Botticelli
 9791254720660

Table of contents :
Indice
La 'Nascita di Venere' e la 'Primavera' di Sandro Botticelli. Ricerche sull'immagine dell'Antichità nel primo Rinascimento italiano (1893)
Osservazione preliminare
Prima parte - La 'Nascita di Venere'
Seconda parte - La 'Primavera'
Terza parte - Origini esterne della composizione dei dipinti. Botticelli e Leonardo
Illustrazioni
Il giovane Warburg e le 'Mitologie' di Botticelli di Pierluigi De Vecchi

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·18·

MINIATURE

Ahy

WARBURG BOTTICELLI Traduzione di Emma Cantimori Con uno scritto di Pierluigi De Vecchi

A

ABSCONDITA

Titolo originale: Sandro Botticellis «Geburt der Venus» und « Fruhling». Eine Untersuchung uber die Vorstellungen von der Antike in der italienischen Fruhrenaissance

Si ringrazia per la cortese collaborazione THE WARBURG INSTITUTE, LONDON

© 2003

ABSCONDITA SRL

VIA SAN CALIMERO I I ISBN

- 20122 MILANO 979-12-5472-066-0

INDICE

LA «NASCITA DI VENERE» E LA «P RIMAVERA» DI SANDRO BOTIICELLI OSSERVAZIONE P RELIMINARE

9 II

PARTE P RIMA

LA «NASCITA DI VENERE >>

IJ

PARTE SECONDA LA

, Lipsia I 89o, pp. 203-2 I 3 . 2 1. L'evirazione di Saturno. 2 . L a nascita delle ninfe e dei gi­ ganti. 3· La nascita di Venere. 4· L' accoglienza fatta a Venere sulla terra . 5· L'accoglienza fatta a Venere neii'Oiimpo. 6. Vul­ cano stesso. ' 1. Il ratto d'Europa. 2. Giove come cigno, pioggia d'oro, serpente ed aquila. 3· Nettuno come ariete e toro. 4· Saturno come cavallo. 5· Apollo in atto d'inseguire Dafne. 6. Arianna abbandonata. 7· Arrivo di Bacco e 8. del suo seguito. 9· Il rat­ to di Proserpina. Io. Ercole travestito da donna. I 1. Polifemo e r 2. Galatea.

r8

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Da' zefiri lascivi spinta a proda Gir sopra un nicchio, e par ch'el ciel ne goda. roo

Vera la schiuma e vero il mar diresti, E vero il nicchio e ver soffiar di venti: La dea negli occhi folgorar vedresti, E 'l ciel ridergli a torno e gli elementi: L'Ore premer l'arena in bianche vesti; L'aura incresparle e'crin distesi e lenti: Non una non diversa esser lor faccia, Come par che a sorelle ben confaccia.

ro r

Giurar potresti che dell'onde uscisse La dea premendo con la destra il crino, Con l'altra il dolce pomo ricoprisse; E, stampata dal piè sacro e divino, D 'erbe e di fior la rena si vestisse; Poi con sembiante lieto e peregrino Dalle tre ninfe in grembo fusse accolta, E di stellato vestimento involta.

ro2

Questa con ambe man le tien sospesa Sopra l'umide trecce una ghirlanda D'oro e di gemme orientali accesa: Questa una perla agli orecchi accomanda: L'altra al bel petto e bianchi omeri intesa Par che ricchi monili intorno spanda, De' quai solean cerchiar lor proprie gole Quando nel ciel guidavan le carole.

ro3

Indi paion levate in ver le spere Seder sopra una nuvola d'argento: L'aer tremante ti parrìa vedere Nel duro sasso, e tutto 'l ciel contento; Tutti li dei di sua beltà godere E del felice letto aver talento; Ciascun sembrar nel volto meraviglia, Con fronte crespa e rilevate ciglia.

PA RTE P RIMA

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Si ponga a confronto la descrizione dell'in. no omenco: l La veneranda, la bella dall'aureo serto, Afrodite io canterò, che tutte le cime di Cipro marina protegge, ove la furia di Zefìro ch'umido spira la trasportò, sui flutti del mare ch'eterno risuona, sopra la morbida spuma. L'accolser con animo lieto l'Ore dai veli d'or, le cinsero vesti immortali: la fronte sua divina velaron d'un aureo serto, bello, d'egregia fattura: nei lobi forati, alle orecchie un fior, nell'oricalco foggiato e nell'oro fulgente: d'intorno al sen , che argento sembrava, ed al [morbido collo, monili tutti d'or poi cinsero, quali esse stesse l'Ore dai veli d'oro si cingono, allor che a le danze muovono dilettose dei Numi, e alla casa del padre.

L'azione del poema italiano, come si vede, è determinata in tutto il suo insieme dall'inno omerico; qui, come in quel poema, Venere sor­ gente dal mare e sospinta dallo zeffiro verso terra, dove l'accolgono le dee delle stagioni. Le aggiunte personali del Poliziano si riferiscono quasi esclusivamente all'elaborazione dei parti­ colari e degli accessori; e sull'illustrazione mi­ nuta di questi il poeta si sofferma per rendere attendibile la sorprendente verità naturale delle opere d'arte che egli descrive fingendo una ri­ produzione fedele anche nei minimi particolari. Queste aggiunte sono ad esempio le seguenti: parecchi venti, che si vedono soffiare («ver sof­ fiar di venti»), sospingono Venere che sta in 1 [Nella versione di E. Romagnoli, Omero Minore («I poeti greci tradotti da E. Romagnoli >>), Bologna 192 5 , p. 1 4 5 . ]

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una conchiglia («vero il nicchio») verso la riva, dove è accolta dalle tre Ore che la vestono (ol­ tre che delle collane e dei monili di cui narra anche l'inno omerico) di un «manto stellato». Il vento s'insinua nelle bianche vesti delle Ore e increspa le loro lunghe chiome sciolte (I, 100, 5-6). Proprio questi accessori mossi dal vento sono ammirati dal poeta come .meravigliosa il­ lusione, frutto di virtuosismo artistico: roo, 2 3 5 1 0 3, 3

e ver soffiar di venti . . . vedresti L'Ore premer l'arena in bianche vesti; L'aura incresparle e' crin distesi e lenti L'aer tremante ti parrìa vedere Nel duro sasso . . . • • .

L'azione procede nel dipinto come nel poe­ ma, soltanto che, a differenza del poema, nel quadro di Botticelli [fig. I], Venere/ che sta sul­ la conchiglia, si copre il seno con la mano destra (invece che con la sinistra), trattenendo con la sinistra la gran massa dei capelli lunghi; e al po­ sto delle tre Ore vestite di bianco, una sola figu­ ra femminile, in veste variopinta, coperta di fio­ ri e cinta da un ramoscello di rose, accoglie la dea. Per contro, la minuta elaborazione degli 1 Sui suoi rapporti con la Venere medicea si confronti: Mi· chaelis, « Arch. Zeitung >>, I 8 8o, pp. I 3 sgg . , e >, I 89o, coli. 297· 3 0 1 ; inoltre E. Miintz, Histoire de l'Art pendant la Renaissance, I 8 89, pp. 224-22 5 . Inoltre occorrerebbe ancora consultare un'illustrazione del Ms. Plut. XLI, cod. 33 della Lau­ renziana per una poesia di Lorenzo dei Medici [figg. 2 a, b]. Cfr. G. Vasari, op. cit., m, p. 3 30. Sugli epigrammi del Poliziano sul­ la Nascita di Venere, cfr. I . Del Lungo, Prose volgari inedite e Poesie latine e greche edite e inedite di A. A. Poliziano, Barbera, Firenze 1 8 67, p . 2 1 9.

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accessori mossi del Poliziano concorda talmen­ te con il dipinto che possiamo sicuramente sup­ porre un legame fra le due opere d'arte. Non soltanto ci sono nel dipinto i due« zef­ firi» dalle gote gonfie, «che si vedono soffia­ re», bensì anche le vesti e le chiome della dea sulla riva sono mosse dal vento, e anche i ca­ pelli di Venere' svolazzano come il manto di cui sarà vestita. Entrambe le opere d'arte sono una parafrasi dell'inno omerico, ma nel poema del Poliziano si trovano ancora le tre Ore che nel dipinto sono ridotte a una. In tal modo, il poema è caratterizzato come elaborazione anteriore, più vicina al modello, e il dipinto come elaborazione posteriore, più libera. Volendo supporre un rapporto di diret­ ta dipendenza, il poeta risulterà donatore, e il pittore avrà accolto il dono.2 Chi vedrà nel Po­ liziano il consigliere di Botticelli, concorderà anche con la tradizione, la quale considera il Poliziano ispiratore di Raffaello e di Michelan­ gelo.3 1 In modo del tutto consimile nella Vene re di Botticelli a Ber­ lino (Cat. I 8 8 3 n. I I 24 ) , riprodotta in Meyer, op. cit . , p. 49· I ca­ pelli si agitano a sinistra, sulle spalle si adagiano due piccole ciocche . 2 A. Gaspary, op. cit., u, p. 232, sembra pensare al rapporto op­ posto. ' G. Vasari, op. cit . , VII, p. I 4 3· Lud. Dolce, Aretino, p. So, >, II; cfr. R. Springer, Ra//ael and Michelangelo, 2' ed., I 8 8 J , II, p. 5 8 . R. Foerster, Far­ nesina-Studien, I 8 8o, p. 5 8 . E. Miintz, Les Précurseurs de la Re­ naissance, Parigi I 8 8 2 , pp. 207-20 8 , chiude la sua ampia analisi della Giostra con queste parole: . Sui rapporti fra Leonardo e la Giostra, stabiliti dal Miiller-Walde, Leonardo, I 8 89, cfr. più avanti, pp. 86- 8 8 .

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La tendenza, che si manifesta chiaramente e in pari misura nella poesia e nel dipinto, a fis­ sare i movimenti transitori nei capelli e nelle vesti, corrisponde a una corrente dominante nei circoli artistici dell'Italia settentrionale a partire dai primi tre decenni del Quattrocen­ to, la quale trova nel liber de pictura dell'Al­ berti la sua espressione più pregnante. 1 Già Springer aveva rimandato a quel passo,2 pro­ prio rispetto agli dèi dei venti raffigurati dal Botticelli nella Nascita di Venere, e anche Ro­ bert Vischer se ne è valso nel suo Luca Signo­ relli.3 Questo passo dell'Alberti suona: «Dilet­ tano nei capelli, nei crini, ne' rami, frondi et veste vedere qualche movimento. Quanto cer­ to ad me piace nei capelli vedere quale io dissi sette movimenti: volgansi in uno giro quasi vo­ lendo anodarsi ed ondeggino in aria simile alle fiamme, parte quasi come serpe si tessano fra li altri, parte crescano in quà et parte in là. Co­ sì i rami ora in alto si torcano, ora in giù, ora in fuori, ora in dentro, parte si contorcano co­ me funi. A medesimo ancora le pieghe faccia­ no; et nascano le pieghe come al tronco del­ l'albero i suo' rami. In queste adunque si se­ guano tutti i movimenti tale che parte niuna del panno sia senza vacuo movimento. Ma sia­ no, quanto spesso ricordo i movimenti mode­ rati et dolci, più tosto quali porgano gratia ad chi miri, che maraviglia di faticha alcuna. Ma 1

Ed. J anitschek, « Quellenschriften fur Kunstgeschichte >>, sgg . , Vienna I 877. ' Lutzow, >, IV ( I 8 8 4 ) , p . I 9 8 . I n epoca recente l e silografìc sono state pubblicate i n ri­ produzioni da J . W. Appel, Londra I 8 8o. ' Fol. Iv': 2 In questo punto il passo ovidiano citato (cinctum, incoronato) è interpretato esattamente. 1 Subucula, sottoveste. 4 Chyrotropus, braciere. Vulg. Interpr. Levi!. n, 3 5 . ' Buccatus.

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ste ciocche di capelli svolazzano verso sinistra. Davanti ad essa, a destra sta Amore alato, nu­ do, munito di faretra e freccia. Nell'aria vola­ no tre colombe.1 Da tutt'una serie di illustra­ zioni e dalla loro descrizione nella Hypneroto­ machia risulta chiaro anche in altro modo che anche per un erudito veneziano che volesse far rinascere l'arte antica nelle sue opere più si­ gnificative, la mobilità esterna delle figure era considerata ingrediente caratteristico.2 Ancora nel Cinquecento in Luigi Alamanni ( I 49 5 - I 5 56) è detto di Flora:3 r

3

Questa dovunque il piè legiadro muove Empie di frondi e fior la terra intorno, Ché Primavera è seco, e verno altrove. Se spiega all'aure i crin, fa invidia al giorno.

Consideriamo un altro disegno ancora che è messo in relazione con la Nascita di Venere.Da esso risulta in via definitiva che è, sì, cosa uni­ laterale ma non ingiustificata elevare il tratta­ mento degli accessori mossi a criterio dell'«in­ flusso dell'antichità». Si tratta di un disegno a penna in possesso del duca di Aumale, esposto a Parigi nel I 879 e fotografato da Braun nel cui catalogo (I 887) è qescritto nel modo seguente: [p. 376] « N° 20. Etude pour une composition de Vénus sortant de l'onde pour le tableau aux Uffizi» [fig. 6]. ' Cfr. fig. 5 · Si confronti, per rilevare solo le cose più im portanti , l a de­ scrizione della « ninfa » sull'obelisco e la sua raffigurazione in Appel, n . 5 e inoltre nn. 9, 10, 22, 76- 7 8 . ' Flora in campagna, ed. Raffaelli, 1 8 5 9 , 1 , p. 4 · 2

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Il disegno1 è difficilmente di mano del Botti­ celli stesso - i particolari sono trattati troppo rozzamente (ad es. mani e petto del nudo di donna) - ma è probabilmente opera di artista sicuro del mestiere, proveniente dall'ambiente dei discepoli del Botticelli verso la fine del se­ colo xv. E non è nemmeno possibile ricono­ scervi un abbozzo della Nascita di Venere poi­ ché il nudo di donna presenta soltanto nella posizione una somiglianza del tutto approssi­ mativa con la Venere del Botticelli. Sul foglio sono disegnate cinque figure: a sinistra il torso di una donna vista alle spalle la quale si è co­ perta la schiena con un panno trattenuto sul davanti. La testa è volta a destra, all'infuori verso lo spettatore. I suoi capelli, di cui una parte essa porta in testa a guisa di corona, scendono in una grossa treccia sulle spalle nu­ de. Il braccio destro è alzato. Il nudo femmini­ le accanto a lei - all'incirca nella posa della Ve­ nere medicea - tiene il braccio ad angolo retto davanti al petto (senza nascondere quest'ulti­ mo), con il braccio sinistro ricopre la parte in­ feriore del corpo. Le gambe sono incrociate e i piedi si contrappongono ad angolo retto, posi­ zione questa che non appare abbastanza stabi­ le per reggere la parte superiore del corpo un po' piegata all'indietro. I suoi capelli sono di­ visi nel mezzo, poi riuniti e adagiati in treccia intorno all'occipite, e si perdono in una lunga 1 A Chantilly. Cfr. Ph. De Chennevières, >, 1 8 79, p. 5 1 4: >, 1 8 82, pp. r 8 7 sgg . ) , il quale colloca l a composizione delle singole silografie della Giostra negli anni 1 490- 1 500 e trova anche nelle illustra­ zioni per le Rappresentazioni « chiaramente espresso lo stile ar­ tistico del Botticelli >> . ' Si è anche tentato di dimostrare che il ritratto del cosiddet­ t o > degli Uffizi non è che un ritratto di Piero di Lorenzo dipinto dal Botticelli fra il 1 492 e il 1 494. Cfr. >. 2 Nel testo del terzo volume del Klassischer Bilderschatz, 1 89 1 , p . vm, come luogo d i destinazione è indicata invece Castello in armonia con il Vasari; probabile da un punto di vista intrinseco s � rebbe certo Careggi, sede delle adunanze d �lla �ocietà platQ­ mzzante. 3 Lib. de pict. , ed. Janitschek, p. 1 47.

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Le tre Grazie danzanti vi sono raccomanda­ te come tema di un quadro dopo che è stata caldeggiata come invenzione particolarmente felice la Calunnia di Apelle (illustrata anch'es­ sa dal Botticelli):1 «Piacerebbe ancora vedere quelle tre sorelle, a quali Hesiodo pose nome Eglie, Heufronesis et Thalia, quali si dipignie­ vano prese fra loro l'una l'altra per mano, ri­ dendo, con la vesta scinta et ben monda; per quali volea s'intendesse la liberalità, ché una di questa sorelle dà, l'altra riceve, la terza rende il beneficio, quali gradi debbano in ogni perfetta liberalità essere». L'Alberti aveva concluso la descrizione della Calunnia di Ape/le con l'osservazione:2 «Quale istoria, se mentre che si recita, piace, pensa quanto essa avesse gratia et amenità ad vederla dipinta di mano d'Apelle»; così, con l'orgoglio del felice scopritore, aggiunge anche al secon­ do concetto le parole: «Adunque si vede quan­ ta lode porgano simile inventioni al artefice. Pertanto consiglio, ciascuno pietore molto si faccia familiare ad i poeti, rhetorici et ad li altri simili dotti di lettera, sia che costoro doneran­ no nuove inventione o certo aiuteranno ad bel­ lo componere sua storia, per quali certo adqui­ steranno in sua pictura molte lode et nome». Il fatto che il Botticelli raffigurasse proprio questi esempi-modello dell'Alberti, ci dà un'al­ tra prova dell'alto grado di «influenza» eserci' Cfr. Richard Foerster, Die Verleumdung des Apelles in der Re­ naissance, in «}ahrb. d. Preuss. Kunstslg. >>, vm ( 1 8 8 7), pp. 29 sgg. 2 Op. cit., p. 1 47.

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tata su di lui o sul suo dotto consigliere dalle idee dell'Al berti. Janitschek ricorda nella nota 62 che questa allegoria in Seneca, De bene/ 1, c. 3 , è mutuata da Crisippo. Il passo suona: « quare tres Gra­ tiae et quare sorores sint et quare manibus in­ plexis et quare ridentes et iuvenes et virgines solutaque ac perlucida veste? Alii quidem vide­ ri volunt unam esse quae det beneficium, alte­ ram quae accipiat, tertiam quae reddat; alii tria beneficiorum esse genera, promerentium, red­ dentium, simul accipientium reddentiumque». In fine Seneca osserva: «Ergo et Mercurius una stat, non quia beneficia ratio commendat vel oratio, sed quia pictori ita visum est». Che la veste discinta e trasparente fosse con­ siderata dal pittore come caratteristica indi­ spensabile, risulta dalle vesti della Grazia che sta più a sinistra: sebbene i motivi di pieghe so­ pra la coscia destra non possano essere deriva­ ti che da uno stringimento, non si vede affatto una cintura, cosicché per amore del motivo manca una motivazione visibile della posizione della veste. Anche nel Codex Pighianus, 1 il noto volume di disegni, copie di opere antiche, della metà del Cinquecento, si trova una raffigurazione ispirata a un bassorilievo con tre donne dan­ zanti, dalle vesti lunghe, oggi conservato a Fi­ renze nella raccolta degli Uffizi.2 Alla base del ' Berlino, Biblioteca Reale, Libr.p iet. A. 6 1 . Cfr. sopra, p. z6. N . 49, fol. pc. Cfr. Jahn « Ber. d. Siichs. Akad . d. Wiss. », I 868, p. I 86. Riprod. Winckelmann, Mon. Ined. , p. I47· Diitsch ­ ke, Antike Bildwerke, m, p. 2 3 5 . Hauser, Neu-attische Relie/s, p. 49, n. 6 3 , e inoltre p. I47· 2

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disegno l'autore ha iscritto le parole: « Gratiae Horatii Saltantes ». J ahn pensava che le parole si riferissero a Carm. I, 4, 6-7: « junctaequè Nymphis Gratiae decentes Alterno terram quatiunt pede ». Non avrà il Pighius pensato piuttosto alla descrizione in Carm. I, 3 0, 5 -6: « Fervidus tecum puer et solutis Gratiae zo­ nis » che corrisponderebbe a quell'immagine che delle Grazie aveva l' Alberti (cioè Seneca) come di donne in vesti sciolte e discinte? Nel Louvre si trova il frammento di un af­ fresco proveniente dalla Villa Lemmi, vicina alla Villa di Careggi, il quale è attribuito al Botticelli.1 Esso raffigura le tre Grazie guidate da Venere in atto di avvicinarsi, recando doni, a Giovanna d'Albizzi nel giorno delle sue noz­ ze con Lorenzo Tornabuoni ( 1 486). Le tre Grazie che incedono l'una dietro al­ l'altra hanno lo stesso discinto costume ideale che portano nella Primavera; le due ultime però (da sinistra) hanno, oltre alla veste simile a ca­ micia, un manto il cui orlo superiore, nella Gra­ zia che sta più nello sfondo, scende dalla spalla destra a mo' di sbuffo e forma davanti alla par1 Fot. Brogi. Cfr. Cos. Conti, i n « L'Art », I 8 8 I , IV, p p . 86-87 e I 8 8 2 , I, pp. 5 9-60: « Découverte de deux fragments de Sandro Botticelli >>; in base a questo Ch. Ephrussi , « Gaz. des Beaux Arts >>, I 8 8 2 , xxv, pp. 4 7 5 -48 3 ; ibid. anche riproduzione dei frammenti. Da confrontarsi anche A. Heiss, Les Médailleurs de la Renaissance, Florence et !es Florentins, Parigi I 89 I , pp. 5 6 sgg. S u Giovanna Tornabuoni cfr. inoltre: F. Sitwell , Types o/ Beauty, in >, I 8 89, p . 9· Ibid. riprod. del suo ritrat­ to del I 4 8 8 , attribuito al Ghirlandajo, ed Enrico Ridollì, Gio­ vanna Tornabuoni e Ginevra dei Benci sul coro di Santa Maria Novella in Firenze, Firenze I 8 9o (citiamo dall'estratto in « Ar­ chivio Storico dell'Arte >>, I 89 I , pp. 68 -69) .

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te inferiore del torso - proprio come sulla Gra­ zia della Primavera - un gonfio sporgente che non si riesce a vedere come sia trattenuto. È difficile decidere dalle sole riproduzioni se gli affreschi siano opera autentica del Botti­ celli, come sostiene Cosimo Conti, oppure, per lo meno in parte, eseguiti da aiuti, come opina Ephrussi. Talune durezze nel disegno fanno propendere per quest'ultimo parere. ' Cosimo Conti, per comprovare l'identità della dama in costume dell'epoca con Giovan­ na Tornabuoni, era ricorso a due medaglie,2 che recano entrambe sul diritto la testa di que­ sta; sul rovescio sono raffigurate due differenti scene mitologiche il cui trattamento formale è a sua volta iconograficamente interessante. Il rovescio di una delle due medaglie (op. cit. I 3) mostra le tre Grazie nude, nel noto intrec­ cio; esse costituiscono - come anche la descri­ zione di un quadro nella loggia della gloria de­ gli artisti in Filarete, libro XIX - uno degli esem­ pi comprovanti che agli artisti dell'epoca le tre dee erano familiari anche in questo raggruppa­ mento.3 Come leggenda le medaglie recano: « Castitas. Pul [chr] itudo. Amor» [fig. I o]. 1 Nel Vasari, op. cit., m , p . 269, si accenna che il Ghirlandaio dipinse in Chiasso Maceregli (per l'appunto l'attuale Villa Lem­ mi) una cappella al fresco per i Tornabuoni. Quegli affreschi potrebbero ben essere opera di un artista che fosse fra il Botti­ celli e il Ghirlandajo, tuttavia il problema dell'autore si potrà trattare solo ad autopsia degli affreschi compiuta. 2 Raccolta degli Uffìzi, Firenze. Riprod . in Friedlander, Die italienischen Schaumiinzen des IJ. ]ahrhunderts, in «Jahrb. d. Preuss. Kunstslg. », n, tavv. 2 8 , 13 e 1 4, p . 243 , indicate quali opere di Niccolò Fiorentino. ' Si possono trovare fin dalla prima metà del Quattrocento: 1 . Nel libro di disegni di Jac. Bellini, foglio 3 1 ; cfr. G . Gaye, in

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Se il rovescio della prima medaglia ci ha mostrato le dee antiche come siamo soliti ve­ derle a partire da Winckelmann, 1 «nello spiri­ to degli antichi », cioè: nude e placidamente ferme, il rovescio della seconda medaglia2 reca una figura di donna che a sua volta manifesta quella immotivata forte mobilità dei capelli e delle vesti [fig. I I]. Essa poggia su nubi, ha la testa con i capelli svolazzanti in tutte e due le direzioni volta un po' a sinistra; la sua veste è succinta e forma uno sbuffo cinto all'esterno; l'orlo della veste e l'orlo di una pelle d'animale pendente sovra di essa svolazzano nel vento. La freccia che essa >. Già nell 'Aldrovandi, Le statue antiche di Roma, si parla di un ri­ lievo in casa di Carlo da Fano, recante le tre Grazie ignude, ed. l 5 6 2 , p. 1 44· ' Cfr. C. Justi, Winckelmann , n , p . 2 8 7: « Divinità ed eroi so­ no imaginati dimoranti in luoghi sacri dove regna la tranquillità, e non come un trastullo dei venti ossia nello sventolio delle ban­ diere >>. 2 Friedlander, op. cit., tavv. 2 8 , 1 4 ·

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tiene nella destra sollevata, l'arco nella sinistra abbassata, la faretra con le frecce che fa capo­ lino al fianco destro, e gli stivaletti la defini­ scono come cacciatrice. La leggenda, un verso dell'Eneide virgiliana (I, 3 1 5 ) spiega la sua fi­ gura: Virginis os habitumque ferens et Virginis arma

I versi seguenti descrivono il travestimento in cui Venere appare ad Enea e al suo compa­ gno, in modo ancora più preciso: Cui mater media sese tulit obvia silva, Virginis os habitumque ferens et Virginis arma Spartanae vel qualis equos Threissa fatigat Harpalyce volucremque fuga praevertitur Hebrum. Namque umeris de more habilem suspenderat arcum Venatrix, dederatque comam diffundere ventis, Nuda genu nodoque sinus collecta fluentis.

Gli ultimi due versi danno l'indicazione fe­ delmente seguita pel trattamento degli acces­ sori mossi che quindi sono anche qui da consi­ derarsi caratteristica di una raffigurazione«an­ ticheggiante ». Su uno dei due lati lunghi di un cassone nu­ ziale italiano' della metà del Quattrocento cir­ ca, è illustrata la stessa scena dell'Eneide [fig. 1 2]. A sinistra Venere appare ad Enea e al suo compagno sulla terra, un po' più a destra si ve1 Nel museo Kestner di Hannover. La mia attenzione vi fu at­ tratta dal dottor Voge. Nelle figure si notano le particolarità che in epoca recente si sogliono attribuire a Vittore Pisano: mantelli corti dalle maniche ampie, calzoni aderenti dai gambali corti di color diverso e cappelli a più piani.

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de come svanisce nell'aria dinanzi ai loro oc­ chi. Essa sta - come sulla medaglia - su delle nubi e porta un elmo alato, stivaletti, la faretra sul fianco sinistro e l'arco sulla spalla sinistra; la sua veste succinta a forma di anello è di co­ lore rosso ed è ornata di disegni plastici in oro; i capelli sciolti svolazzano nel vento. Le altre figure portano i costumi dell'epoca. Sull'altro lato del cassone si può vedere la caccia di Enea e di Didone conclusasi con la tempesta d'occasione. Anche qui, il desiderio di raffigurare cose anticheggianti, ha dato i suoi frutti; in alto a destra le mezze figure di tre negroidi divinità del vento,1 i cui capelli fascia­ no il capo a guisa di palla e in diversi rigonfi/ gettano, soffiando da corni ricurvi, il « nigran­ tem commixta grandine nimbum»3 [fig. 1 3]. 1 Dovuto forse all' Eneide , IV, r 6 8 : « summoque ulularunt ver­ tice nymphae >>? 2 Per l'acconciatura dei capelli cfr. il dio dei venti nelle minia­ ture di Liberale da Verona, riprod. ne « L'Art », 1 8 8 2 , IV, p. 227. Non è escluso che il pittore avesse dinanzi agli occhi o nella mente un'illustrazione virgiliana della tarda antichità; cfr. ad es . l'Iride e la dea dei venti nel Ms. Vat. 3 867 (foglio 74 v e 77) in Agincourt, Histoire de l'Art, tav. LXIII, e ancora P. De Nolhac, >, IV, pp. J 2 I sgg. Il Poliziano si servì del manoscritto per delle collazioni; cfr. ibid. , p. 3 1 7· In Heiss, op. cit. , pp. 68 sgg . , si trova ora riprodotta la massi­ ma parte delle opere d'arte considerate qui in rapporto con l' af­ fresco di Villa Lemmi. Inoltre vi si trovano anche le riproduzio­ ni del Teseo e dell'Arianna secondo l'incisione del Baldini (p. 70) e quella della Giuditta degli Uffìzi (p. 7 1 ) , insieme con l'annota­ zione: « Dans la V énus chasseresse surtout, on retrouve ]' allure très distinguée, mais très tourmentée, la profusion d'ornements et !es draperies flottantes , si caractéristiques du style de Botticel­ li. Nous reproduisons ici, de ce maitre, deux dessins don t !es co­ stumes et la façon dont ils sont traités ont une grande analogie avec !es types cles revers auxquels nous venons dc fairc allusion >>. l Ibid. , IV, 1 20.

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Se nel caso delle tre Grazie, per trovare lo stato d'animo artistico da analizzare qui, biso­ gnava spingersi un po' lontano, un altro grup­ po della Primavera consente un'illustrazione più unita e in riferimento diretto al Poliziano. Come conclusione a destra si scorge una sce­ na di inseguimento erotico. Fra gli aranci chi­ ni sotto una lieve brezza, che fiancheggiano il boschetto, fa capolino il torso di un giovane alato. Con rapido volo - capelli e mantello svolazzano nel vento - egli ha raggiunto una fanciulla fuggente (verso sinistra) il cui dorso sta già toccando con le mani; nella sua nuca egli manda - contratte le sopracciglia e enfia­ te le gote - un potente getto di vento. La fan­ ciulla, correndo, volge indietro il capo verso il suo inseguitore, quasi implorante pietà, anche mani e braccia hanno un gesto di diniego; nei suoi capelli sciolti spira il vento che fa anche muovere la sua veste bianca, trasparente, ora ondeggiante, ora stesa a guisa di ventaglio. 1 Dall'angolo destro della bocca della fanciulla escono fiori diversi: rose, fiordalisi e altri. Nei Fasti di Ovidio2 Flora narra come sia stata raggiunta e vinta da Zeffiro; in dono di nozze avrebbe poi ricevuto il potere di trasfor­ mare in fiori quello che toccava: Sic ego, sic nostris respondit diva rogatis. Dum loquitur, vernas efflat ab ore rosas. 1 Motivi analoghi di pieghe si trovano già nel maestro del Bot­ ticelli, Fra Filippo Lippi: ad es. nell 'affresco della danza di Ero­ diade nella cattedrale di Prato. Cfr. Ulmann, Fra Filippo und Fra Diamante als Lehrer San dro Botticellis, Diss. , Breslavia r 890, p. 14. 2 Fasti, v, 1 93 sgg.

PARTE SECONDA

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Chloris eram, quae Flora vocor. Corrupta Latino Nominis est nostri littera Graeca sono. Chloris eram, Nymphe campi felicis, ubi audis Rem fortunatis ante fuisse viris. Quae fuerit mihi forma, grave est narrare modestae. Sed generum matri repperit illa deum. Ver erat, errabam. Zephyrus conspexit; abibam. Insequitur, fugio. Fortior ille fuit. Et dederat fratri Boreas jus omne rapinae, Ausus Erechthea praemia ferre domo. Vim tamen emendat dando mihi nomina nuptae: Inque meo non est ulla querela toro. Vere fruor semper; semper nitidissimus annus. Arbor habet frondes, pabula semper humus. Est mihi fecundus dotalibus hortus in agris. Aura fovet; liquidae fonte rigatur aquae. Hunc meus implevit generoso flore maritus: Atque ait, Arbitrium tu, dea, floris habe. Saepe ego digestos volui numerare colores Nec potui: Numero copia major erat . . .

In questa descrizione è dato il nucleo della composizione, e si riterrebbero gli accessori mossi un'aggiunta del Botticelli stesso, se la sua predilezione per l'illustrazione di talune mobilità del costume secondo modelli ben provati, non si fosse ormai manifestata in più occasioni. Di fatto risulta che il gruppo è nato da un'esatta analogia con la descrizione della fuga di Dafne inseguita da Apollo in Ovidio. ' Il raffronto con i versi relativi rende la cosa senz' altro chiara:2 1

Met., 1 , 497 sgg. In armonia con i versi i capelli di Flora sono nel dipinto sciolti e privi di ornamento ; manca perfino quella fascia: v. 477 « vitta coercebat positos sine lege capillos ».

2

BOTTICELLI

Spectat inornatos collo pendere capillos Et « quid, si comantur? » ait. 1 5 27

Nudabant corpora venti, Obviaque adversas vibrabant flamina vestes, Et levis impulsos retro dabat aura capillos .

5 40

Qui tamen insequitur, pennis adiutus Amoris Ocior est requiemque negat tergoque fugacis Imminet et crinem sparsum cervicibus adflat.

5 53

Han c quoque Phoebus ama t positaque in [stipite dextra Sentit adhuc trepidare novo sub cortice pectus.

Se si ricorda che il Poliziano ha preso da Ovi­ dio proprio questo passo usandolo per la de­ scrizione delle mobilità dei capelli e delle vesti sul finto bassorilievo del ratto d'Europa, baste­ rebbe questo esempio da solo per supporre an­ che per questo quadro l'ispirazione del Polizia­ no.2 Si aggiunga che il Poliziano nel suo Orfeo, 1 Nella versione in prosa delle Metamorfosi di Giovanni Di Bonsignore (composta nel 1 3 70 ca., stampata nel 1 497 presso Zoane Rosso di Venezia ornata di silografie) possediamo una te­ stimonianza autentica della grande cura con la quale gli italiani conservarono l 'elaborazione del particolare data da Ovidio; cfr. ad es. la traduzione dei versi 477 sgg. (Cap. xxxrv) >. Del verso 5 27: >. Dei versi 5 40 sgg.: >. 2 Cfr. sopra, pp. 26 sgg.

PARTE SECONDA

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la « prima tragedia italiana », 1 pone sulle labbra di Aristeo che insegue Euridice, le stesse parole che in Ovidio Apollo rivolge a Dafne: 2 Non mi fuggir, Donzella; Ch'i' ti son tanto amico, E che più t'amo che la vita e 'l core. Ascolta, o ninfa bella, Ascolta quel ch'io dico: Non fuggir, ninfa; ch'io ti porto amore. Non son qui lupo o orso; Ma son tuo amatore: Dunque raffrena il tuo volante corso. Poi che 'l pregar non vale Et tu via ti dilegui, El convien ch'io ti segui. Porgimi, Amor, porgimi or le tue ale.

È cosa ancor più significativa che il Polizia­ no pensasse all'inseguimento di Dafne come tema di una delle opere d'arte plastiche in quella fila di bassorilievi sul portale del regno di Venere e anche in quest'occasione avesse in mente le parole di Ovidio:3 Poi segue Dafne, e'n sembianza si lagna Come dicesse: O ninfa non ten gire: Ferma il piè, ninfa, sovra la campagna, Ch'io non ti seguo per farti morire. Così cerva leon, così lupo agna, 1 Rappresentato probabilmente per la prima volta a Mantova nel 1 472. Cfr. G. Carducci , op. cit. , pp. ux sgg . ; Gaspary, op. cit., pp. 2 1 3 sgg . ; e inoltre A. D'Ancona, Origini del Teatro Ita­ liano, 2• ediz., Torino 1 89 1 , appendice n: « Il Teatro Mantovano nel secolo xvi », pp. 349 sgg. 2 G. Carducci, op . cit. , p. 1 02. ' Giostra, I , 1 09; op. cit., p. 62.

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Ciascuna il suo nemico suol fuggire Me perché fuggi, o donna del mio core, Cui di seguirti è sol cagione amore? 1

Ora siccome anche i Fasti di Ovidio2 costi­ tuivano un tema principale dell'attività svolta dal Poliziano come pubblico maestro in Firen­ ze (dal 148 1), tutto ciò fa pens are che il Poli­ ziano sia stato il dotto consigliere del Botticelli. Anche prima del Poliziano, Boccaccio aveva nel suo Nin/ale fiesolano composto una scena di inseguimento ispirandosi alla fantasia di Ovi­ dio. Affrico apostrofa Mensola che fugge: 3 st. c

De, o bella fanciulla, non fuggire Colui, che t'ama sopr'ogn' altra cosa: Io son colui, che per te gran martire Sento dì e notte sanz'aver ma' posa:

1 Cfr. Met., I , 504: < < Nympha, precor, Penei, mane ! non inse­ quor hostis; l Nympha, mane ! sic agna lupum, sic cerva leonem, l Sic aquilam penna fugiunt trepidante columbae, l Hostes quaeque suos: amor est mihi causa sequendi. l Me miserum ! ne prona cadas indignave !aedi l Crura notent sentes et sim tibi causa doloris . l Aspera, qua properas, !oca sunt; moderatius, oro, l Curre fugamque inhibe; moderatius insequar ipse >>. 2 Cfr. A. Gaspary, op. cit. , 11, p. 667. Da un passo di una lettera scritta da Michele Verino (m. I 4 8 3 , Epigr. del Poliziano, ed. I. Del Lungo, LXXXIII, p. I 5 3 ) a Piero dei Medici si può perfino arguire, seguendo il Mencken, che un commento poetico ai Fasti ovidiani composto dal Poliziano nella lingua e nella maniera del poema la­ tino, circolasse fra i suoi amici. La lettera, riprodotta in Mencken , . . . Historia Vitae Angeli Politiani, Lipsia I 7J6, p. 6o9: « Non sine magna voluptate, ve! potius admiratione, Politiani tui poema, al­ terum Nasonis opus, legi. Dum enim fastos, qui est illius divini va­ tis liber pulcherrimus, interpretatur, alterum nobis paene effìnxit, carmen carmine expressit, tanta diligentia, ut, si titulum non le­ gissem, Ovidii etiam putassem >>. Cfr. sopra, p. 3 3 , nota 1 . ' Citato dali ' edizione italiana in dodicesimo del I 8 p . Cfr. in proposito Zumbini, Una storia d'amore e morte, in « Nuova An­ tologia >>, XLIV ( I 8 8 4 ) , 5 .

PARTE SECONDA

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I non ti seguo per farti morire 1 Né per far cosa che ti sia gravosa Ma sol amor mi fa te seguitare Non nimistà, né mal ch'i voglia fare.

Nella s t . CIX Boccaccio descrive minutamen­ te la fuga resa malagevole dalle vesti: La Ninfa correa sì velocemente, Che parea che volasse, e' panni alzati S'avea dinanzi per più prestamente Poter fuggire, e aveaglisi attaccati Alla cintura, sì che apertamente Di sopra a' calzerin , ch ' avea calzati Mostrò le gambe, e 'l ginocchio vezzoso, Che ognun ne diverria disideroso. 2

Anche Lorenzo dei Medici, il «Magnifico», l'amico potente del Poliziano e suo congeniale « fratello in Apollo », nell'idillio Ambra3 fa procedere la scena dell'inseguimento in manie­ ra del tutto analoga. La ninfa Ambra fugge: 4 st. 27

Siccome pesce, allor che incanto cuopra Il pescator con rara e sottil maglia, Fugge la rete qual sente di sopra, Lasciando per fuggir alcuna scaglia; Così la ninfa quando par si scuopra, Fugge lo dio che addosso se le scaglia: Né fu sì presta, anzi fu sì presto elli, Che in man lasciolli alcun de' suoi capelli.

1 Poliziano, Giostra, 1, 1 09, 4: « Ch'io non ti seguo per farti morire >>. 2 Cfr. in proposito ibid. , st. LXIV. ' Cfr. A. Gaspary, op. cit., n, pp. 244 sgg. 4 Poesie di Lorenzo de' Medici, ed. Barbera, Bianchi Co., ! 8 59. p. 2 70.

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Il dio del fiume Ombrone nel suo zelo non ha la mano troppo delicata; addolorato con­ templa poco dopo l'ornamento del capo strap­ pato alla fanciulla: 1 . . . e queste trecce bionde, Quali in man porto con dolo�e acerbo.

Nell'Orfeo del Poliziano - primo tentativo di presentare alla società italiana le figure del­ l' antichità classica nel loro aspetto corporeo il pastore Aristeo, inseguendo Euridice fug­ gente, pronunzia le parole che Ovidio pone sulle labbra di Apollo, allorché invano cerca di raggiungere Dafne. Ma non soltanto in questo poema gli artisti avevano occasione di vedere a teatro scene di inseguimento erotico come questa; dev'esservi stata una particolare predi­ lezione per simili scene poiché se ne può com­ provare la presenza in più casi persino nei po­ chi esempi giunti a noi di antichi drammi mi­ tologici. Nella Fabula di Caephalo di Niccolò da Correggio, rappresentata a Ferrara il 2 1 gen1 Ibid. , p. 273. Come ulteriori sintomi del fatto che il tema in­ teressava gli artisti dell'epoca, citeremo alcuni suoi primi svolgi­ menti nell'arte figurativa: I . La prima raffigurazione moderna (inizio del sec. xv) sarebbe molto probabilmente la miniatura di un manoscritto del British Museum (Christine de Pisan) , Harl. 443 I , f. I 34 b . Cfr. Graybirch, Early Drawings, Londra I 8 79, p. 92. 2 . La silografia del Maestro J. B., Berlino, Gabinetto delle in­ cisioni. 3· La Silografia di Diirer apposta ai Libri amorum di Cel­ tes ( I 502). 4· Caradosso, placchetta, riprod. in Bode-Tschudi, Die Bildwerke d. christl. Epoche, tav. XXXV III, n. 78 5, inoltre ibid. , tav. xxxv, n. 78 5 . Non ci riferiamo qui alle illustrazioni dirette del testo ovidiano (cfr. l'edizione di Venezia a partire dal I 497 fino alla metà del Cinquecento ) .

PARTE SECONDA

naio 1 486/ Procri fugge inseguita da Cefalo; un vecchio pastore cerca di fermarla con le parole: Deh non fuggir donzella Colui che per te muore.

Insieme con il manoscritto mantovano del­ l'Orfeo ci è conservata anche un'altra rappre­ sentazione mitologica, intitolata ora di Phebo et di Phetonte, ora Phebo et Cupido o Dafne. Per quanto possiamo vedere dall'analisi diD'Anco­ na/ il dramma si attiene strettamente alle Meta­ morfosi di Ovidio. La scena dell'inseguimento non manca: «Dopo di che, Apollo va pei boschi cercandoDafne, che resiste ai lamenti amorosi di lui, esposti in un lungo ternale ». Il terzo interludio della Rappresentazione di S. Oliva (pubblicata per la prima volta nel 1 5 68) è anche esso introdotto mediante una scena d'inseguimento:3 «e in questo mezzo esca in scena una Ninfa adornata quanto sia possibile, e vada vestita di bianco con arco in mano, e vada per la scena. Dopo lei esca un giovanetto pur di bianco vestito con arco, e ornato leggiadramente senza arme, il quale giovane, andando per la scena, sia dalla so­ praddetta ninfa seguito con grande istanza senza parlare, ma con segni e gesti, mostri di raccomandarsi e pregarlo; egli a suo potere la fugga e sprezzi, ora ridendosi di lei e or seco • • •

1

2 3

A. D'Ancona, op. cit., II, p. 5· Op. cit., II, p . 3 50. Cfr. A. D'Ancona, Sacre Rappresentazioni, m, pp. 268- 269.

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adirandosi, tanto ch'ella finalmente fuori di ogni speranza rimossa, resti di seguirlo ». . . Cercando imitazioni dirette di simili scene di teatro, troveremo la nostra attenzione ricondot­ ta all'Orfeo: ad esempio, le raffigurazioni della leggenda d'Orfeo sulla serie di piatti del museo Correr di Venezia, attribuiti a Timoteo Viti, se­ guono esattamente il poema del Poliziano. 1 Osserveremo anche di sfuggita che una serie di opere d'arte raffiguranti le menadi in costu­ me anticheggiante di ninfe, in atto di prepa­ rarsi con un violento moto al colpo mortale contro Orfeo giacente a terra - si tratta di un disegno della scuola del Mantegna, di una cal­ cografia anonima nella Kunsthalle di Ambur­ go e di un disegno diDiirer ispirato a quest'ul­ timo -, può benissimo essere modellata o di­ rettamente o indirettamente sulla scena finale dell'Or/eo.2 In questa maniera si spiegherebbe anche il mescolamento di costumi ideali e di costumi dell'epoca. Se è lecito supporre che le feste ponevano sotto gli occhi dell'artista le fi­ gure nel loro aspetto fisico, quali membri di una vita realmente in movimento, il processo della raffigurazione artistica appare evidente. Il programma del dotto consigliere perde al­ lora quella sfumatura di sapore pedantesco, e l'ispiratore non avrebbe suggerito il tema del­ l'imitazione, ma ne avrebbe semplicemente agevolato l'enunciazione. 1 Riproduzione della scena dell'inseguimento in E. Miintz, Hist. de l'Art pendant la Renaiss. , II ( I 89 I ) , p. 1 2 5 . 2 Le opere d'arte citate s i trovano tutte riprodotte e discusse in Ephrussi, « Gaz. des Beaux Arts >>, 1 8 7 8 , 1 , pp. 444-4 5 8 .

PARTE SECONDA

È riconoscibile qui quanto ha detto Jacob Burckhardt, anche qui anticipatore infallibile nel suo giudizio complessivo: «Le feste italia­ ne nella loro forma più elevata sono un vero passaggio dalla vita all'arte ». 1 Rimangono da individuare e da collocare al loro posto esatto altre tre figure singole. La fan­ ciulla spargente rose che si avvicina allo spetta­ tore - malgrado singole deviazioni dalla corri­ spondente figura della Nascita di Venere - è la dea della primavera. Come questa, porta un ra­ moscello di rose per cintura della sua veste or­ nata di fiori. Per contro, la corona di foglie al collo ha nel frattempo fatto sbocciare fiori di ogni specie; anche sul capo porta una corona di fiori, perfino i fiordalisi sulla veste si sono fatti più rigogliosi. Le rose che ella sparge fanno sbucare Zeffiro e Flora che essa precede. 2 La veste si stringe stretta alla gamba sinistra messa avanti a guisa di passo, e dal poplite scende svo­ lazzante in basso in una curva piana per finire nell'orlo inferiore stesa a forma di ventaglio. L'idea di cercare per i motivi delle vesti del­ la dea una cosa analoga nel mondo plastico an­ tico, ci fa pensare anche qui a un determinato monumento, seppure un rapporto personale fra esso e il Botticelli in questo caso possa es­ sere ritenuto solo verosimile, ma non afferma­ to con certezza come nei casi precedenti. 1

Kultur der Renaissance, I 8 8 5 , n, p. I 3 2 . E. Foerster, Geschichte der italienischen Malerei, Lipsia I 872, m , p. 306, riteneva che le due divinità dei venti nella Nascita di Ve­ nere fossero Zeffiro e Flora, ipotesi che bene concorderebbe con quanto esposto sopra, contraddetta però già dal solo fatto che i due siano caratterizzati come soffianti divinità dei venti.

2

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Nella raccolta degli Uffizi si trova la figura di una flora 1 [fig. 1 4], vista, secondo le indica­ zioni diDiitschke, dal Vasari fin dalla seconda metà del Cinquecento a Palazzo Pitti. Egli la descrive con particolare riferimento alle vesti: «Una femmina con certi panni sottili, con un grembo pieno di varj frutti, la quale è fatta per una Pomona».2 Così fu anche vista da Bocchi3 negli Uffizi fin dal 1 59 1, completata come la si vede oggi: «A man destra poscia si vede una Dea Pomo­ na, velata di panni sottilissimi; di bellissima grazia, con frutte in mano, con ghirlandetta in testa, ammirata dagli artefici sommamente». Vi è incontestabilmente una certa somiglian­ za nel trattamento della veste che nella statua, come nella figura del dipinto, stringe da vicino la gamba sinistra messa avanti e dal poplite scende in basso; e un'imitazione di questo mo­ dello (o di altro simile) è tanto più plausibile in quanto anche il tema è uguale: la figura di una fanciulla incoronata di rose che nel grembo della veste reca fiori e frutti, interpretata come simbolo personale della stagione che ritorna.4 1 Fot. Alinari I 29 3 ; Cat. degli Uffizi , n. 74; H. Diitschke, Ant. Bildw. , m , p. 74, n . I 2 I . 2 Cfr. G . Vasari, Le Vite, ed. Livorno I 772, VII, pp. 4 7 I sg. Questo elenco delle 26 Anticaglie della sala di Palazzo Pitti è stato ristampato da L. Bloch nelle « Réimische Mitteilungen d . Arch . lnst. >>, VII ( I 892), p p . 8 I sg. ' Bocchi, Bellezze di Firenze, ed. Cinelli, I 677, p. I 0 2 . 4 La testa della statua è moderna secondo il Diitschke e d è « u n buon lavoro rinascimentale >>. D a notarsi che anche la testa del­ l'Ora della primavera del Botticelli si scosta un po' dal consueto tipo femminile botticelliano: l'ovale del viso è un po' allungato, il naso dritto senza la punta fortemente rialzata, e la bocca è un po' più larga. Riprod. ad es. in E. Miintz, H. de l'A. p. la R., I , p. 4 1 .

PARTE SECONDA

Per l'Ermete ci si offre come analogia ap­ prossimativa il rovescio di una medaglia di Nic­ colò Fiorentino, coniata per Lorenzo Torna­ buoni,1 scolaro del Poliziano,2 per le cui nozze fu anche dipinto l'affresco sopra accennato di Villa Lemmi. Anche qui Ermete è pensato pro­ babilmente come condottiero delle Grazie le quali sono raffigurate sull'altra medaglia, quella per Giovanna Tornabuoni. Le somiglianze este­ riori del costume di Ermete - clamide, spada curva, calzari alati a guisa di stivaletti - non so­ no tanto sorprendenti quanto il fatto che anche questa figura si trovi sulle medaglie di Niccolò; le sue creazioni sembrano essere state destinate3 soprattutto a quella parte dei conoscitori d'arte che era influenzata dal Poliziano.4 La dea della primavera si trova al lato sini­ stro della sua signora, Venere, la quale costi­ tuisce il centro del quadro;5 ma prima che essa 1 A Firenze, Uffizi; cfr. Heiss, op. cit . , tav. VII, 3 ; Friedlander, , II, 24 3 : >. 2 Cfr. I. Del Lungo, op. cit . , p. 72. 3 Niccolò fece una medaglia con il ritratto del Poliziano (Heiss, op. cit . , VI, I e 2) e anche con quello di sua sorella Maria (op . cit . ; VI, 3 ) . 4 L e tre Grazie sul rovescio della medaglia fusa d a Niccolò per Pico della Mirandola, cfr. Litta, Fam. Celebr. ltal. , manife­ stano rapporti con la concezione allegorica platonizzante di Ve­ nere. Allo stesso modo la > di Niccolò (cfr. sopra [fig. I I ] ) potrebbe risalire a idee come si trovano a proposito della concezione simbolica dell 'Eneide in Cristoforo Landino, Disputationes Camaldulenses. Sui rapporti fra simili opere d'arte e poesia e filosofia contemporanee platonizzanti potremo aspet­ tarci prossimamente dilucidazioni da parte competente. ' Se si vuole trovare un 'analogia per la posizione e il costume della Venere che ricordano le figure ammantate della tarda ro-

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ci si presenti come dominatrice di tutto il com­ plesso, indagheremo ancora sulla origine di Er­ mete, l'ultimo del suo seguito, che conclude il quadro a sinistra. Le ali che egli porta ai calza­ ri lo caratterizzano come antico messaggero degli dèi; quel che egli faccia con il caduceo, che regge nella destra alzata, non è più possi­ bile distinguere chiaramente. Nella riprodu­ zione policroma della Arundel-Society, Ermete se ne serve per scacciare una fila di nubi, come lo descrive anche il Bayersdorfer nel testo del Klassischer Bilderschatz. ' Non risulta senz'altro chiaro su che cosa si fondi questa ricostruzio­ ne, comunque riesce più facile darle «un sen­ so » che non darlo all'idea spesso enunciata che Ermete si dia da fare con i frutti degli al­ beri.2 Non è riuscito all'autore addurre per l'Er­ mete figurazioni consimili della fantasia del­ l'epoca. Gli accade quel che accadde a Seneca allorché, dinanzi alla raffigurazione allegorica delle Grazie, il sapere storico si rivelava non più sufficiente: «Ergo et Mercurius una stat, non quia beneficia ratio commendat vel oratio sed quia pictori ita visum est ». manità, si confronti il rilievo d'avorio di Liverpool, che raffigu­ ra Igea (Westwood, Fict. Ivor. , p. 4); questo rilievo faceva parte della collezione Gaddi esistente in Firenze fin dalla fine del Quattrocento. Cfr. Molinier, Plaquettes, 1, 42. 1 Cfr. sopra, p. 4 8 . 2 E. Foerster, op. cit . , p. 307: « coglie fiori da un albero ». G . Kinkel, Mosaik z u r Kunstgeschichte, 1 8 76, p . 3 9 8 : « batte dei frutti da un albero » . W. Liibke, Gesch. d. ital. Malerei, 1 8 7 8 , I, p. 3 56: « un giovane cavalleresco in procinto di spezzare un ra­ moscello da uno degli allori >>. C. von Liitzow, Die Kunstschiitze Italiens, r 8 84, p. 2 5 4 : >. 2 Odi, 1, xxx . 3 Cfr. sopra, p. p .

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to di Flora da parte di Zeffiro e illustrato da un esempio classico; in tal caso avremmo un seguito uguale a quello del quadro botticellia­ no. Che un simile libero rifacimento delle Odi di Orazio rientrasse nel pensiero del Poliziano e dei suoi amici, è dimostrato da un'ode di Za­ nobio Acciajuoli, 1 intitolata Veris descriptio. 2 Quest'ode è perfino scritta nello stesso me­ tro dell'ode citata di Orazio; Flora e le Grazie fanno omaggio a Venere: Chloris augustam Charitesque matrem Sedulo circum refovent honore Veris ubertim gravido ferentes Munera cornu.

Al centro del quadro si trova madonna Ve­ nere come «Nostra Signora » del boschet­ to-giardino, circondata dalle Grazie e dalle ninfe della primavera toscana.3 Come la Vene­ re di Lucrezio, essa è concepita «come simbo­ lo della vita della natura che ogni anno si rin­ nova ».4 Te, dea, te fugiunt venti, te nubila coeli Adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus Summittit flores, tibi rident aequora ponti Placatumque nitet diffuso lumine coelum . . . 5 1 Amico e scolaro del Poliziano, pubblicò nel 1 4 9 5 gli epi­ grammi greci del maestro. Cfr_ I. Del Lungo, op. cit., P- 1 7 1 . 2 BibL Marucelliana, Firenze, Ms. A . 8 2 ; pubblicata d a Roscoe, Leo X, ed. Henke, m, p. 5 6 1 . 3 J . Bayer, op. cit . , p. 2 7 1 . 4 Kalkmann, op. cit. , p. 2 5 2 . ' Lucrezio, D e rerum natura, 1 , vv. 6 sgg. I l manoscritto era stato scoperto da Poggio. Cfr. Roscoe, Li/e o/ Lorenzo, 1, p. 29,

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Ancora, in Lucrezio, è descritto l'arrivo di Venere con il seguito: It Ver et Venus et veris praenuntius ante Pennatus graditur Zephyrus, vestigia propter Flora quibus mater praespargens ante viai Cuncta coloribus egregiis et odoribus opplet.

In un passo del Rusticus 1 del Poliziano (poe­ ma bucolico latino, composto in esametri nel 1 4 8 3) si vede come egli non soltanto conosces­ se questo passo di Lucrezio, ma l'ampliasse con immagini quasi identiche a quelle che si trovano nei quadri del Botticelli. Basterebbe questo fatto da solo per dimostrare che anche per il secondo quadro il Poliziano è stato con­ sigliere del Botticelli. Il Poliziano descrive l'assemblea degli dèi in primavera:2 Auricomae, jubare exorto, de nubibus adsunt Horae, quae coeli portas atque atria servant, Quas Jove plena Themis nitido pulcherrima partu Edidit, Ireneque Diceque et mixta parenti Eunomie, carpuntque recenteis pollice foetus: Quas inter, stygio remeans Proserpina regno, Comptior ad matrem properat: comes alma [sorori lt Venus, et Venerem parvi comitantur Amores: Floraque lascivo parat oscula grata marito: In mediis, resoluta comas nudata papillas, Heidelberg r 8 2 5 ; cfr. Julia Cartwright, Portfolio, r 8 8 2 , p. 74: « The subject of the picture . . . is said (da chi ? ) to have been sug­ gested to him by a passage of Lucretius: " I t Ver et Venus " etc. >>. 1 Cfr. A. Gaspary, op. cit., n, p. 2 2 1 . 2 Cfr. ed. I . Del Lungo, p. 3 1 5 , vv. 2 1 0- 220.

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Ludit et alterno terram pede Gratia 1 pulsat: Uda choros agitat nais . . .

Volendo dare alla Primavera del Botticelli un nome legato alle idee dell'epoca, il quadro dovrebbe essere chiamato «Il regno di Vene­ re ». L'affermazione è di nuovo motivata dal Poliziano e da Lorenzo: Poliziano, Giostra , I , st. 68 - 70: 2 st. 68

Ma fatta Amor la sua bella vendetta Mossesi lieto pel negro aere a volo; E ginne al regno di sua madre in fretta Ov'è de' picciol suo' fratei lo stuolo, Al regno ove ogni Grazia si diletta, Ove beltà di fiori al crin fa brolo, Ove tutto lascivo drieto a Flora Zefiro vola e la verde erba infiora.

st. 69

Or canta meco un po' del dolce regno, Erato bella che 'l nome hai d'amore . . .

Con la s t . 7 0 segue poi l a descrizione del re­ gno di Venere direttamente ispirata da Clau­ diano: 3 Vagheggia Cipri un dilettoso monte Che del gran Nilo i sette corni vede . . . 1 Cfr. (secondo Del Lungo) Orazio, Odi, I , 4 : « . . . G ratiae de­ centes l Alterno terram quatiunt pede ». Questa sarebbe dunque la combinazione di Lucrezio e Ora­ zio da presupporsi anche per il concetto del dipinto ! 2 Ed. Carducci, pp. 3 8 sg. Cfr. in proposito Ovidio, Fasti, IV, 92: « illa (se. Venus) tenet nullo regna minora deo >>. 1 Sull'imitazione di Claudiano vedi sopra, p. 2 8 . Per l'appun­ to questo passo è già elaborato dal Boccaccio, Genealogia Dea­ rum , XI, IV, ed. Basilea 1 5 3 2 , p. 272.

PARTE SECONDA

73

Un sonetto di Lorenzo (op. cit, XXVII , p. 97) , echeggia un libero rifacimento dell'ode di Ora­ zio citata sopra: Lascia l'isola tua tanto diletta, Lascia il tuo regno delicato e bello, Ciprigna dea; e vien sopra il ruscello Che bagna la minuta e verde erbetta. Vieni a quest'ombra ed alla dolce auretta Che fa mormoreggiar ogni arbuscello, N canti dolci d'amoroso augello. Questa da te per patria sia eletta. E se tu vien tra queste chiare linfe, Sia teco il tuo amato e caro figlio; Ché qui non si conosce il suo valore. Togli a Diana le sue caste ninfe, Che sciolte or vanno e senz' alcun periglio, Poco prezzando la virtù d'Amore.

Ma anche per Lorenzo non possono mancare Zeffiro e Flora. Dalle Selve d'Amore citeremo: ' Vedrai ne' regni suoi non più veduta Gir Flora errando con le ninfe sue: Il caro amante in braccio l'ha tenuta, Zefiro; e insieme scherzan tutti e due.

Allo stesso modo nell'Ambra: 2 Zeffiro s'è fuggito in Cipri, e balla Co' fiori ozioso per l'erbetta lieta.

Vi si paragoni il sonetto xv: 3 Qui non Zeffiro, qui non balla Flora. l

Op. cit. , p . I 86. Op. cit. , p . 264. ' Op. cit. , p . So.

'

74

BOTT ICELLI

Ormai non può esservi dubbio che Nascita di Venere e Primavera si completino a vicenda. La Nascita di Venere raffigurava il divenire di Venere, come essa, sorgendo dal mare, è so­ spinta dagli zeffiri alla riva di Cipro, la cosid­ detta Primavera raffigura il momento successi­ vo: Venere che in regale ornamento appare nel suo regno; sopra il suo capo, nelle cime degli alberi, e sul suolo sotto i suoi piedi, si distende la nuova veste della terra con immensa e splen­ dida fioritura, e attorno a lei che impera su tut­ to ciò che appartiene al tempo dei fiori, sono raccolti come fidi aiutanti della loro signora: Ermete che scaccia le nuvole, le Grazie, simbo­ li della bellezza giovanile, Amore, la dea della primavera e il vento di ponente il cui amore fa spargere fiori a Flora.

PARTE TERZA ORIGINI ESTERNE DELLA COMPOSIZIONE DEI DIPINTI . BOTTICELLI E LEONARDO

Tenuto conto delle più caute considerazioni, la Giostra del Poliziano non può essere stata composta prima del 28 gennaio 1 4 7 5 (giorno del primo torneo di Giuliano dei Medici) e non dopo il 26 aprile 1 478 (data della morte di Giu­ liano). Il secondo libro del poema che si chiude con il voto di Giuliano, deve risalire a epoca po­ steriore al 26 aprile 1 476 poiché vi si accenna al­ la morte della«ninfa » Simonetta (n, 10, 8 e ott. 3 3 ) ; alla ninfa Simonetta corrispondeva infatti nel mondo reale la bella moglie genovese del fio­ rentino Marco Vespucci, Simonetta Cattaneo, la quale cadde vittima di tisi all'età di ventitré an­ ni il giorno 26 aprile. ' Che i due dipinti allegori­ ci e anticheggianti del Botticelli siano stati com­ posti all'incirca nella stessa epoca in cui fu scrit­ to il poema, è supposizione tanto più naturale in quanto anche la critica stilistica di Jul. Meyer as­ segna i dipinti a quell'epoca. Inoltre fanno propendere per questa tesi an­ che le considerazioni seguenti: la dea della pri­ mavera - a differenza dal poema in cui la tro­ viamo solo per accenni - è elaborata in en­ trambi i dipinti come parte indispensabile del1 Cfr. A. Neri, La Simonetta, « Giornale Storico della Lettera­ tura Italian a » , v ( r 8 8 s ) , pp. IJ I sgg. lvi sono anche riprodotti i lamenti di Bernardo Pulci e di Francesco Nursio Timideo d a Verona.

BOlTICELLI

l'insieme. Certo, si vede chiaramente che il Po­ liziano usa già nel poema di tutti i mezzi figu­ rativi e delle immagini che egli suggerirà poi al Botticelli per la sua elaborazione della dea del­ la primavera. Abbiamo esposto sopra come la dea della primavera nella Nascita di Venere del Botticelli assomigli nel costume e nell'atteggia­ mento alle tre Ore le quali nell'immaginaria opera d'arte del poeta italiano accolgono la dea dell'amore. Allo stesso modo la«dea della primavera» del«Regno di Venere» corrispon­ de alla «ninfa Simonetta». Poniamo che al Poliziano si fosse chiesto di mostrare al Botticelli la via per fissare in un'al­ legoria la memoria di Simonetta; in tal caso il Poliziano era costretto a tener conto dei parti­ colari mezzi figurativi della pittura. Questo lo indusse a trasferire singoli tratti bell'e pronti nella sua fantasia a determinate figure del mito pagano per suggerire al pittore, quale concetto, la figura della dea della primavera, compagna di Venere, dai contorni più precisi e quindi di più agevole riproduzione nella pittura. Che il Botticelli avesse conosciuto Simonetta ci risul­ ta da un passo del Vasari 1 il quale ne vide il ri­ tratto di profilo, dipinto dal Botticelli, in pos­ sesso delDuca Cosimo: «Nella guardaroba del signor Duca Cosimo sono di sua mano due te­ ste di femmina in profilo, bellissime: una delle quali si dice che fu l'innamorata di Giuliano de' Medici, fratello di Lorenzo». Nella Giostra è descritto come Giuliano la sorprende. «Ella siede sull'erba intrecciando 1

G. Vasari, Le Vite, ed. Milanesi, Firenze 1 878- ! 8 8 5 ,

m,

p. 3 2 2 .

PARTE TERZA

79

una ghirlanda e, scorgendo il giovane, si alza timorosa e con aggraziato movimento afferra l'orlo della veste il cui grembo è colmo dei fio­ ri colti ».1 Riccioli dorati incorniciano la sua fronte,2 la sua veste è tutta coperta di fiori,3 e mentre ella si allontana e sotto i suoi piedi sbocciano fiore Ma l'erba verde sotto i dolci passi Bianca gialla vermiglia azzurra fassi.

Giuliano la segue con lo sguardo: Fra sé lodando il dolce andar celeste E 'l ventilar dell'angelica veste. 5

Ma non dovrebbe l'Ora della primavera del dipinto non soltanto somigliare, come si vede, alla Simonetta del poema tratto per tratto, bensì anche essere, come quella, l'immagine trasfigurata di Simonetta Vespucci? Due di­ pinti possono essere confrontati con quella notizia del Vasari, l'uno nel Museo Reale di Berlino,6 l'altro nella raccolta dell'Istituto Sta­ del di Francoforte sul Meno.7 In entrambi i dipinti vediamo una testa fem­ minile di profilo; ad un lungo collo è unito, 1 2

A. Gaspary, op. cit . , II, p. 230, St. I, 47 e 4 8 . 43· I, 43 e 47· I, 5 5 · ' I, 5 6. 6 Museo Reale, n. r o6 A. Cfr. in proposito J. Meyer, op. cit . , p . 3 9 : « Che esso ( i l dipinto) raffigurasse realmente l'amata di Giuliano, la bella Simonetta ... può esser accolto solo come sup­ posizione >>. Ibid. , p . 40, riproduzione (incisione di P. Halm ) . 7 Riprod. i n E. Miintz, op . cit., II, p. 8 . I,

So

BOTIICELLI

quasi ad angolo retto, il mento a volta piatta. La bocca è chiusa, ma il labbro inferiore pen­ de un po' verso il basso. Il naso è posto a sua volta quasi ad angolo retto sul diritto labbro superiore. La punta del naso è un po' all'insù, le alette sono tracciate nettamente; in questo modo e a causa del labbro inferiore un po' sporgente, il viso acquista un'espressione ras­ segnata. La fronte alta cui si attacca un lungo occipite dà all'intera testa un aspetto quadra­ to. Tutte e due le donne hanno una fantastica « acconciatura da ninfa »; la massa dei capelli divisa nel mezzo è in parte raccolta in trecce ornate di perle, in parte scende liberamente al­ le tempie e alla nuca. Una grossa ciocca svolaz­ za liberamente all'indietro senza essere moti­ vata da un movimento del corpo. Fin dal 1 473 il Poliziano aveva in una elegia 1 paragonato Albiera degli Albizzi, morta in gio­ vane età, con una ninfa di Diana; il tertium comparationis erano anche qui i capelle Solverat effusos quoties sine lege capillos, Infesta est trepidis visa Diana feris

e ibidem vv. 79 sgg.: } Emicat ante alias vultu pulcherrima nymphas Albiera, et tremulum spargit ab ore jubar. Aura quatit fusos in candida terga capillos, Irradiant dulci lumina nigra face. 1 Cfr. G . Carducci, op. cit., p p . XXXV II sg. e I. Del Lungo, op. . cit., p. 2 3 8 . 2 I. Del Lungo, op. cit., p. 240, vv. 3 3 sgg. 3 Op. cit., p . 242.

PARTE TERZA

81

Il Poliziano deve aver avuto una particolare predilezione per l'acconciatura della testa fem­ minile; basti leggere nella sua ode « in puellam suam », vv. 1 3-2 5: l Puella, cujus non comas Lyaeus aequaret puer, Non pastor ille amphrysius Amore mercenarius, Comas decenter pendulas Utroque frontis margine, Nodis decenter aureis Nexas, decenter pinnulis Ludentium Cupidinum Subventilantibus vagas, Quas mille crispant annuii, Quas ros odorque myrrheus Commendat atque recreat .

A base del dipinto di Francoforte (che già per ragioni esterne, con la gemma recante la punizione di Marsia/ indica un rapporto fra la persona raffigurata e i Medici) stanno gli stessi tratti del dipinto berlinese. Ma l'ingrandimen­ to esterno della testa (è di formato maggiore del naturale) fa apparire i lineamenti più svuo­ tati. Si ha l'impressione che questo quadro sia stato dipinto nello studio del Botticelli dopo il ritratto berlinese di Simonetta, forse come ri­ produzione di un tipo di testa ideale, allora molto diffuso . In cima ai capelli essa porta una borchia con piume; « ninfe » del genere con i ' Op. cit., p. 2 6 8 . Cfr. E. Miintz, Les Précurseurs de la Renaissance, Parigi r 8 8 2 , tav. a, p. 9 1 . In proposito Bode, « Jahrb . d. Preuss. Kunst­ slg. >>, xu ( 1 89 1 ) , p. 1 67.

2

BOTI ICELLI

capelli sciolti ornati di piume, con arco e frec­ ce, si videro circolare fin dal giugno 1 466 in occasione di una giostra a Padova; 1 precedeva­ no un cocchio su cui si scorgeva il Parnaso con Mercurio alla sommità; ai piedi del monte sede­ vano attorno alla fonte castalica le Muse. Nella relazione di un testimone oculare è detto: «Ve­ deansi poscia venire dieci Ninfe in bianca ve­ ste colle chiome sparse sul collo, con pennac­ chi d'oro in capo, armate d'arco e faretra, a foggia di cacciatrici». Confrontando il profilo della dea della pri­ mavera nella Nascita di Venere con i due ritrat­ ti di Simonetta ora ricordati, non sarà difficile pensare che anche nel dipinto non abbiamo dinanzi a noi soltanto la Simonetta idealizzata a ninfa, bensì anche la riproduzione dei suoi lineamenti. Come sui ritratti, ad un lungo col­ lo è attaccata la testa quadrata con la triplice interruzione della linea del profilo mediante fronte, naso e bocca con il mento. La bocca è chiusa, il labbro inferiore sporge lievemente. L'identità con la donna raffigurata nel ritrat­ to berlinese si potrebbe constatare anche in modo più deciso se la dea della primavera non avesse la testa un po' alzata, e se d'altra parte 1 Cfr. Giov. Visco, Descrizione della Giostra seguita in Padova nel Giugno 1466, « Per nozze Gasparini-Brusoni », Padova 1 8 5 2, p. 1 6. Qui si vede ancora una volta come le feste anticheg­ gianti di allora fossero connesse all'influenza formale degli anti­ chi. Sulle « ninfe » cfr. in particolare qui sopra, pp. 3 8 sgg. Si vi­ dero fin dal 1 4 5 4 in una processione per la festa di san Giovan­ ni Battista; cfr. Cambiagi, Memorie istoriche per la Natività di S. Gio. Battista, 1 766, pp. 65 sgg . , p. 67 (da Matteo Palmieri) : .

PARTE TERZA

la testa del ritratto berlinese fosse dipinta più nettamente di profilo: la bocca diventerebbe allora più piccola, le sopracciglia apparirebbe­ ro arcuate maggiormente e la pupilla non sa­ rebbe più visibile in completa rotondità. Un ritratto di profilo con la iscrizione« Simo­ netta Januensis Vespuccia» in possesso del duca di Aumale1 dovrebbe servire da punto di parten­ za del raffronto, se questo dipinto non si doves­ se attribuire a Piero di Cosimo/ nato nel 1462, cosicché il ritratto non può essere fatto dal vero. Essa vi è raffigurata come Cleopatra colpita dal fatale morso della serpe. Anche dalla cattiva ri­ produzione in «L'Art» ( 1 887, p. 6o) si può ri­ conoscere che in questo caso si tratta dello stes­ so tipo, ma tutto è reso in maniera più morbida; l'acconciatura dei capelli che è posta più all'in­ dietro, è anch'essa ornata«fantasticamente» di perle, ma non vi sono ciocche svolazzanti. Che il viso della dea della primavera, pienamente ri­ volto allo spettatore, nel«Regno di Venere» re­ chi anch'esso i lineamenti di Simonetta, se pure idealizzati, è cosa verosimile non foss'altro per le forme che si scostano dal tipo botticelliano consueto; ma una prova ineccepibile potrà dar­ cela soltanto l'esame delle proporzioni.3 Quattro sonetti4 di Lorenzo testimoniano della profonda impressione destata dalla mor' Chantilly, riproduzione in « L'Art >>, I 8 8 7, p. 6o. Cfr. Frizzoni (a proposito di G . Vasari, Le Vite, ed. Milane­ si, IV, I 44) , >, I 8 79, pp. 2 5 6- 2 5 7. Già Georges Lafenestre >, I 8 8o, n, p. 3 76, fig. p. 482, vedeva un legame fra questo ritratto e la Simonetta della Gio.rtra. ' Cfr. in/ra, p. 89. 4 Ed. Barbera, pp. 3 5 -63 .

2

BOTT ICELLI

te di Simonetta. Lorenzo ritenne questa espe­ rienza e la espressione poetica che per essa aveva trovato, abbastanza significative per ac­ compagnare i sonetti, come aveva fatto Dante nella Vita Nova, con un commento nel quale descrive nei particolari lo stato d'animo cui ogni singola poesia deve la sua origine. Nel primo sonetto Lorenzo crede di rivedere Si­ manetta in una stella lucente che egli scorge in cielo di notte, mentre addolorato ricorda Si­ manetta. Nel secondo sonetto egli si paragona al fiore Clizia che ora spera invano di rivedere il sole che le dia nuova vita. Nel terzo sonetto egli lamenta la sua morte che gli ha rapito ogni gioia, e Muse e Grazie dovrebbero aiutarlo a lamentarla. Il quarto sonetto è l'espressione del suo dolore più profondo. Egli non vede via d'uscita per sfuggire all'angoscia struggente all'infuori della morte. Se si pensa che il«Regno di Venere» ha il suo motivo in una esperienza luttuosa, anche l'at­ teggiamento e la posizione di Venere diventano più comprensibili; ella guarda seria lo spettato­ re, la testa chinata lievemente verso la mano de­ stra che ella alza con cenno ammonitore. In modo del tutto simile il Botticelli ha illu­ strato le parole cheDante pone sulle labbra di Matelda allorché questa gli accenna l'appros­ simarsi di Beatrice. Quando la donna tutta a me si torse, Dicendo: frate mio, guarda e ascolta. 1 1 Cfr. i disegni del Botticelli nel Gabinetto delle stampe di Ber­ lino, Purgatorio, Canto XXIX, vv. 1 4- 1 5 . La mano destra è alzata

PARTE TERZA

Allo stesso modo Venere in mezzo alle crea­ ture eternamente giovani del suo regno, potrà accennare con le parole di Lorenzo 1 all'effime­ ro riflesso terreno della propria potenza: Quant'è bella giovinezza Che si fugge tuttavia ! Chi vuoi esser lieto, sia: Di doman non c'è certezza.

In uno stato d'animo analogo Bernardo Pul­ ci, nel suo lamento, implora gli olimpici di ri­ mandare sulla terra la «ninfa» Simonetta che in quel momento dimorava con loro: 2 1

10

Venite, sacre e gloriose dive Venite Gratie lagrimose e meste Acompagnar quel che piangendo scrive. Nymphe se voi sentite i versi miei Venite presto et convocate Amore Prima che terra sia facta costei.

1 45

Ciprigna, se tu hai potenza in celo, Perché non hai col tuo figliuol difesa Costei, de' regni tuoi delitia e zelo?

1 66

Forse le membra caste e peregrine Solute ha Giove, e le nasconde e serra, Per mostrar lei fra mille altre divine;

quasi ad angolo retto con il braccio e ha la palma volta all'infuori; la testa è volta a sinistra verso Dante e così le due pupille. La ma· no sinistra poggia sulla coscia sinistra, ma siccome qui non ha da fermare nessun mantello, il movimento sembra superfluo. 1 Lorenzo, Trionfo di Bacco e Arianna, in op. cit., p. 4 2 3 . 2 Cfr. A . Neri, op. cit., pp. 1 4 1 · 1 46.

86

BOTI ICELLI

1 69

Poi ripor la vorrà più bella in terra, Sì che del nostro pianto il cel si ride Et vede el creder nostro quanto egli erra.

191

Nympha, che i n terra u n freddo saxo copre Benigna Stella hor su nel ciel gradita Quando la luce tua vie si scopre Torna a veder la tua patria smarrita. 1

Nell'immagine della dea della primavera che accompagna Venere e in tal modo ridesta la terra a nuova vita, simbolo confortante della vita rinnovantesi, Lorenzo e i suoi amici - sia detto qui in via di ipotesi - possono aver ser­ bato il ricordo della «Bella Simonetta». Qualche allusione che P. Miiller-Walde2 fa nella prima parte del suo Leonardo farebbe pensare che egli si immagina l'ambiente cui devono l'ispirazione alcuni disegni di Leonar­ do, simile a quello che abbiamo cercato di illu­ strare nel presente lavoro per il Botticelli. Egli fa però risalire l'ispirazione allo spettacolo del torneo stesso e non, in prima linea, al poema del Poliziano. Eppure, proprio i disegni di Windsor (nel Miiller-Walde figg. 38- 39) si pos­ sono spiegare sufficientemente mediante le fi­ gure presenti nel poema d'occasione del Poli­ ziano, mentre d'altro lato «la fanciulla coraz­ zata», «il giovane con la lancia» o la « Beatri1 Per l'idea del ritorno di Simonetta come dea, cfr. Poliziano, Giostra, n, 34, 5: >. 2 Leonardo da Vinci, Lebensskizze und Forschungen uber sein Verhiiltnis zur Florentiner Kunst und zu Rafael, Monaco r 8 89, pp. 74 sgg.

PARTE TERZA

ce» solo con difficoltà si possono collegare al­ la giostra stessa. «Il giovane con la lancia» 1 è per l'appunto il Giuliano della Giostra del Poliziano, raffigura­ to nel momento in cui, vestito da cacciatore, con corno e lancia, egli guarda la «ninfa» che insegue, ed essa si volta indietro verso di lui. Ma la « Simonetta» è rappresentata probabil­ mente da quella figura femminile che Miil­ ler-Walde chiama «Beatrice».2 Camminando ha raccolto la veste - capelli e veste della«nin­ fa» svolazzano ancora nel vento - e volge in­ dietro la testa verso Giuliano per dirgli accen­ nando con la mano Firenze:3 I non son qual tua mente in vano auguria Non d'altar degna non di pura vittima; Ma là sovr'Arno nella vostra Etruria Sto soggiogata alla teda legittima.

«La fanciulla corazzata» potrebbe essere allora l'immagine di Simonetta che appare in sogno a Giuliano:4 Pargli veder feroce la sua donna Tutta nel volto rigida e proterva . . . 1

Op. cit. , fig. 36. L a sua testa è idealizzata. Op. cit., fig. 39· In tal caso certo senza alcuna pretesa di ri­ tratto. 3 Giostra, 1 , 5 1, I sgg. 4 Giostra, n, 2 8 . Anche il Miiller-Wal de ravvisa in essa Simo­ netta: , xv. In riferimento a questo passo an­ che J . P. Richter, Leonardo, I 8 8 J , 1 , p. 20 1 , riporta questo dise­ gno. 2 Op. cit. , p. 5 22. Leonardo si trovò nella bottega del Verme­ chio per l'appunto negli anni in cui si presume Botticelli lavo­ rasse alle sue allegorie di Venere (dunque circa 1 476- 1 4 7 8 ) . Cfr. Bode, , m ( r 8 8 2 ) , p. 2 5 8 .

PARTE TERZA

femminile dai movimenti violenti sul rilievo di stucco1 nel Museo di Kensington il cui model­ lo è da ricercarsi in un'antica Menade (ad es. il tipo 30 di Hauser). Che Leonardo conoscesse un rilievo neoattico del genere, risulta anche da una sanguigna nell'Ambrosiana in cui è raf­ figurato un satira con leone (corrispondente all'incirca al tipo 22 di Hauser).2 Ma per com­ provare il nesso fra i diversi ritratti di Simo­ netta si dovrà ricorrere a un esame particola­ reggiato dell'influenza degli antichi sulle pro­ porzioni; esame che farebbe da riscontro al presente lavoro. Il punto di partenza di questo secondo tentativo ci è dato di nuovo dal Botti­ celli (nel ritratto di Simonetta a Francoforte), ma nel corso dell'esposizione troveremo in primo piano Leonardo come vero e proprio elaboratore del problema. In un altro passo soltanto, Leonardo si appella infatti agli anti­ chi: in un riferimento a Vitruvio rispetto alle proporzioni del corpo umano.3 Se si riuscisse a chiarire l'influsso degli anti­ chi sulle idee del primo Rinascimento intorno alle proporzioni, si troverebbe appoggio nelle parole di quell'artista che ad un senso insupe­ rato delle cose singole e particolari univa la ca­ pacità altrettanto vigorosa di vedere l'elemen­ to comune e generale; per questo, certamente, solito com'era di rifarsi solo a se stesso, am1 Attribuito a Leonardo dal Miiller· Walde e pubblicato come fig. 8 I . 2 Cfr. il disegno del Sangallo, riprod . in E . Miintz, Hist. de l'Art pendant la Renaiss. , p . 2 3 8 , e in proposito Hauser, op. cit . , p . 1 7, n . 20. 3 Cfr. } . P. Richter, 1 , p. r 8 2 . Ibid. , riproduzione.

BOTI ICELLI

metteva l'autorità degli antichi là soltanto do­ ve essi gli apparivano come modelli imponenti rispetto, che per lui e i suoi contemporanei rappresentavano ancora una forza viva. Sandra Botticelli ha per ogni oggetto immo­ bile, nettamente delimitato, l'occhio attento del « pittore-orefice » fiorentino; lo si vede nel­ la riproduzione degli accessori in quella amo­ revole precisione con cui è osservata e ripro­ dotta ogni singola cosa. E a che punto il parti­ colare netto fosse l'elemento fondamentale della sua concezione artistica, risulta dal fatto che egli non attribuiva valore artistico all'« at­ mosfera » del paesaggio. Infatti, Leonardo nar­ ra come il Botticelli solesse dire « che la pittu­ ra del paesaggio non aveva senso; basterebbe gettar alla parete una spugna imbevuta di di­ versi colori per poter poi ravvisare nella mac­ chia il più bel paesaggio ». 1 Leonardo che, a motivo di questa mancanza del senso del pae­ saggio, nega al Botticelli il carattere di « pitto­ re un�versale », soggiunge: « e questo tal pitto­ re fece tristissimi paesi ». Mentre il Botticelli ha · in comune con la maggior parte degli artisti suoi contemporanei l'attenta osservazione dei particolari, una spe­ ciale predilezione per lo stato d'animo placido lo portava, nella riproduzione di figure umane, a conferire alle teste quella bellezza trasogna­ ta, passiva, che ancor oggi è ammirata come 1 Cfr. H. Ludwig, op. cit., 1, p. 1 1 6, n. 6o: « . . . come disse il nostro boticella, che tale studio era vano, perché col solo gittare d'una spugna piena di diversi colori in un muro essa lasciaua in esso muro una machia, dove si uedeua un bel paese ».

PARTE TERZA

carattenstlca particolare delle sue creazioni. 1 Di parecchie donne e giovani del Botticelli si sarebbe inclini a dire che in quel momento ap­ pena sono giunti a consapevolezza del mondo esteriore destandosi da un sogno e che, sebbe­ ne a questo mondo si volgano di nuovo attivi, le immagini del sogno pervadano ancora la lo­ ro coscienza. È chiaro che il temperamento ar­ tistico del Botticelli, basato su questa predile­ zione della bellezza placida, 2 ha bisogno di un impulso esterno per scegliere quale tema scene di appassionata commozione; ed egli è tanto meglio disposto ad illustrare le idee altrui in quanto, per farlo, gli giova eccelsamente il se­ condo lato del suo carattere, il senso dell'illu­ strazione particolareggiata. Ma non soltanto per questa ragione le fantasie del Poliziano trovarono nel Botticelli l'orecchio pronto e la mano volenterosa; la mobilità esterna degli accessori inerti, delle vesti e dei capelli che il Poliziano gli suggeriva quale caratteristica del­ le opere d'arte antiche, era un contrassegno esterno, facile a maneggiarsi, che poteva essere aggiunto dovunque si trattasse di destare la parvenza di una vita intensificata. E di questa facilitazione della riproduzione pittorica di ' Le osservazioni che seguono sono da considerarsi soltanto come aggiunte integrative all'analisi ampia ed esauriente di Jul. Meyer. 2 Il dualismo fra partecipazione e distacco è dato ai visi botti­ celliani da un punto di vista fisionomico anche dal fatto che la luce viva dell'occhio non si trova a guisa di punto nella pupilla, bensì nell'iride la quale talvolta è rischiarata anche a cerchio. In tal modo l'occhio appare, è vero, rivolto agli oggetti del mondo esterno, ma non fissato con precisione su di essi.

BOTTICELLI

uomini esagitati o anche solo intimamente com­ mossi, il Botticelli amava fare uso. Nel Quattrocento « gli antichi» non esigo­ no che l'artista releghi in secondo piano le for­ me espressive conquistate dalla propria osser­ vazione - come lo esigerà il Cinquecento per la illustrazione di temi antichi in maniera anti­ ca; essi attirano semplicemente l'attenzione sul problema più difficile dell'arte figurativa, sul modo di fissare le immagini della vita in movi­ mento. A che punto gli artisti fiorentini del Quat­ trocento fossero pervasi dal senso di essere uguali agli antichi, risulta in una serie di ener­ gici tentativi di trovare forme similari nella propria vita e di configurarle mediante il pro­ prio lavoro. Se in questi tentativi « l'influenza degli antichi» conduceva a una meccanica ri­ petizione di motivi d'un movimento esterna­ mente intensificato, la colpa non è « degli anti­ chi»; infatti nel loro mondo figurativo - a par­ tire da Winckelmann - si è comprovata, con lo stesso convincimento, l'esistenza di modelli del motivo contrario, della « placida grandez­ za»; la colpa è di una insufficiente consapevo­ lezza artistica degli artisti figurativi. Il Botticelli era proprio fra coloro i quali era­ no di temperamento troppo malleabile. « Ma quanto più riusciamo ad avvicinarci realmente a un maestro» dice Justi 1 « e ad indurlo a par­ lare interrogandolo instancabilmente, tanto più severamente egli ci appare chiuso nelle sue opere come in un mondo suo proprio. Per 1

Diego Velasquez, Bonn r888, 1, p. 1 2 3 .

PARTE TERZA

93

esprimermi scolasticamente, quegli elementi generali di stirpe, scuola ed epoca che egli ha avuto da altri, con altri divide e ad altri tra­ manda, sono soltanto la sua natura secondaria (bwtÉQa oùota) , l'elemento individuale, idio­ sincrasico costituisce la sua sostanza primaria (3tQW'tTJ oùota) . Caratteristica del genio è dun­ que l'iniziativa ». Illustrare come Sandro Botticelli facesse i conti con le idee che degli antichi aveva la sua epoca, come li facesse quasi si trattasse di una potenza che esigeva o resistenza o soggezione, e che cosa di tutto questo divenisse la sua « se­ conda sostanza », ecco qual era la meta della presente ricerca.

ILLUSTRAZIONI

1 . Sandra

Botticelli, Nascita di Ve nere.

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2 a, b. Venere e altre scene mitologiche. Illustrazione a penna delle poesie di Lorenzo il Magnifico.

3· Donatello, S. Giorgio libera la principessa cappadocta. 4· Agostino di Duccio, Scena delta vita di Sigismondo.

5 . La p rimavera. Illustrazione su legno della prima edizione della Hypnerotomachia Poliphili, Venezia 1 499.

6. Sandro Botticell i ,

Achille a Sciro. Disegno a penna.

7· Achille a Sciro. Sarcofago romano.

8. Sandra Botticelli, Pallade.

9· Sandra Botticelli, Primavera.

Niccolò Fiorentino, Le tre Grazie. Rovescio della prima medaglia per Giovanna Tornabuoni. I I. Niccolò Fiorentino, Venus Virgo. Rovescio della seconda medaglia per Giovanna Tornabuoni. IO.

1 2. Venere appare ad Enea (Eneide l, 3 1 5 ) . Cassone nuziale italiano. 1 3 . Divinità del vento. Particolare della caccia di Enea e Didone sull'altro lato dello stesso cassone.

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Pomona . S1atua romana.

IL GIOVANE WARBURG E LE > DI BOTTICELLI DI P IERLUIGI DE VECCHI

A Monaco, durante l'estate del 1 8 8 8 , in occasio­ ne di una esposizione di arte contemporanea, l'in­ teresse del giovane Warburg fu attratto dal reali­ smo di artisti come Max Liebermann o Fritz von Uhde nel rappresentare un mondo di miseri e de­ relitti: realismo che a molti appariva del tutto in contrasto con le convenzionali idee sull' arte e sulla bellezza. Le riflessioni suscitate da tale esperienza lo condussero ad esprimere per la prima volta, in una lettera datata 3 agosto, la sua profonda avver­ sione per quello che considerava il diffuso, vacuo e compiaciuto edonismo di gran parte del pubbli­ co: « Purtroppo le cosiddette persone colte guar­ dano all' arte come se fosse un bel prato fiorito, su cui piacevolmente passeggiare la s e ra e goderne taciti il meraviglioso profumo ; perciò ognuno di loro ritiene di poter discettare a piacimento sul­ l'arte (naturalmente proclamandosi " profano " ) : "È questo i l compito dell',arte? " , " Oh questi reali­ sti ! " , " Lo trovi bello ? " . E quest'ultima domanda in particolare che suona così gradevole alle mie orecchie. Mi ricorda il bambino che non conosce alcuna distinzione in questo mondo se non quella tra le cose che si possono e che non si possono mangiare. Solo le prime meritano una brama ap. pass10nata » . l Sulla scia di tali considerazioni egli perveniva allora a formulare un ambizioso programma: « Noi 1 Il testo della lettera è riportato in E. H. Gombrich, Ahy War­ burg. An Intellectual Biography , London 1 970. Edizione italiana Aby Warburg. Una biografia intellettuale, Milano 1 98 3 , p . 4 3 ·

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della generazione più giovane vogliamo far progre­ dire la scienza dell'arte al punto che chiunque par­ li dell'arte in pubblico senza averne una conoscen­ za approfondita e specifica sia considerato ridicolo come quelli che discorrono di medicina senza esse­ re medici ». 1 Se, ad oltre un secolo di distanza, quest'ultimo obiettivo risulta del tutto mancato, è certo che, nel giro di pochi decenni, l'opera di al­ cuni studiosi della generazione di Warburg ha contribuito in modo decisivo a trasformare radi­ calmente, per quanto riguarda gli orientamenti di ricerca come le metodologie, il campo della storia dell' arte. Al tempo del suo soggiorno a Monaco, Warburg aveva frequentato per due anni i corsi dell'Univer­ sità di Bonn, in particolare le lezioni degli storici dell'arte Heinrich Thode e Cari J usti, ma anche del filosofo Hermann Usener e dello storico Karl Lam­ precht, oltre a un seminario dell'archeologo Kekulé von Stradonitz, durante il quale aveva ricevuto il compito di prendere in esame la forza espressiva dei drappeggi ondeggianti nei rilievi raffiguranti la Centauromachia. Le sue annotazione manifestano, fin da quegli anni, una attenzione vivissima al contesto culturale dell'attività artistica, sul modello della grande tra­ dizione che da Burckhardt proseguiva fino a Justi, ma congiunta a determinanti aperture nei confron­ ti della psicologia, dell'antropologia e degli studi sociali, stimolate dall'insegnamento di Usener e di Lamprecht, che lo spingevano a prendere in consi­ derazione anche gli aspetti in apparenza secondari e più trascurati della vita culturale, attribuendo va-

' Ibid. Per l 'accurata ricost ruzione della formazione di Warburg, attraverso i documenti e le sue note manoscritte, si rinvia alla biografia di E. H. Gombrich citata alla nota I di p . I I I .

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lore eminentemente « sintomatico » alle reliquie fi­ gurative del passato. Secondo la testimonianza di Gertrud Bing, i problemi che già allora maggiormente « urgevano » nella sua mente erano « la funzione della creazione figurativa nella vita della civiltà e il rapporto varia­ bile che esiste fra espressione figurativa e linguag­ gio parlato . Tutti gli altri temi che sono considerati caratteristici delle sue ricerche, il suo interesse per il contenuto delle figurazioni, la sua attenzione per la sopravvivenza dell'antichità, erano non tanto obiettivi veri e propri, quanto mezzi per raggiunge­ re quello scopo » . 1 Sempre durante l'estate del 1 8 8 8 , da Monaco, Warburg annunciava ai genitori il suo proposito di raggiungere a Firenze, l'anno successivo, August Schmarsow che, con l'intento di promuovere la fon­ dazione di un Istituto Germanico nella città, vi or­ ganizzò, per un piccolo gruppo di studenti, semina­ ri su Masaccio e sulla scult ù ra toscana del xv secolo. Ciò che maggiormente lo attraeva nell'insegna­ mento di Schmarsow era probabilmente l'interesse rivolto, in chiave evoluzionista, ai problemi del mo­ vimento, della gestualità e dell'espressione in rap­ porto con la mentalità primitiva. Durante il semi­ nario l'attenzione di Warburg e dei suoi compagni fu indirizzata da un lato a porre in risalto, negli af­ freschi della Cappella Brancacci, le innovazioni di Masaccio rispetto a Masolino nella resa dei movi­ menti come delle espressioni del volto, nel senso della acquisizione di un progressivo dominio della rappresentazione naturalistica, dall' altro su rilievi che sembravano invece allontanarsi dalla aspirazio­ ne ad un crescente naturalismo per l'inclinazione a 1 G. Bing, Introduzione a A. Warburg, Gesamme/te Schrif ten , Leipzig·Berlin 1 9 3 2 . Edizione italiana A. Warburg, La rina­ scita del paganesimo antico, Firenze 1 966, p. XIV.

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elementi ornamentali e calligrafici, soprattutto in certe « esagerazioni » nella resa del movimento del drappeggio. Ciò appariva in contraddizione con l'idea di un progresso lineare verso una rappresen­ tazione sempre più fedele della realtà. Le medesime inclinazioni si potevano, del resto, cogliere nelle opere di pittori come Botticelli o Fi­ lippino Lippi e Warburg annotava: « Se è certo che, dall'inizio del Quattrocento in poi, l'esigenza domi­ nante nella rappresentazione della figura umana fu quella della fedeltà alla natura, è lecito considerare ogni deviazione arbitraria da questa fedeltà - av­ venga essa attraverso la frequente ripetizione di mo­ tivi individuali, o sia costituita dalla innaturale di­ storsione di un oggetto - come il risultato di deside­ ri insoddisfatti provocati dalla visione del mondo di quel periodo, e rivolti al godimento della vita. Dob­ biamo perciò: I . rinvenire siffatte caratteristiche in ogni periodo dato, e fissarne la fisionomia storica. Indispensabile anche indagare se si sia data imita­ zione di modelli precedenti; 2. considerare i pro­ dotti dell'arte come parte della vita di un'epoca » . 1 Uno stimolo a d approfondire questi problemi fur0no probabilmente anche le conversazioni con Mary Hertz, una giovane artista incontrata da War­ burg a Firenze e che egli in seguito sposò. A tal proposito, Gombrich osserva: « dopotutto il dog­ ma conservatore delle accademie era allora minac­ ciato da due lati: da una parte i realisti e gli impres­ sionisti, che respingevano lo " stile" in nome della verità; e sul fronte opposto i primi profeti dell'Art Nouveau che respingevano la verità " fotografica " opponendole lo stile " decorativo " . Il goticismo, il giapponesismo e il primitivismo stavano combat1 Entwurf zur Botticelli-Dissertation (Bonn, 2 8 aprile r 8 8 9 ) . Cfr. E. H. Gombrich , Aby Warburg. Una biografia intellettuale, cit . , pp. 49- 50.

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tendo l'ipotesi di un progresso unidirezionale. Per Warburg, che era molto legato al radicale progres­ sismo evoluzionistico del suo maestro Lamprecht, questa intrinseca contraddizione presentava una sfida ulteriore. Egli non poteva dubitare che lo stesso Rinascimento rappresentasse uno slancio in avanti dello spirito umano. Perciò la deviazione dalla direttrice del progresso doveva affondare le radici nella nuova mentalità del periodo ». 1 Nella mente del giovane Warburg nacque così il proposito di scegliere come argomento della sua te­ si di dottorato due dipinti mitologici di Botticelli: la Nascita di Venere e la Primavera, a quel tempo divisi ed esposti rispettivamente agli Uffizi e all' Ac­ cademia. Nella scelta di due « capolavori », già allo­ ra considerati « emblematici » del Rinascimento, oltre alla volontà di porre in risalto il significato che l'interesse per l'antichità assumeva nella cultu­ ra fiorentina del tardo Quattrocento, è possibile ri­ conoscere un'intenzione polemica e una sfida alla visione « estetizzante » di tali opere da parte di un pubblico « moderno », ispirata dalle concezioni dei preraffaelliti e dell'Art Nouveau. Di fronte ai dubbi e allo scarso interesse manife­ stati da Justi per tale argomento, Warburg si rivol­ se, all'Università di Strasburgo, a Hubert Janit­ schek, che lo accolse con entusiasmo. La disserta­ zione, presentata nel dicembre I 89 I , venne pubbli­ cata due anni più tardi, con il significativo sottoti­ tolo di Ricerche sull'immagine dell'antichità nel pri­ mo Rinascimento italiano, e con una dedica allo stesso Janitschek e al docente di archeologia classi ­ ca Adolf Michaelis, di cui egli aveva nel frattempo seguito i corsi. Il percorso seguito da Warburg nella prima par­ te del saggio, dedicata alla Nascita di Venere, è mol' Ibid. , p . 4 8 .

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to lineare. Riesaminando alcune delle possibili fon­ ti letterarie del dipinto, già identificate da prece­ denti studiosi, in particolare il secondo inno omeri­ co ad Afrodite e alcune stanze della Giostra del Po­ liziano, egli osserva come quest'ultimo, nella minu­ ziosa descrizione degli immaginari rilievi sui pila­ stri del portale del tempio di Venere, si allontani dall'inno omerico soprattutto per la insistita de­ scrizione degli « accessori » mossi dal vento - le ve­ sti e le lunghe chiome sciolte - « ammirati dal poe­ ta come meravigliosa illusione, frutto di virtuosi­ smo artistico ». Nonostante alcune differenze tra dipinto e de­ scrizione poetica, l'analoga tendenza a « fissare i movimenti transitori nei capelli e nelle vesti » non lascia dubbi circa il legame tra le due opere, per cui Warburg giunge alla conclusione che il Poliziano « abbia fornito al Botticelli il concetto ». Allargan­ do il campo di osservazione egli però riconosce che tale tendenza a conferire forte risalto ai movimenti dei capelli e delle vesti ondeggianti non rappresen­ ta un caso isolato, ma può essere ricondotta a un celebre passo del Della Pittura di Leon Battista Al­ berti, trovando corrispondenza in opere di altri ar­ tisti del xv secolo, in particolare in bassorilievi di Agostino di Duccio. Il ricorso a modelli antichi accomuna la rappre­ sentazione artistica alla descrizione poetica. L'at­ tenzione del Poliziano può essere stata attratta e in­ dirizzata su tale specifico « problema artistico » dal­ la conoscenza del passo dell'Alberti, ma egli ha sa­ puto dare « a questo stato d'animo ' nuovo vigore in modo consapevole e autonomo modellando fedel­ mente le parole destinate a illustrare questi acces1 Il corsivo è mio. Il passo, come tutti gli altri per i quali non si forniscono indicazioni in nota, fa parte del saggio di A. War­ burg pubblicato nel presente volume.

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sori mossi sulle parole da lui cercate in poeti anti­ chi, in Ovidio e Claudiano ». I l problema relativo ai mutamenti stilistici e alla presenza di tendenze e fenomeni contrastanti nel­ l' arte fiorentina del xv secolo, già affrontato nel se­ minario di Schmarsow, si è trasformato in una ri­ cerca più specifica, rivolta a portare alla luce gli aspetti fondamentali di quella che oggi chiamerem­ mo la « situazione genetica » di opere nelle quali ci si proponeva di evocare miti antichi in immagini di dimensioni pari a quelle di grandi dipinti di sogget­ to religioso. Nella « Osservazione » premessa al saggio, War­ burg afferma infatti di aver « tentato » di istituire un raffronto tra i dipinti mitologici di Botticelli e « le corrispondenti idee della letteratura poetica e delle teorie estetiche dell'epoca », nell'intento di vedere « come gli artisti e i loro consiglieri vedessero negli " antichi " un modello richiedente un movimento esterno intensificato e si appoggiassero a modelli antichi ogni qual volta si trattasse di raffigurare il moto fisico attraverso accessori come fogge e capi­ gliature » . Egli perviene pertanto a scoprire quale fosse l'immagine mentale che Botticelli, i suoi con­ siglieri e i suoi committenti avevano dell'antichità: una visione decisamente più « letteraria » che « ar­ cheologica », evocata dai testi di Ovidio o di altri autori classici, oltre che dei loro imitatori rinasci­ mentali. Sia pure in forma embrionale, incominciano qui a manifestarsi alcuni dei grandi temi che caratteriz­ zeranno le ricerche di Warburg nei decenni succes­ sivi, in particolare quello dei mutamenti stilistici vi­ sti in stretta connessione con il mutare degli « stati d' animo » e quello della ricerca, in opere dell' anti­ chità, di modelli adatti ad esprimere tali nuovi « sta­ ti d'animo »: modelli che, però, una volta « risco­ perti », non rimangono « inerti », ma entrano nel

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complesso processo della creazione di nuove imma­ gini in modo interattivo, non solo sul piano forma­ le, ma anche su quello dei contenuti. I rilievi antichi non si offrono solo come esempi per « raffigurare il moto fisico attraverso accessori come fogge e capi­ gliature », ma divengono « strumento di intensifica­ zione della caratterizzazione psicologica ». Nella seconda parte del saggio, dedicata alla Pri­ mavera, Warburg entra nella discussione più speci­ ficatamente iconografica del dipinto, in merito alla individuazione dei personaggi e delle « fonti », puntando però sempre, come obiettivo prioritario, alla « spiegazione della elaborazione del quadro » nel contesto della cultura tanto letteraria quanto fi­ gurativa del tempo e ricordando, proprio ad aper­ tura, come la rappresentazione delle tre Grazie fos­ se un tema proposto agli artisti dall'Alberti, al pari della Calunnia di Apelle: « Il fatto che il Botticelli raffigurasse proprio questi esempi-modello dell'Al­ berti, ci dà un'altra prova dell'alto grado di in­ fluenza esercitata su di lui o sul suo dotto consiglie­ re dalle idee dell'Al berti ». Nella Nascita di Venere egli aveva confermato la identificazione della figura femminile che accoglie la dea sulla riva, corrispondente alla descrizione delle Ore nei versi del Poliziano, come « l'ora » o la « dea della primavera », citando passi delle Meta­ morfosi e dei Fasti di Ovidio, oltre che del manuale sulle immagini degli dèi antichi di Vincenzo Carta­ ri e con riferimento ad una incisione della Hypne­ rotomachia Poliphili. La medesima personificazio­ ne è da lui riconosciuta nella fanciulla che sparge fiori nella Primavera. La figura di Venere, al centro del dipinto, gli appare poi concepita come simbolo della vita della natura che ogni anno si rinnova, ispirata da un passo di Lucrezio ripreso dal Polizia­ no nel poemetto latino Rusticus: « si vede come egli non solo conoscesse questo passo di Lucrezio, ma

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l'ampliasse con immagini quasi identiche a quelle che si trovano nei quadri del Botticelli ». Warburg si pone allora il problema di come il di­ pinto possa essere collegato alle « idee dell'epoca » e quindi di come potesse essere visto e interpretato dai contemporanei dell'artista. Riferendosi a una stanza della Giostra e ad un sonetto di Lorenzo de' Medici, propone pertanto di chiamarlo il « Regno di Venere », ritenendolo in stretto rapporto con la Nascita di Venere che « raffigurava il divenire di Ve­ nere, come essa sorgendo dal mare è sospinta dagli zeffiri alla riva di Cipro )), mentre « la cosiddetta " Primavera " raffigura il momento successivo: Ve­ nere che in regale ornamento appare nel suo re­ gno )). Significativo appare soprattutto l'ampio svilup­ po delle considerazioni sul motivo dell'« insegui­ mento erotico )) da parte di Zefiro, narrato dalla ninfa Flora nei Fasti di Ovidio. La raffigurazione degli « accessori mossi )) nel dipinto di Botticelli sembra però derivare piuttosto dal passo delle Me­ tamorfosi che narra la fuga di Dafne inseguita da Apollo, cui si era ispirato anche il Poliziano sia nel­ l'Orfeo, sia per uno dei rilievi immaginari descritti nella Giostra. Warburg menziona quindi altre ri­ prese del tema dell'inseguimento, dal Ninfa/e fieso­ lano di Boccaccio all'idillio Ambra di Lorenzo de' Medici, fino a rappresentazioni teatrali come la Fa­ bula di Caephalo di Niccolò da Correggio, un ano­ nimo dramma di Dafne in un manoscritto manto­ vano e un intermezzo della Rappresentazione di Santa Oliva. Suppone quindi che, in occasione di feste e di spettacoli, tali figure si offrissero agli oc­ chi dell'artista « nel loro aspetto fisico, quali mem­ bri di una vita realmente in movimento )), presen­ tando inoltre una caratteristica mescolanza di co­ stumi ideali e di costumi dell'epoca. Egli riteneva, in effetti, di aver individuato un documento figura-

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tivo della rappresentazione della scena dell ' Orfeo di Poliziano, con le Menadi in atto di uccidere il cantore, in una incisione di ambito mantegnesco ri­ presa da Diirer in un disegno della Kunsthalle di Amburgo. In tale associazione di immagini sembra possibi­ le cogliere un primo accenno al passaggio dallo stu­ dio degli « accessori mossi » nella rappresentazione di figure femminili, da cui Warburg era partito, a quello delle « formule di pathos » dionisiaco, rac­ chiuse nei modelli antichi e destinate a rivelarsi gradualmente - tanto nei loro aspetti positivi quan­ to in quelli negativi - nelle opere di artisti del Rina­ scimento, che diverranno un motivo centrale dei suoi interessi pochi anni più tardi. Particolarmente significativo risulta, in tale con­ testo anche il richiamo a J acob Burckhardt e alla sua affermazione che: « Le feste italiane nella loro forma più elevata sono un vero passaggio dalla vita all'arte ». Proprio l'intento di ricollegare il più strettamente possibile l'arte alla « vita », spinge quindi Warburg a ricercare le « origini esterne » dei due dipinti di Botticelli nelle vicende di personaggi contemporanei dell'artista: Giuliano de' Medici e Simonetta Cattaneo Vespucci (identificata con la dea della Primavera) , la « Giostra » cantata dal Po­ liziano e la morte della giovane. È questa la parte del saggio più fortemente con­ dizionata dal contesto culturale degli anni in cui venne scritto e che appare oggi decisamente data­ ta. ' Come ha osservato Gombrich il rapporto isti1 Innumerevoli sono gli studi dedicati alle > di Botticelli successivi al saggio di Warburg. Per una rassegna ag­ giornata si rinvia in particolare a C. Acidini Luchinat, Botticelli. Allegorie mitologiche, Milano 200 1 . La pubblicazione di un in­ ventario del 1 499 dei beni di proprietà del ramo mediceo di Pierfrancesco ha, fra l'altro, consentito di riconoscere nella Pri­ mavera uno dei dipinti presenti (insieme a Pallade e il centauro)

Il.

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tuito tra i dipinti di Botticelli e le Stanze del Poli­ ziano « servì da supporto a una leggenda che fu particolarmente cara al movimento estetico, venen­ do così a formare il terzo ingre �iente del mito che si sviluppò intorno al quadro. E la leggenda della bella Simonetta. Se la Primavera è ispirata alla Gio­ stra, non c'è alcuna ragione di lasciar cadere il ro­ manzo, a lungo vagheggiato, che legava Botticelli con la swinburniana bellezza che morì di consun­ zione all'età di ventitré anni e fu pianta da Lorenzo e dalla sua cerchia in versi di petrarchismo assai spinto. Il crescere di questa leggenda, dovuto in parte a una nota errata del Milanesi nella sua terza edizione vasariana, è meno sorprendente del suo perdurare dopo che lo Horne e il Mesnil ebbero dimostrato la mancanza di qualsiasi prova che Bot­ ticelli avesse dipinto la giovane moglie di Marco Vespucci »! Si trattava insomma del perdurare di una visione romantica del passato: « un dipinto fa­ moso come la Primavera deve essere in rapporto con il più famoso mecenate dell'epoca, Lorenzo il Magnifico; deve essere ispirato dal poema più cele­ brato del tempo, le Stanze di Poliziano; deve com­ memorare l'episodio più famoso di quegli anni, la Giostra; e deve rappresentare i suoi protagonisti più affascinanti, Simonetta e Giuliano. Nella sua in una stanza adiacente alla camera di Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, cugino in secondo grado di Lorenzo il Magnifico e di Giuliano. Cfr. J. Shearman , The collections o/ the Younger Branch o/ the Medici, in « The Burlington Magazine », CXVII, 1 9 7 5 , pp. 1 2-.27, e W. Smith , On the origina! Location o/ the « Primavera » , in « The Art Bulletin, LVII, 1 9 7 5 , pp. 3 1 -40. 1 E. H . Gomhrich , Mitologie botticelliane. Uno studio sul sim­ bolismo neoplatonico della cerchia del Botticelli, in Immagini sim­ boliche. Studi sull'arte del Rinascimento, Torino 1 97 8 , p. 56. Edi­ zione originale Symbolic Images. Studies in the art o/ the Renais­ sance, London 1 97.2. Una prima versione del saggio sulle « mito­ logie » di Botticelli era apparso in precedenza nel «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes », vm, 1 94 5 , pp. 7-6o.

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forma meno grezza l'interpretazione romantica am­ metterà che il dipinto non rappresenta realmente il fatto, né illustra il poema. Ripiega quindi su posi­ zioni più suggestive e meno confutabili, come l'af­ fermazione che la Primavera simboleggia l'età del Rinascimento con il suo tempo primaverile di gio­ ventù e piacere; oppure che " esprime" lo spirito dell'epoca e il suo carnevale pagano, per il quale il ritornello della " giovinezza" di Lorenzo rappresen­ ta la citazione di rito » . 1 Dopo aver proposto l a sua ricostruzione sia del contesto culturale sia della particolare occasione che avrebbe messo in moto il processo di creazione dei due dipinti, a conclusione del saggio, Warburg esprime su Botticelli un giudizio critico - e implici­ tamente anche etico - che ai nostri occhi può appa­ rire alquanto sorprendente, annoverandolo nella schiera degli artisti « di temperamento troppo mal­ leabile ». Mentre infatti le sue personali inclinazio­ ni lo avrebbero spinto ad una rappresentazione na­ turalistica della realtà, con una « speciale predile­ zione per lo stato d'animo placido » che lo portava « a conferire alle teste quella bellezza trasognata, passiva, che ancor oggi è ammirata come caratteri­ stica particolare delle sue creazioni », egli si sareb­ be mostrato troppo arrendevole a suggerimenti esterni. In un passo particolarmente rivelatore Warburg scrive: « Poniamo che al Poliziano si fosse chiesto di mostrare al Botticelli la via per fissare in una al­ legoria la memoria di Simonetta; in tal caso il Poli­ ziano era costretto a tener conto dei particolari mezzi figurativi della pittura. Questo lo indusse a trasferire singoli tratti bell'e pronti nella sua fanta­ sia a determinare figure del mito pagano per sugge­ rire al pittore, quale concetto, la figura della dea 1

Ibid.

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della primavera, compagna di Venere, dai contorni più precisi e quindi di più agevole riproduzione nella pittura ». Il fatto che il Botticelli possedesse « l'occhio attento del pittore orefice » avrebbe faci­ litato il compito di indirizzarlo verso determinati accessori - le vesti e le chiome mosse dal vento che apparivano caratteristica delle opere antiche e che costituivano un « contrassegno esterno facile a maneggiarsi, che poteva essere aggiunto dovunque si trattasse di destare la parvenza di una vita inten­ sificata ». Non l'influenza degli antichi, ma una « insufficiente consapevolezza » avrebbe pertanto condotto Botticelli come altri artisti a una « mecca­ nica ripetizione dei motivi di un movimento ester­ namente intensificato ». Si tratta in realtà di una conclusione che appare, almeno in parte, in contraddizione con altri passi del saggio, a partire dalla « Osservazione prelimi­ nare », dove viene enunciato il proposito di chiarire « quali fossero gli elementi antichi che "interessa­ vano" gli artisti del Rinascimento », o dall'afferma­ zione che « le figure basate sul modello antico mo­ strano ancora una volta come un artista del secolo xv si fosse cercato in un'opera originale antica quello che lo interessava ». La questione del ricorso a modelli antichi di « formule di pathos » (Pathos/orme/n ) , che condu­ cono ad una accentuata espressione dei moti tanto fisici quanto psichici dei personaggi, verrà ripreso, ma in termini del tutto diversi, in saggi successivi, da quello su Diirer e l'antichità italiana ( 1 90 5 ) a Le ultime volontà di Francesco Sassetti ( 1 907) , fino a

I:avvento dello stile anticheggiante nella pittura del primo Rinascimento ( 1 9 1 4) . ' Gli interessi di War­

burg si concentrano infatti sempre più sul proble-

1 I tre saggi fanno parte della raccn l t � Gt•sammeltt• Schrt/ten; edizione italiana La rinaJcita del paf!.tlnt'simo antiw, d t .

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ma dello scontro - e della coesistenza - di diverse tendenze stilistiche e forze culturali nello stesso pe­ riodo e all'interno della medesima società. I muta­ menti e i contrasti stilistici vengono considerati in termini psicologici. Il realismo analitico degli araz­ zi di Borgogna, tanto apprezzati nella Firenze del xv secolo, è visto come fonte di uno stile rivale del « pathos dionisiaco » adottato nella rappresentazio­ ne dei movimenti, che prelude alla riscoperta, nei modelli antichi, di un veicolo più appropriato per esprimere « passioni represse ». Tuttavia tendenze che possono apparire inconciliabili agli occhi di un osservatore moderno coesistevano in uno stesso ambiente e persino presso i medesimi artisti e com­ mittenti. Studiando i cicli di affreschi per i Torna­ buoni nel coro di Santa Maria Novella e per Fran­ cesco Sassetti in Santa Trinita, Warburg pone in ri­ salto gli aspetti che gli appaiono contrastanti del­ l' arte del Ghirlandaio: il calmo, quasi flemmatico ritrattista di ricchi e influenti borghesi, narratore di storie di tono realistico e monumentale da un lato; dall'altro l'artista interessato ai rilievi antichi, dai quali traeva ispirazione per le figure in movimento e il « gesto vivo ». Con gli affreschi del Ghirlandaio le « formule di pathos » penetrano nel mondo della pittura religiosa. La « Nympha » - la figura femmi­ nile dalle vesti e dai capelli mossi dal vento - è vista come personificazione di una vitalità e di una sen­ sualità che segna « l'erompere di una emotività pri­ mordiale attraverso la crosta dell'autocontrollo cri­ stiano e del decoro bourgeois ». 1 L'importanza e il significato della presenza di ele­ menti « all'antica » nell'arte del Rinascimento risul­ tano ormai del tutto mutati agli occhi di Warburg. Nel saggio su Botticelli l'influsso dell'arte antica 1 E. H. Gombrich, Aby Warburg. Una biografia intellettuale, cit . , p. I I 4 .

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sulla rappresentazione della figura in movimento veniva descritto - almeno nelle conclusioni e, come si è visto, non senza una certa contraddizione con altre parti - quasi come imposto dall'esterno, in funzione della simbolizzazione di un evento del presente in chiave mitica, e passivamente recepito dall'artista; in seguito la ricerca del gesto espressivo è vista come liberazione da un « monotono reali­ smo », per consentire l'erompere della passione, ri­ muovendo, attraverso il ricorso a modelli della scultura antica, gli ostacoli che « l'ascetica arte del Medioevo » aveva posto all'espressione dell' emoti­ vità. L'uso di tali « superlativi » nella resa di espres­ sioni eccitate e passionali comporta tuttavia per Warburg il costante pericolo di scadere in superfi­ ciale ricerca di effetti sensazionali, in un meccanico ricorso ad una gesticolazione vacua e teatrale, svuo­ tando di significato il « pathos » dei modelli. Contro il pericolo di pretendere di rinvenire in nuce nel primo saggio da lui pubblicato gran parte degli interessi di Warburg e delle ricerche da lui sviluppate successivamente ha messo in guardia per prima Gertrud Bing: « In quello scritto molte cose ricordano i passi incerti del principiante che si fa strada attraverso una massa di testimonianze non controllata a sufficienza » . ' A parte le questioni per le quali alcune argomentazioni risultano supe­ rate da studi più recenti, la stessa Bing osserva tut­ tavia che il saggio su Botticelli « era destinato a di­ ventare, attraverso le elaborazioni posteriori del Warburg stesso, una delle sue proposizioni più importanti ». 2 Vi troviamo, in effetti, già chiaramente definito un approccio alle opere d'arte che mira a conside•

1 G . Bing, Introduzione a A. Warburg, La rinascita del paga­ nesimo antico, cit . , p. XIX. 2 Ibid.

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rarle, in primo luogo, come documenti o, piuttosto, come « sintomi », ma non tanto della personalità dell'artista e, soprattutto, non genericamente della Weltanschaung di un determinato periodo o dello « spirito del tempo », quanto di una specifica « tem­ perie » o situazione culturale. Tutto ciò implica un lavoro di puntuale ricontestualizzazione storica dell'opera che deve essere sottratta all'isolamento, collegandone sia gli aspetti formali sia quelli conte­ nutistici a tale specifica « situazione » mediante un fitto tessuto di associazioni. Si tratta in sostanza di quella che è stata definita in seguito la ricostruzio­ ne della « situazione genetica » dell'opera, che im­ plica da un lato il mettersi dal punto di vista del­ l' artista creatore, individuandone sia le « intenzio­ ni » (congiuntamente a quelle dei committenti) , sia i problemi di varia natura affrontati di volta in vol­ ta, insieme con le rispettive soluzioni; dall'altro in­ dagare quale ne sia stata la « ricezione » da parte dei contemporanei. Lo sviluppo di un nuovo stile e la scelta tra « al­ ternative stilistiche » trovano così spiegazione sulla base delle esigenze poste da nuovi temi. Giusta­ mente, a questo proposito, è stato osservato che Botticelli per primo ha dipinto immagini mitologi­ che di dimensioni monumentali e che ciò costituiva ai suoi tempi una novità assoluta, divenendo solo in seguito un fatto più frequente. 1 Questo comportava u n particolare rapporto con i modelli antichi, prescelti secondo il modo specifi­ co di concepire e visualizzare l'antichità della cul­ tura fiorentina del xv secolo: modelli che non sol­ tanto riguardavano le convenzioni « esterne » di rappresentazione, ma investivano direttamente la resa di « stati emotivi ». Certo solo in seguito War­ burg giunse alla convinzione che molti dei gesti 1

E. H. Gombrich, Mitologie botticelliane. . . , cit . , p . 49·

IL GIOVANE WARBURG E LE « MITOLOGIE ». . .

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dell'arte classica, nelle loro originarie formulazioni, vanno ricondotti a un periodo nel quale la rappre­ sentazione del mito era strettamente collegata a una realtà rituale, suscettibile quindi di commuo­ vere in profondità gli animi, e che tali gesti conser­ vavano, anche a distanza di tempo, la potenzialità di provocare reazioni corrispondenti, ma certi svi­ luppi del suo particolare approccio alle immagini trovano le loro radici proprio nel saggio sulle « mi­ tologie » di Botticelli come nei suoi appunti di que­ gli anni. Va infine messa in risalto la scrupolosa attenzio­ ne prestata da Warburg alla scelta dei testi letterari di confronto, tutti ricondotti (anche quelli antichi) all'ambiente familiare all'artista (dall'Alberti al Po­ liziano) , entro un contesto culturale dal quale l' ar­ tista poteva trarre ispirazione. Egli si guarda bene inoltre, a differenza da quanto avvenuto frequente­ mente in seguito e ancora in tempi recentissimi, dal cedere alla ingenua tentazione di considerare le im­ magini di Botticelli come « illustrazioni » di uno specifico testo letterario. Del resto, per quanto ri­ guarda i successivi tentativi di interpretazione della Nascita di Venere e della Primavera, è facile cogliere echi e suggestioni del saggio di Warburg in alcune delle più complesse e affascinanti proposte, come quelle di C. Dempsey o di E. H. Gombrich. '

1 C . Dempsey,