Agorà. Manuale di filosofia. L’età moderna
 9788842452294

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Fabio Cioffi Giorgio Luppi Amedeo Vigorelli Emilio Zanette Anna Bianchi Stefano O'Brien

Il

(l) Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori

:.~rifi~scere il pensiero dei filosofi, capirne il · È questa la finalità delle Profilo, ossatura fondamentale del corso. Lezioni non lunghe, focalizzate su un argomento, con schemi, mappe concettuali, immagini, che aiutano a "visualizzare" le idee; piccole glosse che mettono a fuoco parole e concetti; una verifica per controllare la comprensione. In ogni volume, poi, un capitolo speciale, Elementi di filosofia, riassume lo sviluppo di alcune fondamentali tematiche della storia del pensiero (logica, politica, etica, scienza).

2

testi filosofici, saperli analizzare

Nelle Lezioni Testo incontriamo direttamente la parola dei filosofi. Una guida alla lettura ci aiuta a comprendere testi spesso non facili, ma sempre ricchi e profondi, a ricostruire la logica dell'argomentazione filosofica, a scoprire quello che si annida nelle pieghe del testo. Un laboratorio ci dà spunti e suggerimenti per essere attivi di fronte al testo.

sui problemi, imparare a discuterne La storia della filosofia si occupa di problemi molto spesso analoghi a quelli che ci poniamo noi oggi. Chiunque, che abbia studiato filosofia o meno, ha diritto ad avere opinioni e a esprimerle: ma il lavoro della filosofia consiste proprio nel chiarire, fondare e argomentare razionalmente ciò che si pensa. Perché ci appartenga davvero, perché possiamo condividerlo con altri. È quanto propongono le Agorà di questo corso.

3

• •

Lezione Profilo Lezione Testo

Sezione l

L'ORIZZONTE STORICO E CULTURALE

La filosofia del Rinascimento Salutati, Alberti, Valla, Cusano -----------------------

-~ Umanesimo italiano e Cusano ,}!l

Il CITAZIONI

20

Alberti Virtù efortuna Il CITAZIO-

~ ~~n~~~~: Lo scarto ineliminabile tra verità e ~ VERIFICA

23

Montaigne

Scetticismo e saggezza

24

14 Erasmo e Lutero: libero o servo arbitrio? 111 FOCUS Libertà religiosa e tolleranza Il FOCUS La seconda scolastica

49

VERIFICA

La filosofia di Cristo 50 Erasmo da Rotterdam Novum Instrumentum Paraclesis LABORATORIO 51

agorà PROBLEMI

Il VITA E OPERE DI Montaigne Il FOCUS Pirronismo e filosofia moderna

Onnipotenza divina e libertà umana

27

Ri~>l""'"r""" discutere, argomentare

La ragione delle bestie Saggi

28

LABORATORIO

29

52 55

Da Machiavelli a Pufendorf

n pensiero politico moderno

agorà DIBATTITI Noi e gli altri

30

Rielaborare, discutere, argomentare

33

56 Il CITAZIONI Machiavelli Ilprincipe, volpe e leone 1111 CITAZIONI Moro L'ideale della tolleranza religiosa VERIFICA 61

Ficino, Pico, Pomponazzi, Zabarella

Platonismo e aristotelismo

agorà PROBLEMI

34

Ficino L'anima Il CITAZIONI Pico della Mirandola L'uomo come microcosmo Il CITAZIONI Pomponazzi Le favole del politico Il CITAZIONI

Realismo e utopia

62

Rielaborare, discutere, argomentare

67

37

l?immortalità dell'anima Ficino Theologia Platonica Pomponazzi De immortalitate animae

38

LABORATORIO

39

Astrologia, magia e tecnica

68

Ficino La magia naturale 1111 CITALeonardo La natura

Il CITAZIONI ZIONI

agorà PROBLEMI Astri o libertà?

Da Ficino a Vesalio

VERIFICA

40

71

Copernico, Brahe, Keplero

La rivoluzione copernicana Erasmo da Rotterdam, Lutero, Calvino

--~ n pensiero della Riforma lil~4

li FOCUS

I:Umanesimo cristiano !Il

72

Copernico 111 FOCUS Tycho Brahe: un compromesso tra vecchio e nuovo VITA E OPERE DI Keplero 1111 VITA E OPERE DI

44 FOCUS

VERIFICA

77 5

agorà DIBATIITI

Telesio, Campanella

Naturalismo e platonismo

78

Telesio FOCUS L: etica di Telesi o e il suo edonismo naturalistico !l!l VITA E OPERE DI Campanella

Il VITA E OPERE DI

81

'';; VERIFICA

~.:. Campanella La Città del Sole ~ LABORATORIO

92

Rielaborare, discutere, argomentare

95

agorà DIBATIITI

fi~1

I solari: organizzazione sociale e filosofia primalitaria

lavoro

Il cristianesimo è una religione antiumanistica? 96 82

98

83

agorà PROBLEMI

Bruno

n filosofo dell'infinito

la Terra è un pianeta vivente?

84

Bruno Il FOCUS La religione "egizia" e l'ermetismo di Bruno Il FOCUS Il processo e la condanna di Giordano Bruno VERIFICA 89

Il VITA E OPERE DI

agorà PROBLEMI Il cosmo è finito o infinito?

Infinito universo e infiniti mondi 90 De l'infinito universo et mondi

Sezione 2 r età della scienza e dello stato assoluto

Il VITA E OPERE DI

Atlantide

barocca e mentalità moderna

VERIFICA

123

La scienza e gli idola fori

124

f::;[~

115 Cogitata et visa, Novum Organum

Meccanicismo

~ 6

120

Bacone Il FOCUS La Nuova

Il rapporto tra scienza e tecnica Il FOCUS Rivoluzione scientifica, cultura

i~ VERIFICA

,~·;

108

La nuova scienza

112

Il CITAZION 1 Galilei

Eli

L'ORIZZONTE STORICO E CULTURALE

Bacone

Rivoluzione scientifica

La scienza moderna

103

Rielaborare, discutere, """fi"""'n'*""" l 07

91

LABORATORIO

99

102

La "macchina" del mondo

116

Finalismo e cause efficienti dell'universo

Il FOCUS

VERIFICA

LABORATORIO

125

V autonomia della scienza

126

Galilei

Il VITA E OPERE DI

119

VERIFICA

Galilei

129

Critica dell'antropocentrismo Dialogo sopra i due massimi sistemi

130

LABORATORIO

131

n metodo: matematica ed espedenza

132

166

LABORATORIO

167

n meccanidsmo universale

168

1111 CITAZION 1Cartesio

Galilei !/libro dell'universo Il CITAZIONI Galilei La traiettoria dei proiettili Il CITAZION l Galilei Legge matematica e interferenze Il FOCUS Qualità sensibili e geometrico-meccaniche

La teoria dei vortici il FO-

cus I metodi della scienza CITAZIONI Cartesio

Il CITAZIONI

L'animale-macchina

171

VERIFICA

La morale

137

VERIFICA

Dal cogito alla res extensa Meditazioni metafisiche

il CITAZIONI

172

Cartesio Le forme dell'amore

Il gran naviglio Dialogo sopra i due massimi sistemi

138

VERIFICA

175

LABORATORIO

139

La morale provvisoria Discorso sul metodo

176

LABORATORIO

177

Ragione e passione Le passioni dell'anima

178

LABORATORIO

179

agorà PROBLEMI Perché siamo copernicani?

140 Rielaborare, discutere, argomentare 143

agorà PROBLEMI

agorà PROBLEMI

Autonomia della scienza 144

Passioni

Rielaborare, discutere, argomentare 149

Rielaborare, discutere, argomentare 18 5

180

agorà DIBATTITI

Cartesio

Gli animali pensano?

La riforma del sapere Il VITA E OPERE DI

186

150 Rielaborare, discutere, argomentare 18 9

Cartesio

153

VERIFICA

Gassendi, Geulincx, Malebranche

Il metodo dell'evidenza Discorso sul metodo

154

LABORATORIO

155

La nuova metafisica

156

Gassendi il FOCUS Causa prima e cause seconde 111 VITA E OPERE DI Malebranche

!i;J ii! FOCUS Cartesio e Agostino ii! FOCUS Dio e le

193

Atomismo e occasionalismo

190

Ili VITA E OPERE DI

rH verità eterne Il CITAZIONI Cartesio La sostanza ~~;i

159

Bi VERIFICA

Dal cogito alla res cogitans Meditazioni metafisiche

160

LABORATORIO

161

Le cause occasionati 194 Malebranche Colloqui sulla metafisica e sul~.-.· la religione, Ricerca della verità 195 m LABORATORIO Pasca l

162 IIJij La psicologia Cobiezione di Hobbes al dualismo iid

illì FOCUS

~,~

cartesiano Il

~1! ;:~!

'J

VERIFICA

FOCUS

Cimmortalità dell'anima

165

Jtq

~~~t~ ~j

Filosofia e scienza Ili VITA E OPERE DI

iJ VERIFICA

196

Pasca!

199 7

Filosofia e :religione

agorà DIBATTITI

200

Pascal La noia nei giovani Ili!! FOCUS Le Provinciali Il CITAZIONI Pascal Il pensiero

Pensare è calcolare?

della morte

Rielaborare, discutere, argomentare233

11111 CITAZIONI

VERIFICA

203

I «due infiniti» Pensieri

204

LABORATORIO

205

230

Spinoza

Dio, ovvero la sostanza Il VITA E OPERE DI

234

Spinoza !Il FOCUS Il metodo

geometrico

La «scommessa» Pensieri

206

LABORATORIO

207

l libertini e Bayle

VERIFICA

237

Ragione e passioni

238

I gradi del conoscere Il FOCUS Scienza intuitiva e amor Dei intellectualis

Il FOCUS

Libero pensiero e religione

208 Il FOCUS Chi è il libertino? !Il CITAZIONI Bayle Il paradosso della società degli atei 211

VERIFICA

VERIFICA

241

La critica del finalismo Etica

242

LABORATORIO

243

Religione e politica

244

Hobbes

Convenzionalismo e materialismo

Spinoza e Machiavelli Spinoza e i fratelli De Witt

Il FOCUS

212

Convenzione, esperienza e ipotesi scientifiche nella fisica di Hobbes

Il FOCUS

FOCUS

VERIFICA

247

Religione e tollemnza Trattato teologico-politico

248

LABORATORIO

249

215

VERIFICA

Linguaggio e stato De corpore, Leviatano

216

LABORATORIO

217

Natura umana e stato assoluto

218

Hobbes 11111 FOCUS Lo stato di natura come modello e le sue attuazioni storiche Il CITAZIONI Hobbes La rinuncia al diritto di tutti su tutto 111!1 FOCUS Il parlamento, le tasse e la proprietà privata

VERIFICA

223

Lo stato e il sovrano Decive

224

LABORATORIO

225

ll

f···:·,·l·:· --~

La fisica newtoniana

226

Rielaborare, discutere, argomentare229

250

~u

-~

Newton Il CITAZIONI Newton

~~t

Il VITA E OPERE DI

ti

«Non invento ipotesi»

~]

VERIFICA

253

~~- - - - - -

Le regole del filosofare Principia mathematica

254

LABORATORIO

255

lnnatismo, empirismo, Locke

Esperienza e ragione

agorà DIBATTITI libertà o sicurezza?

Newton ltf

Il VITA E OPERE DI

8

111!1

256

La scuola platonica di Cambridge Il VITA E OPERE DI Locke 111!1 FOCUS L innatismo in Inghilterra 111!1

FOCUS

VERIFICA

259

Dio fa tutto per il meglio

Locke

I fondamenti dell'empirismo L analisi del linguaggio Locke La conoscenza umana

Ili FOCUS

298

Discorso di metafisica

260

299

LABORATORIO

111 CITAZIONI

agorà DIBATIITI 265

l? origine empirica delle idee

Questo è il migliore dei mondi possibili?

300 Rielaborare, discutere, argomentare 3O3

266

Saggio sull'intelletto umano LABORATORIO

267

I gradi della conoscenza

268

Vico

Saggio sull'intelletto umano

269

LABORATORIO

La scienza della storia

304

Vico Il FOCUS Gli errori degli storici eruditi e dei filosofi della storia

li VITA E OPERE DI

I fondamenti delliberalismo

270

La riflessione sulla tolleranza e gli scritti religiosi VERIFICA 275

VERIFICA

307

La «storia ideale eterna»

308

La genesi dello stato civile

111 FOCUS I ricorsi e la concezione lineare della

!iii FOCUS

mFOCUS La concezione vichiana della poesia 276

storia

Due trattati sul governo

277

LABORATORIO

agorà PROBLEMI Tolleranza

278

Rielaborare, discutere, argomentare283

VERIFICA

311

I tre stadi e la poesia

312

Scienza nuova LABORATORIO

313

Il linguaggio della poesia

314

Scienza nuova

Leibniz

315

LABORATORIO

La monadologia fisica

284

Berkeley

Ili VITA E OPERE DI Leibniz 11111 FOCUS L errore me-

morabile di Cartesio j

·1

!

287

VERIFICA

.l

l l

l j ~

1

288

Monadologia

l

Berkeley Il FOCUS Mistica, metafisica e teologia VERIFICA 319

289

LABORATORIO

Esse est percipi

Logica e metafisica Il FOCUS La logica simbolica

290 1111!

CITAZION l

Leibniz I due grandi principi logici VERIFICA

293

La teodicea

294

320 Trattato sui principi della conoscenza umana

321

LABORATORIO

Shaftesbury, Mandeville l

0

l

l ~

316

Il VITA E OPERE DI

La monade .,l

Empirismo e immaterialismo

Il CITAZIONI Leibniz Il principio d'armonia Il FOCUS Libertà umana e prescienza divina VERIFICA

297

~~~gt !F=~=,:o ::to natura VITA E 322

di

OPERE DI

li

Shaftesbury il FOCUS Sentimento Il VI-

~ :::,~::RE DI Mandeville

325 9

Hutcheson, Smith

n sentimento morale

326 Ili VITA EOPERE DI Smith llll!ll FOCUS Il prudent man VERIFICA 329

336 336

•1. Che cos'è la politica LabtJttJtOrio

• 2. l fondamenti della politica moderna

La simpatia

330

Teoria dei sentimenti morali 331

LABORATORIO

• 3. Libertà e uguaglianza: le idee chiave della politica moderna

agorà DIBATTITI Perché si deve agire moralmente?

332 Rielaborare, discutere, argomentare 335

• 4. Orientamenti e conflitti della politica moderna

Sezione 3 Il mondo dei Lumi

337 341 342 344 345 347

L'ORIZZONTE STORICO E CULTURALE

348

Lumi

Montesquieu

pt·ogetto della razionalità Ili~ nsettecentesca

~

Il1 e della pohttca

~ La scienza .~ella società

352 ~ IIICITAZIONI D'Alembert, DiderotllnuovosagÌ!l gio dei Lumi mVERIFICA 355

~i Voltai re

[y ~· ii

111 VITA E OPERE DI Montesquieu 111 FOCUS Lanascita delle scienze umane

369

~ VERIFICA tl.il ~:~:ì

Encyclopédie, d'Aiembert

Un "militante" della ragimte

356

Voltaire Il FOCUS ~"affare Calas" e la battaglia per la tolleranza

Un "manifesto" dei Lumi

111 VITA E OPERE DI

359

VERIFICA

Il FOCUS

Chi scrisse l' Encyclopédie? Chi la leg-

~:~

E avventura della memoria

361

agorà DIBATTITI Le catastrofi hanno un senso?

373

360

Avventura della memoria LABORATORIO

370

~l geva? Il VITA E OPERE DI d'Alembert 111 CITAZION l ~ Diderot L'importanza dei rinvii &;: VERIFICA

362 Rielaborare, discutere, argomentare365 lO

366

Diderot, Condillac

n sensismo

374

Diderot La polemica antimatematica 111 VITA E OPERE DI Diderot 111 VITA E OPERE DI Condillac

Il CITAZIONI

VERIFICA

379

agorà DIBAITITI

Materia, ragione, sensibilità 380 Diderot Colloquio tra Didero t e d'Alembert, Pensieri sull'interpretazione della natura

È legittima la pena di morte?

408 Rielaborare, discutere, argomentare 411

381

LABORATORIO

l? esperimento della statua di marmo Condillac Trattato delle sensazioni

382

Thomasius, Wolff, Lessing, Herder

LABORATORIO

383

rnluminismo in Get·mania ' . ll

La critica della rivelazione Il CITAZIOLessing Il verosimile artistico 1!111 VITA E OPERE l1j DI Lessing 415 !'~ VERIFICA ,'i

ti

Helvétius, La Mettrie, d'Holbach

I materialisti

384

Helvétius FOCUS Materialismo llllll VITA E OPERE DI La Mettrie VITA E OPERE DI d'Holbach VITA E OPERE DI

387

FOCUS

Nl

'"~

Rousseau

Progresso e disuguaglianza Rousseau seau Essere e apparire

Il VITA E OPERE DI

1!111

CITAZIONI

Idee innate o esperienza?

388 Rielaborare, discutere, argomentare 3 91

agorà PROBLEMI Vita

392

Rielaborare, discutere, argomentare 397

Storiografì illuministi, Condorcet

n mondo storico dei Lumi

398

Storia e progresso nella cultura anglosassone VERIFICA 401

Il FOCUS

n progresso e l'uguaglianza

402

Condorcet Abbozzo di un quadro storico dei

progressi dello spirito umano 403

LABORATORIO

L::i

EeOr:::::~i:::~:a

~·,! Beccaria

1

l

;i ,----~

CITAZIONI

VITA E

OPER~O~

Beccaria Contro la pena

di morte

,, VERIFICA

Rous-

420 Il patto iniquo Discorso sull'origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini LABORATORIO

421

Il contratto sociale

422

VERIFICA

425

La schiavitù è illegittima Contratto sociale

426

LABORATORIO

427

Volontà generale e sovranità Contratto sociale

428

LABORATORIO

429

l? educazione alla libertà

430

Il FOCUS L: autobiografia come percorso di ricerca Il CITAZIONI Rousseau L'educazione dell'uomo Il FOCUS La religione in Rousseau

433

VERIFICA

agorà PROBLEMI Diritti

434

Rielaborare, discutere, argomentare4 3 8

Galiani, Genovesi, Verri, Beccaria

Il')!

416

419

VERIFICA

agorà PROBLEMI

412

:····.l .ti

407

agorà PROBLEMI Educazione

439

Rielaborare, discutere, argomentare443 11

lif:J n

H urne

La teoria della conoscenza

444

Hume 11 FOCUS I..:impressio: : ne come criterio di verificazione !!l FOCUS La teoria delle idee astratte CITAZIONI Hume VITA E OPERE DI

:ì~

laboratorio kantiano: gli scritti precritid

482

)~;~

~~

~1

CITAZIONI Kant Logica e realtà Il FOCUS In debito con Rousseau

b;j

;;~; VERIFICA

485

?!C'

L'inutilità della metafisica

449

VERIFICA

.:i

t.1

450 453

nprincipio di causalità

co» FOCUS Le due edizioni della Critica della ~~ ragion pura e i Prolegomeni L~ p:j VERIFICA 491

;';

ffl

456 457

Morale, politica, religione

458

La riflessione politica di Hume cus Si deve credere ai miracoli?

FO-

461

La "rivoluzione copernicana'' Critica della ragion pura, Prefazione

492

LABORATORIO

493

Lo spazio e il tempo

494 495

VERIFICA

Trattato sulla natura umana LABORATORIO

CITAZIONI

~~:;

454 Estratto del Trattato sulla natura umana LABORATORIO 455

!!l FOCUS

486

Kant L'intelletto umano FOCUS q Kant, Hume e il risveglio dal «sonno dogmati-

n principio di causalità e la critica della metafisica

Il criticismo kantiano

La conoscenza intuitiva e lo spazio 496 .. Critica della ragion pura, Estetica trascendentale LABORATORIO 499

ili"] Le categorie f'l VERIFICA

500 503

agorà PROBLEMI Causalità

l.?Io penso 504 Critica deUa ragion pura, Analitica trascendentale LABORATORIO 505

462

n sapere scientifico

agorà DIBATTITI Egoisti o altruisti?

FOCUS

466

!'ri

509

Oltre l'esperienza: la ragione, le idee, la dialettica

51 O

Significato delle antinomie cosmo-

logiche

Kant

Una ragione, tre domande VITA DI

Kant Il

LE PRINCIPALI OPERE DI

Tavola del lessico kantiano

12

Esempi di schemi trascendentali

VERIFICA

FOCUS

.•

506

VERIFICA

470 Kant

474

Diventare maggiorenni 480 Risposta alla domanda: Che cos'è Illuminismo? LABORATORIO 481

515

Il valore delle idee, se bene usate 516 Critica della ragion pura, Dialettica trascendentale LABORATORIO 517

n mondo morale: la ragion pratica VERIFICA

518 521

522

Il principio della moralità

agorà PROBLEMI

Critica della ragion pratica LABORATORIO

523

Quattro casi morali

524

È possibile la pace?

554

Rielaborare, discutere, argomentare 55 9

Fondazione della metafisica dei costumi

525

LABORATORIO

agorà DIBATTITI Si può mentire a fin di bene?

526 Rielaborare, discutere, argomentare 52 9

Che cosa posso sperare? Virtù, libertà, felicità lllìl FOCUS

2. Laboratorio sui saggi critici

564

530

Il rispetto lllìl FOCUS Il male radicale e

la filosofia della religione di Kant VERIFICA

533

Estetica e finalità

534

lllìl FOCUS

Il sublime e la grandezza morale del-

l'uomo VERIFICA

539

Il principio della finalità

540

Critica del Giudizio LABORATORIO

541

Grandezza della natura e grandezza dell'uomo

542

Critica del Giudizio

543

LABORATORIO

agorà DIBATTITI Bello è ciò che piace?

544

Rielaborare, discutere, argomentare 547

Storia, di.dtto, libertà Kant Diritto e felicità Kant e la Rivoluzione francese

Il CITAZIONI

548 Il FOCUS

VERIFICA

551

Socievoli o insocievoli?

552

Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico LABORATORIO

553

Biliografìe

566

Indice dei nomi

573 13

Sezione l La filosofi del Rinasci ento

Chiave di lettura Il termine Umanesimo deriva da humanitas che, nella cultura latina, indicava la formazione spirituale dell'uomo basata sulle humanae litterae: grammatica, retorica, storia, poesia, filosofia. In contrapposizione al Medioevo, interpretato dagli umanisti come età barbara e oscura, la civiltà classica viene vista come la luce capace di rigenerare il presente. Non si tratta di un'estrinseca imitazione, ma della ricerca di una renovatio spirituale che, attraverso il "ritorno" agli antichi e alle origini della cultura europea, dia vita a una nuova e originale civiltà.

Due sono le principali fasi in cui si sviluppa la nuova cultura: 1.

Tra la fine del Trecento e l'inizio del Quattrocento, nelle città della penisola italiana, si assiste a una rigogliosa fioritura di studi "umanistici" che, da un lato, recupera e ripropone la cultura classica e, dall'altro, dà vita a una rinnovata immagine dell'uomo.

2. Il termine Rinascimento indica la nuova cultura che, dall'Italia dov'era nata,

si diffonde in tutta Europa tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento.

14

11 La riscoperta della cultura classica · . La riscoperta della classicità e l'apprezzamento dei valori della civiltà antica sono le caratteristiche fondamentali dell'Umanesimo. Proseguendo un atteggiamento già proprio al Petrarca, tra il XIV e il XV secolo gli umanisti si dedicano a un'intensa attività di ricerca, trascrizione e pubblicazione dei codici antichi e rimettono in circolazione un'ingente quantità di opere letterarie, filosofiche e scientifiche classiche (inizialmente latine, successivamente anche greche) delle quali il Medioevo aveva perduto memoria o aveva avuto una conoscenza del tutto imprecisa. Questa riscoperta dei testi classici, la loro "liberazione" dalle biblioteche degli antichi monasteri dove giacevano dimenticati o venivano malamente interpretati, ha un significato che non si riduce al mero dato quantitativo. Non si tratta infatti soltanto di un immenso patrimonio culturale che viene reso nuovamente disponibile, ma anche di una profonda trasformazione dello spirito e della meto-

dologia con cui ci si rivolge al mondo classico. Anche il Medioevo aveva frequentato con intensità la cultura classica e fin dalle origini il pensiero cristiano si era posto il problema di quale atteggiamento tenere nei confronti delle opere pagane, finendo per accettare quegli aspetti del pensiero antico interpretabili come prefigurazione del messaggio cristiano e per rifiutare gli altri. Gli umanisti, invece, si accostano alle opere della classicità con la precisa consapevolezza del fatto che si tratta di una cultura diversa e irriducibile alla propria e, al tempo stesso, con il più profondo rispetto verso quelle antiche testimonianze dello spirito umano. Verso il passato, l'Umanesimo assume, per la prima volta, un'autentica prospettiva storica, volta a comprendere le opere antiche situandole nel loro tempo. Il rapporto con i testi diventa cosl un rapporto critico, che trova nella filologia di Valla e di Poliziano la propria espressione emblematica.

1 Una lettura laica e naturalistica di Aristotele Frutto di questo intenso lavoro filologico è innanzitutto la migliore e più ampia conoscenza della filosofia aristotelica, ancora dominante nelle università. Vengono abbandonate le traduzioni medievali dei testi dello Stagirita per tornare direttamente agli originali, riletti alla luce degli antichi commentatori greci. Accanto alle tradizionali interpretazioni scolastiche del pensiero aristotelico, rinascono indirizzi averroistici e alessandristi, che orientano l' aristotelismo in senso laico e naturalistico. È quanto accade

a Padova, una delle più importanti università italiane del periodo, che si viene affermando in tutta Europa per le prestigiose figure di docenti che vi insegnano e per la rilevanza dei problemi affrontati. Questa interpretazione laica e naturalistica dell'aristotelismo porta, infine, a rimettere in discussione il rapporto ragione-fede: viene problematizzata la sintesi tomista e riproposta la concezione della doppia verità, sostenuta dall'averroismo latino nel XIII secolo, che distingue l'ambito di verità della ragione da quello della fede.

1 La rinascita del platonismo Ma la vera cifra della filosofia rinascimentale è rappresentata dal platonismo, la cui riscoperta e diffusione è dovuta innanzitutto all'affluenza in Italia dei dotti bizantini, chiamati fin dall'inizio del XIV secolo a insegnare il greco in varie città della penisola; poi convenuti a Ferrara e a Firenze in occasione del concilio per la riunificazione della chiesa cattolica e di quella greco-ortodossa (1439); infine, riparati in Italia dopo la conquista di Costantinopoli a opera dei turchi (1453). Rispetto a quello medievale, il platonismo rinasci-

mentale si caratterizza innanzi tutto per una migliore conoscenza dei testi platonici: la scarna biblioteca platonica del Medioevo (costituita dai soli Meno ne, Fedone e da parte del Timeo) viene arricchita già nella prima metà del Quattrocento dalla traduzione dei dialoghi di argomento etico e politico condotta da Bruni e poi, nella seconda metà del secolo, dalla traduzione integrale del corpus platonico dovuta a Marsilio Ficino. È soprattutto l'interpretazione ficiniana che propone la filosofia platonica come alternativa al natura1. La filosofia del Rinascimento

15

lismo aristotelico. Per esemplificare i caratteri di questa contrapposizione si pensi alla Scuola di Atene (1508-1511), il celebre affresco di Raffaello. Le traduzioni e i commenti di Ficino propongono una lettura fortemente religiosa di Platone, influenzata non solo dal cristianesimo, ma anche dal neoplatonismo e dalla religiosità misterica orfica ed ermetica. Anzi, la traduzione del Corpus hermeticum (1463) viene fatta precedere a quella dello stesso Corpus platonicum (conclusa nel 1468): infatti, perché tradurre Platone allorché si dispone della fonte originaria da cui tutta la sapienza filosofica deriva?

V epoca in immagini

• La scuola di Atene di Raffaello raffigura una grandiosa scena corale che racchiude in un'ideale unità esponenti del pensiero filosofico-religioso antico vissuti in tempi storici diversi. Figure centrali sono Platone e Aristotele. Platone è raffigurato nell'atto di puntare il dito verso l'alto, a indicare la destinazione trascendente dell'anima, Aristotele tende la mano verso i fonomeni naturali, considerati il principale oggetto di pensiero dai magistri peripatetici del tempo.

gn platonismo ermetico di Marsilio Ficino I.:ermetismo è una componente centrale della cultura filosofica del tempo. Tradotti da Ficino nel 1463 con il titolo di Pimander, gli scritti ermetici costituiscono un insieme di testi in lingua greca, opera di diversi autori sconosciuti, risalenti al periodo tardo ellenistico dei primi secoli dopo Cristo. Sulle orme dell'antichità e del Medioevo, invece, Ficino crede che in questo corpus di scritti sia depositata un'antichissima sapienza egizia, precedente la stessa nascita di Cristo, ed elaborata da Ermete Trismegisto, figura leggendaria nata dall'identificazione del dio Hermes o Mercurio (messaggero degli dei e guida delle anime dei morti) con il dio egiziano Theuth (scriba degli dei e depositario della

sapienza divina). Questi scritti, di vario contenuto magico, alchemico, astrologico, occultistico e più strettamente filosofico - hanno tutti in comune un'atmosfera di intensa religiosità centrata sull'idea di una rinascita dell'anima, della sua liberazione dal mondo materiale e della sua ascesa al divino. Caduta nel mondo materiale a seguito del peccato, l'anima può e deve ritornare alla propria originaria condizione divina grazie a una vita di ascetico distacco dal corpo e dal mondo, concessa a pochi eletti. Solo il filologo Casaubon, nel 1614, riuscirà a datare correttamente il Corpus hermeticum ai primi secoli d.C., mettendo fine alla leggenda dell'antichissima rivelazione e sapienza egizia.

tJ Epicureismo, stoicismo e scetticismo Accanto ad aristotelismo e platonismo, anche epicureismo, stoicismo e scetticismo tornano a drcolare e ad ispirare la riflessione filosofica del tempo. Il ritrovamento di opere quali le Vìte dei filosofi di Diogene Laerzio o il De rerum natura di Lucrezio permette una più autentica conoscenza dell'epicureismo, ripreso, in polemica contro il rigorismo stoico, da autori come Filelfo, Raimondi e soprattutto Valla. Lo stoicismo classico viene ripensato alla luce del Vangelo e ciò porta da un lato 16

a sfumare il panteismo pagano a vantaggio della concezione trascendentistica cristiana e dall'altro ad attenuare la necessità della grazia a favore dello sforzo umano esaltato dallo stoicismo. Motivi scettici, infine, possono essere rinvenuti già nel relativismo e utilitarismo di Pomponazzi, Machiavelli e Guicciardini o nell'antidogmatismo e nel naturalismo di Vanini e Rabelais. Nell'Esame

della vanità delle teorie dei pagani e della verità della dottrina cristiana (1520) di Gianfrancesco Pico della

Mirandola (nipote di Giovanni) e nell'Incertezza e vanità delle scienze e delle arti (1530) di Cornelio Agrippa, lo scetticismo serve a dimostrare l'insufficienza della ratio e la necessità di affidarsi alla fede.

Soprattutto in Francia questa corrente conosce la maggior fortuna: nel 1562 vengono tradotti gli Schizzi pirroniani e nel 1569 sono pubblicate in traduzione latina tutte le opere di Sesto Empirico.

1 Uomo e natura nelfUmanesimo e nel Rinascimento · · ; Alla luce di queste tradizioni riscoperte, la filosofia umanistico-rinascimentale avvia una riflessione articolata che abbraccia diversi ambiti. Nel Quattrocento ci si concentra soprattutto sul rinnovamento dell'immagine dell'uomo e sulla celebrazione della dignitate hominis. I:uomo viene pienamente legittimato nella sua dimensione mondana, in tutta l'estensione del termine: dall'affermazione della sua fisicità e corporeità (riscattata dall' opprimente senso del peccato di certa religiosità medievale), alla celebrazione della sua attività terrena (in ambito sia politico sia economico), a un rinnovamento dello stesso cristianesimo (che assume i tratti di una fede semplice e operosa, impegnata a mettere in pratica il messaggio dell'amore evangelico e insofferente delle complesse impalcature dottrinali della scolastica e del modello di vita cristiana offerto dal monachesimo). In questo momento è soprattutto la città che funge da scenario entro il quale analizzare l'uomo per coglierne la dignità: di essa si celebra la libertà poli-

Vepoca in immagini

• La città è il luogo dove l'uomo può esprimere al meglio la propria dignità. Simbolo del Rinascimento e della sua perfozione formale è questo dipinto, intitolato appunto La città ideale, di un anonimo artistadi fine Quattrocento.

tica ed è significativo che molti esponenti del primo Umanesimo siano intellettuali direttamente impegnati nel governo cittadino - è il caso di Salutati, Bruni e Bracciolini, tutti "cancellieri" della Repubblica fiorentina.

1 La superiorità della vita attiva sulla vita contemplativa · ··l Nell'ambito del cosiddetto "Umanesimo dvile", presente soprattutto a Firenze nella prima metà del Quattrocento, la riflessione tende a rifiutare sia la forma sistematica, sia gli argomenti propri della metafisica scolastica. Al genere del trattato viene preferito quello del dialogo e i temi affrontati dalla discussione filosofica sono di carattere prevalentemente etico e politico. Il rifiuto della metafisica ha il significato di una critica di ogni forma di vita e di sapere contemplativi, ritenuti inutili e separati dagli interessi della vita attiva cittadina, nella quale l'uomo è destinato a vivere e operare. La vita activa è la vita coinvolta e impegnata nelle vicende politiche della propria città la quale viene polemicamente contrapposta alla vita solitaria del filosofo, dedito alla pura contemplazione, oppure del monaco, che pretende di avvicinarsi a Dio fuggendo il mondo. Ma la vita activa dei primi umanisti è anche quella degli affari e delle attività mercantili borghesi la cui dignità viene difesa contro ogni aristocratico elogio

dell' otium. Gli umanisti rifiutano la tradizionale condanna della brama di ricchezza - che riconoscono, invece, naturale nell'uomo e utile al consorzio civile - e criticano come ipocrita la predicazione fratesca della povertà. Esemplare di questo mutamento di prospettiva è la nuova modulazione di un tema quale il rapporto virtù-fortuna. La fortuna non indica più, come in Dante, la provvidenza divina alla quale l'uomo è chiamato ad affidarsi fiduciosamente, ma l'insieme delle circostanze occasionali all'interno delle quali l'uomo deve orientarsi. Un'immagine che spesso ricorre per identificare la fortuna cosl intesa è quella del mare o di un torrente impetuoso nelle cui acque l'uomo deve navigare o nuotare affidandosi solo alle proprie forze. E queste ultime indicano la virtù, la quale non consiste più nel rispetto dei valori morali-religiosi cristiani, ma nell'impegno operoso a dirigere con successo la propria vita nel mondo. l. La filosofia del Rinascimento

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11 Il recupero della metafisica nelYUmanesimo filosofico ,:,;Dopo l'affermazione dei Medici (1434), la tanto celebrata fiorentina libertas vede ridursi gli spazi del suo esercizio concreto e ciò contribuisce alla riproposizione della vita contemplativa come suprema forma di libertà. Gmpegno politico dell'Umanesimo civile lascia il posto alla rinnovata speculazione metafisica del cosiddetto "Umanesimo filosofico" all'interno del quale la nuova immagine dell'uomo conosce una rigorosa fondazione teoretica. Lo scenario del discorso filosofico muta profondamente: alla città si sostituisce il cosmo, la dignità dell'uomo e la celebrazione della vita terrena si tra-

sformano in esaltazione della funzione metafisica dell'uomo nell'universo. All'interno di un quadro neoplatonico, viene offerta una nuova definizione dell'essenza umana e l'intera realtà richiede l' esistenza dell'uomo per essere portata a perfetto compimento, per potersi articolare nel proprio ordine e manifestare in tutta la propria bellezza. Benché tradotto a livello cosmico, è ancora il "fare", l"'agire", come nell'antropologia del primo Quattrocento, ciò che conferisce all'uomo la sua dignità: un "fare metafisica", anziché storico, ma proprio per questo ancora più essenziale.

1 Macrocosmo e microcosmo ;', ,~Uno degli strumenti concettuali più caratteristici utilizzati dalla filosofia del tempo per definire il rapporto strutturale che lega uomo e mondo in una reciproca e indissolubile coappartenenza, è la coppia microcosmo-macrocosmo. Presente già nel pensiero antico - nella filosofia presocratica, nel Timeo platonico e nella filosofia stoica - e nella riflessione medievale - segnatamente nella scuola di Chartres del XII secolo-, l'immagine secondo la quale l'uomo riproduce in piccolo le caratteristiche del mondo e il mondo presenta in grande le stesse proprietà dell'uomo svolge nella filosofia di questo periodo un compito preciso. In virtù sua, l'uomo

~~La

diffusione europea delYUmanesimo

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Nato nella penisola italiana, dalla fine del Quattrocento l'Umanesimo comincia a diffondersi in tutta Europa grazie ai letterati che, a seguito dei loro viaggi in Italia, entrano in contatto con la nuova cultura. Il platonismo fiorentino viene diffuso a Parigi da Lefèvre d'Etaples e in Inghilterra da John Colet, dopo che entrambi hanno conosciuto Ficino a Firenze. Questi due autori, insieme a Guillaume Budé in Francia, Thomas More in Inghilterra, Erasmo da Rotterdam in Olanda, Johannes Reuchlin in Germania e Ludovico Vives in Spagna sono i più celebri rappresentanti di quell'Umanesimo evan-

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gelico che, all'interesse per la classicità greca e latina e per l'edizione critica dei testi - già tipici dell'Umanesimo italiano - affianca l'esigenza di una riforma morale della chiesa, ottenuta per il tramite di una maggior diffusione del Vangelo. Altre figure significative dell'Umanesimo europeo sono Charles de Bouelles (1483-1553), allievo di Lefèvre d'Etaples e autore del celebre De sapiente, e il filosofo di origine portoghese Leone Ebreo (1463-1520), autore dei Dialoghi d'amore (1535), che divulgano la teoria ficiniana dell'amore influenzando, tra gli altri, Michelangelo, Giordano Bruno, Spinoza.

Le nuove istituzioni culturali

:,;;;Un importante fattore di trasformazione del sapere del periodo è costituito dalla nascita di nuove istituzioni culturali, accanto alle tradizio18

non è più visto come un'anima divina decaduta nel mondo corporeo a seguito del peccato e, dunque, come essenzialmente straniera rispetto al mondo, pellegrina e raminga in esso alla ricerca di un ritorno alla sua vera patria celeste. Il mondo si delinea invece come una dimora che accoglie l'uomo nel proprio grembo e in lui si rispecchia. Un infinito gioco di rimandi e corrispondenze attraversa l'intero creato, legando in complessi rapporti di analogia e simpatia l'anima dell'uomo al suo corpo, l'uomo al mondo, all'interno di questo il mondo sublunare dei quattro elementi, a quello celeste di sostanza eterea, a quello intelligibile e immateriale.

nali università medievali. Nelle città italiane, ormai trasformate in signorie, sorgono le corti, che raccolgono attorno al signore il patriziato cit-

tadino, le clientele, gli intellettuali. Proteggendo questi ultimi, svolgendo opera di mecenatismo, il signore accresce il proprio prestigio sociale e, contemporaneamente, può dispone di personale qualificato cui affidare difficili missioni di carattere politico e diplomatico. Presso le corti, o a queste collegate, sorgono biblioteche e, soprattutto, accademie. Rispetto a quelle cinquecentesche, sempre più organizzate e formalizzate, le accademie quattrocentesche presentano un carattere più spontaneo e informale. È il caso dell'accademia alfonsina e in seguito pontaniana, che si sviluppa grazie alla protezione degli

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Aragonesi, a Napoli, sotto la guida prima del Panormita e poi di Giovanni Pontano; di quella romana di Pomponio Leto, attiva a partire dal 1460; di quella aldina, sorta attorno allo stampatore e umanista Aldo Manuzio di Venezia, sul finire del secolo; e, soprattutto, dell'accademia platonica, ispirata e guidata da Marsilio Ficino a Firenze, a partire dal 1462, sotto la protezione dei Medici, per favorire la riscoperta del platonismo. Decaduta dopo la morte di Lorenzo de' Medici (1492) e del Ficino (1499), l'accademia viene chiusa nel 1522 essendo molti dei suoi membri implicati nella congiura contro il cardinale Giulio de' Medici.

Il carattere elitario della cultura delle corti

Il mecenatismo e l'appoggio del signore favoriscono certamente una ricerca e una produzione artistica che richiedono non solo un pubblico intellettualmente preparato (qual è quello che frequenta la corte), ma anche un committente in grado di affrontare uno sforzo finanziario spesso ingente. D'altra parte, questa situazione condiziona pesantemente l'intellettuale da un punto di vista ideologico e determina una profonda separazione tra l'uomo di cultura e la società del tempo. Presso la corte, protetta dal principe, si forma una "sodetà letteraria" distaccata dalla società reale. La produzione culturale dell'epoca conosce una circolazione e una fruizione ristrette, trovando il proprio destinatario in un pubblico prevalentemente aristocratico che per formazione culturale, gusto e

possibilità economiche rappresenta un'élite privilegiata. Lo stesso recupero del latino classico, ossia di una lingua ormai morta e ben lontana dal latino "imbarbarito", eppure vivo, insegnato e utilizzato nelle scuole, può venire assunto a testimonianza di questa separazione tra cultura e società nel Rinascimento. D'altra parte, è anche vero che l'adozione del latino permette uno scambio intellettuale in Europa che l'uso del volgare non avrebbe certamente consentito. Il Quattrocento, inoltre, è il secolo dell'invenzione della stampa, che rivoluziona la stessa concezione del libro e dei modi della sua lettura, favorendo una circolazione della cultura inimmaginabile (per quantità, qualità e velocità) fino a pochi anni prima.

11 La figura del filosofo nel Rinascimento Saggi e maestri di moralità consultati dalle città o dal "principe"; indagatori della natura impegnati a dominarla attraverso pratiche più o meno occulte; critici della corruzione in cui versa la chiesa e promotori di riforme: i filosofi dell'epoca sono caratterizzati da una profonda arditezza di pensiero, da un vivo bisogno di azione e da una fisionomia profondamente rinnovata rispetto all'intellettuale medievale. Quest'ultimo era un clericus e un magister: i grandi filosofi provenivano tutti dai più importanti ordini religiosi e, dal XII secolo, si erano inseriti nelle università. Durante il Rinascimento, invece, l'intellettuale conosce un

processo di rinnovamento che coinvolge anche il filosofo. Nelle università, i professori sono sempre più spesso laici, come Pomponazzi a Padova. Negli ordini religiosi di origine medievale non troviamo più figure significative: Cusano e Ficino sono preti secolari; Bruno e Campanella, che pur si formano in ambito domenicano, rifiutano la cultura tomista dell'ordine ed entrano con esso in un aspro conflitto. La figura dell'intellettuale medievale scompare: orfano delle due prestigiose istituzioni medievali (la chiesa e l'università), anche il filosofo trova nella corte signorile il nuovo spazio istituzionale entro il quale collocarsi. 1. La filosofia del Rinascimento

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Lezione Profilo

Salutati, Alberti, Valla, Cusano

Temi

Concettt~cltit:we

*La vita activa negli umanisti civili *Virtù e fortuna *Tolleranza religiosa e inconoscibilità di Dio in Cusano Docta ignorantia Infinità divina e indefinitezza dell'universo* Critica della cosmologia classica

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vita activa, infinità negativa e infinità privativa, ratio e intellectus, coincidentia oppositorum, docta ignorantia, explicatio e complicatio

1. Cideale civile nelfUmanesimo italiano Nell'ambito del cosiddetto "umanesimo civile" del primo Quattrocento, la riflessione filosofica rifiuta sia la forma sistematica sia gli argomenti caratteristici della metafisica tradizionale. Al genere del tl'attato viene preferito quello del dialogo e i temi affrontati sono di carattere prevalentemente etico e politico. Il rifiuto della metafisica ha il significato di una critica di ogni forma di vita e di sapere contemplativi, in quanto inutili e separati dagli interessi della vita attiva cittadina, nella quale l'uomo è destinato a vivere e operare. La vita activa, difesa dagli umanisti, è in primo luogo la vita coinvolta e impegnata nelle vicende politiche della propria città. Essa viene polemicamente contrapposta alla vita solitaria del filosofo, dedito alla pura contemplazione, oppure del monaco, che pretende di avvicinarsi a Dio fuggendo il mondo. La via del cielo passa invece attraverso il mondo umano dei rapporti sociali, attraverso l'impegno civile. Rappresentanti tipici di questa riflessione sulla vita activa sono Coluccia Salutati - il più celebre tra i cosiddetti umanisti cancellieri - e Leo n Battista Alberti - uno dei più grandi architetti e pensatori del Quattrocento.

2. Salutati: vita activa e vita contemplativa Dopo gli studi di giurisprudenza a Bologna, Coluccia Salutati (1331-1406) diviene notaio, assumendo ben presto la carica di cancelliere in varie città italiane: a Todi, a Lucca e, dal1375 fino alla morte, a Firenze. Ammiratore del Petrarca e cultore degli studia humanitatis, promuove l'istituzione della prima cattedra di greco all'università di Firenze facendovi chiamare a insegnare, nel1397, il dotto bizantino Emanuele Crisolora. Salutati celebra l'impegno civile dell'uomo e proclama la superiorità della vita activa su quella contemplativa come autentico modo di avvicinarsi a Dio attraverso le opere. In difesa della libertà dell'uomo dalle superstizioni e dalle credenze astrologiche, Salutati compone il De fato, fortuna et casu (1396-99) e, contro il falso ideale della "vana scienzà' e in nome del senso cristiano della vita, scrive il De saeculo et religione (1381). Nel De nobilitate legum et medicinae (1399), rivendica la preminenza degli studi storico-giuridici su quelli medico-naturalistici e stabilisce la priorità della volontà sull'intelletto, delineando un'immagine dinamica dell'uomo.

3. Alberti: rhomo fàber fortunae suae Leon Battista Alberti (1404-72) fu architetto, pittore, scultore, matematico e filosofo. È riconosciuto come il più grande architetto del Quattrocento, insieme a Brunelleschi. Le sue idee estetiche sono consegnate ai due trattati De pictura (1435) e De re aedificatoria (1450-52). Il suo pensiero filosofico, attento soprattutto alle 20

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VaUa, Cusano • A'l rJK

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Alberti Virtù e fortuna

Nella dflessione degli umanisti, la Virtù si scontra con una Fortuna che rappresenta ormai una forza totalmente laicizzata e che è raffigurata attraverso metafore naturali.

Da molti veggo la fortuna più volte senza vera cagione inculpata, e scorgo molti per loro stultizia scorsi ne' casi sinistri, biasimarsi della fortuna e dolersi d'essere agitati da quel-

le jluttuosissime sue unde, nelle quali stolti sé stessi precipitorono. E così molti inetti de' suoi errati dicono altrui forze /urne cagione [... ]. Non è potere della fortuna, non è, come alcuni sciocchi credono, così foci/e vincere chi non voglia essere vinto. Tiene gioco la fortuna solo a chi se gli sottomette[ ... ]. Solo è senza virtù chi no/la vuole. 11 Libri della Famiglia, Prolggo

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questioni morali, è finalizzato alla formazione di un uomo "artefice" di se stesso, faber fortunae suae, capace di determinare il proprio destino. Un uomo attivo, calato nella scena mondana e segnato da una forte volontà di autoaffermazione attraverso la dialettica di "virtù" e "fortuna", il cui rapporto è un motivo caratteristico dell'intera cultura umanistico-rinascimentale: la virtù dell'Alberti è la areté in senso greco, la capacità umana di eccellere e primeggiare, e la virtus latina (da vis, "forzà') che si scontrano con la fortuna (dafors, "caso", "sorte"), ossia con gli ostacoli e le circostanze che costituiscono i casi della vita~.

~ Ricorda che... In Dante e nel pensiero medievale la Fortuna era identificata con la Provvidenza cristiana e la Virtù consisteva nel sottomettersi al governo divino del mondo che escludeva l'infiuenza del caso.

4. Valla: epicureismo e filologia Lorenzo Valla (1407-57) rappresenta l'esempio più celebre di ripresa dell' epicureismo in questo periodo. Nel dialogo De voluptate (1431), egli condanna il rigorismo dell'etica monastica e stoica in nome dell'edonismo epicureo e, infine, oltrepassa questa stessa posizione nella prospettiva spiritualistica cristiana. Ma anche il cristianesimo è per Valla una forma di edonismo, in quanto ricerca della beatitudine, ossia del piacere celeste. Sia l'epicureo sia il cristiano, pertanto, hanno come fine il raggiungimento del piacere, sia pure diversamente inteso. Importanti sono i suoi studi filologici: l'analisi critica De falso eredita et ementita Constantini do natio ne (1440) che, con motivazioni giuridiche e linguistiche, nega l'autenticità del documento utilizzato dalla curia romana a sostegno delle proprie pretese temporali ~ e le Annotazioni sul Nuovo Testamento (1449), nelle quali la filologia viene applicata anche ai testi sacri.

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che...

La Donazione di Costantino è un documento apocrifo dei secc. VIli-IX in cui si narra la conversione di Costantino e la concessione al pontefice che l'imperatore romano avrebbe compiuto del potere temporale su Roma e l'Italia.

5. Cusano e funità di tutte le religioni Nikolaus Krebs (140 1-64) nasce a Cues, presso Treviri, e studia nelle università di Heidelberg, di Padova e di Costanza. Nel1432 partecipa al concilio di Basilea e, nel 1433, pubblica il De concordantia catholica, nel quale teorizza una posizione e conciliarista moderata. Nel 1437 passa dalla parte del papa impegnandosi da allora, attivamente, nella vita della Chiesa. Nel1448 è nominato cardinale. Nel De pace fidei (1453) affronta la questione turca, resa urgente dalla caduta di Costantinopoli, proponendo, in contrasto con l'idea di crociata, una soluzione ispirata alla tolleranza, nella convinzione di una profonda unità di tutte le religioni (sia monoteiste sia politeiste). Cusano ritiene che Dio si sia rivelato in tempi e modi diversi nelle voci dei profeti ma, al di là della varietà dei riti, esista un'unica ricerca di Dio da parte dell'uomo, un'unica religione. Rispetto all'unico Dio, le fedi si presentano come conjecturae che manifestano il Deus absconditus in forme sempre diverse; la molteplicità e differenza delle fedi non è più considerata come un'eresia dinanzi all'ortodossia dell'unica fede ma come manifestazione infinitamente ricca della verità. A parte gli scritti Docta ignorantia (1440 ca) e De conjecturis (1440), che hanno il carattere di un abbozzo generale della sua intera filosofia, la rimanente produzione è composta da brevi testi e opuscoli.

• lessico Dottrina che sostiene la superiorità del concilio ecumenico della Chiesa su tutti i suoi membri compreso il pontefice, il quale deve accogliere senza modifiche qualsiasi documento elaborato da tale riunione dei vescovi. CONCILIARISMO

l. La filosofia del Rinascimento

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• Lessico A differenza della teologia affermativa o catafatica, che svolge un discorso positivo su Dio attribuendogli al sommo grado tutte le perfezioni appartenenti al creato, la teologia negativa o apofatica rifiuta ogni analogia tra Dio e il mondo e ritiene impossibile svolgere un discorso positivo su Dio riconoscendolo come totalmente altro dall'ente creato, come non ens, nulla. TEOLOGIA NEGATIVA

In Platone la ragione discorsiva (dianoia) rappresenta il terzo segmento della linea rivolto agli enti matematici, l'intelletto intuitivo (n6esis) invece corrisponde al quarto segmento rivolto alle idee in se stesse.

Confronti PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE

per Aristotele è un principio comune a tutte le scienze e che ogni ragionamento e discorso deve rispettare per essere veritiero ·per Cusano è un principio che vale solo per la ragione discorsiva che conosce gli enti finiti ma che deve essere oltrepassato dall'intelletto intuitivo nel suo avvicinarsi all'infinità divina dove vige la coincidentia op-

positorum.

6. Cinfinità divina e la coincidentia opposito.rum Rifacendosi ad Anselmo e alla sua definizione di Dio come «ciò di cui nulla di più grande può essere pensato», Cusano parla di Dio come del «massimo assoluto» rispetto al quale nulla vi è di più grande, come dell' ens perfectissimum che è infinito in atto o infinito negativo, tutte le proprietà del quale essendo perfettamente realizzate. Ma, accanto alla tradizione scolastica "razionalisticà', Cusano si rifa anche e soprattutto alla mistica e alla • teologia negativa. In questo caso l'infinità di Dio indica la sua assoluta trascendenza. Per la teologia negativa o apofatica, dice Cusano, «Dio non è né Padre, né Figlio, né Spirito Santo, ma soltanto infinito» e, in quanto tale, si sottrae ad ogni sforzo conoscitivo dell'uomo. rinfinità divina indica una coincidentia oppositorum che oltrepassa ogni nostra capacità di comprensione razionale, fondata sul principio di non-contraddizione. Per esprimerla, Cusano utilizza prevalentemente simboli matematici: la linea retta e quella curva sono opposte tra loro, ma una circonferenza "massimà', ossia di diametro infinito, coinciderebbe con una linea retta, ossia con linea la cui curvatura e mmtma . '

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7. La docta ignorantia Sulla scia di Platone e della tradizione neoplatonica, Cusano distingue tra ratio discorsiva e intellectus intuitivo ~: solo quest'ultimo è in grado di sollevarsi al di sopra della ragione e del suo principio di non-contraddizione fino a intravedere la coincidentia oppositorum dell'infinito. Tuttavia, non si tratta di una vera e propria conoscenza, destinata a soppiantare quella razionale: l'intelletto offre una visione negativa che, se oltrepassa la limitatezza della ratio, non sfocia però in un sapere positivo dell'infinito. I.;intelletto ha, piuttosto, il compito di farci intravedere i limiti della ragione e del suo principio di non-contraddizione e si presenta come un socratico "sapere di non sapere", una docta ignorantia. Questa consapevolezza del limite della ragione comporta la definizione della nostra conoscenza come solo congetturale, ipotetica: nessuna conoscenza può mai pretendere di essere definitiva, essa può soltanto approssimarsi sempre di più al proprio oggetto, ma è destinata a restare tra i due una differenza ineliminabile. Ma dalla insuperabile differenza tra verità e conoscenza, Cusano trae motivo per celebrare l'inesauribile creatività della mente umana che, origine delle infinite congetture, risulta in qualche modo partecipe della stessa infinità creativa di Dio.

8. Cuniverso indefinito come esplicazione di Dio

e lessico Significa che Dio è in tutte le cose, le quali non hanno nulla di proprio se non l'essere ricevuto da Dio. EXPLICATIO

e lessico Significa che tutte le cose sono in Dio, perché solo nella loro origine hanno l'essere pieno. COMPLICATIO

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I.;universo, afferma Cusano, è l'• explicatio ossia il dispiegamento di Dio nella molteplicità e nel tempo, mentre Dio è la • complicatio della molteplicità nella unità assoluta. Se tale è il rapporto tra Dio e mondo, ne consegue che quest'ultimo non potrà essere finito, ma dovrà essere anch'esso infinito, per potere esprimere e manifestare degnamente il Creatore. Dio e mondo non sono allora due entità distinte e contrapposte ma unità e molteplicità, coincidentia oppositorum e opposti, pienezza dell'essere infinito e questa stessa infinità contratta nelle diverse modalità di attuazione. Tra l'infinità del creatore e l'infinità del creato esiste, tuttavia, una differenza: solo Dio è un «infinito negativo», ossia un'infinità consistente nell'assenza di ogni limite. I.;universo, invece, è un «infinito privativo», nel senso che è indeterminato e privo di qualsiasi definitezza. Dio è infinito perché esclude da sé ogni possibile limitazione della sua perfezione; l'universo è indefinito nel senso che rifiuta qualsiasi precisa determinazione.

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Durante il Rinascimento l'astrologia conosce una rinnovata fortuna. Fin dall'antichità, l'astrologia (che vede nei corpi celesti divinità in grado di influenzare gli eventi terrestri) e l'astronomia erano strettamente intrecciate ~.Lo studio dei moti celesti - la cosiddetta astrologia matematica - era finalizzato alla possibilità di determinare l'influsso astrale operante sulla vita terrestre. Di qui l'astrologia giudiziaria, necessaria a determinare la posizione degli astri giorno per giorno così da conoscere con esattezza sotto quale configurazione astrale sono nati gli individui, quali influssi positivi o negativi essi ne hanno ricevuto, quali eventi accadranno in futuro al momento di certe congiunzioni celesti ecc. Il determinismo dell'astrologia giudiziaria non venne accettato senza riserve e già il pensiero classico contrapponeva una concezione più rigida, che si rifaceva allo stoicismo, a una più flessibile, che si richiamava al neoplatonismo e vedeva nei cieli "segni" più che "cause necessarie" degli eventi mondani. Nel Rinascimento ritroviamo queste posizioni, ma in questi anni l'astrologia subisce anche condanne sia da parte delle Chiese cristiane sia da parte della filosofia.

3. La magia rinascimentale Anche la magia conosce grande diffusione nel Rinascimento. Concepita come il "compimento della filosofia naturale" e la sua "parte pratica'', essa sembra consentire un pieno potere dell'uomo sulla realtà. Per distinguersi dalle pratiche della stregoneria popolare e per evitare le accuse ecclesiastiche, i maghi rinascimentali distinguono la propria "magia naturale" dalla "magia demoniaca". Mentre quest'ultima sarebbe basata sul commercio con i demoni e gli spiriti e pretenderebbe di compiere veri e propri miracoli, sovvertendo l'ordine naturale r

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a c(TAZION l Ficino La magia naturale Per difendersi dall'accusa di eresia, Ficino pubblica una Apologia nella quale dichiara di non essersi mai occupato della esecrabile magia demoniaca ma solo della magia naturale «volta a captare per mezzo delle cose naturali i benefici influssi dei corpi celesti». [Il mago] congiunge le cose celesti alle terrene nel modo

più opportuno e non diversamente dall'agricoltore che cura gli innesti unendo il nuovo germoglio al vecchio ceppo [... ]

[Egli] è una specie di coltivatore del campo, o meglio, un col-

tivatore del mondo; ma non per questo egli adora il mondo, come neanche il coltivatore adora il campo; e come l'agricoltore, per produrre il necessario alla vita, adatta il campo alle condizioni del clima, così quel sapiente, quel sacerdote, per le necessità della salute umana, adatta le cose basse di questo mondo alle cose alte del cielo, e in regolata maniera, come si mettono le uova sotto la gallina, sottopone al cielo, perch4,leff'',, covi, le cose della terra. Apol~gìk 1~1 ,__j

creato da Dio, la magia naturale dichiara di fondarsi solo sui rapporti di e simpatia e antipatia presenti tra le cose e sulla manipolazione degli elementi naturali volta a contrapporsi agli influssi celesti negativi o a favorire quelli positivi. Al di là di questa incerta distinzione, la magia oscilla sempre tra l'essere un sapere operativo a vantaggio dell'uomo e un sapere sacerdotale segreto e riservato ai pochi eletti.

4. Ficino: magia naturale e demoniaca Nelle sue opere, Marsilio Ficino (1433-99) teorizza e pratica una magia che pretende di essere del tutto naturale: chi coltiva e pratica quest'arte è un "mago", ossia un "sapiente". Egli conosce la natura nei suoi aspetti più riposti e segreti e utilizzando queste conoscenze naturali produce effetti essi stessi naturali. Il mago e la magia sono ministri e interpreti, non artefici, della natura: essi, cioè, sovraintendono al corretto svolgimento e accadimento di processi che sono propri della natura stessa e non la stravolgono. Conoscendo le forze della natura, il mago è in grado di catturare gli influssi spirituali che piovono dalle stelle e dai cieli e permeano il mondo sublunare, di contenere quelli negativi e incrementare quelli positivi. In questo senso, la figura del mago, secondo Ficino, si colloca accanto a quella del sacerdote: se il primo partecipa con il medico alla cura dei corpi, il secondo si dedica alla salute delle anime.

• Lessico SIMPATIA, ANTIPATIA Dal

greco sympathéia e antipathéia: patire, subire (paschèin) insieme (syn) o contro (an ti). Nella fisica stoica e nel neoplatonismo, indicano la capacità delle cose di influenzarsi a vicenda positivamente o negativamente dando vita a un cosmo ordinato in cui tutto è connesso a tutto.

5. Magia e cabala in Pico della Mirandola Giovanni Pico della Mirandola (1463-94) concepisce la magia come un aspetto fondamentale della ascesa dell'uomo a Dio. Essa è quella parte "pratici' della scienza naturale che consente all'uomo di dominare la natura, secondo le parole della Scrittura. Si tratta di un dominio che non comporta alcuna violazione dell'ordine cosmico dal momento che la magia si fonda sulle proprietà naturali delle cose e sulla stimolazione dei processi naturali. Accanto a questa "magia naturale", già presente in Ficino, Pico teorizza e pratica anche una "magia e cabalistica" che giunge ad attingere i poteri spirituali superiori degli angeli, degli arcangeli e di Dio stesso. Ciò è possibile ricorrendo alla sacra lingua ebraica, la lingua nella quale Dio stesso ha creato originariamente il mondo, e le cui parole contengono la vera essenza delle cose.

• Lessico CABALA Dall'ebraico

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Nel XVII secolo il meccanicismo si afferma non solo nell'ambito della cosmologia e della fisica, ma anche nel campo delle scienze dei viventi. Il corpo vivente è interpretato meccanicisticamente, come una complessa macchina, fatta di leve, di ingranaggi, di pompe idrauliche e di tubi. Le sue funzioni vitali sono spiegate come effetto del funzionamento di tale macchina. Per Cartesio, negli animali, il funzionamento meccanico-idraulico del corpo spiega sia le funzioni biologiche sia i fenomeni erroneamente interpretati come psichici, che invece sono effetto di reazioni meccaniche a stimoli corporei. Nell'uomo, tutte le funzioni del corpo possono essere spiegate meccanicisticamente, ma il pensiero è espressione di un'anima immateriale. Differente la posizione di Hobbes: per il filosofo inglese, non c'è bisogno di un'anima e anche il pensiero può essere spiegato come effetto del funzionamento meccanico di qualche organo del corpo.

Finalismo e cause efficienti delruniverso

Come conciliare la causalità efficiente e deterministica dei modelli meccanici con la creazione e l'intervento provvidente e finalistico di Dio? In Galilei vi è l'idea di una inderogabile regolarità e necessità delle leggi meccaniche di natura, che si accompagna però alla convinzione che tali leggi siano imposte all'universo da Dio: questi creando il mondo avrebbe attuato un suo disegno provvidenziale. Cartesio limita l'intervento di Dio, causa prima, alla creazione della materia e all'attribuzione a essa del movimento. Egli affida all'azione delle cause seconde, cioè delle leggi meccaniche del moto dei corpi, il compito di produrre la macchina del cosmo e di garantirne il funzionamento. Newton obietta che la macchina del cosmo presuppone una causa intelligente, la quale non solo abbia dato il via alla

118

sua produzione meccanica, come vuole Cartesio, ma anche la mantenga in funzione con il suo diretto intervento: come un orologiaio interviene per mettere a punto lo strumento da lul costruito. Leibniz tiene ad affermare la necessità di una causa finale dell'universo: tuttavia, trova offensiva l'idea newtoniana secondo cui Dio deve sempre aggiustare la propria opera (la quale sarebbe dunque in partenza imperfetta). Leibniz suggerisce invece che Dio abbia creato un meccanismo fin dall'inizio perfetto e capace di funzionare senza ulteriori interventi, «conformemente alleleggi di natura». La causa finale dell'universo è il disegno in base al quale Dio lo ha creato. Tale causa finale resta però esterna al creato, non agisce al suo interno, . ove invece vige solo la causalità efficiente di tipo meccanico/deterministico.

Meccanidsmo

7. Meccanicismo, finalismo e determinismo Laffermarsi di spiegazioni meccanicistiche comporta in genere l'abbandono del finalismo, tipico sia del platonismo, sia dell'aristotelismo scolastico. Per il finalismo, la natura è ordinata in vista di un fine ed è dunque spiegabile soprattutto in termini di cause finali. Dal meccanicismo, i rapporti di causa-effetto sono invece concepiti in termini di causalità efficiente. Per esempio, il movimento del corpo A e l'urto di questo contro il corpo B sono la causa del movimento del corpo B. Si dice in questo caso che il movimento del corpo B è causato o determinato necessariamente dal movimento del corpo A. Spiegazioni di questo tipo dei fenomeni naturali aprono la strada a una lettura deterministica di tutta la realtà, non solo naturale, ma anche umana e storica. Per il e determinismo, ogni situazione o evento è necessariamente determinato dalle situazioni che lo precedono nel tempo e ne rappresentano la causa. Negli esempi che seguono sono proposte le due spiegazioni, finalistica e deterministica, di fenomeni ed eventi del mondo fisico, biologico e storico.

Spiegazione finalistica

• Lessico DETERMINISMO Concezione secondo cui ogni evento, fenomeno o stato di cose (naturale o storico) è prodotto da eventi, fenomeni o stati di cose antecedenti, per effetto delle leggi causali universali che governano il mondo.

Spiegazione deterministica

Caduta di un sasso (fenomeno fisico)

Il sasso tende al suo luogo naturale, la terra. 'Il sasso cade a causa dell'azione esercitata su di •Arrivare a terra (dopo la conclusione della ca- esso dalla forza di gravità. Questa precede la duta) r~ppresenta il fine di o~ni corpo pesant~.. caduta e la determina.

Fioritura di una pianta (fenomeno biologico)

. La fioritura si produce in vista del fine dell'or- -,La fioritura è causata dall'azione del sole, ganismo vegetale, cioè della fruttificazione e dalla presenza nel suolo di certe componenti ·della riproduzione, che sono successive nel chimiche ecc., ossia da fattori che precedono nel tempo la fioritura stessa e la determinano. tempo rispetto alla fioritura.

Affermarsi dell'impero romano (evento storico)

'L: impero romano si è affermato affinché ("al :La nascita dell'impero è causata dalle . fine che") nello spazio mediterraneo unifica- condizioni (militari, politiche, economiche) ' to da Roma potesse successivamente diffon- precedentemente realizzatesi e che ne determinarono l'avvento. dersi la predicazione cristiana.

verifica

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Conoscenza dei termini

Definisci: meccanicismojorganicismo, spazio pienojvuoto, spaziojtempojmovimento: concezione assoluta e relativistica, determinismo/finalismo.

bcomprensione di concetti e relazioni l Che cosa distingue i modelli meccanicistici da quelli organicistici? 2 Come cambia la nozione di movimento rispetto a quella tradizionale? 3 Presenta le due concezioni dello spazio, rispettivamente "pieno" e "vuoto". 4 Descrivi come viene impresso il movimento

nello spazio pieno. 5 Perché nello spazio vuoto si rende necessaria l'idea di una trasmissione a distanza del moto? Come risolve Newton il problema della chiusura dell'orbita dei pianeti? 6 Perché secondo Cartesio non si può dire che la Terra si muova, anche se ruota intorno al Sole? 7 Che cosa distingue una spiegazione finalistica da una deterministica? 8 Chiarisci la differenza tra le concezioni di Newton e Leibniz in ordine al rapporto tra Dio e macchina del mondo.

2. I: età della scienza e dello stato assoluto

119

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Lezione Profilo

la nuova scienza Temi

Concetti-cltttlve

*La concezione baconiana della scienza: sperimentalismo e fìnalità pratiche* La dottrina degli "idoli"* Le tabulae e la riforma del metodo induttivo

pars destruensjconstruens, forma, tabulae, prima vindemiatio, supporti ai sensi, supporti all'intelletto, experimentum crucis

Confronti SCIENZA

la scolastica la intende quale pura contemplazione teorica Bacone insiste sul suo valore pratico. ~ Ricorda che ... Anche il mago rinascimentale vuole agire sulla natura per trarne vantaggio. Ma il suo sapere è misterioso e inaccessibile, mentre quello dello scienziato baconiano è pubblico e controllabile dalla comunità scientifica.

1. Il carattere aperto e progressivo della scienza Per il filosofo inglese Francesco Bacone, la scienza non è "figlia'' dell'autorità degli antichi, ma filia temporis. Questo significa che il sapere umano è stato costruito nel tempo, da generazioni successive di scienziati. Tale costruzione continua e continuerà anche nel futuro, senza che si possa presumere di arrivare mai a una conoscenza compiuta e definitiva della natura. La ricerca scientifica è insomma per Bacone un'opera aperta e progressiva e i suoi risultati sono sempre perfezionabili. La scienza ha uno scopo pratico ed è al servizio dell'umanità~. Solo conoscendo la natura, è possibile piegarla ai fini voluti: «natura non vincitur nisi parendo» - afferma Bacone - ossia «la natura non può essere dominata, se non obbedendo alle sue leggi». Di qui la funzione centrale della tecnica, intesa come applicazione delle conoscenze scientifiche alla trasformazione della natura. Il buon esito dell'applicazione pratica delle teorie scientifiche costituisce anche il più importante criterio di verifica di esse. Questa idea rappresenta uno dei cardini della metodologia scientifica baconiana, insieme all'enfasi posta sull'esperienza quale fonte privilegiata della conoscenza. La riforma baconiana del sapere scientifico si articola in due parti: l. una pars destruens, cioè la demolizione degli errori che oscurano la mente; 2. una pars construens, costruttiva, cioè il metodo con cui costruire un nuovo sapere, partendo dall'osservazione sensibile.

VITA E OPERE DI BACONE

• Francis Bacon (italianizzato Francesco Bacone) nasce a Londra nel 1561. Suo padre è Sir Nicolas

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Bacon, lord guardasigilli della regina Elisabetta l. Presto introdotto a corte, viene avviato agli studi presso l'università di Cambridge. Finiti gli studi, intraprende la carriera di avvocato e nel1593 entra alla Camera dei Comuni. In questi anni ricopre la carica di consulente legale della Corona, concorrendo a determinare la condanna a morte del conte di Essex, in precedenza suo amico, che era stato accusato di complotto contro la regina.

• Dopo l'avvento altrono di Giacomo I, Bacone pubblica nel 1605 il Pro-

gresso della conoscenza ( The Advancement ofLearning), dove esalta la conoscenza come strumento di progresso civile. Alla stessa tematica sono dedicati altri scritti, quasi tutti in latino, tra i quali si segnalano i Cogitata et visa (1607-09). Al1620 risale la pubblicazione del Novum Organum, opera nella quale Bacone presenta il suo metodo scientifico.

• Nel1618, Bacone viene proclamato lord cancelliere e barone di Verulamio. In seguito, tuttavia, accusato di corruzione, è condannato alla detenzione nella Torre di Londra. • Perdonato dal re, si ritira a vivere nelle sue terre, dove muore nel1626, per le complicanze di una bronchite contratta studiando la conservazione dei corpi mediante congelamento. Nel 1627 viene pubblicata postuma la Nuova Atlantide

(New Atlantis).

_ _ _ _ _ _ _ _ _ ____

-

2. La pars destruens e la critica degli idoli La mente umana non è assimilabile a uno specchio chiaro e liscio, che rifletta fedelmente la realtà, ma a uno "specchio incantato", che ci trasmette della natura un'immagine oscurata e deformata. Nel Novum Organum, Bacone ci offre una classificazione degli errori che ottenebrano la mente umana, definendoli in latino idola, ovvero "idoli" ingannatori. La consapevolezza degli errori in cui rischiamo di incorrere ne riduce l'influenza sulla mente umana. Bacone distingue quattro classi o tipi di idoli. l. Gli idola tribus sono propri di tutta l'umana "tribù" e dipendono dai sensi e dall'intelletto umani. I sensi degli uomini- fonte prima di ogni conoscenzasono deboli, rispetto a quelli degli animali. Anche l'intelletto pl'esenta forti limi~ ti. È propenso a seguire conformisticamente le opinioni correnti; inoltre, subisce l'influenza dei nostri desideri: pensiamo che un'idea sia vera solo perché fa comodo; infine, si appaga di generalizzazioni arbitrarie: in base a pochi dati, giungiamo frettolosamente a conclusioni definitive e trascuriamo di tener conto di quegli elementi che suggerirebbero una conclusione contraria a quella cui siamo . giunti.

2. Gli idola specus derivano da caratteristiche individuali (o di gruppo). Specus in latino significa "caverna'': Bacone allude al famoso mito platonico ~. La nostra visione della realtà è condizionata dalla "caverna'' in cui ciascuno di noi si trova: dalle doti individuali, dall'educazione ricevuta, dalle abitudini e dalla cultura cui apparteniamo. Per Bacone, un chiaro esempio di questo genere di idoli è l'attaccamento al procedimento sillogistico, che accomuna tutti gli aristotelici. Ma potremmo fare un altro esempio, relativo a un idolo attuale: le distorsioni . cognitive di chi vede il mondo solo attraverso il filtro dei programmi televisivi.

~Ricorda Nel mito della caverna, i prigionieri credono che le ombre siano la vera realtà. Per Platone questa è la condizione di chi conosce il mondo solo attraverso le immagini dei poeti.

3. Il foro, cioè la piazza, è il luogo dove gli uomini si trovavano a parlare tra . loro. Gli idola fori sono appunto gli errori legati al linguaggio. Secondo Bacone, . il significato delle parole è distorto dall'uso ordinario, non rigoroso della lingua. Esso è causa di fraintendimenti, pericolosi soprattutto nel campo della scienza. · Dal lessico scientifico devono essere eliminati tutti i termini vaghi e perciò equivoci: il significato dei termini scientifici deve essere infatti univoco e ben delimitato. Per esempio, non è adatto alla scienza il termine "terra'', perché è troppo generico, esistendo tipi diversi di terra. Lo scienziato dovrà invece usare termini più specifici, come "argilla'', "sabbia'' ecc. 4. Gli idola theatri (''del teatro") sono i pregiudizi che allignano nel "teatro" della filosofia, cioè negli scritti dei filosofi. Come le commedie che si recitano sul palcoscenico, infatti, anche gli scritti dei filosofi sono frutto di pura fantasia e immaginano una natura irreale. La critica investe qui ancora gli aristotelici, e soprattutto la loro erronea concezione del metodo induttivo: sulla base di pochissimi dati osservativi, i filosofi scolastici si inventano teorie generalissime~. Sono inol. tre presi di mira anche i maghi e gli alchimisti, che derivano le loro pseudodottri\ ne da pochi esperimenti avvolti nel mistero e mai discussi pubblicamente.

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Ricorda che ...

Le generalizzazioni operate dagli aristotelici sono criticate sia negli idola tribus, sia negli idola theatri. Per Bacone, trarre conclusioni in base a pochi dati è il più grave errore di metodo.

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~O~US La Nuova Atlantide

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1: .[

Nella Nuova Atlantide, uno dei suoi testi più noti, appartenente al genere della letteratura utopistica, Bacone descrive la vita degli abitanti di un'isola immaginaria, Bensalem, ove si trova realizzato l'ideale della scienza al servizio dell' uomo. La scienza progredisce avvantaggiandosi del coordina7:

~

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mento e della collaborazione all'interno della comunità scientifica; le conoscenze acquisite- traducendosi in capacità tecnica di intervento sulla natura- servono a soddisfare i bisogni pratici della società di Bensalem, promuovendone il benessere materiale e morale. 2. L: età della scienza e dello stato assoluto

121

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3. La pars construens: la classificazione dei dati. ..

~ Ricorda che... Delle cause aristoteliche, Bacone esclude le materiali, le efficienti e- con particolare vigore- le finali, per limitare la propria considerazione alle cause formali.

Veniamo alla parte costruttiva della riforma baconiana del sapere. Per Bacone, come per Aristotele, la scienza è conoscenza della causa. Più precisamente, essa è conoscenza della forma, intesa però da Bacone in un duplice senso. l. In un primo senso, la forma è la causa formale: ciò per cui una sostanza è proprio quella e non un'altra (un gatto e non un cane) ~. 2. In un secondo senso, la forma è intesa come la legge scientifica, ossia come la regola che governa il prodursi di qualcosa. Dei due significati baconiani di forma, il primo rivela un persistente debito verso Aristotele (causa formale), l'altro (legge) è tipico della scienza moderna. Per conoscere la forma, muovendo dall'esperienza, è necessario effettuare accurate osservazioni e quindi ordinarie e classificarle con criterio. A questo scopo, Bacone propone tre tipi di "tavole" o di "classificatori": praesentiae, absentiae in

proximo, graduum. l. Nelle tabulae praesentiae (della presenza), verranno classificati tutti i casi in cui è presente ciò di cui si ricerca la forma. Se ricerchiamo la forma del calore, nella tavola della presenza segnaleremo tutti i fenomeni naturali in cui si percepisce calore: non solo le fiamme, i raggi solari, i fulmini, ma anche per esempio i corpi sottoposti ad attrito o i vegetali in corso di fermentazione. 2. Nelle tabulae absentiae in proximo (dell'assenza in fenomeni affini), si registrano i fenomeni dove è assente ciò di cui si cerca la forma. Però, per evitare un elenco infinito (in cui a rigore rientrerebbero tutte le cose non calde), occorrei rà limitarsi ai casi "affini", a quelli in cui la natura in questione è presente (regii strati nella tavola precedente). Non registreremo, insomma, l'assenza di calore ' negli alberi, ma nei raggi lunari, che sono affini a quelli solari, dove il calore è pre. sente. 3. Le tabulae graduum (dei gradi) raccolgono i casi in cui la natura studiata · è presente in gradi differenziati. Per esempio, sempre riguardo al calore, alcune . sostanze (come lo zolfo) hanno una predisposizione al calore maggiore di altre; . uno stesso corpo in determinate condizioni è più o meno caldo: cosl, un animale : aumenta il proprio calore quando si muove; un pezzo di ferro diventa rovente se percosso con il martello.

n metodo baconiano Pars destruens (demolizione degli errori)

Ct·itica degli idoli ~il idola tribus (errori radicati nella natura umana) it!

idola specus (errori derivanti da caratteri individuali, dall'educazione, dalla cultura)

u~

idola fori (errori che riguardano il linguaggio)

fill

idola theatri (errori diffusi dalle filosofie)

Pars construens (ricerca della fotma)

1. Classificazione e registrazione dei dati osservati !\òl tabulae praesentiae fl:'l tabulae absentiae in proximo l!] tabulae graduum 2. Prima vindemiatio: formulazione di una prima ipotesi sulla forma

3. Convalida (o rigetto) sperimentale dell'ipotesi formulata con la prima vindemiatio. Essa si realizza con: ~il

supporti ai sensi (per esempio, il cannocchiale) r.~~ supporti all'intelletto (experimentum

crucis) 122

Bacone

4.... la prima vindemiatio... Una volta ordinato nelle tavole il materiale osservativo, inizia l'induzione vera e propria, che implica una complessa interpretazione dei dati registrati. Questo lavoro, insiste Bacone, deve essere condotto con grande rigore. In particolare, è necessario considerare i casi "negativi" contemplati nelle tabulae absentiae in proximo. Ciò, per evitare generalizzazioni affrettate, sulla base soltanto delle "tavole di presenza", ossia dei casi affermativi. Se, per esempio, pretendessimo di concludere che la luce è la forma del calore, perché effettivamente in moltissimi casi la luce si accompagna al calore, sbaglieremmo. La Luna infatti - nota Bacone - irradia luce, ma non calore. Al termine di questa interpretazione dei dati osservativi, saremo in grado di formulare una prima provvisoria (e quindi ipotetica) conclusione circa la forma ricercata: è ciò che il filosofo inglese chiama prima vindemiatio (la "prima vendemmià' o raccolta). Nel nostro caso, le osservazioni effettuate documentano, a giudizio del filosofo, che il calore è sempre presente in concomitanza con il movimento. Si potrà dunque indicare, provvisoriamente, la forma del calore in un certo tipo di movimento. Si tratterà poi di verificare o rigettare questa ipotesi provvisoria.

5.... e fexperimentum crucis Per la verifica delle conclusioni provvisoriamente raggiunte (con la prima vindemiatio), Bacone individua appropriati strumenti e procedimenti, che egli denomina "supporti" ai sensi e all'intelletto. I supporti ai sensi sono gli strumenti che rafforzano o acuiscono artificialmente i sensi: per esempio, telescopi, microscopi ecc. Tra i supporti all'intelletto, è molto importante l' experimentum crucis, o "del crocicchio". Tale esperimento permette, di fronte a due ipotesi rivali intorno alla forma ricercata dallo scienziato, di sceglierne una, confutando l'altra: proprio come quando, giunti a un bivio (o "crocicchio"), decidiamo che una strada non è quella giusta e quindi scegliamo di percorrere l'altra. Ecco l'esemplificazione di un esperimento del crocicchio, che dà Bacone stesso e che riguarda la gravità. Qual è la forma (o causa) della gravità: una tendenza interna del corpo che cade oppure l'attrazione esercitata su di esso dalla massa terrestre? Un experimentum crucis ci permetterà di accertare che la forma della gravità non è una tendenza interna, come dicono gli aristotelici. Conseguentemente, la causa della gravità sarà l'attrazione della Terra (come confermerà Newton molti decenni dopo).

verifica

aConoscenza dei termini Definisci: pars destruensjconstruens, forma, prima vindemiatio, supporti ai sensi, supporti all'intelletto, experimentum crucis.

bcomprensione di concetti e relazioni l Che cosa significa che la verità èfilia temporis? 2 Spiega la seguente affermazione di Bacone: «la natura non può essere dominata se non obbedendo alle sue leggi» («natura non vincitur nisi parendo»). 3 Spiega la seguente citazione dal Novum Organum:

Le opere [le applicazioni tecniche] hanno maggior valore come criterio di verità di quanto non ne abbiano come contributo al miglioramento delle nostre condizioni di vita. 4 Presenta la dottrina degli idoli, chiarendo il significato di ciascuno dei quattro tipi di errori. 5 Quale critica, in particolare, Bacone rivolge agli aristotelici? 6 Quali sono e che funzione assolvono i tre tipi di "tavole"? 7 Come si inserisce l'esperimento "del crocicchio" nel metodo induttivo baconiano?

2. ~età della scienza e dello stato assoluto

123

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Lezione Testo

la scienza e gli idola fori l : !~~~i2(!a~~~~ta

Il Bacone Cogitata et visa, Novum Organum

dr afonsmr Presentiamo qui due brevi testi di Bacone. li primo descrive la scienza moderna come un sapere costruito nel tempo e dunque aperto e progressivo. Il secondo è dedicato all'analisi critica degli idola fori, ossia degli errori generati dal linguaggio.

La conoscenza progredisce con il tempo Per universale consenso la verità è figlia del tempo. È infatti segno di pusillanimità inchinarsi davanti agli autori e negare invece al tempo, che è l'autore di tutti gli autori, e di ogni autorità, ciò che gli è dovuto. 8 E le speranze non derivano solo dalle caratteristiche generali del tempo, ma dalle particolari caratteristiche del nostro tempo. Infatti l'opinione che gli uomini hanno dell'antichità è superficiale e quasi mai si adatta al significato della parola. Il termine antichità indica propriamente la vecchiezza e l'età adulta del mondo. Allo stesso modo che da un vecchio ci aspettiamo maggior conoscenza delle cose umane e maggiore maturità di giudizio che da un giovane, a causa della sua esperienza e del maggior numero di cose che ha visto, udito e meditato, per la stessa ragione dovremmo sperare dalla nostra età (se conoscesse le sue forze e volesse metterle alla prova e capire) cose molto maggiori che dai tempi antichi; giacché essa è la più avanzata età del mondo, arricchita e progredita per infiniti esperimenti e osservazioni. f) Né va dato poco peso al fatto che mediante navigazioni ed esplorazioni in paesi lontani (assai frequenti nei nostri secoli) si sono rivelate e sono state scoperte molte cose nella natura che non possono non gettare nuova luce sulla filosofia. Sarebbe vergognoso per gli uomini se, dopo aver svelato e illustrato l'aspetto del globo materiale, cioè delle terre, dei mari, degli astri, i confini del globo intellettuale restassero limitati entro i ristretti confini delle scoperte degli antichi.

e

F. Bacone, Cogitata et visa, in La rivoluzione scientifica: da Copernico a Newton,

a cura di P. Rossi, Loescher, Torino 1973

Gli idoli del linguaggio (idola fori) Morisma 59. Gli uomini credono che la loro ragione domini le parole; ma accade anche che le parole ritorcano e riflettano la loro forza sull'intelletto, e questo rende sofistiche e inattive la filosofia e le scienze. O Le parole, infatti, di solito hanno un significato che è tratto dalle opinioni volgari e segnano i confini delle cose con linee corrispondenti all'intelletto volgare. Quando poi l'intelletto reso più acuto e l'osservazione fatta più diligente vogliono spostare quelle linee perché corrispondano meglio all'ordine naturale, le parole vi si

124

l

La verità non è contenuta nei libri degli antichi; invece, la conoscenza di essa cresce con il procedere storico dell'umanità. La verità insomma è «figlia del tempo», che è - insiste Bacone«l'autore di tutti gli autori».

La fiducia nel progresso scientifico è legata alle caratteristiche della nostra epoca. Il tempo presente è quello della maturità dello spirito umano. Avendo compiuto maggiori esperienze rispetto agli antichi, l'uomo moderno può giungere a conoscenze più estese e più profonde: naturalmente se ha fiducia nelle proprie forze.

3

Sarebbe vergognoso se all'allargamento del mondo conosciuto- effetto delle scoperte geografiche e astronomiche - non facesse seguito un ampliamento dell'orizzonte filosofico e scientifico, rispetto ai confini della tradizione.

4

Di solito non è il ragionamento che stabilisce il significato delle parole, ma è l'uso delle parole che si impone all'intelletto. Sta qui l'origine degli idola fori, che condizionano negativamente la filosofia e la scienza.

5

Il significato di ciascun vocabolo è qui pensato come un territorio, con i suoi "confini", fissati dal senso comune. Quando in ambito scientifico ci si propone di ridefinire quei confini in modo rigoroso, il linguaggio ordinario, impregnato di senso comune, è di ostacolo all' elaborazione del lessico scientifico.

oppongono. 8 Di qui discende il fatto che le più grosse e gravi dispute dei dotti finiscono spesso in controversie sulle parole e i nomi, con le quali si dovrebbe invece incominciare (come fanno i matematici con la loro prudenza), emetterle in ordine con le definizioni. ~ Le quali definizioni, nelle cose naturali e fornite di materia, non possono rimediare a questo difetto, perché anche le definizioni sono fatte di parole, e dalle parole non vengono che parole. Cosicché è necessario sempre ridiscendere ai particolari e alla loro successione e ordine; come diremo tra poco, quando verremo a trattare del modo e del metodo di formare le nozioni e gli assiomi. Modsma 60. Gli idoli che penetrano nell'intelletto per mezzo delle parole sono di due specie: o sono nomi di cose inesistenti (come vi sono cose che mancano di nome, perché non sono ancora cadute sotto l'osservazione; così vi sono nomi di cose inesistenti, perché prodotte da fantastiche supposizioni); o sono nomi di cose che esistono, ma confusi ed indeterminati e impropriamente astratti dalle cose. O Della prima specie sono la fortuna, il primo mobile, le orbite planetarie, l'elemento del fuoco, e altri concetti fantasiosi che provengono da teorie false e vane. Questa specie di idoli si può estirpare con più facilità, perché fatta di fantasie che possono essere eliminate con una applicazione ferma e col ripudio di tutte le teorie. ~ I.:altra specie è più complicata e anche più radicata, perché sorge da una cattiva e inetta astrazione. [... ] Ma anche l'abuso di significato nelle parole ha i suoi gradi di distorsione e di errore. Meno pericolosi sono i nomi delle sostanze particolari, specialmente quelli delle specie inferiori, che sono stati ben dedotti. Così, inequivocabili sono i concetti di creta e di fango, cattivo è il concetto di terra. Più pericolosi sono i nomi di azioni, come generare, corrompere, alterare; i più pericolosi di tutti sono quelli di qualità (escluse le qualità immediatamente sensibili), come pesante-leggero, tenue-denso ecc. Non si può negare, però, che tra questi concetti ve ne siano alcuni migliori dei rimanenti; quelli, per es., di cose che cadono più di frequente sotto la percezione dei sensi. G)

e

e

F. Bacone, Nuovo Organo, libro I, 59-60, in Opere filosofiche, a cura di E. de Mas, Laterza, Roma-Bari 1965

6

Le discussioni scientifiche si trasformano spesso in inconcludenti dispute terminologiche, che potrebbero essere evitate, se ci si accordasse preliminarmente sulle definizioni dei termini, come fanno i matematici.

7

A differenza della matematica e della geometria, le scienze naturali hanno come oggetto enti fisici, materiali. In questo campo, le definizioni rischiano di complicare il problema, essendo fatte di parole.

8

Per eliminare le ambiguità del linguaggio e pervenire a definizioni il più possibile corrette è necessario «ridiscendere» all'osservazione delle cose particolari, cui le parole si riferiscono.

9

Vi sono due specie di idola fori: l. quelli legati ai nomi di cose inesistenti, frutto della fantasia dei filosofi (si ricordino anche gli idola a theatrz); 2: quelli derivanti da una cattiva astraztone.

10

Come esempio della prima specie, Bacone elenca alcune nozioni tipiche dell'aristotelismo scolastico. Questi idoli sono i più facili da estirpare: basta ripudiare le dottrine di chi ne fa uso (gli scolastici).

11

Più difficile liberarsi del secondo tipo di idola fori. I rischi di errore e di fraintendimento sono tanto maggiori, quanto più elevato è il grado di astrattezza, quanto più, cioè, ci si allontana dal concreto.

laboratorio

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Analisi del testo

l Che cosa significa che il tempo «è l'autore di tutti gli autori»? 2 Che cosa avvantaggia i moderni rispetto agli antichi? 3 Perché sarebbe inaccettabile che la cultura dei tempi moderni rimanesse confinata nei limiti segnati dalla tradizione? 4 In che senso il linguaggio comune è di ostacolo all'elaborazione del lessico scientifico? 5 Ci sono due tipi di idola fori. Qual è il più difficile da estirpare?

b

Riflessione

l Come è possibile prevenire le distorsioni del linguaggio scientifico, prodotte da cattive astrazioni? Spiega, fornendo almeno due esempi, oltre quelli fatti da Bacone. 2 La fiducia nel progresso rappresenta il tema fondamentale del primo testo. Spiega in che senso, ricostruendo gli argomenti del filosofo.

2. L: età della scienza e dello stato assoluto

125

Lezione Profilo

Caut



orni della sci

Temi

Concettt~cltiave

*La battaglia a favore dell'eliocentrismo copernicano e dell'autonomia della scienza* l principi della fìsica moderna

finalismo antropocentrico, eliocentrismo, principio d'autorità, autonomia della scienza, principio d'inerzia, principio di composizione dei moti, principio di relatività del moto

1. Le osservazioni astronomiche La fama di Galileo Galilei è certamente legata al cannocchiale. Il suo merito non fu però di averlo inventato, ma di averlo perfezionato e - soprattutto - di averne compresa la funzione di strumento scientifico, vol_ gendolo verso il cielo e usandolo per compiere straordinarie scoperte astronomiche. Ciò che Galilei vide quando rivolse al cielo il cannocchiale sembrava offrire una conferma del copernicanesimo. Le sue osservazioni, i cui risultati sono illustrati nel Sidereus Nuncius del 1610 e nell'Istoria e

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dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti (1613), mostravano infatti che la superficie lunare presenta irregolarità, interpretabili in analogia con quelle terrestri (monti, valli ecc.). Gmmagine a sinistra, tratta dal Sidereus Nuncius, illustra la superficie lunare come apparve a Galilei con il cannocchiale. I pianeti erano simili alla Terra e veniva meno l'opposizione tra mondo celeste e mondo sublunare, stabilita dagli aristotelici. Alle stesse conclusioni portava anche la scoperta delle macchie solari, ossia di "imperfezioni" nel corpo prima ritenuto "incorruttibile" del Sole. La Via Lattea, poi, si presentava al telescopio come un ammasso di stelle lontanissime da noi, e non come una nuvola o una nebulosa: da questa scoperta, i confini dell'universo risultavano enormemente dilatati, proprio come voleva la teoria copernicana. Osservato al telescopio, Giove presentava dei satelliti (denominati da Galilei «astri medicei»): la Terra non era dunque l'unico centro di tutte le orbite. A sua volta, infine, Venere presentava fasi, previste dalla teoria copernicana, ma escluse da quella tolemaica. Di fronte a queste scoperte vi furono resistenze conservatrici, che si espressero sia nell'obiezione secondo cui i sensi non possono essere potenziati, ma solo alterati dall'uso degli strumenti; sia con il puro e semplice rifiuto dello strumento (l'aristotelico Cremonini si rifiutò di guardarvi per non «imbalordirsi» la testa). In genere, però, le scoperte effettuate con l'uso del telescopio furono accettate anche dagli avversari del copernicanesimo. Questi tuttavia cercavano di inserirle nel quadro della visione aristotelico-tolemaica del cosmo: vi fu per esempio chi- pur riconoscendo le asperità del suolo lunare - avanzò l'ipotesi che la Luna fosse in ogni caso perfettamente sferica e liscia, in quanto racchiusa in un involucro di cristallo, a noi invisibile. 126

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2. la critica della visione tradizionale del mondo Le scoperte effettuate con il cannocchiale- Galilei ne era ben consapevole- non sarebbero state sufficienti a imporre la nuova cosmologia copernicana: si trattava dunque di avviare un'ampia battaglia contro le idee chiave della cultura tradizionale. Nello schema seguente presentiamo queste ultime, affiancate dalle critiche di Galilei. Visione tradizionale del mondo

Critica di Galilei

' Il finalismo antropocentrico. I.: aristotelismo scolastico ' e l'umanesimo platonizzante sostenevano che l'uomo : fosse al centro del cosmo, a lui finalizzato.

' Galilei afferma che il fine della provvidenza divina è imperscrutabile dall'uomo; e si rifiuta di spiegare la realtà in base . alla sua supposta utilità per l'uomo.

Il principio di autorità. Nella scolastica le controversie ; scientifiche venivano risolte appellandosi all'autorità di ' Aristotele.

; Galilei sottolinea la contraddizione insita nel richiamarsi ad Aristotele contro le osservazioni fatte al telescopio: anche il Aristotele aveva valorizzato l'esperienza sensibile. Se avesse i guardato nel cannocchiale, avrebbe egli stesso riveduto le proprie dottrine.

Le Sacre Scritture. Alcuni passi della Bibbia hanno un . apparente significato anticopernicano; per esempio, l'eroe biblico Giosuè chiede al Sole di fermarsi: ciò, per . alcuni teologi, stava a significare che l'astro si muove.

Galilei distingue tra verità di fede (rivelate nella Bibbia) e verità di ragione e di esperienza (acquisite dalla scienza) e si batte per il riconoscimento dell'autonomia della scienza .

VITA E OPERE DI GALILEI

Il Galileo Galilei nasce a Pisa il 15 febbraio 1564. Dall'età di dieci anni vive a Firenze, dove si svolge la sua prima formazione. Nel 1581, Galilei ritorna a Pisa per studiare medicina, ma viene affascinato dalle lezioni su Euclide di Ostilio Ricci, che lo orientano verso studi matematici. a Dal 1589 insegna ma-

tematica all'università di Pisa e dal1592 a Padova. Nella repubblica di Venezia, Galilei vive per diciotto anni, compiendo studi sul moto e aderendo in segreto alla dottrina copernicana. Nel1609, avuta notizia di un cannocchiale costruito in Olanda, Galilei ne costruisce un esemplare e compie le straordinarie scoperte astronomiche, di cui dà notizia nel Sidereus Nuncius (1610). • Nel1610, Galilei lascia Padova e si trasferisce a Firenze, per assumervi l'incarico di «matematico primario dello Studio di Pisa e filosofo del granduca». Nel1613 pubblica l'!storia e dimostra-

zioni intorno alle macchie solari e loro accidenti. • Le "novità" astronomiche, interpretate da Galilei nelle Lettere copernicane (1613-15) come prove dell' eliocentrismo, suscitano un vivace dibattito negli

ambienti scientifici ed ecclesiastici. La conclusione è amara per Galilei: nel1616 un decreto- comunicato allo scienziato dal cardinale Bellarmino - vieta a chiunque di sostenere la dottrina copernicana. • Nel1624, con Il Saggiatore, Galilei interviene contro il gesuita Orazio Grassi in una discussione sulla natura delle comete. Il Saggiatore- pubblicato a cura dell'Accademia dei Lincei - è dedicato al papa Urbano VIII Barberini, fiorentino e amico r ascesa dello scienziato. di Barberini al vertice della Chiesa suscita in Galilei la speranza- presto delusa- di un diverso approccio alla questione copernicana. Nella seconda metà degli anni venti, Galilei lavora alla stesura del Dialogo sopra i due massi-

mi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, la sua opera più nota, che conclude

nel1630. Inseguito a lunghe trattative con le autorità ecclesiastiche, il Dialogo ottiene il nulla osta e viene pubblicato nel febbraio del1632. Dopo pochi mesi, però, l' opera viene posta sotto sequestro e a Galilei viene ingiunto di presentarsi al Sant'Uffìzio, con l'imputazione di aver difeso l'eliocentrismo, violando il divieto del1616. • Il processo si svolge a Roma all'inizio del1633; si conclude con l'abiura dell' anziano scienziato e con la sua condanna al carcere a vita, poi trasformata negli arresti domiciliari. • Galilei passa gli ultimi anni nella villa di Arcetri, dove muore 1'8 gennaio del 1642. Nel1638 in Olanda, al riparo dalla censura ecclesiastica, era stata pubblicata l'ultima grande opera dello scienziato pisano, i Discorsi e

dimostrazioni sopra due nuove scienze.

2. L: età della scienza e dello stato assoluto

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J

3. Bibbia e ricerca scientifica: la condanna del copernicanesimo

~

Ricorda che ...

Contro la tesi luterana dell'interpretazione puramente letterale del testo sacro, il concilio di Trento (1545-63) aveva riaffermato la molteplicità dei signifìcati della Bibbia.

~

Ricorda che ...

Lutero aveva affermato che il significato della Bibbia è accessibile al credente, che è libero di "esaminare" il testo sacro senza bisogno di interpretazioni autorizzate dalla Chiesa.

Soffermiamoci sulla questione del rapporto tra Sacre Scritture e scienza. La posizione galileiana è esposta in alcune lettere, dette per il loro contenuto Lettere copernicane e inviate tra gli altri a padre Benedetto Castelli (1613) e alla granduchessa madre di Toscana (1615). Questi scritti si configurano nel loro insieme come un "manifesto" in difesa della libertà della scienza. Per Galilei è necessario che l'interpretazione delle Scritture non si limiti alla lettera del testo, ma si sforzi di coglierne i significati profondi (come indicava del resto il concilio di Trento ~). Il contrasto tra scienza e versetti biblici è effetto di un'erronea interpretazione della parola di Dio; il vero significato del testo sacro non può essere in contrasto con i risultati della scienza. La Bibbia secondo Galilei ha un significato morale e si propone come scopo la salvezza di tutti gli uomini. Per questo, il linguaggio delle Sacre Scritture è immaginoso e metaforico, e non scientificamente rigoroso: il testo sacro deve essere compreso dal popolo e parla alla sua fantasia piuttosto che alla sua ragione. Nelle discussioni di carattere scientifico, non si deve ricorrere all'autorità della Bibbia (che ci dice come si va in cielo e non come è fatto il cielo). La scienza si deve basare su «sensate esperienze» e «certe dimostrazioni», che ci rendono accessibile la natura. Così come la Bibbia, anche la natura è opera di Dio; ma la natura mostra meglio delle Scritture quali sono le leggi a lei imposte dalla creazione: a differenza della Bibbia, infatti, non deve discostarsi dalla legge divina per farsi intendere dagli ignoranti. Gli argomenti di Galilei si rifacevano a quanto sostenuto da grandi filosofi cristiani come Agostino e Tommaso. Tuttavia essi non riuscirono a far breccia presso le autorità ecclesiastiche, le quali non erano disposte ad ammettere che un laico -come Galilei- intervenisse sullo spinoso problema dell'interpretazione della Bibbia: sarebbe stato come accettare la tesi luterana del "libero esame" ~. Dopo molte incertezze, nel 1616 il dibattito sul copernicanesimo venne chiuso d' autot'ità dalla Chiesa romana: il cardinale Bellarmino vietò formalmente a Galilei di professare il copernicanesimo, se non come «semplice ipotesi».

4. Una nuova fisica, celeste e terrestre Altrettanto forti quanto le obiezioni di carattere teologico erano le resistenze al copernicanesimo basate sui principi della fisica aristotelica. La confutazione degli argomenti fisici, antichi e recenti, contro il movimento della Terra rappresenta il nucleo della battaglia copernicana di Galilei. Nello schema, presentiamo alcune obiezioni contro il moto della Terra e le risposte di Galilei: Obiezioni contro il moto della Terra Obiezione tradizionale Se la Terra ruotasse, si diceva, un sasso lasciato cadere da una torre, non cadrebbe alla base di questa, ma più "indietro".

Risposte di Galilei Non è vero: ammesso il movimento della Terra, durante la caduta il sasso conserva il movimento che aveva in comune con la torre (principio d'inel'Zia); questo movimento si somma con quello di caduta (pdncipio di composizione dei moti). In altre parole, anche il sasso cadendo avanza come la torre, e tocca terra proprio alla base di questa.

' Non è vero: ammessa la rotazione della Terra, il proiettile, anche Obiezione "moderna'' una volta lanciato, conserverebbe (pdncipio d'inerzia) il Supposta la rotazione verso est della Terra- aveva detto movimento in direzione est che gli apparteneva quando era ancora Tycho Brahe -, i tiri di artiglieria in direzione nord o sud dovrebbero presentare una deviazione verso ovest, 1 ancorato (nel cannone) alla superficie terrestre. Il movimento verso nord o verso sud del proiettile si somma (principio di rispetto al bersaglio: quest'ultimo infatti, a causa del composizione dei moti) con il movimento verso est conservato: in movimento della superficie terrestre, sarebbe anch'esso trascinato verso est, durante la permanenza in volo del . tal modo il proiettile mantiene la propria posizione relativamente ' alla superficie terrestre e, di conseguenza, al bersaglio. proiettile. 128

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Ummagine sotto illustra l'obiezione tradizionale (A) e la risposta di Galileo (B):

A

B

• Lessico PRINCIPIO DI RELATIVITÀ DEL

Sulla base di osservazioni (meccaniche) compiute all'interno di un sistema, senza punti di riferimento esterni, non è possibile decidere se il sistema si trovi in stato di quiete o si muova di moto rettilineo uniforme. MOTO

• Lessico PRINCIPIO D'INERZIA Un corpo, senza interferenze (come per esempio la resistenza opposta dall'aria), conserva indefinitamente il proprio moto rettilineo uniforme.

Sulla base di osservazioni compiute sulla Terra, conclude Galilei, non è possibile decidere se essa sia ferma o si muova (• principio di relatività del moto). Per capirlo, dovremmo disporre di riferimenti esterni al sistema terrestre. I principi fisici da cui muove Galilei (• principio d'inerzia e • principio di composizione dei moti) -sono differenti da quelli della fisica aristotelico-tolemaica, anche perché validi in tutto l'universo, sia in cielo sia in Terra. :Celaborazione di questi principi costituisce uno dei maggiori contributi di Galilei alla nascita di una nuova fisica e impegna lo scienziato pisano nelle sue opere più importanti: il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano (1632)- condannato dalla Chiesa nel 1633- e i Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove scienze (1638).

• Lessico PRINCIPIO DI COMPOSIZIO· NE DEl MOTI Un corpo sollecitato contemporaneamente da due moti differenti si muove lungo larisultante: in ogni momento, il punto raggiunto dal corpo è quello in cui esso si troverebbe, se i due moti si fossero svolti uno dopo l'altro.

verifica

a

Conoscenza dei termini

Definisci: finalismo antropocentrico, autonomia della scienza, principio d'autorità, eliocentrismo, principio d'inerzia, principio di composizione dei moti, principio di relatività del moto.

bcomprensione di concetti e relazioni l In che modo le osservazioni di Galilei contribuirono a dimostrare l'erroneità del modello astronomico aristotelico-tolemaico? 2 Quale critica Galilei fece valere contro il ricorso al principio di autorità da parte degli aristotelici?

3 Con quali argomenti Galilei si oppose ai teologi, che si basavano su un'interpretazione letterale della Bibbia? 4 Discuti la seguente affermazione: «Per Galilei esistono due verità, una rivelata da Dio, l'altra ricercata e trovata dalla scienza». È corretta o no? Perché? 5 Presenta una delle obiezioni fisiche contro il movimento della Terra e riporta le contro-obiezioni di Galilei. Su quali principi si fonda la risposta galileiana?

2. I: età della scienza e dello stato assoluto

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Lezione Testo

. . . . . ritica dell'antropocentrismo Il Galilei Dialogo sopra i due massimi sistemi

1

.1632 • dialogo

Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo ha la forma di una discussione sui sistemi astronomici di Tolomeo e di Copernico, che si svolge fra tre interlocutori: l'aristotelico Simplicio, professore padovano, sostenitore del modello geocentrico; Salviati, accademico fiorentino dei Lincei, che presenta e argomenta criticamente le posizioni copernicane di Galilei; Sagredo, aristocratico veneto, cultore dilettante della nuova scienza, che sostiene con entusiasmo l'eliocentrismo. Il testo seguente è tratto dalla terza giornata nel Dialogo, in cui è in discussione il movimento orbitale della Terra intorno al Sole. Il confronto tra modelli astronomici diversi si traduce qui in un contrasto di visioni del mondo e dell'uomo. Simplicio difende la posizione centrale della Terra nel cosmo e riafferma il ruolo privilegiato dell'uomo nell'ordine del creato, secondo una visione condivisa non solo dalla tradizione scolastica, ma anche daii'Umanesimo. Dalla difesa dell'eliocentrismo, Salvi ati e Sagredo prendono spunto per confutare radicalmente l'antropocentrismo.

SIMPLICIO - Questi discorsi camminan tutti benissimo, e non si nega che 'l cielo non possa superare di grandezza la nostra immaginazione, come an co l'aver potuto Dio crearlo mille volte maggiore di quello che è: ma non deviamo ammettere, nessuna cosa esser stata creata in vano ed esser oziosa nell'universo; ora, mentre che noi veggiamo questo bell'ordine di pianeti, disposti intorno alla Terra in distanze proporzionate al produrre sopra di quella suoi effetti per benefizio nostro, a che fine interpor di poi tra l'or be supremo di Saturno e la sfera stellata uno spazio vastissimo senza stella alcuna, superfluo e vano? a che fine? per comodo ed utile di chi? SALVIATI -Troppo mi par che ci arroghiamo, signor Simplicio, mentre vogliamo che la sola cura di noi sia l'opera adeguata ed il termine oltre al quale la divina sapienza e potenza niuna altra cosa faccia o disponga: ma io non vorrei che noi abbreviassimo tanto la sua mano, ma ci contentassimo di esser certi che Iddio e la natura talmente si occupa al governo delle cose umane, che più applicar non ci si potrebbe quando altra cura non avesse che la sola del genere umano; il che mi pare con un accomodatissimo e nobilissimo esempio poter dichiarare, preso dall'operazione del lume del Sole, il quale mentre attrae quei vapori o riscalda quella pianta, gli attrae e la riscalda in modo, come se altro non avesse che fare; anzi nel maturar quel grappolo d'uva, anzi pur quel granello solo, vi si applica che più efficacemente applicar non vi si potrebbe quando il termine di tutti i suoi affari fusse la sola maturazione di quel grano. Ora, se questo grano riceve dal Sole tutto quello che ricever si può, né gli viene usurpato un minimo che dal produrre il Sole nell'istesso tempo mille e mill'altri effetti, d'invidia o di stoltizia sarebbe da incolpar quel grano, quando e' credesse o chiedesse che nel suo pro solamente si impiegasse l'azione de' raggi solari. [... ] Quando mi vien che sarebbe inutile e vano un immenso spazio intraposto tra gli orbi de i pianeti e la sfera stellata dico che è temerità voler far il debolissimo discor-

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1 Co p emico e Galilei postulano che vi sia un enOl'me spazio vuoto tra le orbite dei pianeti (tra cui la Terra) e la sfera delle stelle fisse («sfera stellata»). Ammettere tale spazio è indispensabile per rendere l'eliocentrismo compatibile con le osservazioni. Come se la Terra fosse ferma, noi non osserviamo apprezzabili cambiamenti della nostra posizione rispetto alle stelle fisse. Ma anche se la Terra si muovesse, lo spostamento dovuto al moto orbitale sarebbe irrilevante e non verrebbe percepito da chi osserva le stelle dalla Terra, se l'orbita della Terra fosse piccolissima, allimite un punto, rispetto alle dimensioni della «sfera stellata». Per difendere l'immobilità della Terra, Simplicio contesta qui l'ipotesi di un grande spazio vuoto tra orbite dei pianeti e sfera delle stelle fisse. Esso sarebbe «superfluo e vano», ossia del tutto inutile all'uomo; e questo è incompatibile con uno dei principi basilari dell' aristotelismo scolastico: quello secondo il quale «la natura non fa nulla invano» (nihil natura frustra foci t).

so delle opere di Dio, e chiamar vano o superfluo tutto quello dell'universo che non serve per noi. SAGREDO- Dite pure, e credo che direte meglio, che noi non sappiamo che serva per noi: ed io stimo una delle maggiori arroganze, anzi pazzie, che introdur si possano, il dire «Perch'io non so a quel che mi serva Giove o Saturno, adunque questi san superflui, anzi non sono in natura»; mentre che, oh stoltissimo uomo, io non so né anca a quel che mi servano le arterie, le cartilagini, la milza o il fele, anzi né saprei d'avere il fele, la milza o i reni, se in molti cadaveri tagliati non mi fussero stati mostrati, ed allora solamente potrei intender quello che operi in me la milza, quando ella mi fusse levata. Per intender quali cose operi in me questo o quel corpo celeste (già che tu vuoi che ogni loro operazione sia indirizzata a noi), bisognerebbe per qualche tempo rimuover quel tal corpo, e quell'effetto, ch'io sentissi mancare in me, dire che dependeva da quella stella. Di più, chi vorrà dire che lo spazio che costoro chiamano troppo vasto ed inutile, tra Saturno e le stelle fisse, sia privo d'altri corpi mondani? forse perché non gli vediamo? adunque i quattro pianeti Medicei e i compagni di Saturno vennero in cielo quando noi cominciammo a vedergli, e non prima? e così le altre innumerabili stelle fisse non vi erano avanti che gli uomini le vedessero? le nebulose erano prima solamente piazzette albicanti ma poi noi co 'l telescopio l'aviamo fatte diventare drappelli di molte stelle lucide e bellissime? anzi temeraria, ignoranza de gli uomini!

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l.UJ.CU-V"'"'

Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, Giornata terza, a cura di L. Sosio, Einaudi, Torino 1970

3 A rafforzare la cdtica di Salviati interviene Sagredo. I.: uomo- egli fa notare- non è in grado neppure di stabilire con certezza che cosa gli sia utile e che cosa non lo sia. A sostegno di questa tesi, Sagredo introduce un'analogia tra supposte "operazioni" dei pianeti sull'uomo e funzioni di organi. Se non ci fosse stata mostrata dagli anatomisti, noi ignoreremmo perfino l'esistenza di molti organi del nostro corpo. Quanto alla loro funzione nel nostro organismo, potremmo davvero conoscerla soltanto quando quegli organi ci fossero asportati. Analogamente, sarebbe necessario "rimuovere" per un certo periodo quel corpo celeste e osservare quali supposte conseguenze o effetti su di noi vengano a mancare. La parte conclusiva dell'intervento di Sagredo mira a confutare la tesi di Simplicio, negando che lo spazio tra orbite dei pianeti e sfera delle stelle fisse, che ci sembra vuoto, lo sia davvero. Sagredo fa infatti osservare come- fino alle scoperte effettuate da Galilei con il cannocchiale- molti luoghi del cielo apparissero vuoti. Ora, però, li sappiamo popolati da corpi celesti: i «pianeti Medicei», gli anelli («compagni») di Saturno e le schiere («drappelli») di stelle di cui constano le nebulose, prima ritenute erroneamente semplici zone più chiare («piazzette albicanti») del cielo.

2 Salviati risponde come segue. l. Sarebbe arroganza pretendere che la sola preoccupazione per le vicende umane sia un impegno tale da esaurire la sapienza e la potenza divine. 2. Non dobbiamo porre limiti alla potenza divina («la sua mano»); dovrebbe appagarci la certezza che Dio e la natura si occupano degli uomini con cura tale, che non potrebbe esser più solle-

cita neppure se il bene dell'uomo fosse la loro unica preoccupazione. 3. Per chiarire, Salviati propone un esempio d'ispirazione evangelica. Il rapporto tra provvidenza divina e bene dell'uomo è come quello tra l'azione dei raggi solari e la maturazione di un chicco d'uva. Nei confronti del frutto, l' azione del sole è pienamente efficace, come se l'unico fine dell'astro fosse di portare

a maturazione quel particolare chicco d'uva e non producesse con i suoi raggi mille altri effetti. E tuttavia sarebbe da giudicare ben stolto quel chicco d'uva, se pretendesse che l'azione dei raggi solari si rivolgesse esclusivamente a lui. 4. Conclusione critica nei confronti del finalismo antropocentrico: sarebbe temerario chiamare vano e superfluo tutto ciò che non ci serve.

laboratorio

a

Analisi del testo l In che cosa consiste l'arroganza che Salviati

rimprovera a Simplicio? Che cosa si intende per finalismo antropocentrico? 2 Qual è la tesi esposta da Salviati-Galilei riguardo la capacità umana di conoscere l'opera di Dio? 3 Qual è il significato dell'analogia proposta da Sagredo tra corpi celesti e organi corporei?

4 Quali scoperte galileiane vengono richiamate alla fine del testo? Qual è la funzione del richiamo, nell'argomentazione?

b

Riflessione l Quale rapporto sussiste tra difesa dell'eliocentrismo

e critica dell'antropocentrismo? 2. I: età della scienza e dello stato assoluto

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Lezione Profilo

II metodo: matematica ed esperienza Temi *Il metodo scientifico galileiano: modelli matematici e realtà fisica* La struttura geometrico-matematica della natura *Matematica umana e matematica divina * L'approssimazione

Concettì-chitJVe esperienza/osservazione sistematica, matematizzazione, spiegazione/legge matematica, ipotesijverifica, esperienza/esperimento, "esperimento mentale", proprietà geometrico-meccaniche e qualità sensibili

1. Leggere il Confronti Anche ilnaturalismo rinasdmcntale, con Telesio e Campanella, fa appello all'esperienza. Ma in Galilei, accanto all'esperienza, gioca un ruolo importante la matematica.

Un altro grande apporto di Galilei alla scienza moderna è la definizione di un nuovo metodo di ricerca, nel quale cooperano strettamente l'esperienza sensibile e la matematica. Il filosofo deve accostarsi alla realtà naturale, per osservarla direttamente. La stessa natura deve sostituire i libri di carta su cui si affaticano gli aristotelici: questo è il significato della celebre metafora del «libro dell'universo», «che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi». t esperienza che interessa a Galilei è l'esperienza scientifica. Questa non consiste nel rapporto spontaneo e immediato attraverso il quale i nostri sensi percepiscono normalmente la realtà. Essa è osservazione sistematica della natura, anche con l'aiuto di strumenti. tuso di strumenti, come il cannocchiale, comporta uno straordinario potenziamento della capacità dell'uomo di osservare. Ne risultano dilatati i confini del mondo visibile e il mondo dell'esperienza sensibile comprende ormai anche il cielo: attraverso l'uso del cannocchiale, i corpi celesti divengono oggetti fisici. tunificazione del mondo terrestre e di quello celeste è dunque possibile anche in virtù dell'uso del cannocchiale.

CITAZION l Galilei Il libro dell'universo Il seguente testo è uno dei più noti di Galilei, che vi espone in sintesi gli elementi fondamentali del proprio metodo e della propria concezione della realtà naturale: a. rifiuto del principio d'autorità (e dell'idea che per filosofare si debba sempre appoggiarsi a qualche autore antico); b. esperienza diretta della natura (la filosofia non è opera di fantasia ma richiede l'osservazione della realtà); c. struttura matematica della realtà fisica (il libro dell'universo è scritto in caratteri matematici).

Parmi, oltre a ciò, di scorgere nel Sarsi [l'avversario contro cui si rivolge il Saggiatore] la ferma credenza, che nel filosofare sia necessario appoggiarsi all'opinioni di qualche celebre autore, sì che la mente nostra, quando non si maritas132

se col discorso d'un altro, ne dovesse in tutto rimanere sterile ed infeconda,· e forse stima che la filosofia sia un libro e una fantasia d'un uomo, come /1liade e l'Orlando Furioso, libri ne' quali la meno importante cosa è che quello che vi è scritto sia vero. Sig. Sarsi, la cosa non istà così. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri so n triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente paro!~,· senza questi è un aggirarsi vanam~n·t·e•.· per un oscuro labermto. ' J,J, Il Saggiatorec . .1

j 2. La matematizzazione delfesperienza Il filosofo pisano è consapevole del fatto che i sensi possono ingannarsi, soprattutto nella percezione di fenomeni nuovi, e che i risultati delle osservazioni si prestano a differenti interpretazioni. Per questo, nell'ambito dell'indagine scientifica, è indispensabile che l'esperienza sia sottoposta al controllo critico della ragione. Proprio alla ragione spetta di accertare l'affidabilità delle osservazioni compiute e di ordinarie in forma rigorosa. Per Galilei il mezzo privilegiato (anche se non esclusivo) attraverso cui la ragione "filtrà' il materiale osservativo, rendendolo rigoroso, è la matematica: per divenire esperienza scientifica, l' esperienza sensibile deve essere matematizzata. Come avviene la matematizzazione dell'esperienza? Lo scienziato seleziona solo alcuni aspetti della realtà che vuole studiare, focalizzando l'attenzione su quelli quantificabili (cioè traducibili in quantità, numero). Così, nella caduta dei gravi, vengono studiati solo il tempo di caduta e lo spazio percorso (e non per esempio il colore del corpo che cade). I dati quantificabili vengono misurati, con appositi strumenti o dispositivi: tanto spazio, tanto tempo ecc. Un'altra forma di matematizzazione consiste nell'evidenziare le proprietà geometriche di un fenomeno naturale: nello studio del moto dei proiettili, per esempio, si considera solo la forma geometrica della traiettoria seguita (proprio Galilei ha stabilito che la traiettoria dei proiettili ha la forma di una semiparabola). L:immagine a fianco, in alto, riproduce una pagina degli studi di Galilei, in cui viene presentata la descrizione matematica (geometrica) del moto dei proiettili: i proiettili descrivono costantemente una traiettoria semiparabolica, come si può osservare meglio grazie a un dispositivo (a destra) che permette di riprodurre gli esperimenti di Galilei sul moto parabolico.

Confronti Anche Bacone afferma l'esigenza di una rigorizzazione dell'esperienza, che però viene soddisfatta attraverso la classificazione dei dati osservati nelle "tavole" e non con la matematizzazione.

lçiTAZIONI Galilei La traiettoria dei proiettili ~~,;-

In questo brano Galilei presenta la legge del moto dei proiettili, elaborata attraverso un "esperimento mentale".

Immagino un corpo in movimento, proiettato su di un piano orizzontale, ed escludo ogni tipo di attrito. [... ] Il moto del corpo sarebbe uniforme e perpetuo, se il piano si estendesse all'infinito; se invece concepiamo il piano come avente estensione finita e collocato in posizione elevata, il corpo in movimento, che suppongo dotato di gravità, giunto al termi-

ne del piano, procedendo ulteriormente, sommerà al precedente moto uniforme, che dura indelebilmente, un moto verso il basso, determinato dal suo peso: ne risulterà un moto - che chiamo proiezione- composto dal moto orizzontale uniforme e dal moto naturalmente accelerato verso il basso. [... ] Il proiettile, mentre si muove di moto composto dal moto uniforme orizzontale e dal moto naturalmente accelerato verso il basso, descrive una linea semiparabolica. \:~ ', Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove sciehie , 2. l: età della scienza e dello stato assoluto

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Confronti Per l'aristotelismo, scienza è conoscenza delle cause, tra le quali in primo luogo l'essenza (forma). In Bacone coesistono le due concezioni: "forma" significa sia "essenza", sia "legge".

Il teologo Osiander e il cardinale Bellarmino usavano il termine "ipotesi" per designare congetture e modelli matematici privi di valore nsico. Per Galilei, l'ipotesi è una legge fisica, prima di essere verificata sperimentalmente.

3. Il concetto di spiegazione in Galilei Dei fenomeni osservati, e tradotti in forma matematica, la scienza mira a proporre una spiegazione teorica. Per Galilei, "spiegare" significa stabilire la legge (legge naturale) secondo la quale i fenomeni si producono. Si tratta di una grossa novità rispetto alla concezione tradizionale: infatti, la spiegazione - per Galilei e per gli scienziati moderni - non mira tanto ad afferrare le cause profonde di un fenomeno naturale, la loro "essenza", quanto piuttosto a descrivere matematicamente il modo in cui esso costantemente si verifica. La legge - espressa in forma matematica - è pensata come valida universalmente e per tutti i fenomeni dello stesso tipo: oltre a spiegare i fenomeni già osservati, la legge permette dunque di prevedere lo svolgersi futuro di eventi naturali dello stesso tipo (in ragione del principio di regolarità e uniformità della natura, accolto da Galilei come un presupposto indispensabile della ricerca scientifica). Consideriamo la legge di caduta dei gravi (o del moto naturalmente accelerato), messa a punto da Galilei negli anni dell'insegnamento a Padova. Essa spiega certo i particolari casi di caduta osservati dallo scienziato pisano; in quanto legge, però, essa regola tutti i fenomeni: la formula matematica in cui essa è sintetizzata ci permette di sapere come (cioè, con quale accelerazione) cadono tutti i corpi. Le leggi valgono dapprima soltanto come ipotesi, che richiedono di essere verificate sperimentalmente~-

4. La verifica sperimentale Se l'osservazione empirica ci permetterà di accertare che il fenomeno avviene precisamente nei termini previsti dalla legge, quest'ultima ne risulterà verificata. I.:esperienza non rappresenta dunque soltanto il punto di partenza dell'indagine, che ci fornisce i dati da spiegare mediante la legge, ma anche la sua conclusione, con la verifica della legge stessa. In molti casi, per verificare le ipotesi non basterà limitarsi a osservare attentamente la natura, ma si renderà necessario interrogarla attivamente, usando stmmenti adatti e mettendo in atto opportuni procedimenti. I tre momenti del metodo galileiano osservazione sistematica [l matematizzazione dei dati osservati: - quantifìcazione, misura •- selezione aspetti geometrico/meccanici ll

l. momento osservativo

2. momento teorico/ esplicativo

formulazione per ipotesi di una legge • matematica: la legge "spiega' i dati osservati, .ì indicando come si svolge costantemente il fenomeno studiato • ~"! controllo/vel'ifica empirica delle

3. verifica sperimentale

1\\r\

ii

134

previsioni . fatte in base alla teoria/legge formulata E'l costruzione di esperimenti, ossia di occasioni di interrogazione attiva della natura, per mezzo di strumenti ~J "esperimenti mentali", cioè immaginati

Consideriamo infatti il modo in cui Galilei procede riguardo alla legge di caduta dei gravi (o del moto uniformemente accelerato). Egli ipotizza che, a partire dalla quiete, un corpo in caduta in tempi uguali acquista identici incrementi di velocità. r..:accelerazione è dunque proporzionale al tempo: quanto più a lungo un corpo cade, tanto più la sua velocità aumenta. Ammessa in via d'ipotesi questa legge, è possibile stabilire i luoghi in cui, in ogni successivo momento, verrà a trovarsi il corpo che cade. Perché la legge sia verificata, è necessario che il corpo in caduta si trovi precisamente nei luoghi e negli istanti da essa previsti. Ma la caduta si svolge molto rapidamente ed è impossibile controllare la posizione del corpo in caduta e verificare la legge con la semplice osservazione del fenomeno, a meno che, con gli strumenti di cui siamo in possesso noi oggi, non si facciano una serie di fotografie successive a intervalli di tempo regolari a una sferetta in caduta libera, dimostrando in questo modo che la sferetta ha un'accelerazione costante (come nell'immagine a fianco). Galilei non disponeva della macchina fotografica; dunque decise di ricorrere al piano inclinato. Si tratta di "costringere" la caduta a svolgersi nelle condizioni più favorevoli all'osservatore. Galilei ottiene tali migliori condizioni approntando in laboratorio un apposito dispositivo, il piano inclinato: il grave - una sfera di metallo non è lasciata cadere liberamente, ma viene costretta a scendere lungo una superficie inclinata. Il movimento verso il basso è più lento e conseguentemente più facile da controllare: è dunque possibile verificare la legge del moto accelerato. :C esperienza si configura in questo caso come la realizzazione di un vero e proprio esperimento. Per questo, il procedimento scientifico messo a punto da Galilei può a buon diritto essere definito sperimentale; o, meglio, matematico-sperimentale, a causa del ruolo che la matematica vi svolge. Nell'immagine in alto, Galilei (la figura rappresentata più alta, a destra) illustra il suo esperimento sulla caduta dei gravi ai suoi seguaci ma anche ai suoi oppositori (a sinistra).

5. Matematica e fisica, la sfera e il piano r.; applicazione della matematica nella ricerca naturalisti ca rappresenta un indubbio vantaggio per la fisica, che può utilizzare il linguaggio e i procedimenti rigorosi, propri della geometria e dell'aritmetica. Tale applicazione comporta tuttavia anche dei problemi, sui cui insistevano gli aristotelici, contrari alla matematizzazione della fisica. 2. I.: età della scienza e dello stato assoluto

135

Confrontiamo la posizione degli aristotelici e la risposta di Galilei: Aristotelici . [J Ogni scienza ha principi e metodi propri, non appli-

Galilei

. cabili ad altri ambiti. Ogni scienza studia un solo ; genere di enti: la matematica, gli enti "astratti" (numeri, figure geometriche); la fisica, gli enti naturali.

[{il Il grande libro dell'universo «è scritto in lingua materna. tica, e i suoi caratteri sono triangoli, cerchi» ecc. I.:applicazione della matematica alla fisica è giustificata perché è matematica la struttura del mondo naturale .

. El Le scienze matematiche studiano numeri e figure geo-

; ~'A La matematica umana è molto limitata: conosciamo

metriche perfette. Ma gli enti fisici, concreti, sono sempre "imperfetti" e presentano irregolarità. Per esempio, la proposizione «una sfera tocca un piano in un solo pun. to» è vera nel mondo ideale della geometria, ma non nel · mondo reale della fisica.

solo alcune figure geometriche e alcune delle loro proprietà. Per tradurre in linguaggio geometrico-matematico la straordinaria varietà degli enti e dei fenomeni naturali, lo scienziato dovrebbe conoscere la matematica "infinita" di Dio: essa è alla base della struttura geometrica del mondo e delle leggi matematiche che governano la natura. In assenza di essa, lo scienziato deve procedere per approssimazione.

6. Approssimazione e calcolo delle interferenze Secondo Galilei, sono i limiti della matematica umana a rendere difficile la trattazione matematica della realtà naturale. Ciò non significa che l'uomo non possa conseguire una conoscenza stabile e verace del mondo. A questo fine, Galilei propone di operare in due direzioni differenti, tra loro complementari: l. progredire nella conoscenza matematica, per essere cosl in grado di produrre descrizioni matematiche il più possibile vicine e approssimate all'effettiva configurazione geometrica dei fenomeni fisici studiati (prescindendo dalle discrepanze ininfluenti: possiamo tranquillamente considerare parallele due torri vicine, anche se sappiamo che in realtà esse convergono alla base, essendo la Terra rotonda, come evidenzia il disegno); 2. prescindere da fattori di disturbo e interferenze (quali per esempio nel movimento dei proiettili l'attrito dell'aria e le spinte di eventuali venti laterali): tali fattori sono difficilissimi da calcolare; se tenuti presenti, essi impedirebbero- o renderebbero complicatissima -la descrizione geometrico-matematica del fenomeno studiato. La teoria deve quindi fare astrazione da essi e non tenerne conto, lasciando che sia l'esperienza a suggerire gli aggiustamenti tecnici più efficaci. Nel caso della legge sul moto dei proiettili, si dovrà per esempio pensare a proiettili molto aerodinamici, che riducano l'impatto dell'aria sul loro moto.

'\~ITAZIONI Galilei Legge matematica e interferenze Nel seguente testo Galilei interviene sulle divergenze tra legge sul moto dei proi~ttili e traiettoria effettiva del proiettile, causate dalle interferenze del "mezzo" (l'aria) in cui il proiettile si muove.

Quanto poi al perturbamento procedente dall'impedimento del mezzo, questo è più considerabile, e, per la sua tanto moltiplice varietà, incapace di poter sotto regole firme esser compreso e datone scienza [non analizzabile matematicamente («sotto regole ferme» e quindi non conoscibile scientificamente],· atteso che, se noi metteremo in considera136

zione il solo impedimento che arreca l'aria a i moti considerati da noi, questo si troverà perturbargli tutti, e perturbargli in modi infinitt~ secondo che in infiniti modi si variano le figure, le gravità e le velocità de i mobili. [... ]De i quali accidenti di gravità, di velocità, ed anco di figura, come variabili in modi infiniti, non si può dar firma scienza: e però, per poter scientificamente trattar cotal materia, bisogna astrar da essi, e ritrovate e dimostrate le conclusioni astratte da gl'impedimenti, servircene, nel praticarle, con quelle limitazioni che l'esperienza ci verrà insegnando•.

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Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove sciei).iel

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Galilei • FO~US

Qualità sensibili e geometrico-meccaniche

All'idea che la realtà fisica abbia una struttura matematica si lega la distinzione tra proprietà "primarie" e qualità "secondarie" o sensibili (odori, colori, sapori), operata da Galilei nel Saggiatore. Le prime sono le proprietà geometrico-meccaniche, di una sostanza fisica: figura, grandezza, posizione nel tempo e nello spazio, movimento. Le proprietà primarie costituiscono la struttura effettiva, reale di una sostanza fisica. Secondo Galilei, il colore, il sapore o l'odore, cioè le qualità sensibili (o "secondarie"), non sono invece proprietà

della sostanza, ma sono prodotte in noi dall'incontro tra le proprietà primarie della sostanza e quelle dei nostri organi di senso. Il solletico, come osserva Galilei, non appartiene alla conformazione della piuma, ma è conseguenza del contatto della piuma con la nostra pelle (organo del tatto); cosl il calore non appartiene al fuoco come esso è in sé, ma è provocato in noi dalla penetrazione nei nostri tessuti dei corpuscoli in movimento di cui il fuoco è costituito (proprietà primarie).

7. Astrazione ed ttesperimenti mentali" Alla necessità di superare discrepanze e interferenze, si ricollega in Galilei il frequente ricorso ai cosiddetti "esperimenti mentali": il fenomeno non viene studiato nel suo concreto svolgimento, ma concepito «con gli occhi della mente» e immaginato, prescindendo dunque dalle interferenze e dalle discrepanze legate al particolare contesto terrestre. Nello studio della caduta dei gravi e del moto dei proiettili, per prescindere dagli attriti e dalle interferenze indotte dalla densità dell'aria, immaginiamo che quei fenomeni si svolgano non nelle concrete condizioni terrestri ma nel vuoto, cioè in un mondo "ideale" (almeno al tempo di Galilei, perché in seguito- quando divennero disponibili le camere del vuoto - gli scienziati poterono realizzare effettivamente alcuni loro esperimenti senza l'interferenza dell'aria).

verifica

aConoscenza dei termini

Definisci: esperienza/osservazione sistematica, matematizzazione, spiegazionejlegge matematica, ipotesijverifica, esperienza/esperimento, proprietà geometrico-meccaniche e qualità sensibili.

bcomprensione di concetti e relazioni l Che cosa intende Galilei per esperienza scientifica? 2 Qual è il significato del richiamo ad Aristotele contro

gli aristotelici? 3 Qual è la differenza tra Galilei e Bacone per quanto riguarda la "rigorizzazione dell'esperienza"?

4 Come concepisce Galilei le leggi di natura? In che senso egli parla di "spiegazione"? 5 Che cosa significa che in molti casi per verificare un'ipotesi teoricajlegge è necessario interrogare attivamente la natura e non basta osservarla? 6 Come risponde Galilei all'obiezione per cui i corpi naturali non presentano proprietà geometriche perfette e dunque non ha senso una fisica matematica? 7 Qual è il significato della distinzione galileiana tra matematica "umana" e "divina"? 8 Come procede Galilei in caso di discrepanza tra legge o modello matematico e realtà fìsica? 2. ~età della scienza e dello stato assoluto

137

Lezione Testo

II gran naviglio Il Galilei Dialogo sopra i due massimi sistemi

.1632

l•

dialogo

Nel testo- tratto dalla seconda giornata del Dialogo- Galilei discute del moto diurno della Terra intorno al proprio asse (da cui dipende l'alternarsi del giorno e della notte). L'esperienza del "gran naviglio", qui esposta, rappresenta un classico ed efficacissimo argomento contro le obiezioni rivolte alla rotazione della Terra dal punto di vista della fisica aristotelica. Nell'elaborazione dell'argomento è decisiva l'applicazione dei principi d'inerzia, di composizione dei movimenti e di relatività del moto. Galilei riprende qui e rielabora un analogo passaggio della Cena delle ceneri di Giordano Bruno (senza owiamente citarlo, essendo stato il Nolano condannato e bruciato sul rogo per eresia).

-E qui, per ultimo sigillo della nullità di tutte le esperienze addotte mi par tempo e luogo di mostrar il modo di sperimentarle tutte facilissimamente. Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi an co un gran vaso d'acqua, e dentrovi de' pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchi ello, che a goccia a goccia vadia versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi, gettando all'amico alcuna cosa, non più gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze siena eguali; e saltando voi, come si dice, a piè giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, [... ] fate muover la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma: O voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazii che prima, né, perché la nave si muova velocissimamente, farete maggior salti verso la poppa che verso la prua benché, nel tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorra verso la parte contraria al vostro salto; e gettando alcuna cosa al compagno, non con più forza bisognerà tirarla, per arrivarlo, se egli sarà verso la prua e voi verso poppa, che se voi fuste situati per l'apposito; le gocciole cadranno come prima nel vaso inferiore, senza caderne per una verso poppa, benché, mentre la gocciola è per aria, la nave scorra molti palmi; i pesci nella lor acqua non con più fatica noteranno verso la precedente che verso la sussequente parte del vaso, ma con pari agevolezza verranno al cibo posto su qualsivoglia luogo dell'orlo del vaso; e finalmente le farfalle e le mosche continueranno i lor voli indifferentemente verso tutte le SALVIATI

138

1 Per saggial'e l'effettiva validità («spel'imentarle») delle obiezioni degli anticopernicani («espedenze addotte») e confutade, Galilei (Salviati) stabilisce un'analogia tra le condizioni esistenti sulla superficie terrestre e quelle che si verificano su una nave. Egli immagina dapprima che l' esperimento si svolga sottocoperta di una grande nave («navilio»). Osservando i movimenti che si verificano sotto coperta - di persone, insetti, pesci in vasca, oggetti - è impossibile decidere se la nave sia ferma o si muova, purché il suo movimento mantenga velocità uniforme e non subisca deviazioni rispetto alla direzione di marcia. Infatti tutti i movimenti continuano a svolgersi mentre la nave si muove, esattamente come quando la nave è immobile. Analogamente, tutti i movimenti che si verificano sulla Terra, continuerebbero a svolgersi senza alcuna variazione, anche supposto il moto di rotazione terrestre. Ciò perché, per il principio d'inerzia e di composizione dei movimenti, anche quando la nave o la superficie terrestre si muovono, il loro movimento si comunica a tutti gli oggetti che vi si trovano e si conserva, sommandosi (componendosi) con il movimento o la quiete di tutti, in modo identico, senza determinare variazioni nel comportamento degli uni relativamente agli altri.

parti, né mai accaderà che si riduchino verso la parte che riguarda la poppa, quasi che fussero stracche in tener dietro al veloce corso della nave, dalla quale per lungo tempo, trattenendosi per aria, saranno state separate; e se abbruciando alcuna lagrima d'incenso si farà un poco di fumo, vedrassi ascender in alto ed a guisa di nugoletta trattenervisi, e indifferentemente muoversi non più verso questa che quella parte. E di tutta questa corrispondenza d'effetti ne è cagione l'esser il moto della nave comune a tutte le cose contenute in essa ed all'aria ancora, che per ciò dissi io che si stesse sotto coverta [... ]. Quando si stesse di sopra e nell'aria aperta e non seguace del corso della nave, differenze più e men notabili si vedrebbero in alcuni de gli effetti nominati: e non è dubbio che il fumo resterebbe in dietro, quanto l'aria stessa; le mosche parimente e le farfalle, impedite dall'aria, non potrebber seguire il moto della nave, quando da essa per spazio assai notabile si separassero; ma trattenendovisi vicine, perché la nave stessa, come di fabbrica anfrattuosa, porta seco parte dell'aria sua prossima, senza intoppo o fatica seguirebbon la nave, e per simil cagione veggiamo talvolta, nel correr la posta, le mosche importune e i tafani seguir i cavalli, volandogli ora in questa ed ora in quella parte del corpo; ma nelle gocciole cadenti pochissima sarebbe la differenza, e ne i salti e ne i proietti gravi, del tutto impercettibile. SAGREDO - Queste osservazioni, ancorché navigando non mi sia caduto in mente di farle a posta, tuttavia son più che sicuro che succederanno nella maniera raccontata: in confermazione di che mi ricordo essermi cento volte trovato, essendo nella mia camera, a domandar se la nave camminava o stava ferma, e tal volta, essendo sopra fantasia, ho creduto che ella andasse per un verso, mentre il moto era al contrario. Per tanto io sin qui resto sodisfatto e capacissimo della nullità del valore di tutte l'esperienze prodotte in provar più la parte negativa che l' affìrmativa della conversion della Terra. E)

e

G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, Giornata seconda, cit.

Sul ponte, ossia all'esterno, è possibile invece osservare alcune differenze tra quanto avviene mentre la nave si muove e ciò che si verifica quando essa sta ferma. Questo perché l'aria circostante non è solidale («seguace») con la nave. Una differenza si noterebbe nel comportamento del fumo, leggerissimo e sensibile alla resistenza dell'aria. La differenza sarebbe modesta nel caso delle gocce cadenti. Sarebbe invece impercettibile nel caso dei salti di persone e della traiettoria di corpi pesanti, lanciati nelle diverse direzioni. In questi casi, infatti, la resistenza opposta dall'aria al moto inerziale assume minor rilievo, a causa della ridotta superficie dei corpi, in rapporto al peso. Anche per i movimenti di corpi leggeri, tuttavia, la differenza si noterebbe solo per quelli che avvengono lontano dal «corpo» della nave, dove dunque l'aria non è trascinata da essa, come avviene invece vicino a essa, per via degli «anfratti». Quanto all'analogia con la Terra, Galilei immagina che l'atmosfera sia solidale con la Terra: l'aria sarebbe per così dire "artigliata' dalle montagne e conseguentemente trascinata in movimento dalla superficie della Terra. Benché non manchi nella pagina diGalilei il rinvio a una serie ricchissima di fatti sperimentabili, il testo non propone la descrizione di un'esperienza solo immaginata.

3

La metafora del gran naviglio implica che facciamo astrazione da molti aspetti che si presenterebbero alla nostm osservazione, se facessimo la concreta esperienza di un viaggio per nave, e presuppone che la mente si raffiguri invece un contesto in cui tutti questi elementi vengano sostituiti da condizioni ideali (per ciò si parla, in casi come questo, di esperimento "ideale" o "mentale").

laboratorio

a

Analisi del testo l Che cosa si propone Galilei con !'«esperienza» della nave? 2 Su quali principi Galilei basa l'analogia tra il moto della nave e il moto diurno della Terra? 3 Quali sono le differenze tra i fenomeni osservati all'interno della nave e quelli rilevati sul ponte?

4 Spiega perché l'esperimento di fronte al quale ci troviamo è in gran parte "mentale".

b

Riflessione l Fai anche tu un esperimento mentale. Immagina di essere all'interno di un vagone ferroviario lanciato a velocità uniforme su un tratto rettilineo. l movimenti che vi si svolgono si svolgerebbero nello stesso modo anche se il treno fosse fermo?

----------------------'

-~-------·---~--------------~-

2. L: età della scienza e dello stato assoluto

13 9

a foto ci mostra la Terra vista dallo spazio. Fino a pochi decenni fa, foto di questo genere non esistevano. Sono divenute possibili grazie ai lanci di satelliti nello spazio extraterrestre, cominciati alla fine degli anni cinquanta del XX secolo. Se non erano possibili foto di questo tipo, tuttavia, già nell'epoca che stiamo studiando i filosofi copernicani avevano immaginato la Terra muoversi nello spazio come un astro. Ma essi erano solo in grado di mostrare che la spiegazione copernicana è possibile, non di offre una verifica di essa. Su che base si dissero copernicani? Le «sensate esperienze» sono per Galilei e Bacone una fonte irrinunciabile della conoscenza scientifica. Sia l'uno, sia l'altro filosofo, tuttavia, sono consapevoli che affidarsi ai sensi non basta, e che anzi un uso ingenuo di essi può trarre in inganno intorno alla natura effettiva delle cose. Entrambi, elaborano complessi procedimenti razionali al fine di render rigorosa l'esperienza: rispettivamente, le tabulae e la matematizzazione. È in Galilei, tuttavia, che il problema del ruolo dell'esperienza sensibile nella scienza si presenta nei termini più chiari. Per Galilei, come sappiamo, la formulazione di una teoria scientifica richiede che i dati sensibili siano resi più trasparenti e controllabili, attraverso la loro traduzione in termini matematici. Ma talvolta l'elaborazione di una teoria impone che l'esperienza sensibile venga accantonata, e che la verifica "sperimentale" si risolva in un "esperimento mentale". Addirittura, in qualche caso - e perfino in quello più importante, la tesi copernicana del movimento della Terra - la dimostrazione della teoria implica che l'esperienza sensibile venga negata, come Galilei dice in un passo molto famoso del Dialogo sopra i due massimi sistemi. Nel testo di Galilei l'intelletto viene- quasi platonicamente- contrapposto ai sensi, la ragione alle sensate esperienze: il merito dei sostenitori dell'eliocentrismo viene indicato nell'aver saputo "far violenza'' ai sensi sulla base del ragionamento. In altro modo, mai essi avrebbero potuto scoprire la vera costituzione del sistema solare.

L

Sono affidabili i nostri sensi? Sulla base di questa pagina di Galilei, è possibile individuare due problemi, uno di ordine generale e uno specifico: il primo investe la portata conoscitiva dei nostri sensi; il secondo ci porta a riflettere criticamente sui fondamenti

del copernicanesimo. Nel breve testo seguente, Galilei afferma che Copernico e l'antico astronomo Aristarco, per convincersi della verità dell'eliocentrismo hanno dovuto far forza ai propri sensi e affidarsi alla ragione:

Il

I_Vc_o_i_v_i_m_e_r,_'flv_t_~_li-at_e_--d-ic_e_S_a_lv_i_a-ti---ch-e-co_s_ìp-oc_h_i_s_ia_n_o_s-eg_u_a_c_i-d-el-la-op-t-.n-io_n_d-e'_P_i-ta-~-or_i_ct-.-[i-n-te_n_d-i:

l'eliocentrismo]; ed io stupisco [invece] come si sia mai sin qui trovato alcuno che l'abbia abbracciata e segui-

ta, né posso abbastanza ammirare l'eminenza dell'ingegno di quelli che l'hanno ricevuta e stimata vera, e hanno con vivacità dell'intelletto loro fotto forza tale a propri sensi, che abbiano possuto antepor quello che il discorso gli dettava, a quello che le sensate esperienze gli mostravano apertissimamente in contrario [... ] non posso trovar termine all'ammirazion mia, come abbia possuto in Aristarco e nel Copernico far la ragione tanta violenza al senso, che contro a questo ella si sia fotta padrona della loro credulità. Tra Rinascimento e primo Seicento, la constatazione della crisi della filosofia tradizionale fu alla base di una ripresa dello scetticismo - per esempio ad opera di Montaigne che investiva le pretese conoscitive dell'uomo. In particolare - per ciò che qui ci interessa - Montaigne riportava all'attenzione della cultura europea gli argomenti scettici di Pirrone contro la fallacia dei sensi. Galilei, tuttavia, non mette in discussione i nostri sensi per giungere a conclusioni scettiche intorno alla loro portata conoscitiva, ma per negare che essi rappresentino - da soli - una garanzia inappellabile della verità di ciò che percepiamo. Egli ha soprattutto di mira l'atteggiamento nei confronti della conoscenza sensibile proprio degli aristotelici, al quale si ispira anche Simplicio nel Dialogo. Per

Simplicio, quanto attestano i sensi è indubbiamente vero, soprattutto se conferma la visione del mondo propria dell'aristotelismo. È tipico di questo atteggiamento il rifiuto che un professore aristotelico, Cremonini, collega di Galilei a Padova, opponeva all'uso del cannocchiale: i sensi non possono ingannarci, è il cannocchiale che ci inganna distorcendo la vista naturale delle cose! Per Galilei invece - e per tutti gli scienziati moderni - i dati sensibili pongono sempre un problema di interpretazione, soprattutto quando di essi si fa uso nell'ambito della ricerca scie n tifi ca. Ciò è particolarmente evidente nel caso dell'uso dell' esperienza sensibile in rapporto alla conferma o alla confutazione del movimento della Terra.

Nel seguente testo, tratto da una recente introduzione alla filosofia, di N. Warburton, Il primo libro di filosofia,

(Einaudi, Torino 1999) sono riassunti alcuni dei più noti argomenti dello scetticismo contro l'affidabilità dei sensi:

l~

Lo scetticismo è la concezione secondo cui non possiamo conoscere nulla con certezza e c'è sempre qualche ragione per dubitare anche delle nostre credenze sul mondo più fondamentali. In filosofia gli argomenti scettici tentano di mostrare che i nostri modi tradizionali di indagare il mondo non sono affidabili e che non ci garantiscono una conoscenza di ciò che esiste realmente. [... ] L'argomento dell'illusione è un argomento che mette in dubbio l'affidabilità dei sensi [... ] e minaccia così il realismo del senso comune. Generalmente ci fidiamo dei nostri sensi, ma ci sono circostanze in cui essi ci ingannano. Per esempio, la maggior parte di noi ha provato l'imbarazzante esperienza di credere di riconoscere un amico da lontano, per poi scoprire che stavamo salutando un estraneo. Un bastone diritto parzialmente immerso nell'acqua può apparire piegato; il gusto di una mela può apparire amaro se si è appena finito di mangiare qualcosa di molto dolce; vista da una certa angolazione una moneta rotonda può sembrare ovale; i binari delle ferrovie sembrano convergere in lontananza; l'alta temperatura può far apparire la strada come se si stesse muovendo; lo stesso abito può sembrare cremisi in una luce debole e scarlatto alla luce del sole; la luna appare più grande quando è bassa sull'orizzonte. Queste e altre illusioni sensoriali analoghe mostrano che i sensi non sono 2. I.:età della scienza e dello stato assoluto

141

PROBLEMI sempre completamente affidabili: sembra dunque improbabile che il mondo esterno sia nella realtà esattamente come appare. Secondo l'argomento dell'illusione, poiché i sensi talvolta ci ingannano, in nessun caso possiamo essere certi che non ci stiano ingannando proprio in questo momento. Si tratta di un argomento scettico, in quanto mette in dubbio la nostra credenza ordinaria secondo cui i sensi ci forniscono la conoscenza del mondo esterno.

Su che cosa si basa il nostro co rnicanesimo? Oggi, nessuna persona dotata di qualche strumento culturale, di fronte alla domanda se la Terra si muova, risponderebbe negativamente: l'eliocentrismo è ormai entrato a far parte del senso comune, cosl come prima di Copernico nessuno avrebbe messo in discussione la stabilità della Terra e il movimento del Sole intorno ad essa. Ma proprio per questo, c'è la possibilità che la nostra adesione alla teoria di Copernico sia tanto acritica e dogmatica, quanto la fede di Simplicio nell'aristotelismo. A favore della tesi tolemaica ci sono tante ragioni di buon senso, che le hanno permesso di affermarsi incontrastata per secoli. Consideriamole brevemente. Dal punto di vista "ottico" - cioè di quanto constatiamo con i sensi - i fenomeni osservati in cielo sono ben spiegabili sia in termini copernicani sia in termini tolemaici, come aveva già constatato Tolomeo nell'Almagesto e come possiamo constatare anche noi se ci concentriamo sulla questione. Per esempio, l'ipotesi (a) movimento diurno

menti di Galilei

del Sole, dei pianeti e della "sfera delle stelle fisse" intorno alla Terra è equivalente a quella (b) basata sul moto della Terra intorno al proprio asse. In altre parole, anche se siamo di "fede" copernicana dobbiamo ammettere che i movimenti che noi vediamo in cielo - almeno a prima vista - si prestano altrettanto bene ad esser spiegati in termini tolemaici. Se Tolomeo aveva accettato l'idea dell'immobilità della Terra e del movimento del cielo era stato per ragioni fisiche, in sostanza perché aderiva alla cosmologia aristotelica, che pone la Terra, pesante, al centro e immobile. Lidea aristotelica della stabilità della Terra non è campata in aria: si fonda sull'esperienza che facciamo quotidianamente: non solo la fisica aristotelica, ma anche la nostra comune percezione ci dice che la Terra su cui noi ci troviamo è ben ferma sotto i nostri piedi (dunque sulla base della nostra esperienza immediata dovremmo esser portati a credere che sbaglia Copernico, e hanno ragione Tolomeo e Aristotele).

l'eliocentrismo

Per essere copernicani e aderire all'eliocentrismo secondo Galilei - dobbiamo dunque far violenza ai nostri sensi. Dobbiamo fare intervenire il ragionamento. Bisogna però dire che l'unico "ragionamento" galileiano, mirante a "dimostrare" in positivo il duplice moto della Terra era quello delle maree, proposto nella quarta giornata del Dialogo sopra i due massimi sistemi, interamente dedicata alla discussione sulle cause delle maree, un problema all'epoca al centro del dibattito scientifico. Galilei dichiara inaccettabili le teorie concorrenti, propone una spiegazione del fenomeno delle maree desunta dal duplice moto della Terra, di rotazione e di rivoluzione. Secondo questa teoria, la causa fondamentale delle maree andrebbe individuata nelle successive accelerazioni e decelerazioni imposte alle masse oceaniche dal sommarsi, positivo o negativo, del moto orbitale di traslazione e del moto di rotazione della Terra intorno al proprio asse. In sintesi, quando al primo movimento viene a sommarsi il secondo - poiché un determinato punto della superficie terrestre (che già si muove con tutta la Terra lungo l'orbita) viene a un certo momento ulteriormente sollecitato nella stessa direzione del moto orbitale, in virtù della rotazione - la conseguente accelerazione della superficie terrestre fa sl

che l'acqua dell'oceano, come quella di un vaso spostato bruscamente, tende a risalire nella direzione opposta a quella del movimento del contenitore, cioè verso le coste retrostanti, determinandovi l'alta marea. Viceversa, quando, dopo aver compiuto un semicerchio, lo stesso punto della superficie terrestre decelera, perché ora il suo moto determinato dalla rotazione si svolge in direzione opposta a quello di traslazione lungo l'orbita, e quindi il primo si si sottrae al secondo, l'acqua dell'oceano, come quella di un vaso bruscamente arrestato, tende a salire nella direzione verso cui si muove il contenitore, determinando l'alta marea sulle coste dirimpetto alle precedenti. In questa teoria delle maree verosimilmente frutto delle discussioni avute negli anni padovani con Paolo Sarpi, Galilei vede un argomento a conferma della teoria copernicana. l:eliocentrismo sarebbe stato dimostrato secondo Galilei perché - ammettendo che la Terra si muova di un duplice moto come vuole Copernico - è possibile spiegare il «flusso e il riflusso del mare». Si trattava tuttavia di un argomento erroneo. Studi successivi avrebbero infatti confermato la teoria delle maree elaborata all'epoca dall'inglese Gilbert, il quale indica la causa delle maree nell'attrazione esercitata sulle masse d'acqua dalla Luna.

Lo smantellamento della fisica aristotelica Allora qual è effettivamente il contributo dato da di oscillazione di un pendolo ruota apparentemente Galilei alla "dimostrazione" della teoria copernicana? Si rispetto al pavimento della stanza in cui si trova, come si tratta di un contributo grandissimo. Esso consiste soprat- vede nel seguente disegno. tutto nello smantellamento della fisica tradizionale aristotelica, messo in opera dallo scienziato pisano. Gli argoGuardando dall'alto il pavimento menti- i «ragionamenti»- portati da Galilei nel Dialogo a favore del movimento della Terra erano infatti di natura dialettica: non dimostravano cioè che la Terra si muove, ma piuttosto miravano a confutare gli argomenti, basati sulla fisica aristotelica, contro il movimento della Terra. In altre parole, erano argomenti - fondati su principi differenti da quelli della fisica aristotelica (inerzia, relatività dei movimenti, composizione dei moti) - sulla base dei quali si voleva e poteva affermare la possibilità, non l'effettualità dei movimenti terrestri. Per esempio, sulla base del ..., 16.00 !br ~elle vent.iquattr'ore il. pav~mento principio di relatività dei movimenti, Galilei dice che stan.._. . . . ..,.. . . s1 muove 1n senso ant1orano do all'interno di un sistema è impossibile decidere se il sistema stesso sia fermo o dotato di moto uniforme; dunMa il piano di oscillazione di un pendolo non varia nel que gli esperimenti fatti sulla Terra non possono in alcun tempo, resta sempre il medesimo. A muoversi, a ruotare, modo dimostrare l'immobilità della Terra, come invece doveva dunque essere il pavimento della stanza, in quanto vorrebbero gli aristotelici. .....solidale con la Terra. Ecco dunque la dimostrazione che la Anche le scoperte astronomiche fatte da Galilei con il Terra ruota intorno al proprio asse. Lesperimento si svolcannocchiale (macchie lunari, montagne della Luna, satelge in condizioni ideali ai poli: al polo, infatti, il pavimenliti di Giove) ebbero soprattutto la funzione di confutare to della stanza compirebbe una rotazione completa sotto il dottrina tradizionale, mostrandone la debolezza e l'insopendolo nel giro di 24 ore. Infatti la Terra ruota intorno al stenibilità. Per arrivare all'effettiva verifica sperimentale proprio asse in 24 ore, mentre iÌ pendolo continua a oscildel moto della Terra, bisognerà attendere il XIX secolo. lare sullo stesso piano. A differenti latitudini, come per Una prova del movimento di rotazione della Terra intorno esempio a Parigi, dove Foucault compl originariamente i al proprio asse fu data daJean Léon Foucault (1819-1868) propri esperimenti, la rotazione del pavimento non è comattraverso l'esperienza del pendolo (1851), detto appunto pleta. All'equatore, non si osserva alcuna rotazione del "di Foucault". Foucault osservò a più riprese che il piano pavimento rispetto al pendolo.

Rielaborare, discutere, argomentare Vi siete posti in precedenza il problema di una possibile inaffidabilità dei sensi, o avete finora senza problemi aderito all'atteggiamento comune, per cui i sensi ci offrono una conoscenza adeguata del mondo esterno? O Fate il resoconto di vostre esperienze personali di "illusione sensoriale".

e

Ritenete convincenti e definitivi gli argomenti scettici contro il valore di verità delle sensazioni, oppure ritenete che anche il carattere ingannevole o illusorio di alcune sensazioni non comprometta la loro sostanziale affidabilità?

In rapporto al movimento della Terra, che cosa obiettereste, a chi volesse fondarsi sui sensi per dimostrare che Copernico ha torto? O Come rispondereste alla domanda sulle ragioni della vostra credenza copernicana? Disponete di argomenti capaci di dimostrare il movimento della Terra?

e

Cercate informazioni sull'esperienza del pendolo di Foucault. Approfonditene la conoscenza e il significato, eventualmente anche con l'aiuto dell'insegnante di fisica.

2. I.:età della scienza e dello stato assoluto

143

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immagine ritrae il processo a Galilei che si concluse con la condanna del grande scienziato. Questa tela non è che una delle numerose opere d'arte dedicate alle vicende di Galilei; possiamo ricordare, in tempi recenti, il film di Liliana Cavani (Galileo, 1968) dedicato alla vicenda dello scienziato. Quello della Cavani non è l'unico film che abbia affrontato il processo a Galilei: è da ricordare anche quello del cineasta inglese Losey, che riprende a sua volta la drammatizzazione di Bertolt Brecht, in Vita di Galilei. Il processo e la condanna di Galileo Galilei da parte della Chiesa cattolica continuano ad attirare l'attenzione di filosofi, scienziati, intellettuali e artisti- e anche del pubblico- perché rappresentano un passaggio fondamentale del contrastato percorso che portò all'affermazione della nuova scienza e della visione moderna del mondo. E perché la vicenda di Galilei ci sollecita a riflettere su alcune grandi questioni tuttora aperte, il cui interesse è anzi crescente, a causa del ruolo sempre più determinante svolto dalla scienza nella società contemporanea: esse riguardano la libertà di ricerca e la libertà di insegnamento.

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Bruno e Galilei La condanna di Galileo Galilei ci appare per certi riguardi ancor più enigmatica e indecifrabile di quella di Giordano Bruno, anche se a differenza di quest'ultima non ebbe l'esito terribile della morte sul rogo. Infatti, nella vicenda di Bruno, ad esser perseguitate erano state le tesi giudicate eretiche dalla Chiesa - di un pensatore consapevolmente anticristiano, che assegnava a se stesso la missio-

ne di una profonda riforma politico-religiosa, capace di riportare la pace in un'Europa dilaniata dai conflitti religiosi: la violenta repressione delle autorità ecclesiastiche si era allora esercitata contro l'autore di tale progetto. Nella vicenda di Galilei, invece, chi subisce denunce, processi, la condanna e l'umiliazione della forzata abiura è lo

"ionziato più btillmtc ' pt.,tigioro dd mondo cattolico=

dell'epoca, un intellettuale che- se aveva lottato a favore del copernicanesimo e rivendicato la libertà di ricerca in campo scientifico e filosofico - non aveva mai messo in discussione i dogmi del cattolicesimo tridentino e aveva sempre riconosciuto la superiore autodtà della Chiesa in campo teolo-

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gico e morale. E che era vicino e amico di molti dei suoi principali accusatori e critici, come il cardinale Bellarmino e- soprattutto - il cardinale Maffeo Barberini, che sarebbe successivamente diventato papa con il nome di Urbano

VIII.

Le Lettere copernicane e gli argomenti teologici di Galilei

Dalle scoperte che aveva compiuto con il cannocchiale, comunicate nel Sidereus Nuncius (1610), Galilei trasse motivo per lanciare una battaglia pubblica a favore di Copernico. In questo modo, lo scienziato si proponeva di rimuovere le resistenze degli ambienti colti italiani ed europei nei confronti della nuova dottrina. In particolare, per rendere accettabile il copernicanesimo alla Chiesa cattolica, Galilei, tra il 1613 e il 1616, si impegnò a togliere di mezzo le obiezioni di ordine teologico contro la dottrina eliocentrica, fondate sul contrasto tra quest'ultima e alcuni passi della Bibbia, passi che sembravano sostenere il movimento del Sole. Tra questi, i famosi versetti del Libro dei Re in cui Giosuè, impegnato in una battaglia a lui favorevole sui nemici di Israele, invita il Sole a non muoversi, cioè a non tramontare, per poter concludere vittoriosamente la lotta prima del calar della notte (nell'antichità si combatteva solo di giorno). I punti chiave della posizione di Galilei, esposta nelle Lettere copernicane, sono in estrema sintesi i seguenti: a. la critica dell'interpretazione letterale dei versetti biblici

addotti dai conservatori a conferma del movimento del Sole; b. l'idea che le Sacre Scritture avessero un compito morale e salvifico, e non scientifico; c. la rivendicazione dell'autonomia della ricerca scientifica e della superiorità in questo campo delle conoscenze ottenute con la ragione e l'esperienza, rispetto alle informazioni ricavabili (apparentemente) dalla Bibbia. Leggiamo un breve passo dalla Lettera, indirizzata nel1613 da Galilei al proprio seguace e collaboratore, il padre Benedetto Castelli. Le Sacre Scritture - dice Galilei - mirano a "persuadere" gli uomini di quelle verità necessarie alla loro salvezza che, essendo del tutto inaccessibili alla ragione umana, non possono esser apprese se non dalla rivelazione divina e dunque dal testo sacro. Ma non c'è ragione per pensare che Dio, con la Bibbia, abbia voluto farci conoscere cose che possiamo apprendere con l'esperienza dei sensi e la ragione, facoltà delle quali egli stesso ci ha dotato, soprattutto per ciò che riguarda ambiti come quello delle scienze naturali, di cui la Bibbia si occupa soltanto di sfuggita.

Il

lo crederei che l'autorità delle Sacre scritture avesse avuto solamente la mira a persuader a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che son necessarie per la salute [salvezza eterna] loro, e superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza né per altro mezzo farcisi credibili, che per bocca dello stesso Spirito Santo. Ma che quel medesimo Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d'intelletto, abbia voluto posponendo l'uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possimo conseguire, non penso che sia necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima parte [... ] se ne legge nella Scrittura.

le critiche di Bellarmino a

Su questi temi, nella Chiesa e tra i diversi ordini religiosi, si determinarono atteggiamenti differenti. Lordine domenicano aveva da subito guardato con sospetto alla battaglia copernicana di Galilei e proprio dal convento di San Marco, la sede fiorentina dei domenicani, era partita nel febbraio del 1615 una denuncia contro Galilei per le idee contenute nella Lettera a Castelli. Alcuni ecclesiastici, invece, presero posizione a favore di Galilei. I gesuiti - consapevoli della crisi del modello cosmologico tradizionale- erano alla ricerca di soluzioni nuove. Nonostante l'interesse per gli studi e le scoperte astronomiche galileiane, si erano tuttavia orientati a favore del modello di Tycho Brahe, che rispetto /~ello tolemaico consentiva migliori calcoli astronomici,

ma permetteva- a differenza di quello eliocentrico copernicano -di "salvare" l'immobilità e la centralità della Terra e il movimento del Sole, rispettando in questo modo la lettera della Bibbia. I gesuiti contrastavano con forza soprattutto l'idea della verità fisica della dottrina copernicana: lo documenta una lettera, scritta il12 aprile 1615 dal cardinale gesuita Bellarmino al padre Antonio Foscarini, un carmelitano che aveva difeso Galilei e preso posizione a favore della compatibilità della dottrina copernicana con la Bibbia. Il cardinale afferma in primo luogo la necessità di intendere il copernicanesimo solo come "ipotesi matematica". Quindi richiama i criteri per l'interpretazione dei testi sacri, stabiliti dal concilio di Trento. Contro il principio luterano

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2. I.:età della scienza e dello stato assoluto

145

PROBLEMI del libero esame della Bibbia da parte del credente, il concilio aveva autorizzato soltanto le interpretazioni delle Scritture confortate dal comune consenso dei Padri della Chiesa, come sant'Ambrogio, san Girolamo, sant'Agostino, che nelle loro opere avevano per lo più seguito l'esegesi letterale dei passi in questione. Né per Bellarmino vale ricordare - come fanno Galilei e Foscarini - che il principio sancito dal concilio si applica soltanto a «materia di fede e di salvezza», mentre il movimento del Sole non lo è. Il cardinale fornisce del criterio tridentino un'interpretazione estremamente restrittiva e afferma che anche i versetti della Bibbia che parlano del movimento del Sole costituiscono materia di fede, se non per il loro contenuto, perché Dio ne

è l'autore. Nella parte conclusiva della lettera Bellarmino concede che quando si ottenesse la «vera dimostrazione» del copernicanesimo, allora si imporrebbe la necessità di interpretare la Bibbia in modo diverso da quello suggerito dai Padri e dalla tradizione della Chiesa. Ma nel caso dell' eliocentrismo, tale «vera dimostrazione» non può esser ottenuta. Bellarmino intende infatti la dimostrazione non come verifica o convalida empirica di un'ipotesi scientifica, ma aristotelicamente, come apodittica, cioè come deduzione da premesse (fisicamente) vere. E vere per il cardinale sono soltanto le premesse della fisica aristotelica, secondo cui la Terra è pesante, dunque sta immobile al centro dell'universo.

Sulla base di questi fondamenti teologici ed epistemologici, nel febbraio 1616 la discussione sulla dottrina copernicana venne chiusa d'autorità dalla Chiesa. Fu messo all'Indice dei libri proibiti il De revolutionibus

orbium coelestium di Copernico e lo scritto del padre Foscarini sopra ricordato; furono inoltre condannate dal Sant'uffizio due «proposizioni», in cui era stato con molta approssimazione sintetizzato il punto di vista eliocentrico:

1 -----~-~~~~1) Che il Sole sii centro del mondo, et per conseguenza immobile di moto locale. 2) Che la Terra non è centro del mondo, né immobile, ma si muove secondo sé tutta, etiam [anche] di moto diurno.

Per decisione del papa Paolo V (1605-1621), Galilei doveva essere ammonito ad abbandonare il copernicanesimo. Incaricato di rivolgere tale solenne ammonizione allo scienziato fu il cardinale Bellarmino in persona, alla pre-

senza di tutto il Sant'uffizio. Il 25 febbraio 1616, convocato Galilei presso il proprio palazzo, alla presenza del Sant'uffizio, Bellarmino gli rivolse l'ammonizione, cui lo scienziato accettò senz' altro di sottomettersi.

La condanna del Ancor più grave per Galilei fu l'esito del processo del 1633. In quest'occasione, Galilei non ricevette soltanto un'ingiunzione, ma venne costretto alla pubblica abiura e condannato al carcere perpetuo, condanna poi mutata negli arresti domiciliari. Alla condanna si era arrivati dopo la pubblicazione del Dialogo. Galilei fu condannato per non aver ottemperato all'ingiunzione del 1616 ad abbandonare la dottrina copernicana. Il Dialogo si presentava, è vero, come un esame spassionato di due ipotesi, quella eliocentrica e quella geocentrica; come una discussione tra un sostenitore del copernicanesimo (Salviati) e un seguace del vecchio sistema tolemaico (Simplicio), ciascuno dei quali offriva argomenti a favore del modello cosmologico preferito. In questo modo, Galilei evitava di manifestare in modo scoperto la propria propensione per il modello copernicano. Ma nel Dialogo gli argomenti a favore del movimento della Terra

sono molto forti, e l'eliocentrismo ne risulta di gran lunga più giustificato del geocentrismo sostenuto da Tolomeo (e da Simplicio). Questo irritò molto il papa Urbano VIII, il quale in molti colloqui con lo scienziato aveva negato - con argomenti non molto diversi da quelli di Bellarmino - che la dottrina copernicana fosse vera fisicamente, e aveva a più riprese invitato Galilei a parlare dell'eliocentrismo come di una semplice ipotesi tra molte. Oltretutto, un argomento contro il copernicanesimo molto caro al papa è attribuito nel Dialogo a Simplicio, al vecchio professore aristotelico, del quale Galilei si prende spesso gioco. Questo spiega - insieme ad altri fattori che sarebbe lungo elencare - perché Urbano VIII non solo non facesse alcun intervento per impedire che un amico personale come Galilei fosse condannato, ma anzi premesse sul tribunale per ottenere una esemplare condanna dell'anziano scienziato.

la sentenza di condanna contro Galilei Soffermiamoci sulla condanna pronunciata dal tribunale ecclesiastico nel 1633 contro il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Nel testo della sentenza sono riassunte - con parole durissime - le ragioni che portarono alla condanna di Galilei e alla sua abiura coatta del copernicanesimo. Vi si esprime il convincimento delle autorità ecclesiastiche di dover intervenire con decisione per evitare il diffondersi di una dottrina ritenuta in contrasto con l'insegnamento della Chiesa. Dal testo della sentenza si desumono tra l'altro i seguenti elementi: l. Galilei è condannato come «delinquente» gravemente sospetto d'eresia: -per aver sostenuto nel Dialogo la dottrina eliocentrica di Copernico, - per aver ritenuto che fosse possibile sostenere e difendere una dottrina, dopo che questa era stata definita (nel 1616) contraria alle Scritture.

Il Didam~,

2. Per ricevere l'assoluzione, Galilei dovrà abiurare le sue idee scientifiche. 3. Galilei è condannato al carcere perpetuo, anche se il tribunale del Sant'uffìzio si riserva di modificare a proprio assoluto arbitrio i termini della pena. 4. Il Dialogo viene messo all'Indice dei libri proibiti. Subito dopo la sentenza, Galilei fu cosl costretto all'umiliazione dell'abiura. I.:anziano scienziato la lesse in ginocchio, seguendo un testo predisposto dal tribunale ecclesiastico, che riprendeva sostanzialmente le motivazioni della condanna. La mattina del 22 giugno 1633, convocato presso il convento domenicano di S. Maria sopra Minerva, nel centro di Roma, di fronte al Tribunale del Sant'Uffìzio riunito al gran completo, lo scienziato pisano dovette ascoltare in ginocchio la lettura della sentenza, formulata nei termini seguenti.

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pmnuntiam-;;;,trntiama JJ-:in.,iamo 'h' tu, Galilei mdd"to, prr le '"" dedotte in so e da te confessate [... ] ti sei reso a questo S. Offizio vehementemente sospetto d'heresia, cioè d'aver tenuto e creduto dottrina folsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, ch'il sole sia centro della terra [lapsus dei cardinali: intendi "del cosmo"] e che non si muova da oriente a occidente, e che la terra si muova e non sia centro del mondo, e che si possa tener e difendere per probabile un'opinione [quella copernicana] dopo esser stata dichiarata e diffinita per contraria alla Sacra Scrittura,· e conseguentemente sei incorso in tutte le censure e pene dei sacri canoni [... ] contro simili delinquenti imposte e promulgate. Dalle quali siamo contenti sii assoluto [cioè: siamo disposti ad assolverti], purché prima, con cuor sincero efede non finta, davanti a noi abiuri, maledichi e detesti li suddetti errori ed heresie et qualunque altro errore et heresia contraria alla cattolica et Apostolica Chiesa [... ] E acciocchè questo tuo grave e pernicioso errore e trasgressione non resti del tutto impunito, et sii più cauto nell'avvenire et essempio all'altri che si astengano da simili delitti, ordiniamo che per pubblico editto sia prohibito il libro de' Dialoghi di Galilei Galilei. Ti condanniamo al carcere formale in questo S. Off.o [cioè nelle prigioni del Sant'Uffizio] ad arbitrio nostro; e per penitenze salutari t'imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette Salmi penitenziali: riservando a noi Jàcoltà di moderare, mutare, o levar in tutto o parte le soddette pene e penitenze.

"""""'""'"Uenze della condanna e la frattura tra Chiesa e scienza Gli effetti del processo a Galilei non furono di breve durata. La condanna dello scienziato pisano non riuscl a itnpedire - se non per breve periodo in Italia e nelle regioni a più forte egemonia cattolica - la diffusione delle idee contenute nel Dialogo sopra i due massimi sistemi, che si affermarono come elemento essenziale della cultura scientifica e filosofica dei secoli più recenti. Anzi, a causa anche delle persecuzioni di cui fu vittima, gene-

razioni di intellettuali videro e vedono ancora in Galilei

il simbolo e il martire della lotta per la libertà della scienza e uno dei fondatoti della modernità. All'opposto, la responsabilità avuta nella condanna di Galilei contribul a segnare per secoli la Chiesa cattolica con il marchio di istituzione repressiva e arroccata in difesa di pregiudizi oscurantistici: una immagine, questa, che la cultura cattolica più avvertita e le istituzioni ecclesiastiche sono 2. I:età della scienza e dello stato assoluto

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PROBLEMI negli ultimi decenni impegnate a modificare, anche attraverso l'ormai esplicita ammissione degli errori commessi dalla Chiesa e delle sue colpe nella vicenda di Galilei. Durante il pontificato di papa Giovanni Paolo

II, il processo di revisione dei rapporti tra Chiesa e scienza si è fatto più coraggioso, come si desume tra l'altro dal seguente autorevole testo del papa:

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Vorrei dire che l'esperienza vissuta dalla Chiesa in occasione e in seguito al caso Galilei ha permesso una maturazione e una comprensione più giusta dell'autorità che è propria della Chiesa [... ] Si comprende così più chiaramente che la rivelazione divina, di cui la Chiesa ègarante e testimone, non comporta di per sé alcuna teoria scientifica dell'universo e l'assistenza dello Spirito santo non viene per nulla a garantire spiegazioni che vorremmo sostenere sulla costituzione fisica della realtà. Che la Chiesa abbia potuto progredire con difficoltà in un campo così complesso, non deve sorprendere né scandalizzare. La Chiesa, fondata da Cristo [... ] resta tuttavia composta di uomini limitati e solidali con la loro epoca culturale. (Giovanni Paolo II, in "L'Osservatore Romano"», 9-1 O maggio 1983)

Galilei e Darwin Nel corso dei secoli, dopo la condanna dell' eliocentrismo copernicano, altre importanti teorie scientifiche furono censurate e messe al bando dalla Chiesa romana: tra queste, la teoria darwiniana della evoluzione delle specie, avversata perché ritenuta in contrasto con la narrazione biblica della creazione. La cattolica non è peraltro l'unica Chiesa ad aver censurato teorie scientifiche e perseguitato i suoi sostenitori, anche se forse è quella che lo ha fatto con maggior successo, grazie alla forza organizzata

delle sue istituzioni repressive. Basti ricordare a questo riguardo che erano stati i teologi protestanti a condannare dapprima il copernicanesimo, perché in contrasto con la lettera della Bibbia. E come - per venire a oggi - non sia solo la Chiesa cattolica, ma anche il fondamentalismo cristiano protestante ad avversare con più forza il darwinismo: recentemente, in alcune zone degli Stati Uniti, per impulso di quell'orientamento, si è tentato di escludere la teoria evoluzionistica dai libri scolastici di scienze.

Chiese e stati La negazione dell'autonomia della scienza e le pratiche di censura autoritaria nei confronti dell'attività intellettuale non sono state peraltro una prerogativa delle sole Chiese. Fin dalla prima età moderna, le monarchie assolute - pur favorendo in generale lo sviluppo dell'attività scientifica, in ragione dei vantaggi che potevano derivarne - giustificarono e praticarono la censura come forma di conservazione del potere politico. Nel Novecento, poi, l'av-

vento dei totalitarismi e la caratterizzazione in senso ideologico del potere portò a un rigido controllo della scienza. In alcuni casi, alle teorie scientifiche vennero contrapposte pseudoteorie, coerenti con l'ideologia dominante: come avvenne per esempio nella Russia staliniana nel secondo dopoguerra, quando si tentò di sradicare la biologia sperimentale - ritenuta "borghese" - e di imporre in sua vece una diversa biologia, ispirata al materialismo dialettico.

Rielaborare, discutere, argomentare

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Se appare ormai (quasi) unauime la condanna di interventi censori da parte del potere religioso e politico contro la libertà della ricerca, proprio dallo sviluppo della scienza derivano oggi nuovi interrogativi. Di fronte alla straordinaria capacità che la scienza e le sue applicazioni tecnologiche hanno di determinare la vita degli uomini, è aucora valida la rivendicazione di una assoluta autonomia della scienza da criteri esterni ad essa, per esempio di carattere etico? Per brevità, possiamo schematizzare come segue due risposte a questa domauda. A voi il compito di rifletterei e di discuterne. a. La ricerca scientifica deve svolgersi in completa autonomia da criteri etici o religiosi che la condizionino. La scienza, in quanto tale, ossia in quanto conoscenza teorica, ha infatti un carattere neutro. Non è la conoscenza scientifica in quanto tale, ma sono semmai gli usi e le applicazioni dei suoi ritrovati che - per le loro conseguenze pratiche devono essere regolate sulla base di criteri etici.

Il Una scena

b. Anche la ricerca scientifica, come ogni attività umana, deve sottostare al rispetto di criteri etici. Il carattere sperimentale e operativo della ricerca scientifica non permette di tener separati il momento teorico da quello applicativo. Nell'ambito della sua ricerca, lo scienziato compie atti eticamente significativi: per esempio quaudo fa soffrire degli auimali per saggiare l'effetto su di loro di certe sostauze, potenzialmente utili all'uomo.

delfilm Frankenstein Juniordi Mel Brooks;

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Quale tra le due risposte vi sembra più convincente? Per quali ragioni? Se entrambe le risposte non vi convincono- o vi convincono solo parzialmente- esponete la vostra posizione, fornendo argomenti a sostegno di essa

Riflettiamo ora su un'altra questione, che è strettamente legata alla precedente e che anzi può esser concepita almeno in parte come una riformulazione di essa, da un altro punto di vista. La domauda è questa: ammesso che la ricerca scientifica debba sottoporsi a limiti e a criteri, a chi spetta stabilirli? Anche in questo caso offriamo alcune risposte possibili. a. Solo lo scienziato o la comunità degli scienziati può legittimamente stabilire dei limiti alla propria attività di ricerca. Ogni intervento esterno assumerebbe carattere censorio e rappresenterebbe un ostacolo allo sviluppo della scienza. b. Che lo scienziato ne sia consapevole o meno, i limiti più severi alla sua libertà di ricerca non vengono da esigenze di ordine morale, ma derivano dal fatto che l'attività scientifica richiede di essere finanziata, e che i finanziamenti premiauo gli ambiti di ricerca da cui ci si aspettano i maggiori vantaggi in termini di sfruttamento delle applicazioni tecnologiche. c. Poiché gli effetti della ricerca scientifica influenzano graudemente la vita delle comunità umaue contemporanee, è indispensabile che le istituzioni politiche - che ne sono l'espressione democratica stabiliscano dei criteri e dei limiti alla ricerca: questa altrimenti potrebbe produrre effetti daunosi per le stesse comunità. d. Spetta alle Chiese, in quanto depositarie di un'etica fondata sulla rivelazione, stabilire i criteri ai quali gli scienziati devono sottomettersi nella loro ricerca. e. Spetta ai filosofi - sulla base di un'etica fondata sulla ragione - di stabilire i limiti e i criteri rispettando i quali la ricerca può svolgersi in modo responsabile.

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Condividete qualcuna delle risposte sopra schematizzate? lndicatele e spiegate perché.

e

Qualcuna delle risposte vi sembra particolarmente fragile? Per che motivo?

f) Provate a elaborare una vostra personale risposta, magari collegando tra loro alcune di quelle sopra enunciate, che vi sembrino tra loro complementari e reciprocamente integrabili. Non mancate di addurre esempi concreti.

2. I.:età della scienza e dello stato assoluto

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Lezione Profilo

La riforma del sapere Temi

Concetti·cltidve

*Cartesio e Galilei* Il Discorso sul metodo e i trattati * La critica del sapere scolastico* Le regole del metodo cartesiano

mathesis universa/is, metodo,

Confronti I.:aristotelismo aveva introdotto un'idea qualitativa e finalistica della natura. La nuova scienza vi sostituisce un'idea quantitativa e meccanica, che privilegia il metodo matematico.

criterio di verità, idee chiare e distinte, analisi e sintesi, enumerazione

1. Alla ricerca del metodo Cartesio appartiene (con Bacone e Galilei) alla generazione che è stata protagonista della rivoluzione scientifica moderna, cui ha fornito un quadro di riferimento metafisica generale, che si riassume nel concetto del meccanicismo universale. Alla visione qualitativa delle proprietà degli enti naturali e al finalismo nella spiegazione causale (tipico dell'aristotelismo) si sostituiscono la considerazione puramente quantitativa delle proprietà dei corpi (ridotti a forma e movimento) e la spiegazione causale-deterministica dei processi naturali. Per questo, pur formatosi nella tradizione scolastica, Cartesio rompe con i metodi di indagine consueti e va alla ricerca di un nuovo metodo filosofico, che sappia corrispondere all'intuizione matematizzante della natura, introdotta in campo fisico da Galilei.

2. Cidea di mathesis universalis

Per l'aristotelismo tutte le qualità sensibili hanno un valore oggettivo. Per la nuova scienza, hanno valore oggettivo solo le proprietà geometriche dei corpi (forma e movimento). Quelle non misurabili (odori, colori, sapori) sono puramente soggettive o "secondarie".

Cartesio concorda con Galilei nel rigettare la fisica di Aristotele e nell' assumere la matematica come unico strumento idoneo a penetrare la struttura del mondo. Galilei si era tuttavia limitato a ipotizzare che le proprietà non misurabili dei corpi (colore, odore, sapore, pesantezza) avessero un'origine soggettiva~; non aveva teorizzato a fondo tale congettura, estendendo l'ambito della propria considerazione dalla fisica alla metafisica. Spirito più sistematico, Cartesio si propone di dare un fondamento razionale alla nuova visione della natura. Come deve essere concepita la realtà, affinché le sia applicabile la matematica, elevata al rango non di tecnica particolare, ma di metodo di conoscenza universale (mdthesis universalis)? Cartesio paragona la filosofia a un albero, «le cui radici sono la metafisica, il tronco è la fisica e i rami che sorgono dal tronco sono tutte le altre scienze». Galilei ha, per così dire, tagliato il tronco della fisica di Aristotele per sostituirvi la propria fisica matematica. Si tratta ora di trovare nuove radici metafisiche alla pianta così innestata, se non si vuole vederla rapidamente deperire.

3. Il Discorso sul metodo Nel Discorso sul metodo di Cartesio si è visto il "manifesto" di una nuova epoca del pensiero, lo scritto che apre il corso della filosofia moderna. Vi si trovano sommariamente esposti molti dei più importanti temi della filosofia cartesiana: dalle regole del metodo ai principi della metafisica, dall'intuizione meccanica del mondo fisico ai precetti della morale provvisoria. I.: interesse dei contem-

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conoscenza razionale equivale a un atto di pura visione intuitiva. Prova a riflettere sulla differenza e sul rapporto tra la visione sensibile e quella intellettiva. In entrambi i casi, per intuire qualcosa, bisogna che l'oggetto sia presente, per così dire, "in carne e ossa" al soggetto. Nel primo caso, però, ci si avvale della vista come organo corporeo, nell'altro si concepiscono le idee delle cose, "con gli occhi della mente". a Perché appaia qualcosa alla mente, è indispensabile che prima sia stata percepita dai sensi? Che cosa direbbe Aristotele? Che cosa direbbe Cartesio? b Se la visione diretta delle cose è una facoltà alla portata di tutti, a che cosa servono le regole del metodo? c Tra le discipline che studi a scuola, quali fanno più uso dell'intuizione e quali fanno più uso della dimostrazione? Quali sfruttano meglio l'evidenza e quali la memoria? 2. l: età della scienza e dello stato assoluto

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Lezione Profilo

fisic Temi

Concett,~cltìtJve

*Il dubbio metodico* L'evidenza del cogito* La res cogitans *La dimostrazione dell'esistenza di Dio* Il circolo vizioso * La sostanza

dubbio, errori dei sensi,fa/sus in uno,fa/sus in omnibus, genio maligno, idee innate/ avventizie/ fattizie, memoria, essere perfettissimo, causa sui, sostanza

1. Dal dubbio al ~Ricorda Per gli scettici, i cosiddetti "errori dei sensi" sono all'origine del dubbio sul valore conoscitivo dell'esperienza sensibile. Propriamente, non sono i sensi a sbagliare, ma è il giudizio affrettato che si basa su di essi.

• Lessico DUBBIO METODICO Non si

tratta di un dubbio reale, come il dubbio scettico, ma di una finzione provvisoria, che ha la funzione di saggiare il valore delle nostre credenze intellettive.

Per costruire la sua nuova metafisica, Cartesio parte dal dubbio. Già gli scettici antichi avevano sollevato un dubbio radicale, che colpiva l'apparente certezza della conoscenza sensibile ~. Talvolta i sensi ci ingannano (il bastone diritto, immerso nell'acqua, appare spezzato; una torre quadrata, vista a una certa distanza, appare rotonda ecc.). In base al principio del diritto, che afferma: falsus in uno, falsus in omnibus (falso in un caso, falso in tutti i casi), la conoscenza reale (metafisica) non potrà affidarsi a quei "testimoni" incerti e poco veritieri che sono i nostri sensi. Alla ricerca di un principio assolutamente certo e autoevidente, su cui fondare la metafisica, Cartesio riprende il dubbio scettico e lo trasforma in e dubbio metodico. Bisognerà dubitare non solo di ciò che l'esperienza successiva ci ha dimostrato essere falso nelle nostre prime evidenze, ma si dovrà «assumere come falsa qualsiasi opinione su cui sia possibile sollevare anche il minimo dubbio». In tal modo vengono scartate sia le certezze sensibili (quando sogniamo, abbiamo le medesime certezze della veglia, che si rivelano false al risveglio dal sonno), sia le certezze intellettuali (potrebbe esistere un genio maligno, che ci fa credere che due più due fa quattro, mentre in realtà farebbe cinque). Da questo dubbio estremo e paradossale si esce tuttavia mediante una semplice riflessione: "se dubito, penso, dunque esisto. Se non esistessi non potrei neppure dubitare". Questa certezza elementare, che va sotto il nome di cogito cartesiano, è assunta dall'autore come base di tutta la metafisica. Egli la esprime nella nota formula: «lo penso, dunque sono» («Ego cogito, ergo sum, sive existo»).

2. Dal cogito alla res cogitans Che cosa sono - si chiede Cartesio - io, che sono certo di esistere nell'atto stesso di pensarmi (sia pure nella forma del dubbio) esistente? Che cosa posso conoscere con certezza di me stesso? Devo rinunciare ad attribuirmi quelle caratteristiche che rientrano, per così dire, nella cognizione ingenua di me stesso e che ricadono sotto la scure del dubbio. Posso cioè dubitare di essere un uomo, di avere un viso, delle mani ecc.; posso dubitare di tutte le attività che compio grazie al mio corpo: di nutrirmi, di camminare, persino di sentire. I.:unica qualità di cui non posso dubitare è il pensiero: «io trovo qui che il pensiero è attributo che m'appartiene: esso solo non può essere distaccato da me». Io sono dunque «una cosa che pensa» (res cogitans). E che cosa significa "una cosa che pensà'? Significa una cosa che «dubita, intende, afferma, nega, vuole, non vuole, immagina anche, e sente».

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FOCUS

Cartesio e Agostino

Cartesio presenta la propria metafisica come assolutamente originale e scaturita da un'intuizione personale unica (quasi un'" illuminazione"). Ma ci fu subito chi si espresse contro questa originalità, osservando che il principio da cui essa prende le mosse- il rovesciamento del dubbio nella prima certezza (cogito, er-

go sum) -altro non è che un calco dell'espressione di Agostino, nel trattato Sul libero arbitrio: si follor, sum ("se cado in errore, esisto"). Cartesio negò questo plagio, sostenendo di aver letto l'espressione di Agostino (stimolato dai suoi critici) dopo, e non prima di aver trovato il proprio principio.

Quest'ultima attività (il sentire) sembra in verità appartenere al soggetto in quanto la sua attività di pensiero è legata al corpo. Ma se, relativamente al suo contenuto (le sensazioni), può essere sottoposta al dubbio, che si estende all'intera vita corporea, formalmente essa non è altro che un'attività di pensiero~. Il soggetto infatti non si limita a sentire, ad avere delle sensazioni, ma sa di sentire, ne è cosciente, e ciò almeno rientra nell'ambito del pensare.

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che ...

Cartesio distingue il contenuto intenzionale di un'idea (esse objective) dalla sua realtà psicologica, ossia dalla presenza reale dell'idea nella mente (esse forma/iter).

3. La dimostrazione delf esistenza di Dio Ottenuta la certezza del proprio pensiero in atto, Cartesio ne ricava un criterio di verità di validità universale. Perché, egli si chiede, sono certo di essere una cosa che pensa? Perché percepisco in maniera assolutamente chiara e distinta quello che affermo. Assumerò allora come regola generale che «tutte le cose che noi concepiamo molto chiaramente e molto distintamente sono vere». Avvalendosi di tale principio egli procede a dimostrare l'esistenza di Dio, che costituisce l'architrave della metafisica cartesiana. Distaccandosi dalle tradizionali cinque vie tomistiche, Cartesio segue un procedimento che potremmo definire "psicologico". La nostra mente ha in sé l'impronta di quella divina, «come la marca dell'operaio impressa sulla sua opera». È sufficiente riflettere sul modo in cui il pensiero si svolge necessariamente nella nostra mente, per cogliervi il rimando causale a Dio. Cartesio distingue l'insieme delle idee (cogitata) presenti alla nostra mente in base alla loro provenienza e alloro contenuto: l. alcune sono idee innate, che non posso negare senza con ciò smettere di pensare (tali sono per esempio le prime verità della matematica e della logica, di per sé evidenti); 2. altre sono idee avventizie, che si sono formate in seguito all'esperienza sensibile (come l'idea di casa, o quella del calore del sole); 3. altre infine sono idee fattizie, prodotte dall'immaginazione, mettendo insieme parti di idee avventizie (come quella di ippogrifo, che fonde l'idea di cavallo con quella di aquila). A che tipo di idea corrisponde quella di Dio (l'idea cioè di "essere perfettissimo")? Evidentemente si tratta di un'idea innata, perché nessuna esperienza contiene l'idea di "perfezione". Ma, tra tutte le altre idee, essa possiede anche un privilegio unico: che in nessun caso potremmo esserne noi la causa. Io, che sono una cosa pensante, potrei essere all'origine sia delle idee innate, sia di quelle avventizie e fattizie (poiché il pensiero non è qualcosa di meno, ma di più certo dei corpi e dei prodotti dell'immaginazione). Ma, essendo una realtà imperfetta e finita (proprio il dubbio è segno di imperfezione del pensiero umano), non potrei essere causa di quella realtà perfetta e infinita, che è Dio. A questa prima prova Cartesio ne fa seguire altre due. La seconda applica il concetto tomistico di causa efficiente all'esistenza della res cogitans; la terza riprende l'argomento antologico di Anselmo. Vediamole nello schema alla pagina seguente. 2. I.:età della scienza e dello stato assoluto

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Le pt·ove dell'esistenza di Dio : Non potrei avere l'idea di una sostanza infinita, io che sono un essere finito, se essa non fosse stata messa in me da una sostanza veramente infinita.

Prima prova

Seconda prova

Terza prova

Confronti DIMOSTRAZIONE ESISTENZA DI DIO

Tommaso seguiva un procedimento a posteriori



' Se fossi io stesso l'autore del mio essere, non dubiterei di nessuna cosa, non concepirei più . desideri e non mi mancherebbe nessuna perfezione; perché mi sarei dato io stesso tutte quelle perfezioni di cui ho in me qualche idea, e così sarei io dio (causa sui). ' r;esistenza non può essere separata dall'essenza di Dio più di quel che, dall'essenza di un triangolo rettilineo, può essere separata l'equivalenza dei suoi tre angoli a due retti, oppure dall'idea d'una montagna l'idea d'una vallata; di modo che non vi è minor ripugnanza a concepire un Dio (cioè un essere sovranamente perfetto) al quale manchi l'esistenza (cioè al quale manchi qualche perfezione), che a concepire una montagna che non abbia vallata.

Si ricorderà che Anselmo era partito dal concetto di Dio come «l'ente di cui non si può concepire nulla di più grande». Cartesio formalizza tale concetto nell'idea di essere perfettissimo, in cui l'esistenza rientra (in quanto "perfezione") nella definizione del concetto del soggetto (l'essere perfettissimo esiste). Confronti

Anselmo seguiva un procedimento a priori Cai'tesio introduce un nuovo metodo psicologico, intermedio tra i due.

Anselmo

Cartesio

Unico argomento per dimostrare l'esistenza di Dio

Argomento ontologico

: Se Dio non esistesse, l'ente di cui non : posso concepire nulla di più grande non 1 sarebbe l'ente di cui non posso concepire : nulla di più grande. Dunque Dio esiste. i

~t;Jt~> . Se posso concepire l'idea di un essere perfettissimo, la sua esistenza è contenuta ; nella sua definizione, come la proprietà del triangolo di avere, come somma dei suoi • lati interni, un angolo piatto. Ma io concepisco l'idea di Dio in quanto essere perfettissimo, dunque Dio esiste.

4. Il circolo vizioso Una volta dimostrata l'esistenza di Dio, Cartesio ne ricava una conferma del criterio di verità in precedenza enunciato: «noi non siamo sicuri che le cose che concepiamo chiaramente e distintamente sono vere, se non perché Dio è o esiste». Dio, essendo l'essere perfettissimo, e dunque infinitamente buono, non potrebbe mai consentire al genio maligno (la cui esistenza è stata ipotizzata dal dubbio metodico) di ingannarmi, falsando le mie evidenze intellettuali. Ma non si cade qui in un circolo vizioso? Per dimostrare che Dio esiste, Cartesio è partito da un'idea chiara e distinta (quella di essere perfettissimo), supponendo valido quel criterio di veri-

FOG:US Dio e le verità eterne "------7'

Il Dio di Cartesio riprende taluni aspetti del volontarismo teologico di Ockham, conosciuto all'epoca da alcuni autori dell'ordine dell'Oratorio (G. Gibieuf, Sulla libertà di Dio e della creatura, 1630). In Dio coincidono e non sono distinguibili gli attributi dell'intelletto e della volontà. Di Dio possiamo affermare solo l'assoluta onnipotenza. Pertanto, anche i principi autoevidenti della logica e della

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'[ 'l'______~_s_:_te-m- at-i-ca- (o_v_e_r-it_à_e_t_e-rn_e_)_,_su- cu_i_s_i_b-as_a_l_a_sc_i_e_n-za_,_a_v_re_b_-

bero potuto essere stabiliti in modo diverso da Dio. La finzione metodica del "genio maligno" si fonda su tale convinzione (se Dio volesse, due più due potrebbe fare cinque). La dimostrazione dell'esistenza di Dio sopprime tale club~. bio, introducendo alla base della stessa evidenza scientifìca un criterio morale (la bontà di Dio, che impedisce di immaginare che la nostra intelligenza sia soggetta all'arbi~

1.'

_ ___ tr-io__d_i_u_n_a_m_e_n_t_e_m--al_v_a-gr-·a_)_.----------------------

;~pTAZIONI Cartesio La sostanza Quando noi concepiamo la sostanza, concepiamo solamente una cosa che esiste in tal modo da non aver bisogno che di se medesima per esistere. A parlar propriamente, non v'ha che Dio che sia tale, e non v'ha niuna cosa creata che possa esistere un sol momento senza essere sostenuta e conservata dalla sua potenza.

Ma poiché tra le cose create alcune son di tale natura da non potere esistere senza alcune altre, noi le distinguiamo da quelle che non hanno bisogno che del concorso ordinario di Dio, chiamando queste sostanze, e quelle qualità o attributi di queste sostanze.

I principi della fìlos~fjJ;J

tà, che poi risulta fondato sulla veracità di Dio. All'obiezione Cartesio risponde distinguendo, nel cogito, l'evidenza presente e attuale da quella passata, che mi è garantita solo dalla memoria. r.: esistenza di Dio fonda il criterio di verità nel senso che fornisce la garanzia morale che la memoria non mi confonde, quando la applico nella dimostrazione di problemi matematici complessi e difficili. Quando dimostro un problema non ho presenti attualmente tutti i passaggi del processo dimostrativo (posso utilizzare un teorema che ho dimostrato con evidenza in passato e che ora mi limito a richiamare alla memoria nelle sue conclusioni). Dio garantisce l'evidenza nel senso che assiste la memoria ~' ma non nel senso che fondi la verità delle proposizioni immediatamente evidenti (presenti al mio spirito in un'idea chiara e distinta), che non hanno come tali bisogno di conferma.

~

Ricorda che... La quarta regola del metodo cartesiano ha la funzione di esercitare un costante controllo mnemonico nelle dimostrazioni scientifiche. L'esistenza di Dio e la sua presenza nella mente umana (il/umen naturale di cui parla la scolastica) danno al metodo un fondamento metafìsico.

5. La definizione di sostanza e le sue distinzioni Oltre a fornire una garanzia morale al processo conoscitivo dell'uomo, Dio costituisce per Cartesio anche un modello per concepire in modo chiaro e autoevidente la nozione tradizionale di sostanza. Cartesio definisce la sostanza come «ciò che esiste in modo tale, da non avere bisogno di nessuna altra cosa per esistere» («id quod ita existit, ut nulla alia re indigeat ad existendum»). Questa definizione è ricavata dal concetto scolastico di essere necessario (causa sui), piuttosto che da quello aristotelico di sostanza individuale come sinolo di materia e forma. In senso eminente e univoco, soltanto di Dio potremmo affermare che è sostanza, esistendo in virtù di un atto di pensiero infinito, che non rimanda a nulla di antecedente. Ma in senso derivato e analogico (una volta accettato il criterio di verità delle idee chiare e distinte) possiamo definire sostanze quegli enti che, una volta posti in essere dal pensiero (il nostro pensiero finito partecipa infatti dell'atto di pensiero infinito di Dio), possono sussistere nell'esistenza, senza ulteriori interventi di Dio. Cartesio distingue due tipi di sostanze: la res cogitans (i singoli spiriti) e la res extensa (l'estensione geometrica, come essenza dei singoli corpi). Come vedremo meglio in seguito, Dio ha creato ciascuna di queste due sostanze in modo tale che possa permanere nell'esistenza e agire in modo del tutto indipendente da altro.

verifica

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Conoscenza dei termini

Definisci: dubbio scetticofdubbio metodico, errori dei sensi, genio maligno, idee innate/ avventizie/ fattizie, essere perfettissimo, causa sui, sostanza.

bcomprensione di concetti e relazioni l Quale è la funzione del dubbio metodico, nel

4 5 6

processo dimostrativo della metafisica cartesiana?

2 In che modo si può sconfiggere il dubbio? 3 !.:affermazione cogito, ergo sum ti sembra un

7

principio intuitivo, oppure la conclusione di un ragionamento? Perché si passa dal cogito alla res cogitans? Qual è il principio di base delle dimostrazioni cartesiane dell'esistenza di Dio? Quali sono le tre prove cartesiane dell'esistenza di Dio? Quale di esse ricorda l'argomento antologico di Anselmo? Che cosa si intende per circolo vizioso? Ti sembra che la soluzione offerta da Cartesio sia convincente?

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il; 2. I.:età della scienza e dello stato assoluto

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Lezione Testo

Dai cogito alla res cogitans Il Cartesio Meditazioni metafisiche

.1641 1

• silloge di meditazioni

In questo brano delle Meditazioni metafisiche sulla filosofia prima Cartesio riporta i passaggi razionali che lo hanno condotto ad accertarsi dell'indubitabilità dell'atto di pensiero, su cui intende fondare tutta la metafisica. Se dubito, aveva detto in precedenza, esisto: se non esistessi non potrei nemmeno dubitare. · Questa prima certezza psicologica viene ora sottoposta al vaglio di un dubbio più radicale: l'esistenza di un genio maligno, che cerca di ingannarmi costantemente, qualunque cosa io pensi, facendomi apparire vero ciò che è falso. Come si esce da questa trappola logica?

lo suppongo che tutte le cose che vedo siano false; mi pongo bene in mente che nulla c'è mai stato di tutto ciò che la mia memoria, riempita di menzogne, mi rappresenta; penso di non aver senso alcuno; credo che il corpo, la figura, l'estensione, il movimento ed il luogo non siano che finzioni del mio spirito. Che cosa potrà essere reputato vero? Forse niente altro, se non che non v'è nulla al mondo di certo. O [... ] Ed io stesso, almeno, sono forse qualche cosa? Ho già negato di avere alcun senso ed alcun corpo. Esisto, tuttavia; che cosa, infatti, segue di là? Sono io talmente dipendente dal corpo e dai sensi, da non poter esistere senza di essi? Ma mi sono convinto che non vi era proprio niente nel mondo, che non vi era né cielo, né terra, né spiriti, né corpi; non mi sono, dunque, io, in pari tempo, persuaso che non esistevo? No, certo; io esistevo senza dubbio, se mi sono convinto di qualcosa, o se solamente ho pensato qualcosa. Ma vi è un non so quale ingannatore potentissimo e astutissimo, che impiega ogni suo sforzo nell'ingannarmi sempre. E) Non v'è dunque dubbio che io esisto, s'egli m'inganna; e m'inganni fin che vorrà, egli non saprà mai fare che io non sia nulla, fino a che penserò di essere qualche cosa. Di modo che, dopo avervi ben pensato, ed avere accuratamente esaminato tutto, bisogna infine concludere, e tener fermo, che questa proposizione: "Io sono, io esisto", è necessariamente vera tutte le volte che la pronuncio, o che la concepisco nel mio spirito. Ma io non conosco ancora abbastanza chiaramente ciò che sono, io che sono certo di essere; di guisa che, oramai, bisogna che badi con la massima accuratezza a non prendere imprudentemente qualche altra cosa per me, e così a non ingannarmi in questa conoscenza che io sostengo essere più certa e più evidente di tutte quelle che ho avuto per lo innanzi. Ecco perché io considererò da capo ciò che credevo che esistesse prima che entrassi in questi ultimi pensieri; e dalle mie antiche opinioni toglierò tutto quel che può essere combattuto con le ragioni da me sopra allegate, sì che resti solo ciò che è intieramente indubitabile. Che cosa, dunque, ho io creduto dapprima di essere? 0 [... ] Io mi consideravo dapprima come avente un viso, delle mani, delle braccia,

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1

È la prima fase del dubbio metodico, che riprende i tradizionali motivi scettici: gli errori dei sensi, la debolezza della memoria, l'incertezza di tutto ciò che attiene alla credenza in un mondo esterno.

2

È il rovesciamento del dubbio metodico. Per poter dubitare di tutto, bisogna che almeno io, che dubito, e dunque penso, sia attualmente esistente.

3

E ipotesi del genio ingannatore viene introdotta da Cartesio per rafforzare ll dubbio, estendendolo dalla certezza sensibile a quella del pensiero.

4

Anche il "dubbio iperbolico" si auto· confuta, come il precedente dubbio metodico. Ma lascia il soggetto pensan· te in una situazione più grave della precedente. Finché dubitavo del mondo esterno, potevo ancora credere nella validità del pensiero. Ma ora ho appreso a dubi· tare dei contenuti del mio pensiero e, put essendo certo di esistere, non so più che cosa devo pensare di me stesso.

5

Cartesio riprende l'indagine, assu· mendo un punto di vista solipsistico Non potendo affidarsi a nessun conte· nuto di pensiero, deve partire dall'ipote si che solo il suo io esista e tentare di de scrivere ciò che a tale io appartiene i~ modo necessario e indubitabile. La prt ma evidenza è quella di essere legato a Ul corpo.

Cartesio e tutta questa macchina composta d'ossa e di carne, così come essa appare in un cadavere: macchina che io designavo con il nome di corpo. Io consideravo, oltre a ciò, che mi nutrivo, che camminavo, che sentivo e che pensavo: e riportavo tutte queste azioni all'anima; ma non mi fermavo a pensare che cosa fosse quest'anima, oppure, se mi ci fermavo, immaginavo che essa fosse qualcosa di estremamente rado e sottile, come un vento, una fiamma, o un'aria delicatissima, insinuata e diffusa nelle parti più grossolane di me. (i) Per ciò che riguardava il corpo, non dubitavo per nulla della sua natura; perché pensavo di conoscerla molto distintamente, e, se avessi voluto spiegarla secondo le nozioni che ne avevo, l'avrei descritta in questa maniera: per corpo intendo tutto ciò che può esser determinato in qualche figura; che può essere compreso in qualche luogo, e riempire uno spazio in maniera tale, che ogni altro corpo ne sia escluso; che può essere sentito o col tatto, o con la vista, o con l'udito, o col gusto, o con l'odorato; che può essere mosso in più maniere, non da se stesso, ma da qualcosa di estraneo, da cui sia toccato e di cui riceva l'impressione. 8 [... ] Ma io, chi sono io, ora che suppongo che vi è qualcuno, che è estremamente potente e, se oso dirlo, malizioso e astuto, che impiega tutte le sue forze e tutta la sua abilità ad ingannarmi? Posso io esser sicuro di aver la più piccola di tutte le cose, che sopra ho attribuito alla natura corporea? Io mi fermo a pensarvi con attenzione, percorro e ripercorro tutte queste cose nel mio spirito, e non ne incontro alcuna, che possa dire essere in me. Non v'è bisogno che mi fermi ad enumerarle. Passiamo, dunque, agli attributi dell'anima, e vediamo se ve ne sono alcuni, che siano in me. I primi sono di nutrirmi e camminare; ma se è vero che io non ho corpo, è vero anche che non posso camminare né nutrirmi. Un altro attributo è il sentire; ma, egualmente, non si può sentire senza il corpo: senza contare che ho creduto talvolta di sentire parecchie cose durante il sonno, che al mio risveglio ho riconosciuto non aver sentito di fatto. Un altro è il pensare; ed io trovo qui che il pensiero è attributo che m'appartiene: esso solo non può essere distaccato da me. Io sono, io esisto: questo è certo; ma per quanto tempo? Invero, per tanto tempo per quanto penso; perché forse mi potrebbe accadere, se cessassi di pensare, di cessare in pari tempo d'essere o d'esistere. (i) [... ]

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Cartesio distingue tra il corpo considerato dall'es temo (una macchina, o un cadavere) e lo stesso corpo vissuto dall'interno (il corpo che posso muovere, o che mi dà delle sensazioni): separa le due evidenze, chiamando la prima "corpo" e la seconda "anima".

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In questo ulteriore passaggio, Cartesio separa definitivamente la cognizione esterna del corpo da quella interna, riducendo l'esperienza viva del proprio corpo a quella di ogni altro corpo fisico, dotato di pure proprietà spaziali.

8

La finzione metodica del genio ingannatore viene ora usata in modo più raffinato. Non per separare genericamente l'io dai suoi contenuti di pensiero astratti, ma per selezionare, tra le "evidenze" dell'io solipsistico quelle che debbono cadere sotto la scure del dubbio e quelle che rimangono tali. Cartesio fa cadere tutte quelle evidenze, che collegano l'io alla vita sensibile, per lasciare intatta, nella conclusione, quella che si collega alla pura visione intellettuale.

e [...]

Cartesio, Meditazioni metafisiche sulla filosofia prima, in Opere, vol. l, ci t.

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In questa conclusione, l'atto di pensare viene "sostantivato". Sostanza è «ciò che, per esistere, non ha bisogno di nessun'altra cosa». Ma se, io, per esistere, ho bisogno solo di pensare, significa che sono una res cogitans.

laboratorio

aAnalisi del testo l Perché Cartesio ricorre all'artificio del dubbio? 2 Quali sono i gradi del dubbio metodico, che si possono distinguere in questo brano? 3 A che cosa serve la finzione del genio maligno? 4 Ripercorri analiticamente i passaggi argomentativi, attraverso cui Cartesio dimostra la realtà dell'io, cioè della sostanza pensante.

b

Riflessione

l Cartesio può accettare come ovvia la verità del materialismo scientifico, che concepisce il corpo come una macchina mossa dall'interno da un'anima, anch'essa di natura corporea? 2 A che cosa gli serve applicare alle evidenze scientifiche la finzione del genio maligno?

2. I:età della scienza e dello stato assoluto

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Temi

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*Sostanza e attributo* Il dualismo cartesiano *Intelletto, volontà, immaginazione *L'esistenza dei corpi* L'interazione tra anima e corpo

attributo, cogitatio, extensio, dualismo, intelletto, volontà, immaginazione, possibile e probabile, ghiandola pineale

1. Sostanza e attributo • Lessico Ciò che l'intelletto concepisce dell'essenza di una sostanza (il pensiero per l'anima, l'estensione per il corpo), come sufficiente a stabili me la natura. ATTRIBUTO

Alla distinzione scolastica tra sostanza (ciò che è in sé) e accidente (ciò che è in altro), Cartesio sostituisce quella (equivalente) tra sostanza e attributo. In senso generale, definiamo • "attributo" qualsiasi qualità o proprietà della sostanza, sufficiente a farcela conoscere come esistente. Non siamo cioè in grado di concepire una sostanza come realmente esistente nel mondo, se non perché ne percepiamo gli attributi (il nulla non possiede attributi). Ma in un significato più specifico, diciamo attributo della sostanza ciò che ne esprime l'essenza e che è dunque sufficiente a farcela conoscere. In ogni sostanza esiste un attributo principale, dal quale tutti gli altri dipendono. Per esempio, l'estensione (lunghezza, larghezza, profondità) costituisce la natura della sostanza corporea. Viceversa il pensiero costituisce la natura della sostanza pensante. Non possiamo concepire un corpo, o nessuna realtà materiale in genere, senza dotarlo di estensione. Così come non possiamo concepire uno spirito, senza dotarlo della facoltà di pensiero. Poiché si tratta di idee chiare e distinte, non dobbiamo attribuire alla res cogitans le qualità o le attribuzioni della materia. Così come non dobbiamo attribuire alla res extensa quelle proprie del pensiero. Mediante la specificazione degli attributi, Cartesio perviene così a concepire una separazione reale tra le due sostanze (spirituale e materiale). Cmtfronti Aristotele n .,,,,~,;'

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la sostanza è unione di materia e forma

materia e spirito sono sostanze separate

dal punto di vista logico, c'è distinzione tra sostanza e accidente

dal punto di vista logico, c'è distinzione tra sostanza e attributo

2. Il dualismo cartesiano Con dualismo cartesiano si intende la tesi che l'uomo sia composto di due sostanze realmente distinte: anima (res cogitans) e corpo (res extensa). Tale concezione solleva particolari problemi nello spiegare l'interazione tra il corpo e la mente. Non dobbiamo concepire il rapporto tra le due sostanze come una semplice "coabitazione", ma come un'intima unione e «mescolanza». Se si trattasse di semplice coabitazione- osserva Cartesio -, quando il mio corpo, per esempio, viene ferito, io (che sono una cosa pensante) non sentirei alcun dolore, ma «percepirei questa ferita per mezzo del solo intelletto, come un pilota percepisce con la vista se qualcosa si rompe nel suo vascello». Lo stesso si dica per le sensazioni 11

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di fame, sete ecc., che non equivalgono alla semplice constatazione razionale che

il mio corpo ha bisogno di cibo, ma sono piuttosto maniere confuse di pensare, che provengono e dipendono dall'unione dello spirito con il corpo. Come può una sostanza pensante entrare in rapporto con una sostanza estesa? Come può l'anima o la mente (realtà semplice, priva di parti, in estesa) venire influenzata dal corpo (composizione di parti estese) e viceversa? Alla domanda, Cartesio può solo rispondere con un appello all'esperienza, a fenomeni come le passioni e simili. Che il nostro corpo subisca (nei moti volontari, per esempio) l'influsso dell'anima e che, reciprocamente, questa subisca (nelle sensazioni, nelle passioni ecc.) l'influsso del corpo, è un fatto.

3. Intelletto e volontà Prima di determinare come avviene tale reciproco influsso, possiamo stabilire una distinzione fondamentale, nell'attributo spirituale del pensiero, tra due sue ~

facoltà~:

l. intelletto, mediante il quale conosciamo le cose (sensazione, percezione,

idea) e formuliamo i giudizi corrispondenti; 2. volontà, mediante la quale diamo o neghiamo l'assenso al giudizio e imprimiamo nell'anima la tendenza ad agire di conseguenza. Da questa distinzione Cartesio trae anche una spiegazione originale del problema dell'errore. Questo non sarebbe un fatto di natura conoscitiva, bensì pratica. Esso consiste nell'assenso dato a ciò che non è chiaro, in violazione della regola generale dell'evidenza. Come può avvenire ciò, se l'anima, nella sua essenza, non è altro che pensiero? Cartesio lo spiega confrontando la mente finita dell'uomo con quella infinita di Dio. In Dio non ci può essere errore o falsità, perché i due attributi dell'intelletto e della volontà sono coestensivi. Nell'uomo esiste invece uno squilibrio o inadeguazione tra i due aspetti. Dio gli ha dato una volontà formalmente identica alla propria (il•libero arbitrio), ma un'intelligenza finita e limitata. Se egli fa un uso prudente della propria limitata facoltà di giudizio, dando l'assenso solo a ciò di cui ha immediata evidenza, non cadrà in errore. Ma se, per motivi pratici (precipitazione o prevenzione), vuole concludere prima di avere ottenuta l'evidenza, può facilmente sbagliare.

Ricorda che ...

Per Cartesio sensazione, immagine, idea, volizione sono tutte modalità dell'unico attributo sostanziale dell'anima, il pensiero o cogitati o.

• Lessico liBERO ARBITRIO Il potere dell'anima di deliberare indifferentemente a favore del bene o del male. In Dio la volontà è sempre diretta al bene. Nell'uomo esiste la scelta tra un bene maggiore e uno minore, e dunque la possibilità di scegliere il male.

4. Intelletto e immaginazione Un'altra distinzione importante, nell'ambito generale del pensiero, è quella tra intelletto e immaginazione. Cartesio oppone tra loro sensibilità, che è una conoscenza confusa delle qualità apparenti delle cose, e intelletto, che di queste dà un'idea chiara e distinta. A questa distinzione Cartesio fa corrispondere, nell'oggetto, quella tra quali-

~OCUS

I: obiezione di Hobbes al dualismo cartesiano

Tra i critici del dualismo cartesiano si segnala Thomas Bob bes, autore delle Terze obiezioni alle Meditazioni metafisiche. Hobbcs rimprovera a Cartesio di aver confuso l'atto di pensare con il soggetto di tale atto, cadendo in un'indebita "ipostatizzazione" del pensiero. «Non mi sembra un ragionamento ben dedotto- egli scrive- dire: "io sono pensante", dunque "io sono un pensiero"; oppure "io sono intelligente", dunque "io sono un intelletto". Poiché nella stessa guisa potrei dire: "io sono

passeggiante" dunque "io sono una passeggiata''.» Al dualismo cartesiano, Hobbes contrappone qui un monismo materialistico, vale a dire l'ipotesi che il pensiero sia solo l'epifenomeno (la manifestazione superficiale) di un organo corporeo, come per esempio il cervello: «Può darsi che una cosa che pensa sia il soggetto dello spirito, della ragione o dell'intelletto, e, pertanto, che sia qualche cosa di corporeo; e il contrario di questa ipotesi è assunto, o postulato, ma non provato». 2. L:età della scienza e dello stato assoluto

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• Lessico Le proprietà geometriche dei corpi, in quanto specificazioni dell'estensione (grandezza, figura, movimento). A differenza di quelle sensibili, sono colte dall'intelletto e hanno valore oggettivo. QUALITÀ PRIMARIE

che ... Le idee dell'intelletto si distinguono per la maggiore o minore chiarezza. Le sensazioni sono ugualmente confuse, ma si distinguono in base alla maggiore o minore forza e vivacità con cui si impongono all'immaginazione.

tà secondarie e primarie. Come già Galilei, egli nega valore oggettivo alle qualità secondarie, ossia a quelle sensibili (colore, odore, sapore ecc.), riconoscendolo solo alle • qualità primarie, ossia alle proprietà geometriche dei corpi (grandezza, figura, movimento). Questa distinzione, da "fenomenica'' o descrittiva, diviene "antologica'', fondandosi su quella tra res cogitans e res extensa. Poiché pensiero ed estensione sono idee distinte, non posso trasferire le proprietà dell'una a quelle dell'altra. Con l'intelletto, concepisco chiaramente nei corpi le proprietà derivanti dall' estensione. Ciò che vi si aggiunge, per la congiunzione della mente con il corpo (le qualità sensibili o secondarie), non può avere lo stesso grado di certezza, ma solo uno inferiore, di natura soggettiva. Così il colore che percepisco con l'occhio o il dolore che sento nel mio braccio hanno la loro sede nell'anima, non essendo altro che due modificazioni (una esterna e una interna) della res cogitans. I.:immaginazione è appunto la facoltà del conoscere sensibile, che modifica quella pura dell'intelletto, mescolandola con elementi sensibili ~.

5.

dimostrazione delf esistenza dei corpi

La distinzione tra intelletto e immaginazione serve a dimostrare l'esistenza dei corpi. Il dubbio metodico colpiva l'esistenza del mondo fisico-corporeo, in quanto percepito solo dai sensi. La dimostrazione dell'esistenza della res cogitans, come sostanza separata, ha consentito di ammettere la possibilità dell'esistenza di un mondo esterno, del quale siamo tuttavia in grado di affermare con certezza e obiettività solo le proprietà geometriche e ideali, concepite mediante l'idea di res extensa. Ma, fuori di noi, non percepiamo linee, figure, movimenti perfetti (come nell'immaginario geometrico), bensì corpi dotati di qualità sensibili, impenetrabili, movimenti irregolari ecc., ossia il mondo naturale come ci si presenta nel suo aspetto feno~ Ricorda che ... Come esempio della dif. ferenza tra intelletto e immaginazione, Cartesio prende quelle figure geometriche (come il chiliagono, o poligono di mille lati) che posso concepì re chiaramente con l'intelletto, ma non posso raffigurarmi sensibilmente.

~ i !l

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menico~.

Che cosa dobbiamo pensare di esso? Se fossimo angeli (intelligenze pure incorporee) potremmo concludere che esiste solo come risultato di una proiezione soggettiva, o di un sogno. Ma poiché siamo uomini, creati da Dio come unione di un'anima spirituale e di un corpo materiale, possediamo la facoltà dell'immaginazione, che ci fa propendere verso la probabilità dell'esistenza di un mondo così formato, come i sensi lo fanno apparire. Sarebbe infatti strano (e contrario alla bontà e veracità di Dio) che fossimo ingannati, ogniqualvolta colleghiamo una sensazione corporea con un giudizio intellettivo della mente. Ma, mentre l'esistenza dell'anima è assolutamente certa, quella del mondo fisico è solo probabile, anche se possiede un grado di certezza sufficiente alla vita pratica. Uno schema può aiutare a seguire i passi dimostrativi di Cartesio:

l.

L:idea chiara e distinta di res extensa dimostra la possibilità che i corpi esistano indipendentemente . dal pensiero.

2.

' Il diverso modo in cui le proprietà dell'estensione appaiono all'intelletto e all'immaginazione rende : probabile tale esistenza.

3.

La forza e vivacità con cui le sensazioni si impongono all'intelletto, e in particolare quelle organiche, , mi danno la certezza che sia proprio il mio corpo a mettermi in contatto con il mondo esterno.

4.

: La veracità divina mi conferma ulteriormente nella credenza dell'esistenza di un mondo esterno, così come i mi fa certo della mia esistenza indipendente in quanto anima.

164

Foçus rimmortalità deiranima Cartesio dice che la sua metafisica, meglio di quella scolastica tradizionale, dimostra i due dogmi fondamentali della teologia naturale: l'esistenza di D io e l'immortalità dell'anima. Per quanto riguarda l'esistenza di Dio, abbiamo visto in precedenza le prove che Cartesio introduce (e che godranno di una certa fortuna in epoca moderna, specialmente la terza o argomento antologico). Per quanto concerne invece l'immortalità dell'anima, egli la fonda sul criterio delle

6. [unione nelfuomo di anima

idee chiare e distinte e sulla onnipotenza divina. Poiché l'attributo del pensiero e l'attributo dell'estensione sono oggetto di idee chiare e distinte, non posso concepire un'anima estesa, né un corpo in esteso. Poiché inoltre Dio ha la potenza di creare dal nulla tutto ciò che la mia mente concepisce in modo chiaro e distinto, esisteranno un mondo di spiriti (anime) e un mondo di corpi realmente distinti e separati. Creata da Dio, l'anima non può dunque perire con la morte del corpo, ma è immortale.

corpo

Come avviene l'interazione dell'anima con il corpo? L:anima è inestesa e agisce sul corpo (attraverso la volontà) senza bisogno di organi. Il corpo (come vedremo meglio) è una macchina, capace di muoversi per semplice influsso fisico (in quanto, cioè, urtata dagli altri corpi). Esiste tuttavia la possibilità di "localizzare" l'influsso reciproco tra anima e corpo in un organo: la ghiandola pineale ~. Si tratta di una terminazione nervosa collocata alla base del cervello, verso la quale convergono i nervi (concepiti dalla medicina del tempo come canali sottilissimi, in cui scorre lo "spirito vitale"). Cartesio ipotizza l'interazione dell'anima con il corpo secondo il modello illustrato da questa figura. Il calore, generato da una sorgente (il fuoco), si comunica in modo meccanico al corpo e, attraverso le terminazioni nervose, al cervello (il quale controlla i movimenti volontari del corpo). La sensazione di caldo è suscitata nell' anima per mezzo della ghiandola pineale. La risposta motoria (avvicinare o allontanare il corpo dalla fonte di calore) è un atto volontario, come tale libero, che si serve dell'organismo corporeo come di un semplice automa: posso infatti avvicinare o allontanare la mano dal fuoco, in modo libero e volontario.

~ Ricorda che ... L'osservazione anatomica del cervello porta Cartesio a scegliere questa ghiandola endocrina (che secerne la melatonina), corrispondente nella fisiologia odierna all'ipofisi, come il punto di unione tra anima e corpo, in considerazione del fatto che è l'unica a non avere una ghiandola simmetrica.

verifica

aConoscenza dei termini Definisci: sostanza, attributo, dualismo, intelletto, volontà, immaginazione, errore, unità psicofisica.

bcomprensione di concetti e relazioni l Come concepisce l'anima Cartesio? Quali sono le differenze rispetto al modo tradizionale in cui essa è definita dalla scolastica aristotelica? 2 Quali obiezioni si possono rivolgere al dualismo cartesiano? 3 Ti sembra che la soluzione del problema psicofisico

(dell'interazione, cioè, di anima e corpo) proposta da Cartesio sia soddisfacente? 4 Che cosa pensi dell'affermazione cartesiana che il calore e il dolore hanno entrambi la loro collocazione nell'anima, anziché nel corpo? 5 La dimostrazione laboriosa dell'esistenza del mondo esterno ha fatto parlare di Cartesio come di un "idealista" (in contrasto con Hobbes, che è ritenuto un "materialista"). Quale significato dai a queste espressioni? Quale dei due punti di vista ti sembra più vicino al senso comune? 2. I:età della scienza e dello stato assoluto

165

l

Lezione Testo

Dal cogito alla res extensa Il Cartesio Meditazioni metafisiche

.1641 silloge di meditazioni

l•

Nel brano - tratto, come il precedente, dalla seconda meditazione - Cartesio approda all'idea di res extensa, a cui si riduce la caratteristica sostanziale dei corpi. L!extensio non è ottenuta mediante un processo di astrazione dalle qualità sensibili dei corpi (secondo la vecchia mentalità scolastica), non è cioè un concetto astratto, ma una nozione intuitiva. Essa è colta dalla mente in un atto di visione diretta, dopo la distruzione scettica della certezza sensibile; senza il ricorso all'immaginazione, ma in una semplice evidenza intellettiva.

Cominciamo dalla considerazione delle cose più comuni, e che noi crediamo di comprendere nel modo più distinto, cioè i corpi che tocchiamo e vediamo. Io non intendo parlare dei corpi in generale, perché queste nozioni generali sono d'ordinario più confuse, ma di qualche corpo in particolare. Prendiamo, per esempio, questo pezzo di cera, che è stato proprio ora estratto dall'alveare: esso non ha perduto ancora la dolcezza del miele che conteneva, serba ancora qualcosa dell'odore dei fiori, dai quali è stato raccolto; il suo colore, la sua figura, la sua grandezza sono manifesti; è duro, è freddo, lo si tocca, e, se lo colpite, darà qualche suono. Infine, tutte le cose che possono distintamente far conoscere un corpo, s'incontrano in questo. Ma ecco che, mentre io parlo, lo si avvicina al fuoco: quel che vi restava di sapore esala, l'odore svanisce, il colore si cangia, la figura si perde, la grandezza aumenta, diviene liquido, si riscalda, amala pena si può toccarlo, e benché lo si batta, non renderà più alcun suono. O Ma la cera stessa resta dopo questo cambiamento? Bisogna confessare ch'essa resta; e nessuno può negarlo. Che cosa è, dunque, ciò che si conosceva con tanta distinzione in questo pezzo di cera? Certo non può esser niente di quel che vi ho notato per mezzo dei sensi, poiché tutte le cose che cadevano sotto il gusto o l'odorato o la vista o il tatto o l'udito si trovano cambiate, e tuttavia la cera stessa resta. Forse era ciò che io penso ora: la cera cioè non era né quella dolcezza del miele, né quel piacevole odore dei fiori, né quella bianchezza, né quella figura, né quel suono, ma solamente un corpo, che poco prima mi appariva sotto queste forme, e che adesso si presenta sotto altre. Ma, parlando con precisione, che cosa è ciò che immagino, quando lo concepisco in questa maniera? Consideriamolo attentamente, e, allontanando tutte le cose che non appartengono alla cera, vediamo quanto resta. Certo non resta altro che qualcosa di esteso, di flessibile, di mutevole. Ora, che cosa vuol dire: flessibile e mutevole? Non significa forse che io immagino che questa cera, essendo rotonda, è capace di divenir quadrata, e di passare dal quadrato in una figura triangolare? No di certo, non è questo, poiché io la concepisco capace di ricevere un'infinità di simili

e

e

166

1

Cartesio descrive le trasformazioni che si possono osservru:e in un pezzo di cera, quando venga sottoposto all' azione del fuoco. Si osservi come la descrizione segua da vicino i dettami della psicologia aristotelica. Sono enumerate, nell'ordine, le qualità sensibili, corrispondenti ai cinque sensi esterni: gusto, odorato, vista, tatto, udito.

2

E azione fisica del fuoco deve lasciare intatta la sostanza della cosa, della cui permanenza giudichiamo mediante un atto del giudizio: sia prima sia dopo la metamorfosi delle qualità sensibili deve trattarsi dello stesso pezzo di cera. Che qualcosa debba permanere nel continuo divenire del mondo sensibile è del resto un antico principio della metafisica: ex nihilo nihil (altrimenti ogni cambiamento di stato ci porrebbe di fronte al mistero inesplicabile di una creazione dal nulla).

3

Ci si interroga sul significato reale, ossia metafisico, dell' espedenza constatata a livello psicologico. Il car~t­ tere sostanziale del corpo non è p1ù concepito, aristotelicamente, come forma; bensì mediante la semplice analogia con le proprietà geometriche dello spazio.

cambiamenti, e non saprei, tuttavia, percorrere quest'infinità con la mia immaginazione; e, per conseguenza, questo concetto che ho della cera non si ottiene per mezzo della facoltà d'immaginare. C) Ma che cos'è questa estensione? Non è, essa pure, sconosciuta, poiché nella cera che si fonde aumenta e si trova ad essere ancora più grande quando è intieramente fusa, e molto più grande ancora, quando il calore aumenta di più? Né io concepirei chiaramente e secondo verità che cosa è la cera, se non pensassi ch'essa è capace di ricevere maggior numero di variazioni, secondo l'estensione, di quel che io non abbia mai immaginato. Bisogna, dunque, che ammetta che con l'immaginazione non saprei concepire che cosa sia questa cera, e che non v'è se non il mio intelletto che la concepisca: io dico questo pezzo di cera in particolare, poiché, per la cera in generale, la cosa è ancor più evidente. Ora, qual è questa cera, che non può essere concepita se non dall'intelletto o dallo spirito? Certo è la stessa che io vedo, tocco, immagino, e la stessa che conoscevo fin da principio. Ma, e questo è da notare, la percezione, o l'azione per mezzo della quale la si percepisce, non è una visione, né un contatto, né un'immaginazione, e non è mai stata tale, benché per lo innanzi cosl sembrasse, ma solamente una visione della mente [solius mentis inspectio], la quale può essere imperfetta e confusa, come era prima, oppure chiara e distinta, com'è adesso, secondo che la mia attenzione si porti più o meno verso le cose che sono in essa, e di cui essa è composta.

e

e

Cartesio, Meditazioni metafisiche sulla filosofia prima, in Opere, vol. I, ci t.

4

Cartesio distingue nettamente pensiero da immaginazione. Pensare qualcosa significa concepirla chiaramente e distintamente. Immaginarla vuoi dire invece raffigurarla sensibilmente. Altrove Cartesio fa l'esempio del triangolo: pensare un triangolo vuoi dire definirlo esattamente; immaginarlo vuoi dire aver presente una figura che non è mai esattamente triangolare, perché le linee che traccio nella mia immaginazione non sono linee perfette ecc.

5

L'estensione, che corrisponde alla sostanza dei corpi, non è qui un concetto astratto, ma una nozione intuitiva, che si riferisce alla medesima cosa, che era prima oggetto della conoscenza sensibile.

6

Cartesio distingue la conoscenza sensibile da quella intellettiva, in base al diverso grado di chiarezza delle idee corrispondenti.

laboratorio

a

Analisi del testo

l Come appare la cera prima che il calore del fuoco ne modifichi le qualità sensibili? Quali sensi entrano in gioco nella percezione del pezzo di cera? In quale ordine vengono presi in considerazione? 2 Dopo le modificazioni intervenute per l'azione distruttiva del fuoco, quali qualità continuano a essere percepite? Quali dei cinque sensi assumono, da questo punto di vista, un primato, per la determinazione dell'essenza del corpo in oggetto? 3 Qual è la differenza tra l'estensione concepita dal pensiero e quella rappresentata sensibilmente dall'immaginazione? Prova a modificare la situazione descritta da Cartesio, facendo altri esempi di corpi. 4 In che modo Cartesio arriva a concludere che l'estensione è l'attributo essenziale dei corpi?

b

Riflessione ·· l Dopo aver studiato questo brano, rileggi con attenzione quello della Lezione Testo precedente.

Rifletti sulle analogie del metodo applicato nei due casi da Cartesio alla definizione, rispettivamente, della res cogitans e della res extensa. a Nel primo brano Cartesio aveva già individuato nella proprietà di occupare uno spazio (cioè nell'estensione) l'attributo essenziale dei corpi. Qual è la differenza tra il modo in cui tale convinzione emergeva nel primo caso e quello con cui viene guadagnata nel secondo? b Nel primo brano troviamo l'affermazione generale che i corpi sono macchine. In questo invece la definizione di corpo come cosa estesa viene ricavata dalla distinzione tra qualità secondarie e qualità primarie. In quale dei due brani le analogie con il metodo scientifico di Galilei appaiono maggiori? c La definizione del corpo come res extensa è parallela a quella dell'io come res cogitans. Qual è il rapporto tra le due affermazioni? Quale delle due deve precedere necessariamente l'altra, e p.erché? 2. I:età della scienza e dello stato assoluto

167

l1

u

Lezione Profilo

meccanicismo universale Temi

Concetti-cltittve

*Il supera mento del finalismo fisico* t: identificazione di spazio e materia* La negazione del vuoto *La teoria dei vortici* Il corpo-macchina * t:animale-macchina

fisica matematica, spazio, materia, vortice, inerzia, conservazione della quantità di moto, urto, cuore, spiriti animali, cervello, anima delle bestie

1. La nuova cosmologia ~ Ricorda che... La fisica aristotelica introduceva, accanto alla spiegazione meccanica in base alle cause efficienti, quella teleologica in base alle cause finali, cui attribuiva anzi una maggiore importanza.

• Lessico MoDELLO Schema di spie-

gazione analogica dei fenomeni naturali, tratto dall'esperienza comune, come quello della macchina per spiegare il funzionamento dei corpi, o quello dei vortici d'acqua per spiegare i moti dei corpi celesti.

Con la distinzione tra sostanza pensante (res cogitans) e sostanza estesa (res extensa), Cartesio ha posto le basi non solo per una nuova psicologia, ma anche per una nuova cosmologia, in accordo con la rivoluzione scientifica operata da Copernico e Galilei. In Cartesio coesistono infatti una visione spiritualistica dell'uomo e una concezione meccanicistica del mondo naturale. La netta demarcazione di spirito e materia consente di eliminare dalla natura qualsiasi aspetto qualitativo e finalistico, per concepirne il mutamento in termini esclusivamente quantitativi e meccanici~. La creazione del cosmo non segue un disegno finalistico, ma discende in modo del tutto arbitrario dalla sovrabbondanza dell'essenza divina. Cercare le cause e i fini del mondo equivarrebbe a pretendere di conoscere la natura di Dio (per noi incomprensibile). Lunico aspetto su cui possiamo fondarci è la costanza e immutabilità della natura divina, che ci offrono una sicura analogia nella costruzione di un e modello meccanico del funzionamento delle leggi naturali: «Noi conosciamo che è una perfezione di Dio non solo essere immutabile nella sua natura, ma anche di agire in modo che egli non cambi mai. Donde segue che, poiché egli ha mosso in molte maniere differenti le parti della materia, quando le ha create, e le mantiene tutte nella stessa maniera e con le stesse leggi che egli ha fatto osservare loro nella creazione, conserva incessantemente in questa materia una uguale quantità di movimento».

2. L'identificazione della materia con lo spazio

e lessico INERZIA La tendenza di un

corpo, che si muova in condizioni ideali, a perseverare nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.

168

Trattando della psicologia cartesiana, ci siamo soffermati sulla distinzione di qualità primarie e qualità secondarie. Solo le prime, che corrispondono all'idealizzazione geometrica dei corpi, hanno un valore oggettivo, in quanto dipendono dall'intelletto. Collocate nell'anima le qualità secondarie o sensibili, Cartesio può più agevolmente procedere alla costruzione della nuova scienza della natura, ossia della fisica matematica, in cui le proprietà e le leggi di comportamento dei corpi sono dedotte dalle proprietà geometriche dello spazio. La definizione dell'attributo della sostanza corporea come pura estensione (nelle tre dimensioni della lunghezza, larghezza, profondità) porta Cartesio a identificare tra loro spazio e materia. I singoli corpi non hanno un'essenza propria, ma sono il l'isultato della divisione della massa totale della materia, che Dio ha creato in una quantità finita. I loro movimenti non hanno un dinamismo proprio (la legge di e inerzia esprime bene l'idea della passività fondamentale della materia), ma sono semplici spostamenti di parti nell'estensione materiale totale, determinati dall'urto meccanico tra i corpi. L unica differenza rilevabile tra

la pura estensione geometrica dello spazio ideale e quella della materia fisica è la relativa impenetrabilità dei corpi. Mentre nello spazio geometrico posso sovrapporre liberamente linee e figure, in quello fisico i corpi si toccano realmente, si spingono, collidono tra di loro, resistono alla penetrazione reciproca. Confronti Atomisti è formata da parti indivisibili (atomi) avviene nel vuoto

Cartesio come lo spazio geometrico, è divisibile all'infinito

Materia

avviene per spostamento di parti di materia, non esiste il vuoto

Movimento

3. La negazione del vuoto e la spiegazione del movimento Ma in quale luogo fisico si muove la materia? Gli atomisti (e gli scienziati moderni che ne riprendono il modello meccanico di spiegazione) direbbero nel vuoto. Cartesio non accetta questa ipotesi e resta legato all'idea scolastica che la natura rifugga dal vuoto (horror vacut) e che lo spazio fisico sia pieno. Anche le parti del cosmo che sembrano vuote, in cui si muovono i corpi stellari e planetari, sono in realtà piene di una «materia sottile», che ha la funzione di trasmettere il movimento. Ma dove risiede il principio del movimento: nel "movente" (secondo il principio scolastico omne quod movetur ab alio movetur) o nel "mosso"? Cartesio fa proprio il modello galileiano della relatività del movimento ~: un corpo persevera nel proprio stato (di quiete o di moto rettilineo uniforme), finché non urti contro un altro corpo, modificando velocità e direzione. Il principio del moto è dunque interno al corpo, anche se non va concepito come una forza (solo lo spirito è dinamico, mentre la materia è passiva). Le leggi a cui obbedisce il movimento fisico sono dunque: l. il principio d'inerzia e 2. la conservazione della quantità di moto (espressa matematicamente dal prodotto della massa corporea per la velocità). Dio ha impresso alla materia creata una certa quantità di movimento, che rimane e costante.

~ Ricorda che ... Nella fisica aristotelica il principio del moto non è nel corpo che si muove, ma in quello che lo pone in movimento. Nella fisica galileiana, gli stati di quiete o di moto rettilineo uniforme sono relativi all'osservatore.

• Lessico Nei calcoli matematici, elemento fisso (opposto della variabile). In Cartesio è una costante la quantità di moto: Q= m·v (massa corporea per velocità).

CosTANTE

Le leggi meccaniche del moto

l.

Il movimento è creato direttamente da Dio, insieme alla materia.

2.

I corpi conservano il loro stato di quiete o di moto rettilineo uniforme e lo modificano solo per l'urto meccanico con altri corpi.

3.

In un sistema fisico isolato (com'è il cosmo) la quantità di moto (m· v) si conserva in modo costante. Il movimento ceduto da un corpo, nell'urto meccanico, è acquistato nella stessa misura da un altro.

4. La teoria dei vortici Per spiegare la formazione dell'universo e il moto dei corpi celesti, Cartesio introduce un modello meccanico: quello dei vortici. Come in una materia fluida, cui venga imposto un moto rotatorio, si formano dei moti concentrici, a seconda della diversa densità del fluido, simili a vortici d'acqua, cosl il moto impresso da Dio alla massa di materia da Lui creata si mantiene costante, in base 2. I: età della scienza e dello stato assoluto

169

l

CITAZION l Cartesio La teoria dei vortici Come nei meandri dei fiumi, ove l'acqua si ripiega in se stessa e girando così fa circoli, se alcune festuche, o altri corpi leggerissimi, fluttuano tra quell'aqua, si può vedere che essa li porta e li fa ruotare in circolo con sé. [... ] Così si può imma-

ginare che tutte le stesse cose accadano ai pianeti; e non occorre che questo per spiegare tutti i loro fenomeni.

a precise leggi meccaniche. Le parti più dense di materia e i corpi più grandi si collocano al centro del vortice, muovendosi più velocemente. Quelle meno dense e i corpi minori si collocano alla periferia del vortice, muovendosi più lentamente. Ciò è conforme anche al modello copernicano del moto dei pianeti. Superata la distinzione tra moto sublunare e celeste, le leggi meccaniche valgono ovunque. La trasmissione del moto avviene per l'urto di un corpo in movimento, contro un altro corpo che passa dalla quiete al moto, o che accelera il proprio movimento, o che viene deviato dalla propria traiettoria inerziale. La quantità di moto ceduta dal primo corpo è acquisita dal secondo. In assenza di vuoto, non è concepibile che un corpo materiale possa agire a distanza. Per esempio, la caduta dei gravi è spiegata con la spinta verso il basso a cui essi vengono sottoposti da un certo tipo di materia («celeste») che, salendo perché più leggera, ne prende il posto in alto. I pianeti, poi, percorrono orbite curve, deviando dalla traiettoria inerziale che li farebbe correre lungo la tangente lontani dal Sole, perché trascinati dal vortice di materia in cui "galleggiano". ~ Ricorda che... La medicina antica considerava il sangue come uno dei quattro umori dalla cui mescolanza derivavano la vita e la salute dell'organismo. La medicina moderna lo considera un fluido che circola nel sistema venosa e arterioso, "pompato" dal cuore.

•Lessico RIFLEsso Reazione spontanea e meccanica, provocata dall'urto comunicato da un corpo esterno al sistema nervoso periferico e, secondo Cartesio, trasmesso al cervello dagli spiriti animali. Dello stesso genere sono i moti involontari del corpo umano.

5. La macchina corporea La visione meccanicista si estende dalle leggi fisiche dei corpi inanimati a quelle biologiche del mondo vivente. Anche il corpo organico è una macchina, il cui movimento è assicurato da «Un fuoco senza calore», posto nella sede centrale del cuore. La scoperta della circolazione del sangue ~' dovuta a William Harvey (1578-1657), è messa a frutto da Cartesio per estendere il modello meccanico dal macrocosmo al microcosmo. Il cuore è il motore inserito in quella macchina più grande che è il corpo organico. Le tradizionali funzioni dell'anima vegetativa e sensi tiva sono spiegate in base a una fisiologia meccanicista. Gli organi di trasmissione del movimento sono gli spiriti animali, ossia le parti più sottili del sangue, costituite da particelle infinitesimali e mobilissime. Riempiendo i nervi (concepiti come tubi sottili che vanno dal cervello alla periferia del corpo), essi trasmettono gli impulsi esterni al cervello. Le reazioni di questo organo corporeo agli urti dei corpi esterni sono trasmesse automaticamente agli spiriti, che le portano ai muscoli e ne determinano la contrazione e il movimento. Si spiegano cosl quelli che noi oggi chiamiamo e riflessi, i soli movimenti che Cartesio ammetta nelle bestie. A differenza di queste, l'uomo è l'unico essere vivente a possedere un'anima spirituale. È a essa

FOCUS I metodi della scienza La fisica matematica fornisce a Cartesio uno schema di spiegazione generale dei fenomeni naturali. Ma come si passa dalla spiegazione astratta del movimento alle leggi fisiche particolari (dell'ottica, della fisiologia ecc.)? È qui necessario il ricorso all'osservazione diretta e all' esperimento, che consente di formulare ipotesi esplicati170

ve dei singoli fenomeni. A tal fine, è particolarmente importante l'uso di modelli, ossia di spiegazioni analogiche dei comportamenti naturali, riportate a esempi tratti dall' esperienza comune. Di questo tipo è, per esempio, la teoria dei vortici, introdotta da Cartesio per spiegare i moti celesti.

CITAZIONI Cartesio L'animale-macchina Nessun movimento può prodursi, nei corpi delle bestie come anche nei nostri, se questi corpi non hanno in sé tutti gli organi e strumenti, per mezzo dei quali questi movimenti potrebbero egualmente essere eseguiti in una macchina. Anche in noi, non è già lo spirito (o l'anima) che muove immediatamente le membra esteriori. Esso può solo determinare il corso di quel fluido sottilissimo, che viene chiamato "spiriti animali". Questi, scorrendo continuamente dal cuore per il cervello nei muscoli, sono causa di tutti i movimenti

delle nostre membra [... ]. Non sempre la mente li determina; poiché tra i movimenti che si compiono in noi, ve ne sono molti che non dipendono affatto da essa, come il battito del cuore, la digestione dei cibi, la nutrizione, la respirazione di quelli che dormono e, in quelli che sono svegli, il camminare, cantare ed altre azioni simili, quando esse si compiono senza che lo spirito vi pensi. I principi della filosofia·

che vanno riferiti non solo le funzioni intellettuali superiori, accompagnate dalla coscienza, ma anche i • moti volontari, le percezioni e i sentimenti. Gnterazione psicofisica nell'uomo è assicurata (come abbiamo visto) dalla ghiandola pineale.

6. ranimale-macchina La conseguenza più clamorosa dello schema meccanico adottato da Cartesio per spiegare la fisiologia del vivente è la negazione dell'esistenza dell'anima nelle bestie. I movimenti degli animali e le loro apparenti reazioni psicologiche (piacere e dolore, brama e avversione) sono spiegati in base al funzionamento meccanico dei loro organi corporei. Non ha senso parlare di sentimenti, né di moti intenzionali, là dove regnano solamente movimenti automatici e istintivi, reazioni fisiologiche involontarie. In tal modo si spezza la "solidarietà ontologicà' tra l'uomo e gli altri animali e viene eliminato il gradualismo biologico aristotelico. Per Aristotele l'anima razionale dell'uomo è solo l'estrema evoluzione di quella vegetativa e sensitiva delle bestie. Per Cartesio l'anima dell'uomo è un unicum in natura: lo spirito agisce sulla materia, imponendogli la propria volontà, senza che vi sia alcuna "preparazione biologici' al suo modo di operare. ruomo (come sappiamo dalla metafisica) è in rapporto diretto solo con Dio, mentre ha un rapporto mediato e indiretto con il mondo corporeo.

• lessico MoTI VOLONTARI Sono quelli causati dall'anima che, modificando la posizione della ghiandola pineale, imprime al corpo una direzione per mezzo degli organi e del sistema neuro-muscolare.

Leggi fisiologiche del vivente Animali non umani (bestie)

Uomo

tutti i moti interni sono determinati dalla circolazione del sangue U i moti esterni sono determinati dai riflessi meccanici, prodotti dall'interazione del cervello con gli spiriti animali tutti i moti interni sono determinati dalla circolazione del sangue i moti esterni sono determinati in parte dai riflessi meccanici, prodotti dall'interazione del cervello con gli spiriti animali, in parte dall'anima, che comunica con il cervello . tramite la ghiandola pineale

verifica

aConoscenza dei termini Definisci: spazio, materia, vortice, inerzia, conservazione della quantità di moto, urto, cuore, spiriti animali, cervello, anima delle bestie.

bcomprensione di concetti e relazioni l Come viene superato da Cartesio il finalismo nella concezione della natura? 2 Quali sono le conseguenze dell'identificazione cartesiana tra spazio e materia?

3 Qual è la differenza tra lo spazio ideale della geometria e quello fisico reale? 4 Che cosa afferma il principio d'inerzia? 5 In che modo si trasmette il movimento, secondo Cartesio? 6 Come si muovono i pianeti? 1 Secondo Cartesio, quali sono i meccanismi fondamentali che spiegano il movimento dei corpi organici? 8 Per Cartesio, gli animali hanno un'anima? 2.

r.: età della scienza e dello stato assoluto

171

Lezione Profilo

m r l Temi

Concettt~chit~ve

* L'umanesimo tecnico-scientifico* La morale provvisoria* Le passioni dell'anima* La ragione e le passioni* L'ideale di saggezza e la virtù

Confronti DIGNITÀ DELL'UOMO

il neoplatonismo rinascimentale la colloca nella libertà che eleva l'uomo fino all'angelo e a Dio

Cal'tesio la pone nell'esercizio dc! libero arbitrio e nel dominio della natura.

•Lessico L'applicazione della scienza alla produzione di ritrovati meccanici, che utilizzano le leggi di natura, Come Bacone, anche Cartesio assegna al conoscere un fine pratico, oltre che teorico,

TEcNicA

• Lessico la sottomissione, ai fini pratici, alle leggi civili e religiose in cui si è stati educati. Cartesio riprende da Montaigne questo concetto di religione civile.

OBBEDIENZA

1

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massima di comportamento, perseveranzà, obbedienza, libero arbitrio, passione, ragione, virtù, sommo bene

1. Un nuovo umanesimo Nella parte finale del Discorso sul metodo Cartesio indica come fine della sua riforma del sapere la fondazione di una scienza pratica, in grado di migliorare concretamente le condizioni di vita degli uomini e la loro moralità e saggezza. In contrasto con l'umanesimo retorico del Rinascimento, egli si fa sostenitore di un nuovo umanesimo tecnico-scientifico, che indirizza l'uomo verso un fine morale immanente (la conoscenza e il dominio della natura), piuttosto che verso un fine religioso trascendente (la contemplazione di Dio). È in particolare alla 8 tecnica, coltivata dagli uomini per scopi pratici, che si indirizzano le sue simpatie di scienziato moderno. Nella celebre metafora dell'albero delle scienze (contenuta nei Principi della filosofia), la morale è collocata, accanto alla medicina e alla meccanica, ai vertici del sapere, tra i "frutti" più importanti dell'albero della conoscenza. A questo ideale di rinnovamento dell'umanità si ispira il radicalismo della sua riforma della filosofia: almeno una volta nella vita- afferma Cartesio- dobbiamo avere il coraggio di dubitare di tutto, per vedere se saremo in grado di fondare il nostro sapere su nuove basi, certe e indubitabili.

2. La morale provvisoria A questo radicalismo in campo teorico, non corrisponde tuttavia un analogo atteggiamento rivoluzionario in campo pratico. Cartesio ostenta anzi un atteggiamento di estrema prudenza, cui saranno costantemente ispirati i suoi comportamenti, nella volontà di non compromettere, con un'eccessiva audacia anticonformistica, il proprio compito di riformatore. A tale cautela (evidente specialmente nell'e obbedienza agli insegnamenti della religione) sono ispirate le regole della morale provvisoria, che l'autore tratteggia nella terza parte del Discorso sul metodo. Prima di accingersi alla ricostruzione della casa (un'altra metafora, accanto a quella dell'albero, per alludere all'insieme della conoscenza umana), bisogna provvedersi di un altro alloggio, «dove sia possibile abitare comodamente finché durano i lavori». Così ha fatto Cartesio, che, nell'accingersi alla riforma della filosofia, si è dato tre regole pratiche o massime di comportamento. l. La prima consiglia un prudente conformismo in fatto di opinioni religiose, politiche e morali. 2. La seconda suggerisce la perseveranza nelle decisioni assunte, per quanto incerte o o p inabili possano apparire. Egli fa l'esempio di chi si è smarrito in un bosco e decide di mantenere una direzione costante, che presto o tardi gli consentirà di uscirne.

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3. La terza massima, infine, raccomanda di dominare i propri desideri e di rinunciare a voler cambiare l'ordine del mondo~. Nello schema seguente riportiamo le tre massime con le parole di Cartesio.

~

Ricorda che...

Il precetto morale di vincere piuttosto se stessi che la fortuna era già contenuto nell'etica stoica.

Massime di morale ptovvisoria

Prima massima

Seconda

massima

Terza

massima

«obbedire alle leggi e ai costumi del mio paese, serbando fede alla religione nella quale Dio mi ha fatto la grazia di essere educato sin dall'infanzia, e regolandomi nel resto secondo le opinioni più moderate, lontane da ogni eccesso, e comunemente seguite dalle persone più assennate, con le quali dovevo vivere»

«esser fermo e risoluto, per quanto potevo, nelle mie azioni e seguire anche le opinioni più dubbie, una volta che avessi deciso di accettarle, con la stessa costanza come se fossero le più sicure: imitando in ciò i viaggiatori, i quali, se si trovano smarriti in una foresta, non debbono aggirarsi ora di qua ora di là, e tanto meno fermarsi, ma camminare sempre nella stessa direzione, e non mutarla per deboli ragioni, ancorché l'abbiano scelta a caso, perché, cosl, anche se non vanno proprio dove desiderano, arriveranno per lo meno alla fine in qualche luogo dove probabilmente si troveranno meglio che nel fitto della boscaglia»

«vincere sempre piuttosto me stesso che la fortuna, e voler modificare piuttosto i miei desideri che l'ordine delle cose nel mondo; e in generale assuefarmi a credere che nulla all'infuori dei nostri pensieri è interamente in nostro potere, in modo che, quando abbiamo fatto del nostro meglio riguardo alle cose che sono fuori di noi, se qualcosa non ci riesce, vuoi dire ch'essa non dipende assolutamente da noi»

3. Le passioni delf anima Più che in queste massime (che da provvisorie finiranno per diventare definitive, non avendo Cartesio scritto un trattato specifico di morale), l'intento scientifico della filosofia pratica cartesiana si può vedere nella trattazione del problema psicologico delle passioni dell'anima (a cui è dedicato l'omonimo trattato). Abbiamo visto in che modo l'anima interagisce con il corpo, per il tramite fisiologico della ghiandola pineale. Quando essa subisce i moti degli spiriti animali che le terminazioni nervose portano al cervello, si hanno le • percezioni o le passioni; quando fa pervenire le sue risposte al sistema nervoso, mettendo in moto la macchina corporea, si hanno le volizioni. Cartesio respinge la tradizionale tripartizione dell'anima in sensitiva, intellettiva, volitiva~: «in noi c'è un'anima sola, che non ha in sé nessuna diversità di parti, e quella stessa che è sensitiva è anche razionale, e tutti i suoi aspetti sono manifestazioni di volontà». Tutto ciò che, in noi, è opposto alla ragione, viene dal corpo. Cartesio classifica le passioni tra le percezioni «che si riferiscono particolarmente all'anima stessa e che sono causate, mantenute o rafforzate da qualche movimento degli spiriti». Sono percezioni, perché, a differenza degli atti volontari, sono subìte. A differenza delle idee, poi, non rappresentano oggetti esterni. Rispetto ad altri modi di sentire (come la fame o la sete), infine, non sono da noi riferite al corpo, ma all'anima. Sono affezioni dell'io, ma non sono causate dall'io, bensì dagli spiriti animali, dal corpo. Lanima non è dunque padrona delle passioni, che non possono essere eccitate o soppresse da un semplice atto di volontà. Può tuttavia controllarle, mediante la "rappresentazione" delle cose che sono in grado di provocarle.

• lessico PERCEZIONI Sono le affezioni dell'anima, che si possono riferire all'anima stessa (la percezione degli atti immaginativi e volitivi); al corpo (le sensazioni fisiologiche, come la fame e la sete); alle cose esterne (i sentimenti, come l'amore, la paura ecc.).

~ Ricorda che... Aristotele distingueva l'anima razionale da quella sensitiva e vegetativa. Cartesio afferma l'unicità dell'anima, che si identifica dunque con l'anima razionale.

2. I.:età della scienza e dello stato assoluto

173

CITAZIONI Cartesio Le forme dell'amore Mi sembra che una più netta distinzione delle forme d'amore possa darsi in base alla valutazione che si fa dell'oggetto amato in confronto a se stessi: quando lo stimiamo meno di noi, abbiamo per esso una semplice affezione; quando lo stimiamo uguale a noi, abbiamo dell'amicizia; quando lo stimiamo più di noi, la nostra passione può esser chiamata devozione. In tal modo può provarsi affezione per un fiore,

per un uccello, per un cavallo; ma, a meno d'essere molto squilibrati, non si può provare amicizia che per gli uomini. A tal segno gli uomini sono l'oggetto di questa passione, che non c'è persona talmente imperfetta che non possa ispirare una amicizia assolutamente perfetta in chi ne sia amato e possegga un'anima nobile.

Le passioni dell' anitnal;

4. La fenomenologia delle passioni Cartesio individua sei passioni primitive, dalla cui unione si generano tutte le altre: ammirazione, amore, odio, desiderio, gioia e tristezza. I: ammirazione, per esempio, è la passione suscitata in noi da ciò che è nuovo e inconsueto negli oggetti. È una passione che si rivolge alla conoscenza e stimola il desiderio di conoscere. Tuttavia anch'essa va moderata, perché può spingerci a voler conoscere anche ciò di cui non vale la pena occuparsi. Essa può essere corretta dalla conoscenza di molte cose, anche le più rare e bizzarre. Al carattere disinteressato di questa passione tipicamente intellettuale si oppone in generale quello interessato delle altre passioni, che sono reazioni dell'anima di fronte a ciò che può giovarle o nuocerle. Così la gioia «è una gradevole emozione dell'anima; essa consiste nel godimento del bene che le impressioni del cervello le rappresentano come proprio», mentre la tristezza «è un languore sgradevole in cui consiste il disagio che l'anima riceve dal male, o dal difetto che le impressioni del cervello le rappresentano come suo propno». Ma le due passioni più importanti, per motivare il comportamento pratico degli uomini, sono l'amore e l'odio. I.:amore è un'emozione dell'anima che la spinge «a unirsi volontariamente agli oggetti che sembrano convenirle». I.:odio le fa desiderare «d'essere separata dagli oggetti che si presentano ad essa come nocivi». Mentre il desiderio è una passione rivolta al futuro (come il timore o la speranza), l'amore si dirige volontariamente verso gli oggetti presenti, orientando (insieme con la passione opposta dell'odio) l'agire pratico del soggetto.

5. Il dominio delle passioni e rideale del saggio Confronti PASSIONI

per gli stoici e gli epicurei sono un ostacolo per il conseguimento dell' autarchia spirituale, che è l'ideale del saggio per Cartesio sono insopprimibili e per natura tutte buone: solo il loro cattivo uso ed eccesso costituisce l'inconveniente morale contro cui possiamo mettere in atto i rimedi della virtù.

174

. Come abbiamo detto, l'anima non è libera di avere o non avere passioni, perché esse sono suscitate in lei dall'unione intima con il corpo. Essa può tuttavia dirigerle e orientarle, in funzione della migliore utilità soggettiva. Mentre l'animale (che peraltro non sente alcuna emozione) vive nel presente e reagisce in modo automatico agli stimoli esterni, l'uomo è dotato di ragione e di memoria. Ciò gli consente di separare le emozioni dalle idee che ne sono oggetto e di creare legami associativi tra idee, che consentono di dominare la reazione automatica degli spiriti animali. Nel caso della paura, per esempio, che può essere nociva per l'uomo in determinate circostanze (in battaglia), il soggetto può dominarla e costringere il corpo a obbedire ai moti animosi del coraggio, se richiama alla memoria idee per lui più forti e motivanti (l'onore, l'amore di patria ecc.), in grado di orientare diversamente gli spiriti animali. Nei confronti delle passioni la ragione deve dunque adottare una strategia indiretta, che utilizza le emozioni positive e utili alla vita contro quelle negative o dannose. Il carattere morale corrisponde appunto a questa forza della ragione, che consente di limitare o di annullare gli effetti delle passioni, pur senza sopprimerle.

Si coglie qui la differenza di Cartesio nei confronti della morale stoica, a cui pure attinge in parte la sua etica (come si è potuto notare a proposito delle massime di morale provvisoria). Gli stoici considerano le passioni come malattie dell' anima, da estirpare. Cartesio le considera come elementi fondanti del comportamento dell'uomo, che è tuttavia in grado di dominarle e dirigerle con la volontà. Lideale del saggio non è per lui l'apatia, ma la gloria, che si consegue con un impegno attivo nel mondo e nella società.

6. Le Lettere di Cartesio e il sommo bene Le lettere indirizzate a Elisabetta, a Cristina di Svezia e allo Chanut consentono di approfondire l'etica cartesiana, rimasta allo stadio di abbozzo. Rispondendo alla regina Cristina nella lettera del20 novembre 1647, egli ha modo di chiarire per esempio la sua idea di e sommo bene, che viene a coincidere con l'esercizio, da parte dell'uomo, del libero arbitrio. Cartesio distingue la bontà di ciascuna cosa per se stessa, dalla bontà considerata in rapporto a noi. Nel primo significato è evidente che il bene supremo è Dio, in quanto incomparabilmente più perfetto delle creature. Nel secondo significato è bene ciò che ci appartiene e tale che per noi è una perfezione il possederlo. Mentre, per gli uomini considerati nel loro complesso, il sommo bene pare consistere in «una raccolta o un insieme di tutti i beni, tanto dell'anima come del corpo» che possono trovarsi in loro, per l'individuo esso consiste solo «in una ferma volontà di far bene e nella soddisfazione che ne deriva». I beni del corpo e della fortuna non dipendono infatti assolutamente da noi e quelli dell'anima si riducono a due: al conoscere e al volere ciò che è bene. Ma la conoscenza è spesso al di là delle nostre capacità; non resta perciò che la nostra volontà di cui possiamo assolutamente disporre. In ciò consiste dunque la virtù: nel fare ciò che si giudica migliore e sforzarsi di conoscerlo bene. Cartesio pensa di aver così conciliato le opinioni morali degli antichi filosofi: Zenone e Epicuro. La «virtÙ» stoica si riduce infatti alla «decisione» del nostro impegno morale all'esercizio della libertà; e il «piacere» epicureo si traduce nella «contentezza più grande e sicura della vita», che proviene «dal buon uso del libero arbitrio».

• Lessico Come bene in se stesso è Dio. Come bene in rapporto a noi è l'uso consapevole e ben intenzionato del libero arbitrio, che assicura la virtù e la felicità. SOMMO BENE

verifica

a

Conoscenza dei termini Definisci: massima di comportamento, perseveranza, obbedienza, libero arbitrio, passione, ragione, virtù, sommo bene.

bcomprensione di concetti e relazioni l Perché Cartesio ritiene necessaria una morale provvisoria? 2 Qual è il fìne che Cartesio si propone

con la riforma della fìlosofìa? 3 Quali sono le massime della morale cartesiana? Quale di esse ti sembra la più valida e quale (eventualmente) la meno valida? 4 Come può dirsi libero l'uomo, se è soggetto necessariamente alle passioni? 5 Come si possono vincere le passioni? 6 Qual è l'ideale cartesiano del saggio?

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Lezione Testo

la morale provvisoria Il Cartesio Discorso sul metodo

l .1637 • trattato filosofico

Prima di accingerci alla ricostruzione della casa che abitiamo, non basta abbatterla e provvedere ai materiali e all'architetto, ma occorre, anzitutto, provvedersi di un altro alloggio, dove sia possibile abitare comodamente finché durano i lavori. Questa è la premessa che ha condotto Cartesio, nel momento in cui si accingeva alla riforma del sapere, a formulare alcune semplici massime di morale provvisoria.

La prima [massima] era di obbedire alle leggi e ai costumi del mio paese, serbando fede alla religione nella quale Dio mi ha fatto la grazia di essere educato sin dall'infanzia, e regolandomi nel resto secondo le opinioni più moderate, lontane da ogni eccesso, e comunemente seguite dalle persone più assennate, con le quali dovevo vivere. O lo avevo deciso, infatti, di prenderle tutte in esame, ma poiché dovevo cominciare a non tener conto delle mie proprie, riconoscevo giusto di seguire intanto quelle dei più assennati. E benché fra Persiani e Cinesi ci siano forse uomini assennati quanto fra noi, mi pareva molto più utile regolarmi alla maniera di coloro con i quali dovevo condurre la mia vita. @ Per saper poi quali fossero veramente le loro convinzioni, pensavo che mi convenisse far attenzione più alle loro azioni che alle loro parole: non solo perché nella corruzione del costume pochi oggi vogliono dire tutto quello che pensano, ma anche perché molti l'ignorano essi stessi. I.:atto del pensiero, infatti, per cui si crede una cosa, è diverso da quello per il quale si conosce di crederla: sl che l'uno non implica l'altro. t9 E fra parecchie opinioni ugualmente accolte sceglievo le più moderate: sia perché in pratica sono sempre le più comode e verosimilmente le migliori, ogni eccesso essendo di solito cattivo; sia anche perché, prendendo la via di mezzo, nel caso che avessi sbagliato, mi sarei trovato sempre meno lontano dal retto cammino che se avessi preso uno dei partiti estremi. [... ] La seconda massima era di esser fermo e risoluto, per quanto potevo, nelle mie azioni e di seguire anche le opinioni più dubbie, una volta che avessi deciso di accettarle, con la stessa costanza come se fossero le più sicure: imitando in ciò i viaggiatori, i quali, se si trovano smarriti in una foresta, non debbono aggirarsi ora di qua ora di là, e tanto meno fermarsi, ma camminare sempre nella stessa direzione, e non mutarla per deboli ragioni, ancorché l'abbiano scelta a caso, perché, cosl, anche se non vanno proprio dove desiderano, arriveranno per lo meno alla fine in qualche luogo dove probabilmente si troveranno meglio che nel fitto della boscaglia. E così, quando, come spesso accade nella vita, le azioni non ammettono indugio, e non sia in poter nostro discernere le opinioni più vere, non c'è dubbio alcuno che dobbiamo seguire le più probabili; e se pure non notiamo maggiore probabilità nelle une che nelle altre, bisogna bene nondi-

e

l

176

1 La prima massima suggerisce di adottare un prudente conformismo in materia di credenze religiose e di opinioni morali e politiche. Essa è quella in apparenza più vicina allo scetticismo libertino. Ma, mentre per i libertini, la regola del conformismo sociale ha il significato di una rinuncia definitiva all'identificazione di norme morali universali, in Cartesio è una disposizione temporanea, volta a ripristinare un ordine intellettuale e morale assai più preciso e cogente, né meno universale, di quello messo in discussiOne.

2

e osservazione sulla relatività dei costumi nei diversi popoli è suggerita a Cartesio anche dall'esperienza dei suoi viaggi.

3

Cartesio richiama qui l'esigenza morale di una maggiore coerenza tra teoria e prassi, riprendendo una polemica comune contro l'ipocrisia.

4

La massima di seguire, nella pmtica, le opinioni più pmbabili è ispirata allo scetticismo della Media Accademia. Cartesio le conferisce però un tono personale, ponendo in maggiore risalto il valore incondizionato della decisione soggettiva, in cui si esprime il libero arbitrio dell'uomo. ~esercizio della libertà è il fine della vita etica e la realizzazione del sommo bene e della somma beatitudine.

meno determinarci per alcune, e considerarle perciò in séguito, praticamente, non più come dubbie, anzi come verissime e certissime, in quanto tale è la ragione che ce le ha fatte preferire alle altre. [... ] La mia terza massima fu di vincere sempre piuttosto me stesso che la fortuna, e di voler modificare piuttosto i miei desideri che l'ordine delle cose nel mondo; e in generale di assuefarmi a credere che nulla all'infuori dei nostri pensieri è interamente in nostro potere, in modo che, quando abbiamo fatto del nostro meglio riguardo alle cose che sono fuori di noi, se qualcosa non ci riesce, vuoi dire ch'essa non dipende assolutamente da noi. f) Questa considerazione mi parve sufficiente a impedirmi di nulla desiderare per l'avvenire ch'io non potessi acquistare, e cosl a farmi contento. La nostra volontà, infatti, non è portata naturalmente a desiderare se non le cose che l'intellet~ to le rappresenta come possibili: per cui, abituandoci a riguardare tutti i beni che sono fuori di noi come ugualmente lontani dal nostro potere, non proveremo maggior rimpianto di venir privati senza nostra colpa di quelli che paion dovuti alla nostra nascita, che di non possedere i regni della Cina o del Messico. E facendo, come suoi dirsi, di necessità virtù, non desidereremo di esser sani quando siamo malati, o d'esser liberi quando siamo in prigione, più di quanto non desideriamo ora di avere un corpo d'una materia cosl poco corruttibile come il diamante o ali per volare come gli uccelli. Confesso che c'è bisogno di un lungo esercizio e di una meditazione spesso ripetuta per abituarsi a riguardare in questo modo tutte le cose; e credo che in questo principalmente consistesse il segreto di quei filosofi che hanno potuto in altri tempi sottrarsi all'impero della fortuna e, malgrado i dolori e la povertà, gareggiare in felicità con i loro dèi. I limiti prescritti all'uomo dalla natura erano a essi ognora cosl presenti, che ciò solo bastava a dar loro la perfetta convinzione di non essere padroni di nulla se non dei propri pensieri, e però di doversi staccare da tutte le altre cose per poter disporre di se stessi assolutamente: non a torto, quindi, si stimavano più ricchi e più potenti, più liberi e più felici di tutti gli altri uomini.

5

È la più importante delle massime, ispirata allo stoicismo. Nonostante l'evidente tributo di Cartesio all'etica stoica, lo spirito della sua morale è originale. Mentre infatti lo stoicismo cade facilmente dal determinismo all' ascetismo che confina coni' inazione, il cartesianesimo dà rilievo all'azione fondando un nuovo umanesimo tecnico-scientifico. Ne sono componenti fondamentali: la trasformazione del mondo mediante l'industria; la cura del corpo mediante la medicina; la vita dello spirito intesa come volontà, in cui la natura non è più subita, ma realmente trasformata da una perpetua vittoria.

6

La conclusione richiama l' argomento tradizionale dell'autarchia del saggio. La virtù basta a se stessa e chi la realizza nella propria vita ottiene in aggiunta l'autentica felicità, che non coincide con quella che il volgo insegue vanamente identificandola con i beni della fortuna.

e

Cartesio, Discorso sul metodo, parte III, in Opere, vol. I, cit.

laboratorio

a

Analisi del testo

l Che cosa si potrebbe obiettare al primo dei precetti morali di Cartesio? 2 Il criterio della maggiore probabilità delle opinioni ti sembra ben fondato? Se l'opinione più probabile fosse in se stessa falsa, quali conseguenze ne deriverebbero? Che valore si può dunque assegnare alla seconda massima? 3 Qual è il rapporto tra volontà e ragione che Cartesio ipotizza nella sua terza massima? Si può volere l'impossibile? 4 In che cosa consiste, in definitiva, il valore morale dell'uomo, secondo Cartesio?

b

Riflessione l L.:osservazione secondo cui, per giudicare della giustezza o correttezza delle opinioni morali degli uomini, occorre guardare a come si comportano, più che a ciò in cui dicono di credere, ti sembra esatta? 2 Secondo te, l'espressione "fare di necessità virtù" è un invito alla rassegnazione e alla rinuncia o può avere anche un altro significato? È un'espressione che sei disposto a far tua o che respingi? Perché? 3 Secondo te, è inevitabile che il filosofo vada incontro a un destino di «dolori e povertà», sia pure ripagato dalla saggezza e dalla libertà di spirito? E quando ciò accade, perché accade? 2. L:età della scienza e dello stato assoluto

177

Lezione Testo

Ragione e passione .1649

-Cartesio Le passioni dell'anima

1

•trattato

Cartesio rifiuta l'idea di un conflitto passionale interno all'anima e trasferisce al corpo, al meccanismo fisiologico che presiede all'insorgenza delle emozioni, la causa del comportamento irrazionale dell'uomo. L'anima è per essenza razionalità e volontà, e può agire indirettamente sul meccanismo emozionale, per il tramite della ghiandola pineale. La volontà non ha un potere diretto sulle passioni, ma proprio qui è la prova della sua libertà. Non può infatti impedire all'uomo di avere delle passioni, ma può renderne l'agire del tutto autonomo dalla forza delle inclinazioni passionali.

La volontà è per sua natura talmente libera da non poter essere mai costretta. 8 Ora, delle due sorte di pensieri che ho distinto nell'anima, gli uni sono le sue azioni, e cioè gli atti volontari, gli altri le sue passioni nel senso più largo del termine, che comprende ogni specie di percezione. Le azioni sono assolutamente in suo potere, e solo indirettamente possono esser cambiate dal corpo, mentre le passioni, al contrario, dipendono esclusivamente dalle azioni che le guidano, e solo indirettamente possono essere cambiate dall'anima, salvo che essa stessa ne sia la causa. E tutta l'azione dell'anima consiste in questo, che per il solo fatto di volere qualcosa, essa fa muovere la piccola ghiandola, a cui è strettamente legata, nel modo richiesto per produrre l'effetto connesso con la volontà. Le nostre passioni non possono essere direttamente eccitate o soppresse dall'azione della nostra volontà, ma possono esserlo indirettamente, dalle rappresentazioni delle cose che vogliamo avere, e che sono conu·arie a quelle che possiamo respingere. E) Averne la volontà non basta, per esempio, a suscitare in sé il coraggio, e a soffocare la paura; bisogna invece soffermarsi a considerare le ragioni, gli oggetti o gli esempi che persuadono che il pericolo non è grande; che si è sempre più sicuri a difendersi che a fuggire, e cosl via. [... ] C'è una particolare ragione che impedisce all'anima di mutare o troncare prontamente le sue passioni; ed è quella che mi ha dato motivo di affermare più sopra, nella loro definizione, che non solo sono causate, ma anche mantenute e rafforzate da qualche particolare movimento degli spiriti. O La ragione è che esse sono quasi sempre accompagnate da qualche emozione che si produce nel cuore, e perciò in tutto il sangue e negli spiriti: perciò, finché dura questa emozione, le passioni restano presenti al nostro pensiero, come gli sono presenti gli oggetti sensibili fintanto che agiscono sui nostri organi di senso. E) Cosll' anima, prestando grande attenzione a qualche altra cosa, può impedirsi di udire un lieve rumore, o di sentire un piccolo dolore, ma non può allo stesso modo impedirsi di udire il tuono o di sentire il fuoco che brucia la mano; analogamente essa può superare con facilità le passioni più lievi, ma le più violente e le più forti solo quando è sedata l'emozione

e[...]

178

l Vesistenza del libero atbitdo è qui affermata con nettezza.

2

Le passioni sono causate dai moti degli spidti animali, che l'anima risente per la sua congiunzione con la ghiandola pineale. Perciò essa può cercare di modificarle solo in modo indiretto, interagendo con il corpo mediante la ghiandola pineale.

3

La volontà agisce in modo indiretto sulle passioni, anzitutto producendo delle idee o rappresentazioni contrarie a quelle che le hanno generate.

4

Secondo gli stoici, le passioni sono malattie dell'anima, che vanno estirpate. Secondo Cartesio, ciò non è possibile, perché non si tratta di patologie, ma di fatti naturali, condizionati dalla particolare fisiologia del corpo.

5

Cat·tesio distingue passione da emozione, mediante una diversa localizzazione fisiologica. Le emozioni sono generate dal cuore, che accelera il propri~ battito per la violenza del moto degh spiriti animali; la loro azione continua a esercitarsi sul corpo senza che lavolontà possa intervenire.

e

del sangue e degli spiriti. Il massimo che la volontà può fare, finché tale emozione è in atto, è di non abbandonarsi ai suoi effetti, e di padroneggiare molti dei movimenti a cui dispone il corpo. Se, per esempio, la collera fa levare la mano per picchiare, la volontà può in genere, trattenerla; se la paura incita le persone a fuggire, la volontà può trattenerle; e così via. O [... ] Nel conflitto fra i movimenti che il corpo coi suoi spiriti, e l'anima con la sua volontà, tendono ad eccitare contemporaneamente nella ghiandola, si risolvono tutte le lotte che si è soliti immaginare fra la parte inferiore dell'anima, che chiamiamo sensitiva, e la parte superiore, che è razionale; o, meglio, fra gli appetiti naturali e la volontà; perché in noi c'è un'anima sola, che non ha in sé nessuna diversità di parti; e quella stessa che è sensitiva è anche razionale, e tutti i suoi aspetti sono manifestazioni di volontà. :Lerrore che si è commesso facendole incarnare diversi personaggi, per lo più in contrasto tra loro, deriva solo dal fatto di non avere ben distinto le sue funzioni da quelle del corpo, al quale, esclusivamente, va attribuito quanto in noi può essere rilevato in contrasto con la nostra ragione. Così ogni lotta si riduce a questo: la piccola ghiandola posta al centro del cervello può esser mossa, da un lato dall'anima, e dall'altro dagli spiriti animali, che, come ho detto sopra, sono solo dei corpi; ora succede spesso che le due spinte siano contrastanti, e che la più forte impedisca l'effetto dell'altra. (i) Si possono distinguere due specie di movimenti eccitati dagli spiriti nella ghiandola: gli uni rappresentano all'anima gli oggetti che muovono i sensi, o le impressioni che si trovano nel cervello, e non esercitano nessuna pressione sulla volontà; gli altri vi esercitano una certa pressione, e sono quelli che causano le passioni, o i movimenti del corpo che le accompagnano: e, per quel che riguarda i primi, benché spesso impediscano le azioni dell'anima, o ne siano impediti, tuttavia, non essendo essi in diretto contrasto, non si nota lotta. La lotta si rivela solo fra gli altri e le volizioni che ad essi ripugnano: per esempio, fra lo sforzo con cui gli spiriti spingono la ghiandola a suscitar nell'anima il desiderio di qualcosa, e quello con cui l'anima spinge la ghiandola in senso contrario, per la propria volontà di sfuggire alla medesima cosa.

e

Cartesio, Le passioni dell'anima, in Opere, vol. II, cit.

6

I:anima ha una distinta localizzazione nel cervello, dove può modificare l'orientamento della ghiandola pineale, esercitando un'influenza sui sensi esterni. Focalizzando l'attenzione su certe percezioni anziché su altre, può operare una selezione delle qualità percepite, ma non eliminarne la passività di fondo.

7

La volontà è in genere abbastanza forte, da trattenere il corpo dal compiere movimenti automatici, sottratti al suo controllo. Non sempre, però, l' esperienza ci dimostra che ciò avviene.

8

Cartesio rifiuta l'aristotelica tdpartizione dell'anima (vegetativa, sensitiva, razionale). Ma ha poi difficoltà a spiegare il conflitto delle passioni che si constata nell'anima, per gli impulsi contraddittori che la ghiandola pineale subisce a opera degli spiriti animali e della volontà.

9

Se la volontà è ferma nei suoi propositi, riuscirà a dominare le passioni, anche se non potrà fare a meno di avere le emozioni corrispondenti. Se è debole e si lascia sormontare dalla forza delle emozioni, diventa passiva e inattiva, lasciando che sia il corpo ad agire.

10

Cru·tesio fa qui una distinzione tra le pure rappresentazioni e i desidet·i. Le prime non hanno alcun influsso diretto sulla volontà, mentre i secondi sono in conflitto con essa, muovendo immediatamente il corpo nella direzione suggerita dalla passione corrispondente.

laboratorio

a

Analisi del testo l Che cosa significa affermare che la volontà è libera? 2 Qual è la differenza tra passioni ed emozioni? E quella tra rappresentazioni, desideri e volizioni? 3 La volontà può impedire all'.uomo di avere passioni ed emozioni? In che modo può influenzarle?

b

Riflessione

l Cartesio distingue una duplice localizzazione fisiologica

delle emozioni (nel cuore) e delle passioni (nel cervello, in comunicazione con l'anima). Se vedo un oggetto spaventoso (una belva che mi minaccia), il battito del cuore

si fa più rapido, il viso si sbianca per la paura ecc. Ciò è il prodotto meccanico del meccanismo fisiologico che ha la propria sede motrice nel cuore. Parallelamente provo paura o terrore. Queste sono passioni (sentimenti) che hanno sede nell'anima, ma che vengono passivamente subite da questa, per la congiunzione fisiologica con il cervello, sede della ghiandola pineale. Proprio per questo, non posso agire direttamente sulle passioni con la volontà. Essendo l'anima intimamente congiunta con il corpo, non può astrarsi dalla sua vita e dai suoi automatismi. In che senso, allora, sono libero? Svolgi questo tema, prendendo spunto da diverse passioni (gioia, paura, tristezza, amore ecc.) e applicando di volta in volta lo schema cartesiano. Ti sembra soddisfacente? 2. I: età della scienza e dello stato assoluto

179

P

arlando di passioni o di emozioni ci riferiamo a quei comportamenti, di origine oscura, istintiva o inconscia (fame, paura, desiderio, invidia, amore e odio), nei cui confronti il soggetto è "passivo": che egli ha cioè l'impressione di subire, del tutto o in parte. E ciò in contrasto con l'aspetto "attivo", consapevole o spontaneo, che hanno invece i comportamenti tipici della volontà o della razionalità. Dal punto di vista della psicologia, si distinguono diverse categorie: le disposizioni abituali o sentimenti veri e propri (amore, odio), oppure le momentanee reazioni emotive (paura) o le condizioni emotive (tristezza, gioia), di cui si indaga il rapporto di dipendenza causale dalla sottostante base organica (processi cerebrali, reazioni fisiologiche). Ma il tratto comune che più colpisce nelle passioni è il loro aspetto involontario, la forza irresistibile con cui insorgono nell'animo umano. Pensiamo alle passioni per il gioco e lo sport: a certi sport "estremi", come l'arrampicata libera, in cui si sfida la forza di gravità, a rischio addirittura della stessa vita. È come se un demone irrazionale si fosse impadronito di noi, spingendoci ad azioni che col buon senso a nessuno verrebbe in mente di fare. Eppure, ci risponderebbe chi è innamorato di questi sport estremi, che cosa sarebbe la vita senza l'emozione di certi momenti, senza il piacere che nasce dal fatto di mettere alla prova se stessi, il proprio ardimento, la vertigine del pericolo?

Negatività o positività delle passioni? La tradizione filosofica ha generalmente impiegato il termine passionale in netta opposizione a logico, mentre l'odierna psicologia, ma anche diversi indirizzi della filosofia contemporanea, tendono a superare questa rigida contrapposizione, ammettendo la possibilità di individuare un nesso fecondo tra emozioni e stati cognitivi della mente o atteggiamenti intenzionali; giungendo a parlare persino di una logica delle emozioni, di una loro implicita razionalità. Si può dire che il dibattito sulla positività o

la negatività delle emozioni, sull'accordo o sul contrasto tra passioni e ragione, sia antico come la filosofia. Ogni cultura tende a risolverlo in accordo con le proprie preferenze etiche e ogni filosofo a valutario in funzione del proprio sistema. Ripercorriamo un tratto della filosofia moderna, la cui tendenza generale sembra stata quella di comprendere e rivalutare il ruolo positivo delle passioni, rispetto alla condanna moralistica prevalente in età antica e medievale.

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passioni come malattie dell'animo

A lungo infatti le passioni erano state condannate dai filosofi, in quanto causa di turbamento e di perdita temporanea della ragione. Un radicato pregiudizio medico, risalente a Ippocrate e Galeno, vedeva in esse delle malattie dell'anima, con una precisa origine organica: la cattiva "crasi" (ossia la mancanza di un giusto temperamento, di una equilibrata proporzione) degli umori che circolano nel corpo umano, assicurandone la salute. Lo stoicismo (la più impor-

tante tra le filosofie morali antiche, ereditata dal cristianesimo) condannava senza riserve le passioni, considerate come l'effetto di errato giudizio della ragione circa i veri beni e i veri mali che l'uomo può attendersi dalla natura. Esso proponeva come ideale del saggio l'apatia, l'assenza cioè di passioni, per effetto di una purificazione o, per meglio dire, di un vero e proprio "sradicamento" di esse, operato dall'intelletto o ragione.

Cartesio, pur riprendendo in parte tali tradizioni, segnala la propria modernità nella nuova valutazione positiva, che assume nei suoi scritti la componente emotivapassionale dell'animo.

Egli non ne sottolinea tanto il conflitto inevitabile con la ragione, ma l'esigenza e la possibilità di una utile collaborazione. Accennando, in una lettera, al suo trattato Sulle passioni, scrive:

l il!~i-D-al_fi_a_t-to_c_h_e_h_o-st_u_d-ia_t_o-le-p-as-s-io_n_i,-vz-.

s_e_m_b_r._a_d_i_p_o-te_r_c_o_n_cl_u_d_e-re-ch_e_n_o_n_d-ev_o_p_z_'ù-av_e_r_n_e_n_e-ss_u_n_a,-·-vi

dirò al contrario che, esaminandole, le ho trovate quasi tutte buone, e tanto utili alla vita, che la nostra anima non avrebbe motivo di voler restare un sol momento unita al corpo se non potesse provarle. (Lettera a Chanut, l novembre 1646)

Secondo Cartesio, le passioni sono affezioni, ossia modificazioni passive causate nell'anima dal movimento degli spiriti vitali, cioè delle forze meccaniche che agiscono nel corpo. Proprio la sua visione moderna del funzionamento della macchina corporea (quella verso cui si indirizzava la stessa medicina, mediante l'osservazione diretta dell' anatomia del corpo umano) contribuisce a una più positiva valu-

tazione delle passioni. Il movimento degli spiriti animali è risentito dall'anima tramite la ghiandola pineale, che consente al soggetto di trasmettere al corpo la propria volontà, suscitando una azione consapevole, in risposta alla passione. La funzione naturale delle passioni è infatti quella di eccitare l'anima ad acconsentire a quelle azioni, che servono a conservare il corpo o a renderlo più perfetto.

Il dualismo cartesiano Il rifiuto di Cartesio di distinguere, nell'anima, parti con funzioni diverse, e la centralizzazione nella res cogitans . delle stesse funzioni vegetative, sensitive, concupiscibili, irascibili, lo porta ad esaltare nell'uomo la sola volontà, come libera disposizione a indirizzare i movimenti della macchina corporea verso i fini e gli scopi razionali. I:anima non può annullare le passioni con un semplice atto di volontà, ma può garantirsi un dominio indiretto sulle proprie emozio-

ni, trasformandole in disposizioni utili alla migliore conservazione della vita e a un più sereno esercizio della razionalità, che rimane la destinazione propria dell'uomo. Questa concezione ispirerà tutto il filone del posteriore razionalismo moderno, fino a Spinoza e Leibniz, il quale parlerà (con un evidente richiamo all'uomo-macchina di Cartesio) di «automa spirituale», per alludere alla libertà dell'uomo, garantita dalla sola ragione.

l'errore di Cartesio Proprio il dualismo metafisica cartesiano è all'origine della diffusa insoddisfazione, che la scienza odierna manifesta verso la sua spiegazione delle passioni.

In un libro recente, il neurologo portoghese Antonio R. Damasio ha rivolto una critica decisiva al celebre cogito, ergo sum cartesiano: 2.

I; età

della scienza e dello stato assoluto

181

PROBLEMI

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Infine, le sensazioni ci garantiscono circa l'esistenza delle cose fuori di noi. Quest'ultima viene comprovata dalla testimonianza univoca che i sensi ci danno a proposito della medesima cosa; ciò ci induce ad ammettere che le nostre sensazioni siano causate da corpi esistenti fuori di noi. Abbiamo tuttavia evidenza assoluta che vi sia corrispondenza tra le nostre idee di sensazione e le cose esterne? Per Locke no. La conoscenza sensibile non raggiunge un grado di certezza paragonabile a quello dell'intuizione dell'esistenza dell'io e della dimostrazione dell'esistenza di Dio.

11. La conoscenza certa e t opinione probabile

~

Ricorda che...

Locke sottolinea la grande importanza pratica della conoscenza probabile.

Se la conoscenza (knowledge) si fonda sull'evidenza e sulla certezza, l'opinione (opinion) si basa sulla sola probabilità. Per Locke, l'uomo, quando formula opinioni, deve accontentarsi di una conoscenza approssimativa e probabile, garantita, in modo parziale e provvisorio, dall'accordo della nostra esperienza con l'esperienza altrui. La maggior parte degli atti della nostra vita non è affatto orientata da verità infallibilmente dimostrate o intuitivamente certe. Ben poche cose sono a noi manifeste con chiarezza ed evidenza. Al contrario, l'esistenza umana si costruisce attorno ai più incerti e opachi risultati del nostro intelletto ~, risultati a cui pure talvolta, per motivi di opportunità o di utilità, noi diamo un assenso risoluto, come se fossero delle certezze assolute. È dunque assurda la pretesa di chi vuole essere sempre guidato da certezze, quando invece la maggior parte delle nostre opinioni ha solo il valore di una presunzione di verità.

12.

n rapporto tra ragione e fede

La ragione umana è unione di knowledge e di opinion. Essa si sforza di pervenire a dimostrazioni certe o almeno a giudizi probabili, entro i limiti dettati dall'esperienza. Anche la fede religiosa, in questa prospettiva, non deve sottrarsi all'indagine razionale. Pur attento a distinguere le competenze specifiche della faith e della reason, Locke combatte il fideismo, secondo cui la fede non abbisogna di alcuna comprensione razionale. Egli distingue, a questo proposito, tra argomenti conformi alla ragione (according to reason), superiori alla ragione (above reason) e 264

Locke

~

CITAZION l Locke La conoscenza umana Attraverso l'efficace immagine della candela e della sonda, Locke in questo testo delinea i limiti e le caratteristiche della conoscenza umana.

Il nostro spirito è come una candela che noi abbiamo davanti agli occhi e che diffonde luce sufficiente a illuminarci in tutte le nostre faccende. Dobbiamo contentarci delle scoperte che possiamo fare per mezzo di questa luce. Faremo sempre buon uso della nostra intelligenza se vorremo considerare tutti gli oggetti in quel rapporto e proporzione in cui essi si trovano rispetto alle nostre facoltà, e su quei fondamenti, in cui essi si offrono alla nostra conoscenza; e se non domanderemo perentoriamente e senza discrezione una dimostrazione e una completa certezza, laddove èpossibile ottenere soltanto

una probabilità; e questo basti a regolare tutti i nostri interessi. [... ]Avviene a noi, per questo riguardo, ciò che avviene a un pilota che viaggi per mare. Gli torna di estremo vantaggio sapere qual sia la lunghezza della fune della sonda, anche se egli non possa riconoscere, per mezzo. della sonda che possiede, tutte le diverse profondità dell'oceano. È già opportuno che sappia che la fune è lunga abbastanza per toccar fondo in certi punti del mare, che a lui importa conoscere per ben dirigere la sua rotta, eper evitare i bassifondi che potrebbero farlo andare in secca. Non è affar nostro in questo mondo conoscere tutte le cose, bensì quelle che riguardano la condotta della nostra vita. Introduzione al Saggio sull'intelletto um1:qo ,;

contrari alla ragione (contrary to reason). La tesi lockeana è che tra ragione e fede non c'è contraddizione. Pur non essendo estranea alla ragione, la fede non trova in questo legame il suo motivo specifico. Il suo ambito di competenza è quello di ciò che è al di sopra della ragione, ossia di quelle proposizioni di fronte alle quali la ragione umana non può formulare alcun giudizio sicuro. Cionondimeno, dall'ambito della fede vanno escluse tutte quelle proposizioni che appaiono inconciliabili con le nostre idee chiare e distinte. I.:uomo non deve dunque prestare il proprio assenso a ciò che appare incompatibile con la ragione: la nostra conoscenza certa non può venire contraddetta da una pretesa rivelazione.

verifica

a

Conoscenza dei termini

Definisci: idea, sensazione e riflessione, idee semplici e complesse, qualità primarie e secondarie, sostanza, opinione.

bcomprensione di concetti e relazioni l Qual è l'obiettivo della filosofia di Locke? 2 Qual è, per Locke, l'origine della conoscenza? 3 Con quali argomenti Locke critica l'innatismo?

4 Qual è la definizione lockeana di idea e come si distinguono i vari tipi di idea? 5 Qual è la differenza tra qualità primarie e qualità secondarie? 6 Qual è la posizione di Locke in merito all'esistenza e alla conoscibilità delle sostanze? 7 Come definisce Locke la conoscenza? 8 In che modo viene dimostrata l'esistenza di Dio? 9 Quali sono, per Locke, le due funzioni fondamentali della ragione? 2. retà della scienza e dello stato assoluto

265

Lezione Testo

[origine empirica delle idee Il Locke Saggio sull'intelletto umano

.1690 1

• trattato

In questo brano Locke affronta il tema dell'origine delle idee, che egli fa derivare dalla sensazione e dalla riflessione. Il filosofo inglese riprende la definizione cartesiana di idea, secondo cui il termine indica ogni «contenuto del pensiero e della mente». Per Locke, tuttavia, non ci sono idee innate, e nessun intelletto, per quanto potente, è in grado di creare idee semplici, che hanno come unica loro origine la sensazione. ·

l. Ogni uomo essendo in sé consapevole di pensare, e ciò che si trova nella sua mente quand'egli pensa essendo le idee [... ],è fuori di dubbio che gli uomini hanno molte idee nelle loro menti, come quelle che si esprimono con le parole bianchezza, durezza, dolcezza, pensiero, movimento, uomo, elefante, esercito, e molte altre. Ciò posto, la prima cosa che si offre all'esame è come l'uomo venga ad avere tutte queste idee. So che è convinzione generalmente stabilita che gli uomini abbiano delle idee innate, e caratteri originari che sarebbero stati impressi nella loro mente fin dal primo momento della loro esistenza. Immagino che quel che ho detto [... ] per confutarla sarà accolto molto più facilmente quando avrò fatto vedere da dove l'intelligenza possa trarre tutte le idee che essa ha [... ]: per farlo mi appellerò a ciò che ognuno può osservare e sperimentare per suo conto. O 2. Supponiamo dunque che la mente sia quel che si chiama un foglio bianco, privo di ogni carattere, senza alcuna idea. In che modo giungerà esso a ricevere delle idee? [... ] Donde ha tratto tutti questi materiali della ragione e della conoscenza? Rispondo con una sola parola: dall' esperienza. È questo il fondamento di tutte le nostre conoscenze; da qui esse traggono la loro prima origine. Le osservazioni che facciamo sia intorno agli oggetti esteriori e sensibili, sia intorno alle operazioni interiori della nostra mente, che percepiamo e sulle quali noi stessi riflettiamo, forniscono la nostra intelligenza di tutti i materiali del pensiero. Sono queste le due sorgenti da cui discendono tutte le idee che abbiamo[ ... ]. 3. I nostri sensi, venendo in rapporto con particolari oggetti sensibili, ci fanno entrare nell'anima molte percezioni distinte delle cose, secondo le maniere diverse in cui tali oggetti agiscono sui nostri sensi. È cosl che acquistiamo le nostre idee del bianco, del giallo, del caldo, del freddo, del duro, del molle, del dolce, dell'amaro, e di tutto ciò che chiamiamo qualità sensibili. Dico che i nostri sensi fanno entrare tutte queste idee nella mente, intendendo con ciò che, dagli oggetti esteriori, essi fanno passare nella mente ciò che vi produce queste percezioni. E poiché questa grande fonte della maggior parte delle idee che abbiamo dipende interamente dai nostri sensi, e si comunica all'intelligenza per mezzo loro, io la chiamo sensazione. 4. Laltra sorgente da cui l'intelligenza viene a ricevere, per esperienza,

e

266

1

Il tema è l'indagine circa i mezzi e i gradi della conoscenza umana. Il termine inglese usato da Locke, understanding, può essere tradotto sia con "intelletto", sia con "intelligenzà'. Il primo termine è quello entrato nella tradizione (per questo abbiamo preferito conservare il tradizionale titolo Saggio sull'intelletto umano anziché quello di Saggio sull'intelligenza umana, usato più di recente). Il secondo termine, "intelligenzà', rispecchia, tuttavia, con maggiore precisione il pensiero di Locke, il quale con esso intendeva riferirsi ai processi della mente in generale, piuttosto che alla sola attività intellettuale. L:intelligenza designa quindi l'intera facoltà conoscitiva, sia quella sensibile, sia quella intuitiva, noetica, sia quella dianoetica del ragionamento e del calcolo.

2

La mente umana è come un foglio bianco che riceve i suoi caratteri dall' incontro con gli oggetti dell' esperienza, in primo luogo gli oggetti esterni a noi. La mente non è tuttavia un semplice recettore passivo di sensazioni: le operazioni che la mente compie (pensare, dubitare ecc.) sono infatti a loro volta oggetto di una percezione interiore, di un "senso interno" attivo e consapevole -la riflessione- che fornisce alla nostra intelligenza le idee di queste stesse operazioni; è attraverso queste idee che siamo in grado di acquisire una conoscenza chiara degli atti della mente.

Locke delle idee è la percezione delle operazioni che la nostra mente compie dentro di sé sulle idee che ha ricevute: operazioni che, diventando l' oggetto delle riflessioni dell'anima, forniscono all'intelligenza un'altra specie di idee, che gli oggetti esterni non le avrebbero potuto fornire: e tali sono le idee di percepire, pensare, dubitare, credere, ragionare, conoscere, volere, e tutte le diverse azioni della nostra mente; dell'esistenza delle quali essendo pienamente consapevoli, perché le troviamo in noi stessi, riceviamo per loro mezzo nel nostro intelletto delle idee altrettanto distinte quanto quelle che sono prodotte in noi dai corpi quando vengono a colpire i nostri sensi. Questa è una fonte di idee che ogni uomo ha interamente in sé; [... ] e non le converrebbe male il nome di senso interno. Ma, poiché l'altra sorgente delle nostre idee la chiamano sensazione, questa la chiamerò riflessione, poiché per suo mezzo la mente riceve soltanto le idee che essa acquista riflettendo entro se stessa sulle proprie operazioni. 5. Gli oggetti esterni forniscono alla mente le idee delle qualità sensibili, ossia tutte quelle diverse percezioni che tali qualità producono in noi; e la mente fornisce all'intelligenza le idee delle sue proprie operazioni. Se passiamo in rivista con esattezza tutte queste idee e i loro diversi modi [combinazioni e rapporti], troviamo che a questo si riduce l'intero mondo delle nostre idee, e che non abbiamo niente nella mente che non provenga dall'una o dall'altra di queste due vie. 6. Chiunque consideri con attenzione lo stato in cui si trova un fanciullo, nel momento in cui viene al mondo, non avrà troppo motivo di immaginare ch'egli abbia nella mente quel gran numero di idee che costituiranno la materia delle sue successive conoscenze. Solo per gradi egli acquista tutte queste idee. [... ] Ma poiché tutti coloro che vengono a questo mondo sono circondati da corpi che continuamente e in diverse maniere colpiscono i loro sensi, si trova impressa nella mente dei fanciulli una grande varietà di idee [... ]. Credo però che ci si troverà facilmente d'accordo con me nel riconoscere che se un fanciullo fosse racchiuso in un luogo dove non vedesse che del bianco e del nero, fino a quando non fosse un uomo fatto, non avrebbe alcuna idea dello scarlatto o del verde, più di quanto uno il quale, fin dall'infanzia, non ha mai gustato né ostriche né ananassi, possa conoscere il gusto particolare di queste due cose.

e

' 3

E importante rilevare come Locke tenda ad accostare piuttosto che a separare il "senso delle cose", cioè la sensazione e il "senso di sé", ossia la riflessione. La loro diversità sta nell'essere riferiti a oggetti diversi, la realtà esterna per la sensazione, il soggetto medesimo per la riflessione. Le due operazioni sono tuttavia fortemente collegate, in quanto il senso interno (l'autocoscienza), avendo per oggetto l'attività conoscitiva e volitiva del soggetto, presuppone obbligatoriamente che quest'ultima sia già costituita, in relazione all'oggetto conosciuto, sul piano della sensibilità.

4

Nell'ultima parte del brano, l'autore fornisce due argomenti a sostegno della sua tesi. Locke nota innanzi tutto il crescere progressivo e per gradi delle idee nella mente dei bambini, i quali al momento della nascita ne sono del tutto sprovvisti; in accordo con la sua posizione anti-innatista, rileva inoltre la diversità delle idee presenti nei singoli individui, diversità che fa risalire alle differenze di esperienze compiute, di ambienti di provenienza, di oggetti con cui si è potuto avere a che fare.

e

]. Locke, Saggio sull'intelligenza umana, libro II, parr. 1-6, vol. I, trad. it. di C. Pellizzi, Laterza, Roma-Bari 1988

laboratorio

aAnalisi del testo 1 Qual è la differenza tra sensazione e riflessione? 2 Perché, secondo Locke, la mente non è un recettore passivo? 3 Locke porta due argomenti a sostegno del suo empirismo. In che cosa consistono?

bRiflessione

l Per Locke la mente riceve passivamente le idee dai

sensi, ma poi agisce su queste idee, componendole. Questo significa che la mente possiede facoltà che non derivano dall'esperienza? Non assomiglia questa concezione a quella sostenuta da Cartesio per cui la mente umana è dotata di disposizioni originarie costitutive? Non troviamo così un punto di contatto tra innatismo ed empirismo?

2. L: età della scienza e dello stato assoluto

267

::

Lezione Testo

gradi della conoscenza Il Locke Saggio sull'intelletto umano

.1690 1

• trattato

In questo brano Locke espone la sua teoria della conoscenza. Esistono tre differenti gradi del conoscere: l'intuizione, che coglie in maniera immediata il rapporto tra le idee ed è assolutamente evidente; la conoscenza dimostrativa, attraverso la quale la mente percepisce l'accordo tra idee in modo mediato; la conoscenza sensibile, che permette alla mente di accertarsi dell'esistenza delle cose fuori di sé.

l. La diversa chiarezza della nostra conoscenza mi sembra stia nel diverso modo di percezione, che la mente possiede, della concordanza o discordanza fra le sue idee, quali che siano. Poiché, se rifletteremo sulle maniere del nostro pensare, troveremo che talvolta la mente percepisce la concordanza o discordanza fra due idee, per se stesse e immediatamente, senza l'intervento di alcun'altra: e penso che questa potremo chiamarla conoscenza intuitiva. Poiché, in questo caso, la mente non si dà alcuna pena di provare o esaminare, ma percepisce la verità come fa l'occhio con la luce, per il solo fatto di dirigersi verso di essa. Cosl, la mente percepisce che bianco non è nero, che un cerchio non è un triangolo, che tre sono più di due e sono eguali a uno più due. Tali specie di verità la mente percepisce alla prima vista delle idee unite assieme, per mera intuizione, senza l'intervento di alcun' altra idea: e questa specie di conoscenza è la più chiara e più certa di cui sia capace l'umana fralezza [fragilità] [... ]. 2. Il grado successivo della conoscenza si ha quando la mente percepisce la concordanza o discordanza tra alcune idee, ma non in modo immediato. [... ] La ragione per cui la mente non può sempre percepire subito la concordanza o discordanza fra due idee qualunque è che quelle idee, intorno al cui concordare o discordare si sta indagando, dalla mente non possono essere congiunte in modo da mostrarla. In questo caso, in cui la mente non può congiungere fra loro le sue idee in modo tale che per il loro raffronto immediato [... ] essa possa percepire la loro concordanza o discordanza, essa è portata mediante l'intervento di altre idee (una o più, secondo il caso), a scoprire quella concordanza o discordanza che va cercando; e questo è ciò che chiamiamo ragionare [... ]. 3. Quelle idee intermedie che servono a dimostrare la concordanza fra due altre sono chiamate prove; e quando, con questo mezzo, è chiaramente ed evidentemente percepita la concordanza o discordanza, questa è detta una dimostrazione [... ]. 4. Sebbene questa conoscenza, ottenuta mediante prove intermedie, sia certa, essa non ha però, nel complesso, una evidenza cosl chiara e luminosa, né riceve un cosl pronto assenso, come la conoscenza intuitiva, poiché, sebbene nella dimostrazione la mente percepisce alla fine la concordanza o discordanza fra le idee che considera, ciò non avviene tuttavia senza pena e sforzo d'attenzione: per trovarla, occorrerà qual co-

O

l

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1

La conoscenza intuitiva. I gradi diversi di certezza ed evidenza sono definiti dal carattere immediato oppure mediato con cui la mente coglie l' accordo fra le idee. La certezza concerne dunque il rapporto tra idee, non quello tra idee e cose. :C intuizione, ossia la capacità di cogliere immediatamente il rapporto tra idee, non ha bisogno di prova, è di un'evidenza assoluta. Conoscenza intuitiva è per esempio quella degli assiomi delle matematiche.

La conoscenza dimostrativa. Nella conoscenza dimostrativa la mente percepisce l'accordo fra le idee in modo mediato (par. 2). La dimostrazione dipende da prove chiaramente percepite (par. 3), è altrettanto certa, ma non così facile e pronta come la conoscenza intuitiva (par. 4).

3 La "mediazione" è il passaggio da una proposizione all'altra attraverso una o più proposizioni intennedie. La mediazione è il carattere essenziale dei procedimenti discorsivi, che si svolgono per passaggi, anziché immediatamente com'è per l'intuizione. Nella conoscenza dimostrativa, non potendosi percepire l'accordo tra due idee immediatamente, interviene una terza idea che si accorda con le altre due e quindi le congiunge. Se non risulta intuitivamente che A=B, ma risulta che A=C e B=C, allora si può concludere che A=B.

sa più di una sola occhiata fugace. Per giungere a questa scoperta occorrerà un'applicazione assidua e sostenuta, e si dovrà procedere per passi e per gradi, prima che la mente possa giungere in questa maniera alla certezza, e venir a percepire la concordanza o ripugnanza fra due idee, quando, a dimostrar questa, accorrano prove e l'impiego della ragione. 5. Questi due, ossia l'intuizione e la dimostrazione, sono i gradi della nostra conoscenza; tutto ciò che non raggiunge l'uno o l'altro di questi gradi, quale che sia la sicurezza con cui venga accettato, non è che fede o opinione, ma non conoscenza, almeno nei riguardi di tutte le verità generali. C'è, invero, un'altra percezione della mente che si esercita intorno alla particolare esistenza degli esseri finiti fuori di noi, e che, spingendosi oltre la semplice probabilità, e non raggiungendo tuttavia in modo perfetto né l'uno né l'altro dei predetti gradi della certezza, va sotto il nome di conoscenza. Nulla può esser più certo del fatto che l'idea che noi riceviamo da un oggetto esterno è nella nostra mente: questa è una conoscenza intuitiva. Ma se poi vi sia qualcosa più, nella nostra mente, di quella semplice idea; se possiamo da essa con certezza inferire l'esistenza di cosa alcuna fuori di noi, che corrisponda a quell'idea, questo è un punto su cui alcuni ritengono si possa disputare; poiché gli uomini possono avere siffatte idee nella loro mente anche quando non esistono cose di quel genere, quando nessun oggetto consimile agisce sui loro sensi. Qui, tuttavia, credo ci sia dato un elemento di prova che ci libera da qualunque dubbio. Chiedo infatti a chiunque se non sia consapevole di fronte a se stesso di una percezione diversa quando guarda il sole di giorno e quando vi ripensa di notte; quando di fatto gusta l'assenzio o fiuta una rosa, oppure soltanto pensa a quel sapore o a quell'odore. Troviamo in modo altrettanto facile la differenza che c'è fra un'idea qualunque risvegliata nella mente dalla nostra memoria, e quella che di fatto ci viene nella mente per il tramite dei sensi, quanto la differenza che c'è fra due qualunque idee distinte. E se alcuno dicesse che un sogno può avere lo stesso effetto, e che tutte queste idee possono essere prodotte in noi senza che vi sia alcun oggetto esterno [... ] suppongo egli riconoscerà esservi una differenza assai manifesta fra il sognare di essere tra le fiamme e l'esservi in realtà. ]. Locke, Saggio sull'intelligenza umana, libro IV, parr. 1-9, cit.

a

Analisi del testo l Che cosa significa per Locke"certezza"? 2 Su quale fondamento si basa il differente grado di certezza di ciascuno dei tre livelli di conoscenza? 3 Quale soluzione dà Locke al problema della certezza dell'esistenza della realtà esterna e della sua corrispondenza con le idee?

b

Riflessione l Anche la percezione prodotta dalla dimostrazione è chiarissima; tuttavia, spesso le si accompagna una grande diminuzione di quella lucidità evidente, di quella sicurezza piena, che sempre accompagnano la conoscenza che io chiamo intuitiva.

La conoscenza sensibile. La conoscenza sensibile si esercita intorno alle cose fuori di noi. La conoscenza dell' esistenza di una realtà esterna non è né un'intuizione, né una dimostrazione, né una semplice opinione. Pur non raggiungendo la certezza delle due forme precedenti di conoscenza, essa supera la semplice conoscenza probabile.

S

. I passaggt'deIl'argomentazwne sono due: l. che nella nostra mente ci sia l'idea di un oggetto esterno è certo, poiché tale idea è il risultato immediato delle nostre sensazioni; 2. che invece a questa idea corrisponda un oggetto esterno realmente esistente è provato attraverso due distinzioni: quella tra il semplice ricordo di una sensazione e la sensazione stessa e quella tra un sogno e un'esperienza realmente esperita. Al contrario di Cartesio, Locke accetta che l'esistenza del mondo possa essere affermata per sola constatazione empirica. Il riferimento al sogno contiene uno spunto gnoseologico analogo a quello da cui prende le mosse Cartesio. La risposta al dubbio «E se tutta la conoscenza non fosse che un sogno?» è tuttavia differente: Cartesio risolve il dubbio con la certezza dell' autocoscienza, Locke con la certezza della sensaziOne.

laboratorio Come un volto che viene riflesso da vari specchi, l'uno all'altro, dove, finché esso conserva la somiglianza e concordanza con l'oggetto, produce la conoscenza; e tuttavia, in ogni successiva riflessione, ciò avviene con una diminuzione di quella perfetta chiarezza e di quel nitore che si trovano nella prima immagine; e alla fine, dopo molte riflessioni, vi sarà commista una gran misura di opacità, e a prima vista non sarà così conoscibile, specialmente da occhi deboli. Lo stesso accade per la conoscenza ottenuta mediante una lunga catena di prove. Qual è il significato della metafora lockeana dello specchio? Perché la dimostrazione è meno chiara e distinta dell'intuizione? 2. I.:età della scienza e dello stato assoluto

269

i

Lezione Profilo

fondamenti delliberalismo Temi

Concettt~cltitJVe

*Confutazione dell'assolutismo* Uguaglianza naturale degli uomini* Diritto naturale alla vita, alla sicurezza, alla libertà e alla proprietà* Stato civile fondato sul consenso *Libertà come rispetto delle leggi* Primato del potere legislativo* Revocabilità, divisione ed equilibrio dei poteri* Diritto di rivoluzione* Separazione tra sfera politica e religiosa* Tolleranza religiosa

assolutismo, stato di natura, diritto naturale, stato civile, proprietà privata

1. I Due trattati sul governo Nel1679, in Inghilterra, lo scontro fra Carlo II e il parlamento radicalizza il confronto tra tories e whigs. Per difendere l'assolutismo monarchico, i primi pubblicano uno scritto di Robert Filmer, il Patriarcha, ovvero il potere naturale del re. In accordo con i whigs e in risposta a Filmer, Locke scrive i Due trattati sul governo in cui difende il costituzionalismo, la centralità del parlamento, la subordinazione del potere esecutivo al legislativo. La tradizione ha visto nei Trattati la giustificazione teorica della Gloriosa Rivoluzione del 1688. La stesura dell'opera cade tuttavia prima, tra il 1680 e il 1683, anche se il manoscritto viene dato alle stampe nel 1690. I Trattati ebbero grande risonanza e vennero considerati il manifesto del primo liberalismo inglese . .Lopera infatti contribuì a dare voce, nelle rivoluzioni americana, francese, latino-americana, sino ai moti indipendentisti d'Irlanda e India, a movimenti miranti a istituire governi costituzionali fondati sul consenso, sui diritti civili, sulla divisione dei poteri.

2. Le tesi delf assolutismo

~ Ricorda che... Attribuendo al padre e al re una sovranità assoluta, Filmer mette "in catene" l'umanità. Se nessuno nasce libero, ogni governo sarà una monarchia assoluta.

Intransigente sostenitore dell'assolutismo monarchico, Filmer respinge i principi dell'uguaglianza e della sovranità popolare. In accordo con la tradizionale visione "discendente" del potere, egli afferma che «nessuno nasce libero». La naturale soggezione di ciascuno al padre genera infatti la soggezione all'autorità politica ~ . .Lattribuzione e la trasmissione del potere civile, paterno e maschile, sono di istituzione divina. Derivata dal potere patriarcale di Adamo, fondata sul potere naturale del padre sui figli, la sovranità regia è dunque al di sopra di tutte le leggi. La titolarità di questo diritto ereditario passò da Adamo ai patriarchi regnanti sui clan familiari, dai quali discendono a loro volta i re attuali. Ai re, padri dei loro popoli, si deve dunque indiscussa obbedienza: come a Dio e al padre. Ribellarsi è contro natura. Re e padri governano secondo la propria volontà, senza farsi condizionare dai sudditi. Il re accentra in sé i tre poteri: è legislatore, capo dell'esecutivo, giudice; egli non ha limiti né nel parlamento né nelle leggi.

3. La confutazione delf assolutismo Nel Primo trattato Locke critica Filmer, contestando anzitutto l'autorità monarchica di Adamo. Adamo non ebbe da Dio alcuna sovranità: né una signoria sull'umanità, né un dominio sulla moglie e i figli. Per natura, dunque, gli uomini sono liberi e uguali. Filmer subordina l'autorità materna a quella pater-

!'l 270

na, la moglie al marito: ma né Dio né la natura sottomettono la donna all'uomo. E la generazione non dà ai padri un potere sui figli. Né i mariti sulle mogli né i padri sui figli esercitano quindi un potere assoluto. Uguali per natura, uomini e donne, genitori e figli partecipano degli stessi diritti. r..:autorità dei genitori sui figli non è da intendere, di conseguenza, come un dominio politico. Il diritto del padre al rispetto è ben diverso dal diritto del sovrano all'obbedienza. La tesi di Filmer sarebbe plausibile se provasse che, alla sua morte, Adamo trasmise il suo potere ai diretti discendenti, e che i re al potere sono i legittimi eredi del potere di Adamo. Filmer invece elude la domanda cruciale: chi ha diritto al governo? Egli predica l'obbedienza, ma non sa provare chi sia legittimamente designato alla sovranità. Se esiste un erede di Adamo, questi sarà uno solo, per linea di progenitura, ma allora tutti i re della terra, salvo uno solo, perderebbero ogni legittimità; ma chi di loro è l'erede di Adamo? Se invece non vi fu un solo erede, chiunque lo fu, e tutti oggi avremmo potere regale. In conclusione, i criteri di legittimazione della sovranità di Filmer sono contraddittori. Se non vi è modo di provare chi ha diritto di esercitare il potere monarchico, non si può distinguere un pirata da un principe legittimo.

Confronti Filmer, come Hobbes, legittima il potere di fatto: occorre obbedire a chi detiene la forza; chiunque sia re, è re legittimo. Per Locke, invece, il potere si basa sul diritto.

4. Lo stato di natura e fuguaglianza naturale Nel Secondo trattato Locke affronta quattro grandi temi: l. lo stato di natura e i diritti umani fondamentali; 2. le origini e i fini dello stato civile; 3. il modello di stato liberale; 4. le degenerazioni delle istituzioni civili e le garanzie e le difese che i cittadini hanno diritto di avere. Come Hobbes, anche Locke muove dalla descrizione dello stato di natura. Nello stato di natura, luogo della libertà e dell'uguaglianza originarie dell'uomo, nessuno ha più potere o autorità di altri, nessuno è inferiore o sottoposto ad altri~. Nei limiti della legge naturale, ognuno è libero di regolare le proprie azioni e di disporre di sé e dei propri beni come meglio crede. r..:uguaglianza naturale non implica però una completa parità di status: età, capacità, educazione, merito differenziano gli uomini, ma non generano diseguaglianza politica. La disparità di status non contraddice dunque l'eguale diritto di fruire ciascuno della libertà naturale.

~ Ricorda che ... Per Locke lo stato di natura ha avuto effettiva storicità e ancora sussiste nelle comunità primitive. Egli osserva che nelle Americhe, per esempio, gruppi di indigeni vivono privi di ogni regime politico.

5. I diritti naturali: vita, sicurezza, libertà e proprietà La legge naturale prescrive il rispetto dei quattro grandi diritti naturali (vita, sicurezza, libertà e proprietà), i quali si fondano sull'inclinazione umana all'autoconservazione e alla felicità. Per Locke libertà e felicità sono inscindibili. La politica deve garantire le tre premesse della felicità: pace, armonia, sicurezza. Nello stato di natura tuttavia, mancando un potere politico che renda attuabile la felicità, la legge naturale si limita a prescrivere un divieto di ordine generale: essendo gli uomini tutti uguali, nessuno può ledere la vita, la libertà, i beni degli altri. Sono ammesse due sole eccezioni: la legittima difesa e la punizione del trasgressore. Chi viola la legge naturale lede i diritti altrui, colpisce la pace e la sicurezza dell'intera specie. La legge naturale sarebbe inefficace se nessuno disponesse del potere di renderla esecutiva, difendendo gli innocenti e reprimendo i trasgressori. Nello stato di natura la responsabilità di rispettarla cade tuttavia per intero sul singolo: mancano infatti sia una legge espressa da poteri politici legittimi, sia giudici imparziali. 2. I.:età della scienza e dello stato assoluto

271

-

6. Pace e guerra nello stato di natura Lo stato di natura lockeano non coincide con l'hobbesiano stato di guerra. Locke riconosce possibile la guerra nello stato di natura, ma esclude che il potere nasca dalla forza e dalla violenza, che la vita umana associata veda prevalere il più forte. Vi è sempre chi ha interesse alla pace. Stato di guerra o stato di pace dunque non sono mai generalizzati. Certo corre tra loro un confine labile: laddove un conflitto di interessi non trova pacifica composizione, la fragile pace degenera nella violenza. Nello stato di guerra, il diritto alla sopravvivenza sancito dalla legge di natura implica il diritto di distruzione reciproca: ognuno ha diritto di difendersi da chi attenta alla sua incolumità, ai suoi beni. Perciò, nello stato di natura chiunque sottragga a qualcuno la libertà o i beni, si pone in stato di guerra nei confronti dell'intera comunità.

7. La nascita dello stato civile ~ Ricorda che... Il passaggio allo stato civile si motiva per il fatto che nello stato civile, a differenza dello stato di natura, l'esistenza di un giudice dotato di autorità può limitare il conflitto.

e lessico Nel linguaggio del giusnaturalismo, è colui che ricopre cariche pubbliche. MAGISTRATO

I.:impulso di conservazione non basta a indurre gli uomini a lasciare lo stato di natura e farsi membri volontari di uno stato civile. La spinta a consociarsi viene dalla necessità di superare la precarietà dello stato di natura e di prevenire lo stato di guerra. A tal fine ognuno subordina alla comunità politica la libertà di provvedere alla propria conservazione e rinunzia al diritto di farsi giustizia da sé. Proprio l'esistenza di un'autorità cui appellarsi per risolvere le controversie denota lo stato civile ~. In esso sono banditi l'uso privato della forza e il diritto individuale a farsi giustizia, e tutti sono soggetti alla legge e hanno diritto di appellarsi al e "magistrato".

Il modello politico di Locke stato stato di natura

contratto

società politica

cittadini

8. l.ibertà nello stato e libertà dallo stato

e

Lessico

Diritto risultante dalle leggi scritte o dalla consuetudine diventata legge. Con DIRITTO NATURALE si intende il diritto dovuto alla natura umana, indipendentemente da ogni legislazione. DIRITTO POSITIVO

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Se nello stato di natura la libertà consiste nel non essere soggetto all'autorità altrui e nel rispettare la sola legge di natura, nello stato civile la libertà consiste nell'essere soggetto al potere politico dello stato, in quanto fondato sul consenso, e alle leggi da esso emanate. Solo in apparenza, tuttavia, la legge limita la libertà: in verità ne rende possibile il concreto esercizio. Ove non vi è legge infatti non vi è libertà, ma arbitrio e oppressione: solo la legge protegge dall'invadenza altrui nella sfera privata. Nemmeno lo stato civile tuttavia offre assoluta sicurezza al cittadino. Ai pericoli derivanti da offese di singoli individui o gruppi si sommano infatti quelli insiti nel potere statale. Lo stato ha un volto rassicurante e uno minaccioso: il primo protegge i diritti naturali dei cittadini; l'altro, grazie al monopolio della forza, potenzialmente li minaccia. I.:autorità politica può abusare del potere, perpetrare violenze e ingiustizie, distorcere le leggi. Se ciò accade, l'autorità civile perde la sua funzione e ritorna lo stato di guerra. Anche la libertà, pertanto, ha due volti. Come libertà nello stato, essa trova compimento nel e diritto positivo che preserva le leggi di natura e nella certezza di tale tipo di diritto. Come libertà dallo stato, essa pone, sulla scorta del principio di conservazione, precisi limiti al potere civile.

9. La proprietà privata come diritto naturale

Confronti Per Hobbes la proprietà non è un diritto naturale: se in natura tutti hanno diritto su tutto, allora nessuno ha diritto su nulla; la proprietà diventa un diritto solo con lo stato civile.

Per Locke, gli uomini si uniscono e si assoggettano a un governo innanzitutto per salvaguardare il diritto naturale alla proprietà privata. Al contrario di Hobbes, Locke fa della proprietà un diritto originario. Seguiamo la sua argomentazione, attraverso lo schema seguente: all'inizio Dio ha dato all'uomo la terra in comune; i beni sono di tutti; non c'è proprietà privata.

La naturale tendenza a sviluppare le proprie capacità determina il passaggio dalla proprietà comune alla proprietà privata. Si afferma il possesso privato dei prodotti, dei mezzi di produzione, della terra.

In un primo momento la proprietà privata è limitata ai bisogni immediati: non emergono grandi differenze fra gli uomini.

In un secondo momento, con l'affermarsi del denaro, lo stato di natura passa da uno stato di uguaglianza a uno di diseguaglianza.

La proprietà privata viene consensualmente accolta come un diritto naturale.

La proprietà diseguale, il denaro, il desiderio di possedere più del bisogno, l'industriosità estendono la produzione e gli scambi, concorrono al benessere e alla crescita economica. Con l'accumulazione privata, i diritti individuali non sono lesi, ma anzi più intensamente fruiti. Lo sviluppo della proprietà, della produzione e degli scambi unisce gli uomini in gruppi stabili e disciplinati. Il legame economico non è però mai sufficiente: la crescita demografica, la tendenza alla proprietà illimitata possono rendere infatti più precari i diritti e la pace, più problematico il rispetto della morale. Anche sul piano economico, si rende dunque necessario il passaggio alla società civile, in cui l'istituzione contrattuale del magistrato regolamenta i rapporti economici.

10. I limiti dello stato Il passaggio dallo stato di natura a quello civile non è immediato né automatico. I.:uomo, per Locke, non è predisposto né a una vita sociale armoniosa, né a una vita solitaria e asociale. Non vi è né una condizione in cui gli uomini, ignari dell'egoismo, cooperano in pace e fratellanza, né una in cui, come singoli atomi isolati, confliggono animalescamente per sopravvivere. I.:individuo concreto è sempre la risultante di spinte egoistiche e spinte altruistiche ed è motivato alla vita associata da forti impulsi di necessità e vantaggio. All'interno della società politica gli uomini sono inseriti in molteplici associazioni, tutte istituite in forza di un libero contratto e tutte conformi a leggi e norme: la famiglia, le comunità territoriali (dal villaggio allo stato), le associazioni economiche, religiose, culturali. Lo stato vigila sulle attività dei sudditi ma non le promuove; e non educa, né redime o arricchisce i cittadini: nel rispetto delle leggi che regolano la vita civile, l'educazione compete alla famiglia, la salvezza alle Chiese, l'entità del reddito all'iniziativa individuale ~-

~

Ricorda che ...

Per Locke la famiglia, l'attività economica, le opinioni culturali e religiose esulano dalle competenze dello stato e non ne tollerano l'invadenza.

2. [età della scienza e dello stato assoluto

273

11.

n potere legislativo come potere supremo

Locke classifica le forme di governo in base al numero di detentori del potere: molti, pochi, uno. • Nella democrazia la maggioranza esercita il potere in forma diretta e rende operanti le leggi mediante funzionari di sua nomina. • Nell'oligarchia la maggioranza delega tale potere a pochi prescelti, anche in forma ereditaria. • Nella monarchia, in forma elettiva o ereditaria, il potere è delegato a uno solo, il sovrano. Per Locke, il potere legislativo è il potere supremo. Esso assicura l'unione dello stato, emanando leggi vincolanti per tutti e rappresentando la volontà collettiva espressa dalla maggioranza. La legge naturale e il mandato della società pongono tuttavia tre limiti al potere legislativo:

l.

1

'

2.

3.

Il legislatore emana le leggi solo in vista del pubblico bene. I.:individuo è autonomo rispetto allo stato. Tutto ciò che riguarda lo stato ' riguarda l'individuo, ma non il contrario. ' Le leggi devono essere certe, stabili, uguali per tutti e promulgate secondo

• la costituzione.

12. Potere esecutivo e potere federativo Il potere esecutivo presiede all'esecuzione delle leggi. Poiché queste devono essere sempre in vigore e ad esse bisogna sempre obbedire, l'esecutivo è sempre in atto, mentre non è necessario che lo sia il legislativo, essendo il bisogno di nuove leggi discontinuo. Il legislativo può revocare il mandato all'esecutivo e può punire gli atti amministrativi non conformi alle leggi. Il potere di emanare le leggi subordina pertanto l'esecutivo al legislativo. Il governo per Locke detiene, oltre che il potere esecutivo propriamente detto, anche il potere federativo, che è il potere che presiede alle relazioni internazionali: decide la guerra e la pace, stringe alleanze, negozia con gli altri stati. Formalmente è indipendente; all'atto pratico, è detenuto da chi detiene il potere esecutivo. I..:esercizio ottimale dei due poteri esige un pieno coordinamento: la politica estera infatti non è del tutto regolabile in base a leggi preesistenti e va lasciata alla prudenza e alla saggezza dei titolari del potere federativo.

13. La revocabilità e la divisione dei poteri ~ Ricorda che ... Per Locke, i legislatori devono rispettare la proprietà privata. L'imposizione fiscale non contraddice tale principio: uno stato senza risorse non può esistere. La tassazione è un male necessario che viene risarcito ai cittadini nella forma di un bene più grande.

274

Per Locke, il potere supremo è nelle mani del popolo, a cui tutti i poteri sono subordinati. Poiché tuttavia il popolo non può governarsi direttamente, la comunità cede l'effettivo esercizio della sovranità agli organi dello stato, conservando però il diritto di salvaguardare se stessa e i diritti naturali dagli abusi di chi esercita il potere esecutivo e legislativo~. Tra il popolo sovrano e i legislatori vige un rapporto di fiducia: il potere politico è fondato sul consenso ed è sempre revocabile ave agisca contro la fiducia ripostavi. Locke teorizza la divisione e l'equilibrio dei poteri: le funzioni principali dello stato non devono essere esercitate dalla stessa persona o dallo stesso organo, ma da persone e organi diversi, fra loro cooperanti e in controllo reciproco. Questa è la suprema garanzia costituzionale per i diritti del popolo. I..: accentrarsi dei poteri nelle medesime persone rompe infatti l'equilibrio tra società civile e

FOG:US La riflessione sulla tolleranza e gli scritti religiosi Locke dedica numerosi scritti alla tolleranza, uno dei problemi che caratterizzarono il dibattito politico e religioso in Europa nell'età moderna. Nel Saggio sulla tolleranza, del1667, egli pone la tolleranza come il fondamento della religiosità e dell'amministrazione dello stato. Ambito religioso e ambito politico devono rimanere distinti: i diritti individuali della coscienza sono infatti inalienabili; lo stato può intervenire solo là dove le credenze religiose, fuoriuscendo dalla sfera privata, investono l'ordinamento politico. Locke sancisce così due capisaldi del pensiero liberale: la separazione tra pubblico e privato e la laicità dello stato. Il culto e la fede rientrano nell'ambito interiore della sola coscienza, che è insindacabile affare privato; la religione non riguarda il politico o il magistrato, ma unicamente l'uomo. Autorità religiosa e autorità Civile risultano nettamente separate. La seconda non può nulla, in materia di fede; la prima non deve sconfinare nella politica e non ha altre armi che l'insegnamento, il dialogo e la carità. Locke darà forma sistematica a questi convincimenti in

una serie di lettere dedicate al tema della tolleranza e nello seri tto del 16 9 5 sulla Ragionevolezza del cristianeszmo. N elle lettere, egli riprende il motivo della separazione tra stato e Chiesa e afferma che il valore di verità del cristianesimo non è messo in discussione dall'esistenza di diverse Chiese, poiché le divergenze esistenti tra queste ultime non riguardano i punti essenziali della fede. D'altra parte, a suo parere, è impossibile accertare in maniera definitiva quale sia la vera religione, ossia distinguere la verità ortodossa da ciò che non lo è: le controversie religiose non possono mai avere vincitori. Nella Ragionevolezza del cristianesimo, Locke sviluppa una posizione deistica: il contenuto della rivelazione religiosa è razionale e antidogmatico; a esso si accede per ricerca personale, senza la mediazione di alcuna autorità religiosa, unica depositaria della verità. Se interpretato come religione razionale, il cristianesimo potrà ritrovare la perduta unità attorno al suo unico dogma essenziale (l'essere Cristo il figlio di Dio fatto uomo per redimere l'umanità) ed emendarsi dall'intolleranza.

stato. Può spingere chi li detiene a violare la legge, a piegare le istituzioni a fini privati, a imporre interessi in contrasto con la società; consente infine al potere esecutivo di sopraffare il legislativo. Per questo, chi ricopre cariche esecutive non riveste di norma cariche legislative.

14. Il dispotismo e il diritto alla rivoluzione Locke condanna despoti e tiranni. Lassolutismo è incompatibile con la società civile. La forza dissolve lo stato. Non nascendo da un accordo volontario, da un contratto, il potere dispotico non è un potere politico. Di conseguenza, chiunque eserciti un potere senza rispettare le leggi non ha diritto all'obbedienza~. Le istituzioni non sono mai al riparo dalla tirannide: essa affligge ogni sistema politico. Poiché dissolve le istituzioni, il popolo ha diritto di ricorrere alla forza per liberarsi dalla tirannide. Tra i giusnaturalisti, solo Locke riconosce il diritto di rivoluzione, intesa qui come resistenza a un potere illegittimo e come testaurazione del legittimo stato di diritto. Prima di ricorrere all'arma estrema della rivoluzione, il cittadino dispone tuttavia di mezzi intermedi, costituzionali, per difendersi dalle prevaricazioni dell'autorità politica. La forza va opposta alla forza illegale, solo se non è possibile ricorrere alla legge e solo per violazioni del diritto gravi. La resistenza infatti è legittima se atti illegali colpiscono la maggioranza e se l'oppressione minaccia i beni, la libertà, la vita di tutti.

a

Conoscenza dei termini Definisci: assolutismo, stato di natura, diritto naturale, stato civile, libertà, proprietà privata.

bcomprensione di concetti e relazioni 1 Qual è, per Filmer, la fonte del potere sovrano? 2 Quali lacune individua Locke nella teoria di Robert Filmer? 3 Qual è, per Locke, il principio fondamentale dei rapporti fra singoli nello stato di natura?

Confronti In Hobbes lo stato pecca per difetto: lascia insicuri i cinadini, non provvede alla loro concordia. In Locke pecca per eccesso: ab usa del potere, eccede nell'intervenire nella sfera privata, tiene i cittadini in stato di minorità. ~ Ricorda che •••

La polemica di Locke con Hobbes è netta: la legge del più forte ignora il consenso, calpesta i diritti, impedisce la pace. Solo il consenso, mai la forza, costringe un popolo all'obbedienza.

verifica

4 Quale necessità, secondo Locke, conduce dallo stato di natura allo stato civile? 5 Come descrive Locke l'origine del diritto di proprietà? 6 Quali poteri Locke individua nello stato e a quale di essi attribuisce il compito più importante? 7 In che modo Locke argomenta la legittimità del diritto di rivoluzione? 8 In base a quale principio Locke sostiene l'indipendenza di potere politico e istituzioni religiose? 2. L: età della scienza e dello stato assoluto

275

Lezione Testo

la genesi dello stato civile Il Locke Due trattati sul governo

.1690 1

• trattati

In questo brano presentiamo la parte centrale del Secondo trattato sul governo, in cui Locke descrive con grande efficacia e chiarezza l'origine e la finalità dello stato civile o società politica, successivo all'uscita degli uomini dallo stato di natura. I; uomo nasce con pieno titolo a una perfetta libertà e all'illimitato godi-

mento di tutti i diritti e privilegi della legge di natura, al pari di ogni altro individuo o gruppo di individui nel mondo. Egli ha dunque per natura il potere non solo di conservare la sua proprietà- cioè la vita, la libertà e i beni - contro le offese e gli attentati degli altri uomini, ma anche di giudicare e punire le altrui infrazioni a quella legge, con la pena ch'egli è convinto quel reato meriti, perfino con la morte nel caso di crimini la cui efferatezza, a parer suo, lo richieda. Ma, poiché nessuna . l società politica può darsi o sussistere se non ha in sé il potere di salva- Lo stato civile costituisce il compiguardare la proprietà e, in vista di ciò, punire le infrazioni commes- mento dello stato di natura: esso rense da tutti coloro che a quella società appartengono, la società politica · de effettivo il godimento dei diritti nasi dà ll, e solo ll, dove ogni singolo ha rinunciato a quel naturale potere turali. La sanzione delle leggi ha infatti la funzione di rafforzare l'osservanza e lo ha affidato alla comunità in tutti i casi in cui non sia impedito dal della legge naturale. chiedere protezione alle leggi da essa stabilite. [... ] Se l'uomo nello stato di natura è libero come si è detto, se è padrone assoluto della propria persona e dei propri beni, pari al più grande fra tutti e a nessuno soggetto, perché mai rinuncia alla sua libertà? Perché cede il suo imperio e si assoggetta al dominio e al controllo d'un altro Lo stato di natura instaura già i rappotere? La risposta è ovvia: per quanto nello stato di natura egli possie- porti economici e gli interessi pdvada il diritto connesso con quello stato, la fruizione di esso è assai incer- ti che costituiscono il fondamento delta, continuamente esposta alle altrui interferenze. Infatti, tutti essendo la società politica. Come si dirà più sotto, il motivo per cui gli uomini si unire alla sua stessa stregua, tutti essendo suoi pari ed essendo per lo più scono nella società civile e si riconopoco rispettosi dell'equità e della giustizia, il godimento della proprietà scono nello stato è la salvaguardia delin questo stato è per lui assai incerto, molto insicuro. Ciò lo induce a la proprietà. desiderare di abbandonare una condizione che, per quanto libera, è piena di rischi e continui pericoli: non senza ragione egli desidera e ambisce unirsi a una società che già altri abbiano costituito o abbiano in mente di costituire per la reciproca salvaguardia della loro vita, libertà e beni, cioè con quello che definisco con il termine generale di pro- Il calcolo comparato dei vantaggi e prietà. Il grande e fondamentale intento per cui gli uomini si unisco- degli svantaggi dello stato civile induce l'uomo, in libera volontà, ad asno in Stati e si assoggettano a un governo è la salvaguardia della loro sociarsi in un corpo politico. Ciascun~ proprietà. A tal fine nello stato di natura molti aspetti sono deficitari. Vi rinuncia alla libertà assoluta e accetta 1 manca in primo luogo una legge stabile, fissa e notoria, accettata e rico- vincoli, le limitazioni, le leggi della sonosciuta per comune consenso come criterio del giusto e dell'ingiusto e cietà civile; in cambio ottiene una vita buona e tranquilla, in pace reciproca, come comune misura per decidere di ogni controversia. Benché la legge un più sicuro godimento delle propriedi natura sia chiara e intelligibile a tutte le creature razionali, gli uomi- tà, una maggiore protezione da minacni, traviati dall'interesse e ignari di essa per mancanza di riflessione, non ce esterne.

3

276

sono portati a riconoscerla come legge per loro vincolante nell'applicaIn Hobbes, lo stato civile dà luogo a zione ai loro casi particolari. In secondo luogo, nello stato di natura quelle leggi di cui lo stato di natura, manca un giudice riconosciuto e imparziale, dotato dell'autorità di anarchico e bellicoso in se stesso, è pririsolvere ogni contrasto in base alla legge istituita. G Ciascuno essendo vo. In Locke, la legge naturale preesiste in quello stato giudice ed esecutore della legge di natura, e gli uomini allo stato civile, e il vero inconvenienessendo parziali nei propri confronti, la passione e lo spirito vendicati- te dello stato di natura è l'assenza non della legge, ma di un giudice imparziavo tendono a spingerli troppo oltre, e a infiammarli in modo eccessivo, le che dirima i conflitti e disponga del quando si tratta di casi propri, così come la negligenza e il disinteresse potere di sanzionare, prevenire e repritendono a farli noncuranti dei casi altrui. Infine, nello stato di natura mere la violazione dei diritti fondamanca spesso il potere atto a sostenere e appoggiare la sentenza giusta e mentali. Lo stato di Hobbes, instaurando la legge positiva, rimedia al marenderla debitamente operante. [... ] le costitutivo dello stato di natura canCosì gli uomini, nonostante tutti i privilegi dello stato di natura, tro- cellandone ogni traccia; lo stato di navandosi in condizioni sfavorevoli finché vi rimangono, vengono ben tura di Locke non va cancellato, ma presto indotti allo stato sociale. Per questo si trova di rado un gruppo di conservato e corretto nello stato civile, con l'istituzione di un apparato esecuuomini che viva per qualche tempo in tale stato. Gli inconvenienti cui tivo che faccia rispettare le leggi natuquella condizione li espone per l'irregolare e incerto esercizio del potere rali e consenta la convivenza naturale che ciascuno ha di punire le altrui trasgressioni li inducono a mettersi tra gli uomini. sotto la protezione delle stabili leggi d'una società politica, ivi cercando la salvaguardia della loro proprietà. È questo che li fa così propensi a rinunciare ciascuno al proprio potere punitivo, affidandone l'esercizio a quelli soltanto, fra loro, che siano in tal senso designati, e secondo regole sulle quali la comunità, o le persone a ciò qualificate, possano trovarsi concordi. E in ciò consiste fin dall'inizio la legittimità e l'origine tanto del potere legislativo ed esecutivo, quanto degli stessi governi e società. Rispetto allo stato di natura, la soInfatti, nello stato di natura l'uomo ha due poteri, oltre alla libertà di cietà civile sancisce le leggi e i diritti naturali preesistenti, dotandoli delgodere dei piaceri innocenti. Il primo consiste nel fare tutto ciò che la protezione di cui sono privi. Ognuritiene opportuno per la conservazione sua e altrui entro i limiti consen- no aliena allo stato il diritto di farsi giutiti dalla legge di natura [... ]. E, se non fosse per la corruzione e malva- stizia da sé, incompatibile con la sicugità di uomini degenerati, non ci sarebbe bisogno d'altra società; nessun rezza e il benessere della collettività. l: autorità civile avoca a sé i poteri nabisogno vi sarebbe che gli uomini si isolassero da questa grande comuturali dispersi in ogni individuo, riunità naturale, costituendosi in associazioni minori e distinte in base a nendoli in un unico corpo politico. Lo convenzioni positive. Un uomo nello stato di natura ha inoltre il pote- stato è dotato così di alcuni monopoli: re di punire i reati commessi contro la legge naturale. A entrambi i stabilisce le leggi positive e le sanzioni poteri egli rinuncia quando entra in una società politica per così dire necessarie alloro rispetto, pena di mor' te inclusa; giudica e punisce; finanzia privata o particolare e si incorpora in uno Stato. con l'imposizione fiscale l'esercito; usa

5

]. Locke, Trattato sul governo, capp. VII, VIII, IX, a cura di L. Formigari, Editori Riuniti, Roma 1974

la forza per difendersi da attacchi esterni; dichiara la guerra e la pace.

laboratorio

a

Analisi del testo

l Quali sono i rischi e i pericoli che corre l'uomo nello stato di natura? 2 Qual è, per Locke, il fìne dello stato civile? Quali sono i suoi limiti? 3 Nel passaggio dallo stato di natura allo stato civile, a che cosa gli uomini rinunciano e cosa guadagnano?

b

Riflessione

scoperta di un piano economico dei rapporti umani distinto dal piano politico, l'individuazione del momento economico come momento precedente e determinante quello politico; la società naturale, cioè la società in cui gli uomini vivono seguendo leggi naturali, si trasforma in una società dominata dalle leggi, anch'esse naturali, della libera concorrenza economica. a In che senso la libertà naturale coincide con la libertà economica? b Secondo te, è corretto affermare che la tutela della proprietà affermata da Locke implica la natura censitaria dello stato, che dunque viene a rappresentare i soli ceti proprietari? , , __.

l Norberto Bobbio ha osservato che lo stato di natura è il luogo dei rapporti economici tra gli individui, e rappresenta la __

____________ ___________ 2. I: età della scienza e dello stato assoluto

277

h

comune e filosofia

L

a tolleranza è una virtù ambigua: coraggiosa e feconda quando viene praticata nel contesto di conflitti e polemiche, pigra e superficiale quando si rivela essere semplice indifferenza. Per questo è importante riflettere sulle sue ragioni e sui suoi presupposti. Ogni giorno incontriamo persone intolleranti. A volte mostrano il volto estraneo della stupidità e del fanatismo come nella desolante "curva" di stadio dell'immagine sopra; ma spesso gli "intolleranti" ci assomigliano: diversi per estrazione sociale e culturale, opinioni politiche e fedi religiose, nazionalità o razza; e tuttavia uguali a noi, nei loro bisogni di uomini e donne, nelle loro insicurezze, nei loro progetti di vita. Come comportarsi nei loro confronti? Noi stessi, a volte, siamo indotti a cedere a comportamenti di intolleranza. Perché lo facciamo? Perché siamo convinti che l'intolleranza, e la coercizione che da essa discende, possano risultare utili, efficaci? Oppure perché siamo sicuri di essere nel giusto e ciò ci legittima alla persecuzione? Nella società contemporanea l'intolleranza ha il volto del fanatismo religioso, politico, razziale. Essa costituisce una minaccia per le nostre libertà individuali, per la democrazia della nostra comunità. La cronaca testimonia il pericoloso diffondersi di comportamenti di intolleranza nella vita quotidiana, che possiamo osservare per strada o, alla domenica, in qualsiasi stadio. Noi, giovani e anziani, donne e uomini, ne veniamo spaventati, a volte sopraffatti. Si devono tollerare tutte le idee, tutte le opinioni, diciamo a noi stessi. Ma questo vale anche quando la loro messa in pratica mette a rischio i nostri valori, i nostri affetti? La soluzione in linea teorica forse non è possibile. Molti sono i margini di incertezza. E tuttavia la tolleranza rimane per noi un valore positivo; da custodire, da difendere.

Si deve essere tolleranti? la tolleranza ha dei limiti? Tolleranza significa indifferenza nei confronti del prossimo o rispetto delraltro e del diverso? È possibile persuadere gli altri a essere tolleranti?

l dilemmi della tolleranza Qualcuno ha detto che la tolleranza non è altro che una forma raffinata di intolleranza da parte dei ricchi, degli avvantaggiati, nei confronti dei "diversi", degli esclusi. La risposta non è facile. Si può dire però che l'interrogativo ha senso solo per chi accetta che la tolleranza sia un valore. I.: intollerante non ha di questi problemi. Il nocciolo della questione sta nel decidere se la tolleranza sia utile o nociva per la società; se sia razionalmente accettabile o consigliabile. "Tollerare" significa ammettere che nella comunità civile cui apparteniamo esistano credenze, comportamenti, valori, fedi diversi da quelli ufficialmente approvati o dominanti. "Tolleranzà' ha dunque il significato di "rispetto" dei punti di vita diversi dal nostro e da quelli della maggioranza, sulla base del principio che tutte

le opinioni hanno diritto di espressione. Il termine non è tuttavia privo di ambiguità. I.:etimo latino ci conduce infatti alla parola tolus, "peso". Tolerare originariamente significa dunque "sopportare", per esempio la fame, il dolore, ma anche le tasse, oppure un noioso seccatore. Tollerante è anche chi, per convenienza, prudenza o per indifferenza, convinto comunque di detenere la verità, si mostra indulgente verso chi giace nell'errore. È in questa accezione che il termine è stato inteso in passato dalla Chiesa cattolica, che ha condannato la tolleranza come indice di indifferenza in materia religiosa, atteggiamento quest'ultimo che non può essere condiviso da chi crede di essere nella Verità e si sente scelto per diffonderla combattendo contro l'errore.

Dall'universalismo medievale all'umanesimo di Erasmo Il problema della tolleranza è storicamente legato alle controversie in materia religiosa. Nonostante sporadici accenni nel pensiero premoderno (il problema della convivenza di fedi diverse era già emerso nell'antichità e nel Medioevo), la questione della tolleranza acquista importanza nel XVI secolo, età in cui si sovrappongono Riforma, Controriforma, costituzione degli stati assoluti e lotte per il predominio europeo. La definitiva frantumazione dell'universalismo medievale, dovuta alla nascita di Chiese diverse da quella cattolica e al tracollo del tentativo asburgico di fare dell'impero la forza egemone in Europa, rompe l'omogeneità ideologica caratteristica del Medioevo. I.:Umanesimo, culminante nella figura di Erasmo, critica i modelli imposti dalla cultura ecclesiasti-

ca. Nel nome della lotta al fanatismo e della religione come esperienza interiore, Erasmo propone l'accordo tra le fedi e l'unità dei credenti. Nel frattempo, la cultura rinascimentale scopre, con Machiavelli, il valore politico della religione come forma di controllo e asservimento delle masse allo stato. Dal Principe, alla pacificazione di Augusta (1555) -che coniò la formula cuius regio, eius religio - al De cive (1642) di Hobbes, si àfferma una concezione "strumentale" della religione. Vengono cosl a contrapporsi una visione umanistico-razionalistica, che tende ad ammettere il libero esame della materia religiosa, e una assolutistica, che nega questo diritto in quanto ne considera la stessa pretesa un crimine politico di lesa maestà.

Cristianesimo e rotestantesimo Dopo l'età umanistica, il mondo delle religioni cristiane mostra una rinnovata inclinazione al fanatismo. Laccento è diverso tra cattolicesimo e protestantesimo. In quest'ultimo la dottrina della predestinazione alla salvezza rende ingiustificata ogni costrizione alla conversione e diventa, sia pure indirettamente, uno strumento di libertà; la persecuzione avviene piuttosto in caso di pubblica manifestazione del dissenso, considerata crimine contro le istituzioni. Il protestantesimo favorisce cosl in parte l'affermarsi di uno spirito di tolleranza: fondandosi sul principio del libero esame e sulla lettura personale del testo sacro, esso non ha, come la Chiesa cattolica, pretese universalistiche, il

che lo porta ad accettare la separazione di stato e Chiesa e il principio della libertà di coscienza. Il cattolicesimo alimenta invece una cultura del sospetto, che denuncia ogni dissenso anche nella condotta privata e che si sostiene con lo strumento dell'Inquisizione. In questo contesto, il problema della tolleranza diviene centrale in alcuni stati, che si trovano internamente divisi dal punto di vista religioso. Terminate le guerre condotte da Carlo V contro la Francia e i principi tedeschi, e in seguito alla disseminazione delle sette riformate, Francia e Inghilterra hanno al proprio interno consistenti minoranze religiose, cui cercano di dare una sistemazione istituzionale mediante accordi e concessioni. 2. I.: età della scienza e dello stato assoluto

279

li] Il.

PROBLEMI Il dibattito sulla tolleranza in Francia nell'età delle I maggiori apporti al dibattito vengono proprio da Francia e Inghilterra, dove il conflitto tra le confessioni religiose e lo stato investe la riflessione sui limiti e le prerogative dell'autorità politica. I principali fautori della tolleranza in terra francese, durante l'età delle guerre di religione, furono gli esponenti del cosiddetto "partito dei politici". Costoro, ostili al cattolicesimo fanatico delle famiglie aristocratiche raccolte intorno ai Guisa, erano rappresentati da funzionari-ideologi come Jean Bodin. Le linee fondamentali della posizione dei "politici" furono adottate nell'editto di Nantes (1598), promulgato da Enrico IV. I.:aspetto più significativo della posizione dei "politici" sta nel considerare la questione religiosa dal punto di vista dello stato. Essi sostengono che il problema religioso può risolversi solo in uno stato potente e accentrato,

ione

capace di garantire il diritto all'esistenza di tutte le religioni. Questo diritto, tuttavia, non viene fondato come diritto inalienabile della coscienza umana, ma come concessione che lo stato accorda ai sudditi. La posizione di Bodin accoglie alcuni elementi dell'irenismo religioso (eiréne = pace) di Erasmo e di Sebastiano Castellion, ma anche la lezione di Machiavelli: la tolleranza religiosa è uno strumento a disposizione del sovrano per unire lo stato; essa non viene ricavata da principi di libertà ed eguaglianza, ed è anzi privilegio accordato solo a specifici gruppi. Nei Saggi (1580), Montaigne coglie lucidamente nella tolleranza un instrumentum regni, testimonianza di prudenza politica. Nel gioco politico, la tolleranza è da perseguire come strumento funzionale al potere e non in quanto valore morale.

la tolleranza come libertà di coscienza in Bayle----------------------------------

Nel XVII secolo, l'affermazione dell'assolutismo regio porta alla revoca delle libertà religiose, sia ugonotte sia gianseniste, e alla statalizzazione del culto. In questo contesto, la rivendicazione della libertà di coscienza (da parte dei "libertini") assume il carattere di una contestazione dell'assolutismo e della sua politica di controllo dell'opinione pubblica. Per un altro verso, grazie all'affermarsi del razionalismo e della mentalità scientifica le idee di tolleranza e di libertà di coscienza cominciano a essere intese come diritti individuali. Sostenitore di queste idee fu Pierre Bayle, che, in nome del valore autonomo della coscienza morale, difese la libertà di pensiero. Bayle arriva a sostenere la necessità della tolleranza anche nei confronti dell'atei-

smo: una società atea, a suo parere, è capace di perseguire i valori morali universalmente riconosciuti e di darsi un ordine e delle leggi di convivenza civile. Per Bayle, libertà di coscienza e tolleranza vanno dunque difese, sia perché contribuiscono al progresso della società (mentre il fanatismo religioso produce violenze e soprusi), sia perché sono necessità intrinseche della persona umana. Poiché è impossibile, in materia religiosa, giungere a una verità oggettiva, l'uomo di fede dovrà perseguire un atteggiamento critico, problematico. Bayle accetta che ogni Chiesa abbia il diritto di difendere i propri dogmi, ma afferma che nessuna sanzione civile o penale può toccare a chi abbandoni una religione per libera scelta di coscienza.

la libertà dei cittadini come fine dello stato in Spinoza

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Atteggiamento analogo a quello di Bayle sostiene il filosofo olandese Spinoza. Egli sostiene che in un libero stato è lecito a ciascuno dire ciò che pensa, e che ogni negazione dei diritti naturali dell'individuo, come quella teorizzata da Hobbes, è nociva e fonte di pericolo per lo stato. Limitare la libertà di coscienza è assurdo; e la prova sta nel fatto che vizi quali l'invidia o l'avarizia vengono tollerati perché le leggi non possono impedirli. Come è certo che da tali vizi vengono molti mali per lo stato, eppure li si tollera, cosl si dovrà concedere la libertà di pensiero, che favorisce il progresso delle scienze, delle

arti e la prosperità sociale. Con Spinoza, la difesa della tolleranza diventa affermazione razionale della libertà, basata sull'eguaglianza originaria fra gli uomini. Anch'egli è favorevole alla libertà di culto e condivide le posizioni ireniste di Erasmo. Spinoza pone due soli limiti alla libertà: il primo riguarda la limitazione del diritto di agire contro lo stato e le sue leggi; il secondo consiste nel divieto di professare teorie che dissolvano il patto sociale. Entrambe queste tentazioni, a suo parere, nascono dall'ignoranza e dalla superstizione; solo l'uso della ragione può dissiparle.

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L'Inghilterra dallo scisma anglicano alla dinastia Stuart

In Inghilterra, la questione della tolleranza risentì, come in Francia, della contraddizione tra le spinte verso l'assolutismo, iniziate già nella prima metà del XVI secolo dalla dinastia Tudor, e le esigenze di autonomia e libertà di coscienza poste dalle religioni riformate. Dopo l'Atto di Supremazia del1534, con cui Enrico VIII Tudor aveva segnato la nascita dell'anglicanesimo, la religione di stato si era avvicinata a un catechismo calvinista, ma aveva mantenuto un'organizzazione centralisti ca, basata sulla dipendenza delle comunità di base dai vescovi e dei vescovi dal re (episcopalismo). A ciò si contrapponevano gli orientamenti puritano e presbiteriano, fautori dell'autogoverno delle comunità religiose. Dietro l'anglicanesimo episcopalista stavano gli interessi dei

• l

grandi proprietari terrieri, mentre puritani e presbiteriani trovavano. appoggio presso la piccola nobiltà di campagna (gentry) e la borghesia commerciale. Il problema della tolleranza religiosa fu uno dei banchi di prova della monarchia Stuart, sia prima sia dopo la rivoluzione puritana. La scelta tra episcopalismo e presbiterianesimo, l'opportunità di ammettere un solo culto di stato, l' atteggiamento da tenere di fronte ai cattolici furono temi che agitarono il dibattito politico nell'epoca delle due rivoluzioni. I.:orientamento vincente fu quello degli "indipendenti" guidati da Cromwell, che negarono il culto di stato, affermarono la liceità di tutte le sette e sostennero la libertà di coscienza.

locke: la tolleranza come fondamento dello stato liberale

·. Sotto la restaurazione Stuart, in un clima di rinnovato tentativo assolutistico, la riflessione sulla tolleranza riassume l'aspetto di rivendicazione "liberale" di un diritto individuale. I.:apporto principale viene dalla Lettera sulla tolleranza di John Locke, scritta durante l'esilio in Olanda e pubblicata nell689, che fa seguito al Saggio sulla tolleranza, del1667. Qui Locke aveva teorizzato la distinzione e la reciproca autonomia degli ambiti religioso e politico e ribadito il diritto inalienabile dell'individuo alla libertà di pensiero. Lo stato deve intervenire solo là dove le credenze e i culti, fuoriuscendo dalla sfera privata, comportino un possibile danno per la società e le istituzioni. Locke sancisce cosl due capisaldi del pensiero liberale: la separazione tra pubblico e priva-

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to e la laicità dello stato. Diversamente dall'agire politico, che ha rilievo pubblico, la sfera interiore della coscienza è insindacabile affare privato: il culto rientra nella giurisdizione della coscienza; la religione non riguarda il politico o il magistrato, ma l'uomo. Autorità politica e autorità religiosa vanno nettamente separate. La prima non può nulla in materia di fede. La Chiesa, a sua volta, è priva di poteri politici. Locke limita cosl il potere sia politico sia sacerdotale: l'uno è confinato al di fuori della coscienza individuale, l'altro non ha altre armi che l'insegnamento e la carità. La posizione di Locke costituisce una difesa della «coscienza errante», già sostenuta da Bayle, ossia della possibilità di ciascuno di fare esperienze proprie, anche errate, in campo religioso.

locke: la separazione tra potere civile e potere religioso

. Nella lockeana Lettera sulla tolleranza, il concetto di tolleranza assume due significati: l. in primo luogo, indica l'atteggiamento liberale dello stato, che non si immischia nelle questioni di fede, ma assicura a tutte le religioni il diritto effettivo di professare; 2. in secondo luogo, è il carattere distintivo del cristianesimo autentico, che Locke interpreta come religione razionale. Poiché Cristo ha chiesto l'esercizio della ragione e la disponibilità al dialogo e alla comune ricerca, la tolleran-

za è un dovere morale dettato dal cristianesimo fin dalle sue origini. Il principio della tolleranza viene difeso da Locke attraverso due argomenti. Uno di tipo politico: dalla separazione fra stato e Chiesa consegue che coloro che detengono il potere in uno dei due ambiti non hanno alcuna autorità sull'altro. I.: altro di tipo morale: poiché la carità è il segno distintivo del buon cristiano, l'agire virtuoso comporta l'esercizio della tolleranza. 2. I:età della scienza e dello stato assoluto

281

PROBLEMI la tolleranza ha dei limiti? Locke prevede due limitazioni alla tolleranza: l'una riguarda i cattolici, che con il loro asservimento fanatico al papa abuserebbero della tolleranza loro concessa per sovvertire lo stato e imporre la propria intolleranza; l'altra riguarda gli atei, che negando Dio negano la stessa ragione e sono quindi al di fuori del patto sociale che caratterizza la società liberale (posizione opposta a quella di Bayle). Per Locke, non vi può essere tolleranza per coloro che la rifiutano o la riservano solo per sé, né per coloro

l

che, come i cattolici, mettono la comunità religiosa al servizio di un sovrano straniero. Locke nota chiaramente, peraltro, che la sottomissione al potere politico di cattolici e atei non significa che la loro coscienza sia violabile: essa va intesa come una precauzione perché il loro totalitarismo ideologico non distrugga l'intera società. Non si tratta quindi di vietare ai cattolici l'esercizio del culto, quanto di limitare i loro diritti civili, come garanzia delle libertà religiose e civili di tutti.

Voltai re e "l'affare Ca las"

· II tema della tolleranza ha grande importanza anche nel secolo XVIII: la sua difesa è al centro delliberalismo di Montesquieu e delle idee politiche di Diderot e di opere come Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria e La pace perpetua di Kant. L'Illuminismo auspica un clima di pacificazione, entro cui, sulla base delle leggi, tutti siano liberi di professare le proprie credenze religiose. I.:autore che più di altri nel Settecento lega il proprio nome alla difesa della tolleranza è Voltaire (1694-1778), la cui appassionata polemica culturale e politica esprime l'impegno di un intellettuale per il progresso sociale e per i diritti degli individui contro l'assolutismo e i privilegi. Sul problema della tolleranza Voltaire scrive un Trattato sulla tolleranza (1763) e la voce Tolleranza nel proprio Dizionario filosofico (vedi anche Lezione Profilo 72).

Il 9 marzo 1762, a Tolosa, in Francia, il protestante Jean Calas viene giustiziato, dopo orribili torture, perché ritenuto colpevole di avere impiccato il figlio per impedirgli di convertirsi al cattolicesimo. Calas era innocente: il figlio si era in realtà suicidato. Contro «gli assassini in toga nera» del parlamento· di Tolosa, città non nuova a episodi di fanatismo religioso, si scaglia Voltaire, accusandoli di avere agito in base non a prove ma a pregiudizi. Voltaire scatena una efficace campagna di denuncia che si conclude, tre anni dopo, con l'annullamento del verdetto: Calas è riabilitato, la vedova scarcerata e indennizzata. In pieno Ancien Régime, è la vittoria di una donna protestante contro i poteri forti della Francia, è la vittoria della verità contro l'intolleranza, è la vittoria come dirà Voltaire- della filosofia contro l'ignoranza.

la tolleranza come strumento contro la tirannia e il fanatismo Pubblicato nel 1765, il Trattato sulla tolleranza di Voltaire raccoglie il «grido del sangue innocente» dei Calas e rivendica il rispetto dei diritti umani e delle libertà individuali. Tolleranza ora viene a significare non solo il rispetto delle religioni diverse, ma più in generale il rispetto delle idee diverse. Essa diventa un obbligo nei confronti di un diritto. Con ciò si pone come uno degli argomenti chiave della battaglia illuministica contro il dispotismo e per la modernizzazione della società europea. Voltaire ritiene che la tolleranza sia un obbligo tanto della ragione quanto della religione. La tolleranza è il più efficace strumento per garantire la crescita della società; l'intolleranza religiosa è l'utilizzazione della fede come strumento di sottomissione dei popoli. Intolleranza e tirannia si

accoppiano, e accanto all'intolleranza troviamo sempre l'ignoranza, in cui i despoti tengono le masse. Ciò non significa che Voltaire stesso non abbia, a sua volta, criteri rigidi per giudicare delle idee altrui. Egli traccia, infatti, una storia della tolleranza e dell'intolleranza polemicamente efficace, ma discutibile dal punto di vista storico. Ne emergono civiltà tolleranti (tra cui la Cina, simbolo di una esistenza razionale, priva di fanatismi e superstizioni) e civiltà violente e intolleranti (il Medioevo cattolico, la Francia cattolica, l'ebraismo). Il suo razionalismo battagliero colpisce papismo ed ebraismo, li critica aspramente con l'ironia e la sistematica demolizione della loro storia: un furore polemico che, specie nel caso degli ebrei, tende a sua volta a sconfinare nell'intolleranza.

Rielaborare, discutere, argomentare

1

2

Vi presentiamo sei argomenti a favore della tolleranza. Valutateli. Vi sembrano persuasivi? Qualcuno vi appare discutibile? Sulla base della vostra esperienza, avete altri argomenti da suggerire? l o argomento: Tolleranza non significa indifferenza verso gli altri, ma rispetto delle loro idee e un'onesta disponibilità al confronto delle opinioni. 2° argomento: Le idee e le fedi non possono essere imposte con la forza; per comunicare ciò che riteniamo essere la verità conviene la moderazione e la persuasione; la verità, se è tale, si imporrà da sola. 3° argomento: Laccordo non può essere raggiunto senza la disponibilità a immedesimarci nel punto di vista degli altri, a metterei "alloro posto". 4° argomento: Non siamo tutti uguali; dobbiamo dunque accettare e valorizzare le "differenze", come premessa per trovare i punti di identità. 5° argomento: Valori, fedi religiose e politiche, se autentici, sono convinzioni interiori, fatti di coscienza. La violenza o la legge astratta che pretendano di imporli non ottengono alcun effetto. 6° argomento: Spesso ci si divide su differenze marginali. Non ne vale la pena, se c'è accordo sulle questioni essenziali.

Utilizzando gli spunti offerti dal saggio Dell'incertezza di Salvatore Veca, proponiamo tre argomentazioni a favore della tolleranza. Argomentazione utilitaristica: bisogna essere tolleranti perché conviene, ossia perché il calcolo costi-benefici è a favore della tolleranza piuttosto che dell'intolleranza. La tolleranza, per esempio, è preferibile quando i partecipanti a un conflitto non possono prevedere di vincere e ognuno quindi valuta di stare meglio accettando il punto di vista dell'altro.

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Vi sembra un'argomentazione razionale? Quali sono i suoi punti di forza e di debolezza? Tolleranza come accordo fra contendenti, come negoziato: non vi sembra una concezione solo strumentale della tolleranza, in cui i valori morali non hanno alcuna funzione? Un mondo che seguisse questa concezione non potrebbe trovarsi a giustificare l'intolleranza anche più feroce?

Argomentazione epistemologica: bisogna essere tolleranti, perché nessuno può essere veramente sicuro di detenere la verità assoluta e quindi di essere infallibile e ciò consiglia un atteggiamento di disponibilità verso le opinioni diverse dalle nostre. Infatti, se io ho sicuramente ragione e tu torto, è razionale che tu rinunci alle tue credenze. Ma se ciò non è, può darsi che io abbia torto e tu ragione e valga la pena di dialogare con te.

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Non vi sembra che anche questa concezione della tolleranza sia strumentale? Se, per ipotesi, alcuni fossero depositari della verità assoluta, allora non avrebbero più alcuna ragione di mostrarsi tolleranti? Si può affermare che, in questa argomentazione, più che di rispetto per le persone si parli di rispetto per le opinioni altrui?

Argomentazione morale: bisogna essere tolleranti perché la tolleranza è una virtù che rende la società più giusta e l'uomo più buono. Un mondo caratterizzato da un pluralismo di differenze, di lingue, religioni, stili di vita è moralmente preferibile a uno più povero e uniforme.

O

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Che cosa accomuna uomini e donne fra loro diversi e li rende disponibili alla tolleranza? La legge divina? La loro medesima natura umana? Una naturale propensione al bene? Non è ipocrita o astratta questa concezione, quando nella realtà le differenze fra gli esseri umani (di genere, religione, etnia, cultura) conducono alla discordia, alla guerra, al conflitto? Se gli uomini, per secoli, si sono sterminati, non è forse questo il nostro destino ineluttabile? 2. I.: età della scienza e dello stato assoluto

283

Lezione Profilo

la monadologia fisica Temi

Concettt~clttave

*Aristotele e i moderni* Il nuovo concetto di sostanza * Meccanicismo e finalità* La fenomenicità dello spazio e del tempo* Dio e le monadi

philosophia perennis, monade, continuo, fenomeni ben fondati, percezione, appercezione, appetizione, armonia prestabilita

1.

n filosofo delf armonia

Il programma filosofico di Leibniz è quello di conciliare Aristotele con i moderni. Egli ritiene che ciò sia possibile, se si interpretano i concetti tradizionali di materia, forma, mutamento in armonia con le nuove acquisizioni della fisica matematica, ossia come grandezza, figura e movimento. La sua multiforme attività di matematico, di logico, di musicista, di filosofo naturale, di teologo e di giurista era guidata da un'idea di philosophia perennis, in cui si armonizzassero tutte le verità filosofiche e scientifiche elaborate dall'uomo nel corso del tempo e illuminate dalla sapienza divina. Precoce è in lui la delusione per il meccanicismo metafisica cartesiano. Non lo persuade l'identificazione della materia con l' estensione, così come, sul terreno della biologia, non lo convince la riduzione del processo vitale al semplice movimento meccanico. Egli ritiene all'opposto che sia necessario recuperare il finalismo della visione naturale di Aristotele, e in particolare la sua idea di entelechia, della perfezione cioè del vivente, quale si estrinseca nella sostanza individuale. A tal fine, egli riformula (rispetto ai precedenti di Cartesio e di Spinoza) il concetto di sostanza, traducendolo in quello di monade.

2. La monade

~

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Ricorda che ...

Per gli atomisti la materia è composta di atomi indivisibili, che si muovono nel vuoto. Per Cartesio non esiste il vuoto, e la materia coincide con l'estensione geometrica, infinitamente divisibile.

• lessico Dal greco monds: è un termine che indica l'unità, ciò che è uno. Per Leibniz è il principio sostanziale che dobbiamo ammettere come riferimento ultimo del dinamismo fisico e del vivente. MoNADE

~

284

Leibniz concepisce la sostanza come «un essere capace d'azione». A questa identificazione della sostanza con l'attività, ovvero (adottando il linguaggio della scienza moderna) con la forza, egli è giunto muovendo da una critica dell'ipotesi corpuscolare o atomistica di Gassendi. Nel Nuovo sistema della natura Leibniz ammette che i principi dell'atomismo, "atomi" e "vuoto", siano quelli che per la loro semplicità sembrano meglio soddisfare l'immaginazione ~. Ma, a una più attenta riflessione razionale, si constata che è impossibile trovare i principi di una vera unità nella materia presa da sé, vale a dire in ciò che è puramente passivo: «perché questo non è che una collezione o aggregato di parti, all'infinito». La passività della materia, che si rivela all'osservazione fisica nell'inerzia dei corpi, rinvia a un principio originariamente attivo, come limite della sua infinita divisibilità e principio di unità. I corpi sono sostanze composte o aggregati, che implicano l'esistenza di sostanze semplici, o • monadi, a fondamento di essi. A differenza degli atomi di Epicuro, che erano considerati fisicamente indivisibili, ma idealmente o matematicamente divisibili (e dunque composti di parti), la monade è una sostanza semplice, del tutto priva di parti. Più che all'aro~ m o la si può avvicinare al campo di energia dell'odierna fisica quantistica. Leibniz la assimila a «Un punto reale e animato»: un punto di localizzazione delle forze statiche e dinamiche, studiate dalla fisica moderna.

Confronti Cartesio Modello di spiegazione fisica Principi

Proprietà della materia

; meccanicismo , geometrico

Gassendi

Leibniz

meccanicismo . corpuscolaristico

antimeccanicismo . finalistico

res extensa

atomi e vuoto

monadi inestese

infinita divisibilità quantitativa

indivisibilità fisica

• infinita divisibilità

i qualitativa

3. rinfinitamente piccolo Mediante il suo concetto di monade, Leibniz tenta anche di conciliare la moderna visione scientifica della natura (meccanicismo) con la precedente intuizione naturalistica del Rinascimento, secondo cui il mondo è un grande essere vivente. «Vi è- egli scrive- un mondo di creature, di viventi, d'animali, d'entelechie, di anime in ogni minima parte di materia. Ciascun frammento di materia può essere raffigurato come un giardino pieno di piante, o come uno stagno pieno di pesci. Ma ciascun ramo di una pianta, ciascun membro di ogni animale, ogni goccia dei suoi umori è ancor esso un simile giardino, un simile stagno.» Questo universo dell'infinitamente piccolo, che il microscopio del biologo ha reso finalmente accessibile~' costituisce un infinito in atto, che Leibniz (a differenza di Aristotele) ammette, apponendolo al mero infinito potenziale del

~Ricorda

L'osservazione dei batteri al microscopio, fatta da Leeuwenhoeck, riveste per Leibniz un'importanza analoga a quella che ebbe, per Cartesio, lo studio anatomico della circolazione del sangue svolto da Harvey.

('continuo" matematico.

Nell'ipotesi di Cartesio, che l'estensione costituisca l'essenza dei corpi, si riproporrebbe infatti la tradizionale aporia del continuo ~. Poiché l'estensione può essere divisa all'infinito, lo saranno anche i corpi, che quindi non avranno più parti o unità reali, e dunque non saranno nulla. La difficoltà cade, assumendo il punto di vista di un infinito qualitativo, anziché quantitativo. Secondo l'antico principio di Anassagora, secondo cui «in VITA E OPERE DI LEIBNIZ

• Gottfried Wilhelm Leibniz nasce a Lipsia nel 1646. Compiuti gli studi universitari di filosofia, matematica e diritto, si indirizza alla carriera politica e diplomatica, al servizio del principe elettore di Magonza. Viaggia

a lungo in Francia e Inghilter• Il fallimento di alcune ra, dove ha modo di approspeculazioni economiche, le fondire gli studi scientifici e difficoltà nel dialogo tra le di diventare membro della Chiese, le accuse di aver plaRoyal Society di Londra. giato gli studi di Newton sul calcolo infinitesimale ama• Passato al servizio degli Hannover, è nominato bireggiano la sua vecchiaia. bliotecario e 1n seguito Solo la principessa Sofia (1677) consigliere di corte. Carlotta lo incoraggia, noSi adopera per favorire la paminandolo a capo dell'Acce religiosa e aspira a far nacademia delle scienze di Berscere anche in Germania lino. Muore ad Hannover un'accademia scientifica, sul nel novembre 1716. modello della Francia e del• I suoi scritti principali, l'Inghilterra. Alla fama di cui . oltre all'estesissimo Carteggode all'estero tra gli studio- gio, fonte indispensabile per si, come uno dei geni più inla conoscenza di un pensiero signì e universali del suo vastissimo e poco sistematitempo, non si accompagna co, sono: Discorso di metafisiun'uguale fortuna all'interno ca (Discours de métaphysique), 1686; Nuovo sistema della nadella Germania.

~

Ricorda che .•. In geometria lo spazio è formato da linee, composte da infiniti punti. Tra due punti, per quanto vicini, se ne deve sempre ammettere uno intermedio, all'infinito.

tura, della comunicazione tra le sostanze e dell'unione tra l'anima e il corpo (Système nouveau de la nature et de la communication des substances, aussi bien que de l'union qu'ily a entre l'lime et le corps), 1695; Saggi di teodicea (Essais de Théodicée sur la bonté de Dieu, la liberté de l'homme et l'origine du mal), 171 O; Principi della natura e della grazia fondati sulla ragione (Principes de la nature et de la gràce fondés en raison), 1714; Monadologia (Monadologie), 1720. Postumi sono i Nuovi saggi sull'intelletto umano (Nouveaux Essais sur l'entendement humain), composti trail1703eil1705.

2. I: età della scienza e dello stato assoluto

285

ogni parte, anche minima, vi sono parti del tutto», Leibniz concepisce il mondo come una struttura perfetta, in cui tutte le parti si corrispondono tra loro e la cui totalità si trova riflessa in ogni sua minima componente o monade.

4.

e lessico FENOMENO BEN FONDATO

A differenza dei sogni o dei fantasmi, i corpi sono fenomeni veri, dotati cioè di consistenza oggettiva e intersoggettiva (le loro immagini sono più vive, molteplici e coerenti di quelle oniriche), in quanto hanno dietro di sé l'attività unificatrice della rnonade.

n mondo dei corpi

Se la spiegazione del meccanismo fisico è rimandata all'osservazione dell'infinitamente piccolo, e questa rivela la presenza operante di monadi, di principi sostanziali di natura spirituale, che agiscono in modo finalistico, che ne è dell'immensa mole dell'universo materiale, indagata dalla scienza moderna? Semplicemente, si tratta di distinguere la spiegazione scientifica dei fenomeni, che continua a utilizzare modelli matematici idealizzanti, dalla spiegazione metafisica che ne indaga le ragioni ultime. Da questo punto di vista non si deve esitare ad ammettere che il mondo dei corpi non ha dunque una realtà assoluta: è soltanto un e «fenomeno ben fondato». Dietro il movimento dei corpi, che il modello meccanico spiega con l'urto reciproco delle parti di materia, che riempiono l'estensione spaziale, si deve ipotizzare l'agire finalizzato degli spiriti, ossia delle sostanze o monadi, che non occupano alcuno spazi_o. Non si cade in una visione arbitraria e fantastica del mondo reale, se si nega la realtà sostanziale dello spazio? Nella sua polemica con Newton, Leibniz respinge il concetto di spazio assoluto, adducendone il carattere ipotetico, non necessario alla spiegazione dei moti relativi dei corpi. Lo spazio non esprime altro che l'ordine di coesistenza dei corpi, così come il tempo ne descrive l'ordine di successione. Spazio e tempo sono cioè concetti astratti: mediante tali nozioni noi pensiamo le posizioni relative dei corpi gli uni rispetto agli altri, come pure la successione del loro apparire e scomparire, prescindendo dalla questione della loro realtà metafisica. Il meccanicismo è una semplice «visione fenomenica» (empiricamente vera) del mondo corporeo, la cui spiegazione ultima è rimandata a una ricostruzione logica dell'essere e divenire della sostanza spirituale.

5. r attività della monade Se la realtà metafisica ultima della monade è di essere spirito, anziché nuda materia, quale può essere la sua attività? Quella di esprimere nel proprio piccolo la perfezione dell'essere totale (che coincide con Dio). Ogni monade è «come un mondo intero», è come uno specchio di Dio ovvero di tutto l'universo, che essa esprime al suo modo particolare «come una stessa città è rappresentata diversamente a seconda della posizione di chi la guarda». Osservando le proprietà dell'anima umana, possiamo ricavarne un'immagine analogica dell'attività della sostanza. Ogni monade è dotata infatti di percezione, anche se non tutte le percezioni sono accompagnate dalla coscienza o appercezione. Vi sono gradi infiniti di percezione, così come (in Cartesio) gradi infiniti di divisibilità della materia. La maggior parte delle percezioni, quelle che si riferì~ scono ai corpi materiali, sono oscure o inconsce. Gli esseri viventi sono dotati di percezioni (sensibilità) in quanto anime. Ma solo l'uomo ha una capacità di percezione cosciente, in quanto accentra nell'io spirituale la sensibilità corporea, e la sua monade raggiunge la perfezione della entelechia sostanziale. Il passaggio da una percezione all'altra si dice appetizione e corrisponde alla tendenza interna alle idee (di cui aveva parlato Spinoza) a svi~ lupparsi autonomamente, passando da un minore grado di chiarezza e distinzio~ ne a uno maggiore.

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286

leibniz FO> condensava il principio metodologico secondo il quale il ragionamento ipotetico è legittimo solo se fondato su osservazioni ed esperimenti.

VITA E OPERE DI D'ALEMBERT

372

guaggio, all'idea di Dio, derivano dall'esperienza e rispondono a bisogni della vita. Cosl, il percorso delle scienze astratte muove dall'esistenza dei corpi, testimoniata dalla sensazione, per poi pervenire, per mezzo di successive astrazioni e generalizzazioni, alla geometria, all'aritmetica e all'algebra, quindi all' astronomia, che applica la meccanica e la geometria allo studio dei corpi, sino alla fisica generale e sperimentale, che studia i rapporti esistenti fra le proprietà dei corpi. È questo - afferma d'Alembert in tono schiettamente newtoniano ~- «l'unico oggetto che ci sia permesso di raggiungere e perciò è anche l'unico oggetto che noi dovremo proporci. Non è con ipotesi vaghe e arbitrarie che possiamo sperare di conoscere la natura, bensl studiando e riflettendo sui fenomeni, paragonandoli gli uni con gli altri, riducendone il maggior numero possibile a uno solo di essi, tale da paterne essere considerato il principio». • Jean-Baptiste Le Rond d'Alembert nasce illegittimo aParigiil16novembre 1717. Allevato da una popolana, solo più tardi viene riconosciuto dal padre, il cavaliere Destouches e avviato agli studi scientifici. Scienziato giovane e brillante, pubblica studi fondamentali di meccanica razionale e di dinamica, fra

i quali le Ricerche sulla preces-

sione degli equinozi e sulla mutazione dell'asse terrestre nel sistema newtoniano (1747). • Per l' Encyclopédie, che fonda con Didero t e dirige sino al1759, redige il Discorso preliminare, gran parte delle voci di matematica, meccanica, geometria, astronomia, o l-

tre a molti articoli di argomento vario. • Nel 1762 viene eletto membro dell'Académie française. Pubblica ancora im- · portanti opere, tra cui gli

Elementi di filosofia (Élé- . ments de philosophie, 1759), il suo principale lavoro filosofico. Muore a Parigi nel1783.

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CITAZION l Diderot L 'importanza dei rinvii Distinguo due tipi di rinvii: gli uni relativi a cose, gli altri a parole. I rinvii relativi a cose illuminano l'oggetto, indicano i suoi legami prossimi con oggetti immediatamente attigui e i suoi legami remoti con altri che sembrerebbero isolati; richiamano le nozioni comuni e i principi analoghi; irrobustiscono le conseguenze; avvincono il ramo al tronco, e conjèriscono al tutto quell'unità così propizia alla scoperta del vero e della per-

suasione. Ma all'occorrenza, produrranno effetti del tutto opposti; contrapporranno tra loro nozioni; metteranno in contraddizione principi; attaccheranno, frantumeranno, rovesceranno segretamente certe opinioni ridicole, alle quali non è lecito recare aperto insulto. Se l'autore è imparziale, avranno sempre la duplice fonzione di conformare e conjùtare, di contraddité~r;C conciliare. Encyclopé&~i~ ;:;;

5. Spirito di sistema e spirito sistematico La conoscenza, dunque, secondo d'Alembert, non procede deduttivamente dai principi generali per ricostruire la totalità del sapere, ma va «dalle idee concrete alle astratte e risale dalle conseguenze note ai principi ignoti». Allo "spirito di sistema" (esprit de système), cioè a ogni visione organica e totalizzante del sapere, caratteristico delle grandi metafisiche seicentesche, gli enciclopedisti oppongono la necessità dello "spirito sistematico" (esprit systématique), cioè dello sforzo inteso a elaborare ordinamenti concettuali che ricostruiscano, senza mai smarrire il rapporto con l'esperienza, la catena delle nostre conoscenze. Come scrive Pietro Rossi, «il compito della filosofia non è più quello di pervenire alla costruzione di un sistema onnicomprensivo della realtà, formulato sulla base di un complesso di principi di per sé evidenti, è invece quello di organizzare i risultati conseguiti dalla ricerca scientifica nei suoi diversi campi, proponendo un ordine sistematico che scaturisca dal senso stesso di questa ricerca». Ecco perché l' Encyclopédie, di fronte al compito immane di esporre la totalità del sapere, utilizza l'ordine alfabetico, sia pure integrato da un albero delle conoscenze ~ che mostra le relazioni tra i diversi saperi: perché ciascun lettore possa compiere, muovendosi entro l'ordine alfabetico dei lemmi e combinandoli liberamente, un vero e proprio percorso di esplorazione del sapere.

~ che ... La metafora dell'"albero della conoscenza" (arhor scientiae) era in uso sin dal Medioevo per rappresentare la concatenazione e i rapporti di derivazione delle diverse scienze.

verifica

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Conoscenza dei termini

l Qual è la distinzione fra "spirito di sistema" e "spirito sistematico" e quale dei due privilegiò l' Encyclopédie? 2 Si può dire, ed eventualmente in che senso, che l' Encyclopédie abbia un approccio empirista?

bcomprensione di concetti e relazioni l Spiega con parole tue il signifìcato della metafora

del "mappamondo" nel seguente passo del Discorso preliminare di d'Aiembert. [L:ordine enciclopedico] è una specie di mappamondo che deve mostrare i principali paesi, la loro posizione e mutua dipendenza, la strada che li unisce. Ma come nelle carte generali del globo che abitiamo gli oggetti sono più o meno ravvicinati e presentano aspetti diversi, a seconda della prospettiva prescelta dal geografo, [cosl] si possono immaginare tanti diversi sistemi di conoscenza umana, quanti sono i mappamondi che si possono costruire secondo diverse proiezioni. 3. Il mondo dei Lumi

373

Lezione Profilo

Diderot, Condillac

IIsensismo Temi

Concettt~cl!t'dve

* Diderot: Empirismo e antimeccanicismo *La polemica antimatematica *Il ruolo delle ipotesi e delle congetture nella ricerca scientifìca *Dal riformismo al radicalismo politico* La critica dell'assolutismo illuminato* Condillac: La centralità delle sensazioni Il confronto con Cartesio e la critica a Locke *La critica all'astrattezza dei sistemi metafìsici *~esperimento della statua di marmo* Il primato del tatto

*

empirismo, meccanicismo, ipotesi, laicità, sensismo, analisi/sintesi, riflessione

1. Diderot: gnoseologia e critica della metafisica

~ Ricorda che ... Per Diderot, lo scienziato non deve occuparsi del "perché" delle cose, ma del "come".

La filosofia di Denis Diderot, il protagonista, insieme con d'Alembert, dell'avventura dell'Encyclopédie, contiene tratti di grande originalità. Essa non consiste in un sistema organico di pensiero, ma si costituisce attraverso un tormentate lavoro di ardite teorizzazioni e di radicali ripensamenti che dura quasi quarant' anni, fino alle soglie della Rivoluzione francese. In campo gnoseologico, Didero1 professa un orientamento empirista, influenzato da Locke e soprattutto d2 Bacone, della cui impronta risente il principale scritto da lui dedicato ai temi delb teoria della conoscenza, i Pensieri sull'interpretazione della natura, del 1753. L2 filosofia - scrive Didero t in quest'opera- deve dedicarsi allo studio dei fatti e dif. fidare delle generalizzazioni astratte. Lo scienziato non deve perdersi in ricerche metafisiche, indagando arbitrarie quanto oscure essenze o cause prime. Una volt2 abbandonate le chimere delle teologie, egli sarà guidato da quel concreto intent() descrittivo che è alla base della scienza~.

2. Il rifiuto del modello meccanicistico Diderot rifiuta il modello meccanicistico della natura, che ritiene inadeguato a spiegare i complessi fenomeni della vita. Le sue preferenze vanno a una metodologia scientifica aperta e flessibile, come quella impiegata dalle nuove discipline biologiche e fisiologiche. :Cempirismo e lo sperimentalismo baconiano, da questo punto di vista, gli appaiono più utili delle rigide procedure matematizzanti ereditate dal meccanicismo cartesiano. Alla concezione del mondo fondata sulla matematica - di derivazione cartesiana e newtoniana - il filosofo francese preferisce quella basata sugli studi naturalistici, sviluppata da scienziati come Maupertuis e Buffon. Il rischio di una "matematizzazione" della scienza è infatti quello' di allontanarsi dai fatti, ossia di studiare i corpi solo astrattamente.

icflrAZIONI Diderot La polemica antimatematica

:a~~~~~à

La polemica antimatematica conduce Diderot a una famosa quanto incauta profezia. Smentite dalla storia, le sue parole intendono difendere l'esperienza concret~ rispetto al calcolo astratto. · Una grande rivoluzione è imminente nelle scienze. In base

all'inclinazione presente negli spiriti per la morale, le belle 374

lettere, la storia della natura e la fisica sper1mentale, osere~' quasi affermare che, prima che siano trasco,rsi cento annt, non si avranno in Europa neppure tre g~andi geometri. Questa scienza si fermerà completamente là !dove l'avrann~­ lasciata i Bemoulli, gli Eulero, i Maupertuis !e i d'Alemb'l.

Diderot, Condillac

3. Il carattere ipotetico e interpretativo della scienza

rantimatematismo e l'empirismo non sono i soli motivi della gnoseologia diderotiana. Nella Lettera sui ciechi, del 1749, il filosofo francese rivaluta la facoltà lockeana della riflessione ~. Mentre per il sensismo di Condillac, come vedremo, non è possibile distinguere tra sensazione e riflessione, e tutte le operazioni della mente hanno un'unica genesi sensibile, per Diderot l'uomo possiede un senso interno, che non dipende dalle sensazioni e che interviene organizzando e unificando le percezioni sensibili e trasformandole in conoscenze dell'intelletto. Pur senza sconfessare il proprio orientamento empirista, Diderot attribuisce una funzione fondamentale per il progresso delle scienze alle ipotesi e alle congetture. La scienza, infatti, non deve limitarsi alla semplice raccolta di dati empirici. Neanche l'esperimento migliore può mai verificare in modo definitivo le teorie della scienza: esse sono verità che hanno una base nell'esperienza, ma scaturiscono dall'attività creativa della mente umana, analogamente a quanto avviene per l'opera d'arte. La conoscenza scientifica opera a partire da fenomeni e da casi sorprendenti, che costituiscono occasioni privilegiate di studio, sulla cui base lo scienziato sviluppa Je proprie intuizioni e ipotesi, pervenendo a nuove e più avanzate interpretazioni della natura.

~ Ricorda che... Per Locke la riflessione designa l'insieme delle operazioni che la mente svolge sulle idee offertele dai sensi.

Confronti Mentre Diderot rivaluta la riflessione, al contrario Condillac tende a ricondurre tutte le operazioni della mente all'unica facoltà della sensazione.

4. Il pensiero politico Didero t, come scrittore politico, pubblicò alcuni articoli per l' Encyclopédie e la Memoria sulla libertà di stampa (1763). Numerosi testi uscirono molto tempo dopo la sua morte: nel1899 le Memorie per Caterina II; nel1937 le Pagine contro un tiranno; nel 1951 brani scritti per la Storia delle due Indie dell'abate Raynal.

VITA E OPERE DI DIDEROT

lavori, frequentando i salotti e i caffè in cui circolano le idee illuministiche e libertine. Qui conosce un altro provinciale come lui, JeanJacques Rousseau, con cui costruisce un intenso quanto burrascoso rapporto. • Nel 1745 traduce il

Saggio sulla virtù e sul merito di Shaftesbury, del quale ammira le idee di tolleranza e di libertà. Sotto questa influenza si collocano i Pen-

B Denis Diderot nasce nel1713 a Langres, una cittadina di provincia, da una famiglia borghese benestante. Dopo aver studiato i gesuiti della città, si trasferisce a Parigi per iscriall'università. Privo di un preciso indirizzo di carriera, si adatta ai più diversi

sieri filosofici (Pensées philosophiques) del1746, di intonazione deista, La sufficienza della religione naturale e La passeggiata dello scettico (La promenade du sceptique), del1747, critici verso la superstizione e l'intolleranza. Risalgono al1747 il romanzo libertino I gioielli

indiscreti (Les bijoux indi-.

screts) e al 1749 la Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono (Lettre sur les avengles à l'usage de ceux qui voient), di intonazione sensista e materialista. • Incarcerato a Vincennes per taluni di questi scritti, giudicati sovversivi, Diderot trascorre cinque mesi di prigionia piuttosto blanda. Nel frattempo è incominciata la grande avventura dell' Encyclopédie, di cui Diderot è il più infaticabile artefice, sostenendola pressoché da solo, dopo la defezione di d'Alembert nel 1759. • Appartengono a questo periodo altre importanti opere: i saggi filosofici Pen-

sieri sull'interpretazione della natura (Pensées sur l'interprétation de la nature, 1753)

e Il sogno di d'Alembert (Le reve de d'Alembert, 1769), i romanzi La monaca (1760) e Giacomo il fatalista (jacques le Fataliste, 1771), il dialogo Il nipote di

Rameau (Le neveu Rameau, 1762).

de

• Nel1773 Diderot si reca a Pietroburgo, dove stende per l'imperatrice diversi progetti di riforma della società e dell'istruzione. Negli ultimi anni della sua vita il lavoro prosegue intenso: risalgono a questo periodo la confutazione del libro di Helvétius, De l'homme (una delle principali opere politiche di Diderot), il Sup-

plemento al viaggio di Bougainville (Supplément au voyage de Bougainville), rielaborazione dei racconti di un navigatore. Muore a Parigi

3. Il mondo dei Lumi

375

l

Confmnti In accordo con Locke, Diderot propugna una monarchia costituzionale limitata dal diritto naturale, dalle leggi e dal consenso del popolo. Il governo è tenuto a difendere i più deboli bilanciando i poteri dei gruppi più forti. ~

Rkorda che...

Per Diderot, se l'autorità nasce dalla forza, si ha un potere dispotico e instabile; se nasce dal consenso, l'autorità è tenuta a un uso legittimo e socialmente utile del potere.

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Ricorda che...

A proposito della rivoluzione americana Diderot scrive: .

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Ricorda che...

Il filosofo, per Diderot, più che a un'opera di rischiaramento e di civilizzazione, è chiamato a un compito di direzione intellettuale del moto di emancipazione popolare.

Il pensiero politico di Diderot percorre una parabola che lo conduce dal riformismo illuminato fino al radicalismo. Si tratta di un percorso disorganico e oscillante, sospinto da esperienze vissute e da un'instancabile curiosità, più che da un sistematico sviluppo teorico. Ne emerge una ricerca aperta e mai definitiva. resercizio della critica si accompagna però sempre all'attenzione alla sua traducibilità in programma concreto di riforme. Nei primi scritti di Diderot campeggiano la critica all'istituzione ecclesiastica, all'intolleranza e al fanatismo, e prese di posizione in favore della laicità dello stato e della libertà di coscienza. Anche il progetto culturale dell' Encyclopédie è ispirato a una riforma civile e morale: la libertà e l'uguaglianza naturale, la tutela della pace e della sicurezza, la ricerca del bene pubblico sono principi validi qualunque sia la forma istituzionale contrattualmente istituita~-

5. Il radicalismo antidispotico delfultimo Diderot Ultimata l'impresa dell' Encyclopédie, come in altri philosophes, la fiducia riposta da Diderot nell'iniziativa riformatrice di una monarchia illuminata si incrina. Diversamente da altri illuministi, egli non cerca modelli né nel presente né nel passato; non vede nella monarchia inglese il modello costituzionale antitetico al dispotismo monarchico francese. E anzi si diverte a demolire i modelli altrui, come nelle Pagine contro un tiranno, che fanno a pezzi il mito, caro a Voltaire, di Federico II di Prussia. A partire dagli anni settanta si accentua la vena antidispotica del suo pensiero. La Confutazione di Helvétius (177 4) afferma che si ha libertà se «il diritto d' opposizione è sacro, mentre il governo arbitrario di un principe giusto è sempre cattivo, addormenta il popolo in una fiacca servitù, gli toglie il diritto di deliberare». Di fronte a eventi storici, quali l'insuccesso delle riforme introdotte da Caterina II di Russia e la rivoluzione nelle colonie americane~' il pensiero di Diderot assume un'aperta piega antimonarchica e democratica, fondata sulla piena uguaglianza giuridica e sulla progressiva riduzione delle disuguaglianze sociali. Professando convinzioni anticolonialiste e antischiaviste, Didero t respinge l'equazione cristianizzazione = civilizzazione e denuncia l'evangelizzazione forzata delle popolazioni coloniali. rindirizzo agli insorti americani (1778) esalta le libertà repubblicane e il diritto d'insurrezione contro l'oppressione~-

6. Il sensismo di Condillac

e lessico SENSISMO

È la dottrina

per cui unica fonte del conoscere è la sensazione e ogni operazione della mente (memoria, riflessione, giudizio, volontà) è ricondotta al senti re.

376

La più originale riflessione gnoseologica sviluppata dall'Illuminismo francese si deve a Étienne Bonnot de Condillac. Pur non facendo parte del gruppo dei collaboratori dell' Encyclopédie, Condillac esercitò sui philosophes una grande influenza, tanto che negli anni della Rivoluzione si vedrà in lui uno dei protagonisti della battaglia dei Lumi. Condillac è un filosofo appartato, estraneo alle grandi polemiche che coinvolgono gli intellettuali del suo tempo. Mentre i philosophes svolgono la propria attività intellettuale in modo pubblico, egli predilige il lavoro a tavolino. Di salute non solida, con alle spalle una giovinezza vissuta all'ombra di familiari più intraprendenti, Condillac è tuttavia ben inserito nei salotti letterari di Parigi, come quello di Madame de Tencin, la madre naturale di d' Alembert, ed è amico di Diderot e di Rousseau. Scrittore meno brillante e ardito di Voltaire e di Diderot, Condillac elabora una teoria della conoscenza- ile sensismo - collegata all'empirismo lockeano. rempirismo di Condillac è radicale: la sensazione è l'unica fonte della conoscenza.

7. Il metodo analitico-sintetico e il confronto con Cartesio Il metodo di Condillac è analitico e sintetico, secondo l'indicazione cartesiana. Analitico, in quanto scompone l'oggetto indagato nei suoi costituenti semplici, al fine di evitare false generalizzazioni; sintetico, in quanto successivamente ricompone in unità gli elementi semplici in cui l'oggetto è stato risolto. Con chiara impostazione cartesiana, Condillac scrive che chi voglia rendersi conto di come funziona un orologio deve innanzitutto smontarlo, ossia scomporlo in ruote, molle e sfere, per esaminare queste una a una e nei rapporti con gli altri pezzi. Bisogna però che successivamente lo rimonti, ricomponendo il meccanismo per farlo funzionare e assicurandosi con una revisione accurata di non aver tralasciato nulla. A Cartesio, Condillac tuttavia rimprovera di avere creduto che gli elementi semplici, da ottenere con l'analisi, siano principi astratti e innati. Al contrario, a suo parere, il metodo corretto consiste nel risalire all'origine concreta e sensibile delle nostre idee, per poi, di qui, seguire di nuovo il processo attraverso il quale le idee nascono le une dalle altre, dalle più semplici fino alle più complesse.

8. La critica alfanalisi delfintelletto di Locke Per Condillac, Locke ha giustamente individuato il fondamento empmco della conoscenza. La sua analisi dell'intelletto, tuttavia, è imperfetta. Il filosofo inglese non ha compreso, infatti, che tutte le operazioni del pensiero, anche quelle più astratte, hanno un'origine sensibile e dunque non sono altro che sensazioni trasformate. Condillac accetta la distinzione lockeana tra idee direttamente attinte dal mondo esterno attraverso i sensi (le idee di sensazione) e idee "riflesse", ottenute dalla mente allorché essa si volge a indagare le sue stesse operazioni (le idee di riflessione). Rifiuta tuttavia di considerare sensazione e riflessione come due facoltà separate. Tutto ciò che concerne l'attività dell'intelletto va, a suo parere, «ridotto a un

VITA E OPERE DI CONDILLAC

• Etienne Bonnot de Condillac nasce a Grenoble nell715, da un'agiata famiglia di magistrati. Suo padre Gabriel Bonnot, visconte di

Mably, dopo la nascita di Étienne acquisterà il dominio di Condillac, da cui il filosofo prenderà il titolo. Condillac conduce i suoi studi al seminario di SaintSulpice, a Parigi, una scuola che preparava agli alti gradi della gerarchia ecclesiastica, dove viene educato al pensiero aristotelico-tomistico. • Dottore in teologia e poi sacerdote, dimostra tuttavia scarsa propensione all' attività pastorale (forse celebrò la messa una sola volta in tutta la sua vita). Rivela piuttosto un interesse per la filosofia, per la scienza e per i salotti della capitale, dove frequenta

Diderot e Rousseau, d'Alembert e Voltaire. • Nel 17 46 esce la sua prima opera importante, il

Saggio sull'origine delle conoscenze umane (Essai sur l 'origine des connaissances humaines), tre anni dopo viene pubblicato il Trattato sui sistemi (Traité des systèmes). Il successo è notevole, cosl come la simpatia riscossa presso i philosophes. • Nel1749 viene nominato membro dell'Accademia delle scienze di Berlino. Nel 1754 pubblica il Trattato delle sensazioni ( Traité des sensations), la sua opera principale, che ottiene tuttavia un successo inferiore

Confmnti Per Condillac, se si ammette, con Locke, che la mente è dotata di un'inclinazione originaria a riflettere sulle sensazioni, si finisce per accogliere l'innatismo cartesiano.

alle aspettative. Si addensano su di lui nel frattempo le accuse di materialismo e i sospetti delle autorità religiose e politiche. Fallito il tentativo di difendersi dalle critiche di ateismo, Condillac ripara a Parma, dove rimane per nove anni, entrando m contatto con l'Illuminismo lombardo. Nel 1765 rientra a Parigi, dove viene nominato membro dell'Accademia delle scienze. Trascorre i suoi ultimi anni sfruttando le cospicue rendite della carica di priore dell'abbazia di Mureaux, dove tuttavia pare non si sia recato neppure una volta. Muore nel1780.

3. Il mondo dei Lumi

377

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medesimo principio», in modo tale che tutta la vita psichica, dalla memoria fino alle operazioni più complesse del pensiero, risulti ricavata dalla sola sensazione.

Confronti ... Cartesio non esistono idee innate e astratte, ma solo idee concrete e di origine sensibile

Cl'itica di Condillac a ...

... Locke le idee di riflessione sono solo sensazioni trasformate

9. La conoscenza come serie continua di sviluppi psicologici La mente umana, per Condillac, procede dal semplice al complesso. Il passaggio dalla percezione bruta alla coscienza, alla memoria, al pensiero astratto è uno sviluppo psicologico continuo e graduale, generato dai bisogni fisiologici e dai sentimenti di piacere e di dolore che a essi si accompagnano, e governato da un meccanismo di tipo associativo. Questo processo di formazione dell'intelletto, per Condillac, corrisponde al reale sviluppo della mente umana, a partire dall'età infantile. L"intelletto maturo", alla fine del processo, non è che la "collezione" delle operazioni sviluppatesi a partire dalla sensazione. Nel costituirsi della vita psichica, uno dei momenti di maggiore importanza è il linguaggio. I segni linguistici non solo consentono lo sviluppo della memoria, ma permettono anche il passaggio dalla sensazione alla riflessione, ossia dalle operazioni più elementari a quelle più complesse.

10. La critica della metafisica Confronti I sistemi metafisici seicenteschi di Malebranche,

Spinoza, Leibniz, appaiono a Condillac arbitrari e astratti. ~ Ricorda che ... Condillac non considera gli errori dei filosofi come dei vaneggiamenti. Come per le superstizioni popolari, una propensione alla metafisica è radicata nell'animo umano.

Ciò che Condillac rimprovera ai sistemi filosofici seicenteschi non è l'aver ricercato una concezione unitaria della realtà e del sapere, che egli identificava nel primato dei sensi, quanto l'aver adoperato, per attenerla, anziché la pura esperienza, delle arbitrarie ipotesi metafisiche ~Come già aveva sostenuto Newton, la scienza deve dunque evitare ogni spiegazione ipotetica non controllabile. Esiste un solo criterio di verità: quello fondato su "fatti ben constatati". Vera scienza è quella che riconduce le proprie asserzioni a fatti osservati e sperimentati. Illegittimi sono quei sistemi che hanno per fondamento semplici supposizioni o massime astratte. Nella ricerca scientifica, pertanto, la formulazione di ipotesi è utile quando di esse è possibile operare un controllo effettivo e completo, inutile quando le ipotesi vengono assunte dogmaticamente oppure producono "mondi" astratti e inverificabili, come quelli della fisica cartesiana.

11. Un esperimento filosofico: la finzione della statua di marmo ~ Ricorda che... Di immediata notorietà, l'esperimento teorico della statua scatenò discussioni e polemiche. Condillac fu accusato anche di plagio, in quanto il motivo era già stato usato da Diderot.

378

Nel Trattato delle sensazioni, Condillac applica il metodo analitico-sintetico ai cinque sensi. Al fine di dimostrare che tutte le operazioni della mente sono solo "sensazioni trasformate", egli dapprima scompone la percezione nelle singole percezioni proprie di ognuno dei sensi (odorato, tatto, gusto, vista, udito). Successivamente, ricompone sinteticamente il complesso delle funzioni di cui è dotato un uomo «che gode l'uso di tutti i suoi sensi». Condillac ricorre a questo proposito alla celebre "finzione" della statua di marmo~. Esteriormente fredda e muta,

la statua di Condillac ha tuttavia un'anima, è cioè «interiormente organizzata allo stesso modo nostro ed è animata da uno spirito privo di qualsiasi sorta di idee». Finché non ha provato alcuna sensazione, dunque, essa non sa nulla, non ricorda nulla, non vuole nulla. Se tuttavia immaginiamo di "accenderle" uno a uno i cinque sensi, noi vedremo che, via via, essa acquisisce tutte quelle facoltà che caratterizzano la mente. Come l'uomo, essa giungerà quindi ad avere sentimenti, memoria, giudizi, riflessione, volontà. E noi potremo constatare come tutte queste manifestazioni della vita psichica dell'uomo traggano interamente la loro origine dalla sensazione~.

12. ntatto come mediatore tra le percezioni e le cose Tra i cinque sensi, Condillac assegna una funzione primaria al tatto. Esso è il solo senso in grado di stabilire una relazione fra il mondo delle percezioni "interne", "soggettive", e il mondo esterno delle cose. Nessuna nozione di spazio e di movimento risulta, infatti, dalle percezioni uditive, gustative, olfattive, né da quelle visive che, come aveva già sostenuto Berkeley, producono solo luci e colori. Soltanto le percezioni tattili, in quanto legate al movimento di un organo, riescono a situare i corpi nello spazio (e nel tempo), distinguendo così il soggetto che percepisce dall'oggetto percepito. Il tatto è, dunque, il senso più profondo, in quanto coordina l'insieme delle sensazioni e guida alla conoscenza del mondo.

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Ricorda che...

Condillac sostiene che le funzioni umane non sono da intendere come un patrimonio naturale, ma come un risultato dell'esercizio e dell'educazione.

Confi'onti ·Alla domanda se i sensi ci pongano in relazione con la natura oggettiva delle cose, Condillac fornisce risposte ambigue. Il suo sensismo rimane sospeso tra l'idealismo di Berkeley e il realismo dei materialisti.

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aConoscen:zadei termini Definisci: empirismo, meccanicismo, ipotesi, laicità, sensismo, analisi/sintesi, riflessione.

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comprensione di concetti e relazioni

1 Quali sono gli elementi fondamentali della gnoseologia di Diderot? 2 Perché egli rifiuta un'interpretazione matematizzante e meccanicistica della natura?

3 Quali diverse fasi attraversa il pensiero politico di Diderot? 4 Quale compito assegna al filosofo l'ultimo Diderot? 5 Da che cosa traggono origine, per Condillac, tutte le operazioni della mente umana? 6 Qual è il metodo conoscitivo utilizzato da Condillac? 1 Qual è la critica mossa da Condillac ai sistemi metafìsici del Seicento? 8 Qual è per Condillac il senso più importante e a che cosa deve la sua centralità?

li~~---------------------------------------------------------------3-.-Il-m_o_n_d_o_d_e_iL_u_m_I_.-------3-7-9~

Lezione Testo

ateria, ragione, sensibilità l

• 1769/1753 dialogo/trattato l • filosofico

Diderot Colloquio tra Diderot e d'Alembert, Pensieri sull'interpretazione della natura

N~l1769 Diderot pubblica il Colloquio tra Diderot e d'Aiembert, da cui è tratto il primo dei brani seguenti, e 1l cui tema è quello della continuità di materia, vita e sensibilità. La materia ha in sé un principio latente di vita e di sensibilità, che si manifesta in condizioni opportune, dispiegandosi in grado sempre maggiore attraverso i differenti regni naturali. Gli altri due testi appartengono ai Pensieri sull'interpretazione ~el/~ natura (1753). Diderot svolge i temi più caratteristici della sua gnoseologia: la critica della matematica, 11 pnmato della conoscenza sperimentale, la necessità di uno stretto collegamento fra sapere filosofico e sapere tecnico.

Materia e sensibilità DIDEROT- Vedete quest'uovo? Con quest'uovo si rovesciano tutte le scuole di teologia e tutti i templi della terra. O Che cos'è quest'uovo? ~na massa insensibile prima che il germe vi sia introdotto; e dopo che ll germe vi è stato introdotto, che cos'è? ancora una massa insensibile, perché il germe non è esso stesso che un fluido inerte e grossolano. In ~h,e modo questa massa passerà a un'altra organizzazione, alla sensibihta, alla vita? mediante il calore. Chi produrrà il calore? il moto. Quali saranno gli effetti successivi del moto? Invece di rispondermi, sedete e seguiamo li con l'occhio di momento in momento. Dapprima è un punto che oscilla, un reticolo che si estende e si colora; è carne che si forma, e un becco e pezzi d'ala ed occhi e zampe che appaiono e una materia giallastra che si suddivide e produce degli intestini; è un ani~al.e. Questo animale si muove, si agita, grida ... [... ] possiede i medeSimi vostri affetti, è capace di tutte le vostre azioni, le compie. ~r~tendete forse, con Cartesio, che si tratta di una semplice macchina Imitatrice? Anche i bambini si burleranno di voi e i filosofi vi replicheranno che se questa è una macchina, siete una macchina anche voi. Se ammettete che la differenza fra voi e l'animale consiste solo nell' organizzazione, mostrerete buon senso e ragionevolezza; sarete in buona fede; ma si concluderà contro di voi che con una materia inerte, disposta in un determinato modo, impregnata di altra materia inerte, di c:lore e di moto, si ottiene sensibilità, vita, memoria, coscienza, passiolll, pensiero. Non vi restano che due partiti da prendere: o immaginare nella massa inerte dell'uovo un elemento nascosto che ne attendeva ~o sviluppo per manifestare la sua presenza, o supporre che questo Impercettibile elemento si sia insinuato nell'uovo attraverso il guscio a un determinato momento del suo sviluppo. Ma che cos'è questo elen:ento? Occupava o non occupava spazio? Come è venuto o si ,è sprigiOnato senza muoversi? Dov'era? Che faceva lì e non altrove? E stato creato nel momento del bisogno? Esisteva già? Aspettava un domicilio? o~ogeneo, era materiale; se eterogeneo, non si concepisce né la sua lilel'Z!a prima dello sviluppo, né la sua energia nell'animale sviluppato.

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380

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La forma dialogica è costitutiva del pensiero di Didet·ot, del suo andamento problematico, che è tale da favorire sempre un continuo approfondimento delle questioni affrontate. Ironica, pungente e sottile, in grado di esprimere brillanti e audaci opinioni, la sua prosa è tipica della dimensione letteraria illuminista.

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Didet·ot ipotizza che la materia, lungi dall'essere inerte, abbia in sé un principio di vita, una sensibilità, che si dispiega in grado sempre maggiore, attraverso i differenti regni naturali (minerale, vegetale, animale, umano). Le particelle che costituiscono i corpi possiedono, oltre alle qualità fisicomeccaniche, una specifica sensibilità che, latente nei minerali, si risveglia gradualmente man mano che si sale, lungo la scala degli esseri, fino all'uomo. Se non si ammettesse questa sensibilità latente, si violerebbe il principio di continuità, in quanto si suppor· rebbe che determinate qualità possano apparire dal nulla.

Considerate le vostre argomentazioni e avrete pietà di voi stesso; vi renderete conto che, per non ammettere un'ipotesi semplice che spiega tutto, la sensibilità, proprietà generale della materia o prodotto dell'organizzazione, voi rinunciate al senso comune e precipitate in un abisso di misteri, di contraddizioni e di assurdità. D'ALEMBERT- Un'ipotesi! Fate presto a dirlo. Ma se fosse una qualità essenzialmente incompatibile con la materia? DIDEROT - E come fate a sapere che la sensibilità è essenzialmente incompatibile con la materia, voi che non conoscete l'essenza di nulla, né della materia, né della sensibilità?

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Osservazione, riflessione, esperienza Abbiamo a disposizione tre mezzi principali: l'osservazione della natura, la riflessione e l'esperienza. l: osservazione raccoglie i fatti, la riflessione li combina insieme, l'esperienza verifica il risultato della combinazione. È necessario che l'osservazione della natura sia assidua, la riflessione profonda e l'esperienza esatta. Raramente questi mezzi si vedono riuniti insieme. Ma anche i geni creatori non sono comuni. f)

Filosofia sperimentale, filosofia razionale Abbiamo distinto due tipi di filosofia: la sperimentale e la razionale. I:una ha gli occhi bendati, procede sempre a tentoni, afferra tutto ciò che le cade fra le mani, e, alla fine, incontra cose preziose. I:altra raccoglie queste materie preziose e cerca di farsene una fiaccola; ma questa pretesa fiaccola le è, fino ad ora, servita meno di quanto alla propria rivale sia servito procedere a tentoni. l:esperienza moltiplica i propri movimenti all'infinito, è continuamente in azione, e impiega nella ricerca dei fenomeni tutto il tempo che la ragione impiega a ricercare analogie. La filosofia sperimentale non sa che cosa ricaverà o non ricaverà dal proprio lavoro, ma lavora senza riposo. Al contrario la filosofia razionale soppesa le possibilità, si pronuncia e all'improvviso si ferma. Essa dichiara arditamente: non è possibile decomporre la luce. La filosofia sperimentale l'ascolta, e, per secoli interi, tace davanti ad essa; poi improvvisamente mostra il prisma e dichiara: la luce si U'-''-'V''"pone.O D. Diderot, Opere filosofiche, Feltrinelli, Milano

3

~!identificazione

del metodo conoscitivo nei tre momenti dell'osservazione, della riflessione e dell' esperienza è tipicamente baconiana. Per comprendere l'atteggiamento epistemologico di Didero t, è interessante l' allusione ai «geni creatori»: il progresso scientifico non è semplice accumulo quantitativo di dati, ma avviene sotto l'impulso di ipotesi e di intuizioni geniali. Didero t riconosce infatti alle ipotesi e all'intuizione, in ambito conoscitivo, un valore determinante, che lo colloca al di là dell'orizzonte strettamente baconiano.

La ftlosofia razionale non è assolutamente in grado di procedere al di là di ciò che è già noto e si mostra presuntuosamente sicura di ciò che stabilisce; quella sperimentale, invece, fa dell'incertezza la sua bandiera: il suo procedere «a tentoni» tuttavia dà frutti migliori e più preziosi. Si notino le metafore che connotano i due tipi di filosofia: gli «occhi bendati» della sperimentale, la «fiaccola» della razionale. Diderot sembra accogliere le tesi antisperimentaliste che toglievano valore all'esperienza, che sarebbe "ciecà' senza la "luce" della ragione. Ma in realtà le metafore gli servono per sottolineare l'elemento decisivo della filosofia sperimentale: la disponibilità alla ricerca e l'atteggiamento di apertura che paiono un procedere «a tentoni» e sono invece capacità di muoversi nella conoscenza senza certezze e schemi precostituiti. Nel finale del brano, Diderot si riferisce agli studi di Newton sull'ottica.

laboratorio

a

Analisi del testo l Come argomenta Diderot, nel primo testo, la tesi della continuità tra materia, vita e sensibilità? 2 Osservazione, riflessione, esperienza: nel secondo testo, quali funzioni Diderot attribuisce a ciascuna di queste facoltà? 3 Nel terzo testo, l'autore distingue tra "fìlosofìa sperimentale" e "fìlosofìa razionale". Su quali specificazioni si basa questa distinzione? A quale delle due vanno le preferenze del fìlosofo illuminista? Quali differenti atteggiamenti mentali attribuisce ai due tipi di fìlosofìa?

b

Riflessione

l Dopo aver letto il breve testo seguente, formula un'ipotesi circa l'orientamento gnoseologico che vi viene espresso (razionalismo, empirismo, sensismo), motivandolo attraverso precisi riferimenti testuali. Quando giudico la grandezza o il colore degli oggetti che mi si presentano, è evidente che il giudizio espresso sulle diverse impressioni che tali oggetti hanno fatto sui miei sensi, non è propriamente che una sensazione; che posso dire ugualmente: giudico o sento che tra due oggetti l'uno, che chiamo testa, fa su di me un'impressione diversa da quello che chiamo piede; che il colore che chiamo rosso, agisce sui miei occhi diversamente da quello che chiamo giallo; e ne concludo che in tal caso giudicare non è mai altro che sentire. 3. IlmondodeiLumi

381

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Lezione Testo

[esperimento della statua di marmo Il Condillac Trattato delle sensazioni

.1754 1

• trattato filosofico

Il sensismo di Condillac nega qualsiasi "senso interno"- così Locke aveva definito la facoltà della "riflessione"- fonte e origine della nostra conoscenza; Per dimostrare questa tesi, il filosofo francese ricorre al famoso "esperimento mentale" in cui l'uomo viene paragonato a una statua di marmo, dotata tuttavia di un'anima. Attraverso questa efficace finzione, egli cerca di mostrare in che modo tutte le operazioni dell'intelletto e tutte le funzioni emotive e affettive possano essere attivate unicamente attraverso l'opera dei sensi. Presentiamo una pagina del Trattato delle sensazioni che riassume gli elementi principali dell'argomentazione del filosofo illuminista.

1 Dire che abbiamo imparato a vedere, a udire, a gustare, a sentire, a toccare, può sembrare il più strano paradosso. Sembra che la natura ci abbia dato l'intera disponibilità dei sensi nell'istante stesso in cui li ha creati; e che noi ce ne siamo sempre serviti senza bisogno di alcun esercizio, proprio perché ora ci serviamo di essi senza alcuno sforzo. Ero anch'io vittima di tali pregiudizi, quando pubblicai il mio Saggio sull'origine delle conoscenze umane. Né erano stati sufficienti a liberarmi dall'errore i ragionamenti di Locke sul cieco nato al quale fosse ridata la vista. Sostenni infatti, contro questo filosofo, che l' occhio giudica naturalmente figure, grandezze, situazioni e distanze [... ]. [Solo più tardi avvertii] la necessità di considerare separatamente i sensi, di distinguere con precisione le idee che dobbiamo a ciascuno di essi, di studiare la loro progressiva educazione e la loro reciproca collaborazione. Per svolgere tali ricerche, immaginai una statua interiormente organizzata come noi e animata da uno spirito privo peraltro di ogni specie di idee. Supposi inoltre che la sua superficie, essendo di marmo, non le permettesse l'uso di alcun senso, e mi riservai la libertà di dischiuderli, ad arbitrio, alle diverse impressioni delle quali sono suscettibili. Ritenni di dover cominciare dall'odorato, perché fra tutti i sensi è quello che sembra meno contribuire alle conoscenze dello spirito umano. Le mie ricerche si volsero poi agli altri sensi, e dopo averli considerati sia separatamente sia nel loro insieme, seguii la statua nel suo graduale trasformarsi in animale capace di badare alla propria conservazione. Il principio che determina lo sviluppo delle sue facoltà è assai semplice; esso è racchiuso nelle stesse sensazioni: essendo tutte infatti di necessità o piacevoli o dolorose, la statua è interessata a godere delle

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Nella prima parte del hl'ano, l'autol'e enuncia la tesi secondo cui l'intera sfera delle operazioni legate ai cinque sensi, lungi dal costituire un patrimonio naturale e innato dell'uomo, è il direttorisultato dell'esperienza. Noi "impariamo" a vedere, a udire, a toccare ecc., anche se può sembrare che la natura ci abbia dato la disponibilità dei sensi nel momento stesso in cui li ha creati.

2

Nella seconda parte del hl'ano, l'autol'e l'iassume i passi dell"'espedmento filosofico" della statua di mal'mo. Schematizziamo qui, con qualche libertà, i momenti dell'argomentazione. l. L esperimento prende avvio dall"'accensione" del senso dell'odorato. In precedenza priva di idee e di qualsiasi attività, la statua acquisisce ora quella "maniera d'essere" che è legata alla facoltà di percepire odori. Avvertirà quindi un sentimento piacevole o spiacevole a seconda dell'odore percepito e proverà, di conseguenza, l'impulso a interrompere oppure a ripetere la percezione medesima. Tale bisogno o impulso si unirà costantemente alla sensazione avvertita. 2. l: apertura graduale degli altri sensi arricchisce progressivamente la vita sensibile della statua, la quale, attraverso la sensazione, si impadronisce anche di facoltà complesse, come l'attenzione (otte: n uta quando una sensazione più forte s~ impone sulle altre), il ricordo (effetto d1 una sensazione trascorsa), il giudizio (os-

Condillac prime e a sottrarsi alle seconde. Ora, non sarà difficile persuadersi che un tale interesse è sufficiente a dar luogo alle operazioni dell'intelletto e della volontà. Il giudizio, la riflessione, i desideri, le passioni ecc., non sono che la stessa sensazione trasformata in diversi modi. Mi è sembrato perciò inutile supporre che l'anima possegga immediatamente per natura tutte le facoltà delle quali è dotata. La natura ci ha dotato di organi per avvertirci mediante il piacere di ciò che dobbiamo ricercare, e mediante il dolore di ciò che dobbiamo fuggire. E) Ma essa si ferma qui; e lascia all'esperienza la cura di farci contrarre abitudini e di compiere l'opera che ha cominciato.

sia il confronto tra sensazioni, ottenuto quando l'attenzione è rivolta contemporaneamente a sensazioni diverse). 3. Soltanto mediante il senso del tatto, tuttavia, la statua acquisisce la duplice percezione dello spazio e del tempo e riesce a cogliere la distinzione tra soggetto e oggetto. Solo il tatto, infatti, comporta la nozione di movimento ed è dunque in grado di ordinare spazialmente e temporalmente le altre sensazioni e di suscitare di conseguenza, nella statua, la percezione globale dell'esistenza del mondo esterno.

3

É. Condillac, Trattato delle sensazioni, in Grande antologia filosofica, Marzorati, Milano 1954

Nella terza parte del brano, Condillac individua il "principio" che determina lo sviluppo delle facoltà sensibili nella sollecitazione dei bisogni, nella ricerca del piacere e nella fuga dal dolore. I desideri e i bisogni non sono estranei all'attività dei sensi, ma ne sono anzi la causa. L: intera vita conoscitiva è il risultato di un complesso lavoro di "appropriazione" del mondo esterno, regolato dall'alternanza di piacere e dolore. Nella statua- cosl come nel fanciullo-, per esempio, la scoperta della realtà esterna attraverso il tatto viene guidata dal piacere che è unito alle sensazioni tattili.

laboratorio

a

Analisi del testo l Qual è la tesi fondamentale sostenuta dall'autore? 2 Che cosa dimostra, a giudizio di Condillac, l'esperimento della statua di marmo? 3 Quale "principio" stimola e sviluppa la conoscenza del mondo da parte dell'uomo?

b

Riflessione Presentiamo qui una delle pagine più significative del Trattato sui sistemi di Condillac.

Ecco come si comportano coloro che vogliono fare un sistema. [...] Prevenuti a favore di un'idea, spesso senza sapere perché, prendono anzitutto tutti i termini che paiono avere qualche nesso con essa. Chi, ad esempio, vuollavorare sulla metafisica, s'impadronisce di questi: "essere", "sostanza'', "essenza'', "natura'', "attributo",

"proprietà", "modo", "causa'', "effetto", "libertà", "eternità", ecc. Poi, con il pretesto che si è liberi di connettere ai termini qualsivoglia idea, li definisce a suo capriccio; l'unica precauzione che prende, consiste nella scelta delle definizioni più comode per il suo intento. Per quanto stravaganti siano, tra di esse vi sono sempre dei nessi: eccolo dunque in diritto di trarre conseguenze e di ragionare senza fine. Se ripercorre la catena delle proposizioni che si è foggiato in tal modo, a fatica si convincerà che semplici definizioni di parole possano condurre tanto lungi; d'altra parte non sospetta certo d'aver meditato senza costrutto. Conclude che le definizioni di parole sono divenute definizioni di cose, e ammira la profondità delle scoperte che crede di aver fatto. l Schematizza l'argomentazione dell'autore,

esplicitando la critica dei sistemi metafìsici contenuta nel testo. 2 Soffermati sul rapporto che viene stabilito tra "parole" e "cose", evidenziando la tesi espressa.

--------------------------·---··---,------------------------------------------------------~ 3. Il mondo dei Lumi 383

Lezione Profilo

Helvétius, La Mettrie, d'Holbach

l materialisti Temi

Concettt~cltiave

*Sensibilità e memoria in Helvétius *Passioni ed educazione nell'utilitarismo di Helvétius *Il rifiuto del dualismo cartesiano di La Mettrie *La concezione dell'uomo-macchina* Materialismo ed etica eudemonistica in d'Holbach

materialismo, meccanicismo, utilitarismo, ateismo

Confmnti Per Condillac la riduzione delle funzioni dell'intelletto alla sensazione non esclude l'accettazione •di un'anima immateriale; Helvétius manifesta invece una aperta convinzione materialistica che gli comporterà l'accusa di ateismo da parte delle autorità francesi.

All'interno dell'Illuminismo francese, il materialismo viene fatto proprio da tre pensatori: Helvétius, La Mettrie e d'Holbach. In campo gnoseologico, ispirandosi al sensismo di Condillac, Helvétius afferma che l'uomo ha due facoltà: una è la facoltà di ricevere le differenti impressioni che producono su di noi gli oggetti esterni (la sensibilità fisica); l'altra è la facoltà di conservare l'impressione ricevuta (la memoria). Orbene, per Helvétius, la memoria non è altro che una «sensazione affievolita». Non vi è dunque alcun salto qualitativo tra la sfera del sensibile e quella dell'intelligibile. Tutte le operazioni della mente devono essere ricondotte alla sorgente unica della sensibilità. Anche il "giudicare" è un "sentire". Nel giudizio, infatti, noi non facciamo altro che comparare oggetti percepiti o richiamati in noi dalla memoria.

2. La riflessione etica e politica di Helvétius

• Lessico UTIUTARISMO Il termine in-

dica le posizioni morali secondo le quali il bene, la felicità e i valori coincidono con l'utile, che diventa quindi il criterio regolatore dell'azione umana.

VITA E OPERE DI HELVÉTIUS

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1. Sensismo e materialismo in Helvétius

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Per Helvétius l'uomo agisce spinto da impulsi sensibili volti a soddisfare i suoi bisogni. Ogni individuo è il risultato di una duplice azione: da un lato, la diversa qualità, intensità ed estensione delle sue passioni; dall'altro, la pressione della società e dell'educazione, mediante le quali acquisiamo inclinazioni, conoscenze, valori. I.: uomo è mosso ad agire dall'interesse e da un desiderio di felicità che, nei suoi termini elementari, coincide con la ricerca del piacere e la ripulsa del dolore. Concetti come virtù e onestà, dovere e giustizia hanno senso soltanto in riferimento al naturale e utilitarismo umano. Da questo impianto utilitarista nasce la visione politica di Helvétius: l'interesse personale è il vincolo più forte che riunisce gli uomini in società. Poiché nessuno si prefigge spontaneamente il pubblico bene o agisce contro il proprio bene, la disposizione a cercare la pubblica felicità è l'effetto congiunto dell' edu-

• Amico di Voltaire e di Montesquieu, Claude-Adrien Helvétius (1715-71) fu collaboratore dell' Encyclopédie e studioso dei moralisti francesi (Montaigne, La Rochefoucauld) e degli scienziati moderni (Newton, Buffon). •Editoanonimonel1758,

il suo trattato Sullo spirito (De l'ésprit) fu condannato dal Consiglio reale, dal parlamento di Parigi e dall'Inquisizione romana per le sue tesi materialistiche. In conseguenza della condanna, Helvétius fu costretto a espatriare in Prussia. • Dopo la sua morte, la

moglie, che con lui aveva animato i circoli parigini e che sa-rà una delle promotrici del gruppo degli idéologues, diede alle stampe il trattato Dell'uomo (De l'homme), in cui vengono sviluppati i temi dell'organizzazione politica e giuridica della società.

Helvéti FO€US Materialismo Il termine "materialismo" indica quelle teorie che: a. ammettono solo l'esistenza di enti materiali, escludendo quella di sostanze spirituali; b. riconoscono come unica causa dei fenomeni la materia. Esistono infatti dottrine, come quella stoica, che, pur ammettendo l'esistenza esclusiva dei corpi, prevedono cause non materiali e non possono quindi essere considerate materialiste. Il termine compare per la prima volta nel Seicento; vengono tuttavia considerate materialiste anche alcune filosofie dell'età antica, come quelle di Democrito, per cui «i principi di tutte le cose sono gli atomi», e di Epicuro. Il materialismo si sviluppa sulla scia della rivoluzione scientifica, assumendo un carattere prevalentemente meccanicistico, in quanto spiegava tutti i fenomeni come il prodotto di un movimento di corpi determinato da cause materiali. A Cartesio va il merito, peraltro involontario, di avere contribuito alla diffusione del materialismo meccanicistico. Egli

infatti, pur non potendo essere annoverato tra i materialisti, in virtù del riconoscimento dell'esistenza di una sostanza pensante diversa da quella materiale, con la sua teoria del carattere meccanico di ogni forma di vita extraumana, pose le basi di un'applicazione generalizzata del modello meccanicistico. Tra Seicento e Settecento prima i libertini e poi alcuni esponenti illuministi unirono in un'unica concezione materialismo, meccanicismo e ateismo. A questo proposito va notato che l'accostamento tra materialismo e ateismo, per quanto frequente, non è obbligatorio. Il materialismo non è neanche necessariamente meccanicistico. Lo dimostra Diderot che, nella fase più matura della sua riflessione, sotto l'influenza della biologia del tempo, ipotizzò una dottrina materialista non meccanicistica, per cui se è vero che esistono solo sostanze di tipo materiale, tuttavia la materia, in quanto dotata di una vitalità propria, non è riducibile a un insieme di corpi mossi da altri corpi.

cazione e della legislazione. Con i suoi sistemi di ricompense e di sanzioni, la legislazione forza gli uomini a oltrepassare il loro individualismo e ad essere «giusti con gli altri». Leducazione, a sua volta, sviluppa sentimenti utili alla società senza contraddire il desiderio di piacere e di felicità individuale. Compito delle istituzioni civili è dunque quello di favorire la felicità sociale, la felicità di tutti. Esse sono migliorabili attraverso riforme capaci di evitare il dispotismo e un'eccessiva disuguaglianza nelle ricchezze, pur senza mettere in discussione la proprietà privata~-

~

Ricorda che...

Fautore, con Montesquieu, di un governo moderato, Helvétius si colloca in una prospettiva riformi sta, per cui quel che conta sono le "buone leggi", la tolleranza, la libertà di stampa e di coscienza.

3. La Mettrie: il rifiuto del dualismo cartesiano Al medico e filosofo Julien Offroy de La Mettrie si devono la prima formulazione del materialismo in ambito illuministico e l'inserimento del sensismo all'interno di un'organica visione materialistica della natura e dell'uomo. Influenzato dal meccanicismo, La Mettrie rifiuta l'ipotesi che a presiedere alle funzioni vitali sia un principio spirituale ed è piuttosto orientato a considerare il corpo umano, e in generale il corpo animale, come una macchina, la cui organizzazione, pur complessa, non è tuttavia governata da leggi differenti da quelle che valgono per i corpi inanimati. Rifiutato il dualismo cartesiano, La Mettrie accoglie dunque un'interpretazione monistica e materialistica dei fenomeni psichici e fisiologici. Nella Storia naturale dell'anima (1745), egli sostiene che le attività dell'intelletto (la memoria, la riflessione, il giudizio ecc.) non sono proprie dell'anima, se con tale termine si intende una sostanza incorporea. Ciò che i sensi

VITA E OPERE DI LA METTRIE • Julien Offroy de La Mettrie nacque a Saint-Malo nell709 e morl a Berlino nel 1751. Medico, derivò dagli studi naturalistici e fisiologici del suo tempo e dalla lettu-

radi Cartesio le basi della sua riflessione filosofica. • Nel1745, la pubblicazione della Storia naturale del-

l'anima (Histoire naturelle de !'!ime) suscitò un cosl grande scandalo da costringerlo a fuggire in Olanda. Il suo scritto successivo, L'uomo-mac-

china (L'Homme-machine, 1748), ebbe analoghe conseguenze, costringendolo a riparare a Berlino, sotto la protezione di Federico II di Prussia, dove rimase fino alla prematura morte, dedicandosi a studi medici e fùosofici. • Altre sue opere sono

L'uomo-pianta (L'Hommeplante, 1748), Anti-Seneca (1750), Sistema d'Epicuro (Le système d'Epicure, 1750), Riflessioni filosofiche sull'origine degli animali (Réjlexions philosophiques sur l'origine des animaux, 1750), L'arte di godere (1751).

3. Il mondo dei Lumi

385

111

~ Ricorda che... Per La Mettrie la convinzione circa l'esistenza dell'anima come sostanza immateriale non ha alcun fondamento ed è sconfessata da tutte le nostre conoscenze.

attestano è infatti che la materia è fornita sia dell'attributo dell'estensione, sia di quello della sensibilità. Non esiste dunque alcun principio differente dalla materia stessa. L: anima è estesa e materiale ~e tutte le funzioni del pensiero (il giudizio, il ragionamento ecc.) sono il risultato di meccanismi fisiologici complessi e sono pertanto da ricondurre alle nostre funzioni sensoriali.

4. La teoria delfuomo-macchina ~ Ricorda che... Per La Mettrie in campo scientifico non ha alcun senso far riferimento al concetto di anima, sia come principio vitale, sia come principio esplicativo delle funzioni psichiche.

• Robot antropomorfo costruito in Giappone intorno all930.

L'uomo-macchina (1748) rappresenta un ulteriore sviluppo del pensiero di La Mettrie in direzione meccanicistica. Nell'opera precedente il pensato re francese si era limitato a confutare l'esistenza dell'anima come sostanza immateriale e a respingere l'opposizione tra sostanza estesa e sostanza pensante. Ora, egli afferma apertamente che l'anima è un principio non necessario~ e che la vita psichica ha un'origine materiale. Tutto ciò che nella metafisica cartesiana era attribuito all'anima può essere spiegato come una modificazione della materia. L:uomo è un meccanismo fisico-fisiologico, le cui leggi di funzionamento non sono definite a priori, ma sono rivelate sperimentalmente dagli studi di medicina, di anatomia e di fisiologia. Il pensiero, in particolare, è un meccanismo che opera attraverso il linguaggio. L:uomo impara ad associare in maniera costante determinati suoni, le parole, a determinate esperienze. Hanno cosl origine le idee astratte. La mente umana dipende in parte da una certa organizzazione del cervello, in parte dall' apprendimento, ossia dall'educazione che l'uomo riceve. In questa prospettiva, la stessa differenza fra uomo e animale diventa puramente quantitativa e viene a consistere nel fatto che l'uomo, per la sua conformazione anatomica, è in grado di parlare.

Confronti Condillac

Funzioni della mente da ricondurre alla sensazione

Sostanza , sia materiale sia spirituale

Helvétius

da ricondurre alla sensazione

. solo materiale

LaMettrie

• Lessico Dal greco eudaimonia, (felicità), il termine indica l'etica secondo la quale il bene, come fìne dell'azione umana, è la felicità, individuale o collettiva che sia. ETICA EUDEMONISTICA

1_386

' sono il risultato di meccanismi fisiologici

solo materiale: l'anima non esiste

5. Materialismo e dottrina etico .. politica in d'Holbach Un'antropologia materialistica e un'e etica eudemonistica sono alla base del pensiero di d'Holbach. Nel Sistema della natura, del 1770, il pensatore illuminista opera una difesa del materialismo, assumendo una posizione apertamente atea e antireligiosa. Poiché la natura è causa di se stessa, non è necessario postulare, neanche per ipotesi, l'esistenza di un dio creatore. A favore di questa condu-

Holbach : VITA E OPERE DI D'HOLBACH

• Paul-Henri Thiry barone d'Holbach nacque nel 1723 nel Palatinato; dopo gli studi in campo scientifico, si trasferì a Parigi dove morì nel 1789, l'anno della Rivoluzione. A d'Holbach si deve la più efficace propaganda delle idee del materialismo all'interno della cultura illuminista. Nel suo "salotto" egli riu-

nl i più importanti rappresentanti della cultura francese (Diderot, Voltaire, d'Alembert, per un periodo anche Rousseau) e alcuni fra i filosofi europei più significativi: Hume, Beccaria, Alessandro Verri. • Autore di numerosi articoli dell' Encyclopédie, traduttore di opere scientifiche

tedesche, d'Holbach pubblicò assai poco con il proprio nome, anche se è autore di un importante Sistema della

natura, (Système de la nature, 1770). Egli affidò piuttosto le sue tesi atee e materialistiche a scritti anonimi, cui accompagnava un'intensa attività clandestina in campo politico.

sione giocano, per d'Holbach, sia la concreta esperienza degli uomini, sia i risultati delle scienze biologiche. Su questa base materialistica e antireligiosa d'Holbach fonda la propria visione etico-politica: le autorità politiche e religiose sono responsabili del male morale dell'umanità; il cristianesimo ha indirizzato gli uomini in una direzione contraria alla felicità. Facendo di Dio un monarca e dei monarchi degli dèi, la religione è un'oggettiva alleata del dispotismo: l'uno e l'altra impongono obbedienza, si reggono sulla paura, avversano la ragione e la verità, impigriscono l'uomo nella vana attesa di una vita futura, piuttosto che spingerlo a far uso della propria libertà e della propria ragione. Da questa millenatia "infanzia'' l'uomo fatica a uscire. Il buongoverno, la virtù, la felicità possono attuarsi solo a opera di uomini nel pieno possesso delle loro facoltà razionali. Il perno di questa emancipazione è un nuovo umanesimo ateo: restituito alla ragione, emancipato dai fantasmi della metafisica, guidato dalla tolleranza, l'uomo potrà finalmente cercare nella società la felicità.

6. Educazione e felicità Alla base dei comportamenti umani è per d'Holbach l'interesse, inteso come «ciò che ciascuno considera necessario alla sua felicità». Il contratto sociale ha un'origine utilitaristica: nell'interdipendenza che caratterizza la società, nessuna felicità è possibile senza la cooperazione degli altri. La politica pertanto «dovrebbe essere l'arte di regolare le passioni degli uomini e di dirigerle verso il bene della società», in modo da soddisfare i bisogni dei suoi membri offrendo loro i vantaggi del mutuo soccorso e della cooperazione. Il fine delle leggi è assicurare in massimo grado e al maggior numero possibile di cittadini la libertà, la proprietà, la sicurezza, la giustizia e le occasioni di felicità consentite dall'esercitare questi diritti senza ledere i diritti altrui. È centrale, in d'Holbach, il ruolo dell' educazione: i costumi di un popolo dipendono dalle leggi, dall'opera del governo, dalle culture e dalle mentalità vigenti. Gli uomini recano l'impronta dell'educazione, "agricoltura dello spirito", e dell'abitudine, le quali plasmano le inclinazioni umane e orientano i nostri sentimenti e i nostri giudizi~.

~

Ricorda che...

Per d'Holbach i popoli sono lo specchio dei loro governanti: uno stato dispotico e mal governato, retto da leggi e consuetudini irrazionali, genera cattive ambizioni e un meschino servilismo.

verifica

aDefinisci: Conoscenza dei termini materialismo, rneccanicismo, utilitarismo, ateismo.

bcomprensione di concetti e relazioni l Qual è la differenza tra Condillac ed Helvétius in campo gnoseologico? ~.

2 Perché Helvétius professa in campo etico-politico una dottrina di tipo utilitarista? 3 In che senso si può parlare di un "materialismo radicale" a proposito di La Mettrie? 4 Con quale argomentazione La Mettrie nega il dualismo cartesiano? 5 Quale rapporto c'è fra il materialismo di d'Holbach e la sua visione etico-politica?

-----------------------------------------------------------------~ 3. Il mondo dei Lumi

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Il Maestro dell'Annuncio ai Pastori, Il Filosofo (La Vista) (1635-40 ca).

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è una storia, una storia filosofica naturalmente, che racconta la più grande discussione gnoseologica tra Seicento e Settecento: è la storia del problema di Molyneux. Nel 1728, un famoso chirurgo di Londra, William Cheselden, opera di cataratta un ragazzo di quattordici anni, cieco dalla nascita, ridandogli la vista. Il resoconto dell'intervento, apparso sulla rivista della Royal Society, suscita un enorme interesse e riaccende la discussione per un problema che, nei decenni precedenti, aveva appassionato filosofi e scienziati: il problema di Molyneux. Il fatto che il giovinetto abbia impiegato due mesi ad addestrare gli occhi, senza dunque riuscire a distinguere forme e corpi subito dopo l'operazione, sembra confermare la soluzione che Locke aveva dato al problema nel Saggio sull'intelletto umano. Nel 1732, Berkeley commenta l'avvenimento, schierandosi con Locke. Sei anni dopo, Voltaite - negli Elementi della filosofia di Newton - riassume i termini della questione, suscitando una accanita controversia negli ambienti illuministi francesi. In che cosa consiste il problema? La questione nasce nel1688, quando l'irlandese William Molyneux, studioso di ottica, pone all'amico Locke il seguente interrogativo: un cieco dalla nascita, al quale si sia insegnato a distinguere mediante il tatto un cubo da una sfera, ove recuperi improvvisamente la vista, sarà in grado di distinguere il cubo dalla sfera, senza far ricorso al tatto?

Che cosa può essere percepito dai nostri sensi? Come interagiscono i sensi funo con faltro nella conoscenza? Qual è il molo delfintelletto nel percepire? Esistono idee innate o le conoscenze derivano dalfesperienza? Esiste uno "stadio zerd' della conoscenza?

rime risposte al problema Molyneux suggerisce una risposta al problema: il cieco non è in grado di distinguere i due corpi perché, pur avendo appreso per esperienza i due modi diversi con i quali il cubo e la sfera colpiscono il suo senso del tatto, egli però non sa ancora far corrispondere all'esperienza tattile precedente la nuova esperienza visiva (non sa, per esempio, che l'angolo sporgente del cubo che gli premeva la mano debba ora apparire ai suoi occhi così come appare nel cubo). Locke accetta la soluzione dell'amico: «Credo che questo cieco, alla prima occhiata, non sarebbe in grado di dire con certezza quale sia la sfera e quale sia il cubo, ove si limitasse a guardarli; però, toccandoli, potrebbe distinguerli con sicurezza». Berkeley, nella Nuova teoria della visione, del1709, è d'accordo con Locke, ma assume una posizione radicalmente empirista, negando che il neovedente possa distinguere i

due corpi e affermando che la vista e il tatto sono tra loro del tutto distinti e irriducibili: le percezioni ottenute tramite i due sensi non hanno alcuna comunanza oggettiva. Per questo, al neovedente non è possibile collegare i due corpi che ora vede con quelli toccati in precedenza. Solo la ripetuta associazione delle sensazioni visive e tattili, potrà suggerire a posteriori, in modo acquisito, il passaggio da una sensazione all'altra, mostrando la loro costante coesistenza. In sintesi, la tesi Locke-Berkeley (che chiameremo soluzione aifà) afferma che "si deve imparare a vedere". Nel 1728, l' experimentum crucis di Cheselden verrà inteso dagli empiristi come una conferma di questa tesi: il ragazzo operato, all'inizio, non percepisce gli oggetti esterni distanti; ingannato dalla prospettiva, crede ancora che le cose "tocchino" i suoi occhi.

leibniz e l'innatismo Nel frattempo, nei Nuovi saggi sull'intelletto umano, anche Leibniz era intervenuto sulla questione. La sua risposta (soluzione beta) rivaluta l'innatismo. Supposto che il non vedente sappia che ciascuno dei solidi che vede o è il cubo o è la sfera, «grazie ai principi della ragione congiunti a ciò che il primo tatto gli aveva fornito di conoscenza sensibile»,

il neovedente sarà in grado, senza toccarli, di distinguere i due corpi. Il fatto che i non vedenti e i paralitici (che non possono usare il tatto) possano avere in comune la stessa geometria e giungere alle stesse idee geometriche, pur non avendo in comune le stesse sensazioni, dimostra che le idee esatte provengono dalla pura ragione.

Il dibattito Nel Settecento, poche polemiche eccitano l'ingegno degli illuministi come il problema di Molyneux. Molti si schierano con gli empiristi; non mancano tuttavia significative eccezioni. Per Voltaire ha ragione Locke; e l'errore originario è dell'innatista Cartesio, che aveva attribuito alla vista la capacità di discernere da sola la forma geometrica delle cose. Nel 1745, interviene nella discussione La Mettrie, il quale pur rifiutando l'innatismo, sostiene una posizione antiberkeleyana. A Voltaire, che aveva raccontato che il ragazzo, una volta toltagli la cataratta, aveva visto solo una luce colorata e non aveva distinto alcuna forma o distanza, La Mettrie obietta che se l' occhio vede la luce e i colori, vede di conseguenza anche l'estensione: «Un globo attentamente esaminato dal tatto e chiaramente immaginato e concepito, basta che venga mostrato agli occhi aperti: esso sarà conforme all'idea già impressa nel cervello; e quindi sarà impossibile all'anima di non distinguere questa figura da qualsiasi altra, se l'organo possiede la disposizione interna necessaria all'atto della vista. Le idee ricevute dagli occhi si ritrovano dun-

que nel tatto e quelle del tatto nella vista». Non siamo poi molto distanti da Leibniz. Con La Mettrie si schiera Condillac che, nel Saggio sull'origine delle conoscenze umane, del 1746, scrive che l'esperimento di Cheselden non prova niente. Infatti, è più che naturale che un occhio non allenato abbia bisogno di un paio di mesi per mettersi in funzione: la vista ha gli stessi poteri di ideazione del tatto ed è in grado di dare da sola le idee delle forme geometriche. Essa ha in sé la capacità di cogliere la figura, l'estensione, la distanza, non appena l'essere umano sia in grado di "riflettere" sulle sensazioni che gli provengono dagli occhi. Sia La Mettrie, sia Condillac sottolineano (contro Berkeley, per cui solo l'abitudine, ossia la ripetuta associazione di sensazioni visive e tattili, è in grado di condurre alla formulazione del giudizio) la presenza nell'uomo di una naturale disposizione a riflettere, a giudicare sulla base dei materiali forniti dai sensi. Il non vedente distinguerà dunque il cubo dalla sfera, "sentendoli" con la vista e poi giudicando in base alle proprie facoltà riflessive. 3. Il mondo dei Lumi

389

PROBLEMI

I

la Lettera sui ciechi di Diderot

I

li caso della statua di marmo

Nella Lettera sui ciechi, del 1749, Diderot si allinea alla soluzione La Mettrie-Condillac (soluzione gamma): «lo non penso affatto che l'occhio non possa istruirsi o farsi la sua esperienza da sé. Questa capacità non gliela dà il tatto, ma l'occhio l'acquista da sé». Criticando la tesi della completa derivabilità della conoscenza dai sensi, Diderot giunge a conclusioni vicine al razionalismo: il tatto e la vista sono sensi affini e si «educano a vicenda». È la ragione che indirizza le esperienze condotte con i sensi, funzionando come un «sensorio comune» che governa l'intero nostro organismo. Mentre Diderot dà ragione a Condillac, questi tuttavia ha cambiato parere. Nel Trattato delle sensazioni, del 1754, egli si avvicina alla tesi Locke-Berkeley. Ammettere come egli stesso aveva fatto in precedenza - che i sensi

Immaginiamo una statua di marmo un po' particolare: esteriormente fredda e silenziosa, essa tuttavia ha un'anima, è cioè internamente organizzata come un essere umano. La sua mente è vuota; non ha alcuna idea. La statua non prova alcuna sensazione, non sa nulla, non ricorda nulla, non vuole nulla. Immaginiamo ora di "accenderle" il senso dell'odorato: a seconda dell'odore percepito, la statua avvertirà una sensazione piacevole oppure spiacevole e, di conseguenza, avrà l'impulso a ripetere o a interrompere la percezione stessa. L:apertura graduale degli altri sensi arricchirà progressivamente la vita sensibile della statua: la vista farà percepire sensazioni di luce e di colore, più o meno piacevoli; il tatto farà acquisire la percezione dello spazio e del movimento. La statua acquisirà così, via via, tutte le facoltà che caratterizzano la mente umana, da quelle più semplici a quelle più complesse, come l'attenzione (ottenuta quando una sensazione più forte si impone sulle altre), il ricordo (effetto di una sensazione trascorsa), il giudizio (ossia il confronto fra sensazioni contemporanee). Un osservatore concluderà che

sono ongmariamente capaci di cogliere ognuno il suo oggetto (ossia che la vista può da sola giungere a conoscere figure) significa dotare i sensi di una facoltà originaria, il che costituisce una implicita ammissione di innatismo. I giudizi spaziali sono invece il risultato dell'educazione reciproca dei sensi, a partire tuttavia dalla genesi prima dell'idea di spazio operata dal tatto. È errato dunque presupporre che l'uomo sia in grado di usare i sensi fin dall'inizio della vita. Al contrario, noi dobbiamo imparare a esercitare la sensibilità (soluzione delta). Questo significa che, all'inizio della sua esistenza, privo di idee innate, l'uomo vive in uno stato di ignoranza assoluta, in uno stadio "zero" della conoscenza? Per rispondere a questa domanda, Condillac escogita il famoso esperimento mentale della statua di marmo.

tutte queste facoltà della mente sono derivate dai sensi, sono "sensazioni trasformate". Per Condillac le funzioni dei cinque sensi e quelle dell'intelletto, dunque, non costituiscono affatto un patrimonio naturale e innato, ma sono il risultato dell'esperienza, dell'esercizio, dell'educazione progressiva. ruomo "imparà' a vedere, toccare, pensare, anche se può sembrare che la natura ci abbia dato la disponibilità dei sensi e della mente nel momento della nascita. Sensazione e riflessione non sono facoltà separate: fare della seconda una facoltà originaria e spontanea della mente - come aveva creduto Locke significa arrendersi all'innatismo. Condillac intende invece lo sviluppo della facoltà umane (dalla percezione bruta fino al pensiero astratto) come un processo psicologico graduale, una genesi governata da un meccanismo di tipo associativo. Questo processo di formazione dell'intelletto descrive il reale sviluppo evolutivo della mente: l'intelletto "maturo", alla fine del processo, non è che il risultato delle operazioni sviluppatesi a partire dalla sensazioni più elementari.

......

--~~~~------------~~~·~~ Rielaborare, discutere, argomentare

Il problema di Molyneux è un banco di prova della disputa tra empiristi e innatisti. Per i primi, il caso del non vedente operato dimostra come la conoscenza non si fondi su principi innati, ma abbia un'origine esclusivamente empirica. Per i secondi, un sapere vero e indubitabile non può che fondarsi su principi a priori. Berkeley ha arricchito la questione di una domanda ulteriore: quale rapporto esiste fra i sensi? Le esperienze compiute con la vista e/o il tatto sono collegabili? Abbiamo presentato quattro soluzioni al problema, indicate con le lettere dell'alfabeto greco.

O

Sapreste riassumerle?

f) In che cosa consiste il cambiamento di Condillac da gamma a delta?

e O

Quali soluzioni sono più legate alle tradizionali dispute metafìsiche? Quali invece ricorrono a prove scientifiche? Quale punto di vista avrebbero espresso al riguardo Platone e Aristotele?

Quali tra le soluzioni avanzate vi sembra più convincente o meglio argomentata? A quale delle tesi aderisce, secondo voi, il senso comune?

Il confronto fra innatismo ed empirismo è vivo ancora oggi. Qual è la struttura della mente? Che rapporto esiste fra mente e cervello? Queste domande orientano oggi le neuroscienze (la neurofisiologia e la neuropsicologia) e la philosophy ofmind diffusa nella cultura anglosassone. Vi suggeriamo di approfondire il tema, attraverso una ricerca multidisciplinare. In campo psicologico e linguistico, il comportamentismo e la riflessologia si schierano dalla parte degli empiristi, affermando che non esistono facoltà precostituite: l'intera vita mentale e comportamentale degli esseri umani è il risultato dell'azione dell'ambiente sull'organismo. La scuola legata a Jean Piaget e il cosiddetto cognitivismo hanno viceversa rivalutato un approccio di tipo "mentalistico", orientando la ricerca verso la costruzione di modelli del funzionamento mentale. La difesa dell'innatismo è legata al linguista americano Noam Chomsky, per il quale l'apprendimento del linguaggio è basato su una "grammatica universale", ossia su strutture mentali innate specifiche dell'essere umano. Per Chomsky, solo l'esistenza di strutture linguistiche innate spiega le proprietà del linguaggio umano e i processi di apprendimento linguistico da parte del bambino. Chomsky paragona lo sviluppo del linguaggio allo sviluppo degli organi del corpo umano: come questi si sviluppano in conformità a un piano codificato nel DNA delle cellule, così il linguaggio - inteso nelle sue strutture universali reperibili in qualsiasi lingua umana- si sviluppa regolato da istruzioni genetiche. I.: empirismo viene ripreso dalla philosophy ofmind: studiosi come Quine, Putnam, Goodman rifiutano ogni apriorismo concettuale e affermano che non esiste un'unica verità intorno alle cose, così come non esiste un unico modo di conoscere le cose. Sul rapporto fra i processi fisico-chimici del cervello e attività della mente come i pensieri e le emozioni (il problema cartesiano del dualismo delle sostanze) si sono soffermati il filosofo Popper e il biologo premio Nobel Eccles ponendosi domande del tipo: si può dire che pensieri ed emozioni dipendono dal cervello? Quando decidiamo di compiere un'azione a chi va attribuita l'iniziativa: alla nostra mente, all'io della nostra mente, alle cellule della nostra corteccia cerebrale?

3. Il mondo dei Lumi

391

111111 viaggio degli spermatozoi.

S

permatozoi e polipi d'acqua dolce, "anguille" del grano e girini sono i protagonisti, per l'epoca strani ed "eccezionali", del dibattito che si svolge tra Seicento e Settecento nel tentativo di svelare il grande segreto dell'origine della vita. Il problema dell'origine della vita rappresenta uno dei temi cruciali della cultura europea moderna, intorno al quale convergono e si scontrano teorie scientifiche, fedi religiose, sistemi filosofici. Gli schemi attraverso cui queste dottrine cercano di comprendere il mondo dei viventi sono spesso turbati dalla scoperta di fenomeni "eccezionali", rivelati dall'osservazione al microscopio, destinati ad assurgere alla notorietà anche nel pubblico dei non addetti ai lavori. Due sono i modelli che si confrontano: il modello meccanicistico e il modello vitalistico.

Come ha avuto origine la vita? Come si trasforma? Quali cause hanno prodotto le diversità delle specie? Le specie si modificano in funzione delle modificazioni delfambiente? In natura prevale la continuità o la discontinuità?

Il modello meccanicistico Nel corso del Seicento, in fisica e in astronomia, il meccanicismo si impone come il modello di scientificità dominante. Sembra del tutto lecito, di conseguenza, cercare di applicarlo anche al mondo della vita, e in particolare al mondo microscopico, una realtà nuova e meravigliosa studiata con sempre maggiore interesse a partire dalla seconda metà del XV11 secolo. Secondo il modello

l

meccanicistico, la natura è costituita da materia in moto, dotata esclusivamente di proprietà geometrico-meccaniche. Le cause sono di ordine meccanico e non finale. Gli organismi viventi sono macchine, automi molto complessi. Il funzionamento di un organo, per esempio il cuore, non può essere spiegato in base al suo fine, ma solo secondo leggi meccaniche.

Creazionismo e fissismo

Questa concezione si conciliava perfettamente con il creazionismo, che era stato a lungo dominante nella cultura occidentale: Dio ha creato la materia, stabilito le leggi del moto e impresso il primo movimento, avendo già presente il progetto del mondo, come un artigiano che costruisce un automa. Un automa che gioca a scacchi (ne venivano costruiti numerosissimi al tempo) non muove il pezzo al fine di dare scacco, ma perché un sistema di ingranaggi ne muove la "mano" in una certa direzione. Ciò non significa, tuttavia, che il suo artefice non sappia e voglia lo scopo di quel movimento. Il meccanicismo si conciliava anche con un'altra concezione tradì-

zionale: il fissismo, secondo cui gli organismi viventi sono stati creati, così come li conosciamo, fin dagli inizi dei tempi, in modo che ogni loro parte si adatti perfettamente alle esigenze del tutto; e dato che l'impresa è riuscita così bene al Creatore, le specie non sono più mutate nel corso dei secoli. Dio, agli inizi dei tempi, ha dunque creato gli animali-macchina, automi perfettamente funzionanti, che si sono replicati poi attraverso i secoli. I.:universo stesso è un grande meccanismo che Dio ha regolato con leggi eterne, !asciandolo poi al suo corso o, al massimo, intervenendovi solo di tanto in tanto a regolarne le perturbazioni.

Il meccanicismo materialista Non ogni meccanicismo è creazionista. Una variante del meccanicismo è quella materialista. Il materialismo meccanicista afferma che le parti di materia si sono aggregate, fino a dare vita agli organismi, casualmente, per processi non preordinati da alcuna mente divina, ma puramente meccanici. Esso riduce di conseguenza tutte

le funzioni vitali, anche quelle sensttrve e intellettive umane, a moti materiali: anche l'uomo - diversamente da quello che aveva affermato Cartesio - non è che un automa, sia pure estremamente complesso. Il pensiero non è l'attributo di alcuna res cogitans distinta dal corpo, ma una funzione del cervello.

Il modello vitalistico Nel corso del Settecento, all'immagine meccanicistica della natura, si affianca una diversa concezione: il vitalismo. La concezione vitalistica sostiene che gli organismi viventi sono qualitativamente diversi dagli oggetti inanimati, e dunque non riducibili a delle macchine, poiché possiedono un principio vitale, caratteristico e specifico, che li rende capaci di espletare attività che non possono essere spiegate in termini fisici. I fenomeni della vita, di conseguenza, sono irriducibili ai fenomeni meccanici e alla dinamica del mondo inorganico. Una delle caratteristiche del vitalismo è l'organicismo, che è la concezione che intende l'essere vivente non come una macchina, bensì come un organismo, un tutt'uno, composto di parti (organi), ognuna delle quali ha una propria funzione, la quale si esplica solo in rela-

zione alle funzioni delle altre, con le quali coopera verso un fine comune. Secondo questa visione, l'essere vivente è un insieme organizzato finalisticamente e caratterizzato da una propria "forza vitale" e non il risultato meccanico della semplice somma delle sue parti. Anche del vitalismo si possono dare due versioni: l'una creazionista, l'altra materialista. Per la prima, Dio, creando la materia, avrebbe creato anche la vita (come attributo della materia stessa); secondo il cosiddetto preformismo, già tutti gli esseri viventi sarebbero stati creati in germe all'origine dei tempi. Per la seconda, invece, la materia avrebbe in sé proprietà dinamiche di autoorganizzazione, grazie alle quali essa avrebbe dato origine spontaneamente a tutti gli organismi, dai più semplici ai più complessi. 3. Il mondo dei Lumi

393

PROBLEMI

l

Linneo e la classificazione della natura

l

Buffon: continuità e degenerazione delle specie

I

l viaggi d'esplorazione e la biogeografia: il rapporto specie-ambiente

La visione fissistica e creazionistica trova la sua piu chiara espressione nell'opera dello svedese Carl von Linné (Linneo, 1707-78). Egli non è né uno scopritore di fatti sorprendenti, né uno sperimentatore. Linneo si propone piuttosto di elaborare una classificazione del mondo vegetale e animale che porti semplicità e rigore in una nomenclatura fino ad allora arbitraria e caotica. Nelle forme viventi egli introduce un ordine sistematico, basato sui raggruppamenti in classi, ordini, generi e specie. Questi gruppi - ripresi dalla distinzione aristotelica in generi massimi, intermedi, prossimi e specie - non sono per Linneo arbitrari, ma rispecchiano l'ordine reale, creato da Dio. Al centro della sua ricerca c'è uno dei temi che piu appassionavano gli studiosi del tempo, il problema della riproduzione, che viene considerata da Linneo la funzione piu importante della vita. Egli riprende la scoperta

La concezione di Linneo fissa una gerarchia delle forme viventi che non poteva essere accettata da coloro che pensavano a una concezione "dinamica'' della natura. Nel corso del Settecento il creazionismo e il fissismo subiscono numerosi attacchi, che aprono la strada all'affermazione di una visione evoluzionistica del mondo vivente. Georges Louis Ledere conte di Buffo n (170788), in particolare, attacca le basi stesse del sistema di Linneo. Alla interpretazione realistica dei generi e delle specie viventi, Buffon oppone una visione nominalistica: in natura esistono solo individui, non generi e specie. Gli individui non presentano alcuna essenza identica, ma solo somiglianze piu o meno forti. La concezione di Buffon è continuista: la natura è costituita da una scala continua di esseri; voler tracciare - come fa Linneo -

Grazie ai viaggi d' esplotazione, che nella seconda metà del Settecento e poi nei primi dell'Ottocento conoscono il loro periodo aureo (famosissimo sarà quello di Charles Darwin intorno al mondo, sul brigantino Beagle, verso la metà del XIX secolo), si moltiplicano gli studi su flore e faune locali. Queste ricerche impongono all'attenzione i rapporti fra gli organismi e le condizioni ambientali. Filosofi ed economisti quali Montesquieu, Hume, Malthus si interessano al rapporto tra condizioni geografiche, forme di società e dinamica delle popolazioni. Nasce la biogeografia. Quali cause hanno prodotto le

seicentesca della presenza di organi sessuali nei vegetali (gli organi della cosiddetta "fruttificazione") ed elabora una classificazione botanica in base alla presenza o assenza, al numero, alla figura, proporzione e posizione delle sette parti che formano il fiore (corolla, calice, stami, pistillo) e il frutto (pericarpo, seme, ricettacolo). Questa classificazione costituisce la base della nomenclatura fissata da Linneo, tuttora in uso: ogni specie è designata da due parole, il nome del genere (per esempio, felis) e un epiteto specifico, che distingue la specie fra tutte le altre dello stesso genere (per esempio, tigris). Linneo rimane "fissista'': ordini e specie sono stabili; le forme viventi attuali sono le stesse che Dio creò agli inizi dei tempi. Egli, tuttavia, ammette il sorgere di specie nuove, ipotizzando che Dio abbia creato un certo numero di forme semplici, che poi però si sarebbero differenziate, dando vita alle diverse specie attuali.

linee rigide di separazione tra generi, classi, specie, equivale a riunire in un solo gruppo ciò che in realtà è, almeno impercettibilmente, diverso, e separare ciò che è sostanzialmente simile. Latteggiamento dello scienziato non deve dunque mirare alla classificazione, ma alla descrizione. Ora, osserva Buffon, è possibile che dalle specie originarie siano derivate specie "collaterali", attraverso una degenerazione causata dalle condizioni ambientali del clima, del suolo, del cibo e così via. Nonostante queste premesse, Buffon non è evoluzionista. Le specie non discendono le une dalle altre, ma si formano - forse per generazione spontanea- quando se ne presentano le condizioni. In seguito, sotto l'influenza dell'ambiente, possono degenerare, ma non dare origine a specie completamente nuove.

diversità delle specie in regioni diverse? Le specie s1 modificano in funzione delle modificazioni dell'ambiente? Nel rispondere a queste domande, anche la biogeografia sembra spingere verso una visione evoluzionistica. A dire il vero, Linneo non aveva ignorato domande di questa natura. Per salvare il fissismo, egli aveva formulato l'ipotesi che tutti gli organismi avessero avuto origine nel paradiso terrestre, una montagna nell'emisfero australe su cui erano riunite tutte le zone climatiche adatte alle varie creature, le quali da quel centro originario si erano poi diffuse in tutto il mondo. Anche Buffon

mette a fuoco il problema della distribuzione geografica delle specie, studiando la differenza tra gli animali del vecchio e del nuovo continente: le specie delle Americhe

- egli afferma - derivano da quelle dell'Eurasia, delle quali sono più piccole, perché, emigrate e isolate in zone nuove, si sono "snaturate" per effetto del clima.

Le critiche crescenti al fissismo e alle rigide separazioni tra generi e specie, previste dalla classificazione linneana, spingono gli studiosi a pensare alla natura in termini di continuità, piuttosto che di discontinuità. Specie e generi sono realmente separati? Oppure questa è solo un'illusione dovuta alla limitatezza delle nostre conoscenze, che impedisce di scorgere le forme di transizione che connettono fra loro gli esseri viventi? Nel Settecento, molti scienziati e filosofi cominciano a pensare al sistema naturale come a una serie continua. I: idea di una scala dell'essere aveva radici molto an ti che, ed era stata ripresa da Leibniz. Per il filosofo tedesco, tutti gli esseri viventi possono essere disposti in una successione continua, in una gradazione di sfumature impercettibili, da un minimo a un massimo di perfezione e di vitalità, secondo un principio di continuità che afferma che

natura non Jàcit saltus (la natura non fa salti). La natura, che opera secondo le leggi dell'armonia universale, evita ogni passaggio brusco da essere a essere, dispiegando la sua infinita potenza creatrice e colmando con le forme più disparate ogni vuoto. I confini netti tra le specie tracciati da Linneo sono cancellati. Non è ancora, tuttavia, l'approdo all'evoluzionismo, ossia all'idea che una specie si trasformi in un'altra, o le dia origine. La "scala dell'essere" si dispiega, infatti, nello spazio e non nel tempo: l'infinita varietà degli organismi viventi è già tutta data contemporaneamente nell'infinità dell'universo. Per arrivare all'evoluzionismo sarà necessario intendere la scala degli esseri in senso temporale, immaginando che le forme viventi si succedano e si modifichino nel tempo. Per arrivare a questa conclusione, tuttavia, si dovrà affermare un nuovo concetto di tempo.

Il problema della generazione: Aristotele e Galeno Che cos'è la vita? Come ha avuto origine? Come si trasforma? Nel rispondere a queste domande, le scienze della vita, all'inizio dell'età moderna, manifestano un sensibile ritardo. Solo a partire dalla seconda metà del XVIII secolo si registrano sostanziali progressi, favoriti dal perfezionamento degli strumenti tecnici e, in particolare, del microscopio. A causa di questo ritardo, le conoscenze anatomiche e fisiologiche relative agli organi genitali maschili e femminili, alla fecondazione e allo sviluppo embrionale, ancora verso la metà del Seicento, risalgono all'antichità greca. I modelli che dominano il panorama delle scienze biologiche sono quello aristotelico, per cui l'embrione è il risultato dell'azione dello sper-

Redi e Leeuwenhoek: ovismo contro Tra Seicento e Settecento, queste visioni vengono superate grazie al lavoro di numerosi scienziati. Nel 1688, le ricerche microscopiche di Francesco Redi confutano la teoria della generazione spontanea, con la scoperta che anche gli insetti nascono da uova. Indagando la generazione delle mosche, Redi scopre che esse non si generano spontaneamente dalla carne putrefatta, ma solo attraverso la deposizione di uova. Si afferma cosl il principio che "ogni essere vivente nasce da un essere già vivo". Le ricerche di Redi, insieme con gli studi anatomi-

ma, principio formale e attivo, sul sangue mestruale, che è principio puramente materiale e passivo; e quello di Galeno, per il quale entrambi i sessi partecipano in modo eguale alla generazione: l'embrione si forma attraverso la fusione del seme maschile e di quello femminile, prodotti dai rispettivi testicoli (cosl venivano definite anche le ovaie). Di origine aristotelica è anche la teoria della generazione spontanea, la quale continua a godere di ampio credito in epoca moderna. Essa afferma che gli esseri viventi possono originarsi direttamente dalla materia: in particolare, la vita si origina, per alcuni viventi, dall'azione dei fenomeni di putrefazione o dalla corruzione delle sostanze organiche.

ermatismo ci sugli organi riproduttivi di ovipari e vivipari, decretano il successo del cosiddetto ovismo, secondo cui l'uovo costituisce l'elemento fondamentale della generazione degli organismi, in quanto contiene in nuce tutte le parti dell'organismo adulto. Di Il a qualche anno, tuttavia, l' ovismo conosce un pericoloso concorrente: lo spermatismo, secondo cui l'elemento decisivo della generazione è invece lo spermatozoo. Il microscopista olandese Antoni van Leeuwenhoek, a partire dal 1677, si dedica all'osservazione dello sperma di diverse specie animali: in 3. Il mondo dei Lumi

395

PROBLEMI Il Tavola ripresa dalle

una sola goccia di sperma formicola un numero impressionante di «animalculi» microscopici, con un corpo rotondo e una lunga coda sottile, dotati di un ciclo biologico proprio e di capacità di moto. Questi «animalculi», come piccoli esseri viventi in miniatura, contengono preformato l'embrione dell'individuo adulto. Dei due paradigmi, quello ovista risulta vincente nella comunità scientifica, nonostante difficoltà non indifferenti: le uova dei mammiferi, infatti, sono degli enti puramente teorici, in quanto per la loro estrema piccolezza sfuggono ai microscopi dei naturalisti. Se le uova, inoltre, devono contenere individui già preformati, che cosa accade agli individui contenuti nelle uova non sviluppate? In ogni caso, lo spermatismo viene sconfitto, poiché sembra ancora più assurdo credere che l'uomo proviene da un "verme" microscopico vagante nel liquido spermatico.

New microscopica/ discoveries (1745) di J. T. Needham che rappresenta figure di muffe viste al microscopio.

l

Preformismo contro epigenetismo

o

Ovismo e spermatismo concordano nel sostenere un'idea preformista, secondo cui nell'uovo (o nello spermatozoo) di ogni individuo adulto si troverebbe già costituito, in miniatura, il futuro individuo completo, nelle cui ovaie (o testicoli) si troverebbero, a loro volta, altre uova (o spermatozoi) contenenti altri individui in miniatura e così via. La teoria, elaborata nel Seicento da Marcello Malpighi, si espone a numerose obiezioni: in primo luogo, come si possono spiegare i fenomeni eredi>

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Il L'immagine rappresenta le diverse modlità con cui la scienza del Seicento tentò di dare concretezza al concetto di "spermatozoo". l disegni indicano come gli spermatozoi furono visti rispettivamente da Leeuwenhoek (A, B e C), da Hartsoeker (D) e da Plantades (E, F ,G).

tari che testimoniano la trasmissione ai discendenti dei caratteri di entrambi i genitori? Infatti, se si accetta il preformismo, ai discendenti dovrebbero risultare trasmessi solamente i caratteri della madre (secondo l' ovismo) o del padre (secondo lo spermatismo), il che è in chiaro contrasto con la comune esperienza. In secondo luogo, come spiegare i fenomeni di ibridismo, la ricomparsa di specifici caratteri a distanza di generazioni, l'esistenza di esseri "mostruosi"? Lincapacità da parte dei preformisti di rispondere a queste domande conduce all'affermazione, con Cari Friedrich Wolff (1734-94) e Maupertuis, della teoria epigenetica (dal greco epi "dopo" e ghènesis "generazione"), secondo cui gli organi di un essere vivente si formano sempre ex novo a partire da una materia indifferenziata e non sono pre-formati nell'ovulo o nello sperma. Fondata sull'osservazione microscopica del pulcino e delle piante, la teoria epigenetica spiega lo sviluppo embrionale attraverso la successiva formazione .dei differenti organi di un essere vivente. Mentre il preformismo ha come concezione di sfondo il meccanicismo, l' epigenetismo presuppone una concezione vitalistica della materia, in quanto ammette un'organizzazione della natura di tipo finalistico.

del meccanicismo e le molecole organiche Vitalista è la concezione di Pierre-Louis Moreau de Maupertuis (1698-1759). Egli ritiene che il meccanicismo non fornisca una spiegazione convincente dell'origine della vita. Le proprietà meccaniche dei corpi non possono essere, infatti, la causa delle proprietà vitali e psichiche. Gli organismi si generano non perché sono costituiti da particelle materiali, ma in o

quanto costituiti da molecole organiche, presenti nel liquido seminale maschile e in un presunto liquido seminaie femminile, le quali durante le generazione si dispongono nell'embrione ordinatamente, in modo da costituire il nuovo essere. Questa disposizione ordinata e spontanea delle molecole viene spiegata da Maupertuis come conseguenza di un"'affinità" reciproca, in analogia con

l'idea di attrazione newtoniana. Maupertuis estende cosl il concetto di materia, includendovi, accanto ai tradizionali attributi, quantitativi, di tipo geometrico, anche quelli, qualitativi, di tipo psichico. Le molecole organiche, che all'atto del concepimento provengono da entrambi i genitori, possono combinarsi tra loro variamente e in modo casuale: di qui deriva non solo la gran-

de varietà dei caratteri, ma anche la possibilità di errori nelle combinazioni. Le trasformazioni delle specie risultano cosl interpretate in relazione a variazioni casuali dei caratteri ereditari. Maupertuis anticipa, in questo modo, almeno in parte la dottrina dell'evoluzione della specie e contribuisce in modo decisivo alla crisi del paradigma meccanicistico creazionista.

La teoria delle molecole organiche di Maupertuis viene ripresa da Buffon, il quale non arriva, tuttavia, ad attribuire a esse proprietà psichiche. È sufficiente, infatti, attribuire loro delle proprietà fisiche, che Buffon chiama forze penetranti, analoghe a quelle del peso, in virtù delle quali le molecole sono condotte a organizzarsi nell'embrione. Il riconoscimento di una capacità autoorganizzativa da parte della natura fa da premessa, in Buffo n, per l'affermazione di una concezione dinamica della vita, in cui gli stessi processi di morte e di dissoluzione degli organismi vengono interpretati come funzionali ai processi vitali e di generazione. Le molecole organiche, per Buffon, sono indistruttibili: la

morte travolge le forme viventi particolari, non la vita. Le molecole organiche, dopo il dissolvimento di una pianta o di un animale, permangono nella loro immutata capacità di essere assimilate da un nuovo organismo, o anche di riunirsi a produrre, per generazione spontanea, altri organismi. La vita dunque prevale sempre sulla morte; ciò spiega perché nella natura si manifesti una progressiva tendenza all' organizzazione. Questa tendenza spiega, tra l'altro, i fenomeni di rigenerazione di parti amputate, descritti all'inizio del secolo da Réaumur nei gamberi, e di rigenerazione di individui completi a partire da parti, osservati da Abraham Trembley nell'idra d'acqua dolce.

Rielaborare, discutere, argomentare

l

O

e e O

2

Classificate gli autori affrontati in queste pagine relativamente alle tendenze meccanicistiche o antimeccanicistiche che essi esprimono. Quali autori danno il contributo più significativo per l'affermazione di una concezione "dinamica" e "vitalistica" della natura? Definite i seguenti concetti: "generazione spontanea", "ovismo", "spermatismo", "preformismo", "epigenetismo". Indicate quali sono le risposte che la scienza contemporanea dà ai seguenti problemi: definizione di organismo vivente; classificazione delle specie; fissismo o evoluzionismo delle specie; riproduzione.

Le scienze della terra e la biologia contemporanee propongono teorie molto diverse da quelle che abbiamo presentato in questo percorso. Vi proponiamo una ricerca, che potete svolgere sia individualmente, sia insieme con un gruppo di compagni. O Scegliete uno dei temi affrontati e confrontate le concezioni sei-settecentesche con quelle della biologia contemporanea.

e e O

Le teorie scientifiche attuali sono completamente diverse da quelle del XVIII secolo, oppure il vostro lavoro di confronto ha messo in luce la permanenza di qualche concezione? Poiché la maggior parte delle teorie biologiche di duecento anni fa oggi non è più accettata dalla comunità scientifica, è legittimo, secondo voi, definire quelle teorie "scientifiche"? È corretto parlare di scienze naturali settecentesche, oppure, in quanto superate dalle ricerche posteriori, quelle teorie devono essere definite "non scientifiche"? La storia delle scienze mostra come non esista ambito scientifico in cui l'innovazione non confuti teorie e modelli a cui si era dato, anche per lungo tempo, valore di verità. Ma allora, la storia della scienza si riduce a "un cimitero di teorie morte", da buttare via? Che fiducia possiamo avere verso le teorie scientifiche oggi accettate, quando domani potrebbero essere cancellate da nuove e diverse scoperte e ricerche? 3. Il mondo dei Lumi

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Lezione Profilo

Storiografi illuministi, Condorcet

II mondo storico dei Lumi Temi

Concettt~chtave

*L'Illuminismo fu "antistorico"?* Una nuova visione laica della storia *La storia "filosofica" di Voltai re* La nascita dell'idea di progresso * Condorcet e la storia vista al futuro* Storia e progresso nella cultura anglosassone

storia/ sto riografìa, tempo ciclicoftempo lineare, progresso, civilizzazione

1. Una nuova coscienza storica

~

Ricorda che...

La lettura provvidenzialistica della storia, che rintracciava il senso delle vicende umane alla luce del disegno divino, ebbe il suo fondatore in sant'Agostino, con la Città di Dio.

398

Diderot sosteneva che i {~Jr-

citt;dini

Il contrattualismo affidava la fondazione della società politica a un duplice atto: il pactum unionis, la decisione degli individui di costituirsi in società, e il pactum subiectionis, la decisione di assoggettarsi al sovrano rinunziando alla propria libertà e ai diritti originari. 422

f

2. Il contmtto in Hobbes

uguaglianza di capacità, aspirazioni, diritti

pactum subiectionis

guerra di tutti contro tutti

sovranità assoluta alienazione totale dei diritti

stato #ti'){,

~~J~

cittàdini

ciascun

individuo verso il sovrano

stato di natura

Per Hobbes, il contratto è essenzialmente un pactum subiectionis degli individui rispetto al sovrano e implica l'alienazione totale di tali diritti allo stato (il sovrano non è soggetto al contratto). 3. Il conttatto inLocke

società naturale legge di natura, instabilità

utilità di istituire lo stato

., .

patto "--"''""'''""'-~'"'é'~"'wf"'~

1

Come i giusnaturalisti, Rousseau considera l'uscita dallo stato di natura attraverso il contratto come condizione necessaria alla sopravvivenza della specie e ritiene che alla base del contratto vi sia l'alienazione, totale o parziale, delle prerogative individuali naturali. Rousseau ne dà però un'interpretazione estremamente radicale, avvicinabile a quella di Hobbes. Ma l'alienazione in Hobbes è a favore di un terzo, il sovrano, che non è un contraente del patto; in Rousseau della collettività, cioè del corpo comune degli individui. L: alienazione deve essere totale per consentire, nel momento del contratto, la creazione di un livello di uguaglianza assoluta, l'azzeramento di ogni disuguaglianza (il patto in regime di disuguaglianza non può che essere iniquo). Solo l'alienazione senza riserve permette la creazione dello stato, che è convenzionale, artificiale: non vi può essere alcuna sopravvivenza dell'indipendenza naturale.

Del sovrano Si vede da questa formula che l'atto di associazione racchiude un' obbligazione reciproca tra pubblico e privati, e che ciascun individuo, contrattando, per cosl dire, con se stesso, si trova impegnato sotto un doppio rapporto; cioè come membro del sovrano verso i privati, e come membro dello Stato verso il sovrano. [... ] Ora il sovrano, non essendo formato che degli individui che lo compongono, non ha né può avere interesse contrario alloro; per conseguenza il potere sovrano non ha affatto bisogno di un garante verso i sudditi, perché è impossibile che il corpo voglia nuocere a tutti i suoi membri; e noi vedremo più oltre che nemmeno può nuocere ad alcuno in particolare. Il sovrano, per il solo fatto che è, è sempre tutto ciò che deve essere. Ma non è cosl dei sudditi verso il sovrano, al quale, nonostante il comune interesse, nulla risponderebbe dei loro obblighi, se egli non trovasse mezzi di assicurarsi della loro fedeltà. In realtà ogni individuo può, come uomo, avere una volontà particolare contraria o dissimile dalla volontà generale, che egli ha come cittadino; il suo interesse privato può parlargli in modo del tutto diverso dall'interesse comune [... ]. Mfinché dunque il patto sociale non sia una vana formula, esso deve racchiudere tacitamente questo impegno, il quale solo può dar forza agli altri: che chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale, vi sarà costretto da tutto il corpo; ciò che non significa altro, se non che lo si costringerà ad esser libero; perché tale è la condizione che, dando ogni cittadino alla patria, lo garantisce da ogni dipendenza personale; condizione che forma il meccanismo e il funzionamento della macchina politica, che sola rende legittime le obbligazioni civili, le quali senza di ciò sarebbero assurde, tiranniche, e soggette ai più enormi abusi. ].-]. Rousseau, Contratto sociale, I, 6-9; II, 1-4, trad. it. di R. Mondolfo, in Opere, cit.

Poiché la sovranità appru·tiene al popolo e rimane costantemente nelle sue mani, è impossibile in linea di principio che essa possa volgersi a danno del popolo. Quest'ultimo non ha dunque bisogno di alcuna garanzia rispetto al sovrano; non vale la relazione inversa, perché ogni membro della comunità è insieme homme- individualità assoluta, volontà particolare- e "cittadino", citoyen, parte della volontà generale. La permanenza di questa duplicità genera un conflitto tra interessi particolari e interesse generale, o comune. Di qui il "paradosso" per cui la volontà generale costringe i cittadini a essere liberi: il fatto che essa possa esercitarsi nei confronti di tutti è l'unica garanzia contro il formarsi di rapporti di dipendenza personale. Secondo alcuni critici di Rousseau, questa visione della volontà generale, insieme al rifiuto della divisione dei poteri, legittimerebbe una sorta di potere "totalizzante" dello stato nei confronti dei diritti individuali. Jacob Taltnon, ne Le origini della democrazia totalitaria (1952), ha visto addirittura nella dottrina di Rousseau uno dei luoghi di origine del totalitarismo novecentesco. Rousseau è certamente lontano dal punto di vista liberale, che insiste sul primato della libertà individuale e sui limiti del potere dello stato, ma, inserendo la sua riflessione nel contesto storico della società di Antico regime, si può comprendere come il suo tentativo sia quello di indicare le condizioni per la costruzione di una società governata dalla "ragione pubblicà' piuttosto che dal dispotismo.

laboratorio

a Analisi del testo l Perché è necessaria l'uscita dallo stato di natura? 2 Qual è il fìne del contratto sociale? E quale la sua "clausola fondamentale"? 3 Perché l'alienazione deve essere totale e assoluta? 4 Per Rousseau, la legge può obbligare il sovrano verso se stesso? Motiva la risposta.

b

Riflessione

l "Il contratto sociale fonda, per Rousseau, non solo un nuovo tipo di rapporti sociali, ma anche una nuova

dimensione dell'uomo." Svolgi il tema indicato a partire dal commento al breve testo che segue, curando di prendere in considerazione le parole-chiave segnalate in neretto. Ciò che l'uomo perde nel contratto sociale è la sua libertà natu-

rale e un diritto illimitato su tutto ciò che tenta e che può conseguire; ciò che guadagna è la libertà civile e la proprietà di tutto ciò che possiede[ ... ]. Si potrebbe, a ciò che precede, aggiungere, all'attivo dello stato civile, la libertà morale che, sola, rende l'uomo veramente padrone di se stesso; perché l'impulso del solo appetito è schiavitù, e l' obbedienza alla legge, che noi stessi ci siamo prescritta, è libertà. 3. Il mondo dei Lumi

429

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Lezione Profilo

e ucazione alla libertà Temi

Concetti-cltie~ve

*L'educazione del cittadino* Imparare a essere felici nella società *Il bambino non è un piccolo adulto* Educazione negativa e uso della forza* Il divino che sentiamo dentro di noi

felicità, autonomia, educazione negativajeducazione attiva, amor di séjamor proprio, virtù, religione naturale

l. Politica e pedagogia «Tutto è bene uscendo dalle mani dell'Autore delle cose, tutto degenera fra le mani dell'uomo.» Il celebre esordio dell'Emilio riassume quasi aforisticamente la concezione rousseauiana del male come rottura dell'ordine naturale. Ma nel 17 62 (l'anno del Contratto sociale e dell'Emilio) Rousseau è ormai in grado di andare oltre la critica dell'esistente. Può ora indicare le strade per la costruzione di un individuo nuovo, in cui l' homme, cioè lo sviluppo delle qualità naturali umane, e il citoyen, cioè la costruzione di una società giusta, si armonizzino. La politica e l'educazione convergono verso questo scopo. Grande opera di pedagogia, l'Emilio non può dunque essere letto solo in questa chiave; tutti i grandi temi della filosofia rousseauiana vi sono ricapitolati sotto un'angolatura che non guarda più al modello di società giusta del Contratto sociale, ma al modello di una formazione dell'individuo alla moralità. Percorsi complementari di un disegno unitario poiché, dice Rousseau, «quelli che vorranno trattare separatamente la politica e la morale non capiranno mai nulla di nessuna delle due».

2. Educare alla felicità

~

Ricorda che ...

Anche sul piano politico, Rousseau aveva affermato che alla libertà "naturale", definitivamente perduta, si deve sostituire la libertà civile.

Il grande tema della felicità percorre tutto l'Emilio: la felicità è «il fine di ogni essere sensibile, è il primo desiderio che la natura ha impresso in noi e il solo che non ci abbandona mai». Ma di quale felicità si tratta? «Un essere veramente felice è un essere solitario», dice Rousseau, con chiaro riferimento alla propria esperienza di vita. Ma la felicità della solitudine, che è quella stessa di Dio, non appartiene all'uomo sociale. La relazione con gli altri implica una diversa concezione della felicità, non immediata nell'autosufficienza assoluta ~' ma mediata e costruita nel rapporto sociale. Implica dunque l'accettazione di tale rapporto e la capacità dell'individuo di collocarsi in esso secondo un ordine equilibrato e giusto, secondo un ordine morale. Questo è il fine ultimo dell' educazione. È una «fragile felicità», ma è l'unica possibile; e c'è una via per raggiungerla.

3. [autonomia come principio pedagogico ~Ricorda

Anche le caratteristiche dell'uomo allo stato dinatura erano state costruite da Rousseau per via di ipotesi, congetturalmente.

430

Rousseau indica la via per raggiungere la felicità attraverso le tappe dell' educazione del suo Emilio: un discepolo costruito ancora una volta in via d'ipotesi, con un atto immaginativo - secondo un metodo che già abbiamo imparato a conoscere ~ -, risultato di una sorta di "esperimento mentale" che permetta di azzerare i sedimenti del condizionamento sociale e storico. I.:educazione di Emilio ripercorrerà allora il cammino della specie umana dallo stato di natura

FO([US

rautobiografia come percorso di ricerca

Nelle celeberrimè Confessioni, Rousseau non solo ripercorre nella forma di un'intensa e spesso sofferta meditazione su se stesso molte delle tematiche che avevano attraversato la sua riflessione filosofica, ma inaugura un modo nuovo di guardare alla verità del soggetto. L autobiografia è da lui intesa innanzi tutto come ricerca di quella trasparenza che, in un mondo dominato dal dissidio fra essere e apparire, si pone non come un dato, ma come un compito esemplare da realizzare. Rousseau afferma il valore di conoscenza che è contenuto nel rientrare in se stessi, nel ritrovare nell'immediatezza del rapporto con il proprio animo la verità della propria natura. Anche se non segue i percorsi della razionalità discorsiva, anche se, addirittura, avviene più profondamente nell'abbandonarsi alla "fantasticherià' (reverie), il ritorno in se stessi non è un atto irrazionale, un'effusione sentimentale: per Rousseau- scrive Jean Starobinski- «rientrare in se stesso vuoi dire avvicinarsi a colpo sicuro a una maggiore chiarezza razionale e a una evidenza immediatamente sensibile, in opposizione al nonsenso che regna nella società». L agostiniano in te ipsum redi trova in Rousseau un nuovo significato: se le Confessioni di Agostino erano uno svelamento della luce divina all'interno dell'anima, quelle di Rousseau sono un atto di ricerca dell'io condotto in un con-

testo di vita dominato dall' opacità delle relazioni fra gli individui e di ogni individuo con se stesso. Ma c'è un altro punto che merita di essere sottolineato: nell'autobiografia Rousseau non mostra solo un percorso di conoscenza di sé, ma mostra se stesso al fine di essere conosciuto dagli altri. Egli ha la certezza di non essere compreso, di venire misconosciuto: per dissolvere questo errore, vuole che tutti leggano nel suo cuore, perché il giudizio degli altri sia infine equilibrato e giusto. La meditazione autobiografica di Rousseau trascorre cosl continuamente fra la particolarità di una vicenda individuale e l'universalità di un'esperienza esemplare. Che titoli haJean-Jacques per imporre al lettore la propria storia? Non è uomo di rango, non è re né vescovo. Ebbene, questi titoli gli vengono dalla consapevolezza della eccezionalità della propria figura: «Non mi si faccia l'obiezione che, essendo solo un uomo del popolo, non posso dir nulla che meriti l'attenzione dei lettori. Per quanto oscuramente abbia potuto vivere, se ho pensato più e meglio dei re, allora la storia del mio animo è più interessante della loro». Rousseau sembra cosl indicare l'assoluto valore e la piena dignità di quella indagine dell'uomo, di qualunque uomo, su se stesso che sarà uno dei grandi temi della cultura e della letteratura successive.

allo stato sociale, questa volta però sotto la guida dell'educatore, figura eccezionale la cui razionalità è in grado di controllare tutto il processo. Il principio fondamentale della pedagogia di Rousseau è racchiuso in queste parole: «ogni età ha la sua perfezione». Contro una pratica educativa che impone al bambino modelli e conoscenze proprie della condizione adulta e che valuta il successo educativo nei termini di un autoritario adeguamento a tali modelli, Rousseau afferma la centralità del rispetto per il bambino, per i suoi tempi e le sue esigenze: insegnando che occorre partire non dai contenuti ma dal soggetto dell'educazione e dalla conoscenza della sua evoluzione, nel rispetto della sua autonomia. A questo principio, che rimane a fondamento di tutta la pedagogia contemporanea, Rousseau ne lega strettamente un altro: quello dell'educazione negativa, che consiste «non già nell'insegnare la virtù e la verità, ma nel garantire il cuore dal vizio e la mente dall'errore». Il principio segue direttamente dall'assunto che «i primi movimenti della natura sono sempre diritti», che non c'è perversità nel cuore umano, che la deviazione e il vizio vengono dall'esterno~. I vizi assunti nell'età della prima formazione, quella che va dalla nascita sino ai dodici anni, non saranno più sradicati: perciò occorre in ogni modo proteggere Emilio dall'influenza dell'ambiente, favorendo invece lo sviluppo delle sue inclinazioni naturali.

~ Ricorda che ... Analogamente, Rousseau aveva attribuito la corruzione sociale non alla "cattiveria" dell'uomo, ma alla disuguaglianza.

4. Le fasi delf educazione del bambino Rousseau immagina uno sviluppo cognitivo che muove dalla sensazione ~ e che solo in un secondo tempo vedrà all'opera riflessione e ragione: occorre condurre gradualmente Emilio dalla sensazione al pensiero, legando il suo apprendimento non ai libri e ai discorsi, ma alle esperienze concrete.

~

Ricorda che ...

J,i

Un modello analogo era stato elaborato da Condillac con la celebre metafora della "statua".

3. Il mondo dei Lumi

431

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Ricorda che...

Analogamente, Rousseau considera accettabile la dipendenza dell'individuo dalla volontà generale, non quella da altri individui.

Confronti L:uso autonomo della ragione è un principio caro a tutto l'Illuminismo e fondamentale nella filosofia di Kant, che non a caso apprezzerà l'Emilio più di ogni altra opera di Rousseau.

Così, nella prima infanzia, sin verso i tre anni, Emilio educherà la propria sensibilità, imparerà a distinguere gli oggetti tra loro e sé dal mondo esterno, si familiarizzerà con l'ambiente fisico. Nella seconda fase dell'infanzia si ha l' educazione della "ragione sensitivà': Emilio imparerà a riflettere sulle proprie percezwm. "Ceducazione continua qui a essere negativa: l'educatore pianificherà sapientemente ogni cosa affinché Emilio compia da se stesso le scoperte che, gradualmente, costituiscono la sua conoscenza del mondo (è questo il principio dell' educazione attiva, anch'esso destinato ad ampio sviluppo nella pedagogia posteriore). "Ceducatore non proverà a coinvolgere Emilio in ragionamenti, perché la ragione non è ancora sviluppata nel bambino; non emetterà giudizi né darà punizioni, perché Emilio non ha ancora acquisito la capacità di discernere il bene dal male. "C obbedienza di Emilio sarà ottenuta con la pura autorità, senza discussione: «adoperate la forza con i fanciulli e la ragione con gli uomini», è lo sconcertante precetto di Rousseau. Bisogna che Emilio impari a conoscere «il pesante giogo della necessità [... ] ma che veda questa necessità nelle cose, non negli uomini», nell'autorità dell'educatore, non nel suo capriccio. La dipendenza è inevitabile: ma è accettabile la dipendenza dalle cose, inaccettabile quella dalle persone~. Con la terza fase, dai dodici ai quindici anni, le capacità intellettuali di Emilio si sono ormai formate a sufficienza perché possa incominciare lo studio delle discipline, la geometria e la fisica in primo luogo: non si darà alcuna nozione astratta, ma si legherà ogni conoscenza a un'utilità riconoscibile dall'allievo, che costruirà da sé i principi delle scienze. Solo ciò che ci riguarda può essere imparato.

5. Ceducazione del cittadino alla virtù Al culmine di questo periodo, intorno ai quindici anni, si apre una fase radicalmente nuova dell'educazione. Emilio ora ha idee, non solo sensazioni, pronuncia giudizi; vive passioni; entra in relazione con i suoi simili: l'amore di sé, che lo legava alla pura autoconservazione, si sta trasformando in amor proprio, che implica il confronto con gli altri.

CITAZION l Rousseau L 'educazione dell'uomo Tutto è bene uscendo dalle mani dell'Autore delle cose, tutto degenera fra le mani dell'uomo. Egli sforza un terreno a nutrire i prodotti propri d'un altro, un albero a portare i frutti d'un altro; mescola e confonde i climi, gli elementi, le stagioni; mutila il suo cane, il suo cavallo, il suo schiavo; sconvolge tutto, altera tutto, ama le deformità, i mostri; non vuoi nulla come l'ha fatto natura, neppure l'uomo; bisogna addestrarlo per sé, come un cavallo da maneggio; bisogna sformarlo a modo suo, come un albero del suo giardino. Senza di ciò, tutto andrebbe peggio ancora, e la nostra specie non vuoi essere formata a mezzo. Nello stato in cui oramai le cose si trovano, un uomo, abbandonato a se stesso fin dalla nascita, sarebbe fra gli altri il più alterato di tutti. I pregiudizi, l'autorità, la necessità, l'esempio, tutte le istituzioni sociali nelle quali ci troviamo sommersi, soffocherebbero in lui la natura e non metterebbero nulla al suo posto. Essa si troverebbe come un arboscello che il caso fa nascere in mezzo ad una strada, e che i passanti fanno perire presto, urtando432

lo da ogni parte e piegando/o in tutti i sensi [.. .]. Noi nasciamo deboli e abbiamo bisogno di forze; nasciamo sprovvisti di tutto e abbiamo bisogno di assistenza; nasciamo stupidi e abbiamo bisogno di giudizio. Tutto quello che non abbiamo dalla nascita e di cui abbisognamo da grandi, ci è dato dall'educazione. Questa educazione ci viene o dalla natura, o dagli uomini, o dalle cose. Lo sviluppo interiore delle nostre facoltà e dei nostri organi è l'educazione della natura; l'uso che ci s'insegna a fare di questo sviluppo è l'educazione degli uomini; e l'acquisto della nostra esperienza sugli oggetti che ci commuovono è l'educazione delle cose. Ciascuno di noi è dunque educato da tre specie di maestri. Il discepolo, nel quale le loro diverse lezioni si contraddicono, è male educato e non si troverà mai d'accordo con se stesso: colui invece nel quale tali insegnamenti cadono tutti sugli stessi punti e tendono ai medesimi fini, è il solo che proceda verso il suo scopo e . ··~~ viva coerente a se stesso. Quegli solo è educato bene.

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Rousseau FOCUS

La religione in Rousseau

Nel quarto libro dell'Emilio, illustrando l'ideale etico-religioso che ispira l'ultima fase dell'educazione, Rousseau inserisce la celebre Professione di fede del vicario savoiardo. Con chiaro intento polemico nei confronti di ogni forma di intellettualismo religioso, Rousseau mette in bocca a un umile prete di campagna la propria "professione di fede", la propria concezione della religione. I dogmi fondàmentali di questa fede sono costruiti in opposizione al sensismo e al materialismo largamente diffusi presso i philosophes: Rousseau rifiuta di ammettere che il mondo «sia un grande animale che si muove da se stesso» e afferma la necessità di pensare «che una volontà animi l'universo e muova la natura» (primo dogma). Dall'ordine del creato segue il secondo dogma, che questa volontà sia anche una "intelligenza", mentre il terzo dogma afferma la libertà antologica dell'uomo, cioè la possibilità che è in lui di operare scelte al di fuori di ogni determinismo.

Nella libertà dell'uomo si fondano anche l'origine del male morale e la possibilità della redenzione da esso: il dogma «bisogna credere in Dio per essere salvati - afferma Rousseau- male inteso, è il principio della sanguinaria intolleranza». Questa negazione del peccato originale e della trascendenza della salvezza è alla base della condanna dell'Emilio: ma tutta la Professione di fede risulta inaccettabile per le autorità ecclesiastiche, di Parigi come di Ginevra. Rousseau respinge il materialismo e l'ateismo di molti philosophes, ma la sua concezione della religione è chiaramente naturalistica. Non nega la rivelazione, ma rifiuta recisamente «l'obbligo di riconoscerla». Contro il dogmatismo di teologie costruite attraverso un uso presuntuoso della ragione, egli afferma che «il culto essenziale è quello del cuore». Le dispute dogmatiche, dove per ogni verità si può a ragione sostenere l'opposto, non possono produrre altro che fanatismo intollerante o desolante scetticismo.

È giunto dunque il momento dell'educazione morale, sociale e religiosa, il cui senso e il cui fine sono di fare di Emilio un essere capace di un uso autonomo della propria ragione. I.:educazione alla virtù farà di Emilio un "uomo morale": la moralità consiste essenzialmente in una disciplina delle passioni (non nella loro cancellazione o mortificazione), cioè nell'assenso dato a quanto in esse vi è di autenticamente rispondente all'amore naturale di sé, rifiutando quanto di fittizio e di inautentico vi è aggiunto dall'amor proprio e dall'amplificazione dei bisogni sociali; una scelta operata seguendo il lume della ragione e insieme la voce della coscienza, che si fa sentire come guida infallibile nell'anima di ogni uomo. Da ultimo, l'educazione politica preparerà Emilio al suo inserimento nella vita sociale disciplinata dal diritto: egli sarà in condizione di distinguere autonomamente il giusto e l'ingiusto nelle istituzioni sociali e agirà secondo l'accordo della propria volontà particolare con la volontà generale della comunità.

verifica

a

Conoscenza dei termini Definisci: educazione negativa; educazione attiva, amor df séfamor proprio, virtù del cittadino.

b

Comprensione di concetti e relazioni 1 Che rapporto c'è fra il Contratto sociale e l'Emilio, fra politica e pedagogia, nella filosofia di Rousseau? 2 Che analogia c'è fra il modo in cui Rousseau pensa

il fanciullo e quello in cui pensa l'uomo naturale? 3 Quali sono i principi fondamentali della pedagogia di Rousseau? 4 Quale ruolo ha l'educatore nella formazione del fanciullo? 5 Perché Rousseau sostiene la necessità di usare la forza nell'educazione? 6 Quali sono le fasi di tale educazione? 7 Qual è il punto di arrivo dell'educazione, e perché?

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Idee tra senso comune e filosofia

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1r1 he ciascun individuo abbia dei diritti- che esistano dei diritti dell'uomo in quanto tale- e che lo stato debba rispettarli e tutelarli, è un'idea oggi così universalmente condivisa, almeno nei nostri sistemi liberai-democratici, da risultare quasi ovvia. Tutti noi sappiamo, e quasi sentiamo, di avere diritto, per esempio, alla libera espressione del pensiero, al voto, all'istruzione; e avvertiamo altresì come un nostro diritto quello di reclamare il rispetto dei diritti di cui siamo titolari, se vengono offesi, limitati, o non sufficientemente garantiti. E siamo infine disposti a riconoscere che tali diritti valgano per noi come per gli altri, per tutti gli altri: che siano cioè universali. Ma chi decide quando un diritto è tale? Se pensiamo ai diritti ci vengono subito in mente la libertà di stampa, di parola, di voto: e il presidente sudafricano Nelson Mandela che depone la scheda nell'urna dopo secoli di schiavitù e di razzismo ne è un simbolo. Ma non avere come unica fonte d'acqua un pozzo nel deserto o poter trascorrere l'infanzia senza un'arma in mano: sono anche questi "diritti"?

C

l diritti fra Diritto e morale È importante comprendere che l'esistenza stessa di diritti è assai recente. L''età dei diritti" data dal Settecento, il che significa che in un'immaginaria linea del tempo delle civiltà umane essa non occuperebbe che un ultimo, ridottissimo segmento. In secondo luogo, bisogna sottolineare che la quasi ovvia nozione di "diritti dell'uomo" costituisce invece un campo assai problematico, ricco di interrogativi la cui risposta non può che essere storica, quindi mutevole e sempre aperta. Incominciamo a distinguere fra "diritto" e "diritti", ovvero fra diritto oggettivo e diritti soggettivi. Il primo, che chiameremo Diritto con la maiuscola, è l'insieme delle norme giuridiche che regolano i rapporti fra i cittadini e fra questi e lo stato. I "diritti" sono invece interessi soggettivi, di cui è titolare il singolo individuo, persona, cittadino. Ma è nel rapporto fra i due concetti che sorgono i problemi. Sotto il profilo giuridico, gli unici diritti sono quelli

riconosciuti dal Diritto: i diritti sono infatti tutelabili solo all'interno dell'ordinamento giuridico. Questo punto di vista non è tuttavia esauriente: in primo luogo, perché lo stesso Diritto positivo è una realtà storicamente variabile, e dunque muta in relazione proprio a quanti e quali "diritti" o interessi esso giudica legittimi, e quindi da tutelare; in secondo luogo, perché ogni concezione dei diritti ha a che fare con qualche idea della persona umana, della dignità dell'uomo, ovvero con una sfera morale che non coincide necessariamente con quella giuridica. La tematica dei diritti, in altre parole, identifica (ieri come oggi) un campo di valori, oltre che una realtà giuridico-politica; definisce l'orizzonte di un mondo come sarebbe desiderabile che fosse, non solo come effettivamente è. Proprio da questo muoversi sempre fra due piani - quello etico-filosofico o quello giuridico-politico - discende la problematicità dell'idea dei diritti.

l diritti degli antichi Il mondo antico non conobbe nulla di paragonabile al nostro concetto di "diritti umani". Nelle esperienze delle monarchie centralistiche del Vicino Oriente antico, l' attenzione era puntata sui doveri dei sudditi, nel quadro di un potere considerato assoluto e di origine divina. Ma anche nei sistemi di cittadinanza elaborati dalle poleis greche o dalla respublica romana, che pure si preoccupavano di tutelare le prerogative e gli obblighi dei cittadini, non esistevano istituti che si riferissero alla garanzia di diritti umani fondamentali. È vero che lo stoicismo elaborò la dottrina dell'uguaglianza fra tutti gli uomini, considerandoli ugualmente partecipi, in quanto esseri razionali, dellogos universale; e

che Cicerone tradusse tale idea nell'embrione di un principio giuridico-politico, quando affermò che ciascun individuo appartiene a una civitas maxima -la cittadinanza universale dell'umanità dotata di ragione -le cui leggi positive devono ispirarsi alla suprema !ex naturae, l'unica, vera legge, divina e da sempre esistente. Ma queste teorie, che pure p refiguravano per molti aspetti il moderno giusnaturalismo, non diedero luogo a diritti giuridicamente riconosciuti perché operavano in sistemi politici, come quelli antichi, che muovevano sempre dal bene comune, dall'utilità generale, dalla salvezza dello stato- e non dell'individuo- per elaborare le proprie norme.

Le libertà medievali In età medievale, la dottrina del diritto naturale e la concezione cristiana della universale fratellanza degli uomini, e della loro uguaglianza dinanzi a Dio, vennero utilizzate per tracciare i limiti del potere regale e signorile: il principe cristiano doveva riconoscere i dettami di una legge naturale e divina che egli pure era tenuto a rispettare, e che gli vietava ogni arbitrio circa la vita, la persona e la proprietà dei suoi sudditi. D'altro canto, il diritto feudale, che disciplinava il rapporto di vassallaggio, prevedeva obblighi di fedeltà da parte del vassallo contro obblighi di protezione da parte del signore. Di fronte al signore inadempiente, o che addirittura abusava dei suoi poteri, il diritto feudale rendeva legittima l'opposizione del subordinato, sino al

ripudio del vassallaggio. È a questo principio giuridico che si rifecero, nel Basso Medioevo, le lotte in difesa dei diritti di libertà condotte da feudatari e città contro i sovrani. I documenti che sanciscono l'esito di tali lotte il cui esempio più celebre (ma non unico) è la Magna Charta Libertatum sottoscritta nel 1215 dal sovrano inglese Giovanni Senza Terra - appartengono alla preistoria costituzionale europea perché rappresentano atti di autolimitazione del potere regale e sanzioni solenni di diritti formali di libertà. Ma due elementi distanziano fortemente questi documenti dalla moderna concezione dei diritti. In primo luogo, il fatto che la garanzia dei diritti è da essi concepita come una autolimitazione del potere, ovvero 3. Il mondo dei Lumi

435

PROBLEMI come una concessione il cui fondamento sta nella sovranità stessa; in secondo luogo, il fatto che tali garanzie valgono solo per determinate cerchie di persone, o per ceti, o per località, non per ciascuno e per tutti, non universalmente. Le "libertà" sono non a caso, per il diritto feudale, sempre al plurale (iura et libertates), perché esse si configurano piuttosto come privilegi, ossia come legislazioni par-

ticolari, o esenzioni particolari dalla legislazione, spettanti a soggetti specifici. Esse appaiono quindi come il risultato della secolare contrattazione che vide impegnati i monarchi e i ceti feudali, gli uni interessati a estendere la propria giurisdizione, gli altri a difendere garanzie consuetudinarie. Non si trattava, in una parola, dei diritti individuali e universali di libertà come noi li intendiamo.

La moderna idea dei diritti La moderna concezione dei diritti umani nasce e si afferma in ambito filosofico, nel XVII secolo, e occorre attendere la fine del XVIII secolo perché essa inizi a tradursi in atti giuridici e politici. Alla sua base troviamo ragioni storiche e culturali: la travagliata affermazione degli stati nazionali, che sostituirono al vincolo di dipendenza personale tipico del feudalesimo la sovranità esclusiva e impersonale del potere pubblico; la riforma protestante, che indebolì il paradigma della derivazione divina del potere imponendo la ricerca di nuove fonti di legittimità della sovranità; le guerre di religione, che posero all'ordine del giorno la tematica della libertà religiosa e della tolleranza; la formazione di una cultura individualista, cioè fondata sull'idea che la società e lo stato vadano pensati a partire

dall'individuo e dai suoi diritti, e non viceversa. È nel corso del XVII secolo, con il giusnaturalismo e il contrattualismo, che vengono posti in modo nuovo i problemi del fondamento e legittimazione del potere sovrano e dei suoi limiti. I.: affermazione dell'esistenza di diritti universali, di cui ciascun individuo è titolare per natura, fonda e legittima il diritto positivo che su di essi si incardina; rende non necessario il ricorso a una derivazione divina del Diritto, sostituendovi la fondazione razionale; stabilisce una sfera di libertà che il Diritto non può violare, giacché il patto che sta alla base della società politica dota sì lo stato di forza coattiva, ma sempre all'interno dei limiti tracciati dai documenti che fondano la convivenza civile (le future costituzioni) e posti dal consenso dei cittadini (ormai non più sudditi).

la svolta settecentesca Il Settecento portò alla tematica dei diritti umani alcune novità fondamentali: in primo luogo, il loro innalzamento a grande tema del dibattito pubblico, grazie all'opera degli illuministi; in secondo luogo, la loro universalizzazione, giacché si sostenne l'esistenza di diritti spettanti a qualsiasi essere umano, in quanto tale, sotto qualsiasi giurisdizione; infine, la traduzione dei

diritti dal piano dei valori a quello giuridico-politico attraverso la loro trasformazione in diritti pubblici soggettivi. È quanto venne compiuto con le due grandi Dichiarazioni dei diritti rivoluzionarie - quella americana del 1776 e quella francese del 1789 - e con le Costituzioni che ne derivarono.

ili Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti: che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati da/loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che tra questi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità. Questa celebre proposizione, che apre la Dichiarazione di indipendenza delle colonie americane del 4 luglio 1776, sta a fondamento di tutta la nostra civiltà giuridico-costituzionale, perché traduce per la prima volta in impegno politico i princìpi della libertà e dell'uguaglianza civile e politica. Un universalismo ancora più accentuato si ritrova nella

Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino approvata il 26 agosto 1789 dall'Assemblea nazionale francese, cioè dall'organismo costituente che allo scoppio della rivoluzione si era autonominato rappresentante del popolo francese. Dopo la solenne affermazione dell'articolo l - «Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti» -, l'articolo 2 non solo elenca tali diritti

(libertà, proprietà, sicurezza e resistenza all'oppressione) ma addirittura dichiara che «il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell'uomo». I diritti, pertanto, non sono più una limitazione circoscritta e settoriale della sovranità, ma rappresentano il fìne per cui lo stato è istituito. :Larticolo 4 afferma che d'esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano ad altri membri della

Diritti universali

società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti sono determinati dalla legge». Ma come si può affidare alla legislazione il potere di limitare i diritti? La risposta teorica al quesito si trova nel fondamentale articolo 6, dove si afferma che «la legge è espressione della volontà generale»: il principio contrattualistica viene qui posto a fondamento dello stato, richiamando quell'idea di sovranità popolare che Jean-Jacques Rousseau aveva teorizzato nel Contratto sociale (1762).

co lari

Ciò che rende straordinarie le due Dichiarazioni settecentesche è il fatto di coniugare i grandi temi della filosofia con una battaglia politica volta a mutare le cose, ed effettivamente capace di mutare le cose, al punto che noi possiamo riconoscervi non solo i fondamenti teorici di una visione liberale e democratica del mondo, ma anche l'esordio di un nuovo modo di organizzare concretamente i rapporti fra gli uomini. Ma il percorso storico di concreta attuazione di quei valori fu tutt'altro che agevole, e anche oggi solo in parte è compiuto. Queste difficoltà non nacquero solamente dalle resistenze frapposte da ceti, interessi e orientamenti politici conservatori o reazionari. Anche se queste resistenze, fortissime nell'Ottocento, si sono progressivamente indebolite, l' affermazione universale dei diritti resta difficile. Dal punto

di vista filosofico, la radice delle difficoltà sta nella problematicità dell'idea stessa dei diritti, che pretendono di valere universalmente ma devono poi venire tradotti in istituti giuridico-politici particolari. Gli illuministi proclamavano i diritti dell'uomo, ma ben pochi di essi si spinsero fino a richiedere l'abolizione della schiavitù. Llnghilterra settecentesca era all'avanguardia nella tutela dei diritti di cittadinanza, ma al tempo stesso era in prima fila nel governare il traffico bestiale di esseri umani dall'Mrica all'America. Dal canto suo la Costituzione americana, dopo avere solennemente proclamato i diritti dell'uomo, non faceva menzione dei diritti degli indigeni e degli schiavi, rivelando che "l'uomo" di cui essa voleva garantire la libertà e la felicità era in verità solo un certo uomo, il cittadino bianco americano.

Dai diritti ai poteri Come ha sostenuto Norberto Bobbio, il tentativo di fondare razionalmente e universalmente i diritti incorre in aporie insuperabili: i diritti dell'uomo sono infatti impossibili da definire una volta per tutte; i diritti sono sovente in conflitto fra loro (ciò che è un diritto per alcuni è un impedimento per altri: basti pensare al conflitto fra diritto alla proprietà e diritto all'eguaglianza); la stessa classe dei diritti ritenuti "fondamentali" varia al mutare delle condizioni storiche e dei sistemi culturali e sociali. È possibile individuare tre fasi nell'evoluzione storica della classe dei diritti fondamentali: llllla fase dell'affermazione dei diritti di libertà e dei diritti civili (l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge), corrispondente alla costruzione dei sistemi politici liberali (fine Settecento e gran parte dell'Ottocento); ~'tl quella dei diritti politici (diritto di elettorato attivo e passivo, diritto di associazione), la cui affermazione coincide con il passaggio ai sistemi democratici a suffragio universale (ultimi decenni dell'Ottocento e primi del Novecento);

1111 quella, infine, dei diritti sociali (all'istruzione, alla salute, alla sussistenza, alla sicurezza sociale) che innervano la concezione novecentesca dello stato sociale o wel-

fare state. Locke considerava diritti fondamentali la vita, la libertà e la proprietà: avrebbe giudicato una follia includere nella sua lista il diritto di voto o, peggio ancora, quello a un giusto salario, come noi invece facciamo. Quelli di Locke erano i diritti naturali di un uomo del suo tempo; un tempo in cui il problema fondamentale era la difesa delle garanzie individuali dallo stato. Non poteva immaginare che i diritti, nella loro evoluzione storica, sarebbero divenuti poteri: il potere di agire nello stato, partecipando alla vita politica; il potere di esigere dallo stato un intervento attivo nella garanzia del benessere e della sicurezza di tutti e di ciascuno. Né poteva immaginare che la sfera dei ritenuti titolari di diritti fondamentali si sarebbe ampliata a soggetti come le donne, i bambini o addirittura l'ambiente naturale, gli animali, le generazioni future. 3. Il mondo dei Lumi

437

PROBLEMI

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l Quale Diritto per i diritti universali? l Nel nostro tempo, il problema rimane quello

di coniugare il carattere universale dei diritti - cioè il loro valere non per i cittadini di questo o quello stato, ma per tutti gli uomini del mondo - con la loro affermazione positiva, cioè con la loro effettiva tutela. Non possiamo considerare compiuto una volta per tutte neppure il percorso di realizzazione dei diritti di libertà e dei diritti politici, date le violazioni che essi subiscono quotidianamente in ogni parte del mondo. Tanto meno possono dirsi adeguatamente realizzati i diritti di "nuova generazione" come quello alla salute, alla sussistenza, all'istruzione, alla tutela dell'infanzia, alla salvaguardia dell'ambiente. Il fatto è che quanto più universali sono i diritti, tanto più problematica risulta la loro tutela giuridica. In quale sistema normativa saranno inseriti? Quale ordinamento giuridico disporrà della forza coattiva necessaria a garantirne la tutela? Il nostro punto di riferimento, oggi, è la Dichiarazione universale dei diritti umani approvata il l O dicembre

1948 dall'Assemblea generale dell'Onu, quasi a voler chiudere la tragedia della guerra e della Shoah, rifondando su basi nuove i rapporti fra i popoli. Si tratta di un testo di grande importanza, perché fissa, per la prima volta nella storia, un sistema di princìpi fondamentali abbracciati da tutti i popoli del mondo, attraverso i loro governi. Lattuazione della Dichiarazione del 1948 (e di tutte quelle che l'hanno seguita su materie particolari, dalla proibizione della tortura al rispetto dei bambini) è tuttavia, come sempre, affidata per intero alla politica: alla legislazione dei singoli stati ma soprattutto alla decisione di conferire potere o, almeno, influenza crescenti a trattati internazionali e a istituzioni sovranazionali capaci di far rispettare tali principi, come il Tribunale dell'Aia o la Corte penale internazionale istituita nel dicembre 2002. Come duecento anni fa, dunque, il banco di prova dell'idea dei diritti è la politica; ma, a differenza di allora, il futuro di questa idea non può essere immaginato che su scala globale.

Rielaborare, discutere, argomentare

l

2

l:idea dei diritti umani è oggi al centro di forti discussioni, che ruotano tutte intorno alla difficoltà di fondare e tutelare universalmente tali diritti in presenza di un sempre più forte pluralismo culturale e religioso. Come si può pretendere che valgano per tutti dei diritti che sono in realtà il costrutto di una civiltà specifica, quella occidentale? e che per di più, proprio per tale ragione, possono essere percepiti da altre culture come espressione non di universalismo, ma di egemonia e di dominio? Di fronte a tali dubbi, un filosofo contemporaneo, Richard Rorty, osserva che, comunque, la cultura dei diritti umani è uno degli indici più rilevanti del progresso morale e che quest'ultimo consiste con l'affermarsi «della nostra capacità di vedere come moralmente irrilevanti un numero sempre maggiore di differenze fra esseri umani». Siete d'accordo con: tale affermazione? Sapreste commentarla utilizzando qualche esempio tratto dalla realtà contemporanea?

I documenti fondamentali in materia di diritti umani sono: • La Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del1789 • La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del1948 • La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (2000) Procuratevi questi tre testi (per esempio attraverso una facile ricerca in Internet) e stilate un elenco delle parole-chiave comuni ad essi. Segnalate poi le differenze più rilevanti che notate fra i principi generali affermati dalle tre "carte".

llìl JeanBaptisteSiméon Chardin, Il castello di carte (1737).

l Settecento si caratterizza per una viva sensibilità verso i problemi educativi. Tale sensibilità, unita alla valorizzazione dell'età infantile, è testimoniata dalle rappresentazioni dei bambini nelle opere pittoriche, come ricorda Il castello di carte (1737) dell'artista francese Jean-Baptiste-Siméon Chardin. Il dipinto, però, invita anche a interrogarsi sul modello formativo presentato. Quale pratica educativa suggeriscono l'atmosfera silenziosa e immobile e la caratterizzazione fisica e psicologica del fanciullo? Una pratica volta a favorire il libero sviluppo delle facoltà personali o a disciplinare la naturale tendenza infantile all'attività? L opera vuole evidenziare la peculiarità del mondo dei bambini, distinto dal mondo adulto, o proporre l'isolamento dei fanciulli come condizione per educarli? E il tema del castello di carte rinvia a una concezione del gioco come espressione spontanea di creatività o come addestramento a concentrarsi su un compito? Il dipinto suscita, dunque, interrogativi sui fini e sui metodi dell'educazione: interrogativi fondamentali per la riflessione pedagogica e centtali nei dibattiti settecenteschi.

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3. Il mondo dei Lumi

439

PROBLEMI

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L'educazione moderna

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Un secolo per l'educazione

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D' Alembert: la critica dei collegi

Per comprendere tali dibattiti, è utile ricordare che le teorie pedagogiche e le pratiche formative del XVIII secolo rispecchiano le linee di sviluppo della riflessione e delle iniziative educative dell'età moderna. Come sostiene Franco Cambi nella sua Storia della pedagogia (1995), nel Settecento emerge consapevolmente l'asse problematico centrale della pedagogia e dell'educazione moderne: l' antinomia tra «conformazione ed emancipazione». La tensione tra i due poli è chiara: dal lato della «conformazione» vi è il progetto di educare cittadini inseriti nella comunità, plasmati in funzione dello sviluppo della società; dal

Tornando all'interesse settecentesco per le questioni educative, è opportuno notare che la rilevanza sociale e politica assunta dai dibattiti pedagogici nel XVIII secolo si inquadra pienamente nell'orizzonte culturale illuministico e ne riflette la tensione ideale verso l'emancipazione dell'uomo. Tipicamente illuministiche, infatti, sono sia la critica alla cultura tradizionale e alle istituzioni educative esistenti sia la fiducia nella diffusione del sapere come strumento di progresso, cui corrisponde la funzione di rischiaramento dell' opinione pubblica attribuita agli intellettuali.

lato dell' «emancipazione» vi è la libertà, assunta come dimensione fondamentale nella formazione di un uomo padrone della propria storia. Sempre nel Settecento, in rapporto al tema dell'educazione, trova espressione un'altra linea di tendenza gradualmente sviluppatasi nell'età moderna, definita dallo storico Philippe Ariès- in Padri e figli nell'Europa medievale e moderna (1960)- «sentimento dell'infanzia». Tale sentimento - ben espresso nel dipinto di Chardin - conduce al riconoscimento della specificità del bambino, riconoscimento che stimola un progressivo ripensamento delle istituzioni formative.

Anche nelle posizioni filosofiche alternative all'Illuminismo, comunque, l'attenzione alle questioni pedagogiche è intensa, segno dell'urgenza dei problemi educativi posti dalle trasformazioni in atto nel mondo moderno. Tali problemi trovano risposte differenti nelle diverse aree nazionali: mentre in Prussia e in Austria si attuano riforme scolastiche, la Francia è un centro di elaborazione teorica, ed è pertanto oggetto della nostra trattazione. Una trattazione volta a ricondurre la riflessione sull'educazione ai più ampi dibattiti dell'epoca sui rapporti tra individuo e società e tra natura e cultura.

In assenza di una politica di rinnovamento delle istituzioni formative, in Francia il pensiero pedagogico sviluppato con diversi esiti dai vari orientamenti dell'Illuminismo - si caratterizza, innanzi tutto, come critica. Lo spirito laico e anticlericale dei Lumi rende costante la polemica contro il modello educativo dei collegi gesuitici, biasimato per il ruolo predominante attribuito alla formazione umanistica e per l'estraneità all'educazione del cittadino. Il riferimento ai classici, infatti, è ritenuto superato dai successi culturali dei moderni e contrasta con l'idea di una formazione dell'individuo utile per il progresso della società. Pertanto, alla voce Collegio, pubblicata nel terzo volume dell' Enciclopedia (1753), l'illuminista Jean-Baptiste Le Rond d'Alembert contesta gli esiti educativi di quest'istituzione: «un giovane, dopo aver trascorso in un collegio dieci anni», ne esce «fornito di una conoscenza molto imperfetta di una lingua morta, di precetti di retorica e di principi di filosofia che deve cercare di dimenticare». Esiti dinanzi ai quali, in attesa di una riforma dei piani di studi promossa dal governo, d'Alembert giudica preferibile l'educazione privata: un modello formativo elitario, come ricorda il dipinto di Pietro Longhi La lezione

di geografia.

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Pietro Longhi, La lezione di geografia (1756-58).

Helvétius: individuo e società Anche nel trattato Lo spirito (1758) di Claude-Adrien Helvétius la critica all'istruzione impartita nei collegi si lega all'intenzione di formare i giovani in vista della pubblica utilità. .Leducazione, infatti, deve «rendere i cittadini più forti, più illuminati, più virtuosi e infine più disponibili a contribuire alla felicità della società». Proprio in vista di questa «felicità della società», secondo Helvétius, è opportuno che «si nutra principalmente la memoria di un giovane delle idee e degli oggetti relativi al ruolo che verosimilmente deve assumere nella società», invece di impegnarla nell'«insipido studio delle parole», necessario all'apprendimento di una lingua morta, come il

latino. La convinzione di poter unire benessere individuale e collettivo, grazie a un'educazione ben organizzata, porta Helvétius ad attribuire ai governi il dovere di formare i cittadini. Infatti, solo dall'educazione pubblica è possibile attendersi la formazione di «patrioti», orientati alla ricerca della «felicità nazionale». Tale prospettiva educativa egualitaria - nota, però, Helvétius - non può non connettersi a un rinnovamento politico: tesi che esercita un notevole influsso sulla pedagogia rivoluzionaria, intenzionata a promuovere l'eguaglianza attraverso l'istruzione e a educare gli uomini per la società rinnovata.

La fiducia nella possibilità di a1·monizzare individuo e società tramite l'educazione assume la forma dell'utopia nel Codice di natura (1755) di Morelly. In questo trattato il nesso tra progettualità politica e pedagogica - già presente nella riflessione dei philosophes ricordati - è particolarmente evidente: la nuova organizzazione

sociale prospettata rende possibile un modello formativo alternativo; questo, a sua volta, educa uomini conformi alla comunità ideale delineata. Ecco perché Morelly inserisce nel suo progetto di società, basato sulla comunanza dei beni, precise norme per la strutturazione del sistema formativo.

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IV. All'età di anni i fanciulli di ogni tribù saranno riuniti, alloggiati e nutriti separatamente secondo il sesso in una casa all'uopo destinata [... ]. VI Man mano che la ragione comincerà a svilupparsi si insegneranno ai fanciulli le leggi della patria, si educheranno a rispettar/e, a ubbidire ai genitori, ai capi, alle persone di età matura [... ]. VIII Tutti i fanciullz~ a dieci anni, lasceranno questa comune dimora paterna per passare negli opifici, dove saranno alloggiati, nutriti e vestiti dai maestri e dai capi di ciascuna professione[ ... ]. IX I maestri e le maestre, al pari dei capi delle professioni, congiungeranno all'insegnamento delle occupazioni meccaniche, gli insegnamenti morali. (Codice della natura)

Natura ed educazione Il potere attribuito all'educazione nella formazione dell'uomo- evidente sia nel trattato di Morelly sia nelle considerazioni di Helvétius - rimanda a un comune presupposto: le dottrine sensistiche, ampiamente diffuse nell'Illuminismo francese. I philosophes fautori di posizioni sensistiche, radicalizzando l'empirismo di John Locke, sostengono l' onnipotenza dell'educazione e il primato della cultura sulla natura. Infatti, se lo sviluppo umano non è condizionato da un patrimonio innato di idee, se il conoscere è interamente riconducibile al sentire, allora l'uomo - come individuo

e come società - è il vero responsabile del suo destino, costruito grazie all'azione educativa. Nel trattato L'uomo, le facoltà intellettuali e la sua educazione (1772) Helvétius sostiene che l'essere umano può venir completamente plasmato: quindi, d'educazione può tutto». Gli uomini nascono uguali, dotati dalla natura solo di potenzialità; le differenze intellettuali e morali dipendono dalle diverse esperienze vissute: dalla formazione ricevuta e dall'ambiente di crescita. Ecco perché, grazie a un'educazione egualitaria, è possibile assicurare a tutti gli uomini il conseguimento della felicità. 3. Il mondo dei Lumi

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PROBLEMI ualità individuali La questione del rapporto tra natura ed educazione è oggetto di un dibattito pedagogico, ma insieme filosofico e politico, tra Helvétius e il filosofo e pedagogista Jean-Jacques Rousseau. Già nella Nuova Eloisa (1760) Rousseau, contro Helvétius, afferma l'esistenza di naturali «diversità di spirito» tra gli individui e richiama al

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rispetto della natura in educazione. Poiché «ognuno trova nascendo un temperamento personale, che determina il suo genio e il suo carattere», l'educazione non deve plasmare gli uomini secondo un modello universale, ma deve lasciar emergere e perfezionare le caratteristiche individuali.

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lf---c-o_s_a_r-is_u_lt,_a_d._a_u_n-'e_d_u_ca_z_i-on-e-in_z_'z-ia-ta_g_ia-'-da-lla_c_u_l!.-a,-s-e_m_rp_r_e_c_on-la-st-e-ss_a_fi_o_rm_u_la-,-s-en_z_a-rz-gu_a_r_d_o_a_l_la

prodigiosa varietà degli spiriti? Che ai più si danno istruzioni nocive ofuori posto, che li si priva di tutte quelle che forebbero per loro, che si costringe la natura in tutti i modi, che si cancellano le grandi qualità dell'anima per sostituir/e con misere e apparenti qualità, senza nessuna realtà; che esercitando indiscriminatamente alle stesse cose tanti talenti diversi, li si cancella a vicenda [... ];che finalmente, come compenso di tante fotiche fuori posto, tutti codesti piccoli prodigi diventano spiriti senza forza e uomini senza qualità, notevoli soltanto per la debolezza e l'inutilità. Oulie ou la Nouvelle Hélo'ise, Rizzo/i, Milano 1964, voL IL pp. 585586)

Rousseau: l'educazione naturale Quale modello formativo rispetta le caratteristiche individuali dell'educando? A questo interrogativo Rousseau risponde nel romanzo pedagogico Emilio (1762), teorizzando la necessità di un'educazione volta alla formazione dell'uomo attraverso un ritorno alla natura: un'educazione che, nella corrotta civiltà contemporanea, è contrapposta all'educazione del cittadino. I.: educazione naturale implica il rispetto dei titmi di crescita e dei bisogni spontanei del fanciullo: esige, quindi, un'adeguata conoscenza dell'età infantile. Invece, nota Rousseau, «l'infanzia non è punto conosciuta» ed è,

quindi, considerata come uno stato di imperfezione rispetto alla condizione adulta. Alla valorizzazione dell'infanzia come età caratterizzata da una propria perfezione, Rousseau unisce un'immagine positiva del bambino, intrinsecamente buono, riflesso della sua concezione ottimistica dell'uomo allo stato di natura. Poiché il bambino - come l'uomo naturale - non è ancora corrotto dalla civiltà, la sua educazione impone un prolungato isolamento dalla società: Emilio viene educato in campagna, da un precettore che ne segue la formazione dalla prima infanzia al mattimonio.

Per procedere nel rispetto della natura, il precettore adotta il metodo dell'educazione «negativa»: non pretende di accelerare la crescita del fanciullo, ma ne accompagna lo sviluppo; non gli insegna verità e virtù, ma lo preserva dall'errore e dal vizio. Attento al sorgere di nuove esigenze in Emilio, l'educatore interviene indirettamente: crea occasioni formative

e lascia che il fanciullo apprenda attraverso il contatto con le «cose», predispone e orienta le sue relazioni con gli altri. In questo modo, godendo di una «libertà ben regolata», Emilio scopre dimensioni sempre più complesse dell' es peti enza: acquisisce una formazione intellettuale e morale, religiosa e sentimentale, sociale e politica.

1 ~1--------~~ Se poteste né for nulla né nulla lasciar fore; se poteste condurre il vostro allievo sano e robusto all'età di dodici anni senza che egli sappia distinguere la destra dalla sinistra, [... ] senza pregiudizi, senza abitudini, egli non avrebbe in sé niente che potrebbe contrariare l'effetto delle vostre cure. [... ] Siccome non si vuoi fore di un bambino un bambino, ma un dottore, padri e maestri non ne hanno mai abbastanza di sgridare, correggere, rimproverare, lusingare[ ... ]. Prendete una via opposta col vostro allievo; che egli creda sempre di essere il padrone, e siate/o invece sempre voi. (Emilio)

Conformazione ed emanci

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Il modello educativo dell'Emilio evidenzia, però, tensioni interne al progetto rousseauiano di un recupero della condizione naturale dell'uomo: un progetto che comprende, insieme con la proposta del romanzo pedagogico, la riorganizzazione politica della società secondo le indicazioni del Contratto sociale (1762). Una prima tensione emerge tra il principio dello spontaneo sviluppo del fanciullo e il controllo esercitato dal precettore. Infatti, la libertà del fanciullo- «ben regolata» dall'intervento nascosto, ma costante del precettore - appare una libertà illusoria, sottoposta a una coercizione dissimulata. Non solo:

nell'opera rousseauiana, accanto all'educazione dell'uomo delineata nell'Emilio, è presente un secondo modello pedagogico. In armonia con le esigenze politiche espresse nel Contratto sociale, infatti, le Considerazioni sul governo della Polonia (1772) suggeriscono di formare i giovani all'«amore della patria», nella prospettiva di un'integrazione dell'individuo nella comunità. Tale coesistenza di elementi contrastanti nel pensiero rousseauiano - oggetto di diverse interpretazioni - pare dunque confermare la centralità dell'antinomia tra emancipazione e conformazione nella pedagogia e nell'educazione moderne.

Rielaborare, discutere, argomentare

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2

Sintetizzate le posizioni pedagogiche ricordate, inquadrandole nel pensiero dei filosofi citati e nel contesto della Francia settecentesca ed evidenziando la presenza dell'antinomia tra conformazione ed emancipazione. Considerate ora il contesto attuale: potete ritrovare anche oggi la tensione tra queste due finalità educative? Ritenete che sia possibile conciliare il pieno sviluppo delle attitudini individuali di un educando con la sua formazione come membro della società? O ritenete che si debba privilegiare o l'individualità o la collettività? Discutete le vostre risposte con i compagni.

Nell'Emilio Jean-Jacques Rousseau individua nella campagna l'ambiente adatto all'educazione. Considerate il dipinto Lady Delmé e i figli di Joshua Reynolds, esempio della ritrattistica inglese del XVIII secolo. Per quali aspetti questo dipinto suggerisce un modello educativo alternativo all'educazione naturale di Rousseau? Sempre nell'Emilio viene affrontato il problema del rapporto tra l'autorità dell'educatore e il libero sviluppo dell'educando: riassumete e valutate la soluzione prospettata da Rousseau.

Il Joshua Reynolds, LadyDelmé e i figli (1777 -80)

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I; alternativa presente nel dibattito settecentesco tra «educazione privata» ed «educazione pubblica»

richiama un altro problema, connesso alla questione delle finalità dell'educazione. Chi esercita legittimamente la funzione di stabilire tali finalità per il singolo educando? La famiglia o lo stato? Oggi il problema è reso particolarmente complesso dal carattere multiculturale e multietnico assunto dalla nostra società. All'interno di uno stato democratico- a vostro parere- qual è il confine tra il diritto di una comunità sociale di trasmettere i suoi valori, al fine di garantire la propria sopravvivenza, e il diritto delle minoranze di aderire a valori alternativi? Esponete e argomentate le vostre posizioni in un breve testo scritto. 3. Il mondo dei Lumi

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* La critica della metafisica e del senso comune* Antidogmatismo e scetticismo moderato* Libertà, tolleranza e critica dell'innatismo *La costruzione della «scienza della natura umana»* Il rapporto di causalità tra impressioni e idee* L'impressione come criterio di verificazione * L'inconoscibilità della causa delle sensazioni* Il principio di associazione *Conoscenza astratta e conoscenza empirica

percezione, impressione, idea, memoria, im magi nazione, abitudine, credenza

1. Antidogmatismo e critica del senso comune

~ Ricorda che... H ume porta alle estreme conseguenze il metodo empirista, dominante nella filosofia britannica con Ockham, nel XIV secolo, e poi con Bacone, Locke e Berkeley.

~ Ricorda che... Cartesio, al contrario degli empiristi e in particolare di Bacone, aveva privilegiato il metodo deduttivo a scapito dell'induzione.

Confmn.ti Hume si ispira al metodo sperimentale baconiano e newtoniano. Da Bacone riprende l'idea che solo l'induzione abbia un valore scientifico. Da Newton raccoglie il rifiuto per le ipotesi astratte.

David Hume è uno dei più grandi filosofi britannici di ogni tempo; probabilmente il più acuto e paradossale. Al contrario di Locke, Hume fu un filosofo assai poco giudizioso e cauto. In campo gnoseologico, morale, religioso, le sue argomentazioni approdano a uno scetticismo scandaloso sia per il senso comune, sia per la cultura della tradizione. La sua concezione empiristica costituisce una delle critiche più radicali alla pretesa di vedere operanti nel mondo leggi e verità universali e necessarie e rappresenta un invito a una maggiore consapevolezza circa i limiti della ragione. Per Hume, non solo le costruzioni della metafisica, ma anche molte delle convinzioni radicate nel nostro common sense rivelano, a un esame razionale, la propria infondatezza. La sussistenza oggettiva del mondo al di là delle nostre percezioni, la dimostrabilità razionale dell'esistenza di Dio, l'uomo stesso come soggetto di conoscenza, tutto risulta fonte di dubbio~.

2. Uno scetticismo moderato La filosofia humeana non conduce tuttavia a uno scetticismo assoluto. Per Hume, l'impossibilità di assicurare alle nostre credenze un fondamento universale e necessario non deve indurci a respingerle, per l'utilità pratica che esse hanno nella vita quotidiana. I..:uomo deve tuttavia abbandonare la pretesa di possedere verità certe, indubitabili ~.Egli possiede solo verità probabili, risultato delle nostre abitudini, delle nostre passioni, dei nostri istinti. Sul piano pratico, Hume invita alla saggezza e alla moderazione, a fare nostro un abito di tolleranza contro il fanatismo e il dogmatismo. In questa visione, anche la funzione della filosofia viene ridisegnata. Essa non ha un ruolo privilegiato rispetto alle altre scienze. Non prescrive norme assolute, ma ci educa al metodo critico e a fare esperienza della realtà in modo concreto e flessibile.

3. La scienza della natura umana Al centro della filosofia di Hume sta il problema della natura umana. La filo~ sofia seicentesca aveva perseguito l'ideale di una scienza rigorosa del mondo natu~ rale. Hume si propone di estendere i risultati e i metodi di tale scienza all'ambito della morale, al fine di costruire una «scienza della natura umana». In questa impresa, Hume appartiene a quella "nuova filosofia inglese" che ha in Shaftesbury, Hutcheson, Smith i principali esponenti. Questi filosofi fondano il

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VITA E OPERE DI HUME

gliorare la salute incerta, nel 1734 compie un «debole tentativo per intraprendere una vita più attiva», impiegandosi a Bristol presso un mercante di zucchero. B Inadatto a quel genere di vita, si imbarca per la Francia, soggiornando a La Flèche, dove compone il

Trattato sulla natura umana (A Treatise of Human Nature), pubblicato a Londra R David Hume nasce a Edimburgo il 26 aprile del 1711 da una famiglia della piccola nobiltà terriera. Dal 1721 frequenta il College di Edimburgo, dove coltiva gli studi classici. Avviato dalla famiglia agli studi di legge, Hume avverte subito «una avversione insopportabile per ogni studio che non riguardasse l'apprendimento della filosofia». • Per non intaccare le sue scarse fortune e per mi-

nel1739. Ritornato in Scozia, entra in rapporti con Hutcheson, all'università di Glasgow. B Nel1741-42 pubblica ventisette Saggi morali epo-

litici (Essays Mora! and Politica!), che lo fanno conoscere a un ampio pubblico. Nel1745, per l'opposizione degli ambienti religiosi, gli viene rifiutata la cattedra di filosofia morale presso l'università di Edimburgo.

R Nel 17 48 pubblica la

Ricerca sull'intelletto umano (Enquiry Concerning Human Understanding). Nel 1751 appare la Ricerca sui principi della morale (/in Enquiry Concerning the Principles ofMorals). Nel1752 vedono la luce i Discorsi politici (Politica! Discourses), che gli valgono l'approvazione di Montesquieu e un grande successo di pubblico. Di questi anni sono anche i Dialoghi sulla religione

naturale (Dialogues Concerning Natura! Religion) e la Storia naturale della religione (The Natura! History ofReligion). B Lasciata la campagna per Edimburgo, Hume è ormai un intellettuale stimato nella "buona società" scozzese, pur se la sua filosofia viene fatta oggetto di violenti attacchi da parte dell'ortodossia religiosa.

progresso dell'uomo sulle idee di libertà e di tolleranza e la morale sull' osservazione concreta dell'azione umana, piuttosto che su principi a priori. Di questa filosofia britannica Locke è, per Hume, il caposcuola. La sua critica alle idee innate, la sua convinzione che la conoscenza derivi dai sensi e che quanto è al di fuori dell'ambito dell'esperienza non sia conoscibile costituiscono il punto d'avvio per la filosofia humeana. Hume non si propone di costituire una scienza dell'uomo autonoma dalle scienze naturali, come farà, all'incirca negli stessi anni, Giambattista Vico. Vuole piuttosto pervenire a una scienza unitaria dell'uomo. Tale scienza si articola in quattro discipline fondamentali: 1. la logica, che studia le operazioni dell'intelletto, 2. la morale, che indaga il sentimento, 3. l'estetica, che indaga il gusto, 4. la politica, che analizza la società umana.

4. La percezione: impressioni e idee In accordo con il metodo empirista che privilegia l'esperienza, l'osservazione e la sensibilità rispetto all'intelletto astratto, la natura umana viene indagata da Hume a partire dal fondamento primario di ogni nostro rapporto con la realtà, fondamento individuato nella e percezione, che è dunque il punto di partenza della gnoseologia humeana. Le percezioni sono la base di tutte le nostre conoscenze: esse sono, per la mente umana, chiare ed evidenti, e gli oggetti sono conosciuti solo attraverso le

R Nel 1763, si reca in Francia, dov'era molto noto; le bon David viene accolto con entusiasmo nei salotti parigini di Madame du Deffand e della marchesa de Boufflers, al cui fascino non rimane indifferente. A Parigi conosce d'Alembert, Buffon, Diderot, Helvétius, d'Holbach; con Rousseau, noto per il cattivo carattere, ha un clamoroso litigio. R Gli ultimi anni di vita trascorrono serenamente, dediti agli agi e alla revisione dei suoi scritti. Muore nel 1776. Nella Autobiografia, così Hume si era descritto: «ero un uomo di carattere mite, padrone del proprio temperamento, di umore aperto, socievole e brioso, capace di amicizia e ben poco capace di inimicizia, estremamente moderato in tutte le passioni».

Confronti Anticartesiano, influenzato dai moralisti inglesi e da Lockc, Hume risente dell'influenza anche di Berkeley e di Malebranche, di cui utilizza le vedute empiristiche, isolandole però dalle loro matrici religiose.

• Lessico PERCEZIONE Il termine è ripreso da Berkeley e significa «tutto ciò che può essere presente alla mente, sia che esercitiamo i nostri sensi, sia che siamo mossi dalla passione o che esercitiamo il pensiero e la riflessione».

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3. Il mondo dei Lumi

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percezioni cui danno luogo. Le percezioni sono di due specie: impressioni e idee. quando proviamo una passione o un' emozior1e, impressione , quando i sensi ci trasmettono le immagini delle cose

idea

su una passione

·c;, quando "'~Ila mente riflette

su un dato oggetto

La differenza tra impressioni e idee consiste «nel grado diverso di forza e vivacità con cui colpiscono la nostra mente e penetrano nella coscienza». Le impressioni sono percezioni vivaci e forti e comprendono tutte le sensazioni, le emozioni e le passioni «quando fanno la loro prima apparizione nella nostra anima». Le idee sono percezioni più pallide e deboli; sono le «immagini illanguidite» delle impressioni.

5. n rapporto

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Confronti Il termine "idea" viene usato da Hume in un significato più ristretto di quello inteso da Locke e da Berkeley, i quali avevano chiamato idee tutte le percezioni.

tra impressioni e idee

Un'impressione consiste nel provare passioni o emozioni e nell'avere sensazioni; un'idea consiste nel riflettere su passioni, emozioni o sensazioni già provate. Un'impressione è, per esempio, quella di chi sente il dolore per una ferita; un'idea è il ricordo della ferita subita. Tra l'una e l'altra esiste una relazione di somiglianza: ogni idea ha un'impressione che le somiglia e a cui corrisponde. Le idee, dunque, sono il riflesso indebolito delle impressioni, le quali sono la causa delle idee corrispondenti. Non possiamo mai pensare, infatti, a una idea (l'idea di azzurro) di cui non abbiamo avuto in precedenza l'impressione corrispondente (per esempio, guardando il mare). Se analizziamo le nostre idee, risulta che sono sempre una copia di un'impressione precedente, e se accade che a un uomo, per difetto di un organo, manchi una determinata impressione, troviamo che gli mancherà anche l'idea corrispondente. Un cieco non può farsi un'idea dei colori, né un sordo dei suoni.

Confronti Per Hume, nessuna delle teorie sull'origine delle percezioni (quella di Cartesio, per cui derivano dal potere creativo dello spirito; quella di Hobbes, per cui derivano dal movimento della materia; quella di Malebranche, che le fa risalire al potere creativo divino) è accettabile, in quanto nessuna è controllabile in modo sperimentale.

Esiste una causa delle nostre sensazioni? A parere di Hume, la loro causa è assolutamente inesplicabile per la ragione umana: è infatti impossibile decidere con certezza se esse provengono dagli oggetti esterni, se sono prodotte dal potere creativo della mente stessa oppure, infine, se esse hanno un'origine divina. Dal punto di vista humeano, la soluzione di tale problema non ha tuttavia una grande rilevanza e conviene piuttosto limitarsi a ciò che viene attestato dalla nostra esperienza. Ogni ragionamento deve dunque fondarsi solo sulle nostre percezioni, evitando ogni ipotesi metafisica. Se spingiamo le nostre speculazioni al di là delle percezioni, entrando in disquisizioni circa le cause ultime, arriveremo solo a ipotesi molto incerte. Conviene invece mantenere l'indagine filosofica nei limiti di uno «scetticismo modesto», ossia di un'onesta confessione di ignoranza circa quelle opinioni che non possono essere convalidate da alcuna percezione.

FOCUS I.: impressione come criterio di verificazione Per Hume, la mente umana ha la facoltà di comporre e associare le idee. Queste ultime, tuttavia, sono tutte derivate dalle impressioni. Se un'idea ci sembra ambigua, l'impressione corrispondente saprà renderla chiara e precisa. Se sospettiamo che a qualche astratto termine metafisica non sia connessa alcuna idea, occorrerà chiedersi da quale impressione tale idea derivi; e se non potrà essere presentata al-

cuna impressione, concluderemo che quel termine è privo di significato. Tutte le idee devono dunque corrispondere a delle impressioni. Ciò costituisce, per Hume, un rigoroso criterio di verificazione delle nostre conoscenze, criterio che fa giustizia delle ingiustificate astrattezze della metafisica, ivi compresa la filosofia cartesiana.

446 c1

7. La memoria e fimmaginazione Le idee conservano e riproducono le impressioni a esse corrispondenti in due modi, come si vede dallo schema ~.

l. attraverso la memoria, che conserva le impressioni • nella loro forma originale idee

conservano riproducono

impressioni

2. attraverso l'immaginazione, che è un'attività produttiva libera di mescolare e comporre le idee, ossia di svolgere nei confronti di queste ultime un'attività di analisi e di sintesi

La nostra immaginazione, per esempio, compie un'attività di sintesi quando noi pensiamo a una montagna d'oro, in quanto non facciamo altro che unire due idee coerenti, quelle di "montagnà' e di "oro" di cui in precedenza eravamo in possesso. Allo stesso modo, possiamo immaginare draghi malvagi e cavalli alati. Non c'è niente di più libero e creativo dell'immaginazione: il legame che essa stabilisce tra le idee non è infatti indissolubile, come è invece quello stabilito dalla memoria, e non ha un immediato fondamento sensibile. rimmaginazione non opera tuttavia a caso; procede con metodo e regolarità. Persino nel caso delle fantasticherie più bizzarre, essa segue un principio comune al genere umano, che Hume chiama principio di associazione, sulla cui base funziona l'intera mente umana.

~

Ricorda che...

Quando conosce, l'uomo ha continuamente percezioni che, nel momento in cui l'esperienza avviene, possiedono il grado massimo di vivacità e di forza (impressioni); nel ricordo e nell'immaginazione le impressioni sfumano nel passato, perdendo forza e vivacità (idee).

8. Il principio di associazione Per Hume, la mente opera ponendo, tra le impressioni e le idee, associazioni e connessioni secondo regole costanti. È questo un istinto naturale, spontaneo, che si trasforma poi in abitudine, inducendo la mente a coniugare determinate impressioni e non altre, determinate idee e non altre. I principi in base ai quali avviene questa istintiva associazione delle idee sono tre: l. la somiglianza, 2. la contiguità nel tempo e nello spazio, 3. la causalità. Noi infatti tendiamo, in primo luogo, ad associare le idee simili (per esempio, quando passiamo dall'idea di un ritratto all'idea dell'originale); tendiamo poi ad associare quelle esperienze che in maniera costante e regolare si mostrano vicine nel tempo e nello spazio (al colore di un frutto associamo il suo sapore; oppure, se si parla del Colosseo, ci viene in mente Roma); siamo portati infine ad associare idee ed esperienze secondo un principio di causalità (l'idea del fumo, per esempio, richiama quella del fuoco).

FOCUS La teoria delle idee astratte Anche Hume, come Berkeley, sostiene, sulla questione delle idee generali o astratte, una posizione nominalistica. Per Hume, «in natura ogni cosa è individuale»: anche quando usiamo termini generali, noi non ci formiamo altro che idee di individui. I.:immagine che si forma nella nostra mente è sempre quella di un oggetto particolare, anche se l'uso che ne fa il linguaggio è generale. Qual è dunque la natura delle idee astratte e dei termini generali del linguaggio? Tramite l'osservazione, noi innan-

zitutto constatiamo una somiglianza tra oggetti diversi; poi attribuiamo a tutti questi oggetti lo stesso nome. Siccome quasi mai noi possiamo esaurire la serie di questi oggetti, i rimanenti vengono rappresentati per mezzo dell'abitudine che li richiama alla mente ogni volta che l'occasione lo richiede. Tutte le idee generali non sono quindi altro che idee particolari congiunte a un certo nome che dà loro un significato più esteso e, all'occorrenza, sulla base dell'abitudine, fa sì che siano richiamate altre idee particolari simili. 3. Il mondo dei Lumi

447

La gnoseologia di H urne percezioni

impressioni

sensazwm

idee

memona

passioni

immaginazione'

abitudine

principio della regolarità della natura principio di associazione credenza

9. Conoscenza astratta e conoscenza empirica Hume distingue due forme di conoscenza: conoscenza

empirica

astratta

,j

propria della matetikca, che pone relazioni tra idee (relations ofideas)

pone rapporti tra itri'pressioni, cioè tra cose o materie di fatto (matters offoct).

A questa distinzione Hume fa corrispondere quella tra conoscenza certa e conoscenza probabile. La conoscenza astratta formula proposizioni certe, scoperte «con una pura operazione del pensiero», o immediatamente, per intuizione, o mediatamente, per dimostrazione. Essa è astratta in quanto pone relazioni tra idee, ossia prescinde dal legame tra le idee e le impressioni corrispondenti; ed è necessaria, in quanto si fonda sul principio di identità, secondo cui, date determinate idee, non è possibi~ le il contrario della relazione che tra di esse viene posta. Per esempio, l'idea di triangolo non è compatibile con l'idea che la somma dei suoi angoli interni non sia uguale a un angolo piatto.

CITAZIONI Hume L'inutilità della metafisica Riportiamo qui la celeberrima conclusione della Ricerca sull'intelletto umano, in cui Hume dopo aver distinto la conoscenza in astratta ed empirica, esorta illet~ tore a rifiutare ogni tentazione metafisica.

Quando scorriamo i libri di una biblioteca, persuasi di questi principi, che cosa dobbiamo distruggere? Se ci viene

l

448

alle mani qualche volume, per esempio di teologia o di meta~ fisica scolastica, domandiamoci: Contiene qualche ragiona~ mento astratto sulla quantità o sui numeri? No. Contiene qualche ragionamento sperimentale su questioni di fotto e di esistenza? No. E allora, gettiamolo nelfuoco, perché non con~ tiene che sofisticherie ed inganni. •\3.~ Ricerca sull'intelletto umano Al

La conoscenza empirica si occupa invece di fatti, la cui conoscenza è solo probabile e mai necessaria, in quanto il contrario di un fatto è sempre possibile; e non può quindi mai implicare contraddizione. Luomo, dunque, conosce in modo necessario, ma astratto, oppure in modo concreto, ma solo probabile. Ciò vale per tutte le forme di conoscenza, dalla matematica alle scienze. Ne è esclusa la metafisica, che non ha, per Hume, alcun valore conoscitivo.

10. La conoscenza matematica Nella matematica il pensiero opera un puro confronto tra idee, senza alcun rimando immediato all'esperienza. Quando, per esempio, enunciamo il teorema di Pitagora, poniamo una relazione tra l'idea della somma dei quadrati costruiti sui cateti di un triangolo rettangolo e l'idea di un quadrato costruito sull'ipotenusa; questo tipo di relazione è una pura operazione del pensiero, senza alcun legame con i fatti. Ciò non significa, tuttavia, che le idee della matematica non derivino dalle impressioni. Hume sostiene infatti l'origine empirica delle idee della matematica~. Noi non potremmo avere l'idea di un triangolo, se non avessimo anche l'impressione sensibile corrispondente; una volta acquisita tale idea, però, il matematico opera senza più riferirsi ai triangoli sensibilmente percepiti. Gli enti matematici hanno dunque un'origine sensibile; il pensiero matematico, che è astratto, analizza poi le relazioni tra questi enti, indipendentemente dalla loro origine empirica. Ciò spiega come mai si possa essere indotti a pensare che, in matematica, l'immaginazione operi sui numeri o sulle forme geometriche come se fossero delle idee pure.

11. La conoscenza sperimentale

~

Ricorda che...

l sensi intervengono nella formazione delle idee matematiche, la cui natura a priori consiste nel fatto che essa stabilisce relazioni di tipo quantitativo tra le idee, senza fare riferimento alle impressioni di cui tali idee sono la rappresentazione.

Confronti

La certezza del sapere matematico non serve tuttavia, per Hume, a far progredire le scienze naturali. Anche una catena interminabile di ragionamenti astratti non ci fa avanzare di un solo passo nella scoperta delle leggi della natura. La matematica è dunque solo uno strumento, utile nella descrizione degli aspetti quantitativi dei fenomeni, inefficace nella spiegazione della realtà. Al contrario della matematica, la conoscenza delle questioni di fatto non conduce mai a verità assolute e definitive, ma solo probabili. Le questioni di fatto non sono «suscettibili di dimostrazione», nel senso che il contrario di un fatto è sempre possibile e non può mai implicare contraddizione. Data, per esempio, la percezione del lampo, la credenza che seguirà quella del tuono non viene di necessità, ma è ipotizzabile tanto quanto quella contraria. Per stabilire se effettivamente al lampo seguirà il tuono, devo riferirmi all'esperienza, la quale tuttavia consiste sempre di casi particolari e e contingenti.

Carte.~io e Galilei applicano il calcolo matematico nella spiegazione della realtà; per Humc, invece, i tentativi di estendere l'oggetto della matematica al di là del mondo delle relazioni astratte sono inutili.

e lessico legato a un determinato momento o a una situazione particolare.

CONTINGENTE

verifica

a

Conoscenza dei termini

Definisci: percezione, impressione, idea, memoria, immaginazione, abitudine, credenza.

bcomprensione di concetti e relazioni l In quali discipline si articola la scienza humeana della natura umana? 2 Come si distinguono impressioni e idee? 3 Quale criterio, per H ume, consente di verificare la verità di un'idea? 4 Come risolve Hume il problema dell'origine delle

nostre rappresentazioni degli oggetti esterni? 5 Quale funzione viene assegnata alla memoria e all'immaginazione? 6 Quali sono le leggi che Hume pone a base dell'associazione di idee? 7 Che cosa distingue la conoscenza astratta da quella empirica? 8 Perché la conoscenza sperimentale è solo probabile e non certa? 9 Perché la metafisica, secondo Hume, non ha valore conoscitivo? 3. Il mondo dei Lumi

449

ll

Lezione Profilo

l princi io di causali e la critica della m tafisica Temi

Concettt~cltitJVe

*Il fondamento delle previsioni scientifiche* Il concetto di abitudine e la regolarità della natura* Il postulato dell'uniformità dei fenomeni naturali* Il carattere probabilistico delle scienze sperimentali* La validità pratica delle credenze* La critica dell'idea di sostanza* L'lo come «fascio di percezioni»* l limiti della ragione • Lessico Si usa in correlazione a "effetto" e indica, nel suo significato di base, ciò che fa essere una cosa e quindi anche la sua ragion d'essere.

CAUSA

• Lessico infer-

INFERENZA Dal latino

re (''dedurre"), è un termine generico con cui si designa qualsiasi ragionamento per cui si passa da un certo giudizio a un altro che da quello deriva.

~ Ricorda che... Il principio di causalità consente di fare previsioni sul futuro, oltrepassando nella conoscenza dei fatti l'esperienza immediata. Su di esso si basa l'intera scienza sperimentale.

causalità, previsione, abitudine, credenza, sostanza, lo

1. Canalisi del principio di causalità I..:analisi del principio di e causalità è uno dei temi più noti e originali della filosofia di Hume. Da buon empirista, il filosofo scozzese non dubita dell'evidenza dei sensi. La scienza sperimentale, tuttavia, quando opera un'e inferenza da una causa a un effetto, formula sempre una previsione; in ciò supera il presente, passando quindi oltre l'evidenza dei sensi~. Ora, qual è il fondamento di questa previsione? Consideriamo due oggetti che siamo soliti ritenere l'uno causa e l'altro effetto e analizziamo la natura della loro relazione: «Ecco una palla da biliardo che sta ferma su un tavolo ed un'altra palla che si muove verso di essa con rapidità; le due palle si urtano e quella delle due che prima era ferma, ora acquista un movimento. È evidente che le due palle si sono toccate l'una con l'altra prima che il movimento fosse comunicato alla seconda e che non vi fu intervallo fra l'urto e il movimento della seconda palla». I..:esempio mostra che, perché operi una causa, è richiesta una relazione di contiguità nel tempo e nello spazio con il suo effetto. In secondo luogo, è evidente che il movimento che è causa precede quello che è effetto. In terzo luogo, se ripetiamo la prova, troveremo sempre che l'impulso di una palla produce il movimento nell'altra; tra causa ed effetto vi è dunque una congiunzione costante. Per Hume, nulla di più è possibile scoprire sull'argomento in questione.

2. Cabitudine e la regolarità della natura Come mai noi siamo certi che le palle in questione si comporteranno sempre e necessariamente nello stesso modo? Non potrebbero esse arrestarsi e rimanere in quiete assoluta, oppure muoversi in direzioni impreviste? Come mai crediamo che il legame causa-effetto fra questi due fenomeni sia certo? Per Hume, questa certezza non ha alcun fondamento. Nessun ragionamento può dimostrarla. Nessuna esperienza è in grado di provarla. Il principio di causalità non si fonda sulla ragione, bensl sull'abitudine, la quale, sulla base del postulato della regolarità del corso naturale, ci induce a supporre il futuro conforme al passato, rendendo cosl attendibili le nostre previsioni sui rapporti di tipo causale. Supponiamo che io veda una palla da biliardo che si muove verso un'altra (evento X): immediatamente concluderò che esse si urteranno e che la seconda si metterà in movimento (evento Y). La nostra inferenza dalla causa all'effetto ci spinge a concludere, dalla presenza del primo evento, che anche il secondo in futuro dovrà esistere. Se X è causa di Y, avendo presente X, noi prevediamo che si verificherà Y. Di questo tipo sono le previsioni operate dalle scienze: esse si basano su anticipazioni ipotetiche su fatti futuri. 450

3. La relazione di causa..effetto Qual è il fondamento di questa previsione? Che cosa ci induce a inferire il moto della seconda palla, una volta osservato quello della prima? Hume esclude ogni ragionamento a priori: «Se un uomo fosse creato, come Adamo, nel pieno vigore della sua intelligenza, egli senza esperienza non sarebbe in grado di inferire dal movimento della prima palla il movimento della seconda. Non esiste nella causa nulla che la ragione veda e che ci faccia inferire l'effetto». Parafrasando il brano che troverete nella Lezione Testo 92, proviamo a capire la posizione di Hume. Per Adamo, sarebbe stato necessario aver avuto esperienza dell'effetto ottenuto con l'urto delle due palle. Egli avrebbe dovuto vedere, in più casi, che quando una palla ne urta un'altra, la seconda si mette sempre in movimento. Dopo aver constatato un numero sufficiente di casi di questo tipo, ogni volta che egli avesse visto una palla muoversi verso un'altra, avrebbe concluso che quest'ultima si sarebbe messa in movimento, in conformità con le esperienze precedenti. Ne segue dunque che tutti i ragionamenti circa la causa e l'effetto sono fondati sull'esperienza e che tutti i ragionamenti derivati dall'esperienza sono a loro volta fondati sulla supposizione che il corso della natura continuerà a essere uniformemente lo stesso: cause simili, in circostanze simili, producono sempre effetti simili. Detto altrimenti, i casi dei quali non abbiamo avuto esperienza devono assomigliare a quelli di cui l'abbiamo avuta.

4. n fondamento psicologico del principio di causalità Qual è tuttavia il fondamento della supposizione che esista somiglianza tra passato e futuro? Solo l'abitudine «ci induce a supporre che il futuro sia conforme al passato~. Quando vedo una palla da biliardo che si muove verso un'altra, la mia mente è immediatamente spinta dall'abitudine verso il consueto effetto ed anticipa la mia vista concependo la seconda palla in movimento». :C esperienza, tuttavia, non costituisce una prova sicura del principio di causalità. Essa si basa infatti sul postulato della regolarità dei fenomeni naturali, postulato che, in realtà, non è garantito da alcun prova. Se per ipotesi il corso della natura cambiasse, il passato non servirebbe più da regola per il futuro e, di conseguenza, l'esperienza non potrebbe giustificare alcuna inferenza di tipo causale. :Cuomo in realtà, per Hume, è portato a credere alla regolarità della natura, sulla base di una disposizione psicologica e istintiva come l'abitudine, la quale lo spinge ad assumere determinate aspettative nei confronti degli eventi e a fondare su di esse l'intero corso della propria vita. Il fondamento della relazione causale è dunque psicologico. Noi non vediamo cause ed effetti, ma solo successioni di eventi, ai quali per abitudine attribuiamo un carattere di necessità~. :Cabitudine genera cosl la credenza che un dato evento futuro si verificherà in un dato modo e non in un altro; per esempio, che domani il sole sorgerà, come è sempre sorto in passato.

~ Ricorda che ... Hume esclude che la somiglianza tra passato e futuro possa essere il risultato di una dimostrazione razionale.

~

Ricorda che ...

Senza l'abitudine noi saremmo del tutto ignoranti circa ogni questione di fatto, al di fuori di quelle immediatamente presenti ai nostri sensi.

5. n ca~attere P.robabilistico delle scienze sperimentali Consolidatesi in credenze, le abitudini dirigono tutte le azioni umane, spingendoci per esempio a evitare il fuoco per non bruciarci, o a non mangiare certi tipi di funghi per non esserne avvelenati. Si badi tuttavia: l'abitudine spiega perché noi crediamo alla necessità dei nessi causali, non giustifica razionalmente tale necessità. Il principio di causalità si fonda sull'abitudine; e poiché l'intera scienza sperimentale si poggia sui nessi di causa-effetto, l'abitudine costituisce il suo vero fondamento. Le leggi scientifiche, l ungi dall'avere un valore assoluto e oggettivo, sono 3. Il mondo dei Lumi

451

generalizzazioni probabili e quindi fallibili. La causalità non è una qualità dei corpi; essa non è altro che il risultato della propensione abitudinaria della mente a passare dalla causa all'effetto e viceversa. Credenza e abitudine diventano cosl il fondamento della scienza sperimentale.

6. La critica delfidea di sostanza

Confronti A differenza del cartesianesimo e del materialismo, per Hume sia la sostanzialità del soggetto, sia l'oggettività del mondo esterno sono infondate.

Per Hume, noi non abbiamo alcuna idea di sostanza distinta da quella di una collezione di qualità particolari. Poiché ciò che noi cogliamo della realtà è solo un insieme di impressioni e di idee, l'idea di sostanza non è altro che una collezione di idee semplici unite dalla nostra immaginazione. r.: idea di un corpo, per esempio di una mela, non è altro che l'idea di un insieme di percezioni particolari (colore, gusto, figura, consistenza), senza alcuna nozione di ciò che viene chiamata sostanza. Domandarsi se i corpi esistano o no è dunque inutile: che essi abbiano un'esistenza distinta dalle nostre percezioni, è solo una questione di credenza. Solo l' abitudine e l'immaginazione ci inducono a considerare il mondo come qualcosa di reale e di durevole, che permane nella sua esistenza anche quando non è più presente alle nostre percezioni. Di ciò non può tuttavia esserci alcuna prova necessaria, in quanto non è in alcun modo possibile affermare che la realtà del mondo materiale sia la causa delle nostre percezioni. Forse allora la carta su cui stai leggendo non esiste al di là della tua mano? E il tavolo al di là della carta? Hume risponde che noi non percepiamo propriamente alcun corpo, ma solo «impressioni che penetrano dai sensi». È la mente che attribuisce loro esistenza corporea; ma la ragione non ci può mai dare la certezza dell'esistenza di tali corpi. Contro ogni possibile dubbio filosofico, l'istinto a credere alla realtà del mondo esterno è tuttavia per il senso comune ineliminabile: «Scommetto - scrive Hume - che, qualunque sia in questo momento l'opinione del lettore, da qui a un'ora egli sarà convinto che esiste il mondo esterno».

Confronti Esistenza del mondo

Esistenza dell'Io

Esistenza di Dio dimostrata per via razionale

Locke

empirismo realistico

provata dai sensi

provata per via intuitiva in quanto evidente

Berkeley

empirismo spiritualistico

negata

affermata per via razionale

·accolta come Verità rivelata

Hume

empirismo scettico

indecidibile

indecidibile

·credenza fondata sulla fede e sulle passioni

FO>.

Hume analizza in primo luogo le passioni. Come le sensazioni e le idee, le passioni sono percezioni. In comune con le sensazioni hanno il fatto di essere impressioni, ossia percezioni forti. Tuttavia le sensazioni sono impressioni "esterne", ossia impressioni di cose; le passioni sono invece impressioni "interne", in quanto ci rendono attenti a noi stessi, alle nostre qualità personali. Esse agiscono sul piano pratico. Sono gli impulsi da cui si origina l'azione. Hume distingue tra passioni propriamente dette, ossia impressioni violente come l'amore e l'odio, la gioia e il dolore; ed emozioni, ossia impressioni tranquille, come il senso del bello e del brutto. Chiama inoltre passioni dirette quelle che sorgono in noi tramite un rapporto immediato con l'oggetto (per esempio, un bel vestito ci dà piacere) e indirette quelle che dipendono da relazioni più complesse (se indossando quel vestito, mi accorgo dello sguardo ammirato di una persona, al piacere si unisce l'orgoglio). Ci sono poi passioni semplici e passioni complesse; queste ultime nascono quando le passioni si mescolano tra loro (per esempio, quando io ho il desiderio di possedere un vestito, e al contempo la speranza che mi venga regalato e il timore che non mi stia bene). passioni (impressioni "interne")

dirette

458

indirette

passioni (impressioni violente)

emozioni (impressioni tranquille)

semplici

complesse

Alcune passioni derivano da un istinto naturale: per esempio, la vendetta, l'amicizia, la fame, la concupiscenza ~. Proprio perché esiste in me la passione della vendetta, la punizione di un nemico mi provoca piacere.

3. La morale come impulso naturale Per Hume il fondamento della morale non va rintracciato nella ragione, ma nel sentimento. La morale va liberata dalla metafisica: non esistono «misure eterne» del giusto e dell'ingiusto, né norme universali di comportamento. Hume rifiuta ogni visione unilaterale: riconosce dunque che anche la ragione intervenga nelle nostre valutazioni morali ~. Tuttavia, è del parere che l'uomo agisca sollecitato principalmente dalle passioni, dai sentimenti. Pur non estraneo al raziocinio, l'agire umano è sostanzialmente governato dalla dimensione istintuale e affettiva. I giudizi di valore, in base ai quali orientiamo le nostre volizioni, non rispondono dunque alla logica del vero e del falso. La ragione giudica il vero e il falso; al contrario, una azione morale può essere considerata degna di lode o di biasimo, ma non può mai essere considerata vera o falsa. La ragione ha il potere di orientare le passioni; non è tuttavia in grado di crearle o di annullarle. Nulla può opporsi a un impulso passionale se non un impulso contrario.

~ Ricorda che .•. Hume non formula alcuna ipotesi circa l'origine degli