tutto inutile », fa Barcelona con aria cupa. « Se non siamo in grado di pagare il figlio di puttana perché stia zitto, resta da fare una sola cosa: liquidarlo come un topo di fogna, ciò che del resto è! Sarebbe il primo ammazzamento di questa guerra basato sul buonsenso! » « Anch'io la penso così », conviene Hofman. Così decidiamo di metterci al lavoro subito. L'ispettore Sieg non si sente tanto bene quando esce dall'ufficio. Se ne va prima dell'ora stabilita dal regola-

288 mento. Poi gli vengono i sudori freddi quando apprende che dieci chili di tritolo sono stati rubati durante la notte da un deposito di munizioni vicino. A giudicare da quanto sa di Porta, il furto potrebbe essere stato commesso solo da lui in vista di una liquidazione destinata a riuscire a tutti i costi. Con i sensi tesi al massimo, Sieg cammina rasente i muri e sfruttando la copertura offertagli da altre persone che fanno la sua stessa strada. Tutte le volte che scorge un mezzo anfibio, si ferma, terrorizzato. Improvvisamente si rende conto che il ricatto è un'attività assai pericolosa. Quando un veicolo frena di colpo sulla strada, sussulta impaurito e si nasconde dietro a una carrozzella con due gemelli a bordo. Con la mano posata sul calcio della pistola, riprende a camminare furtivamente. Arrivato alla casa dov'è alloggiato, si sofferma a lungo osservando l'edificio. Entra solo quando è ragionevolmente certo che nessuno lo sta aspettando. Poi si mette in borghese e si congratula con se stesso per aver avuto un'idea così intelligente. Quei fessi aguzzeranno gli occhi alla ricerca di un uomo con l'uniforme. La gente in borghese sarà invece per loro altrettanto interessante come un mazzo di carote per un cane ben pasciuto. Dopo essersi inoltrato in via Hallanti ha di nuovo il sospetto di aver scorto Fratellino e Porta ed estrae la pistola dalla tasca. Poi si accorge con grande sollievo che si tratta di due comuni fanti tedeschi che tentano di attaccare discorso con tre ausiliarie finlandesi. Da un pezzo si è reso conto che non può seguire la procedura normale e affidare le indagini a un collega. Se lo facesse,

289 finirebbe lui stesso in galera. « Il diavolo si porti tutto! » impreca, riflettendo con nostalgia come sarebbe bello fare la noiosa vita borghese, pagare le tasse e l'affitto e andare a letto alle dieci di ogni sera per godersi una moglie con i bigodini. In preda a queste melanconiche riflessioni, Sieg s'infila con circospezione nel bar di Hurme per bersi una tazza di caffè e un buon bicchiere di cognac. Questo dovrebbe rimetterlo in piedi. Se c'è una cosa che gli occorre ora è quella di ragionare a mente fredda. Nel bar, un locale lungo e stretto, ci sono solo poche persone. La barista, semiaddormentata, è appoggiata al banco. Senza aprire bocca, la ragazza spinge una tazza di caffè e un bicchiere di cognac nella sua direzione. Sieg s'infila a fatica in un séparé e si mette a sacramentare dopo essersi bruciato la lingua con il caffè bollente. Così versa con molta attenzione la bevanda nel piattino e si mette a soffiarci sopra. Infine la trangugia a piccoli sorsi, facendo molto rumore, e comincia a sentirsi meglio. Con un'espressione soddisfatta accarezza l'abito nero fatto su misura che indossa. Il nero è proprio di moda, gli ha detto il sarto che non aveva disponibile una stoffa di colore diverso. La camicia è bianca, la cravatta rossa. L'insieme forma la bandiera nazionale tedesca: biancorosso-nero. Con soddisfazione si mette a contemplare le eleganti scarpe di vernice che gli sono costate duecento marchi. Non tutti possono permettersi il lusso di un paio di scarpe come quelle. Alla terza tazza di caffè, integrata da un altro cognac, Sieg fa un sogno roseo. Gli pare di vedere l'intera Quinta Compagnia che viene fucilata da un plotone di esecuzione. « Finirò col prenderli, quei delinquenti », dice a mezza

290 voce. A questo punto sono rimasti nel locale, oltre a lui, solo altri due clienti. Due militari finlandesi dei reparti sciatori si affacciano alla porta, ma vanno via subito. Uno di loro, un sergente con il distintivo dei partigiani, gli rivolge una lunga occhiata carica di sospetto. Che quella banda di assassini sia già in combutta con gli alleati finlandesi? Sieg ha un brivido e si alza per andarsene. La canna di una Nagan viene premuta brutalmente contro la sua spina dorsale. « Considerati morto, schifoso figlio di puttana! » È la voce di Fratellino. « Prova solo a respirare troppo forte e vedrai che quel cuore di cane che hai nella carcassa attraverserà quel muro! Come sai, è difficile vivere senza cuore. » In quel momento entra con molto fracasso attraverso la porta girevole Porta, seguito a ruota da Gregor. Gli ultimi due clienti si affrettano a scomparire e la barista semiaddormentata si sveglia di colpo. Non è la prima volta che il suo locale è teatro di riunioni d'affari armate. « Eccoti qua, vecchio pidocchio pieno di reumatismi », esclama Porta in tono gioviale, dando un buffetto alla guancia di Sieg. « Se quella tua zucca non fosse stata così vuota, ci avresti lasciato perdere e non saresti stato costretto a morire così giovane! » La paura impedisce a Sieg di aprire bocca. « Lasciami dargli un po' di calci in culo prima che lo facciamo fuori », implora Fratellino, mettendosi in posizione per sferrare un potente calcione con il suo enorme stivaletto. « Fa' suonare la pianola », risponde Porta. « Ci occorre un leitmotiv per questa breve rappresentazione. »

291 « È a pagamento », lo informa Fratellino che si è avvicinato allo strumento automatico. « Un marco alla volta! » « Allora metticelo », ordina Porta. « Non possiedo un soldo », risponde Fratellino, frugando in tutte le tasche. « Dacci un po' di monete da un marco », dice Porta, rivolto a Sieg, e infila la mano nella saccoccia dell'ispettore di polizia. La mano esce con una manciata di monete. La pianola comincia a suonare con molto fracasso: « Eine Frau wird erst schòn durch die Liebe... »1 « Non immagineresti mai dove eravamo andati a cercarti », dice Porta in tono di rimprovero, estraendo dalla saccoccia un cappio in fil di ferro che infila poi sulla testa di Sieg, facendolo scendere fino al collo. « Buon viaggio », dice quindi in tono gioviale, stringendo il capestro. « Quella melodia non mi piace », protesta Gregor. « Quando la gente parte, il ritmo dovrebbe essere qualcosa come bum-da-da-bum! » Poi si mette a studiare la selezione e preme il pulsante contraddistinto dal numero otto. Le note marziali dell'inno Gloria prussiana risuonano nel locale. « Dicono che lo strangolamento sia il sistema più rapido per dare l'addio alla vita », fa Porta, come se volesse confortare Sieg, e spalanca la bocca come se lui stesso fosse in procinto di essere strangolato. « Non puoi ammazzarmi così », ribatte Sieg con voce soffocata, terrorizzato. « Sarebbe un assassinio! » « Quante storie », lo interrompe Fratellino con impazienza. « Comportati da uomo! Tanto, tutti dobbiamo andarcene, prima o poi! » 1

« Solo l'amore fa diventare belle le donne... » (N.d.T.)

292 Il disco si ferma di colpo ed esattamente nello stesso momento Sieg lancia per la prima volta un urlo stridulo. « Musica, maledizione! » tuona Porta, lanciando occhiate nervose in giro. Fratellino si precipita con un balzo sulla pianola e preme il pulsante numero cinque: Marcia della cavalleria finlandese. Sieg urla di nuovo. È un urlo lungo, strozzato, simile a quello di un uomo che viene trascinato sul patibolo. « Più musica », chiede Porta. « Tanta musica! E dagli un po' di gas! » In cucina, la barista tracanna la sua terza grappa e succhia avidamente una sigaretta, di quelle in distribuzione nell'esercito. Sieg balbetta e urla come un gatto che sta male. « Adesso lo stanno pestando », riflette con un brivido la barista. « Non appena se ne saranno andati », dice poi tra sé, « chiamerò la moglie del portinaio per trascinare insieme a lei quel povero diavolo sul marciapiede. Poi può pensarci la polizia! Tanto è questo il suo lavoro! » « La moneta si è incastrata », grida Fratellino, sferrando con impazienza dei calci alla pianola. « Quella scimmia aveva in tasca soldi falsi! » Poi si mette a picchiare sulla pianola con i pugni. « Su, suona, stronza, ti abbiamo pagato », tuona, infuriato. « Visto come stanno le cose, ti strangoleremo lentamente, come fanno in America, nel profondo Sud, quando devono impiccare una scimmia nera », annuncia con un sorrisetto cattivo Porta. « Così imparerai che non si devono mettere in giro monete false. » Sieg spalanca la bocca e urla. Quello è l'urlo di uno che sa di dover morire. Un urlo che penetra fino alle ossa. I passanti nella strada si fermano e tentano di guarda-

293 re nel locale attraverso la lastra sporca della vetrina. Una donna lappone crede che si tratti di una ripresa cinematografica e vorrebbe entrare. « Fuori dai piedi! » grida Gregor, agitando le mani come se volesse scacciare una turba di piccioni. « Ciò che sta accadendo qui non la riguarda. Circolare! » « Bisogna dire che ne fai del chiasso », dice Porta in tono di rimprovero a Sieg. « È ora di toglierti completamente il respiro! » Fratellino sembra impazzito e insulta la pianola con tutti gli epiteti possibili e immaginabili. Poi scaraventa a terra l'apparecchio con una formidabile spinta. La Marcia della cavalleria finlandese riprende a risuonare nel locale al massimo volume. Sembra che un'intera divisione a cavallo stia galoppando attraverso il bar. Fratellino spalanca la porta e grida alla folla in strada: « Circolare, voi laggiù! Geheime Staatspolizei! Tornate nei vostri igloo e andate a letto, bastardi polari! » L'ultimo si prende una palla di neve dietro il collo e si mette a correre. Sieg si getta a terra e si mette a strillare come un maiale che sta per essere macellato. Scalcia furiosamente. Le braccia si contraggono e si aprono spasmodicamente. « Mi sembri una ragazza indiana che sta per essere sverginata », dice Fratellino, sferrandogli un calcio. « Comportati da tedesco! Facci vedere che sai abbandonare la vita come si conviene a un membro del Herrenvolk! » Poi picchia con il dito sul distintivo dorato del partito nazista che Sieg ha all'occhiello. « Non ti dimenticare che sei uno della vecchia guardi»! » « Un cazzo moscio, ecco che cos'è », fa Porta con disprezzo, cercando con gli occhi un gancio nel soffitto, ma non ne trova neppure uno. Evidentemente non è co-

294 sì facile impiccare un uomo come uno penserebbe dopo aver visto i film americani. « Perché non lo ammazziamo con la pistola e non la facciamo finita? » chiede Fratellino, vuotando con un sorso solo un boccale di birra. Poi estrae una grossa pistola d'ordinanza dalla tasca e la punta contro Sieg. « Quando una di queste pallottole calibro 9 è penetrata nella nuca, ha attraversato il cervello con un angolo di 40 gradi ed è uscita, il figlio di puttana, che si trovava nella traiettoria di solito non ha altro da dire! » « Ci sarebbero troppe storie », risponde Porta. « Non ti rendi conto quante complicazioni potrebbero venire da un solo colpo di pistola? I suoi fottuti colleghi si metterebbero a correre in giro e chi credi che sospetterebbero subito dopo aver trovato il cadavere con il buco nella testa? L'Oberge-freite Joseph Porta! L'esercito ha fatto di tutto per rovinare la mia reputazione. I 'mastini' con la croce uncinata e io non siamo mai riusciti ad andare d'accordo come si deve. » Poi fa schioccare le dita e il suo volto si illumina in un sorriso di soddisfazione. Mentre stava parlando gli è venuta un'idea formidabile. Per vari minuti, Porta continua a domandarsi perché ci abbia messo tanto a trovare la risposta, una risposta così semplice e ingenua da poter essere concepita persino da una monaca. A Sieg, che giace gemente sul pavimento con il cappio intorno al collo, Porta sferra un calcetto amichevole. « Smettila di piagnucolare! Dovresti essere contento quando scoprirai che cosa abbiamo immaginato per te. Morirai dalle risate quando cominceremo! Alzati! Tu sei il protagonista! » Porta fa andare Sieg nel mezzo della stanza e gli strin-

295 ge il fìl di ferro intorno al collo. « Tu sta' qui », ordina poi a Fratellino, « e tieni in mano questa estremità del filo. Quando te lo dirò, mettiti a correre più presto che puoi! Va' fuori attraverso la cucina e continua a correre finché il filo non ti trattiene! » « Sembra più facile che cadere giù da una scala », replica Fratellino grattando il pavimento con il piede come un cavallo da corsa pronto a partire. « E questa testa di merda qui? Dovrà venire in cucina con me? » « Non ti preoccupare di lui! Secondo il mio piano, dovrà restare qui. » Mentre risuonano le ultime note della Marcia della cavalleria finlandese, Porta si avvicina a Gregor con l'altra estremità del fil di ferro. « Quando io griderò 'Via!', tu ti metterai a correre verso la porta girevole più presto che potrai! Tu, Emil, resterai qui, dove ti trovi, e non ti muoverai. Voialtri due, invece, aspetterete il mio comando 'Pronti-via!' Alla parola 'Via!' vi metterete a correre nelle direzioni che vi ho indicato! » « Il corpo di questo bastardo resterà avvolto dal fil di ferro? » chiede Gregor con un'espressione preoccupata in faccia. « Naturalmente », lo rassicura Porta. « Il trucco consiste proprio nel fatto che il collo e il corpo di Emil resteranno avvolti dal fil di ferro. » Sieg geme e implora di avere salva la vita. « Ma piantala! Il mio metodo è così rapido che non ti accorgerai nemmeno di essere morto. A proposito, prima che tu te ne vada, conosci qualcuno che possa essere interessato in una fornitura di uova polacche o brutte macchine da scrivere russe? » Sieg scuote tristemente la testa. Non conosce nessuno

296 che abbia voglia di fare frittate o di mettersi a picchiare sui tasti di macchine da scrivere russe. « Be', in tal caso, addio », fa Porta, stringendo cordialmente la mano a Sieg. « Pronti? » grida poi, avvicinandosi alla porta girevole per potersela svignare rapidamente dopo la soddisfacente conclusione della faccenda. « Santa Madre di Kazan », bisbiglia Gregor, pieno di ammirazione. « Quel filo gli taglierà la testa di colpo. Potresti vendere quest'idea. Qualsiasi dittatura te la comprerebbe! »; « Be', c'è chi nasce intelligente! » fa Porta con modestia.? L'unica persona fra i presenti che non si diverte è Sieg.i Il suo cervello sta lavorando furiosamente, al punto che persino il fil di ferro sembra vibrare. I due che hanno le estremità del filo in mano si mettono in posizione schiena a schiena e così non possono vedere ciò che accade alle loro spalle. Porta, fermo sotto la luce brillante presso la porta girevole, riesce a distinguere Sieg solo come un'ombra nel ristorante mal illuminato. Sieg riesce a piazzare, contorcendosi, un piede sopra il filo in maniera da sembrare una scimmia appesa a una liana. Inoltre, con la forza della disperazione riesce anche a liberare una mano. « Via! » grida Porta, e Fratellino e Gregor si allontanano correndo dal prigioniero con tutta la velocità di cui sono capaci. Sieg colpisce, con tutta la forza rimastagli, il fil di ferro con la mano libera, con l'eccellente risultato che questo sfugge dalle mani di Fratellino. Con la velocità di una sezione di artiglieria i cui cavalli siano impazziti, Fratellino sfonda la porta chiusa della cucina e travolge la ba-

297 rista che per un attimo pensa di esser rimasta uccisa. Da lì Fratellino sfonda la parete, infila la scala e precipita in cantina. Il fracasso fa sembrare che in quella casa venga combattuta una delle battaglie più violente della guerra. Gregor, che era saldamente aggrappato all'altra estremità del filo, vola a tutta velocità attraverso la porta girevole, entra ed esce quattro volte insieme a Porta nel bar e dal bar finché la forza d'inerzia non li scaraventa entrambi come una bomba sparata da un mortaio attraverso la strada, nella bottega di un panettiere. Qui, i due, pieni di sangue e confusi, si rialzano in piedi. Fratellino, gemente e tutto frastornato, esce da un mucchio di carbone nel quale si era infilato in cantina, sale strisciando la scala ed esce attraverso il bar senza badare a Sieg che è stato scagliato a sua volta dietro la pianola da dove spuntano solo le scarpe cucite a mano e costate duecento marchi. Porta ritorna, pur barcollante, nel bar e fa un cortese inchino alla barista che è ancora seduta a terra e ride come un'idiota. « Fantastico*. » grida Fratellino con fierezza quando escono a tutta birra dalla città a bordo di un mezzo anfibio. « In tutta la mia guerra non ho mai visto qualcosa di simile! » « La testa volata via in un baleno! » fa ridendo Gregor, pieno di entusiasmo. « La sua faccia si è spiaccicata sul soffitto e poi è rimasta appesa sul lampadario! » « Che bella festa », geme Fratellino tra un convulso di risa e l'altro. « È così che vanno trattati i figli di puttana che tentano di ricattare! » « Devi ammettere che ho delle buone idee », si vanta Porta, fumando uno dei sigari di Sieg. « Io so con precisione come vanno sistemate certe faccenduole come

298 questa! » Ed è di nuovo Hofman quello che scopre che il metodo usato da Porta per giustiziare Sieg non è stato abbastanza efficace. Il delinquente è ancora vivo e si trova in ospedale. Non può parlare, ma è ancora, purtroppo, in grado di scrivere. Per uno strano motivo non ha ancora raccontato a nessuno di essere rimasto vittima di un tentativo di omicidio. Ha detto ai medici solo di aver provato un'improvvisa fitta di dolore alla gola e perso la voce. Per quanto riguarda le macchie rosse sul collo, afferma che si tratta di macchie congenite, presenti sin dalla nascita. « Non possiamo permettere che questo cane poliziotto guarisca e si metta ad abbaiare », fa Hofman con tono amaro, fissando il vuoto. « Se si mette ad abbaiare, dovremo affrontare non solo una gravissima imputazione riguardante la falsificazione di documenti per motivi razziali, ma anche quella del tentato omicidio e per di più quasi andato a segno! Tutta roba più che sufficiente per beccarsi tre condanne a morte e venti anni di galera per soprammercato. Oltre a tutto il resto che tocca quando uno finisce davanti a un tribunale militare. » « Non c'è altra via d'uscita », grida Wolf, deciso, « Quel pidocchio nazista dev'essere tolto di mezzo se vogliamo goderci ancora quel po' di vita che il Dio della Germania ci concederà! » « La lince! » dice Porta, fissando le travi portanti disposte a croce sotto il soffitto. « Mettiamoci in contatto con Paderborn! » Hofman riesce quasi subito a mettersi in contatto telefonico con il Wachtmeister Sally e porge il ricevitore a Porta. « Ricordati che io non so nulla. Non ho mai sentito

299 parlare di linci », gli bisbiglia. Porta va subito al sodo. « Mi piacerebbe vedere da vicino quella tua lince. Ti proporrei di mandarla qui, nelle regioni fredde, come una specie di campione. » Il Wachtmeister Sally ride a lungo e forte. « Dimmi, Porta, credi che io sia nato sotto un ponte e cresciuto su un barcone lungo il canale? Mandare la lince come campione? » Qui scoppia a ridere di nuovo. « No, non appena riceverò mille marchi in contanti, quella lince ti sarà spedita con l'aereo della posta! » « Non posso fare un viaggio fino a Paderborn solo per versare il prezzo di acquisto di una fottuta lince », protesta Porta, indignato. « Non sai che sono uno dei più importanti partecipanti a questa guerra mondiale? » « Non farla così lunga! So tutto dei tuoi contatti con il Panzer-Ersatz-Bataillon. Non ti sarà difficile trasferire un migliaio di banane a mio nome qui al comando. » Porta beve un sorso di caffè per schiarirsi le idee. « Hai detto mille dobloni per un acrobata da strapazzo dei tetti? Credi forse che le donne lapponi mi abbiano succhiato il cervello? » « Acrobata dei tetti? » ribatte Sally, scandalizzato. « Aspetta di vederla! Quando s'imbestialisce, equivale a un milione di gatti concentrati in un unico felino! » « Cinquecento », fa Porta, senza soggiungere altro. « Otto », rilancia Sally. I due si mettono d'accordo per settecento, porto pagato. « Non tentare di bidonarmi », lo avverte Porta. « Per il momento sono un Obergefreite ipercongelato quassù. È senz'altro possibile che alla fine non saranno molti i superstiti della Wehrmacht tedesca, ma uno di noi soprav-

300 vivrà sicuramente, e questo qualcuno sarà, per grazia di Dio, l'Obergefreite Porta. Se non dovessi ricevere quella fottuta lince domattina con la prima distribuzione della posta, potrai andare a messa e prepararti a una morte imminente! » « Non ho mai fregato nessuno negli affari », mente il Wachtmeister Sally, spudoratamente. « Quel mostro malvagio ti arriverà domani sera con l'ultimo aereo postale, insieme alla corrispondenza. Dovrai chiedere del primo pilota. Attento a non aprire la gabbia perché la bestiaccia si precipiterebbe subito sulla tua faccia e su chiunque dovesse esserti vicino. Quella non bada ai gradi. Il soldato semplice e il generale sono lo stesso, per lei. Insieme alla lince ti mando un piccolo apparecchio. Questo apparecchio produce dei suoni che fanno andare in bestia la belva. Se vuoi che faccia a brandelli qualche figlio di puttana, basta mettere l'apparecchio vicino alla vittima e quel demonio penserà al resto. Me ne sono già servito per sistemare un tizio. Son bastati ventun secondi perché al tizio prendesse un colpo. » « Cristo! » esclama Porta, sorpreso. « È proprio quello che ci occorre. Che cosa mangia? » « Di solito quello che mangiamo noi. Succhia tutto come un aspirapolvere. » « Beve per caso caffè? » chiede Porta, meravigliato. « Sì, e anche birra », risponde Sally. « Come si chiama? » « Dinamite! » « Un nome promettente », ridacchia Porta. La risata sembra uscirgli gorgogliante dallo stomaco. « Dille che abbiamo un lavoro interessante per lei! » Fratellino e Porta vanno alla pista d'atterraggio a prelevare Dinamite che arriva, incavolata e perfida, a bordo

301 di un JU-52, l'aereo postale. « Se fossi in voi, starei molto attento a maneggiare questo figlio di puttana », dice il pilota, guardando innervosito la gabbia della lince. « Ciao, micia », fa Porta, chinandosi sulla gabbia. La lince risponde con una serie di soffi e ringhi e si mette a mordere furiosamente le' sbarre della gabbia. « Cristo, guarda com'è incavolata! » esclama Fratellino, pieno di ammirazione. « Portiamola a casa e decidiamo sul da farsi! » Tutti si tengono lontani quando i due attraversano con la gabbia contenente la lince la pista di atterraggio. Un anziano Leutnant, amico dei gatti,'si avvicina a loro. Prima che Porta abbia tempo di metterlo in guardia, l'ufficiale infila la mano tra le sbarre per grattare il collo del gatto. La ritira subito con un urlo. La mano gronda sangue. « Non devi comportarti così, Dinamite, demonio che non sei altro », lo ammonisce Porta. « E adesso chiedi scusa al Herr Leutnant! » Quando ritornano al settore della compagnia, scoppia un formidabile casino. Uno dei cani lupo di Wolf si vede ridurre il naso a brandelli quando tenta di dare il benvenuto con un'annusata al nuovo arrivato alla Quinta Compagnia. « All'ospedale, le visite sono ammesse solo dalle undici alle tredici », li informa Hofman. « Nessun paziente può ricevere più di due visitatori. » « Sarà più che sufficiente », risponde Porta. « Fratellino e Dinamite! » Poi estrae dalla tasca l'apparecchio sonoro per provarlo. Il risultato supera le più rosee speranze. La lince come impazzita fa il girotondo della gabbia, mordendo e graffiando e soffiando. Non vi è al-

302 cun dubbio che vuole una sola cosa: avventarsi contro Porta che tiene in mano l'apparecchio. « Ci siamo! » fa questi, soddisfatto, gettando un pezzo di carne nella gabbia. « Fratellino e Dinamite andranno all'ospedale domani, poco dopo l'inizio dell'orario visite. Fratellino sistemerà senza dare nell'occhio l'apparecchio sotto il sedere di Emil e poi libererà Dinamite. Sarei molto sorpreso se la cosa non dovesse concludersi con un formidabile casino, liberandoci così di quel lebbroso figlio di puttana una volta per sempre! » « L'idea non mi piace troppo », protesta Fratellino debolmente. « I cani e i gatti non hanno molta simpatia per me! » « Tutte balle! » ribatte Porta in tono deciso. « Farai come ti dico! » « Un ordine è un ordine, Creutzfeldt, non dimenticartelo », grida Hofman con voce autoritaria. Dinamite viene messa nel portabagagli della Kübel. La sentiamo soffiare e ringhiare in un parossismo di rabbia nonostante il rumore del motore. « È in forma perfetta », commenta Porta, soddisfatto. « Si direbbe quasi che sappia a chi va a fare visita! » Un anziano e lento Gefreite della Sanità ci indica la strada per raggiungere la corsia di Emil Sieg. A metà corridoio veniamo fermati da una capoinfermiera che ha scorto Dinamite. « Che cos'è quella roba lì? » chiede, puntando indignata l'indice contro la gabbia. Porta sbatte i tacchi e fa un perfetto saluto d'ordinanza. « Una gabbia, signora! » risponde rispettosamente. La capoinfermiera ha il rango di ufficiale. « Volevo dire: che cosa c'è in quella gabbia? » ringhia lei, irritata.

303 « Un gattino che ha nostalgia del suo amico ammalato », risponde Porta con un sorriso adulatore. « Non è permesso portare gatti nelle corsie! Dovete lasciarlo fuori! » Fratellino finge di lasciare l'ospedale, ma non appena l'arcigna capoinfermiera è scomparsa, ritorna correndo sui suoi passi, lungo il corridoio, con la gabbia. « È difficile liberarsi di te », dice Porta, tendendo la mano a Sieg. « Ma siamo già riusciti a liberarci di otto milioni di russi e ci libereremo anche di te! Vedrai! » « Fuori di qui! » bisbiglia Sieg, cercando con la mano il pulsante del campanello, ma Porta è più svelto di lui e strappa il pulsante dal filo che pende dalla parete. « Perché suonare? » chiede Porta con falsa giovialità. « Divertiamoci un po'. Abbiamo con noi un amico che ti piacerà conoscere. L'amico ti aiuterà a passare il tempo! » « Un gatto selvatico », bisbiglia Sieg, terrorizzato, fissando con occhi spalancati la bestia ringhiante. « Come senza dubbio saprai, ogni gatto ha sette vite », spiega Porta, « e in vista di quanto è successo finora, tu sembri altrettanto immortale o quasi! Abbiamo deciso di fare un esperimento scientifico: il gatto contro l'uomo! Se sarai altrettanto fortunato come lo sei stato le due volte precedenti, dovresti essere senz'altro in grado di mettere a posto anche Dinamite. Prova a grattarla sotto l'orecchio sinistro e vedrai che si metterà a ronfare come il gatto di casa sdraiato accanto alla stufa! » « Ascoltami », bisbiglia Sieg, mezzo morto di paura, e tira la coperta fin sotto il mento. « Ho solo voluto divertirmi un po' alle vostre spalle e vedere come avreste reagito. » « Hai già visto come sappiamo reagire », ghigna Porta.

304 « Ciò che facciamo ora lo facciamo solo per divertimento! » « Ti giuro che non so assolutamente niente dei vostri tedeschi ebrei, che non ne ho mai sentito nemmeno parlare », bisbiglia Sieg con voce rauca, « e che non vi darò mai più fastidio! » « Lo so, lo so », sembra voglia placarlo Porta con un sor-risetto. « Ma ora vorrei presentarti Dinamite. Dopo, tutta la faccenda sarà dimenticata per sempre, sepolta. » « Sepolta? » bisbiglia Sieg, rauco, dibattendosi per uscire dal letto. Fratellino lo afferra per i capelli e lo respinge sul cuscino. « Resta dove sei », gli ordina in tono perentorio. « Alla povera bestia potrebbe venire il fiato corto se dovesse darti la caccia! » Sieg apre la bocca per urlare, ma ciò che gli esce dalla gola è solo un debole gorgoglio. Fratellino mette in funzione l'apparecchio acustico e la lince impazzisce. I suoi sobbalzi capovolgono la gabbia, provocando l'apertura dello sportello. Come un razzo coperto di pelliccia, l'animale schizza dalla gabbia e salta sul tavolo al centro della corsia dove si rannicchia su se stesso, pronto a passare all'attacco. Dalla gola gli escono strani segnali di avvertimento. « No, no! » grida Fratellino, esterrefatto, mentre Dinamite vola attraverso l'aria nella sua direzione. Fratellino si è dimenticato che tiene ancora in mano l'apparecchio acustico. « Non sono io! » urla, cadendo sul pavimento con la lince aggrappata a lui. Ha la sensazione, per un lungo attimo, che qualcuno lo stia scotennando. Per uno strano concorso di circostanze finisce sul letto di Sieg, sempre con l'apparecchio in mano.

305 La paura ha fatto ritornare la voce a Sieg. Dalla sua bocca spalancata esce un lungo ruggito gutturale. I letti della corsia vanno tutti all'aria, il tavolo va a pezzi. Scaffali precipitano con un fracasso assordante. Si sente un tintinnio di vetri rotti. Nubi di piume d'oca uscite dai piumini fluttuano nell'aria. Fratellino si precipita verso la porta con la faccia piena di sangue e l'uniforme a brandelli. Ha talmente fretta di sottrarsi alla furia della lince che trascina con sé il riquadro della porta. « L'apparecchio acustico! » grida Porta, quando Fratellino arriva correndo, con la lince alle calcagna. Fratellino sosta per un attimo. La lince lo raggiunge. « L'apparecchio! » grida Porta, disperato. « Gettalo via, per l'amor di Dio! » Finalmente, Fratellino comprende e scaglia lontano da sé l'apparecchio che si mette a rotolare nel corridoio. Nello stesso istante, il direttore dell'ospedale, seguito dal codazzo degli assistenti, svolta l'angolo del corridoio. Dinamite gira varie volte su se stessa per scoprire da quale direzione viene ora il suono tanto detestato. Poi si accovaccia e fissa con gli occhi assetati di sangue la capoinfermiera che ha raccolto dal pavimento l'apparecchio acustico. « Che cos'è quella roba? » chiede il direttore dell'ospedale, curioso. Non fa in tempo a ricevere una risposta. La lince li ha già investiti tutti. Mai nella sua vita, la capoinfermiera è stata spogliata così rapidamente. Il direttore infila a testa in giù la scala e gli assistenti schizzano da tutte le parti. « Andiamocene da qui », grida Porta. « L'ambiente si sta scaldando! »

306 Abbiamo percorso solo un breve tratto del corridoio quando l'apparecchio acustico, scagliato da qualcuno, ci piomba addosso. « No! » fa in tempo a urlare Porta. Poi, la lince ha raggiunto la comitiva. Nessuno di noi sarebbe in grado di spiegare come abbiamo fatto a fuggire, ma qualcuno deve aver sferrato un calcio all'apparecchio il quale è indubbiamente ritornato nella corsia di Sieg, a giudicare dall'inferno che si è scatenato da quelle parti. Coperti di sangue, tremanti e sotto shock, ci arrampichiamo sulla Kùbel dove Wolf ci sta aspettando con impazienza al volante. « Che diavolo è successo? » ci chiede con gli occhi spalancati. « Mi avete l'aria di esservi scontrati con un'intera divisione corazzata! » « Basta con le linci, per quanto mi riguarda! » geme Fratellino, praticamente irriconoscibile. « Dio, come siete conciati! » esclama Wolf. « E Dinamite? Non la riportate a casa da noi? » « Non pensare più a quell'animale », geme Porta, tentando di rimettere nella posizione giusta la manica della giubba che è stata .strappata via. « Quella bestiaccia avrà vuotato l'intero ospedale prima di smetterla! » Mentre stiamo abbandonando il terreno dell'ospedale, sentiamo un fracasso di vetri rotti. Dalla finestra esce volando, seguito da due infermieri, Sieg in persona. Prima ancora di atterrare, Dinamite è già balzata loro addosso. Poi tutto il gruppo scompare, avvolto in una nube di neve. « Santa Maria di Kazan », mormora Porta con le labbra tumefatte. « Chi avrebbe mai pensato che un animale potesse avere tanta energia? »

307 « Avete fatto di nuovo fiasco? » chiede Hofman con aria disperata quando ci vede. « Non prendertela. Abbiamo appena cominciato », lo conforta Porta. Il giorno dopo, Hofman ci porta la buona notizia che Sieg è stato dichiarato inabile a qualsiasi servizio nelle forze armate e trasferito, ridotto a un rottame tremante, all'ospedale psichiatrico dell'esercito a Giessen. Nessuno bada alle sue sconclusionate frasi che parlano di assassinü, di falsificazione razziale e di linci. Tutti non fanno altro che ridere quando sentono le sue folli accuse. « Quello non uscirà mai più da Giessen », sogghigna Porta, compiaciuto. « Continuerà a vedere linci dappertutto. » Il telefono sta squillando e Hofman solleva il ricevitore. È il Wachtmeister Sally che sta chiamando da Paderborn. « Potete dormire tranquilli, ragazzi », fa, ridendo con aria gioviale. « I documenti di Bierfreund-Muller sono scomparsi per sempre! Ma mi dovete un'altra cassa di whisky! » soggiunge. « Se qualcuno nel futuro dovesse notare il suo cazzo seminudo, potrà dire che qualche fottuto di ebreo gli ha tagliato la metà del prepuzio, e non sarà nemmeno una bugia! » Con un sospiro di sollievo, Hofman ridepone il ricevitore. « Per maggiore sicurezza sarà meglio per noi allontanarci per un po' da qui », fa poi Hofman. « In questo momento toccherebbe alla Quarta Compagnia di fare il turno in linea, ma forse sarà bene che facciamo un cambio e che il turno venga fatto dalla Quinta. Tra un'ora, i comandanti di sezione e di gruppo si presentino a rapporto da me! » ordina. È ritornato in tutto e per tutto il

308 vecchio Hauptfeldwebel. La notte stessa attraversiamo carponi il fronte per portarci alle spalle dei russi.

309 Non avrei mai immaginato che un giorno mi sarebbe toccato comandare un'accozzaglia di truppe così mal armata e mal equipaggiata come la Quinta Armata Corazzata. Il Generaloberst Bdck in una lettera indirizzata al Generaloberst Jodl nel settembre del 1944

Senza riflettere porto la destra sopra la spalla. Il taglio della mano è'rigido, dal mignolo fino al polso. Poi faccio scattare la mano prendendo di mira il suo pomo d'Adamo. Gregor ha già ammazzato l'altro, colpendolo da tergo con il taglio della mano tra la spalla e il collo. Ho udito distintamente il rumore scoppiettante delle ossa che si spezzavano. Porta fa un balzo calcolato di fianco per evitare la lunga baionetta e caccia fulmineamente le dita nella gola del sergente russo con tanta forza che il colpo fa arretrare il sottufficiale nemico e il cranio si stacca dalla spina dorsale con un rumore simile a un debole scoppio. Il colpo sferrato da me è stato perfetto. Il nostro istruttore giapponese sarebbe stato contento. Gli ho spezzato la' gola e perforato la trachea. Il colpo è stato così potente che la mia mano ha tagliato la gola e non si è fermata se non quando ha colpito la vertebra che congiunge la testa con la spina dorsale. Eppure ho commesso un grave errore. Ho guardato quella faccia, ho visto la bocca contorta e gli occhi iniettati di sangue. Era una donna! Sono rimasto seduto a lungo nella neve, per vomitare. Il nostro istruttore aveva ragione: non bisogna mai guardarli in faccia! Ammazzarli e avanti! Mi ci è voluto molto tempo per dimenticare la sua faccia contorta.

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NOVA PETROVSK « ALZA il culo da terra, figlio di puttana rosso », grida il Feldwebel Schroder con un'espressione dura sul volto. « Corri, pidocchio, corri! » « Nix Bolscevikì » grida il prigioniero con la voce piena di paura. Poi si toglie con un rapido movimento il berretto di pelliccia e fa un inchino. « Nix Bolscevik! » ripete, alzando entrambe le mani. « Heil Hitler! » urla infine, tutto confuso. « Dobbiamo aver preso uno dei loro pagliacci », sogghigna l'Unteroffizier Stolp, spingendo brutalmente il prigioniero con la canna del suo mitra. « Fuori dai piedi, figlio di puttana », sibila Schroder, con un lampo di cattiveria negli occhi. « Nix Bolscevik! » esclama il prigioniero, mettendosi a correre maldestro nella neve profonda. « Sembra una gallina bagnata », fa Stolp, ridendo sguaiatamente. « Figlio di puttana ebreo », ringhia il Feldwebel Schroder, alzando la pistola-mitragliatrice. Stolp prorompe di nuovo in una risata malvagia e scaglia una palla di neve contro il prigioniero che ormai è sceso già a metà collina. Poi, il mitra gracida e il prigioniero fa una serie di capriole. Schroder si avvicina al cadavere con il passo sicuro del cacciatore che va a prendere il fagiano appena abbattuto. Con la canna del mitra dà delle spinterelle al morto per accertarsi che sia davvero defunto. « Morto », fa con un ghigno, assumendo un'aria fiera. « Se il Vecchio lo viene a sapere », dice Gregor, con voce gelida, « non vorrei essere nei tuoi panni! »

311 « Il Vecchio può baciarmi il culo », replica Schroder con molta sicumera. « Io eseguo gli ordini del Führer. Liquidare gli Untermensch dove si trovano! » « Il tuo Führer non ti ha detto, però, di assassinare i prigionieri di guerra, eh? » commenta Porta puntandogli addosso il mitra. « Puoi farmi rapporto, se ci tieni », sogghigna Schroder, altezzoso. « Me la caverò! » « Lo spero per il tuo bene », risponde Gregor in tono sprezzante, allontanandosi poi nella boscaglia dove sta riposando il resto della sezione. Il Vecchio è scontroso e incavolato. Il comando ha appioppato alla sezione due ospiti, un finlandese, il capitano Kari-luoto, e un tedesco, il Leutnant Schnelle, che ci devono tenere sotto osservazione durante queste lunghe marce verso il Mar Bianco. Ci sono anche alcuni uomini nuovi che hanno superato -l'esame di interprete per la lingua russa. Il buffo è che non capiscono una sola parola della lingua che la gente parla qui, ai limiti del Circolo Polare Artico. Sia Porta che Barcelona parlano molto meglio la lingua del luogo. Gli ufficiali sono fortemente impressionati da ciò che hanno già visto, per cui ci sono stati finora vari scontri tra loro e il Vecchio. Ma non possono farci nulla. L'Oberst Hlinka li ha avvertiti con estrema chiarezza e senza lasciare dubbi che chi comanda la sezione è il Vecchio e che Barcelona Blom è il suo vice, in qualsiasi circostanza. Scocciati mettiamo in spalla le armi e gli zaini. Porta è pronto ad attaccare l'Unteroffizier Stolp a causa del prigioniero assassinato e il Vecchio è costretto a usare termini molto recisi nei confronti del Leutnant Schnelle. Senza alcun motivo, infine, almeno così sembra, Fratel-

312 lino atterra con un pugno il Feldwebel Schródèr. « Non seguire la strada », grida il Vecchio all'indirizzo di Fratellino che forma la punta avanzata. « Perché? » chiede gridando in risposta Fratellino con un tono di voce di cui la boscaglia rimanda l'eco. « Perché finiremo dritti tra le braccia del nemico se seguiamo la strada », sibila incavolato il Vecchio. « Ma non è quello che vogliamo? » chiede di rimando Fratellino con un sorriso divertito. « Se continuiamo a evitarci, questa fottuta guerra non finirà mai! » « Fa' come ti dico! » grida il Vecchio con un tono che non ammette replica. « Io manderei sotto processo quell'uomo », esclama irato il Leutnant Schnelle. Ha già estratto dalla tasca il taccuino e la matita. « Lasci che ci pensi io », gli dice il Vecchio, superandolo rapidamente. « Il fottuto esercito dei compagni ci sta venendo incontro al gran completo! » grida Gregor, che arriva correndo dalla foresta, avvolto in una nube di neve. « Me lo immaginavo », fa con un sospiro rassegnato il Leutnant Schnelle. « Ci siamo! Ecco che cosa capita quando danno troppa autorità a un sottufficiale! » Il Vecchio lo guarda per un attimo con occhi di marmo. «Lei può farmi rapporto quando saremo ritornati, Herr Leutnant, ma fino a quel momento la devo pregare di astenersi da qualsiasi critica dei miei ordini. Per essere più chiaro: chi comanda qui sono io! » Il Leutnant Schnelle scambia un'occhiata con il capitano finlandese il quale risponde con un'alzata di spalle. Come gli sarebbe piaciuto essere rimasto a Helsinki e non essersi mai impegolato in queste operazioni dietro

313 le linee nemiche. Fratellino è sdraiato nella neve con l'orecchio premuto al terreno e ascolta attentamente. « Quanti sono? » chiede il Vecchio in tono brusco, gettandosi in terra accanto a lui. « Dal casino che stanno facendo dev'essere almeno un battaglione! Ma se proprio lo vuoi sapere, secondo me non sono più di una compagnia! Stanno probabilmente cercando i bucaneve! » « A che distanza sono? » sibila il Vecchio. « È difficile dirlo », risponde Fratellino, assumendo un'aria di vecchio saggio. « Queste foreste comuniste possono ingannarti qualche volta! » « In piedi », ordina il Vecchio. « Lasciamo la palude e scendiamo il pendio! Di corsa e non aprite il fuoco finché non darò l'ordine! Se dobbiamo batterci, lo faremo con i pugnali e con le baionette! » Il Leutnant Schnelle tiene già la pistola in mano e ha un aspetto molto guerresco. « Metta via quel cacafuoco! » ringhia il Vecchio, incavolato. « Se dovesse partire un colpo, lo sentirebbero fino a Mosca! » Con l'aria di sentirsi insultato, il Leutnant rimette la pistola nella fondina e assume l'aspetto di un ragazzino che è stato mandato a letto presto per punizione. Li sentiamo molto prima di vederli. Immersi in una discussione chiassosa, svoltano l'angolo accanto al gruppo degli abeti. In testa marciano due tenenti con le pistolemitragliatrici appese sul petto alla maniera russa. Segue la compagnia che sembra una turba di gente intenta a camminare ognuno per proprio conto. Noi siamo sdraiati in perfetto silenzio nella neve e li osserviamo al di sopra dei mirini delle nostre armi. Sa-

314 rebbe facile liquidarli tutti, ma non sono importanti ai nostri occhi. Non ci teniamo ad ammazzarli. Il nostro compito è ben più importante. « Il nemico », bisbiglia il Fàhnrich Tamm, tutto eccitato. « Perché non li ammazziamo? » « I metodi violenti non sono sempre la migliore soluzione », replica Porta, respingendo il suggerimento con disprezzo. « Ma è il nemico!. » bisbiglia abbastanza forte Tamm, appoggiando il calcio del suo fucile-mitragliatore alla spalla. « Attento a non piegare troppo quell'indice », lo avverte Porta con aria gioviale, « se non vuoi diventare un eroe morto! » Tamm molla la presa e allontana il dito dal grilletto del fucile-mitragliatore, guardandosi poi intorno come per chiedersi: in che mondo viviamo? Poi dice: « Il Fuhrer ha ordinato che il nemico dev'essere distrutto ovunque lo incontriamo! » « Perché non ti presenti al quartier generale del Fuhrer e non ti metti a lucidargli un po' gli stivali? » suggerisce Gregor con un largo sorriso. « Quello sarebbe proprio un lavoro adatto a te! Così potresti raccogliere con le unghie persino un po' di formaggio dei piedi di Adolfo! » Il rumore della compagnia russa che si sta allontanando si smorza lentamente. Una lunga e fragorosa risata è l'ultimo suono che sentiamo. Continuiamo a marciare per tutto il giorno e quasi tutta la notte. Il vento ci taglia la faccia come tanti coltelli. Le maschere facciali servono poco quando il termometro scende a cinquanta gradi sotto zero. Le nubi bluastre come l'acciaio si sono abbassate e

315 scorrono sempre più veloci nel cielo. È in arrivo una tempesta, una di quelle temute tempeste polari, capaci di far volare un alce sulla bianca distesa come se si trattasse di un fiocco di neve. « Cristo, che freddo! » geme Fratellino, battendo le mani. « Che diavolo va cercando Adolfo in questo fottuto paese? Mi sembra che stiamo facendo un favore ai compagni portandoglielo via! » Poco prima dell'alba, il Vecchio concede una breve sosta perché gli uomini possano consumare un pasto freddo. « Che fretta c'è? » geme il Leutnant Schnelle, disfatto, e si getta lungo disteso sulla neve. « Perché dobbiamo raggiungere i laghi prima degli aerei con i rifornimenti », risponde il Vecchio, scontroso. « Dobbiamo osservare una tabella di marcia molto precisa. Se non riesce a tenere il passo, Herr Leutnant, può anche rimanere qui! Lei non fa.parte della mia sezione,ma ci accompagna solo come osservatore! » « In piedi e pronti a riprendere la marcia », grida poi il Vecchio e volta con disprezzo le spalle al Leutnant. Dalla vetta delle alture si vede il Mar Bianco dove le onde alte si alzano verso il cielo incupito. Sull'orizzonte si distingue appena una striscia scura, assomigliante a una costa molto distante. « Credi che sia l'America? » chiede Fratellino, curioso. Così comincia immediatamente un'animata discussione. Gli unici che non partecipano sono i due ufficiali osservatori. « Per Sant'Agnese », esclama Gregor con voce rauca, « se l'America è tanto vicina da poter quasi pisciarci sopra, direi di lasciare Adolfo nella sua merda e di pian-

316 tarla con questa fottuta guerra! » Siamo sdraiati sul ventre nella neve e osserviamo con occhi sognanti le ombre buie, dando libero sfogo alla fantasia. Fratellino immagina di aver incontrato David, il ragazzo del pellicciaio, a New York dove questi sta aspettando che Hitler venga sconfitto. Il quarto giorno, nel tardo pomeriggio, arriviamo ai laghi. Abbiamo appena disteso sulla neve il lungo telo di segnalazione rosso per gli aerei quando il primo JU-52 sbuca rombando dalle nubi. L'aereo sorvola a volo radente la distesa di neve, per cui a un certo punto pensiamo che stia per atterrare. Il Vecchio spara un razzo di segnalazione e i contenitori cominciano a piovere dall'aereo. Quindi sbucano dalla foschia altri due aerei che descrivono alcuni giri sopra le nostre teste per scatenare poi anche loro una pioggia di contenitori. « Sembra che abbiano una fretta maledetta di andarsene », osserva Porta con sarcasmo, eseguendo il classico gesto della mano sinistra battuta sull'incavo del gomito del braccio destro teso. L'ultimo degli aerei compie una virata incerta. Poi, uno dei suoi motori comincia a tossire e ad avere ritorni di fiamma. Nell'attimo successivo, l'apparecchio piomba, piomba a terra, striscia a lungo nella neve e poi capotta. Una delle ali si stacca e subito dopo cominciano ad alzarsi lingue di fuoco dal relitto. « Lasciamolo stare », fa il Vecchio, brusco. « Tanto, non potremmo tirarli fuori dalla fusoliera! » Una formidabile esplosione sopraffa la sua voce e rottami del relitto vengono scagliati ovunque. « Questo botto lo devono aver sentito fino a Murmansk », dice Fratellino, scosso. Poi scaglia nel lago un

317 pezzo d'ala che gli è caduto ai piedi. Abbiamo appena finito di raccogliere il materiale che gli aerei ci hanno lanciato quando sentiamo una salva di fucileria proveniente dalla foresta. Ci mettiamo subito al coperto, pronti a entrare in azione. Le salve si susseguono, ma, strano a dirsi, non sentiamo il fischio delle pallottole. « È solo il gelo che spezza gli alberi », sogghigna Porta. Poi si alza in piedi. « Adolfo non sarebbe affatto contento di vedere i suoi eroi spaventati da una simile bagattella! » Il Vecchio ci riunisce per distribuirci i pesanti carichi. Gli ufficiali ospiti accettano solo con riluttanza la loro parte di carico. Improvvisamente ci fermiamo e guardiamo sbigottiti a nord, dove tutto l'orizzonte sembra in fiamme. Sottili strisce di fuoco sfrecciano, raccolte in fasci, attraverso il cielo trasformandosi di volta in volta in lingue di luce verde, rossa, bianca, che sembrano spegnersi e subito dopo si riaccendono. Tendiamo l'orecchio per sentire il rombo delle esplosioni, ma il silenzio continua. Persino la renna di Porta soffia, sorpresa, e guarda, sbattendo le palpebre, il cielo a settentrione. Poi, i dardi di luce si trasformano in lunghe sbarre brillanti, simili al vetro, come quelle che pendono dagli antichi lampadari. Le sbarre brillanti danzano lungo tutto l'orizzonte, diventando lentamente da bianche color rosso-oro, salvo a trasformarsi nell'attimo successivo in onde di fuoco che si inseguono nel cielo. Lontano al di sopra del Mar Bianco si scorge il bagliore di altri fulmini. Sembra che il mondo intero stia per dissolversi in un'esplosione vulcanica di colori. Fa chiaro come in pieno giorno, con il sole alto nel cielo.

318 Poi, improvvisamente, viene il buio più completo, come se qualcuno ci avesse coperti con un enorme mantello di velluto nero. La renna soffia e gratta con le zampe anteriori il terreno. Le luci arrivano sfrecciando nel cielo con una violenza ancora maggiore di prima e sembrano puntare addosso a noi. Mossi dall'istinto, ci gettiamo sulla neve, in cerca di copertura. Lo strano fenomeno si allontana e scompare al di sopra del mare. La neve brilla e luccica come se fosse cosparsa di innumerevoli diamanti. « Fantastico! » mormora il Vecchio, affascinato. « A che cosa è dovuto? » chiede Fratellino con una punta di rispetto nella voce. « È un fenomeno naturale », risponde Heide che, come sempre, sa tutto. « Se quello è Dio che si sta divertendo, è facile diventare religiosi », mormora Fratellino, non più così sicuro di sé come al solito. Il Vecchio dà l'ordine di costruire un igloo. Nessuno protesta. Tutti non vedono l'ora di mettersi al coperto e di riposare per qualche oretta. La luna pende nel cielo come un gigantesco disco illuminato nel bel mezzo di tutta quella fantasmagoria di verde e rosso. La luce sprigionata dalla luna è pallida, ma nello stesso tempo brillante come quella di una lampada ad acetilene che stia per esplodere. Sull'orizzonte compaiono delle nubi. All'inizio, il loro colore è quello azzurrastro degli iceberg. Poi, improvvisamente, si accendono e sembrano cosparse di zaffiri. La neve diventa un lenzuolo d'argento così brillante che minaccia di accecarci. « Basta questo spettacolo per giustificare tutta l'escur-

319 sione! » esclama Barcelona, sbalordito. « È l'aurora boreale », spiega Heide in tono saccente. « Mi fa venire in mente una bettola nella Davidsstrasse, chiamata l'Aurora Boreale », racconta Fratellino. « La gente bene aveva l'abitudine di venire in quel locale per vedere com'erano fatti gli indigeni. Faceva parte del giro che chiamavano 'Amburgo di Notte'. Io e il vecchio Scimmia abbiamo conosciuto una volta tre baldracche della buona società che stavano aspettando di farsi una chiavata come si deve sulla Reeperbahn. Ci siamo seduti tra loro e abbiamo cominciato a palparle come eravamo abituati a fare nella bettola chiamata l'Aurora Boreale. » « Possibile che riusciate a parlare solo di cose sconce? » sibila Heide, scandalizzato. « Schiaffati le dita nelle orecchie e tieni chiusa la bocca », gli consiglia Fratellino. « È tutto nello spirito del tuo Führer! Quella che avevo pescato io si chiamava Gloria e faceva onore al suo nome. Mentre andavamo con un taxi a Blan-kenese, ci siamo scontrati con il conducente, un tedesco-spaghetti di Innsbruck al quale non piaceva che buttassimo le bottiglie fuori del finestrino. Quando abbiamo svoltato l'angolo e siamo arrivati nella Fischermarkt, abbiamo pensato che fosse venuto il momento di fargli fare un bagno. Così lo abbiamo buttato nell'Elba. Poi, per risparmiargli la fatica di ritornare a piedi dall'altra parte per riprendersi il taxi, abbiamo scaraventato nell'Elba anche la macchina dopo aver riportato il tassametro a zero, in maniera da non dover pagare la corsa. « L'ultima parte del viaggetto l'abbiamo fatta con una macchina della polizia che due Schupo avevano lasciata parcheggiata in una stradina laterale. Abbiamo viaggiato

320 con la sirena e i fari azzurri accesi. La baldracca si è divertita un mondo. Era la prima volta che viaggiava a. bordo di una macchina della polizia. « Gloria abitava in un bellissimo posto con un enorme prato pieno di mucche per tenere l'erba corta. Diceva che le mucche erano inglesi e, come razza, più pure di quasi tutti i tedeschi. Una delle mucche ha tentato di incornarmi, così l'ho afferrata per i manubri e le ho fatto girare la testa senza molto sforzo, come se fosse una capra ammalata. Gloria comincia a recitare Wagner e aizza contro di me un dobermann che mi vorrebbe azzannare, ma io lo afferro e gli faccio fare il volo più lungo che avesse mai fatto. Poi, lei mi ha dato un morso. Siccome non aveva più il cane, aveva pensato, immagino, di sostituirlo lei stessa. Be', dopo un po' l'abbiamo calmata e siamo entrati in casa. « Ci siamo arrampicati su una scala a chiocciola e abbiamo infilato un lungo corridoio, simile alle gallerie che ci sono nei vecchi forti. Dappertutto c'erano quadri con scheletri dall'aria affamata che fottevano con tanta forza da far uscire il fumo dal buco del culo! « 'Riproduzioni classiche di dipinti esistenti a Pompei', spiegava Gloria, come se stesse mettendo in mostra i coglioni del Kaiser conservati sotto spirito. « 'DIO' mio! Per quanto tempo sei stata li?' le ho chiesto; credevo che si trattasse di una specie di casino specializzato nelle perversioni. « 'Cretino!' ha strillato lei affascinante come una vipera. 'Quella è roba del tempo dei romani!' « 'Avevano l'abitudine di chiavare anche allora?' ha chiesto quindi Scimmia, dimostrando quanto fosse ignorante. « Poi; tutti si sono messi a riempire i bicchieri con por-

321 to e sherry, ma io e Scimmia non ne abbiamo voluto sapere. Così siamo scesi all'Elba e ci siamo presi una cassetta di Lòwenbrau. Allora è cominciata la festa. « Gloria gemeva, con la libidine che le colava dalle orecchie, ma giusto nel momento che volevo gettarmi su di lei, quella mi è scappata come un razzo ed è finita all'altro capo del letto. Quel letto era abbastanza grande per farci sopra iezioni di guida con un camion. « 'Perché sei cosi primitivo?' ha sospirato lei, buttando giù mezzo bicchiere di porto. Poi ha cominciato a togliersi pezzo per pezzo la roba che aveva indosso, come fanno nel Caffè Lausen quando i contadini delle paludi ci vanno il sabato. Dopo che aveva finito, ha puntato le gambe verso il soffitto e ha cominciato ad agitare le dita dei piedi. « Mentre stavo per entrare nella sua gondola, quella mi ha sbattuto giù dal letto a furia di calci e ha cominciato una conferenza per dirmi che i tedeschi sono un popolo pieno di cultura. Aveva un'aria così solenne che quasi quasi mi alzo in piedi per farle il saluto del Führer col cazzo. » « Be', ti ha martellato i coglioni? O versato acido muriatico sul cazzo? » chiede Porta con un sogghigno lascivo. « No, ha fatto di meglio », risponde Fratellino, scoppiando in una fragorosa risata. « Aveva un occhio di vetro e poteva toglierselo a piacere. Così, uno poteva guardare nell'interno della sua testa. » « 'Vuoi che me lo tolga per farti piacere?' chiede lei, dandomi una pacca all'uccello. » « Piantala, schifoso maiale che non sei altro! » tuona il Vecchio, che ha l'aria di essere estremamente disgustato.

322 « Che a un porco del genere possa essere concesso di indossare l'onorata uniforme della Germania! » inveisce Heide, voltando disgustato la schiena. I due ufficiali ospiti si guardano in silenzio e riflettono ognuno sull'esercito al quale appartengono. « Le hai fatto davvero togliere l'occhio? » chiede Porta, incuriosito, dopo un lungo e penoso silenzio. « L'ha voluto lei», risponde Fratellino, spudorato. « Hai corso un bel rischio », riflette ad alta voce Porta. « Pensa se l'avessi messa incinta è lei avesse avuto un bambino con un occhio di vetro nel bel mezzo della fronte! Ti avrebbero processato per inquinamento razziale! » Nel corso della notte, il vento ha cessato di soffiare, e il sole sull'orlo dell'orizzonte è così grande e rosso e vicino che si ha la sensazione di poterlo toccare. Basta stendere la mano. Il Vecchio prende un grande fazzoletto verde, di quelli in distribuzione nell'esercito, e lo distende sopra un buco fatto nella neve. « Pisciaci sopra », dice poi a Porta. « Perché no? » replica con un ghigno Porta, e vuota la vescica sul fazzoletto. Questo cambia lentamente colore e da verde diventa bianco con una sfumatura rossastra. Il Vecchio stende il fazzoletto sul ceppo di un albero tagliato, guarda attraverso l'obiettivo della bussola speciale, gira per un po' la vite di regolazione e infine preme i due lati dello strumento. Nella parte superiore, accanto alla vite di regolazione, appare uno stretto nastro verde. Il Vecchio lo strappa, ne spezza l'estremità, conferisce al resto del nastro una foggia quadrata, in maniera da formare una specie di cornice, e vi colloca la bussola al centro. Il fazzoletto ha ora assunto un colore ro-

323 sìa, simile a quello delle mostrine delle nostre uniformi. Il Vecchio trascrive alcuni dati desunti dalla bussola e poi guarda il sole che sta per scomparire. Fatto questo, fissa saldamente il fazzoletto ai lati del quadrato. « Che mi venga un colpo », esclama Porta, sbalordito. « Non pensavo che la mia pisciata fosse così forte da far cambiare colore allo straccio per soffiarsi il naso! » Senza rispondere, il Vecchio toglie le pallottole da due cartucce e versa la polvere pirica contenuta nei bossoli sul fazzoletto finché questo non ne è completamente coperto. Poi aspetta alcuni minuti e soffia via la polvere. Fatto questo, colloca la bussola nell'angolo superiore di destra e schiaccia una minuscola vite. La bussola sprigiona un'intensa luce blu che investe il fazzoletto, ora diventato una carta topografica sulla quale si riescono a leggere anche le diciture più piccole. Quando il tessuto viene illuminato in trasparenza dal basso in alto, vi si può leggere il nome dell'obiettivo della nostra missione segretissima. « Nova Petrovsk », dice, alzandosi in piedi. « Dove diavolo si trova? » chiede Barcelona. « Non ho mai nemmeno sentito quel nome! » « Molti altri non ne hanno mai sentito parlare », risponde il Vecchio in tono asciutto. « La località di Nova Petrovsk è così segreta che non ne è stata mai ammessa ufficialmente l'esistenza. Quelli della Abwehr, il controspionaggio, hanno avuto l'informazione da alcuni confidenti russi. Sul posto non esiste un paese o qualcosa del genere, solo un gigantesco accampamento, mimetizzato in maniera tale da sembrare una foresta. La località è circondata da una cintura di sicurezza profonda cento chilometri. Se i russi ti trovano all'interno di quella fascia senza un permesso speciale, puoi dire addio alla vi-

324 ta. Il nostro compito è così ultra-supersegreto, una Geheime Kommandosache, in gergo GEKADOS, che solo gli ufficiali di rango più elevato del seguito di Canaris ne sanno qualcosa. I razzi che gli aerei ci hanno lanciato sono di un modello completamente nuovo. Nulla di quanto li riguarda deve cadere nelle mani del nemico. Credo di essermi spiegato, eh? » « Noi tedeschi siamo proprio un popolo intelligente », commenta Fratellino. « Sfreghiamo le nostre teste contro la parete ed ecco che ti viene fuori qualcosa come quel trucco con il fazzoletto. Scommétto le mie balle che i nostri vicini, se dovessero prenderci, si soffierebbero il naso con quello straccio senza accorgersi che si stanno strofinando il muso con il GEKADOS tedesco del secolo! » « Ci sono mine dove stiamo andando? » chiede Barcelona con una punta di paura nella voce. Dopo quell'episodio nel campo minato, le mine lo innervosiscono, anche se ne sente solo parlare. « Certo che ci sono le fottute mine », risponde il Vecchio in tono scontroso. « Che altro credevi di trovarci? Qualunque cosa tu stia facendo, bada sempre a seguire il percorso dell'uomo che hai davanti. Basta un passo di fianco, anche di soli pochi centimetri, sul lato sbagliato per rimetterci la pelle... Se uno di voialtri dovesse mettere la zampa su una mina, non salterà in aria solo lui, ma anche metà della sezione. » « Le mine non sono affatto così pericolose come pensa la gente », dice con espressione di superiorità il Feldwebel Schrbder. « A sentirti si direbbe che tu sappia di che cosa stai parlando », gli risponde Barcelona. « Io personalmente sono saltato in aria tre volte, e così in alto che avrei po-

325 tuto fare il solletico alle piante dei piedi di Gesù Cristo. Io so che cosa sono in realtà le mine! » « E ti hanno promosso Feldwebel? » lo sfotte Schróder. Barcelona sta per zompargli addosso, ma il Vecchio si mette di mezzo con molta abilità. « Quando avremo portato a termine questo incarico di merda, potrete tagliarvi la gola a vicenda quanto vi pare e piace. Ma fino a quel momento risparmiate le forze! Questa è la missione più pericolosa e importante che ci sia mai toccata. Adesso avrete tre ore di riposo. Fate il pieno e mangiate quanto potete. Poi, dal momento in cui ci metteremo in marcia e fino a quando non avremo fatto fuori quell'accampamento, non ci saranno più soste, né per riposare né per mangiare. » Per sfuggire al vento gelido che spazza la distesa innevata con un ululato melanconico, scaviamo delle buche nella neve. Porta apre alcune scatolette e divide il contenuto tra noi. « I razzi saranno lanciati con una rampa che si trova in quella cassa verde », spiega il Vecchio. Poi alza in alto uno dei nuovi razzi, in maniera che tutti possiamo vederlo. « A-scoltatemi bene », continua, « anche tu, Fratellino! Se fate qualche fesseria con uno di questi, non resterà nemmeno un bottone di noi. Questo cursore va girato a sinistra fino al numero cinque. Una volta arrivati al cinque, spingete il cursore finché non fa clic. Poi spostate il cursore fino al numero nove. Premetelo e riportatelo poi al numero cinque. Adesso il razzo è innescato e nulla può impedirgli di esplodere tra cinque ore esatte. Quell'aggeggio di gomma sulla sommità del razzo è una ventosa che si attacca all'oggetto colpito. Se qual-

326 cuno dovesse tentare di staccare il razzo, questo gli esploderebbe in mano. Non appena avremo lanciato tutti i razzi, distruggeremo le rampe di lancio. Nulla, neppure il più minuscolo frammento, deve cadere nelle mani dei nostri compari! Se doveste essere attaccati a sorpresa mentre state preparando il lancio, estraete questa asticella e dopo un secondo voi e il razzo salterete in aria! Capito? » « Il fottuto esercito ci ha proprio fregati », osserva Fratellino con aria apatica. « Adesso ci induce al suicidio in massa! » « La vita è come una partita a dadi », sospira Porta. « Ogni giorno speriamo in un sei! » « Io non tirerò fuori alcuna asticella », fa Gregor con convinzione. « Chi fa una cosa del genere merita il premio di campione mondiale dei fessi. La maniera più sicura per sopravvivere alla guerra è quella di riunirsi in un posto dove c'è il nemico con qualcosa di segretissimo in tasca! » « Non sarebbe meglio presentarsi senza tante storie da Ivan e passargli tutta la roba, e che la Patria si fotta? » propone Fratellino. « Alto tradimento! » urla Heide, infuriato. Il Leutnant Schnelle scuote la testa e si allontana ostentatamente da Fratellino e da Gregor. « Ogni gruppo riceverà tre razzi e un congegno di puntamento », continua il Vecchio. « Non appena i razzi saranno armati e pronti al lancio, mi informerete con la radio. Al lancio prowederò io. Ripeto ancora una volta: spostate il cursore solo a sinistra e ricordatevi che dovete sentire il clic. Se non ci dovesse essere il clic o se doveste spostare il cursore a destra, il razzo vi esploderebbe nelle mani! Hai capito anche tu, Fratellino? »

327 « Perfettamente », lo rassicura Fratellino, picchiandosi con le nocche delle dita la fronte. « Me lo sono scolpito nella zucca per tutti i secoli dei secoli, amen! Quando si tratta di istruzioni sul maneggio degli esplosivi, io ascolto! » « Lo spero bene », fa ridendo Porta. « Altrimenti: arrivederci lassù! » « Muoviamoci », dice il Vecchio, azionando l'otturatore della sua pistola-mitragliatrice. «Non si fuma per alcun motivo! » A tratti, un lampo azzurro illumina il cielo sopra la foresta. Il rumore dei motori in moto diventa sempre più forte. Nel corso della notte superiamo strisciando il primo schieramento delle vedette. Queste sono così vicine che sentiamo l'odore delle loro sigarette. « Mine! » avverte il Vecchio, alzando la mano per invitarci a procedere con cautela ancora maggiore. Il Legionario estrae dallo zainetto uno scoprimine e lo offre con un sorriso sarcastico al Feldwebel Schroder. « Peau de vache, questo è proprio un lavoretto per te », bisbiglia con aria malvagia. Schroder scuote nervosamente la testa e fa un passo indietro. « Non ho alcuna esperienza con questo genere di roba! » « Allora tieni chiusa quella fottuta boccaccia la prossima volta, quando qualcuno parla di mine », brontola Barcelona, risentito. « Couillon », ringhia il Legionario ed estrae con estrema attenzione una mina dalla neve. « Vieni, morte, vieni... » sussurra mentre Fratellino taglia i cavi. Il Vecchio accende la luce blu della bussola e misura la

328 distanza sulla carta topografica. « Le informazioni del confidente sono precise al cento per cento! » Un passo dopo l'altro, la sezione attraversa la zona minata. Basterebbe il minimo errore perché una formidabile esplosione ci facesse a pezzi. Il Fahnrich Tamm sta per posare il piede su un cavo, ma il Legionario afferra il piede e lo depone gentilmente accanto al filo. « Maledetto bue cornuto », lo rimprovera il Vecchio. « Dio mio, che cosa ho fatto per meritarmi un fardello simile? » « Par Allah », sibila il Legionario. « Fallo un'altra volta e penserò io a farti fuori. » Fuori, nel buio, un cane abbaia furiosamente. Altri due, più distanti, gli rispondono. « Dannati cani », impreca Gregor. « Li prenderò a calci nel sedere se vengono qui! » A un tratto si accende un faro. Un fascio di luce fruga la superficie di neve, fermandosi a intervalli. Il fascio di luce descrive un ampio semicerchio, ritorna improvvisamente e si ferma poco prima di raggiungere me. Paralizzato dalla paura, premo il corpo sulla neve e mi aspetto da un momento all'altro una raffica di mitragliatrice. Le vedette si lanciano, l'una all'altra, grida rassicuranti. Sappiamo che cosa provano. Fare la vedetta o la sentinella al buio fa paura a chiunque. Quando una sentinella viene uccisa, la cosa accade con tale rapidità che l'uomo non si accorge nemmeno di star per morire. Superiamo carponi l'ultimo tratto del percorso e oltrepassiamo rapidamente gli appostamenti difensivi nonostante il pesante materiale che ci stiamo trascinando dietro. Nel buio non si sente alcun rumore di metalli che cozzano contro altro metallo, rumore che metterebbe in

329 allarme le vedette. Attraverso i due grandi cancelli di legno dell'immenso deposito campale, simile a una fortezza, i camion entrano uno dopo l'altro. S'intravedono a tratti gli sprazzi di luce delle torce elettriche, quando le guardie dell'NKVD controllano i documenti degli autocarri. Nessuno può entrare nel campo senza un'autorizzazione speciale. « Ivan sta davvero molto attento », bisbiglia Porta, teso come una corda di violino. « Non si fidano nemmeno dei loro facchini! » « Nessuna meraviglia », risponde Gregor. « Prova ad annusare. Qui ci devono essere milioni e milioni di litri di benzina! » * « Già, abbastanza per un'altra Guerra dei Trent'Anni e anche più lunga », bisbiglia Fratellino, sopraffatto dall'emozione. « Come dobbiamo girare quei cursori? » chiede Porta, nervoso. « A sinistra o a destra? » « A destra », risponde Fratellino con sicumera. « Solo che non so se bisogna arrivare prima al cinque o al nove! In ogni caso deve fare clic, altrimenti scoppia! » Improvvisamente, tutti siamo colti dal dubbio. Fratellino, con il suo solito ottimismo, suggerisce di provare a turno per vedere che cosa accade. In tal caso, solo ogni secondo razzo salterebbe in aria. « Cristo, non spostare quell'accidente! » lo avverto, terrorizzato, quando Fratellino si accinge a spostare il cursore. « Potremmo saltare in aria! » « Se saltiamo in aria, speriamo almeno che accendano le luci di atterraggio a casa nostra », sogghigna Porta, fatalista. Da dietro una grande pila di bozzoli per granate sbuca

330 carponi il Vecchio. « Che cazzo state combinando qui? » ringhia, incavolato. « Il primo e il quarto gruppo hanno già montato i loro razzi! » « Quel cursore? Dobbiamo spostarlo a sinistra o a destra? » chiede Porta, facendo vedere al Vecchio un razzo. « Che Dio abbia pietà di noi! » geme il Vecchio, disperato. « A sinistra, fessi! I russi morirebbero dal gran ridere se potessero vedervi in questo momento! » « Prova a gridarglielo, allora », suggerisce Porta. « Così la guerra sarebbe finita e noi passeremmo alla storia come l'arma segreta di Adolfo! » « Dobbiamo metterlo sul cinque? » chiede Fratellino, con la mano sul cursore. « Non adesso, latrina da campo che non sei altro », sibila il Vecchio, facendo schioccare le dita. « Mettete il razzo sulla rampa e mirate, prima di tutto! Che cosa diavolo vorresti far saltare in aria, qui? » « I camion », risponde Fratellino con voce entusiasta. « Ce n'è un mucchio. » « Ma piantala! » ringhia il Vecchio. « Al diavolo i veicoli. Questi razzi devono essere impiegati contro i bersagli più lontani. A quanto sembra, non hai capito un cazzo di quello che ti ho spiegato! Prima dobbiamo colpire i bersagli distanti con i razzi. Poi dovrai mettere le bombe Lewis e le mine radio nel riquadro che ti è stato assegnato. Perfino un cretino integrale riuscirebbe a capire questo. Prova ad ascoltare, perdio, quando ti spiego che cosa devi fare! Quando arriverai al grande tratto di terreno scoperto dove ci sono i treni, sta' molto attento! I russi ci hanno messo delle mine segnaletiche collegate da fili nei quali si può inciampare. Non toccarli! Evita

331 persino di respirare nelle immediate vicinanze! Se scoppia una di quelle mine, si alzano dei razzi illuminanti appesi a paracadute, una luce sufficiente per illuminare a giorno tutta la fottuta base nemica! » « Non prendertela », lo conforta Porta. « Noi siamo capaci di scuoiare un pidocchio senza che questo se ne accorga! » « Alla Reeperbahn ho frequentato una scuola per borseggiatori gestita da un ebreo », si vanta Fratellino. « Ero capace di togliere a una puttana gli stracci che aveva indosso senza che questa se ne accorgesse! » « Non c'è limite all'idiozia umana! » ringhia il Vecchio, imbestialito, per scomparire di nuovo. Continuando a chiacchierare arriviamo al posto dove devono essere montate le rampe per il lancio dei razzi. Ci mettiamo al lavoro e cominciamo a montare le singole parti. La piattaforma di lancio sembra una cosa molto primitiva, simile a una cassa di legno non finita. Un aggeggio, insomma, che assomiglia a tutto fuorché a una base di lancio. All'estremità inferiore di una delle rotaie di alluminio ci sono tre rotelline con delle scale graduate, debolmente illuminate. Queste servono per regolare la posizione della base di lancio. Fratellino inserisce nelle guide il tubo lungo 52 centimetri e io provvedo ad avvitare la spoletta. Porta attacca un cavetto che ha un aspetto strano e sembra essere stato tolto dall'interno di un materasso a molle. « Credi che funzionerà? » chiede Fratellino, dubbioso. « Io preferirei un nebulizzatore. » « Funzionerà », risponde Porta con convinzione, avvicinando la mano alla livella ad alcool della rampa di lancio per controllarla.

332 « Sesto gruppo pronto », dico nel microfono della radio portatile, a voce bassa. « Restare accanto alle rampe finché i razzi non saranno partiti! » ordina il Vecchio che è sdraiato insieme a Heide tra le cataste di munizioni per ricevere dai singoli gruppi la notizia che tutto è pronto. « Portare i cursori al numero cinque », ordina il Vecchio, fissando con molta attenzione il piccolo schermo verde. Fratellino si precipita al suo razzo come se temesse che qualcuno di noi volesse precederlo. « A sinistra o a destra? » chiede. « A sinistra, idiota! » brontola il Vecchio, incavolato. « Questo qui farà un casino che farà sobbalzare di paura la nonna di Belzebù in persona », dice Fratellino con aria soddisfatta e porta il cursore al numero cinque. La rampa di lancio ha come un brivido e subito dopo si sente un debole sfrigolio, come se qualcuno avesse acceso un'intera scatola di fiammiferi. Senza fare alcun rumore, i razzi lasciano le rampe e volano nella notte simili a pipistrelli-fantasma. Nessuna vampa di lancio. Nessuna fiammata di scarico. La rotta è regolata con precisione dagli strumenti che si trovano nella cassetta con lo schermo verde. Vari razzi finiscono nel lontano deposito dei carburanti. Altri si attaccano come sanguisughe a cataste di munizioni e alle officine all'interno del campo tre. Dopo cinque ore, questi razzi esploderanno con incredibile violenza. Con estrema rapidità distruggiamo le rampe di lancio. Il Vecchio schiaccia un pulsante bianco della cassetta con lo schermo verde, il congegno di puntamento elettrico. Dalla cassetta oblunga comincia a uscire immedia-

333 tamente uno strano rumore, come se qualcosa stesse bollendo, gorgogliando. Una nebbiolina acre ci afferra al palato e alla gola mentre l'acido, uscito da una piccola fiala di vetro all'interno della cassetta, sta distruggendo condensatori, avvolgimenti e resistenze. Pochi secondi bastano per distruggere uno dei più moderni ritrovati della tecnologia tedesca, un apparecchio che nessun altro esercito possiede. L'antenna dall'aspetto strano, necessaria per stabilire le distanze, quella che assomiglia alle molle di un materasso, viene tagliata in piccoli pezzettini; questi vengono sparpagliati poi un po' ovunque. « Adesso pensiamo alle bombe Lewis », bisbiglia la voce del Vecchio nella cuffia della radio. « Avete un'ora. Non un secondo di più! » Uno alla volta attraversiamo di corsa l'ampio stradone sul quale scorre un traffico nutrito e che porta nei recessi dell'enorme deposito di munizioni e carburanti. Il fracasso dei motori riverbera nell'aria e ordini rauchi, gutturali, risuonano nella notte. Varie volte passiamo così vicini alle sentinelle russe che ne sentiamo distintamente il respiro. « Senti che puzzo di benzina? » fa in un bisbiglio Porta. « Questo sarebbe il posto ideale per un piromane! » « Ivan Puzzonski se la farà addosso dalla paura », dice Fratellino. Le parole sembrano uscirgli gorgogliando dallo stomaco. Poco manca che andiamo a sbattere contro la rete perimetrale, alta sei metri. Fratellino tira fuori la pinza tagliatili. « Speriamo che non sia elettrificata », osserva mentre tocca con l'attrezzo il primo filo. « In tal caso sapresti che cosa si prova a sedersi sulla sedia elettrica », replica Porta in tono asciutto.

334 « Balle! » brontola Fratellino, tagliando i fili come se si trattasse di cotone. Quell'uomo possiede una forza sovrumana. « Cristo! » esclama Porta quando ci troviamo nel bel mezzo di grandi cataste di fusti di benzina. « Non immaginavo che in tutto il mondo potesse esistere tanta benzina! » Poi picchia con le nocche delle dita su un paio di fusti. « Tanto per non fare sbagli e non mandare in aria un mucchio di fusti vuoti », soggiunge.' Fratellino ha riempito l'accendisigari e sta per accendersi una sigaretta. « Una scimmia deve averti morsicato il culo », lo sgrida Porta. « Qua andremo tutti all'inferno se ti metti a fare scintille con l'accendino! » Con i nervi tesi al massimo ci inoltriamo lentamente tra le montagne di fusti e cassette. Quando siamo ben addentro nell'immenso campo, svoltiamo a sinistra per sbucare in un ampio corridoio di collegamento che si perde in distanza. Porta si ferma di colpo e poco manca che non gli vada addosso. « Ivan », bisbiglia con una voce che quasi non si sente. Come se qualcuno ci avesse dato un ordine, tiriamo fuori dalla tasca il fil di ferro. Due soldati russi con il pastrano che arriva fino alle caviglie vengono nella nostra direzione. Stanno chiacchierando. « Job tvoje madij », fa uno dei due, ridendo. Fratellino scuote con impazienza la testa e alza il fil di ferro. Porta gli fa cenno con la mano di aspettare. È meglio lasciarli andare. Non appena abbiamo svoltato l'angolo, sistemiamo la prima delle bombe Lewis. Il detonatore viene regolato

335 perché deflagri dopo quattro ore. Fratellino spezza con i denti, senza preoccuparsi tanto, l'estremità delle fiale di vetro e sputa i pezzi nella neve come se si trattasse di frammenti di tabacco provenienti da una sigaretta. Se una delle fiale dovesse rompersi, la sua-morte sarebbe certa. Il potente acido si dif-fonderebbe dalla lingua in tutto il corpo. Fratellino non si rende conto del pericolo. Continua a sputare frammenti di vetro e si sciacqua la lingua con la vodka. « Santissima Vergine! » esclama mentre ci fermiamo a guardare le montagne di proiettili. « E Adolfo vorrebbe farci credere che Ivan non ce la fa più! La Germania non ha mai posseduto simili quantità di polvere pirica! » « Attenti! » avverte Porta mentre attacchiamo le pericolose bombe alle cataste. « Per l'amor di Dio badate di non piegare quella dannata asticella! Se questa roba salta in aria mentre siamo qui, atterreremo nella Potsdamer Platz così alla svelta e con un tale tonfo da non essere più capaci di alzarci per andare al Cane Gobbo per una birra! » « Ssst!» bisbiglia Fratellino, tutto eccitato, addossandosi a una catasta di granate. « Ivan! » « Fermo! » bisbiglia Porta. « Gli daremo addosso solo se saremo costretti! » Due sentinelle si avvicinano a noi con gli stivali che scricchiolano. Stanno conversando sottovoce in un dialetto che non riusciamo a capire. « Uomini-scimmia della Mongolia », bisbiglia Porta, tirando fuori dalla tasca il fil di ferro. Comincio a provare nella spina dorsale quella strana tensione che provo sempre al fronte. Stringo saldamente la manopola di legno all'estremità del filo e cerco con la sinistra il mio pugnale da paracadutista.

336 Un terzo militare emerge da uno stretto passaggio e comincia a rimproverare gli altri due perché stanno fumando. I tre si fermano a cinque o sei metri di distanza da noi e cominciano a litigare. Agitano le mani e si rivolgono parole rabbiose. Il terzo arrivato, un sottufficiale, pesta per terra i piedi infilati nei goffi stivali di feltro e grida più forte degli altri due. Porta ci fa un segno con la mano. Siamo semplicemente costretti a liquidarli. Senza fare il minimo rumore ci avviciniamo ai tre mongoli che ci stanno voltando la schiena e si insultano a vicenda. Porta lancia il segnale, un sibilo, e subito dopo saltiamo addosso ai tre. Con poderosi strattoni serriamo il fil di ferro intorno al collo dei soldati. Poi ci lasciamo cadere sulla schiena, ognuno coperto da un russo che sta scalciando. Un debole gorgoglio è l'unico rumore che riescono a produrre. Continuano a scalciare ancora per un po' e poi le loro braccia ricadono, inerti. Le corde da pianoforte stanno stringendo sempre più forte le loro gole. Per alcuni secondi, i corpi continuano a sussultare lievemente. Poi allentiamo la stretta e ci alziamo in piedi. « Mettiamo questi tre turisti al coperto », ordina Porta, bevendo un sorso di vodka. « Lascia fare a me », dice Fratellino, zelante. Poi scompare con due dei cadaveri e li infila a forza tra le cassette di munizioni, come se si trattasse di due fagotti di biancheria sporca. « Vuole perquisirli », spiega Porta. « Ecco perché ci teneva tanto. » Nei pressi del' grande deposito di nafta incontriamo il

337 Feldwebel Schròder e il Fàhnrich Tamm. Ci mettiamo d'accordo di aiutarci l'un l'altro nel compito di spostare alcune grandi casse e qualche fusto per piazzare meglio le piccole bombe radio. Abbiamo quasi finito di spostare le casse quando una sentinella sbuca da uno stretto passaggio. « Chi va là? » grida l'uomo con voce penetrante. « Chi va là? » ripete, togliendo dalla spalla il Kalascnikov. Paralizzati di paura, lo guardiamo, aspettando la raffica di mitra che ci sistemerà tutti. Porta gli risponde in puro ucraino: « Rabotscis dvidati porok! »1 Con il mitra in posizione di sparo, il russo, un tipo alto, si avvicina con passo esitante. « Krass tjuk? »2 « Job tvoje madij, djadja », fa con un sogghigno Porta, avvicinandosi lentamente a lui. « Papirossa, starsci serscant? » 3 chiede, tirando fuori un pacchetto di sigarette. « Spassibo »,4 fa con un sorriso il sottufficiale che ha sul pastrano le spalline verdi dell'NKVD. Porta gli porge con gentilezza l'accendino. Nello stesso istante, Fratellino fa un balzo con il pugnale da paracadutista in mano. La lama penetra nel corpo dell'uomo nelle immediate vicinanze della spina dorsale e risale fino al collo. Senza il minimo rumore, il sottufficiale dell'NKVD pugnalato si accascia nella neve. Strano a dirsi, la sigaretta gli è rimasta incollata tra le labbra. Porta la riprende e la rimette nel pacchetto. Tanto, al 1

«Operai che spostano munizioni!» (N.d.T.) «State rubando?» (N.d.T.) 3 «Una sigaretta, sergente maggiore?» (N.d.T.) 4 « Grazie! » (N.d.T.) 2

338 morto non serve più. Fratellino estrae il pugnale e lo pulisce sul pastrano del morto. Poi fruga con dita esperte le tasche e trova alcune foto pornografiche che si tiene. Un po' più tardi sbuchiamo nell'ampio viale di raccordo dove riceviamo una ramanzina da un tenente per non aver salutato, come prescritto, una compagnia dell'NKVD che passava. « Presentatevi a me domattina dopo l'adunata », abbaia, rabbioso, andandosene. « Dasce, mladskij leitenant! »1 risponde a voce alta Porta e sbatte i tacchi. Tra alcune grandi costruzioni di mattoni è parcheggiata una lunga fila di carri armati JS i cui giganteschi cannoni da 22 millimetri sono puntati minacciosamente contro il cielo. « Che strano! » mormora Porta, guardando attraverso il portello posteriore del carro Stalin, « hanno i serbatoi pieni, il carico di munizioni completo e sono pronti a partire! » « Facciamoli saltare! » fa Schroder. « Se mettiamo le bombe sul coperchio del serbatoio di benzina », dice Porta, « dovremmo ottenere un ottimo risultato, visto che l'esplosione investirebbe direttamente la benzina. » Dopo pochi minuti, le bombe sono già collocate sui serbatoi di benzina. Poi attraversiamo a uno a uno, correndo, la grande piazza d'armi per metterci al coperto tra le casse d'imballaggio. Ho già quasi attraversato la spianata quando inciampo in una rotaia e finisco per fare, pancia a terra, una scivolata sul fondo ghiacciato. Il mitra, che mi è caduto di 1

«Va bene, tenente! » (N.d.T.)

339 mano, mi segue con fracasso. Vengo fermato nella corsa da un paio di stivali di feltro piantati solidamente come due colonne nella neve. Automaticamente tento di afferrare il mio pugnale da paracadutista mentre mi alzo gemendo in piedi. Il russo, che è due volte più alto di me, depone la sua pistola-mitragliatrice sulla neve e mi aiuta. « Spassibo, spassibo », balbetto nervosamente. Quando si china su di me, gli caccio il pugnale nella gola. Poi, con un rapido movimento, rivolto la lama e la estraggo. Un gorgoglio esce dalla gola dell'uomo che cade in ginocchio e tenta di estrarre la pistola. Gli sferro un calcio in faccia, per immergergli poi il pugnale nel petto. Con mio grande sgomento, la lama si spezza. Gli altri si precipitano in mio aiuto. Fratellino colpisce con tutte le forze di cui dispone la faccia del russo morente con il tacco dello stivale. Il russo aveva già estratto a metà la pistola. Schroder lo pugnala nel ventre. « Andiamo », fa Porta. « Allontaniamoci da qui! Tanto, ci restano da piazzare solo le ultime bombe tra le casse con i pezzi di ricambio. » Il Feldwebel Schroder si arrampica sulla catasta di casse e si mette cavalcioni. Fratellino gli passa le cariche esplosive mentre Porta regola i detonatori. Ho appena passato l'ultima delle bombe radio a Tamm quando sento un debole clic. Anche Fratellino lo sente e si getta a terra. Porta scompare con un lungo salto acrobatico e io m'infilo sotto alcuni fusti dietro un trattore. Tamm, che a quanto sembra non ha udito il clic, guarda di qua e di là, senza capire che cosa stia accadendo. Prima che facciamo in tempo ad avvertirlo, la bomba

340 esplode con un fragore assordante. Il Fàhnrich viene scagliato in aria dall'esplosione. L'intestino gli schizza dal ventre dilaniato in tutta la sua larghezza, la spina dorsale è a pezzi, e brandelli di carne e frammenti di ossa schizzano un po' ovunque. Ogni traccia d'aria scompare dai miei polmoni. L'attimo successivo mi sento scagliare in aria. Per una frazione di secondo scorgo Porta in volo accanto a me, con le braccia distese come se avesse le ali. Fratellino ci sorpassa volando come se fosse stato sparato da un cannone. Il Feldwebel Schroder ricade nella neve formando un mucchio insanguinato di carne e di ossa. Sospeso nel vuoto, compio alcune capovolte, alto sopra la base, per ricadere poi verso terra. Dopo aver sfondato un tetto di paglia, finisco in una gigantesca piscina piena di acqua gelida e oleosa. Mentre continuo ad affondare, il freddo mi fa riprendere i sensi. Per un attimo terribilmente lungo, l'acqua minaccia di soffocarmi. Mi dibatto disperatamente muovendo le braccia e le gambe per ritornare in superficie. Aria! Aria! è il mio unico pensiero. Finalmente affioro e mi riempio i polmoni con l'aria gelida. Poi, i polmoni sembrano congelarsi per cui mi manca di nuovo il respiro. L'acqua accanto a me ribolle come se un carro armato fosse appena precipitato nel bacino. Poi trascorre del tempo: secondi, minuti, ore, non saprei dire, e alla fine emerge accanto a me la testa rossa e arruffata di Porta che soffia getti d'acqua come una balena. « Che diavolo è successo? » riesce a chiedermi, mezzo soffocato. « Sono sordo come una campana e ho un sacco di roba nella pancia che non dovrebbe esserci. » Ancora sotto shock riusciamo a raggiungere la riva. In-

341 torno a noi, le esplosioni si susseguono con crescente fragore. Corriamo come pazzi, preoccupati solo di allontanarci il più possibile dalla base in fiamme. « Dov'è Fratellino? » chiedo con voce ancora scossa. « È volato da quella parte », mormora Porta, indicando con il braccio a nord-ovest. « Probabilmente è già arrivato in Alaska e sta raccontando la sua gita agli orsi! » Alle nostre spalle sentiamo delle grida concitate e l'abbaiare rabbioso di varie pistole-mitragliatrici. « Penso che sia proprio il caso di andarcene », dice Porta in tono deciso. Al riparo di un lungo declivio troviamo la sezione che sta aspettando i ritardatari. Fratellino è seduto nel bel mezzo di un gigantesco cumulo di neve e si sta tergendo di dosso il sangue e la sporcizia. « Dove diavolo eri andato a finire? » chiede Porta. « All'inferno », risponde Fratellino, ancora senza fiato, dandosi strattoni al naso per rimetterlo a posto. « Prima di tutto sono volato in alto fino al Dio tedesco e gli ho rovesciato il trono. Poi ho fatto un volo con circa una tonnellata di esplosivi che mi spingevano per il culo e sono finito su questo mucchio di neve! » « Non ho mai visto nulla di simile », racconta Heide. « È sbucato dalle nubi come una nave spaziale e si è conficcato nella neve a tre metri di profondità! » « Dovete aver combinato qualche puttanata », dice il Vecchio in tono di rimprovero. « Quelle bombe radio sono a prova d'idiota! » « Forse siamo più idioti di quanto pensasse chi le ha costruite », ribatte Fratellino con modestia. Una colossale esplosione gli toglie la parola. Un vulcano esplode fragorosamente e scaglia in aria una massa

342 di neve, ghiaccio, terriccio, pietre e materiali di guerra che volano in tutte le direzioni. Tra questo materiale ci sono centinaia di autocarri e carri armati. Per un breve attimo, tutta questa roba sembra ondeggiare alta nell'aria, poi la nube si dissolve in milioni di frammenti che piovono sulla terra. Due grandi baracche volano in aria e sembrano galleggiare su un mare di fiamme. Poi ricadono e si dissolvono in una nube di sangue, interiora, letti fracassati e Dio sa che cosa d'altro. Un lungo urlo stridulo di mille voci esplode. È l'urlo dei soldati che erano acquartierati in quelle baracche e ricadono a terra in una pioggia di sangue e di ossa spezzate. Segue il terribile silenzio che si protrae per alcuni secondi. Poi, dalla grande base logistica cominciano ad alzarsi con un sinistro rombo le fiamme. I fasci di luce dei riflettori cominciano a frugare il cielo e le batterie contraeree intorno alla base aprono il fuoco. I russi pensano evidentemente che si tratti di un'incursione aerea. Una serie di gigantesche esplosioni scuote il terreno circostante come se ci fosse un terremoto. Un'immensa colonna di fiamme si alza verso il cielo, dilatandosi sempre di più, come se non volesse mai fermarsi. Due enormi lingue di fuoco si alzano dalle migliaia e migliaia di fusti di benzina che i razzi hanno incendiato. Un soffio di aria rovente, simile al fiato dell'inferno, investe il terreno. Per chilometri e chilometri intorno, la neve si scioglie formando dei laghi che prima non c'erano. Dal centro della base si alza una fiammata cosi nitida e brillante da riempirci di terrore. Poi arriva l'onda

343 d'urto dell'esplosione travolgendo tutto e tutti, i vivi e i morti. Gli alberi vengono sradicati o spezzati come fiammiferi. Con un fragore assordante, la tempesta di aria rovente ci investe scagliandoci lontano, al di là dei laghi gelati. Un camion con il rimorchio vola nell'aria come se stesse viaggiando su una strada invisibile, per ricadere nella neve in una lontana foresta e diventare un mucchio di ferraglia. Tre giorni più tardi riusciamo ancora a scorgere, lontanissimo, il riverbero delle fiamme. Tutto l'orizzonte è divorato da un immenso incendio che sembra vicinissimo, anche se siamo ormai distanti ben settanta chilometri. A questo punto siamo in preda a una specie di follia dovuta alla stanchezza, per cui liti e risse scoppiano per i motivi più ridicoli. Fratellino ha tentato già due volte di pestare il Leutnant Schnelle perché quello continua a minacciarlo, dicendo che lo manderà sotto processo. Improvvisamente, un sottile strato di ghiaccio cede sotto i miei piedi e solo la presenza di spirito di Gregor mi impedisce di scomparire in una profondissima crepa del ghiacciaio. Il rumore della tempesta è sopraffatto da uno strano fra-i gore, simile a un violento bombardamento di artiglieria. L'ago della bussola è impazzito e punta in tutte le direzioni. Heide parla di tempeste magnetiche, ma non riesce a spiegarci che cosa sono in realtà. Continua a bofonchiare dicendo che sono una specie particolare di tempeste polari che fanno impazzire gli uomini e gli strumenti. Non possiamo che dargli ragione. Poi, come spesso capita nell'Artide, il vento cambia improvvisamente, come se

344 due tempeste stessero soffiando in direzioni opposte. La neve e il ghiaccio vengono risucchiati nell'aria sotto forma di giganteschi vortici. All'improvviso, l'Unteroffizier Stolp lancia un terribile urlo e scompare nella neve come se qualcuno lo avesse trascinato sottoterra per i piedi. In preda alla disperazione, frughiamo con gli occhi il buio crepaccio nel quale il sottufficiale è precipitato, avvolto da una nube di ghiaccio e neve. Ci mettiamo a gridare, ma dalla profondità ci, risponde solo l'eco delle nostre voci. « È andato dritto all'inferno », commenta con un brivido Porta. « Che si fotta! » esclama Fratellino. « Era un dannato figlio di puttana! » « Non si parla così di un sottufficiale », lo rimprovera severamente il Leutnant Schnelle. « Nooo? » risponde Fratellino, guardandolo dall'alto in basso con disprezzo. Poco dopo tocca a Barcelona sfondare lo strato di ghiaccio sul quale camminava, solo che riesce ad aggrapparsi a una sporgenza più in basso. Gli caliamo una fune e lo tiriamo su. E quasi pazzo di paura e dice di aver visto in fondo al crepaccio il diavolo che lo stava chiamando. A un tratto, la tempesta si placa. Il silenzio che segue ci spaventa. Abbiamo la sensazione che il cielo minaccioso color grigio-ferro stia per piombarci addosso. Dopo soli pochi minuti, la tempesta riprende con intensità ancora maggiore. « A terra! » urla il Vecchio, ma il suo avvertimento arriva in ritardo.

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345 Una folata investe in pieno il Leutnant Schnelle che supera volando l'orlo della scogliera, rimane sospeso nell'aria come un uccello in volo, si capovolge, viene scagliato più in alto ancora e poi cade nel mare agitato. Lo scorgiamo per un attimo sulla cresta di un'onda gigantesca. Poi, la spuma bianca lo risucchia, avida, per sempre. « Immagino che voglia precederci a nuoto per far riunire il tribunale di guerra che mi deve processare », dice Fratellino. « Non c'è niente da ridere », esclama Heide, inorridito. « Vuoi forse che mi metta a piangere per quella merda di ufficiale? » chiede di rimando Fratellino. La tormenta diventa sempre più violenta. Nevica così fitto che riusciamo a vedere solo pochi centimetri davanti a noi. La tempesta ha trasformato in un mare sconvolto l'intero deserto di neve. La neve ci investe a grandi ondate che minacciano di sommergerci completamente. La temperatura è scesa a circa cinquanta gradi sotto zero. Persino il fiato si trasforma in ghiaccio. La brevissima giornata è già finita. Fa ormai buio. Continuiamo a marciare come se stessimo camminando tra cortine di velluto nero. L'unica soddisfazione che questa terribile tempesta polare ci procura è la riflessione che anche i russi ne soffrono, come noi. I repentini, strani cambiamenti di direzione del vento scostano per un attimo il velo di neve e Porta scorge un gruppo di soldati che ci sta venendo incontro. Il Vecchio ci ordina di sparpagliarci e di scavare le buche di protezione nella neve. « Dove sono andati a finire? » chiede Fratellino, sba-

346 lordito, dopo un abbastanza lungo periodo di attesa trascorse nelle buche. « Devono essere qui vicino, da qualche parte », ragioni Porta, sporgendo cautamente la testa al di sopra del ciglio di neve. « Dannata neve! Uno non riesce a vedere nemmeno il proprio cazzo senza il cannocchiale! » brontola Barcelona, assestando meglio la maschera facciale. A una certa distanza, nella tundra, la tempesta ha ammucchiato la neve in maniera da formare una piccola muraglia dalla cresta seghettata. Al di sopra di questa cresta compare per un attimo una testa coperta da un copricapo di pelliccia. « Lo zio Ivan », fa con un sorriso Porta, togliendo la sicura. « Spezzerò i denti a quel figlio di puttana quando si farà vedere di nuovo », dice Gregor con cattiveria nella voce, appoggiando la guancia al calcio della pistolamitragliatrice. Ci vogliono quasi due ore perché quelli si facciano avanti, a uno a uno, strisciando sulle montagne di neve. Uno di essi si solleva a metà e fa un segnale con il braccio. Gli altri si dividono in due gruppi. Uno si dirige verso nord, in fila per uno. L'altro marcia nella nostra direzione. « Fermi tutti! » bisbiglia Porta. « Niente sparatorie a vanvera! Ci penseremo Fratellino e io! Beccheremo prima quelli che sono in coda. Il rumore della tempesta coprirà quello degli spari.» Poi solleva il fucile di precisione e regola il mirino a cannocchiale. Fratellino trattiene il respiro e prende di mira l'ultimo soldato impellicciato della fila. Porta ha preso di mira il penultimo.

347 I due fucili sparano simultaneamente. I due soldati crollano come se fossero stati colpiti da un pugno. Quando cadono i due soldati successivi, il comandante della sezione si volta e vede ciò che sta accadendo. Si ferma e guarda a bocca spalancata. Non riesce a comprendere. Poi cade anche lui, rimane per un attimo inginocchiato nella neve con le mani sul viso ridotto a brandelli e infine crolla. Gli altri si gettano a terra e cominciano ad arretrare strisciando per mettersi al coperto e sottrarsi agli spari. Una scarica di pallottole si conficca nella neve con uno strano rumore, come se si fossero infilate nell'acqua. Il Legionario appoggia il calcio del mitra all'incavo della spalla. Poi spara tre volte di seguito e gli ultimi superstiti del gruppo nemico fanno un balzo e muoiono. « Che fessi a strisciare attraverso la cresta in quella maniera », commenta Porta scuotendo la testa. « Se si fossero messi a strisciare al coperto ai piedi del mucchio di neve, non avremmo mai potuto colpirli! » « Mi domando che razza di tipo fosse il fesso che li comandava », si chiede Fratellino. « Un povero diavolo come noi », risponde Porta. « Il tipo di uomo del quale tutti si servono di solito per i lavori sporchi. » « Vieni, morte, vieni... » canticchia il Legionario, e la sua voce viene sopraffatta dall'ululato della tempesta artica. A un certo punto troviamo un profondo avvallamento e costruiamo un igloo. Il Vecchio non avrebbe voluto dare l'ordine di scavarlo, ma poi si è accorto che siamo praticamente vicini al collasso. « Ascoltate », racconta Porta, sistemandosi comodamente nel punto migliore all'interno dell'igloo; « quando

348 prestavo servizio al Quinto Reggimento Corazzato a Berlino, il comandante mi ha mandato una volta a portare una lettera a sua moglie. » « Avete conosciuto il Feldwebel Giese della Scuola di Addestramento al combattimento senza armi a Wünschdorf? » lo interrompe Fratellino. « Quello non lo dimenticherò mai, dovessi campare cent'anni. Giese ha lasciato questo mondo per mancanza di ossigeno, benché fosse specializzato nel far uscire l'aria dai polmoni del prossimo. Una bella mattina, non appena cominciata l'esercitazione, fa uscire dai ranghi l'idiota della nostra compagnia, che non ha la minima idea di quello che stiamo facendo. L'idiota continua ad avvolgere il fil di ferro intorno al proprio collo e a momenti si strangola da solo. » « 'Guarda qui', si affretta a spiegare il Feldwebel. 'Prova a mettere il tuo laccio intorno al mio collo e immagina che io sia un russo che vuol farti la festa. Stringi più forte! Afferra bene le manopole e tira in fuori!' « Be', il fesso si trova da abbastanza tempo sotto la naia per sapere che un ordine è un ordine. Così si mette a tirare con tutta, la forza le due estremità del laccio verso l'esterno. Gli altri stanno a guardare come fanno sempre durante l'istruzione. A dir la verità, ci sembra un po' strano il modo di fare di Giese, che fa certe smorfie e ci mostra la lingua. « 'Dagli un po' di aria, al Feldwebel!' grida qualcuno degli uomini in riga. « Ma è già troppo tardi. Giese non ha più bisogno di aria. È morto. Quella volta è scoppiato davvero un bel casino. Subito sono arrivati tre di quei tipi con il cappello floscio e si sono messi a discorrere con noi. Quando se ne sono andati, si sono portati via Ernst. Lo hanno

349 impiccato, tanto per dare un avvertimento agli altri allievi. « Dopo un po' mi hanno mandato alla Scuola di Guerra di Hof dove è successa una faccenda ancora più balorda. A quella scuola avevano un cane alsaziano grigio che portava i gradi di Obergefreite... » « Va' a farti fottere tu e il tuo cane Obergefreite », lo interrompe a sua volta Porta, con impazienza. « Adesso tocca a me. Così sono andato dalla baldracca del comandante di reggimento. Naturalmente dovevo passare per la porta di servizio. Quella principale era riservata ai tipi con il grado da Leutnant in su. Entro passando attraverso i cespugli di rose e il resto della merda che c'è di solito nel giardino di un comandante di reggimento. Sto per aprire il cancello per entrare nell'orto dietro la casa, ma lo chiudo subito quando vedo un bulldog grosso come un vitello con il pelo giallo, irto e la testa grossa come il carrozzino di un side-car. La bestiaccia si mette ad abbaiare come una decina di bulldog con il catarro, solo più forte. Dal muso gli cola la bava. Non tenta nemmeno di nascondere il fatto che non vede l'ora di affondare le sue zanne di cane inglese nel sedere di un soldato tedesco. « 'Voialtri fottuti di inglesi avete già perso la guerra', gli dico per allontanarmi subito e raggiungere l'ingresso principale dove schiaccio il pulsante del campanello. Nessuna reazione. Così suono ancora, più forte. Forse la moglie del comandante è sorda. Solo quando suono la terza volta, una 'sbattimi subito' molto carina mi apre la porta. « 'Hai suonato, soldato?' cinguetta lei, puntandomi addosso i suoi fari. « 'Permette, signora?' grido con voce così tonante che

350 il bulldog va a nascondersi dietro la casa. 'Obergefreite Joseph Porta, Quinto Reggimento Corazzato, Compagnia Comando, provvisoriamente in servizio come portaordini. Devo consegnare una lettera riservatissima del comandante del reggimento alla sua signora moglie, signora!' « Lei prende la lettera e la scaraventa in un angolo, come se si trattasse di un giornale dell'anno scorso. 'Sei nuovo?' chiede poi, facendo la boccuccia di baci, come se stesse succhiando il cazzo di un negro nella stagione delle piogge. « 'No, usato, ma solo un po' ', rispondo. « 'L'Obergefreite gradirebbe forse un bicchiere di vino?' ronfa lei come una gatta, puntando gli occhi sul punto dove il mio uccello si sta ingrossando a vista d'occhio al riparo dei pantaloni. « 'Grazie, signora', rispondo, appendendo il berretto a un negro di legno, una di quelle cose che la gente bene compera quando non può permettersi il lusso di importare un autentico cannibale per far appendere agli ospiti il cappello. « Per un po' chiacchieriamo e parliamo delle grandi vittorie che stiamo riportando in tutto il mondo. Lei inala il fumo cosi profondamente che a un certo punto durante la conversazione guardo sotto il tavolo per vedere se le esce dalla figa. « Quando abbiamo vuotato la bottiglia e ci siamo confidati reciprocamente i nostri pensieri ardenti, lei fa uscire il mio amico dalla gabbia e comincia ad accarezzarlo e stuzzicarlo finché non mi vien voglia di arrampicarmi sul lampadario e dondolarmi a testa in giù. Poco dopo conquisto l'altura alla baionetta e pianto l'asta della bandiera. Quest'operazione si ripete cinque volte

351 prima che suoni il campanello. Per fortuna, la moglie del comandante si è ricordata di mettere la catenella. Per un attimo mi viene il sospetto che sia il bulldog, quello che vuol entrare. « 'Sei a casa, Lisa?' chiede con voce piagnucolosa il mio comandante, infilando il naso nella stretta fessura della porta trattenuta dalla catenella. « 'È il vecchio idiota', bisbiglia lei con una voce come se avesse bevuto dell'acido solforico. 'Ha il cazzo così minuscolo che non potrebbe soddisfare nemmeno un passero!' « 'Lisa! C'è qualcuno in casa?' piagnucola di nuovo la voce. « 'Cristo!' mi dico. 'E questo sarebbe il tuo comandante? Chi, a pensarci bene, sarebbe potuto uscire e mettere la catenella dall 'interno ? ' « 'Certo che siamo a casa, fottuto cazzo nano di un fottuto tedesco preistorico!' sto per gridare. 'Entra pure e immergi il tuo uccello nel sugo lasciato da un Obergefreite!' Ma prima ancora che io possa rendermi conto di quello che sta succedendo, lei mi ha già fatto uscire attraverso la porta della cucina, e chi ti vedo se non quel fottuto gigante di un cane inglese che si sta leccando i baffi all'idea di mangiarsi un bel pezzo di soldato tedesco. « 'Ma che bravo cane!' faccio con voce dolce, fissandolo negli occhi come ho sentito dire che fanno i domatori quando devono farsi una chiacchierata con un leone. « 'Urrà!' grida il cane. Almeno a me sembra così. « 'Urrà!' rispondo e mi allontano a rapidi balzi con quel mostro inglese attaccato al mio culo di soldato prussiano. « Due giorni più tardi, l'animale viene prelevato da

352 due piedipiatti del Servizio di Sicurezza. Le nuove leggi razziali sono appena entrate in vigore. Nessun cane non ariano può stare in una casa tedesca. Il bulldog giudaico è finito dritto nella camera a gas. « Per sostituirlo, il mio comandante si procura un cane da ferma, ma anche quello non può stare in casa per via delle leggi razziali: aveva nelle vene sangue di ebrei francesi ed è finito nella camera a gas anche lui. » « Non sarebbe l'ora di dormire un po', Porta? » dice il capitano finlandese in tono non proprio gioviale. « Noi, comunque, siamo stanchi! » « Poco dopo, il comandante e la moglie si comperano un cane danese di enormi proporzioni », continua Porta, senza badargli. « Quello, sì, era un cane che andava bene al Servizio di Sicurezza, soprattutto per la sua colossale stupidità! » La tempesta si placa nel corso della notte e un silenzio irreale cala sulla tundra. L'aria gelida ci investe con la violenza di un carro armato, succhiando dal nostro corpo ogni traccia di calore.

353 Nessuno che non l'abbia provato, può stabilire i limiti della sopportazione fisica di un uomo. Generalfeldmarschall voti Keitel, febbraio 1945

« Un vero ministro! » grida Wolfgang, il capo comunista, dando uno spintóne a Hirtsiefer, già ministro degli interni, appena entrato come detenuto nel campo di concentramento di Esterwegen. « Se questo burocrate sarà capace di reggersi ancora in piedi domattina », dice lo Scharführer delle s S Schramm, « mi occuperò personalmente di voialtri stronzi! » Wolfgang lo guarda e un sorriso sardonico gli compare sulla bocca. « Ce ne occuperemo, e come! » promette con un'aria che non fa presagire nulla di buono per il detenuto appena arrivato. Un milite delle SS dà un formidabile spintone a Hirtsiefer che a sua volta investe due detenuti. Questi vanno a sbattere contro i letti a castello e cadono seduti. I due uomini si rialzano in piedi e cominciano a pestare Hirtsiefer. « Sei stato tu, stronzo di socialdemocratico, quello che ha dato alle nostre mogli affamate una coppa per premiarle per il fatto di aver partorito il dodicesimo figlio! » Una specie di ringhio sommesso si alza dal gruppo degli uomini che circondano Hirtsiefer. Nemmeno le SS sorridono più. « Camerati, voi dimenticate che hanno ricevuto anche duecento marchi a testa », risponde Hirtsiefer in tono conciliante. « Già, quei soldi li avevi prelevati dal sussidio di disoccupazione, merda che non sei altro! » strilla un detenuto di bassa statura, simile a un topo, che è seduto all'estremità opposta del tavolo. « E ci hai presi a calci in culo quando abbiamo chiesto

354 un aumento degli assegni per i bambini », tuona lo Sturmmann delle SS Kratz, facendo ricadere con fracasso il calcio del fucile sul pavimento. « A noi sono toccati i tuoi fottuti duecento marchi », tempesta un detenuto. « Poi potevamo crepare anche di fame, per quanto ti riguardava. Ma adesso ti trovi proprio al posto che ti spetta. Imparerai a capire che cosa significa avere fame! » «Cacciategli i coglioni in gola», suggerisce uno delle SS, dando una manata sulle spalle del Topo. I detenuti lo afferrarono al calar della notte. Lo riempirono di botte a calci. Gli infilarono la testa nei buchi delle latrine. Il procedimento fu ripetuto nelle notti successive. Quando sua moglie lo venne a prendere con una Mercedes lunghissima, dovettero portarlo fuori a braccia. I militi SS della guardia e i prigionieri avevano la bava alla bocca. Erano riusciti a mettere le mani su un burocrate e ora questo burocrate veniva rimesso in libertà. Pochi giorni più tardi arrivò la Gestapo e si portò via tre militi delle SS e undici detenuti. Tutti vennero fucilati per avere maltrattato il detenuto Hirtsiefer.

355

L'ANGELO ROSSO « SE quei pidocchiosi dei Germanski dovessero venire a Kosnovska, gli spaccheremo la testa! » urla Miscia, fendendo l'aria con una sciabola da cosacco. « Se non fossi stato investito da quel fottuto treno e non avessi perso un piede, a quest'ora ne avrei ammazzati migliaia di quei porci fascisti! » « I tedeschi non sono meglio della merda di renna », grida Nikolaj in tono sprezzante, scagliando una patata mezza marcia contro la parete. È ancora troppo giovane per la chiamata alle armi, ma ha già lavorato due anni nelle miniere. Ha la gamba sinistra rigida. È successo lo scorso anno, quando una carica è esplosa prematuramente. La stessa esplosione ha ucciso suo padre. Trascuratezza, aveva detto il comitato d'inchiesta dell'NKVD. I resti del padre erano stati portati fuori ammucchiati su un telo da tenda. Quando gli ispettori dell'NKVD se n'erano andati, si erano portati via un ingegnere e due artificieri. I tre non erano più tornati. « Sono pronta a mangiarmi un cane, se quei tedeschi non arriveranno tra poco qui », fa Scenja, gerente della locanda chiamata Angelo Rosso. Poi si china e i suoi giganteschi seni sfiorano il pavimento. Allunga le mani sotto il banco, tira fuori un fucile da caccia a canna doppia e lo punta contro Jorghi, l'agit-prop del Partito. « Gli strapperò i cazzi a fucilate non appena li vedrò! » urla, pronta a battersi. « Lo sparo ti farebbe scivolare a terra le mutande », replica con un sorriso Nikolaj, tracannando il bicchiere pieno di vodka. « Davvero? » grida Scenja, infuriata. Poi infila due car-

356 tucce nel fucile, alza i cani e spara. Lo scoppio è formidabile. Quelli più vicini a lei ne rimangono quasi assordati. « Per tutti i diavoli! » urla Jorghi che è caduto sul pavimento solo per la paura. « Quella puttana è impazzita. Avrebbe potuto ammazzarci tutti! » « C'è qualcun altro che pensa che perderò le mutande? ». urla Scenja, ricaricando il fucile per essere pronta quando arriveranno i tedeschi. « I tedeschi sono la gente più vigliacca che esiste sulla faccia della terra », asserisce Fjodor, picchiando con il palmo della mano sul tavolo e facendo sobbalzare bottiglie e bicchieri. « Una massa di fifoni! Hanno paura di perdere quel po' di vita che hanno in corpo. Quando ero alla scuola per macchinisti a Murmansk, uno di quei maiali è venuto per dare un'occhiata alle nostre macchine. Era scappato dal suo paese, riuscendo a mettere in salvo la pelle, nient'altro, quando Hitler ha preso il comando. Quello sì che era un vero figlio di puttana! Così gonfio di aria che non gli bastava una sola segretaria. Se ne trascinava dietro due. E si vedeva benissimo che cosa erano, quelle due! Due troie di Mosca che chiedevano un mucchio di soldi per venire a letto. Maneggiare il cazzo e i coglioni era l'unica cosa che avessero imparato a fare. Quel fottuto tedesco cacciava il naso dappertutto, per cui un onesto rabotsci, un operaio come me, non si poteva mai sentire al sicuro. Be', a un certo punto abbiamo deciso nel nostro stesso interesse di sbarazzarci di lui. Così, una notte sul tardi lo preleviamo mentre esce da un casino chiamato Mollnija e lo ficchiamo in un sacco di cemento. Ci crederete o no, quello è riuscito a liberarsi prima che fossimo arrivati nel porto vecchio. Si mette a correre sulla strada e grida aiuto a squarciagola.

357 Ma chi è disposto ad aiutare il prossimo, specialmente un tedesco, a Murmansk nel bel mezzo della notte? Comunque lo abbiamo ripreso e colpito sotto la pancia con una bastonata. Poi abbiamo cominciato a picchiarlo sulla testa finché non si è calmato. Ma è difficile tenere buoni quei figli di puttana di tedeschi. Lo abbiamo trascinato giù fino allo Scivolo dello Zar. Là, sapete, dove tengono in secca le barche. Dio come scalciava e si dibatteva, mentre gli tenevamo la testa sott'acqua! Non ne voleva sapere di andarsene tranquillamente e con dignità come un vero uomo. Ogni volta che lo tiravamo fuori dall'acqua, pensando che fosse morto, quello si rimetteva a urlare, a sputare acqua e a chiederci di non ammazzarlo. Qualcuno cominciò a dargli dei calci nei coglioni. Le pedate erano così forti che devono avergli cacciato le balle in gola. Ci offrì tutti i soldi che aveva, fino all'ultimo copeco, se lo avessimo lasciato vivere e giurava anche che avrebbe detto una buona parola per noi a Mosca. Questo da solo basta a dimostrare che razza di bugiardi sono i tedeschi. Come può un uomo dire una buona parola per qualcuno che ha fatto di tutto per ammazzarlo? « 'Ti ho riconosciuto, Aleksandr Aleksejevic', gridava all'indirizzo del nostro caposquadra tra una vomitata e l'altra d'acqua. « Come vedete, persino al momento di morire il tedesco prende nota di tutto in maniera da poter raccontare al Maligno giù nell'inferno chi è stato che lo ha spedito lì. Ora, ogni cittadino sovietico sa che ciò che racconta a Dio e al Maligno è una cosa, e un'altra, invece, ciò che racconta al-I'NKVD. Be', il fatto che avesse riconosciuto Aleks significava che non avevamo altra via d'uscita. Dovevamo farlo fuori. Ma questi tedeschi sono duri a mori-

358 re. Ci siamo messi a pestarlo con i piedi finché non doveva avere più un solo osso sano in tutto il corpo. Anche sott'acqua ha continuato a sprigionare bollicine e a sputare come un gatto selvatico in primavera, ma alla fine è morto, anche se si era battuto bene. » « Sono una vera peste, quei disgraziati », grida Pjotr, afferrando l'otturatore del fucile fornitogli dalla Difesa Territoriale. « Se dovessero venire qui, li faremo fuori ben presto. Questo fucile farà bang e così ci sarà ogni volta un tedesco di meno al mondo. » « Io ne voglio un paio ancora vivi! » grida Ciolinda, la moglie del lattaio. « Li appenderò alle travi del soffitto per poi castrarli. Seduti per terra potremo goderci le loro urla, proprio come facevano i tartari quando sorprendevano un tizio tra le gambe della loro moglie. » « Noi abbiamo catturato un paio di fascisti finlandesi nel dicembre del '39 », racconta Sofia con aria soddisfatta. « Li abbiamo appesi per i piedi e continuato a picchiarli tra le gambe finché non eravamo tutti esausti. Erano due ufficiali con le bande verdi sui pantaloni e croci uncinate negli occhi cattivi. Quando abbiamo finito, i loro pantaloni da grigi erano diventati rossi. Prima di morire si sono pentiti cento volte di aver attaccato l'Unione Sovietica e di aver strappato gli occhi ai bambini piccoli! » « Ecco le cose che mi piace sentire », ruggisce suo marito, Vassja, un fanatico. « Quando prestavo servizio nel campo di punizione di Levtenov, le maniere per ammazzare i nemici del popolo erano tante che noi stessi, uomini della guardia, ci confondevamo. Quando, invece, si trattava di fascisti, li scorticavamo come facciamo quando bisogna scuoiare le renne. Il nostro comandante, un vero demonio di Cita, faceva collezione di guanti.

359 La sua casa sembrava un museo. Un bel giorno si accorge che gli manca una specie particolare di guanti. Così raduna con un fischio tutti i detenuti del campo, li passa in rivista e sceglie un uomo e una donna per ogni nazionalità. I prescelti vengono portati in cucina dove devono infilare le braccia nell'acqua bollente. Poi, il nostro comandante mongolo sfila la pelle dalle mani e dalle braccia di questa gente e può vantarsi così di avere nel suo museo dei guanti che nessun altro uomo al mondo possiede. Ma qualcuno doveva aver avvertito Mosca. Che casino ci fu, quella volta! Io, per fortuna, quel giorno ero impegnato in un altro servizio e non mi trovavo in cucina. Una brutta mattina - faceva un freddo bestia — ecco che ti arriva un piccolo commissario che ancora prima di nascere ha disimparato a sorridere. Era così piccolo che avrebbe potuto camminare a testa alta sotto la pancia di un cavallo! Gli stivali da cosacco che portava, senza tacchi, non erano più lunghi di un ditale, eppure gli arrivavano sotto il ginocchio. E se non fosse stato per le orecchie a sventola che sbucavano come ali di pipistrello, il colbacco appuntito di pelliccia gli sarebbe caduto sulle spalle. Quel colbacco era così alto che poteva servirgli da sgabello. Non gli ci vollero più di venti minuti per condannare a morte i collezionisti di guanti. Decapitazione con la sciabola sulla piazza d'armi prima del calar del sole. Il commissario scelse il carnefice personalmente, un kalorscnik, un criminale di Leningrado, un vero gigante che avrebbe potuto nascondere il commissario — che era di Tomsk - nella bocca spalancata. Questo criminale era condannato al carcere a vita per aver assassinato quattro donne, fatto a pezzi con un'ascia i loro corpi e gettato i resti nella Luma. « Tutti noi, sia i prigionieri sia il personale di guardia,

360 dovemmo assistere alla faccenda per avere un'idea di ciò che sarebbe toccato a chiunque di noi se gli fosse venuta l'idea di collezionare guanti. Fu una brutta esecuzione. L'assassino di donne venuto da Leningrado era nervoso come una vergine con il sedere appoggiato a una stufa rovente. Tutte le volte che guardava il piccolo commissario originario di Tomsk, tremava come una foglia. Cominciò con il tagliare un braccio al primo condannato. Il poveraccio si mise a urlare come un toro, ma non per molto. Con due colpi, la sua testa ruzzolò sulla piazza d'armi. Al condannato successivo, il carnefice staccò insieme alla testa mezzo busto. La stessa storia si ripete, più o meno, durante l'esecuzione degli altri. Quell'assassino venuto da Leningrado era forte come un orso. Quando abbassava la sciabola, quella fischiava nell'aria. « L'ultimo a essere decapitato fu il comandante originario di Cita, che venne liquidato con tre sciabolate. Poi, il commissario tirò fuori la sua Nagan, la puntò tra gli occhi del quadruplo assassino di Leningrado e sparò. L'assassino oscillò come un albero investito dalla tempesta, per crollare poi tra i dieci ai quali aveva tagliato la testa. È quello che faremo quando verranno i tedeschi. Li scuoieremo e appenderemo le loro pelli davanti alla sede del Partito. Nessun commissario si preoccuperà per quello che faremo ai tedeschi. » Il torrente di parole che esce dalla sua bocca viene interrotto dall'apertura della porta. Una spessa folata di neve penetra nella bettola. « Chiudi quella maledetta porta! » gridano tutti contemporaneamente quando il fiato gelido dell'Artide penetra nel locale. Una giovane donna, che tiene per mano un bimbetto di tre anni, è appoggiata con la schiena alla porta. Con

361 movimenti stanchi scosta il cappuccio che le copre la testa e si terge la neve dalla faccia. Poi si mette a soffiare sulle mani e a pestare i piedi per sentire un po' di caldo. I suoi occhi indagatori si mettono a frugare il locale affollato, avvolto in una nube di fumo di sigaretta. « Sei venuta a cercare me? » chiede un tipo smilzo con la faccia bianca, piena di foruncoli. Ha la fronte così bassa che sembra quella di un deficiente. Una ferocia animalesca gli brilla negli occhi. « Vieni a casa, Gregorj », lo scongiura lei a voce bassa e tremante. « Nemmeno morto! » ringhia Gregorj, vuotando il bicchiere di birra rumorosamente. « Lasciami in pace, donna! Non mi va di vedere né te né quel tuo piccolo figlio di puttana! » Poi beve un lungo sorso di birra e rutta rumorosamente. « Stamattina mi hai promesso che oggi non ti saresti ubriacato », dice lei in tono di rimprovero, scostando una ciocca di capelli scuri che le è caduta sulla fronte. « Incredibile! Adesso, questa troia d'una donna viene a dire che sono ubriaco! » Poi singhiozza e sghignazza come un ebete. « Se questo non è un insulto, io sono cinese! Forse hai dimenticato chi è il commissario di questo paese! Aspetta, ti farò vedere io, puttana! Non ci metto niente, io, a sistemare te e quel marmocchio nato da una troia! » Riempie il boccale e beve di nuovo. La birra gli cola sul mento e sul petto mentre beve. Con un soffio tenta di allontanare la birra dalla faccia. « Non venirci a dire che cosa dobbiamo fare, puledra di Kiev! A Kolima c'è molto posto per le trotzkiste come te! Io so che cosa stai pensando, brutta troia controrivoluzionaria! » bofonchia in preda alla sbronza, avvicinandosi con passo incerto a lei; la mano regge il boccale

362 pieno. Con una risatina le vuota la birra sulla testa e le dà uno schiaffo. « Tu sai fare una sola cosa: farti chiavare dagli ufficialetti eleganti, eh? Puttana che non sei altro! Non pensare che ci sia qualcuno qui che ti creda quando dici di essere stata sposata con quella merda di capitano! Dici che è caduto in combattimento contro i fascisti finlandesi? Tutte bugie di ebrei! Quella merda si è sparato da solo perché aveva paura di andare al fronte! Io so come stanno le cose! Non sono forse il politruk, il commissario politico? » « Tu sei sbronzo marcio », fa lei, calma, tergendosi con la manica la birra dalla faccia. « Quando diventerai adulto? Domani ti dispiacerà! » Lui la guarda con un'espressione demente, alterata dall'alcool, la fa cadere, l'afferra per una caviglia e la trascina come una slitta sul pavimento fino al banco attorniato da una folla di uomini che sghignazzano. « Ecco! » grida, strappandole di dosso il vestito. « Accomodatevi, servitevi! Tutti possono partecipare! Io, il commissario Gregorj Antenjev, vi do il permesso! Le puttane sono proprietà dello stato! » Con una risata aspra le divarica le gambe. « Qua, chiava con la candela! » grida Scenja che si diverte un mondo, e caccia a forza una grossa candela nell'organo sessuale esposto della donna. « Presuntuosa cavalla delle classi superiori! » Poi la costringe brutalmente a sdraiarsi sul tavolo. « Su, ragazzi! » esclama con un ghigno Gilda. « La porta è aperta! Dateglielo! Questa troia ci guarda dall'alto in basso perché non capiamo quello che sta scritto nei libri! » « Mamma, mamma! » urla il bambino, colpendo con le deboli manine i teppisti ubriachi.

363 « Lasciatemi fare », fa con un ghigno Jorghi. La bava gli cola dalla bocca mentre si sta sbottonando i pantaloni. « Ecco qua, vacca, non ce n'è uno così grosso in tutta Kiev! Smettila di gridare! Ti farà bene! » « Io glielo metterò alla pecorina! » cinguetta Miscia, quello con una gamba sola. Ha già abbassato i pantaloni fino all'unica caviglia che possiede. « Smettila, piccolo figlio di puttana », grida Kosnov, che fa di professione il cacciatore, dando uno spintone al bambino che finisce a terra. « Spostatela un pochino », gorgoglia Miscia, lascivo. « Non riesco a metterglielo dentro tutto. Ecco, ci siamo! Prenditi questo nella tua figa ucraina! » Tutte le volte che uno degli uomini ubriachi e sbavanti ha finito, Scenja getta un secchio d'acqua sulla donna violentata. « Qui ci teniamo, alla pulizia », dice con un duro sorriso, « ma una troia di Kiev come te non capisce queste cose! » « Non potete fottere una puttana gratis », esclama poi Scenja, scoppiando in una fragorosa risata. « Un copeco per ogni passata, ragazzi! » « La puttana più a buon mercato che io abbia mai chiavato », ulula Fjodor, raggiante, infilando tre copechi tra le gambe della donna. Quando tutti si sono stancati, la fanno rotolare sotto il tavolo. Lei piange disperatamente, invocando il bambino che giace privo di sensi sotto una panca. « Senti il piagnisteo di quella cavalla », grida Jorghi, irritato. « Buttatela fuori! » Gli uomini la scaraventano brutalmente fuori, nella neve. « Il mio bambino! » grida lei, disperata, mettendosi a

364 tempestare con i pugni la pesante porta. Gregorj afferra il ragazzino e lo scaraventa fuori della porta come se fosse una palla. Il bambino fa un volo e finisce abbastanza lontano su un cumulo di neve. « Dobbiamo sterminare questi traditori del popolo », urla Miscia, picchiando sul tavolo. « Ho letto l'altro giorno sulla Pravda che cominciano a spuntare dappertutto con le loro orribili facce. Immaginatevi! Hanno pescato un ebreo che si era intrufolato e faceva il sampolit, il commissario politico di un reggimento. Lo hanno fucilato », soggiunge dopo una breve pausa. « Se ti fermi e non ti muovi, finisce che ci lasci la pelle », fa Jorghi senza alcun motivo, spingendo verso Miscia un boccale pieno di birra. Spinta da un impulso improvviso, Scenja annuncia che servirà da bere: offre la casa. Tutti smettono di parlare di colpo. Una coltre di silenzio piómba sull'Angelo Rosso. La sorpresa è totale. Nessuno ricorda che la grassa gerente si sia rivelata nel passato generosa fino a questo punto. « Farò rientrare quel figlio di puttana di bambino nella sua figa », urla Gregorj, crollando a terra con gran fracasso. « Togli quelle dita schifose dalle mie gambe », ringhia Scenja. « Tu sei l'ultimo uomo al mondo al quale permetterei di infilarsi sotto le mie mutande! » « Se lo provassi anche una sola volta, non chiaveresti mai con un altro! » fa Nikolaj con un ghigno ebete. « Ma sentilo, il piccolo sgorbio », lo schernisce Scenja. « Proprio io che ho navigato sui sette mari e servito diplomatici e generali? Credi che mi abbasserei a farmi fottere da una scimmia come te? Una volta sono stata chiavata da un vero lord in mezzo all'oceano Atlantico!

365 » Il ricordo la fa sorridere. « Era un vero inglese con tanto di castello dove una duchessa andava a spasso ogni notte con la luna piena! Quando veniva, il suo seme era blu. Blu come il fanale che pende sopra la porta del commissariato! » « E da allora non ti sei più lavata la fregna », la schernisce Tanja che è stata trasferita provvisoriamente nel villaggio. Nemmeno il polìtruk sa che cosa ha combinato. Corre voce che un giorno arriverà l'ordine di liquidarla. È già capitato in passato. Altri dicono che sia un'informatrice. « Io ho fatto il camionista sulla linea Omsk-MoscaLenin-grado », si vanta Dimitri. « Adesso fai solo la linea dall'Angelo Rosso fino al recinto delle renne », commenta con un ghigno Ciolinda, la moglie del lattaio. « Tu non sai di che cosa stai parlando, donna », replica Dimitri con disprezzo nella voce. « Quella di OmskMosca-Leningrado è la linea più difficile di tutta l'Unione Sovietica. Quando infili con il camion il Nevsky Prospect, sei completamente suonato! » « Lo dicevo io! » risponde Ciolinda, esplodendo in una fragorosa risata. « Lo sei sempre stato! » « Quando, alla fine, sono andato in oca », continua Dimitri, ignorando l'interruzione, « mi sono messo a fare il vagabondo. Ho viaggiato in treno, gratis, in tutta l'Unione Sovietica. Il bello dei treni consiste nel fatto che c'è sempre un binario che ti porta lontano dal punto dove ti trovi. E se capiti d'inverno in un posto dove fa troppo freddo per dormire all'aperto, puoi stare sicuro che c'è qualche galera in giro dove potrai stare al caldo e ricevere un po' di roba da mettere nello stomaco. »

366 « Sì, questa è una delle cose buone dell'Unione Sovietica », grida Jorghi in un accesso di patriottismo. « Da noi, le galere non mancano. Lunga vita a Stalin! » « Poi è venuto il giorno in cui ho dovuto rinunciare a quella meravigliosa vita libera », continua Dimitri con un sorriso triste. « È stato a Odessa. Ero sdraiato su una panchina nel Parco del Proletariato e stavo sognando, quando qualcuno mi picchia sulla testa. Alzo gli occhi e chi ti vedo se non un fesso di gorodovoj, una guardia di città, che mi sta guardando con un ghigno e fa mulinare il lungo manganello. Poi mi colpisce sulle piante dei piedi con quel bastone e io sento il colpo in tutto il corpo, fino alla cima dei capelli. « 'Me ne sto andando', gli dico, facendogli un inchino. 'Sono sdraiato qui per sbaglio!' « 'Tu non sei così scemo come sembri', fa, sempre ghignando, il gorodovoj, dandomi con il manganello una botta in mezzo alla fronte per non farmi dimenticare troppo presto che non si può dormire nel Parco del Proletariato. Mi allontano a tutta birra, ma appena metto il naso fuori del parco mi arrestano. Per mia sfortuna è appena l'alba quando arrivano i furgoni con il latte, facendo un gran fracasso, la parte migliore della giornata per i poliziotti. E pensare che stavo già sognando un po' di caffè e qualcosa da mettere sotto i denti! « Be', quelli mi portano in macchina alla spezialnaja stazja, il commissariato per i vagabondi, dove mi pestano di santa ragione e mi costringono ad ammettere che il lavoro è una grande benedizione per tutti i cittadini sovietici. » Detto questo spalanca le braccia con un gesto di rassegnazione e guarda verso le finestre con i vetri coperti di ghiaccio. « E adesso, eccomi qua in compagnia di una bottiglia di vodka! »

367 Al piano sopra il bar, il capitano Vassili Simsov è a letto e sta guardando Tamara che misura a passi concitati la stanza, simile a una gatta arrabbiata, con una sigaretta tra le labbra sensuali. « Che diavolo si può fare in un postaccio lurido come questo? » sibila. « Fottere e ubriacarsi! Sono stufa! Perché non esci mai con me? » « Dove diavolo potremmo andare? » chiede lui, irritato. « La scorsa settimana siamo andati al cinema! » « Al cinema! » ribatte lei, incavolata. « Lo chiami cinema? Quella politica di merda! Dobbiamo fare qualcosa, altrimenti diventiamo matti! Moriremo e non ce ne accorgeremo nemmeno! » « Andremo a sciare, quando la tempesta si sarà calmata », suggerisce lui, senza troppa convinzione. « A sciare? Adesso sono sicura che sei impazzito! Per quanto mi riguarda, non scierò più per il resto della vita! » Lui si solleva, appoggiandosi sul gomito e mette in mostra con un gran sorriso i bellissimi denti bianchi. « Non appena avremo vinto la guerra, andremo in vacanza in Crimea », la conforta. « Andremo in barca e faremo l'amore in coperta e solo i gabbiani potranno vederci. » « E di sera ceneremo al ristorante! » soggiunge lei, ridendo, rasserenata dall'idea. « Ci resteremo tutta la notte, finché ci farà comodo. Ci rimpinzeremo di caviale e vino di Crimea », promette il capitano. « Quando avremo vinto la guerra! » fa lei, sospirando con tristezza e vuotando il bicchiere pieno di vodka. « Avrai sentito parlare della Guerra dei Trent'Anni, immagino? Perché questa non dovrebbe durare altrettanto

368 a lungo? Be', in tal caso ne mancherebbero solo ventotto fino alla fine. » « Ventisette », la corregge lui, mettendosi a fischiare. « Che cos'è un anno di più o di meno? » geme lei, rassegnata. « All'inferno, Vassili, mi sento come se fossi chiusa in una prigione puzzolente! E tu resti sdraiato lì per tutta la giornata e non fai altro che bere! Del resto, che diavolo stai facendo veramente da queste parti, tanto per saperlo? » « Sto addestrando la milizia territoriale, e tu lo sai », risponde lui, risentito. « Inoltre tengo d'occhio i movimenti del nemico e li segnalo via radio quando i tedeschi si avvicinano. È un incarico molto importante, lo sai bene! » « Ma piantala! » replica Tamara, scoppiando in una selvaggia risata. « Dicono che i tedeschi siano stupidi, ma non crederò mai che siano tanto stupidi da venire qui! Nessuno potrebbe essere tanto cretino! Solo i cittadini sovietici sono abbastanza scemi per vivere in un posto come questo. » Poi infila la mano nei capelli neri come il carbone di lui, lo bacia sulle labbra e infine sfiora con la lingua quella di lui. « Sono scocciata! Quattro mesi sola con te! E dappertutto neve, nient'altro che neve! Sto impazzendo! Persino fare l'amore ci è venuto a noia! Siamo capaci di assumere tutte le centodieci posizioni per fare l'amore restando addormentati! Trova da fare qualcosa di nuovo, fesso! » « Potremmo forse organizzare una corsa con i cani », suggerisce lui senza particolare convinzione. « Ci sono molti cani da slitta da queste parti! » « I bastardi che ci sono nel villaggio sono troppo stupidi per imparare a correre », riflette Tamara. « Ricordi quando andavamo alle corse a Mosca e poi al Rolscioi,

369 di sera? Dammi da bere! » Così dicendo stende il braccio con il bicchiere in mano. « Alzati, per Dio! Che cosa stai a fare, altrimenti? » « Non fare l'impertinente », la minaccia Vassili. « Non mi ci vuole molto per farti tornare in galera! » «Forse non sarebbe tanto male! Troverei presto qualche bella troietta lesbica! » Si alza dal letto e si siede su una sedia. Mettendo i piedi sul tavolo, in maniera che la camicia da notte nera le risalga lungo le cosce. Un prolungato fischio esce dalla bocca del capitano. « Vieni qua! Voglio chiavarti! Tu hai le cosce più belle e la figa migliore di questo mondo. Nemmeno le sgualdrine capitaliste sono così ben provviste come te! » « Piantala! » ringhia lei, accendendo una lunga sigaretta profumata. « Andiamocene da qui, Vassili! Chi è di Mosca non può vivere in un buco come questo! Ci marcisce il cervello! Ieri mi sono sorpresa a parlare con una renna. Di che cosa potrei parlare con una renna? » Poi salta sul letto, si sdraia su di lui, lo abbraccia e comincia ad accarezzarlo su tutto il volto con la lingua mentre le dita scivolano lungo il suo corpo villoso. « Tu sei un bellissimo uomo, Vassili! Un maledetto mascalzone, ma capace di fare tutto ciò che piace alle donne! » Poi si ritrae e lo guarda come se volesse scrutarne l'anima. « Hai detto che hai degli appoggi, i migliori che uno possa desiderare. Perché, allora, stiamo qui? Non sarebbe ora di sfruttare questi appoggi per farti trasferire? » Lo bacia di nuovo e gli morde un orecchio. « Andiamo a Murmansk per passare un paio di giorni nei posti dove vanno gli ufficiali di marina. Ordina di mettere i finimenti ai cani e tra poco saremo a Murmansk! » « Sei diventata matta? » risponde lui. « Lo sai benissi-

370 mo che non possiamo farlo. Il mio posto, qui, comporta enormi responsabilità e io sono il comandante. Ciò potrebbe significare una promozione, decorazioni, e se dovessimo essere veramente fortunati, potremmo essere gli unici a restare in vita, il che ci consentirebbe di dire nella relazione ciò che vogliamo! » « Dimmi, Vassili, non c'è per caso qualcosa che non funziona nel tuo cranio? Se dovessimo essere gli unici superstiti, dovremmo stare molto attenti a ciò che diremmo a Mosca. » Poi guarda profondamente nei suoi occhi ingenui. « Hai mai incontrato un tedesco? Sparano maledettamente bene! Se dovessero arrivare veramente fin qui, sarò curiosa di vedere come si comporterà la tua milizia territoriale sempre sbronza! » Dal sottostante bar proviene un rumore di colpi furiosi picchiati sulla porta. « Sentili », fa lei in tono sprezzante. « Che Dio ci assista se i tedeschi dovessero arrivare proprio adesso! Quanto sangue ci sarebbe dappertutto! Sangue russo! » « Sta' attenta a ciò che dici », ringhia il capitano, respingendola rabbiosamente. « Tu non mi conosci! » Poi, con un lampo sinistro negli occhi estrae la Nagan da sotto il cuscino e appoggia la bocca dell'arma alla tempia di lei. « Potrei liquidarti, se lo volessi! » « Non ne avresti il coraggio », lo schernisce Tamara, provocante. « Prova ad ammazzarmi e così avrai da fottere solo quella puttana grassa e unta che sta qui sotto. Hai notato come puzza? Non si è più lavata dal '36, quando il Partito ha proclamato la campagna per il risparmio dell'acqua. » Il capitano ricade sul letto, ridendo a crepapelle. « Che razza di donne sei! È impossibile arrabbiarsi con te. » Poi le getta una sigaretta.

371 Per un po', i due fumano in silenzio. A un certo punto, lei stende la mano con un gesto stanco per afferrare la balalaika. Il capitano balza dal letto e inizia una selvaggia danza tartara. Poi punta la Nagan contro il soffitto e vuota l'intero caricatore. Lei prorompe in una fragorosa risata e scaglia un vaso di cristallo contro la parete. I frammenti di vetro volano intorno alle loro orecchie. Nudo come un verme, l'ufficiale compie un balzo e finisce sul letto. Con un gesto brutale afferra Tamara e la trascina con sé, in maniera che lei venga a trovarsi sopra. Lei lo colpisce alla testa con la balalaika, ma urla poi di dolore quando lui le spegne la sigaretta sulla spalla nuda. « Smettila! » grida lui. « Il dolore e l'erotismo vanno insieme! » Poi l'afferra per i capelli e la costringe ad abbassare la testa finché questa non viene a trovarsi tra le cosce di lui. « Succhialo, sporca puttana! » «Maiale», mormora lei afferrando con le labbra l'enorme membro. « Su, muoviti », urla Vassili, lascivo. Lei lancia un'occhiata alla faccia grassa e stupida di lui e serra improvvisamente i denti con tutta la forza di cui è capace. Il capitano lancia un urlo di dolore e la allontana con un calcio. Lei sputa il pezzo di pene appena reciso e si terge la bocca piena di sangue. Vassili si accascia urlando, comprimendosi con le mani l'inforcatura insanguinata. « Porco! » sibila Tamara. « Credevi di fare con me ciò che volevi! » Poi accende, senza scomporsi, una sigaret-

372 ta e si mette a guardarlo con occhi maliziosi. « Me lo hai strappato via, troia, pazza che non sei altro », grida lui, disperato, avvicinandosi di qualche passo. « E con ciò? » ribatte Tamara con una smorfia e cammina a ritroso verso la porta. « Tanto, non sapevi come adoperarlo. Volevi sempre chiavare alla francese, ma non hai mai fatto una chiavata tanto alla francese come ti è capitato stasera! » « Chiama il medico! » implora il capitano, completamente sconvolto. « Un medico! » ride lei, sprezzante. « L'unico medico che abbiamo qui è la donna grassa che una volta ha fatto un corso da infermiera durato otto giorni. Quella non sarebbe nemmeno in grado di aiutare una scrofa a partorire! » « Questa me la pagherai », geme lui, guardandosi le mani coperte di sangue. « Stai morendo », gli conferma Tamara, come se stesse dicendogli che fuori fa freddo. « È un omicidio », singhiozza il capitano, cadendo sul pavimento. « Omicidio! » ribatte lei, prorompendo in una risata stridula. « E lo dici proprio tu, che affermi di non sapere quante persone hai fatto fucilare! Adesso saprai che cosa si prova quando si muore! » « Tu sei un demonio, Tamara, ma sta' attenta! Se dovessi morire, Mosca verrà a saperlo! » « Davvero? » chiede lei in un bisbiglio. « Forse qualcuno ci crederà. Ciò che sentiranno a Mosca, comunque, sarà solo the sei morto. Così ti cancelleranno dall'elenco e ti dimenticheranno come qualsiasi altro pidocchio. » « Tamara », fa lui in un rauco bisbiglio. « Devi aiutar-

373 mi, altrimenti morirò dissanguato! » « Vassili », sibila lei, chinandosi su di lui. « Non ti resta molto da vivere, ma voglio che tu sappia che mi diverte vederti morire! » « Tamara, tu sei la sorella del demonio. Ti impiccheranno! Hai ammazzato un ufficiale sovietico! » « Ho macellato un maiale », replica lei con una risata stridula. « Sei stato tu che mi hai costretto a prenderlo in bocca! Mi è venuto un attacco, e come sai, alla gente che soffre di epilessia mettono un pezzo di legno tra i denti per impedire che si stacchino con un morso la lingua. Senza lingua, non potrebbero raccontare all'NKVD ciò che dicono i cittadini, capisci? Per questo hai sacrificato il tuo cazzo! Forse, dopo morto, diventerai un Eroe dell'Unione Sovietica! » Dal bar sale un terribile fracasso, un rumore di mobili che vanno a pezzi, di vetro che si rompe, di donne che strillano, di uomini che gridano. Con l'accompagnamento di questa cacofonia, il capitano Vassili Simsov muore. Tamara rimane seduta a lungo nella stanza e continua a guardarlo. Il morto è nudo e ha solo il berretto dell'NKVD in testa. « Se solo potessi vederti allo specchio », bisbiglia lei, sprezzante. « Quelli che hai mandato nel gulag sarebbero certamente contenti di vedere come sei conciato! » Poi si alza in piedi, si infila una sigaretta tra le labbra, beve un lungo sorso di vodka e si guarda nello specchio, come se volesse esaminarsi a fondo. « Hai compiuto una buona azione! » dice poi, rivolta alla propria immagine nello specchio. Infine indossa un abito da sera lungo di tulle rosso, si mette uno scialle nero sulle spalle e scende nel bar.

374 « Il capitano Vassili Simsov è morto », dichiara in tono solenne mentre scende la scala. « È un destino che tocca a tutti », commenta con una serie di singhiozzi Scenja che, sbronza, è appoggiata al banco. « Dammi qualcosa da bere », ordina Tamara in tono aspro. Scenja spinge un boccale pieno di birra nella sua direzione. Tamara ne beve avidamente metà. « L'ultima notte a Mosca », sospira con aria trasognata, « abbiamo ballato al Praga sulla Piazza Arbatskaja. Quel locale ha la migliore orchestra zigana esistente al mondo. Ci sei mai stata? » chiede a Scenja che si sta grattando pensierosamente l'incavo tra i seni. « Se avessi messo il naso in quel posto, mi avrebbero messa dentro », risponde Scenja con un largo sorriso. « Gli ho staccato il cazzo con un morso », dice Tamara con un sorriso soddisfatto. « Per lui è stata l'ultima grande sorpresa! » Scenja la guarda trasecolata. « Adesso posso dire di averle sentite proprio tutte! Ehi, gente, ascoltate! » grida poi, sopraffacendo con la voce acuta il vocio della folla ubriaca. « Madama Tamara Aleksandrovna ha staccato con un morso il cazzo al capitano Vassili Simsov! » « Che sapore aveva? » chiede Jorghi, scoppiando a ridere. Gregorj si alza in piedi con difficoltà e si avvia al banco, incespicando varie volte. Miscia gli porge il berretto verde da commissario. Con aria solenne, Gregorj cinge la vita con il cinturone al quale è appesa la Nagan. Adesso, tutti possono vedere che è in servizio. Nell'attimo successivo, cade di schianto

375 sul banco, fracassando due bottiglie. Scenja prende il matterello e gli dà un colpo in testa. « Gregorj Micailovieh Antenjev, sei un maiale ubriaco. Abbottonati i pantaloni, qui ci sono delle signore. Non sei con le renne, adesso! » « Dammi da bere », fa Gregorj con un sorriso idiota. Vuota il boccale d'un fiato, rutta rumorosamente e ingoia due aringhe salate intere. Sembra una cicogna che stia ingoiando un rospo. Poi vorrebbe grattarsi la testa, ma si accorge, sorpreso, di aver il berretto sul capo. « Tovarisci! » urla con voce stentorea. « Perché mi trovo qui di servizio? » Estratta la Nagan, la punta tutt'intorno. Si sente uno sparo. La pallottola prende in pieno l'orecchio di Micail e gli perfora il berrettone di pelliccia. « Attento, compagno commissario », minaccia Micail, agitandogli un dito ammonitore sotto il naso. « Siete tutti in arresto », tuona Gregorj, puntando la pistola di qua e di là. « Confessate la verità, delinquenti, così potremo avere un grande processo! Negare non vi servirà a nulla! L'NKVD sa tutto! » Detto questo afferra un enorme pezzo di carne di maiale che si trova su un piatto e lo spinge in bocca come un contadino che s'imbottisca con la paglia gli stivali. La pistola cade nella minestra. Gregorj si scotta la mano quando tenta di ripescarla. Urlando si mette a ballare su un piede solo, soffiando sulla mano. « Me la pagherete! » urla, infuriato. « Nessuno che si metta in testa di scottare la mano di un commissario può farla franca. Potrete pensarci sopra nel gulag\ » Si lascia cadere pesantemente su una sedia e prova tanta compassione di se stesso che si mette a piangere. Quindi si terge la fronte e scopre di nuovo di avere il berretto in testa. « Cristo, sono di servizio », ur-

376 la, puntando un dito accusatore contro Sofia. « Tu hai detto di nuovo delle fesserie a quella tua icona, troia santa che sei! Aspetta e vedrai! Al gulag ti faranno passare certe idee con la stessa facilità con cui un tartaro castra un maialetto! » Tutto traballante si alza in piedi e inciampa nelle gambe di Fjodor. « Il mondo è una palla di merdai » geme, e cade a terra. Jorghi lo aiuta a rialzarsi e lo fa sedere sulla panchina piuttosto stretta accanto all'orso imbalsamato con il quale Gregorj inizia una conversazione. « Chi ti credi di essere, dopo tutto? » fa, rivolto all'orso. « Il buco del culo dell'Unione Sovietica, ecco che cosa sei! » Detto questo tira una sberla all'animale imbalsamato e finisce di nuovo a terra da dove continua a lanciare per un po' occhiate cattive all'orso, che, a sua volta, lo guarda con occhi vitrei. « Tovarisci », dice con una risatina frenata a stento. « Mettiamo insieme un tribunale di guerra per ' divertirci un po'! Posso offrirti da bere? » chiede all'orso. Quando l'animale non gli risponde, gli sferra un calcio, lo manca e cade lungo disteso sul pavimento. Si rialza con difficoltà. « Zia Scenja, una doppia 'Vittoria della Bandiera Rossa'. Ti darò i soldi quando prenderò la paga! » « Niente da fare! » risponde Scenja in tono gelido. « Tu mi devi già la paga di un anno. Te la sei scolata tutta, un copeco dopo l'altro, e non offri alcuna garanzia. Non c'è da fidarsi di te, Gregorj Antenjev. Se dovessero arrivare i tedeschi, impiccheranno te e il tuo berretto verde. E io penso proprio che stiano per arrivare! » « Allora collaboreremo con loro », risponde Gregorj con un gesto di noncuranza. « Sei davvero un bel commissario sovietico », osserva

377 Scenja in tono asciutto. « Dacci da bere, allora », implora lui. « Tu sai con quanto impegno lavoro per la vittoria! » « È la cosa migliore che tu possa fare », osserva con scherno Scenja. « Tanto, sai che cosa capiterà a voialtri commissari se doveste perdere la guerra! » « È tutta colpa degli ebrei », risponde Gregorj con aria cupa. « Quei fottuti nasi a uncino si danno da fare dappertutto in America per far continuare la baraonda. Sai dove vogliono arrivare? » chiede in un bisbiglio. « Al punto di tagliarti la testa », risponde con un ghigno Scenja, calando il coltellaccio della carne sul banco come una ghigliottina. « Questo fa parte del loro progetto », ammette Gregorj, accarezzandosi la gola. « Quelli hanno escogitato un piano mostruoso! » Poi singhiozza varie volte e vuota il boccale di Micail che per sbaglio è stato lasciato vicino a lui. « Vogliono che i nazisti e noi ci ammazziamo a vicenda. Stanno per mandare un Kaiser Guglielmo a Berlino e uno Zar Nicola a Mosca per interrompere il governo millenario del popolo. » Singhiozza di nuovo e tenta di sorbire le ultime gocce di birra dal boccale vuoto. « Io ricevo messaggi segreti da Mosca, ti dico! » bisbiglia, assumendo un'aria d'importanza. « Be', vuoi confessare o no? » grida improvvisamente, puntando il dito contro Scenja. « O preferisci un interrogatorio stringente? » « Pensavo che volessi bere a credito! » ribatte Scenja i cui occhi si sono ridotti a due fessure. « Tu la sai lunga, tu! » fa Gregorj con un ghigno. « Tu sai come bisogna comportarsi nell'Unione Sovietica. La prossima volta che mando una relazione a quei porci a

378 Murmansk per descrivere la vita nella nostra piccola comunità, proporrò che ti nominino Eroina dei Lavoratori. Così potrai offrire una bella bevuta a tutti noi. Il procedimento nei tuoi confronti viene archiviato perché basato su accuse completamente assurde! E ora, che ne diresti di una bevutina a credito? » Detto questo si toglie la bulovka dalla testa e la scaraventa sul banco. «Ora puoi dire quello che vuoi! Non-sono più in servizio. » Con una possente manata scaraventa il berretto in un angolo della stanza. « Continuiamo con le critiche a quei bastardi che stanno al Cremlino. Madame, lei ha l'abitudine di staccare con un morso il cazzo dell'uomo con il quale fa l'amore? » chiede poi a Tamara in tono confidenziale. Dopo aver accennato un inchino, cade a terra con un tonfo. La faccia finisce dritta sulla sputacchiera. « Tutto questo è un complotto rivoluzionario », urla Stefan Borovski da un angolo del locale. « Quelli finiscono sempre per ingannarti. Quando prestavo servizio a Mosca mi hanno promesso qualcosa di completamente diverso, e adesso i lacchè del capitalismo mi mandano qui! Un complotto, ecco che cos'è! Ma Stefan Borovski non si lascia fregare così! Aspettate che i tedeschi si mettano in contatto con me. Questo darà da pensare a quelli di Mosca! Questa guerra mi farà salire molto in alto. A che cosa servirebbe, del resto, una guerra mondiale come questa? » « Tu non sai di che cosa stai parlando », interviene Karol, vuotando una bottiglia con un prolungato rumore gorgogliante, come se la sua gola fosse una fogna. « Io sono l'unico dei presenti che abbia mai incontrato i tedeschi. È stato durante la piccola guerra nel '39. » « In quella guerra non c'erano i tedeschi », protesta

379 Stefan. « Solo i fascisti finlandesi. » « Ascoltami bene, porco moscovita », tuona Karol, tutto eccitato. « Quando dico di aver incontrato i tedeschi, vuol dire che li ho incontrati veramente. Avevano croci uncinate negli occhi e anche nel buco del culo. Ho incontrato anche certi finlandesi, veri mangiatori di comunisti, assetati di sangue in maniera incredibile. Non facevano alcuna distinzione tra uomini e donne quando macellavano la gente. Erano veramente selvaggi! Tiravano fendenti a dritta e a manca e le pallottole gli uscivano dal culo e dalla bocca. Se ve lo dico io, potete credermi: tutti quei finlandesi fottuti hanno l'aria di essere usciti a razzo dalla figa della madre con una pistolamitragliatrice pronta a sparare e un coltello tra i denti. Ma ciascuno dei tedeschi che puoi incontrare in questa guerra equivale a dieci finlandesi impazziti. Uno non si rende conto quanto siano folli finché non li ha incontrati. Quelli ti ammazzano prima che tu ti accorga di chi si tratta! Fanno a pezzi tutto ciò che è russo, si tratti di un uomo, di una donna o di un animale! » « Tieni lontane quelle tue zampe puzzolenti di renna ». tuona Stefan, tentando di colpire Karol con la mano. « Quel tedeschi impareranno a conoscermi! Non me la faranno con i loro mitragliatori e le loro croci uncinate! » Poi si cala il berrettone di pelliccia sopra le orecchie e si mette il fucile da caccia in spalla. « E adesso andate a farvi fottere tutti quanti! Siete così idioti che una persona intelligente non riesce a stare con voi nello stesso locale! » Cantando a squarciagola, s'incammina con passo incerto sulla lunga e ampia via principale del paesino. La tormenta agita il suo lungo pastrano di pelliccia che gli arriva fino alle caviglie, come se tentasse di spogliarlo. A

380 un certo punto va a sbattere contro un palo della linea telefonica, arretra e finisce in un mucchio di neve accumulato dalla tempesta. « Levati dai piedi, merda tedesca », esclama all'indirizzo del palo telefonico. Con grande difficoltà riesce a uscire dal cumulo di neve, tenta di colpire il palo telefonico, lo manca e finisce di nuovo nella neve. « Lo vedi come sei! » urla, incavolato. « Voialtri tentate sempre di ingannare uno che fa il proprio dovere, ma io ne ho abbastanza, di voi! » Con una scarica di orrendi insulti attacca di nuovo il palo tele- i fonico. « Maledetto nemico del popolo, non ti permetterò di prendermi un'altra volta a pedate nel culo. Ormai sei qui da troppo tempo senza aver mai lavorato. Con il prossimo treno partirai per il gulag! » Ansante e bestemmiarne, Stefan continua sulla via per arrivare a casa. Una volta arrivato non riesce a trovare la porta e deve fare tre volte il giro della casa prima di individuarla. Cammin facendo ha uno scontro con una vecchia ì staccionata che riduce a pezzi a furia di calci. Riesce ad aprire la porta e cade praticamente all'interno della casa. Dopo aver scaraventato sul pavimento il berrettone e il pastrano di pelliccia, sferra un calcio al gatto e con mani tremanti afferra la bottiglia. « Sono talmente incazzato », spiega alla stufa, « che potrei spaccare mattoni con il mio cazzo! » Porta la bottiglia alle labbra e beve un lungo sorso. « Quelli riescono sempre a fregarti alla fine », confida. « Mai fidarsi di un tedesco nazista e tanto meno di un comunista sovietico. » Chissà come riesce a infilare un piede nel secchio della spazzatura dove c'è anche dell'acqua sporca che lo inonda tutto. « Aiuto! Salvatemi! Mi hanno preso i tedeschi! » urla terrorizzato e cade riverso sulla schiena con un

381 fracasso assordante. « Che cosa stai combinando, maiale ubriaco? » chiede la moglie, affacciandosi dall'alcova con il volto tutto assonnato. « Job tvoje madij!. » urla Stefan. « Sono stato attaccato, donna. Attaccato! Proprio qui, nel mio alloggio di servizio! » « Chi ti ha attaccato? » « Il maiale tedesco mi ha messo una trappola proprio davanti alla porta della cucina! » « Sbronzo come un prete, ecco che cosa sei, e anche bagnato come uno straccio! Togliti di dosso la sporcizia, porco! Dietro la porta c'è un sacco. » « E questo sarebbe tutto ciò che hai da dire a tuo marito il quale rischia coraggiosamente la vita per l'Unione Sovietica e un giorno riceverà l'Ordine della Stella Rossa? » « Oh, piantala e vieni a letto! » fa lei, inviperita. « Niet, tu non capisci niente! Tu sei proprio una vacca, più scema del culo di una renna. Non t'importa niente che io sia stato mezzo ammazzato. Posso chiederti quando hai mai partecipato a una riunione per l'orientamento politico, com'è dovere di tutti i cittadini sovietici? Immagino che tu non sappia nemmeno che siamo in guerra e che i tedeschi sono quasi pronti a entrare nel nostro villaggio. » « Tu sei sbronzo marcio, Stefan Borovski. E per la quinta volta, questa settimana! » « Io ubriaco? » protesta lui, furioso. « Tu stai dando i numeri, cavalla che non sei altro! Io sono l'unico poliziotto sobrio in tutta l'Unione Sovietica! » Lei esce carponi dall'alcova e scorge il secchio dell'immondizia che lui ha rovesciato.

382 « È quello che ti ha attaccato? » chiede con un sorriso sarcastico. « Il maiale controrivoluzionario aveva messo una trappola », afferma lui, sferrando un potente calcio al secchio. « Non gridare così, Stefan! Vieni a letto, in maniera che la sbronza ti passi prima di domattina! » « Togli le tue dita da contadina dalla mia uniforme immacolata », tuona lui, tentando di colpirla con il sacco. « Forse non sai chi sono io? Togliti il fieno dalle orecchie e ascolta, troia contadina. Io sono un funzionario dello stato sovietico, un uomo istruito che conosce a memoria tutti i regolamenti, e tu, invece, sei una miserabile controrivoluzionaria che vuol mettere le mani sui miei copechi guadagnati con tanta fatica! » Poi le scaglia addosso una pentola. « Via, vattene al gulag! Gli sci sono in quell'angolo! » Lei si precipita in soggiorno e si getta piangente sul divano. « Frigna pure, donna, singhiozza finché vuoi! È un vecchio trucco che qualsiasi dipendente del governo sovietico, persino il più cretino, conosce! Credi di cavartela con fiumi di lacrime e piagnistei, ma ti sbagli. Noi impiegati civili siamo duri come le pareti delle miniere nel Kazakhstan, e questo lo devi imparare una volta per sempre. Partirai con il prossimo treno per le miniere! Il gulag ti aspetta a braccia aperte! Vai! Va' a cacare sul cazzo di un prete! Io vado a letto! » Ansante, s'infila nell'alcova e sbatte con la testa contro l'intelaiatura con tale violenza da far tremare tutta la casa. « Prova a darmi un'altra legnata, troia, e ti ammazzo », grida dal fondo dell'alcova. Poi si acciambella come un cane bagnato. « Smettila adesso, Stefani Lascia che ti tolga i panta-

383 loni. Sei tutto bagnato! Prenderai il raffreddore se ti metti a dormire con gli abiti bagnati addosso! » « Io prendermi il raffreddore? » urla, come se fosse stato insultato a morte, aggrappandosi ai pantaloni con la forza della disperazione. « Sei impazzita? I servitori dello stato sovietico non prendono malattie capitaliste. » Improvvisamente si mette a parlare in tono confidenziale. « Ascoltami, Olga, dobbiamo restare tutti uniti e aiutarci a vicenda finché non avremo vinto la guerra. Altrimenti andrà a finire che gli ebrei americani verranno qui e violenteranno le nostre donne. » « Ma quelli sono nostri alleati », esclama lei, sbalordita, appendendo i pantaloni blu, alla cavallerizza, sullo schienale di una sedia. « Questo lo pensi tu, eh, puttana trotzkista! » grida lui, sentendosi pervadere da una piacevole sensazione di rabbia. « Non Io sai che l'ebreo Trotzki è scappato in America e ha prestato al fottuto esercito americano il nostro martello comunista perché faccia a pezzi la Russia? Ma tu non conosci il popolo sovietico. Ecco che cosa faremo a loro! » Detto questo, fa a pezzi il cuscino. Nubi di piume volteggiano all'interno dell'alcova. « Guarda che cosa hai combinato! » Piangendo, la moglie tenta di ricuperare i resti del cuscino. « Dove troveremo adesso un altro cuscino? » « E tu in questo momento non hai altre preoccupazioni ali'infuori di questa? Adesso che la patria sta combattendo per sopravvivere? » Poi esce con un balzo dall'alcova, afferra la tovaglia marrone lavorata all'uncinetto e la scaraventa nel fuoco. « Sei impazzito? » urla lei, tentando di salvare la tovaglia dalle fiamme. « Non voglio una tovaglia colorata fascista sul mio ta-

384 volo d'ufficio! » grida lui, infuriato, e si mette ad attizzare il fuoco per farlo ardere meglio. « Va' a prendere il mio mitragliatore, donna! Svelta, muoviti! Dobbiamo essere pronti! I tedeschi verranno ancora stanotte! » « Bestia ubriaca », singhiozza lei, andando a dormire sul divano. Ma prima, memore delle amare esperienze fatte nel passato, nasconde il mitragliatore. L'indomani mattina, Stefan si sente proprio male. La sua testa ronza come un alveare e la schiena gli fa male. Continua a starnutire e a tossire. Si soffia con violenza il naso e pulisce le dita sulla tendina della finestra. Con il volto atteggiato a un'espressione di muto rimprovero, la moglie prepara la colazione. Sa per esperienza che il marito non aprirà bocca fino a pomeriggio inoltrato. Stefan indossa la giubba di pelliccia dell'uniforme con le grandi spalline, infila il braccio nella cinghia del Kalascnikov e si assesta con un colpo il berretto con la stella rossa sulla testa. « Esco solo per vedere che tutto sia in ordine e che non ci siano renne che passino con il rosso », dice, come per scusarsi, facendo del suo meglio per far comparire sulla bocca di lei un sorriso di riconciliazione. Uscito di casa s'incammina a fatica sulla strada del villaggio, affrontando la tormenta. Si è solennemente ripromesso di non andare all'Angelo Rosso benché il suo organismo redami prepotentemente una dose di alcool. Quando sta per giungere all'altezza dei canili, vede arrivare a gran velocità il lappone Zoliborz a bordo di una slitta trainata da una coppia di renne. « Scappa, Stefan Borovski! » grida Zoliborz, tutto agitato. « Torna a Mosca con tutta la velocità di cui sono capaci i tuoi cani! Stanno arrivando i tedeschi! »

385 « Fammi sentire il tuo fiato, eschimese », ordina Stefan, avvicinando il naso alla bocca del lappone. « Non sono ubriaco, Pan1 Stefan. Sono sobrio come il Figlio di Dio sulla Croce! Ho incontrato i tedeschi, devi credermi! Mi hanno detto molte cose che non ho capito, ma ho potuto leggere nei loro occhi impazziti che stanno venendo qui per ammazzare ogni uomo nato da una donna russa! » « Se non hai capito quello che dicevano, come fai a sapere che erano tedeschi? » chiede Stefan, diffidente. « Potrebbe essere una delle nostre pattuglie siberiane. Anche loro non sei riuscito a capirli, quella volta! » « Erano proprio tedeschi, Pan Stefan. Mi hanno dato un solo schiaffo e nessuno mi ha preso a calci, anche se erano molto arrabbiati. Se fossero stati siberiani, mi avrebbero senz'altro preso a calci e anche ammazzato, dopo. Questi qui, invece, mi hanno lasciato andare. Così come ha fatto la gente che mio fratello ha incontrato. Lo hanno lasciato andare. » « Quando li hai incontrati? » chiede Stefan, ormai a disagio, lanciando lo sguardo verso le colline. « Potrebbe essere cinque ore fa. È stato subito prima del momento in cui la tormenta ha cambiato direzione e ha cominciato a soffiare da levante. » « Come faccio a sapere quando è cambiata la direzione della tempesta? Non sono uno di quelli che prevedono le condizioni atmosferiche. Sono della polizia! Non starai per caso raccontando un sacco di balle, mangiatore di foche? Immagino che tu sappia dove si trova Kolima? » « Lo so benissimo. Ci abitava mio nonno! » « Dove si trovano adesso i tedeschi? » chiede Stefan, 1

«Signore» in polacco. {N.d.T.)

386 trattenendo il fiato e imbracciando il Kalascnikov. « Da quella parte, sulla steppa », spiega il lappone indicando a nord-est. « Non penserai per caso di sparare addosso ai tedeschi, Stefan Borovski? Che il cielo abbia pietà di noi, se dovessi farlo! Sono già abbastanza arrabbiati adesso quando nessuno ancora gli ha sparato addosso. Se qualcuno dovesse sparare, quelli faranno a pezzettini il nostro villaggio! » « Su, andiamo », gli ordina Stefan in tono deciso. « Andiamo all'Angelo Rosso per discutere questa faccenda. Dobbiamo preparare un piano. Così i tedeschi non penseranno che siamo più stupidi di loro. » Scenja è rannicchiata sulla poltroncina di tela che le piace moltissimo e di cui va fiera. La poltroncina apparteneva una volta a un regista dell'industria cinematografica governativa. Era stata dimenticata, insieme ad altre cose, dalla troupe venuta nel villaggio otto anni prima per girare un film d'amore. « I tedeschi sono qui », grida Stefan con la disperazione nella voce, mentre entra nel locale. « Il lappone e io li abbiamo visti! » Scenja è così terrorizzata da cadere di schianto insieme alla poltroncina. Nel bar scoppia una selvaggia confusione. Persino il vecchio cane pieno di reumatismi comincia ad abbaiare con quanto fiato ha in gola. Gregorj, che dormiva sotto il tavolo insieme a due cani da slitta, si precipita alla finestra e spara due volte nella neve, ma poi, un po' alla volta, l'atmosfera si calma e tutti cominciano a interrogare il lappone. « Sei proprio sicuro che erano tedeschi? » chiede Miscia, incredulo. « Tu non capisci né il finlandese né il tedesco! » « Che cosa importa? » grida Gregorj. « Un tedesco è

387 un tedesco persino se parla in ebraico; quelli sono così infidi che c'è da aspettarsi di tutto, da loro, anche questo! » « Che cosa ti hanno detto? » chiede Jorghi. « Niente favole, hai capito? » « Mi hanno detto di andarmene oppure di avvicinarmi a loro », spiega il lappone. « Con le pallottole non si scherza. Quelle non guardano in faccia la gente che colpiscono! » « Se non capisci il tedesco, come fai a sapere che cosa stavano dicendo? » chiede Scenja, curiosa. « Lo hanno detto in russo », ribatte il lappone, cocciuto. « Parlavano un mucchio di lingue diverse. In ogni caso non c'è da sbagliarsi quando s'incontra un tedesco. Quei demoni sono istruiti come gli ebrei. Non sono come i nostri soldati che hanno imparato solo a smontare e rimontare una pistola-mitragliatrice. » « Attento a come parli, lappone! » lo ammonisce Gregorj con aria severa. « Ho in testa il mio berretto d'ordinanza per cui non si possono criticare gli eroi dell'esercito sovietico! Nella Pravda sta scritto che i tedeschi sono stupidi come il culo di una renna. Sei sicuro che non era una pattuglia dell'NKVD di controllo al confine, quella che hai incontrato? » « No », risponde il lappone in tono reciso, accettando un grande boccale di vodka da Scenja. « Non avevano le nagajke per fustigare tutti i matti che gironzolano nella tundra! » « Descrivimi le loro uniformi! » ordina Nikolaj con uno sguardo penetrante. « Erano uniformi come tutte le altre », risponde il lappone allargando le braccia. « Ma credetemi, quelli erano tedeschi. Fumavano del tabacco capitalista, non la solita

388 ma-ciorka, e avevano con loro una renna che si dava delle arie come un generale finlandese. Non ha voluto nemmeno annusare le mie renne, benché queste, una volta, fossero finlandesi. » « Ho visto dei tedeschi! » grida Pucial, precipitandosi nel locale con molto rumore. « Un'intera armata con cannoni e ogni sorta di strumenti per ammazzare la gente. » « Dove? » chiede Gregorj, che vuol essere a tutti i costi obiettivo. « A cinque verste da qui. Arriveranno tra poco. Si spostano velocemente! » « Be', io vado al mulino », fa Kosnov, abbottonandosi nervosamente la pelliccia. « Ho del grano da macinare. Ora che i tedeschi sono qui, chi lo sa quando potrò portare a termine la macinatura. Quei demoni sono capaci di ogni specie di follie! » « Tu resta qui », gli ordina Gregorj, perentoriamente. « Puoi macinare il tuo grano con le chiappe del culo o aspettare che la guerra sia finita! Il comandante militare qui sono io! » Poi si arrampica con considerevole difficoltà su una sedia. « State zitti e ascoltate », grida. « Tovarisci, l'Unione Sovietica si aspetta che ogni uomo compia il suo dovere in quest'ora più bella del nostro distretto... » « Piantala di dire fesserie », lo interrompe Fjodor senza il minimo rispetto. « Non sei a Murmansk per fare bella figura! Scendi da quella sedia! Togliti quel berretto e parla come un essere umano! » Gregorj si toglie il berretto e si sistema su una sedia. Il vento fischia tra le travi del tetto come se volesse sollevarlo in aria. Il fantasma della paura si affaccia nel bar. Per un po', tutti bevono in silenzio e riflettono sui fatti

389 loro, che cosa, cioè, convenga fare quando arriveranno i tedeschi. Scenja si alza in piedi e si gratta il poderoso sedere. « Qualcuno mi aiuti a bollire un po' d'acqua! » dice, dirigendosi verso la cucina. « Perché diavolo vuoi mettere a bollire dell'acqua? » chiede Gregorj, sbalordito. « Per gettarla addosso ai tedeschi quando arriveranno qui », risponde lei, decisa. « Questo li farà riflettere. Usava nei vecchi tempi, quando il nemico si avvicinava troppo. » « Oggi non usa più », spiega Micail. « Quei demoni cominciano ad ammazzare la gente quando sono ancora lontani due verste. E nemmeno un donnone come te sarebbe capace di lanciare l'acqua bollente a quella distanza! » « Li aspetterò dietro la porta con tutte le donne », spiega Scenja, animata da fervore patriottico. « Non appena i tedeschi si affacceranno con i loro grugni cattivi, gli butteremo addosso un secchio di bollente acqua russa. Così impareranno a venire qui senza essere stati invitati! » « Tu non sai di che cosa stai parlando », dice Fjodor con aria grave. « Quelli ti gettano nella stanza un mucchio di macchine infernali prima di aprire la porta. Di te non resterebbe nemmeno un pelo della figa! » « Allora è meglio ammazzarli fuori, nella neve », suggerisce Sofia che, seduta sul pavimento, sta pulendo un fucile da caccia a canna doppia. « Quando tutto sarà finito, ammucchieremo i tedeschi morti qui dietro », fa Miscia, fiero. « Poi manderemo un messaggio a Murmansk perché mandino qualcuno a contare i cadaveri! »

390 « Ammazzare i tedeschi non è difficile », spiega Fjodor. « Quando lo colpisci, quello si mette a girare come una trottola e non sa che cosa fare. Persino i più intelligenti si confondono, quando le pallottole cominciano a scorrazzare nei loro crani! » « Dove stai andando? » grida Gregorj quando Kosnov tenta nuovamente di avvicinarsi furtivamente alla porta. « Vado a macinare il mio grano! Dobbiamo pensare al domani, non solo alla guerra d'oggi. Un finlandese russo mi ha detto che i tedeschi ci lasceranno la farina, ma ci porteranno via il grano non macinato. Quelli che non avranno macinato il grano moriranno di fame senza alcun motivo prima che l'inverno sia finito! » « Andiamo al mulino e maciniamo quel grano », dice Po-lakov, rasserenato. « Gregorj, tu devi pensare alla difesa. Resta qui e difendi l'Angelo Rosso. Se sentiremo sparare, torneremo e ti aiuteremo. Circonderemo i tedeschi e li prenderemo alle spalle, come abbiamo imparato durante le manovre della milizia territoriale. È facile come grattarsi il culo. Nemmeno i tedeschi hanno occhi dietro la testa. Continua a sparare finché non ci sentirai gridare 'cessate il fuoco'! » « Tu resta qui », grida Gregorj in tono isterico. « Me ne frego del tuo grano! Hai capito? » « Non fate errori », esclama Scenja. « I tedeschi sono pericolosi! Mettiamo i finimenti ai cani e andiamocene da qui al più presto. I tedeschi resteranno delusi e qui non ci sarà un solo cittadino sovietico in attesa di farsi ammazzare. » « Scappare è roba da vigliacchi », protesta debolmente Gre-gorj. « Stalin ha ordinato che ognuno di noi, uomo o donna, debba ammazzare i fascisti dove li trova. Quelli vi strapperanno il fegato come niente e se lo mangeran-

391 no crudo. Perciò non crediate di potervi arrendere ai fascisti. Ho visto delle fotografie di questa roba alla scuola per commissari a Mur-mansk, per cui non è solo propaganda. » «Allora sarebbe ora di andarsene», riflette Scenja, infilando la giacchetta di feltro. « Sono troppo affezionata al mio fegato per lasciare che un figlio di puttana tedesco se lo mangi! » « Tu resta qui », ordina Gregorj, puntandole addosso la pistola-mitragliatrice. « Da questo momento in poi vige qui la legge militare, e la legge sono io! Vi siete goduti gli anni buoni sotto il sistema sovietico, adesso dovete accettare anche i lati brutti! » « Che ti venga un colpo, Gregorj », grida lei, sprezzante. « Ti conosciamo! Scapperai come una lepre non appena il primo tedesco comparirà all'orizzonte! » Per un po', tutti rimangono seduti in silenzio e bevono per farsi coraggio. Qualcuno tenta di persuadere il lappone che si è sognato tutta la faccenda. Ma quello insiste imperterrito ad affermare di aver parlato con i tedeschi. Gregorj proclama lo stato di guerra per cui da quel momento in poi tutti possono bere gratis all'Angelo Rosso. Poi suddivide i presenti in piccoli gruppi di combattimento e quelli della milizia territoriale devono considerarsi in stato d'allarme. « Imminente contatto con il nemico! » grida Gregorj in tono patetico, mentre un impulso di falso coraggio pervade ogni fibra del suo organismo di commissario. Nel suo intimo spera che i tedeschi non passeranno per il villaggio che si trova nel fondo di una valle coperta di neve. A un tratto, qualcuno bussa con violenza alla porta.

392 Tutti si rannicchiano, pieni di paura, ma è solo Julia che ha l'abitudine di bussare sempre alla porta, che voglia entrare oppure uscire. « Devi tornare a casa », grida, agitando la mano nella direzione di Gregorj. « C'è qualcuno che vuole parlarti! » « Non ho tempo per parlare con la gente », grida in risposta Gregorj, con l'aria di non volerne nemmeno sentire parlare. « Non dire sciocchezze! Torna a casa o ti do un paio di sberle! Non credere di essere chissà chi solo perché porti un'uniforme! » Tutti hanno un po' paura di Julia. Lei è la babuscka, la nonnina del villaggio che sa predire il futuro e guarire la gente. « Chi vuole parlare con me? » chiede Gregorj, intimidito. « Lo vedrai quando sarai tornato a casa », risponde Julia, laconica. « Allora digli che dovrà aspettare », replica Gregorj. « Tornerò a casa quando avremo ammazzato i tedeschi! » « Tu non hai la testa a posto », fa Julia, la babuscka, e bussa alla porta prima di uscire. Scenja appende il messaggio del Partito sulla tabella riservata alle notizie particolarmente importanti. TOVARISCI, OGNI PASSO INDIETRO È UNA VILTÀ E UN DISONORE E SIGNIFICA LA MORTE!

L'urlo della tempesta è sopraffatto dal martellare di una pistola-mitragliatrice. Nell'attimo successivo, tutti sono già al coperto sotto una sedia o un tavolo. Con un procedimento misterioso, Scenja è riuscita a infilare tutti i suoi chili di ciccia in eccesso nello spazio sotto il banco.

393 Sofia si precipita all'aperto per dirigersi verso la carbonaia; mentre corre, si strappa il distintivo del Partito dalla giacca e lo getta nella stufa. "Il distintivo della milizia territoriale di Fjodor segue il destino del distintivo del Partito. « Stanno per venire tempi brutti », si confidano a vicenda, « e nessuno può sapere con certézza chi vincerà questa guerra! » Poco dopo, però, si chiarisce che tutta la faccenda era dovuta a Sanja, il cacciatore, che si era messo a sparare con la pistola-mitragliatrice nuova. La sua figura enorme appare nel riquadro della porta. Poi, Sanja si china per guardare sotto il tavolo dove Gregorj è rannicchiato e si comprime entrambe le orecchie con le mani. « Esci di lì, compagno! I tedeschi sono seduti qui fuori nella neve e aspettano di essere fucilati! » Lentamente tutti escono dai nascondigli e bastano pochi bicchieri perché Gregorj cominci a sentirsi di nuovo comandante nato di un gruppo di combattimento. Per cui decide di dislocare gli avamposti. Dopo molte discussioni per stabilire dove ognuno deve andare, gli uomini si dirigono verso le posizioni scelte. Due si trascinano dietro la mitragliatrice Maxim su rotelle, raffreddata ad acqua, ma non appena escono all'aperto, vengono travolti dalla tormenta. Dopo non molto ritornano all'Angelo Rosso e dichiarano che tanto vale aspettare i tedeschi al bar anziché correre il rischio di crepare congelati prima che quelli arrivino. Ma Gregorj ha imparato al corso della milizia territoriale a Murmansk che è molto importante piazzare una vedetta. Nessuno protesta quando propone di affidare l'incarico al lappone, che secondo lui è l'uomo giusto per un compito così importante. Il lappone è abituato a stare

394 all'aperto con qualsiasi tempo e siccome vive a stretto contatto con la natura, i suoi occhi e le sue orecchie sono ben allenati. « Se lo fai », promette Gregorj in tono solenne, « ti proporrò per il conferimento dell'Ordine dei Lavoratori! » Il lappone se ne va sghignazzando a tenere d'occhio i tedeschi, ma la tormenta è troppo forte persino per lui, per cui si rifugia ben presto nella stalla delle renne. Prima di mettersi a dormire, dice alle renne di rimanere attentamente in ascolto e di svegliarlo se dovessero avvicinarsi degli estranei. « L'Ordine dei Lavoratori lo possono infilare nel culo di un cinghiale », mormora prima di addormentarsi. L'intera giornata trascorre senza alcun indizio della presenza dei tedeschi, per cui il coraggio sta ritornando nei cuori dei villici. L'Angelo Rosso è stato trasformato in un'autentica fortezza. Dietro la cucina è stato messo in posizione un mortaio da 80 millimetri. D'accordo: il munizionamento consiste in tutto e per tutto di sole due bombe da esercitazione, ma Gregorj è dell'opinione che il solo rumore degli spari basterà per spaventare come si deve i tedeschi. All'interno, subito dietro la porta, è stata messa in posizione la mitragliatrice pesante Maxim. Nessuno bada al fatto che l'acqua nel manicotto di raffreddamento è congelata e si è trasformata in un blocco di ghiaccio. Anche se la mitragliatrice per il momento non è in grado di sparare, ha'pur sempre l'aspetto di un'arma micidiale. Inoltre è provvista di abbondanti munizioni. « C'è ancora lo stato di guerra? » chiede Scenja quando tutti chiedono vodka e birra a spese dello stato.

395 « Che cosa credi? » dice Gregorj in tono sarcastico. « Persino una scema come te dovrebbe capire che il combattimento comincerà tra poco! » « Non me ne frega niente! » replica lei, ma poi cede,.seppure a malincuore, e riempie i bicchieri fino all'orlo. « Né i tedeschi né i finlandesi ci prenderanno vivi », sbraita Micail con entusiasmo, vuotando il quinto boccale. « Dicono che in guerra i migliori muoiono per primi », grida Kazar, sopraffacendo con la sua voce il terribile chiasso. « Che cosa ne dici, Jorghi? Tu ci sei stato! » « Tutte balle », risponde Jorghi. « Lo vedi, no, che sono vivo? La guerra è un fenomeno naturale per gli esseri umani e chi è intelligente può ingannare facilmente la morte. Nell'809° Reggimento di Fanteria, dov'ero caporale, c'era un sergente che aveva l'abitudine di illustrare spesso al suo plotone i pericoli della guerra, come se fosse un indovino capace di leggere le foglie di tè in fondo alla tazza: 'Ragazzi, non entrate in quel campo! Ci sono delle mine che vi faranno salire i coglioni in gola!' « Ma nel plotone c'erano anche dei furbi che non volevano credergli e che si sono inoltrati nell'erba. Bang! Le mine sono saltate buttando per aria la terra e la merda e loro. Quel sergente però ci aveva insegnato anche a non credere che tutto fosse predestinato, per esempio inciampare in una mina o bloccare con il proprio corpo una pallottola fascista. 'Se tutto va per il peggio', diceva il sergente, 'e il nemico comincia a farti la festa, continua a batterti come un matto. Soprattutto non tirarti indietro. Usa i piedi e le mani e sempre avanti!' » « Quando arriveranno i tedeschi », decide Gregorj, «

396 prendi tu il comando. Hai l'esperienza e noi tutti possiamo imparare molte cose da te! » Jorghi si batte con un gesto fiero la mano sul petto e agita il mitra sopra la testa per cui mezzo caricatore si vuota e le pallottole finiscono nel soffitto. « Chi rompe paga! » grida Scenja, rabbiosa. Poi sale su una sedia per esaminare da vicino le travi. « Spero solo che tutta questa guerra di merda non faccia troppi danni », fa con un sospiro preoccupato scendendo dalla sedia. A questo punto, tutto il villaggio è radunato all'interno dell' Angelo Rosso. Tutti stanno parlando contemporaneamente, tentando di placare con le parole la propria paura. Nessuna delle donne rimprovera il rispettivo marito perché questi è di nuovo ubriaco. Un gruppetto sta tentando di caricare e maneggiare la mitragliatrice leggera. Cosi accade l'inevitabile. L'arma si mette a sparare e le pallottole di un intero caricatore sfondano la parete e arrivano in cucina dove Scenja e Sofia solo per un pelo scampano alla morte. « I tedeschi, i tedeschi! » si sente urlare dalla carbonaia, dove varie persone si sono rifugiate. Gregorj lancia una bomba a mano attraverso la finestra. Micail spara una raffica di mitra nel cumulo di neve sul lato opposto della strada. Scenja spara con il fucile da caccia e colpisce l'orso imbalsamato. Poi capovolge l'arma e colpisce, agitandola alla cieca, con il calcio la testa di Fjodor disteso dietro la mitragliatrice pesante. « Per San Raffaele! » grida terrorizzato Fjodor alzando le mani. « Mi arrendo! È stato Gregorj, quel porco bolscevico, che ci ha fatto sparare su di voi! Non ammazzatemi, tovarisci germanski! » Un po' più tardi, l'atmosfera si è calmata e tutti comin-

397 ciano a discutere. Nessuno vuole rivolgere la parola a Fjodor che, ancora seduto, parla con se stesso in una sua personale versione della lingua finlandese. « Tu mi hai indicato al nemico », grida Gregorj, incavolato. « Dovrai risponderne a Murmansk quando la guerra sarà finita. » « Stavo solo scherzando », sì giustifica Fjodor con una risata forzata. « Non sopporti più gli scherzi? » Cinque lapponi coperti di neve entrano rumorosamente nel locale, accompagnati dai loro cani ancora più chiassosi. « I tedeschi sono qui », annunciano, sghignazzando. « Dove? » grida Gregorj, terrorizzato, gettandosi sul pavimento. « Fuori », risponde limi, il cacciatore lappone. « Spegnete le luci », grida Micail, spegnendo quella più vicina. « Maledizione, eccoli! » strilla Jorghi, tutto eccitato, sparando colpi isolati con la mitragliatrice leggera. Le luci vengono rapidamente spente e il locale piomba nel buio, come se fosse la carbonaia. Occhi cauti frugano l'esterno attraverso le finestre, dove, peraltro, c'è solo la tormenta che continua a urlare. « Non potreste esservi sbagliati? » chiede Gregorj, con una punta di speranza nella voce. « Impossibile », risponde limi, il cacciatore lappone, offeso. « Eravamo così vicini che sentivamo il loro fiato. È una lunga colonna che viene dal nord. Abbiamo incontrato anche truppe dell’NKVD. Stanno cercando dei tedeschi che gli hanno fatto saltare il tetto sopra la testa in un posto più a levante dove nessuna persona normale, partorita da una donna, può andare. Credo che siano

398 questi i tedeschi che noi abbiamo incontrato. Be', stavamo passando di qui. Adesso ce ne andiamo e voi fareste bene a fare lo stesso! » « Quando credi che arriveranno qui? », chiede Gregorj con voce tremante. « Non possono essere lontani, visto che noi siamo qui », risponde limi con una logica che non si discute. « Voi dovete fermarvi qui », ordina Gregorj, perentorio. « Qualsiasi uomo o donna che entri in questo distretto fa parte del mio gruppo di combattimento! » « Non riesci proprio a parlare di altro se non del tuo gruppo di combattimento? » lo schernisce Fjodor. « Se usi ancora una volta queste parole, mi metterò a vomitare. Tutti i vecchioni del paese con un paio di stellette di celluloide sulle spalle corrono in giro di questi tempi per mettere in piedi dei gruppi di combattimento, che Dio ci assista! » « Come dovrei chiamarvi, secondo te? » chiede Gregorj, un tantino perplesso. « Non siamo abbastanza numerosi per formare una compagnia, e dire plotone mi sembra un po' poco se i tedeschi dovessero sentirci. Quei demoni, un plotone se lo mangiano come un lappone un'aringa! » « Chiamaci 'Barricata della Bandiera Rossa' », suggerisce Sofia con fierezza. Uno sparo spezza l'oscurità. « L'ho preso » strilla Pavelov e spara di nuovo. « Maledizione, l'ho preso in pieno, il figlio di puttana! » « Dove stava? » bisbigliano contemporaneamente Gregorj e Micail, guardando entrambi con cautela attraverso la finestra rotta. « Non lo vedete? Eccolo laggiù, vicino alla carbonaia! »

399 Un po' più tardi scoprono che la vittima è un cane, e quel che è peggio, un cane da slitta capofila. La paura si trasforma in rabbia. Tutti se la prendono con Pavelov. Sulla distesa di neve, da qualche parte, una mitragliatrice si mette a balbettare. Terrorizzati, quelli della locanda smettono di combattere. Il rumore arriva sotto forma di spari brevi, dall'aria sinistra, come se qualcuno stesse colpendo un secchio. Sofia comincia a urlare, selvaggiamente, istericamente. Micail le appioppa un manrovescio sulla bocca. La mitragliatrice lontana non spara più. « Spegni quella lampada », grida Gregorj quando Scenja entra con una lampada a petrolio accesa, « o i tedeschi crederanno che stiamo pregandoli di ammazzarci! » Per un po', tutti rimangono distesi sul pavimento e ascoltano con i sensi tesi l'urlo della tormenta. « Vedrete, i nostri ragazzi hanno trovato quei tedeschi che stavano cercando », dice a un certo punto Micail, il primo a rialzarsi in piedi. « E li hanno ammazzati tutti con una lunga raffica », soggiunge Scenja, uscendo carponi da dietro il banco di mescita con il fucile da caccia in mano. Poi accende una lampada a petrolio e si versa della birra in un boccale di rispettabili proporzioni. Il contenuto del boccale finisce nel suo stomaco in un unico lungo sorso. « Su, venite a bere! » grida, riempiendo i bicchieri tesi da molte mani. Tutti escono lentamente dai nascondigli, convinti che i tedeschi giacciano morti da qualche parte là fuori nella neve continuamente sollevata dalla tempesta.

400 In alcun caso, né un generale né un soldato semplice può anche solo prendere in considerazione l'eventualità di un abbandono volontario di una posizione. Per combattere pensieri riprovevoli del genere abbiamo i tribunali di guerra. Ordino che gli Schweine-hunde disfattisti del genere vengano liquidati. Adolf Hitler, agosto 1944

« Non c'è niente da ridere », ci ammonisce il caporale finlandese, guardandoci con aria scocciata. Ma noi continuiamo a ridere. È il cadavere più buffo che ci sia mai capitato di vedere, e sì che ne abbiamo visti più di uno. Sono in realtà due cadaveri, addossati peraltro così strettamente l'uno all' altro da farci pensare in un primo tempo che si tratti di una persona sola. « Basta con le risate! » grida il caporale infuriato. « Non c'è proprio niente da rìdere! » « Se questo non è sufficiente per farti morire dalle risate », grida Porta, mezzo soffocato dal gran ridere, « non so che cosa possa esserlo! » « Pensa! Quello se ne sta qui, a letto, nel bel mezzo di una bellissima chiavata e proprio nel momento di venire gli arriva una fottuta bomba volante che lo sbatte fuori dal letto! » fa con un ghigno Fratellino. Un Unteroffizier del reparto motociclisti tenta di separare i due corpi, ma le gambe della ragazza, irrigidite, cingono i fianchi dell'uomo con tale forza che il sottufficiale a un certo punto rinuncia allo sforzo. In mezzo a noi c'è una ragazza che osserva: « Quello era l'unico uomo al quale io abbia mai voluto bene! » Ha le lacrime agli occhi. « Peccato che sia dovuto morire proprio quando stava facendo l'amore con un'altra! » replica Gregor. « E una puttana tedesca per giunta », soggiunge la ragazza,

401 mettendosi a singhiozzare.

402

I CANI DA GUERRA L'ARIA gelida ci investe con la violenza di un maglio e succhia ogni residuo di calore dai nostri corpi. « Respira piano », mi consiglia Heide, quando mi metto a tossire con violenza. « Se il gelo ti entra nei polmoni, sei fregato! » Nascondo la faccia tra i guanti di pelo, respiro con estrema precauzione e combatto la tosse che minaccia di dilaniarmi il torace. Nonostante lo spesso strato di pelliccia e k pesante mantella mimetica, l'aria gelida brucia come il ferro al calor bianco. L'aria immobile trasforma immediatamente in ghiaccio il fiato se anche solo per un attimo smettiamo di muoverci. Potremmo restare asfissiati dal nostro respiro. La luna risplende nel cielo notturno coperto da milioni di stelle. L'aria è gelida e asciutta. La tundra assume uno strano aspetto, spettrale e terribile, ma nel contempo anche bello. A nord-est danza nel cielo un grande sipario di luce dai colori cangianti e abbracciano tutta la scala dello spettro. Affascinati guardiamo i filamenti elettronici che guizzano nel firmamento. « Lo sapevi che oggi è un giorno di grande festa? » chiede Porta. « Tutti quelli che vogliono la guerra totale sono nelle chiese e cantano inni sacri. E noi, invece, qui non facciamo altro che correre di qua e di là nella neve, sbattendo la testa gli uni contro gli altri! » « Oggi è una grande festa nazionale per i tedeschi », precisa Heide in tono fiero. « Proprio così! Mille anni fa, i nostri progenitori tedeschi consumavano un mucchio di carne di .cinghiale per

403 festeggiare la giornata! » sogghigna Porta, facendo schioccare la lingua. « È davvero la vigilia di Natale? » domanda il Vecchio, contemplando i lampi iridescenti dell'aurora boreale. « Credete che la guerra sarà finita al prossimo Natale? » chiede Gregor. Nessuno si prende la briga di rispondergli. Ogni Natale passato abbiamo pronunciato le stesse, identiche parole e la guerra continua tutte le volte che arriva Natale. « Su, ragazzi, in piedi, lavativi che non siete altro! » grida il Vecchio in tono gioviale. « Ancora una breve marcetta e saremo a casa e all'asciutto! » « Non ce la faremo mai », geme Gregor, indicando le enormi nubi di neve che stanno vorticando davanti a noi. Una nuova tormenta sta per piombarci addosso. Là fuori, nella neve sconvolta dal vento, gracida una pistola-mitragliatrice. Subito dopo sentiamo il prolungato urlo stridulo di una donna. Il mitra gracida di nuovo. « A terra! » ordina il Vecchio, gettandosi al riparo di un grande cumulo di neve. Un razzo illuminante sale nel cielo, mettendo in risalto con la sua luce spettrale l'incredibile biancore della neve. Il razzo rimane sospeso nell'aria, dondolando lentamente, per pochi minuti. Sotto quella luce, le nostre facce hanno un aspetto cadaverico. « Ho fatto fuori uno dei compari », grida Fratellino soverchiando il fracasso della tormenta che sta investendo la tundra a esplosioni successive. « Lo stronzo mi è caduto praticamente tra le braccia e aveva con sé un grosso sacco pieno di regali di Natale! » Un altro razzo sale alto nel cielo ed esplode con un cupo tonfo. « Purché la piantino », brontola il Vecchio. « Perché

404 non se li infilano nel sedere, quei loro razzi? Dov'è il cadavere? » chiede poi in un sibilo a Fratellino, dandogli uno spintone. « Laggiù! Morto che più morto di così non potrebbe essere! » risponde Fratellino, indicando una macchia scura nella neve. « È una donna » esclama Porta, sorpreso, quando raggiunge il cadavere. « Una fottuta donna! E ha anche un bambino con sé! Adesso ci manca solo il marito! Così avremo tutta la famiglia! » Incuriositi ci chiniamo sul corpo. Era una donna carina, giovane. Il bambino non è stato colpito dalle pallottole di Fratellino, ma sembra essere morto per congelamento. « È stato proprio necessario farla fuori così, su due piedi? » chiede il Vecchio in tono di rimprovero, guardando Fratellino. « Maledizione, pensavo che fosse uno di quei sovietici che ci danno la caccia! » si giustifica questi. « Sei proprio un fesso! » esclama Barcelona. « Con un tempo come questo, come fai a distinguere tra un uomo e una donna? » ribatte Fratellino, risentito. « Del resto, che cosa diavolo stava facendo qui, in mezzo alla neve mentre infuria la guerra, con un bambino in braccio? » « Era una bella ragazza », commenta il Vecchio in tono sommesso, rialzandosi in piedi. « Non l'ho fatto apposta », borbotta Fratellino, mettendosi il mitra in spalla. « Tutti se la prendono sempre con me! Ma io tra poco non ci sarò più, e allora potrete vincere la vostra fottuta guerra nella maniera che piace a voialtri! » « Pezzo di fesso che non sei altro! » esplode il Vecchio

405 facendo la voce grossa, « provati a dire un'altra volta una cosa del genere e ti ammazzo su due piedi. E adesso seppellisci questi due, e mettici una croce sulla tomba. Mi chiedi dove troverai il legno per la croce? Me ne frego, ma una croce quella ragazza la deve avere! » « Roba da pazzi! » tenta di difendersi Fratellino. « Perché dovrebbe avere una croce? Sono comunisti, no? Quelli non credono a niente di quanto il parroco predica! » « Ho detto che quei due devono avere una croce », tuona il Vecchio, furioso, e si getta in un avvallamento sotto la neve dove s'infila il cappuccio sulla testa per dormire un po'. Fratellino scava una buca e vi spinge le due salme. Poi pianta qualcosa nella neve che con molta fantasia potrebbe essere interpretata come una croce. « Il Vecchio farebbe bene ad andare a cagare », confida a Porta. « È difficile andare d'accordo con lui, non ti pare? La prossima volta che incontro uno dei compari, lo pregherò di fermarsi e di aspettare mentre io torno dal Vecchio per chiedergli se mi dà il permesso di ammazzarlo! » « Piantala! » ringhia il Vecchio. « Fottuto esercito », sospira Fratellino, accomodandosi in qualche maniera accanto a Porta. « Non si può più nemmeno parlare, e per far la festa a uno di quei buchi di culo comunisti ci vuole un permesso speciale. La vita è diventata così triste che non vale più la pena di viverla! » Abbiamo la sensazione che siano passati solo pochi minuti quando il Vecchio si mette a urlare. « In piedi! » grida con impazienza, « prendete le vostre carabattole e muovete quei culi prima che Ivan arrivi

406 per tagliarveli via! » « Dove sta scritto che l'esercito ci deve sempre rompere i coglioni? » grida Porta. « Quando, nel lontano futuro, ridiventerò di nuovo un borghese, vorrò vedere chi avrà il coraggio di ordinarmi di alzarmi dal letto! » Abbiamo superato solo pochi chilometri quando veniamo fermati da una violenta sparatoria proveniente dal ciglio di un'alta muraglia di neve. Al rumore del primo sparo mi getto nella neve e prendo di mira una figura sul ciglio del banco di neve, ma il mitra è inceppato. Si è congelato l'otturatore. Lo colpisco con il pugno e la leva si sblocca. Sparo un intero caricatore e la figura scompare alla vista. « Avanti, avanti, andate avanti! » tuona la voce autoritaria del Vecchio. Tutt'intorno a noi, una pioggia di pallottole solleva la neve a spruzzi « Fuoco di copertura, maledizione », grida il Vecchio, furioso, mentre la sezione ripiega disordinatamente. « Vigliacchi fottuti! Non vi ho dato l'ordine di ripiegare! » Heide arriva correndo. Zoppica come una lepre ferita. La mitragliatrice leggera apre il fuoco. Uno a uno, a balzi, avanziamo nella neve profonda e farinosa. Il fuoco di fucileria russo dal ciglio del banco di neve si affievolisce e poi cessa del tutto. Con il fiato in gola, arrabbiati, gemendo, raggiungiamo il ciglio. Nonostante il gelo artico stiamo sudando come se ci trovassimo in una sauna. Ne sono rimasti solo tre, di cui uno in punto di morte. Gli altri due alzano le mani e fanno del loro meglio per spiegarci di aver atteso con ansia l'arrivo dei liberatori tedeschi. « Dove sono andati a finire gli altri? » chiede il Vec-

ì

407 chio, guardandosi intorno. « Se la sono data a gambe, direzione Mosca », risponde con un ghigno Porta, indicando le orme nella neve. « Sembra che non proprio tutti vogliano essere liberati », commenta ridendo Gregor. Fratellino preme la bocca del suo mitra sulla nuca del prigioniero più vicino e finge di volerlo liquidare. « Niet bolscevik! » grida il prigioniero, cadendo in ginocchio per la gran paura. « Fottuti tovarisci commissari, ecco che cosa siete! » urla Fratellino, dando uno spintone al prigioniero che cade battendo la faccia. « Niet komisar », si affrettano a rassicurarlo i russi, parlando tutti insieme. « Il politruk è nascosto nell'Angelo Rosso. Potrete trovarlo là. » Con i due neofiti nazisti in testa, che fanno da guida, la sezione entra a passo spedito nel villaggio, sepolto dalla neve nel senso letterale della parola. Ci spostiamo con cautela da una casa all'altra, aprendo con un calcio le porte d'ingresso e sparando raffiche di mitra nell'interno al buio. Se udiamo un grido, continuiamo a sparare finché non otteniamo il silenzio. Sulla strada principale compare al galoppo una mandria di renne. La neve vola intorno alle orecchie degli animali. Accanto a una delle case giace un uomo che porta un bracciale. Sta morendo. Ci fissa con gli occhi spalancati e tenta di allontanarsi da noi strisciando. La sua pelliccia è tutta sporca di sangue. Mormora delle parole incomprensibili e insiste a trascinarsi sulla neve. Sembra un uomo sdraiato sulla battigia che tenti di sottrarsi alla marea. La marea persiste ad avvicinarsi a lui, spietatamente.

408 « È pazzo di paura », arguisce Gregor, urtandolo con la canna della pistola-mitragliatrice. « Era da aspettarsi », dice Barcelona. « Probabilmente gli hanno raccontato varie cosette simpatiche sul nostro conto! » « Finiamolo », suggerisce Fratellino. « Lasciarlo lì a soffrire in questo modo costituisce un atto di crudeltà contro gli animali! » « Par Allah, si è preso la scarica in pieno nella pancia », esclama il Legionario. « Che vada all'inferno », è il parere del Vestfalo. « È solo colpa sua se si trova in quelle condizioni! » « Mettetelo al coperto laggiù, vicino alle stalle », ordina il Vecchio. « Non possiamo fare altro per lui. Muoviamoci! » Qualcuno agita con energia una tenda rossa da una delle finestre di una casa bassa. « Quello è l'Angelo Rosso », ci racconta uno dei prigionieri. « È là che il commissario si è nascosto! » « Hanno indubbiamente una maledetta fretta di arrendersi », ghigna Gregor. « Si vede che godiamo veramente una brutta fama! » Al di sopra della porta è appesa un'insegna che oscilla sotto l'azione del vento. Sull'insegna è dipinto un angelo rosso che cavalca una renna verde. Bussiamo alle finestre e poi mandiamo all'interno qualche raffica di pallottole, tanto per scuotere i nervi della gente che c'è dentro. « Mani in alto! » grida Heide con voce stridula in russo. Escono uno alla volta, tutti, uomini e donne. L'ansia e la confusione sono dipinte sulle loro facce. Per ultima esce una donna alta e grassa che tiene in

409 mano mezzo fucile da caccia. Porta le dà un pizzicotto alle natiche con aria gioviale e nel contempo le infila l'altra mano sotto la gonna. « Dove sei stata durante tutta la mia vita? » chiede con aria lasciva. « Se solo avessi saputo che eri qui, sarei venuto molto prima! » « C'è ancora qualcuno degli stronzi là dentro? » chiede gridando Heide, dandosi molta importanza. Ha il petto in fuori per impressionare i prigionieri. « Piantala, fesso », dice Porta, guardandolo dall'alto in basso. « Chi di voi è il commissario? » chiede Gregor con un sorriso affabile. « È morto », risponde la donna grassa, « ammazzato da una fucilata in fronte. » Poi porta l'indice alla propria fronte, in maniera the non ci siano dubbi sul punto dove il commissario è stato colpito. « Cristo, quant'è brutta! » esclama Fratellino, facendo una smorfia. « È bellissima », ribatte Porta, tentando di cingerla con il braccio. « Lasciami solo toccarti un po' », fa con un sorriso birichino e stringe le labbra per baciarla. « Quanto sei carino », dice lei stringendolo al seno gigantesco con tale energia da far scomparire completamente la testa di Porta. « Be', andiamo da qualche parte, tu e io, per dimenticare la guerra », suggerisce lui con un ghigno lascivo. « Possiamo salire nella mia stanza », suggerisce il donnone, chiudendo gli occhi. « Sono un'impiegata statale e dispongo di lenzuola pulite! » « Sei per caso una commissaria? » chiede Porta e grida rapidamente per tre volte: « Fronte Rosso! » « No », risponde lei. « Gestisco l'Angelo Rosso. » Con-

410 temporaneamente spalanca le braccia come un imperatore che abbia riportato una grande vittoria. « Per San Raffaele, protettore dei viaggiatori! Che cosa può chiedere di meglio un uomo che ha tanto da fare se non di avere per ragazza un'ostessa? » fa con un ghigno Porta. Fratellino sta facendo progressi con una ragazza alta e magra, provvista di trecce color biondo-dorato che le ricadono sulle spalle. L'intero braccio di Fratellino è scomparso sotto la sua gonna. « Dimmi, come passate voialtri sovietici il tempo in questo buco, voglio dire: quando non ammazzate tedeschi? » le chiede, facendo uscire la mano del braccio infilato sotto la gonna attraverso la scollatura del vestito e agitandola. « Discutiamo il nuovo piano quinquennale », risponde la ragazza, emettendo un lieve gemito e mordendogli le dita. « In tal caso dovete annoiarvi a morte », conclude Fratellino. « Noi abbiamo discusso un solo piano quinquennale e ci è voluto un sacco di tempo. Andiamo a casa tua », suggerisce poi; « così ti farò vedere che cosa facciamo noi per distendere una ragazza su un lenzuolo! » Improvvisamente sbuca correndo dalla porta del locale un uomo che agita un mitragliatore Kalascnikov sopra la testa. L'uomo si cala, sollevando una nube di neve, in una fossa per le patate e comincia a sparare in tutte le direzioni. « Il nostro commissario », dice Miscia, alzando gli occhi al cielo. « Credevo che fosse morto », osserva Porta, pizzicando le natiche tremolanti della grassona. « Si vede che è ritornato in vita », replica lei con aria

411 indifferente. « Pare proprio », grida Gregor, gettandosi a capofitto in un posto coperto. « Se non fosse così, sarebbe il primo cadavere che abbia mai visto sparare in questo modo! » « Vedi se ti riesce beccarlo », dice il Vecchio, rivolto al Legionario, il quale, affacciato a una delle finestre, sorveglia la situazione. « Maiali tedeschi », grida il commissario dalla fossa delle patate. « Non mi prenderete vivo. Vi ammazzerò tutti! » Un'altra raffica fa cadere l'intonaco dal soffitto e dalle pareti del bar. Il Vecchio si affaccia con molta cautela alla finestra, porta le mani alla bocca a mo' di megafono e grida: « Getta il tuo cacafuoco, tovarisc, e vieni da noi. Non ti faremo del male! » Un'altra raffica di mitra è l'unica risposta. I colpi finiscono tutti nella parete. « Andate al diavolo, Schweinehunde malfidi. A me non la fate! » Il Kalascnikov romba di nuovo. « Gregorj, Gregorj! » tenta di persuaderlo Dimitri. « Piantala con tutte queste fesserie e vieni qui per conoscere i tedeschi. Sono gente simpatica! » « Taci, traditore! A me non la dai a bere! Ascoltatemi, germanski! Sono un uomo importante e non è facile catturarmi! » grida Gregorj, sempre appostato nella fossa delle patate. « Cerca di ragionare, tovarisc! » lo scongiura Micail. « Vieni qui da noi, così festeggeremo tutti insieme la nostra liberazione. I tedeschi sanno che sei un grand'uomo e ti tratteranno come ti meriti! » « Ti renderai ben presto conto che non sono uno di

412 quelli che si lasciano catturare facilmente », risponde la voce dalla fossa delle patate. Un'altra raffica annaffia la parete. « Tu sei solo un pazzo, nient'altro, Gregorj Antenjev », grida Fjodor con rabbia nella voce. « Noi abbiamo fatto la pace con questi tedeschi. Se non esci subito di lì, quelli verranno a prenderti e ti ammazzeranno sul posto come un cane rabbioso! » « Se potessimo far arrivare te da lui, potresti fracassargli la testa con un solo colpo delle tue tette! » dice Porta alla grassona. « Io strozzerò quel figlio di puttana se mai dovessi riuscire a mettergli le mani addosso », risponde la grassona in tono rabbioso. « Quello è un uomo pericoloso », avverte Jorghi. « È stato alla scuola dei tiratori scelti a Mosca e fa quasi sempre centro. » « Si vede che oggi non è in forma », osserva Porta. « Finora non ha fatto altro che sprecare munizioni. » « Di solito tiene delle bombe a mano in tasca », dice Micail con aria cupa. « Da lì non è possibile scaraventare una bomba a mano qui dentro », fa Barcelona, considerando con occhio esperto la distanza tra la fossa delle patate e il bar. « Potrebbe avvicinarsi strisciando e arrivare a distanza di lancio », considera il Vecchio con aria preoccupata. « Il est con », dice il Legionario. « Se dovesse uscire dalla fossa, è fregato! Non può essere tanto pazzo! non per il momento, almeno! » « E se lo provocassimo, in maniera da fargli consumare tutte le munizioni? » chiede Gregor. « Non può averne portate molte con sé. » « In tal caso ci sarà altrettanto facile prenderlo come

413 al diavolo beccarsi un prete seduto sul pitale a Pasqua », dice Fratellino, prorompendo in una rumorosa risata. « Forse non è una cattiva idea », riflette il Vecchio. Una bomba a mano esplode con una detonazione secca a una certa distanza dalla nostra posizione, scagliando una pioggia di neve attraverso le finestre. Uno alla volta ci allontaniamo correndo dalla porta e cominciamo a spostarci da un cumulo di neve all'altro per indurlo a sprecare le munizioni. Non appena uno di noi è al coperto, l'uomo successivo comincia a correre, ma il commissario continua a sparare come impazzito. « Smettiamola con questa fesseria », ordina l'Unteroflìzier della Sanità Leth, quando abbiamo corso per un bel po' da un cumulo di neve all'altro. «Ho fatto l'infermiere in un manicomio e so come bisogna trattare i pazzi. C'è una scopa da qualche parte? » chiede dopo che tutti ci siamo messi al sicuro all'interno del bar. Sofia arriva correndo con una scopa. « Proprio quello che ci vuole », sorride Leth soddisfatto. « Al manicomio la usavamo per farli ragionare un pochino a suon di botte. Non ho mai incontrato un matto che non avesse paura di una di queste. Datemi uno di quei colbacchi russi e vi farò vedere come si sistema un tizio uscito di senno. » Jorghi gli passa un colbacco di pelliccia. « Ehilà, mi senti? », grida Leth, una volta uscito all'aperto. « Getta quel mitra e vieni qui! Se non vieni qui, verrò io da te e ti pesterò con questa scopa! Na doma, torna a casa tua! » Segue un attimo di pesante silenzio. Sembra che il commissario impazzito non riesca a raccapezzarsi. Leth s'incammina lentamente attraverso la piazzetta del villaggio e lo minaccia con la scopa.

414 « Vieni qui, matto! » urla, e la sua voce viene rimandata sotto forma di eco dalle pareti delle case. « Altrimenti verrò là e ti scalderò la schiena con questa scopa! » « Tutte bugie e propaganda, schifoso tedesco che non sei altro », risponde Gregorj dalla fossa delle patate. « Tu sei un demonio e né il paradiso né l'inferno vogliono avere a che fare con te! » « Torna indietro! » grida Gregor, innervosito. « È pazzo come un cavallo! » « Non venirmi a insegnare il mio mestiere », risponde Leth al di sopra della spalla. « Ho frequentato una scuola speciale per imparare come si devono trattare i pazzi tedeschi. So quello che sto facendo! » Si avvicina alla fossa delle patate, un passo alla volta, agitando la scopa al di sopra della testa. Improvvisamente, dalla pistola-mitragliatrice esce una lunga raffica rabbiosa. Leth gira su se stesso come una trottola. In un primo momento sembra che voglia ritornare da noi, ma poi si accascia come un sacco di patate. Il corpo solleva, cadendo, una nube di neve. « Adesso avrete capito chi avete contro! » grida il commissario, trionfante. Poi prorompe in una lunga risata demente e a questo punto nessuno di noi dubita più che quell'uomo sia veramente impazzito. « Gli uomini come me non hanno paura né dell'acqua né del fuoco! Io sono un duro, capace di trasformare una roccia in polvere semplicemente sedendomi sopra! » « Io non sopporto più questa storia », tuona Barcelona, rabbioso, e spara con una lunga raffica continua tutto il caricatore. Il pazzo Gregorj risponde immediatamente al fuoco. Due bombe a mano esplodono poco lontano dalla porta.

415 « Quello è un superuomo », esclamo, sbalordito. « Nessun uomo normale riesce a lanciare una bomba a mano a quella distanza. » « Nel nome di tutti i demoni e nel nome santissimo del Corpo di Cristo, adesso vengo giù e vi scuoio tutti! » La pistola-mitragliatrice gracida di nuovo. Una delle pallottole attraversa il berretto di Porta. « Non possiamo andare avanti così », dice il Vecchio, risoluto. « Chi si offre volontario per liquidarlo? » « Credi forse che abbiamo la testa piena di merda? » ribatte Gregor, indignato. « Un unico matto da manicomio che tiene in scacco con il suo mitra un'intera sezione! » grida Barcelona, picchiando il pugno sul tavolo in un impeto di rabbia impotente. Lo specchio con l'angelo va a pezzi e cade dalla parete dopo che un'altra raffica è penetrata attraverso una delle finestre. « Adesso basta! » urla Scenja, furiosa. « Adesso, quello stronzo matto saprà chi è Scenja venuta da Odessa! Datemi una di quelle seghe di Hitler! » Porta le consegna una Schmeisser e un tascapane di caricatori. Lei è così infuriata che ha la bava alla bocca. Esce dalla porta come un razzo. « Arrivederci, amore! Grazie per essere venuta a trovarmi! » le grida dietro Porta. « Pianterò tre gigli sulla tua tomba! » Il donnone sale zigzagando il pendio. Il Legionario la protegge con il fuoco della sua mitragliatrice leggera. Le pallottole traccianti creano una specie di ombrello al di sopra della fossa delle patate. Improvvisamente, il pazzo compare in piena vista sulla sinistra del lungo fosso e spara una raffica contro Scenja. Anche la pistola-

416 mitragliatrice di lei sgrana i colpi come una raganella impazzita. Noi tutti, affacciati alla porta e alle finestre, concentriamo il fuoco su Gregorj. La tempesta di pallottole lo solleva letteralmente in aria. L'uomo cade supino, barcolla, si raddrizza, ma prima che possa sparare ancora, Scenja gli è accanto. Adesso è lei che sembra impazzita. Simile a una statua, lo sovrasta a gambe divaricate e continua a sparargli addosso. « Se anche lei dovesse adesso dare fuori di matto », commenta Gregor, preoccupato, « io me ne vado! » Scenja smette di sparare, appoggia la Schmeisser sulla spalla come se si trattasse di una vanga e scende il pendio con passi lunghi e misurati. « Quello doveva essere l'aspetto delle amazzoni nei tempi antichi quando ritornavano trionfanti dopo una grande vittoria », dice ridendo il Vecchio. « E poi, qualcuno mi venga a parlare del sesso debole! » osserva Pòrta. « Chiamate la Mamma quando ne avete bisogno! » dice Scenja, fiera, restituendo a Porta la Schmeisser e ringraziandolo per il prestito. Un po' alla volta, la locanda si riempie di gente del villaggio, venuta per- dare un'occhiata ai tedeschi. Man mano che le scorte di Scenja diminuiscono, si stabilisce un'atmosfera sempre più cordiale tra tedeschi e russi. Per l'occasione, l'orso imbalsamato ha in testa un elmetto tedesco. Porta stacca dalla parete la balalaika. « Quella era in Siberia con mio padre », gli dice Scenja. « Davvero? » ribatte Porta, mettendosi a pizzicare le

417 corda. « Sai suonarla? » chiede lei. « Direi! » risponde Porta, imbracciando lo strumento. Le prime note sono sommesse e tenui. Poi diventano selvagge come il tambureggiare dei cavalli dei cosacchi attraverso la steppa. Porta si strofina le mani sui pantaloni e comincia a fare il pagliaccio con lo strumento, nello stile dei calmucchi. Fratellino tira fuori l'armonica a bocca. Porta canta ad alta voce: « Einmal aber werden Glàser klingen, / denn zu Ende geht ja jeder Krieg ».1 Ben presto, la locanda trema sotto l'impatto degli stivali. I russi stanno eseguendo le loro danze. Miscia vola così in alto da sbattere con la testa contro una trave del soffitto. Gregor si spezza un dito mentre tenta di imparare il salto con la capriola. Porta sente scricchiolare il collo quando Fjodor lo persuade a saltare un tavolo a piedi uniti. « Non appena questa guerra sarà terminata », dice Fratellino a Sofia, accarezzandole l'interno della coscia, « questa onorata uniforme tedesca che sto portando finirà diritta nella spazzatura e io sarò fiero di appartenere di nuovo ai ranghi dei mascalzoni che vestono in borghese. » « Attento alle delusioni », ride Gregor. « La vita borghese è molto più complicata di quanto pensi. Da borghese non puoi andare in giro tenendo il cervello a riposo e con il regolamento di disciplina incollato alla fronte. Nell'esercito, la vita diventa sempre più semplice e regolata man mano che aumenti la raccolta delle stellette e dei galloni! » 1

« Ma poi verrà il giorno dei brindisi / perché ogni guerra finisce prima o poi. » {N.d.T.)

418 « Com'è la Germania adesso? » chiede Jorghi, curioso. « Rovine! Puoi guardare dove vuoi e troverai solo rovine », risponde Porta. « Tutti vanno in giro con gli stessi abiti tutti uguali, rivoltati chissà quante volte. Un paio di volte all'anno, Adolfo ci racconta di aver la vittoria in tasca! » « Ci sono molti, anche, che ci rimettono la pelle », spiega Fratellino, seduto all'altra estremità del tavolo. « Sono quelli che non prendono la legge troppo sul serio e vanno a rubare durante l'oscuramento! » « Come finirà questa storia? » sospira Dimitri. « Anche Poltava è in rovine. » « Finirà che uno di noi perderà la guerra e che i vincitori si beccheranno la preda », spiega Porta. « Se voi tedeschi perderete la guerra, non vi permetteranno più di tenere un esercito », vaticina Fjodor con aria cupa, accarezzando una Schmeisser. « Sarà una brutta cosa », ammette Porta simulando un sorriso. « L'esercito tedesco è per noi qualcosa di sacro. Come la Chiesa! Preghiera alla domenica e piazza d'armi il lunedì. Da noi, la settimana si conclude sempre con una rivista, per riprendere con le preghiere e le esercitazioni in ordine chiuso! » « Sentilo, sentilo! » urla Heide, alzando il braccio. È troppo sbronzo per afferrare l'ironia di Porta. « L'esercito è un dono che Dio ha concesso al popolo tedesco », fa Gregor tra un singhiozzo e l'altro, facendo il saluto militare all'orso imbalsamato. « Noi prussiani siamo nati per fare la guerra », grida Heide, fiero, alzando di nuovo il braccio. « Dio ha creato l'uniforme e il fucile espressamente per noi. » « Allo stesso modo ha creato la vanga e il rastrello per i russi », fa Porta con una risata gioviale. « Il dio tedesco

419 certamente sa che cosa sta facendo! » « Non preoccupatevi se doveste perdere la guerra », grida Andrej, alzando il bicchiere per accostarlo a quello di Barcelona. « Se doveste perderla, noi russi ci uniremo a voi per sistemare i nostri alleati di adesso. Insieme potremmo sconfiggere il resto del mondo in quattro e quattr'otto! » « Sì, effettivamente abbiamo molte cose in comune », considera Porta, « in particolare la santità e la crudeltà. » « Se dovessimo trovarci in difficoltà », grida Gregor, come se fosse un generale, « non esiteremo a introdurre metodi di guerra crudeli e insoliti. Mobiliteremo i pidocchi tedeschi e russi, li infetteremo con il tifo petecchiale e poi li getteremo in testa agli americani. Così, agli americani passerà la voglia di costringere i nostri due popoli che amano la pace a fare altre guerre. » « Potremmo anche raccogliere i topi nelle rovine e nei cimiteri delle guerre precedenti », suggerisce Porta, « per spedirli poi, dopo averli infettati con ogni sorta di merda e di marciume, sotto forma di pacchi-dono ai nostri odiosi nemici che con tanto impegno ammazzano le nostre donne e i nostri bambini. » « Sì, noi tedeschi e russi sappiamo come far rigare dritto le altre nazioni », grida Barcelona, sopraffacendo il chiasso che regna nel locale. « Toglietevi l'elmetto per la preghiera! » esclama con un singhiozzo Porta, arrampicandosi su un tavolo. « Dobbiamo pregare Iddio di aiutarci a finire questa guerra mondiale al più presto possibile, in maniera da cominciarne subito un* altra! » Il patriarca del villaggio, tutto pelle e ossa, dice di ricordare la guerra di Crimea, nella quale un fesso di ge-

420 nerale inglese macellò la propria cavalleria. Poi soggiunge che, a ripensarci, riesce a ricordare anche l'ingresso di Napoleone a Mosca. « Era uno spettacolo glorioso », ricorda in tono sommesso. « Quanti cavalli avevano i francesi! Napoleone cavalcava un cavallo bianco! » « Per mimetizzarsi nella neve, immagino! » dice Fratellino. « Sparate con i cannoni in questa guerra? » chiede il vegliardo a Porta. « Ogni tanto spariamo qualche colpo », ammette questi. « Credi, forse, che un giorno potrei vedere come funzionano quegli aggeggi? » domanda il vecchio con voce sottile, tremula. « Puoi venire con noi quando ce ne andremo », suggerisce Porta. « Noi abbiamo qui un cannone », rivela il vegliardo con gli occhi che gli brillano. Poi serra le mascelle prive di denti con aria sorniona. « Qualcuno l'ha dimenticato qui poco dopo la Rivoluzione e noi l'abbiamo tenuto nascosto da allora. » « Perché, allora, non provi a sparare con questo cannone? » chiede Fratellino. « Forse ti mancano le munizioni? » « No, no! » ribatte il patriarca. « Ne abbiamo un mucchio, di ogni specie. » « Dove si trova questo cacafuoco di cui stai parlando? » chiede Fratellino, interessato. Poi assesta a Sofia una sculacciata che la solleva e la getta tra le braccia di Fjodor. « Nella stalla delle renne, nascosto sotto la paglia », risponde con una risatina il vecchio contadino.

421 « Andiamo a dargli un'occhiata », suggerisce Fratellino. « Sì, andiamo », annuisce il vegliardo, ovviamente affascinato dall'idea. « Io ho fatto due o tre guerre, ma non ho mai visto sparare un cannone. Adesso che ho più di cent'anni, mi piacerebbe vederlo prima di morire. » « Quando sei nato? » chiede Porta. « Oltre cent'anni fa », risponde il vecchio contadino con un sorriso felice. Mentre si stanno aprendo a fatica un passaggio nella neve per raggiungere la stalla delle renne, il contadino confida di aver ricevuto una volta una mancia di cinque rubli dal principe Nicola. A quei tempi, cinque rubli rappresentavano la paga di un mese. « Il principe era un uomo buono e santo », osserva con un sospiro. « Sì, aveva un cuore d'oro », fa Porta con un sorriso affabile. « I suoi errori tattici nell'impiego dell'esercito imperiale possono essere costati la vita solo ad alcuni milioni di russi. » « Lo conoscevi? » chiede il vegliardo, interessato, guardando con rispetto Porta. « No, non ho mai avuto questa fortuna », risponde Porta. « Se l'avessi avuta, sarei finito probabilmente in una fossa comune. » Unendo gli sforzi riescono a portare alla luce un pezzo da campagna austriaco da 104 millimetri. « È un cannone d'altri tempi », conferma Porta quando, riescono a liberare il pezzo dalla paglia e a metterlo in posizione. « Potrebbe benissimo esplodere e farci saltare per aria tutti! » Fratellino apre l'otturatore con gran fracasso ed esamina l'anima del pezzo con aria esperta.

422 « Non mi piacerebbe molto presentarmi a un'ispezione delle armi con il cacafuoco in queste condizioni », commenta ghignando. « Dove tenete le munizioni? » chiede Porta al vecchietto che non sta nella pelle per la gioia e la speranza di ciò che deve venire. « Sotto la paglia », risponde questi con il respiro sibilante. « Non sarà per caso pericolosa, questa roba? » chiede, mentre gli altri fanno rotolare i primi proiettili fino al cannone. « Non quando uno sa usarla », si vanta Fratellino, infilando un proiettile nella camera di scoppio. « Metteremo la terza carica di lancio », dice Porta con l'aria di uno che se ne intende. « Così, quelli nella locanda lasceranno cadere a terra i boccali di birra per la paura! » Fratellino inserisce la carica di lancio. « Tenete strette le balle che potrebbero partire anch'esse », consiglia Porta, facendo girare il volantino del sito. La lunga bocca da fuoco, coperta di polvere, si alza e punta verso le nubi. « Lasciatemi sparare per primo », pretende Fratellino, sedendosi sul sedile riservato al tiratore. « Accomodati pure », risponde Porta con un ghigno, trascinando il vecchio contadino con sé per mettersi al riparo dietro un masso. « Tienti stretto! » lo avverte, costringendolo a rannicchiarsi per avere una copertura migliore. « Allora è pericoloso? » chiede il vecchietto, intimorito. « Per essere pericoloso, lo è », risponde Porta. « C'è sempre un certo rischio quando si usano questi materiali

423 da guerra. Qualche volta capita che la gente si becchi un cannone in testa, ma non preoccuparti. Le esplosioni vanno verso l'alto per cui, se proprio qualcosa dovesse andare storto, succederà solo che Fratellino e il resto di quella roba faranno un volo sopra le nostre teste. » « Ecco, ci siamo! » grida Fratellino, tutto felice, e tira la sagola della leva di sparo. Non accade assolutamente nulla. Fratellino tira di nuovo la sagola ottenendo lo stesso risultato negativo. « Qua c'è qualcosa che non funziona », dice, contrariato. « Vieni a darmi una mano per vedere che cosa c'è che non va. » « Nient'affatto! Io sono solo il caricatore », grida Porta da dietro il masso. « Il pezzo è carico! » Fratellino si mette a girare dei volantini e a picchiare qua e là, alza e abbassa il sito della bocca da fuoco e per buona misura assesta un paio di poderosi calci al pezzo. « Ci sono! » esclama poi, pieno di entusiasmo. « È il percussore che si è inceppato. » « Dagli un colpo sul naso », suggerisce Porta. « Così l'austriaco si metterà a cacare, immagino. » « Fuoco! » ordina Fratellino a se stesso e tira la sagola della leva di sparo con tutte le forze di cui è capace. Un tuono assordante scuote il villaggio e un'immensa fiammata si alza verso il cielo. Alla prima esplosione segue immediatamente una seconda. Una fontana di neve si alza nei pressi della fossa delle patate dove il pesante proiettile è andato a finire. Dal cielo cade una pioggia di patate. Grandi quantità di queste, sospinte dall'esplosione, finiscono nel bar dove si schiacciano sulle pareti e sul soffitto.

424 Scenja afferra il fucile da caccia appoggiato dietro il banco di mescita. « Adesso stanno giocando con quel fottuto cannone », tuona. « Guardate come quei maiali mi hanno ridotto la locanda! Io ne ho abbastanza. Abbastanza di questa guerra mondiale! » Poi esce a razzo dal locale e si dirige verso la stalla delle renne dove scorge la bocca da fuoco che rincula e ritorna. Ma è arrivata appena a metà del pendio quando si ferma e getta lo sguardo sul deserto di neve, restando terrorizzata. Otto slitte motorizzate corazzate stanno arrivando sobbalzando sulle colline e si dirigono verso il villaggio. Una mitragliatrice pesante, montata sulla slitta di testa, si mette a martellare. Pallottole traccianti sollevano fontanazzi di neve sulla strada in tutta la sua lunghezza. « Porci fottuti! » sono le ultime parole di Scenja mentre si accascia nella neve, presa in pieno dalla raffica della mitragliatrice. Le slitte si fermano sul ciglio della collina più vicina. Nel silenzio dell'Artide, una voce si mette a tuonare, prima in russo e poi in tedesco: « Uscite tutti all'aperto! Mani sopra la testa! » « E adesso, che cosa facciamo? » singhiozza Miscia, infilandosi carponi sotto una panca, il suo nascondiglio preferito in caso di pericolo. « Vieni, morte, vieni... » sussurra il Legionario, preparandosi ad aprire il fuoco con la mitragliatrice pesante. « Quella mitragliera ci farà a pezzi », bisbiglia Gregor, pieno di paura, stendendo la mano per tirare vicino a sé un tascapane pieno di bombe a mano. « Non abbiamo molta scelta », risponde il Vecchio con una punta d'ironia nella voce. « Se ci prendono vivi, ci

425 romperanno ogni osso che abbiamo in corpo! » « On les emmerde », fa ridendo il Legionario. « Attacchiamoli con le bombe a mano! » « Ci ridurranno in polpette prima che riusciamo ad avvicinarci », pronostica Heide con aria cupa. « Dove diavolo si sono cacciati Porta e Fratellino? » chiede il Vecchio, incavolato. « Nella stalla delle renne con il vecchio cannone », risponde Gregor. « Sono stati loro a far saltare in aria la fossa delle patate. » « Ultimo avvertimento! Venite fuori con le mani sopra la testa », tuona la voce dall'altoparlante. « Non pensate che sarebbe bene, per voi, uscire con le mani alzate? » dice il Vecchio rivolto ai russi che, terrorizzati, si sono addossati alle pareti. « Nitcevo, tu non conosci l'NKVD », risponde Fjodor con un sorriso stanco. « Se non ci faranno fuori subito, a vista, lo faranno appena capiranno che abbiamo fraternizzato con voialtri. » « Che cosa farete, allora, quando ce ne saremo andati? » chiede il Vecchio. « Non ci sarà un 'dopo', per noi », risponde Fjodor con l'aria di uno che accetta l'inevitabile. « È meglio morire insieme a voi che essere macellati come il bestiame. » « ]e leur pisse au cul », ringhia il Legionario, appoggiando il calcio della mitragliatrice pesante all'incavo della spalla. Le slitte scendono lentamente, con i motori imballati, dalla collina e una pioggia di proiettili esplode sulla coltre nevosa. « Sparano con proiettili esplosivi », grida Gregor, tutto eccitato, gettandosi a pesce dietro il banco di mescita. « Che altro dovrebbero usare, secondo te? » chiede il

426 Vecchio in tono sarcastico. « I proiettili perforanti certo non servirebbero in questo caso. » I tre nella stalla delle renne stanno sudando sette camicie per mettere in posizione il pezzo. Fratellino sgobba come un negro. Il cannone è pesante e poco manovrabile, ma final mente riescono a metterlo in posizione. « Adesso li sistemiamo, quei bastardi », impreca Fratellino, abbassando la bocca da fuoco. Poi afferra uno dei lucidi cilindri di ottone che il vecchio contadino ha fatto rotolare fino a lui. « E la spoletta? » chiede Porta. Fratellino si mette a rovistare in alcune vecchie cassette e trova delle spolette. Il vegliardo si mette in ginocchio e si comprime le orecchie con le mani. La lunga bocca da fuoco si muove con irritante lentezza, ma alla fine risulta puntata sulla slitta più lontana. « Muoviti! » bisbiglia Fratellino, « oppure lascia fare a me! » Porta avvicina l'occhio al congegno di puntamento, costruito palesemente in un'epoca più recente che non il cannone. « Fuoco! » grida. Fratellino dà uno strappo così violento che la sagola si sfila dall'occhiello della leva di sparo. Una formidabile vampa esce dalla bocca del pezzo, accompagnata da un boato. Nel secondo successivo, la slitta più lontana è già scomparsa. Una figura vestita di cuoio viene scagliata in alto dalla torretta che ha il portello aperto e gira su se stessa come

427 un volano piumato. Fratellino apre l'otturatore e il bossolo vuoto cade a terra. Un nuovo proiettile viene infilato nella camera di scoppio. Un rumore di metallo che cozza contro altro metallo e l'otturatore è di nuovo chiuso. « Fuoco! » grida Porta. Fratellino dà uno strattone alla sagola. La slitta di testa viene scagliata in aria e ricade in verticale sulla neve. Si sente il formidabile tonfo di un'esplosione e due fiammate giallo-rosse guizzano dai due lati del veicolo. Un proiettile perfora il tetto della stalla e varie travi cadono sulle loro teste. Un lungo torrente di traccianti fende l'aria e le pallottole colpiscono con un clangore metallico lo scudo di protezione del cannone. Porta ha incollato di nuovo l'occhio all'oculare del congegno di mira. Lentamente, la bocca da fuoco si abbassa. Fratellino e il vecchio contadino sudano come fontane, impegnati come sono con le due code divaricate dell'affusto. Non è possibile far cambiare completamente direzione al pezzo per cui è necessario spostare l'affusto. « Fuoco! » grida Porta dopo aver inquadrato nel traguardo di mira la slitta successiva. « Addio, stronzi! » ringhia Fratellino, dando uno strappo alla sagola. Il pesante cannone traballa e sobbalza. La terza slitta, investita in pieno dal proiettile, investe a sua volta la slitta che ha davanti a sé. Entrambe si capovolgono e scivolano sul pendio ghiacciato con i cingoli all'aria. A ogni sparo del pezzo, il vecchio prorompe in una fragorosa risata e batte divertito le mani sulle cosce.

428 Porta riesce a piazzare altri due proiettili prima che un proiettile da 50 millimetri non entri attraverso la porta ed esploda all'interno della stalla. Le balle di paglia accatastate prendono fuoco e dopo pochi minuti la stalla è invasa da un fumo denso, nero. « Munizioni! » esclama tossendo Porta, mezzo soffocato. L'otturatore del pezzo si chiude con un rumore metallico. Il colpo parte, ma manca questa volta il bersaglio. Il proiettile passa fischiando a fianco della slitta più vicina. La torretta del mezzo cingolato gira e il cannoncino automatico da 20 millimetri a canna corta è puntato direttamente verso l'interno della stalla. Qui, un bossolo cade con fracasso a terra e una nuova granata finisce nella camera da scoppio del cannone austriaco. Porta fa ruotare come un pazzo il volantino del sito, ma poi ci rinuncia e punta a vista la bocca da fuoco, come se si trattasse di un fucile. « Fuoco, per Dio! » grida Fratellino che si è messo al coperto addirittura sotto il cannone. Il pezzo romba e la slitta motorizzata, che si sta avvicinando alla stalla, si dissolve in mille pezzi. La torretta volteggia nell’aria e due corpi avvolti dalle fiamme vengono scagliati in alto dalla base della slitta. « L'hai preso! Accidenti, l'hai proprio beccato! » strilla Fratellino, al colmo della gioia. « Su, fatevi sotto, stronzi! Vi faremo vedere i sorci verdi! » Il vecchio contadino si alza e si abbassa con le gambe unite, ridendo come una cornacchia afflitta da raucedine. Una slitta motorizzata compare tra due case. La torretta gira a destra e a sinistra, incerta, come se il tiratore del cannoncino stesse cercando l'angolo di tiro più op-

429 portuno. « Spostiamo il pezzo », grida Porta, saltando dal sedile del puntatore per aiutarli a spostare l'affusto. Il cannoncino della slitta corazzata si mette a martellare e i proiettili si avviano urlanti verso l'Angelo Rosso. « Diavolo! » esclama Porta. « Avrei giurato che avrebbero preso di mira noi! » « Non possono vederci », risponde Fratellino. « Il fumo ci copre completamente! » « Fila, vecchio », dice Porta, dando un gentile spintone al vecchio contadino. « Qui succederanno delle cose che non ti sei mai sognato in quella tua guerra di merda del passato! » « Nitcevo », risponde il vegliardo, cocciuto. Ha gli occhi arrossati e gonfi a causa del fumo, ma è felice, anche se sta soffocando. Il sogno della sua vita si è avverato: ha visto sparare un vero cannone. La pesante slitta corazzata avanza lentamente tra le case per avvicinarsi alla locanda. Il cannoncino martella senza posa e i proiettili spazzano via il tetto. Tra i resti di ciò che era il primo piano dello stabile si vede l'enorme letto a baldacchino sul quale giace la salma del capitano Vassili Simsov. « Dove diavolo è andato a finire? » Porta aguzza gli occhi per distinguere qualcosa nonostante il denso fumo. Nello stesso istante, un proiettile esplode davanti alla stalla e Porta si sente sollevare dal sedile del puntatore e cadere a terra. Il vecchio contadino, in piedi alle sue spalle, viene scagliato in avanti e cade a terra a sua volta sbattendo la faccia. Fratellino rotola nella direzione del porcile, ora vuoto, dove una trave gli piomba addosso.

430 Con il sangue che gli cola dalla faccia, il patriarca del villaggio si arrampica sul sedile del puntatore. « Avanti! » fa con voce gracidante in russo, premendo l'occhio sull'oculare del congegno di puntamento. Poi fa girare il volantino più vicino che è quello del sito. Con dita maldestre riesce a trovare la sagola della leva di sparo e dà uno strattone come ha visto fare a Fratellino. Il cannone romba e la vampa di volata illumina l'intera stalla. La violenza del colpo fa cadere il vegliardo dal sedile sul pavimento di terra battuta. Ancora frastornato, l'ometto guarda tra le ruote del cannone e prorompe in una risatina soddisfatta. A poco meno di duecento metri di distanza dalla stalla, una pesante slitta corazzata sta bruciando. Dal relitto si alza una colonna di fumo nera come il carbone verso il cielo. « Che mi venga un accidente », esclama Fratellino, sbalordito. « Tu dovevi arruolarti nell'artiglieria anticarro! » « È ora di muoverci. Laggiù stanno demolendo la locanda », fa Porta, emergendo da un mucchio di mattoni. All'interno dell'Angelo Rosso è scoppiato l'inferno. Un proiettile da 50 millimetri esplode in un mare di fiamme nella cucina e scaraventa la stufa attraverso la parete. Jorghi corre in giro urlando e tenta di tamponarsi il petto con il moncherino del braccio. Un piede isolato vola attraverso il locale del bar e va a spiaccicarsi contro la parete all' altra estremità. Sotto il tavolo lungo, Sofia, seduta, contempla inorridita la propria gamba sinistra di cui rimane solo una piccola porzione del ginocchio. Tutt'intorno a lei, una pozzanghera di sangue si sta allargando. Sofia spalanca la

431 bocca e comincia a urlare. « Sacre nom de Dieu! » sibila il Legionario e le getta un tampone di garza. Due slitte corazzate sono così vicine alla locanda che riusciamo a distinguere i numeri e i distintivi di reparto sulle torrette. « NKVD », commenta Heide in tono asciutto. Formo un mazzo di tre bombe a mano e mi preparo a lanciarlo. « Aspetta! » fa il Vecchio, afferrandomi per il braccio. « Non p"uoi lanciarle a quella distanza! » Ma ormai è troppo tardi. Ho già tirato l'anello dell'accensione. Queste bombe a mano, chiamate « schiacciapatate », sono sprovviste di qualsiasi dispositivo di sicurezza. Mi libero con uno strattone e sposto il braccio. Tutto scompare in una vampa rovente, blu. Sento un poderoso colpo alla spalla. Le bombe a mano scivolano sul pavimento. « Milles diables! » urla con voce strozzata il Legionario, sferrando un poderoso calcio alle bombe a mano che schizzano verso la porta. Le bombe esplodono nell'aria e dilaniano completamente il torace dell'Oberschùtze Lung. « Gesù, Gesù! » urla il Gefreite Gùnther. « Gli occhi, i miei occhi! » Poi si alza in piedi con entrambe le mani premute sulle due masse sanguinolente che erano poco prima i suoi occhi. L'uomo si precipita gridando all'aperto e rimane in piedi nella piazzetta, urlando a bocca spalancata. Si sente il gracidare di una mitragliatrice e pallottole traccianti si conficcano nel suo corpo. Gùnther cade riverso come un tronco d'albero, scalciando nella neve. In preda ai singhiozzi tenta di allontanarsi carponi. Poi,

432 simile a una slitta, comincia a scivolare sul pendio e scompare in un avvallamento. Una scheggia lunga e sottile ha attraversato la mia giubba di pelliccia e mi ha ferito alla spalla. C'è molto sangue, ma l'osso è illeso. L'intero villaggio è in fiamme. Un proiettile esplode nel bel mezzo del bar. Il pavimento è trasformato in un mare di sangue. Dappertutto si vedono membra isolate e pezzi insanguinati di carne umana. Un puzzo nauseabondo pervade la locanda che assomiglia a un mattatoio nel quale i macellai siano impazziti. Persino sul soffitto ci sono grandi macchie di sangue e il pavimento è coperto da una massa attaccaticcia di ossa spezzate, sangue e carne dilaniata. Il Feldwebel Karlsdorf è seduto con la schiena appoggiata a una parete e fissa con occhi attoniti il punto dove poco prima c'erano ancora le sue gambe, ridotte ora a qualche troncone d'osso e qualche filamento di carne e muscolo. Il sottufficiale comincia a ridere, dapprima in tono sommesso, come se stesse ridendo di una barzelletta. Poi, la risata si trasforma in un ululato folle, singhiozzante. Un altro proiettile esplode all'interno del locale con una forte detonazione. Quando il fumo grigio-blu si è dissipato, un groviglio sanguinolento indica il posto dov'era seduto Karlsdorf. Il fracasso delle esplosioni mi ha reso completamente sordo. Carponi mi avvicino al Legionario lo aiuto a manovrare la mitragliatrice leggera. Nella stalla in preda al fuoco, Fratel ino giace lungo disteso con le mani congiunte dietro la nuca e fissa assorto il mare di fiamme. Il fatto che l'intera stalla potrebbe crollargli addosso non lo preoccupa, a quanto pa-

433 re. Porta apre e chiude la bocca, come se stesse masticando qualcosa di estremamente disgustoso. « Diavolo », geme con voce rauca. « Chi è il figlio di puttana che si è messo a mangiare merda di gatto con la mia bocca? » « Ho visto come si spara con il cannone », bisbiglia il vecchio contadino. Poi si mette a contemplare la mano mutilata, priva di tutte le dita. « Che razza di merda », mormora Fratellino, alzandosi per aiutare il vegliardo. Prima ancora di raggiungerlo si sente scagliare in alto e poi affondare in un cumulo di neve all'altra estremità della sede del Partito. Porta viene sollevato a sua volta verticalmente, come sparato da un mortaio, e finisce al di là di ciò che rimane della buca delle patate. La stalla crolla. Tutte le granate nascoste nella paglia sono esplose e l'onda d'urto ha travolto qualsiasi cosa che abbia incontrato sul suo cammino. « Che diavolo è stato? » chiede il Vecchio, ansimante, uscendo a fatica da un buco abbastanza profondo nel quale è stato scagliato dall'esplosione. « Porta e Fratellino sono saltati in aria! C'est le bordel! » risponde il Legionario, tergendosi il sangue dalla faccia. Quanto tempo è passato? Un giorno o un anno? Non ne ho la minima idea. La testa mi fa male come se qualcuno me l'avesse spaccata con un'ascia. Ricordo confusamente una colossale esplosione e delle fiamme altissime. Tento di alzarmi, ma un formidabile calcio mi risbatte a terra. Una voce gutturale mi fa rinvenire completamente. Ora ricordo benissimo che cos'è accaduto. Vengono dalla cucina un gruppetto di uomini massic-

434 ci, di piccola statura, con i tratti mongoli e le larghe spalline dell'NKVD. Giro cautamente la testa. Poco distante da me giace Gre-gor, legato come un salame. Sembra morto. Un po' più lontano, il Vecchio e Barcelona sono seduti, legati schiena a schiena. Il Vestfalo pende a testa in giù, appeso a una trave come un prosciutto affumicato. All'intorno riesco a scorgere ciò che rimane della sezione. Tutti sono legati. Mancano Porta, il Legionario e Fratellino. Probabilmente sono già morti. Accanto alla porta sfondata sta un milite dell'NKVD con un Kalascnikov in mano e la sigaretta pendente dalle labbra. A una trave sopra la scala sono appesi i corpi di cinque impiccati. Tre uomini e due donne. I civili sono stati giustiziati senza tante cerimonie, questo è ovvio. Qualcuno è appeso, crocifisso, alla porta della cantina. Non riesco a individuarlo. Comunque non è ancora morto: il corpo a tratti sussulta. Un vigoroso ufficiale di piccola statura mi sferra un potente calcio nel fianco. « Tu essere sabotatore », mi ringhia in un cattivo tedesco. Poi si china su di me, avvicinandosi a tal punto che sento il suo alito: puzza di vodka e maciorka. « Tu parlare russo? » mi chiede. « Niet », rispondo. « Bugiardo! » urla, mettendo in mostra una chiostra di denti bianchi. « Tu parlare russo! Tu avere detto niet! » Poi si rivolge a un sergente per avere la conferma di questa constatazione. Senza attendere la risposta, incalza: « Essere stati voi fatto saltare Nova Petrovsk? » « Niet », rispondo ancora. L'ufficiale sputa e mi colpisce varie volte la faccia con la nagajka.

435 « Tu confessare », tuona, minaccioso. « Noi ti strappare lingua da bocca! Non confessare, lingua non servire! » La nagajka fischia di nuovo nell'aria strappandomi brandelli di pelle dal collo e dalla gola. L'ufficiale chiama con un cenno della mano due militi siberiani ai quali dà in dialetto un ordine che non capisco. I militi ritornano con una pesante cassa del tipo che i meccanici usano per trasportare i loro attrezzi. Con un ghigno, l'ufficiale estrae dalla cassa una pinza a manici lunghi e la apre e chiude minacciosamente davanti alla mia faccia. Con alcuni movimenti esperti, i militi strappano le uniformi di dosso a Barcelona e al Vecchio. L'ufficiale ripete le domande già fatte a me. « Va' a farti fottere », risponde Barcelona, fissando il piccolo ufficiale con occhi pieni di odio. « Noi ti calmare », asserisce con un sorriso malvagio il russo. « Chi comandare sezione? » « Smamma! » ringhia Barcelona in tono sprezzante. « Io schiacciare coglioni tedeschi se tu non rispondere », promette il russo con gli occhi ridotti a due sottili fessure. Un lungo urlo proveniente dalla cantina lo interrompe. Solo un essere umano che soffre orribilmente urla così. « Adesso trovato uno che vuole parlare! » fa con un sorriso l'ufficiale russo. Poi ordina in tono brusco: « Appendeteli! » Un milite mi cinge con una corda sottile il collo e fissa l'altra estremità a una trave del soffitto. Devo stare in punta di piedi per non rimanere strangolato. Poi, l'ufficiale comincia a scudisciare il Vecchio con la nagajka. « Chi essere capo? » chiede dopo ogni scudisciata.

436 Si vede che è specializzato nell'uso della terribile frusta siberiana. Ogni frustata provoca una lacerazione nella pelle. Il corpo del Vecchio è coperto di sangue. Dopo pochissimo tempo, il Vecchio smette di urlare. È in preda a un collasso totale, come se fosse morto. Ho sentito raccontare che bastano tre colpi di nagajka ben assestati per uccidere un uomo, e siccome ho visto la nagajka nelle mani di un militare siberiano dell'NKVD, ci credo. Guardo i russi intorno a me. Hanno l'aspetto stanco e sembrano logorati. Hanno le facce coperte di piaghe dovute al gelo, come noi. Uno di loro dorme in piedi, con la pistola-mitragliatrice che gli pende sul petto. « Voi essere sabotatori », dice con convinzione il piccolo ufficiale, accarezzando con la nagajka il torso nudo di Barcelona. « No, non lo siamo, stronzo! » tuona Barcelona, infuriato, tentando di spezzare la fune che lo tiene legato. « Che cosa fare voi qui? » chiede il russo con un sorriso che non promette nulla di buono. « Cacciare renne? » « Siamo qui per pisciarti addosso! » urla Barcelona con cattiveria. La nagajka fischia, ferendo la faccia di Barcelona. « Io ti fare morire con nagajka », promette il piccolo ufficiale, i cui occhi neri scavati nella piatta faccia mongola sprizzano scintille. « Avere sentito, svinja? »1 « Figlio di puttana », urla Barcelona con voce rauca. L'ufficiale sembra impazzito. I colpi di nagajka piovono su Barcelona. Questi lancia un lungo urlo gorgogliante e perde i sensi. « Che cosa ne facciamo del maiale finlandese? » chiede un sergente, salito dalla cantina. 1

Porco. {N.d.T.)

437 « Lo porteremo a Murmansk e intonacheremo con lui le pareti di una cella », risponde l'ufficiale. La stanza si riempie di militi siberiani dell'NKVD. Questi si gettano a terra e si raggomitolano come tanti cani. Cinque minuti più tardi stanna già russando sonoramente. Una delle sentinelle allunga la corda, alla quale sono appeso, in misura sufficiente per permettermi di sedere. Nonostante l'acuto dolore alle mani e ai piedi, riesco ad addormentarmi. Vengo svegliato da un lieve rumore. La botola nel pavimento, si apre e il corpo muscoloso del Legionario sale strisciando dalla cantina per dirigersi, sempre strisciando come un serpente, verso la sentinella mezza addormentata. In una frazione di secondo, la corda da pianoforte le serra la gola. Due strattoni violenti, e la sentinella è morta. Dalla cucina arriva, strisciando silenziosamente, Porta e attacca il sergente seduto accanto alla finestra. Anche il sottufficiale muore garrottato. Alle spalle dell'orso imbalsamato compare la faccia di Fratellino atteggiata a un ghigno omicida. Avvicinatosi all'ufficiale che dorme, lo afferra come una bambola, lo solleva dal pavimento e preme il capo del russo contro il proprio possente petto. Si sente un rumore simile a quello che fa una scatola di cartone schiacciata. Dalla scala semidemolita scende in punta di piedi Heide. A metà scala inciampa in un tascapane e compie il resto del tragitto ruzzolando per finire con un formidabile fracasso sul pavimento. Fulmineamente, gli altri tre si ritrovano con la schiena addossata alla parete e le pistole-mitragliatrici pronte a

438 sparare. Ma non accade nulla. Uno dei russi, pur addormentato, protesta e chiede un po' di silenzio. Dalla piazzetta viene un rumore di voci. C'è il cambio delle vedette. Nemmeno i russi là fuori hanno fatto caso al fracasso prodotto da Heide. Siamo così lontani dal fronte che nessuno immagina quello che sta accadendo. Il capoposto attraversa la porta sbadigliando, getta il suo mitra sul tavolo, si stiracchia alzando le braccia verso il soffitto e sbadiglia di nuovo rumorosamente, come un cavallo stanco. Ma la bocca rimane aperta. Con un'espressione di sorpresa sul volto vede davanti a sé la bocca della pistola-mitragliatrice di Heide. Heide gli rivolge un sorriso satanico e saluta portandosi un dito all'orlo della bustina. Prima che il capoposto possa chiudere la bocca, la corda da pianoforte del Legionario gli sta già serrando la gola. La lingua esce tra le labbra screpolate dal gelo e la faccia assume una tinta bluastra. Un caporale entra nella stanza e scorge immediatamente il capoposto morto, che giace, rannicchiato su se stesso, sul pavimento; s'irrigidisce e apre la bocca dalla quale peraltro non esce alcun suono. Fratellino lo ammazza con un solo colpo alla gola, sferrato con il taglio della mano. Lo uccide rapidamente e senza chiasso, come se fosse la guardarobiera che accetta il cappello da un cliente in un locale notturno. « Vieni, morte, vieni... » sussurra il Legionario. « Reclute », commenta Heide in tono di scherno. Porta percuote con il palmo della mano il calcio del proprio mitra, producendo un notevole schiocco. « In piedi, reclutacce », grida con voce tonante. Fratellino spara una raffica nella direzione delle travi del soffitto e una delle donne impiccate cade con un

439 tonfo sul pavimento. Frastornati e ancora semiaddormentati, i militi dell'NKVD si alzano in .piedi e guardano sbalorditi i quattro soldati tedeschi schierati lungo la parete che a loro volta li stanno fissando e sghignazzano. Uno dei siberiani tenta di estrarre con mossa maldestra la sua Nagan. Il Legionario lancia il pugnale che si conficca fino all'impugnatura nel petto dell'incauto. « Attenti, tovarisci! » sghignazza Porta. « Badate a stare ben fermi, altrimenti non vi siederete mai più su un pitale! » « Gettate le armi in questa direzione », ordina Heide in tono energico. « Se tentate di fare qualche brutto scherzo, spariamo! » « Ma noi teniamo per voi », fa un sergente con voce tremula. « Adesso ce lo vieni a dire », ribatte Fratellino in tono affabile assestandogli un cazzotto al collo che spedisce il malcapitato attraverso tutta la stanza. « Cacciagli i coglioni in bocca », suggerisce Porta, sghignazzando. « Mi fanno venire una rabbia, questi stronzi piagnucolosi che voltano gabbana non appena c'è puzzo di bruciato! » In un attimo siamo tutti liberi, ma abbiamo appena fatto in tempo ad alzarci in piedi quando si sente il gracidare di una pistola-mitragliatrice e la stanza è pervasa dall'acre puzzo della solenite. Due dei prigionieri si accasciano sul pavimento. « Perché diavolo l'hai fatto? » grida il Vecchio in tono di rimprovero a Heide. « Non sapevano che c'era una tregua d'armi », risponde Heide con sussiego, schiacciando con il tacco ferrato dello stivale la faccia più vicina a lui.

440 « Non startene lì, tutto imbambolato! » tuona Fratellino, rivolto a un sergente russo. « Fa' qualcosa, così posso ammazzarti! » « Toglietevi le uniformi! » ordina il Vecchio. « Potete tenere le maglie e le mutande e le calze. Tutto il resto deve essere bruciato! » Le fiamme si alzano vigorose e un puzzo di tessuto e pelliccia bruciati si diffonde nella stanza. « Moriremo congelati », protesta un milite dell'NKVD, battendo le mani. « Naturalmente », risponde Heide con una risata sarcastica, « ma vi conforti il pensiero che la morte per congelamento è abbastanza piacevole. Se fosse stato per me, sareste già morti tutti, a quest'ora. » « C'incontreremo ancora », promette un caporale, lanciando un'occhiata piena di odio a Porta. « Sei un profeta o qualcosa del genere? » chiede Porta. « Stammi a sentire bene, germanski, io ti vedrò ancora », ringhia il caporale, furioso. « I soldatini di legno sono fortunati », fa con un ghigno Porta, dando un buffetto alla guancia del caporale. « Non possono annegare! » « Cane maledetto », ringhia il caporale, sputando nella direzione di Porta, sopraffatto com'è da rabbia impotente. « Ghiaccio nei baffi, il naso tutto blu, pellicce tutte bianche e così pure i calzini della naia... » canticchia Porta in tono di scherno. « Prendete la vostra roba, ragazzi! » ordina il Vecchio. « Andiamocene alla svelta! » Porta e Fratellino fanno con aria solenne il giro della stanza e stringono la mano a ogni prigioniero, prima di

441 andarsene. « Vi piace la presa per il culo che quei cattivoni dei germanski hanno organizzato questa volta ai danni dei tovarisci? » chiede Porta con aria divertita. « Adesso si siederanno comodamente in un angolo della stanza e si lambiccheranno il cervello per stabilire che cosa dovranno dire ai loro capi quando questi si faranno vivi, un giorno o l'altro, per fare una bella chiacchierata con loro. » « Chiudi il becco, demonio di un tedesco », grida uno dei prigionieri, rabbioso, scagliando un ciocco di legna nella direzione di Porta. « Buon divertimento, ragazzi », esclama con una risatina Fratellino e agita la mano in segno di saluto mentre esce dalla porta. « Avremmo dovuto ammazzarli tutti », osserva risentito Heide. « Se hanno solo un po' di cervello nel cranio, ben presto ci daranno la caccia. Se un qualsiasi eschimese, stupido com'è, è capace di fabbricarsi un paio di sci con quel po' di materiale che trova in giro e vestirsi togliendo la pelle a una foca, un uomo dell'NKVD di Stalin dovrebbe pur essere capace di fare altrettanto! Lasciami tornare indietro a liquidarli tutti! » « Tu resti qui! » risponde il Vecchio con un tono che non ammette replica. « Non siamo assassini! » « Accidenti, che freddo! » si lamenta Porta, battendo le mani per procurarsi un po' di calore. « Tieni presente che siamo nell'Artide », fa Gregor con un debole sorriso. Dappertutto la stessa scena: un freddo cane, il terreno de-serto e non un solo essere vivente in vista. Dopo un po', il morale alto, dovuto al fatto di essere riusciti a sfuggire ai militi dell'NKVD, comincia a calare di tono.

442 Sostiamo in una depressione del terreno. È dubbio che il capitano finlandese possa sopravvivere fino al ritorno a casa. I piedi gli puzzano come carne andata a male. « Cancrena », conferma, conciso, il Vecchio. « Dobbiamo amputargli i piedi », mormora il Legionario. « Vuoi farlo tu? » chiede il Vecchio, dubbioso. « Par Allah, se non ritorniamo alla base entro quarantott'ore, quello morirà », sentenzia con aria cupa il Legionario. « Cacciamogli una pallottola nella nuca », suggerisce Fratellino, sempre propenso alle soluzioni spicce. « L'esercito finlandese non saprà che farsene e per noi è un peso. Che altro potremmo fare con il povero diavolo? » « Piantala, carogna che non sei altro! » ringhia il Vecchio, furioso. I nostri sguardi si appuntano sul capitano. Questi giace su una slitta di legno che trasciniamo a turno. La paura gli si legge in faccia. Molto probabilmente ha sentito il suggerimento cinico di Fratellino. « Dobbiamo riportarlo indietro il più presto possibile, non c'è altro da fare », conclude il Vecchio, deciso.- « È rimasta qualche fialetta di morfina? » « Nemmeno una », risponde il Sanitatsgefreite Brandt. Cominciamo a salire nella luce incerta, ma siamo arrivati appena a metà della salita quando il Vecchio è costretto a ordinare una sosta. Gli uomini della sezione sono completamente esausti. In un istante ci addormentiamo tutti profondamente. Si tratta di quel sonno pericolosissimo che porta direttamente alla morte e che ha già ucciso tanta gente nelle regioni artiche. Dopo oltre dodici ore di sonno, il Vecchio riesce a far-

443 ci alzare in piedi. « Piantala! » geme Porta. « Quanto mi piacerebbe adesso una sauna finlandese e una figa di tipo regolamentare! » « Il mio cazzo sembra un bottone congelato », grida Fratellino. « Ci vorranno almeno venti delle troie più grasse che esistono al mondo per scongelarlo! » « Muoviamoci », ci sollecita Gregor, ansimando, e si mette a saltellare sul posto per scaldarsi un po'. « Se restiamo qui ancora un po', diventeremo tutti dei blocchi di ghiaccio! » Dopo varie ore di sforzi disumani raggiungiamo il ciglio della scogliera. Il Vecchio si sdraia ventre a terra ed esamina il ripido pendio lungo il quale dovremo scendere. Poi abbassa lentamente il binocolo con aria indifferente. Lontano, in fondo, c'è il Mar Bianco in tempesta. Montagne di acqua verdastra e spumeggiante si abbattono tonanti contro la costa frastagliata. « Una volta che saremo sulla costa », fa il Legionario, « non avremo più da fare molta, strada. Al massimo un centinaio di chilometri. » « Roba da niente », replica Porta in tono di scherno, ridendo. « Una passeggiatina per una comitiva di cardiopatici! » « Ridi pure », sospira il Vecchio con l'aria di essere demoralizzato. « Sarà una marcia dura, questo te lo posso assicurare! » « Par Allah, non abbiamo altra scelta. Dobbiamo scendere da questo ciglio », fa il Legionario. « Ho la sensazione che i russi ci stiano seguendo da vicino! » « Allora siamo fregati », constata il Vecchio con voce stanca, accendendo la pipa dal coperchio d'argento.

444 « C'est le bordel, ma io ho già visto soldati ben più stanchi di questa sezione », brontola il Legionario. « Noi siamo ancora capaci di batterci! » Il Vecchio si lascia cadere sulle ginocchia e abbraccia con lo sguardo la sezione. I soldati sono distesi sulla neve. Sembrano perfettamente apatici. « Ascoltatemi! » grida. « Dobbiamo calarci con le funi fin laggiù. Una volta arrivati da basso, non saremo più lontani da casa. Bene, ragazzi, gambe in spalla e diamogli sotto! » Ci arrampichiamo fino alla sommità del ciglio e guardiamo in giù. La prima parte della scogliera non sembra troppo difficile da superare, ma più sotto c'è una parete liscia, quasi verticale, che scende fino al mare. Prima di arrivare in fondo, però, la parete si trasforma in uno strapiombo, per cui dovremo cercare dondolando una presa con i piedi sulla cengia sottostante. « Che Dio ci protegga », sospira Barcelona con l'aria di voler rinunciare all'impresa ancora prima di averla incominciata. « Dobbiamo farcela », dice il Vecchio con aria decisa, estraendo il binocolo dalla tasca del cappotto dove lo aveva messo per impedire alle lenti di coprirsi di ghiaccio. Poi esamina il lato della scogliera che dobbiamo percorrere e infine passa il binocolo al Legionario. « Secondo me c'è un piccolo passaggio artificiale abbastanza in basso. Se non mi sbaglio, potremo passare di lì. » Il Legionario punta il binocolo per un attimo nella direzione indicata. « Tu as raison, ma che razza di fatica ci vorrà per arrivare fino a lì, e basterà un solo sbaglio per finire dritti in mare! »

445 « Anche se avessimo delle ventose sulle mani e sui piedi e una sul cazzo, non potremmo mai superare quella sporgenza », dice Porta, rabbrividendo, e si ritrae per mettersi al sicuro. « Ma guarda che merda! » brontola Fratellino, ritirandosi a sua volta dal ciglio. « Un mucchio di fottuti roccioni, di neve e di ghiaccio e in fondo un'enorme quantità di acqua verde e gelida! Ce n'è più che abbastanza per annegare tutti i fessi soldati di questa guerra mondiale che si sono arruolati come volontari per farsi ammazzare! » « Pronti a scendere! » ordina il Vecchio in tono aspro. « Questa sarà l'arrampicata più difficile della nostra vita! » Gregor prepara le corde. È l'unico di noi che abbia frequentato la scuola di alta montagna. Con un'espressione sussiegosa sulla faccia ci spiega come dobbiamo calarci. Con molte discussioni ci dividiamo le munizioni e studiamo la posizione più opportuna delle armi perché rimangano perfettamente equilibrate. Il Vecchio ha quasi un infarto quando Porta suggerisce di abbandonare i due mortai leggeri e le pesanti casse piene di bombe. « Se dovessimo tornare a casa per Natale », proclama Gregor con aria solenne, mettendosi al riparo dietro un cumulo di neve, « voglio per regalo una lampada al quarzo! » « Te la regalerò io », gli promette Porta. « Conosco un negozio che le vende e so anche come si entra quand'è chiuso! » Gregor è in piedi sul ciglio dell'altura tormentata dalla tempesta, infila la testa nel cappio della corda e se lo

446 assicura sotto le ascelle. È sostenuto dal vento come se questo fosse una parete solida. Le labbra screpolate si distendono in un ghigno pieno di ottimismo. Con le punte dei piedi appoggiate alla scogliera, comincia a scivolare e scende. Arrivato alla parete verticale, si ferma e alza per un momento lo sguardo. Poi sembra scomparire nel baratro, salvo a ricomparire di nuovo più in giù dopo alcuni secondi. È riuscito a trovare un punto d'appoggio per i piedi sulla pericolosa sporgenza dalla quale dovrà raggiungere, dondolandosi in dentro, la parte interna dello strapiombo. « Con un numero come questo potremmo trovare lavoro in un circo equestre », osserva Porta, rabbrividendo. « Le guerre mondiali sono davvero merda », brontola Fratellino. «Uno deve fare ogni specie di lavori balordi! Nessuna meraviglia che ci siano gli obiettori di coscienza nei paesi liberi! » « Tocca a te, Barcelona! » grida il Vecchio. « Non posso ancora andare », protesta Barcelona con una traccia di paura nella voce. « Voglio vedere prima se qualcuno si romperà l'osso del collo! » « Se non scendi adesso, farò in maniera di farti scendere per ultimo! » fa il Vecchio. « Cosi, qui non ci sarà più nessuno per tenere ferma la corda! » Ma prima che Barcelona possa raggiungere il ciglio, Heide si è già mosso e il Legionario lo segue. Adesso, Barcelona non vede l'ora di calarsi. La minaccia del Vecchio, di lasciarlo per ultimo, è sufficiente per fargli venire i brividi. Dobbiamo calare il capitano finlandese. La tempesta lo fa sbattere varie volte violentemente contro la roccia, ma con nostra grande sorpresa è ancora vivo quando ar-

447 riva in fondo. Una delle sue gambe è spaccata dal piede fin sopra il'ginocchio. Le sue probabilità di sopravvivere non sono molte. Adesso tocca a me. « Non te la prendere, non è niente », mi incoraggia il Vecchio che si è accorto dello spavento di cui sono preda. « Cerca sempre appigli con i piedi. Qui sopra siamo in molti per trattenere la corda. Tutto andrà bene se non perderai la testa! » Poi mi aggiusta la posizione della pistola-mitragliatrice che porto aderente al petto, in maniera che l'arma non s'impigli nella corda. « Non posso farlo », protesto, in preda al panico, gettando lo sguardo nell'abisso. « Via », ordina il Vecchio e mi dà uno spintone. Nell'attimo successivo mi trovo già sospeso nell'aria. Molto lontano sotto i miei piedi, il Mar Bianco romba, sconvolto dalla furia artica. Cerco disperatamente con i piedi una presa, ma le punte degli stivali trovano solo neve. Con un tonfo finisco sulla prima cengia. Il tascapane con i caricatori mi comprime dolorosamente le costole. Porta agita la mano e allenta la corda. Rimango spasmodicamente aggrappato alla cengia che è molto stretta. Intorno a me, la tempesta ulula e romba come un mostro furioso che voglia frantumarmi. Tre strattoni alla corda mi avvertono che devo proseguire. Con molta attenzione supero bocconi l'affilato ciglio della cengia. Questa è la parte della discesa che quelli lassù non possono controllare a vista. Scalcio con le punte degli stivali fino a creare nella neve una presa. Poi scendo pochi centimetri alla volta. Varie volte, la terribile tempesta artica minaccia di soffiarmi via dalla cengia e di farmi sbattere contro la pare-

448 te della scogliera. Per un attimo sono tentato di disfarmi dei tascapani con le munizioni, ma poi ci rinuncio sapendo che cosa mi farebbero gli altri se dovessi arrivare da basso senza i caricatori. Finalmente raggiungo la stretta protuberanza. Ormai ci sono solo qualcosa come cento metri fino in fondo. Con molta attenzione mi metto a strisciare sulla neve che è sdrucciolevole come il vetro. Con la gola serrata da uno spasimo di paura mi lascio scivolare oltre il ciglio e calare lentamente. Adesso, almeno, il mare non è più direttamente sotto i miei piedi. Con sollievo sento delle mani che mi afferrano per gli stivali e mi guidano fino al punto dove sono al sicuro. « Bravissimo! » mi dice Heide, dandomi per scherzo un colpetto allo stomaco. Come in un sogno vedo scomparire la corda in alto. Ben presto l'uomo successivo comincia a scendere. Porta e Fratellino arrivano per ultimi. Entrambi si mettono in posizione proprio sul ciglio e fanno i buffoni. Porta stende il braccio. « Dopo di lei, signora! » dice a Fratellino. « Qui andrà a finire che ammazzerò questi due idioti! » grida il Vecchio, esasperato. I due scendono insieme, come una coppia di fratelli siamesi, puntando i piedi contro la parete della scogliera. La corda vibra sopra le loro teste. « Pezzi di cretini che non siete altro! » grida il Vecchio, preoccupatissimo. « Finirete col rompervi l'osso del collo! » « Hai il dovere di metterli a rapporto », sentenzia Heide con aria solenne. « Chiudi il tuo dannato becco », tuona il Vecchio, furioso. « Sarò io a decidere a chi devo fare rapporto e a

449 chi no. Mettitelo in testa, una volta per sempre! » « Qualcosa ti ha preoccupato? » chiede Porta al Vecchio quando questi lo raggiunge. « Ci hai detto di muoverci e noi » ci siamo mossi. Non siamo stati forse due volte più veloci di tutti gli altri? » « Io vi mando sotto processo, tutti e due », grida il Vecchio, incavolato. « Adesso basta! » «Accidenti, come riesci a incazzarti!» esclama Fratellino con tono di ammirazióne nella voce. « Attento che non ti venga un colpo proprio adesso! » « Maledico il giorno in cui ho preso il comando della Se-conda Sezione! Voi due siete i peggiori sacchi di merda che ; esistano nell'intero fottuto esercito tedesco! » esplode il Vecchio. « Se dovessimo andarcene, moriresti di dolore », dice Porta. « Tutto il maledetto mondo può andare all'inferno per quanto mi riguarda, compresa la Seconda Sezione! Vorrei proprio che questa fottuta faccenda fosse finita! » sbotta il Vecchio. Gregor scoppia a ridere e canta a bassa voce: « Ja, wenn's aus sein wird / mit Barras und mit Urlaubschein, / dann packen wir unsere Sacben ein / und fahren endlich heim ».1 Proprio mentre stiamo per raggiungere il piccolo avvallamento scosceso dall'aspetto strano, una salva di fucileria spezza l'aria gelida. L'Unteroffizier Kehr gira su se stesso, fa traballando pochi passi e cade sulla neve. La pallottola lo ha colpito allo stomaco. Una pallottola nello stomaco ti dà la stessa 1

« Sì, quando avremo finito / con tutto 'sto casino e i fogli di licenza / faremo fagotto / e torneremo finalmente a casa. » (N.d.T.)

450 sensazione di un pugno sferrato da un pugile nel plesso solare. « Che diavolo è stato? » chiede il sottufficiale colpito. Con il sangue che gli cola dagli angoli della bocca, si accascia come un uomo mortalmente stanco. La neve fresca, farinosa, sollevata dalla caduta, ricade su di lui coprendolo come un lenzuolo funebre. « Accidenti, quei fottuti di russi mi hanno beccato », mormora e guarda con occhi pieni di sorpresa la propria mano piena di sangue. Si sentono due spari e davanti a me si alzano due fontanelle di neve. Spaventato mi sdraio sulla neve e scarico una raffica di traccianti nella direzione del ciglio dell'avvallamento. Sulla mia sinistra, un fucile automatico abbaia furiosamente. Alle spalle, in una piccola depressione, Heide e Gregor si danno da fare con il mortaio. « Mandagli un paio di 'grattaschiena'! » grida il Vecchio che si è messo al riparo di un grosso cumulo di neve. Gregor si affretta ad aprire la cassetta che contiene le strane bombe da mortaio giapponesi che noi chiamiamo « grattaschiena ». Questi proiettili hanno una carica esplosiva diversa da quella delle altre bombe da mortaio e vengono distribuiti solo ai reparti impegnati in azioni speciali. L'idea di ciò che accadrà nell'avvallamento quando arriveranno i « grattaschiena » ci entusiasma. Plop, plop, fa il mortaio. Seguiamo con gli occhi la parabola delle bombe in volo. « Avanti! » ordina il Vecchio, dando con la mano il segnale di avanzare uno alla volta. Una mitragliatrice si mette a martellare al nostro indirizzo, sollevando spezzoni di ghiaccio. « Distendetevi! » grida il Vecchio, facendoci avanzare

451 su una strana direttrice diagonale e guardandosi continuamente alle spalle. « Distendersi! » ripete. « Perché diavolo non allargate gli intervalli? Muovete quei dannati culi! » « Ma piantala! » urla Porta, furioso. Fratellino si lascia cadere lungo disteso, getta via il mitra e tenta di scavarsi un riparo nella neve con le mani e con i piedi per sfuggire alle pallottole traccianti che ci ronzano tutt'intorno come uno sciame d'api. Porta si ferma accanto a lui e gli dà delle spintarelle con il calcio della sua arma. « Su, muoviti, cesso di Amburgo! Credi forse di poter restare qui tutto il giorno a farti seghe mentre noi dobbiamo sgobbare? » « Io non ho la merda al posto del cervello come voialtri », grida Fratellino con voce isterica, continuando a scavare furiosamente. « Chi ammazza la gente con la mitragliatrice si beccherà una scarica nel culo, come dice la moglie di Lot! » Come al solito, non ha le idee chiare sui passi della Bibbia. Heide arriva correndo, avvolto in una nube di neve e si ferma sbalordito quando scopre Fratellino in fondo alla buca. « Adesso posso dire di averle viste tutte. Codardia in presenza del nemico. Ti costerà la testa! » « Torna nella figa nazista germanica dalla quale sei uscito », impreca Fratellino con una punta di minaccia nella voce. Poi estrae la P-38 e vuota l'intero caricatore contro Heide. Questi, terrorizzato, scappa nella direzione dove ci sono i russi. « Spero che ti facciano saltare i coglioni fascisti che hai », gli grida dietro Fratellino. « Chi ha con sé un Kaspanos? » grida il Vecchio, get-

452 tandosi al coperto per sfuggire al violento fuoco proveniente dall'avvallamento. « Io ne ho due », rispondo, sollevandomi. « Parti, allora », mi ordina il Vecchio in tono brusco. « Mettili sotto il culo di Ivan! » « Mi credi impazzito? » protesto con violenza. « È un ordine! » tuona il Vecchio, puntandomi addosso il mitra. « Muoviti, stronzo d'un vigliacco! » Segue un attimo di silenzio mentre tutti si trovano al coperto. Gli altri mi guardano. Poi, qualcosa accade davanti a noi. I russi vengono all'assalto. « Hurré, hurré! » gridano con voci rauche. Si avvicinano a noi con velocità sorprendente, un po' scivolando e un po' correndo in discesa sul pendio, sparando in continuazione con le armi automatiche. « Kaspanos! » grida il Vecchio, mettendosi a strisciare a ritroso per coprirsi meglio. Io gli getto uno dei Kaspanos. È una di quelle grosse cariche esplosive da cinque chili, capaci di fare a pezzi un carro Stalin. Fratellino prende il Kaspanos dalle mani del Vecchio, strappa con un morso la sicura e lancia la carica che descrive un lungo arco ed esplode con un rombo che sembra la fine del mondo. Il gruppo nemico in testa viene letteralmente polverizzato. Plop, plop, fanno alle nostre spalle i mortai, vomitando le diaboliche bombe. Queste esplodono davanti a noi sollevando zampilli di pietre e neve. Tutt'intorno, l'atmosfera è pervasa da boati, fischi e altri rumori strani. L'aria gelida potenzia enormemente il rumore delle esplosioni.

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453 « Allah-el-Akbar! » urla il Legionario in tono fanatico e si mette in ginocchio. La sua pistola-mitragliatrice vomita raffiche mortali nella neve profonda dove le truppe delPNKVD avanzano frontalmente, dispiegate su una lunga riga. « Avanti! » urla il Vecchio. « Apriamo quel cancello! » Colti da un furore animalesco seguiamo il Vecchio senza curarci della pioggia di traccianti che ci viene incontro. Barcelona cade sulle ginocchia e si comprime la faccia con i guanti di pelliccia. Un torrente di sangue gli cola tra le dita. « Scavati un riparo, verremo a prenderti dopo », gli grida il Vecchio continuando a correre. Barcelona si lascia rotolare in una buca e richiama alla memoria altre ferite alla testa che ha visto in passato. Di solito, le ferite alla testa significano la morte all'istante, per cui si consola con il pensiero che la sua ferita non può essere così grave, visto che è ancora vivo. Heide e Gregor arrancano penosamente nella neve trascinandosi dietro il mortaio. « Attenti alle 'saponette'! » grida Porta e indica i piccoli involti di tritolo che giacciono sparpagliati sulla neve, come se qualcuno li avesse persi per caso. Mettere il piede su uno di quei piccoli involti significherebbe finire nel mare gelido. Fratellino afferra una delle « saponette » e la scaglia contro un russo gigantesco che indossa una bianca pelliccia d'orso. Il russo si divide in due pezzi e la sua testa vola in aria come un pallone da football. Il Gefreite Linde, che sta correndo davanti a me, si alza improvvisamente nell'aria come sparato da un mortaio e subito dopo scoppia un fracasso che sembra la fi-

454 ne del mondo. Veniamo investiti da una pioggia di neve e blocchi di ghiaccio. Si vede che Linde ha fatto saltare almeno dieci « saponette » mettendo il piede su una sola di esse. Si sente un gran fischiare, soffiare e ringhiare di pallottole. Qualcuno sta gridando aiuto e invoca i portaferiti. I nostri portaferiti sono ormai ridotti da un pezzo a blocchi di ghiaccio nella tundra. Il fuoco dei mortai e dei fucili diventa sempre più violento. Il Vecchio è arrivato al limite della disperazione. Sa benissimo che la sezione ha raggiunto il punto in cui non è più in grado di assolvere il suo compito. Si profila il panico. Con un gesto della mano fa avanzare il mortaio che dopo un po' si rimette a sparare. Davanti a noi, dove sono cadute le bombe, la neve sta bruciando. Improvvisamente, i russi cominciano a ripiegare verso l'avvallamento, inseguiti a ruota dal plop, plop dei mortai. . Heide è un autentico genio quando si tratta di maneggiale il mortaio. Ma un nuovo reparto di russi esce correndo dall'avvallamento e, prima che Heide abbia tempo di spostare la mira, gli attaccanti si sono messi al riparo dietro cumuli di neve. « Aiutatemi a sistemare la mitragliatrice pesante! » grida il Legionario che si dà da fare con il treppiede. Gregor riesce ad afferrare il treppiede, ma scivola e sbatte la faccia contro la mitragliatrice. « Sbrigatela da solo con questa merda fottuta », esplode, sferrando un calcio al treppiede. « Il est con comme ma bitte est mignonne », tuona il Le-

455 gionario, scagliandogli contro un pezzo di ghiaccio. « Continuate a battere il ciglio di quel mucchio di neve », ordina il Vecchio. « Non fateli uscire da lì! » Improvvisamente, la distesa di neve è piena di russi. La 42 vomita traccianti contro le figure in tuta mimetica bianca. Sto sparando come un pazzo. Nuvolette di vapore si alzano dalla canna dell'arma e i bossoli roventi affondano sibilando nella neve. Porta arriva correndo e si getta al riparo dietro un roccione. Alle mie spalle, la mitragliatrice pesante spara a tiro continuo. Sembra quasi che gli attaccanti russi corrano illesi attraverso il fuoco concentrato. Punto con cura l'arma contro il soldato che sta in testa. L'uomo porta un berretto di pelliccia grigio, ornato da una grande stella rossa smaltata. La sua testa sembra in bilico sul limite del traguardo di mira quando sparo. Nell'attimo successivo non c'è più. La pistolamitragliatrice gli scappa di mano e descrive un grande arco nell'aria dove rimane sospesa per un attimo. Una pallottola esplosiva scoppia vicino a me e una pioggia di frammenti di pietra e di ghiaccio mi investe la faccia. Il sangue esce da centinaia di piccole ferite. Per fortuna non sono stato colpito agli occhi. In posizione di tiro, appoggiato su un ginocchio, lancio i Kaspanos. Soddisfatto, vedo poi i russi volare in aria e ricadere di schianto sulla neve. Le armi automatiche continuano a martellare. Un tappeto di pallottole traccianti descrive strani disegni sul terreno. « Lo zio Ivan ce la mette tutta per beccarci, ti assicuro », grida Porta con un ghigno sulla bocca, per scavalcare nell'attimo successivo con un salto la barriera di neve. In

456 mano tiene un mazzo di bombe a mano legate insieme. L'Oberschutze Krohn tenta di alzarsi. Un fiotto di sangue gli esce dalla gola. Il Gefreite Batik accorre per aiutarlo, ma viene colpito anche lui e gli si accascia vicino, urlando come un matto. « Tutto il mondo sta andando in merda! » grida il Vestfalo. « Scappiamo prima di finire nella pattumiera! » « Piantala e va' avanti! » grida il Vecchio dalla sua buca. « No, noi restiamo qui », grida Gregor. « Ci stiamo facendo ammazzare senza alcun motivo al mondo. Lasciamoli avanzare per un centinaio di metri, poi li beccheremo! » Una mitragliatrice pesante Maxim è appostata proprio davanti a noi. I russi l'hanno piazzata molto bene e possono spararci addosso senza correre alcun pericolo. Heide tenta di neutralizzare la postazione con il mortaio, ma le sue bombe cadono tutt'intorno al nido della mitragliatrice senza causare danni di rilievo. A questo punto mi metto ad avanzare strisciando e tento di gettare delle bombe a mano nella postazione, ma la distanza è troppa. Quella dannata Maxim ha già ferito in malo modo quattro di noi. Fratellino si alza con un mazzo di bombe a mano nella destra. « Sparate più che potete », grida, sputando sulla neve. « Penserò io a fargli la festa! » Poi si mette a correre a lunghe falcate. « Matto come un, cavallo », commenta Gregor. « Lo faranno fuori prima che arrivi a metà strada. » 1 Per noi tutti è un mistero come un uomo cosi massiccio! riesca a muoversi a quella addirittura incredibile velocità.

457 Con un lungo balzo, Fratellino si mette al riparo dietro un russo caduto. Nell'attimo successivo porta il braccio disteso dietro la schiena e lancia il mazzo di bombe a mano. Una figura impellicciata appare sul ciglio della postazione di neve e una bomba a mano vola nell'aria verso Fratellino. Questi si sposta rotolando di lato con l'agilità di un acrobata. La bomba a mano russa esplode con una forte detonazione davanti alla salma del caduto e la fa a pezzi. Il mazzo di bombe a mano lanciato da Fratellino esplode con un terrificante rombo all'interno del nido della mitragliatrice. « Vive la mort! » urla il Legionario, balzando in piedi con l'MPI in mano. Il resto della sezione lo segue gridando e urlando. I russi scappano in disordine nella direzione dell'avvallamento. « Ammazzateli! » grida Gregor in un impeto di furia omicida, continuando a sparare con la pistola-mitragliatrice. Improvvisamente, tutto è finito. Ci sediamo nella neve e cerchiamo di riprendere fiato. Porta, che ha scoperto nelle tasche di un russo morto una borsa di maciorka, si arrotola una sigaretta. Il Legionario medica Barcelona che ha riportato un lungo e profondo taglio sulla faccia. Il Vecchio riempie la sua pipa dal coperchio d'argento e appoggia la schiena a un cumulo di neve annerito dagli esplosivi. « Per tutti i diavoli! » esclama Fratellino, rompendo il silenzio. « Abbiamo risposto per le rime ai compari, questo lo possiamo dire! » Poi ci alziamo e cominciamo a perlustrare il terreno,

458 esaminando i cadaveri, togliendo dalle tasche dei morti tutto ciò che ci potrà servire. Alcuni, a dire la verità, non sono ancora morti. A questi togliamo le armi e li lasciamo dove si trovano. Penserà il gelo a finirli ben presto. Noi non siamo in grado di aiutarli. Non possiamo fare nulla nemmeno per i nostri feriti. Le maledizioni di questi ci inseguono, ma non tentiamo nemmeno di rispondere. Il Vecchio stringe le labbra e osserva preoccupato l'aurora boreale. « Riprendere le armi! Avanti in fila per uno! Seguitemi! » ordina. Due settimane più tardi, all'alba, stiamo cercando un punto tranquillo del fronte che ci permetta di ritornare nelle nostre linee. Secondo il Vecchio ci troviamo all'estremità settentrionale del fronte di Sala. Un soldato della sussistenza russa ci cade praticamente tra le braccia. Naturalmente è stato Porta a sentire il profumo del caffè molto prima che noi sentissimo i passi del soldato russo. Questi arriva, cantando sottovoce dalla sommità della collina, con un grosso contenitore di caffè sulla schiena. Quando ci vede, rimane paralizzato dalla paura, al punto che siamo costretti a scuoterlo violentemente per farlo tornare in vita. Il soldato si mette a piangere e dice che questa guerra è la cosa più brutta che gli sia mai capitata. « Smettila di piagnucolare, piccolo miserabile », lo conforta Porta. « Se il caffè è buono, non ti faremo del male! » Più tardi ci racconta che è di Tbilisi dove tutti parteggiano per i tedeschi. Poi ci confida che a lui, personalmente, i tedeschi sono sempre piaciuti. Ci mettiamo al coperto tra gli abeti per goderci il suo

459 caffè che è davvero buono. «Pensate, ragazzi! I compagni bevono autentico caffè», fa Porta, mollando un poderoso peto. « Io credevo, invece, che bevessero solo tè con la marmellata! » « Già, uno impara un sacco di cose in queste guerre mondiali », dice Fratellino, soffiando sul caffè per raffreddarlo. « State zitti! » sibila tra i denti il Vecchio. « Fate un casino da farvi sentire fino a Mosca. » Si sente un cupo tonfo proveniente da un punto imprecisato, ma abbastanza distante, tra gli alberi. « Cavolo! » grida Fratellino, gettandosi a terra lungo disteso. Nell'attimo successivo scoppia un baccano infernale nella foresta. Vari alberi arrivano volando nell'aria come altrettanti giavellotti. Il nostro umore subisce un brusco cambiamento. Ogni atteggiamento trascurato è scomparso. I nervi sono tesi allo spasimo. I russi emergono tra gli alberi, sulle circostanti colline, marciando con noncuranza, convinti che nulla di male possa capitare loro in quei paraggi. L'artiglieria russa romba di nuovo. Possiamo udire il fischio prolungato dei proiettili che passano alti sopra le nostre teste, diretti verso le posizioni finlandesi. « Pronti! » bisbiglia il Vecchio, tutto eccitato. « Dobbiamo falciarli con un'unica, lunga raffica! » Punto la mitragliatrice leggera là dove le schiere russe sembrano più fitte. Il Vecchio abbassa il braccio, il segnale di aprire il fuoco. Tutte le armi automatiche sparano un'unica, lunga raffica che riecheggia da lontano tra gli alberi.

460 « L'avvallamento », grida Gregor, furioso. « Pettinate il fondo! Quei demoni sono sdraiati proprio lì e aspettano di essere fatti fuori! » La mitragliatrice pesante si mette a rombare, prendendo d'infilata il fossato in tutta la sua lunghezza. Noi gettiamo bombe a mano nell'avvallamento. Segue un silenzio totale. Il soldato della sussistenza russa è scomparso durante la sparatoria. « Maledizione! » impreca il Vecchio. « Se quello riesce a tornare al suo reparto e dà l'allarme, l'intera 238a Divisione di Fanteria ci piomberà addosso! » « Faremo fuori anche quella! » esclama a voce alta Fratellino. « Fesso! » ringhia il Vecchio. Una scarica di granate cade sul nostro versante del fronte. Alberi volano verso il cielo, simili a gigantesche frecce lanciate da un arco. In qualche punto, la foresta comincia a bruciare. « Andiamocene da qui », dice Heide, a disagio, lanciando occhiate nervose intorno a sé. « Quando quel fottuto soldato della sussistenza darà l'allarme, qui avremo l'inferno! Tentiamo uno sfondamento! È l'unica possibilità che ci rimane. » « Pensa a sfondare per conto tuo, se ci tieni, fottuta scimmia tedesca che non sei altro! » grida Porta rabbiosamente. « Tu sei così cretino da non aver scoperto ancora che i fili collegati con le mine e messi lì per farti inciampare, e le buche da lupo, ci sono dappertutto! » « Buche da lupo? » mormora Heide, impaurito, sollevando con cautela i piedi come se si trovasse già al di sopra di una di queste invenzioni diaboliche. « Già, buche da lupo o trappole per lupi, se preferisci

461 », replica Porta ridendo con sarcasmo, « e se i russi ci prendono, ci getteranno in una di quelle per godersi il corroborante spettacolo di noi che, infilati sui pali appuntiti, ci ammazziamo da soli a furia di contorsioni! » « E a un pallone gonfiato di sottufficiale nazista come te », dice Fratellino con un ghigno sarcastico, « taglieranno prima il cazzo e lo manderanno al museo zoologico di Mosca, in maniera che tutti possano farsi grasse risate alla vista di un minkazzo nazista! » Heide è troppo turbato per rispondere. Un paio di chilometri più avanti, ci imbattiamo in alcuni soldati della polizia militare russa, appostati tra gli abeti. Tutta l'azione si svolge con tale rapidità da farci capire di che cosa si trattava solo quando tutto è finito. Le pistole-mitragliatrici abbaiano e i pugnali lampeggiano nella penombra. Togliamo dal sentiero i soldatipoliziotti morti, in maniera che non vengano ritrovati subito. Il fuoco dell'artiglieria sta diminuendo di intensità su entrambi i versanti del fronte e uno strano silenzio minaccioso cala sulle immense foreste. La renna di Porta è scomparsa. Nonostante le proteste del Vecchio, torniamo sui nostri passi per cercarla. Fratellino la trova tra gli alberi dove l'animale si è trascinato per morire. Ha la gola squarciata in lungo da una pallottola esplosiva. Porta, in preda alla disperazione, si getta a terra accanto all'animale. Questo lo guarda con occhi pieni di affetto e noi tutti siamo sul punto di piangere. Gregor pesca da una delle tasche una fiala di morfina e prepara l'ago. « È l'ultima », dice, « ma perché questa renna dovrebbe soffrire perché noi, uomini impazziti, ci stiamo am-

462 mazzando a vicenda? » Poco dopo, la renna muore. La seppelliamo, in maniera che i lupi non la trovino subito. Improvvisamente, Fratellino sobbalza e si mette ad ascoltare con le orecchie tese. « Cani! » esclama. « I fottuti cani! » « Sei sicuro? » chiede il Vecchio, dubbioso, « Assolutamente sicuro », asserisce Fratellino. « Davvero non li sentite? È un'intera muta, e sono cani grossi, per giunta! » Trascorrono vari minuti prima che anche noi riusciamo a sentire i latrati profondi e continui. « Cani da guerra », bisbiglia Gregor, nervoso. « Ci faranno a pezzi, se ci raggiungeranno! » « Che quei puzzolenti mastini provino solo ad avvicinarsi troppo al sottoscritto », minaccia Fratellino con un ghigno diabolico. « Gli strapperò le code dai culi puzzolenti, così si scorderanno di essere dei cani da guerra! » « Aspetta di vederli », fa Gregor, con una punta di paura nella voce. « Una tigre affamata sembra un fottuto gatto domestico paragonata a quelle bestiacce! » « Che diavolo ci conviene fare? » chiede Barcelona, sistemando meglio le bende che gli fasciano tutta la faccia. « Andiamo verso sud », suggerisce Heide. « Là i russi non ci aspetteranno e nella foresta è più facile nascondersi. » « Non quando ci sono in giro dei cani da guerra siberiani », osserva il Vecchio, controllando il caricatore della sua pistola-mitragliatrice. « Proviamo a parlare in russo », propone Fratellino, « così quei cani comunisti penseranno che siamo dei compagni! Con le uniformi che abbiamo addosso potremmo

463 benissimo essere russi! » « Non puoi ingannare un cane da guerra », ribatte il Vecchio, con convinzione. « Hanno assaggiato tante volte la frusta facendo un errore che ormai di errori non ne fannoi » « Improvvisamente provo una grande nostalgia per casa mia », dice Porta, mettendosi a correre nel bosco verso occidente. « Sì, proprio in quella direzione! » grida il Vecchio con aria truce. « Avanti a tutta birra! Dobbiamo sfondare! Formazione distesa, proteggetevi a vicenda con il fuoco dei mitra e tenete pronti i pugnali! Tenete la punta del pugnale rivolta in, alto quando i cani saltano. In tal modo si sventreranno da soli quando vi zomperanno addosso! » Con molto fracasso ci facciamo strada nel fitto sottobosco, attraversiamo correndo un torrente gelato e sbuchiamo in una radura. Alle nostre spalle sentiamo una voce gutturale che grida e una raffica di mitra solleva la neve intorno a noi, ma gli alberi ci proteggono bene. È difficile colpire un bersaglio mobile in una foresta. Simile a un bulldozer, mi apro un varco nel sottobosco. Un urlo stridulo che si trasforma in un rantolo di agonia risuona alle mie spalle. « Che cos'è stato? » chiedo, impaurito. « Il Feldwebel Pihl », risponde Gregor. « Sembra che abbia perso nello stesso tempo l'elmetto e la capigliatura! » Ci gettiamo al coperto tra gli alberi e ricarichiamo rapidamente le armi automatiche. Poi restiamo sdraiati in silenzio, ventre a terra. I russi ci vengono addosso incoraggiandosi a vicenda

464 con alte grida. Il Vecchio lascia che si avvicinino prima di abbassare il braccio. A breve distanza, la pistola-mitragliatrice è un'arma terribile. Basta stare attenti e non colpire uno dei propri commilitoni. Il violento fuoco delle armi automatiche paralizza per un attimo i russi. Prima che riescano a raccapezzarsi, sono già distesi sulla neve. Infuriati ci precipitiamo addosso a loro, li prendiamo a calci, gli fracassiamo le facce con il calcio delle nostre armi. Il capitano finlandese cade proprio davanti a me. Non ho tempo per stabilire se è morto o solo ferito. Ora siamo così vicini alle nostre linee che nessuno vuol farsi ammazzare per aiutare un camerata ferito. Tre giganteschi cani lupo siberiani escono a balzi dalla foresta. Il primo tenta di investire Barcelona, ma questi fa in tempo a voltarsi e lo finisce con il mitra. Gli altri due hanno l'aria di lavorare in tandem. Si dirigono entrambi verso il Vecchio che inciampa nel ceppo di un albero tagliato, cade a terra e lascia cadere la pistola-mitragliatrice. Terrorizzato stende le braccia per proteggersi dalle bestie inferocite. Gregor ammazza uno dei cani con un colpo di pistola. Non possiamo usare i mitra per non ammazzare anche il Vecchio. Con il mitra, la dispersione dei colpi è terribile. L'ultimo dei cani cade morto sul Vecchio con il pugnale moresco del Legionario infilato nella schiena. Pur morendo, l'animale tenta ancora di azzannare il Vecchio alla gola. « Gesummaria! » geme Porta quando una nuova e nutrita serie di latrati si sente nella foresta e un'altra deci-

465 na di cani lupo assetati di sangue esce all'aperto per avvicinarsi a balzi sul terreno libero. Il Vestfalo cade a terra urlando e scalciando. Due cani gli sono addosso con le fauci grondanti saliva. Dopo pochi istanti, del Vestfalo rimangono solo pochi stracci zuppi di sangue. Una raffica di mitra uccide i due animali quando questi alzano il muso insanguinato dal mucchio di ossa e carne che appartenevano fino a pochi momenti prima a un essere umano vivo. Un grande cane lupo grigio si avventa, simile a un fantasma, su di me. Mi rannicchio istintivamente e il mostro mi passa sopra la testa e finisce nella neve. Heide ne prende uno al volo con il pugnale e gli squarcia il ventre. Gli intestini della bestia cadono a terra. Il cane che mi ha attaccato si sta preparando a spiccare un secondo balzo. Per un momento fisso, come ipnotizzato, i suoi grandi incisivi gialli, messi a nudo con un demoniaco ringhio. Disperato, vuoto l'intero caricatore contro l'animale. La raffica lo scaglia indietro e riduce letteralmente a strisce il suo mantello. Fratellino acciuffa uno dei grandi cani a mezz'aria, gli strappa la testa e la scaglia contro l'attaccante successivo. Poi afferra questo per la coda e lo fa girare vorticosamente al di sopra della propria testa. Tra i due non si riesce a distinguere chi faccia più chiasso. Fatto sta che il cane ritorna volando nella direzione dalla quale è venuto, ma privo di coda. La coda è in una mano di Fratellino. A questo punto restano solo due cani. Questi si fermano nel bel mezzo dell'attacco, voltano le terga a pochi metri da Fratellino e ritornano uggiolando nella foresta,

466 con Fratellino che li segue a ruota, urlando a più non posso. Nell'attimo in cui i cani stanno per infilarsi nella foresta, Fratellino afferra per la collottola quello più vicino a lui e lo solleva come se si trattasse di un cucciolo, non di un micidiale cane lupo siberiano, addestrato a uccidere. Poi ritorna correndo, trascinandosi dietro il cane come se si trattasse di un sacco. « Ammazza quella bestiaccia», strilla Heide, infuriato, alzando il mitra e puntandolo sul cane. « Provati ad ammazzarlo », ringhia Fratellino, « e vedrai se non ti strappo dalle spalle quella tua zucca nazi! Questo cane verrà a casa con me. Gli insegnerò a ripulire il posto di polizia della Davidsstrasse da tutti quei fessi della Kripo! » Poi accarezza il cane che è seduto, ringhioso, con aria indecisa, nella neve e digrigna i denti. « Tu verrai con me ad Amburgo e strapperai il culo al commissario Otto Nass! Panjemao, ciorni trohort? »1 « Non voglio che ti trascini dietro quel demonio di un cane », decide il Vecchio, senza tante storie, puntando la pistola-mitragliatrice sul cane che continua a ringhiare. « Col cazzo! » grida Fratellino, cocciuto, tirandosi vicino il cane. « Frankenstein, questo è il suo nome, appartiene adesso all'esercito della grande Germania! Presterà giuramento non appena saremo tornati! » « Lascialo andare », ordina il Vecchio. « Lascialo tornare a casa! » « Questo cane rimane qui », urla Fratellino, cocciuto. « Cristo, che brutto bastardo », fa Porta. « Sta' attento che non ti stacchi con un morso la faccia! » « Puoi accarezzarlo », dice Fratellino. « Questo cane 1

« Hai capito, diavolo nero? » (N.d.T.)

467 non toccherà nessun mio amico. Ti piace? » « Sì, a guardarlo meglio mi piace. Davvero, mi piace », risponde Porta con voce un po' esitante. « Ma non si può dire che sia un cane da salotto! » « Tu sei matto, matto, matto! » esclama il Vecchio, cedendo. « Dove sta scritto che dobbiamo sempre trascinarci dietro degli animali? Ma questo cane da guerra siberiano è davvero il limite! Hai capito? Questo demonio aspetta solo la buona occasione per divorarci tutti! » Il silenzio viene rotto da una prolungata sparatoria alle nostre spalle. Sono i soldati addetti ai cani che ci hanno raggiunti e ora sono furiosi per aver scoperto gli animali morti nella neve. Non curandosi minimamente del nostro fuoco difensivo, partono di torsa all'assalto. Lanciano alte grida, de-cisi a vendicare i loro cani. Solo pochi sopravvivono all'attacco. Dalla linea tedesco-finlandese cominciano ad alzarsi razzi di tutti i colori. Gli uomini trincerati lì sono ovviamente allarmati a causa del violento fuoco di fucileria sul versante russo. Il Vecchio carica la pistola lanciarazzi. Con un tonfo, il razzo si alza nel cielo dove si apre formando una stella a cinque punte. La stella a cinque punte scende lentamente e si spegne al di sopra della foresta. « Siamo tornati a casa! » mormora il Vecchio, esausto. Con le armi in posizione di sparo e i sensi tesi c'inoltriamo incespicando nel terreno impervio. L'ultimo, breve tratto è spesso il più pericoloso. Poi incespico e cado a capofitto in un camminamento, slogandomi una spalla. Nonostante il dolore, afferro al volo il mitra. È già successo che qualcuno, ignaro, sia finito nella trincea sbagliata. I soldati della nostra sezione fraternizzano con la com-

468 pagnia degli Jager finlandesi che presidiano la trincea. Il comandante, uno snello e giovane primotenente con la Croce di Mannerheim appesa al collo, ci dà il benvenuto e distribuisce sigarette che provengono dalla sua riserva personale. Un sudicio tenente barbuto che sembra cinquantenne, ma probabilmente non ha ancora vent'anni, tira fuori della vodka e della birra. Ci siamo appena seduti quando l'aria è pervasa da fischi e rombi. L'intera posizione trema come se ci fosse un terremoto. « I vendicatori », fa con un sorriso il cavaliere di Mannerheim, passando la bottiglia della vodka al Vecchio. « Quelli non si lasciano mai scappare l'occasione e ci buttano addosso tutto, persino le loro ciabatte, tutte le volte che una banda di partigiani riesce a passare! » Ci addormentiamo prima ancora di raggiungere la nostra sede nelle retrovie. Qualcuno ci viene a dire che la sauna ci sta aspettando, ma non ce ne frega niente. Abbiamo un solo desiderio: che ci lascino dormire. L'indomani è già giorno inoltrato quando finalmente decidiamo di alzarci. Abbiamo dormito così profondamente da non sentire l'incursione aerea che ha ridotto in rovine la metà del villaggio. Porta prepara il pasto costituito da purè di patate con dadini di carne di maiale. Il tutto è condito con burro fuso. Non è burro vero, e la margarina è rancida, ma non ce ne frega niente. Mangiamo con la voracità di chi tenti di riempirsi la pancia in vista di una carestia destinata a durare sette anni. Un rombo proveniente da grande distanza ci dice che i cannoni stanno sparando. « È così che mi piace vivere », dice Porta, stendendosi voluttuosamente. Ha lo stomaco pieno al punto da sem-

469 brare incinto di nove mesi. Lo scoccia un solo fatto: di non riuscire a inghiottire neppure una sola cucchiaiata di sbobba in più. Una volta tanto è pieno. Pieno fino al naso. « Qualcuno vuole il caffè? » chiede Porta, alzandosi in piedi. Proprio quando il caffè è pronto e noi ci abbandoniamo voluttuosamente alla digestione, illuminati dalle candele di Hindenburg, l'Hauptfeldwebel Hofman apre la porta ed entra avvolto da un turbinio di neve. « Accidenti se fa freddo! » esclama, soffiandosi sulle mani per riscaldarsele. « C'è un po' di caffè per me? » Ne beve qualche sorso e si mette a bestemmiare perché si è scottato la lingua. Dopo essersi guardato in giro, beve un altro sorso. Poi estrae dal risvolto della manica un foglio di carta e lo consegna al Vecchio. « Dovete partire tra due ore! Avrete la protezione dell'artiglieria al momento di varcare le linee. » Tutti hanno smesso di parlare. È come se l'angelo della morte avesse attraversato la stanza dal soffitto basso. Non riusciamo a credere alle nostre orecchie. Hofman stringe le palpebre e ci osserva. Poi fa scorrere la fondina della rivoltella sul cinturone fino ad averla sopra la pancia. Il movimento sembra accidentale. « All'inferno! » grida Porta, diventando rosso come un peperone. « Abbiamo diritto a otto giorni di riposo dopo una escursione di sei settimane! » « Non avete alcun diritto », replica Hofman. « L'ordine è venuto dall'alto. L'Oberst Hinka si è lamentato! Non ha smesso di lamentarsi finché non hanno minacciato di mandarlo sotto processo! » « E la sezione? Siamo a corto di uomini! » obietta il Vecchio. « Non posso certo andare a operare a tergo

470 delle linee russe con soli nove uomini! E il mio vice, Barcelona Blom, si trova all'ospedale con la faccia ridotta a polpette! » « Non preoccuparti di tutto questo », dice Hofman in tono asciutto. « Ci pensa l'esercito. I complementi sono già in arrivo. Voi sarete la sezione più mista mai esistita. Ci sono persino dei russi, dei lapponi e dei finlandesi. Gli autocarri arriveranno tra due ore e si fermeranno, per non stancarvi, proprio davanti alla porta. Hals und Beinbruch, in bocca al lupo! » conclude ed esce dalla porta. « Questa è una di quelle cose che ti obbligano a pregare perché una pallottola ti porti via una gamba », grida Porta, tremante di rabbia. « Almeno, senza una gamba potrei essere sicuro che nessuno mi manderà più a spetazzare nella terra-di-nessuno come guerrigliero. » « Perdere una gamba? Sei impazzito? » grida Fratellino. « Come faresti a scappare quando gli stronzi del posto di polizia della Davidsstrasse dovessero correrti dietro con i manganelli e le fottute luci azzurre? Niente da fare, amico mio! Piuttosto un braccio! Quello andrebbe bene! Con un solo braccio a disposizione non puoi usare un'arma automatica! Hai capito? » « Perdere un braccio è peggio », dice Gregor. « Mi dici tu come può lavorare un facchino se gli manca un braccio? » « Prenderà una pensione per il resto della vita », risponde il Vecchio, « se ha perso il braccio (da queste parti! » « Non ti daranno nemmeno una salsiccia se dovessimo perdere questa guerra », riflette Porta, « anche se dovessi sbarazzarti di entrambe le braccia. » Così cominciamo a mettere insieme la nostra roba.

471 Abbiamo appena finito quando i camion arrivano davanti alla porta. Sta nevicando così fitto che non si vede praticamente nulla, ma questo è un vantaggio per noi quando dobbiamo attraversare le linee. Quello dell'osservatore è un lavoro difficile in notti come questa. Fratellino ha storie con il suo cane da guerra. La bestia non vuole andare via. Ringhia e digrigna i denti. Dobbiamo caricarla di peso sul camion. « Capisco benissimo perché protesta », dice Porta accarezzandolo. « Una volta uscito dall'Unione Sovietica, chi potrebbe avere il desiderio di ritornarci? » Il capomeccanico Wolf, appoggiato a un albero, ci osserva Sghignazzando. « La scorsa notte ho sognato di averti visto tagliato in due da una granata », grida rivolto a Porta mentre gli autocarri si stanno avviando. Lo sentiamo ridere per un pezzo dopo che la sua figura è già scomparsa dalla vista. Gli autocarri imboccano la rotabile per Sala. Conosciamo la destinazione. Il fronte artico! Ci addormentiamo prima di raggiungere il fronte e cadiamo gli uni addosso agli altri quando l'autista frena. Alcuni soldati del battaglione finlandese Sissi si occupano di noi da quel momento in poi e ci osservano in silenzio mentre scavalchiamo il parapetto della trincea e ci infiliamo sotto il reticolato. Una mitragliatrice si mette ad abbaiare a una certa distanza. Un razzo si alza nel cielo e ricade lentamente a terra. Noi aspettiamo, immobili, finché il razzo non si è spento!

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SOMMARIO

4 30 79 126 181 220 271 309 349

Il ponte Il gruppo di combattimento Corte marziale L'esecuzione La fuga Il tedesco fasullo Nova Petrovsk L'Angelo Rosso I cani da guerra