La morte nel mondo greco: da Omero all’età classica
 8843039091, 9788843039098

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LE BUSSOLE Chiare, essenziali, accurate: le guide di Carocci per orientarsi nei principali temi della cultura contemporanea

LETTERATURE E CIVILTÀ CLASSICHE LA MORTE NEL MONDO GRECO: DA OMERO ALL' ETÀ CLASSICA La Grecia arcaica e classica ha elaborato riti che rispondono in modo efficace al trauma della morte. L'intera comunità si misura costantemente con i rischi e i vantaggi che possono derivarne, adeguandoli nel tempo alle proprie esigenze. L'evento luttuoso non è mai oggetto di tabù, come accade nel mondo moderno, e può anzi divenire strumento delle ambizioni degli eredi o della propaganda dello stato. Questo volume ripercorre ritualità e convenzioni funerarie greche, di cui illustra i presupposti culturali e religiosi, e soprattutto evidenzia come si vada trasformando l'immagine del destino oltremondano. Soffermandosi poi sulle strategie della memoria, mette a fuoco la tensione fra istanze familiari e pubbliche, ma anche gli usi politico-ideologici della morte e del lutto nel quadro della formazione e dello sviluppo della polis. Maria Serena Mirto insegna Storia della cultura e della tradizione classica all'Università di Pisa.

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ISBN 978-88-430-3909-8

9 788843 039098

€ 10,00

1• ristampa, maggio 2008 1• edizione, febbraio 2007 © copyright 2007 by Carocci editore S.p.A., Roma Finito di stampare nel maggio 2008 dalle Arti Grafiche Editoriali Sr� Urbino ISBN

978-88-430-3909-8

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Via Sardegna 50 00187 Roma. TEL 06 42 81 84 17 FAX 06 42 74 79 31 Visitateci sul nostro sito Internet: http://www.carocci.it

Maria Serena Mirto

La morte nel mondo greco: da Omero all'età classica

Carocci editore

Indice Introduzione 7 1.

Il destino oltre la morte nell'immaginario popolare 15

La psyché 15 L'Ade 19 1.3. L'Elisio 22 1.4. Divinità dell'Ade e guide nel viaggio oltremondano 25 1.1.

1.2.

Per riassumere... 32 2. 2.1. 2.2.

2.3. 2.4. 2.5. 2.6.

La rivoluzione della speranza 33 Introduzione 33 I misteri eleusini 34 Le iniziazioni dionisiache 37 Le lamine d'oro, Pindaro e altre testimonianze "orfiche" 40 L'escatologia dei pitagorici e il papiro di Derveni 49 La contrapposizione anima/corpo da Pindaro a Platone 51 Per riassumere... 55

3.

Il lungo addio 56

3.1. Introduzione 56 3.2. Le cerimonie del cordoglio 58 3.3. Cremazione, inumazione e riti finali 74 Per riassumere... 79

4. L'ultima dimora e un nuovo legame '6.1.

Introduzione

81

81

4.2. Stele, monumento e iscrizione funebre 83 Per riassumere... 97

5.

Il buon uso della morte 98

5.1. La morte eroica in battaglia 98 5.2. La polis e l'ideologia funeraria 109 5.3. Legislazione e regolamenti funerari 117 Per riassumere... 122

Bibliografia 123

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Introduzione Immaginare una forma di sopravvivenza ultraterrena, o anche escluderla, affidando alla memoria collettiva la speranza di lasciare una traccia che superi il limite concesso all'uomo dalla natura; congedarsi da chi muore attraverso i riti funebri; elaborare il distac­ co coltivando il ricordo di chi è scomparso: sono i tratti distintivi del rapporto che intratteniamo con la morte, come individui e come gruppi sociali, un rapporto cosl intenso da condizionare la cultura, le attese, l'ideologia e persino lo stile di vita delle comunità umane, anche quando si cerca di esorcizzarlo relegandolo il più possibile ai margini del meccanismo sociale. La civiltà occidentale moderna ha una ridotta familiarità con la morte, si rassegna sempre meno alle angosce che derivano dalla sua attesa e ne teme ogni interferenza con le attività dei vivi, focalizzate in modo esclusivo sull'acquisizione e sulla difesa del benessere e del successo, nell'illusione che la loro precarietà - ineliminabile, come effimeri ne restano i presupposti: avvenenza fisica, salute, ricchezza - si possa contrastare con eHìcacia crescente. La scomparsa di un individuo dalla società non deve intaccarne i meccanismi o creare pause che segnino una ferita pubblica da rimarginare collettiva­ mente. Questo criterio contempla certo delle eccezioni quando muoiono persone che si sono guadagnate uno spazio speciale nell'immaginario popolare, per la notorietà acquisita attraverso i mezzi di comunicazione di massa o perché delegate a rappresentare i valori ignorati nell'egoismo della sfera individuale: un uomo di Stato, un pontefice romano o le vittime di aggressioni, criminali, belliche, terroristiche, il cui bersaglio simbolico sono l'unità e il funzionamento dell'intero corpo sociale e istituzionale, possono ancora essere al centro di riti funebri spettacolari, che coinvolgono folle variegate e commosse. Ma un commiato grandioso e incon­ sueto, come la vita o la morte di chi viene celebrato, oggi di fatto inverte i comportamenti collettivi anziché amplificarli. Per il resto l'occasione naturale del morire, a cominciare dal rapporto fra il moribondo e coloro che gli stanno intorno {ìno alle manifestazioni 7

di lutto e alle esequie, è ormai l'antitesi, quasi un'immagine in nega­ tivo, di quanto accadeva nella tradizione culturale che abbiamo alle spalle, quella greco-romana e poi, sia pure con significativi muta­ menti, quella cristiana. L'interdetta che riguarda il discorso sulla morte nella società contemporanea è una svolta radicale, che giunge al paradosso di negare prestigio ai riti di congedo. Eppure la cultura occidentale ha conosciuto una perenne oscillazione tra momenti in cui la gestione esclusiva del cordoglio e delle cerimonie del lutto tocca alla fu.miglia del defunto, e altri in cui la codificazione di regole che si propongo­ no di arginarne l'iniziativa testimonia la preoccupazione di limitare il coinvolgimento emotivo della comunità. Per intervenire efficace­ mente su un evento naturale, decretando la morte sociale de1l'indi­ viduo attraverso riti con cui le istituzioni ribadiscono anche la propria continuità e il proprio ordine, esse devono anzitutto poter contare su credenze condivise e rappresentazioni collettive relativa­ mente stabili, che rispondano in modo attendibile al momento trau­ matico della separazione imposta dalla morte. Ma come altre espres­ sioni psichiche, al confine tra le convinzioni dettate dal pensiero logico e gli spazi interiori che si aprono alla fede o all'irrazionale, anche il dolore del lutto oggi viene considerato un'emozione perso­ nale, da vivere con pudore in privato e da nascondere o dominare in pubblico. La nostra cultura individualistica ha soppresso il codice rituale consuetudinario che aiutava a mostrare apertamente la soflè­ renza, e poi condividerla con altri ed elaborarla senza per questo compromettere la sicurezza sociale del vivere quotidiano. Se si guarda indietro alla civiltà greca antica e al modo in cui furo­ no concepiti nel tempo il cordoglio e i riti funebri, onore dovuto ai morti e insieme esigenza dei vivi, si potrà valutare la risposta di una società tradizionale al trauma della perdita di un suo membro, ma scorgere anche, in nuce, la dinamica tra la serena accettazione di questo evento nelle piccole comunità compatte che precedettero la nascita della polis, nell'vm secolo a.C., e le ansie di una visione più individualizzata della morte. Con esse si registra l'affiorare sporadi­ co di attese escatologiche, mentre la legislazione funeraria di molte città si preoccupa di moderare il cordoglio e di attenuarne la visibi8

lità. Prima che l'odierno mondo della tecnica - con l'intervento, talora prevaricante, della medicina e dell'ospedalizzazione - si appropriasse della gestione del trapasso, sostituendosi alla famiglia e dettando le regole di una "buona morte", che non desta scandalo solo se è vissuta come fatto marginale rispetto al consueto flusso della vita, il pendolo tra evento strettamente familiare e rito pubbli­ co, in cui la comunità si fa carico dei tempi e dei modi del lutto, segnava però un'oscillazione radicalmente diversa. Si limitava, infatti, a spostare l'enfasi ora sulla dimensione sociale, ora su quella privata, senza mai negare dignità al discorso sulla morte e tanto meno farne oggetto di rimozione o tabù. Nella civiltà industrializzata contemporanea la rinuncia parallela, da parte del nucleo familiare ma anche della collettività più ampia, ad assumersi la regia del transito fra la vita e la morte lascia ad antro­ pologi, psicologi e sociologi il compito di studiarne gli effetti sui vivi ma, di fatto, occulta e censura l'evento che meno si riesce a conciliare con la felicità: la costante frustrazione degli sforzi per trasformarlo in un semplice passaggio biologico, in cui ansia e soffe­ renza siano ridotte al minimo, risulta intollerabile. La morte e i suoi riti sono così diventati una sorta di tabù come logica conseguenza dell'allentarsi dei vincoli di solidarietà, nonché dello scacco impo­ sto dalla natura, persino nell'età di un vertiginoso progresso scienti­ fico, all'ambizione umana di dominare e differire il più possibile la fine della vita. La perenne ambivalenza del rapporto con la morte, in bilico fra coinvolgimento e distacco, oggi presenta dunque una simmetrica rimozione sul versante del controllo delle pulsioni e degli affetti individuali e su quello dell'isolamento sociale del morente, senza la reciproca compensazione che si attivava da un lato o dall'altro nelle varie fasi conosciute dalla gestione privata o istituzionale delle angosce umane. Il percorso proposto in queste pagine per delineare i mutamenti dell'ideologia funeraria e del confronto con la morte nella Grecia arcaica e classica intende mettere in luce il movimento regolare del pendolo: l'avvicendarsi di familiari e istituzioni come protagonisti sulla scena del lutto, e il modo in cui, in base alle rispettive esigenze, si tracciano i confini del suo rilievo privato e sociale.

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I riti funebri, in quanto risposta alla crisi determinata dalla morte di un individuo, devono fronteggiarla distinguendo in essa tre diversi punti focali: il corpo del defunto, la sua anima e gli stessi superstiti. Tutte le procedure funerarie gestiscono il passaggio a una nuova condizione del corpo e dell'anima del morto, ma anche delle perso­ ne a lui legate, attraverso i diversi stadi che consentono la metamor­ fosi dello scomparso in un'identità stabile e definitivamente separa­ ta dai vivi, affidata alla memoria dei congiunti e della comunità. Ciò avviene sia per l'aspetto più personale e affettivo - il modo in cui i familiari immaginano il destino della persona cara nell'aldilà, con gli eventuali risvolti escatologici ( CAPP. 1 e 2) - sia per l'aspeuo pratico del trattamento delle spoglie e del linguaggio del dolore che incornicia i riti e accompagna il defunto fino al luogo della sepoltu­ ra ( CAP. 3). Sia, infine, quando il lutto esce dalla sua dimensione domestica e investe la collettività più ampia, nelle forme pubbliche in cui si comunica anche agli estranei la gravità della perdita: le stra­ tegie dei superstiti per superarla si declinano in modo vario e complesso, tutte alimentate dal desiderio che insieme alla vita non si smarrisca il ricordo della persona. Perché esso si tramandi alle generazioni future, oltre la cerchia di coloro che l'hanno diretta­ mente conosciuta e per primi s'impegnano a onorarne la memoria, si erigono monumenti e s'incidono epigrafi, il cui prestigio corri­ sponde al rilievo sociale del mono e, se situati in un'arca sepolcrale riservata ai componenti della stessa famiglia, ne enfatizzano l'unità proiettando all'esterno un'immagine di armonia e concordia da cui discende il successo sociale dei suoi membri (CAP. 4). In ambito poetico la tradizione epica orale, elaborata con il pro­ gramma di perpetuare la gloria degli eroi del passato (PAR. 5.1), costituisce un modello almeno per le élite degli aristocratici fino alla prima età arcaica, ancor prima dell'affermarsi della scrittura, quan­ do con l'iscrizione tombale si offre anche alle persone comuni l'op­ portunità di non essere consegnate inesorabilmente ali' oblio. Il distinto contributo dei due sessi alle cerimonie del lutto e alla crea­ zione di testimonianze commemorative relega le donne alla cura e alla gestione dei doveri pratici e degli aspetti contingenti e privati: in particolare sono appannaggio femminile il lamento e tutte le 10

manifestazioni verbali e fisiche del dolore che marcano il primo stadio, liminale e transitorio, del passaggio dalla vita a una nuova e permanente identità fra i morti. Le donne si ritagliano un ruolo da protagoniste nel dialogo con il defunto, sia attraverso il lamento riLuale sia nel culto alla tomba, come testimonia diffosamente la ceramica dipinta, mentre gli uomini curano da sempre gli aspetti uflìciali delle cerimonie funebri e la comunicazione ai vivi, coltivan­ do la memoria dell'individuo preferibilmente all'interno di una cornice che guarda alla storia collettiva. Ad Atene nel periodo classi­ co la commemorazione dei caduti (epitdphios logos), durante le esequie a cura dello Stato che preludevano a una sepoltura comune (demosion sema), segna il momento di massima tensione tra elogio pubblico - che riguarda il sacrificio di chi è morto per la patria e ha come ascoltatori in primo luogo, se non esclusivamente, i cittadini maschi - e lamento privato; l'uomo assume cosi la regia della mani­ festazione collettiva del dolore, concepito però come una riflessione distaccata, utile a educare la generazione più giovane esaltando un modello esemplare di morte in nome dei valori comuni (PAR. 5.2). Seguire il rapporto fra l'uomo greco e la morte, sia attraverso l'oriz­ zonte di attese e l'immaginario relativi all'aldilà, sia percorrendo la fenomenologia dei riti e inquadrandone la funzione psicologica e sociale, restituisce un quadro sfaccettato del culto che si pone alla cerniera tra religione domestica e istituzioni. Tratto peculiare della religiosità greca è la polarizzazione radicale fra regno degli dei e regno dei morti, un contrasto che si acuisce col trascorrere del Lempo, nel tentativo di separare sempre più nettamente la devozio­ ne per gli uni