ΑΙΩΝ Aion da Omero ad Aristotele

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ΑΙΩΝ Aion da Omero ad Aristotele

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UNIVERSITÀ DI PADOVA PUBBLICAZIONI DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA ·'

VOL. X X X V II

ENZO

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DEGANI

ΑΙΩΝ DA OMERO AD ARISTOTELE

PADOVA CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI 19 6 1

UNIVERSITÀ DI PADOVA PUBBLICAZIONI DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA VOL. XXXVII

ENZO

DEGAN!

ΑΙΩΝ DA OMERO AD ARISTOTELE **Im portanza speciale per la storia dello spirilo greco hanno quelle parole che, mentr'ebbero prim a un significato p iù concreto o p iù vago, divennero poi, ridotte ad astrazioni m a precisate, i term ini tecnici p iù caratteristici delle forme m entali che i Greci scoprirono e nelle quali noi Occidentali ancora viviam o„

(o. p a s q u a li, Pagine stravaganti d i m filologo, 131)

P A D O VA CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI

19 6 1

TUTTI I D IR ITT I RISERVATI

©

- Copyright 1961 by CEDAM - Padova

Printed in Italy - Stampato in Italia

I.T.E. - ISTITUTO TIPOGRAFICO EDITORIALE · LIDO-VENEZIA

Alla cara memoria di mio padre

A l Consiglio della Facoltà di Lettere e Filosofia

La ricerca del dott. Enzo Degani, «ΑΙΩΝ da Omero ad Aristotele», prende in esame il periodo più controverso e meno indagato della storia semantica di questo vocabolo. Un tale lavoro era non solo importante, in considerazione della grande portata che ebbe la parola «aión» nell’e­ poca ellenistica; ma era anche necessario, perché «aión» è sempre stato un termine ambiguo e polivalente, come tutti i vocaboli che hanno attinenza con la sfera del sacro. La ricerca è condotta dal Degani con acribia e impegno, e, attraverso i momenti dello sviluppo semantico del vocabolo, permette di rimeditare e rivedere, dal preciso angolo visuale offerto da questo determinato problema, l’evolversi di uno degli aspetti fondamen­ tali dell’esperienza greca. Il Degani ha condotto il suo lavoro sulla base di tutti i testi che la tradizione ci ha conservato, rivedendo criticamente le posizioni che finora erano state prese dai vari studiosi su tale problema, non esitando a dichiarare le sue incertezze e ad assumere un atteggiamento di prudente riserbo dove l’insufficienza o l’ambiguità della documenta­ zione non permetteva conclusioni sicure. Nelle poche ricerche che fino ad oggi erano state dedicate ad «aión» ed alla storia del concetto del tempo presso i Greci, ci si era limitati, sotto la guida di un facile razionalismo, ad un esame astrattamente filologico e più concettuale che storico. È ap­ punto alla storicità delle varie accezioni del termine e a quanto di pun­ tuale esso presenta nei contesti, che il Degani ha soprattutto mirato, fa­ cendo uso, oltre che delle comuni categorie filologiche, anche di quelle che la più recente problematica storica offre all’indagine dei fatti indivi­ duali e all’analisi del linguaggio.

Il lavoro del Degani si articola in tre parti distinte, ed esamina suc­ cessivamente «aión» nella poesia, nella filosofia e nella religione. Ciò è do­ vuto al desiderio e all’esigenza di organizzare con la maggior chiarezza possibile la grande quantità di materiale; ma non nuoce all’unità del la­ voro, perché l’autore è sempre presente e pronto a coordinare ed a ri­ chiamare alla memoria quanto ha analizzato in precedenza. O ltre che per il rigore del metodo e per la serietà degli intenti con i quali è condotto, il lavoro del Degani si distingue per la compiutezza dell’informazione bi­ bliografica e per il numero abbondante di rimandi e di citazioni. La ricerca rappresenta indubbiamente un notevole contributo anche per lo studio della cultura e del pensiero greco. Scritta in forma chiara e sempre appropriata alla materia trattata, essa è da noi giudicata degna di venire inserita tra le pubblicazioni della Facoltà.

C a r l o D ia n o G i u s e p p e S c h ir ò F r an co Sartori

Padova, 15 luglio 1960

ABBREVIAZIONI DELLE RIVISTE

AAS AC1 AfRw AGI AHES A lPhO AP A&R Ath BSAA BnJ BPbW BSL BzN CN CPh EJ GCFI GIF HThR IF IJ JA JThS KZ MAHR MO MSc MSL NJ Phil PP RA RAL RBPhH REG

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Annales Archéologiques de Syrie Antiquité Classique Archiv für Religionswissenschaft Archivio Glottologico Italiano Annales d’Histoire Economique et Sociale Annuaire de l’Institut de Philologie et d ’Histoire Orientales de l’Univ. de Bruxelles = Annali di Pisa = Atene e Roma = Athenaeum = Bulletin de la Societé Archéologique d’Alexandrie = Byzantinisch-neugriechische Jahrbücher = Berliner Philologische Wochenschrift = Bulletin de la Societé de Linguistique = Beiträge z. Namenforschung = Classici e Neolatini = Classical Philology = Eranos Jahrbuch = Giornale Critico della Filosofia Italiana = Giornale Italiano di Filologia Classica = Harvard Theological Review = Indogermanische Forschungen = Indogermanisches Jahrbuch = Journal Asiatique = Journal of Theological Studies = Kuhn’s Zeitschrift = Mélanges d’Archéologie et d’Histoire de Fècole fran?aise de Rome = Monde Orientai = Mémoires Scientiphiques = Mémoires de la Societé de Linguistique de Paris = Neue Jahrbücher für das klassische Altertum = Philologus = La Parola del Passato = Revue des Arts = Rendiconti della R. Accademia dei Lincei = Revue Belgique de Philologie de d’Histoire = Revue des Etudes Grecques

REL RFN RHR RHLR RPAA RhM RPhl RPhs RSF RUB SO SMSR V BW

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Revue des Etudes Latines Rivista di Filosofia Neoscolastica Revue de l’Histoire des Religions Revue d ’Histoire et de Littérature religieuses Rendic. Pontif. Accademia Rom. di Archeologia Rheinisches Museum für Philologie Revue Philologique Revue Philosophique Rivista di Storia della Filosofia Revue de l’Université de Bruxelles Symbolae Osloenses Studi e Materiali di Storia delle Religioni Vorträge der Bibliothek Warburg Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft Zeitschrift für Aesthetik und allgm. Kunstwissenschaft

INTRODUZIONE*

Nella tradizione letteraria greca, αιών è una parola poetica per ec­ cellenza: prediletta da Pindaro e dai tragici, quasi affatto ignorata dalla commedia e usata di rado dalla prosa come elegante e poetico equiva­ lente di βίος. Ma oltre ad essere hochtönig ed hochpoetisch, come lo definisce più volte il Lackeit, αιών è un termine costantemente aperto ad echi e sfumature di carattere epifanico. Τοϋτο τουνομα θ είω ς έφθ-εγκται παρά των αρχαίων, scrisse di αίών Aristotele {D e Cael. 279a22) : θτίως, cioè «per ispi­ razione divina»; e si tratta certo di una parola adatta, quant’altre mai, a caricarsi di sensi eventici e mistici. Il che si verificò sempre, in tutto l’arco della letteratura greca, da Omero alla tarda epoca ellenistica: du­ rante la quale αίών finì addirittura per diventare una parola magica (1). Ed è appunto in questa sua peculiarità che va ricercata, a mio avviso, la ragione della ricca e spesso contrastante molteplicità di valori che il ter­ mine ha di volta in volta nei luoghi in cui appare. È una caratteristica generale di tutti i vocaboli che hanno riferimento al destino dell’uomo e alle «forze» che vengono sentite presenti nei momenti più significativi della sua esistenza. Qual è il significato preciso di αίών? A questa domanda non è possi­ bile dare una risposta univoca, neppure se si fa un riferimento diretto ed esplicito. Il termine non rimanda ad un significato preciso ed unico, bensì ad un complesso di valori. Perché le parole, nell’ambito della poesia e della mistica — come in quello della vita — non hanno un unico e pre­ ciso significato: la precisione e l’univocità esistono solo nell’astrazione del dizionario e nel linguaggio della scienza e della tecnica. In quello poetico e sacrale, la parola tende invece spesso a sottrarsi ad ogni valore codificato dall’uso comune, assumendo, dì volta in volta, sfumature diverse, a se(*) Questo libro era stato dedicato al Prof. Carlo Diano ma il doloroso fatto che m i ha colpito pochi giorni prima che il volume andasse in macchina, mi ha in­ dotto a mutare la dedica con l’affettuoso incoraggiamento dello stesso Prof. Diano. (1) Si incontrano invocazioni come questa: τΙς 8’ αίών αιώνα τρέφων αίώσιν άνάσ■οει {Pap. Gr. Mag. X II, 2, 246): cf. Th. Opfner, Griechisch-Aegyptischer Offenbarungszau­ ber, II, par. 96, 137; Pettazzoni, L'Onniscienza di Dio, 103ss.

INTRODUZIONE

conda del contesto in cui si trova inserita; e a caricarsi di sensi escatologici acquistando valori e risonanze che sfuggono ad ogni definizione esatta. Tale complessità semantica di αιών non sorprende solo i moderni, ma im­ barazzava già gli antichi, i quali — a cominciare da Aristotele — sen­ tirono molto spesso il bisogno di fissare in una o più definizioni l’ambiguo e polivalente valore di αιών: vocabolo, che in epoca cristiana diede addi­ rittura luogo a delle controversie nell’interpretazione delle Sacre Scrit­ ture (1). Χρή τοίνυν γιγνώσκειν οτι το του αίώνος δνομα πολύσημόν έστι· πλεΐστα γάρ σημαίνει, scriveva Giovanni Damasceno (I, 153C) ; e citava poi vari significati, in genere tardi (δ των χιλίων ετών χρόνος, ecc.), che la parola aveva assunto. M a in effetti, anche a voler prescindere dalla polisemanticità ellenistica, va senz’altro riconosciuto — con il M eitzer — che in tutta la grecità il termine rappresenta veram ente «eines der merkwürdigsten Bei­ spiele von Bedeutungswandel» (2). Ed infatti per tradurre con proprietà tutti i passi in cui ricorre αιών da Omero a Platone, dobbiamo ricorrere ad almeno dieci vocaboli — e quindi ad altrettanti concetti — diversi e per noi assolutamente inconciliabili fra loro, quali «forza vitale», «midollo spinale», «vita», «tempo», «durata della vita», «età», «evo, epoca», «generazione», «sorte, destino», «eternità»: la nostra lingua ignora un termine così πολύσημος che possa reggere al confronto. L’interesse degli studiosi fu quasi sempre rivolto sdi’αιών ellenistico e postellenistico, che ebbe un ruolo di prim aria im portanza soprattutto nella sfera religiosa e che presenta u n a vasta serie di problemi, tanto oscuri quanto appassionanti. M a non meno problem atico si presenta il periodo preplatonico, che fu invece molto meno indagato e in modo, a mio avviso, insufficiente. Si può dire, in fondo, che i vari significati di αιών in epoca tarda dipendono sempre, magari indirettam ente, dal valore platonico fis­ sato nel T im eo. Con Platone, infatti, il vocabolo si concettualizza, ovvero diventa il vocabolo tecnico per esprimere il concetto di eternità: e da questo momento si attesta definitivamente nella sfera filosofica e poi re­ ligiosa, fino a divenire prim a un vero e proprio «Augenblicksgott» che rinvia al divino come il θειον dell’età arcaica, e poi esso stesso una di­ vinità, cui è riservato un regolare culto. La problematicità che presenta 1’αίών dell’epoca arcaica e classica è eloquentemente attestata già dalle varie e divergenti interpretazioni che i vari studiosi ne hanno dato. S oprattutto riesce sorprendente e, a tutta pnma, impiegabile, il passaggio del vocabolo al valore «eternità»; poichéÌ2Ì rpkw'Tm’ XXXVII, 268; per altre definizioni, W BrhW 1917, 138.

ibid.,

266ss.

INTRODUZIONE

IS

da una nozione atem porale, propria dei valori «forza vitale» e «midollo spinale», o tem poralm ente lim itata, quale «durata della vita», si passa — in un periodo di tem po relativam ente breve — alla connotazione del­ l’eterno extratem porale: passaggio, che è fra l’altro particolarm ente im ­ portante, in quanto costituisce la tappa fondamentale nella storia seman­ tica del term ine, e precisamente quella da cui dipende ogni sviluppo se­ riore di αιών. In genere si crede di chiarire agevolmente il passaggio, coll’affermare che il valore platonico sarebbe la risultante dei cosidetti «al­ largam enti» (E rw eiteru n gen ) semantici della parola; m a in realtà αιών, anche quando significa «epoca», «evo», rim ane sempre una porzione di tem po; m entre, col T im e o , esso si sveste assolutamente di ogni idea di tem poralità. R im ane quindi insoluto e problematico il suddetto passaggio, che possiamo osservare — plasticamente raffigurato — nelle personificazioni che Euripide e Proclo fanno di αιών : mentre l’uno dice che Aion è il figlio di Chronos (H e ra c lid . 900), l’altro invece — seguendo Platone — afferma l’inverso e fa di Chronos il figlio di Aion (in P la t. R em p . 17, 10 Kroll). Il figlio diventa padre: un rovesciamento genealogico, che presuppone n atu ­ ralm ente una precisa inversione di valori nel rapporto fra i due vocaboli. *** Su questo vocabolo, che in una così ricca gam m a di significati di­ versi riunisce valori opposti apparentem ente inconciliabili, si è talora eser­ citato l’ingegno dei filologi, con deduzioni più o meno convincenti. Il difetto che generalm ente vizia alla base i loro tentativi di coordinare i diversi aspetti di tale V ieldeu tigkeit, è innanzitutto — a mio avviso — quello di un rispetto non rigoroso dei testi e di una considerazione limi­ tata e non esauriente di essi. Invece un’indagine del genere deve assolu­ tam ente essere condotta sulla base dei testi, i quali costituiscono la realtà più obiettiva e meno opinabile, ed impone in prim o luogo, come base di ogni deduzione, l’esame oculato e m inuto di tutti i passi dove com pare αιών. Q uando poi si è parlato di una G rundbedeutung, si è generalm ente regalato il proprio razionalistico modo di vedere le cose agli antichi, spesso basandosi su supposizioni non suffragate da alcuna attestazione e quindi gratuite ed arbitrarie. D i qui la presunzione di uno sviluppo genetico, che da un significato-base avrebbe gradatam ente portato ai valori più tardi. Si sa invece che quella evoluzione semantica, onde una parola passa da un valore ad un altro, non segue nitidi e meccanici processi: quasi che i vari significati, sbocciando l’uno dall’altro, si scambino o rd in ata­ mente la staffetta. U n a tale ricostruzione è u n ’astrazione som m aria che linearizza un processo che non è né meccanico né razionale: ed infatti,

INTRODUZIONE

nella viva realtà dei testi, queste deduzioni divengono spesso contr torie, rivelando così il loro provvisorio e fittizio valore di formule La ragione — è ovvio — v a ad o p erata: altrim enti ci si limiter b b ad un fenomenologismo vuoto e classificatorio, m entre invece il lav o / di raccolta è solo propedeutico dell’altro, ben più impegnativo, di inter* pretazione: e interpretare vale coordinare e riunire. M a va adoperata oculatam ente, perché gli schemi possono violentare la storia. U na parola come αιών non passa da un significato all’altro seguendo gli schemi lineari che fioriscono nella m ente del filologo, m a seguendo una sua linea spez­ zata, dove tutto non è — e sem bra — regolare e logico: linea che è in fondo, la linea spezzata ed oscillante propria dell’uomo e della sua storia Sotto il m utare di significato di u n a parola, c’è sempre la concorrenza e la spinta di m olti fattori: che si riassumono nel m utare stesso dell’uomo delle sue concezioni e delle sue credenze. E quando si tratta dell’uomo io credo che chi voglia fare della scienza, nei lim iti in cui può essere fatta deve porsi da tutti i punti di vista e servirsi di tu tti i metodi. ** * La nostra ricerca p ren d erà d unque in esame il periodo che va da Omero ad Aristotele: vari secoli ricchissimi di fermenti, durante i quali si m aturano e vengono alla luce i germ i della somma civiltà classica. Ho trattato prim a la poesia, poi la filosofia e poi la religione: non perché si tratti di tre com partim enti stagni, m a per p u ra com odità di trattazione. Specie nell’epoca arcaica, questi tre cam pi sono quanto mai vicini l’uno all’altro: e i prim i poeti-filosofi sono anche dei mistici, se è vero — come è vero — che la filosofia greca, p rim a di uccidere la mistica, trasse da essa vita ed alimento. M a della prim itiva filosofia greca ci è rimasto po­ chissimo e quasi nulla della m istica del sesto secolo; perciò ho preferito occuparmi di un cam po che ci è noto p rim a di affrontarne uno incerto ed uno quasi ignoto: sia per u n a questione di metodo, sia anche e soprattutto — di chiarezza. A ggiungo infine che il numero di rimand1 può talora sem brare esagerato e dispersivo, al punto d a appesantire forse — la lettura; m a questa ricerca, im pegnativa ed in primo luogo filologica, non m i pare potesse farne a m eno (1).

Padova, aprile 1960

(1) T u tte le opere ch e nel corso d ella tra tta zio n e v en g o n o citate sommar'2 sono riportate per esteso nella Bibliografia.

P a r t e P r im a

ΑΙΩΝ

NELLA

POESIA

Ca p . I

O M E R O ED ESIO D O

Il Wilamowitz, in una nota del suo commento a lY E ra cle, diede di αιών una definizione che ha fatto testo: «αιών — egli scrisse — ist die Zeit relativ, während χρόνος dieselbe absolut ist» (p. 363) : definizione che è sostanzialmente un’eco di quella aristotelica, secondo la quale αιών era το τέλος το περιέχον τόν της έκαστου ζωής χρόνον (D e C ael. 279a25). E questo sarebbe stato — secondo Aristotele ed il Wilamowitz, come pure secondo i dizionari — il significato che la parola ebbe abitualmente, a partire da Omero. In realtà, tale^definizione ha un valore piuttosto astratto e, come vedremo, può rispecchiare solo entro certi limiti i molteplici aspetti della prodigiosa evoluzione semantica del termine: anche i valori che αιών ha in Omero non si possono assolutamente esaurire in essa. L’esame dei testi può infatti mettere chiaramente in luce come un significato 6 τής ζωής χρόνος non corrisponde all’aìtàv omerico, che, nella quasi totalità dei casi, non racchiude in sè alcun valore temporale. Ciò non può essere messo in rilievo dalla traduzione « life» del LSJ, perché il vocabolo inglese — come il tedesco «L eben », il francese «vie» ed il nostro « v ita » , — può indi­ care la «vita» sia come «forza vitale» che come «durata della vita». M a va messo in luce che αιών ha in Omero un valore quasi sempre diverso da quello che riscontriamo nella poesia postomerica: e, sia pur senza af­ fermare che «periodo di tempo», «tempo della vita», costituisce senz’altro u n ’accezione più recente e postomerica (1), potremo senz’altro c o n d u ­*

it) Così vorrebbe il B enveniste, BSL X X X V III , 103ss., cui spetta peraltro il merito

senso astratto ed assoluto (pp. 35s.) : e se in tale senso χρόνος può sostituirsi talora ad appare impossibile l’inverso. In ώρα si riscontrano i caratteri della concezione arcai del tempo (p . 43; cf. C a m a , I, I70ss., 177ss.).

CAP. IV. I LIRICI, I COMICI E LA PROSA

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sarà invece mai possibile per αιών. S’intende, peraltro, che tali definizioni di αιών come «tempo qualificato» e di χρόνος come «tempo quantificato o astratto» hanno come tutte le definizioni — un valore relativo e vanno prese come formule-limite, senza che ci si illuda di trovarle sem­ pre rispettate. Poiché, se αιών non assume mai il valore astratto di χρόνος, quest’ultimo può invece assumere quello di αιών: così quando ha il si­ gnificato di «durata della vita» (98) e quando indica un tempo circoscritto e limitato, nel qual caso può anch’esso avere un suo contenuto che lo qualifica. Così in Crizia, B25, 1 Diels: ήν χρόνος, δτ’ ήν άτακτος ανίΐροιττων βιος e nell orfico fr. 292, 1 Kern : 9jv χρόνος, ήνίκα φώτες απ’ άλλήλων βίον εΐχον | σαρκοδαπη, si può notare che il termine assume lo stesso significato che αιών presenta nell’analogo passo di Moschione: αιών e χρόνος si equivalgono perfettamente. È questione di contesto; ed è specialmente quando i due vocaboli sono opposti l’uno all’altro che si può cogliere nettamente la suddetta distinzione. È dunque chiaro che tali allargamenti semantici di αιών non sono, in fondo, che delle sfumature diverse dello stesso fondamentale valore (99). Ad ogni modo, si pensa normalmente che un significato «lungo spazio di tempo», «tempo infinito» sia stato l’intermediario fra i due valori opposti, che αιών presenta da Platone in poi, «vita» ed «eter­ nità»; e questo significato — che in realtà compare piuttosto tardi, quando il valore platonico si diffuse anche fuori del campo filosofico e religioso in cui esso nacque — lo si cerca soprattutto nella locuzione (98) Cf. n. 93 e F rankel , ZfAe X X V , 114 e 117. È significativo che talora nei codici si fece confusione fra χρόνος e βίος (Ar. Plut. 50; A esch. Prom. 449, ecc.). (99) Di questo avviso non era il Lackeit, di cui esponiamo qui in sintesi la già. accennata teoria. Il significato «eternità» non è che la risultante di una serie di «Erweite­ rungen» semantiche, onde αίών passa dal valore di «Leben» a quello di «Zeitalter», «Welt­ alter», «Epoche», «Kulturstufe», «die grösste Zeiteinheit»; in quest’ultimo significato, αίών sarebbe poi passato nel linguaggio filosofico divenendovi abituale. Il concetto d i «Zeitalter» era infatti «ungeheuer dehnbar» e cosi «konnte man ebenso wie man die Summe von αιώνες = ‘Menschenleben’ αίών nannte, mit demselben Rechte und demselben Verfahren auch eine Summe dieser αίώνες = ‘Zeitalter’ αίών nennen. Dieses Anwachsen von einer kleinen Zeiteinheit ( = vita) zu einer grösseren {aetas) bis daraus die längste {tempus, tempus longissimum) und grösste, unendliche {aeternitas) wird, scheint auf diese Weise durchaus verständlich» (p. 26). A questo meccanico processo di ampliamenti se­ mantici si sottraggono però alcuni passi, nei quali si presentano le cosiddette «poetische Personifikationen» di αίών; come in P ind. Isthm. V i l i , 14, Evr . Her. f . 671 e via dicendo. Si tratta di «Augenblickspersonifikationen», per le quali «kein reelles Vorbild, keine bestimm­ ten Vorlagen existierten; sie hat sich in Geiste des Dichters in Nu gebildet und wurde ebenso schnell auch wieder verschwinden, wenn nicht das geschriebene Wort dem Au­ genblick Dauer verliehe» (pp. 82s.). Su tutto ciò ritorneremo a suo tempo.

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PARTE i: ΑΙΩΝ NELLA POESIA

δι’ αίώνος, nella quale sarebbe ravvisabile una notevole estensione dei significato normale (100). La realtà è diversa: δι’ αίώνος valeva propria, mente «da un capo all’altro della vita» e quindi «per tutta la vita»· e non è difficile capire come la locuzione, diffondendosi e generalizzan­ dosi, si sia potuta ben presto fossilizzare in un avverbiale «continuamente», «sempre» e sia venuta così a coincidere con άεί, tanto che su di essa potè ben presto essere coniato διαιών.ος (101). Il significato originario di δι’ αίώνος è chiaro in Aesch. Suppl. 582: γείνατο παϊδ’ άμεμφή, δι’ αίώνος μακροΰ πάνολβον: è Epafo, che fu felicissimo nella sua lunga vita; ed anche al v. 574: δι’ αίώνος κρέων άπαύστου | Ζεύς: trattandosi di Zeus, il suo αιών sarà appunto άπαυστος, «senza fine». È chiaro che non vi sarebbe bisogno di άπαυστος e di μακρός, se in αιών vi fosse un senso di­ verso da quello di «durata» della vita (102). Analogamente in Ag. 554 si legge: τίς δε πλήν θεών | άπαντ’ άπήμων τον δι’ αίώνος χρόνον; e l’espressione indica che αιών è la vita di questo «chi?». E così in Soph. El. 1024: άσκει τοιαύτη γοΰν δι’ αίώνος μένειν, «cerca, dunque, di rimaner tale per tutta la vita», e in Eu. Ale. 475: τό γάρ | έν βιότω σπάνιον μέρος· ή γάρ αν | εμοιγ’ άλυπος δι’ αίώνος αν ξυνείη : l’avere una buona moglie, si dice, è una rara fortuna: «certo ella vivrebbe con me senza dolori per tutta la durata della vita». Lo stesso significato è pure da vedere in Hipp. 1426: κόραι γάρ άζυγες γάμων πάρος | κόμας κεροϋνταί σοι, δι’ αίώνος μακροΰ I πένθη μέγιστα δακρύων καρπουμένω (103). Un valore «sempre, di con-

(100) Cf. O w en, o . c . , 265; quest’ipotesi è del resto normale nei lessici. Vi si oppone il F e stu g iè re , o.c., 175, che, come il L a c k e it (cf. p. 14 e 37), pensa che Si’ αίώνος non si stacchi affatto — o molto tardi — dal valore di «per tutta la vita». Il valore di «sempre, continuamente» (cf. H esych. atei- άεί διαπαντός συνεχώς- ϊστι δέ καί δι’ αίώνος) si potè invece sviluppare ben presto per il senso di holòtes proprio di αιών (cf. analoga­ mente διά τέλους). (101) Questo aggettivo compare per la prima volta con P latone (Tim. 38b), per­ fettamente equivalente ad αιώνιος (cf. poi i tardi διαωνίζειν e αίωνίζειν), che pure si pre­ senta per la prima volta con P latone . Che esso possa essere sorto prima di αιώνιος, non direi: anche prima di assumere il tecnico valore di «eterno», διαιώνιος — come pure αιώνιος — doveva naturalmente significare «che dura tutta la vita» e quindi «duraturo, continuo», per il senso stesso di αιών. Cf. la n. 149. (102) In questi due passi I’I t a u e , Index Aeschyleus, sv. αιών, ravvisa appunto una estensione del valore di «durata della vita»; mentre il D indorf , Lexicon Aeschyleum, s^· αιών, intendeva addirittura «aevum, tempus aeternum» (e così pure in Ag. 554, Ch. » Eum. 563). Si noti che P la to n e , parlando dell’anima cosmica dotata di un incessa vita, usa l’espressione άπαυστος βίος {Tim. 36e4). . . (103) «A travers le àges» il M éridier , Euripide, II, Paris 1927, 84. Ma lude alla lunga vita che Ippolito trascorrerà nell’aldilà, durante la quale, gì* Pr

CAP. I V . I LIRICI, I COMICI E LA PROSA

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tìnuo» si può invece notare in Aesch. C h . 26: δι’ αίώνος δ’ ίυγμοϊσι βόσκεται κέαρ : «e sem pre il cuore si pasce di lamenti», dice il coro alludendo alle presenti dolorose circostanze; e così pure in P ers. 1007: πεπλήγμεθ’ ota δι’ αίώνος τύχα «da quale continua sciagura siamo colpiti», dove ap ­ punto la contingenza della situazione mostra che la locuzione si è tecni­ cizzata. Forse altrettanto si può dire per E u m . 563: 81 αίώνος δέ τόν πριν όλβον I έρματι προσβαλών δίκας | ώλετο άκλαυστος, dove si parla della sorte misera che attende il trasgressore di Dike. È comunque chiaro che anche tale nuovo valore della locuzione, sviluppatosi dal fondamentale significato di αιών (cf. αίεί), non presuppone affatto un αιών = «lungo spazio di tempo, tem po infinito». Da tutto ciò che finora s’è detto risulta che il rapporto fra αιών e χρόνος è, nel quinto secolo, quello di u n a parte con il tutto: non è allora difficile capire il significato della genealogia euripidea Αιών....Χρόνου παΐς degli E ra c lid i, spesso non rettam ente interpretata. Non si capisce, ad esem­ pio, cosa con precisione significhi «la Durée, fille du Temps» nell’inter­ pretazione del M éridier (E u rip id e , I, Paris 1925, 229); né, tanto meno, come lo Stadtm üller (Saeculum II, 315) possa sostenere che qui Aion è «Personifikation der ewigen Zeit»: perché, anche volendo ammettere la possibilità di un influsso orfico (questione su cui ritorneremo) è chiaro, che una ragione di tale rapporto genealogico vi deve pur essere stata in ogni caso. E la spiegazione risulterà chiara, specie se si pensa che Chronos — come dice lo stesso Euripide (S u p p l. 787) — è Γ «antico padre dei giorni», παλαιός πατήρ άμερδν: anche Aion, dunque, non potrà che esserne il figlio. Come i giorni non sono che piccole porzioni di tempo che si in­ seriscono nell’infinita d u rata del tempo, così pure sarà degli αιώνες che il χρόνος contiene e riassorbe in sè (104). Questa genealogia euripidea è, per così dire, una plastica e poetica raffigurazione dei rapporti che in­ tercedono fra αιών e χρόνος in questo periodo: durante il quale αιών, mal­ grado le varie «Erw eiterungen», che altro in effetti non sono se non delle Artemide, gli sarà tributato un grande cordoglio nel mondo. Che poi questa nuova vita sia anche infinitamente lunga, questo è del tutto estraneo al puro valore semantico del termine. (104) Anche il L ackeit, 84, notava che nel passo euripideo «αιών ist im Ausschnitt aus der grossen unteilbaren Zeitmasse, dem χρόνος» (il termine «unteilbar», da quanto *u· V*S*°’ non ^ però molto appropriato per χρόνος). Π F e s t u g i è r e , PP X I, 181, pensa di lanre meglio U passo confrontandolo con Ar. Phys. 221a28: άνάγκη παντα τά èv χρόνψ

^ ‘έχεσθαι ύτώ χρόνου. I dizionari si astengono dall’interpretare questo passo, salvo “ P^tTRACos, Λέξ., s.v. αΙών, che intende — inspiegabilmente — Αιών = ó άτελεύτητος Χρόνος. S * E. DECANI - ‘AIQN da Omero ad Aristotele,

PARTE i : Α ΙΩ Ν NELLA POESIA

poetiche inflessioni di un concetto sostanzialmente identico, rimane fonda mentalmente un lasso di tempo: e quindi, poeticamente, un figlio di Chronos! Tale rapporto bisogna tener presente anche per spiegare un altro accostamento Αίών-Χρόνος che si incontra in un epigramma famoso (cf. Verg. E d . IX , 51) à t\Y A n to lo g ia P a la tin a (IX, 51), che viene attri­ buito a Platone (Πλάτωνος εις τόν βίον): Αιών πάντα φέρει· δόλιχος Χρόνος οΐδεν άμείβειν οδνομα καί μορφήν και φύσιν ήδέ τύχην. Il Wilamowitz { οχ. , 364) così spiega e commenta: «dem Aion ver­ danken wir alles, was an uns individuell ist, Namen und Gestalt, alles, wofür πεφύκαμεν, alles, ών τυγχάνομεν. Aber der δολιχόδρομος χρόνος weisst alles zu wandeln, την έναντίην οδόν πορευόμενος». Rifacendosi ad espressioni di Schitino di Teo ( Vors. I, 190, 1 = Stob. E el. I, 8, 43), egli pensa di trovare nell’epigramma una conferma delle sue definizioni di αιών e χρόνος secondo le quali il primo sarebbe «die Zeit relativ, während χρόνος dieselbe absolut ist» (p. 263). Ma non è questa l’esatta interpretazione del passo, nel quale non c’è affatto opposizione fra Aion e Chronos: la mancanza di un δέ e la presenza del punto, che equivale ad un γάρ, indica invece che la seconda frase è una spiegazione della prima. È quindi da inten­ dersi che la vita φέρει (105) ogni cosa, perché il lungo tempo ha il potere di mutare tutto, anche il nome e la forma, la natura e la sorte.

(105) Che φέρει possa significare «porta», com e vuole il W ilam ow itz e come po­ trebbe confermare Sapph. 120 D ie h l, pare probabile, benché il «fert» della traduzione virgiliana (Eel. IX , 51 : omnia fert aetas, animum quoque) valga «porta via». Ad ogni modo, ciò è indifferente per quanto segue, che si adatta ad entrambi i casi facilmente. L ’interpretazione wilamowitziana è condivisa dal F e stu o ièr e, l . c . , e dal L ackeit, 86, U quale aggiunge che si tratta appunto dell’alciv, «der ja zunächst nur das menschliche Leben begrenzt und durch den und in dem das M enschenleben nur möglich ist».

P a rte Seconda

ΑΙΩΝ

NELLA

FILOSOFIA

Cap . V I PR E S O C R A T IC I

D al cam po della poesia, αιών passò ben presto in quello della filosofìa e con Platone divenne voce specifica per indicare l’eternità. Giustamente osservava il Lackeit che «hätte es keine Dichterphilosophen gegeben, so wäre unsres W ort auch nie zu dieser hohen Bedeutung a u f dem Gebiete der Philosophie gelangt. D enn wer anders als ein Dichter hätte ein hoch­ poetisches W ort wie αιών.seinen Zwecken dienstbar gemacht?» (A io n , 53). Non ci si deve infatti stupire se αιών potè diventare un termine filosofico: alle sue origini, infatti, la filosofia greca, imbevuta com’era di intuizioni religiose, non poteva esprimersi che attraverso le immagini e la lingua della poesia; ed il R einhardt ha del resto chiaramente dimostrato che il gergo eleatico sull’essere si formò appunto su quello poetico relativo agli dèi (106). M a m entre Platone parla esplicitamente di αιών, nei presocratici in­ vece la precarietà della nostra documentazione rende quanto mai ardua ed incerta l’interpretazione dei pochi fram m enti nei quali il vocabolo com­ pare: non è possibile accertare con sicurezza se anche prim a di Platone esso avesse avuto quel significato, che nel T im eo appare già tecnico, e co­ munque in quali precise accezioni potesse venire usato. Proprio questa insufficienza ed oscurità dei testi ha spesso incoraggiato le ipotesi più fan­ tasiose, quando ci si occupò dell’aìcov presocratico (107) : soprattutto, ci (106)

K. R

e in h a r d t ,

Parmenides und die Geschichte der griech. Philosophie, Bonn

112, 114, 118ss. Cf. anche W e i n r e i c h , A fR w X IX , 178ss· d { frammenti, . (107) S u II’E isler , ch e si serviva d elle testim onianze com e . , con j torneremo nella terza parte. Il B e n v e n i s t e , o.c., l l l s s . , conclu e ι s critica in tesi estremamente personali sulla form azione d el c o n c e tto d i D umézil , A H E S X , 290) : egli sostiene che i pensatori greci e indiani P

(ίμπεδος χρόνος) ; Parm . B8, 13. (112) T utto il fram m ento è stato ritoccato: I ppolito (Eef. V II, 29) ava me i R eam ente im possibile άσβεστος, corretto in άσπετος dal M iller . Correzione c e enc

22

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PARTE π : ΑΙΩ Ν NELLA FILOSOFIA

intendono «Lebenszeit», m a nelle prime il Diels traduceva «Ewigkeit» mentre peraltro il W ortin dex registra costantemente il passo sotto il valore «Zeit». E «tempo infinito» è appunto la traduzione che comunemente viene data dell’insolito άσπετος αιών (Zeller, Bignone, Mondolfo, Zafiropulos ecc.). Invece il Festugière, che, movendo dal presupposto wilamowitziano «αιών ist gar nicht für sich», sottopone il frammento ad un lungo esa­ me (113), pensa che Empedocle con άσπετος αιών abbia voluto indicare la «vita» dello Sfero : lo Σφαϊρος κυκλοτερής che, solidamente fissato dai le­ gami dell’Armonia, μονίη περιήγει γαίων (B27, 4) come lo Zeus di Omero, e che, pur dissolvendosi periodicamente, si ricostituisce ogni volta ed ha quindi una vita senza fine, dato che anch’esso — come i ριζώματα άγένητα «che sempre sono» — è una divinità (θ-εός, B31). Il senso generale del frammento è comunque chiaro: si dice che Amore e Contesa sono sempre esistiti e sempre esisteranno; e che di queste due forze non sarà mai vuoto 1’αίών «indicibilmente grande» (114). Vita o tempo? È impossibile deci­ dere se questo αιών cosmico sia il «tempo infinito» oppure la «vita infinita» dell’universo e quindi — data la cosmologia di Empedocle — appunto dello Sfero, con la quale, in fondo, l’infinità temporale necessariamen-

non sia chiaro com e άσπετος si sia potuto corrompere in άσβεστος — appare insosti­ tuibile. N el verso precedente Ippolito dava ήν καί: ήν δ’ ως N auck , ήν τε καί S chneiDEWiN, έσκε, καί D iels . (113) O.c., 177ss. Partendo dalla definizione aristotelico-wilamowitziana, il Festu­ gière riduce tutti i valori di αιών all’unico significato di «durée de la vie individuelle». Infatti anche Ι’αΙών = eternità «est encore, au vrai, la durée d ’une vie individuelle; mais il s’agit, cette fois, d ’un individu qui dure indéfinim ent» (p. 178). Questo individuo dap­ prima doveva essere 1’άπειρον περιέχον di A nassimandro, poi lo sfero di E mpedocle, indi l’aria di D iogene ed infine 1’άίδιον ζώον di P latone : di qui il passaggio al valore «eternità», prodotto esclusivamente da una «réflexion philosophique» (pp. 177s.). L’esame dei testi, specialmente poetici (pp. 173s.), è peraltro condotto in m odo alquanto sbrigativo e par­ ziale: tutti i passi pindarici ed eschilei, che abbiam o riconosciuti com e particolarmente significativi nella storia semantica d el vocabolo, non vengono affatto presi in considera­ zione. A nche il fr. 52 di E raclito viene deliberatam ente tralasciato, «car le sens en de­ metire incertain» (p. 176, 1). (114) Cf. H 558: άσπετος αιθήρ; ξ96: ζωή άσπετος (ζωή = «consistenza patrimonia­ le) ; Κ523: άσπετος κύδοιμος, ecc. È senz’altro da escludere che τούτων άμφοτέρων si riferisca ad αιών, poiché in tal caso κενεώσεται acquisterebbe un valore pregnante che è certo ^ escludere per E mpedocle («esser privo della propria sostanza», «vanificarsi, svuotarsi» è valore che κενοϋσθαι ha solo nella tarda cristianità). Il F estugière ammette anche a. possibilità che si tratti dell’aÌtiiv degli elem enti, anziché dello Sfero; mentre invece Bollar, Phil 1957, 48, pensa che 1’άσπετος αιών, «die unsäglich lange Zeit», sia soggetto anche dei primi due verbi: al che si oppone — oltre all’où8é disgiuntivo — ü testo Ippolito, che dice espressamente trattarsi dei due principi άγένητα ed άθανατα.

CAP. V: I PRESOCRATICI

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te si identifica. Certo, volere in ogni caso intendere αιών come «vita» è frutto dell’arbitrario presupposto wilamowitziano, chiaramente smentì’ to — oltre che dai vari passi poetici che abbiamo esaminati - anche dal fram m ento eracliteo di cui fra poco ci occuperemo; ma non si può d ’altro canto escludere recisamente che qui Empedocle potesse allu­ dere alla vita dello Sfero. U n frammento orfico di epoca incerta (Proci. in P la t. T im . 21d = fr. 95 K ern) dice: καί φύσεως κλυτά έργα μένει καί άπείριτος αιών: qui αιών è appunto la vita della natura, che non può mai perire, ed e quindi caratterizzato dall’aggettivo άπείριτος, «infinito»: così come Eschilo chiam ava άσπετος 1’αίών di Zeus (Suppl. 574). Abbiamo in ogni caso un senso di eternità in questo άσπετος αιών: un’eternità però che non riposa nell «e», m a che è ciclica e si esplica in un divenire inces­ sante. E non furono certo dei passi come questo che suggerirono a Pla­ tone l’impiego di αιών come term ine specifico per indicare quella forma di tempo che competeva all’U no: 1’αίών platonico non è un tempo «indi­ cibilmente grande», m a è l’eternità extratem porale; un punto, che è del tutto estraneo al tempo. Si noti inoltre come la sfumatura ravvisabile nel frammento empedocleo sia del tutto assente in αιών e tutta sostenuta da άσπετος. Ben più istruttivo per la nostra indagine è invece il dibattutissimo fr. 52 di Eraclito: αιών παΐς έστι παίζων πεσσεύων παιδός ή βασιλείη. «Vielleicht — osservava il Nestle (Griech. Studien , 139) — das meist um­ strittene unter allen W orten Heraklits ist das von Aion (fr. 52 Diels)»: e si potrebbe infatti dire — senza tem a di esagerare — che ogni studioso ha dato di questo fram m ento e di questa parola un’interpretazione diversa. La proverbiale oscurità del pensatore di Efeso sembra si rifletta con par­ ticolare evidenza nell’immagine m itica di questo fanciullo che gioca a dadi e che si chiam a αιών. Che Eraclito abbia qui usato il termine «um das regellose Spiel des W erdens und Vergehens zu schildern» (Wilamowitz, o.c.y 364) pare chiaro: per simboleggiare cioè il capriccioso scorrere del tempo, che gioca, in un apparente disordine, con gli eventi, come il fanciullo gioca con le tessere sulla scacchiera. M a come tale immagine rimane piuttosto enigm atica ed oscura nell’ambito del pensiero eracliteo, così si presenta problem atica anche la precisa interpretazione di αιών, c e è sempre stato inteso e tradotto nei più vari modi. Il Diels tra uceva «Zeit», successivamente corretto in «Lebenszeit»; e che qui il termine valesse semplicemente «la vita nella varietà delle sue vicende» sosteneva

PARTE π : ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA

l’Abbagnano {L o nozione del tempo secondo A risto tele, Lanciano 1933, 14)} mentre il M azzantini, nel tentativo di una maggiore precisione, afferma che qui αιών è «la vita che perpetuamente si rinnova nel tempo», in quan­ to il fanciullo sarebbe appunto «la freschezza del perenne rinnovamento, che in qualche modo imita l’eternità» (115). Molti altri invece intesero «tempo infinito, eternità» (Kafka, Vorländer, Eisler, Tannery, Schuster, ecc.), altri ancora «tempo», «evo» (Diès, Bodrero, Joel, Nestle, Macchioro, Walzer, M ainarich, ecc.) e lo Zeller «Weltlauf», sostenendo che qui αιών era la divinità ordinatrice del cosmo {P h ilos. d. Griechen, I®, 2, 642). Vi fu invece chi credette di cogliere nel termine uno spiccato richiamo al destino dell’uomo e del mondo: così il Brieger, che intendeva «Zufall» (Neue Jahrb. f. Alt. X III, 690, 1) e la Philippson, secondo la quale αιών rappresenterebbe «la potenza del destino, apparentemente confusa..., l’e­ terna durata che mediante la sua propria durata eonica... compie il suo gio­ co eterno con le vite dei singoli» {o. c., 83s.) : e si potrebbe continuare con varie altre interpretazioni diverse (116). M a va piuttosto esaminato da vicino il fatto che spesso si è cercato di chiarire questo ambiguo valore di αιών mediante il confronto con un passo di Ippolito, che pare possa effettiva­ mente contenere in sè qualcosa di eracliteo {R ef. IX , 9): 'Ηράκλειτος μέν οδν φησι είναι το παν διαιρητόν άδιαίρητον, γενητόν άγένητον, θνητόν αθάνατον, λόγον αιώνα, πατέρα υιόν, θεόν δίκαιον* "ούκ έμοΰ, άλλά τοΰ λόγου άκούσαντες όμολογεΐν σοφόν εστι εν πάντα είναι” (fr. Β50) ό ‘Ηρά­ κλειτός φησι. Non si può certo escludere che in questa serie di termini an­ titetici (cf. AGI XL, 116) possa essere rimasta più di qualche espressione di Eraclito. Ed il Mondolfo, parlando dell’eternità ciclica eraclitea, afferma che essa è «legge fatale e ragione divina, ingenerata ma coinci­ dente con l’incessante generazione ; immortale, ma identica coll’ininterrotta vicenda dei mortali; ragione (λόγος) eterna, ma combaciànèé cóT^tempo (αιών) mutevole e fluente» { L infinito, 80s.). Invece secondo il Levi αιών è il «tempo finito» che si contrappone all’eternità del λόγος; e quindi — a (115) C. M azzantini, Eraclito, Torino 1945, 227; 98. Il fr. 52 viene collegato con B6, ove si dice che «il sole è nuovo ogni giorno». Che questo sole sia poi un simbolo del tem po (cf. D iano , Il concetto, 266) può anche darsi; m a tutta l’interpretazione rimane irrim ediabilm ente incerta. (116) Il L a c k e i t , 82, intende «Zeitenlauf»; il F r a j n k e l , W uF , 2 6 4 s . , «Dasein». Per altre interpretazioni, cf. L e v i , R F N X I, 272, 4 ; M a c c h i o r o , Zagreus, 392; Z e l l e r N e s t l e , Phil. d. Griechen, I», 808; O. G i g o n , Untersuchungen zu Heraklit, Leipzig 1935, 74ss., 122; N e s t l e , Phil L X IV , 373ss.; G i l b e r t , NJ X X I I I , 172ss. Si veda anche Cas­ s i r e r , II, 170ss. Per un esame critico delle fonti, che purtroppo non possono aiutarci m olto nell’interpretazione del frammento, cf. R. W a l z e r , Eraclito, Firenze 1939, 89ss.

CAP. V: I PRESOCRATICI

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p a rte il fatto che detta eternità e un tempo infinito e non un eterno pre­ sente (cf. B30) 1 intuizione eraclitea andrebbe addirittura considerata u n ’anticipazione della dottrina platonica (RFN X I, 263, 1; 272; 276). In realtà non pare si possa tener conto della testimonianza di Ippolito, tutt altro che chiara e coerente : si noti che l’ordine antitetico, che inizia con διαιρητον-αδιαίρητον, viene bruscamente a capovolgersi con λόγον-αΐώνα (ammesso che λόγος = «ragione eterna») e manca negli ultimi due ter­ mini. E che significa θ-εόν-δίκαιον ? Pare ben giustificato il sospetto che il passo debba contenere, inoltre, e proprio in λόγον ed αιώνα, dei ter­ mini gnostico-cristiani (117). *** Pare dunque impresa disperata, se non impossibile, tentare di inter­ pretare univocamente il valore di αιών, simbolo dell’apparente irraziona­ lità del divenire, nel quadro di questa immagine mitica: e tutti i vari si­ gnificati con cui s’è cercato di definirlo potrebbero andare bene, senza peraltro che gli uni escludano gli altri. In realtà questo αιών che regna e domina sul mondo altro non è che il tempo periechon, come in Pindaro: e per questo non lo si può racchiudere in un significato preciso. Si è di recente posta la questione se ηεΠ’αίών παίζων ci sia un riferimento al tempo della vita individuale oppure al tempo cosmico (118): tempo della vita del singolo o tempo del mondo? Per noi la questione non va posta: αιών

(117) Cf. l’apparato di D ie ls-K r a n z , Vorsokratiker8. Ippolito voleva con la sua opera ■criticare l’eresia noetiana, che affermava l ’identificazione del Padre e del Figlio, cercando -di dimostrare che tale eresia non derivava dalla parola di Cristo m a dalla dottrina di Eraclito. N on è d a escludere che anche λόγος ed αιών siano termini del linguaggio ippoliteo e non eracliteo; e che — secondo la terminologia di quel tempo — indicassero il rapporto Figlio-Padre (cf. O w en , o . c. , 272; 280ss.; L eisegang, La Gnose, Paris 1951, 28ss.). U n influsso gnostico am m ette senz’altro il K irk , Heraclitus, 65ss. (118) Cf. G .S. K irk , Heraclitus. The Cosmic Fragments, Cambridge 1954. Egli preferisce rinunciare ad una traduzione del termine: «Aion is a child at play, playing draughts; the kingship is a child’s» e spiega: «the word is most likely to refer to hum an lifetime, perhaps with the special connotation o f the destiny which is worked out by the individual •during his lifetim e... It is unlikely to m ean ‘tim e’, absolutely, w hite fa te , in general is an impossible m eaning and one, furthermore, w hich would give the fragment a signi­ ficance contrary to the general trend o f Heraclitus ‘thought’, with its emphasis (as will be seen) on m easure»; e conclude che il fr. 52, «alm ost certainly belongs to what I have •called the ‘anthropocentric’, and n ot the ‘cosm ic’, class o f fragments» (p. X iii). Sostan­ zialmente il K irk , che cerca d i distinguere i frammenti «cosmici» da quelli «antropocen-

PARTE li: ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA

è l’uno e l’altro, poiché il Perìechon, in quanto vissuto, è sempre in rela­ zione con un «Aie et mine»; ma non è in relazione con·un «hic et mine» se non per trascenderlo (119). Qui αιώ ν è il tempo del singolo, che fa tutt’uno con la sua esperienza e sorte; ma è anche e contemporaneamente il tempo dell’universo, il Destino, il principio cosmico che regola o sconvolge l’in­ tera umanità. E se si vogliono trovare gli antecedenti di’questo αιών era­ cliteo non si ha che da ricercarlo ηεΙΓαίών pindarico, quell’odtóv che έπ’ άνδράσι κρέμαται έλίσσων βίου πόρον.

trici», pone dunque il fr. 52 fra questi ultimi; ed anche W. B r ö c k e r , Gnomon 1958, 433, è dello stesso avviso : «αιών meint nicht die Weltzeit, sondern die individuelle Lebenszeit». Ma in αιών individuale e cosmico sono indissolubilmente congiunti : ed è appunto in que­ sto costante riferimento al vissuto ed all’individuale (che impedisce al vocabolo di di­ venire, come più tardi χρόνος, una pura astrazione), che consiste quell’alone epifanico, onde αίων passa facilmente ad indicare il Perìechon, ponendosi, quindi, su un piano cosmico. ( 1 1 9 ) Cf. D i a n o , Fenom., 2ss.; Il concetto, 252ss.

Cap.

VI

PL A TO N E E A R IST O T E L E

Il problem a del tempo, finora presentatosi in forma episodica, viene per la prim a volta posto criticam ente da Platone e diventa oggetto di una trattazione specifica ed organica con Aristotele. E come il concetto di tempo è legato a quello di eternità, così si affaccia per la prim a volta, con quello del tempo, anche il problem a dell’eternità e quello del loro mutuo rapporto. Il senso filosofico che Platone conferisce ad αιών è espresso con estrema chiarezza nelle pagine del T im eo dove si tratta della creazione del tempo e dove il term ine acquista il preciso valore di «eternità»; in opposizione a quello di «tempo», espresso da χρόνος. Il Demiurgo, che nel plasmare il cosmo tiene lo sguardo rivolto all’eterno (προς το άίδιον, 29a), cerca di imitare, meglio che gli sia possibile, l’eterno ed immutabile «vivente intelligibile che gli fa da modello (ζώον νοητόν, 39e) (120). M a egli non può conferire all’eìxtóv, che sta costruendo, l’immobilità che è propria dell’increato paradigm a: deve quindi limitarsi ad imprimere ad essa la specie più appropriata (οικίαν, 34a) di movimento, la rotazione intorno a sè stessa, che — rifluendo continuam ente su se medesima — costituisce appunto u n ’im perfetta mimesi dell’immobile. E quando l’artefice passa alla creazione del tempo, contrappone in tal modo all’eternità del mo­ dello, che perm ane sempre identico nella sua unità, la temporalità ciclica del χρόνος, che si rinnova di continuo, caratterizzato dalla molteplicità delle sue parti (μέρη: cioè i giorni, le notti, i mesi e gli anni) e delle sue specie (είδη: cioè l’«era» ed il «sarà»). (120) R iceven d o la ψυχή, il cosm o intelligibile diventa un «vivente (cf. Soph. 248a, 249d; Ttm. 30b) : l ’«essere assolutam ente perfetto» (τό παντελώς δν) diventa il «vivente perfetto» (ζώον τέλειον), ch e — com e gli dèi — è eterno (αίδιον). Per tutto ciò, cf. D iano , Λ concetto, 339ss.

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PARTE π : Α ΙΩ Ν NELLA FILOSOFIA

'Ως δέ κινηθέν αυτό καί ζών ένόησεν των άιδίων θεών γεγονός άγαλμα ό γεννήσας πατήρ, ήγάσθη τε καί εύφρανθείς £τι δή μάλλον δμοιον πρός τό παράδειγμα άπενόησεν άπεργάσασθαι. Καθάπερ οδν αυτό τυγχάνει ζώον άίδιον 6ν, καί τόδε το παν ουτω εις δύναμιν έπεχείρησε τοιοϋτον άποτελεΐν. 'Η μέν οδν τοϋ ζώου φύσις έτύγχανεν οδσα αιώνιος, καί τοϋτο μέν δή τώ γεννητώ παντελώς προσάπτειν ούκ ήν δυνατόν είκώ δ’ έπενόει κινητόν τινα αΐώνος ποιήσαι, καί διακοσμών άμα ουρανόν ποιεί μένοντος αΐώνος έν ένί κατ’ αριθμόν ΐοϋσαν εικόνα, τούτον £ν δή χρόνον ώνομάκαμεν. 'Ημέρας γάρ καί νύκτας καί. μήνας καί ένιαυτούς, ούκ δντας πριν ούρανόν γενέσθαι, τότε άμα έκείνω συνισταμένω τήν γένεσιν αυτών μηχανάται · ταΰτα δέ πάντα μέρη χρόνου, καί τότ’ ήν τό τ’ έσται χρόνου γεγονότα είδη, ά δή φέροντες λανθάνομεν επί τήν άίδιον ουσίαν ούκ όρθώς. Λέγομεν γάρ δή ώς ήν έστιν τε καί Ισται, τή δέ τόέστιν μόνον κατά τόν άληθή λόγον προσήκει, τό δέ ήν τό τ ’ Ισται περί τήν έν χρόνω γένεσιν ΐοϋσαν πρέπει λέγεσθαι — κινήσεις γάρ έστον, τό δέ άεί κατά, ταΰτα £χον άκινήτως ούτε πρεσβύτερον ούτε νεώτερον προσήκει γίγνεσθαι διά χρόνου ούδέ γενέθαι ποτέ ουδέ γεγονέναι νϋν ούδ’ εις αδθις έσεσθαι, τό παράπαν τε ούδέν δσα γένεσις τοΐς έν αΐσθήσει φερομένοις προσήψεν, άλλά χρό­ νου ταΰτα αιώνα μιμουμένου καί κατ’ άριθμόν κυκλουμένου γέγονεν εΐδη — καί πρός τούτοις £τι τά τοιάδε, τό τε γεγονός είναι γεγονός καί τό γιγνόμενον· είναι γιγνόμενον, ϊ τ ι τε τό γενησόμενον είναι γενησόμενον καί τό μή δν μή δν είναι, ών ούδέν άκριβές λέγομεν. Περί μέν οδν τούτων τάχ’ αν ούκ είη καιρός πρέπων έν τώ παρόντι διακριβολογεΐσθαι. Χρόνος δ’ οδν μετ’ ούρανοΰ γέγονεν,. £να άμα γεννηθέντες άμα καί λυθώσιν, άν ποτέ λύσις τις αυτών γίγνηται, καί. κατά τό παράδειγμα τής διαιωνίας φύσεως, £ν’ ώς ομοιότατος αύτω κατά δύναμιν ή· τό μέν γάρ δή παράδειγμα πάντα αΐώνά έστιν Óv, ό δ’ αδ διά τέλους τόν άπαντα χρόνον γεγονώς τε καί ών καί έσόμενος. Έ ξ οδν λόγου καί διανοίας θεοΰ τοιαύτης πρός χρόνου γένεσιν, £να γεννηθη χρόνος, ήλιος καί σελήνη καί πέντε άλλα άστρα, έπίκλην έχοντα πλανητά, εις διορισμόν καί φυλακήν άριθμών· χρόνου γέγονεν. ( T im . 3 7 d*3 8 c). «Ma come il padre che l’aveva generato (se. il Dem iurgo , m o to re del cosmo} vide muoversi e vivere questo mondo, fatto ad immagine degli eterni dèi,, se ne compiacque e, tutto lieto, pensò di renderlo ancor più simile al mo­ dello. E come questo è un eterno vivente, così anche questo universo egli cercò — per quanto era possibile — di renderlo tale. Orbene, è propriola natura di questo vivente che era eterna e tale proprietà non era possibile conferirla in tutto e per tutto a ciò che aveva avuto origine: ed egli allora pensò di fare un’immagine mobile deU’eternità e, ordinando con­ temporaneamente il cielo, crea della eternità, che rimane nell’uno, una. immagine eternale procedente secondo il numero, quella appunto che noi chiamiamo tempo. Ed i giorni e le notti, e i mesi e gli anni, che non

CAP. V: I PRESOCRATICI

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esistevano affatto prima che il cielo nascesse, fece in modo che nascessero contemporaneamente alla formazione di quello: tutte queste parti sono parti di tempo e sia 1 era che il sarà sono forme generate di tempo, forme che noi — senza accorgercene e non correttamente — riferiamo alla eterna essenza. Diciamo infatti che essa era, è e sarà, ma in realtà solo è le si addice veramente, e l’era e il sarà si devono dire di ciò che si genera e procede nel tempo — ché sono due movimenti, mentre a ciò che si trova sempre immobile nelle identiche condizioni non spetta di divenire col tempo né più vecchio né più giovane, né di essere divenuto una volta né di divenire ora, né in seguito: insomma, non comporta affatto tutti gli accidenti che il divenire implica per ciò che si muove sul piano della sensazione, ma questi sono aspetti del tempo che imita l’eterno e si svolge in circolo secondo il numero — e oltre a ciò noi diciamo espressioni di tal genere: il divenuto è divenuto, il divenente è divenente; e ancora: il futuro è futuro e ciò che non è non è: espressioni, queste, di cui nessuna è esatta. Ma forse non è questo il luogo di indagare tutte queste questioni con la dovuta acutezza. Il tempo, dunque, nacque col cielo, affinché, ge­ nerati assieme, pure assieme si dissolvano, se mai debba verificarsi una loro dissoluzione; e fu creato secondo il modello dell’eterna natura, in modo che sia il più possibile somigliante ad esso modello: infatti il para­ digma è per tutta l’eternità, mentre l’altro (121), dal canto suo, è esistito, (121) L a m aggior p a rte degli in terp re ti (cf. M o n d o l f o , o.c., 105; R iv a u d , P laton, X , Paris 1925, 152; T a y l o r , A Commentary on P lato’s Tim aeus, Oxford 1928, 190, ecc.) sottintende qui ούρανός : sem bra infatti ad essi che χρόνος n o n p ossa assolutam ente stare con la locuzione τόν άπαντα χρόνον. A nche il F e s t u g i è r e , uno dei pochi che sottinten­ dano χρόνος, finisce tu tta v ia con l’am m ettere che ó 8’ αδ γεγενώς (38c2) «sans doute con­ vieni au M onde, cf. 31b3: ουρανός γεγονώς έστιν καί £r’ έσται» (o.c., 186, 1). In realtà il richiamo al cielo term in a g ià con γίγνηται; poi si continua a p arlare del tem po, raffron­ tandolo col παράδειγμα. Il soggetto della nostra frase è q uindi — come vuole la stessa g ram ­ m atica — lo stesso d i γέγονεν d i ή ; ed anche il significato è chiarissimo, perfettam ente coerente con q u an to Platone h a finora detto. Q u i si pone ancora u n a volta l’accento sulla irrelatività di αιών e χρόνος: d a u n a p arte 1’αΙών, eternam ente fisso nell’«è»: άπαντα αιώνα, «per tu tta l’eternità», ap p u n to perché esso è m isurabile solo con sè stesso e non con le categorie del tem po ; d a ll’a ltra il χρόνος diveniente e m isurabile, m a anch esso m i­ surabile solo con se stesso e n o n in riferim ento all’eterno: e che perciò è stato e sarà τόν άπαντα χρόνον, «per tu tto il tem po». L ’eterno vive nell’eternità, il tem porale nella tem po­ ralità: irriducibilm ente. U n ’eco d i questa irrelatività platonica si ritrova ben evidente negli scritti erm etici ( W e in r e ic h , A fR w X IX , 185), ed ap p are in definizioni platonizzanti come αΙώ ν μέτρον των αιωνίων, χρόνος' μέτρον των èv χρόνω (cf. F e s t u g i è r e , H erm is Trismégiste, I, Paris 1945, 157; O w e n , o.c., 265 e 271ss.). A ltrettan to si verifica in am b ito neoplatonico ( W e in r e ic h , 185s.). Il rap p o rto che intercorre fra αιών e χρόνος è d u n q u e quello che intercorre fra extratem p o rale e tem porale, non quel che intercede fra il «du-

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PARTE π : Α ΙΩ Ν NELLA FILOSOFIA

esiste ed esisterà per tutto il tempo, continuamente. Orbene: in base a questo pensiero e ragionamento di D io riguardo alla nascita del tempo, allo scopo appunto di fare nascere il tempo, furono creati il sole, la luna e cinque altri astri, che son detti pianeti, per precisare e conservare i nu­ meri del tempo».

Platone distingue e contrappone chiaramente due forme di tempo: la puntuale extratemporalità di αιών e la temporalità molteplice di χρόνος. L’uno è caratterizzato dal permanere nell’unità (μένειν έν ένί), l’altro dal suo procedere secondo il numero e dal suo distendersi in una molteplicità di parti, precedenti e successive. Per αιών, fisso nella puntualità aoristica dell’«è», ogni concetto di estensione temporale — anche se illimitata — è fuori luogo: poiché, come il punto matematico è privo di dimensione, così esso non ha alcuna estensione, ovvero durata; non comporta divisioni temporali, non conosce né l’«era» né il «sarà» e si raccoglie tutto nell’«è», fuori del tempo: è un eterno presente. Invece χρόνος, tempo del «que­ sto» (122) e del divenire di tutti i giorni, non conosce la stabilità dell’«è» e non ha un vero presente: la linea del suo procedere si distende di con­ tinuo dal prima al dopo, dall’«era» al «sarà», secondo le categorie del tempo. E mentre 1’αίών è ingenerato, esso invece è stato creato: e come ha avuto una γένεσις, così potrebbe avere anche una λύσις. Il suo moto è circolare 1123); ed è appunto nel circolo dell’«è-era-sarà», cioè nella ciclica e perenne vicenda del giorno, del mese, dell’anno e del grande Anno, che esso imita l’immobile permanenza del modello. In ciò esso ri­ vela il rapporto di somiglianza che lo lega all’αιών di cui è la copia terrena: la sua «eternalità», ond’è anch’esso αιώνιος (124). ratu ro » (perenne) ed il «caduco» (tem porale), com e spesso si intende (così A. G uzzo,

Aion e Chronos nell'arte e nella vita spirituale in genere: L a v ita dello spirito ed il problema dell’arte X X , M ilano 1942, 97ss.). (122) L ’espressione è di C. Diano: è il tem p o d el «tòde ti» (Il concetto, 296ss.). (123) Infatti il cerchio, nel quale ogni p u n to è co n tem poraneam ente principio e fine, è la figura m atem atica p iù p erfetta, l’u n ica che possa in c e r to m odo simboleggiare il p u n to dell’alcóv. È chiaro però che si tr a tta d i im a ciclicità sconsacrata e quindi .propria d i un tem po lineare e n u m erab ile; n o n è la ciclicità tem p o rale vissuta nel sesto secolo, quella che è p ro p ria del pensiero m istico (cf. Diano, ibid., 250ss. e D e lta IX , 60ss.; E liade, L’ét. retour, passim e Images et symboles, 92). (124) Se αΙώνιος equivale ad άίδιος, com e indiscutibilm ente m ostra il loro indiffe­ ren te alternarsi com e a ttrib u ti d ella m edesim a sostanza (ζώον άίδιον... φύσις αιώνιος... αίδιον ούσίαν, ecc.; e rra ta la distinzione del T a y lo r , A Commentary on Plato's Timaeus, 186s.), j com e m ai questo aggettivo viene a ttrib u ito an ch e all’elxv (cioè a χρόνος), che pure è stata j c re a ta ? T ale difficoltà fu av v ertita d a ta lu n i ed h a d a to luogo a divergenti interpreta­ zioni, intese a chiarire in che cosa consistesse q u esta « etern ità» del tem po : se si limitas-

C A P . V i : P L A T O N E E A RISTO T EL E

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Questa definizione di αιών come puntualità aoristica che esclude pas­ sato e futuro e tu tta si riduce all «è», richiam a d a vicino la definizione parmenidea dell’essere (B8, 5): ουδέ ποτ’ ήν ούδ’ £σται, έπεί νϋν έστιν όμου παν Nell’identità di essere e pensiero (B3), cioè nella specularità dell’es­ sere con se stesso, il passato ed il futuro non hanno realtà: sono non-essere e vengono quindi relegati nel mondo contraddittorio ed ambiguo della δόξα. M a il mondo delle forme e άεΐΐ’άλή&εια non conosce che l’extratemporalità dell’«è», poiché non ha né origine, né fine, è άναρχος ed άπαυστος (B8, 7). E questo p er la legge stessa della forma, che non conosce il tempo se non come «riflessione unidimensionale dell’identico, e quindi come eternità» (Diano, o. c ., 260) nel suo moto di speculiarità con se stessa: quella form a della quale Parm enide mise per prim o in luce la lo­ gica, m a che già O m ero aveva contem plato sul piano dell’arte. Ché gli alla perenne vicenda ciclica oppure se si dovesse intenderla nel senso che il tem po è in­ finito, senza principio e senza fine; cosa ch e è sm entita, innanzitutto, dalla narrazione stessa del Timeo. G ià fra gli antichi, se A r i s t o t e l e intese rettam ente P la to n e (Phys. 2 5 1 b l7 ; cf. De Coel. 283b26) e lo criticò {ibid. 280a), com e probabilm ente fece anche Epicu­ r o (B arig azzi, in Epicurea in memoriam H . Bignone, G enova 1959, 35ss., 58), ci furono anche dei tardi interpreti ( P l v t . D e anim. procr. 5, ecc.) che pensarono alla creazione del Timeo come ad una «veste m itica, traducente in inizio cronologico il principio logico della d i­ pendenza da una causa intellegibile» (M o n d o lfo , L ’infinito, 108) ; e a questa tesi aderi­ rono lo Z e l l e r , il L ev i, il F r a c c a r o l i ed altri. Invece il D iano [Il concetto, 297ss.) ha di recente dim ostrato ch e l’unica causa del m ondo creato dal D em iurgo anim a che opera secondo il bene — consiste appunto in un atto di volontà e d i arbitrio. L a crea­ zione del Timeo non è quindi un m ito com e quello d i Er o com e 1 im m agine della ca­ verna; non si d eve quindi cercare in questo αιώνιος un significato per il quale P la to n e , uscendo im provvisam ente d a questa sua presunta narrazione m itica, rivelerebbe il suo «vero» pensiero. G ià il C o v o tti (A P X I I , 162, 1) notava che la desinenza -ιος,^ nella form azione di aggettivi, «esprim e la p iù generale attinenza con l’idea del sostantivo da cui deriva... e solo p iù tardi assum e, co l p iù largo uso, un legam e p iù stretto. Il signifi­ cato originario appare nei gentilizi, ch e si possono usare anche sostantivam ente». N u lla infatti im pediva a P l a t o n e d i usare αΙώνιος nel senso d i άίδιος in 37d e d i im piegarlo in­ vece in un significato p iù generico n el nostro passo, per indicare la sem plice attinenza con αΙών. In tal senso, dun qu e, intenderem o «eternale» (term ine suggeritom i dallo stesso Diano), che ci pare più adeguato ch e non il «dell’eternità» del C o v o tti, il quale troppo rigidamente equipara εΐκών αιώνιος ad είκών αίώνος. L a natura del suffisso può essere chia­ rita con alcuni esem pi com e βώμιος, «ch e si trova sull’altare», θέμιος «conform e al theέλευθέριος (cf. invece έλεύθερος), «proprio di un uom o libero», «liberale», «libe­ ratore» (Zeus), δέσμιος, ch e indica la sem plice attinenza con δεσμός, tanto ch e può valere *ia «legato» ch e «legante» (A esch. Eum. 332); cf. inoltre Λύδιος, Πελοποννήσιος ed i

6 * t d e g a n i - ‘AIQN da Omero ad Aristotele,

PARTE π : ΑΙΩΝ NELLA

filosofìa

dèi dell’Iliade (125) sono pure forme antropomorfe, a cui sono estranee le idee di nascita e di morte, e sono di necessità αΐειγενέται ed άθάνατοι La divinità olimpica non può morire, perché è l’essere: avvolti nell’αίγλη — la luce della forma — vivono in un’atmosfera immobile e serena, non scossa dai venti né bagnata dalla pioggia, questi dèi «che sempre sono» (αίέν έόντες ) : è il «sempre» dell’essere che è fuori del tempo, il «sem­ pre» delle forme: forme che si muovono ed agiscono e quindi sono_ appunto nel loro movimento e nella loro azione — contraddittorie, per­ ché, per ora, esse sono solo intuite e contemplate nell’arte. Ma Parme­ nide ne scoprirà la logica, gettando le basi della scienza. Se nella puntualità aoristica del suo νυν, 1’αίών platonico si riaggancia all’essere di Parmenide (126), esso non è tutto qui. Nella contrapposizione fra αιών e χρόνος, il Timeo distingue il «semper» del Perìechon ed il tempo profano di tutti i giorni. Αιών è stato scelto da Platone appunto per con­ trassegnare il tempo trascendente e divino, mentre χρόνος rappresenta invece il tempo puramente umano del «questo», il tempo «relié au nombre et arithmétisé^ 127) che si divide in sezioni e si risolve nel numero e patronimici tipo Τελαμώνιος. Non sono poi d’accordo col M o n d olfo neppure quando af­ ferma che in P la to n e «l’eterna presenzialità tende a convertirsi in perenne durata, che implica in sè un tacito riferimento alla successione temporale (o.c., 102ss.). Ciò appari­ rebbe, secondo il M on d olfo, dalla «posizione ambigua dell“è’, che oscilla fra l’extratemporalità e la appartenenza al tempo quale sua specie», dalle stesse espressioni usate da P atone (così αεί, che può applicarsi sia al divenire che all’essere; così αιών «che pro­ babilmente E r a c lito aveva usato nel senso di tempo»; e così pure l’espressione πάντα αίώνά έστιν βν di Tim. 38b, poiché con essa l’eternità «viene così ad essere convertita in somma infinita di diversi momenti di esistenza immutabile») e infine dalla collocazione del Bene fra le eterne perfezioni dell’essere: poiché è quel Bene che determina l’attività creativa e quindi «l’eterno permanere di converte in eterno processo di creazione» (l.c.). Non è questo il luogo per discutere l’interpretazione che di P la to n e ha dato il Mondolfo e premetto che io seguo quella del D iano, al cui studio rimando soprattutto per questa ultima obbiezione (spec. 340ss.). M i limiterò qui a ripetere che 1’«è» platonico è fuori del tempo, come chiaramente afferma lo stesso P la to n e ; ed è l’«è» della forma e delΙ’έξαίφνης, non quell’«è» ambiguo del divenire che in fondo esiste solo nel nostro imper­ fetto linguaggio: come esplicitamente dice ancora lo stesso P la to n e . Non si vede poi come il fatto puramente linguistico che άεί possa anche venir riferito al divenire debba ge­ nerare ambiguità nell’interpretazione del nostro passo; e per quanto concerne αιών, s è visto come esso non abbia assolutamente alcuna estensione e sia un punto. Per παντα αιώνα, cf. la n. 121. (125) D iano, FE, 52ss. A ragione Callimaco nell’/nno a Zeus i'rv- 8s·) c a c a v a i Cretesi che facevano Zeus mortale. (126) Cf. P hilippson, Mito greco, 22ss. ; sul νϋν parmenideo, cf. anche Levi, RFN X I, 374s. (127) L’espressione è di J. D e la H arpe , L idie du temps, 130.

C A P . V II P L A T O N E E ARISTO TELE

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che è proprio della tecnica e della scienza. In Platone, per la prima volta, la distinzione fra questi due tipi di tempo diviene concettualmente cosciente e semanticamente esplicita ; ed anche il tempo periechon acquista definiti­ vamente un suo proprio nome: αιών. Infatti la scala metafisica — e non fisica, — su cui sono collocate quelle che per Platone sono le varie forme di realtà, ha nel suo punto più alto l’assoluta Esistenza, l’estità dell’Uno, ovvero del Bene: il punto «’ve s’appunta ogni dove ed ogni quando», Γ«ubique et semper», l’estremo Periechon che di tutto è il periechon e di nulla il periechomenon (128). La forma di tempo che gli compete è appunto 1’αίών, il tempo epifanico dell’evento, il punto senza dimensioni che tutto ab­ braccia: al di sotto incontriamo il tempo del mondo, χρόνος: il tempo numerabile ed ordinato dei cieli, che nel suo continuo ritorno circolare dall’«era» al «sarà», costituisce la mobile immagine del tempo divino (129). Il Timeo segnò una tappa fondamentale nella speculazione che gli antichi fecero sul tempo. Questo dialogo, che in seguito divenne un vero e proprio testo sacro, fu un costante centro di riferimento per tutti coloro che, dopo Platone, si occuparono del problema del tempo, come Aristo­ tele, Plotino, Proclo e via dicendo. «Eternità» è infatti il valore costante ed abituale di αιών per la filosofia post-platonica; e la proposizione pla­ tonica del tempo come «immagine mobile dell’eternità» diede origine ad una ricchissima serie di figurazioni mitiche nell’ambito del neoplatonismo. Tutte al Timeo si riagganciano le meditazioni di Plotino, che nel settimo capitolo della terza Enneade esamina molto a fondo il problema dell’eter­ nità. Per lui αιών è l’insieme delle essenze intelligibili, riunite in un tutto grazie ad una vita trascendente che circola fra di loro: ed è oggetto di una specie di visione intuitiva dell’anima, la quale ora scivola verso il tempo, ora si aderge verso l’eternità, smaniosa di annullarvisi (130). Fu appunto Proclo, il quale — interpretando dal punto di vista neoplatonico la narrazione del Timeo — affermò che αΐών...έστι τοϋ χρόνου πατήρ (in Plat. Remp. 17, lOKroll), a capovolgere letteramente la genealogia euri­ pidea degli Eraclidi. Il larvato rapporto di mimesi che in Platone tem­ pera l’irriducibile separazione fra αιών e χρόνος, si risolve qui in un chiaro rapporto di discendenza, onde αιών non è che un’opaca emanazione del-

(128) Per t u t t o ciò, cf. D ia n o , U concetto, 338ss. e spec. 340ss. (129) D ia n o , ibid., 338ss. Al mondo dei corpi e della γένεσις appartiene un tempo rettilineo e spezzato, dominato da una certa άταξία, ma pur sempre regolato; mentre al caos del mondo della χώρα compete il vero χρόνος άτακτος, che non procede affatto né κατ> άριθμόν né κατά τάξιν. (1 3 0 ) Cf. J. D e l a H a r p e , o . c . , 1 3 1 ss.

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PARTE Π: Α ΙΩ Ν NELLA FILOSOFIA

Γαίών άγέννητος. M a Proclo, pur allontanandosi dal T im eo , non fa che sviluppare in sostanza le premesse platoniche, poiché già in Platone l’an. teriorità e la superiorità dell’eterno rispetto al tempo era implicita e la esistenza stessa di χρόνος presupponeva necessariamente αιών. *** Nessun filosofo greco ci ha lasciato una definizione così precisa e ri­ gorosa del rapporto fra eternità e tempo come Platone: il che dipende, ovviamente, dallo stesso sistema platonico, che solo permetteva una così netta distinzione. In Plotino, ad esempio, che pure si sforza di seguire da vicino il T im eo, il tempo viene ad avere una realtà precaria e rischia di venire assorbito nel mare dell’eternità. Così αιών, nozione trascendente propria dell’Uno, poteva mantenere questo suo specifico valore solo nel­ l’ambito di un sistema quale era quello platonico: il che ci dà ragione anche della fondamentale diversità che intercede fra 1’αίών platonico e quello aristotelico. Aristotele, infatti, conobbe certamente il T im eo e come tutti vi si rifece quando parlò del tempo: m a la sua dottrina non cono­ sceva né l’Uno né l’iperuranio di Platone, onde la fondamentale e netta distinzione platonica fra αιών come tempo periechon e χρόνος come tempo strutturato viene in lui ad annebbiarsi e rischia quasi di scomparire. Giu­ stamente osserva il Levi (Ath X X V I, 3s.) che «la concezione aristotelica dell’eternità non ha la precisa determinazione di quella platonica» e che quindi in Aristotele «la netta distinzione posta da Platone fra il concetto dell’eternità e quello del tempo si offusca»: ciò infatti risulta evidente anche dall’uso che Aristotele fa del termine αιών. La parola diventa per lui equivoca ed ambigua: al punto che, come ha ben visto il Lackeit, egli sembra temerla ed evitarla appunto per la sua «Zwiespältigkeit» e spesso si serve di espressioni come άπειρος χρόνος e simili, anche dove — secondo la sua stessa definizione — dovrebbe usare αιών (131). Certo, nella acutissima analisi cui egli sottopone il concetto di χρόνος, egli distingue chiaramente il tempo mobile dall’immobile eternità che è fuori del tempo. Tà άεί οντα — egli scrive nella F isica (221b 3-5) — ?) άεί όντα, ούκ έστιν έν χρόνω· ού γάρ περιέχεται ύπό χρόνου, ούδέ μετρεϊται τό είναι αύτών υπό του χρόνου: infatti il tempo, definito άριθ-μός κινήσεως κατά τό πρότερον καί ύστερον {P h ys. 219Μ), è inevitabilmente connesso col (131) Aion, 59s. Egli peraltro non fa citazioni; o, p iù precisam ente, cita solo l’inizio del secondo libro de D e Caelo, dal quale risulta tutt’altra cosa. Cf. Phys. 221a27, De Coti. 275b3 (dove ό άπας χ., sostituisce αιών), ecc.

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movimento {D e gen. 337a23). L’eternità dunque spetterebbe di diritto solo a Dio, all’Atto Puro: all’oùoia άίδιος καί ακίνητος (Metaph . 1073a3), che, sempre immobile ed identica a se stessa, agisce solo come causa finale {ibid. 1072b 35). Ma in realtà Aristotele conosce anche un’altra eternità, quella del cielo, che è εις, άίδιος, άφθαρτος ed άγένητος {De Cael. 277b27ss.) : esso è mobile, a differenza di Dio, ma è anch’esso άθάνατος καί θείος fra le cose che sono dotate di movimento {ibid. 284a4s.) ; è il πέρας των περιεχόντων e la sua κυκλοφορία, τέλειος οδσα, περιέχει τάς άτελεϊς καί τάς έχούσας πέρας καί παύλαν, αύτή μέν ούδεμίαν οδτ’ άρχήν έχουσαν οδτε τελευτήν, αλλ’ άπαυστος οδσα τόν άπειρον χρόνον, των δ’ άλλων των μέν αιτία της αρχής, των δέ δεχομένη τήν παύλαν {ibid. 284a7-12; cf. Phys. 265a25-bl6). Tutto il primo libro del D e Caelo è un inno all’àdavaaia ed all’à^ió-n^ del cielo (270a-13ss.) che appare come la più alta divinità trascendente, che άναλλοίωτα καί άπαθή την άρίστην έχοντα ζωήν καί αύταρκεστάτην διατελεϊ τόν άπαντα αιώνα (279a20ss.). È proprio a questo punto che Aristotele sente la necessità di dare una definizione di αιών, cercando di dar ragione del suo contradditorio e duplice valore semantico. Καί γάρ τοϋτο τοδνομα — egli spiega — θείως έφθεγκται παρά των άρχαίων. TÒ γάρ τέλος τό περιέχον τόν της έκάστου ζωής χρόνον, οδ μηδέν έξω κατά φύσιν, αιών έκάστου κέκληται. Κατά τόν αύτόν δέ λόγον καί το τοϋ παντός ούρανοϋ τέλος καί τό τόν πάντα χρόνον καί τήν άπειρίαν περιέχον τέλος, αιών έστι, άπό τοϋ αΐεί είναι εΐληφώς τήν έπωνυμίαν, αθάνατος καί θείος (279a 22-28). Cioè: «ed infatti questo nome di aión è stato pronunciato per ispirazione divina da parte degli antichi. Infatti la forma compiuta e perfetta (τέλος) che abbraccia il tempo della vita di ciascuno, id di fuori della quale nulla esiste secondo natura, si chiama aión di ciascuno; ana­ logicamente anche la forma perfetta e compiuta di tutto il cielo e quella che abbraccia tutto il tempo e l’infinità è aión (ha ricevuto il nome dal fatto che è sempre) immortale e divino». Questo αιών che abbraccia l’in­ finità ed è άθάνατος καί θείος, può sembrare identico all’aitàv platonico; senonché Aristotele mette in relazione il valore «eternità» coll’altro cor­ rente ed abituale di «durata della vita»: come αιών è il télos che abbraccia il tempo della vita di ognuno, analogamente si chiama aión anche il télos che abbraccia tutto il tempo e l’infinità. E proprio il termine τέλος, che — usato in riferimento alla vita umana — ha un chiaro valore tempo­ rale, induce a pensare che anche 1’αίών άθάνατος sia qui concepito come infinita temporalità e non come eternità extratemporale. Così è in effetti: in Aristotele αιών viene ad assumere, da solo, quel valore che aveva 1 άσπετ°ζ αιών di Empedocle: un tempo incommensurabilmente grande, ma che è pur sempre tempo e non qualcosa di assolutamente estraneo al tempo,

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come in Platone. Di qui l’interpretazione razionalistica di αιών = eter­ nità come «vita» di Dio o dell’Universo: Aristotele cerca infatti di spie­ gare il nuovo senso filosofico di αιών in base al normale significato che esso aveva nella tradizione poetica. «Ewigkeit und Lebenszeit — nota giusta­ mente lo Zepf (132) — sind die beiden Komponenten, aus denen sein Aionbegriff zusammensetzt. Sie finden ihre Vereinigung in dem Begriff· einer unendlichen Lebenszeit, die die Gesamtheit des irdischen Zeit in sich umfasst und darstellt». Infatti αιών sarà propriamente la vitq di Dio: al quale, in quanto sommo ζώον άίδιον, spetta un αιών συνεχής καί άίδιος (M etaph . 1072b28-30). Con evidenza ancora maggiore, ciò è confermato da un altro passo della M etafisica (1075a8-ll), dove alla mente umana, legata al χρόνος, si contrappone il pensiero divino che vive nella sfera del1’αΐών: ό ανθρώπινος νους, ή δ γε των συνθέτων έ'χει έν τινι χρόνω..., ούτως δ’ έχει αύτή αυτής ή νόησις τόν άπαντα αιώνα. Ma 1’αίών è proprio anche del cielo (cf. D e Cael. 279a22), il cielo che abbraccia la totalità del mondo e la cui vita (αιών) non può essere che eterna, αίεί ών (133). All’inizio del secondo libro del D e Caelo, Aristotele, riassumendo quanto ha detto nel primo, rischia quasi di identificare il cielo stesso con 1’αΐών: δτι μέν ούν ούτε γέγονεν ό πας ουρανός ούτ’ ένδέχεται φθαρήναι... άλλ’ έστιν εις καί άίδιος, άρχήν μέν καί τελευτήν ούκ έχων τοϋ παντός αΐώνος, έχων δέ καί περιέχων έν αύτω τόν άπειρον χρόνον, έκ τε των εΐρημένων έξεστι λαβεΐν τήν πίστιν (283b26ss.). Oltre al τοϋ παντός αΐώνος, che ribadisce il τον άπαντα αιώνα di 279a22, è qui da notare che il περιέχων έν αύτω τόν άπειρον χρόνον richiama immediatamente il το τον πάντα χρόνον καί τήν άπειρίαν περιέχον τέλος dello stesso passo (279a27-28). E benché Aristotele abbia definito αιών anche come το του παντός ούρανοϋ τέλος (279a26), non risulta più chiara la differenza fra cielo ed αιών: tanto più che altrove (278b31ss.-279al3), Aristotele dice chiaramente che al di fuori del cielo, είς καί μόνος καί τέλειος, nulla esiste secondo natura : ούδε τόπος, ούδέ κενόν, ουδέ χρόνος. Analogamente anche i corpi celesti e in genere tutto ciò che è άφθαρτος ed άγένητος sarà partecipe di αιών : τών ουσιών δσαί φύσει συνεστάσι, τάς μέν άγενήτους καί άφθάρτους είναι τόν άπαντα αιώνα, τάς δέ μετέχειν γενέσεως καί φθοράς {D e p a rt. anim. 644b22-23) (134).

(132) AfRw X X V , 128. Giustamente metteva in luce questo fatto anche Sim­ p. 367, 27 H eiberg : e a torto il L ackeit, 61, polemizza con lui. (133) Cf. W einreichj^oc., 177ss., Zepf, o . c. , 227. (134) Significativo è ρυκΤάπειρον αιώνα del fr. 40, 1481a39: καί ταϋθ’ ούτως παλαιά διατελεϊ νενομισμένα παρ’ ήμΐν, ώστε τό παράπαν ούδείς οίδεν ούτε τοϋ χρόνου τήν άρχήν ούτε τόν θέντα πρώτον, άλλά τόν άπειρον αιώνα τυγχάνουσι διά τέλους οΰτω νενομικό plicio,

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Se si pensa che invece Platone aveva connesso il cielo con χρόνος, risulterà chiara la sensibile differenza fra 1’αίών aristotelico e quello plato­ nico. L’eterna presenzialità del T im eo si risolve qui in un’eterna e mobile durata, per la quale si potrebbe dire che ήν εστιν τε καί έσται. E in fondo, in che cosa differisce αιών da χρόνος? Benché Aristotele si sforzi di defi­ nirlo come il τέλος che include in sè tutto il tempo, la definizione è in realta tutt altro che netta, anche perché 1 infinita di χρόνος, άφθαρτος ed άγένητος, è affermata da lui innumerevoli volte (135). Strappato all’iperuranio di Platone e separato dall’Uno, 1’αίών degrada a tempo: il senso del νυν όμοΰ παν si è annebbiato. Con questo pero non si vuole affermare che αιών in Aristotele venga sostanzialmente equiparato ad άπειρος χρόνος, come frettolosamente con­ cludeva il Lackeit (136), quasi che i due termini differissero solo quanti­ tativamente. In realtà, dopo il T im eo , un’equazione non era più possibile neppure sul piano qualitativo, anzi non era più possibile specialmente in questo piano. Si può solo dire che con Aristotele la nitida formulazione platonica sull’eternità si fa poco chiara e che — sul piano strettamente filosofico — viene a mancare una precisa distinzione fra αιών e χρόνος. Ma in realtà χρόνος, ancor più evidentemente che in Platone (137), è e resta il tempo della matematica e della fìsica, pienamente laicizzato e risolto nel numero; mentre αιών è un télos che — nella sua holòtes — è assolutamente indivisibile. Ed esso mantiene ancora ben vivo quell’alone epifanico che aveva ormai stabilmente acquisito: άθ-άνατος καί καί θείος, τες.. Per Rhet. 1374a33: ύπολείποι γάρ Sv δ αΙών διαρι&μοΰντα, cf. Isocr. I, 11: έπιλίποι Sv ήμας δ χρόνος, Dem. 18, 296: έπιλείψει με λέγον-9·’ ή ήμέρα (cf. T heogn. 1131). (135) Phys. 222a27ss., 251bl0ss, 263al5ss., Meteor. 353al5ss.; De Lin. ins. 969a29, ecc. La distinzione αίών-χρόνος si offusca di fronte a passi come questi: άναγκη πάντα τά έν χράνω περιέχεσ&αι ύπδ χρόνου {Phys. 221a27) oppure δ όξπας χρόνος ουκ έχει τέλος, τδ δέ κεκινημένον έχει {De Cael. 275b3-4). (136) O . C . , 59s. Egli peraltro riconosce che «der αιών ist weit grösser als der χρόνος, obwohl auch der χρόνος unendlich ist: denn der αΙών ist eben die ideelle Unendlichkeit, wie χρόνος die empirische» {ibid., 62) : m a il motivo è ben diverso e le cose non stanno esatta­ mente così. Cf. supra. Per quanto riguarda lo pseudo-aristotelico De Mundo, il L ackeit, 62, osserva che la sua apocrificità è comprovata anche dalle formule έξ αίώνος ές έτερον αιώνα (397al0; 401al6) e δι’ αίώνος (391bl9; 397a31, b7), che appartengono ad epoca più tarda; ed altrettanto va detto per i frr. B21 e B23 di F ilo la o , dove compare la locu­ zione έξ αίώνος είς αιώνα. Sono infatti formule tipiche della lingua dei Settanta (cf. H a tch -R ed p ath , Concordance to the Septuagint, s.v. αίών): ma tutto ciò non vale, come s è visto, per δι’ αίώνος. (137) L’analisi del tempo, sotto l’aspetto quantitativo, è molto ampliato da A risto ­ tele rispetto a P latone, benché egli si impigli in contraddizioni insanabili (J. de la H ar­ pe , o.c., 130ss.; L evi, Ath X X V I, 4ss.).

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PARTE π : ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA

esso è sempre il «tempo divino», indica una proprietà che è caratteristi di Dio e del Cielo, eterno e divinizzato. E ra tuttora θείως έφθ·εγμέν0ς· ^ quell’etimologia αιών = άεΐ ών, che fu proprio Aristotele a codificar e che, inesatta sul piano linguistico, era tuttavia reale in quello semaio tico, fu ben a ragione definita «mistica» dall’Eisler (138). ### Il W einreich intuì questo carattere religioso di αιών in Platone ed in Aristotele, le cui «philosophische Aionerwähnungen» — egli osservava — si trovano «stets an hervorragenden und stark religiös getönten Stellen... : bei Platon in mythisch einkleidender, bei Aristoteles in religiös pathetischer Um gebung (ebenso später wieder bei Plutarch)» (139) ; e parlava di una successiva «Deifikation des philosophischen Aionbegriffes». Non è peral­ tro esatto parlare di una vera e propria deificazione del concetto filoso­ fico di αιών, dato che questo stesso concetto — come s’è visto — rac­ chiudeva già in sè una nozione mistica: nozione, che non è quindi solo ravvisabile nei contesti o nel modo con cui il concetto di αιών = eternità era stato trattato. Sta comunque di fatto che il termine, dopo Aristotele, si attestò subito nella sfera religiosa: e nella posteriore grecità esso viene generalmente contrapposto a χρόνος come il tempo sacro rispetto al / pro­ fano (140), finché divenne esso stesso una divinità ed ebbe l’onore di un

(138) WuH, 695. Questa etimologia doveva certo essere stata sentita anche da Pla­ tone, poiché il valore che αΙών ha nel Tim o rendeva certo immediatamente vitale quel legame fra αιών ed àet che la cristallizzazione del termine nel valore «vita» doveva avere quasi del tutto cancellato. Noto qui che I’E is le r parla anche di un presunto collegamento di αιών col verbo omerico άίω «fühlen, wahmehmen», e lo spiega come fe­ nomeno di etimologia popolare (ibid., 707, 5; 446, 2): ma egli non cita alcun passo da cui risulti che i Greci operarono il suddetto collegamento. (139) O.c., 184. Sull’atóv plutarcheo e sul suo costante riferimento a quello plato­ nico ed aristotelico, cf. L eiseg an g , Die Begriffe der Zeit u. Ewigkeit, 6ss.; L ack eit, 6 2 ss. (140) ΑΙών viene spesso così definito: χρόνος άΐδιος (Sud. s.v.) oppure χρόνος άγέννητος (Tm. L ock. 97D) : cf. O wen , o.c., 265, 271ss. Si noti che αΙών rimane sempre il tempo non misurabile, mentre χρόνος è invece il tempo mobile e misurabile: ché il senso comune avvertiva nel primo termine il senso di άεί e connetteva invece il secondo con χορ* (P rocl. in Tim. p. 9.12-15 D iehl ). Talora, con gioco di parole, si definisce χρόνος come ϊγχρονος αΙών e αΙών come αΙώνιος χρόνος(ΟννΕΝ, 266). Fuori strada è quindi IE blkb, secondo il quale, dopo P roclo, αίών rappresenta «die bewegende und messbare in dem unbeweglichen und unendlichen χρόνος» (WuH, 408, 3) e così pure U ßAU*®ISTE^ Denkmäler d. klass. Altertums, I, 32, secondo il quale ΑΙών, dopo Eurip®®» «wird. ^ ^ der bewegenden und messbaren Kraft in dem unbeweglichen und unendlichen

CAP. Vi: PLATONE E ARISTOTELE

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culto in diverse zone del mondo ellenistico e romano (141). Non è diffi­ cile capire come αιών, tempo periechon in Platone ed attributo sommo della divinità in Aristotele, abbia potuto ben presto divenire un dio. Molto significativo è, a tal riguardo, un passo delle Enneadi, dove Plotino — dopo aver poco prima ribadito che αιών... άπό τοϋ άεΐ δντος (III, 7, 4) — osserva: σεμνόν ο αιών, καί τακτόν τώ θεω η έννοια λέγει, καί καλώς αν λέγοιτο è αιών θεός έμφαίων καί προφαίνων έαυτόν οΐός έστι (III, 7, 5). Ma questa deificazione si era già verificata prima di Plotino: così in una iscrizione eleusina (S IG s, 1125), che sicuramente risale ad epoca augustea e che è certo strettamente legata alla speculazione platonico-ari­ stotelica su αιών: Κόϊντος Πομπήϊος Αδλου υ[ίός] έποίει καί άνέθηκε σύν άδελφοΐς Αΰλωι καί Σέξτωι Αιώνα εις κράτος 'Ρώμης καί διαμονήν μυστηρίων Αιών δ αυτός έν τοϊς αύτοΐς αΐεί φύσει θείαι μένων κόσμος τε εϊς κατά τά αυτά, όποιος έστι καί ήν καί έσται, άρχήν μεσότητα τέλος ούκ έχων, μεταβολής άμέτοχος, θείας φύσεως έργάτης αιωνίου πάντα. È stata più volte affermata la diretta derivazione dal Timeo — ormai divenuto un testo di meditazione religiosa — di questa iscrizione (142). nos». ΑΙών non è mai un tempo misurabile: molto istruttiva, a questo riguardo, la de­ finizione di Giovanni D amasceno, I, 153C: αΙών ού χρόνος, ούδέ χρόνου τι μέρος, ήλιου 9°Ρ? καί δρόμω μετρούμενον..., άλλά τό συμπαρεκτεινόμενον τοϊς άιδίοις... δπερ γάρ τοϊς ύπδ χρόνον ό χρόνος, τοϋτο τοϊς άιδίοις έστι αίών, nonché queUa di Gregorio N azianzeno, Or. 38, 8: αίών... ούτε χρόνος οϋτε χρόνου τι μέρος, ούδέ γάρ μετρητόν- άλλ’ δπερ ήμΐν ό χρόνος, ήλιου φορ$ μετρούμενος, τοϋτο τοϊς άιδίοις αίών, τό συμπαρεκτεινόμενον τοϊς ούσιν, e quella di M assimo C onfessore, Ambig. p. 162: αίών... έστι 6 χρόνος όταν στη της κινήσεως, καί χρόνος έστιν ό αίών δταν μετρήται κινήσει. (141) Cf. K och, Gymnasium V, 137ss.; Sasse, RealUx, f.A.u.Chr. I, 197ss.; H a r t k e J«F, 31ss., 33ss., 49ss.; W einreich, o .c ., 186ss. (142) Cf. W. K r o ll, RE V III, 817 (e anche J. K r o ll, DU Lehren des H. Trismegistos, Münster 1914, 69, 1); K ern, Hermes X LV I, 432, 3; Troje, AfRw X X II, 88ss.; Nilsson Gr. Rei. II, 331ss., 478; K och, o.c., 137s. Il fatto che qui Αίών appaia ima di­ vinità del tutto greca, non autorizza affatto ad escludere che esso abbia potuto — in­ seguito o magari anche prima — essere un puro nome per divinità non greche (cf. K och, 442). L’iscrizione è senz’altro di epoca augustea (Nilsson, II, 331, 11).

PARTE π : ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA



Invece il Weinreich, seguito dallo Zepf, pensava più probabile un influsso aristotelico, data la stretta connessione di αιών e κόσμος che essa presenta e dato che appunto in Aristotele ci sarebbero i presupposti per una iden­ tificazione di αιών «mit dem ewig und göttlich gedachten κόσμος» (143). E in effetti il κόσμος aristotelico, che περιέχει la terra (M eteor. 339b4, a20), è uno, eterno, ingenerato ed incorruttibile {D e Cael. 280a21 ; frr. 17.1477 alO, 18.1477a25, ecc.) nonché θεός (fr. 21.1477b22). E forse questa del Weinreich è ipotesi molto più probabile, se si considera che anche la for­ mula έστι καί ήν καί έσται è certo più conforme allo spirito aristotelico che a quello platonico. Radici aristoteliche ha con molta probabilità anche l’identificazione di Aion col Cielo, che appare suppergiù in questo stesso periodo, come ben vide il Reitzenstein (144), mentre di stampo schietta­ mente platonico è la divinità cosmica della speculazione ermetica (145). Tutto ciò basta a far intendere quanto gli sviluppi mistici di αιών in epoca ellenistica e postellenistica siano legati a presupposti platonico-ari­ stotelici. *** Vediamo ora quali conseguenze ebbe il nuovo valore di αιών sul pia­ no puramente semantico e al di fuori del campo strettamente filosoficoreligioso dove esso si maturò. Dice il Lackeit che in epoca ellenistica il concetto di eternità divenne abituale alla lingua greca ed αιών finì ben pre­ sto per divenire un «Allgemeingut der Alltagssprache» (146). Senonché nella lingua di tutti i giorni non esiste un tale concetto ed in realtà αιών = = eternità rimase — in senso proprio — un termine specifico del lin­ guaggio mistico-filosofico anche durante l’ellenismo. Ma la κοινή, come disgregò le unità dialettali, così contribuì anche, nell’ambito di una stessa lingua, ad infrangere le barriere fra gergo specifico e tecnico e quello co­ mune di tutti i giorni: nel mondo ellenistico non vi sono compartimenti stagni e i piani del sapere — sebbene non in forma feconda e discipli­ nata — vengono a contatto e sconfinano facilmente l’uno nell’altro. Quan­ do però il concetto di «eternità» esce dalla sfera filosofica e religiosa, che è ad esso propria, non può farlo se non risolvendosi in un’iperbole: ecco (143) O.c., 184; cf. 174ss., 177ss., 179ss.; Zepf,

o .c. ,

228.

(144) Iran. Erlös., 211; Zepf, 227ss. (145) Su questo Αιών, cf. W. S cott, Hermetka, Oxford 1924, III, 185ss.; FestuHermis Trismégiste, 157s. (146) RE, Suppi. I l i , 64; cf. Aion, 32.

cière ,

CAP. Vi: PLATONE E ARISTOTELE

91

quindi come αιών viene ad acquistare il significato di «lungo, lunghissimo spazio di tempo», accanto all’altro valore — sempre conservato dalla tradizione letteraria — di «vita», «durata della vita». In tutta la grecità infatti, fino al tardo cristianesimo, il vocabolo manterrà ininterrottamente questo suo antico significato, accanto e di fronte agli altri nuovi che di volta in volta assunse (147); e tale coesistenza di valori opposti non di­ sorienta solo noi, ma appariva ambigua e contradditoria già agli anti­ chi (148). Questo duplice e contrastante valore del vocabolo compare per la pri­ ma volta in Platone. Il tradizionale significato si trova — beninteso, in con­ testi non filosofici, — nel Gorgia (448c), là dove si afferma che l’espe­ rienza fa procedere la nostra vita secondo l’arte e l’inesperienza secondo il caso: εμπειρία μέν γάρ ποιεϊ τδν αιώνα ήμών πορεύεσθαι κατά τέχνην, άπεφία δέ κατά τύχην, e nelle Leggi (III, 701c), dove si afferma che i trasgressori della legge sono costretti a condurre una vita difficile ed a non essere mai liberi dai mali: χαλεπόν αιώνα διάγοντας μη λήξαί ποτέ κακών. Con Platone compare anche, per la prima volta, l’aggettivo αιώνιος che, con la sua variante διαιώνιος, rimanda appunto ad un αιών dal valore di «eternità» (149); mentre invece μακραίων rimanda all’altro significato:

(147) Cf. T h e o d . M ops, in Cal. I, 4: αιών... έστιν... διάστημα χρόνου είτε μικρόν είτε μέγα- μικρόν μέν... δταν τήν... ζωήν οΰτως καλή, κτλ. È appunto questa duplicità di valori che h a dato luogo a serie divergenze sull’interpretazione delle sacre scritture (cf. O w en , o.c., 268s.). Nelle num erose definizioni che furono d ate di αιών, non m anca mai — accanto ai vari «mondo», «spazio di mille anni», ecc. — il valore di όλος ó βίος, ή ζωή ήμών, όλος ό παρών βίος, ecc. (O w e n , 266ss.). (148) L a stessa definizione aristotelica nasce senz’altro d all’a w e n u ta acquisizione dei due valori opposti «vita» ed «eternità». U no scoliasta di O m e ro (X58) sembra quasi pensare a due parole diverse: αίών δέ παρά τό άεί, ή τόν υπόλοιπον τής ζωής χρόνον. (149) In senso strettam ente filosofico, αιώνιος indica propriam ente ciò che non ha ne inizio né fine: άνώλε9·ρον δέ δν γενόμενον, άλλ’ ούκ αιώνιον (Legg. 904a) ed equivale ad άίδιος. Riferito a ciò che è nel tem po, invece, esso indicherà qualcosa che è dotato di una incessante d u rata, «continuo», « duraturo»: così il medico A r e t e o parla di una νοΰσος... οϋ χρονίη, άλλά... αίωνίη (CA, 1,5), contrapponendo a χρόνιος, «tem poraneo, passeggero», αιώνιος nel senso di «duraturo, inguaribile» (ciò che noi esprimiamo col nostro «cronico»). Analogamente l’avverbio αΙωνίως v arrà «eternam ente» in cam po filosofico ( P r o c l . Inst. 172; Simpl. in Epict. p. 77D.), m entre fuori d i tale cam po h a un valore generico «sem­ pre» che equivale ad un «per tu tta la vita» (Schol. Eur. Ale. 338: αίωνίως μισεΐν). Della Μ$η αίώνιος di Resp. 363d si tra tte rà in seguito; su αίώνιος = saecularis, cf. L a c k e it, Aioa, 35ss. e spec. S t a d t m ü l l e r , Saeculum I I , 152ss. P er quanto riguarda άίδιος (da άεί col suffisso — ίδιος: C h a n t r a i n e , Formation, 39), che dopo Platone è sempre usato in rife­ rimento all’eterno, il F e s t u g i è r e te n ta d i m ettere in luce — nel suo sviluppo semantico preplatonico — un progressivo «enrichem ent», onde l’aggettivo, d a u n valore originai-

PARTE π : ΑΙΩΝ NELLA FILOSOFIA

τινα μακραίωνα βίον (150).

(E p iti . 892a),

«una

vita

dalla lunga durata»

* * *

Il valore assunto da αιών in Platone sem brerebbe, a tu tta prim a, una autentica innovazione nell’evoluzione sem antica del term ine; e Platone è, se non colui che ha «creato» il concetto filosofico della parola (151), certo colui che l’ha codificata in u n a precisa accezione filosofica. M a è naturale, dato che il significato di un term ine non può nascere all’improv­ viso, che Platone avesse avanti a sè degli addentellati. I l Lackeit — con­ vinto che il valore da αιών assunto nel T im e o fosse il risultato di u n pro­ gressivo «allargam ento» semantico — pensava che tali addentellati do­ vessero senz’altro trovarsi nei filosofi del quinto secolo, dai quali αίών do­ veva essere stato abitualm ente im piegato nel senso di «grande porzione di tempo». E siccome il T im eo è u n dialogo pitagorizzante, egli indicava senz’altro nei Pitagorici coloro che avrebbero elaborato «ein an dem Ewigkeitsbegriff grenzender αίών» (152). A p arte il fatto che tutto ciò non mente relativo, passerebbe al significato di «eterno» (PP X I, 183). In realtà l’aggettivo assume tale valore quando viene riferito ad una realtà necessariamente senza principio e fine, come l’aria di D iogene (B7), l’essere di P armenide (A34), il Vivente platonico o gli dèi «che sempre sono» (Ttm. 37d: άιδίων θεών; cf. H esych. άιδίων αιωνίων); fuori del campo filosofico e religioso, il valore sarà naturalmente «relativo»: H es. Se. 310 (άίδιον... πόνον), T hvc. VII 21, 3 (έμπειρίαν... άίδιον), E mped . B115, 2 (ψήφισμα παλαιόν, άίδιον), ecc. Nel Timeo άίδιος è perfettamente equivalente ad αιώνιος come in genere an­ che dopo (cf. Corfi. Herrn. V i l i , 2) ; non mancarono peraltro anche delle sottili distin­ zioni fra l’imo e l’altro termine: cf. P lot . I li, 7, 3, lss. e specialmente O lympiodor., in Ar. Metaph. 146.16 (O wen , o.c., 390). (150) Quando αίών si sarà ormai generalizzato nel senso di «eternità», allora μακραίων — dice il L ackeit (Aion, 34s.) — passa dal significato «langlebend» a quello «ewiglebend»; ma in realtà questa differenza è tutt’altro che apprezzabile. Non c’è nes­ suna differenza sostanziale tra il μακραίων che C ornuto riferisce agli astri eterni (JVflf. deor. 17) e quello da Sofocle riferito alle Moire (Ant. 987) o alle divinità in generale (Oed. R. 1099), che sono dotate di un αίών άπαυστος. Gli dèi rimangono μακραίωνες nell’ellenismo come prima. (151) «Platon ist... als der Schöpfer des philosophischen αίών-Begriffes anzusehen» ( o.c., 59, cf. W einreich , o.c., 176). (152) 0.c., 55s. Egli penserebbe di appoggiare tale affermazione col ff. 68C7 di Ipparco, di cui peraltro riconosce la dossograficità (S tob . IV 44, 81): 'Ιππάρχου Πυ­ θαγορείου έκ τοΰ περί εύθυμίας. 'Ως πρός τόν ξύμπαντα αιώνα έξετάζοντι βραχύτατου Ιχοντες οί άνθρωποι τόν τδς ζωδς χρόνον, κάλλιστον έν τώ βίω οίονεί τινα παρεπιδαμίαν ποιησοϋνται έπ ευθυμία καταβιώσαντες (P W . II, 228, 21). Il D iels, Vors6. II, 184, 4A, spiega d passo come una imitazione di D emocrito (cf. L angerbeek , N eue Phil. Unters. X , 57ss·)-

CAP. VII PLATONE E ARISTOTELE

93

* minimamente documentabile, è chiaro che un «allargamento» di questo genere - anche se si foste verificato - avrebbe potuto portare, L S ρ,ϋ, ad un «ίων - fampoc χρίνο? ma non certo al valore piatom i,. Sem pre per remare di rintracciare gh addentellati a cui Platone ή sarebbe „fatto, van ahn studiosi - come vedremo - pensarono invece ah“ ! fismo; alto ancora postularono addirittura degli influssi iranici nell, «Zeitlehre» platonica. Al di fuori da queste affermazioni, che - come si l ì ~ ? T nere uhe Ìp°tetiche' noi Ubiamo rintracciato 1 esistenza di tab addentellati nella stessa tradizione poetica del termine. Per completare I indagine, resta ora da esaminare a parte l’altra tradizione, quella propriamente religiosa: nei limiti ben ristretti in cui per la disperante mancanza di testi, un tale esame può essere condotto’

P arte T erza

ΑΙΩΝ

NELLA

RELIG IO N E

Cap.

VII

L’ORFISM O

Nell’epoca ellenistica il dio Aion, «in ein mystisches Halbdunkel ge­ hüllt, unseren Blicken nur in schwachen Konturen erkennbar», come scriveva lo Zepf (D e r G ott A ion, 225), ebbe una notevole importanza nel culto e nella speculazione religiosa: e su questa ambigua divinità s’è negli ultimi tempi formata un’abbondante bibliografia (153). Si tratta di un argomento tuttora oscuro e complesso che l’indagine filologica non è ancora riuscita a mettere definitivamente in luce nei suoi precisi tratti fondamentali: ma comunque, nonostante le varie divergenze di opinione, è chiaro che in quest’epoca si va diffondendo un culto di Aion e che anche il termine è quasi costantemente caricato di valori magici e religiosi. Si può dire altrettanto per l’epoca precedente ed arcaica? Sono stati in molti ad affermarlo, e taluni lo credono ancora: ma la scarsissima do­ cumentazione, la pressoché assoluta mancanza di testimonianze dirette per l’orfìsmo ed il pitagorismo primitivi, non permettono tuttavia delle deduzioni sicure. È d’altro canto illusorio pretendere di seguire e spiegare sulla base esclusiva di considerazioni linguistico-fìlologiche un’evoluzione semantica quale è quella di αιών: poiché un’analisi puramente letteraria e filologica non può in ogni caso dare esaurientemente ragione dei valori via via assunti da una di quelle parole «dai molti significati» che hanno attinenza col «sacro» e col «destino» dell’uomo. Il che è stato di recente messo in luce ad esempio per μοίρα, altro termine sempre aperto a sfu­ mature epifaniche ed escatologiche nel corso di tutta la letteratura greca (cf. Bianchi, ΔΙΟΣ ΑΙΣΑ, 31ss, 200ss.). «Un’esperienza umana così essenziale come quella della sorte — spiega il Bianchi — in cui l’uomo (153) Cf. Bibliografia. Per altre indicazioni, cf. A.B. C o o k , Zeus< Cambridge 1940, ΙΠ , 913ss. e 1203; S asse , Reallex., I, 204; H a r t k e , JuF, 32; S t a d t m ü l l e r , Saeculum II, 320.7

7 - E. DEGANI - “ΑΙΩΝ da Omero ad Aristotele,

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PARTE III: Α ΙΩ Ν NELLA RELIGIONE

percepisce con tanta immediatezza i limiti e la fondamentale povertà del suo esistere, chiuso fra barriere molteplici indipendenti dalla sua volontà e dalle sue possibilità delle quali la morte è solo la più evidente... è certo feconda dal punto di vista religioso» (p. 32) : il che, m u ta tis m utandis, si potrebbe applicare anche ad αιών, altrettanto suscettibile a caricarsi di tinte eventiche ed escatologiche, specie quando venga vissuto nell’immediatezza di un evento che incide sulla vita um ana e fa presente all’uomo, in uno con i limiti invalicabili del suo hic et nunc, anche l ’A ltro che lo trascende, ovvero la periferia del Periechon, Γ estità dell’ U bique et sem­ p e r (154). Abbiamo del resto osservato come già in epoca preomerica esso designasse delle nozioni indubbiam ente sacrali (155) e come ancora in Omero esso riveli un carattere schiettamente epifanico; e s’è poi visto come una spiccata tinta religiosa esso possa assumere in Pindaro ed in Eschilo, non più come «forza vitale» ma come μόρσιμος αιών: tanto che esso, al pari di χρόνος, può esprimere il tempo periechon. Quando poi questa nozione di un tempo periferico e divino si tradurrà con Platone in un preciso concetto filosofico, il nome che le competerà sarà appunto quello di αιών: il quale, d’ora in poi, sarà sempre generalmente inteso come il tempo divino, contrapposto a χρόνος, il tempo profano. Questo è quanto si è potuto finora osservare circa i valori religiosi che αιών potè assumere in epoca arcaica e classica; vediamo ora quali dati potrà fornire il diretto esame delle testimonianze della religione stessa. Ed anticipiamo che le nostre conclusioni circa una ipotetica «mystische Anwendung» di αιών non potranno essere che di prudente riserbo: poiché, se è vero che essa non può essere incontestabilmente provata, non si può certo soste­ nere che essa fosse impossibile. Comunque, lontani dalle posizioni estre­ miste dell’Eisler e del Lackeit — una accettazione incondizionata ed un aprioristico rifiuto dell’orficità del termine — ci proponiamo di mettere in luce sulla base dei testi quanto si può in realtà dire sull’argomento.

(154) Cf. D i a n o , Il concetto, 307ss. ; Fertom., 2sst (155) La nozione di «forza vitale», «deren Schwinden den toten Menschen von dem lebendigem unterscheidet» ( N il s s o n , Griech. Rei. I, 178) era appunto una nozione sacra per la mentalità primitiva. Anche in altre lingue si trovano voci significanti «forza» che si caricano di valori sacrali : così il rigvediano isirà (gr. Ιερός) : cf. D u c h e s n e - G u i l l e m in , Mélanges Boisaq, I, 1937, 333ss. La virtù soprannaturale, spiega il P a g l i a r o J ( & j£ 5 Ì di critica semantica, Messina-Firenze 1953, 107) si manifesta in «questa vitalità, che per la mentalità arcaica ha un fondamento magico e, in senso largo, religioso»; nel che, continua il Pagliaro, non si verifica altro che un aspetto del mana, la forza magica che ha tanta parte nelle credenze dei primitivi. Cf. anche K o h l b r u g g e , Mnemosyne X, 54ss. Sulle «forze» in O m e r o e sul loro valore magico e «concreto», cf. S n e l l , Cultura greca, 46s

c a p . v i i : l ’o rfism o

99

Molti hanno dato spesso per scontato che αιών abbia avuto sicura­ mente una parte notevole nella speculazione mistica del sesto secolo, ed in particolare nell orfismo. In realta si è sempre trattato di supposizioni non sufficientemente fondate, nate in base ad un ragionamento che ad altri è spesso sembrato discutibile : siccome nella cosmogonia orfica ar­ caica risulta avesse una notevole importanza la dottrina di Chronos come sommo principio cosmico e sostanza creatrice, cosi si è pensato che anche Aion dovesse aver avuto una parte di prim’ ordine in ambito orfico. È stato però osservato che nell’orfismo Aion compare solo in imo di quei tardi inni (I, 28: Αίώνος μέγ’ ύπείροχον ίσχύν | καί Χρόνον άέναον), i quali, come oggi si tende generalmente a riconoscere, esprimevano credenze molto lontane dall’antica dottrina (156). Difatti, se tale presunta orficità di αιών non può trovare riscontro che in passi di poeti e filosofi, dei quali si sa che solo conobbero l’orfismo e ne rimasero suggestionati, essa può sembrare piuttosto equivoca ed evanescente e rischia di risol­ versi in un mito. Si pensa normalmente, ad ogni modo, che influssi orfico-pitagorci siano da ravvisare ηεΙΓαίών pindarico (Schmid-Stählin, I, 1, 582) e così pure nella genealogia euripidea degli E ra e lid i (157). Che in Αιών Χρόνου παΐς Euripide ripetesse una tradizionale formula orfica può anche darsi, ma non c’è assolutamente nulla che lo possa provare; come pure non si può affatto provare che Eraclito, parlando dell’ αιών παΐς πεσσεύων, stesse esponendo il mito orfico di Zagreus, malgrado le sottili argomentazioni del Macchioro (158). (156) B i d e z - C u m o n t , M.H., 96ss. ; cf. anche J. K r o l l , Die Lehre des H. Trismegistos, 68. (157) Cf. R o s c h e r , Myth. I, 899; W e r n i k e , RE, I, 1042ss.; P r e l l e r - R o b e r t , Griech. Myth. I, 41; W a s e r , RE, III, 2481ss.; M a c c h i o r o , Zagreus, 394; S t a d t m ü l l e r o.c., 315. Costoro preferiscono leggere Κρόνου anziché Χρόνου (mss.), ritenendo che la primitiva divinità orfica fosse Κρόνος, più tardi identificato con Χρόνος (cf. R o s c h e r , II, 1465 e 1546). (158) Se Ippolito — osserva il M a c c h i o r o , la cui indagine è certo molto ingegnosa e suggestiva — trovava in E r a c l i t o le fonti dell’eresia noetiana, è evidente che nell’o­ pera dell’Efesio doveva ricorrere il mito di Zagreus, poiché questo è Punico mito greco nel quale padre e figlio sono identici e distinti ed il figlio muore e rinasce per merito del padre. E come nel fr. 53 sotto il nome di πόλεμος si deve riconoscere Zeus, cioè il padre, cosi nel fr. 52 si parla del figlio, chiamandolo αιών. Quando infatti Dioniso fu ucciso stava giocando a dadi; e l’astragalo, simbolo della passione del dio, era appunto mostrato ai neofiti nelle cerimonie orfiche (per l’astragalo, cf. anche la figura del Καιρός ellenistico: P lin. Nat. H. 34, 55). Inoltre, Zagreus era detto παΐς per antonomasia (cf. L o b e k , Aglaophamus, Regimontii 1829, 699ss.) : ed E r a c l i t o , nell’espome od interpretarne il mito, si serve del nome αιών ( = evo), perché Eone, figlio di Crono (Κρόνου παΐς, Εν. Heracl. 900), altri non era se non Protogono, nato appunto — secondo la teogonia di

JOO

PARTE π ι: ΑΙΩΝ NELLA

r e l ig io n e

L’orficità e pitagoricità di αιών fu ed è sostenuta soprattutto dalla corrente orientalista, della quale diremo fra poco. Un lavoro ancora fon damentale, che si occupo a fondo della «mystische Anwendung» di α’ώ j facendone addirittura un punto chiave per una originale e fantasiosa in­ terpretazione del pensiero greco, è il W eltenm antel und. H im m elszelt di R Eisler. Questa colossale opera rappresenta il frutto forse più cospicuo di un orientalismo integrale ed e.tremista, del quale gli stessi orientalisti hanno talora criticato gli eccessi e rifiutate in parte le conclusioni; ma è pur vero che essa ha sempre esercitato su di essi un influsso particolare e costituisce un punto quasi obbligato di riferimento per coloro che sono propensi a vedere influssi orfico-pitagorici in qualsiasi parola greca che si riferisca al tempo. Questo era infatti uno dei fondamentali presupposti su cui si imperniava l’opera delPEisler, la quale, pur essendo tuttora ricca di suggestive e pregevoli intuizioni, è certo inficiata da gravi difetti me­ todici. Ritengo oppotuno soffermarmici, poiché invero l’Eisler dedicò ad αιών non poche delle moltissime pagine del suo volume e soprattutto per­ ché, relativamente al problema dell’orfìcità di αιών, quest’opera è tuttora fondamentale e non ci si può occupare di tale problema senza richiamarsi ad essa, sia pur per rifiutarne le conclusioni. Gli stessi postulati su cui essa si imperniava sembrano del resto piuttosto semplicistici e discutibili: Ellanico — dall’uovo di Crono. Protogono si identificava poi con Dioniso e Fanete, e quest’ultimo con Αιών (cf. i^agreus, 390ss., 394ss.). Giustamente obbietta al M a c c h i o r o il G u t h r i e ( O rpheus a n d greek religion, 228) : «the identification o f Dionysos with Aion is not only unattested before the Christian era but savours strongly of the peculiar alle­ gorical syncretism o f that age». L’alcov del fr. 52 fu spesso collegato con l’orfismo, già a cominciare dal L a s s a l l e , D ie P hilosophie H e ra k leito s des D u n k e ln v. E phesos, I, 1858, 243s., 263s. Singolare l’interpretazione del N e s t l e , G riech. S tu d ie n , 139ss. (cf. ora anche in Z e l l e r N e s t l e , I®, 808). Premesso che qui αιών vale «Zeit» e che χρόνος era per i pitagorici la σφαΐσα del cielo e per gli orfici 1’άρχή πάντων (pp. 140s.), egli osserva che l’orfico E r a c l i t o (sull’orfismo di E r a c l i t o , cf. pp. 113ss.) stranamente preferì il termine αιών a χρονος (che invece compare nel suo imitatore S c h i t i n o d i T e o ) . La spiegazione sarebbe semplice. «Auch Aion ist ja nur ein anderer N am e für das Feuer. Dessen Haupteigenschaft ist aber Leben»; e qui il N e s t l e cita il fr. 30, nel quale si dice che il mondo non è stato fatto ma ήν άεΐ καί &mv καί ϊσται πΰρ άειζώον, per poi concludere: «diese Eigenschaft des Lebens aber drückte αιών viel deutlicher aus als χρόνος, schliesst es doch im homerischen Sprach gebrauch... die beiden Begriffe Leben und Zeit in sich»; quindi E r a c l i t o , nella sua trat tazione sul tempo, ha seguito gli orfici, «die Bezeichnung dafür aber im Anschluss an Homer selbst geprägt hat». A parte il fatto che tutto ciò non rispecchia il reale an a^ mento semantico di αιών, neppure il fr. 30 può m inim am ente legittimare le affermazion del Nestle. Fuori strada era certo anche il B e r n a y s , R hW V II, llOss., che collegava con O360ss. Viceversa il D i e l s , H e r a k litu s von E phesos, Berlin 1901, 13, negava recisamen che in αιών ci potesse essere qualcosa di orfico.

CAP. V ii:

l ’ o r f is m o

ΙΟΙ

tutte le figurazioni del tem po, che i poeti greci hanno fatto, presuppor­ rebbero necessariam ente delle intuizioni orfiche (159), e queste a loro volta, dipenderebbero in ogni caso d a llO rie n te (pp. 392ss.). L ’Eisler fa­ ceva poi continuo ricorso alla complessa ed oscura teoria dello isopsefismo teoria che egli derivava dalle recenti scoperte del suo amico W. Schulz. I l quale, nella sua Altionische Mystik — altra opera che risente in pieno di quella m ania orientalista che costituì il vezzo ed il vizio della filologia di quel tem po: ovvero d i quella tendenza a cercare a tutti i costi le sor­ genti del pensiero greco nell O riente, basandosi spesso su collegamenti ed addentellati evanescenti (160) — aveva tentato il collegamento fra le dottrine degli Ionici con la mistica greca (che secondo lui andava ri­ condotta a fonti orientali e specialm ente babilonesi), mediante un’inter­ pretazione nuova dei fram m enti e delle testimonianze dei presocratici, ottenuta grazie alla «Zahlensymbolische Onomatomantik». Tale teoria presupponeva come certa l’esistenza, già all’epoca dei primi pitagorici, di una complicata simbologia di num eri e di sillabe, onde le lettere e le sil­ labe di certe parole rappresentavano un determinato numero magico: le lettere dell’alfabeto, secondo lo Schulz, avevano ciascuna un preciso valore numerico ( A = l , B = 2 , Ω = 2 4 ), mentre le sillabe esprimevano i numeri (A A = 25, A B = 2 6 , ecc.). Che tale forma di scrittura fosse anti­ chissima (sarebbe derivata dall’Oriente, ché faceva parte dell’astronomia ed astrologia babilonese), sarebbe comprovato anche dalla numerazione dei canti dei poemi omerici, che invece gli altri studiosi — giustamente — attribuivano ed attribuiscono ai grammatici alessandrini (161). L’Eisler avvertì questa difficoltà e cercò di apportare nuovi elementi per dimo­ strare l’antichità di tale sistema di scrittura; ma, in realtà, la mistica dei (159) O .C ., 386. Il L e v i, RFN X I, 48ss., sostiene invece che tali figurazioni pote­ vano anche presentarsi spontaneamente alla fantasia di un poeta che riflettesse all azione del tempo: e credo anch’io che il simonideo χρόνος όξύς όδόντας (fr. 75) non richiami affatto necessariamente la raffigurazione mitraica del drago leontocefalo (E isler , 387) ; e tanto meno la richiama il simonideo-bacchilideo πανδαμάτωρ χρόνος (Sim. 5, 5; Bacch. XIII, 206: cf. E is le r , l.c.). Mi sembra peraltro sia difficile negare che la frequente rappresentazione pindarica del tempo come περιέχον non sia da collegare con 1 orfismo, che ne era il divulgatore: ed anche il L e v i ammette che si possa fare un’accezione per il pindarico χρόνος πάντων πατήρ (p. 49, 1). . . (160) Tendenza romantica, che sorse già in Grecia nel periodo ellenistico (c . e stu g ière , La révélation d ’Hermes Trismégiste», 6ss.; 14ss.). L’opera di W. S c h u lz b: Al­ tionische Mystik, Leipzig-Wien 1905-1907, i cui principi egli ribadì qualche anno dopo in Die pytagor. Symbole in Rätsel aus dem hell. Kulturkreise, Leipzig 1909. (161) Essa risale, in ogni caso, a non prima del terzo secolo a.C. (c . r z u llo , R problema omerico, Firenze 1952, ls.).

102

PARTE IU I ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

numeri è piuttosto tarda e — secondo le ipotesi più attendibili — può risalire, al più, oltre il III secolo a.Cr. (162). Comunque l’E n °n applicando con estremo rigore le leggi dello Schulz, stabilisce una * ^ di parole mistiche e di numeri magici ad esse corrispondenti (mvst^h Psephoi von W orten), i cui rapporti sarebbero regolati dalla legge dell’ «iso^ psefismo»; una legge in base alla quale due parole sono isopsefiche e quindi «misticamente equivalenti» quando corrispondono ad uno stesso numero (pp. 334ss., 648ss.). Tale norma guida l’Eisler disinvoltamente attraverso il complicato labirinto delle testimonianze sui presocratici e gli permette a volte, di fare addirittura delle congetture: come quando afferma che αιών, anche se non mai attestato, doveva certo avere una parte di primo piano nella cosmologia di Ferecide, dato che αιών άπειρος è isopsefico col ferecideo Έπτάμυχος (p. 650, 3): oppure quando sostiene — sempre sul­ l’unica base del suo sistema di rispondenze isopsefiche, nel quale αιών vale 47, χρόνος 100 e via dicendo (p. 506; 665ss.; 334ss.) — che Anassi­ mandro non parlò mai di un άπειρον di genere neutro bensì di αιών άπειρος, e di χρόνος άγήρατος (p. 506, 2) ! Aion, secondo l’Eisler, fu sinonimo di Chronos e contrassegnava appunto la divinità del tempo, l’«Urgott» e l’«Allgott» di tutta la speculazione religiosa del sesto secolo: e lo dimo­ strerebbe anche, se non altro, la sua isopsefia con Νύξ, che, secondo la testimonianza di Aristofane (A v. 693ss.), apparteneva con Etere e Caos alla speculazione orfica (163). L’Eisler vede quindi traccie di orfismo e (162) P. T a n n e r y , Orphika, MSc IX , 245. L ’E i s l e r accoglie in pieno le teorie del suo amico (p. X III) e ne illustra con grafici complicati i vari aspetti e le varie appli­ cazioni (pp. 337ss. ; cf. pp. 339ss., ove egli illustra la Ήλιου 'Επτάκις di P o r f i r i o ) , ma ne avverte la difficoltà cronologica (p. 707). Egli aggiunge che pietre terminali, offerte e tavolette votive erano spesso contrassegnate, negli inventari dei templi, con lettere alfa­ betiche e rimanda al L a r f e l d , Handbuch der griech. Epigraphik , I, 424; II, 546 e 547 e specialmente a C. R o b e r t , Hermes X V III, 466ss., il quale, dall’esame delle tavolette votive del tempio di Dodona e con una serie di argomentazioni aveva sostenuto che tale «Zahlenschreibweise» era già normale nel V secolo ad Atene e supposto che essa do­ veva appartenere agli antichi mistici. In realtà quel simbolismo numerico fu un aspetto del neopitagorismo ( N i l s s o n , Griech. Rei., II, 398), come pure esclusivamente neopita­ gorica fu la cosidetta Tetractys, l’Armonia fonte e radice della natura, la cui sola parola conteneva, nella sua magicità, la spiegazione di tutto l’Universo, «la clé de tous les mistères» ( F e s t u g i è r e , o.c., I, 16), sulla quale I ’E i s l e r fa tanto affidamento (pp. 334ss. ; 423, 696ss.). (163) «Orpheus verwendet synonym mit Chronos auch den sonst zuerst bei Heraklit überlieferten, aber schon bei Anaximander sicher vorauszusetzenden Gottesnamen Aion» (p. 650). Un esempio della mistica corrispondenza fra Aion e Nyx si troverebbe chiaramente attestato anche nel fatto che l’espressione Νύξ παίκτειρα dell’inno orfico a Notte (III, 8) richiamerebbe da vicino 1’αΕών παΐς di Eraclito. A proposito di quest’ultimo,

c a p . v i i : l ’o r fism o

103

di «mystische Zahlenspekulation» dovunque si parli di αιών: così nel1’άσπετος αιών di Empedocle (p. 960) e nell’ αιών παϊς di Eraclito, che egli fa oggetto di un lungo e fantasioso esame (pp. 507ss., 693ss., 700ss.) ; senza dire che spesso egli pretende, con tale metodo, di risalire all’autentico «Urtext» di un autore, per il quale possediamo invece solo delle tarde e vaghe testimonianze: il che gli permette di ravvisare dei valori mistici di αιών in Anassimene, Anassimandro ed altri (164), mentre 1’είλισσόμενός τις αιών di Eu. H e r. f . 671 gli fa pensare nientemeno che alle rappresenta­ zioni dell’«Ewigkeitsdämon» dei misteri di epoca tardocristiana (165). È facile vedere come quasi tutte queste affermazioni dipendano da postulati gratuiti e non certo da elementi sicuri e concreti, tratti da un esame obbiettivo dei pochi dati che possono venir forniti dalla mutila tradizione: ché, anzi, tali dati sono invece molto spesso interpretati in modo del tutto arbitrario e da un ristretto angolo di visuale che sembra ignorare affatto la storicità e confondere i frammenti con le testimonianze. Di qui la labilità delle ipotesi dell’Eisler che furono talora respinte in blocco da altri studiosi, secondo i quali αιών non fu, almeno nel sesto se­ colo, una parola orfica e non ebbe affatto delle accezioni mistiche (166) : anche fra costoro si sono raggiunte delle posizioni estremiste, che tendono ad escludere a priori anche la possibilità che il termine po­ tesse assumere valori religiosi. Si tratta peraltro anche qui di affermazioni arbitrarie: se non altro perché la stessa scarsissima documentazione non permette conclusioni sicure di nessun genere. E dire che ad un’impiego mistico-sacrale di αιών «wiederspricht vor Allem die einfache Grund­ bedeutung unseres Wortes, welcher jede mystische Anwendung fern liegen musste» (167), significa parlare a vuoto come l’Eisler, sia pure in senso opposto. Che essa fosse impossibile non è vero: fu anzi probabile. Si può

I’Eìsler osserva che lo stretto legame che c’è fra αιών e λόγος, è provato dal fatto che la somma dei due numeri corrispondenti ai due termini è 109, numero corrispondente ad άπτόμενον (pp. 699, 7) ! (164) Pp. 423ss.; 650ss., 675ss., 714ss. «Gewiss kein doxographischer Zusatz!» sembra il suo motto (p. 699, 7). Questo difetto fu spesso imputato all’EisLER anche dal

Lackeit,

5 5 s ., 1.

P. 4 0 8 , 2 . Su questa espressione I ’E i s l e r ritorna anche in altre occasioni e talora la pareggia allo πνεϋμα δρακοντοειδής della cosmologia epicurea (p. 676, 1). (166) Cf. K e r n , Orpheus, Berlin 1920, 56; L a c k e i t , Aion, 54 e RE Suppi. I li , 64ss. Cf. anche la nota 158. Sui rapporti fra αΙών e l’orfismo, cf. pure G ruppe , Griech. Myth. Π> 1064, 1; 1480, 2. (167) L a c k e i t , Aion, 83 e 54; cf. pure N il s s o n , Griech. Rei., II, 478. Questa presunta (1 6 5 )

«Einfachheit» di αΙών è l’idea fissa del «sere meno «semplici» di αιών.

L

a c k e it :

in realtà, ben poche parole possono

104

PARTE in : ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

dire senz’altro che una parola come αιών — quale l’abbiamo delineata attraverso l’esame dei testi — si prestava benissimo ad entrare a far parte del linguaggio di una corrente religiosa; e nulla vieta di pensare che essa abbia potuto appartenere al gergo mistico del sesto secolo. D’altra parte, se la cosmologia orfica faceva di Chronos il sommo principio e se questo senso del tempo come Periechon poteva essere espresso in Pindaro da αιών, oltre che da χρόνος, non pare si possa escludere a priori la possibilità che anche il μόρσιμος αιών sia da collegare con l’orfismo. *** Nella raccolta di frammenti orfici fatta da Kern, αιών si incontra in quattro frammenti attribuiti ad Orfeo: si tratta di alcuni esametri scritti nel solenne ed arcaico linguaggio dell’epos omerico ed in essi αιών ha il valore «vita» e talora quello omerico di «forza vitale». Poco istruttivi sono dunque questi frammenti, che fra l’altro non si sa a che epoca appar­ tengano (168): è invece per altra via che si può fare qualche osserva­ zione degna di nota. In una iscrizione orfica, che è di recente venuta in luce ad Ostia e che sembra composta di versi pindarici (cf. P. Frassinetti, GIF IV, lss.), si incontra un inizio di questo genere: βραχύς ó βίος, μακρον δέ τον κατά γας αιώνα τελετώμεν, ovvero: “breve è la vita; ma la lunga esistenza di sotterra noi celebriamo in festa” (Frassinetti). Qui si fa una chiara distin­ zione fra βίος ed αιών : un termine indica la vita terrena e mortale, l’altro quella beata ed immortale che si vive nell’aldilà. Orbene: questa distin­ zione semantica è puramente occasionale e dovuta ad esigenze espressive e stilistiche, oppure αιών (ο μακρύς αιών) era in ambito orfico il termine specifico che indicava la vita dell’aldilà? (169). Che αιών si sia ad un certo momento specializzato in questo significato ce lo conferma Olimpiodoro (In A r. M eteor, p. 146, 16) il quale, parlando delle pene che l’anima deve scontare nel Tartaro, precisa: ούκ άιδίως, άλλ’ αιωνίως, αιώνα καλοΰντες τύν (168) Fr. 247, 4 ( = 245, 5): φίλης αίώνος άμέρση; fr. 142, 2: άθάνατον αιώνα λαχεΐν; fr. 223, 2 ( = P r o c i ,, in Plat. Retnp. 339, 1 7 Kroll): λίπη δέ μιν Ιερός αιών. Qui αίων è la «forza vitale» che abbandona l’uomo — l’altra reminiscenza omerica — ed è carat­ terizzato dalla sua natura epifanica da Ιερός. Del fr. 95 ( P r o c l . in Plat. Tim. 21d) : καί φύσεως κλυτά έργα μένει καί άπείριτος αιών, s’è già detto. (169) Pare che ad una tale ipotesi pensino sia il F r a s s i n e t t i , o.c., 2, che il M a r ­ m o r a l e , L’ultimo Catullo, 182s., 1. Sull’iscrizione ostiense, cf. anche B e c a t t i , RPAA X X I, 123ss.; G u a r d u c c i , ibid., 143ss.

c a p . v i i : l ’o r f is m o

105

αύτης βίον καί τήν μερικήν περίοδον. Pare del resto probabile che αιών po­ tesse e dovesse venire preferito a βίος — parola troppo comune e pro­ sastica per indicare la beata vita sotterranea che anche agli iniziati delTorfismo era riservata dopo la morte (170). E Pindaro, proprio nell’orficissima seconda Olimpica — nella quale, si noti, si parla anche di μορσιμος αιών (v. 1 1 ) dice che nel mondo dell’aldilà si trascorre un άδακρυν αιώνα; mentre ad Ippolito, iniziato ai misteri orfici (Eu. H ip p . 952ss.), Artemide predice che potrà cogliere Si’ αίώνος μακροϋ, cioè durante la sua nuova lunga vita, un tributo di lacrime da parte di giovani ver­ gini; e aggiunge: αει δε μουσοποιός ές σε παρθένων | εσται μέριμνα (νν. 1426ss.). È vero che passi di questo genere — dove, come si è già osser­ vato, dal punto di vista strettamente semantico αιών equivale a βίος — non autorizzano a supporre che il termine si fosse già specializzato nel detto valore escatologico; ma c’è un luogo di Platone che può, a mio avviso, confermare tale ipotesi. Si legge nel secondo libro della Repubblica (363c-d) : Μουσαίος δέ τούτων νεανικώτερα τάγαθά καί ό ύός αύτοϋ παρά θεών διδόασιν τοΐς δικαίοις· εις "Αιδου γάρ άγαγόντες τώ λόγω καί κατακλίναντες καί συμπόσιον των οσίων κατασκευάσαντες έστεφανωμένους ποιοϋσιν τον άπαντα χρόνον ήδη διάγειν μεθύοντας, ήγησάμενοι κάλλιστον άρετης μισθόν μέθην αιώνιον. Il passo, di contenuto schiettamente orfico ( = fr. 4 Kem), presenta la singolare espressione μέθην αιώνιον, che indica appunto 1’«eterna eb­ brezza», dagli orfici ritenuta la migliore ricompensa per la virtù. Qui forse compare per la prima volta l’aggettivo αιώνιος (171) che, come s’è visto, doveva originalmente significare «che dura tutta la vita», secondo il senso fondamentale di αιών: ma qui si tratta evidentemente di un αιών che dura τόν άπαντα χρόνον e, quindi, di una «vita eterna». Se quindi, come pare probabile, μέθη αιώνιος è un’espressione orfica (tale la ritiene anche il Kem), avremmo qui la conferma che αιών si era presso gli orfici tecni­ cizzato per indicare la vita dell’aldilà: si era caricato di tinte misticoescatologiche, assumendo il senso di una vita senza fine. Questo è quanto mi pare si possa dire circa i rapporti di αιών col misticismo del sesto e del quinto secolo: ed è in verità piuttosto poco. Ma

(170) Si può anche osservare che αιών poteva venire usato in riferimento alla vita divina, che era naturalmente άσπετος ed άπαυστος, più facilmente di βίος: lo potrebbe confermare anche il fatto che gli dei sono detti μακραίωνες ο δολιχαίωνες (Soph. Ant. 987, Oed. T. 1098, Ap. Rhod. II, 509, ecc.; Emped. B21, 12; B23, 12) e non μακρόβιοι. (171) Sulla peraltro non sicura cronologia dei vari libri della Repubblica, cf. R E

XX,

2, 2450s., 2506ss.

ιο6

PARTE Πΐ: ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

può costituire una conferma della facile tendenza del vocabolo a mettersi in rapporto con la sfera sacrale anche qualora esso non venga inteso come Perìechon. Che poi il μόρσιμος αιών che έπ’ άνδράσι κρέμαται fosse tipico delPorfismo, non è affatto da escludere, ma non è sicuro.

Ca p . V i l i

LORIENTE

Le fonti delle varie rappresentazioni ellenistiche di Aion sono state ripetutam ente cercate e rintracciate nelPOriente. Si tra tta di una que­ stione estremamente complessa dove le opinioni sono quanto mai discordi: ma dopo i numerosi studi fa tti in questi ultim i tem pi dagli iranisti, quando si parla di Aion si pensa im m ediatam ente all’Iran ed allo Zervanismo (172). E nonostante il problem a dei rapporti Zervan-Aion sia tuttora piuttosto oscuro (Bidez-Cumont, Μ Η , I , 64), pare orm ai si possa ritenere che detti rapporti sicuram ente ci furono e che dietro il nome e la figura del sommo dio dell’eternità si celasse quasi sempre la divinità iranica (173).

Tutto ciò esula dal campo della nostra indagine. Ma alcuni hanno (172) «Die Wurzeln der hellenistischen Aion-Theologie liegen in Parsismus» (Sasse Reallex. I, 193): e questa è certo l’opinione più diffusa. Alcuni cercarono invece le fonti di Aion nell’India: fu appunto il W e in r e ic h , AfRw X IX , 180ss., che indicò per primo delle relazioni — per altro malsicure ed isolate — con qualche passo della letteratura in­ diana (Bhagavadgita Veda, Upanisad) ; la questione fu ripresa poi anche dal T r o je , AfRw XX II, 113ss., che mise in rilievo soprattutto l ’analogia fra la nascita di Agni e quella di Aion. Altri supposero che dietro 1’αίών eracliteo si celassero dei motivi egizi: così il T a n n e ry , Pour Vhistoire de la science hellène de Talìs a Empedocle, Paris 1887, 179, il quale, accostando il frammento a B6, pensava ad una reminiscenza dell inno egizio al dio Rà : «fanciullo che nasci ogni giorno, vecchio che percorri l’eternità»: contro tale poco pro­ babile interpretazione, cf. B o d r e r o , Eraclito, Torino 1910, 31s. Anche il T e ic h m ü lle r , Mue Studien zur Geschichte der Begriffe, II, Gotha 1878, 188ss. aveva supposto un influsso egizio e pensava al dio Harpocrates. Non mancarono infine coloro che sostennero una tesi del tutto «ellenista»: 1’ΑΙών ellenistico sarebbe tutto greco e deriverebbe dal Ti­ m o: cf. D u c h e sn e -G u ille m in , Numen, 1955, 193; N ilsso n , Griech. R ei, II, 478ss. (173) S t a d t m ü lle r , Saeculum II, 316ss. C um ont, TM M M , I, 75ss., ecc. Il L a c k e it Suppl. IH , 65, nota giustamente che 1’Αίών ellenistico è l’«Ewigkeitsdämon, der eben seiner Vielheit wegen keine Gestalt endgültig eingeht» e sotto vi si cela Zervan; onde non è da escludersi «dass wir in den altpersischen Zervanvorstellungen die gemeisame bJrquelle für alle Aion-Gestalten vor uns haben».

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PARTE H i: ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

più volte sospettato e talora sostenuto che il diffondersi dell’ideologia zer vanista e del culto di Zerva akarana — il Tempo infinito, la πρώτη πάν­ των αιτία di quell’ideologia stessa — non esercitò il suo influsso solo sulle speculazioni che in epoca ellenistica i Greci fecero su αίών, ma addirit­ tura anche sul misticismo del sesto secolo: secondo loro la corrispondenza Aion-Zervan sarebbe cominciata assai presto, prima di Platone. Ed è ap­ punto per questo che riteniamo necessario occuparci un po’ anche dello Zervanismo e dello spinoso e tormentato problema della presunta deriva­ zione orientale del concetto greco di «tempo infinito». Precisiamo subito anche qui che noi non siamo né «ellenisti» né «ira­ nisti» e cercheremo di mantenerci indipendenti dall’una come dall’altra delle due correnti, nelle quad normalmente si ripartiscono gli studiosi di questi argomenti: gli uni sempre pronti a scorgere infiltrazioni e motivi orientali anche dove certo non ci sono e gli altri a respingere sistematicamente gli apporti degli iranisti nel tentativo di salvare il cosidetto «mi­ racolo greco». È ad ogni modo sicuro che la critica orientalista, pur con le sue frequenti esagerazioni, ha ormai definitivamente scalzato la tesi tradizionale che sosteneva l’assoluta assenza di apporti orientali nella cri­ stallina compagine della civiltà greca (174) : ed oggi i più riconoscono che una notevole serie di problemi, di intuizioni e di idee orientali fecondò il nascente pensiero greco preparandolo ed avviandolo alla filosofia. Il «miracolo» ci fu ugualmente e, in realtà, non c’è nulla che si debba «sal­ vare»: ma la originalità e la grandezza del pensiero greco vanno cercate non in una sua presunta immunità da qualsiasi influenza esterna bensì nel fatto che esso seppe depurare questo apporto orientale dal suo invo­ lucro mistico-religioso, dando ad intuizioni ancora vaghe e nettamente mitiche il carattere rigoroso di concezioni razionali. Al che non arrivo mai il pensiero orientale: perché solo i Greci, che sapevano vedere Γείδος, furono in grado di porre le basi della scienza, svincolandosi dalle pastoie del mito. Fra queste intuizioni orientali che ben presto penetrarono in Grecia dall’Oriente, ci fu, con molta probabilità, non tanto l’«idea ciclica», fiuan to piuttosto quella del tempo infinito eletto a divinità suprema, che si w

(174) «Il y aura à dévouvrir, il y aura à discuter; mais l’‘hellenisme intransig ^ est une position intenable» (G ernet -Boulanger , Le girne grec, 147). Il autorev^ sostenitore della originalità della filosofia greca fu lo Z e l l e r , che stroncò facilmen ^ incerti e fantasiosi tentativi dei primi orientalisti G ladisch e R oth (cf. ^EELIÌ* lunga dolfo La filosofia dei Greci, 35ss.). Ma in seguito si fece molta strada: si veda la nota del Mondolfo sui rapporti Grecia-Oriente in Z eller -M ondolfo , 63ss.

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contra appunto nella speculazione orfico-ferecidea. Un’idea del genere, di fare cioè del tempo un dio supremo, si pensa sia nata presso una co­ munità di astronomi e che sia con ogni probabilità originaria di Babi­ lonia (175) : e mediatrice, fra la Grecia e la Mesopotamia, si pensa sia stata senz’altro la religione zervanista. Lo Zervanismo — secondo la tra­ dizionale e più diffusa interpretazione (176) — era infatti una setta ere­ tica dello Zoroastrismo, tendente a superare, nella concezione dell’unità originaria del Tempo infinito (fe rv o ri akarana), il fondamentale dualismo della religione mazdaica: e, come pensano i più (177), sembra si sia for­ mata per influsso caldeo, come confermerebbe anche il fatto che i testi zervanistici portano tutti la nettissima impronta di un fatalismo astrolo-

(175) B i d e z - C u m o n t , I, 64s. ; C u m o n t , I, 19; cf. M o n d o l f o , L'infinito, 60. È ap­ punto il M o n d o l f o ( Z e l l e r - M o n d o l f o , 86) a parlare di «idea ciclica»: ma la cicli­ cità è nella stessa logica del sacro e non è né greca né indiana né caldea (M. E l i a d e , Images et Symboles, 92; cf. D i a n o , Approdo II, 13s.). (176) Gli studi zervanistici non hanno ancora raggiunto una stabile ed univoca sistemazione di vedute (per una bibliografia storica e ragionata di essi, cf. B i a n c h i , fijaman i Ohrmazd, 14ss.; cf. pure Z a e h n e r , fifiirvan, 453ss.) e la c.d. «questione zervanista» costituisce ancora «l’un des matières les plus controversées de Phiranisme» ( D u c h e s n e G u i l l e m i n , Zoroastre, 95). Si tratta di quella relativa all’interpretazione dei rapporti fra Zervanismo e Mazdeismo: la tesi tradizionale è quella che vede in Zervan una di­ vinità antica dalla tradizione distinta da quella mazdaica (cf. N y b e r g , JA C C XIV , 193ss. ; C C X IX Iss.) o comunque un predecessore di Ohrmazd (cf. W i d e n g r e n , Hochgottglaube in alten Iran, Uppsala 1938, 141; Num en 1955, 47ss., 78ss. ; B e n v e n i s t e , The Persian Religion according to the chief Greek Text, Paris 1939) : secondo questa corrente, lo Zer­ vanismo sarebbe una vera e propria religione e Zervan un Hochgott concorrente di Ahoura M azda; e su questa scia si m uove anche il recente volume di Z a e h n e r , secondo il quale esisteva in origine un sistema puro, affatto indipendente da Ohrmazd ed Ahri­ man (Zurvan, 56). Altri però dubitarono di tale interpretazione (cf. C r i s t e n s e n , M O X X V , 29ss., ed altri citati dal B i a n c h i , £aman i Ohrmazd, 16); e su questa via è il recen­ tissimo volume di U . B i a n c h i , secondo il quale lo Zervanismo non era una religione specifica con credenze ed istituzioni proprie, m a «una tendenza, nel senso del M az­ deismo tradizionale, fondata sopra uno sviluppo autonomo ed aberrante di elementi ideo­ logici propri, quali le nozioni di destino e di άρχή teogonica» (p. 19; cf. 106, 154 e spec. 98ss.; cf. pure ΔΙΟΣ ΑΙΣΑ, 180ss.). (177) C u m o n t , I, 8, 70, 87, 137; R H L R V i l i , 10ss.; B i d e z - C u m o n t , I, 64ss.; L e v i , R FN X I, 119ss.; P e t t a z z o n i , La religione di Zoratustra, 165, 189; I misteri, 232; D u c h e s n e ■ G u i l l e m i n , Zoroastre, 95ss. Lo E i s l e r invece vedeva in Zervan un «Vorbild der indischen Käla-Lehre» (WuH, 441ss., 449, 742ss.); il J u n k e r , Iran. Qu., 148 pensava che la diviffità indiana Prajapati derivasse da quella persiana, mentre il T r o j e , o. c., 87ss., riteneva ■1inverso : a sua volta il S a s s e , conciliando le due tesi, afferma che «möglicherweise ist ■ein vorzoroastrischer pantheistischer Gottesgedanke, der den arischen Völkern gemeinsam war, im Zarvanismus neu erwacht» (Reallex., I, 195).

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gico, che è affatto estraneo al vero Mazdeismo (178). Ad ogni modo Zer­ van, che nel Mazdeismo ortodosso è ancora una creatura di Ahoura Maz­ da, diventa nello Zervanismo il πρώτον καί ύστατον, principio e fine di ogni cosa. Lo Zervanismo è conosciuto solo in una fase piuttosto tarda· e cioè quale esso fu nell’epoca sassanide, quando — non più setta eretica e com battuta — si affermò e si diffuse attraverso i misteri di M itra (179). Il Mitraicismo, infatti, sembra derivare dallo Zervanismo dei Magi del(178) B i d e z - C u m o n t , I, 65, 67, 70. Però il F u r l a n i , Aegyptus IX , lss. (e con lui concordano vari altri studiosi che egli cita), ha sostenuto che il fatalismo dei Caldei è un m ito: «i Babilonesi non avevano u n a concezione fatalistica della vita, perché stava sempre in loro potere persuadere gli d èi a cam biare ciò che avevano stabilito. Appena al tem po dei Seleucidi sembra essersi sviluppato una specie di fatalismo, probabilmente sotto l’azione del pensiero greco». E d ato che l’origine babilonese dello Zervanismo si basa solo su questo preteso fatalismo (infatti i Λόγια Χαλδαϊκά sono il prodotto di un tardo sincretismo, cf. B i d e z - C u m o n t , I, 64s.), essa può legittim am ente essere messa in dubbio. È del resto logico che se una religione considera il tem po com e principio sommo, esso debba essere sentito anche com e destino: in una concezione m itica del tempo i con­ cetti di «tem po» e di «destino» non sono ancora separati (cf. C a s s i r e r , II, 161ss.): così il K àla indiano è contem poraneam ente T em p o e D estino (cf. J . S c h e f t e l o w i t z , Die Zeit als Schicksalsgottheit in der indischen und iranischen Religion; cf. pure E i s l e r , o.c., 4 9 4 ss .) ; ed una cosa analoga possiamo riscontrare anche in greco: non tanto — come vorrebbe lo S c h u h l , La pensée grecque, 233, 2 — in S o f o c l e (Aj. 646-715) ed in E u r i p i d e (Heraclid. 900), quanto piuttosto in P i n d a r o , cioè in un autore per il quale il tempo è «il più potente dei beati» e «padre di ogni cosa». N elle pieghe del suo inesorabile προσέρπεσθαι, χρόνος non fa che realizzare i decreti del D estino (Nem. IV , 43) ed il suo posto è accanto alle M oire (Ol. X , 55, cum Schei.). A nche in am bito orfico, del resto, appare evidente questa com plem entarietà fra le nozioni di tem po e d i destino, com e risulta dalla figura di Ananke posta accanto a C hronos-Heracles nella teogonia di Jeronim o com e a quella delle Parche pure poste vicino a Chronos (K ern, Orph. Fr. p. 137, n. 57) : su ciò, cf. E i s l e r , 3 9 0 ss . Il B i a n c h i (Zaman, 105) pensa ch e per spiegare il carattere fatalistico dello Zervanismo non sia affatto necessario riferirsi a Babilonia; e gli stessi B i d e z - C u m o n t non escludono la possibilità che l’Iran — com e l’In dia — avesse già concepito il tem­ po com e dio anche prim a di venire a contatto con i C aldei (p. 65). (179) A lcuni negano che il leontocefalo m itriaco — il cui tipo iconografico pare abbia avuto origine egizia (Pettazzoni, ACI X V I I I , 265ss.) — sia da identificarsi con Zervan: Il W ikander (Etudes sur les mystères de Mithra, I , Paris 1950) pensa che l’origine di esso vada cercata nell’orfismo greco e non n ell’Iran; viceversa il Duchesne-Guillemin, N um en 1 9 5 5 ,190ss., pensa che derivi d a l m azdeano A hrim an, m entre il Bianchi, SMS 1957, 126, 1, sottolinea l ’im possibilità d i ogni precisa identificazione. Com unque, questa, figura leontocefala fu chiam ata Aion d allo Z oega (cf. ora an ch e Dussaud, Syria 1 95 » 253ss.) e dal Reitzenstein (Psyche, 30ss.), Chronos-Saturnus d al Cumont e da altri (c specialm ente Nock, H T h R X X V I I , 58ss.), Zervan d all’EiSLER, H e l i o s - Mithras dal Layard, Ann. d. Inst. X I I I , 170. Pur riconoscendovi A hrim an, il Duchesne-Guili-emi > o.c., 193, afferma che il nom e greco p iù proprio sarebbe A ion, il dio della «fatabt smique».

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l’Oriente e, come provano le testimonianze di scrittori cristiani, greci, armeni e siriaci, costituì il culto unico ed ufficiale dell’impero persiano sotto i Sassanidi. I documenti mitriaci (Cumont, T M M M , I, 78ss.), ci presentano una figura leontocefala alata, il cui corpo è avvolto nelle spire di un serpente (180) : questa divinità doveva essere appunto Zervan, la cui figura può essere anche illustrata dagli scritti zervanistici che ci sono rimasti (181). Da essi risulta che Zervan è il tempo Periechon, primor­ diale ed onnipotente: infinito, ingenerato, immortale. Ogni cosa ha in lui origine e fine: e quindi esso viene molto spesso identificato col de­ stino (182). E poiché questo Fato inesorabile che è il Tempo ha per ma­ nifestazione sensibile il firmamento, «maitre des destine» (Bidez-Cumont Μ Η , I, 70s.), esso viene spesso identificato col cielo: Zervan non era in­ fatti una pura astrazione, ma un’entità concreta, un essere mitico la cui forma materiale era il firmamento stellato; e nella teologia zervanista Cielo e Tempo sono spesso visti come un’unica divinità (cf. Nyberg, JA 1931, 56) : è infatti nel cielo — nei movimenti dei pianeti e nella rivolu­ zione dei segni dello zodiaco — che il tempo si rivela. Zervan era dun­ que Cielo, Tempo, Destino; e talora anche Luce o Fuoco Primitivo (183) è il θειον πρώτον, infinito non solo come tempo, ma anche come spazio (184), perché è dovunque: e questa sua infinità non può essere compresa dall’in­ telletto, neppure da quello divino. La sua essenza è ignota persino a lui stesso (Zaehner, Z u rvan , 232ss.). Questi sono i caratteri salienti che Zer­ van ha in epoca tarda; ma sembra ragionevole pensare che molti di essi appartenessero già al nucleo originario della dottrina. Giustamente si è osservato che questa dottrina speculativo-religiosa va posta sullo stesso (180) Per una dettagliata descrizione ed interpretazione dei vari attributi della figura, cf. P e tta z z o n i, ACI XVIII, 266s. Sono molte ed innegabili le affinità col Chronos delle teogonie orfiche (cf. L evi, o . c . , 120ss.). (181) Cf. Bidez-Cum ont, I, 70ss. Per il fondamentale 'Ulema i IsIàm, cf. B lo c h e t, R HR X X X V II, 22ss.

(182) C’è un senso di predeterminazione e di determinismo assoluto: i Greci tra­ dussero Zervan con Tyche ed Eznik col siriano Bayt, «sorte»; cf. Bidez-Cumont, II, 89, 2. (183) Cumont, I, 294; II, 108. Per l’importanza del fuoco presso i mazdeisti, cf. I, 140. (184) Z a eh n er, Zuroan, 232; Sasse, Reallex., I, 194. Così è pure per l’&rcipov πεΡ^χον di Anassimandro: nell’esperienza dell’evento, infatti, tempo e spazio fanno uno (Diano, Il concetto, 252). Ciò dà ragione della connessione di spazio e tempo che si ri­ scontra in parecchie cosmogonie: cf. K. N um azaw a, Die Weltanfänge in der japanischen Mythologie, Zürich-N. York 1950, 44ss.; A. Jerem ias, Die Weltanschauung der Sumerer, LeipZIS 1929, 12; Bianchi, ΔΙΟΣ ΑΙΣΑ, 181.

PARTE H i: ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

piano di quella orfico-ferecidea, cui appare strettamente legata (185). A parte il comune motivo del Tempo come Perìechon, si noti che anche in Ferecide — come avremo modo di vedere più avanti — il Tempo viene identificato col Cielo; e come da Zervan, Tempo e Cielo, provenivano nella concezione persiana la luce e le tenebre (Ohrmazd ed Ahriman), così da Chronos, secondo la teogonia rapsodica, provenivano Etere e Caos, che altro non sono se non il principio luminoso e tenebroso. Fu cronologicamente possibile che lo Zervanismo influisse sulla Gre­ cia nel sesto secolo? Chi lo sostiene viene accusato di tradire la cronologia; in realtà si tratta di un problema molto complesso, che può dar campo a diverse ed opposte ipotesi. Lo Zoroastrismo, secondo l’opinione comune degli studiosi, risale al IX -X secolo (186); ma non è dato sapere quando abbia cominciato a prendere consistenza, staccandosi da esso, quella setta eretica che aveva eletto il Tempo a dio unico e sommo e che già Eudemo di Rodi, discepolo di Aristotele, mostrava di conoscere (187). Si può però dire che essa esisteva già nel IV secolo; ed il Cumont pensa che il culto di Zervan abbia potuto cominciare a diffondersi già prima dell’epoca achemenidea (188) : sicché sarebbe possibile che il Χρόνος-Κρόνος degli orfici e di Ferecide possa già contenere una traduzione in termini greci

(185) Si vedano le ottime osservazioni del C a s s ir e r , II, 168; per maggiori parti­ colari circa questa corrispondenza, cf. L e v i, o . c . , 122ss. (186) Il P e t t a z z o n i, La religione di Zaratustra, 83, tende a farlo molto più recente, ma non scende neppure lui oltre il settimo secolo. Per una recente ripresa del problema, cf. W it h e y , Numen 1957, 214ss. (187) Cf. B id ez-C u m o n t, II, 69, 15. E u dem o dichiarava che una setta di Magi chiamava dio unico Χρόνος (D a m a sc. 125bis R u e l l e : cf. B id e z-C u m o n t I, 63): Μάγοι... καί παν τό άρειον γένος, ώς καί τοϋτο γράφει ό Εΰδημος, ο! μέν Τόπον, οΐ δέ Χρόνον καλοϋσι τό νοητόν άπαν καί τό ήνώμενον, έξ ου διακριθήναι ή θεόν άγαθόν καί δαίμονα κακόν ή φως καί σκότος πρό τούτων, ώς ένίους λέγειν. Secondo il B ia n c h i {ίζαπιαη, 102, 113ss.), D am ascio sarebbe un’interpretazione neoplatonica del testo di E u dem o, il quale diceva insieme Spazio e Tempo, cioè poneva un parallelismo fra le nozioni d tempo e di luogo. Si trattava quindi del «tempo ambiente», non del tempo personificato; di un aspetto impersonale del tempo: e quindi tale testimonianza non autorizzerebbe a pensare a una religione del Tempo come non può far concludere ad una dello Spazio. La stessa alternativa con cui vengono presentate queste due nozioni, sarebbe di per sè sufficiente a mostrare il loro valore essenzialmente «ambientale». Il B ia n c h i troverebbe una con ferma di ciò nel confronto con P l u t a r c o , De Inde, 46ss., il quale cercava invece sistemi dualistici (pp. Il3ss., così pure D u c h e s n e - G u ille m in , Zoroastre, 101; S c r e d e r , ZD XCV, 273; cf. contrai B e n v e n is te , J A II, 289ss.; M O XXVI-XXVH, 170ss.; The Persm Religion, 9ss.). (188) C u m o n t, I, 279ss., 303ss. Dello stesso avviso è il L e v i, U , ed altri da lui citati ( M e y e r , S p ie g e l, ecc.).

C A P . V i l i : l ’o r i e n t e

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dell’idea iranica di tempo infinito (189). Diffondendosi attraverso l’Asia Minore, la quale fin dal VII secolo ■— era sempre stata l’anello di congiunzione della Grecia con l’Oriente (190), lo Zervanismo avrebbe potuto dunque esercitare la sua influenza sulla mistica e sulla filosofia ionica ancora in embrione: a tale riguardo, non è da trascurare il fatto che quasi tutti i pensatori greci — da Anassimandro a Democrito, da Pi­ tagora ad Empedocle, da Eraclito allo stesso Platone — abbiano avuto delle relazioni con l’Oriente (191). È certo pero che tutto quanto riguarda il sesto secolo è sempre estre­ mamente ed irrimediabilmente incerto, specie per quanto riguarda i rap­ porti con l’Oriente, come ammettono gli stessi orientalisti (cf. Reitzenstein, Plato u. Zarathoustra, 31). Per poter ammettere o rifiutare — come si fa spesso — la possibilità di un influsso zervanistico in quest’epoca, biso­ gnerebbe almeno sapere se al tempo di Eudemo lo Zervanismo era appena sorto o se aveva già più di qualche secolo di vita, come si ritiene rispetti­ vamente in campo ellenista ed iranista (192). Se dunque non si può dire nulla di preciso, a tale riguardo, circa il Χρόνος del sesto secolo, si deve analogamente ritenere una gratuita ipotesi anche quella che intravedeva nell’aìcov di Eraclito una trasposizione della idea zervanistica di tempo infinito (193), benché si sia cercato di soste(189) Bidez-C um ont, I, 63, 2. Così pensa anche il L evi, 1 2 3 ss . , sia pur con qualche riserva. Cf. pure J u n k e r , o .c ., 125ss.; G e r n e t-B o u la n g e r , o .c ., 458; E isle r , o .c ., 4 4 1 s s . , 449, 742ss., per il quale tutto il misticismo e la filosofia ionica dipendono in gran parte dall’Iran (p. 392). (190) Cf. R a d e t, La Lydie et le monde grec au temps des Mermnades, Paris, 1892, 303ss. La lingua in cui il verbo zervanista si sarebbe diffuso avrebbe dovuto essere l’aramaico, secondo il C o w le y (cit. da E is le r , 644; cf. H e r . II, 109). Sui rapporti greco-achemenidei-iranici, cf. anche A. A ym ard, La civilisation iranienne, Paris 1952, 48ss. (191) Notizie di viaggi fatti da questi filosofi o di vari contatti che ebbero col mondo ■orientale sono non di rado fomiti da fonte indiretta; ma più spesso troviamo nelle loro stesse opere delle singolari coincidenze con motivi orientali. Per le relazioni fra P ita o o r a e lo Zoroastrismo, cf. B idez-C um ont, I, 33ss. ; P r z y lu sk i, RUB 1932, 290ss. Per quelle di E r a c lit o , cf. L. S t e l l a , RAL 1927, 580ss. Per quelle di E m p ed ocle, cf. BidezCumont, I, 238ss. Per P la t o n e , cf. R. R e itz e n ste in , Plato und Zarathoustra, Berlin 1927; J· Bidez, Platon, Eudoxe de Cnide et I'Orient, Paris 1933; J. K e r sc h e n ste in e r , Platon und Orient, Stuttgart 1945; J. B idez, Eos ou Platon et VOrient, Bruxelles 1945; W. K o s te r , mythe de Platon, de et des Chaldées, Leiden 1951. (192) Per la «difficoltà cronologica» che gli ellenisti imputano agli orientalisti, cf. R o s t e r , o .c ., 3 4 , 1. Il M o n d o lfo , appunto perché pensa sia difficile che lo Zervanismo abbia potuto influire sulla Grecia del sesto secolo, ritiene che l’influsso caldeo sia stato diretto, senza la mediazione zervanista ( Z e lle r - M o n d o lf o , o .c ., 87). (193) G e rn e t- B o u la n g e r, Le gènte grec, 147. Questa ipotesi si era già affacciata * ■ E. DEGANI -

rAIfìN dm Omero ad Aristotele,

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PARTE m : ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

nerla con argomenti senza dubbio ingegnosi. A titolo di pura ipotesi, vorrei anzi (jui aggiungere che anche ammettendo che 1 influsso zervanista ci sia stato — il concetto espresso dalla parola iranica probabil­ mente non sarebbe stato reso con αιών, ma con χρόνος. Anche se poteva indicare il Perìechon, αιών era tuttavia normalmente il tempo qualificato implicava uno spiccato ed ineliminabile riferimento al vissuto : χρόνος era invece il tempo indeterminato, aveva un senso più generico e connotava abitualmente il tempo perìechon: così negli orfici, così in Ferecide e così in Pindaro. Era χρόνος che avrebbe tradotto quindi perfettamente il senso di zervan akarana : ed era necessario che esso si laicizzasse, prima che αιών potesse stabilmente prendere il suo posto. Quando ciò si sarà verificato ed Aion diventerà P«Ewigkeits-und Schicksalsgott», allora sarà possibile una perfetta e continua corrispondenza con Zervan (Stadtmüller, Sae­ culum II, 316). Ed in Platone potè influire Zervan? La «difficoltà cronologica», cui gli ellenisti si appellano per respingere l’ipotesi di una penetrazione ira­ nica nel sesto secolo, non può certo avere lo stesso peso per l’epoca plato­ nica; d’altronde, che Platone abbia avuto rapporti con l’Oriente, cono­ scesse la teologia iranica e che in parecchi passi delle sue opere si avver­ tano dei motivi zervanistici, è una cosa che ormai non si può più negare. Certo, che egli fosse addirittura un adepto delle religioni iranica e babi­ lonese e che quasi tutto il suo pensiero sia improntato all’Oriente, sono le solite esagerazioni degli iranisti (cf. Reitzenstein, o.c., 36ss.) ; ma anche gli ellenisti ammettono oggi che nella mitologia platonica siano presenti degli influssi orientali (cf. Festugière, RPhl 1947, 5ss.). Date queste pre­ messe e dato che il valore che αιών assume nel Timeo sembra non avere dei precedenti nella storia semantica del vocabolo, si è cercato di vedere in esso una trasposizione dell’idea persiana. Ed il Sasse (194) sostiene che

nel secolo scorso ed era stata ripetutamente sostenuta dal C r e u z e r , dallo S chleier* u a c h e r , e specialmente dal G la d is h , Heraklitos und Zoroastre, Progr. d. Gymn. zu Krotoschin 1859, 86ss., 89ss. (cf. pure C h ia p p e lli, Atri della R . Acc. di Se. mor. e poi. di Napoli, X X II, 105ss.), poiché si pensava che per E r a c l i t o il tempo si identificasse col fuoco: e tale identità — sostenuta anche dal L e v i, o . c . , 274-277, dal N e s t l e , Griech. Studien, 141. e da altri, ma non aifatto sicura — richiamava immediatamente la dottrina zervanista. (194) Reallex. I, 193ss.; Theol. W b. z. Neuen Test., I, 197ss. Nell’iscrizione fatta al tempo di Antioco di Commagene (69-34 a.C.) : Ιερόν νόμον, δν θέμις άνΟρώπου γενεά« άπάντων, οδς άν χρόνος άπειρος είς διαδοχήν χώρας ταύτην ιδία βίου μοίρα καταστήση, τηρεί'1' «συλον... είς τόν αίωνα (Ditt. Or. 383, 44), si è pensato che αίών corrisponda &zervan aka­ rana e χρόνος a zervan darego-chwadata ( J u n k e r , Iran. Qu., 152; S asse, Reallex. I. 1®^’ Bia n ch i , Zaman, 104 respinge tale interpretazione, mentre altri pensano che zervan

CAP. Vili:

l ’o rien te

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nel rapporto platonico αίών-χρόνος c’è con ogni probabilità un riflesso ed un calco della contrapposizione mazdeana di zervan akarana, «die unbe­ grenzte, unendliche Zeit, Ewigkeit» e di zervan daregff-chwadäta, «die lange, eigener Bestimmung unterstehende Zeit, d.h. Weltdauer». Già l’Avesta distingueva infatti queste due forme di tempo: il tempo senza limiti di una parte, quello limitato dall altra. Quest’ultimo contrassegna la storia del mondo, poiché e stato fissato da Ahoura Mazda quale periodo di tempo durante il quale egli combatterà lo Spirito delle tenebre; e quando, con la sua vittoria, la lotta sarà finita, il tempo del mondo si risolverà nell’in­ finità di zervan akarana (195). È possibile che Platone, quando distinse αιών e χρόνος avesse sotto gli occhi questa distinzione persiana e ne abbia subito l’influsso? Quelli che lo hanno sostenuto (196) si sono sottoposti agli strali della critica ellenista: e si tratta, forse, di una di quelle que­ stioni che non si potrebbero risolvere in modo decisivo neppure con l’au­ silio di una documentazione più ricca. Ad ogni modo, appare senz’altro insufficiente e troppo sbrigativa l’obbiezione della Kerschensteiner, la quale afferma che un calco platonico come quello sostenuto dal Sasse sarebbe senz’altro «in Gegensatz zum griechischen Sprachgebrauch» (197), dato che αιών già in Empedocle ed Eraclito avrebbe raggiunto il valore di «unendliche Zeit». In realtà, anche se 1’αΐών platonico ha naturalmente e necessariamente degli antecedenti, è tuttavia solo con Platone che il ter­ mine assume stabilmente il significato di «eternità» e resta in ogni caso sostanzialmente vera la affermazione che il Timeo è «das Werk, das den αιών als Begriff der Ewigkeit in die griechische Philosophie wenn nicht eingeführt, so doch in ihr heimatberechtigt gemacht hat» (198). In se­ condo luogo non si può certo provare che la contrapposizione fra αιών e χρόνος — che in tal caso è quella che maggiormente interessa — avesse degli addentellati con la speculazione preplatonica. rana si possa riconoscere invece in Χρόνος άπειρος, dato il legame che c’è in questo passo fra χρόνος e l’idea di sorte (S c ile d e r, o . c . , 140; Bidez-Cumont, I, 67, 3). (195) Sono i due tipi di tempo che Z aehner chiama rispettivamente «infinite Time» e «finite Time» o «Zurvan o f the long dominion» (z^urvan, 57 ; 106). U n ottimo esame ne fa il C assirer, II, 148ss. (196) Oltre al Sasse, cf. S ta d tm ü lle r , o . c . , 316ss.; H. L eisegang, Denkformen, Ber­ lin und Leipzig 1928, 362s. H a r t k e , JuF, 14; Bidez, E o s , 91. (197) O . C . , 80s., 3. Riprova che l’equazione αιών = zervan akarana non poteva essersi verificata che in epoca più tarda, sarebbe anche il fatto che Eudemo traduce an­ cora Zervan con χρόνος e non con αΙών; ma quella di Eudemo non è una vera e propria traduzione, bensì una semplice esposizione divulgativa del pensiero iranico: ed egli si serve del vocabolo più corrente. (198) W einreich , ARw X IX , 176; cf. Sasse, Reallex. I, 194.

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PARTE

m : ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

È invece per altra via che si può mettere in discussione l’ipotesi del Sasse. Innanzitutto: la contrapposizione fra i due termini iranici è pro­ prio equivalente — o almeno affine — a quella fra i due termini greci? Ovvero, il valore reciproco che in Platone lega ed oppone fra di loro χρόνος ed αιών è lo stesso che intercede fra zervan daregß-chwadäta e zervan akaranaì Già da quanto s’è finora detto risulta che il rapporto era ben diverso. Fra αιών e χρόνος esiste una fondamentale irrelatività, onde sono nettissi­ mamente distinti l’uno dall’altro; e χρόνος non è una parte di αιών, né, tanto meno, finirà per risolversi in esso: 1’αίών platonico porta in sè la esperienza parmenidea dell’essere ed il suo νυν non può scendere a com­ promessi con il divenire. E χρόνος, d’altro canto, non è affatto pareggiabile a zervan daregß-chwadäta, poiché esso è il tempo strutturato, il tempo che, filtrato attraverso l’esperienza della forma, si è risolto nel numero ed af­ fatto laicizzato. Invece il «tempo del mondo» iranico non è affatto una astrazione, né un tempo profano e sconsacrato: esso non è mai «das, was die Zeit für die theoretische, insbesondere für die mathematische Erkennt­ nis ist..., sondern... die Grundmacht des Werdens selber, die mit göttli­ chen und dämonischen, mit schöpferischen und zerstörenden Kräften be­ gabt ist» (Cassirer, II, 148s.). Si aggiunga inoltre che se Platone per primo pone la netta distinzione fra un tempo divino ed un tempo contingente, ciò deriva quasi automa­ ticamente dalla stessa logica interna della sua dottrina: posto il mondo delle idee, miticamente ipostatizzato, lo sdoppiamento del tempo in due concetti — divino e profano — ne deriva per necessaria conseguenza. Con ciò non si vuole escludere in modo assoluto la possibilità di un in­ flusso iranico. Può darsi che esso ci sia stato e che Platone ne sia rimasto suggestionato; ma queste suggestioni non dovettero, in ogni caso, essere decisive : riuscirono, semmai, a rafforzare ed a chiarire meglio ciò che era già nel suo pensiero.

C ap.

IX

Χ ΡΟ Ν Ο Σ ED ΑΙΩΝ

Se vogliamo cercare di capire perché Platone abbia elevato αιών alla connotazione del Periechon ed abbia sostanzialmente capovolto il rapporto fra αιών e χρόνος, è necessario dare un’occhiata all’evoluzione del concetto di χρόνος da Omero a Platone : sarà sufficiente un esame sommario, atto a mettere in luce solo i valori religiosi che il termine potè assumere e per­ dere. L’opera fondamentale sull’antica JZeitauffassung è certamente quella del Fränkel, che rappresenta un contributo magistrale su tale argomento, come giustamente si è osservato (199). M a non sono le sue acutissime os­ servazioni sul senso del tempo nell’epoca arcaica che qui ci interessano. A noi basta notare invece che il Fränkel mette ripetutamente e chiara­ mente in rilievo il contrasto sorprendente che presenta il concetto di χρόνος fra l’inizio e la fine dell’epoca arcaica: «bei Homer finden wir eine fast völlige Indifferenz gegenüber der Zeit, und im Eingang des fünften Ja h ­ rhunderts eine fast überschwengliche Huldigung an Chronos als ‘Vater aller Dinge’» ( W u F , 1). In Omero c’è, sì, il termine χρόνος, ma esso esprime un concetto ancora estremamente imperfetto ed impuro rispetto al nostro «tempo» ed ha un uso ed un significato del tutto limitati: non compare mai come soggetto, riguarda sempre e solo avvenimenti e circostanze e sono gli avvenimenti che determinano il tempo. I tre modi del decorso temporale appaiono chiari in A70: τά τ ’ έόντα τά τ ’ έσσόμενα πρό τ ’ έόντα, ma il «ciò che è», non è ancora cellula germinale del «ciò che sarà» : la «Dy­ namik» del tempo è ancora affatto ignota (200). A questa limitatissima (199) Cf. T r eu , Von Homer zur Lyrik, 123. L’opera del F r a n k e l è naturalmente l’ar­ ticolo pubblicato in ZfAe X X V , 95ss. ed ora riportato in WuF, lss. (200) Per un acuto esame di queste espressioni da cui risulta la concezione ogget* tiva che O mero ha del tem po, cf. T r e u , 125ss.

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PARTE III: AIEN NELLA RELIGIONE

ed angusta concezione del tempo, fa riscontro — agli inizi del quinto secolo — un omaggio quasi incredibile a Chronos, «padre di tutte le cose», «signore che supera tutti i beati», visto come il «realizzatore» per eccellenza. L’indagine pur minuziosissima del Fränkel non riesce a tracciare una chiara e continua linea di evoluzione, alla luce della quale tale sbalzo diventi comprensibile: e la precarietà della documentazione è, secondo lui, l’unica causa di tale oscurità (p. 9). Anche gli sforzi del Treu per ricostruire, attraverso i miseri e spesso controversi relitti che ci rimangono, la Zeitauffassung eolica e lirica (201), non riescono assolutamente a spiegare come χρόνος, che in Omero esprimeva ancora un con­ cetto così embrionale e limitato di durata profana, abbia potuto — in un periodo di tempo relativamente breve — divenire un principio cosmo­ gonico e simboleggiare come πάντων πατήρ l’assolutezza e l’infinità del Perìechon. Certo l’ampliamento semantico e concettuale del vocabolo si po­ trebbe seguire passo per passo con l’ausilio di una documentazione più ricca. Ma questo non sarebbe ancora esauriente : poiché il χρόνος pindarico non ha solo ricevuto — nel suo sviluppo verso il concetto assoluto di «tempo» — il valore del «giorno» omerico, caricandosi in più, per così dire, di una particolare «Dynamik» ed assumendo un suo tipico «ener­ getischer Charakter», onde appare sempre altamente attivo (p. 10): in realtà esso ha acquisito appunto una tinta mistica, è divenuto un prin­ cipio cosmico e trascendente: la somma fra tutte le divinità. E per spie­ gare questo nuovo valore del termine è necessario riconoscere che dietro Pindaro c’è la speculazione teologica del sesto secolo e quel Χρόνος che — identificato con Κρόνος — l’orfismo aveva elevato al rango di potenza pri­ mordiale e creatrice, facendone un simbolo del Perìechon: questo è il mo­ tivo — ignorato a torto dal Fränkel (pp. 9; 19) — per cui Chronos venne ad assumere un ruolo di così grande importanza all’inizio del quinto se­ colo. In Omero χρόνος era ancora un concetto temporale profano: ma, penetrato nella sfera mistica, esso era stato subito investito di valori epifanici fino a divenire 1’ΰστατον καί πρώτον πάντων che — per usare un’espres­ sione del Pitagoreo Schitino di Teo — έχει έν έωυτω πάντα καί έστι ες αιεί. Che intuizioni orientali abbiano influito sulla Grecia del sesto secolo por­ tandovi il senso mistico del tempo perìechon o comunque accelerandone la formazione, non ci è dato sapere; ma sta di fatto che le varie teogonie orfiche — la cui redazione attuale è recente, ma il cui contenuto è proba­ bilmente antico — concordano nel fare di Chronos una πάντων (201) Cf. pp . 223ss. (E o u c i), 276ss. (Esiodo), 302 ss. (Sim onide); cf. pure pp- 233»

C A P . IX :

ΧΡΟΝΟΣ

ED

ΑΙΩΝ

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άρχή (202), mentre i pitagorici, identificandolo col cielo, ne avevano fatto la σ φ α ίρ α τοϋ περιέχοντος (203). Chronos si incontra per la prima volta nella teogonia di Ferecide di Siro, contemporaneo di Anassimandro, che dagli antichifu detto fondatore delle dottrine orfiche (204) : il suo principio cosmogo­ nico faceva del Tempo uno degli eterni principi senza origine: Ζάς μέν καί Χρόνος ήσαν άεΐ καί Χθ·ονίη· ό 8έ Χρόνος έποίησε έκ τοϋ γόνου έαυτοϋ πυρ καί πνεύμα καί ϋδωρ (Diog. 1 ,119). Alcuni interpreti, pensando che un con­ cetto astratto non potesse ancora esistere in un’epoca così arcaica, hanno pensato che in questo Χρόνος si debba vedere non il «Tempo», ma il «Cielo» — come nei pitagorici — o una parte del cielo divinizzata (205) ; e lo Zeller, la cui interpretazione sembra la più plausibile, sostiene che si tratta probabilmente della parte di cielo più vicina alla terra — quella più alta

(202) Cf. L ev i, o . c . , 51; cf. N e s tle , Griech. Stud. 140s. D ell’orfìsmo antico si sa po­ chissimo e nulla di sicuro ci è stato tram andato di quei primi testi orfici, che si anda­ vano diffondendo nella seconda m età del sesto secolo (Sud. s.v. Ορφεύς; C lem . A l. Strom. I, 21; Pavs. I, 22, 7, ecc.). L ’orfismo si può conoscere solo attraverso le diverse e tarde teogonie, che però m olto probabilm ente conservano, almeno in parte, la cosmologia primitiva. La teogonia rapsodica, la più diffusa e per noi la più nota, faceva del tempo il sommo principio da cui derivano Etere e Caos; e gli studiosi, nel tentativo di attri­ buire una data precisa a tale teogonia, sono incerti fra date che oscillano fra il sesto ed il secondo secolo a.C. (cf. R o s c h e r , Myth. I l l , 1140; D a re m b e rg -S a g lio , IV , 249), ma pare che le parti fondam entali di essa siano m olto antiche. Anche la teogonia ellanico-ieronimiana assegna a Χρόνος una parte importante nella sua cosmologia, rappre­ sentandolo sotto forma di un dragone mostruoso (Χρόνος άγήραος). Il primo sicuro esem­ pio in cui appare il tem po com e «Urpotenz» è fornito da F e re c id e e, più tardi, dai poeti (cf. su tutto ciò anche W a s e r , R E III, 2, 2481s.). (203) A r is t. Phys. 218a33; 218M ; S to b . I, 8, 40; Simpl. In Phys. p. 700, 19-20; cf. pure Doxogr. Gr. p. 318a, 2-3, 619, 13; L evi, o . c . , 57s. Aristotele spiegava razionali­ sticamente il fatto dicendo che tutto ciò che è nel tempo è anche nella sfera del mondo (Phys. 218b5-7).g (204) Cf. Sud. s.v. Φ ερ.; C ic. Tuse. I, 38, ecc. F e re c id e è un’oscura figura di mito­ logo e di cosmologo che si m uove sull’oscuro fondo del sesto secolo. N ell ambito delle teogonie di ques’epoca egli occupa una posizione autonoma, anche se si sono accertati i legami evidenti fra la sua cosm ologia e quella sia orfica che pitagorica (cf. E is le r , WuH, 534ss., L é v y , Recherches sur les sources de la légende de Pythagore, Paris 1926, 3). Orfismo e Pitagorismo erano del resto strettamente connessi fra di loro, benché differen­ tissimi per taluni aspetti (cf. B o u la n g e r , Orphée, Paris 1925, 18; D a re m b e rg -S a g lio , IV , 241ss.) : principale differenza era che gli uni adoravano Apollo e gli altri Dioniso (W ilam ow itz, Glaube d. Hellenen, I I , 192). (205) Cf. Z e l l e r -N estle , Phil. d. Griechen, I», 545, 3; Z eller -M ondolfo , I, 186ss. L evi, 52ss.; G r u p p e , Griech. Myth. I, 431, 608, 1064; Bidez -C umont, II, 67; E isler , 330ss. Il L evi ed il G r u p p e pensano che Χρόνος qui indichi la sfera cava dell estremo cielo delle stelle fisse, com e principio della m utazione c del movimento.

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sarebbe Zeus — e della divinità che la governa (206). In realtà in una concezione mitica del tempo non può esistere un concetto astratto; ed è logico che questo Χρόνος ferecideo non potrebbe essere in nessun caso una entità astratta, come qualcuno ha incautamente suggerito (207). Come s’è già osservato in Zervan e come si può constatare anche in Kàla (208), il tempo periechon può d’altronde essere contemporaneamente «tempo» e «cielo»: e probabilmente anche qui in Ferecide, come suggerisce lo stesso contesto, abbiamo una identificazione del genere. Si è discusso se qui si debba leggere Χρόνος ο Κρόνος, per il fatto che, mentre Diogene e Damaselo (D e P rinc. 124b) danno Χρόνος, invece Ermia (Irris. 12) e Probo (a d Verg. B ue. V I, 3 1 ), leggevano Κρόνος, pur intendendolo entrambi come «tempo» (2 0 9 ). In realtà con Ferecide s’è già compiuto quel processo di assimila­ zione, che Proclo (in P la t. C ra tyl. 3 9 6 b = fr. 6 8 Kern) attribuiva agli or­ fici e per il quale Κρόνος extraorfico, che era «ein Gott der vorgriechischen Bevölkerung» (Pohlenz, R E , X I, 1982s.; Nilsson, I, 480), viene confuso ed identificato con Χρόνος (210). Si tratta qui dunque veramente del Chronos — Tempo e Cielo — έν φ τά γιγνόμενα, come intendeva Ermia (211), che viene qui sentito come «Urpotenz»: è in esso e per esso che si verifica ogni creazione. Si tratta non di un vuoto concetto, ma di una nozione

(206) Philos. d. Griechen, I , 103s.; 545, 3; III, 342s., 6; La filos, dei Greci, I, 186s. Questa interpretazione è condivisa dal M ondolfo , L ’Infinito, 57, 2. (207) Così il D echarme , Critique des traditions religieuses chez Ics Grecs, Paris 1904, 28ss., ed il G reen e , Moira, Fate, Good, 55, 76. (208) Cf. D eussen, Allg. Gesch. der Philos., Leipzig 1 8 9 4 ,1, 1, 210ss. ; cf. L ev i , 61ss., 67. (209) È appunto il F r e n k e l , W uF , 19s., che vorrebbe leggere Κρόνος. Tutti gli altri Χρόνος, seguendo D iogene e Dam ascio. Incerto il M o n d o lf o , L’infinito, 57, 2. (210) Ps. A ris t. De Mundo, 401al5; P l v t . De Is. 32, ecc.; cf. P o h le n z , o . c . , 1986ss.; E is le r , W uH , 385; G ru p p e , Griech. M yth. I, 427; R iv a u d , Le problème du devénir, 75, 171; 225; R o s c h e r, Myth., I, 899, II, 1496; P f is te r , Die Religion d. Griechen und Römern, Leipzig 1930, 132; E. P e te r ic h , Die Theologie der Hellenen, Leipzig 1938, 203s. Invece C. A u tr a n , Homere et les origines sacerdotales de Vepopée grecque, Paris 1938, 151, pensava che già in O m ero Κρόνος fosse identico a Χρόνος com e proverebbe il suo attributo άγκυλομήτης, che conterrebbe appunto un riferimento alla ciclicità temporale. M a άγκυλομήτης, «dalla metis ricurva», cioè «attorta», «sagace», è uno di quegli aggettivi (ποικιλομή"0 )?» πολυμήτης, πολυμήχανος, ecc.) che contrassegnano divinità o eroi omerici che appartengono alla sfera dell’evento e la cui spiegazione è ben diversa (cf. D ian o , FE, 69ss.). Per la controversa etimologia di Κρόνος, cf. R E X I , 1982s.; C a rn o y , Diet., s.v. Cronos; V a n W indekens, BzN 1958, 167ss. (211) In alam i frammenti orfici attribuiti a L in o sono espresse concezioni simili a quelle di F e re c id e : secondo D iog. L a e r t . Pr. 4 la cosmologia di Lino diceva che ήν ποτέ τοι Χρόνος οδτος, | έν φ άμα πάντ’ έκπεφύκει. Sembra però trattarsi di frammenti tardi, almeno stando a Pavs. V i l i , 18, 1; sulla questione, cf. però L evi, o . c . , 59.

C A P . i x : Χ ΡΟΝΟΣ E D ΑΙΩΝ

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carica di valori mistici : la prim a mitica intuizione del tempo come «Holon» e come «Periechon». «U nd noch spät — osserva il Cassirer (II, 157) — noch auf einzelnen Höhepunkten griechischer Spekulation, fühlt man den Nachklang derartiger mythischer Grundgedanken und Grundbestimmun­ gen» : di qui il Chronos orfico, che è nella teogonia orfica la πρώτη πάντων αιτία come lo e Zervan akarana in quella zervanista e lo sarà Aion nella speculazione ermetica (Corp. Herrn. X I). E le più significative attestazioni di questo Χρόνος orfico ce le può offrire la poesia, e particolarmente Pin­ daro, che chiamava Orfeo εύαίνητος {Pyth. IV, 177) e χρυσάορος (fr. 217, 9) : χρόνος vi appare come la forza divina che domina sugli uomini e sulle cose e che, realizzando gli immutabili disegni della Moira (212), innalza o avvilisce l’uomo {Pyth. I, 46, X II, 30; Ol. X II, 13, V I, 97, ecc.), doma la tracotanza dei superbi {Pyth. V ili, 15) ed è «il miglior salvatore degli uomini giusti (fr. 255), la divinità suprema (fr. 24), il «padre di tutte le cose» {Ol. II, 19). Χρόνος è qui pienamente immerso nella sfera dell’evento e delle potenze, non è il tempo lineare e strutturato, ma il tempo periechon. Anche in altri poeti appaiono con ogni probabilità delle espressioni orfiche relative al tempo (213): e può darsi che anche Euripide si rifa­ cesse alla tradizione orfica, quando diceva di χρόνος che era ούδενός εκφύς (fr. 303) o quando lo definiva παλαιός πατήρ άμεραν {Suppi. 787) ο altrove; ma va notato che in Euripide troviamo ormai un senso tutt’affatto di­ verso del tempo e il suo χρόνος non è orfico ma anassagoreo. Ed è appunto questa fondamentale diversità fra il χρόνος del sesto e quello del quinto secolo che secondo noi permise quel capovolgimento semantico, che ab­ biamo osservato nei rapporti fra αιών e χρόνος e che appare in chiara luce per la prim a volta con Platone. La cultura attica della seconda metà del quinto secolo e dominata — come è stato di recente messo in luce (214) — dal pensiero di Anas­ sagora, il padre di ogni umanesimo, per il quale il mondo, visto sotto l’aspetto dell’essere, esclude rigorosamente ogni trascendenza. Il mondo (212) Ol. X , 55, Nem. IV , 43, Ol. II, 19s. Questa solidarietà fra Moira e Chronos costituisce appunto quel «mythischer Urgrund» che lega i concetti di «tempo» e di «de­ stino» nella concezione m itica eprimitiva del tempo (C assirer , I I , 149ss., 161). (213) Cf. W aser , RE, I I I , 2481ss.; M ondolfo , L'Infinito, 57ss.; W ilamow itz , He­ rakles, 173ss. Naturalmente si è spesso esagerato nel cercare questi motivi orfici; lo stesso W ilamowitz (p. 174) vorrebbe, ad esempio, trovare una rappresentazione orfica in Her. f · 777: Χρόνου γάρ οΰτις ^όπαλον είσοραν έτλα, ove si parlerebbe della «Keule» del T em ­ po. M a egli corregge senza necessità il τό πάλιν (cf. P ino . Ol. X , 87 : νεότατος τό πάλιν) dei codici. (214) D iano , Edipo, 15ss.; Il concetto, 275ss.; Syngraphi, 234ss.; FE, 73.

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PARTE III: ΑΙΩΝ NELLA RELIGIONE

degli dèi e dei miti che l’ingenua fede di Pindaro e la profondissima reli­ giosità di Eschilo avevano sorretto e vivificato, si discioglie sotto il razio­ nalismo anassagoreo, risolvendosi in un complesso di vuoti nomi. Tale razionalismo, sul cui sfondo si muove e si illumina l’Atene di Pericle, la politica espansionistica ateniese e la Storia tucididea, fu il punto di arrivo di quel lento processo di scoperta delle forme e di laicizzazione del sapere, che ebbe i suoi incerti inizi con la speculazione dei physiologi ionici e che trovò per la prima volta un’espressione coerente ed integrale appunto nelle dottrine di Anassagora, che, costruendo il suo cosmo sulle equazioni di Parmenide, negò gli dèi e mise al loro posto la tyche. Egli venne ad Atene nel 462, accompagnato dalla fama di ateo; e come ateo fu condan­ nato più tardi. Insegnò che gli astri non erano che «pietre infuocate» ed eliminò del tutto la Divinità dal suo universo: ed è da lui che dipende tutto il vasto movimento illuministico, ond’è impregnata la letteratura e la vita ateniese del quinto secolo; ed è a lui appunto che risale quella teo­ ria del progresso umano, che è conosciuta anche prima di Anassagora ma che — nella sua forma più coerente e feconda — è totalmente sua. In quelli che lo precedettero, infatti, l’evoluzione ha il presupposto del τό θειον e la ciclicità temporale assicura la perenne identità della legge di tale pseudo-progresso: invece con Anassagora «il divenire ha inizio in un punto qualunque del tempo e dello spazio e si svolge secondo la linea retta: l’eterno degrada a tempo, ogni concetto di divino è sbandito e la ειμαρμένη cede il luogo alla necessità meccanica ed alla τύχη» (Diano, Edipo , 19). Tale teoria insegnava che l’uomo, all’inizio, era indifeso ed inerme, inferiore persino alle bestie; ma poi, con la γνώμη, 1’έμπειρία e la μνήμη, egli arrivò un po’ alla volta alla σοφία ed alla τέχνη. In un mondo sconsacrato e libero dal dominio delle potenze, l’uomo, δεινός e περιφραδής, viene ad occupare la parte centrale: ecco dischiudersi ima nuova visione della vita, che trova nel tempo (χρόνος ) un alleato per le future conquiste del νους. Nessuna potenza divina, infatti, condiziona e limita il progresso del­ l’uomo, il φρωνιμώτατος fra tutti gli animali (Anax. A 102), il quale passa di conquista in conquista portando gradualmente la luce là dove c’è l’om­ bra : gradualmente, ovvero κατά μικρόν, «a poco a poco», perché ogni tappa di tale progresso è necessariamente figlia del tempo (215). Ed ecco che (215) Κατά μικρόν è appunto espressione tecnica che indica il lento svolgersi del tempo, nel quale l’uomo attua il suo progresso (Edipo, 18); cf. Ev. fr. 222 e commento di D iano, ibid. 17. La teoria compare anche in Platone, che la rifiuta (Legg. 889d): l’at­ tuale mondo è un prodotto del progresso del tempo (προϊόντος....... τοϋ χρόνου) e si è ealizzato non tutto di un colpo (έξαίφνης), ma κατά σμικρόν..., èv παμπόλλψ τινι χρόνψ.

CAP.

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ΧΡΟΝΟΣ ED ΑΙΩΝ

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nell’ambito di queste nuove idee rivoluzionarie, anche χρόνος ha la parte che gli compete: ed esso diventa — insieme con la τύχη — il principale alleato della γνώμη, ossia dell’intelligenza umana. E pertanto anche χρόνος, che per Pindaro era carico di risonanze mistiche ed escatologiche, esce’ dalla sfera delle potenze, si sveste definitivamente di queste sfumature per divenire il tempo rettilineo e sconsacrato della tecnica e poi anche della scienza. «Vidé de son affectivité», questo «tempo», spezzato definitiva­ mente ogni circolo, si distende e si struttura nell’irreversibilità della linea retta, diventa il tempo del «questo» e del calendario: ed è appunto questo il tempo di cui parla Platone nel Timeo, quel χρόνος numerabile e divisibile in parti ed in specie, i cui strumenti (όργανα, 41e, 42d) sono il sole, la luna ed i pianeti. Nel quale Timeo, come osservò il Cassirer, il quale segui nella filosofia greca il progressivo laicizzarsi dell’idea del tempo (II, 161ss.), «tritt nun zum ersten Male in voller Klarkeit ein neuer Zeitbegriff: der Zeitbegriff der mathematischen Naturwissenschaft heraus» (II, 171s.). Il tempo di Anassagora è dunque il tempo dell’uomo, il suo alleato: e χρόνος finisce per diventare ben presto tecnico in questo significato (Dia­ no, ο χ ., 17; 22; 26). Ora che il cielo si è fatto di pietre, esso non è e non può più essere il tempo periechon: coefficiente della γνώμη, esso diventa il «tempo artefice» (τέκτων), nel quale si realizza e si rispecchia il continuo progresso di quell’artefice per eccellenza che è l’uomo. È questo χρόνος che nel fr. 6 di Moschione guida alla scoperta delle scienze e delle arti; e l’anassagoreo Clizia, parlando dell’origine degli dèi, definisce il cielo •άστερωπόν οΰρανοϋ σέλας, | Χρόνου καλόν ποίκιλμα τέκτονος σοφοϋ (216). U n a definizione d e l te m p o an assagoreo si tro v a in Antifonte, secondo il q u a le il tem po è «pensiero e m isu ra , n o n so stan za» : Ά .... νόημα ή μέτρον (v. 1. ήμέτερον) τόν χρόνον, ούκ ■ύπόστασιν ( Α ν π ρ η . Β9 = AßT. I , 22, 6). Χρόνος n o n è che u n oggetto d el νοϋς, è ordine e ra z io n a lità ; e d è a n c h e μέτρον p e rc h é è con esso ch e si m isurano i fa tti e gli eventi. A n­ tifonte p o rta alle e stre m e conseguenze le d o ttrin e anassagoree : il tem po, 1 alleato d el­ l’uom o e d e lla γνώ μ η , n o n h a re a ltà se n o n n e l νοϋς che lo pensa. (216) Crit. B25, 34 ( = Vors*. II, 388, 1 2 ): cf. Diano, Edipo, 17. L a sem plice, a p ­ p a re n te connessione fra cielo e te m p o c h e a p p a re in ta le fram m e n to h a fa tto pen sare invece a ll’orfism o (Kern, O rph.fr. p . 3 03; Eisler, o.c., 110, 387s. 600s.; Levi, o.c., 55; Mondolfo, L ’Infinito, 5 8 ; Schmid-Staìhun, I, 2, 171, 2). I p rim i versi (1-4), c h e ric h ia ­ m an o qu elli d e l fr. 6, 3-17 d i Moschione, fa re b b e ro pensare, secondo il Kern, all inizio d i u n ra c c o n to orfico : e si è cosi p e n sa to ch e sia Crizia che Moschione d ip e n d a n o d all ’orfism o (Norden, Agnostos Theos, L eip zig 1913, 370s.; Heinimann, Nomos und Physis, Basel 1945, 46s.) Ciò è sta to g iu s ta m e n te n e g a to d a W . Thomas, Ε Π Ε Κ Ε ΙΝ Α , W ü rz ­ b u rg 1938, 46s., e, re c e n te m e n te , d a A . Battegazzore, D ioniso 1958, 45ss., il q u a le so­ stiene che i versi d i Moschione e Crizia n o n ric h ia m a n o a ffa tto l ’id e a orfica d ell o rig in a ria •età d ell’oro, m a « la sp ecu lazio n e sofistica su lla c u ltu ra crescente d e l genere u m a n o , svi-

PARTE i n : Α ΙΩ Ν NELLA RELIGIONE

Questo era il χρόνος che Platone aveva a disposizione, quando distinse nel Timeo il concetto di un tempo immobile e divino da quello di un tem­ po mobile e profano: ed il termine, ormai definitivamente sconsacrato» non poteva che divenire il nome del secondo.

luppatosi d a m odesti principi, a p oco a poco» (p. 55; cf. g ià R ohde , Psyche, II , 125, 3)r è appunto la teoria anassagorea del progresso. Χρόνος σοφός si incontra an ch e in altri, tragici: cf. N auck, T G F *, 810. Sul valore di σοφός in quest’epoca, cf. D egani, M a ia

1960, 214.

CONCLUSIONE

Sulla base dei testi e facendo ricorso ai vari sussidi linguistici e storici di cui era di volta in volta possibile servirsi, si è dunque messa in luce l’impossibilità di fissare per αιών un preciso «significato fondamentale» ed il manifesto kysteron-proteron di quanti sostengono una Grundbedeutung fondata su uno dei significati che il termine presenta nel periodo classico. In origine, la parola esprimeva un complesso di nozioni normalmente comprese nella sfera sacrale ed accentrava in sè — in un’unità poi dis­ soltasi col razionalizzarsi del pensiero e della lingua — dei valori diversi che possono sommariamente essere fissati con le nozioni di «vigore», «for­ za vitale», «giovinezza», «durata»: una varietà ed un’unità che possono sembrare contraddittorie alla nostra non più primitiva mentalità, abi­ tuata a concettualizzare e quindi a separare, ma che tali non erano nella fluida e sacrale atmosfera preomerica. Come ci si allontana da tale at­ mosfera, questa molteplicità di sensi si riduce. In Omero αιών è quasi sem­ pre la «forza vitale», suscettibile di identificarsi con la vita stessa e con la sua durata: ed il valore atem porale, dopo Omero, lo si incontra piut­ tosto di rado, specialmente in costrutti schiettamente omerici e nella sin­ golare accezione di «midollo spinale». Il significato temporale rappre­ senta invece il valore «normale» del vocabolo e rimase ben vivo fino alla tarda cristianità: è una cristallizzazione, nella storia semantica di αιών, che fa del termine — entro certi limiti — un sinonimo di βίος. Entro certi limiti: e proprio quando il suo uso si estende e generalizza, αιών co­ mincia ad assumere valori come «età», «epoca», «evo» e via dicendo; ad indicare, cioè, delle porzioni di tempo sempre più vaste e generiche. Pur rimanendo sempre — e per dirla euripidianamente — un figlio di Χρόνος. Però, accanto e di contro a questi valori poetici ma profani, αιών mantiene vive tutte le connessioni che esso aveva con la sfera sacrale, fino a divenire, con Platone, voce specifica per indicare l’eternità. E mentre

C O N C LU SIO N E

Euripide definiva ancora Aion come figlio di Chronos, con Platone si è già verificato quel capovolgimento che permetterà a Proclo di chiamare Aion padre di Chronos. Certo, quella che nel T im eo si presenta a tutta prim a come una innovazione nell’evoluzione semantica di αιών aveva na­ turalmente i suoi addentellati. Anche lasciando da parte la dibattuta que­ stione di una possibile ma non comprovabile orficità di αιών, e così pure quella di una presunta penetrazione, nel pensiero platonico, di concetti iranici: questioni che, per scarsità di documentazione, non si possono ri­ solvere in modo sicuro; abbiamo visto che è possibile rintracciare nella stessa tradizione poetica del vocabolo l’esistenza di questi addentellati. Già in Pindaro αιών, spesso caricato di tinte mistiche ed identificato con la Moira, era talora sentito come principio cosmico e trascendente; non più «tempo della vita» di qualcuno, esso si rivela innanzitutto, in tali passi, come una potenza divina. È il «Tempo», se si vuole: ma come «H olon », vale a dire come Periechon. La sua puntuale trascendenza epifanica non è che la vissuta puntualità dell’U bique et semper. Questo αιών si incontra anche in Eschilo e, con ogni probabilità, anche in un fram­ mento di Eraclito, dove è miticamente ipostatizzato nell’immagine di un fanciullo che simboleggia il capriccioso dominio del tempo. In Platone questo valore, fino allora limitato all’alone epifanico del termine, diventa concettualmente esplicito; ed αιών sostituisce definitivamente χρόνος nel si­ gnificato trascendente che ad esso era stato attribuito dalla speculazione teologica del sesto secolo. La ragione di tale capovolgimento va ricercata, a mio avviso, nella inevitabile laicizzazione che χρόνος, come termine del­ l’astratta durata, aveva subito in conseguenza del razionalismo della phy­ siologia del quinto secolo ed innanzitutto di Anassagora. Lo stesso sistema filosofico di Platone esigeva inoltre la distinzione di due tipi di tempo: quello profano, divisibile e molteplice, da una parte; quello divino, fisso in un immobile «è» e sempre uno, dall’altra. Strappato ormai definitiva­ mente alla sfera delle potenze, χρόνος non poteva che indicare il tempo profano: e Platone non aveva scelta. Sensibile è la differenza fra il con­ cetto aristotelico e quello platonico di αιών, spesso troppo facilmente iden­ tificati: per Platone, si tratta di un concetto trascendente proprio del­ l’Uno, mentre per Aristotele, che ha un sistema filosofico completamente diverso, αιών diventa subito un termine equivoco: perde il preciso carat­ tere extratemporale che aveva nel T im eo , e, ricondotto dal cielo alla terra, rischia di confondersi col tempo. M a anche Aristotele ne sente e man­ tiene il valore epifanico e fa di αιών un attributo della divinità. E si può dire che nell’αιών platonico ed aristotelico sono contenuti in germe tutti i successivi sviluppi semantici e mistici del termine.

APPENDICE

*

DeGANI - “ΑΙΩΝ da Omero ad Aristotele,

Avevo già ultimato il mio lavoro, quando sono venuto a conoscenza del recente The Origins o f European Thought (Cambridge 1954) di R.B. Onians. È necessario che ne parli, poiché l’autore dedica invero ad αιών un numero considerevole di pagine quanto mai suggestive, anche se poi, in realtà, giunge quasi sempre a delle conclusioni estremamente personali ed audaci, sostenute da una documentazione troppo unilaterale e il più delle volte assolutamente inadeguata. Mentre il lavoro psicologico di Jung (.Aion. Untersuchungen zur Symbolgeschichte) prende in considerazione il solo periodo tardo ellenistico e cristiano, quello dell’Onians invece indaga esclu­ sivamente quello arcaico, sforzandosi di determinare il «fundamental meaning» del termine già in epoca preomerica. Partendo da alcune ge­ neriche considerazioni di A. C. Pearson, secondo cui αιών significava «vi­ tality», «living stuff», «the principle o f continuity, that which marks the persistency o f the living force, the lasting thing» ( Verbal Scholarship and the Growth o f some Abstracts Terms, 26ss.), l’Onians rintraccia questo signi­ ficato in Omero, dove αίών non assume mai un valore temporale (1), ma è «a ‘thing’ o f some kind like ψυχή persisting through time, life itself or a vital substance necessary to living» (p. 200). Indi, basandosi su ε 152 (nonché su ε 160 e σ 204) e sul fatto che καιείβειν è costantemente riferito a dei liquidi, l’Onians enuncia una delle sue sorprendenti affermazioni: αιών era «thè cerebro-spinal fluid and the seed, the stuff of life und strength» (p. 202). Passi come θ 522ss., dove Demodoco canta mentre Odisseo τήκετο, e come τ 204ss. τήκετο 8ε χρώς, indicherebbero infatti 1 esistenza, nella carne, di un succo vitale, di un «liquid or a liquefiable element, which could come out o f it and be lost» (p. 201s.) : questo liquido, identificabile con

(1) Il tem po, egli osserva, è espresso d a altre parole in 1415, Δ478 P302 (p. 200). da discutere sarebbe la sua non docum entata affermazione che είναι vale spesso in O mero «to live, survive». Egli intende Ω725 «you perished young from your α ν»

(’bid.).

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A P P E N D IC E

le lacrime e col sudore (1), era appunto 1’αίών. Inoltre, il fatto che di tale liquido fluente dagli occhi si parli solo nei tre passi citati, nei quasi si tratta sempre di un uomo e di una donna (Calipso ed Odisseo o Penelope, πόσιος ποθ-έουσα φίλοιο), e non, ad esempio, quando Laerte piange Odisseo e Penelope il figlio, indica — secondo l’O nians — che Ι’α’.ών è caratte­ ristico del rapporto sessuale (p. 204). In fatti l’am ore sarebbe dai Greci ripetutam ente descritto come u n processo di «liquefying, melting», come attesta il fatto che esso è spesso caratterizzato dall’aggettivo υγρός e come confermerebbe la stessa etimologia di έράω (2). T u tto ciò permetterebbe l’interpretazione esatta di un passo finora non inteso e precisamente di Hes. T h eog. 609: «for him from his α?.ών evil contends with good for exi­ stence» (p. 204), dove « f o r existence» traduce έμμεναι. In realtà non è af­ fatto chiaro come αιών possa in tale passo avere il significato di «fluido cerebro-spinale»; e lo stesso O nians, che evita qui una appropriata tra­ duzione di άπ’αΐώνος, suggerisce in u na nota u n ’altra interpretazione: «from h is f a te » oppure « fro m h is gen iu s », che non si vede assolutamente come si possano inserire in un contesto del genere. Ad ogni modo, αιών sarebbe stato dunque il «procreative life-fluid» identificabile con la vita stessa (p. 108ss.), il liquido seminale posseduto dall’uomo come da tutto ciò che vive e dà vita: anche i fiumi, detti da Eschilo πολύτεκνοι ossia «ferti­ lizzanti» (S u p p l. 1028), hanno evidentem ente il loro αιών (p. 230 e n. 8). Uno scolio euripideo (P hoen . 347) ne darebbe conferm a: περιρραίνεσθαι... συμβολικώς παιδοποιίαν εύχόμενοι έπεί ζωοποιόν το ύδωρ κα'ι γόνιμον: «ι. e. αιών», conclude l’O nians (p. 230), che altrove trova modo di mettere in relazione αιών anche con l’O ceano (pp. 247-253). Questo originario rife­ rim ento di αιών ad un liquido, trasparirebbe anche dal verbo αίονάω, «I moisten, foment, apply liquid to the flesh» (e dai suoi derivati e com­ posti έπαιονάω καταιονάω, αίόνησις, αίόνημα ecc.), che sarebbe collegato ad αιών come δαίμων a δαιμονάω (pp. 209, 221s., 230) (3).*10

(1) Pp. 202ss.; per il sudore, cf. 191ss. Il sudore del morente, come in genere i sudore, è αΙών che lascia il corpo (p. 254); benché non sia necessario pensare che esso 10 lasci completamente con la morte, aggiunge l’Onians. (2) Veramente sorprendente l’etimologia suggerita dall’Onians: «‘I pour out (h quid)’ related to Ιρση» (p. 202, 5; cf. 177s., 9), mentre Ι ρ α μ α ι sarebbe stato «I pour out myself, emit liquid», «I am poured out». Se έράω si è specializzato nel senso di «amare», 11 valore primitivo si sarebbe conservato nei composti έξεράω «vomito, emetto», κατεραω «verso», ecc. I dizionari etimologici distinguono due verbi diversi: ma mentre por secondo si possono stabilire dei confronti soddisfacenti (lat. ros, ai. ràsah, cf. άρσγ1 ’ per il primo l’etimologia rimane incerta. (3) Altrove (pp. 221s.), l’Onians parla di αίόνησις come di «infusion of αίων»· °8

A P P E N D IC E

*33 Questo fluido doveva essere concentrato nel capo e connesso col midolio spinale: di q u i il significato di μυελός assunto talora da αίών sul quale l’O nians disquisce p e r varie pagine (pp. 250ss.), m ettendo bene in rilievo il valore sacrale d ella spina dorsale sia presso i Greci che presso altri po­ poli (p· 208, 2 e 3) e la stretta connessione fra anim a (ψυχή ) e midollo (p. 206). S o p rattu tto egli insiste sul fatto che sembra attestata, presso i Greci, la credenza nella trasform azione del midollo spinale in serpente dopo la morte (1). Si passa q u in d i a considerare i successivi significati assunti da αίών: no n è difficile capire come la parola indicante il fluido vitale, spiega lO n ia n s, potesse indicare anche la «vita» che da tale fluido è rap ­ presentata e q u in d i anche il «tem po della vita» che ne dipende (pp. 208s. 213ss.). L a progressiva dim inuzione di αίών è infatti indissolubilmente le­ gata al progredire del tem po, così come la sabbia della clessidra si riduce continuam ente col passare delle ore (p. 215). «The dead were for the Greeks pre-em inently ‘d ry ’» (p. 254), come risulterebbe pure da frasi quali τά νεκρούμενα ξηραίνεται (cf. Simpl. P h y s . 23, 21) : e la concezione del­ la vita come progressiva dim inuzione di liquido vitale sarebbe provata anche dall’espressione αύαίνειν βίον (Soph. E l . 819; cf. P h il. 952) (2). Peraltro, questo passaggio sem antico avvenne in epoca postomerica: ancora in Pindaro, infatti αίών vale spesso «fife-fluid» sia in riferimento all’uomo che alle piante, come l’O nians pretende di rilevare nel fr. 184 (p. 219), dove invece si presenta, com e s’è visto, u n indiscutibile valore temporale. In Pindaro, però, αίών non è solo il fluido vitale, bensì anche «a compel­ ling destiny, a δαίμων controlling fife» (p. 405s.) : questo basta all’Onians per riconoscere, nell’aicóv di Is th m . V i l i , 14, l’alato δαίμων che volteggia sull’uomo con u n a ταινία in alcune pitture vascolari (pp. 406, 402s., 431s.).*lo

liquido, già d i p er sè , d o veva essere u n balsam o; e certo anche αίών, benché i testi non lo dicano, d ov ev a essere d iven tato, ad u n certo m om ento, una specie di unguendo o di «salutary liq u id» d a introdursi n el corpo (pp. 209ss.). Si pensi a T27 : senza αίων, il corpo si corrom pe, se u n d io n on si affretta a sostituirlo con un altro liquido im m ortale nelle cavità cerebro-spinali (p. 205) ! (1) Cf. A el . N a t. An. I, 51; O vid . Metam. X V , 389; P lin . N at. Η. X , 66, 188. Per la Ψυχή> cf. N ilsson, The minoan-mycenaean Religion, 273s. ; per tutto ciò, cf. O nians, p. 206. (2) Q u esta op p osizion e ξηρότης-ύγρότης (cf. p p. 214ss.), sostenuta com e si vede con degli elem en ti tu tt’altro ch e con vin cen ti, risulterebbe evidente anche d all agget­ tivo διερός, ch e varreb b e sia «viv en te» ch e «u m id o»: cf. δ. βροτός, ζ201; ζωός βροτός, ψ187 ; H es. Op. 460. A nche q ui I’O n ia n s riconduce alla m edesim a radice due parole ch e sii etim ologisti riten gon o d iverse e cita a sostegno della sua tesi alcune oscure glosse d i Esichio: χλωρόν- ύγρόν, χλωρόν καί βλέποντα’ άντί τοϋ ζώντα; cf. A esch. Ag. 677: ζωντα * ζωοποιόν τό δδωρ καί γόνιμον =

p q n ia n s. A n ch e I’Eisler, W u H ·

7 ^ . 2 ( = H ip -

707, 5, sostiene c h e αιών era « Q u e lle d es Sperm as», . εχναι>; si p u ò fare la stessa PoN. AIO: Vars*. I , 386, 2 1 ) : ot δέ δδωρ γονοποιόν