Contabilità per l'amministrazione economica dello Stato dal secolo XIX. Criticità e riflessioni 8834837967, 9788834837962

367 88 15MB

Italian Pages 208 [206] Year 2012

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Contabilità per l'amministrazione economica dello Stato dal secolo XIX. Criticità e riflessioni
 8834837967, 9788834837962

Table of contents :
Cover
Quartino
Indice
Introduzione
Capitolo 1 - La contabilità pubblica nella ricerca economico-aziendale - Luca Anselmi
Capitolo 2 - Le caratteristiche distintive dei sistemi contabili pubblici - Simone Lazzini
Capitolo 3 - Contabilità pubblica, amministrazione e cambiamenti istituzionali - Vincenzo Zarone
Capitolo 4 - La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario - sabina Ponzo
Capitolo 5 L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato - di Simone Lazzini e Sabina Ponzo
Capitolo 6 - La Ragioneria generale dello Stato nel processo di costruzione dello Stato unitario: l’Unità d’Italia mediante l’unità dei sistemi contabili e di bilancio - Sabina Ponzo
Capitolo 7 - Il processo di unificazione nazionale e l’istituzione della Corte dei Conti - Vincenzo Zarone
Capitolo 8 - L’attività della Corte dei Conti nel Regno d’Italia - Simone Lazzarini
Capitolo 9 - Riforme istituzionali e prassi contabili nei primi decenni del secolo XIX: i bugetti “napoletani” - Vincenzo Zarone
Capitolo 10 - Lo sviluppo dei documenti preventivi autorizzatori nel Distretto di Sarzana del Regno di Italia (1805-1814) - Simone Lazzarini
Capitolo 11 - La ragioneria pubblica nella prima metà del Novecento: la “scienza” economicoaziendale torna “arte” giuridica? - Luca Anselmi, Simone Lazzarini, Sabina Ponzo
Capitolo 12 - Brevi riflessioni conclusive: le contabilità pubbliche regrediscono ad “arte”? - Luca Anselmi
Bibliografia
Ultimato di stampare

Citation preview

Contabilità per l’amministrazione economica dello Stato dal secolo XIX Criticità e riflessioni

Luca Anselmi - Simone Lazzini Sabina Ponzo - Vincenzo Zarone

Contabilità per l’amministrazione economica dello Stato dal secolo XIX Criticità e riflessioni

G. Giappichelli Editore – Torino

© Copyright 2012 - G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100

http://www.giappichelli.it

ISBN/EAN 978-88-348-3796-2

Composizione: Voxel Informatica s.a.s. - Chieri (TO)

Stampa: Stampatre s.r.l. - Torino

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.

Indice pag. Introduzione

IX

Capitolo 1

La contabilità pubblica nella ricerca economico-aziendale

1

di Luca Anselmi

1. Il rapporto tra teorie ed esperienze contabili in Italia 2. Le contabilità pubbliche: tendenze

1 5

Capitolo 2

Le caratteristiche distintive dei sistemi contabili pubblici

11

di Simone Lazzini

1. Gli approcci di analisi dei sistemi informativo-contabili 2. Metodi, sistemi e finalismo della contabilità pubblica

11 13

Capitolo 3

Contabilità pubblica, amministrazione e cambiamenti istituzionali

21

di Vincenzo Zarone

1. Spunti di riflessione e prospettive di analisi

21

Capitolo 4

La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario

31

di Sabina Ponzo

1. L’ordinamento contabile del Regno di Sardegna: alle origini della contabilità del Regno d’Italia

31

VI

Indice

pag. 2. L’ordinamento contabile del Regno Lombardo-Veneto: Francesco Villa e il metodo camerale 3. L’ordinamento contabile degli altri Stati pre-unitari

39 55

Capitolo 5

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

59

di Simone Lazzini e Sabina Ponzo

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

Introduzione L’impianto giuridico-istituzionale post-unificazione Le caratteristiche della Logismografia La diffusione presso le Intendenze di finanza L’impianto giuridico-istituzionale nel primo Novecento L’informativa contabile nell’impostazione patrimoniale La Contabilità di Stato secondo il sistema patrimoniale Il dibattito scientifico intorno al metodo di tenuta della contabilità di Stato Riflessioni conclusive

59 60 63 64 74 75 81 85 87

Capitolo 6

La Ragioneria generale dello Stato nel processo di costruzione dello Stato unitario: l’Unità d’Italia mediante l’unità dei sistemi contabili e di bilancio

93

di Sabina Ponzo

1. Dai bilanci degli Stati pre-unitari ai primi bilanci del Regno d’Italia 2. Il riordino della contabilità generale dello Stato 3. I rendiconti del Regno d’Italia nel XIX secolo

93 98 103

Capitolo 7

Il processo di unificazione nazionale e l’istituzione della Corte dei Conti

109

di Vincenzo Zarone

1. Il controllo della “pubblica contabilità”: un quadro di riferimento del periodo preunitario 2. Il ruolo istituzionale della Corte dei Conti del Regno d’Italia 3. L’attività di vigilanza sulle entrate: alcune evidenze

109 114 115

Indice

VII pag.

Capitolo 8

L’attività della Corte dei Conti del Regno d’Italia

123

di Simone Lazzini

1. Competenze, funzioni ed elementi procedurali 2. L’attività di riscontro: il foglio di rilievo

123 126

Capitolo 9

Riforme istituzionali e prassi contabili nei primi decenni del secolo XIX: i bugetti “napoletani”

131

di Vincenzo Zarone

1. Le riforme napoleoniche e l’impronta borbonica nel Mezzogiorno d’Italia: evoluzione degli assetti istituzionali e nuove necessità informative, tra spinte al cambiamento ed esigenza di continuità 2. La contabilità dei Comuni del Regno di Napoli nella prima metà del secolo XIX: documenti, pareri e “norme inalterabili per l’amministrazione delle rendite e delle spese” 3. I prospetti per “regolare l’amministrazione”: struttura e contenuto dei bugetti

131 135 139

Capitolo 10

Lo sviluppo dei documenti preventivi autorizzatori nel Distretto di Sarzana del Regno di Italia (1805-1814)

149

di Simone Lazzini

1. Il contesto politico-amministrativo del Dipartimento degli Appennini 2. L’assetto contabile del distretto di Sarzana

149 152

Capitolo 11

La ragioneria pubblica nella prima metà del Novecento: la “scienza” economico-aziendale torna “arte” giuridica?

163

di Luca Anselmi, Simone Lazzini e Sabina Ponzo

1. Ancora della ragioneria pubblica nella prima metà del Novecento 2. Esigenze conoscitive e sistemi contabili 3. Teorie e prassi contabili della prima metà del XX secolo a confronto

163 167 171

VIII

Indice

pag. Capitolo 12

Brevi riflessioni conclusive: le contabilità pubbliche regrediscono ad “arte”?

181

di Luca Anselmi

Bibliografia

183

Introduzione Da alcuni anni stiamo indagando (PRIN 2004 e 2006, SSPA 2004 e 2008, CNEL 2008) i sistemi contabili pubblici al fine di considerare le teorie maturate in dottrina, così come le esperienze del passato, come ancora i problemi che nel presente sono rimasti aperti Nel lavoro di ricerca «Modelli economico-patrimoniali per il Bilancio e la Contabilità di Stato», inserito all’interno del più vasto programma «Analisi economicoaziendale delle prospettive di cambiamento dei sistemi di Contabilità e di Bilancio dello Stato in Italia», si sono individuate le logiche e le metodologie meglio dirette a guidare l’impianto tecnico-contabile nazionale ed in particolare la formulazione del bilancio dello Stato, tenendo di conto i principi e le metodologie seguite, ieri e oggi, in altri Paesi. Avevamo proceduto all’analisi teorico-dottrinale intorno al dibattito sulla definizione e sul perfezionamento dei sistemi contabili dello Stato e, congiuntamente, ci si era soffermati sulle più significative esperienze contabili che hanno accompagnato il dibattito scientifico nel corso di un arco temporale molto ampio, da epoche che precedono l’Unità d’Italia, agli anni a noi contemporanei. Carattere comune di tutte le epoche considerate è stato il tentativo di modellare il sistema contabile pubblico in modo da rispondere alle diverse esigenze emerse dal mutare del contesto storico e socio-economico, delle esigenze gestionali e dell’approccio con cui le autorità politiche ed amministrative hanno affrontato il problema, in virtù del fatto che ogni buon sistema è basato su scelte adeguate ai fini che gli vengono assegnati. Con questa affermazione, tuttavia, non si vuole disconoscere l’unitarietà di una sistematica amministrativa e contabile per i soggetti, tanto pubblici, quanto privati, sebbene in presenza di specificità tecniche o metodologiche. In epoche a noi molto vicine, infatti, ha prevalso un approccio tale per cui il soggetto pubblico doveva rispondere ad esigenze istituzionali, sociali, di welfare, anche assistenziali, (in tutta Europa si parla per l’appunto di Stato sociale e del benessere), in virtù delle quali la sfera privata, la cui valenza era prettamente di stampo economico-aziendale, era da considerarsi subordinata e, in un certo senso, quasi strumentale a quella pubblica. Lo studio delle posizioni dottrinali e delle esperienze contabili dei secoli scorsi testimonia come in passato l’unicità dei grandi criteri contabili e del controllo abbia avuto non solo un riconoscimento scientifico da parte dei grandi Maestri delle nostre discipline, ma soprattutto una serie di effetti positivi che meritano di essere attentamente osservati ed analizzati.

X

Introduzione

L’indagine è stata condotta, impostata e realizzata allo scopo di rappresentare, in un primo momento, il panorama dottrinale e scientifico che ha condotto alle attuali tendenze informativo-contabili e tracciare poi le possibili linee comuni, implementabili a livello statale. Gli obiettivi perseguiti sono stati la ricostruzione dell’evoluzione dottrinale in tema di contabilità pubblica e di bilancio; la verifica del riproporsi dei temi trattati dalla dottrina economico aziendale dalla fine del XIX secolo sino alla riforma De Stefani; l’analisi dell’attuale dibattito sul processo di cambiamento in atto nella contabilità di Stato. I primi quattro capitoli del presente lavoro si concentrano sull’approfondimento e sullo sviluppo teorico-dottrinale. Oggetto di questa prima fase è stata l’approfondita analisi del panorama teorico-dottrinale in materia di contabilità di Stato, con particolare attenzione alle impostazioni e agli approcci politico-amministrativi che hanno influito sulle strutture informative e sui processi formativi del bilancio dello Stato italiano. Si è cercato, nel corso dell’indagine, di interpretare le reciproche interessenze tra i mutamenti economici, politici e sociali e le modalità di concepimento del bilancio e dalla contabilità pubblica, aventi ad oggetto, l’analisi di alcune esperienze di rilevazione contabile nelle realtà pre-unitarie, allo scopo di fornire gli elementi utili per l’interpretazione dei modelli normativi ed empirici di contabilità e bilancio dello Stato che sono seguiti; la configurazione che l’ordinamento finanziario e contabile dello Stato centrale aveva assunto nel Regno di Sardegna, nel quale risiedono le origini dell’ordinamento italiano; la posizione scientifica di Francesco Villa, che percepì l’esigenza di un bilancio inteso come strumento di carattere politico-allocativo, capace di orientare l’amministrazione e di assumere valenza informativa. Il Capitolo V focalizza l’attenzione sulle impostazioni di due grandi Studiosi che condussero i propri studi tra il finire del XIX secolo e l’inizio del XX secolo: Giuseppe Cerboni e Fabio Besta, il contributo di ciascuno dei quali ha costituito oggetto di una specifica analisi. Giuseppe Cerboni, il quale, in qualità di Ragioniere generale dello Stato, propose ed ottenne che il suo «metodo logismografico» venisse applicato alla contabilità di Stato e al bilancio di previsione: ciò allo scopo di realizzare un sistema di rilevazione che Egli definiva in partita doppia, destinato ad osservare in maniera sistemica i fatti di gestione, dalla duplice prospettiva, finanziaria e patrimoniale. Si è poi evidenziato il contributo di Fabio Besta alla contabilità di Stato, allo scopo di mettere in luce sinteticamente sia gli aspetti più prettamente scientificodottrinali dei suoi studi, sia per enfatizzare le impostazioni specificamente tecnicocontabili di matrice patrimonialistica. Il Capitolo VI ha ad oggetto l’analisi dei tratti salienti delle principali riforme dell’ordinamento finanziario e contabile nella costituzione dello Stato unitario. I Capitoli VII ed VIII hanno ad oggetto di studio l’evoluzione del ruolo della Corte dei Conti come massimo organo di controllo economico e finanziario. I Capitoli IX e X vertono sull’aspetto programmatorio della spesa, le cui prime esperienze vengono vissute a cavallo dell’epoca napoleonica, sia in Liguria che nel

Introduzione

XI

Regno di Napoli, a dimostrazione della tradizionale attenzione riservata, accanto alla contabilità generale, agli strumenti di programmazione della spesa sui quali poter esercitare il controllo. Il Capitolo XI è incentrato sul passaggio dalla logica economico-patrimoniale a quella finanziaria così come prevista dalla Riforma De Stefani. Sono state studiate, in particolare, le logiche e le peculiarità che hanno guidato la riforma degli anni Venti; la configurazione del bilancio di previsione dello Stato quale documento – essenzialmente giuridico-autorizzatorio e vincolistico di tutto l’apparato amministrativo pubblico; la possibilità di effettuare un controllo burocratico-amministrativo delle procedure di spesa estremamente stringente, tale da comprimere la residua discrezionalità delle amministrazioni. Hanno costituito oggetto di indagine le posizioni di contrasto e di critica di due dei maggiori studiosi di economia aziendale dell’epoca, Gino Zappa ed Aldo Amaduzzi, in merito all’abbandono della logica economico-patrimonialistica, a favore di una metodica esclusivamente finanziaria; all’inadeguatezza del sistema a rappresentare in maniera sistematica la dimensione economico-patrimoniale delle dinamiche gestionali; all’inefficacia di un impianto contabile e di bilancio diretto esclusivamente alla realizzazione del controllo di legittimità degli atti posti in essere dall’amministrazione, senza la dignità di strumento di governo della gestione. Si sono considerati i principi ispiratori delle successive «riforme» che hanno animato il panorama normativo in materia di Contabilità di Stato, delle volontà perseguite e degli effetti che esse hanno prodotto, in epoche più vicine, sull’ordinamento finanziario e contabile pubblico. Il modello normativo di riordino della contabilità di Stato ha apportato modifiche sostanziali, non solo al processo di formazione e destinazione del bilancio e della contabilità pubblica, ma ha introdotto anche una marcata centralizzazione del potere di controllo burocratico dello Stato. Nonostante che si sia posto una maggiore attenzione alle finalità programmatorie del bilancio, la produzione normativa che ne è scaturita dimostra solo un recepimento molto parziale, e spesso contraddittorio, dei principi espressi dagli studi economico aziendali. Luca Anselmi, Simone Lazzini, Sabina Ponzo, Vincenzo Zarone

XII

Introduzione

Capitolo 1

La contabilità pubblica nella ricerca economico-aziendale di Luca Anselmi

1. Il rapporto tra teorie ed esperienze contabili in Italia I primi segnali dell’applicazione di criteri contabili unitari in realtà sia private, sia pubbliche, sono rinvenibili tra il XII ed il XIII secolo, in età comunale. In quell’epoca, infatti, le strutture politico-statuali erano sostanzialmente guidate dalla classe mercantile, la quale si avvaleva, per la conduzione delle proprie attività economiche private, di sistemi di gestione, di rilevazioni generali e di controllo utili a governare la crescente complessità della gestione stessa. Data la situazione particolare che si era venuta a creare con la sovrapposizione delle cariche, è facile comprendere come i mercanti/amministratori fossero interessati, anche ai fini dell’amministrazione alle unità pubbliche di cui erano responsabili, all’ottenimento di informazioni della medesima natura di quelle richieste per lo svolgimento delle loro attività private e scegliessero, pertanto, di avvalersi dei medesimi strumenti, che meglio degli altri avevano dato prova di rispondere alle loro esigenze conoscitive e che erano stati progressivamente perfezionati e raffinati nelle Scuole d’Abaco. È significativo, a questo proposito, il caso del Comune di Genova. Negli Archivi di Stato del Comune, infatti, sono tuttora conservati due mastri o cartulari in pergamena, risalenti al 1340 (ma probabilmente, secondo il Melis, l’applicazione del metodo risale già al 1327), in cui le registrazioni venivano effettuate con il metodo della partita doppia, secondo gli usi delle banche cittadine. I mastri, uno dei Massari, l’altro dei Maestri razionali del Comune di Genova, furono studiati dal Desimoni (che fu direttore degli Archivi di Stato) e dal Besta, i quali furono concordi nell’affermare che in essi il sistema della partita doppia appariva «non bambino ma adulto». I conti erano a sezioni divise, collocate nelle due metà longitudinali della pagina, con valori espressi in lire. Ogni scrittura aveva una contropartita in altri conti, a cui si faceva riferimento richiamando il numero della carta in cui si trovavano. L’applicazione del metodo potrebbe tuttavia essere retrodatata al 1327, anno in cui fu approvata la Leges Genuenses, che obbligava il Comune a tenere le proprie scritture ad modum banchi, ossia lo stesso metodo utilizzato nei mastri del

2

Luca Anselmi

1340; in altre parole, la partita doppia. Questo metodo venne scomparendo dai liberi Comuni volta volta che cedevano le libertà e le autonomie nei confronti di Signorie e Principati che si caratterizzavano per accentramento della autorità. Si espansero invece in altre nazioni (Gran Bretagna, Francia, Belgio) quando esse si dotarono di istituzioni nelle quali il Parlamento assumeva il controllo della gestione che pure restava al governo. Ed anche in Italia, e precisamente nello Stato di Sardegna, il formarsi dei primi governi liberali con Cavour portò a nuove norme che introdussero la partita doppia ed il controllo parlamentare. A livello scientifico-dottrinale, fu Francesco Villa, prima della metà del XIX secolo, ad estendere a tutta l’amministrazione economica e non solo alla contabilità – teorica ed applicata – l’esigenza di un approccio unitario sia per i soggetti pubblici, sia per quelli privati. Giuseppe Cerboni, dopo il 1876, concepì l’amministrazione economica come un unitario procedere di funzioni – tra le quali in particolare riguardo erano tenute quelle relative ai vari compiti della contabilità e del controllo – e, nella veste di Ragioniere generale del neo-costituito Regno d’Italia, elaborò e fece normare ed applicare i principi, le tecniche, le metodologie della logismografia, frutto delle sue teorie contabili ed amministrative, per cui traevano vicendevoli opportunità per essenziali convergenze. Il Cerboni, nel 1876, nominato Ragioniere generale dello Stato, subordinò l’accettazione dell’incarico alla possibilità di applicare alle scritture dello Stato il metodo della Logismografia. Secondo il suo ideatore, il metodo in questione non contravveniva alle indicazioni legislative che imponevano il sistema di rilevazione partiduplistico ma ne costituiva semmai una diversa forma di applicazione rispetto al metodo tradizionale. L’esperimento della logismografia non ebbe successo, soprattutto perché non fu accettato proprio dall’Amministrazione, tanto che di esso non rimase più traccia nella contabilità pubblica dopo la cessazione dell’incarico di Cerboni. Successivamente, le scritture pubbliche ripresero ad essere tenute in partita doppia, sulla base delle nuove indicazioni del Besta, il quale studiò un apposito piano dei conti nei quali le registrazioni venivano effettuate con metodo patrimoniale. Fabio Besta, a cavallo tra l’ultimo ventennio dell’Ottocento ed il primo trentennio del Novecento, condusse a piena maturità scientifica la ragioneria come «scienza del controllo economico» nella piena convinzione che non vi possa essere settore dell’amministrazione, privata o pubblica, grande o piccola, economica nel fine o solo nel mezzo, che non abbisogni dei principi, delle tecniche, delle metodologie dell’unitaria disciplina del controllo (la ragioneria), della quale dettò le linee e le loro applicazioni, redigendo apposite regole di contabilità di Stato sulla base dell’unitario sistema patrimoniale, valido per ogni tipologia di azienda o amministrazione. A partire dal periodo caratterizzato dalla prima guerra mondiale, tuttavia, il metodo in questione venne progressivamente disatteso, fino al suo sostanziale abbandono ed alla scomparsa nel 1924 dell’indicazione normativa del metodo della partita doppia, in conseguenza della riforma De Stefani, che peraltro non dava indicazioni alternative e rimetteva la scelta del metodo contabile al Ragioniere generale

La contabilità pubblica nella ricerca economico-aziendale

3

che avrebbe adottato quello che avesse ritenuto più idoneo a rappresentare i fatti amministrativi dello Stato. Nella pratica, le singole rilevazioni vennero effettuate con scritture elementari che si concentravano sugli aspetti finanziari, pur in presenza di prospetti riassuntivi «economici». Sul piano scientifico-dottrinale, anche Gino Zappa espresse il proprio giudizio di critica in merito all’idoneità dei bilanci di previsione, redatti secondo i principi ed i criteri dettati dalla riforma De Stefani degli Anni Venti, a costituire uno strumento di guida per la gestione unitaria delle aziende pubbliche. Essi erano strutturati in modo tale da rappresentare strumenti di gestione finanziaria e di costruzione del vincolo nei rapporti fra organi politici ed amministrativi ma non contribuivano alla razionalizzazione dei processi decisionali, per il miglior conseguimento delle finalità istituzionali. Aldo Amaduzzi si soffermò maggiormente sullo studio delle «aziende di erogazione», attestandosi anch’egli su posizioni di critica nei confronti del sistema contabile e di bilancio dello Stato. Giudicò inadeguato il sistema di rilevazioni amministrative ai fini della rappresentazione della dimensione economica della gestione ed a tal fine propose il ricorso ad un sistema di scritture che considerasse al tempo stesso gli aspetti finanziari, economici e patrimoniali della dinamica della gestione delle amministrazioni considerate e che fosse al tempo stesso integrale e differenziale. Sul piano tecnico, ritenne un simile obiettivo fosse realizzabile attraverso l’implementazione di un sistema di scritture doppie, costruito secondo i criteri e le regole tipici di quello adottato dalle aziende di produzione, integrato da un sistema di scritture semplici (all’occorrenza affiancato da rilevazioni di tipo statistico) per la rappresentazione degli aspetti più propriamente finanziari. I ricordi prima evidenziati sui sistemi amministrativi e contabili dei secoli passati dimostrano che la partita doppia ed in genere la contabilità economicopatrimoniale non rappresentano una «copiatura» pubblica degli strumenti ritenuti propri dei privati: l’osservazione attenta va a confermare, invece, una più solida tesi secondo la quale, indipendentemente dal soggetto giuridico, il problema è se l’attività economica viene condotta o meno secondo la formula, i principi, i criteri aziendali; se viene condotta in forma aziendale, i principi che la regolano, ai quali fanno riferimento le tecniche e le metodologie sono sostanzialmente unitari e tali si manifestano sempre più. La questione della definizione dei modelli di contabilità e di bilancio dello Stato, sebbene risalente ad epoche a noi molto lontane, è ben lungi dal potersi considerare risolta, né probabilmente lo potrà essere mai. L’accresciuta complessità del sistema ha reso anzi ancor più urgente l’elaborazione di proposte serie e concretamente realizzabili a tale riguardo, che tengano conto dell’esigenza di analizzare, interpretare e comprendere i fatti e gli accadimenti della gestione, affinché le strumentazioni tecnico-contabili contribuiscano significativamente alla raccolta delle conoscenze veramente utili a favorire il governo economico e responsabile dell’azione amministrativa. Le esigenze oggi sul tappeto, in particolare, come abbiamo già avuto modo di notare, non sono sempre frutto di nuove considerazioni. L’indagine storica che è

4

Luca Anselmi

stata condotta, anzi, dimostra che spesso si tratta di questioni dibattute in epoche fra loro molto diverse e lontane, in ciascuna delle quali sono stati però affrontati temi che ancora oggi conservano un’attualità sorprendente. Improntare i sistemi di contabilità dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni secondo regole finanziarie, storicamente, non è stata l’unica alternativa offerta per la risoluzione del problema. Il processo di definizione dell’ordinamento contabile dello Stato, infatti, si è evoluto attraversando molteplici tappe successive. Gli sforzi che finora sono stati compiuti (l’esecuzione di politiche di decentramento amministrativo, l’applicazione del principio di sussidiarietà, la realizzazione dei processi di aziendalizzazione e di privatizzazione, …), tuttavia, non sono stati sufficienti ad apportare un reale cambiamento nel sistema decisionale delle amministrazioni pubbliche, a causa della diversa velocità con cui si sono mosse (e continuano a muoversi ancor oggi) la domanda di rinnovamento ed il processo di esecuzione delle riforme. Il trascorrere ormai di molti anni porta ad accumulare un effetto di tutto rilievo: i cittadini e le imprese sono i primi destinatari di questa attesa che riguarda (sia in chiave contabile che gestionale) le condizioni di fruizione dei servizi pubblici. Da questa visione istituzionalistica dello Stato è discesa l’opinione secondo cui l’attività amministrativa, gestionale, organizzativa e contabile di un soggetto appartenente al settore pubblico presentasse dei caratteri tali da differenziarla nell’essenza, ancor più che distinguerla semplicemente, dalle realtà operanti nel resto del mondo aziendale. Un simile approccio, a nostro avviso, è da respingersi, così come quello che sostiene la superiorità dei valori, delle regole e delle tecniche dell’economia privata, rispetto a quella pubblica. Pubblico e privato andrebbero semplicemente considerati come due aspetti dell’operare umano, necessariamente sistemici tra loro. Entrambi possono avvalersi dello strumento aziendale che, in quanto tale, vincola al rispetto dei medesimi criteri, delle stesse regole e degli stessi valori, sia nell’ipotesi di utilizzo pubblico, sia di utilizzo privato, naturalmente se i soggetti volitivi e, per quel che ci interessa qui, lo Stato e gli altri enti pubblici riconoscano alle unità di cui si tratta quel sufficiente grado di autonomia che, per l’appunto, permette di esistere come azienda. Si tratta, dunque, di conciliare le finalità pubbliche, che risultano garantite dal rispetto dell’indicazione strategica, proveniente dagli organi politico-istituzionali, e dall’esistenza di strumenti appositamente posti in essere, con gli opportuni spazi di autonomia sia contabile che organizzativa e gestionale. La questione non può essere ridotta, tuttavia, alla mera trasposizione in ambito pubblico di principi, criteri e tecniche già sperimentate nel mondo delle imprese private. Occorre invece riscoprire le radici comuni delle varie tipologie aziendali e da lì far discendere la motivazione dell’applicazione di principi comuni, pur in presenza di tecniche che possano essere specifiche dell’una o dell’altra tipologia. Il moto di rinnovamento che ha interessato l’intero sistema delle amministrazioni pubbliche negli ultimi decenni, indotto da una generale insoddisfazione da parte delle comunità di riferimento per le amministrazioni stesse relativamente alle modalità di gestione dei rapporti fra loro intercorrenti, si è concretizzato, sul piano

La contabilità pubblica nella ricerca economico-aziendale

5

normativo, in una ricca produzione di provvedimenti, stratificatisi nel tempo. Tali provvedimenti sono stati principalmente diretti a correggere i caratteri assunti dalle amministrazioni nel senso di una maggiore snellezza, attraverso la delega di una quantità considerevole di funzioni e di attività a soggetti, tanto pubblici, quanto privati, mantenendone la responsabilità di indirizzo, promozione e coordinamento. La produzione normativa, così come gli approcci economico-aziendali al problema della gestione delle amministrazioni pubbliche ed il loro impianto tecnicocontabile devono essere costantemente in grado di seguire i mutamenti che l’«ambiente» economico-sociale induce costantemente nelle condizioni di contesto in cui esse si muovono, specialmente in condizioni in cui i cambiamenti culturali, sociali, politici e tecnologici si succedono con una velocità impressionante. Il processo di assunzione delle decisioni è fra le istanze prioritarie all’interno al più ampio problema dell’ammodernamento del sistema delle amministrazioni pubbliche. Affinché il processo in questione sia pienamente consapevole ed efficace, occorre la certezza di poter disporre di informazioni consistenti, accurate e tempestive. Appare necessario, quindi, indagare sulla sufficienza, completezza ed attendibilità del sistema contabile pubblico, in generale, e di bilancio, in particolare. Il bilancio annuale di previsione, in quanto strumento allocativo di risorse, continua a costituire, infatti, l’elemento centrale del processo decisionale all’interno delle pubbliche amministrazioni. Le sue modalità di redazione, tuttavia, costituiscono un limite obiettivo alla sua completezza e significatività. Ciò premesso, occorre domandarsi se un documento così redatto possa costituire veramente una valida risposta alle esigenze conoscitive che bisogna soddisfare per l’assunzione informata delle decisioni.

2. Le contabilità pubbliche: tendenze I sistemi di contabilità pubblica, storicamente, si sviluppano a fronte di un’esigenza di carattere autorizzativo: in presenza di uno Stato «moderno», l’autorizzazione (e poi la rendicontazione) legavano il Principe all’amministrazione attiva, mentre in seguito all’avvento dello Stato rappresentativo, la contabilità pubblica regola i rapporti tra i vari soggetti coinvolti nel processo democratico: tra i cittadini ed i propri rappresentanti, tra gli organi di rappresentanza politica e quelli esecutivi e tecnico-amministrativi, fino a supportare le relazioni che scaturiscono dai diversi ruoli e competenze riconosciuti ai vari livelli territoriali. Il sistema di rilevazione della contabilità pubblica si è articolato tradizionalmente in tre subsistemi: • rilevazioni preventive; • rilevazioni concomitanti; • rilevazioni consuntive. Il ruolo delle rilevazioni preventive è riconducibile ad una duplice finalità. La

6

Luca Anselmi

prima è ravvisabile nella funzione di programmazione, volta a rappresentare gli avvenimenti che contribuiranno a determinare l’attività e di conseguenza ad orientarne le scelte gestionali ed i comportamenti operativi. La seconda è legata alla ben nota funzione di autorizzazione e limite, che assegna a questa fase un ruolo di assoluta preminenza nel sistema contabile, poiché è da essa che scaturisce e prende avvio l’intera attività di gestione. Gli obiettivi essenziali di ogni sistema contabile sono principalmente rivolti a ricordare evidenziare e supportare i processi decisionali, i loro atti amministrativi consequenziali ed i relativi risultati che debbono essere garantiti anche quanto a trasparenza ed attendibilità. Più specificatamente pertanto gli obiettivi che possono venire posti sono relativi alla trasparenza dei sistemi decisionali nel momento in cui si è normata la differenziazione tra obiettivi (e quindi risultati) politici, economicofinanziari e tecnici. Occorre ancora, naturalmente, un sistema di rilevazione di tutti gli input della gestione sia caratteristica che non, sia ordinaria che straordinaria (su basi di dati quantitativi-qualitativi e temporali), uno o più sistemi di rilevazione degli output relativi ai servizi prodotti ed erogati (su basi di dati quantitativi-qualitativitemporali) ed almeno di alcuni outcome (visti come risultati sociali dei programmi sui quali l’amministrazione ha particolarmente motivato il proprio impegno). Questo conduce anche alla misurazione delle conseguenze della gestione sia su base annuale che pluriennale sugli equilibri patrimoniale-economico-finanziario in modo da considerare ad evidenza se il patrimonio dell’amministrazione ha avuto incrementi o decrementi per effetto della gestione che si è condotta. La misurazione delle conseguenze della gestione deve riguardare anche archi temporali infrannuali, in modo da percepire gli impatti della gestione svolta sugli equilibri parziali (economici e finanziari) in maniera da prevedere i possibili effetti quando la gestione è ancora in corso, e vi sia quindi la possibilità di correzioni e revisioni. Questa attività di misurazione/valutazione continua può ricorrere a svariate metodologie e tecniche: dalla possibilità di confronto interno mediante indici, flussi, indicatori aventi oggetti e finalità diverse fino a tecniche di benchmarking con l’avvertenza che rispondano sempre ud un esigenza informativa univoca e sinergicamente integrata. Essa, infatti, può riguardare periodi diversi; concentrarsi sulla gestione intesa nel suo complesso o solo su una parte di essa oppure confrontarsi con i risultati espressi da altri enti o con dati medi di nazionali. Sulla base dei predetti sistemi contabili si può, quindi, giungere al esprimere un giudizio sistemico sulla gestione. Si tratta di obiettivi importanti che presentano complessi aspetti tecnici e «delicati» connotati politici, non stupisce quindi che, nel tempo, ogni paese abbia cercato di modellare la propria contabilità in maniera tale da rispondere a questi obiettivi, sia pure graduandone l’ordine e l’effettivo perseguimento secondo le necessità espressive che le autorità di volta in volta hanno privilegiato. Stupisce ancora meno che gli stessi paesi abbiano mutato sistema contabile, o almeno abbiano modificato la scala di rilevanza che i vari obiettivi presentavano nel corso del tempo, in particolare, nel momento storico in cui si venivano a formare governi ed amministrazioni che hanno tentato di innovare sensibilmente ampie porzioni dei propri apparati e delle proprie modalità di interazione con l’esterno.

La contabilità pubblica nella ricerca economico-aziendale

7

Sarebbe errato credere alla obiettività e trasparenza assoluta dei sistemi contabili, così naturalmente come di quelli gestionali: ogni buon sistema è basato su scelte adeguate ai fini che gli vengono assegnati, ma essi possono/debbono cambiare, in modo essenziale o almeno significativo, per privilegiare la flessibilità e quindi la documentazione relativa all’esposizione dei nuovi obiettivi. Un ulteriore elemento essenziale è connesso alle tendenze che si diffondono anche nel mondo dei sistemi informativi: se il problema fosse di «mode» non meriterebbe di curarsene che poco o per nulla, ma non è, in genere, questa la realtà; vengono spesso definite in modo riduttivo o spregiativo le esigenze emergenti, a volte nuove, altre volte già discusse e rinviate da lustri, in conseguenza del costante cambiamento in atto nelle amministrazioni pubbliche, delle esigenze di rilevare oggetti e temi che a lungo, spesso troppo, sono stati trascurati in nome della semplificazione (o delle capacità degli operatori), delle decisioni assunte da altri paesi o da altre amministrazioni di, finalmente, dare risposta positiva anche a tali esigenze. Per l’Italia questo benchmarking improprio, ma efficace, è estremamente importante perché da molti lustri siamo costretti in sistemi contabili-amministrativi e gestionali «parziali» ed obsoleti (anche quando abbiano subito dei cambiamenti), che spesso sembravano o erano già inadatti nel momento stesso del loro impianto ed ora rappresentano un reale limite al cambiamento delle pubbliche amministrazioni, e, per il ruolo almeno dimensionale che esse hanno nel nostro Paese. Non è «moda», quindi, guardare agli U.S.A. o alla Gran Bretagna o all’Australia o a tutti gli altri Paesi che hanno sperimentato cambiamenti significativi: essi vanno considerati con attenzione, valutandone il grado di utilità e di proficua replicabilità nel nostro contesto. L’effettivo assolvimento degli obblighi di trasparenza e completezza conducono a soddisfare le esigenze di ordine conoscitivo per realizzare le quali occorre: sostituire o integrare la contabilità finanziaria con la contabilità economico-finanziariapatrimoniale (particolarmente con sistemi «integrati»); introdurre un sistema di rilevazioni analitiche per valutare gli andamenti dei costi, la produttività dei fattori produttivi, introducendo il sistema budgetario ed il controllo di gestione; enucleare dai costi e dai ricavi stimati quelli (o quella parte) che sono impropri nei confronti di una corretta gestione «aziendale»; prospettare il reale afflusso delle entrate e delle uscite, con l’indicazione sufficientemente precisata della relativa periodizzazione. Le esigenze esposte sono le condizioni minime per attivare un sistema informativo al fine di poter permettere al tempo stesso una logica di decisioni programmate di medio-lungo termine, un flusso di informazioni su base economica per valutare lo svolgimento della gestione, un efficace controllo direzionale, orientato alla determinazione degli indici di produttività dei servizi. Solo poche amministrazioni non si sono limitate ad integrare con alcuni dati «economici» la contabilità ed i bilanci di derivazione «finanziaria»: l’alternativa era nel procedere con la messa in opera degli strumenti informativi già esistenti e con quelli che era possibile attivare, a livello di ente, cominciando ad innestare, sforzo dopo sforzo, il circuito virtuoso. Occorre che il sistema informativo sia realizzato inoltre al livello di «gruppo», allacciandosi simultaneamente i vari soggetti abilitati a decidere indipendentemente dal ricoprire una funzione o un’altra, ed occorre una forte integrazione ed un vero

8

Luca Anselmi

coordinamento tra centri decisionali diretti ed indiretti ed operativi. Anche a livello di amministrazioni pubbliche, centrali come periferiche, più elevata sarà la capacità di aggregazione e maggiori saranno le implementazioni positive. Le amministrazioni pubbliche, di fronte ai molti problemi ed alle gravi difficoltà che dovevano affrontare nel loro percorso di modernizzazione, hanno spesso tentato di trovare soluzioni globali e «definitive» nel senso della previsione della maggiore presenza di aziende pubbliche (o miste): per molti a livello centrale come periferico sembrava costituire la soluzione globale e «facile» di tutti i problemi di gestione, di rilevazione, di organizzazione e di controllo. Non v’è dubbio che in molti casi il trasferimento di attività, l’outsorcing, l’esternalizzazione verso una società dipendente controllata o collegata ha avuto un significativo risultato in termini di produzione quantitativa, ma soprattutto qualitativa, e di efficienza, perché non è ovviamente cambiata solo la forma giuridica, ma si sono anche trasformati i criteri di gestione in senso aziendale. Tra i principi che stentano a realizzarsi nelle amministrazioni tradizionali, vi è appunto la concezione unitaria della gestione e la considerazione essenziale che di essa hanno tutti gli strumenti conoscitivi tra loro collegati, in modo da raggiungere quel supporto che già prima abbiamo definito «sistema integrato». Eppure il percorso esterno non può essere che una risposta parziale alla domanda di modernizzazione rivolta alle pubbliche amministrazioni: esse non possono limitarsi a trasferire la gestione dei servizi là dove essi possono essere meglio prodotti, esse debbono anche cambiare in proprio modificando il proprio patrimonio genetico mediante l’inserzione di geni «aziendali» ad iniziare da quelli relativi alla conoscenza dei dati ed alla presa cosciente e responsabile delle decisioni. Le modalità debbono altresì saldarsi con le procedure sia per i residui aspetti di legittimità, sia negli aspetti di trasparenza, sia nei confronti della loro peculiare efficienza. Nell’accezione che adottiamo il controllo si configura come strumento di guida della gestione, relativo cioè al controllo di carattere conseguente, ma anche concomitante e preventivo. La funzione di guida della gestione mira al reperimento ed impiego delle risorse al fine di conseguire in modo efficace ed efficiente, gli obiettivi. In questo senso il controllo esplica i suoi effetti in base alla evidenziazione degli scostamenti che l’attività ha manifestato rispetto a quanto ipotizzato, e nell’implementazione delle azioni correttive; si viene così a creare un circuito completo con la pianificazione che ne rappresenta il presupposto. L’evoluzione della normativa in questi anni ha cercato di seguire le richieste che dalla «società civile» provenivano allo stato ed alle altre pubbliche amministrazioni, ma in maniera astratta perché la gran parte dei vertici e degli operatori pubblici erano formalmente coinvolti, ma sostanzialmente perplessi, contrari o scettici, per cui non si sono avute che limitate conseguenze effettuali, rimaste in larga parte alla stregua di sagge indicazioni su come potrebbero gestirsi in un futuro non meglio determinato le nostre pubbliche amministrazioni. In questo contesto, occorre che ciascuna amministrazione cerchi di riequilibrare

La contabilità pubblica nella ricerca economico-aziendale

9

gli strumenti manageriali per giungere ad una situazione in cui si possano esprimere valutazioni di merito sulla qualità dell’attività amministrativa e sulle scelte organizzative, gestionali e tecnologiche adottate. L’idea di base è quella di portare a unità le attività di rilevazione, amministrazione e quelle di controllo, che sono state tradizionalmente disgiunte, dotando gli enti di una precisa consapevolezza delle proprie azioni. Definire modelli di contabilità e di bilancio dello Stato più adeguati alle esigenze del rinnovato sistema delle amministrazioni pubbliche non è solo una questione dottrinale, né è risolvibile prestando attenzione esclusivamente agli aspetti gestionali tecnico-economici. Essa appare ancor più complessa se si pensa che, oltre agli aspetti di carattere più propriamente economico-aziendale, il problema della contabilità pubblica non può essere validamente risolto senza affrontare congruamente anche i delicati aspetti politici che lo circondano. Da Paese a Paese, dunque, e da epoca ad epoca, ciascuno Stato ha dovuto individuare un «ordine di priorità» all’interno della scala di obiettivi, favorendo il perseguimento ora dell’uno, ora dell’altro, a seconda delle situazioni e del mutare dell’indirizzo politico, amministrativo e contabile delle autorità al governo. Ciò impedisce di pervenire ad una soluzione contabile e gestionale definitiva e cioè che sia per sempre obiettiva e trasparente: una condizione per l’efficacia di un sistema, infatti, non può non essere dotata della flessibilità tecnica necessaria per adeguarsi alle nuove eventuali occorrenze che possono intervenire nel sistema degli obiettivi che il sistema stesso intende perseguire senza toccare i principi che presentano invece caratteri in sé di lunga durata.

10

Luca Anselmi

Capitolo 2

Le caratteristiche distintive dei sistemi contabili pubblici di Simone Lazzini

1. Gli approcci di analisi dei sistemi informativo-contabili Lo studio dei sistemi informativo-contabili è caratterizzato dalla presenza di una pluralità di filoni di ricerca che si differenziano tra loro, sia sulla base degli assunti teorici, sia dei metodi, sia della finalità di ricerca, sia della funzione a cui i sistemi stessi sono deputati 1. Vagliando la copiosa e variegata letteratura, nazionale ed internazionale, con l’intento di sintetizzare al massimo è possibile giungere a circoscrivere due distinte serie di approcci: quelli tradizionali e quelli definiti alternativi. I filoni tradizionali assegnano ai sistemi contabili una valenza strumentale al soddisfacimento di determinate finalità conoscitive. L’assunto in questo caso è rappresentato dalla conoscibilità della realtà e nella sostanziale neutralità degli strumenti stessi 2. Gli approcci tradizionali possono essere, a loro volta, suddivisi in due ambiti principali: il primo, sviluppatosi in conseguenza della constatazione del rilevante impatto economico esercitato dal processo decisionale e dunque dell’importanza e necessità di dedicare attenzione ad uno studio «formalizzato» della loro strutturazione, basato sulle teorie della finanza e della microeconomia 3. Il secondo si sviluppa, invece, come diretta conseguenza delle teorizzazioni del rapporto d’agenzia che si instaura tra principale e agente 4. Il sistema contabile assume in tale prospettiva, la funzione di sostenere la conoscibilità delle azioni, di garantire la misurazione attendibile dei risultati contri1

L. Anselmi, I presupposti per il cambiamento nei sistemi informativi, in L. Anselmi, Il controllo di gestione nelle amministrazioni pubbliche, Maggioli, Rimini, 1997. 2

I. Steccolini, Accountability e sistemi informativi negli enti locali – Dal rendiconto al bilancio sociale, Giappichelli, Torino, 2005. 3

R. Roslender-J.F. Dillard, Reflections on the Interdisciplinary Perspectives on Accounting Project, in Critical Perspectives on Accounting, Vol. 14, 2003. 4

M.C. Jensen, Organization theory and methodology, in Accounting Review, Vol. 58, 1983.

12

Simone Lazzini

buendo a contrastare le asimmetrie informative, consentendo, in sostanza, di suffragare il sottostante rapporto di delega decisionale. I filoni alternativi sono stati sviluppati con l’intento primario di formulare un’impostazione differente, abbandonando, o quantomeno superando, alcuni degli assunti di stampo positivistico e neo-razionalista che avevano caratterizzato gli studi «classici». Tali impostazioni trovano i primi riscontri nella cosiddetta behavioural accounting che esamina gli impatti dei sistemi informativi sui comportamenti individuali. Gli studi sui sistemi informativo-contabili vengono arricchiti di sempre nuove variabili di matrice anche psicologica, tanto da proporre un vero e proprio ribaltamento nell’oggetto di studio che si sposta da una prospettiva di tipo oggettiva ad una soggettiva, ossia alla valutazione di come i comportamenti umani possano incidere sulle strutture funzionali dei sistemi. Se questo tipo di studi ha avuto, da un lato il pregio di esplicitare nessi di causalità reciproca tra variabili gestionali, ambientali e tecnologiche e la configurazione tecnica dei sistemi informativi; dall’altro sottende ad una visione atomistica, giungendo a considerazioni che difficilmente possono coinvolgere l’intero sistema aziendale. L’impostazione economico-aziendale allo studio dei sistemi informativi, sembra discostarsi dalla tipica prospettiva positivista quale non accoglie, in tutto o in parte, i presupposti dell’assolutismo, della razionalità e delle ipotesi semplificatrici nonché l’oggetto stesso dello studio, non sempre riconducibile all’azienda intesa nella sua unitarietà 5. La letteratura nazionale pur riconoscendo un connotato strumentale ai sistemi informativi rispetto ai fini conoscitivi per i quali essi stessi sono stati architettati non sottovaluta l’importanza delle variabili soggettive e di contesto. Alla rilevazione, intesa come nucleo essenziale dei sistemi informativi, può essere, infatti, assegnato un contenuto più o meno esteso a seconda della prospettiva adottata. Seguendo un’impostazione restrittiva essa può essere fatta coincidere con la «raccolta o la rappresentazione ordinata di dati che quantificano determinati caratteri dei fatti o fenomeni oggetto di osservazione» 6, mentre in un’accezione più ampia, essa può essere riguardata come «la determinazione quantitativa e qualitativa, la classificazione, l’elaborazione, la rappresentazione e l’interpretazione dei fenomeni aziendali» 7. Il termine rilevazione può essere interpretato, dunque, esso stesso come processo di conoscenza teso a valutare, in via preventiva o consuntiva, le posizioni di equilibrio raggiunte o raggiungibili (P. Onida, 2005). Ne risulta evidente la visione strumentale del dato che, mediante un processo di elaborazione, interpretazione e finalizzazione al soddisfacimento di un determinato

5

G. Galassi, Misurazioni differenziali, misurazioni globali e decisioni d’azienda, Giuffrè, Milano, 1974.

6

G. Ferrero, Istituzioni di economia d’azienda, Giuffrè, Milano, 1968.

7

G. Brunetti, I sistemi di rilevazione e di informazione, in G. Airoldi-G. Brunetti-V. Coda, Corso di Economia aziendale, cit.

Le caratteristiche distintive dei sistemi contabili pubblici

13

fabbisogno conoscitivo, assume il connotato di informazione. La conoscenza è, dunque, la risultante di un comporsi unico di esperienze pregresse, di idee, di procedure che si consolidano e strutturano continuamente, incidendo a loro volta sui processi di selezione, trattamento ed elaborazione, a fini informativi, di dati e informazioni. La comprensione delle variabili che incidono sulle caratteristiche strutturali e funzionali dei sistemi informativi presuppone, pertanto, di tenere in simultanea considerazione le caratteristiche dell’ambiente e del contesto organizzativo, senza trascurare, tuttavia, i percorsi evolutivi, “la storia” del sistema in oggetto 8. Il sistema informativo-contabile diviene, pertanto, l’espressione della propria “memoria”, dei propri sentieri di sviluppo che emergono dalle prassi, dalle procedure e dalle persone che ne costituiscono, al contempo, l’ossatura portante e ne condizionano gli sviluppi futuri. Non è quindi possibile concepire l’architettura dei sistemi informativi come il frutto di una progettazione eminentemente razionale, che dalle circostanze aziendali e dalle esigenze informative riscontrate derivi, in modo inequivocabile ed oggettivo, le caratteristiche distintive del sistema. È in virtù di ciò che l’enfasi posta sulla conoscibilità dei risultati consuntivi dovrebbe condurre, anche per la rendicontazione ad un potenziamento del proprio scopo di rappresentazione degli esiti della gestione. È quindi sulle rilevazioni di carattere contabile che le impostazioni economico aziendali hanno dimostrato, soprattutto in passato, una particolare attenzione, pur non negando l’utilità di ulteriori forme di rilevazione ed informazione. L’atteggiamento verso un accrescimento della disclosure pubblica richiama l’attenzione sull’efficacia e sulla razionale utilizzazione delle risorse finanziarie, ma ribadisce la necessità di accrescere la capacità dimostrata dalle amministrazioni pubbliche di rispondere alla domanda di informazioni e di trasparenza da parte degli interlocutori. Lo studio dei sistemi contabili prende in considerazione tre aspetti fondamentali. Il primo attiene alla statuizione di un criterio discriminante necessario per riconoscere il momento in cui una determinata operazione sia di competenza di un certo esercizio (basis of accounting). Il secondo aspetto consiste nello stabilire quali grandezze siano oggetto di misurazione, il focus, cioè, della rilevazione – solo aspetto finanziario oppure aspetto finanziario ed economico-patrimoniale – ed infine, come terzo elemento, le modalità di disclousure, ovvero la via mediante la quale le informazioni contabili verranno esposte nei documenti di rendicontazione.

2. Metodi, sistemi e finalismo della contabilità pubblica Il metodo di tenuta della contabilità rappresenta l’insieme delle norme, le regole, la tecnica con cui vengono tenute le scritture amministrative in merito al loro ordine, forma e collegamento, il conto è quell’insieme di scritture relativo ad un dato oggetto semplice, avente lo scopo di rilevarne l’aspetto qualitativo e quantitativo. Con il ter8

G. Marcon, Il sistema contabile delle regioni a statuto ordinario, Giappichelli, Torino, 1990.

14

Simone Lazzini

mine sistema di rilevazione si intende fare riferimento, infine, all’insieme di scritture riguardanti un oggetto complesso, variabile a seconda dell’im-postazione dottrinale, con la finalità di evidenziarne il contenuto. Detto ciò è possibile comprendere come un dato sistema di rilevazione possa comporsi su base contabile o extra contabile, a seconda che si avvalga o meno dello strumento conto, possa essere in partita semplice o doppia, in relazione al fatto che le grandezze oggetto di osservazione siano raggruppate, rispettivamente, avvalendosi di un unico criterio o di un duplice criterio sottoposto ad un vincolo di costante equivalenza aritmetica 9 che abbia ad oggetto il solo aspetto originario o evidenzi anche quello derivato. In funzione al momento in cui una componente reddituale possa o meno essere considerata di competenza è possibile individuare due situazioni estreme rintracciabili nella cash basis of accounting e nella full accrual basis of accounting. Il criterio discriminante che differenzia le due configurazioni risiede nel momento in cui una data operazione può essere inserita nella contabilità, e di conseguenza, alimenta il risultato di periodo riferibile ad un determinato esercizio. Nella cash basis of accounting un componente viene riconosciuto in contabilità quando giunge a completamento la sua manifestazione numeraria mentre la full accrual accounting si basa sulla competenza economica. Un ricavo è in quest’ultimo caso da considerarsi riferibile ad un determinato esercizio qualora il processo produttivo dei beni o dei servizi sia stato completato e lo scambio sia già avvenuto mediante la realizzazione finanziaria 10. I costi sono da considerarsi, di contro, di esercizio quando sono correlati con i ricavi, ossia sono stati sostenuti per produrre quei beni o servizi che hanno concorso alla produzione dei ricavi di competenza. Tra le due posizioni estreme appena evidenziate è possibile individuare altre situazioni intermedie che acquisiscono l’accezione di «modificate». Esse si differenziano dalle precedenti per l’introduzione di rettifiche di inclusione od esclusione di taluni fatti di gestione in relazione al verificarsi o meno di alcuni requisiti posti quali ulteriori elementi di discrimine. Una configurazione modified cash basis of accounting si ottiene di solito con il prolungamento fittizio dell’esercizio oltre il termine dei canonici dodici mesi. In particolare si decide di imputare all’esercizio in chiusura anche quelle operazioni di versamento e pagamento riferibili ad entrate ed uscite già accertate ed impegnate nell’anno precedente, che si sono realizzate monetariamente entro un determinato periodo di tempo, che la prassi consolidata riconosce in un mese e definisce periodo provvisorio. Con il prolungamento del periodo di inclusione dei fatti di gestione si perviene ad una sorta di riconciliazione tra il momento di effettuazione dell’operazione generatrice della posizione creditoria o debitoria, ed il momento estintivo del sinallagma sottostante per effetto della controprestazione corrispondente. 9

Aldo Amaduzzi, L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, Tipografia Sociale Torinese, Torino, 1957. 10

G. Galassi, Il postulato della realizzazione nella dottrina contabile nordamericana, in Rivista dei dottori commercialisti, n. 2. Si veda anche A. Quagli, Bilancio d’esercizio e principi contabili, Giappichelli, Torino, 2004.

Le caratteristiche distintive dei sistemi contabili pubblici

15

Le basis of accounting inquadrabili, invece, come modified accrual possono avere differenti qualificazioni che dipendono, essenzialmente, dalle modalità di ibridazione del criterio di competenza, non è più riferibile al solo principio di realizzazione economica. Esempi di modified accrual bases of accounting possono essere rintracciate in tutte quelle situazioni in cui convivono differenti criteri di imputazione delle operazioni all’esercizio. Situazioni nelle quali per alcuni elementi si propende per un criterio di inserzione basato sulla realizzazione economica, per altri si preferisce un’imputazione sulla base della loro manifestazione numeraria . In ulteriori casi la modificazione interviene non su specifiche classi di asset, ma riguarda, piuttosto, il criterio stesso di riconoscibilità di una determinata operazione di competenza dell’esercizio. È questa l’eventualità che si verifica in tutti quelle circostanze nelle quali le procedure di definizione dell’entrata e dell’uscita sono scandite da precise fasi tecnico-giuridiche che, in tal caso, vengono utilizzate per isolare le operazioni da considerare di esercizio da quelle che derivano dagli esercizi precedenti o che, ancora, devono essere rinviate a quello futuro. Analizzato il problema dell’imputazione di una determinata operazione ad un dato esercizio, tra gli aspetti relativi ai caratteri dei sistemi contabili, rimangono ancora aperte le questioni relative all’oggetto, al focus della misurazione, e alle modalità di esposizione nei documenti di rendicontazione. Le scelte compiute in merito a questi aspetti sono, tra loro, strettamente collegate. Le decisioni assunte relativamente al focus di misurazione risentono, infatti, del momento in cui una operazione è considerata di competenza dell’esercizio, così come la rendicontazione è influenzata dalle opzioni compiute a monte, in merito ai precedenti aspetti. Al fine di risolvere le complicazioni connesse a tale legame si ritiene utile esplicitare le caratteristiche del sistema di rilevazione operante negli enti locali italiani, al fine di evidenziarne la valenza informativa, il grado di rispondenza alle esigenze espresse dall’attuale contesto gestionale e verificarne la potenziale apertura verso un’auspicabile processo di armonizzazione internazionale. I sistemi di contabilità pubblica si sono sviluppati, storicamente, a fronte di un’esigenza, di carattere autorizzatorio, di porsi come meccanismi di regolazione di rapporti, piuttosto che assumere un connotato di tipo strumentale all’osservazione delle condizioni di svolgimento della gestione. Con l’affermazione di un modello di Stato rappresentativo, la contabilità pubblica è divenuta lo strumento per regolare i rapporti tra i soggetti coinvolti nel processo democratico: tra i cittadini e i propri rappresentanti, tra gli organi di rappresentanza politica, quelli esecutivi e tecnico-amministrativi, fino a supportare le relazioni che scaturiscono dai diversi ruoli e competenze riconosciuti ai vari livelli territoriali (infra, cap. 1). Tale impostazione ha pervaso l’intero impianto di rilevazione della contabilità pubblica, traendo i propri presupposti da talune considerazioni ritenute giustificanti 11.

11

E. Anessi Pessina, La contabilità delle aziende pubbliche, Egea, Milano, 2000.

16

Simone Lazzini

L’assenza di un mercato di scambio e la relativa mancanza di meccanismi di retroazione idonei ad indirizzare il processo decisionale, determina la necessità di istituire dispositivi istituzionali mediante i quali legittimare gli organi rappresentativi all’indirizzo dell’azione amministrativa. La relativa indipendenza delle entrate, sia rispetto alla prestazione dei servizi, sia rispetto al conseguente sostenimento delle uscite, ha innescato una logica sequenziale che vede nel modello autorizzativo il meccanismo più idoneo per garantire, in astratto, il loro mutuo equilibrio, molto spesso sviluppato mediante la partita semplice, definibile come le insieme delle scritture che non presentano una costante uguaglianza tra accreditamenti ed addebitamenti. Stabilita, pertanto, l’entità delle entrate previste, le spese non possono risultare ad esse superiori, costringendo, di fatto, ad operare una selezione dei bisogni da soddisfare o, inversamente, assodato il livello di spesa preventiva da sostenere, l’azienda pubblica deve attivarsi affinché sia possibile provvederne alla copertura. Il sostanziale disallineamento tra il sacrificio economico posto a carico della collettività – prelievo fiscale – e l’utilità percepita dalla fruizione del servizio, alimenta l’esigenza di disporre di un meccanismo di limitazione, a priori, della spesa, effettuabile a prescindere dal maggiore grado di utilità che il suo incremento potrebbe astrattamente generare. Da ultimo, lo stesso sistema di finanza derivata, che per lungo tempo ha caratterizzato le modalità di accesso alle fonti di approvvigionamento delle amministrazioni locali, ha incentivato un atteggiamento il cui esito è stato quello di scaricare sull’apparato centrale gli oneri associati all’erogazione dei servizi. Il modello autorizzativo è stato, quindi, anche adottando una siffatta prospettiva, funzionale alla fissazione di un tetto massimo alla spesa locale e a contingentare, di conseguenza, l’entità dei trasferimenti centrali. Alle rilevazioni preventive sintetizzate nel Bilancio di previsione è possibile, dunque, riconoscere una duplice finalità 12. La prima delle quali è sintetizzabile nella funzione “politica” e “di guida”. Essa rappresenta, in chiave previsionale, l’attività aziendale ed orienta le scelte gestionali ed i comportamenti operativi in uno «sforzo di composizione unitaria» tra gli obiettivi, dei quali si ritiene auspicabile il conseguimento, ed i mezzi prevedibilmente disponibili. La seconda funzione ha, invece, il carattere di autorizzazione e di limite da cui scaturisce avvio l’intera attività di gestione Tale funzione assegna all’organo rappresentativo il potere di stabile, a priori, un limite alla spesa complessiva che l’azienda pubblica potrà effettuare nel corso dell’esercizio, sfociando in un meccanismo che predetermina, a sua volta ed in modo analitico, anche la natura e la destinazione di ogni singola voce di spesa. Gli organi amministrativi potranno in tal modo compiere quelle operazioni che rispettino la congruità di valore predeterminata dalle assegnazioni stabilite per ogni tipologia di impiego dalle scelte effettuate dagli

12

R. Mussari, La rilevazione nelle amministrazioni pubbliche, in AA.VV., Economia delle aziende pubbliche, McGraw-Hill, Milano, 2006.

Le caratteristiche distintive dei sistemi contabili pubblici

17

organi rappresentativi 13. È evidente la possibilità di effettuare anche, modifiche ai vincoli precostituiti, per rispondere alle esigenze gestionali che scaturiscono nel corso dell’esercizio, mantenendo, tuttavia, il loro ammontare entro il limite delle risorse finanziarie autorizzate 14. Il meccanismo di regolazione ex ante si sviluppa, quindi, mediante una serie di documenti previsionali incentrati sul bilancio di previsione. Attraverso la sua approvazione il documento acquisisce rilevanza giuridica esterna, ovvero, le scelte relative alla natura delle entrate e il vincolo alla destinazione delle spese che l’azienda pubblica potrà effettuare nell’esercizio, trovano statuizione formale 15. In questo modo è possibile evidenziare l’ammontare delle risorse destinate al soddisfacimento delle funzioni assegnate all’ente, le scelte legate ai bisogni da esaudire, la priorità e l’importanza loro attribuita. Si estrinsecano, pertanto, i controlli degli organi amministrativi su quelli tecnici, di quelli rappresentativi su quelli amministrativi, ed infine, della collettività sugli organi politici. Secondo questa impostazione, i momenti centrali dell’impianto di rilevazione contabile risiedono: da un lato, nell’istante in cui nasce giuridicamente il diritto ad acquisire un’entrata – accertamento – o l’obbligazione a sostenere l’esborso finanziario – impegno –; dall’altro nel momento in cui si manifesta la variazione monetaria e, di conseguenza, si estingue il ciclo delle operazioni tramite la regolazione dei rapporti economici intrattenuti con l’esterno. Nel sistema di rilevazione contabile pubblico, le entrate e le uscite sono, dunque, rilevate in due momenti separati. Nella fase giuridica o di diritto, che individua il momento in cui si attiva il processo finanziario e nella fase materiale, o di fatto, che ne sancisce la conclusione con la regolazione delle posizioni finanziarie assunte 16. A seconda del momento al quale si riferisce lo stanziamento si parla di sistema contabile fondato sul principio di competenza finanziaria 17, se quest’ultimo si basa

13

Per una analisi della funzione di autorizzazione e limite della contabilità finanziaria si rimanda tra gli altri a: G. Farneti, Ragioneria Pubblica. Il “nuovo” sistema informativo delle aziende pubbliche, Franco Angeli, Milano, 2004; L. Giovanelli, I modelli contabili pubblici nel processo di integrazione europea, Giuffrè, Milano, 2005. 14

E. Anessi Pessina, La contabilità delle aziende pubbliche, Egea, Milano, 2000.

15

L. Puddu, Ragioneria Pubblica. Il bilancio degli enti locali, Milano, Giuffrè, 2001.

16

Le entrate e le spese rappresentate nel bilancio di previsione si realizzano secondo un percorso individuato dalla normativa. Questo percorso rappresenta lo sviluppo delle decisioni che portano ad acquisire un’entrata o ad erogare una spesa: dallo stanziamento nel bilancio di previsione (le rilevazioni preventive), alla nascita del diritto di riscuotere una somma o di un’obbligazione verso terzi, al momento in cui si ha una variazione nella moneta conseguente alle decisioni assunte. L. Giovanelli, Modelli contabili e di bilancio in uno Stato che cambia, Giuffrè, Milano, 2000. 17

Anessi Pessina sottolinea come questa accezione del termine competenza sia diversa da quella propria della contabilità generale che nell’individuare un fatto di competenza fa riferimento alla circostanza nella quale il ricavo sia stato conseguito per la vendita con costi sostenuti in quel periodo. Per evidenziare tale differenza si fa appunto riferimento al termine competenza finanziaria e di competenza economica per la contabilità generale; tenendo ben presente che in ambito degli enti locali italiani la competenza fa riferimento al momento giuridico amministrativo dell’operazione. E. Anessi Pessina, La contabilità delle aziende pubbliche, Egea, Milano, 2000.

18

Simone Lazzini

sulla fase di diritto (accertamento e impegno), o di sistema contabile fondato sul principio della cassa qualora, per contro, lo stanziamento si riferisca al momento della variazione numeraria. Nel lessico contabile pubblico italiano con il termine sistema di competenza finanziaria si fa, dunque, riferimento al momento in cui l’operazione può essere rilevata riguardando, pertanto, la fase in cui trovano realizzazione le politiche di gestione – promananti dalle linee politiche individuate – in relazione alle attese della collettività da soddisfare. Con tale accezione si intende esplicitare, dunque, la basis of accounting prescelta e non l’oggetto di misurazione. Il sistema di cassa rileva, invece, le manifestazioni monetarie – entrate ed uscite – concentrando l’attenzione sulla verifica delle condizioni di equilibrio finanziario dell’ente, quale elemento imprescindibile per il raggiungimento della economicità della gestione. Ne deriva che, se i vincoli autorizzativi sono riferiti al momento di diritto, ossia gli stanziamenti riguardano gli accertamenti e gli impegni, il bilancio di previsione che ne scaturisce prende il nome di Bilancio preventivo di competenza. In tal caso gli stanziamenti di competenza in entrata si riferiscono ad accertamenti previsti, mentre, quelli in uscita rappresentano i limiti previsionali agli impegni assumibili nell’esercizio. Nel sistema di cassa gli stanziamenti riguardano il momento in cui si manifesta la variazione monetaria, ossia l’istante della riscossione per l’entrata e del pagamento per l’uscita. Gli stanziamenti in entrata rappresentano, pertanto, l’ammontare delle riscossioni previste, mentre gli stanziamenti in uscita tracciano il limite massimo alle spese da effettuare nell’esercizio preso in considerazione. Nell’ambito dei sistemi di competenza finanziaria è possibile riscontrare un’ulteriore distinzione, il cui carattere discriminante è rintracciabile nella necessità, o meno, di sommare algebricamente il risultato d’amministrazione dell’esercizio precedente agli stanziamenti dell’esercizio successivo. Nel sistema a competenza mista il risultato d’amministrazione viene applicato agli stanziamenti di competenza in entrata dell’esercizio successivo. In questo modo l’applicazione dell’avanzo di amministrazione consente di incrementare gli stanziamenti di impegno e di conseguenza accrescere le possibilità di spesa dell’ente pubblico. Qualora il risultato d’amministrazione risultasse negativo – disavanzo d’amministrazione –, simmetricamente, e a seguito della sua applicazione, si contraggono le possibilità di impegno previste e, di conseguenza, si riduce la facoltà di spesa dell’ente nel suo complesso. In tal modo viene assorbito lo squilibrio. Nel sistema di competenza pura, per contro, non si prende in considerazione il risultato d’amministrazione dell’esercizio precedente. In tal caso, l’eventuale disavanzo rimane a carico dell’esercizio in cui si viene ad originare. Alla sua copertura si provvede mediante il ricorso a mezzi di carattere straordinario quali l’indebitamento, o nel caso dello Stato, al ricorso ad altri strumenti di politica monetaria 18. 18

L. Puddu, Ragioneria Pubblica. Il bilancio degli enti locali, cit.; G. Farneti, Gestione e contabilità dell’ente locale, Maggioli, Rimini, 2006.

Le caratteristiche distintive dei sistemi contabili pubblici

19

Si può constatare, inoltre, come, in astratto, i due sistemi – quello di competenza e di cassa – non si escludano vicendevolmente, ma possano essere adottati anche simultaneamente come avviene in numerose realtà aziendali pubbliche. In questa situazione il bilancio di previsione evidenzia contemporaneamente sia gli stanziamenti di competenza che quelli di cassa e allo stesso modo, il conto consuntivo del bilancio presenta gli elementi tipici di entrambe le configurazioni. Il sistema di competenza pura è, ad oggi, adottato solo dallo Stato, mentre quello di competenza mista trova ampia diffusione imputabile, tra l’altro, alla maggior coerenza che questo tipo di sistema presenta con il carattere di unitarietà della gestione nel tempo 19. Gli accadimenti che hanno interessato un esercizio mantengono, infatti, una stretta correlazione sia con quelli intervenuti negli esercizi precedenti, sia con quelli futuri. Un sistema contabile che tenga, quindi, conto di queste relazioni è più vicino alla realtà operativa delle aziende pubbliche e al divenire complessivo della loro gestione.

19

L. Giovanelli, Modelli contabili e di Bilancio nello Stato che cambia, Giuffrè, Milano, 2000.

20

Simone Lazzini

Capitolo 3

Contabilità pubblica, amministrazione e cambiamenti istituzionali di Vincenzo Zarone

1. Spunti di riflessione e prospettive di analisi Lo sviluppo di una ricerca incentrata sulla trattazione di una pluralità di argomenti, inerenti alle istituzioni ed alle prassi contabili diffuse nella penisola italiana a partire dal secolo XIX, annovera tra gli elementi di criticità ed, al contempo, di maggiore interesse, la necessità di contemperare, nello studio dei fatti oggetto di indagine, il succedersi di una serie di eventi paradigmatici di cambiamento degli assetti amministrativi ed istituzionali, in un intervallo temporale vasto e tumultuoso, in cui si susseguono senza soluzione di continuità l’avvento della dominazione napoleonica, la successiva Restaurazione, i moti rivoluzionari ed il lungo processo di unificazione del Regno d’Italia. Ai grandi rivolgimenti economici, politici e sociali di questo periodo storico consegue il mutamento delle esigenze conoscitive delle unità pubbliche posizionate ai vari livelli di governo. Nel periodo dell’affermazione dei principi di centralismo politico-amministrativo, all’indomani dell’avvento francese, si diffondono istanze di maggiore profondità analitica nelle evidenze attese del sistema informativo contabile degli enti periferici. Tale ultima asserzione può ritenersi suffragata dall’intensificazione dei processi di interazione e scambio di informazioni tra le intendenze e le amministrazioni comunali nel periodo della dominazione napoleonica, in cui si assiste ad un fitto carteggio tra i diversi soggetti produttori e destinatari dell’informativa contabile, anche sulla base di documenti che si caratterizzano per una crescente tendenza alla standardizzazione, nella struttura e nel contenuto. I sistemi contabili di quest’epoca si basavano su un elaborato impianto previsionale, la cui finalità può ritenersi eminentemente autorizzatoria ed il cui funzionamento era imperniato sulla rappresentazione delle voci di entrata e di spesa in un’articolazione delle componenti in due macro-aree, relative all’ordinaria ed alla straordinaria amministrazione, in cui si mantenevano separate la gestione di

22

Vincenzo Zarone

competenza e la gestione derivante dagli esercizi passati 1. Il modello francese prevedeva uno sforzo di omogeneizzazione del complesso dell’informativa economico-patrimoniale senza stravolgere, d’altro canto, le previgenti strutture amministrativo-contabili. La dominazione francese, per gli impatti che ebbe sulla diffusione di modelli e prassi contabili tutt’altro che innovative, sul piano logico e metodologico, è annoverata dal Melis 2 tra i motivi che contribuirono all’affermazione di opere concepite come «nuova esposizione di quello stesso metodo, (la partita doppia) (…) con condanna più o meno esplicita, di quanto era stato fatto in Italia». L’Autore considera il periodo in oggetto, quello del «trapasso dal secolo XVIII al XIX, al culmine dell’impoverimento degli studi e prodotti ragioneristici nostri», come il più “decadente” per la ragioneria italiana: gli sviluppi negli studi acquisiranno solo in seguito nuova compiutezza 3, fino all’affermazione dell’approccio scientifico alla ragioneria (F. Melis, 1950). Sembrerebbe lecito supporre, in una prospettiva diacronica di sviluppo in cui si susseguono vicende rilevanti nel tessuto economico, politico e sociale, una progressiva adesione della contabilità pubblica a modelli di rappresentazione della vita amministrativa in grado di cogliere ed interpretare le modificazioni delle unità pubbliche e del contesto in cui esse operano. Un’evoluzione auspicabile dei sistemi contabili pubblici, pertanto, non può prescindere dalla consapevolezza della direzione e dell’intensità dei mutamenti nel tenore delle esigenze conoscitive cui essi sono preposti a fornire attendibile risposta. Dalla progressiva diffusione, con l’avvento francese, in vasti territori della penisola italiana, di prospetti previsionali standardizzati delle “rendite e delle spese” (i bugetti, oggetto di trattazione diffusa nei capitoli seguenti), deputati ad una stringente funzione autorizzatoria, di “norma inalterabile” per il reperimento e la gestione delle risorse comunali, emerge una caratterizzazione intrinseca della finalità dell’impianto contabile, connessa strettamente alle pressanti esigenze di controllo che derivavano dalla spinta centralista, in cui, peraltro, si riverbera la complessità del coordinamento tra figure e livelli gerarchici differenziati. Affiora, in questa prospettiva, la complessa dinamica che sottende il recepimento (e le possibili aree di conflittualità) dell’indirizzo politico da parte degli incaricati di porre in essere una “sistematica azione amministrativa”, che Villa 4 supponeva tanto più proficua se inserita in un meccanismo amministrativo depurato da “congegni (rouages) superflui”. In relazione ai numerosi fattori di influenza (esogeni ed endogeni) passibili di un forte condizionamento “sull’andamento generale dell’Amministrazione dello 1

Sul punto si rinvia diffusamente ad L. Anselmi (a cura di), Modelli economico-patrimoniali per il Bilancio e la Contabilità di Stato, Giuffrè, Milano, 2006. 2

Cfr. F. Melis, Storia della ragioneria, Zuffi, Bologna, 1950.

3

Si veda E. Giannessi, I Precursori, Cursi, Pisa, 1971.

4

Cfr. F. Villa, Nozioni e pensieri sulla pubblica amministrazione, Tipografia Eredi Bizzoni, Pavia, 1867.

Contabilità pubblica, amministrazione e cambiamenti istituzionali

23

Stato”, una distinzione essenziale riguarda le criticità riferibili alle caratteristiche individuali rispetto alle aporie riferibili alle condizioni di contesto. Villa (1867: 88) propone la metafora delle “cento braccia” del Briareo, uno dei Giganti della mitologia classica, per evidenziare la problematicità della trasposizione dell’indirizzo di governo in azione e la necessità di ricorrere al contributo di una pluralità di soggetti per «mettere in atto il pensiero e per applicare le leggi di generale interesse». D’altra parte, pur ammettendo la fisiologica compresenza di più livelli decisionali nel sistema delle aziende ed unità pubbliche, una netta separazione tra l’assunzione delle decisioni e la concreta realizzazione delle stesse, contrasta, in un certo senso, con la concezione unitaria del fenomeno aziendale 5 ed, al suo interno, dell’attività di amministrazione, presente sin dagli albori nella dottrina economico aziendale italiana. Diversi autori, nel tempo, si sono concentrati sulla pregnante questione della relazione tra il complesso di attività riconducibili all’amministrazione ed al ruolo dei sistemi e degli strumenti informativo-contabili che ne rendono possibile il corretto espletamento 6. Tra gli altri, Giannessi (1971) fa riferimento anche a Tonzig, il quale «afferma (…) che la contabilità è la parte essenziale e la base rigorosamente necessaria di ogni buona e regolare amministrazione»; «l’amministrazione e la contabilità debbono operare sempre così intimamente legate che non è possibile concepire l’una senza l’appoggio dell’altra» (Giannessi, 1971: 40), poiché infatti senza «la Contabilità l’Amministrazione sarebbe come un cieco che andasse brancolando tentone senza guida che valesse a condurre i suoi passi» (Tonzig, 1876: 41) 7. Al di là delle intuizioni e dei contributi isolati, affermazioni «di natura superiore ed elevata» (Giannessi, 1971: 49) sono formulate dal Cerboni che (dopo il 1860), in particolare, si riferisce all’amministrazione economica come ad “un unitario pro-

5

«L’azienda è un fenomeno unitario, e come tale, non può avere che un solo fine. (…) Le classificazioni servono a distinguere le aziende in gruppi e a diversificarne le funzioni tecniche, ma non possono in alcun modo intaccare l’unità economica del fenomeno aziendale»: E. Giannessi (1961: 38), Interpretazione del concetto di azienda pubblica, Cursi, Pisa, 1961, p. 38. Onida, nel sottolineare il carattere di unitarietà del fenomeno aziendale, definisce l’azienda «mobile complesso o (…) sistema dinamico nel quale si realizzano in sintesi vitale l’unità nella molteplicità, la permanenza nella mutabilità. L’unità nella molteplicità si rivela in quanto l’azienda, nel sistema delle svariatissime operazioni d’esercizio, nell’organizzazione del lavoro, nella riunione di fattori cooperanti a comuni fini, costituisce o tende a costituire un complesso esteso nello spazio e nel quale elementi molteplici operano avvinti da relazioni di complementarità, di connessione, d’interdipendenza»: P. Onida, Economia d’azienda, Unione tipografico-editrice torinese, Torino, 1963. Sul carattere pubblico o privato dell’azienda, Amaduzzi precisa che questo sia «meglio rilevato dalla considerazione del suo soggetto economico», la cui individuazione, peraltro, è funzionale a «spiegare gli obiettivi che l’azienda si propone, nell’aspetto tecnico e nell’aspetto economico, ed il modo con il quale gli obiettivi vengono raggiunti»: A. Amaduzzi, L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, Terza edizione, Utet, Milano, 1978, p. 80. 6 7

Si veda E. Giannessi, I precursori, cit., capitolo 4, paragrafo I.

Cfr. A. Tonzig, La Nuova Scuola perfetta dei mercanti, ossia la Vera Scienza della Contabilità Commerciale, Sacchetto, Padova, 1876. Giannessi (1971) evidenzia, ad onor del vero, come Tonzig abbia soltanto «intravisti i legami che avvincono la contabilità all’amministrazione e la possibilità conseguente di spingere gli studi aziendali su un piano economico di maggior respiro».

24

Vincenzo Zarone

cedere di funzioni” 8. Nell’esplicitazione dei rapporti intercorrenti tra “amministrazione economico-aziendale” e “ragioneria”, Cerboni (1886: 59-60) sostiene che «la ragioneria sta all’amministrazione aziendale allo stesso modo che la ragione sta alla volontà umana» e dunque «il compito della amministrazione è quello di operare e il compito della ragioneria quello di illuminare la condotta dell’amministrazione». Nel solco dell’indirizzo cerboniano, Rossi si riferisce alla complessa attività di amministrazione degli “enti” come la risultante di «quel lavoro, di quell’energia intellettuale e fisica impiegata per mantenere in vita gli enti economico-sociali e per condurli col minore dispendio a conseguire il loro proprio “fine” insieme al massimo loro benessere» (Rossi, 1921: 45). L’Autore, non accogliendo «l’idea di una ragioneria come scienza del controllo» (in quanto «il controllo era la ragioneria, ma non tutta la ragioneria») e neppure la concezione di «ragioneria come scienza del controllo economico», si poneva, per questo, “in aperto contrasto col Besta” (Giannessi, 1971: 90). Per Rossi (1921: 166) alla ragioneria compete la “missione” di «conoscere, giudicare e dimostrare lo stato della gestione di un ente economico-amministrativo qualsiasi» 9. La compiutezza degli scritti del Besta consente di desumere ampi riferimenti ai criteri generali che regolano il governo di quell’ampio novero di «fenomeni, o negozi, o rapporti» 10, che consentono ai capitali di «divenire veri ed efficaci strumenti di produzione» ed alle persone ed alle società di «intendere sicure al proprio fine». Accanto all’enunciazione dell’“amministrazione economica” come «governo dei fenomeni, dei negozi e dei rapporti che hanno attinenza colla vita della ricchezza nelle aziende», Besta introduce un importante riferimento alla sussistenza di alcuni momenti che «si ripetono con differenze non essenziali nelle aziende tutte», di una serie di “sforzi e cure” 11 riferibili alla gestione, alla direzione ed al riscontro o controllo. Per l’espletamento delle funzioni individuate occorre «un’intelligenza direttiva, e un cumulo di attitudini o di forze bastevoli», che trova riscontro in contesti molto differenziati: infatti, «s’amministra lo stato, il comune, la chiesa, la famiglia, e s’amministra un podere, un negozio, un istituto industriale o bancario». In sostanza, l’amministrazione, «manifestazione dell’attività umana riguardata nei singoli o nelle società» 12, comprende al suo interno l’assunzione delle decisioni e la conversione delle stesse in atti di gestione, in un iter senza soluzione di continuità che pone in relazione soggetti posizionati nei vari livelli dell’organizzazione. Per quanto attiene al ruolo della ragioneria, è noto il riferimento di Besta al concetto di “controllo economico”; il riferimento alle nozioni di «traduzione, rappresentazione e interpretazione della dinamica», come evidenziato da Giannessi 8

Cfr. G. Cerboni, La Ragioneria scientifica e le sue relazioni con le discipline amministrative e sociali, Vol. I, I Prolegomeni, Loescher, Roma, 1886. 9

Cfr. G. Rossi, Trattato di Ragioneria scientifica, Vol. I, Cooperativa fra Lavoranti Tipografi, Reggio Emilia, 1921. 10

F. Besta, La Ragioneria, Vallardi, Milano, 1916, p. 2 e ss.

11

F. Besta, La Ragioneria, cit., p. 26.

12

F. Besta, La Ragioneria, cit., p. 11.

Contabilità pubblica, amministrazione e cambiamenti istituzionali

25

(1971: 136), avverrà ad opera del Ceccherelli, che riconduce l’amministrazione ad una accezione ampia, intesa come «governo, cura, maneggio degli affari» 13, configurando l’azione amministrativa come «azione deliberante di governo, di condotta, di comportamento, pensata e predisposta dagli organi volitivi che ne presiedono il funzionamento», che necessita, per la diversità dei caratteri delle molteplici manifestazioni aziendali, di un approccio fondato su un «complesso di discipline costituenti un coordinato sistema di studi». Come ulteriore elemento di complessità, Ceccherelli ravvisa la nella difficoltà di ricondurre ad «armonica combinazione di entrate ed uscite» l’economia di aziende, quali quelle “dello Stato, delle Province e Comuni”, preordinate a soddisfare «nella maggior misura e nel miglior modo ai bisogni della collettività che amministrano» 14, nel limite dei mezzi a loro disposizione. La complessa fenomenologia riconducibile alle dinamiche interne ed alle relazioni con l’esterno che caratterizza le unità pubbliche, non contrasta, ad ogni modo, con “l’unità fondamentale dell’amministrazione”, che Zappa e Marcantonio 15 ritengono scindibile in momenti o processi soltanto idealmente distinti, quali la gestione, l’organizzazione e la rilevazione. Il corretto svolgimento di tali processi consente alla combinazione aziendale di svilupparsi ed accogliere i profondi mutamenti negli assetti istituzionali e nello spazio economico circostante. Gli Autori definiscono l’amministrazione come «complessa azione coordinata degli organi di azienda», che si traduce «in una serie continua e coordinata di operazioni o atti», e si identifica, «nei suoi momenti e nella sua successione», «nell’economia d’azienda, vista nell’azione che ad essa dedicano gli organi d’azienda». Di grande interesse risulta il passaggio sulle «fonti dell’amministrazione dell’azienda pubblica», riconducibili all’orizzonte normativo, agli statuti dai differenti gradi di autonomia che discendono dalla forma degli enti, ed anche alle «consuetudini del diritto e dell’amministrazione pubblica e privata». Nel sottolineare la rilevanza delle prescrizioni di legge in relazione tanto alla dinamica di interazione tra enti pubblici e cittadini quanto all’orizzonte organizzativo e gestionale interno 16, gli Autori precisano che, pur a fronte di opportuni vincoli e cautele che discendono dalla “particolare natura dell’ente”, non può intendersi l’attività amministrativa completamente “disciplinata da norme di diritto”. Tuttavia la difficile ponderazione tra l’evoluzione del quadro normativo e regolamentare ed il mutamento delle condizioni di contesto, in situazioni cruciali di

13

A. Ceccherelli, Economia Aziendale e Amministrazione delle Imprese, Barbera Editore, Firenze, 1948, pp. 1-2. 14

A. Ceccherelli, Economia Aziendale e Amministrazione delle Imprese, cit., p. 61.

15

G. Zappa-A. Marcantonio, Ragioneria applicata alle aziende pubbliche: primi principi, Giuffrè, Milano, 1954, pp. 6-9. 16

«L’amministrazione delle aziende pubbliche è regolata, in maniera più o meno preponderante, da norme giuridiche, le quali, da una parte riflettono i rapporti tra cittadini ed enti pubblici, e, dall’altra, stabiliscono la disciplina dell’organizzazione e dell’attività interna dell’azienda»: G. Zappa-A. Marcantonio, Ragioneria applicata alle aziende pubbliche, cit., p. 8.

26

Vincenzo Zarone

transizione come fu il processo di unificazione dello Stato italiano, rappresenta un elemento di criticità rilevante nella vita delle unità pubbliche. Il quadro frammentario, dal punto di vista ordinamentale, della penisola italiana dopo l’unificazione formale richiedeva risoluzioni efficaci e sforzi di omogeneità, per assicurare il corretto esercizio delle potestà e l’espletamento delle funzioni essenziali dell’ordinamento nazionale unitario. Nell’ottica del raggiungimento di un più elevato grado di razionalità complessiva nel sistema di governo, infatti, possono inquadrarsi, tra le altre previsioni legislative, la riforma organica della contabilità di Stato, sancita dalla legge n. 5026/1869, il ruolo “aggregante” della Ragioneria Generale dello Stato, l’istituzione della Corte Dei Corte Conti del Regno. Più in generale, attraverso l’istituzione (o la profonda revisione) dei principali corpi contabili dello Stato si intendeva rispondere all’esigenza, avvertita come prioritaria ed inderogabile, di ricondurre ad un assetto omogeneo l’apparato legislativo, istituzionale, amministrativo e finanziario dell’organismo statale che andava formandosi. L’attività alacre della Corte dei Conti del neonato Regno d’Italia, può ritenersi in un certo senso tra i fattori che hanno contribuito alla convergenza delle prassi e delle logiche contabili: in materia di controllo sulla spesa, ad esempio, si può scindere la funzione di verifica realizzata dalla Corte in una prospettiva duplice, inerente da un lato agli aspetti di legittimità dei singoli atti, dall’altro al riscontro della effettiva capienza rispetto allo stanziamento effettuato sul capitolo di bilancio. La verifica di legittimità si può inquadrare, prescindendo dalle eventuali conseguenze sanzionatorie per le amministrazioni “interpellate” attraverso i “fogli dei rilievi”, tra le attività in grado di promuovere l’agognata omogeneità di prassi sul territorio nazionale, stimolando la comprensione e la diffusione del complesso di norme e regole disposte in materia di pubblica contabilità, o quantomeno inducendone una forzata applicazione. Il riscontro della capienza dei capitoli di spesa rispetto agli impegni assunti in sede di previsione rappresenta un passaggio chiave nella definizione di un impianto programmatorio strutturato ed effettivamente operante, funzionale alla verifica del rispetto della condizione di esistenza primaria dell’azienda, l’equilibrio tra ricchezza prodotta e consumata 17, presupposto perché l’unità pubblica possa ambire alla caratterizzazione di azienda 18. La mera sussistenza dell’economicità generica nella combinazione aziendale, pur essenziale, non può ritenersi peraltro condizione sufficiente per il verificarsi 17

Il legame indissolubile tra «autosufficienza economica», economicità e creazione di ricchezza è sottolineato in P. Saraceno, Il sistema delle imprese a partecipazione statale nell’esperienza italiana, Giuffrè, Milano, 1975. 18

«Un’azienda non ha molte alternative: o crea ricchezza nel tempo, ed in tal modo è in grado di dare una risposta piena alle esigenze di chiunque entri in rapporto con essa, oppure distrugge ricchezza, ed allora non soddisfa né bisogni umani, né collettivi». R. Ferraris Franceschi, L’azienda: forme, aspetti, caratteri, criteri discriminanti, in E. Cavalieri (a cura di), Appunti di Economia Aziendale, Edizioni Kappa, Roma, 1995.

Contabilità pubblica, amministrazione e cambiamenti istituzionali

27

della “vita aziendale” 19, né questa può essere indotta dall’esterno, neppure attraverso pervasive attività di controllo o mediante previsioni normative. Il difetto di uno o più “ordini 20 o il “difetto di economicità” conducono qualsivoglia combinazione aziendale all’indesiderabile stato di “caos” 21, antitetico allo stato di “vita aziendale” ed al raggiungimento di una «funzionalità durevole», intesa come attitudine al raggiungimento di posizioni di equilibrio economico a valere nel tempo, coniugando le finalità istituzionali con l’utilizzo razionale delle risorse. Nelle unità pubbliche tali condizioni critiche 22 possono discendere dalla contrapposizione infondata tra equilibri aziendali ed una malintesa socialità: a tale proposito si sottolinea che l’economicità “non esclude sistematicamente la socialità, anzi la comprende, perché produzione di ricchezza vuol dire in conclusione produzione di benessere” 23 per la collettività. Nel sistema delle aziende ed amministrazioni pubbliche si registra la compresenza di due macro-dimensioni, distinte ma fortemente e costantemente interagenti: la dimensione politico istituzionale (Peters, 1978) che deriva dalla funzione di rappresentanza della collettività nel perseguimento dell’interesse pubblico, e la dimensione propriamente «aziendale», in cui si sviluppa la tensione, attraverso una serie coordinata di decisioni ed azioni, verso il perseguimento delle finalità istituzionali 24. Pur ravvisando l’opportunità di trattazione specifica attraverso «discipline apposite» (scienza dell’amministrazione dello stato, scienza delle finanze) del recepimento delle istanze politico-sociali e delle conseguenti problematiche, Ceccherelli ritiene che il «divenire aziende pubbliche», da cui deriverebbero «particolari

19

«Il riscontro di principi di economicità generica non è sufficiente in quanto determina la formazione della “vita economica”, ma non di quella particolare specializzazione di essa che si chiama “vita aziendale”»: E. Giannessi, (1961: 58), Interpretazione del concetto di azienda pubblica, cit., p. 58. 20

«L’ordine combinatorio è caratterizzato dal fatto che, quando uno qualsiasi dei fattori subisce una variazione, il complesso perde il primitivo significato. (…) L’ordine sistematico è caratterizzato dal continuo avvicendarsi di operazioni, ognuna delle quali non si verifica in maniera casuale, ma in stretta connessione con le altre e, insieme ad esse, in conformità al fine perseguito dall’azienda. (…) L’ordine di composizione si basa sul fatto che nell’orbita dell’azienda convergono forze interne ed esterne le quali (…) possono alterare l’equilibrio fondamentale della combinazione economica»: E. Giannessi, L’azienda di produzione originaria, Vol. I, Le aziende agricole, Cursi, Pisa, 1960, 51-54. 21

In particolare, riferendosi al difetto di economicità, Giannessi ne sottolineava l’origine in una serie di cause legate alla struttura fondamentale dell’azienda, tra cui «il prevalere di criteri di gestione extra economici». Laddove si ravvisa la sussistenza di un orientamento gestionale in cui si confondono le finalità degli enti proprietari e/o regolatori e quelle dell’azienda deputata alla produzione del servizio, si compromette, spesso irrimediabilmente, la vitalità economica dell’azienda, quando non la si uccide del tutto. Cfr. E. Giannessi, Il concetto di azienda pubblica, cit. 22

Le condizioni di non economicità, secondo Caramiello, possono derivare da «incapacità aziendale» o «impossibilità aziendale», derivando l’una situazione da errate valutazioni del soggetto economico, l’altra da un insanabili conflitti con l’ambiente circostante. Cfr. C. Caramiello, Il grado di aziendalità delle case di cura, Cursi, Pisa, 1965. 23 24

Cfr. L. Anselmi, Il sistema delle partecipazioni statali oggi, Giappichelli, Torino, 1994.

Si veda diffusamente, in tal senso, E. Giannessi (1961), Interpretazione del concetto di azienda pubblica, cit.

28

Vincenzo Zarone

strutture amministrative determinate dall’ingerenza e dal controllo dello stato», non riguardi il «carattere economico-tecnico dell’azienda» 25. La possibilità di mitigare le criticità derivanti dal succedersi di cambiamenti istituzionali profondi, quali quelli di cui si è fatto cenno in precedenza, dipende anzitutto dalla capacità di promuovere, nel funzionamento della combinazione aziendale, un elevato grado di razionalità nella composizione del quadro sistemico all’interno del quale si perviene alla statuizione ed al perseguimento degli obiettivi, derivanti dall’indirizzo politico-amministrativo, ed alla traduzione degli obiettivi stessi in atti di gestione. La revisione dell’architettura amministrativa in cui si muovono le unità pubbliche impatta anche sul bilanciamento del rapporto tra politica ed amministrazione, la cui dinamica è segnata dall’equilibrio tra il principio democratico ed il principio di imparzialità, ovvero tra il controllo degli organi politici sull’amministrazione e l’asservimento di quest’ultima agli interessi dell’intera collettività, nonché dal riferimento costante ad una accezione ampia del principio di buon andamento, che ricomprende l’orientamento all’efficacia ed all’efficienza dell’azione amministrativa. In un quadro composito così definito, l’analisi volta alla trattazione complessiva delle condizioni di esistenza e delle manifestazioni di vita aziendale delle unità pubbliche 26, muove dal preliminare processo sistematico di agnizione dei criteri di aziendalità, identificando e differenziando le aziende da altre entità «che non presentano i requisiti necessari per potere essere considerate aziende» (Anselmi, 2003: 9), nel solco degli assunti giannessiani ed in coerenza con la concezione dell’unità di scopo dell’azienda. Tale sostanziale distinzione all’interno del sistema delle aziende ed unità pubbliche implica la verifica, attuale o prospettica 27, della sussistenza degli elementi che denotano la presenza di “vita aziendale”, intesa in un’accezione ampia, coerente con l’ampliamento della prospettiva di analisi dell’economia aziendale, che nel tempo ha integrato il focus oggettivo della visione classica zappiana, fondato sulla concezione dell’azienda come insieme di “combinazioni e processi produttivi”, con una prospettiva di analisi “soggettiva”, rivolta non solo «all’interpretazione degli andamenti astratti (economici, finanziari, patrimoniali, tecnici, organizzativi) bensì

25

A. Ceccherelli, Economia Aziendale e Amministrazione delle Imprese, cit., p. 71.

26

L’economia aziendale si configura come ‹‹scienza che studia le condizioni di esistenza e le manifestazioni della vita aziendale››: G. Zappa (1927), Tendenze nuove negli studi di ragioneria. Discorso inaugurale dell’anno accademico 1926-27 nel Regio Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali di Venezia, Istituto Editoriale Scientifico, Milano, 1927. 27

Anselmi sottolinea che «dopo aver scomposto adeguatamente l’insieme dei soggetti pubblici» è possibile «identificare aziende, unità non aziendali» ed anche «altre unità non ancora aziendali ma che potrebbero divenirlo in tempi sufficientemente brevi», riconducendo la caratterizzazione del fenomeno aziendale, anche in ambito pubblico, al riconoscimento del grado «“di aziendalità” perché in essa affondano le nostre radici»: cfr. L. Anselmi, Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni, Giappichelli, Torino, 2003, p. 9.

Contabilità pubblica, amministrazione e cambiamenti istituzionali

29

alle problematiche relative al comportamento dei soggetti realmente operanti nelle unità produttive» (Franceschi Ferraris, 2007: 4) 28. In questo senso la ricerca storica, condotta con particolare riguardo alla congiunta analisi dell’evoluzione degli assetti istituzionali e delle prassi contabili in ambito pubblico, consente di ripercorrere le vicende che hanno interessato le amministrazioni dello Stato, attraverso la focalizzazione su un oggetto di studio riconducibile ai «principi ed i criteri che regolano il funzionamento delle unità in cui si svolge concretamente l’attività economica» 29. Nella consapevolezza del forte condizionamento, nella gestione delle aziende ed unità pubbliche, dei «meccanismi di coordinamento e di integrazione istituzionale del sistema pubblico» 30, la tensione costante al contemperamento della pluralità di «variabili che influenzano l’equilibrio economico, operativo, organizzativo di ogni entità autonoma in cui si articola il sistema pubblico», può trarre, in ultima analisi, beneficio da una chiave di lettura diacronica e sincronica delle alterne vicende che caratterizzano la vita e l’evoluzione delle amministrazioni pubbliche, offrendo più solide basi di conoscenza per affrontare le problematiche molteplici dell’oggi e del domani.

28

A questo proposito si vedano, in particolare, G. Ferrero, Impresa e management, Giuffrè, Milano, 1980; R. Ferraris Franceschi, Finalità dell’azienda e condizioni di funzionamento: introduzione agli studi economico aziendali, Seup, Pisa, 1984. 29

E. Borgonovi, La dottrina economico-aziendale quale fondamento per le proposte di miglioramento della pubblica amministrazione, in AA.VV., Pubblica amministrazione: prospettive aziendali di analisi e di intervento, Giuffrè, Milano, 1984, pp. 1-55. 30

E. Borgonovi, La pubblica amministrazione come sistema di aziende composte pubbliche, in AA.VV., Introduzione all’economia delle amministrazioni pubbliche, Giuffrè, Milano, 1984, pp. 1-86.

30

Vincenzo Zarone

Capitolo 4

La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario di Sabina Ponzo

1. L’ordinamento contabile del Regno di Sardegna: alle origini della contabilità del Regno d’Italia Agli albori della fondazione del Regno d’Italia, ciascuno degli Stati pre-unitari presentava, in virtù della sovranità e dell’autonomia di cui ciascuno di essi godeva, un proprio ordinamento contabile ed un proprio bilancio. Un impegnativo processo di superamento delle differenze tra gli ordinamenti contabili dei singoli Stati pre-unitari e di edificazione di un apparato istituzionale fu necessario per dare al nuovo Stato nazionale una disciplina propria, che non si risolvesse nella mera incorporazione delle cessate monarchie in quella sabauda e nel dissolvimento dei relativi ordinamenti. Fu ragguardevole lo sforzo di ricercare una sintesi degli ordinamenti e delle discipline che fino ad allora regolavano la vita amministrativo-contabile di sette differenti Stati. L’architettura del sistema istituzionale e finanziario piemontese rappresentò la base fondante dell’ordinamento del Regno d’Italia, sia per ragioni di urgenza, sia per il grado di sviluppo raggiunto, che ne aveva fatto un esempio a cui anche altri Stati europei guardavano. Vari erano gli organi e le istituzioni, titolari di funzioni consultive, di controllo e giurisdizionali che erano venuti stratificandosi nel tempo. Prima dell’avvento della monarchia costituzionale, il sistema era disciplinato dalle Regie Patenti del 31 marzo 1817, emanate dal Controllore generale Brignole. Dopo l’occupazione napoleonica, durante la quale erano stati introdotti nell’ordinamento principi democratici, quali la proporzionalità dei tributi, la partecipazione popolare all’amministrazione statale, un diritto di controllo più incisivo, la Restaurazione, incurante dei mutamenti politici, sociali, amministrativi ed economici avvenuti nel frattempo, determinò il ripristino di molti aspetti della disciplina precedente, con conseguenti ripercussioni negative sul sistema.

32

Sabina Ponzo

Figura 1 – L’Italia pre-unitaria

Prendendo atto delle criticità dell’ordinamento, Carlo Alberto, salito al trono del Regno di Sardegna nel 1831, intervenne sull’ordinamento finanziario e contabile dello Stato con i Regi Editti del 18 agosto e del 20 ottobre 1831, nel tentativo di riformare l’intero apparato statale. Tali interventi interessarono le competenze di alcuni organi ed istituzioni preesistenti, in particolare quelli titolari di funzioni consultive, di controllo e giurisdizionali. Il Consiglio delle Finanze era un organo collegiale di consulenza economica, amministrativa, finanziaria e contabile e di vigilanza generale sui movimenti finanziari. Era una sorta di «Consiglio della Corona», alle cui dipendenze dirette svolgeva la propria attività. Tra le altre incombenze, si occupava di esaminare i bilanci e i rendiconti, di formare i contratti ed esprimere il proprio parere sugli affari principali posti in essere dall’amministrazione finanziaria. Tali incombenze furono trasferite, a seguito della fusione con il Consiglio di Stato, a questo nuovo Istituto, incaricato della discussione delle leggi, dei bilanci, dei contratti e di tutte le operazioni di finanza, in vece di una rappresentanza nazionale che ancora si faceva attendere. L’istituzione del Consiglio di Stato si proponeva di migliorare la struttura istituzionale dello Stato sabaudo e di dare una chiara dimostrazione della volontà riformatrice del nuovo Sovrano. La figura del Controllore, o Correttore, generale fu istituita nel 1560 dal Duca di Savoia Emanuele Filiberto. Ad esso furono attribuite funzioni di controllo effettivo su tutta l’amministrazione finanziaria. Era incaricato dell’esercizio di funzioni di

La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario

33

coordinamento contabile e di vigilanza sul movimento finanziario del Ducato, in particolare della vigilanza sui contabili e sugli agenti aventi il maneggio di denaro o di beni dello Stato e dell’esame dei conti resi da costoro. A seguito del susseguirsi delle riforme, al Controllore generale venne attribuita la responsabilità del buon andamento della gestione finanziaria; in particolare, ad esso spettava il riscontro sulle entrate e sulle spese del Regno e la vigilanza sugli atti attraverso i quali si disponeva del pubblico denaro e sull’osservanza delle norme di contabilità di Stato. Redigeva annualmente l’elenco dei contabili, degli agenti e dei tesorieri che alla fine dell’esercizio dovevano render conto della propria amministrazione innanzi alla Camera dei Conti; registrava tutte le nomine ed i provvedimenti; partecipava alla votazione sull’approvazione dei conti dei tesorieri e dei contabili da parte della Regia Camera. Aveva il potere di rinviare, in presenza di osservazioni e proposte di modifica e/o integrazione, la registrazione dei provvedimenti normativi e delle «carte contabili» che incidevano sulle casse statali e di negare la controfirma ad una regia patente, motivando per iscritto il proprio rifiuto 1. Al Controllore generale venne affidata la direzione del neo-istituito Ministero delle Finanze (Regie Patenti del 12 marzo 1816), con la qualifica di Primo Segretario delle Finanze. Tra i suoi compiti, il principale era provvedere al riscontro economico, verificando che, per ciascun movimento in entrata o in uscita riguardante la pubblica finanza, fossero garantite «l’esattezza di somma, la regolarità di modo e la legittimità di titolo». Nel 1817 le sue funzioni vennero disciplinate più sistematicamente, in conseguenza del paradosso venutosi a creare in conseguenza del fatto che al MinistroControllore spettasse il compito di controllare se stesso. All’ampliamento delle competenze del Controllore generale corrispose il ridimensionamento di quelle della Camera dei Conti 2, alla quale erano precedentemente affidati la supervisione ed il controllo sulle finanze, con riguardo ai diritti patrimoniali del Sovrano; l’esame ed il giudizio sui contratti e sugli spogli degli organismi amministrativi, nonché la giurisdizione contenziosa in materia di conti e di responsabilità amministrativa, al solo contenzioso amministrativo ed ai giudizi sui conti. Gli interventi di riforma di cui si è parlato, tuttavia, non giunsero a definire in modo chiaro gli ambiti di intervento degli organi sopra citati, né a disciplinare i rapporti e le interrelazioni che intercorrevano fra essi. Quanto al sistema di bilancio, fu stabilito che il Ministro delle Finanze, riassumendo i dati provenienti dai bilanci parziali o «stati di previsione» redatti dalle «aziende» e dagli altri organismi assimilati, preventivamente esaminati dai Ministri

1

Sulla figura ed i compiti del Generale di finanza e del Controllore generale si espresse Quazza: «Il Controllore generale […] diventa un vero e proprio Ministro del Tesoro; […] il Generale delle Finanze ha invece […] compiti più vicini a quelli dei moderni Ministri della economia». Si veda: G. Quazza (1957). 2

Prima del 1718 esistevano più Camere dei Conti. Dopo quella data, furono soppresse le Camere dei Conti di Savoia, del Piemonte e del Monferrato, alle quali fu sostituita nel 1720 un’unica Regia Camera dei Conti a Torino.

34

Sabina Ponzo

competenti, dovesse compilare il bilancio generale attivo, del quale era redatto un apposito riepilogo o «ristretto», ed il bilancio universale passivo. Il termine «azienda» designava gli organismi riconducibili alla distinzione effettuata, intorno alla metà del XVIII secolo, dal Sovrano Vittorio Amedeo, il quale distinse l’amministrazione «morale», di alta direzione politico-amministrativa, da quella «economica», incaricata di realizzare gli indirizzi generali formulati dalla prima, attraverso la formazione e l’esercizio del bilancio. L’amministrazione morale era riservata al Re, coadiuvato dai Primi Segretari operanti presso i Ministeri; quella economica alle «aziende», disciplinate con apposito regolamento emanato nel 1730. Nel 1816 fu decretata la soppressione della distinzione fra amministrazione morale ed economica, introducendo quella tra attività direttiva ed esecutiva, e con essa la soppressione delle aziende. Il termine, tuttavia, venne mantenuto per designare gli uffici esterni ai quali fu affidata la formazione e l’esecuzione degli atti posti in essere dai Ministeri. Il bilancio generale attivo e quello universale passivo dovevano essere sottoposti al vaglio del Controllore generale, il quale doveva verificare che le spese fossero opportunamente proporzionate all’entità delle risorse a disposizione. Essi venivano discussi ed approvati dal Consiglio di Stato ed infine sottoposti al Re per essere approvati. Procedimento analogo a quello previsto per la compilazione dei conti preventivi era seguito per la redazione del rendiconto generale o «conto generale del bilancio», nel quale, tuttavia, mancava ancora la contabilità del patrimonio. La maggiore riforma dell’ordinamento giuridico si ebbe nel 1848, quando Carlo Alberto concesse al Regno di Sardegna uno Statuto. Con tale atto, sulla spinta del liberalismo e del riformismo moderato, provvide ad autolimitare i propri poteri, negando l’assolutezza della sua carica e vincolando le proprie facoltà alla legge. In materia finanziaria, lo Statuto determinò l’insorgere in capo al Parlamento del diritto di bilancio, ossia del diritto di consentire l’imposta e di autorizzare la spesa, affermando solennemente la sovranità parlamentare in fatto di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato 3; il riconoscimento della responsabilità ministeriale; la revisione in senso più democratico delle attribuzioni e dei rapporti con il Re del Controllore generale e del Consiglio di Stato; l’attestazione dell’universalità dell’imposta. La svolta costituzionale conseguente all’emanazione dello Statuto impose la revisione dell’ordinamento amministrativo, finanziario e contabile del Regno di Sardegna, anche in vista dell’imminente unificazione italiana, che andava sempre più approssimandosi. Cavour, in qualità di Ministro delle Finanze, il 5 maggio 1852 presentò alla Camera un disegno di legge, con l’intenzione di elaborare un codice finanziario, 3

La discussione ed approvazione di tali documenti da parte del Parlamento implicava la loro pubblicità e quindi la conoscibilità da parte di chiunque fosse interessato a conoscerne e ad interpretarne il contenuto.

La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario

35

riassuntivo di tutte le norme amministrative e contabili del Regno, che divenne la legge 23 marzo 1853 n. 1483, detta anche «legge sarda». Figura 2 – La legge 23 marzo 1853 n. 1483

L’idea di realizzare un Testo unico fu però abbandonata a causa dell’incalzare degli avvenimenti collegati al processo di unificazione della penisola. Fu demandato ad un regolamento da emanarsi la predisposizione di disposizioni relative alla contabilità generale dello Stato. Cavour intendeva comporre in maniera organica l’amministrazione finanziaria del Regno. Ciò richiedeva di coordinare le diverse parti dei servizi centrali; concentrare l’azione governativa nei Ministeri, aumentare le attribuzioni e l’importanza degli uffici provinciali, attribuire al Ministro delle Finanze l’esclusiva amministrazione dei proventi, la responsabilità della regolarità dei pagamenti di tutte le spese dello Stato e l’iniziativa parlamentare in merito ad esse 4. Tale legge rispondeva al principio dell’unicità del servizio di tesoreria e del sistema di bilancio 5. Allo scopo fu disposta la soppressione definitiva delle «aziende», con il conseguente rafforzamento della posizione di ciascun Ministro. Nuove norme furono dettate in materia di bilancio. In seguito al coordinamento dei servizi centrali da parte del Ministro delle Fi-

4 5

Atti del Parlamento Subalpino, vol. I.

In precedenza vi erano tante tesorerie quante erano le aziende e due casse speciali, una ordinaria, l’altra di riserva. Alle aziende veniva trasferita parte delle entrate dello Stato, nei limiti delle quali godevano di una certa discrezionalità di spesa.

36

Sabina Ponzo

nanze, questi diventò l’esclusivo responsabile dell’amministrazione delle entrate e delle spese e della formazione del bilancio attivo e del bilancio generale passivo, materialmente redatti da una Direzione generale di Contabilità istituita presso il Ministero. Essa doveva occuparsi della tenuta di un valido sistema di scritture, il cui allestimento doveva essere disposto non per legge ma con regolamento, nel rispetto della discrezionalità inerente all’organizzazione degli uffici amministrativi, goduta dal Ministro. Nel bilancio attivo e passivo, sintesi dei bilanci parziali dei singoli Ministeri, erano accolti per competenza i proventi accertati e le spese compiute tra il 1° gennaio e il 31 dicembre, con proroga fino al 30 giugno dell’anno seguente per le operazioni di riscossione, liquidazione e pagamento strettamente necessarie al compimento delle operazioni relative all’esercizio conclusosi. Le somme che in quella data fossero rimaste da incassare o da pagare sarebbero state imputate all’esercizio successivo, insieme a quelle spese, sia pur non ancora impegnate, delle quali sussistesse ancora la necessità o la convenienza. Le entrate furono classificate in «titoli» (entrate ordinarie e straordinarie); «categorie», secondo la natura del provento, ed «articoli»; le spese in «titoli» e «categorie», La specializzazione in «articoli» figurava solo nei bilanci parziali, allegati al bilancio generale, tra i quali potevano aver luogo degli storni di fondi, purché all’interno di una stessa categoria 6. Entro i primi due mesi dell’esercizio successivo, il Ministro delle Finanze aveva l’obbligo di presentare al Parlamento l’assestamento definitivo, accompagnato da una relazione del Controllore generale attestante la conformità dei conti di ciascun Ministero a quelli tenuti nella contabilità generale. Esso era destinato a determinare «quanto avanzi di riscossione o di spesa da farsi in dipendenza della contabilità passata» ed a ridurre «alle minime proporzioni possibili quella massa di residui che per l’addietro figurò negli spogli» 7. Le nuove o le maggiori spese dovevano essere autorizzate con legge speciale, in cui dovevano essere indicati i mezzi per farvi fronte. La preventiva autorizzazione parlamentare non era richiesta per gli esuberi di spese obbligatorie e d’ordine. Le disposizioni precedenti testimoniano come Cavour intendesse ispirare l’ordinamento contabile piemontese al modello in uso presso le amministrazioni finanziarie di Francia e Belgio, ossia ad un sistema in cui il bilancio veniva redatto per competenza, considerando effettuate le entrate e le spese nel momento del loro accertamento od impegno. 6

Sul tema della specializzazione del bilancio, si accese il dibattito fra il Ministro proponente e l’onorevole Pescatore, che auspicava una precisa e dettagliata specificazione delle categorie, onde evitare ogni possibilità di effettuare storni occulti. Cavour, invece, riteneva che un’eccessiva specializzazione avrebbe condotto al moltiplicarsi dei crediti supplementari e al rischio che i bilanci non fossero più votati per categoria ma per Ministero, «poiché quando una Camera avrà impiegato due o tre sessioni per votare un bilancio secondo il sistema del deputato Pescatore, si stancherà e voterà cumulativamente, ed a passo di carica» (Atti del Parlamento Subalpino, vol. I, cit.). 7

Atti del Parlamento Subalpino, vol. I, cit.

La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario

37

Il modello franco-belga, caratterizzato dal bilancio di competenza, altrimenti detto «di diritto» o «di esercizio», si contrapponeva tradizionalmente a quello inglese, caratterizzato da un bilancio redatto per cassa, noto anche come bilancio «di fatto» o «di gestione», nel quale erano accolte solo le entrate e le spese delle quali si supponeva la riscossione o il pagamento nel corso dell’esercizio. Entrambi furono oggetto di studio in sede di preparazione del codice ragioneristico del Regno. Le operazioni di contabilità dovevano essere registrate in un «gran libro» e in un «libro giornaliero», nei quali «a poco a poco introdurre la partita doppia» 8. Cavour fu un convinto sostenitore del metodo di registrazione della scrittura doppia, ritenendola indispensabile ad una buona amministrazione perché in grado di evitare il verificarsi di ritardi ed alterazioni nella rappresentazione dei fatti amministrativi e di favorire la funzione del controllo, rendendolo più attendibile e prevenendo omissioni ed errori. A fine esercizio veniva compilato il «Conto generale delle finanze», redatto nella medesima forma del preventivo, attingendo ai conti amministrativi di ciascuna ragioneria ministeriale. Il conto generale era composto dal conto delle spese classificate per Ministeri, dal conto delle entrate, da quello dei movimenti di fondi in tesoreria e dai conti dei servizi speciali. Relativamente alle operazioni di tesoreria, fu stabilito che le riscossioni dovessero confluire nella Tesoreria generale o centrale ed in quelle provinciali, i cui fondi dovevano essere ripartiti ogni due mesi fra i Ministeri. La quota a ciascuno spettante rappresentava il limite entro il quale potevano essere effettuati i pagamenti, salvo imputazione al bilancio e con il parere positivo del Ministro delle Finanze. Sensibile al tema del controllo, Cavour si adoperò affinché fosse garantito che la gestione finanziaria avvenisse «con la massima economia e regolarità» 9. Sottolineò l’importanza non solo del controllo parlamentare preventivo, esercitato mediante l’approvazione del bilanci e, a monte, mediante la formazione delle leggi di contabilità e di finanza pubblica, ma anche del riscontro amministrativo interno, affidato al Ministro delle Finanze in merito all’equilibrio fra spese previste e mezzi disponibili. Nel sistema vigente un simile riscontro era già previsto a carico del Controllore generale ma esso non interessava tutti i servizi e, anche laddove fosse effettivamente esercitato, ciò avveniva in via del tutto formale. Cavour suggerì l’introduzione di due ordini di controllo preventivo. Un primo controllo, interno e di tipo amministrativo, era affidato al Ministro delle Finanze, che doveva occuparsi del riscontro su riscossioni e pagamenti, sui beni mobili e immobili dello Stato e sull’operato degli agenti contabili, in quanto era l’unico che poteva disporre delle informazioni necessarie a far sì che esso venisse condotto con criteri economici oltre che giuridici 10. 8

Parlamento Subalpino, Atti legislatura IV, vol. I, 1849-1853.

9

Parlamento Subalpino, cit.

10

Nella relazione al progetto il Cavour affermò: «Il solo Ministro delle Finanze trovasi in grado di conoscere se le finanze dello Stato consentano le spese che si propongono; né basta dimostrare l’utilità delle spese, conviene pure provare di avere i mezzi per farvi fronte».

38

Sabina Ponzo

Il secondo ordine di controllo che riteneva opportuno introdurre era quello esterno di tipo costituzionale, affidato ad un organo indipendente, una Corte dei Conti in cui concentrare le funzioni del Controllore generale, deputato del controllo preventivo, e della Camera dei Conti, deputata del controllo successivo e giudiziario 11. Il riscontro amministrativo interno e quello costituzionale esterno dovevano svolgersi nel rispetto del principio in base al quale l’amministrazione attiva spettava esclusivamente al potere esecutivo: il Ministro delle Finanze non poteva pronunciarsi sull’opportunità delle spese disposte dagli altri Ministeri ma doveva limitarsi a valutare l’equilibrio fra spese previste e mezzi disponibili; similmente la Corte dei Conti non aveva facoltà di sindacare il merito dei provvedimenti amministrativi. La proposta di istituzione della Corte dei Conti, tuttavia, non superò l’esame del Parlamento 12, lasciando irrisolte le perplessità dovute al fatto che, dopo la soppressione delle aziende (uffici esterni moralmente separati dal Ministero), il subentro delle Direzioni centrali o generali (alle dipendenze del Ministero) determinava la concentrazione nelle mani del Ministro dell’intera gestione finanziaria. Si intese risolvere il problema affidando al Controllore generale la facoltà di dissentire dai provvedimenti adottati dal Ministro e rinviare la questione al Consiglio dei Ministri. Se il Consiglio si fosse pronunciato favorevolmente, il provvedimento sarebbe stato registrato «con riserva» e sottoposto all’attenzione del Parlamento, in sede di relazione sull’andamento finanziario e contabile dell’amministrazione. La legge sarda, infine, dettava disposizioni in materia di amministrazione del patrimonio e di contratti, la cui formazione era assegnata alla competenza di organi ministeriali, previo parere del Consiglio di Stato per gli atti aventi una certa rilevanza. Si disponeva, in particolare, la compilazione degli inventari di tutti i beni mobili e immobili dello Stato, onde gettare le basi per una contabilità patrimoniale da realizzarsi in futuro, destinata ad affiancare la contabilità finanziaria.

11

L’istituzione di una Corte dei Conti modellata sull’esempio di quella franco-belga sembrava essere già nelle intenzioni del legislatore del 1831, il quale, facendo dipendere il Controllore generale, deputato del controllo preventivo, dalla Camera dei Conti, deputata del controllo successivo e giudiziario, sembrava manifestare l’intento di concentrare le diverse tipologie di controllo nello stesso organo collegiale esterno. 12

La commissione alla Camera ritenne più opportuno rimandare la sua istituzione ad un momento successivo, quando sarebbero stati maturi i tempi per la soppressione dell’Ufficio del Controllore generale e si fosse realizzata una significativa esperienza in fatto di riscontri. Questa risoluzione fu adottata nonostante il parere contrario dell’opposizione, la quale era fermamente convinta della validità dell’istituto, in particolare perché dopo la soppressione delle aziende e la loro sostituzione con le Direzioni centrali o generali, che operavano internamente ed alle dipendenze del Ministero, l’intera gestione finanziaria sarebbe stata concentrata nelle mani del Ministro.

La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario

39

2. L’ordinamento contabile del Regno Lombardo-Veneto: Francesco Villa e il metodo camerale La dipendenza della Lombardia e del Veneto dalla Corona asburgica determinò, anche sotto il profilo amministrativo e finanziario, l’omologazione della disciplina in vigore nel resto dell’Impero. Le autorità amministrative si distinguevano in politiche ed economiche, ossia camerali 13. La società civile era composta da famiglie, congregate nei «Comuni»; più Comuni costituivano un «Distretto»; più Distretti una «Provincia»; più Province un «Governo» 14. Nel Lombardo-Veneto risiedevano due Governi, uno a Milano, l’altro a Venezia, composti ciascuno da un «Collegio governativo», presieduto dal Governatore. I Governi, che si occupavano della parte politica, dipendevano da un principe che risiedeva nel Regno e rappresentava l’Imperatore, con il titolo di Viceré, e dagli «Aulici dicasteri», a Vienna. La parte economica era affidata ai due collegi di «Magistrati camerali», uno a Milano, l’altro a Venezia, dipendenti dalla «I. R. Camera Aulica generale» di Vienna 15, ai quali spettava «l’autorità assoluta amministrativa in tutti i rami della finanza» 16. Essi sostituivano il precedente «Senato camerale» e concentravano in sé tutte le attribuzioni sue e della «Direzione generale del Demanio». Presso ciascun Magistrato operavano alcuni uffici sussidiari, fra cui la «I. R. Contabilità Centrale» (o «Ragioneria generale»), che interveniva in materia di contabilità nelle diverse amministrazioni, specialmente per quanto riguardava le assegnazioni a carico delle casse e l’amministrazione ed i conti della cassa centrale. Il sistema contabile austriaco si fondava sul metodo camerale. Questo procedimento prevedeva un sistema di registrazioni in scrittura semplice, mediante le quali osservare le variazioni patrimoniali sotto il profilo quantitativo. I fatti amministrativi erano ricondotti ad entrate e uscite, rilevate in due distinte contabilità, una per il denaro, l’altra per le materie 17. In ciascuna di esse, le operazioni venivano registrate con un’unica scrittura in un solo conto. 13

L’espressione «camerale» deriva da «camera», termine con il quale si individuavano gli uffici incaricati della custodia e dell’amministrazione del denaro. 14

Villa definì il Governo «quella riunione di Autorità (di qualunque natura sieno poi le funzioni loro attribuite dalle costituzioni politiche) le cui decisioni devono essere obbedite, a fine di ottenere lo scopo della istituzione del Governo medesimo» (F. Villa, Contabilità applicata, Parte Seconda). 15

La Camera Aulica dei Conti, istituita nel 1716 e indipendente da ogni Autorità amministrativa (dipendeva, infatti, solo dall’Imperatore), vigilava sui contabili dello Stato e sulla regolarità delle scritture. Nel 1805 mutò la denominazione in «Direttorio Aulico generale dei Conti» e nel 1834 in «Supremo Dicastero di Controlleria dei Conti». Essa si occupava di dare forma e coordinamento a tutte le contabilità camerali; di esaminare i conti preventivi e consuntivi; di sottoporre al Re i conti generali; di fare in modo che fossero rispettati i termini per la presentazione dei vari documenti. 16 17

F. Villa, Contabilità applicata alle amministrazioni private e pubbliche, Parte Seconda, 1842.

La contabilità del denaro rilevava in conti di cassa introiti e pagamenti espressi in valore monetario, quella delle materie era tenuta in appositi conti sulla base delle unità di misura più opportune.

40

Sabina Ponzo

La contabilità camerale, se da un lato consentiva la rilevazione dell’aspetto numerario della gestione e le variazioni che questa produceva sull’entità della cassa, dei debiti e dei crediti, dall’altro prevedeva la classificazione delle grandezze sotto un unico aspetto, senza considerare in alcun modo il profilo economico: il risultato economico, infatti, non poteva essere determinato contabilmente, ma solo per differenza fra l’entità del patrimonio netto iniziale e quella del patrimonio netto finale. Il Preventivo generale dello Stato scaturiva dalla sintesi dei Preventivi speciali di spesa dei singoli Ministeri, o Amministrazioni passive, e dal Preventivo di rendita delle diverse sezioni del Ministero generale delle Finanze. Le occorrenze venivano calcolate e discusse in primo luogo dagli uffici secondari, incaricati di provvedere ai bisogni dello Stato. Le proposte venivano poi trasmesse agli uffici principali, insieme a tutti i chiarimenti necessari a dimostrare le spese straordinarie che figuravano nella proposta di preventivo. Gli uffici superiori o consultivi esaminavano i preventivi parziali, valutando la natura e la necessità dei titoli di spesa, l’esistenza di una causa che li giustificasse nell’andamento dell’amministrazione o nell’esistenza di una previa superiore autorizzazione e l’entità rispetto all’anno precedente 18. In base al giudizio emesso, gli uffici superiori provvedevano a riassumere i preventivi esaminati ed eventualmente a modificare l’ampiezza dei titoli di spesa, anticiparne, procrastinarne o dilazionarne il sostenimento, in quanto era loro facoltà godere di una visione globale dei vari rami di amministrazione, possibile solo ad un livello superiore rispetto alle amministrazioni proponenti. Gli uffici trasmettevano quindi i risultati dell’ispezione al Governo, il quale, avvalendosi dell’operato della Contabilità Centrale, procedeva ad un’ulteriore verifica e riuniva i preventivi parziali in un unico quadro generale, sulla base del modello prescritto dall’Autorità Suprema. Le spese dovevano essere rigidamente ed analiticamente classificate, così che l’amministrazione non potesse, nel corso della gestione, deviare dal piano prefissato: i crediti aperti alle singole amministrazioni riportavano l’indicazione dei rispettivi articoli di spesa ed i fondi stanziati per un determinato articolo non potevano essere stornati, nemmeno in seno alla medesima classe. Determinata la spesa che si prevedeva di sostenere nell’anno, il Governo aveva il dovere di assicurare una rendita sufficiente a sostenerla. A questo scopo, le amministrazioni attive erano tenute a compilare dei conti preventivi di rendita, comprendenti il quadro e la dimostrazione delle rendite ed il prospetto della spesa necessaria per ottenerle, ossia il prodotto netto del ramo d’amministrazione. I preventivi di rendita venivano esaminati dagli uffici competenti ed approvati dai Dicasteri camerali. Una volta approvati, costituivano elementi dei preventivi

18

Allo scopo di produrre un dato di confronto, accanto alla colonna che conteneva gli stanziamenti per l’anno a cui il preventivo si riferiva, ve n’era un’altra contenente le somme stanziate per l’anno precedente.

La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario

41

complessivi di ciascun ramo di amministrazione, nonché del preventivo generale dello Stato. Era compito del Supremo Dicastero di Controlleria dei Conti sottoporre il preventivo generale all’approvazione del Sovrano, concessa la quale sorgeva a carico dell’Amministrazione generale delle Finanze una competenza passiva nei confronti dei diversi Ministeri, per l’ammontare delle spese approvate. L’Amministrazione delle Finanze adempiva alla propria competenza versando le somme pattuite al Tesoro, il quale era incaricato del pagamento ai Ministeri. L’estinzione del debito del Tesoro pareggiava la competenza attiva iniziale dei Ministeri. Il bilancio di previsione, più che uno strumento interno di pianificazione della gestione, era considerato un mezzo vincolistico, strumentale alla fase del controllo 19, cui tendeva tutto l’apparato contabile camerale. Veniva quindi a costituire una norma amministrativa per il controllo delle operazioni dell’amministratore 20. Lo scopo essenziale della tenuta dei conti e delle scritture, infatti, era garantire la corretta determinazione dei risultati aziendali attraverso le registrazioni e ad evidenziare eventuali errori e mancanze imputabili ai soggetti dei quali si voleva giudicare la condotta, sia relativamente alla conformità a quanto stabilito in sede preventiva, sia all’osservanza delle disposizioni prescritte in materia finanziaria e contabile. L’insieme di tali operazioni era complessivamente finalizzata all’esercizio del controllo 21. A consuntivo, i conti dimostrativi delle diverse amministrazioni includevano il Bilancio di Cassa, in cui dovevano figurare gli introiti ed i pagamenti effettivi; il Bilancio del Patrimonio, nel quale dovevano essere compilati e confrontati l’inventario iniziale e l’inventario finale 22, ed il Bilancio del Prodotto, mediante il quale veniva calcolata indirettamente la rendita netta dell’anno.

19

«Il controllo che in questo periodo si cercava di attuare con la previsione, anzi, rendeva l’autorità controllante direttamente partecipe della gestione, in quanto essa deteneva il potere di imporre la propria volontà; per questo motivo, tale controllo potrebbe essere meglio definito come tutela» (R. Ferraris Franceschi, Aspetti evolutivi della dottrina economico-aziendale: Francesco Villa, Colombo Cursi Editore, Pisa, 1970). 20

J. Schrott, Trattato di ragioneria, Traduzione italiana di Edoardo Sperotti, Tipografia della Rivista di contabilità, Novara, 1882. Del «Trattato» esistono diverse versioni in lingua originale, la prima delle quali risale al 1856. 21

La tenuta dei conti era puramente strumentale all’esercizio del controllo. Seidler, in particolare, la riteneva contemporaneamente oggetto e mezzo del controllo, in quanto destinata a rappresentare e descrivere i fatti di cui si voleva accertare la verità e l’esattezza, nonché strumento per un’ordinata gestione. 22

Nella Prima Parte della «Contabilità applicata», Villa qualificò i beni e le ricchezze come le cose il cui impiego ed uso costituivano i mezzi per soddisfare i bisogni, di cui alcuni erano disponibili illimitatamente e gratuitamente in natura, altri erano il prodotto del concorso di altri mezzi e pertanto non disponibili gratuitamente. «Questi averi sono ciò appunto che costituiscono una Sostanza, un Patrimonio […] dobbiamo considerare in essi il loro valore soltanto, qualità loro comune, e mancando la quale, non formano parte di un patrimonio» (F. Villa, Contabilità applicata, Parte Prima, cit.). Più tardi, negli «Elementi di amministrazione e contabilità» (1850), definì il patrimonio come un «aggregato di valori». Egli non si limitò a considerare il patrimonio in generale ma definì il patrimonio netto come «confronto dell’Attività totale colla Passività totale», per la cui determinazione sarebbe stato opportuno accendere conti alle persone, le cosiddette «partite individuali», ed alle cose, le «partite di deposito», dimostrando, così, una forma di adesione alla tesi dell’interpretazione personalistica dei conti.

42

Sabina Ponzo

A partire da tali elementi, la Suprema Autorità contabile, indipendente sia dagli uffici che producevano i conti, sia dalle autorità amministrative, compilava il Gran Conto Generale. L’autorità si occupava, inoltre, della verifica, mediante un apposito ufficio, dell’attendibilità dei conti pervenutile, pronunciandosi sull’utilità e sulla regolarità delle spese. Esercitava, in tal modo, sia un controllo formale, sia un controllo sostanziale. Affinché quest’opera di verifica fosse effettuata con la massima imparzialità, era garantita l’indipendenza dell’autorità ad essa preposta sia dagli uffici che producevano i conti, sia dalle autorità amministrative. Il processo di ricognizione dei conti aveva inizio con la verifica dell’esecuzione delle mansioni e degli incarichi attribuiti ai contabili ed agli agenti da parte delle Amministrazioni superiori da cui questi dipendevano. Tali amministrazioni, a loro volta, dovevano dimostrare all’Amministrazione generale del Tesoro di non aver oltrepassato i limiti costituiti dai crediti loro assegnati e la corrispondenza delle proprie operazioni con quelle registrate dalle Amministrazioni subalterne. Il Tesoro doveva verificare tale corrispondenza e quella fra le registrazioni delle Amministrazioni superiori e le proprie. Veniva poi effettuato un secondo grado di riscontro, morale oltre che materiale, sulla regolarità dell’ordinazione, della liquidazione e del pagamento delle spese e sulla regolarità del conto reso dal Ministero del Tesoro, del quale occorreva verificare l’esattezza e mettere in evidenza l’effetto prodotto sul patrimonio pubblico dai risultati che in esso erano dimostrati. Un ultimo grado di controllo, prettamente morale, spettava alla Suprema Autorità politica, cioè alla Camera Aulica generale, sulla responsabilità personale dei Ministri, che veniva riscontrata sulla base di un rapporto redatto dalla Contabilità Suprema. Nessun tipo di riscontro poteva essere esercitato da parte dei sudditi: i conti pubblici del Regno Lombardo-Veneto, infatti, non erano assoggettati a nessuna forma di pubblicità e non vi erano norme in materia di trasparenza. La contabilità del Regno Lombardo-Veneto ricevette un forte impulso grazie all’opera di Francesco Villa, il quale si dedicò ad essa sia sul piano scientificodottrinale, sia su quello operativo 23.

23

Francesco Villa nacque nel 1801 a Milano, dove compì studi classici e tecnici ed ottenne il diploma di Ragioniere ed Agrimensore. Nel 1826 fu impiegato presso l’ufficio di contabilità centrale del Regno Lombardo-Veneto. A partire dal 1830, iniziò ad impartire lezioni di contabilità ed agraria, prima privatamente, poi nelle Scuole governative per gli Agenti rurali. Nel 1840-41 pubblicò il trattato «La Contabilità applicata alle Amministrazioni private e pubbliche», con il quale vinse il concorso bandito dal Governo austriaco per la migliore opera di contabilità di Stato. Il trattato gli valse il conferimento della supplenza del Prof. Schnarendorf, Ordinario di Contabilità di Stato presso la R. Università di Pavia, del cui insegnamento Villa ottenne la titolarità, anch’egli come Professore Ordinario, nel 1843. Dopo il riordinamento della pubblica istruzione, disposto dalla Legge Casati 13 novembre 1859, la cattedra di Contabilità di Stato fu trasferita nella R. Accademia scientifico-letteraria di Milano, fondata con lo

La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario

43

Gli studi ragioneristici di Villa, ed in particolare quelli aventi ad oggetto le amministrazioni pubbliche, si dispiegarono in un contesto che subì profondi mutamenti nel corso dell’arco temporale in cui si svolsero. In un primo tempo, infatti, lo Studioso si trovò ad indagare le modalità della gestione ed i criteri che ispirarono la contabilità pubblica del Regno LombardoVeneto che, in base alla spartizione territoriale dell’Europa decisa dal Congresso di Vienna, risultava ancora assoggettato alla sovranità austriaca. Fu alle dipendenze della I. R. Contabilità Centrale Lombarda che, dal 1826, Villa prestò il proprio servizio, avendo modo di manifestare la propria adesione alla Scuola lombardoaustriaca 24 e di condividerne, almeno in questa prima fase, i principi informatori. I risultati delle sue prime speculazioni furono raccolti e pubblicati nella seconda parte de «La Contabilità applicata alle Amministrazioni private e pubbliche» 25 con la quale l’Autore vinse il premio offerto dal Governo austriaco per la migliore opera di contabilità di Stato, sulle tracce del programma pubblicato dall’I. R. Governo. I tentativi profusi dalla Corona asburgica per omologare il Lombardo-Veneto alle altre province dell’Impero si tradussero quasi sempre nella subordinazione degli interessi italiani a quelli austriaci. Ciò determinò l’avversione dell’opinione pubblica nei confronti dell’Impero ed il diffondersi delle aspirazioni indipendentiste che condussero ai fatti del Risorgimento. Anche sotto il profilo amministrativo e finanziario, il regime asburgico decise di estendere alla Lombardia e al Veneto il proprio ordinamento. Nella «Contabilità applicata», Villa descrisse brevemente l’amministrazione del Regno Lombardo-Veneto, a partire dalla definizione dell’oggetto dell’ammistesso provvedimento. Nel 1862 la cattedra di Contabilità di Stato fu soppressa e Villa fu trasferito presso il R. Istituto Tecnico di Milano, dove insegnò Amministrazione e Contabilità, fino al raggiungimento dei limiti di età. Morì a Milano nel 1884. Per un maggiore approfondimento sull’opera ed il contributo di Francesco Villa, si vedano: R. Ferraris Franceschi (1970) e, con specifico riferimento al contributo dell’Autore allo sviluppo della pianificazione aziendale e degli studi probabilistici, C. Caramiello (1965). Più in generale, si vedano: F. Melis (1950), P. Onida (1951) e E. Giannessi (1971). 24

La Scuola lombardo-austriaca, i cui esiti in tema di contabilità pubblica rappresentarono il contributo più significativo, ebbe a capo Josef Schrott in Austria e Francesco Villa in Italia. Non spetta al Villa, tuttavia, ma ad Antonio Tonzig il titolo di massimo esponente italiano della Scuola lombarda, in quanto, dopo l’enfasi iniziale, il Villa si discostò dalla teoria e dal metodo camerale, che ne era alla base. 25

F. Villa, Contabilità applicata alle amministrazioni private e pubbliche, Angelo Monti, Milano, 1840-1841. La seconda edizione dell’opera fu pubblicata nei due anni seguenti, presso una diversa casa editrice: F. Villa, Contabilità applicata alle amministrazioni private e pubbliche, Tipografia delle Scienze, Roma, 1841-1842. Il trattato si compone di due parti, di cui la prima è da considerarsi propedeutica alla seconda. La prima parte parla della contabilità in generale e della sua applicazione alle amministrazioni private, la seconda della contabilità applicata alle pubbliche amministrazioni. Nell’introduzione alla seconda parte del trattato, lo stesso Autore precisò: «In questa seconda parte abbiamo per iscopo di somministrare quelle nozioni fondamentali che riescono indispensabili a chiunque voglia dedicarsi agli impieghi pubblici amministrativi, e di contabilità […]. Le nozioni che noi abbiamo ad esporre sono di due specie; le une economico-amministrative, e le altre attinenti alla tenuta dei conti e dei registri delle pubbliche aziende. Le amministrazioni pubbliche risentono il più delle volte della natura delle private, talché la base fondamentale della conoscenza delle medesime è la conoscenza delle amministrazioni private».

44

Sabina Ponzo

nistrazione di uno Stato, che individuò nel «mantenimento dell’ordine, e la percezione delle rendite necessarie per raggiungere questo scopo» 26. La rigida distinzione tra il metodo camerale, basato su un sistema di registrazioni in scrittura semplice per la contabilità delle aziende di erogazione e delle aziende pubbliche, e il metodo mercantile italiano, basato sulla tenuta di scritture in partita doppia per la contabilità delle aziende commerciali e manifatturiere non persuase il Villa 27. Nel capo dedicato alla «Contabilità pratica delle Amministrazioni pubbliche», infatti, sostenne la generale applicabilità dei metodi ordinari di conto 28 alle amministrazioni pubbliche e quindi la potenziale unicità dei metodi contabili, finalizzata alla controllo delle amministrazioni stesse 29. Egli sostenne l’impossibilità di individuare un metodo che si dimostrasse migliore in assoluto per la tenuta dei libri di un’amministrazione qualsiasi ma che questo dovesse essere scelto «in ragione diretta della conoscenza di quell’amministrazione medesima» 30. Per essere in grado di scegliere il metodo più opportuno con il quale tenere i registri, era necessario, in primo luogo, provvedere alla classificazione degli enti costituenti il patrimonio; alla distinzione dei rami di rendita; alla valutazione della convenienza a tenere in evidenza alcuni movimenti piuttosto che altri; alla necessità di riunire in prospetti separati le perdite ed i guadagni di ciascun ramo d’amministrazione. Sulla base di questa valutazione di convenienza, riteneva che il metodo di scrittura in partita doppia dovesse applicarsi, in linea di massima, a tutte le Aziende estese, in quanto riconosceva al metodo in questione il merito di assicurare la «quasi perfetta registrazione dei fatti» e di mettere in evidenza gli aumenti e le di-

26

F. Villa, Contabilità applicata, Parte Seconda, cit.

27

Oltre che con la «scrittura doppia italiana», i cameralisti ammettevano che il metodo mercantile potesse essere condotto attraverso il «nuovo modo inglese» ed il «nuovo modo tedesco», i cui meccanismi erano illustrati nel «Trattato di scienza della contabilità» di Szarka, uno dei più rappresentativi esponenti di quella scuola. 28

Nella Parte Prima della «Contabilità applicata» Villa propone un quadro sistematico delle teorie per la tenuta dei registri, in cui afferma: «Un REGISTRO è un libro che contiene la serie delle annotazioni relative ad una Amministrazione, ordinata allo scopo di poter conoscere i risultamenti di quell’Amministrazione medesima. Un registro può essere tenuto: A SCRITTURA DOPPIA, cioè con una serie di annotazioni dirette a classificare sul Registro le Attività e Passività originarie, le Rendite, e le Spese, e le Attività e Passività finali. Questa classificazione si ottiene con doppia registrazione, cioè col registrare contemporaneamente il debito ad una partita, ed il credito all’altra partita con cui la prima è in relazione. […] A SCRITTURA SEMPLICE, cioè con una serie di annotazioni staccate, indipendenti anche le une dalle altre. […]» (F. Villa, Contabilità applicata, Parte Prima, cit.). 29

«Se così è, come ne sembra di potere con fondamento asserire, la conseguenza di una tal riflessione è la possibilità di applicare anche ai diversi rami della pubblica amministrazione quei metodi che vedemmo utilmente applicabili alle amministrazioni private: il tutto dipenderà dal sapere utilmente valersi di quei metodi, a norma del bisogno e secondo la natura e lo scopo delle Aziende» (F. Villa, Contabilità applicata, Parte Seconda, cit.). 30

F. Villa, Contabilità applicata, Parte Seconda, cit.

La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario

45

minuzioni del patrimonio, nonché le relazioni di rendita e di spesa fra i diversi rami delle Aziende stesse 31. In tutti i casi in cui, invece, l’attività dell’amministrazione si basava sulle competenze di determinati individui o di determinate sezioni e su adempimenti in denaro; gli elementi di rendita e di spesa erano limitati; non esistevano strette relazioni fra le sezioni stesse, i benefici derivanti dall’adozione dei metodi di scrittura doppia non compensavano le complicazioni scritturali che ne conseguivano ed appariva più opportuno adottare forme di scrittura semplice. Sebbene alle amministrazioni fosse lasciata la facoltà di tenere i registri con il metodo ritenuto più idoneo a permettere la semplice e chiara dimostrazione dei conti, la forma di tali registri doveva essere tale da potersi ottenere gli elementi per la redazione di un resoconto di amministrazione secondo il metodo camerale. Villa individuò lo scopo della contabilità camerale, come del resto quello di un qualsiasi altro metodo di contabilità, nel controllo degli effetti materiali all’inizio e alla fine di ciascun periodo; nell’individuazione delle entrate e delle uscite di competenza; nel confronto degli adempimenti con le competenze. Al perseguimento di ciascuno di questi obiettivi destinò una diversa tipologia di documento contabile. Il controllo sugli effetti materiali, che presupponeva la compilazione di un inventario del denaro e delle altre attività e passività, doveva avvalersi della compilazione di libri o giornali di carico e scarico, i quali costituivano sostanzialmente delle partite di deposito in cui le registrazioni venivano effettuate in ordine cronologico, sulla base della classificazione in articoli. Entrate e spese dovevano essere desunte dal preventivo di amministrazione, in cui le competenze attive e passive erano registrate e classificate per categorie e sulle quali doveva essere effettuato un controllo di legittimità e di merito, e da appositi libri di prenotazione, i quali costituivano un primo ordinamento delle registrazioni cronologiche contenute nel giornale. Gli adempimenti delle competenze dovevano risultare dai libri o giornali di carico e scarico di cui sopra e da una serie di quadri parziali di competenza e di adempimento ottenuti trasportando gli adempimenti parziali sui libri di prenotazione. I quadri parziali servivano da appoggio alla registrazione sistematica delle competenze attive e passive e dei relativi adempimenti nei conti o rubriche del libro maestro 32.

31 32

F. Villa, Contabilità applicata, Parte Seconda, cit.

La strumentalità dei libri di prenotazione alla registrazione sistematica ed al duplice scopo di informazione e di controllo cui doveva mirare la tenuta dei conti faceva sì che fossero chiamati anche libri ausiliari, classificabili in: libri destinati a dimostrare le competenze di uguale natura ma non gli adempimenti; libri destinati a dimostrare le competenze ed i relativi adempimenti per categorie; libri destinati a dimostrare unicamente gli adempimenti parziali ma non le competenze. Nel primo caso, essi servivano da preventivi parziali di amministrazione; nel secondo caso erano al tempo stesso preventivi speciali e dimostrazioni speciali dei fatti d’amministrazione; nel terzo caso costituivano prospetti dimostrativi dei fatti di amministrazione.

46

Sabina Ponzo

Il maestro era il registro destinato a dimostrare in via di sintesi le relazioni fra i vari rami dell’amministrazione ed il suo andamento generale, di modo che fosse possibile esprimere un giudizio sull’operato di coloro ai quali era demandata l’amministrazione. Nel mastro, entrate ed uscite erano registrate in apposite rubriche, da cui risultavano i residui del periodo precedente, le competenze, gli adempimenti e, dalla differenza delle ultime due voci, i residui finali. Accanto a ciascun adempimento, registrato a credito nella sezione destra del conto (le competenze, invece, erano registrate a debito nella sezione sinistra), il mastro doveva indicare la corrispondente previsione, in modo da richiamare all’attenzione degli organi deputati al controllo ogni eventuale scostamento. Il numero e la collocazione delle rubriche dipendevano dalla natura e dai bisogni delle amministrazioni. Esigenze di uniformità dei conti parziali, finalizzati alla produzione del conto complessivo, richiedevano, tuttavia, che le classificazioni fossero fissate ad un livello superiore, con un grado di specializzazione tale da consentire la conoscenza delle relazioni ed il concorso dei fatti d’amministrazione al risultato finale dell’amministrazione stessa. I risultati dimostrati nel libro maestro erano infine raccolti in un prospetto riassuntivo, grazie al quale era possibile confrontare le competenze con gli adempimenti e liquidare, di conseguenza, le competenze inadempiute ed i residui, nonché riassumere per titoli le somme complessive delle competenze attive e passive e degli adempimenti, nonché le competenze inadempiute. Quando la registrazione sistematica aveva come scopo la dimostrazione del complessivo andamento dell’amministrazione, essa aveva luogo nel libro maestro, dal quale dovevano risultare le competenze, gli adempimenti ed i residui del periodo d’amministrazione, ed in prospetti periodici, i quali analogamente dimostravano le competenze, gli adempimenti ed i residui relativi al periodo di cui si voleva rappresentare l’andamento. Quando invece si reputava sufficiente limitare lo scopo della contabilità alla dimostrazione della destinazione degli introiti, la registrazione sistematica poteva aver luogo in forma semplificata, nei libri dei conti particolari, nei libri di riscontro e nei libri maestri sommari. I libri dei conti particolari erano destinati alla registrazione delle competenze e degli adempimenti, nonché alla liquidazione dei residui, classificati per rubriche, in assenza di libri di prenotazione. I libri di riscontro, invece, erano diretti ad ordinare gli introiti ed i pagamenti per rubriche e per periodi mensili. I libri maestri sommari, infine, riassumevano i risultati dei libri precedenti, al fine di determinare quanta parte della competenza totale di ciascuna rubrica fosse stata adempiuta, mese per mese ed in tutto l’anno. I maestri sommari terminavano con un sommario generale, che dimostrava le somme prenotate, quelle adempiute, il maggiore o minore adempimento rispetto alle somme preventivate ed i residui. In merito alla mancanza di pubblicità e trasparenza nei conti pubblici del Regno, Villa ebbe a sottolineare come nella sua opera di esempi addotti a completamento dell’esposizione delle nozioni generali sulla contabilità pubblica, Villa dovette far riferimento al Rendiconto di Amministrazione delle Finanze del preceden-

La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario

47

te Regno d’Italia, specificando in nota che «non sarebbe stato possibile ad un privato ottenere i risultamenti di qualche annata di Amministrazione del Regno Lombardo-Veneto, né sarebbe forse stato permesso il pubblicarli» 33. Del resto, la pubblicità dei conti del Regno d’Italia era limitata al solo conto dell’Amministrazione delle Finanze. In fin dei conti, nemmeno Villa sembrava condividere in pieno il principio di pubblicità. Egli, infatti, affermò che «la ragionevolezza di questa limitazione è patente per chi riflette che se i Conti dei diversi Ministeri avessero a pubblicarsi, ciò sarebbe come un pubblicare tutte le loro operazioni. Non potrebbe infatti giustificarsi una spesa senza dimostrarne il titolo e tutti gli elementi di prova» 34. Come sopra ricordato, il metodo camerale prevedeva che le registrazioni fossero effettuate in scrittura semplice, in base alla convinzione per cui essa fosse sufficiente a rappresentare la gestione prevalentemente finanziaria che caratterizzava le aziende di matrice pubblica 35. Villa offrì una interpretazione che lo indusse ad accostare il metodo camerale ad un metodo di rilevazione in partita doppia: ciò accadeva ogni volta in cui una singola operazione di gestione, che interessava contemporaneamente sia la contabilità a denaro, sia la contabilità a materie, dava origine a due registrazioni, una nel giornale di cassa, una nel giornale dei prodotti. Egli, infatti, sottolineò l’esigenza di tenere una contabilità a materie, destinata a «tenere in evidenza l’impiego dei capitali o scorte esistenti nei magazzini e depositi dello Stato». Ciò derivava dalla necessità di tener conto non solo dell’impiego delle proprie rendite ma del loro consumo effettivo 36. Villa era infatti persuaso del fatto che la spesa, in realtà, non si realizzasse nel momento in cui lo Stato scambiava denaro contro altri valori ma quando l’oggetto acquistato veniva effettivamente consumato. Vi erano, infatti, delle operazioni che, pur comportando la realizzazione di una rendita, diminuivano le attività dello Stato (ad esempio la vendita di beni demaniali); che le lasciano invariate, malgrado che formalmente venisse sostenuta una spesa (ad esempio l’acquisto di beni); che le diminuivano (ad esempio i consumi effettivi di derrate e materiali). Il ragionamento che lo spingeva a voler misurare il consumo effettivo delle risorse dello Stato era fondamentalmente valido ma scontava una sorta di confusione concettuale fra le nozioni di spesa e di costo, fra dimensione finanziaria ed economica della gestione, alla quale più correttamente andava riferito il concetto di consumo.

33

F. Villa, Contabilità applicata, Parte Seconda, cit.

34

F. Villa, Contabilità applicata, Parte Seconda, cit.

35

Il Besta osservò che «nelle aziende pubbliche, al fine di rendere più pieno e più efficace il controllo, si suole ordinare la gestione in materia che, se non tutti, il maggior numero possibile dei suoi fatti trovino loro inizio e loro compimento in un’entrata e in un’uscita di denaro». 36

«Se la Contabilità pubblica, se la pubblica controlleria non dovessero occuparsi che del denaro contante si occuperebbero di un fatto accidentale, e sarebbe dimenticato lo scopo principale, che è quello di poter conoscere la situazione, non solo delle Casse, ma dei Magazzini, di potere in somma valutare il Capitale dello Stato in tutti i suoi elementi» (F. Villa, Contabilità applicata, Parte Seconda, cit.).

48

Sabina Ponzo

Per sopperire alla mancata rilevazione della dinamica economica ed affinché si potesse tener conto dei reali movimenti delle attività dell’amministrazione, Villa propose che al Preventivo di rendite e spese, il quale avrebbe dovuto contenere solo rendite e spese reali, dalle quali discendeva un reale aumento od una reale diminuzione del patrimonio dello Stato 37, fosse affiancato un Preventivo delle conversioni di valori. Questo avrebbe dovuto configurarsi come un prospetto delle operazioni d’ordine, comprendente da un lato i crediti necessari per gli acquisti di beni, mobili ed immobili; dall’altro le autorizzazioni alla vendita delle proprietà demaniali, ossia tutte quelle operazioni da cui solo in un momento successivo potevano derivare rendite e spese reali ma che allo stato attuale non influivano in alcun modo sull’ammontare del patrimonio pubblico. Un riassunto dei conti doveva essere destinato alla dimostrazione dei risultati in aumento od in diminuzione del capitale, i quali dovevano costituire gli elementi per la compilazione del Bilancio generale del Patrimonio pubblico, in cui fosse constatabile la situazione del patrimonio dello Stato. In particolare: qualora lo Stato avesse incassato delle rendite superiori ai bisogni, o il valore delle materie acquistate avesse superato quello delle materie consumate, l’attivo sarebbe aumentato e con esso il Capitale netto; qualora la spesa avesse superato le rendite, o il valore delle materie consumate avesse superato quello delle materie acquistate, o lo Stato si fosse indebitato, il passivo sarebbe aumentato e quindi nel Capitale netto si sarebbe registrata una diminuzione; se infine vi fossero state delle semplici conversioni dei valori, il Capitale netto sarebbe rimasto invariato. Spettava ai Ministeri passivi, d’accordo con il Ministero del Tesoro, redigere i conti di spesa e di conversione dei valori; al Ministero del Tesoro redigere il conto dei «modi e mezzi», il riassunto dei conti ed il Bilancio generale 38. Esprimendosi a proposito del Preventivo dello Stato, Villa ne identificò l’oggetto nella individuazione dei bisogni dello Stato nell’anno preso in considerazione, nella determinazione delle spese che dovevano essere sostenute per il loro soddisfacimento e nell’indicazione delle fonti di rendita da cui attingere per il sostenimento delle spese stesse 39.

37

«In una parola, non devono figurare nel conto delle rendite se non le operazioni che realmente aumentano l’attivo dello Stato, e viceversa nel conto delle spese si porteranno soltanto quelle operazioni le quali realmente diminuiscono l’attività dello Stato» (F. Villa, Contabilità applicata, Parte Seconda, cit.). 38

Dopo aver esposto il sistema che riteneva più idoneo alla rappresentazione delle operazioni e dei risultati ottenuti dall’Amministrazione, Villa affermò: «Si vede che il sistema ora spiegato sarebbe lo sviluppo razionale della tenuta dei libri a scrittura doppia, e che esso tende ad eliminare tutti quei difetti, dai quali suol nascere la quasi impossibilità di raggiungere lo scopo di una evidente dimostrazione di conti» (F. Villa, Contabilità applicata, Parte Seconda, cit.). 39

«Il preventivo dell’Amministrazione pubblica ha per oggetto di stabilire i bisogni dello Stato per un anno, ossia di fissare l’importare delle spese indispensabili, o di assoluta utilità che si devono in un anno sostenere, e di determinare in seguito da quali delle fonti di rendita che sono a disposizione dello Stato, ed in quali quote da ciascuna di tali fonti, possa e debba nell’anno ottenersi il danaro occorrente per la detta spesa» (F. Villa, Contabilità applicata, Parte Seconda, cit.).

La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario

49

Fece rilevare che la principale differenza fra il preventivo di un’amministrazione privata e quello di un’amministrazione pubblica consisteva nel fatto che, mentre nel primo caso il calcolo della rendita doveva precedere la sua ripartizione, nel caso del preventivo dello Stato la determinazione degli impegni doveva necessariamente precedere la ripartizione del loro importo tra le rendite su cui si poteva fare affidamento, generando, in tal modo, una sorta di inversione tra le fasi del processo di redazione del bilancio. Il preventivo doveva contenere esclusivamente le spese riconosciute necessarie o evidentemente utili, determinate in dettaglio e ben definite temporalmente, di modo che non vi potesse essere spazio per incerte determinazioni, né dubbi sulle epoche del loro sostenimento. Analogamente, il preventivo doveva dimostrare rigorosamente le rendite da esigere ed individuare temporalmente il momento in cui potevano essere esatte e disponibili per lo Stato. Gli studi in materia di contabilità di Stato di Villa non si esaurirono con l’annessione del Lombardo-Veneto al Regno d’Italia. Solo dopo la pace che mise fine alla terza Guerra di Indipendenza tra l’Italia e l’Austria, firmata a Vienna il 3 ottobre 1866, fu sancita la cessione della Lombardia e del Veneto alla Francia e da questa all’Italia. Si aprirono così nuove opportunità per i suoi studi di contabilità pubblica: una simile circostanza non poteva essere trascurata ai fini dell’indagine dell’economia e della contabilità delle amministrazioni pubbliche, in generale, e dello Stato, in particolare. L’indagine relativa alla nuova realtà lo condusse alla pubblicazione nel 1867 dell’opera «Nozioni e pensieri sulla Pubblica Amministrazione» 40, la quale, come dichiarato nel sottotitolo dell’opera stessa, era frutto di «Studi di Economia e di Contabilità applicati ai bisogni, ai mezzi ed alla gestione delle Amministrazioni pubbliche e dello Stato». Nello scritto del 1867, prendendo le distanze dal metodo camerale, Villa sostenne la maggior significatività delle registrazioni contabili, qualora fossero effettuate con il metodo della partita doppia. In particolare, affermò che «il metodo della così detta “doppia scrittura” dovrebbe essere, non solo suggerito, ma prescritto» 41, in quanto si trattava di un metodo che, grazie alla rilevazione delle operazioni sotto due aspetti diversi, conduceva automaticamente alla compilazione dei conti riassuntivi 42. Solo 40

F. Villa, Nozioni e pensieri sulla pubblica amministrazione, Tipografia Eredi Bizzoni, Pavia, 1867.

41

F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.

42

Villa dichiarò che «se il contabile vuol conseguire questi intenti [la compilazione dei conti riassuntivi] […] noi non esitiamo ad asserire che (non ne avesse avuto nozione alcuna) si troverà condotto necessariamente e senza averlo voluto o saputo, all’impianto del libro o registro secondo il metodo così denominato della doppia scrittura», il quale, come affermò in nota, «è piuttosto empiricamente usato che scientificamente conosciuto». Lo Studioso, tuttavia, sottolineò il fatto che, se si intendeva fare un uso rigoroso dei termini, la registrazione speculare di un’operazione nei singoli conti, prima, e nei conti riassuntivi, poi, non potesse essere considerata una applicazione del metodo della scrittura doppia, poiché essa costituiva una singola registrazione effettuata sotto due aspetti piuttosto che una doppia registrazione (F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.).

50

Sabina Ponzo

rispondendo a tale requisito una contabilità poteva dirsi «completa» 43. Malgrado le diciture di scrittura “doppia” o “semplice” potessero trarre in inganno, il metodo della scrittura doppia si rivelava più idoneo al raggiungimento dell’obiettivo della compilazione dei conti riassuntivi, in quanto altri metodi avrebbero richiesto la produzione di ulteriori documenti che si sarebbero risolti in un aggravio delle incombenze di chi si occupava di contabilità 44. Le difficoltà di applicazione della scrittura completa consistevano infatti non tanto nella maggiore complessità scritturale, quanto nella conoscenza accurata dell’amministrazione alla quale doveva essere applicata. Bisognava aver ben presente, infatti, i rami dell’Azienda i cui risultati dovevano essere tenuti in evidenza e saper classificare le rendite e le spese in modo da ottenere opportuni conti riassuntivi speciali o subalterni di spese e di rendite, o di spese e di rendite insieme, i cui particolari dovevano confluire nel riassunto generale. Il metodo di scrittura in partita semplice, al contrario, non si prestava alla compilazione dei conti riassuntivi, in quanto i meccanismi di rilevazione erano tali per cui, per ottenere il risultato desiderato, sarebbe occorso estrarre gli elementi necessari dai numerosi conti contemplati dal sistema. Né tanto meno poteva riuscire allo scopo la tenuta di una contabilità a tabelle, consistente in prospetti tra loro collegati, ciascuno dei quali dava dimostrazione e sviluppo di quanto esposto negli altri prospetti. Un simile sistema poteva anche rivelarsi utile in qualche ramo dell’amministrazione pubblica, ma non costituiva una contabilità completa, anche perché la complessità del lavoro di raccordo e di coordinamento dei diversi prospetti avrebbe condotto alla produzione di una mole eccessiva di informazioni 45. Esprimendosi a proposito dei vantaggi e dell’opportunità di adozione del metodo della scrittura doppia, Villa, affermò che tutti coloro i quali si interessavano alle questioni di contabilità di Stato si sarebbero meravigliati del fatto che «in Italia, nel paese al quale si attribuisce l’invenzione della scrittura doppia, questo metodo sia stato dimenticato e quasi proscritto nella contabilità dell’Amministrazione dello

43

In nota, Villa rivendicò la paternità dell’espressione «contabilità completa» contro chi se ne fosse servito in precedenza, essendone venuto a conoscenza «nella scuola ed anche in qualche amichevole conferenza in argomenti di contabilità» (F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.). 44

«[…] nel senso etimologico, la parola “doppia” designa qualche cosa di complicato, di arcano, di problematico; ma male a proposito il metodo di doppia scrittura fu così chiamato in opposizione a quello di semplice scrittura ed i termini furono erroneamente invertiti perché la partita semplice, onde riesca regolare, atta a render conto esatto delle operazioni da registrare, abbisogna di tanti libri ausiliari, di tante note, di tante scritturazioni, che essendo senza anelli di necessaria congiunzione, non di rado moltiplicano il lavoro, riescono insufficienti e cagionano errori od omissioni involontarie ed irreperibili, mentre la partita doppia basta da sé». Ancora: «[…] il pregio di un meccanismo o di un istrumento qualunque atto a dare grandi risultamenti, non istà nella quasi misteriosa sua complicazione, ma aumenta, nella opinione degli intelligenti, in ragione della sua semplicità, in ragione della semplicità dei principi sui quali si appoggia la sua costruzione» (F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.). 45

A tal proposito, Villa dichiarò che «le montagne di carta (è una verità non mai abbastanza ripetuta) servono tanto a nascondere la verità come a coprire gli errori» (F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.).

La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario

51

Stato e che ora soltanto siasi riconosciuta la necessità di obbligare per Legge le Amministrazioni ad adottarlo» 46. Anche riguardo al tema del bilancio di previsione, Villa formulò un’interpretazione del concetto sostanzialmente diversa da quella camerale: il ruolo rivestito dal bilancio non era più solo quello di conto preventivo dei modi e dei mezzi per provvedere ai bisogni della Nazione ma si estendeva a quello di strumento del quale l’amministratore doveva avvalersi per la gestione. In questa prospettiva, egli lo definì, con un’espressione pittoresca, «per l’amministratore della cosa pubblica, quello che pel navigante sono le carte nautiche e la bussola» 47. Esso doveva costituire una guida per l’azione amministrativa dello Stato, in quanto dava all’amministratore la possibilità di seguire l’andamento di tutti gli affari della gestione e di dirigerli, tracciando «la via da tenere in un periodo annuale di gestione», verso il conseguimento del miglior risultato. Con ciò, Villa dimostrò di avere una visione più moderna del concetto di bilancio rispetto a quella strettamente vincolistica che caratterizzava i conti preventivi dello Stato ma che ancora non consentiva di darne un’interpretazione in chiave strategica 48. La compilazione dei conti preventivi richiedeva, da parte dell’amministratore, una conoscenza approfondita del patrimonio da amministrare 49, delle leggi e dei regolamenti che fissavano le sue attribuzioni, determinavano i suoi obblighi ed influivano sui rapporti di dipendenza, e sull’organizzazione degli uffici, nonché sul sistema di controllo amministrativo e sull’impianto contabile. Era di prioritaria importanza, inoltre, che l’amministratore fosse esattamente a conoscenza dello scopo dell’istituzione la cui direzione gli era stata affidata, affinché

46

Il progetto di legge a cui si fa riferimento nella citazione era frutto del lavoro della commissione istituita dal Ministro Ferrara, che rimase al Ministero delle Finanze per pochi mesi soltanto, da aprile a luglio 1867, del quale Villa si diceva rammaricato di non essersi potuto avvalere nel suo scritto, a causa dei tempi di pubblicazione del volume (F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.). 47

F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.

48

«Generalmente però intendesi, tanto nelle grandi Amministrazioni private, come nelle pubbliche, per Conto preventivo o Bilancio di previsione un prospetto il quale in prevenzione dimostri per una Azienda, le rendite e le spese che si otterranno o che si dovranno sostenere in un anno, come pure i movimenti o le modificazioni che in quell’anno sono prevedibili nei capitali; un Prospetto, in somma, che metta sott’occhio tutte le operazioni amministrative di un dato periodo di gestione ed il risultamento loro», il cui scopo era in definitiva quello «di proporzionare le spese alle rendite e di impiegare il più utilmente che si possano i capitali disponibili». In questa accezione, la denominazione più consonante ai fatti non sarebbe «Conto preventivo» ma «Prospetto dei bisogni di una tale Azienda e dei mezzi disponibili per provvedere ai medesimi» (F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.). 49

La conoscenza del patrimonio era possibile attraverso la consultazione degli inventari. È da sottolineare come, parlando a proposito del patrimonio dello Stato, Villa considerava come beni ad esso appartenenti esclusivamente i beni mobili ed immobili, trascurando tutti i beni intangibili e le attività finanziarie. L’inventario dei beni immobili si distingueva in due parti, da un lato i beni produttivi, dall’altro quelli improduttivi. Essi erano descritti in registri di consistenza, dai quali risultavano tutti gli acquisti e le vendite. Il valore da iscrivere negli inventari era stimato in via di approssimazione, avendo riguardo delle condizioni di servizio. Ciò destava perplessità in Villa, il quale riteneva che procedere per approssimazioni successive avrebbe prodotto un allontanamento dal «valor vero delle proprietà» e che l’attribuzione di un valore ai beni richiedeva, pertanto, la massima oculatezza e prudenza.

52

Sabina Ponzo

il patrimonio e le rendite che ad essa erano propri fossero impiegati in modo da consentire il perseguimento delle finalità naturali ed obbligatorie dell’istituzione stessa. Una simile impostazione implicava un’attenta analisi delle cause per cui le spese erano sostenute e non soltanto dell’ammontare delle stesse. Ciò escludeva ogni opportunità di adottare, ai fini dell’attività di previsione, una logica di tipo incrementale. Riteneva opportuno, tuttavia, in virtù del principio di prudenza, che la previsione di rendita fosse inferiore all’ammontare delle rendite che si sperava di realizzare nel corso dell’esercizio e che la previsione di spesa, al contrario, fosse superiore all’ammontare delle spese da sostenere, in particolar modo per quelle che non potevano essere previste con sufficiente attendibilità. Raccomandava, inoltre, il rispetto dell’equilibrio fra entrate e spese 50, affermando che bisognava «operare in modo, affinché tutte le spese utili si mantengano nella somma totale prodotta naturalmente dalle entrate, secondo un retto principio di equità, prestabilite» 51. Ribadiva il concetto, già espresso nella «Contabilità applicata», per cui la vera spesa si manifestava al momento del consumo piuttosto che della provvista di beni e che, pertanto, monitorare l’andamento dei consumi era importante almeno quanto tenere sotto controllo il movimento del denaro in cassa 52. Villa riteneva che lo studio dei bilanci dello Stato fosse il solo mezzo che poteva consentire «la pratica e vera conoscenza della pubblica amministrazione in azione» 53, attraverso la registrazione di tutti i movimenti che interessavano l’Amministrazione e degli effetti che ne derivavano. La loro utilità, tuttavia, era inevitabilmente proporzionata «alla esattezza, all’ordine ed al carattere persuadente» 54

50

Riferendosi alla complessa situazione finanziaria del Regno, all’indomani della proclamazione del Regno, Villa espresse dissenso in merito alla soluzione adottata dal Governo ed in particolare dall’ex Ministro Sella per ristabilire l’equilibrio fra le entrate e le uscite (contenimento della spesa pubblica, la vendita di beni patrimoniali e l’aggravio delle imposte), sostenendo che «è così facile, quando si tiene una penna fra le dita, tirar di riga su qualunque spesa, scrivere il risultato di una tassa improvvisata! Si trova che facendo così, si può acquistare e mantenere per qualche settimana la rinomanza di riformatore delle Finanze, di redentore dell’Italia e si va avanti con coraggio finché qualche altro ci sorpassi!» (F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.). 51

Riguardo all’equilibrio di parte ordinaria e di parte straordinaria, sostenne che: «In generale, la situazione più florida delle Finanze di uno Stato risultar dovrebbe da un bilancio il quale dimostrasse che i soli mezzi ordinari bastano per le spese ordinarie ed anche per alcune spese straordinarie; sarebbe situazione normale quella in cui le rendite ordinarie bastassero per le spese ordinarie ed i mezzi straordinari […] per gli impegni straordinari; sintomo di decadenza e di un dissesto fondamentale sarebbe il fatto, che al pagamento delle spese tutte in complesso, siasi dovuto provvedere con mezzi straordinari […]; sintomo più grave sarebbe il fatto, che le spese ordinarie non potessero sostenersi senza mezzi straordinari, o quello che, consunti i mezzi ordinari e straordinari, fosse rimasto incompleto qualche importante servizio od in arretrato il pagamento di spese necessarie» (F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.). 52

Villa giudicava indiscutibile il principio di contabilità per cui «non possono tenersi a carico di un periodo di gestione se non i valori consumati in quel periodo medesimo» (F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.). 53

F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.

54

F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.

La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario

53

che le caratterizzava, pur considerati i limiti e le parzialità che derivavano dai meccanismi di compilazione 55. Se era vero, infatti, che una contabilità ben organizzata e tenuta, i cui primi requisiti dovevano essere la chiarezza e la precisione delle indicazioni, costituiva il principale e più utile strumento di supporto per orientare la gestione 56, essa poteva dispiegare la sua vera utilità economica solo associata ad un efficace controllo, che non rischiasse di risolversi in un controllo materiale, il quale non poteva avere che scarsa efficacia, o al limite nessuna efficacia, sull’amministrazione 57. Il concetto di pianificazione aziendale, e nello specifico di indagine probabilistica, avente lo scopo di mettere in evidenza le probabilità di successo delle operazioni amministrative o di iniziative da intraprendere, ancora in fase di studio o di progetto 58, risentiva, tuttavia, dell’ordine di idee ottocentesche sul «futuro aziendale», sensibilmente diverso da quello attuale. Carlo Caramiello, nel 1965, sottolineò la differenza fra le due impostazioni, l’una «rigida, costrittiva e parziale», l’altra «elastica, attiva e completa». Sebbene fossero ancora lontani i tempi in cui al concetto di previsione venne a sostituirsi quello di prospettiva, merito che è generalmente riconosciuto ad Alberto Ceccherelli, che fu l’iniziatore di una corrente di pensiero che fa dell’indagine probabilistica un punto di forza della combinazione aziendale, il contributo di Villa fu un «contributo di iniziazione», un primo segnale della consapevolezza che la vita aziendale non poteva essere concepita senza indagarne il futuro 59. Il Bilancio preventivo rappresentava, nel corso dell’esercizio, il principale strumento di guida per lo svolgimento della gestione e, alla fine del periodo, costituiva il punto di riferimento per la rilevazione degli eventuali scostamenti, le cui cause dovevano essere indagate allo scopo di individuare i punti nevralgici sui quali agire per rimuovere le criticità 60. 55

Nonostante fosse persuaso della valenza informativa dei bilanci, Villa era consapevole che «niente v’è di assoluto nella cifra di un bilancio» (F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.). Oltre, citando Periér, dichiarò: «i bilanci sono un labirinto nel quale nessuno è sicuro di non perdersi» (C. Periér, Les finances de l’Empire, par M. Levy, Paris, 1861). 56

Il contabile, infatti, doveva essere contemporaneamente «l’istoriografo, il moderatore, il consigliere inseparabile del capo della Azienda» (F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.). 57

«Simile in questo ad un regolatore meccanico, il quale può moderare o accelerare il movimento di una macchina ma non correggere o togliere i difetti inerenti alla sua costruzione, la Contabilità può soltanto mantenere l’Amministrazione nella via che essa si è prefissa di seguire» (F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.). 58

Esprimendosi a proposito dei conti preventivi di un’amministrazione, ed in particolare dei preventivi di impianto, Villa affermò: «È noto che quando si vuole attivare una intrapresa qualunque per conto privato o per conto della Pubblica Amministrazione, si discutono previamente tutti gli elementi che possono favorirla o contrariarla – si calcolano le probabilità di riuscita – si fa il conto delle somme occorrenti – si cerca di stabilire in quali epoche bisognerà averle disponibili – si studiano tutti i particolari delle operazioni che nel loro complesso costituiscono l’intrapresa – si cerca di prevedere le epoche nelle quali potranno rientrare i capitali di circolazione aumentati degli interessi e degli utili» (F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.). 59

C. Caramiello, Previsioni e prospettive nell’opera del Villa, Colombo Cursi Editore, Pisa, 1965.

60

«Un Conto preventivo bene studiato e disposto, abilita l’amministratore a dare prima che inco-

54

Sabina Ponzo

Lo schema seguito da Villa, dunque, sembra ripercorrere i tre momenti del controllo (controllo ex ante, controllo concomitante e controllo ex post). A conferma del carattere di rigidità delle previsioni che contraddistingueva la fase degli studi a cui apparteneva, tuttavia, non ammise la possibilità di un adeguamento del piano di operazioni durante il periodo amministrativo in corso ma solo a periodo concluso, a beneficio dell’esercizio successivo. Ciò costituisce quella che Caramiello definì «crisi di sviluppo», ossia la mancanza di uno sviluppo soddisfacente che facesse seguito ad un’intuizione innovativa e ad un’enunciazione di significativo valore scientifico 61. Villa, infatti, avendo percepito l’inadeguatezza dell’accezione di controllo offerta dalla Scuola camerale, che era essenzialmente di tipo finanziario e giuridico, non giunse a formalizzare tale percezione in nozioni chiare ed univoche, anzi, si rifece spesso ad una nozione amministrativo-contabile di controllo, destinato a verificare il compimento e la conformità delle operazioni agli scopi prefissati, ancora lontana da quella di controllo economico di Besta 62. È interessante sottolineare che Villa assegnò anche alla funzione del controllo delle caratteristiche di unicità e di applicabilità a tutti i tipi di aziende, indipendentemente dalla loro natura, pubblica o privata. Il criterio che poteva discriminare l’applicazione di principi e regole diversi per classi di aziende, risiedeva, quindi, non tanto nella diversa natura delle amministrazioni, bensì nella loro complessità e nelle loro dimensioni 63. In questo senso ed in virtù della serie di tratti distintivi e qualificanti che contraddistinsero la sua opera (in particolare: i tentativi di introdurre lo studio amministrativo accanto a quello contabile; l’applicazione di alcune norme economiche geminci il periodo di gestione tutte le opportune disposizioni; durante la gestione gli serve di guida e gli ricorda le operazioni che a determinate epoche si devono eseguire; alla fine del periodo di gestione gli offre l’opportunità di confrontare i risultamenti ottenuti con quelli che si erano o preveduti o sperati; e nel fargli conoscere se ed in quali punti siasi deviato dalla strada fissata, lo impegna a cercare le cause di quelle deviazioni e ad eliminarle» (F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.). 61

C. Caramiello, Previsioni e prospettive, cit.

62

«È scopo intanto del controllo amministrativo-contabile: di riservare all’Amministratore la facoltà di autorizzare le spese e di deviare, ogni qualvolta ne fosse riconosciuta la necessità od anche l’opportunità, dalla via che in un conto di previsione si fosse tracciata alla amministrazione – di vincolare l’azione del personale subalterno in guisa, che abbia a concorrere, quasi inconscio, ad ottenere i risultati dall’Amministratore voluti; di somministrare a quest’ultimo la convinzione che nessun introito e nessun pagamento abbia avuto luogo arbitrariamente, fuori dai limiti fissati dal preventivo e senza l’adempimento delle volute cautele; di accertarlo che ciascun introito e ciascun pagamento risultante da un giornale di cassa, sia realmente avvenuto nel tempo, pei titoli e nei modi dall’Amministratore determinati» (F. Villa, Nozioni e pensieri, cit.). 63

A proposito dell’esistenza di principi comuni in fatto di contabilità, in «Nozioni e pensieri» sostenne che «i principi regolatori della contabilità sono sempre gli stessi nella privata e nella pubblica Amministrazione e se le modalità cambiano per adattarsi al carattere delle une e delle altre; se i metodi presentano differenze delle quali i meno esperti non sanno trovare né le ragioni, né i vantaggi, né i difetti e stanno incerti quando abbiano a decidersi per adottare l’uno o l’altro, a chi considera lo scopo cui tende la contabilità non riesce difficile riconoscere il metodo migliore» e, riguardo lo scopo della contabilità, che «la Contabilità dello Stato ha necessariamente lo stesso scopo di qualunque Contabilità, sia poi di amministrazione privata o pubblica amministrazione».

La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario

55

nerali alle aziende; l’adozione di criteri di convenienza economica e di valutazione delle rimanenze), Francesco Villa può essere considerato vero precursore 64.

3. L’ordinamento contabile degli altri Stati pre-unitari La contabilità del Ducato di Parma e Piacenza I bilanci di previsione dei Ducati di Parma e Piacenza venivano preparati dai singoli ministeri, riconosciuti da quello delle Finanze ed approvati dal Senato. Le entrate e le spese erano divise in ordinarie e straordinarie e successivamente dettagliate fino alla suddivisione in capitoli, tra i quali erano ammessi eventuali storni di fondi. L’esercizio finanziario coincideva con quello solare, ma le riscossioni e i pagamenti erano imputati ad un esercizio in chiusura anche nel caso in cui, sebbene eseguiti entro il 30 settembre dell’anno successivo, fossero da ricondursi ad operazioni che trovavano la rispettiva competenza nell’esercizio precedente. La contabilità del Ducato di Modena e Reggio Emilia Anche nei Ducati di Parma i bilanci di previsione venivano preparati dai singoli ministeri, riconosciuti da quello delle Finanze ed approvati dal Senato. Le entrate e le spese erano divise in previste e impreviste, essendo data la possibilità di incrementare, secondo il bisogno, eventuali stanziamenti incapienti. L’esercizio finanziario coincideva con quello solare, ma le riscossioni e i pagamenti erano imputati ad un esercizio in chiusura anche nel caso in cui, sebbene eseguiti entro il 31 gennaio dell’anno successivo, fossero da ricondursi ad operazioni che trovavano la rispettiva competenza nell’esercizio precedente. La contabilità del Granducato di Toscana Dopo la Restaurazione, una parte importante dell’assetto istituzionale e dell’ordinamento finanziario del Granducato, sebbene non sancita formalmente in alcuna legge, si rinsaldò come consuetudine consolidata. L’amministrazione della pubblica economia era presieduta, dal 1739, dal Consiglio di Finanze. In seno alla Depositeria Generale, inizialmente depositaria di attribuzioni amministrative, cui se ne aggiunsero alcune di tipo finanziario, erano istituite delle Ragionerie, o Computisterie, che attendevano alle scritture concomitanti e consuntive delle amministrazioni, le quali effettuavano le registrazioni applicando il me-

64

E. Giannessi, I precursori, Terza edizione riveduta, Colombo Cursi Editore, Pisa, 1971.

56

Sabina Ponzo

todo della partita doppia, nella forma utilizzata dalla preesistente Camera del Comune 65. Ogni esercizio aveva i suoi registri, in cui le rilevazioni concomitanti si effettuavano in relazione al verificarsi della liquidazione delle relative voci. I conti dei campioni 66 necessari a tali rilevazioni si intitolavano ai campioni dell’esercizio precedente e successivo, il primo come bilancio di apertura, il secondo come bilancio di chiusura. Al termine di ogni anno si presentava il “bilancio generale della finanza toscana”, in cui rendite e spese erano raccolte in dimostrazioni generali e classificate in categorie. La revisione dei conti, dal 1806, sotto la dominazione francese, era di competenza della R. Camera dei Conti, che li riscontrava a consuntivo, limitandosi ad attestare la correttezza dei conteggi. Notevole importanza era attribuita dal sovrano alla trasparenza dei rendiconti. L’apertura verso questo tema risaliva già alle politiche di Pietro Leopoldo, che pubblicò il rendiconto comparativo della gestione dal 1765 al 1789, compilato dal computista generale Luigi De Cambray Digny, intitolato “Governo della Toscana sotto il Regno di Sua Maestà il Re Leopoldo II” 67. I bilanci di previsione, invece, cominciarono a pubblicarsi, secondo schemi uniformi per garantire la comparabilità, solo a partire dal 1848, in concomitanza con la concessione da parte di Leopoldo II dello Statuto fondamentale del Granducato. Il Consiglio dei Ministri predisponeva il bilancio preventivo, unico sul lato dell’entrata, suddiviso per dipartimenti quello dell’uscita, contenente le entrate e le spese generali, essendone escluse le spese straordinarie. Il Direttore dei conti e il Primo ragioniere della Depositeria attestavano il rispetto dei vincoli di bilancio e la regolarità dei documenti giustificativi e dei libri contabili, quindi il bilancio veniva vidimato dal Soprintendente dell’Ufficio Revisioni ed esaminato dal Direttore della Ragioneria della Corte dei Conti. Veniva quindi approvato con decreto e trasmesso al Sovrano per il benestare. Ogni dieci anni a partire dal 1824 continuarono a compilarsi e pubblicarsi degli studi comparativi sulla gestione finanziaria, denominati “Decenni della Finanza del

65

Sebbene la consuetudine fosse quella di tenere le scritture per bilancio, dal 1739 a 1757, esse furono tenute in libri di entrate ed uscite. Le scritture per bilancio sui giornali e i campioni collegati furono riprese sistematicamente a partire dal 1758. 66

Con il termine “campioni” ci si riferiva ai prospetti, quadri, moduli, elenchi, sommari e registri impiegati per la tenuta della contabilità di Stato. 67

Già nel 1781 Leopoldo scriveva al fratello Giuseppe II: «ho per gloriosa, utile e giusta l’idea di far rendere conto dal sovrano al pubblico dello stato delle finanze e della loro amministrazione, le finanze essendo come tutto il rimanente, del pubblico» e, nel 1799, a Maria Cristina: «Credo che il sovrano deve rendere conto esatto e annualmente della erogazione delle rendite pubbliche e delle finanze, che egli non ha il diritto di imporre arbitrariamente tasse, gabelle o imposizioni qualunque, che il solo popolo ha questo diritto e che il popolo per mezzo dei rappresentanti suoi ne ha riconosciuto la legittimità, che le imposte non possono accordarsi se non come sussidi e per un anno e che la nazione non può prorogarle prima che il sovrano abbia reso conto esatto, circostanziato e soddisfacente del loro impiego».

La contabilità pubblica nel passaggio allo Stato unitario

57

Granducato di Toscana”, in cui erano contenuti numerosi prospetti riepilogativi che ponevano a confronto i bilanci preventivi con i risultati consuntivi. Tra gli allegati al bilancio dell’anno precedente, doveva essere incluso un prospetto comparativo tra entrate e spese previste e quelle incassate o pagate. La contabilità dello Stato Pontificio Il Tribunale della Camera Apostolica era il massimo organo amministrativo e finanziario dello Stato Pontificio. Esso esaminava il bilancio generale consuntivo dello Stato, che includeva il “bilancio di scritture” (di competenza) e quello “di cassa”, redatto dalla Computisteria camerale, distinto in un consuntivo generale annuale e consuntivi parziali bimestrali, ed uno stato patrimoniale, composto da una tabella riassuntiva delle variazioni di valore degli elementi del patrimonio. A partire dal 1816 iniziò a presentarsi, a corredo del consuntivo e secondo il medesimo schema, articolato in titoli sezioni ed articoli, il bilancio di previsione. La tabella preventiva generale, compilata sulla base delle informazioni che il tesoriere ed i ministri comunicavano alla Depositeria, approvata dal Pontefice e dalla Congregazione della revisione dei conti 68, prima e sottoposta all’esame della Consulta di Stato, dopo la sua abolizione. Ottenuta la sanzione sovrana, il bilancio tornava al Controllore generale, nominato, dopo il 1856, direttamente dal Pontefice e quindi pienamente indipendente dai ministeri, vigilava sulla corretta esecuzione delle leggi e dei regolamenti amministrativi che generavano un impatto sulle finanze e sull’erario. Ciascun Ministero, secondo la rispettiva competenza, poteva spendere mensilmente in relazione all’apertura dei crediti da parte del Ministero delle Finanze, nella misura di un dodicesimo delle somme stanziate sul bilancio annuale 69. La contabilità del Regno delle Due Sicilie Quando, dopo secoli di dominazione straniera, Carlo di Borbone si insediò a Napoli, intervenne sull’architettura istituzionale del Regno, abolendo il Consiglio collaterale ed istituendo il Consiglio di Stato, con competenze consultive in materia di tributi ed altri affari; la Camera di Santa Chiara, con funzione consultiva riguardo alle questioni inerenti la pubblica amministrazione; e il Consiglio delle Finanze, composto da tre consiglieri, dal direttore delle finanze e da tre segretari di stato. Mantenne la Camera della Sommaria, composta dagli ufficiali di tesoreria, dai presidenti e dal tesoriere ed incaricata dell’esame e della discussione dei conti, mutando poi la sua denominazione in Regia Corte dei Conti, suddivisa in due camere.

68

Durante il papato di Gregorio XVI, tra il 1831 e il 1846, venne istituita la Congregazione di revisione dei conti, la quale aveva il compito di quantificare le spese dello stato e delle amministrazioni decentrate e di individuare il metodo contabile per la tenuta delle scritture pubbliche. 69

L’esercizio finanziario aveva durata annuale, con decorrenza dal 25 dicembre.

58

Sabina Ponzo

Essa aveva il compito di valutare i conti annuali del tesoro e degli agenti di finanza, centrali e locali. Al suo interno operava la cosiddetta «Scrivania di Razione», cui era affidata la gestione dei ruoli delle milizie reali e del personale stipendiato dal Sovrano, nonché il controllo delle spese dell’esercito e delle fortezze. L’amministrazione era distinta in Ministeri, in seno ai quali, in epoca napoleonica, nacquero delle amministrazioni centrali (aziende) specializzate nei vari comparti. Il Ministro delle Finanze era il massimo esponente dell’azienda delle finanze. Presso di esso era istituito un amministratore che curava le operazioni del tesoro; un controllore deputato alla tenuta delle scritture centrali e al controllo preventivo sui pagamenti; un tesoriere generale deputato al controllo sulle entrate e un pagatore generale per l’ordinazione della spesa. Alle dipendenze del controllore operava un ufficio di contabilità centrale, in cui veniva tenuto un giornale ed un mastro generale, che registravano con «una scrittura in doppio» entrate e uscite. Dopo la Restaurazione, l’ordinamento venne modificato, ma non sovvertito integralmente. Venne abolito il Consiglio di Stato e molte delle sue attribuzioni furono trasferite alla Corte dei Conti, a cui fu aggiunta una terza camera, e che fu ribattezzata Gran Corte dei Conti, con giurisdizione sui domini “di qua dal faro” 70, essendo istituita un’altra Corte a Palermo, con competenza sulla Sicilia, in cui era instaurato un governo luogotenenziale e pressoché autonomo in materia finanziaria. Al servizio della spesa vi erano la Scrivania di Razione, con funzione di liquidazione e ordinazione, e la Pagatoria Generale, con funzione di esecuzione. Le entrate e le spese erano previste annualmente e autorizzate negli «stati discussi» di ciascun ministero, suddivisi in capitoli ed articoli, e approvati dal Re. La somma degli stati dei singoli ministeri formava lo stato discusso generale. Alla fine dell’anno i ricevitori generali rimettevano i propri conti alla Gran Corte dei Conti. Anche il Tesoriere generale, lo Scrivano di Razione ed il Pagatore Generale compilavano ognuno i proprio rendiconto. Ciascuno di essi era riscontrato dal Controllore e trasmesso, insieme al conto di quest’ultimo, alla Corte dei Conti. Ugualmente agivano i Ministeri e le amministrazioni generali, così che la Corte potesse giudicare l’andamento dell’intera gestione finanziaria.

70

La distinzione, risalente alla dominazione angioina, tra i «Reali dominii al di qua del Faro» e «Reali dominii al di là del faro» mirava a identificare rispettivamente il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia. Il Faro a cui si fa riferimento è il Faro di Messina, denominazione anticamente attribuita all’omonimo Stretto.

Capitolo 5

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato di Simone Lazzini e Sabina Ponzo

1. Introduzione L’informativa di bilancio nelle amministrazioni pubbliche italiane ha rivestito, fin dalle prime esperienze pre-unitarie, un ruolo essenziale nella dimostrazione dei risultati della gestione, mediante i processi di rendicontazione. L’affidabilità e la trasparenza nella rappresentazione dei risultati, insieme alla necessità di controllare la spesa pubblica, sono sfociate nell’esigenza di un sistema di scritture capace di rappresentare la dinamica economico-patrimoniale e finanziaria della gestione, avvertita fin dall’emanazione dalla prima legge di contabilità. Rendicontare l’esito dell’azione pubblica, in termini di trasparenza nell’impiego e nella gestione delle risorse assegnate agli amministratori-mandatari, si pone alla base dell’intero processo di legittimazione democratica, a cui è preordinato da sempre il sistema contabile pubblico. Il periodo storico considerato è quello di transizione tra il XIX ed il XX secolo, più specificamente tra il 1870 ed il 1908 circa. Il Regno d’Italia aveva scelto un assetto istituzionale monarchico-costituzionale, nel quale al Parlamento nazionale veniva assegnato il potere legislativo mentre al Re spettavano le funzioni della sanzione e delle promulgazione delle leggi. Il potere esecutivo era affidato al Re che lo esercitava mediante la nomina (e revoca) dei Ministri. I Ministri erano a capo dei Ministeri o Dipartimenti ministeriali, ciascuno definito come il «complesso delle attribuzioni conferite e dei servizi affidati ad un ministro incaricato di assicurare, in una determinata sfera, l’azione del governo», che si classificavano in due tipi principali: quelli passivi e quelli attivi. I Ministeri passivi avevano il compito di garantire la predisposizione e l’erogazione dei servizi diretti alla soddisfazione dei bisogni dello cittadini e dell’apparato statale. I ministeri attivi avevano il compito di provvedere alla raccolta delle risorse da destinare al finanziamento delle attività poste in essere dai Ministeri passivi.

60

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

A fronte di una pluralità di Ministeri passivi esisteva un solo Ministero attivo, titolare del diritto/dovere di raccogliere le rendite ed i mezzi, nell’intento di accentrare in un unico organismo la gestione delle risorse statali: il Ministero delle Finanze. Osservato in prospettiva economico aziendale, così come la definiremmo oggi, tale periodo risulta caratterizzato, specie in conclusione del secolo XIX, dalle applicazioni della prima legge di contabilità dello Stato unitario (Legge CambrayDigny del 26 aprile 1869 n. 5026), attraverso l’emanazione di apposite istruzioni contabili e dall’affermazione di un intensa attività scientifica nello studio dei fenomeni aziendali che si porranno come prodromi al successivo sviluppo dell’economia aziendale. L’aprirsi del secolo XX, invece, appare dominato dal dibattito intorno alla necessità ed ai modi per contenere la spesa pubblica ed alla opportunità di ricondurre il sistema di contabilità a forme più congrue alla volontà del legislatore, il quale, dopo attento studio, aveva ritenuto il metodo partiduplistico il più rispondente per la tenuta della contabilità pubblica, della quale si era già fatta esperienza in un passato anche molto lontano (in epoca comunale, con successive sperimentazioni nella contabilità della Repubblica di Genova e del Ducato di Parma). Nel periodo considerato si assistette all’elaborazione di soluzioni contabili per l’effettivo utilizzo della partita doppia in ambito pubblico.

2. L’impianto giuridico-istituzionale post-unificazione Il quadro istituzionale e normativo relativo all’ordinamento contabile nell’immediato periodo successivo all’unificazione d’Italia risultava sostanzialmente delineato dalla legge Cambray-Digny, nella sua forma originaria (legge 26 aprile 1869 n. 5026); dal regolamento di esecuzione promosso da Sella (r.d. 4 settembre 1870 n. 5852); dalle istruzioni contabili prescritte con il r.d. 4 settembre 1874 n. 7699, che sostituivano le precedenti istruzioni del 1870. Accanto ai provvedimenti normativi precedenti all’unificazione, il quadro che si venne successivamente a delineare si arricchì di ulteriori e significativi interventi riconducibili alla legge Magliani 8 luglio 1883 n. 1455 e al Testo unico di contabilità, approvato con r.d. 17 febbraio 1884 n. 2016. La legge Cambray-Digny aveva previsto l’istituzione di un ufficio centrale alle dipendenze del Ministero delle Finanze, incaricato del coordinamento delle scritture, distinto in «Tesoreria generale», per l’impiego del pubblico denaro, e «Ragioneria generale dello Stato», per la regolare tenuta delle scritture. La tenuta delle scritture contabili «per bilancio» si basavano su un sistema uniforme, ossia in partita doppia, secondo la tradizione piemontese conseguente alla legge Cavour del 23 marzo 1853 n. 1483 ed ai suoi successivi regolamenti. La legge imponeva l’obbligo della loro tenuta solo alla Ragioneria generale ed alla Direzione generale del Tesoro, mentre le altre amministrazioni avevano solo il dovere di tenere le proprie scritture coordinate con le prime.

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

61

Il complesso delle disposizioni riguardavano essenzialmente la formazione e l’esercizio del bilancio, distinto in bilancio di prima previsione e bilancio definitivo, la materia dei controlli ed il movimento di tesoreria. Il Regolamento di esecuzione Sella n. 5852/1870 aveva esteso l’obbligo di tenuta delle scritture in partita doppia a tutti i registri di contabilità degli uffici di computisteria dell’amministrazione centrale, provinciale, compartimentale e delle Intendenze di finanza. Disponeva la compilazione degli inventari dei beni immobili da parte delle ragionerie delle Intendenze di finanza, da coordinare presso la Ragioneria della Direzione generale del Demanio, e che la Ragioneria del Demanio dovesse compilare il conto del patrimonio, da cui dovevano risultare le situazioni patrimoniali annuali. Rispetto alla Cambray-Digny, che propendeva per un criterio di imputazione delle componenti reddituali sulla base della competenza economica, il Regolamento Sella aveva espresso una preferenza per il sistema di cassa, A causa di questo provvedimento, si disse che Sella aveva «violato lo spirito della legge», stabilendo che lo stato di prima previsione dovesse essere redatto per competenza, mentre quello di definitiva previsione per cassa. Besta si pronunciò sostenendo come «Vi hanno Stati che adottarono bilanci di cassa, sonvene altri che hanno bilanci di competenza, ma non ve n’è stato nessuno, dal nostro in fuori, che siasi preso il gusto d’aver due bilanci di diversa natura, in vigore per un medesimo anno» 1. Le Istruzioni Contabili n. 7699/1874 rispondevano all’esigenza di tenere sia la contabilità patrimoniale sia quella attinente al bilancio di previsione. Prevedevano due serie di conti, integrali e differenziali, dai quali doveva emergere lo stesso risultato generale, calcolato come differenza tra movimenti attivi e passivi. Imponevano che le registrazioni dovessero essere effettuate attenendosi alle regole fondamentali della scrittura doppia ed enunciavano le regole di contrapposizione delle partite del Dare e dell’Avere. A ciascuna registrazione completa, gli importi delle operazioni dovevano figurare due volte nei conti, integralmente o in parti, così da assicurare la duplicità della scrittura. Determinavano i doveri informativi delle Ragionerie speciali nei confronti della Ragioneria generale e ne specificavano le incombenze. Con il Testo unico di contabilità n. 2016/1884 si perviene ad un maggior rigore nella determinazione gli impegni di spesa, ritenuti fondamentali per conseguire il pareggio economico e finanziario del bilancio. Stabiliva la formazione di un bilancio unico di competenza, accompagnato da un bilancio di assestamento derivante dall’assorbimento della situazione del Tesoro e del bilancio di definitiva previsione. Il bilancio di assestamento conteneva l’elenco dei capitoli da modificare per rimediare alle deficienze causate dagli aggravi di spesa già approvate o da approvare da parte del Parlamento, stabiliva le

1

F. Besta, La contabilità di Stato, Litografie, Venezia, 1897-1898.

62

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

modalità di accesso ai fondi di riserva. Sotto il profilo economico e finanziario, dovevano essere indicati i mezzi per conseguire l’equilibrio iniziale fra entrate e spese, rispettando così il principio del pareggio di bilancio, che era considerato parametro di efficienza amministrativa e vincolo alle politiche economiche. Riconosceva solennemente la distinzione della contabilità generale in contabilità finanziaria (o di bilancio) e contabilità patrimoniale e la conseguente tenuta di due distinti sistemi di scritture. A seguito della crisi del 18 marzo 1876, l’Onorevole Agostino Depretis, allora Presidente del Consiglio e Ministro delle Finanze, chiamò alla direzione della Ragioneria Generale dello Stato Giuseppe Cerboni, in sostituzione del primo Ragioniere generale Picello. L’accettazione dell’incarico fu subordinata alla possibilità di applicare il metodo Logismografico da lui elaborato alla contabilità dello Stato. A tal fine, l’impianto contabile fu preventivamente sottoposto al vaglio del Ministro Depretis attraverso un documento che ne sintetizzava il funzionamento. Egli, dopo averne valutato la rispondenza alle esigenze contabili dello Stato, ne autorizzò l’impiego, richiedendone una sperimentazione presso le Intendenze di finanza e la Ragioneria generale, prima di proporne l’estensione a tutti gli uffici dell’amministrazione dello Stato. Con decreto 15 giugno 1877, vennero approvati il «Quadro di contabilità per le scritture in partita doppia (con metodo logismografico) per la Ragioneria Generale dello Stato» ed abrogate le istruzioni emanate con il precedente decreto ministeriale 4 settembre 1874 n. 7699, la cui applicazione, secondo il parere del Ragioniere, comportava un forte ritardo nell’efficacia informativa dei conti e conseguentemente, la necessità di attingere le informazioni dalle scritture tenute in forma semplice. Cerboni compilò un corpo di istruzioni per cui i conti della gestione del materiale amministrativo dell’esercito si raccogliessero in scritture per bilancio, così da poter verificare i movimenti amministrativi e la loro regolarità. Nel 1877 si estese alle scritture dell’Economato Generale, del Ministero dell’Agricoltura e del Commercio e a quelle della Ragioneria Generale dello Stato. In via sperimentale, quasi contemporaneamente, si diffuse anche alle scritture delle Intendenze di Finanza di Roma, Napoli e Salerno. Dopo l’assenso espresso dal Consiglio dei Ragionieri nell’adunanza del 9 giugno 1880, il Ministro Magliani, con Decreto 20 novembre 1880, ne sancì, infine, l’applicazione alle scritture complesse di tutte le Intendenze di finanza. Le modalità di applicazione del metodo logismografico veniva illustrato nel «Quadro di contabilità» nel quale trovava rappresentazione l’impianto sinottico che ne caratterizzava il funzionamento. Esso risultava incentrato su un prospetto principale denominato «Giornale» e in una serie ulteriore di sotto-conti, denominati «svolgimenti», ad esso collegata che ne dettagliano il contenuto . Tale impostazione intendeva fornire, in un unico complesso di rilevazioni coordinate la rappresentazione dell’amministrazione economica dello Stato.

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

63

3. Le caratteristiche della Logismografia La Logismografia rispondeva all’esigenza di disporre di strumenti contabili capaci di seguire lo svolgimento delle operazioni aziendali nel loro sistemico e reciproco comporsi. I fatti aziendali venivano rilevati mediante una serie di conti totalmente personali, «veri e vivi», non «morti» o «di comodo», riferibili a persone naturali o giuridiche (attraverso i legittimi rappresentanti), da cui devono risultare, mediante la registrazione delle operazioni in «Dare» ed in «Avere», i rapporti di debito e di credito che tra loro intercorrono, con un effetto personale ed effettivo 2. L’impianto logismografico si manifestava sotto l’aspetto economico, amministrativo e computistico, e si estrinsecava attraverso lo svolgimento del sistema delle funzioni amministrative. Il principio cardine attorno al quale si svolge il metodo logismografico risiede nell’assioma per cui il proprietario è creditore della sostanza investita in azienda e debitore delle sue passività, in contrapposizione alla posizione degli agenti e corrispondenti, mentre l’amministratore è colui che «tiene la bilancia del dare e dell’avere tra il proprietario 3 da una parte e gli agenti e corrispondenti 4 dall’altra» 5. In tale concezione la contabilità e la computisteria ruotano intorno al pensiero logismologico, per il quale l’osservazione dei fatti si sposta dall’esterno all’interno dell’uomo, scorrendo da una impostazione teorica ad una pragmatica svolgendosi in una «descrizione ragionata dei conti» 6. La ragioneria, sulla base di questi assunti, per il Cerboni è la «scienza che scruta e rappresenta colle sue scritture i fenomeni aziendali». L’informativa aziendale assume, dunque, il finalismo di rappresentare, come dirà egli stesso, «l’essenza dell’amministrazione» come «riflessa in un limpido specchio». Essa nel perseguire il proprio scopo si avvale di «forme speciali e del suo speciale linguaggio». La logismografia, pertanto, adatta i «mezzi filologico-rappresentativi» all’essenza dell’amministrazione economica aziendale.

2

G. Cerboni, Primi saggi di logismografia, presentati all’XI congresso degli scienziati italiani, La Minerva, Firenze, 1873. 3

La proprietà è intesa come «la somma generale e specifica dei diritti e dei doveri dell’ente per mandato del quale l’amministrazione viene condotta». Si veda: G. Cerboni, Quadro di contabilità, cit. Essendo i concetti di diritto e di dovere riferibili esclusivamente a persone, ecco spiegato il motivo per cui i conti non possono che avere natura personalistica. 4

Agenti, consegnatari e corrispondenti compongono complessivamente il cosiddetto «ente collettivo agenziale» Si veda: F. Poddighe, Dai cinquecontisti a Francesco Marchi: contributo alla conoscenza del processo formativo della logismologia, Colombo Cursi Editore, Pisa, 1973. 5

G. Cerboni, Primi saggi di logismografia, cit.

6

C. Cerboni, Rudimenti di Logismografia, Tipografia Elzeviriana, Roma, 1878.

64

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

La conoscenza e la composizione di tali mezzi filologici consente di costituire «un vero sistema grafico razionale e grammaticale», destinato a rappresentare – «scolpire fedelmente» – i fenomeni della «azienda economica» 7. La dottrina logismografica esprime così, con il suo nome, il proprio contenuto: «suo fine è quello di trarre sulla carta, col suo Libro Maestro, il disegno e la figura dell’azienda» 8. L’informativa contabile deve rappresentare l’immagine dell’azienda stessa. Essa deve essere in grado di rappresentare i tre ordini di rapporti che, secondo Cerboni, il fatto amministrativo genera. Rapporti di «persone» di «cose» e di «effetti economici». La scrittura pertanto, «dee pigliare le mosse dall’Io aziendale e svolgersi ne’ suoi naturali aspetti – del giure sociale, delle cose determinate, e delle conseguenze economiche» 9. La logismografia è destinata proprio a rendere i «riscontri facili, leggibili e sindacabili da ogni interessato […] specialmente nelle gestioni pubbliche e in quelle in cui l’altrui buona fede merita tutela». La logismografia, in tal senso era interpretata dal Cerboni come «chiave del segreto che congiunge e fonde in un tutto organico grammaticale il linguaggio della scrittura». Il sistema grafico-tabellare doveva essere in grado di rappresentare la «personalità naturale» dell’azienda che dipendeva essenzialmente dalla sua duplice interpretazione antropologica: quella sociale e quella morale 10.

4. La diffusione presso le Intendenze di finanza L’applicazione della logismografia ebbe un ampio riscontro presso le Intendenze di finanza. Il «canone» fondamentale che accomuna ogni realtà aziendale poteva essere rintracciato nella contestuale presenza di due elementi indispensabili: il «mandante» inteso come ente per il quale l’azienda «ha vita ed azione» e la «agenzia» indicata come la famiglia degli agenti e dei corrispondenti, con i quali l’azienda entra in relazione e nei confronti dei quali si producono «i fatti aziendali».

7

G. Cerboni, Saggio Riassuntivo, cit.

8

G. Cerboni, Saggio Riassuntivo, cit.

9

G. Cerboni, Saggio Riassuntivo, cit.

10

Antonelli nel proprio studio sul pensiero del Cerboni evidenzia la forte matrice filosofica dell’approccio cerboniano individuando la vistosa influenza che su di esso ha esercitato l’idealismo ottocentesco. L’autore sintetizza l’impianto teorico de Cerboni lungo tre dimensioni: l’individuazione dell’aspetto unificante della vita aziendale nel pensiero logismologico; l’introduzione del sistema delle funzioni amministrative; la definizione dei contenuti assegnati alle funzioni. V. Antonelli, L’evoluzione degli studi funzionali nella dottrina economico-aziendale: alcune osservazioni critiche sul pensiero di Giuseppe Cerboni, in Rivista italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, luglio-agosto 1992.

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

65

In queste impostazioni le Intendenze di finanza svolgevano il ruolo di «amministratore» poiché tenevano la bilancia dei doveri e dei diritti (dare e avere) tra il mandante da un lato, e gli agenti ed i corrispondenti dall’altro. Il ruolo delle Intendenze di finanza era quello di svolgere i servizi ad esse delegati dal Ministero delle Finanze e dal Ministero del Tesoro cosicché alle intendenze spettava il compito, mediante le proprie registrazioni, di rappresentare la bilancia dei doveri e dei diritti in relazione ai fatti amministrativi che intercorrevano tra il «tesoro dello Stato» ed i sui agenti e corrispondenti. I fatti amministrativi delle intendenze possono essere distinti, pertanto, nelle seguenti categorie: – Movimenti dei beni dello Stato; – Gestione delle entrate relative al bilancio; – Gestione delle spese relative al bilancio; – Contabilità speciali, servizi speciali e di fondi amministrati. Ogni fatto amministrativo modifica contestualmente la posizione del mandante e quella dell’agenzia poiché non esiste «azione» che non abbia ripercussioni nel «valore o nelle diverse specie di sostanza, ovvero nei rapporti tra le persone interessate». I fatti in questione assumono sempre o un connotato «modificativo», se aumentano o diminuiscono la sostanza dell’ente, o «permutativi» se determinano, invece, soltanto «traslazioni» di detta sostanza. La rilevazione contabile avviene mediante: – Il Giornale; – Gli svolgimenti di primo grado; – Gli svolgimenti di secondo grado. Il giornale rappresenta l’insieme dei fatti amministrativi e mostra gli effetti che questi ultimi producono, rilevandoli in un sistema antitetico bilanciante. Il giornale per le intendenze si strutturava dunque su due conti fondamentali: quello del mandante e quello dell’agenzia. Siccome le Intendenze amministrano per conto dello Stato quattro distinti ordini di valori, tali conti principali si presentano ulteriormente suddivisi in quattro sotto-conti riferibili ai suddetti ordini. 1. le entrate del bilancio; 2. le spese del bilancio; 3. i debiti e i crediti che derivano dai servizi speciali; 4. le sostanze patrimoniali. In maniera analoga anche il conto dell’Agenzia si articola in altrettanti sottoconti: 1. gli agenti rappresentanti la massa dei contribuenti e i vari creditori e debitori del tesoro;

66

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

2. gli agenti per le riscossioni; 3. il tesoriere provinciale; 4. i consegnatari ed i corrispondenti vari. In giornale in tal caso si presenta con un corpo centrale di otto sottoconti denominati dal Cerboni A, B, C, D e E, F, G, H che costituiscono le quattro bilance del mandante e le altrettante dell’agenzia. A queste bilance, per completare il giornale logismografico, è necessario aggiungere quelle di descrizione e quella relativa i fatti permutativi. Il rapporto bilanciante ed antitetico del metodo logismografico può essere colto non solo nella corrispondenza tra la somma delle varie colonne del dare e quelle dell’avere ma anche per una serie di equivalenze interne alle bilance. In particolare i conti A (crediti per le entrate di bilancio), B (debiti per le entrate di bilancio), C (debiti e crediti dei dipendenti da servizi speciali) del conto del mandante sono in costante antitesi con il conto E (Agenti rappresentanti la massa dei contribuenti) del conto dell’agenzia. Le colonne del dare dei conti A, B, C, corrispondono, infatti, in modo univoco all’avere del conto E e viceversa. In maniera simmetrica lo sbilancio in dare del conto D (sostanze patrimoniali) nel conto del mandante corrisponderà allo sbilancio in avere dei conti F (Agenti per la riscossione), G (tesoriere provinciale), H (consegnatari e corrispondenti vari) nei conti dell’agenzia.

Figura 1 – Il Giornale

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

67

Figura 2 – Svolgimento di Primo Grado

68 Simone Lazzini e Sabina Ponzo

68 Simone Lazzini e Sabina Ponzo

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

69

Da questa metodologia di rilevazione è possibile comprendere come non vi possa essere alcun movimento nel conto del mandante senza che vi sia una simmetrica rilevazione nel conto dell’agenzia. Nel modello preposto per le Intendenze gli svolgimenti sono limitati al secondo grado pur riconoscendo la possibilità di estenderne il grado in funzione delle esigenze informative riscontabili. Gli svolgimenti di primo grado dipendono direttamente dal giornale del quale dettagliano le rilevazioni inscritte. Negli svolgimenti di primo grado, le seconde e le terze colonne del dare e dell’avere sono contraddistinte dalle stesse sigle del conto del giornale al quale si riferiscono e pertanto gli importi rappresentanti in queste colonne devono corrispondere a quelle del rispettivo conto giornale. Nella quarta colonna, invece, trovano collocazione quei valori che sono già stati indicati tra le permutazioni iscritte in precedenza nella colonna 20 del giornale. Le somme indicate nella colonna quattro assumono, così, un connotato eminentemente rappresentativo, proprio perché non modificano le posizioni del libro giornale, l’ammontare complessivo importato rispettivamente nelle colonne dare e avere dalla quinta in poi, dedotto l’ammontare della quarta colonna, deve rispettivamente fornire evidenza degli importi inseriti nelle seconda e terza colonna degli svolgimenti. Gli svolgimenti di secondo grado, così come avviene per quelli di primo che dipendono dal giornale ed hanno con esso un equivalenza appena mostrata, dipendono a loro volta dagli svolgimenti di primo grado spingendo il proprio connotato informativo fino alla corrispondenza con le scritture elementari delle intendenze. L’Accademia dei Ragionieri di Bologna e la Scuola Superiore di Commercio di Venezia, si dimostrarono particolarmente critiche nei confronti della teoretica cerboniana, tant’è che il Cerboni stesso, nella sua Petizione al Regio Governo Nazionale, si espresse facendo esplicito riferimento al fatto che «alla testa della falange de’ difensori del metodo antico era il Professor Besta» e prosegue evidenziando come «molti allievi escono dalla Scuola superiore di Venezia con animo avverso alla logismografia, e di ciò non pochi scritti usciti dalla loro penna rendono testimonianza» 11. La Commissione istituita nel 1876 in seno all’Accademia di Bologna chiamata a valutare preliminarmente la Logismografia Cerboniana allo domanda se essa fosse da intendere come scienza, sistema o metodo si espresse escludendo che la logismografia potesse essere considerata come sistema poiché non era portatrice di «principi nuovi, perché possa pretendere a quel nome» e tanto meno, come scienza: «amian meglio dubitare di aver mal compreso anziché ritenere che tale Cerboni voglia davvero crederla» 12. 11

G. Cerboni, Sulla importanza degli articoli 18° e 20° della Legge di contabilità di Stato – Petizione al Regio Governo Nazionale, Tipografia Elzeviriana, Roma, 1901. 12

Accademia dei Ragionieri di Bologna, Discussione sulla Logismografia, Società Tipografica dei Compositori, Bologna, 1877.

70

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

Essi giunsero a configurare la logismografia «piuttosto una forma del sistema a scrittura doppia. Il Cerboni non ha fatto altro che trar fuori dall’empirismo la “forma sinottica”, darle regole sue proprie, formarne (diciam pure forse come improprietà di vocabolo) un “metodo”» 13. La commissione proseguì nella propria disamina affermando inoltre che «Il torto grave del Cerboni sta nell’aver presentato i suoi studi con troppa pompa scientifica e con un codazzo interminabile di lodi e giudizii di persone illustri sì ma incompetenti» 14. Dalla discussione sulla logismografia a cui presero parte gli esponenti dell’Accademia dei Ragionieri di Bologna e che si protrasse nelle sedute del 2, 5 e 6 marzo 1877 emerse la dichiarazione «che la logismografia per la tenuta dei conti, anche come applicazione della scrittura doppia, non risponde alle varie esigenze delle amministrazioni, a bene dirigere le quali devesi mantenere la scrittura doppia colle sue multiformi razionali applicazioni» 15. Le critiche mosse in seno all’assemblea al Cerboni appaiono particolarmente risolute. Villa nel suo celebre intervento nella seduta ordinaria del 2 marzo 1877 in merito alla logismografia, concluse: «che Dio liberi l’Intendenza e la sua Ragioneria ed anche l’erario da questo esperimento». Tonzig critica esplicitamente il metodo logismografico ravvisandone la sua incompatibilità con la finalità stessa dell’informativa contabile che è quello di «porgere in ogni istante, con facilità e certezza in dettaglio ed in succinto, i lumi e le nozioni necessarie». Nella propria relazione ribadisce come per le aziende commerciali e per quelle che definisce economico-rurali il migliore ed anzi l’unico metodo di contabilità sia la partita doppia, mentre per la «grande amministrazione finanziaria», in cui il nucleo di attività risiede proprio nei trasferimenti di denaro, la forma di rilevazione più adatta sia da rintracciare nella scrittura semplice denominata anche metodo camerale. Sulla base di queste affermazioni Tonzig sottolinea come «quelli che sortono con nuovi metodi o sistemi di contabilità, ed inveiscono contro i summenzionati due venerandi metodi, (…) lo fanno o per speculazione, o per malintesa vanagloria». Tonzig in merito alla logimografia conclude che affinché la contabilità persegua il suo scopo essa deve comporsi di tre operazioni principali: – l’annotazione dei fatti in ordine cronologico; – la coordinazione dei fatti secondo il loro genere e la loro specie (tenuta in evidenza in appositi libri); – l’epilogazione, o dimostrazione sinottica. Queste operazioni devono svolgersi nell’ordine prescritto e non altrimenti, come prescrive invece la logismografia nei suoi svolgimenti.

13

Accademia dei Ragionieri di Bologna, op. cit.

14

Accademia dei Ragionieri di Bologna, op. cit.

15

Accademia dei Ragionieri di Bologna, op. cit.

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

71

Il D’Alvise si rivelò uno degli studiosi più polemici nei confronti della logismografia sollevando anche il problema «lessicale» riguardo l’indicazione del metodo prescritto dall’art. 18 della legge del 1869 e dal successivo Testo unico del 1884. La legge Cambray-Digny stabiliva, infatti, che le scritture fossero tenute non con «un» metodo di scrittura doppia bensì con «il» metodo della scrittura doppia. Secondo il D’Alvise le scritture dello Stato dovevano, dunque, essere tenute con «il metodo della scrittura doppia» e non con un generico metodo bilanciante, come poteva essere la logismografia. Sorse dunque una disputa terminologica fra coloro i quali ritenevano che la legge del 1869 avesse voluto semplicemente prescrivere il «metodo», lasciando al Governo la scelta delle forme ritenute adeguate, e coloro che vedevano nell’applicazione della logismografia alla contabilità pubblica un «illegale ardimento» per avallare l’impiego del metodo cerboniano. Il D’Alvise, infatti, ribadì più volte la vistosa presenza di «tentativi illegali di legalizzare» l’introduzione del metodo, dapprima con la sostituzione del termine «logismografia» con quello di «partita doppia a metodo logismografico», poi mediante la modifica dell’art. 18, operata dalla legge 8 luglio 1883 n. 1455, che mutava l’espressione «con il metodo della scrittura doppia» in «con metodo di scrittura doppia». Tale provvedimento fu qualificato dal De Brun come mezzo per far «abilmente penetrare» la Logismografia nel Testo Unico. Il Cerboni, in una petizione presentata al Governo affinché si prendessero provvedimenti per un riordino della contabilità di Stato si difese dall’accusa di aver aggirato gli artt. 18 e 20 della legge di contabilità, sostenendo che il suo metodo non era che una forma perfezionata di scrittura doppia, ma ciò non valse a spegnere la diatriba, che proseguì anche quando ebbe lasciato l’incarico di Ragioniere generale per diventare consigliere della Corte dei Conti. D’Alvise, inoltre, rilevò nel metodo di registrazione cerboniano il grave difetto di esigere conti di comodo e ripetizioni inutili, nonché storpiature di classi naturali di movimenti economico-amministrativi. Nell’ambito della disputa fra «logismografi» e «partiduplisti», Cerboni propose un parallelo fra i principali concetti economico-amministrativi informanti i due metodi. In primo luogo rilevò la differenza che intercorreva fra il principio generale della partita doppia, ossia addebitare il conto che riceve e accreditare quello che dà; e quello della logismografia, che consisteva nel «tenere la bilancia del Dare e dell’Avere tra il proprietario solo da una parte, e gli agenti ed i corrispondenti, tutti insieme, dall’altra». Successivamente mise in evidenza come, utilizzando il metodo a partita doppia, fosse necessario ricorrere a due corpi scritturali distinti: uno per la contabilità finanziaria e uno per quella economico-patrimoniale, la prima delle quali incentrata sul bilancio di previsione, la seconda sull’inventario dei beni. Il metodo cerboniano rimuoveva tale duplicazione, condensando in un unico corpo scritturale la contabilità morale, dalla quale far emergere il riscontro diretto tra le previsioni e gli accertamenti, e la contabilità giuridica, in cui venivano registrate le effettuazioni e le trasformazioni.

72

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

Egli rinvenne un’altra differenza nella supposta esistenza di un conto sottinteso dell’amministratore, autore dei fatti amministrativi dai quali si originavano tutte le partite di debito e di credito, da porre in diretta corrispondenza con altri conti di cose o di persone o conti di interferenza o di comodo, che stavano alla base delle registrazioni in partita doppia. Nell’impianto logismografico, invece, non era l’amministratore il cardine della bilancia del Dare e dell’Avere, bensì la sostanza patrimoniale. Ulteriori criticità che il Cerboni riscontrò nel tradizionale sistema di partita doppia erano riconducibili all’assenza di qualsiasi tipo di distinzione dei fatti permutativi, di sostanza o di responsabilità, da quelli modificativi della sostanza; e nella circostanza che la partita doppia non effettuasse alcuna registrazione relativa al conto del proprietario, ossia dello Stato, in cui si personificava secondo il Cerboni «l’io aziendale», se non quando ne venisse modificata la situazione economica. Questo lo faceva giungere alla constatazione che la scrittura doppia fosse o analitica o riassuntiva, al contrario della logismografia, che presentava contemporaneamente entrambi i caratteri. Un altro elemento, infine, dal quale emergeva la «superiorità» del suo metodo era rappresentato dal fatto che la logismografia consentiva, attraverso gli svolgimenti, di registrare i fatti amministrativi sotto tutti i possibili punti di vista che interessavano l’amministrazione, mentre la partita doppia poteva registrarli una sola volta – a credito o a debito – in uno o più conti. Gli esiti delle sperimentazioni del metodo logismografico non ebbero mai il pieno riconoscimento che il suo ideatore auspicava, nonostante il lungo periodo nel quale Cerboni ricoprì l’incarico di Ragioniere Generale dello Stato. La logismografia non riuscì a lasciare un segno profondo nelle metodologie di rilevazione, nelle modalità di rappresentazione né ad innovare la struttura e l’articolazione contabile dell’amministrazione centrale. La difficoltà riscontrata nell’introduzione dei cambiamenti contabili proposti dal Cerboni è probabilmente imputabile all’intrinseca complessità del metodo logismografico. Se dal punto di vista metodologico la logismografia si dimostrò nei fatti un metodo piuttosto artificioso per rappresentare le manifestazioni della vita aziendale mediante l’impiego di conti aperti alle persone, in cui la forma aveva rilevanza dominante, non si può tuttavia disconoscere come il Cerboni non significhi «puramente e semplicemente logismografia. L’uomo, come studioso, sta molto al di sopra di qualsiasi rapporto metodologico» 16. Egli sentì la necessità di procedere ad uno studio accurato dei fatti: «Nel Cerboni prende consistenza l’idea di uno studio unitario della vita aziendale; per la prima volta si parla di una sola dottrina – la ragioneria – capace di comprendere nel suo campo di studio ogni manifestazione del mondo fenomenico d’azienda» 17.

16

E. Giannessi, I precursori, cit.

17

E. Giannessi, I precursori, cit.

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

73

Proprio per esaltare la dignità scientifica, Giannessi ribadisce come il Cerboni, quale fondatore del metodo logismografico, «deve essere compreso tra i maggiori cultori della materia aziendale perché contribuì in maniera decisiva a svincolare gli studi dalla stagnante accademia del tempo» 18. Dal punto di vista dottrinale Egli si pone sicuramente quale promotore di un’evoluzione scientifica della ragioneria e di una crescita complessiva delle discipline economico aziendali mettendone in evidenza per primo gli elementi strutturali e i caratteri dinamici od operativi 19. Il Giannessi, in tal senso, riferendosi al Cerboni, parla di «indirizzo cerboniano» allo scopo di riqualificarne il valore delle impostazioni di fondo sulle quali, ammette, «si sono appuntati gli strali più acuti della critica o è caduto, successivamente, il velo ingiusto dell’oblio» 20. Il Giannessi, commentando il contributo del Cerboni alla scienza economico aziendale, ne mise in evidenza le «pecche» in particolare l’incapacità dello studioso di sancire i confini tra lo studio amministrativo e quello ragionieristico. Proprio in merito alla ragioneria, infatti, in alcuni casi, il Cerboni si riferiva ad essa come «scienza dell’amministrazione aziendale» – lasciando presagire i prodromi di una scienza unitaria che avrebbe successivamente preso il nome di economia aziendale – mentre, altre volte, le attribuiva contraddittoriamente scopi teorici o scopi pratici mescolando i concetti di ragioneria, amministrazione e organizzazione. Al Cerboni, sempre secondo il Giannessi, può essere riconosciuta la primogenitura nel formulare e concepire un approccio unitario e sistemico agli studi «della vita aziendale», articolato «in branche particolari, enucleabili dal «ceppo» principale e da riassumere convenientemente in esso» 21. È pertanto indubbio che la teoretica Cerboniana abbia evidenziato lacune e manifestato, in alcuni aspetti, incongruenze e contraddizioni dottrinali espandendo, fino a perderne i confini, il campo della ragioneria, ma l’approccio seguito «scostando la materia dalle trite nozioni giuridiche, contabili e computistiche in cui fino a qual momento si riteneva dovessero esaurirsi le nostre discipline» 22 ha contribuito a tracciare un percorso, i cui esiti fecondi, sono confluiti nella configurazione della scienza economico-aziendale come «scienza che studia le condizioni di esistenza e le manifestazioni della vita aziendale» 23.

18

E. Giannessi, I precursori, cit.

19

G. Catturi, L’Azienda Universale, Cedam, Padova, 2003.

20

E. Giannessi, I precursori, cit.

21

E. Giannessi, I precursori, cit.

22

E. Giannessi, I precursori, cit.

23

G. Zappa, Tendenze nuove negli studi di ragioneria. Discorso inaugurale dell’anno accademico 1926-27 nel Regio Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali di Venezia, Istituto Editoriale Scientifico, Milano, 1927.

74

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

5. L’impianto giuridico-istituzionale nel primo Novecento Il quadro storico-normativo sopra descritto si era andato progressivamente modificando nell’arco dei quindici anni in cui Cerboni fu Ragioniere generale. Sul finire del secolo, l’attenzione si concentrò sul contenimento della spesa pubblica, piuttosto che sull’ordinamento contabile. A tal proposito, si susseguirono diversi interventi normativi. I più rilevanti furono la legge Giolitti 11 luglio 1889 n. 6216; la legge Grimaldi 4 giugno 1893 n. 260 che la modificò; il r.d. 4 gennaio 1897 n. 2, istitutivo delle commissioni di vigilanza sugli impegni e la legge 11 luglio 1897 n. 256, per il riscontro effettivo sui magazzini e depositi dello Stato. La legge Giolitti n. 6216/1889 definiva rigorosamente i concetti di economie e di impegni di spesa, le une come quelle spese inscritte nella parte ordinaria del bilancio e non impegnate alla fine dell’esercizio, gli altri come quelle somme che lo Stato aveva assunto l’obbligo di pagare. Manteneva l’istituto del bilancio di assestamento, contestato da molti in quanto aveva assunto i caratteri di un vero e proprio bilancio autorizzativo di spese facoltative. Escludeva dal suo contenuto, tuttavia, le proposte di aumento delle spese facoltative e limitando la facoltà di variazione dei capitoli alle entrate ed alle spese obbligatorie e d’ordine 24. Il nuovo schema di assestamento del bilancio doveva contenere il prospetto dei capitoli da variare, le variazioni apportate ai capitoli per le spese obbligatorie e d’ordine e la presunta situazione delle attività e delle passività del Tesoro alla fine dell’esercizio. Definiva le modalità di individuazione dei residui passivi alla chiusura dell’esercizio e precisava con quali limiti la Corte dei Conti dovesse effettuarne il riscontro. Disponeva che, dopo l’approvazione del rendiconto, si poteva dar luogo a variazioni nei residui dell’esercizio conclusosi e degli esercizi precedenti solo mediante iscrizione nei capitoli del bilancio di competenza dell’esercizio in corso. Stabiliva, infine, che le spese pluriennali fossero inscritte nei bilanci degli anni nei quali manifestavano la propria utilità. Solo la quota di competenza dell’esercizio in corso doveva ritenersi regolarmente impegnata, la restante parte doveva essere rinviata agli anni successivi, sotto forma di residuo.

24

Il progetto originario disponeva che la variazione dei capitoli di spese facoltative potesse essere disposta esclusivamente per singole spese, autorizzata con legge speciale e giustificata nel rendiconto. Per modificare gli stanziamenti relativi alle spese obbligatorie e d’ordine, invece, si riteneva sufficiente presentare al termine dell’esercizio un disegno di legge complessivo insieme al rendiconto. La commissione incaricata di esaminare il progetto al Senato obiettò che tale sistema, basato sul riscontro successivo degli impegni di spesa, non avrebbe permesso la tempestiva adozione degli eventuali provvedimenti che si fossero resi opportuni. Propose dunque che la Corte dei Conti effettuasse un controllo preventivo sugli impegni, al termine del quale avrebbe dovuto concedere o negare un visto, senza il quale i titoli di spesa sarebbero stati privi di esecutività.

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

75

Con riguardo alle maggiori spese ed alle eccedenze di impegni relativi a spese facoltative, la legge Grimaldi n. 260/1893 ripristinò il sistema modificato dalla legge Giolitti, secondo cui esse dovevano essere approvate non singolarmente ma per ministeri. A ciascun capitolo variato doveva corrispondere un articolo del disegno di legge, il quale poteva essere presentato in Parlamento contemporaneamente al rendiconto dell’anno in cui le spese erano state effettuate. Riguardo il trattamento delle variazioni nei residui, fu stabilita una diversa disciplina secondo che il rendiconto in cui essi risultavano inscritti fosse già stato parificato dalla Corte dei Conti o meno. Nel primo caso andavano inscritte in appositi capitoli del bilancio dell’esercizio successivo, altrimenti in quello relativo all’esercizio che si era concluso, previa approvazione con separati disegni di legge, alla stregua delle eccedenze di spesa per l’esercizio in corso. Il Decreto Luzzatti n. 2/1897 istituì, invece, le Commissioni ministeriali di vigilanza, le quali dovevano valutare i prospetti sulla situazione degli impegni assunti (ed in un secondo momento anche quelli in corso di formazione), in relazione agli stanziamenti disposti da ciascun capitolo del bilancio. La successiva legge Luzzatti n. 256/1897, infine, istituì il riscontro effettivo sui magazzini e sui depositi esercitato dalla Corte dei Conti, attraverso un sistema di rilevazione dei movimenti in entrata ed in uscita dei beni dai magazzini. Rapportando le risultanze di tali rilevazioni ai valori indicati negli inventari, si perveniva al valore delle consistenze finali. Allo scopo di garantire la conformità tra le risultanze contabili e le consistenze materiali, fu attribuito al Ministro del Tesoro, per il tramite della Ragioneria generale, il compito di effettuare periodicamente delle ispezioni presso i magazzini. La questione principale sulla quale il legislatore aveva concentrato la propria attenzione fu, in quegli anni, il contenimento degli impegni di spesa. La definizione del modello più opportuno per la contabilità pubblica, invece, slittò temporaneamente in secondo piano. Questa situazione perdurò fino al 1904, quando il Ministro del Tesoro Luigi Luzzatti decise di nominare una commissione presieduta da Fabio Besta, il quale, insieme a Pietro D’Alvise ed al capo divisione alle scritture presso la Ragioneria generale, Giovanni Forza, fu incaricato della realizzazione di un progetto per il ripristino della partita doppia nelle scritture pubbliche.

6. L’informativa contabile nell’impostazione patrimoniale Sul piano puramente teorico, Fabio Besta respingeva la possibilità che potesse esistere una scienza onnicomprensiva dell’amministrazione, intesa come insieme degli studi, degli sforzi e delle cure con cui i fenomeni potevano essere sapientemente governati, troppo ampia per contenuti e sfaccettature. Affermando ciò, Besta non sosteneva che fosse impossibile condurre un’analisi di

76

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

tipo scientifico ma riconosceva la convergenza sulla materia di una pluralità di discipline (sociali, giuridiche, politiche, tecniche, matematiche). Né riteneva che potesse esistere una scienza dell’amministrazione economica, intesa come governo dei fenomeni, dei negozi e dei rapporti che hanno attinenza con la vita della ricchezza nelle aziende, in quanto non potevano essere determinati dei principi comuni a tutte le possibili classi di aziende considerate. Questo soprattutto perché considerava la gestione prevalentemente nell’aspetto tecnologico, piuttosto che in quello economico. Troppo ampio il sistema dei fatti di gestione nelle diverse specie di aziende, perché un’unica scienza potesse contemplarli compiutamente in tutti i loro aspetti, cause e conseguenze 25. In particolar modo, la scienza dell’amministrazione non poteva indagare l’amministrazione dello Stato, che costituiva un ente precostituito nell’azione a favore dello sviluppo fisico, economico e intellettuale della comunità sottostante 26. Nell’amministrazione economica, Besta distingueva tre momenti: la gestione, come complesso degli sforzi e delle cure per il conseguimento delle finalità; la direzione, come disciplina degli sforzi necessari ad accrescere l’efficacia della gestione; il riscontro o controllo, come rilevazione e studio delle cause e degli effetti prodotti dai primi due momenti. La ragioneria, «in quanto si riguarda nell’aspetto teorico, studia ed enuncia le leggi del controllo economico nelle aziende di ogni fatta e ne trae norme opportune da seguire acciocché così fatto controllo possa riuscire veramente efficace, persuadente e compiuto; dove, in quanto si considera nei riguardi della pratica, è l’applicazione ordinata di quelle norme» 27. Besta ammette, cioè, l’esistenza di leggi – quelle del controllo economico – applicabili alle aziende di ogni tipo. L’oggetto delle scritture, anche nelle aziende pubbliche, era costituito dalla rilevazione della ricchezza. Nella teorica elaborata dallo Studioso, la rilevazione della ricchezza poteva avvenire con metodi di registrazione diversi, al variare delle esigenze informative di chi doveva assolvere a tale funzione. A seconda che essa avvenisse direttamente o indirettamente, ci si poteva avvalere di un sistema di scritture patrimoniali, il cui oggetto immediato era costituito dal patrimonio; o di un sistema di scritture attinenti ai bilanci di previsione, che si riferivano alla fissazione delle entrate ed alla limitazione delle spese che potevano produrre variazioni nel patrimonio dell’azienda, per mezzo dell’utilizzo di stati o bilanci di previsione 28. 25

«Il sistema dei fatti della gestione è troppo vario nelle diverse specie di aziende, perché un’unica scienza possa contemplarvi compiutamente tutti i loro aspetti, così nei disformi modi nei quali sia effettuato, come nelle loro cause e nelle loro conseguenze molteplici» (F. BESTA, La ragioneria. Vol. I, Seconda edizione riveduta ed ampliata col concorso dei professori V. Alfieri, C. Ghidiglia, P. Rigobon, Vallardi, Milano, 1922, p. 41). 26

E. Giannessi, I precursori, Colombo Cursi Editore, Pisa, 1971.

27

F. Besta, La Ragioneria, Vol. I, cit., p. 31.

28

Esprimendosi sulla differenza tra metodo di registrazione e sistema di scritture, Besta affermò:

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

77

Nell’opinione dello Studioso il bilancio di previsione, in contabilità pubblica, si prestava a due interpretazioni fondamentali, l’una amministrativa, l’altra costituzionale. Nei riguardi amministrativi, il bilancio indicava la traccia da seguire per la conduzione dell’azienda, determinandone i probabili risultati, e costituiva la previsione dei bisogni dell’amministrazione durante l’esercizio, dei modi e dei mezzi per provvedervi; nei riguardi costituzionali rappresentava il complesso delle facoltà attribuite dal potere legislativo al potere esecutivo per la sua regolare amministrazione 29. Il bilancio di previsione diventava in tal modo uno strumento stringente di controllo, in quanto impediva agli amministratori di deviare dal piano approvato dall’autorità competente, senza un’ulteriore autorizzazione. Esso è «la nota particolareggiata delle facoltà di colui o coloro che esercitano l’eminente autorità; gli organi volitivi massimi, insomma, consentono a quanti attendono alle cure amministrative, agli organi direttivi come ai maggiori organi esecutivi, affinché possano provvedere a tutta la gestione durante l’esercizio. Ossia, […] ha due uffici: di servire di guida nell’opera amministrativa e di frenarla» 30. Quando il sistema di scritture prendeva in considerazione l’intero oggetto di riferimento, fosse esso il fondo patrimoniale o il complesso delle previsioni di bilancio, il sistema si diceva compiuto o completo, altrimenti si diceva parziale. Nelle aziende pubbliche appariva indicata l’adozione di un sistema misto, facendo figurare le scritture in partita doppia dei due sistemi, essenzialmente diversi tra loro, in un solo giornale ed in solo mastro, nel tentativo di integrarli e completarli a vicenda, essendo impossibile riunirli in un unico sistema omogeneo di scritture. «[…] ogni mossa amministrativa, ogni mutazione di rapporti, ogni circostanza, tutto che riguardi la vita della ricchezza e la cui notizia possa giovare alla sua oculata amministrazione futura, vuol essere ricordato nelle sue scritture, le quali, insomma, devono rispecchiare tutto lo svolgersi dell’azienda, e tutte le scritture vogliono coordinarsi fra loro; ma cotale integrità delle registrature ha da riferirsi a quelle soltanto che sono utili; e quanto all’unità e all’armonia, pregi non dubbi, possono aversi nelle scritture di un’azienda pur con la molteplicità dei sistemi, potendo questi coordinarsi fra loro razionalmente» 31. La necessità di tenere conto tanto della contabilità patrimoniale quanto di quella attinente al bilancio di previsione accomunava sia la contabilità preventiva, sia quella concomitante e successiva. In sede consuntiva, infatti, oltre a dover dimo«[…] un metodo di registrazione, se si riguarda nell’aspetto teorico, è un’ordinata serie di norme per la razionale compilazione, in un registro o in più insieme collegati, di acconce note scritte, le quali serbino memoria di tutta l’amministrazione di un’azienda o anche soltanto di una sua parte; se invece si considera nella pratica, è la corretta applicazione di tali norme o l’effettiva compilazione d’una serie complessa di note o scritture aventi forma e ordine particolare; che per contro un sistema di scritture è una serie di registrature considerate in atto, già composte, riguardanti un solo oggetto complesso, qualunque sia del resto il modo nel quale furono compilate e col legate fra loro» (F. Besta, La Ragioneria, Vol. II, cit., p. 276). 29

F. Besta, La contabilità di Stato, cit.

30

F. Besta, La Ragioneria, Vol. II, cit., p. 142.

31

F. Besta, La Ragioneria, Vol. II, cit., p. 280.

78

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

strare le variazioni del patrimonio e l’operato dell’amministratore, occorreva rendicontare opportunamente anche il rispetto dei limiti posti dal bilancio di previsione. Pertanto, il rendiconto doveva essere formato da due sezioni: il conto patrimoniale e il conto attinente al bilancio o conto finanziario, quest’ultimo composto ricalcando la struttura del bilancio preventivo. Esso doveva contenere l’indicazione delle previsioni definitive, che scaturivano dalla somma algebrica tra le somme ammesse in bilancio e le variazioni apportate successivamente da misure complementari; gli adempimenti, i resti attivi e passivi per l’anno successivo; le maggiori o minori entrate e le economie realizzate rispetto alle previsioni. Il conto consuntivo doveva essere poi accompagnato da una relazione finalizzata a chiarire le questioni amministrative di ordine generale, le modalità di compilazione del conto stesso ed il significato delle voci che lo componevano, soprattutto in presenza di differenze rispetto ai conti precedenti, oltre che la giustificazione delle voci stesse, utilmente arricchite da confronti spaziali e temporali, a maggior ragione se divergenti rispetto alle somme previste. Anticipando notevolmente i termini dell’odierno dibattito sull’accountability, Besta sosteneva che tale relazione non dovesse limitarsi a dar conto dei risultati finanziari e della gestione del patrimonio ma «deve dire dell’andamento di tutti i pubblici servizi che quell’azienda è deputata a compiere, e di tutti i pubblici interessi la cui difesa le è delegata» ed assumere così la forma di rendiconto morale 32. La pubblicazione dei conti consuntivi, delle relazioni e dei rendiconti morali, agiva contemporaneamente da stimolo a fare bene e da freno al cattivo operare da parte degli amministratori, che in tal modo erano sottoposti al controllo del pubblico, del quale ricercavano il consenso. Auspicava, pertanto, che anche alle aziende pubbliche locali, come già avveniva per lo Stato, fosse imposto per legge l’obbligo alla pubblicazione dei conti. Alcuni dei punti fermi del progetto elaborato con D’Alvise e Forza erano l’impossibilità di limitare la contabilità a quella finanziaria (come di fatto accadeva da quando era stato abbandonato il metodo di Cerboni) e la necessità di tornare ad effettuare le registrazioni con il metodo bilanciante (dal momento che ormai la Ragioneria generale compilava i propri conti desumendo le informazioni dai prospetti mensili della Direzione del Tesoro e dalle tavole e dai riepiloghi utilizzati per la redazione del rendiconto), a maggior ragione perché formalmente non era mai venuto meno l’obbligo di tenere i conti in scrittura doppia 33. Si è in presenza di scrittura doppia «quando in un mastro si accendono conti a due serie di componenti di un dato fondo, oggetto complesso di un qualsivoglia sistema di scritture, e la misura mutabile di tal fondo si fa risultare da quelle omogeneamente attribuite ai singoli componenti di ciascuna delle due serie» 34.

32

F. Besta, La Ragioneria, Vol. III, cit., p. 620.

33

Besta distingueva tra scrittura doppia e partita doppia, intendendo con la prima «tutti quei metodi dove l’eguaglianza tra gli addebitamenti e gli accreditamenti è costante» e con la seconda il metodo particolare del quale si occupa (F. Besta, La Ragioneria, Vol. III, cit., p. 61). 34

F. Besta, La Ragioneria, Vol. III, cit., p. 1.

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

79

L’utilità del comporre le scritture in partita doppia, alla luce dalla maggiore valenza informativa ad essa riconosciuta, costituiva un elemento comune alle Scuole di Cerboni e di Besta, soprattutto in materia di contabilità pubblica, sia pur nella diversità dei metodi e delle tecniche contabili 35. Besta si chiese, pertanto, se il metodo patrimoniale, che a suo avviso si era rivelato il migliore ed il più razionale per le aziende private, potesse essere applicato anche a quello delle aziende pubbliche. Tre i teoremi fondamentali della scrittura doppia: 1. «Se la misura di un dato fondo si desume costantemente da quelle che vengono attribuite ai suoi elementi reali attivi e passivi, dico che la variazione da rilevare in quella misura, dopo che per un fatto o per un complesso di fatti di gestione, o una cagione qualsivoglia, si sono verificate mutazioni attive e passive nella misura di uno o più elementi suoi, è costantemente uguale alla somma algebrica di queste ultime variazioni» 36. 2. «Se il fondo oggetto delle scritture di un dato sistema, anziché riguardarsi in una sola somma indivisa, si considera decomposto in componenti derivati positivi e negativi, in cosiffatta guisa che pur l’aggregato di simili componenti numerici deva costantemente uguagliare la misura che avrebbe il fondo in monte se fosse indecomposto, dico che la mutazione o le mutazioni da rilevare in uno di codesti componenti derivati o in più, deve e devono avere tali misure che la mutazione unica o la differenza tra il totale di quelle attive ed il totale di quelle passive sia uguale all’unica mutazione, o alla differenza tra la somma delle mutazioni attive e la somma delle mutazioni passive che si fossero accertate nei valori degli elementi reali di quel medesimo fondo» 37. 3. «Se ad ogni singolo elemento reale e ad ogni singolo componente derivato della misura di un dato fondo si accende e si mantiene acceso un conto a sezioni divise, se la misura o il valore di conto delle mutazioni affermatisi nei conti ai componenti derivati si desume dai valori di conto attribuiti alle mutazioni accertate negli elementi reali dalle quali dipendono, se si conviene di scrivere: a) le mutazioni attive negli elementi reali, in dare dei loro conti e quelle passive in avere; b) le mutazioni attive nella misura del fondo in monte in avere dei conti derivati, le passive in dare; dico che nelle scritture da compilare in quei conti, è costante l’uguaglianza tra la somma degli addebitamenti e la somma degli accreditamenti» 38. Appariva essenziale, ai fini della significatività del dato contabile, che le registrazioni effettuate in entrambe le serie di conti fossero espresse in moneta di con35

«La divisione dei metodi di registrazione è maggiore assai di quella dei sistemi di scritture, perocché, oltre ai metodi che un’antica e diffusa applicazione dimostra veramente buoni, ve ne hanno altri che con vario ingegno e fortuna furono escogitati da molti autori nei due ultimi secoli» (F. Besta, La Ragioneria, Vol. II, cit., p. 278). 36

F. Besta, La Ragioneria, Vol. III, cit., p. 30.

37

F. Besta, La Ragioneria, Vol. III, cit., p. 32.

38

F. Besta, La Ragioneria, Vol. III, cit., pp. 34-35.

80

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

to, quindi tra loro omogenee, necessità che veniva meno nell’ipotesi in cui si fosse fatto riscorso a metodi di scrittura semplice. Secondo la natura dei fatti che le originavano le variazioni, si distingueva in variazioni distinte, provocate da fatti modificativi, che figuravano in entrambe le serie di conti; o correlative, derivanti sia da fatti permutativi (variazioni di pari ammontare ma di natura opposta, il cui effetto, che si elideva a vicenda, figurava nei conti integrali ma non in quelli differenziali), sia da fatti misti (variazioni di diverso ammontare e di natura opposta, che figuravano nei conti differenziali solo per la differenza fra la maggiore e la minore di esse) 39. La distinzione tra fatti modificativi, permutativi e misti trovava applicazione anche nella classificazione delle voci del bilancio dello Stato. Le entrate e le spese erano infatti classificate in tre categorie, in relazione agli effetti da esse prodotti sul patrimonio: rendite e spese effettive o, secondo una terminologia che Besta riteneva più corretta, vere; movimenti di capitale; partite di giro. Le prime erano costituite da entrate e spese modificative del fondo patrimoniale, all’interno delle quali riteneva utile distinguere le entrate e le uscite normali da quelle straordinarie ed indicare separatamente le spese sostenute per l’acquisto di materie, le quali costituivano semplici movimenti di capitali fino al momento in cui il loro consumo avrebbe prodotto un movimento reale. I movimenti di capitale erano costituiti da entrate e spese aventi un effetto compensativo sul patrimonio, il quale non subiva variazioni nel suo ammontare complessivo ma un semplice mutamento nella forma e nella composizione in ragione del loro verificarsi 40. Besta riteneva inutile sottoporre le partite di giro, di cui lo Stato era contemporaneamente creditore e debitore, al voto del Parlamento in quanto le entrate e le uscite puramente figurative che ne facevano parte si compensavano vicendevolmente e non influivano sui risultati generali della gestione 41. 39

«Chiamerò permutazioni le mutazioni dipendenti e di ordine opposto che si compensano a vicenda, e denoterò con la stessa voce anche le scritture che le tengono in evidenza e che devono comporsi nei conti di una sola delle due serie anzidette; dirò poi modificazioni le mutazioni dipendenti fra loro, che non si compensano, per cui si altera il montare del fondo oggetto di tutte le scritture di un sistema, e che dan luogo a scritture corrispondenti nei conti di entrambe le serie, e anche queste scritture chiamerò modificazioni» (F. Besta, La Ragioneria, Vol. III, cit., p. 5). 40

Fra i movimenti di capitale (es. uscite per estinzione di debiti, per accensioni di crediti, per acquisto di beni, a fronte delle quali non si registrava una reale diminuzione di ricchezza), figuravano anche le entrate e le spese relative alla costruzione delle ferrovie. La specificità di questa classe di voci era giustificata dal fatto che era improbabile che le nuove ferrovie potessero produrre nei primi anni di esercizio frutti corrispondenti ai capitali che vi erano stati impiegati, i quali erano stati attinti più che altro attraverso l’emissione di obbligazioni. Ciò impediva che il valore di cambio o venale pareggiasse il costo, come invece appariva dai valori di conto. Le entrate e le uscite relative alla costruzione di strade ferrate costituivano una categoria a sé stante, sin dal 1880. Fu soppressa con r.d. 10 maggio 1925 n. 596. 41

Fra le partite di giro comparivano, fino all’esercizio 1923-24, anche i fitti figurativi, derivanti dall’aver adibito immobili di proprietà ad ufficio pubblico: il fitto risparmiato era considerato contemporaneamente rendita dell’immobile ed elemento del costo sostenuto per la prestazione del servizio. Il r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 stabilì che detti immobili dovessero considerarsi concessi ad uso gratuito, di modo che le entrate e le spese che vi corrispondevano non dovessero più essere iscritte fra le partite di giro. La categoria in questione fu abolita nel bilancio di previsione a partire dall’esercizio 1928-29.

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

81

7. La Contabilità di Stato secondo il sistema patrimoniale Il progetto proposto dalla commissione del 1904 assumeva quale punto di partenza la legge Cambray-Digny e le relative istruzioni contabili del 1874. Besta riteneva che nel disegnare il nuovo modello contabile fosse opportuno ribadire con più forza la necessità di tenere sia le scritture patrimoniali, sia quelle finanziarie, inerenti alle previsioni. Il progetto suggeriva l’adozione di un sistema di rilevazione del movimento patrimoniale dello Stato in due serie di conti generali 42, per mezzo di scritture in partita doppia, in un libro giornale ed in un libro mastro, che contenevano le registrazioni dei totali dell’intero anno finanziario, i quali si potevano ulteriormente scomporre in conti di svolgimento. La prima serie di conti era composta dai conti degli elementi patrimoniali, i quali avevano ad oggetto un elemento o un componente attivo o passivo del capitale. «Ciascuno dei conti agli elementi reali si inizia col sorgere dell’elemento attivo o passivo che ne è l’oggetto, e rimane acceso finché quell’elemento dura; ciascuno forma un tutto a sé, e la misura o il valore dell’oggetto di ciascuno può sempre determinarsi considerando unicamente quell’oggetto, senza badare alla misura o al valore degli altri conti simili» 43. Tali conti erano destinati sostanzialmente a rappresentare la contabilità del bilancio di previsione, attraverso la rilevazione delle entrate accertate, riscosse e versate e delle spese impegnate, ordinate e pagate, così com’era richiesto dalla legge. La seconda serie di conti contemplava i conti del netto patrimoniale o conti derivati. Essi avevano ad oggetto il capitale netto, derivato dalle misure attribuite ai componenti patrimoniali, e le sue variazioni, derivate dalle modificazioni impresse dalla gestione alle misure monetarie degli elementi del capitale netto. «[…] ciaschedun oggetto di codesti conti è nulla più che una parte ideale della misura o del valore dell’intero fondo» 44. Solo la rappresentazione dei fatti della gestione in entrambe le serie distinte di conti (detti anche rispettivamente conti integrali e conti differenziali, con una dicitura che Besta riteneva meno opportuna rispetto alla precedente, perché richiamava nozioni matematiche distanti dal significato che la ragioneria intendeva assegnar loro) dava luogo a scrittura doppia nella sua forma propria. Le altre possibilità, os-

42

«[…] il conto può definirsi: una serie di scritture riguardanti un oggetto determinato, commensurabile e mutabile, e aventi per ufficio di serbar memoria della condizione e misura di tale oggetto in un dato istante e dei mutamenti che va subendo, in maniera da poter rendere ragione dello stato di codesto oggetto in un tempo quale si voglia» (F. Besta, La Ragioneria, Vol. II, cit., p. 292). In altri termini «[…] una serie di note le quali affermano lo stato o condizione, la misura e generalmente, il valore attribuito all’oggetto suo in un dato istante, e chiariscono le mutazioni che, in cotale stato, in cotal misura e in cotal valore, si vanno rilevando poi» (F. Besta, La Ragioneria, Vol. III, cit.). 43

F. Besta, La Ragioneria, Vol. III, cit., pp. 1-2.

44

F. Besta, La Ragioneria, Vol. III, cit., p. 2.

82

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

sia accendere due serie di conti agli elementi patrimoniali o ai componenti derivati, costituivano invece forme improprie del metodo. I conti integrali si distinguevano in conti del patrimonio finanziario, dato dalla somma algebrica delle attività e delle passività proprie del conto del Tesoro 45, e conti del patrimonio non finanziario 46. I conti del patrimonio finanziario si suddividevano ulteriormente in conti dell’attivo e del passivo finanziario, che si aprivano rispettivamente con l’accreditamento o l’addebitamento delle grandezze iniziali e che accoglievano in Dare le variazioni attive, ossia gli aumenti di attività e le diminuzioni di passività, ed in Avere le variazioni passive, cioè le diminuzioni di attività e gli aumenti di passività. I conti dell’attivo finanziario erano accesi alle «Competenze attive» ed ai «Residui attivi», i quali accoglievano i crediti di bilancio, rispettivamente per l’esercizio in corso e per quelli precedenti 47, nonché agli «Agenti di riscossione». I conti del passivo finanziario comprendevano, per ciascuno degli undici Ministeri allora esistenti, i conti «Competenze passive», «Residui passivi» e due conti accesi agli ordini di pagamento, distinti in «Ordini di pagamento in c/competenze» e «Ordini di pagamento in c/residui». Esisteva poi un ulteriore conto generale, «Residui passivi», nel quale, al termine dell’esercizio, venivano compendiate le somme rimaste da pagare di ciascun Ministero, complessivamente considerate. Completavano la prima serie il conto «Tesoro» ed un ulteriore conto promiscuo acceso ai «Crediti e debiti di tesoreria». I conti accesi agli elementi del patrimonio non finanziario, anch’essi distinti in conti dell’attivo e del passivo, avevano l’inconveniente di non poter essere compilati con la stessa prontezza dei precedenti, in quanto la Ragioneria generale non poteva procurarsi i dati relativi al patrimonio non finanziario prima della fine dell’esercizio, dopo la chiusura dei conti. Erano conti dell’attivo patrimoniale: «Beni e titoli diversi disponibili», «Beni di natura industriale disponibili», «Materiale per la difesa nazionale», «Beni destinati ai servizi pubblici», «Materiale scientifico ed artistico», «Monete d’oro in deposito». Erano conti del passivo: «Biglietti di Stato a corso forzoso», «Passività consolidate redimibili e diverse», «Debito vitalizio». I conti differenziali prevedevano l’esistenza di un conto «Liquidazione generale dell’esercizio», il quale accoglieva i saldi dei conti «entrate ed uscite di bilancio»,

45

Erano elementi propri del conto del Tesoro il fondo cassa ed i crediti e debiti derivanti dalla gestione del bilancio, di tesoreria e dei residui, nonché il debito per biglietti dello Stato a corso legale. In un’accezione più ampia, il patrimonio finanziario poteva arrivare a comprende anche i titoli di proprietà valutabili, gli immobili da reddito e particolari categorie di rimanenze, configurandosi come fondo finanziario a disposizione. 46

Costituivano elementi patrimoniali non finanziari le attività disponibili ed indisponibili, nonché il debito vitalizio per pensioni, le passività consolidate (perpetue e redimibili) e le passività diverse. 47

Alla fine dell’anno, il conto «competenze attive» si saldava, per le somme non ancora riscosse, con il conto «residui attivi».

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

83

ulteriormente distinte in base alle categorie nelle quali tale documento era diviso, che andavano ad alimentare i conti «Entrate» ed «Uscite effettive di bilancio», «Entrate» ed «Uscite per costruzioni ferroviarie», «Movimento di capitali c/entrate» e «c/uscite», «Partite di giro c/entrate» e «c/uscite», ed «entrate e uscite extra-bilancio», che venivano registrate nei conti «Proventi diversi» e «Spese e perdite diverse fuori bilancio», nonché quello dei conti accesi alle variazioni patrimoniali, in cui venivano inscritte sopravvenienze, insussistenze e rettifiche, imputando le partite che vi erano inscritte ai vari elementi ai quali erano riferibili («Variazioni nell’attivo disponibile e non disponibile», «Variazioni nelle passività consolidate vitalizie e varie», «Variazioni nei residui»). Il conto liquidazione si saldava e chiudeva nel conto «Patrimonio dello Stato», che si apriva con l’indicazione della differenza fra attività e passività iniziali e si chiudeva con quella finale. Le registrazioni nei conti accesi alle singole categorie di entrata e di uscita erano effettuate in contropartita a quelle effettuate nei conti dell’attivo e del passivo finanziario: per ciascuna entrata accertata, la quale determinava il sorgere di un credito di bilancio, la relativa somma era registrata in Dare del conto delle competenze attive ed in Avere del conto delle entrate, aperto alla categoria cui apparteneva; viceversa per le spese, il cui impegno comportava il sorgere di un debito di bilancio. Nei conti delle varie categorie di entrate e di uscite venivano registrate anche le variazioni che esse producevano negli elementi del patrimonio non finanziario, accogliendo in Dare dei conti delle entrate gli aumenti di passività e le diminuzioni di attività dei conti dell’attivo patrimoniale ed in Avere dei conti delle uscite gli aumenti di attività e le diminuzioni di passività avvenute nel passivo non finanziario. Alla fine dell’esercizio, questo meccanismo conduceva alla determinazione del risultato netto della gestione di ciascuna categoria, costituito dal saldo dei conti delle entrate e delle spese. Una simile corrispondenza, se appariva fondata relativamente alla categoria delle entrate e delle uscite effettive, appariva meno significativa, per le categorie relative alla costruzione di strade ferrate e dei movimenti di capitale, i cui conti si chiudevano solitamente in pareggio, essendo le variazioni intercorse nel patrimonio non finanziario coincidenti con il totale della categoria. Tutte le scritture relative alle partite di giro si consideravano nette, in quanto la piena corrispondenza fra entrate ed uscite faceva in modo che non vi fossero variazioni nel patrimonio non finanziario. Vi era poi il conto differenziale «Passaggio di beni», estraneo alla gestione del bilancio, in cui venivano registrati gli aumenti e le diminuzioni di beni provocati dai movimenti che li interessavano e che si chiudeva non appena la registrazione del trasferimento si fosse conclusa. Due partite ulteriori chiudevano il piano dei conti proposto da Besta. Si trattava dei cosiddetti «conti di interferenza», che supportavano le operazioni di apertura e chiusura degli altri conti e che si chiudevano non appena tali operazioni erano concluse. Il «Bilancio di apertura» rappresentava la situazione patrimoniale iniziale; il «Bilancio di chiusura» costituiva il prospetto di stato patrimo-

84

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

niale finale, ai quali si contrapponevano, all’inizio ed alla fine dell’esercizio, tutti gli altri conti. Le norme di registrazione fin qui descritte furono adottate per la tenuta delle scritture concomitanti nel corso dell’esercizio 1904-05. La pratica, tuttavia, evidenziò alcune lacune. Il meccanismo proposto non consentiva, infatti, di determinare il risultato di competenza dell’esercizio attraverso il confronto tra entrate ed uscite di bilancio. Si rilevò, inoltre, la necessità di accrescere l’utilità delle scritture integrando opportunamente il sistema con l’indicazione delle previsioni iniziali, sebbene ciò non fosse imposto dalla legge. Besta e D’Alvise si apprestarono a perfezionare il primo progetto e giunsero, infine, a realizzarne uno che intendeva realizzare l’obiettivo di tenere in evidenza l’andamento delle attività e delle passività patrimoniali, quello delle entrate e delle uscite nelle varie loro fasi, nonché di dimostrare il rapporto intercorrente tra la contabilità del bilancio e quella del patrimonio. Si trattava di aggiungere dei conti finanziari ai conti patrimoniali contemplati dalla versione precedente del metodo, compilati in rosso per poterli agevolmente distinguere dagli altri. Inizialmente fu proposta l’aggiunta di un conto «Previsione dell’entrata e dell’uscita», che accogliesse in Dare le uscite ed in Avere le entrate previste dal bilancio, classificate per categorie ed amministrazioni. Le registrazioni che vi dovevano essere effettuate avrebbero descritto, pertanto, il movimento che interessava le previsioni ed il risultato atteso. La proposta prevedeva, inoltre, l’accensione alle varie categorie di entrata e di uscita dei conti «Entrate» ed «Uscite effettive di bilancio», «Entrate» ed «Uscite per costruzioni ferroviarie», «Movimento di capitali c/entrate» e «c/uscite», «Partite di giro c/entrate» e «c/uscite». Essi dovevano accogliere in Dare le entrate previste, in Avere le entrate accertate; viceversa quando si trattava di uscite. Il loro saldo avrebbe permesso di verificare lo stato degli adempimenti, attraverso il confronto fra previsione ed accertamento. Attraverso il conto «Accertamento delle entrate e delle uscite», invece, si poteva pervenire alla determinazione dell’avanzo o il disavanzo accertato, attraverso il saldo ottenuto iscrivendo in Dare le entrate ed in Avere le uscite accertate. Questa soluzione, tuttavia, avrebbe fatto sì che un solo accertamento necessitasse ben quattro registrazioni, due nei conti finanziari, due in quelli patrimoniali. Egli propose dunque che venissero accesi due conti differenziali, il conto «Accertamenti di bilancio» ed il conto «Effetti del bilancio sul patrimonio non finanziario», destinati a sostituire i conti differenziali aperti alle varie categorie di entrate e di uscite 48. Il conto «accertamenti» accoglieva in Dare le registrazioni relative alle spese impegnate ed in Avere quelle relative alle entrate accertate. Il suo saldo misurava 48

Il Dare e l’Avere del conto «accertamenti» avrebbe sostituito rispettivamente il Dare dei conti delle uscite e l’Avere dei conti delle entrate, mentre il Dare e l’Avere del conto «effetti del bilancio» doveva corrispondere al Dare dei conti delle entrate ed all’Avere dei conti delle uscite.

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

85

l’ammontare dell’avanzo o del disavanzo finanziario di competenza. Sotto-conti contenevano lo svolgimento delle somme che vi figuravano in categorie. Il conto differenziale «Effetti del bilancio sul patrimonio non finanziario» accoglieva in Dare i movimenti passivi extra-finanziari provocati dalle entrate accertate, in Avere i movimenti attivi extra-finanziari derivanti dalle uscite accertate. Da questo conto si traevano i punti di concordanza fra i movimenti di competenza e quelli del patrimonio non finanziario 49. Il «Conto delle Previsioni» accoglieva in Dare le previsioni di entrata, in Avere le previsioni di uscita, in contropartita al conto «Accertamenti di bilancio». Il saldo forniva il risultato atteso. Il Mastro generale passava quindi dal piano di 77 conti previsti dal progetto del 1904 ad uno di 72 nel 1905. Nel 1907 il piano dei conti fu ulteriormente snellito attraverso l’eliminazione degli conti «Ordini di pagamento in c/competenze» e «Ordini di pagamento in c/residui» per ciascuno degli undici Ministeri, pervenendo così ad un mastro di 50 conti.

8. Il dibattito scientifico intorno al metodo di tenuta della contabilità di Stato Critico talvolta anche severo delle teoriche e dei metodi il cui studio attento aveva posto alla base delle sue costruzioni 50, Besta fu un fiero oppositore del metodo di Cerboni. Nei primi anni della disputa, un feroce dibattito vide coinvolte la Scuola toscana capeggiata da Cerboni e quella veneta capeggiata da Besta. Ne è un esempio significativo il concorso indetto dalla R. Scuola Superiore di Commercio di Venezia, diretto a dimostrare definitivamente la superiorità di uno tra il metodo della partita doppia tradizionale ed il metodo logismografico ma che, nonostante l’esser servito da stimolo agli studi da parte dei rappresentanti di entrambi i fronti, si risolse in un nulla di fatto. Besta individuò i principali punti di debolezza del metodo cerboniano nella co49

Il rendiconto doveva dimostrare la concordanza fra il conto del bilancio ed il conto del patrimonio attraverso la determinazione delle variazioni patrimoniali indotte dagli accertamenti di bilancio, quindi gli effetti che l’esercizio del bilancio provocava sull’entità del patrimonio. La dimostrazione di concordanza, che dai più era stata ritenuta un «merito proprio della nostra contabilità di Stato», fu definita, quando ormai le scritture dello Stato da tempo non erano più tenute con il sistema della scrittura doppia, una «incrostazione di partita doppia», che comportava esclusivamente un incremento della complessità del rendiconto italiano. Si veda: A. Marcantonio, L’azienda dello Stato, Giuffrè, Milano, 1950. 50

«Lo scienziato non può scoprir nuovi veri, né far opera feconda, neppur rispetto a un punto speciale della disciplina, se non la conosce tutta e se non ha sufficiente familiarità colle scienze affini» (F. Besta, citato in G. Bruni, La ragioneria scientifica nel pensiero di Fabio Besta e nelle successive tendenze ed evoluzioni, in Rivista italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, settembre-ottobre 1996, p. 539). Fedele alla sua proposizione, Besta fu uno studioso appassionato di molteplici dottrine, «per ansia di confronto, magari vivacemente dialettico se non condivideva le tesi altrui, ma sempre costruttivo» (G. Bruni, op. cit.).

86

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

lonna delle permutazioni che compariva nel giornale, in cui venivano registrate le operazioni che non producevano effetto sul patrimonio, inficiando di fatto il significato dei totali degli altri conti, e nell’esistenza di un numero eccessivo di svolgimenti, dai quali risultava estremamente difficoltoso risalire alle grandezze riferibili ad un unico oggetto. Dopo la critica, il tributo: riconobbe al metodo il pregio di compendiare in un solo giornale le scritture inerenti al sistema patrimoniale ed a quello attinente al bilancio di previsione e, a patto che fosse estremamente contenuto, lo sviluppo progressivo delle partite dei conti sintetici 51. Lo Studioso veneto moderò nel tempo le sue posizioni ed in un secondo momento riconobbe al metodo ideato da Cerboni il merito di aver fornito degli spunti per l’elaborazione di nuovi studi e nuove soluzioni ai fini dell’evoluzione della materia 52. Pur restando un critico della logismografia nella sua forma più ortodossa, interrogandosi sull’applicabilità di tale metodo nelle diverse classi di aziende, stemperò il drastico giudizio espresso ai tempi della disputa, ossia della sua assoluta inapplicabilità 53, affermando che se ne sarebbe potuta applicare utilmente una forma diversa e perfezionata, ed in tal modo favorire significativamente lo sviluppo e la pratica dell’arte di effettuare le registrazioni. «Questo è l’ingegno, la fede e l’ardore che Giuseppe Cerboni e i suoi illustri cooperatori posero nel propugnare l’applicazione del nuovo metodo, e nell’illustrare le teoriche, e nel divulgarle sono per essi titoli alti al plauso e alla gratitudine viva di quanti anelano all’assiduo progredire della ragioneria» 54. Affermava Antoni: «Con il Besta si passò dalla concezione “giuridica” dei cerboniani a quella tecnico economica che ritroverà nel suo discepolo, Gino Zappa, un ulteriore sviluppo» 55. Il patrimonio è considerato, nella teorica di Besta, la massima espressione di vita dell’azienda, tanto pubblica quanto privata, e ad esso si guardava come alla somma di elementi attivi e passivi. L’azienda stessa era considerata «la somma dei fenomeni, o negozi, o rapporti da amministrare relativi ad un cumulo di capitali

51

F. Besta, La Ragioneria, Vol. III, cit., p. 588.

52

Commemorando la figura di Besta, Vittorio Alfieri ricordò la rivalità tra le due Scuole ma sottolineò come, nella diversità dei contributi, entrambi debbano essere considerati tra coloro che diedero vivacità e lustro agli studi di ragioneria: «insigni cultori della ragioneria, tra i più insigni, […] Giuseppe Cerboni e Giovanni Rossi, ebbero in Fabio Besta un compagno che altamente li stimava, un compagno nel vero studio, che è amore intenso della verità. Giuseppe Cerboni, Giovanni Rossi, Fabio Besta sono collaboratori nella officina del sapere». V. Alfieri, La figura di Fabio Besta rievocata da Vittorio Alfieri, in Rivista italiana di Ragioneria, n. 1/1923, p. 1. Sul ruolo di precursori della scienza economico-aziendale da parte di tali Studiosi, si veda: E. Giannessi, I precursori, cit. 53

F. Besta, Corso di Ragioneria. Sunti litografati delle lezioni date alla classe di magistero presso la R. Scuola Superiore di Commercio, Parte I, Lit. Bonmassari, Venezia, 1881-1883, p. 887. 54 55

F. Besta, La Ragioneria, Vol. III, cit., p. 589.

T. Antoni, Tre precursori nella storia della ragioneria: Leonardo Fibonacci, Luca Pacioli, Fabio Besta, in Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, n. 4/1974, p. 166.

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

87

che formi un tutto a sé, o a una persona singola, o a una famiglia, o a un’unione qualsivoglia, od anche soltanto una classe distinta di quei fenomeni, negozi o rapporti» 56 e analogamente la gestione poteva essere osservata come la sommatoria di più gestioni parziali. In forza di ciò, la teoria bestana è considerata una teoria patrimoniale-atomistica, naturalmente contrapposta alla concezione sistemica di Zappa 57. Ricordando il suo Maestro, Zappa sottolineò come l’importanza del contributo di Besta fosse dovuta principalmente all’aver collocato la ragioneria nella rete delle altre scienze sociali, la cui conoscenza costituiva un fondamento per una sana amministrazione; al rispetto del rapporto tra impianto teorico ed astratto e fatti concreti; e ad un atteggiamento critico e libero rispetto alle teorie dominanti.

9. Riflessioni conclusive Gli esiti delle sperimentazioni del metodo logismografico non ebbero mai il pieno riconoscimento che il suo ideatore auspicava, nonostante il lungo periodo nel quale Cerboni ricoprì l’incarico di Ragioniere Generale dello Stato. La logismografia non riuscì a lasciare un segno profondo nelle metodologie di rilevazione, nelle modalità di rappresentazione né ad innovare la struttura e l’articolazione contabile dell’amministrazione centrale. La difficoltà riscontrata nell’introduzione dei cambiamenti contabili proposti dal Cerboni è probabilmente imputabile all’intrinseca complessità del metodo logismografico. Se dal punto di vista metodologico la logismografia si dimostrò nei fatti un metodo piuttosto artificioso per rappresentare le manifestazioni della vita aziendale mediante l’impiego di conti aperti alle persone, in cui la forma aveva rilevanza dominante, non si può tuttavia disconoscere come il Cerboni non significhi «puramente e semplicemente logismografia. L’uomo, come studioso, sta molto al di sopra di qualsiasi rapporto metodologico» 58. Egli sentì la necessità di procedere ad uno studio accurato dei fatti: «Nel Cerboni prende consistenza l’idea di uno studio unitario della vita aziendale; per la prima volta si parla di una sola dottrina – la ragioneria – capace di comprendere nel suo campo di studio ogni manifestazione del mondo fenomenico d’azienda» 59.

56

F. Besta, La Ragioneria, Vol. I, cit., p. 6.

57

«[…] se il patrimonio fosse unicamente costituito da elementi permanenti autonomi, aventi esistenza propria, se le variazioni in ciascuno di essi fossero indipendenti e si potessero rilevare badando a esse sole, se quelle variazioni nella loro somma algebrica potessero determinare il reddito di esercizio, la gestione aziendale […] non sarebbe qual è, costituita in sistema per intimi e continui vincoli di coesistenza e successione». G. Zappa, Il Reddito. Scritture doppie, conti e bilanci di aziende commerciali, Seconda Edizione, Giuffrè, Milano, 1946, p. 451. 58

E. Giannessi, I precursori, cit.

59

E. Giannessi, I precursori, cit.

88

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

Proprio per esaltare la dignità scientifica, Giannessi ribadisce come il Cerboni, quale fondatore del metodo logismografico, «deve essere compreso tra i maggiori cultori della materia aziendale perché contribuì in maniera decisiva a svincolare gli studi dalla stagnante accademia del tempo» 60. Dal punto di vista dottrinale Egli si pone sicuramente quale promotore di un’evoluzione scientifica della ragioneria e di una crescita complessiva delle discipline economico aziendali mettendone in evidenza per primo gli elementi strutturali e i caratteri dinamici od operativi 61. Il Giannessi, in tal senso, riferendosi al Cerboni, parla di «indirizzo cerboniano» allo scopo di riqualificarne il valore delle impostazioni di fondo sulle quali, ammette, «si sono appuntati gli strali più acuti della critica o è caduto, successivamente, il velo ingiusto dell’oblio» 62. Il Giannessi, commentando il contributo del Cerboni alla scienza economico aziendale, ne mise in evidenza le «pecche» in particolare l’incapacità dello studioso di sancire i confini tra lo studio amministrativo e quello ragionieristico. Proprio in merito alla ragioneria, infatti, in alcuni casi, il Cerboni si riferiva ad essa come «scienza dell’amministrazione aziendale» – lasciando presagire i prodromi di una scienza unitaria che avrebbe successivamente preso il nome di economia aziendale – mentre, altre volte, le attribuiva contraddittoriamente scopi teorici o scopi pratici mescolando i concetti di ragioneria, amministrazione e organizzazione. Al Cerboni, sempre secondo il Giannessi, può essere riconosciuta la primogenitura nel formulare e concepire un approccio unitario e sistemico agli studi «della vita aziendale», articolato «in branche particolari, enucleabili dal “ceppo” principale e da riassumere convenientemente in esso» 63. È pertanto indubbio che la teoretica Cerboniana abbia evidenziato lacune e manifestato, in alcuni aspetti, incongruenze e contraddizioni dottrinali espandendo, fino a perderne i confini, il campo della ragioneria, ma l’approccio seguito «scostando la materia dalle trite nozioni giuridiche, contabili e computistiche in cui fino a qual momento si riteneva dovessero esaurirsi le nostre discipline» 64 ha contribuito a tracciare un percorso, i cui esiti fecondi, sono confluiti nella configurazione della scienza economico-aziendale come «scienza che studia le condizioni di esistenza e le manifestazioni della vita aziendale» 65.

60

E. Giannessi, I precursori, cit.

61

G. Catturi, L’Azienda Universale, Cedam, Padova, 2003.

62

E. Giannessi, I precursori, cit.

63

E. Giannessi, I precursori, cit.

64

E. Giannessi, I precursori, cit.

65

G. Zappa, Tendenze nuove negli studi di ragioneria. Discorso inaugurale dell’anno accademico 1926-27 nel Regio Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali di Venezia, Istituto Editoriale Scientifico, Milano, 1927.

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

89

Critico talvolta anche severo delle teoriche e dei metodi il cui studio attento aveva posto alla base delle sue costruzioni 66, Besta fu un fiero oppositore del metodo di Cerboni. Nei primi anni della disputa, un feroce dibattito vide coinvolte la Scuola toscana capeggiata da Cerboni e quella veneta capeggiata da Besta. Ne è un esempio significativo il concorso indetto dalla R. Scuola Superiore di Commercio di Venezia, diretto a dimostrare definitivamente la superiorità di uno tra il metodo della partita doppia tradizionale ed il metodo logismografico ma che, nonostante l’esser servito da stimolo agli studi da parte dei rappresentanti di entrambi i fronti, si risolse in un nulla di fatto. Besta individuò i principali punti di debolezza del metodo cerboniano nella colonna delle permutazioni che compariva nel giornale, in cui venivano registrate le operazioni che non producevano effetto sul patrimonio, inficiando di fatto il significato dei totali degli altri conti, e nell’esistenza di un numero eccessivo di svolgimenti, dai quali risultava estremamente difficoltoso risalire alle grandezze riferibili ad un unico oggetto. Dopo la critica, il tributo: riconobbe al metodo il pregio di compendiare in un solo giornale le scritture inerenti al sistema patrimoniale ed a quello attinente al bilancio di previsione e, a patto che fosse estremamente contenuto, lo sviluppo progressivo delle partite dei conti sintetici 67. Lo Studioso veneto moderò nel tempo le sue posizioni ed in un secondo momento riconobbe al metodo ideato da Cerboni il merito di aver fornito degli spunti per l’elaborazione di nuovi studi e nuove soluzioni ai fini dell’evoluzione della materia 68. Pur restando un critico della logismografia nella sua forma più ortodossa, interrogandosi sull’applicabilità di tale metodo nelle diverse classi di aziende, stemperò il drastico giudizio espresso ai tempi della disputa, ossia della sua assoluta inappli-

66

«Lo scienziato non può scoprir nuovi veri, né far opera feconda, neppur rispetto a un punto speciale della disciplina, se non la conosce tutta e se non ha sufficiente familiarità colle scienze affini» (F. Besta, citato in G. Bruni, La ragioneria scientifica nel pensiero di Fabio Besta e nelle successive tendenze ed evoluzioni, in Rivista italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, settembre-ottobre 1996, p. 539). Fedele alla sua proposizione, Besta fu uno studioso appassionato di molteplici dottrine, «per ansia di confronto, magari vivacemente dialettico se non condivideva le tesi altrui, ma sempre costruttivo» (G. Bruni, op. cit.). 67 68

F. Besta, La Ragioneria, Vol. III, cit., p. 588.

Commemorando la figura di Besta, Vittorio Alfieri ricordò la rivalità tra le due Scuole ma sottolineò come, nella diversità dei contributi, entrambi debbano essere considerati tra coloro che diedero vivacità e lustro agli studi di ragioneria: «insigni cultori della ragioneria, tra i più insigni, […] Giuseppe Cerboni e Giovanni Rossi, ebbero in Fabio Besta un compagno che altamente li stimava, un compagno nel vero studio, che è amore intenso della verità. Giuseppe Cerboni, Giovanni Rossi, Fabio Besta sono collaboratori nella officina del sapere». V. Alfieri, La figura di Fabio Besta rievocata da Vittorio Alfieri, in Rivista italiana di Ragioneria, n. 1/1923, p. 1. Sul ruolo di precursori della scienza economico-aziendale da parte di tali Studiosi, si veda: E. Giannessi., I precursori, cit.

90

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

cabilità 69, affermando che se ne sarebbe potuta applicare utilmente una forma diversa e perfezionata, ed in tal modo favorire significativamente lo sviluppo e la pratica dell’arte di effettuare le registrazioni. «Questo è l’ingegno, la fede e l’ardore che Giuseppe Cerboni e i suoi illustri cooperatori posero nel propugnare l’applicazione del nuovo metodo, e nell’illustrare le teoriche, e nel divulgarle sono per essi titoli alti al plauso e alla gratitudine viva di quanti anelano all’assiduo progredire della ragioneria» 70. Affermava Antoni: «Con il Besta si passò dalla concezione “giuridica” dei cerboniani a quella tecnico economica che ritroverà nel suo discepolo, Gino Zappa, un ulteriore sviluppo» 71. Il patrimonio è considerato, nella teorica di Besta, la massima espressione di vita dell’azienda, tanto pubblica quanto privata, e ad esso si guardava come alla somma di elementi attivi e passivi. L’azienda stessa era considerata «la somma dei fenomeni, o negozi, o rapporti da amministrare relativi ad un cumulo di capitali che formi un tutto a sé, o a una persona singola, o a una famiglia, o a un’unione qualsivoglia, od anche soltanto una classe distinta di quei fenomeni, negozi o rapporti» 72 e analogamente la gestione poteva essere osservata come la sommatoria di più gestioni parziali. In forza di ciò, la teoria bestana è considerata una teoria patrimoniale-atomistica, naturalmente contrapposta alla concezione sistemica di Zappa 73. Ricordando il suo Maestro, Zappa sottolineò come l’importanza del contributo di Besta fosse dovuta principalmente all’aver collocato la ragioneria nella rete delle altre scienze sociali, la cui conoscenza costituiva un fondamento per una sana amministrazione; al rispetto del rapporto tra impianto teorico ed astratto e fatti concreti; e ad un atteggiamento critico e libero rispetto alle teorie dominanti. Ne rammentò inoltre la generosità di idee, di incitamenti, di umanità nei confronti dei suoi allievi 74. A questo proposito, ci sembra significativo concludere il presente lavoro citando una frase pronunciata da Besta nel corso dell’inaugurazione dell’anno accade69

F. Besta, Corso di Ragioneria. Sunti litografati delle lezioni date alla classe di magistero presso la R. Scuola Superiore di Commercio, Parte I, Lit. Bonmassari, Venezia, 1881-1883, p. 887. 70

F. Besta, La Ragioneria, Vol. III, cit., p. 589.

71

T. Antoni, Tre precursori nella storia della ragioneria: Leonardo Fibonacci, Luca Pacioli, Fabio Besta, in Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, n. 4/1974, p. 166. 72

F. Besta, La Ragioneria, Vol. I, cit., p. 6.

73

«[…] se il patrimonio fosse unicamente costituito da elementi permanenti autonomi, aventi esistenza propria, se le variazioni in ciascuno di essi fossero indipendenti e si potessero rilevare badando a esse sole, se quelle variazioni nella loro somma algebrica potessero determinare il reddito di esercizio, la gestione aziendale […] non sarebbe qual è, costituita in sistema per intimi e continui vincoli di coesistenza e successione». G. ZAPPA, Il Reddito. Scritture doppie, conti e bilanci di aziende commerciali, Seconda Edizione, Giuffrè, Milano, 1946, p. 451. 74

G. Zappa, Fabio Besta, il maestro: commemorazione letta a Ca’ Foscari il 2 febbraio 1935, Estratto Annuario dell’Istituto universitario di economia e commercio di Venezia per l’a.a. 1934-35.

L’evoluzione dei sistemi e dei metodi applicati alla contabilità di Stato

91

mico 1908-1909 nella R. Scuola Superiore di Commercio di Venezia: «A voi, giovani amatissimi, che iniziate o riprendete gli studi, a voi l’augurio vivo che sappiate seguire i migliori esempi di quelli che vi hanno preceduto. A emularli, a salire alto, sempre più alto, nella via del proficuo lavoro, vi sproni la nobile ambizione di aggiunger lustro alla patria, pur con utile vostro e dei vostri cari, vi sorregga energia indomita di volere, vi aiuti Iddio» 75.

75

F. Besta, Prolusione letta alla solenne apertura degli studi per l’anno accademico 1908-1909 nella R. Scuola Superiore di Commercio di Venezia, 1908.

92

Simone Lazzini e Sabina Ponzo

Capitolo 6

La Ragioneria generale dello Stato nel processo di costruzione dello Stato unitario: l’Unità d’Italia mediante l’unità dei sistemi contabili e di bilancio di Sabina Ponzo

1. Dai bilanci degli Stati pre-unitari ai primi bilanci del Regno d’Italia L’unificazione della penisola, proclamata per legge 1, risultava assai più difficile da realizzare in concreto, non solo riguardo alla costruzione del senso di appartenenza e degli aspetti socio-economico-culturali della nuova Nazione 2, ma anche riguardo all’allestimento dell’apparato istituzionale, amministrativo e finanziario del neonato Regno d’Italia. Si trattava infatti di definire la struttura dell’organismo statale, a livello istituzionale, legislativo ed amministrativo. Osservate da un punto di vista puramente contabile, le questioni più urgenti erano costituite, da un lato, da «un grande, arduissimo lavoro, quello della unificazione di non meno di sette, ed anzi per molti rispetti, di nove amministrazioni, e legislazioni diverse» 3 e, dall’altro, dalla compilazione del primo bilancio dello Stato unitario, di modo che «l’unificazione finanziaria concorresse ad assodare l’unità politica conseguita con prodigiosa rapidità» 4. Man mano che procedeva l’annessione dei vari territori al Regno sardo, nella penisola andava diffondendosi l’ordinamento giuridico di tale stato. Era questo un 1

Articolo unico della legge n. 4671 del Regno di Sardegna, poi trasferito nella legge n. 1 del Regno d’Italia: «Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17 marzo 1861». 2

Celeberrima la frase attribuita a Massimo D’Azeglio «Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli Italiani».

3

Q. Sella, Discorso tenuto in occasione dell’istituzione della Corte dei Conti, Torino, 1 ottobre 1862.

4

F. Besta, La contabilità di Stato, Litografie, Venezia, 1897-1898.

94

Sabina Ponzo

segno evidente della «piemontesizzazione» che caratterizzò il processo di organizzazione dello Stato nazionale, attraverso l’estensione delle norme piemontesi a tutti i settori della vita del Paese, anche laddove le peculiarità delle diverse province del Regno avrebbero consigliato l’adozione di una soluzione di diverso tipo. La ricerca di una sintesi tra i vari ordinamenti esistenti appariva quanto mai complicata dal fatto che l’unificazione non avvenne che per tappe 5, il cui incalzare, da un lato, spostò l’attenzione dei governi verso le questioni più urgenti connesse al procedere delle annessioni, dall’altro lato, rendeva improbabile pensare di poter partorire una disciplina ed un impianto istituzionale adeguato ad uno Stato dai confini ancora molto incerti. Figura 1 – Le tappe dell’unificazione della penisola

1859

1860

1861

1866

1870

Il susseguirsi delle vicende militari, dei trattati e dei plebisciti che portarono alla unificazione, di fatto, impedì in quegli anni di dedicare la dovuta attenzione al disegno di una struttura originale del nuovo organismo statale, a livello istituzionale, legislativo ed amministrativo, di cui tuttavia vi era una incalzante necessità. La disciplina contabile e di bilancio non fece eccezione: venne dapprima estesa alla Lombardia con la legge 13 novembre 1859, promossa dal Ministro Oytana, quindi all’Emilia, alle Marche e all’Umbria, con il regolamento 7 novembre 1860 n. 4441, firmato da Saverio Francesco Vegezzi, Ministro delle Finanze del Regno sabaudo, riconfermato per il Regno d’Italia fino al 3 aprile 1861. La legge di contabilità, emanata in assenza di discussione parlamentare sulla base dei poteri straordinari conferiti dal Re al Governo, non rispose in modo efficace alle esigenze di un’amministrazione unitaria, essendosi sostanzialmente limitata ad estendere ai territori la legge Cavour del 23 marzo 1853 n. 1483.

5

Nel 1859 fu annessa la Lombardia; mentre i Ducati emiliani, le Legazioni pontificie emiliane (Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì) e il Granducato di Toscana chiesero l’annessione, rifiutata dopo l’armistizio con i Francesi. Nel 1860 i Francesi riconobbero le annessioni dell’Emilia e della Toscana in cambio di Nizza e Savoia. Furono annesse le Marche e l’Umbria, nonché il Regno delle Due Sicilie. Nel 1866 il Veneto venne ceduto dall’Austria alla Francia e da questa all’Italia. Nel 1870, infine, si ebbe la presa di Roma.

La Ragioneria generale dello Stato nel processo di costruzione dello Stato unitario

95

Figura 2 – La legge 13 novembre 1859 e il regolamento 7 novembre 1860 n. 444

Il primo bilancio, pertanto, non fu che un riassunto ottenuto per mera aggregazione di informazioni contabili disomogenee, provenienti dalle varie parti del Regno, secondo gli schemi del bilancio piemontesi. Annessi la Toscana, il Napoletano e la Sicilia, i relativi bilanci furono esercitati separatamente da quello delle amministrazioni centrali. Rammentando le difficoltà di compilazione del bilancio, in tempi successivi il Ministro Magliani dichiarò: «pensare in quei tempi a precisi criteri finanziari sui risultati del rendimento finale dei conti sarebbe stato utopia». Nel tentativo di rendere possibile la compilazione di un bilancio di previsione attendibile, Pietro Bastogi, nominato Ministro delle Finanze dal 17 marzo 1861 al 12 giugno 1861 nel governo Cavour, e, alla morte del primo ministro, riconfermato da Ricasoli fino al 3 marzo 1862, adottò due diversi provvedimenti. Figura 3 – I r.d. 3 novembre 1861 n. 302 e n. 303

96

Sabina Ponzo

Con il r.d. 3 novembre 1861 n. 302, ripropose sostanzialmente l’ordinamento delineato dalla legge del 1859. Il decreto, noto anche come «legge Ricasoli», stabiliva che al bilancio passivo previsto dalla legge del 1859 e dal primo regolamento del 1860 fosse allegato un riepilogo dei capi; che l’assestamento del bilancio venisse presentato entro due mesi dal termine dell’esercizio; che le spese previste e non effettuate dovessero essere cancellate qualora ne fosse venuta meno la causa; che il Ministro delle Finanze dovesse redigere il rendiconto generale, destinato ad accogliere le operazioni di riscossione ed impiego del pubblico denaro. Con il r.d. 3 novembre 1861 n. 303, Bastogi soppresse gli uffici di contabilità generale, competenti nelle province toscane, napoletane e siciliane, presso le quali istituì delle Direzioni speciali del Tesoro, alle dipendenze del Ministero delle Finanze, e un ufficio di riscontro, dipendente dalla Corte dei Conti. La disciplina scaturente da questi primi interventi fu ulteriormente raffinata con i successivi r.d. 13 dicembre 1863 n. 1582, che dettava disposizioni riguardanti il servizio di tesoreria, e il regolamento attuativo del decreto n. 302/1861, dettato con il r.d. 13 dicembre 1863 n. 1628, che affrontava principalmente i temi dell’esercizio finanziario e del bilancio. Riguardo al primo, il termine per le operazioni di riscossione e pagamento fu prolungato sino a settembre, allo scopo di ridurre la mole dei residui. Entrate e spese non riscosse o non pagate entro il 30 settembre potevano essere trasportate a nuovo solo qualora ne sussistesse ancora la causa. Le minori spese, qualificate economie, dovevano esser cancellate in sede di assestamento di bilancio. Venne disposto che il capitolo diventasse l’unità elementare sia del bilancio attivo, sia di quello passivo e che eventuali variazioni dovessero essere richieste dagli altri Ministri a quello delle Finanze ed approvate dalla Camera. Nei bilanci parziali furono istituiti ulteriori capitoli per «spese casuali». Nell’esposizione finanziaria del 30 settembre 1864, il nuovo Ministro Sella, succeduto alle Finanze dopo la caduta del Governo Minghetti, sottolineò le insufficienze della vigente legge di contabilità (carenza del controllo sul movimento finanziario, inattendibilità ed instabilità del bilancio, ritardi nella redazione dei rendiconti rispetto alla compilazione dei conti preventivi, …). Il 19 dicembre 1865 sottopose all’attenzione del Parlamento un progetto di legge con il quale, ritenendo opportuno rompere con la tradizione franco-belga, propose nuovamente un sistema che si rifacesse al modello inglese, di cui era grande studioso e sostenitore. Una delle proposte avanzate nel progetto riguardava lo spostamento della decorrenza dell’anno finanziario dal 1° aprile al 31 marzo, finalizzato all’abolizione dell’istituto del prolungamento dell’esercizio, nel corso del quale dovevano considerarsi effettuate solo le entrate e le spese che avevano avuto effettivamente luogo, distinte in permanenti, variabili e straordinarie. La classificazione era importante ai fini delle modalità di approvazione: solo le spese ordinarie variabili e quelle straordinarie dovevano essere approvate annualmente, mentre quelle permanenti dovevano confluire in un «fondo spese consolidato», per il quale l’autorizzazione originaria sarebbe valsa finché non fosse intervenuta una nuova legge a rimuoverla.

La Ragioneria generale dello Stato nel processo di costruzione dello Stato unitario

97

Entro un mese dall’inizio dell’esercizio, essendo noti i risultati dell’anno precedente, occorreva compilare il bilancio generale dell’esercizio in corso. A differenza degli stati di previsione, esso doveva comprendere anche l’indicazione delle entrate e delle uscite del fondo consolidato e dei residui attivi e passivi del periodo precedente. Il Ministro suggerì anche l’istituzione di un «Ufficio di Contabilità generale», che si occupasse dell’organizzazione armonica delle contabilità parziali dei singoli Ministeri; di un ufficio per la liquidazione delle spese e di un altro per la spedizione dei mandati di pagamento. Propose inoltre l’istituzione di un «Ufficio del Pagatore generale». Alla chiusura dell’esercizio, ogni Ministero doveva compilare il proprio conto generale, al quale dovevano essere allegati il conto delle entrate, effettuate e da effettuarsi, delle somme da trasferire al conto generale del Tesoro e dei fondi di cassa dei vari contabili; il conto delle spese sostenute, raffrontate alle previsioni di bilancio, in cui dovevano essere motivati eventuali scostamenti; il conto del Pagatore generale; il conto di cassa del conto generale del Tesoro; i conti degli introiti e delle erogazioni del patrimonio mobiliare ed immobiliare. Il controllo di legittimità spettante alla Corte dei Conti era effettuato tramite un delegato operante presso ciascuna amministrazione centrale. Al termine dell’esercizio, i conti di ciascun Ministero erano trasmessi alla Corte per il visto e poi inviati al Ministero delle Finanze per la presentazione al Parlamento. La riforma promossa del Sella avrebbe realizzato uno spiccato accentramento della gestione del pubblico denaro, nella convinzione che ciò avrebbe reso possibile un più efficace controllo parlamentare sull’operato dell’amministrazione, ma conteneva elementi tali da essere probabilmente respinte da un Parlamento fortemente legato al sistema tradizionale, tanto da non giungere neanche di fronte alle Camere a causa delle dimissioni del Ministro. I principi cardine del progetto del Sella, depurato dai punti più controversi, furono riprodotti nel disegno di legge del 21 dicembre 1866, proposto dal nuovo Ministro delle Finanze Scialoja, che aveva introdotto una serie di modifiche al previgente regolamento di contabilità, approvato con r.d. 25 novembre 1866. La questione del riordinamento della contabilità dello Stato fu fortemente sentita da tutti coloro che si avvicendarono al Ministero delle Finanze, soprattutto nei primi anni che seguirono l’unificazione. Anche Ferrara, al Ministero delle Finanze per breve periodo, da aprile a luglio 1867, si preoccupò di nominare una commissione, in seno alla quale un’équipe di parlamentari e di tecnici, presieduta dal Minghetti e della quale fece parte anche Giuseppe Cerboni, doveva esaminare tutti i progetti di legge che erano stati presentati in materia di contabilità di Stato, per giungere infine alla formulazione di un valido piano di riforme. La commissione presentò un progetto di legge per l’istituzione di una «Ragioneria generale dello Stato» e di una «Tesoreria generale» alle dipendenze del Ministero delle Finanze, nonché di un certo numero di «Ragionerie centrali», operanti presso ciascun Ministero. Il Ragioniere generale avrebbe avuto il compito di ricevere ed esaminare i conti mensili delle entrate, pervenutigli dai ricevitori provinciali e di verificare e spedire

98

Sabina Ponzo

i mandati delle spese ordinate dal Ministro delle Finanze o da loro delegati (delle spese ordinate dagli altri Ministri dovevano occuparsi i Ragionieri centrali). In materia di bilancio, fu proposto che vi fossero «previste ed autorizzate le entrate e le uscite annuali dello Stato», senza specificare in quale fase dovessero essere rilevate, e l’abolizione della suddivisione dei capitoli in articoli. Il progetto di legge, tuttavia, non arrivò nemmeno all’attenzione del Parlamento, viste le sorti che toccarono al Ministero entro il quale fu proposto.

2. Il riordino della contabilità generale dello Stato La riforma organica della contabilità di Stato fu sancita dalla legge 26 aprile 1869 n. 5026, promossa dal Ministro Cambray-Digny. Figura 4 – La legge 26 aprile 1869 n. 5026

Tale intervento fu qualificato «legge di transizione e di transazione. Di transizione, perché all’arruffio incomposto delle contabilità con le quali veniva raccolta l’amministrazione patrimoniale e finanziaria delle diverse province, si riuscì con essa a sostituire un metodo uniforme che, quantunque non perfetto, era certo notevolmente migliore di tutti i sistemi pure allora vigenti […]. Di transazione, dappoiché, per la urgenza da tutti compresa, anzi vivamente sentita di riparare all’incompatibile inconveniente di un sistema multiforme si prestò generalmente nell’una e nell’altra Camera assai facile assenso ad opinioni assai discutibili […]» 6. 6

A. De Cupis, Appendice al commento della legge 22 aprile 1869 n. 5026, Utet, Torino, 1885.

La Ragioneria generale dello Stato nel processo di costruzione dello Stato unitario

99

Non mancò, infatti, di lacune, imperfezioni e difficoltà applicative, che non passarono inosservate ai parlamentari dell’epoca, ma che furono superate data l’urgenza di dare al Regno una sia pur imperfetta legislazione in grado di riequilibrare la situazione finanziaria ed economica dello Stato. L’intento della legge era concentrare la competenza sul sistema informativocontabile dell’amministrazione statale, in un unico ufficio centrale, alle dipendenze del Ministero delle Finanze, e creare un complesso di disposizioni concernenti la formazione e l’esercizio del bilancio, la materia dei controlli e della tesoreria. Si veniva così a creare un ufficio di contabilità centrale, distinto in «Tesoreria generale», per la gestione del denaro pubblico, e «Ragioneria generale dello Stato», per la tenuta delle scritture. In sede di discussione parlamentare, la Commissione alla Camera dei Deputati, presentò una relazione sull’esito del lavoro compiuto, da cui emergeva la volontà di dare uno speciale sviluppo alla Ragioneria generale 7, incaricata della descrizione e della tenuta in evidenza, sia pur in modo riassuntivo, dei fatti economici che interessano l’azienda dello Stato. Il Sella, pur lodando l’istituzione della Ragioneria generale e delle Ragionerie ministeriali o speciali, si dichiarò più volte preoccupato dall’aggravio di spese che ne sarebbe derivato. La riforma era comunque ormai indifferibile, tale da giustificare il sensibile aumento di spesa con la necessità e l’urgenza di dare al Paese un sistema contabile razionale ed una più efficace disciplina del riscontro. Alla Ragioneria generale, incaricata della tenuta delle scritture riassuntive, andò il riscontro contabile, ma non vi fu chiarezza sul reale significato di questa espressione. La decisione di far dipendere le ragionerie centrali dai ministeri fu presa per favorire la collaborazione con le amministrazioni, nell’intento di consentire una migliore rilevazione dei fatti amministrativi ed un più ricco flusso informativo, a discapito, tuttavia, dell’efficacia del controllo amministrativo e della regolarità ed oculatezza della gestione finanziaria statale. L’art. 18 della legge stabiliva che: «La Ragioneria generale, col metodo della partita doppia: riassumerà e terrà in evidenza i risultati dei conti delle riscossioni e dei versamenti delle pubbliche entrate e delle spese ordinate e fatte in relazione non solo ai capitoli di bilancio, ma anche ai vari servizi e alle responsabilità di ciascuna amministrazione; riassumerà e terrà in evidenza le variazioni che si verificano nella consistenza del patrimonio mobile ed immobile dello Stato […]». Nonostante l’auspicio che in tutti gli uffici di ragioneria fosse introdotto il metodo della partita doppia, l’obbligo fu imposto solo alla Ragioneria generale ed alla Direzione generale del Tesoro, ritenendo preferibile che le amministrazioni centrali si limitassero a tenere le proprie scritture coordinate con quelle della Ragioneria ge-

7

Ad essa vennero aggiunte, oltre alle funzioni di formazione dei documenti e delle situazioni finanziarie e del Tesoro, ulteriori attribuzioni: descrizione della consistenza patrimoniale; verifica, riassunzione e descrizione delle contabilità delle riscossioni e delle spese; registrazione dello stato individuale di servizio degli impiegati e dei pensionati; registrazione delle operazioni finanziarie, di tesoreria e di zecca.

100

Sabina Ponzo

nerale (art. 20). L’uniformità delle scritture delle amministrazioni speciali con quelle centrali e quelle della Ragioneria generale fu comunque raccomandata al Ministro delle Finanze in sede di approvazione degli emendamenti del Senato e rimessa al regolamento di attuazione della legge. Il regolamento si occupò anche della definizione delle attribuzioni del Ragioniere generale, incaricato dell’esercizio di una continua vigilanza sulle Ragionerie speciali 8, di cui aveva facoltà di convocare i capi per chiarimenti o notizie e di impartire loro le istruzioni necessarie (art. 189); nonché di un continuo ed efficace riscontro contabile su tutta l’amministrazione dello Stato (art. 192). Fu inoltre istituito il Collegio dei Ragionieri, quale organo di consulenza tecnica in materia amministrativo-contabile, incaricato dello studio e dell’elaborazione del piano di riordinamento degli uffici centrali, compartimentali e provinciali di ragioneria e del coordinamento d’attività, criteri e procedure, le cui attribuzioni saranno meglio disciplinate nel 1876. In materia di bilanci, all’art. 19 della legge era stabilito che: «La Ragioneria generale: è incaricata della formazione delle situazioni del Tesoro e finanziarie; predispone, con gli elementi trasmessi dai singoli Ministeri a quello delle Finanze, il progetto dei bilanci da sottoporsi all’approvazione del Parlamento; compila al termine di ogni anno finanziario i bilanci consuntivi dell’amministrazione dello Stato». Fu stabilita l’articolazione del documento in «bilancio di prima previsione», composto da uno stato di previsione per l’entrata e tanti per la spesa quanti erano i Ministeri, e in «bilancio definitivo», da presentarsi ad esercizio iniziato, comprendente l’indicazione delle variazioni apportate alla prima previsione e del progetto riassuntivo di pareggio fra le entrate e le spese, nonché della previsione di cassa. La legge distinse le entrate e le spese in ordinarie e straordinarie, dispose la loro ripartizione in capitoli e, dopo l’approvazione degli stati di prima previsione, dei capitoli in articoli, mediante decreto ministeriale registrato alla Corte dei Conti. L’ufficio di Ragioneria generale doveva essere l’«istituzione che, descrivendo e tenendo in evidenza, pur in via riassuntiva, tutti i fatti economici che si vanno svolgendo nella grande azienda dello Stato, […] offre modo sicuro e pronto al Ministro delle Finanze di conoscere, direbbe quasi giorno per giorno, la situazione finanziaria dello Stato» 9 e se ne volle rafforzare il ruolo, assegnandole ulteriori attribuzioni e definendo le responsabilità del Ragioniere generale, nonché i compiti delle ragionerie ministeriali. Il Ragioniere generale fu investito della responsabilità personale circa l’esattezza e la prontezza delle registrazioni contabili, avente natura essenzialmente morale ma, in quanto dettata da legge formale, suscettibile di giudizio innanzi alla Corte dei Conti. Egli aveva alle proprie dipendenze tutto il personale della Ragioneria generale, di cui stabiliva nomine e rimozioni, e poteva esercitare questa stessa

8

Le ragionerie speciali furono istituite con r.d. 8 ottobre 1870 n. 5927. Nel frattempo si era provveduto alle funzioni di ragioniere incaricandone un impiegato del ministero. 9

Parlamento italiano, Rendiconti legislatura X, Camera, vol. IV, 1869-70.

La Ragioneria generale dello Stato nel processo di costruzione dello Stato unitario

101

competenza anche nei confronti del personale delle ragionerie ministeriali. In materia di controlli, venne evidenziata la distinzione del riscontro in amministrativo e contabile. Mentre nel sistema previgente esso era esercitato dalle divisioni di contabilità di ciascun Ministero, il riscontro preventivo amministrativo veniva affidato ai capi delle ragionerie centrali, i quali dovevano provvedervi mediante apposizione del visto sui mandati e sui ruoli, e quello preventivo costituzionale e susseguente amministrativo alla Corte dei Conti 10. Onde scongiurare il rischio di sovrapposizione delle competenze, si tentò di risolvere la questione attraverso l’introduzione di un triplice ordine di contabilità, cui far corrispondere un triplice ordine di scritture: «ordinatrici», presso le ragionerie dei singoli Ministeri, dalle quali dovevano risultare le operazioni attinenti all’esercizio del bilancio; «sindacatrici», presso la Corte dei Conti, sulla base delle quali avveniva il riscontro preventivo dei titoli di spesa, limitatamente all’aspetto costituzionale esterno dei mandati; «esecutrici», presso la Direzione generale del Tesoro, necessarie per imprimere carattere esecutivo ai titoli. Nonostante la diffusamente avvertita esigenza di dotare il Regno di un ordinamento finanziario e contabile coerente ed efficace entro tempi brevi, la legge Cambray-Digny, la cui entrata in vigore era stata prevista per il 1° gennaio 1870, fu applicata con sensibile ritardo. Caduto il Governo entro cui fu emanata, la sua esecuzione fu demandata al successivo Ministro delle Finanze Sella, che ne era stato critico oppositore. Costui ne differì l’entrata in vigore al 1° gennaio 1871 con r.d. 23 dicembre 1869 n. 5395 e dispose che nel frattempo ne fossero applicate solo alcune parti 11, adducendo come motivazione il fatto che il regolamento di esecuzione si trovava ancora al vaglio del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti. Il regolamento venne emanato con r.d. 4 settembre 1870 n. 5852. Il disposto rifletteva gli orientamenti del Ministro, che accordava una preferenza ad un bilancio di cassa, secondo il sistema inglese, piuttosto che ad uno di competenza, secondo il modello franco-belga, e che per questo fu accusato di aver violato lo spirito della legge.

10

In questa scelta non manca una palese contraddizione, residente nel fatto che esse dipendevano direttamente dai Ministeri cui erano addette, con l’intento di favorire il flusso di informazioni fra amministrazioni ed uffici di ragioneria, ma che di fatto originava un sistema in cui il controllore era alle dirette dipendenze del controllato. 11

In attesa di emanare il regolamento, con r.d. 17 febbraio 1870 n. 5513, venne istituita la qualifica di Ragioniere generale e, con r.d. 31 marzo 1870 n. 5621, fu stabilita la dipendenza dell’ufficio di Ragioneria generale dal Ministero delle Finanze.

102

Sabina Ponzo

Figura 5 – Il r.d. 4 settembre 1870 n. 5852

Il regolamento stabilì che lo stato di prima previsione dovesse essere redatto secondo criteri di competenza, mentre quello di definitiva previsione secondo principi di cassa, in modo che l’uno esprimesse la «facoltà di spendere», l’altro la «facoltà di pagare». Sia da parte del Parlamento, sia da parte di commissioni successivamente costituite, sarà mossa la critica circa l’esistenza di due bilanci di diversa natura per un medesimo anno e che nei bilanci definitivi venissero confusi in una sola somma competenze e residui di ciascun capitolo, con il rischio di superare gli stanziamenti autorizzati 12. Era inoltre contestabile il fatto che, in base alla definizione stessa di bilancio definitivo, questo doveva essere destinato ad accogliere le modifiche e le integrazioni del bilancio di prima previsione, cosa assai poco significativa se si pensa che i due documenti venivano redatti sulla base di criteri diversi 13. Riguardo l’organizzazione degli uffici di ragioneria, il regolamento sancì che tutti i registri di contabilità degli uffici di computisteria dell’amministrazione centrale, provinciale e compartimentale, nonché delle Intendenze di finanza, dovessero essere tenuti a partita doppia, nonostante il fatto che l’art. 20 della legge CambrayDigny si fosse limitato a prescrivere che le scritture delle ragionerie ministeriali dovessero essere semplicemente coordinate con quelle della Ragioneria generale. Quest’ultima doveva occuparsi della predisposizione dei progetti dei bilanci, delle situazioni finanziarie e di tesoreria e dei bilanci consuntivi; mentre competenza specifica del Ragioniere generale era esercitare una continua vigilanza sulle ra-

12 13

Il regolamento decretò la chiusura definitiva dell’esercizio finanziario alla data del 31 dicembre.

Sia da parte del Parlamento, sia in altre sedi, sarà mossa la critica circa l’esistenza di due bilanci di diversa natura: «Vi hanno Stati che adottarono bilanci di cassa, sonvene altri che hanno bilanci di competenza, ma non ve n’è stato nessuno, dal nostro in fuori, che siasi preso il gusto d’aver due bilanci di diversa natura, in vigore per un medesimo anno» (F. Besta, op. cit.).

La Ragioneria generale dello Stato nel processo di costruzione dello Stato unitario

103

gionerie speciali, convocarne i capi per chiedere loro notizie o dettare disposizioni, esercitare il riscontro contabile su tutta l’amministrazione finanziaria dello Stato. Alle ragionerie ministeriali fu richiesto di trasmettere alla Ragioneria generale il proprio conto consuntivo entro aprile, per la compilazione del «rendiconto consuntivo generale dell’amministrazione dello Stato». Al rendiconto dovevano essere allegati il «conto generale di cassa», lo «stato patrimoniale» ed i «conti speciali».

3. I rendiconti del Regno d’Italia nel XIX secolo Nel paragrafo precedente è stata sottolineata la difficoltà a cui andarono incontro i primi governi del Regno unitario nell’arduo compito di redigere i bilanci dell’Italia unita. Le lacune e l’incertezza normativa che imperversava in materia finanziaria e contabile, oltre al panorama politico in continua evoluzione, fece sì che i rendiconti del Regno d’Italia dal 1862 al 1867 fossero approvati con un unico atto normativo, con legge 14 giugno 1871 n. 280 e anche quelli degli esercizi 1869 e 1870 fossero approvati unitamente con la legge 21 dicembre 1872 n. 1170. Figura 6 – I primi rendiconti del Regno d’Italia

L’analisi dei rendiconti degli esercizi che vanno dal 1862 al finire del XIX secolo deve tener conto che, in tale arco temporale, sono intervenuti dei fortissimi cambiamenti nei confini dello Stato, nei principi che regolavano il sistema contabile e i modelli di bilancio, nella durata dell’esercizio finanziario e nelle dimensioni del ruolo dello stato nell’economia.

104

Sabina Ponzo

Per effettuare una comparazione, pertanto, è stato necessario effettuare delle rettifiche, ricostruzioni ed elaborazioni dei dati e delle informazioni. In particolare è da rilevare come dai consuntivi 1862 al 1875 emergesse sostanzialmente una contabilità di cassa e solo dal 1876 una di competenza 14. Ciò ha reso necessaria una riconciliazione per ottenere un’informazione di competenza. Riguardo alla classificazione, inoltre, è da rilevare come, fino al 1878, entrate e spese fossero distinte in ordinarie e straordinarie. Da quel momento in poi, invece, i titoli furono quelli delle entrate e spese effettive, per costruzione strade ferrate (dal 1879), per movimento di capitali, partite di giro. Le informazioni, quindi, sono state rielaborate secondo la natura dei cespiti di entrata e dei titoli di spesa per ricostruire le classi.

14

I rendiconti dal 1862 al 1867 esponevano entrate e spese riscosse o pagate in ciascun anno. I residui rispetto agli accertamenti e agli impegni, determinati per competenza, furono calcolati con riferimento all’intero periodo preso in considerazione.

                   926,72                   906,52                   944,01                    916,40                1.338,58                   928,60                1.014,36                1.019,56                1.080,75                1.013,28                1.093,76                1.136,25                1.090,50                1.082,45                1.102,63                1.207,95                1.175,08                1.179,96                1.194,40                1.224,76                1.293,43                1.329,95                    666,79                1.408,69                1.432,61                1.461,49                1.572,85                1.756,21                1.637,00                1.617,24                1.371,16                1.369,39                1.616,55                1.600,35                1.699,07                1.624,03                1.620,03                1.626,16                1.633,10

‐                446,46 ‐               382,34 ‐               367,56 ‐                270,72 ‐                721,45 ‐               214,14 ‐               265,80 ‐                148,87 ‐                214,77 ‐                  47,10 ‐                  83,58 ‐                  89,01 ‐                  13,38                   13,87                   20,70                  34,60                  16,55                   42,93                   26,83                  53,26                    5,90                      2,95 ‐                     8,77                      4,59 ‐                  23,51 ‐                    8,01 ‐                  72,93 ‐                255,37 ‐                  74,42 ‐                  77,24 ‐                  43,07 ‐                  18,78 ‐                  99,43 ‐                  30,44 ‐                  65,47 ‐                     9,20                      9,46                   32,66                  38,42

                     26,46                     15,64                     24,34                      19,04                      10,13                     44,35                     20,50                      43,16                      12,80                      14,22                       6,70                       3,54                        3,93                        1,42                      12,39                     44,80                     57,89                      51,51                      67,76                     98,54                     99,50                      86,94                      46,89                      72,77                  170,05                  196,24                    297,88                    235,79                  139,05                  118,59                     88,33                      30,03                      36,51                       0,99                       0,60                        0,81                        0,44                        0,56                       0,38

                     13,96                     23,96                     29,42                        7,97                      28,51                     35,06                     20,81                      56,05                      37,28                      45,79                     40,68                     54,08                      50,91                      48,87                      48,95                     57,64                     59,18                      52,25                      67,99                     98,54                     99,50                      86,94                      46,89                      72,77                  170,05                  196,24                    297,88                    235,79                  139,05                  118,59                     88,33                      30,03                      75,01                     65,40                     32,51                      27,93                      20,86                      18,65                     21,17

 Uscite per  costruzione  strade ferrate                    12,50 ‐                    8,32 ‐                    5,08                   11,07 ‐                  18,38                    9,29 ‐                    0,31 ‐                  12,89 ‐                  24,48 ‐                  31,57 ‐                  33,98 ‐                  50,54 ‐                  46,98 ‐                  47,45 ‐                  36,56 ‐                  12,84 ‐                    1,29 ‐                     0,74 ‐                     0,23                      ‐                      ‐                        ‐                        ‐                        ‐                      ‐                      ‐                        ‐                        ‐                      ‐                      ‐                      ‐                        ‐ ‐                  38,50 ‐                  64,41 ‐                  31,91 ‐                  27,12 ‐                  20,42 ‐                  18,09 ‐                  20,79

 Avanzo/  disavanzo  ferrovie                       43,58                  503,15                  434,04                    591,70                    836,89                  148,08                  465,56                    192,83                    261,68                    238,50                  184,98                  153,46                    108,70                    182,77                    178,11                     92,38                     81,62                      85,11                      59,32                     75,63                  726,61                      49,22                      14,99                    130,29                     72,85                     58,21                      49,21                      37,58                  136,47                  162,12                     36,25                    111,18                    205,93                  150,11                  124,22                      64,10                      38,37                      24,88                     13,27

 Entrate per  movimento di  capitali                         9,72                     10,21                     26,52                      69,80                      32,97                     27,16                  115,75                      84,64                    114,54                    116,81                     89,17                     96,32                      83,75                    127,93                    169,66                  103,11                     84,67                      84,92                      66,95                     78,00                  723,05                      52,06                      11,72                      99,54                     34,42                     38,43                      33,43                      12,67                     38,52                     39,15                     41,32                      83,06                    126,86                     54,85                     28,47                      27,65                      28,52                      24,36                     25,69

 Uscite per  movimento di  capitali 

in milioni di lire  Avanzo/  disavanzo  movimento di  capitali                    33,86                 492,94                 407,52                 521,90                 803,92                 120,92                 349,81                 108,19                 147,14                 121,69                   95,81                   57,14                   24,95                   54,84                      8,45 ‐                  10,73 ‐                     3,05                      0,19 ‐                     7,63 ‐                     2,37                      3,56 ‐                     2,84                      3,27                   30,75                   38,43                   19,78                   15,78                   24,91                   97,95                 122,97 ‐                     5,07                   28,12                   79,07                   95,26                   95,75                   36,45                      9,85                      0,52 ‐                  12,42                    550,30               1.042,97               1.034,83                1.256,42                1.464,15                  906,89               1.234,62                1.106,68                1.140,46                1.218,90               1.201,86               1.204,24                1.189,75                1.280,51                1.313,83               1.379,73               1.331,14                1.359,51                1.348,31               1.452,19               2.125,44                1.469,06                    719,90                1.616,34               1.652,00               1.707,93                1.847,01                1.774,21               1.838,10               1.820,71               1.452,67                1.491,82                1.759,56               1.721,01               1.758,42                1.679,74                1.668,30                1.684,26               1.685,17

 ENTRATE REALI 

Dal 1° gennaio 1882 al 30 giugno 1892 tra le spese effettive non figura una parte dell’onere per le pensioni civili e militari, i cui impegni vennero soddisfatti con alienazione di una rendita assegnata ad una Cassa speciale. Fino al 1877 le entrate e le spese erano classificate in ordinarie e straordinarie; solo a partire dal rendiconto 1878 fu adottata la classificazione in entrate e spese effettive; costruzione strade ferrate; movimento di capitali; partite di giro. Negli esercizi 1879 e 1880 la categoria delle partite di giro evidenzia una discordanza a causa di una diversa imputazione di alcune entrate e spese e alle numerose vendite e permute di beni demaniali.

                   480,26                    524,18                    576,45                    645,68                    617,13                    714,46                    748,56                    870,69                    865,98                    966,18                1.010,18                1.047,24                1.077,12                1.096,32                1.123,33                1.242,55                1.191,63                1.222,89                1.221,23                1.278,02                1.299,33                1.332,90                    658,02                1.413,28                1.409,10                1.453,48                1.499,92                1.500,84                1.562,58                1.540,00                1.328,09                1.350,61                1.517,12                1.569,91                1.633,60                1.614,83                1.629,49                1.658,82                1.671,52

 Entrate per  costruzione  strade ferrate                     950,40                  940,69                  999,95                    994,17                1.400,06                  990,82               1.150,92                1.160,25                1.232,57                1.175,88               1.223,61               1.286,65                1.225,16                1.259,25                1.321,24               1.368,70               1.318,93                1.317,13                1.329,34               1.401,30               2.115,98                1.468,95                    725,40                1.581,00               1.637,08               1.696,16                1.904,16                2.004,67               1.814,57               1.774,98               1.500,81                1.482,48                1.818,42               1.720,60               1.760,05                1.679,61                1.669,41                1.669,17               1.679,96

 SPESE REALI 

 RISULTATO  GENERALE  GESTIONE DI  COMPETENZA  ‐                400,10               102,28                  34,88                 262,25                   64,09 ‐                  83,93                  83,70 ‐                  53,57 ‐                  92,11                   43,02 ‐                  21,75 ‐                  82,41 ‐                  35,41                   21,26 ‐                     7,41                  11,03                  12,21                   42,38                   18,97                  50,89                    9,46                      0,11 ‐                     5,50                   35,34                  14,92                  11,77 ‐                  57,15 ‐                230,46                  23,53                  45,73 ‐                  48,14                      9,34 ‐                  58,86                    0,41 ‐                    1,63                      0,13 ‐                     1,11                   15,09                    5,21                      2,18                    1,65                    3,28                      1,59                      0,63                    4,08                  13,29                   12,10                   19,41                   30,33                  76,16                  90,70                 104,01                 132,60                 115,59                112,04                111,89                 111,48                   91,06                  66,35                  94,48                   94,30                   46,81                   93,41                  93,52                  93,25                   89,71                   92,46                  65,07                  77,46                100,28                   56,61                   93,73                  86,36                  81,33                   65,76                   63,43                   63,37                  62,75

 Entrate per  partite di giro                       2,18                    1,65                    3,28                      1,59                      0,63                    4,08                  13,29                   12,10                   19,41                   30,33                  76,16                  90,70                 104,01                 132,60                 115,59                112,04                111,89                 111,35                   90,89                  66,35                  94,48                   94,30                   46,81                   93,41                  93,52                  93,25                   89,71                   92,46                  65,07                  77,46                100,28                   56,61                   93,73                  86,36                  81,33                   65,76                   63,43                   63,37                  62,75

 Spese per  partite di giro                         ‐                      ‐                      ‐                        ‐                        ‐                      ‐                      ‐                        ‐                        ‐                        ‐                      ‐                      ‐                        ‐                        ‐                        ‐                      ‐                      ‐                      0,13                      0,17                      ‐                      ‐                        ‐                        ‐                        ‐                      ‐                      ‐                        ‐                        ‐                      ‐                      ‐                      ‐                        ‐                        ‐                      ‐                      ‐                        ‐                        ‐                        ‐                      ‐

 Avanzo/  disavanzo  partite di giro 

Fonte: Elaborazione da Ministero del Tesoro – RGS, Il bilancio del Regno d’Italia negli esercizi finanziari dal 1862 al 1912-13, Tipografia dell’Unione editrice, Roma, 1914.

nota 1 nota 2 nota 3

1862 1863 1864 1865 1866 1867 1868 1869 1870 1871 1872 1873 1874 1875 1876 1877 1878 1879 1880 1881 1882 1883 1884 (1° sem.) 1884‐85 (01.07 ‐ 30.06) 1885‐86 1886‐87 1887‐88 1888‐89 1889‐90 1890‐91 1891‐92 1892‐93 1893‐94 1894‐95 1895‐96 1896‐97 1897‐98 1898‐99 1899‐1900

   Entrate effettive   Spese effettive  Avanzo/disavan zo effettivo 

Tabella 1 – Comparazione dei rendiconti consuntivi del Regno d’Italia dall’esercizio 1862 all’esercizio 1899-1900

106

Sabina Ponzo

L’analisi dei rendiconti dei bilanci del Regno d’Italia riferiti all’arco temporale considerato possono essere divisi nei periodi dal 1862 al 1875; dal 1876 al 188485; dal 1885-86 al 1897-98. Il primo periodo è quello contraddistinto dalla sussistenza al potere dei partiti della cosiddetta Destra storica. Si tratta dell’epoca in cui fu concluso il processo di unificazione del Regno e che, dal punto di vista finanziario, risentì pesantemente delle spese militari a cui si dovette andare incontro e delle difficoltà di armonizzazione delle varie componenti istituzionali e contabili ereditate dagli Stati preunitari. Il bilancio 1862 presentava un forte disavanzo effettivo, dovuto principalmente alle spese militari che si erano imposte per realizzare l’unificazione del Paese, alla realizzazione di opere pubbliche ed in particolare alla scelta di accollarsi il debito pubblico dei vecchi Stati italiani, onde non alienare al nuovo Stato unitario il consenso dei sottoscrittori. Allo scopo di non provocare la perdita della propria capacità di credito e la svalutazione della lira, il Governo tentò di ristabilire l’equilibrio fra entrate ed uscite attraverso il contenimento della spesa pubblica e l’aggravio delle imposte. Man mano i territori venivano annettessi al nucleo originario, le spese crescevano più che proporzionalmente, con una grande incidenza delle spese straordinarie, in particolar modo nel 1866 a causa delle campagne militari che portarono all’annessione del Veneto. Il disavanzo andò gradualmente riducendosi grazie all’incremento delle entrate (si evidenzi come nel 1867 vi sia stata una variazione rispetto all’esercizio precedente di 97 milioni, di cui 72 milioni provenienti dal Veneto) e alla riduzione delle spese straordinarie militari, salvo risalire nel 1870 a seguito della presa di Roma. Gli sforzi degli esecutivi a quel tempo furono tutti orientati alla riduzione del disavanzo. Fu necessaria l’adozione di diversi provvedimenti finanziari, recanti l’istituzione di nuovi tributi e una notevole riduzione della spesa 15. Il periodo preso in esame si concluse con il raggiungimento del pareggio di bilancio. Il secondo periodo, dal 1876 al 1884-85, si contraddistinse per aver vantato un decennio di avanzi, salvo nell’esercizio 1884-85, anno in cui i conti risentirono della riforma della durata dell’esercizio finanziario. Questo periodo si distinse per una grande incidenza delle spese per opere pubbliche: il ministero dei lavori pubblici, infatti, fin dai primi anni del regno fu proclamato “artefice principale dell’unità nazionale” dal punto di vista sociale ed economico. Si pensi che la spesa per opere pubbliche passò dai 9 milioni del 1868 ai 41 milioni dell’esercizio 1884-85. Nel terzo periodo, dal 1885-86 al 1897-98, si ristabilisce una lunga serie di disavanzi, sebbene di entità più modesta dei precedenti, in cui si ripropone la necessi-

15

Tra tutti, si ricordi la legge promossa da Sella sul pareggio di bilancio 11 agosto 1870 n. 5784 – Approvazione di provvedimenti finanziari, che oggi sarebbe definita un provvedimento “lacrime e sangue”.

La Ragioneria generale dello Stato nel processo di costruzione dello Stato unitario

107

tà di frenare l’espansione della spesa e di limitarla a quella che avesse il carattere della più assoluta necessità. Il programma di economie, annunciato dal Governo Perazzi, cominciò ad avere attuazione sotto il governo Giolitti nel 1889-90, anno in cui le spese effettive furono ridotte di quasi 100 milioni e le entrate effettive accresciute di quasi 62 milioni. La Camera confermò tale impegno approvando il programma delle economie il 31 gennaio 1891 e nell’esercizio 1890-91 le spese effettive registrarono un’ulteriore riduzione di 20 milioni. La depressione economica del paese, principalmente derivante dalla questione monetaria fece sentire i suoi effetti sulla situazione di bilancio. Tra l’esercizio 1893-94 ed il 1894-95 le spese effettive crebbero notevolmente a causa delle spese militari per la guerra d’Africa e delle spese straordinarie per far fronte ai terremoti che sconquassarono la Calabria e la Toscana. Per sanare la situazione, il Ministro Sonnino promosse la legge 22 luglio 1894 n. 339, contenente dei provvedimenti finanziari diretti al triplice scopo di ristorare il bilancio; migliorare le condizioni del Tesoro e della circolazione monetaria e rialzare il credito pubblico depresso, ricorrendo a provvedimenti ad effetti immediati e riforme organiche di più lento svolgimento che portarono al raggiungimento del pareggio nell’esercizio 1897-98. Riferendosi a questa fase attraversata dalle finanze del Regno, la Ragioneria generale commentava: «la situazione finanziaria era dunque nuovamente minacciosa, per le numerose e non lievi difficoltà che premevano da ogni lato per effetto della persistenza dello spareggio di bilancio, del rilevante debito che gravava sul tesoro e malgrado delle ingenti alienazioni di titoli di Stato, del disordine nella circolazione monetaria e delle condizioni poco regolari della circolazione bancaria» 16. A oltre 150 anni dall’Unità d’Italia, alla ricerca di nuove soluzioni per vecchi problemi.

16

Ministero del Tesoro – RGS, Il bilancio del Regno d’Italia, cit.

108

Sabina Ponzo

Capitolo 7

Il processo di unificazione nazionale e l’istituzione della Corte dei Conti di Vincenzo Zarone

1. Il controllo della “pubblica contabilità”: un quadro di riferimento del periodo preunitario L’istituzione della Corte dei Conti del Regno d’Italia, avvenuta con la legge n. 800 del 14 agosto 1862, può considerarsi una risposta organica alla «prepotente (…) necessità di istituzioni che controllino la pubblica contabilità, assicurandone l’esattezza, sorveglino l’incasso delle entrate e la erogazione delle spese dello Stato, giudichino i conti di coloro che maneggiano le pubbliche rendite e ne dispongono», che sorge «non appena un Governo venga, sotto qualsivoglia forma, costituito»; peraltro tali istituzioni «nei Governi a base rappresentativa devono necessariamente assumere il più ampio sviluppo e la maggiore indipendenza, poiché sotto questa forma di Governo il controllo delle entrate e delle spese dello Stato diventa una funzione costituzionale, una garanzia del potere legislativo di fronte all’esecutivo» (Pasini, 1883: 385). Tra le questioni connesse al processo istitutivo della Corte, ampio rilievo assunse la necessità di valorizzare il carattere di indipendenza dei membri, nella consapevolezza che tale criticità era avvertita anche nei modelli preesistenti di altre nazioni europee: in Belgio, con decreto del Congresso nazionale 30 dicembre 1830 e relativo regolamento di ordine del 9 aprile 1831, fu istituita la Corte, ne furono definite le attribuzioni principali («l’esame e la liquidazione dei conti dell’amministrazioni generali e di tutti i contabili dello Stato; rendere esecutivi gli ordini di pagamento mediante il suo visto; esaminare il conto generale dello Stato da presentarsi colle sue osservazioni alla legislatura; fissare i termini entro i quali i contabili dello Stato abbiano a presentare i loro conti; giudicare questi con decisioni definitive»: Pasini, 1883: 386), e fu al contempo sancita l’ineleggibilità di parenti ed affini di ministri e dirigenti delle amministrazioni centrali, nonché dei dipendenti del ministero del tesoro e di «tutti coloro che direttamente od indirettamente siano interessati in intraprese soggette a contabilità verso lo Stato», al fine di arginare il legame molto forte con il potere esecutivo, in conseguenza della derivazione diretta

110

Vincenzo Zarone

delle nomine dalla Camera dei Rappresentanti (che non potevano comunque riguardare i membri delle Camere Legislative) e del limite temporale dell’incarico dei consiglieri (sei anni, rinnovabile). In Francia la questione affonda le radici in epoche remote (Duruy, 1862: 307317): si suole, infatti, far risalire la nascita di una “magistratura sui conti” all’ordinanza di Luigi IX, che imponeva ai maiores et probi nomine una rendicontazione alle gentes quae ad nostros compotos deputantur. Tali agenti dello Stato rappresentavano tuttavia “una specie di commissione del Parlamento” (Pasini, 1883: 387), mancando peraltro una funzione di raccordo che solo dal 1319, per volere di Filippo il Lungo, poté svolgere stabilmente la Camera dei Conti di Parigi, la quale non godeva comunque di giurisdizione sull’intero territorio francese, poiché, in virtù della relativa autonomia amministrativa delle province, erano state istituite ben 12 Corti analoghe, sebbene parzialmente differenti nell’organizzazione e nelle attribuzioni. Tale situazione di frammentarietà può considerarsi (Pasini, 1883: 387) «conseguenza della mancanza di unità e di omogeneità nella costituzione delle singole provincie (sic!) sotto l’antica monarchia francese” che “non cessò che alla fine del secolo passato, quando cioè si manifestarono i primi sintomi di quella rivoluzione che, sorta in Francia, trasformò gli ordini politici ed amministrativi di tutta l’Europa». Come noto, la Rivoluzione francese ebbe come effetto, tra gli altri, a seguito della “abolizione dei privilegi e delle immunità feudali”, di favorire l’unificazione delle istituzioni francesi: in particolare «fin dai primordi, con decreto 29 settembre 1771 vennero soppresse tutte le Camere dei conti esistenti nelle diverse provincie, assumendosi l’assemblea legislativa di rivedere da se stessa ed appurare i conti della nazione coll’aiuto di un bureau de comptabilité», sostituito, con la Costituzione del 4 giugno 1793 da una «Commissione di contabilità nazionale, composta di membri nominati, parte dal potere esecutivo col titolo di verificatori, parte dal Corpo legislativo col nome di sorveglianti». Tale commissione, peraltro, non operò che per pochi mesi, poiché nell’ottobre dello stesso anno, all’indomani della proclamazione del Governo Rivoluzionario, fu ripristinato il “Bureau de comptabilité”, successivamente riorganizzato, nel 1795 (precisamente il 5 fruttidoro dell’anno III) con l’istituzione di due Commissioni, denominate Tesoreria e Contabilità, composte da membri eletti dal Consiglio degli Anziani tra i nominativi proposti dal Consiglio dei 500: tale procedura si riteneva potesse rappresentare una migliore garanzia dell’indipendenza rispetto al potere esecutivo nell’esercizio delle funzioni di controllo contabile, sebbene l’Assemblea legislativa fosse ancora titolare del potere di decidere in ultima istanza sui conti pubblici. La percezione dell’inopportunità dell’attribuzione di funzioni giudiziarie all’Assemblea può considerarsi alla base delle ragioni istitutive della Commissione di Contabilità (legge 22 frimaio, anno VII), preposta a «régler et vérifier i conti, gl’introiti e le spese della Repubblica»: la nomina dei setti membri commissari avveniva da parte del Senato all’interno di una lista nazionale di personalità idonee a ricoprire l’incarico. La Corte dei Conti francese, sul modello della Camera dei Conti di Parigi, fu istituita alcuni anni dopo, con la legge 16 settembre 1807 e relativi decreti 26 e 28 settembre ed estese la sua giurisdizione all’intero territorio

Il processo di unificazione nazionale e l’istituzione della Corte dei Conti

111

francese, colonie comprese: si componeva di un primo presidente, tre vice-presidenti, di alcuni maestri dei conti (denominati consiglieri con il decreto 29 marzo 1813), dei referendarii, di un procuratore generale ed un capo cancelliere, che ricevevano la nomina a vita. Il modello francese rappresenta un importante punto di riferimento per le numerose «istituzioni di controllo ed esame dei conti pubblici», che «avevano funzioni di controllo propriamente dette, e funzioni giudiziarie sui conti dei contabili», come nel caso delle «Corti di Napoli e Sicilia, di Toscana di Parma e di Sardegna» (Rostagno, 1929: 33). Tra le istituzioni preposte al controllo dei conti pubblici che affondano le radici in epoche più remote, in Piemonte sin dal 1351 operava “l’ufficio degli uditori dei conti”, antesignano della Camera dei conti, che fu riorganizzata con la legge 23 marzo 1853, successivamente soppressa con il d.lgs. 30 ottobre 1859, per costituire contestualmente una Corte la cui giurisdizione comprendesse l’annessa Lombardia, risentendo fortemente dell’impronta del nuovo regime amministrativo derivante dallo Statuto Albertino del 4 marzo 1848. La Corte dei Conti piemontese del periodo immediatamente precedente all’unificazione del Regno annoverava una grande varietà di attribuzioni, tra cui (Pasini, 1883: 392-393): la «giurisdizione contenziosa in prima ed ultima istanza sui conti dei contabili dello Stato ed in via d’appello dalle decisioni dei Consigli d’Intendenza in materie contabili di loro spettanza», per cui erano soggetti a questa giurisdizione «anche i contabili verso le provincie, i comuni, opere pie ed altri pubblici stabilimenti»; «il controllo preventivo della contabilità dello stato e la revisione con giurisdizione contenziosa dei conti dei pubblici contabili»; la vigilanza «sulle entrate e sulle spese»; la vidimazione di «tutti i decreti di approvazione di contratti, di autorizzazione di spesa, gli atti di nomina, promozione e traslocazione di impiegati, concessione di stipendi ed altri assegnamenti a carico delle finanze, e tutti i decreti reali, a qualunque ministero appartenessero, dei quali decreti doveva far trascrizione sui suoi registri»; l’accertamento e la parificazione dei «conti parziali dei ministeri» e del «conto generale delle finanze, da presentarsi al parlamento, accompagnandoli colle sue osservazioni»; la compilazione di una relazione annuale, «da presentarsi al Parlamento, sulle registrazioni di mandati ed altri atti fatti con riserva e su quanto le era occorso di notare nell’anno relativamente all’andamento dei servizi, nonché sulle modificazioni che avesse creduto proporre alle leggi ed ai regolamenti di pubblica finanza e contabilità». Dal punto di vista della sua composizione, tale Corte si caratterizzava per la presenza di un presidente di sezione, cinque consiglieri, sei maestri ragionieri, (ad uno dei quali era attribuita la funzione di pubblico ministero), un segretario ed un vice segretario generale: i consiglieri ed il presidente venivano nominati dal re su proposta del ministro delle finanze; ne venne sancita, ricalcando in un certo senso il modello francese, l’inamovibilità (caratteristica comune ai magistrati della Corte dei Conti del Regno d’Italia), a meno dell’attivazione di una complessa procedura, che coinvolgeva in fase istruttoria i presidenti di Camera, Senato e del Consiglio di Stato e culminava, eventualmente, in un decreto reale di “allontamento” dall’incarico.

112

Vincenzo Zarone

Nel Lombardo Veneto operavano le Contabilità di Stato di Milano e di Venezia, in un regime di limitata autonomia in virtù dell’assoggettamento al Supremo dicastero di Vienna: esse “rivestivano il carattere di corpi consultivi in tutto ciò che si atteneva alla pubblica amministrazione” ed esercitavano una giurisdizione relativa sui conti pubblici tramite le evasioni finali, pronunce che assumevano la veste formale di decisioni (passando in giudicato salvo ricorso ai tribunali ordinari) in forza di una «sovrana patente 16 gennaio 1786, pubblicata e resa obbligatoria nel Lombardo-Veneto mediante notificazione 1° novembre 1830» (Rostagno, 1929: 33-34). Le Contabilità di Stato, pertanto, «predisponevano i particolari bilanci del rispettivo dominio Lombardo o Veneto, controllavano le contabilità dei Comuni, delle Provincie, delle fabbricerie e degli istituti pii, ed erano corpi consultivi in tutto ciò che si atteneva alla pubblica amministrazione» (Pasini, 1883: 389). La Consulta di Stato per le Finanze, istituita con editto pontificio del 28 ottobre 1850, svolgeva nello Stato pontificio funzioni più strettamente legate al controllo preventivo e consuntivo sui conti pubblici, esprimendo; era incaricata altresì di esprimere giudizi sui conti parziali delle diverse amministrazioni e sul conto consuntivo generale. La Consulta surrogò, ampliandone le funzioni, il Consiglio di Liquidazione e Direzione del Debito Pubblico, le cui pronunce erano appellabili dinanzi ad una Congregazione di Revisione ed ancora dinanzi ad un Consesso di rappresentanti del Consiglio di Liquidazione. Neppure la Consulta del 1850, sebbene facesse «timida apparizione l’elemento elettivo, sempre però misto, anzi soggetto, all’elemento autoritario e clericale» (i membri e monsignore l’avvocato fiscale ricevevano la nomina dal sovrano pontefice, che in parte raccoglieva le proposte dei Consigli provinciali), si rivelò in grado di esercitare le proprie funzioni in un regime di reale autonomia: la sua costituzione «non fu che il portato incerto dei tempi nuovi che andavano svolgendosi dopo il 1849» (Rostagno, 1929: 34), «fu uno di quei tardi ed incerti passi che il Governo pontificio, dopo lo scossa del 1849, tentava per rendersi possibilmente compatibile col progresso della crescente civiltà politica delle nazioni» (Pasini, 1883: 389). Altrove, del resto, come nel Ducato di Modena, neppure i moti rivoluzionari della metà del secolo XIX, sembrarono scalfire la natura autoritaria e dispotica dei regimi di governo, impedendo di fatto la nascita di istituzioni di controllo dotate di una pur limitata autonomia dal potere sovrano. Nonostante le alterne vicende politico amministrative che hanno caratterizzato i territori meridionali della penisola, già nel Regno di Puglia e Sicilia, ad opera di Ruggero il Normanno, si provvide all’istituzione del Gran Camerario, la cui giurisdizione comprendeva le amministrazioni tutte che si occupavano della gestione del “real patrimonio”. Ai Maestri Razionali spettava il giudizio sui conti degli enti centrali e periferici; l’organismo che comprendeva tali figure assunse in seguito la denominazione di Tribunale della Regia Zecca, per poi essere sostituito dalla Camera della Sommaria ed infine dalla Regia Corte dei Conti (istituita con decreto 19 dicembre 1807), riformata, con la legge 29 maggio 1817, in Gran Corte di Napoli, che esercitava funzioni di contenzioso amministrativo e di controllo contabile, formulando decisioni che divenivano esecutive soltanto a seguito dell’approvazione del re. La Camera del Contenzioso, in particolare, si occupava dei ricorsi contro le decisioni dei

Il processo di unificazione nazionale e l’istituzione della Corte dei Conti

113

Consigli di Prefettura ed altri enti periferici (legge 29 marzo 1816), delle questioni riguardanti il Tavoliere di Puglia (legge 25 febbraio 1820), dei contratti conclusi dai ministeri. I membri della Gran Corte (un presidente, tre vice-presidenti, un procuratore generale, dieci consiglieri, tre avvocati generali, un segretario generale, un numero variabile di “razionali”) erano nominati dal re. Oltre alla Camera del Contenzioso, erano operanti due Camere dei Conti, che verificavano, tra l’altro, “le rendite e le spese” delle province e dei maggiori comuni, esercitando anche funzioni consultive per i ministeri, attraverso una commissione interna ad hoc. In Sicilia fu istituita una Corte autonoma (legge 7 gennaio 1818, riformata con decreto 20 marzo 1832): si suddivideva in due Camere distinte, organizzate sul modello della Gran Corte, che giudicavano rispettivamente i conti anteriori e successivi all’anno 1832. Nel Granducato di Toscana, sebbene le questioni «tra i mallevadori dei contabili e l’amministrazione e tutte quelle che implicavano l’interesse dei terzi erano lasciate alla competenza dei tribunali ordinari», si sentì la necessità, con il decreto 1° novembre 1849, di istituire una Corte dei Conti, cui attribuire funzioni suddivise in precedenza tra una molteplicità di enti: la Corte (alla quale fu annesso un Ufficio di Sindacato), infatti, «pronunziava sull’applicazione delle misure disciplinari e penali per inosservanza dei regolamenti di contabilità, sulle malleverie dei contabili, sui rendimenti di conti annuali e straordinari di tutte le amministrazioni», «sull’operato in materia economica dai capi delle stesse amministrazioni per eccesso di potere o per negligenza», «sui ricorsi contro le decisioni dei Consigli di Prefettura, liquidava con norme di speciale procedura, le pensioni civili e militari»; «confrontava il rendimento del conto generale dello Stato coi rendiconti parziali delle amministrazioni, e compilava un rapporto annuale al sovrano» (Pasini 1883: 391). I membri della Corte toscana (un presidente, due consiglieri, due supplenti, due uditori, un procuratore generale ed un cancelliere) erano solo in parte nominati dal sovrano a tempo indefinito (il presidente ed il procuratore generale): i consiglieri in servizio ordinario e gli uditori erano anno per anno selezionati tra i componenti del Consiglio di Stato. Nel Ducato di Parma, ove i moti liberali del 1831 (sull’onda degli accadimenti tumultuosi susseguitesi in Francia, culminati nell’incoronazione di Luigi Filippo d’Orleans) preludevano, in un certo senso, ai grandi rivolgimenti delle rivoluzioni del ’48, si istituì in quello stesso periodo una Camera dei Conti autonoma da altri organi, operante in base al regolamento 2 ottobre 1831, che sostituiva la preesistente Camera (soppressa con decreto 3 dicembre 1836) facente parte del Consiglio di Stato. A fronte di una tale varietà di istituzioni ed ordinamenti, «appena compiutasi la fusione dei singoli Stati Italiani (meno Roma e la Venezia) in un solo Stato e proclamato colla legge 17 marzo 1861 il Regno d’Italia con unica amministrazione ed unico bilancio» si avvertì l’urgenza di provvedere «ancor prima che alla unificazione delle leggi amministrative» all’emanazione della «legge di contabilità», «nonché alla istituzione della magistratura dei conti con giurisdizione estesa su tutto il nuovo regno». Il progetto di legge per l’istituzione della Corte fu presentato dal ministro delle finanze il 21 novembre 1861; profondamente rivisitato, fu definitivamente approvato il 14 agosto 1862 (n. 800, “Legge per l’istituzione della Corte dei Conti”).

114

Vincenzo Zarone

2. Il ruolo istituzionale della Corte dei Conti del Regno d’Italia La Corte dei Conti del Regno d’Italia cominciò ad operare il 1° ottobre del 1863: tratto emblematico dell’istituto fu l’estensione della propria giurisdizione sull’intero territorio della nazione, prima ancora della sua formale unificazione giudiziaria ed amministrativa. Torino ne fu la prima sede, poi trasferita a Firenze nel 1864 ed infine a Roma. Fu suddivisa in tre sezioni (in ciascuna operavano un presidente e quattro consiglieri) e si componeva, nel suo complesso, di un presidente, due presidenti di sezione, dodici consiglieri, un procuratore generale (che rappresentava “presso la Corte il Pubblico Ministero”: legge n. 800/1862, art. 2), un segretario generale, venti ragionieri. Presidenti e consiglieri, inamovibili, venivano nominati per decreto reale previo parere di una Commissione rappresentativa dell’assemblea legislativa, su proposta del ministro delle finanze, sentito il Consiglio dei Ministri. I ragionieri, invece, «naturali revisori dei conti dei contabili pubblici» (Pasini, 1883: 408), non erano inamovibili: la loro nomina, infatti, era lasciata «al prudente arbitrio del Governo, sulla proposta però della Corte dei conti», tra i capi servizio della stessa Corte. Riguardo alle attribuzioni, all’art. 10, Titolo II, la legge n. 800 enumera le seguenti: «la Corte (…) fa il riscontro sulle spese dello Stato; veglia sulla riscossione delle pubbliche entrate; veglia perché la gestione degli agenti dello Stato sia assicurata con cauzione o col sindacato di speciali revisori; accerta e confronta i conti dei Ministeri col conto generale dell’amministrazione della finanza prima che siano presentati alle Camere; giudica dei conti che debbono rendere tutti coloro che hanno maneggio di danaro o di altri valori dello Stato e di altre pubbliche amministrazioni designate dalle leggi». Risultano evidenti le analogie tra «le attribuzioni della Corte del 1859» piemontese e «quelle della attuale Corte italiana» (Rostagno, 1929: 37); in riferimento alla diversificata natura di queste attribuzioni, «che la Corte disimpegna nell’esercizio della sua attività sindacatoria», era invalso l’uso, «nella dottrina di diritto pubblico e nella pratica», di una pluralità di «denominazioni diverse: controllo, riscontro, sindacato, vigilanza, sorveglianza, ispezione e simili» (Moffa, 1939: 91-93). Alla diffusa suddivisione delle attribuzioni della Corte nelle macro-categorie del controllo (sugli “atti del potere esecutivo”, riguardanti tra gli altri «il riscontro sulle spese dello Stato, il confronto dei conti dei singoli ministeri con quello generale dell’Amministrazione delle finanze»), della vigilanza (sulla riscossione delle pubbliche entrate, sui contabili che maneggiano valori dello Stato, e specialmente sulle cauzioni che da questi devono darsi) e della giurisdizione amministrativa («giudizio sui conti dei contabili dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni dalle leggi designate») corrisponde un inquadramento delle stesse in relazione agli atti ed ai soggetti cui si riferiscono, sebbene possa ritenersi fondata la considerazione che «pel complesso delle sue funzioni la Corte dei conti, senza appartenere né all’ordine costituzionale, né all’ordine giudiziario, né a quello amministrativo, compartecipa dell’uno e degli altri, e forma un’istituzione sui generis» (Pasini, 1883: 410-411).

Il processo di unificazione nazionale e l’istituzione della Corte dei Conti

115

3. L’attività di vigilanza sulle entrate: alcune evidenze Tra le funzioni espletate dalla Corte dei Conti particolarmente interessante appare l’attività di vigilanza, realizzata attraverso il ricorso allo strumento del foglio dei rilievi, attraverso la quale la Corte instaurava un processo di comunicazione intenso e pervasivo con le diverse amministrazioni che operavano in tutta la penisola. La ricerca documentale che caratterizza questa sezione del testo ha avuto ad oggetto, in particolare, il fondo relativo alla Corte dei Conti, sito presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma; tale complesso documentario consta di 4 sottolivelli: decreti ed ordinanze presidenziali; funzione di controllo; funzione giurisdizionale; personale. Lo studio si è concentrato sulla sezione “miscellanea di atti diversi – atti contabili e note di osservazione “ all’interno del sottolivello “funzione di controllo”. Tale sezione consta di 30 buste, contenenti numerosi documenti di varie tipologie prodotti tra il 1869 ed il 1874. La serie documentale preponderante, dal punto di vista quantitativo, è rappresentata dalla raccolta dei “fogli di rilievi” che la Corte dei Conti faceva pervenire alle amministrazioni centrali e periferiche. Nel periodo considerato (1869-1874) la Corte aveva sede in Firenze, capitale del Regno d’Italia. Si può far rientrare questa tipologia documentale tra le evidenze rappresentative dell’attività relativa alla «vigilanza sulla riscossione delle entrate e sui valori in denaro in materia» (Capitolo II, legge n. 800/1862). Il regolamento 2 ottobre 1862, al Capo V (Dell’Ufficio di riscontro della Corte dei Conti), chiarisce che «il riscontro che l’ufficio esercita sugli introiti, consiste nell’assicurarsi che il controllo amministrativo sui prodotti del traffico abbia regolarmente avuto luogo a forma dei regolamenti speciali» (art. 48); in particolare «quanto alle entrate patrimoniali e diverse, l’ufficio di riscontro si assicura della regolarità dei mandati sottoposti al suo visto, verificando l’esattezza degli introiti che provengono da contratti» (art. 49). La legge n. 800/1862, al sopra citato Capitolo II, dopo aver fatto riferimento agli adempimenti richiesti ai ministeri, all’art. 25 precisa che «eguali trasmissioni debbono farsi alla Corte relativamente alle entrate ed uscite alle situazioni ed alle ispezioni dei magazzini ed alla gestione degli agenti del Governo che hanno il maneggio di materie o valori dello Stato». La “vigilanza sulle entrate” da parte della Corte si estendeva ad un duplice ordine di fatti, ovvero alla riscossione da parte degli agenti contabili ed all’effettivo versamento nelle casse dello Stato. Alla Corte infatti andavano trasmessi mensilmente, oltre ai “conti delle casse dei tesorieri”, alle «relazioni degli ispettori ed altri ufficiali controllori e sindacatori», i conti riassuntivi delle entrate per ciascun capitolo del bilancio, dai quali si desumevano: «il carico di ogni agente contabile, appaltatore o debitore diretto, sia per le scadenze del mese che per arretrati di mesi ed anni precedenti; le riscossioni praticate tanto per corrente che per arretrati; i versamenti eseguiti nelle tesorerie dello Stato; i residui a riscuotersi ed a versarsi alla fine del mese cui il conto si riferisce, divisi questi per l’anno in corso e per gli anni precedenti» (Pasini, 1883: 556). Nello specifico, il soggetto produttore dei documenti oggetto dell’analisi risulta

116

Vincenzo Zarone

essere la Divisione Settima della Corte, nell’ambito del complesso di attività riguardanti la “Contabilità delle Entrate”. L’oggetto dei rilievi molto spesso riguardava vizi di forma o inadempimenti procedurali relativi alla gestione dei beni demaniali: di seguito si riporta un esempio, relativo al foglio di rilievi, n. 4069, nota 403, indirizzato all’Intendenza della Provincia di Caserta. Figura 1 – Foglio di rilievi n. 4069, facciate interne

L’oggetto dei rilievi è costituito dal “Fitto di fondo rustico a Iovine Nicola”. La Corte segnala che «ai sensi dell’art. 64 del Regolamento G.le di contabilità deve farsi dal garante solidale e dall’approbbatore. Il pagamento di un’annata anticipata non esclude l’adempimento della disposizione di cui sopra, dappoiché la garanzia è richiesta per gli oneri tutti del contratto e non pel pagamento del solo canone quindi si prega completare la menzione con l’approbbatore che manca». Risulta interessante, in questo caso, il riferimento specifico al regolamento generale di contabilità, ed, in relazione a questo, l’attenzione della Corte al rispetto degli elementi sostanziali dei documenti che mettevano in correlazione le amministrazioni pubbliche con soggetti privati, necessitando i rapporti contrattuali di garanzie efficaci, da parte dei privati, rispetto alle prospettive di introito per il contraente pubblico, che dalla gestione dei “beni demaniali” traeva risorse ingenti per la realizzazione delle attività istituzionali. L’amministrazione, a firma dell’Intendente, replica ai rilievi, comunicando quanto segue: «Si riproducono gli atti completati della cauzione prescritta nel presente foglio di rilievi». Si sottolinea la celerità del procedimento, nonostante l’indubbia complessità

Il processo di unificazione nazionale e l’istituzione della Corte dei Conti

117

legata alla necessità di convocare le parti interessate per la modifica dell’atto: come emerge dalle annotazioni, il foglio dei rilievi viene inviato da Firenze in data 10 luglio 1873; l’Intendenza della Provincia di Caserta lo riceve il 18 luglio 1873, catalogandolo con il numero progressivo 8943; il 27 agosto compila la sezione “Risposta”, indicando di aver provveduto alla redazione ed alla trasmissione degli atti richiesti dalla Corte, che, ricevuta la comunicazione, propone la registrazione il 30 agosto. Dall’analisi della serie documentale risulta evidente come la casistica trattata dalla Divisione deputata al controllo della “contabilità delle entrate” sia molto varia: talune situazioni presentavano particolare complessità, in ragione della natura del bene e del conseguente assoggettamento a particolari vincoli in ordine ai requisiti per la produzione di effetti giuridici dei contratti di locazione. È il caso del Pozzo del Medico, sito a Sessa Aurunca, nell’allora Provincia di Terra di Lavoro, oggetto del foglio di rilievi n. 4383 (Figura 2). Si registra, dallo studio dei documenti rinvenuti, una iniziale incertezza riguardante l’eventuale collocazione del bene nell’Asse Ecclesiastico. Figura 2 – Foglio di rilievi n. 4383, frontespizio – Real Prefettura di Caserta

Il rilievo si origina in relazione all’atto riguardante “l’affitto a Marchegiano Lu-

118

Vincenzo Zarone

ca”, poiché «manca a corredo il contratto stipulato il 25 Novembre 1872. Nel Decreto non sono indicate le speciali ed eccezionali circostanze per le quali si omisero le formalità dei pubblici incaricati». Figura 3 – Foglio di rilievi n. 4383, facciata interna – Qualità dell’atto e Cenno de’ rilievi

Per dirimere la questione legata alle procedure burocratiche da rispettare in relazione alla stipula del contratto d’affitto, occorreva affrontare anzitutto il problema dell’appartenenza o meno del Pozzo all’asse ecclesiastico: se questo vi fosse appartenuto, sarebbe stato necessario che il contratto fosse «riprodotto in copia conforme munito del visto originale della Commissione Provinciale per l’approvazione, a sensi della Circolare Ministeriale 28 Gennaio 1868 N. 443 et accompagnata da duplice elenco»; altrimenti, «a sensi della Circolare Minister. 26 Ottobre 1870 N. 373» doveva «essere accompagnato da Decreto e copia autentica da essere conservato negli archivi di questa Corte dei Conti». Figura 4 – Allegato al foglio di rilievi n. 4383 – Risposta del Prefetto

Il processo di unificazione nazionale e l’istituzione della Corte dei Conti

119

Il Prefetto della Provincia di Terra di Lavoro, infatti, produce la seguente risposta (Figura 4): «Cotesta Corte dei conti mi faceva tenere l’annessa nota e nello specchio della faccia che segue osservava che a corredo del decreto riguardante l’affitto del fondo Demaniale detto Pozzo del Medico in Sessa mancava il contratto stipulato il 25 novembre 1872, che questa Prefettura si trovava di aver munito al Decreto stesso. Supponendo dispersione, mi rivolgo all’Intendenza di Finanza per averne un duplicato, e la stessa mi ha fatto tenere gli atti primitivi ricevuti da cotesta Corte accompagnati da un altro foglio di rilievi. Nel trasmettere quindi novellamente gli atti di cui è parola, unitamente al Decreto, id all’elenco in doppio, le fo osservare che il fondo suddetto è amministrato nell’interesse del Demanio antico, e non dell’Asse Ecclesiastico, e che il contratto di fitto a trattativa privata fu stipulato dopo essersi sperimentata infruttuosamente l’asta pubblica». Il Prefetto interpella, al fine di ottenere la documentazione da produrre alla Corte, la competente Intendenza di Finanza, alla quale era già pervenuto un foglio di rilievi relativo alla medesima questione. Nel precisare come il fondo sia “amministrato nell’interesse del Demanio Antico”, non facendo dunque parte dell’Asse Ecclesiastico, il Prefetto adduce a giustificazione della procedura di locazione tramite trattativa privata l’infruttuosità dell’asta pubblica, che pure aveva avuto luogo. Figura 5 – Foglio di rilievi n. 446 – frontespizio del foglio di rilievi spedito dalla Corte dei Conti all’Intendenza di Finanza di Caserta

120

Vincenzo Zarone

La prefettura ritiene opportuno allegare alla propria risposta il foglio di rilievi indirizzato dalla Corte all’Intendenza di Finanza: tale ente aveva provveduto ad inviare alla prefettura il documento, recante la seguente dicitura: «si ritorna il contratto d’affitto del fondo denominato Pozzo del Medico perché sia riprodotto in copia conforme col visto della Commiss. Provinc.le e duplice elenco». Si può notare l’erronea attribuzione della natura di bene appartenente all’asse ecclesiastico al Pozzo del Medico, rettificata nella comunicazione del Prefetto. L’annotazione a matita, che campeggia sul frontespizio del foglio di rilievi di cui sopra esprime la complessità del processo di coordinamento tra le diverse istituzioni coinvolte; si legge infatti: “come sia quest’enigma?”. Figura 6 – Dettaglio del frontespizio del foglio di rilievi n. 446

L’ambiguità della collocazione del fondo tra i beni dell’asse ecclesiastico oppure tra quelli del demanio antico emerge chiaramente dal contenuto delle facciate interne del foglio di rilievi.

Il processo di unificazione nazionale e l’istituzione della Corte dei Conti

121

Figura 7 – Foglio di rilievi n. 446 – facciate interne

Nella sezione “qualità dell’atto”, nella figura precedente, si può notare dalle annotazioni («contratto di affitto del fondo denominato Pozzo del Medico proveniente dal Monast. Di Sant’Anna di Sessa Aurunca aggiudicato a Marcheggiano Luca») ci si riferisca alla normale procedura di attribuzione di beni in affitto a privati, ovvero la “aggiudicazione”, mentre nel caso di specie l’assegnazione del fondo avvenne mediante trattativa privata (sebbene a seguito di un’asta pubblica senza esito). I rilievi mossi all’Intendenza esprimono la necessità di ricorrere a procedure differenziate a seconda della natura del fondo: «Si ritorna l’annesso contratto originale di affitto qui pervenuto senza Nota accompagnatoria e senza elenco, perché se esso spetta all’Asse Ecclesiastico, debb’essere riprodotto in copia conforme munito del visto originale della Commissione Provinciale per l’approvazione, a sensi della Circolare Ministeriale 28 gennaio 1868 n. 443 et accompagnata da duplice elenco; in caso contrario, a sensi della Circolare Minister. 26 ottobre 1870 n. 373 deve essere accompagnato da Decreto e copia autentica da essere conservato negli archivi di questa Corte dei Conti». La sintetica risposta dell’amministrazione consiste nell’indicazione che il Pozzo del Medico rientra nel Demanio Antico. L’intensa attività di carteggio riportata si sviluppa tra il 19 luglio ed il 6 settembre 1873: la Corte invia il foglio n. 446 il 19 luglio all’Intendenza di Finanza, che lo riceve il 29; il 23 luglio invia il foglio n. 4383 alla Prefettura, che per la redazione della risposta ai rilievi interpella l’Intendenza, “supponendo dispersione” dei documenti richiesti, da cui riceve il foglio n. 44; il Prefetto provvede alla risposta,

122

Vincenzo Zarone

precisando che il fondo è «amministrato nell’interesse del Demanio antico, e non dell’Asse Ecclesiastico» e specificando, inoltre, che «il contratto di fitto a trattativa privata fu stipulato dopo essersi sperimentata infruttuosamente l’asta pubblica», inviando il foglio con gli allegati e le annotazioni a Firenze ove, «se ne propone la registrazione a dì 6 settembre 1873». In conclusione, dall’analisi dei fogli di rilievo, emerge l’assiduità del controllo della Corte sull’attività delle varie amministrazioni. La maggior parte dei numerosi rilievi sollevati riguardava le procedure di sfruttamento del demanio: tale circostanza testimonia con tutta probabilità che, soprattutto nelle prime fasi di attività della Corte dei Conti del Regno d’Italia, si registrava una notevole difficoltà nella verifica, a livello complessivo, della correttezza della dinamica patrimoniale e finanziaria dello Stato unitario, rendendo necessario, più che il riferimento a documenti di sintesi su aggregazioni ampie, il riscontro puntuale sulle singole contabilità degli enti periferici.

Capitolo 8

L’attività della Corte dei Conti nel Regno d’Italia di Simone Lazzini

1. Competenze, funzioni ed elementi procedurali La Corte dei Conti del Regno d’Italia, sebbene articolata in sezioni, opera come organo unitario competente per “materia”, ossia ha ad oggetto tutto ciò che riguarda la movimentazione del pubblico danaro (F. Vicario, 1914). Questa competenza così ampia assegna alla Corte una pluralità di funzioni i cui confini difficilmente possono essere circoscritti aprioristicamente, abbracciando, infatti, ogni ambito in cui vi sia il maneggio del pubblico denaro. Francesco Vicario cercando una classificazione sistematica delle competenze eserciate dalla Corte perviene al riconoscimento di tre macro-attività che egli considera come veri e propri organi. Ipotizza cioè che la Corte sia costituita da tre organi. Un organo di natura amministrativa, un secondo di natura giudiziaria ed infine, un terzo a cui compete il controllo, altrimenti detto, sindacato. Il primo ufficio riguarda l’attribuzione e la liquidazione di pensioni e di indennità a carico totale o parziale dell’amministrazione statale. Espletando tale ufficio la Corte eserciterebbe una vera e propria funzione di amministrazione attiva (Rostagno, 1929). Il secondo organo della Corte è quello di Giudice speciale. Questo organo è sicuramente quello più antico. Tale ufficio era già preponderante negli Stati italiani preunitari rappresentando il connotato esegetico della Corte stessa. L’organo in questione sottopone alla giurisdizione della Corte la responsabilità personale dei soggetti, che in modo sistematico (contabili di diritto) o accidentale (contabili di fatto), si trovano a maneggiare le risorse pubbliche e che quindi rispondono in prima persona delle eventuali malversazioni. Le funzione giudiziale della Corte riguarda: • i giudizi di conto; • i giudizi speciali:

124

Simone Lazzini

• i giudizi di responsabilità; • i giudizi di appello; • i giudizi sulle pensioni; • i giudizi sui ricorsi o reclami degli impiegati della Corte. La caratteristica della funzione giudiziale che essa si svolge mediante procedure prefissate contemplanti un contradditorio e si manifesta nella espressione di una sentenza che vincola a tutti gli effetti di essa le parti interessate. L’ufficio del controllo rappresenta l’esame o la revisione dell’opera altrui ed ha per oggetto la materia amministrativa (F. Vicario, 1914). Tutti gli atti amministrativi sono sottoposti all’esame della Corte e l’azione di sindacato si manifesta nella dichiarazione di visto apposto sui decreti e sui mandati senza il quale essi sono non eseguibili, non sono idonei, cioè a produrre gli effetti cui sono diretti (artt. 13, 19 e 20 legge istitutiva n. 800/1962 e artt. 12 e 54 legge n. 2016/1884 – Legge di contabilità generale). Il visto da parte della Corte è obbligatorio, essa deve apporlo anche nella circostanza in cui ritenesse l’atto irregolare. In questo caso il visto viene fatto con riserva ma l’eseguibilità dell’atto è comunque preservata. È importante precisare che il visto, sia esso con o senza riserva, è sempre necessario per l’eseguibilità dell’atto sottostante. Il sindacato della Corte ha dunque una valenza formale legata alla forma estrinseca dell’atto stesso, che si manifesta per l’appunto proprio nell’azione di apposizione del visto. Sul piano sostanziale, quello cioè del contenuto intrinseco dell’atto, il giudizio della Corte non ha, invece, nessuna influenza sull’eseguibilità dello stesso. La Corte ha pertanto, la possibilità di denunciare al potere legislativo gli atti che a sua discrezione appaiono non conformi alle leggi. L’unico caso in cui la Corte può rifiutare la registrazione si verifica nella situazione in cui vi sia un mandato che dispone un pagamento su un capitolo di bilancio che risulta incongruo. Gli atti sottoposti al sindacato della Corte sono i decreti, i mandati, gli ordini di pagamento; i ruoli di spese fisse; i conti amministrativi o cantabilità; i conti dei Ministri. Accanto all’esame dei singoli atti, la Corte effettua anche un controllo complessivo che prende il nome di riscontro riassuntivo. Il riscontro riassuntivo ha ad oggetto i beni patrimoniali; le entrate; le spese ed i conti consuntivi. Il merito all’esame della consistenza patrimoniale attiva la Corte dispone solamente di un riassunto dell’inventario generale dei beni immobili patrimoniali mentre per i beni mobili conservati nei magazzini fino alla legge n. 256/1897 non esisteva alcun flusso informativo. Anche dopo tale legge, tuttavia, la veste estremamente sintetica degli inventari sulle consistenze di magazzino rendevano il sindacato della Corte tutt’altro che pervasivo (De Brun, 1912). La Corte nei fatti non era in grado di determinare la consistenza del patrimonio immobiliare in un determinato momento ma poteva comunque seguirne le singole variazioni accertando che esse avvenissero nel rispetto delle norme previste. All’art. 56 della legge istitutiva viene, infatti, stabilito che devono essere sotto-

L’attività della Corte dei Conti nel Regno d’Italia

125

posti al vaglio della Corte, i decreti di approvazione dei contratti che incidono sulla consistenza patrimoniale. Il sindacato della Corte sulle fasi di entrata, sebbene astrattamente possibile, di fatto e stato circoscritto agli atti di annullamento di entrate accertate, che comportando una detrimento del complesso di risorse a disposizione, devono essere sottoposti singolarmente al visto della Corte. Il controllo sulla spesa considerata la portata del disposto normativo appare ben più pregnante rispetto a quello esercitato sulle entrate sebbene già all’epoca apparisse per alcuni aspetti lacunosa (De Brun, 1912). L’attività di verifica era duplice e si esercitava sia sulla legittimità dei singoli atti, sia sulla verifica di capienza rispetto allo stanziamento effettuato sul capitolo di bilancio. Le spese dello Stato erano indicate nel bilancio di previsione e nelle leggi e decreti speciali. Lo stanziamento effettuato nei capitoli assumeva valore autorizzatorio generico alla spesa, pertanto, tutto il procedimento di controllo da parte della Corte seguiva poi le varie fasi in cui si articolava il processo di gestione della spesa stessa. Essa procedeva, fin dall’epoca, passando dall’impegno alla liquidazione ed infine al pagamento. Le problematiche del riscontro e le conseguenti lacune informative attengono alla circostanza che, sebbene la procedura di spesa, almeno sul piano teorico fosse predeterminata, in realtà, a seconda delle tipologia, alcune fasi potevano procedere in modo automatico seguendo quella a monte, o come nel caso delle spese che si pagano con ruoli, essendo in gran parte fisse, il loro stanziamento determinava, di fatto, anche il contestuale impegno. Molto impegni, e di conseguenza le fasi a valle che da essi discendevano, non erano singoli ma si manifestavano direttamente dall’autorizzazione generica. Altri atti nascevano contemporaneamente con l’atto di pagamento senza contare i cosiddetti impegni in via di formazione che creavano il vincolo sul capitolo senza che vi fosse stata l’effettiva determina dirigenziale. Tutto ciò rendeva particolarmente complesso la verifica del complessivo divenire della spesa, sebbene il controllo della Corte sussistesse su ogni singolo atto di spesa (Moffa, 1939). In merito al controllo da parte della Corte sul rendiconto generale dello stato esso si esplicava nell’istituto della parificazione. Il rendiconto generale dello Stato doveva essere presentato dal Ministro del tesoro al Parlamento a Novembre circa cinque mesi dopo alla chiusura dell’esercizio a cui si riferisce (legge 17 febbraio 1884 art. 27) e doveva essere corredato dalla parificazione e dalla Relazione della Corte dei Conti. La parificazione era la dichiarazione rilasciata dalla Corte che le grandezze rappresentate nel rendiconto corrispondevano alle evidenze che scaturivano in seno alla Corte in funzione dell’attività di riscontro effettuata. Nella relazione la Corte esponeva le motivazioni che l’hanno indotta a porre la riserva sul suo visto; le sue osservazione sulle modalità di conduzione dell’azione amministrativa da parte delle strutture dello stato nonché la loro capacita di conformarsi alla normativa vigente. La relazione, infine, riportava le variazioni e le riforme che la Corte riteneva auspicabile per perfezionare le norme che regolano i conti pubblici. La Corte, quindi, pur non avendo potere legislativo esercitava una attività propositiva tesa a suggerire gli elementi utili per migliorare l’efficacia dei controlli.

126

Simone Lazzini

2. L’attività di riscontro: il foglio di rilievo La struttura dei prospetti denominati «fogli di rilievo» si presenta rispondente ad uno standard predefinito, codificato come «modulo 151», stampato su quattro facciate, con sezioni in colonna. Nella prima facciata si riportava il numero progressivo, il luogo e la data di produzione dell’atto. Poiché era oggetto di successiva compilazione nelle diverse sezioni da parte delle amministrazioni interrogate, si apponeva in prima pagina, al termine del carteggio, la data nella quale se ne proponeva la registrazione definitiva. Figura 1 – Frontespizio del foglio di rilievi, “mod. n. 151”

Si richiedeva risposta all’amministrazione oggetto dei rilievi con la seguente dicitura: «Allegati alla presente si rispedisca a cotesta (nome dell’amministrazione) il Decreto indicato nello specchio della faccia che segue, con preghiera perché sia soddisfatto a quanto è di contro al medesimo e sia dippoi riprodotto alla Corte coi necessari riscontri». Le facciate interne contenevano le seguenti sezioni: numero di ordine; qualità dell’atto; qualità dell’Uffizio a cui esso risguarda; Cenno de’ rilievi; Risposta; Ulteriore decisione della Corte.

L’attività della Corte dei Conti nel Regno d’Italia

127

Figura 2 – Facciate interne del foglio di rilievi

A fronte della compilazione delle prime quattro sezioni da parte della Corte, l’amministrazione era tenuta a fornire risposta ai rilievi redigendo l’apposita sezione, e rinviando il documento debitamente compilato. A fronte delle informazioni pervenute, la Corte apponeva un visto, oppure, annotava nella sezione «Ulteriore decisione» la necessità di rimandare la decisione ad accertamenti successivi. Dall’analisi del complesso documentale si comprende come fossero sottoposte al controllo una ampia gamma di amministrazioni consistenti in Ministeri, Prefetture, Intendenze provinciali nonché Intendenze di Finanza. I rilievi che ricorrevano con maggior frequenza riguardavano il demanio, con particolare attenzione ai contratti di locazione di immobili o fondi demaniali. Talvolta la Corte ravvisava delle infrazioni al dettagliato Regolamento di Contabilità, e, di conseguenza, richiedeva chiarimenti alle amministrazioni: di seguito si propone un esempio di carteggio con la Prefettura di Pisa.

128

Simone Lazzini

Figura 3 – Foglio di rilievi n. 4039, frontespizio – Real Prefettura di Pisa

Nel documento riportato in figura la Divisione settima della Corte dei Conti del Regno d’Italia indirizza, in data 10 luglio 1873, il foglio di rilievi catalogato con il numero 4039, nota 402, alla Real Prefettura di Pisa. Il documento viene ricevuto il 17 luglio 1873, debitamente compilato ed inviato nuovamente a Firenze, ove se ne propone la registrazione definitiva il 25 luglio.

L’attività della Corte dei Conti nel Regno d’Italia

129

Figura 4 – Foglio di rilievi n. 4039, facciata interna

Il rilievo riguarda la vendita di una partita di carta “fuori d’uso” ed è indirizzata all’ufficio del demanio della Prefettura. Nel proporre il “Cenno de’ rilievi”, la Corte fa presente quanto segue «Nel decreto non sono indicate le speciali ed eccezionali circostanze per le quali si esperimentò la licitazione privata invece del pubblico incanto». Il problema sorge, pertanto, in relazione alla procedura per la vendita del materiale in oggetto: sembrerebbe potersi supporre che l’amministrazione abbia adempiuto soltanto parzialmente a quanto prescritto dal regolamento di contabilità, in quanto la Prefettura ha inviato il decreto relativo all’alienazione dei beni, ma non ha comunicato la sussistenza delle condizioni che legittimano la deroga alla normale procedura del pubblico incanto. Figura 5 – Foglio di rilievi n. 4039, facciata interna; sezione Risposta

130

Simone Lazzini

La risposta, a firma del Prefetto, contiene un dettagliato elenco (numerato) di motivazioni: «1° lo stato di deperimento nel valore delle cose da alienarsi; 2° necessità di presto sgomberare il Magazzino dell’Intendenza, il quale doveva assoggettarsi ad urgenti riparazioni; 3° la convenienza di evitare vistose spese di stampe, pubblicazioni etc. che avrebbero allontanati gli acquirenti o diminuite le offerte». La replica dell’amministrazione, pertanto, sembrerebbe giustificare il ricorso alla licitazione privata, per questioni di urgenza e per evitare costi non proporzionati al valore dei beni: la spiegazione sembra soddisfare la Corte, che, come detto, propone la registrazione del foglio senza apporre nessuna annotazione nella sezione «Ulteriori decisioni». Il neonato Stato italiano sentiva il bisogno di giungere ad una commisurazione complessiva del proprio patrimonio e di avvalersi di un sistema contabile in grado di cogliere le dimensioni economico-finanziarie della gestione. Questa esigenza veniva perseguita mediante il contestuale operato di due importanti corpi dello Stato: la complessa opera della Ragioneria Generale che nel periodo sperimentò diversi sistemi contabili che alimentarono un profondo dibattito dottrinale e scientifico e dall’altro lato il controllo della Corte che doveva garantire il corretto svolgimento dell’azione amministrativa. La Ragioneria generale si trovò ad operare in un’epoca di grande fermento nella formulazione della dottrina della rilevazione, che sfociò di lì a poco nel compimento nella scienza sociale dell’economia aziendale. Gli assetti contabili e le tecniche di riscontro sviluppate nel tempo testimoniarono l’esigenza di pervenire ad un corpo unitario di rilevazioni che consentissero di evidenziare la consistenza patrimoniale economica e finanziaria del nuovo Stato, ispirata all’affermazione della unicità dei grandi criteri contabili e del controllo, influendo sulle strutture informative e sui processi evolutivi della contabilità pubblica italiana. La Corte dei Conti prendeva le proprie deliberazioni sulla base dei documenti di cui disponeva e che gli affluivano dalle varie amministrazioni. Appare chiaro che il controllo sebbene operasse sia a livello sistemico che di singolo atto procedeva tra i due livelli con intensità molto diverse. Il sindacato complessivo aveva difficoltà a svolgersi con l’effettività desiderata proprio perché a livello aggregato le sintesi contabili non consentivano di comprendere la reale consistenza delle dotazioni patrimoniali e il complessivo comporsi della dinamica finanziaria. Il giudizio sul singolo atto procedeva invece in modo molto assiduo, consentendo alla Corte di sindacare ogni atto compiuto dalle amministrazioni. Non stupisce, infatti, che la maggior parte dei carteggi riguardasse proprio le procedure di sfruttamento del demanio quasi che la Corte, resosi conto che a livello complessivo aveva difficoltà a verificare la correttezza della dinamica patrimoniale e finanziaria, tendesse a procedere con delle verifiche dal basso, componendo la propria attività di controllo mediante aggregazioni successive di informazioni piuttosto che derivandola esclusivamente dai documenti di sintesi.

Capitolo 9

Riforme istituzionali e prassi contabili nei primi decenni del secolo XIX: i bugetti “napoletani” di Vincenzo Zarone

1. Le riforme napoleoniche e l’impronta borbonica nel Mezzogiorno d’Italia: evoluzione degli assetti istituzionali e nuove necessità informative, tra spinte al cambiamento ed esigenza di continuità Con l’avvento delle armate napoleoniche nel Mezzogiorno d’Italia, nel 1806, ha inizio una serie di riforme istituzionali che modificano profondamente gli assetti preesistenti: tali modificazioni saranno per lo più mantenute anche all’indomani del decennio francese (1806-1815). La fase della dominazione francese trova il suo epilogo con la Restaurazione del potere borbonico, avvenuta con il conferimento della corona a Ferdinando IV, che, a seguito dell’unificazione dei Regni di Napoli e di Sicilia nel Regno delle Due Sicilie, assume la denominazione di Ferdinando I. Durante il Congresso di Vienna, in una prima fase, le grandi potenze convenute sembravano intenzionate a confermare, almeno temporaneamente, Gioacchino Murat alla guida del Regno di Napoli, salvo ripristinare il regno borbonico in ragione del sostegno del maresciallo napoleonico al cognato (Napoleone Bonaparte) durante l’epopea dei “Cento Giorni”, la serie di eventi che, tra il 20 marzo e l’8 luglio 1815, segnano il ritorno dall’esilio di Napoleone e la definitiva sconfitta di quest’ultimo. Delle riforme del periodo francese, tra l’altro, si possono ravvisare i prodromi nella breve esperienza della Repubblica Partenopea (tra gennaio e luglio del 1799), la cui repentina dissoluzione fu dovuta alla repressione da parte dell’Esercito della Santa Fede, ed alla mancata adesione del popolo al moto rivoluzionario, persistendo una distanza tra i ceti popolari e gli intellettuali fautori e membri del governo provvisorio filo-francese, in assenza di una classe borghese interessata alle riforme. Prima di soccombere alle armate dei Sanfedisti, guidati dal Cardinale Fabrizio Dionigi Ruffo, il governo repubblicano abbozza una Costituzione, che non riesce

132

Vincenzo Zarone

ad approvare per il succedersi degli eventi sfavorevoli, ed approva, il 25 aprile 1799, una legge che sancisce l’eversione della feudalità. Tale legge non trova applicazione, per il nuovo avvento dei Borboni, ma segna un elemento di continuità con il successivo provvedimento “con cui si abolisce la feudalità”, n. 130, 2 dicembre 1806, emanata all’indomani dell’avvento francese nel Regno di Napoli. In conseguenza dell’abolizione della feudalità, dei connessi diritti reali relativi alle consolidate giurisdizioni baronali, della risoluzione delle promiscuità tra universitas (denominazione corrispondente agli antichi territori comunali) e feudatari, occorreva dirimere con decisione e tempestività un elevato numero di liti: con questa funzione fu istituita con Decreto dell’11 dicembre 1807 la Commissione Feudale, che fu composta da giuristi, presieduta da David Winspeare, ed operò fino al 1810, esaminando oltre trecentomila processi ed emettendo circa 1400 sentenze. Il provvedimento di eversione della feudalità segnò, dunque, la fine della giurisdizione baronale, ma pose altresì la questione dei demani ex-feudali. Quei possedimenti rimasero in parte in mano ai baroni, ma ne mutò il titolo giuridico: divennero infatti beni “allodiali”, “burgensatici”, ovvero caratterizzati dalla proprietà a pieno titolo, non dalla concessione regia, in opposizione al precedente regime feudale. Altri possedimenti divennero beni demaniali, destinati, secondo le intenzioni del governo francese, alla costituzione di una piccola proprietà contadina. Il successivo decreto dell’8 giugno 1807 (che fa parte di una serie di provvedimenti attuativi della legge 130 del 1806) sanciva anzitutto la divisione delle terre tra baroni ed università, nonché la divisione dei demani tra comuni limitrofi; inoltre statuiva l’assegnazione ai contadini nullatenenti ed agli indigenti delle quote spettanti a ciascun comune (divise in porzioni di valore equivalente), tramite estrazione a sorte tra gli aventi diritto. Tale redistribuzione dei terreni, unita alla predisposizione del catasto murattiano, andava nella direzione di una maggiore equità contributiva, almeno per quanto riguardava le proprietà fondiarie. Infatti, nel proemio al Decreto istitutivo del “Catasto provvisorio terreni”, datato 4 aprile 1809, si fa esplicito riferimento alle «doglianze (...) sui vizi della ripartizione della contribuzione diretta» ed alle «vessazioni che cagiona il metodo attuale di coazione». Come era possibile supporre, le reticenze dei proprietari a rivelare le consistenze dei propri averi impedirono una ricognizione puntuale, come era già avvenuto durante il tentativo di razionalizzazione del prelievo fiscale che motivò l’istituzione del catasto onciario ad opera di Carlo III di Borbone (dispaccio del 4 ottobre 1740). Proprio per l’impossibilità di censire correttamente le proprietà fondiarie, l’esazione fiscale nel Regno di Napoli fu effettuata, anche durante la dominazione francese, per lo più con il sistema “a gabella”, che prevedeva dazi sui consumi, cui si aggiungeva il cosiddetto “peso fondiario”, piuttosto che con il metodo “a battaglione”, basato sulla stima dei beni stabili e delle rendite che derivavano dalle attività dei cittadini (al netto dei pesi, ovvero di alcuni oneri deducibili). Dagli stati discussi analizzati nei paragrafi successivi emergono elementi in base ai quali si può ragionevolmente supporre che le linee generali dell’impianto di riforma dell’esazione fiscale si riverberassero nell’effettiva azione delle magistratu-

Riforme istituzionali e prassi contabili nei primi decenni del secolo XIX

133

re intermedie istituite per corroborare il disegno burocratico – amministrativo francese. Come si evidenzia con maggiore precisione più avanti nel capitolo, infatti, dall’analisi delle “osservazioni” mosse dall’Intendente di Terra di Lavoro al bilancio di previsione dell’universitas di Capua per l’anno 1809, si evince una particolare sensibilità al consistente peso di alcune “gabelle”, ritenute eccessivamente gravose per la popolazione. L’intendente, nel documento in questione, ne richiede ed ottiene la soppressione, condizionando, di fatto, in ragione di un preminente interesse pubblico ed in forza dell’avallo del re, l’autonomia impositiva dell’ente. La nuova impostazione francese nel Regno di Napoli, più in generale, si caratterizzò per una riorganizzazione delle circoscrizioni provinciali senza stravolgimenti della ripartizione preesistente, apportando alcune variazioni legate ad esigenze militari, a ragioni socio-politiche, demografiche e relative all’evolversi delle economie locali. Con la legge “sulla divisione ed amministrazione delle province del Regno”, n. 132, dell’8 agosto 1806, promulgata dal Re Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, si prevedeva la divisione del Regno in 13 province («Napoli, i tre Abruzzi, Terra di Lavoro, Principato citeriore, Principato Ulteriore, Capitanata e contado di Molise, terra di Bari, terra di Otranto, Basilicata, Calabria citeriore, e Calabria ulteriore»). Per ciascuna provincia era indicata una capitale. La vasta estensione delle province suggerì una ulteriore suddivisione delle stesse in un numero variabile di distretti, all’interno dei quali l’articolazione periferica finale era costituita dai comuni, che talvolta conservavano, nelle disposizioni normative, la denominazione di universitas. Il circondario di ciascun distretto ed il numero delle università erano determinate «secondo le convenienze locali sul rapporto del Ministro dell’Interno, dietro l’avviso del Consiglio di Stato». L’impostazione francese prevedeva la separazione tra organi amministrativi e di giurisdizione e l’istituzione di alcune magistrature intermedie tra lo Stato e le articolazioni periferiche, la cui autonomia era circoscritta da precise previsioni normative, che ne esplicitavano attribuzioni e responsabilità, nel tentativo di arginare il particolarismo imperante nella prassi amministrativa. Tale assetto ricalcava, nella struttura e talvolta nelle denominazioni, la legge francese 28 piovoso, anno VIII (emanata oltralpe il 17 febbraio 1800). In ciascuna provincia, dunque, si nominava un intendente, che, coadiuvato dal Consiglio d’Intendenza e dal Consiglio provinciale, era incaricato dell’amministrazione “civile, e finanziera, e dell’alta polizia”: a seconda degli ambiti di intervento, rispondeva rispettivamente ai ministeri dell’Interno, delle Finanze e della Polizia generale. Secondo le dettagliate indicazioni della legge citata, l’amministrazione finanziaria si componeva di «ciò che concerne la percezione delle pubbliche imposizioni, e la vigilanza su gli agenti di siffatta percezione». Con riguardo a queste funzioni gli intendenti dipendevano dal Ministro delle Finanze. Gli intendenti ricevevano “domande e doglianze” delle università, sancivano quali leggi o regolamenti ministeriali ritenevano applicabile alle fattispecie esaminate, rimettendo le decisioni ai ministeri competenti qualora dubbi o mancanza di

134

Vincenzo Zarone

precedenti lo rendessero opportuno e necessario. Erano, inoltre, incaricati di visitare ogni biennio i comuni della loro provincia: ne accoglievano le istanze, intervenivano per dirimere eventuali controversie e riferivano al re della situazione “fisica e morale” del territorio. A livello distrettuale vi era un sotto-intendente, dipendente dall’intendente, cui era affiancato un consiglio distrettuale, i cui membri erano nominati dal re su proposta dal decurionato dei vari comuni. La principale funzione di queste assemblee risultava la distribuzione della quota d’imposta fondiaria tra i comuni del distretto. Il sotto-intendente era incaricato di eseguire e fare eseguire gli ordini dell’intendente; di esprimere pareri su doglianze e petizioni di singoli cittadini od università. In merito all’articolazione amministrativo-burocratica delle universitas, gli interessi comunali erano tutelati per mezzo dei decurioni, eletti tra i capifamiglia nel ruolo delle contribuzioni. I decurioni erano riuniti in un organo denominato “decurionato”, cui fa riferimento esplicito la legge 18 ottobre 1806 n. 211, che ne precisa la natura di organo collegiale deliberativo, presieduto dal sindaco. Il peculiare sistema di elezione dei decurioni, il cui numero variava in funzione del fattore demografico, risultava caratterizzato da una fase di scrematura attraverso una estrazione a sorte, tra una lista di eleggibili redatta in base a limiti minimi di censo crescenti a seconda del numero di abitanti del comune; nel corso del decennio francese si procede ad una parziale revisione del sistema di elezione, includendo nelle liste degli eleggibili i possidenti (per i quali permaneva comunque lo sbarramento per censo fissato in almeno 24 ducati di rendita annua) e i soggetti che esercitavano una professione nelle “arti liberali”. La figura del sindaco, come risulta dal tenore della citata legge n. 132/1806, si connotava per un esplicito conferimento di “funzioni ed attribuzioni annesse” fino ad allora “agli amministratori delle università”. In quanto deputato a presiedere l’organo più importante per il funzionamento della amministrazione comunale, ovvero il decurionato, assumeva il ruolo di principale garante del corretto dispiegarsi dell’azione amministrativa. Oltre che direttamente e costantemente al decurionato, delle proprie prerogative rendeva conto all’intendente, durante le ispezioni sul territorio di quest’ultimo, ed attraverso il fitto carteggio che intercorreva più volte all’anno tra i due soggetti. La centralità del decurionato e l’esplicito regime di responsabilità gravante sul sindaco nell’espletamento delle proprie funzioni rappresenta, nel quadro comparativo tra il decennio napoleonico e la successiva restaurazione del potere borbonico, un ulteriore punto di congruenza importante. Per quanto riguarda il ruolo del decurionato, la legge “sull’amministrazione civile”, n. 570, 12 dicembre 1816, emanata da Ferdinando I di Borbone, re delle Due Sicilie, ne ribadisce la natura di organo rappresentativo e deliberativo, confermandone le ampie attribuzioni, quali la nomina di sindaco, eletti, cassiere ed impiegati comunali; l’esame delle rate della contribuzione diretta assegnata al comune dal consiglio distrettuale (con riserva di ricorso al consiglio d’intendenza); la possibilità di imporre dazi di consumo e “grana addizionali”; ma soprattutto il vaglio delle decisioni del sindaco sulle questioni riguardanti spese, rendite e complessiva azio-

Riforme istituzionali e prassi contabili nei primi decenni del secolo XIX

135

ne amministrativa, che si concretizzava in un accurato rapporto all’intendente. In merito alle responsabilità del sindaco, la legge n. 570/1816 contiene una serie di puntuali riferimenti in materia, enucleando specifici doveri di vigilanza e di corretta esecuzione delle particolareggiate prescrizioni in materia di “amministrazione finanziaria”. La legge in questione, infatti, di cui si tratterà diffusamente nei paragrafi successivi in relazione alla forma ed al contenuto degli stati di previsione analizzati, contiene numerosi riferimenti tassonomici ed una minuziosa esposizione dei criteri classificatori e procedurali da adottare nella redazione dei documenti che gli organi periferici dovevano indirizzare, con l’intermediazione di vari soggetti, allo Stato centrale.

2. La contabilità dei Comuni del Regno di Napoli nella prima metà del secolo XIX: documenti, pareri e “norme inalterabili per l’amministrazione delle rendite e delle spese” In riferimento agli “stati discussi” o “bugetti” (nella versione francofona), si segnala una forte analogia tra il periodo napoleonico e la restaurazione borbonica, per quanto riguarda la stringente funzione autorizzatoria di tali documenti per la gestione delle entrate ed uscite comunali. La legge n. 132/1806 prevedeva, tra le attribuzioni del decurionato di ogni università, la formazione dello «stato discusso delle rendite e de’ pesi, ed esiti», che veniva trasmesso al sottointendente, il quale provvedeva ad esaminarlo ed inviarlo, corredato dal proprio parere, all’Intendente, cui spettava di “fissarlo definitivamente” nel caso di comuni inferiori a 6mila abitanti. Nel caso dei Comuni con popolazione maggiore, i pareri di intendente e sottointendente giungevano al Ministro dell’Interno. Tale norma sancisce che «una volta determinati i pesi, e gli esiti delle università, non vi potrà nulla cambiare, senza precedente nostra autorizzazione». Una previsione analogamente categorica si riscontra nella legge borbonica “sull’amministrazione civile” del 1816, in cui è presente una perentoria definizione di “stato discusso” quale «norma inalterabile per l’amministrazione delle rendite e spese» di ciascun comune; escludeva altresì la formazione di “ogni deficit o avanzo”, “classificando e bilanciando rendite e spese” a tale scopo. Un cambiamento importante apportato dai Borboni attiene alla periodicità di redazione del documento: l’elaborazione degli stati di previsione di “rendite e spese” diventa, nel 1816, quinquennale per le entrate e spese ordinarie; per quelle “straordinarie e variabili” si prevedeva, invece, la redazione di uno stato di “variazione annuale”. Per assolvere a tale funzione i decurionati venivano convocati di diritto la prima domenica di settembre dell’ultimo anno di ogni quinquennio (il primo quinquennio decorse dal primo gennaio 1818), per formare il progetto dello stato discusso del quinquennio successivo, e la prima domenica di ottobre di ogni anno per formare il progetto dello stato di variazione per l’anno seguente. Gli Stati di-

136

Vincenzo Zarone

scussi e di variazione dei Comuni che avevano «rendita ordinaria di cinquemila ducati o più» erano approvati dal Re, su proposta del Ministro dell’Interno. L’intendente, secondo la legge, doveva inviare entro la metà di novembre al Ministro dell’Interno i progetti di stato di variazione da sottoporsi ad approvazione del Re; entro la metà di Dicembre doveva discutere quelli dei restanti comuni. In tal modo, al 1 gennaio, ciascun comune disponeva del suo stato discusso o di variazione. Nel primo trimestre dell’anno il Ministro era tenuto a comunicare all’Intendente le determinazioni riguardo agli stati discussi trasmessi, che nel frattempo producevano i propri effetti “provvisoriamente”. Prima di procedere al commento sugli stati di previsione analizzati, si ritiene interessante descrivere sinteticamente il contenuto, in materia di “amministrazione finanziaria”, della legge borbonica del 1816, poiché in questo provvedimento si ravvisano numerosi elementi di congruenza con l’impostazione che emerge dai prospetti di epoca francese. In relazione alla natura e ai principi relativi alla “percezione delle rendite”, al Capo I del Titolo VII della legge si diceva che «ciascun comune ha le sue rendite, separate da quelle delle dello Stato, de’ particolari, e di ogni altro comune», sottolineando il divieto di “promiscuità di proprietà, rendita o diritti” intercomunali, con lo Stato o con i singoli cittadini. Le rendite comunali si distinguevano tra “ordinarie o straordinarie”. Le rendite ordinarie erano derivanti: da fondi patrimoniali e demaniali; da censi, canoni e prestazioni; da proventi giurisdizionali; da addizionali alla contribuzione diretta; da dazi di consumo; da privative volontarie e temporanee. Si definivano straordinarie le rendite da «reste di cassa degli anni precedenti; da arretrati di qualunque specie; da restituzione di crediti o affrancazione da censi; e da qualunque altro cespite eventuale». Vigeva il vincolo del reimpiego a “capitale redditizio”, entro sei mesi al massimo, “a cura e diligenza del sindaco”, delle rendite da affrancazione di censi o restituzione di capitali: a parità di condizioni, la legge prevedeva la destinazione sul “gran libro del debito pubblico”. Si configurava, oltre il limite temporale per l’esecuzione del reimpiego, la responsabilità del sindaco per i danni derivanti dall’inadempienza. Con riguardo ai fondi patrimoniali, ne veniva disposta la concessione in affitto. Importante risulta la previsione esplicita del censimento dei fondi urbani e “rustici”, in previsione di più equa ripartizione dei tributi che gravavano sui cittadini, nonché una definizione puntuale riguardante i principi di gestione dei beni demaniali comunali e dei connessi usi civici. Riguardo ai proventi giurisdizionali, se ne chiarisce la definizione con un elenco puntuale; erano considerati tali: i prodotti delle multe di tribunali o autorità, per fatti contrari a leggi o regolamenti di polizia urbana o rurale commessi sul territorio comunale; i diritti di polizia urbana, derivanti dalla concessione di postazioni ai venditori nelle piazze o nei mercati; i diritti dal servizio di “peso e misura pubblica”. Le tariffe relative erano disposte su proposta del decurionato, discussa dal Consiglio d’Intendenza, ed approvate infine dal Ministro dell’Interno. I dazi comunali gravavano sui soli generi di consumo, «che s’immettono per consumarsi o vendersi nel comune», escludendo quelli che vi transitavano per de-

Riforme istituzionali e prassi contabili nei primi decenni del secolo XIX

137

posito o passaggio; era previsto un limite massimo della tariffa del dazio sull’attività della “molitura” (l’operazione che consente di ottenere le farine dai cereali), fissato in “un carlino a tomolo”. Si enunciava l’indicazione di far gravare i dazi più sui generi che servivano al “lusso o al maggior comodo”, rispetto ai generi che appagavano bisogni “comuni ed ordinari”. Come si vedrà dalle osservazione mosse dall’intendente allo stato di previsione del comune di Capua per il 1809, commentate più avanti nel paragrafo, si denota, già in epoca francese, una spiccata sensibilità verso le fasce più deboli della popolazione in relazione all’imposizione di taluni dazi: si evidenzierà come proprio la gabella sulla macina verrà sospesa per l’anno in questione, perché ritenuta eccessivamente gravosa. Con riguardo all’esazione dei dazi, la legge borbonica precisa che, qualora non poteva avvenire per appalto, la transazione “per individuo o capo di famiglia” doveva essere regolata da un “ruolo” proposto dal decurionato, discusso dal sottointendente, approvato dall’intendente ed autorizzato dal Ministro dell’Interno, che riceveva un rapporto motivato. Era disposta la divisione del ruolo in più classi, in cui i contribuenti erano distinti in base al loro “comodo”, al “consumo presuntivo de’ generi soggetti a dazio”, con l’esclusione degli “indigenti” e dei minori di cinque anni. La classe degli esenti non poteva, comunque, superare un quinto della popolazione residente nel comune. Le spese comunali erano ripartite tra ordinarie, straordinarie ed impreviste (“imprevedute”). Nel novero delle spese ordinarie rientravano: gli stipendi di alcuni soggetti appartenenti a categorie diverse (tra cui cancelliere, archivista, cassiere, medico e “cerusico” ovvero chirurgo, “predicatore quaresimale”, maestri, “regolatore del pubblico orologio” ed altri); il canone per la locazione di edifici necessari all’amministrazione comunale, alle scuole ed altre funzioni pubbliche; le spese relative all’aggiornamento dei registri contabili, dell’anagrafe, delle raccolte di leggi; le imposte fondiarie sui beni comunali; gli oneri finanziari per prestiti contratti; le spese di manutenzione di opere pubbliche, piazze, acquedotti, cimiteri, chiese, caserme; le spese sostenute per feste e celebrazioni, per le messe mattutine “pro populo”, per l’illuminazione. Per gli stipendi dei soggetti elencati in sede di enumerazione delle spese ordinarie erano riportati, in articoli successivi, dei tetti massimi. Tra le spese straordinarie rientravano quelle derivanti da: gli oneri finanziari derivanti da debiti “arretrati e non costituiti”; la costruzione e manutenzione (straordinaria, a differenza degli interventi della precedente classe di spese) di edifici, strade, ponti ed altre opere pubbliche; le “liti”; alcune opere provinciali (di cui l’autorità comunale si faceva carico, secondo esplicita previsione di un articolo della stessa legge, perché di prevalente interesse della comunità locale). La categoria di spese denominate “imprevedute” si riferiva alle necessità contingenti, ai “bisogni giornalieri ed eventuali” del comune, non previsti nelle precedenti definizioni. Il fondo per tali spese era diviso in due parti: una, di cui disponeva il sindaco, per le spese giornaliere ed urgenti; un’altra, soggetta alla previa autorizzazione per l’impiego da parte dell’intendente, destinata alle “spese eventuali straordinarie”.

138

Vincenzo Zarone

Si prevedeva, a norma della legge del 1816, la continuazione della percezione da parte dello Stato centrale del “vigesimo delle rendite ordinarie” (la ventesima parte), che venivano destinati al mantenimento delle “compagnie provinciali”. Le voci di spesa residuali, rispetto a quelle classificate come provinciali o comunali dalla stessa legge, si intendevano a carico della tesoreria generale dello Stato. Al Titolo IX della legge in oggetto, specificamente dedicato al “metodo di amministrazione comunale”, alla “contabilità”, agli “stati discussi” e “ai mezzi per provvedere alla polizia amministrativa”, si trovano interessanti prescrizioni riguardanti l’amministrazione delle “spese e rendite” comunali. Come per altre fattispecie citate in precedenza, per l’affitto di ogni “cespite di rendita comunale” si fa esplicito riferimento ad un regime di responsabilità che investe il sindaco, in relazione all’unica modalità ammissibile per gli affitti stessi, ovvero l’asta pubblica, salvo circostanze straordinarie, da sottoporre all’autorizzazione del Ministro dell’Interno, tramite il Consiglio d’Intendenza. L’interessante procedura di “affitto delle rendite comunali” (per le quali erano stabiliti limiti massimi di durata) prevedeva che, 4 mesi prima del termine di ogni affitto già in essere, il sindaco convocasse il decurionato, per deliberare le condizioni per il rinnovo. L’asta era sottoposta ad un regime pubblicità attraverso l’affissione di manifesti, ed avveniva in due momenti successivi: solo con la seconda “subasta” si affittava definitivamente la rendita al maggior offerente. Riguardo all’esazione delle multe, era disposta la tenuta di un registro, da parte del cassiere, sotto la vigilanza del sindaco, in cui si annotavano le somme dovute a fronte di quelle riscosse. Le voci erano caratterizzate da una numerazione progressiva; il cassiere provvedeva all’esazione tramite “coazione”, in cui si enunciava anche la “sentenza” da cui scaturiva la sanzione. Le responsabilità del cassiere, per mancanza di “diligenza nelle riscossioni”, da accertarsi a cura del Consiglio d’Intendenza, poteva dar luogo alla reintegrazione del danno in denaro da parte dell’inadempiente. Tale responsabilità gravava anche sul sindaco, qualora questi avesse omesso l’opportuna vigilanza. Il pagamento delle rendite comunali avveniva attraverso il mandato, “a norma dello stato discusso”: ciascun mandato recava l’articolo del documento di autorizzazione, che doveva essere, appunto, lo stato discusso o, nel caso di spese straordinarie, l’autorizzazione del Ministro. Era fatto divieto di «inversione di fondi assegnati a ciascun articolo di spesa sullo stato discusso», ribadendo a proposito la responsabilità di sindaco e cassiere per tali illegittime operazioni, da effettuarsi soltanto, ove necessario per straordinarie necessità, previa delibera del decurionato, discussione dell’Intendente in Consiglio d’Intendenza, ed autorizzazione del Re o del Ministro dell’Interno a seconda dei casi. Anche in questo caso, per pagamenti effettuati contravvenendo alle prescrizioni, il cassiere rispondeva con le proprie sostanze, salvo rivalersi sul sindaco, qualora quest’ultimo ne avesse disposto l’effettuazione. Tra le prerogative del sindaco non rientrava la vigilanza sulle spese per opere pubbliche: era l’Intendente che decideva se dovessero effettuarsi “per appalto o per economia”, ed aveva facoltà di nominare una commissione tecnica che vigilasse, con il sindaco, sull’esecuzione delle stesse.

Riforme istituzionali e prassi contabili nei primi decenni del secolo XIX

139

Il Capo III della legge riguardava, infine, la contabilità comunale, assimilata a quella dello Stato “in quanto alla esenzione de’ pesi” e per le “formalità imposte a’ registri e carte de’ particolari”. Alla tenuta della contabilità comunale era preposto il cassiere; il sindaco era tenuto a predisporre controlli su riscossioni e ordinativi dei pagamenti. I bilanci ed i registri erano custoditi, inoltre, in ciascuna intendenza e presso il ministero dell’Interno. Il conto “dell’amministrazione e del peculio”, da redigersi annualmente, si componeva del conto “morale”, a cura del sindaco, e del conto “materiale” del cassiere. Il sindaco, nel documento che era tenuto a presentare al decurionato in gennaio, rendeva conto del “metodo di amministrazione”, dell’esecuzione dello stato discusso in relazione a “spese e rendite”. Due o più componenti del decurionato erano designati per “esaminare e verificare” il conto morale; questo veniva inviato al sottointendente, che lo trasmetteva, allegandovi le proprie osservazioni, all’Intendente, che entro Ottobre approvava, respingeva o modificava la deliberazione decurionale. Al sindaco ed al decurionato era data facoltà di ricorrere contro una eventuale decisione sfavorevole: in tal caso la documentazione era acquisita dal Ministro dell’Interno. Riguardo al conto materiale del cassiere, questi doveva rendicontare le somme introitate nelle casse comunali e la destinazione (esito) delle stesse, in base ai mandati del sindaco.

3. I prospetti per “regolare l’amministrazione”: struttura e contenuto dei bugetti Non essendo pervenuti i conti morali dei sindaci, tra le rare fonti documentali a supporto dell’attività di ricerca, gli stati discussi rappresentano la fonte più preziosa di informazioni sull’amministrazione dei comuni; l’analisi degli stessi consente di rilevare tracce importanti delle profonde riforme e delle grandi modificazioni delle situazioni di contesto socio-economico susseguitesi nella prima metà dell’Ottocento. I documenti oggetto delle riflessioni del presente paragrafo si riferiscono ad una serie documentale relativa ad una realtà territoriale specifica, ovvero l’antica provincia di Terra di Lavoro. In particolare, presso l’Archivio di Stato di Caserta sono stati rinvenuti gli stati discussi di numerose universitas della provincia, all’interno del fondo denominato “Intendenza Borbonica”, nella sezione “Affari comunali”. L’analisi si è concentrata principalmente sul comune di Capua, che, in quanto capoluogo della provincia 1, assumeva un notevole rilievo politico; inoltre i primi documenti rinvenuti sono datati al 1806, anno dell’avvento dei francesi, senza soluzione di continuità fino al 1817, anno in cui i prospetti diventano quinquennali.

1

Il comune di Capua resterà capoluogo della provincia di Terra di Lavoro, salvo tra il 1806 ed il 1808 in cui fu posto nella vicina frazione di Santa Maria, fino al 1818.

140

Vincenzo Zarone

Sulla questione della denominazione dei prospetti, occorre precisare che il termine “bugetto” viene utilizzato dopo il 1810 2, in concomitanza peraltro con la comparsa dei titoli e dei capitoli nella classificazione delle voci. Figura 1 – Intestazione del documento di previsione per il 1809

Il prospetto per “regolare l’amministrazione che dovrà avere luogo” per l’anno 1809, redatto in data 20 dicembre 1808 (come emerge dalle annotazioni sullo stesso), riporta una suddivisione tra introiti (entrate), esiti (uscite), contrapponendo in una sezione specifica debiti e crediti, e riepilogando il valore delle singole sezioni in quadri sinottici parziali e totali (“ricapitolazioni“ intermedie e finali). In fondo al documento stesso sono presenti numerose e dettagliate osservazioni dell’Intendente, apposte da quest’ultimo a pochi giorni dal ricevimento del prospetto (dal riferimento in fondo alle “osservazioni”, si supporrebbe in data 26 Dicembre 1808). Gli introiti erano derivanti da “corpi stabili e di altra natura” e dalle gabelle. Gli esiti erano suddivisi in ordinari, straordinari ed “instrumentarii e di altra natura”. La colonna degli introiti da “corpi stabili e di altra natura” era tripartita, e conteneva i “nomi delle voci” (ad esempio: “feudo della terra di Castelvolturno”), lo “stato” (distinguendo tra affitti, censi, annua entrata) e la “rendita” derivante (misurata in ducati e grana). Accanto a questa colonna vi era quella per la “specificazione dei contro scritti introiti”, che chiariva l’origine ed altri aspetti peculiari delle voci, collegate alla sequenza della prima colonna attraverso una numerazione progressiva analoga.

2

Nel 1811 si usa l’intitolazione francese “budget”; negli anni successivi si adotta il termine italianizzato bugetto.

Riforme istituzionali e prassi contabili nei primi decenni del secolo XIX

141

Esemplificando, dalla prima riga della colonna dei “Corpi Stabili e di altra natura” si apprende che l’affitto della terra di Castelvolturno avrebbe dovuto dar luogo, per l’anno 1809, ad una rendita di 8403 ducati; dalla colonna di “specificazione” si apprende che il feudo fu venduto nel 1461 alla Città di Capua, e che il termine dell’affitto dello stesso (e della rendita conseguente) era previsto per l’anno 1814. Figura 2 – Sezione del documento riguardante gli introiti sa “corpi stabili, e di altra natura”

Una rilevante voce di “introito” era costituita dalle gabelle, riportate analiticamente in una colonna successiva. Queste voci erano oggetto di molte delle osservazioni trasmesse dall’Intendente al comune, cui conseguivano, ovviamente, le necessarie rettifiche nei valori previsti. A fronte di ciascuna voce, anche per le gabelle, si presentava una nota di dettaglio. Figura 3 – Sezione del documento riguardante le gabelle

Risulta interessante notare come, per alcune gabelle, nella nota esplicativa corrispondente si evidenzi una destinazione vincolata. I proventi da “altra gabella sul vino” erano destinati all’“estinzione dei debiti”. Riguardo ad un valore stimato del “prodotto delle franchigie che prima si godeano dei militari su le gabelle della carne, macina e vino” se ne precisa un utilizzo specifico, deciso dall’intendente, per il

142

Vincenzo Zarone

”mantenimento degli acquedotti”. Inoltre, i proventi di altre quattro gabelle erano riservati alla costruzione dei “quartieri per l’alloggio di ufficiali e soldati”, in ottemperanza ad un regio decreto. Figura 4 – Sezione del documento che riprende alcune gabelle e i relativi vincoli di destinazione

La ricapitolazione degli introiti evidenzia la differente consistenza dei due raggruppamenti, evidenziando una netta preminenza dei proventi da “gabelle” rispetto a quelli da “corpi stabili o di altra natura”. Figura 5 – Ricapitolazione degli introiti

Per quanto attiene agli “esiti”, si evidenzia una suddivisione degli stessi tra ordinari, straordinari ed “in strumentari e di altra natura”. Tra gli esiti ordinari si annoveravano: peso fondiario, onorarii, provvisionati, salariati, sussidi, celebrazioni di feste, prestazioni a’ conventi poveri, affitti. Nella colonna adiacente si riportava il valore in ducati della singola voce ed il totale per sezione.

Riforme istituzionali e prassi contabili nei primi decenni del secolo XIX

143

Figura 6 – Sezione del documento in cui sono rappresentato alcuni delle voci annoverate tra gli “esiti ordinarii”

Gli esiti straordinari riportati nel documento, invece, pur riferendosi ad un periodo precedente all’esercizio del bilancio di previsione, avendo avuto luogo da maggio 1807 ad aprile 1809, contribuiscono alla formazione del bilancio di previsione per il 1809, redatto ed approvato nel corso del 1808. Le spese straordinarie ereditate dall’esercizio passato andavano, dunque, a decrementare l’ammontare da impegnare, a vario titolo, per l’anno 1809.

144

Vincenzo Zarone

Figura 7 – Intitolazione della sezione delle spese straordinarie

Nell’elencazione delle spese straordinarie compaiono alcune voci peculiari, riconducibili alle odierne spese per missioni fuori dalla sede comunale: gli affitti di “calesse e canestre”, a Napoli ed in altri luoghi, quando queste erano necessarie per affari del comune; “li cibari”, ovvero il vitto acquistato durante l’espletamento degli stessi affari da parte degli incaricati. Figura 8 – Stralcio della colonna che riporta alcune spese straordinarie

Tra gli esiti “instrumentarii e di altra natura” erano riportate uscite verso creditori “instrumentari” (come il Conservatorio della Carità, Monasteri, Conventi ed altri) e creditori per censo (figurano una serie di nomi di nobili e notabili, ed eventualmente degli eredi), ed alcune uscite che derivavano da “concessioni e canoni”, corrisposti a soggetti disparati per utilizzo del suolo o strutture o per benefici vari. Le uscite sono ricapitolate riportando i totali dei raggruppamenti, con un maggiore dettaglio per le macrovoci degli esiti ordinari.

Riforme istituzionali e prassi contabili nei primi decenni del secolo XIX

145

Figura 9 – Ricapitolazione degli esiti

La sezione dedicata alla “controproposizione di debiti e crediti” chiarisce sia la consistenza che l’origine degli stessi; ne precisa anche la scadenza ed i nomi dei creditori o debitori (persone od altri enti), pur non facendo riferimento ad alcun documento (delibera, accordo contrattuale o altro) comprovante il rapporto intercorrente tra l’ente ed i soggetti citati. La massa debitoria, pur al netto dei crediti “controproposti”, risulta ingente, ammontando a quasi 90000 ducati, a fronte di un introito annuo previsto di circa 30000 ducati (al netto delle somme vincolate ex lege. Un chiaro quadro di sintesi sullo stato delle finanze dell’ente emerge dalla “Ricapitolazione generale”, che precede una lunga nota manoscritta, in cui il decurionato delibera l’approvazione del documento. In particolare dichiara che i debiti sono quelli “notati nel presente stato”, a meno dell’“incuria degli stessi creditori”. A proposito dei crediti, invece, si afferma che sono “quelli notati nel presente stato, e non più”. Le puntuali osservazioni dell’intendente, contenuti nelle ultime pagine del documento in questione, sono formulate in sequenza coerente con la struttura del prospetto.

146

Vincenzo Zarone

Figura 10 – Quadro riassuntivo delle osservazioni dell’intendente, e conseguenti rettifiche da apportare

L’intendente muove una dura reprimenda sull’imposizione di alcune gabelle, ritenute molto gravose per la popolazione. Tra queste, c’è un esplicito riferimento alla gabella “della Porta”, imposta su alcuni beni di consumo (come cacio e salame): l’imposizione di tale dazio viene pertanto proibito, ed il rispettivo valore (circa 300 ducati) viene stornato dal totale degli introiti, come emerge dal prospetto riepilogativo del parere dell’intendente. Anche l’imposizione della gabella sulla macina risultava sospesa (3363 ducati 75 grani) e sottoposta al vaglio governativo. Riguardo alle gabelle con vincolo di destinazione, esse sono stornate dal valore netto degli introiti: l’intendente ne ribadisce l’utilizzo vincolato, per la gabella sul vino all’estinzione dei debiti (3750 ducati), per altre quattro gabelle alla costruzione delle residenze di ufficiali e soldati (3141 ducati). Dunque, l’introito netto risulta pari a 26482,17 ducati, dei quali 10661, 82 da “corpi stabili” e 15820,35 dalle gabelle (valore rettificato per le osservazioni dell’intendente).

Riforme istituzionali e prassi contabili nei primi decenni del secolo XIX

147

Gli esiti ordinari sono analizzati voce per voce, in particolare quelli relativi ad “onorari e provisionati”, ma la rettifica più significativa è relativa al “peso fondiario”, fissato a 2071,27 ducati (in luogo di 2037,84). Un riscontro dell’effettivo accoglimento dello stralcio delle gabelle indicate dall’intendente si riscontra in un documento che reca la denominazione di “Stato delle rendite e dei pesi del Comune di Capua approvato l’8 aprile da Sua Maestà”. Figura 11 – “Stato delle rendite e de’ pesi del Comune di Capua”, anno 1809

148

Vincenzo Zarone

Analizzato il contenuto in relazione alle osservazioni dell’intendente fin qui commentate, vista la data di approvazione regia (8 aprile 1809), sembra lecito supporre che tale report infrannuale abbia avuto una valenza in termini di rettifica del prospetto di previsione. Lo “stato delle rendite e de’ pesi” riporta una elencazione delle partite di “introito ed esito”, rappresentate in sequenza semplice, senza le classificazioni che caratterizzano la struttura del bilancio di previsione commentato sopra. In fondo al documento si riporta anche l’attribuzioni di 3000 ducati al fondo per le spese “straordinarie ed imprevedute”, tra le quali erano esplicitamente annoverate «la manutenzione delle strade e degli acquedotti interni, quelli delle fabbriche pertinenti alla Comune, le pigioni delle cave per uso della gendarmeria reale ed ausiliaria, ed in fine tutte le spese in dies, ben inteso che non possa il sindaco erogare che le spese indispensabili ed indifferibili, e per le altre debba domandare l’autorizzazione dell’Intendente, dovendo essere anche sua cura di procurarsi i compensi che la legge accorda per le spese militari». L’inciso riportato in calce allo “Stato delle Rendite” richiama dunque la modalità con la quale si sostenevano le spese “straordinarie ed imprevedute”, per fronteggiare le quali si attingeva ad un fondo costituito annualmente in sede di previsione. Riguardo a tale fondo, previsto anche dalla legge “sull’amministrazione civile” del 1816, se ne prescriveva la suddivisione (per le spese “imprevedute”) in due parti: una, di cui disponeva il sindaco, per le spese giornalieri ed urgenti; un’altra soggetta alla previa autorizzazione per l’impiego da parte dell’intendente, destinata alle “spese eventuali straordinarie”. Dall’analisi del complesso documentario fin qui tratteggiata, si evidenzia come dalla seconda restaurazione borbonica ed, in particolare, dalla legge borbonica “sull’amministrazione civile” del 1816, si possano cogliere segnali evidenti di una vasta continuità di fondo con lo spirito riformatore dell’epoca napoleonica. Tra gli elementi peculiari che caratterizzano l’ondata riformatrice francese, in riferimento allo sviluppo di modelli e prassi contabili in risposta a diversificate esigenze conoscitive e di coordinamento, si sottolinea anzitutto la convergenza formale, prima ancora che sostanziale, dei prospetti (come gli stati di previsione) verso modelli omogenei di redazione. A pochi anni dal consolidamento dell’impianto burocratico francese (più precisamente dopo il 1810), si può osservare la comparsa di una classificazione delle voci degli stati di previsione caratterizzata dalla presenza da “titoli” e “capitoli”. Inoltre, in questo periodo giungono ai comuni prospetti provenienti dalle stamperie reali: in luogo dei grossi fogli manoscritti, redatti da ciascun ente in forma più differenziata, vengono adottati modelli parzialmente precompilati. Tali provvedimenti, ovvero la prescrizione di ricomprendere voci di “introito” e di “spesa” in titoli e capitoli dotati di maggiore coerenza rispetto alle classificazioni preesistenti e la predisposizione di prospetti pre-stampati, vanno a suffragare l’ipotesi di una costante tensione, nel disegno francese, verso una omogeneizzazione nel trattamento e nella trasmissione dei dati contabili, non tanto per finalità di comparazione tra lo stato di salute delle finanze dei vari enti o a livello consolidato del regno, quanto nell’ottica dell’attuazione di un controllo tempestivo ed efficace da parte delle magistrature intermedie (prefetti od intendenti, a seconda della realtà territoriale) sulla gestione della spesa pubblica comunale.

Capitolo 10

Lo sviluppo dei documenti preventivi autorizzatori nel Distretto di Sarzana del Regno di Italia (1805-1814) di Simone Lazzini

1. Il contesto politico-amministrativo del Dipartimento degli Appennini La Liguria, dopo il breve intermezzo austriaco, che aveva costituito le “Imperiali e Reali Deputazioni”, con la vittoria dei francesi nella battaglia di Marengo vede insediarsi la nuova “Commissione straordinaria di governo” nominata da Napoleone Bonaparte, con la quale vennero ricostruite le municipalità in conformità dei precedenti ordinamenti del 1798, poste sotto la direzione di commissari straordinari stabiliti nelle Giurisdizioni. Nel 1802 si procedette alla ricostituzione della Repubblica Cisalpina sulla base della Costituzione della Repubblica Italiana derivante dai Comizi di Lione. La legge n. 24 del 17 gennaio 1803 configurò le rinnovate circoscrizioni amministrative mantenendo le denominazioni storiche e riducendo a sei il numero delle Giurisdizioni, ponendole sotto il controllo di un Provveditore con funzioni che ricalcavano sostanzialmente le competenze di un Prefetto. Anche il numero dei comuni, mediante una serie di accorpamenti, nella primavera del 1804 venne ridotto passando da 705 a 324. A seguito dell’annessione alla Francia (25 maggio 1805) cominciò ad operare il blocco continentale (1807) che, applicato in modo deciso in tutti i territori dell’impero napoleonico, segna una decisa involuzione sul piano commerciale della piccola Repubblica genovese. Essa, onorando la propria vocazione marittima, aveva fondato, proprio sulla libertà di scambio con l’estero, la propria intelaiatura economica. Il blocco aveva lo scopo di creare un vasto mercato protetto per le attività commerciali francesi e al contempo assumeva anche una valenza di carattere strategicomilitare sottraendo all’industria inglese il naturale sbocco al florido bacino mediterraneo. Questa impostazione finì per rallentare lo sviluppo economico della Liguria e di

150

Simone Lazzini

Genova, in particolare. Si stima, infatti, una perdita in termini di transazioni commerciali compresa tra il cinquanta ed il sessanta percento rispetto al periodo precedente. Sul piano politico, la complessa portata del dominio napoleonico, ebbe l’effetto di annullare le aspirazioni autonomiste di una larga parte degli ambienti culturali e mercantili del versante ligure di levante che da tempo mal sopportavano il secolare vincolo con il capoluogo genovese ostinatamente ancorato ai propri privilegi di portofranco. L’annessione alla Francia, non rivoluzionò il sistema amministrativo esistente. Le autorità della precedente repubblica ligure, sulla scorta del vicino apparato francese ne avevano già mutuato la formula amministrativa. Sebbene la terminologia prescelta apparisse differente (ad esempio “giurisdizione” al posto di “dipartimento” o “provveditore” in luogo a “prefetto”) l’impostazione risultava sostanzialmente la medesima. La contiguità territoriale contribuì così a rendere l’annessione all’Impero napoleonico assai meno cruenta rispetto ad altre realtà italiane. A livello centrale, le modificazioni costituzionali apportate tra il maggio del 1805 e il marzo del 1810 alla costituzione francese condussero ad un ruolo di preminenza del potere esecutivo rispetto a quello legislativo. La spinta esercitata da Napoleone verso l’instaurazione di una dittatura avvenne mediante il ricorso allo strumento normativo dei Senato-consulti che andarono a modificare lo spirito delle norme costituzionali precedenti contraendo progressivamente il ruolo delle assemblee legislative, espressione della volontà popolare. L’istituzione della Corte dei Conti, della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato si inseriscono perfettamente nel disegno dittatoriale di Napoleone. Le loro competenze, rispettivamente quella di controllo fiscale sulle leggi dello stato, quella di organo giudiziario supremo e quella del Consiglio di Stato di redigere i progetti legge per l’amministrazione pubblica e di dirimere le controversie in merito al contenzioso amministrativo finirono per circoscrivere con decisione il potere delle assemblee legislative che pur permanendo, non riuscirono più ad imprimere la stessa forza di indirizzo che avevano esercitato in passato. Il sistema delle amministrazioni pubbliche venne basato su di una articolazione burocratica strutturata in ministeri e si diede origine ad una “spersonalizzazione” dell’amministrazione pubblica. Si attuò, cioè, la netta separazione tra l’ufficio e il funzionario ad esso preposto e si stabilì una precisa gerarchia tra gli uffici regolata da norme specifiche e suffragate da precise garanzie procedurali. In questo quadro la figura del prefetto, organo appositamente creato nel 1800 per assolvere agli indirizzi del governo centrale, testimonia l’impostazione dirigistica del governo e rappresenta l’emblema stesso del centralismo napoleonico. Il prefetto diverrà, infatti, la figura centrale dell’azione amministrativa ed il perno tra il centro e la periferia dell’Impero condizionando la vita economica, civile e politica dei territori sottoposti. Con il decreto imperiale del 6 giugno 1805 il territorio ligure veniva suddiviso nei dipartimenti di Gènes (Genova), Montenotte (Savona) e Appennins (Chiavari). Il dipartimento degli Appennini risultava ulteriormente articolato in tre distretti

Lo sviluppo dei documenti preventivi autorizzatori

151

o circondari (arrondissements): Chiavari, Sarzana e Borgotaro ai quali si aggiunsero in seguito quello di Pontremoli nel 1908 e quello della Spezia nel 1812. A loro volta i distretti erano divisi in cantoni costituiti, da ultimo, dai comuni 1. I Dipartimenti erano posti sotto il controllo delle prefetture (una per dipartimento) con a capo un prefetto. Il prefetto, come ricordato, aveva un compito essenziale: rappresentava, nel territorio di pertinenza, il governo centrale. Figuravano di sua competenza: il mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza, la tutela della salute pubblica nonché la riscossione delle imposte. In ogni dipartimento vi erano più circondari che dipendevano direttamente dalla sottoprefettura con a vertice il Sottoprefetto che, a differenza dell’impostazione precedente all’annessione, non era nominato dal Prefetto ma direttamente dal Governo centrale francese. Il Cantone era formato da più comuni con una amministrazione separata costituita dall’Assemblea dei rappresentanti espressione di ogni municipalità in esso ricompresa. Il Cantone aveva essenzialmente la funzione di garantire una equilibrata distribuzione dei tributi tra i comuni di sua pertinenza ed ospitava la più piccola divisione giudiziaria essendo la sede dei giudici di pace. Il Comune, ultimo tassello dell’articolata architettura francese, godeva di un vero e proprio apparato amministrativo retto dal Maire (Sindaco) che veniva prescelto in considerazione del prestigio personale e del suo censo. Il Maire era affiancato dagli Aggiunti (assessori) ed assumeva di diritto anche l’incarico di Presidente del Consiglio comunale. Dal punto di vista della esazione tributaria l’annessione allo Stato francese segno un deciso cambiamento. Venne istituita la figura del Ricevitore generale presente in ogni dipartimento a cui si affiancava un esattore per circondario. Ai percettori designati spettava il compito di provvedere all’incasso delle contribuzione dirette e dei dazi (Octrois). L’imposizione diretta era strutturata principalmente sulla tassa prediale fondiaria a beneficio alla quale si aggiungevano l’imposta addizionale del dipartimento, l’imposta personale e mobiliare ed una imposta sulle porte e finestre. Con il decreto imperiale del 15 gennaio 1809 venne istituita anche una imposta sulla “patente di mestiere” che gravava sugli artigiani e commercianti che volevano insediare nei comuni una attività o compierne una differente. Le precedenti imposte indirette sugli alcolici, sul tabacco e sulle carte da gioco vennero inglobate nella “Règia dei diritti riuniti” alla quale si aggiungevano le imposte di bollo e di registro e le corvè sulla realizzazione delle infrastrutture viarie e per le opere pubbliche che gravavano sulle amministrazioni locali. All’esazione dei dazi veniva riconosciuta grande importanza per questo motivo il Prefetto in data 7 maggio 1807 nominava per decreto dei controllori principali

1

A. Faro (a cura di), Vita amministrativa e giudiziaria del dipartimento degli Appennini, Grafiche Lunensi, Sarzana, 2003.

152

Simone Lazzini

sui dazi con il compito di sovraintendere alla loro riscossione proprio a testimoniare il controllo che si voleva esercitare su questo tipo di entrate. In ragione di questo erano previsti dei bordereaux standardizzati su cui il compilatore avrebbe dovuto specificare la tipologia di dazio, l’importo percepito, e l’individuazione di colui che effettuava il pagamento. Ai comuni era affidata l’esazione dei dazi sui beni transitati sul territorio di pertinenza per i quali era previsto un obbligo di versamento mensile. All’importo del dazio, prestabilito dal Prefetto, i Comuni potevano sovrapporre una contribuzione in centesimi addizionali così come imporre ulteriori prelievi fiscali a gravare sui canoni di censo o di livello, sulle rendite derivanti da fitti e sul taglio dei boschi. L’autonomia amministrativa locale con il dispiegarsi della dominazione francese risultò estremamente labile e circoscritta. Ad ogni livello gerarchico era stato posto un funzionario di nomina governativa che rappresentava l’autorità centrale portatore del mandato preciso di esercitare un controllo stringente. I funzionari governativi avevano oltre al più completo controllo sugli atti amministrativi dei comuni, potendoli annullare o modificare, anche la facoltà di sospendere o revocare gli amministratori locali. I funzionari locali erano in gran parte svuotati dell’autonomia che aveva da sempre contraddistinti diventando unità amministrative a cui era semplicemente demandata la tutela dell’interesse locale nel rigido rispetto delle vincolanti disposizioni normative.

2. L’assetto contabile del distretto di Sarzana Il 25 maggio 1805 l’annessione della Repubblica Ligure all’Impero francese non sancisce l’immediato abbandono delle precedenti impostazioni, che subiranno una graduale ma costante riconfigurazione amministrativa nell’intero periodo di dominazione. A partire dal 1806 cominciano ad operare gli assetti contabili francesi che dovettero necessariamente conformarsi al precedente impianto nel tentativo di impostare un sistema informativo che potesse garantire all’amministrazione centrale un controllo sui nuovi territori.

Lo sviluppo dei documenti preventivi autorizzatori

153

Figura 1 – Il budget per l’anno 1806

Il sistema di documenti previsionali si apre con un Budget relativo all’anno 1806 che si presenta come un quadro sinottico in forma tabellare in grosso formato diviso in due sezioni denominate “Introito” ed “Esito” con una esplicita finalità autorizzatoria. Nella colonna “Introito” si articola in tre sezioni riferite alle Parrocchie di Sarzana, Sarzanello e Falcinello di contenuto differenziato in ragione della singola parrocchia. Quella di Sarzana si articola in centesimi addizionali; Livelli; affitti; actrois (Pane; olio, vermicelli, carni, vino pese e misure). Gli “esiti” sono anch’essi divisi per parrocchia comprendenti il Vigesimo a fa-

154

Simone Lazzini

vore della compagnia militare che opera sul territorio, i salari, le spese di “buro”, le spese per la guardia, e debito nei confronti delle signori; manutenzioni. A corredo del Budget è presente un documento di spiegazione in cui trovano dettaglio le modalità di compilazione ed inserzione delle singole partite. Il documento espone un primo risultato intermedio che si ottiene come contrapposizione tra le entrate previste e le spese che si intende effettuare. In particolare per l’anno preso in esame il “deficit” è pari a 15972 franchi. Nella parte finale del documento sono riportate le modalità con cui il disavanzo verrà colmato con le conseguenti previsioni di entrata al fine di consentire la chiusura del documento in pareggio. Viene esposto un deficit con le modalità di copertura per giungere al pareggio complessivo (cfr. Figura 2). A corredo del Budjet è presente un documento di spiegazione in cui trovano dettaglio le modalità di compilazione ed inserzione delle singole partite. Figura 2 – Modalità di ripiano del deficit previsto

Il documento è completato con la data di delibera di approvazione da parte del Consiglio Comunale di Sarzana che avviene il 22 marzo 1806 e riporta l’indicazione dell’autorizzazione ricevuta dal Prefetto sulle modalità di copertura del deficit. Il sistema di programmazione non si esaurisce con il solo documento di sintesi esposto, ma a seguito della sua approvazione da parte del Prefetto, il Maire approva altri due documenti di programmazione ad ulteriore specificazione che avranno valenza di stanziamento definitivo per l’esercizio 1806 che verranno ulteriormente sottoposti ad autorizzazione da parte del Consiglio Comunale e nuovamente da Sottoprefetto e Prefetto.

Lo sviluppo dei documenti preventivi autorizzatori

155

I due budget presentano la medesima struttura ma hanno un orizzonte temporale differente. Il primo budget comprende una previsione relativa al solo esercizio 1806 avendo riguardando 12 mesi, mentre il secondo budget ha lo scopo di ampliare il periodo di osservazione esponendo i dati cumulati che riguardano un periodo di 18 mesi e dieci giorni: dal 23 settembre 1805 a tutto il 1806. Figura 3 – Budget annuale

156

Simone Lazzini

Figura 4 – Budget a 18 mesi e 10 giorni

Per quanto riguarda l’esercizio 1807 viene abbandonato il precedente sistema articolato in più documenti e si adotta un unico documento di programmazione su cui il prefetto procederà ad approvare le evidenze contabili finali in una apposita sezione autorizzatoria. Nel budget relativo all’anno 1807 si assiste al primo cambiamento formale dei documenti contabili riferito al dipartimento degli appenini, circondario di Sarzana; Comune di Sarzana. Il documento denominato Budjet de’ redditi, e spese per l’anno 1807, si presenta come un quadro sinottico in due pagine. Il tergo è diviso in due colonne: la prima ar-

Lo sviluppo dei documenti preventivi autorizzatori

157

ticolata in due quadri. In quadro in alto rappresenta l’importo dei debiti pregressi, mentre quello in basso sintetizza i redditi previsti per l’anno. La seconda colonna è dedicata alle osservazioni relative alle modalità di copertura dei debiti pregressi. Le spese del comune vengono esposte per natura. È possibile notare per ogni importo il proponente (Maitre; Consiglio del Municipio; Sotto-prefetto, Prefetto). La differenza tra le entrate e le uscite viene accantonato Fondo di riserva. Nel 1809 prosegue l’evoluzione formale della documentazione previsionale sebbene i cambiamenti appaiono assai più modesti. Nel 1809 i debiti trovano annotazione nel margine superiore divisi in quelli che comportano interessi e in quelli che per i quali non si deve sostenere il relativo onere. La sezione di destra espone una classificazione per natura dei “redditi” con altre colonne di dettaglio informativo. Le spese anch’esse articolate per natura i articolano in un elenco standard di 11 voci a cui viene lasciata la facoltà di da parte del redattore di espanderne le voci. Nella fattispecie fino a 30. A corredo del budget un quadro di svolgimento per l’evidenza delle designazioni dei beni. Figura 5 – Sezione autorizzatoria anno 1807

158

Simone Lazzini

Dal 1809 la forma rimane la medesima ma viene deciso di introdurre un notazione in testo nella sezione dei redditi per quanto riguarda la designazione dei beni con l’indicazione nell’ultima pagina della “recapitolation generale”. Il documento riporta l’iter di approvazione. Nel 1811 l’articolazione dei documenti di previsione cambia nuovamente. Il budget viene denominato “Etat des Recettes ed Depenses del la ville de Sarzana”. Il documento non chiude più a pareggio ma espone un risultato di amministrazione definito difference en deficit o “eccedence”. L’impronta dirigistica della dominazione francese trova il suo compimento nella stesura di un documento prestampato che viene fatto pervenire a tutti i comuni che dovranno così procedere alla redazione del budget semplicemente compilandolo. L’esigenza di avere dati e riferimenti omogenei e al contempo di limitare i possibili arbitri che una eccessiva autonomia poteva lasciare alle singole municipalità sfocia in una precisa struttura documentale che rimarrà, nei suoi tratti sostanziali, ben oltre la dominazione francese. Si assiste, infatti, all’articolazione delle entrate e delle spese in titoli e capitoli che si concludono con una ricapitolazione generale delle entità esposte. Figura 6 – Il budget anno 1812 – Titre II e Titre III

Lo sviluppo dei documenti preventivi autorizzatori

159

Figura 7 – Il budget anno 1812 – Titre IV

Il 1815 è un anno di transizione, non è più presente la documentazione nella forma richiesta negli anni precedenti ma si procede alla redazione di un “quadro attivo e passivo”. Si presenta come un elenco-inventario in cui trovano esposizione i redditi che si presume di percepire nell’esercizio entrante. Con la fine della dominazione francese la struttura dei documenti previsionali viene nuovamente cambiata. Si assiste all’abbandono della lingua francese e il documento di previsione assume la denominazione di Causato o Conto preventivo.

160

Simone Lazzini

Figura 8 – Causato del 1820

Soffermandosi sull’analisi del metodo contabile utilizzato nel periodo in oggetto appare opportuno ribadire la distinzione tra il concetti di sistema conto e metodo 2. Il metodo di registrazione può essere inteso come una ordinata serie di norme per la razionale compilazione di note scritte mentre il sistema di scritture è da intendersi come una serie di registrazioni già composte relative ad un solo oggetto complesso 3. In ragione a quanto affermato il metodo fa riferimento alle scritture nella loro fase compilativa concentrandosi sulla forma e sui collegamenti che si instaurano tra di esse. Il sistema, invece, è il frutto di scritture precedentemente concepite e svolte intorno ad un oggetto e alla sua estensione.

2

F. Besta, Corso di ragioneria professato alla Classe di Magistero nella R. Scuola Superiore di Commercio di Venezia, parte I, tomo I, Tipografia Visentini, Venezia, 1885. 3

F. Besta, Corso di ragioneria professato alla Classe di Magistero nella R. Scuola Superiore di Commercio di Venezia, cit.

Lo sviluppo dei documenti preventivi autorizzatori

161

Mentre il metodo di tenuta della contabilità rappresenta, dunque, l’insieme delle norme, le regole, la tecnica con cui vengono tenute le scritture amministrative 4 in merito al loro ordine, forma e collegamento. Il conto è quell’insieme di scritture relativo ad un dato oggetto semplice, avente lo scopo di rilevarne l’aspetto qualitativo e quantitativo. Con il termine sistema di rilevazione si intende fare riferimento, infine, all’insieme di scritture riguardanti un oggetto complesso, variabile a seconda dell’impostazione dottrinale, con la finalità di evidenziarne il contenuto. Detto ciò è possibile comprendere come un dato sistema di rilevazione possa comporsi su base contabile o extra contabile, a seconda che si avvalga o meno dello strumento “conto”, possa essere in partita semplice o doppia, in relazione al fatto che le grandezze oggetto di osservazione siano raggruppate o meno in funzione di un criterio sottoposto ad un vincolo di costante equivalenza aritmetica 5. Utilizzando tale distinzione è possibile affermare che il metodo contabile utilizzato è inquadrabile tra quelli a partita semplice non facendo riferimento a una regola di redazione costante ne tantomeno ad una esplicitata corrispondenza di rapporti tra le partite esposte, ma la loro compilazione dipende esclusivamente dai criteri che orientano il compilatore. Il sistema impiegato si colloca tra i sistemi cosiddetti principali estendendosi ad un’oggetto complesso “il sistema finanziario” ossia la dimensione delle entrate e delle spese dell’ente 6. Aggiungendo ai criteri discriminanti precedentemente esposti, anche quelli espressi dai ben più attuali principi internazionali la configurazione dei sistemi contabili coinvolge almeno altri due aspetti fondamentali. Il primo riguarda la statuizione di un criterio discriminante necessario per riconoscere quando una determinata operazione sia di competenza di un certo esercizio (basis of accounting). Il secondo aspetto consiste, invece, nello stabilire le modalità di rappresentazione, ovvero la forma mediante la quale le informazioni contabili verranno esposte nei documenti. Completando l’analisi con queste ulteriori dimensioni di analisi è possibile osservare come il criterio di inserzione dei valori rispetti la nota impostazione di 4

Nelle sue concezioni più restrittive il termine rilevazione fa riferimento alla presa in “nota dei dati relativi al tempo, alla qualità, alla misura” delle operazioni d’azienda in relazione al loro compimento. Aldo Amaduzzi, L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, Torino, Tipografia Sociale Torinese, 1957, p. 508. Oppure sempre in questo senso «la raccolta o la rappresentazione ordinata dei dati che “quantificano” determinati caratteri dei fatti o dei fenomeni aziendali» G. Ferrero, Istituzioni di economia di azienda, Giuffrè, Milano, 1968, p. 316. In senso più ampio la rilevazione fa riferimento ad un vero e proprio processo di acquisizione di conoscenza informativa per esempio Zappa in merito alla rilevazione sostiene che essa osserva i fatti «nei loro modi di essere, nei loro molteplici aspetti, nei loro coordinati svolgimenti, nei loro risultati» G. Zappa, Le produzioni nell’economia dell’imprese, Giuffrè, Milano, 1957, p. 103. 5

Aldo Amaduzzi, L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, Tipografia Sociale Torinese, Torino, 1957. 6

S. Coronella, Dei veri e falsi metodi di registrazione: un inquadramento storico-dottrinale, in Contabilità e Cultura Aziendale, Vol. IX, n. 1, 2009.

162

Simone Lazzini

stampo giuridico-formale in cui i processi di entrata e di spesa sono attivati mediante procedure di accertamento ed impegno che scaturiscono successivamente in mandati e reversali. Dal punto di vista della forma di rappresentazione si nota come si passi da una raffigurazione sostanzialmente libera ad una esposizione formalizzata e fortemente standardizzata. Pur riconoscendo alla questione della denominazione dei prospetti una valenza soprattutto linguistica, permanendo i tratti essenziali nei criteri di redazione degli stati di previsione anche dopo le modificazioni nell’intitolazione degli stessi, sembra opportuno notare come in Liguria, anche forse per la contiguità, non solo geografica, con il territorio francese, l’uso del termine “budjet” fosse da tempo invalso.

Capitolo 11

La ragioneria pubblica nella prima metà del Novecento: la “scienza” economicoaziendale torna “arte” giuridica? di Luca Anselmi, Simone Lazzini, Sabina Ponzo 

1. Ancora della ragioneria pubblica nella prima metà del Novecento Il tema della contabilità pubblica in Italia è stato oggetto di ampi dibattiti dal periodo dell’unificazione sino ai giorni odierni. Il primo sistema contabile dello Stato italiano, del resto, è persino più antico dello Stato italiano stesso, nel senso che trova le sue origini nell’ordinamento del Regno di Sardegna. Le principali tappe della evoluzione dell’ordinamento finanziario e contabile italiano furono scandite dai contributi apportati da eminenti studiosi, che legarono il loro nome non solo alle riforme (o più spesso ai tentativi di riforma) che hanno interessato l’amministrazione finanziaria e la contabilità generale delle pubbliche amministrazioni, ma sono unanimemente considerati dalla comunità scientifica i “Maestri” della ragioneria e gli antesignani dei significativi sviluppi che seguirono. Francesco Villa, nella prima metà del XIX secolo, sostenne la necessità di un approccio unitario per affrontare le questioni di contabilità (teorica e applicata) e, più in generale, quelle relative all’intera amministrazione economica, sia in ambito pubblico, sia privato. Giuseppe Cerboni, dopo il 1860, concepì l’amministrazione economica come un unitario procedere di funzioni, tra le quali sicuro rilievo doveva essere assegnato a quelle di contabilità e di controllo. Fu ragioniere generale del neo-costituito Regno d’Italia ed in tale veste dispose l’applicazione dei principi, delle metodologie e delle tecniche della logismografia. Grazie agli studi di Fabio Besta, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, la ragioneria giunse alla piena maturità scientifica, configurandosi come «scienza del controllo economico». Dettò principi, tecniche e metodologie della disciplina unitaria del controllo (la ragioneria), applicabili alle amministrazioni private e pubbliche, di tutte le dimensioni, * Il capitolo è frutto del lavoro congiunto degli autori. In particolare, Luca Anselmi è autore del paragrafo 1; Simone Lazzini è autore del paragrafo 2; Sabina Ponzo è autrice del paragrafo 3.

164

Luca Anselmi, Simone Lazzini, Sabina Ponzo

economiche nel fine o solo nel mezzo. Elaborò regole apposite di contabilità di Stato, basate sull’unitario sistema patrimoniale, che furono realmente adottate alle scritture delle amministrazioni centrali. E mentre sul piano dottrinale i Maestri animavano il dibattito circa la ragioneria, se dovesse intendersi come arte o scienza, a sé stante (Besta, 1909; Ceccherelli, 1922) o una delle discipline costitutive della scienza economico-aziendale (Zappa, 1927; Onida, 1951; D’Ippolito, 1940a; Amaduzzi, 1953), o configurarsi nel duplice aspetto di arte e di scienza insieme (Cerboni, 1886; Rossi, 1921), allo stesso tempo trasponevano le proprie concezioni teoriche in proposte operative, che in molti casi ebbero concreta attuazione presso diverse amministrazioni dello Stato. Un simile clima di fervente attività scientifica da parte di così illustri studiosi indurrebbe logicamente a supporre la realizzazione di un processo di perfezionamento del sistema contabile pubblico graduale ma progressivo, verso livelli di completezza, significatività e sofisticazione sempre più elevati. Il naturale processo evolutivo dei sistemi contabili dovrebbe normalmente tenere conto delle diverse esigenze che emergono dal mutare del contesto storico e socio-economico, delle esigenze gestionali e dell’approccio delle autorità politiche ed amministrative. La produzione normativa, così come gli approcci economicoaziendali al problema della gestione delle amministrazioni pubbliche ed il loro impianto tecnico-contabile sarebbero dovuti essere costantemente in grado di seguire i mutamenti nelle condizioni di contesto entro cui assolvere le proprie funzioni, specialmente in condizioni in cui i cambiamenti culturali, sociali, politici e tecnologici si sono succeduti ad un ritmo molto intenso. I dibattiti che hanno visto la luce circa la definizione dell’ordinamento della contabilità pubblica hanno assunto, quindi, valenze differenti in relazione al contesto storico, politico ed economico in cui si sono sviluppati, ponendosi anche in modo trasversale rispetto a diversi settori scientifico-disciplinari. La multidisciplinarietà dell’oggetto contabile pubblico lo ha reso terreno di ricerca di diverse discipline ma il naturale prevalere nel campo dell’approccio ragioneristico è andato scemando contro ogni ragionevole aspettativa, cedendo sotto il peso della “invadenza”, di proporzioni sempre più significative, delle scienze giuridiche. Segno tangibile del decadimento di tale primato fu il declino e al tramonto del metodo della partita doppia, che per più di cinquant’anni era stata applicata alle scritture contabili dello Stato, sebbene non sempre in modo continuativo ed in forme talvolta “creative”. A partire dal periodo caratterizzato dalla prima guerra mondiale, infatti, il metodo venne progressivamente disatteso, fino al suo sostanziale abbandono ed alla rimozione, nel 1924, del precetto normativo che ne prevedeva l’utilizzo, in conseguenza della riforma De Stefani. La riforma degli anni Venti segnò l’abbandono delle rilevazioni di carattere economico-patrimoniale a favore di quelle di natura finanziaria ed il bilancio di previsione dello Stato si configurò quale documento essenzialmente giuridicoautorizzatorio e vincolistico di tutto l’apparato amministrativo pubblico. A poco valsero le posizioni di due dei maggiori studiosi di economia aziendale

La ragioneria pubblica nella prima metà del Novecento

165

dell’epoca, Gino Zappa ed Aldo Amaduzzi, che espressero critica e disappunto per l’abbandono della logica economico-patrimonialistica, a favore di una metodica esclusivamente finanziaria; per l’inadeguatezza del sistema a rappresentare in maniera sistematica la dimensione economico-patrimoniale delle dinamiche gestionali; per l’inefficacia di un impianto contabile e di bilancio diretto esclusivamente alla realizzazione del controllo di legittimità degli atti posti in essere dall’amministrazione, senza la dignità di strumento di governo della gestione. Zappa criticò i criteri, dettati dalla riforma De Stefani, sulla base dei quali redigere i bilanci di previsione, che li rendevano inidonei a costituire uno strumento di guida per la gestione unitaria delle aziende pubbliche. Essi rappresentavano prevalentemente degli strumenti di gestione finanziaria e di costruzione del vincolo nei rapporti fra organi politici ed amministrativi, ma non contribuivano alla razionalizzazione dei processi decisionali, per il conseguimento delle finalità istituzionali. Amaduzzi si dedicò con specifico interesse allo studio delle “aziende di erogazione”, anch’egli attestandosi su posizioni di critica nei confronti del sistema contabile e di bilancio dello Stato. Giudicò inadeguato il sistema delle rilevazioni amministrative ai fini della rappresentazione della dimensione economica della gestione e, a tale scopo, auspicava il ricorso ad un sistema di scritture che considerassero al tempo stesso gli aspetti finanziari, economici e patrimoniali della dinamica della gestione. Sul piano tecnico, tale obiettivo poteva essere realizzato attraverso l’implementazione di un sistema di scritture doppie, secondo i criteri e le regole tipici di quello delle aziende di produzione, integrato da un sistema di scritture semplici (all’occorrenza affiancato da rilevazioni di tipo statistico) per la rappresentazione degli aspetti più propriamente finanziari. La legge De Stefani, nel sopprimere il metodo della partita doppia, non diede indicazioni alternative sulla scelta del metodo di scrittura, rimettendo alla responsabilità del ragioniere generale l’individuazione di quello ritenuto più idoneo a rappresentare i fatti amministrativi dello Stato. Nella pratica, le singole rilevazioni vennero effettuate con scritture elementari che si concentravano sugli aspetti finanziari, pur in presenza di prospetti riassuntivi “economici”. Non ci si interrogò sulla sufficienza, completezza ed attendibilità del sistema di rilevazioni che dovevano condurre alla predisposizione dei bilanci. Il ragioniere generale in carica, Vito De Bellis, si disse fermamente convinto del fatto che in una amministrazione come quella dello Stato le scritture semplici fossero più utili ed efficaci (De Bellis, 1927). Il solo aspetto finanziario fu ritenuto sufficiente a fornire gli elementi per deliberare. Non fu percepita la necessità di realizzare un collegamento sistematico e contestuale dell’aspetto finanziario con quello economico e con quello patrimoniale, portatori di visioni integranti ed originarie di altri aspetti della gestione. La flessibilità dei sistemi contabili ed il loro cambiamento nel tempo sono fenomeni fisiologici ed auspicabili, purché in ogni momento venga rispettato il principio secondo cui ogni buon sistema è basato su scelte adeguate ai fini che gli vengono assegnati. Ciò impedisce di pervenire ad una soluzione contabile e gestionale definitiva, obiettiva e trasparente in ogni epoca: una condizione per l’efficacia di

166

Luca Anselmi, Simone Lazzini, Sabina Ponzo

un sistema, infatti, è la flessibilità tecnica necessaria per adeguarsi alle nuove eventuali occorrenze nel sistema degli obiettivi che si intendono perseguire, senza toccare i principi che presentano invece caratteri di lunga durata. Nella progettazione dei cambiamenti contabili, pertanto, bisognava tener debito conto della necessità, soprattutto in fase di crescita dell’intervento pubblico nell’economia, di disporre di informazioni sull’aspetto economico della gestione. Ciò che è sembrato mancare lungo il percorso evolutivo (involutivo?) dei sistemi contabili pubblici è stata la consapevolezza che le informazioni richieste non hanno come unico scopo la soddisfazione delle esigenze autorizzatorie e di creazione del vincolo, bensì quello di alimentare i processi decisionali interni, per la guida ed il controllo dell’organizzazione (Riparbelli, 1943), ed esterni (in primis per l’espressione consapevole della volontà elettorale e per la legittimazione democratica). Il rilievo delle summenzionate finalità esalta il ruolo delle logiche di costruzione del sistema informativo-contabile e delle modalità con cui avviene la conversione della dinamica aziendale in cifre e delle cifre in andamenti economici (Giannessi, 1960). Alla ragioneria, dunque, viene demandato un compito di cruciale importanza, che impone una profonda meditazione sugli sviluppi che la hanno interessata e che la attendono. Anche a livello internazionale, la distinzione tradizionalmente effettuata tra “accounting” e “management” viene oggi attenuata nei toni del “financial management”, intendendo con ciò elevare la materia contabile verso livelli di maggiore astrazione e scientificità. La destinazione interna delle informazioni, che prima era considerata propria e quasi esclusiva della “management accounting” (Anthony, 1969), viene finalmente riconosciuta anche alla “financial accounting”, che riveste il duplice ruolo di supporto alle decisioni assunte sia internamente, sia esternamente all’azienda che le produce. Quando il termine “ragioneria” è ulteriormente qualificato dall’aggettivo “pubblica”, il fatto che le “cifre” in cui è convertita la dinamica aziendale facciano riferimento a risorse investite dalla collettività rende tale considerazione ancor più rilevante. È evidente, pertanto, la necessità di una visione unitaria della sistematica amministrativa e contabile per i soggetti tanto pubblici, quanto privati, sebbene in presenza di specificità tecniche o metodologiche. È per questo motivo che il presente lavoro si interroga circa le radici dei principali cambiamenti che hanno interessato le logiche di rilevazione della vita amministrativa delle pubbliche amministrazioni e le tecniche contabili ad esse sottostanti. Il paragrafo seguente mira a qualificare le “aspettative”, interne ed esterne, verso un sistema informativo-contabile pubblico, funzionale ad esigenze particolari di un dato contesto storico, ma che in larga parte si sono mantenute immutate nel tempo e che sono rimaste amaramente inascoltate. Il terzo paragrafo propone un duplice raffronto tra le esigenze informative previamente individuate ed i sistemi contabili in vigore nella prima metà del XX secolo e tra tali sistemi e quelli che la dottrina ragioneristica ed economico-aziendale aveva prefigurati e promossi.

La ragioneria pubblica nella prima metà del Novecento

167

2. Esigenze conoscitive e sistemi contabili La contabilità pubblica, in ogni tempo e luogo, è chiamata ad esprimere una continua aderenza alle evoluzioni intervenute nel sistema delle amministrazioni delle quali deve rilevare la vita amministrativa e a tenere fede alle responsabilità, alle funzioni ed alle competenze che le contraddistinguono. Ciò significa che i cambiamenti che nel tempo hanno interessato i sistemi contabili pubblici sarebbero dovuti essere la conseguenza ed il frutto di una serie di profonde innovazioni, tese, nel loro divenire complessivo, a pervenire a sistemi in grado di rispondere alle esigenze conoscitive ed informative espresse dalle amministrazioni pubbliche entro cui sono implementati. Migliorare la qualità dell’informazione contabile prodotta risponde al preciso dovere di coloro che amministrano le risorse pubbliche, i quali debbono spiegare e dimostrare il loro operato. Questo concetto di responsabilità e di “resa del conto” pre-esiste, di fatto, alla formalizzazione della nozione di “accountability”, che seguì solo molti decenni più in là nel tempo (Dubnick e Romzek, 1987) e che assume caratteri ben più complessi. Lo stesso Zappa esprimeva il monito che se la ragioneria «vuole vivere feconda» avrebbe dovuto rinunciare alla supposizione (presunzione) di essere giunta a definitivo compimento poiché le teorie che la animano richiedono sempre «una verifica delle medesime ed un adattamento ai tempi nuovi» (Zappa, 1927). Di conseguenza, mentre il concetto tradizionale di “resa del conto” mantiene il proprio ruolo le attività di commisurazione, di sintesi e di comunicazione dei risultati conseguiti nell’esercizio, l’accountability attiene, invece, ad un processo di rendicontazione più ampio che non si esaurisce nella mera rappresentazione degli esiti economici della gestione, ma abbraccia la valutazione del ruolo dell’organizzazione e delle modalità con cui essa onora le responsabilità che le derivano dalla funzione alla quale è preposta. Il fondamento dottrinale della accountability risale, come detto, alle esperienze contabili pubbliche dei secoli passati, oltre che al fondamentale apporto della teoria dell’agenzia e della teoria degli stakeholders. I sistemi contabili sono rivestiti della importante funzione di evidenziare i risultati conseguiti a seguito dell’attività di gestione posta in essere con una duplice finalità. Una sollecita il ruolo di vettore di informazioni, destinate ad alimentare i processi di pianificazione e programmazione; una consente alla collettività amministrata di effettuare il riscontro sull’attività degli amministratori. L’obbligo di dare conto costituisce in tal senso un potente strumento per rinsaldare il rapporto tra le pubbliche amministrazioni ed il cittadino nel processo di legittimazione democratica. Riparbelli si esprimeva in proposito sostenendo come il processo di rendicontazione, e la ragioneria che lo alimenta, non soltanto consente di ricordare e controllare i fatti economici che costituiscono la gestione, ma altresì contribuisce a «dare norme di saggia amministrazione in quanto, permettendo la completa conoscenza dei fatti avvenuti, offre elementi per l’orientamento amministrativo dei fatti futuri» (Riparbelli, 1943).

168

Luca Anselmi, Simone Lazzini, Sabina Ponzo

Mentre la riforma degli anni Venti sembrava deliberatamente ignorare questa duplice funzione, il Ceccherelli avvertiva della necessità di riconoscere due funzioni principali ai processi di rendicontazione, in generale, e dell’informativa di bilancio, in particolare, rilevando come mediante i bilanci consuntivi fosse possibile assolvere le funzioni di “controllo” e di “rendiconto”. La funzione di controllo si riferiva all’interpretazione e alla revisione dei fatti nel periodo preso a riferimento. Essa si esplicitava in un’attività di “controllo di confronto” tra risultati previsti e risultati conseguiti per le aziende vincolate da un bilancio di previsione e in una attività di “controllo di andamento e di efficienza” per le aziende commerciali. La funzione di rendiconto riguarda, invece, gli amministratori che, nella veste di mandatari, devono dare dimostrazione per mezzo dei documenti consuntivi dei risultati della gestione da loro posta in essere. Questa seconda accezione presagisce già il concetto di accountability in termini più ampi del solo aspetto desumibile dal bilancio. L’autore precisa, infatti, che «il bilancio può assumere funzione di rendiconto e, quindi, se la parola bilancio, può, in alcuni casi, assorbire ed essere comprensiva del significato di rendiconto, la funzione di rendiconto non può essere identificata, né può servire a caratterizzare il procedimento tecnico-contabile, cui si intende riferirsi con l’espressione bilancio. […] in altri termini la resa dei conti possa farsi anche con dimostrazioni relazioni e conteggi indipendenti dal bilancio» (Ceccherelli, 1939). Il tema del cambiamento dei sistemi contabili si lega strettamente all’esigenza delle amministrazioni di rendere conto ai propri portatori di interessi per le responsabilità da esse assunte nei loro confronti. La crescente complessità dei sistemi entro cui implementare i nuovi modelli di contabilità che si manifestò nell’epoca in cui avvenivano le riforme necessitava dell’elaborazione di proposte rispondenti alle esigenze di analizzare, interpretare e comprendere i fatti e gli accadimenti della gestione, affinché le strumentazioni tecnico-contabili contribuissero significativamente alla raccolta delle conoscenze utili a favorire il governo economico e responsabile dell’azione amministrativa. La progettazione dei sistemi informativi, ora come allora, doveva tener conto, da un lato, di esigenze decisionali sempre più articolate e complesse, dall’altro, dell’esigenza di esprimere livelli crescenti di accountability, intesa come necessità di rendere conto dell’operato e delle azioni da parte di chi avesse un ruolo di responsabilità nei confronti della società o delle parti interessate. Il conseguimento di tale obiettivo, in qualsiasi epoca si ponga il problema, passa necessariamente attraverso l’individuazione dei principi e delle metodologie da adottare nei processi di elaborazione e comunicazione delle informazioni contabili ed extracontabili. Tale concezione evidenzia l’esigenza, da parte delle realtà aziendali pubbliche, di gestire i processi di rendicontazione con la finalità di giustificare, spiegare e dimostrare, in modo trasparente ed univoco, gli impatti riconducibili al proprio operato. Il sistema informativo-contabile, parte del più ampio sistema informativo aziendale (Marchi, 1993), si pone, quindi, come nucleo centrale degli strumenti di supporto decisionale e come cardine per alimentare i processi di rendicontazione pubblica.

La ragioneria pubblica nella prima metà del Novecento

169

La comunicazione economica riveste, pertanto, un ruolo fondamentale dal quale non è possibile prescindere; la valenza che essa assume è tale da configurare questa attività come una vera e propria funzione di interesse pubblico, in quanto chiamata, in chiave strumentale, a regolare i rapporti tra la collettività e gli amministratori della “cosa pubblica”. Il concetto di responsabilizzazione richiama senza dubbio l’attenzione sull’efficacia e sulla razionale utilizzazione delle risorse finanziarie ma ribadisce la necessità di accrescere la capacità delle amministrazioni pubbliche di rispondere alla domanda di informazioni e di trasparenza da parte dei diversi interlocutori. Il sistema di rilevazione contabile delle pubbliche amministrazioni ha seguito nel tempo una profonda evoluzione che ha ne modificato caratteri, funzioni, metodologie e prassi, differenziandosi in relazione al soggetto pubblico in cui veniva a costituirsi, sia che si trattasse di amministrazione centrale, di organi periferici, di regioni, province o comuni (Anselmi, 2001). Storicamente, la prima impronta secondo la quale si sono sviluppati i sistemi di contabilità pubblica rifletteva una esigenza di carattere quasi esclusivamente autorizzatorio. Con il lento e graduale affermarsi dello Stato rappresentativo, la contabilità pubblica diventò lo strumento per regolare i rapporti tra i vari soggetti coinvolti nel processo democratico: tra i cittadini ed i propri rappresentanti, tra gli organi di rappresentanza politica e quelli esecutivi e tecnico-amministrativi, fino a supportare le relazioni che scaturiscono dai diversi ruoli e competenze riconosciuti ai vari livelli territoriali. Nella maggioranza dei casi, infatti, gli stati hanno modificato il proprio sistema contabile in corrispondenza del momento storico in cui si sono formati i governi e costituite o ricostituite le amministrazioni che ne abbiano mutato l’indirizzo politico, amministrativo e contabile, a seguito di innovazioni sensibili nei propri apparati e nelle proprie modalità di interazione con l’esterno (Anselmi, 2001). La funzione autorizzatoria dominava, e per certi aspetti domina ancora a distanza di così tanto tempo, l’intero impianto di rilevazione della contabilità pubblica su base finanziaria, che, pur mantenendo le caratteristiche di sistematicità e cronologicità, tipiche della contabilità economico-patrimoniale, se ne discosta per il momento in cui i valori vengono rilevati enfatizzando l’aspetto giuridico delle operazioni. Nella loro valenza tradizionale, le rilevazioni in oggetto sono caratterizzate dall’evidenziazione della sola dimensione numeraria delle operazioni, così come dal momento della rilevazione, che si riferisce alle fasi giuridiche dei processi di entrata e di spesa, e dall’assenza di scritture di rettifica, nonché dal ricorso alla tecnica di rilevazione effettuata con il metodo della partita semplice. Ponzanelli nei propri studi sottolineò come lo scopo di ogni ordinato sistema di contabilità fosse quello di giungere a presentare i risultati di fine periodo. Partendo da questo presupposto unificatore precisò che quando il metodo era stato parziale, come nel caso delle scritture semplici, il rendiconto non poteva essere redatto se non ricorrendo ad una “quantità di operazioni” volte a “rintracciare l’origine (economica), seguire lo sviluppo e riscontrare l’effetto dei fatti amministrativi”. Lo studioso prosegue ribadendo come risieda proprio in questo elemento il “difetto insanabile” delle scritture semplici (Ponzanelli, 1975).

170

Luca Anselmi, Simone Lazzini, Sabina Ponzo

Poste queste caratteristiche e assumendo come obiettivo l’innalzamento del grado di accountability del sistema contabile, la contabilità economico-patrimoniale presenta delle indubbie potenzialità rispetto a quella finanziaria (Mulazzani, 2001), la quale è l’espressione dell’assegnazione alle scritture di finalità di controllo burocratico ed autorizzatorio, rispondenti ad una logica di compliance accountability (Normaton, 1966; Sinclair, 1995; Stewart, 1984). Poca importanza è stata attribuita alla sostanziale incapacità dei meccanismi di controllo preventivo di evitare il realizzarsi di comportamenti distorsivi quali, ad esempio, l’erronea percezione del rispetto dei limiti di spesa come fine piuttosto che come semplice vincolo ed il concentrarsi sulle singole spese invece che sul perseguimento dell’equilibrio tra ricchezza impiegata e generata (Borgonovi, 1996). L’impostazione amministrativo-burocratica ha sempre privilegiato il momento autorizzatorio e, quindi, il momento ex-ante della rilevazioni, quello cioè che rappresenta la dimensione finanziaria della dinamica aziendale, riservando alle rilevazioni consuntive una attenzione di gran lunga inferiore. Sulla base di una impostazione di tipo economico-aziendale, dovrebbe essere loro riconosciuta, invece, un’importanza sempre crescente, data la capacità/potenzialità dei documenti contabili di comunicare, in maniera chiara e trasparente, gli esiti conseguiti dall’azione amministrativa, così da imprimere un diverso tenore informativo ai sistemi di rilevazione. Secondo questa impostazione è manifesto come la rendicontazione pubblica sancisca negli aspetti legati alla dimensione contabile il proprio nucleo contenutistico originario ed essenziale e costituisca una dimostrazione della capacità dell’ente di assolvere alla propria funzione istituzionale. Su questi presupposti si innesca la ricerca di legittimazione e consenso e la costruzione di un sistema di relazioni più partecipativo e trasparente. Contestualmente alle potenzialità della comunicazione economico-finanziaria che si manifestano nei rapporti con l’esterno, occorre tenere bene a mente che, dalla prospettiva di osservazione interna, il processo di assunzione delle decisioni è fra le istanze prioritarie all’interno del sistema delle amministrazioni pubbliche. Affinché il processo in questione sia pienamente consapevole ed efficace, occorre la certezza di poter disporre di informazioni consistenti, accurate e tempestive. Appare necessario, quindi, disporre di sistemi contabili pubblici, in generale, e di bilancio, in particolare, che siano sufficienti, completi ed attendibili. Agli inizi del XX secolo il sistema di rilevazione e di bilancio dello Stato, fino a quel momento tenuto con il metodo contabile della partita doppia, iniziò ad evidenziare elementi di criticità, sollevando perplessità sull’efficacia contabile del metodo medesimo. Piuttosto che intervenire sul sistema individuando le aree di criticità e provvedendo al perfezionamento del sistema, apparve di contribuire al miglioramento della situazione sostituendolo radicalmente con un metodo di rilevazione, forse più immediato, ma irrispettoso delle reali necessità conoscitive delle amministrazioni. Nei primi anni del 1900 si insinua un germe che porterà nel ventennio successivo all’abbandono della partita doppia soppiantata dalle rilevazioni in partita semplice del solo aspetto finanziario.

La ragioneria pubblica nella prima metà del Novecento

171

Significativo in tal senso è lo studio compiuto dal Ghidiglia, nel 1909, che esplora i legami tra la scienza delle finanze, il diritto finanziario e la contabilità di Stato. Egli giunge a concludere che la contabilità di Stato, fondando le «proprie dottrine» sui principi generali del controllo economico, aveva la «dignità di disciplina perfettamente autonoma», riconducibile ai dettami della ragioneria, che, ben compresa nei suoi fini, doveva essere condotta con il metodo bilanciante della partita doppia proprio per percepire l’aspetto economico dell’amministrazione. Nel suo lavoro il Ghidiglia presagisce una sorta di deriva nella concezione del ruolo e degli ambiti della contabilità di Stato. Egli esamina con preoccupazione la commistione di fini e la confusione di mezzi tra il diritto finanziario e la scienza delle finanze, da un lato, e la contabilità di Stato, dall’altro. La contabilità di Stato, secondo l’autore, è una applicazione della ragioneria, considerata come disciplina che studia il controllo economico e, di conseguenza, ben distinta dalle altre due discipline, sebbene tutte e tre abbiano ad oggetto la ricchezza pubblica ed il medesimo soggetto: lo Stato (Ghidiglia, 1909c). Questa comunanza di fondo sfocia in molti casi in «invasioni» di campo e rischia di generare confusione tra le rispettive pertinenze. Egli osserva con sconforto alcuni approcci che tendono ad assegnare una supremazia alla scienza delle finanze. Questa ultima veniva concepita come scienza generatrice delle altre due «consorelle» e, per questo, legittimava atteggiamenti di sostanziale riconduzione ad un unicum che, come si verificò nel corso degli anni, avrebbe comportato l’abbandono della partita doppia nelle rilevazioni delle amministrazioni pubbliche, ritenendola sovrabbondante rispetto all’oggetto di analisi che sembrò, erroneamente, limitabile alle sole grandezze finanziarie.

3. Teorie e prassi contabili della prima metà del XX secolo a confronto Al termine del XIX secolo l’ordinamento finanziario e contabile dello Stato italiano era regolato dal Testo Unico n. 2016 del 1884, che modificava la prima legge di contabilità del regno (legge Cambray-Digny n. 5026/1869), che già prevedeva, secondo la tradizione piemontese conseguente alla legge Cavour del 1853, la tenuta di un sistema uniforme di scritture contabili “per bilancio”, ossia realizzate con il metodo della partita doppia. Nel periodo di vigenza di tale prescrizione e per tutta la durata del suo mandato (dal 10 aprile 1876 al 30 aprile 1891), il ragioniere generale Cerboni applicò il metodo logismografico alle scritture dello Stato, non senza polemiche in merito alla conformità del metodo al dettato normativo e al suo valore rispetto al metodo della partita doppia tradizionale (Anselmi, 2006). L’incarico di Cerboni presso la Ragioneria generale, così come quello di Villa presso la I. R. Contabilità Centrale Lombarda nel Regno Lombardo-Veneto, prima dell’unificazione (Ferraris Franceschi, 1970; Anselmi, 2006), testimonia quello che per anni fu un dialogo fecondo tra il mondo accademico e quello operativo, per mezzo del quale le teorie assolvevano i propri doveri verso i fatti. «La nostra disciplina non può vivere di astrazioni irreali: non si può nel suo organismo logico pro-

172

Luca Anselmi, Simone Lazzini, Sabina Ponzo

cedere a formulazioni di teorie che non trovino termine di paragone nelle applicazioni delle quali debbono essere capaci» (Zappa, 1950). Scopo della presente trattazione è rilevare come, a partire dal primo decennio del XX secolo, la traiettoria del cambiamento abbia visto le principali riforme contabili realizzarsi non solo con profondi ritardi, ma talvolta persino in controtendenza rispetto alle posizioni caldeggiate dalla dottrina e sostenute da lungimiranti figure operative, e contraddistinguersi per un forte connotato giuridico (Giannessi, 1954). Il quadro normativo di partenza vede in vigore un provvedimento legislativo, datato 1884 (il sopra menzionato Testo unico di contabilità), che sosteneva la necessità di tenere la contabilità generale in modo che al suo interno vi fossero due sistemi di scritture, uno diretto a rilevare le previsioni iniziali di bilancio, le successive variazioni, gli adempimenti e gli accertamenti (contabilità finanziaria o di bilancio) ed uno mirante a conoscere l’entità e la composizione del fondo finanziario iniziale e finale e le variazioni che in esso intervenivano per effetto della gestione (contabilità patrimoniale), andando a costituire quello che oggi definiremmo un sistema contabile parallelo, basato sulla compresenza di due sistemi sostanzialmente autonomi (Borghi, 1995; Borgonovi, 1996). Terminato l’esperimento costituito dall’applicazione della logismografia alle scritture contabili dello Stato, nonostante che l’obbligo di tenere la contabilità in partita doppia formalmente non fosse mai venuto meno, nessun Ministero faceva più ricorso ad alcun tipo di metodo bilanciante di registrazione e la Ragioneria generale compilava i propri conti accesi ai capitoli del bilancio ed agli elementi patrimoniali desumendo i dati dai prospetti mensili della Direzione del Tesoro. «I nostri congegni contabili […] sono fatti in modo che, se tutti funzionano, raggiungono il loro intento; soltanto quando qualcuno di essi manca al suo compito, allora sorgono dubbi e censure non meritate dalle istituzioni, ma meritate per il modo con il quale si applicano» (Luzzatti, 1965). Così si espresse sul finire del XIX secolo il Ministro del Tesoro Luzzatti, intendendo riconoscere la sostanziale bontà dell’impianto contabile esistente ed affermare la volontà di intervenire su di esso non con riforme radicali, ma con interventi graduali diretti a migliorare i meccanismi di un sistema intrinsecamente già valido. L’ordinamento al quale Luzzatti si riferiva era quello delineato dal Testo unico del 1884, verso il quale Besta, massimo esponente dell’accademia in ambito ragioneristico, aveva espresso il suo apprezzamento, sia pur critico in certi aspetti. Ne apprezzò, in particolare, il tentativo di pervenire alla determinazione dei risultati della gestione, desunti dalla considerazione degli elementi costitutivi della «ricchezza dello Stato», ma riteneva che la rilevazione di tale grandezza potesse avvenire con metodi diversi, conformi alle esigenze di coloro che, all’interno delle amministrazioni, su tali determinazioni imperniavano i propri processi decisionali (Besta, 1897-1898). Il soddisfacimento del fabbisogno informativo interno costituiva, dunque, un punto cardine del processo di progettazione del sistema contabile pubblico che Besta, il quale si rivelò un lungimirante conoscitore dei bisogni delle amministrazioni, ritenne di sottolineare, così come fece riguardo all’altra finalità, ad esso tradizionalmente attribuita, di produzione degli elementi necessari all’esercizio del controllo da parte del

La ragioneria pubblica nella prima metà del Novecento

173

pubblico, per mezzo della relazione al conto consuntivo, che per tale via assumeva i caratteri di rendiconto morale (Besta, 1916). Questa la “eredità” dottrinale e giuridico-contabile del XIX secolo, che autorizzava a presagire fecondi sviluppi per la contabilità di Stato. Fedele al proposito di procedere per miglioramenti graduali e costanti dell’impianto contabile nazionale, il ministro Luzzatti nel 1904 affidò ai professori Besta e D’Alvise il compito di elaborare un progetto per il ripristino del metodo della partita doppia nelle scritture dello Stato. Il progetto prendeva le mosse dalle istruzioni contabili emanate con il decreto n. 7699/1874 dal ministro delle finanze Minghetti, nelle quali gli studiosi riconobbero il pregio di lasciare intravedere un collegamento tra la contabilità patrimoniale e la contabilità finanziaria, per mezzo di conti di gestione destinati a raccogliere aumenti e diminuzioni del patrimonio dello Stato (Besta, 1897-1898). Nel progetto realizzato agli inizi del Novecento, Besta ritenne opportuno ribadire con maggiore forza la necessità di un collegamento tra le scritture patrimoniali e quelle finanziarie, cercando tra di esse un legame che, laddove i tempi e la tecnologia lo avessero consentito, avrebbe potuto suggerire l’idea di un sistema contabile integrato, sia pur sensibilmente differente rispetto al senso che oggi si è soliti attribuire all’espressione (Anselmi, 1989; Marchi, 1993). Le norme di registrazione frutto dei lavori della commissione Besta-D’Alvise furono adottate per la tenuta delle scritture concomitanti nel corso dell’esercizio 1904-05, ma il riscontro di alcune carenze nel processo di determinazione del risultato di competenza dell’esercizio spinse gli studiosi a presentare un secondo progetto. Nel tentativo di dimostrare il rapporto tra la contabilità del bilancio e quella del patrimonio, furono aggiunti ai conti patrimoniali alcuni conti finanziari, per tenere in evidenza l’andamento delle attività e delle passività patrimoniali e quello delle entrate e delle uscite nelle varie loro fasi. Nel 1907, infine, il piano dei conti fu ulteriormente snellito attraverso l’eliminazione di alcuni dei conti inizialmente previsti. La Tavola 1 mette a confronto il progredire degli studi dalla rilevazione contabile all’economia aziendale, con attenzione precipua a quelli di contabilità di Stato, attraverso le opere degli autori che contribuirono a rendere la ragioneria “scientifica” (Melis, 1950) con il susseguirsi delle riforme e dei provvedimenti normativi in materia contabile, nelle epoche storiche considerate. Da essa si evince che il primo decennio del XX secolo è caratterizzato, in questa prima fase, da una aderenza formale e sostanziale tra i precetti dottrinali e le prassi operative. Le proposte che furono formulate all’inizio del secolo, tuttavia, non bastarono a dare all’ordinamento dei controlli e al sistema contabile pubblico un assetto definitivo, obiettivo peraltro pressoché irraggiungibile (Anselmi, 2006). La materia, infatti, continuò ad essere oggetto di studio e numerose furono le proposte di riforma dell’ordinamento e degli istituti finanziari. Sul finire del decennio, il Ministro Carcano presentò un disegno di legge per apportare «Modificazioni alla legge per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato», datato 19 maggio 1908. Sebbene privo di seguito

174

Luca Anselmi, Simone Lazzini, Sabina Ponzo

(il progetto decadde per la chiusura della legislatura e, riproposto nel marzo del 1909, fu bocciato dalla Giunta generale al bilancio della Camera), il progetto segnò il manifestarsi dei primi segni di crisi della partita doppia, che condussero alla sua soppressione dalla contabilità di Stato. Per la prima volta, infatti, venne sollevata la proposta di rimuovere dall’ordinamento giuridico dello Stato italiano la prescrizione che obbligava ad applicare il metodo in questione alle scritture contabili. Sebbene la motivazione dichiarata di tale provvedimento risiedesse nella volontà di affidare alla normazione secondaria la definizione delle modalità di rappresentazione dei fatti amministrativi, piuttosto che nell’intenzione di sostituire il metodo con procedimenti di altra natura, esso preludeva alla rottura della tradizione contabile italiana la quale, sebbene non fosse stata sempre rispettata e comunque non sempre nelle forme più ortodosse, assegnava alle scritture contabili il compito di raffigurare la vita economico-amministrativa aziendale in una visione d’insieme. A favore del metodo della partita doppia si erano espressi, in tempi molto diversi fra loro, il conte di Cavour, che nel progetto di legge del 1852 proponeva la riassunzione di tutte le operazioni di contabilità per mezzo di scritture doppie, perché garanti di una maggiore correttezza nella rappresentazione dei fatti amministrativi e valido supporto alla tecnica dei riscontri; Cambray-Digny, Restelli, Duchoqué nel 1868; Cerboni, sia pur nella forma particolare della logismografia; Besta e D’Alvise, che per primi proposero un ordinamento di scritture veramente compiuto e, tra gli altri esponenti della scuola veneta che si occuparono specificamente di contabilità di Stato, Vianello e Ghidiglia.

Posizioni teorico-dottrinali D’ALVISE P. (1892), «Amministrazione e contabilità delle province e dei comuni», in Giornale degli economisti. BESTA F. (1897-1898), La contabilità di Stato, Litografie, Venezia. GHIDIGLIA C. (1901), «Le scritture nell’azienda dello Stato», in Giornale degli economisti. VIANELLO V. (1904), Nota di contabilità di stato, Estratto da Riforma sociale, anno 11, vol. 14, fasc. 12, Roux e Viarengo, Torino. GHIDIGLIA C. (1905), «Di alcune deficienze nella Contabilità di Stato», in Rivista Italiana di Ragioneria. ROSSI G. (1905), «Le scritture metodiche della Ragioneria generale dello Stato», in Riforma sociale, fasc. 8, anno XII, vol. XV. ROSSI G. (1906), Nuove osservazioni sul rendiconto patrimoniale dello Stato, Reggio Emilia. GHIDIGLIA C. (1908), «Le scritture complesse nella ragioneria generale dello Stato», Rivista Italiana di Ragioneria. BESTA F. (1909), La ragioneria. Vol. I, Prima edizione, Vallardi, Milano. GHIDIGLIA C. (1909a), «Concetto di contabilità di stato secondo i principali scrittori. Suoi aspetti tecnico e giuridico», Rivista dei Ragionieri. GHIDIGLIA C. (1909b), «L’obietto ed i fini della contabilità di Stato; sue attinenze colle discipline economiche e giuridiche», Rivista dei Ragionieri. GHIDIGLIA C. (1909c), «La Contabilità di Stato nei suoi fini e nei suoi rapporti con le altre discipline», in Rivista dei Ragionieri. ROSSI G. (1909), I metodi di contabilità prescritti per il bilancio finanziario italiano, Reggio Emilia. D’ALVISE P. (1910), Le scritture della Ragioneria generale dello Stato, Stab. Tip. Crescini e C., Padova.

Periodo storico

“Eredità” dottrinale e giuridico-contabile del XIX sec.

Primo decennio XX sec.

Tavola 1 – Teorie e prassi contabili a confronto nella prima metà del XX secolo

1909 Nuova presentazione del DDL Carcano (bocciato dalla Giunta generale al bilancio della Camera).

1908 DDL Carcano per apportare «Modificazioni alla legge per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato» (decaduto allo scadere della legislatura).

1907 Snellito il piano dei conti predisposto dalla commissione Besta-D’Alvise.

Nuova presentazione del DDL Luzzatti del 1904 (rigettato a causa della resistenza dell’amministrazione attiva, che temeva un’indebita ingerenza nello svolgimento dell’azione amministrativa).

Seconda proposta della commissione Besta-D’Alvise.

1905 Applicazione delle norme della commissione Besta-D’Alvise alle scritture concomitanti nel corso dell’esercizio 1904-05.

DDL Luzzatti per il «Riordinamento dei servizi contabili delle Amministrazioni centrali e provvedimenti per la vigilanza sugli impegni delle spese dello Stato» (decaduto al termine della legislatura).

1904 Nomina della commissione Besta-D’Alvise per il ripristino del metodo della partita doppia nelle scritture dello Stato.

1884 Emanazione del Testo unico di contabilità, approvato con R.D. 17 febbraio 1884 n. 2016.

Principali riforme contabili

Posizioni teorico-dottrinali GHIDIGLIA C. (1911a), «Le attinenze della ragioneria con le scienze economiche e giuridiche”, Rivista italiana di Ragioneria. GHIDIGLIA C. (1911b), «Unità di gestione ed unità di controllo nell’azienda dello Stato. Prolusione al corso di Contabilità di Stato nella Regia Università di Roma», in Giornale degli economisti e rivista di statistica, novembre. BESTA F. (1913), Lezioni di Contabilità di Stato, La Linotipo, Padova. D’ALVISE P. (1919), Nozioni teorico-pratiche di Contabilità di Stato, Barbera, Firenze. ZAPPA G. (1920), La determinazione del reddito nelle imprese commerciali. Vol. I, Anonima Libraria Italiana, Roma. ROSSI G. (1921), Trattato sulla ragioneria scientifica, Reggio Emilia. CECCHERELLI A. (1922), L’indirizzo teorico negli studi di ragioneria, Stabilimento tipografico E. Ariani, Firenze. VIANELLO V. (1922), Bilancio di cassa o di competenza?: nota di contabilità di Stato, Estratto da: La vita italiana, a. 10., v. 20, fasc. 115, luglio, Tipografia editrice Italia, Roma. VIANELLO V. (1926), Lezioni di contabilità di Stato svolte, Estratto dalla Mercurio, anno 4, Tip. E. Schioppo, Torino. VIANELLO V. (1927), Deficit patrimoniale ed avanzi di bilancio nello stato italiano, Estratto dall’Annuario 1926-27 del R. Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Torino, Tip. Collegio degli artigianelli, Torino. ZAPPA G. (1927), Tendenze nuove negli studi di ragioneria, Istituto Editoriale Scientifico, Milano. ZAPPA G. (1929), La determinazione del reddito nelle imprese commerciali. Vol. II, Anonima Libraria Italiana, Roma. AMADUZZI A. (1930), «L’unità del Bilancio di Stato e la rilevazione contabile nelle imprese statali», in Rivista Italiana di Ragioneria, n. 8.

Secondo decennio XX sec. ed ascesa al governo del partito fascista.

Ventennio fascista

Principali riforme contabili

Il Congresso dei Ragionieri raccomanda il ripristino del metodo della partita doppia nella contabilità dello Stato.

1924 Emanazione del regolamento 23 maggio 1924 n. 827, con il quale venne approvato il Testo Unico recante «Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato», che con l’art. 24 rimuove la prescrizione che imponeva il metodo della partita doppia.

1923 Il R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 approva il Testo Unico recante «Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato» (riforma De Stefani).

1919 DDL Nitti-Schanzer per la riforma dell’ordinamento finanziario e contabile, privo di seguito.

1912 Reintroduzione dei riassunti delle scritture complesse (non venivano pubblicati dall’esercizio 1890-91), comprensivi di un giornale e di un mastro, per la dimostrazione ed il riscontro dei risultati.

Luca Anselmi, Simone Lazzini, Sabina Ponzo

Periodo storico

150

Secondo dopoguerra

Periodo storico

ONIDA P. (1947), Le discipline economico-aziendali. Oggetto e metodo, Giuffrè, Milano. ONIDA P. (1951), Elementi di ragioneria, Giuffrè, Milano. ZAPPA G. – MARCANTONIO A. (1954), Ragioneria applicata alle aziende pubbliche. Primi principi, Giuffrè, Milano.

D’ALVISE P. (1934), «Per chiarimenti su punti di Contabilità di Stato», in Rivista italiana di ragioneria, agosto – settembre. AMADUZZI A. (1936), Aziende di erogazione. Primi problemi di organizzazione, gestione e rilevazione, Casa editrice Giuseppe Principato. CECCHERELLI A. (1939), Il linguaggio dei bilanci, I edizione, Felice Le Monnier, Firenze. D’IPPOLITO T. (1940a), La scienza della ragioneria alla metà del secolo XX e il suo posto nel complesso delle odierne dottrine di Economia aziendale, Abbaco, Palermo. D’IPPOLITO T. (1940b), Le discipline aziendali, Giuffrè, Milano. D’ALVISE P. (1940), Studio sintetico di ragioneria statale italiana in regime fascista, ossia contabilità generale dello Stato, Zamponi, Padova.

Posizioni teorico-dottrinali

Principali riforme contabili

151

Riassegnazione delle competenze in materia finanziaria e contabile a seguito della ricostituzione del Ministero del Tesoro (D.Lgt. 5 settembre 1944 n. 202) e della costituzione del Ministero del Bilancio (D.Lgs.C.p.S. 4 giugno 1947 n. 407). Altri provvedimenti minori che non influenzarono gli elementi distintivi del sistema contabile in essere.

La ragioneria pubblica nella prima metà del Novecento

178

Luca Anselmi, Simone Lazzini, Sabina Ponzo

Altri studiosi ed esperti si dissero coscienti dell’utilità e del valore di un sistema di scritture partiduplistiche ma ciò nonostante lo ritennero concretamente inapplicabile alla contabilità delle pubbliche amministrazioni. Tonzig, Rostagno, De Brun, tra gli altri, osservarono nel corso degli anni come il metodo, sebbene teoricamente idoneo ad essere applicato in qualsiasi tipo di azienda, non lo fosse, nella pratica, a rappresentare lo svolgimento della vita amministrativa di un soggetto pubblico. La compilazione di scritture complesse in partita doppia, infatti, risultava meno immediata di un sistema di scritture elementari, che poteva essere facilmente interpretato anche da chi non avesse conoscenze tecniche di tipo contabile. Sulla scia di tale considerazione, lo stesso D’Alvise arrivò a sostenere che un sistema di scritture sintetiche fosse necessario solo laddove le scritture elementari non fossero state in grado di consentire la ricognizione della vita economico-amministrativa dell’azienda, per epilogare dati omogenei a scadenze temporali stabilite e, più generalmente, tutte le volte in cui fosse stato necessario produrre informazioni sulle principali classi di movimenti. Il progetto Carcano non superò l’esame della Giunta generale al bilancio della Camera; ciò nonostante il vincolo di tenuta delle scritture imposto dal Testo unico ed applicato secondo i criteri proposti dalla commissione Besta-D’Alvise si era ormai allentato. A questo clima di “rilassamento” contribuì il verificarsi di una “discontinuità” nel percorso normativo in materia finanziaria e contabile in corrispondenza degli anni della prima guerra mondiale. Le tensioni internazionali, il gioco delle alleanze, il dibattito interno fra interventisti e non interventisti e tutti gli altri eventi che in rapida successione condussero l’Italia ad entrare in guerra distolsero l’attenzione degli uomini di governo dalle questioni contabili. Se da un lato ogni progetto di riforma dell’ordinamento era stato momentaneamente accantonato, dall’altro si imponeva l’adozione di una serie di provvedimenti, in gran parte solo temporanei, che consentissero di affrontare la situazione eccezionale in cui versava il Paese. La spinta riformatrice, che durante gli anni del conflitto aveva subito una battuta d’arresto, riprese il suo corso al termine della guerra. Nel biennio 1918-1919 si succedettero vari progetti per la riforma dell’apparato amministrativo e finanziario, diretti in primo luogo a «smantellare le bardature di guerra». Mentre su più fronti si tentava di riformare l’impianto amministrativo statale, si stava aprendo la fase di crisi dello Stato liberale che si manifestò durante il ventennio fascista. In seguito della marcia su Roma del 28 ottobre 1922, il re Vittorio Emanuele III, anziché prendere provvedimenti per ricondurre all’ordine il fascismo, assegnò a Mussolini l’incarico di formare il nuovo governo. Il governo, investito nel 1922 di pieni poteri per il riordino del sistema tributario e della pubblica amministrazione da parte di un Parlamento ormai destituito di ogni autorevolezza, provvide all’unificazione dei ministeri finanziari e al trasferimento delle ragionerie centrali alle dipendenze della ragioneria generale dello Stato. Con il r.d. n. 2440/1923, il ministro De Stefani realizzò l’attesa riforma della legge di contabilità generale e dell’ordinamento dei controlli, le cui disposizioni furono rese organiche nel Testo Unico recante «Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato».

La ragioneria pubblica nella prima metà del Novecento

179

L’art. 24 di tale provvedimento accolse l’istanza presentata all’inizio del secolo dal Ministro Carcano. Dal disposto della legge, infatti, fu soppresso ogni riferimento al metodo di registrazione. Fu stabilito semplicemente che le scritture dovessero essere tenute nelle modalità prescritte dalla ragioneria generale, lasciando alla pratica e all’esperienza del ragioniere generale la responsabilità della individuazione del metodo. Vito De Bellis, ragioniere generale dal 1° settembre 1919 al 7 luglio 1932, descritto dalla stampa dell’epoca come il «cerbero di tutti i gabinetti» (da “Il liberale”, 1923), con riferimento alla «dittatura» esercitata alla Ragioneria generale, sotto la protezione di De Stefani del quale assecondava le direttive accentratrici, alle volte persino in attrito con il capo del governo Mussolini (di lui disse che «firmava poco»), si espresse inequivocabilmente in favore di un sistema di scritture semplici (De Bellis, 1927). Con ciò impresse una svolta decisiva e inspiegabilmente duratura alla contabilità pubblica italiana, quasi contemporaneamente al momento in cui, dalle aule del R. Istituto di scienze economiche e commerciali Ca’ Foscari di Venezia, Zappa pronunciava il discorso di apertura dell’anno accademico 1926-1927, fondando la scienza economico-aziendale ed identificandola nello studio delle «condizioni di esistenza e le manifestazioni di vita delle aziende». Nella nuova impostazione, la ragioneria si incardinava in una costruzione sistemica della quale faceva parte insieme alle dottrine della gestione e della organizzazione, al di fuori della quale, incapace di apportare il suo contributo alle altre dottrine fondanti, non poteva sopravvivere come disciplina autonoma (Zappa, 1927). In virtù di quanto detto, preme interrogarsi se la ragioneria pubblica, riconsiderata alla luce dell’infelice riforma realizzata nel corso del ventennio fascista, che la privò degli strumenti per apportare il contributo alla gestione invocato da Zappa, comprimendone fatalmente il potenziale informativo, possa ancora essere ricondotta nell’alveo della “scienza” economico-aziendale o debba veramente considerarsi regredita allo stato di mera “arte” giuridica.

180

Luca Anselmi, Simone Lazzini, Sabina Ponzo

Capitolo 12

Brevi riflessioni conclusive: le contabilità pubbliche regrediscono ad “arte”? di Luca Anselmi

L’indagine storica finalizzata all’inquadramento delle impostazioni e degli approcci politico-amministrativi che hanno influito sulle strutture informative e sui processi evolutivi della contabilità pubblica italiana ha evidenziato il fiorire della dottrina della rilevazione, ispirate alla affermazione della unicità dei grandi criteri contabili e del controllo, e il compimento nella scienza unitaria dell’economia aziendale. L’assegnazione ai sistemi contabili del compito di fornire ai soggetti interessati, all’interno o all’esterno dell’azienda entro cui operano, informazioni utili per lo svolgimento dei processi decisionali non è certo un’esigenza venuta alla luce negli ultimi decenni, ma si è rivelata, dall’analisi della letteratura, una necessità che i Maestri dell’epoca avevano ben presente e che ha contraddistinto da sempre la fase della progettazione dei sistemi di scritture, con una intensità variabile secondo i rapporti economici, politici e sociali e le modalità di concepimento del bilancio e della contabilità pubblica di un dato periodo storico. L’analisi condotta ha mirato a determinare il grado di coerenza tra gli studi di ragioneria e di contabilità di Stato e l’ininterrotto processo di riforma in materia contabile, per valutare il contributo dell’accademia alla realtà dei fatti. Dall’indagine è emerso che, in una prima fase, fino all’incirca al primo decennio del XX secolo, gli sviluppi del sistema si sono svolti sui “binari” tracciati dai maggiori studiosi, che con indicazioni pragmatiche e precise seppero imprimere la loro impronta all’ordinamento contabile dello Stato. Questo proficuo dialogo, tuttavia, manifestò i primi segni di crisi già al termine di questa prima finestra temporale, quando, per la prima volta, fu messo in discussione il ricorso al metodo bilanciante della partita doppia, fino a che, nonostante il fiorire degli studi, il rigore di applicazione venne irrimediabilmente disatteso (secondo decennio del XX secolo). Ma è il 1922 il momento in cui si concretizzò definitivamente la frattura tra le posizioni teorico-dottrinali e la realizzazione delle riforme contabili, sulle quali più volte l’accademia si pronunciò sfavorevolmente invocando il recupero di principi e metodologie ormai abbandonati.

182

Luca Anselmi

Illogico e riduttivo che, proprio in Italia, dove si era sviluppata una sistematica amministrativa e contabile che tendenzialmente accomunava tutti i soggetti pubblici e privati, gli aspetti dell’analisi sostanziale avessero ceduto il passo a quelli di carattere giuridico-formale, marcando un nuovo gravissimo spread con l’Europa e con tutto il mondo dinamico e competitivo. A ben poco sono valsi, di fatto, i cambiamenti continui e costanti, realizzati a poca distanza l’uno dall’altro, che fino ad oggi non hanno intaccato la logica finanziaria di fondo delle scritture contabili pubbliche, ma che hanno reso sempre più palese la diversa velocità con cui si muovono, nel nostro Paese, la domanda di rinnovamento ed il processo di esecuzione delle riforme.

Bibliografia Accademia dei Ragionieri di Bologna, Discussione sulla Logismografia, Società Tipografica dei Compositori, Bologna, 1877. Alfieri V., La figura di Fabio Besta rievocata da Vittorio Alfieri, in Rivista italiana di ragioneria, n. 1, pp. 1-7, 1923. Amaduzzi A., L’unità del Bilancio di Stato e la rilevazione contabile nelle imprese statali, in Rivista italiana di ragioneria, n. 8, 1930. Amaduzzi A., Aziende di erogazione. Primi problemi di organizzazione, gestione e rilevazione, Principato, 1936. Amaduzzi A., L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, Utet, Torino, 1953. Anselmi L., Esperienze di programmazione nelle amministrazioni pubbliche, in P. Miolo Vitali-L. Anselmi, La programmazione nelle pubbliche amministrazioni, Giuffrè, Milano, 1989. Anselmi L., Il sistema delle partecipazioni statali oggi, Giappichelli, Torino, 1994. Anselmi L., La contabilità in partita doppia nel Comune di Genova durante il XIV secolo, in L. Anselmi, Il processo di trasformazione della pubblica amministrazione, Giappichelli, Torino, 1995. Anselmi L., L’azienda comune, Maggioli, Rimini, 2001. Anselmi L., Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni, Giappichelli, Torino, 2003. Anselmi L. (a cura di), Bilancio e Contabilità di Stato. Peculiarità italiane ed esigenze di cambiamento nel contesto internazionale, Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, 2004. Anselmi L. (a cura di), Modelli economico-patrimoniali per il bilancio e la contabilità di Stato, Giuffrè, Milano, 2006. Anselmi L.-Capocchi A.-Lazzini S., Il Ragioniere Generale dello Stato fra XIX e XX secolo, Atti del VII Convegno Nazionale Società Italiana di Storia della Ragioneria, Rirea, Roma, 2004. Anselmi L.-Capocchi A.-Ponzo S., The Evolution of the Public Accounting System in Italy in the 19th and 20th Centuries, in AA.VV., Proceedings of the International Workshop on Accounting History in Italy, Casa Editrice RIREA, Roma, pp. 15-36, 2005. Anselmi L.-Zuccardi Merli M., Esperienze di scritture contabili nel Comune di Genova (XIV secolo). Contributo alla formazione del pensiero pacioliano, Convegno Internazionale Straordinario della Società Italiana di Storia della Ragioneria, Venezia, 9-12 aprile 1994. Anthony R.N., Contabilità per la direzione, Etas Kompass, Milano, 1969. Antonelli V., L’evoluzione degli studi funzionali nella dottrina economico-aziendale. alcune osservazioni critiche sul pensiero di Giuseppe Cerboni, in Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, luglio-agosto 1992.

184

Bibliografia

Antoni T., Tre precursori nella storia della ragioneria. Leonardo Fibonacci, Luca Pacioli, Fabio Besta, in Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, n. 4, pp. 158166, 1974. Bertini U., Carlo Ghidiglia. Saggio per una interpretazione della sua opera, Colombo Cursi Editore, Pisa, 1967. Besta F., Corso di Ragioneria. Sunti litografati delle lezioni date alla classe di magistero presso la R. Scuola Superiore di Commercio, Parte I, Lit. Bonmassari, Venezia, 18811883. Besta F., Corso di ragioneria professato alla Classe di Magistero nella R. Scuola Superiore di Commercio di Venezia, parte I, tomo I, Tipografia Visentini, Venezia, 1885. Besta F., La contabilità di Stato, Litografie, Venezia, 1897-1898. Besta F., Prolusione letta alla solenne apertura degli studi per l’anno accademico 19081909 nella R. Scuola Superiore di Commercio di Venezia, 1908. Besta F., La ragioneria, Vol. I, Vallardi, Milano, 1909. Besta F., La ragioneria, Vol. III, Vallardi, Milano, 1916. Besta F., La ragioneria, Vol. I, Seconda edizione riveduta ed ampliata col concorso dei professori V. Alfieri, C. Ghidiglia, P. Rigobon, Vallardi, Milano, 1922. Besta F., La ragioneria, Vol. II, Seconda edizione riveduta ed ampliata col concorso dei professori V. Alfieri, C. Ghidiglia, P. Rigobon, Vallardi, Milano, 1922. Besta F., La ragioneria, Vol. III, Seconda edizione riveduta ed ampliata col concorso dei professori V. Alfieri, C. Ghidiglia, P. Rigobon, Vallardi, Milano, 1922. Bianchini L., Della storia delle finanze del regno di Napoli, Stamperia Lao, Palermo, 1839. Borgonovi E., La dottrina economico-aziendale quale fondamento per le proposte di miglioramento della pubblica amministrazione, in AA.VV., Pubblica amministrazione: prospettive aziendali di analisi e di intervento, Giuffrè, Milano, 1984. Borgonovi E., Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche, Egea, Milano, 1996. Bossi M., Note storiche sulle finanze dello Stato Pontificio e in particolare sull’amministrazione di Gregorio XVI, in Rivista italiana di ragioneria, nn. 8-9-10, 1912. Bruni G., La ragioneria scientifica nel pensiero di Fabio Besta e nelle successive tendenze ed evoluzioni, in Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, settembreottobre 1996. Cantone C., Il tramonto della logismografia, in Rivista italiana di ragioneria, 1934. Caramiello C., Previsioni e prospettive nell’opera del Villa, Colombo Cursi Editore, Pisa, 1965. Catturi G., L’Azienda Universale, Cedam, Padova, 2003. Ceccherelli A., L’indirizzo teorico negli studi di ragioneria, Stabilimento tipografico E. Ariani, Firenze, 1922. Ceccherelli A., Il linguaggio dei bilanci, I edizione, Felice Le Monnier, Firenze, 1939. Cerboni G., Nuova memoria di Giuseppe Cerboni sugli articoli 18 e 20 della legge di contabilità, Lettera manoscritta al Ministro del Tesoro Luigi Luzzatti, Archivio personale dell’autore, s.d. Cerboni G., Primi saggi di logismografia, presentati all’XI congresso degli scienziati italiani, La Minerva, Firenze, 1873. Cerboni G., Quadro di contabilità per le scritture in partita doppia (con metodo logismografico) per la Ragioneria generale dello Stato, Stamperia Reale, Roma, 1877.

Bibliografia

185

Cerboni C., Rudimenti di Logismografia, Tipografia Elzeviriana, Roma, 1878. Cerboni G., Ricomposizioni logismografiche, Stamperia Reale, Roma, 1878. Cerboni G., La Ragioneria scientifica e le sue relazioni con le discipline amministrative e sociali, Vol. I. I Prolegomeni, E. Loescher e C., Roma, 1886. Cerboni G., La Ragioneria scientifica e le sue relazioni con le discipline amministrative e sociali, Vol. II. Il metodo, Società Editrice Dante Alighieri, Roma, 1894. Cerboni G., Saggio Riassuntivo dei Concetti Filologico – Tecnici formanti il sistema grafico – razionale logismografico, Tipografia Elzeviriana, Roma, 1902. Cerboni G., Sulla importanza degli articoli 18° e 20° della Legge di contabilità di Stato – Petizione al Regio Governo Nazionale, Tipografia Elzeviriana, Roma, 1901. Cerboni G., Sull’ordinamento della contabilità di Stato, Tipografia e cartoleria militare di Tito Giuliani, Firenze, 1866. Colletta P., Storia del Reame di Napoli, dal 1734 fino al 1825, Pomba, Torino, 1852. Coronella S., Dei veri e falsi metodi di registrazione. un inquadramento storico-dottrinale, in Contabilità e Cultura Aziendale, Vol. IX, n. 1, 2009. Cuoco V., Saggio storico sulla Rivoluzione Napoletana del 1799, Tipografia di Francesco Sonzogno di Gio. Batt. Stampatore – Librajo, Milano, 1806. D’Alvise P., Amministrazione e contabilità delle province e dei comuni, in Giornale degli economisti, 1892. D’Alvise P., Le scritture della Ragioneria generale dello Stato, Stab. Tip. Crescini e C., Padova, 1910. D’Alvise P., Nozioni teorico-pratiche di Contabilità di Stato, Barbera, Firenze, 1919. D’Alvise P., Per chiarimenti su punti di Contabilità di Stato, in Rivista italiana di ragioneria, agosto-settembre 1934. D’Alvise P., Studio sintetico di ragioneria statale italiana in regime fascista, ossia contabilità generale dello Stato, Zamponi, Padova, 1940. D’Ippolito T., La scienza della ragioneria alla metà del secolo XX e il suo posto nel complesso delle odierne dottrine di Economia aziendale, Abbaco, Palermo, 1940. D’Ippolito T., Le discipline aziendali, Giuffrè, Milano, 1940. De Bellis V., Lezione tenuta presso la Facoltà di Politica e Legislazione finanziaria in Roma, A.A. 1925-26, in Rivista italiana di ragioneria, febbraio 1927. De Brun A., La Corte dei conti e le sue funzioni di controllo sulla amministrazione dello Stato, Vallardi, Milano, 1912. De Brun A., Principii e le forme del controllo computistico sulla contabilità dello Stato in Italia, Tipografia del Campidoglio, Roma, 1901. De Cupis A., Appendice al commento della legge 22 aprile 1869 n. 5026, Torino, Utet, 1885. De’ Coronei N.J. (a cura di), Dizionario Demaniale-Amministrativo per lo Regno delle Due Sicilie, Tipografia Fratelli Cannone, Bari, 1847. Dubnick M.J.-Romzek B.S., Accountability in the public sector. Lesson from the challenger tragedy, in Public Administration Review, maggio-giugno 1987. Duruy V., Histoire de France, Imprimerie de Ch. Lahure, Paris, 1862. Faucci R., Finanza, amministrazione e pensiero economico, Fondazione Luigi Einaudi, Torino, 1975. Ferraris Franceschi R., Aspetti evolutivi della dottrina economico-aziendale. Francesco Villa, Cursi, Pisa, 1970.

186

Bibliografia

Ferraris Franceschi R., Finalità dell’azienda e condizioni di funzionamento: introduzione agli studi economico aziendali, Seup, Pisa, 1984. Ferrero G., Istituzioni di economia di azienda, Giuffrè, Milano, 1968. Ferruzzi F., Questione Marchi-Cerboni-Passerini – Lettere all’Amministrazione Italiana, Tipografia dell’Amministrazione Italiana, Firenze, 1875. Ghidiglia C., Le scritture nell’azienda dello Stato, in Giornale degli economisti, 1901. Ghidiglia C., Di alcune deficienze nella Contabilità di Stato, in Rivista italiana di ragioneria, 1905. Ghidiglia C., Le scritture complesse nella ragioneria generale, in Rivista italiana di ragioneria, 1906. Ghidiglia C., Le scritture complesse nella ragioneria generale dello Stato, in Rivista italiana di ragioneria, 1908. Ghidiglia C., Concetto di contabilità di stato secondo i principali scrittori. Suoi aspetti tecnico e giuridico, in Rivista dei Ragionieri, 1909. Ghidiglia C., L’obietto ed i fini della contabilità di Stato. sue attinenze colle discipline economiche e giuridiche, in Rivista dei Ragionieri, 1909. Ghidiglia G., La Contabilità di Stato nei suoi fini e nei suoi rapporti con le altre discipline, in Rivista dei Ragionieri, 1909. Ghidiglia C., Le attinenze della ragioneria con le scienze economiche e giuridiche, in Rivista italiana di Ragioneria, 1911. Ghidiglia C., Unità di gestione ed unità di controllo nell’azienda dello Stato. Prolusione al corso di Contabilità di Stato nella Regia Università di Roma, in Giornale degli economisti e rivista di statistica, novembre 1911. Giannessi E., Attuali tendenze delle dottrine economico-tecniche italiane, Cursi, Pisa, 1954. Giannessi E., Le aziende di produzione originaria, Vol. I. Le aziende agricole, Cursi, Pisa, 1960. Giannessi E., Interpretazione del concetto di azienda pubblica, Colombo Cursi Editore, Pisa, 1961. Giannessi E., Il controllo della Corte dei Conti sul bilancio dello Stato, in Saggi in onore del Centenario della Ragioneria generale dello Stato, Roma, 1969. Giannessi E., Appunti di economia aziendale, G. Pellegrini, Pisa, 1970. Giannessi E., I precursori, Terza edizione riveduta, Colombo Cursi Editore, Pisa, 1971. Giannessi E., Considerazioni introduttive sul metodo storico, Giuffrè, Milano, 1992. Giovanelli L., Modelli contabili e di bilancio in uno Stato che cambia, Giuffrè, Milano, 2000. Intendenza Di Terra Di Lavoro, Collezione delle leggi, decreti, reali rescritti e ministeriali sull’amministrazione civile del Regno delle Due Sicilie, Tip. della Intendenza, Caserta, 1833. Landi G., Istituzioni di diritto pubblico del Regno delle Due Sicilie, Giuffrè, Milano, 1977. Lazzini S., Principi di accountability nei sistemi sanitari italiano e statunitense, Giuffrè, Milano, 2005. Lazzini S.-Ponzo S., L’informativa contabile nella ragioneria pubblica tra il XIX ed il XX secolo secondo G. Cerboni e F. Besta, in AA.VV., Riferimenti storici e processi evolutivi dell’informativa di bilancio tra dottrina e prassi, Atti dell’VIII Convegno Nazionale di Storia della Ragioneria, Rirea, Roma, Tomo II H-Z, pp. 15-55, 2006.

Bibliografia

187

Luzzatti L., Sull’amministrazione dello Stato, in A. De Stefani-F. De Carli-E. De Carli (a cura di), Opere complete. Vol. V. Problemi della finanza, Milano, 1965. Maravigna F., Le scritture complesse nelle aziende pubbliche, in Rivista italiana di ragioneria, ottobre-novembre 1930. Marcantonio A., L’azienda dello Stato, Giuffrè, Milano, 1950. Marchi A., Appello ai cultori della scienza dei conti contro i Signori Commendatore G. Cerboni e Professore P. Passerini, Tipografia Paravia, Torino, 1875. Marchi L., I sistemi informativi aziendali, I edizione, Giuffrè, Milano, 1993. Melis F., Storia della ragioneria, Zuffi, Bologna, 1950. Ministero Del Tesoro – RGS, Il bilancio del Regno d’Italia negli esercizi finanziari dal 1862 al 1912-13, Tipografia dell’Unione editrice, Roma, 1914. Ministero Del Tesoro – RGS, La Ragioneria Generale dello Stato, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1969. Ministero Del Tesoro – RGS, La Ragioneria Generale dello Stato. Origine e sviluppi, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1959. Ministero Del Tesoro – RGS, Leggi e regolamenti di contabilità dal 1853 al 1869, 1869. Ministero Del Tesoro – RGS, Raccolta dei vari atti riguardanti l’amministrazione e la contabilità generale dello Stato dal 1852 al 1887, Tipografia nazionale, Roma, 1888. Moffa G., La corte dei conti del Regno d’Italia, Giuffrè, Milano, 1939. Monetti U., Le amministrazioni centrali dello Stato e l’ordinamento dei controlli, Utet, Torino, 1926. Mulazzani M., Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, Vol. I e II, Cedam, Padova, 2001. Nisco N., Lettere sul sistema napoletano della contabilità di Stato, Tip. Cavour, Firenze, 1868. Normaton E.L., The accountability and audit of governments, Manchester University Press, Manchester, 1966. Onida P., Le discipline economico-aziendali. Oggetto e metodo, Giuffrè, Milano, 1947. Onida P., Elementi di ragioneria, Giuffrè, Milano, 1951. Parlamento Italiano, Rendiconti legislatura X, Camera, Vol. IV, 1869-70. Parlamento Subalpino, Atti legislatura IV, Vol. I, 1849-1853. Pasini G., Legge sulla istituzione della corte dei conti del Regno d’Italia, Unione Tipografico-Editrice, Torino, 1883. Poddighe F., Dai cinquecontisti a Francesco Marchi. Contributo alla conoscenza del processo formativo della logismologia, Colombo Cursi Editore, Pisa, 1973. Poddighe F.-Coronella S., Ordinamenti contabili e strumenti di controllo negli Stati preunitari. dalla Restaurazione all’Unità d’Italia, in Atti del X Convegno Nazionale della Società di Storia della Ragioneria, Rirea, Roma, 2010. Ponzanelli G., Lezioni di ragioneria generale, Libreria Ticci Editore, Siena, 1975. Ragioneria generale dello Stato, Atti relativi all’impianto delle scritture complesse per la contabilità delle Intendenze di Finanza, Stamperia Reale, Roma, 1880. Reumont A., Giuseppe II. Pier Leopoldo e la Toscana, in Archivio Storico Italiano, n. 96, a. XXIV, 1876.

188

Bibliografia

Rigobon P., La contabilità di Stato nella Repubblica di Firenze e nel Granducato di Toscana, Girgenti, Salvatore Montes, 1892. Riparbelli A., Aspetti tecnico contabili delle disposizioni del nuovo Codice Civile in materia di Bilanci di società per azioni, Coppini, Firenze, 1943. Riparbelli A., La contabilità di Stato è una disciplina di carattere giuridico oppure una disciplina di carattere tecnico-contabile?, in Rivista italiana di ragioneria, a. LIX, n. 3-4, marzo-aprile 1960. Rossi G., Le scritture metodiche della Ragioneria generale dello Stato, in Riforma sociale, fasc. 8, Vol. XV, 1905. Rossi G., Nuove osservazioni sul rendiconto patrimoniale dello Stato, Reggio Emilia, 1906. Rossi G., I metodi di contabilità prescritti per il bilancio finanziario italiano, Reggio Emilia, 1909. Rossi G., Trattato sulla ragioneria scientifica, Cooperativa fra Lavoranti Tipografi, Reggio Emilia, 1921. Rossi G., L’unificazione della contabilità di Stato considerata nel suo presente periodo evolutivo. Lettura fatta al Collegio dei Ragionieri di Reggio nell’Emilia nell’adunanza del 3 settembre 1882, Stabilimento Tipografico degli Artigianelli, Reggio Emilia, 1882. Sanguinetti A., La Logismografia, le sue forme e le sue applicazioni, Memoria letta all’Accademia dei Ragionieri di Bologna la sera del 12 maggio 1882, Stabilimento Tipo-litografico degli Artigianelli, Reggio Emilia, 1882. Sartori R., Storia della legge per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato, in Economia e Storia, ottobre-dicembre 1956. Sella Q., Sulla finanza italiana. Discorso detto alla Camera dei deputati il 13 dicembre 1865 dal Ministro delle Finanze Quintino Sella, Tip. Eredi Botta, 1865. Sella Q., Relazione della Ragioneria generale presentata alla Camera dei Deputati dal ministro Sella il 21 dicembre 1872. Sinclair A., The chameleon of accountability. Forms and discourses, in Accounting, Organizations and Society, Vol. 20, n. 2/3, 1995. Stewart J.D., The role of information in public accountability, in A. Hopwood-C. Tomkins (a cura di), Issue in public sector accounting, Philip Allan Publishers Limited, Deddington, 1984. Tonzig A., La Nuova Scuola perfetta dei mercanti, ossia la Vera Scienza della Contabilità Commerciale, Sacchetto, Padova, 1876. Vianello V., Nota di contabilità di stato, Estratto da Riforma sociale, anno 11, vol. 14, fasc. 12, Roux e Viarengo, Torino, 1904. Vianello V., Bilancio di cassa o di competenza? Nota di contabilità di Stato, Estratto da Vita italiana, anno 10, vol. 20, fasc. 115, luglio, Tipografia editrice Italia, Roma, 1922. Vianello V., Lezioni di contabilità di Stato svolte, Estratto da Mercurio, anno 4, Tip. E. Schioppo, Torino, 1926. Vianello V., Deficit patrimoniale ed avanzi di bilancio nello stato italiano, Estratto dall’Annuario 1926-27 del R. Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Torino, Tip. Collegio degli artigianelli, Torino, 1927. Vianello V., Di un lavoro manoscritto di ragioneria pubblica esistente nella R. Università di Messina, in Rivista di amministrazione e contabilità di Como, 1893. Vicario F., Le amministrazioni centrali dello Stato. La Ragioneria generale dello Stato. La

Bibliografia

189

Corte dei Conti. L’amministrazione del debito pubblico, Unione tipografico-editrice torinese, Torino, 1914. Villa F., Contabilità applicata alle amministrazioni private e pubbliche. Parte I. Della contabilità in generale e della sua applicabilità alle private amministrazioni, Tipografia delle Scienze, Roma, 1841. Villa F., Contabilità applicata alle amministrazioni private e pubbliche, Parte II. Della contabilità applicata all’amministrazione pubblica, Tipografia delle Scienze, Roma, 1842. Villa F., Elementi di amministrazione e contabilità, Tipografia Eredi Bizzoni, Pavia, 1850. Villa F., Nozioni e pensieri sulla pubblica amministrazione, Tipografia Eredi Bizzoni, Pavia, 1867. Winspeare D., Storia degli abusi feudali, Tip. Angelo Trani, Napoli, 1811. Zappa G., La determinazione del reddito nelle imprese commerciali. Vol. I, Anonima Libraria Italiana, Roma, 1920. Zappa G., Tendenze nuove negli studi di ragioneria. Discorso inaugurale dell’anno accademico 1926-27 nel Regio Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali di Venezia, Istituto Editoriale Scientifico, Milano, 1927. Zappa G., La determinazione del reddito nelle imprese commerciali. Vol. II, Anonima Libraria Italiana, Roma, 1929. Zappa G., Fabio Besta, il maestro. Commemorazione letta a Ca’ Foscari il 2 febbraio 1935, Estratto Annuario dell’Istituto universitario di economia e commercio di Venezia per l’a.a. 1934-35. Zappa G., Il Reddito. Scritture doppie, conti e bilanci di aziende commerciali, Seconda edizione, Giuffrè, Milano, 1946. Zappa G., Il reddito di impresa. Scritture doppie, conti e bilanci di aziende commerciali, Giuffrè, Milano, 1950. Zappa G.-Marcantonio A., Ragioneria applicata alle aziende pubbliche. Primi principi, Giuffrè, Milano, 1954.

190

Bibliografia

Bibliografia

191

192

Bibliografia

Bibliografia

(D) Finito di stampare nel mese di ottobre 2012 nella Stampatre s.r.l. di Torino Via Bologna, 220

193