Cosmopolitismo e Stato nazionale. Studi sulla genesi dello Stato nazionale tedesco. Nazione, Stato e cosmopolitismo nello svolgimento dell'Idea di Stato nazionale [Vol. 1]
 9788822125521, 8822125525

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Meinecke Cosmopolitismo e Stato nazionale 1

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• La Nuova Italia

Strumenti Ristampe anastatiche/28

Volume primo

La presente ristampa anastatica è tratta dall'edizione pubblicata nel 1930 nella collana « Storici antichi e moderni». Titolo originale: Weltburgertum und Nationalstaat Oldenbourg Verlag, Mi.inchen, 1922 6 • © Copyright 1975 by La Nuova Italia editrice, Firenze.

Friedrich Meinecke

Cosmopolitismo e Stato nazionale Studi sulla genesi dello Stato nazionale tedesco Traduzione di A. Oberdorfer

La Nuova Italia editrice

VOLUME PRIMO

NAZIONE, STATO E COSMOPOLITISMO NELLO SVOLGIMENTO DELL'IDEA DI STATO NAZIONALE

AD

ERICH

MARCK

IN RICORDO DEGLI ANNI VISSUTI

NELL'ALTO O1-,FRO

CON

RENO AMICIZIA

INSIEME

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PREFAZIONE ALLA

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na EDIZIONE.

Il mio libro, la cui prima edizione è della fine del 1907, tenta di vedere a fondo nella genesi dello Stato nazionale tedesco, considerando alcuni grossi problemi e seguendone l'evoluzione nel corso dell'ultimo secolo. Nella ricerca andavano sempre fatte inte1'fe1·ire le considerazioni storicopolitiche e quelle fondate sulla storia del pensiero. Posso dire con g1·atitudine che il mio saggio ebbe riconoscimento e accoglienze quasi tutte cm·diali e che esso ha già dato impulso all'indagine in vari sensi. Cusi, dalle osservazioni dei miei recensori, p1'imi tra -i quali G. Kuntzel, R. M. Meyer e H. Oncken, oltre che da alcune monog1·afie di questi ultimi anni, ho fratto materia per una serie di cor1·ezioni e di aggiunte introdotte in questa seconda edizione. La pubblicazione dell'epistolario del Gentz m'ha convinto a delineare brevemente l,a posizione di lui entro lo sviluppo storico delineato nel 1° libro. Spero d'aver giustificato sufficientemente la mia concezione della politica germanica ed europea dello Stein, di fronte ai dubbi sollevati da H. Ulniann. La biografia di J. (}. Droysen, scritta da G. Droysen, m'ha porto la grata opportunità di chiarire, nel 11° libro, i p1'ecedenti del suo programma della primavera 1848. Ho potuto mettere me!JliO in luce la posizione del re Federico Guglielmo IV rispetto ai problemi trattati nel 11° libro, in grazia d'una minuta, scoperta ,·ecentemente nell'archivio di famiglia. Ho frovato nuove testimonianze relative all'atteggiamento dei fautori della monarchia imperiale ed e1·editaria. Non ho mancato di tener conto delle obiezioni sollevate contro la mia esposizione della tat-

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PREFAZIONE

tica usata dal gruppo cattolico del 1848. Infine, la biografia del Bennigsen dovutq a H. Oncken mi ha offerto materiale d'importanza fondamentale per le aggiunte dagli ultimi capitoli. Il mio libro è fondato sull'opinione che l'indagine sto·rica tedesca, senza rinunciare alla preziosa tradizione delle .4:Ue ricerche metodiche, debba risollevarsi alla sensibilità e al contatto con le grandi forze della vita statale e culturale; che .çenza pre,qiudizio delle sue peculiarità e delle sue finalità debba immergersi più coraggiosamente nella filosofia e nella politica; che, anzi, soltanto a questo modo possa svilu,ppare la sua caratteristica più peculiare, d'essere al tempo stesso univertrale e nazionale.

PREFAZIONE ALLA IIP' EDIZIONE. Questa nuova edizione ha imparato molto dalla produzione degli ultimi anni e contiene una serie d'aggiunte e di nuove note: nel 1° libro, specialmente al 1° capitolo ~ al VI 0 , nel 11° libro in pres.ço che tutti i capitoli in misura quasi uguale. Sopra tutto le nuove fonti di.'ichiuse dal libro del Pastor su Max v. Gagern m'hanno dato modo di riempire qualche lacuna e, con mia soddisfazione, di sollevare al grado di certezza alcune mie precedenti supposizioni. La stampa della nuova edizione era già iniziata quando scoppiò la guerra mondiale. Questa guerra, che farà di noi definitivamente u,1 popolo universale, ha dato forme nu01:e al duplice ideale, di cosmopolitismo e di Stato nazionale, che ha sempre brillato innanzi alla J..Vazione tedesca, da quando fu assunta a nuova vita storica. Pa:~satu, presente e avvenire urgono oggi insieme nell'anima nostra. Mentre i nostri figli, alla guerra, ci di( endono da pericoli qual i la Germania non aveva più corso dopo la guerra dei Trent'anni e la dominazione napoleonica, noi solleviamo gli occhi alle altezze dalle quali ci viene aiuto, agli alti spiriti del passato che, invisibili, accompagnano e benedicono

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PREJ.o'AZIONt:

la nostra lotta. Possa il mio libro, nato un tempo nella quiete dello studio, offrire qualche cosa anche alle necessitd dei tempi presenti. In un poscritto al 11° libro ho tentato d'esaminare il problema prw1siano-germanico alla luce del momento attuale. Berlino-Dahlem,

19 marzo 1915.

PREFAZIONE ALLA IV 8 EDIZIONE.

La guerra ha mantenuto vivo l'interesse per i problemi t,·attati in questo libro. Questa nuova edizione reca un'altra serie di aggiunte, relative specialmente al 1° e al Vl 0 capitolo del 1° libro, ed a quei capitoli del II 0 libro che hanno attinenza con le recentissime pubblicazioni di Erich Rrandenberg dai documenti lasciati da Ludolf Camphausen. Berlino-Dahlem,

PREFAZIONE ALLA

26 gennaio

1917.

va EDIZIONE.

Questa volta l'indagine degli ultimi anni ha aggiunto solo materia di scm·sa importanza alle note e al testo. },fa i fatti spaventosi che hanno colpito la Germania in queste settimane toccano le radici dei due problemi dei quali tratta la presente opera. Il lettore attento disceniercl facilmente i fili che conducono, dalle mie indagini e considerazioni, alla grave situazione attuale e ai compiti eh 'essa impone. I problemi dell'egoismo nazionale, della Lega delle }./azioni, dei rapporti tra Prussia e Germania e dell'evoluzione della costituzione germanica sotto la pressione della politica estera, problemi ch'io ho trattato dai punti di vista possi-

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PREFAZIONE

bili e raggiungibili avanti l'agosto '14, esigono ora soluzioni pratiche imprevedute. Il mio libro deve conservare l'impronta che gli ha dato l'etd in cui è sorto. I concetti fondamentali di esso, credo conserveranno la loro validità anche nei tempi nuovi: ma questi getteranno nuova luce anche sul passato. Come, politicamente, ci troviamo ora dinanzi al compito di trarre con animo deciso e invitto le conseguenze della guerra mondiale per la nostra vita avveni-re, senza venir meno alla fede al nostro passato nazionale, così ci conviene anche nei riguardi spirituali esaminare le nostre antiche considerazioni storiche alla luce delle nuove esperienze. Berlino-Dahlem,

8 novembre 1918.

PREFAZIONE ALLA VIa EDIZIONE. Questa volta i cambiamenti si limitano quasi esclusivamente ad aggiunte, in nota, suggerite dall'indagine critica degli ultimi anni. Al 11° libro, rimasto immutato, ~ aggiunto un Saggio, del 1921, sui nuovi sviluppi del problema prussiano-germanico. Berlino-Dahlem,

24 aprile 1922.

CAPITOLO

I.

DELLA NAZIONE, DELLO STATO NAZIONALE E DEL COS11OPOLITISMO IN GENERALE.

Chi voglia ragionare intorno all'origine e allo sviluppo del concetto di Stato nazionale in Germania, deve prima farsi una chiara idea di quel che sieno NazioJ?.e e Stato nazionale e delle relazioni che corrono tra questi due concetti. Che cosa divide l'una dall'altra le Nazioni, entro la cornice universale della storia dell'umanità Y L'unica risposta possibile è che non ci sono formule le quali riassumano le caratteristiche con valore generale. Si vede alla prima che le Nazioni sono grandi e possenti comunità di vita sorte attraverso un lungo processo storico e sottoposte a movimenti e mutamenti injnterrotti; e perciò appunto c'è nella natura della Nazione qualche cosa di fluido. Sedi comuni, comune discendenza o, più esattamente - dato che non ci sono nazioni di razza pura nel significato antropologico della parola - uguale o simile mescolanza di sangue, lingua comune, vita spirituale comune, lega o federazione di parecchi Stati d 'ugual natura: tutte queste possono essere caratteristiche importanti, essenziali, d'una Nazione; ma con ciò non è detto che una Nazione, per esser tale, debba possederle tutte

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insieme. Quel eh 'essa deve possedere incondizionatamente (; un intimo nocciolo naturale, nato dalla consanguineità. Su di esso possono fondarsi e crescere quella peculiare, profonda comunanza spirituale, quella più o meno chiara coscienza di essa, che elevano le varie stirpi riunite a dignità di Nazione e le autorizzano ad assimilarsi anche stirpi ed elementi eterogenei. Se non che nessuna legge generale de11'esperienza e 'insegna in che modo sorga questa comunità superiore e di che natura sieno i suoi contenuti; lo impariamo solo dal1'analisi dei singoli casi concreti. Se, invece, leggi generali ci sono, esse non sono accessibili alla no~tra esperienza. Qua e là si ha l'impressione d'afferrare un lembo di legge generale o per lo meno d'una tendenza generale. r di scoprire caratteristiche e sviluppi analoghi in tutte, o almeno in molte Nazioni; ma, a riguardar le cose più da vicino, ogni Nazione presenta sempre dei lati completamente individuali e suoi propri. La sociologia generale potrà tentar di determinare, entro i limiti del possibile, quel che v 'ha di tipico e di generale nella natura delle Nazioni; ma lo storico tenderà invece ad osservare con tutta la fedeltà e la finezza possibili quel che e 'è di caratteristico in ognuna di esse. A questo scopo tendono anche i nostri studi: ma, per poterlo raggiungere, essi debbono prima procurarsi un orientamento, sia pur sommario, intorno ai tipi e alle tendenze generali che si possono determinare nella natura e nel divenire delle Nazioni. Qui non consideriamo le Nazioni nelle loro prime origini che, come abbiamo accennato, possono ricercarsi in una concrescenza di stirpi e di leghe minori, ma le studiamo in uno stadio più avanzato del loro sviluppo. Prima 1,remessa per lo sviluppo d'una Nazione è eh 'essa abbia un saldo fondamento territoriale, una « patria ». Ci sono anche popoli nomadi, territorialmente dispersi, ma l 'esperienza insegna che hanno saputo conquistarsi e conservarsi maggior consistenza e più ricco contenuto soltanto

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E STATO NAZIONALE

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quelli che hanno avuto per lungo tempo una sede fissa, una patria. Se ora ci si chiede da quali radici cresca questo contenuto pilì ricco, bisognerà distinguere subito due grandi gruppi, dividendo le Nazioni - pur con tutte le riserve da farsi fin da principio - in Nazioni culturali e Nazioni territoriali, 1 ) cioè Nazioni fondate prevalentemente sopra un qualche possesso culturale conquistato con comune sforzo e Nazioni che si fondano innanzi tutto sulla virtù unificatrice d'una storia politica e d'una legislazione comuni. Lingua, letteratura, religione comuni sono i più importanti cd efficaci possessi culturali, dai quali una Nazione culturale possa sorgere e venir cementata. Uno dei migliori conoscitori delle antiche lingue comuni della Grecia, dice: « esse non hanno nulla a ehe vedere coi nessi statali ed hanno valore soltanto nei riguardi della letteratura» 2 ). Altro esempio analogo ci porge la lingua comune irlandese, creata anch ·essa e diffusa per vie non politiche, dalla categoria dei poeti e dei narratori 3 ). Ma più frequente è il caso di lingue e letterature comuni che sieno state, se non proprio originate, almeno favorite nel loro sviluppo da influenze e interessi di natura politica ·1 ). Anche il nesso fra religione, Stato e nazionalità è ~pesso assai stretto; specialmente nel caso di antiche Nazioni territoriali, che già ; ma non desidera che lo Stato si proponga come compito· immediato l'educazione della Nazione alla guerra 2 ). Non nega che ci vuole un mézzo per unire fra loro Stato e Nazione ossia, come dice con certa condiscendenza, la parte dominante e la parte dominata della Nazione. Uno di questi mezzi, che nell 'antichità diede origine a nobili formazioni statali, sarebbe la « diffusione fra la Nazione d'uno spirito favorevole alla costituzione »: per il presente non lo ritiene però consigliabile, in quanto esso riesce facilmente di danno allo sviluppo dei cittadini nella loro individualità 3 ). A guardar la cosa più da vicino, egli non combatte l'amore della Nazione per la sua costituzione, ma soltanto i mezzi artificiosi usati per farlo nascere. E la costituzione deve farsi sentire il meno possibile, mentre l'influenza dello Stato dcv 'essere sostituita, fin dov'è possibile, dagli interessi privati dei cittadini, resi più forti e più complessi. Lo Stato dev'essere non quanto più forte, ma quanto pi1ì debole è possibile. Da buon conoscitore dcll 'animo umano egli sapeva già allora che l'uomo è più incline al com~mdo differenza fra istituzione nazionale e istituto statale. Quella ha soltanto forza mediata, questo l'ha immediata. In quella c'è, perciò, maggior libertà d' iniziativa, di divisione, di modificazione. :t molto probabile che tutte le entità statali composte fossero da principio nu1l 'altro che unioni nazionali di questo ti po ». :t una concezione che porta a una caratteristica modificazione, a un rilassamento della teoria del contratto. 1 I, 162. ) 2 I, 140. ) 1 1, 234. )

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COSMOPOLITISMO

E STATO

N~~~~-~L_E

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ehe alla ~ertà e da-buon suddito prussiano sapeva anche ehe il com8"}dodà gioia non solo a chi comanda ma anche a coloro eh~ \servono, per la coscienza eh 'essi ne ricevono d'essere parti d'un tutto che vivrà oltre la durata d'una generazione 1 ). Ma non era questo il suo ideale; il grado più alto di civiltà stava per lui nell'attività libera, non nella dispotica. Risulta da tutto ciò che non solo l'antico Stato assolutistico era lontano dai suoi desideri, ma ~nche lo Stato nazionale moderno, fondato sulla partecipazione alla vita statale della Nazione, · che comanda e obbedisce insieme, e sopra una vita costituzionale che lega l'uno all'altro chi comanda e chi obbedisce. Dappertutto egli sente i vincoli posti all'individuo autonomo, agente solo per la spinta dei suoi bisogni interiori, nè al suo occhio sensibile sfugge il più lieve fumo che possa adombrare la libertà della Yita interiore. A quel eh 'egli intende per « Nazione » e per « spirito e carattere della Nazione» va attribuita natura quanto più è possibile lieve e incorporea; non è una « forza » vitale, che guidi o riempia di sè i singoli, ma uno «spirito» vitale che si sviluppa dal confluire delle emanazioni delle molte anime individuali. Che se poi esso potrà far sentire a suo beneplacito il proprio effetto sui singoli, non cesserà perciò di essere in prima linea una cosa generata, non una generante. Potremo forse farci un 'idea più chiara delle caratteristiche del suo concetto di Nazione, confrontandolo con quello prodotto dalla teoria della sovranità popolare e dalle idte della Rivoluzione francese e poi ancora con quello bandito più tardi dai romantici e dalla Scuola storica del diritto. Esso ricorda il primo di questi due concetti per la sua ignoranza dei fattori storici che agiscono

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)

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MEINECKE

nelle origini delle Nazioni 1 ) e per la concezione, colorita con le tinte del diritto naturale, dell '« unione nazionale», come d'una pluralità ~ 'individui ehe per il mo~ mento vivono l' uno accanto all'altro; però ignora affatto una volonté générale della Nazione, che si esprime attraverso la maggioranza o i rappresentanti di essa. Anzi, non la ammette nemmeno. « Anche se, egli dice 2 ), l'unione statale, strettissimamente intesa, fosse un'unione nazionale, la volontà dei singoli individui non potrebbe esprimersi che per mezzo del regime rappresentativo, e no!1 è possibile che un rappresentante di molti sia espressione fedele dell'opinione dei singoli rappresentati ». Anche il Rousseau, com 'è noto, non amava il regime rappresenta tivo; ma il Humboldt va. più oltre di lui, quando non ammette una decisione per maggioranza e dichiara necessario il consenso dei singoli. Qui egli pensa sopratutto al problema, se lo Stato possa dar vita ad istituti il cui scopo vada al di là della sicurezza esterna ed· interna; ma è chiaro che a questo modo viene a negare in genere la possibilità d'una volontà nazionale unitaria, tale da dominare le volontà individuali, che in qualche modo vi si oppongono. Altrove 3 ) egli dice: « Il compito più vasto rimane sempre da espletare all'attività libera e concorde dei cittadini ». Il Rousseau e la Rivoluzione francese avevano attribuito alla volontà della Nazione un certo ascendente sulla vita individuale, che il Humboldt non voleva riconoscerle; il romanticismo storicizzante volle invece, più tardi, la vita individuale determinata con inconscia azione dal genio nazionale. La vita individuale era considerata subordinata, qui come là: ma lo spirito nazionale che la sot-

1

Perciò il concetto nazionale presenta un passo indietro rispetto 2 2, 131. ) 1 ) 1, 157. )

del suo « Versuch ecc. » rapalle sue idee del 1791.

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tometteva era diverso per gli uni e per gli altri. Per il H umboldt, però, non c'è uno spirito nazionale che la subordini, nè quello costituito democraticamente secondo il diritto naturale, nè quello inteso da un punto di vista storico-conservatore, nè quello che governa consciamente e intenzionalmente, nè quello che crea senza averne coscienza. Egli pronunciò sempre, è vero, la parola Nazione con più calda espressione che la parola Stato, ma lo fece perchè essa significava per lui maggior libertà accordata all'individuo 1 ). Ne&suno aveva dato così forte, anzi così esclusivo rilievo - tra i vari fattori che costituiscono la natura della Nazione moderna - alla spontaneità degli individui che la formano. Tuttavia era già molto che quest'ardente e puro individualista ne sapesse qualche cosa della Nazione, che non si accontentasse del puro e semplice auto-godimento della personalità, che ]a libera scambievole attività degli individui diventasse subito per lui « libera attività scambievole della Nazione». Il suo concetto nazionale ne divenne, però, così generico da confonderglisi tra mano con un concetto di «società» 2 ), altrettanto ampio ed indeterminato, di modo che per lui Nazione e Società minacciarono di finir per essere nulla più che espressioni determiuanti la naturale convivenza degli uomini. In compenso, però, egli aveva un 'idea oltremodo vasta e ricca di questa naturale convivenza, di questa reciproca azione esercitata dagli uomini l'uno sull'altro; idea varia, ricca di contenuto, salda quanto può esserlo un' idea. La sua intuizione della convivenza naturale e dell'azione reciproca

1

)

« Come la Nazione lo interessava più dello Stato, così l'uomo

più della Nazione»: HAYM, Humboldt, p. 51. z) Cfr. specialmente quello che dice I, 113. Haym, p. 55 dice con molto garbo: « Nel quadro· d'una nobile società gli si dipinge l'intera Nazione vivente entro uno Stato».

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degli uomini era talmente viva e profonda, che gli ci Yoleva non meno dell'altra esperienza pratica, perchè, entro i moti armonici delle forze umane, sentisse mormorare anche le voci del vero « spirito nazionale». Se gli si volesse rimproverare d'essere stato sordo, allora, a queste voci, si potrebbe rispondere con le sue stesse parole : « Sparge semi che si svilupperanno da sè, più che non costruisca edifici in cui appaia traccia diretta della sua mano ». E coloro che considerano l'incorporeo concetto di Nazione del Humboldt più interessante di parecchi tra i molti bene intenzionati sfoghi tedesco-patriottici di quei decenni, si contortino con le parole che seguono immediatamente alle già citate: « Occorre un maggior grado di eultura per rallegrarsi dell'attività che crea soltanto energie e lascia ad esse di produrre i risultati, che non per rallegrarsi di quella che dà, essa stessa, risultati immediati 1 ) ». E veramente bastava che lo spirito del H umboldt fosse lasciato a se stesso, perchè trovasse la via che conduceva alla Nazione. Chi aveva tentato di penetrare nel segreto dell'individualità con la purezza e la passione, la tenerezza e l'energia con cui l'aveva tentato il Humboldt, doveva ben accorgersi un giorno che anche entro l 'individuo vive cd opera lo spirito nazionale, il vero spirito nazionale che non fiorisce soltanto dalla libera attività sociale dei singoli, ma si stende dinanzi e al disopra di essi come una forza viva, salda, storicamente operante. Lo studio dei Greci, modello, secondo lui, di grandi individualità, gli aveva reso chiaro che cosa fosse per essi « carattere nazionale >: sopra ogni altra cosa, una preziosa e necessaria premessa per lo sviluppo dei caratteri individuali.« Però, dovette confessare guardando a quelli,

i) Pare che allora non facesse ancora distinzione fra coltura e istruzione, come fece poi nei suoi scritti di linguistica.

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la cultura dell'uomo in masse precede sempre quella degli individui » 1 ). Anche un 'altra riflessione, condotta pure questa seeondo il primitivo indirizzo del suo pensiero, ]o portò a meglio intendere e ad apprezzare più altamente la Nazione. Il suo individualismo non portava all'uniformità, ma alla varietà e peculiarità della vita umana. L'ideale d'umanità si presenta, secondo lui, 2 ) non in una forma sola, ma in tante forme quante possono sussistere l'una accanto all'altra, nè mai si rivela altrimenti che nella totalità degli individui. Ma come può aumentare la ricchezza dell'individualità, se questa è propria non solo dei singoli, bensì anche delle grandi masse d'individui, cioè delle Nazioni? E allora egli rispondeva !i) : « L'umanità ha bisogno, di riunire molti individui, sopratutto per poter dimostrare, attraverso la massima varietà delle attitudini, la propria essenza nella sua piena ricchezza e in tutta la ~ua estensione ». E si chiedeva a questo proposito se non sarebbe stata una perdita di qualcosa di preziosamente earatteristico già il fatto che anche la sola piccola Nazione svizzera fosse stata cancellata dalla serie delle Nazioni europee. Si può dire senz'altro che negli anni dopo il 1793 il problema di Nazione stette per lui in cima a quelli che si proponeva di risolvere. Si poteva arguirlo già dalle sue lettere, specialmente da quelle al Goethe e al Jacobi; ma la profondità del suo interessamento si rivela appena dagli abbozzi di storia e di filosofia della storia stesi in questi anni e messi in luce per la maggior parte soltanto nell'edizione accademica dei suoi scritti, abbozzi che hanno

1

Ueber das Studium des A.ltertums und des Griechischen ) insbesondere, 1793. Ges. Schriften 1, 276. 1 ) Plan einer 11ergleichenàen A.nthropologie, 1795. Ges. Schriften 1, 379. ') Loc. cit.

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mirabilmente esteso la nostra conoscenza delle idee del Humboldt 1 ). « Lo studio d'una Nazione, è detto in quegli scritti 2 ), offre per lo meno tutti .i vantaggi che offre lo studio della storia in generale». A dir vero questi vantaggi della storia sembra egli li veda, con un razionalismo un po' utilitario, soltanto nell'aumento della conoscenza degli uomini, di acume nel giudizio, di carattere; in tal modo, però, dava la massima ampiezza e la massima profondità al concetto di conoscenza dell'uomo, considerandola come « conoscenza dell'uomo in genere» e di tutte le 'forze e di tutte le leggi che esercitano un 'influenza sulla vita umana, dal di fuori o dall'interno. Specialmente lo studio della Nazione, in quanto spinge ·ad esaminarne la condizione sotto tutti gli aspetti, ne deve fornire quasi una biografia, che, analizzando il suo carattere sotto ogni riguardo e in tutti i suoi rapporti, analizzi nello stesso tempo le reciproche relazioni fra le singole caratteristiche e col mondo esterno, in quanto sieno causa o conseguenza di quelle. Postulando una rappresentazione della vita della Nazione, che andasse il più a fondo possibile nella ricerca delle cause, il Humboldt precorreva già uno dei compiti principali imposti poi alla scienza storica del secolo XIX. Per poter valutare meglio il suo interessamento per la natura della Nazione, sentiamone ancora qualche principio·: « Lo studio dell' uomo, dice egli nello stesso scritto del 1793, 3 ) guadagna moltssimo 1

L'opera del Kittel sulla concezione storica del Humboldt,. ) 1901, buona ma schematica, non se ne potè sen-ire. Su di essi invece, non meno che sulle lettere del Humboldt alla sua fidanzata e, poi, moglie, di recente pubblicate, si fonda il bel libro di ED. SPRANGER: W. 11. Humboldt und die Humanitiitsidee, 1909, libro che, con mio vivo piacere, concorda con le mie idee intorno alla coscienza. nazionale del Humboldt . 2 • ) Ueber das Studium des Altertums, 1793. Ges. Schriften,. p. 256 seg. 1 ) 1, 264.

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dallo studio e dal confronto fra tutte le Nazioni di tutti i paesi e di tutti i tempi ». Così, negli anni seguenti, gli nacque l'idea d' iniziare una scienza affatto nuova, l'antropologia comparata, il cui compito era « di cercare il carattere di classi intere d'uomini, meglio ancora il carattere di Nazioni e d 'epoche intere» 1 ). Il concetto fondamentale da cui partiva il suo grandioso progetto era questo : « l'uomo preso a sè è debole e può ben poco con le sue sole forze, troppo limitate; egli abbisogna d'un 'altezza sulla quale ergersi, d' una massa su cui farsi valere, d ' una serie nella quale introdursi; vantaggi, questi, che infallibilmente ottiene, quanto meglio egli coltiva e sviluppa in sè lo spirito della sua Nazione, della sua schiatta, della sua epoca» 2 ). Questo progetto d'una antropologia comparata perdette d' importanza ai suoi occhi nel 1796, quand'egli ne formulò un altro, ancora più grandioso, d'un' opera a fondamento storico sullo spirito dcll 'umanità in generale, opera le cui singole parti dovevano essere elaborate, secondo un'unica direttiva, da mani diverse 3 ). Per sè, egli si riserbava l'argomento: « Spil'ito e carattere del secolo XVIII ». Il primo abbozzo di questo lavoro, steso nel 1796 e nel 1797 4 ), in sostanza non va più in là dell'enunciazione dei principi metodici, quasi egli volesse arrotare a filo di rasoio il coltello che doveva servire per il suo lavoro. Così, forse, egli rivela i limiti delle sue possibilità. Troppo spesso le sue concezioni restavano campate in aria, senza prender concretezza corporea; tuttavia esse ci parlano come se vivessero, e alle nostre domande rispondono con chiarezza e prontezza. Ri-

1

) Plan einer 1Jergleichenden Antliropologie, 1795. Ges. Schriften I, 384. 2 1, 385. ) 3 Cfr. le osservazioni del LEITZMANN in Gt's. Scltr·iftcn, 2,401. ) 4 ) Op. cit. 2, 1-112.

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sulta, quindi, nettamente che, nonostante il carattere razionale e universale proprio del secolo XVIII, egli voleva studiarne lo spirito partendo dal solido fondamento d'una concezione storico-nazionale. In contrapposto ai francesi di Luigi XIV, che avevano conosciuto un 'unica forma e una regola sola per tutto, egli dichiara 1 ) : « Noi, invece, ci abituiamo ora a studiare le caratteristiche d'ogni età e d'ogni Nazione, a penetrarle per quanto è possibile e a fare di queste conoscenze il nocciolo del nostro giudizio». Quest'esempio dimostra come un individualismo onesto e severo verso se stesso potesse arrivare, con le sue proprie forze e con l'auto-riflessione, alla conoscenza di quelle forze superindividuali della vita, dalle quali le singole vite sono, si, circuite e limitate, ma anche sostenute e fecondate. Per quanta parte potesse avere in questo processo il piacere estetico di scoprire queste nuove grandi cose, sappiamo che nel H umboldt esso non aveva parte preponderante; non foss 'altro si fondeva in lui inscindibilmente con quell'atteggiamento del suo spirito, che sempre voleva abbracciare insieme se stesso e il mondo. In lui l'individuo, forte e assetato di libertà, acquistò coscienza della propria debolezza, del proprio stato di dipendenza dalla Nazione materna, e imparò a guardare ad essa con gratitudine. È commovente il modo come egli ]o confessava a Goethe il 18 marzo 1799, da .Parigi 2 ) : « Ella che conosce persino le limitatezze della mia natura, deve sentire come tutto ciò che mi circonda fuori di Germania rimanga per me sempre eterogeneo .... Chi s'occupa di filosofia e d'arte appartiene alla sua patria più stret1

)

2, 72.

) BRATRANEK, Goethes Briefwechsel mit den Gebrudem H umboldt, p. 58. Il 26 ottobre 1798 seri veva all ' J acobi: e:Vivendo in Francia sono diventato molto più tedesco di prima ». LEITZMANN, Briefe Humboldts an Jacobi, p. 60; vedi anche p. 120. 2

11.

Nello stesso senso scriveva anche a F. A. Wolf, il 22 ottobre 1798 (Ges. Werke, 5, 208).

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tamente che altri.. .. La filosofia e l'arte hanno più bisogno della loro propria lingua, che il sentimento e il pensiero si sono formata e da cui a loro volta sono stati formati ». E aggiungeva anche l'importantissima e giusta osservazione, che proprio in grazia del raffinarsi della lingua, della filosofia, dell'arte, si sarebbero accresciute l 'individualità e la diversità delle singole Nazioni, sicchè più difficile sarebbe diventata l'intima intelligenza fra Nazioni diverse ma, insieme, più generale il bisogno di essa. Nelle più alte attività umane egli vedeva dunque la radice della vita della Nazione; la tendenza caratteristica d'una cultura in via di perfezionamento stava per lui non in una mescolanza cosmopolitica, ma nella differenziazione nazionale, la quale però a sua volta spinge a un nuovo sforzo per l'intesa reciproca. I suoi Diari parigini dimostrano com 'egli facesse subito suo questo compito, per proprio conto 1 ). Proprio allora, in mezzo alla movimentata vita francese, egli sentiva con tranquillo orgoglio le caratteristiche della cultura tedesca e la sua superiorità sulla francese. In quegli anni il H umboldt pare s'accosti al pensiero storico e nazionale del secolo XIX; ma qui bisogna tracciare nettamente il limite fino al quale poteva giungere un figlio del secolo XVIII, individualista e cosmopolita, e al di là del quale non voleva passare. Vedremo ora da un primo grande esemp_io,come la nuova idea nazionale fosse ancora impregnata, proprio nei suoi migliori rappresentati, degli ideali universali, umanitari, propri della cultura stata prevalente fino allora. Si noti come egli torna a limitare subito l'esigenza d'uno studio comparativo delle Nazioni, da lui posta nel 1793: a prescindere dal1'immensità d'un simile studio, dice, importa più il grado d'intensità con cui viene studiata una sola Nazione che

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)

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voi. 14, 1916.

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non l'estensione con cui se ne studiano parecchie; e ritiene il più degno d'essere studiato, quel carattere nazio-: nale che più s'accosta all'essenza dell'umanità 1 ). Tale er-a per lui il carattere dei greci, che tendevano « a sviluppare1'uomo nella massima unilateralità ed unità >; in essi si palesa per gran parte « il carattere originario dell 'umanità > 2 ). Per lui, dunque, lo studio della Nazione è un mezzo al fine di ottenere dalla storia la conferma del, proprio ideale d'umanità. Anche l'indagine moderna intomo alla vita particolare delle Nazioni vuole, in fondo, cavare dalla storia i più alti valori umani, ma essa considera il cammino dalla Nazione all'umanità e dall 'esperienza. ali 'ideale, più lungo e più difficile che non lo credesse il Humboldt. Essa cerca di accoppiare l'estensionenello studio delle Nazioni, di cui il Humboldt riteneva di poter fare a meno, con l'intensità eh 'egli esigeva, e nel compiere questo lavoro allontana dalle proprie officine l'ideale d'umanità che il Humboldt credeva di poter· raggiungere rapidamente a volo, perchè lo splendore di esso non le renda l'occhio meno valido a riconoscere la verità. Non perciò essa vi rinuncia; soltanto, lo relega altrove, più in alto, mentre per proprio conto cerca di determinare con la massima esattezza, ampiezza e spregiudicatezza, quanto diverso è, nella realtà, l'individuo storico. l\fa qual 'era per il Humboldt il compito dell'antropologia comparata? Essa doveva, si capisce, cercare i caratteri immanenti delle Nazioni con la cura del naturalista, ma, « sebbene ad essa importi, in verità, soltanto di sapere quanto può essere diverso l'uomo ideale, deve tuttavia far credere che le importi di determinare quantodiverso sia nel fatto l'uomo individuale >. Considerata da un punto di vista puramente logico, la sfumatura in con-

1 2

) )

1, 264. 1, 270 e 175.

l'OSMOPOI,ITISMO

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fronto della scienza moderna non è molto sensibile; ma dal punto di vista psicologico essa è notevolissima. L'uomo moderno è convinto che bisogna tracciare il limite fra le varie attività e i vari bisogni dello spirito umano, più rigidamente che non lo credesse il Humboldt e ritiene che, per riuscire perfettamente nel campo del1'esperienza, bisogna proporsela come fine a se stessa, e non solo all'apparenza ma in realtà e ben decisamente. Ciò importa per lui, insieme, un guadagno e una perdita: perde molto della sua felicità interiore, dell' impeto d'ala col quale il Humboldt poteva, sempre che volesse, sollevarsi da uomo reale a uomo ideale; in compenso, guadagna ciò che si può guadagnare da una razionale divisione del lavoro. Anche questa nostra indagine ha in prima linea lo scopo di dimostrare come, pure nello sviluppo dell'idea nazionale nel secolo XIX, ci sia stata una specie di divisione del lavoro, in quanto la si è andata a poco a poco appartando dalle idee universalistiche ed eticouniversali in origine concresciute con quella, e soltanto così essa ha assunto forme pratiche per le finalità dello Stato. Ma qui dobbiamo por mente anche ad un 'altra divisione del lavoro, avvenuta entro la sfera d'azione del1' idea nazionale, che si è suddivisa in una sfera teoretica e una pratica. La comprensione del fatto nazionale, per un lato è fecondissimo mezzo scientifico di conoscenza, per 1·altro una grande forza morale per lo Stato e per la società. Interiormente le due correnti sono ancora una s~ cosa, nè possono mai venire completamente divise senza che ne sia minacciata la stessa loro scaturigine; ma nella pratica procedono divise e un forte egoismo politiconazionale può accoppiarsi, entro la stessa individualità, con un 'amorosa intelligenza di tutte le caratteristiche nazionali straniere, pur essendo assolutamente distinto da quelle. Il Humboldt, però, è una totalità indivisa, una stretta concrescenza di contemplazione e di volontà, in. quanto, come abbiamo visto, concepiva lo studio delle Na-

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F. MEINECKE

zioni sotto un punto di vista etico e contemplativo al tempo stesso : che cos'era, infatti, quel suo cercare l'uomo ideale, se non etica altissima e insieme altissima intuizione spirituale? Indagando il fatto nazionale egli cercava il supernazionale, il sommo .bene spirituale e morale che gli fosse dato di raggiungere. Ma si potrebbe chiedersi che ne era di quell'efficacia etica del suo studio delle Nazioni, che è la più accessibile all'uomo moderno e gli sembra la più logica; e che influenza essa ebbe sui suoi sentimenti tedeschi. Abbiamo visto come a Parigi s'accendesse in lui la grata coscienza di ciò che aveva ricevuto dalla sua patria, sicchè in mezzo a quella nazione straniera ed estranea si sentiva più tedesco che mai. Se non che quella Nazione tedesca cui si sentiva legato, non era tutta intera la Nazione fino alle sue più intime profondità, ma solo una minuscola, minima parte scelta di essa. « In Germania, scrive all 'Jacobi 1 ), si dimentica volentieri la massa per fermarsi al singolo individuo ». E, più chiaramente, a Goethe 2 ) : « Che altro è ciò che mi lega alla Germania, se non quel che ho attinto dalla vita in comune con Lei e con quella cerchia d'uomini, dalla quale da quasi due anni sono tenuto lontano per forza? ». Goethe è il suo mondo: quella era per lui la Germania. Certo egli sentiva che anche la Germania di Goethe non era soltanto un circolo d'uomini liberi, ricchi d 'energie creative, e che in essa si faceva altamente sentire la « spinta interiore>, la « forza viva, sempre operante», indispensabile, secondo lui, non ad ogni uomo soltanto ma ad ogni Nazione 3 ). Non gli mancava il senso per il fattore nazionale; ma si può dire che avesse già anche un sentimento nazionale? 1

)

1

1

LEITZMANN, BRA TRANEK,

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LEITZMANN,

p. 64. p. 58. p. 61.

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Nel carattere nazionale tedesco gli pareva bello e grande appunto quel suo ignorare le barriere naturali d'altri caratteri nazionali, che gli consenté di sollevarsi più puro e più libero verso il fatto umano in generale. Nel suo Saggio sul secolo XVIII dice 1 ) : « Ai tedeschi si fa generalmente il rimprovero di rinnegare la loro propria originalità interiore e d'imitare troppo pedissequamente altre Nazioni, cui danno facile vittoria accettando di portare la lotta sopra un terreno eh 'è loro estraneo. Alla prima, non c'è nulla da obiettare al rimprovero; ma a guardar le cose più dall'alto si vede che quest'imitazione è soltanto un fenomeno transitorio, I 'esagerazione d'una qualità che di solito suscita ammirazione ed emulazione e - non nascendo essa da mancanza di forza, ma ~olo da mancanza d'una precisa determinante naturale, mancanza che lascia utilmente prevalere le facoltà discriminative dell'intelletto e le energie della volontà appare come un nobile sforzo diretto a raggiungere un 'ideale multilateralità>. Questa concezione era ancora ben lungi dal poter essere trasformata in un 'etica politico-nazionale e non era nemmeno sufficente a conoscere che cosa significassero Nazione e Stato l'uno rispetto all'altra, a soddisfare un interessamento per questo problema di natura puramente scientifica, privo d'ogni passionalità. In mezzo al grande fenomeno offerto dallo Stato francese, non solo rivoluzionato ma anche nazionalizzato, e proprio mentre si dava più da fare per intendere il carattere nazionale francese nei suoi tratti più squisiti, il Humboldt. scriveva al Goethe: « Ella sa che del fattore politico non mi curo» 2 ). Il fattore politico era per lui una di quelle « contingenze >, di quei « fatti estrinseci », che bisogna trascurare se si vuole arrivarP, a conoscere la natura immanente di 1

Op. cit. 2, 43. Cfr. anche la sua lettera 20 agosto li97, A. Wolf, in Ges. Werke, 5, 194. 2 BRATHA NEK, p. 49; primavera del 1798. ) )

ad

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una Nazione; « non parlo, scriveva da Parigi all 'J acobi il 26 ottobre 1798, degli umori politici; mi limito a ciò eh 'è veramente e propriamente nazionale, all'andamento delle opinioni e degli spiriti, alla formazione del carattere, ai costumi e eosì via » 1 ) • Lo teneva, dunque, lontano dal fatto politico l'ambizioso concetto che i tedeschi fossero chiamati a diventare il vero popolo rappresentativo dell'umanità, lo specchio più puro dell'umanità stessa, come una volta gij pareva fossero stati i Greci. :t noto che quest'idea, nelle sue varie espressioni, dalle più banali alle più sublimi, dominava allora tutta la cultura germanica. Nessuno l'espresse con maggiore nobiltà dello Schiller, in quel frammento preparatorio d'una lirica, scritto probabilmene dopo la pace di Lunéville, al quale l'editore potè poi dare con buona ragione il titolo: « Grandezza tedesca» 2 ). Nella tracda 1

Briefe Humboldts an F. H. Jacobi, p. 61. tedesca, poesia incompleta dello Schiller, 1801 »t ) « Grandezza edita prima dal Goedeke, poi da B. Suphan, Weimar 1902 (fra le pubblic. della Goethegesellschaft); nell 'ediz. del Centenario, del Cotta, 2, 386 ; dal LIENHARD, BchiUers Geàichtentwurf Devtsche Grosse, 1916. - Il Leitzmann (Euphorion, voll. XII e XVII) clata la poesia dal 1797; ma i suoi argomenti non mi convincono. Lo Schiller salutò la pace di Leoben con un sospiro di sollievo; quella di Lu.néville l ' accolsa in tutt' altro modo, con amarezza. Anche la situazione generale, quale si rispecchia nell'abbozzo, specialmente l'aumento della potenza inglese, corrisponde più al 1801 che al 1797. - Recentemente si è creduto di riferire alla « Deutsche Grosse» due brani di lettere del Humboldt allo Schiller, del 1797 e '98 (EBRARD, Neue Briefe W. "· Humboldts an Schwler, p. 161 e 235) ; ma, comunque, non se ne cava nulla riguardo l 'argomento della poesia che lo Schiller aveva in mente allora. - Il KUBERKA, Der I deali.smus Scmllers als Erlebnis u. Lehre, 1913, p. 35, tenta di dimostrare in ba.se ad alcuni notissimi passi di tragedie schilleriane, posteriori, che il poeta < aveva legato l' idea politica di Stato all' ideale dello Stato liberale moderno ». Ma egli fa torto a tutta la libertà di poeta e d'uomo con cui lo Schiller concepì e trattò tutti i problemi e gli argomenti politici. Ne tiene maggior conto il TOENNIES, Schiller als Zeitburger und Politiker, 1905. 2

)

LEITZM.ANN,

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-della lineazione delle idee, stessa in prosa, è detto: « In , 2• ed., p. 27 seg. ·

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restar suscettibile di ringiovanire, ha bisogno d'una vena di vita universale e d'una sistematica giustificazione dinanzi al tribunale del supremo ideale umano. Questa linea di sviluppo, che dall'umanità conduce alla Nazione e allo Stato, sta ora dinanzi a noi in larghi e semplici tratti; prima, nello Stato, l'Universale diventò nazionale e il nazionale universale; quindi lo Stato fu nazionalizzato e la Nazione politicizzata, ma non senza che l'idea universale seguitasse a persistervi ancora per lungo tempo. Ma la semplicità di questo processo lineare, quando sia vista all'ingrosso, considerata più da vicino diventa una via mirabilmente complicata e tortuosa, ricca d'apparenti errori e di deviazioni. Il vero senso storico non deve dimenticare questi per quella, deve ora salire sulle vette ora scendere là, dove il singolo viandante perrorre faticosamente la sua strada. Solo dividendo lo spettro solare otteniamo i colori della vita reale, che dobbiamo arrivare a conoscere. E chi va in cerca di nessi generali, se cerca di assodarli alla stregua dei fenomeni singoli, dovrà confessare modestamente a se stesso che l 'individualità obbedisce sempre anche ad altre misteriose leggi, le quali hanno la loro parte nel semplice risultato finale, probabilmente anche in quei casi in cui sembrano ostacolarlo. ~{olti penseranno che anche lo Schiller, se fosse vissuto negli anni dopo il 1806, avrebbe parlato alla Nazione tedesca: e si richiamano alla personalità di lui, allo spirito del suo ultimo dramma, infine a ciò .che si legge fra le righe del suo abbozzo « Grandezza tedesca>. Infatti, pure attraverso la sua negazione d'ogni pensiero politico, si sente la sua dolorosa inquietudine per la reale condizione politica della Germania, e quasi uno sprone che lo pungesse: è quindi possibile eh 'egli avrebbe seguito effettivamente l'esempio del Fichte; ma è concezione volgare quella, eh 'egli non avrebbe potuto fare diversamente e che avrebbe biasimato il quietismo goethiano, perchè

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MEINECK.E

non era una sola la via che dal mondo universale del XVIII secolo conduceva al mondo nazionale e politico del XIX e le grandi personalità di quel periodo erano troppo individualistiche e troppo indipendenti per lasciarsi indirizzare tutte su una strada sola. La ricchezza e la forza dell'idea universale d'umanità, dalla quale tutti erano mossi in origine, si palesa anche nel fatto che essa potè seguire vie tanto diverse: il loro universalismo era, insieme, individualismo dei più accentuati.

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CAPITOLO IV.

NOVALIS E FEDERICO SCHLEGEL ~EL PRIMO PERIODO DEL ROMANTICISl\'1O.

La fine del capitolo precedente voleva richiamare una frase del Novalis. Dal Humboldt e dallo Schiller passiamo, con lui, alla schiera dei romantici, per chiederci èlnche qui come essi concepirono la natura della Nazione e i rapporti di questa con la vita dello Stato, negli anni più fecondi della loro produzione intellettuale, alla fine dell'ultimo decennio del '700. Dai ragionamenti del Humboldt, sottili ma chiusi in se stessi, passiamo ora al mondo degli aforismi e dei frammenti, un mondo d' istinti e d 'intuizioni, da far perdere la testa. Nel Humboldt, la ,·ia dalla quale erano considerati Stato e Nazione condu~eva sempre chiara e diritta alla. mèta dell '« uomo ideale >, ehe le splendeva innanzi; nei romantici, invece, c'è tutto un intrico di strade e di sentieri e appena se n'è imboccato rmo si vede la guida, sulle cui tr-c1ccieci s'è messi, andarsene con piè leggero in altra direzione; e si finirebbe per parere pedanti a noi stessi se si volesse seguire fino in fondo la via iniziata e cercare severità sistematica là, dove evidentemente non sono che gli effetti d'una Yibrante fantasia. Bisogna tuttavia tentare di determinare quanti più punti fissi è possibile, chè specialmente tra i

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1'. MEINECKE

romantici del primo periodo si possono trovare le prime traccie del romanticismo politico fiorito più tardi : quello, appunto, cui sono volte le nostre indagini. Nell'animosa confusione di quell'alba del romanticismo, a dir vero, non si troveranno ancora quella serietà amara, quella severità dottrinaria che le loro idee dovevano assumere nella cerchia di Federico Guglielmo IV; ma forse si potrà vedere ugualmente in qual nesso, insieme con quali idee concominanti esse apparvero qui sul principio; e qualche elemento atto a chiarire le cose si potrà togliere forse dallo studio dell'influenza che i grandi avvenimenti storici di quest'epoca,' Rivoluzione francese e periodo Napoleonico, ebbero sulla vita spirituale tedesca. L' indagine si limitérà a quei rappresentanti del primo romanticismo, le cui idee intorno alla Nazione e allo Stato assunsero largo sviluppo: in prima linea il Novalis, in seconda Federico Schlegel. Per quanto malcerto e proteiforme possa parere alla prima il balenìo delle loro idee, c'è tuttavia un 'idea centrale che le lega insieme tutte e che col suo contenuto spiega, appunto, perchè quel giuoco sembri così vario e molteplice. Intendo parlare dell'idea che l'universo racchiude in sè una serie infinita d'individualità, ma che questo non ne diminuisce o fraziona l'umanità, anzi, al contrario, la rafforza, di modo ehe a sua volta esso è un ~individualità e una personalità 1 ). L' individualità· nella na1

Accenniamo a quest'idea centrale solo quanto è necessario all'intelligenza del nostro problema, non trattiamo perciò degli altri suoi rapporti :filosofi.ci, delle relazioni con i sistemi di :filosofi.a allora di moda, sopratutto con quello dello Schelling. All 'intelligenza della concezione :filosofica dei. romantici portano largo contributo i nuovi noti scritti di Riccarda Huch, Maria Joachimi, Kircher; POETZSCH, Studien zur fruhromantischen Politik u. Geschichtsauff as8Ung 1907; WALZEL, Deutsche Bomantik, 4• ed., 1918; ELKuss, Zur Beurteilung der Bomantik u. Kritik ihrer Erforschung, 1918; ScHMITT-DOROTIC ', Politische Bomantik, 1919; NADLn:, Bf,rliner Bomantik~ 1800-1814 (1921). Molte interessanti manifestazioni di romantici, raccolte dai loro scritti, offre anche )

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tura è infinita. Quest' idea, come ravviva le nostre speranze nella personalità dell'Universo! 1 ). E anche per Federico Schlegel Dio è, per un verso un « abisso d 'individualità » 2 ), per l'altro «l'individuo stesso, nella sua più alta potenzialità > 3 ). In queste concezioni si fondevano antiche tendenze panteistiche e mistiche, con tendenze nuove, individualistiche, strettamente affini a quelle di Goethe e del Humboldt. Tutto il movimento filosofico di quell'età, da Kant in giù, vi si faceva sentire; l'influenza più forte fu quella dello Schelling. Sorse così un nuovo sentimento della vita, pieno di seduzione in quanto accoppiava una dedizione quietistica e nostalgica a tutto l'insieme dell'Universo, con un godimento intenso dell'individualità altrui e della propria. Ma qui non ci dobbiamo occupare dell'origine storica e spirituale di queste idee, nè dell'efficacia da esse esercitata sulla vita personale, bensì della loro applicazione alla vita nazionale e statale. Si vede subito che le idee dei primi romantici furono, nel loro insieme, così mobili e fluide da renderli ebri di Dio e d'Universo quando sprofondavano lo sguardo nell'abisso dell 'individualità. Con tutta serietà essi consideravano individualità ogni manifestazione d'attività di vita. « Si può dire, scrive A. WEISE, Die Entwicklung dea Fii,hlena 'lfflà Denkena der Rodel Lamprecht lo induce a trascumantik, 1912. L'influenza rare, per la ricerca della « psiche> romantica, le personalità. e i gruppi concreti, che stavano dietro ai singoli giornali. E cosl gli succede di far passare il saggio del Fichte sul Machiavelli, stampato nel 1807 e ristampato nel 1813, per una testimonianza del romanticismo prussiano-nordgermanico del 1813. - Delle opinioni politiche del Novalis e di Fr. Schlegel ha trattato ancora il METZOER, Geaellachaft, Recht u. Staat in der Ethik dea àeutschen ldealismus (1917) p. 224 segg., ma proprio questa parte del suo buon lavoro ha ancora carattere di compilazione. 1 Scritti di Novalis, ed. Heilbom, 2, 371 e 653. ) i) MINOR, Proaaische Jugenàschnften Fr. Scluegela, 2, 289. ') ~RIE JoACHllfi: Weltanachmwng der Bomantik, p. 39.

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il Novalis, che ogni idea, ogni fenomeno del nostro animo sia parte - dotata della più alta individualità - d'un tutto assolutamente particolare > 1 ). Dato che tutto, assolutamente tutto doveva risolv~rsi in individualità, tutti i fenomeni singoli anche nella vita storica e statale appari vano ben chiari e c'era la tendenza a riconoscerli giustificati nel loro particolare diritto; se non che, chi vuole giustificare ogni cosa corre il rischio di non affermarne alcuna in forma netta e precisa. Quanti elementi della loro intelligente indagine sfuggono ad essi, perchè manca loro la forza d'afferrarli e di trattenerli! D'altra parte, però, data la loro smania d' espandersi, invasero e occuparono in modo rapido e sommario dei territori ancora indifferenti all'idealismo classico. Il Novalis parla spesso commosso, profondo, dello Stato e dei rapporti dei singoli eon esso. « Quanto più ne sono vivaci e intelligenti i membri, tanto più vivace e personale è lo Stato >. In ogni autentico cittadino d' uno Stato si vede il genio dello Stato, come in una società religiosa un Dio personale si rivela in mille forme diverse. Lo Stato e Dio, al pari d' ogni Essenza spirituale, non si manifestano in una forma sola, ma in mille forme diverse > 2 ). Già s' intravvede come gli elementi che qui. si uniscono a formare il quadro magico d'una personalità statale vivente, possano tornare subito a sgretolarsi, in un giuoco d 'illusioni che non ha fine. l\:1a lo Stato restava sempre, per lui, una personalità chiusa: « lo Stato fu sempre un macroanthropos » 3 ), e più precisamente un 'individualità in senso storico, non nel senso razionalistico di coloro che volevano il perfetto Stato normale; « perchè, diceva, gli Stati rimarranno diversi finchè gli uomini seguiteranno ad essere diversi > '), e dava dei Filistei poveri di spirito a 1 2

1 4

) )

) )

Scritti, Scritti, Opere, Op. 2,

2, 343. 2, 543. 2, 217; efr. anche 2, 291. 291 ; 2, 526.

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coloro che non vedevano salute all'infuori dalla nuova forma francese 1 ). Lo attirava specialmente la Prussia di quel periodo, in cui i giovani Sovrani, Federico Guglielmo III e Luisa, sembravano instaurarvi una nuova era, ricca di prom~ di felicità. La sua osservazione si soffermava sulla virtù animatrice che poteva avere una simile coppia di sovrani e int~va intorno ad essi le fronde d' una concezione simbolizzante, che preannuncia·;ra già lo stato d'animo degli anni del Risorgimento prussiano, ma insieme anche quello della seguente età della Restaurazione 2 ). Il realismo semplicemente patriarcale degli uni e quello patriarcale e mistico insieme degli altri è già sensibile qui, ma in forma ancora tutta libera, fluida, poetica, che, se anche non si rivolta nettamente contro l 'idta della sovranità popolare, lascia però trasparire da per tutto le sue simpatie per la sovranità del1'individuo 3 ). 1

2, 42. La sua posizione di fronte alla Rivoluzione francese, per la quale in gioventù aveva delirato, (llEILBORN, Novalis, p. 45; FRlEDRICH VON HARDENBERG LNovalis] Eine Nachlese, p. 45) non divenne nemmeno più tardi assolutamente negativa. In que.sto egli si differenzia dal Burke e dagli altri romantici posteriori. Del Burke dice con finezza (2, 31) che < ha scritto un libro rivoluzionario contro la Rivoluzione:> e probabilmente lo mette tra quei « geniali avversari della Rivoluzione> che tendevano « a camalattia non era strarla>. ~ Essi vedevano bene che quest'apparente altro che la crisi della pubertà> (op. cit.; efr. anche 2, 660 ed il suo Saggio 811,llaCri.~twn-ità, 2, 418, dove dimostra ima notevole intelligenza e accessibilità al pathos rivoluzionario) .Il che non toglie eh 'egli possa avere imparato qualche cosa anche dal Burke, in quella sua accessibilità al fascino suasivo ed estetico dell 'antica Monarchia. 2 ) HAYM, Bomantische Schvle, p. 344 dà troppo rilievo a quest'ultima soltanto, quando dice: ~ In questi Aforismi sono già contenuti tutti i concetti principali della teoria rom~tica dello Stato, dell'età della Restaurazione >. 1 p. es. Opere 2, 40: « Si ha torto di chiamare il Re, ) Cfr. il primo impiegato del suo State,. Il Re non è un cittadino e )

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Era dunque possibile sognare una Monarchia che fosse al tempo stesso una vera Repubblica, perchè per lui « vero repubblicanesimo> non era che « partecipazione generale allo Stato intero, intimo contatto e armonia fra tutti i membri dello Stato > 1 ). Poteva esigere perciò che lo Stato concrescesse con la vita dei singoli, assai più che non fosse avvenuto fino allora: « Tra noi lo Stato è troppo poco propagandato; ci dovrebbero essere dei banditori dello Stato, dei predicatori di patriottismo; attualmente la maggior parte dei membri della Comunità statale ha con essa rapporti assai simili all'ostilità» 2 ). Dato questo modo di considerare le cose, lo Stato andava assumendo per lui sempre maggior valore e energia generatrice di vita. « Ogni civiltà, osava già dire, nasce dai rapporti dell'uomo con lo Stato » 3 ). La sua convinzione che nello Stato ci fosse una fonte d 'energie fino allora- spregiata e trascurata, ma preziosa per il rafforzarsi e il sublimarsi delle esistenze individuali, andava facendosi sempre più radicata: « L'uomo ha cercato di farsi dello Stato come un cuscino per la pigrizia, mentre lo Stato dev'essere, tutt 'all'opposto, come un 'armatura che ne sorregga tutta l'attività, come il fine stesso di essa; e deve rendere l'uomo assolutamente forte, non assolutamrnte perciò non è nemmeno un impiegato dello Stato. Carattere fondamentale della Monarchia è, appunto, questo credere, alla 9Uperiorità della nascita, questa libera accettazione d'un uomo ideale .... Il Re è un individuo elevato a un destino più che terreno. La finzione poetica s'impone all'uomo come una necessità. Essa sola è in grado di soddisfare ad una delle aspirazioni più alte della sua natura. Tutti gli uomini debbono diventar capaci di salire al t:r:ono e il mezzo per educarli a questo fine così alto è, appunto, il Re. Egli assimila a sè, a poco a poco, la massa dei suoi sudditi. Ogni uomo deriva da un qnalche antichissima stirpe regale. Ma quanti recano ancora traccia della loro originef >. Cfr. anche 2,659. 1 ) 2, 49; cfr. 2, 35 segg. 1 2, 393. ) ') 2, 543.

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debole; può farne la creatura più attiva, non la più fiacca. Lo Stato non sottrae l'uomo ad alcun lavoro, ma ne moltiplica all'infinito l'attività; certo, però, moltiplicandone all 'in:finito anche le forze » 1 ). Così anche questo poeta e :filosofo sognatore che. non contento dell'idealismo puro dei suoi grandi contemporanei, cerca d'intensificarlo ancora portandolo nel campo della magìa, ci porge un 'eloquente testimonianza del silenzioso mutainento operatosi nello spirito tedesco, di quel germogliare di necessità politico-etiche sopra un suolo stato fino allora assolutamente apolitico, che in quegli anni assumeva forme tanto varie e caratteristiche. Si potrebbe obiettare che questa « predicazione dello Stato» egli non la spingeva poi tanto in là, che questo predicatore di patriottismo e di sentimento statale in realtà non era ancora un predicatore ma un poeta, un sensibilissimo spirito d'artista il quale aveva fatto la scoperta che anche lo Stato e la vita entro lo Stato hanno la loro bellezza. Riconosciamo giustificata l'obiezione, ma cerchiamo di trovare una ragione di forza anche in questa, che può parere una debolezza. NJn abbiamo forse dinanzi a noi una di quelle vie misteriose per le quali lo spirito tedesco giunse allo Stato tedesco, quasi per una geniale applicazione dei principi schilleriani del1' « educazione estetica»? La porta fatata del Bello doveva condurre non solo al paese della conoscenza, ma anche in quello dell'attività morale: ora, chi potrebbe dubitare della forza e del desiderio del poeta d'entrare veramente in questo paese che gli splendeva dinanzi agli occhi e di raggiungere veramente lo stato da lui esaltato 7 E già significa qualche cosa eh 'egli lo considerasse non nel suo splendore soltanto, ma anche nella forza e bt:Ìlezza delle sue armi. Il nuovo Stato vivo da lui postulato è, in fondo, per quanto il suo desiderio sia rivestito di colori 1

)

2, 528.

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estetici, quello Stato stesso che nature più etiche della sua, lo Schleiermacher, l 'Arndt, il Fichte, invocavano allora e dovevano invocare negli anni successivi. Nè mancano all'ideale statale del Novalis origini assai concrete, in quanto, come abbiamo notato, esso si ricollegava col sentimento del realismo patriarcale, ereditato dalla tradizione. Or ecco come, movendo da questo fondamento storico, seguendo la tendenza estetizzante e romanticizzante dell '€poca, si poteva pervenire ad uno Stato nazionale vivo e reale qual 'è lo Stato del Novalis, fondato sull'attiva partecipazione dei cittadini alle caratteristiche comuni e sopra una reciproca, cosciente compenetrazione della vita privata e della politica. Anche in quella sua posizione d' ostilità verso la troppo meccanica Monarchia federiciana si manifesta l' orientamento del suo pensiero, volto verso la Stato nazionale. « Nessuno Stato, egli dice, fu amministrato come una fabbrica, più che la Prussia dalla morte di Federico Guglielmo I in poi » 1 ). Era questo un rimprovero che, dopo il Mirabeau, era stato fatto alla Prussia da molti, amici delle idee francesi di libertà e amici degli antichi ordinamenti patriarcali e di casta; e questi e quelli possono avere fatto sentire la loro influenza sul Novalis, quando fece propria quest' idea. Il rimprovero non era., a dir vero, del tutto giustificato : era una di quelle ingiustizie storiche che bisogna commettere per progredire sulla via della storia. Gli rimane il grande e fecondo merito d'avere non soltanto criticato, ma anche idealizzato il più grande degli Stati individuali della Germania e d'aver riconosciuto in esso la missione e la capacità di diventare un vero Stato nazionale. Se avesse avuto maggiore unilateralità, il Novalis sarebb~ arrivato, sulla via del pensiero politico, più in là

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di quanto arrivò. ~l\la appunto perchè non l'ebbe, ]e sue rifl.èssioni intorno allo Stato non arrivarono oltre la pura esercitazione filosofica, l'enunciazione di principi, per quanto importanti. Egli guardava ormai alle idee rivoluzionarie della sua gioventù come a cosa ben superata: « Quegli anni passano per quasi tutti; dopo ci si sente attratti da un mondo più pacifico, nel quale un sole centrale guida il cerchio delle danze che gli si svolge attorno, e si preferisce diventare pianeti piuttosto che turbare quell'ordine lottando per_ il primo posto » 1 ). Prevaleva, così, in lui ]a tendenza veramente romantica a lasciarsi cullare dalle forze dell'universo in una beata contemplazione; diventava politicamente tollerante e disposto a riconoscere la relatività delle cose; lodava la « indipendenza dello spirito maturo, da qualsiasi forma individuale, che per esso è nulla più d'uno strumento necessario» 2 ). Ma per questa stessa ragione, per questa sua sublime indifferenza verso le forme individuali della vita statale, egli non diede seguito alle prime, feconde ricerche fatte per costituirsi una teoria dello Stato nazionale. Della personalità della Nazione sa dirci, nell'insieme, ben poco, egli che vede e sente personalità dappertutto; la sua esigenza del ravvivamento e dell'esaltazione dello Stato, muove più dal bisogno individualistico che da una necessità nazionale generale; e, sopra tutto, non ha sfruttato ancora in pro dello Stato l'elemento della nazionalità tedesca. Risulta chiaro dai suoi aforismi sulla Monarchia germanica che per lui «Nazione> in senso politico è la Nazione politica nel significato più ristretto della parola: in questo caso, dunque, il popolo prussiano 8 ). 1

2, 660. 2, 660. ) ') Cosi, 2, 49, parla del desiderio del Re di Prussia di diventare e fa risalire la responsabilità del frazionamento alla Riforma, che lasciò prevalere l'elemento mondano e terreno. La nuova politica « sorse in questo momento e singoli Stati potenti cercarono di far proprio il seggio vacante dell'universalità, trasformandolo in un trono» 1 ). Il sorgere dei grandi Stati politici dell' età moderna, il loro bisogno di sviluppo e di auto-determinazione, in una parola la secolarizzazione della politica, gli sembrano decadenza e usurpazione. Non vuol ammettere che lo Stato si pianti con una sua salda, midollosa ossatura, sul terreno dei suoi propri interessi. « Tutti i vostri puntelli son troppo deboli, se il vostro Stato conserva la tendenza ad aderire alla terra; ma dategli una superiore aspirazione alle alte sfere del cielo, mettetelo in relazione con I 'universo, e avrete posto in esso una molla che non si allenterà mai e i vostri sforzi ne saranno riccamente compensati» 2 ). Anche il fine storico delle lotte micidiali che combattono tra loro gli Stati e le Nazioni è inteso da lui dal punto di vista più alto, in quanto i contatti più stretti e più vari tra di essi non sono che un grado preparatorio per una nuova comunità dell'Europa, uno « Stato degli Stati »; il compito di fondarlo, però, non può spettare agli Stati stessi, ma soltanto a un Potere universale, che stia al di sopra di essi, che sia insieme terreno e sovraterreno: alla Gerarchia e alla Chiesa: perchè « è impossibile che forze terrene si equilibrino da sè.... solo la religione può ridestare l'Europa e riconciliare i popoli » 8 ) • Quest' è, a tratti rapidi ma chiari, l'abbozzo d'un pro1

2, 406. 2, 412. ') 2, 417 seg. 2

)

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gramma di cosmopolitismo chiesastico-religioso 1 ) e della supremazia di esso sul terreno politico. Riviveva in lui il concetto medioevale del corpus christianum che, nella nuova forma datagli da Lutero, aveva dominato_ anche il pensiero protestante nel primo periodo. Servì d'esempio e di puntello alle teorie del De Maistre, del Bonald e, come ha già dimostrato il Dilthey, della Santa Alleanza! 2 ). È vero, però, che la Chiesa, la Gerarchia e la loro missione d'indirizzare la vita degli Stati cristiani sono una cosa quando ne parlano i cattolici Bonald e De Maistre e un 'altra quando a parlarne è il cattolicizzante Novalis, eh 'è, in fondo, un protestante a tendenze panteistiche, perchè, nonostante la sua ostilità contro il protestantesimo e l'illuminismo, non volle rinunciare per nulla alla più alta conquista di quelli, all'interiore libertà individuale. Egli andava sognando un 'armonizzazione della libertà individuale con l' unità universale 3 ). Ma ideali indirizzati a così alte mète, così sottilmente spiritualizzati, possono mantenersi raramente ad altezze tanto pure; si tornano presto a desiderare cose più concrete e tangibili e anche il NoYalis, poco contento dell'invisibile Chiesa del futuro, desiderava che la cristianità « tornasse presto a costituirsi una Chiesa visibile, senza riguardo a confini politici», chiedeva un « venerabile Concilio europeo» per la realizzazione del suo sogno. Non s'era più, dunque, tanto lontani dalla via del ritorno a Roma ed era facile adescare qualche spirito che cominciasse a sentirsi stanco. Lo dimostrò l'esempio di Federico Schlegel. ) Una volta egli parla addirittura d '« interesse religioso cosmopolitico ». 2 « ì: questa la concezione antistorica che diede alla Santa ) Alleanza una veste cristiana ». Das Erlebnis und die Dichtung_ p. 232, 3 ed. pag. 298. ') : MINOR, 1, 143. 1 ) MINOR, 1, 94. 1

)

MINOR,

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sempre dinanzi agli occhi il fenomeno della civiltà greca nella sua integrità, non potè arrestarsi alla Nazione come fatto culturale, ma dovette tenere il debito conto di essa anche come fatto politico e riconoscere i nessi tra la sua vita spirituale e la sua vita politica. La Grecia non gli Òffriva, a dir vero, lo spettacolo d'un grande Stato nazionale unitario, ma quello, per lui ancora più grandioso, d'una vita nazionale degli Stati, d ·una pluralità di Stati intimissimamente affini e legati fra loro, e tuttavia autonomi e liberi in se stessi. Non ogni Nazione, dice nella sua « Storia della poesia dei greci e dei romani», del 1798, ha uno stile o un carattere nel senso più alto della parola 1 ) : « Un popolo vi arriva - in grazia d'una certa felice concordanza di disposizioni morali e spirituali, di circostanze esteriori, d'uguaglianza fra gli elementi iniziali al principio del processo culturale - solo dopo che l'insieme è diventato suscettibile d'indipendenza; vi arriva in grazia d'un 'illimitata libertà nello sviluppo e nella determinazione di se stesso, nonchè di aspre lotte con popoli di natura opposta; vi arriva associando e accomunando i singoli, collegando e affratellando i liberi Stati .... »; e infine vi arriva « tendendo all'universalità e completezza dei propri svilup~, con senso cosmopolitico e senza rifiutarsi di ammettere elementi, estranei, suscettibili di trasformarla». Attraverso l'immagine ideale del popolo greco, eh 'egli veniva tracciando, balenano i desideri e gl 'ideali eh 'egli coltivava per la sua propria Nazione; qui può fondere senza preoccupazioni, con la sua sensibilità per il fattore specificamente nazionale, qualche reminiscenza del suo Op. cit. 1, 358; confronta anche 361: « Ma come perdurava, inestinguibilmente, il carattere, una volta che una tale mistione di stirpi autoctone e migranti, d'origine simile ma non eguale si fosse costituita in Nazione o addirittura in un sistema di repubbliche! ... ». 1

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sogno d'uno Stato dei popoli e d'una Repubblica universale; d'altra parte, l'autonomia dei singoli Stati liberi, non meno che quella della Nazione, vi è descritta con tratti molto più concreti e storici che nel suo Saggio del 1796. Venne, dunque, disegnando il quadro d'una grande Nazione culturale, indipendente, con precisi caratteri, sul cui suolo fiorisse una serie d 'organizzazioni statali indipendenti, ognuna con la sua caratteristica ma tutte fraternamente affini l'una all'altra. Vedremo poi l 'importanza che potè assumere questo concetto; allora si fermò a questa formulazione di esso. Ancora egli tendeva, al di là del fatto nazionale e del politico, verso lo spirito puro: « non sciupare fede ed amo~e nel mondo politico, scriveva nel 1799, offri invece ciò che hai di più intimo al divino Regno della scienza e dell'arte, sacrificandolo nel sacro fuoco della cultura eterna 1 ) • Quanto al suo germanesimo, era quello stesso del Novalis e del Humboldt: era la coscienza superba di servire con maggior purità che altre Nazioni ai fini supremi dell 'umanità; « soltanto per i tedeschi il tributare onori divini all'arte e alla scienza, per solo amore della scienza e del1'arte, è una questione nazionale ... ; non Arminio e W otan sono gli Dei nazionali dei tedeschi, sì l'arte e la scienza » 2 ). Eccoci, così, riaccostati di nuovo alla più ricca tra le fonti delle idee che ci hanno occupato fin qui. Nel Novalis e nello Schlegel abbiamo trovato elementi d'una più adeguata valutazione dello Stato individuale pervaso di ·dta nazionale e insieme d'un universalismo politico che doveva a sua volta limitare l'autonomia dello Stato singolo. Nel Novalis quest'universalismo si ricollega all'universalismo teocratico del Medio Evo, in Federico Schlegel alle idee cosmopolitiche della Rivoluzione. Vi si ricolle1

ldeen, (Athenaeum) MINOR, 2, 300. ) Op. cit. 2, 302; 2, 304. Cfr. anche nel un 'affermazione Rnaloga, di data posteriore. )

2

FINKE,

Op. cit. 57,

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gavano, senza però esserne decisamente influenzate. Qui si facevano sentire, più forti e profondi che il Medio Evo e il Rousseau, il carattere fondamentale della cultura tedesca d'allora, la sua accesa spiritualità, il suo apprezzamento esclusivistico dei beni, ideali della vita, la sua tendenza a subire soltanto quelle influenze esterne da cui la sua interiorità potesse essere meglio nutrita. In questo i primi romantici erano veramente ancora i figli della generazione che aveva creato l'ideale d'umanità, dei Herder, dei Goethe, degli Schiller, dei" Kant. Anche se avevano già in germe una concezione nuova e più ricca della vita dello Stato e se pensavano ad una più energica applicazione di questa alla realtà, la tendenza spirituale tornava sempre a farvi capolino: si poteva per un attimo accendersi d'entusiasmo per lo Stato, che fa dell'uomo un essere forte e attivo, e sentirsi respinti l'attimo appresso dallo spettacolo offerto dalla vita degli Stati in contatto l'uno con l'altro, dalla lotta selvaggia degli egoismi politici, nella quale non resta più traccia d'un valore interiore dell'umanità. lla, pensava il Novalis, mentre gli altri paesi pensano alla guerra, alla speculazione e allo spirito di parte, i tedeschi si forgiano con ogni diligenza per godere, in pacifica comunanza con gli altri, un periodo superiore di civiltà 1 ). Questa terra promessa spirituale, per la quale già si combatteva proprio in quelle guerre - oggi è facile riconoscerlo, ai posteri - era ancora celata dalla polvere del combattimento; ma il territorio politico della loro patria era troppo poca cosa per gl 'ideali ai quali essi servivano: ecco perchè il Novalis e lo Schlegel, quando ragionavano d'una condizione politica desiderabile per tutta l'umanità europea, trasformavano il loro universalismo spirituale in universalismo politico e sognavano di pace fra i popoli, di lega delle Nazioni, di Stato delle Nazioni e di Repubblica universale. 1

)

DILTHEY,

op. cit. p. 224, 3• ed.-p. 291.

CAPITOLO V.

FEDERICO SCHLEGEL NEL TRAPASSO AL ROMANTICISMO POLITICO.

Vita, poesia e pensiero del Novalis sono come un mirabile sogno, che si conclude in se stesso; e la sua morte prematura n'è quasi il necessario compimento estetico. Federico Schlegel ebbe invece la sorte di sopravvivere di quasi tre decenni al periodo della sua più accesa genialità. Non è qui il caso di cercare le ragioni della decadenza del suo spirito, perchè a noi importa di conoscere soltanto come si sviluppassero le sue idee intorno alla Nazione e allo Stato nazionale in quel periodo nel quale, col suo passaggio alla Chiesa cattolica ( 1808) e la sua adesione all'Austria, dava egli stesso al romanticismo, stato già libero e individualistico, la spinta a trasformarsi in un romanticismo vincolato così nei riguardi politici come in quelli chiesastici. A questo cambiamento di rotta lo spinsero delle eause interiori, individuali; ma v'ebbe la sua parte anche la trasformazione politica dei tempi~ lo si vede dalla diversa posizione eh 'egli assume ora di fronte ai problemi nazionali e internazionali. L'abbondanza e la sfrenatezza del pre-romanticismo ebbero buon giuoco negli anni dopo la pace di Basilea, in cui la Germania settentrionale s'era appartata dalle tempeste; e il loro sogno

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di pace tra i popoli e di lega delle Nazioni non era che una conseguenza del loro ottimismo, ottimismo nato a sua volta da quel loro appartarsi dal mondo. Ma quando, al principio del secolo, crollò l'antico Impero, fu finita anche per quest'ottimismo; nel momento in cui l 'indipendenza politica degli Stati e delle Nazioni era minacciata sorgeva anche, trepidamente, la domanda che ne sarebbe stato di quella libertà spirituale, di quell 'indipendenza della propria Nazione, di cui s'era goduto con tanta serenità. La situazione politica degli anni dopo il 1801 fu perciò la spinta esteriore più forte per lo sviluppo del1'idea nazionale e Federico Schlegel la subì for~e tanto più volentieri, in quanto era avido di nuova materia della quale nutrire il suo spirito che s'andava affievolendo. Entrò, infatti, nella lotta per la causa della libera nazionalità contro la strapotenza francese, specialmente nelle sue Lezioni filosofiche e politiche del 1804 e 1806, e poi nelle Lezioni sulla storia moderna tenute a Vienna nel 1810 1 ). I suoi scritti dimostrano un cervello vivacemente interessato e talvolta. anche un notevole calore di sentimento, ma non l'ardore combattivo, non l'impeto che e 'è nel Fichte e nell 'Amdt: gli manca qualche cosa di quel1~eticità che ci dovrebbe convincere della necessità interiore delle cose nuove eh 'egli insegna ora. In queste novità riesce convincente e impressionante soltanto quel che deriva immediatamente dalle sue idee di prima, cioè il suo deciso riconoscimento dell'incomparabile valore spirituale d'un processo di sviluppo nazionale libero e caratteristico, e l'opinione che la ricchezza e la vitalità della cultura europea sono fondate su quello 2 ). Ma quando, procePhilosophische Yorlesungen aus den Jahren 1804 bis 1806, hggben von Windischmann, 1836-7, 2 voli. Vedi specialmente 2, 385. - Ueber die neuere Geschichte, Vorlesungen gehalten im Jahre 1810, Vienna 1811. 2 ) Cfr. le sue lezioni del 1810, pag. 11: e Se ai popoli germanici non fosse riuscito di scuotere il giogo romano, se anzi an1

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dendo, passa a considerare più da vicino anche il lato politico della vita nazionale, ci s'accorge subito che va a tentoni e che cerca d'appoggiarsi a quel tipo di costituzione politica che meglio concordava con la rigidezza ehiesastica del sistema cattolico. Parte dall'idea estremamente radicale che il principio più sicuro per la suddivisione degli Stati è la lingua, non solo perchè è il mezzo spirituale di collegamento, ma anche perchè dà la dimostrazione della comune origine; l'unità di lingua dimostra comunanza di ceppo e« quanto più antico e puro è il ceppo, tanto più lo sono i costumi; e quanto più lo sono i costumi, quanto maggiore e più vero è l'attaccamento ad essi, tanto più grande sarà la Nazione » 1 ). Questo concetto nazionale avrebbe dovuto essere altamente storico; se non che esso conteneva l'errore storico di credere che la Nazione si fondi sempre in prima linea sulla consanguineità e che l'unità della lingua nasca sempre da comunanza d'origine. E della libertà e della peculiarità della vita nazionale, da lui già esaltate. con tanto entusiasmo, che cos'era avvenuto? La libertà fu grossolanamente trasformata, in senso nativistico, in una esclusione d'ogni mistione col sangue straniero, la peculiarità divenne conservazione delle tradizioni, stagnazione e tradizionalismo del carattere nazionale. Per la prima volta incontriamo in Germania un 'interpretazione specificamente conservatrice del principio nazionale. Quanto che il resto del nord d'Europa fosse stato incorporato da Roma e anche qui fossero state cancellate la libertà e le caratteristiche delle Nazioni ..., non sarebbe avvenuta q,t,ella magnifica gara, non ci sarebbe stato quel ricco sviluppo dello spirito umano che, invece, avvenne nelle Nazioni moderne. Ed è proprio questa ricchezza, questa varietà a fare dell'Europa ciò eh 'essa è, a darle il vanto d'essere la sede più perfetta della vita e dell'educazione del genere umano>. Similmente a pag. 116; cfr. anche le Lezioni del 1804-6, 2, 358. 1 ) Lezioni del 1804-6, 2, 357, 259.

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più una Nazione è conservatrice, ci si dice, tanto più essa è Nazione; e in realtà allo Schlegel importa molto più di giustificare e d'esaltare l'antico ordinamento sociale e gli antichi costumi, che non di elevare a Stato nazionale le Comunità nazionali linguistiche. Il vero e proprio Stato nazionale è quindi per lui lo Stato diviso per caste, quale si trova, dice, presso le Nazioni più nobili 1 ) e la forza fondamentale dello Stato sta per lui nella nobiltà, eh 'è « il supremo fiore anche la casta nazionale XlX't~ lçox'>1v e la forza suprema» della Nazione 2 ). Aristocrazia è per lui quasi sinonimo di nazionatità: concetto espresso con estrema evidenza nel fatto che egli fa della nobiltà la casta militare, cui spetta in prima linea la difesa della Nazione 3 ). Come Stato nazionale in senso politico lo Stato dello Schlegcl ha dunque, ora, tutto il tipo dello Stato nazionale antico; di nuovo e 'è però in esso quello che abbiamo chiamato più su Stato nazionale in senso culturale, poichè egli esige che lo Stato sorga dal suolo della Nazione puro, originario, non falsato. Riconosceva però, come abbiamo visto, puro e originale in senso nazionale soltanto lo Stato che avesse conservato la distinzione tra le classi e in tal modo faceva subito violenza al concetto di peculiarità e originalità nazionale, in quanto prescriveva in che cosa esse dovessero consistere e ogni deviazione era per lui segno. di corruzione e di decadenza. Era questa la canonizzazione e dogmatizzazione d'un solo grado di svi-

« Dove la Nazione rimane fedele ai propri costumi e alla. costituzione non sarà facile la confusione nei rapporti fra le classi sociali; e se confusione c'è, è già un segno di corruzione e di decadenza>. O. BRANDT, À. W. Schlegel, pag. 48, suppone che qui Federico Schlegel sentisse l'influenza di suo fratello Augusto Guglielmo. 2 Lezioni del 1810, pag. 561, 563. ) 1 ) Lezioni del 1804-6, 2, 360 segg., ammette l'obbligo generale alle armi per tutta la Nazione solo in casi estremi, negandolo recisamente come principio generale. 1

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luppo della vita politica, che, per di più, era stato caratteristico non della sola Nazione tedesca ma di tutti i popoli romanico-germanici; anzi, si potrebbe forse osar d 'affermare in contrario che la caratteristica, il genio individuale delle Nazioni si palesò appunto nel modo come esse, quale prima quale poi, le une con la Rivoluzione, le altre con le riforme, superarono le originarie forme feudàli comuni a tutte, e le trasformarono; e chi della costituzione per caste voleva fare la costituzione normale delle Nazioni partiva dallo stesso principio da cui partivano coloro che ritenevano forma normale il costituzionalismo democratico. Ciò significa che, ne avesse o no coscienza, egli poneva una norma supernazionale e universale alla vita politica delle singole Nazioni. Vediamo ora un po' più da vicino questo fatto di straordinaria importanza, che rientra nel tema fondamentale delle nostre ricerche. Certo, questo porre degli ideali generali di costituzione per· le singole Nazioni romanico-germaniche non era semplice dottrinarismo, ma poteva essere giustificato da un punto di vista storico e nazionale, perchè queste Nazioni erano in sommo grado affini fra loro e omogenee; e certo il fatto che queste idee universalistiche potessero nascere e trovare espressione - sia che fossero d'origine democratica o aristocratica - era un sintomo, una prova di tale comunanza di cultura e affinità tra le singole Nazioni, una rinascita d 'antiche tradizioni. Ma dove stavano i limiti tra questo, diciamo, dominio europeo e il possesso individuale della Nazione, fra ciò che corrispondeva al carattere peculiare e al peculiare sviluppo d'ogni singola Nazione e quello che essa poteva condividere con altre o da esse poteva ricevere f Nè Federico Schlegel, nè la sua generazione o le generazioni seguenti erano disposti a un esame così meramente empirico delle forme costituzionali d'una Nazione, esame politico-storico nel vero significato della parola, poichè per essi la sfera universale e quella nazionale si confondevano insieme. E così avveniva che

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essi credessero in buona fede di servire l'idea nazionale, quando in realtà il loro pensiero era universalistico. E Federico Schlegel era pieno non solo d 'universalismo inconscio, ma anche di ben cosciente: lo dimostrò nel modo come volle determinare i rapporti reciproci tra i singoli Stati. Abbiamo visto che da principio, quando sognava d'uno Stato dei popoli e d'una Repubblica universale, aveva seguito un cosmopolitismo democratico, consono al diritto naturale; ora attinge anche a quel cosmopolitismo religioso e chiesastico. d'origine romantica, di cui era stato campione il Novalis. Tutti g]i universalismi più recenti, dell'illuminismo, dell'ideale umanitario, della Rivoluzione francese, derivavano dall'universalismo medioevale con vera continuità storica, come altrettanti universalismi secolarizzati 1 ). Ora i due romantici tornavano a volgersi dai figliuoli laici alla santa Madre, per trovarvi saldo appoggio nelle tempeste della loro età. Cercavano anche, è vero, il terreno su cui fondare lo Stato nazionale, ma non lo Stato secolare moderno, sibbene uno Stato dominato e limitato dall'universalismo cristiano. È vero che lo Schlcgel chiedeva innanzi tutto, con determinatezza che ~embrcrebbe escludere ogni dubbio, l'autonomia della personalità statale: « ogni Stato è un individuo indipendente, a sè stante e incondizionatamente padrone di se stesso, ha il suo carattere peculiare e si regge secondo leggi, costumi, usi propri e caratteristici» 2 ), e rigettava, ora, esplicitamente anche l'idea razionalistica d'una lega tra le Nazioni, della quale prima s'era fatto banditore. Ma lo faceva soltanto per poter raccomandare l'ideale romantico d'un impero universale: l'Impero, considerato come specificamente diverso dal regno, come un regno sopra i re. KAERST, Das geschichtliche Wesen u. Recht der deut) Cfr. schen nationalen I dee (1906) p. 8. La concezione cattolica attuale di « nazionalismo e universalismo cristiano > è stata abilmente svolta da J. MAUSBACH in Hochland, IX, 1912. 2 Lezioni del 1804-6, 2, 382. ) 1

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Il presupposto è che la Nazione, la quale per mezzo del! 'Impero esercita una determinata supremazia sui popoli vicini, sia una Nazione forte, se non la più forte, e che si presti a questa funzione per la sua costituzione politica e morale. A costituire un legame morale tra le Nazioni serve molto più l'idea dell'Impero che quella d'una lega tra i popoli; a dimostrarlo basta un confronto tra il Medio Evo e l'età moderna. Inoltre, il sistema corrisponde molto meglio al rapporto naturale in cui stanno le Nazioni, data la grande diversità del loro grado di cultura 1 ). Non è fuor di luogo il dubbio che queste idee rispecchino anche il grande avvenimento di quei tempi, la cos~ituzione del1'Impero napoleonico; ma, come dimostrano le Lezioni del 1810 2 ), al falso impero di Napoleone volevano appunto contrapporre l'Impero vero, al sistema universale di Napoleone, basato sopra un 'egoistica brama di dominio e sopra un meccanismo morto, volevano opporre un sistema universale fondato su idee morali e religiose 3 ). Le radici spirituali e i presupposti della Santa Alleanza e del1'epoca della Restaurazione cominciano ad apparirci sempre più chiari; era già tutto secondo lo spirito di quelle il concetto che la costituzione ecclesiastica fosse un legame fra tutte le Nazioni che se la fossero data; dopo di che riuscì facile allo scrittore romantico cattolicizzante, trovare un ulteriore legame universale tra le Nazioni, nella Gerarchia. Ed eccolo accordare nazionalismo e universalismo: «L'impero, con costituzione basata sopra la netta distindone delle caste, e la Gerarchia, rispondono alla duplice esi genza della divisione e del collegamento delle Nazioni » 4 ). Op. cit. 2, 383. P. 350. ) 1 una monarchia uni) « Lo Schlegel voleva dunque combattere versale, dominio di masse e dinastia, con un 'altra >, dice già il GERVINus, Geschichte des XIX Jhdts, 1, 358. 4 Lezioni del 1804-6, 2, 387. Non importa fermarci sugli altri ) sviluppi fantastici delle sue idee: unione della classe dotta con la Gerarchia, creazione d'una classe intermedia fra Gerarchia e no1

2

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Ma una simile soluzione era possibile soltanto a spese della vera autonomia politica degli Stati e delle Nazioni. Abbiamo già visto come il suo universalismo cristiano impedisse al Novalis di comprendere le grandi lotte degli ultimi secoli per la formazione degli Stati moderni; lo Schlegel ne giudicava con la medesima incomprensione: secondo lui era stata la smania di prPdominio dei singoli Stati a distruggere il legame tra le Nazioni e, dentro di esse, le costituzioni nazionali fondate sulla conservazione delle caste. Sapeva benissimo che gli inizi di questa politica moderna andavano cercati nell'Italia del Rinascimento 1 ); riconosceva perciò nella civiltà di quell'epoca un gran beneficio per l'Europa, ma riteneva che la sua politica avesse dato un pessimo esempio alle Corti europee, in quanto aveva portato alla guerra di tutti contro tutti 2 ). La concezione storica universalistica e romantica ignorava dunque tutto il lato politico della storia moderna e perfino l'aspirazione delle Nazioni a unità e libertà dovette subirne molte limitazioni; secondo lui i patrioti italiani del tempo di Dante, i quali non desideravano altro che un Imperatore forte e amante della gloria e della giustizia, erano « molto più nel vero che il falso patriottismo dei fiorentini d'età posteriore, che parlavano eternamente della liberazione d'Italia 3 ) ». Si disegnava così la lotta di questo romantico contro il dispositismo universale della Francia e in difesa della biltà per mezzo d'un ordine cavalleresco spirituale, dal cui seno si potesse poi eleggere il Papa-Imperatore, per riunire la più alta autorità spirituale con la temporale. 1 non conosce ancora la parola « renaissance >, ) Naturalmente venuta di moda in G~rmania nei decenni seguenti. 2 ) Lezioni del 1810, p. 235: « Carlo V e gl 'imperatori di Casa d'Austria erano invece stati guidati dal concetto, molto più alto, d'una Repubblica cristiana, d'una libera e pacifica lega di Stati e di popoli europei»; pag. 272 e 337. 1 ) Op. cit., p. 275 seg. Non occorre dire che qui il suo giudizio era specificamente colorito d 'austriacantismo.

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libertà nazionale. Il concetto di nazione e d 'autodeterminazione di questa era inviluppato da idee che minacciavano di soffocarlo. Questa generazione aveva talmente nel sangue le idee universali, cosmopolitiche, che esse facevano capolino anche là dove pareva che l'illuminismo cosmopolitico fosse sopraffatto dall'esaltazione romantica del fattore nazionale. Chiamiamo cosmopolitiche e universali delle idee che alla stregua del loro contenuto ('rano nello stesso tempo etiche e religiose. Già ] 'illuminismo cosmopolitico aveva avuto contenuto etico e, cum grano salis, religioso; etico e per eccellenza religioso era anche l'universalismo romantico. Era un 'eticità profondamente diversa; ma illuministi e romantici avevano un comune nemico nello Stato dell 'ancien régime, secondo loro immorale, anzi in genere nello Stato autonomo e imperialistico. Per gli uni come per gli altri era cieca smania di potere ciò che invece stava nella natura stessa di queg-li Stati, f:ra un 'espressione della loro autoconservazione e autodeterminazione. Invece di tentar di capire la natura dello Stato studiandolo dal di dentro, essi moralizzavano dal di fuori; non riuscivano a comprendere che l'eticità ha, accanto ad un suo lato universale, un lato individuale ben determinato e che per questo riguardo anche l 'apparcnte immoralità dello Stato conquistatore può avere la sua giustificazione morale: in quanto non può darsi che sia immorale ciò che nasce dalla più intima natura individuale d'un essere. Questa concezione non è lontana dal nostro argomento quanto potrebbe parerlo. Si poteva conquistare l'idea del vero Stato nazionale nella sua interezza, solo dopo aver riconquistata l'autonomia dello Stato in genere e avere strappato tutta quella vegetazione parassitaria delle idee etiche universali che gli si avviticchiavano attorno e cercavano di soffocarlo, di modo che l'energia propria dello Stato tornasse a rivelarsi ai pensatori politici in tutta la tenacia delle sue radici.

CAPITOLO

FICHTE

E L'IDEA TEDESCO

VI.

DELLO STATO NAZIONALE TRA IL 1806 E IL 1813

L'esempio di Federico Schlegel dimostra che alle idee universali e nazionali insorte contro il sistema di Napoleone s'aggiunsero ben presto anche dei piccoli interessi particolaristici, quali erano quelli degli Stati feudali fonda ti sulla diversità delle classi. Per intendere meglio il corso di questo processo, che porta a Federico Guglielmo IV, dovremo però tornare ancora più volte alle principali correnti del nuovo pensiero nazionale tedesco, immuni da quegli interessi particolari, ma miste anch'esse di concetti universali e nazionali. Delle diverse vie che dal mondo cosmopolitico del secolo XVIII portarono in quello del XIX, in cui si affermò lo Stato nazionale, esamineremo non le più brevi ma le più sinuose e complicate. Chi voglia conosce:re le più brevi non ha che da studiare un patriota quale fu Ernesto l\{aurizio Arndt, il quale già nel 1802, nel suo scritto « Germania ed Europa», aveva sollevato l'esigenza della « unità del popolo e dello Stato» almeno da un punto di vista ideale, quantunque lo facesse soltanto per potersi dire subito, dolorosamente, che la Germania non sarebbe potuta arrivare a « unità di popolo ~> se

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non attraverso una serie di paurosi eventi 1 ). Il suo istinto naturale di contadino e quel suo caldo cuore pieno d'entusiasmo, lo spingevano per questa via, pure in mezzo ai vari influssi culturali che s'erano esercitati sulla sua giovinezza; quantunque intimamente commosso anch'egli dall'ideale individualistico d'umanità, sorto sulla fine del XVIII secolo, protestava tuttavia con forza contro la tendenza dei suoi contemporanei a togliergli il suo peso terreno: non nell :etere del pensiero puro, ma sulla terra, nella poliedrica realtà della vita dei popoli e degli uomini egli cercava il campo d'esercizio per le forze umane; e finì per trovare, anche se la sua intuizione del futuro rimase ancora poco determinata, uno Stato nazionale fondato sull'intima compenetrazione dello Stato, non solo con la Nazione come fatto politico, ma anche con essa come fatto culturale 2 ). Sentiva perciò anch'egli il gelido utilitarismo della macchina statale di Federico II, ma a questa non contrapponeva l'idea vuota, astratta, cerebrale d'un libero Stato popolare. Bisogna riconoscergli un eerto senso dell'aspra realtà della vita statale, per quanto ancora oscuro e generico; lo Stato, diceva, è fatto di necessità terrene, di elementi terreni e da questi soltanto può egsere conservato; vigono in esso leggi semplici, 1

Pag. 420, 426. Le sue idee intorno al rapporto tra confini linguistici e confini geografici degli Stati nazionali da lui postulati, dimostrano come in lui l'elemento dottrinale si confondesse con l'elemento pratico. « Il primo confine naturale è costituito dal fatto che ogni paese abbia il suo mare; il secondo è la lingua », pag. 385. Da questo però trae la conseguenza che se, per esempio, la Polonia fosse ancora uno Stato, essa dovrebbe dominare i tedeschi di Prussia e di Curlandia, « perchè lì dovrebbe avere il suo confine marittimo ,>, pag. 355. D'altra parte, però, dice: « Il paese che ora si chiama Germania deve essere l 'unico a possedere il Reno e i suoi confini naturali sono il mare ai due lati del Reno». Intorno alle idee giovanili dell 'Arndt, confronta ora specialmente il MuESEBECK, Àrndt, 1, 50, 54, 61 seg., 102 seg. 2

)

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F, MEINECKE

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terrene. « E se queste leggi terrene fossero anche le f·terne, se bastassero esse a forma re e conservare il mondo e gli Stati f ». L'idea, aggiungeva, gli era balenata come un lampo nell'oscurità notturna! Era questa la via che doveva t-)ssere seguita più tardi dal Ranke: la ricerca dell'eterno nei fatti terreni ed _empirici, delle forze che reggono la storia e gli Stati non al di sopra di essi, ma in essi; sono le prime luci del realismo politico-storico sviluppatosi nel XIX secolo; e non le vediamo apparire senza una certa commozione. Certo, l 'Arndt non aveva sufficiente concentrazione spirituale, e sopratutto non era abbastanza pensatore, pexsegu.ire quest'intuizione fin nelle sue feconde conseguenze. L'eterna benemerenza ch'egli s'è acquistato nella storia dell'idea d'uno Stato nazionale in Germania sta perciò più sul terreno pratico che sul teorico. In ambedue i campi doveva, invece, fare grandi cose il Fichte, e doveva farle prima per via teorica, sebbene o anzi proprio perchè, per arrivarvi, doveva percorrere un cammino molto più difficile che quello dell 'Arndt. Son~ proprio il maggiore e più profondo lavorìo di pensiero che dovette compiere, le più numerose e forti difficoltà che dovette superare per accostarsi al concetto di Stato nazionale, a rendere così interessanti le sue idee in argomento. L 'Arndt potè arrivare con tanta rapidità e sicurezza ali 'idea dello Stato nazionale, perchè aveva in misura molto larga ciò che il Fichte non aveva o, più esattamente, non voleva avere; il patriottismo fatto d'attaccamento al suolo, « alla zolla, al fiume, al monte ». A questo patriottismo della zolla aveva guardato il Fichte anche nei suoi « Caratteri fondamentali dell'epoca presente», del 1804, e· aveva assegnato allo « spirito solare » il compito di volgersi via dal proprio Stato, se questo fosse caduto, per indirizzarsi là dove sono « luce e diritto» 1 ). Il cosmo1

)

Opere 1, 212.

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polita del 1804 divenne nel 1807 lo scrittore dei « Discorsi alla Nazione germanica». Ci s'è meravigliati spesso del gran mutamento operatosi in ]ui e s'è attribuito alla pressione della necessità e alla scuola dell'esperienza 1 ). J\1a fino dal 1800, quando spiegava ai framassoni lo scopo del loro ordine e quello della sua :filosofia2 ), il Fichte non voleva sentir discorrere d'un pigro e vacuo cosmopolitismo e aveva considerato e dichiarato l'amor d1 patria e il sentimento cosmopolitico « intimamente connessi l'uno con l'altro » nell'uomo giunto a perfetta cultura; amore di patria è la sua azione, coi-;mopolitismo il suo pensiero; quello il fenomeno, questo l'intimo spirito che anima il fenomeno stesso, « l'invisibile entro il visibile:.. Bastano queste parole, quantunque, o anzi proprio perchè intese più in senso cosmopolitico che nazionale, per render palese l'intimo legame; e i migliori conoscitori del Fichte, pur non avendone conosciuto queste poco note affermaz10n1, hanno tuttavia veduto chiaramente che il trapasso 1

Vortriige u. Abhandlungen, I, 184; LASSON, Fichte im Verhiiltnis zu Kirche u. Staat (1883), p. 200. 2 ) Briefe an Constant, pubblicate negli Eleusinien des XIX Jhdts, vol. 2, 1803, p. 37. Su questo scritto, che gli studi fichtiani da poco tempo hanno preso in considerazione, richiamò la mia attenzione E. Schwarz, nei Beiblatter al « Korrespondenzblatt filr den akademisch gebildeten Lehrerstand », 1911, n. 10. Le conferenze del Fichte, che servirono al compilatore degli « Eleusinien ~ di base per le sue Briefe an Constant, furono tenute a Berlino nel 1800; allora il Fichte aveva stretti rapporti col massone Fessler. Che ne sia autore il Fichte è accennato già nelle allusioni contenute nelle Prefazione dell'editore (Eleusinien 1, IV seg. e 2, IX seg.), ma specialmente in quel~e contenute nelle lettere scritte dal Fessler al Fichte nel 1800 (pubbl. in Allg. Handbuch der Freimaurerei, 2 Aufl., 1863, vol. I, 344, col. 2, dov'è citata alla lettera una frase delle conferenze del Fichte, che torna negli « Eleusinien ~ 2, 53). Il Medicus, che mi ci rese attento, tratta delle lettere a Costante nell'Introduzione alle Opere di Fichte, I, CXLI seg. e CLV seg. Cfr. ora L. KELLER, Fichte u. die Grossloge Boyal York in Berli11,, in Schriften des Ver. fiir die Gesch. Berlins, fasc.ic. 50 )

ZELLER,

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non era poi tanto ardito, che il cosmopolitismo del 1804 e il nazionalismo del 1807 sono strettissimamente connessi tra loro. « Il cosmopolitismo della « Dottrina della scienza '> e il patriottismo dei « Discorsi » sono rmo stesso e medesimo concetto » dice Krmo Fischer 1 ) ; • e il Windelband: « Questo patriottismo ( dei Discorsi alla Nazione tedesca) e il cosmopolitismo si assomigliano come due gemelli'> 2 ). I gradi intermedi- che collegano l'ideale del 1804 con quello del 1807-8, si possono trovare nel « Progetto per l'Università di Erlangen », dell'estate 1806 3 ), e nei « Dialoghi sul patriottismo'>, il primo dei quali è pure dell'estate 1806 4 ). Nel « Progetto per l'Università di Erlangen '> contrappose al patriottismo ottuso e inetto, che si potrebbe chiamare spartanismo, il patriottismo ben conscio di sè, che potrebbe dirsi atticismo; questo si potrebbe facilmente accoppiare col cosmopolitismo e col sentimento nazionale tedesco, con essi anzi s'accoppia in ogni uomo veramente forte. Esprimeva anche il suo rammarico per il fatto che « dopo gli ultimi avvenimenti rma Nazione tedesca fosse possibile soltanto nella repubblica dei dotti'>, ma l'abisso spirituale tra la Nazione tedesca e i suoi vicini d'Occidente non gli pareva ancora così profondo come dovette parergli più tardi, quando scriveva i « Discorsi alla Nazione tedesca». Allora infatti potè formulare questa proporzione: lo spirito particolare delle singole stirpi tedesche sta, rispetto al carattere nazionale dei tedeschi in generale, nel rapporto medesimo in cui quest'ultimo sta a sua volta col nuovo spirito europeo; in ambedue i casi il particolare esce dal generale. Questo il suo stato 1 2

1

) )

Fichte, 3• ed., 1900, pag. 627. Fichtes I dee des deutschen Staates, p. 11.

Op. postume, 3, 275 seg., e W. ERBEN, 8itiitspliine, 1914, p. 50. 4 ) Opere postume, 3, 223 seg. )

Fichtes Univer-

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d'animo alla vigilia della catastrofe di Jena: dolorosa rassegnazione, sentimento nazionale crescente, ma non ancora la protesta contro là comunanza spirituale col più pericoloso nemico della Nazione; e il generale gli pareva ancora più alto del particolare, dal quale, pure, derivava. La sua concezione ci risulta anche più evidente dai «Dialoghi:.. Qui esprime l'opinione che « non ci può essere vero cosmopolitismo e che nella realtà il vero ~osmopolitismo deve di necessità diventare patriottismo ». l\ia ciò significa appunto che quei modi di sentire gli si confondevano in uno; e se si guarda agli elementi costitutivi di quello eh 'egli chiama ora vero patriottismo, la cosa rimane perfettamente chiara. È, di fatti, un patriottismo universale; il suo fine è l'umanità in genere, secondo era in tesa nella « Dottrina della scienza :. ; ma, insegna il Fichte, una volontà indirizzata a questo fine deve e può esercitarsi immediatamente soltanto sopra ciò che la circonda più da vicino: la sua sfera d'azione è, dunque, la Nazione. Così egli diventa patriota, pur restando cosmopolita, « in quanto fine ultimo d'ogni educazione nazionale è d'estendersi a tutta l'umanità :. 1 ). Quest'educazione nazionale non è dunque nulla d 'individuale, non è educazione nazionale in senso storico, ma è nè più nè meno che il più alto grado d'educazione umana in generale. La Nazione tedesca è quella eh 'ebbe energia 5ufficiente per dar vita ad una tale forma d 'educazione, ma in questo - così va interpretata l'opinione del Fichte - essa è quasi il Popolo Eletto e il figlio suo è il Figliuol dell'Uomo. Partendo da questa concezione i singoli Stati tedeschi erano, con piena conseguenza, null'altro che sfere d ;azione entro le quali i singoli tedeschi dovevano lavorare per lo sviluppo dell'educazione nazionale, cioè del1 )

Op., p. 229 e 233.

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I 'educazione dell'umanità 1 ). In questo senso voleva essere un patriota tedesco e prussiano, ma nè allo Stato prussiano, nè, in genere, al singolo Stato tedesco concedeva radici più profonde di queste: la separazione dei prussiani dagli altri tedeschi è artificiosa, fondata sopra ordinamenti arbitrari e casuali; la distinzione tra i tedeschi e le altre Nazioni europee ha la sua ragion d'essere nella natura 2 ), cioè nella lingua comune e nel carattere nazionale. Movendo da queste idee gli sarebbe stato facile arrivare al concetto dello Stato nazionale tedesco unitario, ma sembra che non ne sentisse il bisogno. È contento quando la nuova educazione ha il sopravvento nei singoli Stati, e quanto al resto ammette - ma sempre come interesse di natura secondaria - che il prussiano agisca anche per l'integrità, la considerazione, il benessere dello Stato prussiano 3 ). Comunque, egli dice, il tedesco diventa prussiano soltanto dopo che il prussiano è diventato tedesco « e solo il vero tedesco è un vero prussiano». È quasi l'inversione delle ·gelide parole di Bismarck : « Di regola il patriottismo tedesco, per diventare attivo ed efficente, esige la. mediazione dell 'attaccamento alla Dinastia '> 4 ). Dinanzi a questa forma di patriotti-.;mo il Fichte avrebbe inorridito e perciò apprmto, dice il Windelband 5 ), ciò eh 'egli chiama vero patriottismo non ha sapore alcuno di realtà terrena e il suo germanesimo sta nel regno dell'utopia>. 1

) Il tedesco che vive ed agisce entro l'unità statale prussiana non potrà volere altro nè lavorare per altro che per affermare nel modo più perfetto e al più presto entro quest'unità statale il carattere nazionale tedesco, perchè questo carattere, di qui, si estenda alle stirpi tedesche più affini e da queste ..., a poco a poco, al resto dell 'umanità. Op. cit., p. 233. 2 ) Opere, p. 232. ') Op., p. 233. ') Gedanken wnd Erinnerungen, I, 290. ') Op. cit., p. 12.

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A Yoler interpretare

grettamente lo spirito nazionale che trllVa espressione in questi due Dialoghi, si potrebbe dire eh 'esso voleva essere in prima linea un veicolo per la diffusione della filosofia fichtiana e che l'immagine della Nazione da esso evocata non era, in fondo, che l 'immagine ingrandita del filosofo Fichte in persona. In forma più nobile si potrebbe dire eh 'egli porge la sua carne e il suo sangue pe1~costituirne l'immagine della Nazione, nè poteva fare diver~amente se voleva tener fede alle idee più profonde della sua filosofia. Anche qui l'Io creatore si poneva da sè il non Io. L'unica vera realtà, diceva egli allora, è la vita immediata, quella che vive al presente; perciò dell'essenza della Nazione tedesca era a lui accesf-ibile soltanto ciò che Yiveva in lui stesso. L'idea dell 'edurazione dell'umanità, ch'egli considerava come l'essenza stessa della Nazione, non ne abbracciava però tutta quanta la natura, ma era soltanto il figlio vero e primogenito della Nazione tedesca d'allora. E infine: come avrebbe potuto pensarla diversamente dal Humboldt e dallo Schiller, se sotto il pensiero nazionale cosmopolitico s'agitava anche in lui molto più vero e terreno amor patrio di quanto egli stesso non volesse ammettere? 1 ). Grande forza, di cui egli stesso non aveva coscienza, qucst 'amore ne nutriva nel profondo le nuove idee; ma erano idee troppo imperiose e riottose per volerlo ammettere. « Poche volte, forse, la teoria è rimasta tanto addietro alla realtà istintiva» 2 ). Eppure, non molto dopo egli s'accostò alla realtà della vita politica, anzi addirittura della vita politico-nazio1

Già W. ERBEN, op. cit., 18 seg. additava nel Piano per l 'U1;1iversità di Erlangen traccia d'un tale amore e suggeriva. che il sentimento nazionale del Fichte potesse essere nato da.Ile impressioni del periodo di J ena, dove vide giovani di tutte le stirpi tedesche « convivere robustamente>, perdendo nel reciproco contatto le cattive qualità proprie della. loro stirpe. Sul con tutta l'energia e la spregiudicatezza del suo spirito. « La sicurezza dello Stato, dice-:a, si fonda non solo sul suo territorio, ma anche su tutto ciò che, in genere, puoi sottomettere alla tua influenza e che in seguito può farti grande» 3 ). Così d'un tratto la vita degli Stati d'Europa, quel1 ·agitarsi di Stati e di Nazioni ed estendersi in ogni senso, gli apparve nella sua vera luce; e allora dimenticò le premesse pessimistiche da cui era partito e seguì l 'im1

)

2

3

)

)

Ueber naire u. sentimentalische Op. cit., 420. Op. cit., p. 423.

Dichtu,ng.

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pulso, più forte, di cercare un senso e una ragione di quest'agitarsi di forze all'apparenza soltanto egoistiche, per tentar d'accordarle con i suoi sublimi ideali d 'umanità; « inoltre ogni Nazione vuol estendere quanto può ciò che di buono è in lei, incorporarsi tutto l 'uman genere, grazie ad un istinto che Dio ha posto nell'uomo e sul quale si fondano le comunità dei popoli, i loro reciproci contatti e il loro progresso». Sono parole tra le più significative e profonde che sieno state dette in quel tempo; è in esse l'armonizzazione delle antiche lotte fra Stati per la supremazia e dei nuovi movimenti nazionali di popolo, con gli ideali cosmopolitici e universalistici dello spirito tedesco. Anche le caratteristiche individuali della Nazione sono valutate qui in modo molto più chiaro e preciso che negli scritti precedenti. La Nazione non è più soltanto quella che porta alla luce e modifica gli elementi d'un qualche cosa di più alto e generale: ora, invece, gli istinti originari e individuali delle Nazioni diventano la forza che genera i fatti generali e supernazionali 1 ). Di qui ci s'apre una prospettiva che conduce immediatamcn te alla concezione storica del Ranke : il passo decisivo era fatto, la tendenza dello Stato a conquistare potenza era riconosciuta come un naturale é salutare istinto di vita e collocata entro il sistema d'una concezione morale. Ciò che un tempo il :Machiavelli aveva insegnato e ciò che l 'Antimachiavelli aveva obiettato, in parte era qui superato, in parte esasperato, in parte conciliato. La cosa era possibile perchè ora al concetto di Stato e d'umanità s'era aggiunto il nuovo concetto di Nazione, che illuminava di nuova luce anche lo Stato.

1

In questo la giustificazione accennata della. politica di dispotismo e d'espansione si distingue, da quella data. nei « Lineamenti dell 'etd presente~- In questi ultimi, infatti, la cultura che lo Stato conquistatore può e deve diffondere nell'Europa cristiana è pensata ancora come universale, non come individuale-nazionale. )

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Dal momento che lo Stato non era più spinto soltanto dalla volontà del principe nè dal solo freddo interesse del suo istinto d'auto-conservazione, ma da una viva comunità di popolo, e dal momento che questa comunità assumeva importanza per l'umanità proprio in grazia dei suoi caratteri peculiari, anche la pleonexia dello Stàto ne risultava nobilitata e moralizzata. Lasciamo la parola al Fichte stesso 1 ) : « I popoli non sono una proprietà dei principi, i quali ne possano considerare il benessere, l 'indipendenza, la dignità, fa posizione nel quadro dell 'umanità, come cosa privata .... Il principe appartiene alla sua Nazione così completamente, come questa appartiene a lui; il suo destino, nell'eterno consiglio della Divinità, sta nelle mani di lui, che n'è responsabile». Nella sua vita privata egli è legato alle leggi generali della morale, nei rapporti col suo popolo alla legge e al diritto, ma nl·He relazioni con altri t,tati non c'è nè legge nè diritto che non sia il diritto del più forte: di queste relazioni la divina maestà del destino lascia responsabile il principe, ponendole nelle sue mani e inalzando lui al di sopra delle leggi della morale individuale, in un ordine morale superiore, il cui contenuto si esprime nelle parole « salus et àecus populi suprema lex esto ». Non era ancora tutto quanto si poteva dire intorno alla natura del nuovo Stato nazionale che stava sorgendo, ma n'era già determinato uno dei caratteri principali: il diritto e il dovere del1'auto-conservazione più energica e spregiudicata e del1'auto-determinazione di ciò che a questa conservazione è necessar10. Con questa « più seria ed energica concezione del1;arte di governare» lo spirito del Fichte s'accostò allora alla realtà terrena, fino al massimo delle sue possibilità. Chi, dopo questo « Saggio sul Machiavelli », legga i « Discorsi alla Nazione tedesca», si sente guidato per qualche 1

)

Op. eit., p. 426.

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riguardo ancora nella stessa direzione, ma finisce per trovarsi d 'nn tratto in tutt'altro mondo. Osserviamo prima di tutto quelle idee dei «Discorsi» che stanno sulla stessa linea del« Saggio sul Machiavelli» e che quindi rappresentano un progresso del suo pensiero politico nazionale rispetto ai « Dialoghi ». Lo si sente già in quel suo stringere maggiormente i legami fra Nazione e Stato, cioè fra Nazione tedesca e singolo Stato tedesco. Nei «Dialoghi» egli aveva distinto duè gradi d 'attivita dello Stato te.desco singolo, cioè della Prussia: l'attività in senso tedesco-prussiano, cioè in ultima analisi umano, e l'attività in senso puramente prussiano, intesa cioè a un fine di natura inferiore. Di questa gradazione di valori dell'attività entro lo Stato e quindi anche dei fini dello Stato non rimangono più che poche tracce nei «Discorsi» 1 ). Qui i due cerchi, dello Stato singolo e della Nazione, sono diventati concentrici. Lo Stato, dic 'egli ora 2 ), possiede la sua forza armata « nnicamente e con nessun 'altra intenzione » all'infuori dagli scopi postigli dall'amor di patria. Sembra quindi eh 'egli conservi l'idea di Stato Nazionale enunciata nel « Saggio sul Machiavelli», idea la cui forza è posta esclusivamente in servizio della Nazione; e l'ideale statale dell 'illuminismo, razionale e antistorico, pare superato quand'egli scrive queste parole 3 ) : « Lo Stato secondo ragione non può essere costruito artificiosamente da un materiale qualsiasi, ma bisogna. che la Nazione si sia prima formata ed educata ». « Lo Stato dell'avvenire - secondo il concetto fondamentale dei« Discorsi» nella formulazione del Win-

1

Forse nella distinzione - Opere I, 384 e 386 - fra lo ) « scopo più prossimo e comune > dello Stato, conservazione della pace interna, della proprietà, della libertà personale, e del benessere comuni, e il suo scopo superiore. 2 ) 7, 386. 1 7, 353. )

della vita

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delband 1 ) può essere soltanto lo Stato nazionale e particolarmente lo Stato nazionale tedesco». Quest' è, nella sua formulazione filosofica, il programma della storia politica del secolo XIX, in cui il consolidamento dei nessi statali nazionali rappresentò l'interesse supremo e la fondazione dell'Impero germanico fu senza dubbio l 'avvenimento dominante. Diciamo, più esattamente, che quest'era il programma più preciso che la filosofia fichtiana potesse formulare in materia e cerchiamovi i resti del programma antico, che ancora permangono in questa concezione dello Stato nazionale. A guardar più da vicino le parole citate or ora, si vede eh 'egli non aveva ancora rinunciato allo« Stato perfetto», allo Stato « secondo ragione »; soltanto, rimproverava gli illuministi d'aver tentato una costruzione senza aver la base necessaria per essa, in una Nazione che vi si prestasse. Questa introduzione del mezzo nuovo della Nazione costituiva già un enorme progresso del suo pensiero, ma, non avendo egli rinnnciato all'antica finalità dello Stato secondo ·ragione, anche questo mezzo nuovo della Nazione non poteva essere la Nazione reale, bensì era pur esso una specie di « nazione secondo ragione»: soltanto la Nazione che avrà assolto nel modo migliore il compito di educare l'uomo perfetto, assolverà in seguito anche quello di costituire il perfetto Stato» 2 ). Il nuovo concetto era dunque riportato ancora verso le vecchie formule. La stessa cosa si osserva nel modo com 'egli sviluppa nei « Discorsi » il principio dell'autonomia di Stato e Nazione, posto nel « Saggio sul Machiavelli». Come Stato reale, è detto lì in forma rigida e superba, lo Stato deve « potersi muovere e decidere con indipendenza» 3 ). E altrove dice 4 ) : Da per tutto dove 1 2

)

Op. cit., pag. 8.

7, 354. ) 7, 432. ') 7, 453 2

)

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lOS

c'è una lingua particolare c'è anche una particolare Nazione« la quale ha il diritto di risolvere con indipendenza i propri problemi e di reggersi da sè ». Lingua e letteratura d'un popolo, è detto allo stesso proposito, degenererebbero in seguito alla perdita dell'indipendenza politica. Si può dunque constatare con piacere che egli riconosceva il nesso fra cultura nazionale e indipendenza politica. Ma si guardi, ora, alla caratteristica ragione di questo riconoscimento: « Che specie di letteratura può essere la letteratura d'un popolo privo d'indipendenza politica Y Che vuole e che può volere lo scrittore intelligente? Non altro che inserirsi nella vita pubblica e formarla e trasformarla a propria immagine »; egli vuole pensare per conto di coloro che governano, « può quindi scrivere soltanto nella lingua in cui si governa, nella lingua d'un popolo che costituisce uno Stato indipendente ». ~ anche questo un pensiero che si connette con lo Stato nazionale moderno, chè non sapremmo pensare un vero e moderno Stato nazionale senza una gran~e e libera letteratura politico-nazionale; ma quello a cui pensa il Fichte non è ciò che noi intendiamo per letteratura politico-nazionale; sono, invece, le produzioni dei filosofi del secolo XVIII quando s'occupavano dello Stato: norme per i governanti, governo dei governanti per opera dei filosofi, per dare assetto lasciamo la parola al Fichte - « alla vita in genere e all'insieme delle cose umane » 1 ). Ecco dunque la ragione per cui l'indipendenza politica della Nazione gli è necessaria e la postula; essa è per lui la premessa necessaria per il predominio della Scienza· nello Stato: ci si dirà forse « della Scienza nazionale», ma questo significherebbe aver inteso ben poco il contenuto che il Fichte dava al concetto di scienza. Era un concetto che superava la sfera dei fatti nazionali non meno che quella, più ristretta, della scienza in genere; significava per lui « tra1 )

Cfr. 7, 492.

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sformazione del sapere, della ragione, della saggezza, nella vita stessa, nella sua più alta fonte e nel suo stimolo più alto» 1 ). Egli vuole dunque l'indipendenza politica da un punto di vista elevatissimo si, ma assolutamente apolitico e supernazionale. Il lato politico di essa, eh 'egli aveva colto nel « Saggio sul Machiavelli», non ebbe ulteriore sviluppo, perchè egli non poteva interessarsi a lungo d'uno Stato imperialistico. Ora, come abbiamo già detto, è proprio della natura d'un tale Stato il vivace movimento d 'espansione, il contatto, amichevole o ostile, coi vicini ed una certa pleonexia; per i suoi scopi esso ha bisogno in prima linea della propria indipendenza e auto-determinazione. Secondo il Fichte deve usarne, invece, proprio per lo scopo opposto: per difendersi dai tentativi di sopraffazione degli altri Stati 2 ). Il suo « Stato commerciale chiuso » gli è ancora presente: perehè occorre ai tedeschi la libertà dei mari? « Volesse il cielo che la sorte benigna avesse preservato i tedeschi dalla partecipazione mediata alle prede degli altri mondi, come li ha preservati dall'immediata» 3 ). E quando, alla fine, enuncia il suo grande postulato, ogni possibilità di politica reale resta troncata alle radici : « Al vario e confuso insieme d 'istinti sensuali e spirituali dev'essere nettamente negato il dominio sul mondo; lo spirito solo, puro e spoglio

Discorso del 19 febbraio 1913. Opere 4, 604. ~) Non occorre che ci fermiamo sulla distinzione tra conquista secondo natura e conquista contro natura, eh 'egli fa nel Tredicesimo Discorso, distinzione troppo sottile per avere qualche importanza per la politica reale. Diciamo soltanto come un 'ipotesi che il suo cambiamento d'umore in confronto al Saggio sul Machia11elli, nel quale chiedeva ancora una politica energica basata sulla forza, può forse essere ricondotto al mutamento della situazione politica: allora la fresca impressione della guerra, ora la rassegn.azione della sconfitta. 1 ) 7, 466. 1

)

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di qualsiasi istinto dei sensi, deve stare al timone degli eventi umani» 1 ). Par quasi che tutti gli altri fuochi del mondo debbano essere spenti, perchè rimanga soltanto la fiamma del suo ideale etico, custodita dalla Nazione tedesca, in quanto essa era il popolo originario, il popolo eletto. Per esso egli desidera indipendenza politica e potenza, che serviranno per la realizzazione del suo ideale. Come la sua filosofia aveva sempre desiderato la trasformazione degli individui in esseri spirituali, così ora egli esige una radicale trasformazione .e spiritualizzazione della vita degli Stati e dei popoli. Questa la funzione eh 'egli assegnava allo Stato tedesco. Ora, quando ci si sia resi ben conto di questa sua idea fondamentale, che investe tutte le altre, non si penserà più a considerare lo Stato nazionale dei suoi « Discorsi» come un ente politico e forse si finirà per considerare superfluo continuare l'analisi delle sue idee politiche. Se non che gl 'ideali e le illusioni del Fichte restano, in qualunque modo, degni d'essere ripensati e analizzati anche nelle loro derivazioni e conseguenze; nè, per lo scopo che ci siamo posto - dimostrare come le idee apolitiche invadessero la vita politica della Germania - e 'è fra i pensatori puri esempio più significativo che quello del Fichte. Seguitiamo quindi a cercare che cosa egli pensasse intorno alla forma e alla costituzione dello Stato tedesco. E, innanzi tutto, che atteggiamento assumeva egli di fronte al problema: Stato unitario, Stato federale o federazione di Stati? Nel IX Discorso considera la possibilità che un singolo Stato tedesco riesca ad unire tutta la Nazione tedesca sotto il proprio reggimento e ad instaurare, in luogo della tradizionale Repubblica dei popoli, un Goverilo assoluto. « Ogni uomo ben nato, su tutta l'estensione del suolo co-

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mune della patria, vi si sarebbe dovuto opporre » 1 ), non per scrupolo dinastico e particolaristico, ma per il fatto che in quello che noi chiamiamo frazionamento degli Stati ed egli chiamava « costituzione repubblicana» stava per lui la miglior fonte dell'educazione tedesca e il mezzo più certo per garantirne le caratteristiche; e anche perchè temeva che l'assoluto predominio d'uno Stato dispotico potesse stroncare, fin che fosse durato, qualche germoglio di cultura originale in Germania. Non che tale predominio gli sembri del tutto insopportabile e senza luce di speranza, dato che sarebbero sempre dei Tedeschi a governare i Tedeschi e che la Nazione tedesca seguiterebbe a sussistere; ma uno Stato unitario monarchico non gli sembra affatto desiderabile per la Germania. A quanto chiaramente risulta dalle sue parole, ammetterebbe invece volentieri uno Stato unitario in forma repubblicana 2 ); ma va tenuto ben presente eh 'egli non annetteva importanza decisiva alla forma unitaria dello Stato. Anzi, dello« Stato tedesco» dice addirittura: « Che esso sia esteriormente uno Stato solo o parecchi Stati, non vuol dir nulla: in realtà esso è, tuttavia, uno». È chiara la distinzione fondamentale eh 'egli fa qui tra forma esteriore della vita statale e intima essenza di essa. Lo Stato tedesco, che è uno, può avere la forma dello Stato unitario, ma anche quella dei molti piccoli Stati; ma è essenziale invece, lo dicono le sue parole stesse, « che l'amore nazionale dei Tedeschi, o regga esso stesso il timone dello Stato tedesco, o possa su di esso esercitare la sua influenza» 3 ). Come si vede, nem!'I) 7, 397.

7, 397: « .... Certamente, se la presupposta unità di governo avesse avuto, non la forma repubblicana, ma la monarchica .... sarebbe stata una grave disavventura». 3) 7, 397, cfr. anche 7, 384, 396, 428. A dir vero si potrebbe "biettare che nel I (( Discorso » 7, 266 e nel riassunto del condegli tenuto del XIII 7, 464 egli deplora il frazionamento Stati in Germania e dice che la loro esistenza separata « cozta 2)

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meno il singolo Stato tedesco se la cava troppo bene, quanto alle condizioni per la sua esistenza; è vero eh 'egli tien conto favorevole del frazionamento degli Stati tedeschi come d 'nna fonte di cultura tedesca, ma non ammette neppur qui l'attaccamento allo Stato singolo, il patriottismo dinastico e territoriale; ammette l'esistenza degli Stati singoli, ma non consente eh 'essi abbiano troppo profonde radici nel sentimento dei loro sudditi. Del resto, a giudicare dalle sue stesse premesse, non era neppur necessario che fra i singoli Stati ci fosse un legame federativo esterno - Stato federale o Federazione di Stati - purchè si avverasse l 'nnica condizione veramente necessaria : che lo spirito nazionale dominasse o potesse arrivare a dominare la vita statale in Germania. Perciò, anche, poteva parergli tollerabilissima la condizione della Germania avanti il 1806, quando Stato e Nazione erano bensì divisi l'uno dall'altra esteriormente, « come nella Grecia dei tempi antichi », ma, egli credeva, vivevano fra loro in accordo ed armonia. Secondo lui ogni persona assennata avrebbe dovuto augurarsi la continuazione di quello stato di cose 1 ). Si può obiettare eh 'egli pensasse non a una cosa desiderabile, ma soltanto a qualche cosa di sopportabile, in contrapposto all'insopportabilità della situazione di quel momento e che qui ponesse soltanto un programma minimo per la vita statale in Germania. Forse si dirà anche che sarebbe stato scabroso, al-

contro la natura e la ragione ». Però, dopo quanto è detto nel IX Discorso, possiamo supporre eh 'egli non cercasse l'unità nella forma esteriore e che quindi con quelle parole condannasse non la forma ma lo spirito del frazionamento degli Stati, di quella loro « esistenza separata». Cfr. anche l 'Xl Discorso 7, 437: (( Buon per noi che ci sono ancora diversi Stati tedeschi, divisi l'uno dall'altro: il fatto, tante volte ridondato a nostro vantag~o, può forse diventarci utile in questa importante questione nazionale (dell'educazione) ». ') 7, 392, 396 seg.

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lora, domandare di più; ma il Fichte era un pensatore troppo rigido per non aver lasciato trasparire, comnnque, qualche cosa almeno dei suoi principi fondamentali, e resta sempre un fatto caratteristico eh 'egli sia sceso a un tale minimo. Potè farlo perchè per lui la forma esterna politica era relativamente indifferente, mentre aveva la massima importanza l'unità dello spirito entro la vita statale. Quest'unità ideale di Stato e Nazione stava però anch'essa nel regno dell'utopia e solo un 'armonia prestabilita avrebbe potuto far sì eh 'essa diventasse realtà e che i singoli Stati fossero tutti d'un unico spirito. Il suo Stato tedesco, come il suo Stato in genere, non obbedisce alle proprie particolari condizioni di vita, ma riceve la sua legge - così egli vuole ora - dallo spirito nazionale; il quale spirito nazionale, però, è e dev'essere, anche secondo la concezione dei ma che si debba riconoscere 1

)

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spirito nazionale tedesco da lui esaltato non era un frutto della vita storica, ma un postulato della ragione. Vediamo la cosa più da vicino. Egli constata che finora i Tedeschi non hanno carattere nazionale, nè orgoglio nazionale; altri popoli hanno questo e quello in grazia della loro stori~, ma i Tedeschi, come tali, negli ultimi secoli non hanno avuto una storia. « Quale legame c'è stato fra noi, quale storia comune? » 1 ). Qua e là sembra di sentire una deplorazione per questo stato di cose, ma subito dopo balena anche come una certa soddisfazione per esso: questo contrasto di sentimenti era, insieme, un contrasto fra il modo di pensare del secolo XVIII e quello del XIX. Quale dei due prevalesse in lui non può apparir dubbio: al grande idealista, che attraverso i fenomeni temporali perseguiva sempre la sua aspirazione verso l'Eterno, rideva il cuore per la scoperta d'uno spirito nazionale che non aveva ancora una storia dietro di sè e per il compito di collaborare alla formazione d'uno spirito nazionale che fosse soltanto opera della ragione cosciente e della libertà. La sua stessa mancanza d'una storia gli par facili tare il compito e, comunque, è per lui una prova del fatto che in ciò che s'è conservatq del carattere tedesco c'è qualche cosa li « veramente primitivo», di più che storico 2 ). Questa « primitività» appunto egli aveva postulato fino dai «Discorsi», per la lingua tedesca e per la Nazione tedesca, unico « popolo originario», il «popolo» senz'altro attributo. Come si vede, il suo concetto di « primitivo » in essa la profonda comprensione del fatto « che ogni Stato nel quale organizzazione politica e spirito popolare non sono assolutamente la. stessa cosa, è profondamente malato». Giusta osservazione, alla quale però bisogna soggiungere subito che lo spirito popolare com 'egli l'intendeva non era lo spirito popolare tedesco storicamente concreto. t) 7, 565, 568. 2) ~ I tedeschi.. .. sono cresciuti senza storia» 7,565, cfr. 7,571.

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significa tutt'altra cosa da quella che noi intendiamo quando diciamo d'una Nazione eh 'essa è particolarmente primitiva. Così dicendo pensiamo a un 'intima, naturale freschezza, derivante dalla semplicità delle condizioni di civiltà e conservatasi intatta, ma pensiamo tuttavia sempre a qualche cosa di storicamente condizionato. Il Fichte pensava, invece, proprio a cosa non determinata storicamente 1 ). Per necessaria coll.6eguenza i caratteri nazionali, divenuti storici, hanno minor valore, appartenendo essi a quel mondo dove e 'è mancanza di libertà. Anche questa conseguenza fu tirata dal Fichte, secondo il quale i Francesi « non hanno un Io formatosi da sè, ma, per generale consenso, un Io di natura puramente storica, mentre i Tedeschi ne hanno uno metafisico» 2 ). In questi «Appunti» del 1813 ci sono però altre parole da cui parrebbe che il Fichte volesse affidare alla corrente della storia almeno i futuri sviluppi della Nazione tedesca; il carattere dei Tedeschi, dic 'egli 3 ), « sta nel fu-

Lo dimostrano assai chiaramente i « Discorsi '.:I) 7,374: « ci~ che propriamente consente di distinguerne la natura (dei tedeschi) è il credere a qualche cosa di assolutamente primitivo e originale nell'uomo, alla libertà, alla infinita perfettibilità.... oppure il non credere a nulla di tutto questo .... Ora, :finalmente, in grazia d'una filosofia. chiaritasi in se steflsa, questa Naziono ha innanzi a sè quasi lo specchio nel quale poter chiaramente riconoscere che cosa essa è diventata fino a questo momento, senza averne chiara coscienza, per opera della natura'>. Cfr. KUNO FISCHER, op. cit. 718: « Il Fichte ha fondato l'origine e il principio della storia della civiltà sull'ipotesi, contraria alle leggi dell'evoluzione, d'un popolo primitivo e normale, mette cioè al posto dell'evoluzione la rivelazione e in tal modo fa, della storia, un indovinello». Intorno alla dipendenza dell'idea d'un popolo normale dalle idee del Rousseau cfr. FESTER., op. cit. 133 seg., 146, 153. Il LASK, op. cit. 257, ignora la contraddizione fondamentale posta dal Fichte stesso fra « primitivo » e « storico >. 2 ) 7,566. 3) 7,571. 1

)

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turo: per ora, esso sta nella speranza d'una storia nuova e gloriosa. Principio di questa: eh 'essi si facciano da sè e ne abbiano coscienza. Sarebbe per loro la sorte più gloriosa. Caratteri fondamentali dei Tedeschi sono : 1° Iniziare una nuova storia; 2° Attuare se stessi con libertà; ... 3° I Tedeschi non debbono perciò essere la continuazione della storia del passato, la quale per loro non ha dato alcun risultato». l\'Ia questa « nuova storia» che sta innanzi alla Nazione tedesca, è « storia » nel senso nostro ? Secondo noi vi contraddice quel primo taglio profondo, eh 'egli fa tra la storia antica della Nazione e la nuova; non possiamo ammettere simili salti in un processo di sviluppo, nè è possibile per un popolo avere una storia antica ed una moderna talmente divise l'una dall'altra, che quella sia passata senza aver lasciato alcuna traccia e questa non stia in alcun nesso con la precedente. Il Fichte poteva credere a un simile salto oltre l'abisso, soltanto perchè la sua nuova storia non era la vera storia. La sua storia incomincia dall'atto per cui i Tedeschi « si fanno da se stessi eà hanno coscienza di farsi», « si attuano con libertà». ::Manca in essa un fattore essenziale della vera storia: la mancanza di libertà e l'irrazionale. Qui, dunque, egli ha dinanzi a sè due concetti storici profondamente diversi, l'uno dei quali, rintracciab~le nella storia « antica» dei Tedeschi e degli altri popoli, si avvicina al nostro, ma è spregiato e messo da parte dal Fichte per gli elementi per così dire impuri, ignobili di cui è costituito, mentre l'altro, fondato esclusivamente sul fattore della libera creazione cosciente, sta fuori della sfera dei fatti veramente storici 1 ).

Non possiamo accettare l'opinione del LASK, pag. 269, il quale nelle parole del Fichte or ora citate vede la prova sicura che quegli avesse un concetto della storia che comprendeva passato e avvenire e che al secolo XVIII sarebbe rimasto del tutto incompren'sibile. 1)

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La sua « nuova storia » è dunque una storia razionale e ideale, come razionale è il suo Stato, razionale la sua Nazione. È ancora il linguaggio dei diritti dell'uomo e dei primi anni della Rivoluzione, quello che parla nella sua grande profezia : « Così, i Tedeschi saranno i primi a costituire il vero regno del diritto, quale mai ancora è esistito, con lo stesso amore per la libertà dei cittadini che vediamo nel mondo antico, ma non esigendo quel sagrificio della maggior parte degli uomini, condannati alla schiavitù, senza del quale gli antichi Stati non potevano sussistere : per la libertà fondata sull'uguaglianza di tutto quanto ha faccia umana» 1 ). Parole ben più ricche di contenuto che non l'analoga fraseologia dei girondini e dei giacobini; ma tali ci appaiono perchè in bocca al Fichte esse hanno un significato più profondo, perchè tutte le sue idee di libertà e di diritto, per quanto suonino astratte, erano ardentemente vissute dalla sua grande anima di uomo fuor del comune, perchè la sua esigenza di libertà non è che esigenza d'autonomia morale, la radice più salda d'ogni grande civiltà. Il maggior contenuto di vita personale, la maggiore forza di propulsione storica ci fanno parere le idee del Fichte intorno alla Nazione e allo Stato nazionale più moderne e più storiche di quanto veramente sono. Riteniamo che le nostre limitazioni e le nostre riserve nulla toglieranno al grandissimo apporto del Fichte allo sviluppo dell'idea di Nazione e di Stato nazionale in Germania. Avverrà forse il contrario. La visione integrale dello sviluppo di questa nuova idea non fa che ingigantire, quando si veda quant'era forte e vitale il vecchio mondo d'idee da cui essa usciva. È falso quel modo tradizionale e troppo comodo d'immaginare il cosmopolitismo, che, vuoto e senz'anima cade prostrato a terra, mentre il giovane pensiero nazionale sorge leggero e vittorioso 1

)

Staatslehre 4,423; 7,573.

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al suo posto: cosmopolitismo e nazionalità seguitarono per molto tempo a vivere in stretta consanguineità e comunanza. E anche se l'idea del vero Stato nazionale non potè affermarsi allora interamente, quel periodo non rimase tuttavia senza frutto per l'idea nazionale. Occorreva che vi fosse introdotto un contenuto ben determinato, forte ed energico, che non ci si limitasse a studiarla con interesse sotto questo o quell'aspetto, ma la si affermasse esplicitamente ed energicamente, con la commozione d'un grande entusiasmo. Entusiasmarsi partendo dalla frammentarietà della realtà nazionale d'allora era troppo difficile per spiriti come il Fichte: perciò egli vi giunse movendo dalle altezze d'un ideale etico universale.

CAPITOLO VII.

ADAMO MOLLER NEGLI ANNI FRA IL 1808 E IL 1813.

Il Fichte aveva lasciato cadere il concetto che s'era fatto intorno alla natura dello Stato come espressione di forza, essendo la potenza dell 'idea morale troppo preva, lente in lui perchè egli potesse ammettere durevolmente, accanto a quella, l'autonomia d'un 'altra forza. La sua volontà morale, che l'aveva introdotto nel mondo dello Stato e della Nazione, eresse essa stessa le barriere che gl 'impedirono di conoscerne per intero la natura. Ad uno spirito assai meno forte, ma dotato di maggior sensibilità, doveva invece riuscire d'addentrarsi molto più di lui nella conoscenza dello Stato nazionale. Fu costui Adamo lliiller, il quale tenne delle lezioni sugli « Elementi dell'arte politica» nell'inverno 1808-1809, un anno dopo i « Discorsi» del Fichte 1 ). Questi aveva parlato alla Nazione tedesca e il pubblico che casualmente l'ascoltava, la rappresentava ai suoi occhi; il 1\1:iiller,allora Consigliere alla Corte di Weimar, parlava dinanzi ad un'accolta d'uomini di Stato e di diplomatici, in presenza d'un Principe, e a questo pubblico aristocratico diceva cose che non gli po1

)

Le lezioni furono pubblicate

in 3 volumi, nel 1809.

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tessero dispiacere; se avesse seguìto l'opinione e il consiglio del suo amico Gentz, si sarebbe potuto anche procurare una comodissima vita, scrivendo un libro in difesa della nobiltà della nascita 1 ). Qui non importa molto sapere se il Miiller fosse o no accessibile a ragioni pratiche della natura accennata; certo è che, passando dal Fichte a lui, passiamo, dalla pura atmosfera della finalità etica incondizionata, in una sfera di carattere sociale ben determinato, nella quale l'autore si sente a suo agio e che non si smentisce nelle teorie di lui. I suoi scritti non consentono d'affermare con sicurezza eh 'egli abbia fatto studi storici profondi; nè, d 'altra parte, il suo senso storico era di natura tale, che non ci potesse arrivare uno scrittore politico che viveva in mezzo alla vita. S'era occupato saltuariamente di politica e come giornalista aveva anche avuto contatto con uomini di Stato 2 ); ma non gli riuscì mai di aderire spiritualmente ai moti politici del suo tempo, come riuscì invece al Gentz nei suoi momenti migliori. Aveva un indirizzo straordinariamente realistico, ma anche una tendenza speculativa, sognatrice; e questa e quella andavano così strettamente unite, che anche nelle sue concezioni più realistiche c'era sempre qualche elemento d'intuizione fantastica. Si capisce che una natura come questa fosse entusiasta di Heinrich von Kleist, della cui poesia si può dire altrettanto, con la differenza che il Kleist non soltanto era incomparabilmente più forte e più originale, ma si controllava ben più rigidamente che non facesse l'altro. Comunque, il periodo migliore del Miillcr fu quello della sua amicizia col Kleist, negli anni penosi dopo la pace di Tilsit 3 ). 1)

1808; Epistolario Gentz-Miiller, p. 140. ) Cosl nel 1803. Epist. Gentz-Miiller, p. 18 t WITTICHEN, Briefe von und an Gentz 2, 410. ') Cfr. STEIG, H. v. Kleists Berlilner Kiimpfe; KAYKA, Kleist u. die Romantik p. 120 seg.; RAHMER,Kleist p. 17 4 seg. Il Rahmer non valuta adeguatamente l'importanza del Miiller, del quale mette 2

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l\la per quanto il pensiero del Miiller se ne sia giovato, certo è che sul terreno politico vero e proprio era lui fin da principio il più interessato dei due, cosicchè non è da escludersi che sia stato lui a finir d'attirare entro la sfera della patria il poeta, il quale delle necessità della patria poteva avere già cominciato a rendersi conto 1 ); forse, persino la concezione statale del « Prinz von Homburg » fu ispirata a concetti del Miiller 3 ). La natura sensitiva del l\iiiller non era certamente suscettibile della grande passione patriottica che divampò nel Kleist, ma aveva ricchezza e finezza sufficienti per rispecchiare in sè gli impulsi nazionali che le si andavano destando tutt'intorno e per tentare una teoria della vita nazionale entro lo Stato, la quale costituisse un primo passo verso una nuova vita: un primo passo e perciò un passo non esauriente nè definitivo. La fusione degli interessi d'ordine estetico-artistico e filosofico con quelli d'ordine politico non fu in lui nè casuale nè arbitraria. « Non ho mai voluto ammettere una divisione tra la cosiddetta arte gioconda » scriveva il 6 febbraio 1808 al Gentz 3 ) . Il Rehberg, però, a sua volta non era in grado d'intendere il valore della concezione ideale del Miiller, come del resto non riusciva a render giustizia al Herder col quale accoppiava il Miiller. 2 ) Cfr. le sue parole, in Elementi 1,9: « Cosl, il tempo in cui viviamo è una grande scuola di sapienza politica '>. Le parole di Guglielmo Grimm, 1811, caratterizzano la dubbia impressione fatta « :t strano, ma quel che c'è di dal Miiller sui suoi contemporanei: buono nei suoi scritti mi dà noia, perchè ho il senso che l'abbia tolto a prestito ». STEIG, pag. 526 e il giudizio del Humboldt sul Miiller ivi citato a pag. 296. BRATRANEKpag. 236. ') Per i fondamenti filosofici del Miiller si dovrebbe parlare anche dell'influenza dello Schelling, cfr. WITTICHEN, Briefe 1Jon u. an Gentz 2,347 n. 2; STAHL, Gesch. der Rechtsphilosophie 3• ed., pag. 596; METZGER, op. cit., pag. 260 e 267; FRIEDRICHS, Klaspag. 164 seg. sische Philosophie u. Wirtschaftswissenschaft, L'ipotesi del HELLER, H egel und der nationale Machtstaatsge-

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127

Se si parla del Burke, prima di lui bisogna ricordare quegli che fu insieme il primo interprete del Burke in Germania e il più grande amico politico e maestro di Adamo Miiller: Federico Gentz. Il Miiller stesso dice 1 ) di andar debitore a lui dell'interessamento per i fenomeni della vita reale, corporea, sociale, per i rapporti mondiali e per lo Stato: in una parola, del superamento della speculazione pura. Il pensiero politico del Gentz è dominato dagli stessi problemi che qui ci affaticano; con sensibilità :finissima egli colse i nessi fra cultura nazionale e Stato nazionale e seppe rappresentarli in maniera palpitante di vita quando, in Inghilterra, li vide realmente dinanzi a sè. Combattè per la vita individuale e per il diritto individuale delle Nazioni e degli Stati, e studiò seriamente il modo come questo diritto particolare dovesse essere limitato a sua volta dal diritto generale della società degli Stati d'Europa. Nei suoi giorni migliori vide nella lotta generale contro la Francia il mezzo per raggiungere

danke in Deutschland, 1921, pag. 139, che il Miiller avesse ~entito già allora l 'in:fluenza del Hegel, attraverso lo Schelling e il Gentz, e che specialmente la sua teoria della nazionalità costituita in Stato considerato come potenza, risalga al Hegel, dovrebbe essere esaminata a fondo. L'influenza del Burke sul Miiller, invece, è stata dimostrata anche più a fondo che non occorresse da FRIEDA BRAUNE, Edmund Burke in, Deutschland, 1917, pag. 182 seg. Non ho creduto opportuno di ricercare - il problema è ancora insoluto - :fino a che punto egli risenta degli autori francesi della contro-rivoluzione, perchè in questi il problema della nazionalità non ha parte importante. Nelle sue lezioni su Federico II, pag. 109, egli loda il Traité sur le ditJorce del Bonald. Negli Scritti Vari 1,312 seg. tratta del Bonald più a lungo, ma dice espressamente d'aver conosciuto la Législation primititJe del Bonald appena nella primavera del 1810. Cfr. anche ScHMITT·DOROTiè, Politische Ro· mantik, pag. 50 seg. 1 Romant. ) WITTICHENop. cit. 2,348. Il lavoro di A. GERHARDT, Elemente in d. Politik u. Staatsanschawu,ng Fr. Gentz', Lipsia, Dissert. 1907, non raggiunge completamente il suo intento.

128

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la futura grandezza nazionale della Germania 1 ) e, come colui che aveva concepito « progetti atti a liberare il mondo e ad assumere importanza storica», intimamente si -considerava piuttosto cittadino d'una patria universale, in lotta per una sua causa, che servitore d'uno Stato determinato 2 ). Le idee da lui enunciate con tanta intelligenza -ed efficacia rientrano dunque interamente nella linea di cui stiamo tracciando lo sviluppo; ma non vi rientra l'uomo -che stava dietro ad esse. Giustamente è stato osservato -che la sua evoluzione fino a diventare un politico realistico avvenne « con processo ben distinto da quello percorso dalla vita politica tedesca :fino a Bismarck» 3 ). Si può anche aggiungere eh 'era uomo troppo attaccato al .godimento, sicchè anche il contenuto più intimo della sua vita, anche la sua stessa passione politica, egli li godeva più che non li vivesse. Per ripetere, variandola, un 'os.servazione fatta intorno ai suoi rapporti con la religione: aveva più il senso del valore delle idee, che non avesse idee. Perciò a quelle da lui sostenute mancava qualche -cosa che le rendesse omogenee con le idee dei suoi contemporanei; perciò, anche, alla sua lotta per la libertà delle Nazioni mancarono il vero fermento nazionale e la -commozione intima 4 ) • Il Miiller e il Gentz si completavano felicemente l'un 1

1804; WITTICHEN, Briefe 2,251. Ivi, 2,244 (1804). ) 3 F. C. WITTICIIEN, Gentz' Stellung zum deutschen Geistes) leben vor 1806. Histor. Vierteljahrsschrift 14, 35. ") Una strana lettera ad Adamo Miiller, forse della fine del 1809, nella quale lingua e nazionalità son dette « veri ed unici limiti dei vari territori statali » ha suscitato qualche dubbio di natura critica, perchè non c'è rimasta nell'originale. Cfr. WITTICHEN, Lettere 2, 418. A lui si oppone il DOMBROWSKY, ÀUS einer Biographie A. Mullers, Gottingen, Dissertaz., 1911, pag. 58 seg., adducendo interessanti ragioni per sostenerne l'autenticità. Ma, anche se la lettera è autentica, non può trattarsi d'opinione profondamente radicata nel Gentz. )

2

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129

1~altro, in quanto l'uno aveva sempre ciò che all'altro, pure apprezzandolo, mancava. L'uno era spinto dalla sua natura a un 'intuizione ideale della realtà, l'altro a un 'intuizione reale. Ma le idee che il Miiller avrebbe potuto togliere dal Gentz non erano che il riflesso della più splendida luce eh 'emanava dal Burke; e a lui il l\liiller arrivò subito direttamente. Le considerazioni del Burke intorno alla Rivoluzione francese furono per lui una rivelazione. Lo chiamò l 'ultimo dei profeti disceso in questo nostro mondo senza fede 1 ). In lui, esclamò trionfalmente 2 ), e 'è vita pratica, e' è spirito e teoria, in lui l' uomo di Stato e il teorico della politica appaiono riuniti in una persona sola. « Non è possibile distillare le sue opere; non è possihile ricavarne dei concetti da conservare in ampolle sigillate .... E nemmeno è possibile impararne delle abilità pratiche. l\[a quando si sia compreso il caso storico reale di cui parla, se n'è inteso anche lo spirito; quando si sia compresa l'idea che lo muove, la si vede espressa anche nella vita reale, ed espressa con forza e con precisione». L'influenza del Burke non fu così profonda soltanto su Adamo Miiller; non solo egli porse le armi spirituali più potenti agli avversari della Rivoluzione, ma, ciò che più importa, diede il primo colpo decisivo alle concezioni dello Stato basate sul diritto naturale, state care al secolo XVIII, men tre all'insieme delle idee intorno allo Stato aggiunse elementi che non se ne sarebbero potuti scindere mai più. Fu lui ad insegnare una valutazione più profonda, una migliore intelligenza degli elementi irrazionali nella vita degli Stati: la forza

Ueber Konig Friedrich II, 1810, p. 52. ) Elemente 1, 26; altri passi sul Burke nella « Teoria dei contrari », 1804, p. XII seg., nelle « Lezioni di scienza e letteratura tedesca> 2• ed. 1807, p. 27 e 149, negli e Elementi> 1,86 e negli « Scritti vari > 1812, 1,120 e 252. 1

2

)

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della tradizione, del costume, dell' istinto, dei sentimenti, degli stimoli. Non si può dire senz' altro eh' egli abbia scoperto tutto ciò, perchè ogni politico realistico degli ultimi secoli, dal l\.Iachiavelli in poi, ne ha avuto conoscenza e ne ha fatto uso; ma per il pratico quegli elementi non erano se non la constatata debolezza degli uomini, che, a seconda dei casi, si poteva sfruttare o compatire, per il teorico raziocinante erano stati fino allora poco più che un pudendum. Quando un pensatore era costretto ad ammetterli, li attribuiva con rassegnazione al vero e proprio ideale della ragione: così il Montesquieu, così, secondo abbiamo veduto, Guglielmo von Humboldt. Se non che a questa concezione storica puramente negativa 1 ) alla quale erano giunti già i più acuti, quasi vorremmo dire i più illuminati fra gli Illuministi del secolo XVIII, mancava la vera e propria gioia della storia, un 'intima relazione sentimentale che li legasse a quella. Solo chi ha saputo godere di questa gioia, di quest'intima relazione, ha scoperto i veri valori della storia. Nel campo delle istituzioni statali e sociali fu forse il Moser a scoprire la nuova fonte di gioia; ma quanto a profondità d'intelligenza politica e a vastità d 'effetti lo superò il Burke, che potè giovarsi degli insegnamenti della storia contemporanea, del crollo della ragion pura in Francia. Egli imparò così a riconoscere la superiore finalità di molte cose che fino allora gli erano apparse indice di debolezza o di antirazionalità e a discoprire il nocciolo della saggezza entro la scorza del pregiudizio; imparò a rispettare e persino ad amare tutto il complesso groviglio delle menti cresciute allo stato naturale e semiselvaggio, che appare, visibile ed invisibile, non meno nell'esistenza privata dei singoli che in quella La felice espressione « tendenza negativamente storica> è REros, Zur Staatslehre der historischen Schule in Hist. Ztschr. 107, 500. 1

di

)

GUNNAR

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13]

della società e dello Stato e costituisce per tutti ugualmente un gradito riparo e un sostegno occulto. Purchè l 'occhio sapesse coglierlo, si poteva scorgere dappertutto, nel mondo grande come nel piccolo, tutto il corteo « delle preziose idee secondarie, comprese dal cuore e approvate persino dalla ragione, che ne ha bisogno per riempire con ~sse le lacune della nostra natura debole e nuda > 1 ). Così, in grazia del Burke, una nuova, calda luce veniva a cadere su tutto un mondo di fatti fino allora sfuggiti all'attenzione o spregiati. La vita sociale e politica appariva molto più complicata, ma anche molto più ricca e, per la sua ricchezza, più bella di prima, quando s'era abituati a riassumerla in alcuni pochi concetti. « La natura dell'uomo è complicata », dice il Burke, « gli oggetti della vita sociale sono infinitamente complessi »2 ). Il primo effetto di questa nuova verità acquisita fu, per il Burke come per il suo discepolo Adamo Miiller, un rispetto profondo per la riposta saviezza di ciò che le generazioni viventi avevano raccolto come eredità del passato e quindi una profonda sfiducia verso la saggezza di coloro che volevano tagliare i legami col passato. Di fronte al nuovo diritto positivo, il diritto naturale e razionale passava nel1'ombra, mentre quello era elevato al rango d'un vero diritto di natura. « Senza timore possiamo negare 3 ) qualunque forma di diritto naturale esistita al di fuori o al di sopra o prima del diritto positivo; e possiamo riconoscere come naturale qualunque diritto positivo, poichè tutte le innumerevoli fonti del diritto positivo, esistono in natura». Un secondo effetto del nuovo modo d'intendere la natura complessa e variamente radicata dello Stato fu il nuovo modo di considerare i rapporti tra sfera pubblica 1)

BURKE,

Betrachtungen

l, 108.

') I vi, 1, 84. 3 ) Elemente 1.,75.

trad. dal Gentz, nuova ed. 1794,

132

F. MEINECKE

e sfera privata. Non importava più eh 'esse fossero nettamente, rigidamente distinte a norma del loro diverso concetto e della diversa finalità: si sentiva in ambedue la ripercussione d'uno stesso spirito, che non era soltanto del1'oggi, che collegava i vivi tra loro e con quelli eh 'erano vissuti prima di loro, che si esprimeva nei minimi come nei massimi beni della vita. In tal modo il Burke insegnava a concepire lo Stato non come un 'unione finalistica, nè, in genere, come un 'istituzione puramente razionale, ma come una comunità di vita che supera di molto la misura d'una singola generazione. « Sarebbe delittuoso considerare l'aggregato statale come una qualsiasi società commerciale, che si tiene in vita finchè se ne ha piacere e si fa cessare quando non se ne vede più l'utilità: uno Stato è un 'unione di tutt'altra natura e tutt'altra importanza .... È una comunanza in tutto ciò che è degno d'essere saputo, in tutto ciò che è bello, in tutto ciò che v 'ha nell'uomo di stimabile, di buono, di divino > 1 ). Quanto il Mi.iller debba al Burke risulta dalla definizione che quegli dà dello Stato 2 ) : « Lo Stato non è una fabbrica, una latteria, una società commerciale o un istituto d'assicurazioni; esso è l'insieme - grande, energico, infinitamente mosso e vivo - di tutti i bisogni, di tutte le ricchezze fisiche e spirituali, di tutta la vita intima ed esteriore d'una nazione». « Lo Stato è un 'alleanza delle generazioni precedenti con le seguenti e viceversa» 3 ). Con coscienza anche più chiara del Burke egli eliminò pure la divisione tra vita privata e vita pubblica: fino a quando lo Stato ed i cittadini seguiteranno ad essere servi di due diversi padroni, egli dice, anche i cuori saranno intimamente divisi 4 ). Bisogna arrivare al punto che « la vita 1 2

) )

Betrachtungen, 1, 139 seg. Elemente 1, 51; definizione consimile in Vermischte Bchrif-

ten, 1, 221. ') Elemente 1,84. 4 ) Ueber Friedrich II, p. 37.

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133

privata non sia altro che vita nazionale considerata dal basso all'alto e la vita pubblica sia a sua volta nient 'al .. tro che la stessa vita nazionale guardata dall'alto al basso» 1 ). Come siamo già lontani dalle idee del Humboldt intorno al 1790 ! Allora, supremazia dell'individuo di fronte allo Stato e alla Nazione o, secondo un più recente punto di vista, la Nazione considerata come mezzo d'educazione per l'individuo e interessante in grazia dei suoi rapporti con quello; ora invece, nel l\Hiller, l'esistenza individuale non è più che una parte, un elemento d'un tutto grande e possente, composto di passato e di presente, dentro il quale l'esistenza individuale e il presente trovano il loro limite nel sovraindividuale e nel passato. Secondo questa definizione l'uomo è « un essere dalle molte braccia, per mille lati concresciuto con la natura, legato al passato e all'avvenire da mille fili fisici e morali » 2 ). Quanto al popolo, esso è « la superiore comunità d'una lunga serie di generazioni passate, viventi e future, riunite tutte in una grande, intima lega per la vita e per la morte » 3 ). Egli si sente incatenato ed esaltato dallo spettacolo di queste secolari unità di vita, del lungo alternarsi dei rapporti tra varie generazioni, i quali fan sì che secondo lui ogni uomo debba agire col presupposto di non essere egli solo ad agire, ma d'aver compagna nell'azione tutta la natura che lo circonda. Oltre all'influenza del Burke si sente sempre più chiara quella delle idee del primo Romanticismo. Il Burke gli insegnò soprattutto la comprensione dei legami che durano attraverso i secoli, delle catene ehe uniscono genera~ione a generazione; il primo Romanticismo gli insegnò l'infinita mobilità di tutte le cose, l'esistenza di forze 1

)

2

)

1)

Op. cit. p. 45. Vermischte Bchriften 1, 145. Elemente 1, 204.

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coagenti entro di esse, l'individualità d'ognuna di queste forze. Non è possibile scindere esattamente le due influenze, tanto più che forse lo stesso Romanticismo, nella sua prima fase, aveva risentito in qualche modo l 'influenza del Burke. Anche il Novalis, come abbiamo visto, aveva voluto ricostituire la perduta continuità col ì\iledioevo e aveva già esaltato lo Stato come « armatura dell'intera attività del1 'uomo». Ora si poteva imparare anche dal Burke quello eh 'era stato il pensiero dominante del primo Romanticismo : che -l'individualità, nella sua essenza, non è limitata all'individuo umano, ma che la si trova dappertutto, nella storia e nella natura. « Furono il Burke ed alcuni Tedeschi, dice il Miiller 1 ), ad intuire il segreto della personalità dei possessori, delle leggi degli uomini, degli Stati, di tutta la natura. l\Ia qui si nota già~ nel l\lliller, una notevole divergenza dalle idee del primo Romanticismo. Nel Novalis, nonostante tutta la sua devozione per i nessi che collegano il Tutto, si vede ancora balenare la sovranità dell'individuo, che fu l'idea per la quale il primo Romanticismo si riconnettè all' idealismo cìassico; nel Miiller, invece, lo splendore di quella sovranità va impallidendo e l'individualità delle forze sovraindividuali - ci si passi l'espressione - ha già avuto vittoria sull'individuo, il quale ha perduto la propria sovranità in causa delle forze storiche della vita, dalle quali è circondato. Perciò la distanza fra il Miiller e il Fichte è maggiore di quella che separava il Fichte dal primo Romanticismo, e perciò anche l 'infl.uenza che secondo noi il Fichte esercitò sul Miiller non può essere stata fondamentale. Si può, tuttavia, riconoscerla in alcuni tratti caratteristici.

Vermischte Schriften, 1, 20. Cfr. anche, per il Novalis, la ) < Teoria del contrapposto> p. 27 e 77 e le « Lezioni di Scienza e Letteratura tedesca:,, p. 73. 1

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In fondo, in tutto questo periodo e 'è un urgere di spiriti diversi che muovevano da diversi punti d'origine e tutti si affollavano verso un punto, in cui le varie vie dovevano finire per incontrarsi in un groviglio, in parte inestricabile; e tutti questi spiriti erano animati dal bisogno uno dei loro bisogni fondamentali - d'unire sfere di vita diverse, fino allora state divise. Secondo il Miiller si trattava in prima linea delle scienze, che non dovevano più rimanere appartate dalla comunità della vita statale e nazionale : egli voleva dimostrare che « non appena esse escono dalla comunanza con lo Stato e vogliono significare qualcosa e dominare per se stesse, 1~ scienze intristiscono e periscono, perdendo tutta la vitalità eh 'è loro necessaria, l'intimità, la forza». Nessuna scienza può sussistere, secondo lui, se non ha ;radici nella vita sociale 1 ). Questa concezione del rapporto tra scienza, Stato e società, era ancora abbastanza nuovo nella Germania d 'allora. Già nel secolo XVIII la vita statale aveva avuto l 'assistenza scientifica di dotti giuristi e Cameralisti, ma si trattava sempre d'una specie di squadra di soccorso staccata dal Centro delle scienze. Quanto alle scienze nuove, sorte in seguito al risveglio della vita spirituale, nel loro progresso esse s'erano staccate dallo Stato più che non gli si fossero avvicinate. Le cose cambiarono al principio del secolo XIX, un po' per effetto dei grandi avvenimenti di quell' epoca, un po' per necessità immanenti nelle scienze stesse o, per essere più esatti, negli uomini che per esse vivevano. Perciò, poco avanti Adamo Miiller, il Fichte aveva potuto dire: « Il fatto che si viva nelle sfere più alte del pensiero non esime dall'obbligo generale di capire il proprio tempo. Ogni cosa più alta deve cercare, a suo modo, un addentellato con la realtà immediata, e chi veramente vive in quella, vive in questa». Quando il Gentz lesse questo passo nei « Discorsi a1la Nazione te1

)

Elemente 1, 63 seg.

136

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desca » 1 ), notò la concordanza del pensiero del Fichte con quello del suo amico Adam0 Miiller: « Convien proprio che, nelle più intime profondità dell'umanità, ogni cosa finisca per portare ad un unico risultato; altrimenti, come sarebbe possibile che due mentalità tanto diverse come la Sua e quella del Fichte si trovassero d'accordo perfino in singole asserzioni ed espressioni di valore definitivo 1 » 2 ). l\Ia, a guardar più addentro in questa concordanza, si finisce per scoprirci pure una caratteristica differenza tra i due. Il Fichte voleva strappare anche la scienza dal suo isolamento e condurla alla più stretta comunità con la Nazione e lo Stato. « A che tendono, in ultima analisi, tutti gli sforzi che facciamo occupandoci di scienza, anche della più astrusa 1 »: evidentemente, scopo ultimo della scienza è quello di segnare al momento opportuno l 'indirizzo alla vita generale e a tutto l'ordinamento umano delle cose 3 ); Adamo Miiller, invece, non le poteva accordare una funzione di dominio così incondizionata; nel Fichte scienza e Stato erano, l'una rispetto all'altro, nel rapporto di chi dà rispetto a chi prende; nel Miiller il dare e il prendere stanno così da una parte come dall'altra e formano, in fondo, un 'unità inscindibile. « Scienza e Stato sieno ciò che vogliono essere, purchè sieno tutt'e due una cosa sola, come l'anima e il corpo sono una sola cosa nella medesima vita » 4 ). Anche il Fichte avrebbe potuto

1)

7, 447. ::) 27 giugno 1808. Epistolario, p. 148. Questa concordanza non può riferirsi naturalmente alla citazione riferita più sopra e tolta dagli « Elementi d'arte politica », poichè queste lezioni furono tenute appena nell'inverno 1809. Si riferiscono invece a certe precedenti affermazioni del Mi.iller nelle « Lezioni di scienza e letteratura tedes~a ~, 1807, p. 116 e 136. Intorno ai rapporti del Milller Polit. Romantik, p. 124:. col Fichte cfr. anche Scm,llTT-DOROTIC. 3 ) 7, 453. ") Elemente 1,64.

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dire la stessa cosa, ma in altro significato: in quello, cioè, d'una supremazia incondizionata della scienza 1 ). D'altra parte, la lotta del 1'fiiller contro il « concetto » morto e in favore della ~idea» viva dello Stato, ricorda gli sforzi fatti dal Fichte fin da principio per superare il formalismo dei concetti e additare un legame che unisse l'insieme dello Stato « al di fuori del concetto» 2 ). Anche qui, a dir vero, le vie tornano immediatamente a divergere, a proposito di quel che dovrebbero essere questo legame e quest'anima dello Stato. Nel F'ichte si tratta sempre ancora della pura volontà etica della sua « Dottrina della Scienza» e il fine supremo rimane per lui la libertà, cioè la legge morale che diventa viva, cessando in tal modo d'essere legge. Sarebbe vano cercare nel Miiller un 'idea di libertà che sorgesse con tanta purezza dalle sue più intime profondità: egli riconosce, è vero, anche un 'idea di libertà che deve agire come una grande, inesauribile forza della società 3 ) ma la definisce soltanto come un « desiderio di affermare la propria individualità, di far valere di fronte agli altri le proprie opinioni, il proprio modo d'agire, il proprio indirizzo di vita». Contro quest'idea di libertà, centrifuga, è sempre viva ed attiva la forza centripeta dell'idea del diritto; e per quanto egli dia rilievo alla vivacità e mobilità di quest'idea del diritto, non e 'è dubbio eh 'essa ha in prima linea la funzione di difendere, contro le aspirazioni libertarie degl 'individui, il diritto storico e le forme di vita consacrate dalle generazioni precedenti. Infatti egli è tutto pervaso dal-

1

S' è fondata l' ipotesi del Koepke e del Rahmer (RAIIMER, Kleist, p. 189 e 429) che lo scritto pubblicato anonimo nei Berliner Abendbla.tter sulle Deputazioni scientifiche sia del Miiller, questi avrebbe preteso addirittura una supremazia dello Stato sulla scienza. ::) LASK, p. 250 e 256. Discorsi 7,386. 3) Elemente I, 209. )

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l'idea che in questo lavorìo dei secoli abbia operato fin da principio una ragione occulta, quasi un oscuro istinto del diritto. Nelle sue Lezioni del 1804 « Intorno all'epoca presente», il Fichte aveva divi, il processo di sviluppo dell'umanità in un periodo nel quale l'istinto razionale agisce inconsciamente, un periodo di colpevolezza ed uno di razionalità cosciente. Il romantico Miiller dà importanza soltanto al primo di questi tre periodi, a quello del1'istinto razionale che crea inconsciamente, ma entro di esso s'agita e vive intensamente. L'idea fichtiana dello Stato nazionale era tutta protesa verso l'avvenire, si fondava sulla concezione d'una forma affatto nuova del divenire storico e disprezzava la semplice conservazione delle tradizioni 1 ). Non meno fiducioso del suo ottimismo rivolto al futuro è l'ottimismo del Milller, rivolto al passato; negli anni della Restaurazione esso diventò sempre più forte e finì per condurre al riconoscimento pietistico del fatto avvenuto e alla subordinazione della ragione alla fede 2 ). In quel momento egli intese nettamente quale profondo abisso lo divideva dal Fichte; ma allora, negli anni dopo il 1~07, il suo conservatorismo e il suo storicismo non erano tanto chiusi in sè, eh 'egli non potesse imparare qualche cosa anche da quello e, forse, da farsene pure trasfondere qualche goccia di sangue. Le sue lettere al Gentz 3 ) dimostrano quale impressione gli fecero i « Di1

« Nella conservazione

della costituzione tradizionale, delle leggi, del benessere sociale non c'è vera e propria vita nè energia di deliberazioni originali:, 7,386. 2 al Gentz, 2 maggio 1819 (Epistolario, p. 279), ) Cfr. la lettera in cui polemizza col razionalismo e l'intellettualismo del Fichte: « Chi ha la fede nell'obbedienza, chi crede alle leggi di Dio e ai suoi positivi ordinamenti terreni, non perchè sono ragionevoli ma perchè tutti i secoli gli dicono che vengono da Dio.... quegli è un ortodosso; è un cristiano >. 3) Op. cit. p. 148. )

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scorsi ». « Qual 'è la ragione» dice il Miiller nelle Lezioni su Federico II, tenute a Berlino 1 ) « dell'irresistibile at-~ trazione esercitata dal Fichte sui suoi discepoli 1 Non certamente l'omogeneità della materia o il valore oggettivo delle sue teorie: è, invece, quel suo stato d'animo militare che non l'abbandona mai, quell'autodifesa che lo spinge fin là dove nessuno lo può raggiungere ed anche più oltre>. Ciò che impressionava il Miiller e rendeva possibile lo strano contatto fra due mondi spirituali sotto ogni altro riguardo ostili l'uno all'altro 2 ), era il fatto che nel Fichte ogni cosa eh 'egli avesse pensata si trasformava in vita, energia e movimento. Il grande merito del Fichte era stato d'aver potenziato il razionalismo trasformandolo in dinamismo e d'aver calato il dinamismo della ragione e della libera volontà morale entro lo Stato, non per trasformarlo e conquistarlo, ma per riempirlo d'un 'intima vitalità che fino allora non aveva mai avuto. Di tutt'altra natura, ma pieno anch'esso d'intima vitalità, è il dinamismo della vita statale e sociale che vuole insegnarci il Miiller; la vita crea vita: ecco perchè osiamo supporre che nel quadro di vita statale e nazionale, pieno d'energia e di movimento, che il Miiller aveva dinanzi agli occhi, qualche tratto energico derivasse dall'ideale statale clel Fichte. Quel suo ideale ci è parso già fuori della storia e al di sopra dell'esperienza; lo Stato del Miiller, al contrario, storicamente concreto. Ma il contrapposto non è così semplice. Il Pichte, insegnando la possibilità dello sviluppo e dell'ascensione dello Stato per opera della ragione e della forza morale, appartiene alla schiera di coloro che, movendo da un punto di partenza etico-razionalistico, ave-

P. 317. Già nel 1801 (Berliner Monatsschrift, dicembre 1801; cfr. Vermischte Schriften, 1, 324) il Miiller aveva polemizzato contro lo Stato commerciale chiuso del Fichte. 1

)

2)

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vano aperto la via all'idea moderna del progresso. Adamo Mi.iller, invece, non conosce nella vita statale nè idee etiche nè idee moderne e storiche di progresso; in sostanza, a prescindere da alcuni giudizi liberi e arieggianti a certa modernità, non conosce altro che il rigido contrapposto, il dualismo tra vita statale pura e vita degenerata, organica e naturale o meccanica e artificiale: la quale ultima non è più per lui vita reale, ma solo apparenza di vita, mentre, nonostante la violenza contraria dell'arte statale, la natura delle cose seguita ad operare nel fondo. Ma questa contrapposizione dualistica della vita statale vera alla vita falsa, non ci ricorda di nuovo il Fichte, con tutte le sue aspre contrapposizioni fra cose originarie e cose degenerate, fra storia antica e storia nuova, tra esistenza vera ed esistenza apparente 1 Tanto il romantico ~Ifiller quanto il Fichte scolaro dell'illuminismo stanno sulla soglia fra il secolo XVIII e il XIX, tra il pensiero storico e l'assoluto, ambedue seguitano a fare una netta divisione dualistica dei fenomeni della vita statale, ambedue seguitano a non poter penetrare con intelligenza storica nello spirito di quei fenomeni storici che riescono loro antipatici. Quanto al :Miiller, mettendo, in genere, le energie storiche in contrapposto al razionalismo antistorico, egli misconosce la forza storica che c'era anche in questo: così il suo pensiero storico incomincia con un atto altamente antistorico. Abbiamo visto che nemmeno il Novalis e lo Schlegel avevano proceduto diversamente. Per essi la vita storica, che s'era loro appena dischiusa, era una musica piena d'energia e d'armonia, cui s'abbandonavano ma della quale volevano godere soltanto le armonie, non le dissonanze. Era già un atteggiamento fecondo; e la concezione romantica dell'infinita ricchezza d'individualità che c'è nel mondo doveva aprire col tempo la via al realismo storico-politico del secolo XIX e finir per superare il concetto di Stato normale e Stato ideale, vivo ancora in teste romantiche e non romantiche. Infatti il principio dell 'in-

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141

dividualità, trasferito allo Stato, portava appunto a vedere in ogni Stato singolo una personalità che bisognava intendere studiando il suolo da cui era sorta e le intime leggi da cui era retta; e il primo passo per arrivarvi portava a considerare lo Stato come un 'individualità, come un 'unità chiusa, viva, caratteristica. Abbiamo visto che il primo a mettersi per questa via fu il Novalis; dobbiamo esaminare ora le imp~rtanti idee del Miiller sullo stesso argomento. Egli affronta l'argomento fin dal principio del suo libro sull'arte dello Stato 1 ) e rimprovera alla teoria di Adamo Smith di tenere troppo poco conto « della personalità chiusa degli Stati, del loro carattere ben definito ». « Se si considera lo Stato» continua poi 2 ) « come un grande individuo che comprenda gl 'individui minori, si vede che la società umana, nel suo insieme, non può essere immaginata altrimenti che come un uomo completo: -così no~ si penserà mai di sottoporre ad una speculazione arbitraria le intime caratteristiche essenziali dello Stato, la forma della sua costituzione». E altrove dice 3 ) : « lo Stato non è un giocattolo od uno strumento in mano d'una persona - d'un Federico -, ma è esso stesso una persona, un Tutto libero, che vive e cresce in forza dell 'in:fluenza reciproca eh 'esercitano l'una sull'altra idee ora cozzanti ora accordantisi». Questa specie di personalità dello Stato è ben diversa da quella cui avevano già pensato alcuni singoli pensatori seguaci del diritto nazionale, quando si costruivano una personalità giuridica o morale dello Stato o del Popolo f) : essa è una cosa viva, traboc-cante di vitalità e di spirito in tutte le sue membra e nelle Elemente 1,18. ) 1,256. ') Vermischte Schriften 1,221. 4 Cfr. GIERKE, Althusws, 2• ed., p. 158 seg. e 189 seg.; ) E. KAUFMANN, Ueber den Begriff dea Organiamus in der Sta11,ta.lehre dea XIX Jhdta, 1908, p. 5. 1

2

)

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sue funzioni, una cosa che si collega con l'universo intero, tutto compenetrato di personalità. Per essa tutto acquista vita entro lo Stato: leggi, istituzioni, cose: ecco il grande « segreto della personalità dei possessori, delle leggi, degli uomini, degli Stati, della natura tutta > 1 ). Il }Iiiller trasse le più importanti conseguenze da quest'animazione, da questa vera personificazione della vita politica, da questa trasformazione di tutti i concetti e le categorie politiche in energie concrete. Prima di tutto ne dedusse un concetto nuovo e più profondo delle relazioni :fra gli Stati e delle loro lotte: le idee di diritto dei popoli e d'equilibrio, come erano usate comunemente, erano per lui troppo formali ed estrinseche, troppo « concetti morti >, per dare il giusto senso della realtà. La parola equilibrio poteva essere ammessa soltanto se per esso s 'intendeva « un crescere parallelo degli Stati, un 'azione esercitata dall'uno sull'altro per accrescersi ed innalzarsi» 2 ). Se gli Stati vengono a cozzo fra loro, « la loro contesa giuridica è troppo grande perchè un singolo uomo ne possa giudicare: come' potrebbe, infatti, un uomo singolo penetrare con piena comprensione la vita di queste possenti individualità? ». Ma, appunto perchè individui, essi cozzano l'uno contro l'altro. « Tutti questi Stati che noi abbiamo immaginato come grandi uomini, umani nella struttura del corpo, nei sentimenti, nel pensiero, nei movimenti, nella vita, debbono essere indipendenti e liberi come l'individuo entro il singolo Stato .... debbono crescere e vivere ed entrare in contatto ed imporsi a vicenda, conservando le loro caratteristiche forme e maniere nazionali» 3 ). E, scontrandosi fra loro, a loro volta si sviluppano anche essi stessi.

Vermischte Schriften, 2) Elemente I, 283. 3 J Elemente 283 e 285. 1)

1,120.

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H3

Anche la guerra s'illumina, così, d'una luce speciale. Essa rientra nella natura dello Stato, è la grande scuola di carattere, la grande forgiatrice delle particolarità dello Stato. È la guerra che « dà agli Stati i loro confini, la saldezza, l'individualità, la personalità> 1 ). E anche le lotte politiche fra gli Stati andavano giudicate con unità di misura diversa da quella che s'era ormai abituato ad applicarvi il pubblico moralizzante: « non era più la volontà dei Gabinetti a determinare lo scoppio delle guerre, non era l'ambizione dei regnanti, secondo poteva credere il popolino fiacco e degenere; erano ragioni sempre più profonde, determinate dall'insieme non arbitrario dei rapporti fra i vari Stati. Il vero movente delle guerre intraprese negli ultimi secoli dai singoli Stati per l 'ingrandimento dei loro confini era stato un intimo bisogno di vita e d'accrescimento, trasmesso dalle generazioni precedenti e ignoto ancora all'attuale> 2 ). Lo Stato come individualità storicamente divenuta, la costanza e continuità della sua essenza e della sua vita, superiori alla breve durata d'un' esistenza individuale, le lotte fra gli Stati per ragioni d'interesse o di potenza, considerate, con nuova valutazione, come funzioni vitali nate da necessità interiori, in una parola una motivazione e valutazione della grande politica, più profonda della precedente: tutto ciò ha già il sentore delle idee del Ranke. Nel Ranke sono più chiare e trasparenti, meglio fondate nell'esperienza, più propriamente scientifiche nella forma; ma l'origine romantica di alcuni tra i capisaldi del suo pensiero risulta chiara fin d'ora e non è impossibile eh 'egli abbia

1)

3, 6; cfr. anche 1, 15 e 107. ') Elemente l, 287 seg., I, 107. Erroneo è dunque il giudizio del Dombrowsky: « Alla politica dei gabinetti. ... egli contrapponeva la concezione filosofica ecc. Ad. MiUler, die historische Weltanscholutungu. die polit. Romantik in Ztschr. f. d. ~esamte Staatswis• senschaft 1909, p. 389.

1H:

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sentito l'influenza d'Adamo Miiller più fortemente che finora non si sia creduto 1 ). Ma tutte queste feconde idee del l\liiller culminano in quella, che il vero principio vitale degli Stati è la « nazionalità>. Allora la parola era giovane 2 ) e non aveva ancora quel significato costante ed univoco eh 'ebbe più tardi, di modo che, se si voleva darle un significato particolare, occorreva prima fissarlo bene. Il Miiller lo fissò.

1

che una volta nell 'Episto) Il nome del Miiller non torna lario scelto del Ranke: Zur eigenen Lebensgeschichte, p. 173, 1827, in questione affatto personale. 2 Cfr. F. I. NEUMANN, Volk u. Nation, 1888, p .. 152 seg. e ) KIRCIIHOFF, Zur Verstandigung ·ii.berdie Eegriffe Natio'n, u. Nationalitiit, 1905, p. 59 seg. Questi scrive giustamente che « la parola 11.azionalitd non pare risalga più addietro del principio del se-eolo XIX ». Nelle ricerche fatte per questi miei Studi l' ho tro-vata adoperata la prima volta dal Novalis nel 1798 (Athenaum I, 1, 87; Opere ed. Heilborn 2, 15): ecc. ecc. 2 ) Memoriale dell'agosto 1813, t 27, ScHMIDT, p. 65. 1)

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179

e celebrava, in suo confronto, il divenire storico o, per essere più esatti, il divenuto, come base della vita statale. Qui lo Stein è razionalista e romantico, propugnatore insieme dell'intervento attivo e del già divenuto. La terza e più profonda radice del suo pensiero è stata già felicemente messa in rilievo dal Lehmann 1 ). « Qui tocchiamo » egli scrive « il più grande errore della sua argomentazione, eh 'è però anche il più umano e perdonabile: egli credeva che ogni Tedesco portasse nel cuore un po' di quell'amor di patria che animava lui e i suoi collaboratori. Qui l'idea nazionale appare quindi nella sua forma più intima, come forza morale e come fede nella sua forza anche per tutta la vita del popolo; ma è inviluppata e concresciuta con altre idee che le impediscono di diventare veramente politica, di congiungersi con il fatto e di tradursi quindi nella realtà dello Stato nazionale autonomo ». Si potrebbe continuare l'analisi; e in special modo si potrebbe dimostrare come anche le sue strane idee dell'estate 1814, che contemplavano uno smembramento della lega degli Stati prussiani e di quella degli Stati austriaci, mediante l' assegnazione alla Confederazione germanica delle provincie prussiane a sinistra dell'Elba e delle provincie austriache gravitanti verso la Germania meridionale, erano basate sopra un concetto di Stato che non aveva ancora afferrato completamente la natura dell'individualità statale. Se nei casi esaminati prima ne trascurava l'autonomia, ora ne trascurava l'unità interiore e la integrità. Egli non volle ammettere che lo Stato è in prima linea potenza, ed una potenza che si muove secondo i suoi propri istinti. Egli voleva anche potenza per lo Stato, e sopratutto per il sognato Stato nazionale tedesco, ma compito principale di questa potenza era per lui la difesa contro il nemico ereditario, la Francia, e la tutela della libertà interna. 1)

3, 44}.

180

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Per quanto vediamo, non. adopera, parlando della Francia, il termine « nemico ereditario », ma la chiama «l'eterno, instancabile, fiero nemico » 1 ). Nella parola « nemico ereditario» si esprime un sentimento nazionale più nativistico. Anche lo Stein aveva in sè non poco di un sentimento di tal fatta e lo nutriva con i ricordi storici dell'ultimo secolo; ma il suo concetto di « nemico eterno » passa anche nel campo morale e fa assurgere l'antagonismo nazionale ad antagonismo universale, a quel dualismo fra il principio del bene e quello del male, che già conosciamo. Per opera della Francia anche il male è penetrato, secondo lui, in Germania: « Si segua la storia dell'amministrazione dello Stato in Baviera, nel Wiirttemberg, in Vestfalia, e ci si accorgerà come la smania del nuovo, il pazzo orgoglio, la prodigalità senza limiti e la sensualità bestiale, sieno riuscite a distruggere ogni forma di felicità dei miseri abitanti di questi paesi, una volta così fiorenti» 2 ). La costituzione tedesca, egli pensa, deve riedificare la muraglia che un tempo difendeva la Germania. Così i compiti esterni ed interni della Germania stanno in stretto nesso fra loro. Per lui la costituzione tedesca è, verso l' esterno, una muraglia atta a proteggere l'indipendenza esterna, non soltanto nazionale ma anche universale, e verso l'interno è un muro di protezione contro il despotismo dei Principi, destato dalla Francia; e la Germania è, nel contempo, una Marca di confine per l'Europa ed una provincia nell'impero della libertà morale. Questa supremazia del pensiero etico su quello politico e realistico è stata rilevata dal suo biografo Max Lehmann con intima simpatia, talvolta con un pathos un po' eccessivo, ma non senza la necessaria critica. « L' insieme gli pareva» così egli scrive, ad esempio, par1

)

2

)

Memoria dell'agosto loc. cit.

1813, ScHMIDT, p. 59.

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181

lando della concezione che lo Stein ebbe del Congresso di Vienna « non una gara per la conquista del predominio, ma una lotta tra il bene ed il male » 1 ). Nè gli è sfuggito quel che e 'è di cosmopolitico nello Stein. Lo chiama « figlio d'un 'epoca che' viveva nelle idee d 'umanità », « combattente di un 'età che aveva insegnato ai popoli a tenersi uniti» 2 ). L'opposizione dello Stein ai progetti polacchi dello Zar, la fa derivare giustamente meno da un sentimento specifico prussiano-germanico che da « considerazioni di carattere universale». « Le Potenze occidentali dovevano trovarsi unite nella lotta contro qualsiasi Monarchia universale, l' esigenza di tener fermo ai principi dell' equilibrio fu da lui posta anche alla Prussia» 8 ). In realtà, l'antico concetto del1'equilibrio europeo, diventato troppo spesso un luogo comune, rinasceva nello Stein, sviluppando in tutta la sua purezza il seme etico-cosmopolitico che vi si nascondeva. E la nostra asserzione, che l'elemento etico ed il cosmopolitico si fondevano nello Stein con I 'elemento nazionale, è convalidata anche dal Lehmann, dove ne caratterizza le idee come « etico-religiose, di tendenza mezzo nazionale e mezzo universale » 4 ) • Così nel nostro tentativo riteniamo di percorrere una via eh 'egli stesso ha segnato, ma su cui non ha saputo spingersi abbastanza lontano. Infatti, nella sua concezione e 'è ancora una lacuna, per non dire una contraddizione, tra lo Stein precursore dell'idea di Stato nazionale e lo Stein precursore dell'equilibrio universale: egli fu l'uno e l'altro, ma non in modo che le due funzioni aderissero perfettamente, bensì in modo che la sua idea di Nazione, di Stato nazio-:nale, fu spesso indirizzata e quasi inavvertitamente limitata dal pensiero cosmopolitico. 1

3, 3, ') 3, 4 ) 3,

2

)

)

447. 484. 423, seg. 374; cfr. 2, 81.

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••• Chi dallo Stein e dal Gneisenau passi a Guglielmo von H umboldt, e ripeta anche a questo le domande fatte a quelli, si aspetterà forse di ritrovare in lui, ancora più sviluppato, l'elemento cosmopolitico. Lo Stein e il Gneisenau erano cresciuti al servizio dello Stato e dell'esercito prussiano, il H umboldt nel mondo della poesia e dP-lla :filosofia classiche e nella protesta contro la smania d 'espansione dello Stato, egli che, come abbiamo veduto, concepiva anche il fatto nazionale in senso puramente umano. Si dovrebbe credere che sua prima cura, come uomo di Stato, dovesse essere quella di imporre alla Prussia, nazionalmente rigenerata, e alla Germania, dei comandamenti universali e di limitare il diritto d 'autodeterminazione dello Stato e della Nazione politicamente unita. Per contro, esaminando le sue idee degli anni 1813-1816 sulla Costituzione tedesca, veniamo al sorprendente risultato che in questi anni egli si è avvicinato molto più dello Stein all'idea dello Stato nazionale autonomo. Abbiamo veduto che lo Stein istintivamente limitava il compito della politica estera dello Stato germanico alla difesa contro « l'eterno nemico », la Francia, e che questo compito della Germania gli pareva al tempo stesso una funzione universale, dividendo egli l'Europa in una zona della libertà e in una della non libertà. Ed appunto perchè il suo pensiero, involontariamente, era universale, si potrebbe anzi dire lungiveggente, esso vedeva poco lontano nelle questioni di politica dello Stato germanico; questa miopia è riconosciuta dal Humboldt. Senza dirlo espressamente, egli polemizza con lo Stein, quando scrive nella sua Memoria del dicembre 1813, a lui diretta 1 ) : «Quandosi parla della condizione avvenire 1

)

Gesammelte Schriften

XI, 96; Scm,noT, p. 104.

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183

della Germania, non si deve limitarsi al ristretto punto di vista che vuole assicurare la Germania contro la Fran-cia. Se anche l'autonomia della Germania è minacciata .effettivamente soltanto da questo lato, un concetto così unilaterale non può mai servire di norma per porre le basi d'una condizione benefica e duratura per una grande Nazione. La Germania dev'essere libera e forte, non .soltanto per potersi difendere contro questo o quel vicino, .e addirittura contro qualsiasi nemico, ma perchè soltanto una Nazione forte anche all'esterno conserva in sè lo spirito dal quale affluiscono anche all'interno tutte le benedizioni; dev'essere libera e forte per potere, anche se non sarà mai sottoposta a dure prove, nutrire quella -coscienza di sè che le è necessaria per seguire tranquilla € indisturbata il proprio sviluppo nazionale e conservare -durevolmente il posto assunto in mezzo alle Nazioni euro.pee, con beneficio di_ esse ». È questo uno dei più elevati concetti politici che sieno stati espressi, non soltanto dal Humboldt, ma da tutta quell' età; uno di quei concetti che, stando al limite fra due epoche, lasciano ancora visibile il cammino che ha condotto dal passato fino a quell'altezza, ma nel tempo stesso fanno spaziare lo sguardo sul1' aperta ed ampia veduta dell' avvenire. Il compito universale della Germania in mezzo alle Nazioni europee non è dimenticato, ma non ne impedisce più, come avveniva nello Stein, la libertà dei movimenti politici; e questa libertà di movimenti e questa autodeterminazione non servono - soltanto, come nella politica a.utonoma dell'assolutismo, ad un accrescimento di potenza, ma la potenza è posta - più in ~lto - al servizio -dello spirito; e lo spirito, come qui è inteso, non è più puramente individualistico, ma è connesso con tutta la vita della Nazione. Potenza e spirito, individuo, Nazione ·e umanità, politica e coltura: gli elementi che in quegli anni si agitavano così fortemente nelle teste degli uomini

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e per conseguenza erano esposti a cos.ì forti squilibri, stanno qui sui due piatti della bilancia in un equilibrio ideale. Non si può dire senz'altro che il Humboldt vedesse già lo Stato e lo Stato nazionale nella loro figura esatta, in quella loro pura autarchia ed autonomia, in quell 'incondizionata estrinsecazione dei loro immanenti istinti di potenza, in cui li videro più tardi il Ranke e, più ancora,. Bismarck. Intorno ad essi c'è ancora un velo leggero, ma resistente, fatto di postulati etico.sp!rituali, il quale però, in questa formulazione del concetto, non fa violenza alla natura dello Stato e della potenza; la nobilita, non la vincola. Per tal modo il Humboldt penetrò più profondamente dello Stein nell'essenza dello Stato nazionale come potenza, quantunque lo Stato come tale gli stesse meno a cuore che all'altro, anzi forse appunto per questo. Chi sta a guardare vede sovente, in uno stesso oggetto, più lontano che non veda chi desidera e agisce. Ma il Humboldt guardava ora al destino politico della Nazione tedesca anche con una forte partecipazione sentimentale,. ed anche questa simpatia intima, esente però da passione, contribuiva ad acuire la sua comprensione della cosa. Il suo primo e durevole amore era rivolto all'individuo; ma poi, già nell'ultimo decennio del secolo XVIII, vide la Nazione elevarsi al disopra dell'individuo e sempre meglio imparò a sentire il nesso originario e naturale fra l'una e l'altro. « Nel modo come la natura» egli scrive nella 1\1:emoriagià citata « unisce gli individui e divide l'umanità in nazioni, c'è un mezzo profondo e misterioso per mantenere sulla giusta via d'uno sviluppo proporzionale e progressivo della forza, il singolo, il quale per sè non è nulla, e la razza, che ha valore soltanto nei singoli ». Ed ora azzardiamo l'ipotesi che il Humboldt abbia potuto ammettere e propugnare la spontaneità e l'autonomia della nazione politicamente unita, anche per il fatto che un tempo aveva sentito e chiesto tali prerogative per

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l 'individu9. Donde provengono, del resto, la nostra mentalità storico-politica, il nostro senso per l'individualità anche delle associazioni umane superiori all'individuo f Essenzialmente da un individualismo che, nel corso d'un lavoro secolare, ha approfondito sempre più il suo concetto, originariamente superficiale, della natura dell 'individuo, fino ad arrivare alle radici di esso e quindi ai rapporti che corrono fra la vita del singolo e la vita delle associazioni superiori in cui è ordinata l'umanità. Individualità, spontaneità, istintivo bisogno dell 'autodeterminazione, estensione del potere in ogni senso e quindi anche nello Stato e nella Nazione. « Le nazioni», dice ancora il Humboldt, « hanno, come gli individui, le loro direttive, che nessuna politica può mutare ». Quest'era, anche, una protesta contro il razionalismo che, a quanto abbiamo veduto, sopravvivtva ancora nello Stcin e perfino nel Gneisenau, e che, con la sua attività artificiosa, gravava troppo ancora su questa vita autonoma. Qui trascuriamo del tutto la questione trascendentale, come la vita autonoma dai diversi gradi di individui fino su allo Stato possa ammettere le relative interdipendenze. Qui si trattava soltanto d'intendere come proprio il Humboldt, senza lasciarsi fuorviare dall'idealismo universalistico dei suoi contemporanei, potesse dare allo Stato nazionale ciò che è dello Stato nazionale, e come in questo problema eglì potesse passare innanzi al barone Stein sulla via che conduce dalle idee alla realtà. Ma neppure lui toccò ancora definitivamente la meta, nè gli furono risparmiate ricadute e incoerenze. Abbiamo veduto come la fiducia ottimistica dello Stein nell'armonica convivenza della Prussia e dell'Austria in Germania scaturisse da quel medesimo idealismo etico che nutriva anche il suo universalismo politico. Anche i disegni di costituzione germanica del Humboldt presupponevano sempre la collaborazione delle due grandi Potenze tedesche. « Il saldo, profondo, ininterrotto accordo

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e l'amicizia tra l 'Austria e la Prussia sono la chiave di volta di tutto l'edificio», scriveva nella sua Memoria del dicembre 1813. « Vero e giusto sarebbe » dice anche nella sua grande 1\1:emoriasulla Federazione germanica, del 30 settembre 1816 1 ) « che la Prussia e l'Austria dirigessero insieme là Confederazione »; e dichiara la Confederazione « uno dei mezzi più sicuri per conservare il buon accordo fra le due Potenze ». Ma sembra che neppure da principio fosse pienamente soddisfatto di questo progetto. Leggendo le sue parole del dicembre 1813, che il caposaldo dell'accordo tra Austria e Prussia dev 'essere posto come premessa per poter stringere la Confederazione, la quale è veramente politica e si fonda sopra un principio puramente politico, si vede ancora una volta chiaramente che egli, a differenza dallo Stein, voleva escludere da questo rapporto ogni elemento non politico o supcrpolitico, e che ammoniva se stesso ad essere sereno. Ma credeva egli veramente che la pura politica si sarebbe data cura di conservare l'amicizia tra l'Austria e la Prussia ? Le ragioni con le quali cercava di convincere se stesso, appaiono tormentate 2 ). S'egli avesse veramente creduto alla possibilità di un 'armonia durevole d 'interessi dell'Austria con la Germania e la Prussia, fondata su base puramente politica, non avrebbe, per lo meno, sollevato nel 1815 contro l'Impero· germanico dell'Austria

t) Gesammelte Scriften XII, 82; Zeitschrift fur preuss. Gesch. 9, 109. 2 ) « Ma appunto nel non mettere nei rapporti tra Austria e Prussia assolutamente nulla cli più vincolativo cli quanto contiene quell'alleanza, e nel fare dell'accordo austro-prussiano il fondamento del benessere della Germania intera, che comprende quindi anche quello dei due Stati, si rafforza tale accordo, mediante il sentimento della libertà e della necessità, cui s'aggiunge l'assenza di qualsiasi interesse esclusivo, non essendo ammessa fra le due Potenze nè subordinazione, nè divisione del potere». ScHMIDT, pag. 108.

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I 'obiezione che con esso non si creava ancora una garanzia -contro una politica antigermanica dell'Austria. « Si l 'on eroit que l 'Autriche ne se décidera pas à des transactions nuisibles à l 'Allemagne précisement à cause de la dignité Imperiale, on oublie qu' une puissance doit toujou!S agir ainsi que son intéret réel l 'ex.ige impérieusement » 1 ). Egli comprendeva anche nel 1816, in base alle ultime esperienze, che la Prussia non avrebbe potuto contare ·sull'Austria « in caso di progetti miranti a qualche cosa di contrario alla maggioranza dell'altra» 2 ). Egli era dunque molto più scettico dello Stein intorno allo spirito della politica austriaca in Germania €d alla possibilità d'una collaborazione austro-prussiana, senza tuttavia avere il coraggio della coerenza e senza negare la vitalità della Confederazione fondata sopra una base così fragile 3 ) • D'altra parte, allo stato delle cose non rimaneva altra via che tentare, almeno, la Confederazione e la collaborazione austro-prussiana in seno a quella; e si comprende come appunto un uomo di Stato d'idee realistiche come il Humboldt procurasse di cogliere dal lato migliore ciò che la necessità imponeva e di far buon viso

t) Memoria del 23 febbraio 1815, Gesammelte Schriften XI, 300; ScHMIDT, pag. 420. 2 ) Gesammelte Schriften XII, 65. 3 ) Il TREITSCIIKE,D. G. 2, 144, va troppo avanti e vede troppo nel Humboldt il rappresentante del suo proprio concetto, quando chiama « senza speranza» l'opinione del Humboldt sulla Confederazione germanica, svolta nella sua Memoria del 30 settembre 1816. In realtà vi si trovano, accanto ad espressioni pessimistiche, alle quali si richiama il Treitschke, anche giudizi cli notevole ottimismo; a pag. 65: La situazione poco lieta « non impedirà mai alla Prussia cli ottenere, mediante la Confederazione, ciò che può pretendere con buon diritto »; ed a pag. 67: « Tutte le misure per la difesa comune, se la Prussia saprà tenere la sua i,vsizione, potranno venire attuate con successo ».

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al giuoco assai poco promettente. Ma non per questo il Humboldt è del tutto esente dal sospetto che in lui c 'entrasse ancora una certa dose d'idealismo impolitico; non lo è, perchè in altri punti troviamo in lui tracce evidenti di un tale idealismo. Abbiamo già rilevato in precedenza che, nel progetto di Costituzione del dicembre 1813, fu lui a fare la disgraziata proposta di affidare la garanzia della Confederazione germanica alle grandi Potenze europee, specialmente all'Inghilterra e alla Russia. Egli cercò bensì, subito dopo, di limitare e rendere innocua tale garanzia, col voler escludere ogni intromissione delle Potenze straniere nelle faccende interne della Germania 1 ) ; ma nei grandi problemi dell'esistenza e dell'affermazione della sua politica all'estero, la Germania avrebbe dovuto nutrire - così almeno pare vada interpretato il suo pensiero - una speranza nell'assistenza fraterna delle due grandi Potenze estere, conformemente alla costituzione. Il H umboldt condivideva con lo Stein non questa sola idea errata, ma anche quella, già rilevata, che a norma della Costituzione si dovesse concedere al Governo inglese, attraverso il Hannover, un'influenza nella direzione della Confederazione germanica. Diremo di più, che l'idea dello Stein, del marzo 1814, di nominare un

t) Perciò non dovevano avere nemmeno parte diretta nella della Costituzione, « qui ne peut etre q 'un ouvrage national ». Memoria dell'aprile 1814, Ges. Schriften XI, 207. ScHMIDT, pag. 146. In seguito gli parve preoccupante anche una limitata garanzia delle Potenze straniere; infatti, mentre nell'aprile 1814 parlava ancora cli puissarices garantes de la constitution, nella Memoria del 30 settembre 1816 cercò di dimostrare che il far entrare gli atti della Confederazione negli atti del Congresso non significava una vera garanzia. « Nel vero e genuino senso della parola non vi è pertanto attualmente nessun garante della Confederazione germanica e della sua costituzione, all'infuori della Confederazione stessa» (op. cit. pag. 97), concetto giuridico, come rileva già il Treitschke, 2, 140,' tutt'altro che inoppugnabile. 1edazione

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Direttorio di quattro membri, formato dall'Austria, dalla Prussia, dal Hannover e dalla Ba vi era, non era che uno sviluppo della proposta fatta dal Humboldt nel 1814 1 ). Se - egli diceva al Gentz - si avevano scrupoli ad affidare il diritto di dichiarare la guerra soltanto all 'Austria e alla Prussia, escludendone la Baviera e il Hannover, « si poteva superare la difficoltà, estendendo questo diritto anche agli altri due Stati; per quanto, io non l'approverei completamente». Questa disapprovazione però non colpiva l 1Inghilterra-Hannover. Al contrario, dato eh 'egli continua: « pochi inconvenienti potrebbero derivarne, visto che l'Inghilterra, che coincide con il Hannover, vi avrebbe sempre il suo voto, e la Baviera, pur avendovi formalmente la sua voce, dovrebbe tuttavia piegarsi alle grandi Potenze» 2 ). Avendo egli dichiarato poco prima che la Germania doveva essere armata non soltanto contro questo o quel vicino, ma contro qualsiasi nemico, è evidente che non pensò mai alla possibilità che l 'Inghilterra divenisse nemica della Germania. Nemmeno lui, dunque, mantenne con coerenza la grande idea dell'autonomia nazionale per la Germania, idea eh 'egli fu tra i primi a formulare in modo preciso e comprensibile. Nemmeno lui potè liberarsi del tutto dall'idea che nella vita degli Stati vi sono delle comunità supernazionali, sulle quali si possono basare degli edifici politici e fondare anche l'esistenza della propria Nazione. Per comprenderlo interamente dobbiamo completare, ma in certi punti anche limitare quanto abbiamo detto di lui in precedenza. Abbiamo detto che i postulati etico-spirituali, da lui posti per l'esistenza politica e nazionale della Germania, non dovevano esercitare costrizione alcuna sulla natura dello Stato e della sua potenza. Ma anche in ciò 1

Giustamente lo riconobbe il GEBHARDT,Humboldt als Staats. -mann, 2, 114. :a) Ges. Schriften Xl, 113; Humboldt a Gentz, 4 gennaio 1814. )

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non s'è conservato coerente: lo dimostrano le sue idee sulla forma costitutiva della Germania e sul grado d'unità politica eh 'egli voleva darle. Nella stessa Memoria del dicembre 1813, nella quale poneva l'ideale della Nazione autonoma, parlava anche del frazionamento della Germania come d'una premessa necessaria per la varietà della sua cultura spirituale, e perciò non desiderava che avesse a cessare del tutto. È vero che questo desiderio è sostenuto anche dal suo senso della realtà, che talvolta si manifesta in modo così imponente; egli aggiunge, infatti : « Il tedesco sa d'essere tedesco, solo in quanto si senta abitante d'un particolare paese entro la patria comune». Sono parole che ricordano assai da vicino il celebre Capitolo bismarckiano sulle dinastie e sulle stirpi, sicchè la sua opinione, che la Germania non sia fatta per essere uno Stato unitario chiuso, può sussistere anche dinanzi al foro della più rigida critica realistica. Tuttavia è notevole che, a questo proposito, egli limiti la tendenza naturale della Germania alla modesta funzione « di essereuna federazione di Stati», in contrasto con la Francia e con la Spagna « fuse in un 'unica massa». Egli non conosce, dunque, una via di mezzo tra l'unione di vari Stati e lo Stato unitario; non conosce o non mira alla Confederazione, che congiunge la varietà ali 'interno con l'unità e la forza esterne. Dobbiamo tuttavia ammettere che, per rinunciare alla: Confederazione, egli aveva una ragione, la quale dà prova di vedute altamente realistiche. Pag. 22.

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Traendo le conse_guenze di quanto egli dice sulla natura dello Stato in sè e sulla natura dei diritti della Nazione, vale a dire della nazione culturale tedesca, è facile intravvedere qui un dualismo, una tensione di due principi diversi, eh 'egli non avvertì, pervaso tutto com 'era dall'idea che si fondessero necessariamente ed armonicamente. E quest'idea lo portò a vedere anche la storia dello Stato prussiano diversa da com 'era in realtà. Era la storia d'uno Stato conquistatore, ambizioso, mirante al1'autonomia; ma egli riteneva che, almeno fino al 1740, nessuna dinastia avesse dimostrato « maggior fedeltà alla causa generale della Germania» che quella regnante nel Brandeburgo-Prussia 1 ). Così, egli è il primo notevole rappresentante di quella che è stata chiamata la « concezione borussica della storia», il precursore del Droysen e del Treitschke. Il postulato nazionale oscurò la sua visione politica; la oscurò specialmente in quel momento, in cui si trattava di giustificare le pretese della Prussia sulla Sassonia, pretese non dettate dall'idea tedesca e dalla missione germanica dello Stato prussiano, ma dagli interessi realistici ed egoistici di esso. Il Niebuhr non lo comprese, ma questo suo errore fu l'esatta espressione della situazione che regnava allora e delle tendenze che si agitavano. Si ambiva ad uscire dalla semplice nazione culturale apolitica, per salire ad un grande Stato territoriale. Ma la meta che splendeva in fondo alla via presa,_ lo Stato nazionale tedesco autonomo, era celata, e celata poteva rimanere anche a coloro che avevano la maggior confidenza con le questioni di Stato e per conseguenza sentivano che la soluzione più semplice del problema era anche la più difficile 2 ). Ma, poichè non potevano a meno di desiderare di risolverlo, si davano da fare per unire 1)

Pag. 68. Cfr. DELBRtlcx, Die ldeen Steins ii,ber deutsche Verfasswng, in Er,i,nncrungen Aufsiitze 11,ndReden, pag. 93 segg. 2)

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Stato e Nazione, due cose che in quel momento non si potevano ancora unire. Così avvenne che anche il Niebuhr, grande storico e politico, qui vacillò; col porre la Nazione al disopra dello Stato, e lo Stato prussiano al servizio del1'idea tedesca, egli indicò bensì la via che conduceva al1~avvenire, ma fece, per il passato e per il presente, violenza alla natura della personalità statale autonoma della Prussia. Egli vedeva dinanzi a sè due linee che dovevano congiungersi soltanto a grande distanza e eh 'egli voleva invece veder convergere subito, mentre le potè congiungere soltanto piegando l'una di esse. Ed eccoci a toccare già il tema di cui ci occuperemo nel secondo libro. Abbiamo dovuto accennarvi qui per dimostrare quanto strettamente il sorgere dell'idea di Stato nazionale in Germania fosse congiunta con l 'invadenza delle idee non politiche nello Stato. Fra gli esempi di quest'invadenza, il tentativo del Niebuhr di fissare i rapporti tra Stato e Nazione è già importante per il suo spirito animatore, per la sua profondità e per la sua, potrebbe dirsi, congenialità tanto con la sfera vitale dello Stato quanto con la non-statale; esso appartiene alla sfera statale assai più profondamente del H umboldt, ad ambedue le sfere in modo più uniforme che quello. Infine, anche nelle idee del Niebuhr intorno a Stato e Nazione non manca quell'elemento di postulati ideali e universali, che egli considera superiori agli Stati. Infatti, anch'egli è dell'idea che gli Stati cristiani d'Europa formano un'unità eh' è sacrilegio intaccare, com 'è sacrilegio il tradimento che lo Stato singolo esercita ai danni della propria nazione. « Unirsi coi maomettani per aggredire i cristiani è sempre stato considerato un delitto imperd9nabile, tanto secondo il giudizio dei cattolici, quanto secondo i protestanti ». Egli arrivava perfino ad approvare in massima la crociata legittimistica contro la Rivoluzione francese. « Se la coalizione contro la Rivoluzione francese non fosse stata così fiacca e senza

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nerbo di pensiero da non presentare alcuna prospettiva di successo, non ci sarebbe nulla da obiettare seriamente contro la dottrina posta a base della prima coalizione, cioè che una collettività degli Stati europei, per quanto non faccia capo ad una federazione di fatto, pur tuttavia esiste, e che ogni Stato ha il dovere d'interessarsi alle questioni dell'Europa » 1 ). Anch'egli, dunque, al pari dei romantici e dello Stein, considerava la causa generale dell'Europa e quella delle nazioni europee indissolubilmente legate fra di loro 2 ). Si toccavano in lui gli spiriti di due epoche: quello della Rivoluzione e quello della Restaurazione; poichè la sua ardita formula, che la nazionalità sta al di sopra d'ogni Stato, non sarebbe stata immaginabile avanti il 1789, e sarebbe stata comunque considerata ultra-rivoluzionaria dopo il 1815, dagli uomini di Stato della Restaurazione. Eppure il Niebuhr non voleva essere un uomo di Stato rivoluzionario, ma conservatore, e, se anche fu accessibile alle energie nazionali scatenate dalla rivoluzione, credeva di poter combattere proprio la rivoluzione con l'idea di nazionalità come l'intendeva lui. Questa idea di nazionalità del Niebuhr, che si richiamava alla stirpe comune ed alla comune cultura, era il frutto comune del romanticismo 3 ) e del Risorgimento, e, poichè si attaccava così forte al passato storico delle

1) Pag. 20 seg. ~

altamente caratteristico il fatto eh 'egli considera la caduta della Repubblica di Genova come una punizione per l'aiuto dato al « nemico generale », aiuto eh 'era stato al tempo stesso « un delitto contro la nazionalità d'Italia », pag. 21. 3) L'influenza speciale del romanticismo sul Niebuhr è caratterizzata dal rimprovero da lui mosso al Governo sassone, per il divieto di ristampare i libri popolari come « I :figli di Emone », ecc. pag. 81, come per una prova dei suoi sentil]lenti limitati e antitedeschi. Non manca nemmeno l'elogio « del profondo Burke >, p. 96. 2)

COSMOt,ottttsM:O E STA'fO ìtA.ZtONA.Lt

nazioni, poteva essere sviluppata anche in senso molto conservatore. In tal caso però si doveva togliere quella punta, così pericolosa per le dinastie legittime, che conservava ancora nel Niebuhr. Non si doveva dunque servirsene per porre determinate esigenze alla politica degli Stati singoli; non doveva essere applicata come principio dominante, ma come il principio basilare della vita statale: basilare nel senso che la vita statale d'una nazione, non meno della sua vita culturale, venisse concepita come fiore e frutto del genio di un popolo. Ed allora, nulla di più facile che giustificare e sanzionare tutti gli istituti e le forme tradizionali di vita, richiamandosi al genio del popolo, che crea involontari amen te; e condannare ogni arbitraria ingerenza nella vita degli Stati, in quanto è violazione d'un ordine di cose creatosi naturalmente, dal fatto genuinamente ed originariamente nazionale. Questo passaggio, preparato dal romanticismo e dalla dottrina dello Schelling sullo sviluppo inconscio dello spirito assoluto, fu reso possibile dalla scuola storica del diritto, eh 'ebbe a capo il Savigny. « Ogni diritt~ - dice il suo scritto contro il Thibaut - nasce per opera del costume e della fede popolare, cioè per opera di forze interiori, che agiscono in silenzio, non per l'arbitrio d'un legislatore » 1 ). Oppure, secondo la formulazione da lui data nel programma della sua « Rivista di diritto storico»: « La scuola storica suppone che la materia del diritto sia data da tutto il passato della Nazione, non già dall'arbitrio, sicchè non avrebbe potuto essere questa o quella indifferentemente, ma dev'essere uscita dall'intima essenza della Nazione stessa e della sua storia» 2 ).

Vom Berof unserer Zeit fur Gesetzgebung und Reclitswissenschaft, 1814, pag. 14 della 2• ed., invariata, del 1828. 2 > Voi. I, 6, 185. 1)

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Lo stesso Savigny limitava allora la sua dottrina al suo campo speciale, il diritto, ma anche lo Stato era diritto in senso più lato, e ben presto egli doveva trarre anche per esso le conseguenze delle sue dottrine 1 ) • 1 )

n Savigny stesso lo disse, più tardi (intorno al 1840).

V. BRIE, Der Volksge·ist bei Hegel und in der histor. Bechtsschule, Archiv fiir Rechts-und Wirtschaftsphilosophie, 2, 199. L' origine della dottrina e dell'espressione < spirito popolare » è stata notevolmente chiarita, benchè sussistano ancora delle diversità d 'opinioni, dopo la pubblicazione della prima edizione, in grazia del1 'opera or ora nominata del Brie, degli scritti del v. Moeller nelle Mitt. des Institutcs fiir osterr. Geschichtsforschung, 30 e di quelli di Edg. Loening nell 'Internat. Wochenschrift, 1910, nonchè della Geschichte der deutschen Bechtswissenschaft, parte 3•, 2° tomo. La dottrina del Savigny, per la quale il maestro prese soltanto più tardi l 'espressionc « Volksgeist » (genio nazionale) dal suo allievo Puchta, si riattacca intimamente, come dimostrarono all'evidenza il Loening e il Landsberg, meno al Hegel che allo Schelling ed ai romantici. Fra questi, anzitutto a Giac. Grimm e ad Achim v. Arnim; cfr. Kantorowicz, Histor. Zeitschr. 108, 311 seg. e HERMA BECKER: À. ti. A rnim in den wissenschaft. und polit. Stromungen seiner Zeit, pag. 30 segg. e 36 segg. L 'Arnim usa già nel 1805 l'espressione < genio nazionale », ma poi sostiene, come dimostra Herma Becker, la teoria romantica dello spirito popolare, secondo un concetto più moderno e meno dottrinario. Cfr. inoltre FEDERICO Scm..EGEL, Ueber die neuere Geschichte (1811), pag. 213. ERNESTO MAURIZIOARNDT, nel 1806, nella prima parte del suo « Spirito del tempo > (6• ed., pag. 192) concepisce lo « spirito segreto del popolo, eterno come la sua natura ed il suo clima », piuttosto come una forza primigenia immutabile, che in condizioni di civiltà appare ancora soltanto in uomini eccezionali e in circostanze straordinarie. - Per contro troviamo una testimonianza di spirito romantico e di non artificiosa sensibilità per la mutabilità delle forze storiche, nell'interessante squarcio della « Storia Bo-mana~ del NIEBUHR 2, 42 (1818), sul quale ha richiamato la mia attenzione J. Partsch: « Lo spirito nazionale, sebbene, in quanto è inconscio, aia la più forte e più pura garanzia della continuità delle caratteristiche originarie, tuttavia muta inavvertitamente e si trasforma spesso, :fino alla completa rivoluzione dei sentimenti>. Ma contemporaneamente, già :fin da allora il ,e genio nazionale> veniva sfruttato nel senso quietistico del più tardo romanticismo politico, dal·

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In seguito l'idea nazionale venne pressochè respinta dalla sfera della libera azione politica, dalla luce del mondo politico, nel quale poteva fare del male, e ricacciata nel terreno buio della Nazione. E lì essa potè raccogliere nuove forze, per riapparire ancora una volta nel mondo, fatta più ricca e più forte. I 'opposizione contraria al r si trova in senso non romantico già verso la fine del secolo XVIII ; l 'use. nel 1787 F. H. v. MosER, Ueber die Regierung der geistlichen Stoaten in Deutschland, pag. 167 (indicazione datami dal dr. B. Wachsmuth). Inoltre Fr. Kluge mi ha additato, in CAMPE, Reinigung und Bereicherung II, I, introduzione, 1749, la frase « Veredelung des Volksgeistes und des Volkssinnes ». Il Kantorowicz, Hist. Zeitschrift 108, 300, aggiunge la prova che il Hegel la conosceva già nel 1793. Cfr. anche RosENZWEIG, Hegel und der Staat I, 21 segg.; HELLER, Ilegel und der nationale Machtstaatsgedanke in De-utschland, pag. 31; e METZGER,Gesellschaft, Recht und Staat, ecc. pag. 317 seg. L 'Arndt lo adoperò al principio del nuovo secolo. MUESEBECK 1 Arndt I, 61, 121.

CAPITOLO X.

HALLER E IL CIRCOLO DI FEDERICO

GUGLIELMO IV.

Delle due correnti principali dell'idea di Nazione e di Stato nazionale - la liberale e la romanticoconservatrice - seguiremo da ora in poi soltanto quest'ultima 1 ) , cercando di determinare la via che dalle idee del Novalis, dello Schlegel, di Adamo 1\1iiller e del Savigny, e dalla politica germanica dello Stein, condusse alla politica di Federico Guglielmo IV e di coloro che lo circondarono. E qui troviamo anzitutto, quasi a tagliarci la strada, il sistema d'un uomo che, negli anni di pace successivi al 1815, esercitò una potente influenza sugli spiriti romantici ad un tempo e politici, e specialmente sulla giovane generazione di coloro che volevano giunL 'opere. del DocK, Revoluti-On und Restaurati-On iiber die Souveriinitiit (1900) che tratte. esaurientemente delle dottrine della scuola controrivoluzionaria, non offre nulla per i nostri problemi. Contiene quasi unicamente degli estratti e, nelle sue conclusioni all'apparenza indipendenti (pag. 260), segue le idee dello Sta.hl ( Geschichte der Rechtsphilosophie VI, I; 3• ed., pag. 548 seg.). Con maggior profondità. ed indipendenza, H. O. MEISNER ha esaminato recentemente La teoria del principio monarchico nel periodo della Restaurazione e della Confederazione germanica (1913), ma senza toccare molto le questioni che ci occupano. 1)

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gere a governare, sebbene non riuscisse a dir loro quasi nulla intorno alla Nazione: dico, Carlo Lodovico v. Haller. Per la sua grandissima influenza, appunto, non possiamo trascurarlo e dobbiamo occuparci di quei lati della sua individualità e della sua dottrina politica che tocca no, sebbene in parte solo indirettamente, il problema della Nazione e dello Stato nazionale. In quello stesso anno 1808 nel quale Adamo Mfiller iniziò le sue conferenze sugli elementi dell'arte di governare, il Haller pubblicò il suo « 1\1:an uale di scienza politica generale» che contiene già i capisaldi della sua dottrina. l\la impressione maggiore egli fece sul pubblico appena negli anni più tranquilli della pace, allorchè, a cominciare dal 1816, uscironc..,1 sei volumi del suo « Rinnovamento della scienza politica». Egli non era ancora compenetrato di quel sentimento che aveva preparato e sostenuto la lotta per la libertà nazionale. Non e 'è traccia in lui dell'alto convincimento che la Nazione tedesca avesse da difendere dei valori morali speciali, insostituibili, non e 'è nulla di quel bisogno di nazionalizzazione interiore dei singoli Stati, che si sente nei romantici, dal Novalis ad Adamo l\Hillcr. Quando costoro si entusiasmavano per gli antichi ordinamenti feudali, lo facevano con uno spirito nuovo, che trasformava quegli ordinamenti e li faceva apparir diversi da quelli eh 'erano stati in realtà, circondandoli d'ideali e d' illusioni d'origine poetica e filosofica. Anche il Haller si idealizzò lo Stato medievale, quando creò per i propri scopi la parola ed il concetto di Stato patrimoniale 1 ); ma questi scopi erano tutt'altro che ideali. Ruvidamente, senza veli egli vantava la fortuna degli antichi principi, di aver posseduto potere e ricchezze proprie, e di averne goduto liberamente. C'è in tutta la sua dottrina un 'aria di materialismo e d'egoismo 1J

Lo dimostra il telalters I, 6.

VoN

BELOW:

Der deutsche Staat des Mit-

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ed anche quando essa chiama in aiuto Dio e le cose divine, lo fa senza alcun misticismo e senza intima religiosità, anzi con quel senso di soddisfazione per il proprio stato, che vede ben chiara la mano e la benedizione di Dio in ciò che possiede e nell'ordinamento sociale che glielo garantisce. Potenza e dominio sono diritto naturale ad un temp'-l e diritto divino: ecco il nocciolo del suo sistema. In realtà, dice ad un certo punto 1 ), non è l'uomo che regna sopra di voi, ma il potere che gli è dato, e se considerate la cosa esattamente e filosoficamente, l'unico Signore è e rimane Iddio, sia in quanto creatore, sia in quanto legislatore e regolatore di tutta la potenza distribuita tra gli uomini. Con ciò egli apriva porte e finestre al culto della forza, all'adorazione del successo come tale; e di qua alla teoria della lotta per l'esistenza, della incessante selezione dei migliori, non c'è che un passo. A chi è precluso per sempre - dice come consolazione ai deboli e ai dominati 2 ) - il raggiungimento del più alto grado della fortuna 1 Non vediamo in tutto il mondo, per tutto il corso della storia, un continuo avvicendarsi di tutte le cose Y I ricchi diventar poveri e i poveri ricchi, i possenti diventar deboli e i deboli possenti, stirpi oscure salire alla gloria cd altre già famose cadere nell'oscurità 1 Le sue premesse lo conducono molto più in là di quanto egli stesso volesse, poichè il suo intento pratico era semplicemente di combattere le forze rivoluzionarie e di giustificare e ristabilire quella dell'antico Stato patrimoniale. Perciò gli occorreva il buon Dio, non soltanto per sanzionare il potere in sè, ma anche per mettere il necessario freno alla corsa di esso, per farlo fermare là dove s'era arrestato il Medio Evo. Inutile soffermarci su queste argomentazioni e su questi tentativi ingenui e puramente 1 ì Restauration

der Staatswissenschaft ') Op. cit., pag. 387

I, (2• ed.) pag. 386.

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sentimentali, di segnare i confini tra il potere legittimo e l'illegittimo, tra l'uso giusto e l'ingiusto di esso: si sarà già osservato che in tutto questo sistema non parla il pensiero, ma la volontà, una volontà strettissimamente determinata da ideali di vita tradizionali. Ciò che egli voleva, non era il vero 1\1:edioEvo, ma la continuità di forme di vita medievali. Il passato risollevava il capo in uno dei più genuini suoi figli. Costui non aveva bisogno, come i romantici, di ravvivarlo in sè con la fantasia storica e la riflessione: esso era naturalmente vivo in quel superbo e ostinato patrizio bernese 1 ) ed anche quel poco d 'illuminismo e di razionalismo, proprio della sua coltura giovanile 2 ) e perfino delle sue teorie degli anni più tardi 8 ), le sue caratteristiche parole in Restaur. 6, 571 seg.: « Semòra che alcuni credano eh' io abbia attinto il sistema. finora sviluppato soltanto dalle. storie. del Medio Evo .... Confesso aperte.mente che non ho mai letto un solo libro sul cosiddetto Medio Evo .... Non dall'antico e dall'ignoto, ma da cib che ci sta. di· nanzi agli occhi, dai quotidiani rapporti sociali, abbiamo rilevato quelle leggi eterne > ecc. ecc. 2) V. LO0SER,Entwicklung und Syste1n der polit. Anschauungen K. L. 11. Hallers, Berner Dissert., 1896, pag. 2 segg. Sulle. vita e l'eredità politica del Haller vedi, del resto, EWALD REINHARD, K. L. v. Haller, Vereinsschrift der Gorresgesellschaft, 1915. 3)La sue. teoria è estremam~nte conforme al diritto di ne.tura, in quanto, come i seguaci di quel diritto, egli parte dallo stato di natura, ma vi si ferma, senza fare il passo avanti che quelli fanno, verso il contratto sociale. Da ricordare i suoi punti di con• tatto con le. tendenza antistatale e puramente individualistica dell'illuminismo, con Rousseau, di cui vanta. i « lucidi intervalli>, col Siéyès e gli illuministi. Con molta finezza il Savigny sentl subito (1817) l'elemento razionalistico che e' ere. nel He.ller, « krasser Aufklarer in Geschichte und Politik ~. V. VARRENTRAPP, Rankes Histor. - polit. Zeitschr., und das Berli-ner Poli-t. Woche-nblatt, in Histor. Zeitschr. 99,40. Cfr. anche SIN0ER: Zur ErinnertVll,g an. Gusta11 H""go, Zeitschr. fiir Privat und oft'entl. Recht, 16," pag. 285 e 311. Non male dice anche lo STA.HL,Gesch. de, Rechtsphilosophie, 3• ed., pag. 560, parlando di lui: « :t il razionalista tra gli scrittori controrivoluzionari; non segue, come gli 1 J Vedi

I'.

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non disdiceva completamente alle ultime generazioni codine di questo antico tempo, poichè ne toccava soltanto i costumi, non la natura. La nobiltà bernese di razza, del secolo XVIII, era stata un 'aristocrazia robusta, ben pa• sciuta e rubizza, che si nutriva d'un paese ricco e non aveva bisogno di tormentare i sudditi col fiscalismo, nè voleva tormentarli eccessivamente con pressioni politiche, e trattava specialmente i contadini in modo mite e patriarcale 1 ). Una tale esistenza poteva richiamarsi al gradito ricordo d'essere stata a suo tempo conquistata mercè la grande· abilità e potenza degli avi; importava di non esserne indegni, di avere quindi il diritto di goderne indisturbati. E non ci si sentiva resi anche moralmente migliori dal godimento del potere Y «Dappertutto», dice il Haller, « troverete che il più forte per natura è anche più nobile, più generoso, più utile » 2 ). « Che cosa nobilita l'animo più che il sentimento della propria superiorità, l'assenza di paura e la mancanza di bisogni Y» '). altri, vedute vive e varie, ma persegue con logica coerenza, in tutti i casi, come fa il diritto nature.le, un principio superiore >. Vero è tuttavia che questo principio superiore, come abbiamo esposto più sopra, si base. su di un' intuizione vive.. - Inoltre abbiamo già notato che il Haller stesso non si sottrae e.Ila teoria del Rousseau sul Contratto sociale, da lui cosl appassionatamente combattuta. Col mettere in luogo del grande Contratto sociale generale un grande numero di piccoli contratti privati, non he. fatto, come osserva contro di lui l 'Ancillon, che convertire la grande barra di metallo in moneta spicciola (Cfr. F. v. RAUMER: Ueber die geschichtl. Entwicklung der Begriffe t1on. Recht, Staal und Po1-itik, 2• ed., 1832, pag. 190. Similmente anche R. v. Mom,, Geschichte und Literatur der Staatswisaenschaf ten, 2, 550. Sulla critica del Hcgel al Haller cfr. RosENZWEio, Hegel und der Staat, 2, 190 seg. Vedi inoltre ScHMITT·D0R0TIC', Polit. Romantik, pe.g. 16, e METZGER,Gesellschaft, Recht und Staat, pag. 272 seg. 1) V. OECHSLI, Geschichte der 8chweiz im 19. Jahrhunderl, 1, 51 segg. 2 ) Restauration, l', 382. ( 1 Op oit., 386.

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Dato questo concetto del buon diritto e dei buoni effetti del potere, è logico che lo Stato e tutta la vita si risolvano per lui in un numero infinito di rapporti di potenza e di dominio_, ordinati in misura ascendente, dal mendicante, che ha il dominio per lo meno sul proprio cane, fino al principe, che gode « la preziosa, nobilitante felicità» d'essere affatto indipendente e che costituisP-~ per tal modo il vertice della piramide. Ma questa può e dev'essere, secondo lui, soltanto potenza propria, non trasmessa da altri. Il potere che un principe detiene per diritto innato, rimane circoscritto dal comandamento del dovere e della morale scritto nel cuore di ciascun uomo; obbedirvi, egli c'insegna, deve riuscire specialmente facile al potente. Quanto al potere, che un principe od un Governo esercita apparentemente per incarico dello Stato o del popolo, veduto alla luce della realtà non è nemmeno esso un potere delegato, bensl un potere proprio e di fatto; se non che, con la finzione e l'illusione della delega, conduce ad un orribile dispotismo ed alla distruzione di qualsiasi rapporto di potere e di dominio, anche se fondato sul diritto. Non si può disconoscere che qui c' è realmente una sana e reale comprensione degli effettivi rapporti di potenza. Quando mai, egli chiede non del tutto a torto, anche nel1a Francia rivoluzionaria ha prevalso la volontà generale della Nazione 1 ~ vero invece che tutte le fazioni si conquistano il potere con la loro propria audacia e lo mantengono anche contro la volontà del popolo; e i soldati francesi, che facevano la guerra contro i cosiddetti privilegi, erano i primi privilegiati in tutti i paesi dove arrivavano. Egli esclama trionfante: « O natura insopprimibile! » 1 ). Ma il suo infallibile senso autocratico diventa ostinazione che si nega al riconoscimento della verità che ogni reale potere politico si basa anche su rapporti spirituali, i quali diventano sempre più vasti e più grandiosi, 1)

Restauration, l', 260, 265.

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via via che il potere supera i limiti dell'angusta sfera dell'esistenza feudale e patrizia, via via che l'autocrazia dei dinasti medievali diventa potenza statale nel significato moderno della parola. Egli rimase chiuso entro quella stretta sfera, pcrchè tutta la sua sensibilità per i fatti politici gli derivava da quella; e così negò e combattè tutto quanto stava fuori di essa. Il più bello è vedere com 'egli dovette ammettere contro voglia, entro il suo tanto lodato Stato patrimoniale, quelle forze che lo sollevarono più alto di sè e lo condussero verso lo Stato moderno. Gli ordinamenti del basso l\ledio Evo, fondati sull' indivisibilità e i diritti di primogenitura, nacquero bensì, com 'è noto, da puri interessi dinastici, ma, una volta applicati, seppellirono il concetto famigliare della Signoria, prepararono quello che vede nello Stato una unità chiusa, la quale segue leggi più alte che non l 'arbitrio dei dinasti, e crearono le salde basi delle più vaste comunità politiche. Il Haller non era cieco a questi effetti, e perciò accusava le cause. Se, egli diceva, non si fossero introdotte a poco per volta la primogenitura e l' indivisibilità dei beni, l'occhio non avrebbe veduto dappertutto altro che il semplice rapporto naturale d'un signore feudale verso i propri vassalli, e non sarebbero mai nati i falsi sistemi, le idee vuote d'un potere del governante che si estende su tutto. Nell'indivisibilità e nel diritto di primogenitura egli vide, con chiarissimo intuito, un 1tpG:rcov~Eùòoç delle moderne forme statali. Eppure, dal1'altro lato dovette ammettere che un principe « patrimoniale>> secondo il cuor suo non poteva far nulla di più saggio che assicurare le proprie conquiste mediante il diritto di primogenitura e l' indivisibilità. Per tal modo tutto il suo sistema soffriva dell'intima contraddizione che la pleonexia naturale del potente, sul quale esso è costruito, crea nel tempo stesso gli elementi che lo distruggono 1 ). 1

)

Rest. 2, 534. Inutile e.e.e.enne.real suo tentativo di nascon-

dere questa contraddizione, eh 'egli ben sentiva.

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Forza e stimolo al potere e al dominio devono, secondo lui, cessare nel punto in cui minacciano di sopraffare l'esistenza patrimoniale. Per conseguenza egli fu, in genere, avversario dei grandi Stati. Le monarchie estese, dice, fanno venir la vertigine al cervello dei dotti. « Che bisogno c'è di queste spaventose masse compatte, terrore di tutto il resto del mondo 1 » 1 ). « Gli Stati piccoli sono il vero, semplice ordinamento naturale, al quale per diverse vie alla fine vengono sempre ricondotti» 2 ). Quanti più Stati, e tanta più bellezza e varietà, tanto maggior numero d'uomini che godono il sublimante bene dell' indipendenza. Come fu splendida l'Asia :Minore dopo la distruzione della ~Ionarchia macedone, come grandiosa l'Italia, quando, a cominciare dal XII secolo, vi sorsero i molti principati indipendenti e le molte repubbliche indipendenti. Si sente quasi la segreta simpatia di Giacomo Burckhardt per quegli uomini violenti, sulla soglia tra il :l\ledio Evo e il Rinascimento, che fecero dello Stato il mezzo di piacere dell'individuo forte 3 ), ma contribuirono nello stesso tempo - cosa che il Haller non si confessava - anche a creare lo Stato moderno, col far sorgere lo spirito della fredda, razionale politica realistica e dell'esatto calcolo delle forze: lo spirito appunto di cui era piena quell 'èra dell'assolutismo tanto spregiata dal Haller e dai romantici, e che non soltanto ingrandì gli Stati all 'estcrno, ma Ii rafforzò anche internamente, dando loro unità, personalità ed autonomia. Abbiamo veduto come Adamo l\Hiller era stato capace di seguire fino ad un certo punto questo grandioso sviluppo delle individualità statali europee; il Haller, invece, non ') Op. cit., 3, 179. Op. cit., 2, 535.

2) 3

J Le molte guerricciole dell 'Italio. nel '300 e '400, dice in un altro punto il Haller (2, 103), « servirono ad esercitare le forze e e. rinvigorire negli italiani la cosrien:za di se stessi fonte ' , di tutte le grandi cose >.

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F. MEINECKE

potè farlo. « A che giova », domandò egli 1 ), la teoria altrettanto innaturale quanto anticristiana dell'unità incondizionata, dell'assoluto isolamento ed arrotondamento d'ogni singolo Stato, se non a mettere tutte le cose ostilmente l'una contro l'altra 1 Altrettanto poco piacere egli poteva provare della form-azione interna dello Stato, che, a vantaggio della sua propria potenza, lo eleva sempre più verso una vera comunità, verso una collettività di grandi bisogni comuni, spirituali e materiali. Gli riusciva insopportabile l'idea d'una societas civilis, parlava con disprezzo delle « coside·~te ragioni di Stato» e perfino . la parola « generale » gli era odiosa 2 ). Negando l'unità spirituale dello Stato, come avrebbe potuto riconoscere l'unità spirituale del popolo Y Non parla del popolo d'un principe, ma « dei singoli uomini, il cui insicmr si chiama popolo » 3 ). Egli li vede soltanto fluttuare di qua e

  • . La sua antipatia per lo Stato lo porta qui ad una certa superficiale affinità con Guglielmo v. Humboldt e, come dimostra il ME'l'ZGER, op. cit. pa~. 273 seg., col giovane Fichte . .i) Bestaur. 2, XI. 2) Bestawr. 2, VII. 3) Bestaur. 2, VII e 81.

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    F. MEINECKE

    della Svizzera ] ) . Così egli rispecchia con ingenua fedeltà quel grado più antico di vita nazionale che esisteva ancora prima del sorgere della monarchia assoluta, che si conservò anche sotto di essa in regioni più appartate, dove le società politiche erano piccole e frazionate, dove anche le idee che le riunivano in un- tutto maggiore avevano carattere piuttosto patriarcale e famigliare e di rado liventavano pienamente coscienti, ma quando lo diY~r tavano erano capaci di esplodere con gran forza. Ma come nei tempi tranquilli esse ricadevano nel loro letargo, così anche nella mentalità del Haller non brillavano che di tanto in tanto come lampi. Il Haller è dunque molto più antiquato e primitivo dei romantici e molto meno di questi è toccato dalle correnti nazionali moderne. Nè l'idea della Nazione culturale nè quella della Nazione territoriale hanno parte importante nel suo sistema, e tanto meno si può parlare d una tendenza cosmopolitico-universalistica in lui, che odiava la. parola è Grolme.n, cognato dei fratelli Gerle.eh; il e cognatino >, probabilmente lo stesso Leo,.p. , v. Gerle.eh. 1 ) Con ciò non corrispose ancora pienamente alle 'esiJeiize dei suoi amici prussiani, nè e. quelle di Adamo Milller. Cfr. E. Lod. ti. Gerlach, I, 127, inoltre v. BELOW, op. cit. I, 12. note..

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    •· imna:cu

    romanticismo politico e 'era fin da principio la tendenza a raffinare il sistema del Haller e ad introdurvi le esperienze politiche e religiose della sua propria vita. Di questo evolversi delle loro idee nel secondo decennio del secolo non sappiamo gran che 1 ). Per il decennio successivo, invece, abbiamo una fonte abbondante nel « Berliner Politisches Wochenblatt », che uscì dall'autunno 1831 sino alla fine del 1841, costituendo una specie d 'enciclopedia politica in forma di Rivista settimanale 2 ). Sotto l'immediata impressione della rivoluzione di luglio , nei circoli della Corte del principe ereditario era sorto il progetto d'un giornale conservatore di battaglia. Forse fu il Radowitz a dargli forma pratica e a procurargli, come primo redattore, il suo compagno di fede, il convertito Jarcke, che durò fino al novembre 1832. Il suo successore di fatto fu il maggiore Schulz, mentre redattore nominale n'era il maggiore in pensione Streit e poi, dal 1839, il consigliere aulico Stein. Aveva collaboratori i fratelli Gerlach, il Leo, il Haxthausen, il Phillips, talvolta anche il Haller, il venerato maestro. La formazione e la composizione di questo gruppo dimostrano eh 'esso voleva riunire fraternamente il ramo cattolico e quello evangelico del romanticismo politico. Era anche in contatto spirituale con i consenzienti spiriti di Francia, pur conservando anche di fronte a questi una propria posizione

    •) Eccezion fatte. per le idee di Giuseppe v. Radowitz; il quale però, come cattolico e non prussiano, ha un posto e. parte, come dimostro nel mio libro Radowitz und die deutsche Revoluti-On, 1913. 2 VARRENTRAPP, Rankes Historich-polit. Zeitschrift und das ) Berlinlr Polit. Wochenblatt, Histor. Zeitschrift 99, 35 segg.; HAsSEL, Rad-Owi"tz,1, 43, 60, 212 seg., 248; SALOMON, Gesch. des deu-tschen Zeitungswesens, 3, 475 segg.; KAUFM.ANN, Polit. Gesch. Deutschlands im 19. Jahrhunderte, pag. 239 segg.; ARNOLD, ÀqJ,fzeichn.ungen dea Grafen Carl 11. Voss-Buch uber das Berliner polit. Wochenblatt. Histor. Zeitschr., 106, 325 segg. e le. nota e. pag. 227 della prima edizione del presente libro.

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    autonoma 1 ). V cdremo subito come anche in questo gruppo si esprimessero pareri diversi e come esso non comprendesse unicamente i più rigidi seguaci del Haller 2 ). ~ vero che difficilmente si riesce a riconoscere con sicurezza gli autori dei singoli articoli, ma quanto sappiamo ci basta, in questo caso, per fissare l'opinione media del gruppo e le singole divergenze, anche senza poter distinguere le diverse personalità. Anche qui ci occuperemo solo di quanto sta in nesso col nostro argomento: Nazione e Stato nazionale. Osserviamo innanzitutto che il concetto naturalistico di potenza, che nel Haller ebbe, come abbiamo veduto, parte bensì importante, ma non conseguente, passò in seconda linea di fronte all'idea di diritto. Il Haller aveva detto: Il principe regna in virtù della sua naturale superiorità di potenza, la quale però, dato che il Signore Iddio crea e governa tutto, dcv 'essere considerata e rispettata come voluta da Dio; e questa sua potenza - egli continua, non osando considerare addirittura qualsiasi potere come un diritto - diventa diritto non soltanto in seguito a prescrizione, ma anche per gli accordi speciali eh 'egli conclude, formalmente o tacitamente, con coloro che, esc;;cndopiù deboli, si mettono sotto la sua protezione. Si sentiva quant'era sottile e dubbio questo legame tra potenza e diritto che qui si delineava, e com 'era debole Pd elastica anche la motivazione trascendente, religiosa, della potenza e del diritto; occorreva un terreno più saldo per sostenere quelle forze che vi si volevano basare; e lo si trovò, invece che nel teismo universale del Haller, nella

    1

    Histor. Zeitschr. 88, 437, ci sembra faccia ) Il KAUFMANN, troppa parte all'influenza del De Maistre, del Lamennais ecc. sulla politica di restaurazione in Germania. Ma la questione dell 'oBmoai ed endosmosi tra il romanticismo francese e il tedesco ha bisogno d'uno studio più accurato. 1 ) Cosi credette il TREIT&cma:, Deutac'/t.eGeac1MOnte, 4, 203.

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    I'.

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    parola positiva di Dio, qual 'è rivelata nella Sacra Scrittura. Così argomentava Guglielmo v. Gerlach negli articoli« Che cos'è il diritto?», nel Wochenblatt del 1833 1 ). Secondo lui il diritto della superiorità si basa sopra uno speciale ordinamento divino; è una conseguenza del peccato originale ed un mezzo disciplinare per tenere in freno il mondo caduto, « imposto da Dio stesso per imbrigliare l'ingiustizia sulla terra » 2 ). Soltanto in seconda linea questo diritto si fonda su•costituzioni e trattati esistenti o nuovamente conclusi tra la suprema autorità e i sudditi, nè essi trattati debbono contraddire mai a quel fondamento. Con ciò si credeva di avere raggiunto l'agognata tranquillità e quella sicurezza di fronte ai diritti dell'evoluzione storica, che nemmeno il Haller aveva potuto offrire. Ma come il Haller non era riuscito a fissare i rapporti di potenza esistenti e a trattenere il corso delle forze naturali, così non riuscì ai Gerlach di appartare il diritto ed in special modo il diritto dell'autorità già costituita, dalla corrente dell'evoluzione e d'assicurarlo contro la rovina e le innovazioni. Anche Guglielmo v. Gerlach dovette ammettere che il torto può diventare diritto in seguito a prescrizione e ad un processo di chiarificazione: « Il diritto sboccia dal torto, come il :fiore dal letame >. Nel torto starebbero dunque già invisibili germi del futuro diritto, i quali attendono il loro tempo, cioè maturano per volere di Dio e spuntano al momento opportuno 8 ). Ma in tal modo non si era molto lontani da di questi articoli ci è rivelata ) Pag. 49 iregg. Le. paternità dalle note di suo fratello, Lod. v. Gerlach, I, 208. Un altro appartenente al gruppo, 'ENRICO LEo, Lehrbuch der Uni,;ersalge&chichte, 6, 764 seg. (1844) criticava, restando più vicino al concetto del Burke, la teoria naturalistica di potenze. del Haller come une. « caricatura di quella del Bnrke, come une. traduzione delle. geniale dottrine. bnrkiane. in qualche cosa di troppo materiale, di legnoso e, perciò appunto, di falso >. Cfr. anche v. Below, I, 14 segg. 2) Op. cit. pag. 60. aJ Op. c.t. pag. 49. Similmente, nel 1847 Leopoldo T. Oerlach 1

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    quello che i Gerlach condannavano come panteismo, cioè dal riconoscere il processo storico naturale dell'evoluzione. Infatti, nel corso dei decenni successivi. anche il loro partito dovette porsi, quasi ad ogni cambiamento, ad ogni nuova formazione di autorità politiche e di rapporti di potenza, il difficile problema, se quel cambiamento dovesse essere condannato come ingiusto oppure riconosciuto come un nuovo diritto che, per volere di Dio, sorgesse dall' ingiustizia 1 ) • Panteistico era per essì tutto ciò che in ultima analisi non si riportava all 'al di là, ma trovava ragioni, scopi, necessità terrene. Consideravano quindi panteistico non soltanto lo storicismo, che cercava di comprendere e di riconoscere tutto quanto è storicamente divenuto 2 ), ma anche l'esaltazione dello Stato e dei fini assoluti dello Stato. Ma qui naturalmente parlavano anche i loro interessi aristocratico-feudali, che nell'assolutismo dello Stato, anzi nella semplice idea d'una personalità generale dello Stato, vedevano il più pericoloso nemico dei privilegi di casta, e per conseguenza - come il Haller e dal punto di vista storico certo non a torto - consideravano lo

    (I, 119), in un discorso che vorrebbe mettere in bocca al re: ~ Poichè anche dall'ingiustizia - questo è l'ordinamento divino qui in terra - esce un diritto, che non può essere trascurato senza che si commetta una nuova ingiustizia ». 1 ) Basti qui un caratteristico esempio, relativo ali 'imposizione della Costituzione prussiana del 5 dicembre 1848, di cui trattiamo nel ·n Libro. Leop. v. Gerlach cominciò- naturalmente col combatterla, ma poi subito trovò che « il buon Dio con questa carta della Costituzione aveva preso la giusta vi'a ». A Lod. v. Gerlach dispiacquero queste « riflessioni storico-obiettivo-panteistiche» di suo fratello. « Cosi farneticavano panteisticamente anche i conservatori nel 1866 e ne divennero del tutto impotenti». Lod. v. Gerlach, 2, 34. 2 ) Lod. v. Gerlach, I, 102: « Questa teoria puramente storica dello Stato e del diritto del Savigny e consorti costruisce il pro1n·io sistema panteisticamente, fondandolo soltanto suJl 'individualità e la storia dei popoli .... ».

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    Stato nazionale indipendente, uscito dalla rivoluzione, soltanto come erede e continuatore dello Stato assoluto 1 ). :Ma si doveva perciò, come aveva fatto il Haller, dissolvere lo Stato in un aggregato di rapporti privati di potenza e di diritto? Federico Giulio Stahl, intorno al 1830 docente di Diritto pubblico a Wiirzburg ed Erlangen, che coltivò un concetto di Stato storico e conservatore, osò ricondurre lo Stato sul terreno d'un vero diritto pubblico e concepirlo come una collettività, mettendo l'idea di Stato al di sopra della sfera dei diritti privati del principe. Ma appunto per questo i sacerdoti della rivista lo consideravano come un reprobo, come un lupo mascherato da pecora 2 ). Ci riporta, dicevano, al « Leviathan > del Hobbes, soltanto con maniere un po' più gentili e rivestito alla moda 3 ). E tuttavia neppur essi poterono sottrarsi del tutto alla forza dell'esperienza storica ed allo spirito dello Stato nel quale vivevano. « Lo Stato moderno » dovettero confessare, « è una fatalità storica, che si è costretti a riconoscere, poichè nessuno è in grado di costruire la nostra presente vita politica su altre basi, completamente antitetiche»'). Cfr. p. es. gli articoli del JARCKE, < RetJolution und Absolutismus » in B. P. W. 1833, 39 segg. (Verm. Schriften, I, 166 segg.). ~) Secondo il B. P. W. 1837, 177, la teoria stahliana dello Stato, che parlava dei vasti compiti di esso e d'una idea di Stato po8ta al disopra del principe, conduceva ad «un'idolatria panteistica dello Stato~- Altra polemica (Jarcke) contro lo Stahl e ln. scuola del diritto storico, troviamo in B. P. W. 1834, 259 (Verm. Schriften, 3, 10). 3) B. P. W. 1837, pag. 181. ') B. P. W. 1833, pag. 160. A pag. 150 troviamo: « Il Haller viveva in una repubblica, dove una corporazione, sovrana in ,·ari titoli di diritto privato, aveva di fronte dei semplici sudditi, dove per conseguenza mancava l'alto rapporto reciproco che nasce di necessità nelle monarchie in causa della posizione d'un capo indipendente di fronte a caste or_ganicamente costituite; dal che nascono anche altri e più profondi rapporti, che fanno della monarchia l'organismo più perfetto di cui sia capace la convi.Tenza 1)

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    Si affaticavano, così, a cercare per il loro Stato di caste un fondamento capace di soddisfare ad un tempo la loro coscienza religiosa e politica e le loro pretese aristocratiche di dominio; di fondere insieme la Rivelazione divina con l'innegabile necessità storica e i forti interessi di casta: riuscirono a farlo, soltanto facendo ai principi intransigenti dell'insieme alcuni strappi mal dissimulati. Secondo un metodo analogo cercarono di mettersi in pace anche con l'idea di nazione e con la sua importanza per la vita politica. l\fa qui occorreva per ogni concessione la massima prudenza, per non scivolare sul ghiaccio e non cadere nell'odiato principio della sovranità nazionale. Il Jarcke 1 ) constata con rammarico, che la « Gazette de France», l'organo dei legittimisti, da lui tanto ammirato, giuoca pericolosamente col concetto di nazione, elevandolo a personalità morale ed attribuendogli funzioni nelle quali si ritrovano in gran parte i folli concetti della Rivoluzione . .Ammette, bensì, che il popolo è, in un certo senso, un 'unità fondata sulla sede comune, sulla comune dinastia, i comuni diritti, la lingua, i costumi, i secoli di convivenza nella gioia e nel dolore; che, insomma, da tutto ciò nasce bensì un carattere comune, quella nazionalità, quell'unità che, « d'un popolo, fanno un popolo »; umana>. Anche nella questionè delle imposte, lo Starcke si pone nel B. P. W. 1833 pag. 78 (Verm. Scriften, I, 192) e B. P. W. 1837, 129 (Verm. Scriften 3, 371) da un punto di vista che, S'Uperando i rigidi principi di casta del Haller, significa un avvicina.mento alla moderna idea di Stato ed il riconoscimento di necessità statali generali. Più avanti ancora va in questo senso il B. P. W. 1840, 127 segg., dove troviamo fra l'altro la seguente affermazione, assolutamente antihalleriana: < TI possesso del principe deve, come tale, essere dedicato al benessere generale>. Ma le ultime annate del B. P. W., sotto l 'in:fluenza delle lotte religiose di Colonia, hanno una tinta più ligia a_gli interessi del Governo che le prime. 1 Schriften, I, 20 segg.). ) B. P. W. 1832, pag. 246 (Verm. vedi anche B. P. W. 1832, pag. 3.

    234:

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    ma molto ci manca perchè questo popolo sia una persona giuridica dotata di volontà in senso giuridico, una corporazione, una società, ecc. ecc. Un altro collaboratore della Rivista cerca una scappatoia facendo una rigida distinzione tra il concetto di popolo e quello di nazione. Popolo, diceva, è la massa degli abitanti di uno Stato e come tale non un 'unità, e tanto meno un soggetto giuridico, ma un agglomerato di singoli soggetti giuridici, incapaci d'unirsi in un 'unità vitale, con finalità superiori. Le Nazioni invece sono formate dalla comunità di lingua e di stirpe e il concetto di nazione ha da fare con quello di Stato meno ancora che il concetto di popolo; per meglio dire, non ha nulla che vedere con esse. La nazionalità è un « elemento estraneo allo Stato, altrettanto indipendente da esso quanto lo è lo Stato dalla nazionalità:, 1 ). « Non esistono Stati nazionali» 2 ). Così, quella che noi chiamiamo Nazione in senso territoriale veniva spogliata di qualsiasi carattere attivo e personale·, privata di ogni possibilità di diventare un fattore politico, mentre quella che noi chiamiamo Nazione culturale veniva semplicemente defenestrata dalla vita politica. E si strappava, così, il dente del veleno a quei pericolosi concetti. Ma nelle colonne del periodico comparve anche un altro concetto, per il quale la parola nazione aveva un suono più caldo e più ricco di contenuto e che non si ostinava a scindere così completamente lo Stato dalla Nazione. Chi aveva vissuto il 1813 con senso aperto e col cuore caldo, sarebbe stato infedele a se stesso se avesse dimenticato ciò che l'idea di nazione - della Nazione territoriale prussiana non meno che della Nazione culturale germanica - aveva fatto allora per lo Stato. « L 'entu-

    J

    ~

    B. P. W. 1838, pag. 65 e pag. 261; inoltre 1840, pag. 131

    163. 2)

    Op. cit., pag. 200.

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    siasmo di quei tempi», si legge ad un certo punto 1 ) « non andava alle teorie degli illuministi, ma all'antica, verace libertà dei padri ed all'autonomia delle Nazioni, impersonata nei Sovrani ereditari >. Un diplomatico russo, che potè collaborare alla Rivista, polemizzò anzi direttamente col Haller, rimproverandogli d'essere rimasto sordo al concetto di nazione 2 ). « Lo Stato del signor v. Haller non è che un aggregato di accordi espressi e taciti.. .. Come mai è sfuggito al grand'uomo che una Nazione non è un'associazione casuale d'individui singoli, i quali potrebbero con altrettanta facilità entrare nella federazione di qualsiasi altro popolo, ma un essere organico, dotato di un principio vitale ( quello di nazionalità), e che i diversi trattati non sono che il corpo o la forma del Governo? ». La nazionalità è, secondo lui, il legame spirituale che tiene unito lo Stato. Tutto ciò eh 'è espresso in senso positivo dal diritto « non è che la sostanza, cui lo spirito creatore della nazionalità dà forme che nel loro insieme sono la costituzione d'uno Stato ». « La nazionalità è la fonte di vita d'ogni popolo e che la lascia inaridire condanna se stesso a morte ~. Queste idee, attinte evidentemente dalle dottrine del Savigny, non fecero alcuna impressione sul Haller, il quale dichiarò inutile salire a simili sottigliezze in una semplice questione di diritto di Stato, qual 'era quella delle intime e celate ragioni spirituali d'unione esistenti nei rapporti sociali dello Stato, e non volle sentir parlare della Nazione come d'un essere organico 3 ) • Ma con ciò i) 1836, pag. 57. 2 ) 1834, pag. 46 segg. 3) Egli si richiamava fredde.mente alla magra spiegazione dell'Adelung, secondo il quale sotto il nome di nazione sono da intendersi soltanto « gli abitanti indigeni d'un paese, in quanto hanno un 'origine comune, formino essi uno Stato unico o sieno suddivisi in parecchi Stati >. Op. cit. pag. 234. Un 'altra risposta a queste obiezioni doveva eeeer contenuta nel cap. 92 del V vol. della sua

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    non si calmò la discussione: di tratto in tratto sorgeva sempre qualche nuovo spirito inquieto, che domandava una dose maggiore di Nazione, di quella spirituale acqua di fonte dello Stato, di quanta non gliene somministrasse il HaUer. Vi erano già notevoli considerazioni politiche che spingevano a farlo. Si vedeva proprio nelle piccole Nazioni tradizionali d'Europa, come il loro isolamento le rendeva immuni dallo spirito liberale e rivoluzionario del1'epoca, come si tenevano attaccate alla loro antica Chiesa, in gruppo compatto e con una fede confortante. Il nesso fra nazionalità e religione, che nelle forme più antiche della vita nazionale è particolarmente forte e resistente, s'imponeva. Studiando più da vicino i Baschi, che, con la loro lotta cavalleresca in favore del legittimo principe Don Carlos, avevano attirato l'attenzione dei halleriani di Prussia, si constatò con piacere che, all'infuori dal catechismo e dai libri di preghiera, ben poco si stampava nella loro lingua, ma che tutto il popolo possedeva un senso poetico ed una freschezza di vita, da svergognare le plebi civilizzate di Parigi e di Londra 1 ). Consimili osservazioni furono fatte sulle nazionalità slave. Merita ogni considerazione la circostanza, scrivevano 2 ), che la snazionalizzazione e l'allontanamento dalla Chiesa sarebbero il mezzo più sicuro per precipitare a forza gli ultimi avanzi dei polacchi nell'abisso della rivoluzione demoniaca. Qui si vede già in fondo ai concetti che guidarono la politica filopolacca di Federico Guglielmo IV nei suoi primi anni 8 ). opera, comparso ancora nel 1834. Al problema dell'invisibile fondamento spirituale della società umana egli risponde in modo abbastanza razionalistico, dicendo che « l'eguaglianza della fede in certe verità ed in certi doveri.. .. costituisce il vincolo originario tra gli uomini> (5, 325). t) B. P. W. 1834, pag. 86. 2 ) B. P. W. 1837, pag. 300. 3) Il B. P. W. del 18-H, pag. 221 segg., si rivolge bensì contro

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    }Ia ecco sorgere un nuovo corso d' idee, che afferra per primo il Radowitz e :finisce col portar]o fuori del partito. Forse che l'idea nazionale non era anche una fonte del liberalismo, cui non si doveva abbandonarla completamente 1 Il liberalismo, leggiamo 1 ), in quanto si fonda su opinioni materialistiche, va verso la decadenza. Ma le nature più nobili che l'accettano sentono il vuoto eh 'è in esso, cercano una fonte positiva di vita e tengono fermo l'elemento nazionale. Nulla varrebbe a distruggere i concetti falsi ~d astratti, quanto la sensibilità e l'interesse per la storia patria e per gli antichi rapporti giuridici sorti nel paese: ed ecco che questo ragionamento sfociava di nuovo nella massima che la nazionalità ben compresa è un ottimo metodo di conservazione del tempo antico, d: immunizzazione contro i tempi nuovi. A questo risultato una parte non trascurabile del gruppo della Rivista era condotto dalla propria esperienza personale, dai bisogni sentimentali e dal calcolo. E non era, poi, difficile metterlo a posto entro il complesso delle loro dottrine sullo Stato, la Chiesa e Dio, le cose terrene 0- le divine, sì da ottenerne una scala più ricca, una varietà d'idee maggiore di quella che poteva offrire il semplice sistema halleriano. Al culmine stava, naturalmente, la Rivelazione divina, che, come abbiamo veduto, era concepita anch'essa in modo più positivo e ricco di contenuto che non dal Haller. Il diritto, vale a dire la· le aspirazioni politiche dei polacchi sulla Posnania, ma ne vuole conservata la nazionalità. Sull'atteggiamento filopolacco di Federico Guglielmo IV da principe ereditario, v. Leop. v. Gerlach, I, 59, 73; per i Gerlach vedi E. Lod. v. Gerlach, I, 286, 1841; Leop. v. Gerlach, I, 112, 1846. t: coerente che il B. P. W. lamenti la russificazione delle provincie baltiche tedesche, ma è caratteristico al tempo stesso che veda il nemico della nazionalità tedesca in quelle provincie, non nel partito russo-nazionale ma nella burocrazia russa sedicente liberale. (1841, pag. 155). •) B. P. W. 1833, pag. 244.

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    legge di Dio, doveva dunque rimanere fonte tanto della nazionalità quanto dei trattati positivi; ma tra la legge di Dio ed i trattati positivi, cioè lo Stato patrimoniale, entrava ora, membro intermedio, la nazionalità come « vincolo morale, più antico di tutti i trattati positivi e, in certo modo, matrice di essi » 1 ) ; per conseguenza il diritto, prima di divenire visibile nei trattati, esiste « in forma di soffio spirituale incorporeo ». Così, circonfusa per un lato di idee universali, trascendenti, per l'altro di idee affatto particolaristiche, cioè in ambiente prettamente medievale ed essa stessa ancora in parte colorita di Medio Evo, l'idea di Nazione veniva incorporata nel sistema politico del gruppo cui apparteneva il futuro sovrano dello Stato prussiano. l\Ia da quale terreno s'immaginava sorta la nazionalità, che si doveva riconoscere: dalla Nazione territoriale o dalla Nazione culturale? Il problema non è ancora stato posto nettamente, e negli articoli della Rivista troviamo in riguardo parecchia confusione d' idee. Quel che più importava a questi uomini politici imbevuti dell 'aristocrazia di casta, era e rimaneva di riconoscere il principio nazionale nella forma più innocua possibi1e e di evitare ogni e qualsiasi concessione al pensiero nazionale liberale che conduce sull' impervio sentiero della sovranità popolare e della democrazia. I più rigidi membri del gruppo non seppero liberarsi da una certa diffidenza verso il pericoloso contrabbando da esso accettato. Ciò appare in modo molto interessante dalle idee sul nazionalismo, scritte da Lodovico v. Gerlach nel 1844, in viaggio da Dublino a Liverpool, sotto l'impressione del movimento irlandese di Repeal 2 ). Questo movimento apparteneva, come il polacco, a quei moti nazionali che per il loro colore religioso

    •) B. P. W. 1837, pe.g. 299. 2 ) Lod. v. Gerlach, I, 397. Cfr. anche WILDGRUBE, Die polit. Theorien Lud1.vig v. Gerlachs, pag. 66 segg.

    COSMOPOLITISMO E STATO NAZIONALE

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    s'erano attirati la simpatia del gruppo, ma lo avevano preoccupato per la probabilità della loro prossima scomparsa. Ora Lodovico v. Gerlach - storicamente forse non del tutto a torto - attribuiva l'esaltazione delle nazionalità al cristianesimo, e più precisamente alla Riforma 1 ), poichè nei precedenti Imperi mondiali essa era rimasta assorbita. « Progredite come sono ora mercè la lingua e la letteratura, le nazionalità sono importantissime. Esse contendono alla Chiesa di Dio - - essenzialmente universale la sua alta funzione d'essere lo spirito degli Stati. Perciò in questo momento appunto ha tanta importanza e praticità la verità che lo Stato è precedente e superiore alla Nazione, che nasce da esso. Il concetto di Nazione ha, come tutto ciò che è pura natura, qualche cosa di vago e nebuloso, che si accorda appunto con l'attuale spirito panteistico» 2 ). Anche in lui, dunque, si confondevano i connotati della Nazione culturale e della territoriale; ma .finì per dichiarare la Nazione un prodotto dello Stato. Questa scappatoia trovata per deprimere il concetto di nazione, era quella che meglio si attagliava al suo spirito giuristico e normativo, ma era in contraddizione con

    t) Un

    simile modo di pensare ritroviamo ancora in Enrico Leo, il quale, in una memoria preparata per Federico Guglielmo IV, data.ta dall'autunno 1848, riporta la nascita della Nazione tedesca a Bonifacio ed all'opera della Chiesa; la Riforma avrebbe com· pletato la coltura tedesca, ma innestando al tempo stesso una malattia mortale nelle radici dell'unità tedesca. Varrentrapp, Histor. Zeitschrift, 99, 112 seg. 2) Interessante è anche una frase posteriore di Lod. v. Gerlach (aprile 1867; 2, 297) sui concetti di Stato, popolo, re e nazionalità. « Queste parole mal comprese si trasformano sotto le mani in sostanze naturali o idoli, ai quali non si può applicare il diritto divino o l'umano, ma che devono venir giudicati, come mostri o Le· viathani, secondo le loro mirande qualità. Cosi nasce, partorito dal panteismo, il-« vizio del patriottismo>, come lo chiamava mio fra• tello Leopoldo. Di quanta gratitudine sono debitore al Haller fine dal 18171 >.

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    l'altra precedente concezione dei suoi consenzienti, presa dal Savigny e dal romanticismo, secondo la quale, viceversa, il diritto positivo e lo Stato derivano dalla Nazione. Questa fu, anche, la concezione eh 'ebbe il maggior favore nel gruppo ed esercitò la maggiore influenza sul ~uo pensiero politico. Certo, era « vaga e nebulosa»; e poteva apparire pericolosa agli uni e, per la stessa ragione, non pericolosa agli altri, perchè poteva servire a mantenere l'idea nazionale nella sfera delle cose inafferrabili, puramente spirituali, arginarne la tendenza a prender corpo politicamente in forme moderne, e nel tempo stesso derivare da essa e con essa giustificare tutte le antiche forme politiche che si volevano difendere. Guardiamoci però dall'eccessivo razionalizzare, e non dimentichiamo che si potè accogliere l'idea nazionale in questa forma e lasciarle oltrepassare la soglia della coscienza, soltanto perchè essa già incalzava, sospinta con gran violenza dai grandi avvenimenti dell'epoca, dalle impressioni giovanili, spirituali e politiche, del romanticismo e delle guerre di liberazione. Così nacque quello che potremmo chiamare il concetto conservatore di Stato nazionale, in contrapposto al liberale, che traeva la sua forza principalmente dalle idee del 1789. Prima d'inoltrarci ad esaminarlo e definirlo, togliamo dalle colonne della Rivista un altro esempio significativo, che, insieme con i tratti già noti di questo concetto deHo Stato nazionale,. contiene anche quelli che ancora ci dobbiamo chiarire. È una recensione a Federico Lodovico J ahn: . Ma ne avevo parlato troppo isolatamente. 1

    )

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    bene quel che faceva, tenendo lontani dal suo sistema le idee della personalità dello Stato e della Nazione. Accogliendole, sia pure con prudenza, si apriva la porta alle più grandi forze dell'evoluzione moderna, di quell 'evoluzione che con violenza elementare portava a superare lo Stato patrimoniale e di casta. Essi volevano costituire lo Stato patrimoniale e al tempo stesso dar soddisfazione alle idee di una personalità statale della Prussia e della Nazjone germanica, alle quali non potevano sottrarsi; e al disopra di tutto questo, per tenere unito l'insieme e santificarlo, volevano piantare un 'idea superiore, etico-religiosa, universale e trascendente, che doveva regolare non solo la vita dei singoli, ma anche quella dello Stato. Erano troppe cose inconcepibili! E così avviene che la storia di Federico Guglielmo IV e del suo circolo sia nn grandioso processo di decomposizione, che incomincia nel terzo decennio del secolo, raggiunge il suo punto culminante negli anni della rivoluzione, ma, anche dopo domata que~ta, continua con l'epoca di Bismarck, fino alla dissoluzione ed alla trasformazione di tutto questo indirizzo politico. Ed ecco le nostre considerazioni, che vogliono essere una specie d'introduzione tanto alla storia di Federico Guglielmo IV quanto a quella di Bismarck, non lontane ormai dalla mèta. Basterà delineare con pochi tratti il processo di dissoluzione degli anni intorno al 1840, per mostrare come l'idea dello Stato nazionale moderno uscisse alla fine vittoriosa dalle nebbie delle idee universalistiche ed antipolitiche che l'avevano avvolta fino allora. Come esempio dell' intimo dissolvimento dell' ideale di Stato cristiano-germanico, prodotto da concessioni fatte ad elementi dello Stato Nazionale, prendiamo anzitutto le idee intorno ai rapporti tra Stato e Nazione sviluppate da Federico Giulio Stahl nel quarto decennio del secolo, vale a dire negli anni della sua attività in Prussia. Abbiamo veduto · come, dieci anni prima, egli fosse

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    considerato dagli ultrahalleriani un mezzo -reprobo. Ora, trovandosi come docente nella Berlino di Federico Guglielmo IV, ed essendo considerato il più efficace pubblicista e teorico del partito, questo contrasto non appariva più al di fuori, ed anche nella cerchia più intima dei Gerlach lo Stahl era considerato come un consenziente del quale nel complesso ci si poteva fidare e come un valoroso milite dello Stato cristiano contro il liberalismo e la rivoluzione. Non smentì tuttavia neppure allora l '('clettismo, la ricettività che aveva posseduto in passato. Per un lato teneva fermo al fondamento trascendente, religioso, della vita statale, che giustificava la monarchia di casta, sicchè per lui l' « ordinamento storico» era al tempo stesso un « ordinamento divino-umano » e « le disposizioni della volontà superumana, che deve precedere ogni opera dell'uomo », gli apparivano nel diritto storico e nell'autorità legittima. Il liberalismo era ai suoi occhi nel tempo stesso un errore religioso, l'abbandono dei principi della Riforma, che insegnano come il dato superurnano sia dappertutto - non soltanto nella sfera più ristretta della religione - il dato primo e indeprecabile, e vedono nelle azioni umane soltanto una conseguenza secondaria, non una creazione ma un'interiore deriva1 zione ). l\la, poichè egli era fatto più per appropriarsi delle idee che per produrne, volle imparare anche dal liberalismo, e riconobbe esplicitamente come beni positivi, da esso prodotti, il diritto dell'uomo, l 'autonornia della Nazione, l'ordine costituzionale, la forza spirituale della pubblica valutazione della vita ~ 2 ). Egli negò vivamente ed esplicitamente la dottrina di Haller, che fa del potere statale una proprietà privata del principe e risolve lo Stato in un aggregato di rapporti di dominio sovraordi-------

    Philosophie des Rechtes, II, 2. ed. (1846), pag. XV segg. Ho già trattato delle conseguenze quietistiche di quest' idea nel mio scritto cit., a pag. 262. 2 ) Op. cit. pag. XIV. t)

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    nati l'uno all'altro; e riconobbe con gioia che lo Stato ~ un ordine morale superiore, un tutto originario il quale porta in sè la propria legge. Lo Stato è per lui « il popolo costituito in personalità» 1 ) e, nel volerlo veder sostenuto dal vivo sentimento del popolo, ed a sua volta sostenitore, ordinatore e promotore di vita sociale nel popolo, ha indubbiamente dinanzi agli occhi l 'im.magine d'un vero Stato nazionale: naturalmente, uno Stato conservatore, i cui sudditi solo in forza della loro sudditanza sono diventati Nazione territoriale e nel quale la sovranità si fonda su legittime basi storiche. :Ma non fu insensibile all 'idca piìt moderna che anche la Nazione in senso lato, la Nazione culturale, fondata sull'unità della coscienza nazionale, dei costumi e del1a lingua, non è senza importanza per la formazione e delimitazione degli Stati. « Il popolo così inteso - egli dice esplicitamente - è il naturale fondamP-nto dello Stato ». Nelle nuove divisioni di territori, e per quanto non lo impediscano dei diritti acquisiti, dovranno dunque essere n~rmative le federazioni natG.rali e storiche dei popoli. E quando una N azione, per esempio la germanica, si divide in Stati ereditari, « si dovrà mirare ad una unità statale superiore, tanto migliore quanto più forte, entro la quale la comune coscienza nazionale abbia la sua espressione e la sua garanzia». Tuttavia, egli faceva un 'esatta distinzione fra quant'era « conforme a natura» e quant'era « diritto ». Dichiarava il diritto dello Stato affatto indipendente dalla composizione nazionale dei suoi sudditi 2 ), ma anche l' «ethos» dello Stato, vale a dire anzitutto la sovranità legittima e la costituzione storica, superiore alla Nazione, la quale vi deve sottostare 3 ). Ed ecco dunque la tanto decantata autoattività della Nazione respinta entro i conOp. cit. pag. 109. '> Op. oit. pag. 134. 3) Op. cit. pag. XVI seg. 1)

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    fini del diritto legittimo tradizionale; ed ecco il desiderio di una più robusta unità politica della Nazione tedesca, desiderio tanto pericoloso per questo diritto, risospinto tra i pii desideri. Eppure se ne parlava sempre e lo si riconosceva, e si veniva così a costituire un elemento estraneo entro lo Stato conservatore, di diritto e d'autorità. Le idee nuove e ricche d'avvenire appaiono spesso come elemento estraneo in mezzo ai vecchi concetti tradizionali, e tutto dipende dal grado in cui esse sanno affermarsi e farsi strada fra quelli. Lo provò la mentalità politica dello Stahl, quando gli avvenimenti del 1848 la misero alla prova. Si vide allora, in primo luogo, che l' id,~a della nazionalizzazione interna del singolo Stato tedesco storicamente formatosi, idea propria della mentalità conservatrice dello Stato nazionale, penetrava sino al fondo dei suoi pensieri e dei suoi desideri. Quest'idea era capace di compensare in lui l'origine non prussiana, tanto che egli divenne, come vedremo nella seconda parte di questo libro, uno dei più strenui difensori della personalità dello Stato prussiano contro gli alti e bassi del movimento nazionale germanico, che facevano pressione su di essa come un elemento ora amico ora ostile. Egli era anche disposto ad una riforma costituzionale dello Stato prussiano, che escludeva, è vero, recisamente il parlamentarismo puro, il predominio delle maggioranze parlamentari, ma riconosceva la limitazione della monarchia per opera della rappresentanza popolare, la collaborazione del regime sovrano autonomo con la volontà popolare. E se anche, per costituire questa volontà popolare, nella formazione delle due Camere voleva una forte rappresentanza degli elementi conservatori del popolo, tuttavia il suo programma rappresentava nel complesso un notevole passo verso il costituzionalismo moderno 1 ). 1)

    Die Be-volution unà àie konditutionelle

    M onarohie, 1848,

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    I tratti caratteristici dell'idea conservatrice di Stato nazionale appaiono anche nella posizione da lui presa di fronte all'idea nazionale tedesca. Noi ce l'abbiamo, dichiara 1 ), non con la causa ,della Germania, ma con la causa della rivoluzione. La vera rmione della Germania, che conservi le vere, gloriose caratteristiche della Nazione tedesca, può fondarsi solo sul profondo rispetto dei diritti acquisiti, dei rapporti gerarchici creati dall'ordinamento sociale, sull'autonomia dei gruppi minori contro il pericolo d'una falsa centralizzazione, sui vincoli di fedeltà personale fra principi e popolo, sulla fede cristiana considerata sempre come centro anche della vita pubblica. Si osservi come l'idea storico-romantica del genio nazionale, della nazionalità che genera le caratteristiche, ritorna qui in giuoco contro l'idea della sovranità popolare. Non c'era soltanto abilità di tattica, ma anche, lo sappiamo, un nocciolo di verità, nella domanda fatta trionfalmente: « Questi profondi tratti caratteristici della nazionalità tedesca non sono essi, se mai, aboliti dai ferventi della Costituzione di Francoforte, in favore d'ideali cosmopolitici 1 ». Così avveniva che, di qua e di là, nel campo conservatore come in quello liberale, l'idea nazionale era accompagnata da concetti universali, qui di natura religioso-trascendentale, là di colore terreno e razionale. SALZER, Btahl und Rotenha;n, Histor. Viertelja.hrschr. 14, 214. Secondo questo scritto, lo Stahl avrebbe sostenuto in massime. queste idee ancor prima della rivoluzione del '48, nel suo scritto sul Principio monarchico, del 1845. È un fntto che lo Stahl vi si dichiara convertito al e:nuovo sistema delle classi, epperò costituzionale>, ma come dimostrò il MICHNIEWICZ, Btahl und Bismarck (1913), pag. 36 segg. e 97, in alcuni punti essenziali rimase molto addietro in confronto alle idee del 1848. ') Die deutsche Reiclisverfassung, 2• ed., 1849, pag. 49. La questione è l!ltata trattata recentemente da HERBERT SCHMIDT, F. J. Stahl unà die deutsche Nationalstaatsidee, 1914, più diffusamente di quanto sia posaibile fare qui.

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    Nell'idea nazionale dello Stahl questo elemento universale era meno palese, ma non mancava. Come ai politicanti del « Berliner Wochenblatt », i principi religiosi introdotti nella vita dello Stato gli servivano a infrenare il principio tedesco-nazionale ed a proteggere il diritto storico degli Stati singoli dalle conseguenze di esso. Ed anche in lui è evidente quanto abbiamo tante volte osservato: l'intrusione d'ideali non politici nella politica turbava la chiarezza delle concezioni politiche, indeboliva il senso di quanto era politicamente possibile e vitale, e lo indeboliva sopratutto quando si trattava di creare cose nuove. Sul saldo terreno dello Stato prussiano lo Stahl si moveva ancora con senso politico sicuro, e del suo tatto diede prova anche nel difendere gli interessi. dei singoli Stati confederali contro la tendenza unitaria della Costituzione di Francoforte. 1\ila era più forte nella critica della costituzione che nelle proposte positive. Alle due questioni principali dei rapporti della Prussia con la Germania, da un lato, e di quelli della Prussia-Germania con l'Austria dall'altro, rispose con evidente incertezza e con proposte oltremodo poco solide e prive di fondamento. La Prussia doveva essere o no potenza egemonica in Germania? La sua risposta fu un si ed un no al tempo stesso; si, diceva la parte d' anima prussiana eh' era in lui; no, la sua anima non politica e germanica. Della presidenza prussiana dell'Impero, com 'era espressa nella Costituzione dei tre He, del 26 Maggio 1849, disse: « Simile preminenza d'uno Stato non è proprio quello che si desidererebbe come ideale e come sistemazione armonica di tutta la Nazione tedesca» 1 ). Ma, aggiunge, la cosa non s'è potuta evitare. Si e no ad un tempo egli dice anche riguardo all'esclusione dell'Austria dalla Confedecit., non contraddice alla mia interpretazione. Vedi anche MICHNIEWCIZ, op. cit., p. 141 e W. Qp. ') Op. cit., pag. 49. BALZER, op.

    PERUANN,

    Stahl, Arch. f. o:ffentl. Recht, 34, 92.

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    razione gel'manica più ristretta. Non è da deplorarsi, dice, nella forma in cui la voleva il Parlamento di Francoforte, cioè conservandosi un rapporto confederale più ampio tra Germania e Austria. Se però, aggiungeva, l'Austria si dichiarasse disposta ad adempiere a tutti gli obblighi dei nuovi Stati confederali, non si potrebbe vietarle di entrarvi; nel qual caso gli altri principi tedeschi potrebbero insistere per il predominio della Prussia, e l'Austria non avrebbe nessun diritto d'opporvisi. Non occorre richiamare l 'attenzionc sul modo impratieo e dottrinario col quale si confondono qui problemi di diritto e problemi di potenza. Ed anche più ingenua appare la proposta di concedere all'Austria, se volesse entrare nella Confederazione germanica e riconoscere il predominio prussiano, una certa influenza in Germania, p. es. il diritto di partecipare alla guarnigione delle fortezze della Germania meridionale 1 ). La fonte degli errori politici stava anche qui, come già nel Humboldt e nello Stein, nel creder che si potesse creare un 'unità politica del1a Nazione tedesca, senza che occorresse darle i contorni saldi e sicuri d'una personalità statale autonoma. Così forte era la ripercussione del fatto che la Nazione germanica aveva sentito e creato la propria unità anzitutto e sopra tutto come unità spirituale e al tempo stesso, non dobbiamo dimenticarlo, come unità guidata da idee universali, le quali, attirando gli sguardi troppo in alto, diminuivano la sensibilità per la realtà della for1~. Questo fu anche, in gran parte, il guaio della politica germanica di Federico Guglielmo IV. Sarebbe troppo lungo sviscerare qui tutte le cause da cui deriva, esaminare le debolezze del carattere del principe, le contraddizioni della sua volontà, le difficoltà del problema germanico-prussiano, gli impacci determinati dalla situazione della Prussia in Germania ed in Europa. Qui im1)

    Op. cit., pag. 86 scgg., 91.

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    porta soltanto additare il terreno spirituale dal quale sorse il suo ideale nazionale. Nel modo come ne fonde i diversi elementi, come colora tutti gli elementi, sia ideali che politici, con grande fantasia decorativa, troviamo il suggello personale del suo spirito; ma quegli elementi possono essere ricondotti quasi tutti alle idee ed ai concetti che conosciamo fin dal primo romanticismo. In capo a tutto sta il desiderio di rinnovare il Sacro Romano Impero di nazione germanica, col suo carattere ad un tempo universale e nazionale. L'idea che sempre ritorna in lui, dover l'Austria ripristinare e portare ancora la corona di Carlo l\lagno, era molto più che un tentativo di far balenare dinanzi ai rivali tedeschi l'apparenza del potere, per assicurarne la sostanza alla Prussia. Sarebbe stata una trovata balzana, quella di voler risolvere la questione germanica con lo scindere l'apparenza dalla sostanza del potere; ma l'Impero romano-germanico era ai suoi occhi tutt'altro che una lustra! Lo chiama, bensì, un « miraggio», ma al tempo stesso lo dichiara una « grande realtà » 1 ). Il Radowitz, parlando dei primi anni di regno di Federico Guglielmo IV, dice che questi avrebbe fatto qualsiasi sacrificio per costituirlo; arrivava persino a considerare la possibilità d'una g!'ande guerra vittoriosa che gli preparasse il terreno. « E poi _la sua idea è: volontaria sottomissione alla dignità imperiale austriaca, della quale egli avrebbe dato per primo l' esempio, e costituzione ~ 'una Confederazione germanica, col concorso del Papa ». Connesso con questo era « l'ideale d'una grande lega di tutti gli Stati d'Europa, con lo scopo ben determinato di rivolgere le forze unite contro ogni pretesa ingiustificata, contro ogni violazione della pace» 2 ). Qui ci ricordiamo subito d'aver letto cose. consimili nel Novalis, in Federico •) Leop. v. Gerlach, I, 272 (gennaio 1849). Dalle note del Radowitz tra il settembre 1840 e il settembre 1841, HASSEL, Radowitz, I, 76. 2)

    COSMOPOLITISMO E STATO NAZIONALE

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    Schlegel e Adamo Miiller, e sentiamo che Federico Guglielmo IV è più vicino ai poeti ed agli scrittori del principio del secolo che non agli scrittori politici della Rivista e del gruppo dei Gerlach, praticamente più scaltriti. È pure possibilissimo, come già s'è pensato 1 ), che la stessa sua idea di concedere al re di Prussia i massimi onori dopo l'imperatore e di farlo generalissimo dell 'lmpero germanico, abbia la sua origine in altra idea, espressa a suo tempo dal Gorres nel « Rheinischer Merkur » 2 ) • 1\'Ia non importano affatto le singole derivazioni e dipend~nze, qui, dove tutto il profumo delle sue idee germaniche ricorda l'agitato periodo della sciagura e del risorgimento nazionale, e dov 'egli dimostra ad esuberanza come quegli avvenimenti abbiano acceso in lui l 'ardorc del sentimento tedesco. Raramente lo sentiamo tanto umano, tanto naturale anche nella sua enfasi, come quando ci narra come l'amore per la Germania gli viene dalla sua madre dolente, com 'egli sia attaccato alla Germania dallo stesso amore da cui si è attaccati al nome della propria madre incomparabile, e da cinquant'anni questa parola lo trafigga coi brividi dell'entusiasmo 3 ). Nei suoi ideali germanici egli rimase per tutta la vita il ') SIMS0N, Ed. Simson, pa~. 172. negli Scritti Politici del Gorres, 2, 146: « Al) Riprodotta I 'Austria compete la dignità imperiale per la sua potenza, la sue forza, ed i suoi meriti passati.. .. Il primo posto dopo di essa spetta, secondo giudizio unanime dell'intero popolo tedesco, alla Prussia; e poichè la Casa di Prussia fin dall'origine si è data alle armi e si è piaciuta del gioco della guerra, il suo re sia eletto Generalissimo ereditario dell'Impero». Anche Achim v. Arnim, nel Rhein. Merkur del 21 febbraio 1815, designa il re di Prussia come generalissimo dell'Impero. HERMA BECKER,À. 1'. Àrnim in den wissenschaftlichen und politischen Stromungen seiner Zeit, pag. 80. 3) Lettera a Bunsen, 7 aprile 1849. RANKE, Àus dem Briefwechsel Friedrich Wilhelms mit Bunsen, pag. 217, Op. complete 49-50, pag. 519. A Dahlmann, 15 maggio 1848: SPRINGER,Dahl· 1nan1•2, 247. 2

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    1. MEtNECKE

    giovane che li aveva fatti suoi - eterno giovane nel senso buono come nel cattivo - e sempre conservò quello stato d'animo tra il sonno e la veglia, cullando sempre le dolci illusioni dei suoi primi anni. E poichè in quell'età così ricca di germi spirituali, così piena d'ideali politici e non politici, anche uomini più vecchi e più maturi di lui s'erano lasciati andare a illusioni consimili, non può farci meraviglia che nella politica germanica del re rivivano non solo il Novalis, Federico Schlegel e il Gorres, ma perfino il barone di Stein. La comunanza di certi massicci errori è la miglior prova della comunanza del fluido spirituale che avvolgeva i due uomini così profondamente diversi. Vediamola, dunque, ancora una volta, analizzandola in questi due eminenti esempi tratti dal principio e dalla fine di quel periodo. È comune al re ed al barone di Stein il concetto ad un tempo universalistico ed idealistico, che gli Stati europei dovessero e potessero formare una salda Lega contro quelle potenze che minacciavano la pace ed il diritto. Il nucleo positivo di quest'idea era la profonda diffidenza contro la Francia, che nello Stein derivava da sentimenti nazionali ed etici, in Federico Guglielmo IV da sentimenti nazionali ed antirivoluzionari. Comune era in essi inoltre l' idea del rinnovamento dell'antico Impero, e per quanto il contenuto ne fosse essenzialmente diverso, nell'uno etico, nell'altro poetico-decorativo, è innegabile la comunanza di un certo sentimento storico fondamentale. Ambedue erano penetrati profondamente della millennaria continuità nazionale della Germania, della necessità di riannodarne le fila strappate, di riattaccarle per quanto possibile alla grande età del suo passato, o da essi ritenuta tale: alla magnificenza imperiale del Medio Evo. A quella si richiamarono ambedue nelle ore in cui i loro sentimenti tedeschi erano più agitati: lo Stein nella Memoria del 18 settembre 1812, Federico Guglielmo IV nel preparare la risposta alla Deputazione imperiale di

    COSMOPOLITISMOE STATO NAZIONALE

    259

    Francoforte. Qui egli si richiama esplicitamente e alla millennaria origine, ai millennari diritti consacrati>, in base ai quali deve seguire l'elezione dell'imperatore. « Millennario sembrerà loro troppo apocalittico» - egli disse, rivolto ai suoi ascoltatori, più prosaici di lui - «ma è vero alla lettera » 1 ) • È comune ad ambedue anche il concetto che il diritto storico abbia da decidere a quale delle due grandi Potenze tedesche spetti la dignità imperiale. Tutt'e due decisero in favore dell'Austria, quantunque sì l'uno che l'altro, per la loro appartenenza, avrebbero dovuto votare per la Prussia. Nello Stein, suddito diretto dell' Impero, la cosa appare più comprensibile che nel principe della Casa Hohenzollern; ma forse questo suo mettere in seconda linea la propria ambizione prussiana può spiegarsi col fatto che la Corona imperiale romana, eh 'egli voleva rinnovata, non era ai suoi occhi una dignità esclusivamente nazionale, ma era ad un tempo universale, e che, comunque, egli la poneva al centro della sua sognata Lega degli Stati europei. Lo Stein, come abbiamo veduto, era mosso ad attribuire la dignità imperiale al1'Austria, oltre che da una ragione storico-romantica, anche dall'altra, di tenere più stretta alla Germania l 'Austria, che i propri interessi spingevano fuori della Germania stessa. Gli identici concetti troviamo anche in Federico Guglielmo IV. « Dobbiamo costringere l'Austria ad essere tedesca» dichiarava sul principio del suo regno al suo confidente Giuseppe de Radowitz 2 ), parlandogli dei suoi sogni imperiali. Così egli passava sopra anche alla realtà della politica antigermanica dell'Austria, nella fede che si potessero superare gli interessi egoistici dello

    t) Leop. v. Gerlach, I, 309; v. POSCHINGER, Unter Friedrich Wilhelm IV, I, 89. 1) Hassel, I, 76 e 311; vedi anche il mio libro e Radowitz 1mc:i

    die deutsche Re-volution ~, pag. 53, 87.

    260

    P. MEINECXE

    Stato singolo mercè le grandi idee che uniscono gli Stati fra di loro; idee che qui avevano un lato nazionale ed uno universale. Con questa mentalità si spiegano anche le strane contraddizioni del programma di riforma della Confederazione, redatto dal Radowitz nel senso voluto dal re, il 20 novembre 1847. Qui, mentre fa la spiacevole constatazione che l'Austria è troppo estranea agli intimi interessi, alle gioie e ai dolori della Germania, per poter resistere e cadere con questa, dall'altro canto l 'autore e più ancora il suo ispiratore, non possono liberarsi dall'illusione che I 'Austria, la Prussia e la Germania unite possano e debbano formare un tutto nazionale fortemente vitale 1 ). Sappiamo già dallo Stein che tale ili usionc aveva radicai non soltanto spirituali ma anche reali, nelle esperienze e nelle necessità politiche delle guerre di liberazione del 1813; sicchè si può dire che nel complesso la politica di riforma confederale di Federico Guglielmo IV, in quanto era dettata dalle sue idee personali, fosse una lontana eco della generosa ma utopistica politica nazionale dello Stein e dell'epoca delle guerre di liberazione. Essa era, al tempo stesso, è vero, il preludio all 'epo~a bisrnarckiana, in quanto conteneva già i germi dell'ambizione egemonica prussiano-germanica; ma questi germi erano la~ciati in ombra e respinti da quell'etica religiosa dell'idea di Stato, che per lui e i suoi amici cristianogermanici valeva come rigido indirizzo anche nella politica pratica. L'ambizione prussiana e le aspirazioni tedesche dovevano tacere dinanzi all'idea universale del predominio cristiano. Ecco come il Radowitz fa parlare il re nei suoi « Neue Gesprache », epilogo agli avvenimenti del 1848-50: « Riconosco che la fondazione d'una vera comunità di vita è un giusto postulato della Nazione ed una vera missione per la Prussia. Ma al di sopra di questa, 1)

    50, 50.

    R~DOWITZ,

    Deutschland wnd Friedrich W·ilhelm IV, pag. 44,

    COSMOPOLITISMO E STATO NAZIONALE

    261

    più alto di ogni cosa, sta per me il comandamento di Dio, di non stendere la mano verso il possesso altrui .... Considero l 'unificazionc della Nazione cosa inesprimibilmente alta, e tale l'ho considerata da quando sono stato capace di pensare e di sentire; ma ancor più in alto pongo i miei doveri di re cristiano. E le due cose sono distanti fra loro come il ciclo e la terra. Queste non sono sentenze, ma comandamenti. Così la penso e non potrei altrimenti» 1 ). Un esempio della politica germanica del re, preso dai mesi che precedettero la disfatta di Olmiitz, ci dimostrerà ancora una volta gli errori in cui potè cadere una mentalità politica che aveva risolto il senso dell 'autonomia dello Stato e della Nazione nelle idee d'una Comunità universale etico-politica degli Stati. Si era nella primavera del 1850, ed a Berlino si doveva pensare seriamente alla possibilità di uno scontro d'armi con l'Austria, che di proprio arbitrio aveva rinnovato la Dieta. Nella seduta di Consiglio del 21 aprile 1850 il Radowitz espose la situazione, chiedendo che si protestasse contro il procedere dell'Austria, ma aggiungendo subito dopo: « Anche in questo caso si può sempre evitare il pericolo d'una rottura violenta, mercè un congresso dei garanti dei trattati di Vienna, con la partecipazione dei Governi tedeschi. Ad un tale Congresso la Prussia s'inchinerà, senza vederne sminuito il proprio onore, molto più facilmente che alle pretese dittatoriali dell'Austria cd a1le deliberazioni di una Dieta nella quale l'Austria ha la maggioranza ». Ed il re dichiarò, approvando, nella seduta del 7 maggio: Così facendo, e chiamando arbitre le grandi Pofonze europee, la Prussia « darà la prova irrefutabile di non temere alcun sagrificio, pur di conservare la pace. Essa si contrapporrà, messaggera di pace, al1'Austria minacciante guerra» 2 ). •) I, 206 (1815). 2

    ,

    Protocolli delle sedute consigliari nell'Archivio della Fa-

    262

    'l'. MEINECKE

    Si considerava dunque un'onorevole via d'uscita, quella di lasciare che le Potenze estere discutessero e decidessero dei destini della Germania e della Prussia. Qui non è il caso d'imprecare, ma di cercar di comprendere. Quando ricordiamo che perfino all'orgoglioso Stein non ripugnava di porre la costituzione nazionale della Germania sotto la garanzia delle Potenze estere, quando ci richiamiamo alla memoria tutto il complesso di quest 'idee, in una parola, quando - secondo il nostro obbligo di spettatori - giudichiamo non dal punto di vista nazionale, ma da quello storico, vediamo in tutto ciò un tragico fato, conseguenza di profonde e complesse cause interne. Ma era tempo che le membra dello Stato e della Nazione venissero finalmente liberate dai ceppi che le avvincevano; e noi, passiamo ad esaminare il movimento d'idee che preparò quest'opera di liberazione. miglia reale. Ne troviamo un cenno in R.Anow1Tz,Bohriften, 2, 249 seg.; vedi il mio libro « Radowitz und die deutsche Bevolv,· tion >, pag. 342 seg., 417 seg., 429 segg., 461. Che il re volesse tuttavia porre certi limiti alle garanzie della Confederazione da parte delle Potenze europee, appare dall'atteggi.amento da lui as• sunto alla fine dell 'anno 1850, allorchè 1'Inghilterra fece mostra di protestare contro l'entrata nella Confederazione dell'Austria e della Prussia con tutti i loro territori. V. PoscHINGER, Preussens avswiirtige Politik, 1850-58, I, 4 7; Leop. v. Oerlach, I, 572.

    CAPITOLO XI.

    IIEGEL.

    La liberazione del pensiero politico dalle idee unive1·sali, non politiche, non fu opera di singoli, come non lo era stato il precedente incatenamento. Nell'un caso e nel1'altro si tratta di trasformazioni generali del pensiero e del sentimento in Germania, trasformazioni la cui ampiezza ed il cui contenuto - posto che si tratta di vita individuale - non potrebbero essere esaurientPmentc esaminati nemmP.no dalla più ampia narrazione storica. Il problema che qui trattiamo, non è che una parte del problema generale infinitamente complesso dell'origine dello spirito moderno e specialmente del passaggio dal pensiero costruttivo all'empirico, dall'idealistico-speculativo al realistico. Le cause di queste trasformazioni fluiscono da innumerevoli fonti, ma acquistano più robusta espressione soltanto quando una grande personalità, con passo da conquistatore, trascina seco le piccole sorgenti minori e le accoglie nel suo grembo. Osiamo segnare qui i nomi dei tre grandi liberatori dello Stato: Hegel, Ranke e Bismarck. Potrà parere arrischiato nominare il grande sistematico, colui ehe compiè il movimento idealistico e speculativo, insieme coi due grandi empirici. Ma è dono del Hegel di riunire in sè gli opposti, di costituire una sintesi di

    264

    F. MEINECD

    tutte le idee che si agitavano nel suo tempo, di ripresentarle, raccolte sotto la sua mano potente, in un quadro unitario che dopo di lui dovrà dissolversi ancora. Tuttavia, il fatto chr, le cose più diverse poterono esistere e coabitare in lui, ha avuto per l'avvenire un 'efficacia che si può chiamare P-minentemente pedagogica. Conservatori, liberali e radicali, pensatori storici e dottrinari, nazionali e cosmopolitici, poterono imparare qualche cosa dal suo sistema, e sfruttarlo poi, unilateralmente, per i loro fini particolari, pur conservando ancora brandelli del grande insieme al quale originariamente erano stati uniti e che servirono poi da ponti per ritornare a quel sistema cui prima avevano rinunziato e forse combattuto. Gli btimoli del Hegel fruttavano, qualunque fosse il terreno in cui erano trapiantati. Così la sua teoria dello Stato potè esercitare un 'influenza su tendenze diametralmente opposte e spargere fruttuosamente in ogni direzione qualche cosa delle verità non caduche in essa espresse. Tra i grandi pensatori del secolo XIX, che insegnarono la sensibilità per lo Stato, la convinzione della necessità, della grandezza e della dignità morale dello Stato, il Hegel occupa il primissimo posto. Qui ci occuperemo soltanto di quelle parti della sua dottrina dello Stato, che rispondono ai nostri problemi particolari. Ci troviamo subito trasportati nella ben nota atmosfera del romanticismo, quando sentiamo che lo Stato è individualità, totalità individuale 1 ). Non si può prendere una singola sua pagina ed esaminarla isolatamente: per lui la costituzione di un popolo è intimamente connessa con la sua religione, la sua arte, la sua filosofia, e forma con queste e eon tutti gli elementi esterni, clima, t) Per già citato divide, si senschaft,

    la posizione di Hegel rispetto

    al romanticismo vedi il pag. 8 seg. In quanto a ciò che ne lo

    scritto del BRIE, veda LANDSBERG, Geschichte der àeu,tsohen Bechtswisparte 3•, tomo II, pag. 347 seg.

    COSMOPOLITISMO E STATO NAZIONALE

    265

    vicinato, posizione nel mondo ecc., una sola sostanza, un solo spirito. Questa sostanza spirituale è, in ultima analisi - egli c'insegna d'accordo con la scuola storica del diritto - il « genio nazionale», dal quale proviene tutto quanto esiste nello Stato 1 ). Ma questo « genio nazionale » del Hegel è soltanto affine, non identico a quello dei romantici e del Savigny: esso è tratto dal buio misterioso dell'incosciente alla chiara luce del panlogismo hegeliano. Non fa la parte d'una madre, amata con venerazione, ma della moglie, che deve partorire eredi al re; ed è razionalizzato in quanto è trattato uricamente come mezzo per raggiungere un fine, come « elemento per la transizione allo Stato » 2 ). Stato e popolo sono per lui così strettamente legati, che gli sembra che già nell'esistenza stessa d'un pQ.polo stia lo scopo sostanziale d'essere uno Stato, e che un popolo il quale non abbia formato uno Stato sia senza storia 3 ). Con ciò non vuol certamente dire che ogni Nazione, se vuol avere una storia, debba crearsi uno Stato nazionale unitario, ma intende evidentemente, nel senso di quella che abbiamo chiamato la concezione conservaPhilosophie der Geschwhte (op. IX, 44 e 50); Enzyklopiidie der philosophisohen Wissensohaften, § 540 (3• ed., pag. 535). 2 ) Così il Landsberg, op. cit., mentre il parere di Loening (In• tern. Wochenschr., 1910, pag. 84) che il genio nazionale del Hegel sia, semplicemente, lo Stato, va un po' troppo in là e si fonda sopra un solo atteggiamento del H. Intorno alle più sottili diramazioni del suo concetto di genio nazionale cfr. il K.ANTOROWICZ, Histor. Zeitschr. 108, 316 sgg. e sull'origine di esso vedi ora specialmente RosENZWEIG, H egel u. der Btaat (1920) I, 21 sgg. 166 seg., 233 segg.; II, 180 segg. ROSENZWEIG UND HELLER, Hegel und der nationale Machtstaatsgedanke in Deutsohland (1921) hanno anche analizzato a fondo l'origine e lo sviluppo del concetto hegeliano dello Stato come potenza, cosa che non potevo fare nel mio libro, non posso però consentire in tutte le concezioni del Heller. 3 ) Enzyklopadie, t 549. Philosophie des Beohtes, t 349-35!:! (Op. pag. 434 seg.). 1

    )

    266

    J'. MEINECEE

    trice dello Stato nazionale, che dallo spirito del popolo debba uscire una vita statale in qualche modo corrispondente. Nel considerare lo Stato egli lascia da parte seguiamo per il momento soltanto una direzione del suo pensiero, la storica - ogni schematismo, tutto quel voler rifare e correggere artificialmente, propri dell'illuminismo, e rironosce energicamente la particolarità e le caratteristiche- d'ogni formazione statale. « Lo Stato non è un 'opera d'arte: esso sta nel mondo, e perciò nella sfera dell'arbitrio, del caso e dell'errore, e la cattiva condotta può deformarlo per diversi riguardi. l\ia l' uomo più brutto, il delinquente, l' ammalato, lo storpio, è pur sempre un uomo vivo: I 'affermativo, la vita, esiste nonostante i difetti, ed è di questo affermativo che qui si tratta» 1 ). Ciò che dà allo Stato questa vita particolare, cattiva o buona, ma comunque sempre pulsante, è - pare questa l'esatta interpretazione - il principio nazionale, non nel senso della Rivolu-. zione francese poichè il popolo dell'ideale democratico per lui non è che un aggregato di privati, soltanto vulgus, non popuhts e, come vulgus, soltanto una forza cieca ed informe 2 ), ma nel senso storico, in quanto l'eredità spirituale di tutto il passato d'un popolo opera in esso, insieme con le sue necessità di vita presenti e future. E, affinchè egli possa sostenersi e progredire nel mondo, il Hegel gli riconosce anche il diritto all'autonomia assoluta e alla difesa dei propri interessi verso l'esterno. « Come individuo singolo, esso è esclusivo, contro altri individui consimili» 3 ). Nei rapporti degli Stati fra di loro non vi è un pretore che decida e giudichi che cos'è giusto, ma vi sono soltanto autonomie contro autonomie: per Phùosophie dea Bechtes, t 258 (Op. 8, 320). ) EnzyklopiicUe, t 544. ') E-nzyklopaài.e, t 545; Philosophie àes Beohtes, 1) 2

    8, 424).

    t

    330 (Opere

    COSMOPOLITISMO E STATO NAZIONALE

    267

    tal modo anche la guerra ha il suo pieno e definitivo riconoscimento da parte della grande filosofia tedesca, e ottiene il suo posto in una concezione :filosoficache, come nessun 'altra, mirava a conoscere il senso razionale del mondo. Per conseguenza il concetto kantiano della pace eterna ottenuta mercè una lega di Stati intesa ad appianare ogni questione, era per il Hegel null'altro che un sogno; perchè, come potrebbe sussistere un accordo durevole tra gli Stati, quando in ognun d'essi vive una particolare volontà sovrana 1 1 ). E delle leghe tra vari Stati, sul genere della Santa Alleanza, diceva: « Sono sempre relative e limitate, come la pace eterna ~ 2 ). Egli sapeva bensì, e lo faceva rilevare, che, specialmente fra le nazioni europee, esiste una certa comunanza di carattere, che influisce an·che sui reciproci rapporti di diritto internazionale e ne attenua la nuda lotta d' interessi, combattuta senza riguardi. Ma quest' att~nuazione della lotta per la superiorità politica, badiamo, non significa un intralcio posto alla politica autonoma delle singole personalità statali inte3e ad assicurarsi il predominio, bensì è piuttosto una libera conseguenza della comunità culturale europea, del « principio generale della sua legislazione, dei suoi -costumi, della sua cultura» 3 ), non è imposta agli Stati dal di fuori, da un 'autorità superiore che ve li costringa, ma nasce dalla loro vita interiore, dalla loro naturale affinità etico-spirituale. È anch'essa, in ultima analisi, d'origine autonoma, non eteronoma. In queste idee del Hegel sui rapporti degli Stati fra loro, parla una vera sensibilità empirica, un 'acuta intelligenza storico-politica. È una delle caratteristiche piùnotevoli della sua filosofia, questa di lasciare entro le proprie costruzioni, nonostante il suo carattere razionale ecoPh,ilosophie des Beohtes, ') Op.· cit., t 259 (8, 321). 1 } Op. oit., t 339 (8, 430). 1

    )

    t

    333 (Opere 8, 427).

    268

    1'. MEINECXE

    struttivo, così libero giuoco, cosi netto riconoscimento al1e forze empiriche, che non sempre sono razionali. « Nei rapporti reciproci tra gli Stati, appunto perchè si tratta di Stati particolari, appare nelle sue forme più evidenti il giuoco estremamente movimentato dell' intima particolarità delle passioni, degli interessi, dei fini, dei talenti e delle virtù, della violenza, dell' ingiustizia e del vizio, non meno che della casualità esteriore » 1 ). Ciò non gli impediva di pensare che, alla fine, tutto deve servire alla realizzazione della ragione. È nota la sua filosofia della storia, che cerca di dimostrare, col massimo rigore, i gradi di sviluppo dello spirito universale nella storia stessa, di trasformare in ispirito tutta la materia della realtà, di fare del movimento di questa il movimento stesso del pensiero. Per tal modo egli costruiva al di sopra del mondo storico tutto un possente edificio d'idee; tanto, che finisce per sorgere il dubbio, se forse alla lunga non gli abbia tolto luce ed aria, se in ultima analisi non abbia fatto violenza alla peculiarità della vita storica, eh 'egli sembra riconoscere così pienamente. E questo ci condurrebbe a domandarci se anche nei suoi concetti di Stato e di Nazione non torni a far capolino l'antica tendenza universalistica, oscurando di nuovo la pura conoscenza empirica. Dovremmo rispondere affermativamente. Una delle idee principali della sua età, nella quale le idee cosmopolitiche andavano commiste con le nazionali, è ancor viva in lui ed assume nella sua :filosofia della storia una forma nuova e particolare: l'idea d'una Nazione dell'umanità. Non eh 'egli credesse, come già il Fichte, lo Schiller e, fino ad un certo punto, il Humboldt e i primi romantici, che la Nazione tedesca fosse, senz 'altro, la Nazione dell'umanità, la Nazione universale; ma egli pensava che in ogni epoca della storia e 'è stato un « popolo storico», in cui si esprimeva il grado di pro1)

    Philosophie àes Beohtes,

    ~

    340 (8, 430).

    COSMOPOLITISMO E STATO NAZIONALE

    269

    gresso raggiunto dallo spirito universale in quel momento. Questo gli dà un diritto assoluto, contro il quale gli spiriti degli altri popoli sono inermi: il diritto che il popolo storico sia anche il popolo egemonico 1 ). Il Hegel non pensava, qui, addirittura al diritto empirico dei popoli e al predominio concreto, ma vedeva le diverse nazioni dinanzi al foro dello spirito universale assoluto, e da esso distribuiva loro diritti ideali di legalità e di predominio. Se non che alla sensibilità storica pura anche questa classificazione e stima delle nazioni deve sembrare rigida e intollerabile; perchè, se anche non tutte le nazioni hanno egual valore per lo storico, egli riconosce tuttavia in ogni nazione evoluta un valore storico suo proprio cd insostituibile, poichè ogni personalità storica ricca di contenuto è insostituibile. Il concetto hegeliano conseguentemente sviluppato, portava a privare tutte le individualità della storia del loro particolare diritto, a farne dei semplici strumenti inconsci, dei funzionari dello spirito universale. Era questo appunto che allontanava il Rankc dal Hegel. Tutti gli uomini, disse una volta il Rankc, non sarebbero a questo modo che ombre o schemi, da riempire con l'idea: e le epoche successive, e le successive generazioni dell'umanità ne sarebbero quasi mediatizzate, nè avrebbero più importanza per se stesse. « Io, invece, sostengo che ogni epoca risale direttamente a Dio e il suo valore non dipende da quello che ne deriva, ma dalla sua stessa esistenza, dal suo proprio Io » 2 ).

    Philosophie des Rechtes, § 347 (8, 433); Enzyklopiidie, ~ 550. Il HELLER, Hegel und der nationale Machstaatsgedanke, pag. 130, nega a torto il carattere universalistico di questa teoria e dice, togliendole finezza: « Lo spirito universale in Hegel non è che l'espressione della giustificazione morale della potenza secolare in senso nazionalistico ». In una cosa sola sono d'accordo con lui, cioè che l'universalismo del Hegel non « unisce i popoli ~2) Ueber die Epochen der neueren Geschichte, pag. 5 e 7. 1)

    270

    F. MEINECXE

    Ciò valeva anche per il « proprio Io » dello Stato e della Nazione. Con la mirabile duplicità che informa tutta la sua filosofia, il Hegel lo aveva ad un tempo riconosciuto e negato: gli aveva dato tutta la libertà immaginabile nella sfera della realtà cosciente, per poi incatenarlo più stretto nella sfera superiore dell'assoluto. Lo Stato e il mondo storico in genere hanno in lui una duplice vita: di apparente libertà nella realtà, di reale servitù nel regno dello spirito. Fu, ad ogni modo, un grande progresso di fronte al Fichte, il non aver diviso il mondo storico in due metà, anzi l'aver trasferito nella sfera trascendentale l'esistenza razionale, che questi aveva voluto ammettere già in terra. Si può dire che da ciò veniva diminuita la pressione esercitata dalle idee sulla realtà, la quale godeva per tal modo di libertà maggiore; ma questa libertà nel Hegel non era che una cosa precaria, quasi una benigna concessione del filosofo al mondo dell 'esperienza. Quanto a lui, era col cuore piuttosto nel mondo della trascendenza e cercava di obbligare anche i suoi contemporanei a giudicare la realtà storica da questo punto di vista, a giudicarla coi suoi occhi. C'era una tagliente ironia nella sua descrizione degli Stati, dei popoli e degli individui che vegetano sprofondati nei loro interessi. mentre in realtà non sono che strumenti di quell' « affare interiore>, in cui le forme passano, ma lo -spirito per se stesso prepara ed elabora il proprio passaggio alla prossima sfera superiore 1 ). Chi si dava tutto allo spirito della sua dottrina, correva sempre pericolo di trasformare l'al di qua in un semplice gioco d'ombre, il pericolo possiamo dirlo, seguitando a svolgere la nostra idea fondamentale - di far penetrare prematuramente e con violenza l'elemento universale anche nella vita dello Stato e della Nazione. Infatti, quello che moveva il Hegel e faceva muovere lo spirito universale per mezzo dei suoi inconsci 1,

    Philoaophie dea Rechtes, f 344 (8, 432).

    COSMOl'OLlTlSMOt S'rATO NAZIONALE

    271

    strumenti era universalismo alla più alta potenza. Per questo lato, dunque, la sua dottrina sta ancora in strettissima relazione con le tendenze da noi studiate. Per ridare piena autonomia alla vita storica non era necessario allontanarne del tutto i principi universali, che fino allora l'avevano inceppata. Occorreva soltanto tracciare nuovi e più giusti limiti tra questi e quella, tendere l'arco dell'idea universale così alto e così largo, che la storia potesse passarvi sotto senza preoccuparsi di attenuare la pienezza della sua vita. Il tentativo del Hegel fu grandioso e profondamente pensato, ma non ancora pienamente riuscito. Era possibile, come dimostrerà ora l'esempio del Ranke, andare ancora più innanzi nel riconoscimento del diritto particolare delle individualità storiche, considerarle con maggior simpatia, pur tenendo l'occhio dello spirito rivolto all'alto, agli astri eterni.

    CAPITOLO XII.

    RANKJi~ E BISMARCK.

    La «Nazione» fa parte di quei concetti fondamentali coi quali la concezione storica del Ranke lavora in grande, e che attingono , specialmente con quelli intitolati: « Francia e Germania> (1832), « Della divisione e dell'unità della Germania> (1832), « Grandi Potenze» (1833), « Colloquio politico» (1836) 1 ). Ciò eh 'egli dice qui del rapporto tra nazionalità e Stato, e quello che accenna al suo proprio intimo rapporto con queste due entità, spira originalità vera, sensibilità connaturata, ed ha qualche cosa d' inimitabile nell'uso stesso dei mezzi d'espressione. Eppure, ascoltandolo attentamente vi si risentono quasi tutte le voci udite finora. Ora par di sentire l'eco del Humboldt, ora quella àel

    Ad eccezione delle « Grandi Potenze », che si trovano nel voi. 24 delle opere del Ranke (ed ora anche, pubblicatovi da me, nelle edizioni Insel), tutti ristampati nei voli. 49 e 50 delle opere del Ranke. Dopo la I- edizione furono esaminati da punti di vista del· tutto diversi dal ~o, nel concettoso libro di OTTO DIETHER, Leop. v. Ranke als Politiker, 1911. Mentre io tratto un problema di storia delle idee, egli pone il problema psicologico del « rapporto dello storico puro con la politica pratica», venendo tuttavia anche per questa via a conclusioni che interessano la storia dello spirito: secondo queste, il Ranke, pensatore autonomo, spassionato, in fondo non politico ( 1), apparterrebbe piuttosto al secolo XVIII che al XIX. Io ho polemizzato con questa interpretazione, che non è priva di fondamento, ma fortemente esagerata, nella Histor. Zeitschrift, voi III, 582 segg. (ristampato in Preussen und Deutschland im 19. und fO. Jahrhundert) e ridò qui, nell'insieme, il testo della prima edizione, che considera già i fatti sui quali si baija il Diether fin là dove lo esige il problema che qui si discute. Il concetto di Nazione del Ranke fu studiato un 'altra volta, con esattezza, mn senza originalità, dal GASPARIAN,Der Begriff der Nation in der àeutschen Geschichtsschreibung des 19. Jahrhunderts, 1917. 1)

    r.

    MtINEcltE

    Fichte 1 ) e perfino dello Schiller, ora dei romantici, da Novalis ad Adamo Miiller e al Savigny; e non mancano i punti di contatto nemmeno col « Berliner Politisches Wochenblatt », l'estremo contrapposto feudale alla serenità storico-politica della Rivista del Ranke 2 ). Ma dimostrare all'evidenza questi rapporti con la solita critica letteraria e con ]o studio delle fonti non è possibile o è per lo meno difficile. Ciò che nel Ranke ricorda quei precursori, non occorre sia stato preso direttamente da essi; anzi, non è che la quintessenza di tutto il movimento d'idee degli ultimi quattro decenni, elaborato in una concezione finissima e personalissima di tutto questo movimento d'idee, più ancora che dei grandi fatti nazionali del Risorgimento. I fatti non hanno toccato direttamente e fortemente il suo spirito; però mediante la riflessione hanno potuto trasfondere in lui il loro intimo contenuto 3 ). Ed infatti i primi elementi del suo sentimento nazionale non provengono da questi grandi avvenimenti, ma dall 'ctà che li ha preceduti, nella quale la Nazione tedesca, in grazia della sua grande letteratura, si risent1 d'un tratto una grande nazione culturale. La letteratura tedesca, dice il Ranke 4 ), col tono d'un 'esperienza tutta personale, « è divenuta uno degli elementi essenziali della la profonda impressione suscitata in lui in gioventù dagli scritti di carattere popolare del Fichte. Opere, 53 e 54, pag. 59. Sull' influenza esercita dal Fichte vedi VARRENTRAPP, Christliche W elt, 1905, N. 23, e Histor. Zeitschrift, 99, 50, nota. Vedi anche FROH!LICH, Fichtes Reden an die deutsche N ation, pag. 78, nota I. 2 ) Non è inverosimile che quei membri del gruppo del Wochenblatt che più si accostavano all'idea di nazionalità. (vedi sopra, pag. 242) abbia.no imparato qualche cosa dal Ra.nke. S) « Il suo destino spirituale gli metteva - si potrebbe dire: con sottile calcolo - dinanzi all 'a.nima i più grand~ avvenimenti perchè egli li considerasse nel modo più obiettivo>. DOVE, Àusge1/JahlteSchriftchen, pag. 153. ') Trennung und Einheit, pag. 160. 1)

    t; noto come il Ranke stesso abbia ammesso più tardi

    COSMOPOLITISMOE STATO NAZIONALE

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    nostra unità; per essa ne abbiamo avuto per la prima volta vera coscienza; ora essa è divenuta l'atmosfera in cui cresce la nostra infanzia, respira la nostra giovinezza, che ravviva tutte le vene della nostra esistenza con un particolare soffio vitale. Senza di lei, dobbiamo confessarlo, nessun tedesco sarebbe ciò che è». Il sentimento nazionale del Ranke era, innanzitutto, di natura spirituale e non politica, era il sentimento d'essere ispirato, penetrato, sostenuto validamente, il sentimento - avrebbe detto con diffidenza Lodovico v. Gerlach - di rm rapporto panteistico tra il suo spirito e lo spirito della Nazione. « La nostra patria è con noi, in noi », dice il Ranke nel suo « Colloquio politico», « la Germania vive in noi; noi cc la raffiguriamo, volenti o nolenti, in ogni paese ove ci trasferiamo. Ci riposiamo in essa e non possiamo emanciparcene. Questa cosa misteriosa, che riempie l'individuo più umile al pari del più alto - quest'aria spirituale che inspiriamo e respiriamo - precede ogn.i costituzione e ne ravviva e ne riempie tutte le forme ». Qui I 'elemento soggettivo, l'elemento della propria volontà cosciente, che di solito ha tanta parte nel sorgere della moderna. coscienza nazionale, è - sotto questo riguardo -- spento del tutto. Qui non si dice: « una Nazione è ciò che vuol c~sere » ma, al contrario: « una Nazione esiste, sia che coloro dei quali è composta vogliano o non vogliano appartenerle. Essa non si fonda sulla libera autodecisione, ma sulla predeterminazione». Ci riappare così ancora una volta, nello specchio d 'rmo spirito geniale, quello stadio primordiale del divenire della Nazione, nel quale dominano processi di vita inconsci, istintivi, non concepibili razionalmente, costituendone }Jiano piano e conservandone l' unità e le particolarità. Spogliando questo concetto di quanto vi hanno ricamato intorno la lingua e il pensiero del Ranke, ritroviamo esattamente il concetto della natura della nazionalità, proprio dell 'idca conservatrice di Stato nazionale, d'una parte dice quasi testualmente a coloro che cercavano di « alzare la bandiera d'una Germania immaginaria». « Chi vorrà mai esprimere, in concetti o in parole, che significhi tedesco? Chi vorrà chiamarlo per nome, il Genio dei nostri secoli, dei passati e degli avvenire? Non ne nascerebbe che un altro fantasma, il quale ci condurrebbe per altre strade false > 1 ). Chi rigettava così il tedescheggiare triviale, doveva essere ostile anche al tentativo dei politicanti della Rivista, di rappresentare lo Stato patrimoniale di casta come il fiore particolare dello spirito tedesco, come lo Stato cristiano-germanico per eccellenza. Tutto lo spirito della sua rivista erarivolto contro di essi 2 ). Non aveva concepito al pari di essi la nazionalità come tutta spirituale ed incorporea, per idealizzare poi la grossolana corporeità delle istituzioni agrario-feudali. Non aveva attribuito allo spirito della nazione rm carattere così infinito e, ora possiamo dirlo, così universale, per poi venire ad un risultato tanto particolare. Poichè un soffio, lieve ma sensibile, di quell'universalismo spirituale del quale erano stati pieni il Humboldt, il Fichte, lo Schiller e i primi romantici, aleggia ancora su questo concetto di nazione del Ranke ! Che cos'è qui la Nazione, se non una modificazione dell'esistenza umana, misteriosa e rivelata? « All'idea dell'umanità Dio diede espressione nei singoli popoli » 3 ). E forse che il Trenmmg und Einheit, pag. 172. Vedi V ARRENTRAPP, Op. cit., pag. 35 segg. s) Frankreich irnd Deutscliland, pag. 72. 1) 2)

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    Ranke non descrive, evidentemente con intenzione, lanatura della nazione con parole che potrebbero valere anche per Dio come spirito dell'universo 1 Anche qui il nome non è che suono e parvenza. Chi era pieno di quest'idea della nazionalità, non la sentiva come un peso che trae verso il basso d'una limitata esistenza nazionale, ma come un 'ala che lo portava ad altezze, dalle quali poteva guardare con riconoscente amore alla propria terra materna, al di sotto di sè, e con profondo rispetto alle inconcepibili, infinite forze dell'universo, al disopra. Vi è in questo concetto di nazione del Rankc, come un suo sentimento oscillante, sicchè vi si sente l'eco non solo del periodo del divenire primitivo, vegetativo della Nazione, ma anche quella del periodo universalistico dell'idea nazionale tedesca. Il Ranke ha aderito qui in modo mirabile allo sviluppo dell' idea, poichè, come abbiamo già fatto osservare, appunto il sorgere di quell'epoca universalistica e il suo movimento letterario nazionale, dimostrarono ancora una volta in grande stile quel1o che c'è d 'inGonscio e vegetativo nel divenire delle Nazioni. Egli vide anche con acutezza quant'era diverso questo divenire nazionale in Germania e in Francia, dove prevalevano la volontà cosciente e l'intenzionalità razionale. I nostri caratteri nazionali, diceva, sono fondamentalmente diversi fra di loro, hanno tutt'altri bisogni, perseguono tutt'altri punti di vista. « Quella completa trasformazione della proprietà e del diritto, la creazione d'una Nazione nuova e d'una nuova esistenza, il completo distacco da tutto il passato, che si sono avverati in Francia, da noi non si sono ripetuti > 1 ). Qui l'antitesi tra lo sviluppo nazionale germanico e il francese è stata caratterizzata anche troppo nettamente, poichè la « Nazione nuova» dei francesi del 1789 si riconnetteva alla vecchia Nazione dell' ancien régime assai più strettamente di quanto queste parole lascino sup1

    )

    Frankreich und Deutschland, pag. 62 seg.

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    1'. MEINECKE

    porre; qui il Ranke - caso ben raro nella sua opera di storico - s'è lasciato trasportare troppo ]ontano dal suo sentimento tedrsco. 1\1:aqni il suo sentimento tedesco era al tempo stesso anche il suo sentimento personale. Quel modo di svi]upparsi dello spirito tedesco, giunto al tempo stesso, da tranquille condizioni sociali e politiche, alla coscienza della propria nazionalità ed alle altezze degli ideali umani, gli era immensamente simpatico e congPniale. È noto quanto strettamente il suo intimo modo di sentire fosse connesso col contenuto del periodo letterario classico-romantico della Germania e come specialmente il forte carattere universalistico del suo modo di trattare la storia avesse le sue origini in quello. Si suole rilevare con ragione eh 'egli aggiunse all'eredità universalistica del secolo XVIII il senso per l 'elcmento nazionale nella storia; ma, ricordando come questo senso si agitasse già nel1'epoca universalistica, nel Herder e nel Humboldt non meno che nel primo romanticismo, e come fosse impossibile segnare esattamente il limite tra le due tendenze, potremo dire altrettanto del Ranke: chè il suo sentimento nazionale tedesco ed il suo senso per l'universale si tocca vano. Certo, non si può dire di lui come del Humboldt, del Fichte, dello Schiller e del Novalis, eh 'egli abbia fatto della Nazione tedesca la nazione spirituale universale, la Nazione dell'umanità. La sua sensibilità e quella dei suoi tempi s'erano già fatte troppo realistiche e concrete; e poi, troppo s'era vissuto per poter credere alla lunga a questo compito della Nazione tedesca, ideale bensì, ma troppo campato in aria. La definizione del Novalis, che germanesimo significasse cosmopolitismo misto con l' individualismo più robusto, non avrebbe più soddisfatto completamente il Ranke; ma l'altra affermazione del Novalis, che tutto ciò eh 'è nazionale, locale, individuale, si può universalizzare, che alle cose comuni bisogna dare un senso elevato, al noto la dignità dell'ignoto, al finito una

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    parvenza d'infinito, è stata applicata dal Ranke non soltanto alle sue considerazioni scientifiche, ma anche al suo sentimento nazionale. Il NoYalis chiamava questo procedimento « romantizzare »: ma sta il fatto eh 'egli lasciò sopraffare cd oscurare il finito dall'infinito, il nazionale dal1' universale. È caratteristico per la grande trasformazione spirituale compiutasi, il fatto che il Rankc non